Goemon doveva morire

di Lady Five
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un bel colpo! ***
Capitolo 2: *** A casa ***
Capitolo 3: *** Frammenti del passato ***
Capitolo 4: *** Confidenze I ***
Capitolo 5: *** Confidenze 2 ***
Capitolo 6: *** Coincidenze ***
Capitolo 7: *** Sospetti ***
Capitolo 8: *** Paure e desiderio ***
Capitolo 9: *** Indagini ***
Capitolo 10: *** Indizi ***
Capitolo 11: *** Scoperte ***
Capitolo 12: *** L'hacker ***
Capitolo 13: *** Simboli ***
Capitolo 14: *** Il Sentiero del Dragone d'oro ***
Capitolo 15: *** In cerca del maestro ***
Capitolo 16: *** Finalmente la verità ***
Capitolo 17: *** Domande ***
Capitolo 18: *** Miya ***
Capitolo 19: *** La banda ***
Capitolo 20: *** Di nuovo insieme ***
Capitolo 21: *** Il piano ***
Capitolo 22: *** In azione ***
Capitolo 23: *** Sosa Abe ***
Capitolo 24: *** La cena delle parti ***
Capitolo 25: *** Vendetta ***
Capitolo 26: *** Spiegazioni ***
Capitolo 27: *** Il segreto - Epilogo ***



Capitolo 1
*** Un bel colpo! ***


Prima storia per questo fandom!

Mi sembra doveroso premettere che ho totalmente reinventato il passato dei protagonisti, come si sono conosciuti, come hanno interagito ecc. ecc. La Fujiko che ho sempre avuto in mente è quella della prima serie, perché la preferisco: mi sembra non soltanto molto più bella, ma anche più sincera e meno scorretta (nei limiti concessi dal personaggio) rispetto alle serie successive (la IV purtroppo non ho avuto modo di vederla). La storia è ambientata ai nostri giorni, più o meno, quindi ci saranno cellulari, computer, internet e affini. Buon divertimento!

 

I personaggi di questa storia, scritta per puro piacere e senza scopo di lucro, appartengono al loro legittimo autore, Monkey Punch .


Anche questa volta il colpo era riuscito. Alla grande. Non c'è che dire, loro erano sempre i migliori.
La valigetta con i soldi era lì aperta sul letto, traboccante di bigliettoni. Fujiko non li aveva neanche contati. Guardava fuori dalla finestra dell'hotel le mille luci di Parigi, vestita solo con una corta vestaglia di seta, bevendo champagne. Da sola.
Lupin era già venuto a bussare alla sua camera, come al solito. Quando si rivedevano per un affare, nonostante la loro storia fosse ufficialmente finita da anni e malgrado tutto quello che si erano combinati a vicenda (perché lei non era certo una santa, ma neanche lui scherzava quanto a bastardaggine!), lui finiva sempre per cercarla e lei finiva sempre per cadere tra le sua braccia. Poi ognuno riprendeva la sua strada, fino alla volta successiva.
Ma quella sera no, lei non aveva aperto. Non gli aveva neanche risposto. L'aveva lasciato supplicare in corridoio per un bel pezzo, finché si era rassegnato. Una sottile vendetta? No, non era quello, non ce n'era motivo, in fondo.
Era preda di una strana sensazione ed era preoccupata. Toccare le banconote non le aveva procurato la solita euforica, selvaggia soddisfazione. Non si sentiva la padrona del mondo. Era turbata da qualcosa. Bere non l'aiutava a dissipare la sottile angoscia che le opprimeva il cuore. Fujiko Fujiko, non starai mica invecchiando? - si disse, cercando di mitigare la paura con l'ironia.
Poi dovette arrendersi all'evidenza. L'immagine che la tormentava e continuava a presentarsi alla sua mente, nonostante lei ogni volta cercasse di respingerla, era quella dell'ultimo uomo al mondo si sarebbe potuta aspettare. Lo conosceva da anni, ma era tanto se si erano scambiati 20 parole in tutto. La ragazza in realtà non l'aveva mai molto considerato. Sospettava che sotto sotto la disprezzasse e la considerasse una poco di buono (non che avesse tutti i torti, ma chi era lui per giudicarla? Un criminale esattamente come lei!). Anzi, a pensarci bene, non l'aveva mai considerato nemmeno un uomo. Ma questa volta... questa volta era stato diverso.
Era passato parecchio tempo dall'ultimo colpo. In quei giorni si era sorpresa più volte a guardarlo e l'aveva trovato terribilmente affascinante. Aveva ammirato il suo coraggio e la sua determinazione. Come se l'avesse conosciuto adesso o come se prima lui fosse stato diverso. Ma - si era resa conto - probabilmente non era lui a essere diverso, ma lei! Si era lasciata andare a fantasticare su di loro, come una ragazzina. Si era detta che, una volta portato a termine l'affare, se ne sarebbe andata e non ci avrebbe più pensato. Ma ancora era lì, irrequieta e, forse per la prima volta in vita sua, indecisa sul da farsi. In qualunque altra circostanza, non avrebbe indugiato un momento: era abituata a prendersi ciò che voleva, che si trattasse di un gioiello o di un uomo. Era assolutamente sicura di sé, sapeva di piacere e sapeva che gli uomini la trovavano irresistibile. Non aveva mai ricevuto un no. Allora, perché adesso esitava?

Goemon era a pochi metri di distanza. Conosceva il numero della camera, perché aveva fatto lei le prenotazioni. Non doveva fare altro che presentarsi alla sua porta e sfoderare le sue infallibili armi di seduzione. Devi farlo, Fujiko, devi provarci, altrimenti te ne pentirai, resterà un'ossessione per tutta la vita. In fondo, che cos'hai da perdere? Andò a guardarsi allo specchio, si sistemò i capelli, si spruzzò addosso un profumo delicato. Decise di non truccarsi: il suo istinto femminile le diceva che non sarebbe stato necessario. Chiuse la valigetta con i soldi nella cassaforte. Si strinse meglio addosso la vestaglietta, sopra alla quale decise però di indossare un soprabito, nel caso avesse incontrato qualcuno nel tragitto. Sandali con il tacco alto e sottile ai piedi e una bottiglia di champagne in mano, si avventurò nel corridoio, fortunatamente deserto. Sarebbe stato molto seccante incontrare Lupin, avrebbe pensato che avesse cambiato idea e stesse andando da lui. Ma perché le tremavano le gambe?
La camera di Goemon era in fondo al corridoio. Bussò con discrezione. Le sembrava che il cuore le dovesse balzare dal petto da un momento all'altro.
“Chi è?” rispose finalmente la sua voce.
“Sono io, Fujiko.”
Ci fu un istante in cui tutto sembrò come sospeso. Poi la ragazza si rese conto che la porta era solo accostata, entrò e la richiuse subito. Goemon era seduto sul letto, a gambe incrociate, le larghe spalle rivolte verso di lei. Non si girò nemmeno.
“Spero di non disturbarti...” disse lei esitante, non sapendo come vincere l'imbarazzo.
“Che cosa vuoi?”
Era più difficile di quanto avesse pensato.
Girò intorno al letto, andando a mettersi esattamente di fronte a lui e assumendo l'aria più spavalda di cui fu capace. In fondo, era sempre il solito copione, bastava recitarlo.
“Beh, ecco, desideravo festeggiare la riuscita del colpo e pensavo che mi sarebbe piaciuto farlo con te...”
Alzò la bottiglia di champagne verso di lui, con un sorriso invitante. Notò che aveva il kimono aperto sull'ampio torace. La vista dei suoi pettorali scolpiti le provocò un brivido lungo la schiena.
Il giovane aprì lentamente gli occhi, grigi e taglienti come la lama della sua katana. La fissò, fissò la bottiglia e poi li richiuse.
“Lo sai che non bevo. Vai a festeggiare con qualcun altro.”
La sua voce gelida avrebbe scoraggiato qualunque altra donna, ma non Fujiko. Ormai il desiderio la stava consumando ed era ben determinata a soddisfarlo.
Posò lo champagne.
“Non è necessario bere, se non ti va - disse con noncuranza - Possiamo festeggiare in molti altri modi.”
Così dicendo, fece scivolare il soprabito ai suoi piedi. La vestaglietta di seta le fasciava a malapena le forme esuberanti, senza lasciare troppo spazio alla fantasia.
Goemon aveva riaperto gli occhi.
“Vattene, Fujiko. Voglio stare da solo.”
La voce era ancora fredda, il volto impassibile, il corpo immobile, ma Fujiko scorse delle minuscole gocce di sudore sulla sua fronte, e non erano certo dovute al caldo. Le sembrò anche che il suo respiro si fosse fatto più corto. E' fatta, pensò.
Si inginocchiò sul letto, dietro di lui, che non si mosse. Avrebbe potuto cacciarla, allontanarla con un gesto, ma non lo fece. Lei cominciò a massaggiargli le spalle, le sue mani gli sfiorarono delicatamente la nuca, scostando i lucidi capelli corvini, poi scesero lungo la spina dorsale, cinsero i suoi fianchi, risalirono davanti, sul torace. Il suo seno marmoreo premeva contro la sua schiena.
Intanto gli parlava con voce di miele, sempre più bassa e sensuale.
“Vuoi stare da solo? Non puoi volere davvero stare solo a Parigi in una notte come questa... E poi tu stai sempre solo... Non bevi, non fumi, non hai nessun vizio, non vai a donne... Chi sei? Che cosa fai con questa banda di disgraziati? Che cosa cerchi?”
Gli fece scivolare via il kimono dalle spalle, avvicinò le labbra alla base del collo...
Con uno scatto repentino, imprevedibile, come quando sguainava la spada, Goemon si voltò, la rovesciò sulla schiena, bloccandole le braccia sopra la testa con una mano e slacciandole la vestaglietta (quel poco che le era rimasto ancora addosso) con l'altra. Cominciò a baciarla quasi con rabbia, sulla bocca, sul collo, tra i seni, ad accarezzare la sua pelle di alabastro. Fujiko, dopo il primo istante di stupore, rispose ai suoi baci appassionati con altrettanto ardore, quasi incredula che stesse succedendo davvero. Liberò le braccia dalla sua presa e lo strinse a sé, con le lunghe gambe intorno ai suoi fianchi sottili.
Fujiko aveva avuto innumerevoli uomini, ma questa volta si trovò particolarmente coinvolta da quella rude dolcezza, che mescolava tenerezza e passione, baci e carezze che facevano sgorgare sulla sua pelle brividi incandescenti. Aveva pensato, chissà perché, di sedurre un ragazzino alle prime armi, e invece si trovava tra le braccia un amante consumato. Una inaspettata (e piacevole) sorpresa!

Di solito, dopo un amore occasionale, Fujiko aveva solo l'istinto di rivestirsi e andarsene, e il più delle volte lo faceva, anche nel cuore della notte. Perché ora invece desiderava soltanto restare lì, accanto al suo corpo? E perché aveva paura che fosse lui a mandarla via? Non si era mai posta simili problemi, prima.
Ma lui non la cacciò. Si sdraiò sulla schiena e la attirò a sé, contro il suo petto, avvolgendola con le sue forti braccia. Sollevata e stupita, lei si abbandonò a quella dolce sensazione. Nessuno dei due parlò per lungo tempo, ma a Fujiko non pesava, anzi. Ascoltava il suo respiro leggero, assaporava il contatto della loro pelle.
Fu lui a spezzare all'improvviso il silenzio.
“Perché sei venuta qui, Fujiko?”
La voce non era più fredda come prima, anzi aveva un'intonazione quasi amara.
La donna rimase spiazzata. Non lo sapeva nemmeno lei, in verità. Perché lo desiderava, certo, ma intuiva che non era come le altre volte, visto che temeva il suo giudizio... Non aveva mai provato sensazioni così... E, forse per la prima volta in vita sua, la “mangiatrice di uomini” disse la verità. O almeno una parte. Perché l'istinto di sopravvivenza in lei era sempre all'erta e le suggeriva di non fidarsi mai di nessuno fino in fondo.
“Perché lo desideravo. Lo so che noi in tanti anni non abbiamo mai fatto amicizia, ma in questi giorni ti ho osservato molto e mi sono resa conto di quanto tu sia attraente e ...”
“… e così hai pensato di aggiungere un altro trofeo alla tua collezione. Complimenti, ci sei riuscita!”
Le parole erano dure, ma lui continuava a tenerla tra le braccia. Fujiko avrebbe dovuto offendersi, sentirsi ferita, ma in fondo era la fotografia della realtà. Goemon l'aveva vista tante volte comportarsi così, perché avrebbe dovuto pensare che con lui sarebbe stato diverso?
Subito dopo, però, lui si pentì.
“Scusa, non avrei dovuto parlarti così, non ne ho il diritto. E' stato molto bello stare con te.”
La fissò negli occhi. Lo sguardo si era improvvisamente addolcito, come la voce. Fujiko si sentì sciogliere qualcosa dentro e cercò le sue labbra nella semioscurità, lo baciò a lungo sulla bocca, sul collo, sul petto, prese le sue mani e se le posò sul seno, sui fianchi, invitandolo ad amarla ancora.
“Vieni via con me” gli sussurrò scivolandogli accanto. Doveva essere impazzita: non solo non voleva andarsene prima dell'alba, ma desiderava con tutta se stessa stare con lui anche nei prossimi giorni. Era l'effetto della passione? I sensi l'avevano ottenebrata a tal punto? Che cosa le aveva fatto quell'uomo?
“Via? E dove?”
Goemon era sorpreso più di lei.
“Vado in Svizzera, a casa mia, per un po'. Mi prendo una vacanza. Mi piacerebbe che tu venissi con me. Ma se tu non vuoi, ti capisco. Domani mattina, anzi, stamattina alle 6 sarò giù nei garage dell'albergo, con la mia macchina. Se anche tu sarai lì, ne sarò immensamente felice. Altrimenti, sappi che qualunque cosa succeda non dimenticherò mai questa notte. Ora è meglio che dorma almeno qualche ora, e non posso farlo qui. Addio! Oppure... a più tardi.”
Non sapeva nemmeno lei che cosa diceva. Mentre parlava così, come una mitragliatrice, si era alzata, aveva raccolto e aveva indossato la vestaglietta e il soprabito, sotto gli occhi di un Goemon esterrefatto.
“Aspetta un momento... parliamone...”
Ma Fujiko lo baciò teneramente e abbandonò la stanza senza voltarsi.
Goemon si lasciò andare sul letto con un sospiro... Le donne!

Fujiko raggiunse la sua camera. Stava per aprire la porta, quando udì dietro di sé un breve applauso. Poi, una voce beffarda, e ben conosciuta.
“Congratulazioni vivissime!”
Si voltò, furiosa.
“Lupin! Che diavolo ci fai qui? Mi stai spiando?!?”
“Diciamo che tenevo d'occhio la tua stanza e così ho visto dove sei stata. Non posso credere che tu abbia preferito quella specie di monaco asceta a me!”
“Ti assicuro che non è affatto un monaco asceta come sembra - sorrise maliziosa, ma solo per un attimo - E comunque io vado a letto con chi mi pare! Non sono affari tuoi!”
“Va bene, Fujiko, ti perdono. Ma ora non dirmi che non è rimasto nulla per me?” Allungò le mani verso la sua scollatura, ma lei gli mollò uno schiaffone e fu lesta a infilarsi in camera, chiudendo la porta a doppia mandata. Lupin! Non l'avrebbe mai lasciata in pace?
Quando si fu calmata, pensò che forse era meglio avvertire Goemon. Era certa che Lupin non se la sarebbe presa con lui, aveva tanti difetti, ma, da buon giocatore d'azzardo, sapeva perdere sportivamente. Si sarebbe limitato a qualche battuta idiota. Però era meglio avvisarlo lo stesso. Lui avrebbe potuto reagire male. Alzò il telefono e si fece passare la sua stanza. Per fortuna era ancora sveglio.
“Sono io, scusami. Volevo solo dirti che Lupin mi ha spiato e quindi ci ha... scoperto. A me personalmente non importa nulla, ma conoscendolo potrebbe farti qualche battuta stupida. Non è il caso di prendersela, gli passerà.”
“Come fai a sapere che ci ha scoperto?”
“L'ho trovato qui fuori dalla porta e me l'ha detto...”
Fujiko percepì chiaramente la sua rabbia.
“Ti ha infastidita? Ti ha messo le mani addosso?”
Lei si mise a ridere. Il ragazzo dal cuore di ghiaccio era geloso!
“No, non ti agitare, so come tenerlo a bada! Ma sei carino a preoccuparti per me. Beh, buonanotte.”
Riattaccò. Fece un bagno caldo, anche se avrebbe voluto tenersi ancora addosso il suo profumo, la sua saliva, il ricordo del contatto con la sua pelle. A letto cercò di analizzare la situazione in modo razionale. Ma non c'era nulla di razionale. Nessuno era mai stato a casa sua, nemmeno Lupin ai tempi della loro relazione. Nessuno ne era nemmeno a conoscenza. E lei aveva invitato ad andarci praticamente il primo arrivato. Perché? Solo per una notte d'amore? Si poteva chiamare amore quello? Provava all'improvviso dei sentimenti per lui, lei che non si innamorava da anni? L'unica certezza che aveva in quel momento, mentre scivolava lentamente nel sonno, era la sua paura che Goemon non fosse lì ad aspettarla all'alba e che lei dovesse partirsene da sola.

 

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Capitolo 2
*** A casa ***


Alle 6 in punto Fujiko lasciò la sua stanza con i suoi bagagli, la preziosa valigetta e il cuore oppresso dall'ansia.
Aveva saldato il conto la sera prima (sì, erano una banda di ladri, ma i conti degli alberghi li pagavano sempre). Dopo pochi minuti aprì il portabagagli della sua Maserati Gran Cabrio gialla decapottabile. Intanto si guardava intorno.
Nessuno.
Sospirò. Doveva aspettarselo. Si era comportata da donna di facili costumi e come tale veniva trattata. Si era illusa se sperava che uno come Goemon volesse una storia di più di una notte con una come lei.
Salì in macchina e stava per mettere in moto, quando da un angolo buio emerse lentamente un'ombra, che lì per lì la fece trasalire. Ma poi riconobbe il profilo inconfondibile dell'ampio abito e della katana.
Goemon!
Avrebbe voluto gridare di gioia, corrergli incontro, ma la sorpresa la paralizzò. Poi lui non le diede il tempo di fare nulla. Con uno dei suoi balzi da felino saltò letteralmente in macchina sul sedile accanto a lei. La luce di una lampadina gli illuminò il viso per un istante e Fujiko vide che le sorrideva. Gli sorrise a sua volta, accese il motore e si lanciò su per la rampa del garage e poi per le strade della città ancora mezza addormentata. Aveva capito che con lui non sarebbero mai state necessarie troppe parole.
Conosceva Parigi come le sue tasche, poi, data l'ora, c'era poco traffico e in breve raggiunsero l'imbocco dell'autostrada. Il vento giocava con i suoi capelli e il sole appena sorto ne traeva riflessi di rame.
“Se va tutto bene, saremo a destinazione tra poco più di 5 ore. Se ti dà fastidio l'aria tiro su la capote.”
“No, grazie, va bene così, per ora. - pausa - Conosci bene Parigi...”
“Sì, è la mia seconda casa. Ci ho vissuto anche, per un po', quando facevo l'Accademia.”
“Accademia?”
“Sì, l'Accademia di Belle Arti, una specie di università per aspiranti artisti... Non te l'aspettavi, vero?”
Gli scoccò un'occhiata divertita.
“Non so, non ci avevo mai pensato... è strano, noi tutti lavoriamo insieme da anni, ma non sappiamo quasi nulla gli uni degli altri...”
“Sì, ma è meglio così, credimi. Altrimenti saremmo troppo vulnerabili, davanti alla polizia o eventuali nemici.”
“Sì, certo. Ma è strano lo stesso... Però ora tu mi stai portando con te... diventerai più vulnerabile così...”
“Oh no, mi sono procurata un cavaliere che mi difenderà sempre a costo della vita!”
Goemon sorrise.
“Perché hai detto che casa tua è in Svizzera?”
“Perché è lì che sono cresciuta. Mio padre era giapponese, per questo io sono nata in Giappone, ma mia madre era francese, e quando siamo venuti in Europa abbiamo preso la residenza in Svizzera, in un piccolo paese abbastanza vicino al confine con la Francia.”
“I tuoi genitori vivono ancora lì?”
Lo sguardo di Fujiko si velò di tristezza.
“In un certo senso... no, sono morti tutti e due quando avevo 14 anni. Incidente stradale.”
“Oh! Mi dispiace....”
L'auto filava veloce. Goemon chiuse gli occhi e tacque a lungo. Fujiko pensò che quella era la conversazione più lunga che avessero mai fatto da che si conoscevano. Pensò anche che lui non l'aveva ancora nemmeno sfiorata, da quando si erano lasciati la sera prima. Ma forse era meglio così. Già solo a guardarlo si sentiva ardere tutta.
Dopo un paio d'ore si fermarono in un autogrill per un caffè. Tutti naturalmente osservavano perplessi quella strana coppia, un samurai piombato lì da un altro secolo e una procace ragazza dai capelli rossi. Ma entrambi ci erano abituati.
Risaliti in macchina, lei lo stuzzicò.
“Su, ora tocca a te raccontare qualcosa!”
L'uomo aprì gli occhi, che teneva socchiusi come al solito.
“Che...? Che cosa vuoi sapere?”
“Non so... per esempio, mi sono sempre chiesta... tu che cosa sei esattamente? Sei un vero samurai?”
“No, non ho ancora completato l'addestramento. E non so se lo completerò mai, a questo punto...”
“Come mai non l'hai completato?”
“Ho dovuto lasciare il mio maestro 8 anni fa e al momento non posso tornare in Giappone, quindi...”
“E non puoi terminarlo qui, con un altro maestro?”
“No, non è possibile.”
Il tono perentorio della sua voce la fece desistere dal porgli altre domande su quell'argomento.
Goemon si richiuse nel suo silenzio e Fujiko si chiese se fosse stata una buona idea portarselo dietro. Vorrei qualcuno che mi facesse un po' compagnia anche fuori dal letto - pensò.

Intanto si stavano ormai avvicinando alla meta e il paesaggio familiare delle montagne coperte di boschi e di prati, dei minuscoli paesi adagiati in riva al lago, cominciò a distenderla. Bisognava solo passare la dogana. Entrambi avevano messo in una borsa la quantità di banconote che si potevano importare in Svizzera senza documentazione, il resto era ben nascosto in vari punti della macchina. Il rischio era basso, perché quello era un posto di frontiera poco battuto e soprattutto Fujiko contava sul fatto di essere conosciuta nel paese vicino. In più, era ora di pranzo e c'era un solo doganiere, che, dopo aver lanciato un'occhiata perplessa a Goemon e un'altra ammirata al decolleté di Fujiko (per l'occasione messo più in evidenza del solito), li fece passare subito.
Goemon la guardò con disapprovazione.
“Beh, che c'è? Funziona sempre! Se fossi come me, lo faresti anche tu, te lo assicuro! Avrà pensato a un eccentrico ricco giapponese con la sua escort.”
“Bella roba!”
Fujiko scosse la testa sorridendo. La sua gelosia la metteva di buon umore.
Ormai mancavano pochi chilometri.
“Eccoci arrivati!” quasi gridò dopo una curva fermando l'auto davanti a un alto cancello.
Azionò il telecomando che teneva nel cruscotto e il cancello si aprì, rivelando un ampio giardino, ben curato, dominato da una piccola altura, su cui si ergeva una grande villa di pietra, dalle linee semplici e rigorose, ma molto bella.
Goemon, solitamente poco incline a esprimere i propri stati d'animo, era sbalordito.
“Tu...questa è casa tua?”
“Sì, questa è la casa dove sono cresciuta.”
Fermò l'auto davanti al box su un lato della casa, e salì a due a due i gradini della scalinata che conduceva al portico, incontro a due persone che erano intanto apparse fuori dalla porta, un uomo e una donna piuttosto anziani. Fujiko li abbracciò e li baciò sulle guance.
Goemon era sceso dalla macchina e stava in disparte, osservando la scena e non sapendo bene come comportarsi.
La ragazza fece le presentazioni.
“Ecco, questo è Goemon, l'amico di cui vi ho parlato. Goemon, questi sono Sophie e Gérard, la mia... famiglia.”
I due gli sorrisero e fecero un cenno di saluto con la testa.
Sophie era visibilmente commossa, continuava a dire frasi come “Margot... tesoro, quanto tempo... ma come sei magra... che bello averti di nuovo qui...”
Fujiko fece cenno a Goemon di seguirla al piano superiore. Anche l'interno della villa era sobrio, ma molto elegante.
“Questa è la tua stanza, così se vuoi puoi startene per conto tuo...”
Goemon era perplesso, mentre appoggiava la sua sacca sul letto. La donna gli indicò una porta.
“Quella è camera mia. Il tuo bagno è lì accanto. Si cena alle 13 in sala da pranzo, in fondo alle scale a sinistra. Puntuale, mi raccomando. Sophie ci tiene. E poi qui siamo in Svizzera.”
Uscendo si voltò e gli sorrise.
“Sono felice che tu sia qui....”

Goemon sentì scorrere l'acqua della doccia nella camera accanto. Gettò un'occhiata alla sveglia sul comodino. Troppo poco tempo... Sospirò e scacciò l'immagine di Fujiko nuda sotto il getto caldo. Si guardò intorno. La sua stanza era ampia e luminosa. Attraverso una vetrata si poteva ammirare il grande terrazzo dalla balaustra di pietra e il retro del giardino, leggermente digradante verso il basso, fino al cancello da cui erano entrati. Su un lato, in alto, si intravedeva una piscina. Decise di farsi una doccia anche lui. Fredda.

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Capitolo 3
*** Frammenti del passato ***


La mattina dopo si alzarono piuttosto tardi, fecero colazione e Fujiko, vista la bella giornata, propose di andare in piscina. Si presentò con un bikini mozzafiato, occhiali da sole e cappello di paglia e si sistemò su una delle sdraio disposte intorno alla piscina.
“Tanto qui ci possono vedere solo da un elicottero!” prevenne l'occhiata di rimprovero di Goemon, che in realtà la stava solo guardando incantato.
Si spalmò di crema e si mise al sole leggendo una rivista. Lui si sedette a gambe incrociate per terra, accanto a lei, con gli occhi chiusi. Rimase a lungo in silenzio. Probabilmente meditava.
Poi all'improvviso le domandò:
“Come hai conosciuto Lupin?”
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Ancora Lupin! Ma sei ossessionato! Che t'importa, è passato tanto tempo e, soprattutto, tra noi è finita da tanto tempo!”
“Lo so, ma mi interessa lo stesso.”
“A Parigi. Io avevo 20 anni ed ero una studentessa di Belle arti ricca e annoiata. Invece di applicarmi seriamente, passavo da una festa all'altra, da un locale all'altro, da un amico all'altro... ero un po'... eccessiva in tutto, ecco.”
“Chissà perché la cosa non mi stupisce affatto” commentò lui con un sorriso divertito.
Fujiko lo colpì sul braccio con il giornale arrotolato.
“Screanzato! Un altro commento così e non ti racconto più niente!”
“Va bene va bene, starò buono. Ma tu continua, ti prego.”
La donna tornò indietro con la memoria a quell'epoca spensierata e un po' folle. Quell'anno ci sarebbe stata una grande mostra di gioielli preziosissimi, pezzi unici dai primi del '900 in poi, creati da famose maison del settore per regine, principesse e dive del cinema. Le misure di sicurezza erano pazzesche. Ma quando, nell'imminenza dell'evento, la polizia diffuse la notizia che Lupin era stato avvistato in città, il panico dilagò tra gli organizzatori. Tutti i giornali ne parlavano, le foto del più scaltro ladro del mondo erano sempre in prima pagina. Fujiko era affascinata dal personaggio e seguiva la vicenda con grande interesse.
Si può solo immaginare la sua sorpresa quando lo riconobbe in un piccolo bistrot, confuso tra gli avventori. Ma qualcun altro doveva averlo notato, perché la ragazza poco dopo vide entrare nel locale due tizi che avevano tutta l'aria di essere agenti di polizia in borghese.
Lo decise in una frazione di secondo. Si avvicinò a lui, lo abbracciò e gli sussurrò “Poliziotti a ore due”, poi lo prese sottobraccio e lo trascinò verso l'uscita di sicurezza. Fortunatamente il bar era molto affollato e la manovra passò inosservata. Lupin non aveva altra scelta che seguirla, ma naturalmente era molto allarmato. Fortunatamente la macchina di Fujiko era parcheggiata poco più in là. Salirono e partirono di gran carriera. Quando appurarono che nessuno li seguiva, Lupin volle vederci chiaro.
“Beh, mia cara, ti ringrazio... ma ora è il caso che tu mi dica chi sei e soprattutto perché mi hai aiutato.”
“Mi chiamo Fujiko e puoi considerarmi un'amica. Ti ho aiutato... perché mi andava di farlo.”
“Seee, figuriamoci!”
“Sei libero di non crederci, non mi importa nulla.”
“Mmmh... Allora ancora grazie, puoi lasciarmi qui, ora me la cavo da solo.”
In quel momento incrociarono alcune auto della polizia che correvano in direzione opposta con le sirene spiegate.
“No - disse lei - è meglio se ci allontaniamo ancora un po'...”
A quel punto la ragazza gli propose di nascondersi provvisoriamente a casa sua. Nessuno l'avrebbe cercato lì, lei era una normale studentessa incensurata. Lupin era sempre diffidente, ma accettò.
“E' rimasto lì 3 giorni, poi una mattina se n'è andato...” concluse il racconto Fujiko.
“E naturalmente siete finiti a letto insieme...”
Ancora quell'assurda gelosia. Cominciava a seccarla. Ma, visto che ci teneva tanto...
“Beh, sì, vivevo in una piccola, romantica soffitta a Montmartre, avevo un solo letto...”
“Non è questo che intendevo...”
“Non che la cosa ti riguardi, ma lo so benissimo che cosa intendevi, e la risposta è ancora sì.”
Non gli raccontò, però, come si erano svolti i fatti, di come Lupin intendesse comportarsi da gentiluomo, mentre lei si era infilata nel letto vestita praticamente di nulla. “Così però non mi aiuti...” aveva mormorato, prima che lei gli chiudesse la bocca con un bacio. Non gli disse di come lei fosse rimasta sconvolta da quell'esperienza, come se prima non fosse mai stata veramente con un uomo. Forse perché Lupin era più maturo, forse perché ci sono persone fatte le une per le altre, tra cui si stabilisce subito una buona intesa... fatto sta che i loro corpi erano stati meravigliosamente bene insieme e sicuramente questo aveva condizionato il loro rapporto anche in seguito. Forse Goemon non aveva proprio tutti i torti a essere geloso...
La voce di lui la strappò da quei ricordi.
“E poi Lupin riuscì a fare il colpo?”
“Sì, certo. Fu un colpo clamoroso!”
“E quando l'hai rivisto?”
“Qualche giorno dopo, ho ricevuto un pacchettino con un biglietto. Dentro c'era un bellissimo anello (non uno di quelli appena rubati, che non avrei mai potuto indossare) e nel biglietto si diceva che presto avrebbe trovato il modo per sdebitarsi. Dopo un paio di mesi, uscendo dall'Accademia, mi si avvicina una specie di mendicante, che io però ho riconosciuto subito. Mi dice di salire su un'auto parcheggiata poco più avanti. Così ho fatto e mi sono ritrovata in un piccolo aeroporto, dove mi aspettava un aereo privato. Poco dopo è arrivato anche Lupin e siamo decollati per un'isola caraibica. Siamo stati lì una settimana. Ma praticamente da allora non ci siamo più lasciati. Sono diventata sua compagna e sua complice. E ho scoperto di avere un talento naturale per il crimine! So che non è bello da dire, ma mi sembrava finalmente che la mia vita avesse un senso. Tutto quello che avevo avuto fino a quel momento non era merito mio, da allora ho cominciato a ottenere qualcosa rischiando in prima persona. Poi c'era il brivido dell'avventura, l'adrenalina sempre a mille... Non so, magari, se avessi incontrato un prete missionario invece di Lupin, mi sarei fatta suora...”
“Lo amavi?” chiese Goemon dopo alcuni minuti di silenzio.
“Sì... ero molto giovane, ma... sì, credo di sì. Lupin è fuori di testa, ma ti assicuro che sa come far sentire una donna il centro dell'universo.”
“Quanto è durata?”
“Quattro anni, più o meno.”
“E poi, che cosa successe?”
“Una volta avevamo organizzato un colpo insieme a un vero genio del crimine, un personaggio misterioso che tutti chiamavano Mister Fog. Purtroppo era anche un tipo terribilmente affascinante e io ho perso la testa in 5 minuti. Dopo l'affare me ne sono andata con lui, con tutto il malloppo. Sì, è stato il primo colpo basso che ho rifilato a Lupin... Siamo stati insieme 2 anni ed eravamo una vera macchina da guerra. Diciamo che con lui ho completato il mio addestramento. Era uno che viveva alla grande: aveva case bellissime ovunque, abiti costosi, auto di lusso, si muoveva con jet privati, la stessa sera potevamo cenare a Parigi e andare a prendere il caffè a Venezia... Sì, con lui ho vissuto come una regina... Dopodiché, quando è finita l'infatuazione, l'ho lasciato e mi sono messa in proprio.”
“Perché l'hai lasciato? In fondo ti dava quello che volevi: lusso, avventura...”
“Vuoi ridere? Perché ha cominciato a parlare di matrimonio, di mettere su famiglia... Io non ne avevo la minima intenzione, ero giovane e volevo continuare a essere libera. Così è finita.”
“Hai fregato anche lui?”
“Oh no, non sono mica scema! Quello non era Lupin, non ci avrebbe pensato due volte a ficcarmi una pallottola in testa, se mi avesse beccato! Anche negli anni successivi ho sempre evitato accuratamente di incrociare la mia strada con la sua.”
“Invece Lupin, malgrado quello che gli avevi fatto, non si è mai rassegnato ad averti perso....”
“Ma va! Non vedi che fa il cretino con chiunque porti la gonnella? Sì, ogni tanto facciamo affari insieme...”
“ … e non solo affari...”
“Smettila! Stai diventano noioso! Non ti sto raccontando i fatti miei perché tu ti senta in diritto di giudicarmi!”
“Scusami. Sono solo follemente geloso. Di Lupin e anche di tutti gli altri, solo che gli altri non li conosco.”
Fujiko sorrise tra sé.
L'ha ammesso, alla fine. Povero Goemon!
“Beh, io faccio il bagno.”
Si tuffò in acqua e cominciò a nuotare.
Goemon era un po' disorientato. Com'era possibile che in quella ragazza convivessero con tanta disinvoltura due anime così diverse e opposte? La cinica e spregiudicata avventuriera, capace di improvvisi voltafaccia e facili tradimenti, e la giovane affezionata ai suoi anziani domestici, che si preoccupava di cucinare per lui piatti giapponesi, che si abbandonava dolcemente tra le sue braccia?
Si buttò in acqua anche lui, riuscì ad acciuffarla per un piede e a tirarla verso di sé, mentre lei si dibatteva ridendo come una ragazzina e spruzzandolo di acqua con le braccia. Riuscì a bloccarla con il suo corpo contro una parete della piscina. Il bikini bagnato aderiva pericolosamente alla sua pelle. Cominciarono a baciarsi, folli di desiderio, incuranti di ciò che accadeva intorno a loro.
La voce di Sophie che annunciava il pranzo li distolse dalla reciproca esplorazione.





Buon San Valentino a tutte/i!

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Capitolo 4
*** Confidenze I ***


Quando scese in sala da pranzo, Fujiko era già lì e stava finendo di apparecchiare. Goemon la guardava stupito. Sembrava un'altra persona. Aveva deposto la solita aria da “femme fatale”, indossava una semplice felpa, un paio di jeans e delle ballerine, e aveva i capelli raccolti in una coda alta. Lo sguardo era luminoso, il volto disteso. Sembrava una ragazzina in vacanza.
“Vieni, siediti qui. Grazie, Sophie, ci penso io adesso.”
Congedò la donna che aveva portato in tavola alcune vivande e si sedette a sua volta di fronte a lui.
“Ti ho fatto preparare qualcosa di giapponese, niente di speciale, ma nel pomeriggio possiamo andare a fare la spesa e comprare quello che preferisci.”
Goemon ringraziò imbarazzato. Non era abituato a quelle attenzioni e, a dirla proprio tutta, non se le aspettava da lei.
“Chi sono queste persone? Hai detto che sono la tua famiglia...”
“Sono dei domestici, in realtà, ma io li considero come dei nonni, perché si sono presi cura di me dopo che anche mia nonna, la madre di mia madre, che mi allevò dopo l'incidente, morì. Si occupano della casa quando io non ci sono. Cioè, praticamente sempre.”
“Quindi questa è la casa dei tuoi genitori?” chiese un'altra volta conferma.
“Esatto.”
“Quindi i tuoi erano... ricchi?”
“Sì, direi più che benestanti. Mio padre era un uomo d'affari piuttosto abile. Io ero figlia unica e ho ereditato tutto. Perché la cosa ti turba tanto?”
“Ma allora... perché... insomma, perché fai quello che fai?”
Fujiko rise.
“Perché, tu pensavi che facessi la ladra per bisogno? Perché ero povera?”
“Povera magari no, ma certo neanche così ricca! Potresti fare un sacco di altre cose meno rischiose!”
“E' proprio questa la vera ragione: il rischio, il brivido, la scarica di adrenalina.”
Gormon tacque, continuando a mangiare il suo tori dango*.
“Perché ti hanno chiamato Margot?”
“Ho due nomi, uno giapponese e uno francese. Mia nonna usava quello francese e loro hanno continuato così. Quello giapponese lo tengo come nome... d'arte. E per gli amici, naturalmente.”
Finito il pranzo, Fujiko sparecchiò e caricò la lavastoviglie.
“Io vado in banca a mettere al sicuro la merce. Ti consiglio di fare lo stesso. Per il momento puoi usare la mia cassetta di sicurezza.”
Al riparo nel box, tolsero i soldi dai vari nascondigli, li misero in due valigette e ripartirono alla volta della banca. Dopo aver depositato il denaro nel caveau, Fujiko gli propose di fare la spesa.
“Non mi dirai che si trovano cibi giapponesi in questo posto... sperduto?”
“Ehi, ma dove credi di essere? Sul pianeta Marte?”
“Scusa, non volevo dire questo... Sono piacevolmente stupito e... ti ringrazio per la tua gentilezza.”
Andarono in un piccolo negozio di specialità etniche e scelsero insieme alcuni ingredienti.
“Ma... Sophie è capace di cucinarli?”
“Sì, qualcosa sa fare. Ricordati che mio padre era giapponese. E poi anch'io so preparare alcuni piatti, e anche bene! Vedrai, ti stupirò con effetti speciali! - lo prese sottobraccio - Vieni, ti porto a fare un giro turistico, anche se in realtà è il classico paese svizzero da cartolina, con tutti i luoghi comuni: la piazza con le aiuole di fiori curatissimi, il municipio con l'orologio, la chiesetta con il campanile, la scuola...
“No, mi piace qui...”
Goemon si abbandonò a quell'atmosfera semplice e pulita, incurante degli sguardi curiosi che inevitabilmente attirava. Ogni tanto Fujiko salutava qualcuno che conosceva, si fermava a fare due chiacchiere, lo presentava come un amico. Del resto, cos'altro poteva dire? Che era il suo fidanzato?

Rientrarono a casa in tempo per cucinare. Prepararono insieme una perfetta cena giapponese. Goemon era sempre più spiazzato dalla trasformazione di Fujiko. Con un grembiule da cucina legato in vita, affettava, tritava, mescolava, con gesti abili e sicuri, come se non avesse fatto altro in vita sua. Gli piaceva, quella donna nuova, che forse lui aveva intuito da sempre, nascosta dall'altra, spregiudicata e calcolatrice, quella che conoscevano tutti.
Cenarono a lume di candela. Anche la tavola era stata apparecchiata con un servizio di porcellana giapponese. Fujiko si era cambiata, aveva indossato un kimono e aveva raccolto i capelli. Chiacchierarono e risero, perfino. Anche lui cominciava a sentirsi diverso, non avrebbe saputo definire come, ma si sentiva diverso. Le nubi che occupavano sempre la sua mente e il suo cuore si erano momentaneamente dileguate.
Sistemarono la cucina. Poi lei prese da un pensile una bottiglia e due piccoli bicchieri e lo invitò a uscire sulla terrazza. Era quasi estate, ma la sera l'aria era ancora frizzante. Si sedettero su un divanetto di vimini e bevvero il saké. Non c'erano luci artificiali vicine, quindi il cielo scuro brillava di migliaia di stelle tremolanti.
“E' bello qui” disse lui.
“Sì, è molto bello.”
“E tu sei diversa, qui...”
Fujiko lo guardò. Riusciva a malapena a distinguere il suo viso, ma le parve che i suoi occhi ardessero come due braci accese.
“Diversa?”
“Sì. Sembri... più giovane, più spensierata, più serena. Sembri quasi... felice.”
La donna si sentì messa a nudo, peggio, con l'anima messa a nudo. Era una sensazione che non le piaceva per niente, la faceva sentire vulnerabile, indifesa.
Accidenti, Goemon, parli poco, ma quando parli colpisci peggio che con la tua katana - pensò.
Si accorse che le loro labbra erano vicine, molto vicine. Ma lei sadicamente si scostò.
“Sono un po' stanca, vado a dormire.”
Si alzò e sparì dalla porta finestra.
E' più forte di te. Proprio non ce la fai a non giocare. E va bene, Fujiko: giochiamo!
Salì lentamente le scale e andò in camera sua. Lasciò passare più di mezz'ora, poi aprì la porta che metteva in comunicazione le due stanze ed entrò.
Fujiko era distesa su un fianco, vestita solo con una specie di succinta sottoveste, con un libro davanti e l'aria scocciata.
“Ce ne hai messo di tempo!”
“Scusa, hai detto che eri stanca... Sono venuto a vedere se hai bisogno di qualcosa...”
“Sì, ho bisogno di un bel massaggio alla schiena. Ho guidato per molte ore e sono tutta indolenzita.”
“Agli ordini, signora!”
Fujiko si sdraiò languidamente a pancia in giù. Quando Goemon appoggiò la mani sulla sua pelle di seta e le fece scivolare, con estenuante lentezza, dalle spalle verso il basso, sentì come una scossa elettrica e soffocò un gemito sul cuscino. Le sue mani non si fermarono, scesero lungo la linea sinuosa delle natiche, lungo le cosce e poi risalirono dolcemente sui fianchi. Si sdraiò su di lei e cominciò a baciarla sulle spalle e sul collo. Lei finalmente si girò verso di lui, gli catturò le labbra con le sue.
“Quanto mi sei mancato! E' tutto il giorno che aspetto questo momento.”

“Perché mi hai portato qui?” le chiese accarezzandole i capelli sciolti sulle spalle.
Fujiko si sollevò appena dal suo petto e lo guardò.
“Avevo già deciso di venire qui per qualche tempo, ma avevo voglia anche di stare con te. Sentivo di potermi fidare di te... perché qui non ci è mai stato nessuno, nessuno sa di questo posto.”
“Nessuno? Nemmeno Lupin?”
“Nemmeno lui.”
Tacquero per qualche minuto. La luce della luna che entrava dalla finestra li avvolgeva in una nuvola d'argento.
“E tu, perché hai accettato?”
Goemon esitò un momento prima di rispondere. Era chiaro che parlare dei propri sentimenti non era il suo forte.
“Anch'io volevo stare con te, senza Lupin e tutto il resto tra i piedi. E visto che ormai avevo infranto il voto di castità....”
Dopo un istante di stupore, in cui lei pensò che fosse una battuta, Fujiko cominciò a ridere di gusto.
“Cosa? Castità? Tu? Stai scherzando, vero?” e continuava a ridere senza riuscire a fermarsi.
Lui invece rimase serio e impassibile. La donna finalmente si calmò.
“Scusami, non volevo offenderti, ma... tu sei, anzi, eri, casto quanto me!”
“Non capisci. E' la regola del mio maestro. Finché un discepolo non ha completato l'addestramento non può essere distratto da nulla, deve concentrare tutte le sue energie su quell'obiettivo.”**
“Sì, capisco. Ma è anche assolutamente EVIDENTE che non era la prima volta che avevi a che fare con una donna. Quindi c'è qualcosa che non torna! Ma non sei obbligato a parlarmene, se non vuoi, lo sai.”
Goemon sospirò.
“A metà percorso, diciamo così, ci viene concessa questa possibilità. Ma non con una donna a nostra scelta, che potrebbe coinvolgerci emotivamente, ma con una... professionista. Ecco tutto.”
“E quanti anni avevi?”
“Venti.”
“E ora ne hai?”
“Ventotto.”
“ … e da allora... più nulla? Non ci credo! Mi 'spiace, ma non mi convince affatto!”
“Abbiamo i nostri metodi. La mente ha un grande potere sul corpo, se lo sai usare.”
“Però ieri sera non ha funzionato tanto bene” insinuò maliziosa.
“Ieri sera non ho VOLUTO usarlo. Fujiko, io sono sempre stato attratto da te. Come tutti gli uomini, del resto. Ma tu non mi vedevi nemmeno. E poi c'era sempre Lupin tra di noi, in un modo o nell'altro. Quindi ti puoi immaginare come mi sono sentito quando ti sei presentata in camera mia... eri così bella, e sensuale, e appassionata... Chi avrebbe voluto resisterti?”
Fujiko era affascinata da quelle parole e stupita dalla sua confessione. Lei non aveva mai neanche lontanamente sospettato di piacergli, anzi, aveva sempre pensato l'esatto contrario.
“Tanto tu lo sapevi - proseguì lui - che avrei ceduto, no?”
“No, non lo sapevo affatto. Per la prima volta in vita mia ho dubitato di farcela. Non sai quanto ho esitato prima di decidermi! E in realtà ero convinta che tu mi detestassi. Ma sapevo che se non ci avessi nemmeno provato l'avrei rimpianto per tutta la vita, quindi... ho rischiato, ma ti giuro che temevo di essere respinta. Perché tu sei diverso da tutti gli altri, Goemon...”

 



 

 

 

 

 

* Polpette di pollo (piatto ovviamente giapponese)

** Pura invenzione dell'autrice. E non me ne vogliano i veri esperti di cultura giapponese!

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Capitolo 5
*** Confidenze 2 ***


Dopo pranzo si chiusero in camera a realizzare le fantasie proibite che non avevano potuto mettere in pratica in piscina.
“Non è che quei due sentono tutto, eh?”
“No, non credo, stanno al piano di sotto. Sei il primo uomo che porto qua, quindi pensano sicuramente che tu sia il mio fidanzato... perciò non si scandalizzerebbero comunque.”
Gli accarezzò il torace appena velato di sudore.
“Adesso tocca a te.”
“Che cosa?”
“Ti ho raccontato un sacco di cose. Adesso tocca a te parlarmi della tua vita, della tua famiglia, del perché hai lasciato il Giappone....”
Goemon tacque per alcuni minuti, come se stesse raccogliendo i pensieri. Ma Fujiko ormai si era abituata ai suoi silenzi: erano una parte di lui. Poi iniziò a parlare, a voce bassa e lentamente, come se ogni parola gli costasse un'enorme fatica.
“Mio padre era giapponese, mia madre mezza americana e mezza giapponese. Anche loro sono morti, quando avevo 10 anni.”
Fujiko sussultò. Questo non se lo aspettava.
“Oh! Scusa, io... non immaginavo... com'è successo?”
La bocca di lui prese una piega amara.
“Furono trovati ammazzati in casa con una katana, mentre io ero a scuola... La polizia archiviò tutto come un caso di omicidio-suicidio: mio padre avrebbe ucciso mia madre e poi si sarebbe suicidato. Ma io non ci ho mai creduto! Perché avrebbe dovuto farlo? Per gelosia, hanno detto. Ma loro non li conoscevano, non sapevano quanto si amassero, come vivessero l'uno per l'altra!”
Strinse i pugni. La ragazza capiva il suo dolore, un dolore che gli anni non possono nemmeno mitigare. Ricordava la sua rabbia, quando anche i suoi erano morti, e la certezza di essere vittima di un'atroce ingiustizia. Nel suo caso, poi, doveva essere ancora peggio.
“E tu invece che cosa pensi che sia accaduto?”
“Penso che qualcuno li abbia uccisi e abbia architettato questa messinscena, ma non so perché, non ho nessuna prova, ero solo un bambino. Mio padre era un ricco uomo d'affari, ma era onesto e non aveva nemici, che io sapessi. Non girava con guardie del corpo e mia madre ed io facevamo una vita assolutamente normale.”
“Chi si è preso cura di te?”
“Purtroppo non avevo altri parenti. Sarei sicuramente finito in un orfanatrofio. Ma, pochi mesi prima di morire, mio padre, che apparteneva a una antica famiglia di samurai, mi aveva affidato a un maestro. Lui mi prese a vivere con sé, portandomi in uno sperduto paese tra le montagne. Lì andavo a scuola con gli altri ragazzi e poi mi addestravo con lui. Così per 10 anni. Finché un giorno mi disse che la mia vita era in pericolo, che dovevo andarmene in Occidente. Aggiunse che non poteva dirmi altro, che c'era un conto a mio nome in una banca svizzera, a cui ora potevo accedere, e non avrei avuto alcun problema, a patto che non tornassi mai più in Giappone. Così mi sono ritrovato di nuovo da solo, in un continente che non conoscevo, senza sapere che cosa fare...”
E' come me - pensò Fujiko - un cane randagio, senza problemi economici, ma senza legami e senza uno scopo nella vita...
“E hai incontrato Lupin...”
“No, non subito. Io non avevo una professione. Ero un guerriero samurai, a metà, per giunta. Non sapevo fare altro, non sapevo vivere in un altro modo. Sono finito a lavorare per un boss della malavita a Marsiglia, ma la prospettiva di ammazzare gente che non mi aveva fatto nulla non mi piaceva per niente. Non sono un assassino. Così, quando ho avuto l'incarico di far fuori Lupin, ho colto l'occasione per sganciarmi da quella gente. Lupin è un ladro, ma sono sicuro che non ha mai ucciso nessuno, a meno che non fosse assolutamente inevitabile, per lo meno. In più, io ero ossessionato dal pensiero di scoprire la verità sulla morte dei miei genitori e lui aveva promesso di aiutarmi. Ma poi è sempre stato troppo occupato dalle sue imprese... Non sono più tornato in Giappone solo perché non conosco il mio nemico e non so come difendermi.”
Adesso fu Fujiko a restare in silenzio. Rifletteva sulla storia di Goemon, che sembrava uscita da un romanzo. Forse lei poteva aiutarlo. Sì, ma come? Avevano troppi pochi elementi in mano. Sicuramente il suo vecchio maestro sapeva qualcosa. Ma avrebbe parlato ora? E se fosse morto nel frattempo?
Decise di allentare la tensione distraendolo.
“Parlami di quella ragazza.”
“Quale ragazza?”
“Quella ragazza... quella che ti ha istruito così bene!”
Sperava di suscitargli dei ricordi piacevoli, invece sentì il suo corpo irrigidirsi ulteriormente e si rese conto di aver toccato un nervo scoperto. Si morse il labbro, ma ormai il danno era fatto.
“Che cosa vuoi che ti dica?” chiese cupo.
“Niente, non devi dire niente, se non vuoi... scusami.”
“Era molto bella e molto dolce. Non sembrava una... una di quelle, insomma. Credo che si fosse affezionata un po' a me... e io non ho potuto nemmeno salutarla prima di andarmene!”
“Anche lei non ti era indifferente, mi sembra di capire.”
“No, certo che no. Ricordati che io ero solo al mondo. Per quanto il mio maestro potesse essere buono con me, mi mancava un vero affetto. Lei mi ha dato la cosa più simile all'amore che abbia mai sperimentato dopo la perdita della mia famiglia. E poi ho perso anche lei.”
Anche in questo siamo uguali - pensò la ragazza - Sembriamo freddi e senza sentimenti solo perché abbiamo perso le persone che amiamo e non vogliamo più legarci a nessuno perché abbiamo troppa paura di soffrire ancora.
Ma non osò esprimere ad alta voce la sua riflessione. Non era sicura che Goemon avrebbe gradito. A lei non piaceva che qualcuno riuscisse a leggerle dentro e sospettava che anche per lui fosse lo stesso.
Decise che per il momento bastava così. Basta con i ricordi tristi! Si strinse contro di lui, gli accarezzò i capelli, cercò avidamente le sue labbra.
“Allora, dove eravamo rimasti, mio bellissimo e casto samurai?”

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Capitolo 6
*** Coincidenze ***


Era a casa ormai da diversi giorni, ma ancora non si era decisa a farlo. Eppure doveva. Almeno una volta ogni tanto doveva andarci.
Una mattina si vestì in modo più castigato del solito.
“Vado a trovare i miei genitori” disse a Goemon che la guardava con aria interrogativa.
“Vuoi che ti accompagni? O preferisci andare da sola?”
Fujiko gli sorrise.
“Non devi sentirti in obbligo. Ma se vieni con me mi fa piacere.”
Salirono in macchina e si avviarono al cimitero del paese, appena fuori dall'abitato.
La ragazza comprò un mazzo di fiori e si diresse sicura verso la tomba. Goemon era un po' imbarazzato, non sapeva bene come comportarsi e quindi la osservava, in disparte, mentre toglieva i fiori ormai appassiti dal vaso e vi sistemava quelli nuovi. La tomba in realtà era ben tenuta, perché se ne occupavano regolarmente Sophie e Gérard.
Fujiko non amava andare in quel luogo. Suscitava in lei troppi ricordi dolorosi, nonostante fosse passato tanto tempo. Glielo disse, come parlando tra sé e sé.
“Vedi, non mi piace pensarli qui sotto. Preferisco credere che la loro essenza, la loro anima o quello che è, sia in un altro posto, migliore di questo, e che siano ancora vicini a me, anche se con altre modalità...”
Goemon annuì.
“Anche per me è lo stesso...”
“Ma perché te ne stai lì? Avvicinati.”
Il giovane si avvicinò e guardò le due fotografie. La madre aveva un viso molto delicato, fine e dolce. Il sorriso era simile a quello di Fujiko. Il padre era decisamente un bell'uomo, dall'aria fiera e risoluta. Il suo sguardo era lo stesso che brillava negli occhi della figlia.
Poi improvvisamente trasalì. La ragazza se ne accorse.
“Ehi, che ti prende?”
Ma Goemon non riuscì a parlare per alcuni secondi. Sembrava che seguisse un suo pensiero. Alla fine quasi balbettò.
“La data...”
“Cosa? Quale data?”
“I tuoi genitori... sono morti lo stesso giorno e lo stesso anno dei miei!”
Questa volta fu lei ad avere un moto di stupore.
“Ma... sei sicuro?”
La domanda era stupida, ma non le venne in mente altro.
“Certo che sono sicuro! Vuoi che non me lo ricordi?”
Fujiko non sapeva che cosa pensare. Continuava a fissare la lapide come se da lì potesse arrivare una risposta. Poteva essere solo una coincidenza?
Capì che lui si stava facendo la stessa domanda.
Si fissarono negli occhi, con una improvvisa e inspiegabile sensazione di angoscia.
“Andiamo via” disse lei decisa.
Tornarono a casa senza parlare. A Fujiko sembrò che all'improvviso tra loro si fosse innalzato un muro di diffidenza, ma non avrebbe saputo dire il perché.
Goemon sparì in camera sua. Quella camera che non aveva mai occupato, da quando erano lì.

 

Dopo 2 ore, Fujiko ne ebbe abbastanza. Doveva capire che cosa fosse successo, perché quel fatto lo turbava tanto da tenerlo lontano da lei.
Bussò alla porta. Pensò a quando si era trovata titubante davanti alla sua stanza d'albergo, ormai diversi giorni prima. Giorni che ora le sembravano un'eternità.
Come allora, nessuno rispose. Ma questa volta lei era a casa sua e quindi entrò.
Lui era seduto sul letto, a gambe incrociate. Come allora.
“Goemon, che cosa succede?”
Nessuna risposta.
La ragazza si piantò davanti a lui, decisa a non mollare.
“Si può sapere che ti prende? Parlami, per favore!”
Goemon la fissò. Non aveva più visto quello sguardo gelido dopo quella notte, e ne ebbe quasi paura.
“Ti prego, fammi capire che cosa non va...”
“Davvero questa concomitanza non ti tocca minimamente?”
“Sì, è molto strano, in effetti, ma non vedo che collegamento possa esserci... Sono due fatti accaduti a migliaia di chilometri di distanza, e con modalità diverse... I miei sono morti in un incidente stradale. Capita, purtroppo!”
“Quindi per te è solo una coincidenza?”
“Sì, sostanzialmente penso di sì. Non vedo che cosa altro possa essere. E adesso mi spieghi perché ho la sgradevole sensazione che tu ce l'abbia con me?”
Goemon si era alzato e ora la guardava negli occhi a pochi centimetri di distanza dal suo viso.
“Per me invece non è affatto una coincidenza. E non sono più sicuro che tu me la stia raccontando giusta...”
Fujiko era allibita. Decisamente quel fatto doveva averlo sconvolto.
“Ma.. se anche fosse così... non sarà mica colpa mia!”
“Sono veramente i tuoi genitori, quelli? Sì, ti assomigliano, ma non dovrebbe essere difficile sostituire le foto su una lapide qualsiasi... Sei venuta a letto con me dopo anni che non mi guardavi nemmeno, mi hai convinto a seguirti qui, in questo posto isolato, allontanandomi dai miei amici... Sei una di loro?”
La ragazza era senza parole. Lui stava farneticando!
“Una di loro chi? Chi sono loro?” quasi gridò disperata.
“Quelli che hanno ucciso i miei genitori, che hanno sempre minacciato la mia vita fino a costringermi a lasciare il Giappone. Ti hanno convinta a diventare loro complice, perché io non avrei mai sospettato di te. Tanto tu sei in vendita, lo sei sempre stata! E adesso, che cosa succederà? Mi farai fuori tu o lo faranno loro? Sappi che venderò cara la pelle!”
Fujiko gli diede uno schiaffo. Aveva gli occhi pieni di lacrime. Non poteva credere alle sue orecchie.
"Smettila! Stai delirando! Come puoi dire queste cose assurde? Come ti sono venute in mente? Solo per una data su una tomba, sulla tomba dei MIEI genitori? E che cosa proverebbe questo? Perché avrei dovuto inventare una storia simile? Io non ho mai ucciso nessuno e non intendo cominciare adesso! E se avessi voluto farti fuori, non avrei aspettato certo una settimana! Tu sei pazzo! Completamente pazzo!”
Non resistette più. Fuggì in camera sua e si buttò sul letto singhiozzando come una bambina.

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Capitolo 7
*** Sospetti ***


Tanto tu sei in vendita, lo sei sempre stata! Tanto tu sei in vendita, lo sei sempre stata!”.
Queste parole continuavano a martellarle il cervello.
Erano orribili ed era ancora più orribile che le avesse pronunciate lui! Non poteva pensarlo davvero! Lupin non avrebbe mai detto simili cattiverie! E, se lo avesse fatto, sarebbe già entrato da quella porta e le avrebbe già chiesto scusa.
Ma Goemon era diverso, nel bene e nel male. Era duro e orgoglioso. Forse in quel momento se n'era già andato...
Sì, può darsi che io sia in vendita, come dici tu, ma non certo per uccidere qualcuno, qualcuno che per giunta non mi ha fatto nulla!
Continuava a sfuggirle, poi, il ragionamento di Goemon: dalla morte dei loro genitori, avvenuta in contemporanea, aveva arguito che lei l'avesse sedotto e portato lì per conto dei suoi nemici. Ma perché? Al limite, poteva essere lei stessa una vittima! Già, una vittima di che cosa, però?
Quando si fu ben sfogata, poiché non era tipo da abbattersi facilmente, si alzò dal letto, si sciacquò il viso con acqua fredda e si diresse verso l'armadio. Ne trasse una scatola e l'aprì. Dentro c'erano, insieme a fotografie precedenti alla morte dei suoi, diversi ritagli di giornale che parlavano dell'incidente. Suo padre era un personaggio piuttosto noto all'epoca e i media se ne erano occupati per un po'. Li rilesse attentamente.
Per la prima volta in vita sua, le attraversò la mente il sospetto che forse, dopotutto, non si era trattato di un fatto casuale. Eppure allora nessuno aveva messo in dubbio questa versione dei fatti. L'auto era finita fuori strada, in prossimità di una curva pericolosa, per l'alta velocità, ed era precipitata in una profonda scarpata, schiantandosi contro un albero. I suoi erano entrambi morti sul colpo. L'autopsia aveva escluso un malore del conducente o il fatto che fosse in preda all'alcol o a qualche droga. Aveva semplicemente preso una curva con troppa disinvoltura. Tutto qui. Una tragica fatalità, come purtroppo ne capitano tante, ovunque nel mondo.
Quindi - rifletté ora la ragazza - nessuno ha sentito la necessità di esaminare la macchina e vedere se per caso ci fossero segni di manomissione o di un sabotaggio. Almeno, che io sappia.
Non si era preoccupata di questo, ai quei tempi. E come avrebbe potuto? Era poco più di una bambina, annientata dal dolore e dalla rabbia.
Perché papà correva così? Non lo faceva mai, soprattutto se in macchina con lui c'eravamo mamma o io.
Ma, anche ammettendo l'ipotesi che qualcuno avesse architettato l'omicidio dei suoi, che cosa c'entrava con quello dei genitori di Goemon? Si conoscevano? Erano in qualche modo uniti da qualche filo invisibile?

Presa dai suoi ragionamenti, non si accorse che il giovane era entrato e si era fermato alle sue spalle, a pochi passi da lei.
“Fujiko...”
La sua voce era appena un sussurro. La donna trasalì, ma non si voltò.
“Pensavo che te ne fossi andato...”
“No, non me ne voglio andare.”
Le posò una mano sulla spalla e lei rabbrividì. Ormai bastava che lui la sfiorasse per farla sprofondare in un abisso di desideri inconfessabili.
“Ti chiedo perdono per quello che ti ho detto poco fa... non lo pensavo veramente.”
Finalmente Fujiko lo guardò. Vide con stupore sul suo volto un'espressione sinceramente addolorata, che non si sarebbe mai aspettata. Non sapeva che cosa dire.
Lui le prese il viso tra le mani, la guardò con quegli occhi che sapevano passare così radicalmente dal ghiaccio al fuoco.
“Scusami davvero... non so che cosa mi sia preso... credo che vedere quella data incisa sulla lapide abbia scatenato rabbia, ricordi, paure, che pensavo di essermi lasciato alle spalle. E vedere che tu invece sembravi così tranquilla, quasi indifferente... non so, mi ha fatto perdere la ragione...”
Senza che lei potesse controllarle, due lacrime le scesero sulle guance. Lui la baciò dolcemente e lei, dopo un istante di esitazione, rispose a quel bacio. Quell'uomo riusciva sempre a spiazzarla. Goemon la strinse tra le braccia. Si stesero sul letto e restarono per un po' così, in silenzio.
Finché lui notò le foto e i ritagli di giornale sparsi per terra. Ne raccolse uno.
“Io non avevo mai pensato, fino ad ora, che l'incidente potesse essere stato provocato da qualcuno. Nessuno ha mai avuto questo sospetto, nemmeno la polizia. E anch'io, come te, non ho idea di chi potesse volere morti i miei genitori...”
“E ora? Che cosa pensi?”
“Non lo so... In effetti, alcune cose non tornano: mio padre conosceva benissimo quella strada, e non guidava mai troppo forte, soprattutto se non era da solo... però potrebbe essere successa qualunque cosa: un animale che ha attraversato la strada all'improvviso, un sasso che è rotolato sotto le ruote, un attimo di distrazione... E comunque, in ogni caso, che cosa avrebbe a che fare questo con la morte dei tuoi? Dove sta il collegamento?”
“Non ne ho idea. Ma dobbiamo scoprirlo. E' arrivato il momento per me di affrontare questa storia una volta per tutte. Ho rimandato per troppo tempo. Mi aiuterai, Fujiko?”
La ragazza lo guardò.
“Io? E come?”
“Faremo un piano, metteremo insieme tutti i dettagli dei due fatti, esamineremo i rapporti della polizia, frugheremo nel passato. Qualcosa salterà fuori.”
“Ma sono passati quasi 20 anni! Sarà difficilissimo trovare qualcosa dopo così tanto tempo!”
“Lo so, ma dobbiamo almeno provarci. Allora, mi aiuterai? Non vuoi sapere anche tu come sono andate veramente le cose?”
“Sì, ma questo non riporterà in vita coloro che amiamo, lo sai, no?”
“Certo che no, ma non desideri che chi ha fatto questo la paghi finalmente?”
“E cosa farai, quando li avrai trovati? Li ammazzerai con la tua katana? O li consegnerai alla polizia?”
“A questo penserò al momento. Ma credo sarà più probabile la prima che hai detto.”
“D'accordo, ti seguirò in questa follia.”
“Dovrò tornare in Giappone...”
Fujiko si allarmò.
“Oh no, non se ne parla! E' pericoloso! Non ti ricordi che cosa ti disse il tuo maestro?”
“E come faccio a scoprire qualcosa da qui? Mi travestirò, mi procurerò dei documenti falsi...”
“Non voglio che tu corra rischi! Ci andrò io, nessuno mi conosce laggiù!”
“Ci andremo insieme...”
Goemon mise fine alla proteste della donna con un lungo bacio.
“E non discutere più le mie decisioni, donna!”
“Cosa?!?Ma... come ti permetti? Chi ti credi di essere?”
Mentre le slacciava la camicetta, lei tentò una debole protesta: avrebbe dovuto fargliela pagare per ciò che le aveva detto prima, ma capì che non ce l'avrebbe fatta. Lui le era entrato nel sangue. Non poteva più fare a meno della sua bocca, delle sue mani, della sua pelle.

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Capitolo 8
*** Paure e desiderio ***


I giorni seguenti trascorsero quasi come uno strano sogno, per entrambi.
Nessuno dei due era abituato a una vita “normale”, a una vera e propria routine, a fare le cose che fa la maggior parte della gente... Niente fughe improvvise, nessun poliziotto dietro l'angolo pronto a sparare loro addosso, nessun colpo da organizzare... Soltanto pace e tranquillità...
Quanto sarebbe durata? Quanto avrebbero resistito? Quando si sarebbero stufati e avrebbero ceduto al richiamo della loro solita vita?
Si svegliavano la mattina abbracciati, facevano colazione insieme in terrazza, poi trascorrevano qualche ora in piscina, oppure andavano in paese. Fujiko aveva recuperato da qualche parte tele e colori e si era rimessa a dipingere. Ritraeva Goemon mentre meditava o si esercitava con la spada.
“Ehi, ma sei brava! Avresti dovuto continuare a studiare!”
Lei si schermiva sorridendo.
La ragazza volle fargli visitare i dintorni. Lo convinse a fare una gita in barca, sul lago vicino. Una volta lo trascinò perfino in montagna, con la funivia, per fare un pic nic sull'erba. Si capiva benissimo che Goemon avrebbe preferito una vita più ritirata, ma poi si lasciava contagiare dall'entusiasmo di lei e alla fine si divertiva e si rilassava a sua volta.
Parlavano di tante cose, soprattutto Goemon le raccontava della vita e dei valori dei samurai, e di molti altri aspetti della cultura giapponese di cui lei non sapeva nulla o conservava solo dei vaghi ricordi, essendo cresciuta in Occidente e avendo perso il padre così giovane.
E poi c'erano le ore, notturne e non, di infuocata passione.
Queste impensierivano Fujiko, più di tutto il resto.
Erano passati parecchi uomini nel suo letto, ma nessuno, mai nessuno l'aveva fatta impazzire come Lupin... questo era il motivo, probabilmente, per cui finiva sempre per cascargli tra le braccia. Nessuno era riuscito a farglielo dimenticare veramente... fino ad ora. Perché adesso c'era quel giovane uomo dai comportamenti stravaganti che l'aveva stregata. Che riusciva a suscitare in lei, donna navigata, emozioni violente, a farle perdere il controllo, a sorprenderla con i suoi modi sempre diversi e imprevedibili di amarla. Che una volta riusciva a dominarla, senza che lei nemmeno desiderasse protestare, e la volta dopo le lasciava condurre il gioco.
A questo pensava la ragazza una notte in cui non riusciva a prendere sonno. Si era avvolta in una vestaglia ed era uscita sul terrazzo della camera, piano, per non svegliare Goemon. Si era accesa una sigaretta e intanto lo guardava, seminudo, colpito da un raggio di luna, novello Endimione.
Si sentiva inquieta. Anzi, aveva proprio paura. Era come come sospesa in un limbo. Una parte di lei avrebbe voluto che quella situazione durasse per sempre, l'altra sapeva che il suo demone prima o poi l'avrebbe riacciuffata. E anche lui, temeva, presto si sarebbe sentito in trappola, inutile, e se ne sarebbe comunque andato. Sarebbe tornato da Lupin e da Jigen, i suoi amici, la sua unica famiglia. Non che la loro vita fuori da quel mondo fatato avesse molto senso, ma era lo loro vita, quella che si erano scelti, che faceva sentire loro il sangue scorrere caldo e impetuoso nelle vene, e battere forte il cuore nel petto, e fremere la loro pelle esposta al pericolo.
Come potevano rinunciare? Per che cosa? Per una casetta in mezzo ai prati? Per le giornate tutte uguali, rassicuranti, all'ombra del campanile? Per un branco di marmocchi da accompagnare a scuola?
E perché no?
Fujiko si sorprese per quella riflessione. Già, perché no? Forse era arrivato il momento di fermarsi? Di mettere su famiglia? E forse credeva che l'uomo che ora dormiva nel suo letto potesse essere l'ultimo, il definitivo? Che assurdità! Fujiko, non è da te pensare queste cose!Non ti sarai mica innamorata?
Eppure, forse per la prima volta in vita sua, quel pensiero, quell'immagine di se stessa come una donna qualunque, non la disgustava, non la spaventava. E' solo un momento di debolezza passeggero - si diceva - mi conosco troppo bene, non durerebbe mai.
Si impose di vivere quella storia come tutte le altre, alla giornata, godendola fino in fondo, assaporando ogni momento come se fosse l'ultimo. Tanto, dicono, tutti gli amori hanno la data di scadenza, e nessuno sa mai quale sia.
Non poteva fare a meno di chiedersi se Goemon provasse i suoi stessi stati d'animo, le sue stesse paure e i suoi stessi dubbi. Non sembrava un uomo superficiale né era un dongiovanni. In tutti quegli anni non l'aveva mai visto manifestare interesse per il sesso femminile. Eppure non ne era immune, se era vero, come le aveva confessato, che era sempre stato attratto da lei. Poi c'era quella strana storia della “castità”... Che aveva “tradito” per lei... sempre che fosse tutto vero! Sospettava che in realtà si trattasse soltanto di un espediente del maestro per tenere il ragazzo il più a lungo possibile lontano dai guai.
Ma Fujiko non gli avrebbe mai chiesto che cosa provasse per lei... non era nel suo stile, ma, soprattutto, non avrebbe saputo che cosa rispondere, se lui le avesse rivolto la stessa domanda. Perché lei stava facendo di tutto per non dare un nome al groviglio di sensazioni, sentimenti, emozioni contraddittorie che agitavano ogni fibra del suo essere.

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Capitolo 9
*** Indagini ***


Dopo pranzo si misero al lavoro.
Per prima cosa, Fujiko aprì lo studio di suo padre. Era in po' turbata, perché erano anni che non entrava in quella stanza.
Era perfettamente pulito e in ordine. Ancora una volta doveva ringraziare la dedizione e l'affetto dei suoi domestici.
Lungo le pareti erano disposti scaffali e archivi pieni zeppi di faldoni e cartellette. Fujiko era scoraggiata.
“Ci vorrà una vita a esaminare tutto...”
Goemon si avvicino e si mise a leggere le etichette e le scritte lungo i dorsi. Non sapevano nemmeno esattamente che cosa stessero cercando.
“Chi si è occupato degli affari di tuo padre dopo la sua morte?”
“Nessuno. Non aveva soci, lavorava da solo. E non aveva una vera e propria azienda, era una specie di consulente... Però, se devo essere sincera, non so di che cosa si occupasse esattamente. Ero una bambina, non mi importava.”
“Nessun tutore? Nessun avvocato? Nemmeno segretarie?”
“No, mia madre faceva un po' da segretaria. Io ero l'unica erede ma, poiché ero minorenne, si è occupata di tutto mia nonna, finché non ho compiuto 18 anni.”
“Quindi, in teoria, qui non ci ha messo le mani nessuno estraneo alla famiglia, dopo l'incidente?”
“No, in teoria no. Nemmeno la polizia ha ritenuto necessario perquisire.”
“Perciò è probabile che le risposte che cerchiamo siano qui, da qualche parte. Forza, rimbocchiamoci le maniche. Cominciamo dagli anni più recenti, a ridosso dell'incidente, e andiamo a ritroso... Non vedo computer, però.”
“Beh, 20 anni fa non erano così diffusi... non ricordo che mio padre ne avesse uno...”
“Già, è vero... Ah, questi sono i nomi dei miei genitori - li scrisse su un block notes - Nel caso trovassi qualche riferimento...”
Fujiko era stupita dalla sua determinazione e dal suo spirito organizzativo. Allora non era solo un uomo d'azione! Applicava la sua fredda razionalità anche a tutto il resto.
Cominciarono a compulsare tutti quei documenti. Fujiko non era molto ferrata in economia, ma le sembrò di capire che suo padre fosse una sorta di intermediatore finanziario. La Svizzera era il posto ideale dove fare affari in quel campo. Affari, si sa, non sempre puliti.
Che fosse finito, magari senza volerlo, in qualche brutto giro? Aveva scoperto qualcosa e qualcuno gli aveva tappato la bocca? Ma come dedurlo da quella massa di numeri, date, nomi di società...? Era davvero un lavoro immane. Ci sarebbe voluto proprio un colpo di fortuna!
Dopo diverse ore, Fujiko era esausta.
“Goemon, non ce la faccio più, mi vanno insieme gli occhi! Facciamo una pausa, ti prego.”
Lui invece sembrava fresco come una rosa. Probabilmente stava usando il suo famoso potere mentale. Ma fu “comprensivo” con lei.
“D'accordo...”
La ragazza scese in cucina e tornò con due tazze di caffè.
“Non so se ne verremo mai a capo. Visti così, sembrano tutti documenti di lavoro, contratti, perizie... Non c'è nulla di anomalo, in apparenza.”
“Lo so, ma dobbiamo continuare.”
“Secondo me, se ci sono delle carte scottanti, non sono qua. Saranno nascoste, magari in una cassaforte, in un doppio fondo... Potrei cercare anche nella camera da letto dei miei...”
“Sì, certo, cercheremo anche lì. Guarda che non dobbiamo fare tutto oggi, abbiamo aspettato quasi 20 anni, possiamo concederci ancora qualche giorno, no?”
“Sì, certo. E mi è venuta un'altra idea. Vado dalla polizia a chiedere se mi possono dare tutta la documentazione relativa all'incidente. Una volta un mio vecchio compagno di scuola lavorava lì alla centrale...”
Lo sguardo di Goemon si incupì di botto. Lei se ne accorse.
“Santo cielo, Goemon, sei davvero impossibile! Andavano insieme alle scuole medie!”
“Sarà... comunque vengo con te!”
Fujiko guardò l'orologio che aveva al polso.
“Se andiamo subito dovremmo trovare gli uffici ancora aperti al pubblico...”
“Allora andiamo.”
La piccola stazione di polizia era poco distante. Goemon si chiese a che cosa potesse mai servire in un posto dove probabilmente il crimine più grave era il furto di qualche gallina. Li accolse un giovane dai capelli color carota, il cui volto lentigginoso si illuminò alla vista della donna.
“Margot! Che bella sorpresa! Quando sei arrivata?” la salutò calorosamente. Troppo calorosamente, per i miei gusti - pensò il samurai, lanciandogli uno sguardo torvo. Ma l'altro non l'aveva nemmeno notato.
“Ciao Alain!” lo salutò allegramente Fujiko, stringendogli la mano.
Si scambiarono alcuni convenevoli, poi la ragazza gli presentò Goemon, sempre spacciandolo per un caro amico.
“E lui è Alain, un mio vecchio compagno di scuola.”
I due uomini si squadrarono con un'espressione non troppo benevola.
Poi Fujiko andò subito al sodo, sfoderando il suo solito sorriso e il tono di voce a cui nessun uomo era mai riuscito a resistere.
“Senti, Alain, in realtà sono qui perché ho bisogno di un favore, e se tu potessi aiutarmi...”
“Ma certo, Margot, per te farei qualsiasi cosa, lo sai!”
Ti pareva! fu il pensiero del samurai.
“So che è passato tanto tempo, ma … ti ricordi dell'incidente in cui morirono i miei genitori?”
“Certo che me lo ricordo. Fu un fatto terribile!”
“Ho bisogno di vedere tutto l'incartamento, le perizie... la relazione che stese la polizia, se esistono ancora...”
Il giovane rifletté un momento.
“Mmmh... sì, sono passati parecchi anni, ma la pratica dovrebbe esserci ancora, non qui, ma di sotto, nell'archivio. Devo scendere a cercarla... Potresti tornare domani, verso mezzogiorno? Te la faccio trovare senz'altro.”
“D'accordo. Ti ringrazio, sei davvero gentile. A domani, allora.”
I due uscirono. Fujiko decise di ignorare lo sguardo seccato di Goemon. Non aveva nessuna voglia di sorbirsi una scenata di gelosia, peraltro ingiustificata.
A casa si rimisero al lavoro, ma ancora senza scoprire nulla. Nessun affare sospetto, almeno all'apparenza, nessun collegamento tra i loro genitori … La ragazza si trovò a pensare che forse suo padre era troppo onesto... e che fosse proprio questo il motivo per cui qualcuno voleva la sua morte.

La mattina dopo Fujiko lasciò Goemon nello studio, a proseguire l'analisi dei documenti, e mise sottosopra la camera da letto dei suoi, lottando contro il groppo in gola che non voleva saperne di lasciarla in pace. Ma, a parte qualche vecchia fotografia, non trovò nulla nemmeno lì. Probabilmente la stanza era stata svuotata già da sua nonna, subito dopo l'incidente. Guardò anche dietro i quadri, dietro i mobili rimasti, tastò per terra, cercando qualche nascondiglio nelle pareti o sotto le mattonelle, ma senza risultato. Era sempre più convinta che la vita dei suoi genitori fosse priva di ombre. E che l'incidente fosse stato davvero una tragica fatalità.
Verso mezzogiorno si preparò per l'appuntamento. Andò ad avvertire Goemon che sarebbe rimasta fuori a pranzo, e che Sophie gli avrebbe preparato qualcosa. Come aveva previsto, lui non la prese affatto bene.
“Intendi uscire a pranzo con quello, vero?”
“Se mi ha procurato quei documenti, sì, è il minimo che possa fare per sdebitarmi, no? E non fare quella faccia, dai! Tornerò presto.”
Lo baciò e uscì in fretta, prima che lui potesse aggiungere altro.
Alain era stato di parola. La fece entrare nel suo ufficio e le diede una cartelletta anonima, senza nessuna scritta.
“Qui c'è tutto quello che ho trovato. L'ho messo qui, in una custodia qualunque, perché in realtà non dovrei dartelo, senza una formale richiesta e l'autorizzazione di un magistrato... ma è passato così tanto tempo che a nessuno verrà in mente di controllare...”
Fujiko lo ringraziò e lo invitò a mangiare qualcosa insieme, come si era ripromessa. Tra un ricordo dei vecchi tempi e l'altro, Alain le chiese come mai avesse voluto avere quegli incartamenti dopo così tanti anni. Ma Fujiko non gli disse la verità. Anche se era un amico, non poteva fidarsi fino in fondo. Fece un po' la gatta morta, per sviare l'attenzione.
“Ma... sarà perché sto invecchiando... sai, quando è successo ero soltanto una ragazzina... poi sono stata impegnata con gli studi, poi con il lavoro, sono spesso all'estero... non ho avuto mai molto tempo per pensarci... ma ora sento il bisogno di capire, per rielaborare il lutto e avere finalmente una vita mia, libera dagli incubi del passato...”
Ma quante idiozie sto dicendo? Vabbé, l'importante è che lui se le beva.
“Capisco... c'entra qualcosa quel tipo strano con cui eri ieri?”
Fujiko abbassò gli occhi, fingendosi imbarazzata.
“Sì, forse ...”
“Non sei mai tornata qui con qualcuno... è una cosa seria, allora?”
“Non lo so ancora, per la verità... è un po' …complicato.”
“Ci credo! Cioè, volevo dire, lui sembra proprio un tipo fuori dal tempo!”
“Lo è...”
Risero. Per fortuna la pausa pranzo di Alain era finita e la ragazza lo accompagnò fino alla caserma. Lo ringraziò ancora, lo baciò su entrambe le guance e si congedò, promettendogli di passare a salutarlo prima di partire.
Finalmente! pensò la donna rientrando in casa. Non vedeva l'ora di esaminare tutto l'incartamento. Sbirciò in sala da pranzo e vide la tavola apparecchiata, intatta. Ma tu guarda se uno adulto e vaccinato deve comportarsi così!
Salì nello studio e trovò Goemon così immerso nella lettura dell'ennesimo faldone che non si era nemmeno accorto di lei. Gli saltò al collo, facendolo sobbalzare.
“Ah, allora sei umano!”
“Ah, eccoti! Com'è andato il pranzo con il tuo vecchio amico? Hai avuto quello che volevi?”
Fujiko ignorò la prima domanda.
“Sì, è tutto qui! Perché non hai mangiato? La povera Sophie si sarà offesa...”
“Oh, mi dispiace, non mi sono reso conto dell'ora... Mi scuserò con lei stasera.”
Allora non sei arrabbiato con me!
“Hai scoperto qualcosa?”
“No, nulla. Comincio a pensare che dobbiamo volgere le nostre ricerche altrove...”
“Cominciamo da qui” disse Fujiko aprendo la cartelletta.

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Capitolo 10
*** Indizi ***


Goemon osservò perplesso il fascio di documenti.
“Avevi detto che le indagini si erano concluse piuttosto rapidamente...”
“Sì, fu considerato un caso di semplice routine. Perché?”
“Non so come funzioni qui in Svizzera, ma non ti sembra che la pratica sia un po' troppo … voluminosa per un caso così chiaro?”
Fujiko soppesò la cartelletta.
“In effetti...”
L'uomo le posò una mano sul braccio.
“Te la senti? Vuoi che li esamini io?”
Lei gli sorrise.
“Facciamolo insieme.”
Cominciarono a leggere: il verbale dell'incidente, molto dettagliato, ma in cui non si diceva nulla che lei già non sapesse; una breve biografia dei due occupanti dell'auto, con relative fotografie, e anche qui niente di nuovo; diverse altre istantanee scattate sul luogo dell'incidente e all'auto fracassata...
“No, non guardarle queste!” disse all'improvviso Goemon coprendone una con la mano e cercando di sottrargliela. Aveva visto che ritraevano i corpi dei suoi genitori, prima dentro la macchina, poi distesi a terra, osservati da quello che sembrava il medico legale. Non era un bello spettacolo. Ma Fujiko aveva capito di che cosa si trattava e gli occhi le si erano riempiti di lacrime. Goemon si chiese se aveva fatto bene a coinvolgerla in quella storia.
“Non guardarle - ripeté dolcemente, facendole scivolare in una tasca - Non servono alla nostra indagine.”
Fujiko non protestò. Si concentrarono invece sulle foto dell'auto, ridotta a un ammasso di rottami. Ma ci sarebbe voluto l'occhio di un esperto per capire se ci fosse qualche anomalia nella ricostruzione dell'incidente. Trovarono anche un elenco degli oggetti trovati all'interno, tra cui la borsetta di sua madre e la valigetta 24 ore di suo padre.
“Dove saranno queste cose?” si chiese Goemon.
“Non lo so. Immagino siano state consegnate a mia nonna, ma... chi può saperlo ormai?”
“Pensi che Gérard e Sophie possano ricordarsene?”
“Sì, forse... glielo chiederò, anche se si stupiranno di questa mia improvvisa curiosità.”
La polizia sembrava avere svolto un lavoro molto scrupoloso. Lessero e rilessero ogni cosa, ma senza rilevare niente di strano. Sembravano proprio finiti in un vicolo cieco. Finché, incastrato tra due fogli un po' incollati tra loro, trovarono un cartoncino. Era ormai sbiadito, ma si riconosceva ugualmente il biglietto da visita di un'autofficina.
Si guardarono stupiti. Perché si trovava lì, dal momento che non era stata svolta alcuna perizia sulla macchina? Perlomeno, nell'incartamento non c'era, e anche Fujiko si ricordava che non era stata fatta. Forse, finalmente, avevano in mano un indizio.
Fujiko prese il biglietto e lesse l'indirizzo.
“Non si trova qui, è in un paese vicino.”
“Ma... esisterà ancora, dopo tutti questi anni?”
“Lo scopriremo subito” disse risoluta la donna componendo il numero di telefono.
Risposero.
“Dobbiamo sottoporle una questione un po'... particolare, non posso spiegarle per telefono. Se potessimo vederci, magari oggi stesso... D'accordo, alle 18. Molte grazie.”
Fujiko riattaccò.
“Non soltanto l'officina c'è ancora, ma è anche degli eredi del vecchio proprietario. Ci aspettano alle 18. Almeno abbiamo un punto di partenza.”
Goemon rifletteva. Aveva paura che la donna andasse incontro a qualche altra delusione.
“Non dimentichiamoci che potrebbe non significare nulla. Quel biglietto potrebbe essere finito lì per caso, magari era nella macchina di tuo padre...”
“Sì, lo so, ci avevo già pensato... anche se non è nell'elenco degli oggetti repertati. Ma, come dici tu, da qualche parte dobbiamo pure cominciare.”

Ingannarono l'attesa continuando a esaminare altri faldoni di documenti nello studio, anche se ormai era piuttosto chiaro che la soluzione difficilmente sarebbe arrivata da lì. All'ora convenuta salirono in macchina e raggiunsero l'officina, a pochi chilometri da lì. Li accolse un uomo di circa 35 anni, alto e robusto, dall'espressione simpatica. Li invitò a sedersi nel suo ufficio.
“Signor Lebrun, l'abbiamo disturbata perché abbiamo motivo di credere che, una ventina di anni fa, la polizia di XX abbia incaricato la sua officina, presumo suo padre, di svolgere una perizia tecnica su un'auto incidentata...”
“E' molto probabile. Mio padre era il numero uno qui in zona e anche la polizia dei paesi vicini lo consultava spesso...”
“Era...?”
“Sì, purtroppo morì molti anni fa... già..., ora che mi ci fa pensare, sono 18 anni.”
Fujiko e Goemon si scambiarono un'occhiata. Una coincidenza anche quella?
“Mi dispiace molto, signor Lebrun. Vede, in quell'incidente morirono i miei genitori e nell'incartamento della polizia quella perizia non c'è, in compenso c'era il vostro biglietto da visita. Ho bisogno di capire se il documento è andato perso. Non è possibile che voi abbiate una copia?”
“Sì, è possibile. Mio padre era molto scrupoloso. E' passato diverso tempo, ma il suo archivio non è stato toccato. Se avete un po' di pazienza provo a recuperarla, signorina Mine. Che anno avete detto che era?”
L'uomo sparì in un'altra stanza. Tornò dopo alcuni minuti con una cartelletta in mano e un'aria perplessa.
“E' strano... l'incartamento è qui, guardate, ci sono ancora le fotografie... ma non c'è nient'altro. La perizia è stata sicuramente fatta, altrimenti non ci sarebbe nemmeno la pratica, ma … non è qui. E' davvero molto strano... Posso provare a controllare se per sbaglio è finita da qualche altra parte, anche se tendo a escluderlo, perché mio padre era davvero molto preciso e sono certo che nessuno abbia messo la mani tra le sue cose... Ora comunque mi ricordo di quel fatto. Ero un ragazzino, ma i giornali ne parlarono parecchio all'epoca.”
“E suo padre non le disse nulla a riguardo?”
"No, non mi occupavo ancora dell'officina allora. E poi mio padre morì... subito dopo.”
Lebrun tacque, come colpito da un pensiero improvviso.
Intervenne Goemon.
“Mi perdoni la domanda, ma... di che cosa morì suo padre?”
“D'infarto. Lo trovò mia madre una sera qui, non vedendolo tornare a casa. Fu uno choc per tutti, perché era ancora giovane e non aveva mai sofferto di cuore. Ma il medico disse proprio così, che a volte capita anche alle persone più sane del mondo.”
Fujiko tentò un'ultima carta.
“Approfitto ancora della sua disponibilità. Lei dalle foto non è in grado di valutare se l'incidente possa essere stato in qualche modo... provocato? Se l'auto possa essere stata manomessa?”
Così dicendo gli porse alcune foto della macchina che avevano trovato nella pratica della polizia.
L'uomo le guardò attentamente per alcuni minuti, poi le restituì alla ragazza scuotendo la testa.
“No, dalle foto è praticamente impossibile, anche se fossero più recenti. Mi dispiace. Ma... voi pensate che non sia trattato di un semplice incidente?” chiese con voce leggermente allarmata.
Fujiko tacque. Non sapeva se era un bene mettere al corrente un perfetto sconosciuto dei loro sospetti. Goemon la tolse dall'impiccio.
“E' soltanto un'idea un po' balzana... probabilmente priva di fondamento. Per il momento, però, per precauzione, è meglio se non parla con nessuno della nostra visita. La terremo al corrente di eventuali sviluppi. E anche lei, se le viene in mente qualcos'altro, non esiti a contattarci.”
Fujiko gli fornì il numero del proprio cellulare e i due si congedarono con mille ringraziamenti.
Appena in macchina, si guardarono.
“Continui a pensare che sia stata una fatalità?” le chiese Goemon.
“No, non posso più farlo. Ci sono troppi punti oscuri: la perizia che sparisce dal dossier della polizia, anzi, forse non ci è mai nemmeno arrivata, perché qualcuno ha provveduto a sottrarla dall'archivio dell'officina, dopo aver fatto fuori il proprietario per tappargli la bocca...”
“Già.. un'altra morte misteriosa, fatta passare per un fatto naturale, questa volta...”
“E adesso che cosa facciamo? Non credo che quella perizia salterà più fuori...”
“Lo penso anch'io. Forse potremmo provare a rintracciare il poliziotto che seguì l'indagine... negli articoli di giornale mi sembra che ci fosse il nome.”
“Sì, sicuramente. Appena a casa verifichiamo.”

A casa furono però intercettati da Sophie, che li trascinò praticamente in sala da pranzo a mangiare “qualcosa di decente”, come disse lei, invece di saltare il pasto o, peggio, di nutrirsi di schifezze qua e là. I due non osarono contraddirla, anzi Goemon colse l'occasione per scusarsi di non aver fatto onore alle sue doti culinarie a mezzogiorno.
Fujiko invece buttò lì una domanda, con aria noncurante.
“Sai, Sophie, sto mettendo un po' d'ordine tra le cose di papà... visto che sono qui per un po' ne sto approfittando... Tu ti ricordi per caso dove sono finiti gli oggetti che furono trovati nella macchina... quella dell'incidente?”
“Sì, certo, la polizia consegnò tutto a tua nonna, naturalmente. Ricordo bene che si trovava tutto in una grossa scatola.”
“E la nonna che cosa ne fece?”
“Beh, questo io non lo so... Immagino abbia conservato gli oggetti di valore, se ce n'erano, quanto al resto... se non valeva la pena tenerlo, probabilmente se ne è disfata.”
“Eh sì, è probabile. Ti ricordi se c'era anche una 24 ore, quella di papà?”
Sophie sospirò.
“Non lo so, tesoro, tua nonna non mi mostrò il contenuto di quella scatola... ma perché ti vengono tutte queste curiosità proprio ora, dopo tutto questo tempo?”
Fujiko lasciò subito cadere il discorso. Non voleva che la donna si insospettisse.
“Non c'è un motivo particolare... starò invecchiando e sarò diventata più sentimentale... mettendo a posto lo studio, mi sono ricordata della valigetta di papà e volevo tenerla di ricordo, ma non l'ho trovata...”
La vecchia domestica alzò le spalle e si ritirò in cucina.
Dopo cena cercarono i ritagli di giornale in cui si citava l'ispettore che aveva coordinato le indagini, Marcel Faure. Ma era troppo tardi per telefonare alla centrale e chiedere di lui. Meglio non suscitare troppa curiosità.
A letto Fujiko cercò invano tra le braccia di Goemon un antidoto alla sua angoscia.
“Goemon... ho paura.”
“Tu, paura?”
Il giovane le sollevò il mento con due dita e cercò lo sguardo dei suoi occhi dai riflessi verdi.
“Tu sei la donna più coraggiosa e determinata che io abbia mai conosciuto.”
“Sì, ma questa volta è diverso. Non so con chi abbiamo a che fare. So solo che sono persone spietate e senza scrupoli, se davvero hanno ucciso tutte queste persone... e se adesso se la prendessero con noi? Se scoprissero che stiamo indagando e ci facessero fuori? In fondo, noi chi siamo? Due criminali, due fuorilegge... quel tipo di persone che fanno sempre una brutta fine. Nessuno si porrà troppe domande, e nessuno scoprirà mai la verità!”
Goemon la lasciò sfogare.
“Vuoi lasciar perdere? In fondo sono io che ti ho insinuato dei dubbi, che ti ho coinvolto in questa storia... quindi se vuoi mollare ti capisco. Andrò avanti da solo.”
“No, non voglio mollare. Non è questo che intendevo. Volevo soltanto sottolineare che probabilmente siamo davanti a qualcosa di grosso, e che dobbiamo stare molto attenti a come ci muoviamo. E sì, in effetti ho paura, perché qui non serviranno le nostre solite tattiche e non so come comportarmi, finché non capiamo con chi abbiamo a che fare.”
Goemon la abbracciò.
“Ecco, questa è la Fujiko che conosco! A proposito - aggiunse cambiando di colpo argomento, per allentare la tensione - non mi hai raccontato come è andato il pranzo con il tuo amico...”
Ah, mi sembrava strano che me la facesse passare liscia!
“Bene. Niente di speciale, abbiamo ricordato i vecchi tempi... Gli ho rifilato un sacco di scemenze sul perché improvvisamente mi sto interessando di questa storia... spero solo che ci abbia creduto...”
“Non ti avrà nemmeno ascoltato! Sarà stato troppo impegnato a guardare nella tua scollatura!”
“Stupido! Alain è un vecchio amico e non è come pensi tu! Sai … mi ha chiesto di te...” aggiunse esitando.
“Ah sì? - chiese il samurai improvvisamente interessato - E cosa ti ha chiesto di preciso?”
“Se è una cosa seria...”
“E tu che cosa hai risposto?”
La sua voce aveva una sfumatura quasi timorosa.
“Che non lo so ancora...”
Gli occhi di Fujiko cercarono i suoi, in una muta domanda, come a chiedere aiuto, a cercare una conferma.
Ma lui la spinse sotto di sé, baciandola a lungo, senza dire nulla.

La mattina dopo Goemon telefonò alla stazione di polizia chiedendo dell'ispettore Faure.
“... no, nessuna emergenza, sono solo un vecchio conoscente... La ringrazio.”
“Allora?” chiese Fujiko titubante. Temeva che fosse morto anche lui.
“E' stato trasferito alla sezione omicidi di Ginevra da alcuni anni.”
“Ah, meno male! Avevo paura l'avessero ammazzato!”
“Sì, meglio per lui, ma per noi non lo so... perché nella migliore delle ipotesi l'hanno lasciato stare perché non sa nulla, nella peggiore c'è dentro pure lui. Dobbiamo studiare bene come avere le informazioni che ci servono senza insospettirlo.”
Ne discussero a lungo, poi Fujiko ebbe un'idea.
“Ho trovato! Potresti fingerti uno scrittore o un giornalista che vuole scrivere un libro sui giapponesi che hanno avuto successo in Europa e, siccome intendi parlare anche di mio padre, hai bisogno di qualche informazione sulle circostanze della sua morte, qualcosa che non sia finito sui giornali. Forse si può risolvere tutto per telefono.”
Goemon meditò qualche secondo.
“Sì, potrebbe funzionare. Facciamolo subito.”
Cercarono il numero della centrale di polizia di Ginevra, Goemon si fece passare la sezione omicidi e chiese dell'ispettore Faure. Fujiko mise il telefono in modalità vivavoce.
Il samurai si presentò con un nome di fantasia, spacciandosi per uno scrittore e raccontandogli la storia che avevano concordato.
“Le posso rubare soltanto qualche minuto? Oppure posso richiamare più tardi...”
“No, mi dica pure.”
“Tra le persone di cui vorrei parlare c'è il signor Mine, un uomo d'affari che operava proprio qui in Svizzera una ventina di anni fa e che morì in un tragico incidente. So che lei seguì il caso...”
“Sì, ricordo benissimo quel fatto” rispose l'uomo dall'altra parte del filo.
“L'incidente fu archiviato come una fatalità. Ma... le risulta che, per semplice scrupolo, sia stata fatta una perizia sull'auto? Sicuramente i miei lettori si chiederanno se un evento simile, che coinvolge un uomo ricco e influente, sia solo frutto del caso o possa in qualche modo essere stato provocato... sa, alla gente piace questo genere di storie... ma io vorrei essere sicuro di fornire delle notizie fondate.”
Fujiko ascoltava sbalordita. Non si sarebbe mai aspettata una simile parlantina e una simile faccia tosta da un uomo così taciturno.
Trascorsero alcuni secondi di silenzio. Forse Faure stava valutando l'opportunità di dire o meno quello che sapeva a un perfetto sconosciuto.
“Sì, io ordinai una perizia, forse per un eccesso di zelo, perché in effetti la dinamica era chiara. Ma sa, ero giovane e quello era il mio primo caso un po' importante... comunque io non la vidi mai, perché la persona a cui avevo affidato l'incarico morì poco dopo all'improvviso, quindi non so nemmeno se fece in tempo a farla... e poi il mio superiore mi ordinò di lasciar perdere, anzi, mi rimproverò perché secondo lui era stata solo una perdita di tempo. E probabilmente aveva ragione lui. Si trattava di un incidente, come purtroppo ne capitano a decine ogni giorno. Non so se le sono stato utile...”
“Oh, sì, utilissimo! Quindi, per lo stesso motivo, non fu fatta alcuna perquisizione negli uffici o in casa del signor Mine...”
“Esatto. A quanto ne sapevamo noi, era una persona onesta, non era mai stato coinvolto in affari loschi, a suo carico non c'era nemmeno una multa per divieto di sosta, come si dice. Non c'era ragione perché buttassimo all'aria la sua vita.”
“Certo, mi rendo conto. Un'ultima domanda e poi non la disturberò più: mi può dire il nome del suo superiore? Magari mi viene in mente qualcosa da chiedere anche a lui...”
“Sì, Antoine Bernard. Ma guardi che è andato in pensione qualche anno fa, non so dirle dove si trovi adesso.”
“La ringrazio ugualmente molto. E naturalmente la citerò nel mio libro. Buona giornata.”
“Si figuri. Sempre a sua disposizione. Buona giornata anche a lei.”
Goemon riattaccò.
“Come sospettavo, non ne sa nulla. E mi sembrava sincero.”
“Anche a me. Magari ha ragione lui, quella perizia non è neanche mai stata scritta... Secondo te dovremmo provare a cercare questo Bernard?”
“No, secondo me per il momento no. Il suo intervento mi è sembrato più che altro mirato a contenere le intemperanze di un novellino... certo, potrebbe anche essere coinvolto, o essere stato minacciato per mettere tutto a tacere... in ogni caso, per ora non ci serve.”
“E quindi, che cosa facciamo?”
Fujiko era decisamente scoraggiata. La pista che avevano così faticosamente trovato si era già risolta in un nulla di fatto.
“Credo sia arrivato il momento di partire per il Giappone...” mormorò Goemon sfiorandole una guancia con una mano.

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Capitolo 11
*** Scoperte ***


Fujiko si morse le labbra. Non era mai stata d'accordo con questo suo proposito, ma non aveva idee alternative da proporgli.
“D'accordo, ma alle mie condizioni.”
Goemon la guardò sorpreso.
“Sì, visto che è pericoloso per te andarci, faremo a modo mio. Innanzitutto ci procureremo dei documenti falsi e delle false identità. E poi tu non puoi andartene in giro conciato così, ti faresti notare subito. Paradossalmente, qui al massimo ti possono prendere per uno un po' suonato, ma a casa tua attireresti troppo l'attenzione. Quindi verrai con me a fare shopping. Devi sembrare un normalissimo, anonimo ragazzo giapponese.”
Il samurai inorridì al pensiero, ma dovette riconoscere che lei aveva ragione e si rassegnò.
Fujiko invece non si rassegnava al fatto di non aver trovato niente di illuminante tra le carte di suo padre. Eppure era certa di aver guardato dappertutto. Improvvisamente la colpì un pensiero.
Ma certo, che stupida sono! Come ho fatto a non pensarci prima?
“Scusa, Goemon, devo fare una cosa!”
Il solaio! Come aveva potuto scordarlo?
Salì quasi di corsa le scale che conducevano al sottotetto della casa. Spinse il vecchio uscio polveroso e si inoltrò nella semioscurità, a passi un po' incerti, prima di abituarsi alla poca luce che filtrava dagli abbaini.
Il solaio consisteva in un unico grande locale, abbastanza ordinato, per essere quello che era. Lungo le pareti si trovavano vecchi armadi e vecchie casse di legno, che, a giudicare dalle ragnatele, non venivano aperti da molto tempo.
Sarà un altro lavoro lunghissimo - pensò la donna - forse devo chiedere l'aiuto di Goemon.
Cominciò ad aprire il primo armadio che incontrò e lo trovò pieno di abiti che riconobbe come appartenenti a sua nonna, quindi lo richiuse. Poi fu la volta di una cassapanca, ma conteneva i giocattoli di quando era bambina. Un'altra cassa straripava di libri e giornaletti, sempre risalenti alla sua infanzia.
Meglio così, vado per esclusione e non perdo troppo tempo.
Finalmente un armadio rivelò al suo interno alcuni vestiti e scarpe di sua madre. Chissà perché la nonna volle conservare tutte queste cose... a chi servivano ormai?
In quello accanto c'erano invece abiti e altri oggetti personali di suo padre... tra cui la famosa 24 ore! La riconobbe subito, perché lui non se ne separava mai.
La aprì con febbrile impazienza ed ebbe subito un gesto di stizza.
Era completamente vuota. Delusa, la girò e rigirò più volte, tastò in ogni angolo alla ricerca di un doppio fondo... e le sembrò di sentire qualcosa muoversi sotto la fodera. Si guardò intorno impaziente e afferrò un cacciavite arrugginito abbandonato in un angolo. Con circospezione, e anche con un po' di dispiacere, incise la stoffa lungo i lati e la sollevò lentamente. Sotto giacevano alcuni fogli ripiegati, ingialliti dal tempo. Li prese con le mani tremanti e li esaminò. Sembravano piuttosto vecchi, forse addirittura antichi, scritti in giapponese. Uno sembrava riportare un albero genealogico. Ma... non poteva essere!
Si affacciò in cima alle scale e quasi urlò.
“Goemon! Vieni subito quassù, ti prego!”
L'uomo impiegò qualche secondo a capire da dove proveniva il richiamo, poi si slanciò su per i gradini.
“Che cosa succede? Mi hai spaventato!”
Fujiko gli mise in mano i fogli che aveva trovato.
“Guarda anche tu! Li ho trovati nascosti nella valigetta che mio padre portava sempre con sé...”
Goemon li scorse e i suoi occhi si colmavano man mano di stupore. Alla fine la guardò.
“Fujiko, tuo padre... era un samurai!”

Allora non avevo capito male!
“Ma no, non è possibile! Io non ne ho mai saputo nulla!” quasi gridò lei.
“Già, pare proprio che tuo padre non ci tenesse troppo a farlo sapere... altrimenti non avrebbe nascosto così bene questi documenti.”
“Ma di che cosa si tratta esattamente?”
“Sembrerebbe una storia della sua famiglia, c'è una genealogia che fa risalire le sue origini al XVII secolo. In realtà, non è corretto dire che tuo padre era un samurai. Apparteneva a un'antica famiglia di samurai... esattamente come il mio...”
Fujiko impallidì.
“Forse abbiamo trovato il famoso collegamento tra i nostri genitori...”
Anche Goemon era turbato.
“Sì, ma non è un crimine discendere da antichi samurai... a chi vuoi che importi, nel XX secolo?”
“Non lo è per le persone comuni... ma forse per qualcun altro sì... Sento che è qui il bandolo della matassa!”
“Hai ragione... fammi leggere meglio questi fogli, forse contengono qualche indizio...”
Fujiko si ricordò che da qualche parte doveva esserci un interruttore. Miracolosamente, una piccola lampadina in mezzo al soffitto si accese e il giovane si sedette lì sotto a gambe incrociate, immergendosi nella lettura.
“Io continuo a cercare... magari trovo qualcos'altro.”
Si mise a frugare in fondo all'armadio dove c'era la valigetta, poi in una serie di casse. Quando stava per rassegnarsi, nell'ultima, sotto strati e strati di vecchi stracci e fogli di giornale, erano occultati oggetti che la lasciarono paralizzata dalla sorpresa.
“Mio Dio, guarda qua, Goemon!”
Estrasse con delicatezza un'armatura, completa di elmo e gambali..., e una splendida katana, riposta nel suo fodero finemente decorato. Gliela porse e lui, quasi religiosamente, la estrasse e la rimirò alla luce che, per quanto fioca, traeva dal metallo saettanti riflessi d'acciaio.
“E' davvero bellissima...” mormorò estasiato.
Ne osservò con più attenzione l'impugnatura e fu lui questa volta a restare senza parole.
“... ti dirò di più, Fujiko: questi segni impressi sull'elsa... sono uguali a quelli della mia!”
“E... che cosa significa questo?” balbettò la ragazza, non osando formulare a voce alta il pensiero che le si era affacciato alla mente.
Non saremo mica parenti? Fratelli o fratellastri, magari? Non sarebbe così terribile...se solo non fossimo andati a letto insieme!
“Che hai ragione tu. Abbiamo trovato il collegamento. E' questa la strada da seguire.”
Riposero l'armatura dove l'avevano trovata, e portarono i fogli misteriosi e la katana in camera di Fujiko. Goemon le fece notare le incisioni sull'impugnatura.
“Di chi era la tua spada?” gli chiese.
“Della famiglia di mio padre. La potei tenere quando cominciai l'addestramento con il mio maestro.”
La donna era esterrefatta. Perché, si chiedeva, tenere nascosto quel passato? Che cosa c'era di così sconveniente? Si domandò se anche sua madre fosse all'oscuro di tutto. Sicuramente sua nonna lo era... o forse no, e non le aveva mai rivelato nulla, per proteggerla? Sì, ma da chi o da che cosa?
“Che cos'altro dicono quei documenti?”
“Ma, niente di particolare... Elenchi di nomi e parentele, di titoli onorifici e di proprietà... ma è tutta roba piuttosto vecchia, la data più recente è il 1932. Non so proprio che cosa pensare... che attinenza possono avere queste notizie con il presente?”
Fujiko continuò a rigirare i fogli tra le mani, come aspettando un'illuminazione.
“Che cos'altro hanno in comune i nostri padri? - rifletté ad alta voce - Erano entrambi uomini d'affari, d'accordo... Ma uno stava in Giappone e l'altro in Svizzera, quindi in teoria non avevano contatti... non ne abbiamo trovato tracce, perlomeno... Poi? … Oddio, ci sono!”
Goemon la guardò con aria interrogativa.
“Tutti e due avevano sposato donne non giapponesi... mia madre era addirittura europea e la tua hai detto che era mezza americana, no?”
“Sì, esatto... ma che cosa significa?”
“Non lo so, sto solo cercando di mettere insieme i pezzi del puzzle... C'è un altro particolare che mi sfugge: la tua vita a un certo punto era in pericolo quanto la loro e quindi sei dovuto andare via dal Giappone, ma io... a me non è mai successo nulla del genere. Perché?”
“Forse perché tu non vivevi in Giappone. O forse perché sei una donna, mentre io... - l'uomo sgranò gli occhi, colpito da un pensiero improvviso - stavo per diventare a mia volta un samurai!”
“Vuoi dire allora che qualcuno nel XX secolo ce l'ha con i samurai?”
“No, non con tutti. Soltanto con alcuni... quelli che non hanno sangue puro, quelli che in qualche modo si sono contaminati con gli occidentali!” concluse Goemon sgomento.
“Tu dici?”
“E' soltanto un'ipotesi... ma potrebbe spiegare perché tuo padre ha occultato quei documenti. Non se la sarà sentita di distruggerli, perché erano comunque ricordi della sua famiglia, ma ha fatto in modo che nessuno li trovasse fino ad ora...”
“Già, anche se non è servito a niente... Se è vero quello che dici, deve esserci in giro una banda di pazzi... pazzi e pericolosi!”
“Dobbiamo scoprire chi sono... sempre ammesso che siano ancora in circolazione, dopo quasi 20 anni!”
Fujiko si mordeva le labbra, mentre i pensieri si accavallavano freneticamente nel suo cervello.
“Può darsi che ci siano altri nelle nostre condizioni...” azzardò.
“E' probabile... ma come possiamo scoprirlo?”
La ragazza accese il computer e cominciò a digitare alcune parole.
“Che cosa cerchi?”
“E' un tentativo, ma dubito che verrà fuori qualcosa. Voglio vedere se nello stesso giorno in cui sono morti i nostri genitori sono accaduti altri fatti analoghi in Europa: incidenti o delitti che coinvolgevano giapponesi.”
La ricerca non diede risultati. Fujiko provò ancora, restringendo il campo soltanto ad alcuni Paesi, ma era comunque un lavoro troppo lungo e complicato.
“Bisognerebbe avere accesso agli archivi delle varie polizie, dell'Interpol o qualcosa del genere... non è alla nostra portata... ci vorrebbe un hacker ...”
Erano scoraggiati e stavano per lasciar perdere quella pista, quando la donna si batté una mano sulla fronte.
“Ma come ho fatto a non pensarci prima? Ed è già la seconda volta! Perdi colpi, ragazza mia! Io lo conosco, un hacker!”
“Fammi indovinare: è un tuo amico!”
“No, questo è proprio un ex fidanzato, dei tempi del liceo. E' un genio dell'informatica e so che spesso compie azioni ai limiti dell'illecito. E' l'uomo che fa per noi, se abita ancora a Zurigo, ma questo lo posso scoprire facilmente.”
Fujiko ignorò volutamente lo sguardo scocciato di Goemon e scese al piano di sotto. Tornò dopo pochi minuti con aria trionfante.
“La mamma di Julien è una cara amica di Sophie... ho l'indirizzo e il numero di telefono! Ci faremo una bella gita a Zurigo!”
“Io sono sempre della mia idea di andare in Giappone...”
“Sì, ho capito, andremo anche lì... ma più informazioni abbiamo e meglio è, non credi? E smettila di fare quella faccia, o da Julien ci andrò da sola!”
“E' proprio necessario andarci di persona? Non possiamo telefonargli o mandargli un e-mail?”
Fujiko si fece seria.
“Abbiamo già scomodato troppa gente... Pensaci: abbiamo parlato con due poliziotti e con il figlio di una persona coinvolta nella vicenda e morta subito dopo... Non credi che qualcuno potrebbe già essersi insospettito? E se hanno già messo i telefoni e i computer sotto controllo? Non me la sento di rischiare..., tutto qua.”
Il giovane sospirò rassegnato.
“D'accordo. Andremo a Zurigo.”
La donna compose un numero sul suo cellulare e uscì sulla terrazza. Goemon la vedeva camminare avanti e indietro. Spesso rideva, in quel suo modo irresistibile, gettando indietro la sua chioma ramata. Goemon pensò in quel momento che il passato di Fujiko non gli sarebbe mai appartenuto. E forse nemmeno lei, in fondo.
Non sa ancora se è una cosa seria... E per te, Goemon, lo è?

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Capitolo 12
*** L'hacker ***


Zurigo distava circa 300 chilometri. Avrebbero anche potuto andare e venire in giornata, ma Fujiko decise di fermarsi almeno un paio di giorni. Così avrebbero dato un po' più di tempo a Julien per trovare quello che cercavano.
Partirono il mattino dopo, con la Maserati gialla con cui erano arrivati lì. Durante il viaggio non parlarono molto. La ragazza continuava a guardare nello specchietto retrovisore.
“Che c'è?” le chiese lui a un certo punto.
“Controllo se qualcuno ci segue.”
“E... ?”
“No, non c'è nessuno. Ma è meglio stare all'erta!”
Fujiko sembrava tornata quella di sempre, impavida e determinata. E lei sentiva che il suo demone stava di nuovo prendendo possesso della sua anima. Sentiva salire l'adrenalina, il piacere della sfida, il brivido del pericolo... Lo sapevo, che non sarebbe durato a lungo questo desiderio di normalità!
A Zurigo pranzarono in un sushi-bar in riva al lago, poi cercarono l'ufficio di Julien, situato a due passi dal centro storico, in un grande palazzo del primo '900.
“Se la passa bene, il tuo amico! - commentò Goemon, osservando l'ampio ingresso luccicante di marmi, sorvegliato da un portiere in livrea - Si vede che rende fare l'hack...”
Fujiko lo zittì con una gomitata.
“Ma sei matto? Vuoi farti sentire? Se lo stai facendo apposta, te ne puoi anche andare! Ti ricordo che lui ci sta dando una mano, e non è tenuto a farlo!”
Sì, dipende da che cosa vorrà in cambio... Ma il samurai decise di tenere per sé queste considerazioni.
Il portiere aveva loro indicato di salire all'ultimo piano e aveva avvisato per telefono il signor Daru dell'arrivo dei suoi clienti. Venne ad aprire la porta un uomo sui 35 anni, con i capelli biondi un po' lunghi e occhi chiari dietro dei piccoli occhiali rotondi. Era vestito in modo sportivo, e non sembrava affatto un topo da biblioteca, come Goemon, chissà perché, se l'era raffigurato. Sorrise, scoprendo una fila di denti perfetti, e abbracciò Fujiko.
“Margot! Quanto tempo! Fatti guardare. - la scostò leggermente da sé per osservarla meglio - Sei sempre bellissima!”
“Smettila, Julien, mi fai arrossire!”
L'uomo rivolse poi un sorriso gentile anche a Goemon, che assisteva alla scena apparentemente impassibile.
“E tu devi essere il ragazzo di Margot... Piacere di conoscerti.”
Gli porse la mano, che lui strinse dopo un attimo di incertezza. Era stupito. Fino a quel momento Fujiko l'aveva presentato a tutti come un amico, mentre a Julien aveva detto che stavano insieme... Che donna indecifrabile!
Entrarono nell'ufficio, che in realtà si rivelò essere l'appartamento dove Julien viveva e lavorava. Un paio di stanze erano adibite a studio, con computer, megaschermi e altre apparecchiature per loro misteriose.
“A volte vengono qui dei miei collaboratori, ma oggi sono solo. Ho capito che la vostra richiesta è … particolare ed era meglio che non ci fosse nessun altro. Gradite intanto qualcosa da bere? Ho dell'ottimo caffè italiano.”
“Grazie, un caffè va benissimo.”
Dopo pochi minuti l'uomo tornò con 3 tazzine fumanti.
“Allora, ditemi, che cosa vi serve sapere di preciso?” chiese mentre sorseggiavano il liquido scuro.
Fujiko gli raccontò brevemente quanto avevano scoperto fino a quel momento, dalla morte dei loro genitori avvenuta lo stesso giorno, a quella improvvisa del meccanico che avrebbe dovuto esaminare l'auto dell'incidente, al sospetto che le indagini fossero state insabbiate. E infine le spade con lo stesso simbolo e il fatto che entrambi i loro padri avevano sposato donne non giapponesi. Volevano scoprire se, in quella stessa data o comunque in quel periodo, si fossero verificati nel mondo altri fatti di sangue che coinvolgevano coppie miste.
“Non so se sia possibile scoprirlo... Ho pensato a te, che sei senz'altro in grado di accedere agli archivi delle polizie di tutto il globo, dell'Interpol e di chissà chi altro. Naturalmente ti pagheremo per il disturbo... consideraci come tuoi clienti normali.”
Julien fece un gesto con la mano, come a dire “non se ne parla neanche”.
“Non è impossibile... solo, ci vorrà magari un po' di tempo, forse qualche giorno, dipende... Comincio subito.”
“Grazie, Julien.”
“Resterete qui a Zurigo? Posso anche avvisarvi quando scoprirò qualcosa...”
“Sì, pensavamo di fermarci un paio di giorni...”
“Avete già una sistemazione? In caso contrario, potete restare qui, se volete... c'è un sacco di posto!”
Fujiko lanciò una rapidissima occhiata a Goemon, già terrorizzato all'idea.
“Ti ringrazio davvero, ma... preferiamo andare in albergo.”
“Capisco... però stasera ceniamo tutti insieme, qui!”
“D'accordo.”
“Vi aspetto alle sette, allora.”

I due raggiunsero l'albergo sul lungolago in cui avevano prenotato una stanza. Non ebbero in realtà molto tempo per rilassarsi, perché l'appuntamento per la cena era molto presto, e Goemon aveva già fatto i conti con la puntualità svizzera. Fujiko si vestì in modo apparentemente castigato, con un tubino nero, molto aderente, una giacca a fiori e sandali con il tacco alto.
“Ha ragione il tuo amico...” le disse lui, guardandola mentre si raccoglieva i capelli.
“Su che cosa?” chiese la donna distrattamente, con alcune forcine tra i denti.
“Sei bellissima.”
Le sue guance si imporporarono. Non che non fosse abituata ai complimenti, gli uomini gliene facevano in continuazione, ma il fatto che prevenissero da uno di solito così riservato e taciturno davano loro un valore diverso. Gli sorrise guardandolo nello specchio.
“A Julien hai detto che sono il tuo ragazzo... non l'avevi mai fatto prima... Perché? Vuoi forse farlo ingelosire?”
Fujiko rise.
“Goemon, ti prego! Abbiamo avuto poco più di un flirt al liceo! Lo sai quanti anni sono passati? E poi non è vero che non l'ho ancora detto a nessuno, l'ho fatto capire anche ad Alain!”
“Lo so lo so, scherzavo! Non mi hai risposto, però...”
Lei alzò le spalle. Non lo sapeva nemmeno lei, perché aveva detto così. Cambiò discorso.
“Sbrighiamoci! Siamo in ritardo!”

La sala da pranzo dell'appartamento di Julien era enorme e una parete era interamente occupata da un'ampia vetrata, con una vista mozzafiato sulla città. La tavola era apparecchiata con ottimo gusto e la cena venne servita da una specie di maggiordomo dai modi impeccabili. Una cena a base di piatti giapponesi. Goemon era stupefatto.
Julien era un perfetto anfitrione, brillante, simpatico, divertente, ma mai sopra le righe. Mise a proprio agio perfino il samurai, il quale dovette ammettere, suo malgrado, che era proprio una persona piacevole.
“Ho già impostato la ricerca - disse verso la fine della serata - I computer lavoreranno tutta la notte e può darsi che già domani mattina possa avere dei risultati. Vi telefono appena so qualcosa.”
“Grazie, Julien.”
“Posso solo chiedervi perché volete sapere questo? Se non sono indiscreto...”
“Oh, no, te lo dobbiamo, in realtà... Ecco, noi sospettiamo che qualcuno, non sappiamo ancora chi e perché, ce la possa avere con i samurai che hanno contaminato il loro sangue e la loro discendenza con donne non giapponesi... E' un'ipotesi molto fantasiosa, lo sappiamo, ma sono gli unici punti in comune che hanno i nostri genitori, oltre alla data della loro morte. Se ci fossero altri casi simili nello stesso periodo, però, non sarebbe più una semplice coincidenza, capisci?”
“... e a questo punto - concluse l'hacker - dovreste scoprire chi c'è dietro tutto questo...”
“Esatto.”
Seguì un breve silenzio, durante il quale Julien sembrò riflettere.
“Non so chi al giorno d'oggi potrebbe avere simili fissazioni... solo dei fanatici.”
“E' quello che pensiamo anche noi...”
“Potrebbe essere pericoloso...Gli invasati sono solitamente imprevedibili. E senza scrupoli.”
“Lo sappiamo, Julien - intervenne Goemon - Ma ormai abbiamo deciso di scoprire la verità, a qualunque costo. Staremo attenti.”
L'uomo annuì.

In camera, Fujiko si liberò dei sandali e si sedette sul letto massaggiandosi i piedi provati dai tacchi alti. Goemon si inginocchiò davanti a lei e ne prese delicatamente uno tra le mani, premendolo tra i palmi.
“Oh, che meraviglia! Non smettere, ti prego!”
“Perché la cena era giapponese? Come faceva a sapere Julien...”
“Gliel'ho detto io, no? Per fortuna anche a lui piace il sushi!”
“Non smetti mai di stupirmi, ragazza!”
“Perché, che ho fatto? Volevo solo che anche tu stessi bene stasera, e Julien la pensava come me... che c'è di strano?”
Le manipolazioni che Goemon stava riservano ai suoi piedi le stavano facendo perdere il controllo. Le sue mani risalirono lungo le gambe e i fianchi, fino alla cerniera del tubino, che abbassarono rapidamente.
“Allora dovrò dimostrarti la mia gratitudine per avermi sfamato, temo...”

La mattina dopo, mentre stavano facendo colazione, il cellulare di Fujiko squillò. Era Julien.
“Ah, perfetto! Arriviamo subito!” disse la ragazza dopo aver ascoltato per pochi secondi con un'espressione concentrata.
Riattaccò e guardò Goemon.
“Ci sono già dei risultati. Ci aspetta tra poco.”
Si avviarono all'ufficio di Julien con il cuore in gola. L'uomo non aveva giustamente anticipato nulla al telefono. Era abituato alla prudenza e alla segretezza.
“Avevate ragione! - esclamò l'hacker appena le fece entrare - Venite di là.”
Lo precedette in una delle stanze dei computer e mostrò loro alcune stampate.
“Per il momento, visto che da qualche parte bisognava pur cominciare, ho esaminato solo l'Europa. Ed è sconvolgente: quello stesso giorno ci sono stati, in diversi Paesi, 8 incidenti stradali (escluso quello in cui morirono i tuoi, Fujiko), 4 duplici omicidi in altrettante presunte rapine, e 3 omicidi-suicidi. In tutti questi eventi sono morte coppie in cui l'uomo era giapponese e la donna no: 30 persone, anzi 32, se contiamo anche i coniugi Mine. Gli incidenti stradali non hanno mai coinvolto altri veicoli o altre persone e gli omicidi sono rimasti senza colpevole. Ecco, qua ci sono tutti i dettagli...”
I due scorsero i fogli e si guardarono sgomenti. Non poteva essere un caso...
“Ora sto procedendo con il Giappone, visto che l'altro fatto è accaduto là, e il resto dell'Asia... ci vorrà un po', temo...”
“Grazie, Julien. Sei davvero un amico. Ma già questi dati mi sembrano significativi... sono un po' troppi per essere semplici coincidenze... Non sono mai stati collegati tra loro perché sono avvenuti in posti diversi...”
“Già... Andate pure, se volete. Vi richiamo io più tardi.”
Scesi in strada, camminarono per un po' senza meta e senza parlare, ognuno perso nelle proprie riflessioni. E ora che i loro sospetti stavano diventando certezze, come avrebbero agito? Come avrebbero fatto a scoprire chi c'era dietro questi atroci delitti? Da dove avrebbero cominciato?
Si sedettero a un caffè.
“Credo che sia più che mai necessario andare in Giappone - disse Goemon - Secondo me, è lì che è cominciato tutto. Se qualcuno vuole tenere pura la casta dei samurai, non può che venire da lì.”
“Sì, è molto probabile - convenne Fujiko - Ma che cosa faremo poi?”
“Cominceremo con il cercare il mio vecchio maestro... sempre che sia ancora vivo...”

Julien non si fece sentire fino a sera. I due avevano cercato di ingannare l'attesa e la tensione che li opprimeva facendo un giro turistico della città.
Tornarono nel suo appartamento e scoprirono che altri tasselli andavano a incastrarsi perfettamente nel quadro che si erano fatti. Anche in Giappone, infatti, due giorni prima degli eventi europei, vi erano stati 5 incidenti e 3 omicidi-suicidi.
“Probabilmente sono meno perché le coppie miste in Giappone allora erano meno diffuse che altrove...” suggerì Goemon.
“Infatti - illustrò Julien - Perché basta spostarsi per esempio in Cina o in Corea, perché la statistica, se così possiamo chiamarla, cambi parecchio...”
Fujiko era sbalordita. Di qualunque cosa si trattasse, doveva essere un'organizzazione molto potente e capillare, per riuscire a realizzare un simile piano in così poco tempo e con un raggio d'azione così ampio...
“Pensavo di proseguire con gli Stati Uniti... lì sicuramente le coppie miste sono parecchie.”
“Non è necessario, Julien. Direi che ormai non ci sono più dubbi sul fatto che tutto questo non sia casuale... Abbiamo approfittato anche troppo della tua disponibilità.”
“Dammi solo ancora stanotte e domani... poi farò come volete voi. Questa storia sta incuriosendo anche me.”
Visto che Julien non ne voleva sapere di farsi pagare, lo invitarono a cena quella sera. Ma, fuori dalle mure sicure del suo appartamento, qualsiasi argomento scottante era bandito. Cercarono di divertirsi, come tre amici spensierati.

Il pomeriggio seguente, Fujiko e Goemon si recarono per l'ultima volta dall'hacker, che consegnò loro tutta la documentazione raccolta, compresi gli ultimi dati sugli Stati Uniti.
“Non ho fatto in tempo a finire, ma anche così... è impressionante. Beh, lo vedrete voi stessi.”
Era giunto il momento di tornare a casa e di pianificare le prossime mosse. La ragazza abbracciò Julien e gli fece promettere di andarla a trovare, la prossima volta che fosse tornato a far visita ai suoi genitori.
“Non ti cacciare nei guai! Goemon, badale tu, che mi sembri uno con la testa sulle spalle. Siate prudenti, mi raccomando! E fatemi sapere, quando avrete scoperto qualcosa.”
Anche il samurai lo salutò con insolito calore. Julien, suo malgrado, lo aveva conquistato.



 

Buon 8 marzo a tutte!

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Capitolo 13
*** Simboli ***


“No, ti ho già detto che i capelli non me li taglio!”
Goemon era davanti allo specchio e si osservava con una smorfia disgustata.
Fujiko l'aveva trascinato in un negozio e l'aveva costretto a comprare un certo numero di capi d'abbigliamento “normali”, come li aveva definiti lei, orrendi, come li aveva invece trovati lui.
A casa poi la ragazza gli aveva imposto di riprovarli, per studiare i vari abbinamenti e perché si abituasse a indossarli senza sembrare uno stoccafisso.
“Non fare quella faccia! Guarda che stai molto bene con i jeans! Anzi, ti dovrò tenere d'occhio, perché le ragazzine ti salteranno addosso, ora!”
E anch'io ti salterei addosso, in questo preciso momento, pensava intanto, ammirando le sue larghe spalle sotto la camicia azzurra.
“Però con i capelli corti passeresti un po' più inosservato...” osò aggiungere.
“Non se ne parla!”
“Potresti ossigenarti... molti ragazzi giapponesi lo fanno.”
Lui la fulminò con lo sguardo.
“Ok, lasciamo perdere. Almeno fatti una coda!”
“Mmmh... vedremo. Posso rimettermi i miei vestiti, adesso?”
“Sarebbe meglio di no... devi cercare di diventare un po' più disinvolto...”
“Fujiko, stai esagerando! Chi diavolo vuoi che ci faccia caso?”
La donna sospirò. Che testaccia dura!

Prenotarono il volo per Tokyo. Ma non avevano la più pallida idea di dove sarebbero andati dopo. Goemon era più che mai determinato a cercare il suo maestro. In fondo, l'aveva lasciato da non molti anni, poteva essere ancora vivo e vegeto. E di sicuro sapeva qualcosa. Bisognava semplicemente convincerlo a parlare.
Fujiko non era certa che fosse una buona idea. Non sapeva se potevano fidarsi completamente. Magari i loro nemici tenevano d'occhio il vecchio. La verità era che Goemon non avrebbe dovuto tornare in Giappone, finché la situazione non si fosse chiarita. Era pericoloso. Lei aveva tentato ancora una volta di dissuaderlo, ma non c'era stato niente da fare.
La partenza era fissata tre giorni dopo il loro rientro da Zurigo. Goemon era impaziente e passava ore in giardino a esercitarsi con la katana.
Già, la katana...
Le venne un'idea. Fotografò l'incisione sull'impugnatura, scaricò l'immagine sul computer e la ingrandì per osservarla nei minimi dettagli. Cominciò a cercare su internet se trovava qualcosa di simile, ma comparivano intere schermate di scritte in giapponese, in cui lei però non riusciva a orientarsi. Fu quasi tentata di chiamare ancora Julien... ma non voleva approfittare oltre della sua disponibilità. E poi aveva deciso che era troppo rischioso comunicare a distanza.
Stava per arrendersi e spegnere il pc, quando qualcosa attirò la sua attenzione. Sul video comparve un disegno molto elaborato, che apparentemente non aveva nulla a che fare con l'incisione sulle katane. Eppure, osservandolo meglio, Fujiko riuscì a vederla, racchiusa e come “mimetizzata” al suo interno. Stampò sia il disegno sia la foto che aveva scattato e li mise a confronto: le linee dell'incisione si inscrivevano alla perfezione all'interno del disegno misterioso, confondendosi però facilmente con esso.
Cliccò sull'immagine a video per cercare di capire a che cosa fosse collegata. Si aprì un sito, sempre in giapponese, che sembrava dedicato alle tradizioni, usi e costumi del Paese. Ma lei non era in grado di capire niente. Doveva mettere Goemon a parte della sua scoperta.
Corse in giardino con i due fogli.
Il samurai, vedendola arrivare tutta affannata, depose la spada.
“Guarda questi due disegni, Goemon!”
“Che cosa sono?”
La donna glielo spiegò. Non era così immediato notare le analogie, ma dopo qualche istante di osservazione, anche lui se ne accorse.
“Vieni a vedere: questo disegno rimanda a un sito giapponese, ma io non capisco di che cosa si tratta.”
Goemon la seguì in camera e lesse velocemente alcune scritte, mentre Fujiko faceva scorrere le pagine.
“Ma... Si chiama Il Sentiero del Dragone d'oro e sembra semplicemente un sito che parla della storia e delle tradizioni del Giappone...”
“Ti dice qualcosa questo nome?”
Il giovane rifletté qualche secondo, poi scosse la testa.
“Non mi pare proprio. La parola dragone è spesso presente in parecchie realtà giapponesi, dai circoli culturali ai ristoranti, quindi non è molto illuminante...”
Fujiko provò a digitare “sentiero del dragone d'oro”, in varie lingue europee, ma senza alcun risultato significativo. E il suo portatile non contemplava i caratteri nipponici.
“Porteremo con noi questi disegni... magari in Giappone troviamo qualcosa di più...”
La ragazza continuava a osservare il sito e il suo simbolo.
“Non potrebbe essere che i nostri padri facevano parte di una specie di associazione, un circolo, una loggia... qualcosa del genere... e come segno di appartenenza avevano fatto riportare questa iscrizione sulle loro katane?”
“Sì, è possibile. In effetti, guarda, qui ci sono le istruzioni per iscriversi a questa specie di club...”
“E dove ha sede?”
“Ha diverse sedi, ma tutte in Giappone. Che fortuna, una è a Tokyo! Possiamo cercare di saperne di più direttamente sul posto.”
Fujiko aveva una sgradevole sensazione, che non però non riusciva a definire. Del resto, se volevano venir a capo di qualcosa, dovevano esporsi a qualche rischio. I passaporti e gli altri documenti falsi, che aveva commissionato al suo solito “contatto”, erano già arrivati. Si augurò di cuore che fossero sufficienti a proteggere Goemon dal pericolo di essere riconosciuto.

Arrivò finalmente il giorno della partenza. Sophie e Gérard erano insolitamente commossi, quando li salutarono. Avrebbero dovuto essere abituati alle lunghe assenze di Fujiko, ma questa volta c'era qualcosa di diverso nel loro atteggiamento, che un po' turbò la ragazza. Non aveva detto loro dove stavano andando. Ma non lo faceva mai, quindi... Anche con Goemon furono molto affettuosi, mettendolo visibilmente in imbarazzo.
“Ma … che cosa avevano?” le chiese lui durante il tragitto in auto fino all'aeroporto di Ginevra.
“Non lo so... sono anni che mi vedono comparire e sparire all'improvviso, non è certo una novità per loro. Forse si rendono conto che stanno invecchiando e hanno paura di non rivedermi più... ma non sono così vecchi, dai!”
Forse, invece - pensò tra sé - credevano che questa volta sarei rimasta per sempre... speravano che avessi messo la testa a posto e mi stessi per sistemare... con lui...

Durante le lunghe ore sull'aereo, non conversarono molto, se non di argomenti neutri. Non dovevano farsi sentire da nessuno parlare delle loro faccende.
Goemon aveva dovuto cedere e vestirsi all'occidentale, il che continuava a farlo sentire a disagio, nonostante l'addestramento a cui lei l'aveva sottoposto. Si era invece categoricamente rifiutato di tagliarsi i capelli e soprattutto di tingersi. Sarebbero entrati in Giappone con un visto turistico e sui loro documenti risultavano lui un ricercatore free lance (così a nessuno sarebbe venuto in mente di indagare presso quale università o istituto) specializzato in lingua e storia nipponica e lei la sua assistente. Nonché fidanzata, ma questo sul passaporto non c'era scritto. La loro “professione”, speravano, li avrebbe autorizzati a ficcare il naso dove volevano senza destare troppi sospetti.
Atterrarono in perfetto orario a Narita e si recarono subito in albergo. Goemon non diceva una parola, mentre il treno filava veloce verso la città, ma Fujiko si accorse che aveva gli occhi lucidi. Gli strinse una mano e gli sorrise. Non doveva essere facile per lui, tornare lì dopo molti anni, in un luogo da cui era dovuto fuggire e che gli riportava alla mente tutti gli eventi dolorosi della sua vita.
Benché un po' sconvolti dal jet lag, dopo una doccia decisero di mettersi immediatamente al lavoro. Dovevano fare un piano d'azione. La prima tappa sarebbe stata la sede del “Sentiero del Dragone d'oro”. Con la scusa dei loro studi, avrebbero chiesto di accedere al loro archivio o biblioteca e lì avrebbero cercato di trovare qualche collegamento con i loro genitori, senza dover fare domande dirette, che avrebbero potuto mettere in allarme qualcuno. Goemon telefonò per fissare un appuntamento, ma la persona addetta alle relazioni con il pubblico non sarebbe stata disponibile fino alla mattina dopo. Si accordarono quindi per vedersi l'indomani alle 10.
Decisero di riposarsi un po'.
“Tu... e i tuoi abitavate a Tokyo?” gli chiese Fujiko, quando si accorse che anche lui non riusciva a prendere sonno.
“Sì, abitavamo a Kichijoji, una specie di zona residenziale della città. E' molto bella, se abbiamo tempo mi piacerebbe fartela visitare. Se ti va, naturalmente.”
“Certo che mi va! Se non è troppo … triste per te.”
Goemon le rivolse uno dei suoi sguardi enigmatici. La strinse contro di sé.
“No - disse quasi in un sussurro - Se tu sei con me non c'è più niente di triste...”
Turbata (o era meglio dire commossa?) da quell'affermazione, la donna si mise ad accarezzargli piano il viso e il petto, finché lui si chinò su di lei, catturò le sua labbra e le fece scivolare via le spalline della camicia da notte.

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Capitolo 14
*** Il Sentiero del Dragone d'oro ***


La mattina dopo presero un taxi e si recarono alla sede centrale del “Sentiero del Dragone d'oro”. Si trovava in un modernissimo grattacielo, insieme a numerosi altri uffici, aziende e istituti bancari. A questi soldi non devono proprio mancare, pensarono entrambi.
Dissero alla ragazza seduta alla reception chi erano. Lei chiamò qualcuno al telefono e dopo pochi minuti la persona con cui avevano appuntamento si fece loro incontro. Era una donna sulla cinquantina, con un tailleur nero e con i capelli raccolti in un severo chignon. Li salutò con un leggero inchino e li invitò a seguirla in una stanza. Fujiko ebbe la sensazione che non fosse del tutto a suo agio. Il che era strano, per una “addetta alle relazioni con il pubblico”.
Goemon si era vestito in modo piuttosto formale, con una giacca scura e, per assumere un'aria più professorale, si era pure messo un paio di finti occhiali da vista. Con il suo perfetto giapponese, spiegò alla donna lo scopo delle loro ricerche e per che cosa avevano bisogno del suo aiuto. Fujiko non conosceva benissimo la lingua paterna, quindi non capiva proprio tutto. Ma si rese conto che pian piano la diffidenza della tipa si stava dissolvendo. Il giovane ogni tanto le sorrideva e abbassava il tono di voce. Fujiko era affascinata e stupita al tempo stesso: l'uomo di ghiaccio si stava rivelando un vero incantatore, non se lo sarebbe mai aspettato.
Alla fine del discorso, la donna chiese i loro documenti e li lasciò soli.
“Com'è andata, professore?”
“Bene, direi. E' andata a procurarci i pass per accedere alla biblioteca e all'archivio. Solo quello aperto al pubblico, però. Quindi non so se troveremo quello che cerchiamo.”
Fujiko sospirò.
“Ci vorrebbe uno come Julien. Lui in un attimo ...”
Goemon si avvicino al suo collo, come per baciarla.
“E' meglio se non parliamo troppo - le sussurrò in un soffio - Potrebbero esserci delle telecamere o delle cimici nascoste...”
In quel momento rientrò l'addetta con due cartellini con sopra stampati i loro nomi. Restituì i documenti e li scortò fino alla biblioteca, che consisteva in un'unica vasta sala, con le pareti ricoperte di scaffali pieni di volumi fino al soffitto. Al centro, erano collocati scrivanie e computer, a cui stavano lavorando alcune persone, soprattutto, sembravano, studenti occidentali. Si sedettero a una postazione.
“Da dove cominciamo?” chiese la ragazza.
“Cerchiamo per prima cosa di saperne di più su questa organizzazione.”
C'erano diversi testi che ne parlavano e si potevano consultare direttamente dal pc. Moderni e tecnologicamente avanzati, questi qua!
“Il Sentiero del Dragone d'oro” era un'associazione nata nel Dopoguerra, a opera di un gruppo di intellettuali giapponesi, con l'intento di salvaguardare e tramandare alle nuove generazioni la cultura tradizionale del Paese, in ogni suo aspetto. Ma, si leggeva tra le righe, soprattutto si proponeva di proteggere tale cultura da contaminazioni e influenze esterne, attraverso l'informazione e la proposta di iniziative idonee. Così si leggeva nello statuto. I due si guardarono. Quante realtà simili c'erano, anche in Occidente, che dichiaravano determinati intenti e ne perseguivano altri, o li perseguivano con mezzi illeciti?
Proseguendo nella lettura, vennero a sapere che l'associazione nel tempo era cresciuta e si era diffusa in tutto il Giappone, e vi avevano via via aderito anche uomini politici, docenti universitari, musicisti, attori... e discendenti di antiche famiglie di samurai! E il simbolo ufficiale era appunto quel disegno, in parte riprodotto sulle due katane.
A questo punto, le possibilità che i loro padri non avessero nulla a che fare con quella gente si riducevano drasticamente. Sentivano di essere ormai sulla pista giusta. Ma quello che avevano trovato fino a quel momento era solamente la superficie, occorreva scendere a un livello più profondo. Difficilmente ci sarebbero riusciti da lì. Provarono a impostare una ricerca su internet, ma, a parte il sito ufficiale dell'associazione, era impossibile collegarsi ad altro. Un caso? O un altro indizio che c'era sotto qualcosa di losco? Non insistettero, per non dare nell'occhio. Richiesero al banco dei prestiti alcuni vecchi volumi riguardanti il teatro e la musica, giusto per rendere più credibile la loro messinscena, e chiesero dove si trovasse l'archivio. L'addetto lo indicò. Dalla parte opposta rispetto a dove erano entrati, c'era una porta che dava su un lungo corridoio. In fondo, dietro un'altra porta, si trovava l'archivio. Mostrarono a un custode il loro pass e questi li introdusse in un locale polveroso e semibuio, occupato in gran parte da schedari in legno o in ferro. Tutto aveva un'aria stantia e decadente, in aperto contrasto con quanto avevano visto fino a quel momento. Non c'era nemmeno l'ombra di un computer.
Non sapendo bene nemmeno loro che cosa cercare, aprirono qualche cassetto a caso. Tra documenti amministrativi ormai vecchi di decenni, atti di donazioni, articoli di giornale, fotografie, a un certo punto cominciarono a spuntare degli elenchi di nomi. Si accorsero che erano divisi per anni. Potevano essere le liste dei soci? Si misero a cercare freneticamente. In base alla data di nascita dei loro padri, calcolarono più o meno gli anni in cui potevano essere entrati a far parte del “Sentiero del Dragone d'oro”. La ricerca non fu facile, perché Fujiko faceva fatica a leggere il giapponese e in più la luce era scarsa (un caso anche quello?).
“Ci sono dei buchi” disse a un tratto Goemon.
“Buchi? Che intendi?”
“Mancano degli anni. Guarda, in questo scomparto per esempio si passa dal 1958 al 1961. In quest'altro dal 1972 al 1975.”
“Il periodo che ci riguarda potrebbe essere proprio tra questi... Magari sono finiti per sbaglio da qualche altra parte... Continuiamo a cercare.”
Rovistarono ovunque, ma quegli elenchi non saltarono fuori.
Si era fatto tardi e il custode ricordò loro che stavano per chiudere. I due lasciarono l'archivio, andarono a ritirare i libri richiesti e si avviarono all'uscita, insieme agli altri studiosi (quelli veri!). Alla reception li attendeva l'addetta alle relazioni esterne. Chiese a Goemon, con un gran sorriso, se la visita era stata utile. Lui le mostrò con entusiasmo i libri che aveva in mano e le disse qualcosa che Fujiko non capì, ma che rese la donna molto felice. Il giovane assicurò che sarebbero tornati presto, se non altro per restituire i volumi.
Appena fuori dal palazzo, si resero contro che era metà pomeriggio e non avevano mangiato nulla da ore. Era una bella giornata e così comprarono del cibo da asporto in una rosticceria e si sedettero su una panchina in un piccolo parco. Entrambi si guardavano continuamente intorno, per cercare di capire se qualcuno li avesse seguiti. Ma pareva proprio di no. In fondo, non avevano fatto domande strane e non erano andati in giro a curiosare, quindi si erano confusi facilmente con gli altri frequentatori della biblioteca. Quando si furono rifocillati, fecero il punto della situazione.
“Io sono abbastanza sicuro che i nostri padri fossero soci del Sentiero del Dragone d'oro. Lo provano le iscrizioni sulle spade e il fatto che di questa associazione facessero parte membri di famiglie di samurai. E sospetto fortemente che anche la loro morte sia stata architettata là dentro. Il motivo? Presumo perché in un certo senso avevano tradito gli ideali e i valori del gruppo, sposando donne non giapponesi, e qualcuno lo ha ritenuto un grave delitto, un'onta da lavare con il sangue. Qualcuno che ha fatto anche sparire gli elenchi che scottavano. Quelli dove erano presenti i soci da eliminare.”
La ricostruzione dei fatti era plausibile. Ma non avevano prove.
“Quindi - proseguì Fujiko - c'è un altro livello, non ufficiale, che persegue altri obiettivi, o persegue gli stessi, ma in modo illegale e violento... Mi domando che cosa ci guadagnano in tutto questo... Mi riesce difficile pensare che ci siano dietro soltanto degli ideali di purezza della razza, per così dire.”
“Perché no? Non ti ricorda qualcun altro, questa storia della purezza della razza?”
“Sì, certo, ma lì c'era un progetto di potere ben più vasto! Questi, per quanto maneggino chiaramente molto denaro, non mi sembrano su quei livelli!”
“E chi ti dice che alla lunga invece lo scopo finale non sia quello? Una nuova potenza nipponica!”
Fujiko non era convinta. Però, il mondo è pieno di pazzi visionari...
“Torniamo in albergo oppure cerchiamo un internet point - disse Goemon alzandosi - Voglio sapere che cosa si dice in rete del Sentiero del Dragone d'oro, al di là delle verità ufficiali. E poi dobbiamo cercare di scoprire chi c'era ai vertici dell'associazione l'anno in cui sono stati assassinati i nostri genitori.”
Optarono per un luogo pubblico, dove avrebbero potuto mimetizzarsi più facilmente con altri utenti. Per parecchio tempo le uniche notizie che trovarono furono esattamente le stesse che già avevano. Poi capitarono su una specie di blog, il “Sentiero della verità”. E lì scoprirono qualcosa che gettava una luce inquietante su tutta la faccenda.
Il “Sentiero del Dragone d'oro”, secondo questi blogger, sarebbe sorta sulle ceneri di altre organizzazioni patriottiche, nate ai primi del '900 e ufficialmente sciolte subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, di stampo ultra-nazionalista, con lo scopo di fare di nuovo del Giappone una grande potenza politica e militare. Alcune di queste società, più o meno segrete, erano state fondate da ex samurai.* Dichiarate fuori legge dopo la fine del conflitto, sempre secondo il blog, si erano per così dire “reincarnate” in un'associazione ufficialmente culturale, ma che in realtà aveva gli stessi scopi delle precedenti. E, dietro la facciata pulita, c'era un secondo livello, costituito da persone senza scrupoli, che ammassavano ricchezze con ogni mezzo, in attesa di prendersi anche il potere politico. In teoria. Perché in realtà questo forse non sarebbe mai avvenuto... perché a quella gente non interessava veramente. Era interessata soltanto al denaro. Non era un caso che tra i soci fossero ammesse soprattutto persone facoltose, che venivano convinte a fare generose donazioni. Se non lo facevano spontaneamente, si ricorreva a pressioni, minacce, ricatti... Una ventina di anni prima si erano verificati ...
Il sito improvvisamente si chiuse e comparve un avviso della polizia che lo dichiarava illegale.
Goemon notò con la coda dell'occhio una certa agitazione tra i gestori dell'internet point. Chiuse subito il collegamento e si avviò all'uscita con Fujiko con l'aria più disinvolta che gli riuscì. Fortunatamente era l'ora di punta e fu facile confondersi tra la fiumana di gente che affollava il marciapiede. Per maggiore precauzione, si infilarono in un centro commerciale. Ma anche in quel caso non sembrava che qualcuno li avesse seguiti. Persero un po' di tempo, fingendosi interessati alle vetrine e stando seduti per un po' in un bar. Senza commentare quanto era appena accaduto. Poi tornarono in albergo. Goemon, mentendo, chiese alla receptionist se qualcuno lo avesse cercato o lasciato un messaggio, visto che aspettava la visita di un collega. Ma la ragazza rispose di no e gli assicurò che lo avrebbe avvisato subito, se fosse accaduto. Salirono in camera. Probabilmente non erano ancora stati individuati oppure erano riusciti a far perdere le loro tracce. Ma per quanto ancora?
Sentivano di essere vicini a scoprire la verità, o almeno una parte.
“Quel blog stava per parlare degli omicidi, vero, quando è stato bloccato?” chiese Fujiko.
“Sì, credo di sì. Questa associazione assomiglia sempre più a una setta, e ha come scopo principale, non dichiarato, il denaro e il potere...”
“Sì, però hanno ammazzato soltanto coppie miste... che cosa c'entra questo con ricchezza e potere?”
“Non lo so. Forse perché volevano uscirne...”
Fujiko lo fissò, colpita da un pensiero improvviso.
“Goemon... tuo padre era un uomo d'affari, hai detto. Che cosa ne è stato del suo patrimonio, quando è morto? Dovrebbe essere tuo, no?”
Il giovane tacque alcuni istanti. Sembrava a disagio.
“Io so solo che quando ho dovuto andarmene da qui, il mio maestro mi disse che c'era un conto aperto a mio nome in una banca svizzera, e che non avrei mai avuto problemi a mantenermi... Ho dedotto che in qualche modo mio padre avesse voluto assicurarmi un futuro, anche quando lui non ci fosse stato più... come se sapesse che stava per capitargli qualcosa di terribile... Ma io, a essere sincero, non mi sono mai interessato molto di questo, non so nemmeno esattamente quanto è depositato su quel conto, né se ce ne sono altri...”
Fujiko guardava nel vuoto, persa dietro ai suoi ragionamenti.
“La Svizzera... anche mio padre si era stabilito lì... e secondo me non è un caso... Forse entrambi sapevano che era l'unico posto dove quelli della setta non avrebbero potuto fare quello che volevano... l'unico posto dove i loro patrimoni sarebbero stati al sicuro. Non credi anche tu?”
“Sì, potrebbe essere andata così... quindi in realtà loro sapevano di essere in pericolo... ma perché?”
“Sempre per lo stesso motivo: i soldi. Forse non volevano più finanziare l'associazione, o volevano uscirne...”
La ragazza cercò nella sua valigia i fogli con i nomi e i dati delle persone uccise che aveva trovato Julien. Esaminò le professioni, dove erano indicate: erano tutti imprenditori, banchieri, avvocati, chirurghi... del resto il blog lo diceva chiaramente, che nel “Sentiero del Dragone d'oro” erano ammesse quasi esclusivamente persone di un certo tipo.
“In quegli anni deve essere successo qualcosa... come se avessero alzato il tiro - proseguì Fujiko - Potrebbero essere cambiati i vertici, come dicevi tu. Gente spregiudicata, ma che non voleva sporcarsi le mani. Che potrebbe aver usato il pretesto della purezza per convincere la bassa manovalanza a uccidere quelle persone per impadronirsi in qualche modo dei loro averi. Con i nostri genitori il gioco non è riuscito, ma con altri magari sì.... non lo sappiamo, e sarà praticamente impossibile scoprirlo.”
Goemon la ascoltava assorto.
“E' una ricostruzione plausibile, che potrebbe spiegare molte cose... anche la sparizione degli elenchi dei soci...”
“Ma... i figli di queste persone... nessuno è stato coinvolto negli omicidi, per fortuna... ma che cosa è accaduto loro dopo? Tu sei stato al sicuro per 10 anni, poi sei dovuto scappare da un giorno all'altro. Perché? Perché la tua vita di colpo era in pericolo? Perché invece a me non è mai successo nulla?”
Il giovane taceva.
“Dobbiamo trovare il mio maestro... solo lui può darci le risposte.”
“Dove si trova?”
“Il villaggio in cui mi aveva portato è tra i monti Hida. Ma sono passati anni, non ho idea se lui si trovi ancora lì...”
“Ma da qualche parte dobbiamo partire, quindi ci andremo e se non lo troviamo chiederemo in giro.”
Si abbracciarono.
“E' orribile, vero? - gli disse lei - Le nostre famiglie distrutte per squallide questioni di soldi... da una banda di volgari delinquenti travestiti da idealisti patrioti...”
Gli occhi di Goemon divennero due fessure di ghiaccio.
“Io li troverò, dovessi cercarli anche all'inferno. E non avrò nessuna pietà.”

 

 

 

 

 

* Queste organizzazioni sono realmente esistite, sotto i nomi di “Società del Drago Nero” (detta anche “Società del fiume Amur”) e “Società dell'Oceano Nero”. Il resto invece è pura invenzione della sottoscritta.

 

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Capitolo 15
*** In cerca del maestro ***


Si misero in viaggio già il giorno seguente, con un'auto presa a nolo. Pagarono il fattorino dell'albergo perché l'indomani riportasse alla sede del “Sentiero del Dragone d'oro” i libri che avevano preso in prestito. Entrambi desideravano mettere quanti più chilometri possibili tra sé e quei pazzi furiosi. Almeno per il momento.
Goemon era tornato ad essere taciturno e accigliato, ma Fujiko non se la sentiva di dargli torto. Anche lei era arrabbiata e animata da sentimenti di vendetta, aveva solo un altro modo di esprimere ciò che provava. Guidando come una pazza, per esempio.
Quando furono a diversi chilometri da Tokyo, la donna cominciò a rilassarsi.
“Come si chiama il tuo maestro?” si azzardò a chiedere al suo compagno di viaggio, che non aveva ancora aperto bocca.
“Okada - rispose lui - Yataro Okada.”
“E il villaggio dove stiamo andando?”
“Non credo avesse un nome... era talmente piccolo! Lo chiamavamo tutti semplicemente il villaggio...”
“Ah! E come facciamo a trovarlo? Non sarà nemmeno segnato sulla cartina, men che meno lo troverà il navigatore...!”
“Non ti preoccupare. Mi ricordo la strada” fu la lapidaria risposta.
“Farà molto freddo lassù? - spezzò di nuovo il silenzio la ragazza - Perché io non avevo previsto questa eventualità e non ho portato abiti pesanti, visto che è giugno...”
“Sì, è probabile che faccia piuttosto freddo, soprattutto la sera.”
La sua imperturbabilità cominciava a seccarla. Decise che si sarebbe fermata da qualche parte a comprare dei vestiti adeguati. Sapeva che in quella zona si trovavano parecchie stazioni sciistiche... ci saranno pure dei negozi!
Si chiedeva a che cosa stesse pensando. Prima di partire aveva faticato parecchio a convincerlo a vestirsi ancora in borghese. Ma per la katana non aveva voluto sentire ragioni: l'aveva tirata fuori dalla valigia e ora giaceva sotto il suo sedile, a portata di mano. Non avevano parlato di che cosa avrebbero fatto, una volta saputa la verità. Ammesso che l'avessero scoperta in quello sperduto villaggio sulle montagne.

Il paesaggio era decisamente mutato. A Fujiko sembrò quasi di essere tornata a casa. Non per nulla quelle montagne sono chiamate le “Alpi giapponesi”. La strada proseguiva ora in strette gole, con le pendici rivestite di boschi e di prati. I picchi, ammantati di neve che rifletteva i raggi del sole come uno specchio d'argento, cominciavano a incombere su di loro.
La ragazza aveva insistito per fermarsi in un centro commerciale lungo la strada, a comprare almeno una giacca a vento. Aveva obbligato anche Goemon a prenderne una per sé. Lui sembrava tornato l'uomo di ghiaccio che aveva sempre conosciuto, prima della famosa notte a Parigi, concentrato unicamente sui propri obiettivi, senza debolezze, senza cedimenti o distrazioni... Sembrava chiuso in una dimensione tutta sua, dove lei non aveva accesso. Eppure si trovava nella sua stessa situazione! Ma aveva capito che, quando lui era così, era inutile insistere, avrebbe ottenuto esattamente l'effetto opposto.
Ad un certo punto il giovane le disse di lasciare la strada principale per cominciare a inerpicarsi per una via secondaria, che diventava a un certo punto sterrata e via via sempre più accidentata e stretta.
Per fortuna lei era un'abile pilota, abituata a guidare in condizioni estreme, perché qualunque altra donna, e forse anche parecchi uomini, si sarebbe presto scoraggiata. Ogni tanto la strada costeggiava dei paurosi strapiombi. Fujiko si era chiesta come mai il maestro di Goemon avesse portato il bambino in una regione tutto sommato non molto lontana dalla capitale, quindi secondo lei non abbastanza sicura... ma ora invece ne capiva benissimo il motivo. Solo a dei pazzi come loro poteva venire in mente di andare a cercare qualcuno fin lassù.
Dopo un paio d'ore, non fu più possibile proseguire in macchina. Ma Goemon lo aveva previsto e aveva raccomandato alla ragazza di prepararsi una borsa leggera con lo stretto necessario (e aveva sottolineato stretto), lasciando il resto nel bagagliaio dietro.
Quello che il samurai aveva omesso di dire era che occorrevano altre due ore di cammino prima di arrivare al villaggio. In salita, ovviamente. Fujiko non era una lagna, ma non era abituata a scarpinare in montagna e dopo un po' cominciò a supplicarlo di fare una sosta. Goemon le concesse a malincuore pochi minuti.
“Tra poco sarà buio, non voglio che ci sorprenda ancora per strada.”
Prese anche la sua borsa e la aiutò a rialzarsi.
“Coraggio, manca poco”.
Per il resto del tragitto la tenne sempre per mano, annullando così di colpo la distanza che si era creata tra loro.
“Dove dormiremo stanotte, se non troviamo il tuo maestro?”
“Chiederemo ospitalità in qualche casa. E' una cosa normale da queste parti.”
Finalmente, poco prima che l'oscurità inghiottisse ogni cosa, giunsero in vista delle prima casupole.
Il villaggio era davvero minuscolo, semplice e ordinato, sembrava uscito da una fiaba. Dati l'ora e il freddo che si era fatto pungente, nei vicoli non incontrarono nessuno. La ragazza si chiese se non fosse un bene... in fondo, in quel posto dovevano ricordarsi ancora di lui. Era stato prudente presentarsi così, senza precauzioni?
Goemon camminava spedito verso l'estremità opposta del paese e infine puntò verso una casa un po' isolata, che sembrava più grande delle altre, circondata da un giardino abbastanza ampio chiuso da uno steccato di legno. Le finestre erano illuminate.
Fujiko scrutava il suo volto per scoprirvi qualche traccia di emozione, nostalgia, timore, tristezza... ma quel volto era impassibile, quasi inespressivo.
Quando lui varcò il cancelletto, la ragazza si fermò.
“Forse è meglio se vai avanti da solo... Ti aspetto qui.”
“No - disse risoluto - vieni con me.”
Salirono i pochi gradini che conducevano alla veranda e alla porta d'ingresso. Goemon, dopo un istante di esitazione, bussò. Dopo un'attesa che a loro parve infinita, ma che in realtà doveva essere durata soltanto 1 minuto, l'uscio si aprì lentamente. Nel riquadro della porta comparve la sagoma di un uomo. Non un vecchio, però. Era in controluce, quindi non ne distinguevano i lineamenti, ma era alto e robusto.
“Goemon!” esclamò lo sconosciuto sorpreso.
La mano di Goemon corse istintivamente alla katana che portava appesa sulla schiena, in stridente contrasto con il suo abbigliamento occidentale.
“Non mi riconosci? Sono io, Juro!” disse l'uomo, mettendosi in modo che la luce proveniente dall'interno gli illuminasse il viso. Doveva avere più o meno l'età di Goemon, ed era vestito come solitamente vestiva lui.
I due si inchinarono simultaneamente.
Juro lanciò un'occhiata a Fujiko, che osservava la scena un passo indietro.
“Lei è Fujiko... una cara amica.”
Lei ricordò la storia dell'addestramento e della castità, trattenendo a stento un sorriso.
“Entrate” li invitò il giovane.
Si trovarono in una stanza arredata in modo molto semplice. Al centro, l'irori, il tradizionale focolare, era acceso e spandeva un gradevole tepore. E non solo quello... sopra le braci era appoggiata una pentola da cui proveniva un profumo invitante. Fujiko si rese conto di essere stanca, infreddolita ed affamata e accolse con gratitudine l'invito del padrone di casa a sedersi accanto al fuoco.
Senza parlare, Juro prese due ciotole, le riempì con la zuppa che bolliva nella casseruola e le porse agli ospiti. Mangiarono in silenzio. La ragazza era un po' stupita che due persone che si conoscevano e non si vedevano da anni non avessero nulla da dirsi... ma forse faceva parte delle usanze locali, prima rifocillarsi e poi fare le domande.
Infatti...
“Che cosa ti conduce qui dopo tanto tempo, Goemon?” chiese ad un tratto Juro, posando la sua ciotola.
“Sto cercando il nostro maestro. Mi sembra di capire che non vive più qui, altrimenti sarebbe già comparso, suppongo.”
Il volto dell'altro samurai si velò di tristezza. Seguì qualche minuto di silenzio, in cui a Fujiko sembrò di sentire i battiti del proprio cuore.
“Hai ragione, non vive più qui... perché è morto, Goemon.”
L'altro trasalì. La ragazza gli posò delicatamente una mano sulla sua.
“Questo mi addolora molto. Come è successo? Non era poi così anziano, quando sono andato via... forse si è ammalato?”
Questa volta l'espressione di Juro fu di palese sofferenza. Tacque ancora, come per trovare le parole giuste.
“No, è stato molto più terribile... lui... lui ha dovuto uccidersi.”

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Capitolo 16
*** Finalmente la verità ***


 

Fujiko si lasciò sfuggire un grido di spavento. Goemon alzò di scatto la faccia e strinse i pugni.
Per un po' nessuno riuscì a parlare.
“Ma... come... quando è successo?”. La voce insolitamente tremante di Goemon spezzò il silenzio.
Per tutta risposta Juro si recò nella stanza accanto e tornò con una busta. La porse al suo vecchio compagno.
“Prima di farlo mi ha lasciato questa per te, se mai ti avessi rivisto.”
Gomon la prese e se la rigirò a lungo tra le dita, indeciso.
Intuiva che, se ne avesse letto il contenuto, la sua vita non sarebbe stata più la stessa. Ma non era per quello, che era venuto fin lassù? Per conoscere finalmente la verità?
“Vi lascio soli” disse Juro alzandosi.
“No, aspetta. Tu sai tutto, vero? Sai perché l'ha fatto?”
Il giovane abbassò il capo.
“Sì, so tutto, e te lo dirò. Ma è meglio se prima leggi quello che lui avrebbe voluto dirti di persona, se ne avesse avuta la possibilità.”
Goemon si decise a strappare la busta e a estrarne i fogli contenuti. Fujiko, incoraggiata da un suo sguardo, si portò dietro di lui e seguì la lettura da sopra la sua spalla.

Mio amato discepolo,
se leggerai queste righe, vorrà dire che ti sei salvato. Io invece sarò scomparso da tempo e nulla potrò più fare per rimediare al male che ti ho inflitto. Ma posso raccontarti la verità e chiederti perdono, anche se non lo pretendo.
Quando ti ho portato via con me, eri solo un bambino spaventato e senza nessuno al mondo. Credevo che quassù saresti stato al sicuro, e per un po' è stato così. Ma poi i tuoi nemici ci hanno trovato e, per salvarti la vita, ho dovuto cacciarti, mandarti lontano, e poi porre fine alla mia vita, prima che lo facessero loro, per mantenere intatto il mio onore e anche per espiare le mie colpe.
Sì, Goemon, perché io ho compiuto delle azioni orribili, e non solamente verso di te.
Faccio parte da molti anni di un'associazione, il “Sentiero del Dragone d'oro”, che ha lo scopo ufficiale di proteggere e tramandare la cultura giapponese. Di fatto, invece, è una setta che mira a impadronirsi di denaro e potere, con qualunque mezzo, anche illecito, anche violento. Sono uno dei suoi “giustizieri”. Elimino chi si ribella, chi può essere una minaccia per il gruppo, chi non sta alle regole.
Anche tuo padre faceva parte dell'associazione, perché la maggior parte sono persone come lui, pulite e oneste. A un certo punto aveva capito che c'era qualcosa di strano e voleva uscirne. Ma la setta non permette a nessuno di andare via, soprattutto se ricco, perché potrebbe essere denunciata e perché non vuole rinunciare alle donazioni. Spesso fa in modo che i soci le intestino molti dei loro beni, per poterli incamerare alla loro morte. Tuo padre lo fece con una minima parte del suo patrimonio, il resto lo mise al sicuro per te. Sapeva di essere in pericolo. Infatti i vertici dell'organizzazione decretarono la morte sua e di molti altri ex membri, sparsi nel mondo, colpevoli, ufficialmente, di aver sposato donne non giapponesi e quindi di aver tradito gli ideali del gruppo.
Li ho uccisi io, Goemon.
Io ho assassinato i tuoi genitori per ordine della setta.
E avrei dovuto uccidere anche te. Ma quello non ho avuto il cuore di farlo. Eri solamente un bambino innocente, e io mi ero ormai affezionato a te. Ho chiesto alle autorità il tuo affidamento, l'ho ottenuto subito grazie ai potenti agganci della setta e ti ho portato quassù, facendo credere che ti avrei eliminato in un secondo momento, per non suscitare sospetti nella polizia (la tesi dell'omicidio-suicidio non sarebbe più stata credibile così)...

Le mani di Goemon tremarono violentemente, mentre il suo volto era deformato dalla rabbia e dall'orrore. Anche Fujiko non poteva credere a quello che stava leggendo. Era ancora peggio di quello che avevano immaginato. Si strinse a lui, nel vano tentativo di scacciare quell'incubo.

….. Ho sperato che si dimenticassero di me. Che non mi cercassero. In fondo, ormai ero piuttosto vecchio per quel tipo di lavoro, potevano benissimo sostituirmi con qualcuno di più giovane e forte. Sono riuscito a nasconderci per 10 anni. Ma poi ho saputo da amici fidati che non soltanto avevano scoperto dove vivevo, ma anche che non ti avevo affatto ucciso e ti tenevo con me. Eri di nuovo in pericolo, e l'unica possibilità di salvarti era che tu lasciassi il Giappone per sempre. E anche così c'era sempre la possibilità che ti trovassero, perché il “Sentiero del Dragone d'oro” estende i suoi tentacoli in tutto il mondo. Ma non potevo dirti la verità, non ne ho avuto il coraggio.
Ora so che stanno arrivando. Li conosco bene. Non avranno pietà, mi trascineranno via, mi tortureranno e poi mi uccideranno nel modo più crudele possibile. Allora ho deciso che lo farò io. Me ne andrò per mia volontà e per mano mia.
Adesso che sai la verità, hai tutto il diritto di odiarmi.
Sappi solo che nei 10 anni in cui ti ho tenuto con me ho cercato di fare del mio meglio per renderti un uomo d'onore, leale e coraggioso. Per rimediare in qualche modo all'orrore di cui ti ho reso vittima.
Affido questa lettera al tuo compagno Juro. Lui, se vuoi, ti aiuterà. Ma sappi che la vendetta non riporterà in vita i tuoi genitori e non ti darà la pace che credi.
Perdonami, se puoi.

                                                                                Il tuo maestro Yataro Okada


Le mani di Goemon gli ricaddero in grembo, come se le forze lo avessero all'improvviso abbandonato. Chinò la testa. Avrebbe dovuto mettersi a urlare tutta la sua disperazione, ma non ce la faceva. Non era abituato a esternare ciò che provava. O forse tutto il peso di quella terribile rivelazione lo stava schiacciando al punto di paralizzare qualsiasi reazione. Fujiko era sconvolta quanto lui. Ma anche lei non sapeva che cosa dire. Si limitava ad accarezzargli i capelli, in silenzio.
Dopo alcuni lunghi minuti, finalmente il giovane parlò con la voce spezzata. Sembrava sul punto di piangere, e probabilmente solo la sua rigida educazione da samurai glielo impediva.
“Dieci anni... per dieci anni ho vissuto con l'assassino dei miei genitori, considerandolo quasi un padre. Grato che mi avesse salvato dall'orfanatrofio... Mio padre si fidava di lui, era un amico, gli aveva affidato la mia educazione. Come ha potuto farlo? Come riusciva a guardarmi negli occhi? Che razza di mostro era?”
Il dolore si tramutò in rabbia cieca. E impotente. Perché non poteva più prendersela con lui.
Fujiko tentò una timida giustificazione.
“Hai ragione, è tremendo quello che ha fatto quell'uomo... ma in fondo ti ha salvato la vita e ti ha protetto finché ha potuto, e ha pagato con la vita la sua scelta. Ha cercato di rimediare, in qualche modo...”
Goemon la fissò, ma come se non la vedesse. Il suo sguardo gelido e crudele la spaventò.
“Devo scoprire chi sono quei bastardi. E li voglio fare a pezzi così lentamente, che saranno loro stessi a implorare la morte...”
Juro, nel frattempo, si era affacciato sulla soglia. Goemon se ne accorse.
“Devi dirmi tutto ciò che sai” gli intimò.
L'amico si sedette di fronte a lui.
“Che cosa vuoi sapere?”
“Innanzitutto se lui è morto davvero...”
“Sì, l'ho seppellito io stesso, sulla montagna, dove ha scelto di morire. Nessun altro sa dove.”
“Nella lettera non si fanno i nomi... non si dice chi sono i mandanti dell'assassinio dei miei cari, ma anche di quelli di Fujiko e di molti altri... voglio sapere chi sono! Se tu lo sai, devi dirmelo!”
Juro fissò per un istante la ragazza con stupore. Certo non si aspettava che anche lei fosse stata toccata da quella brutta storia.
“Il maestro me lo disse a voce. Non volle metterlo per iscritto, perché in fondo sperava che, dopo tanti anni, tu avessi rinunciato alla vendetta. Temeva per la tua incolumità. Ma mi incaricò di rivelartelo, se tu me lo avessi chiesto.”
“Quindi?” lo sollecitò Goemon con impazienza.
“La maggior parte di quanti erano ai vertici dell'organizzazione allora (erano i veri capi, non ufficiali: non comparivano mai in pubblico e nessuno sapeva della loro esistenza) sono passati a miglior vita. Ne è ancora vivo soltanto uno, quello che stava sopra tutti. E' diventato un pezzo grosso dell'alta finanza internazionale... non sarà affatto facile avvicinarlo, gira sempre con una scorta numerosa e non dorme mai due notti nello stesso posto. E' un vero squalo e in parecchi lo vorrebbero fuori dai piedi.”
“Il nome.”
“Sosa Abe”.
Goemon se lo annotò mentalmente.
Juro proseguì.
“Il maestro mi incaricò anche di combattere il Sentiero del Dragone d'oro con altri mezzi... mi chiese di rivelare al mondo chi fossero veramente, quali fossero i suoi reali scopi, gli inganni e i mezzi illeciti che usavano... stando sempre attento a non farmi scoprire.”
“E tu l'hai fatto?”
“Sì. Perché anch'io sono una vittima della setta. Prima di morire, il maestro mi rivelò che anche i miei genitori erano stati eliminati da loro, quando io ero molto piccolo. In quel caso non aveva commesso lui personalmente il delitto, ma sapeva chi era stato. E i mandanti erano sempre gli stessi.”
“E tu... non hai agito? Io non sapevo nulla, fino ad ora, ma tu... hai avuto la possibilità di far giustizia” disse l'altro con una punta di disprezzo nella voce.
Juro puntò due occhi affilati come lame nei suoi.
“Come credi che siano morti tutti gli altri? Li ho eliminati io, con alcuni altri come noi, che, grazie alle indicazioni del maestro, ho rintracciato tra quelli resi orfani dalla setta. L'unico che non siamo riusciti a raggiungere è chi ti ho detto.”
“Ti chiedo scusa... perché non me l'hai detto subito?”
“In più, con i miei complici abbiamo creato una rete d'informazione clandestina, che divulga la verità sulla setta...”
Fujiko alzò di scatto la testa, colpita da un'illuminazione, e per la prima volta intervenne.
“Il Sentiero della verità... Sei tu! Sei tu il blogger che denuncia le malefatte del Sentiero del Dragone d'oro!”
Il giovane annuì.
“Io sono uno dei tanti. Il nostro blog è dichiarato illegale e la polizia sta cercando da anni di individuarci. La setta è infiltrata anche lì.”
“Ma... come fai da quassù, dove sicuramente non c'è una connessione internet...”
Sul volto di Juro passò l'ombra di un sorriso.
“Tecnologia satellitare. E anche per non farci beccare usiamo dei sistemi molto sofisticati... come vedi, siamo samurai evoluti!”
Anche Fujiko sorrise. Goemon invece era impassibile.
“Qualunque cosa tu decida di fare, Goemon, noi ti aiuteremo. E' la missione a cui abbiamo dedicato la nostra vita.”
Seguì un lungo silenzio, durante il quale probabilmente ognuno elaborava ciò che aveva appena scoperto.
Fujiko era confusa. Non riusciva a decifrare le proprie sensazioni. La vendetta di Goemon avrebbe dovuto essere anche la sua... eppure non riusciva a provare la stessa rabbia, lo stesso odio. Lo attribuì al fatto che lui si sentiva tradito dalla persona di cui si fidava di più, a cui era più legato, dopo la perdita della sua famiglia.
Juro ruppe il silenzio.
“Sarete stanchi. E' meglio andare a riposare. Vi ho preparato una camera.”
Goemon alzò lo sguardo, un po' addolcito.
“Grazie, Juro... scusa, io... non ti ho chiesto niente di te... come vivi? Sei sposato?”
“Non ti preoccupare. Avremo tempo per parlare. Comunque no, non sono sposato. E qui al villaggio ho preso il posto del maestro, addestro ragazzi che vogliono imparare a usare la katana e a altre armi tradizionali. Più che altro lo fanno per divertimento. Diventare samurai non è più molto di moda, purtroppo.... Ma almeno così mi guadagno da vivere. E poi ho il blog di cui occuparmi.”
Juro li accompagnò alla loro stanza e augurò loro la buonanotte.
La camera era arredata in modo molto essenziale, come è nello stile giapponese. Sul pavimento giacevano due futon.
Fujiko si chiese se il padrone di casa avesse destinato loro un'unica stanza perché non ce n'erano altre, o perché aveva capito il legame che c'era tra di loro. Ma in fondo non aveva importanza.
Goemon si lasciò cadere su uno dei materassi. Sembrava improvvisamente sfinito, spossato da tutte quelle emozioni violente che si erano abbattute su di lui tutte insieme. La ragazza spinse l'altro futon accanto al suo e aprì la borsa per cambiarsi. Si sdraiò a sua volta e si avvicinò a lui. Appoggiata su un gomito, gli sfiorò il viso con l'altra mano. Il giovane le circondò le spalle con un braccio e la attirò sul suo petto. Fujiko poteva percepire tutta la sua tensione dalla rigidità dei muscoli, dal lieve fremito della sua pelle.
“Juro era un tuo amico?” chiese per spezzare il silenzio.
“Sì, era un mio compagno durante l'addestramento. Posso dire che eravamo amici, sì, insomma, era il ragazzo con cui avevo legato di più. Non ero molto socievole neanche allora, ero troppo arrabbiato con la vita.”
“Certo, è comprensibile. Mi sembra una brava persona.”
“Sì, sembra anche a me. E' incredibile che ci sia proprio lui dietro quel blog...”
“Ed è riuscito anche a eliminare la maggior parte dei responsabili di quegli atroci delitti...”
“Sì, tranne uno. Il più importante. Quello è mio.”
“Che cosa intendi fare, Goemon?”
Lui la fissò stupito.
“Che cosa pensi che intenda fare? L'ho detto prima. Darò la caccia a quell'individuo. Fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia.”
Fujiko non disse nulla. Si rese conto di avere paura. Paura di perderlo.
“Non ci sono riusciti loro in tutti questi anni. Come pensi di farcela tu, da solo?”
“Da solo? Pensavo che tu fossi dalla mia parte...”
“Sì, certo che sono dalla tua parte! D'accordo, siamo in due. Che cosa cambia?
“Tu... tu non stai provando le stesse cose che sto provando io, vero? Non hai la mia stessa sete di giustizia...”
La donna si morse le labbra.
“No, è vero, per qualche strano motivo, non è così... Forse perché ho avuto quasi 20 anni per farmene una ragione, per sforzarmi di andare avanti... ricordati che fino a pochi giorni fa io pensavo che si fosse trattato di un incidente... una tragedia, ma in fondo una fatalità... non ho ancora realizzato del tutto che invece sono stati assassinati. Per te è diverso, tu l'hai sempre saputo, e non ci si può rassegnare a un'atrocità del genere. Poi c'è il fatto del tuo maestro... un doppio tradimento, una nuova orribile ferita. Non credere che non ti capisca... ”
Goemon la strinse più forte.
“Noi siamo diversi... a differenza di Juro e dei suoi amici, noi siamo due criminali incalliti. Possiamo farcela. E poi lui ha detto che ci aiuteranno. Dobbiamo soltanto studiare un piano. Se ci fosse anche solo una possibilità di farlo arrestare, di assicurarlo alla giustizia, forse lo prenderei in considerazione. Ma non ci sono prove, ed è trascorso troppo tempo. E poi la setta ha agganci ovunque... Non posso farla passare liscia, a un mostro simile. Se non te la senti, non ti preoccupare. Andrò avanti da solo...”
L'aveva già detta quella frase.
Fujiko si liberò dal suo abbraccio, alzò il viso verso di lui.
“Non è che non me la sento... io ho paura, ho paura che ti succeda qualcosa, ho paura di perderti... - la sua voce diventò quasi un sussurro - perché io... io credo di amarti, Goemon...”

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Capitolo 17
*** Domande ***


Fujiko stessa si stupì della confessione che le era uscita dalla labbra quasi senza che se ne rendesse conto.
Goemon ebbe un sussulto appena percettibile. Fissò i suoi occhi grigi pieni di meraviglia in quelli di lei.
“Mi dispiace... forse non è il momento giusto per dirtelo... ma è la verità - la donna cominciò a parlare in modo concitato, come faceva sempre quando era in imbarazzo - Cioè, io credo sia così... ma mi conosci, ormai, lo sai che io sono una incasinata... e poi non amo più nessuno da tanto tempo... Per questo avrei dovuto aspettare, per esserne sicura... Io non vorrei mai farti soffrire, devi credermi … quindi prendila con le pinze...”
Goemon sorrise.
“Come si fa a prendere con le pinze una cosa del genere? Solo tu puoi fare certe affermazioni.”
Le accarezzò i capelli, fino ad avvolgerle delicatamente la nuca con le dita, la attirò a sé, contro le sue labbra, contro il suo corpo, stordendola con baci appassionati, con carezze estenuanti.
La guardò di nuovo negli occhi.
“Quello che tu credi, per me è una certezza... Io sono sicuro di amarti, Fujiko, e questo a prescindere da quello che provi tu. E non m'importa se sei incasinata, se sei ...come sei... anzi, mi piaci proprio per questo. Sono un pazzo incosciente, lo so.”
Le si riempirono gli occhi di lacrime, non avrebbe saputo dire se per la sorpresa o la felicità. Fu lei questa volta a baciarlo con foga appassionata. Si fissarono ancora, frementi di desiderio.
Ma erano in casa d'altri, in una situazione particolare.
“Non è il caso di farlo qui, vero? - chiese Fujiko - Il tuo amico potrebbe sentirci...”
“Già.”
La ragazza si lasciò andare sulla schiena con un sospiro.
“E se scopre che non hai rispettato il voto di castità... chissà che cosa potrebbe succederti!”
Lui soffocò una risata.
“Sei davvero un'impudente senza nessun rispetto! Quando questa storia sarà finita avremo tutto il tempo del mondo. Adesso dormiamo.”
Fujiko cercò la sua mano, intrecciò le sue dita a quelle di lui e si abbandonò sulla sua spalla, cercando di prendere sonno.

La mattina dopo un limpido sole estivo filtrò dalla finestra, colpendo il viso della ragazza, che si decise ad aprire gli occhi dopo qualche minuto. Si stiracchiò voluttuosamente, constatando che si sentiva abbastanza riposata. Si accorse che il futon accanto al suo era vuoto. Uscì dalla stanza e cercò di capire dove fosse il bagno. Una volta trovato, si stupì che ci fosse l'acqua calda corrente...ma, del resto, se usavano i satelliti... Resistette alla tentazione di farsi un lungo bagno rilassante nella tradizionale vasca di legno, optando per una più veloce doccia. Si vestì e tornò nel locale in cui avevano cenato la sera prima. Goemon era già lì, seduto, e stava facendo colazione con Juro. Si era rimesso i suoi soliti abiti da samurai. La salutò con un sorriso, mentre l'altro la invitava a prendere posto insieme a loro. Fujiko provava una strana sensazione: percepiva che tra loro era cambiato qualcosa, nulla sarebbe più stato come prima, avevano imboccato una strada sconosciuta e imprevedibile.
Inevitabilmente il discorso finì ancora sul “Sentiero del Dragone d'oro”.
“La setta commissiona ancora omicidi, come allora?” chiese Goemon.
“No, in quel modo così plateale non ci risulta. Quell'ondata di delitti è stato l'unico caso nella storia dell'associazione. E, anche se era difficile che qualcuno collegasse quei fatti, avvenuti in posti anche molto lontani tra loro, pare che non tutti i vertici avessero gradito. Perché avevano paura di attirare l'attenzione, non certo per motivi morali o umanitari. Ma sicuramente non hanno smesso di mettere a tacere le persone scomode. Lo fanno solo con più discrezione. Abbiamo motivo di credere che molti fatti attribuiti alla microcriminalità, come rapine finite male, oppure pirati della strada, o incidenti, siano in realtà ordinati da loro.”
La donna aveva sempre una domanda in testa, a cui non era riuscita a dare una risposta convincente. Forse Juro ce l'aveva.
“C'è una cosa che non capisco. Tu hai detto che hai compiuto le tue operazioni di pulizia con l'aiuto dei figli di alcune delle vittime...”
“Esatto.”
“Quindi sono evidentemente ancora vivi... come me, del resto. Perché per Goemon non è stato così? Perché lui sembra l'unico che avrebbe dovuto essere ucciso? Perché la setta voleva morto anche lui, oltre ai suoi genitori?”
I due tacquero perplessi.
“Non sappiamo se sia l'unico - intervenne Juro - Io conosco solo una minima parte di quei ragazzi...”
“Sì, ma c'è anche il mio caso. Anch'io ho potuto vivere indisturbata, e non ho mai saputo nulla di pericoli o minacce. Inizialmente abbiamo pensato che fosse così perché sono una donna... ma non mi convince. L'unica particolarità che aveva lui è che stava diventano un samurai... come te, del resto... Ora, sarebbe utile sapere se, tra i sopravvissuti, c'è qualcuno come Goemon, oppure anche gli altri aspiranti samurai siano stati fatti fuori o siano dovuti fuggire e nascondersi...”
“Temo sarà molto difficile scoprirlo - commentò Juro sconsolato - E poi i samurai sono solo qui in Giappone... mentre gli omicidi sono avvenuti in tutto il mondo.”
“Meglio! Così si restringe il campo di ricerca. Aspettate!”
Fujiko andò in camera e tornò con l'elenco delle vittime che aveva trovato Julien.
“Questa potrebbe essere una traccia...”
Goemon la interruppe.
“Ma che importanza ha, in fondo? Per me non cambia nulla. Io farò fuori quell'assassino, in ogni caso. E così anche la mia vita non sarà più in pericolo.”
“E invece secondo me è fondamentale scoprirlo! Capire se c'è sotto qualcosa d'altro potrebbe aprire nuovi scenari. Se non conosciamo il nemico, non sapremo nemmeno come affrontarlo!”
Fujiko parlava accalorata. Si rivolse a Juro, porgendogli i fogli.
“Pensi di riuscire a scoprire qualcosa? In fondo hai trovato alcune di quelle persone, potresti individuarne altre.”
“Avevo le indicazioni del maestro... ma ora sono passati altri anni”
“Ora hai queste. E in fondo 8 anni non sono poi così tanti...”
Il samurai prese i fogli con una smorfia.
“Ci proverò. Mi farò aiutare dagli altri, se per voi va bene.”
“Sì, non c'è problema.”
“E voi, che cosa farete?”
La donna si morse le labbra. Non ne avevano ancora parlato. Lei, in realtà, non aveva la più pallida idea di come muoversi, e non sapeva se invece Goemon avesse già un piano. Qui non si trattava di svaligiare una banca o rubare un diamante... qui bisognava fare una “caccia all'uomo”, un uomo che viveva blindatissimo, difficile da avvicinare, figurarsi da uccidere! E poi, loro non erano dei killer... non erano abituati a questo....
Killer? Ma certo! Assoldare un killer professionista poteva essere la soluzione... uno avvezzo a pedinare, a studiare il bersaglio... e che, soprattutto, avrebbe usato un'arma di precisione, non un'antica katana.
Ma sapeva che Goemon non avrebbe mai accettato. Non si sarebbe mai privato del sottile piacere della vendetta. E poi il suo senso dell'onore glielo avrebbe impedito. Avrebbe potuto ingaggiarne uno lei, di nascosto... non le mancavano né le conoscenze né il denaro. Ma lui prima o poi l'avrebbe scoperto, e non glielo avrebbe mai perdonato.
“C'è un albergo, o una locanda, qui, dove possiamo stare finché non decidiamo il da farsi?” chiese Fujiko, scacciando quei pensieri inopportuni.
Juro trattenne un sorriso.
“No, non ce ne sono mai stati. Ma potete restare in questa casa, per me non ci sono problemi. Il posto c'è, se vi accontentate...”
“Solo a un patto - intervenne Goemon - Se ci permetterai di contribuire a vitto e alloggio. Altrimenti affitteremo una stanza da qualche altra parte.”
“D'accordo, se insistete. Anzi, tu potresti dare qualche lezione ai miei ragazzini. Darebbe lustro alla mia scuola, la possibilità di esercitarsi con un grande samurai...”
Goemon si schermì.
“Cosa stai dicendo? Io non sono nemmeno un vero samurai! E poi vivo altrove da troppo tempo, ho perso la mano...”
“Stai scherzando? Tu eri il migliore di tutti noi! Avevi un talento naturale! Ti prego, fallo per me, che ti costa?”
“Va bene, in nome della nostra antica amicizia e per quello che stai facendo per noi.”
Fujiko non intervenne. E vedrai quanto ha perso la mano! si limitò a pensare.

Il padrone di casa li accompagnò a vedere la stanza da cui gestiva il blog. C'erano computer di ultima generazione e altre apparecchiature molto sofisticate, che creavano un curioso contrasto con il resto della casa e del paese, così conformi alla tradizione.
“Qui arrivano tutte le informazioni che riusciamo a raccogliere in giro su Sosa Abe e sulla setta... purtroppo finora non sono mai stati sufficienti per poter organizzare un'imboscata... credimi, ci abbiamo provato in tutti i modi!”
Goemon annuì. Il suo pensiero andò ai suoi amici, a Lupin e a Jigen... loro avrebbero sicuramente saputo che cosa fare.
“Ora cercherò di ottenere le informazioni che mi avete chiesto, usando la mia rete di contatti... ci vorrà un po' di tempo.”
“Grazie, Juro” disse gentilmente Fujiko.
Il giovane guardò Goemon.
“C'è un'altra cosa che forse dovresti sapere” disse con una punta di esitazione nella voce. Lanciò un'occhiata fugace alla ragazza.
“Puoi parlare davanti a lei, non ti preoccupare” disse il samurai perentorio.
Fujiko arrossì di piacere.
“C'è una persona che collabora con noi... una donna che tu conosci...”
“Chi è?” chiese Goemon sinceramente perplesso.
“Non puoi non ricordarti di lei... è Miya.”

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Capitolo 18
*** Miya ***


 

Goemon sgranò gli occhi.
“Miya? E dov'è? Come sta? - si rivolse a Fujiko - Lei è... quella di cui ti avevo parlato...”
Ma la ragazza lo aveva già capito. Non erano molte, le donne nella vita di Goemon. Per esclusione, non poteva che essere la famosa cortigiana.
Gli occhi di Juro si riempirono di tristezza.
“Vive in un paese qui vicino. Ora sta bene, ma... non fa più quel mestiere...”
“Meglio così!”
“Sì, ma non è stata una sua scelta... non ha più potuto farlo, perché... bah, forse è meglio lasciar perdere, tanto ormai non ci si può fare più niente, non avrei dovuto dirti nulla...”
“Eh no, adesso finisci il discorso!”
Juro sospirò.
“D'accordo. Poco prima che tu te ne andassi, il maestro ha saputo che dei sicari della setta l'avevano sequestrata. Pensavano che lei sapesse dove fossi e, per costringerla a parlare, l'hanno... le hanno sfregiato il viso con l'acido.”
Fujiko si lasciò sfuggire un'esclamazione di orrore. Goemon strinse i pugni, rosso in volto per lo sforzo di trattenere uno scoppio d'ira. Quelli erano dei veri mostri! Più cose scoprivano su di loro, più apparivano crudeli e spietati.
“Per fortuna - proseguì Juro - si sono convinti che non sapeva davvero niente e non l'hanno uccisa... ma ovviamente conciata così non poteva certo più continuare a fare... quello che faceva prima. E' rimasta a lungo in ospedale... Ma è stata lei ad avvisarci che quei criminali ti stavano cercando e a quel punto il maestro ha deciso che te ne dovevi andare. E ha anche capito che il suo destino era segnato.”
Era dunque lei che indirettamente gli aveva salvato la vita. Forse senza il suo intervento neanche il maestro sarebbe stato in grado di proteggerlo.
“Chi l'ha aiutata, dopo?” chiese angosciato. Poteva soltanto immaginare che cosa avesse passato una ragazza così, sola, spaventata, senza più la possibilità di trovare un lavoro onesto, perché la società prima usa e poi respinge quelle come lei.
“Il maestro e poi, dopo la sua morte, io e gli altri del mio gruppo. Le abbiamo fatto seguire dei corsi di informatica, è molto brava, ora lavora in proprio e ci dà una mano con il blog e il resto... E i bastardi che le hanno fatto questo non sono più in grado di nuocere a nessuno.”
Goemon era in preda a una tempesta di sentimenti contrastanti. Rabbia, frustrazione, senso di colpa...
“Non... non immaginavo che sapessero di lei, che sarebbero arrivati a questo... non ci avevo minimamente pensato.”
“Nessuno l'aveva previsto, nemmeno il maestro. Altrimenti avrebbe portato al sicuro anche lei... non è colpa tua, Goemon, non potevi saperlo.”
“Io... vorrei andare a trovarla, vorrei fare qualcosa per lei... ma forse non è il caso, magari mi odia, e ne avrebbe tutte le ragioni!”
“No, sono certo che non ti odia. Non le ho mai sentito pronunciare una sola parola contro di te. Ha superato quanto le è successo, è una ragazza forte e coraggiosa. Penso che le farà piacere vederti e sapere che stai bene.”
“Non sarà pericoloso per lei? Magari la setta la tiene ancora sotto controllo... sperando proprio che prima o poi mi faccia vivo ...”
“No, ormai si sono dimenticati tutti di lei... E comunque per precauzione all'epoca le abbiamo procurato una nuova identità.”
Goemon guardò Fujiko, ancora sconvolta per quanto aveva sentito. Non era gelosa, non poteva esserlo, anzi, si sentiva solidale con lei, che aveva pagato un prezzo altissimo per aver semplicemente frequentato l'uomo sbagliato nel momento sbagliato.
“Mi accompagneresti?” le chiese a bassa voce, avvicinandosi.
La ragazza si meravigliò per la richiesta.
“Ma... sei sicuro? Ti accompagno con la macchina, se vuoi, ma non mi pare necessario che lei mi conosca...”
“Perché no? - la fissò intensamente negli occhi - Tu fai parte della mia vita adesso.”
“D'accordo, se è questo che vuoi...”
“La avviserò del tuo arrivo - intervenne Juro - Altrimenti potrebbe essere un shock troppo grande per lei.”
“Mi pare giusto. Ma... se qualcuno intercetta la comunicazione?”
“Abbiamo i nostri canali protetti, tranquillo.”
“C'è solo un problema. La nostra macchina è a 2 ore di marcia da qua...”
Fujiko era terrorizzata all'idea di percorrere di nuovo tutta quella strada accidentata a piedi.
“Posso prestarvi la mia moto: va benissimo su questi sentieri.”
“Sei pieno di sorprese, Juro! Grazie, accettiamo molto volentieri!”

Poche ore dopo, i due, a bordo della moto di Juro, avevano raggiunto l'auto, che fortunatamente era ancora dove l'avevano lasciata. Fecero a ritroso il percorso del giorno prima, fino alla strada principale. Il paese dove viveva Miya era a pochi chilometri da quel bivio.
“Che cosa le dirai?” chiese Fujiko.
“Non ne ho idea, a dirti la verità. Le chiederò perdono per averla abbandonata...”
“Juro ha ragione. Nessuno poteva prevedere una cosa simile, tu per primo... Se ci pensi, è strano: non era la tua fidanzata, tu in fondo eri solo un... cliente come un altro... in base a quale ragionamento si sono convinti che lei sapesse certe cose di te?”
Goemon tacque imbarazzato.
“Forse... forse perché l'ho frequentata più spesso di altri, per un periodo... te l'avevo detto, no?”
“Guarda che non ti devi giustificare! Sto solo cercando di capire che cosa sia successo, sto tentando di mettere in ordine i fatti... Non sappiamo come hanno fatto quelli della setta a scoprire che eri ancora vivo, quindi a mettersi sulle tue tracce, a sapere che conoscevi quella ragazza, e poi venire a sapere comunque dove vi nascondevate tu e il maestro...”
“Sappiamo che sono molto potenti, che hanno agganci ovunque, che hanno i mezzi per corrompere le persone o farle parlare in altri modi... forse il maestro si è fidato delle persone sbagliate... ma non ha molta importanza, ormai.”
“Secondo te, hanno rinunciato a trovarti?”
“Forse sì. In fondo, sono tutti morti, tranne uno.”
La ragazza tacque per alcuni minuti.
“Se sono così potenti... se sono in grado di colpire ovunque nel mondo, di insabbiare indagini, di far sparire prove, come il caso dei miei genitori dimostra... perché non ti hanno mai beccato? Tu non hai mai fatto nulla per nasconderti...
“Ricordati che io non esisto, in Occidente. Non lavoro, vivo in clandestinità, all'occorrenza uso documenti falsi. Possono anche avermi visto in televisione o sui giornali, ma il mio è un nome molto comune in Giappone. E quelli probabilmente non sanno nemmeno com'è la mia faccia adesso. Hanno ancora l'immagine di un bambino di 10 anni.”
Fujiko annuì poco convinta. E poi, sempre quella domanda: perché Goemon doveva morire?

Giunsero davanti alla modesta casa di Myia. Fujiko fermò l'auto sul lato opposto della strada.
“Senti, Goemon, io ci ho pensato. Vai tu. Io ti aspetto qui, per il momento, poi se vuoi ti raggiungo. Ma è meglio che vi diciate quello che dovete dirvi senza la presenza di estranei.”
Il giovane tentò di protestare.
“Ma tu non sei un'estranea...”
“Lo sono per lei. Credimi, se io fossi al suo posto non vorrei nessuno intorno in un momento simile. E' meglio così, davvero. Te la caverai benissimo.”
Il samurai si rassegnò. Uscì dalla macchina, attraversò la strada e bussò alla porta, che si aprì poco dopo. Ciò che gli apparve lo sconvolse profondamente, non l'avrebbe mai più dimenticato. Il bellissimo, dolcissimo viso di Myia era ancora riconoscibile, ma era orrendamente deturpato su un lato dalle bruciature lasciate dall'acido. Juro non glielo aveva detto, ma anche l'occhio sinistro era spento per sempre. Per alcuni secondi, rimase senza parole, incapace di reagire di fronte a tanta crudeltà. Fu lei a rompere il silenzio. Fece un lieve inchino, sorridendo con tenerezza.
“Goemon... come sono felice che tu stia bene!”
Solo fino a poco tempo prima, lui, abituato a celare sempre i propri sentimenti e le proprie sensazioni, non avrebbe saputo come comportarsi. Ma, da quando aveva permesso a Fujiko di entrare nella sua vita, molte cose erano cambiate. Commosso dalle parole e dal sorriso della ragazza, d'istinto la strinse tra le braccia. Un gesto molto poco giapponese, che la colse di sorpresa.
“Myia, quanto mi dispiace che tu abbia dovuto subire tutto questo per causa mia! Perdonami, se puoi!”
“Non ho niente da perdonarti. Non è colpa tua. Ma vieni, entra un momento.”
Fujiko dalla macchina non riusciva a sentire i loro discorsi, ma aveva intravisto il viso sfigurato della ragazza, il sorriso che aveva fatto a Goemon e l'abbraccio in cui lui l'aveva stretta, e aveva sentito una fitta al cuore. Era chiaro che tra loro c'era un legame profondo, che il tempo non aveva spezzato. Del resto, Goemon glielo aveva detto: “Lei mi ha dato la cosa più simile all'amore che abbia mai sperimentato dopo la perdita della mia famiglia.”
Si chiese, non senza una certa inquietudine, se questo incontro avrebbe cambiato le loro vite... se lei avrebbe dovuto farsi da parte... eppure poche ore prima Goemon le aveva detto di essere innamorato di lei, e aveva insistito perché fosse presente all'incontro con Miya. No, sicuramente il suo era solo un sincero affetto, accresciuto dal dispiacere di quanto le era accaduto a causa sua.
Infatti, pochi minuti dopo, Goemon ricomparve sulla porta e le fece cenno di entrare. Questa volta lei lo assecondò. L'appartamento di Myia era molto piccolo, perfino per gli standard giapponesi, ma era lindo, ordinato e sistemato con gusto. La ragazza la accolse con un inchino e un sorriso gentile, poi si mise a preparare il tè. Fujiko si sedette per terra accanto a Goemon. Si domandò, osservandola, come una come lei, così bella, dolce e fine, fosse finita a fare quella professione. Il bisogno, sicuramente. Non c'era altra spiegazione.
Bevvero il tè in silenzio. Poi Myia posò la tazza e ruppe il silenzio.
“Così siete venuti fin qui per vendicarvi...”
Goemon si incupì.
“E anche per impedire che quella gente possa continuare nei suoi disegni criminali, torturando e uccidendo degli innocenti...”
“Quella gente è pericolosa... glielo dica anche lei, signorina... Juro ha già fatto molto, è riuscito a eliminare gli elementi più pericolosi...”
“Per me non è abbastanza. Tocca a me finire il suo lavoro, e lo farò a qualunque costo. A maggior ragione ora che so che cosa ti hanno fatto...”
“Ma così ti esporrai a dei rischi mortali... e non avrai indietro i tuoi genitori né la tua infanzia! Torna in Occidente e dimentica. Ora hai un'altra vita. E' meglio per tutti.”
“Non posso. Sono scappato per troppo tempo. Devo fare la mia parte.”
Miya continuava a lanciare con gli occhi delle mute richieste di aiuto a Fujiko, che però non sapeva che cosa dire. C'avevano già provato in tanti, a fargli cambiare idea, a metterlo in guardia. Goemon se ne accorse.
“Quanto a Fujiko, anche i suoi genitori sono stati assassinati dalla setta. E' dalla mia parte.”
Non era esattamente così, ma la donna non lo smentì. Provò a rivolgere anche a lei la domanda che la tormentava.
“Per caso lei sa perché il Sentiero del Dragone d'oro ce l'aveva con Goemon? Perché lo volesse eliminare? Nessuno ce lo sa dire, ma per me è importante saperlo.”
Miya scosse la testa.
“No, mi dispiace. Non ne fecero parola con me.”
Si mise a tremare, suo malgrado. Il ricordo di quello che aveva passato doveva ancora terrorizzarla.
Era arrivato il momento di congedarsi.
“Promettetemi che starete attenti. Che non farete pazzie...”
“Staremo attenti, stia tranquilla. Se c'è qualcosa che possiamo fare per lei... qualunque cosa...”
La ragazza si schermì.
“Ti aspetto in macchina” sussurrò Fujiko a Goemon. Voleva lasciarli ancora un po' da soli.
Il samurai la raggiunse pochi minuti dopo. La donna mise in moto.
“Mi sembra una brava ragazza.”
“Lo è. Non meritava quello che le è successo” disse con rabbia.
“Nessuno lo meriterebbe. In realtà, c'è qualcosa che possiamo fare per lei, ma glielo devi proporre tu.”
“Cioè?”
“Possiamo ridarle il suo viso. Forse per l'occhio non c'è più niente da fare, ma per il resto sono sicura di sì. Quando questa storia sarà finita, glielo devi dire tu. Possiamo portarla dai migliori chirurghi estetici del mondo. I soldi a noi non mancano...”
“Sì, hai ragione. Non ci avevo pensato. Davvero faresti questo per lei? Perché? L'hai appena conosciuta.”
Fujiko era imbarazzata.
“E' una persona che ha sofferto molto. E' anche lei una vittima della setta, come noi. Ed è importante per te. Per me questo è più che sufficiente.”
Per la prima volta da ore Goemon le sorrise. Stava scoprendo degli aspetti di lei che non avrebbe mai sospettato.
“Ci ho pensato, sai. - aggiunse cambiando discorso - Non possiamo farcela da soli. Dobbiamo farci aiutare da dei professionisti.”
“Cioè?”
Lei era sbalordita. Ma come? E la vendetta? E l'onore? Non poteva credere che fosse giunta alle sue stesse conclusioni: assoldare un killer.
“Dobbiamo chiamare i ragazzi.”
“Quali ragazzi?”
Fujiko era sinceramente perplessa.
“Loro. La banda. Lupin e Jigen. E' ora che mantengano fede al nostro antico patto.”

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Capitolo 19
*** La banda ***


 

La macchina sbandò paurosamente.
“Che cosa hai detto?!? Non puoi parlare sul serio!”
Goemon si aggrappò al sedile, perdendo per un attimo il suo perfetto autocontrollo.
“Ehi, sta' attenta! A momenti ci ammazziamo!”
Fujiko accostò di colpo l'auto al bordo della strada.
Piantò gli occhi in faccia al samurai, decisamente arrabbiata.
“Che cos'è questa storia? E quando avresti deciso? E senza nemmeno farmene parola?”
“Te lo sto dicendo adesso. Non li ho ancora chiamati, Fujiko, calmati. E poi, qual è il problema? Se si fosse trattato di ripulire una banca, non avresti reagito così, no? E' un altro genere di affare, ma la sostanza non cambia...”
“Pensavo volessi eliminare quell'uomo con le tue mani...”
“E lo farò. Ho bisogno di loro soltanto per stanarlo. Lupin è insuperabile in queste situazioni... me lo deve, me lo promise tanto tempo fa.”
“Lo sai che Lupin si muove esclusivamente se ha un tornaconto, e con un bel po' di zeri!”
“E qui ti sbagli! E' quello che è, ma è un amico leale e me l'ha dimostrato più di una volta...”
“E allora perché non ti ha aiutato prima?”
“Perché in realtà non gliel'ho mai chiesto davvero... non ho mai insistito... perché non lo volevo veramente. Perché non sapevo che cosa fare, chi cercare... Ora è diverso, ora so chi colpire. E Lupin manterrà la sua parola.”
Fujiko continuava a tacere.
Goemon le sfiorò una guancia con una mano. Un gesto inusuale per lui, in pubblico.
“Proprio non capisco le tue perplessità...”
La ragazza distolse lo sguardo dal suo.
“Ho capito tutto! - esclamò lui all'improvviso - E' per quello che c'è tra di noi! Non vuoi che lui lo sappia!”
“Non è vero! Non me ne è mai fregato niente di quello che Lupin pensa di me! E poi lui lo sa già, se è per quello!”
“No, lui sa che abbiamo passato una notte insieme. Non sa niente di tutto il resto.”
“Siamo spariti da settimane tutti e due, e nello stesso momento... pensi che non abbia mangiato la foglia?”
“Può supporre che ce la stiamo semplicemente spassando...”
“Certo, per voi resto sempre una di facili costumi, vero?”
“... fammi finire! Tu non vuoi che scopra che invece ci siamo innamorati!”
Goemon aveva centrato il punto, ma lei non voleva ammetterlo. Non avrebbe saputo dire perché, ma in quel momento si sentiva insicura come un'adolescente alle prime armi, lei che non si era mai curata del giudizio altrui, che aveva sempre usato gli uomini con cinica disinvoltura per raggiungere i suoi scopi. Aveva paura che Lupin si mettesse in mezzo e cercasse di separarli. Avrebbe accettato che lei stesse con uno qualsiasi, ma con uno dei suoi uomini? Un amico, per giunta, a sentire Goemon. Jigen poi non la poteva soffrire, e avrebbe tormentato il povero samurai fino allo sfinimento. Gli strani equilibri della loro banda rischiavano di essere compromessi. Eppure... prima o poi quel problema avrebbero dovuto affrontarlo. Non poteva pensare che Goemon rompesse ogni rapporto con i suoi amici e complici. E anche lei, in fondo. Superato l'imbarazzo iniziale, nessuno ci avrebbe più trovato niente da ridire. Sarebbe bastato lasciare tempo al tempo.
La feriva, però, che Goemon pensasse che lei volesse tenere segreta la loro relazione. Non era così. Ma era troppo presto per uscire allo scoperto. Era tutto ancora troppo fragile, precario... E se non avesse funzionato? Avrebbero distrutto ogni cosa...
Cercò di cambiare discorso, facendogli capire nello stesso momento che si adeguava alla sua decisione.
“E come pensi di contattarli? Come pensi di farli arrivare in quel posto dimenticato da Dio? Sempre che tu intenda restare lì...”
“Tu hai il cellulare, no? E poi Juro ha un apparato tecnologico pazzesco... Se il telefonino non funziona useremo uno dei suoi aggeggi! Diremo loro di venire con un mezzo adeguato... Sì, credo che per mettere a punto il piano il nostro attuale rifugio sia il posto migliore...”
“E hai intenzione di farli dormire in camera nostra? Il povero Juro si troverà la casa invasa da estranei!”
“No, ci sarà qualcuno che affitta una stanza...”
Fujiko rimise in moto.
“Mi sembra tutto molto campato per aria... Bisogna vedere prima di tutto se quei due sono disponibili. Magari stanno lavorando a qualche nuovo colpo...”
“Senza di me?”
“Ma certo! Lupin non aspetta di sicuro i tuoi comodi!”
“Forse un modo per allettare Lupin c'è... e nello stesso tempo per mettere in ginocchio il Sentiero del Dragone d'oro...” disse la donna dopo un po'.
“Che cosa vuoi dire?”
Goemon vide riaffiorare nei suoi occhi l'istinto della predatrice, che ben conosceva.
“Quelli sono pieni di soldi... e sono delle carogne! Meritano di essere ripuliti un po', non credi? Se eliminiamo solo un membro, anche se è un capo, quelli ne nomineranno un altro e tutto continuerà come prima. Ma se distruggiamo il loro impero economico, per loro sarà difficile riprendersi...”
Il samurai dovette ammettere che aveva ragione. Qui non si trattava soltanto di perseguire una vendetta personale. Quei pazzi andavano fermati una volta per tutte.
E, certo, se Lupin e Jugen avessero avuto anche qualcosa di concreto da guadagnarci... si sarebbero impegnati molto di più, era inutile negarlo.
Non sarebbe stata un'impresa facile.

Una volta arrivati al villaggio, misero a parte Juro dei loro progetti. Lui si dichiarò ancora una volta disponibile ad aiutarli. Ormai faceva parte della squadra. Disse che avrebbe cercato un alloggio per i loro amici presso qualche vicino di casa.
Mise a disposizione il suo computer per chiamare Lupin, perché il cellulare di Fujiko avrebbe potuto essere sotto controllo, ma, anche se il canale utilizzato da Juro era più che sicuro, Goemon non avrebbe comunque dovuto rivelare nulla dei loro piani.
Calcolarono il fuso orario e il samurai si sedette davanti al computer, mentre l'amico avviava il programma e Fujiko si sistemava in modo da non essere inquadrata. Voleva godersi la scena senza essere vista. Perché Lupin non avrebbe certo risparmiato loro i suoi commenti salaci.
E infatti...
Come apparve sul monitor la sua faccia da schiaffi, partì subito con una raffica di insulti, tra il serio e il faceto.
“Goemon! Ma... bastardo di un samurai, dove ti eri cacciato? Ti abbiamo aspettato per giorni, a Parigi, prima di capire che sicuramente ti eri perso dietro a quella...”
“Lupin! - lo interruppe Goemon prima che quello concludesse la frase con qualche epiteto poco elegante - Anch'io sono felice di sentirti!”
Ma Fujiko conosceva il suo pollo e non si era minimamente scomposta. Anzi, era interessante scoprire che cosa gli uomini dicevano di lei in sua assenza. Anche se non era difficile da immaginare.
“... ma ora che te la sei spassata a dovere, hai sentito nostalgia dei tuoi vecchi amici e l'hai scaricata... bene bene! Del resto non poteva funzionare tra voi...”
“Sei fuori strada. Lei è qui con me. E sta ascoltando ogni tua parola!”
L'espressione strafottente scomparve all'istante dal volto di Lupin, trasformandosi in un profondo imbarazzo. Fece una delle sue risatine.
“Ehi, ciao, Fujiko, naturalmente stavo solo scherzando. Come stai, chérie?”
La ragazza lanciò un'occhiata di rimprovero a Goemon per aver rivelato la sua presenza.
“Bene, Lupin. Mai stata meglio.”
“Ma... dove siete finiti? Dove vi trovate adesso?”
“In Giappone” rispose il samurai.
“In Giappone?!? E che cosa ci fate lì?”
“Abbiamo bisogno di voi, Lupin. Vi dobbiamo proporre....un affare, diciamo, ma non possiamo parlarne a distanza. Vi chiediamo di raggiungerci qui, tu e Jigen. In nome della nostra amicizia.”
“Mmmh... puoi almeno dirmi a quanti zeri è questo vostro … affare?”
Fujiko guardò ancora Goemon con l'aria di dire “io ti avevo avvisato!
“Diciamo parecchi zeri... ma non sarà un'impresa facile, anzi... per questo è necessaria la vostra professionalità.”
Diavolo di un samurai, pensò la ragazza. In una sola frase era riuscito a interessare Lupin e a stuzzicare la sua vanità.
“E non ho capito una cosa... che cosa c'entrerebbe la nostra amicizia?”
“E' una storia lunga... ti racconterò tutto quando ci vediamo.”
Lupin sospirò in modo teatrale, alzando gli occhi al cielo.
“D'accordo, mi hai convinto! Vi raggiungeremo. Dove siete di preciso?”
“Te lo farò sapere domani a quest'ora. Ti darò un numero di telefono sicuro per comunicare. Grazie e a presto!”
Goemon chiuse il collegamento, senza dare modo all'altro di replicare.
“Se davvero il tuo cellulare può essere sotto controllo, è meglio procurarcene un altro” spiegò a Fujiko.
“Ce l'hai fatta. L'hai convinto. Anche se, come ti avevo detto io, hai dovuto calcare la mano sul lato venale della faccenda.”
“Ma non ho mentito! Ho solo enfatizzato questo aspetto. Del resto, se il colpo ci riesce, avrà davvero parecchi zeri!”
“Già. Ora dobbiamo pensare a come incontrarci con loro. Non ce la faranno mai ad arrivare quassù da soli. E dobbiamo cominciare a elaborare seriamente un piano.”

Quella sera Fujiko si offrì di preparare la cena. Voleva sdebitarsi con Juro per tutto il suo aiuto. Avevano fatto un po' di provviste quando erano andati a trovare Miya e il risultato la lasciò decisamente soddisfatta.
A tavola parlarono delle loro prossime mosse. Juro disse che avrebbe procurato un cellulare nuovo. Quanto ai loro amici, avrebbero detto loro di noleggiare delle moto adatte a percorsi accidentati e si sarebbero dati appuntamento nella città più vicina, scortandoli poi fino al villaggio. Naturalmente sarebbe dovuta andare Fujiko, visto che Goemon non sapeva condurre nessun tipo di mezzo meccanico, anche se lui si offrì di accompagnarla.
“Potrei insegnarti io a guidare, un giorno...” gli propose Fujiko mentre si stavano preparando per andare a dormire.
“Ti ringrazio, ma non sono interessato” tagliò corto lui.
“Ma perché? Usi computer e cellulari... non puoi non saper portare almeno una motocicletta!”
“Perché dovrei? Ho un'autista affascinante e sexy tutta per me...”
“Non cambiare discorso! E non cercare di distrarmi con le tue lusinghe...non sono mica Lupin!”
“No, decisamente non lo sei...” sussurrò l'uomo attirandola a sé e accarezzandola con intenzioni inequivocabili.
Fujiko tentò una protesta poco convinta.
“Ma... avevamo detto non qui...”
“Faremo piano. E poi Juro non è un ragazzino, non si scandalizzerà di certo. E tu non fare la timida, che non ci crede nessuno!”

“Mi è venuta un'idea!” esclamò Fujiko sollevandosi dalla sua spalla.
“Non è carino che tu pensi ad altro mentre fai l'amore con me!”
“Sciocco! Non ci avevo ancora riflettuto, ma di solito, da che mondo è mondo, con un uomo di potere c'è un metodo infallibile per avvicinarlo senza insospettirlo.”
“Cioè?”
“Sedurlo. Fargli perdere la testa per una donna affascinante e misteriosa.”
“Immagino che intenda metterti in gioco tu...”
“Ne conosci altre a portata di mano?”
Era pronta a combattere con Goemon, perché, conoscendolo, era sicura che si sarebbe opposto. Ma lui rimase stranamente calmo.
“C'è un piccolo dettaglio che rende inutile la tua strategia. In questo caso, perlomeno.”
Fujiko tacque, in attesa di una spiegazione.
“Miya mi ha rivelato una cosa. Qualcosa che non sa nessuno, a parte i più stretti collaboratori di Abe.”
Fece una pausa.
“Allora?”
“Non gli piacciono le donne. Se capisci che cosa intendo... ”
La ragazza sgranò gli occhi.
“Davvero? E come fa Miya a saperlo?”
“Ha detto che ha sentito i suoi torturatori che ne parlavano... e non erano battute di spirito. E in effetti quest'uomo non ha né mogli né amiche...”
“Dobbiamo verificarlo in qualche modo. Ma questo cambia parecchio le cose...”
“Eh sì, questa volta la tua bellezza e il tuo fascino non ci serviranno...”
“Già... ci occorrono le stesse doti, ma al maschile... No, non mi dire che stai pensando di farlo tu...?”
“E perché no? Sono io che devo ucciderlo, e quale modo migliore per fargli abbassare le difese e coglierlo di sorpresa?”
Fujiko era perplessa. Lei aveva fatto questo gioco decine di volte, sapeva esattamente come comportarsi, fino a che punto arrivare, quando e come fermarsi... l'idea che fosse Goemon a fare quelle stesse cose la inquietava. Con un altro uomo, poi! Non l'aveva mai messo in conto. E poi non era abituato, poteva tradirsi e mettersi nei guai.
“No! - disse d'istinto - E' troppo pericoloso!”
“Perché, per te non lo sarebbe stato?”
“Sì, ma io l'ho già fatto altre volte, tu no!”
“Mi insegnerai le tecniche. Non dovrebbe essere molto diverso, no?”
“Io non lo so... so come reagiscono gli uomini a cui piacciono le femmine, gli altri non ne ho proprio idea... E poi perché proprio tu? Perché non Lupin? O Jigen?”
“Sì, figurati! Lupin è troppo famoso, potrebbero riconoscerlo. E Jigen si farebbe scuoiare vivo, piuttosto che fare una cosa del genere. E poi, io come farei a entrare in scena? Senza contare che sono molto più bello di loro... No, scherzi a parte, quando Miya mi ha dato questa informazione ho capito subito che era la chiave per aprire quella porta e ho pensato a come sfruttarla...”
“E allora esattamente a che cosa ci servono Lupin e Jigen?”
“Abbiano comunque bisogno di aiuto per architettare la trappola, per intervenire in caso qualcosa andasse storto, e soprattutto per l'altra parte del piano: il trasferimento dei beni del Sentiero del Dragone d'oro ai loro nuovi proprietari!”
La ragazza non era per niente convinta. Ma purtroppo sapeva per esperienza che, quando Goemon si metteva in testa un'idea, era praticamente impossibile fermarlo. Non poteva però fare a meno di immaginare delle scene terribili.
“Ma... quell'uomo potrebbe farti del male prima che tu riesca a ucciderlo...”
“Correrò il rischio... Ma insomma, Fujiko, che ti prende? Abbiamo affrontato situazioni anche peggiori di questa!”
Sì, ma allora non ero innamorata di nessuno, avrebbe voluto dirgli. Si augurò solo che a Lupin venisse in mente un'idea migliore.

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Capitolo 20
*** Di nuovo insieme ***


 

Comunicarono a Lupin le modalità del loro incontro. Lui era piuttosto perplesso.
“Dobbiamo venire con delle moto da cross, in pratica? Ma dove diavolo vi siete cacciati? Che storia è mai questa? E io che pensavo di starmene in un modernissimo hotel a sei stelle a Tokyo!”
“Devi fidarti di me, Lupin. Puoi contattarci a questo numero, ma solo in caso di effettiva necessità. Se non ci sono intoppi, ci vediamo tra due giorni al luogo stabilito.”
Trascorsero quei due giorni a discutere del loro progetto. Juro conosceva il segreto di Sosa Abe: Miya l'aveva detto anche a lui, naturalmente. Ma loro non erano mai riusciti a sfruttare questa informazione. Nel frattempo, lui e i suoi collaboratori avevano scoperto che nessun altro bambino o ragazzo era stato “condannato a morte” dalla setta, come Goemon, almeno in Giappone. Erano ancora tutti vivi e vegeti. Ma nessuno era un samurai, o aveva cercato di diventarlo.
“Vedi, però, c'è qualcosa che non torna - esclamò Fujiko - Anche tu, Juro, prendevi lezioni per diventare un samurai! Però nessuno ha cercato di farti del male! Loro ce l'avevano proprio con Goemon!”
“Forse perché io non appartenevo a una stirpe di samurai. I miei genitori sono stati uccisi prima di quelli di Goemon, quando avevo solo 2 anni. Mio padre era molto ricco e voleva lasciare la setta... ecco probabilmente perché l'hanno eliminato. Io sono finito in questo villaggio perché ci vivevano i miei nonni materni, che mi hanno allevato. Ho iniziato a frequentare le lezioni del maestro Okada per caso. Lui ogni tanto veniva qui ed era diventato amico di mio nonno...”
“Insomma - commentò Goemon cupo - il maestro diventava amico dei parenti di tutti quelli che la setta aveva fatto fuori! Secondo te lo sapeva chi eri?”
“Non credo. Penso che abbia collegato i fatti in un secondo momento. Non posso esserne sicuro, naturalmente.”
Il mistero si infittiva. In ogni caso, non c'era logica. Non avevano motivo di avercela con un bambino. E, ammettendo invece che volessero annientare le antiche famiglie di samurai, non stava in piedi lo stesso. Che cosa importava a una volgare banda di criminali comuni, anche se si davano un sacco di arie, che uno fosse o meno un samurai, in epoca moderna? Soprattutto perché il loro vero obiettivo erano i soldi. Le sembrava anche impossibile che, tra tutti gli affiliati della setta, l'unico a far parte di una stirpe di samurai fosse Goemon. Si ricordò poi che in fondo anche suo padre aveva cercato di nascondere le sue origini. Perché? Soltanto perché era disdicevole per un samurai sposare un'europea? Perché temeva il fanatismo del “Sentiero del Dragone d'oro”? Ma sicuramente quelli lo sapevano benissimo, chi fosse e da quale famiglia provenisse! Voleva proteggere lei? Ma lei, in quanto donna, non sarebbe mai diventata tale!
Questa incertezza la tormentava. Non riusciva a trovare il bandolo della matassa e, più ci pensava, più i suoi ragionamenti, i collegamenti che tentava di stabilire, si ingarbugliavano.
Goemon invece sembrava non curarsene affatto. Discuteva con Juro un abbozzo di piano, e ogni tanto le lanciava delle occhiate per coinvolgerla, per chiederle in silenzio dove fosse con la mente.
L'idea di base era che Lupin, opportunamente travestito, si fingesse un uomo d'affari, e Jigen, Goemon e Juro si spacciassero per suoi collaboratori. Goemon e Juro avrebbero dovuto fingersi... molto intimi, per stuzzicare la curiosità di Abe. Goemon avrebbe dovuto mostrare interesse per lui e sperare che quello ricambiasse. Poi, una volta soli...
Fujiko si chiese dove avrebbe nascosto la sua katana, visto che avrebbe dovuto trattarsi di un incontro romantico. A meno che, per quella volta, non decidesse di usare un'arma diversa, più piccola.
“Perché non gli proponete un... ménage à trois?”
I due uomini la guardarono e a lei parve cogliere un certo imbarazzo nei loro occhi.
“Così sareste in due contro uno e io mi sentirei più tranquilla” concluse lei con un sorriso.
“Vedremo come si evolvono le cose - tagliò corto Goemon - Non possiamo stabilirlo adesso, non conosciamo le abitudini di quest'uomo.”
“E io che ruolo avrei in tutto questo?”
“Non ti preoccupare, avrai da lavorare anche tu! Queste sono solamente delle ipotesi. Quando arriveranno anche gli altri ne discuteremo con loro e metteremo a punto tutti i particolari.”

Il giorno dell'arrivo di Lupin e Jigen, Fujiko e Goemon, in sella alla moto di Juro, li attesero nel luogo fissato per l'incontro, nell'ultimo centro abitato di una certa importanza prima di intraprendere la salita tra i monti.
Quei due squinternati erano però dei professionisti e giunsero puntuali all'appuntamento.
“Ehilà, ragazzi - strillò Lupin da sotto il casco integrale - Come va? Siamo arrivati! Poi ci spiegherete per quale motivo vi siete infognati da queste parti...!”
Anche loro erano venuti con un'unica moto, guidata da Lupin.
“E questo non è ancora nulla - disse ironicamente Fujiko - Seguimi e concentrati bene sulla guida, Lupin. Non vorrei mai che finiste in un burrone...”
Detto questo, diede gas e si allontanò velocemente nella direzione opposta. Lupin fece altrettanto.
La ragazza ormai conosceva abbastanza bene quella strada e non si impressionava più di tanto, anche se doveva stare sempre molto attenta. Ma poteva soltanto immaginare, con una punta di sadismo, lo sgomento di Lupin a percorrere i tratti più paurosi.
Arrivarono comunque al villaggio tutti sani e salvi. Quando si tolse il casco, il volto del ladro più scaltro del mondo era terreo. E anche parecchio arrabbiato. Mentre Jigen come al solito appariva imperturbabile.
“Accidenti a voi, potevate dirlo che stavamo per fare il percorso della morte!!! Se volevate farmi crepare d'infarto, ci siete quasi riusciti!”
“Peccato per quel quasi!” ridacchiò Fujiko.
Era più forte di loro: quando si vedevano non potevano fare a meno di punzecchiarsi.
Lupin stava per ribattere, quando Juro uscì dalla casa e si avvicinò al gruppo. Goemon fece le presentazioni e Juro li invitò per il tè.
Lupin non volle perdere tempo e, una volta compreso che il padrone di casa faceva parte della combriccola, chiese immediatamente lumi ai due amici.
“Bene - disse posando la tazza - bando ai convenevoli e andiamo subito al punto. Perché ci troviamo qui?”
Goemon raccontò tutto dall'inizio: della coincidenza della morte dei genitori suoi e di Fujiko, delle loro indagini, della scoperta che il padre di lei discendeva da una famiglia di samurai, dei collegamenti che li avevano portati al “Sentiero del Dragone d'oro”, della lettera lasciata dal maestro di Goemon, dell'attività di Juro e dei suoi collaboratori, anch'essi vittime della setta.
“... ne è rimasto in vita soltanto uno. Ed è mio. Tu, Lupin, anni fa avevi promesso di aiutarmi a scoprire la verità, e tu sei un uomo di parola. Quel momento è arrivato. In più, quelli sono davvero schifosamente ricchi, e molte di quelle ricchezze sono sporche di sangue. Ce le prenderemo. Non credo sarà possibile risarcire tutti i familiari delle persone assassinate, ma Juro e i suoi soci hanno svolto anche per me un lavoro difficile e pericoloso... quindi divideremo tutto con loro. Questa è la mia proposta. Io andrò comunque avanti, Lupin, anche senza di te.”
Lupin taceva. Era piuttosto impressionato. Non si aspettava proprio di trovarsi al centro di un intrigo internazionale. Ma questo aggiungeva fascino all'impresa, già di per sé interessante. Quindi non ci mise molto a decidersi.
“Ok, ci sto, e non credo sia necessario dettagliare i motivi. Tu sei dei nostri, Jigen?” chiese al suo compare, che per tutto il tempo sembrava essersi perso dietro i suoi pensieri.
“Certo! Mica avrò fatto tutta questa strada per niente!”
“Molto bene - esclamò il ladro fregandosi le mani compiaciuto - Siamo ancora tutti insieme e non ci fermerà nessuno! Abbiamo già un piano?”
“Una specie...”
Goemon illustrò ai nuovi arrivati quanto si erano detti nei giorni precedenti.
“Ah, al nostro uomo non piacciono le ragazze! Beh, peggio per lui, non sa che cosa si perde - lanciò un'occhiata di sottecchi a Fujiko, che finse di non accorgersene - Quindi bisogna trovare un'altra esca... Intanto però ci servono più informazioni possibile su di lui, le sue abitudini, i suoi spostamenti...”
“E' proprio qui il difficile - intervenne Juro, che fino a quel momento aveva parlato pochissimo - Abe non ne ha. Non ha un'abitazione, non dorme mai due volte nello stesso posto, ha un esercito di guardie del corpo, a cui vengono comunicati i suoi impegni all'ultimo momento... Può essere un giorno a New York e il giorno dopo a Mosca... E' per questo che non siamo mai riusciti a beccarlo prima...”
“Forse un sistema c'è... L'unico in grado di scoprire qualcosa è Julien.”
“Julien?”
“Sì, quel mio amico molto molto abile con i computer a cui ci siamo già rivolti, come ti ha raccontato Goemon. Può scovare qualsiasi informazione in qualsiasi parte del globo. Certo, gli spetterà una fetta della torta, se accetta di aiutarci ancora... mi pare il minimo.”
Lupin alzò gli occhi al cielo. Più che un'impresa criminale, assomigliava sempre di più a un'opera pia!
Goemon invece annuì.
“Si può provare. Ci pensi tu, Fujiko?”
“Una volta scoperto dove si trova - continuò Lupin - bisogna contattarlo senza destare sospetti e proporgli un affare a cui sia impossibile resistere... Non sarà facile, ve ne rendete conto, vero? Ma, una volta convinto, il resto sarà un gioco da ragazzi. Noi avremo i nostri soldi e Goemon anche la sua vendetta!”
“Qui ci può aiutare ancora Julien. Per trasferire i beni di Abe e della setta su altri conti in qualche paradiso fiscale, senza che loro se ne accorgano per un po'.”
“Siamo sicuri che questo Julien sia fidato al cento per cento? - insinuò Lupin sospettoso - quando ci sono di mezzo così tanti soldi...”
“Sì, lo è. Garantisco io per lui” ribatté la ragazza piccata.
Sei sicura, Fujiko? In fondo non vi frequentate da un sacco di tempo... finché si trattava di trovare qualche informazione... ma ora c'è in ballo tutta quella roba... uno potrebbe sistemarsi per la vita. Non sarebbe il primo e non sarà l'ultimo a tradire degli amici per soldi....
Ma ormai si era sbilanciata. Quasi si augurò che a qualcuno venisse in mente un'alternativa.
Il cervello di Lupin si era già messo in moto.
“Lasciatemi soltanto un po' di tempo per pensarci... Passiamo alle cose serie. Dove andiamo a dormire io e Jigen?”
Juro li accompagnò in una casa vicina, dove la famiglia di un suo allievo li avrebbe alloggiati. Si sarebbero trovati tutti più tardi per la cena. Il giovane era perplesso. Fino a quel momento non si era chiesto se Goemon avesse un lavoro. Sapeva che suo padre gli aveva lasciato un discreto patrimonio, e quindi forse non aveva bisogno di guadagnarsi il pane come tutti. Ma l'entrata in scena di quei due strani personaggi gli aveva fatto nascere più di un sospetto. Perché li conosceva? Perché frequentava delle persone così lontane dal suo modo di essere? Perché sembravano così sicuri di sé, quando parlavano di derubare il “Sentiero del Dragone d'oro”?
Decise di parlarne a quattrocchi con Goemon alla prima occasione. Non che fossero affari suoi, in fondo, ma preferiva sapere con chi aveva a che fare. Anche se, portata a termine la missione, probabilmente non li avrebbe rivisti mai più.

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Capitolo 21
*** Il piano ***


Dopocena, Lupin e Jigen decisero di andarsene subito a dormire, ancora un po' sconvolti dal jet lag. Fujiko sgattaiolò fuori, sperando di non essere notata, e si affiancò a Lupin.
“Posso accompagnarti?”
Quello andò subito in visibilio e la ragazza, temendo di essere stata fraintesa, mise subito le cose in chiaro.
“Ho bisogno di parlarti.”
“Ma ceeerto, chérie, sono a tua completa disposizione. Jigen, va' pure avanti, ti raggiungo subito. Ti ricordi la strada, vero?”
Jigen si allontanò borbottando.
“Per chi mi hai preso? Vuoi che non mi ricordi la strada in un paese di 20 abitanti?”
“Sono preoccupata” andò subito al punto Fujiko.
“E di che cosa? Non è un caso facile, ma non più di tanti altri, e non mi sembra nemmeno particolarmente pericoloso. Che cosa ti agita, in particolare, non capisco?”
La ragazza gli espose il dubbio che la ossessionava ormai da settimane: perché Goemon, e soltanto lui, doveva morire? Gli raccontò come erano giunti a questa scoperta, che non sembrava turbare più di tanto Goemon, mentre terrorizzava lei, come un oscuro presagio. Aveva paura che, se Sosa Abe avesse scoperto chi fosse, lo avrebbe fatto eliminare prima che il samurai potesse eliminare lui. Se avessero invece saputo prima cosa c'era sotto, avrebbero potuto tutelarsi meglio, prevenire le mosse della setta. Ma purtroppo sembrava non esserci modo di scoprirlo, e lei continuava ad arrovellarsi, senza venire a capo di nulla. Temeva che Goemon si esponesse troppo, ed era spaventata.
Mentre parlava, le labbra di Lupin si sollevavano in un sorrisetto ironico.
“Oh oh, ci tieni davvero al quel ragazzo...”
Dovevo aspettarmelo che reagisse così!
“Certo che ci tengo!”
“Non dirmi che sei innamorata!”
Fujiko si spazientì.
“E se anche fosse? La cosa non ti riguarda affatto! Mi sono rivolta a te perché sei suo amico e perché a me non dà retta, mentre se gli parli tu magari ti ascolta. Ma, se non intendi aiutarmi, scusa tanto se ti ho disturbato!”
Si voltò e fece per tornare indietro, ma Lupin la bloccò per un braccio.
“No, aspetta, dai, lo sai che io scherzo sempre! Solo, non ho capito che cosa vuoi che io faccia esattamente...”
“Convincilo a cercare di scoprire tutta la verità sul suo passato, prima di agire. E poi non mi piace affatto che lui si trovi da solo con quel tizio! Preferirei che lo affrontasse insieme a noi.”
“Potrebbe volerci molto tempo, a scoprire quello che vuoi sapere - le fece notare l'uomo - E poi, lui capirà subito che me l'hai chiesto tu...”
“Non me ne importa nulla!”
“Infine, è la sua vendetta. Credo ci tenga a eseguirla personalmente.”
“Lo so. Basta che non sia da solo, in quel momento, che noi siamo nei paraggi, pronti a intervenire....”
“Oh, beh, questo si può fare. Sarà sufficiente mettergli addosso un piccolo microfono e noi sentiremo tutto. Vedrai, chérie, metteremo a punto un piano a prova di bomba, nessuno si farà male, e alla fine saremo anche ricchi e felici!”
Fujiko sorrise.
“Allora posso contare su di te?”
“Parola di boy scout!” disse lui solennemente.
La ragazza si azzardò a dargli un bacio su una guancia e sgusciò via subito dopo.
“Grazie, sei un amico. Buonanotte! A domani!”
“Aspetta un momento. C'è una cosa che non capisco. La vendetta di Goemon dovrebbe essere anche la tua... tu invece ti preoccupi quasi solo di proteggerlo, del resto sembra che non te ne importi nulla...”
“Sì, l'ha notato anche lui. Vedi, anch'io voglio che quei mostri paghino per quello che hanno fatto, ma nello stesso tempo so che questo non mi risarcirà per gli anni che ho vissuto senza più i miei genitori. Non ho quel sacro fuoco che arde in lui, che io ho paura finirà per bruciargli l'anima... io preferirei lasciarci il passato alle spalle e riprendere la nostra solita vita, guardare avanti... pensare a noi...”
Fujiko aveva abbassato la voce, come se in realtà stesse parlando a se stessa.
Lupin la osservava in silenzio.
“Mmmh... sei decisamente cambiata in queste poche settimane. Non ti ho mai visto così...”
La ragazza tornò sulle difensive. Si era lasciata andare troppo e questo non andava affatto bene.
“Si è fatto tardi. Devo andare. A domani!”
Sgattaiolò via e in pochi secondi era sparita nel buio.
Goemon era già a letto. Sperò che non le chiedesse troppe spiegazioni e, soprattutto, non facesse scenate di gelosia.
“Ehi, dove sei sparita? Ero preoccupato, stavo per uscire a cercarti...” disse, ma il tono era solo leggermente apprensivo, non arrabbiato.
Decise di essere sincera.
“Che cosa vuoi che mi succeda in questo posto? Avevo bisogno di parlare con Lupin e l'ho accompagnato per un tratto.”
“Di che cosa, se si può sapere?”
Fujiko si infilò sotto lo coperte.
“Ho aggiunto qualche particolare che tu avevi omesso nel tuo racconto...”
“Tipo?”
“Lo sai benissimo. Solo che con te non se ne può nemmeno discutere!”
“Ancora con quella storia del perché dovevano uccidere anche me, ecc. ecc.? Ma è un'ossessione! E perché saresti andata a parlarne proprio con Lupin?”
“Perché è coinvolto anche lui in questa faccenda, ed è un tuo amico! O almeno tu lo ritieni tale! Magari lui ci darà un mano e soprattutto riuscirà a farti ragionare, testone che non sei altro!”
Goemon non poté fare a meno di sorridere.
“Adesso basta, è tardi e tu stai facendo troppo baccano. Vieni qui.”
Fujiko si accoccolò tra le sue braccia, felice che Goemon avesse finalmente deciso di fidarsi di lei e non si sentisse più minacciato da Lupin.
La mattina dopo Lupin e Jigen non comparvero a colazione. Ma nessuno se ne stupì più di tanto, si sapeva che, in assenza di appuntamenti precisi, quei due amavano poltrire. Poi c'era la faccende del fuso orario, bisognava capirli.
Juro ne approfittò per chiedere a Goemon di tenere quella famosa lezione ai ragazzini della sua scuola. Lui, che ormai gliel'aveva promesso, accettò di buon grado. Forse lo avrebbe aiutato ad allentare la tensione per un po'.
Fujiko lo osservò dalla finestra. Ammirava incantata i suoi movimenti eleganti, i gesti precisi, il modo naturale e sicuro con cui impugnava la katana, come se fosse un prolungamento del suo corpo. I bambini, in semicerchio intorno a lui, lo guardavano con i visini intenti, gli occhi sgranati fissi su di lui. Quando Goemon cominciò a coinvolgere anche loro, invitandoli a ripetere le sue mosse con le loro piccole spade di legno, la ragazza si intenerì a notare la sua pazienza, la gentilezza con cui li correggeva o spiegava cosa dovevano fare. Se lo immaginò tanti anni prima, un piccolo orfano arrabbiato, mentre prendeva lezioni dall'assassino dei suoi genitori, e le vennero le lacrime agli occhi.
Distolse lo sguardo, e incrociò quello ironico di Lupin.
“Lupin! Da quanto tempo sei lì?”
“Abbastanza da aver notato come guardi il tuo uomo.”
“Beh, sì, non l'avevo mai visto fare il maestro e direi che ci è proprio tagliato alla perfezione. E togliti quel sorriso idiota dalla faccia, per favore. Vuoi qualcosa da mangiare?”
“No, ti ringrazio, la nostra adorabile padrona di casa ha provveduto alla colazione. Quando finisce Goemon con i marmocchi?”
“Tra poco, credo. Guarda che gli ho detto che ti ho parlato.”
“Ah! Vabbé, basta che non se la prenda con me.”
Finita la lezione, Juro congedò i piccoli discepoli, che, emozionati ed entusiasti di aver combattuto con un vero samurai, chiesero a gran voce se ci sarebbe stato anche la prossima volta.
Rimasti soli, Juro decise di approfittare di quel momento per rivolgere a Goemon la fatidica domanda.
“Scusa, Goemon, ma... c'è una cosa che vorrei chiederti. So che non sono affari miei, ma, visto che dobbiamo lavorare insieme e hai chiamato qui quei tuoi amici... ecco, volevo saperne di più.”
“Dimmi, Juro” disse l'altro, che aveva intuito la natura della domanda.
“Qual è il tuo lavoro, lì dove vivi? Se ne hai uno...”
Goemon decise di dire la verità. Tanto prima o poi sarebbe saltata fuori. E poi Juro era un amico, non meritava di essere preso in giro.
“Sono un ladro, Juro. Come gli altri. Non siamo una vera e propria banda, ma spesso operiamo insieme. Siamo piuttosto in gamba, sai? Altrimenti non ci sarebbe mai venuto in mente di derubare il Sentiero del Dragone d'oro.”
Juro tacque perplesso. Aveva sospettato qualcosa del genere.
“Non siamo killer - si sentì in dovere di aggiungere Goemon - Non uccidiamo mai nessuno. Abe è un'altra questione, e riguarda esclusivamente me.”
“Capisco.”
Scese un silenzio imbarazzato.
“Deluso? Non voglio giustificarmi, ma in Occidente non ci sono molti lavori per uno come me... ho conosciuto Lupin e gli altri per caso, e sono diventato uno di loro. Poteva andarmi peggio.”
“Sì, certo. Non è mia intenzione giudicarti. Volevo solo inquadrare meglio la situazione.”
In quel momento li raggiunsero in giardino Fujiko e Lupin, insieme a Jigen, sbucato dal nulla.
“Ehilà, ragazzi! Goemon, sembra che tu abbia trovato una nuova vocazione! Potresti fermarti qui e mettere su famiglia” esclamò facendogli l'occhiolino e battendogli una mano sulla spalla.
Fujiko lo fulminò con lo sguardo, mentre Goemon fece finta di niente.
La ragazza cercò di riportare tutti all'ordine.
“Dobbiamo metterci al lavoro! Entriamo in casa.”
Si sedettero intorno al tavolo del soggiorno.
“Ma io non ho ancora avuto tempo di pensare a nulla! - protestò Lupin - Se non al modo di appurare i veri... gusti del nostro uomo” aggiunse con aria ammiccante.
Gli astanti restarono muti, quindi l'uomo proseguì.
“Basterà mettergli davanti Goemon, visto che abbiamo deciso che sarà lui l'esca, e una bella donna, nello stesso momento. Si capirà subito a chi andranno le sue preferenze!”
Però, che intuizione geniale! - pensò Fujiko - Lupin, so che puoi fare di meglio.
Lupin proseguì.
“Quando lo avremo agganciato, lo inviterò a cena con i miei collaboratori, Goemon e Juro, e mia moglie, Fujiko...”
“Tua moglie? - strillò l'interessata - E perché non posso essere anch'io una tua socia?”
“Troppa gente che lavora per me potrebbe insospettirlo, invece così è tutto più famigliare... sottotono. Gli uomini d'affari si rilassano in presenza di una donna che non è dell'ambiente. Se tu civetterai un po' con lui e quello non si mostrerà interessato... beh, il gioco è fatto, possiamo procedere con il resto del piano.”
Goemon si era incupito.
“Supponiamo, invece, che la soffiata sia sbagliata, che Miya abbia capito male... che si fa?”
“Oh, beh, in un certo senso sarà ancora più facile. Non sarebbe la prima volta che Fujiko rende inoffensivo un uomo sul più bello... poi sarà tutto tuo.”
La ragazza avrebbe dovuto offendersi, ma in realtà si sarebbe sentita più tranquilla, a fare lei il lavoro sporco.
Goemon invece non aveva affatto gradito quelle allusioni e tutti per un momento ebbero paura che gli avrebbe messo le mani addosso.
Fu lei a smorzare la tensione.
“A questo penseremo dopo, quando avremo capito bene la situazione. Ora mi sembra che la questione più importante sia come agganciare il soggetto.”
“Qualcosa mi verrà in mente. Devo decidere quale dei miei vecchi trucchi sia più adatto a questo caso... Datemi un po' di tempo, che diamine, sono appena arrivato!”
Lupin e Jigen si alzarono e uscirono di nuovo in giardino, dichiarando di fatto chiusa la riunione.
Gli altri tre rimasero seduti, in silenzio. Fujiko era un po' delusa. Si era aspettata che sarebbero riusciti a tirare fuori un piano in quattro e quattr'otto. Ma forse aveva ragione Lupin... era troppo presto.
“Ci ho ripensato” disse a bassa voce.
“A che cosa?” chiese Goemon.
“Sul fatto di farci aiutare da Julien... non mi sembra più tanto una buona idea...”
“Perché? Julien mi pare un bravo ragazzo...”
“Lo è... ma tutto quel denaro... potrebbe far perdere la testa anche al più onesto degli uomini. Meglio non indurlo in tentazione, potremmo perdere tutto. Ce la possiamo cavare da soli, l'abbiamo sempre fatto.”
“Il nostro scopo non è rapinare la setta...” le ricordò il samurai.
“Sì, ma avevamo detto che l'avremmo fatto, per tagliarle le gambe e impedirle di fare altro male...”
“D'accordo. Faremo a meno di Julien. Ma adesso dobbiamo concentrarci un po' di più su Abe e su come attirare la sua attenzione.”
Guardarono in giardino. Lupin e Jigen erano seduti sulla bassa cancellata di legno e discutevano animatamente. O, meglio, Lupin si agitava molto, come al solito, mentre Jigen si limitava a fare cenni di assenso o diniego da sotto il cappello che gli nascondeva quasi completamente il volto.
“Ho pensato a un'alternativa per avvicinare Abe senza destare sospetti - intervenne Juro - Uno di noi potrebbe tentare di diventare uno dei suoi bodyguard...”
Goemon rifletté per qualche secondo.
“Sì, potrebbe essere una buona idea... ma temo ci vorrebbe troppo tempo, e noi non ne abbiamo.”
Fujiko pensò che avevano aspettato quasi 20 anni, e ora qualche settimana, o anche qualche mese, in più o in meno non avrebbe fatto al differenza...
Appena restarono soli lo disse a Goemon. Ma lui non era d'accordo.
“Secondo me più tempo passiamo qui più corriamo il rischio che qualcuno si faccia delle domande... ricordiamoci che la setta è infiltrata ovunque. A mio avviso, poi, è anche pericoloso: immagino che prima di reclutare qualcuno Abe prenderà accurate informazioni... non possiamo permetterci che capisca qualcosa. Invece, nel caso di un affare allettante, è probabile che non andrà troppo per il sottile... E' tutto nelle mani di Lupin... e non so se sia un bene o un male!”
Fujiko considerò che aveva ragione. Il rischio era comunque alto, quindi meglio scegliere il male minore.
In quel momento Lupin fece irruzione in casa.
“Ho riflettuto a lungo. E ho stabilito che il piano più adatto è un mio vecchio cavallo di battaglia: la truffa del pallottoliere*!”

 

 

 

 

 

* Vista in un film un bel po' di anni fa... non c'è stato niente da fare, non ricordo né il titolo né gli attori!

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Capitolo 22
*** In azione ***


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Guardate che bello! Ringrazio Triz per avermi omaggiato di questo banner personalizzato!


“La truffa del pallottoliere?!? - esclamarono tutti - E che roba è?”
Lupin si fregò le mani soddisfatto. Adorava dare spettacolo.
“In parole povere, si convince il pollo di turno ad acquistare un software sofisticatissimo, che gli permetterà di gestire il suo patrimonio, fare transazioni, giocare in borsa e quant'altro, risparmiando un sacco di tempo e anche di soldi, perché velocizzerebbe tutte le operazioni e permetterebbe di avere anche meno personale... A seconda del personaggio, poi, si propongono altre opzioni, per esempio come evadere le tasse senza rischi, riciclare denaro sporco ecc. ecc. Naturalmente il tutto è supportato da una rigorosa e ampia documentazione, redatta da un importante istituto di certificazione internazionale... cosa non vera, naturalmente. Il pollo versa i soldi, taaanti soldi, di anticipo per averlo... e noi glielo mandiamo come promesso. Siamo uomini di parola. Solo che nella scatola ci sarà un bel pallottoliere! Eh? Che ve ne pare? Finora ha sempre funzionato!”
I presenti erano perplessi. Dubitavano fortemente che uno come Abe si facesse abbindolare così dal primo venuto.
“Qui non è nemmeno necessario arrivare a tanto, no? Basta avvicinarlo con questa storia, in modo che Goemon possa guadagnarsi la sua... ehm... fiducia... ma a quel punto il software non gli servirà più!”
“Rimane un'altra questione - intervenne Jigen - Come ci prendiamo il patrimonio della setta? E per questo che io sono venuto fin qui, e anche tu, Lupin! Scusate tanto, Goemon e Juro, ma a me della vostra crociata me ne frega il giusto... nulla di personale, eh!”
Fujiko sbuffò. L'aveva detto, lei, che non era una buona idea coinvolgere quei due!
Lupin alzò gli occhi al cielo.
“Jigen Jigen, come sei materiale! Quello ce lo possiamo prendere in qualsiasi momento, anche una volta che ce ne saremo andati ... E qui il vostro geniale amico ha una bella sorpresa per voi!”
La donna cominciava ad averne abbastanza di tutto questo teatro, e anche Goemon dava chiari segni di insofferenza.
Lupin si cacciò una mano in tasca e ne trasse una chiavetta Usb. Tutti lo guardarono incuriositi, visto che lui era un criminale “tradizionalista” e non era mai stato amante della tecnologia e dell'elettronica.
“Questo gioiellino sì che contiene un sistema molto sofisticato... basta inserirlo nel computer giusto e scarica automaticamente tutti i dati che ci servono: numeri di conto, codici di accesso, password, in qualsiasi posto del mondo... Non ve l'aspettavate, vero?”
In effetti erano tutti sbalorditi. Ma perché diavolo non l'aveva detto subito?
Jigen sembrava il più stupito.
“E da quando avresti quest'aggeggio? E come te lo saresti procurato?”
“Oh, da un po'. Diciamo che l'ho... preso in prestito, ma non avevo ancora avuto l'occasione di usarlo. Questa mi sembra perfetta!”
L'amico cercò di ricostruire a chi e quando Lupin poteva aver sottratto un tesoro simile, ma poi rinunciò: era inutile indagare, tanto lui non l'avrebbe mai rivelato.
“Se il nostro tipo... come si chiama... - proseguì il ladro, dopo essersi goduto lo spettacolo dei loro visi esterrefatti - si prenderà una cotta per qualcuno di voi, sarà facile carpire la sua fiducia e, una volta infilata questa chiavetta nel suo pc, tutti i suoi averi diventeranno nostri!”
Goemon cercò di ignorare il doppio senso insito in quelle parole, di cui forse nemmeno Lupin era consapevole.
“Come possiamo essere sicuri - chiese - che con quell'affare ci prenderemo il patrimonio della setta, e non soltanto quello di Abe?”
Lupin alzò gli occhi al cielo.
“Ma non siete mai contenti! Ma, scusate, non avete detto che è il capo supremo, o comunque un pezzo grosso, di 'sta setta? Avrà sicuramente accesso al suo denaro, no? Ma purtroppo temo che lo potremo scoprire solo al momento, quindi è inutile preoccuparcene adesso. Ora la priorità è procurarci il contatto... Abe ha una società, un ufficio, una segreteria... a cui si può telefonare o scrivere?”
“No - intervenne Juro - E' proprio questo che lo rende inavvicinabile. Lui non ha una vera e propria attività, con una sede o un recapito. In tanti anni non abbiamo mai scoperto come contattarlo...”
Fujiko intervenne.
“Vi ho già detto che su questo ci può aiutare Julien! In fondo a noi serve soltanto un numero di telefono o un indirizzo e-mail. Sono sicura che per lui sarà uno scherzo...”
Goemon fece un cenno di assenso.
“Io mi concentrerò sul mio travestimento e perfezionerò la storia che racconto sempre al primo abboccamento con la vittima” disse Lupin.
Ognuno andò a dedicarsi ai propri compiti.
Juro accompagnò Fujiko nella stanza del computer per chiamare Julien.
Lupin e Jigen tornarono al loro alloggio, dove avevano lasciato tutti gli attrezzi del mestiere.
Goemon uscì in giardino per i suoi quotidiani esercizi con la katana. Juro lo raggiunse poco dopo e gli propose di allenarsi insieme. L'altro accettò: in effetti, farlo con qualcun altro, ogni tanto, poteva essere utile. Avrebbe avuto bisogno di tutta la sua abilità.
Quando ebbero finito le loro evoluzioni, Fujiko comunicò loro che Julien li avrebbe aiutati, e si sarebbe fatto vivo lui, appena ottenute quelle informazioni. Tra sé la ragazza aveva deciso di ricompensarlo con una percentuale della sua quota di bottino. Era il minimo che potesse fare.
Quella sera Lupin mostrò loro degli schizzi con il suo travestimento. La sua intenzione era di sembrare un uomo d'affari esperto nel ramo informatico, un po'... alternativo, quindi con i capelli lunghi, grandi occhiali con lenti molto spesse, completi eleganti ma dai colori improbabili. Poteva funzionare.
“Naturalmente non ho tutto l'occorrente qui con me, dovrò andare da qualche parte a fare acquisti” concluse rimettendosi i fogli in tasca. Poi si esibì in una serie di discorsi con cui avrebbe abbindolato Abe, dalla prima telefonata alla proposta dell'affare.
Gli altri lo ascoltavano e lo osservavano affascinati. Non c'era niente da fare, quel delinquente all'azione era una specie di opera d'arte. Nel suo campo, era un fuoriclasse, un genio, un artista. Le loro ultime barriere, il loro scetticismo residuo si infransero. Erano una squadra, ognuno avrebbe dovuto svolgere la sua parte con altrettanta professionalità. Potevano farcela!

Nei giorni seguenti, mentre attendevano la risposta di Julien, misero a punto a poco a poco tutti i dettagli del piano. Soprattutto, esaminarono tutto quello che avrebbe potuto andare storto e cercarono delle soluzioni. Nei loro colpi nulla era lasciato al caso, c'erano sempre delle vie d'uscita, delle alternative, dei piani B, C e D. Nessuno doveva farsi male. Questo poi era un caso particolare, visto che avevano a che fare con gente senza scrupoli.
Scesero tutti al paese più vicino, quello dove viveva Miya, perché ognuno doveva comprare il necessario per recitare il proprio ruolo. Goemon avrebbe voluto passare a trovare la sua vecchia amica, ma per prudenza decise di non farlo. Avrebbero avuto tutto il tempo per parlare con lei dopo che quell'assurda storia fosse finita.
“Devi insegnarmi a... conquistare un uomo” chiese Goemon a Fujiko una sera, dopo che si erano ritirati nella loro stanza.
“Cosa?!? Ti ho già detto che non ne ho la più pallida idea. E poi per chi mi hai preso, scusa? Rivolgiti a una professionista!” ribatté lei vagamente offesa.
“Sì, ci avevo pensato, ma non è la stessa cosa...”
“Certo che non lo è!”
“Intendevo che di solito un uomo che cerca quel genere di donna non ha bisogno più di tanto di essere sedotto, perché ha già deciso... ha già certe intenzioni. Mi serve l'esperienza di una donna normale... una che deve fare tutto da sola, che deve suscitare quelle intenzioni da zero o quasi... Dai, Fujiko, non dirmi che non sai come si fa una cosa del genere, perché non ci credo! Okay, sei talmente bella e affascinante che probabilmente non ti devi nemmeno impegnare molto, ma, ti prego, dammi almeno qualche consiglio!”
Fujiko a quel punto non poté fare a meno di sorridere al pensiero dell'uomo d'acciaio che doveva trasformarsi in una maliarda.
Sospirò.
“Posto che forse l'unico che potrebbe esserti davvero utile è un altro uomo come Abe... suppongo che sia un gioco di sguardi, di sorrisi... eviterei mossette esagerate, saresti ancora meno credibile. Ho visto le foto e ho letto il fascicolo su di lui che ci ha dato Juro... è una carogna, ma è anche uno abituato a muoversi in certi ambienti, nell'alta società, è schifosamente ricco e si può permettere qualsiasi cosa desideri... insomma, è un uomo di una certa classe e credo che possa essere attratto da persone simili a lui... e tu quando vuoi ci sai fare. Ti ho visto all'azione con quella tizia alla sede del Sentiero del Dragone d'oro... dopo 5 minuti non capiva più niente, era totalmente in tuo potere... ecco, non deve essere molto diverso. Comunque avrai modo di osservarlo durante il primo incontro, potrai farti un'idea del personaggio... Senti, Goemon, ne ho già parlato con Lupin: se il tuo piano di... appartarti con Abe va in porto, noi saremo nelle vicinanze. Sarebbe meglio che ti mettessi addosso una mini ricetrasmittente, così potremo intervenire tempestivamente in caso di necessità. Almeno questo me lo devi!”
Il samurai la attirò tra le sue braccia, cercando di essere rassicurante.
“Ti stai preoccupando troppo, non sono un novellino, e abbiamo avuto a che fare con altri criminali spietati come quello... però sei terribilmente bella quando sei in ansia per me... dici che se mi esercito un po' con te fa lo stesso?”
“Beh, mi auguro di no, ma mi sacrifico volentieri alla causa!”

Finalmente, dopo alcuni giorni di snervante attesa, Julien si fece vivo con le informazioni raccolte.
“E' stata davvero dura, Fujiko - le disse - Non credo di averci mai messo così tanto a trovare qualcosa... Chi accidenti è questo? Uno che scotta, immagino.”
“Sì, Julien. E' il capo supremo. Ma è meglio che non ti dica altro. Questo canale di comunicazione è sicuro, ma non si sa mai... Ti giuro che ti racconterò ogni cosa quando tutto questo sarà finito. Per il momento ti ringrazio infinitamente. Ma troverò anche il modo di sdebitarmi, non temere.”
“Lo sai che non devi preoccuparti di questo. Piuttosto, te lo ripeto: stai attenta. E salutami Goemon.”
“Farò entrambe le cose. A presto, Julien, sei un vero amico.”
Chiuse la comunicazione e stampò i dati che l'hacker le aveva inviato: due numeri di cellulare e un indirizzo e-mail.
Sosa Abe non aveva più scampo.
Avvertì gli altri che si poteva cominciare a mettere in atto il piano.
“Ho un dubbio - disse Goemon - Come giustificheremo con Abe il fatto che abbiamo trovato il modo di contattarlo? Potrebbe insospettirsi.”
“Oh no, invece - lo rassicurò Lupin - Userò questo fatto per dimostrargli che siamo davvero dei super esperti informatici! Renderà la nostra storia più convincente!”
Sembrava molto sicuro del fatto suo.
Decisero di non perdere altro tempo e passarono subito alla fase I. Ognuno aveva assunto un nuovo nome e una nuova identità, con tanto di documenti falsi, procurati rapidamente dalla organizzazione di Juro:
Lupin = Dominic Bourdon, uomo d'affari parigino nel ramo informatico
Fujiko = