Lennox - 0127

di firstmarch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Secondo giorno. ***
Capitolo 2: *** Quarto giorno. ***
Capitolo 3: *** Settimo giorno. ***
Capitolo 4: *** Ottavo giorno. ***
Capitolo 5: *** Undicesimo giorno. ***
Capitolo 6: *** Undicesimo giorno (2) ***
Capitolo 7: *** Dodicesimo giorno. ***
Capitolo 8: *** Dodicesimo giorno (2) ***
Capitolo 9: *** Dodicesimo giorno (3) ***
Capitolo 10: *** Trentatreesimo giorno. ***
Capitolo 11: *** Quarantaquattresimo giorno. ***
Capitolo 12: *** Quarantottesimo giorno. ***
Capitolo 13: *** Cinquantesimo giorno. ***
Capitolo 14: *** Cinquantaquattresimo giorno. ***
Capitolo 15: *** Cinquantaquattresimo giorno (2) ***
Capitolo 16: *** Cinquantaquattresimo giorno (3) ***
Capitolo 17: *** Cinquantacinquesimo giorno. ***
Capitolo 18: *** Cinquantaseiesimo giorno. ***
Capitolo 19: *** Cinquantasettesimo giorno. ***
Capitolo 20: *** Cinquantottesimo giorno. ***
Capitolo 21: *** Cinquantanovesimo giorno. ***
Capitolo 22: *** Sessantesimo giorno. ***
Capitolo 23: *** Sessantesimo giorno (2) ***
Capitolo 24: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Secondo giorno. ***


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24 Gennaio 2013.
Secondo giorno di prigionia.


Non vedo il sole da circa quarantacinque ore.
La cosa può essere anche normale pensando alle ore in cui dormiamo, pensando alla sera, pensando alla pioggia.
Il fatto è che io non vedo neanche il cielo.
Sono sempre stata una persona che ama l'aria aperta, che quando è bel tempo prende il telefono e chiama gli amici per uscire. Perciò, per me, la cosa è ancora più difficile da accettare.
Non so neanche se l'accetterò mai, se è per questo!
Come posso vivere sapendo che tutti mi credono matta? Una ragazza con problemi familiari -si fa per dire- disagiata anche mentalmente. Loro non sono nessuno per giudicare i miei ragionamenti, i miei pensieri, il mio stile, tanto meno il mio patrigno, quel caro uomo che mi ha spedita qui a calci in culo.
Come posso vivere non sapendo se ci sarà mai un giorno in cui riconosceranno che in me non c'è alcun disturbo o, per farla più semplice, che sono guarita?
Non lo posso sapere, appunto. Vogliono farmi credere di essere matta per davvero, ci provano.
Ma io so di non esserlo e anche alcuni di loro lo sanno. Il potere e i soldi del mio patrigno, però, offuscano la vista a tutti. Ciechi, bugiardi, ignoranti. Fanno finta di essere così, quelli. In fondo anche loro sanno la verità. C'è chi me lo dimostra di più e chi meno.
Sì, in quarantacinque ore ho già capito come funzionano le cose qui.
Non è come in carcere seppure io non ci sia mai andata.
Qui non c'è nessun capo tra i detenuti. I detenuti si aiutano, perché coloro che comandano sono quelli 'sani'.
Ho visto persone davvero matte. Alcune in senso negativo, altre sono solo cadute nell'oblio della stupidità e ingenuità.
Adesso sono nella Sala Ricreativa, quella sala dove ci è permesso fare i matti, a quanto pare.
È solo la prima volta che ci vengo, ovviamente, ma è quasi vuota.
Forse alcuni sono troppo matti anche per questo.
Qui c'è una televisione, dei giornali, del materiale per scrivere e disegnare e non so che altro.
Computer non se ne parla.
Ho chiesto quante volte posso venire nella SR a settimana. Mi hanno risposto con un 'quanto vuoi, basta che tu sia sorvegliata. Capisci?'
Sì, che capisco, non sono una decerebrata. E non sono neanche pericolosa, se è per questo.
Scommetto che se adesso mi mettessi a disegnare una pistola mi porterebbero nel reparto più sorvegliato della struttura.
Ho già adocchiato una fessura abbastanza ampia, nel tavolo di legno antico su cui sto scrivendo, nel quale mettere queste lettere. No, non sono lettere, sono uno sfogo personale. Credo.
Sicuramente ce ne starà solo uno, perciò ogni volta che scriverò 'uno sfogo' dovrò prima liberarmi di quello precedente.
Sì, ho deciso, questi inutili scritti si chiamano sfogo.
Me lo leggerò un'ultima volta, me lo metterò in tasca e, una volta in cella, lo butterò nel cestino, cercando di farne più pezzi possibile.
Nessuno deve poter anche solo immaginare cosa penso. Si convincerebbero ancor di più di quanto sia psicopatica. O almeno, ci proverebbero. Comunque ciò che scrivo un senso lo ha, perciò, forse, è quello che penso che è un controsenso.
No, non sono matta, sono solo giri di parole. E ora la penna sta finendo, così come il tempo a me concesso di rimanere qui.
Oh, là c'è un buco come finestra. Da lì filtra qualche raggio di sole. Sto sorridendo. Forse, per adesso, posso accontentarmi.


Jade Lennox ripone il foglio spiegazzato nella fessura del tavolo, proprio come descritto nel suo sfogo. Si alza dalla sua sedia e fa cenno alla sua guardia di essere pronta.
“Giusto in tempo, 0127”
“Quello non è il mio nome, Guardia”, dice lei fredda, seria, più del ghiaccio.
Un'altra guardia passa di lì e, sentendo le sue parole, bisbiglia qualcosa nell'orecchio del collega.
“Sarà meglio assecondarli, questi qua”, dice. L'altro accenna a una risatina, ma poi si accorge del fatto che la ragazza è perfettamente consapevole di ciò che gli è stato riferito.
“Andiamo, Lennox”
Lei lo segue a passo spedito per i corridoi grigi dell'edificio, rimanendo in silenzio.
Conta i passi, li memorizza. Sono esattamente centoquarantasei.
La sua camera -si fa per dire- è tra altre due uguali alla sua, entrambe vuote.
Come fa a saperlo? Semplice, di notte è tutto silenzioso, mentre durante il ritorno dalla cena, la sua prima cena, ha avuto la grande occasione di sentire urla spaventose fin da molto lontano.
Al suo rientro in cella, però, qualcosa è cambiato.
La camera alla sua sinistra ha la porta spalancata, riesce a intravedere delle lenzuola pulite piegate su un comò bianco e delle signore che puliscono la stanza.
“Cosa stanno facendo?”, chiede Lennox alla sua guardia.
“Puliscono, non vedi?”, dice con tono insolente, anche se, dopo poco, si rende conto di parlare con una mentecatta.
“C'è un nuovo arrivato. E ora fila dentro.”
Jade Lennox viene fatta entrare nella sua cella bianca, immacolata. Dietro di lei la porta si richiude con un tonfo, mentre la serratura scatta.
Sedendosi pesantemente sul suo duro letto, anch'esso bianco, la paziente 0127, lascia vagare la mente in luoghi in cui, adesso, non le è più concesso andare.
E così passano le ore, tranquille, se non interrotte da rari urli lontani o dai passi delle guardie in servizio.
È quasi ora di cena quando sente del movimento nei paraggi.
La voce di due guardie, piuttosto agitate, si sovrappongono a quelle di un ragazzo urlante.
“Non sono matto, non sono matto! State facendo un errore, razza di id...”, un colpo forte, in pieno volto.
“Non hai il diritto di parlare, ragazzo! Non così, almeno! D' ora in poi verrai chiamato per cognome o per numero. Opporre resistenza peggiorerà solo le cose. Hai quarantacinque minuti per calmarti, poi andrai a cenare, 0128.”
Anche la sua porta si chiude violentemente.
E così, Jade Lennox non è più sola.


 

-SPAZIO AUTRICE-

Come al solito, la mia ora è questa.
Questo primo capitolo è corto, lo so, si allungheranno, promesso!
Spero che questa nuova fanfiction vi incuriosisca, se vi è piaciuta lasciatemi una recensione, che è il mio compleanno ahah :)

p.s. non ha la stessa trama di 'These four walls' e del film 'Sucker Punch'. Ci sono rimasta anche io, quando, qualche settimana fa ho visto la prima mezz'ora del film. Manicomio anche lì, con il nome della mia protagonista. Lo dico subito per eventuali incomprensioni. 'Lennox' è il cognome di un personaggio di uno dei libri di Lisa Jane Smith, è da lì che l'ho preso.
Un bacio, girlz


[Jade Lennox (protagonista): Annasophia Robb]

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Capitolo 2
*** Quarto giorno. ***


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26 Gennaio 2013.
Quarto giorno di prigionia.



Ieri non sono venuta nella SR, non stavo bene. Un dottore e, per fortuna, non uno psichiatra, mi ha visitato.
Ha prescritto delle vitamine e dei sonniferi, perché, a quanto pare, non dormo e sono troppo debole.
Di certo non avrei dato loro la soddisfazione di sentirlo dire da me. Sempre se mi avessero creduto.
In realtà dormo, anche se un paio di ore a notte. E, stranamente, non è colpa del nuovo arrivato, lo 0128. E' silenzioso quasi quanto me, non c'è che dire, tant'è che ho pure pensato, un paio di volte, che non fosse pazzo, proprio come me. Poi mi sono detta che sono sicuramente l'unica con una storia del genere, l'unica sana dentro questa prigione.
Ah, dimenticavo, il dottore ha anche chiesto di potermi fare uscire all'aria aperta più spesso dei normali pazienti, almeno per adesso.
Credo, quindi, che mi permetteranno di scorrazzare nel cortile (sempre sotto sorveglianza) almeno ogni due o tre giorni.
Se potessi, morirei adesso. Se invece fossi una strega o una maga o chi più ne ha più ne metta, la farei pagare a tutti quanti, ovviamente dopo una bella vacanza ai Caraibi o in qualunque altro posto che io possa immaginare.
Se fossi una maga, tornerei da Claudius Gray e lo farei spedire qui al posto mio.
Uccidere sarebbe troppo facile.
E a me, le cose troppo facili non piacciono, devono avere un tranello sotto. È per questo che la polizia dovrebbe fare un paio di indagini in più, è troppo facile pensare che abbia ucciso io Gregory Lennox. Troppo, troppo facile.

 

 

0127 ripone il suo sfogo nella fessura dopo aver estratto quello di due giorni prima.
Non lo legge, lo mette nella tasca della divisa.
Oggi la SR è vuota, e Lennox ne è felice.
Per un po' dimentica dove si trovi, guardando quasi con attenzione la televisione, poi il suo tempo finisce ed è costretta a tornare alla realtà.
Scortata, come ormai d'abitudine da quattro giorni, nella sua camera, cerca inutilmente di spiare il suo vicino di cella. Ma la porta è chiusa e da dentro non viene alcun rumore.
E la cosa si ripete per i successivi due giorni, lasciando quasi pensare a Lennox che l'abbiano spostato. O peggio, che sia uno dei più pazzi in assoluto.
Lui aveva negato di esserlo, ma, come si dice, il primo segno per capire se è una persona è pazza è vederli pensare di non esserlo.
In quei due giorni Lennox esce. Esce all'aria aperta, assaporando la piacevole sensazione del sole sulla pelle, del gelido vento d'inverno e dei fiocchi di neve.
Certo, è rimasta fuori neanche un'ora, ma le è bastato per rimpiangere ciò che fino a una settimana prima aveva e che forse non avrà più.
Tornata in cella più su di giri del solito inizia a girovagare per la sua piccola camera, senza pace, con l'irrefrenabile desiderio di urlare di farla uscire.
Poi entra nel bagno e si guarda alla specchio.
Dopo sei giorni non sembra più la stessa.
Occhiaie profonde le contornano gli occhi azzurri, ormai ardenti di rabbia, i capelli sono legati in un pratico chignon fatto dagli addetti all'igiene personale di ognuno di loro, le labbra grosse sono screpolate, il suo viso pallido.
Lennox si riconosce a stento. Non vuole guardare un attimo di più quella figura consumata che le dà lo specchio, perciò torna nella camera, si sdraia sul letto e inizia a leggere uno dei tre libri presenti nella 'libreria'.
Non sa di chi sia e di chi parli quel libro, vuole che sia una sorpresa. Fa finta di aver appena scartato un regalo di Natale e di averci trovato questo misterioso libro. Sicuramente le piacerà, glielo hanno comprato i suoi parenti, conoscono i suoi gusti.
Lo finisce prima di cena, quando, come al solito, la guardia passa a scortarla.
No, si sbaglia. La guardia passa prima per lo 0128. Ma com'è possibile? Lei viene prima di lui!
“Si cena”
Silenzio.
“Si cena, 0128”
“Non è quello il mio nome, Guardia”, Lennox immagina la guardia alzare gli occhi al cielo, mentre il ragazzo ripeteva la stessa frase da lei pronunciata qualche giorno prima.
“Esci da qui, Bieber”
Finalmente la porta si richiude. I loro passi riecheggiano lungo il corridoio, senza mai passare dalla stanza del 0127. Dopo pochi secondi pure Lennox viene scortata fuori, per la cena, ma quando si volta per cercare di vedere il ragazzo, ormai di lui non c'è più traccia.
“Bieber, 0128. Lo ricorderò.”


29 Gennaio 2013.
Settimo giorno di prigionia.


Ho bussato contro il muro, una volta. Per curiosità, nient'altro. Volevo vedere com'è messo quello nuovo.
Non mi ha risposto. A quanto pare è matto e asociale. O sordo.
Non so quanto io possa continuare a scrivere sfoghi, dato che non ho niente da scrivere.
Beh, sì, immaginate di stare in un manicomio.
Immaginate di essere un recluso. Un recluso sano.
Cosa ci sarebbe da scrivere? “Mi manca il mondo di fuori, mi manca la mia vita di prima, voglio la mamma”
No. Una volta scritto che sei mentalmente a posto e che ti fa tutto schifo, non c'è nient'altro da dire.
Potrei iniziare a disegnare. Disegni innocui, sì, ma sarebbe sempre meglio di niente. Potrei disegnare le penose situazioni in cui mi trovo ogni qualvolta in cui mi siedo a tavola per i pasti. A volte il cibo vola da un tavolo all'altro, altre volte la gente se le dà di santa ragione, fino a quando delle guardie non intervengono.
Io me ne sto solo zitta, mangio il mio pasto e mi assicuro di non fare parte di queste scaramucce tra pazzoidi.
Mentre taccio mi guardo in giro, per trovare qualcuno che sembri essere almeno un po' come me. Ieri mi sono ritrovata a pensare che non so neanche che faccia abbia 0128.
Potrei averlo davanti in mensa e non saperlo. Lascio perdere, solo perché è la persona che ho più vicino quando sono nella mia cella non vuol dire che debba diventare la sua amicona del cuore, anche perché potrei vederlo solo in mensa o nella SR.
Stupida Jade, stupida, stupida, stupida.
 

Il terzo foglio si fa strada nella fessura del tavolo di legno, mentre il secondo viene fatto uscire e messo poi nella tasca dei pantaloni, proprio come il primo.
Lennox si alza e, stanca delle luci artificiali e desiderosa di vedere il sole, per quanto possibile, si dirige verso Cliff Burton, la sua guardia.
Ormai, per gioco, ha scambiato tutte le lettere del suo nome fino a crearne dei nuovi. Che cosa sciocca.
Burton la guarda dall'alto al basso, poi le fa segno di seguirlo.
“Solo venti minuti, poi farà buio e io non sono autorizzato a lasciarti fuori dopo il tramonto”
Lennox annuisce senza protestare. Se lo facesse sarebbe peggio.
Ormai memorizzati i corridoi e le porte da superare, si fa condurre quasi inutilmente da Cliff nel giardino secondario.
Quando l'ultima porta si apre, Burton le consegna un giubbotto pesante e una sciarpa, poi la lascia uscire, standole a qualche metro di distanza. Ma, prima che possa fare qualche passo, qualcuno la urta.
Qualcuno più robusto, ma non molto più alto di lei. Ha poco meno di un secondo per girarsi e vedere vagamente dei capelli castano chiaro allontanarsi, subito dopo aver sentito un rapido 'scusa'.
La guardia che lo accompagna, una donna, chiude un occhio per il fatto che il detenuto abbia parlato con un altro senza permesso, ma Cliff no.
“Chiudi quella fogna, 0128! Non ti è permesso parlare ad altri pazienti!”
0128 è Bieber. Il ragazzo che le è appena venuto contro è il suo vicino, colui che credeva non avrebbe mai visto.
Beh, in effetti adesso sa solo che ha i capelli castani, niente di più.


Il giorno dopo, in preda alla solita routine da più di una settimana, Lennox si dirige di nuovo nella SR.
Ha trovato qualcosa di cui poter parlare nei suoi sfoghi.
Oh sì, l'imprevisto successo il giorno prima non le ha dato un attimo di pace quella notte. L'ha strappata dalla noia, lasciandola sveglia. Non è successo niente di che, certo, ma è pur sempre qualcosa fuori dalle regole, qualcosa di non programmato.
Una volta entrata nella SR, si dirige quasi precipitosamente verso il suo tavolo consumato, prendendo al volo una biro dal portapenne appoggiato lì vicino.
Cercando di non farsi notare, Lennox sfila il foglio dalla sua consueta fessura, aprendolo.
Quello non è il suo foglio.
Ma com'è possibile? Nessuno si sarebbe potuto accorgere di quel dettaglio, nessuno di furbo, nessun malato.


 

Ti ho sentita ieri sera, 0127.
Ho sentito che bussavi contro la parete, ma non credevo potessi essere normale.
Almeno non tanto da scrivere cose sensate nel foglio che mi sono permesso di leggere e portare via.
Credi di essere l'unica sana qui dentro? Questo manicomio -detta come va detta- è pieno di gente sana, li ho visti.
Li ho visti quando sono uscito, quando li guardavo negli occhi.
Poi ci sono quelli pazzi, lo so.
Evidentemente neanche tu lo sei e la cosa mi fa piacere, dato che sei nella camera vicino alla mia. Non sai che faccia ho, hai ragione. 
Sono quasi irriconoscibile, ma posso dirti com'ero prima.
Ho la pelle chiara, sono canadese. I capelli, per fortuna, non sono cambiati, almeno quelli. Sono castano chiaro, corti. Gli occhi sono come i capelli, le labbra un po' troppo...gonfie, non so. Il naso è dritto, le sopracciglia sono folte. Non sono molto alto, non sono di certo muscoloso come quelle guardie che ci tengono sott'occhio tutto il giorno, ma non sono esile.
Spero di non annoiarti, ma ho trovato un modo di scampare alla solitudine. Forse neanche leggerai questo...questo sfogo, come lo chiami tu, ma a me serve, perciò continuerò fino a quando non mi porteranno via.
Ho diciannove anni, ho due fratelli e vivevo a Stratford. Mio padre era un uomo d'oro, poi è stato ucciso. Ucciso da chi mi ha mandato qui.
Siamo vicini in questa...disavventura, perciò credo che, in qualche modo, impareremo a conoscerci. Sempre che tu legga ciò che sto scrivendo.
Non sei sola, Jade. Io sono come te.


Justin Bieber, 0128.

 

- SPAZIO AUTRICE -
buh.
Bene, bene, come posso rompervi i coglioni, oggi?
E' uscito il trailer di
Catching Fire, per chiunque avesse seguito la mia ultima fanfiction.
Avreste dovuto vedermi. Anzi no, vi sareste spaventate.
Grazie mille per le recensioni e i commenti positivi, per le lettrici silenziose, i preferiti, seguiti e ricordati.
thanks, merci, danke schon.
p.s. questi primi due/tre capitoli sono una specie id introduzione, perciò non ci sarà 'azione'.

 

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Capitolo 3
*** Settimo giorno. ***


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Settimo giorno.



Oh mio dio, è l'unica cosa che, in quel momento, la ragazza riesce a pensare.
Non sa se preoccuparsi; preoccuparsi per il fatto che qualcuno abbia trovato così facilmente i suoi foglietti.
Non sa se essere felice di ciò che ha trovato scritto in quello nuovo.
All'apparenza sembra davvero come lei, ma lì dentro non può permettersi di fidarsi della prima persona che le capita a tiro. Deve, vuole conoscerlo.
Nonostante la diffidenza verso il ragazzo, Lennox non riesce a non trattenere un sorriso mentre nasconde il foglio di Bieber nella tasca dei pantaloni, ne prende uno pulito dalla pila sul tavolo e inizia a scrivere la risposta.
 

Sbaglio o sul mio foglio non ho scritto nessun destinatario?
Cosa ti fa pensare che una tua risposta sia gradita? Come posso fidarmi di una persona che non ho mai visto?
Ma, dato che mi sembri la persona più ragionevole qui dentro, forse potrei provare a parlare con te.
Beh, in realtà ci siamo già visti, l'altro giorno, in giardino. Ci siamo scontrati e mi hai chiesto velocemente scusa. Ricordo tutto nei minimi particolari, tutto ciò che succede qui è talmente noioso e regolare che una minima eccezione alla regola mi salta subito all'occhio. Non so se
ringraziarti per questo.

Il mio nome già lo sai, Justin, ma non credo che qui dentro conti molto.
Siamo in due ad essere senza un genitore: mio padre è morto e danno la colpa a me, ma non l'ho ucciso io. L'assassino è ancora là fuori e posso solo indovinare il suo nome.
Vediamoci domani qui, a questo tavolo, alle 16. Vediamo se sei normale come dici. Preferisco che tu mi veda direttamente, piuttosto che farti una mia autobiografia con aspetto fisico incluso. Non aspetto una tua risposta, io sarò lì, indipendentemente da te.


Jade torna nella sua stanza con ancora il biglietto di Bieber nella tasca. Oggi non oppone resistenza, non è acida e non è arrabbiata. Almeno non come al solito.
Non è stata proprio simpatica nella sua risposta per il ragazzo, ma era quello che voleva. L'unica cosa che vuole evitare è quella di sembrare debole e piccola.
Una volta tornata in cella, nel tardo pomeriggio, i dubbi l' assalgono.
Non vuole buttare via quel foglietto, eppure sarebbe la cosa migliore. Se si dimenticasse di toglierlo dai pantaloni e lo trovassero in lavanderia? Se le cadesse mentre cammina in un corridoio?
Jade decide di riporlo sotto il materasso, almeno per adesso, ignorando i campanelli di allarme che le risuonano in testa.


Come ogni sera, una guardia, precisamente la sua guardia, la scorta in mensa, alla stessa, solita ora.
E, come al solito, Jade tenta inutilmente di sbirciare nella camera del 0128.
“Non fermarti, Lennox”, ormai ha imparato a non chiamarla per numero.
Jade dà uno scossone al braccio di Cliff Burton, come a dimostrargli che non può impedirle di voltare lo sguardo dove a lei pare e piace. In realtà può.
La mensa, quel giorno, è quasi più tranquilla del solito. Quando entra, ovviamente, nessuno si gira a guardarla, non se ne preoccupano. È solo una come tanti, lì dentro.
Cliff le fa segno di trovarsi un posto mentre le cameriere (se così possono chiamarsi) distribuiscono i pasti a tutti. Il self-service come nei licei scatenerebbe il caos, lì, e non possono permetterlo.
Jade si siede silenziosamente di fianco a una ragazza mora e pallida, con la testa china sul suo piatto.
Prima che possa fare qualsiasi cosa, una cameriera le porge due piatti: uno con una bistecca e l'altro con un frutto.
“Gra...”, la donna le rivolge uno sguardo truce, impedendole di finire la parola. Jade ammutolisce.
“Hai così tanta voglia di parlare...0127?”
La ragazza che le siede a fianco sbircia il suo numero sulla sua divisa, guardandola di traverso.
Deve essere lì da molto tempo, dato che ha profonde occhiaie e i capelli poco curati.
Probabilmente ha imposto ai dipendenti dell'istituto di non essere trattata come se avesse un handicap o fosse...matta.
Ha gli occhi di un azzurro acceso, le labbra carnose e screpolate. Ha un'espressione guardinga dipinta sul viso, come se avesse quella da un'intera vita. O almeno è quello che pensa Jade, che, in questo momento, decide di non rispondere alla domanda.
“Da quanto tempo non spiccichi parola, eh?”, continua lei. Lennox continua a mangiare, cercando di non guardarla, anche se sa perfettamente che gli occhi della vicina sono puntati su di lei.
“Da...da una settimana”
Jade non è riuscita a stare zitta. La voce è roca, come quando ci si sveglia la mattina e ci si dà il buongiorno. Si schiarisce la gola, maledicendosi.
“Oh, allora non è molto che sei qui. Tra poco ci farai l'abitudine”
“A cosa?”, Jade crede, ormai, di potersi esprimere solo a monosillabi o poco più.
“A parlare poco e solo in certi momenti. Ti abituerai all'istituto”
“Altrimenti?”
La ragazza si stravacca sulla sua scomoda sedia, mettendosi le mani dietro la testa, in un gesto di serenità spiazzante.
“Altrimenti impazzisci per davvero. Anche se credo di non esserci più molto lontana, a questo punto”
Due minuti di silenzio si frappongono tra le due ragazze, prima che Jade risponda.
“Fammi indovinare”, comincia, “tu non sei matta, ti hanno incastrato e adesso sei bloccata qui”, si ferma un attimo, poi, con maggior enfasi, prosegue: “e direi pure per sempre!”
Trattiene una risata isterica, giusto per non passare per ciò che non è realmente.
“Sei sveglia. Quanti ne hai già incontrati?”, adesso la guarda con curiosità e non con un'aperta ostilità.
“Quanti cosa? Parla chiaro”, dice Jade, spazientita.
“Quanti sani. Come te e come me”
“Oh”, viene prese alla sprovvista. Deve dirle la verità? Deve fidarsi? Gli occhi della ragazza la scrutano, irrequieti.
“Uno”, manda giù una sorsata d'acqua, “uno solo”
“Beh, 0127, qui, in questa sala, ce ne saranno almeno altri dieci”
“Non sono 0127. Mi chiamo Jade Lennox”
“Tu, invece, chiamami 0093”
Jade la guarda sollevando le sopracciglia, sarcastica.
“Sto scherzando, idiota, mi chiamo Rachel Smith”, detto questo si alza, le dà una pacca sulla spalla ed esce dalla sala, scortata dalla sua guardia.
 

-Jade-

 

Mi preparo velocemente per andare nella SR, cercando di reprimere una crescente ansia che si sta impadronendo di me.
Verrà sicuramente, continuo a ripetermi.
Sistemo lo chignon alto mentre mi specchio, passo le mani sulla mia divisa grigio chiaro, cercando di toglierne le pieghe.
Vorrei tanto indossare uno dei vestiti che avevo a casa di mamma, ma non posso.
Premo le mani sugli occhi, trattenendo le lacrime.
Lacrime di rabbia, nostalgia e frustrazione. Mi appoggio al lavandino prima di dirigermi verso la porta della mia cella e chiamare poi Cliff.
In pochi secondi apre la porta e mi fa segno di seguirlo, nonostante sappia bene la strada, ormai.
Il percorso mi sembra molto più lungo del normale, il tempo sembra passare più lentamente.
Non lo hai mai guardato in faccia e ci hai parlato tramite bigliettini, calmati, cazzo, mi ripeto, cercando di respirare normalmente.
Finalmente giungiamo nell'ultimo corridoio prima della SR. Vedo già la stanza, in lontananza.
Quindici secondi.
Dieci.
Cinque.
Tre.
Zero.
Cliff apre la porta della Sala Ricreativa, facendomi entrare.
Seduto al mio tavolo vedo un ragazzo. Lui sposta lo sguardo su di me e, così, mi si gela il sangue nelle vene.
Quel ragazzo l'ho già visto. L'ho visto passeggiare accanto all'assassino di mio padre.


 

- SPAZIO AUTRICE -
Questa è la mia oraaa, scusate lol
Se dico:"aggiorno xx", vuol dire che aggiorno più verso mezzanotte che verso il pomeriggio, doppio lol
Che ne dite di questo capitolo? Sto riusciendo a farvi incuriosire?
Il nuovo personaggio ve gusta?  
Vorrei, infine, ringraziare tutte per le recensioni e per i preferiti, seguiti e ricordati, sia per questa storia, sia per la precendente.
Il cross-over con Hunger Games ha raggiunto i 126 preferiti, con ventidue capitoli. Grazie infinite a tutte, siete carinissime♥♥

[Rachel Smith: Alexandra Daddario]

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Capitolo 4
*** Ottavo giorno. ***


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30 Gennaio 2013.

Ottavo giorno.

 

“Allora? Vuoi entrare o no?”, mi giro verso Burton, annuendo. Poi faccio qualche passo verso il ragazzo. Ancora uno, ancora un altro, ancora...sono arrivata.
Non ho il coraggio di guardarlo in faccia, perciò mi siedo di fronte a lui, prendo la prima rivista che mi capita sotto tiro e rimango immobile, fingendo di leggere e di non badare a lui.
Il mio brillante piano (rimanere impassibile fino alla sua resa) ha successo solo per pochi minuti, dato che un finto colpo di tosse mi distrae, costringendomi a sollevare lo sguardo su Bieber.
“Ciao, Jade”
Capisco che anche lui non ha parlato per diverso tempo, ma la sua voce è comunque calda e suadente. Appoggio la rivista sul tavolo consunto, coprendomi le guance con le mani e respirando profondamente. Sono improvvisamente arrossita, e per cosa? Per la voce di quel ragazzo?
Nonostante i miei dubbi e sospetti su di lui, sono comunque una ragazza.
“Stai bene?”, allontano le mani dal viso, adesso viene la parte seria.
“Come conosci Claudius Gray?”, rispondo io. Lo guardo studiandolo nei minimi dettagli...come se fosse un dispiacere, dati i suoi lineamenti. Lui sembra impallidire.
Evita il mio sguardo, si torce le mani e se le passa tra i capelli spettinati.
“Facciamo una partita”, mi risponde. Si alza e raggiunge lo scaffale più vicino, prendendo una scacchiera.
Cosa diavolo pensa di risolvere con quella? Anche in questa occasione, però, mi permetto di guardarlo da capo a piedi, notando i numerosi tatuaggi sulle braccia muscolose: un cavaliere, un gufo, una rosa...si gira verso di me, tornando al tavolo.
Quando si risiede, gli rivolgo finalmente parola.
“Vuoi rispondermi?”
“Dama o scacchi?”
Lo guardo storto, ma lui non se ne accorge, sta fissando la scacchiera.
“Dama”, rispondo irritata e con poca pazienza.
“Bianchi o neri?”
“Cosa cazzo speri di ottenere?”, finalmente mi guarda e io devo cercare di non arrossire di nuovo quando i suoi occhi incontrano i miei.
“Prendi i bianchi, muovi tu per prima”
Sistemo le mie pedine sulla scacchiera, volendo assecondare ancora per poco quel ragazzo. Quando ho finito muovo una pedina a caso, sperando di aver fatto una mossa non troppo sbagliata.
“Mio padre era un suo collega di lavoro”, mi confessa, rispondendo alla mia domanda.
Alla buon'ora, Bieber. Muove una pedina e io faccio altrettanto, osservando più lui che la scacchiera.
“Conosci Gregory Lennox?”, chiedo, facendo un'altra mossa. Gli mangio una pedina, lui pure.
“No. Lo avrei sentito almeno nominare se avesse lavorato con mio padre e con Gray”
Trattengo un sorriso, lasciando che l'ansia e il sospetto verso di lui svaniscano. Potrebbe benissimo avermi mentito, ma sembra sincero.
Non avrei sopportato l'idea di vivere sotto lo stesso tetto di qualcuno che ha collaborato all'omicidio di mio padre. Gli mangio un'altra pedina, faccio dama.
“Tu come lo conosci?”, mi chiede, facendo la sua mossa. Anche lui fa dama. Gli allungo una delle pedine che gli ho mangiato e le nostre dita si toccano. Ritraggo subito la mano, mentre lui non sembra turbato.
Idiota, certo che non lo è, sei tu che ti stai comportando come se vedessi un ragazzo per la prima volta, penso, scuotendo la testa.
“Credo che abbia ucciso mio padre”
“Non me ne stupirei. È stato lui a mandarmi qui”
Alzo lo sguardo su di lui, sfidando le mie stesse guance. Sta sorridendo mentre guarda la scacchiera.
“E questo ti fa ridere?”
Mi mangia la dama e una pedina in un colpo solo, porca puttana.
“Meglio ridere che piangere, no?”, alza lo sguardo su di me. Io mi sistemo meglio sulla sedia, urtando per sbaglio una sua gamba.
“Che idiota, scusa”, stavolta non riesco a non arrossire. Che figura di merda, Jade, che figura.
Continua a lanciarmi occhiate veloci, senza mantenere un contatto visivo abbastanza lungo per i miei gusti.
“Tranquilla”, mi sorride, spiazzandomi.
Non guardarlo, non guardarlo, non guardarlo, forse se me lo ripeto all'infinito riuscirò a farlo per davvero, ma fino ad adesso il mio sguardo non ha intenzione di posarsi su qualcos'altro.
Perché lui è così a suo agio mentre io, invece, non sto ferma sulla sedia come se avessi una razzo sotto il culo?
Prima che possa rispondermi, Justin parla.
“E' stato un piacere, Jade. Dovremmo rivederci”, sì, sì, sì, “insomma, abbiamo una discussione da fare, su Gray”
“Oh, certo”, sono leggermente delusa.
“ Che ne dici di vederci tra tre giorni, nel cortile principale?”
“Alle quattro?”
“Un'ora vale l'altra, sai, non ho impegni, qui”
Accenno un sorriso. Lui mi stringe la mano, sorridendomi, poi esce dalla SR, scortato dalla sua guardia. Si gira un'ultima volta verso di me, notando che io lo sto seguendo con lo sguardo fin da quando si è alzato. Un secondo dopo è scomparso.
Come se mi fossi riscossa da un sogno, riporto il mio sguardo sulla scacchiera.
Su di essa non vi è nemmeno una pedina bianca, sono rimaste solo cinque dame nere.

 


I tre giorni seguenti sono una tortura. Lennox rimane nella sua stanza a lungo, non esce mai se non per i pasti. Ha rivisto soltanto una volta Rachel Smith, intenta a discutere con un altro paziente. Non si è permessa di intervenire.
Il primo giorno non fa altro che pensare a ciò che è successo nella SR. Rimugina continuamente su ciò che le ha detto Justin a proposito di Gray e suo padre. In realtà non le ha detto
praticamente niente, il giusto per poterla incuriosire.
Ma Jade non pensa solo a quello. Pensa al viso del ragazzo, alle sue mani mentre sfiorano le sue, ai tatuaggi, all'involontario calcio che gli ha dato. Al solo ricordo di ciò non riesce a non trattenere un sorriso e a non arrossire ancora.
I restanti due giorni sembrano passare lentissimi. Non una cosa riesce a distrarre la ragazza dai suoi pensieri.
Perciò, quando è finalmente nel giardino principale del S.T. Institute, sente allentarsi il nodo allo stomaco che di lì a due giorni la attanagliava.
Non appena Cliff Burton la lascia libera nel cortile, Jade va a sedersi sulla panchina più lontana dall'entrata dell'istituto. Purtroppo per lei, qualcuno è già seduto.
Ignorando la presenza dell'uomo sui trent'anni che le è affianco, Lennox si siede sul lato destro, tenendosene il più lontano possibile. Quello era probabilmente pazzo per davvero.
Spera e prega che non si accorga di lei, in qualche modo. Niente da fare.
“Tu chi sei? Questa è la mia panchina, non puoi starci anche tu!”
“Questa non è la sua panchina”, risponde cauta.
“Tu chi sei?”, ripete lui. Questo è pazzo sul serio, pensa lei, anche se la cosa non dovrebbe stupirla più di tanto.
“Sono Jade”
“E che me ne frega di come ti chiami, non è la tua panchina, vattene!”, le fa segno di alzarsi e di andarsene, sta iniziando a dare letteralmente di matto. Lennox si guarda intorno, sperando che le guardie notino ciò che sta accadendo. Niente, sono impegnate a parlare.
“Vattene, sei sorda?!”, ripete l'uomo. Forse farebbe davvero bene ad andarsene, ma Jade non è solita a farsi dare ordini.
“Questa panchina è mia quanto tua. Non sarò io ad alzarmi da qui”
Il viso dell'uomo si rabbuia, prima di rivelare una rabbia folle.
“Stupida bamboccia, togliti da questa panchina o ti ammazzo! Ti ammazzo, mi hai capito? O vuoi che ti frusti, prima?! Posso strappare un ramo, posso strappare le lenzuola fino ad assottigliarle e renderle fruste perfette, posso scuoiarti la carne della schiena, lurida...”
L'uomo le afferra un braccio, cercando di avvicinarla abbastanza da poterla picchiare. Non si sarebbe mai alzato da lì. Jade cerca di divincolarsi dalla stretta, inutilmente. È troppo forte per lei.
“Dave, metti giù quelle mani e vattene da questa panchina”
La ragazza non osa voltarsi verso la sua destra, da dove proviene una voce profonda e controllata. Dave, o come si chiama, allenta la presa sul suo braccio e si volta verso lo sconosciuto, improvvisamente calmo.
“Lasciala andare o chiamo le guardie, forza”
L'uomo la lascia definitivamente, alzandosi ed allontanandosi da lì con aria assente.
Un altro pazzoide?
Jade si gira verso il suo salvatore, ritrovando un po' di sicurezza vedendo la sua espressione ferma, contrariamente a quella di Dave.
È alto e biondo. Così biondo che le punte dei capelli sono quasi bianche. Ha la mascella squadrata, gli occhi chiari, attenti.
“Perdonalo, è qui da tanto tempo”
“E tu come lo sai?”
Alza le sopracciglia, divertito.
“Perché lo sono anche io”
Si siede di fianco a lei, porgendole la mano destra. Jade gliela stringe, titubante.
“Mi chiamo Jared. Jared Greenwood”

 

-SPAZIO AUTRICE-

Spero di non essere troppo in ritardo.
Questo capitolo non mi fa impazzire, lo ammetto.
Vi ringrazio per le recensioni, i preferiti, i seguiti e i ricordati, siete carinissime, grazie!
Un kiss a tutte:)

(Jared Greenwood: Jamie Campbell Bower)

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Capitolo 5
*** Undicesimo giorno. ***


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Due Febbraio 2013.
Undicesimo giorno.

