L'ultima notte

di _Fedra_
(/viewuser.php?uid=114994)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 

L’ULTIMA NOTTE
                                   

by _Fedra_efp



 

 

 

 

 

AVVERTENZE: MANEGGIARE CON CAUTELA!
Non sto scherzando: questa è la mia prima fanfiction dedicata a Lady Oscar e, conoscendomi, sarà difficile andare avanti senza stravolgere completamente la vicenda come già la conoscete! Tanto per cominciare, ho deciso di creare una sorta di varco temporale, in cui presente e passato si fondono in una cosa sola. In fondo, mentre leggevo la biografia di Maria Antonietta scritta da Antonia Fraser (su cui tra l’altro si basa il film della Coppola), non ho potuto fare a meno di pensare come si sarebbe sentita la giovanissima arciduchessa se si fosse trovata a vivere ai giorni nostri, con tutti i cambiamenti che ci sono stati e in cui, suo malgrado, è rimasta coinvolta. Ecco perché ho deciso di scrivere una storia a due voci, perlomeno fino a quando le due protagoniste (Maria Antonietta e Rosalie Lamorlière) si incontreranno definitivamente nel 2013. Ho scelto questa data simbolica in quanto so già che cosa è accaduto e perciò posso tranquillamente fare riferimenti di cultura e attualità che potrete facilmente riconoscere. All’inizio, impiegherò due tipi diversi di editing in base al personaggio in scena: per il Settecento è prevista l’impaginazione classica con il Times New Roman, mentre per la parte contemporanea ho scelto uno stile decisamente più moderno. * Cosa pensate che succederà all’html  quanto le nostre due amiche si incontreranno per la prima volta?
Spero di avervi incuriositi con questa breve prefazione (o perlomeno di non avervi sconvolti). Ora non mi resta che lasciar parlare i miei personaggi: sicuramente sono molto più affidabili di me!





 

 

CAPITOLO 1
                             





 

Vienna, 21 aprile 1770

 
 
Nei suoi quattordici anni all’interno dello Schönbrunn, Maria Antonietta non si era mai resa conto di quanto potesse essere grande. Non si era mai fermata abbastanza a osservare gli stucchi dorati e gli affreschi dei saloni durante i balli sfarzosi che vi si tenevano, troppo impegnata a fare conversazione con i nobili invitati, né ad ammirare il gusto con cui erano tenuti i giardini del parco mentre giocava a nascondino con l’adorata sorella Maria Carolina, l’unica dei tanti figli di Maria Teresa a voler condividere un po’ di tempo con lei.
    Si assomigliavano molto, lei e Maria Carolina, al punto che in molti, nel dubbio, le confondevano. Da quel giorno in poi, le due principesse sarebbero state separate per sempre, divise da chilometri e chilometri di mare e montagne, ciascuna nel regno in cui avrebbero trascorso il resto della propria esistenza accanto all’illustre consorte che l’imperatrice d’Austria aveva scelto per loro. L’infanzia, l’età dei giochi e delle spensieratezze, era finita per sempre. Maria Antonietta stava per diventare la delfina di Francia. Un ruolo che tutte le ragazze dell’impero asburgico le invidiavano.
    Eppure, la giovane arciduchessa non si sentiva affatto a suo agio. Avrebbe voluto che quel dannato giorno non arrivasse mai. Ora tutto era diventato un’incognita. Avrebbe dovuto lasciare il suo palazzo e i suoi cari per partire alla volta di una nazione ostile di cui non sapeva pressoché nulla. Non conosceva bene il francese, dal momento che aveva sempre odiato fare i compiti, e non aveva mai visto l’uomo che avrebbe dovuto sposare se non nel ritratto che aveva portato con sé l’ambasciatore straniero al momento delle trattative sul suo matrimonio.
   Già, trattative. Nessuno le aveva chiesto di sposarsi. Era stata Maria Teresa a decidere per lei, come aveva fatto per tutti i suoi altri quattordici figli. Non erano altro che pedine nelle sue mani, per il bene dell’intera nazione. Era il suo dovere che Maria Antonietta doveva adempiere, nient’altro. Se fosse riuscita a dare un erede al trono di Francia e a compiacere il suo popolo, allora avrebbe raggiunto il massimo scopo della sua vita. In caso contrario, l’ira di sua madre sarebbe stata inimmaginabile.
    Ascoltò con calma le ultime raccomandazioni che l’imperatrice le fece nel momento in cui giunse al suo cospetto per l’ultima volta, affidandola definitivamente alle cure dell’ambasciatore Mercy; poi, dopo un lungo e commosso addio in cui non le fu permesso di piangere, l’arciduchessa e il suo seguito montarono sulla carrozza che li avrebbe condotti fino in Francia. Solo quando percepì il terreno muoversi sotto di lei e il palazzo allontanarsi definitivamente alle sue spalle Maria Antonietta lasciò che una sola e invisibile lacrima le scivolasse lungo la guancia ricoperta di cipria, nascondendola prontamente dietro il ventaglio aperto all’altezza degli occhi.
    −Desiderate fare una partita a carte? – chiese un attimo dopo.
 

***

 
Francoforte, 23 agosto 2013
 
 
Odio tutti, pensò Rosalie mentre disponeva il suo bagaglio sul nastro trasportatore.
L’agente che stava di fronte a lei la scrutò con aria indagatrice, senza muovere un muscolo della sua prominente mascella quadrata.
Certo, ho tutta l’aria di essere una spacciatrice di droga pesante, disse la ragazza tra sé e sé, sostenendo lo sguardo del poliziotto con aria di sfida.
Solo dopo un tempo che le parve infinito, questi le diede il permesso di passare sotto il metal detector senza incidenti, recuperando il trolley.
Sua sorella Charlotte la seguì pochi istanti dopo.
“Ho fame!”, si lagnò non appena la raggiunse.
“Dopo, ora dobbiamo imbarcarci”, la zittì Rosalie impaziente, scoccando un’occhiata di profondo odio verso sua madre.
Era solo colpa sua se in quel momento erano costrette a lasciare Francoforte, dove la ragazza era nata e cresciuta, per rincorrere un fantomatico regista dell’Opèra di Parigi con cui si sentiva da circa un anno.
Di questo Eugène De La Motte, Rosalie non sapeva pressoché nulla, a parte il fatto che avesse cinquantaquattro anni e avesse una figlia di venticinque di nome Jeanne.
In un anno di amore folle, il tizio si era presentato a casa loro sì e no quattro volte per via del lavoro, che lo teneva impegnato ventiquattro ore su ventiquattro, invadendo persino i suoi discorsi più intimi.
In fondo, come altro avrebbe fatto a conoscere Yolande Polignac, una stravagante attrice di origini svizzere, se non in teatro?
Era accaduto tutto durante una tournee a Zurigo, quando entrambe le compagnie dei due amanti erano in città per una rassegna.
Si erano conosciuti dietro le quinte, tra una prova e l’altra.
Lui era rimasto subito colpito da lei, con la sua prosperosa corporatura da diva d’altri tempi unita a un carattere profondamente fragile e sensibile, e per questo le aveva subito chiesto di uscire a cena insieme quella sera stessa.
Dopo Zurigo, i due non avevano fatto altro che sentirsi per mesi e mesi, fino alla dichiarazione definitiva.
Per risultare ancora più convincente, Eugène aveva offerto una parte a Yolande all’interno del suo nuovo spettacolo all’Opèra.
Come avrebbe potuto rifiutare un’occasione del genere?
Che importava se le due figlie sarebbero state strappate dalla città in cui erano nate e cresciute per una metropoli completamente sconosciuta?
Cavolo, andare a vivere al centro di Parigi non era mica cosa da tutti, anzi!
A quel punto, la scuola, gli amici e la dannatissima scherma di Rosalie potevano benissimo passare per dei semplici capricci adolescenziali in confronto alla vita meravigliosa che le attendeva.
Ecco perché la ragazza si era anche presa urla e musi lunghi quando aveva espresso tutto il suo disappunto a partire.
In fondo, quindici anni erano ancora troppo pochi per restare a vivere da sola a Francoforte e sua madre aveva inevitabilmente bisogno di lei per badare a Charlotte.
Non aveva scampo.
Quegli ultimi giorni erano stati un incubo per Rosalie.
Il suo intero mondo sarebbe stato cancellato per sempre da un momento all’altro.
Si sarebbe dovuta separare dai suoi amici di Francoforte, in particolar modo Anna, la sua migliore amica di sempre.
“Avrete facebook, per parlare”, aveva sentenziato subito Yolande, come se comunicare attraverso lo schermo del computer equivalesse a una sana chiacchierata tra amiche il sabato pomeriggio, magari davanti a una bella coppa di gelato nel locale che gestivano i genitori di Anna.
Ma niente sarebbe equivalso a lasciare gli amici della palestra, che Rosalie frequentava dall’età di quattro anni.
Nella sua burrascosa vita familiare, in cui la ragazza era costretta a barcamenarsi tra una madre a un tempo capricciosa e assente e una sorella viziata, il momento in cui abbandonava la divisa scolastica per sostituirla con la tuta bianca e la sciabola era per lei un totale sollievo.
Quando tirava di scherma, Rosalie dimenticava tutti i suoi problemi, sfoderando il suo carattere deciso e combattivo, da vero maschiaccio.
In fondo, l’essere sempre così diretta e marziale era uno dei tanti modi in cui si opponeva a sua madre, che a quanto pareva aveva deciso di sposare il lato peggiore della femminilità, ostentatamente fragile e svenevole.
Sono una donna con le palle, amava ripetersi ogni volta che la luce verde si accendeva e l’avversario cadeva sotto le sue stoccate.
Ora avrebbe perso anche quello e gli insegnamenti che Franz le aveva impartito in tutti quegli anni sarebbero spariti come la nebbia al primo sole, una volta lontana da Francoforte.
A Parigi non avrebbero potuto portare granché: sarebbe stato troppo problematico per il trasloco.
Avrebbero venduto la casa già ammobiliata, dal momento che Eugène ne aveva predisposto un’altra altrettanto accogliente a pochi passi dall’Opéra.
Rosalie aveva dovuto abbandonare tutto, tranne qualche libro e i suoi preziosissimi CD, non senza opposizioni da parte di Yolande per il prezzo dei bagagli.
Per quanto riguardava l’attrezzatura di scherma, la ragazza aveva dovuto restituirla alla palestra il giorno in cui le avevano organizzando una straziante festa d’addio.
In fondo, era sempre stata una di casa lì, oltre che una delle allieve più promettenti.
Per lei, il gruppo di scherma era una sorta di seconda famiglia su cui poteva contare, visto che la sua non sembrava curarsi minimamente di lei.
Ora era tutto finito.
Per sempre.
Tutti i passeggeri diretti al Paris-Charles De Gaulle sono gentilmente pregati di dirigersi al gate 9, grazie!” annunciò una fredda voce metallica.
Rosalie sospirò, mentre la folla la spintonava inesorabilmente verso l’uscita dell’aeroporto, dove l’attendeva un gigantesco jet metallico, il rombo dei motori già accesi che risuonava nella sala d’attesa.
 
 
 
 
 
 
 

 

 

                

 
 
 

 


 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Alle mie sorelle Ambra, Erika e Lavinia,
per tutte le gioie, i dolori, le passioni e l’immancabile amore
per la buona cucina che ci lega da ormai molto tempo.



 
CAPITOLO 2 
                      







 
Parigi diede il suo benvenuto con una pioggia battente che inzaccherò i passeggeri fino alle ossa nel momento in cui misero il naso fuori dall’aereo.
Rosalie imprecò tra i denti mentre scendeva rocambolescamente dalla scaletta trascinando il trolley, con il rischio di rompersi il collo sui gradini bagnati a ogni passo.
All’ennesima esortazione di Yolande a sbrigarsi, Charlotte perse l’equilibrio e rotolò a terra, sbucciandosi le ginocchia e i gomiti.
Si rialzò in lacrime, seguendo madre e sorella alla volta dell’interno caldo e asciutto dell’aeroporto.
Lì li aspettava Eugéne, che per l’occasione era venuto con il taxi, dal momento che non aveva la patente.
Esatto, il nuovo compagno di Yolande era anche un fervente ecologista, tra le altre cose.
Accolse le nuove arrivate con un calore, stringendo la donna  in un abbraccio passionale e stampando due baci sulle guance delle figlie.
Rosalie non poté fare a meno di inorridire.
Il quartetto salì frettolosamente sul taxi che li avrebbe portati al centro di Parigi e, dopo un tempo che parve infinito, tra il traffico che si accalcava attorno alla capitale e l’oscurità che iniziava a scendere, arrivarono a destinazione.
L’appartamento in cui avrebbero vissuto da quel giorno in poi era un piccolo attico all’ultimo piano di una palazzina d’epoca, a pochi passi dall’Opéra.
Certo che se l’è scelto proprio bene, osservò Rosalie mentre faceva ingresso nella piccola casa, arredata in maniera molto spartana ma con un delicato senso estetico.
L’appartamento di un artista.
Yolande ed Eugène avrebbero dormito in una stanza matrimoniale, mentre Rosalie e Charlotte si sarebbero sistemate nella vecchia camera di Jeanne, che ormai era andata a vivere da sola con il suo ragazzo.
L’avrebbero conosciuta quella sera, in occasione della cena che il loro patrigno aveva organizzato per l’occasione.
Le due sorelle Polignac si sistemarono nel nuovo alloggio, bagnate fin dentro alle ossa e, nel caso di Charlotte, insanguinate.
“Andiamo a farci una doccia”, disse Rosalie liberandosi della tuta fradicia.
“Non voglio!”, si lagnò Charlotte.
“Non puoi presentarti a cena in queste condizioni! Forza, fila in bagno!”.
Inutile dire che la sorellina si rifiutò categoricamente di lavarsi.
Alla fine, Rosalie dovette quasi trascinarla dentro il box della doccia, schiaffandole in mano un flacone di bagnoschiuma e chiudendole le tende in faccia.
Nell’attesa che Charlotte si rendesse di nuovo presentabile, Rosalie tornò in camera sua.
Passò per un attimo di fronte allo specchio, per controllare il suo aspetto.
I lunghi capelli di un biondo rossiccio erano intrisi di umidità, ricadendole flosci e crespi lungo le spalle esili.
La frangia versava in un totale disastro.
Con un sospiro, Rosalie si gettò sul letto e prese a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati, il rumore della pioggia che si confondeva con quello del getto della doccia che continuava a scorrere in bagno.
Senza quasi rendersene conto, la ragazza si addormentò.
 
***
 
−Siamo arrivati, Madame!
    Maria Antonietta si svegliò di soprassalto, scossa da una delle dame di compagnia che viaggiavano con lei. Fuori dal finestrino della carrozza, una foresta irta di alberi scorreva via lentamente, fino a quando il convoglio non si fermò del tutto con un lieve sobbalzo. Pochi istanti dopo, l’ambasciatore Mercy venne a prenderla di persona, invitandola a scendere. Le sue scarpette infiocchettate affondarono nel terreno fangoso, strappandole un brivido di disgusto.
    Avanzarono per qualche metro, fino a incontrare una grande tenda azzurra di fronte alla quale erano schierate alcune guardie e un gruppo di dame, capeggiate da una donna anziana dall’aspetto arcigno.
    −In occasione del vostro ingresso sul suolo francese, Madame, è stato allestito un padiglione posto esattamente sul confine. Una volta varcata questa soglia sarete ufficialmente la Delfina di Francia – spiegò Mercy mentre si avvicinavano.
    Maria Antonietta non poté fare a meno di deglutire alla vista del drappello che l’attendeva.
    −Ho l’onore di presentarvi la contessa di Noailles, Maestra della Casa – disse l’ambasciatore, indicando la donna arcigna che l’attendeva sulla soglia.
    Maria Antonietta la salutò con un inchino impacciato; poi la seguì all’interno del padiglione. Lì incominciò la prima serie di umiliazioni. In quando facente parte di una famiglia reale straniera, alla giovane arciduchessa non fu permesso di tenere alcunché della vita precedente, dai membri del suo seguito fino alla biancheria intima. Gli occhi di tutti erano puntati su di lei mentre si spogliava degli abiti austriaci per indossare quelli francesi, completamente rinnovata nella sua essenza.
    Dopo un tempo che le parve interminabile, finalmente le fu permesso di uscire all’esterno, in veste di Delfina di Francia. Lì, nel cuore della foresta, un nuovo seguito l’attendeva per portarla fino a destinazione. Insieme a Mercy, Maria Antonietta salì su una nuova carrozza, decisamente più vistosa di quella austriaca, che prese subito ad avanzare alla volta di Versailles.
    In pochi minuti, il confine con l’Austria non fu più visibile. L’arciduchessa fissava con occhi sbarrati le nuove dame che le erano state assegnate, di cui comprendeva a malapena la lingua. Cercò di ripassare mentalmente il discorso che aveva imparato a memoria nei giorni precedenti alla partenza. Era ciò che doveva dire al nuovo consorte, Luigi Augusto, e al re di Francia nel momento in cui sarebbe arrivata a destinazione. Sarebbe mai riuscita a ricordarselo?
    Dopo un tempo interminabile, la carrozza si fermò in un boschetto di proprietà reale, dove un nutrito gruppo di persone l’attendeva con aria a un tempo arcigna e solenne. Una volta che il convoglio si fu arrestato definitivamente, Maria Antonietta poté distinguere uno a uno i volti imbellettati, sentendosi gelare.
   Luigi XV, il re di Francia, era un uomo ormai in là con gli anni, ma non aveva perso affatto il fascino di cui decantavano i suoi contemporanei, nonostante le rughe e i chili di troppo. La mascella quadrata, i folti capelli scuri e lo sguardo penetrante erano quelli di sempre. Maria Antonietta lo guardò attentamente mentre si scambiavano i primi convenevoli, sperando ardentemente che suo nipote gli somigliasse. In fondo, dal ritratto non sembrava male.
    Le sue speranze crollarono nel momento in cui si rese effettivamente conto di chi fosse il suo futuro consorte. Era un ragazzo sui sedici anni decisamente goffo e impacciato, con grandi occhi di un celeste acquoso e un naso prominente, senza contare l’evidente pinguedine.
    −Benvenuta, Madame – disse questi con una vocetta acuta, per certi versi ancora da adolescente, ben poco virile.
    Maria Antonietta non seppe mai il perché di ciò che accadde negli attimi successivi. Forse perché lei, nonostante la delusione e il dolore di quei giorni difficili, aveva pur sempre un animo dolce e gentile, che la portava a provare compassione per i più deboli. Perché sì, anche se brutto e goffo, in fondo Luigi Augusto era proprio come lei, un adolescente costretto a rivestire anzitempo i panni da adulto per un bene superiore, senza un apparente perché. Forse fu proprio questo a farle abbandonare ogni freno inibitorio e a stringere il ragazzo in un caloroso abbraccio, suscitando la sorpresa e lo sconcerto di tutti i presenti.
    Da ora in avanti sarò la Delfina di Francia, continuava a pensare febbrilmente mentre stringeva le spalle tozze del suo futuro marito, che sembrò letteralmente sciogliersi a quel contatto. Avrò tutti gli occhi puntati su di me.
 
***
 
Rosalie si svegliò di soprassalto, madida di sudore.
Aveva fatto un incubo terribile: era la regina di Francia, Maria Antonietta, e, dopo essere stata vista senza veli da emeriti sconosciuti, era stata trascinata di fronte a un uomo basso, grasso e brutto che da quel giorno in poi sarebbe stato suo marito.
Considerando che alla fine di quella triste storia le avrebbero anche mozzato la testa, la ragazza aveva fatto di tutto per risvegliarsi.
La stanza ormai si trovava nella quasi totale oscurità e sua sorella si stava asciugando i capelli seduta sul letto.
Soffocando un’imprecazione, Rosalie caracollò in bagno e soffocò i suoi cupi pensieri sotto un abbondante getto d’acqua bollente.
Circa un’ora dopo, con i capelli finalmente in ordine e la frangia fonata, la ragazza si presentò a tavola insieme a Charlotte.
Eugène aveva apparecchiato nel minuscolo soggiorno, accendendo due candele bianche al centro del tavolo per conferire maggiore atmosfera all’ambiente domestico.
Verso le otto, lo squillare del campanello annunciò l’arrivo di Jeanne e del suo fidanzato Nicolas.
La primogenita di Eugène era quanto di più diverso potesse esistere dalle sorelle Lomorlière.
Alta e ossuta, dotata di un viso spigoloso dall’incarnato quasi bianco, Jeanne De La Motte era dotata di una bellezza selvaggia, fuori da qualsiasi schema.
I folti capelli di un nero bluastro le scendevano fin quasi a metà schiena, lisci e ribelli.
Era dotata di un sorriso sfrontato e seducente che sfoderava verso chiunque si azzardasse a rivolgerle la parola, rendendola assolutamente irresistibile.
Una vera predatrice.
“Tu dovresti essere Rosalie”, la salutò senza nemmeno presentarsi.
“E tu dovresti essere Jeanne”, rispose lei stringendole la mano in una delle sue prese ferree.
“Mia cara, è un piacere conoscerti”.
“Anche per me”
Nicolas, il suo ragazzo, era un tipo taciturno e altrettanto spigoloso, che si limitò a delle presentazioni molto spicce e formali.
Per tutta la cena, Jeanne non fece altro che parlare.
Inutile dire che Eugène semplicemente l’adorava.
Per le sorelle Lamorlière sarebbe stata dura prendere il suo posto.
Del resto, si era capito subito che da quel momento in poi avrebbero dovuto cavarsela da sole.
I loro genitori sarebbero sempre stati impegnati con le varie commedie e ancora una volta Rosalie avrebbe dovuto fare da padre a da madre a Charlotte, come se vivessero completamente sole.
A quel punto, tanto valeva restare a Francoforte, no?
Soffocando un gemito di rabbia, Rosalie infilzò un grosso pezzo del suo pasticcio di carne e lo inghiottì quasi senza masticare.
 
***
 
Versailles era molto diversa da Vienna, di questo Maria Antonietta se ne rese conto quasi subito. Tutto era esageratamente sfarzoso e opulento, regolato da una rigida etichetta come se si trattasse di uno spettacolo a cui erano ammessi solo pochi eletti, gli unici degni di partecipare al lusso del re di Francia, una sorta di divinità in terra. Era una concezione del tutto estranea e avulsa dalle spartane regole che vigevano allo Schönbrunn. Per questo, la giovane arciduchessa si sentiva perennemente a disagio.
    Ogni suo singolo gesto doveva essere assistito da un complesso cerimoniale, a cui erano ammesse solo delle determinate persone, la cui carica era regolata da legami di sangue. Era tutto un continuo di precedenze e privilegi di cui Maria Antonietta non sapeva pressoché nulla e, se non fosse stato per la puntigliosa presenza della contessa di Noailles, non sarebbe mai riuscita a gestire da sola. Il disagio e la noia crescevano di giorno in giorno, aumentando in lei la consapevolezza di essersi rinchiusa in una gabbia dorata in cui qualsiasi errore sarebbe stato giudicato dalle implacabili malelingue che serpeggiavano ovunque.
    Maria Antonietta sapeva di non essere bene accetta a corte. Tutti la vedevano come una straniera, una spia, una presenza pericolosa che poteva influenzare negativamente il re di Francia. Sembrava che, invece di risanare i dissapori tra i due paesi, fosse venuta solo per accentuarli. Senza contare i problemi che erano giunti subito dopo il matrimonio, a causa dell’assoluta incapacità di Luigi Augusto di avere rapporti con lei. Era stata fatta venire da Vienna per un solo scopo e non era ancora riuscita a portarlo a termine. Se non fosse riuscita a dare un erede al trono, a che serviva lasciarla lì a Versailles?
    Maria Antonietta tremava al solo pensiero di venire ripudiata. Le lettere di sua madre si facevano sempre più minacciose e dense di critiche, non prive di sottili frecciate velenose riguardo alla felice vita matrimoniale dei suoi numerosi fratelli e sorelle. Si sentiva uno scarto, una delusione e un disonore per entrambe le nazioni. Aveva fallito e per di più era sola. Luigi si rifiutava a priori anche solo di parlare con lei, chiuso nella sua estrema timidezza che soffocava nelle sue interminabili battute di caccia, da cui tornava esausto quando era ormai giunto il momento di coricarsi.
    Certo, ogni tanto l’arciduchessa parlava con qualche dama, ma sapeva fin troppo bene che lì a Versailles i muri avevano occhi e orecchie e che qualsiasi parola di troppo poteva essere impiegata contro di lei. Non poteva mai confidarsi apertamente con nessuno, mostrando debolezza, sfogando le sue lamentele, chiedendo compassione. Era sola, come sole sono le divinità dell’Olimpo a cui i sovrani piaceva paragonarsi. Forse non era proprio immortale come le avevano fatto credere, dal momento che aveva fallito la sua missione. In quel momento era più umana che mai.
    Quanto avrebbe avuto bisogno di un amico!
 
***
 
Primo giorno di scuola.
Perlomeno, da quel giorno in poi Rosalie avrebbe avuto una buona scusa per mettere il naso fuori di casa.
In quell’ultima settimana, non era riuscita a concludere granché, visto che aveva dovuto trascorrere la maggior parte del tempo a badare a Charlotte, che aveva l’insana abitudine di cacciarsi puntualmente nei guai.
Un paio di volte le aveva proposto di accompagnarla a esplorare Parigi, ma vista la sua reticenza a camminare e a visitare monumenti, la cosa era morta sul nascere.
Con il fatto che la sorella stesse a scuola fino al tardo pomeriggio, Rosalie poteva finalmente respirare un po’.
L’istituto dove le due sorelle Lamorlière erano state iscritte non era molto lontano da casa e si poteva raggiungere facilmente con la metropolitana.
Rosalie era rimasta immediatamente colpita dall’efficienza dei mezzi pubblici di Parigi.
C’era una quantità infinita di linee sotterranee che raggiungevano qualsiasi angolo della città, incentivando il suo desiderio di esplorarla da cima a fondo nel tempo libero.
Si era subito procurata una mappa e si era lasciata immergere nel caos mattutino della stazione, tenendo Charlotte per mano.
Era infinitamente nervosa per quel primo giorno di scuola.
Certo, avendo una madre svizzera, si era abituata a parlare il francese con la stessa fluidità del tedesco, tuttavia Rosalie non si sentiva affatto tranquilla.
Cosa avrebbero pensato di lei i nuovi compagni?
L’avrebbero subito accettata o l’avrebbero considerata come la novità del giorno, l’eterna straniera?
A quel pensiero, sommato alla nostalgia per la vecchia vita, Rosalie si sentì montare una rabbia inimmaginabile, stringendo la manina sottile di Charlotte fino a strapparle un gemito.
Una volta lasciata la sorellina di fronte alla scuola, Rosalie proseguì alla volta del suo nuovo liceo, che si trovava alla fermata successiva della metro.
Era un bel palazzo della fine dell’Ottocento, che sorgeva all’interno di un parco verdeggiante in cui di recente erano stati installati degli impianti sportivi, tra cui una pista di atletica leggera e una piscina.
Non c’era però traccia di un corso di scherma.
Rosalie salì a rilento i gradini che la separavano dall’ingresso, mescolandosi con la folla di studenti che si lanciavano richiami in francese, alcuni dei quali, espressi in forme gergali, le risultarono assolutamente incomprensibili.
Controllò l’aula della prima ora sull’orario, mentre le note dei Rammstein le defluivano prepotenti nel cervello dagli auricolari, camminando spedita per i corridoi.
Quella scuola era un vero e proprio labirinto, doveva ammetterlo.
Cercò di orientarsi tra le bacheche zeppe di messaggi e gli armadietti degli studenti, ma inutilmente.
Ormai si era decisamente persa.
Era così presa dalla sua disperata ricerca dell’aula, da non accorgersi del ragazzo alto e dinoccolato che veniva precipitosamente nella sua direzione, andando letteralmente a sbatterci contro.
“Mi dispiace!”, esclamò la ragazza desolata, mentre lo sconosciuto si risistemava il suo gigantesco paio di occhiali da nerd sulla punta del naso all’insù.
Era un tipo strano, di quelli troppo alti e troppo magri, senza l’ombra di un muscolo, a tal punto che anche la taglia da uomo più piccola gli ricadeva floscia come se fosse stata appuntata a una gruccia appendiabiti.
Aveva una folta chioma di capelli biondi e lisci, con un ciuffo ribelle che gli ricadeva continuamente sugli occhi scuri, costringendolo a scrollarsela via di tanto in tanto.
“Oh, non ti preoccupare!”, rispose questi disinvolto, raccogliendo da terra i libri che gli erano caduti di mano.
Sentendosi a disagio, Rosalie lo aiutò.
“Grazie, molto gentile”, disse il ragazzo sorridendo. “Sei nuova?”
“Sì. Sai per caso dove si trova l’aula di chimica?”.
“Oh, certo! Devo andarci proprio adesso! Se vuoi, ti accompagno”.
“Ti ringrazio, sei molto gentile”.
Lo sconosciuto le fece strada per i corridoi.
Era così alto che Rosalie faceva fatica a stargli dietro.
“Mi chiamo Louis”, le disse a un certo punto.
“Rosalie”.
I due raggiunsero l’aula a lezione già iniziata, prendendosi un bel rimprovero dal professore in cattedra, che però cinque minuti dopo presentò Rosalie alla classe.
Dopo l’imbarazzo iniziale, dove decine di occhi curiosi furono puntati su di lei, la ragazza ebbe il permesso di sedersi accanto a Louis, che appariva visibilmente raggiante di averla al suo fianco.
“Tu conosci bene Parigi?”, gli chiese alla fine dell’ora.
“Sì, perché?”.
“Avrei bisogno di una palestra. Una dove facciano scherma. Ne avrei proprio bisogno!”.
A quelle parole, Louis si illuminò.
“Ne conosco una molto buona”, rispose. “Ci va Lucile, una mia amica. Se vuoi, ti do il suo contatto Facebook”.
“Magari, grazie!”.
Louis staccò una pagina vuota di uno dei suoi quaderni zeppi di una calligrafia ingombrante e disordinata e vi scrisse in stampatello il contatto della ragazza.
Rosalie lo strinse al petto come il più prezioso dei tesori.



Buonasera a tutti!
Innanzitutto, devo ringraziare di cuore tutti coloro che in questi giorni hanno letto, recensito e inserito nelle seguite questa mia piccola follia: davvero, tutto questo calore per me è stato inspettato e spero che i prossimi capitoli siano all'altezza delle vostre aspettative!
Scusatemi se uso questo incipit un po' lungo, in cui voglio considerare il parallelismo tra Rosalie e Maria Antonietta, fondamentale per la nascita della loro futura amicizia.
Nel prossimo aggiornamento, faranno la loro comparsa anche gli altri protagonisti dell'anime/manga...e non solo!
Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook, qualora aveste voglia di scoprire indiscrezioni, scaricare foto sulla fanfiction o leggere altri miei lavori in sospeso. 
Grazie a tutti e a giovedì prossimo con il resto della storia! :)

F.

Official page--------------->
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?ref=hl
 

 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
                  





 
Viaggiare sotto terra era una delle cose che Rosalie amava di meno, specie da quando era a Parigi, dal momento che doveva ritrovarsi al buio, pigiata tra decine di sconosciuti, per qualsiasi piccolo spostamento.
Gli spazi erano veramente troppo grandi e lontani tra loro per percorrerli a piedi in poco tempo e i vari bus di linea non erano rapidi ed efficienti quanto gli sferraglianti convogli sotterranei.
Se poi durante il viaggio ci si trovava in situazioni imbarazzanti, la cosa poteva superare ogni limite di sopportazione.
Come per esempio quel pomeriggio, in cui Louis aveva le proposto di accompagnarla a vedere la nuova palestra.
Lucile, l’amica del ragazzo, li avrebbe raggiunti direttamente lì, alle sei e mezzo.
Certo, non c’era niente di male nel farsi scortare in un luogo sconosciuto da colui che ormai si poteva definire un amico, tuttavia Rosalie non riusciva a stare tranquilla.
Continuava a lanciare occhiate in tralice al ragazzo, in piedi a pochi passi da lei, domandandosi se dietro quella cortesia non si nascondesse un secondo fine.
E se si trattasse di un appuntamento, seppure con poco tempo a disposizione per stare da soli?
A quel pensiero, la ragazza si sentiva rivoltare le viscere.
Certo, erano ormai due giorni che frequentava Louis e si trovava benissimo con lui, così simpatico e spontaneo, che trovava sempre il modo di farla ridere, abbattendo la muraglia di malumore che la ragazza si era costruita attorno; tuttavia non aveva assolutamente la stoffa del suo potenziale ragazzo, anzi!
Rosalie aveva il terrore di affrontare l’argomento e di ferire l’unica persona con cui aveva condiviso i suoi primi giorni in terra straniera.
Non voleva rovinare tutto per puro egoismo, ma non se la sentiva di prendere decisioni controvoglia.
Scoccò un’altra occhiata nervosa a Louis, che nel mentre aveva preso a fissare fuori dal finestrino con aria pensosa ma serena.
Sembrava che non gli importasse nulla di uscire con lei, anzi, che si tenesse anche a debita distanza.
Poteva forse tirare un sospiro di sollievo?
Rosalie abbassò lo sguardo, prendendo a trafficare con il telefonino.
In effetti, le era appena arrivato un nuovo messaggio.
La ragazza premette sull’icona a forma di bustina e aspettò che le si rivelasse il contenuto.
Era Lucile, che confermava l’appuntamento davanti alla palestra.
Da quei pochi messaggi che si erano scambiate, Rosalie aveva avuto un’impressione molto buona di lei.
Sembrava una ragazza spigliata e solare, senza però risultare pesante.
La sua immagine in bianco e nero del profilo facebook la ritraeva in tuta da ginnastica accanto a un ragazzo dalla pelle scura vestito da rapper.
Erano seduti sulle scale di quello che sembrava un palazzo di periferia, ma il fotoritocco rendeva tutto molto meno squallido di quanto doveva apparire nella realtà, così come i luminosi sorrisi di entrambi.
Aveva risposto alla sua richiesta di amicizia pochi minuti dopo l’invio e l’aveva immediatamente contattata in chat.
Ciao! Louis mi ha detto che stai cercando una palestra dove fare scherma. Posso aiutarti?, era stato il suo primo messaggio.
Dopo aver chiacchierato fino a tarda notte, avevano concordato l’appuntamento per il mercoledì seguente, quando Lucile avrebbe avuto le prove di hip-hop.
“La prossima fermata è la nostra”, disse a un certo punto Louis, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Rosalie si alzò in piedi nervosamente e lo seguì nei pressi della porta scorrevole, non senza assestare qualche gomitata nelle costole agli sfortunati pendolari che le capitarono tra i piedi.
Fu un sollievo ritornare alla luce del sole, con le macchine che sfrecciavano lungo la strada trafficata.
Erano sbucati in una zona appena fuori dal centro storico, circondata da alti palazzi grigi che nascondevano quasi completamente la vista del cielo.
I due ragazzi camminarono silenziosamente fianco a fianco, fino a raggiungere un grande edificio rivestito da ampie vetrate che in molti punti prendevano il posto delle pareti, rivelando svariate persone intente a correre sui tapis roulant o a prendere a pugni dei grossi sacchi neri.
“Siamo arrivati?”, domandò Rosalie dubbiosa.
Cercò di cancellare dalla memoria la polisportiva di Francoforte dove si era allenata fino a un mese prima, un enorme edificio rivestito da pannelli di legno che sorgeva in mezzo al verde, con tanto di piste di atletica, un campo da calcio e una piscina.
Insomma, niente a che vedere con quello squallido buco di periferia.
La ragazza stava per lasciarsi sfuggire un gemito, quando di colpo la voce di Louis la costrinse a voltarsi.
“Ecco Lucile!”.
In fondo al marciapiede era appena comparsa una ragazza alta e flessuosa, con un sorriso che andava da orecchio a orecchio e i lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo.
Portava a tracolla una borsa sportiva che sembrava molto più grande di lei.
“Louis!”, salutò lei correndo loro incontro e stampando un bacio spettacolare sulla guancia del ragazzo, che divenne automaticamente paonazzo.
“E tu dovresti essere Rosalie!”, aggiunse poi, tendendo la mano verso di lei.
“Finalmente ci incontriamo!”, esclamò la ragazza, sollevata dalla reazione di Louis.
Era evidente che aveva una cotta per Lucile: il pericolo di incorrere in situazioni imbarazzanti poteva dirsi decisamente scongiurato!
“Benvenuta al Fitness Club di Parigi!”, proseguì la ragazza in tono solenne. “So che è molto diverso dalla palestra dove andavi, ma ti posso assicurare che dentro è molto meglio di quello che appare da fuori”.
Detto questo, Lucile invitò i presenti a seguirla su per le scale, fino a raggiungere la sala d’ingresso, occupata quasi interamente da un lungo bancone dietro cui stava un ragazzo sui vent’anni tutto addominali e bicipiti.
“Ciao, Etienne”, lo salutò Lucile. “Lei è Rosalie, una mia amica. Le piacerebbe molto avere delle informazioni sul corso di scherma”.
“Ehm, salve”, si fece avanti Rosalie, intimorita da quella specie di Ercole con la felpa dell’Adidas.
“Hai mai fatto scherma prima d’ora?”, domandò questi.
“Si, la pratico da quando avevo quattro anni”, rispose lei, non senza una punta di orgoglio nella voce.
“Quindi non avresti problemi se ti allenassi nel gruppo avanzato?”.
“Assolutamente no, anzi!”.
“Sei fortunata, allora: Oscar comincerà la sua lezione tra pochi minuti. Puoi fare una prova gratuita e poi decidere se iscriverti o no”.
“Oh, grazie!”.
“Gli spogliatoi sono in fondo a sinistra”.
“L’accompagno io!”, esclamò Lucile afferrando Rosalie per un braccio. “Louis, ci vediamo nella sala prove!”.
Le due ragazze entrarono nello spogliatoio femminile, gremito di ragazze vestite da hip-hop.
In molte salutarono Lucile, che si voltò prontamente verso la sua nuova amica.
“Sono contenta che segui il corso di Oscar”, disse mentre si liberava dei jeans per sostituirli con un paio di pantaloni grigi.
“Ma è un uomo o una donna?”, chiese Rosalie perplessa.
“In realtà, il suo vero nome è Françoise, ma qui tutti la chiamano Oscar, come quella dell’anime. Quando la vedrai, capirai da sola il perché”.
Le due ragazze si cambiarono in fretta e uscirono all’esterno.
Lucile si fermò davanti a quella che sembrava una sala prove rivestita in pannelli di legno, dove l’aspettava il ragazzo dalla pelle scura che Rosalie aveva visto in foto.
“Jamal!”, esclamò Lucile correndogli incontro e sfiorandogli le labbra con un bacio.
Lui sorrise e la strinse tra le braccia.
“Ti presento Rosalie”, disse poi, accennando l’amica.
“Piacere”, rispose lui con un’energica stretta di mano. “Oh, ciao, Louis!”, aggiunse poi quando il ragazzo fece la sua comparsa all’inizio del corridoio con un’evidente espressione d’imbarazzo stampata sul viso dinoccolato.
“Che fai, assisti alle prove?”, domandò Jamal battendogli una pacca sulla spalla.
“Sì, anche se ero venuto ad accompagnare Rosalie alla sua prima lezione di scherma”, rispose lui arrossendo.
“Perché non le fai vedere la stanza dove si allenano?”, propose Lucile in tono innocente.
“Ehm…”.
“Dai, Louis, non essere timido!”, lo esortò Jamal strizzandogli un occhio.
“Non so a chi altri rivolgermi”, gli disse Rosalie in tono solidale, anche se dentro di sé sperava ardentemente che l’amico non fraintendesse le sue intenzioni.
“Okay…va bene”, disse questi in tono rassegnato. “Vieni, Rosalie. Buona lezione, voi due!”.
La ragazza non poté fare altro che seguire Louis nel corridoio.
L’amico camminava con le spalle stranamente curve.
Si vedeva che la sua speranza di veder ballare Lucile era andata letteralmente in fumo.
“La prossima volta troverò la strada da sola, tranquillo”, cercò di rincuorarlo Rosalie, sperando inutilmente di non sembrare troppo brusca come al solito.
“No, no, figurati”, si schermì lui, tenendo lo sguardo basso.
Raggiunsero un’altra porta a vetri, dietro la quale sembrava aprirsi un’altra sala prove dall’aria spoglia.
Nonostante fosse chiusa, le voci dei due occupanti si sentivano fino in strada.
“Non puoi continuare a farti prendere dai sensi di colpa a causa sua, Oscar!”, stava dicendo un ragazzo. “Ormai hai vent’anni, hai il diritto di decidere che cosa fare della tua vita!”.
“Te l’ho già spiegato, André”, rispose una decisa voce femminile, in quel momento fremente dall’ira. “Conosci come è fatto mio padre. I Jarjayes sono nell’Accademia Militare da secoli e il fatto che io abbia scelto di intraprendere un’altra strada non gli va giù tanto facilmente”.
“Non capisco proprio che cos’abbia da lamentarsi tanto. In fondo, sei portata per quello che fai, continui a riportare a casa tante soddisfazioni…”.
“Ma per lui le medaglie e i voti alti all’università non contano nulla! Dal suo punto di vista, ho bruciato una brillante carriera militare per un’insulsa laurea in Lettere che mi porterà a tirare avanti con uno stipendio da fame”.
“Ma non è vero! E poi hai la scherma, i tuoi ragazzi!”.
“Lasciamo stare, André: se non fosse per voi, la mia vita non avrebbe davvero senso”.
Ci fu un attimo di silenzio, in cui Rosalie provò una profonda solidarietà verso colei che da quel giorno sarebbe stata la sua nuova istruttrice, anch’ella in balia dei capricci di un genitore dispotico.
Pochi istanti dopo, la porta si aprì, rivelando il profilo slanciato di un ragazzo sui vent’anni di una bellezza sfolgorante, paragonabile a quella delle divinità greche.
Il volto regolare era incorniciato da una massa di capelli scuri e arruffati, che mettevano in evidenza i brillanti occhi verdi e penetranti, quasi felini.
Senza volerlo, Rosalie rimase letteralmente imbambolata sulla soglia.
“Posso aiutarti, piccola?”, chiese lo sconosciuto con un sorriso gentile.
Piccola?!, si chiese Rosalie di rimando, recuperando di colpo tutte le sue facoltà fisiche e mentali. “Mi chiamo Rosalie Lamorlière”, disse in tono deciso, sperando di fargli rimangiare quello sgradevole appellativo. “Sono qui per la lezione di prova”.
“Sei la benvenuta”, rispose in quel momento la voce femminile di prima.
In quel momento, sulla soglia era comparsa una giovane donna dai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle, con un sorriso sbarazzino stirato sul volto delicato, i due grandi occhi blu che brillavano come due gemme.
Ecco perché la chiamano Oscar, pensò Rosalie meravigliata. Assomiglia davvero alla protagonista dell’anime e, da come la vedo io, mi sembra anche un autentico maschiaccio.
“Piacere di conoscerti. Io sono Françoise Jarjayes, ma tutti qui mi chiamano Oscar. È la prima volta che provi la scherma?”.
“No. Ho iniziato sciabola quando avevo quattro anni, a Francoforte, ma lo scorso agosto ho dovuto smettere per venire qui a Parigi”.
“Abbiamo un’esperta, dunque!”, commentò Oscar in tono compiaciuto. “Quanti anni hai, Rosalie?”.
“Quindici”.
“Hai con te l’attrezzatura?”.
“No, purtroppo. Ho dovuto venderla prima del trasloco”.
“Non ti preoccupare, a questo si rimedia facilmente. Ti dispiacerebbe solo provare un paio di tiri per vedere come te la cavi, prima di cominciare la lezione vera e propria?”.
“Va bene”.
Fremendo dall’eccitazione, Rosalie seguì Oscar all’interno della stanza.
Vista da dentro, era molto più grande di come appariva dall’esterno e sembrava dotata di tutta l’attrezzatura necessaria alla disciplina, che profumava ancora di nuovo.
Le pareti erano sostituite da ampie vetrate che permettevano di guardare fuori.
In lontananza, si intravedeva persino il profilo della Tour Eiffel.
Oscar raccolse una sciabola da una rastrelliera e gliela porse, prendendone poi un’altra per sé.
Louis e André si sedettero in un angolo della stanza, contemplando la scena con vivo interesse.
Non appena Rosalie si mise in guardia, si sentì attraversare da un’irresistibile scarica di adrenalina.
Era di nuovo lì, al suo posto, pronta a combattere.
Lanciò un affondo, che venne parato da Oscar; poi ritornò all’attacco.
Le due ragazze si tenevano testa l’un l’altra in maniera incredibile, senza dare alcun segno di cedimento.
Alla fine, il duello si concluse in parità.
“Complimenti, tiri davvero bene”, osservò Oscar con un sorriso compiaciuto. “Per me, da stasera in poi sei nella squadra”.
 
***
 
Quella sera, Maria Antonietta rimase alzata fino a tardi. Le sue giornate sembravano scorrere con una lentezza esasperante, ripetendo sempre gli stessi gesti, con una cadenza quasi rituale. Ogni mattina, si svegliava al cospetto del suo seguito, capeggiato dalla contessa di Noailles. Era costretta a lavarsi e vestirsi di fronte agli occhi di tutti, ciascuno dotato del privilegio esclusivo di porgerle gli oggetti che le servivano. L’arciduchessa aveva il divieto assoluto di toccare alcunché: il suo ruolo si era ridotto a quello di una bambola in balia di autentici sconosciuti, che si annoveravano del diritto di vestirla e pettinarla a loro piacimento.
    I pasti duravano un’eternità. Al contrario della consorte, abituata alla sobrietà della corte viennese, a tavola Luigi Augusto si abbandonava agli eccessi più estremi, ingurgitando una gran quantità di prelibatezze e pasticcini che di certo non lo aiutavano a rimediare alla pinguedine. Fortunatamente, erano rare le volte in cui i due coniugi si trovavano a condividere insieme la colazione, dal momento che Luigi si alzava spesso all’alba per dedicarsi alle sue interminabili battute di caccia o al lavoro di fabbro, passione che la povera Maria Antonietta non condivideva affatto.
    L’arciduchessa trascorreva così le sue giornate completamente sola, in balia delle malelingue della corte. Si era già fatta dei nemici, in primis la contessa Du Barry, la favorita del re, con cui si rifiutava categoricamente di parlare. Non riusciva assolutamente a concepire come una simile donna, proveniente dai peggiori bassifondi di Parigi, potesse aggirarsi in tutta tranquillità nei corridoi della reggia più illustre d’Europa. Maria Antonietta odiava tutto di lei: il suo linguaggio sboccato, i suoi gusti eccessivi e volgari, il modo in cui guardava tutti dall’alto in basso, compresi i veri principi e principesse del sangue. In molti la rimproveravano per il disprezzo che provava verso la favorita del re, rischiando di scegliere un partito decisamente pericoloso a corte, ma l’arciduchessa era irremovibile.
    Fortunatamente, aveva dalla sua parte le sorelle del re e Madame Elizabeth, la sorella minore di Luigi Augusto, che, dopo un iniziale disprezzo, si stava rivelando un’amica preziosa. In fondo, il fatto di potersi finalmente sfogare con qualcuno era per lei un enorme sollievo, vista la disperata situazione in cui si trovava. Erano state proprio le sue preziose consigliere a suggerirle l’idea per quella sera.
    Era ormai molto tardi, questo Maria Antonietta lo sapeva, ma doveva tentare. Luigi tornò come suo solito dalla caccia, letteralmente distrutto, e rimase di stucco quando trovò la moglie ad attenderlo in camera da letto.
    −Avete fatto una buona caccia? – domandò Maria Antonietta, cercando di controllare la timidezza.
    −Non è stata una buona giornata. Neanche una lepre – rispose il principe in tono sbrigativo, superandola quasi come se fosse incorporea.
    Non restava che una seconda possibilità, l’ultima.
    −Madame Elizabeth mi ha proposto di aggregarmi a voi, per la battuta di domani – disse tutto d’un fiato.
    Luigi la fissò con tanto d’occhi, come se fosse impazzita.
    −Davvero lo fareste? – chiese in tono incerto.
    −Ma certo! Per voi farei qualsiasi cosa.
    −Allora va bene – rispose il principe accennando a un sorriso impacciato. – Vi conviene andare a coricarvi, Madame. Domani dovremo svegliarci all’alba.
    Inutile dire che Maria Antonietta non chiuse occhio per tutta la notte. Certo, anche in quella occasione era stata rifiutata dal marito, ma in compenso aveva ottenuto ciò che voleva, ovvero trascorrere un’intera giornata al suo fianco. Chissà, forse vedendo che l’arciduchessa condivideva per una volta i  suoi interessi e si divertiva in sua compagnia, Luigi avrebbe finalmente iniziato a vederla sotto una luce diversa e magari si sarebbe deciso a fare il suo dovere di erede al trono. A quel pensiero, Maria Antonietta congiungeva le mani al petto, pregando disperatamente che una cosa simile si avverasse al più presto.
    Quando alle prime luci dell’alba il suo seguito arrivò per svegliarla, la trovarono già seduta sulla sponda del letto, impaziente di correre fuori. Mangiò velocemente la sua colazione e si affrettò a correre all’ingresso dalla reggia, trovando suo marito già vestito di tutto punto, pronto a montare a cavallo.
    −Siete in ritardo – osservò in tono critico.
    −Mi dispiace – fu tutto quello che riuscì a rispondere Maria Antonietta, facendo poi per salire sulla giumenta grigia trattenuta per le redini da uno stalliere.
    Una volta in sella, l’intera corte partì al galoppo per i viali di Versailles, preceduta dai cani lasciati liberi. Fu una mattina molto intensa ed emozionante, in cui il giovane principe rimase molto soddisfatto dell’esito della battuta di caccia. Era riuscito a catturare persino un cervo. Pranzarono tutti insieme sui prati del parco. La stessa Maria Antonietta abbandonò per poche ore la rigida etichetta di corte, servendo personalmente la carne secca ai presenti e mettendosi a giocare con alcuni bambini che avevano preso parte alla battuta di caccia.
    Quando tornarono al castello, l’arciduchessa si sentiva stanca ma allo stesso tempo immensamente soddisfatta. Durante il viaggio di ritorno, Luigi le aveva rivolto più volte la parola e avevano avviato un paio di discorsi senza annoiarsi a vicenda. Di certo, quella sera sarebbe stata molto diversa dalle precedenti, di questo Maria Antonietta ne era più che certa.
    E invece, non appena suo marito la raggiunse in camera da letto, questi andò direttamente a coricarsi senza neanche salutarla.
    −Perdonatemi, sono molto stanco – fu tutto quello che riuscì a dire prima di girarsi dall’altra parte, lasciando la giovane più confusa e furiosa che mai.
    Ma le brutte sorprese non erano ancora finite. Informata tempestivamente dall’ambasciatore Mercy della scampagnata a cavallo della figlia, Maria Teresa si affrettò a scriverle una lettera densa di rimproveri circa il rischio di abortire in seguito a una cavalcata e al suo mancato rispetto dell’etichetta di corte. Dal canto suo, Mercy non volle sentire ragioni quando l’arciduchessa cercò disperatamente di giustificare la sua situazione.
    −Mio marito non vuole saperne di me! – gridò tra le lacrime. – Che colpa ne ho io? Cercavo solo di trovare il modo di compiacerlo, visto che i miei tentativi precedenti non sono riusciti.
    −Forse non vi siete sforzata abbastanza – rispose Mercy pazientemente. – Cercate di trascorrere più tempo insieme a lui, possibilmente non a caccia.
    −E come, se è sempre via e quando torna non vuole neppure parlarmi perché è troppo stanco?
    −Non potrà sfuggirvi per sempre, questo è ovvio. Anche il re ha notato questa sua reticenza a trascorrere del tempo con voi e per questo motivo ha pensato bene di organizzare un evento in cui sarà impossibile non partecipare. Domani sera è stato indetto un ballo in occasione del compleanno della contessa Du Barry…
    −Cosa? Non contate su di me!
    −Voi ci andrete, invece, e sfrutterete questa preziosa occasione per avvicinarvi il più possibile a vostro marito. Conversate con lui, fate in modo che vi inviti a ballare e, se potete, restate da soli. Io e le altre dame della corte faremo in modo di non esservi di intralcio.
    −Già lo so come andrà a finire: Luigi prenderà ad abbuffarsi come suo solito e si rintanerà a giocare a biliardo con i fratelli.
   −Ma voi lo impedirete, vero? So che potete farlo. Se non per voi, almeno pensate a vostra madre, alla Francia, alla delicatezza dell’alleanza con il vostro paese di origine.
    Questo è un ricatto bello e buono, pensò Maria Antonietta con rabbia. Ma in fondo che scelta aveva? Non poteva fallire ancora, non sotto gli occhi di tutti. Quel ballo sarebbe stato la conferma dalla sua idoneità come futura regina di Francia. Aveva le mani legate.
    −D’accordo – rispose con un brivido. – Per il bene della nostra alleanza.
   
   
   
Salve a tutti! :)
Innanzitutto, vi devo ringraziare di cuore per l'entusiasmo del tutto inaspettato con cui state seguendo la storia: davvero, siete dei lettori fantastici e non so cosa farei senza di voi, che mi spingete ad andare avanti nonostante alle volte la tentazione di mollare tutto sia tremenda!
Che ne pensate della versione contemporanea di Oscar e André? 
Riuscirà Maria Antonietta a fare colpo su Luigi durante il ballo?
Non vi spoilero nulla, tranne il fatto che nel prossimo capitolo ci sarà più di una festa e tanta confusione.
Pronti a fare il grande salto nel tempo? ;)

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete seguire gli aggiornamenti in tempo reale:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?ref=hl

Un caloroso saluto a tutti e a presto! 

F.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
                                    

 
 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
                 






 
Da dieci anni, il venerdì pomeriggio era il momento che Rosalie attendeva con più impazienza.
Da quando suo padre se n’era andato di casa, lasciando una disperata Yolande in lacrime con due figlie piccole e un amante scomparso pochi giorni dopo essere stato sorpreso con lei dietro il sipario calato, il giudice aveva accordato che le piccole sorelle Lamorlière potessero vedere il genitore solo per il finesettimana.
Al contrario di Charlotte, che era molto attaccata alla madre, Rosalie era rimasta affezionata a suo padre Gustav.
Era stato lui a portarla per la prima volta in palestra per provare la scherma, era sempre lui che la accompagnava alle gare la domenica e che l’aiutava a fare i compiti, visto che Yolande era sempre assente per via delle prove fino a tarda sera o delle tournee in giro per l’Europa.
Ora che si erano trasferite a Parigi, Rosalie avrebbe dovuto perdere anche quell’ultimo rifugio che le era rimasto a Francoforte.
Per fortuna, c’era Internet.
Lei e Gustav si davano appuntamento davanti allo schermo ogni giovedì alle cinque, per poter parlare finalmente da soli, fingendo per un attimo di non avere chilometri e chilometri a separarli.
Certo, parlarsi tramite Skype non sarebbe mai stato paragonabile a prendere il gelato insieme o stare seduti per ore e ore sulla veranda di casa a raccontarsi ciò che era accaduto negli ultimi giorni, confidandosi e scherzando assieme, finalmente liberi di parlare senza la continua intromissione della voce lagnosa di Yolande a ogni sillaba.
Tuttavia, quella era l’unica alternativa per mantenersi in contatto, nonostante la distanza.
Anche quel pomeriggio, Rosalie si mise davanti allo schermo del portatile con dieci minuti di anticipo, in attesa della chiamata.
Si premette forte le cuffie sulla testa bionda per evitare di sentire la voce di Justin Bieber che strillava dalla camera da letto.
Stava chattando su Facebook con Lucile, quando la tanto attesa chiamata arrivò.
Con il cuore in gola, Rosalie si precipitò a riaprire la finestra di Skype.
Dall’altra parte l’attendeva un uomo sulla cinquantina con i capelli ormai brizzolati e un folto paio di baffoni castani.
“Ciao, papà”.
“Rosalie”, Gustav Lamorlière le lanciò un sorriso sornione con i suoi luminosi occhi blu, gli stessi della figlia. “Come va, bambina mia?”.
“Insomma. Qui stiamo molto più strette di Francoforte e mamma è sempre via per le prove al teatro. Io e Charlotte ce la caviamo, comunque”.
“Mi fa piacere. Tesoro, che cos’è quel rumore che sento in sottofondo?”.
“È Charlotte che studia. Tiene sempre lo stereo acceso. Non so come faccia a concentrarsi con tutto quel casino”.
“Questione di gusti”.
“Sarà, ma io proprio non sopporto quell’omicidio musicale”.
“Cosa dovrei dire io, che ti ho scarrozzato a certi concerti?”.
“Non mi starai dicendo che ti lamenti dei Metallica, per caso! Quella era roba seria!”.
“No, certo che no! Scuola come va?”.
“Non male. Faccio un po’ di fatica col francese, ma me la cavo. Mi sono fatta anche dei nuovi amici. Ah, e ho ripreso la scherma”.
“Davvero? Brava, piccola!”.
“Si, mi trovo davvero bene nella nuova palestra, anche se non sarà mai come a Francoforte”.
Rosalie avvertì un moto di vertigine, ma resistette.
Non voleva cedere di fronte a suo padre.
“Cosa c’è?”, chiese lui d’istinto.
Rosalie sorrise tra sé e sé.
Non sfuggiva proprio nulla, al suo vecchio.
“Niente papà”, rispose sorridendo. “Mi manchi”.
 
***
 
Maria Antonietta non riceveva notizie da sua sorella Maria Carolina da mesi. Erano molto legate, le due principesse. Erano nate a poco tempo di distanza l’una dall’altra e avevano condiviso insieme un’infanzia meravigliosa. Si somigliavano come due gocce d’acqua, tant’è che persino la servitù faceva fatica a distinguerle l’una dall’altra.
    Quanto avrebbe voluto parlarle solo per un attimo, per chiederle consigli su come sopravvivere in quel nido di serpi. Ma in quel momento, Maria Carolina non era lì al suo fianco. Si era sposata quasi in parallelo con lei, lasciando Vienna per la calda e mediterranea Napoli. In una terra così lontana, che sentore poteva avere di ciò che stava accadendo a Versailles? Magari, in quel preciso istante, Maria Carolina si stava immaginando l’adorata sorella come la più felice delle donne, destinata a salire sul trono più ambito d’Europa.
    −Madame, non mi state prestando attenzione – disse in quel momento l’ambasciatore Mercy, facendola precipitare dal suo filo di pensieri, rimasto a Napoli.
    −Mi pare che abbiate già detto questa frase – si schermì Maria Antonietta infastidita.
    Possibile che in quel dannato castello fosse fuori luogo persino pensare?
    −Per la terza volta, Madame – proseguì il conte risoluto. – Possibile che non vi rendete conto dell’importanza della situazione?
    −È solo un ballo! – si lamentò l’arciduchessa.
    −Non è un semplice ballo. In base al vostro comportamento questa sera, si deciderà la vostra sorte qui a Versailles. Dovrete comportarvi rettamente con Madame Du Barry.
    −E come?
    −Provate a parlarle, anche solo a essere gentile con lei.
    Maria Antonietta represse a fatica una smorfia. Da quando i reali dovevano mostrare rispetto per una sgualdrina del genere? Era più di quanto una donna del suo rango potesse sopportare.
    −C’è dell’altro? – domandò in tono annoiato.
    −Sì, cercate di stare con vostro marito.
    −Lui non vuole stare con me.
    −Allora trovate il modo di invogliarlo a stare con voi.
    −Per riuscirci, dovrei proporgli come minimo una battuta di caccia notturna, ma temo che questo sia vietato, nevvero?
    −Tassativamente vietato.
    −Lo immaginavo.
    Maria Antonietta tornò a guardare fuori dalla finestra. Era una limpida giornata d’inverno, incredibilmente soleggiata. Un vento gelido carezzava le basse siepi del parco e i vialetti ghiaiosi. Quanto avrebbe preferito poter correre fuori, piuttosto che restare chiusa lì dentro a sorbirsi la ramanzina quotidiana!
    −Forse è stato un errore nascere femmina – pensò ad alta voce.
    −Prego? – esclamò Mercy scandalizzato.
    −Niente, era solo una mia fantasticheria. Dicevamo?
    −Il ballo di questa sera.
    −Giusto, il ballo di questa sera. Avete qualche idea su come avvicinare Luigi?
    −Cercate di trovare qualche argomento di conversazione.
    −Mmm, vediamo: caccia? Chiavi?
    −Chiavi?
    −Sono la sua passione. Ne fabbrica in gran quantità.
    L’ambasciatore Mercy si faceva sempre più sconvolto di minuto in minuto.
    −Tutto ciò è inammissibile! – esclamò. – Non si è mai visto un erede al trono che passa il suo tempo a fabbricare chiavi come un volgare fabbro.
    −A quanto pare, le cose stanno proprio così – rispose Maria Antonietta esasperata.
    −Dovete trovare il modo di dissuaderlo a qualsiasi costo!
    −Così non farei altro che allontanarlo ancora di più. Mi dispiace, ma, almeno per il momento, non posso.
    Mercy sprofondo ancora di più nella sua poltrona, massaggiandosi le tempie.
    −Devo proprio confessarvelo, Madame – disse in tono esasperato. – Avete sposato un vero imbecille.
    −Lo so – rispose Maria Antonietta, cercando di soffocare i suoi pensieri.
    Il suo destino era ormai segnato. Era ormai incatenata a quell’uomo insignificante, che un giorno sarebbe diventato re. L’arciduchessa tremava al solo pensiero di vedere Luigi con una simile responsabilità tra le mani. Sarebbe stata una catastrofe, ne era certa. E lei sarebbe rimasta prigioniera per tutta la vita.
    Fino alla fine.
 
***
 
“Charlotte, abbassa il volume!”, strillò Rosalie dal soggiorno.
In tutta risposta, la musica house proveniente dalla cameretta non accennò a diminuire.
I bassi rimbombavano sordi da dietro la porta chiusa.
“Dannazione”, ringhiò la ragazza alzandosi in piedi e dirigendosi a passo di marcia verso la camera della sorella.
“Per l’ultima volta, vuoi abbassare il volume di questo coso? Domani ho una verifica di matematica e non riesco a concentrarmi con tutto questo casino”, disse aprendo la porta di scatto.
Charlotte finse di non sentirla, continuando a disegnare.
Esasperata, Rosalie decise di passare alle maniere forti: afferrò il telecomando incustodito e spense lo stereo con un solo gesto fulmineo.
Non l’avesse mai fatto.
Non appena la musica si spense, Charlotte iniziò a strillare peggio di una sirena dell’ambulanza.
Vani furono i tentativi di Rosalie di placarla; un attimo dopo, sua madre era già piombata in camera loro, con il volto imbiancato da un generoso strato di crema.
“Si può sapere che cosa avete da urlare tanto?”, chiese in tono severo.
“Rosalie non mi fa ascoltare la musica”, frignò Charlotte.
“Non riesco a studiare con tutto questo rumore”, si difese l’altra.
“Possibile che devi sempre rendere la vita un inferno a tua sorella?”, le disse Yolande con un sospiro.
“Io?!”, esclamò Rosalie inferocita. “Certo, poi guai a me se prendo un brutto voto a matematica, vero?”.
“Pure io rischio di prendere un brutto voto ad arte!”, strillò Charlotte. “La professoressa ha detto che dovevamo fare un disegno ispirato alla nostra canzone preferita! Ora come faccio, se non posso sentire la musica? Non ho la giusta ispirazione!”.
“Quanto sei egoista, Rosalie”, disse sua madre con un sospiro, esaminando l’acquerello che stava dipingendo la figlia minore. “Sei solo invidiosa di una sorella certamente più dotata di te. Se solo avessi avuto la sua sensibilità artistica, di certo ora non staresti a farti problemi per un po’ di musica”.
“Certo, e magari sarei diventata come te!”, sputò fuori Rosalie con rabbia.
Non stette nemmeno ad aspettare la risposta densa di ripicche di Yolande: afferrò libri e cartella e uscì di casa sbattendo la porta.
Egoista io!, continuava a pensare mentre si dirigeva a passo spedito verso la prima buca della metropolitana. Da quale pulpito mi giungono queste perle di saggezza!
Saltò sul primo treno che le capitò a tiro e prese a contare le fermate che la separavano dalla biblioteca più vicina.
Aveva già perso un’ora preziosa, senza contare l’allenamento si scherma di quel pomeriggio, per di più con una gara imminente, la prima sotto il tricolore francese.
Maledicendo madre e sorella a elevazione di potenza, Rosalie saltò sulla banchina e tornò alla luce del sole, che giocava a nascondino dietro una coltre incandescente di nuvole grigie.
Era una giornata allo stesso tempo calda e coperta.
Rosalie si infilò oltre il cancello di ferro battuto di un giardino pubblico e prese a camminare sul vialetto ghiaioso, quando a un certo punto intravide una figura familiare venirle incontro dalla direzione opposta.
Era Oscar, con i lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle e una cartella di pelle che le ballonzolava dalla spalla.
Impossibile evitarla.
“Fortuna che oggi avevi da studiare”, osservò Oscar indovinando i suoi pensieri.
“Ѐ quello che dovrei fare”, rispose Rosalie furibonda. “A casa mia è impossibile aprire libro. Vorrei tanto andare a vivere da sola!”.
“Come ti capisco”, la consolò Oscar. “Anch’io me ne sono dovuta andare di casa”.
“Davvero?”.
“Sì. Avevo appena finito le superiori. Mio padre voleva che mi iscrivessi all’accademia militare per diventare un ufficiale dell’esercito come lui, ma io volevo iscrivermi all’università. Così sono dovuta andare via di casa, lasciando una scia di rimorsi dietro di me. Mi pago gli studi con le lezioni in palestra, visto che mi hanno tagliato i fondi. Giusto mia madre mi manda qualcosa, di tanto in tanto. Mio padre, invece, cerca sempre di trovare l’occasione per piombare a casa mia e farmi sentire in colpa, ma io non demordo”.
“Oh, mi dispiace!”, disse Rosalie, ammirata dal suo coraggio.
“Non importa. Sono scelte che ho fatto spontaneamente e di certo non mi arrenderò per un stupido senso di colpa. Sono una donna forte, io!”, rispose lei con una scrollata di spalle.
“Come ti ammiro! Vorrei poter essere tosta come te, Oscar!”.
“Lo sei, Rosalie, lo sei”, la ragazza le fece l’occhiolino. “Piuttosto, Etienne ti ha dato l’invito per la festa di venerdì prossimo?”.
“No, non credo”.
“Ogni hanno facciamo una festa in occasione dell’apertura del nuovo anno agonistico. Non puoi mancare!”.
“Se trovo un passaggio, vengo volentieri”, rispose Rosalie, felice di poter scappare di casa almeno per una sera.
“Prova a chiedere a Lucile. Lei viene di sicuro. Ah, e la festa è mascherata”.
“Ah”, Rosalie cercò di non sembrare troppo schifata alla sola idea.
Odiava i travestimenti più di qualunque altra cosa.
“Sì, ogni hanno c’è un tema diverso”, proseguì Oscar. “Questa volta, però, direi che Etienne ha esagerato. Temo che si sia fatto influenzare negativamente da Axel”.
“Cosa si sono messi in testa?”.
“Dobbiamo vestirci da personaggi della Rivoluzione francese”.
“Ah”.
Di male in molto peggio.
Dove cavolo lo trovava lei un vestito da Maria Antonietta?
“Per te dovrebbe essere facile rimediare un costume, no? Sbaglio o tua madre è un’attrice?”, le venne incontro Oscar.
“Guarda, preferisco non chiedere alcun favore a mia madre. Magari si mette in testa un’altra volta di iscrivermi a un corso di recitazione a tradimento”, tagliò corto Rosalie.
“Perché, non ti piace il teatro? Io invece lo adoro! Sono in una compagnia insieme ad André…Ehi, che idea! Per il costume, potresti rivolgerti a sua nonna: è un’ottima sarta! Anch’io l’ho ordinato da lei”.
Sentendosi con le spalle al muro, Rosalie non poté fare a meno di chiedere:
“Dove posso trovarla?”.
 
***
 
Madame Du Barry avrebbe festeggiato il proprio compleanno presso il Trianon, un edificio piccolo ma lussuoso costruito nel cuore dei giardini di Versailles.
    Maria Antonietta aveva trascorso tutto il pomeriggio a origliare frammenti di discorsi delle varie dame, cercando di captare il maggior numero di informazioni su ciò che l’attendeva. Non tutti a palazzo erano stati invitati. La festa era destinata a pochi eletti e tra questi c’era proprio la giovane arciduchessa. Sicuramente, quest’ultima era stata l’ennesima trovata del re e di Mercy per costringere le due donne a scambiarsi almeno una parola. A quel pensiero, Maria Antonietta fremeva di rabbia.
    D’altra parte, sempre a detta di alcuni pettegoli, quella sera ci sarebbe stata gente estranea al castello, che proveniva da Parigi. Su di loro giravano le peggiori fantasie. I più malevoli dicevano che si trattasse di amicizie di basso bordo della Du Barry, ma i più ipotizzavano la presenza di acrobati e militari.
    L’unica certezza che si aveva a riguardo, era che la festa sarebbe stata in maschera. Il che significava che più l’abito era sfarzoso e stravagante, più possibilità c’erano di entrare nella ristretta cerchia di favoriti. Considerando il pessimo gusto della Du Barry, Maria Antonietta sapeva che quella sera sarebbe stato difficile entrare nelle sue grazie. Anche volendo, non avrebbe mai abbandonato il gusto dei suoi vestiti dai colori pastello per l’esagerata quantità di piume e merletti rosso acceso che la sua nemica amava. Non si sarebbe trasformata in un pappagallo solo per farla contenta, insomma!
    Tuttavia, fu proprio quello lo stile dell’abito che trovò in bella mostra non appena rientrò nei suoi appartamenti, sorvegliato a vista dall’ambasciatore Mercy.
    –E questo cos’è? – chiese Maria Antonietta furibonda non appena rimase sola con lui.
    –L’abito per stasera, Madame. L’ho fatto confezionare di persona in base ai gusti della Du Barry – rispose lui come se fosse la cosa più normale di questo mondo.
    –Non penserete che indossi questo obbrobrio, vero? Così assomiglierò a una donna di strada!
    –Sono spiacente, ma non avete altra scelta.
    –Sono proprio curiosa di sapere cosa avrà da dire in proposito l’Imperatrice d’Austria, non appena verrà a sapere come si veste sua figlia! – sbottò Maria Antonietta, avvertendo le lacrime che iniziavano a bruciarle agli angoli degli occhi.
    Prima ancora che l’ambasciatore avesse avuto il tempo di ribattere, l’arciduchessa era già schizzata fuori dalla stanza, scoppiando a piangere non appena fu al sicuro nel corridoio. Con suo sommo disappunto, in quel momento le comparve davanti l’ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento: suo marito.
    –Madame, state bene? – domandò Luigi, sinceramente preoccupato.
    Senza trattenersi oltre, Maria Antonietta gli lanciò le braccia al collo, prendendo a singhiozzare sulla sua spalla.
    –Perché Sua Maestà permette a una donna tanto orribile di dare degli ordini a noi? – chiese disperata.
    –Di chi state parlando?
    –Della Du Barry!
    Luigi le accarezzò la schiena con fare impacciato ma sincero. Maria Antonietta rimase sorpresa da quell’insperato atto di dolcezza.
    –Non possiamo fare nulla contro il volere di Sua Maestà – disse lui tristemente. – Anch’io non sopporto quella donna – si lasciò sfuggire subito dopo.
    –Davvero? – chiese Maria Antonietta incredula, levando il capo verso di lui.
    –Sì, ma che rimanga tra me e voi – si affrettò ad aggiungere Luigi, non riuscendo a sostenere il suo sguardo di ghiaccio.
    –Le vostre parole mi confortano, Monsieur – sussurrò l’arciduchessa con un moto di sollievo.
    –Mi dispiace che anche voi soffriate a causa sua – continuò il consorte. – Vorrei potervi aiutare.
    –Non lasciatemi sola, almeno per stanotte. Non davanti a tutti – implorò l’altra.
    –Non accadrà, Madame. Non posso permettere che vi facciano questo. Potete fidarvi – la rincuorò Luigi prendendo la sua piccola mano tra le sue.
    Maria Antonietta gli sorrise sollevata, mentre il volto le veniva inondato da nuove lacrime. In tutta risposta, lui la strinse in un nuovo silenzioso abbraccio, lasciando che i gesti parlassero al posto delle parole che non riusciva a liberare.
 
***
 
La sartoria di Nanny Grandier si trovava a pochi passi dal Palazzo di Giustizia ed era popolare in tutti i teatri della zona per gli squisiti costumi che ogni giorno uscivano dalla sua macchina da cucire.
Nessuno avrebbe sospettato che dietro quel miracolo di artigianato si nascondeva una signora piccola e mingherlina di quasi ottant’anni, con un carattere guerriero come quello di una tigre.
Faceva quel mestiere da quando aveva dodici anni e da allora non aveva mai smesso.
Rosalie entrò timidamente nel suo laboratorio alle cinque del giorno dopo, ancora spossata dopo la verifica di matematica.
Con sua somma sorpresa, trovò Louis in piedi dietro al bancone.
“Che ci fai qui?”, esclamò sorpresa.
“Nanny è mia nonna”, rispose lui con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Sei imparentato con André?”, domandò lei.
“Certo, siamo cugini”, disse Louis. “Immagino che ti serva il costume per la festa…”.
“Festa? Ancora quella festa?”, squittì una voce decisa dal retrobottega.
Un attimo dopo, una vecchietta dal volto paffuto e rugoso fece ingresso nel negozio con le braccia cariche di vestiti.
“Spero che tu non sia venuta a chiedermi un abito da Maria Antonietta o qualche altra aristocratica, eh!”, la squadrò a mo’ di benvenuto.
“Che cosa c’è che non va?”, domandò Rosalie a disagio.
“Nonna, lei è Rosalie Lamorlière, la mia amica di Francoforte”, la presentò Louis.
“Tu, prendi questa roba”, rispose Nanny mettendogli tra le braccia il carico di vestiti che aveva portato dal retrobottega. “Francoforte, eh?”, proseguì rivolta verso Rosalie.
“Germania, non Austria”, si schermì lei. “E comunque a me Maria Antonietta non sta tanto simpatica”.
“Hai ragione, figliola. Gran cosa hanno fatto i rivoluzionari. Senza di loro, a quest’ora saremmo ancora alla servitù della gleba. Niente diritti o uguaglianza. Prima se nascevi aristocratico bene, altrimenti finivi all’aratro per il resto dei tuoi giorni per riempire le loro pance. E invece con Robespierre…zac! Via la testa al re e alla regina”, Nanny sottolineò il concetto colpendosi il palmo della mano a mo’ di ghigliottina.
Rosalie non poté fare a meno di deglutire.
“Ehm, certo signora…”.
“Dunque, hai bisogno di un vestito per la festa, è così?”, chiese la donna.
“Sì, ma non so da cosa”.
“Vado a vedere che cos’ho di pronto. Per fortuna, mi tengo sempre una scorta di costumi di carnevale nel retrobottega, non si sa mai….Torno subito, cari!”.
“Mia nonna è una fan esaltata della Rivoluzione”, scherzò Louis non appena la donna scomparve. “Quando nel 1989 fecero uno sceneggiato per commemorarla, lei fu tra le sarte che realizzarono i costumi. I frac che indossa Robespierre sono tutti suoi”.
“Oh, wow! Ci deve credere proprio sul serio!”.
“Non lo immagini neanche. È di sinistra convinta”.
“Non si direbbe che è tua nonna”, osservò Rosalie pensando ai gusti da nerd di Louis.
“Diciamo che si lamenta spesso con me…”, rispose Louis imbarazzato.
“Ecco qua”, disse Nanny, rientrando in quel momento con le braccia cariche di abiti. “Prova un po’ questi”.
Rosalie prese i costumi senza trovare il coraggio di ribattere e si rifugiò in un camerino.
Aveva l’imbarazzo della scelta tra una divisa da guardia svizzera, un abito lungo da nobile e un semplice vestito color rosa pastello.
Alla fine, scelse quello rosa, più semplice e delicato.
Nanny la costrinse a provare anche gli altri, ma alla fine il parere di Rosalie ebbe la meglio.
“Si intona con i tuoi capelli”, cercò di venirle in aiuto Louis.
“Mmm, e va bene”, si arrese Nanny. “Per questo facciamo cinquanta euro. Quarantacinque, va’, che sei amica di Louis”.
Rosalie pagò il tutto, poi si fece accompagnare da Louis fin fuori dalla porta.
“Avrà pure un pessimo carattere, ma in fondo tua nonna è simpatica”, disse non appena furono entrambi all’esterno.
“Ma sì, è una forza!”, scherzò lui ridendo.
“Quindi verrai anche tu alla festa?”.
“Ovvio! Mi vesto da Robespierre”.
“Con questi occhiali?”.
“Perché? Non posso fare la Rivoluzione dei nerd?”.
Rosalie scoppiò a ridere scuotendo il capo.
“Hai bisogno di un passaggio?”, chiese lui, indovinando i suoi pensieri.
“Magari, grazie! Solo se non è un disturbo”.
“Ma che disturbo, anzi! Sono contento che vieni, così non sto da solo! Da quanto Lucile si è fidanzata, mi ha un po’ abbandonato…”.
“Tranquillo, ci sono io a farti compagnia”, lo consolò Rosalie prendendolo sottobraccio.
Lui le sorrise d’istinto.
“Ci porta mia sorella”, disse dopo un po’. “Ti passo a prendere alle sette e mezzo sotto casa tua, okay?”.
“D’accordo”.
Louis le mise un braccio attorno alle spalle con fare solidale.
Finalmente, la vita a Parigi iniziava ad avere un senso.



