Tra l'amicizia e l'amore c'è la distanza di un bacio.

di YamaTheShepherd
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Note dell'autrice (o delle autrici?):
Vabbè, sì, era da un po' che volevo scrivere una vera BaDeul. Alla fine ho ceduto, volevo troppo. E perché non farlo insieme alla più grande shippatrice della BaDeul che io conosca? Ecco quindi ci terrei a ringraziare Le... San... Non so come chiamarti... Vabbè, lei. Ti voglio bene(?).
Parlando della fanfiction: è divisa in due capitoli, il primo dal punto di vista di Baro; il secondo dal punto di vista di Sandeul.
Spero non venga fuori 'na pecionata.
Tante belle cose...
- Yama


 
Capitolo Uno



Ero sdraiato sul letto, a fissare le doghe di quello di sopra, mentre ascoltavo le voci ovattate provenire dalla stanza accanto. Quel brusio incomprensibile inondava la stanza e mi infastidiva. Non capivo una parola eppure avevo la sensazione stessero parlando di me, e non bene, il che andava ad accumularsi a tutta la frustrazione che già provavo di mio.
Mi sarebbe piaciuto dormire, ero a letto per quello alla fine, ma troppi pensieri mi riempivano la testa, facendomi salire i nervi ancora di più. Come se non bastasse, quelle fitte dolorose tornavano ogni volta a ricordarmi quanto fossi stato sbadato e stupido. Mi sentivo un peso per il gruppo: un intralcio per la promozione. Pensavo che tutti gli altri ce l'avessero con me, che fossero arrabbiati; per questo, qualunque cosa, qualunque parola o azione da parte degli altri membri, la percepivo in modo negativo.
Avevo spento la luce prima di andarmi a stendere sul letto e chiesto cortesemente a tutti di non disturbarmi, per provare a riposare, ma quei pensieri, oltre a tenermi sveglio, non facevano che peggiorare il mio stato d'animo.
Sentii la porta aprirsi. Di riflesso abbassai il braccio con cui mi stavo coprendo gli occhi, per lanciare uno sguardo verso il fascio di luce proveniente dalla stanza affianco. Facendo capolino dallo spiraglio, illuminava l'ambiente, lasciandomi intravedere la sagoma delle gambe di quella persona. Delle gambe che conoscevo fin troppo bene.
«Baro?» mi sentii chiamare, ma non mi mossi, non risposi. La porta si chiuse cigolando appena e il buio tornò ad invadere la stanza. Ma lui non se n'era andato, era ancora lì, sentivo il suo respiro e lo sfregare leggero dei suoi vestiti sulla pelle.
In un certo senso, questo mi aveva fatto piacere. Anche se ero sicuro che l'altro sarebbe rimasto, lo conoscevo fin troppo bene.
«Baro, stai dormendo?» provò nuovamente senza arrendersi, con quel tono di voce dolce e gentile che sembrava rivolgere solo a me «Come stai?».
Rimase un secondo davanti alla porta, aspettando magari che cominciassi a parlare, ma quando capì che non l'avrei fatto, avanzò lentamente, finché non sentii il letto abbassarsi di fianco a me. Si era seduto e, lo sentivo, mi stava guardando.
«... Come vuoi che stia?» risposi con tono scocciato, anche se avrei voluto dirgli qualcosa di simile a un "grazie per essere venuto a vedere come sto", perché da lui, tutto sommato, non m'infastidiva per niente e la sua compagnia mi piaceva fin troppo.
«Ah... sì, scusa. Hai ragione...» mormorò, probabilmente deluso dalla mia risposta. Ma rimase comunque lì. Seduto a guardarmi, potevo percepire appena i suoi lineamenti nel buio, che seguivo con la coda dell'occhio, semi-nascosto dietro al mio braccio. Non se ne sarebbe andato e cominciavo a sentirmi ancora più stupido a causa di quella risposta poco educata.
Spostai di poco il braccio, senza farglielo notare ed abbassai lo sguardo su di lui, sorprendendolo intento a stringere i pugni. Sospirai pesantemente e scostai definitivamente il braccio da sopra gli occhi, posando la mano sopra le sue e dandogli due pacche leggere.
«Dai, su, stai tranquillo. Scusami» gli dissi sincero, anche se probabilmente la cosa non si percepiva dal tono della mia voce. Ma farlo rattristare era l'ultima cosa che volevo. Non lui, che era sempre sorridente e rideva per qualsiasi cosa. Non lo potevo sopportare.
«Perché sei così di cattivo umore?» riaprì bocca dopo un lungo periodo di silenzio, che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di rompere. «Sono pre... Siamo tutti preoccupati, nessuno escluso» si corresse in fretta. Una cosa a cui inizialmente non feci neanche caso, troppo preso a strizzare gli occhi per cercare di capire quale fosse la sua espressione, inutilmente.
Perché ero di cattivo umore? E me lo chiedeva pure?
Mi ero stirato i legamenti della caviglia, non potevo rimanere in piedi da solo senza un supporto, figuriamoci stare su un palco ad esibirmi. E quella è la mia vita. Zompettare da una parte all'altra di un palco... Come potevo fare ora? Ora che non potevo muovermi senza le stampelle? Proprio nel momento in cui stavamo promuovendo, in cui stavamo lavorando bene e tutto andava alla grande.
Dovevo farmi male, ovviamente. Dovevo farmi male e rovinare tutto. Non solo mi sentivo un stupido per non essere stato attento e aver rischiato di farmi ancora più male, ma anche inutile, un peso... mi sentivo un niente.
«Dite di essere preoccupati, ma secondo me pensate tutti che 'sta cazzata me la potevo anche risparmiare. Ora andrà tutto male per colpa mia. Dovremmo interrompere la promozione, annullare tutti i miei impegni... Sto creando solamente disagi, non solo a me stesso, ma anche a tutti voi, al nostro manager, all'agenzia, a chi gestisce i programmi in cui dovremmo essere ospiti... devo continuare? Non ti basta?» le parole uscirono involontariamente, con un tono troppo duro. Come la mia espressione in quel momento.
Mi sentivo come se fossi la causa dei principali mali del mondo, e tutto per una stupida caviglia.
La tensione graffiava nelle ossa, quel silenzio - un altro, l'ennesimo - non mi aiutava a tranquillizzarmi e più passavano i secondi più volevo sapere per quale motivo non dicesse niente, cosa gli passasse per la testa, perché era ancora lì se non aveva niente da aggiungere. Sapevo che, se Sandeul teneva chiusa la bocca, voleva dire che stava pensando. Che aveva tanti pensieri per la testa. E la cosa mi faceva innervosire ancora di più, perché se Sandeul non sorrideva non riuscivo a farlo neanche io.
Pensai talmente tanto a quelle cose che non mi resi conto del suo spostamento, finché non lo sentii scivolare al mio fianco. Il cuscino si affossò ancora di più, sotto al peso della sua testa e, istintivamente, lasciai che la maggior parte del mio peso finisse sul lato del corpo più lontano da lui, come se avessi paura di finirgli addosso. Ma lo spazio tra i nostri corpi era ugualmente minimo, tanto che sentivo il suo respiro sulla mia guancia. Era vicino, mi osservava, ma io continuavo a guardare le doghe del letto di sopra, ignorando quella graduale accelerazione dei battiti del mio cuore e l'inspiegabile impazienza che non mi rendeva le cose più facili.
Mi sentii afferrare la maglietta, era lui, che richiamava la mia attenzione tirando il tessuto, come fanno i bambini quando gli adulti non li ascoltano.
«Baro... Non devi essere arrabbiato per questo. E neanche triste. A noi importa che tu stia bene, e nient'altro... Ci siamo spaventati e invece, per fortuna, non è successo niente di grave. Quindi non essere triste e non fartene una colpa. Sono cose che capitano... E io voglio vederti sorridere, lo sai».
Parlò lentamente, prendendosi tutte le pause che voleva tra una frase e l'altra. Sapevo che lo faceva per non rischiare di usare parole sbagliate, per non peggiorare la situazione. Soffiava le parole, con un filo di voce, quanta bastava per farsi comprendere. Il calore del suo respiro mi scaldava la guancia e avevo ben chiari, nella mia mente, i movimenti delle sue labbra, troppo vicine alla mia pelle per ignorarle.
Come al solito le sue parole riuscirono a farmi calmare, almeno un po'. Era sempre così con Sandeul. Quando c'era da parlare seriamente era il migliore. L'unico in grado di consolarmi; l'unico con cui non riuscivo a tenere il broncio; l'unico che mi dispiaceva far rattristare. Il perché di tutto questo me lo chiedevo in continuazione. Non perché non lo sapessi, era più limpido di un cielo estivo, ma... Proprio lui? Proprio Sandeul doveva essere quel tipo di persona con la quale tutto veniva spontaneo, tutto valeva la pena di essere condiviso e tutto diventava migliore? Una persona speciale, insomma. Quel tipo di persona che, ad un certo punto, ti mette in dubbio sui tuoi sentimenti. Ed era proprio a quel punto che mi trovavo.
Già da qualche tempo mi chiedevo per quale motivo continuassi a convincermi che fosse solo amicizia. Forse ci speravo e basta. In fondo non è facile accettare di provare qualcosa per una persona del tuo stesso sesso, quando, per anni, sei stato convinto di essere attratto solo da ragazze. Eppure sentivo qualcosa per lui, che continuavo a reprimere e a nascondere, cercando di ignorare per continuare ad andare avanti come al solito. Ma in quel momento, in cui le mie difese erano azzerate, in cui mi sentivo un schifo già di mio, cominciò a riuscire fuori tutto. E fu un disastro.
«Ciò non toglie che io sia stato uno stupido» dissi sforzandomi di tenere lo sguardo lontano da lui. Cosa che mi riusciva estremamente difficile. Con la coda dell'occhio infatti tentavo di spiarlo, ma era difficile farlo al buio e a quella distanza ravvicinata.