 



“Ehm...io sono Jade Lennox, qui da undici giorni”, gli stringo la mano quasi con fiacca, stanca di conoscere così tante persone in poco più di dieci giorni.
“Sei solo all'inizio, allora”, distolgo lo sguardo da lui, appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
“Già, grazie per avermelo ricordato”, lo guardo di sottecchi, ma il suo viso è coperto dai capelli discretamente lunghi.
“O forse no. Certa gente è riuscita a scappare, si dice. Altra è stata dimessa”
Perché io sono sicuramente una criminale in grado di evadere da qui, certo, Jared.
“Da quanto sei qui?”, chiedo allora.
“Da troppo”
Sbuffo. Devono essere tutti così misteriosi qua dentro? Nota il mio disappunto, decide di accontentarmi.
“Da quattro anni”
E non è ancora impazzito?
“E...quanti anni hai?”
“Sei curiosa, Jade, eh?”, continuo a guardare il pavimento, forse ho esagerato. No, perché avrei dovuto? Gli ho chiesto solo quanti anni ha.
“Ne ho ventuno”, si appoggia sulle ginocchia come faccio io, perciò sono costretta a girarmi verso di lui.
“E tu?”
“Sei curioso, Jared?”, lui sorride, “comunque grazie per prima”, continuo. Jared si tira su.
“Non avrai pensato che lo lasciassi fare”
“Per quanto ne sapevo, potevi essere come lui”, gli faccio notare.
“Non posso darti torto”, alza le braccia e si appoggia allo schienale della panchina. Volto istintivamente la testa verso destra, notando l'arrivo di Justin. Cammina guardando per terra, le mani in tasca.
“Ehi, Justin”
Apro la bocca per dire qualcosa, ma mi blocco. Jared lo conosce? Mi giro verso di lui con aria dubbiosa, chiedendogli spiegazioni.
“Che c'è?!”, mi risponde lui.
“Ciao Jared. Jade”, sto quasi per alzare la mano a mo' di saluto quando mi rendo conto della figura che farei. Non sono una bimba di cinque anni.
“Ehi”, dico alla fine, evitando il suo sguardo.
“Immagino tu sia venuto per vedere lei, non me”, dice Jared. Improvvisamente avrei voglia di pregarlo di restare.
“Allora tolgo il disturbo, non vorrei che sospettassero di qualcosa”, si alza dalla panchina.
“Ciao Jade, ci si vede”, dà una pacca sulla spalla a Justin, ne sento il suono. Bieber ridacchia. Cosa stanno dicendo? Alzo lo sguardo sui due, ma Jared si è già incamminato verso l'entrata dell'istituto.
“Come lo conosci?”, gli chiedo una volta che mi si è seduto accanto. Qualcosa dentro di me mi spinge ad avvicinarmi, ma combatto questo istinto rimanendo immobile.
“Potrei farti la stessa domanda, ma credo mi interessi di più sapere perché pensi che Gray ti abbia mandata qui e abbia ucciso tuo padre”
“Giusto”, mi appoggio sullo schienale della panchina, portandomi poi le gambe al petto. Non mi piace parlare di quell'argomento, non mi piace proprio.
“Se vuoi...posso raccontarti la mia storia per primo”, dice, vedendomi in difficoltà.
“No, è che non so da dove cominciare”, mento. Lui rimane in silenzio e così anche io. Quando ritrovo un po' di sicurezza, inizio a parlare.
“Iniziò tutto quando mia madre tornò a casa seguita da un uomo. Avevo quindici anni. Rimase con lei per un paio di ore, li spiai: erano concentrati su pile e pile di fogli, i cellulari erano sul tavolo, spenti. Si videro un altro paio di volte, stessa scena. Dopo quasi due mesi dal primo incontro, mia madre mi presentò all'uomo: era alto, i capelli striati di grigio e il viso affidabile e di bell'aspetto. Si chiamava Claudius Gray. Mia madre mi disse che era il nostro nuovo avvocato contro il suo ex marito, sposato quando aveva diciotto anni, che ancora reclamava dei soldi da noi.
Claudius e mio padre andavano d'amore e d'accordo, tanto che spesso, di domenica, si ritrovavano per “farsi una partitella”. Ormai era di casa e l'udienza era andata alla grande: nessuno ci avrebbe dato fastidio.
Il...problema è che a me non piaceva per niente, lo detestavo. Pensavo che in qualche modo mi stesse allontanando dai miei genitori e stesse facendo lo stesso gioco con entrambi.
Era poco più di un anno e mezzo che Gray frequentava la nostra famiglia, quando, una sera, arrivai in fondo alle scale e sentii dei bisbigli. Era mia madre e parlava con Gray. Lo sapevo, lo sapevo che stava succedendo qualcosa, ma non ascoltai i campanelli di allarme che...insomma, mio padre era andato a vedere una partita di football, credevo che io e mamma fossimo da sole...li trovai attaccati, mia madre sorrideva come un'idiota mentre lui la baciava sul collo.”
Mi accorgo di avere le mani sugli occhi, per fermare qualsiasi tentativo di pianto.
Poi mi ritrovo con la mano sinistra stretta in quella di Justin.
“Forse non è stata una grande idea...non ci conosciamo neanche”, dice lui, a bassa voce.
“No, va bene così, non ne ho parlato con nessuno fino ad adesso”, dico tirando su col naso. Lo guardo e vedo il suo sguardo triste, comprensivo. Annuisce e non mi lascia la mano. Prendo fiato, continuo.
“Insomma, corsi fuori di casa, non mi importava se se ne fossero accorti, anzi, lo speravo. Volevo farli sentire in colpa, volevo poterli fare sentire male, volevo sparire.
Corsi verso la macchina di mia madre, me ne fregai del fatto che avevo la patente da cinque mesi e che quindi non avevo praticamente esperienza, misi in moto e partii. Arrivai a casa dei miei nonni, a due ore e mezzo da casa mia. Quando scesi non sentivo più le mani da quanto stringevo forte il volante, le dovetti mettere sotto l'acqua fredda.”
Mi scappa una risatina, non so perché. Noto che Justin mi si è avvicinato di poco, ora che ho allontanato le gambe dal petto, le sue toccano le mie. Non mi guarda, credo non voglia mettermi a disagio.
“I miei nonni quasi svennero quando raccontai loro quanto avevo visto. Mi dissero che potevo restare quanto volevo, per loro non c'era problema. Quella notte non dormii, sentivo che c'era qualcosa che non andava. Intendo, oltre a ciò che avevo visto.
La mattina dopo fui svegliata dalla polizia, con l'accusa di aver ucciso mio padre. Fui interrogata a lungo, la loro tesi era semplice: dopo il litigio della sera prima, una volta uscito per la partita di football, io avrei rubato la macchina di mia madre e lo avrei aspettato fuori dallo stadio. Alla sua uscita avrei provato a dissuaderlo nel tornare a casa, perché nessuno lì lo voleva.
Secondo loro...secondo Gray, il rapporto tra me e mio padre non era affatto buono e il nuovo amante di mia madre rappresentava per me, finalmente, il sostituto perfetto: ricco, bello, affabile, gentile. Al rifiuto di mio padre avrei perso la testa, avrei estratto un coltello e lo avrei accoltellato...poi sarei scappata con l'auto di mia madre per arrivare dai miei nonni.
Dopo qualche giorno in prigione, ci fu un'udienza, mi giudicarono mentalmente instabile e mi spedirono qui. Fine dell'allegra storia”
Justin mi guarda mesto, io contraccambio anche se ho la vista annebbiata per colpa delle lacrime che non ho voluto lasciar scorrere.
“Mi dispiace”
“Anche a me, credimi”
Mi accarezza la guancia, sento il suo disagio, ma sento soprattutto il mio. Il viso mi va a fuoco, letteralmente.
Delle urla ci interrompono, facendoci voltare. Le guardie non ci sono più, sono rientrate. Del fumo esce dall'entrata dell'istituto.
“Che cazzo sta succ-”, non finisco la frase, Justin mi ha preso per mano e ha iniziato a correre.
“Justin, dove stiamo...?”
“C'è un incendio, non senti il fumo e l'allarme?”
Effettivamente li sento. Mi riscuoto dal mio stato penoso e tengo il passo con quello di Justin.
“Che stiamo facendo?! Perché diavolo stiamo correndo verso l'istituto?!”
Justin non mi risponde, pensa a correre, a me manca il fiato.
“Rispondimi!”
Una volta dentro all'edificio si ferma per un attimo, si volta e mi risponde.
“Proviamo a scappare”

-SPAZIO AUTRICE-
Holaa babies!
Scusate la lunghezza, pensavo fosse più lungo.
In questo capitolo troviamo la storia di Jade e...un colpo di scena.
Questo capitolo non mi dispiace, è un po' di transizione, diciamo. Il prossimo, come immaginate, sarà movimentato.
Ora sono di fretta, avviserò chi devo avvisare domani, oggi vado a vedere le stelle cadenti, yeaah
Vi ringrazio per i 38 preferiti, le 40 recensioni e le visualizzazioni.
Grazie anche per i preferiti della mia precedente fanfiction, che continuano a crescere: quasi 140 preferiti!
Se vi interessa, ho scritto una os su Bieber, si chiama 'Ashes'.
Ora evaporo sul serio, adios c:

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Capitolo 6
*** Undicesimo giorno (2) ***


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Undicesimo Giorno.

Incendio al S.T. Insitute.


 

Justin riprende la sua corsa portandomi con sé, nonostante il fumo sia sempre più denso e soffocante.
“Sei impazzito?! Vuoi andare dritto tra le fiamme?”, urlo io, sovrastando il rumore degli allarmi.
Non sento la sua risposta, vengo trascinata in un corridoio laterale, più stretto e con meno fumo.
“Justin!”, lui sembra non sentirmi più, mentre io mi preoccupo sempre di più su ciò che stiamo facendo. Possibile che mi sia sbagliata? Che sia davvero pazzo?
Neanche questa volta riesco a darmi una risposta, inciampo sui miei stessi piedi, fermando la nostra corsa. Che idiota.
Justin si ferma solo un attimo per aiutarmi a rialzarmi e io ne approfitto per vedere la sua espressione. È talmente concentrato che si potrebbe pensare che abbia pianificato ciò da mesi, fa quasi paura.
Dovrei ribellarmi e tornare indietro? Dovrei tornare nel giardino principale in mezzo a tutti quei malati? Se torno là, morirò sicuramente prima o poi, devo almeno fare un tentativo.
Assecondo il piano folle di quel ragazzo, correndo tra i corridoi e fermandomi quando mi dice di farlo. Evitiamo psicopatici in fuga, guardie allarmate impegnate ad evacuare l'edificio.
Il fumo aumenta e così la nostra andatura, fino a quando non arriviamo all'ingresso dell'istituto, completamente in fiamme.
“E adesso?”, riesco a dire tra un respiro affannoso e un altro. La sua mano stringe ancora la mia saldamente, credo quasi che mi possa fermare la circolazione, ma non importa.
“Di qua”, svolta improvvisamente a destra, prendendomi alla sprovvista. Aggiriamo l'incendio sempre più esteso, il calore è insopportabile.
“Vuoi farci ammazzare?! Era questo il tuo piano?”, sbraito non appena ci fermiamo davanti alla porta d'ingresso; è in acciaio e con un codice di sblocco.
“Vuoi stare un attimo zitta, porca puttana?!”, detto questo si gira dandomi le spalle.
Ha una crisi d'isteria e vuole stare da solo? Be', che gli piaccia o no, questo non è il momento.
Sto per scuoterlo quando mi accorgo che se la sta vedendo con il display su cui lampeggia il codice di sblocco della porta.
“Lascia perdere e andiamocene!”
“Fidati!”
Lo vedo risolvere il primo codice e poi il secondo, sono tantissimi numeri. Ora, sul display, compaiono cinque cerchi neri. Li posiziona esattamente come le cinque dame vincenti della nostra partita. Posso solo rimanere sbigottita, fissando ciò che ha appena fatto Justin.
La porta si apre senza il minimo rumore, lui mi prende la mano ancora una volta mentre mi trascina sul viale d'ingresso del S.T. Institute.
“Che ci fate qua?! Il punto di ritrovo è dall'altra parte dell'istituto! Come siete usciti?”
E' finito tutto.
Una guardia compare da sinistra, un manganello in mano.
“Siamo rimasti intrappolati, abbiamo rotto una finestra e siamo usciti per evitare le fiamme”, risponde Justin.
“Be', ora dovrete seguirmi, qui non è sicuro”, ci guarda male. Ci fa cenno di andare avanti e, così, quel piccolo squarcio di libertà che avevo visto scompare di nuovo nell'oscurità.


“Faccia un respiro profondo”
Jade ubbidisce, anche se a metà dell'atto non riesce a non tossire.
“Tenga”, l'infermiera le porge un inalatore contente ossigeno.
“Poteva andarle peggio. Firmerò il permesso per farla restare qui un paio di ore, sotto osservazione, poi potrà tornare nella sua stanza, se agibile”
“Che vuol dire 'se agibile'?”, chiede lei storcendo il naso.
“Non so se se ne sia accorta, signorina, ma c'è stato un incendio, alcune camere sono bruciate”
“L'incendio era all'ingresso, com'è possibile?”
A Jade non importa gran che della sua stanza in sé, ma dei fogli nascosti. 
“Era più esteso di quanto creda, signorina”, taglia corto la donna, dando poco peso alle sue parole. Improvvisamente, come se si stesse risvegliando da un sogno, si ricorda di Justin. Dopo essere stati portati nel giardino principale, i pazienti erano stati divisi in due gruppi e portati in luoghi differenti. Ovviamente lei e Justin erano stati separati. Si guarda intorno nella speranza di trovarlo lì, ma la camera è praticamente vuota.
“Dov'è Justin?”, chiede d'impulso, riconoscendo poi il suo errore. 
“Justin chi?”
“Mi scusi, volevo dire Bieber, paziente numero 0128”
La donna apre una cartella con aria decisamente scocciata, prima di parlare.
“Uhm...è stato visitato nell'altra infermeria. È stato anche rimandato nella sua stanza”
“Grazie”
“Si riposi, adesso”
La donna fa per uscire dalla stanza, ma è costretta a indietreggiare non appena le porte di spalancano per far passare una paziente urlante.
D'istinto, anche Jade indietreggia, sbattendo la testa contro il muro. Ahi.
Non appena intravede il volto della ragazza rimane sbigottita.
È Rachel Smith. Eppure le era sembrata così normale, perché adesso sta dando di matto?
“Non ho bisogno di nessun sedativo, né di cure! Fatemi uscire di qui, fatemi uscire!”
Il viso è rigato di lacrime e di mascara colato, i capelli sono arruffati, ha delle cenere addosso e alcune parti dei suoi vestiti sono bruciacchiate.
Due guardie la fanno sdraiare su un letto non lontano dal suo, legandole i polsi e le caviglie saldamente.
L'infermiera che prima si occupava di Jade raggiunge Rachel, preparando nel frattempo una siringa.
“Si calmi, Smith.” 
Pochi secondi dopo, nonostante le opposizioni della ragazza, le viene iniettato un sedativo nel braccio, bloccando le sue urla in pochi attimi.
“Che le avete fatto?!”, esclama dopo poco Jade.
“Niente che non fosse necessario e niente che le interessi”
“Ma...”
L'infermiera la fulmina con lo sguardo aprendo le porte della stanza.
“Le basti sapere che è qui a causa sua, signorina”, detto questo esce definitivamente, lasciandola sola con Rachel.
Cosa non molto rassicurante dato che, secondo l'infermiera, è stata lei ad appiccare l'incendio che avrebbe potuto ucciderla.


Dopo due ore a dir poco noiose, posso finalmente tornare nella mia stanza.
I primi venti minuti sono passati lenti, mentre io mi facevo un sacco di domande: perché ha appiccato l'incendio? Se voleva fuggire non poteva trovare un modo più sicuro anche per se stessa? Perché ha strillato così tanto sapendo che ciò che dicono di lei medici e cartelle cliniche sarebbe poi diventato molto realistico e credibile?
Nel restante tempo ho sperato che Rachel non si svegliasse. Per fortuna non è successo, altrimenti non so come avrei reagito.
“Forza, mi segua”, mi dice una guardia che non ho mai visto non appena esco dall'infermeria.
Non ribatto e non mi oppongo, mi limito a seguirlo nel dedalo di corridoi dell'istituto, fino a quando non raggiungiamo un bivio. Dovremmo andare a sinistra, invece andiamo a destra.
“Aspetti, dove stiamo andando?”, chiedo fermandomi sul posto.
“Dove mi è stato detto di portarla, alla sua camera”
“La mia camera è dall'altra parte”
“La sua camera è la 0164, adesso ed è di qua. Mi segua”, il suo tono è così risoluto che non mi permette di replicare.
Quindi la mia camera è bruciata per davvero. Chissà se anche quella di Justin lo è.
Mi sarebbe piaciuto conservare quegli sfoghi e quell'unica lettera di Bieber, ma ora sono sicuramente cenere, perciò è meglio che me ne faccia una ragione in fretta.
Il percorso è inaspettatamente lungo e tortuoso, non pensavo che potessero esserci così tanti corridoi, perciò quando arriviamo a destinazione quasi non me ne accorgo.
“Ferma”
E io mi fermo, da brava bambina. Non so perché sono così ubbidiente, forse il fallimento della fuga mi ha tolto ogni speranza di uscire da qui. La guardia apre la porta bianca della nuova stanza, facendomi poi entrare. Tengo gli occhi fissi sul pavimento fino a quando non sento la porta chiudersi, poi alzo lo sguardo.
“E tu che ci fai qui?”
Volto lo sguardo verso sinistra, incredula.
"Potrei farti la stessa domanda, Justin"



-SPAZIO AUTRICE-
AVVERTO SUBITO: COL PROSSIMO CAPITOLO VE RITROVATE ANCHE IL TRAILER, ME DISP
Ok, questo è un po' più lungo. Vi giuro che io mi ci metto per farlo venire un papiro, ma ogni volta c'è qualcosa che mi devia, porca troiottola!!!
Volevo finirlo facendolo più lungo, ma x-factor mi distrae troppo.
p.s. Io sono per Carly e le Fifth Armony, lol
okokok, delirio. Grazie a tutte le recensioni e ai complimenti, siete non carine, di più!
Ringrazio poi anche una pezzente di turno di cui ho usato il nome nella fanfiction, ciau rachi -.^

p.p.s. “Lo sai chi è stato?”, ora lo sai Rach del mio cvore haha
 

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Capitolo 7
*** Dodicesimo giorno. ***


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TRAILER

Tre Febbraio 2013.
Dodicesimo giorno.



In men che non si dica sono a tirare pugni contro la porta della stanza, cercando di attirare l'attenzione della guardia che se n'è appena andata.
“Che c'è?”, ringhia lui dopo poco, guardando nell'angusta apertura rettangolare della porta.
“Siamo in due qui dentro”
“E ti lamenti con me, stupida?”
Ha un'aria così strafottente che lo prenderei a pugni sul momento, ma cerco di mantenere la calma.
“Credevo dovessimo stare da soli”
“Non ci sono abbastanza stanze.”
“Ma...”
“Hai paura che ti possa fare qualcosa? Tipo violentare, torturare o perfino uccidere? Beh, te la dovrai vedere da sola, cagnetta”
Tiro un pugno contro il vetro dell'apertura, colpendolo anche al naso. Sto sanguinando, ma non importa. Lo sento imprecare e chiamarmi nei modi più osceni possibili, prima di scomparire tra i corridoi. Ho ancora la mano oltre la porta quando sento Justin trascinarmi indietro, farmi sedere sul letto e sparire nel bagno.
Fisso la mia mano sanguinante e tremante. Non pensavo avrei potuto reagire così a una provocazione e invece l'ho fatto.
Dopo pochi secondi Justin torna e appoggia una cassetta sul letto, poi mi fa alzare e mi conduce in bagno, dove con un fazzoletto bagnato mi lava la mano sporca di sangue.
“Cerca di stare ferma”, ma il dolore è troppo forte e mi scappa un urlo. Mi brucia tutta la mano e non riesco a fermare il tremolio costante. È una tortura.
“Jade, stai ferma”
“Non ci riesco”
Stringo gli occhi cercando di soffocare un altro grido. Dopo non so quanto tempo sono di nuovo seduta sul letto, la mano ferita in grembo a Justin: me la sta fasciando. Sembra così tranquillo che ho quasi voglia di dargli uno spintone. Vorrei che non si mostrasse così, il suo tentativo di fuga è appena fallito e sembra che lui abbia solo perso una partita a carte.
Non mi rendo conto di fissarlo intensamente fino a quando non mi parla.
“Che c'è?”
“Sei calmo”
“Come dovrei essere?”
“Arrabbiato, come minimo”
“Perché non siamo riusciti a scappare?”
“No, perché il cielo è blu e gli uccellini cantano”
Lui mi guarda male, poi continua a fasciarmi la mano.
“Mi è servito per capire alcuni errori in ciò che abbiamo fatto. Quando ci riproveremo dovremo avere un diversivo migliore ed essere più veloci”
“Quando ci riproveremo”, lo canzono io, “dai così per scontato che io voglia riprovarci? Dopo essere quasi finiti bruciati?”
“Sono abbastanza sicuro che non vorrai rimanere qui per il resto dei tuoi giorni”
Adesso mi sta guardando in faccia e io come un ebete faccio lo stesso.
“Ehm”
“Che c'è?”, dico io stavolta.
Fa un cenno con la testa verso la mia mano, completamente fasciata e medicata, appoggiata ancora sulle sue gambe. La ritiro immediatamente, abbassando lo sguardo.
“Guarda il lato positivo, ora che sei qui possiamo parlarci quando vogliamo, possiamo pianificare qualcosa di concreto”
“Sì, sono sicura che diventeremo più veloci – come dici tu – correndo per i cinque metri per cinque di questa camera”
“No, andremo in palestra”
“Oh sì, facciamoci un giro per l'istituto e poi usciamo liberamente, ci iscriviamo ad una palestra costosa, ci alleniamo e poi torniamo tranquilli qui dentro per scappare, diciamo, con stile.”
Mi sdraio pesantemente sul mio letto, quello su cui Justin non era seduto quando sono entrata.
È vicino all'unica piccola finestra della stanza, anche se adesso non entra la luce.
“Smettila di fare l'idiota”
“Scusami?”, dico voltandomi verso di lui, in piedi al centro della stanza.
“Sì, smettila. Al piano superiore c'è qualche attrezzo, li usano più che altro per far sfogare alcuni soggetti, ma è meglio di niente”
“Tu sei pazzo”
In questo momento vorrei uscire dalla stanza, ma mi rende conto di non potere, perciò mi giro su un lato, evitando di guardarlo.
“Se vai a cena, portami qualcosa, per favore.”
“Quando saremo fuori di qui mi ringrazierai”
“Sì, certo”
Sto quasi per addormentarmi quando mi ricordo di un piccolo particolare.
“Justin, come facevi a sapere le combinazioni della porta? Erano uguali all'esito della nostra partita...”
Non mi risponde nessuno.
“Justin?”
Mi giro sull'altro lato, notando così che si è addormentato. Sembra più piccolo, ha il ciuffo castano spettinato, gli copre un po' gli occhi. Rimango qualche secondo a fissarlo, poi allungo una mano e gli scosto i capelli dal volto il più delicatamente possibile. Purtroppo non abbastanza, perché vedo la sua espressione cambiare, la bocca si incrina verso il basso e apre appena gli occhi. Pensa che non l'abbia visto, dato che li richiude subito e lascia che io gli sposti i capelli.
Non so perché, ma sorrido e faccio scivolare le dita sulla sua guancia, sfiorandogliela con una carezza.
Poi sento delle dita afferrarmi il polso, stringendomelo in una morsa d'acciaio.
“Basta così”
Stranamente non sono imbarazzata, sono arrabbiata.
Do uno strattone alla mano, liberandomela.
“Quand'è stata l'ultima volta che qualcuno ti ha toccato con delicatezza?! Fottiti”
Mi rigiro dall'altra parte, coprendomi con le lenzuola.
Spero di sentire delle scuse, un bisbiglio, qualcosa, ma c'è solo silenzio.



“Svegliati, dobbiamo andare”
Tiro su le coperte, non lasciando fuori neanche il viso.
“Mmh”
“Jade, svegliati”
“Cinque minuti, mamma”
Posso finalmente continuare a dormire, nessuno parla più.
“Jade”
Ecco, mi sbagliavo.
“Jade, sono...Justin, non tua madre”
A quelle parole mi tiro su a sedere sul letto, sbuffando.
“Potevi lasciarmi sognare che lo fossi”, detto questo mi alzo e vado in bagno, chiudendomi dietro la porta, stroncando così ogni possibilità di protesta da parte di Justin.
Quando esco sono almeno presentabile. Subito dopo entra lui, ringraziandomi di cuore per l'attesa.
Lo sto aspettando quando una guardia passa, urlando “la colazione!”
Apre la porta e appoggia il vassoio sulla scrivania – se così si può chiamare – e lascia la camera, senza degnarmi di uno sguardo.
In quel momento esce Justin, incitandomi a mangiare in fretta.
“Che fretta abbiamo?”, chiedo mentre mangio un biscotto.
“Di mattina non c'è praticamente nessuno, è il momento migliore per allenarsi”
“Ah”
Lui beve la sua tazza di latte accompagnandola con una brioche, poi si pulisce la bocca e va a lavarsi i denti. Il latte nella mia tazza è ancora a metà, ma non ho intenzione di abbuffarmi per farlo contento.
Quando torna, sto ancora mangiando.
“Basta così, ti stai ingozzando. Dopo...ti balla tutto nello stomaco”, dice lui, non trovando altre parole.
“Sì, sicuro”
Mi alzo dal letto su cui mi ero seduta e vado in bagno per lavarmi a mia volta i denti.
Una volta uscita trovo la porta della stanza aperta, Justin vi è appoggiato contro, sta parlando con una donna.
“Lo so che dobbiamo avere i permessi, ma se per oggi chiudessi un occhio...sai, ne sarei molto felice”
“Justin?” Mi avvicino a loro, ma lui mi blocca portando un braccio indietro. Sbircio oltre la sua spalla e noto una donna sui trent'anni.
“D'accordo, farò il possibile”, dice con una voce assolutamente non adatta al suo lavoro. Non so come altro descriverla.
“Grazie, Katy”, dice lui con tono suadente.
Si gira verso di me e mi fa un sorriso sghembo. Io lo guardo interrogativa, ma lui ha già cominciato a seguire Katy, così lo faccio anche io.



È un'ora che ci alleniamo sul tapis roulant e con i pesi e io sono sfinita.
Justin mi incita a continuare, concedendomi solo poche pause.
Sto facendo la cyclette quando lui mi rivolge la parola.
“Mi dispiace per ieri sera, sono stato un po'...brusco”
“Un po', eh?”, non dico nient'altro, aspettando che continui.
“Tu mi avresti lasciato fare se lo avessi fatto a te?”
Questa domanda mi spiazza.
“Sì”, lo ammetto, ma me ne pento quasi subito. Continuo con la cyclette senza più guardarlo, fino a quando la porta della palestra si apre ed entra qualcun' altro.
“Sì, sì, d'accordo, almeno un'ora”
La porta si richiude dietro a Rachel Smith.
“Che ci fai qui?”, le chiedo d'istinto.
“Oh, grazie mille, sto benissimo, e tu come stai?”, risponde lei con sarcasmo.
“Scusa, ma...”
“Ho capito, ho capito. Sono qui perché mi hanno mandato loro, a farmi sfogare. Che cosa inutile”
“E perché lo avrebbero fatto?”, interviene Justin.
“Buongiorno anche a te. Chi saresti?”
“Justin Bieber”
“Mh. Be', mi sembra ovvio, ho dato fuoco all'istituto.”




 

-SPAZIO AUTRICE.-
Hola, holaaa!
Com'è tardi per aggiornare, lo so cc
Farò in fretta, infatti.
Sopra c'è il trailer della fanfiction, spero vi piaccia:)
Scusate il ritardo, ma ieri ho visto Shadowhunters e beh...lol
Ora evaporo davvero.

p.s. chiedo umilmente perdono per l'errore di ortografia a coloro che hanno letto stanotte/stamattina. Mi ero promessa di guardare come si scriveva "cyclette", ma era tardi e mia madre rompeva, perciò ho chiuso tutto e...niente, quando ero ne letto mi sono venuti i brividi non appena me lo sono ricordata. Ok, che papiro, sorratemi.

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Capitolo 8
*** Dodicesimo giorno (2) ***



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Dodicesimo giorno (2).
Capitolo otto.


“Lo sapevo”, bisbiglio, cercando di concentrarmi sull'esercizio. Non appena lo dico, però, sento gli occhi di Justin su di me.
“Lo sapevi? E quando pensavi di dirmelo?” sbotta.
“Non voglio litigi tra coppiette” risponde prima di me Rachel, “l'unica cosa che voglio è starmene qui a ciondolare su questo pallone gigante per la prossima ora”
Io la ignoro, guardandola saltellare pigramente sul pallone gonfiabile su cui è seduta.
“Abbiamo per caso un contratto nel quale si esplicita il mio obbligo nel riferirti qualunque cosa tu ritenga interessante?” mi volto verso Justin, guardandolo male.
“Stiamo o no cercando di andarcene da qui, Jade?! È meglio che collabori se non vuoi marcire qui”
“Ci sono le telecamere, furbone” dice Rachel ridacchiando.
“Scommetto che non c'è nessun microfono, grazie per l'interessamento” le dice lui, lanciandole una fugace occhiata.
“Sentite” esordisco io, cercando di allentare la tensione, “ognuno continuerà a cercare di scappare per i fatti propri, nessuno darà fastidio all'altro e io mi impegnerò a farti sapere tutto ciò che ritengo utile dirti” mi volto verso di lui, “d'accordo?”
“Stai ingigantendo la faccenda, ragazzina”
“Perché, tu quanti anni credi di avere? Ottanta, grande saggia? Lasciaci in pace, piromane” le sputo addosso, dimenticando di mantenere la calma.
“Io almeno ero quasi fuori di qui” dice lei, indifferente.
“Io lo ero già” dico guardando davanti a me, serrando le labbra.
“Sì, Jade, saresti sicuramente fuori dall'istituto se non ti avessi trascinata per tutto l'edificio e se non avessi aperto la porta d'ingresso” ribatte Justin.
“Il tuo sembrava un piano suicida”
“Sei tu a non capire i miei piani”
“Se ti fossi degnato di dirmelo!”
“Non c'era tempo!”
“Aspetta, siete usciti dall'ingresso?” interviene Rachel, con una punta di interesse nella voce, questa volta.
“Mh-mh” asserisce Justin, attento a non guardarmi. Sbuffo sonoramente, quel ragazzo è incomprensibile.
“Come avete fatto con i codici di sblocco?” Rachel smette di dondolarsi e saltellare sul pallone.
“Tutto qui dentro” risponde Justin indicandosi il capo con un dito. Alzo gli occhi al cielo, cercando di non mettermi le mani nei capelli per l'esasperazione.
“No, sul serio”
“Sto parlando sul serio”
“D'accordo” Rachel si alza in piedi e ci raggiunge, “ho capito di che pasta sei fatto” mi sta dando le spalle, come se fosse invisibile. Poi, improvvisamente, si gira verso di me.
“Spero conosciate Jared. Gli ultimi due tentativi li abbiamo fatti insieme”
“Lo conosco” diciamo insieme io e Justin. Lui mi scocca un'occhiata di traverso, rimanendo però in silenzio.
“Bene, se siete interessati a qualcosa di più...” gesticola un po', cercando le parole giuste, “concreto, potete dirlo a me o a lui. Troveremo il modo di metterci in contatto con entrambi”
“E perché dovremmo esserlo?” ribatte Justin, lasciando trasparire un sorrisetto che mi fa innervosire ancora di più.
“Perché noi siamo bravi e voi...cioè tu, eri già fuori da qui al primo tentativo, se non sbaglio”
Lui annuisce, mentre io smetto di fare la cyclette e mi giro completamente verso di lei.
“Di sicuro non lo verremo a dire a te”
Detto questo mi alzo e chiedo alla guardia di riportarmi nella mia stanza.
“Dove stai andando?” mi chiede Justin.
“Non hai sentito?” chiedo scontrosa. Lui alza le spalle.
“Comunque, Jared dovrebbe tornare dalla sua passeggiata esattamente tra...” Rachel guarda l'orologio sul muro, “dieci minuti, corridoio L”
Non so perché me lo dica, fatto sta che non appena sono fuori dalla palestra, chiedo alla guardia di cambiare meta: la SR.


Esco dalla Sala Ricreativa esattamente tre minuti prima che Jared percorra il corridoio L. In mano stringo il minuscolo bigliettino su cui ho appena scritto un paio di righe.
R. ha proposto un'alleanza, a tua insaputa. Non so come tu possa sopportarla, ma se è necessario per uscire di qui, io ci sto. Vediamoci fuori, giardino posteriore, tra cinque ore. Stessa panchina. Ah, scusa.
La guardia che mi sta scortando è particolarmente distratta, il suo sguardo sembra attento, ma la vedo persa nei suoi pensieri.
Tutto ciò mi agevola. Quando arriviamo all'incrocio tra i corridoi M e L, chiedo di poter passare per quest'ultimo, dato che il ricordo dell'incendio è ancora vivo e il corridoio M ha le pareti sporche di fuliggine. Fingo di rabbrividire e di terrorizzarmi, fino a quando la donna non annuisce e mi conduce verso sinistra.
Giusto il tempo di imboccare quella via che vedo Jared avvicinarsi, ancora lontano. Tengo lo sguardo basso, ma ogni tanto lo alzo per controllarlo.
Lui non smette di fissarmi, invece.
Quando finalmente ce l'ho di fronte, ne approfitto per fare la cosa più rischiosa che possa fare: gli tiro un calcio il più forte possibile sulla gamba, poi lo spingo contro il muro e gli premo la mano destra sul petto, sperando senta l'involucro che ho nel palmo. Lui sembra intuire, anche se ha ancora una smorfia di dolore sul viso.
Mentre io vengo allontanata dalle guardie, Jared si piega per toccarsi la gamba, facendo così cadere in avanti il biglietto. Prima che una delle due guardie si possa girare verso di lui, Jared afferra il bigliettino in caduta, per poi metterselo dentro la scarpa, a lato.
Sorrido, e in quel momento devo sembrare davvero poco normale agli occhi delle due guardie.




“Vedi di fare poco casino, 0164” mi dice la guardia prima di richiudere la porta della mia stanza.
“Mi chiami 0127, di 0164 ce ne sono troppi, se no” dico facendo un sorriso sghembo.
La donna scompare, lasciandomi finalmente sola per le prossime cinque ore.
Non appena è l'ora di pranzo, richiamo qualcuno per farmi portare subito in mensa, evitando così volutamente Justin.
Non rimango lì per molto, anche se l'ambiente è ancora sopportabile, dato che non c'è ancora troppa gente. Il tempo di mangiare della pasta e un frutto e sono di nuovo in stanza, speranzosa che Justin vada direttamente a pranzo dopo essere uscito dalla palestra.
E ciò avviene, perciò posso tranquillamente starmene per i fatti miei per un'altra ora, mentre spizzico gli ultimi rimasugli della colazione di stamani e leggo il libro posato sul cuscino di Justin, da poco iniziato.
Quando sento dei passi avvicinarsi, metto subito via il libro, mi sdraio sul letto e fingo di dormire.
Non appena entra nella stanza prova a parlarmi, ma poi si rende conto che probabilmente sto dormendo.
Lo sento sedersi sul suo letto, ma rimango immobile, in attesa di...non so cosa.
Vorrei aprire gli occhi, ma non posso, sono girata verso di lui, mi vedrebbe.
Il tempo passa infinito e sto quasi per addormentarmi per davvero quando sento qualcosa muoversi.
Rimango in ascolto, attenta. Se non sapessi che Justin è qui, direi di essere sola, ma so che non è così.
Perciò, quando sento i capelli che ho sul viso spostarsi verso destra, non so se essere sorpresa o no.
Mi sorprendo invece nel trattenere il respiro, mentre rimango concentrata, in attesa di sentire qualcosa.
Effettivamente, dopo pochi secondi, sento le dita di Justin sfiorarmi la guancia, proprio come ho fatto io ieri. Il mio orgoglio mi dice di allontanarlo, imitandolo, ma qualcosa di più forte mi impone di restare ferma, e anzi, mi strappa pure un lieve sorriso.


Mi sono alzata dal letto quando Justin era in bagno, sono uscita dalla stanza e mi sono fatta portare nel giardino posteriore. Adesso sto aspettando Jared, seduta sulla panchina su cui ci siamo conosciuti. Spero ardentemente che lo abbiano lasciato venire, nonostante sia già stato fuori nella mattinata.
Sto quasi per andarmene quando mi ritrovo di fronte a Jared, che mi fa sedere di nuovo.
“Molto delicata, complimenti” mi dice, sorridendo divertito.
“E' la prima cosa che mi è venuta in mente, scusa”
Improvvisamente mi vergogno un po' dei miei modi bruschi, ma non avrei potuto fare altro sul momento.
Lui annuisce, lasciando cadere il discorso, lasciandoselo alle spalle.
“Ti ho chiesto di venire qui perché...”
“Lo so perché. Me ne ha parlato Rachel, poco fa”
“Quindi sai che eravamo quasi fuori di qui, no?”
“Sì”
“E sai che Jusitn ha...come dire, reso inutili tutti gli ostacoli che ci impedivano di uscire da qui”
“Esattamente”
“Quindi tu saresti d'accordo a partecipare a questa alleanza folle?”
“Non siamo più folli di qualunque altro, qui dentro” dice giocando con una piccola ciocca dei miei capelli biondi, proprio come i suoi.
“Comunque sì” continua, lasciandola ricadere sulla mia spalla.
“Sarà difficile collaborare con Rachel, è incontrollabile. Tu come fai?” gli chiedo, ormai esasperata da quella domanda.
Jared alza le braccia di poco, per poi farle ricadere sulle ginocchia, come a dire “non lo so”.
“Forse andiamo più d'accordo di quel che pensi perché abbiamo un nemico in comune. Puoi star sicura che non appena saremo usciti da qui, la prima cosa che faremo sarà quella di far fallire quel bastardo” dice, cambiando umore. Ora sembra molto determinato.
“Ovviamente parlo per me e Rachel, tu e Justin farete quel che più vi pare e piace”
“Certo”
Rimaniamo in silenzio per diversi minuti, tant'è che per un po' mi perdo nel guardare le nuvole e immaginare a ciò che potrebbero assomigliare.
“Si può sapere chi merita così tanto il tuo odio?” chiedo a un certo punto, guardandolo.
“Un uomo ricco, avido, capace di tutto per raggiungere i suoi obiettivi”
“Mi ricorda qualcuno” dico sorridendo amaramente.
“Davvero? Chi?”
“Non lo conosci”
“Non ti costa niente dirmelo” indugio qualche attimo sul suo viso spigoloso, notando per la prima volta il suo fascino nascosto. Mi sento costretta a dirglielo.
“Si chiama Claudius Gray”
Vedo la sua mascella contrarsi, lo sguardo indurirsi e le mani stringere con forza il tessuto dei pantaloni bianchi.
“Non è divertente” dice in tono gelido.
“Cosa non è divertente?!” chiedo stranita.
“Stiamo parlando della stessa persona.”



 
-SPAZIO AUTRICE-
RAGAZZE, CIEU, E' USCITA “WAIT FOR A MINUTE”, L'HO ASCOLTATA TIPO PER DUE ORE,IL TEMPO DI SCRIVERE QUESTO CAPITOLO (LEGGERMENTISSIMAMENTE PIU' LUNGO RISPETTO AGLI ALTRI).
CIOE', ERO CON LA MIA AMICA ISPIRATRICI DI NOMI ( PIU' O MENO ASSURDI), STAVAMO DANDO I NUMERI DOPO DUE ORE E MEZZO DI TEDESCO E IO NON CI HO CAPITO PIU' NIENTE QUANDO HO SENTITO LA CANZONE. ORA LA FINISCO, RESPIRO, DATEMI UN ATTIMO.




Ok, eccomi.
Sembra che Claudius Gray accomuni un po' tutti, lì dentro. Che avrà fatto a Rachel e a Jared? Anche la storia di Justin non è ancora stata spiegata. Nonostante ci siano un po' di divergenze (PER CHIUNQUE ABBIA LETTO DIVERGENT E' UNA PAROLA TABU', LO SO (E CHI NON LA LETTO, LO LEGGA, E' TROPPO DA FANGIRLIZZARE))
la situazione tra i due non è molto chiara. Come la mettiamo?
Ringrazio tutte per le recensioni c:


p.s. Passate da 'its_alyssa', scrive una fanfic splendida.
xx

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Capitolo 9
*** Dodicesimo giorno (3) ***


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Dodicesimo giorno (3)
capitolo nove.