                                                                                                                                                         
Note dell'Autrice

 
  • Nel 1989 fu veramente realizzato un film sulla Rivoluzione francese con una dettagliatissima fedeltà storica, a cui prese parte un cast stellare. Potete vederlo in versione integrale seguendo questo link: http://www.youtube.com/watch?v=WsO_yS_-egA
  • Il personaggio di Nanny è in realtà ispirato a una vecchietta fortissima che ho avuto l'occasione di incontrare durante il mio primo viaggio in Francia. Vi posso assicurare che il monologo rivoluzionario, seguito dal micidiale zac! non è frutto della mia immaginazione!

Buonasera a tutti! Come state? Siete anche voi di feste di Carnevale?
Visto che questa è un po' l'atmosfera che si respira da me (è una settimana che sto realizzando Cosplay settecenteschi e ho detto tutto) ho voluto regalare anche a voi un po' di aria festaiola, che preannuncia il prossimo capitolo: lì sì che ne vedrete delle belle!
Colgo l'occasione per salutare la mia sorellona direttamente dall'Austria! Vive la reine!

Grazie ancora a tutti voi che leggete con grandissimo entusiasmo! Spero che i miei personaggi riescano a regalarvi come sempre mille emozioni!
Un bacio e al prossimo giovedì, per fare tutti insieme il grande salto nel tempo!

F.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***






CAPITOLO 5
                   







 
 
Alle cinque in punto, Rosalie e Louis uscirono da scuola e si avviarono verso la casa di lui, che distava solo pochi isolati.
Fecero merenda sul tavolo della cucina, guardando un programma di musica pop che passavano su Mtv.
“Ti piace Mika?”, chiese a un certo punto Louis, mentre un giornalista intervistava il celebre cantante inglese.
“Lo conosco, ma non mi entusiasma. Sono più per il Metal”, rispose Rosalie.
Louis non fece altre domande, continuando a guardare lo schermo con la testa incassata tra i polsi.
Dalla camera da letto proveniva il rumore sordo di uno stereo sparato a tutto volume.
“Mia sorella Christine”, spiegò a un certo punto Louis.
“Anche tu hai una sorella che studia con la musica a palla?”, domandò Rosalie divertita.
 Anche se ha dei gusti decisamente migliori, pensò tra sé e sé.
“Diciamo che ha bisogno di sfogarsi. Ha litigato con il ragazzo”, spiegò Louis.
“Ah”.
Amore: meglio non averlo, si diceva nel frattempo Rosalie.
Verso le sette, i due ragazzi si andarono a preparare.
Louis sparì in camera sua, mentre Rosalie si rifugiò in bagno.
Il suo costume da dama del Settecento era appeso al box della doccia, protetto da un generoso strato di cellophane.
Louis era stato molto gentile nel prenderlo in custodia al momento dell’acquisto, evitando all’amica di portarselo a scuola il giorno della festa.
Sorridendo al pensiero di quel piccolo gesto, Rosalie si liberò di jeans e maglietta per indossare gonna e corsetto.
Subito avvertì un improvviso senso di disagio.
Con quegli abiti stretti e ingombranti, si sentiva insaccata come un salame.
Una volta indossate le ballerine, il suo senso di vertigine peggiorò.
Mannaggia ad Axel e alle sue idee, pensò furibonda mentre usciva dal bagno.
Axel Von Fersen era un ragazzo di diciotto anni che praticava fioretto a livello agonistico.
Alto, con i capelli biondo cenere e i tratti da divinità greca, il giovane campione era il sogno dell’intera palestra, compresi i corsi di danza e fitness.
A dire la verità, a lui non dispiacevano affatto le sue spasimanti, né tantomeno era sua intenzione deluderle.
Probabilmente Oscar era l’unica a non essere ancora caduta nelle sue grazie.
La popolarità di Axel aveva senza dubbio inciso sulla scelta del tema di quell’anno.
Con un sospiro rassegnato, Rosalie raccolse le sue cose e uscì dal bagno, andando a bussare alla porta di Louis.
Per poco non le venne un colpo nel momento in cui se lo ritrovò davanti con il volto bianco come un teschio per via del cerone, gli occhi cerchiati di nero e un segno rosso attorno al collo.
“Mi avevi detto che ti saresti vestito da Robespierre, non da Joker!”, esclamò perplessa.
“Robespierre dopo il trattamento”, precisò Louis con un sorriso.
“Ora somigli a Jack Skeletron”, sospirò l’altra indugiando sul cerone bianco e le occhiaie.
“Era il mio costume dell’anno scorso, quando il tema erano i film di Tim Burton”, rispose l’amico con fare nostalgico. “Lucile era una Sally fantastica”.
“Siete molto amici, tu e Lucile?”.
“Sì, la conosco dalle elementari”.
 “Lei lo sa?”, domandò Rosalie.
“Cosa?”.
“Che ti piace”.
Il ragazzo divenne di colpo triste.
Fece un rapido cenno di assenso con il capo.
Rosalie gli diede un buffetto di incoraggiamento sulla spalla.
“Forse siete troppo amici”, cercò di consolarlo. “Coraggio, magari stasera conosci qualche ragazza che ti piace”.
Louis scrollò le spalle, accennando a un sorriso.
“Siete pronti voi due?”, chiese una voce perentoria alle loro spalle.
Nel corridoio era appena comparsa Christine, la sorella di Louis.
Anche lei era alta e slanciata, ma a differenza del fratello aveva una folta chioma di capelli rossi che le ricadeva in una frangia spettinata sugli occhi verdi.
Il modo in cui li fissava con le mani sui fianchi fece intuire a Rosalie che aveva ereditato il carattere battagliero della nonna.
“Siamo pronti”, disse Louis accennando a un sorriso.
“Bene”.
Christine li scortò fuori, facendoli accomodare nel suo Peugeot nero.
Non appena accese il motore, il rombo di una canzone rock invase l’intero abitacolo.
La ragazza premette l’acceleratore e si mise in strada, guidando a tutta velocità, lo sguardo torvo fisso davanti a sé.
“Vi vengo a prendere per mezzanotte, va bene?”, disse a un certo punto, cercando di sovrastare la voce di Bon Jovi che urlava dagli altoparlanti.
“Nel mentre che fai?”, domandò Louis.
Christine accennò a una smorfia.
“Vado da Lucien”, rispose. “Voglio proprio vedere se stasera è a casa a studiare”.
“Non starai forse esagerando?”.
La ragazza scosse il capo.
“Voglio essere sicura, prima di lasciarlo”, rispose in tono deciso.
Proseguirono la loro corsa tra i boulevard parigini, le prime luci della sera che si specchiavano sui vetri dei finestrini.
La festa si sarebbe tenuta al Trianon, un noto locale che si trovava a pochi passi dalla Tour Eiffel.
A quanto pareva, per quella sera sarebbe stato interamente riservato ai membri della palestra.
Etienne doveva aver sborsato una fortuna per organizzare l’evento.
“Eccoci arrivati”, annunciò a un certo punto Christine, inchiodando di fronte a un locale affollato.
Rosalie intravide più di una persona con indosso delle vertiginose parrucche candide.
“Tenete i cellulari accesi”, proseguì la ragazza. “Vi faccio uno squillo quando sono qua fuori, okay?”.
“Vedi di non fare follie”, si raccomandò Louis chiudendo la portiera della macchina.
Christine non rispose, ripartendo con una sgommata isterica.
“Quella ragazza mi fa preoccupare”, pensò il fratello ad alta voce.
“Vedrai che si sistemerà tutto. Mi sembra una tosta”, cercò di incoraggiarlo Rosalie.
“Già. Spero solo che non lo decapiti”.
“Senti chi parla!”.
Louis si voltò verso di lei, sorridendo.
“Andiamo?”, chiese porgendole il braccio.
“Come desiderate, monsieur!”, rispose Rosalie ridendo.
Entrambi si avviarono verso l’ingresso del Trianon, da dove proveniva il rombo cupo della musica sparata a tutto volume.
 
***
 
Maria Antonietta si affacciò dal finestrino della carrozza, scrutando i viali di Versailles che scorrevano lentamente sotto di lei. Si sentiva le farfalle nello stomaco e stava lottando contro la voglia di spalancare la porta e darsela a gambe per il parco. Luigi notò il suo malumore e le prese goffamente la mano. La consorte trasalì come se si fosse scottata, ma non lo respinse.
    –Cercate di farvi coraggio – disse il Delfino. – In fondo, dovete solo rivolgerle la parola.
    Maria Antonietta annuì nervosamente, continuando a fissare fuori dal finestrino. Ben presto, il profilo del Trianon illuminato dalle candele si rivelò in tutta la sua magnificenza. Era un basso edificio seminascosto dalla vegetazione, rilucente di marmi e stucchi dorati. Un piccolo rifugio di lusso nascosto nei giardini di Versailles, dove il re e il suo seguito potevano trovare riposo dagli impegni mondani.
    Frotte di dame e gentiluomini sciamavano nel giardino che lo circondava, conversando animatamente. La carrozza si arrestò di fronte all’ingresso. Un lacchè venne ad aprire.
    –Venite – la invitò Luigi, porgendole il braccio per aiutarla a scendere.
    Maria Antonietta deglutì e uscì all’esterno. Subito, una folata di vento gelido le si insinuò fin sotto i vestiti. Era una gelida notte d’inverno, infida e tagliente come la donna a cui andavano a rendere omaggio. Cercando di non far trasparire tutto l’odio che aveva in corpo dai suoi gelidi occhi azzurri, l’arciduchessa fece ingresso nell’anticamera affollata.
    Subito una voce annunciò il loro ingresso. In molti si voltarono, rendendo loro omaggio con un inchino. Maria Antonietta si guardò attorno. Tutti erano vestiti come lei, con abiti dai colori sgargianti che cercavano di imitare lo stile pacchiano della Du Barry. La contessa era al centro della sala, intenta a conversare con Luigi XV. La sua risata stridula sovrastava persino la musica. All’arciduchessa bastò un’occhiata per farsi montare un vertiginoso senso di nausea.
    –Ho bisogno di un po’ d’aria fresca – annunciò, facendo per tornare indietro.
    –Come, non venite a salutare il re? – domandò Luigi perplesso.
    –Non credo che sia una buona idea quella di perdere i sensi di fronte a Sua Maestà e la sua corte – tagliò corto Maria Antonietta. – Vogliate scusarmi.
    Prima ancora che il consorte avesse potuto ribattere, Maria Antonietta si era dileguata tra la folla e aveva trovato riparo nell’anticamera. Si nascose dietro una colonna, sedendosi a terra e prendendo a sventolarsi con foga con il ventaglio. Si sentiva terribilmente male e aveva la fronte imperlata di sudore. Il corsetto, decisamente più piccolo e attillato rispetto a quelli che usava di solito per risaltare maggiormente il seno, le stringeva il torace in maniera insopportabile, togliendole il respiro.
    –Madame, state bene? – domandò una voce familiare sopra la sua testa.
    Maria Antonietta levò lo sguardo debolmente. Nel suo campo visivo appannato comparve il profilo della contessa di Lamballe.
    –Oh, siete voi – rispose accennando a un sorriso. – Temo che mi manchi l’aria.
    –Vado a prendervi qualcosa da bere.
    –Vi aspetto fuori, se non vi dispiace.
    –Come desiderate, Madame.
    Sperando con tutto il cuore che la contessa di Noailles non fosse nelle immediate vicinanze, Maria Antonietta si trascinò all’esterno. Le vertigini non accennavano a diminuire e il cuore le batteva come un forsennato contro le costole. La testa le doleva sempre più. Si appoggiò a un’altra colonna, traendo un respiro profondo. Se cercava un’occasione per scappare, quello era il momento buono, anche se stava così male.
    –Ecco qui, Madame! – annunciò la Lamballe, tornando con un calice ricolmo di champagne.
    Maria Antonietta sospirò, prendendo a bere il liquore a piccoli sorsi.
    –Vi ringrazio, amica mia. Ora però vorrei restare un po’ da sola – disse, sperando di risultare convincente.
    –Come desiderate.
    La Lamballe le fece un rapido inchino e poi tornò dentro. Maria Antonietta sorrise tra sé e sé, continuando a sorseggiare lo champagne rimanente. I suoi occhi azzurri si soffermarono sulle chiome scure degli alberi. Scappare o non scappare? La tentazione era troppo forte, ma la paura dell’ira di sua madre la paralizzava.
    Lanciò un ultimo sguardo verso il Trianon. Notò che più di un nobile la stava fissando con aria interrogativa. Tutti aspettavano il suo ingresso, curiosi di sapere come se la sarebbe cavata quella sera. Era la prova che l’avrebbe ammessa definitivamente a corte. Non poteva sottrarsi in alcun modo.
    Rassegnata, Maria Antonietta finì il suo champagne e posò il calice vuoto alla base della colonna; poi, con il suo solito incedere altero e aggraziato a un tempo, fece ingresso nella sala da ballo.
    Un attimo dopo
si ritrovò in una grande stanza buia, circondata da ogni parte da giovani che ballavano in maniera scomposta al ritmo di una musica infernale.
 
***
 
Rosalie e Louis si avvicinarono al bancone per registrarsi.
Un ragazzo dagli avambracci completamente ricoperti di tatuaggi registrò i loro nomi e fissò un adesivo rosso sui dorsi delle loro mani, facendo loro cenno di entrare nella sala.
Subito vennero invasi dal frastuono della musica sparata a diverse centinaia di decibel.
“Salve, ragazzi!”, li salutò Etienne venendo loro incontro.
Era vestito con un lungo abito nero e aveva nascosto i corti capelli castani sotto una soffice parrucca bianca.
“Anche tu Robespierre?”, domandò Luigi stringendoli la mano.
“Sì, anche se un po’ meno steampunk di te!”, rispose Etienne facendogli l’occhiolino. “Accomodatevi, gli altri sono già arrivati”.
I ragazzi si fecero largo tra la folla lanciando gomitate a destra e a sinistra, fino a quando non intravidero il resto del gruppo seduto a  uno dei tavoli.
“Ciao, belli!”, li salutò Lucile saltando loro al collo e stampando un sonoro bacio sulla guancia di ognuno.
Louis arrossì visibilmente.
La ragazza era davvero bella, nonostante avesse indosso degli stracci da popolana che le nascondevano i lunghi capelli castano chiaro.
Un attimo dopo, Lucile tornò ad accoccolarsi al fianco di Ibrahim, vestito da Luigi XVI.
“Ciao”, li salutò con un sorriso, mentre con la mano stringeva la vita sottile della sua ragazza.
“Bevete qualcosa con noi?”, domandò Lucile.
Né Rosalie né Louis trovarono la forza di rifiutare.
Lucile ordinò quattro Orangina, che arrivarono in un lampo.
Rosalie lanciò uno sguardo preoccupato all’amico.
Aveva un’aria cadaverica e la cosa non era data solo dall’abbondante quantità di cerone.
“Ti va di ballare?”, domandò lei a un certo punto, decisa a portarlo via da lì il prima possibile.
“Uhm, va bene”.
Rosalie lo afferrò per un braccio e insieme caracollarono verso la pista.
Lucile le lanciò uno sguardo di intesa, alzando entrambi i pollici.
Pregando che Louis non se ne fosse accorto, la ragazza lo condusse tra la folla, prendendo poi a ballare.
Non era proprio il genere di musica che preferiva, ma era sempre meglio che stare seduti in un angolo a fare da terzo incomodo.
Arrivarono alla fine della canzone; poi Louis annunciò in tono stanco:
“Scusami, credo di aver bisogno di andare in bagno. Torno subito”.
“D’accordo”.
Nell’attesa, Rosalie si diresse nella zona bar, decisa a mettere qualcosa sotto i denti.
Con un tuffo al cuore, notò che c’era qualcuno che conosceva ad attenderla.
Come non riconoscere quella folta chioma di capelli scuri, la figura slanciata e i grandi occhi verdi che guizzavano da dietro la maschera?
“Ciao!”, salutò la ragazza accomodandosi accanto a lui.
“Ciao”, rispose André con un sorriso.
“Bella festa, vero?”, domandò Rosalie, avvertendo le farfalle nello stomaco aumentare sempre di più.
“Da matti! Ti va di bere qualcosa?”.
“Sì”.
“Due cocktail, per favore”.
Rosalie impallidì.
“Ehm, perdonami, ma sono ancora minorenne”.
André la fissò con tanto d’occhi.
“Sembri più grande”, si scusò.
“Non bevo alcool”, precisò Rosalie con decisione.
Possibile che André non lo sapesse?
“Scusami”, si schermì lui scrollando le spalle.
“Non ti preoccupare. Piuttosto, tu stai bene? Ti vedo teso”.
“La gara di domenica prossima mi sta dando alla testa. Abbiamo degli avversari troppo forti”.
“Strano, non ti facevo così ansioso!”, in quel momento il cameriere portò un cocktail e una Coca. “Oscar è molto tranquilla a riguardo”.
“Oscar è Oscar: non le fa paura niente”, rispose Andrè sorridendo.
Rosalie si sentì svenire, mentre si attaccava all’orlo del suo bicchiere.
Mai aveva incontrato un essere così perfetto in vita sua.
Pensava che ragazzi così belli esistessero solo nei manga, non nella realtà.
Non riusciva a staccare gli occhi da quel sogno a occhi aperti.
“Balli?”, le chiese André una volta finito il suo cocktail.
Incredula per una proposta tanto insperata, Rosalie rispose prontamente:
“Quando vuoi!”.
Il ragazzo sorrise e le porse il braccio.
Lei vi si attaccò con foga, avvertendo il suo avambraccio muscoloso sotto la giacca.
André la condusse verso la pista, prendendola tra le sue braccia.
Inebriata dal ritmo incalzante della musica, Rosalie prese a ballare con tutta la forza che aveva, lasciandosi trascinare.
Il suo partner le teneva delicatamente le dita tra le mani, facendola volteggiare su se stessa con grazia.
“Allora, pronta per la gara?”, domandò a un certo punto.
“Ancora pensi alla gara? Stasera siamo qui per divertirci!”, esclamò Rosalie facendo una piroetta.
“Non so come fate a essere tutti così tranquilli quando abbiamo quegli snob del Saint-Germain da sconfiggere!”.
“Sinceramente non li conosco. Sai che è la mia prima gara qui. Però Oscar non mi ha mai parlato di questi avversari così terribili, quindi non vedo perché preoccuparsi”.
“Oscar non ti ha detto nulla perché non vuole che i suoi allievi perdano la testa. Sono un’accademia di scherma molto rinomata, forse la migliore di tutta la Francia. Si può entrare solo dopo una lunga selezione e le lezioni sono molto dure…e costose! Capisci che possono restare solo i migliori”.
“O i più ricchi”.
André non rispose.
“Non mi fanno paura”, rispose Rosalie risoluta. “Oscar ci mette l’anima per allenarci e porta avanti solo gli allievi migliori, non quelli che possono permetterselo”.
“Mi spiace contraddirti, ma finora sono sempre stati loro ad avere la meglio nelle gare. L’ultima volta, solo Axel Von Fersen è riuscito a batterli”.
“Può capitare la volta in cui si ha poca verve. Ci rifaremo”.
“Lo spero”.
Improvvisamente, André si era fatto guardingo.
Oscar aveva appena fatto ingresso nella sala, rilucendo come un rubino nella sua divisa rossa da ufficiale.
“Perdonami, devo scappare”, disse il ragazzo. “Ci vediamo presto!”.
Rosalie non ebbe nemmeno il tempo di ribattere, che André era letteralmente sparito alla vista.
Confusa per una simile reazione, la ragazza raggiunse Oscar dall’altra parte della sala.
“Come siamo eleganti!”, la salutò lei con un sorriso.
“Per caso hai visto André’?”, domandò l’altra.
“André? Purtroppo stasera non poteva venire: domani ha un esame molto importante all’università”.
“Cosa? Ma se era qui fino a un attimo fa!”.
“Impossibile, sono stata a casa sua fino a ora”.
Rosalie sgranò gli occhi, sconvolta.
Se non si trattava di André Grandier, allora chi era il tipo con cui aveva ballato fino a un attimo prima?
 
***
 
Maria Antonietta dovette pizzicarsi il braccio più volte prima di assicurarsi di non essere in un incubo. Molte volte le era stato descritto l’inferno, ma mai avrebbe immaginato di poterlo paragonare a quel vortice di corpi che la premevano da tutti i lati, spintonandola da una parte e dall’altra senza mostrare il minimo rispetto verso la sua persona; per non parlare di quel rumore agghiacciante che sembrava prorompere dalle stesse pareti, senza alcuna traccia di strumenti o suonatori. L’arciduchessa si tappò le orecchie con un gemito.
    Di qualunque cosa si trattasse, di una cosa era certa: quello non era il Trianon. Nessuna delle persone presenti nella sala sembrava far parte della corte. Erano per la gran parte molto giovani, più o meno della sua età. Erano vestite come lei, ma in modo strano. Alcune ragazze indossavano persino abiti da uomo, esibendo sfrontatamente le gambe sottili.
     Nauseata, l’arciduchessa cercò riparo, facendosi largo tra la folla. Per poco non andò a sbattere contro un ragazzo alto e dinoccolato dai lunghi capelli biondi. Notò con orrore i suoi occhi cerchiati di nero e il segno rosso attorno al collo, come se gli avessero staccato la testa di netto.
    –Scusa – disse questi facendo le spallucce. – Sai per caso dov’è il bagno?
    Sentendosi trattare alla stregua di una serva, Maria Antonietta gli lanciò un’occhiata di puro disprezzo. – Come osate? – sbottò.
    –Scusa, scusa. Non volevo offenderti – si affrettò a rimediare l’altro, allontanandosi con le spalle curve.
    Furibonda, Maria Antonietta si allontanò nella direzione opposta.
    –Bel costume! – le gridò un ragazzo tutto muscoli levando i pollici verso di lei.
    Atterrita, l’arciduchessa se la diede a gambe, alla ricerca disperata di un’uscita. Si sentiva mancare l’aria e questa volta dubitava che avrebbe resistito alle vertigini. Caleidoscopiche figure mascherate le sciamavano attorno da ogni lato, lasciando nel suo campo visivo ombre indistinte e smorfie grottesche. Quale diabolico scherzo aveva architettato la Du Barry? Sicuramente quella diavoleria era opera sua: le sembrava di riconoscere il suo pessimo gusto nella scelta della musica e dei vestiti. Potevano essersi cambiati mentre lei era via e aver creato in qualche modo quel rumore agghiacciante. Ma come si spiegava il fatto che l’intera sala fosse mutata? Da dove venivano quelle pareti spoglie illuminate da quelle luci viola?
    Confusa e spaventata, Maria Antonietta si bloccò, le spalle premute contro il muro. La nausea l’accecava. Avvertì la fronte imperlarsi di sudori freddi; poi tutto sprofondò nel buio più totale.




No, non sono impazzita mentre editavo questa fanfiction: anche stasera, infatti, il cambio di html ha scopo esclusivamente espressivo, indicando lo scarto temporale in cui avvengono i fatti. Ora che le nostre protagoniste si sono conosciute, userò un misto di entrambi :)
Per l'occasione, ho anche creato un banner. Che ne pensate?

Vi lascio come sempre l'indirizzo della mia pagina facebook, per restare sempre informati sugli aggiornamenti e accedere a contenuti esclusivi:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Grazie ancora a tutti voi che state seguendo con così tanto entusiasmo questa mia piccola follia. Vi abbraccio di cuore!

F.
 

 

 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***





CAPITOLO 6
                   






 
Quando Maria Antonietta riaprì gli occhi, per poco credette di stare sognando per davvero. Un volto bellissimo, simile a quello delle sculture greche, riempiva completamente il suo campo visivo. Era un ragazzo poco più grande di lei, con i lunghi capelli biondo cenere che gli sfioravano le spalle. Un ciuffo spettinato gli nascondeva parte della fronte, mettendo in risalto i profondi occhi blu, in quel momento oscurati da una smorfia carica di preoccupazione.
    –Tutto bene? – le chiese con una voce calda e gentile.
    –Dove sono? – chiese Maria Antonietta confusa.
    –Al Trianon.
    –Come, prego?
    Sperava tanto di aver capito male. Il rumore infernale echeggiava ancora nelle sue orecchie, rimbombando sotto il pavimento.
    –Al Trianon.
    –A Versailles?!
    In tutta risposta, lo sconosciuto le sentì la fronte e il polso con le mani grandi e affusolate. A quel contatto, Maria Antonietta si irrigidì d’istinto: nessuno sconosciuto aveva mai osato tanto!
    –Stai tranquilla, sto solo controllando che sia tutto a posto – la rassicurò il ragazzo con un sorriso. – Hai per caso bevuto?
    –Solo un bicchiere di champagne.
    –Champagne?
    Lo sconosciuto la fissò dritto negli occhi, come se le stesse scandagliando l’anima. Maria Antonietta represse a fatica un brivido. Non aveva mai visto un blu così puro e profondo, intervallato da tante minuscole pagliuzze viola.
    –Mmm, sembra che le iridi siano normali – disse questi ad alta voce.
    –Prego?
    –Non mi sembra che tu abbia assunto droghe.
    –Ci mancherebbe altro! Insomma, volete dirmi dove mi trovo?
    –Te l’ho già detto: sei al Trianon, uno dei locali più in voga di Parigi – per sottolineare il concetto, lo sconosciuto indicò qualcosa alle sue spalle.
    Maria Antonietta seguì il suo dito con lo sguardo e trasalì nel leggere il pannello appeso sulla parete. Prima ancora che il ragazzo potesse fermarla, l’arciduchessa scattò in piedi, scansando la folla e precipitandosi all’esterno. L’insegna luminosa con la scritta Trianon le lampeggiò sfrontatamente in faccia, lasciandola a bocca spalancata per lo sconcerto. Nuovi suoni e rumori agghiaccianti attirarono la sua attenzione. Trasalendo per lo spavento, Maria Antonietta si voltò. Palazzi alti come cattedrali stringevano la via in una morsa, mentre carrozze prive di cavalli sfrecciavano davanti a lei a velocità folle. Una mostruosa costruzione infuocata sovrastava quel panorama infernale come una gigantesca torcia. Le tornarono i capogiri e in meno di un attimo le ginocchia cedettero di nuovo.
    Questa volta, due braccia forti l’afferrarono per la vita, evitando che si accasciasse a terra all’ultimo istante.
    –Questa è Parigi? – domandò l’arciduchessa con un gemito.
    Lo sconosciuto annuì con un sorriso.
    –Credo che tu abbia avuto un piccolo shock – disse con calma. – Vieni dentro: lì sarai al sicuro. In caso, posso accompagnarti all’ospedale.
    –Io lì non ci torno, signore! E, per favore, datemi del voi! – esclamò Maria Antonietta, cercando di recuperare un minimo di contegno.
    –Credo che tu stia davvero male – sentenziò il ragazzo con decisione. – Coraggio, di me puoi fidarti.
    L’arciduchessa tentò di divincolarsi ancora una volta, ma barcollò pericolosamente nel tentativo, ritrovandosi aggrappata agli abiti dello sconosciuto. Con un sospiro rassegnato, si lasciò portare nuovamente nelle viscere di quel posto infernale.
 
***
 
“Come sarebbe a dire hai ballato con André?”, domandò Oscar per l’ennesima volta, gli occhi sgranati per lo stupore.
“Ѐ così!”, rispose Rosalie sulla difensiva. “Se non lo fermavo, rischiava di rifilarmi addirittura un superalcolico!”.
“Ma che stai dicendo? André non farebbe mai una cosa simile!”.
“Non faceva altro che parlare della gara di domenica prossima…”.
A quelle parole, Oscar si immobilizzò come se fosse stata fulminata.
“La gara?”, il suo cervello stava galoppando.
“Continuava a parlare del Saint-Germain”.
“Aha!”, esclamò la ragazza picchiandosi il palmo della mano. “Allora è tutto chiaro!”.
Furiosa come una belva in gabbia, Oscar raggiunse a grandi passi un altro dei suoi allievi, un ragazzo alto dai lunghi riccioli castani, che stava chiacchierando con delle ragazze.
“Basta giocare, Victor”, gli disse in tono sbrigativo. “Pare che abbiamo degli infiltrati del Saint-Germain”.
A quella notizia, il giovane strabuzzò i grandi occhi verdi.
“Come, prego?”, esclamò.
“Non c’è tempo da perdere. Non mi va di avere casini stasera, okay? Dov’è Axel?”.
“Non lo so. Sono appena arrivato”.
Perché quell’idiota sparisce sempre quando ho bisogno di lui?, imprecò Oscar tra sé e sé.
“Aiutami a fare ordine”, disse rivolta a Victor. “Rosalie, vieni anche tu”.
I tre si defilarono tra la folla, lanciando occhiate sospettose ai presenti.
“Eccolo!”, esclamò a un certo punto Rosalie, indicando il falso André, che in quel momento stava chiacchierando con un ragazzone dalle spalle larghe e i folti capelli neri che gli uscivano da sotto il cappello da pirata.
“Chatelet e Soisson”, disse Oscar riconoscendoli. “Ora mi sentono”.
Prima che i suoi allievi avessero potuto fermarla, la ragazza si era avviata a passo di marcia verso gli infiltrati, fermandosi davanti al bancone e ordinando qualcosa da bere.
“Posso vedere il vostro invito?”, chiese mentre aspettava, rivolgendosi ai due in tono di sfida.
Sentendosi presi in castagna, entrambi si lanciarono occhiate inorridite.
“Come mai da queste parti?”, continuò Oscar prendendo a sorseggiare rumorosamente il suo cocktail. “Le feste esclusive del Saint-Germain non vi entusiasmano più come una volta?”.
“Noi lavoriamo qui!”, si difese il ragazzo moro.
“Ma davvero, Soisson? Ti credevo impegnato nell’ufficio di tuo padre”.
“Non parlarmi in questo modo, Jarjayes!”.
“Avanti, non raccontatemi balle. Siete qui per la gara di domenica, giusto?”.
I due non risposero.
“Vi do un consiglio da amica”, disse Oscar stringendo gli occhi a due fessure. “Uscite immediatamente dal locale e io non vi farò cacciare fuori a calci dall’addetto alla sicurezza. Quello che avete combinato l’anno scorso insieme ai vostri amici non mi è affatto piaciuto. Vorrei sapere solo chi ha avuto la geniale idea di nascondere delle pasticche sospette nel giaccone di André. Per colpa vostra, si è giocato il campionato”.
A quelle parole, Soisson si strinse nervosamente nelle spalle.
“Vigliacco”, commentò la ragazza svuotando il bicchiere con un sorso. “Ah, una cosa. Credo che anche Etienne vi abbia notati”.
I due si voltarono di scatto.
In effetti, Etienne li stava fissando con aria guardinga dall’altra parte della sala.
“Bene, credo che la nostra presenza non sia gradita, qui”, si affrettò ad aggiungere Chatelet. “Togliamo il disturbo, madamigella”.
“Ci vediamo domenica. E che vinca il migliore”, rispose lei laconica, continuando a tenerli d’occhio mentre si allontanavano con una sottile punta di soddisfazione che le risaliva gorgogliando lungo la gola.
Rosalie aveva osservato la scena con un misto di ammirazione e incredulità.
“Solo tu potevi distinguere il vero André da quell’impostore”, disse a Oscar non appena tornò da loro.
“Non si somigliano poi così tanto”, si schermì l’altra. “Diciamo che stasera la maschera ha aiutato”.
“Ѐ davvero del Saint- Germain?”.
“Sì. Bernard Chatelet è uno dei suoi migliori allievi. Sicuramente era qui per piantare grane, approfittandone della sua somiglianza con André. Non sarebbe la prima volta”.
“Sono degli esseri disgustosi, tutti quanti”, commentò Victor furioso.
“Basta, non voglio più sentir parlare di loro fino a domenica prossima”, tagliò corto Oscar con decisone. “Questa è la nostra festa. Volete qualcosa da bere?”.
Rosalie non rispose.
La sua attenzione era stata attirata da una figura alta e dinoccolata che vagava senza meta tra la folla.
Non appena la raggiunse, Louis chinò la testa e vomitò sul pavimento di linoleum.
 
***
 
Maria Antonietta seguiva lo sconosciuto all’interno del locale, lanciandogli di tanto in tanto delle lunghe occhiate intimorite. Non riusciva a capire a che gioco stesse giocando, lui e tutti gli altri. Non era possibile: quella non era la sua Parigi! Le sembrava davvero di essere finita all’interno di un girone infernale, come quelli che aveva visto più di una volta negli affreschi delle chiese nelle sue rare uscite fuori Versailles. Avrebbe tanto voluto scappare, ma le sue gambe sembravano non rispondere più alla sua volontà, muovendosi meccanicamente come se fossero guidate da fili invisibili.
    –Come ti chiami? – le chiese a un certo punto il ragazzo, volgendosi verso di lei.
    –Come, non mi riconoscete? – rispose lei stizzita.
    –Scusami, non mi sembra di averti mai visto, anche se hai un’aria vagamente familiare.
    –Sono Maria Antonietta…
   –Piacere, Axel Von Fersen – disse lui con un sorriso prima che l’altra potesse finire le presentazioni. – Sei anche tu della palestra, giusto? Che cosa fai? Zumba, pesi, bokwa?
    –Eh?!
    Axel sembrava sorpreso.
    –Non sei della palestra? – chiese perplesso.
    –Non so di che cosa parlate! Io fino a un attimo fa ero a una festa al Trianon, a Versailles. Avete presente Versailles, no?
    –Come non potrei?
    –Io vengo da lì. C’era una festa in onore della contessa Du Barry e di colpo mi sono trovata in questo posto infernale.
    –Aspetta, hai detto Du Barry? – domandò Axel fermandosi di colpo e fissandola con gli occhi sgranati.
    –Certo. La conoscete anche voi, immagino.
    –Ovvio! Stai parlando dell’amante di Luigi XV, per caso?
    –Quante Du Barry ci sono a Parigi?
    –Perdonami, è che mi sono laureato in Storia Moderna, quindi sono molto ferrato su questo argomento. Eri per caso a una rievocazione, non è vero?
    –Ma che rievocazione, io sto parlando della vera Du Barry! Si può sapere in quale epoca vivete?
    –Nel Ventunesimo secolo, ovvio.
    A quell’affermazione, fu Maria Antonietta a sgranare gli occhi per la sorpresa.
    –Vi state prendendo gioco di me? – domandò con voce rotta.
    –Non approfitterei mai di una ragazza in questo stato – rispose Axel con determinazione.
    –Che giorno è oggi? – chiese l’arciduchessa, prendendo di nuovo a sudare freddo.
    –Il 30 settembre 2013. Perché?
    Maria Antonietta non rispose. In un attimo, si era di nuovo accasciata al suolo priva di sensi.
 
***
 
“Sta’ calmo, Louis, va tutto bene”, ripeté Lucile per l’ennesima volta, sorreggendo a fatica la testa del ragazzo chino su una tazza del gabinetto.
Ibrahim osservava la scena appoggiato alle mattonelle del bagno, le braccia incrociate e un’espressione disgustata dipinta sul volto.
“Ha bevuto?”, domandò a un certo punto.
Lucile gli lanciò un triste cenno di assenso, mentre Louis vomitava di nuovo.
“Porca puttana, ma è disgustoso!”, esclamò l’altro distogliendo lo sguardo.
“Se ti dà tanto fastidio, puoi anche uscire”, tagliò corto la ragazza.
“Ti chiamo quando mi servirà qualcuno a reggermi la testa”, rispose lui uscendo dal bagno il più rapidamente possibile.
Stronzo, pensò Rosalie con rabbia.
Lei e Lucile erano rimaste accanto il ragazzo per un buon quarto d’ora, cercando inutilmente di farlo smettere di vomitare.
A quanto pareva, aveva alzato un po’ troppo il gomito con i cocktail.
Per Rosalie non fu difficile indovinare la causa di quel colpo di genio.
“Tutto bene, Louis?”, domandò la ragazza non appena l’altro riuscì a staccare la faccia dal water.
Il ragazzo non rispose.
Aveva lo sguardo fisso e un colorito orribile.
Lucile gli pulì un angolo della bocca e si sforzò di sorridere.
“Non posso vederti così”, gli disse sull’orlo delle lacrime. “Non proprio tu”.
“Dobbiamo portarlo subito a casa”, intervenne Rosalie.
“Ci pensi tu a chiamare Christine?”.
“Sì, giusto il tempo di andare fuori”.
“Se vuoi, per te ci penso io, a riaccompagnarti a casa”.
“Nessun problema, tranquilla”.
Rosalie si voltò e uscì dal bagno, esultando dentro di sé per quei preziosi attimi di intimità che Lucile stava concedendo finalmente a Louis, alla faccia di quell’egoista di Ibrahim.
Stava giusto per imboccare l’uscita del locale, quando per poco non inciampò in Axel, che stava cercando disperatamente di rianimare una ragazza bionda stramazzata sul pavimento.
“Tutte stasera, eh?”, domandò in tono sarcastico.
“Perché, ce ne sono altri?”, chiese Axel disperato.
“Un mio amico sta vomitando da venti minuti”.
“Splendido”.
“Chi è?”, domandò Rosalie inginocchiandosi accanto a lui.
“Non lo so. Crede di essere Maria Antonietta”.
“Stai scherzando, vero?”.
“No. Credo che sia la pena del contrappasso per gli studenti di Lettere”.
In quel momento, la ragazza stesa sul pavimento si mosse, aprendo lentamente gli occhi.
“Sto ancora sognando, non è vero?”, chiese con la voce impastata.
“No, mi dispiace”, rispose Axel in tono rassegnato.
“Possiamo fare qualcosa per te?”, domandò Rosalie sorridendo.
“Voglio andare a casa”, rispose la ragazza.
“Sicura che non serve passare al pronto soccorso? Hai davvero una brutta cera”, osservò Axel.
“Voglio andare a casa, a Versailles!”, ripeté l’altra con maggiore decisione.
“Abiti a Versailles?”, chiese Rosalie.
“Per l’ultima volta, sì!”.
“Qualcuno di noi abita da quelle parti?”, domandò ancora Rosalie, questa volta rivolgendosi ad Axel.
“Che io sappia, siamo tutti di Parigi”, rispose lui.
“Ma non possiamo lasciarla andare in giro da sola, per di più in queste condizioni!”.
Rosalie si morse nervosamente il labbro.
“Mi date il tempo di una telefonata?”, chiese un attimo dopo.
 



Buonasera, gente! :)
Come accennato, questa settimana gli aggiornamenti sono stati tutti anticipati di un giorno.
Mi piacerebbe riuscire ad aggiornare più spesso, ma con l'università il tempo per scrivere si sta riducendo agli spostamenti in treno e alle ore di buco tra una lezione e l'altra.
Spero che mi capiate!

Come nell'anime, anche qui vi è uno scambio tra André e Bernard, maschera inclusa * vi prego, signore, contenetevi *
Che ne pensate della reazione di Fersen e Rosalie?
Certo, non potevano credere subito all'identità di Maria Antonietta, giusto?
Sinceramente, se vi capitasse di incontrare una che afferma di essere l'erede al trono di Francia, voi le credereste?

Come sempre, vi lascio l'indirizzo della mia pagina facebook, con tutti gli aggiornamenti e le novità:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A presto! :)

F. 
 

 

 

 
 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***





CAPITOLO 7
                   






 
La prima cosa che fece Rosalie non appena si ritrovò all’esterno del locale, fu chiamare tempestivamente Christine per farsi riportare a casa.
Non credeva che la festa si sarebbe rivelata un simile fallimento e non vedeva l’ora di ficcarsi sotto le coperte e dimenticare l’accaduto, a partire dall’immagine disgustosa di Louis che vomitava nella tazza del gabinetto.
Christine rispose alla seconda chiamata e annunciò con voce stanca che sarebbe stata lì in venti minuti.
Rosalie mise giù con un sospiro.
Le tempie le pulsavano dolorosamente e le palpebre faticavano a restare aperte.
Alzò lo sguardo, incrociando quasi per caso quello di Oscar, intenta a fumare con la schiena appoggiata al muro del locale.
“Ti stai divertendo?”, le chiese l’insegnante con aria assente.
“No”, rispose Rosalie con franchezza. “Tra poco vado a casa. Devo pure riaccompagnare una ragazza di Versailles che si è sentita male”.
“Una ragazza di Versailles? Nessuno di noi viene da lì”, osservò Oscar sospettosa.
“Dice di abitare lì e farfuglia cose strane. Secondo me, qualcuno deve averla drogata”.
“Dove si trova ora?”.
“Dentro. Axel si sta prendendo cura di lei”.
Oscar spense la sigaretta con la punta dello stivale.
“Posso vederla?”, domandò.
“Certo”.
Rosalie l’accompagnò nuovamente all’interno del Trianon, venendo immediatamente investiti dalla musica techno sparata a diversi decibel di frequenza.
Axel aveva portato Maria Antonietta in un tavolo isolato e le aveva offerto un bicchiere d’acqua.
Lucile e Louis stavano seduti accanto a loro.
“Disturbiamo?”, domandò Oscar sedendosi accanto ad Axel.
Lui le sorrise e le indicò Maria Antonietta.
“Conosci questa ragazza?”, domandò.
“No, ma ha un’aria familiare. Come ti chiami?”.
“Maria Antonietta d’Asburgo Lorena”.
“Sì, questo è il tuo travestimento, tra l’altro fatto molto bene. Ora però vorremmo sapere il tuo vero nome”.
La ragazza si lasciò sfuggire un singhiozzo disperato.
“Ve l’ho detto, sono Maria Antonietta, la Delfina di Francia! Possibile che non mi riconoscete?”.
“Oscar, per favore, non insistere”, la trattenne Axel. “Non lo vedi che sta male?”.
“Non mi fido!”, esclamò l’altra con decisione. “E se fosse un’altra spia del Saint-Germain? Magari è la ragazza di uno di quei due”.
“E basta con questo Saint-Germain! Mica sono i geni del male!”.
“Ah, no? E allora come ha fatto questa ragazza a entrare senza essersi registrata all’accettazione?”, domandò Oscar indicando le braccia nude di Maria Antonietta, prive del bollino rilasciato all’entrata.
“Ve l’ho detto: io ero a Versailles e improvvisamente mi sono ritrovata qui, senza sapere né come né perché!” gridò l’altra scoppiando a piangere.
Nel vedere le lacrime bagnarle il volto incipriato, l’aggressività di Oscar scomparve com’era venuta.
Era ormai evidente che quella ragazza non mentiva: stava davvero male e aveva bisogno di aiuto.
“Ti riporto io a casa, se vuoi”, si offrì spontaneamente.
“Ma Oscar! Tu abiti dalla parte opposta!”, osservò Axel perplesso.
“Non ho molto sonno e comunque preferisco rientrare a casa il più tardi possibile”, si schermì la ragazza con un tono che non ammetteva repliche. “Quando sei pronta, Antoinette, partiamo”, aggiunse poi rivolta all’arciduchessa.
“Vi ringrazio, siete molto gentile”, rispose l’altra asciugandosi il viso con un tovagliolo di carta.
“Bene, amici, è stato un piacere”, salutò Oscar levandosi in piedi. “Ci vediamo lunedì per gli allenamenti. Non mancate”.
Detto questo, lei e Maria Antonietta si incamminarono fuori dal locale.
L’arciduchessa la seguiva con rapidi passi intimoriti.
Non riusciva a capire se la persona che l’aveva appena salvata fosse un uomo o una donna.
“Come vi chiamate?”, domandò a un certo punto.
“Françoise Jarjayes, ma tutti mi chiamano Oscar”, rispose lei con disinvoltura.
“Siete una donna?”, domandò Maria Antonietta sorpresa.
“Certo che sì”.
“Perdonatemi, per un attimo ho creduto che foste un ragazzo. Non ho mai visto donne così alte, tantomeno abbigliate da uomo”.
“Ma in che mondo vivi?”.
In tutta risposta, l’arciduchessa si limitò ad abbassare lo sguardo con un sospiro rassegnato.
“Scusa, non volevo essere così brutale”, si affrettò ad aggiungere Oscar. “Ѐ che mi sembri un tipo un po’ strano, a dirla tutta”.
“Anche voi”.
Oscar si fermò davanti a una Opel Corsa parcheggiata a pochi metri dal locale.
“Ecco la mia carrozza”, disse in tono scherzoso aprendole la portiera.
“Dove sono i cavalli?”, domandò Maria Antonietta sgranando gli occhi per lo stupore.
“Dentro il motore, ovvio”, rispose l’altra dando un colpetto amorevole sul cofano. “Coraggio, monta su”.
“D-davanti? Ma non mi è concesso! Il mio rango…”.
“Ma chi cavolo sei, la principessa di Montecarlo? Dai, su, monta davanti. Soffrirai meno il mal di macchina”.
Lo sguardo gelido di Oscar non ammetteva obiezioni.
Rassegnata e umiliata, Maria Antonietta si sistemò sul sedile anteriore.
Oscar si accomodò accanto a lei, infilando le chiavi nel cruscotto e allacciandosi la cintura di sicurezza.
Visto che l’arciduchessa non faceva altrettanto, Oscar si vide costretta a legarla, strappandole un gemito atterrito.
“Non posso lasciarti senza cintura!”, si difese l’altra. “Se ci venissero addosso, potresti ritrovarti catapultata fuori dall’abitacolo. E poi, non voglio noie con la polizia”.
Maria Antonietta annuì nervosamente, trattenendo a stento nuove lacrime.
Oscar mise in moto.
La macchina partì con un rombo, prendendo a sfrecciare per le vie di Parigi.
L’arciduchessa si aggrappò spasmodicamente al sedile, gli occhi incollati sui boulevard che le scorrevano intorno a velocità folle.
A quanto pareva, l’incubo non era ancora finito.
C’era luce dappertutto, nonostante fosse ormai notte inoltrata, gente a spasso, rumore, tantissime carrozze prive di cavalli e gente vestita discintamente.
Quella non poteva essere la sua Parigi.
Quale orribile disgrazia aveva portato il suo popolo a ridursi in quello stato?
“Sai qualcosa del Saint-Germain?”, domandò Oscar a un certo punto, tanto per togliersi lo scrupolo.
“Il conte di Saint-Germain?”, fece l’altra.
“Proprio lui!”, esclamò la ragazza sterzando pericolosamente. “L’allenatore dell’accademia di scherma”.
“Perdonatemi, ma non  mi sembra che insegni scherma”.
“Ma come! Louis d’Orange, detto il Conte, uno dei più grandi schermidori di Francia. Due volte campione europeo, bronzo alle Olimpiadi di Pechino e argento a quelle di Londra”.
“Non mi sembra che il pingue conte di Saint-Germain abbia preso parte a tali competizioni”.
Pingue?!”.
Oscar premette il freno con foga, evitando per un soffio di entrare nell’abitacolo dell’auto che le precedeva.
“Sì, il conte di Saint-Germain ama a tal punto i pasticcini da essere diventato enorme. Sono anni che non si alza dalla sedia”.
“Che cosa? Forse non stiamo parlando dello stesso conte, allora”.
“Credo proprio di no”.
Oscar continuò a guidare speditamente, lo sguardo fisso davanti a sé.
“Ѐ vero che il signor Von Fersen conosce molto bene la contessa Du Barry?”, chiese Maria Antonietta a un certo punto.
A quella domanda, l’altra scoppiò a ridere.
“Sì, come se fossero amici d’infanzia, lei e tutta la corte di Francia”.
“Davvero? Ma non mi sembra di averlo mai visto in giro per Versailles”.
“Strano, perché lui solitamente orbita sempre da quelle parti a prendere appunti. Credo che ormai i custodi del palazzo siano muniti delle sue foto segnaletiche”.
Appunti?”.
“Sta facendo la specialistica di Storia Moderna alla Sorbona”, spiegò Oscar pazientemente. “Ha una mania patologica per il Settecento. Sarà perché è l’omonimo del celebre amante di Maria Antonietta, anche se non c’entra niente con quello”.
Improvvisamente, Maria Antonietta divenne rossa come un peperone.
“Non farti tanti film su di lui: è fidanzato da due anni con una tipa da paura”, soggiunse Oscar lanciandole un’occhiata di sottecchi.
“Ah”.
“Lo so, è quello che dicono tutte quando lo vengono a sapere”, commentò la ragazza, questa volta senza ridere.
“Io invece sono sposata”, disse Maria Antonietta a un certo punto.
“Sposata? Addirittura? Complimenti!”.
“Sì, ma il mio è un po’ un matrimonio in crisi. Lui non c’è mai”.
“Se non funziona, allora tanto vale lasciarlo. Sei giovane: puoi sempre trovarne un altro”.
“Il fatto è che non posso. Vedete, lui…”.
“Siamo arrivate!”, cantilenò Oscar a un certo punto, indicando le prime case di Versailles.
Maria Antonietta si sentì annodare lo stomaco: non riusciva a riconoscere nulla della cittadina in cui viveva.
“Dov’è che abiti?”, chiese l’altra rallentando.
“Sapete raggiungere la reggia?”.
“Sì”.
Con un tuffo al cuore, l’arciduchessa riconobbe subito l’enorme cancellata in ferro battuto che si stagliava davanti a loro illuminata dalla luce dei fari.
Era a casa, finalmente!
“Io scendo qui”, annunciò con la voce carica di commozione.
 
***
 
Quando finalmente Christine venne a prenderli, Rosalie capì immediatamente che quella sera le emozioni non erano ancora finite.
La pallida luce dei lampioni illuminava impietosa il trucco colato agli angoli degli occhi della ragazza.
“Vi dispiace se non scendo?”, chiese non appena l’altra si avvicinò alla macchina sorreggendo Louis per le spalle.
“Fai pure”.
Lucile osservava la scena dall’ingresso del locale, masticandosi nervosamente il labbro inferiore.
Rivolse un rapido saluto a Rosalie, poi girò i tacchi e tornò dentro, le braccia incrociate sul petto.
“Che cosa è successo?”, si domandarono all’unisono Rosalie Christine una volta che tutti furono in macchina.
“Louis ha tentato di ubriacarsi”, rispose Rosalie. “Be’, a quanto pare ci è riuscito”, aggiunse lanciando un’occhiata nervosa al ragazzo, che russava con la testa rovesciata sullo schienale.
“Una serata di merda anche per lui. Fantastico”, commentò Christine in tono gelido.
“Che cosa ti è successo?”.
La ragazza proruppe in un singhiozzo.
“Ho lasciato Lucien”, disse a voce bassa, le spalle scosse da tremiti.
“Mi dispiace”.
“L’ho trovato a spassarsela con un’altra in un locale poco lontano da qui, il bastardo”, proseguì Christine, decisa a sfogarsi. “Cinque anni siamo stati insieme, cinque anni! Io ho sempre sopportato tutti i suoi piagnistei, l’ho sempre aiutato anche quando non se lo meritava. E ora…
La ragazza continuò a piangere in silenzio, prendendo a guidare a tutta velocità.
Rosalie pregò che non fosse intenzionata ad andarsi ad ammazzare con loro dietro.
“Immagino che Louis si sia ubriacato per quella stronza”, proseguì Christine pulendosi la faccia con un gesto stizzoso.
“Chi, Lucile?”.
“Andiamo, l’hai vista come lo tratta? Si conoscono dalla elementari. Non so quante volte è venuta a casa nostra, anche a dormire. E lei lo sa che piace a Louis”.
“Davvero?”.
“Gliel’ho detto io. Pensavo di aiutarlo. E invece, neanche una settimana dopo mi ritrovo questa in compagnia di Bruno Mars”.
“Non è colpa sua. In fondo, se a lei Louis non piace…”.
Rosalie pregò che l’amico non stesse ascoltando.
“Non è questo il punto!”, ribatté Christine picchiando la mano sul volante. “Che le piaccia o no, nessuno l’autorizza a trattare mio fratello come uno sconosciuto. Da quando sta con quello, non gli telefona né gli parla più a scuola. Sparita, come se lui fosse un estraneo. È questo che mi fa rabbia”.
“So che Ibrahim è molto possessivo”.
“E lei è disposta persino a rinnegare gli amici pur di accontentarlo? Non ho parole. Quando anche lui la lascerà per un’altra e lei si ritroverà senza amici, voglio proprio vedere con che faccia verrà a bussare alla nostra porta”.
“Ora però stai un po’ esagerando. Certo, Lucile è molto presa dal suo ragazzo, ma ciò non toglie che stasera si è comportata in maniera magistrale quando ha visto Louis in quello stato. Non l’ha abbandonato neanche per un secondo. Ha anche litigato con Ibrahim, per questo motivo”.
Christine non rispose.
“Ѐ questa?”, disse a un certo punto, fermandosi davanti a uno dei palazzi ottocenteschi a pochi passi dall’Opéra.
“Sì”, rispose Rosalie saltando giù dalla macchina. “Grazie di tutto, Chris”.
“ E di che? Buonanotte, bella”.
“Potresti farmi chiamare da Louis non appena si riprende?”.
“Contaci. Ciao!”.
Rosalie restò a fissare il Pegeut nero che si allontanava nella notte.
Levò gli occhi verso l’Opéra, resa ancora più monumentale dall’illuminazione artificiale.
Ripensò a quella sera caotica, a quanto fossero inutili le sofferenze e le frustrazioni di ciascuno di loro.
La vita non ha senso, pensò con rabbia mentre infilava le chiavi nella toppa del portone di casa e veniva inghiottita dal buio del pianerottolo.
 
***
 
Quella notte, Axel non riusciva a prendere sonno. Non appena Oscar si era allontanata con quella strana ragazza che affermava di essere Maria Antonietta, il giovane non aveva più avuto ragione di rimanere alla festa. Aveva lasciato Victor Girodel in compagnia delle sue tante ammiratrici e se n’era tornato nel suo appartamento a pochi passi dall’università.
    Nonostante fosse già l’una, si sentiva sveglissimo. Si preparò una camomilla e accese il computer. A quell’ora, Facebook era ormai un deserto. Nemmeno Nicole Leguay, la sua fidanzata, era ancora online. Axel si consolò con una visita del suo profilo, il cui ultimo aggiornamento risaliva a meno di un’ora prima. Indugiò sull’immagine di copertina, che li ritraeva insieme durante un intervallo ai Giardini del Lussemburgo, entrambi sbracciati e con gli occhiali da sole a cavallo del naso. Ingrandì l’immagine del profilo, la più bella che aveva messo fino a quel momento. Del resto, Nicole era la più splendida delle creature che Axel avesse mai incontrato in vita sua.
    Piccola, con i capelli biondo cenere che le arrivavano fino alla vita e i brillanti occhi azzurri, sembrava appena uscita da uno dei ritratti di Le Brun. Era quel tipo di bellezza dei tempi andati, ma che riusciva ancora a incutere un fascino intramontabile in coloro che la incontravano. Sin dal primo momento in cui l’aveva vista, il primo giorno di università, Axel aveva creduto di vivere in un sogno.
    Del resto, la vita insieme a Nicole era sempre sospesa tra la realtà e l’immaginazione. Era una ragazza stravagante, appassionata di arte contemporanea e ghiotta di cibo esotico. Le piaceva indossare abiti comprati qua e là per i mercatini più sperduti di Parigi e amava viaggiare più di ogni altra cosa. Negli ultimi due anni, avevano girato insieme praticamente mezzo mondo. Se qualcuno avesse chiesto ad Axel cosa significasse per lui la felicità, lui avrebbe risposto senza esitazione che si chiamava Nicole Leguay.
    A pensarci bene, la ragazza somigliava un po’ a Maria Antonietta: quell’incarnato roseo e perfetto, i grandi occhi azzurri, il collo di cigno e il naso leggermente aquilino…Il ragazzo trasalì, chiudendo di scatto la finestra di Google Chrome. Di colpo, l’intera serata gli era passata davanti come una pellicola cinematografica mandata al massimo della velocità. Rivide la ragazza bionda che si accasciava a terra, lo spavento nei suoi occhi, il modo ostinato e disperato con cui affermava di essere Maria Antonietta d’Asburgo.
    Certo che a volte la gente è proprio strana, pensò provando un improvviso senso di disagio, seguito immediatamente da un fastidioso moto di vertigine.
    Era come se ci fosse qualcosa che non quadrava in quella storia. Certo, ciò che andava affermando quella povera ragazza era completamente folle, tuttavia Axel non riusciva a convincersi che fosse completamente fuori di testa. Non puzzava di alcool, né presentava i sintomi di chi si è appena fatto una canna. Avrebbe potuto soffrire di qualche forma di schizofrenia, oppure…
    Senza starci neanche a pensare, il ragazzo digitò il nome Maria Antonietta d’Asburgo su una nuova finestra di Google Chrome. Dopo pochissimi istanti di ricerca, sullo schermo del portatile comparve una vasta galleria di dipinti che raffiguravano la sfortunata regina. Con un brivido, Axel notò che in fondo la ragazza che avevano trovato quella sera le assomigliava in maniera impressionante, soprattutto nelle immagini che risalivano ai primi anni in Francia.
    Il pensiero folle che gli attraversò il cervello in quel momento venne troncato dalla vibrazione intermittente del suo cellulare. Il ragazzo caracollò fino alla giacca e lo estrasse. Chi mai poteva essere a quell’ora di notte?
    Oscar?!, pensò il ragazzo leggendo il nome sul display.
    –Pronto?
    –Axel, sei ancora sveglio?
    –Sì, perché?
    –Ho bisogno di sentire il tuo freddo parere scientifico prima di prendere provvedimenti. Riguarda la ragazza del locale.


N.d.A

Nicole Leguay è l'omonima di una giovane realmente esistita che fu impiegata come sosia di Maria Antonietta nel famigerato affare della collana.


Buonasera a tutti!
Innanzitututto devo ringraziarvi come sempre per l'entusiasmo con cui state seguendo questa mia piccola follia: davvero non me lo aspettavo!
Spero che anche questo capitolo, seppur di passaggio, vi abbia incuriositi. Riusciranno i nostri protagonisti a credere a Maria Antonietta? E come andrà a finire con Fersen?
Come avrete potuto notare, mi sono un po' divertita a giocare con gli ominimi, creando un bel po' di confusione...spero che il risultato non sia una pacchianata in stile contessa Du Barry! :P

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook, da dove potrete seguire in tempo reale tutti gli aggiornamenti: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Alla prossima puntata! :)
Baci

F.




   
 

 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***




CAPITOLO 8
                     






 
Axel rimase in silenzio per qualche istante, desiderando con tutto se stesso di aver capito male.
Quella serata da incubo sembrava non avere mai fine.
“Dove sei?”, chiese a un certo punto.
“A casa mia”, rispose Oscar a bassa voce. “La ragazza è di là che dorme”.
“Che cosa è successo? Non l’avevi riaccompagnata a casa?”.
“Sono stata una stupida! Insomma, arriva una che farnetica di essere Maria Antonietta e di abitare a Versailles e io mi sono pure offerta di accompagnarla a casa!”.
“Non è accaduto quello che penso, vero?”.
“Non appena è scesa dalla macchina, si è fiondata subito addosso al cancello della reggia e ha tentato di forzarlo. Per poco una guardia notturna non ci arresta”.
“Porca miseria”.
“Lei ha fatto una scenata isterica che non ti dico e poi, mentre tornavamo in macchina, si è addormentata. Ho dovuto portarla a braccia fino in camera mia. Per fortuna è piccola e mingherlina, altrimenti non so come avrei fatto”.
“Quella ragazza sta davvero male, Oscar. Dovresti portarla all’ospedale”.
“Ѐ quello che ho pensato anch’io, solo che…”, Oscar restò in silenzio per qualche istante, come se stesse cercando le parole giuste. “C’è qualcosa in lei che mi dà l’idea che non sia completamente matta”.
“Che vuoi dire?”.
“Il modo in cui si comporta o come parla. Il fatto che il suo sentimento di paura sia così autentico. Insomma, è come se non avesse mai visto davvero il mondo di oggi”.
“Credo che ti sia fatta suggestionare”.
“Non credo, Axel. Conosci il mio livello di razionalità”.
“Cosa pensi di fare, allora?”.
“Volevo sentire il tuo parere, prima di portarla da un medico. Tu hai passato un anno intero tra l’archivio di Stato e Versailles e conosci la famiglia reale di Francia forse meglio dei tuoi stessi professori. Ci sarà qualcosa, un’informazione o una caratteristica che solo la vera Maria Antonietta può avere”.
“Mi stai dicendo che le credi?”, esclamò Axel sbalordito.
“Non correre troppo con le conclusioni. Voglio solo prendermi uno scrupolo, tutto qui. Sempre se sei d’accordo”.
Axel restò in silenzio, scostandosi una ciocca di capelli chiari che gli era scivolata davanti agli occhi.
Sin dal primo istante in cui aveva visto la ragazza, una fastidiosa pulce nell’orecchio non aveva mai cessato di tormentarlo.
Ora che anche Oscar stava giungendo alle stesse conclusioni, il dubbio si stava trasformando rapidamente in certezza, per quanto potesse essere assurda.
“Devo fare delle ricerche”, disse a un certo punto. “Ci possiamo risentire domattina?”.
“Va bene”, rispose Oscar.
“Non farla uscire di casa. E, soprattutto, non buttare nulla di quello che ha con sé”.
“Sarà fatto. Aspetto tue notizie, allora!”.
“Va bene, Oscar. Buonanotte”.
“’notte”.
Clic!
Axel restò imbambolato con il cellulare in mano, fissando lo schermo del computer con la vista che gli si appannava per il sonno.
Cercò per l’ennesima volta un’immagine di Maria Antonietta all’età di quindici anni, subendo nuovamente la terribile ondata di dubbi che lo stava tormentando ormai da ore.
La somiglianza con la ragazza del locale era sbalorditiva.
Era come averla di nuovo davanti agli occhi, sconvolta e spaventata.
Lottando contro le palpebre che si facevano sempre più pesanti, Axel digitò con la tastiera Maria Antonietta festa Madame Du Barry.
Aspettò qualche secondo, prendendo a sorseggiare la camomilla ormai tiepida mentre la pagina si caricava.
Un attimo dopo, il giovane fece un salto spettacolare sulla sedia, rovesciandosi addosso l’intero contenuto della tazza.
Sullo schermo campeggiava lo stesso identico abito rosso indossato dalla ragazza quella sera.
Sotto, un’iscrizione recitava innocentemente: Manifattura parigina, abito indossato da Maria Antonietta nel 1771.
 
***
 
Un leggero spiraglio di luce si fece largo tra le palpebre socchiuse di Maria Antonietta. L’arciduchessa si rigirò tra le lenzuola con un mugugno, stringendo il cuscino a sé come per proteggersi.
    –Ancora cinque minuti! – borbottò, aspettandosi di sentire la voce petulante della contessa di Noailles da un momento all’altro, ma ciò non accadde.
    Sbalordita, Maria Antonietta si costrinse ad aprire un occhio; poi l’altro. Per poco non cacciò un urlo. Quella non era la sua ricchissima camera di Versailles, tantomeno quella di Vienna. Non c’era traccia del suo seguito o dell’odiosa contessa di Noailles. Si trovava in una piccola stanza dalle pareti spoglie, con il pavimento ingombro di scatoloni pieni di oggetti. Aveva dormito in un letto semplice, privo di baldacchino, con le lenzuola che profumavano di pulito. L’unica nota di colore era il suo vestito rosso abbandonato su una tozza poltroncina di pelle.
    Calma, Antoine, calma, si disse la giovane cercando di controllare la testa che le girava. Evidentemente stai ancora sognando.
    In quel momento, la porta si aprì, rivelando il volto pallido e scarmigliato di Oscar. Due aloni violacei si aprivano al disotto degli occhi azzurri, come se la ragazza non avesse chiuso occhio per tutta la notte.
   –Ti sei svegliata, finalmente – disse accennando a un sorriso.
   –Dove mi trovo? – chiese Maria Antonietta in preda al panico.
   –A casa mia – rispose Oscar indicando le pareti. – Perdonami il disordine: ho appena traslocato.
   –Non capisco! Ieri sera ero a Versailles…
   L’altra levò gli occhi al cielo con fare sconsolato.
   –Ti ho dovuta portare di peso, dopo che hai tentato di forzare l’entrata della reggia e aggredito una guardia notturna – spiegò.
    –Ma io abito al castello!
    –Non è possibile. Nessuno vive più lì dentro da secoli. È diventato un museo.
    Maria Antonietta tacque all’istante, come se fosse stata colpita da uno schiaffo.
    –Come sarebbe a dire un museo? Quando è successo? Come è successo?
    Oscar sospirò.
    –Ti spiegherò tutto più tardi, quando arriverà Axel. Sta facendo delle ricerche per aiutarti.
    Ripensando al bel giovane che le aveva prestato soccorso la sera prima, l’arciduchessa si sentì avvampare.
    −Quindi mi credete? – domandò in tono speranzoso.
    −Non voglio espormi troppo presto. Certo, dal modo in cui ti comporti potresti essere benissimo Maria Antonietta, solo che l’averla qui davanti a me è una cosa troppo assurda per essere vera, capisci? Insomma, prova a metterti nei miei panni: come reagiresti se un giorno ti comparisse davanti un tizio che afferma di essere Carlo Magno?
    Maria Antonietta chinò il capo con fare comprensivo. – Se solo potessi provarvi la verità…
    −Per questo ho chiamato Axel: lui conosce te e la tua storia meglio di chiunque altro. Sono certa che insieme troverete una soluzione.
    −È molto generoso, il vostro amico.
    −Lo so, fin troppo – Oscar distolse lo sguardo per un attimo, come per scacciare un cupo pensiero che le aveva attraversato la mente in quel momento. – Allora, che ne dici di alzarti e venire a fare colazione?
    −Va bene.
    Maria Antonietta scivolò fuori dalle coperte, restando a piedi nudi sulla moquette in attesa che Oscar si occupasse di lei come avveniva a corte. Solo in quel momento, l’arciduchessa si rese conto di indossare una tuta da ginnastica grigia. Nel vedersi in abiti maschili, provò istintivamente un senso di vergogna.
    −Ecco qua – disse Oscar deponendo ai piedi del letto un paio di jeans e una maglietta a maniche lunghe. −  Spero che ti vadano bene.
    −Ma sono da uomo! – osservò Maria Antonietta inorridendo.
    −Nel XXI secolo ci si veste così – replicò l’altra con un’alzata di spalle.
    In tutta risposta, l’arciduchessa rimase completamente imbambolata di fronte ai vestiti abbandonati sul letto. All’ennesima occhiata interrogativa e leggermente spazientita di Oscar, si sentì costretta ad abbandonare l’0rgoglio e a manifestare il problema.
    −Non so vestirmi da sola – disse tutto d’un fiato.
    −Prego?!
    −A Versailles non posso toccare nulla che mi appartenga. Ci pensano i miei servitori a lavarmi e vestirmi tutte le mattine.
    −Ah.
    −Però vi assicuro che è una cosa che io non sopporto. Vi lascio immaginare cosa provo ogni mattina, nuda davanti a una folla di sconosciuti. Mi sento trattata alla stregua di una bambola.
    In tutta risposta, Oscar le rivolse un largo sorriso carico di solidarietà.
    −Axel mi ha parlato di una cosa del genere – disse. – Io credo  che impazzirei a vivere così! Comunque, stai tranquilla: in questa casa non ci sono servitori e nessuno ti vedrà andare in giro nuda come se fossi un fenomeno da baraccone.
    −Vi ringrazio infinitamente per la vostra comprensione, Madamigella Oscar. Ecco, visto che non conosco i costumi di quest’epoca, avrei solo bisogno che mi aiutiate per questa volta. Prometto che da domani farò tutto da sola, a meno che non riesca a tornare a casa.
    −Non ti preoccupare – la rassicurò l’altra.
    Con la massima pazienza, Oscar l’aiutò a liberarsi della tuta e a infilarsi gli abiti puliti, spiegandole ciascun passaggio. Maria Antonietta ascoltava in silenzio, memorizzando ogni suo singolo gesto. Alla fine, la ragazza le pettinò i lunghi capelli biondi e glieli legò in una lunga coda vaporosa.
    −Ecco, adesso sembri proprio una ragazza della mia epoca – disse Oscar non appena fu pronta.
    Maria Antonietta non rispose. Continuava a fissare il suo riflesso nello specchio nascosto nell’anta dell’armadio, le labbra strette tra i denti. Aveva gli occhi lucidi, come se stesse per mettersi a piangere da un momento all’altro. A un cenno di Oscar, l’arciduchessa la seguì in cucina.
    −Cosa mangi di solito a colazione? – domandò la ragazza aprendo la credenza.
    −Non tanto, a dire il vero. Mi accontento di un bicchiere di latte – rispose lei sul vago.
    −Ma è da ieri sera che non mangi! Non vuoi assaggiare nemmeno una brioche?
    −Non ho fame.
    −Come vuoi.
    Oscar mise a scaldare un bricco di latte assieme alla caffettiera che aveva già preparato per lei. In pochi minuti, la colazione fu pronta e servita a tavola.
    −Puoi bere, se vuoi – disse la ragazza a un certo punto, notando che l’arciduchessa non aveva nemmeno toccato la sua tazza.
    −Perdonatemi, di solito a Versailles devo aspettare che finisca di mangiare mio marito, prima di servirmi a mia volta – si scusò lei.
    −Ma qui sei a casa mia e si può mangiare quanto e come si vuole, senza stare a sentire le stupide regole del galateo! – rispose Oscar ridendo.
    −Che strano mondo, quello in cui vivete. Non esistono né gerarchie né privilegi. Vi trattate tutti alla pari, come se foste uguali, senza alcuna distinzione di classe – osservò Maria Antonietta prendendo a sorseggiare il suo latte.
    −Non è esattamente così. Le distinzioni di classe ci sono eccome, solo che negli ultimi secoli certi aspetti si sono un tantino ammorbiditi. Diciamo che le cose sono un po’ migliorate, rispetto al Settecento. La vita è più lunga e più agiata, questo sì. E anche i rapporti interpersonali sono più tranquilli.
    −Mi domando come si sia potuti arrivare a questo. Insomma, mi piace!
    −Biscotto al cioccolato? – si affrettò a cambiare argomento Oscar, porgendole una confezione dai colori sgargianti.
    Se questa è la vera Maria Antonietta, meglio che non faccia troppe domande a riguardo, pensò inorridendo.
    −Ma sì, giusto uno – disse nel mentre l’altra, afferrando un biscotto e cacciandoselo in bocca. – Dicevo, mi piace molto la vostra epoca.
    −Ha dei lati positivi e negativi, come tutte – rispose Oscar.
    −Anche le donne sono più libere di un tempo. Insomma, vedo che voi vivete da sola e lavorate come maestra senza che nessuno vi reputi una cattiva persona. E per di più non siete vincolata dal matrimonio.
    −Per fortuna, nella mia epoca sposarsi e avere figli non rientra più tra le priorità.
    −Però così non avete più tempo per l’amore.
    −L’amore è diverso dal matrimonio. Ci si può amare anche senza essere sposati.
    −Ai miei tempi era uno scandalo.
    −Allora sono doppiamente contenta di essere nata adesso.
    −Quanti anni avete, Oscar?
    −Venti.
    −Sembrate molto più giovane.
    −Davvero? Grazie! E tu?
    −Quindici.
    −Sembri più grande.
    −Davvero? Mi lusingate: a palazzo dicono tutti che sono molto infantile.
    −Allora dovresti presentargli qualche adolescente di oggi. Credo che impazzirebbero.
    Maria Antonietta si lasciò sfuggire una risata.
    −Certo che sposarsi a quindici anni deve essere atroce – osservò Oscar posando sul tavolo la tazzina vuota.
    −Io non ho neanche visto mio marito prima del matrimonio – rispose l’arciduchessa. – Vivendo in due Paesi diversi, non si è potuto fare altrimenti. Alla cerimonia di fidanzamento, Luigi è stato sostituito da mio fratello.
    −Roba da matti! Certo che ancora oggi può capitare che le famiglie cerchino di combinare i matrimoni, ma per fortuna uno può sempre girare i tacchi e dire di no.
    −A voi è successo?
    −Oh, sì! Era la festa dei miei diciotto anni. Mia madre ha provato a farmi fidanzare con il figlio di un amico di famiglia, un imprenditore pieno di soldi. Un ragazzetto carino, per carità, ma era un deficiente come ne girano pochi! Io ho cominciato a uscirci così, per curiosità, ma quando alla terza sera lui si è messo in ginocchio nel bel mezzo del ristorante giapponese per chiedermi di diventare la sua donna…be’, caro mio, mi ha fatto piacere, ma tra noi non può funzionare!
    −E cosa avete fatto? – domandò Maria Antonietta sgranando gli occhi.
    −Cosa potevo fare? Me ne sono andata, lasciandolo lì come un salame – rispose Oscar ridendo a quel ricordo. – Certo, i miei genitori mi hanno tenuto il muso per una settimana, ma non potevano pretendere che sprecassi la mia vita con uno come lui.
    −I vostri genitori sono persone importanti?
    −Diciamo che sono nobile di nascita. Però io ho deciso di intraprendere una strada diversa. Oggi mi è concesso.
    −Vi stimo, Oscar – commentò Maria Antonietta con lo sguardo carico di ammirazione.
    Man mano che i minuti passavano, l’arciduchessa si rendeva conto che l’essere capitati in quel mondo al contrario non era stata poi una così grande disgrazia. In fondo, non aveva forse desiderato ardentemente di fuggire dalla prigione dorata in cui era stata rinchiusa per mesi?
 
***
 
Erano anni che Axel non andava più a casa di Oscar.
L’ultima volta era stato quando la ragazza viveva ancora nella villa dei genitori, a pochi passi dalla reggia di Versailles.
Appassionato di storia sin da piccolo, l’allora adolescente Axel era rimasto letteralmente incantato di fronte al piccolo museo in cui viveva la sua amica e compagna di scuola: non vi era infatti stanza priva di stampe, arazzi, dipinti e sculture provenienti dalle più illustri scuole d’arte europee tra il Rinascimento e il primo Ottocento.
Nei lunghi pomeriggi trascorsi a studiare insieme, il ragazzo non faceva altro che esplorare la villa da cima a fondo, alla scoperta dei tesori nascosti al suo interno.
Per poche ore al giorno, gli sembrava davvero di essere uno dei reali di Francia di cui era tanto appassionato.
La sua amicizia con Oscar si era purtroppo incrinata durante gli ultimi anni di liceo, quando la ragazza aveva iniziato a mostrare un certo interesse verso di lui.
All’inizio, Axel non si era sentito di ferirla e aveva continuato a fare finta di niente, fino a quando non era saltata fuori Nicole.
Da allora, non c’era stato giorno in cui non litigassero.
Oscar diventava sempre più gelosa e possessiva e per un periodo aveva rinunciato persino alla scherma.
Alla fine, dopo che la situazione era diventata intollerabile per entrambi, i due avevano deciso di tagliare definitivamente i rapporti.
Solo dopo un tempo lunghissimo, quando Oscar aveva finalmente metabolizzato i sentimenti non corrisposti di Axel, il giovane aveva potuto finalmente tornare a rivolgerle la parola come se niente fosse accaduto.
In fondo, si conoscevano da anni e la loro amicizia non poteva naufragare in quel modo.
D’altro canto, Axel sapeva perfettamente che quella testona di Oscar non sarebbe rimasta sola a lungo, a meno che non avesse continuato a ignorare i sentimenti che André, il terzo elemento del gruppo, covava verso di lei da tempo immemore.
Io mi chiedo perché quella ragazza deve sempre complicare tutto, pensò Axel mentre chiudeva la portiera della sua auto e si avviava verso il portone del palazzo in cui l’amica si era trasferita da poco.
Sapere Oscar dentro quella specie di casermone di periferia dopo averla vista circondata da ogni agio gli provocò un’involontaria fitta al cuore.
Cercò l’unico pulsante del citofono senza nome e suonò.
“Chi è?”, gracchiò la voce di Oscar pochi istanti dopo.
“Axel”, rispose lui.
“Terzo piano a destra”.
Il giovane si sfilò gli occhiali da sole ed entrò nel pianerottolo semibuio.
Subito venne investito da un potente odore di vecchiume e varecchina appena passata sui pavimenti.
Evitò con cura il vecchio ascensore scassato e salì rapidamente le scale fino ad arrivare a destinazione.
Oscar lo stava aspettando sul pianerottolo.
“Ciao”, lo salutò stampandogli due baci sulle guance.
“Lei dov’è?”, domandò Axel.
“In cucina. Per ora, sta reagendo bene. Trovato qualcosa?”.
“Dopo pranzo. Hai un computer a portata di mano?”.
“Tutto quello che vuoi”.
I due fecero ingresso in cucina, dove li attendeva Maria Antonietta, compostamente seduta a tavola.
Non appena l’arciduchessa vide Axel entrare nella piccola stanza, i suoi grandi occhi azzurri furono percorsi da un bagliore, mentre il cuore prendeva a martellarle furiosamente contro le costole.
“Buongiorno, signor Fersen”, lo salutò levandosi in piedi e accennando a un inchino.
“È un piacere rivederti, Madame”, rispose lui sfiorandole d’istinto il palmo della mano con le labbra.
Subito, l’intera stanza parve raggelarsi.
Resosi conto di quello che aveva appena fatto, Axel levò il capo di scatto, incontrando gli occhi sgranati di Maria Antonietta, le cui guance avevano di colpo assunto una tonalità scarlatta.
Vergognandosi come un cane, il giovane abbassò d’istinto lo sguardo sulle piastrelle del pavimento.
“Questa gliela dico, a Nicole!”, scherzò Oscar in tono malizioso. “Avanti, perché non vi sedete? Oggi si cucina all’italiana!”.
Axel e Maria Antonietta si accomodarono ai due estremi del tavolo, entrambi troppo imbarazzati per parlare.
Oscar li raggiunse reggendo in mano un’enorme pentola ricolma di spaghetti al ragù, una specialità che aveva appreso a casa di André, dal momento che suo padre era di origini piemontesi.
“Sicura di non aver mai visto Axel in giro per Versailles, Marie?”, domandò Oscar sedendosi accanto a lei.
“No. Non l’ho mai sentito nominare prima di ieri sera”, rispose lei, di colpo concentrata sul suo piatto.
“Strano, perché è omonimo del conte Axel Von Fersen, noto come l’amante di Maria Antonietta”, proseguì l’altra implacabile.
A quelle parole, per poco Axel non si soffocò con uno spaghetto, mentre Maria Antonietta fece letteralmente un balzo sulla sedia.
“Che cosa dite?!”, esclamò la ragazza in preda al panico. “No, non è possibile! Vi posso assicurare che io ho ricevuto un’educazione cattolica inflessibile! Non tradirei mai Luigi, mai!”.
“Forse ora, ma cosa accadrà col tempo? Le cronache parlano di un grande amore…”.
“Possiamo cambiare argomento, per favore?”, intervenne Axel pulendosi la bocca con un tovagliolo.
Oscar gli lanciò un’occhiata velenosa.
Nonostante si fossero riappacificati da tempo, la ragazza non riusciva a trattenersi dall’impulso di stuzzicarlo ogni volta che le si presentava l’occasione.
“Non volete sapere che cosa ho scoperto?”, chiese il giovane, che negli ultimi istanti aveva assunto un preoccupante color terriccio.
“Dicci quello che sai”, rispose Oscar.
Suo malgrado, Maria Antonietta si protese verso di lui, avida di sapere come e quando sarebbe potuta ritornare a casa.
“Ieri notte ho fatto delle ricerche su Internet e ho scoperto delle cose interessanti. Innanzitutto il vestito. A meno che non si tratti di una copia ben congegnata, l’abito rosso di ieri sera è identico a uno conservato proprio nel Dipartimento di Storia della mia università, creato apposta per una festa in onore della contessa Du Barry”, spiegò Fersen.
“Non è una prova sufficiente”, intervenne Oscar. “Ci vorrebbe qualcosa di più incisivo, che solo la vera Maria Antonietta può avere”.
“Solo una cosa può provare che questa ragazza sia la vera Maria Antonietta d’Asburgo”, rispose Axel, fissando l’arciduchessa dritta negli occhi. “Mi servono solo un foglio di carta e una penna a gel. E un computer con una connessione a Internet”.
Senza battere ciglio, Oscar scattò fuori dalla stanza, rientrando con tutto il necessario tra le braccia.
“Bene, Marie”, disse Axel porgendole il foglio e la penna. “Potresti farci la tua firma?”.
“La mia firma?”, domandò lei perplessa.
“Ma certo! Come ho fatto a non pensarci?”, esclamò Oscar battendosi la fronte con la mano.
“Nessuno, nemmeno il falsario più esperto, è mai riuscito a riprodurre l’inimitabile firma di Maria Antonietta. Questa è la prova che dici la verità, per quanto assurda possa essere”.
L’arciduchessa deglutì, tremando da capo a piedi; poi, con estrema lentezza, prese la penna che Axel le porgeva e l’abbassò sul foglio.
Nel mentre, il giovane accese il computer.
La ragazza prese a scrivere lentamente con tratti spessi e incerti, la lingua tra i denti.
Nonostante avesse ormai quindici anni, la sua reticenza agli studi le pesava ora più che mai.
Se solo avesse imparato a leggere e scrivere come si deve, invece di sgattaiolare sempre via dalla sua istitutrice a Vienna, forse in quel momento non avrebbe avuto tutti quei problemi a comporre il suo nome.
Sembrava che ogni lettera dovesse essere incisa nel marmo, invece che tracciata su un foglio.
La penna sembrava pesare come un macigno tra le sue dita sudate.
Marie…Antoine…
No, me lo sono scordato di nuovo!, pensò l’arciduchessa troppo tardi, rendendosi conto di aver scritto “Antoine” invece che “Antoinette”.
Davvero non voleva liberarsi del suo nomignolo austriaco?
Subito si precipitò a correggere, ma ormai il danno era fatto: la penna le tremò tra le mani e in men che non si dica sul foglio campeggiò un’enorme macchia di inchiostro che imbrattava le ultime tre lettere del suo nome.
“NON CI POSSO CREDERE!”, esclamò Axel esterrefatto.
“Mi dispiace, ho sbaffato anche questa volta! Sono proprio un disastro”, commentò Maria Antonietta desolata.
“Non ti preoccupare, è proprio quello che speravo che accadesse”, spiegò Axel girando lo schermo del PC verso di lei.
Con sommo sbalordimento di tutti, sul monitor campeggiava una firma perfettamente identica a quella che aveva appena tracciato l’arciduchessa davanti ai loro occhi, con tanto di macchia d’inchiostro che univa con maldestra complicità le ultime tre lettere del nome “Antoinette”.


