Non rinunciare mai alla speranza

di Deb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Presto saremmo rientrati nell'arena. Sento lo stomaco contorcersi, non per paura, ma perché so con certezza che non uscirò mai da lì. Mi sta bene. La mia decisione è giusta, devo proteggere Peeta, devo far sì che vinca questa edizione.
La notizia di avere il giorno libero, prima dell'intervista, è una manna dal cielo. L'ultimo giorno di tranquillità, se così posso chiamarla, prima di trovare la morte.
Ordiniamo un sacco di cibo, rubiamo qualche coperta e andiamo sul tetto
per un picnic. Un picnic che dura tutto il giorno nel giardino fiorito che tintinna al suono delle campane tubolari. Mangiamo. Prendiamo il sole. Io strappo qualche viticcio e uso le mie nuove conoscenze per fare pratica di nodi e intrecciare reti. Peeta mi fa dei ritratti. Ci inventiamo un gioco con il campo di forza che circonda il tetto: uno di noi lancia una mela contro il campo di forza e l'altro deve prenderla al volo.
Nessuno viene a darci fastidio. Nel tardo pomeriggio sono sdraiata con la testa sulla pancia di Peeta a intrecciare una corona di fiori, mentre lui giocherella coi miei capelli sostenendo che gli serve per fare pratica di nodi. Dopo un po' le sue mani si bloccano.
«Cosa c'è?» Gli chiedo.
«Vorrei poter fermare il tempo e vivere così per sempre», dice.
Di solito questi riferimenti al suo imperituro amore nei miei confronti mi fanno sentire in colpa e a disagio. Ma mi sento così tranquilla e rilassata e al di là di qualsiasi preoccupazione per un futuro che comunque non avrò che mi lascio sfuggire due semplici parole: «Va bene».
Sento il sorriso nella sua voce. «Allora sei d'accordo?»
«Sono d'accordo», dico io.
Le sue dita tornano ad accarezzarmi i capelli
e per un momento penso di poter concedermi un sonnellino, ma cerco di rimanere sveglia. Non voglio sprecare questa giornata dormendo.
Cerco lo sguardo di Peeta con il mio e ci guardiamo per un po'. Sorride in mia direzione e mi sento improvvisamente in imbarazzo. Abbasso velocemente gli occhi e mi stringo le gambe con le braccia. È praticamente l'ultimo giorno delle mia vita. Dopo oggi mi butteranno nell'arena e la mia concentrazione sarà completamente rivolta nei confronti della protezione di Peeta.
«Tutto bene?» Chiede continuando ad accarezzarmi i capelli, ha la voce tranquilla, senza alcuna preoccupazione. Tutti e due entreremo nell'arena con la consapevolezza che ci proteggeremo a vicenda, che uno dei due - spero che sia io - morirà e non vedrà più la luce del giorno.
Annuisco, appoggiando la testa sulle ginocchia. Ci hanno lasciato fare quello che volevamo, niente tattiche, niente riunioni su cosa dire durante l'intervista con Caesar. Ci hanno dato la possibilità di vivere l'ultimo giorno insieme, da amici quali siamo. Non c'è da stupirsi del fatto che Peeta si irrigidisca quando sente le mie labbra sulle sue per un bacio a fior di labbra, casto. Il nostro primo bacio senza telecamere. È normale che ne rimanga stupito.
I suoi occhi sono sorpresi quando lo guardo, scostandomi da lui. Le guance mi si colorano immediatamente e abbasso lo sguardo per rialzarlo quando sento le dita di Peeta sul mio collo. Ha lo sguardo serio, come se dovesse chiedermi il permesso, non so cosa legge dalla mia espressione, ma lo vedo avvicinarsi al mio viso e chiudo gli occhi in attesa di sentirlo nuovamente sulla mia bocca.
Questo bacio è diverso dai precedenti, da quelli nella grotta o quelli davanti alle telecamere al nostro ritorno dopo i settantaquattresimi Hunger Games. È dolce inizialmente, un tocco delicato tra due labbra che poi si trasforma in qualcosa di più, ma non so dire con certezza cosa. Porto le mia braccia sopra le sue spalle, abbracciandolo e stringendomi a lui. Sento la sua lingua seguire il contorno delle mie labbra ancora chiuse e mi avvicino ulteriormente, schiudendo poi la bocca, incontrando la sua lingua con la mia. Il mio petto sfiora il suo e le mie mani si aggrappano senza forza ai suoi riccioli. Ci allontaniamo l'uno dall'altro soltanto per riprendere fiato. Peeta ha uno sguardo strano, gli occhi gli brillano e credo che mi stia chiedendo cosa significhi ciò che è appena successo. Ed io non lo so. Non ho pensato, ho agito e basta. Volevo soltanto baciarlo e l'ho fatto, senza pensare alle conseguenze che poi nemmeno ci saranno visto che devo morire. Perché rinunciare ad un istinto proprio ora, quando non si ha più nulla da perdere?
Intreccio le mie dita con le sue. Sono impacciata, ma mi lascio guidare da quel piccolo desiderio, per una volta, che mi dice di volere Peeta vicino come non lo è mai stato.
«Vieni», sussurro alzandomi in piedi.
Lui non fiata e mi segue dentro l'appartamento, poi nella mia stanza. Lo abbraccio, appoggiando la mia testa sul suo petto e lui mi stringe. Mi deposita un bacio tra i capelli. Non mi ha chiesto nulla su ciò che è successo poco fa, ma forse non è importante. Non c'è niente da dire.
Mi alzo in punta di piedi e ritrovo la sua bocca. Continuiamo così per un po', fino a che non mi trascina sopra il letto. Non dico nulla, va bene così. Nessuno soffrirà se mi lascio andare. Morirò tra pochi giorni e Gale andrà avanti con la sua vita. Non devo sentirmi in colpa nei suoi confronti, non sto facendo nulla di male.
Gli provo a sfilare la maglietta, senza staccarmi dalle sue labbra se non per riprendere fiato.
«Ehy». La sua voce mi riporta alla realtà e lo osservo un attimo, rimanendo in attesa. «Cosa stiamo facendo?» Chiede allora, senza spostarsi da sopra il mio corpo.
«Non ci sarà nessuna conseguenza». È l'unica cosa che riesco a dire, ponendo nuovamente fine alla nostra distanza, ma Peeta non sembra esserne convinto.
«Certo che ci saranno, Katniss. Quando uscirai dall'arena».
Inarco un sopracciglio. «No. Non uscirò io dall'arena, Peeta».
Sospira, scostandosi e sedendosi al mio fianco, «non mi sono offerto volontario per vederti morire».
«Lo so, ma la decisione non spetta a te. Sarai tu a vincere».
«E se non andasse come dici? Se morissi? Se noi ora ci spingiamo troppo in là tu potresti…» Lascia la frase a mezz'aria, senza completarla, ma so cosa vuole dire. Se andiamo avanti, se decidiamo di fare l'amore, io potrei rimanere incinta non avendo alcuna protezione con noi. Ma io sono certa di non avere questi problemi perché io morirò e Peeta vincerà.
«Ci sono degli accorgimenti per fare in modo che non succeda, no? Anche senza contraccettivi di Capitol City», dico senza imbarazzo, meravigliandomi di me stessa. Conoscendomi, so che a questo punto mi sarei tirata indietro, ma il pensiero che questi siano i miei ultimi giorni mi spingono ad essere più intraprendente.
«Non è sicuro, però».
Alzo le spalle, «pazienza».
«Tu non morirai, Katniss!» Esclama, quasi esasperato.
«Nemmeno tu, ma sappiamo che solo uno dei due può uscire vincitore questa volta e non voglio essere io. Non posso».
L'intraprendenza oggi non mi abbandona, mi porto a cavalcioni sopra di lui e prima che possa parlare lo zittisco con un altro bacio. Peeta prova ad allontanarmi per poter aprire la bocca, ma ogni volta non gli do il tempo per farlo. Alla fine si lascia andare e riprende anche lui a contraccambiare le mie effusioni. Ed io riesco finalmente a sfilargli la maglia, poi la mia. È imbarazzante da un certo punto di vista. Non sono mai stata brava con la nudità, ma non mi dà più di tanto fastidio, sembra quasi normale.
Sono impacciata e imbarazzata, ma Peeta riesce a farmi lasciare andare. Ho sempre pensato che non l'avrei mai fatto, ma forse la sicurezza di morire ti spinge a voler provare quante più cose possibili negli ultimi giorni che ti rimangono.
Mi accoccolo sul suo petto, ascoltando il battito del suo cuore. Non mi sento in colpa per quello che è successo, né credo di averlo fatto per i motivi sbagliati. Non me ne pento minimamente.
Sento le sue mani accarezzarmi la schiena nuda, mentre io disegno cerchi concentrici sulla sua pancia, giocando con i peli biondi sotto al suo ombelico. A lui non gli hanno fatto la ceretta.
Torniamo poi sul tetto su richiesta di Peeta. Osserviamo il tramonto. È una spettacolare vampata gialla e arancione dietro il profilo dei grattacieli di Capitol City. «Ho pensato che non te lo volessi perdere», si scusa.
«Grazie», gli rispondo, perché potrei contare sulle dita di una mano i tramonti che mi restano, e non voglio perdermene neanche uno
, ma soprattutto per aver assecondato il mio desiderio, prima.

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Che dire? Argh!
La verità è che mi sono detta di cominciare a pubblicarla, perché siamo a Febbraio 2014 e questa storia l'ho scritta nell'Agosto 2013. :')
Nel frattempo, sono un po' cambiata io, credo. Non so cosa pensare di questa long. Quando la scrissi, mi sono divertita un mondo. :)
E' una what if? Non è molto originale in quanto non si discosta tantissimo dal libro – ve lo dico subito – ma ho cercato di descrivere il modo in cui il rapporto tra Katniss e Peeta possa cambiare modificando una piccola cosa.
Sicuramente, se la scrivessi ora, sarebbe diversa. Ma non sono solita cambiare ciò che scrivo, perché amo scrivere di getto. :') E nell'Agosto 2013 è venuto fuori questo ;)
Ringrazio tantissimo la mia cara amica Ili91 ♥
Spero che la storia vi piaccia :) Ah, a proposito... sarà composta 12 capitoli, più il prologo e l'epilogo, ergo 14 capitoli totali!
Baci
Deb

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo I


Quando ho visto Plutarch, ho creduto fermamente che ci avessero catturato, poi ho udito la voce di Finnick e successivamente quella di Haymitch.
Non capisco bene quello di cui parlano, parlano di esche, lei viva. Chi? Mi gira la testa, ma la voce del mio mentore mi sveglia totalmente e, con ancora stretta la siringa così da poter uccidere Peeta se necessario, spalanco la porta e barcollo in loro direzione. Haymitch, Plutarch e un Finnick molto malridotto sono seduti intorno a un tavolo su cui è stata servita una cena che nessuno sta consumando. La luce del giorno si riversa dentro gli oblò e vedo in lontananza le cime dei alberi di una foresta. Stiamo volando.
«Hai finito di svenire, dolcezza?»

Cerco di andargli incontro, non so neanche perché, ma vedere Haymitch mi dona speranza. Forse... forse non siamo stati catturati. E Peeta sta bene, magari è in un'altra stanza mentre lo stanno rimettendo in sesto, come hanno fatto con me. Haymitch mi porterà da lui e torneremo a casa, sani e salvi. Invece mi stringe i polsi per non farmi cadere e mi guarda la mano.
«E così siete tu e una siringa contro Capitol City? Vedi, è per questo che nessuno ti lascia mai fare dei progetti», lo guardo sbalordita. Non ha capito nulla. Non serve per combattere Capitol City, serve per uccidere Peeta cosicché non lo torturino, poi, mi ucciderò io. Ma se Haymitch è così tranquillo significa che non siamo stati presi da Snow.
Vorrei chiedergli dove è Peeta, ma sento la pressione delle sue dita sulla mia mano affinché lasci andare la siringa. «Mollala».
Alla fine mi ritrovo seduta, una ciotola di brodo davanti a me con Plutarch che mi ordina di mangiare. Ma perché lui è qui?
Guardo Haymitch, che si è seduto di fronte a me, quando comincia a parlare.
«Katniss, ora ti spiegherò quello che è successo. Non voglio che tu faccia domande finché non avrò finito. È chiaro?»
Annuisco. Voglio sapere cosa diavolo sta succedendo.
Sento il cuore tamburellarmi nel petto, come se volesse uscire dalla cassa toracica. Avevano un piano e non ne sono stata messa al corrente. Né io, né Peeta. Noi due siamo le ultime due ruote del carro a quanto pare. Non abbiamo il diritto di sapere cosa facciano con noi e per noi, ma quelli che ci rimettono siamo sempre io e lui che andiamo avanti cercando di sopravvivere, proteggendoci. Pensavo sarei morta nell'arena, avrei protetto Peeta e sarebbe tutto finito lì, invece Haymitch e... Plutarch - mi sembra difficile crederlo - hanno ideato un piano per... per cosa? Per iniziare una rivoluzione? Mi ha mentito. Per tutto questo tempo mi ha mentito. Mi ha fatto delle promesse, mi ha presa in giro quando gli ho parlato del Distretto 13 ed invece lui sapeva. Ha sempre saputo ed ha taciuto.
Continuano a ripetermi che né io né Peeta sapevamo nulla. Ma perché? Non credo alla parole di Haymitch quando me lo spiega. Ma soprattutto non posso credere che Johanna non mi volesse uccidere. Non è possibile.
«Dovevamo salvarti perché sei la ghiandaia imitatrice, Katniss», dice Plutarch. «Finché sei viva, vive anche la rivoluzione».
Ma non hanno pensato di avvisarmi che l'avrebbero messa in atto. Non mi hanno spiegato alcun piano, nulla. Eppure io devo rimanere viva perché con me vive la rivoluzione. Anche se praticamente non ho mai voluto niente di tutto ciò, anche se quello che ho fatto è stato mosso soltanto da... non so nemmeno io da cosa. Forse dal voler proteggere Peeta.
«Peeta», sussurro con un tuffo al cuore. Voglio vederlo. Ricordo che lo cercavo, che urlavo il suo nome fino a che non ho distrutto il campo di forza. Non dovevo lasciarlo solo, non dovevamo dividerci.
«Gli altri hanno tenuto Peeta in vita perché sapevamo che, se lui fosse morto, non saremmo riusciti a tenerti dentro l'alleanza», continua Haymitch. «E non potevamo rischiare di lasciarti senza protezione». Le sue parole sono dirette, la sua espressione immutata, ma non può nascondere la sfumatura di grigio che ha assunto il suo volto.
«Dov'è Peeta?» Sibilo
mentre sento lo stomaco contorcersi in una morsa al pensiero che non siano riusciti a salvarlo. No. Non lo devo pensare. Haymitch l'avrà sicuramente portato in salvo. Avevamo un patto: proteggere Peeta.
«E' stato preso dalle forze di Capitol City insieme a Johanna ed Enobaria», risponde Haymitch, abbassando lo sguardo.
Non riesco a pensare a nulla, sento soltanto la rabbia crescere in me. Doveva salvarlo. Doveva proteggere lui. L'aveva promesso!
Mi lancio sopra il tavolo ed affondo le unghie nel volto di Haymitch, che si copre di sangue. Gli ferisco un occhio. Poi iniziamo tutti e due ad urlarci cose orribili e Finnick cerca di trascinarmi via.
«Bastardo», urlo dimenandomi, prima di sentire la siringa perforarmi la carne rendendomi lentamente incapace di fare qualcosa. Sono troppo debole per muovermi, ma non per pensare. E le uniche cose nella mia testa sono il nome ed il volto di Peeta.
Non sono riuscita a proteggerlo, ma voglio riaverlo indietro. Il suo posto è qui con me. L'avevo detto, era il mio ultimo desiderio, invece ora è nelle mani di Snow e... chissà cosa gli stanno facendo. Dovevo esserci io, potevano torturarmi, uccidermi. Peeta non se lo merita, non ha fatto niente di male. Quella che è andata contro Capitol City sono stata io ed io devo pagare con la morte, con le torture, non Peeta. Lui dovrebbe essere qui, al mio posto, sano e salvo.
Quando riapro gli occhi, dopo l'ennesimo sedativo, Gale è davanti a me. Mi sento in colpa nei suoi confronti, ora. Mi sono lasciata andare con Peeta prima di entrare nell'arena perché avevo la certezza che sarei morta, ma ora, che invece sono qui, viva, non posso fare a meno di sentire un senso di tradimento. Ma io e lui non siamo mai stati una coppia e non capisco perché mi debba sentire così. È vero che avevo scelto lui, ma credevo anche che non l'avrei più rivisto. Se non fossi così stordita, mi sarei alzata per stringerlo a me, per sentire il suo calore. Mi può far sentire meglio, può farmi dimenticare Peeta, anche se solo per pochi secondi. Invece, alla fine, mi informa che il Distretto 12 è stato distrutto. Capitol City l'ha bombardato dopo che la mia freccia ha distrutto il campo di forza. Non sono riuscita a proteggere l'unica persona che mi ero ripromessa di salvare ed ora scopro che non solo non sono riuscita in quello, ma che ho ucciso tantissime vite nel 12. L'unica cosa a cui riesco a pensare ora è che è colpa mia. Sarebbe stato meglio se mi fossi suicidata con quei morsi della notte, invece di provare a salvare sia me che Peeta.

Non posso andare nel 13 senza prima passare per il 12. È in condizioni pietose, ma è normale, visto che l'hanno bombardato. Sono riuscita a recuperare alcuni miei oggetti e Ranuncolo. Per Prim, mi dico.
Non vedo l'ora di riabbracciarla e, quando arrivo nel Distretto 13, la mia famiglia è nella loro abitazione per la Riflessione.
Quando Gale mi dice che ci vogliono al Comando ho paura che vogliano parlare di qualche tattica per la rivoluzione e soprattutto come dovrebbe comportarsi la ghiandaia imitatrice in questa circostanza. Non ho voglia di andarci, ma non dico nulla e seguo Gale.
Indugio sulla porta del Comando, l'iper-tecnologica sala destinata alle riunioni e ai consigli di guerra, dotata di computer parlanti a tutta parete, mappe digitali su cui compaiono i movimenti di truppe nei diversi distretti, e un enorme tavolo rettangolare con quadri di comando che non ho il permesso di toccare. Nessuno si accorge di me, comunque, perché sono tutti radunati davanti a uno schermo televisivo che sta all'estremità opposta della sala e trasmette i programmi di Capitol City ventiquattr'ore su ventiquattro. Sto pensando che potrei anche riuscire a sgattaiolare via, quando Plutarch, la cui massiccia corporatura copre il televisore, mi scorge e mi fa insistentemente cenno di raggiungerli. Riluttante, mi sposto in avanti, tentando di immaginare perché la trasmissione dovrebbe interessarmi. È sempre la stessa roba. Filmati di guerra. Propaganda che ripropone i bombardamenti del Distretto 12. Un sinistro messaggio del presidente Snow. Perciò è quasi divertente vedere Caesar Flickerman, l'eterno anfitrione degli Hunger Games con la faccia dipinta e il completo scintillante, che si prepara a fare un'intervista. Finché la telecamera non indietreggia e vedo che il suo ospite è Peeta.
Mi sfugge un suono: la medesima combinazione di ansito e gemito che deriva dall'essere sommersi dall'acqua, privati di ossigeno sino al punto di provare dolore. Scosto la gente a spintoni finché non sono proprio davanti a lui, una mano appoggiata allo schermo. Cerco nei suoi occhi un segno di sofferenza, un riflesso dell'agonia della tortura. Non c'è niente. Peeta ha un'aria così sana da sembrare florido. La sua pelle riluce, perfetta, come se gli avessero fatto un trattamento levigante completo. L'atteggiamento è composto, serio. Non riesco a conciliare questa immagine con quella del ragazzo malmenato e sanguinante che ossessiona i miei sogni
. Mi sembra di essere in un limbo. Vorrei poterlo raggiungere, vorrei abbracciarlo, stringerlo a me e dirgli che va tutto bene. Ma non è vero, sarebbe una bugia. L'ennesima. E sicuramente non posso essere lì con lui. Mi dà speranza il fatto che sembra stare così bene. Forse non lo tortureranno. Forse lo trattano bene, sperando che io lo raggiunga presto, per portarlo via da lì, così da potermi catturare, torturare ed uccidere.
Traditore. È così che apostrofano Peeta dopo ciò che ha detto, ma sono sicura che non lo sia. Non può esserlo. Lui è sempre dalla mia parte, lui sta ancora tentando di proteggermi. Devo fare qualcosa, ma cosa? Come posso proteggerlo anche io nel momento in cui arriverà qui - perché lo salverò e lo farò tornare da me - quando quasi tutti credono sia un traditore?
Dopo averlo visto con Ceaser, l'unica cosa a cui riesco a pensare è che Peeta sia vivo, che sta bene, e che ho ancora la possibilità di correre a Capitol City per strapparlo dalle loro mani.
Alla fine, dopo aver parlato con Prim, riesco a dettare determinate condizioni - compresa l'immunità di Peeta - se si vuole davvero che io sia la ghiandaia. La Coin ha indetto una conferenza con tutto il Distretto 13, così so per certo che non può rimangiarsi la parola data. Avrei dovuto farlo fare anche a Haymitch quando mi ha promesso che avremmo fatto di tutto per salvare Peeta dall'arena, allora forse non avrebbe potuto far altro che salvarlo per davvero.

Non so cosa gli abbiano fatto, ma nelle interviste seguenti Peeta non è fresco come prima. L'hanno torturato. Gli stanno facendo del male ed io sono qui a non fare nulla, mi nascondo in armadietti e in sistemi di areazione non funzionanti. Dovrei essere già in volo verso Capitol City per salvarlo, ma non mi fanno fare nulla. Sono la ghiandaia, devono proteggermi. Secondo me sarei più utile da morta che da viva. I Distretti potrebbero continuare con le rivolte proprio perché il Governo ha ucciso il loro volto della rivoluzione. Forse lo penso perché mi sono stancata. Sono stanca di dover combattere per qualcosa più grande di me. Sono stanca di dover essere comandata a bacchetta. Non posso fare quello, non posso fare questo. Devo stare attenta. Io voglio soltanto sapere Peeta in salvo, come lui ha cercato di salvare me dai bombardamenti. Perché lui sta ancora cercando di tenermi in vita. L'ha detto persino Gale.
Continuo a giocare al Gatto Matto, trascorro il mio tempo nel rifugio e non posso fare a meno di pensare a Peeta nelle mani di Snow. Cosa gli stanno facendo? Andrei da Gale, ma gli Hunger Games hanno cambiato il nostro rapporto. Alla fine mi ritrovo con Finnick, anche lui distrutto da ciò che potrebbero fare ad Annie Cresta, una vincitrice come noi, che è uscita di testa e che ora è nelle grinfie di Capitol City, come Peeta. Sa come mi sento, lui mi capisce. Non Gale che odia tutti, persino il mio staff di preparatori che non hanno mai fatto male a nessuno. Ed è vero che ha cercato di sembrare normale con loro, ma non riesco a perdonarlo per ciò che ha detto.
Ho capito che Snow sta cercando di farmi crollare e Finnick insinua nella mia testa l'idea che io ami Peeta, che abbia convinto il Presidente di questo proprio perché il mio sentimento è sincero. Lo amo? Non lo so con certezza, so che voglio saperlo al sicuro. Questa è l'unica cosa importante. E poi ripenso a ciò che è accaduto, quel giorno. L'avevo quasi dimenticato, troppo presa da tutto ciò che sta succedendo. Finnick dice che amo Peeta per come ho reagito nell'arena quando è andato contro il campo di forza, ma se... se Snow avesse visto in qualche modo il giorno in cui io e Peeta abbiamo... non riesco nemmeno a pensarlo, ma non è una cosa inverosimile. Sapeva persino che avessi baciato Gale, quindi non è impossibile il fatto che ci abbia spiato, che abbia saputo che io e Peeta abbiamo condiviso l'intimità. Eravamo al dodicesimo piano del Campo d'Addestramento, eravamo all'interno di un suo palazzo. È possibile! Sono stata una stupida. Non dovevo lasciarmi andare, anche se credevo sarei morta. Non dovevo fare una cosa tanto insensata ed inutile! Snow ha catturato Peeta per spezzare me perché sapeva che, dopo quello che avevamo passato, non avrei retto nel sapere che venisse torturato per colpa mia. Mi ribolle il sangue nelle vene e lo stomaco si contorce, facendomi salire la nausea fino alla gola. È colpa mia, ancora una volta. Sempre e solo colpa mia.

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Capitolo introduttivo che inizia con un flashfoward e si spalma su un periodo abbastanza lungo. Dovevo far passare un po' di tempo, ma avevo la necessità di soffermarmi sull'introspezione di Katniss. :)
Spero non vi abbia annoiato.
Baci
Deb

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo II


Sono crollata. Vedere quelle rose - un chiaro messaggio di Snow - mi ha distrutta. Non posso fare nulla. Non sono capace di essere la ghiandaia imitatrice se Peeta non è con me. Perché io sarò pure il volto della rivoluzione, ma lui è la voce. È lui che sa parlare, non io.
Sono passate sei settimane da quando hanno catturato Peeta e salvato me.
Dopo la mia crisi mi hanno iniettato un sedativo, sono stata incosciente per almeno un giorno intero. Nel momento in cui sono abbastanza sveglia per riuscire a distinguere la stanza, vedo Haymitch seduto al mio fianco. Faccio per alzarmi almeno in posizione seduta, ma non riesco a trattenere i liquidi dello stomaco che rimetto sul pavimento. Haymitch mi scosta i capelli e mi tiene la fronte. Mi sento uno schifo.
Quando mi riprendo, più o meno, mi dice che hanno messo in atto un'azione di salvataggio, ma che io non posso andare perché sono già partiti. L'hanno fatto apposta, ma non riesco a trattenere un sorriso pensando che presto lo rivedrò. Vivo o morto. L'importante è che non possano più torturarlo. Il senso di benessere scompare nel momento in cui capisco che Gale si è offerto volontario. Sarò sempre in debito anche con lui. Rimetto altre tre volte, nel frattempo. Probabilmente è un effetto collaterale del sedativo che mi hanno dato.
Alla fine, l'unica cosa che posso fare per aiutarli - oltre a sperare che né Peeta, né Gale muoiano - è creare un diversivo che Beetee provvederà ad inviare alle televisioni di Capitol City.
Di tanto in tanto, la nausea continua a ripresentarsi. Forse ho preso un virus intestinale o qualcosa del genere. Finnick mi dice di andare a fare un controllo in infermeria, ma non posso spostarmi da lì, dalla stanza dei colibrì. Prima devo sapere che stanno tutti e due bene. Finnick smangiucchia qualcosa che mi fa rivoltare nuovamente lo stomaco. Io non riesco a portare niente alla bocca, quando ci ho provato ho rimesso tutto.
«Chiamo tua madre», afferma Finnick ad un certo punto, preoccupato.
Lo blocco per un polso, «no, non la chiamare. Va tutto bene».
«Non mi sembra! Stai male, Katniss». Dice.
«È soltanto lo stress. Sono in ansia, è normale. Tranquillo».
Sembra che le mie parole lo convincano e si siede nuovamente al mio fianco, continuando a fare nodi. La verità è che sento di avere qualcosa che non va, ma non è ora di pensarci. Alla fine questo malessere riesce a farmi distrarre dall'idea che Gale potrebbe morire per trarre in salvo Peeta, che potrei perderli entrambi, quindi tanto di guadagnato se il mio malessere non mi fa pensare al peggio.
Verso mezzanotte, finalmente, Haymitch apre la porta, annunciando che sono tornati.
Il mio primo pensiero guizza subito nei confronti di Peeta e non posso fare a meno di scattare in piedi e seguirlo all'ospedale. Finnick arranca, e non ne capisco il motivo, ed alla fine lo aiuto a camminare.
Una volta arrivati, Finnick incontra subito la sua Annie. Boggs, che sembra un po' stanco ma illeso, trova Haymitch e me. «Li abbiamo fatti uscire tutti. Salvo Enobaria. Ma dal momento che lei viene dal 2, non crediamo che la tratterranno ancora, in ogni caso. Peeta è in fondo al corridoio. Gli effetti del gas stanno svanendo. Dovreste essere lì quando si sveglia».
Peeta.
Vivo e vegeto… vegeto magari non tanto, ma è vivo ed è qui. Lontano da Snow. In salvo. Qui. Con me. Tra un minuto potrò toccarlo. Vedere il suo sorriso. Sentire la sua risata.

Sento nuovamente lo stomaco contorcersi, ma niente riuscirà a farmi desistere dal correre da lui. E poi credo che sia dovuto all'emozione. Insomma, sono sei settimane che sono in pena per lui. Che voglio rivederlo. È normale che sia così scombussolata.
Peeta è già sveglio e sta seduto sulla sponda del letto con aria sconcertata, mentre un terzetto di medici lo rassicura, gli fa lampeggiare delle luci negli occhi, controlla le sue pulsazioni. Sono delusa che il primo volto che ha visto quando si è svegliato non sia stato il mio, ma adesso lo vede. Sui suoi lineamenti passa incredulità, oltre a qualcosa di più violento che proprio non riesco a riconoscere.
Scosta i dottori e mi viene incontro, sento il cuore palpitare velocemente nel petto. Non penso a nulla se non al fatto che sono felice di poterlo vedere e non attraverso uno schermo televisivo. Ha perso sicuramente peso, ma non è così strano visto che ha subito torture. Tendo le braccia verso di lui, voglio abbracciarlo, voglio sentire il suo calore sulla mia pelle. È vivo e sta bene. Sono riuscita a salvarlo dalle grinfie di Capitol City. Lo vedo allungare le braccia, credo fermamente che voglia abbracciarmi, ma non lo fa.
Non capisco nulla e mi sembra che non riesca a respirare, ma capisco che Haymitch l'ha steso a terra e che sento ancora le sue mani sulla mia gola che stringevano con forza per cercare di farmi del male. Cado a terra pure io, insieme a Peeta. Le mie gambe non riescono a reggere il mio peso.
«Stai bene?» Chiede Haymitch avvicinandosi a me, tendendomi la mano per aiutarmi a rialzarmi. La predo tra le mie, annuendo, ma nel momento in cui sono in piedi, mi ributto a terra e questa volta non riesco ad ignorare la nausea. È colpa di ciò che è successo. Sono malata e vedere Peeta cercare di farmi del male non mi aiuta di certo.
Alla fine Haymitch mi accompagna di peso da mia madre e le ordina di visitarmi. Si assicura che la gola sia apposto, come il collo e la colonna vertebrale. Non ho nulla, ovviamente. Haymitch, fortunatamente, è stato tempestivo e ha messo Peeta fuori combattimento al momento giusto.
«Ha la nausea?» Sento mia madre parlare con Haymitch, ma non li ascolto veramente. L'unica cosa a cui penso è che hanno fatto qualcosa a Peeta, qualcosa che l'ha portato a volermi attaccare.
Non so quando sia tornata, ma sussulto sentendo il freddo dello stetoscopio sulla mia schiena.
«Da quando hai la nausea, Katniss?» Mi domanda, ma la ignoro. Così, ripete la stessa frase continuamente, fino a che la mia sopportazione arriva al limite. Non riesco a pensare se lei continua a parlarmi.
«Da un po'», sento la voce rauca e la gola mi brucia quando parlo. Forse Peeta ha stretto abbastanza per farmi un po' male. Me lo merito, però. L'ho lasciato da solo, non sono riuscita a proteggerlo, ho acconsentito a separarci, quindi va bene così.
«Cioè?»
Scrollo le spalle, che razza di domanda è? «Cioè... ogni tanto. Non sempre», rispondo infine, apatica.
«Quando ti viene?»
«Non lo so. Sarà un virus o lo stress. Passerà». Dico scendendo con un balzo dal lettino, riuscendo a procurarmi soltanto un giramento di testa. Sto per uscire da lì quando mia madre mi chiama.
«Che c'è?»
«Dovrei farti delle analisi del sangue, per vedere se è tutto nella norma. Siediti e aspetta che prenda il necessario».
Sbuffo, ma l'ascolto e l'attendo. Non appena rimango da sola riesco a tornare con la mente al momento in cui ho rivisto Peeta. Vorrei rivederlo, ma sicuramente non posso rischiare di farmi ammazzare da lui. Non acconsentiranno mai a farci stare nella stessa stanza, non prima di averlo studiato ben bene. Ed odio il pensiero che possano trattarlo come una cavia da laboratorio. Non sono bastate le torture che ha subito? Dovrei esserci io vicino a lui.
«Stringi il pugno», faccio come mi è stato ordinato, poi mi rilasso quando comincio osservare il sangue uscire dalla mia vena per colorare il tubicino di plastica e riempire la piccola fiala. In quell'istante entra Prim a perdifiato, i suoi occhi sono preoccupati e mi si avvicina.
«Sto bene, Prim», le dico prima che possa chiedermelo lei. Non fanno che preoccuparsi per me, quando io non riesco a non preoccuparmi per Peeta. Persino Gale è uscito dalla mia testa. Sta bene? Non mi hanno detto nulla sulle sue condizioni e non l'ho visto nell'ospedale. Sgrano gli occhi, irrigidendomi. Non ho pensato al mio migliore amico, troppo presa dalla voglia di riabbracciare Peeta. Cerco Haymitch, voltandomi da una parte all'altra, ma non lo vedo. È andato sicuramente al comando, ma devo sapere. Lo stomaco si contorce per la paura, e se fosse morto? Peeta vuole attaccarmi e forse ho perso Gale. Io... sento le lacrime rigarmi le guance. Con la mano libera le cancello subito e mi faccio forza per rimandarle indietro. Non devo pensare al peggio. Prim mi stringe la mano mentre mia madre estrae la farfallina dal mio braccio, premendo una palla di cotone. Prim prende il suo posto e preme sul piccolo foro cosicché il sangue non fuoriesca dalla vena incontrollato.
«Gale si è ferito, ma sta bene», osservo la mia sorellina che mi sorride ed io ritorno a respirare nell'udire quella notizia.
«Peeta ha cercato di strangolarmi, invece».
«Sarà stato un attimo, vedrai che si riprenderà». Lascia la presa dal mio braccio e mi stende un cerotto.
Ora, non solo vorrei correre a vedere se Peeta si è effettivamente ripreso, ma vorrei anche incontrare Gale. Merita il mio ringraziamento ed il mio perdono, ma anche un abbraccio. Voglio abbracciarlo.
«Posso andare ora?» Domando a mia madre che, dopo aver consegnato le fiale con il mio sangue, è tornata da noi.
La vedo sospirare, «Prim, cara, potresti andare a vedere come sta il signor Bent?»
Quando rimaniamo sole, mi stringe le mani e sospira nuovamente. Ha per caso qualcosa che non va? Forse è preoccupata per me. Alla fine è pur sempre mia madre e, anche se spesso non la vedo come tale, mi vuole bene.
«Quand'è stata l'ultima volta che hai avuto le mestruazioni?»
Arrossisco e mi scosto da lei. Non dovrebbe essere un problema parlare di queste cose, ma tra noi non è mai successo. Non abbiamo avuto una conversazione di questo genere se non quando mi sono preoccupata la prima volta e mi ha riferito che avrei perso sangue per qualche giorno al mese e che ero diventata fertile. Ricordo ancora che mi ha spiegato come funzionasse la cosa con paroloni difficili per una ragazza di tredici anni. Mi ha parlato da dottore e non da madre. Ed anche ora lo sta facendo, come se fosse un'estranea, non come se fosse la mia mamma.
«Hai avuto rapporti sessuali con Peeta o con... Gale?»
Queste parole mi feriscono. Rimango a guardarla un attimo e vorrei fuggire, ma l'unica cosa che riesco a fare è cominciare a singhiozzare per la rabbia. Alzo un braccio sopra la spalla e la mia mano trova la sua guancia. Ricomincio a piangere e capisco che il suo dubbio sia lecito. In fondo nemmeno io so chi voglio avere davvero vicino. Peeta o Gale? Il mio compagno o il mio migliore amico? Colui che ho salvato dall'arena o la persona che ha aiutato la mia famiglia quando io ero lontana? Ma non sopporto il fatto che mia madre mi veda come... come cosa?
«Non ti sto giudicando, Katniss. È normale non sapere chi volere, essere attratte da ragazzi differenti, ma è importante che tu sappia quando hai avuto le ultime mestruazioni», si massaggia la guancia e mi guarda con sguardo determinato. Non riuscirò ad andare via finché non le avrò risposto.
Ci penso un attimo, poi ricordo che poche settimane fa, non ricordo con precisione quando, ma ero già nel Distretto 13, le ho avute. Quando glielo dico, però, non si rallegra. Vorrei chiederle perché è tanto convinta che abbia fatto sesso, ma probabilmente è perché è un medico o almeno si avvicina ad esso, visto che ci ha visto giusto. Mi sono lasciata andare e Snow ne ha potuto approfittare. Se soltanto non fossi stata così stupida.
«Com'erano? Delle perdite di tanto in tanto o un flusso più abbondante?»
Quelle parole mi fanno pensare che, effettivamente, di solito perdo molto più sangue e mi sento più destabilizzata. Ma in fondo, dopo tutto quello che ho passato è normale che possano essere meno abbondanti, no?!
«Durante la terza settimana si possono avere delle perdite», la sento borbottare e sbarro gli occhi, comprendendo solo ora cosa vuole dire, il perché di tutte quelle domande e non è possibile. È assolutamente impossibile.
«Che vorresti dire? Non è possibile, mamma!» Esclamo, la voce mi tradisce con un lieve tremore, ma sono convinta di questo. Siamo stati attenti, anzi, Peeta è stato attento.
«Quando si fa l'amore, Katniss, ci sono... tante variabili da considerare. Siete giovani».
Deglutisco e cerco l'aria. «Non capisci, non è possibile. Peeta è stato attento», affermo senza pensarci, troppo scioccata per riuscire a pensare lucidamente.
«Avete utilizzato precauzioni di Capitol City?»
«No, ma...», mi fermo quando la vedo sospirare. È delusa di me? Arrossisco e volto il mio sguardo altrove, sento gli occhi pizzicare e non dico più nulla. Non riuscirò a farle cambiare idea su quanto sia in una situazione assolutamente imbarazzante. Come se non bastasse odio vederle sul volto quell'espressione rammaricata e delusa nei miei confronti, quando solo io e Prim abbiamo il diritto di essere deluse da lei. Ci ha abbandonato quando era il momento in cui avevamo più bisogno di una madre, anche se soffriva, anche se mio padre ci aveva lasciate, lei doveva farsi forza, per me e Prim. Invece è andata in catalessi e non ha mai avuto la forza, o la voglia, di parlarmi di come funzioni il mondo, delle relazioni, forse perché era convinta che non avrei mai trovato un uomo, in fondo non lo volevo, e sapeva che non avrei voluto figli, almeno credo. Credeva quindi che non fosse necessario preparare sua figlia al futuro.
Mi asciugo le lacrime e tiro su con il naso.
«Katniss», sussurra cingendomi le spalle, facendomi sedere su una sedia. «Mi spiace di non averti parlato del sesso, ma credevo che non fosse necessario ancora». Non è vero. Sicuramente non ci ha nemmeno pensato a parlarmene.
«Ma è stato attento...» Sussurro, lasciandomi andare tra le sue braccia.
«Siete giovani ed inesperti. L'astensione è la miglior forma per non fare bambini, gli uomini... beh, magari Peeta è stato attento, ma ci sono altre possibilità, ad esempio una piccola perdita prima di raggiungere l'orgasmo e... quindi... c'è la possibilità che tu sia incinta, Katniss».
Arrossisco sentendola parlare proprio di come funzioni il sesso. E sapere che, anche con tutta l'attenzione che ha utilizzato, io possa aspettare un bambino. Ora, durante la rivoluzione, con Peeta che vuole uccidermi. Ma soprattutto sarei incinta quando ho sempre giurato a me stessa di non voler mai bambini.
Il panico si impossessa di me e mi stringo ulteriormente in mia madre che mi culla dolcemente e per la prima volta ho la sensazione che si stia comportando come ho sempre voluto. Da madre.
«Le analisi ci diranno se è vero o meno». Dice, depositandomi un bacio sulla nuca senza mai smettere di cullarmi.

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Non ho molto da dire se non che questo capitolo si sarebbe potuto intitolare “Lezioni di sessuologia by mamma Everdeen” :') Anyway... Spero vi sia piaciuto. Personalmente non so più cosa pensare di questa fic xD Non mi convince più molto. È colpa della pavonessah, ormai non riesco più ad apprezzare niente di ciò che ho scritto se non è scritto con lei :')
Risponderò il prima possibile alle recensioni! Intanto vi ringrazio per le seguite/preferite/ricordate e ovviamente per le recensioni che mi lasciate ^^
Baci
Deb

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo III


Mia madre rimane con me per tutto il tempo necessario. Non ho la forza di alzarmi, aspetto i risultati con lei. Prim è tornata dopo aver visitato il signor Bent, ma mia madre non le ha detto nulla, le ha soltanto domandato di poterla sostituire visto che tanto i dottori del 13 la tengono come infermiera e non come dottoressa, anche se sono convinta che sia più abile lei che i dottori stessi.
Spesso siamo rimaste in silenzio, alcune volte abbiamo parlato. Mi ha chiesto perché avessi preso la decisione di fare sesso e le ho spiegato che ero sicura di morire, quindi non ci sarebbe stata alcuna conseguenza, anche se volevamo fare in modo di non rischiare troppo. Probabilmente la nostra attenzione sul non mettermi incinta non è servita a molto. Mi ha domandato anche se amassi Peeta, ma non sono riuscita a risponderle. Ho scrollato le spalle ed ho guardato a terra, verso i miei piedi. In quel momento penso che l'abbia amato, ma ora non ne sono più di tanto sicura. Forse volevo un contatto umano prima della morte.
Haymitch ci distrae, quando entra e chiede di me. Vuole parlarmi, ma mia madre lo fulmina con lo sguardo - incolpa forse lui per ciò che è successo tra me e Peeta? - e afferma che non ha intenzione di uscire da lì.
«Dicono che Peeta sia... depistato».
Inarco un sopracciglio e attendo che prosegua. «È una tortura che utilizzano di cui non sappiamo quasi nulla. Riporto le parole del cervellone: utilizzano il veleno degli aghi inseguitori per modificare determinati ricordi. Questo è quello che ho capito».
«Mi stai dicendo che hanno fatto in modo che mi odi, vero?»
«Sì, credo di sì, dolcezza».
Cerco gli occhi mia madre e mi tuffo nuovamente tra le sue braccia. Non solo probabilmente, a quanto dice lei, sono incinta, ma il padre odia la madre. Andiamo bene. Come potrei soltanto continuare a far crescere questa creatura dentro di me?
Scatto in piedi, quando un uomo entra con i risultati. Li prendo subito tra le mani, con poca grazia, ma non capisco nulla. Ci sono un sacco di numeri e simboli che non hanno senso.
«Fammi vedere, Katniss». Le porgo il foglio, con il cuore in gola. Mia madre lo guarda per qualche secondo poi mi osserva, tristemente. «C'è la conferma».
E mi sembra di sprofondare.
Haymitch mi prende per le spalle affinché non ruzzoli per terra, come è già successo quando Peeta ha cercato di strozzarmi. Improvvisamente voglio piangere e ridere contemporaneamente. Se ci penso, la cosa sembra pure comica. Un po' me lo merito, forse. Prima sfido Capitol City senza volerlo, prendo in giro Peeta facendogli credere che lo ami per gli sponsor, poi credo di amare davvero Gale, ma alla fine faccio sesso con Peeta, rientro nell'arena e distruggo il campo di forza dando a Capitol la possibilità di rapire Peeta, per colpa mia il mio Distretto viene bombardato e sono morte tantissime persone, Peeta ora mi odia ed io porto in grembo suo figlio. È una punizione questa. Devo vivere il mio incubo peggiore, quello di crescere un bambino in un mondo così sfatto. Me lo merito.
Mi giro e mi aggrappo a Haymitch, «è colpa tua! Avresti dovuto prepararci per l'intervista! È colpa tua ed ora mi odia!» So perfettamente che non è vero. Ricordo bene la felicità nel sapere di non dover sottostare a lui ed Effie e sono stata davvero bene sul terrazzo. La colpa è soltanto mia. Mia.
«Per cosa? Per averti dato un giorno libero? Non ci stai con la testa, dolcezza». Mi lascia andare e le mie ginocchia toccano rumorosamente il pavimento. Mi copro la faccia con le mani e continuo a sgorgare lacrime. Ora so perché ho sentito spesso la necessità di piangere, quando io non voglio nemmeno farlo. Odio mostrarmi debole, ma sono gli ormoni. Sono incinta e questa consapevolezza mi turba l'animo. Non voglio avere figli, non voglio avere questa responsabilità. Non con Peeta, ma soprattutto non voglio averla da sola. E Peeta è depistato e probabilmente lo odierà come adesso odia me.
E Gale? Come potrò guardarlo negli occhi ora? Dopo quello che ho fatto, nelle condizioni in cui sono? Non posso chiedergli aiuto, non posso parlargli, come non posso parlare al padre del bambino che sta crescendo dentro di me. Voglio solo scomparire.
«Quando potrò parlare con Peeta?» Cerco di concentrarmi, di trovare nuovamente la ragione. Non ha senso deprimersi. Non voglio diventare come mia madre. Devo rendergli noto il mio stato. Alla fine rimane sempre il padre. Forse lo potrà aiutare a tornare da me o forse no, ma deve comunque sapere.
«Sei matta, dolcezza? Non hai capito forse quello che ti ho detto?»
«Ha ragione Haymitch, non puoi parlarci. Potrebbe farti del male».
Mi avvio alla porta, «legatelo, se necessario. Ho un assoluto bisogno di parlargli». Esco dalla porta e sento i passi di Haymitch dietro di me. Mia madre è sicuramente rimasta dentro, ricomincerà con le sue visite, forse sarà addirittura sollevata che io me ne sia andata. Stringo tra le mani il foglio con i risultati, giocandoci per allentare lo stress che sento.
«Ehy, mi vuoi dire che diavolo ti prende?» Mi fermo e lo guardo.
«Non credo potrò essere la ghiandaia imitatrice». Affermo.
«Per Peeta in quelle condizioni?»
Faccio una smorfia, «per le mie di condizioni», mi fermo un attimo, sentendo le guance accaldarsi, «sono incinta per davvero».
Non attendo alcuna risposta, mi giro pur di non guardarlo in viso e mi avvio verso il reparto dove ho incontrato Peeta.
«Mi vuoi dire che gliel'hai data per davvero? Ma sei stupida? Perché?»
Mi raggiunge e so che vuole una risposta, «perché nessuno si è degnato di dirmi di un certo piano e quindi ero fermamente convinta che sarei morta nell'arena, visto che avevo deciso di far di tutto per proteggerlo e farlo vincere».
Lo so che praticamente ho cercato di far ricadere la colpa su di lui nuovamente, ma è vero. Se avessi saputo che c'era la possibilità di uscire tutti e due vivi da lì dentro, non mi sarei comportata in quel modo con Peeta. Non mi sarei lasciata andare ai suoi tocchi, ai suoi baci. Non avrei nemmeno pensato di volere di più.
«Ora... posso portare la notizia al padre, oppure, anche questa volta, non gli diciamo la verità?»
«Vado a dire ai dottori di legarlo, ma Katniss... potrebbe urlare, insultarti, ferirti».
Alzo le spalle, «non c'è bisogno di preoccuparsi. Sono già ferita».

Haymitch è riuscito a convincere la Coin ed ora mi ritrovo davanti alla porta della sua stanza. Che sembra più una cella, ma forse ne ha bisogno. Sento il cuore battere a velocità elevata. Ho paura. Ho il terrore di trovarmi davanti a lui e di comprendere che non è più Peeta, il ragazzo del pane innamorato di me. È stato sempre così importante il suo amore nei miei confronti? Probabilmente è solo il momento. Dovrò affrontare un periodo, anzi, tutta una vita - che non sarà certo lunga - difficile. Forse sarebbe più semplice se avessi Peeta, quello vero, vicino a me, a sostenermi. Sarebbe felice, se la situazione fosse diversa, se Capitol City non si fosse messa in mezzo e non l'avesse depistato?
Haymitch mi ha detto che hanno parlato con Peeta, che gli hanno detto che volevo incontrarlo e che lui ha accettato. Ha dichiarato che non vedeva l'ora di avermi davanti.
Vorrei poter incontrare Peeta in privato. Ma il solito pubblico di medici si è già raccolto dietro il vetro a specchio, penne e blocchi per appunti pronti per l'uso. Quando Haymitch mi dà il via nell'auricolare, apro lentamente la porta.
Subito quegli occhi azzurri si fissano su di me. Peeta ha tre cinghie di contenimento per braccio e un tubicino che può somministrargli un sedativo nel caso perda il controllo. Non lotta per liberarsi, però, mi osserva soltanto con lo sguardo diffidente di uno che non ha ancora escluso la possibilità di trovarsi in presenza di un mutante. Mi avvicino finché non arrivo a circa un metro dal letto. Non ho niente da fare con le mani, perciò incrocio protettiva le braccia sulle costole prima di parlare. «Ciao».
«Ciao» risponde lui. Somiglia alla sua voce, è quasi la sua voce, tranne per il fatto che ha dentro qualcosa di nuovo. Una punta di sospetto e di rimprovero.

Non so da dove cominciare. Forse potrei chiedergli se sta bene, ma mi sembra stupido visto che non è esattamente un fiore. Potrei dirgli subito di essere incinta, di aspettare suo figlio, ma potrebbe credermi? Non so cosa stia pensando di me in questo momento. Guardo verso lo specchio, sperando che Haymitch mi possa suggerire un discorso, ma non serve, perché è Peeta a prendere la parola.
«Vuoi solo studiarmi, oppure sei anche capace di formulare qualche frase?»
Deglutisco, «volevo parlarti, ma...»
«Non sei una tipa di molte parole», finisce lui la frase per me. Annuisco stringendomi maggiormente le braccia al petto come se ciò potesse proteggermi.
Si irrigidisce e si guarda attorno, «perché io sono legato e tu no?» Domanda, «lo sapevo. Sei qui per uccidermi, ibrido schifoso. E loro ti aiutano. Dicono di volermi aiutare, ma mi lasciano in balia di un mostro come te».
«No. Non voglio ucciderti». Alzo le mani al cielo, vuote, in un gesto arrendevole. «Se vuoi mi allontano». Faccio qualche passo all'indietro e vedo che si rilassa un po'. È sempre vigile, sempre pronto a scattare, ma capisce che non sto mentendo.
«Allora? Che vuoi dirmi?»
Deglutisco e penso a quanto la mia richiesta sia stata inutile. Dovrei andare via e cominciare a pensare che Peeta sia morto. Perché lui è morto. Non c'è più. Non è più con me anche se il suo corpo è qui.
«Allora?» Mi intima, alzando la voce e facendomi sobbalzare.
«Ti ricordi come abbiamo trascorso il tempo il giorno dell'intervista con Ceaser?» Chiedo, la voce mi trema e gli occhi mi bruciano. Rivoglio indietro il Peeta di una volta. Questo non mi piace.
«Siamo stati sul terrazzo, facevi la svenevole ed io sono cascato in pieno nella tua trappola».
«Non era una trappola, Peeta. Io volevo stare con te». Dico, bloccandomi poi, «ti ricordi... ti ricordi di noi due... che...»
«Mi hai sedotto, poi mi hai attaccato, anche se è contro le regole».
Inarco un sopracciglio. Perché avrei dovuto sedurlo e attaccarlo? Che pensieri gli hanno inculcato? Poi penso agli aghi inseguitori, a quando mi hanno punto, a come hanno attaccato le mie paure. Hanno utilizzato lo stesso metodo?
«Non ti ho nemmeno attaccato. Ad ogni modo...» Voglio uscire da lì, non voglio più stare qui davanti mentre i suoi occhi cercando di scrutare ogni mio movimento, ogni mio pensiero cattivo nei suoi confronti. «Sono incinta».
Sgrana gli occhi, poi si riprende, come se avesse capito qualcosa che pochi istanti prima gli era sfuggita, «complimenti a te e Gale».
«Cosa c'entra Gale, ora?» Sbotto, portandomi in avanti di scatto, senza pensarci. È riuscito a ferirmi anche se non lo credevo possibile. È così convinto, anche prima del depistaggio, che sarei finita con Gale? Certo, l'avevo pensato anche io, avevo scelto lui. Ma non ero nelle condizioni di poter scegliere, erano tutte decisioni prese sul momento, affrettate, non ponderate. Avrei comunque potuto cambiare idea. Forse.
«Vi siete baciati, anche se eri la mia fidanzata. Hai scelto lui, non può essere di nessuno se non di Gale, non trovi?».
«Non l'ho mai fatto con Gale, Peeta. Soltanto con te».
«E dovrei crederti? Quando dalla tua bocca escono soltanto menzogne?»
So che ancora sta parlando, ha alzato la voce non appena mi sono voltata per cercare di nuovo la mia attenzione, ma apro la porta, la richiudo con forza e comincio a correre verso uno dei miei tanti nascondigli del 13. Nessuno sa dove sono e posso piangere in pace. È stato inutile anche se, per un attimo, ho pensato che potesse fargli bene, che magari sarei riuscita in qualche modo a farlo tornare da me. Ho cercato di utilizzare la gravidanza a mio vantaggio, ho voluto vederci qualcosa di positivo, inutilmente. Perché lui non è tornato, anzi, mi ha solo fatto capire quanto poco si fidi di me. Peeta è morto quando l'hanno rapito le forze di Capitol City e probabilmente non potrò fare nulla per riportarlo da me.

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Spero che il capitolo vi sia piaciuto :)
E Kitkat dà la colpa a Haymitch xD Mi sembra giusto :') E Peety non crede a Katniss.
Si nota che non so cosa scrivere nelle note? XD Scusatemi :° E' che sono super insicura di 'sta fic. :'( Sono più portata per le OS xD O per scrivere con la pavonessah u.u *debbina va a rileggersi i pampinih partoriti con la pavonessah* Quelli sono bellissimi, sih! ♥
Ultima cosa, A Panda piace fare le bolle di assenzio ⌠EFPfanfic⌡ Il miglio gruppo su EFP gestito da me e la mia famigliah perfettah! ♥ radioactive, yingsu , LaGattaImbronciata e gabryweasley.
Vi ringrazio per tutte le preferite, le seguite e le ricordate. E per tutte le recensioni, Finnick si merita le sue zollette. No, ho sbagliato fic. :')
Baci
Deb

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Capitolo 5
*** Capitolo IV ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo IV


Alla fine Haymitch è riuscito a trovarmi. Ero in condizioni pietose, con gli occhi gonfi e le lacrime che mi bagnavano il viso, nonché con il muco che fuoriusciva dal naso. La testa mi scoppia, non ricordo l'ultima volta che ho pianto tanto da farmi venire mal di testa. Vorrei soltanto appoggiare la testa su un cuscino e dormire, se solo non sapessi di continuare una tortura che è perenne anche quando sono sveglia. Non voglio rimanere sveglia, ma non voglio dormire e continuo a desiderare di poter tornare all'interno dell'arena dei settantaquattresimi Hunger Games per ingurgitare quei dannati morsi della notte e lasciar vivere solo Peeta. Sarebbe stato meglio ed ora non mi troverei in questa situazione. Non solo dovrei essere il volto della rivoluzione, ma sono incinta e probabilmente non potrò più stare vicino a Peeta perché potrebbe tentare di uccidermi.
Ora mi trovo legata ad un letto d'ospedale, con una flebo al braccio perché sono disidratata e non mangio decentemente da giorni. E, visto che mi sono staccata il filo più volte, mi hanno persino legato i polsi.
«Abbiamo fatto di tutto per proteggere un'idiota del genere».
Stringo i pugni, ma mi volto verso di lei che ha spinto la tenda che separa i nostri letti e si è sospinta nella mia area. Tra tutti, proprio con lei mi dovevano piazzare?
«Non ho chiesto io di essere protetta!» Sbotto. «Io volevo soltanto morire».
«Attenta a ciò che desideri, idiota. Potresti vedere esaudito il tuo desiderio». L'osservo per la prima volta, anche se l'avevo già vista all'ospedale, quando sono tornati dalla missione di salvataggio. Le hanno tagliato completamente i capelli anche se dei piccoli spunzoni cominciano ad intraversi sulla nuca e le occhiaie le contornano gli occhi.
«Sarebbe tutto più semplice», ammetto sospirando. «Da quando sono qui?»
«Una settimana circa». Risponde, sedendosi sul mio letto come se fossimo vecchie amiche. «Sei pazza, lo sai?»
Non rispondo, mi volto dalla parte opposta e cerco di isolarmi. So che sono giorni che sono qui e non so davvero cosa sia successo. Volevo soltanto andarmene, scomparire e forse ci sono riuscita. A volte ho sentito i dottori dire che ero caduta in catalessi. So che dovrei essere la ghiandaia imitatrice, ma forse non ne ho la forza. A cosa serve, poi? Peeta è morto, non gli serve più l'immunità. Dovrei diventarlo soltanto per Johanna ed Annie? Loro non rischiano nulla, non hanno fatto niente di male. È Peeta il traditore.
Ogni tanto mi viene a trovare Haymitch, mia madre e Prim. Chiacchieriamo e Johanna si unisce alle conversazioni. Durante la settimana seguente abbiamo stretto una sorta di amicizia, anche se non so se posso chiamarla effettivamente così. Siamo da sole, è normale che cerchiamo la compagnia l'una dell'altra. Per non impazzire, mi dico.
Gale non è mai venuto a trovarmi e credo di sapere il perché, ma ciò non toglie il fatto che Prim mi metta sempre al corrente di quello che fa. Così, una sera, le chiedo se può farlo venire da me. Ho parlato con Peeta, è giusto che parli anche con Gale che avevo scelto, prima di sapere di dover tornare nell'arena.
«È il tuo uomo?» Mi domanda Johanna.
Nego con la testa, «il mio migliore amico, o almeno, lo era». Le rispondo avvicinandomi la corda al viso per continuare a fare i nodi. Durante la seconda settimana di permanenza nell'ospedale ho chiesto di poter essere liberata. Non sarei scappata e Johanna promise che mi avrebbe riacciuffato se avessi tentato la fuga. Fare i nodi è diventato un passatempo anti stress. Li faccio e li disfo fino a che le dita non mi fanno male.
«Ma per lui non eri soltanto un'amica». Non è una domanda, ma annuisco. «Certo che nel Distretto 12 siete proprio decerebrati, eh?! Chi mai potrebbe correre dietro ad una stupida come te?»
«Concordo. Non lo capisco nemmeno io», disfo l'ennesimo nodo e nascondo la corda sotto il cuscino.
«È quello Gale?» Chiede inarcando le sopracciglia. Mi volto verso la porta e lo vedo. Ha lo sguardo truce, quello che spesso ho anche io, la bocca gli tira, forse non vorrebbe vedermi e da una parte lo capisco, ma mi manca e voglio potergli parlare anche se magari questa volta sarà l'ultima.
«Sì».
«Ah, però. È proprio uno schianto». Gli fa l'occhiolino, prima di tirare la tenda e lasciarci da soli.
«La Coin vorrebbe che preparassi nuovi pass pro». Esordisce così, chiudendo la porta alle sue spalle, ma senza avvicinarsi a me.
«D'accordo», rispondo. «Prima però devono darmi l'okay per uscire da qui».
«Lo vogliono fare qui». Fa qualche passo nella mia direzione e posiziona una sedia affianco il mio letto.
«Va bene», sussurro.
«Vogliono un pass pro nel quale fai vedere la pancia», sento rabbia in quelle parole e vorrei dire che lo capisco, ma non è vero. Dovevo morire, non ho fatto nulla di male ed io e Gale non c'eravamo nemmeno giurati amore eterno. Non eravamo niente di più se non due amici. Non dovrei nemmeno avere paura di vederlo perché ho soltanto fatto quello che ritenevo giusto.
Lo guardo e mi sporgo. Sento la sua bocca sulla mia e sono io ad averlo baciato. Non ho pensato, nemmeno questa volta. Volevo baciarlo e l'ho fatto. Gli accarezzo una guancia e mi fa male vedere quegli occhi che trattengono a stento le lacrime. Non voglio che si senta così per qualcosa che ho combinato. Ho sbagliato a fare sesso con Peeta, ma purtroppo non posso tornare indietro a sistemare le cose. Ma voglio stare vicino a Gale, non voglio che il nostro rapporto si concluda qui, per un mio errore dettato dalla paura di morire.
«Sei incinta di Peeta e baci me? Perché? Perché Peeta ora ti odia?» Prende i miei polsi tra le sue mani e li stringe con forza, facendomi male.
«Ho commesso un errore, Gale. Io sapevo che sarei morta, non ho...»
«Allora perché non hai cercato me prima della mietitura? Se è stato davvero un errore, perché lui e non me?»
Sgrano gli occhi, «è stato un caso. Non avevo pensato al sesso prima di allora».
Sento il suo sospiro ed il suo alito riscalda la mia pelle che è a poca distanza da lui.
«Lo sai perché? Perché non hai mai pensato a me. Tieni a me, ovviamente, ma non tanto quanto io tenga a te. Per te sono solo un... fratello». Non mi guarda più negli occhi e non so cosa rispondergli. Ha ragione lui? E allora perché quando Madge è venuta a portargli le medicine, dopo che è stato frustato, io mi sono sentita gelosa? Non dovrei sentirmi così se è vero quello che dice lui. Ma penso anche che provo davvero qualcosa nei confronti di Peeta. Se così non fosse non avrei combattuto tanto per proteggerlo e farlo vincere, a costo della mia vita, come non avrei voluto sentirlo tanto vicino il giorno dell'intervista. Ma vorrei fare sesso anche con Gale? Sarei capace di avvicinarmi tanto a lui?
«Tranquilla, Catnip, mi passerà». Ritrovo i suoi occhi sui miei.
«Mi dispiace. Io... ti voglio bene, Gale».
Prova a sorridere, «lo so, lo so. Non tanto quanto a Peeta, però. Finché sarà in quelle condizioni non potrai pensare a nessuno se non a lui, ma forse sarebbe lo stesso anche se stesse bene».
«Io qui sono disponibile se vuoi dimenticare l'idiota, bellissimo». Non so se l'abbia detto per alleggerire la tensione che si è andata creando o perché è davvero attratta da Gale.
«Lo terrò a mente», dice ridacchiando alzandosi in piedi. «Vado a dire di prepararsi per il pass pro. Ci vediamo, Catnip».
Attendo che chiuda la porta per ricominciare a distrarmi con la corda. I miei pensieri sono tuttora confusi. Continuo a pensare che forse dovrei amare Gale, ma lui crede che non l'ami, poi la mente raggiunge l'immagine di Peeta e sento un groppo in gola al pensiero che stia male e che non sia più il mio ragazzo del pane.
Johanna non mi rivolge parola, forse si è addormentata, ma quando appoggio i piedi per terra mi domanda subito dove voglio andare. Si rilassa nel momento in cui le rispondo in bagno. Per un attimo ho creduto che volesse accompagnarmi per assicurarsi che dicessi la verità.
Vedo la mia immagine riflessa nello specchio, ho preso peso e la pancia è poco più grossa del normale. Sta crescendo dentro di me. Un senso di panico cresce sotto la pelle. Non voglio questo bambino. Vorrei che scomparisse, che morisse. Poi non posso fare a meno di sentirmi cattiva nel pensare tutto quello. Non è certo colpa sua se si sta sviluppando al mio interno. È stata la mia disattenzione, la mia stupida voglia di provare qualcosa che non avrei mai potuto fare. E mi è pure piaciuto. Non è stato orribile, è stato dolce ed ho persino pensato che mi dispiaceva non avere la possibilità di ripetere l'esperienza in futuro. Ora, invece, vorrei soltanto che le cose fossero andate diversamente.

Sono entrata nell'undicesima settimana di gravidanza, ormai non riesco più a nasconderla. Mia madre dice che ora non dovrei avere più problemi di nausea, ma non è detto. Ogni persona vive i sintomi in modo diverso. Mi ha detto che lei, ad esempio, con me ha avuto nausea e vomito, con Prim non è mai successo.
Haymitch, invece, mi tiene aggiornata su Peeta. Dice che ha fatto dei progressi, ma non crede che potrà mai tornare quello di un tempo. Il vero Peeta. E mi fa male sentirgli dire così, quando Peeta stesso aveva dichiarato di non volere che Capitol City lo cambiasse. Mi ha detto che spesso Delly lo va a trovare e passano diverso tempo assieme. Con lei non ha nessun problema, è il Peeta Mellark di un tempo ed io non riesco a non sentirmi irritata per questo. Non è giusto che Delly passi del tempo con lui, normalmente, quando io non posso nemmeno avvicinarmi.
«Gli abbiamo mostrato quel video in cui canti "L'albero degli impiccati". Non è mai stato trasmesso, perciò Capitol City non ha potuto usarlo per il depistaggio. Lui dice di aver riconosciuto la canzone».
Per un attimo il mio cuore perde un colpo. Poi capisco che è solo altra confusione da siero di aghi inseguitori. «Non è possibile, Haymitch. Non mi ha mai sentito cantare quella canzone».
«Non te. Tuo padre. La sentì da lui un giorno in cui era andato in panetteria a fare uno scambio. Peeta era piccolo, aveva sei o sette anni, ma se ne è ricordato, perché ascoltava con particolare attenzione per capire se gli uccelli smettevano di cantare» dice Haymitch. «Immagino l'abbiano fatto».
Sei o sette anni. Prima che mia madre proibisse la canzone, quindi. Forse proprio all'epoca in cui la stavo imparando. «C'ero anch'io?»
«Non credo. E comunque non ti ha menzionato. Ma è il primo collegamento con te che non abbia scatenato un crollo mentale» dice Haymitch. «È già qualcosa, Katniss».

Sospiro, uno dei pochi ricordi che è correlato a me senza farlo scattare. Ed è merito di mio padre. Mi manca. Vorrei averlo vicino, lui saprebbe cosa dire per farmi stare meglio. Mi consolerebbe e mi starebbe vicino. Sarebbe il mio alleato migliore, mi proteggerebbe da tutti e da tutto.
«Della gravidanza non dice nulla?» Chiedo, allora, cambiando discorso. Da quando ho parlato con lui, non ho mai chiesto cosa Peeta pensasse del bambino.
«Crede che non sia suo. Dice che è impossibile».
Annuisco, alla fine lo credevo anche io, prima di averne la conferma dai risultati delle analisi. E lui non può sapere se, nel frattempo, mi sia divertita con altri uomini. Per quanto ne sa, questo bambino potrebbe essere di chiunque.
«Cressida verrà qui nel pomeriggio, preparati qualcosa, dolcezza».
«Oh, impazziranno nel sapere che Peeta è depistato, mi odia e che io porto in grembo suo figlio», dico in modo sarcastico.
«È una cosa che possiamo usare a nostro vantaggio».
«Ci sarà anche Gale?» Chiedo poi, curiosa.
«No. È partito. È andato nel 2, sperando che riusciamo a prendere anche quello».
«Così poi mancherebbe soltanto Capitol City», mi trema la voce e vedo Haymitch inarcare le sopracciglia.
«No, dolcezza. Non sperarci nemmeno. Nelle tue condizioni non ti manderanno laggiù».
«Devono! Devo uccidere Snow! È nei patti!» Esclamo, scattando in piedi.
«Sei incinta».
Non rispondo perché ha ragione. Quale ragazza sana di mente andrebbe in territorio nemico per combattere nelle mie condizioni? Nessuna. Eppure io non riesco ad accettare il fatto che non possa partire.
«Ci andrò io». Johanna scosta la tenda. È diventata sua abitudine ascoltare tutti i miei discorsi, che lo voglia o meno, ma non mi dà fastidio alla fine. «Lo prenderò, lo pesterò e te lo porterò, Katniss».

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Hello! ♥ In questo capitolo vediamo la reazione di Gale, nonché dei baci a random che Katniss gli dà u.u
Premetto che scrivendo quella scena ho tentato di tenere a mente tutto ciò che succede in Mockingjay, spero di non aver denaturato il carattere dei personaggi. Katniss lo bacia perché lo vede arrabbiato e triste per ciò che ha fatto, proprio come è successo in Mockingjay quando sono andati nel 12 a girare il pass-pro.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! ♥ Ci vediamo al prossimo! :3 E vi ricordo che potete trovare le mie fic – scritte insieme alla pavonessah del mio cuore poetessah – nell'account condiviso Il Pavone e la Piantana.
Bacioni! A giovedì! ♥
Deb

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Capitolo 6
*** Capitolo V ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo V


«Chiudi gli occhi». Dice Venia ed io obbedisco. Mi stanno truccando per poter girare il pass pro. Fortunatamente hanno deciso di non riempirmi la faccia di colori, mi hanno cosparso gli occhi di correttore per nascondere le visibili occhiaie e un po' di fondotinta e fard perché, come ha detto Octavia, sono bianca come un cencio. Prima di cominciare a lavorare sul mio viso, mi hanno fatto le feste, mi hanno abbracciato, baciato ed hanno parlato persino alla pancia come se essa potesse davvero rispondere. Molte persone sono così euforiche dalla notizia che non abbia avuto un aborto spontaneo dopo l'ultima arena. Peeta disse a Ceaser che ero incinta, ma doveva essere soltanto una bugia. Forse gli è venuto in mente proprio per ciò che era successo nello stesso pomeriggio, o forse l'aveva già deciso. Non lo so, ma capisco che la gente pensa che sia stata fecondata da lui almeno sei settimane prima degli Hunger Games. Se così fosse, dovrei essere all'incirca alla diciottesima settimana, quando invece sono soltanto all'undicesima. Potrei spiegare la cosa con il fatto che lo stress non aiuta il feto a crescere o qualcosa del genere. Più probabilmente però non mi faranno domande di questo tipo. Lo spero. So che il pass pro si basa soprattutto sulle mie condizioni di salute, il far vedere ai ribelli, ma anche a Capitol City, che sono viva, che sto bene, ma che la mia condizione mi porta a dover stare attenta a tutto. Che sia mai che la ghiandaia perda il bambino dello sventurato - ed è davvero sforturato - innamorato del Distretto 12. Già mi immagino Snow quando lo vedrà, credo si farà grasse risate nel comprendere che io sia rilegata nel 13 perché sono incinta.
Ormai mi sono abituata all'idea che questa cosa stia crescendo dentro di me, ma non riesco a sentirla mia. Mi sembra un corpo estraneo - ed alla fine è proprio questo -, un parassita che mi utilizza da incubatrice vivente. Le persone sono felici per me, ma non capiscono che questo è proprio il momento peggiore per fare figli. Forse quest'essere non vedrà mai la luce. Abbiamo buone probabilità di vittoria, ma nessuno può darmi la certezza che io vivrò o che mio figlio sarà sano e salvo una volta partorito. Potrebbero rapirlo ed ucciderlo. O potrei morire prima che accada. Ci sono tante cose da considerare ed io non riesco proprio a vedere un lato positivo in tutto ciò.
Osservo il mio staff che si fa da parte, per far passare Cressida. Octavia è ancora un po' riluttante all'idea di stare in mia compagnia e sicuramente non si trova così bene nel 13, ma la capisco dopo tutto quello che le hanno fatte passare. Sia a lei che a Flavius e Venia. Ricordo bene quando li ho trovati, dopo aver acconsentito di essere la ghiandaia imitatrice, e ancora mi rabbuio per loro. Però, almeno, sono vivi.
Cressida mi osserva e mi dà l'okay. «Rimettiti a letto». Ordina.
Quando mi alzo, mi ferma e mi stringe, «non ho avuto modo di farti le mie congratulazioni».
«Grazie». Rispondo dandole piccole pacche su una spalla. Avevamo discusso, prima di sapere che fossi davvero in attesa, di cosa raccontare per far cadere i dubbi delle persone che si sarebbero accorti che non ero incinta e Cressida era una delle persone che è stata messa al corrente.
Mi volto un attimo verso il letto di Johanna. So che è dietro il paravento, ma è ben nascosta dalle telecamere e rimane in assoluto silenzio. Sicuramente riderà tantissimo di me e mi prenderà in giro, provasse a farlo e dirò che non vado più a vivere con lei. Perché sì, siamo diventate coinquiline. Johanna vuole andare via dall'ospedale ed io sono con lei. Siamo qui da troppo tempo. Peccato che non si fidino a lasciarla da sola, quindi ho detto che la terrò d'occhio io, che ci terremo d'occhio a vicenda, nella stanza che il Distretto ci assegnerà. «Sappi che se ti prendono voglie strane, io non correrò da nessuna parte per cercare di farti contenta!» Aveva detto, poi.
«Allora, Katniss, vogliamo che ci racconti un po' di come ti senti, della gravidanza, di Peeta, della rivoluzione. Starai nel letto, poi vorremmo che mostrassi la pancia per dare la conferma che la notizia è vera». Mi spiega Cressida, sedendosi davanti al letto.
Io annuisco, capisco ciò che vogliono da me, l'avevo già messo in conto, Haymitch me ne aveva parlato, come anche Gale, ed io ho provato a prepararmi qualcosa, ma non sono brava a programmare, come non so se riuscirò a spiccicare parola; sento la bocca secca e la lingua non vuole collaborare, sembra sia incollata al palato.
«Vuoi che ti faccia qualche domanda?»
«Sì, grazie». Rispondo subito, arrossendo un po'.
«Allora, Katniss, come ti senti?»
Guardo la lucina rossa della telecamera, «Sto bene. Sono solo... uhm...» Mi blocco e, dopo poco, sento ridere dall'altro lato della stanza.
«Cretina! E tu saresti il volto della rivoluzione? Sei una bambina che non è nemmeno in grado di parlare!»
Mi mangio le guance, offesa da quelle parole. Sbuffo e torno a concentrarmi sulla luce rossa.
«Volete sapere come sto? Sto male. Sono chiusa in ospedale perché sono crollata. Prima perché Snow aveva Peeta, poi perché Peeta ha tentato di uccidermi. Sono incinta ed il padre del bambino mi vuole morta. C'è una rivoluzione in corso, che, a quanto pare, è iniziata per merito di miei azioni e non so se io o mio figlio avremo un futuro. Insomma... sono una persona in vista, lui...» Mi indico la pancia, alzando la maglia che mi hanno fatto indossare. «... lo è con me. Non so cosa mi riserverà il futuro, sono qui, rintanata qui quando vorrei andare a combattere insieme ai ribelli perché sono completamente, totalmente, dalla loro parte. Il sistema è sbagliato e soltanto noi, popolo di Panem, possiamo cambiarlo, sperando in un futuro più roseo per tutti. Per troppo tempo siamo stati sotto il dominio di un tiranno che ha cercato di detenere tutto il potere. Dobbiamo dire basta e dobbiamo combattere per far valere la nostra voce, ma io non posso. Non posso perché rischierei la sua vita. Io lo devo proteggere e devo sperare che i ribelli vincano la rivoluzione, devono farlo, cosicché il bambino possa crescere in un mondo sereno, senza dover sottostare alla paura degli Hunger Games».
Ansimo, alla fine, ho parlato in fretta, la mia mente non faceva in tempo a pensare ad una frase che la mia bocca la sputava. Non so se queste mie parole vadano bene, ma vedo Cressida sorridere ed alzare un pollice verso l'altro.
«Perfetto». Dice sorridente.
Smontano tutto e, quando se ne vanno, per prima cosa corro in bagno a lavarmi la faccia, poi torno al letto e ricomincio a fare nodi. È l'unico modo con il quale riesco a distendermi, a non pensare incessantemente a Peeta, a Gale nel 2 o al bambino che sta crescendo sempre di più.
Quella sera, con mia sorpresa, entra nella stanza Plutarch. Mi sorride e mi accarezza la pancia, dandomi fastidio. Mi parla del mio pass pro e di come sia riuscito bene, mi dice che la Coin non è del tutto contenta di come stiano andando le cose, vista la mia condizione non sono molto d'aiuto, ma tutto sommato stiamo vincendo. Manca poco alla presa del Distretto 2 e una volta ottenuta possiamo cominciare a pensare ad una tattica per prendere Capitol City.
«Sono sul punto di organizzare un pass-pro-spettacolo che è destinato a essere un successo. Tutti adorano i matrimoni, in fondo».
Mi blocco di colpo, nauseata all'idea di ciò che sta suggerendo. All'idea che stia in qualche modo orchestrando una sorta di assurdo matrimonio tra me e Peeta. Da quando sono qui, non sono più stata capace di mettermi davanti a quello specchio unidirezionale e, su mia stessa richiesta, ricevo aggiornamenti sulle condizioni di Peeta solo da Haymitch. Che parla pochissimo. Si stanno sperimentando le più svariate tecniche. In realtà, non troveranno mai un modo per guarire Peeta. E adesso vogliono che lo sposi per un pass-pro?
Plutarch si affretta a rassicurarmi. «Oh no, Katniss. Non il tuo matrimonio. Quello di Finnick e Annie. Tu devi soltanto fare atto di presenza e fingere di essere felice per loro».
«Quella è una delle poche cose che non dovrò fingere, Plutarch» gli dico.
Ed è vero. Sono felice che almeno per uno di noi due le cose vadano bene e che possa essere felice. Ricordo ancora quant'era distrutto, come me, quando Annie non era al suo fianco e come, invece, sembrava una bambino quando ha potuto riabbracciarla. Sarà un matrimonio grandioso.

Plutarch sta ancora organizzando il matrimonio che si terrà tra una settimana, mentre io e Johanna ci siamo sistemate nella nuova abitazione, che è davanti a quella di mia madre e di Prim. Probabilmente non si fidano del fatto che ci terremo d'occhio a vicenda e quindi hanno deciso che mia madre sarebbe potuta essere un punto di riferimento.
La notte continuo a svegliarmi in preda agli incubi e spesso non riesco a riprendere sonno. Rimango sveglia al buio, tenendo tra le mani la perla che mi ha regalato Peeta, appoggiandola alle labbra e ricordando i nostri ultimi momenti insieme. Vorrei rivederlo, ma non da dietro un vetro. Non si fidano però a farmi entrare. Ed io non ho avuto il coraggio di chiedere un incontro. Peeta potrebbe farmi del male ed ora devo pensare che facendo del male a me lo farà anche al feto. Pochi giorni fa, Haymitch mi ha dato l'okay per osservarlo, non lo volevo, ma alla fine la curiosità ha preso il sopravvento e l'ho seguito. Mi sono seduta dietro il vetro riflettente insieme ai dottori che prendevano ossessivamente nota di tutto ciò che accadeva nella stanza. C'è Delly con Peeta e stringo i pugni, conficcandomi le unghie nella carne per non scattare, entrare nella stanza, e portare via Delly di peso. Gli ormoni, mi sono detta. Perché io non sono una persona così gelosa. Non nei confronti di Peeta, non di Delly che è una ragazza assolutamente dolce e simpatica. Sono come fratelli, ma Gale dice che io penso a lui come un fratello eppure mi aveva dato fastidio la bontà di Madge e Gale dice di amarmi, quindi come posso essere sicura che Delly non ami Peeta? Se così fosse, Peeta potrebbe innamorarsi di lei ora ed io rimarrei da sola con un bambino che nemmeno voglio. Ma anche se Delly fosse solo sua amica, non significa che Peeta farà da padre a nostro figlio visto e considerato che è fermamente convinto che sia di Gale.
«Parlagli della gravidanza di Katniss». Inarco un sopracciglio sentendo Haymitch parlare. Poi volto lo sguardo verso Delly che deglutisce, un po' preoccupata.
«Non potrebbe attaccarla?» Chiedo avvicinandomi al vetro per avere una visuale migliore.
«No. Il massimo che fa, di solito, è cercare di convincerla che sei un ibrido». Mi risponde tranquillo, come se ciò non dovesse assolutamente ferirmi.
«La pancia di Katniss è sempre più evidente», afferma lei, sorridendogli.
Vedo Peeta irrigidirsi un attimo, «mi ha detto che era incinta. Gale è contento?» Continua con questa assurda idea che io debba essere andata a letto con lui. Probabilmente non ci sarà modo per fargli capire che è suo figlio.
«Oh, ma non è di Gale. Mi hanno detto che hanno litigato. Gale ci è rimasto malissimo che Katniss avesse scelto te».
Peeta inarca un sopracciglio prima di iniziare a ridere di gusto, «per uccidermi, magari».
Sento gli occhi bruciare e chiedo a Haymitch come fa a sapere che avevo avuto una discussione con lui, anche se poi abbiamo fatto pace, più o meno. Lui dice che gliel'hanno riferito, ma io sono certa che ci siano pettegolezzi in giro per tutto il Distretto di cui io non sono a conoscenza.
«Katniss non vuole ucciderti, Peeta. Se solo le dessi una possibilità... penso che potresti innamorarti di nuovo di lei», ridacchia un attimo, poi continua. «Ricordo il modo in cui mi parlavi di lei. Era tutto il tuo mondo e non riuscivi nemmeno a rivolgerle parola».
«Ero stupido, Delly. Lei pensa solo a se stessa e... hai visto? Ha distrutto il 12».
Mi domando come hanno fatto ad inculcargli nella testa tutte quelle cose assurde. Lo so che hanno utilizzato il veleno degli aghi inseguitori, ma ci sono ricordi che non riesco a modificare in peggio nemmeno se ci metto tutta la mia buona volontà, e ci ho provato.
«Non ha distrutto il 12! È stato Capitol City, te lo assicuro. Io ero lì». Peeta prova a dire qualcosa, ma Delly non gli dà il tempo, «fatto sta che Katniss è incinta e tu sei il padre perché ha fatto l'amore solo con te. Non sei il tipo da non prenderti le tue responsabilità. Sei il padre e dovrai crescere quel bambino con lei, che tu lo voglia o no».
Sono curiosa di sentire la risposta di Peeta che, stranamente, tarda un po' ad arrivare, come se stesse cercando di immaginarsi un futuro con me ed il bimbo. E magari è proprio così.
«Hai ragione. Se è mio figlio, lo porterò lontano da lei».
Esco dalla stanza e Haymitch mi è dietro, gli occhi mi bruciano. Non perché mi sento ferita da quelle parole, alla fine, posso accettare il fatto che me lo porti via. Con Peeta sarebbe al sicuro, ma non voglio che vada via da me, anche se già è scivolato via, se non è più lui. Ho sicuramente sperato che questo bambino potesse avvicinarmi nuovamente a Peeta, ma non è possibile e un po' mi rincuora il fatto di non dover crescere questo bimbo io.
«Sono cose che dice ora, Katniss. Lavoreremo ancora con lui e per quando nascerà il pargolo forse non scapperà da te». Scrollo le spalle in risposta e mi accingo a tornare all'ospedale.
Da quel giorno non ho più chiesto di vederlo e quando Haymitch mi dice di andare a spiarlo dal vetro riflettente affermo che non voglio, anche se invece è così. Ma ho paura di vederlo perché, anche se davanti a me ho Peeta, so che non c'è lui dentro. È un'altra persona. Non è il ragazzo che voleva proteggermi dalla morte, che mi ha abbracciato stretta, che mi ha baciato come se fossi di vetro, con la paura di rompermi. Solo ora mi accorgo di quanto mi manchi il ragazzo innamorato. Era la mia costante e non me ne sono nemmeno resa conto sino ad ora.

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Buongiorno! Eccoci con il nuovo capitolo! :3 Spero non vi abbia deluso. In chat, la mia poverah mogliah Pavonessah del mio cuoreh si deve sorbire i miei scleri su quanto questa storia non mi piaccia per niente. Poverah carah! XD Grazie che mi sopporti :* I love you so much! E leggete Clock che è bellissima, mica come questa cosa qui! ♥
Anyway, in questo capitolo vediamo una Kitkat gelosa di Delly. Gli ormoni. Certo, cuoreh. u.u Spero di non aver deluso le vostre aspettative. So che avreste voluto vedere un loro riavvicinamento, ma ancora è troppo presto e non è detto che ci sarà in futuro. Chissà. Peeta è un diciassettenne, povero cuoreh. Non penso farebbe i salti di gioia nemmeno da non torturato se qualcuno gli dicesse che diventerà padre. Ma vabbè.
Grazie mille per tutte le recensioni, le preferite, le ricordate e le seguite! :)
Ci vediamo domani con una song-fic OS *0* E lunedì col prossimo capitolo di questa long! :)
Bacioni
Deb

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Capitolo 7
*** Capitolo VI ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo VI


Assistere al matrimonio di Finnick ed Annie è come se fosse una terapia. Sono davvero felice per loro ed è bello notare le differenze che ci sono tra un matrimonio del Distretto 12 e uno del 4. Abbiamo tradizioni diversi, ma la felicità è la stessa. Vedo gli occhi di Finnick brillare ed osserva Annie con amore, come... come Peeta guardava me, in passato. Annie è stata con lui tutto il tempo, non si è persa, non ha mai avuto occhi vacui e non ha mai portato le mani sopra le orecchie. Sembra che finché Finnick le stringe la mano, vada tutto bene.
Non mi dispiace che, quando Finnick viene verso di me, Annie è al suo seguito senza mai lasciare le dita del marito.
«Congratulazioni a tutti e due». Dico abbracciando prima uno e poi l'altro. E lo dico davvero, non sto fingendo. Sono perfetti insieme, si completano ed i loro sorrisi lo confermano.
«Grazie». Fa una piccola pausa, «scusami se non sono mai venuto a trovarti».
Sorrido e scrollo la testa. «Avevi cose più importanti da fare».
Finnick non si complimenta con me per la mia gravidanza. Lui sa che non è cosa di cui andare fieri, non ora, almeno. In un futuro, magari, sarebbe stata una cosa per cui gioire, ma non adesso, soprattutto se sei la ghiandaia imitatrice.
Annie si scusa con noi e raggiunge un piccolo gruppo di persone con cui instaura una discussione. Di tanto in tanto volta lo sguardo verso di noi per vedere se suo marito è ancora lì, forse ha paura che possa scomparire.
«Mi dispiace per Peeta. Dev'essere dura». Non ho voglia di parlare di questo, ma so che Finnick mi capisce perché anche lui ha provato la paura di perdere Annie, proprio come io la sto vivendo in questo momento.
«Più che altro sono terrorizzata dal bambino con tutte le implicazioni al seguito. Lui, Peeta, me. Non volevo avere figli». Ammetto sinceramente, stringendomi le braccia al petto. «Non so se saremmo in grado di crescerlo. Non so se sarò viva per farlo e non so se Peeta lo amerà o se tenterà di ucciderlo essendo il figlio dell'ibrido».
«Non abbandonare mai la speranza, Katniss. Peeta tornerà da te».
Alzo lo sguardo per guardarlo negli occhi e provo a sorridergli. Lui è ottimista perché ha Annie, ma ricordo bene come si sentiva quando non era con lui. Aveva problemi di concentrazione, crisi ed andava avanti con i sedativi. Ora sembra una persona nuova, non è più l'ombra di se stesso. È tornato il Finnick che ho conosciuto alla parata: carismatico e sexy. Sono contenta per lui, ma mi dà un po' fastidio tutta questa positività, quando non posso permetterla. Devo pensare al peggio, così da essere preparata psicologicamente quando il futuro non sarà certamente a mio favore, ma non lo è mai stato in fondo, anche se tutti cercano di consolarmi, di dirmi che non sarò da sola, che Peeta sarà al mio fianco. Persino Primrose l'ha dichiarato. Mi ha stretta e mi ha detto di non darlo per spacciato.
Finnick mi accarezza la pancia, con un sorriso, prima di tornare da Annie, con la quale si mette a roteare per la stanza, in una danza dolce e ritmica. Non riesce a nascondere l'ilarità. La serata trascorre così, tra risa e balli. Hanno convinto pure me a ballare un po'. Si divertono tutti, anche perché nel Distretto 13 mi sa che non c'è mai una festa o qualcosa da festeggiare e quindi sono tutti più che entusiasti di quella festa che potrebbe andare avanti tutta la notte, se non fosse per l'ultimo evento programmato da Plutarch per il pass-pro. Qualcosa di cui non sapevo niente, ma che del resto doveva essere una sorpresa.
Quattro persone fanno uscire da una stanza laterale un'enorme torta nuziale. La maggior parte degli ospiti indietreggia per lasciar passare quella rarità, quell'abbagliante creazione con una glassa di onde verdi-azzurre sormontate di bianco, fra le quali si affollano pesci e barche a vela, foche e fiori marini. Ma io mi apro un varco tra la folla per avere la conferma di ciò che sapevo sin dalla prima occhiata: come è certo che i punti del ricamo sull'abito di Annie sono stati fatti dalle mani di Cinna, è altrettanto certo che i fiori glassati sulla torta sono stati fatti da quelle di Peeta.
E non ha perso il suo tocco, quel dolce è superbo e sono sicura che sia altrettanto buono.
Haymitch mi si affianca e, dopo esserci allontanati dalle telecamere, mi racconta di come per Peeta, fare quella torta, sia stata una terapia - come lo è per me vedere la felicità degli sposi -, poi sussulto quando afferma che Peeta vorrebbe vedermi. A quanto pare sta meglio e vuole parlarmi. Forse sono riusciti a fargli capire che non sono un ibrido, che sono Katniss, quella che ha tirato fuori le bacche per suicidarsi insieme visto che non potevamo vincere tutti e due gli Hunger Games. Forse potrei cercare di essere veramente positiva questa volta, posso sperare che torni davvero da me. Me lo ripetono sempre tutti, alla fine.
Quando entro nella sua stanza, dopo la mezzanotte, vedo che i suoi polsi sono legati come la prima volta che l'ho incontrato faccia a faccia, quando gli ho dichiarato che sono incinta.
I suoi occhi incontrano i miei e noto il modo in cui mi stanno studiando, forse per capire se sono un pericolo o meno.
«Mi hanno detto che volevi vedermi». Dico, avvicinandomi un po', ma lasciando una certa distanza di sicurezza.
«Si comincia a vedere la pancia». Afferma, senza staccare gli occhi di dosso dal mio ventre.
Annuisco, «sì. Sono entrata nella dodicesima settimana, mi hanno detto che tra pochi giorni mi faranno un'ecografia per vedere se sta effettivamente bene».
«Delly dice che è mio, ma io non riesco a crederlo. Non può essere mio, vero?»
Vorrebbe una conferma che io non posso dargli, perché è suo e non potrebbe essere di nessun altro.
«È tuo».
«Quindi mi ami?»
Quella domanda mi spiazza. Lo amo? Continuo a non capirlo. Di certo c'è stato qualcosa e non posso dire di non volergli bene. Darei la mia vita per la sua, ma sono innamorata di Peeta? Come posso capirlo ed esserne certa? È vero che ho voluto provare con lui qualcosa che non ho mai pensato che avrei fatto, ma non sono stata spinta dall'amore nei suoi confronti.
«Mi ami?» Ripete nuovamente, notando che non gli è arrivata alcuna risposta. «Tutti dicono di sì». Rispondo, allora, anche se sicuramente non è la risposta che si aspettava.
«Non ho chiesto cosa ti dicono gli altri, ma quello che provi tu nei miei confronti». «Io... non lo so». Avevo scelto Gale, poi sono andata a letto con Peeta, mi lasciavo stringere da lui la notte e sapevo che fosse ingiusto nei confronti di Gale, ma non ne potevo fare a meno.
«Ami Gale?»
«Probabilmente non amo nessuno». Affermo, infine, sperando di poter cambiare argomento. E succede. Peeta mi racconta di quando mi ha lanciato il pane, dicendo che quel ricordo non gliel'hanno toccato ed è vero perché si ricorda del dente di leone che ho raccolto il giorno successivo e quella è una cosa che non ho mai raccontato a nessuno, ma Peeta lo sa. Peeta mi stava guardando. Peeta mi stava già amando ed io non l'ho nemmeno ringraziato. Non ne ho avuto il coraggio, credevo che avesse avuto compassione per me, una piccola ragazza del Giacimento che aveva perso il padre.
«Devo averti amato molto», conclude con un sospiro. Di rammarico perché non riesce a trovare nuovamente il suo amore nei miei confronti?
«È vero», gli rispondo, tenendo a freno l'impulso di abbracciarlo. Non posso farlo, potrebbe irrigidirsi, attaccarmi e far del male al bambino. «Se ti può aiutare, sono stata contenta che... sì, insomma, di quel giorno. Sei stato dolce, mi hai... amato e poi abbiamo visto il tramonto».
«Il tramonto?»
«Sì, sul tetto. Credevamo sarebbe stato il nostro ultimo tramonto, che a te piacciono tanto».
«Mi piacciono i tramonti?» Non se lo ricorda?
Annuisco, «l'arancione dei tramonti. È il tuo colore preferito».
Vedo Peeta cercare di ricordare qualcosa, forse proprio quel giorno, ed il mio stomaco si contorce quando mi assale il pensiero che Peeta non ricordi come l'abbiamo trascorso. Insieme, come due veri innamorati. Ma so che lo ricorda, anche se in modo errato. Non è giusto. L'hanno distrutto. L'hanno portato via da me. Involontariamente faccio qualche passo avanti, con l'intenzione di abbracciarlo veramente, ma le urla di Peeta mi bloccano appena in tempo. Mi insulta, mi dice che gli sto raccontando un sacco di frottole ed un dottore entra nella stanza dicendomi di andare via. Lo guardo un'ultima volta, con gli occhi lucidi, prima di richiudermi la porta alle spalle.

Questa mattina, Johanna mi desta dal mio sonno con i suoi soliti modi, lanciandomi insulti a tutto spiano.
«Oggi comincio l'addestramento, idiota». Afferma indossando la tenuta del Distretto 13. «Tu hai l'ecografia».
È vero e me n'ero anche dimenticata. Mi isso a sedere e la osservo indossare le scarpe.
«Ti ho svegliata stanotte?» Domando, sentendomi in colpa. La gola mi brucia un po', quindi credo di aver urlato. Sono sicura però che anche lei abbia difficoltà a dormire; a volte, quando mi desto, la trovo sveglia e pimpante. Una volta stava pulendo il pavimento, pur di tenersi impegnata.
«Quando mai non mi svegli?»
Continuo ad osservarla, mentre l'incubo della notte mi ritorna in mente. Sono nel Distretto 12, nel Villaggio dei Vincitori. Tengo in braccio un piccolo fagottino e canto per lui, cullandolo lentamente. Sono da sola e quando guardo il volto del bambino, scopro che non sto cullando lui, ma una scimmia dei settantacinquesimi Hunger Games che velocemente salta via per affondare gli artigli e i denti nel petto di Peeta che è appena entrato in casa con le pupille totalmente dilatante, urlando che sono un ibrido e che il mio bambino ne è una prova schiacciante.
«Voglio che Peeta sia presente all'ecografia», dico.
«Non devi certo dirlo a me, stupida. Vai da Haymitch, o direttamente da Peeta e portalo con te».
«E se non volesse venire?»
Johanna sbuffa, «senti, non sono il tuo strizzacervelli». Sento la porta chiudersi e capisco di essere rimasta da sola. Mi alzo in piedi e mi spoglio dai vestiti, buttandomi sotto la doccia. Essendo incinta non ho alcun programma stampato nel braccio e l'unica cosa che ho da fare è l'ecografia. Dopo essermi asciugata e rivestita, lascio anche io la stanza, diretta a parlare con Haymitch. Sicuramente mi metterà in guardia su quanto possa essere pericoloso avere Peeta al mio fianco, ma, anche se mia madre e Prim saranno con me, voglio che ci sia anche lui. Non voglio vedere quella creaturina da sola. Deve vedere suo figlio con i propri occhi. Magari potrebbe aiutarlo in qualche modo, mi convinco.
Mentre cammino verso l'ospedale, incontro Gale che mi saluta, ma non si ferma a parlarmi. L'ho notato guardarmi la pancia che è sempre più evidente ora che sono entrata nella tredicesima settimana. So che lui andrà a Capitol City, mentre io sono rinchiusa qui sotto da così tanto tempo che mi sembra infinito. A volte sono riuscita a farmi accordare un permesso per fare due passi in superficie, a volte giriamo lassù i pass pro ed ogni volta è una goduria respirare aria fresca. Mi chiedo se Peeta sia mai andato in superficie da quando siamo qui, magari con Delly. Improvvisamente ho voglia di chiedere un permesso per poter uscire a fare due passi con Peeta, magari con qualche guardia al seguito, visto che non lo lasciano mai da solo. Soprattutto con me.
Alla fine è Haymitch a trovare me, perché, a detta sua, Peeta se ne è uscito con una strana richiesta e cioè ha detto che, visto che continuo ad affermare che è suo figlio, vuole essere presente all'ecografia quando ci sarà. Vuole vedere il bambino anche lui.
«Sono d'accordo con lui». Affermo. «Ti cercavo proprio per chiederti se potesse essere presente».
«Con lui ci saranno guardie, dolcezza».
«Lo so, non importa. Ho pensato che Peeta, il vecchio Peeta, avrebbe voluto esserci». Dico, abbassando lo sguardo. Non mi avrebbe lasciata sola se non fosse stato depistato, mi sarebbe rimasto vicino tutti i giorni, probabilmente ci avrebbero destinato una stanza solo per noi e ammetto che l'idea non sarebbe stata nemmeno male, visto come riuscivo a dormire meglio con lui vicino. A volte riuscivo a non avere nemmeno incubi.
«Sì, ne sono certo anche io. Bene, dirò di prepararlo. A che ora hai la visita?»
«Tra un'ora e mezza».

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Buongiorno! Eccomi qui! Scusatemi se non ho risposto alle recensioni. Vi ringrazio tantissimo qui, poi appena posso corro a rispondervi! ♥ Purtroppo non ho avuto modo e sono anche influenzata un po'. :'( Perdonatemi!
Grazie a tutti per le vostre bellissime parole, per le preferite, le seguite e le ricordate.
Spero che anche questo capitolo vi piaccia, ed ora scappo che sto tossendo e non riesco a scrivere! T0T
Bacioni
Deb

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Capitolo 8
*** Capitolo VII ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo VII


Prim è seduta al mio fianco, mi stringe una mano e mi ripete che andrà tutto bene. Che sarà una grande emozione vedere il bambino e che hanno acconsentito a stampare le foto. Chiedo perché dovrebbero farlo e mi risponde che era una tradizione di un tempo. Stampavano sempre le foto dell'ecografia, la prima foto del bambino. Io trovo che sia alquanto stupido, ma non faccio ulteriori domande. Sarà una tradizione del Distretto 13.
Mi volto quando riconosco il passo rumoroso di Peeta. Due guardie sono al suo fianco e le manette gli stringono i polsi. Ha lo sguardo serio ed anche un po' truce e prima di avvicinarsi ulteriormente a noi si ferma per scrutarmi un attimo.
«Sei nervosa», ammette e per un attimo mi sembra che riesca a leggermi dentro, come faceva in passato, quando mi sembrava che sapesse cosa stessi pensando, anticipando le mie domande. Annuisco.
«Ciao, Peeta». Prim si alza quando lo faccio anche io e lo saluta, con un sorriso sulle labbra. Lui ricambia tranquillo e questa è la conferma che è diverso e sospettoso soltanto nei miei confronti.
Quando mia madre esce dalla stanza per farci accomodare, non può fare a meno di guardare Peeta di traverso. Le vorrei dire di non farlo, che potrebbe avere un episodio ed attaccarmi, ma lui abbassa lo sguardo e, quando le passa vicino, sussurra un «mi dispiace». All'inizio non capisco, poi mi torna in mente come mia madre non fosse contenta della nostra (finta) relazione perché ero troppo giovane per avere un ragazzo, figurarsi un figlio.
Mi fanno sedere su una lettiga e mi tirano su la maglia, scoprendo la pancia ormai un po' fuori misura, con alcune smagliature di contorno. Prim mi ha detto che è normale che comincino a comparire e che devo stare attenta alla dieta, poi non l'ho ascoltata più. Mi sembra ancora così assurdo avere questa cosa dentro di me. E se fosse davvero un ibrido? E se avessero combinato qualcosa per farmi rimanere incinta in qualche modo e non è nemmeno figlio di Peeta? È possibile?
Noto Peeta osservarmi, è al mio fianco, ma sembra non avere intenzione di attaccarmi, sembra tranquillo, o forse si sta sforzando perché è curioso di vedere le immagini di nostro figlio. Forse, finché sono gravida, non tenterà di uccidermi, ci penserà poi, magari dopo aver partorito, così da essere sicuro che non possa far del male a lui ed al bimbo. Non posso fare a meno di pensare che la sua calma sia una tattica, come nell'arena, quando aveva stretto un'alleanza con i Favoriti per proteggermi. Ora ha stretto una tacita alleanza con me, prima di voltarmi le spalle per attaccarmi. E sono sicura che lui stia pensando esattamente lo stesso di me. Anche se io non potrei mai pensare di ucciderlo.
Si irrigidisce un attimo, allungando le braccia. Io mi ritraggo e le guardie lo placcano subito, prendendolo per gli avanbracci. Peeta guarda prima uno poi l'altro. «Volevo solo accarezzare la pancia, scusate».
Sentire quelle parole mi crea un senso di colpa. Finnick l'ha accarezza, Johanna, Prim, mia madre, ma non il padre del bambino.
«Lasciatelo». Ordino e, con cautela, gli prendo la mano con la mia. Vedo i suoi muscoli tendersi, ma si concentra per non ritrarre la mano che appoggio sulla mia pelle. Prim è pronta a scattare se facesse qualcosa che non deve fare, ma l'unica cosa che noto sono i suoi occhi brillare per un attimo e mi sento stranamente bene, tranquilla. Sentire il suo calore su di me, mi fa sentire protetta, anche se so bene che, nelle condizioni in cui è ridotto, dovrei essere terrorizzata dalla sua vicinanza.
Indugia sulla mia pancia per un po', poi la toglie con malavoglia quando mia madre si avvicina a me con un contenitore strano.
«Sentirai freddo», mi dice prima di premere la plastica sotto le sue dita facendo cadere una gel sul mio ventre. Mi concentro nell'osservare l'espressioni di Peeta che, con la curiosità negli occhi, mi tranquillizza, ma lui ha avuto sempre questo effetto su di me. Ed il pensiero che finita questa visita ci divideremo nuovamente, mi fa star male. So che comunque questa nostra piccola convivenza sia solo un palliativo, non c'è niente di vero. È tutta una finta, ma mi crogiolo lo stesso in essa perché non ho altro a cui aggrapparmi. Sgrana gli occhi quando il monitor davanti a noi da nero si colora di tonalità di grigio, mi volto anche io ed osservo quelle linee e quelle sagome che non riesco a comprendere. Dove sarebbe il bambino? Non ci si capisce nulla. Mia madre continua a muovere l'ecografo da una parte all'altra della mia pancia, non sento più nulla, non mi accorgo di niente, sono completamente concentrata a cercare di capire quello che il display rimanda. Inizialmente non mi accorgo nemmeno di aver stretto la mano di Peeta e che lui abbia cinto la mia a sua volta e quando lo faccio, continuo a far finta di nulla. Non voglio interrompere quel momento per guardarlo in volto o per osservare le nostre mani strette, potrebbe scansarsi. Mi rilassa sapere che involontariamente voglia sentirmi vicino, voglia comunque proteggermi. Significa che forse dentro di lui c'è ancora una piccola parte che sa che non potrei fargli del male, e devo aggrapparmi a questo. Alla speranza. Al non darlo per spacciato, come Prim mi ha detto. Lui è ancora lì, da qualche parte ed io devo aiutarlo a non perdersi dentro il labirinto che è diventata la sua mente. Devo stargli vicino, anche se comporterebbe essere sempre in pericolo. Ma ora so che non farebbe del male al feto, non potrebbe perdonarselo, quindi significa che non farebbe del male nemmeno a me che sono l'incubatrice di suo figlio. Ho deciso che, finché non partorirò, cercherò di farlo tornare da me. Di fargli capire che sono innocua e che l'unica cosa che voglio è che torni quello di un tempo e non la pedina che Capitol City ha creato per farmi spezzare.
«Okay». Mi volto verso l'uomo che ha parlato. È un dottore del 13 e non mi sono accorta del suo arrivo. Si avvicina al monitor, mentre parla con noi. È grande circa sei centimetri e la cosa stranamente mi sconvolge. È una cosa minuscola. Con l'altra mano, quella Peeta non mi stringe, ma che, per via delle manette, è vicina all'altra, mi accarezza il dorso della mano scoperto e mi chiedo se se ne renda conto. Probabilmente no, visto che è ancora intento a guardare il monitor come se non esistesse nient'altro, nemmeno io.
Alla fine, mia madre mi pulisce dal gel e mi fa scendere, guardo un attimo Peeta, in silenzio che non capisce cosa voglia. Così indico le nostre mani e lui si scosta velocemente, indietreggiando di qualche passo come se ora capisse di essersi lasciato andare e di aver commesso un terribile gesto.
«Portatemi via». Esclama alle guardie che annuiscono.
«Ti porterò le foto, se vuoi». Gli dico prima di vederlo uscire dalla porta.
«Come ti pare».
Rimaniamo da sole io, mia madre, Prim ed il dottore che mi dà un foglio nel quale c'è scritto che dovrò ripetere. Mi porge anche un piccolo plico, dicendomi di leggerlo e che mi aiuterà durante la gravidanza. Annuisco, facendo finta di essere interessata quando invece non mi interessa tutto quello, ma soltanto lo stato mentale di Peeta.
Prim mi abbraccia e sembra essere entusiasta di diventare zia. Non mi giudica come invece ha fatto Gale, è contenta, o almeno non mi dà alcuna colpa. Pochi giorni fa mi ha persino detto che lo sapeva che prima o poi io e Peeta avremmo dato alla luce un figlio perché era impossibile che io recitassi, lo leggeva nei miei occhi, ma ero troppo occupata a pensare ad altro invece di capire che sono effettivamente innamorata di lui. La verità è che ancora non sono sicura di esserlo e, quando gliel'ho fatto presente, ha ammesso che lo sospettava e dà la colpa di ciò alla gravidanza. Dice che non riesco a fare chiarezza nei miei sentimenti perché ho paura che lui possa non amarmi più e che quindi mi autoconvinco di non sentire nulla. Non so se abbia effettivamente ragione, ma non posso fare a meno di non ascoltarla, di pensare che sia più matura di me sotto il punto di vista dei sentimenti e che forse dovrei darle ascolto ed ammettere che non ho mai amato Gale, anche se gli voglio un gran bene, ma che amo Peeta. Primrose dice che gli opposti si attraggono, che Gale mi è troppo simile e che invece Peeta è la persona che mi completa, che mi capisce, che mi protegge e con la quale io possa avere un vero futuro. Mia madre, invece, dice che non dovrei pensare a queste cose perché sono troppo piccola e che accetta la cosa soltanto perché la storia degli sventurati amanti mi ha salvato la vita nell'arena.

Rigiro tra le mani le foto dell'ecografia. Il dottore mi ha indicato il punto dove si trova il bambino, ma più lo guardo e più penso che sia un ibrido. Potrebbe esserlo, se non sapessi che ancora si deve formare. La testa è sproporzionata rispetto al corpo, ma con il tempo questa condizione dovrebbe scomparire. Spero che prima o poi guardare queste foto non mi terrorizzerà più come ora.
«Cos'è?» Domanda Johanna strappandomi le foto dalla mano.
«Come è andato l'addestramento?» Chiedo io, senza risponderle.
«Sono cotta. Se stanotte mi svegli sappi che ti ucciderò, non mi importa del tuo stato interessante. Sarai morta!» Risponde, continuando ad osservare le linee grigie. Sembra non capire cosa sia, poi sgrana gli occhi. «È il bambino?»
Annuisco. «Qui nel 13 ti stampano persino le foto da portare a casa».
Sento la sua risata e la sua esclamazioni di quanto sia stupido tutto quello. «Devono proprio essere in carenza di neonati se stampano le inutili foto dell'ecografia».
Scrollo le spalle, «nel 12 nemmeno esistevano l'ecografie».
«Credo che non esistessero in nessun Distretto, se non qui e a Capitol City». Fa una pausa e incrocia le gambe sul letto, «poi il ragazzo innamorato non più innamorato è venuto con te?»
«Sì. Anche lui voleva assistere ed ha chiesto il permesso a Haymitch».
«Oh! Ma che carini che siete!» Esclama sarcastica.
«Mi ha stretto la mano senza rendersene conto. Mi sembrava che ci fosse il Peeta che conoscevo», ammetto con la voce che tradisce la mia emozione.
Johanna non mi risponde, mi osserva per un po', poi sospira. «Quando eravamo prigionieri ti pensava sempre. Eri la sua forza, dopo un po' ha cominciato ad imprecare contro di te, ma una parte di lui sarà sempre innamorato dell'idiota che sei».
Sgrano gli occhi capendo che mi vuole consolare, che sta cercando - anche lei - di donarmi speranza. Io non le ho mai chiesto del suo periodo di prigionia, ho pensato fosse troppo doloroso farle tornare alla mente quel periodo. Io non l'avrei voluto fare, ma Johanna, oggi, ha parlato di sua spontanea volontà riuscendo a darmi davvero speranza perché lei era lì, con Peeta, per tutto il tempo.
«Domani andrò da lui a fargli vedere le foto. Credo che fosse emozionato».
La vedo sorridere, «alla fine se l'è tirata da solo la storia della gravidanza, raccontandola a Ceaser, anche se sperava che ti facessi una vita con Gale». Si ferma una attimo per guardarmi, «siete due perfetti idioti. Avete sprecato del tempo prezioso, lui con la sua idea che tu amassi follemente Gale quando le tue azioni dicevano il contrario, basti pensare che ora porti in grembo suo figlio e te... con la tua autocommiserazione di non volere nessuno vicino, tantomeno Peeta, quando invece lo ami alla follia, tanto che noi abbiamo dovuto proteggere lui per poter proteggere te».
Mi stringo nelle spalle e comincio seriamente a pensare che forse hanno ragione loro, che ho sempre amato Peeta, forse dal momento che l'ho ritrovato vicino al ruscello dell'arena, e che abbia cercato in tutte le maniere di non rendermene conto. Ma ora è troppo tardi per redimersi ed è inutile pensare se l'amo o no. È lui quello che non mi ama più e se mi ama è troppo in profondità da riuscire a riportarlo in superficie.

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Buongiorno! Sono di frettissima che devo andare dal dentista D:
Spero che il capitolo vi sia piaciuto. Una parte di Peetyno vuole stare vicino a Kitkatina, peccato che nessuno stia vicino a lui che… be’, non è felicissimo nemmeno lui del bimbo, sappiatelo. E come al solito Kitkat è presa dalle sue pare di come lei stia. Mi sembra giusto. Povero Peety.
Scusate se ancora devo rispondere alle recensioni, ma questo periodo è un po’ incasinato e non ho fatto in tempo :( Ma le leggo sempre e vi ringrazio tantissimo per il vostro supporto. Appena riesco a stare un po’ al pc con calma, vi prometto che vi risponderò :)
Vi ringrazio tantissimo anche per tutte le preferite, ricordate e seguite!
Scappo! T0T
Baci
Deb

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Capitolo 9
*** Capitolo VIII ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo VIII


Quando mi ritrovo nella stanza insieme a Peeta, noto una differenza sostanziale: non è legato a nessuna lettiga. Indossa le manette, come il giorno precedente e le solite due guardie sono al suo fianco, pronte ad intervenire se fosse stato necessario. Io non mi lamento, preferisco vederlo così che completamente immobilizzato.
Mi avvicino a lui, lentamente, facendogli vedere che in mano ho soltanto le foto dell'ecografia. Allunga le braccia ed osserva il feto con un sorriso tra le labbra, ma non è il suo vero sorriso, lo sembra, ma c'è sempre quel non so cosa che mi fa capire che è propriamente lui.
«Posso tenerle io?» Domanda, incontrando il mio sguardo. È limpido e le pupille sono normali, non sono dilatate ed i suoi occhi azzurri non hanno alcun barlume di pazzia o di dubbio. Annuisco, stringendomi un po' nelle spalle. Non ho certo bisogno di quelle foto visto che quando le guardo vorrei scappare via, se solo non sapessi che quella cosa è dentro di me e quindi andrebbe dove vado io.
«Come stai?» Provo a domandare, tenendo sempre una distanza di sicurezza.
«Bene. I dottori dicono che sto migliorando. All'inizio non capivo, non sono io ad essere sbagliato. Sei tu l'ibrido di Capitol City, poi mi hanno fatto vedere un video, ieri pomeriggio. C'era Delly, e ho visto la mia pazzia. Sono io il mostro, non tu, Katniss».
Sussulto sentendogli ammettere che sa di avere qualcosa che non va. «Vedrai che, con il tempo, starai sempre meglio». Dico, sperando di fargli piacere, ma lo vedo negare con la testa.
«Non credo accadrà mai».
Mi mordo il labbro inferiore e penso bene a cosa poter dire in seguito, ma l'unica cosa che mi viene in mente è parlare del bambino. «Sono sicura che sarai un padre fantastico».
Peeta prova a sorridere, ma assomiglia di più ad un ghigno. «E se invece impazzissi mentre lo tengo in braccio? E se...»
«Non mi sembra sia il caso di pensarci ora. Una cosa per volta. Io continuo a pensare che sarai un padre perfetto, al contrario di me». E non sto mentendo. L'ho sempre pensato. Ho sempre pensato che Peeta, in futuro, sarebbe diventato papà, ma non di miei figli, magari si sarebbe sposato con qualche bella ragazza del Distretto 12, mentre io avrei continuato a prendermi cura di Prim, di andare a caccia e barattare le mie prede. Sarei rimasta da sola per tutta la vita. Non ho mai creduto che per me sarebbe stato un brutto futuro, è sempre stato quello che volevo.
Peeta non risponde, ma so che se non fosse depistato mi consolerebbe dicendo che anche io sarei stata una brava madre. Ma so che non è così. Non potrò esserlo, ma non importa. Peeta compenserà questa mia mancanza per tutti e due.
«Se non ti disturba, vorrei che mi venissi a trovare più spesso. I dottori sono d'accordo, magari se stiamo più a contatto potrei cominciare a pensare meglio di te».
Annuisco con foga, «sì, d'accordo. Tutti i giorni, verrò tutti i giorni». Mi affretto a dire. E vedo spuntare nel suo volto un vero sorriso per la prima volta. Le mie guance vanno a fuoco, ora, perché mi accorgo di essere stata troppo entusiasta della cosa, ma è proprio quello che voglio. Stargli più vicino per poter provare ad avvicinarlo nuovamente a me.
E così faccio. Ogni giorno, sempre alla stessa ora, mi rifugio nella sua stanza, insieme a lui, sapendo bene che una staff di medici ci osserva e prende appunti, ci filma e riguarda i filmati per studiare i miglioramenti di Peeta. Cressida ha utilizzato persino alcune nostre riprese per poter creare nuovi pass pro dal titolo: il riavvicinamento o qualcosa di simile. Non mi importa, la sola cosa che conta è che possa aiutarlo a stare meglio. Siamo sempre sotto controllo, lui soprattutto, ma ormai può anche girare per il Distretto, l'importante è che abbia le guardie con sé. A volte ha delle crisi, degli episodi, che lo portano a cercare di attaccarmi, ma le guardie lo placcano sempre in tempo e le manette bloccano i suoi movimenti articolari. Delle volte l'ho scoperto premere i polsi con forza contro l'acciaio e quando ho cercato di fermalo, si è scostato dicendo quanto gli fosse utile. Non parliamo mai di noi, ma Peeta ha parecchia voglia di parlare del bambino, come chiamarlo, a chi assomiglierà, se sarà bravo a disegnare come lui o a cantare come me. Io non sono abile come lui nel parlare del bimbo, ma cerco di dargli corda, facendomi vedere un po' entusiasta della cosa, la verità è che ancora non riesco ad accettare l'idea di avere un figlio, anche se è di Peeta e se mi ha aiutato a riallacciare i ponti con lui. Il feto mi protegge dalle sue aggressioni. È capitato che urlasse contro di me dicendo che non può ancora uccidermi perché facendo fuori me, avrebbe distrutto una vita innocente. Altre volte, invece, sembra che torni il Peeta di un tempo, quello pronto a proteggermi o sviscerare a voce i suoi sentimenti verso di me. Lo vedo osservarmi, ma ogni volta che incontro il suo sguardo, lui si volta riportandomi alla mente a quando eravamo bambini e lo scoprivo a guardarmi.
La sera, quando torno nel mio alloggio, Johanna mi racconta come procede l'addestramento ed io le parlo dei progressi di Peeta. Ovviamente non le manca modo di prendermi in giro. Trascorrono così tre settimane durante le quali io mi avvicino un po' a Peeta e Johanna porta a termine l'addestramento.
Questa mattina ha l'esame finale che la renderà idonea al combattimento. L'accompagno, sperando che almeno lei possa trasferirsi a Capitol City per battersi anche per me. Trovo anche Gale fuori dall'Isolato, dove Johanna deve fare la prova. Da quello che ho capito è una riproduzione di un quartiere di Capitol City. Ci avviciniamo a Gale, non capisco per quale motivo sia lì, e ci saluta. Lui mi scruta una attimo, poi si concentra sulla mia coinquilina e le augura un in bocca al lupo. Non posso fare a meno di immaginare Johanna dentro la bocca di un ibrido, ma scaccio quell'idea perché non vorrei mai che succedesse realmente. Rimaniamo ad aspettarla ed alla fine, per spezzare quel silenzio imbarazzante, gli chiedo quando partiranno.
«Presto, domani o dopo domani». Risponde. Dal suo tono di voce comprendo che ce l'ha ancora con me e lo capisco. Ma vorrei poter far qualcosa per riportare le cose com'erano. È stato il mio migliore amico per così tanto tempo che non parlargli o non pensarlo mi sembra una cosa sbagliata.
«Torna sano e salvo». Sussurro, giocando con la mia treccia. Poi rimaniamo in silenzio, finché non vediamo dei medici portare su una barella una Johanna con le convulsioni.
«Che è successo?» Domandiamo all'unisono sia io che Gale, preoccupati. E capisco che Gale ha stretto amicizia con Johanna mentre io ero troppo presa nel pensare a Peeta. E Johanna non mi ha mai fatto parola di questo. Per certi versi mi sento tradita visto che le racconto sempre di come mi relaziono con Peeta, di quanti progressi ha fatto e so che probabilmente lei ne ha parlato con Gale, o forse no. Non conosco così bene Johanna da sapere se possa realmente fare una cosa del genere. Non devo saltare a conclusioni affrettate.
Quando arriviamo in ospedale, i dottori ci spiegano che non ha superato la prova e quindi non le daranno il lasciapassare per partire. Mi domando cosa sia successo di tanto spaventoso da non riuscire a passare l'esame, ma Gale deve averlo capito perché mi spiega che, quando è stata tenuta prigioniera, la torturavano con l'acqua e per questo motivo è crollata quando era dentro l'Isolato. Non posso a fare a meno di sentirmi indignata e offesa. Da una parte non riesco a perdonare il Distretto 13 per averla messa davanti alla sua paura. Sicuramente a Capitol City non troveranno problemi con l'acqua se non qualche acquazzone di pioggia. Secondo me lei sarebbe idonea a partire. Dall'altra parte mi dà fastidio che Gale sappia qualcosa di Johanna che io non so anche se dividiamo lo stesso alloggio. È vero che la nostra è un'amicizia strana e non so fino a che punto sia tale, ma non mi piace il fatto che preferisca parlare con Gale invece che con me. Sicuramente le loro chiacchierate includono spesso il mio nome e sono sicura che ogni volta volano degli insulti alla mia persona. Sospiro e controllo l'orologio. Ho un'ora di permesso per uscire in superficie ed i dottori hanno detto che Johanna non si sveglierà prima di un'ora e mezza. Stringo un braccio a Gale, trascinandolo fuori dalla stanza. Lui mi guarda dubbioso.
«Vieni con me nel bosco». Dico soltanto e so che vorrebbe saperne di più, ma non fa ulteriori domande. Mi segue, insieme ad altre due guardie facendomi sentire molto come se fossi pericolosa quanto Peeta, ed usciamo dal Distretto, inoltrandoci all'interno del bosco.
«Mi vuoi spiegare cosa siamo venuti a fare?» Chiede allora, esasperato. Io guardo gli alberi stagliarsi verso il cielo, li studio e continuo a proseguire finché non trovo un pino che potrebbe fare al caso mio.
«Nelle mie condizioni non posso arrampicarmi. Stacca un po' di aghi, per favore».
Gale inarca le sopracciglia e, non prima di aver tirato un sospiro, comincia ad arrampicarsi sull'albero da me scelto. È complicato scalare i pini, ma non impossibile. Il tronco è ruvido, ma i rami si stagliano parecchio in alto. Fortunatamente ne ho trovato uno abbastanza giovane e Gale, che è alto, riuscirà tranquillamente ad arrivare ai primi rami senza difficoltà.
Dall'ospedale ho rubato delle bende, stando bene attenta a non farmi beccare visto che nel Distretto 13 ogni spreco è severamente punito. Non so cosa avrebbero potuto farmi nelle mie condizioni se mi avessero visto rubare, ma fortunatamente non è successo, quindi non mi deve interessare. Con un balzo, Gale è nuovamente al mio fianco e mi mette nella mano le foglie. Appoggio le ginocchia a terra, stendendo le bende dove metto gli aghi. Unisco, lego il tutto e creo una piccola palla grande più o meno quanto una mela. La porto al naso e inspiro l'odore del Distretto 7, o almeno quello che credo essere il suo odore. Ci sono stata solo una volta, durante il tour della Vittoria ed ora non riesco a riportare alla mente il vero profumo, ma ricordo di aver visto parecchi pini.
Mi alzo e gli porgo il mio lavoro, «dallo a Johanna quando si sveglia». Dico avviandomi nuovamente verso il Distretto.
«Non puoi darglielo tu?»
Speravo non mi facesse quella domanda, ho paura che si possa arrabbiare, anche se non dovrebbe interessarmi cosa provi. «No. Devo andare da Peeta tra poco e volevo farmi una doccia prima».
Non mi rivolge più la parola. Quando rientriamo, lui si reca subito all'ospedale, mentre io mi dirigo verso il mio alloggio, prima di andare a trovare Peeta.

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Eccomih! Sono incasinatissima questa settimana, ma sono riuscita ad aggiornare! YAY for me! \0/
Anyway, parlando del capitolo, ho cercato di seguirlo lo stile Collinsiano dai riassunti smorti. Kitkat e Peety si sono un po' riavvicinati, passano il loro tempo insieme come terapia e non parlano mai di loro, chissà perché. Ma parlando del bimbo. Chissà perché?
Il fatto è che l'unica cosa che, ora, li accomuna. Peeta non vuole parlare con Katniss perché continua a non fidarsi minimamente di lei. Quindi cerca di parlarle, cercando un altro punto di contatto.
Vi ringrazio tantissimo per le recensioni, le preferite, le seguite e le ricordate ed ora devo scappare a scrivereh un'altra What if xD
Ah! Ultima cosa. Vi linko la pagina – che amo – della mia serieh preferitah: Colors. ♥ Baci
Deb

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Capitolo 10
*** Capitolo IX ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo IX


Prima di raggiungere Peeta, vengo fermata da Finnick che, un po' su di giri, mi annuncia che partirà ed è in squadra insieme a Gale. Afferma che il suo team è uno specchio per le allodole visto che li riprenderanno. Non combatteranno realmente, o almeno, non in prima fila come invece sarebbe giusto che fosse. Mi chiede anche cosa dovrebbe dire ad Annie. Ci penso un attimo su cosa farei io se fossi al suo posto? Alla fine gli dichiaro di dirle che andrà a Capitol City, per fare dei pass pro o qualcosa del genere, di non farla preoccupare inutilmente. Che non ci saranno pericoli.
Mi saluta con un abbraccio che contraccambio volentieri. «Se morissi, chiama tuo figlio con il mio nome». Lo dice ridendo, ma il mio cuore perde un battito. È vero, potrebbe morire e non ho minimamente pensato ad un'eventualità simile. Anche Gale potrebbe lasciarci le penne per combattere una rivoluzione di cui sono il volto e che ho praticamente fatto iniziare io. Do un colpetto sul suo petto.
«Non lo chiamerei mai Finnick», affermo sbuffando, «anche perché tu non morirai. Te lo proibisco, devi tornare da Annie».
Finnick mi sorride e mi abbraccia nuovamente, io decido di andare a trovare Johanna prima di recarmi da Peeta, poi gli spiegherò il mio ritardo. Sto per entrare quando sento Gale parlare.
«Katniss mi ha portato nel bosco per farti questo».
«Che cos'è?».
Busso, interrompendo quel momento. «Vedo che Gale ti ha dato... quello».
«Stavo appunto chiedendo cosa sia». Se lo rigira tra le mani e prova a studiarlo. «Annusalo». Ordino.
Si porta il fagotto al naso e lo annusa, esitante. «Sa di casa». Le lacrime le riempiono gli occhi.
«Era quello che speravo, dato che vieni dal 7 e tutto il resto» dico. «Ricordi quando ci siamo incontrate? Tu eri un albero. Beh, per poco».

La vedo stringere un polso di Gale, «deve morire». Dice e capisco perfettamente di chi stia parlando perché lo voglio anche io.
«Devi ucciderlo per tutte e due, Gale». Aggiungo, allora, osservando il suo profilo. I suoi occhi sono intenti a guardare Johanna fissa in volto.
«Se ce l'hai davanti, colpiscilo ed uccidilo». Continuo, girandomi e correndo via, lasciandoli soli perché ho capito quanto fossi di troppo. Non so di preciso cosa ci sia tra loro, ma sicuramente hanno instaurato una vera amicizia. Ha preso il mio posto.
Mi stringo la pancia quando arrivo davanti alla stanza di Peeta. Ho il fiato corto, ma non ho corso come sono solita fare. Quando mi riprendo busso e mi danno il via libera per entrare.
«Sei in ritardo». Dice, la voce lo tradisce un po', che sia stato preoccupato per me? Più probabilmente era in pena per il suo bambino, però.
«Sì, scusami. Sono andata da Johanna che è stata ricoverata un'altra volta», gli spiego.
«Sta bene?» È preoccupato e capisco che anche loro due si devono essere avvicinati durante la prigionia. E con Peeta siamo a due persone che sono entrate nella sua cerchia, escludendo me. Cerco di rimandare indietro l'irritazione e gli racconto l'accaduto, includendoci Gale e la nostra gita nei boschi, anche se ciò potrebbe infastidire lui, ma non mi dispiace l'idea. Forse l'ho fatto proprio per quello.
Peeta mi sorprende quando mi racconta di aver sentito gli urli di Johanna e che lei ha sentito i suoi, li avevano messi vicino proprio come punizione, e per forza di cose si consolavano a vicenda. Ne parla come se niente fosse, cioè, gli rimane difficile raccontarmi tutto quello, ma per il momento non ha avuto nessuna crisi ed è questo che mi stupisce. Forse è davvero migliorato da quando è arrivato.
«Se vuoi... quando la dimettono le dico di venirti a trovare». Affermo un po' imbarazzata.
«Oh, non serve. Mi è venuta a trovare più volte, quando tu eri già andata via». Che altre cose mi ha nascosto Johanna? Non solo mi sento di troppo quando Johanna e Gale sono nella stessa stanza, ma ora cerca di fare l'amicona di Peeta? Quando parlo sempre delle sue condizioni e le riferisco tutti i miei dubbi a riguardo, lei non mi ha mai messo al corrente del fatto che lo andasse a trovare. Non capisco a cosa sia servito tenermi nascoste le visite che fa a Peeta. Ha forse paura che potrei essere gelosa? Che considero Peeta mio e basta? Non è così, ma ora sì, ora mi dà sui nervi il fatto che sia venuta a trovarlo. E non perché l'ha fatto, ma perché credevo che anche io e lei avessimo instaurato un'amicizia tra sopravvissute. Più probabilmente lei mi vede soltanto come un'idiota alla quale non dire nulla. Sono sua amica soltanto quando l'aiuto a farsi dimettere dall'ospedale per andare a vivere in un alloggio.
Trascorriamo il resto del tempo parlando del più e del meno, come al solito si sofferma soprattutto a narrare il futuro, alla prima parola che dirà il bambino, quando comincerà a disegnare e lui lo aiuterà a migliorare la sua tecnica. Poi mi ricordo che nel libricino che mi diede il dottore durante la prima ecografia, c'è scritto che durante la sedicesima settimana, cioè questa, potrei sentire il feto muoversi. L'idea non mi piace per nulla, significa che è effettivamente vivo e ne sono terrorizzata, ma so che Peeta sarebbe felicissimo di sentire i suoi movimenti. Senza pensarci mi siedo al suo fianco, chiedendo ad una guardia di spostarsi. Peeta si irrigidisce, ma cerca di studiare la situazione prima di fare o dire qualcosa. Alzo un po' la maglia e vedo Peeta voltarsi e mi viene quasi da ridere. La pudica non sono io?
«Durante la sedicesima settimana c'è la possibilità di sentirlo muovere». Spiego, appoggiando le mani sulla pancia. Poi ne tolgo una così da dare la possibilità a Peeta di metterci la sua. Sembra chiedermi quasi il permesso, così annuisco, e sento la sua mano calda sulla mia. Il suo tocco è delicato e sono sicura che non farà niente di male a me ed il bimbo. Il calore si irradia nel mio corpo. Non pensavo che mi mancasse così tanto il suo tocco su di me. Haymitch dice che a volte sono troppo irresponsabile, che abbasso la guardia troppo spesso, ma non è vero, perché sono sempre allerta.
«Cosa si dovrebbe sentire?» Chiede, premendo un po' di più la mano.
«Nel libro c'è scritto che si sente uno sfarfallio, potrebbe dare dei piccoli calci». Peeta si scosta da me e lo guardo dubbiosa, forse è il momento di alzarsi e spostarsi, anche perché noto le sue pupille dilatarsi, ma non ci riesco. Guardo la pancia ed il panico si impossessa di me. I miei occhi si riempiono di lacrime e non è dovuto soltanto allo schiaffo che Peeta mi ha dato. Quello è il minimo, sembrava quasi una carezza a differenza del dolore che ho provato quando l'ho sentito effettivamente muoversi. È vivo. Si muove dentro di me, succhia ciò che mangio, mi ruba l'energia. Ed ora si muove dentro di me e me lo porteranno via come mi hanno portato via Peeta. Lo rapiranno e gli diranno di odiarmi. Non mi accorgo nemmeno che Haymitch è entrato nella stanza e si è accovacciato al mio fianco.
«Peeta?» Chiedo, e lui mi indica un cantone della stanza. «Peeta! Peeta, si è mosso! L'ho sentito! È vivo!» Mi alzo e cerco di avvicinarmi a lui, ma Haymitch mi ferma.
«Non ora, dolcezza». Lo guardo e le lacrime cominciano a rigarmi il volto. Ho bisogno di Peeta. Lui mi dirà che nessuno lo porterà via da me e mi rassicurerà, anche se probabilmente lui sarà il primo a farlo.
«Me lo porteranno via», sussurro, stringendomi a lui. Probabilmente avrei abbracciato chiunque fosse stato nel mio raggio, ma il fatto che sia Haymitch e non una guardia mi rende più tranquilla.
«Nessuno te lo porterà via. Tranquilla».
Haymitch mi accarezza i capelli senza sciogliere mai l'abbraccio e quando mi riprendo, decido di rimanere lì finché Peeta non torni normale, o almeno fin quando la rabbia di uccidermi non scemi. Alla fine acconsentono alla mia richiesta, ma gli fanno indossare un paio di manette e le guardie lo pressano con il loro corpo, affinché non abbia modo di muoversi più di tanto.
«Dovresti metterci il ghiaccio. Io... scusa».
Nego con la testa, «tranquillo, è stata colpa mia. Avevo notato la tua agitazione, ma non sono riuscita ad alzarmi».
«Perché l'hai sentito muoversi».
«Perché l'ho sentito muoversi». Ripeto, osservando i suoi occhi scendere fino ad osservare la mia pancia. «Se vuoi... possiamo riprovarci. Insomma, non sarà l'ultima volta che si muove, no?»
Lo vedo illuminarsi un attimo, ma si rabbuia subito dopo. «Forse è meglio di no, Katniss. Ti ho colpito, avrei potuto fare del male a lui e non voglio». Non ha detto che non vuole far del male a me, ma soltanto al feto. Mi sta bene. Me lo merito. «È che... non so, hai parlato di sfarfallii e nei miei ricordi ci sono spesso».
Inarco le sopracciglia, ho creduto che l'avesse fatto scattare il fatto che mi toccasse, non ho mai pensato che una parola scritta in un libro potesse scatenarlo.
«Se vuoi però gli puoi parlare».
«Cosa?»
Alzo le spalle, «sta sviluppando l'apparato uditivo, sente ciò che si dice».
«Oh», sospira, facendo qualche passo in mia direzione. Le guardie lo seguono come due ombre. Si accovaccia e sorride. «Ciao, sono il tuo papà. Mi chiamo Peeta».
Sento il cuore accelerare i battiti. Non ha detto niente che già non sapessi, ma sentirlo parlare con la mia pancia e dire, ammettere, che lui è il padre anche se per molto tempo ha affermato il contrario, mi riempie di gioia.

Gale e Finnick sono partiti con la loro squadra, Johanna è tornata nel nostro alloggio e, anche se mi insulta, spesso e volentieri la ignoro, ancora troppo arrabbiata per avermi nascosto fin troppe cose. Le rendo noto che so che va a trovare Peeta, come ho capito che è amica di Gale.
«Non credevo fossero di tua proprietà e che solo tu potessi parlare loro».
Johanna non ha paura del mio sguardo truce e mi sfida con il suo, «non lo sono, infatti».
«E allora cosa vuoi da me, idiota?» Si butta sul letto a peso morto.
«La verità. Non vedo perché mi devi tenere nascoste cose come questa, quando io ti parlo di tutto!»
«Tu hai bisogno di parlare, di essere al centro dell'attenzione perché sei egocentrica, anche se a te non sembra. Io non parlo di me».
«Però mi raccontavi gli allenamenti!»
«Grazie al cavolo! Eri tu a chiedermi come andassero!» Mi volto dall'altro lato, decidendo di ignorarla. Non ha ragione lei, doveva dirmi che era diventata amica di persone tanto importanti per me. Sospiro e penso a Peeta, a quello che sta facendo in questo momento, se si sente in colpa per avermi schiaffeggiata. Sì, deve per forza essere deluso da quel gesto.
Le settimane trascorrono, non si hanno molte notizie dal fronte anche se tutti i giorni vado al centro di Comando per chiedere novità. Stanno tutti bene e per il momento hanno creato diversi pass pro grazie a Pollux e Castor. Cressida, invece, li fa con me e Peeta. Ha utilizzato la scena in cui Peeta parla per la prima volta con il bambino e quella è una scena che guarderei e riguarderei all'infinito. Ho persino trovato il coraggio di chiedere a Cressida di prepararmi un disco da poter tenere con me. È dentro il mio cassetto, insieme alla perla. I pass pro di Cressida con me e Peeta sono molto naturali perché prende i filmati della telecamera della stanza e li monta. È riuscita a convincere la Coin ad installarne un'altra ad altezza uomo, così da riuscire a riprenderci da un'angolazione diversa da quella dall'alto. Nel nostro secondo pass pro, Peeta ha una mano sulla mia pancia e sente per la prima volta il bambino scalciare. Il suo viso si illumina e fa i complimenti al bimbo per la forza che ha utilizzando, scherzando poi affermando che sarà un grande tiratore di farina, facendomi ridere. Per quel filmato non ho dovuto chiedere nulla, una sera Cressida ha bussato alla mia porta e mi ha porto il disco che è finito insieme all'altro. Mi ha chiesto anche se potesse riprendermi durante la seconda ecografia, le dico che deve sentire Peeta, a me non interessa.
Il giorno della visita, durante la ventunesima settimana, vedo Cressida essere già in sala d'attesa prima ancora di me e Peeta. Le guardie sono sempre al suo seguito, ma ora gli lasciano i polsi liberi. Riesce a controllarsi bene e quando sente di impazzire, chiede loro di mettergli le manette con le quali riesce a ferirsi. Mi dispiace che faccia così, ma lui dice che l'aiuta, quindi non dico più nulla.
Questa volta, Peeta mi stringe la mano non appena mi distendo nel lettino, la porta persino alla sua bocca e mi ci depone un bacio. La tiene lì vicino, mentre gli occhi gli si illuminano quando il display si accende, mostrando il nostro bambino che, finalmente, è più formato e non sembra più un ibrido. Mi sento un po' in colpa nei confronti del feto, visto che non mi interessa minimamente osservare il monitor, ma sono più presa nel guardare Peeta essere così felice, tanto da non riuscire a credere che non sia il ragazzo del pane che ho avuto modo di conoscere. Il dottore ci chiede se vogliamo sapere il sesso del bambino.
«Perché, si può?» Domando senza pensarci. Mi volto per la prima volta verso di lui, che mi sorride.
«Soltanto se lo volete». Mi giro nuovamente verso Peeta che continua ad osservare il monitor, dubbioso.
«Per me va bene tutto, decidi tu». Affermo, desiderando che quel momento non finisca mai. Voglio continuare a sentire il suo respiro sulla mia mano.
«Beh, se lo sapessimo sarebbe più semplice scegliere un nome. Dovremo concentrarci soltanto su un sesso, no?»
Annuisco e dico al dottore, senza guardalo, di dirci pure il sesso del bimbo. Lui muove l'ecografo sulla mia pancia e credo che voglia creare suspense visto che non ci risponde subito.
«È una femminuccia».
Quando usciamo, Cressida fa le congratulazioni a tutti e due e vedo che sta piangendo, ma non ne comprendo il motivo. Dice che siamo andati benissimo, la verità è che non abbiamo tenuto conto delle telecamere.
Accompagno Peeta nel suo alloggio, visti i miglioramenti è stato spostato, anche se io e lui ci incontriamo sempre nella solita stanza piena di telecamere e con il vetro riflettente così che ci possano tenere d'occhio se qualcosa va storto.
Lo vedo tremare. Gli chiedo cos'abbia e mi risponde che è emozionato. Ho sempre saputo che Peeta volesse diventare padre, un giorno, ma credevo fermamente che si sentisse sottosopra, come me. Abbiamo soltanto diciassette anni, siamo giovani, durante una guerra e non riesco a sentirmi serena come lui.

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Buongiorno! Eccomi qui con il nuovo capitolo. :3 Spero vi sia piaciuto.
Ricordo che quando scrissi questo capitolo, il pezzo nel quale Peeta si china e parla con la pancia è uscito da sé. Che cuoreh che è!
Vorrei mettere i puntini sulle i sul fatto che Kitkat – come potete notare nell'ultimo periodo del capitolo – creda che Peeta sia felice e contento di diventare padre ed è sereno e tranquillo. No. Non è così. È Katniss che lo pensa perché lo vede rilassato, diciamo. Ma non è né felice, né tranquillo. Con quel “mi risponde che è emozionato” non dice che non è sottosopra, ma “emozionato” può nascondere tante sensazioni diverse. Potrebbe essere emozionato perché ha paura (giustamente), perché vorrebbe che Kitkat non fosse mai rimasta incinta, potrebbe esserlo perché è felice (naaah!). Insomma, Katniss è ottusa e crede sia felice quando non lo è, lei spera che lo sia perché lui riesce comunque a mantenerla in piedi durante questa situazione anche se lui non si fida di lei, quindi spera che lui ne sia felice e si convince di questo. Come al solito, Katniss va avanti per auto convincimento. XD
Ringrazio tantissimo i 45 utenti che hanno messo la storia tra le preferite, le 5 persone che l'hanno messa tra le ricordate e le 59 seguite. Ma soprattutto ringrazio tutte le persone che mi scrivono il loro parere nei confronti della storia. Vi mando tanti baci e abbracci. Grazie mille! ♥
Bacioni
Deb

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Capitolo 11
*** Capitolo X ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo X


I giorni successivi trascorrono con la ricerca di un nome. Alla fine persino mia madre e Prim, nonché Johanna - che non ha nulla da fare - e Haymitch - invitato da Peeta - si uniscono a noi per il toto-nome. Mi dà un po' fastidio, visto che mi privano della libertà di rimanere da sola - per così dire - con Peeta, ma alla fine fanno parte della famiglia. Esclusa Johanna che ancora non riesco del tutto a perdonare.
«Tulip». Sia io che Peeta storciamo il naso. «Era la seconda scelta di tuo padre se non mi fosse piaciuto il nome Katniss».
«Fortunatamente era la seconda scelta», affermo con un sospiro.
«Cherry». Fa Johanna seria, riuscendo a ricevere soltanto una mia occhiataccia. No, assolutamente. Cherry era il nome di una delle donne di Cray. «D'accordo, era solo una proposta, eh?!»
«Lily», dice Prim ed approvo il nome, ma Peeta è incerto. Mi piace il nome Lily, però, il giglio è stato uno dei primi fiori che mio padre mi ha fatto conoscere. Avevamo trovato un campo di fiori e mio padre mi aveva cominciato a spiegare le loro differenze.
«Anche Daisy è bello». Propone allora Peeta, pensieroso. «Ma anche Violet o Ilary o Grace o Vivien, ma anche...»
«A me piace il nome Hope». Lo interrompe Haymitch dallo sviscerare tutta la lunga lista che probabilmente ha pensato durante la notte.
Hope significa speranza e lo trovo indicato per una bambina che forse nascerà durante la rivoluzione, ma fondamentalmente non m'importa che nome avrà. Non è una cosa fondamentale per me. Guardo Peeta che sembra studiare attentamene il nome prima di dire qualcosa.
«Mi piace Hope!» Esclama Primrose, seguita a ruota da Johanna e poi mia madre.
«Tu che ne pensi, Katniss?» Mi chiede allora lui, scrutandomi. Effettivamente, essendo la madre, dovrei avere voce in capitolo.
Mi stringo nelle spalle, «piace anche a me». Ammetto, anche se dare ragione a Haymitch non mi va più di tanto.
«Allora è deciso. Si chiamerà Hope e sarà la speranza di un futuro migliore».
«No!» Esclamo senza pensarci, richiamando l'attenzione di tutti.
«Non avevi detto che ti piaceva, idiota?»
«Mi piace, ma Hope è solo un nome. Non sarà la speranza di nessuno. Non voglio che l'adulino per essere qualcosa che non potrà capire di essere». Non so se mi sono spiegata, ma nella mia testa le mie parole hanno un senso logico. Io sono diventata il volto dei ribelli senza sapere perché, mi sono ritrovata in questo personaggio che hanno costruito altri ed ancora adesso vorrei che non l'avessero fatto. Non voglio che la figlia di Peeta passi ciò che ho vissuto io.
«Stupida!» Mi volto verso Johanna. «Lei è la speranza di Peeta, non di tutto Panem». La guardo alzarsi ed uscire dalla porta, poi mi affretto a guardare lui. È vero quello che ha detto Johanna? Che sarà la sua speranza?
«Sono d'accordo con te, Katniss. Spero soltanto che possa portarci un po' di serenità per il futuro. Che possa... aiutarci».
Annuisco ed arrossisco, «scusa, non l'avevo capito».
«È normale. Dopo quello che hai passato tu». Interviene Prim, al mio fianco, stringendomi una mano e sorridendomi.
Dovrei cominciare a chiamarla per nome, se soltanto fossi solita a parlare con la mia pancia. La verità è che quello che parla con lei è Peeta e lui la chiamerà Hope per tutti e due.

Quando arriva la notizia della morte di Gale, sono al Comando insieme a Johanna proprio per chiedere informazioni sulla squadra. In televisione c'è la faccia da serpente di Snow che annuncia a tutta Panem la caduta di Finnick e di tutti gli altri soldati insieme a lui. Mi sento mancare, ma Johanna mi fa da scudo. È colpa mia se sono morti. Se fossi andata con loro, allora forse non sarebbe successo nulla. Sarebbero ancora vivi, o alla peggio sarei morta soltanto io. Snow ha attaccato la squadra 4-5-1 sapendo bene che al suo interno c'erano persone alle quali tengo. C'è Gale e Snow aveva già minacciato di ucciderlo di ucciderlo. Cosa dovrei dire ora ad Annie? Finnick è morto. Suo marito è morto per colpa mia, per portare avanti una rivoluzione a cui io ho dato il via.
Mi siedo su una sedia e non riesco a staccare gli occhi dalla televisione. Sento Johanna singhiozzare. Piange per Finnick o per Gale? Magari tutti e due. Io non ci riesco, l'unica cosa che posso fare è osservare la faccia di quel serpente e pregare che salti immediatamente in aria. O bruciare vivo, magari per autocombustione.
La Coin ci fa scortare fuori dalla sala, sono ancora stremata per la notizia e sento le mie gambe tremare. Alla fine mi siedo per terra, lungo il corridoio.
«Non può essere morto». Di chi parla? Di Finnick? «Mi ha promesso che l'avrebbe ucciso per me. L'aveva giurato Katniss, per tutte e due. L'avrebbe ucciso, gli avrebbe scoccato una freccia esplosiva nel cuore». Di Gale. Dovrei sentirmi forse gelosa, ma non lo sono. Ormai mi sono abituata all'idea che tra di loro c'è qualcosa che, forse, va oltre all'amicizia. Io non posso perdere tempo a provare gelosia nei confronti del mio amico. Ho mia figlia e ho Peeta. Lui ha bisogno di me, Gale no.
Deglutisco. «Non hanno trovato cadaveri. Stanno scavando alla loro ricerca. Gale è un cacciatore. Non è morto, Johanna. Sono sicuramente riusciti a scappare».
«Lo pensi davvero?»
Annuisco. Gale non è stupido. Avrà sicuramente trovato un modo per scappare, ne sono certa perché non ho la sensazione che non sia più in questo mondo e sono quasi certa che non sia soltanto la speranza a farmelo pensare.
Per tutto il tempo attendiamo notizie sulla salute di Gale e Finnick. Hanno trovato il corpo di Boggs e di altri soldati, ma non quelli di chi mi interessano. Non che non mi dispiaccia per loro, ma Gale e Finnick sono al centro dei miei pensieri.
Non ci sono altre comunicati a proposito di cadaveri e tiro un sospiro di sollievo avendo la conferma che stanno bene. Se fossero morti, avrebbero ormai trovato i corpi. Sono giorni che non vedo nemmeno Peeta. Haymitch mi ha detto che ha avuto un crollo e che, in quei pochi momenti di lucidità, dice di non volermi vedere. Ritorno da lui solo una settimana più tardi, sperando che presto arrivi la notizia della nostra vittoria. Gli racconto di aver litigato con Prim, solo pochi giorni prima, perché la Coin le ha accordato il permesso di andare via dal 13 per soccorrere i feriti. Non mi piace l'idea ed ho provato a fermarla, ma non ha voluto sentire ragione né le mie, né quelle di mia madre. La Coin mi ha però assicurato che sarà al sicuro: «nessuno colpisce mai i medici». Ma io non mi fido di lei e la preoccupazione che la mia sorellina potrebbe morire non riesce a lasciarmi.
«Non mi sono offerta volontaria per te per lasciarti andare a morire durante la guerra!» Le ho rinfacciato ad un certo punto della discussione. Ma Primrose non è più una bambina, è cresciuta troppo in fretta, e mi ha detto senza mezzi termini che dovrei cominciare a pensare di più a Hope, mia figlia, che non a lei, che sa cavarsela ormai da sola e non ha bisogno di nessuna balia. Il giorno della sua partenza l'ho abbracciata stretta e non volevo più lasciarla. Ho pianto, poi, stretta tra le braccia di Peeta e mi è sembrato di tornare indietro nel tempo, sul treno durante il Tour della Vittoria, o il giorno dell'intervista con Ceaser.

Sto facendo la terza ecografia, durante la trentesima settimana di gravidanza, quando mi arriva l'annuncio che Snow è stato catturato e che i ribelli hanno vinto la rivoluzione. Si è arreso il bastardo. Durante le settimane precedenti ho continuato a vedere tutti i giorni Peeta che ha cominciato a capire quando le visioni che ha sono probabilmente frutto del depistaggio. L'aveva già notato in passato, ma non ne era sicuro. Durante i flashback vede uno luccichio strano e dei sfarfallii. Ha cominciato a parlarmi di ciò che vede e lo aiuto a capire se i ricordi sono reali o meno. Dice comunque che Hope riesce a tenerlo ancorato alla realtà, che è stata la sua medicina e che non vede l'ora di poterla tenere tra le braccia. Ha però paura che possa scattare nel momento in cui io non sarò più un'incubatrice vivente. Non so cosa dovrei aspettarmi dal futuro che piano, piano sta diventando sempre più vicino. Abbiamo vinto la rivoluzione, quindi dovrei sperare di poter dare a Hope un futuro migliore da quello che ho sempre creduto di avere, ma Peeta sarà al mio fianco? E se, una volta partorito, tornerò ad essere una minaccia per lui? Come potremo soltanto pensare di crescere una bambina?
Johanna, poi, pochi giorni fa mi ha dato la notizia che anche Annie è incinta. Probabilmente è nella sesta o settima settimana. «Siete peggio dei conigli!» Ha affermato poi, con un sorriso divertito sulle labbra.
«Sei sicura di non voler fare pure tu un test di gravidanza? Tanto per... non si sa mai, manchi soltanto tu».
Ride, «non ho di questi problemi, idiota!»
Il giorno dopo la Coin, Haymitch, Beetee e gli altri vincitori, compresa me, siamo in partenza. Ci stiamo trasferendo nell'abitazione di Snow i cui ribelli hanno occupato. So che la Coin gongola, sperando di trasferirsi lì a piè pari. Ha avuto anche la sfrontatezza di dirmi - ordinarmi - di rimanere nel 13. «Una donna nelle tue condizioni non dovrebbe volare. Dovresti riposarti». Come se lo potessi fare ora, sapendo che il Presidente è nelle mani dei ribelli e che presto ci sarebbe stato il processo. Inutile, visto che già sappiamo bene che verrà condannato a morte e, cadesse il mondo, partorissi in quel momento, sarò io a scoccare la freccia che lo ucciderà. Haymitch è riuscito a convincerla di portarmi affermando che pur di venire avrei persino tentato di nascondermi in qualche armadietto all'interno dell'hovercraft e che sarebbe stato peggio quello nelle mie condizioni che non volare seduta. Cosa che ho pensato davvero di fare. Sarei davvero stata capace di nascondermi dentro un armadietto e rimanere lì fino all'atterraggio.
Durante il volo, Peeta viene colto da un episodio. Fortunatamente è ben legato dalla cintura di sicurezza che non si è premurato di sganciare prima di cercare di buttarsi addosso a me. Gli hanno dato un sedativo ed incolpo i nervi tesi per l'episodio. Non ne aveva uno così violento da parecchio tempo. Io ho ricominciato a fare i nodi ed Annie, seduta al mio fianco, me ne insegna di nuovi. Mi piace la sua compagnia. Stiamo bene insieme anche rimanendo in silenzio e non l'ho vista mai perdere la concentrazione per il momento. È sempre rimasta se stessa. Mi ha fatto parecchie domande sulla gravidanza e su cosa dovrebbe attendersi in futuro. Ho cercato di spiegarglielo, dicendole però che avrebbe dovuto chiederlo ad un medico perché ogni donna la vive in modo diverso. Ad esempio, io ho sperato che non fosse vera a lungo, soltanto quando Peeta l'ha accettata sono riuscita a farlo pure io, con riserva. La verità è che ho ancora difficoltà a capire come viverla.
«Finnick sarà felicissimo!» Esclama, intrecciando la corda con maestria.
«Io mi sono rilassata molto quando Peeta ha capito che la bimba è sua». Ammetto, guardando fissa la corda sotto le mie dita. «Non so se sarei riuscita ad accettarla se non l'avesse fatto lui».
«Ma ora ti rimarrà sempre vicino».
Scrollo le spalle, «non lo so. Sono sicura che amerà Hope, ma non sono certa che riesca a stare con me senza pensare che non sia un ibrido. Vorrei che lo facesse, però».
«Sempre». Sento sussurrare alle mie spalle.
Mi giro verso di lui e accenno un sorriso, mi sento un po' imbarazzata. A dividerci c'è Johanna. «Da quanto sei sveglio?»
«Da un po'».
Quando atterriamo, la prima figura che scorgo è quella di Gale. Vedo Annie guardarsi intorno, ma nemmeno io riesco a vedere Finnick da nessuna parte e la paura mi assale. Che sia morto e non hanno trovato il cadavere?
Ci scortano dentro la casa. Credevo che, una volta entrata nell'abitazione di Snow, avrei sentito puzza di rosa, ma quell'odore pungente non è presente.
La Coin comincia a discutere con i suoi sottoposti, mentre noto lo sguardo di Gale sulla mia pelle. «Dobbiamo parlare». Mi dice e non ne capisco il motivo.
«Finnick?» Domando, seguendolo dentro una stanza. Mi chiude la porta alle mie spalle, che si riapre subito, sospinta da Peeta, Johanna ed Annie.
«Dovremmo parlare in privato, se non vi dispiace». Li rimprovera ed io lo osservo bene per la prima volta. Ha un braccio fasciato e tiene il peso del corpo soltanto su una gamba, ha dei graffi sul volto ed un taglio più pronunciato sul collo che è stato medicato alla meno peggio.
«Dov'è Finnick?» Chiede Annie, preoccupata, portandosi una mano sopra l'orecchio destro come se stesse per perdere la lucidità.
«In infermeria. Sali le scale, prima porta a destra».
«Sta bene?» La voce le trema, non vuole andare da lui per vederlo morire o forse vuole solo avere la possibilità di prepararsi al peggio.
«È gravemente ferito, ma si rimetterà. Abbiamo avuto a che fare con degli ibridi che sono riusciti ad arrivare a lui dilaniandogli un fianco».
«Ed hanno ferito te al collo?» Prende la parola Johanna per la prima volta. Sembra quasi risentita dalle poche attenzioni che Gale le dà. Lo vedo annuire.
«A lui sono arrivati più in profondità. L'abbiamo salvato appena in tempo».
Annie si precipita fuori, non preoccupandosi del fatto di aver sbattuto contro Johanna, che poi la segue, richiudendo la porta alle sue spalle. Vedo Gale tentennare, ma gli faccio cenno di non preoccuparsi. È rigido di fronte a Peeta.
«Sono migliorato nel frattempo». Dice lui, tranquillo. Gale mi guarda un attimo e gli faccio cenno di continuare. I suoi occhi diventano subito lucidi e lo sento stringermi a sé. Peeta striscia la gamba sul pavimento, pronto a dividerci, ma si ferma ed io sento i singhiozzi dentro il mio orecchio. Gale è come me, non piange. Deve essere successo qualcosa di terribile per farlo reagire così, ma cosa?
«Gale?» Lo chiamo.
«Mi dispiace, Catnip». Afferma, prima di darmi la notizia della morte di Primrose. L'ha vista esplodere davanti ai suoi occhi. Non ha potuto fare nulla per salvarla. Sento le gambe cedere e sia Gale che Peeta mi aiutano a rimanere in piedi.

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Buongiorno! ♥ Eccomi qui con il nuovo capitolo :)
Dopo il primo pezzo iniziale in cui c'è il toto-nome (il nome Hope è ripreso da un'altra mia fic “Better World” perché l'ho trovato indicato visto il titolo della fic) c'è un bel flashfoward e ci ritroviamo catapultati verso la fine della rivoluzione. Ho tagliato quindi i momenti più noiosi, dove nel 13 non succedeva praticamente nulla, dove le giornate si svolgevano sempre simili. Sveglia, doccia, andare da Peeta, aspettare notizie dal fronte ecc...
Molti di voi pensavano che Finnick sarebbe morto, invece no. Perché... no! FINNICK DEVE VIVERE! XD E dove vediamo comunque che Peeta speri che Hope possa riuscire ad aiutarlo a ritrovare se stesso, i suoi ricordi. Piano, piano, nella sua mente, ha fatto mente locale che se è stato con Katniss, in passato, è perché ci fosse qualcosa, sentisse qualcosa per lei e che quindi quei sentimenti debbano essere ancora lì. E già Hope lo ha aiutato a ritrovare parte di se stesso, quindi mi è sembrato verosimile che rispondesse “Sempre” a Katniss.
Spero che i personaggi siano tutti IC ♥ Se avete domande... fate pure, io sono qui ^^
Spero che il capitolo non vi abbia annoiato :)
Bacioni
Deb.

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Capitolo 12
*** Capitolo XI ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo XI


Non so cosa sia successo. Quando mi sveglio, mi trovo in un letto dell'infermeria. Ci metto un po' a mettere in fila i miei pensieri, a riuscire a collegare il perché mi trovi lì. Peeta è al mio fianco e mi stringe la mano. La scosto subito. Non ho bisogno della sua compassione. Rimane lì, però, ad osservare il mio stato di catalessi nel quale cado. Non so quanto tempo passi prima di tornare nuovamente ad osservare la stanza, a vedere ciò che ho intorno. I miei pensieri sono tutti rivolti a Prim. Alla piccola e dolce Primrose. Non può essere morta. I medici non vengono colpiti.
Non parlo più. Non ci riesco. Peeta mi racconta la sua giornata, mi fa delle domande alle quali non rispondo, poi parla con Hope che per me è come se non esistesse più. Ogni volta che la sento scalciare mi sembra di morire ed immagino come Prim si sia dimenata quando è stata colpita.
Gale mi viene a trovare, come anche Haymitch, Johanna e Finnick è nel letto vicino al mio. Annie è sempre al suo fianco. Si sta riprendendo e le sue attenzioni, quelle poche volte che è sveglio, sono riservate tutte alla moglie.
Scendo dal letto solo per andare in bagno, accompagnata sempre da qualcuno per paura che faccia qualche cavolata, come togliermi la vita. Un dottore di nome Aurelius mi viene a trovare giornalmente, ma non parlo e lui non mi chiede di farlo. Rimaniamo lì a guardarci a vicenda, a volte si addormenta. Una settimana dopo, scendo dal letto. Finnick ed Annie dormono. Peeta non è ancora arrivato e nessuno è con me, quindi sgattaiolo via, girando senza una meta precisa per l'abitazione del mio acerrimo nemico.
Mi viene da rimettere quando sento l'odore ripugnante delle rose, ma continuo ad avanzare. Vedo due soldati che ostruiscono il passaggio. Non so perché, ma nel momento in cui mi dicono che non ho il permesso di entrare, la voglia di farlo aumenta. Cosa mi nascondono?
Mi limito a restarmene lì, aspettando pazientemente che abbassino i fucili, che capiscano, senza che glielo dica, che dietro quelle porte c'è qualcosa di cui ho bisogno. Solo una rosa. Un unico fiore. Da appuntare al bavero di Snow prima che lo uccida. La mia presenza sembra preoccupare le guardie. Stanno discutendo se chiamare Haymitch, quando una donna parla dietro di me. «Lasciatela entrare. La autorizzo io». dice la donna. «Ha diritto a qualsiasi cosa stia dietro quella porta». Questi sono soldati suoi, non della Coin. Abbassano le armi senza fare domande e mi lasciano passare.
Girovago per il vivaio, cercando una rosa bianca da poter staccare. La Coin, durante una sua visita al mio letto, mi ha detto che avrebbe mantenuto fede alla promessa, che sarei stata io ad uccidere Snow. E sì, lo ucciderò, per Prim, per Rue, per tutti i tributi morti, per tutti i bambini esplosi e per tutti i cittadini di Panem che non sono riusciti ad arrivare alla fine della rivoluzione.
Nel momento in cui sto per tagliare il gambo con le cesoie, sento la sua voce decantare la perfezione delle sue rose e del bianco. Mi volto e lo osservo in viso. Non ho mai pensato potesse trovarsi qui, me lo immaginavo in una cella angusta, una di quelle dove i topi ti scorrazzano sopra i piedi e l'umidità è talmente alta da far male alle ossa. Non posso credere che gli hanno lasciato il lusso di vivere i suoi ultimi giorni nel lusso del suo giardino. Quando i miei occhi lo mettono a fuoco, la prima cosa che vorrei fare è saltargli al collo e spezzarglielo, ma non posso. Nelle mie condizioni sono più lenta ed avrebbe modo di difendersi, magari far del male ad Hope che la sento singhiozzare all'interno della placenta. Che abbia paura anche lei? O forse si è accorta della mia agitazione. Porto una mano sulla pancia e l'accarezzo. Non voglio che senta quella voce. Non dovrà mai conoscere la voce di Snow, ma ormai è troppo tardi.
«Ci sono così tante cose di cui dovremmo parlare, ma ho la sensazione che la sua sarà una visita breve. Perciò, partiamo dalle cose più importanti. Congratulazioni, non ho avuto modo di farlo prima di questo momento». Comincia a tossire e, quando si toglie il fazzoletto dalla bocca, noto che è più rosso. «Volevo dirle che sono molto dispiaciuto per sua sorella».
Persino nello stato di apatia e di narcosi in cui mi trovo, quelle parole mi provocano una fitta di dolore che mi attraversa da capo a piedi, ricordandomi che non c'è limite alla sua crudeltà. E che fino all'ultimo cercherà di distruggermi.
«Uno spreco del tutto inutile. Chiunque poteva capire che a quel punto la partita era chiusa. In effetti, stavo proprio per dichiarare ufficialmente la resa quando loro hanno sganciato quei paracadute». Tiene gli occhi incollati su di me, senza battere le palpebre, per non perdersi neppure un attimo della mia reazione. Ma quello che ha detto non ha alcun senso. Quando loro hanno sganciato i paracadute? «Beh, non crederà sul serio che sia stato io a dare l'ordine, vero? Lasci stare il fatto più ovvio, cioè che se avessi avuto a disposizione un hovercraft funzionante, lo avrei usato per prendere il largo. Ma a parte questo, a cosa poteva servire? Sappiamo tutti e due che non ho alcuna remora a uccidere dei bambini, ma io odio gli sprechi. Tolgo la vita per motivi molto specifici. E di motivi per distruggere un recinto pieno di bambini di Capitol City non ne avevo nessuno. Proprio nessuno. Tuttavia, devo riconoscere che si è trattato di una mossa magistrale, da parte della Coin. L'idea che io stessi bombardando i nostri bambini indifesi ha cancellato all'istante quel poco di lealtà che la mia gente poteva ancora avere verso di me. Dopo quell'episodio, non c'è stata più una resistenza vera e propria. Sapeva che hanno trasmesso tutto in diretta? Si vede la mano di Plutarch, in questo. E nei paracadute. Beh, d'altra parte è proprio il modo di pensare che deve avere un capo-stratega, non è vero?» Snow si tampona gli angoli della bocca. «Sono sicuro che non ce l'avesse con sua sorella, ma certe cose accadono. La mia rovina è stata la lentezza con cui ho compreso il piano della Coin», confessa Snow. «Lasciare che Capitol City e i distretti si distruggessero tra loro per poi farsi avanti e impadronirsi del potere, con il 13 appena sfiorato dagli eventi. Stia pur certa che aveva intenzione di prendere il mio posto sin dall'inizio. Non dovrei esserne sorpreso. Dopotutto, fu il 13 a dare inizio alla ribellione che portò ai Giorni Bui. E in seguito abbandonò gli altri distretti quando le cose gli si rivoltarono contro. Ma io non prestavo attenzione alla Coin. Tenevo d'occhio lei, Ghiandaia Imitatrice. E lei teneva d'occhio me. Temo che siamo stati presi in giro entrambi».
Non accetto che possa avere ragione. Ad alcune cose non riuscirei nemmeno a sopravvivere. Pronuncio le prime parole dopo la morte di mia sorella. «Non le credo».
Snow scuote la testa, simulando disappunto. «Ah, mia cara signorina Everdeen. Pensavo che fossimo d'accordo di non mentirci l'un l'altro».


Quando rientro nella mia stanza, vedo Finnick esalare un respiro profondo. È ancora convalescente, ma ha ricominciato a parlare, anche se con difficoltà perché ogni piccolo movimento gli procura dolore. Non so se Annie gli abbia dato la notizia della sua gravidanza, forse no, visto che lo farebbe saltare di gioia ed non è il momento migliore per farlo.
«Ci hai fatto preoccupare». Dice Annie, parlando per Finnick. «Peeta è andato nel panico». Avrà pensato che sono scappata per uccidermi da qualche parte. Non è preoccupato per me, ma per Hope. Non farò niente di pazzo, non prima di aver ucciso Snow. Devo essere viva per poterlo fare e poi non riuscirei nemmeno volendo a togliermi la vita, sapendo che porterei con me la piccola. Prima deve stare al sicuro tra le braccia di Peeta, allora poi posso pensare a cosa farne dei miei giorni sulla terra. Potrei davvero cercare di mangiare i morsi della notte. Non avrei più problemi.
Prendo in mano il piccolo vaso di plastica posto sul comodino e, senza emettere alcun suono, mi dirigo in bagno. Lo riempio d'acqua e immergo la rosa. Finnick mi guarda sorpreso e capisco il suo sbigottimento. Tengo al mio fianco una rosa quando, l'ultima volta che le ho viste, sono andata in panico, e lui con me.
Mi distendo nel letto, coprendomi con la trapunta, accarezzando la pancia e mi perdo nei miei pensieri. Devo rimanere lucida e cercare di capire se quello che ha dichiarato Snow sia la verità. Ma come posso farlo? Non ho la forza, né i permessi per poter andarmene in giro per cercare qualche prova ed anche se lo facessi dove le troverei?
Ritorno alla realtà soltanto nel momento in cui sento due braccia stringermi il corpo. Sussulto e cerco di divincolarmi senza pesarci, come se qualcuno tentasse di farmi del male, e Peeta mi lascia andare.
«Mi hai fatto morire di paura... sono entrato e non c'eri». Lo osservo per un po' e penso che potrei parlarne con lui, ma dopo tutto quello che Snow gli ha fatto passare, potrebbe avere un episodio nel solo sentire il suo nome. So, inoltre, che si è preoccupato soltanto perché sono l'incubatrice di sua figlia; altrimenti non sarebbe tanto in pena per me. Come quando mi ha stretta tra le sue braccia perché Prim stava partendo per fare il medico, Peeta mi consolava soltanto perché se la mamma sta bene, starà bene anche la figlia. Ma ora come ora, che sono alla trentatreesima settimana di gravidanza, devo stare più attenta. I dottori hanno detto che lo stress potrebbero indurmi ad un parto anticipato e la bimba potrebbe nascere prematura. Non me lo posso permettere anche se so che non dipende da me.
Non dico nulla, ma ormai sono tutti abituati al mio silenzio. «Non farlo più». Mi ordina con voce autoritaria.
Alla fine mi prendo una strigliata non solo da lui, ma anche da Haymitch che mi dice lo stato in cui ho lasciato il povero padre della bimba e di come abbia tentato di attaccare chiunque soltanto per il fatto che non mi trovasse. Ha avuto persino un episodio nel quale, ovviamente, mi ha insultata dicendo che ci ho fatto apposta a scomparire, rubando sua figlia per farle del male e che è stata tutta una tattica per colpire ed affondare lui. Mi sembra logico. Devo ammettere, però, che è stato bravo a contenersi in mia presenza. Io forse non ci sarei riuscita al suo posto.
Faccio cenno ad Haymitch di andare in posto tranquillo per parlare, scendo dal letto e mi avvio fuori dalla stanza. Lui non fa domanda e mi porta in soffitta. Non so come abbia fatto a trovare quel posto, ma dopo avermi portato in quella stanza inutilizzata del Palazzo di Giustizia del Distretto 11 posso aspettarmi tutto da lui.
Gli racconto, stando bene attenta a parlare sottovoce, anche se ho la voce gracchiante, del mio incontro con il Presidente Snow e quello che mi ha detto. Lo vedo sospirare e grattarsi il cuoio capelluto, stringendo gli occhi a due fessure.
«Dolcezza», esordisce stringendomi le spalle con le mani e guardandomi dritto negli occhi, «sei una minaccia per la Coin».
Non capisco subito le sue parole, ma durante la notte, dopo essermi svegliata da un incubo nel quale Hope è un Tributo ed io e Peeta siamo i suoi mentori, capisco cosa Haymitch mi abbia voluto dire. Durante tutto il tempo ho dovuto girare pass pro per invogliare i Distretti a portare avanti la rivoluzione. Mi ascoltano, se io dico attaccate, loro colpiscono, se io dicessi di non volere la Coin al potere, lei non ci andrebbe. E lei agogna al potere, mentre io l'ho sempre guardata con disappunto, non mi fido di lei. Non mi piace come persona ed ha paura che non l'appoggi, sa che non l'appoggerò. La Coin ha preso l'idea di Snow e l'ha utilizzata a suo vantaggio. Ha mandato Primrose in prima linea, a curare i feriti di Capitol City sapendo che l'avrebbe uccisa per distruggere me. Così che io non avrò la forza di fare nulla, sapendo che sarei stata troppo disperata per riuscire a darle contro. Ed ha ragione, perché sono passate tre settimane da quando siamo qui e l'unica cosa che sono riuscita a fare è stata camminare e dire tre parole, escludendo quelle che poi ho detto a Haymitch.
Il giorno dopo, sgrano gli occhi quando trovo davanti a me Effie Trinket con i suoi soliti vestiti sgargianti. Sono contenta che stia bene, comunque. Mi abbraccia e mi bacia le guance, mi fa le congratulazioni. La vedo diversa, però. I suoi occhi sono vacui e il sorriso che si sforza di tenere sul viso è finto come quelli che faccio io, quando sto davanti ad una telecamera. Quando va via, mi spiegano che è stata torturata, anche se non sapeva nulla della rivoluzione, e che Haymitch ha avuto parecchi problemi a tenerla in vita. Organizzare l'esecuzione di Snow, che si terrà oggi pomeriggio, è stato un passatempo per farla sentire meglio.
Il mio staff di preparatori mi trucca, cancella le occhiaie e mi ricopre le labbra screpolate con un lucidalabbra così da farle sembrare perfette, ma fortunatamente non mi riempiono di colori. Sembro sempre io, ma più riposata, anche se è soltanto un trucco.
Finnick viene deposto su una sedia a rotelle ed Annie lo accompagna fuori dalla stanza, lasciandomi da sola con Gale che, invece, è appena entrato. Mi abbraccia e appoggia sul letto la faretra con una freccia. Quando gli faccio presente che potrei non riuscire a colpirlo, mi risponde che non succederà. Ma non tiro con l'arco da così tanto e la pancia è così grossa che sicuramente ha cambiato il mio baricentro. Vorrei potermi allenare un po' prima, ma so bene che non me lo permetteranno.
Gale mi porta in una sala dove sono presenti tutti i vincitori ancora in vita, poi esce, da bravo soldato. Cosa ci facciamo tutti lì? Guardo Peeta che mi fa un cenno del capo. Ricambio e prendo posto attendendo che la Coin, a capotavola, cominci a parlare.
I Distretti vogliono ancora morte e la Coin e ha suggerito un'ultima edizione degli Hunger Games con i figli dei soggetti al comando, come la nipote di Snow. Ma lei cos'ha fatto di male? E se in futuro ci fosse un'altra rivoluzione e i ribelli - che sarebbero quelli di Capitol City - decidessero di fare degli Hunger Games con Hope come tributo soltanto perché è mia figlia?
Peeta si alza dalla sedia, sbattendo un pugno contro il tavolo. «No! Io voto no». Non so perché, ma credo che abbia seguito il mio stesso ragionamento.
Johanna vota di sì, come Enobaria. Annie e Finnick votano no e Peeta borbotta di quanto sia stata inutile la rivoluzione se accettiamo di porre in essere un'altra edizione degli Hunger Games. Noi, che siamo i vincitori, che siamo usciti rotti dall'Arena - due volte - e che abbiamo combattuto proprio per cambiare il sistema, per non dover avere paura, in futuro, di vedere i nostri figli essere estratti da una boccia e portati al macello.
«Katniss?»
«Io voto sì... per Prim». Vedo la delusione passare negli occhi di Peeta. Avrei voluto dire no, dopo tutto il ragionamento che ho fatto, senza mai distogliere lo sguardo da quello della Coin. Peeta corre da Haymitch elencandogli i motivi per i quali dovrebbe votare no. Se dicesse sì, gli Hunger Games tornerebbero avendo raggiunti i cinque voti necessari, compreso quello della Coin che ha avuto l'idea. Vedo Peeta incurvare la schiena quando dalla bocca di Haymitch esce il suo voto: «sì», mentre mi osserva.
Prima di uscire per concludere i preparativi per l'esecuzione di Snow, chiedo alla Coin se può fargli indossare la rosa bianca che ho tagliato nel suo giardino. Dopo tanto tempo, ho finalmente voglia di fare qualcosa. Non credevo che sarebbe stato poter uccidere.

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Buonsalveh! Come state? :) Eccomi qui con il nuovo capitolo, siamo alle battute finali. :°
Non ho molto da aggiungere. In questo capitolo – con le ovvie piccole modifiche – si basa tantissimo sulla saga.
Peetyno si preoccupa. ♥ E' cucciolino. XD
Spero vi sia piaciuto! ♥♥ Ci vediamo il 27! ;)
Vi ringrazio tantissimo per le preferite, ricordate e seguite, e ovviamente per le recensioni! ♥ Risponderò prestissimo, spero entro stasera, ma ho parecchio da fare, quindi o rispondevo o pubblicavo. Vi risponderò con più calma oggi pomeriggio o stasera, quindi. ♥ Baci
Deb

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Capitolo 13
*** Capitolo XII ***


Non rinunciare mai alla speranza
Capitolo XII


Quando accompagnano Snow fuori dalla porta a passo di marcia, gli spettatori impazziscono. Gli assicurano le mani dietro un palo, benché questo sia superfluo. Non andrà da nessuna parte. Non ha un posto dove scappare. Questo non è il palco spazioso di fronte al Centro di Addestramento, ma la stretta terrazza davanti alla residenza presidenziale. Non stupisce che nessuno si sia preso il disturbo di farmi esercitare. Snow è a meno di dieci metri da me.
Sento l'arco fare le fusa nella mia mano. Allungo l'altra verso la schiena e afferro la freccia. La posiziono, miro alla rosa, ma guardo il suo viso. Tossisce e un filo di sangue gli cola lungo il mento. La sua lingua guizza sulle labbra gonfie. Cerco nei suoi occhi anche il più piccolo segno di qualcosa: paura, rimorso, rabbia. Ma trovo solo lo stesso sguardo divertito che ha posto fine alla nostra ultima conversazione. È come se stesse pronunciando di nuovo quelle parole. «Ah, mia cara signorina Everdeen. Pensavo che fossimo d'accordo di non mentirci l'un l'altro.»
Ha ragione. Eravamo d'accordo.
La punta della mia freccia si sposta verso l'alto. Lascio andare la corda. E la presidente Coin crolla oltre il fianco della balconata e piomba al suolo. Morta.
Ha pagato il prezzo delle sue menzogne.
So che questo sarà un altro motivo di disappunto per Peeta, forse, ma non ne ho potuto fare a meno. Non faccio nulla, aspetto che le guardie mi prendano per portarmi in qualche cella perché ho ucciso il nuovo Presidente senza che avesse fatto nulla di male. Secondo loro. Osservo Snow ridere di gusto, mentre il sangue gli sgorga dalle labbra rifatte. Quando due guardie mi prendono per le braccia non mi dimeno. Mi dispiace soltanto che Peeta non potrà stare con Hope. Mi uccideranno, non prima di aver partorito, però. Forse innescheranno un parto anticipato cosicché la Ghiandaia possa essere giustiziata prima. Non importa di quello che succederà a me, comunque. Non appena Hope nascerà, verrà affidata alle braccia forti ed amorevoli del padre e non potrei chiedere di meglio. Lo guardo un'ultima volta, e con le labbra gli mimo un "mi dispiace".
Anche se vuota, riconosco subito la stanza nella quale mi hanno portato. La stessa stanza dove è stata concepita Hope, dove ho condiviso il letto con Peeta credendo fermamente che sarei andata incontro alla morte. È spoglia, ora. Mi distendo sul letto ed accarezzo la pancia dalla quale arrivano dei calci. Mi sembra quasi che voglia punirmi, o cerca di il padre, ma so che non è così. È soltanto viva.
Trascorro i giorni senza fare niente, Hope è sempre agitata, vigile, così comincio a cantare e si calma. Le note escono dalla mia gola roche, inizialmente, poi sempre più fluide. Mi spavento quando sento dei passi venire in mia direzione, ma mi rilasso subito e riprendo a cantare. Sono soltanto venuti per portarmi via. Magari in ospedale per farmi partorire e poi per essere giustiziata. Mi dispiace che vedrò Hope solo per pochi minuti. Ma fortunatamente non avrà modo di legarsi a me. Non soffrirà per la mia perdita. Continuo a cantare e stranamente i passi si interrompono. Nessuno tenta di farmi scendere dal letto, nessuno mi prende per gli avambracci per portarmi via. Quando alzo lo sguardo incontro gli occhi azzurri di Peeta che non ha nessuna guardia al seguito e nemmeno i polsi legati dalle manette. Che l'abbiano mandato per uccidermi?
«Ciao». Dico incerta.
«Ti prego, continua». Inarco le sopracciglia e rimango in silenzio. Hope, che aveva già ripreso a muoversi, si è calmata non appena ha sentito la voce di Peeta. È normale, lui le parla da quando gli ho detto che il feto aveva sviluppato l'apparato uditivo. Hope associa la voce di Peeta a qualcosa di bello. «È un'immagine troppo dolce». Ammette allora, quando capisce che non avrei continuato.
«Perché sei qui?»
Peeta si stringe nelle spalle, «ho detto che volevo stare vicino a mia figlia. Hanno acconsentito». Fa una pausa. «Non ti attaccherò, Katniss».
«Come posso esserne sicura? Nell'hovercraft hai tentato di farlo».
«Vero. Ma c'è Hope, non farei mai del male a lei».
Annuisco e rimango in silenzio. «Si calma quando ti sente». Affermo osservando il pancione. «Quando sono sola è sempre agitata, invece».
Trascorriamo le nostre giornate senza far nulla di preciso. Peeta parla con Hope, le racconta di come decorava le torte, e poi mi stringe. Mi tiene stretta tra le sue braccia, mi accarezza i capelli e mi depone baci sulla spalla. Sembra davvero essere tornato il Peeta di un tempo, ma so che non è così. Mi ha detto che il dottor Aurelius lo ha aiutato molto durante la nostra permanenza a Capitol City, ma potrebbe comunque avere degli episodi in futuro. Hope lo continua a tenere ancorato alla realtà, facendogli capire che lui mi ha amata molto, che mi ama perché i baci che mi lascia senza pensarci ne sono la prova, ma una volta che la piccola nascerà non sa se riuscirà più a controllarsi. Pensa di sì, perché grazie alla gravidanza siamo stati a stretto contatto, ma non siamo sicuri di nulla. Io mi crogiolo in questo tepore anche se temporaneo, tanto non credo che riuscirò ad uscire viva da Capitol City.
Peeta sembra calmo, ma ogni giorno che passa lo vedo sempre più nervoso, anche se tenta di nasconderlo. Non solo per il fatto che si avvicina sempre di più il termine della mia gravidanza, ma perché presto dovrebbe concludersi il mio processo. Non vuole renderlo palese, ma è preoccupato per la mia incolumità.
I giorni trascorrono e noi due ci avviciniamo sempre di più. Io mi aggrappo a lui e lui ricomincia a fidarsi di me, con riserva. Ogni tanto vedo le sue pupille dilatarsi e scappa lontano, stringendo forte gli schienali delle sedie, o gli angoli di alcuni mobili. Non c'è niente dentro quella stanza con cui mi potrebbe fare male, ma basterebbe la sua forza.
Una sera mi ha urlato di allontanarmi da lui, invece l'ho baciato. Mi sono avvicinata al suo viso, vedevo le sue pupille dilatate contrarsi, i muscoli erano tesi sotto la sua pelle e si concentrava per non muoversi, per non scattare, non colpirmi e non l'ha fatto. Ho unito le nostre bocche, staccandomi soltanto per riprendere fiato. Poi è tornato lui su di me ed ha approfondito il bacio. Dopo tanto tempo ho sentito di nuovo la sensazione di calore propagarsi nel mio corpo. Gli ho stretto le braccia sopra le spalle e non riesco a quantificare il tempo che abbiamo utilizzato per baciarci. Sono contenta che prima di morire abbia avuto la possibilità di risentire, di incontrare di nuovo, il mio Peeta. Il ragazzo che mi ami più della sua stessa vita.
Il giorno dopo, Haymitch ci avverte che il processo è finito e che saremmo tornati a casa. Tutti e tre. Anzi quattro. Io, Peeta, Haymitch e Hope. Lì per lì ho pensato che volessero farmi partorire a casa per poi riportarmi di peso qui per giustiziarmi, ma Plutarch, che ci accompagna sino al 12, mi assicura che non è così. Sono confinata nel mio Distretto fino a nuovo ordine e la cosa non mi dispiace. Anche prima non c'era la possibilità di muoversi. Per me non è cambiato nulla. Mi mette a conoscenza del fatto che, dopo la morte di Coin, sono state indette elezioni di emergenza dalle quali è uscita vincitrice una certa Paylor. Non ho mai avuto modo di conoscerla, ma non importa.
Quando arrivo a casa, nel Villaggio dei Vincitori, Sae la Zozza sta preparando qualcosa da mangiare. Lascia un attimo i fornelli per venirmi ad abbracciare ed accarezzare il pancione, poi torna vicino al fuoco ed io mi siedo su una sedia, con Peeta al mio fianco.
La mattina successiva, quando mi sveglio poco prima dell'ora di pranzo, scopro Peeta palare la terra. Mi sorride quando mi vede. «Per Prim». Osservo i fiori e riconosco le primule.
«Grazie». Dico rientrando, passando per la cucina dove sul tavolo, in bella vista, ci sono delle focacce al formaggio. Ne mangio qualcuna. Mi devo ancora riprendere. I miei pensieri rincorrono sempre l'immagine di Prim che viene colpita dai paracadute e non riesco nemmeno a pensare ad Hope. Non so quanto tempo ci metterò per superare la perdita di mia sorella, forse mai. Come potrò essere madre? Peeta mi rassicura dicendomi che sarò fantastica e quando lo fa, il depistaggio sembra soltanto un ricordo lontano. Gli sorrido, o almeno ci provo, e lo bacio. I baci aumentano di giorno in giorno. A volte rimaniamo ore a scambiarci effusioni, anche se di tanto in tanto, mi balena alla testa l'immagine di Gale. Non mi sento più in colpa, però. Peeta è la mia costante. Sarei già morta da tempo se non fosse per lui.
Con i giorni, oltre all'aumento di baci tra me e Peeta, aumenta anche la paura del parto. E se ci sarà qualcosa che andrà storto?
Quando entro nella trentottesima settimana, mia madre torna a casa. Non mi guarda, non mi parla, è soltanto la mia dottoressa. Non parliamo se non di cosa sento nei riguardi della gravidanza, ma mai di noi. Non certo di Prim. Mia madre non ha lo stesso atteggiamento di quando è morto mio padre, ma si è buttata a capofitto nel lavoro, ed io, con suo rammarico, ci rientro.
Haymitch mi dice che Gale è nel Distretto 2, aiuta la ricostruzione, e non crede che tornerà mai nel 12 visto come si sente. Non capisco bene a cosa si riferisca, ma non indago oltre. Finnick ed Annie sono tornati nel loro Distretto ed anche loro si preparano per la nuova nascita. Sarà più semplice per loro, non come è stato per me, con l'incertezza di non avere vicino il padre della bimba. Ora dovrebbe sembrarmi tutto più semplice, ma non è così. L'ansia si impossessa spesso di me ed anche se le braccia di Peeta di rassicurano durante la notte, ma anche di giorno, non riesco a rilassarmi. I miei pensieri sono confusi, si sovrappongono immagini di Prim con quelle della bambina che ancora devo tenere tra le braccia e continuo a credere che me la porteranno via, come sono riusciti a strapparmi Primrose. Peeta mi dice che non accadrà, che ci saranno loro a proteggerla, anche Haymitch sarà il suo angelo custode e non le accadrà mai nulla di male, ma so bene che ci sono cose che non possono essere controllate. L'ho imparato sulla mia pelle.
Io e Peeta abbiamo liberato una stanza, vicino alla nostra, per Hope. Effie ci ha spedito una culla con l'ultimo treno, sperando di farci regalo gradito, ed effettivamente così è stato. Peeta ha provveduto a scriverle una lettera, invitandola da noi per conoscere la bimba.
Durante la quarantesima settimana, una notte, mi sveglio in preda al panico. Sento un dolore nella parte addominale. Mia madre mi ha detto che sarebbe stato il primo campanello d'allarme. Stringo un polso di Peeta con forza, che si sveglia di soprassalto.
«Che succede?» Mi domanda, allarmato.
«Chiama mia madre». Ordino e lui scivola velocemente dal letto per correre da lei. Poco dopo arrivano tutti e due mi madre ha già i guanti sterili sulle mani. Mi ha dichiarato che il travaglio potrebbe durare parecchio, ma spero che non sia il mio caso perché non sopporto questo dolore e non perché sono debole, ma perché tutto il mio corpo mi dice di difendersi, come se in questo momento fossi attaccata da ibridi che cercano di trovare una via d'uscita dal mio corpo. Mi aspetto che, prima o poi, la mia pancia venga tagliata da artigli provenienti dall'interno che mi dilanieranno la carne per uscire da me e uccidermi. Non riesco ad andare nel panico. Ed ho avuto soltanto una contrazione.
Peeta mi osserva allarmato, ma io mi distendo, sentendo il mio corpo tacere.
«È ancora presto». Afferma mia madre avvicinando una sedia al letto. Peeta, invece, si distende vicino a me, cingendomi una spalla e stringendomi una mano.
Probabilmente nota la mia agitazione perché dice, «tranquilla, andrà tutto bene». Ma io non ne sono del tutto certa. Mia madre però gli dà manforte dicendo che le donne hanno partorito da che mondo e mondo. Non c'è nulla di preoccupante in tutto ciò.
Trascorriamo le ore successive chiacchierando del più e del meno, Peeta ogni tanto mi bacia la fronte, la tempia e le labbra. Le contrazioni si susseguono, durano una ventina di secondi a distanza di più di quindici minuti l'una dalle altre. Non so perché, ma mia madre è molto concentrata nel tenere il tempo. Ed ogni volta che ne ho una, stringo forte la mano di Peeta che non si scosta e non mi urla insulti preso da flashback. È lucido e concentrato. Le contrazioni si fanno più insistenti, più ravvicinate, e mia madre annuncia che è un bene. Sono in fase dilatazione o qualcosa del genere. Io vorrei soltanto strapparmi la bambina dalla pancia e correre a nascondermi, se non sapessi che farlo comporterebbe la mia morte e dolore per Peeta.
Mia madre mi libera dai pantaloni e dalle mutandine, arrossisco automaticamente, anche sapendo che Peeta mi ha già vista nuda. Trascorro un'altra ora nella quale le contrazioni mi fanno sempre più male, non so come sia ridotta la mano di Peeta. La stringo talmente forte che ho paura di rompergliela, ma lui continua a stringermi.
Ogni volta che mia madre mi ordina di spingere, tutto il mio corpo si irrigidisce ed il dolore è immenso. Peeta cerca di rassicurarmi, fa il tifo per me e mi sembra assurdo vederlo così felice quando io sono così distrutta. Spera che io muoia, forse.
Non so quanto tempo passa, ma sono un fascio di nervi quando mia madre tiene in braccio Hope. Un esserino minuscolo, completamente sporco. Non riesco a fare a meno di pensare quanto sia una cosa oscena. Sarebbe davvero mia figlia? Gli occhi di Peeta, invece, brillano e non riesce a trattenere qualche lacrima di commozione. Mia madre taglia il cordone e si allontana per pulire Hope che ha già cominciato a piangere e controllarle i segni vitali, Peeta rimane al mio fianco, poi mi lascia, per raggiungere nostra figlia. E l'ho odiata. Mi ha portato via Peeta e sono rimasta da sola. Ho paura, mi fa male tutto e nessuno sta pensando a me. Alla fine tornano, Peeta non nasconde un sorriso da parte a parte del capo e mia madre mi porge Hope tra le braccia. Non voglio prenderla in braccio, ma non posso nemmeno tirarmi indietro. È stretta tra le mie braccia, osservo le sue manine muoversi e per la prima volta sento una sensazione strana dentro di me. È mia figlia e farò di tutto per proteggerla. E non soffrirà mai la fame come è successo a me e Prim ed avrà un padre che l'amerà sempre, come mio padre ha amato me. Le insegnerò a cacciare perché è una qualità che può essere utile, mentre Peeta le insegnerà a disegnare e a cucinare. Sarà abile e fiera. Sarà amata e protetta. Avrà una madre, un padre, una nonna e tanti amici. Devo chiedere ad Annie e Finnick di trascorrere le vacanze qui, così che Hope possa stringere amicizia con loro figlio o figlia, visto che io non posso allontanarmi dal Distretto 12. Peeta le accarezza la fronte con un dito ed io ritorno all'interno di quella stanza, anche il dolore sembra lontano. Osservarla basta a dissipare tutti i ricordi ed i dolori fisici. Alzo lo sguardo verso Peeta e gli sorrido. Le porgo Hope che prontamente stringe sul suo petto. Non posso tenerla attaccata a me ventiquattrore su ventiquattro e sono comunque stanca.

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Buonasera. Eccomi con il nuovo capitolo! L'ultimo :3 No, ancora c'è l'epilogo. Comunque! Spero vi sia piaciuto. In questo capitolo tornano nel 12. Non ho molto da dire, sinceramente e_e Quindi, boh. XD Scusate, ho mal di testa e sono di poche parole.
Ah, sì! Il fatto che Peety va da Kitkat è un po' forzato, ma mi piaceva e ho visto Peety smuovere mari e monti per stare con Hope/Kitkat, quindi... e perché sono vomanticah
Scusate se non ho risposto alle recensioni. Lo farò il prima possibile, ma purtroppo oggi è stata una giornata assolutamente caotica. :°
Ci vediamoh prestoh con l'epilogoh! :3
Baci
Deb

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Capitolo 14
*** Epilogo ***


Non rinunciare mai alla speranza
Epilogo


Non so se Peeta abbia avuto dubbi sulla paternità anche dopo la nascita di Hope, ma ora non può averne. Ha la forma degli occhi e della testa uguali ai miei, come la carnagione e la bocca, ma l'azzurro delle sue iridi è identico a quello di Peeta, come i capelli biondi coperti di riccioli e le ciglia così chiare che si notano appena, ma che sono lunghe e sottili controluce.
In questo momento, Johanna tiene Hope tra le braccia e la culla dolcemente. Haymitch ne è ossessionato e la chiama sempre nanetta. Effie la sveglia ogni volta che apre bocca per la sua voce acuta. Finnick la coccola e le fa il solletico nei piedini, così da sentirla starnazzare come le oche di Haymitch. Annie ha sempre le mani appoggiate sul suo pancione e non finisce mai a farmi domande, quando continuo ad essere ignorante in materia. Peeta, da quando è nata, è completamente sereno. Non ha avuto più un flashback. Dice che è perché nei suoi pensieri c'è sempre lei ed Hope è la creatura più pura e speciale del mondo. Ma so che a volte non si fida di me e mi osserva con dubbio, quando se ne accorge si scusa con un bacio, quindi non posso lamentarmi.
La mia casa non è mai stata così piena di gente come in questo momento, a distanza di sei mesi dalla nascita di Hope. Finnick ed Annie si sono sistemati nella casa di Peeta, a fianco della mia, che però è vuota visto che lui non può pensare di stare lontano da Hope. Effie ha deciso di sua spontanea volontà di insediarsi da Haymitch così da aiutarlo a riordinare persino casa, con disappunto del proprietario. Johanna sta invece da noi, dice che non vuole disturbare i quattro piccioncini - includendo nella lista Haymitch ed Effie anche se sono tutto tranne che una coppia -, la verità è che non riesce ancora a dormire e i pianti notturni di Hope non le danno fastidio, anzi le utilizza come scusa per poter star sveglia senza dar nell'occhio a nessuno.
Gale non è riuscito a tornare, non so se sia troppo doloroso per lui ripresentarsi nel Distretto 12, se ce l'ha ancora con me, o non gli hanno lasciato un congedo per venire a festeggiare con noi. Ad ogni modo mi ha scritto, si congratula con me, augurandomi tutto il bene del mondo. So che Johanna prova qualcosa per lui, ma non le chiedo nulla perché, come mi ha detto tempo fa, lei non parla di sé. Sarei comunque contenta se Gale si lasciasse andare con lei, alla fine le voglio bene e posso considerarla un'amica, anche se mi ha strappato il localizzatore ed ho pensato che volesse uccidermi.
«Come sta la mamma più brava del mondo?» Peeta mi stringe i fianchi da dietro e sussulto. Non sono comunque abituata alle sue continue battutine sul mio ruolo di mamma ed io mi sento sempre fuori luogo.
«Bene». Rispondo finendo di lavare i piatti. Siamo rimasti da soli, beh, Johanna è in sala con Hope, quindi non siamo propriamente soli, ma comunque è una bella sensazione, anche se non disprezzo il via vai di persone che c'è in questi giorni.
La cena di questa sera sarà l'ultima tutti insieme. Ognuno tornerà nel proprio Distretto e rimarranno a farci compagnia soltanto Haymitch ed Effie che non ha intenzione di andarsene. Credo che si sia abituata a stare con noi ed apprezza poter badare a Hope di tanto in tanto.
Io continuo ad alternare momenti di apatia, ripensando al passato, a momenti in cui sembro stare bene, ma è solo una facciata perché so di non poter tornare quella di un tempo. Ma devo farmi forza, per Hope e per Peeta. Io ho loro che mi aiutano e loro hanno me. Non posso continuare a commiserarmi e darmi la colpa per ciò che è successo a Primrose. Io ho cercato di fermarla, ma lei è stata così dannatamente altruista che non sono riuscita a tenerla stretta a me.

Io e Peeta abbiamo lasciato Hope dentro il suo box, di fianco al mio letto, visto che ho paura a lasciarla da sola in una stanza dove non ci sono, e ci siamo messi sotto le coperte quando Peeta mi stringe il viso con le mani e mi depone un bacio a fior di labbra.
«Non è ora che ci sposassimo per davvero io e te?» Il mio cuore perde un battito, la mia gola si chiude e la bocca si secca. Non ho pensato ad un nostro eventuale matrimonio. Non credevo nemmeno volesse sposarmi ed unirsi con me, con colei di cui si fida e non si fida. Credevo che non me l'avrebbe mai chiesto e a me non importava più di tanto. Andiamo bene così.
«Hai capito quello che ti ho chiesto?»
Annuisco, «sei sicuro?» Riesco a dire, poi. E so per certo che lui ha capito cosa voglia dire.
«Ti amo, Katniss. Non importa cosa mi hanno fatto pensare quelli di Capitol City o se a volte mi chiedo se tenterai di uccidermi, so che non è così. Dentro. L'ho sempre saputo. Una parte di me ti ha sempre amato e lo sai che voglio sposarti da tanto tempo». Sento gli occhi bruciarmi un po' e ho il sentore che potrei mettermi a piangere. Quando ero incinta credevo piangessi per colpa degli ormoni, ma forse non riesco più a fingermi forte. Non con lui.
«Volevi che il nostro matrimonio fosse vero». Dico, ripensando al Tour della Vittoria, a quando avevo proposto un nostro matrimonio, lui si era chiuso in camera e Haymitch mi aveva detto quelle parole. «Anche io vorrei che fosse vero».
Lo vedo sorridere e mi stringe a sé, poi mi bacia, poi mi stringe ancora e mi sento una bambola che viene sbattuta a destra e a sinistra per un momento. Ma quando lo sento ridere, non riesco a trattenermi e comincio a piangere. E mi sembra tutto surreale, tutto così impossibile.
E quando mi dà l'ennesimo bacio, questa sera, mi avvicino a lui e lo approfondisco. Accarezzo il suo corpo al di sopra del pigiama, poi a nudo. E continuo a baciarlo e lui bacia me, con trasporto, come quel pomeriggio nel nostro alloggio al dodicesimo piano del Campo di Addestramento.

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Curiosità e approfondimenti random:
- Non sapevo se avrei fatto nascere (?) un maschio o una femmina, per un attimo ho pensato anche i gemelli, ma era troppo u.u Poi ho detto "vada per femmina" perché io sono di parte e preferisco le bambine ai bambini e perché nella mia mente Hope, da grande, sposerà il figlio di Finnick. Mi sembra ovvio u.u
- Il nome Hope viene dalla fanfiction "Better World", l'ho riutilizzato anche qui per semplicità, (faccio schifo con i nomi, davvero) ma anche perché la fic ruota tutto intorno alla speranza e poi volevo che fosse Haymitch a tirare fuori il nome. xD
- Come potete vedere dall'epilogo, Hope ha caratteristiche diverse da Bimba Mellark dei libri perché Hope non è Bimba Mellark che, ovviamente, nascerà più avanti u.u E se lo fosse stata non le avrei dato alcun nome, visto che spero che ce lo dica la Collins, magari nella seconda parte cinematografica di Mockingjay. u.u
- Katniss non ce l'ha con Gale. Non essendo stata presente, non sa che le bombe le ha ideate Gale e, anche se fosse stata presente, in questa fic Katniss non va mai in armeria beccando Gale e Beetee che ne discutevano. Gale però c'era e le ha viste ed ha il dubbio che fossero sue e si sente in colpa, ecco perché non è presente nell'epilogo. Mi sembrava che sarebbe stato abbastanza da lui.
- Come ho scritto più volte nella fic, Peeta ha ancora i flashack o non si fida di Katniss, ma ho pensato che, vista la gravidanza, visto come sono stati più vicini, la guarigione di Peeta sarebbe potuta essere un po' più veloce. Come dice anche Katniss, Peeta comunque si aggrappa o non si fida ancora di lei, ma sa che l'ama. Gli hanno modificato i ricordi, non il cuore. Lui amerà sempre Katniss u.u
- Ho dovuto far morire Prim, però, se no... davvero non sapevo come spiegare perché Katniss avrebbe dovuto uccidere la Coin e non la volevo come PresidentA.
- Ho pensato che avrebbero potuto accordare il permesso a Peeta di andare a stare nella stanza con KitKat, quando era prigioniera. Anche se forse è un po' forzata come cosa, ma mi piaceva farli stare vicini. ♥ *deb è una romanticona* E magari speravano che la uccidesse :')
- Ovviamente, Katniss è pur sempre una tardona. No, cara KitKat, Effie non è rimasta da Haymitch perché le piace la tua compagnia o quella di Hope. È rimasta per altro, fidati ;)
- Mi è piaciuto molto descrivere più in dettaglio la friendship Johanna/Katniss. Mi piacciono molto tutte e due insieme e non avrei voluto più smettere. xD ♥
- Nella mia testa, come nella vostra credo, Johanna prima o poi se la farà con Gale. Tempo al tempo! :P Già c'era qualcosa di platonico al Distretto 13, fate sbollire la rabbia di Gale verso se stesso e vedrete che lui e Johanna staranno insieme.
- Ho amato la gelosia di Katniss nei confronti di Delly :3
- In questa fanfiction ho utilizzato uno stile non propriamente mio. Mi spiego meglio, ho cercato di seguire alla meno peggio quello della Collins (sì, lo so io faccio pena, ma vabbè... dettagli) che spesso e volentieri scrive quello che succede senza scene vere e proprie o dialoghi, ma a 'mo di riassunto. Ho cercato di ricalcarla. So che probabilmente non mi è riuscito benissimo, ma spero che non vi abbia fatto proprio schifo. xD È un esperimento alla fine :P
- Ringrazio il sito settimanedigravidanza.com che mi ha aiutato a scrivere la fanfiction riuscendo a descrivere i sintomi di Katniss. Ho cercato di studiare bene i tempi di Mockingjay, spero di non aver fatto casini.
- Ringrazio Ili91 per tutto l'aiuto che mi dà sempre. :) Per averla seguita in diretta e dirmi se i personaggi le sembrassero IC o meno.
- Credo di aver finito, ma non ne sono sicura o.o Mi starò dimenticando qualcosa? T_T E mi scuso di non aver ancora risposto alle vostre splendide recensioni, vi ringrazio infinitamente!, ma purtroppo è un periodo un po' caotico e non ho tempo/modo di fare quasi nulla. Ma vi ringrazio tantissimo! ♥
- Ringrazio anche:
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Alla prossima :3
Bacioni
Deb

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