“Spero tu stia scherzando, Jared”
“Purtroppo no”
Sento un macigno premermi sul petto, facendomi ansimare.
“Stai bene?” mi chiede lui, vedendomi in difficoltà.
“Sì...sì, sto bene. Chi è Gray? Chi è in realtà?” riesco a chiedergli.
“Che ti ha fatto, Jade?” mi risponde così, ignorando la mia domanda.
“Forse dovrei essere io a chiedertelo?” mi rendo conto di aver formulato una domanda, ma ormai è troppo tardi. Lui mi incita a parlare e così io inizio a parlare, inizio a raccontargli la mia storia, proprio come ho fatto con Justin. È la seconda persona con cui ne parlo in meno di una settimana e la cosa mi suona strana. Sto trovando più persone disposte ad ascoltarmi qui che in mezzo alle persone normali.
Durante tutto il racconto Jared rimane immobile, gli occhi fissi sul terreno e la mascella contratta. Solo quando finisco si volta per guardarmi.
“Mi dispiace” sono le uniche parole che dice, ma sono sincere, bastano quelle.
Per qualche minuto restiamo in silenzio, un silenzio pesante e grave. Poi Jared inizia a parlare.
“Con me ha fatto proprio come ha fatto con te. In modi diversi, sì, ma mi ha incastrato e buttato qui. Sembra sia un suo vizio, no?” fa una pausa, si guarda intorno e riprende a parlare.
“E' stato circa quattro anni fa. Mio padre e Gray erano colleghi di lavoro, sai, erano di un certo livello. Alla mia famiglia non mancava niente, eravamo molto fortunati.
Fino a quando non ho iniziato a perdere la testa, a comportarmi come...sì, proprio come se fossi drogato. In quel periodo Gray veniva spesso a pranzo da noi e altrettanto facevamo noi. Durante il pasto ero tranquillo, il ragazzo perfetto che i miei genitori erano fieri di aver cresciuto. Ma non appena tutto ciò finiva, avevo voglia di vedere i miei amici e di fare il cazzone, insomma. Non passò molto tempo prima che i miei si accorgessero delle mie nuove abitudini. La mattina ero uno straccio, stavo male, vomitavo e mi ricordavo poco della sera precedente.
Mi vietarono di uscire e di vedere i miei amici. Non contò niente, anche quando ero a casa stavo male e insultavo mia madre e mio padre, per questo non avevo scusanti. Decisero di farmi vedere da un medico. La diagnosi fu semplicissima: mi drogavo. Mia madre mise a soqquadro la mia stanza, senza però trovare nessuna traccia di stupefacenti.
Io continuavo a stare male, loro non si davano una spiegazione e intanto mio padre si distaccava sempre di più dal lavoro per starmi dietro.
Il peggio avvenne una sera. Scappai di casa, voglioso di libertà, e mi infilai nella prima discoteca che trovai. Non sai quanto vorrei poter tornare indietro, fu l'errore più grande della mia vita.
Stavo...ci stavo provando con una ragazza, era molto bella, quando il suo ragazzo -o qualcosa di simile- mi spintonò lontano da lei. Non ci vidi più, la minima cosa mi fece scattare.
Facemmo una rissa, i buttafuori dalla discoteca intervennero e ci fermarono, ma io riuscii a tirargli un ultimo calcio in pieno volto. Lui cadde violentemente e sbatté la testa. Non passò molto prima che del sangue si spargesse sul pavimento.
Ci furono delle grida e io venni sballottato fuori dalla discoteca, sempre tenuto fermo dai buttafuori. Poi arrivò Gray con la sua sfarzosa auto bianca, fece segno agli uomini di lasciarmi e loro lo fecero. Mi fece salire sulla sua macchina e io senza protestare mi feci portare dove voleva.
Eravamo in un campo, ci restammo per un po', voleva che sbollissi la rabbia...non ricordo quanto, ma ero abbastanza lucido.
Ed è per questo che mi resi conto di tutto, collegai ogni cosa e mi avventai su Gray, cercando di strangolarlo, ma lui era più forte: mi assestò un colpo nello stomaco e uno sul viso, poi salì sulla sua auto e scomparve.
Io provai ad allontanarmi a piedi da lì, ma ero stremato, perciò mi lasciai andare e rimasi lì finché la polizia non mi trovò e mi arrestò per omicidio colposo.
Tre settimane dopo mio padre perse il posto di lavoro, Gray assunse prestigio e io fui giudicato pazzo. Non trovarono tracce di droga nel sangue e nelle urine. L'avevo smaltita completamente, era ciò che voleva Gray. Se non fossi andato in carcere, ma fossi rimasto qui, se la sarebbe cavata alla grande, non avrebbe incontrato ostacoli nel suo cammino...tipo la mia vendetta.”
Sono a bocca aperta. Questa volta Gray era stato ben più crudele che nel mio caso. Oltre ad aver rovinato Jared aveva anche portato al fallimento suo padre, lo aveva fatto allontanare dal figlio. Aveva agito per settimane, senza il minimo scrupolo.
“Come...come hai capito che era sua la responsabilità di averti fatto fare...ciò che hai fatto?” gli chiedo quasi con un sussurro.
“Gray era solito portare un regalo, ad ogni pranzo o quel che fosse. Sapeva che andavo matto per una bevanda che in città non si trovava più, così iniziò a portarmela. Ne ero entusiasta, la bevevo spesso e lui se ne accorse. Iniziò a portarmi due o tre bottiglie a volta e io le accettavo, grato.
A mente fredda, iniziai a stare male non appena bevvi quella roba, ma non fu ciò a farmi dubitare di lui. Ricordai che per una settimana rimasi senza, l'avevo finita. Ero improvvisamente migliorato, per qualche giorno sembravo veramente tornato il ragazzo di sempre.
Gray tornò e con lui la bibita e io mi persi nel tunnel. Mia madre non trovò nessuna droga in camera mia, anche se il medico era sicuro della sua diagnosi. La polizia pure, decretò che non la tenessi in casa. E poi, la comparsa improvvisa di Gray quando uccisi il ragazzo era più che una coincidenza.
Sul momento non ero del tutto convinto di essere dalla parte del giusto, ma adesso ne sono certo: la droga era nella bibita, il generoso regalo di Gray.
È così che è arrivato al successo, spodestando mio padre, riempendolo di preoccupazioni e rimorsi, mandandomi qui a calci in culo.”
E' così arrabbiato...non posso biasimarlo, dopo tutto ciò che ha passato. Improvvisamente penso di essere stata fortunata nella sfortuna e mi sento così dispiaciuta per lui che quasi lo abbraccerei.
Non penso per un attimo al fatto che abbia ucciso una persona: era drogato, dipendente da quella sostanza da settimane, manipolato come un burattino nelle mani di Gray.
“Non so perché te lo abbia raccontato. Immagino che ora vorrai starmi lontana.”
“Non dire sciocchezze. Non posso che essere dispiaciuta per te, Jared” gli dico poggiandogli una mano sulla spalla.
“Sei sicura?”
“Sì”
Mi abbraccia e posso così smetterla di tormentarmi pensando a cosa dovrei o non dovrei fare.
Mi sembra la cosa più naturale del mondo, in quel momento. Ricambio l'abbraccio, sentendolo fragile sotto il mio tocco.
All'apparenza non sembrava aver passato tutto ciò che, in realtà, gli è successo, per questo mi sorprendo nel passargli una mano sulla schiena, in un vano tentativo di consolazione.
Sembra non ne abbia mai parlato o che lo abbia fatto pochissime volte in questi quattro anni.
Non piange, no, però sento la sua infinita tristezza e il suo rancore verso quell'uomo.
“Via di qui”
Una voce interrompe il nostro abbraccio, facendoci staccare.
È Dave, l'uomo di pochi giorni fa, colui che voleva per sé la “sua panchina”. Brividi mi scendono giù per la schiena, ma Jared non sembra sorpreso.
“Dave, dacci un paio di minuti e la panchina sarà tutta tua”
“La voglio adesso”
“Dave”
“La vogliamo adesso”
Un altro uomo si unisce a Dave, fronteggiandoci. Sembra ancora più pazzo di quest'ultimo.
“Jared, andiamocene” dico piano, sperando mi senta solo lui. Mi guarda e capisce la mia paura.
“D'accordo, per oggi è vostra, state buoni”
“Per oggi, per domani e per sempre” continua Dave.
“Sì, va bene, si vedrà. Alla prossima”
Jared si alza e, prendendomi per un braccio, mi porta lontano da lì. Vorrei che il nostro viaggio durasse di più, perché qualcun altro mi afferra il polso e mi inchioda sul posto. Dave.
“Amico, lasciala, la panchina è tua”
“Lei voleva la mia panchina”
“No, è tutta tua, sul serio, il mio letto è molto più comodo” gli rispondo provando a sorridere.
“E adesso io voglio te”
Con uno strattone mi trascina via da Jared e, con l'aiuto del suo amico, cerca di portarmi verso la panchina contro la mia volontà.
Prima che possano solo fare due metri, Jared è addosso prima allo sconosciuto e poi a Dave, liberandomi dalla loro stretta. Mi allontano immediatamente, cercando con lo sguardo l'aiuto delle guardie. Non ci sono. Com'è possibile? È il loro lavoro, cazzo. A meno che non lascino che tutto ciò avvenga volutamente...
Jared tira un pugno a Dave sul naso, ma l'altro uomo lo colpisce da dietro, facendolo cadere a terra. Lui prova a rialzarsi, ma Dave è già pronto a sferrargli calci in pieno stomaco in compagnia del suo amico.
“Ehi, amico delle panchine! Guarda dove sono seduta!” dico, correndo verso la panchina e sedendomi velocemente. Dave punta lo sguardo su di me, mi raggiunge.
Quando è appena a pochi centimetri da me, lo colpisco al fianco con un calcio. Soffocando un gemito di dolore per il contraccolpo, gli do una gomitata in faccia, sperando riesca a stordirlo per qualche secondo. Purtroppo sono stata troppo debole, sono troppo debole, e in un men che non si dica sono di nuovo sotto il controllo di Dave. Mi dà un pugno, facendomi sanguinare il labbro. Sta per colpirmi al viso per la seconda volta quando qualcosa lo scaraventa per terra.
“Vattene, Jade”
E' la voce di Rachel, così mi giro verso di lei e la vedo raggiungere Jared, adesso in vantaggio rispetto al suo avversario. Con l'aiuto della ragazza, però, l'uomo è K.O. in pochi secondi.
Guardo incredula la ragazza, chiedendomi come abbia fatto.
Non ho il tempo di chiederglielo, perché Jared mi afferra per un braccio e mi conduce verso l'entrata dell'istituto, con Rachel al nostro seguito.




Entro nella mia camera ancora scossa, per questo non sono pronta a ciò che ha intenzione di dirmi Justin.
Non ho neanche voglia di ascoltarlo se si tratta delle solite prediche o domande.
“Dove sei stata per tutto questo tempo?!” interviene subito lui.
“Senti, non è il momento” cerco di zittirlo, ma è tutto inutile.
“Che ti costa dirlo?”
Alzo lo sguardo su di lui, notandolo più vicino di quanto pensassi: è di fronte a me, le braccia incrociate, in attesa di una risposta.
“Che hai fatto al viso, Jade?”
Il suo tono cambia, ora è più preoccupato.
“Nien-”
“Vuoi smetterla di mentirmi?!” tuona lui, avvicinandosi. Non so cosa dirgli, perciò sto zitta.
“Ti hanno picchiata? È stato Jared Greenwood?”
“No!”
E' sorpreso dalla mia esclamazione, fa quasi un passo indietro.
“Jade...” mi tocca delicatamente l'angolo della bocca, lì dove Dave mi ha colpito.
“dimmelo” continua.
“Dirti cosa? Queste cose succedono, Justin! Siamo in un manicomio, te lo devo ricordare?!” sbotto, perdendo inevitabilmente la calma. Allontano la sua mano dal mio viso, mi dirigo verso il bagno, ma Justin mi ferma, bloccandomi per il polso.
“E smettetela di prendermi e mollarmi come un bambola, Cristo!” do uno strattone alla mano, liberandomi.
“Chi è stato, Jade?”
“Non sono affari tuoi”
“Te lo chiederò un'ultima volta” si avvicina a me e io non riesco ad indietreggiare.
Chi è stato a farti questo?
“Si chiama Dave, è completamente fuori di testa. Ero seduta sulla sua panchina con Jared, ci stavamo consolando a vicenda e lui ha iniziato a dare i numeri per quella stupida panca” dico velocemente, stanca delle sue domande. Mi rendo conto troppo tardi di essermi forse espressa male.
“Quindi hai un nuovo amico, adesso. Anzi, due. La panchina e Jared Greenwood, complimenti” dice con tono duro, dirigendosi verso il bagno a sua volta. Si gira, dandomi le spalle, apre la porta e sta per richiuderla, quando io parlo.
“Che problemi hai, Bieber?”
“Che problemi ho io? Non ti fidi di me dopo che ho cercato di farti uscire da qui, non mi ascolti e inoltre lasci che il primo sconosciuto faccia di te ciò che vuole. Credo di essere l'ultima persona ad avere problemi, qui”
“D'accordo, d'accordo...odio ammetterlo, ma ho bisogno di allenamento! Sono troppo debole per uscire di qui. E io e Jared...ci stavamo abbracciando, cosa credi? Mi ritieni davvero di così poco livello?!” sto quasi urlando, lui si gira verso di me.
“Credi di darmi il contentino, così?”
“Non lo so, dimmelo tu, cazzo!”
“Lasciamo stare, non ti sto dietro, non ci riesco”
“No, sono io a non riuscirci! Sei arrivato qui con la precisa idea di scappare e in questo piano folle non capisco cosa possa c'entrare io!”
“Ci sei dentro dal primo momento in cui ci siamo visti, idiota! Pensavo fossi l'unica persona sana qui dentro, era mio dovere salvare pure te!”
“Non ho chiesto di essere salvata! Men che meno da te”
Lui è tornato indietro e adesso gli sto puntando un dito contro, accusatorio.
“Preferisci che ti lasci qui? Basta chiederlo,razza di ingrata!”
“Preferisco provarci con due persone più normali di te”
“Se ti riferisci al tuo Jared e a quell'altra...”
“Non è il mio Jared, cazzo! Ti devo fare un disegnino o ci arrivi da solo?”
Si gira dall'altra parte, sospirando. Passa qualche secondo prima che il silenzio si spezzi.
“Senti, avrei dovuto dirti dove andavo e so che stai cercando di aiutarmi, però...”
“Scusa”
“Cosa?”
Si volta verso di me, avvicinandosi.
“Scusa. Sono stato troppo duro con te”
Rimango interdetta, ancora con la bocca aperta per parlare.
“Dovrei scusarmi anche io, sul serio, sto cercando in tutti i modi di rimanere qui a vita, mentre tu ti fai in quattro per farci uscire da-”
Non mi accorgo di averlo così vicino fino a quando non lo sento sfiorarmi la bocca. Sono così allibita che rimango immobile, mentre lui mi lascia un bacio delicato sulle labbra. Non appena si stacca da me incontro i suoi occhi e leggo così lo smarrimento che sto provando anche io.
Perché l'ha fatto?
Smetto immediatamente di pensarci, perché mi avvicino di nuovo a lui, annullando le distanze per una seconda volta. Porto le braccia dietro le sue spalle, mentre lui mi circonda la vita con le sue mani. Lascio che le nostre lingue si intreccino, mentre sento il suo respiro affannarsi. Credo di avere le guance in fiamme, ma se lui non può vederlo, allora non mi importa.
Mi allontano quasi con violenza da lui, chiedendomi perché ho fatto ciò che ho fatto. Lui mi guarda, smarrito quasi quanto me.
“S-scusa, è stato...istintivo” non trova altre parole e così abbassa lo sguardo.
“Sì, istintivo...certo”, mi allontano e mi chiudo in bagno, cercando un po' di solitudine.
Mi siedo contro la porta, ripetendomi all'infinito “idiota”.
Nonostante ciò, non riesco a non trattenere un sorriso.



 
-SPAZIO AUTRICE-
Cioè, quanto cazzo è lungo? Potrebbe essere un mio record, seriously.
Lo so, andate pure a sclerare nelle recensioni, coraggio.
Non ve lo aspettavate, I know, I know...
Non so se sentirmi perfida per la storia di Jared o magnanima per quei due coglioni.
Decidetelo voi!
Comunque, lunedì inizio la terza superiore, avrò prof incazzate come belve pronte per sbranarmi, un orario di merda, perciò scusatemi se aggiornerò con dei ritardi.
Un kisso a tutte, alla prossima!<3

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Capitolo 10
*** Trentatreesimo giorno. ***


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Giorno trentatreesimo.
capitolo 10.


N.B.
non accetto recensioni critiche solo per ripicca a delle mie recensioni non positive. Non indugio di certo a segnalarvi. Se mi criticate fatelo per un motivo, non per avere una "vendetta".


Durante le seguenti settimane, Jade continua a frequentare assiduamente la minuscola palestra dell'istituto, guadagnandosi occhiate storte da parte di molte guardie, che ora la guardano anche con sospetto. Il giorno dopo il...fatto, non c'è stato modo di incontrare di nuovo lo sguardo di Justin, né di parlarci e tanto meno di discutere dell'accaduto.
Non che ci fosse molto di cui parlare: un bacio dopo un litigio, interpretato come sfogo, come liberazione da quella prigione, probabilmente era stato solo quello per Justin.
Jade vuole credere la stessa cosa, ma qualcosa, dentro di lei, la spinge ad essere ostile nei confronti di Justin. D'accordo, era stato solo un bacio, ma questo non gli dava l'autorizzazione di ignorarla e di non rivolgerle più la parola.
Quel ragazzo non solo è strano e tremendamente irritante, ma è anche un insieme di mistero e di infelicità che, nonostante Jade provi a ignorare, la attraggono inevitabilmente.
E così va in palestra ogni volta che può, mattina e pomeriggio, cercando ovviamente di non incrociare Justin e di stare sempre il meno possibile insieme a lui.
È inutile che si lasci andare a fantasie: deve uscire da lì e di certo non può distrarsi nel pensare a un ragazzino sgarbato durante una “crisi adolescenziale”.
Preferisce chiamarla così, anche se sa perfettamente che quella definizione non arriva minimamente a sfiorare la realtà.
Ora resiste di più ad ogni esercizio, anche se è ancora decisamente gracile per affrontare una cosa pericolosa come la fuga dall'istituto.
Non ha più rivisto Jared e Rachel per diversi giorni, poi un rapido incontro nella SR con quest'ultima e nient'altro per le restanti settimane. La cosa la preoccupa, dato che ogni volta che è di ritorno dalla palestra, Justin non è nella stanza. Inizia a pensare che la stiano escludendo dai loro piani e che, quando vorranno scappare, non la coinvolgeranno.
Che sia per la sua corporatura minuta? Per il suo carattere? Jade non lo sa, ma è decisa a non restare per molto nel dubbio che la tormenta, perciò oggi, durante il suo trentatreesimo giorno di reclusione, affronterà i suoi compagni faccia a faccia.



Quando rientro nella stanza, non mi aspetto di trovarvi Justin e, infatti, non c'è ombra di lui.
Mi dirigo verso il bagno e mi faccio una doccia veloce, legandomi i capelli per non bagnarli.
Una volta uscita, indosso la seconda divisa a noi concessa, quella bianca. Perdo tempo nel guardarmi allo specchio nel bagno, guardando con occhi malinconici i capelli biondi che una volta usavo arricciare, ormai afflosciati sulle mie spalle, appena mossi, gli occhi cerchiati dalle occhiaie e le labbra screpolate. Sono estremamente pallida, più di quanto lo sia mai stata fuori di qui...forse è perché, oltre ad uscire solo per mezz'ora al giorno alla luce del sole, la prigionia mi sta logorando.
Lascio perdere questi stupidi pensieri non appena sento la porta aprirsi e richiudersi nel giro di pochi secondi.
Esco dal bagno e raggiungo il centro della stanza, piazzandomi davanti a Justin.
Lui mi evita passando oltre, andando a sedersi alla scrivania di legno.
“Hai intenzione di continuare ancora per molto?”
Finalmente riesco a spicciare parola, mi sembra passato un secolo dall'ultima conversazione, ho anche la voce roca.
Lui non mi degna di uno sguardo, anzi, continua a scrivere frettolosamente su un foglietto di carta.
Lo raggiungo al tavolo, sposto bruscamente la sedia su cui è seduto verso l'esterno, e mi siedo sulla scrivania, obbligandolo a guardarmi.
“Che c'è?” ringhia lui.
“Vorrei saperlo da te, dato che non mi rivolgi parola e sparisci quasi tutti i pomeriggi”
“Anche tu esci senza dirmi niente, è giusto così”
“No, che non è giusto così”
Justin si alza dalla sedia e si volta dall'altra parte, camminando lentamente verso il letto. Si ferma a pochi passi da esso, senza però girarsi. Lo seguo.
“Non ho più visto Jared e Rachel, mentre sono pronta a scommettere che tu li vedi quasi tutti i giorni. Non mi parli più, e non so se è per via di quel bacio inutile o perché tu voglia effettivamente lasciarmi dentr-”
“Non ti lascerei mai qui dentro”
“Non provare a dirmi che ci tieni a me e bla bla bla, non mi conosci affatto”
“Non lascerei mai nessuno di normale qui dentro”
“Ah, capisco”
Mi giro verso il tavolo, dandogli le spalle a mia volta, cercando di trattenere l'impulso fortissimo di tirargli un pugno in faccia.
“Non prendertela a male, ma avevi ragione quando hai detto che io non ti conosco. Lo faccio perché sono umano e perché mi sembri una bella persona, in fondo”
“Ed è per questo che mi hai baciata, perché non mi conosci affatto! Perché “in fondo ti sembro una bella persona”, l'hai fatto per questo, mi sembra ovvio!”
Questa volta rimane in silenzio, mentre io cerco ardentemente di non buttarmi su di lui.
“Non resterò passiva come credi che io faccia, e non mi farò prendere in giro da un immaturo bastardo quale tu sei”
Mi precipito sulla porta e chiamo a gran voce la guardia più vicina per farmi portare in uno dei due giardini dell'istituto, prima che possa infuriarmi davvero o che possa scoppiare in un pianto isterico.



Quella sera è rientrata il più tardi possibile nella sua stanza, non avendo la minima voglia di parlare e di vedere Justin. Per sua fortuna, stava già dormendo, perciò si è velocemente infilata nel proprio letto e ha lasciato che il sonno la portasse via dall'istituto e dalla realtà.
Il giorno dopo, alzatasi alla sua ormai solita ora, si dirige in palestra, fingendo normalità e calma apparente. È durante il pomeriggio che decide di rientrare mezz'ora prima dai suoi allenamenti per cercare Justin. Per ciò che ne sa, potrebbe trovarsi soltanto in uno dei giardini o nella SR, decide così di farsi portare nella sala ricreativa e di sperare di avere fortuna. Sicuramente le guardie non la lasceranno vagabondare per i corridoi in cerca di un altro pazzo come lei, no.
Durante il tragitto verso la sua meta, Jade si scioglie i capelli, facendoli ricadere sulle spalle, si tira su le maniche della camicia grigia e apre i primi due bottoni di essa, nonostante le occhiate storte della donna che la accompagna.
Non esita due volte ad aprire la porta che la separa dalla SR, trovandosi così di fronte a ciò che temeva da diversi giorni.
Justin, Jared e Rachel insieme, concentrati a scrivere cose a lei sconosciute e, talvolta interrotti dalle risate.



“Sarei felice di sapere il perché di così tanta allegria, ragazzi”
Mi siedo di fianco a Jared, è l'unico posto libero, di fronte a me c'è Justin, con un braccio sulle spalle di Rachel, che toglie immediatamente.
“Jade, non dovresti essere qui” dice Rachel, fredda, ricomponendosi.
“Beh, se la vostra intenzione era quella di escludermi dai vostri piani e lasciarmi marcire qui, allora sì, non dovrei essere seduta tra di voi”
Vedo Jared lanciare uno sguardo di fuoco a Rachel, per poi girarsi verso di me.
“Non...non stiamo cercando di estrometterti, Jade. Pensiamo solo che tu sia più utile in palestra, per adesso”
“State dicendo che non sono abbastanza intelligente da poter stare con voi e progettare un pia-”
“Stai zitta, hai la lingua troppo lunga” interviene Rachel, guardandomi male e indicando le telecamere sopra le nostre teste.
“Non sono delusa, nel caso ve lo stiate chiedendo” riprendo dopo pochi secondi, guardandoli uno ad uno, “sono disgustata”
“Non fare la bambina, Cristo santo” mi rimprovera Justin.
Faccio un respiro profondo, distendendo le mani sul tavolo, non guardandolo in faccia.
“Disse colui che rimase sprovvisto di parole per più di due settimane” alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi castani, rimanendone intrappolata.
“Sapete” continuo, senza però staccare gli occhi da lui, “quando sarò fuori di qui vi manderò una cartolina”
“Jade, scusaci, ti abbiamo sottovalutata, non volevamo...”
“Jared ha ragione, ci...mi dispiace” concorda Rachel, contro le mie aspettative.
Ora aspetto che sia lui a dirmi qualcosa, ma rimane immobile, mi fissa con una rigidità tale da renderlo simile a una statua.
“Ma non siete tutti d'accordo, evidentemente”
Mi alzo dalla sedia e faccio per uscire dalla SR, quando Justin mi si affianca, rallentandomi per un secondo.
“Andiamocene”
Detto questo, veniamo scortati fino alla nostra stanza e lasciati lì.
Non so perché mi abbia seguita, dato che non sembra interessato ad avermi in squadra.
Si siede alla scrivania come il giorno prima, estrae diversi fogli dal cassetto e mi fa cenno di raggiungerlo.
Non appena scorgo ciò che vi è sui fogli, rimango sbalordita: disegnata alla bella meglio, una cartina quasi completa dell'istituto è stata tracciata.
“Ma è-”
“Sì, lo è”
“E' fantastica” dico di getto, senza pensarci.
“Abbiamo pensato che fosse meglio lasciarti allenare, dato che sei piuttosto...” mi guarda appena di sottecchi, “esile. Dopo la prima fase, ovvero questa, ti avremo coinvolto nel progetto, così tu avresti avuto il tempo di allenarti e di diventare più resistente.”
“Ah”
Rimango in silenzio, sentendomi una stupida per aver pensato cose tanto brutte su di loro.
“Non ci saresti stata comunque utile per l'elaborazione della piantina, sei qui da poco”
“Lo sei anche tu” gli faccio notare.
“Non esserne così sicura” mi dice lui, cambiando tono.
Lascio che la tensione si allenti un po', prima di riparlare.
“Mi dispiace per ciò che ho detto e anche per averti dato dell'immaturo bastardo”
“No, avevi ragione. Non avrei dovuto baciarti, non avrei dovuto illuderti che ci potesse essere qualcosa”
“Non pensavo comunque che ci potesse essere un seguito” dico, mentre dentro sento qualcosa incrinarsi e dire tutto il contrario.
“Allora meglio così”
Si alza dalla sedia e si sdraia sul letto, mentre io lo raggiungo e mi siedo di fianco a lui.
“Che stai facendo?” mi chiede.
“Provo a parlare con il mio compagno di stanza” cambio discorso.
“Non sono un tipo molto loquace”
“Come se non me ne fossi accorta” un leggero sorriso mi increspa le labbra.
“E se ti volessi chiedere perché non potrebbe esserci qualcosa?” chiedo tutto d'un tratto.
Non so perché lo faccio, non lo so, e adesso vorrei sprofondare nella terra.
Nonostante ciò, Justin accenna a un sorriso che mi spiazza.
“Sei carina quando sei una ragazza”
“Ma brutto minchio-”
“Ma prima che ci possa essere qualcosa, dobbiamo esserci noi, e se proviamo a scappare da qui, sarà difficile. Sarà difficile tanto che non so se ne usciremo vivi”



 
SPAZIO AUTRICE.
okokokok chiedo immensamente perdono per il ritardo di tre (quattro?) giorni, ma con l'inizio della scuola...insomma, avete capito, è un incubo cc
Perdonatemi anche per la lunghezza, non è lungo come gli ultimi.
Beh, che dire?
Questo è un capitolo un po' di transizione, dove vediamo passare circa tre settimane durante le quali
la situazione tra i due è incerta. Jade ha anche dei sospetti su di lui e gli altri ragazzi, perciò decide di coglierli di sorpresa, un pomeriggio.
Non so se anche il prossimo capitolo sarà intermedio, ma la fuga -ve lo posso dire- non è lontana.
Infine, vi ringrazio tantissimo per le quattordici recensioni all'ultimo capitolo e al totale di centocinque in nove capitoli juhgfhj siete carinissime!
Cercherò di non tardare più di tanto, a presto, girls!

p.s. non ho riletto, sorry.

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Capitolo 11
*** Quarantaquattresimo giorno. ***


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Quarantaquattresimo giorno.
capitolo undici.


Jade vaga nell'ala ovest dell'istituto per almeno una settimana, apparentemente senza motivo.
Ogni tanto chiede di fare una strada alternativa per arrivare nella sua stanza, oppure di andare nel giardino posteriore.
La assecondano, la credono davvero matta questa volta.
La sera, dopo cena, Jade e Justin si riuniscono alla scrivania della camera ed elaborano la cartina, sviluppandola. Se non sono sicuri di un determinato passaggio, lo tracciano a matita e il giorno dopo tornano a controllare.
Jade va ancora in palestra due volte al giorno, effettua le sue “ispezioni” ogni volta che va e torna dagli allenamenti. E così è questa la routine per una settimana: la cartina del lato ovest e sud si espande, e Jade si auto convince di lasciar perdere le sue fantasie inutili.


È il settimo giorno di ispezioni, almeno da parte mia, e sono seduta accanto a Justin mentre faccio le linee che definiscono una porta del corridoio F.
Ho imparato in fretta a non parlare di cose che non riguardino lo stile di vita frenetico degli ultimi giorni.
Strano come possa sentirmi più viva qui, in mezzo a chi di vitale non ha nulla, che nella vita che ero solita avere. Forse è perché adesso ho uno scopo per cui lottare, forse adesso posso iniziare a vivere e non a limitarmi ad esistere. Mi scoccia ammetterlo e la cosa mi turba non poco, ma mi basta sentirlo parlare o sfiorarlo per sentirmi viva.
“Jade?”
“Cosa?”
“Stai disegnando una faccina sulla porta e non parli più da diversi minuti”
“Sì. Oh...eh?”
“Concentrati, per favore”
“Hai ragione, mi dispiace”
“Da' qua”
Prende la matita che ho in mano e inizia a scarabocchiare frecce sul suo lato di foglio.
“Oggi sei molto distratta” continua dopo poco.
“Sono stanca” mento. Stacca per un attimo lo sguardo dal foglio per posarlo su di me.
“C'entro qualcosa?” chiede con un sussurro.
“Dovresti essere meno egocentrico” gli rispondo, senza troppa convinzione.
“E tu meno distratta”
Alzo gli occhi al cielo sbuffando, poi gli strappo la matita di mano e continuo a disegnare la faccina sulla porta.
“Mi prendi in giro?”
Non posso rispondere, visto che sento dei passi avvicinarsi alla nostra stanza. Mi alzo repentinamente in piedi, accartoccio alla bella meglio la cartina e me la infilo in tasca. In quel momento la porta di apre.
Sulla soglia vi sono tre guardie, due uomini e una donna, dall'aria decisamente risoluta.
“Bieber, è pregato di seguirci e di non opporre resistenza.”
Lui si alza dalla sedia e mi rivolge uno sguardo preoccupato. Non posso fare altro che guardarlo sbigottita.
“Cos'è successo?” chiede lui repentinamente.
“Non le è concesso fare domande. Potrà solo rispondere quando l'avremo portata a destinazione” dice la donna.
“E invece dovrete rispondermi. Dove volete portarci?”
Justin si sta agitando, lo vedo, e così pure io. Cosa vogliono da noi? E cosa da lui?
“Non vogliamo portarvi da nessuna. Dobbiamo condurre lei, Bieber, dal direttore dell'istituto. Non le è permesso conoscere altro. Ora ci segua, stiamo perdendo anche troppo tempo”
“Non vado da nessuna parte.”
Lo guardo spaventata. Come può rifiutarsi di eseguire un ordine quando loro hanno il coltello dalla parte del manico?
“Justin” pronuncio il suo nome con tono supplicante, gli sto silenziosamente chiedendo di non cacciarsi nei guai. Ma lui non è il bravo ragazzo che ascolta ciò che gli si dice.
“L'ha voluto lei”
I tre si avvicinano a noi, la donna mi scansa brutalmente e aiuta i colleghi mentre accerchiano Justin.
“Vi seguirà, ma non fategli del male...vi seguirà, lo prometto!” borbotto perdendo la calma, sperando mi ascoltino.
“Ne stia fuori”
Lo afferrano per le braccia, impedendomi di avvicinarmi.
“Ho detto che non vado da nessuna parte!”
Justin si dimena in mezzo a quell'intrico di braccia, ma dopo pochi secondi lo vedo incespicare e il gruppetto inizia ad avanzare verso la porta.
“No, lasciatelo! Ho detto di lasciarlo stare” mi butto sulla donna, sperando sia più debole degli altri due, ma questa mi risponde con una gomitata in pancia, lasciandomi senza fiato.
“Toccala ancora e ti ammazzo, brutta tro-”
Le parole gli muoiono in gola, stroncate da un colpo nello stomaco, forse forte quanto quello che ho ricevuto.
“Fermo, Bieber, fermo!” dice uno di loro, mentre io mi rialzo e cerco di infilarmi tra di loro ancora una volta.
Non possono separarci, non adesso. Non so cosa gli faranno, non so dove lo porteranno, non so se lo rivedrò. Non posso semplicemente permetterlo, lo so e basta. Qualcosa mi obbliga a raggiungerlo e a impedire che gli facciano del male e che lo portino lontano da me.
Riesco ad afferrarlo per un braccio e a tirarlo verso di me, ma non appena lo faccio mi ritrovo stretta dalla presa di altre due guardie, ora intervenute.
“Jade, lascia perdere!”
“No! Non lasciarmi qui, ti prego!”
“Avanti!” dice la donna che prima mi ha colpito, dicendo agli altri di portarlo via. Le altre due guardie mi trascinano dentro alla stanza contro la mia volontà, facendo finta di non sentire le mie urla e i miei lamenti.
“Lasciatelo andare, cazzo, lasciatelo!” urlo ancora, disperata, nonostante io sappia che non mi ascolteranno.
“Jade...”
La porta della mia stanza si chiude, impedendomi di vederlo.


Rimango tre giorni da sola, nella mia cella, senza voler uscire neanche per i pasti.
Fortunatamente c'è qualcuno che si preoccupa si portarmi qualcosa, due volte al giorno, ed è solo per questo motivo che non sono ancora morta.
Justin non è più con me. Era la mia unica speranza di uscire da qui, la nostra speranza, mentre adesso dovremo cavarcela noi tre. Ma il vuoto che sento nel petto non è solo perché la sua assenza sia quasi una condanna, ma perché mi sento in qualche modo legata a lui.
La devo smettere di piangermi addosso e di pensare a Justin, ma mi sembra impossibile in questo momento, perciò rimango semplicemente appoggiata al muro accanto al mio letto, sperando che accada qualcosa che possa spezzare la solitudine che credevo di desiderare tanto.
In realtà stare soli non è bello. Non qui e non al di fuori di queste mura.
Pensavo di potermela cavare da sola, di poter sopportare ciò che l'istituto mi avrebbe obbligato ad affrontare, ma la verità è che tutti hanno bisogno di qualcuno. Quel qualcuno per me, è Justin.


È la mattina del quarto giorno quando mi trasferiscono nella stanza 0200.
Lì trovo Jared, seduto tranquillo a leggere un libro.
“Rimarrai qui finché un'altra stanza non sarà disponibile”
“Perché non mi avete lasciato lì?” chiedo per inerzia.
“Perché ora è di qualcuno che ne ha più bisogno di te”
La porta si richiude con un tonfo, mentre io mi guardo svogliatamente intorno.
La camera è un po' più grande della precedente ed è anche leggermente più colorata: le pareti sono di un azzurrino spento e il lampadario fa più luce rispetto agli altri. C'è un armadio di fronte a me, di legno, e di fianco ad esso vi è la solita scrivania già vista nelle altre due stanze.
“Come mai qui?”
Evito la domanda scrollando le spalle e andandomi a sdraiare sul quello che intuisco essere il mio letto, a pancia in giù.
“Aspetta, ma tu non eri in stanza con Justin?”
Forse si sta facendo qualche domanda sul perché io non sia ancora con lui e su dove sia in questo momento. Peccato per lui che io non sappia dargli le risposte che sta cercando.
“Sì”
“Vi hanno separati?”
“No, ci siamo fusi insieme. Se adesso mi tolgo la divisa, potrai vedere la sua faccia sulla mia schiena.”
“Non mi piace il tuo sarcasmo”
Neanche a me piace, ha ragione. Lo faccio per non lasciare che qualcuno possa pensare che io sia debole, creo la mia corazza, e così scaccio via le domande o le affermazioni che meno mi piacciono.
Mi giro verso di lui, cercando di mantenere l'espressione più neutra possibile, poi parlo.
“Quattro giorni fa l'hanno portato via, dal direttore. Non so perché”
“Merda! Dovremo cambiare tutti i nostri piani e la cartina è sicuramente nelle mani delle guardie”
Frugo nella tasca destra dei pantaloni quasi senza pensarci, e ne estraggo il foglio che una volta era stato la cartina del lato sud-ovest dell'istituto.
“Tieni”
Gliela tiro, ma quella cade dopo pochi centimetri. Lui si precipita su di essa e la raccoglie, tornando in parte tranquillo.
“Fantastico, Jade, non dovremo ricominciare tutto dall'inizio!”
“Tu dici?”
Mi premo le mani sugli occhi e appoggio i gomiti sulle ginocchia, sedendomi su un lato del letto.
“Stai bene?”
“Cosa gli faranno?” gli rispondo io, invece.
“Jade, non lo so...”
Cosa gli faranno?” alzo la voce, sperando non mi stia tremando. Non voglio vedere la sua faccia, non voglio vedere nessuno.
Jared aspetta qualche secondo. Non so se stia pensando o se stia valutando se dirmi la verità o no.
“Se non otterranno quello che vogliono potrebbero anche rispedirlo tra di noi”
“E se invece lo ottenessero?”
“Jade, guardami”
“No”
“Jade”
Mi toglie le mani dal viso, è inginocchiato davanti a me, adesso.
“Se ottenessero ciò che vogliono, cosa gli accadrebbe?”
Mi guarda come a implorarmi di non costringerlo a dirmi ciò che non voglio sentire, ma io voglio sapere.
“Lo porterebbero sul Treno”
“Co-cos'è?”
Un brivido mi percorre la schiena, facendomi temere il peggio.
“E' un treno nel vero senso della parola, ma viene usato per trasferire i pazienti in un'altra struttura”
“E com'è?”
“Non è una struttura pensata per offrire alloggio, Jade...quando raggiungono livelli insostenibili vengono mandati lì a morire.”
Non appena la prima lacrima mi tradisce, Jared mi abbraccia, mentre io, immobile, lascio che il mio pianto gli bagni la divisa.


“Te lo chiederò per l'ultima volta, ragazzino”
L'uomo austero che lo guarda da dietro gli occhiali ovali gli lancia uno sguardo di sfida e di sopportazione.
Justin è seduto al centro di una stanza completamente bianca, le mani tenute ferme da delle manette.
“Gliel'ho già detto, ho solo memorizzato i codici. Ci sono passato davanti molte volte, ho una buona memoria visiva”
“Mi prendi per deficiente?! Erano cinque codici di sblocco di tipologia diversa, le guardie sono scrupolosamente attente ogni qualvolta li immettono nel sistema. Smettila di prendermi in giro o ti giuro che finisce male.”
“Cos'altro potete farmi?” ringhia lui, senza mostrare alcuna paura.
“Farti soffrire fino a quando non sapremo da chi hai avuto quei codici”
“Nessuno mi ha-”
L'uomo accanto a lui, una guardia di quasi due metri, gli storce un braccio, seppur con una certa difficoltà dovuta alle manette.
“Toglile, se necessario”
L'uomo non se lo fa ripetere due volte: lo libera, lo solleva dalla sedia e lo sbatte a terra più volte, sporcando del sangue del ragazzo il pavimento.
“Hai cambiato idea, adesso?”
“No” biascica lui, in difficoltà.
“Bene. Lo scoprirò da solo, se è quello che vuoi. Non avrò problemi.”
L'uomo gli volta le spalle e cammina verso la porta della stanza.
“Riportalo in cella e segnalo sul registro di questo mese.” dice alla guardia.
“Ti aspetta un bel viaggio, ragazzino”




 
-SPAZIO AUTRICE-
Con un solo giorno di ritardo, aiutooooo, mi faccio i complimenti da sola!
Avete visto cos'è successo? Justin portato lontano da Jade e interrogato, lei trasferita in stanza con Jared che le spiega come funziona quando qualcuno viene convocato dal direttore.
Spero abbiate capito, perché nella mia testa ha tutto un senso esatto, spero solo di essere stata chiara nello scriverlo!
Vi ringrazio per le recensioni sempre carinissime e per i preferiti/seguiti/ricordati/visualizzazioni.
Grazie♡♡

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Capitolo 12
*** Quarantottesimo giorno. ***


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Quarantottesimo giorno.

Capitolo dodici.


Justin's pov.