 

 
N. B. La foto è tratta dal film della Coppola, ma sappiate che la la firma con la macchia esiste davvero, in quanto all'età di quindici anni Maria Antonietta non sapeva ancora scrivere bene il suo nome per intero. Eh, sì, a quell'epoca erano un po' ignoranti ;)


Salve, gente!
Spero che questo capitolo non sia stato scritto in maniera eccessivamente atroce, visto che è stata steso per intero nella sala d'aspetto di una stazione. Che volete farci, ora che l'università è ricominciata il tempo per scrivere è diventato veramente poco!

Ringrazio tutti voi per la passione con cui state seguendo questa mia piccola follia. Non immaginate neanche la gioia che si può provare nel sapere che ci sono persone che sono rimaste colpite dalla vicenda, facendola propria. In qualche modo, state restituendo a questo scritto una vita impensabile in altre circostanze. Siete fantastici!

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook per seguire tutti gli aggiornamenti. Facciamola crescere! 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A giovedì prossimo :)

F.

 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***




CAPITOLO 9
                     






 
–Non ci posso credere: sei proprio tu! Cioè… – Axel era il più sconvolto di tutti. Era più pallido che mai e non sembrava più in grado di controllare le proprie emozioni. – Perdonatemi, Maestà – disse a un certo punto, inginocchiandosi sul pavimento della cucina.
    Oscar e Maria Antonietta lo fissarono allibite. Per quanto appartenessero a epoche diverse, entrambe trovavano quella deferenza totalmente fuori posto dopo quel pranzo informale, nella più assoluta intimità.
    –Vi prego, signor Fersen, alzatevi – lo supplicò l’arciduchessa. – Sono io la vostra ospite e pertanto spetta a me adattarmi ai vostri costumi.
    Axel si rialzò da terra con tutta l’aria di chi ha appena visto un fantasma.
    –Com’è possibile un simile miracolo? – domandò incredulo.
    –Non lo so. Io mi sono semplicemente ritrovata qui – rispose Maria Antonietta.
    –Una spiegazione deve pur esserci – commentò Oscar incrociando le braccia. – Insomma, non è possibile! Va contro qualsiasi regola della fisica.
    –Non ne ho la minima idea. Credevo che i varchi spazio-temporali esistessero solo nei libri di fantascienza – osservò Axel perplesso.
    –Fantascienza o meno, qui abbiamo un problema serio e concreto – lo riportò alla realtà Oscar. – La regina di Francia è intrappolata nel nostro mondo, senza una casa, un lavoro e il becco d’un quattrino.
    –Voi posteri vi ricordate di me. Potrei chiedere ospitalità all’attuale re di Francia. Sono certa che non negherà l’asilo a una sua antenata – propose Maria Antonietta ingenuamente.
    Dall’occhiata sconsolata che si scambiarono Oscar e Axel, l’arciduchessa non poté fare a meno di rabbrividire.
    –Non ci sono più i Borbone al governo? – domandò sconsolata.
    –No, non più – si affrettò a rispondere Axel. – E non credo che l’attuale capo di Stato sia disposto a credervi.
    –State dicendo che qui non sono più nessuno? – esclamò Maria Antonietta in preda al panico.
    –Mi dispiace – rispose Oscar mettendole una mano sulla spalla. – Ma guardate il lato positivo: siete libera, adesso. Non avete più tutti i vincoli e le responsabilità di un tempo. Siete in un mondo nuovo, dove potete finalmente prendere in mano la vostra vita senza che nessuno vi obblighi a scegliere cosa fare.
    Sentendosi svenire, Maria Antonietta si aggrappò a lei con tutte le sue forze. Ogni sua parola era come una stilettata nelle costole. Il mondo che conosceva non c’era più. Erano tutti morti, centinaia di anni prima: suo marito, la contessa di Noiailles, Mercy, la Lamballe, sua madre…
    –Su, su, coraggio – cercò di farle forza Oscar battendole dei colpetti sulla spalla. – Vi posso assicurare che è meglio così. Sono certa che in questo mondo avrete una vita migliore di quella che vi si sarebbe prospettata nel Settecento.
    Per forza: almeno qui nessuno tenterà di ghigliottinarla, pensò nel mentre la ragazza.
    –Maestà, avete bisogno di riposo – soggiunse poi con inaspettata dolcezza.
    –Non chiamatemi maestà…non lo sono ancora – singhiozzò Maria Antonietta. – Chiamatemi Antoine, per favore. Solo Antoine, come facevano in Austria.
    –Va bene, Antoine. Stai tranquilla. Con noi, non ti accadrà niente di male. Promesso – mormorò Oscar abbracciandola forte.
    Maria Antonietta si strinse a lei più che poté, tremando da capo a piedi. In poche ore, tutto si era completamente rovesciato. L’ignoto le faceva più paura che mai. Ma, in fondo, rispetto all’incubo senza fine che le si era prospettato davanti nel momento in cui era arrivata a Versailles, quel mondo sconosciuto aveva qualcosa a cui non avrebbe mai più potuto rinunciare: qualcuno che le volesse davvero bene.
 
***
 
 André stava maledicendo a elevazione di potenza il giorno in cui si era iscritto a Economia.
Da quando aveva iniziato a frequentare l’università, il ragazzo non aveva più un attimo libero.
Spesso, quando si trovava sotto esame, doveva persino rinunciare al tanto atteso sabato sera in compagnia degli amici.
Il negarsi qualche ora di distrazione dopo un’intera settimana trascorsa sui libri lo faceva andare letteralmente fuori di testa.
Il rinunciare poi a una festa come quella della società sportiva dove si allenava, poi, era al disopra della sua sopportazione.
Certo, l’anno precedente tale occasione gli era costata un’espulsione dal Campionato perché qualcuno gli aveva messo in tasca una busta sospetta, ma di certo quelli del Saint Germain non potevano imbucarsi ogni volta e rovinare la vita sempre alla stessa persona, giusto?
La cosa che però gli andava meno giù non era tanto il fatto di aver rinunciato a una serata di divertimenti.
No, la cosa che faceva andare in bestia André Grandier era la consapevolezza di non essere potuto stare con lei.
Erano anni che il ragazzo si era accorto di provare dei sentimenti che andavano ben oltre un’amicizia profonda nei confronti di Oscar Jarjayes.
Peccato che la ragazza fosse già presa da un altro.
André aveva visto fin troppo bene che cosa era accaduto alla sua amicizia con Axel: i due avevano litigato selvaggiamente per un anno intero e, nonostante in quegli ultimi tempi avessero optato per una tregua politica, la tensione che si creava non appena si incontravano era innegabile.
Nulla sarebbe stato più come prima.
André non voleva correre lo stesso rischio, mettendo a nudo i suoi sentimenti.
Preferiva continuare a fare la parte dell’amico in eterno, piuttosto che perderla per sempre.
Perlomeno, lui sarebbe stato sempre un porto sicuro per lei, come era avvenuto la scorsa notte.
Oscar era di nuovo in preda a una delle sue crisi depressive dovute ad Axel, anche se in presenza dell’ex amico riusciva a dissimulare alla perfezione i suoi effettivi sentimenti.
Era convinta che il ragazzo portasse Nicole alla festa e immaginava che avrebbero trascorso il tempo avvinghiati davanti a tutti come se niente fosse.
Non appena aveva saputo che André non sarebbe potuto venire, la ragazza si era precipitata di punto in bianco a casa sua, con il volto rigato dalle lacrime.
Nonostante avesse ancora qualche centinaia di pagine da studiare, il ragazzo l’aveva accolta a braccia aperte.
L’aveva consolata, rassicurata, avevano mangiato qualcosa insieme e poi si erano anche visti un film sul divano del salotto.
André aveva scelto apposta Kill Bill di Tarantino: sapeva fin troppo bene che, in questi casi, era la miglior medicina.
Oscar era rimasta a casa sua fin quasi le dieci; poi, vista l’ora tarda, si era avviata tutta sola alla volta del Trianon, non senza averlo supplicato lungamente di accompagnarla.
André aveva avuto la tentazione di cedere, ma quella volta era davvero nei guai con lo studio e aveva dovuto anteporre a malincuore il dovere al piacere.
Inutile dire che quella mattina, svegliatosi alle undici passate, se ne era pentito amaramente.
Avrebbe potuto farla almeno una capatina, no?
Poteva restare lì un’ora o due e poi tornarsene a casa a dormire, invece di stare sveglio sui libri fino alle due di notte.
Inutile dire che per quel giorno gli fu impossibile concentrarsi: era troppo stanco e stressato per stare dietro al manuale di Economia.
Man mano che leggeva, le parole e i numeri sembravano incrociarsi tra di loro.
Aveva bisogno di una boccata d’aria.
Sconsolato, il ragazzo si vestì in fretta e uscì dall’appartamento.
Attraversò la Senna con lo sguardo vacuo, contemplando l’acqua scorrere rapida e scura sotto di lui.
Era una limpida giornata d’autunno e rare nubi bianche si rincorrevano nel cielo azzurro.
Fischiettando sovrappensiero, André si fermò davanti all’unico negozio che avrebbe visitato volentieri.
Nanny era già all’opera dietro al bancone e, con somma sorpresa del ragazzo, stava tenendo tra le mani rugose il volto paonazzo di Christine, che piangeva senza freno.
“Che cosa succede?!”, esclamò il ragazzo sbalordito.
“Lucien…ho lasciato Lucien…Quello stronzo ha un’altra!”, singhiozzò lei disperata.
“Che cosa?”.
“Sospettavo una cosa del genere già da un po’, ma non credevo potesse arrivare a tanto. Ieri sera mi aveva detto che non saremmo potuti uscire perché doveva studiare. Io mi sono appostata sotto casa sua e l’ho pedinato. Stava con una sventolona spaventosa! Io sono entrata nel locale e, quando gli ho chiesto spiegazioni, sai che ha fatto? Si è messo a ridere”.
La voce di Christine fu sommersa da una nuova ondata di lacrime.
“Su, quante storie per uno smidollato!”, esclamò Nanny in tono perentorio. “Sei giovane, ragazza mia, hai tutto il tempo per trovarne un altro. Guarda me. A vent’anni  ero già sposata, ma con un tale relitto umano che dopo un po’ ho preso e l’ho lasciato. Allora fu uno scandalo che non ti dico. Poi, però, ho incontrato tuo nonno. Mi ha corteggiata tanto, è vero, ma alla fine ci siamo sposati e sono nati la tua mamma e il papà di André. Sai quanti anni avevo, allora? Ventisette”.
“Io ventotto!”, ululò Christine, più paonazza che mai.
Per un attimo, André fu convinto che stesse per prendere fuoco.
“Oggi è diverso, fino ai trent’anni gli uomini non si svegliano. Coraggio, figliola: sono convinta che lo troverai”.
“No, no, NO!”.
“E basta con questa lagna! Guarda André. Lui è cotto di Oscar da un secolo, eppure ti sembra stia piangendo?”.
A quell’affermazione, il ragazzo lanciò uno sguardo di fuoco in direzione di sua nonna.
“Che vuoi, tu? È vero!”, fece lei afferrando l’abito che stava preparando e riprendendo a cucire l’orlo. “Che razza di cugini debosciati che hai”.
“Adesso non esagerare”, rispose André, cingendo le spalle esili di Christine con il braccio. “Perché parli al plurale?”.
“Ieri sera Louis si è ubriacato per colpa di Lucile. Non si è ancora alzato dal letto. Per poco, mamma e papà non mi uccidono per averlo lasciato solo in quel posto”, rispose la ragazza sconsolata.
“Andiamo bene! Di’ la verità, vi eravate messi d’accordo!”.
“Fai meno lo spiritoso, forever friend!”.
“Non provocare”.
“Ora basta piagnistei! Che cosa farete, quando sarete vecchi, acciaccati e vedovi?”, intervenne a quel punto Nanny con decisione.
I due ammutolirono di colpo, fissandola allibiti.
“Qui occorre agire”, proseguì la donna. “Perché oggi pomeriggio non uscite tutti insieme? È sabato, una bellissima giornata, tra l’altro. Potreste anche sentire Oscar e la nuova amica di Louis. Non è male, la ragazzina. E poi, non c’è qualche ragazzo carino della scherma che potreste presentare a Christine?”.
“Axel è fidanzato, nonna”, rispose Christine imbufalita.
“E quell’altro capellone che assomiglia al chitarrista dei Queen?”, incalzò Nanny.
André rise.
“Chi, Victor? È un donnaiolo, nonna!”, esclamò.
“Non importa. A Christine farà bene un po’ di sano corteggiamento, no?”, rispose la nonna risoluta.
“Non so se sia il caso di uscire”, rispose lei imbufalita. “In fondo, mi sono lasciata solo ieri”.
“La vita è adesso, tesoro! Se non le fai ora, queste cose, quando ti vuoi svegliare?”.
“Ma…”.
“Fatti carina e sciogliti quella coda di cavallo, mi raccomando. Li avessi io, quei soffici capelli rossi…”.
“Nonna!”.
“Allora, li chiamate o no questi vostri amici?”.
“Ma veramente…”.
In quel momento, il cellulare di André vibrò all’interno della tasca dei jeans.
Istintivamente, il ragazzo lo afferrò.
Era Oscar.
Alò?”.
“Ciao, bello! Hai da fare oggi pomeriggio?”.
Le altre stettero ad osservare con aria interrogativa il volto di André farsi letteralmente di tutti i colori.
Dopo minuti interminabili, il ragazzo riagganciò, fissando Nanny con gli occhi sbarrati.
“Io mi chiedo come fai”, commentò sbalordito.
“Ti ha chiesto di uscire, immagino”, rispose lei gongolante.
“Che ti ha detto?”, domandò Christine.
“Ci ha proposto un pomeriggio di shopping”.
“Oscar che fa shopping?!”, esclamò la ragazza incredula.
“Non sembrava tanto in lei, a dire il vero. Comunque, ha chiesto se potete venire anche tu e Louis. Ha detto che è meglio se andiamo in tanti. Temo che stia tramando qualcosa”.
“Ma…”.
All’occhiata di fuoco che le scagliò Nanny in quel momento, Christine capì che non poteva assolutamente rifiutare.
 
***
                         
Il centro commerciale era un’enorme costruzione di vetro e acciaio che si ergeva in tutta la sua mole appena fuori Parigi.
André si caricò quasi a forza i cugini in macchina e si buttò sulla provinciale, arrivando al parcheggio alle cinque in punto come stabilito.
Oscar era già arrivata.
Insieme a lei c’erano Axel e Nicole.
Subito Andrè notò che c’era qualcosa che non andava.
Non era da Nicole vestirsi in jeans e maglietta, che per di più le andavano leggermente larghi.
I pantaloni erano arrotolati all’estremità, come se fossero troppo lunghi.
Subito dopo, il ragazzo si rese conto che in realtà quei vestiti appartenevano a Oscar.
“Ti spiegheremo tutto non appena arriveranno gli altri”, precisò la ragazza notando la sua espressione.
“Ciao, André”, lo salutò Axel battendogli una pacca sulla spalla.
“Ciao, Axel. Ciao, Nic…”.
“Piacere di conoscerv…conoscerti”, si affrettò a correggersi Maria Antonietta porgendogli la mano.
“Non sei Nicole, vero?”, domandò André perplesso.
“Lei è mia cugina Antoine”, si affrettò a intervenire Oscar. “Antoine, ti presento il mio amico André”.
“Assomigli molto a Nicole, la fidanzata di Axel”, osservò lui di getto.
A quelle parole, le guance di Maria Antonietta divennero di un allarmante rosa acceso.
Alle sue spalle, Axel sembrava improvvisamente interessato a un aeroplano sospeso a qualche migliaio di metri sopra le loro teste.
“Non sapevo che avessi una cugina”, aggiunse poco dopo André rivolto a Oscar.
“Veramente non siamo parenti di primo grado. Lei è la nipote del fratello di mio zio, che vive in Austria. Ha deciso di venire a trascorrere un po’ di tempo a Parigi. Per questo la ospito io”, rispose la ragazza, cercando disperatamente di sembrare convincente.
“Diciamo che sono scappata di casa”, disse Maria Antonietta, ripassando mentalmente la spiegazione che si erano inventati prima di venire.
“E i tuoi lo sanno?”, domandò André esterrefatto.
“Ci ho parlato io ieri sera al telefono”, rispose Oscar.
“Insomma, in casa Jarjayes la guerra è sempre aperta”, commentò il ragazzo levando gli occhi al cielo.
“Non me ne parlare!”, esclamò Oscar sconsolata.
“Se tua cugina parla il tedesco, allora dovremmo presentarle Rosalie! Credo che andrebbero molto d’accordo”, osservò André.
“Ci ho pensato anch’io, sai? Infatti, sta arrivando insieme a Lucile”.
Nel sentir nominare la ragazza, Louis divenne di un allarmante color verde palude.
“Tranquillo, Lu”, lo rassicurò Oscar facendogli l’occhiolino. “Viene da sola. Pare che abbia litigato di brutto con Ibrahim, ieri sera”.
“Evvai!”, bisbigliò Christine tra i denti.
Louis non rispose, prendendo a contemplarsi i lacci delle scarpe da tennis.
“Eccoli!”, disse a un certo punto Axel, indicando qualcuno alle loro spalle.
Finalmente ritornate negli abiti della loro epoca, Rosalie e Lucile li raggiunsero a grandi passi.
“Come stai?”, chiese Lucile, andando direttamente da Louis.
“Bene, bene”, mentì lui schioccandole due rapidi baci sulle guance.
“Ragazze, vi presento mia cugina Antoine”, intervenne Oscar.
“Ciao, piacere”, si presentarono a vicenda le ragazze.
“Ma aspetta…”, intervenne Rosalie notando il suo accento. “Per caso parli il tedesco?”.
“Sì, vengo da Vienna!”, rispose Maria Antonietta con gli occhi che brillavano.
“Io da Francoforte!”.
Le due si strinsero la mano con gioia, entrambe sollevate di aver trovato qualcuno con cui parlare tranquillamente la lingua natia.
“Ci tenevo tanto che la conosceste. Sapete, lei qui non ha nessuno e penso che uscire con noi le faccia bene”, disse Oscar sorridendo.
“Oh, ne siamo più che felici!”, esclamò Rosalie.
“Visto che è scappata di casa con pochi averi, ha bisogno di comprarsi qualche effetto personale. Così, visto che dovevamo uscire, ho pensato di far venire anche voi”.
“La trovo un’ottima idea”, disse Lucile. “Quando cominciamo?”.
Oscar sorrise.
“Di qua”, disse accennando alla porta scorrevole alle loro spalle.
Gli altri la seguirono entusiasti.
L’interno del centro commerciale era un tripudio di luci e negozi gremiti di gente a passeggio.
Maria Antonietta non aveva mai visto niente di simile in tutta la sua vita.
“Ti piace?”, le chiese in quel momento Rosalie.
“Sì”, rispose l’altra estasiata.
“Sai, io non sono molto abituata a fare shopping. Sono un tipo molto spartano a cui non piace andare per negozi. Però, quando esco con gli amici, è tutta un’altra cosa…”.
Senza nemmeno rendersene conto, le due ragazze presero a chiacchierare animatamente, dimenticandosi di tutto il resto.
Nonostante venissero da due mondi e ceti sociali lontanissimi tra loro, entrambe trovarono molti punti in comune: l’amore per una vita semplice, l’allergia a qualsiasi tipo di cerimoniosità, il linguaggio schietto e diretto, il senso del dovere.
A Maria Antonietta, Rosalie piaceva un sacco.
Le ricordava un po’ sua sorella Maria Carolina, un’amica a cui confidare tutto.
Dal suo canto, Rosalie avvertiva un’enorme empatia verso Maria Antonietta.
In fondo, anche lei era stata costretta a lasciare la sua casa per vivere una vita completamente diversa da quella che aveva progettato.
Entrambe erano due straniere che avrebbero dovuto rassegnarsi a vivere in quella città enorme e caotica.
Trovare qualcuno di così simile in mezzo a centinaia di volti anonimi era come sentirsi di nuovo a casa.
“Come mai ieri sera hai fatto tutto quel macello?”, domandò Rosalie a un certo punto.
“Ero ubriaca”, mentì Maria Antonietta a malincuore. “Ero appena arrivata a Parigi ed ero sconvolta. Oscar mi aveva detto che c’era una festa in maschera e mi aveva chiesto di raggiungerla. Io, nonostante fossi stanca morta, ho affittato un vestito con i pochi soldi che avevo appresso e l’ho raggiunta. Solo che, una volta nel locale, lei non c’era. Ho iniziato a bere per ingannare al tempo. Mi dispiace che mi abbiate vista così. Non volevo farvi preoccupare”.
“L’importante è che tutto si sia risolto”, rispose Rosalie, provando un involontario senso di fastidio.
Il lasciarsi andare era uno dei modi in cui sua madre esternava al mondo intero tutto il suo vittimismo.
Una cosa che andava ben oltre la sua sopportazione.
Però, in fondo, la povera Antoine non aveva tutti i torti.
“Perché sei fuggita?”, domandò a un certo punto.
“Non ho buoni rapporti con i miei genitori. La vita a casa mia stava diventando un inferno”, rispose Maria Antonietta.
“Come ti capisco!”, esclamò Rosalie.
“Anche tu hai problemi?”.
“Ti dico solo che sono venuta a Parigi perché mia madre ha deciso di andare a convivere con uno che conosceva appena”.
“Ah”.
“Lasciamo stare”.
Maria Antonietta le rivolse un’occhiata carica di comprensione.
Rosalie le sorrise d’istinto.
“Qui vendono cose carine”, disse Christine a un certo punto, indicando la vetrina di un negozio di abbigliamento.
“Io devo vedere un attimo una tuta”, aggiunse Lucile indicando la porta accanto. “Vi dispiace se vi raggiungo tra poco?”.
“Vengo con te”, si offrì Louis.
La ragazza gli sorrise raggiante ed entrambi si avviarono verso il negozio.
“Dai, che c’è speranza!”, sussurrò André nell’0recchio di Christine.
“Speriamo bene”, rispose lei dubbiosa.
I ragazzi entrarono all’interno del negozio.
Maria Antonietta osservò gli abiti disposti lungo gli scaffali, visibilmente disorientata.
“Una piccola avvertenza”, disse Oscar facendole l’occhiolino. “Antoine è una frana nel fare shopping da sola. Ergo, consigliamola bene”.
“Ci vorrebbe Nicole”, commentò Axel.
“Ma lei ora non c’è. Perché non ci pensi tu?”, attaccò Oscar con un sorriso complice. “In fondo, conosci i suoi gusti. Potresti vestirla come lei”.
“Sì, ma…”.
“Vieni, Rosalie, andiamo a vedere se c’è qualcosa anche per te”, soggiunse l’altra, trascinando via l’amica tra gli scaffali.
Christine e André risero e si dileguarono a loro volta.
“Bastardi!”, ringhiò Axel furibondo.
“Tutto bene, Monsieur Fersen?”, domandò Maria Antonietta perplessa.
“Sì, sì”, borbottò l’altro. “Per favore, chiamatemi Axel e datemi del tu”.
“D’accordo. Lo stesso vale per te”.
Il ragazzo arrossì involontariamente.
“Cosa c’è?”, chiese l’arciduchessa.
“Niente, è che trovo strano parlare a tu per tu con la futura regina di Francia”.
“Con la passata regina di Francia. O meglio, con una che non diventerà mai regina, visto che sono confinata qui. Perciò, è meglio che mi tratti come una tua pari, Axel. Io non sono più nessuno, ormai”.
“No, non dire così”, si affrettò a rispondere lui. “Tu per me sarai sempre Maria Antonietta d’Austria”.
“Oh!”.
L’arciduchessa ebbe un moto di vertigine.
In quel momento, Axel le aveva parlato con una confidenza e una passione come mai nessuno aveva fatto prima, gli occhi che gli brillavano come due astri.
Era come se di colpo i due fossero stati legati dalla stessa essenza.
La ragazza avvertì il suo cuore palpitare, le guance bruciare.
Che cosa stava succedendo?
“Allora, vediamo un po’ cosa possiamo comprare”, aggiunse in quel momento Axel, ritornando di nuovo in sé.
Maria Antonietta lo seguì sorridendo.
Il suo cuore non aveva rallentato minimamente la sua folle corsa.
 
***
 
Nel negozio a fianco, Luois e Lucile stavano vagando tra gli scaffali colmi di scarpe da ginnastica e tute dai colori sgargianti.
“Non devi fare mai più una cosa del genere, hai capito?”, disse a un certo punto Lucile, fissando Louis dritto negli occhi. “Te ne ho già parlato tante volte. Non voglio che tu stia male per me”.
“Che ti frega? Posso decidere per me stesso? Mica sei mia madre!”, replicò lui imbronciato.
“Io ci tengo a te!”, sbottò Lucile, pentendosene subito dopo.
L’occhiata che l’amico le aveva lanciato in quel momento era fin troppo eloquente.
“Non intendevo in quel senso”, si affrettò ad aggiungere. “Voglio dire, io ti conosco da una vita. Saperti ridotto in quel modo per me…Insomma, mi fai star male, Louis!”.
“Non quanto tu fai stare male me! Non hai idea di come mi sento ogni giorno, quando ti vedo che limonare con quel deficiente. O delle vostre foto su Facebook. O dei vostri stati pieni di cuoricini”.
“Louis, per favore. Ho litigato con lui…”.
“Ne ho piene le scatole di stare sempre a sopportare. Posso almeno sfogarmi con l’alcool?”.
“Adesso non fare lo stupido…”.
“Non darmi dello stupido! O è forse questo ciò che pensi di me? Avanti, dillo!”.
“Ma…”.
Lucile era visibilmente allibita.
Non avrebbe mai creduto che Louis potesse rivolgersi a lei in quel modo.
“Sono stufo di farmi prendere per il culo da te!”, continuò a sbraitare Louis, facendo voltare un paio di commessi. “Non ce la faccio più ad andare avanti così. Prima mi inviti a uscire e poi mi tocca reggere la candela a te e quell’altro per tutto il tempo. Tutti i giorni la stessa storia: a scuola, in palestra, in giro…Ora basta! Sai che ti amo, Lucile. Anche Ibrahim se n’è accorto. Solo tu continui a fare l’egoista e a pretendere di continuare a tenere tutti e due, anche se non è possibile. Visto che ti ostini a non voler vedere come stanno le cose, allora ci penserò io. Da oggi in poi, la nostra amicizia può dirsi finita. Non voglio più saperne di te. E tornatene dal tuo Bruno Mars. Auguri e figli maschi”.
Detto questo, Louis si voltò, uscendo a grandi passi dal negozio.
“Louis! LOUIS, ASPETTA!”, lo implorò disperatamente Lucile, ma era come se il ragazzo fosse diventato sordo.
Restò immobile a fissarlo mentre spariva tra la folla, il volto rigato di lacrime.
Non riusciva a muovere un muscolo, come se fosse pietrificata.
Solo in quel momento, Lucile si accorse di aver appena perso la cosa a cui teneva di più al mondo.
 
***
 
“Già di ritorno?”, domandò Christine, vedendo il fratello entrare nel negozio con un’aria da funerale dipinta in faccia.
“Lasciamo stare”, rispose lui bruscamente.
“E Lucile?”.
“Ѐ andata a casa”.
Louis si allontanò a testa bassa, fingendo di guardare per sé un paio di jeans strappati.
“Spero che questa sia la volta in cui ci siamo tolti definitivamente quella stronza dalle palle”, mormorò Christine rivolta verso André, la voce che stillava veleno. “La prossima volta che la incontro, giuro che l’ammazzo”.
 


bUoNaSeRa a tutti! :)
Come la va? * detta alla milanese *
Sono perfettamente consapevole che l'orario degli aggiornamenti si sta facendo sempre più tardo, ma sono rientrata da poco a casa.
Che volete farci, la vita del pendolare è dura! ;)
In ogni caso, spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Ho cercato di farlo leggermente più lungo del solito, in modo tale da non lasciarvi completamente a bocca asciutta alla fine.

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete seguire tutti gli aggiornamenti in tempo reale: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra 

Ancora buona serata e a giovedì prossimo! :)

F.





 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***




CAPITOLO 10
                        






 
Axel restò a lungo nella sua auto, incapace di mettere in moto. Lanciò una rapida occhiata agli amici che si rimettevano su strada dopo il pomeriggio di shopping selvaggio, cosa che tra loro era più unica che rara. Casualmente, si era trovato più volte a fissare la nuca di Maria Antonietta mentre risaliva in macchina insieme a Oscar e Rosalie. Il suono argentino della sua risata riusciva a penetrare fin dentro l’abitacolo nonostante i finestrini abbassati e la radio accesa.
    Il giovane aspettò che gli amici si allontanassero dal parcheggio, gli occhi chiari schermati dalle lenti degli occhiali da sole, fingendo di trafficare con il cellulare. Rimasto solo, Axel si allacciò finalmente la cintura di sicurezza e infilò le chiavi nel cruscotto, ma senza avviare il motore. Restò in attesa per un tempo interminabile, le mani appoggiate sul volante. Attorno a lui, famigliole vocianti e gruppi di ragazzi scemavano verso le loro rispettive automobili, le braccia cariche di buste e l’aria stanca. In pochi minuti, molti posti della sua fila furono completamente sgombri.
    Axel attese ancora qualche minuto. Gli ronzavano le orecchie e si sentiva stranamente stanco, come se non avesse fatto altro che correre da quella mattina. In effetti, era tutto il giorno che si trovava fuori casa e per di più aveva passato la notte in bianco a trafficare su Internet. Era più che normale che si sentisse così.
    Il ragazzo sospirò. Le ultime ore sembravano durate interi anni. Troppe cose erano successe. Troppe e assurde, per di più. Mai prima d’ora la sua normale vita da studente universitario, assai frenetica ma allo stesso tempo programmata al decimo di secondo, era stata completamente stravolta nientemeno che dall’arrivo della regina Maria Antonietta. Certo, il ragazzo nutriva per quel personaggio storico una passione e un’ammirazione senza precedenti, tuttavia saperla viva e vegeta davanti a lui lo aveva profondamente turbato. In fondo, aveva sempre visto l’arciduchessa come qualcosa di appartenente al passato, un’era lontana e finita più simile a un sogno in cui rifugiarsi piuttosto che qualcosa di tremendamente reale, con cui potesse relazionarsi concretamente.
    A quel pensiero, Axel si rese conto di avere le mani sudate. La radio stava gracchiando In the shadows dei The Rasmus, una delle sue canzoni preferite, ma il ragazzo non riuscì a godersela come al solito. La luce del tramonto si infrangeva in tanti riflessi rossastri sui vetri della macchina. Era tardi, dannatamente tardi, ma il giovane non riusciva ancora a trovare il coraggio di mettere in moto la macchina e tornare a casa a riposare. Aveva come la sensazione che, una volta ripartito, tutto quello che aveva vissuto quel giorno sarebbe svanito come in un sogno.
    Certo, non poteva negare di essersi divertito, una volta superato lo shock iniziale. Maria Antonietta era una persona molto timida, ma allo stesso tempo piena di grazia e di dolcezza, decisamente lontana dalla versione frivola e un po’ stupida che avevano tramandato i suoi detrattori. Al contrario, Axel la considerava molto intelligente, con la battuta sempre pronta per dirigere la conversazione nella direzione giusta. In quella lunga giornata trascorsa insieme, non si erano mai annoiati, nonostante venissero da due mondi completamente diversi. Maria Antonietta era molto curiosa di scoprire il futuro e Axel aveva accettato di buon grado di farle da guida. Quasi gli era dispiaciuto lasciarla, nel momento in cui Oscar aveva detto che era meglio rientrare. Anzi, in quel momento il giovane avrebbe giurato che già sentiva la sua mancanza.
    A quel pensiero, Axel spense bruscamente la radio. Non poteva assolutamente pensare una cosa del genere. Lui amava Nicole, la ragazza migliore che si potesse trovare sulla faccia della Terra. La sua vita era nel XXI secolo, non nel Settecento. Senza contare che Maria Antonietta era ancora più legata sentimentalmente di lui, dal momento che aveva sposato nientemeno che il delfino di Francia e che presto sarebbe diventata l’amante fedele di uno degli uomini più affascinanti d’Europa. E poi chi gli diceva che l’arciduchessa non sarebbe tornata nel passato velocemente di come era venuta?
    Il ragazzo si prese la testa dolorante tra le mani, soffocando un gemito. Davvero credeva di impazzire. Doveva andarsene di lì prima che quei pensieri strampalati prendessero il sopravvento su di lui. Senza attendere oltre, Axel gettò gli occhiali sul sedile anteriore e mise in moto la macchina, uscendo rapidamente dal parcheggio ormai semivuoto. Si gettò sulla strada provinciale e prese a guidare come un folle, ignorando i numerosi cartelli che annunciavano la presenza di autovelox nascosti dietro i guardrail. In quel momento, nella sua testa c’era un solo pensiero: raggiungere Nicole il prima possibile.
 
***
 
Oscar sfrecciava per i boulevard di Parigi con i finestrini abbassati, lasciando che la brezza della sera le scompigliasse i riccioli biondi e ribelli. Al suo fianco, Maria Antonietta contemplava con aria assorta i sontuosi palazzi ottocenteschi che si stagliavano fino al cielo.
    −Perché mi hai lasciato tutto quel tempo da sola con il signor Fersen? – domandò a un certo punto, voltando il capo verso l’amica.
    −Pensavo che avrebbe potuto darti qualche informazione utile, essendo uno storico – rispose Oscar continuando a guardare la strada.
    −Veramente, non abbiamo parlato di niente di tutto ciò – le fece presente l’altra.
    −Ah, no? E di cosa, per esempio?
    −Mah, di come si svolgeva la mia vita a Versailles. Se è vero che mi piace Gluck e che ho conosciuto Mozart. Dal mio canto, io ne ho approfittato per rivolgergli qualche domanda sul vostro secolo.
    Oscar abbozzò un lieve sorriso sulle labbra sottili, ma non disse nulla. Maria Antonietta la scrutò con aria indagatrice.
    −Il signor Fresen mi ha detto che voi due avete litigato di recente – disse a un certo punto.
    L’amica cambiò marcia troppo bruscamente, facendo grattare sinistramente il cambio.
    −Sì, abbiamo avuto una leggera discussione per via di Nicole, ma adesso è tutto sistemato – rispose, tornando improvvisamente seria.
    −Lui mi ha detto che non vi siete parlati per molti mesi.
    −Ora è tutto finito. Davvero, roba passata.
    −Oscar, tu per me sei una grande amica, forse la migliore che abbia mai avuto. Per questo voglio affrontare con te questo argomento così scottante. So che a te Axel piace ancora. Per questo ti chiedo ancora una volta perché ci hai lasciati soli tutto il tempo, oggi pomeriggio, anche se si vedeva che ne soffrivi.
    In tutta risposta, la ragazza si lasciò sfuggire un sospiro.
    −Non lo so, Antoine – mormorò assorta. – Io mi fido di Axel, nonostante tutto, e credo che sia l’unico in grado di aiutarti davvero in questo momento.
    −Il signor Fersen è molto gentile con me. Forse troppo.
    In quel momento, Oscar inchiodò di colpo, evitando per un pelo la Micra rosso fuoco che stava attraversando l’incrocio in pieno diritto di precedenza. I due autisti si strombazzarono per un po’ con i clacson; poi ciascuno andò per la sua strada, la ragazza che si mordicchiava nervosamente il labbro inferiore.
    −Oscar, quello che sto cercando di dirti è che, qualsiasi cosa abbia in mente il signor Fresen, non è mia intenzione cedere alle sue lusinghe – proseguì Maria Antonietta risoluta, il cuore in gola per lo spavento appena avuto. – Non voglio diventare tua nemica per colpa sua e inoltre ribadisco che la mia ferrea educazione cattolica mi impedisce anche solo di pensare a una simile nefandezza.
    −Antoine, ti ricordo che il tuo futuro amante si chiamerà Axel Von Fersen.
    −Non si tratta della stessa persona! E, comunque, visto che ora so come andranno le cose, una volta tornata a casa starò attenta a non cadere in questo errore ignominioso. Nonostante siamo separati da secoli di Storia, mi sento ancora legata a Luigi.
    −Aspetta di incontrarlo. Le cronache dicono che fosse molto bello.
    −Mi stai forse tentando?
    Oscar ridacchiò.
    −Scherzavo, Antoine. In ogni caso, preferisco che Axel frequenti una persona come te, piuttosto che quella Nicole. Non so cosa avrebbe dato per conoscerti, credimi. Come amica, è tutto quello che posso augurargli: che sia felice. Con te, lo è sicuramente. Tanto, è meglio non farsi illusioni sentimentali su di lui. Quando Axel decide una cosa, è così per sempre. Anche con Nicole.
    −Sono d’accordo – asserì Maria Antonietta, anche se dentro di lei avvertì una fastidiosa sensazione di dolore che le fece incrinare impercettibilmente la voce. – In fondo, sta vivendo due secoli dopo di me.
    −Sì, solo due secoli… − commentò Oscar, di nuovo presa dalla strada.
    Con un ultimo colpo di acceleratore, la piccola utilitaria lucente svanì nella luce rosata del tramonto.
 
***
 
Nicole Leguay abitava in una piccola villetta a schiera collocata nel ricco quartiere di Saint-Germain, a pochi passi dalla palestra rivale.
Quando Axel parcheggiò febbrilmente la macchina davanti al cancello verniciato di fresco, trovò il padre della ragazza intento a falciare il prato nel giardino.
“Buonasera, Boniface”, lo salutò il giovane educatamente.
Il signor Leguay spense subito il tosaerba e gli venne incontro a braccia aperte, cordiale come sempre.
Aveva lo stesso sorriso di sua figlia.
“Mio caro ragazzo, come va?”, disse battendogli una pacca sulla spalla.
“Tutto bene, grazie. Nicole è in casa? Volevo tanto passare a salutarla, visto che in questi giorni non abbiamo potuto stare insieme”.
“È ancora in camera sua che studia. Sinceramente, sono un po’ preoccupato: oggi non ha mangiato quasi per niente”.
“Come sarebbe a dire?”, esclamò Axel allarmato.
Purtroppo, conosceva fin troppo bene l’unico difetto di Nicole, ovvero la totale incapacità di ingurgitare cibo quando si sentiva sotto stress.
“Provo a parlarle io. Di solito funziona”, disse con decisione.
“Cosa faremmo senza di te?”, fece Boniface con gli occhi colmi di riconoscenza.
“AXEL!”, esclamò in quel momento una voce acuta dalla sommità della veranda.
In quel momento, la signora Leguay si precipitò letteralmente tra le braccia del giovane, stampandogli due sonori baci sulle guance.
I capelli un tempo biondi erano ormai diventati di un bianco perlaceo, tenuti insieme da un nastro rosa acceso.
“Perché non resti a cena con noi? Nicole ne sarebbe tanto entusiasta, povera la mia bambina!”, disse la donna non appena si staccò da lui.
In quel momento, una voce subdola nascosta negli anfratti del cervello di Axel gli suggerì di declinare l’offerta, ma in tutta risposta il ragazzo proclamò un imperioso quanto entusiasta assenso.
A quel punto, la signora Leguay non poté più trattenerlo dal raggiungere la sua amata.
La camera di Nicole si trovava al primo piano, appena a sinistra delle scale.
Era una piccola stanzetta di tre metri quadrati, con una scrivania di legno chiaro addossata alla finestra, in modo tale da avere sempre luce in abbondanza e una piacevole visuale sulle chiome degli alberi del giardino.
Quando il ragazzo aprì la porta, trovò la fidanzata curva sui suoi libri, le vertebre del collo che facevano capolino tra i lunghi capelli biondi raccolti sulla nuca e il colletto della camicia.
Nel notare le sue spalle esili, il ragazzo si rese conto che era dimagrita ancora negli ultimi giorni.
“Ciao, Nicole”.
La giovane si voltò di scatto.
Io suoi grandi occhi azzurri si illuminarono nel vederlo lì davanti a lei.
In un attimo, le sue braccia si strinsero attorno al suo collo, mentre le sue labbra si immergevano in quelle del ragazzo.
Axel, di parecchi centimetri più alto di lei, abbassò il capo e la strinse a sé, affondandole le dita nel soffice mare di capelli dorati.
“Mi sei mancato tanto!”, mormorò Nicole dolcemente, accarezzandogli i lineamenti regolari del viso. “Com’è andata ieri sera? Mi dispiace di non essere potuta venire, ma mamma ci teneva così tanto a quella cena con i Dillon!”.
“Non ti preoccupare, tesoro. È stata una festa noiosa”, rispose Axel prendendola per mano e facendola sedere sul letto accanto a lui.
Improvvisamente, tutti gli avvenimenti accaduti nelle ultime ore sembrarono svanire come fumo nella sua memoria.
Nicole si accoccolò al suo fianco, abbracciandogli la vita con le braccia esili e affondando la testa contro la sua spalla.
“Amore, che cosa c’è? Ti vedo afflitta”, chiese Axel accarezzandole la schiena.
Avvertiva le costole sporgerle sotto la camicetta.
“Sei dimagrita ancora”, osservò in tono preoccupato.
In tutta risposta, Nicole mugugnò qualcosa che il ragazzo non capì.
“Mi fai preoccupare, quando fai così”, proseguì il ragazzo risoluto.
“Sono in ansia per l’esame di Storia dell’Arte Medievale”, bofonchiò lei senza nemmeno levare il capo. “È già la seconda volta che lo do. C’è troppa roba da studiare e non riesco a ricordare nulla. E poi ho paura che mi tradisci”.
“Come?!”.
Axel le prese il viso tra le mani, fissandola dritto negli occhi.
Mai in quei due anni di relazione Nicole aveva mai fatto un’osservazione simile.
“Perché dovrei fare una cosa tanto orribile?”, chiese esterrefatto.
“Non lo so. Intuizioni. Lo sai come sono fatta”, rispose la ragazza abbozzando un sorriso triste. “Chissà, magari alla festa hai conosciuto una ragazza più bella di me…”.
“Amore, che cosa mi tocca sentire! Ti sembro forse un donnaiolo?”.
“Tu sei bello, Axel. Le ragazze impazziscono quando ci sei tu. Per non parlare di quell’Oscar”.
“Ancora questa storia? Lo sai che Oscar è mia amica e poi a lei piace André Grandier, solo che quei due sono troppo testardi per mettersi insieme”.
“Non riesco a stare tranquilla ultimamente, quando sei via”.
“Sei molto stanca e sciupata, Nicole. Non puoi ridurti così per un esame. Ascolta, domani ti va se usciamo a cena, io e te? Ho scoperto un localino vicino al Louvre che ti piacerà sicuramente”.
La ragazza scoppiò in una debole risata.
“I miei ti hanno detto che ho smesso di nuovo di mangiare, non è vero?”, chiese in tono malinconico.
“Indovinato. Come ti devo spiegare che a me non piacciono le anoressiche?”, fece Axel prendendo a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
“Ma vanno di moda!”, protestò Nicole.
In tutta risposta, Axel le mordicchiò scherzosamente il labbro inferiore.
“Lo sai che io sono sempre stato contrario alla moda!”, esclamò sottovoce.
Finalmente, Nicole rise a sua volta e lo baciò con trasporto.
“Promettimi che non ti negherai più il cibo, d’accordo? Se mi ami, allora fallo per me”, disse Axel dolcemente.
“Per te, amore mio, farei questo ed altro!”.
In quel momento, dal piano di sotto la voce della signora Leguay annunciò che la cena era servita.
 
 
    

Buon pomeriggio, gente! :)
Finalmente, "a grande richiesta", abbiamo fatto la conoscenza di Nicole Leguay, rivale di Maria Antonietta. Che ne pensate? Chi avrà la meglio alla fine?

La settimana prossima affronteremo il capitolo della gara contro il Saint-Germain: preparatevi, perché sarà non privo di soprese!

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook, per vedere tutti gli aggiornamenti: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo


A prestissimo! :)

F.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***




CAPITOLO 11
                      







 
A Rosalie per poco non venne un infarto quando, alle sei di domenica mattina, fu svegliata di soprassalto dal trillo della sveglia.
Solo allora la ragazza si rese conto che in meno di un’ora doveva essere fuori casa per andare alla sua prima gara di scherma sotto il tricolore francese.
Imprecando tra i denti, Rosalie azzittì bruscamente quel congegno infernale, tendendo l’orecchio nella penombra della camera da letto.
Charlotte si rigirò nervosamente tra le coperte mugugnando qualcosa, ma non dette ulteriori cenni di vita.
Nella stanza accanto regnava il silenzio più totale.
Con un sospiro di sollievo, Rosalie scivolò fuori dal letto e si diresse in punta dei piedi in cucina, iniziando a prepararsi la colazione.
Di colpo, fu come ritornare ai vecchi tempi, quando si andava in gara con la squadra di Francoforte.
La ragazza ricordava ogni singola domenica accompagnata da levatacce, attese, risate e talvolta qualche delusione in compagnia degli amici e degli istruttori.
Finalmente, era tornata in quel mondo che avrebbe creduto di dover abbandonare per sempre.
Solo che, da quel giorno in poi, sarebbe stato tutto diverso.
Non avrebbe più avuto accanto gli amici di sempre, quelle persone con cui era letteralmente cresciuta e che avrebbe creduto di non dover abbandonare mai.
Quante volte si erano immaginati insieme per sempre, diventando tutti campioni professionisti e magari trovandosi un giorno ad accompagnare i loro figli nella stessa palestra?
Sogni vani e ingenui, destinati a svanire.
Non oggi, pensò Rosalie con rabbia, trangugiando il cibo controvoglia.
Aveva lo stomaco completamente chiuso per la tensione, come ogni volta.
Finì tutto rapidamente e tornò in camera sua furtivamente, finendosi di vestire e acciuffando il borsone; poi sgattaiolò fuori dall’appartamento come se si trattasse di una vera e propria evasione.
Fuori, il sole doveva ancora sorgere e non girava un’anima.
Rosalie si strinse nervosamente negli abiti, sperando che Oscar non tardasse.
Non le piaceva starsene lì al freddo, nel cuore della grande metropoli addormentata.
Finalmente, intravide il profilo metallizzato della macchina dell’amica fare capolino da dietro l’angolo e accostarsi al marciapiede.
Oscar era assonnata e nervosa quanto lei.
“Pronta?”, le chiese laconicamente non appena la ragazza montò in macchina.
“Ormai ci ho fatto l’abitudine”, mentì lei, le mani strette attorno allo stomaco che bruciava più che mai.
“Andrà benissimo”, la rassicurò una voce familiare dietro di lei.
“Antoine”, la salutò Rosalie con un sorriso.
Maria Antonietta le lanciò un’occhiata d’intesa.
Era accoccolata sul sedile posteriore stipato di borsoni e giacche a vento, in un modo decisamente indecoroso per il suo rango, ma lei non sembrava per nulla a disagio.
“Vieni anche tu, oggi?”, le domandò Rosalie.
 “Certamente! Sono proprio curiosa di vedere come praticate la scherma al giorno d’oggi. Oscar mi ha detto che le armi non sono pericolose”.
“Proprio così. Di certo non ci saranno combattimenti all’ultimo sangue. Con quelli del Saint-Germain ci chiariremo una volta finito tutto”, rispose Oscar ridacchiando, anche se si vedeva da un miglio che era la più tesa di tutti.
Il tragitto fino alla palestra fu lungo, ma per fortuna non incontrarono traffico.
Riuscirono persino a trovare il tempo di fermarsi a fare uno spuntino in un bar prima di arrivare alla destinazione definitiva.
“I tuoi non ti vengono a vedere?”, domandò Oscar mentre sfrecciavano nel ricco quartiere di Saint-Germain.
“Domanda retorica”, sbuffò Rosalie levando gli occhi al cielo.
L’amica non rispose, continuando a guidare.
“Eccoci nella tana del lupo”, annunciò a un certo punto, indicando una modernissima costruzione in legno e acciaio che sorgeva in mezzo a un ampio spazio verde tra le villette di inizio secolo.
Rosalie sgranò gli occhi: quella palestra era piccola, ma lussuosissima.
Sembrava costruita da poco e presentava tutti i comfort che si potessero desiderare.
“Siamo nel quartiere più ricco e snob di Parigi. Preparatevi al peggio”, le avvertì Oscar, dimenticando per un attimo di avere Maria Antonietta appollaiata sul sedile posteriore.
Rosalie si morse il labbro nervosamente, scendendo dalla macchina non appena trovarono parcheggio.
Diede una rapida occhiata agli altri atleti che stavano sopraggiungendo in quel momento.
Portavano tutti delle tute di marca e i capelli ordinatamente pettinati e (nel caso delle ragazze) raccolti in stretti chignon.
Scendevano da macchine ampie e fiammanti, scortati da genitori vestiti di tutto punto e dall’aria altezzosa.
“Li stanno accompagnando a una gara o a un matrimonio?”, domandò Rosalie in tono beffardo.
“Se non stanno attenti, oggi andranno direttamente a un funerale”, rispose Oscar a denti stretti.
Dietro di loro, Maria Antonietta continuava a seguirli, guardandosi le scarpe.
In fondo, non poteva biasimare le sue amiche: quei tipi con la puzza sotto il naso davano i nervi anche a lei.
Se poi pensava che non erano nemmeno nobili…
Pochi minuti dopo, arrivarono anche gli altri, anch’essi tesi e assonnati.
André sembrava il più agguerrito di tutti: non vedeva l’ora di dare una bella lezione a chiunque gli avesse impedito di partecipare al campionato l’anno precedente.
Oscar gli sorrise e gli batté una marziale pacca sulla spalla seguita da due sonori baci sulle guance.
Nulla a che vedere con il saluto formale e pacato che la ragazza rivolse a Victor e Axel pochi istanti dopo.
“Niente Nicole, oggi?”, gli domandò in tono da finta ingenua.
“Sta arrivando”, rispose l’altro con naturalezza.
Oscar fece finta di niente, voltandosi verso André, che non riusciva a staccarle gli occhi di dosso da quando erano arrivati.
Dal suo canto, Maria Antonietta provò un’involontaria stretta allo stomaco nell’apprendere quella notizia.
“Ci conviene andarci a cambiare e iniziare subito con il riscaldamento”, propose Oscar con determinazione.
Gli altri annuirono senza fiatare, ansiosi di buttarsi nella mischia.
L’interno della palestra era spazioso e luminosissimo, con grandi vetrate trasparenti che ricoprivano interamente le pareti e gran parte dei soffitti.
Li accolse una donna bionda di età indefinibile schierata dietro un bancone di mogano, le labbra tirate in un sorriso bianco e perfetto.
“È qui la segreteria?”, domandò Oscar.
“Certamente. Dovete iscrivervi alla gara?”, rispose l’altra in tono professionale.
La ragazza annuì, fornendo tutta la documentazione.
“Sono 80 euro in tutto”, disse la segretaria una volta compilati i moduli di iscrizione.
I ragazzi si frugarono nelle tasche, pagando quanto richiesto; poi sgusciarono finalmente negli spogliatoi.
“Aspetta qui. Torniamo subito”, disse Rosalie rivolta a Maria Antonietta prima di sparire oltre la porta verniciata di blu.
L’arciduchessa annuì timidamente, lanciando una rapida occhiata ai ragazzi che stavano sparendo nello spogliatoio maschile; poi si sedette su una panchina posta all’ingresso, aspettando con impazienza che gli amici si cambiassero.
Il sole iniziava ad alzarsi e la temperatura all’interno della palestra era insopportabilmente calda.
Ben presto, Maria Antonietta si vide costretta a liberarsi della felpa e a legarsi i lunghi capelli biondi in una coda di cavallo dopo esserseli ravvivati con la mano.
Man mano che i minuti passavano, la sua impazienza e il suo nervosismo crescevano a dismisura.
Non le piaceva starsene lì da sola, in un posto che non conosceva.
Era sempre stata abituata a essere circondata da persone che non la lasciavano neppure per un attimo, pronte a correre in suo aiuto alla minima necessità.
Tutto ciò le dava un’insopportabile sensazione di vulnerabilità.
Chiunque in quel momento avrebbe potuto farle del male, se solo lo avesse voluto.
Un improvviso rumore di passi alle sue spalle la fece trasalire come se l’avessero punta.
Maria Antonietta voltò la testa di scatto, salvo ritrovarsi con le labbra immerse in quelle di Axel.
La ragazza lanciò un grido soffocato e si divincolò come una furia dalla sua presa, il volto paonazzo per la vergogna.
Il giovane si bloccò lì dov’era, gli occhi chiari sgranati in un’espressione di pura sorpresa.
“Oh, mio Dio, che cosa ho fatto?”, esclamò costernato. “Giuro, non volevo! Credevo fossi Nicole!”.
“Non inventare storie con me! Lo sai che sono una donna sposata!”, squittì Maria Antonietta sconvolta.
“Per favore, Antoine, non l’ho fatto apposta. Perdonami, se puoi”.
L’arciduchessa fece per rispondere, quando improvvisamente la porta d’ingresso si aprì, rivelando un’esile e malinconica figuretta bionda che avanzava timidamente verso di loro.
Sia Axel che Maria Antonietta sbiancarono come se avessero appena visto un fantasma.
Ora che si trovavano una di fronte all’altra, la straordinaria somiglianza tra Nicole Leguay e Maria Antonietta faceva quasi spavento.
“Ci conosciamo?”, domandò Nicole sospettosa, squadrando la ragazza da capo a piedi.
“Amore, ti presento Antoine Lorraine, la cugina di Oscar”, intervenne prontamente Axel.
Nell’udire il nome della sua rivale storica, gli occhi della giovane si strinsero fino a diventare due fessure, squadrando l’arciduchessa da capo a piedi.
“Ah”, fece a mezza voce. “E da quanto tempo sei qui a Parigi, Antoine?”.
“Una settimana, quasi”, rispose Maria Antonietta a disagio.
Con suo sommo orrore, notò che la mano di Nicole era prontamente scattata attorno al fianco di Axel e che questi la stava stringendo istintivamente a sé, anche se il suo sguardo vagava nel vuoto come se fosse in trance.
“Ti trovi bene?”, proseguì la ragazza implacabile.
“Sì, credo che mi fermerò per un bel po’”.
“Ne sono contenta”, Nicole le rivolse un sorriso perfetto quanto falso. “Per qualsiasi cosa, conta pure su di me. Sono certa che diventeremo ottime amiche”.
Contaci, pensò Maria Antonietta con rabbia. Se solo sapessi chi sono io…
“Allora, sei pronto per questa gara?”, proseguì l’altra rivolgendosi ad Axel.
“Sì, sono solo un po’ nervoso”, rispose lui come se si stesse riscuotendo da un lungo sonno.
“Andrà tutto benissimo”, fece Nicole schioccandogli un bacio sulle labbra, le stesse labbra che fino a un attimo prima erano state immerse in quelle di Maria Antonietta.
Probabilmente erano ancora calde dopo quel piccolo atto adulterino.
A quel pensiero, l’arciduchessa si sentì torcere le budella per la rabbia e la frustrazione.
Vedendo che ormai Axel era completamente affogato nelle braccia di quell’arpia malaticcia, la ragazza girò i tacchi e si precipitò nello spogliatoio femminile.
Era come se avesse un fuoco dentro di sé che le divorava le viscere.
Avrebbe tanto voluto spaccare tutto.
Non appena fece irruzione nello spogliatoio, per poco non andò a sbattere contro Rosalie, che aveva già indossato la tuta.
“Ehi, tutto bene?”, chiese non appena notò la sua aria sconvolta.
L’arciduchessa scosse il capo, incapace di spiccicare parola.
Si notava a pelle che se solo avesse fiatato sarebbe esplosa come una bomba.
Per fortuna, Rosalie riuscì a notare il pericolo appena in tempo.
“Ti va di fare quattro passi?”, le domandò tempestivamente.
Maria Antonietta annuì.
Una volta fuori dall’ingresso della palestra, Rosalie le chiese con calma:
“Cos’è successo?”.
L’arciduchessa scosse il capo, mordendosi le labbra.
“Non vuoi dirmelo?”.
L’altra fece un cenno di assenso.
“Axel mi ha baciata”, buttò lì Maria Antonietta.
“Cosa?”.
“Mi dispiace!”, esclamò l’arciduchessa coprendosi il volto con le mani per la vergogna. “Ha fatto tutto da solo. Dice che mi ha scambiata per Nicole!”.
“Si può essere così stupidi?”, esclamò Rosalie esterrefatta. “Che razza di deficiente!”.
“Non voglio più vedere quel disgraziato. E pensare che lo credevo mio amico…”, gli occhi celesti di Maria Antonietta si riempirono di lacrime a vista d’occhio.
L’altra la abbracciò d’istinto, tentando di farle forza.
“Gli uomini sono una gran massa di idioti. Non dimenticarlo mai. Ti rovinano e basta”.
“Anche tu hai avuto il mio stesso problema?”.
“No, ma ho imparato guardando mia madre”.
Maria Antonietta tirò su col naso.
“Lui ti piace?”, domandò Rosalie bruscamente.
“Chi, Axel?”.
L’arciduchessa non rispose, anche se dai suoi occhi si vedeva fin troppo chiaramente cosa le stava passando per la testa.
“Lo immaginavo”, sbuffò Rosalie.
“Non potrà mai funzionare. Io non posso, sono sposata. Solo che non avrei mai creduto di sentirmi così nel momento in cui è arrivata la sua fidanzata”.
“Spero che abbia perlomeno avuto la decenza di non baciarti davanti a Nicole”.
“No, per fortuna lei è arrivata dopo. È una donna spregevole”.
“Chissà perché mi dicono tutti la stessa cosa sul suo conto”, sogghignò Rosalie alzando gli occhi al cielo.
“Ti prego, non dirlo a Oscar!”.
“Tranquilla, Antoine. Con me, il segreto mi accompagnerà fino nella tomba”.
Maria Antonietta le lanciò un sorriso carico di riconoscenza.
Rosalie le sorrise a sua volta, stringendola in una forte abbraccio.
Nonostante fosse nientemeno che la regina di Francia, la ragazza continuava a vedere  l’amica come un’adolescente spaventata e arrabbiata proprio come lei.
“Non piangere per una persona che non ti merita”, disse Rosalie non appena sciolsero l’abbraccio. “Fidati, è tutta energia sprecata”.
“Possibile che non ti sei mai trovata nella mia situazione? Insomma, ormai sei una donna”, osservò Maria Antonietta asciugandosi il volto paonazzo.
L’altra fece le spallucce.
“Grazie al cielo, ho un cuore duro”, rispose in tono spavaldo.
Entrambe scoppiarono a ridere, ben sapendo che questa era la più grossa sciocchezza che la ragazza avesse mai sparato in vita sua.
 
***
 
 
Verso le otto, le gare incominciarono.
Il primo ad essere chiamato fu André, che salì sulla pedana acclamato dai compagni come se stesse per prendere parte alla Coppa del Mondo.
“Ecco il Conte”, disse Oscar all’orecchio di Rosalie, indicandole un uomo alto e affascinante che stava parlando con un ragazzo dai lunghi capelli scuri.
Con una stretta allo stomaco, la ragazza riconobbe al volo Bernard Chatelet.
Anche Oscar trasalì nel notare il ragazzo.
“Non mi piace”, commentò incrociando le braccia.
“Pensi che sia stato lui a mettere nei guai André?”, chiese Rosalie preoccupata.
“Non voglio giungere a conclusioni affrettate, ma ho i miei sospetti. Andrè è troppo bravo. Due anni fa, ha soffiato il posto a Sanson nella Nazionale di scherma. È un avversario un po’ troppo ingombrante, non credi?”.
“Ma non è leale agire così!”.
Oscar sospirò.
“Tutti questi anni nella scherma e ancora non hai imparato come funziona?”, disse piano.
Un attimo dopo, calò il silenzio.
Andrè e Bernard si stavano fronteggiando sulla pedana, rivolgendosi il saluto.
Al segnale del giudice, i due avversari si misero in posizione di attacco.
Il primo ad attaccare fu Bernard.
Andrè attese con calma il suo affondo e rispose con un colpo secco e preciso, che andò a segno con grazia letale.
Un suono metallico annunciò che il punteggio andava tutto a favore del giovane Grandier, accolto da un urlo di giubilo da parte dei compagni.
Un attimo dopo, il duello ricominciò più accanito di prima.
Man mano che i minuti passavano, la furia di Bernard sembrava aumentare paurosamente.
I suoi affondi diventavano sempre più frenetici e disperati, senza andare a segno.
Dal suo canto, André stava accumulando punti su punti.
“Mai farsi prendere dal panico in queste situazioni”, osservò Oscar saggiamente, indicando il ragazzo ai compagni.
Un ultimo segnale acustico decretò la fine della prima manche.
Andrè si tolse la maschera con un gesto di trionfo, scostandosi dal volto i capelli scuri e sollevando in aria la sciabola.
I suoi compagni esplosero in un forte applauso, correndogli incontro e stringendolo in un festoso abbraccio di gruppo.
“L’hai fatto secco, quel delinquente!”, esclamò Victor battendogli una pacca sulla spalla.
“Forza, vatti a prendere qualcosa al bar prima che inizi la seconda manche”, lo invitò Oscar. “Rose, Antoine! Potete accompagnarlo, per favore?”.
Le due ragazze annuirono.
Maria Antonietta in particolare provò un sospiro di sollievo nell’allontanarsi da Axel, che si era tenuto prudentemente alla larga per tutto il tempo.
“Sei stato fantastico, Andrè!”, si congratulò Rosalie mentre si avviavano verso il bar.
“Ho avuto fortuna, ragazza”, rispose lui scrollando le spalle.
Avevano appena svoltato l’angolo, quando si ritrovarono davanti alla schiena del Conte, intento a dare una bella strigliata a Bernard.
“Sei un completo idiota!”, stava gridando in quel frangente. “Come diavolo hai fatto a perdere la testa in quel modo? Ti sei fatto battere come un ragazzino alle prime armi, razza di deficiente! Cosa devo fare con te, me lo spieghi?”.
“Mi dispiace, signore”, stava cercando di difendersi Bernard. “Io lo dicevo che non ero pronto per questa gara”.
“Tu non sei mai pronto, è questo il tuo problema. Ora fila a casa e non farti vedere fino a domani pomeriggio. Ti allenerai il doppio del solito e non avrai una domenica di tregua fino a quando non ti vedrò salire sul podio, mi sono spiegato?”.
“Sissignore”.
“Bene”.
Il Conte si girò con fare marziale, facendo per allontanarsi.
Nel momento in cui incontrò lo sguardo di Andrè, gli lanciò un’occhiata di sufficienza e se ne andò senza nemmeno salutare.
“Fa male la sconfitta, non è vero?”, sogghignò Rosalie con perfidia.
Nel veder sopraggiungere il suo avversario, Bernard fece per tentare la fuga.
“Ehi, tu, un momento! Dove credi di andare?”, esclamò Andrè d’istinto, raggiungendolo a grandi passi.
Chatelet sospirò, avvicinandosi a loro a testa bassa.
A parte gli occhi scuri, la sua somiglianza con André era straordinaria.
Sembravano davvero due fratelli separati alla nascita.
“Bernard, giusto?”, domandò Andrè mettendogli una mano sulla spalla. “Perché mi hai messo quella roba nello zaino, lo scorso anno?”.
A quelle parole, l’altro sbiancò.
“Giuro che non sono stato io!”, cercò di difendersi.
“Ah, no? E allora chi?”.
“Non posso dirtelo, o mi romperanno l’osso del collo”.
“L’idea è stata tutta di una persona irruente e violenta, giusto? Se ti dico Soisson, cosa ti viene in mente?”.
Bernard divenne se possibile ancora più pallido.
“Tombola. Me l’aspettavo”, commentò André levando gli occhi al cielo.
“Alain mi ha costretto a seguirlo perché gli serviva un palo, visto che ti somiglio così tanto. Però giuro che non ho niente contro di te, davvero!”.
“Ma nel frattempo mi hai fatto espellere dalla Nazionale, razza di deficiente!”, sbottò André furibondo. “Sai che cosa penso di te? Ha ragione il tuo istruttore: sei solo un ragazzino stupido. Mi fai schifo! Che l’incontro di oggi ti serva da lezione, anche se non sarà mai sufficiente a darti una raddrizzata!”.
Tremando di rabbia, André girò i tacchi e ritornò dai compagni.
Rosalie e Maria Antonietta lo seguirono trotterellando, entrambe scambiandosi occhiate smarrite.
Non avevano mai visto Andrè così fuori di sé.
“Tutto bene?”, domandò Oscar non appena vide l’amico ritornare così presto.
“Ho solo avuto una piccola discussione, niente di che”, borbottò lui appoggiandosi a un pilastro e osservando Victor fare letteralmente a pezzi il suo avversario. “Contro chi devo andare alla prossima manche?”.
Oscar sospirò, scoccando ad André una profonda occhiata carica di preoccupazione.
“Alain Soisson”, rispose a denti stretti.
 




Salve a tutti gente! :)
Come vi avevo accennato, ho dovuto dividere il capitolo in due parti per ragioni di praticità.
Spero che questa soluzione non vi dispiaccia troppo: cerco comunque di fare il possibile!

Mi duole dirvi che la prossima settimana, purtroppo, non potrò aggiornare.
Ci vedremo direttamente dopo il ponte con i nuovi capitoli.

Auguro a tutti voi una buona Pasqua! :)
A presto!
Un bacione

F.

P. S. Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook (dovessero esserci dei cambi di programma): 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra


 
 
 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***




CAPITOLO 12
                      






 
Tutti trattennero il fiato mentre André si sistemava sulla pedana.
Soisson lo stava aspettando pazientemente, la maschera tirata giù sul volto squadrato.
Oscar era improvvisamente ammutolita, affondando le unghie nelle guance fino a farle sbiancare.
Victor le cinse le spalle esili con il braccio, gli occhi chiari puntati sull’amico.
Anche Axel aveva per un attimo smesso di prestare attenzione alle effusioni di Nicole, rimasta aggrappata al suo fianco come un koala.
Al via del giudice, i due contendenti si lanciarono all’attacco.
Dai loro gesti secchi, furiosi e violenti si intuì subito che quello non sarebbe stato un incontro come tutti gli altri.
C’erano troppe frustrazioni, troppi rancori che dovevano essere ancora risanati perché le cose filassero lisce.
Uno strano e brutto presentimento si stava rapidamente impadronendo dei compagni di Andrè.
“Ti prego, ti prego…”, sussurrò Oscar, gli occhi azzurri percorsi da un guizzo.
Improvvisamente, un colpo di Andrè andò a segno; poi un altro ancora.
Soisson ritornò alla carica più violentemente di prima, segnando a sua volta.
Ormai l’incontro era diventato una guerra all’ultimo punto.
Ai miei tempi si sarebbero uccisi a vicenda, pensò Maria Antonietta con un brivido.
Improvvisamente, Andrè lanciò la stoccata definitiva, seguita da un’altra.
Il giudice alzò le mani: l’incontro era finito.
Andrè Grandier aveva avuto la sua vendetta.
Oscar e Victor lanciarono un urlo, abbracciandosi a vicenda e improvvisando una danza scatenata.
Rosalie e Maria Antonietta si abbracciarono fraternamente, ridendo sollevate.
Nicole ne approfittò dell’euforia generale per stampare un bacio spettacolare sulle labbra di Axel, lasciandolo senza fiato.
Andrè li raggiunse al settimo cielo, togliendosi la maschera e ravvivandosi i lunghi capelli neri.
“Bel colpo!”, si congratulò Victor battendogli il cinque.
Non appena Oscar si trovò davanti a lui, il ragazzo non riuscì più a trattenersi.
Forse, quella sarebbe stata l’ultima occasione della sua vita, se non la più bella.
Poteva forse sprecarla?
Senza alcuna esitazione, André mosse un passo verso Oscar e la baciò davanti a tutti.
Rosalie trattenne il fiato incredula, mentre gli altri lanciarono un vero e proprio urlo di trionfo.
Oscar restò interdetta per diversi secondi, ma non lo respinse.
Quando finalmente André si staccò, abbassò lo sguardo timidamente, rossa in viso.
“Congratulazioni, vecchio mio”, si limitò a rispondere battendogli una pacca sulla spalla.
“Scusami, sono troppo felice”, si schermì André, anche lui profondamente imbarazzato a posteriori per quel gesto folle.
A pochi metri da lui, Nicole trasse un sospiro di sollievo per essersi liberata almeno di una rivale.
“Abbiamo una pausa. Che ne dite di festeggiare?”, intervenne Victor.
“Per me va bene. Ma offre il vincitore”, disse Oscar strizzando un occhio ad André.
“Temo di non avere altra scelta”, rispose lui ridendo.
Insieme a Oscar, i due aprirono la fila diretti verso il bar.
Al suo fianco, la ragazza continuava a mordersi il labbro nervosamente.
Non riusciva ancora a credere a quello che era appena accaduto.
Davvero André l’aveva baciata davanti a tutti?
Perché mai avrebbe dovuto farlo?
È vero che alle volte gli amici si baciano tra di loro, così per scherzare?
Doveva affrontare assolutamente la questione, ma al solo pensiero si sentiva montare la nausea.
E se avesse capito male?
Ogni sua assurda supposizione venne interrotta da una voce tristemente familiare alle loro spalle.
“Giornata proficua, eh, Grandier?”, disse Soisson sbucando alle loro spalle.
“Ancora non ti è bastata la lezione?”, domandò André in tono annoiato.
“Aspetto il mese prossimo per la rivincita, fortunello”, lo beccò l’altro con un ghigno. “Ricordati che ci saranno le nuove selezioni per la nazionale”.
“Di certo non starò a metterti un sacchetto di droga nel borsone”, commentò André in tono amaro.
“Ancora con questa storia, Grandier?”.
“Mi hai privato di un’occasione che aspettavo da anni. Avrei potuto avere un lavoro. Per me non è solo un modo di spendere soldi”.
“Come ti permetti?”.
“Mi permetto e basta. Io mi pago le lezioni e le gare da quando andavo alle superiori. Ho lavorato per anni nella mia palestra per poter andare avanti con l’agonismo. Non ho fatto altro che fare sacrifici si sacrifici, per riuscire ad arrivare dove volevo. E, proprio quando c’ero riuscito, mi sono fatto sbattere fuori tra le peggiori umiliazioni solo per colpa di un invidioso come te. Che ne sai tu di come si ottengono le cose sudando, eh, Soisson?”.
“Non parlarmi con questo tono, Grandier!”, le nocche di Alain tremarono minacciosamente.
“Lo faccio, invece. Hai mai fatto sacrifici per qualcosa a cui tenevi, per caso? O ci ha sempre pensato tuo padre?”.
“Non insultare mio padre! Non immagini neanche chi è!”.
“Lo so perfettamente, invece. Un parlamentare, giusto?”.
“Esattamente. Perciò bada a come parli”.
“E cosa dovrebbe farmi? Non si può ottenere tutto con i soldi, Soisson. Da ora in poi, starò molto più attento. Vedremo chi alla fine meriterà quel posto nella nazionale”.
“Grandier, ti avverto…”.
“Cosa vuoi fare, stavolta? Comprarti la carica? O forse tuo padre ha troppa paura di far sfigurare la squadra…”.
André non finì la frase.
Soisson gli scagliò un pesante manrovescio in pieno volto, centrandogli l’occhio destro.
Axel e Victor si scagliarono contro Soisson, trasformandosi nell’arco di pochi secondi in un vortice di pugni.
Oscar urlò, accorrendo al fianco di André.
Il ragazzo aveva il volto contratto in una smorfia di dolore inimmaginabile, le mani premute contro il punto scalfito dalle nocche dell’avversario.
Il sangue scorreva copioso tra le dita, imbrattando di rosso il pavimento di linoleum.
“Mio Dio, no! André, non toccare! Fammi vedere!”, gridò Oscar scostandogli a fatica le mani dagli occhi.
Un attimo dopo, sia lei che Maria Antonietta lanciarono un grido di orrore.
Alle loro spalle, Rosalie voltò il capo dall’altra parte per il disgusto, mentre Nicole prendeva a strillare come un’ossessa.
L’occhio di André non c’era più.
Al suo posto c’era una poltiglia informe e sanguinolenta che gli colava lungo lo zigomo.
“BRUTTO STRONZO FIGLIO DI PUTTANA!”, ululò Axel assestando un pugno in piena faccia a Soisson, mandandolo lungo disteso.
“Che succede qui?”, gridò la voce del Conte alle loro spalle.
I ragazzi rabbrividirono, smettendo all’istante di azzuffarsi.
“Sono stato aggredito da questi qua!”, piagnucolò Soisson, completamente ammaccato.
“Gli ha cavato un occhio!”, ululò Oscar in preda a una crisi di nervi.
Il Conte lanciò una rapida occhiata ad André, poi si rivolse al suo allievo.
“Ѐ vero?”, domandò in tono severo.
Soisson non rispose.
“Ѐ vero o no?”.
Alain fece un debole cenno di assenso con il capo.
“Perfetto. Ne parleremo con la Federazione. Ora bisogna chiamare d’urgenza un’ambulanza. Jarjayes, tu vieni con me”.
“Ma lui è…”, Oscar non sapeva più cosa dire o pensare.
“Niente storie. Questo è un ordine”.
La ragazza annuì, le lacrime che lottavano per uscirle dagli occhi, ma lei le tratteneva con orgoglio.
L’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era che i suoi avversari la vedessero piangere davanti a tutti.
“Restate con lui fino al mio ritorno”, disse con voce innaturale mentre si levava in piedi e seguiva il Conte all’esterno.
L’ambulanza arrivò pochi minuti dopo, caricando André a bordo e partendo a sirene spiegate.
Gli altri salirono in macchina e la seguirono a tutta velocità, pregando che ci fosse ancora una speranza, solo una speranza.
Una volta all’ospedale, trascorsero ore prima che i medici si degnassero di far sapere qualcosa.
Arrivarono i genitori di André, la famiglia di Louis, infine Nanny.
Solo a loro fu concesso di entrare nella stanza dove il ragazzo giaceva, dopo una lunga insistenza, per non uscirne più.
Era ormai sera quando il primario uscì in corridoio, avviandosi lentamente verso i ragazzi.
Oscar si alzò istintivamente in piedi, correndo verso di lui.
“Lei è una parente?”, domandò il dottore in tono professionale.
“Io…”, la ragazza si bloccò un attimo; poi le parole le uscirono come se fossero state pronunciate da qualcun altro. “Sono la sua fidanzata”.
“Mi dispiace, signorina. Non c’è più niente da fare per l’occhio. Resterà sfigurato a vita”.
Un improvviso gelo invase la squallida stanzetta che puzzava di disinfettante.
Avevano tutti sperato fino alla fine, ma in fondo si aspettavano da un momento all’altro una cosa simile.
“Siete della squadra di scherma?”, proseguì il dottore.
“Sì”, rispose Axel.
“Non so se potrà riprendere a tirare, almeno non a livello agonistico. Mi dispiace”.
A quella notizia, tutti abbassarono il capo.
Rosalie strinse le nocche fino ad affondarsi le unghie nella carne, divorata dalla rabbia.
Alla fine, Soisson era riuscito nel suo intento: André non sarebbe mai entrato nella nazionale di scherma.