Calò nuovamente il silenzio tra noi. Il suo respiro continuava a solleticarmi la guancia e stava diventando insopportabile. Fu a quel punto che girai la testa, ritrovandomi a pochi millimetri dal suo volto. Lo feci involontariamente e quasi me ne pentii.
Ora riuscivo a distinguere chiaramente i suoi lineamenti. E i suoi occhi scuri, fissi nei miei, mi fecero perdere totalmente la concentrazione.
Probabilmente anche lui pensava fossi stato stupido, ma non me lo avrebbe mai detto apertamente. Sanduel era sempre il primo a dirmi che ero un idiota e a sminuirmi davanti agli altri, ma non in questo genere di situazioni.
«Perché continui a rimanere qui?» gli chiesi continuando a mantenere questo tono odioso che non avrei mai voluto rivolgergli. Ma ero troppo arrabbiato, e confuso.
«Non me ne andrò» mi disse senza mutare né la sua espressione né l'intonazione della sua voce. Era sicuro di quello che diceva, e lo avrebbe fatto, non se ne sarebbe andato.
«Perché?»
«Perché ho bisogno di sapere che stai bene.»
«Non sto bene.»
«Allora rimarrò qui a farti compagnia. Non riuscirai a mandarmi via.»
«Perché insisti?»
«Perché sei il mio migliore amico.»
Mi venne da ridere e lo feci. Sembrava così sicuro di quello che diceva, mentre io ero talmente confuso che mi veniva da piangere. Lui era ancora il mio migliore amico, e lo sarebbe rimasto per sempre, però c'era quel qualcosa che avevo ancora paura di definire, che certe volte si risvegliava e tornava a tormentarmi.
Continuai a fissare i suoi occhi, incapace di spostare lo sguardo da qualche altra parte. Era preoccupato, si vedeva, ed era triste. Lo era più lui per me, che io per tutte quelle stronzate di cui mi stavo lamentavo.
Ma continuavo a non capire perché insisteva tanto a rimanere lì, perché mi stava così vicino e per quale motivo non mi avesse ancora mandato a quel paese. Mi chiedevo tante cose e non sapevo più cosa pensare.
Ero ancora incavolato per il mio infortunio, o mi sentivo così a causa della sua presenza? Nella mia testa c'erano troppe cose mischiate insieme, troppa confusione, troppo chiasso.
Soffiai quella risata direttamente sulle sue labbra. Suonava sarcastica, speravo di infastidirlo, speravo di riuscire a farlo andare via, la sua presenza iniziava a farmi stare ancora peggio.
«Perché ridi?»
Alzai i miei occhi, rendendomi conto che, da diverso tempo, le sue labbra avevano attratto il mio sguardo, con i loro lenti e ipnotici movimenti. Non riuscivo a capire per quale motivo mi comportassi in quel modo, ero confuso e forse ero anche spaventato. No, ero decisamente spaventato, da tante cose. Ma non volevo farlo stare male, cosa in cui, invece, stavo riuscendo benissimo.
«Lascia perdere» dissi in un sospiro, chiudendo gli occhi. In quel momento persi ogni speranza, non sarei più riuscito a rimanere solo, e non lo volevo neanche. Mi lasciai andare.
Inclinai la testa, cercando quasi di accovacciarmi, appoggiandola contro la sua spalla.
Forse - avevo pensato - se mi fossi arreso non sarebbe stato poi tanto male, forse la sua presenza, superato quell'apparente fastidio, poteva farmi veramente piacere, forse ero io che stavo sbagliando tutto.
Sentii il suo respiro fermarsi per qualche istante e riprendere, lentamente, quasi impercettibile, come se quel mio cambiamento lo avesse sorpreso o spaventato.
Ci fu un altro lungo momento di silenzio, il suo respiro mi entrava pian piano nella testa. Si era girato, la sua spalla si sovrapponeva appena alla mia. Guardava verso l'altro, così non sentivo più il suo respiro caldo scontrarsi con la mia pelle, ma ne sentivo il suono, e movimenti del suo corpo, che si sollevava e si riabbassava, mi cullavano, facendomi ricordare che ero stanco.
Mi stavo rilassando, finalmente; era l'effetto che aveva su di me quel ragazzo. L'unico in grado di farmi agitare e tornare calmo in un batter d'occhio.
Persi di vista tutte quelle inutili preoccupazioni, quelle cretinate che mi rendevano ciò che non ero, sopraffatto da quella calma che mi aveva pervaso, le dimenticai. Lasciai posto solo ai battiti del suo cuore, che sentivo poco sotto al mio orecchio, e si facevano sempre più rumorosi; al profumo dei suoi vestiti che assomigliava al mio, ma portava con se una leggera fragranza totalmente diversa, dolce, e particolare; al calore del suo respiro, che sentii improvvisamente tra i miei capelli.
Aveva abbassato lo sguardo su di me, era chiaro, anche se non potevo vederlo. Ma volevo vederlo, incontrare i suoi occhi nel buio, sentire il suo respiro sul mio volto, poter sfiorare la sua pelle. Erano cose che desideravo in continuazione quando c'era lui nei dintorni, quando mi gironzolava dietro per troppo tempo.
Alzai il volto, verso di lui, lentamente. Ritrovai nuovamente quegli occhi scuri, puntati verso di me. Mi ero abituato al buio, riuscivo a vedere le sue sopracciglia leggermente aggrottate, tra le ciocche scomposte della sua frangetta; il labbro sparire tra i suoi denti, e ritornare lentamente libero; il suo sguardo seguire il mio, ovunque si posasse, per poi tornare ad attirare a se i miei occhi. E fu quello il momento in cui mi persi completamente. Nella mia testa c'era solo lui, e solo lui volevo.
Sollevai un poco di più il mento, mi allungai di qualche centimetro verso di lui, andando ad appoggiare delicatamente le labbra sulle sue. Tremavo leggermente, mentre cercavo di imprimere una piccola pressione su di esse, quel poco che bastava per rendermi conto che quelle erano veramente le sue labbra, che non stavo sognando. Probabilmente quella sarebbe stata la prima ed ultima volta, volevo fare in modo di non dimenticarmene mai.
Rimase immobile, senza dire una parola, e feci lo stesso quando, una volta separate le mie labbra dalle sue, tornai a sdraiarmi nella stessa posizione, poggiato alla sua spalla, leggermente accovacciato. La gamba ancora distesa non faceva più male, non ci pensavo più. Il cuore mi batteva troppo forte per poter percepire le pulsazioni che mi attanagliavano la caviglia. Le labbra si stringevano, cercando di non dimenticare la sensazione di non essere più sole. Non c'era più niente a turbarmi, non ricordavo neanche più cosa mi avesse spinto a rinchiudermi in camera quella sera. Cosa sarebbe successo dopo, non mi importava. Non importava più nulla. Stavo bene, ero felice, e finalmente mi addormentai.

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Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Note dell'autrice (o delle autrici?):
Finalmente siamo arrivate al secondo ed ultimo capitolo. Non ho molto da dire se non che avrei voluto pubblicarlo prima, ma continua ad esserci qualcosa che non mi convince tanto e sono insicura se pubblicarlo sia la cosa giusta da fare. Ma è passato molto non penso che riuscirei a ricavarci qualcosa di migliore, quindi basta. Spero possiate gradire.
- Yama


Capitolo Due



Ci sono state volte in cui mi sono detto che se lo sarebbe dovuto aspettare, che un po' era anche colpa sua se ci ritrovavamo in una situazione del genere. Che magari sarebbe dovuto venire da me per mettere in chiaro le cose, scusarsi, spiegarmi le motivazioni del suo gesto. Il perché del suo comportamento, dopo tutto quello, dopo avermi dato delle speranze, dopo avermi illuso... Ma per quale motivo si sarebbe dovuto scusare per qualcosa che, in realtà, mi era piaciuto?
Ed infatti era così, a me tutto quello era piaciuto. Mi era piaciuto restare solo con lui, avere il suo respiro addosso, sentirlo addormentarsi tra le mie braccia, e soprattutto mi era piaciuto quel bacio. Un bacio al quale, per settimane, avevo sperato in un seguito, ma che pian piano aveva portato solo al peggio.
Perché invece di avvicinarci, quel bacio, ci aveva allontanati? Per giorni ha continuato a sfuggirmi, a trattarmi come se non fossi nessuno, dimenticandosi persino che ero il suo migliore amico. E io da bravo stupido ho continuato ad andargli dietro, a farmi trattare male. Come se il solo vederlo non facesse già stringere il mio cuore in una morsa.
E in quel momento non sapevo neanche perché continuavo a farmi venire così tanti pensieri se lui, magari, nemmeno voleva cercare di risolvere questa cosa. Magari gli stava bene così, in fondo se l'era cercata.
Fu la voce di Jinyoung ad interrompere, finalmente, la serie di riflessioni che correvano nella mia testa. Era venuto ad avvertirmi del fatto che, lui e gli altri, avevano deciso di uscire insieme, approfittando del tempo libero di cui disponevamo.
Io non avevo alcuna intenzione di andare con loro. Mi ero sdraiato sul mio letto da meno di mezz'ora - ed era questo il motivo per il quale mi erano tornate in mente tutte quelle cose e quel giorno che tanto avevo cercando di dimenticare - avevo bisogno di riposare, e sicuramente non avevo voglia di passare del tempo con una certa persona le cui parole risultavano essere sempre troppo pungenti per i miei gusti.
Ad ogni modo, ci pensai un attimo prima di rispondere. Non è che non mi facesse piacere l’idea di passare del tempo insieme a loro, senza pensare al lavoro o ad altre cose stressanti, e magari mi avrebbe anche aiutato a mettere da parte, almeno per un po', tutti quei pensieri.
Però non me la sentivo proprio. Accettare mi avrebbe sicuramente fatto ritrovare in qualche situazione spiacevole. Magari mi sarei ritrovato a parlare con Baro di qualcosa che non riguardasse il lavoro, rischiando di arrivare ad un discorso imbarazzante, da cui difficilmente sarei riuscito ad uscire, finendo per incasinarmi ancora di più per la situazione che si sarebbe andata a creare.
«Scusami, ma forse è meglio che resti a casa. Lo sai, è tutto il giorno che ho mal di testa, ne approfitterò per riposare» mi limitai a dire, sperando che non se ne sarebbe uscito con qualche domanda a cui non sarei stato in grado di rispondere.
Il mal di testa non era una scusa. Ero stanco, parecchio stanco e, come ultimamente mi capitava, anche quella mattina mi ero svegliato con le tempie che mi martellavano e, di sicuro, avere quei pensieri per la testa non migliorava la situazione.
«Va bene, tranquillo… Risposati però, okay? Torneremo dopo cena, quindi preoccupati di mangiare qualcosa e non dormire troppo.»
Fu tutto ciò che mi disse. Il suo tono era gentile, come al solito, e i suoi modi poco invasivi. Probabilmente avrebbe voluto sapere di più, farmi altre domande, e trascinarmi giù da quel letto, ma non lo fece. Era tanto premuroso da preoccuparsi per un semplice mal di testa, ma aveva anche abbastanza riguardo da rispettare le decisioni di tutti noi, anche se queste andavano contro i suoi principi.
Così, quando tirai un sospiro di sollievo e annuii alla sua domanda, capì che era tutto lì; non avevo tanta voglia di parlare e lui mi lasciò stare, come desideravo.
Dopo avermi dato una pacca sulla spalla e augurato un buon riposo, si richiuse la porta alle spalle, facendo sprofondare la stanza nel silenzio.
Grazie a lui ero riuscito nuovamente a reprimere tutti quei pensieri; di sicuro non mi sentivo bene, ma ero abbastanza in pace da riuscire ad addormentarmi.
Non so quanto tempo passò: secondi, minuti o addirittura ore, non ne ero sicuro. In quel momento l'unica cosa a cui prestai attenzione fu il materasso che si abbassava al mio fianco, il quale mi risvegliò da quella specie di sonno in cui ero caduto poco prima.
Non ero neanche sicuro fosse la realtà, magari stavo solo sognando, per questo non pensai neanche di spostarmi da quella comoda posizione rannicchiata, in cui mi ero sistemato poco prima di addormentarmi.
Tutti quanti erano usciti, ero solo in casa, e non doveva essere passato troppo tempo da quando avevo chiuso gli occhi, quindi gli altri non potevano essere già rientrati. Eppure continuavo a percepire quella presenza lì affianco e questo iniziava a farmi sentire inquieto.
Un'improvvisa paura cominciò a salire; in quel momento, la cosa che mi spaventava di più, era che lì ci fosse qualche estraneo. Dopo tutto avevo logicamente escluso, a prescindere, tutti i membri del gruppo, essendo convinto fossero usciti. Ero ancora insicuro della veridicità di quelle sensazioni, ma - che fosse realtà o sogno - la cosa mi aveva letteralmente pietrificato.
Ero incapace di reagire, e persino respirare mi sembrava difficile. Proprio come un bambino spaventato dai rumori la notte, che si rifugia sotto le coperte, rimanendo in silenzio e cercando di fare attenzione a non fare il minimo movimento; che sta attento a tutto ciò che ha intorno, finché non si convince che è meglio ignorare, altrimenti non sarà mai in grado di addormentarsi. Ed in quel momento paragonarmi ad un bambino spaventato era la cosa più giusta.
Mi resi conto che non si trattava di un sogno, solamente quando una mano si andò ad appoggiare sul mio braccio. Sussultai leggermente, cercando di contenere il più possibile le mie reazioni, ma fu grazie a quello che scoprii chi realmente fosse, poiché riconoscerei fra mille quel tocco e quella mano: si trattava proprio di quella persona che in tutti i modi avevo cercato di evitare. Eppure quella scoperta non mi intimorì come avrebbe dovuto - come avrebbe fatto poco prima.
Tra tutti i mali che mi erano passati per la mente in quei pochi attimi, non avevo pensato neanche per un secondo alla possibilità che lui fosse rimasto a casa. La cosa mi fece sentire stranamente sollevato - non dovevo temere nulla di realmente pericoloso - e anche un po’ felice.
La sua mano si spostò lungo il mio braccio e raggiunse la mia, per poi andarla a stringe con delicatezza, iniziando ad accarezzarne il dorso col pollice.
Non sembrava aver paura di svegliarmi, o forse aveva già capito non stavo dormendo, dato che i miei muscoli non erano più rilassati e il ritmo del mio respiro era cambiato fin troppe volte.
Lo sentii piegarsi in avanti, e la cosa non fece altro che aumentare la mia tensione, tanto che, involontariamente, strinsi la sua mano. Mi fermai appena me ne resi conto, era stata una stretta così debole che sperai non se ne fosse accorto. Ma non ne ero tanto sicuro, non era il tipo da lasciarsi sfuggire questo genere di particolari, lo conoscevo bene e per certe cose eravamo decisamente troppo simili. Probabilmente lui se n'era accorto, come io mi ero accorto che il suo volto era a pochi centimetri dal mio. Il suo respiro, infatti, rimbalzava sulla mia guancia, e la tentazione di girarmi verso di lui e colmare quello spazio era tanta. Era quasi un movimento che il mio corpo mi spingeva a compire di sua iniziativa. Ma io di certo non ero intenzionato a farlo. Dovevo ricordarmi che ero arrabbiato con lui, che il suo comportamento mi aveva ferito per giorni, e che non volevo avere nulla a che fare con quel ragazzo.
Era quindi una fortuna che fossi girato da un lato e gli stessi dando le spalle. Non sarebbe riuscito a rubarmi un altro bacio, o almeno lo speravo, ma averlo così vicino era snervante, e mi sembrò fossero passati minuti su minuti, senza che lui muovesse un muscolo, finché non si decise.
Fu brevissimo, un attimo. Le sue labbra si posarono sulla mia guancia così velocemente che non ebbi neanche il tempo di reagire, ma non fui in grado - e neanche volli - di trattenere il sorriso che si formò sulla mia bocca.
Non me lo aspettavo assolutamente. Dopo tutto quel "ghiaccio" era riuscito nuovamente a riscaldarmi, con un gesto tanto carino da farmi dimenticare quanta paura avessi a rimanere solo in sua presenza.
Ma questo non voleva dire che non fossi ancora arrabbiato con lui.
«Perché sei qui?»
Sussultò leggermente alla mia domanda, probabilmente non se l'aspettava, eppure doveva essersi accorto che non stavo più dormendo. Fatto sta che lo sentii irrigidirsi e lasciò immediatamente la mia mano, forse spaventato. Balbettò qualcosa di incomprensibile per un po', parole troppo basse per essere comprese, e soprattutto confuse, non facendomi capire nulla di quello che stava dicendo.
«Cosa?» chiesi sforzando un po' il tono della mia voce, che inizialmente era più calmo e pacato, quasi volessi farmi rispettare da lui. Se facevo una domanda volevo una risposta, soprattutto se si trattava di qualcuno che per giorni mi aveva evitato e che sconti sulle sue pene non me ne faceva mai.
Tra un bisbiglio e l'altro lo compresi, quell'«Ero preoccupato» che mi fece perdere un battito di cuore, neanche mi avesse fatto una dichiarazione d'amore. Il mio sguardo si fermò su di lui, ero impietrito e se prima il mio cuore aveva smesso di battere, ora lo sentivo correre all'impazzata.
«Tu, preoccupato? Per me?» dissi inizialmente impacciato, ancora frastornato da quelle parole. Ma pian piano alzai il tono, mentre mi giravo verso di lui e mi sollevavo a sedere sul materasso, andando a guardarlo in volto. Una risatina mi sfuggì dalle labbra, mentre distoglievo un attimo lo sguardo, per poi ritornare serio su di lui. Sarei potuto cadere ai suoi piedi da un momento all'altro, ma delle semplici parole non mi sarebbero bastate, non più. Non dopo tutto il tempo che avevo atteso, aspettando di fare luce su quello che provava per me; ora mi sembrava quasi volesse prendermi in giro.
«Sì... Mi sono preoccupato» la sua voce continuava ad essere bassa e confusa; il suo sguardo si era andato a posare sulle sue mani che da un po' continuavano, irrequiete, a giocherellare con le proprie dita, cercando una distrazione.
«Preoccuparti per cosa? Non c'è niente che non vada, no? Va tutto bene, no?» il mio tono, a differenza del suo, continuava ad alzarsi, il mio petto a gonfiarsi e le mie guance a farsi rosse. Mi facevo coraggio da solo, cercavo di essere forte e, per una volta che potevo, magari sarei anche riuscito a fargliela pagare per quei mesi infernali.
Mi faceva piacere che fosse preoccupato, e anche troppo, ma più ascoltavo le sue parole più mi tornava in mente quello che mi aveva fatto passare. Più avevo voglia di sputargli tutto in faccia.
«... Preoccupato per il tuo mal di testa... E, ultimamente, sei strano.»
Scoppiai a ridere, questa volta in modo particolarmente rumoroso, ma non ero divertito da quello che stava dicendo, per niente, mi stava solo facendo salire i nervi.
«Io sono strano?» continuavo a ridere e aspettai di smettere prima di riprendere a parlare. Questa volta avrei messo in chiaro le cose; gli avrei detto chiaro e tonto quanto stronzo fosse stato. «Se ho mal di testa, se sembro pensieroso, strano, se mi allontano, è solo colpa tua, Sun Woo» non lo chiamavo quasi mai con il suo vero nome, solamente se quello che gli stavo dicendo era qualcosa di serio, che esigeva attenzione, esattamente come in quel momento. «E guardami quando ti parlo.»