Tanti auguri a me, tanti auguri a me.
Sbuffo, mentre mi rigiro tra le mani un lembo delle lenzuola su cui sono seduto.
Il compleanno migliore di sempre.
Ieri mi ha portato in una nuova cella, bendandomi, perciò non ho la minima idea di dove sia.
Mi toccherà aspettare fino al sette del mese e poi verrò portato via sa qui, verso la morte. Non avrei mai immaginato di poterla accettare così facilmente, ma, evidentemente sono arrivato a un punto tale di non ritorno, che ormai non me ne importa quasi più nulla.
È con questi pensieri che cerco di schiacciare quella voce interiore che grida di non arrendermi, che grida di aiutare Jared, Rachel e Jade. Jade.
Scuoto la testa cercando di scacciare il pensiero di quella ragazza. Adesso se la dovrà cavare da sola, io non posso aiutarla. Non devo e non posso, ma di nuovo quella voce mi parla, facendomi ricadere nel dubbio.
Ma vuoi aiutarla, sì, ma non posso.
Come riuscirci da una cella isolata? Come riuscirci senza poterla vedere? Senza poter escogitare un piano con lei?
Forse la soluzione non la troverò mai, qui dentro.
Forse non c'è un modo di scappare dall'istituto. Mi alzo dal letto su cui sono seduto, buttando la testa all'indietro e iniziando a camminare avanti e indietro nella mia stanza.
Pensa, idiota, pensa.
“Ti aspetta un bel viaggio, ragazzino.”
Mi appoggio alla sedia di legno senza quasi accorgermene. Forse non si può uscire dall'istituto. Non si può andare oltre questi confini.
“Segnalo sulla lista di questo mese.”
Forse bisogna solo lasciarcisi accompagnare.



Jade's pov.

Quando entrano nella mia stanza e mi dicono che il direttore mi deve parlare, acconsento senza neanche proferire parola. Jared prova a dissuaderli, ma sa anche lui che non può fare niente per impedire loro di portarmi via.
Perciò, durante tutto il percorso verso l'ufficio, tengo la testa bassa e lascio che mi guidino loro. Ogni tanto alzo lo sguardo per cercare di capire in quale parte dell'istituto mi trovo, ma più andiamo avanti, meno ci capisco. Prendiamo addirittura un ascensore, cosa che pensavo non esistesse dentro a questa struttura. Per questo mi stupisco ancora di più quando vedo una delle due guardie premere il terzo pulsante.
Non credevo ci fosse anche solo un piano superiore, ma a quanto ne pare ce ne sono addirittura due.
Non appena usciamo da quello spazio angusto, mi fanno attraversare un corridoio bianco come tutti gli altri che ho già visto, per poi farmi fermare davanti a una porta.
Una guardia è concentrata sul suo auricolare, qualcuno gli sta parlando. Improvvisamente, come se si risvegliasse da un sogno, mi spinge a entrare con poca gentilezza, mentre pochi secondi prima sembrava l'uomo più rispettoso del mondo.
Non mi spreco nemmeno a guardarlo storto, seguo solo ciò che mi è stato detto.
“Siediti, Jade.”
Avanzo nella spoglia stanza, che a quanto pare non è un ufficio, ma solamente quattro mura. Quattro mura innalzate solo per interrogare dei poveri malati.
La sedia è al centro della stanza quadrata, così la raggiungo e mi ci siedo con noncuranza.
“Avrei bisogno di farti qualche domanda” dice un uomo dai capelli brizzolati. È girato dall'altra parte, perciò non lo vedo in faccia.
“Mi dica, direttore” dico accondiscente.
“Sai per caso come ha fatto il tuo amico Bieber a sbloccare quei codici di accesso della porta principale?”
L'uomo si gira e per poco non mando di traverso la mia stessa saliva. È identico a Grey.
Dopo un primo momento di sorpresa, però, mi accorgo che non è effettivamente lui e che la somiglianza non è così accentuata come pensavo. Lui ride della mia reazione, mettendosi una mano davanti alla bocca per mascherare le sue risate.
“Che ha da ridere?”
“Dovresti vedere la tua faccia, signorina”
“E' solo che-”
“Claudius Grey è mio fratello, Jade Lennox. E se tu te lo stessi chiedendo: no, non mi importa niente se rimani qui o se finirai sul Treno. Gli affari di mio fratello finiscono non appena le persone che manda qui varcano questa soglia.”
Indica le pareti che ci circondano, mentre io rabbrividisco.
“Il mio nome è Wade Grey, e se vuoi continuare a vivere sarà meglio per te che tu sappia rispondere alla mie domande; oppure, se non ne fossi in grado, di procurarmele.”



Quarantasettesimo giorno di prigionia.
Due marzo 2013.
S.T. Institute, Sala Ricreativa.

Non ho potuto dirgli niente. Non ho potuto perché non so effettivamente come abbia fatto a sbloccare quei codici, ma anche se lo avessi saputo, non avrei proferito parola.
Non si caccerà in ulteriori guai per colpa mia, lo è già fino al collo, e io non sono da meno.
Mi sembrano passati secoli da quando mi sedevo qui e scrivevo che mi sembrava di impazzire.
Ora, però, tutto ha una sua normalità e io mi sono abituata a questo posto: era l'ultima cosa che volevo, pensavo fosse la peggiore.
Adesso so che non è così, perché Wade Grey mi ha...come dire, chiesto espressamente di estorcergli più informazioni che posso.
Mi ha proibito di parlarne col mio compagno di cella, e io non lo farò, non voglio coinvolgerlo.
Ciò che mi ha salvato dai sospetti del direttore (che comunque nutre, ne sono sicura), è il mio essermi comportata come un coniglietto indifeso. Mi sono mostrata docile e ubbidiente, come se la prigionia mi avesse davvero cambiato.
In realtà lo sono davvero, ma non in peggio, non mi ha domata e mai lo farà.
Mi ha motivato e mi ha spinto a cercare una via d'uscita, morale o materiale.
E Justin è la risposta a entrambe, ed è per questo che non farò mai ciò che mi è stato ordinato. Non lo farò perché sono egoista, non lo farò perché voglio uscire di qui, non lo farò perché non voglio che venga portato via dal Treno.
Domani pomeriggio mi lasceranno uscire nel giardino anteriore e lì potrò trovare Justin, senza che lui sappia che è tutto un meccanismo subdolo per arrivare a determinati scopi.
Ma ho già detto che non farò ciò che mi è stato ordinato. Andrò da lui e mi preoccuperò e loro ci crederanno. Lui ci crederà. Penseranno che stia cercando di conquistare la sua fiducia per potergli chiedere le informazioni. Penseranno il torto, perché non ho intenzione di tradirlo.
Non lo farò perché sono egoista.
Non lo farò perché voglio uscire di qui.
Non lo farò perché non voglio che venga portato via dal Treno.
Non lo farò perché credo di amarlo.



È quasi il tramonto del terzo giorno da quando sono stata interrogata, quando posso uscire all'aperto e respirare l'aria frizzante di inizio marzo.
Un mese fa mi sarei accontentata e sarei stata felice di sentire il vento freddo sul viso e di vedere il sole tramontare, ma ora tutto ciò non conta più niente.
Non conta più niente non appena vedo una figura snella all'ombra di uno degli alberi del giardino.
La mia vecchia guardia, Cliff Burton, mi porge il giaccone nero che uso sempre per uscire, io lo afferro al volo e me lo infilo mentre cammino spedita verso Justin.
Mi fermo soltanto quando sono a pochi passi da lui, col cuore che batte a mille, impaziente e timorosa al tempo stesso di parlargli.
Devo fare il doppio gioco con Grey e non sarà facile, Justin ne dovrà essere a conoscenza.
Lui non si gira e non dà segno di avermi sentito, ma è ovvio che avverte la mia presenza, sono a poco più di un metro da lui.
Sto per dire qualcosa, qualunque cosa, anche un solo “ciao”, quando lui si gira.
Il mio cuore perde un battito, non mi ero resa conto di quanto mi fosse mancato. Di quanto desiderassi la sua presenza.
“Jade”
Non appena lo sento pronunciare il mio nome, non resisto e lo abbraccio. Sembra spiazzato, perché risponde solo dopo qualche attimo, come se avesse paura di cosa potrebbe succedere.
Non succede niente, idiota.
Nel momento esatto in cui mi stringe, sento dei brividi lungo la schiena e capisco di sentirmi a casa.
Nessuno dei due ha intenzione di lasciare l'altro, perciò rimaniamo così per diversi attimi, fino a quando non sento il bisogno di guardarlo negli occhi.
Mi allontano di pochi centimetri da lui, in modo da poterlo vedere. I nostri volti sono così vicini che potrei perdermi nei suoi occhi, se solo mi allungassi un po'...
Sto trattenendo il respiro, ma quasi non me ne accorgo e credo lo stia facendo anche lui, perché ha la bocca socchiusa e lo sguardo fisso sulle mie labbra.
Non so chi si stia avvicinando, se sono io o se è lui, ma poco importa, dato che ormai sento il suo respiro su di me. Mi sembra un'attesa infinita, la peggiore della mia vita, ma quando sento appena le sue labbra sfiorare le mie, penso di essere la persona più felice di questo pianeta.
Peccato che lui si stacchi da me non appena sfiora la mia bocca, lasciandomi un vuoto nel petto.
Boccheggio in cerca di aria, provando a non far prendere il sopravvento alle emozioni e quindi a buttarmi su di lui.
Lascio cadere le braccia lungo i fianchi e lui lo stesso.
“Mi sei mancata” dice dopo pochi secondi.
“Ho visto” rispondo io con un groppo in gola.
“Non fare così, per favore.”
“Ok, ok, lasciamo perdere. Stai bene?” gli chiedo, aggiustandomi il cappotto sulle spalle ed evitando il suo sguardo.
Tu stai bene?” risponde lui, invece.
“Non è di me che dobbiamo parlare, Justin.” Trovo il coraggio di guardarlo in faccia, ma me ne pento quasi subito, perché avrei voglia di annullare di nuovo la distanza tra noi due.
“Cosa ti hanno fatto?” continuo. Lui sospira.
“Non mi hanno fatto niente”
Un improvviso sollievo mi pervade, facendomi calmare.
“Ma tra pochi giorni mi porteranno-”
“Sul Treno” finisco la frase per lui, ripiombando nell'ansia e nella disperazione. Non è possibile.
“Sai cos'è?”
“Lo so, sì, lo so”
“Jade, guardami.”
Mi rifiuto di farlo, in questo momento sono troppo debole. Come ho potuto anche solo sperare che non gli avrebbero fatto niente? Come ho potuto credere di fare il doppio gioco con Grey? Se fossi riuscita a dirgli come era riuscito ad avere i codici forse lo avrebbe risparmiato. O forse no, non lo so.
“Jade”
La sua voce mi riscuote, obbligandomi a guardarlo. Mi sostiene per la vita e io neanche me ne sono accorta. Sono aggrappata alle sue braccia.
“Jade, reggiti.”
E' come se fosse un ordine, perché ci provo per davvero.
“Vogliono che io riferisca loro come hai fatto a conoscere i codici di sblocco, Justin. Se potessi dirglielo, magari cambierebbero idea, potrebbero-”
“No, Jade, ascoltami: devi farti spedire su quel treno entro cinque giorni.”
“C-cosa?” chiedo confusa. Io non voglio morire e sono sicura che neanche lui lo voglia.
“Scapperemo dal Treno, Jade.”
“Non farà nessuna fermata, arriverà solo a destinazione, e allora sarà troppo tardi!”
“Allora salteremo.”



 
-SPAZIO AUTRICE-
Bonaseraaa! Perfettamente puntuale, aaah. (Anche se non molto lungo, lol)
Che dire? Beh, poco direi, c'è Capitan America sul 6, devo correre......
E' una situazione un po' difficile, ora l'unico modo possibile di scappare sembra quella del Treno.
Forse però, sarà anche più difficile che farlo dall'istituto stesso.
Scusate per eventuali errori, ma non ho riletto cc
Spero vi piaccia, girls!

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Capitolo 13
*** Cinquantesimo giorno. ***


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Cinquantesimo giorno.
Capitolo tredici.



Io e Justin ci siamo salutati pochi minuti dopo la sua magnifica idea.
Oh, sì, proprio la fantastica, realistica e geniale idea di ammazzarsi buttandosi da un treno. Sempre una morte più veloce di quella che ci dovrebbe aspettare, non è vero?
Nonostante i miei dubbi, mi fido di lui e so che ha davvero molte risorse, perciò gli ho promesso di ritornare in quella stanza insieme a Wade, a farmi interrogare.
Possibilmente cercando di farmi mandare sul treno e di non fargli capire ciò che voglio davvero.
Non appena sono rientrata nella mia stanza, ho trovato Jared intento a leggere, perciò mi sono seduta accanto a lui aspettando che finisse la pagina.
Gli ho raccontato del mio incontro con Justin, spiegandogli anche il suo brillante piano.
Contro ogni mia aspettativa, la cosa non gli è sembrata una cagata colossale, anzi, mi è sembrato quasi che stesse già pensando a come approfondire il piano.
“Davvero credi che potremmo farcela?” Gli ho chiesto.
“Se non trascuriamo niente, potrebbe funzionare” mi ha risposto lui, continuando a meditarci su.
Sono rimasta in attesa e in silenzio, aspettando che aggiungesse qualcosa, ma evidentemente Jared era troppo assorto nei suoi pensieri per fare caso a me.
“Per esempio?”
“Per esempio sfruttare una curva per saltare, cercare di trovare i posti vicino alla porta del vagone, trovare un modo per far star zitti gli altri pazienti sul treno.”
Improvvisamente tutto mi è sembrato ancora più complicato di quanto mi fosse sembrato.
“Non sarà semplice, eh?” Gli ho detto abbassando lo sguardo sulle mie scarpe bianche.
“Non più difficile che scappare da qui”
Mi sono alzata e ho fatto il giro della stanza più volte, pensando a cosa poter dire per farmi mandare sul Treno in così poco tempo.
Jared mi ha detto che gli sarebbe bastato fingersi depresso e non uscire più dalla stanza. Aveva visto diverse vite finire così: ogni volta che qualcuno cadeva in uno stato profondo di depressione o provava addirittura a suicidarsi, lo si mandava sul Treno, per farla finita più in fretta e senza ritorsioni all'interno dell'istituto. Un paziente in meno e lui era accontentato.
“Sei sicuro che in così pochi giorni tu riesca a convincerli?”
Lui aveva scosso la testa, non era sicuro di niente.
“Tanto vale provarci. Sono anni che sono qui dentro, di certo non li insospettirà il mio comportamento. Se poi proverò a suici-”
“Stai scherzando?!”
Non potevo credere alle mie orecchie. Voleva davvero provare a suicidarsi? A cosa sarebbe servito se poi fosse morto così? Valeva la pena provare una cosa così rischiosa per un piano quasi utopico?
“Devo farlo.”
“Jared, no, non devi, puoi trovare un'altra soluzione, possiamo trovarne un'altra...”
Mi ero avvicinata a lui e lo avevo obbligato a guardarmi in faccia.
I suoi occhi così chiari mi fissavano così intensamente da desiderare di distogliere lo sguardo, ma dovevo rimanere determinata, proprio come lo era lui in quel momento.
“Preferisco morire nel tentativo di scappare che rimanere qui a vita a marcire.”
“Sì, ma-”
“Non puoi salvare tutti, Jade, mettitelo in testa. Non puoi salvare Justin, me, Rachel e te stessa, non puoi preoccuparti così tanto per così tante persone.”
Sono rimasta basita e senza parole. Mi aveva spiazzato e non sapevo come rispondere.
Lui non ha staccato lo sguardo dal mio, leggendo nei miei occhi la paura. Paura per ciò a cui stavamo andando incontro, paura per l'esito incerto del nostro piano.
“Pensa a te stessa, ok?”
“Non posso, Jared, mi sono affezionata a voi.”
“Sì, e ti sei innamorata di Justin. Ma se dovessi sceglierei tra noi e te stessa...salvati, esci da qui, vattene.”
“Jared, non potrei mai...non me lo perdonerei.”
Probabilmente mi stava tremando la voce, perché lui mi ha fatto segno di avvicinarmi e di raggiungerlo. Io l'ho fatto in fretta e mi sono lasciata abbracciare, desiderando per un momento di poter dimenticare il mondo intorno a me, di essere una qualunque diciassettenne.

La mattina seguente, mi sveglio ancora assonnata, perciò decido di saltare la colazione e di rimanere più a lungo nel letto. Jared è già in piedi, si sta vestendo.
“Inizierai oggi?” chiedo senza girarmi verso di lui, tenendo ostinatamente gli occhi chiusi.
“Sì.”
“E Rachel?”
“La informerò oggi.”
“Credi che sarà d'accordo?”
“Non ha molta scelta.”
Finalmente mi giro verso di lui, si sta allacciando la divisa.
“Anche se per lei non sarà così facile” continua lui.
“Perché?”
Lui ignora la mia domanda e continua a sistemarsi, voltandomi le spalle.
“Hai intenzione di rimanere lì per molto?”
Mi chiede, invece.
“Fino a quando non avrò voglia di alzarmi. Ora, rispondimi. Perché sarà difficile per lei?”
Jared sbuffa, vorrebbe non rispondermi, ma ormai mi ha messo la pulce nell'orecchio.
“Non dovrei essere io a dirtelo.” Si avvicina al mio letto e mi scosta velocemente le coperte, facendomi lamentare.
“No, ti prego!”
Mugolo io, voltandomi dall'altra parte, in cerca delle lenzuola.
“Alzati, Jade. Alle tre devi vederti con Justin.”
Il giorno prima, io e Justin ci eravamo accordati per vederci il giorno successivo nella SR, alle tre, ma se i miei calcoli sono esatti, mancano ancora diverse ore all'appuntamento.
“E quindi?”
“Non devi farti bella?”
Mi alzo in piedi, anche se sono decisamente più bassa di lui e in pigiama, cerco di tenergli testa.
“Spiegami di Rachel, Jared, non sono stupida.”
“Sei impossibile.”
Siamo testa a testa, vorrei quasi puntargli un dito contro il petto con fare accusatorio, tanto sono vicina abbastanza, ma non lo faccio.
“Me lo hanno già detto.”
Sorride divertito.
“Non ti piacerà quello che ho da dirti.”
“Non tirarla per le lunghe, Jared.”
“Wade Grey è imparentato con Rachel.”
Rimango un attimo immobile, incapace di assimilare la notizia.
“Ti avevo detto che non ti sarebbe piaciuto.”
Mi solleva la spallina del pigiama, scivolatami sul momento. Io sono ancora troppo sbalordita per poter anche solo reagire o dire qualcosa.
“Non mi dici niente?”
“No, io...è che...quanto sono imparentati?” Chiedo dopo qualche secondo, riuscendo a spiccicare parola.
“Wade è suo zio.”
Ora tutto assume una logica perfetta. Rachel che dà fuoco all'istituto e non viene neanche richiamata, Rachel che fa a botte con altri pazienti e l'unico provvedimento preso è quello di lasciarla senza cena per una sera, Rachel che non si allena anche sotto ordine, ma non viene ripresa.
Wade Grey è suo zio.
E ora il collegamento è così lampante che non posso fare a meno di guardare Jared con occhi ancora più stupiti.
Colui che mi ha mandato qui e che ha ucciso mio padre, colui che ha distrutto la vita dei miei amici è il padre di Rachel Smith.


Sono nella SR da poco meno di cinque minuti, quando vedo Justin entrare e dirigersi verso di me.
Mi perdo qualche secondo nel contemplarlo e ciò mi riesce benissimo, perché giurerei di sembrare una mongoloide, in questo momento.
“Non abbiamo molto tempo.” Esordisce lui, facendomi cenno di sedermi accanto a lui.
“Bel modo di salutare” lo rimprovero io.
“Jade, non adesso.”
Per farmi stare zitta, credo, mi prende un mano e me la stringe, ottenendo ciò che vuole.
“Il treno partirà alle 10.57 e arriverà alle 13 a destinazione. La stazione di partenza è a venti minuti di macchina da qui, perciò alle 10.30 saremo già in viaggio.
La prima curva che il treno affronterà non sarà abbastanza lunga, perciò dovremo aspettare le 11.49, quando ne affronteremo una migliore. Per quell'ora dovremo aver ucciso le guardie e i pazienti, o almeno stordirli.
Durante la curva potremo saltare rischiando meno che in altri punti. Una volta scesi dobbiamo raggiungere il bosco che dista quasi un chilometro e addentrarci lì dentro.
Lì potremo rimanere in un rifugio per non più di un giorno, poi dovremo trovare il modo per raggiungere la città più vicina.”
E' incredibile come sia riuscito ad orchestrare tutto ciò da solo, a trovare tutte quelle informazioni da qui dentro.
“Justin, come hai fatto? Come sai tutte queste cose?”
Lui mi guarda scuotendo la testa e capisco che forse non dovrei fidarmi così tanto di lui. Forse.
“Non posso dirtelo, non adesso, devi fidarti di me.”
“Dovrei fidarmi perché me lo chiedi? Basandomi su informazioni che da solo non saresti mai riuscito a scoprire? Non mi basta, Justin, non mi basta.”
“Devi fidarti perché te lo chiedo io.”
Ora mi sta cercando di incrociare il mio sguardo, ma io mi rifiuto categoricamente di cadere nella trappola.
“Se tu mi potessi-”
“Jade, non hai altra scelta”
Vorrei prenderlo a pugni, ma mi contengo.
“Fammi una bella lista” gli dico.
“Cosa?”
“Non pretenderai mica che mi ricordi tutto!”


“Sei riuscita in qualcosa, Jade Lennox?”
Wade Grey gira intorno alla mia postazione, la scarna sedia al centro della stanza bianca.
“Riuscirei a dirle qualcosa se solo sapessi.” Rispondo.
“Ed è questo il tuo compito”
“Ma non è affatto facile, direttore”
“Ma te lo sto chiedendo io!” Urla lui di rimando, visibilmente arrabbiato.
“Lei chi? Wade Grey o dovrei dire-”
“Dovresti dire cosa, Lennox?”
“-lo zio di Rachel Smith?”
Mi si avvicina pericolosamente e si appoggia allo schienale della mia sedia, fronteggiandomi.
“E tu come lo sai, bambina?”
“Cazzi miei”
“Risposta sbagliata”
Mi arriva un ceffone sulla guancia, adesso mi brucia tutta la parte destra del viso.
“Stai attenta, Lennox, stai attenta.”
“Lo sono, direttore, non si preoccupi.”

 


-SPAZIO AUTRICE-

Intanto dovete perdonarmi per non aver risposto a tutte le recensioni, l'ho fatto solo oggi.
In questi giorni ho davvero pochissimo tempo per stare su efp/facebook/scrivere, la scuola è pesante!
Seconda cosa: ho deciso di partecipare al 'Premio Campiello Giovani 2014' per i ragazzi dai 15 ai 22 anni, un concorso letterario e, visto che dovrò scrivere circa venti pagine di word (un bordello per il tempo che ho), potrei ritardare gli aggiornamenti. Scusatemi, ma ci tengo a fare qualcosa di buono per il premio, perciò mi impegnerò a scrivere quello.
Infine vi ringrazio tantissimo per le recensioni e per chi segue silenziosamente la mia storia.
p.s. scusate la lunghezza che non è il massimo e soprattutto, non ho riletto (purtroppo).
A presto.
♡♡

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Capitolo 14
*** Cinquantaquattresimo giorno. ***


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Cinquantaquattresimo giorno.
Capitolo quattordici.



“Te lo ripeto per l'ultima volta, Lennox”, Wade è in piedi, di fronte a me, con lo sguardo minaccioso che ormai riconoscerei ovunque. “Dimmi chi fornisce a Bieber le informazioni. Dimmelo e ti lascerò una settimana di licenza per uscire di qui.”
Non mi aspettavo questa proposta, Grey mi prende in contropiede, ma nonostante ciò, non prendo neanche in considerazione ciò che mi ha appena detto.
“Non lo dice neanche a me, Wade, come faccio a dirlo a lei? La sua settimana se la può tenere, preferisco marcire qui senza più vedere il sole che assaporare un briciolo di libertà per poi ripiombare nel buio.”
Mi afferra il mento con la mano destra, obbligandomi a guardarlo in faccia.
“Dimmi la verità, Jade”
“E' questa la verità, zietto.”
Mi spinge verso lo schienale della sedia con così tanta rabbia che sbatto la testa contro di esso, facendo una smorfia di dolore.
“Non ti permettere mai più, ragazzina, non ti permettere.”
“Sennò che succede? All'inferno ci sono già!”
“Tu non hai idea di cosa sia l'inferno.”
Gli sputo in faccia, augurandogli di passare la metà di ciò che ho passato io a causa sua e di suo fratello. Lo vedo pulirsi il viso e preparare un colpo diretto al mio volto, ma decido di subire più, perciò mi scanso prima che possa colpirmi e mi alzo dalla sedia, raggiungendo la porta della stanza.
Cosa credi di fare?!” tuona lui, venendomi incontro e afferrandomi un braccio.
Mi spinge verso il centro della stanza, io cerco di rimanere in piedi, ma lui è troppo veloce, perciò mi raggiunge prima che possa ristabilirmi. Mi butta a terra e mi sferra un calcio nello stomaco. E ancora uno. E un altro. Cerco di trattenere i gemiti di dolore ad ogni colpo inflitto, ma è sempre più difficile.
“Basta...”
“Zitta, stai zitta.”
E poi un telefono suona, al di là della porta. Un secondo dopo essa si apre, e la figura di una guardia robusta fa capolino oltre la soglia.
“M-mi scusi, direttore...suo fratello in linea.” E' insicuro mentre parla, ha capito che ha scelto il momento sbagliato per entrare. Grey si ferma e mi lancia un'occhiata di fuoco, mentre si allontana da me e si avvicina alla guardia.
“Dammi qua.” Gli strappa il telefono dalle mani e inizia a parlare, ancora furente. Io guardo la scena da terra, troppo dolorante per alzarmi o per provare a uscire da qui.
La conversazione va avanti per meno di due minuti, mentre io cerco disperatamente di non chiudere gli occhi. A un certo punto non capisco neanche più cosa si stiano dicendo, ma recupero la concentrazione verso la fine.
“Mi dai l'autorizzazione, Claudius? No, ancora niente, te l'ho detto. Dice di non saperlo, Bieber non si confida. No, Claudius...stai tranquillo, l'ho già segnato per questo mese. Basta dirlo e avrai una preoccupazione in meno di cui occuparti. D'accordo, lo farò. A presto.”
Attacca e passa il telefono alla guardia, rimasta immobile sulla soglia, lanciandomi occhiate furtive. Wade si gira di nuovo verso di me, questa volta con più calma.
“Sarai contenta di sapere che farai compagnia al tuo amico, Jade Lennox.”
Non ho la forza di rispondere, un rivolo di sangue mi bagna le labbra, inondandomi la bocca del sapore metallico e salato del sangue.
“Scommetto che hai già preso almeno un treno in vita tua, dico bene?”
E' tornato l'uomo controllato ed educato che ho visto la prima volta che sono entrata qui.
Non mi degno di rispondere, un po' perché non riesco, un po' perché non voglio.
“Be', preparati a un nuovo viaggetto, Jade, ti assicurerò il posto vicino a quello di Bieber.”
Si volta, dandomi le spalle, per poi rivolgersi alla guardia.
“Portatela nella sua stanza.”
“Ma signore, l'infermeria non-”
Ho detto di portarla nella sua stanza.
L'uomo annuisce e si avvicina a me. Prova a farmi alzare, ma capisce ben presto che non ne sono in grado. Grey ha lasciato la stanza, quindi posso finalmente chiudere gli occhi e sperare che qualcuno non mi lasci cadere brutalmente a terra.
Per fortuna la guardia lo intuisce e mi afferra, prendendomi poi in braccio, mentre il mio corpo urla dal dolore. Ora posso dormire.



“Jade, apri gli occhi!” La frase si ripete all'infinito, fino a quando non diventa una cantilena insopportabile, perciò sono costretta a fare ciò che mi sta suggerendo.
Le palpebre sono più pesanti che mai, ma con uno sforzo le apro, restando quasi accecata dalla luce della stanza.
“Jade...grazie a Dio.”
Riconosco la voce preoccupata che mi sta parlando, quella della cantilena. È Jared, seduto di fianco a me, probabilmente sul mio letto.
Tocco la superficie di esso e ne ho la prova, ma questo non spiega come io ci sia arrivata. L'unico ricordo isolato che ho è quello in cui Grey mi diceva che sarei stata mandata sul Treno, poi il buio.
Non appena alzo appena la testa dal cuscino un dolore lancinante mi esplode all'altezza della fronte, obbligandomi a restare sdraiata.
“Non ti sforzare, Jade, stai così e non ti muovere...ho insistito affinché ti portassero in infermeria, ma la guardia che ti ha portato qui è stata categorica.”
Improvvisamente ricordo tutto: le mie provocazioni, la sua ira, i suoi calci e la telefonata. La telefonata con Claudius. Il pensiero di essere riuscita nella missione, però, offusca il persistente dolore che mi scuote le membra. Non è stato tutto inutile. Il mio primo pensiero va a Justin, immaginando la sua reazione alla vista della sottoscritta ridotta così.
“Ce l'ho fatta, Jared...”
“Cosa ti hanno fatto, Jade?! Cosa?
Provo a ridere, sollevata dalla consapevolezza di essere riuscita nel mio intento, ma ciò non fa altro che aumentare il mio mal di testa. Jared mi passa una mano sulla fronte, continuando a guardarmi come se fossi una bambola di pezza rovinata e maltrattata. Forse lo sembro davvero, adesso.
Mi sento così.
“E' stato Grey, ma...adesso sto bene.”
E' la più grande cazzata che abbia mai detto, visto che non ci credo neanche io ed è evidente che non sto affatto bene.
Lui mi guarda storto, poi si alza e torna dopo pochi secondi con del ghiaccio. Me lo appoggia sul fianco e io faccio una smorfia di dolore al contatto con esso.
“Coraggio, Jade.”
Io annuisco e stringo i denti, mentre mi accorgo che il sapore di sangue che avevo avvertito ora non c'è più.
“Dimmi cos'è successo” mi esorta lui, continuando ad accarezzarmi la fronte e a tenermi il ghiaccio sul fianco.
“Gli ho...gli ho sputato in faccia e lui mi ha preso a calci. Suo fratello sembra approvare il mio viaggetto sul Treno. Ce l'ho fatta, Jared, capisci?”
“Non dovevi ridurti così per farti mandare su quel Treno, Cristo!”
Lui sembra arrabbiato, più che contento per l'esito dei miei sforzi, se così posso chiamarli.
“Ma-”
“Nessun “ma”! Non ti vedi, Jade? Guarda come ti ha ridotto, quel figlio di puttana!”
“Io...” Ha ragione, forse, ma ormai quel che è fatto è fatto.
“Tu vuoi tentare il suicidio, Jared...cosa mi dici?” Gli dico poi, riacquistando un po' di sicurezza.
“Lo inscenerò, lo farò credere, non mi impegnerò ad ammazzarmi sul serio come hai appena fatto.”
Questa volta sto zitta, lasciando che gli passi la rabbia.
“Scusa” dico poi, dopo pochi minuti. Lui riprende il ghiaccio che aveva appoggiato accanto a sé e me lo riporta sul fianco.
“Posso?” Mi chiede invece, prendendo un lembo della mia divisa. Gli faccio cenno di sì e lui mi alza appena la maglia, il giusto per poter far passare il ghiaccio a contatto con la pelle.
“Prova a riposare, Jade. Te lo tengo io.”
“Ho dormito fino ad adesso.”
“Eri svenuta.”
“Forse.”
“Prova a dormire, dai. Io sto qui con te.”
Io lo guardo, studiando l'espressione del suo volto, ma non so decifrarla. È un misto di tristezza, rabbia e rassegnazione. Mancano solo due giorni alla partenza e io sono ridotta così...devo rimettermi il più in fretta possibile se voglio avere anche solo una possibilità di rimanere viva.
Perciò annuisco e chiudo gli occhi, cercando di dimenticarmi delle mani di Jared sulla mia pelle.
“Lo devo dire a Justin?” Mi chiede lui un attimo dopo.
“No, digli che sono riuscita a farmici mandare, niente di più. Fatti spiegare il piano di nuovo e dillo a Rachel. Se non riuscirete ad avere il via libera dovrete uscire dall'istituto di nascosto.”
Lui tace e io lo prendo come un sì, perciò svuoto la mente, per quanto possibile e lascio che il sonno prenda il sopravvento.
Non so quando e non so perché, ma a un certo punto sento la mano di Jared staccarsi dal mio fianco, perciò, con la poca lucidità che mi rimane, cerco il suo polso, chiedendogli silenziosamente di restare. Non voglio che se ne vada, non voglio rimanere da sola. Lui torna indietro, esita un secondo, e poi si risiede sul letto, questa volta vicino al mio viso, così che possa accarezzarmi il viso. Le sue dita sulla mia guancia sono l'ultima cosa che sento prima di cadere in un sonno senza sogni.



Esco dal bagno con addosso la divisa bianca e i capelli acconciati in una coda di cavallo, portandomi ancora le mani alla pancia per i colpi ricevuti due giorni fa.
“Ce la fai?” Jared mi aspetta seduto sulla scrivania, dondolando le gambe. Fa per venirmi incontro, ma lo fermo.
“Sto bene.”
In effetti è stata solo una fitta. Rimanere due giorni a letto senza quasi muovermi ha dato i suoi frutti: mi sento molto meglio, tranne qualche occasionale dolore al ventre. Cerco di non farci caso.
Davanti alla porta della stanza ho lasciato il mio zaino grigio, dove ho messo le poche cose che ho.
Senza che me ne possa accorgere, una guardia bussa alla nostra stanza, dicendomi di salutare il mio compagno e di uscire entro due minuti.
Guardo intensamente Jared; sono terribilmente spaventata, da adesso si decide della nostra libertà o della nostra morte.
“Arrivo” dico rivolgendomi alla donna.
Mi avvicino a Jared, il quale si è alzato e sta venendo verso di me.
Quando siamo a pochi centimetri di distanza mi alzo sulle punte lo abbraccio...è così alto.
Ispiro il suo profumo, cercando di imprimermelo nella mente e così la sensazione che ho non appena lo gli circondo il corpo con le mie braccia.
“Ce la faremo” mi bisbiglia lui all'orecchio. Io annuisco, ho un groppo in gola.
Per me e Justin non sarà difficile arrivare al treno, ma Jared e Rachel dovranno cavarsela da soli, trovare un modo, seppur rischioso, di arrivare alla stazione.
Mi stacco da lui controvoglia, lasciando però che lui mi rimanga vicino.
Arrivo alla porta e sollevo lo zaino, mettendomelo in spalla. Mi giro verso Jared, mi sta guardando cercando di mascherare la preoccupazione, ma io la riconosco.
“Ciao, Jared.”
“Scusami, Jade, ma devo.” Si allunga verso di me e mi sfiora le labbra con un bacio, quasi leggero quanto quello che c'è stato tra me e Justin pochi giorni fa.
Non ho il tempo di pensare, né di fare qualcosa, lui si è già allontanato da me.
“Buona fortuna” mi dice.
“Buona fortuna, Jared.”



Esco dalla porta dell'istituto alle dieci e ventotto, scortata da due guardie che mi affiancano con le pistole a portata di mano.
Percorriamo tutto il viale d'entrata fino al cancello che delimita il confine insuperabile, ma questa volta posso andare oltre, uscendo finalmente da quella prigione.
Davanti ad esso mi aspetta un'auto nera dai finestrini oscurati. Mi chiedo se lo abbiano fatto apposta per farmi sentire in trappola fino all'ultimo.
Non ho più visto Grey dallo scontro di due giorni fa.
Prima di salire sulla macchina sbircio a destra e a sinistra, sperando di vedere Justin o qualcosa che mi faccia capire che sta per partire anche lui.
Effettivamente, a circa cinquanta metri da me, un'altra macchina è oltre il cancello dell'istituto. Davanti ad essa vi è un ragazzo biondo che sta guardando proprio verso di me: Justin.
Non posso vederlo bene in faccia, ma sono sicura di incontrare i suoi occhi, perché, non appena succede, il ricordo di ciò che ha fatto Jared riaffiora nella mia mente, divorandomi l'anima.





 
-SPAZIO AUTRICE-
Sono in ritardo, yeah ^_^
No, sul serio, questa settimana è un inferno: tre verifiche e una interrogazione, credo di non farcela, aiuto.
Perciò cercate di capirmi, pls.
Il capitolo è lunghino, dai, e poi succede qualcosa con Jared.......vi prego, non condannatelo a morte, è stato così carino.........vi giuro che farò il possibile per evitare cose di questo genere con Giarretto.
Spero che il capitolo vi piaccia, ora evaporo perché sono più che stanca!
Un grazie a tutte quelle che seguono la mia fanfiction, a presto♡

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Capitolo 15
*** Cinquantaquattresimo giorno (2) ***


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Cinquantaquattresimo giorno. (2)

capitolo quindici.



Sull'auto ci siamo solamente io e l'autista, perciò rimango nel silenzio più assoluto per tutta la durata del viaggio.
Per quasi mezz'ora rimango incollata al finestrino, vedendo scorrere diversi paesaggi, vedendo il passaggio delle nuvole lasciare posto al sole. Mi permetto di abbassare il finestrino e l'autista non perde tempo per riprendermi.
“Non oltre la metà, signorina.”
Ridacchio, incapace di formulare la più assurda delle ipotesi.
“Avete paura che mi possa buttare dal finestrino?”
Il silenzio che segue la mia domanda mi spiazza. Lo temono davvero. Beh, in tal caso non devono preoccuparsi, dato che ho in mente di saltare da qualcosa di ben più pericoloso di un finestrino di un auto che va a malapena ai cinquanta all'ora. Torno a concentrarmi sulla vita che scorre al di fuori dell'abitacolo, sporgendo una mano e sentendo come l'aria accarezza le mie dita. Sorrido, lasciando che i capelli si scompiglino e che la mano si congeli grazie all'aria di marzo, ancora fredda.
La ritiro soltanto quando la macchina rallenta e si ferma nel parcheggio vicino a un edificio: la stazione. Non appena scendo due guardie mi ammanettano i polsi e prendono il mio zaino, spingendomi poi a proseguire verso la meta.
Quando entro nella stazione non mi stupisco di non vedere nessuno all'interno, se non altre guardie.
Non sono poliziotti, si capisce, questo viaggio verso la morte è più che certamente illegale, coperto da un mucchio di persone influenti come i fratelli Grey.
Solo sulla banchina scorgo qualcuno come me, con la divisa del S.T. Institute. Ci sono sette persone, alcune sedute sulle panchine, altre in piedi, tutti scortati da altre guardie. Mi dirigo verso la prima panchina libera che trovo, di fianco a una ragazza poco più grande di me, con le mani sul viso.
Cerco di non fissarla, ma mi è quasi inevitabile ogni volta che vedo qualcuno come lei, qualcuno disperato.
Non ho idea se lei sappia effettivamente dove siamo diretti o no, se sia persa nei suoi pensieri più reconditi o solo stanca, ma so per certo che è una delle poche persone che dovrebbero stare all'istituto.
Cercando di distogliere la mia attenzione da lei, mi guardo in giro cercando qualche viso famigliare, cercando Justin o Jared, oppure Rachel.
Nessuno di loro è qui, ma scorgo in fondo alla banchina, l'uomo che mi aggredì nel giardino dell'istituto, insieme a quel Dave. Rabbrividisco, sperando non mi abbia vista. Forse non lo ha fatto.
Sono le dieci e cinquantadue e finalmente vedo Justin arrivare. Rimane in piedi con le guardie accanto e lo zaino in spalla, poi si guarda intorno e mi vede.
Trattengo l'impulso di correre verso di lui e di abbracciarlo, così distolgo lo sguardo e fisso le rotaie davanti a me.
Altri tre minuti dopo arriva Rachel.
Il sollievo mi pervade, perché so che se lei ce l'ha fatta, allora è molto probabile che anche Jared sia riuscito nell'intento. Si ferma accanto a Justin, sorridendogli, ma lui rimane impassibile, forse troppo preso dal suo piano. Lei si gira verso destra e poi verso sinistra, dove sono io. Mi nota e mi fa un rapido cenno con il capo e l'unica cosa che posso fare e rispondere con un minimo sorriso, che cerco comunque di mascherare e di non far vedere ad altri.
Perché fa così la spavalda? Perché se ne frega di passare inosservata? Forse è masochista o forse è il suo complicato e strano carattere che io non conosco e capisco quasi minimamente.
All'improvviso sento il treno avvicinarsi e lo sferragliare di esso sulle rotaie, obbligandomi a tapparmi le orecchie. È un qualsiasi treno delle ferrovie nazionali e ciò mi spiazza. Mi sarei aspettata di vedere qualcosa come un treno merci o un treno di tre carrozze massimo, e invece ci si presenta questo, lungo e assolutamente normale, quasi per rassicurarci che tutto ciò che sta succedendo è assolutamente di norma.
Di Jared nessuna traccia. Non voglio attirare l'attenzione, perciò mi limito a guardare verso l'entrata solo un paio di volte, nonostante stia impazzendo dall'ansia. Poi, una delle due guardie che mi hanno accompagnato qui mi strattona il braccio e mi fa alzare dalla panchina, facendomi avanzare fino alla linea gialla della banchina, in attesa che il treno si fermi completamente.
Mi giro verso Rachel e Justin e noto un particolare che mi lascia a bocca aperta.
Sono più che sicura che il numero di Rachel fosse il 1031, gliel'ho visto molte volte sulla divisa che siamo soliti portare all'istituto, ma adesso, su di essa, vedo un numero ben diverso da quello che ricordavo: 0073.
Che cosa ha fatto?
“Avanti, forza!” mi scuote la guardia, obbligandomi a guardare davanti. Ormai non ha più importanza ciò che ha fatto o non ha fatto, adesso siamo qui, pronti per rischiare la pelle, ciò che è stato è stato. Le porte del treno si aprono mentre dietro di me si crea una piccola fila di tre persone, tra cui Justin. Due vagoni più indietro vi è la seconda fila, con Rachel in testa.
Davanti a me, sul treno, spunta un uomo sulla quarantina e così pure da Rachel.
“Kristin Bradley, 0073.”
E' un appello. Rachel alza prontamente la mano, mentre l'uomo scrive qualcosa sul suo blocco appunti, per poi passare al secondo nome.
Kristin Bradley? Non ho il tempo per assimilare ciò che sta accadendo perché il mio nome viene chiamato. Alzo la mano quel poco che basta per farmi vedere, dato che sono già la prima.
Non appena l'uomo scrive ciò che deve scrivere, mi fa segno di salire e io lo faccio, voltandomi una volta entrata.
Jared è comparso in questo istante, messo direttamente nella fila di Rachel dalle sue guardie.
Lascio scappare un sospiro di sollievo mentre vado a sedermi nel primo posto che trovo.




Siamo in viaggio da quasi un'ora, io seduta accanto accanto al corridoio e Justin pure, solo due file davanti a me. Un display luminoso, in fondo al vagone, indica le 11.41, perciò tra otto minuti dovremo saltare. Di fianco a me è seduta la ragazza che ho visto poco fa, questa volta con lo sguardo fisso oltre il finestrino, verso la campagna che stiamo percorrendo.
Do anche io uno sguardo fuori e nel tempo record di qualche secondo, mi sono accorta che ormai stiamo costeggiando un fitto bosco. Spero vivamente che Justin ne sia consapevole, dato che dovremo entrarci.
Mi giro di nuovo verso di lui e lo scopro a fissarmi. È uno sguardo che lascia intendere molte parole e io lo comprendo. Non appena vedo il suo capo abbassarsi impercettibilmente, mi alzo dal mio posto, dicendo alla ragazza di non muoversi, poi mi dirigo verso le guardie alla fine del vagone, sedute tranquillamente e intente a parlare. Sono solo in due, mi sembra quasi impossibile.
Justin è davanti a me, dicendomi quando avanzare e quando fermarmi per non farci scoprire, in modo che si accorgano di noi quando ormai è troppo tardi.
Siamo a due metri da loro, silenziosi e cauti. Il display segna le 11.43 e i 180 km/h.
L'amico di Dave parla. Si gira verso di noi e ci chiede cosa abbiamo intenzione di fare, come se fosse sanissimo. Io so che non lo è.
Le due guardie si girano di scatto, ma non fanno in tempo a estrarre le pistole perché Justin sferra un pugno in faccia a quella sulla sinistra, mentre io colpisco l'altro nella pancia. Grazie a Dio non è uno di quei pompati assurdi, perciò l'unico a farsi male è lui, che arretra pietosamente mentre io gli sfilo velocemente la pistola dalla cintola.
“Fermi!” grido puntando la pistola contro entrambe le guardie, mirando un po' all'una e un po' all'altra. Chiunque sia sul vagone si immobilizza, persino Justin, anche se gli basta un secondo per comprendere la situazione e stendere a terra la guardia con cui stava lottando con una gomitata sul viso. Io rimango immobile con la pistola puntata su di lui, fin quando non lo vedo stramazzare a terra sotto i calci di Justin. Poi vengo svegliata da una presa salda sulla mia gamba e uno scossone che mi fa perdere l'equilibrio, ma non cadere.
L'altra guardia, quella a cui ho sottratto la pistola, è quasi in piedi e cerca di farmi cadere. Impugno la pistola, le mani mi tremano, scalcio il più possibile per togliermelo di mezzo, ma lui insiste...sparo. Sparo e lo colpisco alla gamba, lasciandolo finalmente a terra, incapace di rialzarsi. Justin è da me in quel preciso momento, si è appena liberato dell'amico di Dave. Ora ha anche lui una pistola in mano.
“M-morirà?” chiedo tremante a Justin, sperando con tutta me stessa che mi dica di no, che no, non l'ho ammazzato e che si rimetterà. Non credo di essere seriamente così preoccupata per la guardia in sé, lo sono per ciò che ho fatto, ho sparato a una persona, e questo mi rende estremamente egoista.
“Due o tre mesi e camminerà di nuovo come prima, non preoccuparti,” dice dando una rapida occhiata alla guardia, “piuttosto dovrebbe chiuderli quegli occhi.”
Detto questo lo stordisce, in modo che svenga e che non possa riferire ciò che stiamo per fare. Justin si volta verso il display sopra di noi e così faccio anche io. Sono le 11.46 e la velocità del treno inizia a diminuire. Credo di avere ancora la presa salda sulla pistola e la bocca spalancata, perché Justin mette le mani sulle mie e mi dice di calmarmi e di concentrarmi, mi dice che è stata legittima difesa e che non ho ucciso nessuno.
Lo ascolto solo in parte, ma forse è abbastanza perché io rilassi i muscoli delle braccia e delle mani e faccia cadere la pistola al suolo. Lui la raccoglie velocemente e me la infila nella tasca interiore del giubbotto bianco che indosso, senza trovare alcuna resistenza da parte mia.
“Meglio averne una, non si sa mai.”
Io annuisco e scuoto la testa, cercando di scacciare gli orribili pensieri che si affollano nella mia mente.
“Ok, ci siamo.”
Justin si avvicina all'entrata del vagone e si posiziona davanti al pulsante di apertura, pronto per premerlo tra esattamente due minuti. Io mi avvicino a lui, che ha già iniziato a spiegarmi come cadere e come farmi il meno male possibile.
La ragazza, penso dopo pochi attimi, ricordandomi di come era sembrata fragile, spaventata e innocua.
“Justin, aspetta,” è tutto ciò che riesco a dire prima di allontanarmi e raggiungere l'ultimo passeggero cosciente oltre a noi, su questo vagone.
“Jade, cosa stai...”
Le arrivo di fronte e noto con tristezza che sta ancora guardando fuori dal finestrino. La scuoto appena prendendola per la spalla e lei si gira con uno scatto verso di me, spalancando gli occhi neri.
Per un momento rabbrividisco, ma poi noto che non mi sta guardando direttamente.
“Che vuoi?” chiede lei con una voce cristallina e non adatta al tipo di domanda che mi ha fatto. Ancora non mi guarda, il suo sguardo è puntato oltre la mia spalla. Mi giro verso Justin e lui inizia a indicarsi gli occhi, tenendoli chiusi. Solo allora capisco che la ragazza è cieca.
“So che non mi conosci, ma non ho tempo per le presentazioni. Io e...” mi blocco un attimo di troppo, insicura su quale termine usare. Amico? Non-fidanzato-che-vorrei-tanto? “il mio amico laggiù stiamo cercando di scappare. Vorrei che tu venissi con noi.”
Ho cercato di parlare lentamente e in modo comprensibile nel caso sia davvero matta, ma la ragazza sembra perfettamente consapevole di ciò che le ho detto, sembra normalissima anche lei.
Sorride, mentre Justin mi avverte che tra un minuto dovrà aprire la porta e a quel punto suoneranno gli allarmi.
“Non ho niente per cui combattere, mi hanno portato via tutta la famiglia. Starò bene dove mi porterà questo treno.”
“Ma morirai!”
“Lo so.”
Rimango qualche secondo a fissarla, incredula, fino a quando Justin non ci raggiunge.
“Promettici che non parlerai, non dirai cosa abbiamo fatto e non dirai che ti abbiamo proposto di venire con noi. Promettilo” interviene lui.
Lei sorride di nuovo, questa volta divertita.
“Sono cieca e non so i vostri nomi. Come potrei dire qualcosa? Non me lo chiederanno nemmeno.”
“Grazie, davvero.”
Justin si allontana e torna alla sua postazione, mentre io rimango ancora qualche secondo davanti alla ragazza, non accettando il fatto di non poterla salvare.
“Non puoi farci niente, non darti la colpa” dice lei, quasi leggendomi nel pensiero. Io rimango in silenzio perché non sarei in grado di risponderle senza dirle che ha torto, che è mio dovere tirarla fuori di qui.
“Jade, è ora!”
Guardo il dispaly e noto che sono le 11.49, la velocità del treno è diminuita fino ai 70 km/h.
“Mi dispiace...”
“Gwen, mi chiamo Gwen. Ora vai, Jade, ti sta aspettando.”
Le prendo una mano e gliela stringo, cercando di non dar spazio alle lacrime.
“Grazie, Gwen, non ti dimenticherò.” Lei mi sorride e io mi alzo, per poi raggiungere Justin. Le do un'altra occhiata e dopo mi concentro su cosa mi sta dicendo lui.
“Cerca di atterrare sulle gambe e dopo rotola per attutire il colpo. Vai prima tu, io ti seguo.”
Deglutisco rumorosamente, guardando fisso la porta del vagone e la mano di Justin pronta a premere il pulsante.
“Ce la faremo, Jade. So che possiamo.”
Justin mi abbraccia velocemente, il giusto per farmi acquisire un po' di sicurezza, ma proprio in quel momento il treno inizia la sua curva, staccandoci l'uno dall'altra.
Justin preme il pulsante e la porta si apre e con lei iniziano a suonare gli allarmi per l'apertura non autorizzata. Lo guardo, come a volermi imprimere nella memoria l'immagine del suo viso, come se fosse l'ultima volta che lo vedo. E in questo momento è bellissimo, con i capelli scompigliati e l'adrenalina in corpo, con gli occhi puntati su di me. Poi mi volto verso Gwen, questa volta i suoi occhi sono puntati verso di me, anche se so che non possono vedermi.
Sono contenta di sentire il vento così veloce sul viso, così può scacciare immediatamente quell'unica lacrima che scappa al mio controllo.
“Jade, vai!
Non posso più aspettare, perciò prendo un bel respiro, come se dovessi tuffarmi in mare, e salto.


 

SPAZIO AUTRICE
Eccomi qua, yeaah (con due giorni di ritardo, ma è uguale, dai......)
Finalmente ci siamo, sono scappati!
Ovviamente non potevo dirvi subito se durante il salto qualcuno si spacca la testa, le gambe o il collo...
Per chiunque "shippi" quei due cani, comunque, il prossimo capitolo sarà concentrato solo su di loro. (FINALMENTE)
GIURO, E' LUNGO COME GLI ALTRI E IL CARATTERE E' SEMPRE QUELLO, E' EFP CHE LI FA PIU' PICCOLI!!!!
p.s. avete visto il nuovo efp? Per il cellulare è comodo, ma per il pc mi fa abbastanza schifo cc
A presto, ragazze, un bacio!

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Capitolo 16
*** Cinquantaquattresimo giorno (3) ***


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Cinquantaquattresimo giorno (3)

capitolo sedici.




Tutto quello che vedo nell'attimo in cui sono sospesa tra il treno e il terreno, è il bosco.
Per quell'attimo mi sento libera da qualsiasi peso, credo di potercela fare, credo di essere finalmente libera. Poi inizia la caduta.
Cerco di seguire i consigli di Justin, perciò mi preparo all'impatto col terreno cercando di atterrare prima sulla gamba sinistra e poi su quella destra, con la quale mi sono data la spinta.
Non appena appoggio il piede sul terreno sento tutto il peso del mio corpo appoggiarsi su di esso, ma il treno andava talmente veloce che non mi ha permesso di calibrare la caduta.
In un attimo sono a terra, il piede sinistro dolorante. Provo talmente tanto dolore da paragonarlo a mille lame che me lo trapassano ripetutamente.
Rotolo spasmodicamente, cercando di attutire il dolore a braccia e mani, che hanno attutito la mia caduta. Finalmente mi fermo e mi stringo penosamente la caviglia con le mani, cercando di ignorare il dolore che mi provocano anch'esse.
Qualche secondo più tardi vedo Justin comparire sulla destra, lento e completamente sporco di terra e sangue.
“Jade, stai bene?”
Scuoto la testa negativamente, stringendo gli occhi e i denti, mentre il dolore non fa che aumentare e risalire lungo la gamba. Il piede pulsa e la cosa mi manda in bestia, è una sensazione terribile che si somma al dolore allucinante. Ho lo stivale lacerato.
“Fammi vedere, forza.”
“Non è niente! Tu cos'hai fatto, disgraziato?!”
Sono arrabbiata, dolorante e irritata. Aveva promesso che sarebbe andato tutto bene e me lo trovo davanti insudiciato di sangue dalla vita in giù.
Lui mi guarda esterrefatto, poi scuote la testa e mi si inginocchia vicino con fare sbrigativo.
“Niente di profondo, mi sono solo sbucciato da far schifo. Fammi vedere, non abbiamo tempo.”
Mi tira su il lembo dei pantaloni senza troppe cerimonie, esaminando alla bella meglio il danno.
“Ti sei tagliata sul polpaccio, guarda com'è ridotto lo stivale.”
Mi fa un risvolto e mi slaccia lo stivale, facendomi quasi urlare per il dolore non appena le sue dita toccano la pelle ferita.
“Scusami, scusami!” Si affretta a dire lui, ma io non lo sto neanche ascoltando.
“Non è solo il taglio, anche la caviglia mi fa un male cane,” dico stringendo i denti. Lui mi guarda preoccupato, poi decide che è meglio non rimanere un secondo di più dove siamo, perché mi chiede se riesco a camminare.
“Sì, aiutami ad alzarmi.”
Lui acconsente e mi passa un braccio sotto le ascelle, trascinandomi con sé nella risalita. Una volta in piedi non posso fare altro che aggrapparmi completamente a lui, incapace di reggermi solo su un piede, incapace di ignorare le fitte di dolore all'altro.
“Jade, non vorrei che fosse rotto...”
“No! Aiutami e vedrai che riuscirò a camminare.”
Ma nonostante io continui a ripeterlo, il dolore non accenna a diminuire e ad ogni passo diventa tutto meno sopportabile. Poi, improvvisamente, mi ricordo di Rachel e Jared, così mi guardo repentinamente indietro, non trovando nessuno.
“Gli altri! Non ci sono, Justin!” Una morsa d'ansia inizia a farsi strada nel mio petto, intrappolandomi.
“Non ora, Jade, non ora!”
“Non ora, cosa?! E se non fossero riusciti a-”
“Jade, non stai neanche in piedi! Dobbiamo andarcene da qui il prima possibile, non ci vorrà molto prima che si accorgano di quello che è successo.”
“Ma non possiamo-”
“Possiamo e dobbiamo, smettila di preoccuparti così tanto per gli altri! In questo piano ci eravamo solamente io e te, se dovesse rivelarsi effettivamente così te ne farai una ragione!”
Il suo tono deciso e duro mi ammutolisce. Mi sta dicendo di fregarmene dei nostri amici, di pensare a scappare e di non farmi troppi scrupoli nel farlo.
“Mi fai schifo.”
Mi allontano da lui come posso, ma la sua stretta è ferrea e non me lo permette, anzi, sento la sua presa aumentare e vengo improvvisamente sollevata da terra, trovandomi tra le sue braccia.
In qualunque altro momento sarei stata felice della situazione, ma adesso vorrei solo stargli lontana.
Non può aver detto quelle cose su Jared e Rachel, non può.
“Lasciami andare!”
Ai suoi occhi sembrerò una bambina stizzita e arrabbiata, ma in realtà sono ferita. Ferita da come non gli importi di nessuno se non di lui.
“No.”
“Ti importa solo di te stesso, perciò lasciami qui, cazzo!”
“Se mi importasse solo di me stesso ti avrei lasciato dentro a quel manicomio e non ti starei portando lontano da qui! Svegliati, Jade, sei l'unica persona che io stia cercando di proteggere!”
E ricomincia a camminare, entrando così nel bosco. Sono ammutolita di nuovo, incapace di parlare. Posso solo rimanere avvinghiata a lui, cercando di non pesare troppo, cercando di non essere di intralcio.
Capisco che è così cinico per sopravvivere. Qualcosa lo avrà sicuramente cambiato, perché non ho mai incontrato nessuno come lui. Mi ha appena detto, mi ha appena dimostrato che nonostante tutto, nonostante il suo egoismo, il suo cinismo, lui tiene più a me che al suo orgoglio.
E io gli ho detto che mi fa schifo. Gli ho detto che mi fa schifo perché ha cercato di mantenere la calma e di non lasciarsi sopraffare da tutto, nonostante lo faccia in un modo tutto suo, che a quanto pare non sono ancora riuscita a comprendere fino in fondo.
“Mi dispiace, mi dispiace così tanto”, intervengo dopo una decina di minuti, interrompendo il silenzio creatosi tra di noi.
“Per cosa?”
Lui è ancora controllato e sembra non essere affaticato nonostante lo sforzo.
“Per quello che ti ho detto, Justin, è la cosa più lontana dalla verità che potessi dirti. Mi dispiace.”
Lascio cadere la testa sulla sua spalla e finalmente le mie lacrime hanno vita facile, potendo finalmente uscire e farsi strada sulle mie guance.
Piango per la situazione in cui siamo, piango per Jared e Rachel, piango per la morte di mio padre, per ciò che Grey ci ha fatto, per Justin.
“Jade, non piangere...”
E' in evidente imbarazzo, ed è anche preoccupato, lo sento dalla sua voce, ma questo non fa altro che alimentare il mio pianto, rendendolo disperato. Non ha bisogno di chiedermi il perché di esso.
“Andrà tutto bene, fin'ora è andata così, abbi fiducia.”
Accosta il suo viso al mio, posato sulla sua spalla, e io posso sentire il calore delle sue guance e il respiro affannoso di chi è affaticato.
“Se andasse tutto bene, a quest'ora me ne sarei a casa con i miei genitori, con la scuola come mia unica preoccupazione, non sarei qui, fuggiasca da un manicomio, creduta assassina! Non ho ucciso mio padre, non l'ho ucciso io!”
“Jade, io...”
“Non dire niente, Justin, non dire niente.”
Lui fa come gli dico per pochi secondi, ma non riesce a stare zitto.
“Vedila così, almeno ci siamo incontrati.”
Per un attimo non penso a niente, un sorriso increspa le mie labbra e una leggera risata esce dalla mia bocca, facendo però via libera alle lacrime sulle guance, salate. Lo sento sorridere.
“Raccontami una storia.”
“Una storia?” Gli chiedo.
“Sì, una qualunque.” Mi chiede, cercando di tenermi impegnata e di non farmi pensare a tutte le cose che ci sono successe.
“Dovrai accontentarti dell'epica caduta al mio settimo compleanno,” dico, portando una mano al viso e asciugandomi le lacrime.
“Me ne farò una ragione.”
E così inizio a raccontare.




Quando entriamo nella casetta di legno, probabilmente utile ai cacciatori di mezzo secolo fa, Justin è stremato e io mi sento terribilmente in colpa.
Per tutto il viaggio, due ore e mezza circa, non ho fatto altro che parlare, cercando di distrarlo e di distrarmi, mentre lui continuava a camminare, prima con me in braccio, poi in groppa, sulla schiena.
Il rifugio non è più grande di una stanza. Sulla destra vi è un tavolo con due sedie di legno, dall'aspetto non proprio comodo, mentre sulla sinistra vi è un letto singolo con due panni di lana appoggiati sopra. Il cuscino è così sottile da essere inutile.
Justin mi fa sedere sul letto, si stiracchia come un gatto e poi si sbriga a dirigersi verso uno dei due scaffali in fondo alla stanza. Io lo guardo, aspettando che torni, trovandolo incredibilmente bello nonostante i suoi tagli sulle braccia per via dei rami, e il sangue sulle gambe. Torna da me pochi secondi dopo, con in mano un kit di pronto soccorso non esattamente antiquato.
“E tu come facevi a sapere che era lì?”
Penso mi risponda con un sorriso e una battuta, ma la sua faccia seria mi stupisce.
“Ho una spiegazione, ce l'ho, ma adesso non è il momento. Ti fidi di me?”
Mi guarda intensamente, ma sono determinata nel reggere lo sguardo e così faccio.
“Sì, Justin, mi fido di te.” Lui mi sorride, poi mi sfila velocemente lo stivale malandato, strappandomi un urlo di dolore.
“Dovevo comunque tenerti concentrata su qualcos'altro...”
“Bastardo!” Gli urlo contro, per poi ridere. La mia risata viene stroncata dalla vista del mio piede.
Sangue e dolore, ancora. Justin preme sulla mia caviglia e io stringo i denti.
“Riesci a muoverlo?”
“Non lo so.”
“Provaci.” Faccio come mi dice, e in effetti, nonostante il dolore, riesco a muoverlo abbastanza.
“Non è rotto, grazie al cielo. Credo che tu abbia una brutta slogatura, ma di certo non sono un medico, perciò dovrai accontentarti di una fasciatura per la ferita e una stecca, magari...”
“E' più di quello che sperassi.” Gli dico non staccando lo sguardo dal suo viso, intento a rovistare nel kit di pronto soccorso.
“Ora ti pulisco e disinfetto la ferita, poi, se vuoi, puoi andarti a rinfrescare al torrente qua vicino.”
“C'è un torrente?”
“Sì, neanche cinquanta metri.”
“Non voglio esserti di peso, Justin, e non voglio neanche affaticarti, l'ho già fatto abbastanza.”
Lui alza lo sguardo su di me, sorridendo.
“Per altri due minuti di tragitto non mi spezzerò in due come un grissino, Jade. Non sei affatto un peso per me.”
Quella frase vale molto più di mille parole.




Quando Justin torna dal torrente, con i pantaloni bagnati e ancora un po' macchiati di sangue e la maglia bagnata strizzata in una mano, io sono intenta a provare di raggiungere uno degli scaffali, quello nel quale dovrebbe esserci del cibo.
“Ehi, ehi, ehi, aspetta.” Lui mi supera e apre lo scaffale, rovistando all'interno.
“Cosa vuoi?”
“Ehm...non so, quello che c'è.” Mi lascio distrarre dalla dinamica del suo corpo, che non avevo mai visto da questa prospettiva. Ancora bagnato sul petto per il rapido bagno nel torrente e i muscoli in tensione...mi giro dall'altra parte, tornando a sedermi sul letto, zoppicando.
Vorrei potermi ripetere una piccola parola che in diverse occasioni mi ha aiutato a rimanere lucida da queste cose, ma adesso non credo servirebbe a molto ripetermi “concentrati”, perché non c'è nulla su cui concentrarmi se non lui, e io non voglio nient'altro che questo.
Justin mi raggiunge, rimanendo in piedi davanti al letto, dove sono io. Ha una scatola di biscotti in mano.
“Non credo che tu abbia voglia dell'insalata, in questo momento,” mi dice, sorridendo. Mi porge il sacchetto e io lo prendo, contenta di poter mettere qualcosa nello stomaco. Le punte dei miei capelli, ancora bagnate, mi sfiorano il collo, provocandomi brividi di freddo. Justin li nota immediatamente, ovvio.
“Hai freddo?”
“No, stai tranquillo.”
“Mi dispiace di non poterti offrire di più, per adesso. Staremo qui solo per stanotte, domani ci muoveremo e ti prometto che non staremo più in un posto del genere.”
Il modo in cui parla, in cui dice si riferisce a noi, mi fa sentire parte di una squadra, parte di lui.
“E come fai a garantirmi una cosa del genere? Fa per caso parte di ciò che prima o poi mi spiegherai?” chiedo.
“Ti ho promesso che te ne avrei parlato, ma non adesso, Jade.”
“Come non detto.” Afferro un biscotto e me lo porto alla bocca, mangiandolo. In realtà non ho l'impellente desiderio di venire a sapere i suoi segreti, perché tutto ciò che voglio, in questo momento, è stare qualche ora in pace, senza pensieri e senza la costante sensazione di essere in trappola.
Non so che ore siano, ma intuisco che sia già pomeriggio inoltrato, perché il sole sta calando.
Io e Justin rimaniamo quasi un'ora a parlare del più e del meno, senza mai toccare argomenti troppo seri. Siamo interrotti solo dal brontolio del suo stomaco, che lo obbliga a prendere l'insalata dallo scaffale.
Il buio cala presto e così, quasi non accorgendomene, mi ritrovo mezza sdraiata sul letto, gli occhi quasi chiusi e il sacchetto di biscotti abbandonato sul pavimento.
Quasi non sento Justin avvicinarsi e rimboccarmi le coperte, sfiorarmi prima i capelli e poi la guancia.




Quando mi sveglio è ancora buio, perciò ne induco che è ancora notte.
La stanza è illuminata ancora fiocamente dalla candela che Justin aveva acceso qualche ora fa, ormai alla fine della sua breve vita.
Mi guardo intorno, cercandolo, ma non lo trovo fino a quando non mi siedo, vedendolo steso per terra, girato da una parte. L'idea che lui sia lì giù per farmi stare comoda mi è inconcepibile, perciò scosto le coperte e, come posso, lo raggiungo, chinandomi e sedendomi di fianco a lui.
“Perché non stai dormendo?” mi chiede tenendo gli occhi chiusi, prendendomi alla sprovvista.
“Pensavo stessi dormendo.” Finalmente apre gli occhi e mi guarda.
“Non è una risposta.” Sbuffo sonoramente, per poi sdraiarmi accanto a lui.
“Non pensare mai più di fare la parte del principe azzurro. Lo hai già fatto abbastanza. Non starò sul letto se tu sei qui giù, te lo puoi scordare.”
“Non farmi ridere, Jade...torna su.” E' tentato di darmi le spalle per porre fine alla discussione, ma alla fine non lo fa.
“Vieni con me,” dico tutto d'un fiato, pentendomi subito di ciò che ho detto.
“Cosa?”
“Possiamo starci in due. Sul letto, dico.” Ringrazio il fioco bagliore della candela che nasconde il rossore delle mie guance. La parte irrazionale di me prevale su quella ragionevole, impedendomi di ritirare tutto ciò che ho detto.
“No, Jade, hai il piede messo male, ci starai solo tu.”
“Non ci vado, Justin, smettila.”
“Come vuoi.” Si alza velocemente e si china su di me, prendendomi per la seconda volta in braccio e portandomi sul letto, nonostante le mie proteste. Quando fa per tornare al suo posto, io lo fermo afferrandolo per un braccio.
“Resta qui, Justin.”
Lui si guarda intorno a disagio, poi si siede accanto a me, sul letto.
“Solo fino a quando non ti sarai addormentata.”
“Allora non credo di poterlo fare con te che mi guardi come un cane da guardia,” dico scherzando.
“Jade...”
“Ok, ok, ci provo!”
Mi sdraio e mi copro con le coperte fino al collo, girandomi poi dall'altra parte, sperando che la sensazione di essere osservata mi passi.
Dieci minuti più tardi mi ritrovo con gli occhi quasi sbarrati e il respiro irregolare. Non riuscirò mai a dormire sapendo Justin sveglio e accanto a me. Da soli, di notte, lontani da tutto e da tutti.
Cerco di fermare il flusso di pensieri che mi assalgono, ma non fanno altro che tormentarmi, perciò mi giro verso di lui e lo fisso.
“Non ci riesco, mi dispiace.” Lui mi guarda sorridendo.
“Sei impossibile.”
“Lo so, me lo hai già detto.”
“Chissà se col bacio della buonanotte tu riesca nel tuo intento.” Rimango paralizzata nell'udire quelle parole. Non può, non deve avvicinarsi a me, ho paura di non riuscire a controllare i miei sentimenti. Prima che possa dire o fare qualsiasi cosa, le sue labbra sfiorano le mie, proprio come diversi giorni fa nel giardino del S.T. Institute. Così leggero e così veloce che mi fa desiderare solo un altro bacio.
“Justin, non...”
“Dormi, Jade, sul serio.”
“Odio quando fai così.”
“Così come?!”
“Quando mi baci così...piano.” Non trovo altre parole, so per certo di star diventando rossa un'altra volta.
“Cosa...cosa intendi, Jade?” chiede lui, adesso più esitante.
“Intendo che non mi basta.”
E finalmente sono di nuovo vicina a lui, le sue labbra sulle mie. Non ho più intenzione di lasciarle andare, perciò, prima che possa anche solo provare di allontanarsi, gli circondo il collo con le braccia, avvicinandolo ancora di più a me, facendo toccare i nostri petti e le nostre gambe.
Finalmente non è più qualcosa di superficiale, finalmente mi spingo oltre e assaporo le sue labbra, la sua lingua, il suo sapore. Contrariamente a quello che pensavo, non prova a staccarsi da me, biascica soltanto qualche parola non appena ci fermiamo per un secondo.
“Non penso che sia...”
“Smettila di pensare, Justin, smettila.”
Tutto l'imbarazzo, le farfalle nello stomaco e l'ansia scompaiono, sostituiti da un desiderio mai provato di volere di più, volerne di più di lui, misto a una sensazione che mi scalda il petto, irradiandosi in me fino alle estremità, infuocandomi. E di nuovo mi stupisce, perché non se lo fa ripetere e con mani esitanti mi avvicina a lui, quasi con paura che mi possa rompere. Riprende a baciarmi, scendendo giù, passando per il collo e fermandosi nell'incavo di esso, facendomi rovesciare la testa all'indietro. Le mie mani cercano il contatto con la sua pelle, e così fanno le sue, perciò mi ritrovo in pochi attimi senza la maglia bianca dell'istituto e lui senza la sua. Mi prendo un attimo per ammirarlo nei particolari, per riprendere fiato, ma la voglia di lui è così forte che non attendo oltre e mi spingo di nuovo verso di lui per baciarlo ancora. Lui fa scorrere le sue mani sulla mia schiena, fermandosi un po' troppo sulla chiusura del reggiseno. Lo sento sorridere e poi slacciarlo, cogliendomi alla sprovvista, causando anche una piacevole sensazione al bassoventre.
Sono di nuovo sdraiata sul letto e adesso lui è qui con me. Di certo quando gliel'ho proposto, non pensavo saremmo arrivati a questo punto, ma adesso penso che non sarebbe potuta andare diversamente tra noi due. Mi slaccia i pantaloni e me li fa scivolare via, facendo attenzione al mio piede destro. Subito dopo è il suo turno, infatti si alza e si libera di essi. Il breve intervallo di tempo passa così in fretta che il suo ritorno mi travolge come un'onda, facendomi sospirare e ansimare. Siamo così vicini, i nostri corpi incollati l'uno all'altro, i nostri respiri si fondono in uno solo, la mia pelle a contatto con la sua. È tutto così meraviglioso. Finalmente è con me, finalmente si è lasciato andare, finalmente mi sta amando.
Sì, non sarebbe potuta andare diversamente tra noi, e l'ho sempre saputo, in fondo, fin da quando lo vidi seduto a quel tavolo ad aspettarmi.



 

SPAZIO AUTRICE.
Madooo, ragazze, che bello, sono felicissimaaaaaa
finalmente si smolla quel paguro, aiuto :')
Lo so che siete felici anche voi! Erano sedici capitoli che aspettavo il momento in cui avrebbe lasciato cadere le sue difese, e finalmente l'ha fatto.
Chiunque abbia mai letto le altre mie fanfiction sa che non mi piace fare la descrizione dettagliata di quel momento, e per chi non lo sapesse...beh, ora lo sapete, lol
Scusate il ritardo di due giorni, ma è già un miracolo che abbia aggiornato oggi, dato che ho studiato cinque ore senza pause! E poi il capitolo è lun-ghis-si-mo, perciò spero mi perdonerete.
Che fine hanno fatto Jared e Rachel?
Qual è il piano di Justin?
Vi lascio con queste domande, vado a finire di vedere Sherlock Holmes.
Un bacio a tutte

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Capitolo 17
*** Cinquantacinquesimo giorno. ***


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Cinquantacinquesimo giorno.

capitolo diciassette.




Mi sveglio grazie alla prima luce del sole che filtra oltre le tendine consunte alla finestra.
Mi stiracchio più volte, senza mai aprire gli occhi, cercando di prolungare il più possibile la sensazione di riposo che segue il sonno profondo che ho appena fatto.
Solo dopo pochi minuti mi rendo conto di essere sola, nel piccolo letto ancora caldo. Apro gli occhi sbattendoli più volte, ancora intontita dal sonno. Di fianco a me non c'è nessuno, mentre di fronte al letto vedo una figura longilinea infilarsi una maglietta bianca.
“Ehi,” mugolo con voce assonnata. Lui si gira di scatto, sorpreso che io sia sveglia, suppongo.
“Ciao.”
Mi rivolge uno sguardo fugace e un sorriso stiracchiato, poi mi dà di nuovo le spalle e finisce di vestirsi, mentre io lo guardo delusa.
Non è possibile, non possiamo essere tornati al punto di prima, non voglio crederci.
“Senti, io esco a prendere dell'acqua, iniziati a preparare, tra poco si parte.”
E così esce dalla stanza senza più rivolgermi lo sguardo, come se fossi una sconosciuta. Rimango qualche secondo immobile nel letto, basita e incredula. Non lo capisco, non capisco quel ragazzo. A questo punto non so neanche se voglio capirlo, non dopo aver visto quanto è complicato e volubile. Ne varrebbe la pena? , penso subito, pentendomene immediatamente. Mi alzo portandomi la coperta al petto, per poi raccogliere i vestiti del giorno prima da terra. Mi vesto velocemente, la caviglia mi fa già meno male, anche se zoppico ancora. Tra poco si parte, mi ha detto. Come pensa che io possa muovermi con la caviglia in queste condizioni? Non sono superman, non guarisco in una notte. Sbuffo, sentendomi un'idiota per essermi innamorata della persona più difficile di questo mondo, per non sapergli resistere e per essermi trovata nella condizione di buttarmi da un fottuto treno agli ottanta chilometri orari.




Justin mi sta cambiando la fasciatura alla ferita, col solo canticchio di qualche uccellino di sottofondo, quando qualcuno bussa alla porta. Mi immobilizzo e lui pure, pensando che ci abbiano trovati. Ma perché avrebbero dovuto bussare? Justin si alza e raggiunge silenziosamente la porta, mentre io rimango sul letto stringendomi le gambe al petto. Mi fa segno di non fiatare e io acconsento con un piccolo cenno. Lascia passare qualche secondo, ma chiunque si nasconda oltre la porta non se ne va, anzi, bussa di nuovo, annunciandosi.
“Te la butto giù 'sta porta se non ci apri, Justin.”
Rachel. Mi rilasso e tiro un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi per un attimo. Lui apre immediatamente la porta, permettendo a Rachel e a Jared di entrare. Nell'istante in cui lo vedo mi si stringe il cuore: ha una ferita che gli percorre tutta la tempia e i vestiti sporchi e strappati in diversi punti. Sembra esausto, perciò mi scanso velocemente e mi alzo dal letto, andandomi a sedere su una delle due scomode sedie di legno. Ma lui, invece di lasciarsi accompagnare dai due verso il letto, viene da me, chiedendomi cosa mi sia fatta.
Gli dico di non preoccuparsi e di riposarsi, dato che qui sembra quello messo peggio. Rachel è appena spettinata, quasi come se non si fosse mai lanciata da un treno in corsa. Non appena Jared si sdraia sul letto, Justin porge a Rachel il kit di pronto soccorso. In pochi minuti la ferita di Jared è stata disinfettata e medicata a grandi linee. A quel punto chiede di parlare da solo con me, rimasta a osservare tutta la scena nell'angolino in disparte, meravigliando tutti.
Dopo un attimo di esitazione, Rachel si avvia verso la porta del rifugio con la seguente motivazione: “vado a risistemare questo splendore di ragazza che avete di fronte”, riferito a sé stessa. Non ho potuto trattenere un sorriso, notando come sia meno agitata al di fuori dell'istituto. Justin la segue un secondo dopo, rivolgendomi uno sguardo, il primo vero sguardo di oggi, carico di sospetto.
“Vado a controllare che non si ammazzi.”
Un attimo dopo è fuori dalla stanza, e io e Jared siamo soli.
“Mi dispiace per...”, inizia lui, evitando volutamente le parole adatte.
“Non ti preoccupare.”
“So benissimo cosa provi per Justin, non avrei dovuto.”
“Jared, sul serio, dimentichiamocene e basta.”
“Questo non puoi chiedermelo...”
“Jared, vieni al punto, perché hai voluto parlarmi?”, gli chiedo, cercando di contenere l'imbarazzo e il nervosismo. Voglio lasciarmi quella storia alle spalle, come se non fosse mai successa. Se Justin sapesse di quell'insignificante inconveniente non mi parlerebbe più. O forse sto solo sopravvalutando ciò che prova per me.
“D'accordo. Justin aveva chiesto a me e a Rachel di non dirtelo, ma non mi sembra giusto.”
“Dirmi cosa?” Uno strano senso di inquietudine misto a rabbia inizia a crescere a dismisura dentro di me, offuscandomi la mente.
“Ci sto arrivando,” dice lui calmo, “devi solo promettermi di non dire ciò che ti dirò.”
“Sì, sì, lo prometto, avanti!”
“Seriamente, Jade.” Sbuffo, ma sentendomi costretta, ripeto la promessa, questa volta più seria.
“La nostra meta è Washington. Adesso siamo a circa duecento chilometri, ma un treno e poche ore ci faranno arrivare in tempo a destinazione.”
“Un treno? E come lo prendiamo un treno, essendo dei fuggitivi?! E perché nessuno mi ha detto niente?”
La verità è che non ho mai saputo con precisione dove mi trovassi quando ero all'istituto, avendomi bendata durante il viaggio d'andata, ma adesso mi rendo tristemente conto di non sapere minimamente dove io sia.
“Justin ci ha assicurato che questo pomeriggio saliremo su un treno diretto a Washington e saremo forniti di documenti falsi. Non so il motivo per cui ci ha chiesto di non dirtelo, ma ci deve essere una buona ragione, Jade.”
“Scommetto che i documenti falsi cresceranno sugli alberi al nostro passaggio. Perché andiamo a Washington, e questo treno dove lo dovremmo prendere?!”
Mi sento presa in giro e mi sento considerata come qualcosa in eccesso, qualcosa di superfluo.
Svegliati, Jade, sei l'unica persona che io stia cercando di proteggere!, le parole di Justin mi rimbombano prepotentemente in testa, scacciando l'orribile sensazione che mi angoscia. Possibile che mi abbia mentito? Possibile che lo conosca davvero così poco?
“A cinque ora di cammino da qui c'è una cittadina, lo prenderemo lì. Washington, mi chiedi...tanto vale dirtelo. Lì dobbiamo incontrare colui che ci ha aiutati fino ad adesso e in questo momento Grey è lì per lavoro. È il posto giusto.”
“Non mi pare che nessuno ci abbia mai aiutato in niente, ce la siamo cavata da soli!”
“Ti sbagli. Justin ha sempre saputo troppo per i gusti di Wade Grey, non ricordi? Voleva usarti per arrivare ai suoi segreti. Ecco, in realtà il segreto è soltanto uno, ed è una persona. Se non fosse stato per le informazioni che passava a Justin, e non so come ci riuscisse, adesso non saremmo di certo qui.” La verità è così lampante da colpirmi come uno schiaffo in pieno volto. Non ho altro da aggiungere.
“Chi è?” gli chiedo, alla fine.
“Si fa chiamare RyLen, non so il suo nome vero.”
“Come fai a fidarti ciecamente di ciò che sai?”
“Lo faccio e basta.”
“Non dovresti.”
“Non vedo un'altra soluzione.”
“C'è sempre un'altra scelta, Jared, pur quanto scomoda ci possa sembrare.”
Lui rimane in silenzio, abbassando appena gli occhi. In quel momento la porta si apre e io vedo Justin con un'espressione gelida e dura in volto.
“Preparatevi per la partenza.”