Salve a tutti! :)
Mi scuso ancora per l'assenza prolungata e per il fatto che ultimamente non ho più risposto alle recensioni, ma sono tornata dalla Sicilia domenica sera (per di più febbricitante) e ho ricominciato subito il tran tran universitario. 
Colgo perciò l'occasione di ringraziarvi tutti qui: siete stati comunque gentilissimi :)

Per farmi perdonare, ho aggiornato un po' prima. Ora torno a scrivere. Teniamoci in contatto con la mia pagina facebook, così, dovessi finire prima, posso avvisarvi per tempo!

https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo    

A presto!
Baci :)

F.

 
 
 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***




CAPITOLO 13
                       






 
Maria Antonietta sorseggiava distrattamente il suo tè, lo sguardo perso nel vuoto.
Le tempie pulsavano dolorosamente dopo quella lunga giornata.
Le sembrava trascorsa un’eternità da quando si era svegliata quella mattina.
Troppe emozioni si erano susseguite nella sua testa nell’arco di poche ore: felicità, speranza, ansia, paura, dolore.
Certo, ai suoi tempi i duelli erano all’ordine del giorno e molte volte si concludevano in maniera ben peggiore rispetto alla perdita di un occhio.
Ma il fatto che ci fosse andato di mezzo André, uno dei pochi veri amici che l’arciduchessa avesse mai avuto, l’aveva scossa profondamente come tutti gli altri.
Erano ore che la ragazza non riusciva a spiccicare parola: in fondo, era lei l’ospite, l’ultima arrivata, e non se la sentiva di interferire con il dolore dei suoi nuovi amici, soprattutto Oscar.
La ragazza sedeva di fronte a lei, senza parlare.
Aveva appena terminato una lunga telefonata con André e i suoi occhi apparivano decisamente arrossati.
I medici non le avevano permesso di vederlo, nonostante le molte suppliche.
La ragazza sospettava che in realtà fosse lo stesso André, orgoglioso quanto lei, a non volerle mostrare il volto deturpato per sempre.
L’intera squadra di scherma era rimasta all’ospedale fino al termine dell’ora delle visite, quando il primario in persona era uscito in corridoio per dire loro di andarsene a casa e tornare il giorno dopo.
Solo i genitori erano rimasti per la notte, facendo a turno al suo capezzale.
Anche Nanny, dopo una lunga litigata, era riuscita a rimanere accanto al nipote, con l’aiuto di Christine.
Louis era arrivato stravolto e trafelato quando era ormai tardo pomeriggio.
Era rimasto per quasi tutto il tempo con Rosalie, anche lei sconvolta e con il volto rigato dalle lacrime.
Si erano fatti forza a vicenda, anche se era difficile accettare una cosa simile.
Nel mentre, Axel aveva litigato di brutto con Nicole.
La ragazza lo aveva seguito all’ospedale solo perché voleva assicurarsi che nel mentre non si vedesse con un’altra e aveva passato tutto il tempo a lamentarsi.
Nicole odiava gli ospedali, l’odore del disinfettante e i camici bianchi.
Era rimasta visibilmente scossa da ciò che aveva visto in palestra e pretendeva che Axel le facesse le coccole per tranquillizzarla, invece che starsi a preoccupare del suo migliore amico.
Alla fine, il ragazzo aveva davvero perso la pazienza.
Lei era scoppiata in lacrime, dicendo che era solo un egoista senza cuore, e si era fatta venire a prendere dai genitori.
Maria Antonietta aveva assistito a tutta la scena in disparte, accoccolata alla bell’e meglio su una delle scomode poltroncine di plastica della sala d’aspetto insieme a Oscar, che stava letteralmente mordendo il fazzoletto in cui stava riversando tutte le sue emozioni.
Alla fine, Axel si era avvicinato a loro, rivolgendo un’espressione carica di desolazione, e si era seduto in un angolo lontano, le mani immerse nei capelli castani.
Una volta tornate a casa, Maria Antonietta aveva cercato di fare il possibile per tirare su Oscar, anche se il suo senso pratico era pari a zero, essendo abituata ad essere accudita da schiere di servitori.
Aveva provato a prepararle un tè, ma per poco non aveva dato fuoco alla cucina.
Suo malgrado, alla fine aveva fatto tutto l’amica.
“Certo che la vita è proprio ingiusta”, sussurrò a un certo punto Oscar con lo sguardo perso nel vuoto.
“È stato orribile”, rispose Maria Antonietta tristemente.
“Sono confusa, Antoine. Io…non mi aspettavo che potesse accadere proprio a noi”.
“Quel Soisson è una persona orribile e violenta”.
“Non mi riferivo solo ad Alain. Intendevo dire il bacio. Il nostro bacio”.
“Oh”.
Maria Antonietta posò la tazza sul tavolo, fissando Oscar dritta negli occhi.
“L’avevamo capito tutti che c’era qualcosa tra voi due”, disse cercando di imitare il vocabolario dei suoi amici.
“Ma io no! Sono confusa…voglio dire, André è sempre stato un mio carissimo amico, ma non avrei mai creduto che potesse esserci qualcosa di più tra di noi. Certo, io gli voglio bene e se si fa male mi preoccupo, però…non credevo così tanto, ecco”.
Suo malgrado, l’arciduchessa non poté fare a meno di sorridere.
“Ci sono cose che non hanno bisogno di ragionarci sopra. Succedono e basta”, osservò saggiamente.
“Sono confusa. Non voglio stare male di nuovo”.
“Non ne avrai bisogno. Mi sembra che André ricambi perfettamente i tuoi sentimenti”.
“Ma ora che è ridotto così ho paura che non mi voglia più”.
“Perché mai? È lui quello che dovrebbe aver paura di perderti, dopo l’incidente. Che cosa vuoi, tu, Oscar? Lo vorrai ancora al tuo fianco, nonostante non sarà più lo stesso?”.
L’altra non rispose.
Nuove lacrime presero a scorrerle silenziosamente lungo le guance, senza che il volto fosse contratto da alcun singhiozzo.
“Ho bisogno di vederlo”, sussurrò.
“Domani troveremo il modo di andarlo a trovare. Non potrà rimanere chiuso in ospedale per sempre”.
Oscar annuì.
Maria Antonietta si levò in piedi, cingendole le spalle con le braccia e affondando il volto nei suoi folti capelli biondi.
“Ricordati che sei una donna, Oscar”, le disse dolcemente. “Non aver paura di dimostrarlo”.
L’amica le fece un distratto cenno di assenso.
Le sue dita si strinsero attorno alla mano sottile di Maria Antonietta.
Non avrebbe mai creduto che un giorno una persona che rappresentava tutto ciò contro cui aveva così selvaggiamente lottato potesse spalancarle gli occhi in quel modo su ciò che voleva davvero.
 
***
 
Louis non riusciva a prendere sonno.
Ogni volta che provava a chiudere gli occhi, l’immagine del volto bendato e tumefatto di André ritornava più vivida e spaventosa che mai.
Non avrebbe mai creduto di vederlo in quelle condizioni, così solo e fragile.
Quel ragazzo martoriato non era suo cugino.
Che fine aveva fatto il giovane forte e pieno di energia che conosceva?
Che ne sarebbe stato di lui da quel giorno in poi?
Cosa sarebbe accaduto ora che gli sarebbe stata preclusa per sempre la sua più grande passione?
Sin da quando era bambino, Louis ricordava André che tirava di scherma ancorato alla pedana.
Nanny teneva una foto di una delle sue prime gare sul caminetto del salotto.
Allora André era un ragazzino dai corti capelli neri e scarmigliati, con le gambe lunghe e ossute che si intravedevano sotto i calzettoni bianchi.
Già allora, tutta la grinta e la passione che lo prendevano ogni qual volta si doveva misurare con qualcuno gli brillavano negli occhi verdi, accendendoli di un fuoco color smeraldo.
Quante volte avevano parlato insieme dei sogni del futuro, tra Olimpiadi e Coppe del Mondo?
A quei tempi c’era una lontana possibilità che ciò potesse avverarsi.
Ora non era rimasto altro che cenere.
Christine era se possibile ancora più sconvolta di Louis.
Lei e André erano letteralmente cresciuti insieme.
Erano persino stati nella stessa classe dalle elementari al liceo.
Saperlo in quelle condizioni, specialmente in un momento del genere, era quanto più la ragazza potesse sopportare.
Quel giorno, i fratelli Grandier erano stati più vicini che mai.
Una volta lasciato l’ospedale, Christine aveva portato Louis a cena fuori.
Si erano seduti al tavolo di una scalcinata pizzeria del centro di Parigi ed erano rimasti in silenzio per tutta la durata del pasto.
Di tanto in tanto, Christine occhieggiava il cellulare, nella remota speranza che accadesse qualcosa.
A un certo punto, si era materializzato un messaggio di Victor, chiedendo se ci fossero novità.
Lei aveva riposto il telefono nella borsa senza rispondere.
Anche Louis aveva ricevuto diverse chiamate e messaggi, ma aveva fatto finta di non vederli.
Era Lucile.
Non aveva voglia di sentirla, non quella sera.
Ne aveva già abbastanza per dover sopportare anche lei.
Era ritornato a casa tardissimo, distrutto e con lo stomaco in subbuglio.
Aveva provato ad andare a dormire, ma il sonno non arrivava, nonostante non desiderasse altro.
Si era messo sotto le coperte, tenendo il portatile in equilibrio sulle ginocchia.
Stava ascoltando un po’ di musica in streaming, scorrendo distrattamente la homepage di Facebook.
A un certo punto, il suono di un messaggio in arrivo lo fece letteralmente sobbalzare.
Era Rosalie, grazie a Dio.
Ciao, come stai?
Louis tentennò per qualche istante, poi si decise a rispondere.
Un po’ stanco. Te?
Idem. Che dici?
Niente. Anche se sono un po’ preoccupata.
Che succede?
Hai presente Bernard Chatelet, quello che ha fatto le scarpe ad André l’anno scorso?
Sì.
Mi ha aggiunta agli amici.
Mi stai prendendo in giro? E che cosa vuole da te?
Non lo so.
Hai rifiutato, spero.
Sì, sì, tranquillo. Però la cosa mi ha scosso, ecco.
Ci mancava solo lui!
Che essere spregevole!
Hai ragione. Spero solo che non si rifaccia vivo.
Già, infatti. Non ha proprio nessun ritegno.
Giuro che se mi compare davanti gli rimetto a posto la faccia.
Ahahahahaha, bravo!
Ora scusami, vorrei provare a dormire un po’. Ci vediamo domani a scuola, okay?
Va bene, Lu. ‘notte.
Buonanotte.
Louis restò per qualche istante a fissare lo schermo del computer, gli occhi che assomigliavano sempre di più a due fari.
Alla fine, si decise a spegnere tutto e tirarsi le coperte fin sopra la testa.
Strinse le palpebre fino a farsi male, ma il sonno si ostinava a non arrivare.
Che cosa voleva quel delinquente da Rosalie?
La cosa non gli piaceva neanche un po’.
Temo che domani sarà un’altra lunga giornata, pensò con una stretta allo stomaco.
Quando finalmente si addormentò, sognò Lucile.
Erano entrambi in riva al mare, in un posto che assomigliava tantissimo a Nizza.
Era di nuovo l’estate di qualche anno prima, quando avevano trascorso le vacanze insieme nella casa al mare di lui, insieme a Nanny, Christine e André.
Come erano felici, allora.
Sembrava che la loro amicizia dovesse durare per sempre.
Lui e Lucile erano seduti sulla sabbia, nascosti dietro un cumulo di canoe rovesciate al sole.
Davanti a loro si estendeva a perdita d’occhio l’immensità del mare.
“Lo vuoi sapere un segreto? Però devi promettermi di non dirlo a nessuno”, disse a un certo punto Lucile.
“Va bene, tutto quello che vuoi”, rispose Louis ingenuamente.
Lei sorrise e poi, rapida come il vento, gli allungò un rapido bacio sulla guancia.
Louis trasalì, a un tempo stupefatto e meravigliato.
La pelle scottava nel punto accarezzato dalle labbra di Lucile.
“Sei la persona più importante che ho al mondo, Lu”, disse la ragazza accoccolandosi al suo fianco. “Non lo dirai a nessuno, vero?”.
Louis le sorrise timidamente.
Non aveva mai avvertito il suo cuore correre così tanto in vita sua.
“Te lo prometto, Lucile”, rispose al settimo cielo. “Non lo saprà nessuno”.
Sei la persona più importante che ho al mondo.
 


Buonasera :)
Come state?
Oggi ho voluto postarvi un capitolo un po' di passaggio, per capire meglio le relazioni che ci sono tra i personaggi e scavare a fondo nei loro sentimenti.
Prometto che dalla settimana prossima parleremo di cose più allegre! :P

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina facebook, per restare sempre aggiornati: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra
 

 Grazie mille per tutte le recensioni che state continuando a inviare: siete fantastici!
Vi abbraccio tutti :)

F.



 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***




CAPITOLO 14
                      






 
Mai nella sua vita André Grandier avrebbe creduto di ritrovarsi in una situazione simile.
Certo, in passato gli era capitato più volte di finire all’ospedale: era il rischio che ogni atleta doveva mettere in conto nel momento in cui lo sport diventava una cosa seria.
Quando aveva otto anni, il ragazzo si era fratturato una caviglia inciampando nel suo stesso cavo.
Un’altra volta, quando di anni ne aveva ormai quindici, per poco Victor non gli aveva cavato un occhio mentre tiravano di scherma senza maschera.
Alain Soisson l’occhio glielo aveva cavato per davvero.
L’orrido buco sanguinolento era stato disinfettato e ricoperto da una generosa quantità di bende.
Erano trascorsi due giorni dall’incidente e ancora André non aveva avuto il coraggio di guardarsi allo specchio.
Gli bastava notare l’espressione a un tempo desolata e orripilata dei suoi parenti a farlo desistere.
Sfigurato a vita.
Questo era quello che gli avevano detto i medici senza mezze misure.
In altre parole, guercio.
Non avrebbe mai potuto entrare nella Nazionale con un occhio solo.
Questa volta, Soisson lo aveva messo definitivamente fuori gioco.
Il dolore fisico, per quanto atroce, non era niente in confronto alla rabbia che provava André in quel momento.
Che cosa avrebbe fatto, ora che il suo più grande sogno era andato in fumo?
Non poteva sopportare il fatto che solo un attimo prima di essere colpito da quel bastardo aveva praticamente tutto: la vittoria e, soprattutto, lei.
Sapeva che Oscar non avrebbe mai fatto il primo passo per prima: troppo orgogliosa, troppo ferita, troppo affezionata a lui per rovinare tutto un’altra volta.
Dal modo in cui si stava comportando negli ultimi tempi, dalla crescente complicità fra i due che rivelava un legame più profondo di una semplice amicizia, André aveva capito che non poteva più tirarsi indietro.
Per la verità, era stata soprattutto Nanny a incoraggiarlo con il suo solito tono spiccio a fare il grande passo.
“Dove sono finiti gli uomini di una volta? Oggigiorno voi maschi siete diventati tutti una manica di rammolliti!”, aveva tuonato da dietro il suo inseparabile bancone il giorno prima della gara, seguita dall’assenso silenzioso di Christine.
In fondo, nel momento in cui aveva baciato Oscar, André aveva avuto come il sentore che quella sarebbe stata la sua prima e unica occasione.
Ma quello che per un attimo gli era sembrato il paradiso in terra, ora si era trasformato in un vero e proprio girone infernale.
Ogni volta che pensava alla ragazza, André si sentiva stringere in una morsa.
Da quel bacio in poi, non si erano né visti né sentiti.
Per la verità, durante tutta la degenza il ragazzo non aveva voluto ricevere visite al di fuori dei parenti più stretti e inoltre teneva sempre il cellulare spento.
Non gli andava di dover raccontare all’infinito sempre la stessa storia, rinnovando ogni volta la rabbia e il dolore.
Voleva semplicemente essere lasciato in pace.
Non voleva pensare a niente e a nessuno, chiuso nel suo silenzio.
Soprattutto, non voleva pensare alla reazione di Oscar nel constatare che sarebbe rimasto sfigurato a vita.
Avrebbe ricambiato ancora i suoi sentimenti o l’orrore avrebbe superato ogni cosa?
Se fossero stati insieme già da un po’ di tempo, forse André non avrebbe avuto tutti questi dubbi atroci.
Ma in fondo si erano scambiati solo un bacio, un semplice bacio.
Quel gesto folle quanto avventato poteva passare benissimo per uno slancio di euforia e niente più.
Ogni volta che ci pensava, André prendeva a pugni il cuscino per la rabbia.
Passi la scherma, ma ora non poteva perdere anche Oscar.
La sua vita poteva dirsi definitivamente finita.
Tre giorni dopo, il ragazzo poté finalmente uscire dall’ospedale.
I medici gli dissero che a giorni sarebbe stato pronto un occhio di vetro che avrebbe camuffato alla meglio l’orrendo buco nerastro dell’orbita vuota.
André aveva ascoltato tutto senza fiatare; poi, finalmente, era uscito all’aria aperta.
Una volta tornato a casa, non volle letteralmente più uscire.
Si vergognava come un disgraziato a farsi vedere in quelle condizioni.
Chiunque incontrasse, guardava sfacciatamente verso il suo viso, spinto da una morbosa curiosità.
L’ultima cosa che desiderava era quella di passare per un fenomeno da baraccone.
Telefono e computer restarono rigorosamente spenti.
Le sue uniche compagnie erano Nanny e Christine.
Quest’ultima restava praticamente tutto il giorno con lui.
Si portava dietro i libri che le servivano per gli esami e si mettevano a studiare insieme sul tavolo del soggiorno.
Nelle pause chiacchieravano animatamente, guardavano film e ascoltavano i dischi delle loro band preferite.
Il fatto di dover prendersi cura del cugino aveva portato Christine ad abbandonare definitivamente il dolore per la sua fallita relazione.
Ora il suo tempo libero era tutto dedicato ad André.
Si sarebbero fatti forza a vicenda, continuava a ripetergli, avrebbero superato quel terribile momento insieme.
André non avrebbe potuto desiderare una cugina migliore.
Fu lei ad accompagnarlo ancora una volta all’ospedale, quando finalmente arrivò l’occhio finto.
Il primo pensiero che ebbero entrambi quando lo videro sulla scrivania del dottore fu: orribile.
Era una misera sfera bianca con al centro una tristissima iride color verde bottiglia.
Niente che avesse a che fare con la viva sfumatura smeraldo che aveva l’originale.
André se lo fece applicare senza nemmeno un lamento, anche se dentro di sé aveva solo voglia di vomitare per il ribrezzo e la vergogna.
Gli ci volle un po’ per costringersi a guardarsi allo specchio.
Tra l’occhio vero e la protesi c’era di mezzo un abisso.
“Non mi abituerò mai a questo schifo”, disse una volta rimasto solo con Christine.
Lei gli accarezzò dolcemente i lunghi riccioli scuri, divertendosi a spostarglieli da una parte all’altra della testa.
“Che ne dici di farti crescere la frangia da un lato? Secondo me, si noterebbe molto meno”, commentò a un certo punto.
André scrollò le spalle.
“Sei tu l’esperta in estetica”, rispose abbracciandola forte.
 
*** 
 
In tutta la palestra regnava un velo di tristezza desolante.
Ormai, l’incidente di André era sulle bocche di tutti.
Etienne aveva subito tentato di porre denuncia a Soisson, ma era stato subito dissuaso da Oscar: Alain aveva conoscenze troppo in alto per sperare di vincere la causa.
Era meglio raccogliere i cocci ed evitare di cacciarsi ulteriormente nei guai.
“Limitiamoci a farli a pezzi alla prossima gara, anche se sarà una bazzeccola in confronto a quello che vorrei fare a quella banda di criminali”, aveva tagliato corto il lunedì successivo.
Come a confermare le sue parole, l’intera squadra stava dando il massimo negli allenamenti senza che ci fosse bisogno di alcuna esortazione.
Il problema era che il loro entusiasmo si era completamente smorzato, lasciando il posto alla furia più cieca.
In particolar modo Axel e Victor, i due migliori amici di André, tiravano delle stoccate talmente potenti da far credere che la prossima volta che avrebbero incontrato Soisson sulla pedana avrebbero ricambiato gentilmente il favore con tutta la maschera.
Dal suo canto, Oscar non stava neppure a rimproverarli se esageravano, con il rischio di farsi male a vicenda.
Di colpo, aveva perso tutta la sua verve di sempre.
Nei giorni a seguire, la ragazza appariva sempre più stanca e svogliata.
In fondo, non aveva avuto più notizie di André.
Possibile che dovesse comprendere quanto era importante per lei solo nel momento in cui probabilmente lo aveva perso per sempre?, pensava con rabbia.
Per fortuna, aveva Maria Antonietta al suo fianco.
Dopo l’incidente diplomatico con Axel, l’arciduchessa aveva prudentemente sospeso le sue visite in palestra, restando sola a casa per tutto il pomeriggio.
In compenso, a insaputa di Oscar, aveva deciso di imparare a cucinare da sola.
Per poco alla ragazza non venne un colpo quando, una sera, trovò al suo ritorno la tavola perfettamente imbandita e una raggiante Maria Antonietta che le illustrava con orgoglio tutte le pietanze che le aveva preparato.
“Si può sapere come hai fatto? Io non ho libri di cucina in giro per casa!”, aveva esclamato esterrefatta.
“Stamattina ti sei scordata di spegnere quella scatoletta grigia, come si chiama…”.
“Televisione”.
“Televisione, sì. Io non sapevo come spegnerla e perciò mi sono messa a guardarla per trascorrere il tempo. A un certo punto, hanno fatto una piccola lezione di cucina e la cosa mi ha dilettata talmente tanto che ho pensato di provare anch’io!”.
“Mi domando se sei la stessa persona di cui parlano i libri di storia!”, aveva esclamato Oscar abbracciandola forte.
Per fortuna, anche Maria Antonietta sembrava uscita da quel tunnel chiamato Axel.
Non chiedeva mai notizie sul suo conto, né l’amica si premurava di dargliene.
Ancora non gli aveva perdonato di aver baciato la ragazza a tradimento, né di stare con quella Nicole, che negli ultimi giorni aveva superato se stessa.
A quanto pareva, i due erano ai ferri corti dalla scenata all’ospedale.
“Mollala”, aveva decretato Oscar alla fine di una lezione.
“Non posso. Sta male. Non riesco ad abbandonarla in un momento simile: sarei un mostro!”, si era schermito Axel.
“E certo, aspetti di darle il colpo di grazia una volta che si sentirà finalmente meglio, giusto?”.
Il ragazzo non aveva risposto.
“Sai che ti dico? Non hai le palle!”, aveva sbottato la ragazza uscendo dalla stanza.
Stavano litigando più o meno tutti, da quando se n’era andato André.
La tensione era ormai diventata insopportabile.
Aspettavano solo il tocco finale che avrebbe fatto esplodere tutto all’ultimo istante.
Quel tocco non tardò ad arrivare.
Era ormai mercoledì pomeriggio quando Rosalie, correndo con il pesante borsone che le segava la spalla, vide una sagoma familiare seduta sui gradini di ingresso della palestra.
Una figura che, al primo colpo d’occhio, ricordava moltissimo André a diciassette anni.
Tu?!”, tuonò la ragazza nel momento in cui riconobbe Chatelet.
“Rosalie, giusto?”, si schermì Bernard avvicinandosi timidamente.
“Stai lontano da me!”, sbottò lei lottando contro l’impulso di prenderlo a pugni.
“Scusami, posso spiegarti…”.
“A che gioco stai giocando? Prima rovini la vita a un mio amico, poi mi aggiungi sfacciatamente su Facebook il giorno in cui lui perde un occhio e adesso mi aspetti davanti alla palestra? Guarda che io ti denuncio!”.
“No, no, aspetta! Ti ho aggiunta su Facebook solo perché eri l’unica che conoscevo davvero nella tua palestra e speravo che mi mettessi in contatto con André”.
“Bugiardo! Conosci a menadito anche gli altri membri della squadra, che di certo ti avrebbero dato molte più informazioni di me. E poi si può sapere che cos’altro vuoi dal povero André? Non credi che abbia già sofferto abbastanza?”.
“Rosalie, fammi spiegare! Io…sono consapevole di aver scatenato tutto questo e volevo solo scusarmi. Nient’altro. Poi prometto che sparirò dalla vita di tutti voi”.
“Sì, certo”.
“Ti giuro. Ho anche lasciato la scherma, dopo l’incidente di domenica. Già avevo dei dubbi in precedenza, visto il brutto giro in cui mi sono trovato, ma non avevo il coraggio. Lo so, sono un deficiente, non c’è bisogno che me lo ripeti. Ora però ne ho abbastanza. Preferisco studiare, a meno che non mi arrestino prima per spaccio involontario di droga”.
“Dovevi andare dritto dalla polizia, quando Soisson ti ha dato quella robaccia”, commentò Rosalie severa.
“Conosci Soisson. Mi avrebbe ammazzato se non lo avessi fatto”.
“Dovevi andarci lo stesso”.
“E poi che cosa avrei fatto? Non potevo mica lasciare Parigi per evitare di ritrovarmelo sotto casa!”.
“Fosse stato per me, lo avrei fatto. Io ho abbandonato tutto per seguire mia madre da Francoforte fin qui”.
“Davvero sei di Francoforte? Ecco perché hai questo accento strano”.
“Non sono affari tuoi!”.
“Scusa”.
“Be’, ora scusami tu. Devo andare o farò tardi all’allenamento. Ciao”.
“Va bene, ciao”.
Bernard abbassò lo sguardo a terra come un cane bastonato.
Rosalie gli lanciò una lunga occhiata di sufficienza, poi lo superò a grandi passi tenendo la testa alta, dritta verso l’ingresso.
“Aspetta, Rosalie!”, le gridò improvvisamente dietro il ragazzo. “Per caso anche tu frequenti il Rosseau?”.
Rosalie non rispose, attraversando imperturbabile la porta a vetri che la separava dall’atrio della palestra.
L’unica cosa che voleva far sapere a quell’impiccione era che frequentavano esattamente la stessa scuola.
 
***
 
“Ho una sorpresa per te”, annunciò Oscar quella sera non appena varcò la soglia dell’appartamento.
“Davvero?”, esclamò Maria Antonietta con gli occhi azzurri che brillavano.
“Taaaaa-daaaaah!”, fece l’altra svelando il grosso pacco rettangolare che teneva nascosto dietro la schiena.
L’amica lo prese tra le mani, scartandolo con aria incredula.
Un bellissimo libro di cucina le scivolò tra le dita.
“Oh, ma è meraviglioso! Grazie, grazie! In tutti gli anni che ho vissuto a palazzo non c’è mai stato un dono più bello di questo!”, esclamò saltandole letteralmente al collo.
“Grazie a te per essermi stata così vicina in questo periodo di merda”, rispose Oscar ridendo.
“Prometto che ogni sera ti preparerò un nuovo manicaretto”.
“Ehi, vacci piano! Guarda che mi imbarazza farmi servire dalla regina di Francia!”.
“Guarda che non sono la regina di Francia!”.
“Giusto, allora dalla Delfina!”.
Maria Antonietta scoppiò in una risata fragorosa.
Oscar le fece l’occhiolino.
“Che cos’è questo buon profumo?”, chiese a un certo punto.
“Torta di mele”, rispose l’altra. “L’ho abbinata al pasticcio di carne”.
“Ci volevi giusto te per farmi abbandonare finalmente tutte quelle schifezze preconfezionate!”, scherzò Oscar seguendola in cucina.
Le due ragazze si sedettero una di fronte all’altra, iniziando a mangiare e raccontandosi a vicenda la loro giornata.
Maria Antonietta stava giusto affermando con orgoglio di aver appena imparato a usare nella stessa mattinata il phon, la televisione e il computer (solo accenderlo e spegnerlo), quando di colpo il telefono suonò.
“Chi può essere a quest’ora?”, domandò Oscar con un tuffo al cuore.
Erano giorni che nessuno la chiamava al cellulare dopo le sette.
Non appena vide il numero sul display, la ragazza sbiancò, schizzando fuori dalla stanza come una furia.
“PRONTOOOOO?!”, echeggiò la sua voce isterica fin dal salotto.
Spero solo sia André, pensò Maria Antonietta speranzosa, anche se il tono di voce dell’amica sembrava tutto meno quello che si dovrebbe tenere con il proprio ragazzo, per di più convalescente e con un occhio di meno.
Dopo un tempo interminabile, Oscar rientrò finalmente in cucina.
Sembrava appena reduce da un feroce incontro di boxe.
“Era mia madre”, disse mentre crollava sulla sedia della cucina.
“Oh”.
In tutti quei giorni a casa sua, la ragazza aveva parlato così poche volte dei suoi genitori, che Maria Antonietta si era persino dimenticata della loro esistenza.
“Cosa voleva?”.
Oscar trasse un lungo sospiro, come se stesse per annunciare l’arrivo di una tragedia.
“Ci tocca preparare i bagagli, Antoine”, annunciò in tono funereo. “Sabato sera saremo nel mio castello in Normandia”.



Prometto che questo è DAVVERO l'ultimo capitolo in cui strapazzo André, sul serio!
Ora potreste gentilmente riporre le asce, please? * tira fuori un'espressione innocente *
Violenza a parte, che ne pensate?
Cosa credete che voglia davvero Bernard?
Okay, chi conosce l'
anime avrà certamente qualche idea a proposito ;)
La prossima settimana ci sposteremo di set, verso le uggiose coste della Normandia per vedere che cosa succede nella tenuta dei Jarjeayes. 
Vi aspettano ancora tante sorprese prima di arrivare alla fine!
N.d.A. Ho cercato in tutti i modi possibili e immaginibili di dissuadere Maria Antonietta dal cucinare. Visti i risultati, però, ho deciso di non tagliare la scena. Dal suo canto, lei ne è felicissima.

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove troverete tutti gli aggiornamenti in tempo reale: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A prestissimo! :D
Baci

F.




 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***




CAPITOLO 15
                      





 
“Io mi chiedo perché gli dico sempre di sì”, borbottò Oscar tenendo lo sguardo dritto sull’asfalto dell’autostrada.
“Sono i tuoi genitori, ovvio”, rispose Maria Antonietta accoccolata sul sedile anteriore dell’automobile.
“Ai miei tempi non funziona più come nel Settecento, per fortuna”.
“Lo so, ma sono pur sempre i tuoi genitori”.
“Dai, almeno la ramanzina risparmiamela!”.
L’amica si strinse nelle spalle, prendendo a fissare fuori dal finestrino.
“Perlomeno, tua madre non è l’imperatrice d’Austria”, disse a un certo punto.
“Per fortuna”, fece Oscar.
“Sai che a me non avrebbe mai permesso di scappare di casa per lavorare”.
“Ma per te era diverso! Voglio dire, sin da piccola sapevi che saresti diventata regina!”.
Maria Antonietta aggrottò la fronte, incupendosi all’istante.
“Per la verità no”, si affrettò a precisare. “Regina, arciduchessa, contessa, marchesa. Tutto dipendeva dai piani di mia madre, che potevano cambiare da un momento all’altro. Bastava che cambiasse un’alleanza per far franare un matrimonio. Noi principesse dovevamo solo attendere alle sue disposizioni e sperare di essere capitate al momento giusto. Io, per esempio, all’inizio non dovevo sposare Luigi Augusto. Quel ruolo spettava alla mia sorella maggiore. Poi lei è morta e io ho dovuto prendere il suo posto”.
La tranquillità con cui la ragazza disse tutto questo sconvolse completamente Oscar.
“Mi dispiace per tua sorella. Non lo sapevo”, disse imbarazzata.
“Sono cose che capitano. Per questo mia madre si è premurata di avere tanti figli. Ai miei tempi morivamo come mosche. Se qualcuno veniva a mancare, doveva esserci per forza un sostituto pronto a prendere il suo posto, soprattutto per quanto riguardava i figli maschi”.
“Questa dei figli maschi è una cosa che è rimasta molto viva a casa mia. Mio padre avrebbe tanto voluto avere un figlio piuttosto che una figlia”, commentò Oscar amaramente.
“Non poteva tentare di nuovo?”.
“No. Hanno aspettato troppo per avere figli. È già tanto se sono nata io”.
“Oh”.
“Per questo mi ha sempre cresciuta come un ragazzo. Sono sempre stata lontana dalle frivolezze che circondavano le altre bambine. Per fortuna, a me di bambole e roba simile non è che importava molto”.
“Sei un tipo strano, Oscar”.
“Lo so”.
In quel momento, un gigantesco cartello sospeso sulla carreggiata annunciò l’avvicinarsi della loro uscita.
Oscar inserì la freccia e abband0nò l’autostrada, perdendosi nelle campagne della Normandia.
Il cielo era grigio e basso, ma per fortuna non pioveva.
Maria Antonietta osservava il paesaggio verdeggiante con il naso premuto contro il vetro del finestrino.
“Dici che riuscirò a vedere l’Oceano?”, domandò a un certo punto, cercandolo tra le chiome degli alberi.
Oscar ridacchiò.
“Si dà il caso che casa mia si trovi a pochi metri dalla spiaggia”, rispose.
Avevano appena imboccato una stretta stradina di campagna costeggiata da altissimi alberi plurisecolari.
“Siamo quasi arrivate”, annunciò Oscar, rabbuiandosi di minuto in minuto. “Credo che ti troverai a tuo agio”.
Maria Antonietta trattenne a fatica un’esclamazione di stupore nel momento in cui l’auto svoltò la curva e si ritrovò davanti a un gigantesco cancello di ferro battuto.
In quelle ultime settimane si era abituata fin troppo alle aggressive architetture di cemento armato che costellavano il loro quartiere, dimenticandosi di come potesse essere un’abitazione tipica della sua epoca.
Non avrebbe mai creduto di potersi trovare improvvisamente di fronte a un castelletto così simile alla tenuta di caccia di Saint-Cloud, immerso nel verde della Normandia.
“Benvenuta a casa mia”, annunciò Oscar laconica, estraendo dalla borsa un piccolo telecomando.
Il cancello cigolò pigramente sui cardini, permettendo loro di accedere al viale di ingresso.
Da dentro, la villa sembrava ancora più grande di ciò che in realtà fosse.
Aveva un’imponente struttura che si apriva a ferro di cavallo su un cortile centrale, costeggiata da tetti spioventi, pinnacoli e ampie finestre.
“Ai tuoi tempi già ci abitavano i miei avi”, disse Oscar parcheggiando alla meglio la macchina davanti alla porta d’ingresso, accanto ad altre due auto sportive.
In quel momento, uno scalpiccio di zoccoli le fece voltare entrambe.
Maria Antonietta trasalì: davvero in quel mondo d’acciaio e cemento esisteva ancora qualcosa di simile a un cavallo?
“Ciao, papà”, salutò Oscar laconica, rivolgendosi all’uomo alto e atletico che montava un bel baio schiumante di sudore.
Le spalle larghe erano accentuate dalla giubba rossa da caccia.
Al suo seguito, altri due uomini trottavano affiancati da una muta di cani dal manto pezzato.
“Sei in anticipo”, disse lui senza neanche scendere dal cavallo.
“Temevo di trovare traffico sull’autostrada”, rispose Oscar.
“Be’, meglio così. Tua madre è da qualche parte in giardino. Ti conviene andarla a cercare, tanto avrà sicuramente dimenticato il cellulare in casa. Io vado a farmi una doccia e vi raggiungo subito”.
“D’accordo. Andata bene la caccia?”.
“Per niente. Non ho preso neanche un tordo”.
“Okay. Ci vediamo dopo, allora!”.
Con un colpo di talloni, il signor Jarjayes si allontanò al trotto, diretto alle scuderie.
“Ho sempre odiato la caccia”, commentò Oscar mentre apriva il cofano della macchina e scaricava i bagagli.
“Neanche a me fa impazzire”, rispose Maria Antonietta. “Mio marito, invece, ne va pazzo. Trascorre tutto il giorno in giro per il parco a rincorrere questa o quella creatura. Io per stargli vicino ho tentato di uscire a cavallo con lui, ma mia madre me l’ha tassativamente proibito. Dice che provocherei un aborto. Ora però non c’è pericolo”, a quel pensiero, l’arciduchessa si rabbuiò all’istante. “Chissà come faranno tutti, ora che me ne sono andata. Sarà per questo che è finita la monarchia?”.
Oscar sospirò, battendole un colpetto di conforto sulla spalla.
In tutti quei giorni, non avevano ancora avuto il coraggio di affrontare la questione sulla fine della monarchia in Francia.
Del resto, come avrebbe potuto svelare all’amica che all’età di 38 anni sarebbe stata decapitata come traditrice?
Ora che però Maria Antonietta era finita nel futuro, la stessa storia avrebbe dovuto cambiare.
O no?
Di certo, se qualcosa nei libri non fosse tornato, Axel le avrebbe come minimo telefonato in preda al panico.
Non sapeva come, ma Oscar aveva la sgradevole impressione che un giorno il varco temporale si sarebbe aperto di nuovo e che l’arciduchessa avrebbe dovuto affrontare una volta per tutte il suo terribile destino.
La storia non poteva continuare senza di lei.
Quanto al giro che quest’ultima avesse deciso di intraprendere, sicuramente sarebbe restato per sempre un mistero.
“A che cosa pensi, Oscar?”, domandò Maria Antonietta preoccupata.
“Niente, Antoine, niente”, rispose lei in tono sbrigativo. “Ma comunque, non preoccuparti. So per certo che non è stata la tua improvvisa scomparsa a cambiare il corso della storia”.
“Dici, se fossi rimasta a Versailles avrei dato degli eredi alla Francia?”.
“Sì”, rispose Oscar dopo averci pensato un attimo. Sapeva bene che di essi sarebbe sopravvissuta solo la primogenita.
“Ci vorrà del tempo, però”.
Maria Antonietta sospirò.
“Forse dovevo restare”, disse piano.
“Ma ora sei qui e, credimi, è meglio così”, si affrettò a rispondere Oscar; poi, notando il malumore dell’amica, si affrettò ad aggiungere:
“Vuoi tornare a casa?”.
Maria Antonietta indugiò sulle architetture barocche di casa Jarjeayes.
“Un po’ mi manca, ora che sono qui”, rispose in tono innaturale.
“Aspetta che ti presenti i miei”, commentò Oscar ridacchiando.
Entrambe si avviarono lungo gli scalini che le separavano dall’ingresso (Maria Antonietta inciampò mentre aiutava Oscar a issare la loro unica, enorme valigia) ed entrarono all’interno.
“I miei amici del liceo dicevano sempre che casa mia assomiglia a un museo”, disse Oscar mentre superavano l’immenso corridoio pieno di stucchi, salutando di tanto in tanto qualche domestico di passaggio. “Non potevo proprio dargli torto”.
“Incredibile!”, continuava a esclamare Maria Antonietta con gli occhi sgranati.
Una volta al piano di sopra, l’amica le indicò una porta chiusa.
“Questa è la stanza degli ospiti”, spiegò. “Io dormo in quella accanto. Se guardi bene nel muro, c’è una porta segreta che le mette in comunicazione, per qualsiasi cosa”.
Maria Antonietta annuì, stordita.
Le sembrava davvero di essere tornata a casa.
Oscar entrò nella sua stanza e si andò subito a infilare sotto la doccia.
Odiava con tutta l’anima quel posto che puzzava di pinacoteca.
Avrebbe tanto voluto essere nel suo miniappartamento di Parigi piuttosto che in quella sorta di prigione.
Si sentiva tremendamente a disagio.
Si asciugò i capelli e si rivestì con estrema lentezza; poi, notando che Maria Antonietta non si faceva viva, bussò alla porta comunicante.
Nessuna risposta.
Preoccupata, Oscar abbassò la maniglia ed entrò.
Trovò l’amica seduta sulla sponda del letto, senza aver disfatto i bagagli, lo sguardo perso nel vuoto.
“Sono a casa”, mormorò quando Oscar si sedette al suo fianco. “Sono di nuovo a casa”.
E scoppiò in singhiozzi.
 
***
 
La signora Jarjayes aveva approfittato della giornata coperta ma mite per apparecchiare sulla veranda.
Era una signora ormai prossima ai 60 anni, dritta come un fuso, con i fluenti capelli striati di grigio raccolti in una crocchia sulla nuca.
Sembrava davvero una duchessa del Settecento.
Maria Antonietta studiava ogni suo singolo movimento come ipnotizzata.
Dall’altra parte del tavolo, il signor Jarjayes continuava a fumare la sua pipa, sorseggiando di tanto in tanto un bicchiere di vino.
La sua postura marziale poteva passare benissimo per quella di un vecchio guerriero di ritorno dal fronte.
“E così tu sei un’amica di Oscar?”, le chiese in quel momento la signora Jarjayes.
“Oh, sì, ma non sono francese. Vengo da Vienna”, rispose lei gentilmente.
“Ho notato che hai un accento particolare”, osservò la donna accennandole un sorriso. “Vuoi un po’ di pasticcio, cara?”.
“Oh, no, grazie”.
“Come mai hai deciso di venire in Francia, Antoine?”.
“I miei genitori sono separati e mia madre ha deciso di venire ad abitare a Parigi con il suo nuovo compagno”, rispose Maria Antonietta automaticamente, pensando a Rosalie. “Ho conosciuto Oscar in palestra. Sa, io faccio danza, però ci siamo trovate più volte a chiacchierare e siamo diventate amiche. Questo finesettimana mia madre era occupata con il lavoro e quindi, per non lasciarmi sola a casa, Oscar mi ha proposto di venire con lei”.
“Notizie da André?”, domandò a quel punto il signor Jarjayes.
Stronzo, pensò Oscar, rischiando di piegare in due la sua forchetta.
“Sono giorni che non lo sento, ma pare che stia meglio. A parte l’occhio, ovviamente. Da quello che mi è stato detto, gli hanno dovuto mettere una protesi”.
“Mi dispiace. E la scherma?”.
“Ancora non se n’è parlato”.
“Povero caro”, commentò la signora Jarjayes con un sospiro. “Ma come mai non vi siete più sentiti? Non eravate tanto amici, una volta?”.
“Non mi va di parlarne”, tagliò corto Oscar.
Questa volta, la forchetta si piegò per davvero.
“Tesoro, ricordati che sei una donna”, disse sua madre sfiorandole il braccio. “Ascolta, stasera ho invitato alcuni nostri amici. Dovrebbero venire con i figli, così ti distrai un po’”.
“Non ho bisogno di distrazioni, grazie”, ribatté Oscar in tono velenoso.
“Vedrai che tu e la tua amica vi divertirete da matti”.
Sapendo che era inutile ribattere, la ragazza finì in silenzio il suo pasticcio.
Maria Antonietta le lanciava di tanto in tanto delle occhiate desolate.
Sapeva fin troppo bene come si sentiva in quel momento, in balìa di una madre che la voleva impegnare a tutti i costi.
Perlomeno, Oscar era una ragazza indipendente, con un lavoro e una vita propria.
Poteva sempre permettersi di dire di no.
Lei invece che possibilità aveva?
La ragazza non si era mai trovata ad invidiare la sua amica come in quel momento.
Dopo pranzo, Oscar si era così rabbuiata che Maria Antonietta non sapeva proprio come fare per tirarla su.
Nel primo pomeriggio, arrivarono i fantomatici amici dei Jarjayes.
A detta della padrona di casa, dovevano essere i duchi di qualcosa.
Come Oscar aveva temuto, si erano portati dietro il loro rampollo, un giovanotto pallido e smilzo sulla trentina.
Sembra il signor Bingley, pensò subito la ragazza con un moto di orrore, ripensando al film Orgoglio e Pregiudizio, pellicola che le sue amiche del liceo la avevano costrettao a rivedere fino alla nausea solo per ammirare quel bel tenebroso di Mr Darcy.
Dal suo canto, Maria Antonietta si vide ripassare davanti tutta la scena del suo incontro con Luigi Augusto.
“Ciao, piacere! Io sono Gerard”, si presentò il ragazzo tendendole goffamente la mano sudaticcia.
“Ciao”, rispose Oscar freddandolo con i suoi occhi di ghiaccio.
E mia madre spera che io mi metta con questo coglione solo perché ha una barca di soldi?, pensò inorridendo.
Avrebbe tanto voluto fargli assaggiare qualche sciabolata, ma con un’arma vera, di quelle ben affilate.
“Ragazzi, vi lasciamo da soli”, disse la signora Jarjayes scortando i genitori del ragazzo verso la veranda. “Ci vediamo più tardi!”.
Schiumante di rabbia, Oscar si rassegnò a scortare Gerard e Maria Antonietta nel parco.
Cosa diavolo poteva inventarsi per tenerlo alla larga e allo stesso tempo non sembrare scortese?
“Sapete andare a cavallo?”, domandò a un certo punto.
“Oh, sì!”, esclamò Gerard deliziato. “Faccio equitazione da quando avevo 4 anni, sai? Mio padre mi ha regalato subito un pony e da lì sono arrivato a fare gare di Salto Ostacoli in giro per il mondo. Una vera passione! Adesso ho tre giumente Hannover e uno stallone Oldenburg. A breve dovrebbero nascerci i puledrini…”.
“A me basta che sai mettere il culo sulla sella”, lo freddò Oscar, incapace di trattenersi.
“Oh, certo, quello sì…”, borbottò l’altro imbarazzato.
Maria Antonietta lanciò all’amica un’occhiata carica di stupore e di ammirazione.
Come avrebbe voluto poter dare anche lei una risposta così tagliente…che coraggio, quella donna!
Dopo essersi cambiati nelle rispettive stanze, i ragazzi scesero nelle scuderie.
Oscar portò tre castroni grigi, facendoli sellare da uno stalliere.
Nel vedere i finimenti, Maria Antonietta (che ancora non si era del tutto abituata a portare i pantaloni), si avvicinò di soppiatto a Oscar.
“Ehm, voi come cavalcate?”, domandò imbarazzata.
“In che senso?”.
“Ho visto la sella. Non montate all’amazzone, giusto?”.
“Cavolo, non ci avevo pensato! È facile, Antoine. Come mettere i pantaloni”.
L’arciduchessa sospirò rassegnata.
Facendosi aiutare dallo stalliere, montò a cavallo goffamente, sedendosi a cavalcioni come facevano gli uomini alla sua epoca.
Un tremendo senso di disagio la investì.
Aveva come l’impressione che il suo equilibrio fosse tremendamente precario da lassù.
Una volta tutti in sella, Oscar si mise in testa alla fila, conducendoli nel parco.
Dopo pochi minuti di cammino, l’Oceano si spalancò davanti ai loro occhi.
“Abiti in un posto bellissimo”, commentò Gerard rapito.
Maria Antonietta era a dir poco stupefatta: in tutta la sua vita, non aveva mai visto il mare.
“Vi va di fare una galoppata sulla spiaggia?”, propose il ragazzo.
Oscar stava per chiedere a Maria Antonietta se per caso fosse d’accordo, dal momento che l’aveva vista un po’ in difficoltà, quando si rese conto che la ragazza era già partita al galoppo sfrenato, incitando il suo cavallo a correre più veloce.
Ridendo divertita, Oscar si lanciò al suo inseguimento, tallonata da Gerard.
Una volta affiancati, l’amica le gridò:
“Lasciatelo dire: sei proprio la regina delle amazzoni!”.
A quell’affermazione, Maria Antonietta non poté fare a meno di sorridere.
 
***
 
Più tardi, i ragazzi si riunirono ai genitori per la cena.
Maria Antonietta passò buona parte del pomeriggio a sistemarsi i capelli.
Sia lei che Oscar si erano portate un vestito per l’occasione.
L’arciduchessa si sentiva molto a disagio con quello stretto abito moderno che lasciava scoperte le gambe: le sembrava di essere nuda.
Lo stesso valeva per l’amica, di gran lunga fuori luogo in abiti esclusivamente femminili.
Stretta nel tubino argentato sembrava più magra e nodosa che mai.
Le due ragazze si scambiarono reciprocamente un’occhiata perplessa e, notando che entrambe avrebbero dato qualcunque cosa pur di cambiarsi d’abito, scoppiarono a ridere come due matte.
“Poche ore e sarà tutto finito”, disse Oscar passandosi un leggero strato di rossetto sulle labbra sottili.
“Resteranno di stucco”, ridacchiò Maria Antonietta.
Nel momento in cui si sedettero a tavola, illuminata dalla luce dei candelabri, l’arciduchessa credette davvero di essere tornata a casa.
L’aria di ufficialità, il tono sommesso della conversazione, le pietanze servite dai domestici: tutto faceva pensare a una Versailles del futuro.
Mentre Maria Antonietta mangiava a piccoli bocconi, non poteva fare a meno di pensare alle cene informali tra lei e Oscar, le loro risate, talvolta la televisione accesa.
Le ritornò in mente il locale dove si erano incontrate, l’allegra confusione che vi regnava.
Per la prima volta, l’arciduchessa si rese conto che il suo mondo era in realtà noiso.
E la nostaglia passò in un lampo.
Quanto mancava al loro ritorno a Parigi?
Dopo cena, la signora Jarjayes propose loro un giro notturno della pinacoteca.
Un cameriere li scortò a lume di candela lungo le stanze buie dalle pareti cariche di dipinti.
Improvvisamente, sia Oscar che Maria Antonietta sbiancarono.
Il ritratto di una donna sui vent’anni dal paffuto viso ovale e gli occhi azzurri le stava fissando sorniona dall’alto di una balaustra.
“Oh, ecco Maria Antonietta, la nostra regina”, commentò la madre di Gerard deliziata.
Alle sue spalle, l’arciduchessa si appiattì d’istinto contro la spalla di Oscar.
“Una grande donna, poverina. Peccato che sia vissuta nell’epoca sbagliata. Scommetto che al giorno d’oggi avrebbe trascorso una vita diversa”.
“Di questo ne sono certa!”, intervenne Oscar, affrettandosi a sviare il discorso su una strada meno pericolosa. “Evviva la regina!”, aggiunse strizzando un occhio a Maria Antonietta.
“Viva la regina!”, esclamarono in coro tutti gli altri.
Nascosta nella penombra, Maria Antonietta arrossì vistosamente, le lacrime agli occhi per la commozione.
In tutta la sua vita, non si era mai sentita così amata da qualcuno.
 
***
 
“Alla fine, siamo sopravvissute”, commentò Oscar con uno sbadiglio mentre si avviavano verso le loro camere. “Domattina ti vengo a svegliare io, okay? Buonanotte, Antoine”.
“Buonanotte”.
Le due si scambiarono un abbraccio fraterno, poi ciascuna filò nella propria stanza.
Nonostante fosse ormai mezzanotte e mezzo, Maria Antonietta non riusciva a prendere sonno.
Troppi pensieri si affollavano nella sua mente confusa.
Oscar era davvero una grande amica, lo sapeva.
Avrebbe tanto voluto aiutarla, sdebitarsi per tutto l’affetto che nutriva per lei.
Improvvisamente, un’idea le balenò nel cervello.
Aveva notato il telefono fisso abbandonato sul comodino.
Un numero sconosciuto per André, che non rispondeva mai quando riconosceva quello di Oscar.
In punta di piedi, Maria Antonietta entrò nella stanza dell’amica.
Per fortuna, era già nel mondo dei sogni.
Rapida e silenziosa, l’arciduchessa si impossessò del suo cellulare e sgusciò di nuovo in camera sua.
Le ci volle un’eternità per capire come funzionava la rubrica, con i nomi che le schizzavano via tra le dita.
Senza volerlo, fece partire un paio di telefonate a buffo.
Finalmente trovò il nome che cercava: André Grandier.
Lo ricopiò febbrilmente sul ricevitore fisso, restando in attesa.
Uno squillo.
Due squilli.
Tre squilli.
Poi una voce roca rispose.
“Pronto?”.
 
 
Ovviamente, André non aveva il fisso di Oscar, altrimenti tutto questo non sarebbe mai potuto accadere! ;)
Allora, che ne dite?
Finalmente, ho deciso di abbandonare il registro malinconico per dare a questa storia un pizzico di brio.
Vi aspettano altre sorprese al ritorno delle nostre amiche a Parigi.
State pronti! :D

Come sempre, ecco a voi il link della pagina Facebook con tutti gli aggiornamenti: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra 

Auguro a tutti voi una buona serata! 
A presto! :)

F.
 
 
 

 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***




CAPITOLO 16
                       






 
Risvegliarsi la mattina seguente per scoprire che di lì a poche ore sarebbe stata di nuovo a Parigi fu per Oscar un sollievo indescrivibile.
Anche Maria Antonietta sembrava dello stesso avviso.
Quando scesero insieme per la colazione, la ragazza non poté fare a meno di notare un’aria stranamente gongolante dipinta sul volto dell’amica.
“Che cos’hai?”, le domandò sagace. “Mi stai forse nascondendo qualcosa?”.
Il sorriso di Maria Antonietta diventò se possibile ancora più largo, al punto da metterle in risalto gli incisivi leggermente più grandi del normale.
“Grande invenzione, i telefoni. Un tempo era tutto più difficile. Potevano passare anche mesi prima di ricevere la risposta di una lettera”, rispose in tono sognante.
“Cosa vorresti dire?!”, esclamò Oscar.
Non sapeva come, ma improvvisamente aveva un brutto presentimento.
“Spero che mi perdonerai, amica mia. L’ho fatto per il tuo bene”, proseguì Maria Antonietta in tono innocente.
“COSA HAI FATTO TU?”.
“Ehm…ieri notte, quando siamo rientrate, sono…ehm…sono entrata in camera tua mentre dormivi e ho telefonato ad André”.
CHE COOOOOSA?!”.
Oscar ormai stava letteralmente gridando.
“Qualcosa non va, tesoro?”, domandò in quel momento la signora Jarjayes, spuntando a tradimento alle loro spalle.
Sia Oscar che Maria Antonietta si lasciarono sfuggire un urlo di sorpresa.
“Niente, mamma, niente”, farfugliò la ragazza, seguendola di sotto.
Perché questo genio di donna spunta sempre al momento sbagliato?, pensò furibonda mentre scendeva le scale.
Con sua madre nei paraggi, le sarebbe stato impossibile scoprire nell’immediato che razza di pasticcio aveva combinato Maria Antonietta a sua insaputa.
La colazione si prolungò più del dovuto.
La signora Jarjayes prese puntualmente a tormentare Oscar con le sue domande inopportune, sperando di strapparle almeno un complimento su Gerard, cosa che ovviamente non avvenne.
Delusa per l’ennesimo fallimento dei suoi numerosi tentativi di appiopparla al ricco ereditiero di turno, la donna passò il testimone a suo marito, di certo molto più incisivo di lei.
“Hai sentito che è uscito il nuovo bando per entrare all’Accademia Militare?”, disse questi con calma.
“Ne abbiamo già parlato, papà”, rispose Oscar fingendo di continuare a sorseggiare il suo latte freddo come se niente fosse. “Non mi interessa entrare nell’Arma”.
“Ma in questo modo potresti mandare avanti la tua passione per tutta la vita, per di più ricevendo lauti compensi”.
“Quell’ambiente non fa per me. E, se proprio la vuoi sapere tutta, sono anche dei pessimi schermidori. Io li ho visti alle gare. È veramente difficile che prendano qualche medaglia”.
“Non dire sciocchezze! Io stesso ho gareggiato insieme a…”.
“I tempi sono cambiati, papà. La tua generazione ha donato alla Francia dei grandissimi campioni all’interno dell’Accademia, ma ora è arrivato il momento del cambio della guardia e sono sempre meno i giovani decisi a intraprendere la carriera militare. Se vogliamo allenare le nuove promesse, dobbiamo andare nelle palestre pubbliche. Mi precluderei una grandissima opportunità, se entrassi nell’Arma”.
“Queste sono tutte sciocchezze che ti hanno ficcato in testa quei cialtroni della tua palestra! Hai visto in che buco vivi?”, ruggì il signor Jarjayes furibondo.
“Si dia il caso che quel buco sia la mia casa. Sono maggiorenne e vorrei decidere finalmente della mia vita. Non siamo più nel Settecento, dove vi piacerebbe vivere a voi due”, tagliò corto Oscar. “E ora, se non vi dispiace, io e Antoine dovremmo rientrare a Parigi. Dobbiamo vedere una persona”.
“Chi, cara?”, cinguettò sua madre in tono innocente.
“André”, rispose la ragazza sputando il primo nome che le venne in mente.
“Ancora quel buono a nulla?”, la rimbeccò suo padre.
“Parla di nuovo in questo modo di André e vado all’anagrafe a cambiare cognome!”, tuonò Oscar furibonda. “Vieni, Antoine!”.
“Non usare quel tono con me, ragazzina!”, ululò il signor Jarjayes, ma ormai le due amiche erano arrivate al piano di sopra.
Ci misero poco più di cinque minuti a riordinare le loro cose nella valigia e ritornare al piano di sotto.
La signora Jarjayes aveva un’aria particolarmente affranta nel vederle partire.
Le piccole mani affusolate erano scosse da lievi tremiti.
“Non dovresti trattare tuo padre così, tesoro. Lo sai quanto ci sta male”, disse sull’orlo delle lacrime.
“Non hai idea di quanto lui ne faccia a me. Dove si è cacciato?”.
“Credo sia andato a caccia. Era troppo arrabbiato”.
“Meglio così. In caso, lo chiamo io stasera”.
“Fai buon viaggio, tesoro”, disse sua madre abbracciandola forte. “Telefonami, quando arrivi a Parigi”.
“Sì, sì, lo farò”, biascicò Oscar nervosamente.
“E salutami André”.
“Certo, appena lo vedo…”.
Una volta congedatesi finalmente dalla signora Jarjayes, le due ragazze poterono finalmente salire in macchina.
Oscar era così ansiosa di lasciare quel posto infernale, che nel premere l’acceleratore investì sua madre e un paio di domestiche con una vera e propria pioggia di ghiaia.
Solo quando superò l’enorme cancello di ferro battuto e prese a filare tra i viottoli di campagna la ragazza poté tirare un sospiro di sollievo.
“So che questo non è proprio il tono che si dovrebbe usare con la regina di Francia”, disse a un certo punto “ma si può sapere che cazzo hai combinato ieri notte?”.
Con suo sommo stupore, Maria Antonietta scoppiò in una risatina.
“Non potevo più vederti così giù per André”, rispose innocentemente. “Così ho deciso di prendere io l’iniziativa e l’ho chiamato col telefono di casa!”.
“Grazie Signore per non averglielo mai dato!”, esclamò l’altra evitando per un pelo di andare a sbattere contro il guard rail. “E lui?”.
“Mi ha risposto”.
Ha risposto?!”, Oscar scalò la marcia così bruscamente che dal motore proruppe una serie di bestemmie.
“Sì…credo che stesse dormendo”.
“Oh, cielo!”.
“Quando ha capito chi ero per poco non mi riattaccava in faccia, però io ho insistito e gli ho detto tutto”.
“Tutto cosa?”.
“Be’, che eri molto triste per il fatto che non volesse farsi più né vedere né sentire e che non ti importava niente dell’occhio, eccetera”.
“E lui che ti ha detto?”.
“Ha detto che sta a casa. Quando vuoi”.
Maria Antonietta dovette cacciare un urlo per evitare che Oscar attraversasse un incrocio a ottanta all’ora senza guardare, rischiando di fare un frontale con un colossale trattore che stava arrivando dalla direzione opposta.
“Ti dispiace se facciamo una piccola deviazione, prima di tornare a casa?”, domandò la ragazza con il volto rosso come un peperone.
“Quello che vuoi, cara”, rispose Maria Antonietta rilassandosi sullo schienale.
 
***
 
Fu un miracolo se quel giorno non vennero fermate dalla Polizia Stradale, per non parlare della vera e propria gimkana con gli autovelox.
Oscar sembrava improvvisamente decisa a partecipare a una corsa di Formula 1.
La sua piccola utilitaria schizzava a tutta velocità sull’autostrada, spingendola oltre il limite concesso al suo povero, vecchio motore, che da un certo punto in poi prese a ululare in maniera preoccupante.
Maria Antonietta stava pregando di non rimanere in panne in mezzo alla carreggiata.
Forse dovevo aspettare che rientrassimo in casa per dirglielo, pensava terrorizzata mentre zigzagavano pericolosamente tra le altre auto.
Se qualcuno andava troppo piano, Oscar iniziava a strombazzare come un’invasata, ricoprendo di insulti il malcapitato di turno.
Tutto quello che desiderava in quel momento era raggiungere André il prima possibile.
Fu un sollievo per entrambe imboccare la via dove abitava il ragazzo, circondata da basse palazzine costruite nel dopoguerra.
Oscar parcheggiò letteralmente in mezzo alla strada e si attaccò al citofono come se fossero inseguite da un pazzo armato d’ascia.
Maria Antonietta la seguì titubante.
Improvvisamente, le sue viscere si annodarono.
Aveva riconosciuto la station wagon blu di Axel parcheggiata a pochi metri dalla loro auto.
Il ragazzo doveva trovarsi ancora a casa di André.
L’arciduchessa si sentì sprofondare.
“Andiamo, andiamo!”, incalzò Oscar non appena la porta scattò, lanciandosi al piano di sopra.
Maria Antonietta sospirò, tentando disperatamente di starle al passo.
Con suo sommo disappunto, venne ad aprirle proprio Axel.
“Ciao!”, esclamò esterrefatto.
Oscar gli lanciò le braccia al collo, sfogando tutta la tensione accumulata in quelle ore infernali.
“Lui dov’è?”, chiese.
“Di là”.
Senza proferire parola, la ragazza si lanciò nella stanza accanto, lasciandolo solo con Maria Antonietta.
Tra i due calò subito una cappa di pesantissimo imbarazzo.
“Temo che ai tuoi tempi mi avrebbero come minimo condannato a morte, per quello che ti ho fatto”, disse il giovane a capo chino.
“Si chiama alto tradimento. Ti avrebbero fatto squartare legandoti a quattro cavalli”, rispose Maria Antonietta in tono gelido.
Avrebbe tanto voluto prenderlo a schiaffi per la sua insolenza.
“Mi dispiace…io, ti avevo scambiata per Nicole, davvero!”.
“Vorrei crederti, ma…”.
Maria Antonietta si convinse finalmente a guardarlo in faccia e subito le sfuggì un gemito.
Mai nel suo mondo aveva visto un ragazzo così bello, se non nelle sculture immacolate che costeggiavano i viali di Versailles.
Quegli occhi di un azzurro intenso intervallati da pagliuzze blu, quel mare di capelli castani e un po’ ribelli, i tratti regolari del volto, il fisico asciutto e muscoloso erano quanto di più distante potesse esserci dai nobili grassi e tormentati dalla gotta che calpestavano i corridoi del castello.
La bellezza di Axel era qualcosa di completamente diverso da ciò a cui l’arciduchessa era abituata.
Un ideale irraggiungibile, che si sarebbe realizzato solo secoli dopo la sua nascita.
Forse gli dei esistevano davvero.
“Sono proprio un deficiente”, disse a un certo punto il ragazzo, riportandola bruscamente alla realtà. “Proprio io, che ho letto decine di libri su di te, che sono un grande appassionato della tua epoca, al punto da volerci vivere…e manco di rispetto alla regina, la mia regina!”.
Senza volerlo, Axel crollò in ginocchio, afferrando la piccola mano di Maria Antonietta e stringendola forte tra le sue, il capo chino in segno di sottomissione.
La ragazza trasalì, facendo un balzo indietro.
Non sapeva che in quell’epoca potesse esistere qualcuno in grado di mostrare ancora un simile atteggiamento.
Forse anche Axel era nato nel momento sbagliato, pensò con un tuffo al cuore.
“Per favore, non c’è bisogno…alzati, ti prego! Io ti perdono”.
Axel levò timidamente il capo verso di lei.
“Mia regina”, continuava a pensare febbrilmente Maria Antonietta con il cuore che batteva a mille. Mi ha chiamata “mia regina”…
“Che cosa state facendo, voialtri?”, domandò in quel momento una voce di donna alle loro spalle.
Axel si alzò d’istinto, come se lo avessero pungolato con un ferro rovente.
Alle loro spalle era appena apparsa Nanny, le mani posate sui fianchi con fare marziale.
“Oggi è la giornata delle riconcialiazioni, vedo”, commentò in tono soddisfatto. “Bene, bene. Fate come se non ci fossi”.
E sparì in cucina.
All’occhiata interrogativa che gli lanciò Maria Antonietta, Axel si limitò a rispondere con un sorriso:
“La nonna di André”.
“Ah”, rispose lei sforzandosi di rimanere impassibile.
“Sembri molto stanca. Vuoi qualcosa da bere?”, incalzò l’altro.
“Sto bene così, grazie. Tu come stai?”.
“Non c’è male”.
Di nuovo il velo di imbarazzo si stese tra di loro.
Entrambi avevano tante cose da dirsi, ma nessuno dei due trovava il coraggio di tirarle fuori.
A un certo punto, Maria Antonietta si fece coraggio.
“Come va con Nicole?”, sputò lì spietata.
 
***
 
Quante volte Oscar aveva oltrepassato la porta della camera di André negli ultimi anni?
La ragazza ne aveva perso il conto.
Non appena fece ingresso nella stanza, il suo cuore mancò qualche battito.
Lui era lì, con i lunghi capelli sciolti sulle spalle.
L’occhio ferito era letteralmente scomparso dietro la folta frangia ricciuta.
“Andrè!”, esclamò lei lanciandosi tra le sue braccia.
Il ragazzo la strinse forte, affondando il volto nei suoi capelli biondi.
“Perché sei sparito così?”, singhiozzò Oscar prendendogli il viso tra le mani.
“Credevo che non volessi più vedermi, così sfigurato”, rispose lui in tono contrito.
“Ma cosa vai a pensare, razza di testone? Io ti avrei sempre voluto bene, con due occhi o meno!”.
André sospirò.
“Sono successe troppe cose tutte molto in fretta”, disse piano, senza guardarla negli occhi.
“Perché quel bacio?”, domandò l’altra con il cuore in gola.
Era meglio arrivare subito al dunque, quando le ferite di entrambi ancora sanguinavano.
André serrò per un attimo la palpebra sana; poi si decise a parlare.
“Io ti amo, Oscar”, disse a voce bassissima. “Ti amo dal primo momento che ti ho vista, ma l’ho sempre nascosto. Sapevo dei tuoi sentimenti per Axel e ho condiviso con te la tua sofferenza nel perderlo prima come possibile findanzato e poi come amico. Ci tenevo troppo a te per rischiare di fare la stessa fine. Ero pronto a qualsiasi sacrificio, pur di restare al tuo fianco. Ma ora i tempi sono cambiati, tante cose stanno accadendo in questi giorni e io…non ce l’ho fatta più a nascondertelo, Oscar. Perdonami, se puoi”.
A quelle parole, la ragazza non seppe trattenersi oltre.
Con uno slancio, le sue labbra tornarono finalmente a immergersi in quelle di André.
Il ragazzo le prese il volto tra le mani, baciandola con tutta la passione che aveva in corpo.
Lei non lo respinse, abbandonandosi completamente a lui, finalmente donna, senza più maschere.
Quel momento di eternità venne improvvisamente interrotto da una serie di urla che esplosero dal salotto.
Allarmati, entrambi i ragazzi accorsero sul posto.
Maria Antonietta giaceva svenuta tra le braccia di Axel, davanti agli occhi esterrefatti di Nanny.
“Ho forse detto qualcosa che non andava?”, domandò la donna esterrefatta.
 
 
Buonasera! :)
Finalmente sono riuscita a riconciliare un po' i nostri personaggi: i sentimenti di André e Oscar sono usciti allo scoperto e anche il nostro buon vecchio Axel sta iniziando a fare i conti con il suo debole per Maria Antonietta.
Il problema ora è il pasticcio che ha appena combinato Nanny: cosa pensate che abbia detto ai nostri due innamorati?
Lo saprete giovedì prossimo, anche se non vi sarà difficile indovinarlo, visto l'ardente fervore rivoluzionario della signora Grandier...
Nel prossimo capitolo torneranno anche i nostri giovani innamorati, Louis e Rosalie, insieme ai loro rispettivi partner...come pensate che si risolva la questione tra loro?
Colgo l'occasione per ringraziarvi ancora per le vostre bellissime recensioni, il vostro affetto e il vostro entusiasmo nel seguire questa storia.
Siete già in molti a chiedermi di aggiornare più volte a settimana...Come vi ho già detto, mi piacerebbe molto, ma tra l'università e le altre storie trovo davvero difficile trovare il tempo per scrivere.
Preferisco davvero farvi aspettare qualche giorno in più, ma allo stesso tempo regalarvi un buon capitolo che fare le cose di fretta e male.
Voi che ne pensate?
Vi abbraccio tutti, uno per uno :D
A presto!

F.

Mi sono scordata qualcosa?
Giusto, il link della mia pagina Facebook: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo



 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***



CAPITOLO 17
                     







 
 
Tutti gli occhi erano puntati su Nanny, mentre Axel cercava di adagiare il corpo privo di sensi di Maria Antonietta sul divano.
Sembrava che improvvisamente la temperatura nel salotto si fosse abbassata di una decina di gradi.
“Nonna”, si azzardò a domandare André, anche se temeva di conoscere già la risposta “che cosa le hai detto?”.
“Ma io niente”, protestò Nanny incrociando le braccia.
“Per favore, non è che avete qualcosa per farla rinvenire?”, supplicò Axel spaventato.
“In bagno dovrebbero esserci dei profumi abbastanza forti”, rispose André senza staccare gli occhi da sua nonna.
“Vado io”, si offrì Oscar precipitandosi nella stanza accanto.
Tornò pochi istanti dopo, stappando un gigantesco flacone d’acqua di colonia.
Ebbene?!”, incalzò nel frattempo André.
“Oh, ma quante storie per una che è morta!”, si schermì Nanny, che ormai cominciava a irritarsi sul serio.
“Come sarebbe a dire morta?”, esclamò Oscar spaventata.
“Ma è ovvio, no? Maria Antonietta, la regina di Francia”.
Anche se si aspettavano una risposta del genere, sia Oscar che André si sentirono mancare il pavimento sotto i piedi.
“Non le avrai detto…”.
“…che c’è stata la Rivoluzione? Oh, andiamo, lo sanno anche i sassi!”.
“MA COME TI Ѐ SALTATA IN MENTE UNA COSA SIMILE?”, ruggì Andrè in preda al panico.
“Perché, non dovevo?”.
Nanny cominciava ad essere fermamente convinta che suo nipote fosse leggermente uscito di senno.
Del resto, come poteva credere che la ragazza svenuta davanti a lei fosse la vera Maria Antonietta d’Asburgo all’età di quindici anni?
“No che non dovevi!”, esclamò André disperato.
“Ma…perché?”.
“Si sta svegliando!”, disse in quel momento Axel.
In quel momento, Maria Antonietta socchiuse i grandi occhi celesti.
Lanciò una debole occhiata ai presenti, soffermandosi sui volti di ognuno, e per poco non svenne di nuovo.
Fu il tempestivo intervento di Axel, che le cacciò prontamente il profumo sotto il naso, a evitare il peggio.
“Dove sono? Chi siete?”, domandò disperata, gli occhi serrati.
“Va tutto bene, Antoine”, cercò di consolarla il ragazzo, stringendola tra le sue braccia. “Sei al sicuro qui. È tutto finito, davvero”.
Al sicuro?”, domandò Nanny guardinga. “Che cosa mi state nascondendo, voialtri?”.
“Non qui”, rispose André con fermezza. “Di là. Oscar?”.
“Vengo anch’io”, rispose la ragazza.
La donna lanciò loro un’occhiata perplessa; poi li seguì in cucina.
“Chi è quella ragazza?”, domandò una volta soli.
Oscar e André si lanciarono una lunga occhiata, poi la ragazza si fece coraggio.
“Non so come dirglielo, ma si dà il caso che quella ragazza sia Maria Antonietta”.
“Eh?”.
Nanny li guardò come se le stessero giocando un brutto scherzo.
“Lo so, è stato difficile anche per noi, ma lei è la vera Maria Antonietta. Non sappiamo come abbia fatto ad arrivare fin qui”, soggiunse André.
“E come fate a esserne così certi? Una cosa come questa è assurda!”, esclamò Nanny.
“Abbiamo controllato la firma: è identica”, rispose Oscar cercando di mantenere la calma. “E poi non sa niente della nostra epoca. Le sto insegnando tutto io. Ora vive con me”.
“Come sarebbe a dire non sa niente della nostra epoca?”.
“Le posso assicurare che fino a tre settimane fa non sapeva neanche accendere la luce”.
Nanny sbatté più volte le palpebre dietro le lenti rotonde degli occhiali, poi sbirciò per un attimo nel salotto.
In quel momento, Axel teneva Maria Antonietta tra le braccia, la testa di lei premuta contro il suo petto.
In effetti, la ragazza somigliava in maniera straordinaria all’arciduchessa.
Dall’alto del suo orgoglio patriottico, Nanny conosceva molto bene la storia di Francia.
Le piaceva leggere libri di ogni genere sulla Rivoluzione francese e fare ricerche accurate su usi e costumi dell’epoca.
Aveva ben presente i numerosi ritratti che raffiguravano l’odiata regina.
Anche se in quel momento era vestita con un semplice paio di jeans e maglietta e teneva i lunghi capelli biondo cenere sciolti sulle spalle, sarebbe stato impossibile non riconoscere la curiosa forma ovale del viso, lo sguardo sornione e il lungo collo di cigno.
In tutte le trasposizioni cinematografiche che avevano realizzato in quegli anni, non c’era stata una Jane Seymour o una Kirsten Dunst capace di eguagliare quei tratti.
“Ha firmato con la sbaffatura?”, chiese un attimo dopo rivolta ai ragazzi.
“Precisamente”.
Nanny restò in silenzio, continuando a fissare i due giovani rannicchiati sul divano.
Richiuse la porta quando notò che i loro volti si stavano avvicinando pericolosamente.
“Sapete che mi è difficile crederlo, ma so bene che non è nella natura di mio nipote il mentire ”, commentò pochi istanti dopo.
“Grazie per la fiducia, nonna”, sospirò André.
“In effetti, mi sembrava un po’ strana. Ha dei modi di fare un po’ d’altri tempi e per dirlo io!”, proseguì Nanny.
“Si sta adattando molto velocemente. È una ragazza molto intelligente, nonostante la cattiva fama”, assicurò Oscar.
“E voi non le avete mai detto come sarebbe morta?”.
“Come potevamo? Guardala, nonna! È solo una ragazzina di quindici anni. Come fai a dirle che verrà decapitata dal suo stesso popolo?”, osservò André disgustato.
“Ai suoi tempi si moriva anche molto prima dei quindici anni! Se è veramente la persona che dite, non è tanto la fine a sconvolgerla, ma il fatto di aver fallito tutto nella sua vita. E me ne compiaccio”.
“Nonna, tu non la conosci! Avrà sicuramente fatto delle scelte sbagliate nel corso della sua vita, ma dopo che l’avrai conosciuta sicuramente cambierai idea! È una persona molto diversa da quella che ci descrivono le cronache”.
“Sciocchezze, sappiamo benissimo cosa ha fatto”.
“Be’, tanto per cominciare non ha mai mandato a morte nessuno come ha fatto il tuo amico Robespierre!”.
“Ma ha fatto morire di fame il suo stesso popolo per comprarsi diamanti e vestiti!”.
“Per favore, la volete smettere?”, intervenne Oscar furibonda. “Sono comunque cose che devono ancora accadere nella sua vita. Lei è appena arrivata in Francia senza quasi conoscere la lingua, suo marito non le presta alcuna attenzione e per di più è in balia delle malelingue di una corte ostile. Chissà, forse le è stata concessa una seconda possibilità…”.
“Certo, questi qui cadono sempre in piedi”, sibilò Nanny velenosa.
“Basta, nonna! Non voglio sentirti parlare in questo modo dei miei amici!”, sbottò André.
“E io non avrei mai creduto di sentire mio nipote difendere gente simile!”.
“PER FAVORE, BASTA!”, ruggì Oscar. “Okay, pro o contro la Rivoluzione, qui abbiamo un problema serio. Visto che si trova confinata qui, speravamo che Maria Antonietta si rifacesse una vita in questo secolo senza preoccuparsi di ciò che l’attendeva se fosse tornata nel Settecento, ma visto che ora sa tutto dobbiamo usare il giusto tatto per farle superare lo shock”.
Nanny sbuffò spazientita.
“Insomma, come ti sentiresti se qualcuno ti dicesse che tra vent’anni morirai decapitata?”, esclamò André esasperato.
“Ho detto basta!”, tuonò Oscar. “Secondo me, Maria Antonietta non è piombata qui per caso. Deve esserci un motivo, anche se temo che non lo scopriremo mai. Per adesso, noi siamo le uniche persone che ha accanto. E, almeno per quanto riguarda me, io non la lascerò sola”.
“Nonna, io lo so che sei la persona più buona del mondo, ma secondo me nutri ancora troppi pregiudizi verso certe cose”, osservò André. “Chissà, forse Antoine è arrivata fin qui proprio per aprirti gli occhi!”.
“Ah, baggianate! Chi sono io per far scomodare la Sua Maestà la Regina?”, si schermì la donna scrollando le spalle esili.
Oscar non poté fare a meno di notare che in quel momento non stava fissando negli occhi nessuno dei due.
“C’è qualcosa che deve dirci?”, azzardò.
“Cosa dovrei dirvi?”, domandò Nanny.
Ancora una volta, i suoi occhi scuri erano puntati sulle piastrelle della parete.
“Qualsiasi cosa che le viene in mente. Magari potrebbe aiutarci a far luce su questa faccenda”.
“Io non so niente, ragazzi”, tagliò corto la donna, divenuta improvvisamente seria. “Be’, credo che si sia fatto tardi. Tra poco devo riaprire il negozio. Fate i bravi, mi raccomando. André, ti chiamo stasera. A presto, Oscar”.
La ragazza le stampò due baci formali sulle guance, la mente che galoppava.
Era sempre più convinta che la donna stesse nascondendo loro qualcosa di grosso.
“Tu conosci tua nonna meglio di chiunque altro, vero?”, domandò rivolta ad André una volta rimasti soli.
“Sì”, rispose lui continuando a fissare la porta chiusa della cucina. “O almeno credo”.
 