Il suo sguardo si rialzò, lentamente, sul mio. «Mi dispiace...» continuava a parlare in quel modo fastidiosamente basso, quasi dovevo sforzarmi per capirlo. «Mi dispiace di essere la causa di tutto. Ma... Tu... Non puoi capire.»
«Non posso capire cosa? Perché devo essere trattato da schifo da quello che consideravo il mio migliore amico? No, devo essere sincero non lo capisco.»
«Non è quello... Non puoi capire quello che sento.»
«Neanche te lo puoi capire» sentii il vuoto nel mio cuore ricrearsi. Quel vuoto che qualche minuto prima mi aveva dato l'illusione di essersi riempito.
Scivolai giù dal letto, deluso. L'unica cosa che volevo era allontanarmi da lui. Questa volta sarei stato io a scansarlo, non mi sarei più fatto calpestare da lui. Ma appena feci un passo mi sentii tirare. La sua mano era andata a stringere un mio polso e, vista la forza con cui mi tratteneva, direi che non aveva intenzione di lasciarmi andare. Per quanto gli chiedessi di lasciarmi, lui non mollava la presa, trattenendomi lì.
«Io sono rimasto perché volevo parlarti. Parlare solo con te, senza gli altri intorno.»
«Parla allora» mi girai verso di lui un po' incuriosito, volevo sapere cosa mai avesse da dirmi, che giustificazioni avrebbe trovato.
«Sì, ma tu siediti e non andare via.»
Feci come mi aveva detto, appoggiandomi nuovamente sul materasso, ma senza promettergli che sarei rimasto. Volevo sentirmi libero di andarmene se volevo, ed evitare di sorbirmi altre sue stupide scuse.
Nonostante avesse detto che voleva parlarmi, riprese a stare zitto. Si massaggiava i palmi sul tessuto dei pantaloni, chiaramente teso, deglutiva fin troppo spesso e i suoi occhi vagavano per la stanza non riuscendo a rimanere mai fermi su qualcosa troppo a lungo.
Seppur fossi arrabbiato, a differenza sua, gli lasciai il suo tempo. Non ero così stronzo da mettergli ancora più ansia, nonostante mi pesasse stare lì ad aspettare. Ma alla fine si decise ad aprire bocca, e quello che mi disse fu la rovina.
«Sono confuso» inizialmente fu tutto ciò che uscì dalla sua bocca.
«E allora?»
«Sono confuso e spaventato. Ho paura di fare qualcosa che possa rovinare per sempre la nostra amicizia e la mia vita, e ho paura di non farne un'altra che potrebbe renderla mille volte migliore.»
«Non preoccuparti, la nostra amicizia sei già riuscito a rovinarla» il mio tono era duro e freddo, ma la mia voce calma. Se mi stava parlando sinceramente aveva il diritto di farlo e io invece non lo avevo per prenderlo in giro o dire cretinate. Mi limitavo quindi a fargli notare quale fosse l'attuale stato delle cose.
«No... Non dire così. Io ci tengo a te, sei ancora il mio migliore amico.»
«Che? Mi stai prendendo in giro?»
«No, non ti sto prendendo in giro. Tengo a te più che a chiunque altro, non voglio perderti, ma ho fatto un errore imperdonabile.»
Affondò i polpastrelli nelle sue cosce. Notai il tessuto dei suoi pantaloni ripiegarsi sulle sue dita e farne sparire parte della falange. Le sue mani si erano irrigidite, riuscivo chiaramente a vedere le ossa spuntare dalla pelle.
Vederlo così, stranamente, mi rilassò. Riuscivo a percepire la sincerità nelle sue parole e nel suo atteggiamento. Sembrava starci seriamente male. E allora perché aveva creato tutto questo?
«L'hai fatto. Ed è stato allontanarti da me» il tono della mia voce si era abbassato ulteriormente. Volevo apparire calmo, ma anche fermo e convinto, doveva capire che quello che avevo vissuto non era stato piacevole.
«L'ho fatto perché ho avuto paura.»
«Paura di cosa?»
«Paura di perderti per sempre.»
«E non stai facendo la stessa cosa in questo modo?»
«Sì... Ma, non posso vivere continuando a far finta di niente. Ed è più facile allontanare che essere allontanati.»
«E cosa ti fa pensare che io ti avrei allontanato?» A quel punto il suo sguardo si rialzò improvvisamente sul mio.
«Quello che ho fatto. Quello che provo... Non penso di essere in grado di nascondertelo ancora per molto.»
«Perché non mi hai chiesto cosa ne pensavo io?»
«Per paura di sapere cosa mi avresti risposto. Per paura di essere respinto.»
«Sei uno stupido.»
«Lo sono.»
«E sei stato uno stronzo.»
«Lo sono stato.»
«Vorrei mandarti via.»
«Non farlo...»
«Non posso» il suo sguardo era fisso nel mio; i suoi occhi mi catturavano senza darmi modo di distoglierli da essi; le parole sembravano aver abbandonato del tutto quel tono intimidatorio, ora probabilmente sembravo solo ferito. Lo ero, a causa di tutto ciò che aveva fatto. Ma ero anche perdutamente innamorato di lui, lo sapevo fin troppo bene.
«Se vuoi, puoi.»
«No Sun Woo, non posso mandarti via, per quanto ti abbia odiato in questi giorni, non sarà mai abbastanza.»
«Fai bene ad odiarmi.»
«Finiscila. Potresti meritare molto di più.»
«No, non posso.»
«Puoi, basta poco.»
«Non eri tu ad odiarmi?»
«Sei un idiota» lo dissi mentre mi allungavo verso di lui, mentre infrangevo quella barriera che si era creata tra noi e arrivavo alle sue labbra. Lo baciai velocemente, tanto che sentii appena il contatto con le sue labbra, ma non doveva essere così per lui. Si pietrificò davanti ai miei occhi, neanche avesse visto un fantasma.
Risi. Fu una risata sincera, dovuta a quella reazione adorabile. Lo osservai mentre i suoi occhi si abbassavano sulle mani che avevano rilasciato, finalmente, il tessuto dei pantaloni. Lo osservai mentre una di queste si sollevava lentamente e andava a sfiorare le sue labbra. Lo osservai mentre, ancor più lentamente, si girava verso di me, gli occhi spalancati, la mano ancora sulle labbra, incredulo.
Sorrisi.
Dov'era finita tutta la rabbia? Dove erano andati tutti i ricordi spiacevoli che avevo accumulato per giorni?
Sun Woo, sono mai stato veramente arrabbiato con te? O forse volevo solo che mi notassi? Che tu mi desiderassi. Che fossi tuo, e tu mio... Solamente questo. Era tutto ciò di cui avevo bisogno.
«Cosa significa?» Le sue labbra tremolavano, mentre si muovevano e pronunciava quelle parole. Capivo perfettamente quella sensazione, come se il corpo non volesse più rispondere, come se si temesse di crollare da un momento all'altro. Se, il giorno in cui era stato lui a baciarmi, avessi provato ad aprire bocca, probabilmente non sarei riuscito a far uscire neanche una parola.
«Che sei scemo» risposi portando una mano davanti la bocca a coprirla, mentre un'altra piccola risatina sfuggiva alle mie labbra. «E che mi piaci.»
Sembrava sbalordito. Tutto di lui me ne dava la conferma.
Afferrai la mano che ancora toccava le sue labbra, anche se queste ora erano leggermente aperte e sembrava più volesse entrare ed esplorare l'interno della sua bocca. La scostai, andando a sostituirla ancora una volta con le mie labbra.
Chiusi gli occhi, mentre cercavo di rilassarmi e di rendere il bacio meno impacciato e più sicuro. In fondo anche io ero teso, emozionato, e addirittura sorpreso da quello che io stesso stavo facendo. Ma riuscii a calmarmi - per modo di dire - solamente quando sentii le sue labbra rilassarsi sulle mie, distendersi morbide anche se ancora un po' tremolanti, e l'altra sua mano andarsi ad appoggiare alla mia guancia.
«Sono innamorato di te, Sun Woo. Ora prenditi le tue responsabilità, trasforma le mie speranze in qualcosa di reale, e non abbandonarmi più.»
Non riuscii ad allontanarmi troppo dalle sue labbra, tanto che, mentre parlavo, finivo per strusciare contro la sua pelle morbida e calda, consapevole del fatto che non avrei dovuto aspettare molto per poterla riavere indietro, in qualche altro breve e ancora timido bacio.
Riaprii gli occhi solamente perché lo sentii spostarsi. Lo osservai mentre si sdraiava al mio fianco e, continuando a trattenere il respiro, mi tirò con lui, facendomi sdraiare al suo fianco. Lo spazio era quello di un misero letto ad una piazza, metà del mio corpo era sopra al suo, il mio capo appoggiato sulla sua spalla, sollevato così che le sue labbra potessero continuare a riempire di attenzioni le mie.
Mi ricordai del nostro primo bacio, di quando ci addormentammo abbracciati, di quando da quel giorno avessi aspettato di poterlo stringere nuovamente in quel modo. Eppure erano le sue di braccia che ora si stringevano intorno alle mie spalle, era la sua mano che ogni tanto andava ad accarezzarmi i capelli o la schiena.
Avevo immaginato tante volte il momento in cui avremmo fatto nuovamente pace, in cui saremmo abbracciati, baciati di nuovo. Ma avevo dimenticato quanto buono fosse il suo odore da una distanza così ravvicinata, di quanto dolce fosse il suo sapore e caldo il suo corpo. Ero sicuro che quello non fosse solamente un sogno. Finalmente non lo era, e questa volta lo avrei vissuto appieno, non mi sarei addormentato.

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