Camminiamo per più di sei ore, perciò quando arriviamo in prossimità della cittadina non mi sento più le gambe, nonostante sia stata aiutata a camminare da Justin.
All'inizio ho protestato, dicendo che me la sarei cavata anche con la caviglia in quelle condizioni, era sicuramente migliorata, ma dopo neanche un'ora ero stata costretta ad aggrapparmi a lui, nonostante Jared si fosse offerto di aiutarmi. Se io non lo avessi fermato, preoccupata per la sua salute, e Rachel non glielo avesse sgarbatamente proibito, ora non sarei di nuovo in debito con Justin, rimasto tutto il tempo impassibile e scontroso, soprattutto con me.
Diverse volte ho rischiato di cadere, ma lui mi ha sempre afferrata in tempo, impedendomi di farmi ancora male.
In questi momenti mi sembrava di rivedere il ragazzo che la sera prima mi aveva trattata come una principessa, riservandomi tutte le sue attenzioni, ma l'attimo dopo tornava sulle sue, silenzioso e distaccato,facendomi pentire di ciò che avevo pensato, e ricordandomi che mi stava tenendo nascoste preziose informazioni.
È solo grazie a Rachel che la conversazione non si interrompe quasi mai. C'è qualcosa in lei, adesso, che mi fa scorgere la sua vera personalità, nascosta oltre le mura di difesa che aveva innalzato dietro alla finta arroganza e strafottenza dimostrate durante la prigionia.
Alla mia domanda di perché si fosse presentata con un altro nome alla stazione, lei ride di gusto, ripetendomi quanto io sia ingenua.
Mi spiega brevemente che le è bastato mettere fuori gioco una detenuta segnata nella lista, scambiare i numeri di identificazione e farsi portare tranquillamente alla stazione, sotto falso nome. La ammiro per la sua astuzia e la sua determinazione, io non ce l'avrei mai fatta. Per Jared è stato diverso, ci dice lui. Ha dovuto infilarsi nel bagagliaio di un auto diretta alla stazione, senza non poche difficoltà. Ovviamente l'unico a rimanere in silenzio è Justin, ma dopo un po' ci faccio l'abitudine. E quasi senza accorgercene arriviamo alla città di Gainesville, addentrandoci sempre di più nelle strade più isolate e lontane dal centro, facendoci vedere il meno possibile da altri. Un paio di persone mi chiedono se io stia bene dato il mio evidente incidente, ma io li ringrazio e asserisco, continuando per la mia strada insieme agli altri. Inutile descrivere come mi senta, qualsiasi parola per descrivere il senso di libertà che si è impossessato di me sarebbe riduttivo.
Mi sento di nuovo Jade, non Jade Lennox o 0127. Sono solo io, me stessa.
È quando ormai non sento più le gambe e sono in piedi solo grazie alla resistenza di Justin che lo sento dire che siamo arrivati.
Davanti a noi vi è il retro del municipio, ma prima che possa anche solo stupirmi di dove mi trovi, la porta che dà sull'esterno si apre rivelandone all'interno una trentenne mora dal viso enigmatico e alta almeno dieci centimetri più di me. Vestita e pettinata impeccabilmente, non un capello fuori posto dalla coda di cavallo. Credo di avere un'espressione leggermente infastidita, anche se non so esattamente per cosa.
“Entrate, veloci.”
“Chi è questa donna? Che succede, Justin? Dove andiamo?” chiedo a Justin non appena si gira e ci fa strada all'interno dell'edificio. In parte sono davvero stupita, ma so anche che a questo punto dovremo ricevere i documenti falsi e i biglietti per questo famoso treno. Non ho davvero voglia di salire su un altro di quelli dopo l'ultima esperienza.
Credo che lui noti quanto io sia spaesata, perché si affretta a stringermi quasi impercettibilmente contro di lui, per poi dirmi che è tutto secondo i piani e che non devo preoccuparmi.
“Se solo mi dicessi il tuo piano...”
“Jade, ti ho detto che non è il momento.”
Giungiamo in una sala ovale dove la donna ci fa sedere e ci dice di aspettare qualche minuto.
Lo faccio con piacere, anche se vorrei potermi allontanare da Justin. Sono arrabbiata con lui, non può decidere del mio futuro con i suoi piani assurdi, non può pretendere che io me ne stia in silenzio ed acconsenta a tutto ciò che mi dice. Non può pretendere che non sia arrabbiata dopo la considerazione che mi ha riservato dopo la notte scorsa. La rabbia monta dentro di me per i vari motivi, assomigliando più all'ira, adesso.
“Lascia decidere a me quand'è il momento. Ho il diritto di sapere cosa stiamo facendo e cosa abbiamo intenzione di fare.”
Lui si passa una mano tra i capelli, scompigliandoli. Jared e Rachel sono in religioso silenzio, seduti sul divano di fianco al nostro.
“Hai ragione, ma non ti dirò tutto. Non adesso.”
“Siamo diretti a Washington, tra poco prenderemo un treno diretto lì...”
“Questi sono i vostri nuovi indumenti. In queste borse ci sono i documenti falsi e alcuni beni di prima necessità. Il treno partirà tra un'ora dalla stazione, che è qui di fronte, perciò non avrete problemi a raggiungerla. Non ce ne saranno neanche per te,” dice rivolta a me la donna di prima,”tra pochi minuti ti visiterà un medico. I biglietti di ognuno sono nelle tasche dei vostri rispettivi zaini. Potete attendere qui.” Apre una porta di legno vicino a una finestra e lasci che noi vi entriamo, richiudendosi la porta alle spalle. Siamo in una stanza non più grande del rifugio nel bosco, anch'essa provvista di un divanetto e di una scrivania, come se fosse un ufficio dismesso. Justin mi aiuta immediatamente a sedermi, ma io lo scanso con poca gentilezza, facendo da sola.
“Non puoi dirmi altro, vero?”
“Sentite, ragazzi...” interviene Jared.
“Jared, non ti immischiare.” Vedo il ragazzo stringere i pugni e controllarsi nel tentativo di non urlargli contro. Sarà anche vero che Justin è colui che dovremmo ringraziare per essere fuori di qui, ma non può comportarsi così.
“Non puoi, non è vero?” dico fredda.
“No, fattelo bastare, per favore.”
Sto per ribattere, ma il medico entra, impedendomi di peggiorare la situazione tra di noi.
“Vediamo questo piede, signorina.”
Non rivolgo più lo sguardo o la parola a Justin e sono decisa a farlo fino a quando non avrò ottenuto ciò che voglio.




Siamo sul treno da quasi mezz'ora, ma io non sopporto un minuto di più la vicinanza di Justin. Il caso, se così lo vogliamo chiamare, dato che non ho la minima idea di che cosa ci sia dietro alla faccenda del municipio, ha fatto sì che fossimo in uno scompartimento da quattro posti, in prima classe, isolati dagli altri passeggeri.
Gli abiti che ci hanno dato sono normalissimi, e perciò mi piacciono: una maglia nera a maniche lunghe e una giacca di pelle mi fanno sentire meno indifesa rispetto a prima, mentre i jeans neri mi ricordano la mia vecchia me, insieme alle converse dello stesso colore. Sono completamente vestita di nero e ammetto che la cosa non mi dispiace, dopo più di due mesi di solo bianco. L'unica cosa in comune tra il mio abbigliamento e quello di Justin è la giacca di pelle, visto che la maglia è grigia e i pantaloni sono ovviamente maschili. Jared è vestito come lui, mentre Rachel indossa inspiegabilmente una gonna corta che mette in risalto le sue gambe lunghe. Mi rimprovero più volte non appena mi rendo conto di sbirciare con la coda dell'occhio la reazione di Justin a quel cambiamento. Lui sembra solo stanco, infatti, a un certo punto, lo vedo chiudere gli occhi e appoggiarsi allo schienale, abbassando finalmente la guardia. A quel punto mi alzo e dico agli altri di andare in bagno, ma in realtà voglio solo stare da sola.
Strana cosa, dato che sono stata in una cella per due mesi. Cammino per due vagoni e quando mi sento finalmente al sicuro da tutti e da tutto, mi fermo, appoggiando la testa contro il vetro freddo del finestrino del corridoio. Inspiro ed espiro, cercando di non pensare a niente, di rilassarmi. È per questo che non lo sento arrivare fino a quando non mi è alle spalle.
“Perché te ne sei andata?” Mi volto verso di lui lentamente, evitando il momento in cui dovrò parlargli di nuovo.
“Per stare lontana da te.” Lui si acciglia, sorpreso e deluso allo stesso tempo.
“Jade, ma non vedo il perché...”
“Io lo vedo, invece,” comincio, tirando fuori tutta la rabbia repressa, “perché non mi vuoi dire niente, eh? Non ti fidi di me? E perché sei così...così stronzo?” Sono serissima, eppure mi sembra di aver appena detto una di quelle cretinate da galline della scuola.
Lui mi afferra per le spalle, scuotendomi leggermente.
“Io mi fido di te, non lo dubitare. Il fatto è che non spetta a me spiegarti la situazione e no...non credo di essere stronzo, come dici tu.”
“E a chi spetta, sentiamo?”
“Alla persona che ci aspetta a Washington.”
“Sì, questo RyLen, un altro poco misterioso, ho capito.”
“Come sai il suo nome?”
Merda.
“Te l'ha detto Rachel?” Non riesco a rispondere perché ha già ripreso a parlare.
“Te l'ha detto lui”, conclude infine. “Vedremo se gli tornerà la voglia di parlare a vanvera.”
“Fermati,” gli dico prima che possa andarsene da Jared.
“Non doveva farlo, Jade, non doveva. Non importa quanto tu possa piacergli, non doveva.” E quindi lo ha capito, benissimo.
“Justin, fermati.” Il mio tono è così risoluto che mi ascolta senza protestare. Approfitto del momento.
“Non arrabbiarti con lui, gli ho chiesto io di dirmi ciò che sapeva. Non preoccuparti di dargli una lezione, preoccupati di cosa io pensi di te in questo momento, se di me ti interessa qualcosa.”
La mia freddezza lo stupisce, perché torna indietro e mi raggiunge, guardandomi negli occhi.
“Come puoi pensare che non mi interessi di te...”
“E me lo chiedi? Cosa mi dici dell'altra...dell'altra sera?”
Lui si irrigidisce prima di rispondermi.
“Non sono abituato a...” esita, poi rimane in silenzio.
“Ad amare qualcuno? Non cercare di convincermi di non essere mai stato con una ragazza.”
“Non sto dicendo questo, dico che non mi è mai successo quello che mi è successo con te.”
“E che cosa sarebbe?”
“Non lo so neanche io, Jade, è questo a mandarmi in confusione. Non so cosa fare.”
Sorrido tristemente, incrociando le braccia, mettendo una barriera tra di noi.
“Sarebbe così semplice, Justin. Proprio come è successo la notte scorsa. E invece tu continui ad essere scontroso e rigido, come se fossi una sconosciuta.”
Lui mi mette una mano su un fianco, avvicinandosi a me.
“Mi dispiace, Jade, per tutto, so di deluderti...ma non è così semplice.”
“Sarebbe l'unica cosa semplice di tutta questa faccenda. Io e te, insieme, contro chiunque ci aspetti là fuori, Justin.”
Tutta la rabbia che avevo è quasi scomparsa, sostituita dal desiderio di stare con lui, annullata dalla sua presenza.
“Non possiamo distrarci, non adesso, Jade.”
Appoggia la sua testa contro la mia, lasciandomi col fiato corto. Le sue parole stonano col suo comportamento, visto che è sempre più vicino al mio viso. Ogni secondo che passa le nostre labbra sono sempre meno lontane.
“Per me sei più importante tu che qualsiasi altro piano, Justin.”
Sento la sua stretta farsi più forte sui mie fianchi, fino a quando non sono a stretto contatto con il suo bacino, le nostre labbra di nuovo unite. Gli circondo il collo con un braccio, mentre mi bacia, togliendomi il fiato, alleggerendomi il cuore, risvegliando i ricordi della sera prima. Le sue labbra sono così premute sulle mie da farmi male, la sua lingua strettamente intrecciata alla mia, mentre le sue mani percorrono avide la mia schiena fino al sedere. Poi si stacca da me con fatica, ricordandosi di essere nel corridoio di un treno, in prima classe.
“Arriverà il nostro momento, te lo prometto.”
“Datti una mossa, Justin, sono stanca di aspettarti.”
Lo lascio lì, vicino al finestrino, basito. Non posso lasciargli condurre il gioco, non posso essere completamente nelle sue mani. Se si aspetta che io mi adegui alla sua filosofia del non-sapere-fino-al-momento-giusto, avrà una brutta sorpresa.


 
SPAZIO AUTRICE.
Lo so che sono decisamente in ritardo, ma capitemi, please, non ho tempo, non ne ho!
Però guardate quanto è lungo, dai...spero mi perdoniate, perciò:(
So anche di essere una vacca, perché non rendo la vita facile a quei due, lol
Che dire, vado a vedermi The Vampire Diaries, buonanotte a tutte e grazie mille per seguire la mia storia♡

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Capitolo 18
*** Cinquantaseiesimo giorno. ***


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Cinquantaseiesimo giorno.
capitolo diciotto.



“Jade.” Il mio sogno sta prendendo una piega strana, questa voce non ha niente a che fare con il contesto.
“Jade, svegliati.” Questa volta la voce è più alta e insistente, ma non voglio che la scena del mio sogno cambi, perciò cerco di ignorarla.
“Jade!” Uno scossone mi sveglia del tutto, riportandomi nel mondo reale.
“Eh? Che c'è?” Chiedo confusa, ancora intontita dal sonno. Davanti a me vedo Rachel, il suo zaino in spalla e un'espressione divertita sul volto.
“Bel sonno pesante, eh? Forza, tra cinque minuti arriviamo alla stazione di Washington.”
Mi guardo intorno nel nostro scompartimento, ma non c'è traccia di Jared e Justin.
“Sono già andati, ci aspettano alla fine della carrozza,” dice Rachel quasi leggendomi nel pensiero.
Io annuisco per poi alzarmi dal mio posto, con i muscoli doloranti e la testa che mi gira.
Vedo che Rachel non ha intenzione di raggiungere gli latri, perciò le chiedo il perché, dato che non siamo mai state grandi amiche.
“Davvero non te ne sei accorta? C'è una tensione palpabile tra di loro. Non so se sia per cosa ti ha detto Jared o per come si comporta.” La vedo abbassare lo sguardo, come se la cosa la mettesse a disagio. Mi allungo per recuperare il mio nuovo zaino e me lo metto in spalla, cercando poi di sistemarmi i capelli alla bella meglio. Improvvisamente vengo colta da un terribile dubbio, tanto che non riesco a trattenermi e ne parlo subito con lei.
“Rachel, ti piace Justin?”
Inutile negare il feeling che c'è tra di loro, li ho sempre visti scherzare, ridere, sorridersi. Non mi sono mai preoccupata di prendere in considerazione questa ipotesi, ma ora mi sembra più che plausibile, e mi sembra terribile. E se fosse successo qualcosa tra di loro? Sarebbe quello il motivo del perché Justin sia così restio nello stare con me.
Lei alza velocemente lo sguardo su di me, guardandomi sorpresa.
“Jade, quanto sei..? No, non mi piace Justin, tienitelo tutto, non avrebbe occhi per nessun'altra neanche volendo.”
A quelle parole il mio cuore si alleggerisce. Mi accorgo di aver trattenuto il respiro fino alla sua risposta. In un secondo momento, quando sto aprendo la porta del nostro scompartimento, la verità mi giunge improvvisa, come uno schiaffo.
“E' Jared.”
“Zitta!” Mi dice lei, mentre usciamo. In effetti mi accorgo che i due ci stanno aspettando qualche metro più avanti, perciò non faccio più il suo nome.
“E' così, non è vero?” Mi limito a chiederle. Lei esita prima di rispondermi.
“Sì, ma non importa.”
“Come, non impor-”
“Siete bellissime così spettinate,” ci interrompe Jared, ormai di fronte a noi.
“Fottiti,” risponde Rachel, tirandogli un pugno sulla spalla, facendolo ridere. Contro ogni mia aspettativa, anche Justin ride, per poi spostare lo sguardo su di me, come se non gli importasse dei capelli e delle mie condizioni. Mi porta una ciocca dietro l'orecchio, sfiorandomi la guancia.
“Sei bellissima in qualunque modo.”
Arrossisco immediatamente, spostando lo sguardo, chiedendomi che cosa gli passi per la testa. Un gesto carino di fronte a Rachel e Jared? Di fronte alle altre persone che stanno per scendere?
“Stai bene?” Gli chiedo perciò. Lui ride, come se fosse un qualunque ragazzo normale.
“Mai stato meglio.” Si avvicina a me e tutto ciò che ci circonda svanisce.
“Mi dispiace per come mi sono comportato. Non posso garantirti che cambierò da un giorno all'altro, ma non voglio creare altri problemi. Non tra di noi,” mi dice, in modo che solo io possa sentirlo. Io accenno a un sorriso, guardando verso Jared e Rachel, che voltano repentinamente lo sguardo, riprendendo a parlare.
“Allora inizia dicendomi dove siamo diretti, adesso.”
Cerco di fare la seria, quella impassibile, ce la sto mettendo tutta, ma è difficile farlo con lui a pochi centimetri da me, stranamente di buon'umore.
“Andiamo in un hotel. In un hotel molto bello...abbiamo la sera libera, e domani mattina incontreremo RyLen. Ti va bene come risposta?” Mi dice non staccando lo sguardo dalle mie labbra.
“Sì, ma...non dovevi aspettare il momento giusto per dirmi tutte queste cose?”
Lui sorride, poi mi passa le dita sotto il mento, lasciandolo andare dopo pochi attimi.
“Un pomeriggio in più, uno in meno. E ci sono ancora diverse cose da dirti, ma non sarò io a farlo. Aspetta di vedere il nostro amico.”
“Si comunica ai gentili passeggeri che il treno 90410 sta entrando nella stazione di Washington.”
La voce all'altoparlante decreta la fine della nostra conversazione, anche se avrei voluto che continuasse.
“E guarda cos'ho qui,” mi dice quando ormai il treno si sta fermando. Mi mostra una carta di credito e me la mette sotto il naso, osservando la mia reazione.
“Per cos'è?”
“Per quello che vuoi. Facciamo finta di essere normali, almeno per il resto di oggi.” Il treno si ferma e le porte si aprono, permettendo a tutti di scendere. La gente inizia a uscire, vedo Rachel avviarsi, seguita da Jared. Sento il suo sguardo su di me, ma in questo momento me ne importa ben poco. Rimaniamo solo io e Justin quando finalmente posso allungarmi verso di lui per baciarlo velocemente.
“Non farlo durare troppo questo nuovo Justin, sono abituata a quello tormentato di sempre.”
“Hai paura che potrebbe piacerti troppo?”
“Non ho paura proprio di niente. Non di te, almeno.”
Lo bacio un'ultima volta prima di immergerci nella folla di Washington.


L'hotel era davvero bellissimo, oserei dire di lusso. Le camere sono due, matrimoniali. Chiunque stia operando dietro a tutta questa faccenda deve aver pensato che sarebbe stato meglio mettere in coppia le ragazze e viceversa. Beh, non posso non ammettere di aver dovuto trattenere un sorriso quando sono entrata nella mia camera insieme a Justin. Rachel e Jared sono rimasti molto imbarazzati dalla situazione creatasi, ma Justin è intervenuto subito dicendo a Jared che avrebbe dimenticato tutti gli scontri avuti se solo si fosse reso disponibile a questo piccolo scambio.
La sua espressione non era propriamente delle più felici, chissà cosa deve essergli passato per la mente, ma alla fine ha acconsentito.
La prima cosa che ho fatto quando sono entrata in quella sontuosa camera è stata farmi una lunga doccia, seguita da una notevole ispezione di tutto il bagno.
Ho trovato trucchi e tutto quello che potessi desiderare, come se fosse stato preparato apposta per il mio arrivo. Forse avrei dovuto passarne qualcuno a Rachel, dato che la sua deve essere la stanza destinata ai ragazzi. Non ho perso tempo e mi sono subito truccata, anche di più di quello che ero solita fare quando non ero all'istituto. Ora i miei occhi sono contornati di nero, le ciglia sono molto più lunghe di prima e le gote sono di un delicato rosa. Annesso al bagno ho trovato un armadio, neanche a dirlo, pieno di vestiti. Ho rovistato tra di essi, cercando il più bello, il più elegante, il più inadatto al mio stile precedente, e l'ho indossato, accompagnandolo con scarpe nere dal tacco alto.
Quando sono tornata nell'atrio ho trovato un bigliettini sul tavolo, con sopra la scrittura di Justin.
“Fuori con Jared, non per molto. Questione importante. Quando torno ci sono solo per te.” Sto leggendo in questo momento.
L'ultima frase mi fa arrossire ancora una volta, ma visto che nessuno può vedermi non ne faccio un problema. Afferro la penna appoggiata di fianco al biglietto e scrivo una risposta.
“Fuori con Rachel, non so per quanto. Questione importante. Quando torno ci sono solo per te.”
Rido al pensiero di “questione importante”, dato che la intendo in maniera leggermente diversa dalla sua. Prima che possa finire di scrivere, qualcuno bussa alla porta. Quando la apro, non sono stupita di trovarmi di fronte a Rachel, anche lei vestita elegante e sicuramente bellissima.
“Hai visto quegli idioti?” Mi saluta lei.
“Stavo per venire a bussare alla tua porta,” le rispondo, mostrandole poi la carta di credito lasciatomi da Justin, accennando a un sorriso malizioso.
“Che ne dici?”
“Dico che inizi a piacermi, Lennox.”
Afferra la carta e si allontana verso le scale del piano, con me al suo fianco.




Io e Rachel andiamo inaspettatamente d'accordo, tanto che facciamo shopping insieme per più di un'ora, per poi rintanarci in un ristorante italiano per la cena.
Non so quale sia il tetto massimo della carta di credito, ma per adesso non sembra averne uno.
Siamo quasi alla fine della cena, sono circa le dieci e mezza di sera, quando le chiedo di suo padre, dimenticandomi completamente della discrezione e del fatto che sia stato Jared a parlarmene.
“Jared...quando imparerà a starsene zitto?” Sbotta lei, ma non sembra arrabbiata. Il rossetto rosso è ormai solo sul suo bicchiere, ma rimane comunque bella, non so come faccia.
“Se è un problema, possiamo non parlarne, sono stata sfacciata.”
“Jade, non parlarmi di sfacciataggine, sono la prima ad esserlo!” Detto questo beve un altro sorso di vino, per poi rivelarmi di suo padre, Claudius Grey e di come sia finita all'istituto. Rachel, da sempre ribelle e alternativa, non stava alle regole di suo padre, non era la prima della classe e frequentava diversi ragazzi senza apparente motivo. Tutto questo non poteva passare inosservato, non dopo diversi avvertimenti. Arrivò al punto di spedirla lì, fino a quando “non si sarebbe data una regolata”. Evidentemente, mi dice lei, deve essersi dimenticato di avere una figlia, visto che Rachel è rimasta prigioniera per più di un anno.
Alla fine del suo racconto mi ritrovo con la testa tra le mani, i gomiti sul tavolo, la bocca aperta.
“Che schifo.”
“Già.”
E non parliamo più fino a quando non è il momento di andarsene, mezz'ora dopo.
Quando torniamo all'hotel sono leggermente instabile per via del vino, ma io e Rachel abbiamo ormai suggellato la nostra strana amicizia.
Entro nella camera e trovo Justin, seduto sul letto, una gamba in continuo movimento, forse per la tensione.
“Ehi”
Lui si precipita verso di me, circondandomi la vita con le braccia.
“Che hai fatto? Stai bene? Ero in ansia per te, Jade,” dice in tono grave.
“Ecco il mio Justin tormentato, quello preoccupato,” dico sorridendogli. Lui si scioglie leggermente, allentando la presa.
“La prossima volta dimmelo dove vai.”
“Non lo sapevo neanche io! Su, calmati.”
A quelle parole sembra davvero calmarsi, tanto che si prende un attimo per osservarmi da capo a piedi. Non mi ha mai vista così.
“Perché tutto questo-”
“Perché dobbiamo essere normali, l'hai detto tu, ricordi?”
Lo bacio, lasciandogli un sorriso ebete sulle labbra.
“Ricordi?” Ripeto, dandogli un secondo bacio, più passionale.
“Sì, benissimo.” Mi attira a sé facendo scontrare il mio bacino contro il suo, facendomi quasi male. Il vestito è così aderente che lo sento quasi gioire per questo; fa scorrere la mani lungo tutta la schiena, tornando poi su, alla zip del vestito. La tira giù repentinamente, come se avesse fretta. Mi sfila il vestito dalla testa, quasi senza che io me ne accorga, poi riprende a baciarmi, passando dalla bocca al collo, percorrendo tutto l'incavo e giungendo al seno. Mi accorgo solo ora che indossa una camicia, ma adesso è solo d'impiccio, perciò la sbottono in fretta e furia, rallentando solo quando le mie mani sono a contatto con il suo petto. Lui mi prende in braccio, in modo che le mie gambe siano avvolte al suo bacino, mi porta sul letto e mi fa sdraiare, restando sopra di me. Mi abbassa una spallina del reggiseno, mentre io perdo completamente la lucidità. Il cuore mi batte all'impazzata, il fiato mi manca, mentre lui mi tortura con i suoi baci.
“E' la notte migliore della mia vita, Justin, la migliore.”
“Il meglio deve ancora venire.”




E' quasi mezz'ora che camminiamo quando finalmente arriviamo a destinazione.
Siamo in un parco molto grande, non saprei dire quale, dato che non sono mai stata a Washington e la sera prima ho girato a zonzo tra i negozi insieme a Rachel.
Justin cammina affianco a me, guardandosi spesso intorno, come per paura che qualcuno ci stia spiando. Questa mattina mi sono svegliata tra le sue braccia e sono stata felice di non trovarmi di fronte ad una pietra. Certo, non era come la sera prima, si vedeva che era già preoccupato per l'incontro di stamattina, ma non mi ha evitato, mi ha parlato, mi ha sorriso e mi ha baciata. Era tutto così perfetto, e adesso ho paura di scoprire a cosa stiamo andando in contro.
Ci sediamo su una panchina, il che mi ricorda troppo le vicende successe all'istituto, ma cerco di non pensarci. Per i primi dieci minuti non si fa vivo nessuno, tanto che inizio a preoccuparmi anche io.
“Arriverà,” mi ripete Justin un paio di volte, forse più a se stesso che a me.
Dopo altri cinque minuti gli chiedo se per caso non abbiamo sbagliato posto.
“No, Jade, siete nel posto giusto.”
Mi giro di scatto, non credendo alle mie orecchie, non volendo crederci. Dietro di noi vi è un uomo col gli occhiali da sole, nonostante il cielo coperto, e un cappello nero. Non importa cosa si sia messo addosso per non farsi riconoscere da terzi, io non ho dubbi.
“Jade, questo è Rylen, e come puoi vedere...”
“Papà.”


 
SPAZIO AUTRICE.

Ragazze mie, scusate tantissimo il ritardo, questa volta abbastanza schifoso. Scusate se rispondo tardi alle recensioni, scusate.
Sto avendo un fracco di compiti, verifiche e interrogazioni, e ancor di più per la recente occupazione (di merda) che ci ha fatto slittare molte (troppe) cose. Inoltre devo scrivere anche per il concorso di cui vi avevo parlato e ho anche uno schifosissimo compito + esposizione + powerpoint su una regione francese. Peggio di così non si può.
Il capitolo non è neanche così lungo, ma spero possiate perdonarmi.
Spero almeno di avervi stupito nell'ultima parte! Dai che non ve lo aspeetavate....
Ora, chi ha visto Catching Fire? E' o non è un fottutissimo capolavoro? Non vi ha fatto scoppiare di feelings? Ok, ora me ne vado, devo chiudere, che domani mi aspeetano (e due) una verifica e due possibili interrogazioni.
A presto, vi lovvo!

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Capitolo 19
*** Cinquantasettesimo giorno. ***


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Cinquantasettesimo giorno.

capitolo 19.


"Ciao, Jade."
Mi alzo immediatamente dalla panchina, indietreggiando il più possibile, allontanandomi da lui.
"Tu sei…tu eri…" biascico, mentre Justin mi raggiunge e cerca di calmarmi.
"Tu eri morto!" Esclamo, ritrovando finalmente la grinta.
"E tu! Tu sapevi che non lo era?! Lo sapevi?" Urlo a Justin, sperando che la risposta sia no, che non ne sapeva niente e che è sorpreso almeno la metà di quanto lo sono io.
"Io…Jade, devi calmarti-"
"Lo sapevi! Conosci mio padre e sapevi che non era morto e non mi hai detto niente! Ma cosa ti aspettavi?!"
Per un momento non parla più nessuno, mentre io cerco di fermare le lacrime e di abbassare i toni per non farmi sentire da chi sta passeggiando per il parco, ignari di cosa stia succedendo a pochi metri da loro.
"Ecco perché non mi hai parlato del piano, perché non mi volevi dire niente!" Punto un dito contro il suo petto, facendolo indietreggiare. Ha un'espressione colpevole, ma non so se sia pentito o no, non so neanche cosa ci faccia mio padre qui.
"Jade, era necessario che tu non sapessi niente fino a-"
"Stai zitto!" Grido a mio padre, interrompendo il suo inutile tentativo di calmarmi. Non può pretendere una cosa simile dopo essersi fatto passare per morto, dopo che io sono rimasta due mesi in un manicomio, relegata, isolata, picchiata. Come se quella stessa mattina in cui tutto cambiò si fosse svegliato pensando: "oggi potrei fingere di farmi ammazzare, poi potrei rimanere un paio di mesi lontano dalla mia famiglia e infine ritornare sconvolgendo tutti. Mh, sì, perché no?"
Ed è esattamente ciò che gli dico, facendolo ammutolire.
"Jade, per favore, siediti e ne parleremo," mi dice Justin, guardandomi quasi con timore. Io rido sprezzante, incamminandomi verso di lui e non fermandomi quando la mia spalla sbatte violentemente contro la sua.
"Avete scelto la persona sbagliata a cui fare questi scherzetti." Mi ghermisco con un alto muro di freddezza mentre mi allontano dalle due persone che mi hanno fatto più male nella mia vita. Pensavo potessero essere i fratelli Grey, che con la loro violenza e crudeltà mi hanno lasciato appassire lentamente dentro quelle mura, ma mi sbagliavo. I segreti, le bugie e le mezze verità di chi amo mi hanno fatto più male di qualunque altra cosa.
Sento Justin gridare il mio nome, sento anche mio padre incitarlo a fermarsi, dirgli di lasciarmi andare e di lasciare che io sbollisca la rabbia, ma lui non sa…lui non sa che probabilmente non lo farò mai, che non riuscirò a dimenticarmi di come sono marcita in un manicomio perché accusata di essere la sua omicida.
E' stato tutto a causa sua e solo sua se la mia vita è cambiata radicalmente.


Non so esattamente quanto tempo sia passato da quando sono andata via dal parco, so solo che più lontano me ne vado da loro, meglio sto.
Nel giro di due mesi mi sono ritrovata senza una famiglia, senza una casa, senza nessuno a me caro vicino, intrappolata. E non è stato solo il caso a rendere ciò possibile, ed è esattamente questo ciò che mi ferisce di più.
Mi sento inutile, presa in giro e considerata stupida, ma non lo sono e hanno fatto un grosso errore nella loro valutazione. Mi ritrovo a vagare senza meta, le gambe pesanti e i piedi doloranti, ma non mi importa, continuo a camminare, con il vento impetuoso di marzo che mi scompiglia i capelli, liberando però il viso, già occupato dalle lacrime. Mi asciugo il volto più volte, ignorando chi mi lancia occhiate curiose. Dopo un tempo indefinito, dopo che le lacrime si sono asciugate e dopo essere passata inosservata a molti occhi, trovo impossibile non fermarmi, perciò entro nel primo fast food che trovo, ordino qualcosa e mangio in silenzio, notando l’orologio del locale, fisso sulle due meno cinque. Non so come e non so perché -non so maledettamente niente, mi rendo conto- ma la borsa che ho preso dall’armadio della camera dell’albergo non è vuota, bensì fornita di più di cento dollari e di un cellulare. Lo accendo e noto con ben poco entusiasmo che qui non c’è campo. Poco importa. Finisco di mangiare ed esco dal locale, rendendomi conto di aver lasciato la carta di credito all’hotel, probabilmente caduto a terra dopo la notte scorsa.
La notte scorsa…Jade, non pensarci, mi dico, premendomi il palmo della mano sulla fronte, cercando di scacciare quel doloroso pensiero dalla mia mente, tentando di sotterrarlo nei luoghi più reconditi della mia mente, in modo da potermi convincere che non è successo niente. Perché vorrei che non lo fosse, non dopo aver scoperto tutto ciò. Mi ha mentito sin da quando ci siamo incontrati, tenendomi all’oscuro del fatto che lui conoscesse mio padre, del fatto che fosse vivo.


Il telefono ha squillato diverse volte, forse si devono essersi resi conto del fatto che io lo avessi portato con me. L’ho spento alla quarta chiamata, stanca di quella fastidiosa suoneria, stanca di quella continua richiesta di parlarmi, richiesta tanto inutile quanto stupida. Sono rimasta quasi tutto il pomeriggio in un centro commerciale, passando da panchina a panchina, scrutando con aria assente le persone che mi passavano davanti, intente a vivere la loro vita di tutti i giorni. Un’ora prima che chiudesse sono uscita, diretta verso dove i miei piedi mi avrebbero portato, ancora una volta.
Sono quasi finita nella periferia di Washington, comunque più grande della cittadina nella quale abitavo, in Georgia.
Credo sia solo per abitudine, ma entro in un pub, pronta a mangiare, se così si può dire, le più insulse schifezze che hanno da offrirmi. Il locale rimane mezzo vuoto per tutta la sera, mentre io spazzolo in fretta il piatto che mi è stato portato, affamata dopo la lunga camminata di oggi. Quasi non mi accorgo di ordinare una birra e dopo un’altra, e ancora un’altra. Arrivo a perderne il conto, ma ogni sorso sento il petto alleggerirsi, liberarsi di un peso troppo grande, sento la testa offuscarsi sempre di più e questo è un bene, dato che così non riesco più a pensare per più di cinque secondi al volto di Justin mentre mio padre compariva alle mie spalle.
Dopo un po’ tutto si confonde, e nei miei ricordi, Justin addirittura sorride. So che non è possibile, ma voglio crederci, voglio fare finta che sia così.
Non so chi mi aiuti a uscire dal pub, forse il proprietario, forse l’orario di chiusura è arrivato, e se è così deve essere decisamente tardi. Mi scappa un sorriso al pensiero. Io non ho mai fatto cose del genere, non sono mai stata fuori tutta la notte, non mi sono mai sbronzata, non mi sono mai “divertita”. Rido ancora per un po’, ignorando l’uomo che mi chiede se voglio un passaggio per tornare a casa, evidentemente insicuro sul mio stato. Alla fine riesco a farlo tornare nel suo locale e riesco anche a smettere di ridere. Mi basta ricordare ciò che è successo stamattina, mi basta ricordare che non sono venuta qui per divertirmi e che non lo sto effettivamente facendo.
Sto solo affogando il mio dolore in una distrazione che spero sia abbastanza forte da fermare il flusso dei miei pensieri incontrollati. Accendo il cellulare dopo molto tempo, voglio sapere che ore sono e dove mi trovo, ma non appena lo faccio, il telefono vibra tra le mie mani, emettendo quell’odiosa suoneria. Premo subito il tasto verde, stanca di sentirla, stanca di dover scappare.
“Sì?” Non so quanto io possa sembrare normale in questo momento. Non lo so proprio, non lo so.
“Jade! Stai bene? Dove sei? Perché sei scappata?! Devo venirti subito a prendere, dimmi dove sei…” e bla bla bla. Jared. Sbuffo rumorosamente, probabilmente mi sente anche lui.
“Mi sto divertendo, Jar, cosa sennò?! Sono qui da sola a fare baldoria, è la prima volta che faccio qualcosa del genere, sai…”
“Jade, sei ubriaca. Dimmi dove sei. Subito.” Ops, se n’è accorto.
Gli rido in faccia, se così si può dire.
“Non mi rovinare il momento, Jaaar,” prolungo il suo nome così spontaneamente che avrei voglia di ripeterlo all’infinito. Jared, Jared, Jared. E’ proprio un bel nome, sì.
“Jade, concentrati e dimmi dove sei.” Sbuffo ancora, ma stavolta mi guardo attorno cercando un’indicazione. Non mi piace l’idea di vagare da sola, di notte, nella periferia di Washington.
“Mh…Cavenathy Street, Jimmy’s Pub, proprio qui di fronte.”
Dico guardando l’insegna rossa sopra al locale dal quale sono appena uscita.
“Aspettami lì, torna dentro e non muoverti, arrivo tra meno di venti minuti.”
Non so come possa farlo davvero dato che Washington non è esattamente una piccola città, ma rispondo lo stesso con un “mh-mh”, prima di chiudere il telefono e dirigermi verso la libreria sull’altro lato della strada.
Ovviamente è chiusa, ma rimango a guardare la vetrina, fissando ogni copertina, cercando di immaginare quale storia vi sia raccontata all’interno, per quanto la mia mente lucida mi possa permettere. Sono già dieci minuti che sono ferma davanti al negozio, quando ho l’orribile sensazione di essere osservata. Mi giro cautamente a destra e a sinistra, improvvisamente più attenta e concentrata. Non c’è nessuno.
Qualche secondo più tardi, però, sento i passi furtivi di qualcuno avvicinarsi, perciò mi giro verso l’uomo che sta camminando verso di me, rasente al muro, gli occhi rossi e stanchi e il passo malfermo. Non esito a voltarmi e incamminarmi il più lontano possibile da quell’uomo.
Aspettami lì, non muoverti, ignoro volutamente le parole di Jared, ma credo di fare la cosa migliore, almeno fin quando non sento il suo passo accelerare, lo sento avvicinarsi. Così corro anche io, voltandomi per dare un fugace sguardo al mio inseguitore, sempre più vicino. Ho paura. Ho paura di morire, ho paura di essere violentata, di rimanere qui, da sola, di subire le cose peggiori che potrebbero capitarmi. Non mi fermo, anche se i polmoni mi scoppiano e le gambe rischiano di cedere da un momento all’altro.
Arriva il momento, arriva quando meno me lo aspetto, quello in cui perdo tutte le speranze, quello nel quale mi sento spacciata e senza più vie d’uscita. Inciampo rovinosamente, rotolando più volte sul terreno, senza più forze. Lo vedo avvicinarsi, lo vedo rallentare, sicuro di aver intrappolato la sua preda. Io non riesco neanche a sollevare la testa, figuriamoci ad alzarmi. Aspetto il momento in cui arriverà senza protestare, un involucro vuoto privato della sua essenza. Il mio pensiero va a Justin, colui, insieme a mio padre, che è riuscito in questa impresa. In questo momento, però, penso solo una cosa, più velocemente di quanto pensassi a causa dell’alcol, ed è “ti amo, Justin, mi dispiace.”
Poi qualcuno si para davanti all’uomo e io perdo i sensi per qualche minuto, credo, riprendendomi solo quando sono dentro un taxi invaso dall’odore di fumo. Vicino a me c’è Jared che si tormenta le mani. Per pochi secondi non si accorge di me, ma non appena lo fa, lo vedo cercare di contenersi, forse per non arrabbiarsi, forse per non risultare troppo protettivo.
“Non so cosa sarebbe potuto succedere se non fossi arrivato tu,” dico, trovando incredibilmente ferma la mia voce. Lui rimane in silenzio, poi se ne esce con un semplice “già”.
Mi ci vuole qualche altro minuto per parlare di nuovo.
“Dove stiamo andando?”
“All’hotel.”
“No!”
“Perché no?!” Mi chiede lui, stanco.
“Non…non…”
“Senti, Jade, non so perché te ne sei andata così, ma è il posto più-“
“Per favore, Jared.” Lui mi fissa per qualche secondo e devo sembrargli veramente disperata, visto che dice al tassista di fermarsi.
Scendiamo dalla vettura lentamente, poi lui paga l’uomo, che se ne va via perdendosi tra le strade di Washington.
“Due minuti a piedi e ci siamo.”
“Dove andiamo?”
“In un hotel molto meno lussuoso di quello in cui alloggiamo, ma non ho la carta di credito con me, mi dispiace.”
“E come sai dov’è?”
“Sono vissuto in questa città, Jade.”
“Ah.”
E la conversazione finisce, fino a quando non prendiamo le chiavi della nostra stanza e non entriamo.
“Hai voglia di parlare, Jade?”
“Sinceramente? No.” 
La camera è piccola e con le pareti verde chiaro, un letto matrimoniale al centro e il bagno di fronte. 
“Quanto cazzo ti sei sbronzata, si può sapere?!” Forse sono messa peggio di quello che pensassi.
“No…non si sa.”
“Ma ti rendi conto di quello che poteva succederti?” 
Si avvicina a me e mi afferra le braccia, scuotendomi, cercando di farmi concentrare sulle sue parole. Ma sono solo parole, no?
“S-sì, credo…”
Dopo i pochi minuti di adrenalina, sono tornata nel terribile stato in cui ero prima, o forse peggio.
“Jade, ascoltami…”
“Sennò cosa, eh? Dai, Jared, fammi male!”
So che non lo farà mai, ma tutto ciò che dico mi esce dalla bocca senza che io possa controllarlo.
“No, non esiste.”
“Fammi male, Jared, fammi male, così posso piangere.”
Ha un senso quello che sto dicendo?
“Jade…” E le lacrime iniziano a scendere impetuose, senza che possa controllarle, senza che io voglia fermarle.
“Mio padre è vivo e lui lo sapeva…nessuno…nessuno mi ha detto niente…nessuno! Lui non me l’ha detto, non me l’ha detto!” Il mio pianto si trasforma in uno sfogo isterico interrotto da forti singhiozzi, ma prima che possa rendermene conto, mi ritrovo stretta fra le braccia di Jared, quelle forti braccia che mi hanno appena salvata, di colui che non mi ha mai voluto fare del male.
“Ci sono io, Jade, shh.” Riesco almeno a smettere di singhiozzare come se fossi in preda a degli spasmi, ma non smetto di piangere, non credo di potermi interrompere, non adesso.
“Mi dispiace,” dice vicino al mio orecchio, mentre io annuisco contro il suo petto, lasciando finalmente che le mie braccia lo avvolgano come le sue fanno con me. E’ un porto sicuro, è Jared.
Così, quando mi bacia, un secondo dopo, non oppongo resistenza e anzi, sono felice di avere qualcos’altro su cui concentrarmi, qualcosa che non sia io. Mi concentro su di lui, sulla sua pelle rovente al mio tocco, sulle sue mani che percorrono veloci la mia schiena fino a scendere nelle parti più intime del mio corpo. Mi concentro su ciò che sento, che riesce a distrarmi, almeno in parte, dai veri problemi. Ignoro quella voce che si insinua nella mia testa, dicendomi di smetterla, che lui non è…che lui non è cosa?
Non la sto più ascoltando.




 
SPAZIO AUTRICE.
Altro ritardo, ma ormai siete abituate cc
Perdonatemi, davvero. Mi vorrete morta, mi picchierete virtualmente, ma ho dovuto.
Ho dovuto perché sto ascoltando da due ore Summertime Sadness con lo sfondo di Damon ed Elena che si lasciano…faccine tristissime, mi sto ammazzando da sola, lo so. In questo capitolo vediamo la forza e le sicurezze di Jade sgretolarsi; è per la prima volta davvero debole…ed ecco che succede. Ma Justin e Rachel lo scopriranno? Se sì, come reagiranno? E il padre di Jade?
Oddio, son proprio una gran vacca, lo ammetto. Vi lascio, è tardi.
Grazie a tutte per le recensioni/preferiti/seguiti/ricordate…siamo a 200 recensioni, non ci credo! :’)
p.s. non ho riletto e non so quanto sia lungo, perché in attesa di scaricare openoffice sul mac (sì, appena regalato, sclero!), sto facendo con un altro programma.
Buonanotte, ragazze, un bacio

xx

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Capitolo 20
*** Cinquantottesimo giorno. ***


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Cinquantottesimo giorno.

capitolo venti.



Mi sveglio grazie alla tenue luce del sole di marzo, trovandomi in un letto disfatto, con le lenzuola stropicciate, e senza vestiti addosso. Mi copro istintivamente con un lembo della coperta mentre mi metto a sedere e mi guardo intorno.
Io questo posto non lo conosco, penso. La testa mi gira vorticosamente, quasi come se avessi preso una forte botta in testa. Non appena il capogiro si attenua, scorci di quello che è successo la sera precedente riaffiorano nella mia mente con tutta la loro prepotenza, facendomi vergognare di me stessa. Ma non ricordo solo quello che è successo tra me e Jared, ricordo anche le bugie di Justin e la comparsa di mio padre, ed è questo che attenua leggermente il mio senso di colpa, insieme alla visione di Jared addormentato accanto a me.
Com'è bello, penso, pentendomene immediatamente.
I capelli biondi gli ricadono sul viso dandogli un'aria quasi angelica, e così pure la sua espressione, rilassata e in pace. Il petto si alza e si abbassa lentamente, segno che sta ancora dormendo profondamente. Se stessi con lui sarebbe tutto più semplice, forse. Se stessi con qualcuno che non mi nasconde segreti e che mi ami senza doversene vergognare starei meglio, credo. O forse non mi piacciono le cose semplici.
Non mi sento solo in colpa per aver tradito in qualche modo Justin, ma anche per aver dato false speranze a Jared e per aver bellamente dimenticato o ignorato ciò che prova Rachel per lui. Proprio adesso che iniziavamo ad essere più in confidenza...
Mi copro il viso con le mani, stropicciandomi gli occhi ancora semichiusi. Dopo poco faccio per alzarmi, ma Jared mi blocca prima che possa scappare da lui. Deve essersi svegliato.
“Dove vai?”
“In bagno,” rispondo evasiva, cercando di evitare il suo sguardo. Lui si affianca a me, mettendosi a sedere e accarezzandomi la schiena, facendomi venire i brividi.
“Non sono pentito per ieri sera.” Trovo finalmente il coraggio di guardarlo, e quando parlo mi libero di uno dei tanti pesi che mi affliggono.
“Vorrei non esserlo anche io, Jared, ma lo sono. Ero ubriaca e arrabbiata e anche stanca. Mi dispiace, ma non succederà di nuovo.”
Ancora una volta non riesco a mettere distanza tra me e lui, perché mi tiene bloccata, vicina a lui. Perché non mi odia?
“Pensi ancora a lui? Dopo quello che non ti ha detto e quello che ti ha fatto passare?”
Abbasso lo sguardo, colpevole.
“Jade, con me saresti felice. Potremmo andarcene anche adesso e non dover più pensare al passato, e a ciò che RyLen...tuo padre, vuole farci fare, qualunque cosa sia. Saremo solo io e te, ricominceremo insieme.” Io scuoto la testa, incapace di pensare a un'ipotesi del genere.
“Perché no, Jade? Proviamoci almeno!”
E adesso gli dico ciò che non vorrebbe sentirsi dire, ciò che non dovrei dirgli dopo la notte appena trascorsa.
“Perché lo amo, Jared, e non posso pensare per un attimo di allontanarmi da lui o a ciò che c'è stato tra di noi stanotte senza sentirmi in colpa. Non rendere le cose più difficili, ti prego.”
“Siamo stati in due a fare ciò che abbiamo fatto e le cose le hai complicate pure tu, non solo io. Pensaci prima di dire che lo ami e che non vuoi allontanarti da lui, perché ieri sera, quando ne avevi più bisogno, c'ero io, Jade, io, non lui.”
“Mi dispiace, Jared.”
Mi alzo dal letto con il lenzuolo avvolto intorno a me, diretta verso il bagno, cercando di scacciare le lacrime che minacciano di rigarmi il viso e quella insistente vocina che mi ripete di tornare da lui, di abbracciarlo e di chiedergli scusa.


Per tutto il tragitto verso l'hotel dove Justin e Rachel ci aspettano, nessuno parla.
Mi sono tenuta a debita distanza da lui, incapace di rivolgergli parola e di guardarlo.
Perciò entriamo nella hall dell'hotel distaccati, come se non ci conoscessimo, prima che io veda Justin seduto su una poltrona, nervoso, mentre batte furiosamente e costantemente un piede sul tappeto. Quando ci vede, quando posa il suo sguardo su di me, mi sento sporca e stupida, e posso quasi affermare che lui sappia esattamente cosa sia successo.
Mi siedo proprio di fronte a lui, mentre Jared mi si affianca, quasi a rivendicare il suo possesso su di me. Il mio sguardo incrocia quello di Justin, fermo e deciso.
“Dov'è Rachel?” Chiedo, consapevole che ciò non cambierà la nostra situazione disastrosa.
“Fuori,” dice Justin, allungandosi e appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Non distoglie per un attimo la sua attenzione da me.
“Senti...”
“Dove siete stati?” Mi interrompe lui.
“In un hotel poco distante da qui, e sappi che siamo stati lì per volontà di Jade. Ora dicci qualcosa riguardo a sua padre, dicci cosa ha intenzione di farci fare.” Lo dice come se fosse costretto a seguire degli ordini.
“Per sua volontà, capisco. Ancora una volta, Jared, io non sono tenuto a dirvi niente, è lui che domani mattina vi dirà tutto ciò che ritiene giusto voi sappiate. Anche perché non credere che io sappia tutto il suo piano.”
“Fantastico, decisamente,” dice Jared sarcastico, “e se non volessi vederlo, quest'uomo?”
“Se vuoi vendicarti di Grey sarà meglio che tu domani ti faccia trovare alle 10 in punto nella biblioteca a due isolati da qui, Jared,” fa una piccola pausa per guardarlo dritto negli occhi e rivendicare la sua “posizione”, poi prosegue, “e ora ti sarei grato se lasciassi soli me e Jade.”
Rabbrividisco, spaventata dall'idea di rimanere sola con lui. Non so neanche se sono in grado di perdonarlo o no. Jared si alza lanciando uno sguardo pieno di rabbia a Justin, che fa finta di non notarlo. Lo seguo con lo sguardo fino a quando non lo vedo scomparire nell'ascensore.
“Sono stato preoccupato per te, Jade...e mi dispiace che tu abbia scoperto di tuo padre così, ma ho seguito alla lettera ciò che mi ha detto e...”
Ora sembra stanco e insicuro, ma sono sicura che se sapesse non lo sarebbe più.
“E non avresti potuto dirmelo lo stesso? Non so neanche se sia colpa sua, se sia lui il responsabile dei miei due mesi in quel manicomio.” Più che arrabbiata, mi sento stanca anche io.
“Non lo è, Jade, su questo sono sicuro. È stato un imprevisto, non dovevi finire lì con me...”
“Un imprevisto, lo chiami? Ascoltami, Justin, domani verrò all'incontro con mio padre, ma non chiedermi di accoglierlo con un abbraccio e sorrisi smaglianti.”
“E di me? Cosa ne pensi adesso?”
Aspetto qualche secondo prima di rispondere, aspetto che Justin mi prenda la mano e me la stringa, aspetto che gli occhi smettano di bruciarmi per le lacrime.
“Penso che ognuno faccia degli errori.”
Deve notare il mio disagio, perché si fa più vicino, per quanto possa farlo nel bel mezzo dell'ingresso dell'hotel, chiedendomi se io stia bene.
“Sì, certo che sto bene, non ti preoccupare.” Ma lui non ci casca.
“Cos'è successo?” E' possibile che abbia capito che io abbia fatto qualcosa di sbagliato solo grazie ad una frase?
“Vorrei prendere una camera singola, se non è un problema.” Lo spiazzo totalmente, vedo le sua fronte corrucciarsi, come se non capisse.
“Sei ancora arrabbiata con me? Così tanto? Jade, ti prometto che domani...”
“Non è solo per te, Justin, non è per te.”
“E allora per cosa?” Mi faccio piccola piccola, stringendomi le braccia intorno al corpo, staccando la sua mano dalla mia.
“Jade, cos'è successo?”
Non riesco a sentirlo così preoccupato, così in ansia, lo sto solo tenendo sulle spine...ma il fatto è che non riesco a dirgli la verità, non riesco a non sentirmi un verme, non riesco a non perdonarlo dopo il primo momento di rabbia cieca. È così che mi scappa involontariamente la prima ed ultima lacrima, finendo dritta tra le mie labbra.
Adesso so che ha capito tutto, lo so dalla sua espressione, ora improvvisamente gelida e distaccata, dura.
“O forse dovrei chiederti cos'è successo tra te e Jared?”
Non riesco a parlare, quasi come se qualcuno mi avesse portato via la voce.
“Jade, dimmi cos'è successo.” Finalmente trovo la forza per resistere al suo sguardo impenetrabile, trovo la forza di dire la verità.
“Per tutta la giornata di ieri ho vagato per la città, fermandomi solo per mangiare e riposarmi. Ieri sera sono stata diverse ore in un pub e ne sono uscita ubriaca, molto.” Ora è lui a distogliere lo sguardo, mordendosi il labbro superiore, quasi come se non stesse ascoltando.
“Jared mi ha chiamato e io gli ho detto dov'ero, ma in quei minuti nei quali sono rimasta da sola non ricordo bene cosa sia successo, ricordo solo una figura nera che si avvicinava sempre di più a me, nonostante io corressi il più velocemente possibile. Dopodiché ricordo solo...ricordo solo di aver pianto e Jared...era lì con me, mi ha abbracciato e mi sono svegliata stamattina...era sdraiato al mio fianco.”
Il silenzio che segue la mia confessione è assordante, i secondi passano lenti e incolmabili, facendomi tremare.
“E così io sono stato in pena per te per tutto il giorno, mentre tu...tu hai fatto sesso con Jared.”
Sentirlo dire da lui, sentirlo dire in generale, in maniera così cruda, mi fa vergognare ancora di più di me stessa, tant'è che mi copro le orecchie con le mani, nel vano tentativo di non ascoltare ciò che mi dice.
Lui mi toglie le mani dalle orecchie con violenza, poi fissa gli occhi nei miei, non lasciandomi vie di fuga.
“Vai in camera, prendi la tua roba ed esci. Non voglio vederti prima di domani, quando sarò costretto a portarti con me. Perciò quando tra pochi minuti tornerò qui a sedermi dopo aver prenotato la tua nuova camera, tu farai in modo di essere lontano dalla mia vista.”
Detto questo si alza e mi volta le spalle, diretto verso la reception, lasciandomi da sola, lasciandomi lacerata dentro, lasciandomi con la consapevolezza di aver rovinato l'unica cosa bella della mia vita.



Quella mattina Justin bussa alla mia porta, impassibile e gelido. Non dice una parola, sa che lo seguirò. La biblioteca della quale parlava il giorno prima non è molto lontana dall'hotel, perciò ci arriviamo a piedi, provocando così un inevitabile senso di disagio tra entrambi. È già da un po' che stiamo camminando quando mi decido a parlargli, dato che non gli ho nemmeno chiesto scusa.
“So che hai tutta la ragione del mondo per essere arrabbiato con me, ma prova a metterti nei miei panni, prova a considerare il fatto che fossi ubriaca e solo in minima parte consapevole di ciò che stesse succedendo.”
“So che ciò non mi giustifica, ma voglio chiederti scusa, perché ti ho mancato di rispetto, perché non ho pensato e perché ti sto facendo così male.”
Lui rimane in silenzio per diversi minuti prima di rivolgermi parola.
“Non voglio ascoltarti, Jade, evita di parlarmi,” mi dice alla fine, come se ci avesse pensato su.
Io non lo ascolto, mi sono stancata di sentirmi dire cosa fare e cosa non fare, dove andare e dove non andare, perciò mi fermo davanti a lui, impedendogli di proseguire.
“E invece ti parlo, Justin, perché per essere arrivati fino a questo punto la colpa non è soltanto mia.”
“Ho detto che non voglio parlarti.”
Mi supera scontrando volontariamente la sua spalla contro la mia, in modo da farmi capire quanto sia furioso nei miei confronti. Non posso fare altro che seguirlo, lasciando perdere quel briciolo di autorevolezza che mi era montato dentro. Adesso non è il momento. Mi accorgo di essere nella biblioteca solo quando siamo già dentro di essa, ormai fermi davanti a un tavolo al quale siede mio padre. Mi siedo senza salutarlo di fronte a lui, mentre Justin si mette a capotavola.
“Forza, facciamo in fretta,” dico io, stanca, “dimmi perché non sei morto e dimmi perché sono qui.”
Non ho voglia di parlare con lui e non ho voglia di vederlo.
Gregory Lennox guarda fugacemente Justin, che non accenna a voler dire qualcosa.
“Jade, come stai?” Mi chiede lui, invece di rispondere alle mie domande.
“Papà, arriva al punto, non sono qui per una riconciliazione di famiglia.”
Lui sospira prima di iniziare a parlare, prima di dirmi che Justin era stato mandato all'istituto solo per conoscermi, per guadagnare la mia fiducia e portarmi fuori di lì.



 
SPAZIO AUTRICE.
Oooh, non ho aggiornato a mezzanotte, fatemi un applauso :')
Beh, col solito ritardo vi faccio il regalino di Natale, anche se come capitolo fa abbastanza schifo, lol
Finalmente le vacanze, non se ne poteva più! Adesso evaporo che vado a vedermi Moonacre, perciò buon Natale a tutte e grazie per le numerose visualizzazioni/preferiti/seguite/ricordate!
Un bacio

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Capitolo 21
*** Cinquantanovesimo giorno. ***


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Cinquantanovesimo giorno.

capitolo ventuno.



“Devi sapere, Jade, che io e tua madre ti abbiamo sempre tenuto nascosto il fatto che lavorassimo per la CIA per proteggerti, non avremmo mai immaginato cosa ti sarebbe successo a causa del nostro lavoro. Ma partiamo dall'inizio.”
“Claudius Grey, come credo tu abbia appurato da sola, è il classico arrampicatore sociale, attaccato con le unghie e con i denti al successo e ai soldi, disposto a tutto pur di raggiungere la vetta. Diciamo che ha usato mezzi a dir poco eccessivi, pur di raggiungere i suoi scopi. Io e tua madre abbiamo iniziato ad occuparci di lui un anno e mezzo fa, quando mi assunsero nella nuova azienda. In realtà i miei saltuari lavori erano solo coperture e questo non faceva eccezione: ero lì solo per mettere i bastoni tra le ruote a Grey.
Non passò molto prima che quel bastardo facesse la corte a tua madre, ma noi pensammo di sfruttare questa sua debolezza a nostro vantaggio. Così, quella sera nella quale io finsi di andare alla partita di baseball con i miei amici, lei avrebbe dovuto trattenere Grey a casa nostra il più possibile, in modo che non ostacolasse il piano.”
“Ovviamente è stato sempre così vigliacco da mandare altri a svolgere il lavoro sporco ed è anche per questa ragione che i sospetti non sono mai caduti su di lui. Eravamo riusciti a scoprire chi avrebbe mandato: due uomini con precedenti penali, pagati profumatamente e in debito con lui. Non appena uscii dallo stadio, prima che la partita finisse, i due erano lì ad aspettarmi, armati. Non sapevano di essere circondati da uno stuolo di agenti, perciò, quando li ammanettammo e li portammo via, verso un processo sicuro durante il quale avrebbero quasi sicuramente ammesso di essere stati mandati da Grey, pensavamo di essere finalmente riusciti a mettere fine ai crimini dello stesso. Io sarei stato dichiarato morto fino a quando non sarebbe stato messo in carcere, in modo da proteggere me e la mia famiglia. Una volta tornato a casa mi resi conto di ciò che era realmente successo.”
“Avevi visto ciò che non dovevi vedere, eri sconvolta, e Claudius e tua madre avevano visto la tua reazione. Cosa sarebbe successo durante il processo ai miei omicida, o almeno, quelli apparenti? Avrebbero chiamato a testimoniare pure te, Jade, e tu non avresti detto altro se non la verità: Grey era infatuato di tua madre e non sopportava di avere un rivale. E in realtà era proprio per questo che decise di togliermi di mezzo, ma non poteva permettersi di rischiare. Tutti sarebbero arrivati alla conclusione esatta, ovvero un omicidio causato dalla gelosia. Come sistemare tutto? Togliendoti di mezzo.”
“Così, figliola, sei stata accusata di avere qualche disturbo mentale, dopo aver ovviamente falsificato la tua cartella clinica. Sono bastati pochi testimoni ben pagati per affermare che il rapporto che avevi con me era tutt'altro che buono, anzi. Ciò che è stato dedotto dal giudice, a fine processo, era che il tuo odio insano verso di me, dovuto ai tuoi problemi mentali, ti avesse portato al gesto più estremo, quello di uccidermi, in modo che Grey, il padre che avresti sempre voluto avere, avrebbe potuto prendere il mio posto.”
“Credo che sappia il resto della storia”, lo interrompe Justin, colto da un' improvvisa inquietudine. Mio padre continua il racconto, dicendogli di lasciarlo finire.
“Non appena entrasti al Saint Trade Institute, riuscii ad ottenere il permesso dai miei superiori di occuparmi del tuo caso. Furono comprensivi, sapevano che eri mia figlia e che eri lì solo per un malinteso. Venni a sapere che un ragazzo, un certo tipo che siede qui vicino a noi, era anche lui sulle tracce di Grey. Mi sembrava molto strano che un ragazzo di appena diciott'anni lavorasse per la CIA, ma non appena cercai informazioni su di lui, capii tutto. Il padre di Bieber era morto poco tempo prima, durante una missione praticamente uguale alla mia e a quella di tua madre. Anzi, scoprii che eravamo stati assegnati al caso Grey proprio dopo la morte di Bieber, per poterlo portare avanti. Il ragazzo, causa la disperazione cieca del momento, chiese di poter continuare il lavoro del padre, anche se noi ce ne stavamo già occupando. Alla fine ottenne un ruolo marginale, quello di guadagnarsi la fiducia di Grey, di impararne le abitudini e i modi di fare, di studiare i suoi comportamenti, le sue strategie. In realtà il tuo lavoro ci tornò molto utile, Justin.”
“Gregory, per favore...”
“Così mi misi in contatto con lui, offrendogli la possibilità di vendicarsi di Grey, di salvare mia figlia e di assumere così prestigio all'interno della gerarchia della CIA.”
“Il suo compito era analogo a quello affidatogli mesi prima: fare in modo che tu ti fidassi di lui, in modo che tu lo assecondassi nel piano di fuga che avrebbe escogitato col mio aiuto, qualunque fosse. Sono sempre stato io a fornirgli le debite informazioni. Qualunque password gli servisse, qualunque segreto dovesse sapere, qualunque via d'uscita dovesse conoscere, ero io a svelarglielo. Rachel Smith e Jared Greenwood si sono aggiunti al vostro piano di fuga e io ho permesso che lo facessero, dato che anche loro erano lì a causa dello stesso uomo.”
“Non ho detto a Justin come conquistare la tua fiducia, ma posso intuire come ci sia riuscito”, si gira verso di lui fulminandolo con lo sguardo, poi riprende a parlare, “e può stare tranquillo che la pagherà se ti ha fatto stare male o ti hatrattata male.”
Justin tiene le braccia conserte, lo sguardo rivolto verso il bibliotecario a una decina di metri da noi.
“Ora, Jade, voglio che tu sappia che né io né tua madre abbiamo mai voluto che tu ti trovassi in questa situazione, non abbiamo mai voluto che tu rimanessi coinvolta in tutto questo. Volevamo proteggerti. Se te la senti, chiama tua madre non appena puoi, sono due mesi che è in pena per te, esattamente come lo sono io.”
Quando mio padre finisce di raccontarmi la verità, io rimango immobile come lo sono stata durante tutto il suo racconto.
I miei genitori agenti della CIA? Io sono finita all'istituto per aver visto parte del piano? E il dubbio che mi assilla, che non mi dà pace da quando mio padre me ne ha parlato: Justin ha finto di provare qualcosa per me per tutto il tempo? Ha finto anche ieri, quando gli ho detto di me e Jared?
Improvvisamente tutta la sua freddezza, i suoi cambiamenti di umore, il suo essere così controllato hanno un senso. Mi sento così stupida, mi sento così manovrata, così priva di arbitrio che avrei voglia di scoppiare a piangere e non smettere più, continuare fino a quando ne avrò la forza.
Era tutto per un malinteso che sono finita al manicomio, tutto un gioco ben calcolato per farmi uscire di lì, tutta una finta l'interesse di Justin.
Mi alzo con uno scatto, facendo stridere la sedia contro il pavimento, per poi dirigermi fuori, dove posso restare da sola.
Sento mio padre chiamarmi e venirmi dietro, ma io corro via ed esco dalla biblioteca, fino a quando non mi sento sopraffare dalla dura e cruda verità, fino a quando non mi lascio cadere sui gradini che portano all'interno dell'edificio. Premo le mani contro gli occhi, mentre un fiume di lacrime, o qualcosa di simile, bagna le mie guance, offuscandomi la vista.
Ora c'è solo una domanda: perché?
Me lo ripeto all'infinito, come se continuare a tormentarmi potesse darmi una risposta.
Perché? Perché? Perché?
Tutti i tasselli del puzzle sono andati al loro posto, ma è possibile che io adesso stia peggio di prima? Peggio di dopo essere stata con Jared, peggio di come sono stata all'istituto, peggio di quando ho detto la verità a Justin? Mi credevo così terribile per avergli fatto quel torto...ma come ha potuto fingere per così tanto tempo? Come ha potuto fingere di sentirsi tradito, di essere furioso dopo ciò che ho fatto? Come ha fatto a non sentirsi infimo mentre mi stringeva a sé, mentre mi baciava, mentre facevamo l'amore? No, mentre facevamo sesso, errore mio. Per lui deve essere stato solo quello, dato che il suo scopo era raggiungere un posto alto nella CIA, un posto troppo in alto per un semplice diciannovenne. E a quel punto mi chiedo quale differenza ci sia tra lui e Claudius Grey.


Non sono rimasta sola per molto, dato che mio padre mi ha raggiunto e mi ha stretto in un abbraccio consolatore, il primo vero abbraccio da due mesi a questa parte. Gli ho chiesto scusa e lui ha fatto lo stesso, ci siamo perdonati a vicenda. Siamo rimasti vicini per qualche altro minuto, in silenzio, aspettando che io mi calmassi e smettessi di piangere. Una volta asciugate le lacrime, papà mi ha detto di tornare all'hotel. Lì avrei trovato un biglietto con ciò che avremmo dovuto fare il giorno dopo, insieme a un pacchetto. Non ha voluto dirmi niente sul suo contenuto, ma ha promesso che ci saremmo rivisti presto e che una volta finito questo inferno saremmo tornati a casa insieme, saremmo tornati una famiglia e avremmo provato a dimenticare tutto il dolore causato da Claudius Grey. Ci siamo abbracciati un'ultima volta, poi mi sono alzata e incamminata verso l'hotel, con Justin qualche passo dietro di me.
Adesso mi si è affiancato, ma rimane in silenzio. Fa bene, se solo aprisse quella bocca si ritroverebbe senza denti in meno di un secondo. Io cammino velocemente, cercando di arrivare il prima possibile all'albergo, in modo da potermi allontanare da lui. Perciò, quando mi segue fino alla mia stanza senza dire niente, rimango malamente stupita. Chiudo la porta con un calcio, o almeno ci provo, perché lui la ferma con un piede, entrando e chiudendosela alle spalle. Non voglio girarmi, non voglio rivolgergli la mia attenzione un secondo di più.
“Senti, volevo chiarire sulla questione di cui ha parlato tuo padre”, dice ancora offeso, ma allo stesso tempo sentendosi in colpa.
“Non c'è niente di cui discutere, puoi uscire dalla mia camera.”
“Invece ho bisogno che tu apra le orecchie e mi stia a sentire, per una buona volta.”
Puoi uscire dalla mia camera”, ringhio, cercando di non esplodere.
Lui mi afferra un braccio con violenza, costringendomi a voltarmi. Adesso è molto più vicino di quanto mi aspettassi, perciò mi ritrovo a fissarlo negli occhi, gli stessi occhi che fino a un giorno fa mi avevano stregata e che adesso sono solo lo specchio di chi è realmente.
“Non mi toccare.”
“Non ho finto di essermi innamorato di te, Jade. Non ho finto.”
“E tu ti aspetti che io ci creda? Ma fai sul serio?!” Mi divincolo dalla sua presa d'acciaio, rimanendo però sul posto.
“Sono io a dover aver dei dubbi su ciò che hai mai provato per me! Mi hai usato per uscire dall'istituto, Jade? Hai finto per quello? Perché appena messo piede fuori di lì sei andata incontro a Jared a gambe spalancate.”
E' la goccia che fa traboccare il vaso. Gli tiro lo schiaffo più forte che io abbia mai dato, facendo più male a me stessa che a lui. La mano mi brucia così tanto da ricordarmi il senso di vergogna provato la mattina scorsa, quando mi sono svegliata accanto al ragazzo sbagliato.
Lui mi guarda con quella solita espressione impassibile, mentre sulla sua guancia inizio a riconoscere cinque segni rossi.
“Esci dalla mia camera, Justin”, dico cercando di non far trasparire la collera mentre parlo.
“E' così che ti difendi, Jade? Ferendo chi ti ama?”
Esci!
“Sennò che succede, eh?!”
Lo spintono verso la porta, ma al secondo tentativo mi afferra le mani con una forza indicibile, facendomi male. Stringo i denti mentre allontana le mie mani dal suo petto.
“Basta così.”
Mi allontana con una spinta, ma io cado a terra, sbattendo la testa contro lo spigolo del letto. Rimango stordita per qualche secondo, durante il quale Justin mi si avvicina per assicurarsi che non mi sia fatta male.
Quando si mette alla mia altezza, abbassandosi, io gli tiro un pugno sul suo naso perfetto, facendogli perdere l'equilibrio. In un attimo si ritrova a terra, mentre io mi rialzo e inizio a sferrargli calci nello stomaco con tutta la forza che ho, ricordando come Wade Grey mi aveva ridotta allo stremo delle forze. Al terzo calcio Justi mi afferra una caviglia, facendomi di nuovo cadere a terra. Ora lui è sopra di me e cerca di tenermi ferma per i polsi, ma io scalcio ancora, cieca dalla rabbia. In un attimo sono di nuovo io a comandare, ma la situazione dura ben poco, perché Justin mi dà un calcio dietro alle ginocchia, facendole cedere. Sono di nuovo disarmata, mentre lui mi blocca le braccia dietro alla schiena, provocandomi un dolore allucinante.
Mi accascio a terra e torno supina, ma Justin non si fa ingannare ancora, perciò mi blocca sia le braccia sia le gambe, impedendomi qualunque via d'uscita, impedendomi di reagire.
Sono costretta a calmarmi. La rabbia piano piano si attenua, lasciando posto a un vuoto che mi comprime il petto, a una tristezza palpabile, a una stanchezza devastante.
E di nuovo, senza che possa farci nulla, piango, questa volta sostenendo il suo sguardo, ferito e arrabbiato tanto quanto il mio. Quanto vorrei dimenticare tutto e abbracciarlo, quanto vorrei che quella non fosse la verità.
Justin si tira indietro, rimanendo però sopra di me.
“Mi...mi dispiace, non volevo...”, si alza completamente, allungando una mano verso di me. Io l'afferro e mi rialzo. Giurerei che il contatto che avviene tra di noi mandi scintille lungo tutto il mio braccio, ma probabilmente è solo il disagio.
“No, scusami tu...ho reagito in modo esagerato”, dico evitando di guardarlo.
“Stai bene?”
“Sì. Sì, sto bene. Tu?”
“Sì, non ti preoccupare.”
“Credo che adesso dovresti andartene”, continuo.
“Già.”
Rimane qualche secondo a fissarsi le scarpe, poi si gira e abbassa la maniglia della porta. Esce dalla camera e io mi sento finalmente libera di alzare lo sguardo, ma purtroppo incontro il suo proprio mentre si sta richiudendo la porta alle spalle.
Quel secondo pare durare un'eternità, un'eternità nella quale leggo la rassegnazione nel suo sguardo, mista al dolore. La porta si chiude, lasciandomi incapace di reagire.
Mi basta qualche istante per precipitarmi verso di essa. La apro, sperando di trovare Justin ancora nel corridoio, sperando di potergli dire che non ho mai smesso di amarlo da quando l'ho visto seduto al tavolo della Sala Ricreativa, all'istituto, nonostante tutto quello che è successo.
Ma il corridoio è vuoto.




 
SPAZIO AUTRICE.
Salve, cavalle.
Sono lieta di annunciarvi che ho finito il racconto per il concorso di cui vi avevo parlato poco tempo fa, perciò sono anche più libera di scrivere la fanfiction!
Ecco, tornando alla fanfiction...vi do il permesso di ammazzarmi, ho già ricevuto diverse minacce, ve lo assicuro....
Devo anche dirvi che la fanfiction finirà tra due capitoli esatti, eccetto cambiamenti dell'ultimo minuto. Il prossimo sarebbe l'ultimo, ma il ventitreesimo sarà l'epilogo, perciò STAY TUNED!
Vi ringrazio tanto per le recensioni e per i complimenti, siete troppo gentili!
E grazie anche a quelle ventisette sante anime che mi hanno messo tra gli autori preferiti :')
Un bacio a tutte

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Capitolo 22
*** Sessantesimo giorno. ***


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Sessantesimo giorno.

capitolo ventidue.



Per tutto il pomeriggio cerco di evitare chiunque, uscendo il meno possibile dalla mia camera.
Mi riduco a fissare il foglio che mi è stato lasciato sul tavolino, rileggendo più volte il suo contenuto, tanto che penso di saperlo a memoria.
“Domani, Stanfield Palace, ore 10. Presentarsi alla reception come la sig.na Temple. Le servirà la pistola all'interno del pacco allegato.”
Sì, una pistola. La scatola nella quale era impacchettata giace sotto il mio letto, l'arma riposta con cura al suo interno. Non mi piace questa situazione. Non mi piace aver ricevuto una pistola e degli ordini così decisi e perentori. Ma almeno so che mio padre è coinvolto e che non mi metterebbe mai in pericolo, non di nuovo.
Ma allora perché spedirmi una pistola? Perché lasciarmi ancora una volta all'oscuro del piano? Le mie riflessioni vengono interrotte tra tre colpi sulla porta.
“Sto dormendo.”
“Sono Rachel.”
Analizzo per un attimo la situazione. Se apro sarà assalita dai sensi di colpa e, molto probabilmente, sarà lei ad assalire me, ma se non la apro mi sentirei ancora più meschina e ammetterei apertamente di esserlo. Come se già non lo pensasse.
Mi dirigo silenziosamente verso la porta, fino a quando non vi sono davanti. Quando la apro, il volto stanco e pallido di Rachel mi si para davanti.
“Posso entrare?”, mi dice con tono neutro. Io annuisco e mi sposto, permettendole così di passare. La sento sedersi sul mio letto, le molle che cigolano sotto il suo peso. Ritardo il più possibile il momento in cui mi dirà quanto sia stata stronza, bugiarda, insensibile...
“Vuoi qualcosa da bere?”
E' quasi un sussurro, ma lei lo sente e lo ignora volutamente.
“So tutto, Jade.”
Sospiro sonoramente passandomi una mano sul viso, come per nascondermi.
“Senti, se devi farmi la predica su come ci si debba comportare...”
“Non sono venuta a farti nessuna predica. Non sono venuta a fare la mammina e a sgridarti. Sono venuta perché so come ci si sente quando si fa un errore, so come ci si sente a sentirsi deboli, inutili, fuori luogo. Sono qui per dirti che non ce l'ho con te. Non possiamo dividerci adesso, perciò spero che i problemi che avete tu e Justin si risolvano presto. E poi, non mi sono mai veramente illusa di piacere a Jared. Ha sempre avuto occhi solo per te.”
Rachel, colei che credevo superficiale e altezzosa, si rivela essere la persona che più mi capisce.
Lei non si è arrabbiata con me? E adesso cosa dovrei dirle? “Grazie, Rachel, ma non merito le tue parole...” oppure “Sono stata una stupida, insultami pure, non fingere”? Cosa dovrei dirle?
“Parli sul serio?”, le chiedo infine. Lei alza lo sguardo incrociando il mio, poi annuisce e mi fa segno di sedermi accanto a lei. Io lo faccio, mentre almeno una piccola parte del macigno che ho sul petto si alleggerisce. Ci abbracciamo senza dire niente. Io non le chiedo cosa abbia fatto, cosa abbia passato e lei fa lo stesso.
Comincio di nuovo a piangere, questa volta in silenzio, ma Rachel non si allontana da me, anzi, mi culla tra le sue braccia come se fossi ancora una bambina. Mi piacerebbe tanto esserlo in questo momento.
Non so quanto tempo passi prima che io la smetta di piangermi addosso e che mi allontani da lei. Gli occhi mi bruciano e le guance sono bollenti, ma cerco comunque di sistemarmi il meglio possibile.
“Jade, non so perché sia anche tu arrabbiata con Justin...”
“Come lo sai?”, la interrompo con voce rotta.
“Può darsi che tu non te ne sia accorta, ma prima ero giù al bar. Ho visto com'eri sfuggente.”
Io annuisco lasciandola proseguire, qualunque cosa abbia da dirmi.
“Non so esattamente cosa sia successo tra di voi dall'inizio di questa storia, ma una cosa la so: lui ti ama, Jade, e tu lo ricambi. Perciò non fate la stupidaggine di lasciarvi andare e di stare male, perché avete già sofferto abbastanza. Tutti lo abbiamo fatto.”
Questa volta rimango in silenzio, le guance di nuovo bollenti, ma non per le lacrime.
“Vai a parlargli. Fatti perdonare, lo farà anche lui.”
Mi sorride e io mi chiedo perché Jared non si sia innamorato di lei, così bella e così vicina.
“Vedrò che posso fare, Rachel,” dico ricambiando il sorriso, solo un po' più mestamente. Lei si alza dal mio letto e si dirige verso la porta.
“E grazie per tutto quello che hai detto. Lo apprezzo moltissimo.”
“Tutti meritano una seconda possibilità.”
Rachel esce dalla mia camera, lasciandomi di nuovo sola a crogiolarmi nella disperazione. E sono appena le sei di sera.
Tutti meritano una seconda possibilità. Forse Justin parlava sul serio, forse non mi ha mai mentito.
Tutti meritano una seconda possibilità. Forse anche io ne merito una, dopotutto.
Decido di alzarmi e di bussare alla sua porta. Decido di darci un'altra possibilità. Ora sta solo a lui decidere.



Non era in hotel. Ho bussato diverse volte prima di arrendermi e tornare nella mia stanza. Di lui nessuna traccia. Passo la serata a riempirmi la pancia fino a farla scoppiare. È come se il mio stomaco fosse un pozzo nero e non avesse fondo, dato che a ogni boccone che ingoio il dolore sembra attenuarsi sempre di più.
Arrivo al punto di farmi schifo da sola per le mie condizioni, perciò rimetto sul vassoio che mi ha portato il cameriere tutto ciò che non ho finito di mangiare e mi stendo sul letto, passando di canale in canale con il telecomando. È verso le dieci e un quarto che sento il mio telefono squillare. Mi precipito su di esso e, non conoscendo il numero di Justin, rispondo impaziente e trafelata.
Mi risponde la voce di mia madre. Mia madre...l'avevo tanto odiata per il suo tradimento, se così si può chiamare, mentre in realtà era tutto parte del piano. Mi ero pure dimenticata di telefonarle, ero troppo concentrata a piangermi addosso e a mangiare, a pensare a quanto sia stata stupida, a Justin e a quello che mi ha detto. Ottimo lavoro, Jade.
Passiamo tutta la sera al telefono parlando del più e del meno, senza però mai entrare in argomento “Justin”. Forse papà l'ha avvertita di non farlo. La telefonata si conclude quando ormai non tengo più gli occhi aperti per il sonno. Alla fine l'ha vinta lui: mi addormento velocemente senza neanche mettermi sotto le coperte, sognando una vita tranquilla, senza inganni e senza bugie. Con Justin al mio fianco.


La mattina seguente mi sveglio grazie alle urla di Justin oltre la porta della mia camera.
“Sono le nove, preparati!” Mh, le nove.
Le nove! E Justin!
“Justin!”
Ma ormai non c'è più nessuno lì fuori. Sospiro, alzandomi.
Oggi è il giorno. Dopo due mesi potrò finalmente ritrovarmi faccia a faccia con Grey, potrò fargliela pagare. O, almeno, è quello che spero. Apro l'armadio di fronte al letto, rovistando tra i vestiti nuovi che vi sono stati messi. Opto per dei pantaloni neri di pelle e una canotta dello stesso colore. Sono particolarmente felice, direi. Mi sistemo velocemente, senza badare particolarmente al mio aspetto. Ho le occhiaie, non importa. Ho le labbra screpolate, me ne importa ancora meno. Sono pallida, benissimo.
Mi viene in mente un dettaglio alquanto importante: la pistola. Dove potrei metterla? Non di certo attaccata a un passante dei pantaloni. Frugo di nuovo nell'armadio, non sorprendendomi di trovare una di quelle strane cinture che si vedono nei film, quelle dalle quali tirano sempre fuori armi di tutti i tipi. Armeggio un po' prima di riuscire a chiuderla e a sistemarla nel modo giusto, ma, una volta fatto, posso agganciarci la pistola. Afferro una giacca di pelle abbastanza lunga da coprirla, degli stivali neri alti fino al polpaccio e infine mi lego i capelli in una disordinata coda di cavallo. Nessuno avrà da lamentarsi.
Ci ritroviamo tutti e quattro nella hall dell'albergo. Abbiamo tutti la stessa espressione: preoccupata e impaziente. È la prima volta che rivedo Justin dopo il nostro litigio e in questo momento mi sembra così distante e irraggiungibile che potrei quasi mettermi a piangere e supplicarlo di dimenticare tutto. Ma non posso. Lui controlla l'orologio senza mai degnarmi di uno sguardo.
“E' ora. Jade, hai la pistola?”
Per fortuna la hall è quasi vuota, perché se no saremmo stati nella merda fino al collo.
“Sì, ce l'ho.”
“Allora fuori.”
Noi lo seguiamo nel piazzale davanti all'albergo, dove due taxi ci attendono.
“Ne avrei presi pure quattro, ma non era possibile. Io vado con Rachel,” decreta Justin.
“No, vado io con lei,” mi oppongo. Justin mi fulmina con lo sguardo. Ha ragione, non dovrei lasciarlo con Jared.
“Justin, vieni con me, allora”, gli dico incamminandomi verso la prima delle due vetture.
“Sì, Justin, vai con lei”, dice Rachel. Lui è costretto a fare come gli viene detto, così mi segue all'interno del taxi, che parte subito sgommando.
“Piano!”, sbotta lui, causando una frenata brusca del conducente. Justin alza gli occhi al cielo, ma dopo poco riusciamo finalmente a trovare pace dopo le continue frenate e accelerazioni del tassista.
“Mi chiedo perché assumano gente del genere”, dice Justin. Io rimango in silenzio, e così fa lui. Nessuno parla per tutto il tragitto, fino a quando la vettura non si ferma e ci lascia davanti a un imponente edificio di circa venti piani.
“E' questo?”, chiedo timorosa, incredula di trovarmi proprio qui, così vicina a Grey.
“Sì, è questo.”
Istintivamente cerco la sua mano e, una volta trovata, la stringo con forza, forse per ritrovare un po' del coraggio perduto. Justin non si scansa e ricambia la stretta. Non appena il taxi su cui Rachel e Jared erano saliti arriva, io metto fine al contatto tra le nostre mani, evitando di alzare lo sguardo su di lui.
Forse Justin non mi odia così tanto, dopotutto.
Non è il momento, concentrati, mi ripeto. Scuoto la testa e seguo i tre all'interno del palazzo. Prima di varcare la soglia mi guardo intorno, come per sottolineare l'importanza di questo momento, per imprimermelo bene nella memoria. Poi faccio il passo decisivo e sono dentro.
La reception è sulla sinistra, dalla quale vanno e vengono diverse persone in giacca e cravatta, mentre per tutta la hall vi è un via e vai spaventoso: decine di impiegati si riversano nella sala, corrono su per le scale e si affrettano a prendere un ascensore. Mi sento terribilmente fuori posto, ma questo non è il momento per lamentarsi.
Justin procede a passo spedito verso l'uomo dietro al bancone della reception, fino a quando non lo raggiunge e dice all'uomo di chiamarsi Thomas Klave, come se a lui potesse importare qualcosa.
Inaspettatamente gli viene detto di dirigersi verso la lavanderia, al piano inferiore. Lui aspetta che Rachel e Jared dichiarino di essere qualcun altro prima di allontanarsi nell'accozzaglia di giacche e cravatte che ci si para davanti. Non mi aspetta. Rachel si volta verso di me e fa per chiedere a Justin il perché del suo gesto, la vedo, ma lui la mette a tacere. Entrano in uno dei tanti ascensori e scendono, scomparendo dalla mia vista.
Sono sola. Perché sono sola?! Fa tutto parte di quel piano che nessuno ha mai voluto rivelarmi, posso scommetterci, ma l'unica cosa che hanno ottenuto è avermi resa confusa e disorientata. Ottimo lavoro, ragazzi, davvero egregio.
“Signorina?”
L'uomo alla reception richiama la mia attenzione. Mi avvicino a lui, non so che altro potrei fare a questo punto, e gli fornisco il cognome che ho trovato scritto sul foglietto.
“Ah, certamente. Prenda le scale sulla destra e bussi alla prima porta sulla sinistra.”
Perché io vado su e loro vanno giù? Che sta succedendo?
Ringrazio l'uomo, poi mi dirigo verso le scale che mi ha indicando, salendo pochi gradini, quanto basta per non essere più vista dalla reception. Aspetto qualche minuto, poi scendo lentamente di qualche gradino. Controllando che l'uomo di prima non stia guardando verso di me, corro spedita verso un ascensore che sta per chiudersi e che per fortuna si ferma al primo piano sottoterra. Mi guadagno occhiatacce da parte di tutti, ma non me ne importa niente. Devo scoprire cosa sta succedendo. A scendere a quel piano siamo solo in tre, dopodiché l'ascensore risale, lasciandomi da sola, dato che le altre due donne scese sono ormai lontane.
Avanzo lentamente per i corridoi, cercando Justin e gli altri, ma dopo più di dieci minuti credo di essermi persa.
“Jade! Dovresti essere al primo piano, che ci fai qui?!”
Papà. È improvvisamente alle mie spalle, tanto che mi lascio scappare un gridolino di spavento.
“Devi tornare immediatamente su.”
“Perché mi avete mandato al primo piano? È lì l'ufficio di Grey? Dove sono gli altri? Pensavo li avrei trovati quaggiù!”
Lo sommergo di domande, ma ne ricavo ben poco.
“Grey è all'ultimo piano, per questo devi stare al primo Jade. Aspetta ordini da lì, fammi questo favore. Ho bisogno di saperti al sicuro.”
“Dove sono gli altri, papà?!”
Mi sto spaventando e un dubbio terribile si sta insinuando dentro di me.
“Si stanno occupando della faccenda, come previsto. Adesso ti accompagno su, ma facciamo in fretta, potrebbero mandarmi un allarme.”
“Si stanno occupando della faccenda? Che cosa vuol dire? Anche io dovrei farlo!”
Lui mi afferra per le spalle, dandomi una leggera scrollata.
“Ti ho reso la vita un inferno, tesoro, non permetterò che tu corra altri rischi. Ora seguimi.”
Rimango con gli occhi e la bocca spalancati, incredula per ciò che sto sentendo.
Non ho mai fatto parte del piano, in realtà. Non di tutto, almeno. Non appena libera sarei uscita di scena, mentre Justin, Jared e Rachel avrebbero contribuito a smascherare Grey, correndo dei rischi, certo.
Ma io non ne dovevo più sapere di strategie e inganni, di pericoli e ostacoli.
Sapevano che sarei ormai stata affezionata a Justin e che non lo avrei lasciato andare da solo, perciò hanno finto fino all'ultimo che io facessi parte della squadra, illudendomi.
“No.”
“Non essere test...”
“Ho detto di no!”
Scosto mio padre e inizio a correre, ripercorrendo i corridoi e ritornando a quello nel quale mi sono ritrovata appena uscita dall'ascensore. Mio padre è dietro di me, non molto distante, perciò la paura mi assale mentre premo il pulsante.
“Jade, non fare stupidaggini!”, mi urla dietro lui. L'ascensore arriva appena in tempo, ed è sorprendentemente vuoto, forse tornato da un giro ai piani alti. Mi ci infilo dentro con uno scatto, premendo l'ultimo tasto, quello su cui vedo scritto ventidue. Le porte si chiudono prima che mio padre riesca a fermarle. Lo sento imprecare e gridare a qualcuno di fermarmi, probabilmente al suo auricolare, oltre il quale vi sono quelle cinquanta persone pronte a ricevere ordini.
Lo specchio nell'ascensore riflette il volto pallido e sconvolto che immagino di avere in questo momento, riflette il mio petto alzarsi e abbassarsi ritmicamente, riflette tutto ciò che provo. Rimango a fissare il mio riflesso per tutto il tempo, fino a quando l'ascensore non mi avvisa che sono arrivata al ventiduesimo piano. Le porte si aprono e io mi precipito fuori. Non mi importa ciò che succederà, so solo che non posso lasciarlo solo, non un altra volta.




 
SPAZIO AUTRICE.
Ok, amoruxe, sono in ritardo (come sempre), ma la scuola è ricominciata:(
Allora, per vostra gioia (spero!) la fanfiction avrà un capitolo in più di quelli prestabiliti, perciò il capitolo ventitreesimo sarà l'ultimo, se così si può chiamare, mentre il ventiquattresimo sarà l'epilogo.
Ve lo dico subito: LEGGETE FINO ALLA FINE, FINO ALL'EPILOGO, SENNO' MI AMMAZZATE A BASTONATE. IO VI HO AVVERTITE.
Per quelle due disperate che mi chiedono come faranno senza la fanfiction (lo so che stai leggendo, Rachele, ma tu lo sai già), ne ho già un'altra in mente...STRANO, EH, SI SI! Sarà più sul fantasy, ma sicuramente meno “thriller” di questo. Non spaventatevi, non creerò un intero universo parallelo, non è una cosa stranissima...anche se l'idea originale era quella. Ok, sto zitta.
(p.s. Ma avete visto che simpy sono? Capitolo 22=piano 22...ok, faccio pena.)
Scusate il ritardo nel postare e nel rispondere alle recensioni. Mi collego quasi sempre dal telefono e non ho né tempo né voglia di rispondere su due piedi con la tastierina merda che mi fa scrivere le peggio boiate.
Vi lovvo, grazie a tutte! 
♥♥

(non ho riletto, sorry, sorry, sorry...)

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Capitolo 23
*** Sessantesimo giorno (2) ***


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Sessantesimo giorno – parte seconda.

capitolo ventitré.




Davanti a me una sola porta.
Davanti a me il mio nemico e con lui i miei amici.
Varco la soglia prima di poterci ripensare, trovandomi davanti a tre ragazzi armati che puntano la loro pistola verso un unico uomo al centro della stanza: Claudius Grey.
I suoi occhi sono immediatamente su di me, ma non sembra sorpreso. Sento montarmi la rabbia dentro, che a quanto pare non è svanita neanche dopo due mesi in cui non l'ho più visto.
“Jade!”, è l'esclamazione spontanea di Justin, il più vicino all'ingresso, non appena mi vede.
“Entra, idiota!”
Rachel mi trascina dentro afferrandomi per un braccio, mentre continua a lanciare occhiate a Grey e a tenere la pistola puntata contro di lui.
“Justin, vai fuori, controlla che non arrivi nessuno”, ordina Jared.
“Non la lascio qui dentro con lui”, ribatte Justin. Grey ride.
“Cosa potrei mai farle con tre pistole puntate addosso, ragazzino?”
“Zitto!”, lo ammonisce Rachel.
“D'accordo, d'accordo. Sono qui fuori.”
Justin abbassa la pistola e apre con cautela la porta dell'ufficio. Prima di uscire e richiudersi la porta alle spalle mi lancia un'occhiata preoccupata, come se volesse mettermi in guardia, come se volesse maledirmi per aver cambiato il piano. Un attimo dopo è fuori e Rachel non perde tempo per dirmi di tirare fuori la pistola e puntargliela contro. Io faccio come mi dice, cercando di mascherare il tremore alle mani.
“Allora, dove eravamo rimasti, Grey?”, dice Jared.
“Mi stavate gentilmente chiedendo se preferisco confessare i miei crimini davanti a un tribunale oppure farlo dopo aver preso una pallottola nel petto.”
“Mh, sì, hai centrato il punto.”
“Beh, ragazzi miei, se pensate di cavarvela con le sole vostre forze contro di me, vi sbagliate di grosso. Ma quanti anni avete? Dovreste essere a scuola, non qui a minacciarmi.”
“Forse è per colpa tua che siamo in questa situazione, figlio di puttana!”
Jared gli si avvicina pericolosamente, puntandogli la pistola contro la tempia. Spero che tutto questo finisca presto, perché non so cosa aspettarmi. Non mi sarei dovuta intromettere, sarei dovuta rimanere al primo piano come mi aveva detto mio padre. Eppure non mi passa nemmeno nell'anticamera del cervello di lasciare qui con Grey Justin, Jared e Rachel.
Ma cosa potresti fare per aiutarli, Jade?, mi ripete una vocina interiore. Sono più bassa e più magra di tutti loro, non importa quanto mi sia allenata nelle ultime settimane, non li eguaglierò mai. Non sono dotata di particolare coraggio o di astuzia. Non ho niente che potrebbe aiutarli. Cerco di non dare a vedere la mia frustrazione e preoccupazione, non voglio cedere. La pistola brucia tra le mie mani, quasi come se mi chiedesse di far partire il colpo.
In fondo lo meriterebbe, di nuovo quella voce che mi confonde le idee. Resta lucida, coraggio Jade.
Trovo una via d'uscita dal blocco emotivo degli ultimi secondi.
“Cosa volevi da mia madre, Claudius? Hai rovinato i miei amici per arrivare in alto, per il potere. Mi rifiuto di pensare che tu fossi pronto ad uccidere un uomo per una donna. Dimmi la verità, dimmela, ho sentito troppe bugie.”
Lui volge lo sguardo su di me, sorridendo con carisma, lo stesso sorriso con il quale pensava di ingannare mia madre.
“Mi dispiace deluderti, allora.”
Quanto vorrei portare la pistola sotto il mento oppure infilargliela in bocca e sparare più colpi fino a vederlo a terra morto, una pozza di sangue sotto di lui. Le mani tremano visibilmente, adesso.
Non parlo e non mi muovo, ho paura di fare qualche pazzia.
Poi, dal nulla, a spezzare quel breve silenzio carico di tensione, più spari si susseguono oltre la porta chiusa da Justin e il mio pensiero non può indirizzarsi che verso di lui. Mi giro verso Rachel, voglio uscire, voglio vedere che sta succedendo. Prima che possa decidere cosa fare, prima che possa dire niente, Grey sferra un colpo a Jared nello stomaco, facendogli cadere la pistola a terra. Jared viene colpito dalla sua stessa arma un secondo dopo, mentre Rachel ed io stiamo di nuovo mirando su di lui. Ma il proiettile è troppo veloce e non possiamo fermarlo. Jared cade a terra mentre Rachel spara a Grey, anche lui a terra, non riuscendo a muovere la gamba colpita.
“Jared!”, urliamo in coro io e Rachel, precipitandoci su di lui.
È ferito e perde molto sangue, è già bianco come un cencio.
Oddio, no, Jared!
“Jade, vai a vedere che succede là fuori! Vai da Justin! Sto io con Jared fino all'arrivo dei nostri!”
Io non riesco a staccare lo sguardo da Jared, ancora cosciente, ma non per molto.
“Mi dispiace...mi dispiace tanto, per tutto.”
Stringo la mano di Jared che cerca inutilmente di dire qualcosa, poi mi alzo e mi precipito fuori, da Justin.



 
RACHEL


E' così freddo, è così bianco...Jared, ti prego, resisti!
È quello che gli dico, di non chiudere gli occhi, di stringere la mia mano, di non preoccuparsi.
Grey è poco distante, si dimena ancora per il colpo alla gamba, ma si sta avvicinando alla pistola caduta. Mi precipito su di essa, togliendola dalla sua portata.
“TU! Lurido bastardo, non muoverti di un centimetro!”
Ho il volto in fiamme e sento le guance bagnarsi sempre di più, non credo di potermi controllare, non con Jared morente e mio padre davanti!
Lui mi afferra una caviglia e io sparo senza pensarci due volte, a sangue freddo. Questa volta lo colpisco al petto, lo vedo stramazzare supino, forse sul punto di morire, forse...
Quell'uomo non è più mio padre, non lo è mai stato, perciò sono felice di colpirlo una terza volta, stavolta all'altra gamba.
Così se sopravviverai dovrai vedertela a vivere su una sedia a rotelle, bastardo.
Mi precipito di nuovo su Jared, sta peggiorando.
“Ti prego, ti prego, resta con me, stanno arrivando.”
Urlo un richiamo ai nostri, premendomi meglio l'auricolare sull'orecchio per assicurarmi di sentire una risposta.
Quando la sento, vorrei potermi svegliare da un brutto sogno.
“Esci da lì insieme agli altri! La situazione ci è sfuggita di mano, ci hanno colto alla sprovvista!”
Non so chi sia a parlare, ma chiedo perché dovrei uscire da qui lasciando Jared morente.
“C'è una bomba, Smith, l'avremmo usata solo in questo caso. È necessaria. E ora si sbrighi!”
Jared ha il respiro affannato e irregolare, i capelli biondi gli coprono in parte il viso sudato e le mie mani non possono fare molto per fermare l'emorragia.
Nessuno verrà a salvarci, Jared, dovremo cavarcela da soli...
Me lo ripeto più volte, non posso lasciarlo qui, non posso!
“Jared, aggrappati! Ti prego, tieni duro, dobbiamo solo prendere l'ascensore e una volta giù saremo al sicuro, ma ti prego, non mollare, non lasciarmi da sola...”
Provo a tirarlo per un braccio, a fargli da appoggio, ma è troppo alto e pesante. La verità mi schiaccia come se fossi un insetto: Jared morirà in un modo o nell'altro, per la ferita o per la bomba e io non posso farci niente. Posso decidere di morire con lui oppure di correre fuori a salvarmi.
Mi concedo qualche altro secondo per guardarlo, per coprire la ferita al petto con la mia giacca, cercando di mascherare l'evidenza.
Mi chino su di lui, come se non stesse succedendo niente, come avrei voluto che fosse, e abbandono la mia testa sulla sua spalla, lasciando che le mie lacrime bagnino la sua camicia e i suoi capelli.
“Rachel, esci.”
Non voglio lasciarti qui, non voglio...
Annuisco senza smettere di piangere, per la prima volta dopo anni.
“Mi dispiace, Jared, mi dispiace...”
Sollevo la testa e lo guardo dritto negli occhi, quasi chiusi. So che sta facendo uno sforzo immenso per non cadere nell'oblio, e non mi importa se lo stia facendo per me o per Jade, so solo che sta lottando come ha sempre fatto e questo non fa altro che alimentare le mie lacrime.
“Non è colpa tua”, sussurra quasi impercettibilmente.
Io annuisco ancora, ma la vista è ormai così annebbiata dalle lacrime a non permettermi di vedere neanche il suo viso. Mi passo le mani sugli occhi, scacciandole, cosicché possa vederlo per un'ultima volta.
“Ti amo, Jared, non ti scorderò mai.”
Mi chino su di lui e gli lascio un bacio umido sulle labbra proprio mentre lo sento esalare i suoi ultimi respiri. Sento un leggera stretta della sua mano, poi anch'essa ricade accanto al suo corpo, priva di vita.
Mi dondolo come una bambina sul suo corpo freddo, cercando inutilmente di scaldarlo, di riportarlo in vita, di farlo tornare da me, ma so che è tutto inutile, lo so e non voglio accettarlo.
Ma devo. Mi alzo a fatica dal posto, mi dirigo verso la porta dalla quale non ho più sentito rumori ed esco, ma non prima di aver guardato per un ultima volta Jared, steso a terra con un'espressione quasi serena, come se fosse nel più profondo e bello dei sogni.



 
JADE


Due corpi giacciono a terra, privi di vita. Posso scommettere che siano guardie del corpo, perché provvisti di auricolari e muscolosi da far schifo.
Ma più avanzo e più mi rendo conto di chi sia a terra in fondo al corridoio, vicino all'ascensore.
“Justin!”
Percorro correndo quegli ultimi metri, lasciandomi cadere affianco a lui una volta arrivata.
“Justin, rispondimi, per favore!”
Terrore, ansia e dolore mi divorano l'anima, facendomi impazzire.
Completamente sporco di sangue, completamente abbandonato contro il muro che lo sostiene, completante indifeso.
“Devi andare via da qui, Jade...”
“Non senza di te, hai capito? Non senza di te!”
Un sorriso così debole basta a farmi preoccupare ancora di più. Non promette niente di buono, niente.
“Mi hanno appena riferito...”, tossisce sputando sangue, io lo sorreggo e lo aiuto a continuare a parlare.
“Sta per scoppiare una bomba, Jade.”
Si tocca l'auricolare nell'orecchio sinistro e mi rendo conto di non averlo. Se non me lo avesse detto Justin non avrei avuto scampo.
“Tu vieni con me.”
“Io sto qui, tu ti salvi.”
“Forse non hai capito che non hai un'altra scelta se non quella di venire con me”, dico con una risatina terrorizzata, del tutto inutile per mascherare la mia paura.
“Jade”, mi ferma mentre io sto cercando di farlo alzare, “non posso intrappolarti qui.”
“Justin, è senza di te che sono in trappola! Smettila di fare il martire, cazzo, smettila!”
Lui mi asciuga le lacrime bollenti che non riesco a fermare.
“Voglio soltanto il tuo perdono.”
Alzo la testa come se avesse detto la cosa più assurda del mondo.
“Justin...”
“Perdonami, Jade, ti prego.”
Lo bacio immediatamente, ho così tanta paura di non poterlo più fare.
Le mie lacrime salate si mescolano al suo sapore, ma non importa, voglio soltanto fargli capire che sì, lo perdono e che lo avrei sempre fatto, nonostante tutto.
“Sei tu a dover perdonare me, Justin, non io!”, dico staccandomi a malapena dalle sue labbra.
Lui sorride ancora, facendomi stare ancora più male di quanto io non stia.
“Come non potrei, Jade...”
Lo bacio di nuovo, ma sento che ad ogni secondo che passa si indebolisce sempre di più.
“Ti avrei sempre amato, sappilo.”
“Justin, vieni con me, ti prego, puoi farcela!”
“Sappilo...”, ripete, mentre i suoi occhi si chiudono.
“Anche io, Justin, anche io...non lasciarmi ti prego, sei tutto quello che ho, sei la persona che amo”, dico prima che possa perdere i sensi, prima che possa lasciarmi qui, da sola, con il suo corpo tra le braccia.
Prima che possa scoppiare di nuovo a piangere, prima che possa fare la pazzia di rimanere qui con lui, qualcuno mi afferra da dietro, trascinandomi verso l'ascensore poco distante.
Mi dimeno, urlo, lotto contro Rachel, non voglio lasciarlo, non voglio allontanarmi da lui, non voglio!
È come se mi stessero strappando una parte di me, la migliore.
“Jade, vieni via!”
Rachel insiste, ma io non voglio lasciarlo lì. E glielo dico, glielo ripeto, glielo urlo. Ma lei è più forte di me, e mi trascina nell'ascensore che si chiude dopo pochi secondi. Justin scompare dalla mia vista e io attacco Rachel, sbattendola contro una parete dell'ascensore.
“Perché?! Dobbiamo tornare a prenderlo, Rachel, a prenderli!”
Solo adesso noto il suo viso stravolto, rosso e bagnato dalla lacrime, la sua espressione piena di dolore e rassegnazione.
“Se vuoi morire con loro accomodati, Jade! Continua a pensare di poterli salvare quando hanno un proiettile conficcato per bene nel petto! Vai Jade, fai l'eroina!”
Mi spinge e io sbatto contro le porte dell'ascensore, facendolo sobbalzare.
Ci guardiamo per un attimo smarrite, stanche, arrabbiate.
Io sono la prima a cedere: mi lascio cadere a terra, sbattendo dolorosamente le ginocchia contro il metallo duro.
Ma dopo pochi secondi le porte si aprono e un gruppo di agenti della CIA, probabilmente gli ultimi rimasti, ci fa uscire dall'edificio, dove sono ammassate centinaia di persone, alcune per vedere cosa stia succedendo, alcune evacuate perché all'interno del grattacielo.
Avanzo come un automa tra le macchine della polizia e della CIA, lasciandomi trascinare dal ragazzo che mi sostiene da quando sono uscita dall'ascensore.
Siamo a circa cento metri dall'edificio quando ci fermiamo. Vengo fatta salire su un auto come le altre e proprio in quel momento la bomba scoppia, portandosi via Jared, portandosi via Justin, portandosi via la mia vita.




 
SPAZIO AUTRICE.

Vi do il permesso di ammazzarmi a bastonate.
Vi ricordo solo che questo non è il vero ultimo capitolo, perché il prossimo sarà l'epilogo.
Abbiate fiducia in me, vi supplico.


Offtopic: A FINE FANFICTION LA ESPORTERO' COME PDF, QUINDI CHI VORRA' POTRA' SCARICARSELA DAL LINK CHE METTERO' E LEGGERSELA COMPLETA SENZA INTERRUZIONI, SPAZI AUTRICE, BANNER AD OGNI CAPITOLO E CHI PIU' NE HA PIU' NE METTA.
SPERO L'IDEA VI PIACCIA, SENNO' AMEN E PACE A TUTTI. 


  ❤
(Non ho riletto, sorry.)

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Capitolo 24
*** Epilogo. ***


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Epilogo.

Un anno e cinque mesi dopo.



Cammino per le strade di Washington con passo sostenuto, i libri di storia e biologia in mano, la borsa a tracolla che mi urta la gamba destra ad ogni passo.
La biblioteca non dovrebbe essere molto lontana, ma il peso dei libri nella borsa e di quelli che ho in mano si fa sentire.
Maledetta scuola.
I miei genitori mi hanno promesso di trovarmi un posto nella CIA non appena mi sarò diplomata, ma, dopo tre mesi di puro inferno, è stato difficile riambientarmi tra i miei coetanei, dato che per loro il problema più grande è cosa mettersi alla festa del sabato successivo. Non posso biasimarli, io non facevo molto differenza, ma ormai sono cambiata e tutto ciò che interessa a loro non interessa a me.
Sono all'ultimo anno di liceo, tra un paio di mesi potrò uscire da quel buco e vivere la vita che agogno da quando li ho persi.
Mi ricapita di pensarci. Mi ricapita di piangere nel bel mezzo della notte, desiderando Justin accanto a me, sognandolo, sperando che Jared compaia sulla soglia della mia stanza.
Ma, in fondo, ho sempre saputo che non sarebbe potuto accadere.
Passo davanti allo spiazzo vuoto, ormai solo cemento, dove più di un anno fa è scoppiata la bomba. Non c'è più niente, soltanto un vuoto tra altri due grandi palazzi. Mi volto solo una volta e me ne pento, tornando a camminare spedita verso la mia meta.
Io e la mia famiglia ci siamo trasferiti qui, nonostante i brutti ricordi, per rimanere nel luogo in cui nessuno di sconveniente avrebbe sospettato fossimo. Rachel è partita pochi mesi dopo la vicenda, anche lei desiderosa di lavorare per la CIA, solo che lei ha già il suo diploma.
E io sono ancora qui a studiare decine di date inutili.
Ma almeno la mia vita è ricominciata, non so se posso dire di aver superato definitivamente la loro morte, ma so di volerci provare, di voler continuare su questa strada.
Finalmente scorgo la biblioteca, quella dove mio padre mi raccontò tutta la storia, quella dalla quale uscii stravolta e furiosa con Justin. Non portò niente di buono, ma ormai è tutto passato.
Salgo rapidamente la gradinata, facendo attenzione a non inciampare sui gradini. A quest'ora del pomeriggio non vi è mai molta gente, perciò ne approfitto spesso per venire a studiare, perché se lo facessi a casa mi distrarrei in fretta.
Mi dirigo verso il solito tavolo al quale mi siedo, sapendo di trovarlo vuoto per la sua posizione. Supero decine e decine di scaffali, lanciando qualche occhiata ai primi libri che si possono scorgere tra quell'infinità di volumi. Mi fermo qualche volta incuriosita da un paio di libri, ma, quando giungo al tavolo, ne ho in mano solo uno in più di quelli che ho portato con me. E al tavolo siede qualcuno.
Un ragazzo della mia età è seduto al mio solito posto, la testa china su tre libri contemporaneamente, le maniche della felpa arrotolate fino al gomito.
Sembra quasi non accorgersi di me, perciò mi siedo all'altra estremità del tavolo, spargendo i miei libri e quaderni nel posto restante.
Dopo quasi mezz'ora di silenzio e di pseudo-studio riesco a concentrarmi, ignorando la presenza del ragazzo, che nel frattempo non ha smesso di scrivere sul suo quaderno e di studiare.
Avessi io tutta quella buona volontà. Mi scappa un sorriso, senza che possa riuscire a trattenerlo.
Che secchione.
“Lo vuoi prendere in prestito?”
La voce profonda del ragazzo mi distoglie dai miei pensieri, facendomi alzare lo sguardo su di lui.
Adesso tutta la sua concentrazione è spostata sul libro che ho preso poco fa da uno scaffale. Lo guarda sorridendo.
“Sì, mi ha incuriosito.”
I suoi occhi incontrano i miei e posso giurare di rivedere quelli di Justin...ma no, è solo un'impressione che svanisce dopo pochi attimi.
“E' il mio libro preferito.”
Abbasso lo sguardo e ritorno a fissare i miei appunti, fingendo di essere concentrata.
“Allora suppongo di non poter più cambiare idea, sembra proprio che dovrò prenderlo dalla biblioteca.”
Non sento alcuna risposta, perciò alzo lo sguardo e lo trovo a fissarmi, le braccia incrociate sul petto.
“Non mi sembra che tu abbia fatto molti progressi.”
Sposto repentinamente lo sguardo sui miei appunti: sono poco più di mezza pagina, purtroppo ha ragione.
“Non mi sembra che questi siano affari tuoi”, gli dico sorridendo, sfidandolo a ribattere. Lui rimane sorpreso della mia risposta, ma non si lascia intimidire.
“Che cos'è?”
“Biologia.”
“Posso darti una mano, se vuoi.”
Sto per ribattere, sto per dirgli che sì, magari un aiutino non mi avrebbe fatto schifo, quando una mano si posa sulla mia spalla e una voce familiare risuona nell'ambiente più forte del dovuto.
“Non ha bisogno di niente, amico.”
Assomiglia tanto a una delle mie quasi-allucinazioni, ma questa volta è così reale che sento il bisogno di girarmi verso chi ha parlato per accertarmi di non stare sognando.
E lui è lì, in piedi accanto a me, il suo sorriso provocatorio stampato in viso, la mano che stringe con più forza la mia spalla, il viso più adulto e più bello di quanto ricordassi. Non oso dire una parola, ho paura che il sogno possa finire così com'è iniziato, ho paura di vederlo svanire sotto i miei occhi.
Ma lui rimane lì, non se ne va, non si dissolve e io credo di sentirmi male.
Non è possibile, Jade, non è possibile!
Il ragazzo di cui non so neanche il nome non si fa più sentire, ma non ho la minima intenzione di staccare lo sguardo da Justin per vedere la sua reazione.
“Vieni.”
Mi sussurra lui dopo pochi secondi. Continua a sorridere, divertito. Io mi alzo dal posto come un automa, non mi prendo nemmeno la briga di sistemare quaderni e libri; infilo tutto alla bella meglio dentro la borsa, la quale viene quasi trascinata fino all'uscita della biblioteca.
Rimango aggrappata alla mano di Justin, ancora con il terrore di vederlo scomparire davanti a me.
Una volta fuori lascio cadere la borsa a terra e rimango a fissarlo in attesa.
Credo di avere la bocca aperta, ma non me ne importa niente...lui è qui.
“Non sei felice di vedermi?”
“Io...tu...”
I suoi occhi castani mi guardano come se fossi la cosa più bella di questo mondo, come se non volesse altro che me, come se non mi vedesse da secoli -e in effetti è vero- come se si stesse trattenendo.
Non aspetto un secondo di più per abbracciarlo di getto, per stringerlo a me come desideravo fare da più di un anno.
Nessuno dei due ha intenzione di staccarsi e io lo faccio soltanto per guardarlo di nuovo negli occhi e per baciarlo. Non appena le mie labbra sono sulle sue capisco di provare gli stessi sentimenti, le stesse emozioni di un anno fa, che niente è cambiato, che non sono mai riuscita a dimenticarlo e anzi, la sua mancanza non ha fatto altro che aumentare a dismisura ciò che provo per lui.
Non mi accorgo di piangere fino a quando non mi dice di calmarmi e che andrà tutto bene.
Ma io annullo di nuovo le distanze e lo bacio ancora. Come se fossi rimasta in perenne attesa di questo momento, tutto l'amore che provo per lui si riversa nel bacio, mentre le nostre lingue si intrecciano e si rincorrono senza sosta, senza che nessuno dei due voglia porre fine a questa parvenza di paradiso. MI cinge i fianchi con forza, io lo spingo verso di me, quasi a pregarlo di non lasciarmi più.
È la sensazione più bella della mia vita, rimasta intrappolata nei meandri del mio cuore per troppo tempo, in attesa di essere riscoperta, ma senza la certezza che sarebbe successo di nuovo.
Quando ormai siamo senza fiato e soddisfatti in minima parte, ci allontaniamo di pochi centimetri, continuando a guardarci intensamente negli occhi.
“Non sto sognando, vero?”, sussurro io senza fiato.
“No, Jade, sono qui...con te.”
Lo abbraccio di nuovo, non riesco a frenarmi. Justin ride divertito, felice come mai l'ho visto.
“Io...quando me ne sono andata tu eri...”
Justin mi interrompe posandomi un dito sulle labbra reduci dal bacio, e questo non fa altro che accendere di nuovo il fuoco che mi ha assalito non appena ci siamo baciati.
“Un agente mi ha trovato, non ero ancora morto. Non si è scoraggiato e mi ha portato di peso fuori dall'edificio poco prima che scoppiasse la bomba.”
“Ma-”
“Perché mi faccio vivo dopo un anno e più? Perché sono rimasto in coma per un paio di mesi, Jade, la ferita era molto grave, e una volta risvegliato ho dovuto fare riabilitazione. E di certo non mi hai reso le cose facili cambiandoti il nome, Haley Johnson.”
Uno dei suoi magnifici sorrisi gli illumina il viso, facendomi sorridere a mia volta.
“Mi dispiace, Justin, non pensavo...mi ero rassegnata alla tua morte, credevo che cambiandomi il nome mi sarei nascosta meglio dai miei possibili nemici e non anche da...”
“Da chi ti ama”, conclude lui per me.
Io annuisco, maledicendomi.
“Non lo potevi sapere, non fartene una colpa.”
Io annuisco di nuovo, ma ormai il danno è fatto. Che stupida.
“Piuttosto...avevo paura di trovarti insieme a Jared, ma invece sembra che non sia così.”
Noto una nota di vittoria nella sua voce, anche se tende a nasconderla.
“Jared? Oh, Jared...non avrei scelto lui in ogni caso, mi dispiace di avertelo fatto dubitare, mi dispiace di essere stata così superficiale e di non averti ascoltato...”
“Che è successo?”, mi chiede lui, stavolta preoccupato.
Non lo sa...
Faccio un respiro profondo e deglutisco prima di dirglielo, anche se credo che per lui, dopotutto, non sia una grande perdita. Per me lo è stato, però.
“Jared è morto quel giorno, Justin. Pensavo di avervi persi entrambi...è stato devastante.”
“Mi dispiace, Jade, non lo sapevo...”
“Non ti preoccupare.”
“E Rachel? Che fine ha fatto?”, mi chiede dopo qualche secondo di silenzio.
Sono contenta di cambiare discorso, di poter parlare di qualcosa che non implichi la morte.
“E' nella CIA da diversi mesi, ormai. Ha trovato la sua strada.”
“E tu, Jade? Hai trovato la tua strada?”
“Oh, sì. La trovai la prima volta in cui ti vidi, Justin, la prima.”
Lui mi sorride e mi cinge la vita con le braccia, attirandomi a sé.
“Ti amo, Jade, adesso e per sempre”, mi sussurra sulle labbra.
“La prendo come una promessa, attento.”
“E lo è.”
Rimaniamo diversi minuti sulla gradinata della biblioteca, ignorando le persone che ci passano accanto per entrare, ignorando il resto del mondo. Poi, d'un tratto, una voce allegra e infantile chiama il nome di Justin, attirando la nostra attenzione.
“Devo presentarti qualcuno”, mi dice piano mentre un nuovo sorriso gli increspa le labbra.
Un bambina sui sei anni ci raggiunge di corsa, buttandosi letteralmente tra le braccia di Justin, che si chinato per essere all'altezza della bambina.
Lei mi guarda con occhi curiosi oltre la spalla di Justin, che dopo poco si stacca da lei e la prende per mano, voltandosi verso di me.
“Ti presento mia sorella, Jazmyn Bieber.”
Io mi abbasso per poter guardare negli occhi la sorellina, poi allungo una mano e stringo la sua, così piccola e incerta.
“E' un piacere, Jazmyn. Io sono...”
“Lo so chi sei.”
Guardo Justin in cerca di spiegazioni, ma lui finge di guardare da un'altra parte.
“Sei Jade e sei la sua fidanzata. Non la smette mai di parlare di te.”
Sorrido istintivamente, cercando lo sguardo di Justin, che sta arrossendo.
“Ah sì? Beh, sono contenta che lo abbia fatto.”
Jazmyn mi sorride debolmente, timida, per poi rifugiarsi dietro a suo fratello.
“Ed è ovviamente seguita da mio fratello Jaxon e da mia madre, Pattie Mallette”, continua Justin.
Guardo verso dove mi sta indicando, scorgendo una donna ancora giovane per avere un figlio di diciannove anni, con in braccio un bambino quasi uguale a Justin.
Loro ci salutano e io non posso fare altro che ricambiare.
“Andiamo, Justin?!”, chiede Jazmyn impaziente di tornare dal fratello e da Pattie.
Io mi volto verso di lui, in attesa di una risposta, ma è lui a farmi la domanda.
“Andiamo, Jade?”
Leggo nei suoi occhi tanta aspettativa, tanta fiducia e tanta felicità e mi sento pervadere anche io da un profondo senso di pace. Ora sono di nuovo con lui e niente e nessuno potrà separarci di nuovo.
Perciò gli prendo la mano libera e gliela stringo, volgendo lo sguardo verso la sua famiglia.
“Andiamo.”






 
SPAZIO AUTRICE.
Lasciatemi rotolare nelle mie stesse lacrime, lasciatemi sprofondare nella depressioneeee
E' FINITA...e dopo tre fanfictions, non riesco ancora ad abituarmi a questa sensazione.
Nonostante mi sia affezionata ad ognuna, questa mi ha fatto un effetto diverso, so che sentirò la mancanza di Jade e delle sue insicurezze, di Justin e della sua grande forza, di Jared e Rachel.
E sì, anche di Claudius Grey, anche se si è visto pochissimo nonostante il suo ruolo chiave.
Una parte di me rimpiangerà sempre di aver ammazzato brutalmente Jared e di aver lasciato Rachel da sola, ma ho preferito fare così.
E poi, regaaa, non potevate pensare davvero che ammazzassi Justin :')
Comunque, parlando di cose importanti...
Un GRAZIE IMMENSO a tutte le persone che hanno letto la fanfiction, non importa se non avete mai recensito (anche se essendo l'ultimo capitolo vorrei sentire più opinioni possibili), l'importante è che vi sia piaciuta e questo non potrebbe rendermi più felice.
Un GRAZIE a quelle 151 persone che hanno messo tra i preferiti, a quelle 28 tra i ricordati e a quelle 136 tra le seguite.
Un GRAZIE a chi ha sempre recensito.
Un GRAZIE speciale a Swaggg, Iwillmeetdrew, Lovestar, itsalissa, Lovehope_ e ultima ma non meno importante, a Rachele, quella vaccoide inimitabile che ha seguito la storia fin dall'inizio senza farmi mancare le minacce, gli insulti e gli: “oh, aggiorni?!”, nonostante non le piaccia Bieber.
Vi lascio il pdf della fanfiction nel caso la voleste scaricare da leggere intera senza banner, spazi autrici, note ecc., come se fosse una storia vera (sogna, sogna Eleonora...)
Vi avverto che la prossima settimana arrivo con una nuova fanfiction, non posso stare troppo senza scrivere, sorratemi!


IN CONCLUSIONE...GRAZIE A TUTTI PER TUTTO.
CON TANTO LOVE,
ELEONORA (firstmarch) 



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