***
 
“Ѐ tutto un brutto sogno, vero?”, domandò Maria Antonietta, gli occhi ancora socchiusi.
“Va tutto bene, Antoine. Sei a più di duecento anni di distanza da chi voleva farti del male. Non può succederti assolutamente niente qui”, la rincuorò Axel, le parole scosse dall’emozione.
Era vero, proprio grazie a quel salto nel tempo la ragazza era salva.
Come le sembrava piccola e fragile tra le sue braccia.
Possibile che quella fosse davvero la futura regina di Francia, una donna così potente che nessuno avrebbe mai potuto nemmeno guardarla se non fosse stato degno del suo rango?
Ora invece eccola lì, distesa su un vecchio divano alla periferia di Parigi, pallida e spaventata.
Incredibile.
“Mi taglieranno la testa?”, domandò Maria Antonietta con un singhiozzo. “Per favore, Axel, non mentirmi!”.
Il ragazzo annuì piano.
“Mi dispiace”, mormorò a disagio.
“Perché me lo avete nascosto?”.
“Esiste forse un modo per dire una cosa tanto orribile?”.
Maria Antonietta scosse il capo, pallida come un cadavere.
“No”, rispose freddamente. “Ma non è questo il punto! Loro, la mia gente, il mio popolo…”.
“Nessuno immaginava quello che sarebbe successo dopo”, rispose Axel desolato.
La ragazza si lasciò sfuggire un altro singhiozzo.
In un attimo, il suo volto fu completamente bagnato dalle lacrime.
“Ho fallito”, fu tutto quello che riuscì a dire.
Axel la strinse forte tra le sue braccia.
I singhiozzi di lei diventarono ancora più forti, il volto premuto contro il suo petto.
In quel momento, Maria Antonietta avrebbe tanto voluto sparire nel nulla.
“Va tutto bene, va tutto bene”, cercò di rincuorarla Axel con dolcezza. “Non eri fatta per essere regina. Ora che sai la verità, sarai d’accordo con me sul fatto che è stato meglio così”.
“Ma non capisci? Io non sono più lì, eppure la storia è andata avanti lo stesso senza di me! Chi ha preso il mio posto e ha portato la Francia allo sfacelo?”.
“Non lo so. I libri di storia sono rimasti invariati, come se nessuno dei loro protagonisti fosse svanito improvvisamente nel nulla. Qualcosa deve essere accaduto per forza. Forse è destino che tu debba vivere due vite, riscattandoti nella seconda”.
Maria Antonietta si lasciò sfuggire un gemito, affondando le unghie nel maglione di Axel.
“Coraggio. Sei qui, adesso. Il tuo posto è fra noi”, cercò di tirarla su il ragazzo.
“Voglio sapere tutto quello che è successo, minuto per minuto”, sussurrò l’arciduchessa fissandolo dritto negli occhi con tutta la determinazione che riuscì a trovare. “E solo tu puoi aiutarmi, Axel”.
Il giovane rabbrividì.
Le sue emozioni non erano ancora finite.
Non solo aveva deciso di fare dello studio la sua passione.
Ora avrebbe dovuto impiegare le sue conoscenze per aiutare la protagonista assoluta delle sue ricerche.
La regina di Francia.
Un’amica.
Una persona speciale.
“Sei sicura?”, le chiese titubante.
“Non ho nessun altro che mi permetta di avverare questo desiderio”, rispose Maria Antonietta. “Ѐ per il bene del mio popolo. Per la Francia”.
Axel annì piano, i volti di entrambi di nuovo pericolosamente vicini.
Sarebbe bastato davvero poco per tornare a sfiorarsi con le labbra.
Il ragazzo avvertiva tutto il calore di lei sprigionarsi a contatto con il suo corpo.
“D’accordo, Madame”, disse piano.
 
***
 
Finalmente, anche quell’interminabile giornata di scuola era arrivata alla fine.
Rosalie riordinò tutte le sue cose nella cartella, accodandosi poi alla calca di studenti che premeva per uscire dall’aula.
Era stata una giornata terribilmente lunga e noiosa.
Louis era a casa con la febbre alta e il banco accanto a lei era rimasto vuoto per tutto il giorno.
Solo allora la ragazza si rendeva conto di quanto potesse essere noiosa la vita senza il suo migliore amico.
Per fortuna aveva un paio d’ore di allenamento che l’aspettavano di lì a poco.
Già pregustava il familiare formicolio di adrenalina che l’assaliva ogni volta che si ritrovava davanti a un avversario sulla pedana.
La prossima gara era alle porte e non vedeva l’ora di pregustare l’imminente vendetta per ciò che era stato fatto ad André.
Gongolando a questa prospettiva, Rosalie si cacciò gli auricolari nelle orecchie e accese l’Ipod.
Le note stridenti di Du riechst so gut si insinuarono dolcemente nel suo cervello, accrescendo il suo piacevole senso di benessere.
Canticchiando sottovoce, la ragazza uscì all’esterno dell’edificio scolastico, venendo investita dalla gelida pioggerillina invernale mentre si avviava alla fermata della metro.
“Ehi, ma quello è tedesco?”.
Rosalie trasalì come se l’avessero colpita alle spalle, ritrovandosi a pochi centimetri dal sorriso imbarazzato di Bernard Chatelet.
Ancora tu?, pensò esasperata.
“Ehm, ciao”, la salutò lui timidamente.
“Lo sai che è maleducazione strisciare di soppiato dietro la gente?”, rispose Rosalie senza togliersi le cuffie dalle orecchie.
“Lo so, scusami, ma quando ti ho chiamata prima non mi hai sentito. Credo che stessi ascoltando la musica…”.
Sentendosi avvampare, Rosalie si strappò gli auricolari dalle orecchie con un gesto veemente.
“Che cosa vuoi?”, chiese in tono tagliente.
“Niente…solo salutarti”.
“Salutarmi? Non credo che siamo amici, io e te”.
“No, ma ci conosciamo di vista”.
Molto di vista”.
Bernard di lasciò sfuggire un sospiro carico di imbarazzo, facendo gongolare Rosalie ancora di più.
Quel metterlo in difficoltà la riempiva di una strana eccitazione.
“Come sta André?”, chiese a un certo punto il ragazzo.
“Una merda”, rispose lei senza troppi complimenti.
“Senti, mi dispiace…”.
“Non è vero, a te non dispiace un fico secco”, lo troncò Rosalie, decisa a chiudere quella situazione fastidiosa una volta per tutte. “Lo so che ti piaccio. Ce lo hai scritto in faccia. Ebbene, la mia risposta è no. Quindi non farti tanti film e lasciami stare. Anzi, se vuoi proprio saperla tutta, io non ti posso neanche vedere”.
A quelle parole, Bernard rimase per un attimo come imbambolato.
Di sicuro non riusciva a credere alle sue orecchie.
Poi, finalmente, realizzò quello che Rosalie gli stava effettivamente dicendo.
Un’espressione di puro orrore si allargò sul suo volto improvvisamente pallido come un cencio.
“Scusami, non volevo essere così brutale”, borbottò la ragazza. “Ma non mi hai lasciato altra scelta”.
Detto questo, Rosalie riprese la sua strada, lasciando Bernard Chatelet sotto la pioggia che diventava ogni istante sempre più battente.
Finalmente me ne sono liberata, pensò con un moto di trionfo.
Allora perché improvvisamente le era venuto quel terribile groppo allo stomaco?
Non voltarti, si disse in tono secco poco prima di sparire nelle viscere della terra.
A pochi metri da lei, si udì lo sferragliare di un treno in arrivo.
 
 
 
Buonasera! :)
Lo so, in questo capitolo i nostri amici vengono un po' tutti strapazzati, ma non temete, soprattutto per Rosalie e Bernard: vi dico subito che per loro mi atterrò molto all'anime.
La domanda è: quale sarà la situazione scatenante?
Ve lo lascerò scoprire tra qualche capitolo ;)
Nel mentre, anche la nostra Nanny si sta rivelando molto misteriosa...cosa che credete che nasconda?
Sì, sono ancora tante le cose che devono ancora accadere! :D

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete seguire tutti gli aggiornamenti in tempo reale: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

A presto!
Baci :)

F.





 
 
 






 

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***




CAPITOLO 18
                       





 
Rosalie poteva definirsi in qualunque modo tranne che romantica.
Forse perché si era abituata ad associare qualsiasi tipo di sentimentalismo alla figura viziata e svenevole di sua madre.
Forse perché, vista la brutta fine che aveva fatto il matrimonio dei suoi genitori, non le andava di correre il rischio di impelagarsi in avventure simili.
Eppure quello che era accaduto quel giorno l’aveva visibilmente scossa nel profondo.
D’accordo, sapeva sin dal primo momento che Bernard era innamorato di lei.
Però nei primi tempi non aveva dato alcun peso alla questione.
Non fino a quando era diventata palese, almeno.
A quel punto, la ragazza aveva d’istinto tirato fuori gli artigli e ferito più in profondità che poteva.
Quando Bernard le si era presentato con quella faccia, con quegli occhi, il mondo intero aveva come preso fuoco.
Nessuno si era mai comportato in quel modo con lei.
Nessuno aveva mai osato tanto.
Questo la metteva in difficoltà.
E Rosalie odiava essere messa in difficoltà.
I giorni che erano seguiti erano stati i più strani della sua vita.
Improvvisamente si era come aperto un vuoto.
Lei e Bernard non si incontravano più, né lui l’aveva più cercata in alcun modo.
“Ti credo, l’hai praticamente ucciso!”, aveva commentato Oscar quando lei le aveva raccontato l’accaduto. “Però meglio così, dai. In fondo, è bene non illuderlo se non ti piace”.
“No, infatti”.
Almeno, Rosalie sperava che fosse così.
Peccato che spendesse la quasi totalità del tempo in cui si connetteva su Facebook a sbirciare il profilo di Bernard.
Non essendo nella sua lista di amici, poteva solo accedere a poche foto e visualizzare alcuni stati che risalivano a qualche anno prima, all’inizio delle superiori.
Allora i suoi capelli erano ancora più lunghi di quelli che portava adesso, ma molto più lisci e disordinati.
Quell’aria un po’ trasandata gli donava un certo fascino…
A quel pensiero, Rosalie chiudeva subito la pagina con uno sbuffo stizzito.
Non doveva e non voleva ridursi come sua madre, come Louis, come Maria Antonietta.
Non avrebbe mai sopportato di tollerare le loro stesse sofferenze.
Che stress, pensava con rabbia mentre cercava nel suo Ipod la canzone dei Rammstein con più tasso di sesso, violenza e perversioni varie.
Nelle serate peggiori, la ragazza passava direttamente ai loro video su Youtube, tendendo l’orecchio continuamente per paura che qualcuno entrasse in camera sua e la sorprendesse con le mani nel sacco.
Il momentaneo sollievo che le dava la sua band preferita aveva però breve durata.
Bernard le mancava.
Le mancava terribilmente.
E lei si sentiva una terribile stronza ad averlo trattato in quel modo così crudele.
Doveva affrontare la questione alla radice.
E, per riuscirci, aveva urgentemente bisogno del parere di un altro maschio.
Uno di cui si fidasse ciecamente.
Ciao, Louis. Senti, ho un problema: ho ferito terribilmente una persona a cui voglio bene. Un mio amico. Come faccio a farmi perdonare? Guarda che è un po’ suscettibile, aveva scritto una sera all’amico.
Il ragazzo ci aveva messo un po’ a rispondere; poi le era arrivato il lapidario messaggio:
Parlagli.
Fosse facile!, aveva pensato Rosalie imprecando fra i denti.
Possibile che non ci fosse altra soluzione?
I giorni passavano e Bernard le mancava sempre più.
Le dispiaceva, ormai non aveva più senso non ammetterlo.
Che ragazzo fortunato!, si diceva spesso, pensando che una simile situazione aveva raramente esiti felici.
Bastava pensare a Luois e Lucile.
Ormai Rosalie era nauseata da se stessa.
Quella situazione era diventata insopportabile.
Fu così che, quel grigio martedì mattina, Rosalie si avviò a passo di marcia verso Bernard, in fila da solo davanti al self-service della mensa scolastica.
Nel vedersela comparire davanti così, senza preavviso, per poco Bernard non si rovesciò addosso il suo pollo fritto con le patatine.
“Ciao”, balbettò, cercando di sfoderare un sorriso convincente.
“Senti, avevo bisogno di parlarti”, buttò lì Rosalie con quello che doveva essere un tono dolce e conciliante.
“Va bene. Ehm, ti siedi con me?”.
“No, no, ho Louis che mi aspetta”.
Nel vedere il biondo e occhialuto Louis che prendeva due posti isolati, Bernard diventò di un allarmante color verde palude.
Per fortuna, Rosalie ebbe il tempismo di notarlo.
“Oggi la sua ragazza non è venuta”, si precipitò a riparare.
L’ipotetica presenza di una ragazza sembrò calmare Chatelet.
“Oh, è fidanzato?”, domandò in tono speranzoso.
“Veramente no. Però è molto innamorato, questo sì. Spero solo che lei si svegli, prima o poi”.
Nel pronunciare quella frase, Rosalie divenne improvvisamente paonazza.
Solo allora si rese conto di essersi incamminata su una strada pericolosa.
Anche Bernard parve dello stesso avviso, perché aveva improvvisamente preso a fissare il pavimento di linoleum.
“Cos’è che dovevi dirmi?”, domandò dopo un po’.
“Che mi dispiace per come ti ho trattato”.
Allo sguardo carico di speranza che Bernard le rivolse immediatamente, Rosalie si affrettò ad aggiungere:
“Intendevo dire, potremmo almeno provare ad essere amici, va bene? Tutto qui”.
“Oh”.
Il ragazzo sembrava confuso.
“Be’, meglio di niente”, borbottò.
“Puoi aggiungermi su Facebook, se vuoi. Ciao”.
Detto questo, Rosalie si allontanò il più veloce che poteva, le orecchie in fiamme.
Spero solo di non pentirmene, pensò con una stretta allo stomaco mentre raggiungeva Louis dall’altra parte della mensa.
 
***
 
Maria Antonietta sollevò lo sguardo dal grosso manuale di storia moderna che teneva sulle ginocchia.
Era stata tutto il pomeriggio a leggere, in attesa che Oscar ritornasse dalla palestra, e iniziava a vederci doppio.
L’arciduchessa si strofinò nervosamente gli occhi appannati.
Che stesse rischiando di diventare cieca?
Cercando di scansare anche quella preoccupazione, la ragazza chiuse prudentemente il libro e lo appoggiò sul divano.
Era arrivata all’affare della collana, in cui alcuni intriganti personaggi della corte avrebbero tentato di coinvolgerla in una truffa spaventosa.
Negli ultimi giorni, Maria Antonietta aveva scoperto delle cose a dir poco scioccanti sul suo futuro.
Dal principio aveva avuto un vero e proprio attacco di panico nel constatare che sarebbero trascorsi sette lunghi anni prima che lei e Luigi riuscissero ad avere un figlio, anche se non si sarebbe trattato subito dell’erede al trono.
Sarebbe salita al trono a vent’anni, dopo che Luigi XV sarebbe morto di vaiolo e la Du Barry sarebbe stata allontanata definitivamente da Versailles (arrivata a quel punto, l’arciduchessa si era lasciata sfuggire un sospiro di sollievo).
Le malelingue a corte non sarebbero cessate, anzi, sarebbero aumentate spaventosamente con i continui sperperi che la giovane regina avrebbe fatto per via dei suoi folli acquisti e la sua insana passione per il gioco.
Maria Antonietta dovette rileggere più volte i capitoli in cui si parlava di questo suo lato oscuro.
Per quanto la riguardava, un simile aspetto non la rispecchiava affatto, anzi, trovava assai deplorevole che una sovrana si comportasse in quel modo vergognoso.
Si costrinse a indugiare su tutte le perfide caricature che i suoi detrattori avrebbero diffuso sotto il suo naso negli anni a venire.
Una di particolare successo la raffigurava in vesti di struzzo, con la piccola testa incipriata che ammiccava stupidamente in cima a un collo lunghissimo.
E poi ci sarebbe stata la passione per Fersen, il vero Fersen.
I due si sarebbero scritti in segreto durante la lontananza di lui e si sarebbero frequentati di nascosto nel corso dei suoi brevi periodi di permanenza a Versailles.
Sembrava che tra i due si sarebbe instaurata una relazione irresistibile e travolgente, che sarebbe stata tollerata silenziosamente dallo stesso Luigi.
Anzi, si vociferava addirittura che Maria Teresa, la sua primogenita, sarebbe stata in realtà figlia del conte Fersen.
Maria Antonietta storceva puntualmente il naso davanti a tutte quelle insinuazioni.
La sua ferrea educazione cattolica le impediva di avere relazioni extraconiugali e per di più sapeva bene che ai suoi tempi il vero amore era solo una cosa che si leggeva nei libri.
I matrimoni si stipulavano per interesse politico ed economico, a prescindere dai sentimenti reciproci degli sposi.
E poi, a detta di Maria Antonietta, questo Fersen non era poi così eccezionale, o almeno i ritratti non gli conferivano la dovuta giustizia.
Ogni volta che leggeva il suo nome stampato con l’inchiostro, la ragazza avvertiva un’involontaria stretta allo stomaco.
Non poteva fare altro che pensare ad Axel.
Non importava se fosse già impegnato con un’altra donna.
Non importava se lei, Maria Antonietta d’Austria, non se lo potesse permettere.
Axel era sempre nella sua testa ed ella aveva ormai rinunciato definitivamente a scacciarlo.
In qualche modo, il giovane rappresentava il suo unico aggancio con il passato.
Lui sapeva.
Maria Antonietta sospirò.
Erano già le sette.
Oscar non sarebbe ritornata prima di due ore.
Dopo essersi stiracchiata pigramente, l’arciduchessa ritornò alla sua lettura.
Il capitolo seguente parlava dell’imminente riunione degli Stati Generali.
 
***
 
Stava ormai calando la sera quando Nanny uscì finalmente dalla buca della metropolitana e si incamminò per il boulevard striato dal rosso del tramonto.
Non avrebbe mai creduto che un giorno sarebbe ritornata lì, dopo tutti quegli anni.
Non le era mai piaciuto avvicinarsi al castello di Versailles, specie dopo l’esperienza avuta durante le riprese della Rivoluzione francese, men che meno di notte.
L’anziana donna si poteva definire in tutti i modi meno che paurosa.
Eppure, quell’episodio l’aveva davvero scossa, suo malgrado.
Ricordava ancora le immense sale della reggia stipate di costumi, cavi e aggeggi vari che servivano per le riprese.
Era andata a preparare un abito destinato a Jane Seymour, che avrebbe dovuto interpretare Maria Antonietta.
E aveva trovato lei.
Erano rimaste sole a guardarsi negli occhi, una più esterrefatta dell’altra; poi la giovane donna bionda le aveva parlato.
Non sapeva come, ma in quella sera di quasi trent’anni prima una ben più giovane Nanny aveva avvertito tutti i capelli rizzarsi sulla sua testa per lo spavento.
Era stato come assistere al ritorno di un morto dall’oltretomba o all’apparizione di un fantasma.
Quella donna non era lì per recitare.
Quella donna era lì perché quella era sempre stata casa sua.




Buonasera a tutti! :)
Come vedete, le sorprese non sono ancora finite.
Rosalie sta iniziando finalmente a fare i conti con i suoi sentimenti. Riuscirà Bernard a fare breccia nel suo cuore di ghiaccio?
Nel mentre, sta emergendo pian piano il segreto di Nanny?
Ebbene sì, non è la prima volta che le porte del tempo si aprono a sporposito, ma non voglio anticiparvi nulla!

Come sempre, ecco il link della mia pagina Facebook, dove potrete trovare tutti gli aggiornamenti: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A giovedì prossimo :D
Baci!

P. S. qualcuno di voi era martedì a Milano per i Linkin Park?

F.
 

 



 

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***




CAPITOLO 19
                      






 
Gita scolastica.
Questa fu la sorpresa con cui quella mattina Monsieur Rochefort, il professore di storia, esordì la sua lezione del giovedì.
Il programma era allettante, nonostante le previsioni del tempo fossero a dir poco catastrofiche: il mercoledì successivo, infatti, alcune classi dell’istituto si sarebbero recate in visita alla reggia di Versailles.
La notizia venne accolta dall’entusiasmo generale.
Rosalie e Louis, vicini di banco come sempre, non poterono fare a meno di scambiarsi un’occhiata eloquente, pensando entrambi alla reazione di Nanny.
“Mia nonna crede che quel posto sia maledetto”, le disse il ragazzo mentre andavano a mensa.
“Non mi sembra una persona da storie di fantasmi”, rispose Rosalie tendendo il collo per leggere il menu del giorno.
“So che per un periodo ha lavorato lì anche la notte, quando hanno girato quel film sulla Rivoluzione francese. Lei era la costumista e stava sempre sul set. Pare che sia successo qualcosa di strano durante le riprese, ma non ha mai voluto parlarmene”.
“Be’, è sempre un museo. A me i musei hanno sempre fatto una certa impressione, figuriamoci di notte! E poi sarà stata sicuramente sotto stress in quel periodo, con tutto il lavoro che c’era da fare”.
“Ma la nonna non è un tipo da perdere la testa per queste cose. Le piace il suo lavoro. Quando segue gli attori sul set, non sente né la fame né la fatica”.
“Ma allora perché non ha mai voluto parlarne?”.
“Non lo so. Diventa sempre nervosa, quando le nomini Versailles”.
“Che strano. Siamo sicuri che fosse davvero un fantasma e non qualcos’altro?”.
“Ma io non ho mai detto che fosse un fantasma!”.
In quel momento, Rosalie trasalì.
Bernard Chatelet si era appena avvicinato a loro con il suo solito incedere impacciato.
“Ciao!”, salutò abbozzando un sorriso. “Ho saputo della gita. Ci siete anche voi, mercoledì prossimo?”.
“Certo”, si lasciò sfuggire Rosalie. “Viene anche la tua classe?”.
“Oh, sì! Ci divertiremo da matti! Be’, ora scappo…ci vediamo!”.
Dopo aver scoccato un’occhiata nervosa a Louis, Bernard si allontanò a passo felpato, raggiungendo un gruppetto di ragazze della sua classe.
“Ci sta ancora sotto, eh?”, commentò il ragazzo mentre lui e Rosalie cercavano un posto a sedere.
“Pare di sì, anche se ho messo bene in chiaro come stanno le cose tra noi”, rispose l’amica.
Non le andava di rivelare che in realtà lei e Bernard chattavano fino a tardi tutte le sere.
In fondo, le piaceva parlare con lui.
Nonostante l’aspetto impacciato, era in realtà un ragazzo molto intelligente, con tanti interessi e voglia di fare.
Se solo non fosse stato così timido, al punto da sembrare un po’ stupido…
“E Lucile, l’hai più sentita?”, domandò a un certo punto.
Luois scosse il capo.
“Hai per caso qualche sua notizia dalla palestra?”, azzardò.
“Ogni tanto la saluto, ma di rado. Mi dispiace che sia andata a finire così”.
“Non ti preoccupare. Sono cose che capitano”.
“Piuttosto, Christine come sta?”.
“Un po’ meglio. Pare che si stia sentendo con un tipo della tua palestra”.
Gli occhi azzurri di Rosalie si ingrandirono come due sfere luminose per la curiosità.
“Oooh, e chi è?”, domandò con un sorrisetto malizioso.
“Un tale Victor Girodel”.
“Oh”.
Cavolo, perché proprio lui?, pensò Rosalie con una stretta allo stomaco, consapevole della pessima fama che aveva Victor nell’universo femminile.
“Sai se è a posto?”, domandò Louis in tono indagatorio.
“Sento tante cose sul suo conto”, rispose la ragazza con aria imbarazzata.
“Del tipo?”.
“Ha avuto parecchie storie, Louis. Un paio non sono durate nemmeno una settimana”.
Louis fece un cenno silenzioso con il capo, le mani giunte sotto il mento.
“Credi che la stia prendendo in giro?”, chiese dopo un po’.
“Non lo so. Non sapevo neanche che quei due si stessero sentendo”.
“Ѐ stato molto gentile quando Chris si è lasciata. Trovava sempre il modo di tirarla su”.
“Ci sa fare con le ragazze, questo è certo”.
Il pugno di Louis si strinse minacciosamente.
“Se solo fa soffrire mia sorella in qualche modo, io lo ammazzo”, disse in tono gelido.
Dal suo canto, Rosalie non poté fare a meno che dargli ragione.
 
***
 
Axel era proprio giù di morale, quel pomeriggio.
Era stato dalle due alle quattro a passeggio insieme a Nicole e, nonostante questo, la cosa non gli aveva fatto minimamente piacere.
Alla sensazione di fastidio si erano presto aggiunti i sensi di colpa.
Nicole stava male e si vedeva.
Nelle ultime settimane era visibilmente peggiorata, più magra e malinconica che mai.
A detta sua, stava trovando persino fatica a studiare e per questo motivo aveva delle discussioni sempre più accese con i genitori.
Axel era sempre più stanco dei suoi continui sbalzi d’umore e lamentele per ogni singola cosa, ma non riusciva proprio a lasciarla da sola in un momento simile.
Lo trovava un atto davvero ignobile.
E, anche se ormai si sentiva surclassato al ruolo di spalla su cui piangere, non aveva mai smesso di sperare che la sua ragazza tornasse a essere allegra come ai primi tempi in cui uscivano insieme.
Anche se ormai non ne poteva davvero più.
Sentiva che quella storia non li avrebbe mai portati da nessuna parte.
Senza contare che gli attacchi di gelosia di Nicole diventavano sempre più violenti di giorno in giorno.
Era come se sapesse leggergli in fondo all’anima, sventolandogli sotto il naso dei sentimenti che nemmeno lui aveva il coraggio di ammettere.
Maria Antonietta.
Ecco il nome del problema.
Nicole sentiva di avere una rivale e, in qualche modo, aveva ragione.
Per quanto Axel cercasse di controllarsi, la giovane regina era sempre nei suoi pensieri.
Ma come si poteva essere innamorati di qualcuno che era vissuto più di duecento anni prima?
E cosa c’entrava lui, uno studente universitario con la regina di Francia in persona?
Confuso, depresso, furioso e imbarazzato, Axel scaricò la borsa con le sciabole dal cofano della macchina e si avviò a capo chino verso l’ingresso della palestra.
Una debole pioggerellina autunnale batteva lentamente sulle ampie vetrate dell’edificio.
Il ragazzo sospirò, avviandosi verso gli spogliatoi.
Era in largo anticipo, ma non gli importava.
I ragazzi dell’hip-hop stavano ancora provando nella sala destinata alla scherma, i bassi dell’impianto stereo che rimbombavano cupi attraverso le pareti.
Come diavolo fanno a ballare con questa musica?, pensò Axel irritato mentre indossava la tuta e si avviava verso la sala pesi.
Con sua somma sorpresa, la trovò già occupata.
Maria Antonietta era seduta all’amazzone su una ciclette, le gambe che penzolavano nel vuoto.
Teneva tra le braccia un grosso libro e aveva tutta l’aria di stare aspettando qualcuno in particolare.
“Buonasera, signor Fersen”, lo salutò con un sorriso.
“Oh, Antoine!”, la salutò lui profondamente sorpreso. “Come mai qui?”.
“Dovevo restituirti il libro. Così ho pensato di passare di persona”.
“Ah”.
Axel ebbe una spiacevole fitta allo stomaco nel notare il libro di storia tenuto con noncuranza tra le braccia candide di Maria Antonietta.
Quella scena aveva qualcosa di solenne, nonostante le circostanze fossero del tutto informali.
“L’hai…finito?”, domandò il ragazzo dopo un po’.
“Sì, ho letto ogni pagina. Fino alla fine”.
Maria Antonietta aveva improvvisamente assunto un’espressione strana, quasi inquietante.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto leggere una cosa talmente orribile sul tuo conto”, disse Axel desolato.
“Oh, al contrario. Ora ho capito tante cose. Diciamo che il mio popolo diffonderà cose false su di me. Io non farei nulla di ciò che mi accusano, anzi, trovo certi loro ideali rivoluzionari assai interessanti”.
“Ma Antoine! Tu sei…”.
“…la futura regina di Francia? Sì, ammesso che troverò il modo per tornare indietro. Sai, non mi dispiacerebbe poter rinunciare al titolo di regnante. Ora che sono qui, capisco quanto non faccia per me. Deluderei comunque mia madre, non trovi?”.
La cosa peggiore di quel discorso assurdo, era la leggerezza con cui Maria Antonietta pronunciò quelle parole.
“Sicura di sentirti bene?”, domandò Axel preoccupato.
“Certo che mi sento bene”, rispose lei porgendogli il libro. “Ѐ stato tutto molto illuminante”.
“Strano, perché io non avrei preso così alla leggera la notizia della mia morte per decapitazione”.
“Anch’io nei primi giorni stavo un po’ giù per questa faccenda, ma poi, col tempo, me ne sono fatta una ragione. L’importante è che, anche nella morte, conserverò la mia dignità. Da quanto dicono le cronache, il mio contegno e la mia forza d’animo alla fine mi riabiliteranno agli occhi dei posteri. È questo che conta”.
“Ma è assurdo!”.
“Lo so. Ma noi regnanti siamo come delle divinità, giusto? Alla fine, affasciniamo più da morti che da vivi”, l’arciduchessa scoppiò in una risata strana. “Che assurdità. Siamo pur sempre esseri umani, con tanto di sentimenti e fragilità”.
Axel sospirò.
Dietro quella leggiadria, si nascondeva davvero la donna coraggiosa che un giorno sarebbe salita sul patibolo senza mostrare alcuna paura.
Al solo pensiero di perderla in quel modo orribile, il ragazzo si sentì gelare.
“Va tutto bene, Axel?”, domandò Maria Antonietta notando il suo malumore.
“Sì, certo”.
“Sai, ora mi è venuta voglia di tornare a Versailles. Così, per vedere come l’hanno sistemata, ora che non serve più come reggia”.
“Posso accompagnarti io”, si lasciò sfuggire il ragazzo.
“E Nicole? Non credo che apprezzerebbe il fatto che siamo usciti da soli”, osservò Maria Atonietta torva.
“Potremmo portarci gli altri come scusa”.
“Certo, e tu credi che vengano volentieri a coprire la nostra fuga?”.
“Perché no? Oscar lo farebbe di sicuro”.
“Già, Oscar”.
Axel le rivolse un sorriso timido, facendola letteralmente sciogliere.
“Allora, mercoledì prossimo tentiamo la sorte?”, domandò in tono innocente.
 
***
 
Lucile uscì dal caffè quasi sbattendo la porta, fumante di rabbia.
Non si voltò nemmeno per assicurarsi che Ibrahim non la stesse seguendo fino in strada per dirle il resto.
Aveva già fatto la sua bella figura all’interno del locale, prendendo a sbraitare come un ossesso davanti a una folla di sconosciuti.
Lucile non era un tipo dalle lacrime facili, ma in quel momento si sentiva pizzicare dolorosamente gli angoli degli occhi.
Non ne poteva proprio più di quella storia.
Ibrahim era sempre più appiccicoso.
Faceva scenate di gelosia per qualunque cosa e si rifiutava di uscire in gruppo, con altri che non fossero loro due da soli, tutto il tempo.
Non voleva capire che nel mentre Lucile aveva altre amicizie, che non necessariamente rappresentavano un pericolo per la loro ormai precaria relazione.
Non si rendeva conto che il problema era proprio lui.
Da quando aveva perso l’amicizia con Louis, Lucile si era resa conto di quanto fosse stata cieca.
Ora che non lo aveva più al suo fianco, aveva iniziato a capire finalmente che cosa avesse perso.
Louis era lontano anni luce da Ibrahim.
La conosceva meglio di chiunque altro, da sempre.
Troppo gli aveva fatto subire, per colpa del suo egoismo.
Ora che non c’era più, il ragazzo le mancava in maniera insopportabile.
In altri tempi, Lucile sarebbe corsa da lui e gli avrebbe raccontato tutto.
Lui avrebbe cercato di consolarla, l’avrebbe fatta ridere e insieme si sarebbero messi alla ricerca di una soluzione.
Louis c’era sempre, al momento del bisogno.
C’era sempre stato.
Per poco non andò a sbattere contro l’ultima persona che si sarebbe aspettata di incontrare in quel momento.
Il suo ombrello ondeggiò pericolosamente sopra la sua folta chioma rossa.
“Oh, Lucile, sei tu!”.
“Ciao, Christine”.
Le due ragazze si squadrarono a vicenda, Lucile profondamente imbarazzata, Christine con sguardo sospettoso.
“Come va?”, chiese quest’ultima a un certo punto.
“Ho lasciato Ibrahim”.
Silenzio.
Se l’era aspettato.
“Che cosa?”.
“L’ho lasciato. Non lo sopportavo più”.
L’espressione sul volto di Christine era assolutamente indecifrabile.
“Chris, devi aiutarmi!”, la supplicò Lucile. “So di essere stata una stronza con Louis, ma ora più che mai ho bisogno di riparare il danno! Se solo mi parlasse…”.
“Alt, alt. Perché mi chiedi questo?”.
Lucile non sapeva cosa rispondere.
L’unica cosa che voleva era rivedere il suo ex migliore amico.
“Per favore”, gemette.
Christine ci pensò per un tempo interminabile, la pioggia che scrosciava implacabile attorno a loro; poi disse:
“Un modo ci sarebbe. Ma attenta a quello che fai. Io ti tengo d’occhio”.
 



Buongiorno! Ne ho approfittato di questo attimo di respiro per aggiornare con leggero anticipo rispetto al solito...
Come vedete, questo è un po' un capitolo di transizione, ma fondamentale per quello che accadrà giovedì prossimo.
I nostri protagonisti, infatti, si troveranno TUTTI all'interno della reggia di Versailles.
Cosa credete che accadrà?
Si aprirà nuovamente un varco spazio-temporale che rimescolerà tutte le carte?
Vi lascio alle vostre supposizioni.

Nel mentre, ecco a voi il link della mia pagina Facebook, dove potrete avere notizie e anticipazioni anche sulle altre storie in cantiere: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A presto :)
Baci

F.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***




CAPITOLO 20
                       






 

La folla non cambierà mai, pensò Maria Antonietta mentre la station wagon blu metallizzato di Axel si fermava nel parcheggio gremito di gente.
A quanto pareva, gli abitanti di Versailles si erano dati da fare per accogliere al meglio la massa di turisti che si recavano in visita alla reggia.
Uno stuolo di pullman multicolore era parcheggiato a pochi metri da loro e nutrite scolaresche si avviavano vociando verso i grandi cancelli di ferro battuto.
Sembrava che in quel posto si parlassero tutte le lingue conosciute, viste le provenienze disparate dei visitatori.
Molti di essi sembravano essere appena sbarcati dall’estremo Oriente.
“Sono tutti qui per te”, disse Axel ridacchiando.
Maria Antonietta si sentì stringere il cuore, intravedendo il tetto della reggia emergere da dietro i cancelli.
“Ombrello per la signora? Portafortuna?”, domandò in quel momento un ragazzo nero con un buffo copricapo a forma di ombrello in cima alla testa.
“No, grazie”, cercò di scansarlo Axel, trascinando via una confusa Maria Antonietta.
“Ѐ una nuova moda?”, domandò lei indicando il cappello del tizio, che riportava i colori della bandiera francese.
“Lasciamo stare”, si affrettò a rispondere il ragazzo, visibilmente imbarazzato.
I due si unirono alla folla di turisti che si accalcava agli ingressi.
“Non avrei mai pensato di dover fare la fila per entrare in casa mia”, commentò Maria Antonietta divertita.
“Come ti senti?”.
“Non saprei. È strano tornare in un posto dove non si abita più da duecento anni”.
Axel scosse il capo, ridacchiando.
Se mai si fosse trovato al posto dell’arciduchessa, sicuramente sarebbe impazzito al solo pensiero di tornare a casa sua dopo secoli, in un mondo radicalmente cambiato in cui tutte le persone che conosceva erano morte in maniera terribile.
Come facesse la ragazza a mantenere il suo solito sangue freddo nonostante tutto, il giovane lo ignorava.
Dal suo canto, Maria Antonietta non riuscì a nascondere il moto di vertigine che la colpì nel momento in cui si trovò di nuovo nel cortile di ingresso della reggia.
Era proprio in un’incredibile giornata di sole come quella che l’arciduchessa era giunta per la prima volta a Versailles.
Ricordava come fosse ieri il momento in cui era scesa dalla carrozza, ritrovandosi immediatamente accerchiata da centinaia di volti imbellettati che la scrutavano con espressioni indecifrabili.
“Ѐ rimasto tutto com’era”, commentò a mezza voce.
Nonostante le devastazioni provocate dai rivoluzionari, il suo castello c’era ancora, rispettato come una santa reliquia del futuro.
“Io qui ci sono stato tante volte”, disse Axel conducendola verso la biglietteria. “Vedrai, ti sembrerà passato un attimo dal momento in cui te ne sei andata”.
Già, andata.
A quel pensiero, Maria Antonietta si sentì stringere lo stomaco.
Era di nuovo lì, a casa sua.
Improvvisamente, ebbe come un brutto presentimento: e se fosse improvvisamente tornata indietro?
“Cosa c’è?”, domandò Axel, indovinando i suoi pensieri.
“Niente”, mentì lei con un sorriso. “Manca ancora molto all’entrata?”.
Dopo una lunga fila, i due ragazzi si trovarono finalmente di fronte alla bigliettaia.
Axel comprò due biglietti; poi condusse Maria Antonietta all’interno della reggia.
Subito, il candore della cappella reale si aprì davanti ai loro occhi.
Per poco l’arciduchessa non svenne per l’emozione.
Nonostante fosse passato tutto quel tempo, le sembrava di poter ancora percepire gli odori e i rumori di quel passato che si era lasciata alle spalle per sempre.
“Qui mi sono sposata!”, esclamò indicando l’altare. “Povero Luigi, era così imbarazzato il giorno della cerimonia! E, ovviamente, qui mi recavo a pregare tutti i giorni insieme al mio seguito e alla contessa di Noailles…Oh, mi sembra di poter sentire ancora la sua voce!”.
Maria Antonietta percorse in lungo e in largo la cappella, assaporando ogni dettaglio come se lo stesse contemplando per la prima volta.
Nonostante le aree transennate e il silenzio imposto dalla visita, la sua familiarità con quel luogo era fin troppo evidente.
Nel frattempo, Axel era rimasto in disparte, osservando come ipnotizzato il peregrinare dell’arciduchessa tra i banchi.
Era lei.
Nel posto che le apparteneva.
Come aveva sempre sognato di vederla.
Ci era già venuto un paio di volte insieme a Nicole, ma quelle gite non erano nulla di paragonabile allo sguardo pieno di commozione e di stupore che gli stava lanciando in quel momento Maria Antonietta, la sua regina.
E fu lì che, con una dolorosa fitta al cuore, Axel si rese conto che era lei la donna che amava, che aveva sempre atteso in segreto e che mai nessun’altra, per quanto potesse assomigliarle, avrebbe preso il suo posto.
Sono un povero disadattato, pensò con imbarazzo mentre Maria Antonietta lo raggiungeva con il suo passo rapido ed elegante, che possedeva solo lei.
Era come se stesse scivolando con grazia sul pavimento di marmo.
“Vieni. Oggi sei il mio ospite d’onore”, gli disse porgendogli il braccio.
Axel arrossì, accogliendo il suo timido invito.
Al suo fianco, l’arciduchessa sembrava più minuta che mai.
“Non ci posso credere!”, commentò il ragazzo mentre uscivano dalla cappella. “La regina di Francia in persona che mi fa da guida!”.
Maria Antonietta scoppiò a ridere.
“Chi altri conosce il castello meglio di me?”, domandò con una strizzatina d’occhi.
“Forse il re?”.
“Credo che il re sia molto impegnato, oggi. Mi dispiace, ma devi accontentarti della regina”.
“Mi accontenterò, non preoccuparti”.
Maria Antonietta accompagnò Axel in ogni singola stanza del castello, rivelandogli passo dopo passo tutto ciò che aveva vissuto tra quelle mura in tempi lontani, che ora sembravano appartenere a una dimensione simile a quella dei sogni.
“Qui era dove dormivo”, spiegò mentre si fermavano di fronte all’imponente letto a baldacchino. “Lì c’è un passaggio segreto che conduce dritto negli appartamenti del Delfino…Oh, e invece da lì entrava il mio seguito e ovviamente la contessa di Noialles. Nella stanza accanto invece mi ritiravo spesso con le dame di corte…vieni, per di qua!”.
I due entrarono in un’altra stanza, più grande e riccamente arredata con tappezzerie e vasi cinesi.
Un grande ritratto di Maria Antonietta campeggiava sulla parete di destra.
La regina era vestita riccamente e sorrideva verso i visitatori con la sua solita aria sorniona, le guance paffute arrossate da un generoso strato di belletto.
“Credo di conoscere questa signora”, commentò Axel indicando il dipinto.
Maria Antonietta arrossì, trascinandolo via.
“Non mi va che la gente noti troppo la somiglianza”, gli disse in un orecchio mentre passavano alla stanza successiva. “Da quello che ho letto, voi francesi siete molto patriottici e la mia figura è ancora accettata con diffidenza. Anni fa hanno addirittura inscenato il mio processo e il popolo ha votato di nuovo la morte. Non mi va di creare altri guai”.
“Come vuoi, ma sappi che, somiglianze a parte, non credo che la gente creda che tu sia…”.
“Tu hai dimostrato che sono io. Quanti altri storici credi siano nascosti qui dentro, eh?”.
“Antoine, rilassati! Non può succederci niente, qui”.
“Era quello che pensavo anche la notte in cui mi sono ritrovata nel futuro”.
Maria Antonietta iniziava ad essere veramente agitata.
Avvertiva come una morsa che le stringeva il petto sempre di più ad ogni respiro e la fronte si stava via via imperlando di sudori freddi nonostante l’atmosfera lì dentro fosse a dir poco soffocante.
“Usciamo di qui, ti va?”, intervenne Axel. “Andiamo a vedere i giardini”.
Trovarsi all’aperto fu per entrambi un’immensa fonte di sollievo.
Maria Antonietta ricordava con commozione le lunghe giornate trascorse a passeggiare tra quegli immensi viali ghiaiosi in compagnia delle sue dame di compagnia.
Si rivedeva di nuovo con loro, agghindate nelle vesti svolazzanti, i ventagli che coprivano appena le loro bocche ridenti.
“Dove si trova la fattoria che un giorno avrei fatto costruire?”, domandò a un certo punto.
Senza pensarci, la sue piccole dita candide strinsero la mano forte e muscolosa di Axel.
Lui non la respinse, sfiorandola con un tocco timido e delicato.
“Di qua”, rispose indicando gli alberi che crescevano sul bordo di un grande canale artificiale.
Mentre si incamminavano, Maria Antonietta indicò un gruppo di ragazzi che rideva e schiamazzava in mezzo a un macchione di alberi.
“Ehi, ma quella non è Rosalie?”.
Axel aguzzò la vista, mollando a malincuore la mano della ragazza per evitare spiacevoli inconvenienti.
In effetti, la ragazza dai lunghi capelli biondi con gli occhiali da sole e il cappuccio della felpa tirato fin sopra la testa sembrava proprio lei.
Al suo fianco, un ragazzo dai folti capelli castani stava condividendo un auricolare del suo Ipod.
Aveva un’aria decisamente perplessa.
“Ma quello è Chatelet, il tizio che ha fatto cacciare André dalla Nazionale!”, tuonò Axel furibondo. “Che diavolo ci fa con Rosalie?”.
“Non ti agitare. Rosalie è a posto e scommetto che ci sarà una spiegazione”, osservò Maria Antonietta.
“Lo spero”, ringhiò il ragazzo furibondo.
“Dai, non è il caso di stare a fare una scenata qui, davanti ai loro insegnanti. In caso, domani le parli un attimo all’allenamento”.
“Sì, credo che farò così. Le spaccherò tutti quegli ossicini striminziti…”.
L’occhiata di ghiaccio che gli rivolse Maria Antonietta in quel momento bastò a zittirlo.
“Scusami, ma lo sai che André è il mio migliore amico”, si scusò lui in tono imbarazzato. “Chi fa del male a lui è come se lo facesse a me”.
Maria Antonietta gli fece un cenno di assenso con il capo.
Entrambi ripresero a camminare fianco a fianco, addentrandosi nel parco.
Una volta lontani da sguardi indiscreti, Axel cercò nuovamente le dita di Maria Antonietta.
Lei gli strinse la mano con un fremito di eccitazione.
In quel momento, una piccola costruzione di marmo candido emerse dagli alberi secolari.
Era un piccolo tempietto circolare, attorniato da delle sottili colonne corinzie.
Al centro, una statua di Cupido scoccava una freccia nella loro direzione.
I due si lanciarono un’occhiata nervosa.
Loro malgrado, avevano entrambi pensato alla stessa cosa.
“L’immancabile Tempio dell’Amore”, commentò Axel, improvvisamente interessato a quello che succedeva nei cieli.
“In un mondo dove l’amore esisteva solo nelle favole”, commentò Maria Antonietta in tono amaro.
“Chissà quante passeggiate farete qui, tu e il conte Fersen…”.
“Non credo che le faremo. Io sono qui, intrappolata nel presente” l’arciduchessa si voltò lentamente verso il suo giovane compagno, uno sguardo enigmatico che le illuminava i grandi occhi azzurri “insieme a un altro Axel Von Fersen”.
“Non sono io, Antoine. Il tuo amante è morto moltissimi anni fa e, credimi, lui ti merita molto più di me”.
“Io non lo conoscerò mai, il mio amante. E l’ho anche visto nei ritratti. Lui non mi piace come mi piaci tu”.
Entrambi sussultarono a quella frase, come se avessero preso la scossa.
Ecco, l’aveva detto.
Erano settimane che aspettavano che uno dei due rompesse quell’agonia che si era creata, trovando il coraggio di dire la verità.
Una verità che, una volta venuta a galla, non faceva poi così male come si erano aspettati.
Axel le prese d’istinto il volto tra le mani.
“Antoine, io…”.
Si bloccò, l’emozione che lo stava letteralmente paralizzando.
Com’erano belli i suoi occhi, puntati sul suo viso con uno sguardo carico di gioia e di speranza.
La regina di Francia stava ora pendendo dalle sue labbra, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa.
Devo essere pazzo!, pensò Axel chinandosi su di lei.
Un attimo dopo, le loro labbra erano immerse nel loro primo, timido bacio.
Nonostante fosse sposata, Maria Antonietta non aveva mai ricevuto nulla di simile da una persona che avrebbe dovuto amare.
Le labbra di Axel erano stranamente morbide, nonostante fossero molto sottili, appena umide, e avevano un sapore strano, delicato, piacevole.
L’arciduchessa ricambiò il bacio a sua volta, affondando le dita nella giacca di lui, lasciandosi inebriare da quel vortice di emozioni inaspettate.
Improvvisamente, ogni dubbio era scomparso.
Si amavano ed era giusto che fosse così, in quell’era così confusa e strana.
 
***
 
“Allora, che ne pensi dei Rammstein?”.
Bernard riemerse dall’ascolto di Ich will con le orecchie che gli ronzavano dolorosamente.
Certo, aveva capito sin dal primo momento che Rosalie era un po’ un maschiaccio, ma non pensava che il suo fare da dura si spingesse fino a quei livelli.
“Forse il volume era troppo alto?”, domandò Rosalie un po’ sulla difensiva, notando la sua aria perplessa.
“No, no, anzi!”.
Le schitarrate elettroniche della band tedesca sembrano avergli appena fuso il cervello.
“Tu di solito che cosa ascolti?”, domandò la ragazza stendendosi sul prato.
“Mah, un po’ di tutto…”.
E adesso che cazzo le dico?!
“Del tipo?”.
Per la prima volta da quando si erano incontrati quella mattina, Rosalie sembrava mostrare un minimo di interesse nei suoi confronti.
Poteva forse farsi scappare un’occasione del genere?
“Mah…rock…pop…”.
“Un po’ generica, come risposta”.
“Non credo che ti piacciano i miei gusti. Non sono abbastanza aggressivi”.
“Mettimi alla prova”.
“E va bene, mein Fuhrer”.
A quella battuta, Rosalie si lasciò sfuggire un sorrisetto ironico.
Bernard si stese al suo fianco, estraendo dallo zaino il suo inseparabile Ipod e porgendole timidamente un auricolare.
La ragazza lo prese e se lo infilò nell’orecchio sinistro.
“Spara”.
Lui chiuse gli occhi e premette il tasto “casuale” come se fosse il bottone rosso che avrebbe fatto esplodere una bomba atomica.
Nelle cuffie si diffuse immediatamente una melodia lenta e lievemente malinconica.
“Coldplay, The Scientist”, disse subito Rosalie, riconoscendola.
“La conosci?”.
“Certo che la conosco. La mia migliore amica di Francoforte mi ha sfracellato le palle con questa canzone”.
“Se vuoi cambio…”.
“No, no! Mi piace”.
Rosalie gli rivolse un sorriso timido.
“Scusami se alle ho la finezza di un camionista”, disse in tono lievemente imbarazzato.
“Non preoccuparti”, la rassicurò Bernard, ricambiando il sorriso. “I tuoi modi da camionista sono semplicemente fantastici!”.
 




Adesso non mi dite che non ve lo aspettavate!

Non ne potevo più di lasciare Axel e Mari Antonietta a lanciarsi occhiate dolci senza che succedesse nulla. In fondo, la Storia la conosciamo tutti ;)
E anche tra Bernard e Rosalie, nonostante le differenze, sta iniziando a nascere qualcosa che va al di là della semplice amicizia...
Come avrete intuito, questo capitolo molto tenero è solo l'inizio di un nuovo vortice di eventi che metterà a dura prova i nostri protagonisti...riusciranno a cavarsela anche questa volta?
E come cambierà la Storia, ora che Maria Antonietta è finita nel futuro?
C'entra qualcosa il ruolo ambiguo che ho affidato a Nanny?
Preparatevi al prossimo capitolo...
Colgo l'occasione per ringraziare SognatriceAOcchiAperti per avermi dato una dritta di vitale importanza per il nostro André, che potrebbe avere un finale di gran lunga migliore rispetto a quello dell'anime ;)

P. S. Per tutti coloro che seguono anche "La profezia perduta": sto per tornare!
Teniamoci aggiornati sulla mia pagina Facebook: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Un bacione :)
F.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***




CAPITOLO 21
                       







 
Maria Antonietta guardò Axel negli occhi, senza fiato.
Improvvisamente, la realtà era stata come sostituita da un immenso moto di vertigine.
Aveva appena baciato con passione un uomo che non era suo marito.
Un ragazzo comune, senza un minimo di appartenenza alla nobiltà.
Eppure lo aveva fatto, senza alcun timore o pregiudizio.
Sapeva di poterlo fare.
Lo voleva.
Dal suo canto, Axel era completamente sotto shock.
Per la seconda volta nella sua vita, le sue labbra avevano incontrato quelle dell’unica donna della Storia che avrebbe mai voluto baciare.
Una parte di lui era fermamente convinta di trovarsi all’interno di un bellissimo sogno, dal quale si sarebbe inesorabilmente risvegliato da un momento all’altro.
“Ehm…come ti è sembrato?”, domandò Maria Antonietta timidamente.
In quel momento, una comitiva di turisti dagli occhi a mandorla li superò vociando.
“Incredibile”, fu tutto quello che riuscì a rispondere il ragazzo.
“Lo rifaresti?”.
Axel non riuscì a celare il sorriso euforico che gli attraversò le labbra in quel momento.
Si avvicinò nuovamente al volto di Maria Antonietta, al punto da poter percepire il suo respiro.
“Mille e mille volte ancora, Antoine”.
Lei rise e lo baciò di nuovo, affondando le piccole mani nei sui folti capelli castani.
Axel le circondò la vita con le braccia e si tuffò di nuovo tra le sue labbra, dimenticando tutto ciò che accadeva attorno a loro.
Quasi non si accorse che i due, con lo sfondo mozzafiato del tempietto di Venere alle loro spalle, erano appena finiti in una cinquantina di foto scattate dai turisti giapponesi nascosti nei dintorni.
Per non parlare dell’intera classe di Rosalie, che li superò a gran voce.
Fu Louis a notarli per primo, passando oltre con le orecchie in fiamme per l’imbarazzo di averli scoperti in un frangente così intimo.
Anche Rosalie li notò, non potendo fare a meno di sorridere.
La sua espressione non passò inosservata a Bernard, che si sentì stringere lo stomaco a quella scena così idilliaca: almeno quei due avevano una storia che funzionava.
Perché non avrebbe potuto essere così anche per lui e Rosalie?
Perché quella ragazza che gli aveva fatto perdere letteralmente la testa continuava a tenerlo per mano da circa un quarto d’ora, pur avendo ammesso categoricamente di non provare nulla per lui?
La presa timida e delicata delle sue dita nella sua mano grande mentre passeggiavano con gli altri per i viali di Versailles sembrava bruciare come un ferro rovente.
Era successo tutto quando avevano tolto le tende dopo il pic-nic, dirigendosi verso il Trianon.
Rosalie aveva rimesso a posto l’Ipod e aveva preso a camminare al suo fianco, in silenzio, quando, improvvisamente, il ragazzo aveva avvertito la sua mano sfiorargli appena le dita.
Forse era perché stavano procedendo troppo vicini e le loro braccia si erano semplicemente sfiorate per puro caso, tuttavia Bernard aveva provato l’istinto di afferrare quella piccola mano fredda, quasi come se fosse un uccellino caduto dal nido.
Con sua immensa sorpresa, Rosalie non aveva tentato di sfuggirgli in alcun modo.
Era rimasta lì, mano nella mano, lasciandosi trasportare lentamente.
Il suo sguardo torvo era fisso davanti a sé.
Bernard aveva l’impressione di camminare al fianco di un gigantesco tizzone ardente.
Perché gli stava tenendo la mano in quel modo?
È una cosa che possono fare anche due comuni amici?
In quel momento, il ragazzo si sentiva come pietrificato.
Avrebbe tanto voluto voltarsi verso Rosalie, parlarle o semplicemente sorriderle, ma il terrore che qualsiasi suo gesto rompesse quell’improvviso incantesimo lo paralizzava.
Improvvisamente, un basso edificio circondato da delle eleganti siepi si fece largo nella boscaglia.
La classe si radunò di fronte all’entrata, gli occhi puntati verso la guida.
Non appena si ritrovarono schiacciati contro i compagni che tendevano il collo in avanti, Rosalie allentò d’istinto la presa sulla sua mano, distendendo entrambe le braccia lungo i fianchi.
Bernard si morse il labbro inferiore, avvertendo le sue dita sfuggirgli via.
L’incantesimo era finito.
“Questo è il Grand Trianon”, spiegò la guida in tono pratico. “Fu costruito da Luigi XIV nel 1670 e successivamente consacrato al suo amore per Madame De Montespan, una delle sue celebri amanti. Si dice che il marito di lei si fosse opposto alla pratica dell’adulterio, molto comune all’epoca, e per questo cadde in disgrazia per ordine del re. Poco prima di perdere le sue terre, lo sfortunato marchese fece decorare la propria carrozza e lo stemma di famiglia con un gigantesco palco di corna di cervo, a indicare la sua triste condizione”.
Più di uno studente scoppiò in una risata maliziosa.
Rosalie sospirò spazientita.
Per fortuna, quei tempi erano belli che finiti, anche se nel presente non si poteva dire che certe cose fossero poi così migliorate.
Bastava guardare i suoi genitori.
“In seguito, questo piccolo palazzo venne abitato dalle amanti dei re di Francia, fino alla Du Barry. Maria Antonietta, l’ultima regina di Francia, preferì trasferirsi invece al Petit Trianon, più piccolo e riservato, che visiteremo tra poco”, continuò la guida. “Ora vi prego di seguirmi all’interno del palazzo. Le foto vanno fatte senza flash, mi raccomando”.
Gli studenti si accodarono a lei, dirigendosi verso il Trianon e imboccando la porta d’ingresso.
L’interno era molto più ampio di quanto potesse apparire da fuori.
Era davvero una sorta di Versailles in miniatura, più raccolta e lontana dagli sguardi indiscreti.
Un posto perfetto per sfuggire da quel covo di vipere qual era la corte.
Louis osservava ammirato le sontuose decorazioni e il mobilio originale, nuovamente disposto come era nel Settecento.
Gli era sempre piaciuta quell’epoca lontana e affascinante, nonostante fosse sempre pesantemente denigrata da Nanny.
Nonostante la miseria imperante a quell’epoca, c’era sempre una piccolissima parte della popolazione che si era comunque goduta un’esistenza da sogno in quel posto completamente distaccato dal tempo e dallo spazio.
Chissà come sarebbe stato trovarsi a pochi centimetri da Maria Antonietta e il suo seguito…
Una gracchiante musica barocca risuonava da una serie di amplificatori nascosti nelle stanze.
Louis fischiettò il motivetto con fare rilassato, continuando a scattare foto ovunque.
Stava per volgersi verso Rosalie per chiederle se volevano farsene una insieme, quando di colpo si rese conto di essere rimasto indietro.
I suoi compagni dovevano essere appena usciti dal salotto semibuio in cui si erano fermati pochi attimi prima per udire la spiegazione della guida.
Con il cuore in gola, Louis si precipitò fuori dalla stanza, sperando di ritrovarli in tempo.
Gli pareva di sentire già il brusio delle loro voci a pochi metri da lui…
Intravide una ragazza dai lunghi capelli biondi che gli dava di spalle.
Sì, era decisamente Rosalie.
“Eccomi, sono tornat…”.
Il fiato gli morì in gola nel momento in cui la giovane si voltò verso di lui con aria torva.
No, non si trattava di Rosalie.
E quello non sembrava decisamente il Trianon.
Non quello in cui ricordava di essere entrato, perlomeno.
 
***
 
Maria Antonietta e Axel camminavano mano nella mano per i giardini di Versailles, entrambi con un sorriso raggiante dipinto sui loro volti.
Non avrebbero mai creduto che il loro amore, per quanto folle, sarebbe mai diventato realtà.
Ora sembrava tutto così semplice, così naturale…
“Guarda! Te lo ricordi?”, esclamò Axel a un certo punto, indicando un basso edificio barocco che emergeva dalla vegetazione.
“Oh, certo che lo ricordo!”, rispose Maria Antonietta con un tuffo al cuore. “Ѐ il Grand Trianon, il posto dove mi trovavo la notte in cui sono finita qui”.
“Ti va di tornarci?”.
L’arciduchessa si strinse nelle spalle con fare perplesso.
Certo, da una parte la curiosità di rivedere quel posto dopo tanti secoli la divorava, ma dall’altra aveva come l’assurda sensazione che qualcosa di irrimediabile sarebbe accaduto nel momento in cui avrebbero messo piede lì dentro.
Troppi brutti ricordi erano sepolti in quel piccolo palazzo color rosa antico: le malelingue della corte, il suo pingue e distratto marito, lo sguardo severo della contessa di Noailles, quella donna orribile della Du Barry…
“Va tutto bene, Antoine?”, domandò Axel preoccupato.
“Sì, sì, non ti preoccupare. È che di colpo ho rivissuto un po’ di brutti ricordi…”.
Il ragazzo le cinse le braccia esili con un braccio, stringendola con fare protettivo.
“Stai tranquilla. Ci sono io qui con te”.
Maria Antonietta gli rivolse un sorriso colmo di gratitudine.
“Allora entriamo”, disse piano.
Senza sciogliere le loro dita, i ragazzi entrarono all’interno del Trianon.
Di tutti gli spazi del castello, era di certo quello più cambiato rispetto ai ricordi dell’arciduchessa.
Non c’era più traccia della musica assordante che si udiva fin dal giardino, se non la sua pallida e gracchiante imitazione sparata dagli altoparlanti nascosti nelle stanze.
I grandi saloni erano semideserti e ordinati in modo maniacale, ben lontani dal chiasso e dalla calca che si creavano durante le feste.
Altro che transenne e divieto di usare il flash: duecento anni prima in quelle stesse stanze vi erano mobili rovesciati e macchie di champagne sulle tappezzerie, cani da compagnia che dormivano sui preziosissimi divani e gente che metteva mani e piedi praticamente ovunque.
“Anche questo posto è rimasto uguale a come lo ricordi?”, domandò Axel.
“Più o meno”, rispose Maria Antonietta guardandosi intorno. “La qualità della musica non è proprio quella di un tempo…”.
Il ragazzo scoppiò a ridere.
“Purtroppo non c’era niente di meglio”.
“Mi accontenterò”.
“Mi concedi questo ballo?”.
L’arciduchessa lo fissò con tanto d’occhi.
No, Axel non stava affatto scherzando: la sua mano destra era protesa verso di lei.
“E va bene”, rispose scuotendo il capo divertita.
Le sue piccole mani tornarono a intrecciarsi con quelle di Axel, che prese a cullarla a tempo di musica.
Si vedeva lontano un miglio che non conosceva affatto le danze dell’epoca, ma la ragazza non volle interromperlo: quella sensazione meravigliosa di trovarsi completamente tra le sue braccia le andava bene così com’era.
“Perdonami, sono un po’ goffo”, rispose lui in tono imbarazzato.
“No, va benissimo”.
“Sicuramente conosci a menadito il modo di ballare questo pezzo”.
“Un po’ sì, ma la tua interpretazione va decisamente meglio. E poi, non mi piace portare”.
Axel le lanciò un sorriso carico di gratitudine.
Maria Antonietta sorrise e lo baciò di nuovo, chiudendo gli occhi e abbandonandosi nuovamente a quella meravigliosa sensazione.
Quando finalmente riaprì gli occhi si rese conto con sgomento di ritrovarsi al centro della sala in jeans e maglietta, gli occhi di centinaia di cortigiani puntati su di lei e Axel, primi fra tutti quelli miopi di suo marito e del re di Francia.




Zan Zan zaaaaaaaaan!!!!! :)
Come vedete, le cose si stanno complicando leggermente per i nostri protagonisti...
Ora Maria Antonietta, Axel e Louis sono appena ripiombati in pieno Settecento, in balìa di una corte ostile che sicuramente non accetterà tanto facilmente la loro presenza.
Come pensate che riusciranno a cavarsela?
E, soprattutto, cosa faranno gli altri una volta che scopriranno la loro scomparsa?
La risposta arriverà, come sempre, il prossimo giovedì.
Grazie ancora per il calore con cui avete accolto lo scorso capitolo.
Spero solo di non deludervi man mano che andremo avanti...
Siete fantastici!

Per avere tutti gli aggiornamenti, vi invito a passare sulla mia pagina Facebook: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

Al prossimo capitolo!
Ciao :)

F.


  
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***




CAPITOLO 22
                       







 
Sembrava di stare all’interno di uno di quei dipinti ufficiali che raffiguravano le grandi famiglie reali del passato, pensò Axel sul momento. Tutti erano immobili, agghindati nei loro abiti più belli, lo sguardo indecifrabile sotto strati e strati di cipria che li rendeva simili a tante maschere tutte uguali. Solo che quello non era un dipinto. Era tutto vero. E l’uomo dalla mascella prominente era davvero il re di Francia. Il suocero della donna che aveva appena baciato davanti a tutti.
    –Prendete quell’uomo e mettetelo ai ferri! – tuonò Luigi XV furibondo.
    Maria Antonietta non fece nemmeno in tempo a opporsi, che due robusti lacchè afferrarono Axel per le braccia e lo trascinarono via.
    –No! – l’arciduchessa crollò in ginocchio di fronte al re, i lunghi capelli biondi che le ricadevano davanti al viso. – Vi prego, Maestà, vi supplico! Abbiate pietà di lui!
    –Ammiro la vostra bontà, Madame, ma quest’uomo ha appena violato l’onore della delfina di Francia. Non posso tollerare che gli venga risparmiata la pena che merita.
    –Ma non sapeva quello che faceva!
    –Lo sapeva eccome, Madame. Altrimenti perché vi avrebbe ridotta in questo stato?
    Maria Antonietta non capì a fondo il senso delle parole del suocero fino a quando Luigi Augusto non si distaccò dalla folla per porle sulle spalle un lungo mantello di velluto. Solo allora l’arciduchessa si rese conto che i suoi abiti moderni per quell’epoca potevano solo apparire volgari. Aveva le braccia nude e portava i pantaloni. E, per di più, i suoi lunghi capelli biondi erano sciolti sulle spalle, senza alcuna traccia di cipria. Tutti l’avevano vista entrare con l’abito da sera. A quel punto, sarebbe stato vano tentare di convincerli che in realtà Axel non aveva abusato in alcun modo di lei.
    –Maestà, l’arciduchessa è molto sconvolta a causa di questo incidente – disse Luigi Augusto in tono premuroso. – Permettetemi di accompagnarla nei suoi appartamenti.
    Prendendo quell’inaspettata iniziativa per una goffa scusa per procreare un erede al trono, Luigi XV congedò i due novelli sposi con un cenno della mano. Luigi Augusto aiutò la consorte a rialzarsi, conducendola dolcemente tra la folla fino a raggiungere l’esterno.
    A quel punto, Maria Antonietta crollò a sedere su un gradino, le spalle scosse dai singhiozzi.
    –NO! – gridò con rabbia. – NO, NO E POI NO!
    –Coraggio, Madame – cercò di consolarla il marito. – Vedrete che quel criminale verrà punito come merita. Non avrei mai creduto che potessero farvi una cosa simile.
    In tutta risposta, i singhiozzi di Maria Antonietta non fecero altro che aumentare. Non solo era ripiombata in quell’epoca ostile, che ora odiava più che mai. Aveva appena condannato a morte Axel, la persona che amava, e allo stesso tempo stava ferendo il suo legittimo sposo, i cui occhi miopi carichi di preoccupazione tradivano quanto in realtà egli ci tenesse a lei.
    –Voglio andare a casa! – singhiozzò, come se Luigi Augusto potesse riportarla nel futuro con un semplice schioccare delle dita.
    –Vi chiamo una carrozza, va bene?
    Maria Antonietta non rispose. Restò immobile sul gradino di pietra dove era crollata, i pugni schiacciati contro il volto. E pensare che quando era piombata in quel locale caotico a pochi passi dalla Tour Eiffel aveva creduto di essere finita all’inferno! In quel momento, avrebbe tanto voluto rivivere all’infinito quella notte di panico e confusione pur di tornare in quell’epoca strampalata che aveva imparato ad amare.
    Pochi istanti dopo, uno scalpiccio di zoccoli sul sentierino ghiaioso annunciò l’arrivo di una carrozza. Luigi Augusto prese Maria Antonietta sottobraccio, aiutandola a salire a bordo. Una volta sedutosi al suo fianco, il volto pallido e sudaticcio, le prese la mano tra le sue. Erano molto fredde e tremavano appena. Si percepiva da un miglio quanto un minimo di contatto fisico lo mettesse in agitazione.
    Si udì uno schioccare di frusta provenire dall’esterno e il convoglio si mise in moto, attraversando piano i viali del parco rischiarati dalla pallida luce della luna piena. Maria Antonietta non poté fare a meno di ricordare le spericolate corse in macchina insieme a Oscar, che imprecava e bestemmiava per qualsiasi cosa con il rischio di andarsi a schiantare sul guard rail da un momento all’altro. Quella visione a un tempo comica e straziante suscitò in lei un nuovo fiume di lacrime che il marito non sapeva e non avrebbe potuto contenere in alcun modo.
    –Sapete chi fosse quell’uomo? – domandò Luigi Augusto a un certo punto.
    Maria Antonietta scosse il capo. Come poteva svelare l’identità del suo omonimo amante, che sarebbe arrivato solo molto tempo dopo? Il suo sguardo si levò verso il cielo, stranamente buio senza i bagliori fantasmagorici della luce elettrica che avrebbe brillato nella Parigi del futuro.
    Oscar, dove sei?, pensò Maria Antonietta disperata.
    A quell’ora, Oscar non era ancora nata. Anzi, nemmeno i nonni dei suoi nonni erano venuti al mondo. Tutto ciò che aveva assaporato per quelle settimane meravigliose era svanito per sempre.
    La carrozza si accostò nel cortile d’ingresso della reggia. Uno dei cavalli lanciò un nitrito nel buio.
    –Venite, Madame – disse Luigi Augusto aiutandola a scendere.
    Lei lo seguì senza opporre alcuna resistenza, pallida come un cadavere. Entrambi risalirono nei loro appartamenti mano nella mano, fino a quando Maria Antonietta non si fermò di fronte alla porta chiusa della sua camera da letto, quella stessa camera che solo un’ora prima aveva visto transennata e affollata di turisti. Il solo pensiero le diede le vertigini.
    –Vi dispiace se trascorro la notte con voi? Non mi fido a lasciarvi da sola – azzardò Luigi Augusto timidamente.
    Maria Antonietta indugiò sulla sua sagoma curva nella semioscurità. La luce del candelabro che portava un servitore alle loro spalle traballava sui suoi lineamenti pingui e porcini.
    –Preferirei restare da sola, se me lo permettete – rispose lei con la voce che tremava. – Sono veramente molto stanca.
    –Come desiderate, Madame. Sappiate che per qualunque cosa avete a disposizione anche i membri della mia servitù.
    –Siete molto gentile, Monsieur. Buonanotte.
    –Buonanotte.
    Luigi Augusto le sfiorò il palmo della mano con le labbra umide. Maria Antonietta represse a fatica un moto di disgusto. Non ce la faceva, era più forte di lei, dopo aver visto come sarebbe stata la sua vita se fosse nata in un momento diverso della Storia. Distrutta e disperata, l’arciduchessa varcò nuovamente la soglia della sua camera. Tutto era rimasto come lo aveva lasciato prima di attraversare le porte del tempo. La sua guardarobiera l’aspettava pazientemente, le mani intrecciate sul grembo.
    Nel notare le condizioni in cui versava, le scoccò un’occhiata preoccupata.
    –State bene, Madame? – domandò, facendo per aiutarla a liberarsi del mantello giusto un attimo prima che la sua padrona si ricordasse che dovevano essere i servi a spogliarla.
    –Sì, sto bene – mentì in tono piatto.
    –Che fine ha fatto il vostro vestito? Perché indossate solo la biancheria intima? – domandò la donna spaventata, non appena notò i suoi abiti moderni.
    –Niente. Vi spiegherò tutto domani.
    La guardarobiera fissò la T-shirt bianca e i jeans come se si fossero trattati di un bizzarro costume di carnevale.
    –Dove li avete trovati, questi abiti? Non ricordo di aver mai visto una cosa del genere… – commentò perplessa.
    –Permettete di lasciarmi fare da sola? Solo per stanotte, promesso.
    –Ma, mia signora, l’etichetta…
    –Non lo saprà nessuno. Per favore. Sono la delfina di Francia. Mi concedete il diritto di darvi degli ordini?
    –Certamente, Madame. Perdonatemi.
    La donna le fece un profondo inchino e lasciò la stanza silenziosamente, con tutta l’aria di chi è rimasto poco convinto dal comportamento della propria padrona. Con un sospiro rassegnato, Maria Antonietta si sfilò gli abiti contemporanei e indossò la sua solita camicia da notte; poi nascose prudentemente jeans e maglietta nella sua console personale, impossessandosi della chiave. Non voleva separarsi in alcun modo dall’unico legame che le era rimasto con il futuro.
    Solo allora i suoi occhi caddero sul letto. Non aveva per niente sonno, nonostante si sentisse terribilmente stanca e intorpidita. Incapace di prendere alcuna decisione, Maria Antonietta si distese a pancia in su sul copriletto, portandosi le mani al viso. In quel momento, le sue narici captarono un profumo famigliare. Era il sapone alla menta che usava Oscar nel suo disordinatissimo appartamento di Parigi.

 
***
     
Bernard e Rosalie raggiunsero il parcheggio mano nella mano, entrambi con un sorriso sereno dipinto sul volto stanco ma soddisfatto.
In fondo, la giornata era stata molto più piacevole di quanto osassero sperare.
Dal canto suo, Rosalie non credeva di potersi mostrare così spigliata e affettuosa con l’altro sesso.
Non sapeva perché quel giorno aveva preso così improvvisamente quella bislacca iniziativa, né riusciva a concepire il fatto che l’altro l’avesse accolta a braccia aperte senza battere ciglio.
Stava scoprendo un mondo, in quel momento, un mondo che l’affascinava e la intimoriva al tempo stesso.
E lentamente, molto lentamente, stava facendo marcia indietro sui sentimenti negativi che aveva covato contro di lui sin dall’inizio.
Chissà, forse la cosa sarebbe durata ancora a lungo.
Nel dubbio, valeva la pena godersela fino in fondo, per quanto possibile.
I loro compagni stavano scattando le ultime foto con la reggia di Versailles sullo sfondo.
Il cielo andava via via annuvolandosi e sicuramente in serata ci sarebbe stato un bell’acquazzone.
“Forza, ragazzi!”, gridò a quel punto Claire, la compagna di banco di Bernard. “Facciamoci una foto tutti insieme!”.
Dopo aver affidato una generosa quantità di macchine fotografiche e telefoni cellulari ai loro accompagnatori, le due classi si disposero in formazione davanti alla reggia.
“Di’ banana! Di’ banana!”, stava strillando uno dei ragazzi verso un compagno, scatenando l’ilarità generale.
“Fermi, ora!”, li intimò il professore. “Al mio tre. Uno…due…”.
Fu a quel punto che Rosalie si rese conto che qualcosa non andava.
“FERMI TUTTI!”, esclamò. “Qualcuno ha visto Louis?”.
 
***
 
Oscar mescolava la pasta nella pentola, le note sommesse di una canzone che gracchiavano dallo stereo portatile.
La pioggia cadeva forte e implacabile, schizzando i vetri della cucina.
Si era ormai sul fare della notte e i primi lampioni si stavano accendendo lungo la strada.
La ragazza sincronizzò il timer; poi controllò il cellullare per l’ennesima volta.
Ancora niente, solo un messaggio da parte di Victor che si scusava per l’assenza all’allenamento di quel pomeriggio per via dell’influenza.
Oscar sospirò, sbirciando la strada deserta sotto di lei.
Non credeva che quei due fossero così debosciati.
La ragazza era stata fin troppo chiara con Axel: per le otto, Maria Antonietta doveva essere a casa.
Erano ormai le dieci di sera e dell’amica non c’era alcuna traccia.
Oscar iniziava ad essere davvero preoccupata.
Certo, Axel era la persona più equilibrata e affidabile del mondo, ma era proprio questa sua mancanza a rendere la ragazza così nervosa.
Non era da lui mancare ai patti.
Doveva per forza essere successo qualcosa.
E, vista la situazione, Oscar non osava neppure immaginare che razza di pasticcio fosse successo.
Se ne andò in salotto, accendendo la televisione e sintonizzandola sul primo notiziario disponibile.
Bene, almeno non era ancora accaduta qualche disgrazia nei dintorni, come per esempio incidenti d’auto o crolli a Versailles.
Di sicuro, quei due non erano in ritardo per cause di forza maggiore.
Ma allora che fine avevano fatto?
Con una smorfia, Oscar li immaginò entrambi al culmine di un momento molto idilliaco.
Però cavolo, avevano avuto tutta la giornata per queste cose…
Spazientita, la ragazza afferrò il cellulare e compose il numero di Axel.
Rigorosamente spento.
Imprecando tra i denti, Oscar provò ancora una volta.
Stesso risultato.
Attese ancora qualche minuto e ritentò.
Niente da fare.
Ormai sul punto di perdere la pazienza, la ragazza scolò la pasta, versò il sugo, girò il tutto, si premurò anche di grattugiarci sopra una generosa nevicata di parmigiano e infine provò ancora una volta a chiamare Axel.
Silenzio.
Oscar gettò via il telefono con un’imprecazione, prendendo a mangiare tristemente i suoi spaghetti.
Il posto vuoto di fronte a lei per la prima volta dopo settimane le diede un infinito senso di solitudine.
Aveva perso l’abitudine a mangiare da sola, senza nessuno con cui chiacchierare e raccontare la propria giornata.
Improvvisamente, il telefono squillò.
Tossendo e sputacchiando sugo in tutte le direzioni, Oscar afferrò il cellulare come se si fosse trattato della cosa più preziosa che avesse al mondo.
Il display le restituì un numero sconosciuto.
Pregando che non fosse un perditempo, la ragazza premette il tasto verde.
–Pronto?
–Sei Oscar, vero? – rispose una delicata voce femminile dall’altra parte.
–Sì. Con chi parlo?
–Sono Nicole. 




Eccomi! :)
Capitolo tempestoso come il tempo di oggi, con tanti imprevisti, colpi di scena e attese.
Lo so, mi odierete per tutto il casino che sto armando, ma non temete: avevamo detto che si trattava di una commedia, giusto? ;)
Come pensate che si sbroglierà ora la situazione?
E, soprattutto, come faranno Axel e Louis a sopravvivere nel Settecento?
Per ora, gustatevi quest'ennesimo, folle capitolo ;)
A giovedì prossimo!

Per tutti gli aggiornamenti, passate qua: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A presto :)
Un bacio!


F.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***




CAPITOLO 23
                      






 
Maria Antonietta si stiracchiò nelle lenzuola, tendendo le dita nell’oscurità ovattata. La casa le sembrava stranamente silenziosa, quella mattina. Non si udiva il gracchiare della radio provenire dalla cucina, né il rumore ovattato del traffico nella strada sottostante. Finalmente la ragazza si decise ad aprire gli occhi. Non sapeva come, ma aveva la sensazione che qualcosa non andasse. Si tirò su a sedere e per poco non ebbe un infarto.
    La contessa di Noailles torreggiava sul suo letto a baldacchino attorniata dal suo esercito di servitori, il volto incartapecorito ricoperto di cipria somigliava a una brutta maschera.
    –Madame, – disse in tono impassibile – è giunto il momento della leveè.
 
***
 
“Per l’ultima volta, Nicole, Axel non è a casa mia. Anzi, non ho la più pallida idea di dove sia finito!”.
Oscar stava davvero perdendo la pazienza.
Dall’altro capo del ricevitore, Nicole Leguay non faceva altro che strillare e singhiozzare assurdità, che però non risultavano del tutto infondate.
Era fermamente convinta che Axel si trovasse a casa di Oscar a fare chissà cosa, dal momento che non rispondeva al telefono da quella mattina.
Dal suo canto, Oscar non poteva confidare a Nicole i suoi timori, dal momento che avrebbe inevitabilmente messo nei guai sia lei che Maria Antonietta.
Da una parte, però, alla ragazza non sarebbe dispiaciuto dare una bella scossa a quell’oca giuliva per liberare definitivamente il povero Axel dalle sue grinfie.
In fondo, se quel disastro umano non riusciva a trovare il coraggio di schiodarsela da solo, a quel punto una buona parola da parte degli amici poteva tornare utile, no?
D’altra parte, però, Nicole poteva rivelarsi l’unica persona che avrebbe potuto aiutarla a far luce su quello scomodo mistero.
Chissenefrega se poi correva il rischio di ritrovarlo tra le braccia di un’altra.
Ormai, nulla avrebbe risparmiato Axel dal titolo di imbecille del secolo.
“Nicole, per favore, calmati!”, disse Oscar cercando di mantenere un tono di voce fermo. “Ti posso assicurare che Axel non è da me. Però non si è nemmeno presentato all’allenamento di oggi. Hai provato a chiamarlo a casa?”.
“Quel pezzo di merda aveva detto che sarebbe andato a pranzo dai suoi, peccato che quando ho chiamato lì poco fa mi hanno detto che a quest’ora doveva stare all’università!”.
Nicole aveva gridato l’ultima frase così forte che Oscar era stata costretta ad allontanare l’orecchio dal ricevitore per evitare di spaccarsi un timpano.
“Allora non so proprio come aiutarti”, rispose massaggiandosi la tempia. “Se vuoi, adesso sento Victor”.
“Mi ha tradita, il pezzo di merda, io lo sapevo! LO SAPEVO!”.
“Alle peggio, andiamo dalla polizia…”.
“VOGLIO PROPRIO VEDERE LA FACCIA DI QUESTA! GIURO CHE LO AMMAZZO!”.
“Nicole”.
“ME LO SENTIVO CHE C’ERA QUALCOSA NELL’ARIA…E LUI A LASCIARMI DA SOLA IN UN MOMENTO DEL GENERE!”.
“Nicole…”.
“IO MI BUTTO SOTTO A UN TRENO! NON POSSO VIVERE SENZA DI LUI, NON POSSO! E PENSARE QUELLA VOLTA CHE SIAMO ANDATI INSIEME…”.
“Nicole, non ti sento più! Mi sa che sta cadendo la linea…pronto? PRONTOOOOO?”.
Con un gesto teatrale, Oscar chiuse finalmente quella comunicazione infernale.
L’ultima cosa che le mancava quella sera era di sentire da Nicole cosa avevano fatto lei e Axel quando erano andati in vacanza insieme l’ultima volta.
Ma come fa a sopportarla?, si chiese esasperata.
In quel momento, l’orologio segnò le undici.
Di Axel e Maria Antonietta nessuna traccia.
Ormai piegata in due per l’ansia, Oscar fece per afferrare di nuovo il cellulare e digitare il numero di André, quando sul display comparve proprio una sua chiamata.
Con il cuore che le batteva contro le costole come un cavallo al galoppo, la ragazza afferrò il ricevitore e rispose.
“Pronto?”.
“Oscar, è successa una cosa terribile”.
Fu come risvegliarsi all’improvviso.
Del resto, se l’era aspettato, anche se aveva sperato fino alla fine di non dover ascoltare quelle parole, cambiarsi in fretta e furia e precipitarsi al primo comando di polizia nel cuore della notte.
Oscar prese fiato e si fece coraggio.
“Che cosa è successo?”, domandò in tono piatto.
“Louis è sparito. Non era sul pullman insieme ai compagni, quando sono tornati da Versailles”.
Quel nome suscitò nella ragazza un effetto simile a quello di una scarica elettrica.
“Un momento, cosa? Hai detto proprio Versailles?”.
“Sì, era andato in gita scolastica”.
Il cuore di Oscar aveva preso a galoppare ancora più forte.
Una terribile certezza si stava facendo sempre più largo nella sua mente, per quanto assurda.
“Venti minuti e sono da te”, disse mentre si infilava un paio di scarpe da ginnastica e si fiondava giù per le scale, fino alla strada schizzata dalla pioggia.
 
***
 
Maria Antonietta avrebbe voluto rinchiudersi in camera sua per il resto dei suoi giorni, ma era ovvio che un simile comportamento non si addiceva affatto alla futura regina di Francia. C’erano dei sudditi che l’attendevano speranzosi, là fuori, a cui dare un degno erede. E poi c’era lui, Axel, che in quel momento stava marcendo in chissà quale prigione in attesa di processo.
    –Non mangiate nulla, Madame? – domandò Luigi Augusto in tono preoccupato, fissando il bicchiere d’acqua ancora colmo tra le mani dell’arciduchessa.
    –Per ora sto bene così, grazie – rispose lei senza guardarlo.
    –Come volete. Ma state attenta a non deperire troppo.
    –Non preoccupatevi. So quello che faccio.
    –Siete ancora sconvolta da ciò che è accaduto ieri, vero? Vi capisco, Madame. Sua Maestà il Re farà di tutto per condannare a morte quel disgraziato il prima possibile.
    Maria Antonietta cercò di rimanere impassibile più che poté, anche se in quel momento avrebbe tanto voluto urlare e spaccare tutto, proprio come faceva Oscar quando si arrabbiava sul serio. Chissà come avrebbero preso il suo comportamento, quelle vecchie mummie. Forse l’avrebbero presa per matta e rinchiusa in un convento per il resto dei suoi giorni. Per quello che aveva fatto all’unica persona che aveva amato in vita sua, non meritava di meglio.
    –Vi ringrazio per la vostra generosità – fu tutto quello che riuscì a dire, invece.
    In quell’epoca malata, tutto era falsità e finzione. Nessuno riusciva a sentirsi degno di essere un uomo se non aveva perlomeno una maschera di cipria e perbenismo a celargli il volto. Tutto era falso, idealizzato, decadente. Nessuno aveva mai provato a sentirsi nudo almeno per un attimo. Nessuno osava alzarsi e mandare finalmente tutto a fanculo. Nemmeno l’arciduchessa, che ora più che mai si trovava prigioniera in quell’ingranaggio arrugginito che, ormai lo sapeva, era destinato a incepparsi da un momento all’altro.
    Maria Antonietta provò a sorseggiare un po’ d’acqua, ma il sapore che le ritornò alle labbra non era più quello a cui si era abituata negli ultimi tempi. Si ricordava ancora della prima volta che Oscar le aveva fatto assaggiare la Coca-Cola, per quanto entrambe sapessero che le avrebbe bucato il fegato. A quel ricordo, legato alle follie delle ultime settimane trascorse nel futuro, l’arciduchessa posò il bicchiere e si pulì pudicamente la bocca con un tovagliolo.
    Che ne sapevano tutti loro di quello che aveva passato? Che un giorno non ci sarebbero più state né monarchia, né etichetta, né tutta la marea di sciocchezze a cui l’avevano costretta a credere? Che ci sarebbe potuti ribellare a coloro che avevano pianificato la sua esistenza attimo per attimo, muovendola come una pedina all’interno di una scacchiera spietata e assurda?
    In quel momento di disperazione, Maria Antonietta levò lo sguardo e per poco non le venne un colpo. In passato, raramente prestava attenzione ai servitori. Non sapeva nemmeno chi fossero e che volto avessero. Ora, invece, uno in particolare catturò la sua attenzione.
    Anche se aveva i lunghi capelli biondi nascosti sotto una parrucca e il volto incipriato, non sarebbe mai riuscita a confondere quei tratti nemmeno in mezzo a una folla, dal momento che ora era diventato il suo unico appiglio alla strada che l’avrebbe riportata a casa.
    Non sapeva come, ma il ragazzo di fronte a lei era proprio Louis.




Ragazzi, chiedo subito scusa a tutti voi per non aver aggiornato ieri, ma sono stata fuori casa per tutto il giorno e sono rientrata davvero troppo tardi!
Spero che comunque questo capitolo non vi sia dispiaciuto.
Come vedete, ora passiamo all'azione vera e propria: sicuramente Axel rischia la condanna a morte per alto tradimento, Maria Antonietta sta progettando un modo per tornare a casa insieme a Louis e nel futuro si sta scatenando un vero e proprio putiferio.
Lo so, più andiamo avanti più vi lancio dei nuovi interrogativi.
Ma, in fondo, è una storia che vogliamo far durare ancora a lungo, no? ;)
Le domande ora sono:
1) Perché Louis si trova tra i servitori?
2)Come faranno Oscar e i suoi amici a risolvere questa situazione assurda?
3)Nanny si deciderà mai a dare spiegazioni?
Queste sono un po' di anticipazioni del prossimo capitolo :)

Una cosa importante: sto scrivendo una nuova storia che vorrei pubblicare su questo fandom e mi chiedo se per voi sta bene l'impaginazione con il Times New Roman nella dimensione che sto usando anche per questa o se invece vi risulta troppo piccolo.
Fatemi sapere, perché così mi regolo per il futuro editing.
Ancora non posso spoilerarvi nulla perché è tutto in fase di stesura, ma restiamo sempre nello spirito dell'avventura con un pizzico di paranormale come piace a me.

Nel mentre, vi lascio come sempre il link della mia pagina Facebook, con tutti gli aggiornamenti: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

Grazie ancora a tutti voi lettori e a presto! :)

F.
    


 

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***




CAPITOLO 24
                       






 
Oscar guidava a tutta velocità per le strade di Parigi, la pioggia che schizzava sui finestrini a tal punto da impedire ai tergicristalli di fare il loro lavoro come si deve.
Era talmente sconvolta, da dimenticarsi il suo vasto repertorio di parolacce e bestemmie ogni qual volta incrociava qualche altro sfortunato guidatore sul suo cammino.
L’unico pensiero che aveva in quel momento era di raggiungere André il prima possibile.
Come se fosse servito a qualcosa.
Sin dal primo momento in cui Maria Antonietta le aveva detto che sarebbe andata a Versailles con Axel, Oscar aveva avuto come un brutto presentimento.
Quel posto era completamente intriso della presenza dell’arciduchessa.
E se fosse accaduto qualcosa, che so, la riapertura di quella specie di varco spazio-temporale che l’aveva fatta piombare nella Parigi del futuro?
Quel sospetto le era sembrato talmente folle, che aveva finito per seppellirlo.
Che ne sapeva che le cose sarebbero andate esattamente così?
Ma come gli è venuto in testa a quel deficiente di uscire proprio a Versailles?, pensò Oscar con rabbia, tirando ad Axel i peggiori accidenti che le vennero in mente tra un incrocio e l’altro.
Quella notte, la casa di André sembrava più lontana che mai.
Quando finalmente la ragazza riconobbe le finestre illuminate della villetta a schiera, parcheggiò letteralmente in mezzo alla strada e si attaccò al campanello senza nemmeno preoccuparsi di aprire un ombrello, venendo subito investita da una muraglia d’acqua gelida.
Le venne ad aprire la versione cinquantenne di André, i corti capelli neri striati di grigio.
“Ciao, Oscar”, la salutò il signor Grandier.
Aveva un’espressione indecifrabile tirata sul volto segnato dalle prime rughe, che lo faceva sembrare più vecchio di almeno dieci anni.
“André è ancora in casa?”, domandò Oscar, stringendosi negli abiti inzuppati di pioggia.
“Sì, è rientrato da poco dal commissariato. Cielo, Oscar, che cosa terribile!”.
“Posso vederlo?”.
“Certamente. Ti stava aspettando”.
A un cenno del signor Grandier, la ragazza lo seguì all’interno dell’abitazione, che al confronto con l’esterno le sembrò incredibilmente calda.
La signora Grandier era seduta sul divano, facendo zapping distrattamente con lo sguardo perso nel vuoto.
Oscar le si avvicinò per un rapido saluto, poi si dileguò in camera di André il più veloce che poteva.
Trovò il ragazzo seduto sul letto, intento a scrivere febbrilmente con la tastiera del suo portatile.
“André!”.
Nel vederla sulla soglia della porta, il giovane smise all’istante di scrivere e si fiondò tra le sue braccia.
Oscar lo strinse forte a sé, affondando il volto nel mare nero dei suoi capelli.
“Raccontami tutto”, disse poi prendendolo per mano e sedendosi insieme sul letto.
Non sapeva come, ma quando si trovava da sola con André emergeva puntualmente un lato oscuro e sconosciuto del suo carattere fatto di dolcezza e femminilità.
Era una cosa a cui probabilmente Oscar non avrebbe mai fatto l’abitudine.
“Cosa c’è da raccontare? Ti ho detto quasi tutto”, rispose il ragazzo passandosi una mano tra i capelli. “Siamo andati subito dalla polizia e hanno già iniziato le ricerche, ma non credo che porteranno a qualcosa”.
“Non è stato solo Louis a sparire”, si lasciò sfuggire Oscar.
“Ah, no?”.
“Stamattina, anche Antoine e Axel sono andati a Versailles e non sono più tornati. Ho provato a telefonare non so quante volte, ma niente”.
“Che cosa? Com’è possibile? Che cosa può essere successo?”.
“Non lo so, ma temo che le due sparizioni siano collegate”.
André si portò il volto tra le mani, massaggiandosi febbrilmente le tempie.
“Stiamo pensando alla stessa cosa, vero?”, osò chiedere dopo un tempo che parve interminabile.
“Ho paura di sì”, rispose Oscar in tono piatto.
“Ma come possono tre persone svanire da questo mondo per approdare in un’altra epoca?”.
“Credo che la questione resti al disopra della ragione umana. Il punto è: torneranno mai indietro?”.
“Ѐ già successo una volta. Potrebbe accadere di nuovo, giusto?”.
“Sì, ma ne abbiamo forse la certezza?”.
André si passò ancora una volta la mano tra i folti riccioli scuri.
Sembrava sul punto di mettersi a piangere.
“Non posso pensarci. Louis, così giovane, perso in quell’epoca di pazzi. Come farà a sopravvivere, là dove si trova, senza nessuno accanto?”.
“Non è solo”, ribatté Oscar. “Se le cose stanno come crediamo, Antoine non lo abbandonerà per nessun motivo al mondo”.
 
***
 
Maria Antonietta non riusciva a staccare gli occhi da Louis. Sembrava improvvisamente diventata una sorta di calamita umana. Ma sì, era proprio lui! Quel piccolo naso all’insù, i grandi occhi neri da cerbiatto, il viso ovale…non poteva assolutamente sbagliarsi! Si vedeva a occhio che in realtà quel giovane lacchè era un pesce fuor d’acqua in mezzo a quella folla variopinta. Lo si leggeva nell’espressione spaurita del suo volto, nella sua totale mancanza di compostezza, nel modo in cui guardava costantemente nella direzione dei reali con il rischio di essere preso a frustate.
    Doveva lanciargli un segno, a tutti i costi. Cercando di essere più rapida e furtiva possibile, l’arciduchessa cercò ancora una volta il suo sguardo. Finalmente, i loro occhi si incontrarono. Lei gli abbozzò un sorriso, a cui lui rispose con una muta richiesta d’aiuto.
    –Avete un nuovo lacchè nel vostro seguito, Monsieur? – domandò distrattamente al marito.
    –Ah, davvero? – rispose lui strizzando gli occhi miopi verso Louis. – Non me ne ero accorto.
    Maria Antonietta si morse il labbro inferiore. Doveva assolutamente trovare una scusa per restare da sola con Louis. Sicuramente, il ragazzo avrebbe avuto molta più libertà di muoversi all’interno del palazzo rispetto a lei. Poteva rivelarsi assai utile, in un momento del genere. Ma come riuscirci, dal momento che si trovava perennemente sotto scorta?
    A un cenno dei servitori, le pietanze sparirono dalla tavola. La colazione era ufficialmente finita. I due delfini si alzarono dalla tavola e si avviarono verso i rispettivi appartamenti.
    –Andate a caccia, Monsieur? – domandò Maria Antonietta un istante prima di congedarsi.
    –Non credo, ormai è tardi – rispose l’altro in tono stanco. – Credo che oggi mi dedicherò alla mia adorata fucina.
    –Va bene. Buona giornata, Monsieur.
    –Anche a voi, Madame.
    I due coniugi si salutarono con un rapido inchino; poi ciascuno di loro andò per la propria strada. Evidentemente, le premure della sera prima erano svanite con la stessa rapidità con cui erano iniziate. Per Luigi Augusto, la questione di Axel poteva dirsi ufficialmente chiusa. Che importanza aveva se il giovane era già stato condannato a morte prima ancora del processo?
    Mentre avanzava per i corridoi, la mente di Maria Antonietta galoppava. Louis era sparito di nuovo e con lui ogni speranza di salvezza.
    –Vi prego, vorrei restare un attimo da sola, prima di recarmi a messa – disse rivolta alle dame del suo seguito.
    Una volta al sicuro nella sua camera, l’arciduchessa prese a camminare su e giù per la stanza, alla disperata ricerca di una soluzione. Non poteva di certo aggirarsi per la reggia per andare a parlare con un umile paggio, nonostante fosse un suo carissimo amico. Un momento…lei non poteva, ma un suo pari di cui si fidava ciecamente sì!
    Con il cuore che le batteva a mille nel piccolo petto, Maria Antonietta si precipitò fuori dalla stanza, percorrendo palmo a palmo i suoi appartamenti fino a quando non trovò la persona che cercava.
    –Madame Campan! – esclamò rivolta alla sua prima cameriera.
    –Madame! – esclamò lei, visibilmente sorpresa da tanta enfasi.
    –Ho bisogno di parlarvi. Seguitemi, vi prego.
    –Come desiderate, Madame.
    Le due donne rientrarono nella camera dell’arciduchessa, tra le occhiate interrogative dei presenti che incontrarono strada facendo.
    –Mi posso fidare di voi? – chiese Maria Antonietta, una volta al sicuro da orecchie indiscrete.
    –Ma certo, Madame! In che cosa posso esservi utile?
    –Sapete se sono arrivati dei nuovi servitori, nelle ultime ore?
    –Oh, sì! Ieri sera è stato assunto un certo Louis Grandier. È un giovanotto di quindici anni, ma è ancora molto inesperto. Non fa altro che combinare guai. Ieri sera, era di servizio alla festa al Grand Trianon e non so quante volte sia stato ripreso da mio marito.
    –Lo immaginavo. Vedete, Madame, credo che quel ragazzo sia venuto in realtà per conto di mio fratello Giuseppe.
    –Che cosa? Volete dire che è un austriaco? A me non sembrava.
    –Fidatevi, l’ho riconosciuto all’istante. Era nel seguito di mio fratello a Vienna. Scommetto che è qui per tenermi d’occhio e riferire tutto a mia madre.
    –Oh, cielo! Dunque si tratta di una spia?
    –No, no, è okay.
    –Prego?
    In quel momento, Maria Antonietta avrebbe tanto voluto mangiarsi le mani per ciò che era appena uscito dalla sua bocca. Come aveva potuto essere tanto stupida da dire una parola che sarebbe stata inventata secoli dopo?
    –Intendevo dire che è a posto – si affrettò ad aggiungere, nella speranza che Madame Campan non facesse qualche domanda inopportuna. – Proprio per questo vi chiedo di vegliare su di lui. Ѐ una cara persona e non vorrei che si cacciasse nei guai. Mio fratello non lo perdonerebbe mai.
    –Farò il mio possibile per istruirlo, Madame.
    –Vi ringrazio infinitamente! – le rispose Maria Antonietta con la voce colma di gratitudine.
    In un’altra epoca, sarebbe tranquillamente saltata al collo di Madame Campan, ma sapeva bene che ciò non le sarebbe mai stato concesso in una simile circostanza.
    –C’è un’altra cosa – aggiunse con determinazione. – Appena potete, mandate Monsieur Grandier da me. Ho bisogno di parlargli.
 
 
***
   
Lucile compose il numero di Louis per l’ennesima volta e premette il tasto verde.
Ci fu una pausa di silenzio interminabile, poi una fredda voce femminile recitò implacabile:
Il telefono della persona chiamata non è al momento…”.
La ragazza non stette nemmeno ad attendere la fine di quella nenia che aveva ormai imparato a memoria.
Riagganciò e lanciò il cellulare il più lontano possibile da lei.
Dopo un po’, si decise ad riaccendere il computer, andando dritta su Facebook.
Con un tuffo al cuore, notò che aveva ricevuto ben tre messaggi.
Tutte le sue speranze collassarono nel momento in cui si rese conto che nessuno di essi apparteneva a Louis.
Il primo era di sua cugina.
Lo visualizzò senza rispondere.
Il secondo era della sua migliore amica.
Anche quello fu visualizzato senza alcuna risposta.
Il terzo era di Rosalie.
Non aveva neppure finito la prima frase, che già la ragazza stava scrivendo febbrilmente un messaggio a Christine, pregando Iddio che rispondesse il prima possibile.
Nella sua mente c’era spazio per un’unica parola:
Sparito.




Buongiorno a tutti! :)
Sì,lo so, sto diventando parecchio indisciplinata, ma a questo rimedierò subito...
Molto probabilmente, infatti, GLI AGGIORNAMENTI DELLE PROSSIME DUE SETTIMANE NON SALTANO!
Non vorrei parlare troppo presto,  ma forse riesco a trovare il modo di procurarmi un computer.
In tal caso, almeno "L'ultimo Erede" riceverà gli aggiornamenti pattuiti, ma dovete pazientare ancora qualche ora per avere conferma.
Nel frattempo, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto.
Ora vorrei tornare a focalizzarmi sulla relazione tra Louis e Lucile, che sarebbe ora che uscisse dalla friendzone, e anche nel piano di ritorno a casa di Maria Antonietta.
Non preoccupatevi per Fersen: il finale sarà a sorpresa anche per lui ;)
N. B. Il personaggio di Madame Camapan è realmente esistito. Grazie a lei, abbiamo la biografia di Maria Antonietta nei minimi dettagli. Se volete scoprire davvero tutto sulla nostra regina, correte a leggerla, perché ne vale davvero la pena!

Come sempre, vi lascio il link della mia pagina Facebook. Vi farò sapere il prima possibile: 
https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A presto!
Baci

F.

 
   
   
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***




CAPITOLO 25
                      






 
Il cuore di Louis accelerava i battiti man mano che il ragazzo si avvicinava agli appartamenti di Maria Antonietta. Per ore intere il ragazzo aveva sperato inutilmente che tutto ciò che stava accadendo intorno a lui fosse in realtà solo un brutto sogno. Invece, per quanto assurdo potesse essere, era davvero piombato nel Settecento. Come, non ne aveva la minima idea. Sulle prime, aveva pensato si trattasse di una semplice mascherata. Capitava, alle volte, che qualche gruppo storico locale inscenasse dei pezzi teatrali all’interno della reggia. Peccato che quelle non fossero prove. Il re, il delfino e la delfina erano e reali.
    Ma ciò che l’aveva sconvolto più di ogni altra cosa, era stato il constatare che la ragazza bionda che per settimane aveva abitato a casa della fidanzata di André altri non era che la legittima erede al trono di Francia. Ce l’aveva avuta sotto il naso un sacco di volte, senza sospettare di nulla. Gli era sempre sembrata una ragazza come tante altre, forse giusto un po’ svagata, ma mai avrebbe creduto che si trattasse proprio di Maria Antonietta, la donna più odiata nella Storia del suo Paese.
    Eppure le cose stavano proprio così. Ed era proprio lei l’unico appiglio che il ragazzo aveva in quel preciso istante. E forse era l’unica in grado di fare qualcosa per salvare la vita di Axel, che in quel momento languiva in prigione in attesa di processo.
    Louis attraversò gli appartamenti della delfina e indugiò di fronte alla porta del suo studiolo. Maria Antonietta era al centro della stanza, attorniata da uno stuolo di dame ridacchianti. Nell’incrociare i suoi occhi, l’arciduchessa sorrise, levandosi in piedi con grazia.
    −Vogliate scusarmi – disse per congedarsi prima ancora che il suo seguito occhieggiasse chi la stava attendendo fuori. – Seguimi – soggiunse rivolta a Louis, invitandolo a entrare nella sua camera da letto.
    Il ragazzo arrossì mentre varcava la soglia. Solo poche ore prima si sarebbe limitato a incurvare le spalle e affondare le mani nelle tasche, ma come poteva quando si trovava di fronte alla futura regina di Francia?
    −Sei il cugino di André, non è vero? – domandò subito Maria Antonietta, gli occhi azzurri che ardevano di speranza.
    Nel sentir nominare il ragazzo, Louis avvertì un infinito moto di sollievo, come se stesse davvero per svegliarsi da quell’incubo senza fine.
    −Sì, sono io! – esclamò. – E voi...voi siete davvero la delfina? Io…perdonatemi, ma non avrei mai creduto…
    −Non importa – lo rassicurò l’arciduchessa con un sorriso. – E, per favore, diamoci del tu quando siamo in privato. È un’abitudine che non vorrei perdere.
    Louis si sentiva sempre più confuso attimo dopo attimo.
    −Io non capisco…che ci facevate nella mia epoca? E perché sono finito qui? – domandò esasperato.
    −È la stessa domanda che mi sono posta quando è capitato a me, lo scorso settembre – rispose Maria Antonietta, rabbuiandosi. – Temo che non conosceremo mai la risposta a questo mistero. Tuttavia, non possiamo restarcene qui con le mani in mano, quando ci sono dei nostri amici in grave pericolo.
    −Vi stavate…voglio dire, ti stai riferendo ad Axel, non è vero?
    −Sì.
    Maria Antonietta prese a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza, le braccia strette intorno al torace. In quei rari momenti di intimità, perdeva visibilmente tutta la sua compostezza per trasformarsi nell’adolescente che avrebbe sempre voluto essere.
    −Come hai fatto ad entrare a far parte degli uomini al servizio del delfino? – domandò a un certo punto.
    −È successo tutto molto in fretta – rispose Louis. – Mi trovavo in gita a Versailles con la mia classe. Stava andando tutto bene, quando sono rimasto indietro per fare delle foto. Allora ho provato a raggiungerli in un’altra stanza, avevo sentito della musica, delle voci…e mi sono ritrovato nel bel mezzo di una festa. Credevo che si trattasse di una messinscena, quando ho notato che tutti mi guardavano storto. A un certo punto, un signore, monsieur Campan se non erro, mi ha preso in disparte e mi ha messo un vassoio in mano, non prima di avermi fatto una bella tirata d’orecchie. Temo di essere stato scambiato per qualcun altro che doveva prendere servizio al posto mio, ieri sera.
    Maria Antonietta sospirò. Sapeva perfettamente come si sentiva il ragazzo in quel momento.
    −Hai per caso qualche notizia di Axel? – azzardò a chiedere dopo qualche istante.
    −Nessuna, a parte il fatto che l’hanno portato alla Bastiglia.
    Ci fu una lunga pausa di silenzio, in cui nessuno dei due osò proferire parola.
    −Tu puoi liberarlo, vero? – domandò Louis a un certo punto.
    Maria Antonietta scosse il capo.
    −Non posso. Il crimine di cui è accusato è troppo grave – rispose amareggiata.
    −Ma come? Sei o non sei la futura regina di Francia?
    −Noi reali abbiamo meno potere di quanto la gente creda. Siamo schiavi delle nostre stesse leggi, senza poterci sottrarre in alcun modo.
    −Che cosa vuoi dire? Che non possiamo fare nulla per Axel?
    Gli occhi dell’arciduchessa erano ormai colmi di lacrime.
    −So che ti sembrerà assurdo, − singhiozzò disperata – ma io amo Axel. E non posso perderlo così! Voglio tornare a casa, Louis. La mia vera casa. Nella tua epoca.
    A quelle parole, il ragazzo non poté fare a meno di avvertire un moto di vertigine. In tutta la sua vita, non avrebbe mai creduto di udire una cosa così folle e straordinaria come quella.
    −Torneremo mai indietro? – domandò.
    −E chi lo sa? Se non sappiamo neanche come avvengono, questi prodigi!
    −Nel frattempo, dobbiamo trovare un modo per salvare Axel! Non possiamo permettere che venga ucciso!
    −A chi lo dici!
    −E se lo facessimo scappare?
    −Non se ne parla: è troppo rischioso!
    −Ma allora come facciamo?
    Maria Antonietta riprese a camminare avanti e indietro per la stanza come una tigre in gabbia, masticandosi nervosamente il labbro inferiore. Non avevano altra scelta se non quella di giocare d’astuzia, spulciando ogni singolo cavillo giudiziario per sottrarre quel povero ragazzo al terribile destino che lo attendeva. Possibile che in tutti quei libri che aveva letto sulla sua vita non ci fosse un minimo di dettaglio che avrebbe potuto scagionarlo?
    −Un momento! – esclamò l’arciduchessa, immobilizzandosi lì dov’era. – Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?
    −Che succede?
    Sul volto di Maria Antonietta era comparsa un’espressione di pura euforia.
    −La Storia è a nostro favore, Louis! – esclamò. – Hai mai sentito parlare del conte Axel Von Fersen?
 
***
 
Nanny stava vivendo quelle ore infernali come un sogno.
Ancora non poteva pensarci: Louis, il suo nipotino, sparito.
Una volta rientrata a casa dopo la lunga notte in commissariato, l’anziana donna non aveva fatto altro che sfogliare le vecchie foto che lo ritraevano nel corso degli anni.
Era stata lei a crescerlo, in fondo, restando al suo fianco con una solerzia decisamente maggiore rispetto ai genitori, sempre in giro per il mondo.
Lui, Christine e André erano sempre stati la sua ragione di vita dalla scomparsa del marito.
Quando non andavano a scuola, i tre nipotini erano sempre nascosti sotto il bancone del negozio, divertendosi a farla disperare per qualche ora.
Più di una volta, quando c’era un film da girare, Nanny non aveva esitato a portarli sul set.
André e Christine, i più grandi, avevano seguito da vicino più o meno tutta la realizzazione del film sulla Rivoluzione francese, quel film che la donna stava vedendo senza audio da ore, avvolta nella sua vestaglia di lana nell’oscurità del salotto.
Louis era sparito a Versailles.
Proprio nello stesso posto in cui, alla fine degli anni Ottanta, Nanny aveva incontrato quella donna misteriosa e affascinante che di certo non si trovava lì per il film.
La stessa donna la cui versione quindicenne era piombata di nuovo nelle loro vite pochi giorni prima.
Nanny sapeva fin troppo bene che Maria Antonietta poteva significare solo guai.
Si domandava perché non le avessero tagliato la testa subito, invece di continuare ad andare in giro a fare danni con quella sua aria innocente e spaurita.
La donna interruppe bruscamente la visione e si avviò in cucina a passi strascicati.
Controllò per l’ennesima volta il cellulare, ma in quelle ultime ore nessuno l’aveva cercata.
Per forza, erano ormai le quattro del mattino!
Nanny sospirò, facendo per prepararsi l’ennesimo caffè.
Avrebbe tanto voluto che quella misteriosa e inquietante esperienza avuta tanti anni prima restasse solo un ricordo da dimenticare.
Invece, a quanto pareva, doveva parlarne al più presto con qualcuno che stava vivendo la sua stessa esperienza.
Forse André, dall’alto dei suoi trent’anni, avrebbe capito, per quanto le cose andassero ben oltre l’umana ragione.
Se la sua fidanzata aveva ospitato per settimane Maria Antonietta nel suo appartamento, allora non si sarebbe certamente fatto problemi nel momento in cui sua nonna gli avrebbe rivelato di aver incontrato l’arciduchessa qualche anno prima.
Era l’unica cosa da fare, se voleva rivedere vivo Louis in qualche modo.
Dopo aver tratto un profondo sospiro, la donna si decise ad afferrare il ricevitore e a comporre il numero di André.
Dopo una serie interminabili di squilli, finalmente la sua voce assonnata rispose dall’altro capo.
“Pronto?”.
“Ciao, André. Ti va se ci vediamo io e te, appena sei libero? C’è una cosa che dovresti sapere”.
 
***
 
Lucile uscì sgomitando dal vagone della metropolitana, riuscendo a guadagnare la banchina appena prima che le porte scorrevoli si richiudessero alle sue spalle.
Con i crampi allo stomaco per l’agitazione, la ragazza uscì finalmente alla luce del sole, avviandosi a grandi passi verso una fila di palazzi ottocenteschi che si affacciavano sull’Opera.
Rosalie la stava già aspettando in strada, un’espressione torva dipinta in volto.
Non appena la vide comparire da dietro l’angolo, si strappò letteralmente gli auricolari dalle orecchie per correrle incontro e stringerla nell’abbraccio più forte che avesse mai regalato a un altro essere umano.
“Rosalie!”, esclamò Lucile trattenendo a stento le lacrime.
“Ssst, sono qui. Va tutto bene”, cercò di consolarla l’amica, anche se sapeva benissimo che in quella circostanza le sue parole sarebbero servite a poco.
“Hai avuto qualche notizia da Christine? Io ho provato a chiamarla, ma non risponde!”.
“No, non so nulla di nuovo”.
“Ma tu eri con lui!”.
“Non so spiegarmi come sia potuto accadere. Ricordo solo che un attimo prima Louis era dietro di me e Bernard a fare foto e due secondi dopo era sparito!”.
“Ma cosa può essergli successo?”.
“Non ne ho idea”.
“E se lo avessero rapito?”.
Per un attimo, quella terribile prospettiva sembrò paralizzarle entrambe per la paura, ma poi Rosalie riprese in tono pratico:
“Ritengo più probabile che si sia perso, o peggio, che sia rimasto chiuso dentro. In fondo, siamo stati gli ultimi a uscire dalla reggia prima della chiusura. E poi, imbranato com’è, si sarà sicuramente perso il cellulare”.
“Ma allora perché la polizia non l’ha ancora trovato?”.
“Non lo so. C’è da dire che Versailles è grande e ha tanti nascondigli”.
“Quindi secondo te si trova ancora lì, in qualche modo?”.
“Non lo so. Però, se vuoi, possiamo indagare. Ma dobbiamo muoverci subito”.
“Prendiamo la metro, allora”, incalzò Lucile impaziente. “Ogni minuto trascorso qui, potrebbe essere prezioso per lui!”.
Rosalie annuì, sistemandosi meglio lo zainetto sulle spalle e facendo per avviarsi verso la buca della metro.
“Gli vuoi davvero bene”, disse a un certo punto, mentre riprendevano la strada.
In tutta risposta, gli occhi di Lucile si riempirono di lacrime.
“Non sai quanto, Rosalie”, rispose con la voce rotta dall’ondata di pianto che stava per travolgerla. “Sono stata proprio una stupida a non accorgermene prima!”.
 
 


P. S. ragazzi, scusate se non rispondo alle recensioni, ma ho davvero i minuti contati! Perlomeno, sono riuscita ad aggiornare! Spero che capiate! Un bacio a tutti :)

 

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***




CAPITOLO 26
                       







 
Lucile e Rosalie scesero dall’autobus dopo quella che parve un’eternità.
Per loro fortuna, i mezzi a Parigi funzionavano benissimo ed esisteva una linea che collegava la capitale a Versailles.
Le due amiche si avviarono a grandi passi per le vie della cittadina, fino a fermarsi di fronte agli imponenti cancelli di ferro battuto della reggia.
“Credi davvero che Louis sia ancora lì dentro?”, domandò Lucile con un brivido, indicando la lunga fila di turisti che aspettavano il loro turno per entrare.
“Il cancello era già chiuso quando siamo andati via. Quindi è una possibilità”, rispose Rosalie risoluta. “Non ci resta che scoprirlo”.
Le ragazze si misero in fila, dando immediatamente segni di impazienza.
Possibile che quei maledetti turisti non avessero un minimo di fretta?
Sembrava che lo facessero apposta, a fare tutto con calma, chiacchierando a voce alta e scattando foto.
Finalmente, dopo un tempo interminabile, arrivò il turno delle due ragazze.
Pagarono il biglietto in tutta fretta, poi si lanciarono verso il parco.
“Ti ricordi esattamente l’ultima volta che hai visto Louis?”, domandò Lucile, faticando a starle dietro.
“Eravamo al Grand Trianon. Con un po’ di fortuna, non sarà andato lontano. Per prudenza, chiediamo un po’ in giro mentre andiamo”.
Detto fatto, le due ragazze si fermarono di fronte a tutti i custodi che incontrarono sul loro cammino, chiedendo loro se per caso avessero visto in giro un ragazzo allampanato con i lunghi capelli biondi e gli occhiali.
Con loro somma delusione, nessuno di loro parve aver solo intravisto Louis in quei corridoi.
“Forse quelli di turno oggi non sono gli stessi di ieri”, ipotizzò Lucile sempre più allarmata, mentre uscivano all’esterno.
“Dobbiamo andare al Trianon”, continuava a ripetere Rosalie. “Scommetto che tutte le risposte sono lì”.
Con loro somma sorpresa, trovarono il Grand Trianon transennato e interdetto al pubblico, mentre un agente di polizia invitava i turisti a girare al largo.
Senza pensarci oltre, le due amiche si avvicinarono timidamente al poliziotto.
“Mi dispiace, ragazze, ma oggi non sarà possibile visitare il Trianon per ragioni di sicurezza”, disse questi in tono formale.
“Siamo amiche di Louis Grandier, il ragazzo che è scomparso ieri”, disse Rosalie.
A quelle parole, il poliziotto assunse immediatamente un’aria comprensiva.
“Capisco come vi sentite e vi assicuro che stiamo facendo tutto il possibile per ritrovarlo”, disse gentilmente.
“Nessuna traccia di lui?”, chiese Lucile allungando il collo oltre le transenne.
“I miei colleghi stanno indagando in questo momento. È probabile che il ragazzo sia rimasto nei dintorni, ma non ne abbiamo la certezza. In queste ore, può essergli accaduto di tutto. Ma non disperate: le indagini sono ancora all’inizio”.
“D’accordo. Buon lavoro”, disse Rosalie in tono funereo, trascinando via Lucile.
“Perché quello stronzo non ci dice la verità, eh?”, tuonò non appena furono al sicuro da orecchie indiscrete. “Faceva prima a fare meno l’ipocrita e a dirci che non ci stanno capendo un cazzo neanche loro!”.
“Per favore, Rosalie, calmati!”, esclamò Lucile esasperata.
“Certo, ora mi calmo. Tanto hanno tutto in mano i piedipiatti, giusto?”.
Rosalie crollò a sedere su una panchina, stringendosi spasmodicamente le braccia al petto.
“Forse si è allontanato dal Trianon. Dobbiamo continuare a cercare. È così grande, qui…”, azzardò Lucile.
L’altra grugnì qualcosa, ma non aggiunse altro.
Dopo essersi passata una mano sul viso, la ragazza si levò in piedi bruscamente.
“Proviamo a chiamarlo”, disse con determinazione.
 
***
 
Louis camminava nervosamente nel parco del castello, le mani finalmente affondate nelle tasche come piaceva a lui. Ogni tanto, qualche nobile di passaggio gli lanciava delle occhiate sospettose, ma lui cercava di non dargli peso. Si sentiva terribilmente in trappola e ogni istante passato in quell’epoca gli sembrava di soffocare, schiacciato da una mole immensa.
    Certo, l’idea escogitata da Maria Antonietta non era niente male, ma di certo non risolveva la questione principale: come sarebbero tornati a casa? Al solo pensiero di restare confinato in quel mondo, lontano da tutto ciò che conosceva e amava, Louis avvertiva il panico prendere completamente possesso di lui. Avrebbe preferito di gran lunga darsi la morte, che trascorrere una vita intera in quel posto infernale.
    Senza contare che, tempo vent’anni, tutto sarebbe stato spazzato via dalla Rivoluzione. Proprio quella che sua nonna amava raccontare ai nipoti come l’evento più glorioso della Storia. Che ne sapeva che uno di loro ci sarebbe finito dritto dentro?
    Voglio tornare a casa, voglio tornare a casa!, continuava a pensare disperatamente mentre attraversava i viali del parco in tutta fretta, sull’orlo di una crisi di nervi.
    Il profilo rosa antico del Gran Trianon faceva capolino tra gli alberi. Nel rivederlo, a Louis gli si strinse il cuore. In fondo, era stato proprio da lì che era cominciato tutto. Forse, ritornando nello stesso posto, avrebbe potuto ritrovare in qualche modo la strada di casa.
    Con il cuore che gli batteva forte per l’emozione, Louis tagliò per un sentierino ghiaioso e fece per avvicinarsi al piccolo palazzo, che splendeva come un gioiello tra le fronde. Stava quasi per raggiungere il cancello, quando un rumore inconsueto tagliò l’aria, irrompendo così improvviso e inatteso da togliergli il fiato e farlo scoppiare in una fragorosa risata.
    We are young
   We are strong
   We’re not looking for where we belong

   Che diavolo ci faceva Mika nel Settecento?
    Louis non lo sapeva, né voleva saperlo. L’importante era che in quel preciso istante il suo cellulare aveva preso incredibilmente a squillare nella tasca della sua giacca. Louis lo prese con la mano tremante. Ciò che lesse sul display per poco non lo convinse di stare veramente sognando. Lucile.
    −Pronto? – esclamò il ragazzo, quasi urlando nel ricevitore.
    Udì un gracchiare sommesso, come se qualcuno stesse cercando di parlargli da molto lontano.
    −Lucile? LUCILE!
    Louis la chiamò più e più volte, ma niente, non gli arrivò alcuna risposta. Poi, improvvisamente, la linea cadde e tutto fu silenzio e disperazione.
 

 
***
     
“Louis! LOUIS!”.
Lucile gridava con tutta la forza della disperazione, nella speranza che il ragazzo la sentisse.
Per un attimo, le era parso di udire la sua voce distorta all’interno del ricevitore.
Aveva ricevuto la sua chiamata.
La sentiva.
Per un attimo, erano stati di nuovo a un passo l’uno dall’altra.
Poi, quando finalmente sembrava che Louis stesse per parlarle, la linea era caduta.
Silenzio, solo il bip intermittente del cellulare.
Lucile si passò la mano sul volto, scoppiando in singhiozzi.
“Era lui”, disse mentre Rosalie la stringeva forte tra le braccia. “Ti assicuro che era lui!”.
“Almeno sappiamo che è vivo e sta bene”, rispose l’amica fissando il vuoto pensierosa. “Il problema è capire dove si è andato a cacciare”.


Buongiorno!
Come vedete, oggi sono parecchio mattiniera...
Non mi prendo la responsabilità della suoneria di Louis, sappiatelo!
Nel prossimo capitolo, vedremo finalmente sveltato il mistero dei viaggi nel tempo.
Come vi ho già accennato su Facebook, sto pensando anche a un sequel, ma devo ancora decidere la trama.
Nel mentre, non vi lascerò a bocca asciutta: presto infatti dovrei cominciare a postare le prime anteprime di una nuova storia a cui sto lavorando.
Teniamoci aggiornati su: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A presto :)

F.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***




CAPITOLO 27
                       






 
André si precipitò all’appuntamento un quarto d’ora prima.
Nanny arrivò alle nove precise, puntuale come sempre.
Il ragazzo la vide entrare nel caffè a passo di marcia, individuandolo subito in mezzo alla folla chiassosa di avventori.
“Allora, che cos’è che volevi dirmi?”, chiese non appena la nonna si fu seduta davanti a lui.
“C’è una cosa che devi sapere. Una cosa che mi è accaduta tanto tempo fa, mentre lavoravo sul set della Rivoluzione francese”, rispose Nanny. “Era una sera di luglio, mentre giravamo la scena dell’assalto alla reggia di Versailles. Io ero da sola in una stanza, intenta a riordinare gli abiti che avrebbe dovuto indossare Jane Seymour da un momento all’altro. Improvvisamente, ho sentito un rumore. Mi sono aggirata per le pile di costumi e tutto a un tratto mi sono ritrovata davanti una donna bionda che non conoscevo, ma il cui volto mi sembrava terribilmente familiare. Sembrava molto spaventata. E, cosa molto strana, indossava degli abiti del Settecento. Lì per lì ho pensato che si trattasse di una comparsa. Ma poi ho guardato meglio. I suoi vestiti erano allo stesso tempo troppo sontuosi e troppo consunti per appartenere a una di loro. Non provenivano dalla mia sartoria. Avevano come un aspetto vissuto, che nessuno stilista moderno avrebbe potuto conferire loro. E poi l’odore. Era forte, pungente. Non di questo mondo”.
“Che cosa stai dicendo, nonna?”, domandò André spaventato.
“Era lei. La vera Maria Antonietta”.
“Che cosa?”.
Il ragazzo cominciava a non capirci più nulla.
“Come sarebbe a dire era Maria Antonietta? Ci hai parlato?”.
“Certo che lo ho parlato! È stata lei ad attaccare il discorso”.
“E che cosa ti ha detto?”.
“Cercava te”.
Me?”.
“Già, proprio te. Mi ha detto che ti conosceva”.
“Ma non era vero! Non allora, perlomeno”.
“Ѐ proprio quello che ho pensato anch’io. Però ho avuto paura, per me e per te. Le ho detto di andarsene o avrei chiamato la sicurezza”.
“E lei?”.
“Non lo so. D’un tratto era sparita nel nulla”.
André si prese la testa tra le mani, massaggiandosi febbrilmente le tempie.
“Come hai fatto a capire che era proprio Maria Antonietta?”, chiese dopo un po’.
“Lì per lì non lo ho realizzato. Poi, quando la tua fidanzata ha portato in casa tua quella strana ragazza, ho capito tutto e ogni cosa è andata al suo posto. Solo che non riesco a capacitarmi come qualcosa di simile sia potuto accadere”.
“Non lo capisco nemmeno io. Magia? Miracolo?”.
“Non essere sciocco! Queste cose non esistono!”.
“E allora lei come la spieghi?”.
“Non lo so”.
I due si guardarono lungamente negli occhi, poi André riprese:
“Era davvero la stessa ragazza, quella che hai visto a Versailles?”.
“Non proprio. Era molto più vecchia. Diciamo che le avrei dato 40 anni”.
“40 anni?!”.
“Ma i lineamenti erano gli stessi. So di non sbagliarmi”.
“Ma nonna, ti rendi conto di quello che stai dicendo? Significa che questa storia dei viaggi nel tempo è destinata a ripetersi, per di più senza un ordine logico!”.
A quelle parole, Nanny sbiancò.
“Non dirmi che stai pensando alla stessa cosa, non è vero?”, chiese a mezza voce.
“Spara”.
“Che Louis non è più qui. Non in quest’epoca, perlomeno. E Dio solo lo sa se e quando riuscirà a tornare a casa”.
André si sentì sprofondare.
“Vuoi dire che è…andato?”.
“Già”.
“Che facciamo?”.
Nanny ci pensò su per quella che parve un’eternità; poi schioccò violentemente le dita.
“Dobbiamo andare subito a Versailles”, sentenziò. “Così come ha attraversato quel varco temporale, possiamo riuscirci anche noi. E magari troveremo anche il modo di farlo tornare a casa”.

 
***
  
Louis si appoggiò a una delle colonne del Trianon, crollando a sedere per terra con la testa tra le mani. In tutta la sua vita, non avrebbe mai creduto di sentirsi così scoraggiato e solo. Eppure, negli ultimi minuti il cuore aveva preso a battergli come un folle nella gabbia toracica, mentre stringeva ancora tra le dita il cellulare ormai muto. Lucile lo aveva cercato. Aveva udito la sua voce lontana dall’altra parte del ricevitore. Pensava ancora a lui, nonostante tutto. Forse la notizia della sua scomparsa era giunta fino alle sue orecchie e in quel momento si stava chiedendo dove fosse finito.
    Il solo pensiero di non poterla raggiungere in nessun modo, senza poter rivedere di nuovo quel volto luminoso che tanto amava, riempiva il ragazzo di disperazione. Ma allo stesso tempo era determinato ad andare a fondo in quella questione. Se Lucile era riuscita a mettersi in contatto con lui, seppure per pochi secondi, allora doveva esserci per forza una spiegazione, nascosta lì intorno.
    Louis stava facendo giusto queste supposizioni, quando improvvisamente una stridula voce femminile squarciò l’aria, emergendo da una delle finestre del primo piano.
    –Come sarebbe a dire è tornata? Maledizione, Cluzet! Avevate giurato che sarebbe stato indelebile!
    Incuriosito, il ragazzo strisciò sotto la finestra, sbirciando cautamente all’interno. In quello che doveva essere un lussuoso gabinetto di ricevimenti, un’alta donna bionda di un fascino irresistibile torreggiava al disopra di un uomo sulla quarantina dai folti capelli neri, che stava rannicchiato al suolo come un ammasso di stracci.
    –Vi prego, contessa Du Barry – la stava implorando. – Voi non avete idea di quello che succederebbe alla Storia se l’arciduchessa non fosse ritornata indietro appena in tempo. Ascoltate, io ho visto quel futuro. Ci sono stato. Ecco perché l’ho fatta tornare indietro.
    –Siete solo un vile ciarlatano da quattro soldi, voi e i vostri maledetti trucchi di magia! – berciò la donna colpendolo con violenza con il tacco della scarpa.
    –Ma è la verità! Senza l’arciduchessa, il regno sprofonderà nel caos. L’imperatrice d’Austria ci crederà responsabili della scomparsa di sua figlia e ci dichiarerà guerra. Sarà una catastrofe!
    –Non importa! Quell’austriaca è un pericolo per me. È venuta qui solo per distruggere tutto ciò che ho così faticosamente costruito. Non permetterò che sia lei a rigettarmi nella miseria.
    –Non vi sembra di esagerare?
    –Tacete, razza di imbecille! Mi avevate assicurato che il vostro incantesimo mi avrebbe aiutata a liberarmi dell’arciduchessa. Ebbene, avete fallito. Considerate il vostro contratto revocato e scordatevi pure la vostra paga.
    –Ma signora, vi prego!
    –Tacete, avete fatto abbastanz…
    La contessa Du Barry si bloccò a metà frase. I suoi occhi verdi erano posati in quelli castani di Louis, sgranati dal terrore.
    Ormai era in trappola.




Buonasera a tutti! :)
Sono appena rientrata da una vacanza a Parigi, dove ho potuto prendere tanti preziosi spunti per i prossimi capitoli e il sequel, oltre che a fare ordine nella storia.
Sto infatti pensando di organizzare degli speciali sulla mia pagina Facebook, dove vi farò vedere dal vivo i luoghi in cui è ambientata la storia e magari vi svelerò anche qualche curiosità sui personaggi...che ne pensate?
In ogni caso, ecco il link da seguire: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

Che ne dite della soluzione del mistero?
Ovviamente, ci sono ancora altre cose che vi devo svelare...tranquilli, ormai ci siamo!
Se però non ce la fate ad aspettare, vi spoilero subito che Monsieur Cluzet è in realtà un mago, molto abile negli incantesimi che portano avanti e indietro nel tempo.
Sì, sono una fan del "Doctor Who" ;)
Il cognome Cluzet è un piccolo omaggio che ho voluto dedicare a François Cluzet, uno dei miei attori preferiti che tra l'altro ha avuto una parte anche nella "Rivoluzione francese", film che Nanny ha apprezzato moltissimo!

Ci vediamo giovedì prossimo con il prossimo capitolo!
Ringrazio ancora tutti voi per aver seguito così numerosi.
Mi dispiace solo di non aver avuto il tempo di rispondere alle vostre recensioni, ma nei giorni scorsi il tempo per stare al computer è stato veramente poco e ho preferito dare la precedenza agli aggiornamenti.

A presto :)

F.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***




CAPITOLO 28
                       





 
Nonostante il suo cervello gli stesse gridando di fuggire, Louis non riusciva a muovere un muscolo. Era rimasto imbambolato di fronte alla finestra, fissando con gli occhi sbarrati la contessa Du Barry con un’espressione mista a rabbia e sorpresa dipinta sul volto perfetto.
    –Che cosa aspettate, Cluzet? – berciò improvvisamente. – PRENDETELO!
    La sola prospettiva di venire catturato bastò a riscuote Louis dalla sua trance. All’interno del Trianon, Cluzet si era appena levato in piedi, muovendo un passo verso la finestra. Terrorizzato, il ragazzo si voltò di scatto, prendendo a correre per il giardino con tutta la forza che le sue lunghe gambe riuscirono a trovare. Le scarpe con il tacco e la lunga giacca gli rendevano difficili i movimenti e in pochi istanti Louis si ritrovò ad avere il fiato grosso.
    Non aveva idea di dove fosse il suo inseguitore, né che cosa potesse fare in una situazione del genere. Una cosa era certa: doveva raggiungere a tutti i costi gli appartamenti di Maria Antonietta per comunicarle quello che era appena successo e subito. In quel momento, aveva tutte le risposte al mistero dei viaggi nel tempo, per quanto assurde. Peccato che il fautore di tutto quel guazzabuglio fosse proprio l’uomo che gli stava dando la caccia.
    –FERMO DOVE SIETE! – gridò in quel momento una voce alle sue spalle.
    Con la coda dell’occhio, Louis notò la figura di monsieur Cluzet emergere dai cespugli. In preda al panico, il ragazzo prese a correre più veloce che poteva, quando improvvisamente il tacco della sua scarpa destra si spezzò di netto, facendolo crollare rovinosamente a terra. Un dolore atroce gli esplose sui palmi delle mani e sulle ginocchia mentre due braccia forti gli circondavano le spalle, rivoltandolo sulla schiena.
    Il volto di monsieur Cluzet occupava interamente il suo campo visivo, a pochissimi centimetri da lui. Louis tentò disperatamente di divincolarsi, ma l’uomo lo inchiodò a terra con le ginocchia, premendogli il palmo della mano sulla bocca.
    –Perdonatemi – disse prima che tutto diventasse buio.
   
***
 
Nonostante la sua pessima reputazione di automobilista, Oscar era stranamente silenziosa e disciplinata mentre guidava a tutta velocità per le strade di Parigi.
Non si era lasciata sfuggire nemmeno mezza imprecazione quando un motociclista li aveva superati da destra o nel momento in cui un’intera comitiva di giapponesi le aveva attraversato la strada di fronte alla Gare d’Orsay, attardandosi a scattare foto strada facendo.
Di tanto in tanto, quando era costretta a fermarsi per il traffico del centro, le sue dita scattavano automaticamente alla ricerca di quelle di André, seduto al suo fianco.
L’atmosfera era talmente tesa, che per poco i due ragazzi non si erano dimenticati della presenza di Nanny e Christine dietro di loro.
Nessuno osava rompere quel silenzio, ben sapendo che le parole sarebbero state fin troppo sprecate.
L’unica cosa che desideravano in quel momento, era che i loro cari ritornassero a casa sani e salvi.
In quelle ultime ore, terribili interrogativi si erano materializzati nelle loro menti.
Di certo Maria Antonietta era stata quella che avrebbe avuto più fortuna nel ritornare nella sua epoca; ma gli altri?
Come avrebbero fatto Axel e Louis a giustificare la loro comparsa improvvisa, magari davanti agli occhi di qualche osservatore indiscreto?
Che impressione avrebbero avuto gli abitanti di Versailles dei loro abiti moderni, decisamente fuori luogo a corte?
Oscar non ci voleva nemmeno pensare.
Più di una volta quell’idiota di Axel si era dilungato sulla infinite serie di torture ed esecuzioni raccapriccianti che toccavano a tutti coloro che venivano accusati di eresia e lesa maestà.
E se Maria Antonietta non fosse riuscita a difenderli di fronte a Luigi XV?
Al solo pensiero, Oscar si sentiva le vertigini.
Quando finalmente giunsero in vista dei cancelli della reggia di Versailles, un sospiro di sollievo generale echeggiò nell’abitacolo.
Oscar abbandonò la macchina al primo parcheggio disponibile, fiondandosi per prima in mezzo alla strada.
“Allora, riflettiamo”, disse mentre si avviavano a grandi passi verso l’ingresso. “Antoine aveva detto di trovarsi al Trianon quando è finita nella nostra epoca. E lo stesso vale per Louis. Io propongo di cominciare le ricerche da lì, così ci evitiamo la fila per entrare nel castello. Voi che ne dite?”.
“Io dico di sbrigarci!”, le intimò Nanny, spintonando i ragazzi da dietro.
Nonostante l’età, la donna riusciva a tener loro il passo meglio di un ragazzino, i piccoli occhi tondi pervasi da un’espressione agguerrita.
Attraversarono di corsa il piazzale e si diressero nel parco rischiarato dalle ombre lunghe del pomeriggio.
Imboccarono immediatamente il viale che portava al Trianon, senza curarsi di finire in almeno un centinaio di foto che i vari turisti che incontravano stavano tentando di scattare alle sculture e alle fontane disseminate nei paraggi.
“Mi chiedo che cosa ci viene a fare qui, tutta questa gente”, brontolò Nanny dopo aver rifiutato in malo modo la richiesta di un turista tedesco di immortalarlo insieme alla compagna.
“Non ora, nonna, non ora”, la redarguì André, lo sguardo fisso davanti a sé mentre inseguiva Oscar tra le basse siepi del parco.
Improvvisamente, il profilo color rosa antico del Trianon fece la sua comparsa tra gli alberi. Due figure familiari stavano sedute su una panchina.
“Rosalie! Lucile!”, gridò loro Oscar, riconoscendole al volo.
Nel sentire la sua voce, entrambe le ragazze scattarono in piedi, correndole incontro.
“Oscar!”, esclamò Rosalie gettandole le braccia al collo. “Siamo riuscite a contattare Louis!”.
“Che cosa?”, esclamò Christine guardando Lucile dritta negli occhi, come se fosse lei l’unica vera responsabile di tutto quel disastro.
“Ho provato a chiamarlo e mi ha risposto al telefono, ma la linea era molto disturbata. Non sono riuscita a capire nemmeno una parola di quello che mi ha detto”, rispose lei sull’orlo di nuove lacrime.  
“Perlomeno sappiamo che è vivo”, sentenziò Nanny in tono schietto.
“Un momento, ma nel Settecento non esistevano antenne! Questo significa che Louis potrebbe ancora essere nella nostra epoca!”, azzardò André in tono speranzoso.
“Frena, giovanotto! Ti ricordo che questo è il luogo in cui sono avvenute le sparizioni. Forse il varco temporale è proprio qui intorno ed è per questo che c’è stata l’interferenza tra le due epoche”, osservò la donna saggiamente.
“Che facciamo? La polizia ha isolato il Trianon. Non possiamo avvicinarci”, disse Rosalie.
“E allora cercheremo nei dintorni”, intervenne Oscar. “Lucile, tu continua a chiamare Louis, okay? Forse in questo modo riusciremo a localizzare il varco temporale”.
“Ci provo”, rispose la ragazza, deglutendo prima di afferrare il cellulare e comporre il numero del ragazzo ancora una volta.
Ci fu un istante di silenzio carico di attesa, poi la ragazza scosse il capo.
“Niente, non c’è linea”, disse tristemente.
“Prova a spostarti!”, la incoraggiò Nanny.
Lucile obbedì, trasalendo un attimo dopo.
“Squilla! Squilla!”, gridò.
“Resta ferma dove sei!”, le ordinò Oscar.
“Non risponde”, disse la ragazza un attimo dopo, la voce carica di delusione.
“Continua a chiamarlo”, la esortò Rosalie mentre perlustrava i cespugli vicini insieme agli altri, alla ricerca di qualsiasi cosa di anomalo.
In fondo, che forma avrebbe mai dovuto avere un varco spazio-temporale?
“Dev’essere qui per forza”, continuava a borbottare Oscar mentre setacciava i cespugli. “Vedrete, Louis non è molto lontano. Me lo sento”.
 
***
 
Louis riaprì gli occhi lentamente, ritrovandosi faccia a faccia con una furibonda contessa Du Barry. Qualcuno gli aveva legato i polsi dietro la schiena e lo aveva lasciato inginocchiato sul pavimento, simile a un grottesco fantoccio in carne e ossa.
    –Ebbene? – sbottò la Du Barry non appena il ragazzo ebbe ripreso completamente i sensi. – Che cosa avete sentito dei nostri discorsi?
    –Io niente! – mentì Louis, sapendo di passare per tutto meno che credibile.
    –Bugiardo! – esclamò infatti la contessa, squadrandolo con odio dall’alto al basso.
    I suoi occhi si soffermarono sulla sua livrea.
    –Servo del delfino, non è così? – domandò con disprezzo. – Bene, bene. È stato lui a mandarvi?
    –Questo no, lo giuro! – rispose Louis disperato.
    –Ciò non cambia la vostra situazione. Avete ascoltato troppo per i miei gusti. Credo proprio che sarò costretta a farvi sparire.
    –No, vi prego, no!
    –Madame, è solo un ragazzo – intervenne in quel momento monsieur Cluzet, frapponendosi tra i due.
    –Un ragazzo con le orecchie un po’ troppo lunghe, a quanto pare – lo interruppe la Du Barry.
    –Io non c’entro niente, coi vostri intrighi! – gridò Louis, deciso a giocarsi la sua ultima carta. – Non sono nemmeno di quest’epoca!
    A quelle parole, sia Cluzet che la Du Barry gli lanciarono un’occhiata sorpresa. Lo sguardo dell’uomo brillava di una luce strana.
    –Come avete detto? – domandò la contessa in tono imperioso.
    –Vengo dal futuro. Dove avete spedito anche Maria Antonietta, non so come. Vi prego, se proprio dovete farmi sparire, almeno rimandatemi a casa!
    I due si lanciarono un’occhiata carica di interrogativi.
    –Avete fatto anche troppi pasticci per i miei gusti – disse la Du Barry rivolta a Cluzet. – Preferisco fargli tagliare la gola.
    –Ma Madame, vi ripeto che sono stato io a riportare indietro l’arciduchessa! – ribatté l’uomo, schierandosi istintivamente al fianco di Louis. – Il mio incantesimo funziona benissimo. Possiamo liberarci di questo ragazzo in un attimo senza necessariamente provocarne la morte.
    –E poi come giustificherete la scomparsa di un servitore personale del delfino senza poi ritrovarne il corpo, eh?
    –E perché mai dovrebbero incriminare proprio noi? Meglio non lasciare prove in giro, giusto?
    –E se questo ragazzo ci diffamasse davanti ai posteri?
    –Per allora, noi saremo tutti morti – assicurò Cluzet.
    La Du Barry lanciò una nuova occhiata in direzione di Louis, prendendo poi a passeggiare su e giù per la stanza. Di tanto in tanto, sembrava sul punto di parlare, ma immediatamente dopo ricominciava a camminare torcendosi le mani.
    –E sia – disse dopo un tempo interminabile. – Ma fate in modo che non ritorni mai più indietro, capito?
    –Sarà fatto, Madame. E voi alzatevi in piedi! – disse Cluzet, costringendo Louis a seguirlo verso la porta della stanza.
    Il ragazzo lo seguì con le ginocchia che tremavano. Non appena furono sulla soglia, l’uomo gli liberò i polsi dai legacci, estraendo poi dal panciotto uno strano orologio pieno di lancette di ottone che si sovrapponevano.
    –Desiderate semplicemente di tornare a casa – disse mentre un enorme tunnel buio si apriva alle sue spalle.
 
***
 
Lucile non riusciva a credere ai suoi occhi.
Il ragazzo che aveva appena fatto la sua comparsa davanti a loro era proprio Louis, anche se chiunque avrebbe fatto fatica a riconoscerlo in abiti settecenteschi, con le mani e le ginocchia sanguinanti.
Tutti trattennero il fiato mentre la ragazza si lanciava in una folle corsa verso di lui, gettandogli le braccia al collo.
“LOUIS!”, gridò. “Credevo di averti perso per sempre!”.
E, senza pensarci due volte, lo baciò.
Per un attimo, il ragazzo credette di stare sognando.
Eppure quel tocco umido e delicato sulle sue labbra era proprio di Lucile.
Quante volte lo aveva immaginato?
“Scusami”, disse la ragazza imbarazzata, non appena si staccò da lui.
Doveva essere passato poco meno di un secondo, ma a Louis era sembrata quasi una piacevole eternità.
“No, non preoccuparti”, rispose fingendo di ignorare gli sguardi d’intesa che gli stavano scoccando tutti i presenti.
“Bentornato!”, esclamò a un certo punto Rosalie, correndogli incontro.
“TU!”, gridò a quel punto Christine, soffocandolo in un caloroso abbraccio.
“Come hai fatto a tornare? E dov’è Axel?”, domandò Oscar subito dopo.
“Ѐ una storia incredibile”, rispose Louis, liberandosi finalmente della parrucca. “Non avete idea di…un momento!”.
“Che succede?”, domandò Christine preoccupata.
“Il cellulare”, rispose il ragazzo frugandosi nella tasca della giacca. “Temo di aver lasciato il mio telefono nel Settecento!”.  




Buon pomeriggio a tutti! :)
Come vedete, il responsabile dei viaggi nel tempo è stato scoperto, ma la storia non è ancora finita.
Come farà Louis ad avvertire Maria Antonietta del pericolo?
E che fine ha fatto Fersen?
E, cosa da non sottovalutare, credete che la Du Barry perdonerà gli errori di monsieur Cluzet?
Spero che continuiate ancora a seguirmi in questi folli viaggi nel tempo...
Nel mentre, vorrei lasciarvi il link di un'altra mia storia in corso: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2690384&i=1
 
Si tratta di  un crossover tra "Le Cronache di Narnia" e "Harry Potter", a cui tengo veramente tanto!
Se vi piacciono le atmosfere gotiche, allora è la storia che fa per voi ;)
Come sempre, vi lascio anche il link della mia pagina Facebook, da cui potrete seguire tutti gli aggiornamenti in tempo reale: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo


A giovedì prossimo :)

F.
  

 
 
 

 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***




CAPITOLO 29
                      






 
 
“Ma chi se ne importa di uno stupido cellulare!”, esclamò Lucile gettando le braccia al collo di Louis. “Sei tornato a casa sano e salvo ed è questo l’importante!”.
“Voi non capite!”, ribatté il ragazzo in preda al panico. “Vi rendete conto che cosa succederebbe se qualcuno laggiù lo trovasse? Che cosa penserebbe? E poi, vorrei far notare che quel coso funziona perfettamente. E se si mettesse a squillare improvvisamente, come è accaduto poco fa?”.
“Credo che Louis abbia ragione”, intervenne Rosalie preoccupata. “Un’invenzione così avanzata in un’epoca così lontana potrebbe avere delle conseguenze pericolose per il futuro”.
“Non credo che i cellulari siano la nostra priorità, al momento”, disse Oscar. “Dov’è finito Axel?”.
A quella domanda, Louis si rabbuiò.
“In questo momento si trova in prigione con l’accusa di lesa maestà”, rispose in tono funereo.
“CHE COSA?”, esclamarono gli altri all’unisono.
Oscar era diventata improvvisamente di un biancore allarmante.
“Già. A quanto pare, ha avuto la pessima idea di baciare Maria Antonietta davanti a tutti. Il re è convinto che le abbia fatto violenza”, proseguì il ragazzo.
“E Antoine? Non ha fatto niente per difenderlo?”.
“Ci ha provato eccome, ma ha sia il re che il delfino contro di lei. Stava provando ad attuare un piano che avevamo escogitato io e lei, ma non so se funzionerà”.
“Che tipo di piano?”.
“Be’, Axel ha la Storia dalla sua parte, no? Fingeremo che sia il vero Axel Von Fersen. Abbiamo scritto una lettera falsa che ne ordina la immediata scarcerazione. Poi ci saremmo inventati qualcosa per farlo fuggire, perlomeno da Parigi”.
Oscar si portò le mani nei capelli.
“Insomma, avete deciso di farvi ammazzare tutti quanti”, commentò esasperata.
“Che scelta avevamo?”, ribatté Louis. “Ora però è tutto più complicato. Maria Antonietta è di nuovo da sola, senza sapere che fine ho fatto”.
“Perché, non era lì con te quando sei ritornato nel futuro?”.
“No, ero uscito a fare un giro per il parco. Stavo impazzendo, in quel castello! A un certo punto, sono arrivato al Trianon. È lì che mi è suonato il cellulare. E ho scoperto anche perché è potuta succedere una cosa simile”.
“Davvero?”, esclamò Nanny, sporgendosi da dietro Oscar e André.
“Sì. A quanto pare, la contessa Du Barry ha ingaggiato una specie di stregone che, come il Doctor Who, sa viaggiare nel tempo e gli ha chiesto di far sparire Maria Antonietta”.
“Che cosa? Siamo arrivati a questi livelli?”, esclamò Rosalie incredula.
“Già. Peccato che mi abbiano scoperto mentre origliavo. La Du Barry voleva uccidermi,” a quelle parole, Lucile trattenne il fiato “ma per fortuna quello stregone si è opposto e mi ha rimandato qui”.
Lucile saltò istintivamente al collo di Louis, stringendolo forte.
Il ragazzo le cinse le spalle con le braccia, baciandole i capelli.
Solo allora si rese conto di stare tremando dalla testa ai piedi.
“Bel casino”, commentò Oscar rabbuiatasi. “Axel è ancora laggiù e non sappiamo se tornerà mai”.
“Ora mi sorge un dubbio!”, esclamò André impallidendo. “E se Axel e il conte Fersen fossero la stessa persona?”.
“Che vuoi dire? Che Axel rimarrà imprigionato laggiù in eterno, dopo questa balla della lettera?”, rispose la ragazza, inorridendo al solo pensiero.
“Se il varco spazio-temporale si è definitivamente chiuso, temo che non ci sia altra alternativa”.
“Mannaggia a lui e alla sua fissa per il Settecento!”.
“Perlomeno, è riuscito ad avverare il suo folle desiderio di diventare l’amante della vera Maria Antonietta”, commentò André con un sorriso conciliante.
“Già, peccato che farà una fine di merda. Le cronache dicono che verrà fatto a pezzi dalla folla inferocita”, soggiunse Oscar.
“Cavolo, non vorrei trovarmi al suo posto, allora!”.
“Dobbiamo farlo ritornare nel presente a tutti i costi!”, sentenziò Oscar.
“E come?”, domandò Rosalie, lo sguardo che saettava verso i cespugli come se si aspettasse di trovarvi una porta o qualcosa di simile.
“Non ne ho idea, ma di sicuro non è finita qui. Nanny ce lo può dimostrare”.
“Be’, in effetti la Maria Antonietta che ho visto io sembrava molto più vecchia di adesso, ma vorrei farvi notare che la cosa è accaduta sempre nel passato. Dio solo lo sa che cosa è successo quella notte. È probabile che, con questa seconda visita, il suo destino e quello di tutti noi siano cambiati per sempre”.
“Lo stregone diceva di aver vissuto in prima persona la guerra disastrosa che avrebbe seguito la scomparsa di Maria Antonietta. Per questo è tornato indietro nel tempo, portandola con sé. Evidentemente, mentre lei è stata qui, è avvenuto qualcosa che non sapremo mai”.
“Ragazzi, ho mal di testa”, commentò Oscar crollando a sedere su un muretto.
“Ci sono tante cose che non ci spieghiamo”, incalzò Rosalie. “Perché siete finiti nel passato anche tu e Axel, quando non c’entravate nulla?”.
“Forse perché eravamo nelle immediate vicinanze e siamo rimasti inghiottiti dal varco”, ipotizzò Louis.
“E ora che facciamo? Come possiamo contattare Antoine e Axel?”.
“Temo che per loro non ci sia più nulla da fare, Rosalie”, osservò André tristemente. “Ora è tutto nelle loro mani”.
“E non è finita qui”, osservò Oscar. “Adesso chi glielo spiega a Nicole che il suo ragazzo l’ha tradita con la regina Maria Antonietta?”.
 
***
 
Un improvviso gelo era calato nel salotto nel momento in cui il ragazzo era scomparso nel nulla. La contessa Du Barry continuava a tenere gli occhi fissi su Gustave Cluzet, che in quel momento avrebbe tanto voluto scomparire anche lui nel nulla. Ma non poteva. Non più.
    A uno schioccare di dita della contessa, due lacchè si erano precipitati nella stanza, perquisendolo completamente. Il suo prezioso orologio era finito nelle mani della donna, che ora lo rigirava tra le dita come il più prezioso dei tesori.
    −Molto interessante, questo gingillo – commentò lanciando un’occhiata velenosa in direzione di Cluzet. – Sarei davvero curiosa di sapere come funziona, dal momento che voi, nonostante ne siate l’inventore, non riuscite a farne buon uso.
    −Non vi permetterò mai di usare l’Orologio del Tempo per i vostri orrendi scopi! – gridò l’uomo, inorridendo al solo pensiero.
    −Oh, caro Cluzet, voi l’avete già fatto!
    −Avete imprigionato la mia famiglia! Che scelta avevo?
    −Ma avete lo stesso disubbidito ai miei ordini.
    −Mi avevate ordinato di allontanare la delfina dal palazzo, in modo tale che non tornasse mai più. Io l’ho fatto, ma non avete idea di che cosa scatenerete, una volta che si andrà a creare il vuoto di potere.
    −Non preoccupatevi, so già a chi rivolgermi. Del resto, non credo che il delfino farà molta strada, dal momento che non è in grado di procreare un erede.
    −Siete spregevole!
    La contessa Du Barry scoppiò in una risata maligna.
    −Lo so – disse con un sorriso angelico. – Dunque, da quanto ho capito bisogna mettere la lancetta sulla data e l’ora in cui voglio andare, giusto? – proseguì, esaminando l’orologio dorato.
    Cluzet non rispose. Fissava il pavimento con aria avvilita, assistendo impotente alla rovina definitiva della Francia e dell’Europa. Il tutto per colpa sua.
    −Vi ringrazio, per la vostra collaborazione – disse la Du Barry avvicinandosi a lui. – Credo che rivedrete la vostra famiglia molto pr
esto.

 
***
 
Dove diavolo si è cacciato Louis?, continuava a chiedersi Maria Antonietta man mano che le ore passavano.
    Il cielo appariva ormai aranciato dalla luce del tramonto, ma del ragazzo nessuna traccia. Era stato Monsieur Campan ad accorgersi della sua scomparsa, quando, nel momento di convocarlo per la cena, era venuto a sapere che nessuno dei membri della servitù lo aveva visto da ore.
    In pochi minuti, l’intero appartamento reale era caduto nel panico. I signori Campan si erano subito messi alla ricerca del ragazzo, senza successo. Maria Antonietta aveva cercato di agire con più circospezione possibile per evitare di dare adito a malelingue tra i membri del suo seguito e l’ambasciatore Mercy, speditole alle calcagna dalla madre, il quale era all’oscuro di tutto. Senza contare che l’atteggiamento irritato di Luigi Augusto per la scomparsa del suo servitore non rendeva di certo le cose più facili.
    −Io non capisco perché quel giovane se ne sia andato così. Come si permette di disubbidire in questo modo ai suoi padroni? – continuava a lamentarsi durante la cena.
    In quel frangente, Maria Antonietta avrebbe tanto rivolgergli una risposta degna di Oscar quando parlava al telefono con i suoi genitori. Possibile che suo marito non capisse la gravità della situazione?
    −Forse gli è successo qualcosa – ipotizzò, alimentando ancora di più i suoi peggiori timori.
    −Già – le fece eco il delfino distrattamente, servendosi dell’ennesima porzione di arrosto. – Prima o poi risalterà fuori.
    Una volta al sicuro nelle sue stanze, Maria Antonietta aveva dato il via alla notte più infernale della sua vita. Non aveva fatto altro che passeggiare su e giù per la camera come un’anima in pena. Di tanto in tanto, i suoi occhi cadevano sulla console, doveva aveva nascosto la lettera di scarcerazione per Axel, abilmente contraffatta da Louis. Dove si era andato a cacciare, quel pasticcione?
    A solo pensiero, l’arciduchessa si lasciò sfuggire un gemito. Di certo, la sua epoca era molto più crudele di quella in cui aveva avuto la fortuna di vivere per poche settimane della sua vita. Louis non aveva avuto la stessa fortuna di incontrare una Oscar o una Rosalie a proteggerlo da quel mondo ostile. La stessa Maria Antonietta non era stata in grado di ricambiare lo stesso affetto e ospitalità con cui era stata accolta, nonostante fosse uno dei personaggi più odiati della Storia di Francia.
    Le restava solo Axel, nella speranza che fosse sopravvissuto all’inferno della Bastiglia. Con le dita tremanti, Maria Antonietta aprì la cassettiera della console e strinse la lettera tra le mani. La chiave per la libertà del suo amante era lì, piccola e fragile, in attesa di essere recapitata al mittente. Se Louis non fosse ricomparso entro l’alba, non aveva altra scelta se non quella di agire da sola, a suo rischio e pericolo.
 
***
   
−Ancora niente?
    −Niente.
    Maria Antonietta sospirò. In piedi davanti a lei, Madame Campan le lanciò uno sguardo carico di solidarietà.
    −Allora dovete andare voi – disse l’arciduchessa, consegnandole la lettera.
    −Madame, siete sicura di quello che fate?
    −Fidatevi. Il conte Fersen è un mio carissimo amico. C’è stato un errore e solo voi potete aiutarmi a salvare la vita di un innocente.
    Madame Campan afferrò la lettera con le mani tremanti, facendola sparire nel corsetto; poi rivolse un cenno di intesa alla sua signora.
    −Se le cose stanno davvero così, allora potete fidarvi di me – assicurò.
    Maria Antonietta sorrise, eternamente grata alla giovane serva. In quel momento, avrebbe tanto voluto abbracciarla, ma in quell’epoca non poteva più permettersi una cosa simile.
    −Siete una delle persone più care che ho. Voglio che lo sappiate – disse sorridendo.
    −State tranquilla, Madame. Non vi deluderò.
    −Fate attenzione, mi raccomando!
    Non appena si fu congedata, la donna uscì furtivamente dalla reggia, avviandosi da sola per i viali del parco immersi nella luce dell’alba. Di tanto in tanto si lanciava alle spalle un’occhiata nervosa, temendo di essere seguita. Era arrivata all’altezza del Trianon, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Era un piccolo oggetto rettangolare, piatto e lucido come una lastra di vetro, abbandonato sulla ghiaia come se fosse stato perso da qualcuno.
    Incuriosita, la donna si inginocchiò a terra, raccogliendolo con le mani ed esaminandolo alla luce del sole nascente. Come per magia, non appena le sue dita si posarono sulla superficie lucida, un ritratto straordinariamente realistico di Louis comparve dal nulla, mentre una scritta a caratteri cubitali recitava:
    Trascinare il dito per sbloccare.




Buongiorno, gente! :)
Lo so, ammetto che il finale di questo capitolo è leggermente surreale e ha anche un velo di demenzialità, ma non ho saputo proprio trattenermi * anche perché in qualche modo Maria Antonietta doveva scoprire che fine ha fatto Louis, no? *
Allora, sotto con le supposizioni:
secondo voi, Axel e il conte Fersen sono davvero la stessa persona o c'è il pericolo che quello vero spunti da un momento all'altro, rivendicando la sua identità?
Come farà Monsieur Cluzet a sopravvivere alla Bastiglia?
Si unirà ai nostri amici e li aiuterà a tornare nel futuro oppure si limiterà a fuggire?
Questo ed altro vi aspettano nei prossimi capitoli.
Per quanto mi riguarda, continuo a rimandare la conclusione: mi sono talmente affezionata a questa storia da non riuscire più a separarmene, nonostante ho già in programma un sequel ancora più rocambolesco.
E voi che ne dite? ;)
Ah, una cosa importante: con questo aggiornamento mi sono un po' divertita con l'editing.
Non so se si nota, ma sto usando un Times New Roman leggermente più grande del solito, in previsione della pubblicazione di "The Phoenix".
Si tratta di una storia completamente diversa da "L'ultima notte", nonostante appartenga allo stesso fandom, e per questo volevo darle uno stile molto semplice e classico.
Che ne pensate?
Riuscite ad avere comunque una lettura piacevole?
Fatemi sapere, mi raccomando.
Per qualsiasi cosa, mi trovate sempre sulla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
A giovedì prossimo!
Un abbraccio :)

F.


   
 
 
 




 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***




CAPITOLO 30
                      






 
Axel aveva ormai perso la cognizione del tempo. Potevano essere passati mesi come qualche ora dal momento in cui era stato scaraventato in quel pozzo buio e marcescente, lontano dagli uomini quanto da Dio. Si era ormai abituato al puzzo di chiuso ed escrementi, ai rumori cupi e inquietanti di porte di ferro sbattute e grida umane che piovevano da diversi metri sopra la sua testa e ai morsi della fame e della sete.
    Sapeva dove lo avevano portato, dal momento che lo aveva studiato infinite volte sui suoi adorati libri: quella era la Bastiglia, il carcere in cui venivano confinati i prigionieri politici. Era lì che, secondo la leggenda, era stato segregato un personaggio scomodo per la monarchia francese, a tal punto che il suo volto era sigillato dietro una maschera di ferro. Probabilmente era un semplice matto, anche se in molti affermavano che si trattasse nientemeno del fratello segreto di Luigi XIV.
    E poi c’era lui, Axel Von Fersen, un semplice studente di Storia Moderna che aveva avuto la brillante idea di baciare la delfina di Francia di fronte all’intera corte. Possibile che, dopo aver letto fino alla nausea tonnellate di libri che trattavano dell’etichetta nel diciottesimo secolo, avesse commesso una simile gaffe?
    Certo, quell’attimo di distrazione dovuto al bacio era stato fatale, dal momento che era coinciso con il salto indietro nel tempo. In fondo, lui era convinto di trovarsi al sicuro nella sua epoca, tra le braccia della donna che amava. E un attimo dopo era piombato lì, in bilico tra l’orrore e l’emozione di trovarsi finalmente di fronte a quei personaggi che aveva tanto studiato e ammirato.
    Quante volte, mentre se ne stava rinchiuso tra le sue scartoffie in biblioteca, aveva desiderato di potergli parlare, anche solo con la forza dell’immaginazione? Ormai, la corte di Luigi XVI era per lui una sorta di cerchia di amici immaginari con cui amava trattenersi in lunghe e solitarie conversazioni. Che ne sapeva che un giorno il suo desiderio sarebbe stato esaudito?
    –La cena! – grugnì una voce maschile sopra la sua testa.
    Un attimo dopo, un tozzo di pane muffito piombò sul pavimento della cella.
    Axel represse a fatica un moto di disgusto, anche se sapeva benissimo che non avrebbe potuto auspicare di meglio. Il suo cervello lo stava implorando di non toccare quella sozzura, ma la fame lo stava divorando ormai da ore.
    Fingendo di aver perso completamente l’uso dell’olfatto e del gusto, il giovane afferrò la pagnotta lentamente, staccandone un piccolo morso. Gli sembrò di aver appena messo in bocca una manciata di segatura marcia. Sopraffatto dal disgusto, Axel sputò il misero pasto, la bocca pervasa da un amaro insopportabile. Cercò a tentoni una brocca d’acqua, senza trovarla. Un gemito disperato proruppe dalla sua gola.
    Era intrappolato lì, senza alcuna via di scampo. Sapeva fin troppo bene che il suo reato era punibile con la morte e che a nulla sarebbero valse le suppliche di Maria Antonietta. La sua mente galoppava alla ricerca di una qualsiasi scappatoia. Certo, nelle cronache non c’era scritto nulla riguardo l’esecuzione di un giovane anonimo che aveva tentato di defraudare la delfina.
    Tutti i particolari piccanti erano riservati alle avventure del conte Axel Von Fersen, che era riuscito a spassarsela allegramente con la regina proprio sotto il naso di Luigi XVI. Altro che un semplice bacio! In quel momento, il ragazzo odiava più che mai il nobile svedese.
    Di sicuro si trovava là fuori, da qualche parte, in attesa di fare la sua comparsa all’interno della vita della delfina. Axel sapeva fin troppo bene come sarebbe andata a finire tra i due. Si sarebbero conosciuti a un ballo all’Opéra e sarebbe stato amore a prima vista. Si sarebbero frequentati di nascosto per tutta la vita, nonostante il conte dovesse assentarsi per lunghi periodi a causa delle campagne belliche. Si sarebbero amati incondizionatamente, arrivando perfino a sfidare la monarchia francese. Sarebbero diventati uno la ragione di vita dell’altra, fino alla morte.
    Il conte Fersen sarebbe stato l’unico vero amore della regina Maria Antonietta. Axel non aveva fatto altro che ammirarlo e invidiarlo nel corso dei suoi studi, desiderando ardentemente di trovarsi al suo posto. Ora che aveva assaporato il fugace amore della regina, detestava più che mai quel nobile straniero che sarebbe giunto di lì a poco a soffiargli il posto, senza risparmiargli nemmeno il nome.
    Sono nato nell’epoca sbagliata, continuava a ripetersi il ragazzo, anche se si sentiva come tradito da quel secolo che tanto amava.
    Aveva perso tutto. Era rimasto intrappolato dalla sua stessa follia. La sua unica consolazione era che sarebbe morto con il bacio della vera Maria Antonietta che ancora gli bruciava sulle labbra. Forse avrebbe voluto presenziare di persona all’esecuzione per vederlo un’ultima volta, non importava quale scena straziante avrebbe dovuto sopportare. Saperla di nuovo al suo fianco riempiva il giovane di un’euforia irresistibile, spingendolo a bramare la morte con ancora più ardore. Quanto mancava ancora?
    Un’esplosione di grida proruppe dal piano di sopra.
    –Piantatela di piagnucolare! Credevate forse che vi avremmo lasciato da solo con una donna e due bambini?
    –Mia moglie! Che ne avete fatto di mia moglie e dei miei figli?
    –Non preoccupatevi per loro. Voi starete meglio qui.
    La grata del pozzo si aprì con un cigolio di ferraglia, poi qualcosa di grosso piombò sul pavimento sudicio con un gemito di dolore.
    Axel si ritrasse istintivamente sul fondo della cella, pronto a fronteggiare qualsiasi cosa fosse stata rinchiusa insieme a lui. I suoi occhi ormai abituati all’oscurità intravidero la sagoma esile di un uomo con una folta chioma di capelli neri e arruffati sulla testa.
    –Chi siete? – esclamò mentre questi si rialzava barcollando.
    –C’è qualcuno lì? – domandò lo sconosciuto con voce tremante.
    –Sì. Mi chiamo Axel Von Fersen. E voi?
    –Gustave Cluzet.
    –Come mai siete qui?
    –Ѐ una lunga storia.
    –Potete raccontarmela, se volete. Non credo che ci resti molto altro da fare.
    –Avete ragione.
    Monsieur Cluzet sospirò, sedendosi sul pavimento della cella.
    –Non avrei mai pensato che il mio amore per la scienza mi portasse a diventare un criminale – esordì. – Sono nato a Marsiglia quarant’anni fa e sono sempre stato attirato dalla natura e le leggi che la facevano funzionare. Da ragazzo ho viaggiato molto, frequentando le più importanti accademie d’Europa fino ad arrivare a Parigi. E fu lì che iniziai ad appassionarmi al tempo.
    –Il tempo? – domandò Axel con un fremito.
    Improvvisamente, qualcosa era scattato nella sua mente.
    –Sì, il tempo – rispose Monsieur Cluzet con una punta di orgoglio nella voce. – Sono un appassionato sostenitore di Giordano Bruno, sapete? Tutte quelle teorie sulla possibile esistenza di altri mondi lontani dal nostro mi hanno spinto a fare delle ricerche. Esiste un modo per raggiungerli e conoscere quei popoli lontani?
    –E siete riuscito a scoprire qualcosa, signore? – domandò Axel, il cuore che aveva preso ad accelerare improvvisamente i battiti.
    Nonostante fosse buio pesto, il ragazzo giurò di aver visto l’uomo sorridere.
    –Più di qualcosa, direi! – rispose questi. – Ho inventato la macchina del tempo!
    –CHE COSA?!
    Axel trasalì così violentemente, che Monsieur Cluzet gli scoccò un’occhiata spaventata.
    –Come ci siete riuscito? – domandò il ragazzo, diviso tra l’impulso di saltargli al collo o strangolarlo.
    –Ѐ stato un processo lungo, ma alla fine ci sono riuscito sfruttando le proprietà di alcune pietre. Ora è un po’ complicato stare a spiegare tutto nei minimi dettagli, ma il risultato è molto più semplice di quanto si creda. La macchina del tempo è in realtà un semplice orologio da taschino, che una persona può regolare in base all’epoca in cui vuole arrivare.
    –Ed è necessario indossarlo per viaggiare oppure si apre una sorta di varco spazio-temporale in grado di inghiottire qualunque cosa o persona si trovi nei paraggi?
    –Sembrate molto informato. Siete per caso uno scienziato anche voi?
    –No, sono semplicemente un povero disgraziato che è finito dentro alla vostra macchina infernale insieme alla delfina Maria Antonietta!
    A quelle parole, Monsieur Cluzet sbiancò.
    –Buon Dio! – esclamò. – Voi quindi venite dal futuro?
    –Già – rispose Axel in tono sarcastico. – Mi sono sempre chiesto come ha fatto la futura regina di Francia a finire nel XXI secolo. Ora che vi ho conosciuto, vorrei tanto sapere come vi è venuto in mente uno scherzo simile.
    –Credetemi, signore, ma non era mia intenzione spedire la delfina in un’altra epoca. È stata la contessa Du Barry a incastrarmi. Lei odia la povera Maria Antonietta con tutto il cuore e non desidera altro che sbarazzarsene per prendere il potere insieme al duca di Orléans.
    –Non prendetemi in giro. La Du Barry è l’amante del re. Come potrebbe mai favorire il partito avverso?
    –Il re ormai è vecchio e la contessa sa che, una volta morto, lei perderà tutte le sue ricchezze. Deve affrettarsi a trovare qualcuno che continui a mantenerla a corte dopo la morte di Luigi XV e di certo non otterrà l’appoggio del cattolicissimo delfino.
    –Molto astuta questa donna, non c’è che dire. E quindi ha pensato di eliminare Maria Antonietta per stroncare una possibile successione?
    –Esattamente. Sulle prime, aveva sperato che il delfino la ripudiasse per l’impossibilità di procreare un erede, ma, nel momento in cui ha capito che ciò non sarebbe accaduto, ha iniziato a pensare a un modo per eliminarla. Ed è stato allora che, disgraziatamente, si è ritrovata ad assistere a una conferenza all’Accademia delle Scienze tenuta da me e alcuni colleghi. L’idea di far sparire la delfina in un’altra epoca le è sembrata molto allettante, anche perché in questo modo non sarebbe stata lasciata alcuna prova che avrebbe potuto incriminarla. In poche ore, ha fatto imprigionare mia moglie e i miei figli e ha minacciato di ucciderli se non avessi fatto ciò che voleva.
    –Che essere rivoltante!
    –Rivoltante e stupido. La sua brama di potere è talmente cieca da non rendersi conto che cosa accadrebbe se l’imperatrice d’Austria venisse a sapere che sua figlia è sparita nel nulla. Sarebbe un ottimo pretesto per dichiarare guerra alla Francia. Ecco perché ho deciso di far tornare indietro Maria Antonietta, anche se non so se ora si trovi ancora in quest’epoca.
    –Come sarebbe a dire non sapete se si trova ancora in quest’epoca? – ruggì Axel furibondo.
    –La macchina nel tempo è ora nelle mani della Du Barry. Sa come funziona e non dubito che presto troverà l’occasione di far sparire Maria Antonietta per sempre.
    –Oh, no! E chissà dove la spedirà!
    –Per fortuna, ho fissato il varco spazio-temporale sulla vostra epoca. Se ciò dovesse accadere, non potrebbe finire altrove.
    –Ma non possiamo permettere che la Francia perda la sua erede al trono. Dobbiamo fermare quei due pazzi!
    –E come, se siamo imprigionati qui?
    Axel stava per abbandonarsi definitivamente alla disperazione, quando improvvisamente la grata si aprì di nuovo. Due grossi omaccioni entrarono nella cella sotterranea, afferrando bruscamente il ragazzo da sotto le ascelle e spingendolo fuori dal pozzo.
    –Dove stiamo andando? – domandò, mentre il primo di loro gli liberava le mani dalle manette.
    –Ci è appena giunta una lettera da parte di vostro padre – rispose questi. – Spero solo che ci perdoniate per quanto vi abbiamo costretto a subire.
    –Mio padre?
    –Sì, vostro padre, il conte di Fersen.
 
***
   
Nonostante Louis fosse tornato a casa sano e salvo, in palestra si respirava un clima tutt’altro che sollevato.
L’assenza di Axel si faceva sentire peggio che mai e negli ultimi giorni Oscar appariva decisamente sottotono.
Nemmeno il fatto che André avesse iniziato a insegnare la scherma agli allievi più piccoli sembrava tirarla su.
Del resto, la squadra aveva appena perso definitivamente uno dei suoi allievi di punta.
Axel era sempre stato l’anima della compagnia, l’atleta più amato e ammirato dai compagni insieme ad André.
Il più abbacchiato di tutti era senza dubbio Victor.
In fondo, lui e Axel si conoscevano dalle elementari.
Erano uno l’opposto dell’altro e per questo erano inseparabili.
Vedere ora il ragazzo sedere da solo in un angolo della sala, lanciando di tanto in tanto un’occhiata carica di nostalgia alla pedana vuota, era quanto di più triste si potesse immaginare.
Non aveva mostrato cenni di vita nemmeno quando Christine si era affacciata in palestra per andare a riprendere Louis.
Eppure, lei per prima era passata a salutarlo.
“Insomma, non puoi continuare così”, aveva cercato di tirarlo su André. “Se Axel ti vedesse in questo momento, sai quante te ne direbbe?”.
“Non sei spiritoso, Grandier”, lo aveva liquidato Victor in tono furibondo. “E poi, non parlare di lui come se fosse morto!”.
A quelle parole, André non aveva più osato aprire bocca.
In effetti, a quell’ora Axel era morto da più di due secoli.
Il fatto era che solo lui, Oscar e Rosalie conoscevano la verità.
A tutti gli altri era stato raccontato che il ragazzo era semplicemente scomparso.
Nicole era piombata nella disperazione più nera.
Victor in particolare si era sentito in dovere di starle vicino, ma la cosa si era rivelata un errore fatale.
La ragazza, infatti, era ormai una presenza fissa e malinconica in palestra.
Arrivava nel primo pomeriggio, asserragliandosi al bar e raccontando a tutti le sue disgrazie prima di assistere agli allenamenti di scherma, scoppiando puntualmente a piangere come una fontana nel momento in cui i ragazzi si posizionavano sulle pedane.
Era già tanto se non si era ancora beccata una denuncia per stalking.
“Insomma, Nicole!”, aveva esclamato Oscar quel piovoso venerdì pomeriggio. “Non puoi pretendere di stare qui tutto il pomeriggio. Noi ci stiamo allenando e i tuoi piagnistei non fanno che disturbare la lezione”.
“Ti prego, Oscar, ti supplico! Io non ho dove andare…”.
“Certo che ce l’hai una casa, grazie al cielo!”.
“Ma io lì sono così sola, SOLA!”.
“Salve, ragazzi”, irruppe in quel momento la voce di Rosalie.
Nel vederla fare ingresso nella stanza con tutta l’aria di chi è appena tornato da un funerale, Oscar ruggì:
“COSA ALTRO Ѐ SUCCESSO?!”.
“Niente di grave”, rispose la ragazza, distribuendo meccanicamente a ciascuno di loro un volantino dall’aria ufficiale.
“Cosa? Ma è un invito all’Opéra!”, esclamò Nicole sgranando gli occhi.
“Sì”, rispose Rosalie. “Martedì prossimo ci sarà la prima dello spettacolo di mia madre. Se esibite questo volantino alla biglietteria, avrete anche un buono sconto per entrare. È una cosa elegante, però. Dopo ci sarà anche un ricevimento”.
“Tua madre e mia madre dovrebbero conoscersi”, commentò Oscar ridacchiando.
In quel momento, Nicole scoppiò nuovamente a piangere.
“E adesso che c’è?”, la rimbeccò l’altra.
“Axel amava tanto andare all’Opéra…”.
“LO SO! Ma se non la smetti subito di frignare, finirò per prenderti a sberle!”.
La ragazza ammutolì all’istante, assumendo un cipiglio decisamente offeso.
“Però, che onore essere invitati all’Opéra. Non capisco la ragione del tuo muso lungo, Rosalie”, commentò André.
“Lasciate stare, è per mia madre. Non la sopporto più”, rispose lei affondando le mani nelle tasche.
“Questo lo sapevamo”, disse Oscar. “In fondo, immagino che sarà molto emozionata per il suo spettacolo”.
“Ѐ proprio questo il problema. Non fa che agitarsi. Ma dico, l’ha scelto lei di fare l’attrice!”.
Gli altri scoppiarono a ridere.
“Ci porterai anche Bernard?”, domandò Oscar in tono malizioso.
“Sì”, rispose Rosalie in tono ancora più funereo.
“Però, Madame Lamorliére ci ha fatto un bel regalo. In pratica pagheremmo solo venti euro a testa per entrare. Considerata l’occasione, è veramente poco”, osservò André scorrendo il volantino con lo sguardo.
“Direi che la nostra Rosalie abbia bisogno di un po’ di sostegno morale, martedì sera”, aggiunse Oscar, cingendo le spalle esili della ragazza con il braccio.
“Oscar, da quando vai spontaneamente a una serata di gala? Sei sicura di stare bene?”, domandò André preoccupato.
In tutta risposta, lei scoppiò in una fragorosa risata.
“Ad Antoine sarebbe piaciuto”, le uscì di getto.
Un attimo dopo, lei, Rosalie e André si scambiarono uno sguardo carico di nostalgia.
“Facciamolo per lei”, disse Oscar con decisione. “Per non dimenticare”.
 
***
 
La carrozza si fermò di fronte l’enorme edificio squadrato. Un’alta figura incappucciata vi discese furtivamente, arrampicandosi sui ripidi gradini fino alla porta d’ingresso. Il passo le fu sbarrato da un lacchè dell’elegante livrea rossa.
    –Madame?
    –Sono qui per il signor duca – rispose la donna, sollevando una mano.
    Nel notare il sigillo che brillava sull’anulare, il giovane servitore le rivolse un rapido inchino.
    –Da questa parte.
    Nonostante fosse ormai notte fonda, il duca d’Orléans era ancora sveglio. Si trovava vestito di tutto punto nel suo studio, intento a leggere a lume di candela. Un’espressione indispettita si dipinse sul suo volto severo nel momento in cui la porta si aprì.
    –Contessa Du Barry – salutò la donna incappucciata, chinandosi per farle il baciamano.
    –La questione è risolta – rispose lei in tono sbrigativo, consegnandogli tra le mani un fagotto di seta rossa.
    Il conte lo aprì, estraendovi il piccolo orologio di Gustave Cluzet.
    –Lui dov’è? – disse, rigirandosi l’oggetto tra le mani con aria rapita.
    –Alla Bastiglia. Aspettano solo un vostro ordine per farlo fuori.
    –Provvederò – rispose il conte, ormai completamente preso dalla macchina del tempo. – Sapete come funziona questo aggeggio?
    –Sì, mio signore. Monsieur Cluzet me l’ha spiegato. Dobbiamo solo trovare il momento propizio per far sparire l’arciduchessa una volta per tutte.
    –Arriverà molto prima di quanto crediate – disse l’uomo con un’espressione velenosa dipinta sul volto. – Il prossimo 31 gennaio è stato indetto un ballo all’Opéra. Scommetto che la delfina sarà molto tentata ad andarci. Quale luogo migliore possiamo desiderare per farla sparire nel nulla, tra la confusione e la gente mascherata?
    La contessa Du Barry sfoderò un’espressione sadica.
    –Siete il diavolo in persona, Monsieur – commentò.
    Il conte le rivolse un’occhiata carica di compiacimento.
    –Lo so – rispose, prima di lasciar scivolare la macchina del tempo nella tasca del panciotto.  
 





bUOnGiOrNo a tutti! :)
Ridendo e scherzando, siamo infine arrivati al capitolo 30.
La fine (provvisoria) si fa sempre più vicina e, come potete intuire da questi ultimi paragrafi, gli ultimi capitoli saranno un vero e proprio tripudio di scambi di persona, coincidenze e scontri con un nemico disposto a tutto pur di raggiungere i suoi scopi.
Pronti a un finale col botto in stile whovian? ;)

Fatemi sapere se questo nuovo Times New Roman va bene come possibile stile per la prossima storia: sto ormai scrivendo gli ultimi capitoli e appena finiti gli esami potrei iniziare a postare!

Grazie ancora a tutti voi per la pioggia di recensioni entusiaste che sta arrivando ogni settimana.
Vi lovvo! <3
Proprio per questo, a breve mi piacerebbe comunicarvi una piccola sorpresa...ma non voglio precorrere troppo i tempi.
Nel mentre, preparatevi alla sfilza di anteprime di "The Phoenix", pertanto occhio alla mia pagina Facebook!
La potete trovare qui: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

P. S. scusatemi se aggiorno solo oggi, ma ieri ho avuto dei problemi di connessione.

Un bacio e a giovedì prossimo!

F.


 
   
     

 

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***




CAPITOLO 31
                       






 
Rivedere la luce dopo giorni di interminabile oscurità fu molto peggio di quanto Axel aveva previsto. Non appena mise piede nel cortile della Bastiglia, infatti, il ragazzo si portò istintivamente le mani al volto con un gemito di dolore. Per fortuna, nessuno dei suoi carcerieri fece storie a causa del suo comportamento: evidentemente avevano già visto quel tipo di reazione nei rari casi in cui un prigioniero aveva riconquistato la libertà.
    Una giovane donna dall’aria spaurita lo attendeva sulla porta, i grandi occhi azzurri che si lanciavano continuamente occhiate intorno.
    –Ecco il vostro padrone, Madame – disse una delle guardie, fermandosi davanti a lei.
    –Mio signore! – esclamò la donna, inchinandosi di fronte ad Axel. – Oh, abbiamo così temuto per la vostra vita!
    –Speriamo solo che il conte di Fersen abbia pietà del nostro errore – proseguì il soldato nervosamente. – Non pensavamo di arrestare proprio suo figlio.
    –Il signor conte è il primo a dovere delle scuse alla Francia per il comportamento del mio padrone – rispose l’altra con decisione. – Ha promesso egli stesso di occuparsi della questione non appena il conte sarà di nuovo a casa.
    A quelle parole, Axel prese a sudare freddo. A quanto pareva, stava abbandonando la Bastiglia per entrare in una prigione ancora peggiore, in balìa delle ire di un conte svedese che lo aveva scambiato per suo figlio. Ciò bastò a far triplicare il suo odio nei confronti del vero Fersen.
    –Ringraziatelo per la sua clemenza – stava dicendo la guardia in quel momento. – Andate, ora. Che questa storia finisca al più presto.
    I due soldati rivolsero un inchino carico di prostrazione in direzione del conte; poi si avviarono a passo di marcia verso la fortezza, sparendovi all’interno. A quel punto, Axel si sentì gelare il sangue. Era rimasto solo in compagnia di quella donna sconosciuta. Per un attimo, si lasciò tentare dall’impulso di scappare a gambe levate, ma la vista dei soldati che marciavano attorno a loro bastò a scoraggiarlo. Era in trappola.
    –Venite con me, Monsieur – disse la donna a un certo punto.
    Axel non osò opporre resistenza, seguendola all’esterno della Bastiglia. Con un tuffo al cuore, il ragazzo si trovò immerso nelle vie di Parigi. Non riuscì a resistere alla tentazione di guardarsi intorno, senza riuscire a trattenere tutto il suo stupore. Quante volte aveva percorso a rotta di collo quella piazza per andare a prendere la metro? Riusciva a riconoscere persino il punto in cui duecento anni dopo avrebbero costruito la fermata, ora occupato dal carrozzone scalcinato di un venditore ambulante. La fortezza della Bastiglia occupava l’enorme spiazzo che un giorno sarebbe stato completamente spoglio e ingombro di macchine, con al centro la grande colonna di ferro che avrebbe commemorato l’avvento della Rivoluzione francese.
    La strada era completamente sterrata e fangosa e frotte di ragazzini vestiti di stracci si rincorrevano tra la folla macilenta e vociante. Lo sporco e il puzzo erano inconcepibili, per un uomo del Duemila. L’odore di orina si mescolava a quello di ortaggi e di pesce. I volti delle persone erano scarni e sporchi. Axel si soffermò a guardare un uomo che avanzava lentamente con un vecchio asino al suo seguito. Quanti anni poteva avere? Molto probabilmente, aveva la sua stessa età, nonostante fosse mascherata dagli stenti e dal sole.
    Il ragazzo osservò incantato le insegne scrostate dei negozi, l’incedere lento delle bestie da soma, i profili dei popolani che lo evitavano con aria sospettosa. Un giorno, in quello spiazzo si sarebbe scatenato l’inferno. Orde di uomini e donne si sarebbero avventati sulla Bastiglia, gettando le basi di quel mondo in cui sarebbe nato e cresciuto. Probabilmente, alcuni di loro si trovavano proprio tra la folla che lo circondava, ignari di tutto. Potevano essere chiunque, dalla giovane pescivendola che urlava in mezzo alla strada ai monelli che giocavano tra le pozzanghere d’acqua sporca.
    Da qualche parte, doveva esservi un giovane Robespierre ancora studente, con un piccolo e balbettante De Moulins al seguito. Da qualche parte, vi erano salotti in cui si leggevano Voltaire e Diderot e si discuteva sull’esistenza di un mondo migliore. Da qualche parte, il popolo iniziava a chiedere giustizia.
    Axel non si rese nemmeno conto di avere il volto inondato di lacrime. Quella era la Parigi che aveva sempre sognato di vivere. Quella era la Storia, la sua Storia, e ora vi si trovava immerso completamente, vivendola da protagonista e non più come impotente spettatore del futuro.
    –Tutto bene, Monsieur? – domandò Madame Campan, lanciandogli un’occhiata preoccupata.
    Axel annuì, asciugandosi gli occhi con fare imbarazzato.
    –Perdonatemi. Ho avuto dei momenti difficili – si schermì.
    La donna annuì con fare comprensivo. Continuarono a camminare per un tempo che parve interminabile, fino a quando non si trovarono di fronte a una carrozza ferma di fronte a quella che sembrava una stazione di posta.
    –Siete stato anche troppo fortunato – disse Madame Campan, voltandosi verso di lui. – La delfina ha messo fin troppo a repentaglio la sua reputazione pur di tirarvi fuori dalla Bastiglia.
    –Cosa? Voi…voi non siete dunque al servizio del conte Fersen? – domandò il ragazzo sbalordito.
    –Credevo che conosceste i vostri servitori – osservò la donna, scoccandogli un’occhiataccia. – Io sono Madame Campan, prima cameriera della delfina.
    Axel strabuzzò gli occhi per lo stupore. Non era possibile: stava parlando proprio con lei, la più celebre biografa della regina Maria Antonietta! I suoi scritti sarebbero diventati celeberrimi, sfatando moltissime leggende false sulla sfortunata sovrana e stimolando le ricerche di rinomati storici del futuro come Antonia Fraser e la fantasia dei cineasti tra cui Sofia Coppola…
    –Monsieur, siete sicuro di sentirvi bene? Sembra che abbiate appena visto la Beata Vergine – lo richiamò alla realtà la giovane serva.
    Il ragazzo sbatté le palpebre, instupidito.
    Madame Campan mi ha appena dato del deficiente, canticchiava una vocetta beata nella sua testa. Madame Campan è venuta a salvarmi su ordine di Maria Antonietta.
    –Non abbiamo molto tempo – proseguì la donna in tono esasperato. – Parigi non è un luogo sicuro per voi. Vi conviene lasciare la città al più presto e non tornare mai più. Usate un falso nome, se necessario.
    A quelle parole, Axel si sentì invadere dal panico.
    –Non posso! – esclamò.
    –Non avete altra scelta: vi uccideranno, se vi vedranno ancora qui.
    Il ragazzo si morse la lingua con rabbia. Come faceva a spiegare che in realtà veniva dal futuro e che l’unico modo per tornare a casa si trovava proprio a Versailles?
    –Non importa! – sputò con decisione. – Devo parlare con la delfina!
    –Temo che ciò non sia possibile. Il re e il delfino non avranno alcuna pietà di voi, se dovessero sorprendervi di nuovo a corte.
    Improvvisamente, un rumore di passi irruppe alle loro spalle. Madame Campan si guardò intorno con aria allarmata, facendo per voltarsi verso la carrozza.
    –Credo che abbiamo perso tempo a sufficienza – disse. – Buona fortuna, Monsieur.
    Detto questo, la donna saltò sulla carrozza, intimando al cocchiere di partire. Confuso e spaventato, Axel si gettò immediatamente all’inseguimento della vettura, venendo subito inondato da una quantità indicibile di fango sollevato dalle ruote.
    –Vi prego, Madame, aspettate! Ho sentito di un complotto per eliminare la delfina! Deve guardarsi dalla contessa Du Barry e il duca di Orléans! Vi prego, fermatevi! FERMATEVI!
    Invece di arrestarsi, la carrozza aumentò la sua corsa, sparendo alla vista in pochi istanti. Axel si fermò, una mano premuta sul petto per lo sforzo. Più di un passante si era fermato a guardarlo come se si trattasse di un folle. Il ragazzo crollò sulle ginocchia, portandosi le mani al volto in preda alla disperazione. In quel momento, era più solo che mai.
    Maria Antonietta era in grave pericolo e lui non poteva fare nulla per aiutarla. Senza contare la situazione in cui si trovava Gustave Cluzet, ancora confinato nella Bastiglia in attesa di chissà quale orribile destino. No, non poteva finire così. La Storia, per quanto terribile e ingiusta, aveva bisogno anche di Maria Antonietta. E lui, da studente devoto, doveva trovare il modo di intervenire.
    In quel preciso istante, Axel non poté fare a meno di pensare ai suoi colleghi all’università e alla sua relatrice, e alle facce che avrebbero fatto nel saperlo lì, costretto a salvare la Storia così come la conoscevano. Probabilmente, non avrebbero mai avuto il coraggio di crederci, nemmeno se lo avessero visto di persona.
    Il ragazzo volse ancora una volta lo sguardo nella direzione in cui era scomparsa Madame Campan. Davvero l’aveva conosciuta? Quante cose avrebbe voluto chiederle…Aveva già iniziato a scrivere i suoi diari? Avrebbe mai pensato di doverli pubblicare, un giorno? Immaginava che un domani sarebbe diventata così celebre? Mentre le parlava, Axel era stato persino tentato dall’impulso ingenuo quanto folle di chiederle un autografo…allora sì che sarebbe stato preso per pazzo!
    Che donna meravigliosa, continuava a ripetersi mentre si avviava dalla parte opposta rispetto alle porte di Parigi.
 
***
 
Nonostante le schitarrate dei Rammstein avessero già raggiunto qualche centinaio di decibel, la musica classica sparata a tutto volume nella stanza di Charlotte riusciva a penetrare comunque fin dentro agli auricolari di Rosalie.
La ragazza si strappò con violenza le cuffie dalle orecchie, marciando nel corridoio con tutta l’aria di chi sta per cedere ai proprio istinti violenti.
“Hai finito con questa lagna? Qui c’è qualcuno che deve studiare!”, ruggì facendo capolino nella stanza.
Charlotte interruppe a mezz’aria il suo arabesque, fissando la sorella maggiore con un’aria decisamente contrariata.
“Mi sto esercitando per martedì!”, esclamò in tono di superiorità.
Rosalie sospirò, trattenendo a stento l’impulso di fracassarle lo stereo sul cranio.
L’ultima trovata geniale di sua madre era stata quella di esibire la spiccata attitudine alla danza di Charlotte di fronte al suo compagno, che era rimasto talmente estasiato da assoldarla all’istante per la sua pièce teatrale, affidandole un assolo.
La cosa aveva gettato la ragazzina in preda ai deliri di onnipotenza, alimentati dalle pressioni di Yolande affinché desse il meglio di se stessa sul palcoscenico.
Inutile dire che ora Charlotte passava ogni singolo momento della giornata a esercitarsi sul balletto, seguita costantemente da sua madre.
Non appena finiva la scuola, la ragazzina veniva immediatamente accompagnata all’Opéra, dove doveva sorbirsi tre ore di allenamento insieme al resto del corpo di ballo, tornando a casa stravolta e con una montagna di compiti ancora da svolgere.
Nonostante tutto, però, Charlotte sembrava ancora più esaltata di sua madre nella dedizione allo spettacolo, affrontando ogni singolo sacrificio senza battere ciglio.
L’unica cosa su cui aveva avuto da ridire era la dieta ferrea a cui l’aveva sottoposta Yolande, mandandola avanti a insalate e spremute d’arancia.
Finirà come nel film Il Cigno Nero, se continua così, non aveva potuto fare a meno di pensare Rosalie nel vedere sua sorella stressata in quel modo, ringraziando Iddio per non essere stata chiamata in causa anche lei.
“Sei solo invidiosa perché io e Jeanne abbiamo la parte e tu no!”, stava strillando nel mentre Charlotte. “Se solo avessi continuato a studiare recitazione…”.
Rosalie sbuffò, uscendo dalla stanza a grandi passi e sbattendosi la porta alle spalle.
Le urla di sua sorella echeggiavano nel corridoio mentre la ragazza cacciava alla rinfusa i libri nello zaino e faceva per uscire.
Solo nel momento in cui attraversò il soggiorno a passo di marcia si accorse di non essere sola.
Jeanne era sdraiata supina sul divano, più pallida e malconcia che mai.
Era completamente avvolta in una pelosa tuta da ginnastica e aveva una sciarpa di lana avvolta intorno al collo.
I suoi occhi verdi apparivano stranamente lucidi.
“Tutto bene?”, domandò Rosalie preoccupata.
A quella parole, Jeanne scoppiò in un pianto silenzioso.
“Ehi, che succede?”, esclamò la ragazza, sedendosi al suo fianco.
L’altra le scagliò contro un cuscino, prendendo a singhiozzare ancora più forte.
“Dove credi che possa andare con questa voce?”, gracchiò disperata.
“Calma, lo spettacolo è martedì. Guarirai”, cercò di confortarla Rosalie.
Jeanne scosse il capo.
“Non ci sarà alcuno spettacolo”, rispose. “Papà mi ha cancellato la parte”.
“Ma come! E il tuo assolo?”.
“Per quello, sta già pensando a una sostituta”.
“E chi è?”.
Jeanne le lanciò un’occhiata carica d’odio.
“Indovina”, rispose in tono sarcastico.  




Buonasera, gente! :)
Mi scuso ancora una volta per il mancato aggiornamento di ieri, ma sono rimasta fuori casa fino a tardi e per questo motivo non ho avuto sottomano un computer su cui caricare il nuovo capitolo.
Spero che comunque l'evoluzione della storia vi piaccia (dal mio canto, io mi sono divertita tantissimo a scrivere la scena dell'incontro tra Axel e Madame Campan).
Le complicazioni non mancano e la sera della prima si avvicina sempre di più.
Come pensate che riescano a cavarsela i nostri personaggi?
Riuscirà Axel a infiltrarsi all'Opéra?
E Cluzet?

Con questi interrogativi vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete restare sempre informati sugli aggiornamenti e magari ricevere anche qualche piccola anteprima (non so se avete visto, ma "The Phoenix" mi sta prendendo moltissimo tempo e spero tanto che vi appassionerà come è accaduto per questa storia): https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo

A giovedì prossimo, dunque, con tante nuove sorprese :)

F.

  
   
   
      
    


 

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***




CAPITOLO 32
                      






 
Maria Antonietta osservava il parco bagnato di pioggia delle finestre dei suoi appartamenti. I suoi pensieri vagavano lontani, verso Parigi. Chissà dove si trovava Axel in quel momento. Sarebbe mai riuscito a fuggire in tempo dalla città? Avrebbe mai trovato il coraggio di lasciarla?
    –Venite a fare una partita con noi, mia cara – la invitò gentilmente Madame Elizabeth dall’altro capo della stanza.
    –Perdonatemi, ma non ne ho voglia – si schermì l’arciduchessa, stringendosi contro la finestra.
    In quegli ultimi giorni, desiderava solo stare da sola con i suoi pensieri. Le feste e i divertimenti della corte avevano perso ogni attrattiva, per lei. Avrebbe tanto voluto poter fuggire il più lontano possibile da quella gabbia dorata per potersi immergere nella vita frenetica di Parigi, anche solo per un momento.
    –Avete sentito che la prossima settimana ci sarà un ballo all’Opéra? – disse in quel momento la principessa di Lamballe mentre mescolava distrattamente le carte.
    –Oh, sì! – esclamò Madame Elisabeth. – Sarebbe bello andarci. Voi che ne dite, Madame?
    Dovettero trascorrere diversi secondi prima che Maria Antonietta si rendesse conto che gli sguardi delle due donne erano puntati su di lei.
    –Io…non so che dire – balbettò.
    –Suvvia, mia cara! Siete sicura di sentirvi bene? Non vi ho mai vista rifiutare un ballo all’Opéra – osservò Madame Elisabeth preoccupata.
    –Non credo che ci sia permesso – buttò lì Maria Antonietta, decisa a essere lasciata in pace.
    In quel preciso istante, la porta dell’appartamento si spalancò, rivelando un pallido e sudato Luigi Augusto sulla soglia. Il giovane principe entrò goffamente nella stanza, tergendosi la fronte con la mano annerita dalla fuliggine.
    –Che cosa vi è successo? – esclamò Madame Elisabeth, scrutando il fratello con aria severa.
    –Vi siete di nuovo andato a chiudere nella fucina, non è vero? – domandò Maria Antonietta furibonda, prendendogli le mani ed esaminandole da vicino.
    –Oggi il tempo è particolarmente brutto, Madame. Mi è stato impossibile uscire a caccia – spiegò lui.
    L’arciduchessa gli lasciò le mani con un’esclamazione esasperata.
    –Io non so più cosa devo fare con voi – commentò sull’orlo delle lacrime. – Quando vi deciderete a fare il vostro dovere di delfino?
    –Madame, io…
    –Vostra moglie ha ragione – intervenne Madame Elisabeth in tono deciso. – Non fate altro che trastullarvi dall’alba fino a notte con i vostri assurdi passatempi, invece di occuparvi di vostra moglie. Non vedete come sta? Quell’aggressione l’ha distrutta e ora quel mascalzone è tornato in libertà, più pericoloso che mai. Volete restare al suo fianco almeno adesso?
    In tutta risposta, Luigi Augusto incassò la testa fra le spalle come un cane bastonato. Maria Antonietta gli voltò deliberatamente le spalle, le braccia incrociate sul petto. La cosa peggiore in un momento simile era decisamente quella di ritrovarsi un simile fardello come marito.
    –Per costruire una relazione solida, è necessario frequentarsi – proseguì Madame Elisabeth, gli occhi celesti che si spostavano su entrambi i principi. – Dedicarsi insieme agli eventi mondani può essere un buon punto di partenza. Per esempio, caro fratello, perché non accompagnate vostra moglie al ballo all’Opéra, il prossimo martedì?
    A quella proposta, Luigi Augusto divenne rosso come un peperone.
    –Non credo sia concesso a quelli del nostro rango – balbettò.
    –E allora? Mascheratevi, no? – rispose Madame Elisabeth in tono pratico.
    –Ma se il re ci scopre…
    Sua sorella scoppiò in una risata maliziosa.
    –Mio caro fratello, voi ignorate quante ne combina Sua Maestà a nostra insaputa. Ergo, una vostra innocente fuga a Parigi potrebbe passare benissimo inosservata – commentò.
    –Ma…
    –Vi supplico, Monsieur – intervenne Maria Antonietta improvvisamente.
    In quel momento, sarebbe giunta a qualsiasi compromesso pur di farli tacere.
    Il delfino le lanciò un’occhiata sottomessa, incapace di sostenere il suo sguardo.
    –Se me lo chiedete con tanto ardore, Madame, allora non esiterò ad accontentarvi – rispose timidamente.
    –Ben fatto, fratello – commentò Madame Elisabeth. – Ora, che ne dite di sedervi qui con noi a giocare?
  
 
 
***
 
Ritornare a casa fu per Louis la parte più stressante della sua improvvisa sparizione.
Per prima cosa, doveva far sparire gli abiti settecenteschi e darsi una ripulita, dal momento che non si lavava da giorni.
Per fortuna, aveva la nonna migliore che si potesse desiderare.
Non appena erano rientrati da Versailles, infatti, Nanny lo aveva trascinato a casa sua e lo aveva immediatamente spedito sotto la doccia, mentre André andava alla ricerca di una maglietta e un paio di jeans puliti.
Poi avevano dovuto pensare a una scusa per giustificare la sua sparizione.
Alla fine, avevano stabilito che Louis si era semplicemente perso durante la gita e per di più aveva smarrito il cellulare.
Il momento peggiore era stato decisamente quello in cui Louis aveva finalmente varcato la porta di casa.
Suo padre era ancora fuori per lavoro e sua madre era intenta a preparare la cena.
Non appena aveva visto il ragazzo entrare in cucina, la donna aveva letterlamente scagliato in aria la pirofila con dentro lo stufato e gli aveva gettato le braccia al collo, scoppiando in un pianto disperato.
Molto meno comprensivo era stato suo padre, il quale, appena appreso il presunto motivo della sparizione di suo figlio, gli aveva assestato una bella strigliata e lo aveva messo in punizione per un mese.
Il che significava anche divieto assoluto di usare il telefono e il computer.
Figuriamoci uscire con gli amici.
Bell’inizio, per la sua tanto sospirata relazione con Lucile.
Per fortuna, la ragazza non era un tipo che si perdeva d’animo tanto facilmente.
Nei giorni che erano seguiti, era sempre riuscita a trovare il modo di vedere Louis, anche solo per pochi minuti.
Lo passava a trovare a ricreazione e all’ora di pranzo, quando i due ragazzi scendevano alla mensa scolastica.
Un paio di volte, era persino riuscita a eludere la sorveglianza paterna, sgusciando in casa mentre il signor Grandier era fuori, con la segreta complicità di Christine.
In tutto questo, però, Louis non riusciva a darsi pace.
Quel suo breve e rocambolesco viaggio nel passato aveva segnato per sempre la sua vita.
Non riusciva più a riadattarsi alla vita frenetica del Duemila.
Il chiasso, la routine quotidiana, le pene d’amore di sua sorella, le premure di sua madre, le ansie di suo padre e le pressioni dei professori sembravano cose da nulla rispetto a quello che aveva visto nel passato.
Non riusciva a dimenticare il fatto di aver rischiato di perdere la vita solo perché si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Aveva toccato con mano la vita difficile e pericolosa che si conduceva nel Settecento, quando bastava una parola di troppo per essere eliminati.
Aveva visto quanto fosse assurdo e fragile il sistema intorno a cui ruotava il castello incantato di Versailles.
E non riusciva a dimenticare coloro che era stato costretto a lasciare indietro.
Axel e Maria Antonietta.
Sapeva che, ora più che mai, erano in pericolo.
Ma come fare per raggiungerli?
Quel martedì pomeriggio, la sua mente non riusciva a smettere di galoppare.
Il silenzio della casa era interrotto dallo scorrere dell’acqua nella doccia.
Louis sospirò.
Nella stanza accanto, Christine si stava facendo bella per il ricevimento di quella sera.
Rosalie era stata davvero gentile a invitare tutti i suoi amici alla prima del suo spettacolo all’Opéra, ma suo padre era stato irremovibile e per questo si era visto costretto a cedere il biglietto a Christine.
Peccato, gli sarebbe tanto piaciuto vedere l’amica sul palcoscenico, anche se lei non sembrava molto entusiasta della cosa.
Sperava che almeno Christine si sarebbe divertita: in fondo, ne aveva molto bisogno in quel periodo.
Il ragazzo provò a concentrarsi sugli esercizi di fisica per l’ennesima volta, la matita che ondeggiava ritmicamente fra le sue dita.
Improvvisamente, la suoneria del cellulare di Christine irruppe dalla sua camera da letto.
La cosa ebbe su di lui l’effetto di una scossa elettrica.
Ma certo, il cellulare!
Ecco come poteva mettersi in contatto con Maria Antonietta: aveva perso il telefono proprio nel parco di Versailles e sicuramente qualcuno lo avrebbe trovato, prima o poi.
Poteva sempre provare a inviarsi un messaggio da solo e sperare che in qualche modo arrivasse a destinazione, così come era successo con Lucile.
Certo, le varianti catastrofiche erano infinitesimali (poteva per esempio finire tra le grinfie della Du Barry o scaricarsi), ma doveva provarci lo stesso.
Detto fatto, Louis entrò in punta dei piedi nella camera di Christine.
In quel momento, dal bagno proruppe il rumore di un asciugacapelli in funzione.
Con il cuore in gola per l’eccitazione, il ragazzo prese in mano il cellulare e sbloccò lo schermo.
Archiviò l’avviso di chiamata che era appena arrivato e premette l’icona a forma di messaggio.
Chi l’avrebbe mai detto che un giorno avrei spedito un SMS a Maria Antonietta?, pensò mentre digitava il suo numero di telefono.
 
***
 
Axel non riusciva ancora a credere di essere riuscito a sopravvivere per tutti quei giorni senza morire di stenti. L’inverno a Parigi era più gelido che mai e di certo le piccole locande di periferia non erano attrezzate con gli stessi impianti di riscaldamento a energia nucleare del futuro. Per non parlare delle coperte rose dalle tarme o dal cibo inconsistente.
    In quegli ultimi giorni, Axel aveva dovuto inventarsi ogni sorta di espediente per non fare una brutta fine. Per prima cosa, si era lasciato crescere barba e capelli e si fingeva guercio da un occhio, ricoprendolo con una benda che aveva ricavato da un lembo dei pataloni. Poi aveva avuto l’insperato colpo di fortuna di trovare lavoro come garzone nella locanda in cui alloggiava, riuscendo ad assicurarsi un pasto caldo tutte le sere.
    –C’è movimento in città, quest’oggi – stava commentando in quel momento Monsieur Garnier, il suo padrone.
    –Come mai? – domandò Axel, mentre spazzava per terra.
    –Pare che stasera diano un ballo all’Opéra…ehi, ma che ti prende?
    In quel preciso istante, il ragazzo era rimasto improvvisamente pietrificato, la scopa stretta tra le mani.
    –Che giorno è oggi? – domandò con un’espressione al limite della follia dipinta in volto.
    –Il 31 gennaio. Perché?
    Axel non rispose. Un attimo dopo, si era già lanciato in mezzo alla strada, prendendo a correre come se avesse il diavolo in persona alle calcagna.





Buonasera a tutti :)
Anche se si è fatta una certa ora, sono comunque riuscita ad aggiornare, tra studio, gare e le ultime scene di "The Phoenix", che in questi giorni mi stanno facendo letteralmente disperare...Quando leggerete, saprete il perché!
Nel mentre, ci stiamo avvicinando sempre di più alla conclusione * sig, sob! * che sto comunque frammezzando in più capitoli, anche perché succederanno veramente tante cose!
Per esempio, come farà Cluzet a fuggire dalla Bastiglia?
E Axel si scontrerà con il vero conte di Fersen?
E come reagirà Maria Antonietta all'incontro con quest'ultimo?
Senza contare la Du Barry: secondo voi riuscirà nel suo diabolico piano o verrà sventato dall'arrivo improvviso del messaggio di Louis?
E Rosalie, come si sta preparando allo spettacolo?
Come vedete, sono ancora tanti gli interrogativi in attesa di risposta.
Nel mentre, vi lascio con il solito indirizzo della mia pagina Facebook, con tutti gli aggiornamenti in tempo reale:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
A giovedì prossimo, con il ballo all'Opéra :)
Un abbraccio a tutti voi!

F.

 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***




CAPITOLO 33
                      






 
Di una cosa Maria Antonietta era certa: prepararsi a una festa non sarebbe mai stata la stessa cosa.
    Quando usciva con Oscar e il resto della banda non aveva bisogno di tutti quei quintali di trucco che la facevano apparire cadaverica, né dei diversi strati di gonne e tessuti pregiati che la nascondevano il fisico minuto. Non doveva trascorrere ore dal parrucchiere a farsi acconciare i lunghi capelli biondi sulla nuca, intrecciandovi perle e piume. Nel futuro, bastavano una maglietta e un paio di jeans per essere a posto.
    Senza contare l’immancabile doccia prima di uscire, su cui Oscar era decisamente inflessibile. Quello di lavarsi tutti i giorni era una cosa a cui Maria Antonietta non era minimamente abituata. Di solito, si dedicava a una toeletta veloce la mattina, quando si svegliava. Si tergeva il visto e il collo con una brocca d’acqua fredda ed era finita lì. Alle pulci e ai cattivi odori ci pensavano gli strati di cipria e i profumi spruzzati pressoché ovunque. Era tutta una questione di abitudine. Un’abitudine che l’arciduchessa aveva decisamente perso.
    Nonostante fosse trascorsa quasi una settimana dal suo ritorno a casa, Maria Antonietta non riusciva più a convivere con la totale mancanza di igiene dei suoi contemproanei. Possibile che non si rendessero minimamente conto di quanto puzzassero? Per forza ai suoi tempi morivano come mosche.
    L’arciduchessa ricordava ancora i primi giorni trascorsi a casa di Oscar, quando la ragazza l’aveva spedita sotto la doccia per la prima volta. A dire il vero, aveva dovuto anche darle una mano a lavarsi da sola, dal momento che non era abituata a barcamenarsi tra i rubinetti dell’acqua calda e fredda, per non parlare dell’esercito di shampoo e bagnoschiuma che l’amica teneva in bagno. Ora più che mai, Maria Antonietta bramava di nuovo quel bagno caotico ma inequivocabilmente pulito, con il getto d’acqua calda che le scivolava lungo il corpo e il rumore sommesso della radio che proveniva dalla cucina.
    Ora, mentre il parrucchiere le incipriava i capelli senza pietà, la ragazza si sentiva più sporca che mai. Improvvisamente, ogni cosa le creava un immenso disgusto, dal cibo ai tendaggi impolverati sospesi sul suo letto a baldacchino. Ogni volta che toccava qualcosa, l’arciduchessa provava subito l’impulso di correre a lavarsi le mani. Se solo avesse saputo che un giorno sarebbe ritornata a casa, avrebbe sempre tenuto con sé un flacone pieno di shampoo.
    –Siete pronta, Madame! – esclamò il parrucchiere in tono soddisfatto.
    Maria Antonietta osservò il proprio riflesso nello specchio, trattenendo a stento un’espressione carica di perplessità. Indossava un abito rosa merlettato (il più sobrio che fosse riuscita a trovare) e aveva un’acconciatura alta un metro abbondante, con una lunga collana di perle che le scendeva fino alla nuca tra una piuma e l’altra.
    Fortuna che devo passare inosservata, pensò con orrore.
    –Vi piace, Madame? – incalzò il parrucchiere, emergendo dalla muraglia dei suoi capelli.
    –Va benissimo, Léonard. Grazie – rispose l’arciduchessa, consapevole che un suo giudizio negativo sarebbe bastato a mandare in rovina quel povero ignaro.
    In quel preciso istante, l’ambasciatore Mercy fece ingresso nella stanza. Maria Antonietta avvertì una stretta allo stomaco nel momento in cui l’uomo avanzò a grandi passi verso di lei, tenendo una lettera tra le mani.
    –Da parte di vostra madre – disse mentre le porgeva la busta.
    L’arciduchessa prese immediatamente a sudare freddo. Si era quasi dimenticata di quanto la mettessero in agitazione le missive materne. Con un sospiro carico di rassegnazione, la ragazza dispiegò la lettera in grembo e iniziò a leggere silenziosamente.
 
Carissima Antoinette,
    ho appreso dall’ambasciatore Mercy che hai partecipato alla festa indetta dalla contessa Du Barry e che i giudizi della corte sul tuo comportamento sono stati assai positivi. Tuttavia, sono assai in pena per te per quanto accaduto durante il ballo. Spero che tu stia bene e che abbia preso i provvedimenti necessari dopo una simile disgrazia. Dovessi essere rimasta incinta, però, non mi sento di scoraggiarti nel proseguire: sai che la tua situazione è fin troppo precaria e una gravidanza indesiderata in un momento del genere potrebbe rivelarsi di grande aiuto. Ciò non toglie che io per prima auguro a quello spregevole malfattore la fine che merita.
 
    Tranquilla, mamy, l’ho appena fatto scappare dalla Bastiglia, pensò Maria Antonietta con un misto di soddisfazione e ansia, portandosi poi istintivamente una mano al ventre, anche se sapeva perfettamente di non aver corso alcun rischio.
    Un erede al trono figlio lei e di Axel…magari fosse possibile!
 
Nonostante questo spiacevole incidente, sono comunque contenta che stai iniziando finalmente a orientarti all’interno della corte. Luigi Augusto in persona ha confidato all’ambasciatore Mercy di quanto ti stimi come donna e come moglie. Quel giovane impacciato in realtà ti vuole bene e sono certa che il vostro sarà un matrimonio felice.
    Tuttavia, la vostra mancanza di figli resta un problema a cui far fronte il prima possibile. Sei infatti rimasta l’unica tra i tuoi fratelli e sorelle a non aver ancora dato un erede al tuo sposo e la cosa non è tollerabile. Per questo ti consiglio di continuare a frequentare tuo marito, ma limitando le feste e ritirandovi in momenti di maggiore intimità.
    Voglio ricevere buone notizie, nel momento in cui l’ambasciatore Mercy mi scriverà di nuovo.
    Sii assennata e comportati con giudizio.
    Ti abbraccio,
 
    Maria Teresa d’Austria  
 
In quel momento, Maria Antonietta si stava chiedendo come avrebbe reagito Oscar se sua madre fosse stata l’imperatrice d’Austria. Probabilmente, sarebbe riuscita a mandarla a quel paese anche in quel caso.
    –Siete proprio sicura di voler andare a questa festa? – domandò l’ambasciatore Mercy, sibirciando oltre la sua spalla per leggere la lettera anche lui.
    –Mia madre dice che devo frequentare mio marito – rispose Maria Antonietta in tono inflessibile. – Ebbene, credo che questo sia uno dei modi migliori per incastrarlo. Vogliamo andare?
    –Certo, Madame. La decisione è vostra.
    –Perfetto, allora.
    Maria Antonietta si levò in piedi, contemplando ancora una volta il suo riflesso nello specchio.
    Oscar, dove sei?, pensò con il cuore gonfio di nostalgia.
 
***
 
Rosalie non riusciva a immaginare come gli abitanti del Settenceto potessero tollerare un simile abbigliamento.
Era trascorsa quasi un’ora da quando un’ossigenata parrucchiera l’aveva messa sotto sequestro davanti al boudoir del suo camerino, divertendosi con i suoi capelli mentre la ragazza tentava in tutti i modi di concentrarsi sul pezzo che avrebbe dovuto interpretare di lì a poco.
Quegli ultimi giorni erano stati un vero inferno.
Sua madre e il di lei compagno l’avevano sottoposta a prove su prove, pretendendo di recuperare in pochi giorni quello che non aveva fatto per anni.
Non era la prima volta che Rosalie veniva costretta a salire sul palco.
Durante le elementari, sua madre l’aveva iscritta a forza a un corso di canto e recitazione, a cui la scaricava per tre volte alla settimana.
Per Rosalie, le lunghe ore di prove sommate alla scuola più gli interi fogli di copione da imparare a memoria erano un’autentica tortura.
Nonostante le sue insegnanti dicessero che fosse decisamente portata per il teatro, lei non voleva saperne.
Le suppliche e le scenate prima e dopo le lezioni erano all’ordine del giorno, con somma disperazione di sua madre.
Per non parlare del momento dello spettacolo finale, in cui Rosalie dava il peggio di sé.
La prima volta, era riuscita a cavarsela con una vera e propria fuga dal palcoscenico: era stata ritrovata solo due ore dopo, nascosta tra gli attrezzi del soppalco.
Per poco, Yolande non la strangolava a mani nude davanti a tutti.
La seconda, invece, era stata sorvegliata a vista sin dall’ingresso nel camerino e la regista in persona si era premurata di scortarla sul palcoscenico, affacciandosi di tanto in tanto dalle quinte per bloccare ogni via di fuga.
Le altre tre, Rosalie si era ufficialmente rassegnata a dover fare il canarino ammaestrato per il resto dei suoi giorni.
La sua insegnante aveva deciso di inscenare una serie di musical e trovava la sua voce d’angelo assolutamente incantevole.
Ecco perché l’aveva immediatamente scritturata per la parte della protagonista per “Il Mago di Oz”, “Cats” e “Tutti insieme appassionatamente”.
Che ne sapeva che di lì a qualche anno la sua allieva prediletta sarebbe diventata una fan sfegatata dei Rammstein?
Quasi quasi, oggi me ne esco con qualcuna delle loro canzoni, invece che con questa merda di Gluck, pensò la ragazza furibonda mentre la parrucchiera le tirava con decisione una ciocca ribelle sulla nuca.
Se non fosse stato per la scherma, a quell’ora probabilmente non ne sarebbe più uscita.
Sin da piccolissima, Rosalie era sempre stata affascinata dai film in cappa e spada.
Il suo sogno più grande era quello di diventare come Zorro o d’Artagnan, un giorno.
E poi, il suo desiderio si era finalmente avverato.
Era successo tutto un martedì mattina, quando il suo futuro allenatore era venuto a far visita alla sua scuola per promuovere la palestra.
Non appena aveva visto le spade posate a terra, Rosalie era stata tra i primi ad alzare la mano per fare un tiro di prova.
“Sembri molto in gamba”, aveva commentato l’uomo non appena le aveva insegnato a fare gli affondi.
Quel complimento aveva riempito la ragazzina di orgoglio.
Zitta zitta, si era fatta lasciare il biglietto da visita della palestra e si era precipitata da suo padre, che aveva subito acconsentito a iscriverla per un periodo di prova.
In fondo, la stessa Yolande aveva avuto di che lamentarsi per l’assoluta mancanza di attività della figlia per via delle prove e, conoscendo il suo carattere, non poteva di certo dire di no a uno sport così aristocratico.
Così, Rosalie aveva iniziato la sua avventura nel mondo della scherma.
All’inizio sembrava più un gioco, ma poi arrivarono le prime gare e con esse i primi risultati.
A quel punto, la ragazza aveva capito che cosa voleva fare davvero nella vita.
Non era stato facile convincere sua madre: c’erano state lunghe litigate, notti insonni e ripicche continue, ma alla fine Rosalie aveva avuto la meglio.
In fondo, era un vero osso duro.
“Posso entrare?”, domandò in quell’istante una voce famigliare dietro di lei.
“OSCAR!”, esclamò Rosalie voltandosi di scatto con gli occhi che brillavano.
“Ciao, campionessa”, la salutò l’amica con una pacca affettuosa sulla spalla. “Sei bellissima”.
“Questa non sono io”, si schermì Rosalie fissando il suo riflesso nello specchio.
In tutta risposta, Oscar scoppiò in una fragorosa risata.
“Ma che dici?”, scherzò. “Conciata così, staresti benissimo nel Settecento”.
“Per carità, no!”, esclamò l’altra arrossendo. “Vogliamo parlare di te?”.
Oscar scrollò le spalle.
“Solo per stasera”, rispose accennando al lungo abito blu che portava indosso. “Cosa ci canterai?”.
Du riechst so guth”.
“A parte questo?”.
Rosalie sospirò.
“Per la verità, dovrò cantare un pippone di mezz’ora composto dall’immortale Gluck”.
“Oh, Gluck!”.
Sul volto di Oscar era appena comparsa un’espressione strana.
“Io lo trovo molto bello”.
“Non ti facevo un tipo da Gluck”, osservò Rosalie, sorpresa.
“Ricordati che sono pur sempre una ragazza aristocratica”, scherzò l’altra. “Ci vediamo dopo, va bene? In bocca al lupo”.
“Crepi”.
Non appena fu uscita dal camerino, Oscar prese ad avanzare con fare pensieroso, le mani incrociate sul petto.
Gluck era il compositore preferito di Maria Antonietta.
 
***
 
Era trascorsa più di un’ora da quando Axel si era appostato all’addiaccio dietro le colonne dell’Opéra, adocchiando nervosamente i passanti. Sapeva che lei sarebbe arrivata da un momento all’altro: le cronache storiche lo confermavano.     Il ragazzo stava tremando di freddo, stringendosi nei suoi abiti laceri. Sapeva che era rischioso girare da quelle parti, tuttavia non aveva altra scelta.
    La contessa Du Barry e il duca di Orléans erano già arrivati da tempo, benché separatamente. Doveva trovare il modo di entrare e fermarli a ogni costo. Ma, per quanto potesse trattarsi di una festa in maschera, il ragazzo non poteva di certo presentarsi conciato in quel modo. Doveva aspettare, semplicemente aspettare, in attesa che gli venisse in mente un’idea.
    In quel preciso istante, una carrozza si fermò di fronte all’edificio. Un lacché andò ad aprire la porta, rivelando il suo occupante. Le budella di Axel si contorsero dolorosamente. Quante volte aveva visto il suo volto stampato sui volumi di storia? Alto, il volto squadrato con due occhi grandi e vivaci che brillavano da dietro i buchi della maschera, il vero Axel Von Fersen stava avanzando a testa alta sulla strada ricoperta di neve e fango, il bastone da passeggio che picchiettava ritmicamente sul terreno.
    Alla sola vista di quel damerino, un odio feroce infuocò il ragazzo. Possibile che Maria Antonietta lo avrebbe preferito a lui, di lì a poco? In fondo, non avevano niente in comune, al di là del nome. Mentre lo seguiva lentamente con lo sguardo, il cuore di Axel prese improvvisamente ad accelerare i battiti. Una terribile illuminazione si stava facendo rapidamente strada nella sua mente, degna del peggiore dei folli. O degli innamorati.
    –Monsieur! Monsieur! Da questa parte! – esclamò senza nemmeno pensarci.
    Il conte di Fersen voltò la testa nella sua direzione, avvicinandosi furtivamente. Un attimo dopo, Axel schizzò fuori dal suo nascondiglio, strappandogli il bastone di mano e colpendolo forte sulla testa. Il giovane uomo crollò ai suoi piedi senza avere nemmeno il tempo di difendersi.
    Con il cuore in gola, Axel lo squadrò dalla testa ai piedi, le mani strette attorno al bastone che gli tremavano incontrollabilmente. Non solo aveva baciato Maria Antonietta e si era fatto dare dell’idiota da Madame Campan. Adesso aveva anche messo al tappeto il conte di Fersen.
    –Scusami, amico mio – disse mentre lo trascinava in un angolo buio e iniziava a spogliarlo. – Anch’io tengo alla nostra regina.




Buonasera a tutti :)
Finalmente sono riuscita a scrivere un capitolo più lungo del solito, anche perché mancano davvero pochissime puntate alla fine e dobbiamo iniziare a concentrare tutta l'azione per non disperderci troppo.
Che ne dite della reazione di Axel alla vista del suo omonimo rivale?
Vi sareste comportati così anche voi o avreste scelto una via più "diplomatica"?
Se volete ascoltare le note soavi con cui Rosalie ha intenzione di esordire all'Opéra, questo è il link della canzone (da seguire a vostro rischio e pericolo): https://www.youtube.com/watch?v=Gmn4aNGr5E8
In alternativa, potete sempre cercare su Youtube l'"Alcesti" di Gluck, la preferita dalla nostra Maria Antonietta :)
Ci vediamo giovedì prossimo, con il nuovo capitolo.
Non temete per la separazione imminente: tempo un paio di settimane dalla fine e inizierò a postare la nuova storia :D
Per sapere tutte le anteprime, potete visitare la mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
A presto :)

F.




 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***




CAPITOLO 34
                      






 
Oscar superò i camerini e in un attimo di ritrovò completamente immersa nello sfarzo dell’Opéra.
Gli sfarzosi ambienti erano illuminati da centinaia di lampade, le cui luci mettevano in risalto le superfici lucide delle sculture e degli ori.
Uomini e donne avvolti nei loro abiti più eleganti frusciavano lungo le due grandi scalinate che portavano al piano superiore.
Molti di loro reggevano tra le mani calici di champagne e alcuni si stavano disfacendo di ombrelli e cappotti.
A quanto pareva, fuori aveva iniziato a piovere a dirotto e la temperatura doveva essersi abbassata di parecchi gradi.
La ragazza sospirò, prendendo a salire anche lei i gradini di marmo delle scale.
Quando era adolescente, i suoi genitori la portavano spesso all’Opéra, soprattutto quando si avvicinava il periodo delle feste natalizie.
Era diventata ormai un’istituzione.
O, a essere più precisi, un modo per farsi notare.
Oscar non era mai riuscita ad amare l’Opéra, come del resto le risultava ostico tutto quello che avesse a che fare con il mondo aristocratico e perbenista in cui viveva la sua famiglia da secoli.
Come qualsiasi altro evento in casa De Jarjayes, anche l’andare a teatro comportava settimane di grandi manovre.
La ragazza ricordava con odio le lunghe ore di sequestro ai grandi magazzini in compagnia di sua madre, che la costringeva a provare più o meno tutto quello che le capitava a tiro, per poi sottoporla puntualmente alle sue immancabili critiche:
“Quel vestito è troppo attillato e troppo scollato: mettilo via subito! Cosa? Vorresti forse presentarti conciata come una poveraccia? Che figura vuoi farci fare? Per favore, quella roba è da uomo!”.
Per non parlare di tutte le formalità, i sorrisi e le frasi di circostanza che si ritrovava a rivolgere ai vari conoscenti e pezzi grossi che incontrava.
E poi, le canoniche ore e ore di gorgheggi, trascorse schiacciata tra i due genitori senza far volare una mosca.
Oscar non poteva veramente sopportarlo.
Senza contare che, una volta a casa, suo padre trovava sempre il modo di sottolineare tutte le cose che aveva sbagliato in una sera.
Insomma, per lei andare all’Opéra era un’autentica tortura.
Se vi era tornata, lo faceva solo come atto di solidarietà per la piccola Rosalie, anche lei in balìa di un genitore onnipresente e soffocante.
E anche per lei.
Per la sua regina.
“Oscar!”.
La ragazza trasalì, restando con un piede sospeso nel vuoto.
In tutta la sua vita, non aveva mai visto André Grandier così bello ed elegante.
Aveva indossato un completo scuro, che gli stava divinamente, e i lunghi capelli neri apparivano più curati e fluenti che mai, ricadendogli elegantemente sulla fronte all’altezza dell’occhio mancante.
“Tutto bene, Oscar?”, domandò il ragazzo notando la sua espressione interdetta.
“Oh, certo!”, si riscosse lei, il cuore che le batteva come un forsennato contro le costole.
Il ragazzo sorrise, tendendole la mano.
Lei la prese, accostandosi a lui.
Improvvisamente, avvertiva le sue guance bruciare come quando era solo un’adolescente alle prese con le prime pene d’amore.
“Tu non me la racconti giusta”, commentò André, scostandole la frangetta dagli occhi azzurri.
“Non mi sento a mio agio, con questo affare addosso”, commentò Oscar alludendo al suo lungo abito da sera.
Il ragazzo scoppiò a ridere.
“Strano, avrei giurato che improvvisamente avessi cambiato gusti”, commentò.
“Sta’ zitto, André, o potrei perdere la pazienza”, ringhiò lei in tono minaccioso.
In tutta risposta, l’altro scoppiò in una fragorosa risata.
“Ai suoi ordini, comandante”, disse sfiorandole la fronte con le labbra.
La cosa bastò a far arrossire Oscar ancora di più.
Si sarebbe mai abituata alla prospettiva di essere davvero la ragazza di André?
In quel momento, una radiosa ragazza dai capelli rossi venne loro incontro con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Buonasera!”, esclamò in tono cordiale.
“Ciao, Christine”, la salutò Oscar. “Sono contenta di vederti così allegra”.
“Oh, sì! Tutto merito del mio super cugino”, rispose lei allungando una gomitata affettuosa ad André.
“C’è anche tuo fratello, stasera?”.
“No, purtroppo papà l’ha messo in punizione. Gli dispiace davvero tanto di non essere venuto, ma almeno mamma è riuscita a invitare Lucile per cena”.
“Spero che Rosalie non si offenda. Ci teneva davvero tanto”.
“Oh, non preoccuparti. È stata lei stessa a incoraggiare Lucile ad andare”.
Che ragazza d’oro, pensò Oscar con un sorriso.
In quel preciso istante, André allungò il collo oltre le loro teste, prendendo a sbracciarsi in direzione di qualcuno che avanzava tra la folla con un’aria decisamente abbacchiata.
“Victor! Ehi, Victor!”.
“Salve, gente”, rispose lui in tono funereo.
Era bagnato come un pulcino da capo a piedi.
“Che ti è successo, vecchio mio? Problemi con l’asciugacapelli?”, commentò André alludendo ai suoi lunghi boccoli castani che gli ricadevano flosci sulle spalle.
“No, problemi con uno stupido ombrello che mi si è rotto proprio mentre uscivo dalla metro!”, ruggì il ragazzo furibondo.
“Oh, mi dispiace”.
Christine arrossì violentemente non appena ebbe finito di pronunciare queste parole, notando lo sguardo di Victor che bruciava su di lei.
“Non fa niente”, si schermì il ragazzo con una scrollata di spalle.
“Vi va se ci accomodiamo di sopra? Non vorrei perdermi il buffet per nulla al mondo”, intervenne Oscar indicando un gruppo di persone che chiacchieravano lungo le balaustrate con dei calici di champagne tra le mani.
“Certo, Oscar”, rispose André prendendola sottobraccio.
Lei gli rivolse un sorriso sornione, lasciandosi accompagnare per il resto della scalinata.
“Mi sa che per stasera dovrò essere la tua signora, vero?”, commentò in tono divertito.
“Credo proprio di sì, Madame”, rispose il ragazzo ridacchiando.
Lei scoppiò a ridere a sua volta, gli occhi che brillavano.
Dietro di loro, Victor e Christine si scambiarono una lunga occhiata di imbarazzo.
In effetti, erano rimasti soli.
E richiavano di apparire due coppie.
“Sicuro che non serve una mano?”, domandò la ragazza dopo istanti che parvero ore, mentre l’altro di affaccendava con il lungo cappotto nero e i resti dell’ombrello pieghevole.
“No, non preoccuparti, davvero…”, balbettò lui, finendo di inzupparsi a regola d’arte.
Christine non riuscì a trattenere una risata.
“Che c’è?”, domandò Victor aggrottando le sopracciglia.
“Niente, fai pure”, rispose la ragazza in tono vago.
“Mi trovi divertente, vero?”.
“Giusto un po’”.
Il ragazzo sospirò.
“E pensare che stasera volevo fare bella figura”, borbottò.
“Ah, sì? E con chi?”.
Victor scosse il capo, notando l’aria divertita di lei.
“Non ha importanza”.
Prima ancora che avesse finito la frase, Christine gli prese il cappotto fradicio dalle mani, ripiegandolo tra le braccia.
“Per me sì, invece”, rispose con gli occhi che brillavano.
 
***
 
Erano giorni che Maria Antonietta non si divertiva in quel modo. Non appena mise piede all’interno dell’Opera, il freddo della notte parigina divenne solo un brutto ricordo, sostituito dallo sfavillio delle luci e degli ori e lo sfarzo degli invitati nascosti da maschere che danzavano leggeri sui pavimenti di marmo. L’alcol e lo champagne scorrevano a fiumi.
    −Oh, è meraviglioso! – esclamò l’arciduchessa eccitata. – Perché non mi chiedete di ballare? – domandò poi, rivolta al marito.
    −Forse non è una buona idea, Madame. Qualcuno potrebbe notarci – rispose Luigi Augusto in tono imbarazzato.
    L’occhiata di fuoco che gli rivolse Madame Elisabeth da dietro i buchi della maschera, però, bastò a fargli cambiare subito idea.
    −Ma, a pensarci bene, questo motivo mi piace molto. Permettete? – si affrettò ad aggiungere, porgendo il braccio alla sua dama.
    Maria Antonietta gli rivolse un sorriso di trionfo, lasciandosi trascinare tra la folla. I due sposi si lanciarono così nelle danze, vorticando in quella selva di maschere e abiti senza che nessuno li riconoscesse. Era una sensazione del tutto sconosciuta, a Versailles, quella di potersi muovere liberamente tra la gente senza dover prestare continuamente attenzione alle deferenze e ai convenevoli di chiunque li incontrasse.
    Lì, nessuno sospettava di avere la futura regina di Francia che danzava al loro fianco. Era una sensazione che la riempiva di euforia. Di colpo, era come essere tornati in quel locale buio e sconosciuto, tra le luci e la musica frastornante, di gran lunga diversa da quella che conosceva nel suo tempo. Era stato proprio lì che aveva visto per la prima volta quei profondi occhi chiari che avevano cambiato per sempre la sua vita.
    A quel pensiero, una dolorosa sensazione di vertigini colpì l’arciduchessa. Il suo sguardo cadde come ipnotizzato sulla selva di volti mascherati che le vorticavano attorno. Di colpo, si sentiva la nausea e aveva solo voglia di scappare via. Quell’attimo di smarrimento bastò a inceppare il carillon messo in moto dalla danza.
    −Ahi! – esclamò nel momento in cui un gentiluomo le piantò una gomitata nelle costole.
    −Fate attenzione! – esclamò questi in tono irato.
    −Mi dispiace, non l’ho fatto apposta – rispose Maria Antonietta imbarazzata.
    Nello stesso istante, gelò Luigi Augusto con lo sguardo, dal momento che si stava preparando a intervenire contro quello sconosciuto.
    −Ha mancato di rispetto alla futura regina di Francia! – le sussurrò lui in un orecchio non appena i loro passi gli permisero di avvicinarsi a sufficienza.
    −Che importa? Nessuno deve sapere chi siamo, questa notte – rispose l’arciduchessa con determinazione.
    −Non se vi trattano in questo modo. Mi meraviglio di voi, Madame.
    −Per piacere, non ne vale la pena. In fondo, questa è l’ultima notte in cui i nostri futuri sudditi potranno vederci così. Non vi sembra divertente, tutto questo?
    −Divertente?! Affatto.
    Maria Antonietta scosse il capo, girando su se stessa con grazia.
    −Cercate di divertirvi – commentò in tono rassegnato.
    Luigi Augusto le concesse un altro ballo; poi si fermò in un angolo con aria esausta.
    −Ho una certa fame, Madame. Desiderate qualcosa da mangiare? – chiese.
    −No, grazie.
    −Vi dispiace se mi aspettate qui?
    −Fate pure.
    Non appena il ragazzo si fu allontanato con la sua solita andatura goffa, Maria Antonietta si appoggiò a una colonna con aria spazientita, le braccia incrociate sul petto.
    Col cavolo che ti aspetto qui, pensò mentre osservava furibonda la folla danzante.
    In fondo, quella sera l’arciduchessa appariva più appariscente del solito, nonostante fosse mascherata. Di sicuro, qualcuno l’avrebbe notata e si sarebbe precipitato a chiederle di ballare. Difatti, un attimo dopo un alto gentiluomo con un colossale cappello piumato si avvicinò a lei.
    −Gradite questo ballo, Madame? – domandò, rivolgendole un profondo inchino.
    L’arciduchessa gli rivolse un largo sorriso.
    −Come potrei rifiutare, signore? – rispose.
    In un attimo, eccola tornata sulla pista. In molti si fermarono ad ammirare la grazia con cui danzava tra le braccia del suo nuovo cavaliere. Lo sconosciuto stesso appariva decisamente colpito da lei.
    −Ballate molto bene, Madame. Posso conoscere il vostro nome? – domandò a un certo punto.
    −Mi dispiace, ma non posso dirvelo – rispose lei ridendo.
    Una volta terminato il ballo, l’arciduchessa salutò il suo cavaliere con un profondo inchino, tornando nuovamente ai lati della stanza in attesa che qualcun altro le chiedesse di ballare.
    Improvvisamente, una voce familiare la chiamò da dietro la colonna.
    −Antoinette!
    Il cuore della ragazza sobbalzò nel momento in cui si voltò di scatto, le labbra dischiuse in un’esclamazione di euforia e stupore.
    −Axel?!
    




Buongiorno a tutti :)
Innanzitutto, facciamo un bentornato al nostro caro vecchio Victor, che in questo capitolo ha fatto decisamente conquiste! ;)
Come avete potuto constatare, mi sono esplicitamente ispirata all'episodio dedicato all'incontro tra Maria Antonietta e Fersen, anche se qui le cose si evolveranno in maniera diversa: la contessa Du Barry e il duca d'Orléans sono infatti appostati nei dintorni e non tarderanno a entrare in azione.
Avrei tanto voluto inserire il salto nel tempo questa settimana, ma poi ho preferito dilungarmi su quanto sta accadendo nel presente, creando un capitolo di relativa tranquillità prima dell'esplosione dell'azione vera e propria.
Ciononostante, non voglio lasciarvi sulle spine troppo a lungo: la prossima settimana, infatti, l'aggiornamento sarà di mercoledì e non di giovedì, causa trasferta per una gara :)
Per tutti coloro che vogliono restare sempre aggiornati su questa e altre storie, vi lascio il link della mia pagina Facebook, dove potrete trovare anche contenuti inediti: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
Grazie come sempre a tutti voi lettori: vi adoro! :D
Un bacio

F.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***




CAPITOLO 35
                      






 
Maria Antonietta avvertì il cuore accelerare i battiti come un cavallo al galoppo nel momento in cui riconobbe quegli occhi chiari che brillavano dietro i buchi della maschera. Da una parte, non avrebbe desiderato altri che lui in un momento simile, dall’altra era furibonda per il fatto che quel giovane irresponsabile avesse trasgredito i suoi ordini, mettendo deliberatamente a repentaglio la sua vita.
    −Che cosa ci fai qui? – fu tutto quello che riuscì a dire.
    −Non abbiamo molto tempo, Antoine. Sei in grave pericolo – rispose Axel, appostato dietro la colonna.
    L’arciduchessa incollò la schiena alla fredda superficie di marmo, traendo un profondo sospiro.
    −Non qui – disse con determinazione. – Venite con me, ma state a attento a non farvi notare.
    Detto questo, la ragazza si staccò dall’appiglio sicuro della colonna, prendendo ad avanzare a testa alta tra la folla. Nonostante la tentazione la stesse divorando da diversi istanti, non si voltò mai a controllare se Axel la stesse effettiavamente seguendo.
    Superò la sala da ballo a grandi passi, fino a quando non individuò una porta laterale che celava l’ingresso a una piccola stanza isolata. Maria Antonietta la spalancò con decisione e vi si intrufolò all’interno. Un attimo dopo, Axel comparve sulla soglia.
    Non appena i loro sguardi si incontrarono, l’arciduchessa non riuscì a trattenersi oltre. Si strappò la maschera dal volto, correndo tra le sue braccia e immergendo le labbra nelle sue. Il ragazzo affondò le dita nei suoi capelli bondi, attraendola a sé con tutta la dolcezza e la passione che il suo cuore riuscì a mostrare in quegli attimi di paradiso interminabili. Non avrebbe mai creduto di poter vivere nuovamente quella sensazione, non con lei. Eppure, erano di nuovo uniti. In quel momento, Axel era convinto di poter affrontare qualsiasi cosa.
    −Sei proprio un idiota! – esclamò Maria Antonietta non appena si staccò da lui.
    Il ragazzo fece un passo indietro, un’espressione sconvolta che gli adombrava il viso.
    −Lo so di aver disubbidito ai tuoi ordini, ma non potevo lasciarti. Non quando so come stanno le cose – si difese con voce ferma. – Ho scoperto la causa dei viaggi nel tempo.
    A quelle parole, l’arciduchessa sbiancò. Frammenti di domande invisibili si delinearono sulle sue labbra cariche di rossetto.
    Come è stato possibile un simile prodigio?
    Hai scoperto chi è il colpevole?
    Perché dici che sono in pericolo?
    C’è un modo per tornare nel tuo mondo?
    E un altro per restare qui, nonostante tutto?
    −E come è stato possibile? – chiese, visibilmente sconvolta.
    −La contessa Du Barry e il duca d’Orléans tramavano da tempo di sbrazzarsi di te – rispose Axel. – Hanno assoldato un inventore che ha scoperto il modo di viaggiare avanti e indietro nel tempo. Si chiama Gustave Cluzet e ed è stato costretto a ubbidire loro con l’inganno, sotto la minaccia di vedere uccisa la sua intera famiglia.
    −Mio Dio, è terribile! Pover’uomo! – esclamò Maria Antonietta portandosi una mano davanti alla bocca con un gesto di orrore.
    −Non è tutto. Quando ha visto le terribili conseguenze che avrebbe avuto la tua sparizione, l’inventore ha deciso di riportarti indietro per salvare il regno dalla distruzione. Ecco perché siamo finiti di nuovo qui. Io e Louis siamo caduti nel varco spazio-temporale perché ci trovavamo insieme a te. Ma la du Barry è stata inflessibile. Non appena ti ha vista tornare a casa, ha fatto incarcerare Cluzet alla Bastiglia. È lì che l’ho conosciuto.
    −Che donna orribile!
    −C’è di peggio. Una volta eliminato Cluzet, la contessa si è impossessata della macchina del tempo. Ora sa come farla funzionare e ha intenzione di rispedirti nel futuro per fare in modo che il duca d’Orléans diventi re al posto di Luigi Augusto.
    −No, questo non lo posso permettere!
    Maria Antonietta si portò le mani alle tempie, i denti digrignati per la rabbia.
    −Capisci che non posso permettere una cosa simile – gli occhi di Axel si riempirono di lacrime mentre proncunciava queste parole. – Non so di preciso che cosa abbia visto quell’uomo, ma di certo tua madre dichiarerà guerra alla Francia. Questo paese rischia di essere spazzato via dalla carta geografica e l’intera Storia cambierà il suo corso. Il futuro stesso verrà compromesso e molte cose saranno cancellate. Io stesso potrei non essere mai nato.
    A quelle parole, l’arciduchessa lo strinse forte tra le braccia, affondando le unghie nella sua giacca. Il suo volto era una maschera di orrore.
    −Non scambiare il mio comportamento per egoismo, Antoinette – aggiunse Axel, prendendole delicatamente il volto tra le mani. – Se questa notte sono tornato qui, mettendo a repentaglio la mia stessa vita, l’ho fatto perché ti amo e sarei disposto a fare qualsiasi cosa pur di saperti al sicuro. Anche a costo di perderti.
    Maria Antonietta si lasciò sgfuggire un singhiozzo, passandogli dolcemente un dito lungo lo zigomo.
    −Ma sai che non potrà funzionare per sempre – rispose tristemente. – Un giorno, verrò uccisa dal mio stesso popolo.
    −Ma quel giorno è ancora lontano, Antoinette. Prima avrai una lunga vita felice come regina di Francia.
    La ragazza sorrise, scuotendo il capo.
    −E tu? Che fine farà Axel Von Fersen? Le cronache parlano di un uomo che si chiama come te.
    −In effetti, quell’uomo ora si trova privo di sensi in uno scantinato sotto i nostri piedi. Avevo bisogno di indumenti adeguati per poter entrare qui dentro – rispose Axel arrossendo.
    −Che cosa? – Maria Antonietta non riusciva a credere a quanto aveva appena udito.
    −Sono sicuro che in futuro sarà un amante decisamente migliore di me – si schermì il ragazzo, sentendosi improvvisamente un verme.
    In tutta risposta, l’arciduchessa scoppiò in una fragorosa risata.
    −Non posso crederci che hai fatto tutto questo per me – osservò.
    −Per la mia regina, questo e altro – rispose lui, scoccandole un bacio sulla fronte. – Ora però non abbiamo molto tempo. Il duca d’Orléans e la contessa Du Barry si sono mischiati tra gli ospiti e contano di colpire questa sera stessa. Dobbiamo avvisare il delfino immediatamente per mandare all’aria il loro piano.
    Almeno per questa volta, visto che quel maledetto lo condannerà a morte tra diversi anni, pensò istintivamente un attimo dopo.
    −E tu cosa farai? – domandò Maria Antonietta, prendendogli le mani.
    −Per ora, è meglio se ci separiamo qui. Poi, una volta ripreso il controllo della macchina del tempo, decideremo.
    Lo sguardo dell’arciduchessa tornò nuovamente triste alla prospettiva di perdere Axel per sempre.
    −Tornerai a casa, quindi? – domandò.
    −Non lo so – rispose il ragazzo amaramente. – Ma è anche vero che non posso restare qui senza mettere a rischio entrambi.
    Maria Antonietta gemette, aggrappandosi con lo sguardo a quel volto che tanto amava.
    −Ovunque sarai, ricordati che per me resterai sempre l’unico uomo sulla terra che si sia mai mostrato degno di me e a cui rimarrò fedele per tutta la vita – sussurrò, gli occhi che si riempivano di lacrime.
    −E tu sarai per sempre la mia regina – rispose Axel, tuffandosi ancora una volta tra le sue labbra.
    Quel loro ultimo bacio sembrò durare un’eternità, entrambi che assaporavano fino all’ultima goccia ogni singola sensazione trasmessa da quel contatto ienbriante, incapaci di separarsi una volta per tutte.
    −Dobbiamo andare, ora – disse Axel improvvisamente, abbassando lo sguardo. – Ci vuole solo coraggio.
    Maria Antonietta annuì tristemente, le dita strette attorno alla sua mano.
    −Andiamo – sussurrò mentre si avviavano verso la porta.
    Non voleva pronunciare quella parola terribile e definitiva che le bruciava in gola. Aveva sempre avuto un pessimo rapporto con gli addii.
    Dopo aver tratto un profondo respiro, Axel abbassò la maniglia. I cardini cigolarono appena, mentre la luce pallida dell’esterno penetrava nella stanza.
    Entrambi i ragazzi lanciarono un’esclamazione di sorpresa.
    Una dama bionda con un lungo abito rosa li stava fissando a bocca spalancata.
   Era Rosalie Lamorlière.
 
***
   
“Cosa…diavolo…ci…fate…qui?”, balbettò Rosalie incredula.
Axel e Maria Antonietta restarono interdetti, scuotendo il capo impercettibilmente.
Sapevano di non dover abbandonare la stanza per nessun motivo, ma qualcosa nelle loro teste gli suggeriva che ormai era troppo tardi.
E la cosa più inquientante era il fatto che l’amica fosse vestita esattamente come loro.
Che qualcosa fosse andato storto, durante il salto nel tempo?
“Rosalie!”, esclamò Axel a un certo punto. “Come mai sembri appena uscita da un dipinto di Fragonard?”.
“E perché voi due siete nascosti dentro un armadio?”, rispose lei senza tanti complimenti.
A quelle parole, i giovani amanti si guardarono intorno.
Effettivamente, il ricco stanzino pieno di ori in cui si erano nascosti era stato sostituito da una selva di grucce e abiti che puzzavano leggermente di naftalina.
Sentendosi avvampare, il ragazzo spinse l’arciduchessa all’esterno.
Erano finiti in quello che sembrava il camerino di un teatro.
“Dove siamo?”, domandò in tono incerto.
“All’Opéra”, rispose Rosalie in tono acido. “Giusto in tempo per il mio debutto sulla scena”.
“Oh, hai deciso di ricominciare a recitare? Ne sono contenta, carissima!”, si lasciò sfuggire Maria Antonietta con un sorriso.
Axel sospirò: conosceva fin troppo bene la passione dell’arciduchessa per il teatro.
Senza contare che lì per lì la ragazza non sembrava affatto triste di essere tornata nel futuro.
Il giovane stava per intervenire, quando improvvisamente la porta si spalancò, rivelando l’espressione torva del patrigno di Rosalie.
“Ancora qui?”, ruggì. “Si va in scena tra cinque minuti. Tutti sul palco!”.
“Scusate”, borbottò la ragazza,a vviandosi a capo chino verso il corridoio.
“E voi, che cosa state aspettando?”, tuonò l’uomo rivolto agli altri due. “La sala è già piena!”.
“Noi veramente…”.
“Forza, voglio tutte le comparse dietro le quinte!”, ribatté il regista trascinandoli di peso fuori dal camerino.
Sembrava sull’orlo di una crisi di nervi.
“No, loro no!”, esclamò Rosalie inorridendo.
“Poche storie! MARSCH!”.
La ragazza si lasciò sfuggire un gemito mentre il loro patrigno li spintonava malamente sul palco.
“È l’Alcesti di Gluck”, sussurrò non appena ebbe Maria Antonietta a portata d’orecchio.
Lei le rivolse un largo sorriso di intesa.
“La so a memoria”, rispose con la voce che fremeva di eccitazione.
Rosalie le sorrise a sua volta, gli occhi carichi di commozione.
“Almeno a voi piace questa roba, maestà”, sussurrò. “Sono contenta di rivedervi qui”.
Maria Antonietta le prese istintivamente la mano, continuando a camminare al suo fianco.
“Anch’io, Rosalie”, rispose.
Sono davvero a casa!, pensò mentre si avvicinavano sempre di più al palcoscenico.
 
***
 
Il taxi accostò di fronte alle gradinate dell’Opéra, la pioggia che martellava furiosamente contro i vetri.
“Sono quaranta euro, signorina”, disse il conducente.
Dal sedile posteriore, una mano bianca gli porse una banconota da cinquanta.
“La ringrazio, signore. Tenga pure il resto”, rispose una voce fioca.
“Grazie a lei. Le auguro una piacevole serata”.
Dal sedile posteriore proruppe un verso strano, a metà strada tra una risata e un singhiozzo.
“Anche a lei”, rispose Nicole Leguay dopo una lunga pausa di silenzio.




Buonasera, carissimi :)
Come state?
Purtroppo ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine di questa storia, ma non temete: non vi lascerò digiuni troppo a lungo.
Come vi ho già accennato sulla mia pagina Facebook, la nuova fanfiction è praticamente pronta e inizierò a postarla agli inizi di novembre.
Sono curiosa di sapere cosa ne pensate ;)

Nel frattempo, godiamoci questi ultimi capitoli de "L'ultima notte".
Il ritorno di Maria Antonietta nel futuro, infatti, ha aperto molti nuovi interrogativi:
riuscirà mai (o meglio, vorrà) tornare indietro e come?
C'è un modo per smascherare la contessa Du Barry e il duca d'Orléans, ora che gli unici testimoni non si trovano più nel Settecento?
Come se la caverà Maria Antonietta una volta trascinata a forza sul palcoscenico?
E che reazione avrà Nicole una volta di fronte al suo ex?

Con questi interrogativi, vi lascio come sempre il link della mia pagina Facebook per avere sempre a disposizione notizie extra sulle storie e gli aggiornamenti in tempo reale: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
Il capitolo 36 tornerà regolarmente il prossimo giovedì :)

IMPORTANTE: ci tengo a precisare che l'Opéra dove si tiene lo spettacolo non corrisponde a quella in cui si trovavano Axel e Maria Antonietta. La seconda, infatti, verrà costruita solo nella seconda parte dell'Ottocento.

Un bacio e a presto!

F.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***



CAPITOLO 36
                      






 
Dedico questo capitolo a Maria Antonietta d'Asburgo Lorena, per non dimenticare.
16/10/1793-16/10/2014

 



Dietro le quinte, l’atmosfera era decisamente soffocante.
Gli attori stavano pigiati l’uno contro l’altro, scambiandosi occhiate nervose e ripassando le battute un’ultima volta.
“Voi due, da questa parte!”, ordinò il regista rivolto ad Axel e Maria Antonietta.
Rosalie rivolse loro un’occhiata atterrita, ma l’arciduchessa la rassicurò con un sorriso.
Nonostante la situazione fosse a dir poco disperata, non poteva desiderare di meglio: ora si sarebbe persino esibita nell’Alcesti di Gluck, opera che conosceva a menadito.
Quante volte l’aveva ascoltata a Versailles?
In fondo, era una delle sostenitrici più accanite del compositore.
“Come fai a essere così tranquilla?”, domandò Axel notando il suo eccessivo buonumore.
Maria Antonietta gli rivolse un sorriso a settantadue denti.
Per poco, non si mise a saltellare sulle assi del palco per l’euforia.
“Oh, Axel, io adoro il teatro!”, esclamò eccitata.
“Lo so, ma qui siamo all’Opéra. Non è un gioco!”, rispose il ragazzo, visibilmente pallido.
“Non preoccuparti, so quello che sto facendo. Lo sai anche tu che ho studiato canto e ho ottime doti come attrice. Finalmente, posso misurarmi con un pubblico che si rispetti”.
Axel scosse il capo.
“Almeno tu conosci a memoria quest’opera, mentre io sono stonato come una campana!”, commentò.
“Segui gli altri e andrà tutto bene. E poi, non credo affatto che tu abbia una pessima voce”.
“Davvero?”.
“SILENZIO E CONCENTRAZIONE!”, tuonò in quel momento il padre di Rosalie, chiamando a raccolta gli attori sul palcoscenico. “Mi raccomando: questa è la nostra prima esibizione e non ammetto errori, chiaro?”.
Le sue ultime raccomandazioni, sputate con un tono isterico che superava di qualche ottava una normale voce maschile, venne accolta da un nervoso brusio di assenso.
Stretta alle figlie, Yolande si lasciò sfuggire un sospiro carico di adorazione, mentre Rosalie fissava le assi del palco con un’espressione livida dipinta negli occhi.
“Fate il vostro gioco”, concluse l’uomo tendendo il palmo della mano in avanti.
L’intera compagnia di attori lo imitò, pronti a scatenare il loro immancabile rituale prima dello spettacolo.
MERDE!”, gridarono all’unisono, Maria Antonietta compresa; poi ciascuno di loro tornò alle proprie postazioni.
Un attimo dopo, le luci si spensero e sul palco calò un silenzio carico di tensione, rotto solo dal fruscio del sipario che veniva aperto.
Le prime note di un’aria barocca risuonarono dagli altoparlanti mentre il primo gruppo di attori faceva il suo ingresso in scena, capeggiato da un’altezzosa Yolande.
Ha una voce meravigliosa, pensò Maria Antonietta estasiata.
Alle sue spalle, Axel le cinse la vita con le braccia.
La ragazza gli strinse dolcemente le mani per infondergli coraggio.
Non lo aveva mai visto così teso prima d’ora, nemmeno quando era stato arrestato dalle sue stesse guardie.
La cosa le fece sfuggire un sospiro carico di tenerezza.
Pochi istanti dopo, Yolande terminò il suo assolo, seguito da una pioggia di applausi.
Gli attori sul palco iniziarono un rapido scambio di battute, prendendo a recitare alcuni passi di Molière.
“Dovrebbe essere un’antologia di tutte le opere scritte fra il Seicento e il Settecento”, osservò Axel a bassa voce. “Rosalie me ne ha accennato una volta in palestra, quando sua madre aveva appena iniziato a preparare lo spettacolo”.
In quel momento, la scena terminò.
Il pubblico applaudì concitato mentre gli attori gli rivolgevano un profondo inchino dal proscenio e uscivano ordinatamente di scena.
La musica barocca ricominciò, mentre Yolande tornava ancora una volta sul palco.
Maria Antonietta la ascoltò con gli occhi sgranati per la meraviglia, assaporando avidamente i suoi gorgheggi.
“Ti piace, vero?”, domandò Axel con un’occhiata complice.
“Oh, sì!”, esclamò la ragazza estasiata.
“Preferisci Händel o i Rammstein?”, incalzò lui in tono di sfida.
L’arciduchessa scoppiò a ridere.
“La sentenza è assai ardua”, rispose divertita.
Una volta terminata la seconda esibizione di Yolande, la musica cambiò.
Charlotte, avvolta in uno sfavillante vestito da ballerina, fece ingresso sul palco, iniziando a danzare.
In molti dietro le quinte restarono affascinati dalle sue movenze, così disinvolte ed eleganti nonostante la giovane età.
Yolande osserveva la figlia con gli occhi sbarrati, masticando nervosamente il labbro lucido di rossetto.
Era evidente che temeva il minimo errore da parte della ragazzina.
La sua tensione si avvertiva da metri di distanza.
Dopo minuti che parvero ore, finalmente l’esibizione di Charlotte finì, accolta da una lunga ovazione.
La giovanissima ballerina rivolse un sorriso soddisfatto al suo pubblico, concedendogli un profondo inchino e uscendo di scena a testa alta.
“Bravissima!”, si complimentò Maria Antonietta, ma lei la superò senza nemmeno rivolgerle uno sguardo, tuffandosi d’istinto tra le braccia della madre.
“Brava, brava la mia piccola Charlotte!”, esclamò lei scoppiando in singhiozzi di commozione.
Nel mentre, era avvenuto un altro cambio scena.
Rosalie aveva preso a torcersi nervosamente le mani: stava per arrivare il suo turno.
“Preparatevi”, disse rivolta ad Axel e Maria Antonietta, mentre il resto del coro si assiepava attorno a loro.
Non appena le luci si abbassarono, la ragazza trasse un profondo respiro, salendo sul palco.
Gli altri la seguirono, accompagnati dalle prime note del pezzo.
Stretta tra Axel e una ragazza che non conosceva, Maria Antonietta avvertiva i battiti frenetici del suo cuore risuonare nell’immensa sala.
Gli occhi di tutti erano puntati su di lei, senza sapere chi avevano realmente di fronte.
La cosa la fece fremere per l’adrenalina.
Rosalie fece un passo avanti, le mani giunte in grembo, prendendo a cantare.
Aveva una voce calda e melodiosa, dolce e potente.
Maria Antonietta avvertì i peli delle braccia drizzarsi non appena la ascoltò per la prima volta.
Nonostante Rosalie non facesse altro che ribadire il contrario, aveva davvero un talento innato.
Riusciva a mettere tutta se stessa in ciò che interpretava.
La sua anima era nascosta all’interno della sua stessa voce e ora la stava svelando di fronte a decine di sconosciuti, facendo cadere definitivamente la sua maschera da ragazza rude e spesso un po’ sgraziata.
In fondo, Rosalie era una persona molto timida e dolce.
Come Oscar.
Entrambe avevano fatto della loro mascolinità un modo per difendere questo loro aspetto nascosto.
Fu allora che Maria Antonietta capì tutta l’avversione che nutriva la ragazza per il teatro.
Essere sul palco significava per lei mettersi a nudo di fronte agli altri, mostrandosi per quella che era.
Con il rischio di venire giudicata.
Anche lei si era trovata a provare la sua stessa paura, nei suoi primi tempi a Versailles.
Per questo, ora più che mai, si sentiva vicina a quella strana ragazza che aveva avuto la fortuna di incontrare.
In quel preciso istante, il coro iniziò a cantare.
La voce da soprano di Maria Antonietta si unì alle altre, avvolgendo Rosalie come una muraglia.
Ora erano tutti con lei, le sue guardie, la sua spalla.
Le loro voci si fusero con la sua.
Non era più sola.
Aveva tutti loro.
Il pezzo finì accompagnato dall’orchestra.
Il pubblico esplose in un lungo applauso prima ancora che l’ultima nota venisse suonata.
Non appena gli attori iniziarono a scemare verso le quinte, Rosalie si voltò verso Maria Antonietta.
Nonostante i quintali di trucco, si vedeva benissimo che era rossa come un peperone.
La fronte era lucida di sudore.
“Brava, Rosalie”, disse l’arciduchessa, stringendola d’istinto in un forte abbraccio.
La ragazza si abbandonò contro la sua spalla esile, il fiato mozzo.
“Non farò mai più una cosa del genere!”, esclamò.
Poi scoppiò in singhiozzi, dando finalmente libero sfogo a tutta la tensione accumulata in quegli ultimi minuti.
 
***
 
Nicole non riuscì a prestare la minima attenzione ai pezzi che seguirono l’esibizione di Rosalie Lamorlière.
I suoi occhi azzurri erano fissi nel punto dove un attimo prima c’era stato Axel.
La ragazza non aveva alcun dubbio: era davvero lui.
Vivo, vegeto e maledettamente felice.
Ma la cosa che l’aveva fatta fremere ancor più di rabbia non era stato il fatto che lui fosse lì, senza dirle niente.
No, il problema era un altro, con un nome e una faccia ben precisi.
Era di nuovo in compagnia di quella ragazza bionda, quell’impostora che aveva avuto la disgrazia di nascere con le sue stesse sembianze.
Era impressionante di quanto si somigliassero.
Che fosse un semplice scherzo della natura o qualcosa di più inquietante?
Ma a Nicole non importava più di tanto ricevere una risposta.
La verità era che Axel, per qualche assurdo motivo, preferiva la sua fotocopia vivente a lei.
L’aveva rimpiazzata, senza nemmeno pensarci due volte.
Aveva visto il modo in cui si guardavano, mentre si trovavano insieme sul palco.
Mentre lei era confinata nel buio della platea, costretta ad assistere impotente al loro trionfo.
Non poteva permetterselo.
Mentre le prime lacrime di rabbia prendevano a scorrerle sul viso scavato dall’inedia degli ultimi giorni, Nicole si alzò silenziosamente e uscì dalla sala.
 
***
 
“Splendida esiibizione! Magnifica!”, si stava complimentando un signore con Rosalie, Axel e Maria Antonietta, che si erano mescolati alla folla per prendere parte al ricevimento.
In quel preciso istante, gli occhi azzurri dell’arciduchessa incontrarono uno sguardo a un tempo serio e sornione che in tutti quei giorni non aveva fatto che anelare.
Di fronte a lei, vestita incredibilmente in abito da sera, Oscar face cadere rovinosamente a terra il calice di champagne che reggeva tra le mani.
“ANTOINE!”.
“OSCAR!”.
In un attimo, le due ragazze furono una tra le braccia dell’altra, scoppiando in singhiozzi di felicità.
Lo stesso avvenne nel momento in cui la seconda riconobbe Axel, miracolosamente vivo, saltandogli al collo e stampandogli un sonoro bacio sulla guancia.
In quel preciso istante, vennero raggiunti da Victor, André e Christine, che si unirono alla festa.
“Come avete fatto a tornare?”, domandò Oscar al culmine della felicità.
Quella domanda bastò a far sparire il sorriso dai volti dei loro amici.
“Dobbiamo parlare in privato”, intervenne Axel con decisione.
“Andiamo nei camerini”, sentenziò Rosalie, facendo loro strada.
Una volta al sicuro da orecchie indiscrete, i due ragazzi raccontarono loro quanto era avvenuto nelle ultime ore.
“Che cosa? Ma è terribile! Voglio dire, ora più che mai la Francia è in pericolo!”, esclamò Oscar sconvolta.
Maria Antonietta aveva improvvisamente assunto un’aria contrita.
Sapeva cosa doveva fare, ma ora che aveva ritrovato i suoi amici non aveva alcuna intenzione di perderli di nuovo.
“Bisogna trovare il modo di tornare indietro e smascherare quei due”, sentenziò André in quel momento.
“E come, se non abbiamo la macchina del tempo?”, rispose Maria Antonietta con un sospiro.
“Ma ci deve essere un modo per comunicare con il passato!”.
“André, non essere ridicolo, noi…”.
In quel preciso istante, l’arciduchessa sbiancò.
“Non è possibile!”, esclamò, frugandosi nelle pieghe del vestito.
“Che succede?”, domandò Axel.
“Il cellulare di Louis!”, rispose lei, sempre più pallida. “Lo tenevo sempre con me…deve essermi caduto mentre ballavo!”.
“Vuoi dire che è rimasto nel Settecento?”, esclamò Christine con gli occhi sgranati.
“Sì”.
I presenti si scambiarono un’occhiata carica di speranza.
“Era acceso?”, domandò Oscar dopo qualche istante.
Maria Antonietta sospirò.
No, non era proprio il caso di mentire, non in quella situazione.
“Stasera sì. L’ho riacceso dopo giorni, per evitare che si scaricasse. Speravo che qualcuno di voi si facesse vivo, per quanto la cosa fosse assurda”.
“Allora dobbiamo tentare. Già una volta Louis ha risposto, nel momento in cui si è trovato vicino al varco spazio-temporale. Può accadere di nuovo”, decretò Christine.
“E se nel mentre il cellulare si fosse scaricato? O se qualcuno lo avesse distrutto nel calpestarlo?”, azzardò Maria Antonietta in tono incerto.
“Non ha importanza, Antoine! Se vogliamo salvare la Francia, e con lei tutti noi, dobbiamo giocare ogni singola carta in nostro possesso”, esclamò Oscar in un tono che non ammetteva repliche. “Forza, Christine, chiama tuo fratello!”.
La ragazza stava per mettere mano alla borsetta, quando improvvisamente la porta del camerino si aprì con violenza.
Davanti a loro, sconvolta e furibonda, stava Nicole.
Sul volto impiastricciato di mascara si leggevano delle intenzioni ben poco pacifiche.





Ebbene sì, siamo arrivati al terzultimo capitolo :(
Nello scrivere queste parole mi sono parecchio rattristata: questa storia va avanti da febbraio e ormai mi sono affezionata a trame e personaggi, ergo conto di tornare con un sequel * la cui stesura però è ancora lontana *
Nel mentre, iniziamo a pregustare le atmosfere caraibiche di "The Phoenix", che ci accompagnerà per altrettanti mesi tra inseguimenti, battaglie, misteri e nuovi amori.
Sì, avete già intuito che, nonostante si tratti di una storia che verrà pubblicata in questo stesso fandom, sarà molto diversa dal genere commedia storica, avvicinandosi invece al thriller e alla storia d'amore, con qualche sfumatura di horror.
Spero che la cosa vi intrighi ugualmente, specie se c'è qualche romanticone in ascolto.
Non sarà però una cosa sdolcinata, promesso, ma non escludo che verserete qualche lacrimuccia durante la lettura...
Va bene, basta spoiler!
Per tutte le altre informazioni, vi rimando come sempre alla mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
 
Grazie come sempre a tutti voi per il sostegno e l'entusiasmo con cui avete seguito questa storia :)
Un abbraccio!
A giovedì prossimo! * martedì per quelli che seguono "L'ultimo Erede" *

F.

 
 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***




CAPITOLO 37
                      






 
Non appena riconobbe Nicole, Maria Antonietta provò l’impulso istintivo di piazzarsi di fronte ad Axel, fronteggiando direttamente la sua rivale.
Le due ragazze si squadrarono con odio, i loro occhi azzurri che mandavano lampi.
“Tu!”, sibilò Nicole con la voce spezzata. “Che cosa ci fai insieme a lui, quando sono settimane che vi cerchiamo?”.
“Abbiamo avuto dei problemi”, ribatté Maria Antonietta con decisione.
L’altra scoppiò in una risata amara.
“E io dovrei crederti?”, soggiunse. “Axel non è mai stato bravo a mentire, con me”.
“Lascia stare Axel. Prenditela con me, se devi, ma non con lui”.
“Antoine, ti prego…”, intervenne il ragazzo, ma l’arciduchessa lo zittì con un cenno sbrigativo della mano.
“Dunque è vero? Voi due avete una tresca?”, gemette Nicole con un’espressione di puro orrore dipinta sul bel viso.
“Sì, e, nonostante sia consapevole del mio peccato, non posso più tornare indietro. Nemmeno tu, a quando vedo”, rispose Maria Antonietta in tono impassibile.
Quelle parole sembrarono ferire la sua rivale più di qualasiasi altra cosa.
Calde lacrime di rabbia e umiliazione presero a scorrerle lungo gli zigomi.
“Maledetta…TROIA!”, ruggì, avventandosi contro l’arciduchessa.
Maria Antonietta non riuscì a parare il suo assalto, gemendo di dolore nel momento in cui le unghie della ragazza affondarono nelle morbide carni imbellettate delle sue guance.
“Nicole, basta! BASTA!”, gridò Axel, tentando di scardinarla dall’arciduchessa.
La ragazza si divincolò come un’anguilla, tentando di scagliarsi contro di lui.
“Axel, sei uno stronzo! Un pezzo di merda! Tra noi è finita!”, continuava a gridare mentre cercava di colpirlo in tutti i punti che le sue dita smaltate riuscivano a raggiungerlo.
Il ragazzo tentò invano di difendersi, tanto era concitata la sua furia.
Alla fine, Oscar e André si videro costretti a intervenire, afferrandola per le spalle e costringendola a sedersi su uno sgabello.
“Lasciatemi, lasciatemi!”, urlò Nicole con gli occhi fuori dalle orbite.
In tutta risposta, Oscar le allungò uno schiaffo.
Tutti i presenti trattennero il fiato per la sopresa, prima fra tutti Nicole.
“Oscar!”, esclamò André incredulo.
“Perdonatemi, ma erano anni che volevo farlo”, rispose l’altra con fermezza.
Nicole era improvvisamente ammutolita, la mano premuta contro la guancia bruciante, fissando la ragazza con gli occhi sgranati dal terrore.
“Tu sei pazza”, sussurrò a mezza voce.
“No, semplicemente una persona che dice quello che pensa”, replicò Oscar con una scrollata di spalle.
Il fantasma di un sorriso soddisfatto si delineò per pochi istanti sulle sue labbra sottili.
Nuove lacrime presero a scorrere lungo le guance di Nicole mentre i suoi occhi vagavano sui volti di tutti.
“Dunque è così”, disse dopo un tempo interminabile. “Siete tutti dalla sua parte”.
Il suo sguardo incontrò ancora una volta quello di Maria Antonietta, che lo sostenne senza battere ciglio.
“Che razza di scherzo della natura sei tu?”, domandò. “Perché mai Axel avrebbe dovuto preferire una ragazza che mi somiglia come una goccia d’acqua?”.
“Sta proprio qui il problema, Nicole”, intervenne il ragazzo con fermezza. “Non è lei a essere la tua copia, ma tu”.
“Che cosa stai dicendo?”.
Axel abbassò lo sguardo con aria profondamente imbarazzata.
“Ti ricordi quello che ti ho detto il giorno in cui ci siamo messi insieme?”, chiese.
Nicole si morse il labbro, il volto ormai inondato di lacrime mentre fissava il ragazzo con la consapevolezza di averlo perso per sempre.
“Mi hai detto che ti ricordavo la regina Maria Antonietta”, rispose dopo quella che parve un’eternità.
“Ed è questo a fare di me il peggiore dei vigliacchi”, rispose Axel ponendo una mano sulla spalla dell’arciduchessa. “Vedi, Nicole, la verità è che io non sono mai stato veramente innamorato di te. Me ne sono accorto solo poco tempo fa, quando ho conosciuto la vera Maria Antonietta. Allora ho capito che in realtà ti stavo solo prendendo in giro. E che era meglio finirla lì”.
“Che razza di storia è mai questa? Ti sei per caso bevuto il cervello?”, esclamò Nicole scattando in piedi.
“So che ti sarà difficile crederlo, ma lei è veramente Maria Antonietta”, si difese Axel, pur sapendo di sembrare tutt’altro che convincente.
“Tutte quelle scemenze che leggi sui libri ti hanno fatto impazzire! Oh, se solo avessi saputo avrei fatto di tutto per scoraggiarti e invece no! Ti ho accompagnato ovunque: a Versailles, al Museo della Rivoluzione, perfino a Vienna, dove quella sporca austriaca è nata…”.
Tutti trattennero il fiato, spostando gli sguardi ora su Maria Antonietta ora su Nicole.
L’arciduchessa era improvvisamente sbiancata, un’espressione gelida dipinta nei suoi occhi azzurri.
“Questo è veramente troppo”, disse ergendosi in tutta la sua statura.
Nicole non riuscì a trattenere un brivido.
C’era qualcosa nella sua postura altezzosa e nel suo portamento che la paralizzavano lì dov’era, come ipnotizzata.
“Voi francesi non cambierete mai”, disse Maria Antonietta mentre muoveva un passo verso di lei. “Non posso costringerti a inchinarti alla tua regina perché non è più in mio potere, ma mai e poi mai potrei tollerare di essere chiamata sporca austriaca da una donna qualunque”.
“Ma che razza di teatrino avete architettato, pur di liberarvi di me? Axel, non potevi scaricarmi e basta, invece di inventarti questa assurdità dei sosia?”, esclamò Nicole, arretrando atterrita verso la parete.
“Non c’è nessun inganno”, rispose l’arciduchessa. “Se non rinconosci la tua regina, allora riconoscerai il suo sigillo”.
Detto questo, Maria Antonietta allungò il palmo destro verso di lei.
Lo stemma di Francia brillò incastonato nell’anello che portava all’anulare.
Nicole la fissò come se si trovasse di fronte a un fantasma, voltando la testa verso gli altri.
“Siete pazzi”, sussurrò. “Siete tutti pazzi! Io…”, i suoi occhi incontrarono ancora una volta quelli di Axel, riempendosi di lacrime.
La ragazza si coprì d’istinto il volto con la mano, lanciandosi fuori dalla stanza e chiudendosi con violenza la porta alle spalle.
Non appena fu uscita, un’improvvisa sensazione di calore e sollievo sembrò investire i presenti.
Solo Maria Antonietta continuava a fissare la porta chiusa con aria torva.
Al suo fianco, Axel teneva lo sguardo basso sul pavimento, un’espressione costernata dipinta in volto.
“Sono veramente un vigliacco”, disse rivolto a Oscar non appena la ragazza gli si avvicinò.
“No,” rispose lei con un sorriso. “Sapevi che in fondo sarebbe successo”.
“Ma non avrei mai voluto che soffrisse a causa mia”.
“Sicuramente avrebbe sofferto di più se tutta questa agonia fosse continuata ancora a lungo. No, Axel, hai fatto la cosa giusta”.
Il ragazzo le accennò un debole sorriso, gli occhi umidi di lacrime.
“Sono davvero un fallimento con voi donne, non è vero?”, chiese.
Oscar scoppiò a ridere, accennando a Maria Antonietta.
“Con le comuni mortali, sì!”, rispose strizzandogli un occhio.
 
***
 
Luigi Augusto iniziava davvero a preoccuparsi. Era appena tornato nei pressi della colonna dove aveva lasciato Maria Antonietta, ma della consorte non vi era più alcuna traccia.
    −Per forza se n’è andata: appena siete entrato qui dentro, vi siete subito gettato sul cibo senza prestarle la minima attenzione – lo rimproverò severamente Madame Elisabeth, il cui volto era segnato dalla preoccupazione mentre passava in rassegna la selva di maschere e travestimenti che volteggiava attorno a loro a tempo di musica.
    −Non può essere molto lontana, vero? Voi l’avete vista per caso andar via? – continuava a ripetere il giovane principe mentre si faceva largo tra la folla.
    −L’ho tenuta d’occhio finché ho potuto, ma con tutta questa gente è difficile riuscirci. L’ho persa ormai da una decina di minuti.
    Luigi Augusto gemette, sollevandosi goffamente sulle punte per vedere meglio. Una coppia di danzatori lo travolse letteralmente senza che egli potesse ribattere in nessun modo.
    −Sorella mia, non pensate che le sia successo qualcosa? – domandò a un certo punto, dando adito alla sua peggiore paura.
    Madame Elisabeth strinse le labbra fino a far sbiancare la pelle sotto il rossetto.
    −In un posto simile, non dobbiamo sorprenderci di nulla – rispose in tono piatto.
    Luigi Augusto levò gli occhi al cielo.
    −Questo ballo è stato un’autentica follia! – esclamò. – Come ho potuto darvi il permesso di fare una cosa simile?
    −Calmatevi, fratello – lo interruppe la donna severamente. – Possibile che continuiate a non capire? Di certo, nulla di tutto questo sarebbe successo se solo voi due foste rimasti insieme. Se solo vi foste comportato da bravo marito, non l’avreste lasciata sola nemmeno per un secondo. Siete solo un egoista, sappiatelo. E non posso rimproverare in nessun modo la vostra consorte per avervi abbandonato, ammesso che lo abbia fatto di sua spontanea volontà.
    A quelle parole, il principe prese a sudare freddo. Si addossò alla prima colonna che gli capitò a tiro come una marionetta abbandonata, allentandosi febbrilmente la cravatta attorno alla gola.
    −Avete ragione, sono un pessimo marito – disse costernato. – La verità è che io amo mia moglie, ma il mio carattere difficile mi impedisce di dimostrarglielo come vorrei. Oh, se solo potessi avere una sola possibilità per aggiustare tutto!
    −Gli esseri umani non sono come le vostre adorate serrature. Una volta rotti, è difficile ripararli – lo rimbeccò Madame Elisabeth.
    Al suo fianco, Luigi Augusto soffocò a malapena un singhiozzo.
    −A questo punto, non ci resta che pregare nostro Signore misericordioso. La vita di vostra moglie è ora nelle sue mani – decretò la donna accennando un rapido segno di croce.
    Il giovane principe annuì nervosamente. Ora più che mai avrebbe voluto tornare indietro e ricominciare daccapo. Se solo non fosse stato così goffo e ottuso, se solo sua moglie avesse potuto immaginare anche lontanamente che cosa provava in realtà per lei…
    Signore, abbi pietà di me!
    In quel preciso istante, Luigi Augusto strizzò gli occhi in direzione di qualcosa che brillava sul pavimento di marmo, apparendo e scomparendo tra il fruscio degli abiti delle dame. Qualcosa che non aveva mai visto in vita sua. Incuriosito, il giovane principe si avvicinò alla pista, rischiando di venire travolto ancora una volta. Dopo istanti che parvero un’eternità, il giovane principe fece ritorno con il suo tesoro, mostrandolo a Madame Elisabeth.
    −Che cos’è? – domandò la donna in tono sospettoso.
    −Non lo so. Non ho mai visto una cosa del genere prima d’ora – rispose Luigi Augusto rigirandosi il piccolo oggetto tra le mani.
    Sembrava uno specchio terribilmente opaco, il cui retro era ricoperto da uno strano materiale flessibile. Il giovane principe notò il suo volto mascherato riflesso sulla sua superificie e provò a lucidarla con un fazzoletto. Non appena la stoffa toccò il vetro, l’oggetto si illuminò di una luce accecante.
    Il ritratto fedelissimo di un ragazzo dai lunghi capelli biondi e il volto cerchiato da un paio di lenti rettangolari gli sorrideva tra le sue mani.
    Luigi Augusto trasalì, riconoscendolo.
    −Ma questo giovane si trovava al mio servizio! – esclamò. – Come ha fatto ad entrare in possesso di un simile congegno?
    In quel preciso istante, il principe notò alcune parole che galleggiavano al disotto del ritratto. Dovette strizzare più volte gli occhi per capire cosa ci fosse scritto.
    Trascinare il dito per sbloccare.
    Affascinato da quello straordinario manufatto, il ragazzo obbedì. Subito il ritratto venne pervaso da quella che sembrava acqua cristallina, lasciando posto a un’immagine colorata piena di simboli che il principe non aveva mai visto in vita sua. Improvvisamente, una busta gialla si materilizzò al centro dello schermo.
    1 messaggio, recitavano le parole liquide sotto di esso.
    Luigi Augusto si morse il labbro. Come faceva a leggerlo se sembrava nascosto all’interno di quel marchingegno? Dopo averlo rigirato più volte tra le dita, il giovane principe provò a passare il dito sopra l’immagine della busta, che si aprì come per magia, rivelandone il contenuto.
    −Che cosa c’è scritto? – domandò Madame Elisabeth, sporgendosi per leggere anche lei.
    Luigi Augusto scorse più veloce che poteva i caratteri minuscoli che ora solcavano lo schermo.
    Antoine, sono Louis! Ascoltate, ho scoperto come siete finita nel 2013: il duca di Orléans e la contessa Du Barry hanno una macchina del tempo e progettano di rimandarvi nel futuro per impossessarsi del regno. Li ho sentiti mentre ne parlavano, ma sono stato catturato e rispedito a casa…ora sto bene, ma voi siete in grave pericolo. Per favore, se ricevete questo messaggio, avvisate vostro marito. Non preoccupatevi per me! Sono felice di avervi conosciuta, madame.
    −Che cosa significa? – esclamò Madame Elisabeth esterrefatta.
    −Che è giunto il momento di fare quattro chiacchiere con mio cugino – rispose Luigi Augusto freddamente, gli occhi chiari pervasi da una luce nuova, combattiva e furibonda.
 
***
   
Il duca d’Orléans vuotò l’ennesimo bicchiere di vino, leccandosi le labbra con aria soddisfatta. Di fronte a lui, la contessa Du Barry rideva sguaiatamente, le membra abbandonate mollemente su un sofà.
    −È fatta, signor conte! – esclamò, le guance colorate di un acceso color porpora. – Presto sarete voi il nuovo re di Francia!
    −Ne siete convinta, Madame? – rispose una voce familiare alle sue spalle.
    Entrambi trasalirono nel momento in cui Luigi Augusto fece ingresso nella stanza. Due robusti lacché afferrarono il duca e la contessa, prendendo a perquisirli senza troppi complimenti. Nel sentirsi le mani addosso, la donna prese a urlare come un’ossessa.
    −Mi domando la ragione di tutto questo, caro cugino – disse il duca freddamente.
    −Niente di speciale. Cercavo solo un curioso manufatto in vostro possesso. Una specie di orologio che può portare avanti e indietro nel tempo – rispose Luigi Augusto con calma.
    Il duca ringhiò, soffocando a malapena un’imprecazione.
    −E per quale motivo vi servirebbe un simile oggetto? – domandò.
    −Ho ricevuto una soffiata secondo cui voi e la contessa Du Barry vi state divertendo a spedire mia moglie nel futuro. Ora, se volete che vi risparmi la vita, restituitemi subito la mia signora.
    −Eccolo, Monseigneur! – esclamò in quel momento uno dei lacché, estraendo quello che sembrava un semplice orologio di ottone dalla tasca del duca.
    Luigi Augusto lo prese tra le mani tozze, prendendo a esaminarlo con cura.
    −Ha degli strani numeri, questo orologio. Vi dispiacerebbe dirmi come funziona? – domandò.
    −Voi…
    −Avete la mia parola che non vi sarà fatto alcun male, se mia moglie tornerà a casa sana e salva. In caso contrario, mi sarebbe impossibile non far fronte alle conseguenze.
    Il duca sospirò, più livido che mai.
    −Dovete spostare le lancette in base alla data che volete raggiungere – disse. – E poi, ricaricarlo come fosse un carillon.
    −Molto interessante – rispose il giovane principe, il cui sguardo tradiva in effetti meraviglia e stupore di fronte a un simile oggetto. – Dunque, dicevamo? Ah, sì: andiamo nel 2013!
    Dopo una serie di scatti metallici, un immenso vortice si aprì nella parete dietro di loro. Luigi Augusto urlò mentre una forza irresistibile lo strappava dal pavimento e lo gettava in quella spirale senza fine, fino a quando non atterrò in un salone sfarzoso rilucente di marmi e candelabri, in cui strani individui vestiti elegantemente conversavano e passeggivano per le scale e le gallerie del piano superiore.
Il giovane strizzò gli occhi, fino a quando il suo cuore sussultò per la sorpresa e il sollievo.
Sua moglie era a pochi passi da lui, pallida e sconvolta.
Il suo volto era rigato dalle lacrime.
Le si leggeva negli occhi quanto fosse terrorizzata.
“Madame!”, esclamò il giovane con un sorriso. “Va tutto bene, siete al sicuro con me”.
In tutta risposta, la ragazza si ritrasse contro la parete.
“Chi diavolo sei? Che cosa vuoi da me?”, esclamò in preda al panico.
“Come, non mi riconoscete? Sono io, vostro marito! Sono venuto per riportarvi a casa”.





No, no, no, no e poi no, non voglio dirvelo e non ve lo dirò...ebbene sì, siamo arrivati al penultimo capitolo di questa storia :(
Ciò non significa, però, che non vi terrò con il fiato sospeso fino alla fine!
In fondo, i salti nel tempo e la confusione non sono ancora finiti: Luigi XVI ha confuso Nicole per la sua consorte e ora è deciso a portarla nel Settecento con lui.
Che dite, riuscirà la vera Maria Antonietta a fermarlo al momento giusto?
Oppure potrebbe esserci una nuova variante a sorpresa, in cui Nicole potrebbe trovarsi meglio nel passato che nel presente?
Ebbene sì, siamo arrivati al fatidico punto in cui mi sono trovata di fronte ad almeno tre finali diversi.
Sappiate che, nonostante abbia in mente un sequel, preferisco renderlo indipendente da questa storia, in modo tale da non lasciarvi l'angoscia troppo a lungo.
In ogni caso, tenetevi pronti al gran finale!
Per l'occasione sto anche preparando una piccola sopresa...ma non voglio anticiparvi nulla!
Per quanto riguarda "The Phoenix", sto iniziando a riguardarlo proprio in questi giorni.
La sua uscita dovrebbe essere al massimo per la seconda settimana di novembre e il giorno di pubblicazione sarà sempre il giovedì.
Nell'attesa, potete sempre dare un'occhiata alle mie altre storie, soprattutto se siete appassionati di "Harry Potter".
In tal caso, ho in corso un crossover color verde e argento che potreste trovare molto interessante.
Potete leggerlo qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2879419
Per tutte le altre notizie e aggiornamenti, vi consiglio di tenere sott'occhio la mia pagina Facebook seguendo questo link: https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra?fref=photo
Un bacio e a presto! :)

F.



 
   
 
 
 
 
 
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***




CAPITOLO 38
                       






 
Nicole fissò il ragazzo basso e incipriato che aveva di fronte con gli occhi colmi di orrore.
Possibile che le sue disgrazie fossero destinate a non avere mai fine?
“Per favore, non sono dell’umore giusto per scherzare”, balbettò. 
“Non è uno scherzo, Madame. Solo una brutta avventura, che fortunatamente è giunta a termine”, spiegò Luigi Augusto abbozzando un sorriso impacciato. “Vedrete, presto torneremo a casa”.
“A casa?!”, la ragazza sbiancò ancora di più.
Solo in quel momento si era resa conto che il suo interlocutore non vestiva gli abiti di un ragazzo moderno.
E che la sua somiglianza con i ritratti del futuro Luigi XVI era a dir poco spaventosa.
Solo allora Nicole comprese che i suoi guai erano appena cominciati.
In quel preciso istante, il delfino estrasse un orologio in ottone dal panciotto.
Sulle sue labbra si stava allargando un sorriso che alla ragazza non piaceva per niente.
“Fidatevi di me”, disse mentre le sue dita grassocce prendevano a spostare le lancette all’indietro.
Per Nicole non fu difficile indovinare che cosa stava per fare.
“No! No! Per favore, sono quella sbagliat…”.
Troppo tardi.
Un enorme vortice si aprì alle spalle del delfino, inghiottendoli entrambi.
Nicole urlò mentre avvertiva i suoi piedi staccarsi da terra, scagliandola dritta nel passato.
Un attimo prima di sparire, le parve di vedere l’espressione sbigottita dipinta negli occhi di una ragazza mora dagli occhi verdi, che la fissava come se avesse appena visto un fantasma.
***

Jeanne rimase interdetta per diversi secondi prima di osare sbattere nuovamente le palpebre e capacitarsi che in realtà non aveva bevuto abbastanza per cadere in preda alle allucinazioni.
“Ecco dov’eri finita!”, disse in quel momento la voce di Nicolas alle sue spalle.
La ragazza posò prudentemente il calice vuoto sul primo vassoio che le capitò a tiro, rivolgendo un sorriso tirato al suo ragazzo.
“Stai bene?”, domandò lui, cingendola tra le braccia. “Sei molto pallida”.
“Ѐ solo l’influenza, non preoccuparti”, rispose Jeanne in tono disinvolto. “Scusami, ora. Credo di dover andare un attimo in bagno”.
Detto questo, la ragazza si scostò da lui con un gesto deciso, abbandonando a grandi passi la sala.
No, non si era sbagliata: aveva visto davvero due persone svanire nel nulla.
Il come e il perché sfuggivano però alla sua comprensione.
La cosa l’aveva decisamente scossa.
Credo di avere la febbre, pensò mentre entrava nella toilette affollata e si metteva in fila.
Il grande specchio fissato alla parete le restituì il suo riflesso pallido e sciupato, con il volto segnato dalle occhiaie.
Sì, ho decisamente la febbre, constatò Jeanne nervosamente, prendendo a sistemarsi una ciocca di capelli fuori posto.
In quel momento, un rumore di passi attirò la sua attenzione, strappandole una smorfia di disappunto.
La sua sorellastra era appena uscita dalla toilette, rassettandosi il maglione lungo i fianchi.
“Ciao, Jeanne”, la salutò Rosalie non appena intercettò il suo sguardo. “Tutto bene?”.
“Potevo stare meglio”, rispose lei con voce roca, lasciandosi sfuggire un colpo di tosse.
“Mi dispiace che non ti sia potuta esibire, questa sera. Sono convinta che te la saresti cavata molto meglio di me”, proseguì la ragazza, implacabile.
“Oh, non dire così! Sei stata bravissima”.
In quel momento, Jeanne avrebbe tanto voluto torcerle quel collo da uccellino per averle rubato la scena all’ultimo momento dopo settimane di prove.
“Sicura di stare bene?”, domandò Rosalie, scrutando il suo sguardo spento. “Hai gli occhi molto lucidi”.
Vuoi deciderti a farti gli affari tuoi?, pensò la ragazza con rabbia.
“Niente, è solo la tua immaginazione”, si affrettò a tagliare corto.
“Scusami, non volevo essere troppo invadente”, si affrettò a replicare Rosalie. “In ogni caso, io sono qui”.
In quel preciso istante, una ragazza bionda fece ingresso nel bagno.
Alla sua vista, Jeanne sbiancò: ma non era la stessa persona che aveva visto svanire fino a un attimo prima?
“Eccoti, Antoine!”, esclamò Rosalie venendole incontro. “Dove hai lasciato Axel?”.
“Avevo voglia di stare un po’ da sola”, rispose lei seria in volto. “Per caso hai il numero di Louis? Christine sta parlando da mezz’ora con Victor e non mi va di disturbarli…”.
In quel momento, gli occhi della ragazza si posarono su Jeanne, che la stava fissando come se avesse di fronte un fantasma.
“Ci conosciamo?”, domandò l’arciduchessa, immaginando che la giovane l’avesse sicuramente riconosciuta.
“Non credo”, replicò l’altra in tono sbrigativo.
“Jeanne, tu mi nascondi qualcosa”, intervenne Rosalie con decisione. “Sicura che non sia successo niente? Chessò, magari hai visto qualcosa di strano…”.
A quelle parole, la ragazza strinse d’istinto le labbra.
La cosa suonò per la sorellastra come un improvviso campanello d’allarme.
“Jeanne,”, proseguì, fissandola dritta negli occhi “non mentire con noi. Se è accaduto qualcosa di strano, è tuo dovere dircelo. Come pensi che la prenderà papà se per qualche motivo gli invitati al ricevimento hanno fatto qualcosa di sbagliato proprio sotto il suo naso? Lo sai che poi potrebbe trovarsi in guai seri con il direttore”.
Jeanne scrollò le spalle, rivolgendole un’occhiata omicida.
“Forse è una cosa di nessuna importanza”, ammise dopo quella che parve un’eternità. “Poco fa ho avuto come l’impressione di vedere due persone sparire nel nulla. Ma probabilmente ho un po’ di febbre”.
A quelle parole, sia Rosalie che Maria Antonietta sgranarono gli occhi per la sorpresa.
“In che senso sparite?”, esclamò la sorellastra.
“Ecco, ora credi che sia ammattita…”.
“No, invece è importante! Ricordi che aspetto avevano?”.
“Sì..cioè, insomma…”, Jeanne indicò timidamente Maria Antonietta con la mano. “Per la verità credevo che fosse lei, in compagnia di un ragazzo basso e un po’ cicciottello…”.
Non aveva neppure finito la frase, che l’arciduchessa si era rivolta di scatto verso Rosalie, le guance più pallide che mai.
“Chiama Louis, presto!”.
***

Atterrarono in uno stanzino riccamente decorato, le cui tappezzerie erano illuminate dalla luce aranciata delle candele. Nicole si guardò intorno spaventata, incontrando gli sguardi severi di due lacché, che si prostrarono immediatamente al suo cospetto. A pochi passi da lei, un giovane uomo e una donna dall’aria sprezzante le rivolsero una lunga occhiata con i loro sguardi indecifrabili.
    Solo allora la ragazza si rese conto che ormai era inutile e pericoloso tentare di fuggire. Se solo quegli sconosciuti avessero creduto che si trattasse di un’impostora, sicuramente l’avrebbero sbattuta in carcere o peggio. Il solo pensiero di essere stata strappata al suo mondo per morire confinata in una delle epoche più turbolente della Storia le fece salire le lacrime agli occhi.
    –Non piangete, Madame – si affrettò a intervenire Luigi Augusto, cingendole affettuosamente le spalle con un braccio. – Vi chiedo solo di affrontare l’ultimo sforzo di accomodarvi di là, in attesa che sistemi le persone che vi hanno voluto così male.
    Nicole non oppose resistenza, seguendo uno dei due lacché all’esterno. Un attimo dopo, si trovò immersa nella sfarzo del ballo in maschera. I suoi occhi si colmarono di sorpresa nel contemplare gli abitanti di quell’epoca lontana che si muovevano nella grande sala. La loro vista suscitò in lei un’indescrivibile sensazione di stupore. Non sembrava affatto di vivere all’interno di un film o di un dipinto settecentesco. Quegli uomini e quelle donne erano quanto di più vivo e reale potesse esistere. La cosa le fece montare i capogiri.
    In quel preciso istante, il suo sguardo catturò il profilo allampanato di un ragazzo dagli occhi chiari che stava discutendo animatamente con uno dei lacché di guardia alla porta. Aveva i capelli castani scompigliati e l’aria decisamente abbacchiata. Ma non fu il suo aspetto decisamente fuori posto a sconvolgere Nicole più di quanto già lo fosse. Fu il fatto che quello sconosciuto indossava qualcosa che non doveva trovarsi affatto lì. Per quanto sporca a logora, la ragazza avrebbe riconosciuto tra mille la felpa preferita di Axel.
    Timidamente, si avvicinò allo sconosciuto, tirandolo per una manica. Il ragazzo si voltò di scatto, incontrando i suoi occhi. Entrambi non poterono fare a meno di rabbrividire.
    –Vogliate scusarmi – si schermì Nicole in tono impacciato. – Temo di avervi scambiato per qualcun altro.
    –Non fa niente, Madame. Piuttosto sono io che mi scuso per la mia tenuta tutt’altro che adeguata in questo luogo, ma temo di essere stato rapinato – rispose lo sconosciuto, rivolgendole un timido sorriso. 
    Aveva un forte accento straniero.
    –Non preoccupatevi – lo rassicurò istintivamente Nicole, alludendo al suo abito da sera. – Anch’io non sono propriamente alla moda.
    –Siete molto gentile. Come vi chiamate?
    La ragazza trasalì. E ora, come doveva rispondere?
    –Chiamatemi Antoinette – rispose dopo un po’. – E voi?
    –Sono il conte Axel Von Fersen.

 
***

–Potete ritenervi fortunato, caro cugino – disse Luigi Augusto pazientemente, seduto di fronte al duca di Orléans. – Ciò che avete fatto è di una gravità inaudita, tuttavia il mio buon cuore mi impedisce di macchiarmi del sangue di qualcuno che appartiene alla mia stessa famiglia. Per questo, voi e la contessa Du Barry avrete il mio perdono e il mio silenzio, purché tale episodio non si ripeta più. Inoltre, le mie guardie si affretteranno a liberare l’inventore e la sua famiglia. Credo che Monsieur Cluzet si troverà molto bene a corte. Lo ritengo un uomo assai interessante.
    Il duca ascoltò il discorso del cugino senza battere ciglio. Stava andando meglio di quanto avesse sperato. Quell’allocco del giovane principe non avrebbe mai imparato quanto potesse costare caro un gesto di pietà.
    –Vi ringrazio, per la vostra misericordia – disse, fingendo un tono carico di prostrazione. – Ho imparato dai miei errori e potete avere la mia parola che da oggi in poi resterò al mio posto.
    –Molto bene. Allora possiamo concludere qui questa spiacevole faccenda – concluse Luigi Augusto in tono soddisfatto.
    I due cugini si salutarono con un rapido cenno del capo; poi il principe uscì dallo studiolo, rimpiombando nel caos della festa. Non appena fu fuori, il ragazzo estrasse istintivamente la macchina del tempo dal panciotto, rigirandosela tra le dita tozze. Certo che aveva tra le mani un tesoro dal valore inestimabile: attraverso di esso, avrebbe potuto viaggiare nel tempo, conoscere il futuro e magari incontrare i personaggi storici che aveva sempre ammirato, come per esempio il re Carlo I d’Inghilterra. Al solo pensiero, il giovane principe si sentì fremere dall’emozione.
    Stava già pregustando il suo prossimo viaggio, quando improvvisamente qualcosa colpì i suoi occhi miopi come una doccia gelata. Sua moglie stava chiacchierando con uno sconosciuto dall’aria macilenta, entrambi in disparte con le spalle addossate a una colonna. La cosa gli trafisse il cuore come una lama incandescente. In fondo, doveva aspettarselo: che speranze aveva lui contro quell’affascinante straniero che sembrava divertire così tanto l’arciduchessa?
    In quel preciso istante, qualcosa vibrò nella sua tasca, suscitandogli un moto di fastidio. Luigi Augusto si frugò istintivamente nella giacca, fino ad afferrare il cellulare che aveva riportato indietro con sé. Era appena arrivato un messaggio. Ripetendo le operazioni compiute in precendenza, il ragazzo lo aprì, prendendo a leggere avidamente.
    Monsieur, sono io, Maria Antonietta. Tornate subito nel 2013, perché temo che abbiate sbagliato moglie. 

 
***
 
Maria Antonietta continuava a fissare lo schermo del cellulare con gli occhi sbarrati, in attesa di qualcosa, qualsiasi cosa.
Al suo fianco, Axel le pose dolcemente una mano sull’avambraccio.
“Stai tranquilla”, cercò di confortarla. “Vedrai che il delfino avrà sicuramente ricevuto il messaggio”.
“E se nel mentre il cellulare si fosse scaricato? O se l’avesse perso?”, domandò l’arciduchessa al culmine dell’ansia.
Di fronte a lei, Oscar, André e Rosalie le rivolsero un’occhiata carica di tensione.
Sembrava assurdo, eppure in quel momento il futuro della Francia dipendeva proprio da uno stupido sms.
Peggio di così non poteva andare.
Improvvisamente, qualcosa accadde.
Un ragazzo basso e grassoccio con la parrucca incipriata era appena apparso dal nulla, fissando i loro volti con i piccoli occhi chiari.
Alla sua vista, Maria Antonietta dimenticò tutto.
Scattò in piedi e si lanciò tra le sue braccia, stringendolo forte a sé.
“Monsieur!”.
“Madame!”, esclamò Luigi Augusto, abbracciandola come non aveva mai fatto prima. “Oh, siete davvero voi! Che paura, che ho avuto! Appena siamo tornati, la vostra sosia si è subito dileguata con un conte svedese. Mi sono sentito morire!”.
A quelle parole, Maria Antonietta si discostò da lui con gli occhi pieni di lacrime.
Dunque era accaduto, una delle due Marie Antoniette aveva davvero sedotto il conte di Fersen.
Una Maria Antonietta che non era lei.
“Sono riuscito a risolvere la faccenda con il duca d’Orléans e la contessa Du Barry. Posso assicurarvi che non vi daranno più noie”, proseguì il delfino, prendendole le mani tra le sue. “Ora possiamo tornare a casa”.
A quelle parole, Maria Antonietta si sentì stringere lo stomaco.
Casa.
Le fu impossibile trattenere le lacrime mentre indugiava sui volti carichi di speranze dei suoi amici, fino a incontrare lo sguardo di Fersen. 
I suoi occhi erano carichi di consapevolezza. 
Entrambi sapevano che cosa dovevano fare, per quanto avessero lottato con tutte le loro forze per evitarlo.
Sarebbe stato bello poter vivere nella stessa epoca, uniti per sempre.
Ma questo non era il loro destino.
Maria Antonietta si volse verso Luigi Augusto, avvertendo una stretta al cuore nel momento in cui incontrò i suoi occhi.
Sì, suo marito l’amava, per quanto timido e goffo.
Quella sera glielo aveva dimostrato.
E lei non poteva più ignorare il suo dovere di futura regina di Francia.
Non sarebbe servito a niente restare lì per puro capriccio, consegnando il regno al caos.
Se voleva davvero bene alle persone che aveva di fronte, allora doveva lasciarle andare.
Solo così le loro vite sarebbero state salve, lasciando intatto il corso naturale della Storia.
“Monsieur, questi sono i miei amici. Mi hanno aiutata a sopravvivere nel futuro per tutto il tempo in cui sono rimasta qui. A loro devo tutta la mia riconoscenza”, disse con la voce rotta dalla commozione. “Ecco, vi presento Oscar François De Jarjayes, André Grandier, Rosalie Lamorlière e…”, la sua voce si incrinò appena nel pronunciare quell’ultimo nome “Axel Fersen”.
“Ѐ un piacere conoscervi”, disse Oscar con un inchino educato.
Gli altri la imitarono con aria intimidita e composta, increduli ed emozionati.
Axel si inchinò per ultimo.
Il suo sguardo indecifrabile incrociò quello del delfino, che gli rispose con un timido sorriso.
“E dov’è quel giovane lacchè che mi ha aiutato a ritrovarvi?”, domandò poi, rivolto alla consorte.
“Il giovane Louis non ha potuto prendere parte a questo ricevimento. Mi dispiace non poterlo salutare”, rispose Maria Antonietta tristemente.
Luigi Augusto le rivolse un sorriso di incoraggiamento.
“So che vi dispiace lasciarli…”, disse.
“…ma devo”, concluse lei al posto suo.
I suoi occhi si posarono ancora una volta in quelli di Axel.
“Non dimenticherò mai questa avventura. Vi ringrazio, amici miei”.
Solo allora, l’arciduchessa si rese conto di non essere l’unica ad avere il volto rigato dalle lacrime.
Davanti a lei, Oscar era appena scoppiata in singhiozzi.
Le due amiche si sorrisero, stringendosi in un forte abbraccio.
“Mi mancherai”, sussurrò l’arciduchessa, il volto premuto contro la sua spalla.
“Anche tu, Antoine”, rispose l’altra. “Sii forte”.
“Come mi hai insegnato tu, amica mia”.
Anche Rosalie corse ad abbracciarla, singhiozzando forte.
“Allora sai piangere!”, esclamò Maria Antonietta, cercando di tirarsi su a vicenda.
Lei fece una smorfia, scuotendo il capo.
“Prometto che è l’ultima volta”, rispose tra le lacrime.
Subito dopo, André le stampò due baci sulle guance.
“Porta i mei saluti a Louis”, disse l’arciduchessa.
“Te lo prometto!”, fece lui con la voce rotta dall’emozione.
Poi fu il turno di Axel.
I due ragazzi si scambiarono una profonda occhiata, poi lui si chinò per sfiorarle la mano con le labbra.
“Arriverci, Antoine”, disse piano.
“Arriverci, Axel”, rispose lei, cercando di non tradire alcuna emozione.
Per fortuna, alle sue spalle Luigi Augusto non sembrava averlo riconosciuto.
Maria Antonietta si voltò verso il consorte, lo sguardo carico di consapevolezza.
“Andiamo?”, trovò il coraggio di chiedere.
“Andiamo”.
I due principi si presero per mano, mentre il delfino iniziava a riportare indietro le lancette della macchina del tempo.
Maria Antonietta si sentì stringere il cuore.
Stava finalmente andando verso il suo destino.
Verso il trono di Francia.
Verso gli onori.
Verso il patibolo.
Mentre il varco spazio-temporale si riapriva, l’arciduchessa levò lo sguardo un’ultima volta verso i suoi amici.
Io vi rivedrò, un giorno. Me lo sento, fu il pensiero che la colpì in quell’istante.
Un attimo dopo, tutto scomparve nel nulla.


 
***
 
Due mesi dopo…

Come ogni sera, Oscar finì di apparecchiare la tavola e tornò a dedicarsi al sugo della pasta, rigirandolo distrattamente nella pentola mentre la radio gracchiava a tutto volume l’ultimo tormentone della stagione.
Lanciò una rapida occhiata all’orologio appeso alla parete.
Le sette e venti.
Non doveva mancare molto.
Ricominciare dopo quell’avventura non era stato facile.
Quello che se l’era vista peggio era stato sicuramente Axel, che aveva dovuto sorbirsi per mesi i malumori della famiglia di Nicole.
In effetti, era lui l’unico verso responsabile della scomparsa della loro unica figlia, per quante scuse potesse inventarsi.
La versione ufficiale dei fatti era che la ragazza, una volta scaricata, aveva lasciato l’Opéra in lacrime e da lì nessuno ne aveva più saputo nulla.
La polizia l’aveva cercata per settimane, sottoponendo Axel a interminabili interrogatori, ma alla fine non era riuscita a venire a capo della faccenda.
Dal suo canto, il signor Leguay era seriamente intenzionato a ucciderlo, dopo quella faccenda.
Per questo, sotto le pressioni della sua stessa famiglia, il ragazzo si era visto costretto a trasferirsi in Austria per qualche mese.
Per fortuna, essendo uno studente particolarmente brillante, non aveva avuto problemi nell’ottenere una borsa di studio all’università di Vienna.
Se non altro, si sarebbe trovato a un passo dal castello di Schonbrunn, che andava a visitare alla prima occasione.
Certo, i suoi sei mesi di permesso lo avevano costretto a separarsi momentaneamente dal suo più grande amore, ma sia Oscar che Maria Antonietta erano concordi del fatto che il ragazzo dovesse scontare un minimo di punizione per aver spezzato il cuore a Nicole, per quanto fosse insopportabile.
Perlomeno, ora anche lei aveva trovato la sua felicità.
Quello verso il vero Axel Von Fersen era stato un amore a prima vista.
Nell’arco di poche ore, i due giovani erano ormai inseparabili.
A tal punto che i due futuri sovrani di Francia non se l’erano sentiti di insistere nel riportarla a casa.
Maria Antonietta aveva deciso di prendere Nicole nel suo seguito (celando in realtà la scusa di tenerla d’occhio) e in questo modo era riuscita a garantirle vitto e alloggio, insieme alla possibilità di vedere il suo amante ogni giorno.
Il suo piano segreto era quello di rispedirla a casa insieme al conte svedese, ma la giovane aveva ormai altri pensieri per la testa, l’ultimo dei quali aveva a che fare con un matrimonio imminente.
Perlomeno, la ragazza aveva smesso di assomigliare a una fontana monumentale e appariva di gran lunga più sorridente e rilassata di come l’arciduchessa l’aveva conosciuta.
Ma non sarebbe mai riuscita a trovarla simpatica.
In fondo, dalla vita non si poteva avere tutto.
Per il resto, Maria Antonietta poteva dirsi la donna più fortunata della terra.
Dopo la scarcerazione, Monsieur Cluzet era entrato a far parte della cerchia più stretta di Luigi XVI.
I due erano ormai diventati ottimi amici, ma i viaggi nel tempo erano stati archiviati da un pezzo: dopo averne sperimentato la pericolosità, era meglio non scherzare troppo con la Storia.
Tuttavia, il giovane principe aveva voluto serbare un ultimo regalo alla consorte.
Nei primi giorni a corte, infatti, Maria Antonietta non riusciva a celare in nessun modo il suo malumore.
Le mancavano, i suoi amici, le mancavano terribilmente.
E, dal canto suo, Luigi Augusto non poteva che compatirla.
Per questo aveva deciso di lasciarle in gran segreto la macchina del tempo.
Sarebbe stato il suo modo per evadere e tornare nel futuro, non appena ne avrebbe avuto l’occasione.
Improvvisamente, la ghigliottina non le faceva più paura: ora avrebbe potuto vivere ben due vite, andando avanti e indietro nelle due ere che ormai facevano indissolubilmente parte della sua esistenza.
Non appena la vita di corte la soffocava, Maria Antonietta si rintanava nella sua camera e spostava immediatamente le lancette dell’orologio in avanti, verso il futuro.
Un futuro dove avrebbe potuto essere una ragazza come tutte le altre.
Un futuro dove la attendeva l’amore, quell’amore che aveva sempre sognato.
Un futuro che in realtà era il suo presente.
Certo, la tentazione di trasferirvisi definitivamente nel momento in cui sarebbe scoppiata la Rivoluzione si era subito insinuato dentro la sua testa, ma era ancora presto per pensarci.
In fondo, era ancora un’adolescente.
Aveva tutto il tempo per decidere.
La lancetta dell’orologio segnò le sette e mezzo.
Oscar sorrise, voltandosi verso la porta della cucina.
Ormai era talmente abituata a quella presenza, da riconoscere il silenzioso ingranaggio del varco spazio-temporale anche tra i rumori della cucina.
“Giusto in tempo per la cena, Antoine”, disse sorridendo alla giovane bionda che aveva appena fatto ingresso nella stanza.






 
FINE







 
Finita! È finita! 
Sono stati otto mesi fantastici, in cui mi sono divertita tantissimo a scrivere questa fantastica storia che mi ha permesso di fare la conoscenza di voi lettori, sempre affettuosi, entusiasti e avidi di nuovi colpi di scena.
I personaggi vi ringraziano uno a uno per tutto il supporto che avete dato loro e la gioia con cui avete accolto questa mia piccola follia, spingendomi ad andare avanti nella scrittura ogni giorno, anche quando le idee stentavano ad arrivare e la tentazione di mollare tutto diventava irresistibile...
Grazie per tutte le meravigliose recensioni che ho ricevuto negli ultimi mesi, una più bella dell'altra: non mi era mai capitata una cosa del genere e la sorpresa è stata grandissima!
Grazie ad
Annalisa, Valentina, Carla, Chiara, garakame, Crystal25396, NinfeaBlu, Tetide, roby70, Moody Crow e haruko 70 per aver seguito questa storia dall'inizio e l'affetto e la dedizione con cui spesso hanno commentato i capitoli, lasciandomi sempre di stucco.
Un grazie particolare va a
Joy e Susan, le mie autrici preferite: siete mitiche! <3
Un grazie anche alla mia sorellona
A., con cui tengo lunghe sedute di scrittura "in diretta", confrontandoci di continuo su Facebook man mano che le nostre rispettive storie vanno avanti.
Grazie anche a tutti i
lettori silenziosi che continuano a visitare e condividere la storia: mando un abbraccio a ciascuno di voi!
E grazie ancora ai
Linkin Park, le mie muse, che accorrono sempre al momento giusto quando mi trovo in crisi di fronte alla pagina bianca!
Che dire ancora?
Giusto, si passa a una NUOVA STORIA! :)
Guardate un po' qua sotto...






 
SPECIALE
 
THE PHOENIX




da giovedì 6 novembre su efp
(e prossimamente anche su Wattpad)




 
Cosa c'entra "Lady Oscar" con "Master and Commander", "Pirati dei Caraibi" e un videoclip dei Fall Out Boy?
Cuba, 1810
Sono passati cinque anni da quando Rosalie Lamorlère ha ricevuto la notizia della morte di Peter Calamy, ucciso durante un arrembaggio mentre dava la caccia all'Acheron, una fregata francese che sta seminando una scia di sangue e terrore lungo le rotte commerciali inglesi.
Adottata dalla famiglia di lui, la giovane stalliera può dirsi finalmente una ragazza libera e felice, una volta lasciatasi alle spalle il suo passato di dolore e vendetta, rabbia e gelosia.
Allora perché improvvisamente Peter, il suo amore perduto quanto tormentato, continua ad apparire nei suoi sogni, come se in realtà il ragazzo non fosse davvero scomparso nelle acque gelide dell'oceano?
Quando in una notte di tempesta un giovane ufficiale viene trovato all'interno della tenuta di Calamy con il corpo segnato da inenarrabili torture, Rosalie capisce che in realtà la caccia all'Acheron non è ancora finita.
Tra pirati sexy quanto sadici, donne intriganti e pericolose, terribili maledizioni e una canzone che uccide firmata Mike Shinoda, la ragazza troverà finalmente il coraggio di affrontare il suo passato, trovando risposte alle sue misteriose origini e arrivando a sfidare la Morte stessa pur di proteggere coloro che ama.
Per poi risorgere dalle sue stesse ceneri.
Come una fenice.


 
 

Dalla storia:

Improvvisamente, la ragazza trasalì.
Non era stato il rumore del vento, né il fruscio generato dal passaggio di qualche animale. 
Quelli erano passi.
Passi lenti e cadenzati di qualcuno che non avrebbe dovuto assolutamente trovarsi lì.
[...]

Era un uomo, a giudicare dalle spalle larghe e i corti capelli dritti sulla testa e, cosa più spaventosa di tutte, era armato.
Un enorme uncino ricurvo brillava all'estremità del polso destro, privo di mano.
Si muoveva con passi rapidi e circospetti, come se temesse di essere seguito.
[...]
Con un movimento repentino, la ragazza gli scivolò alle spalle e lo colpì alla testa con tutta la violenza che aveva in corpo.



 
Per visualizzare il video dell'antefatto: https://www.youtube.com/watch?v=VZVurT6ZiQY
 


 


 



 



 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2445501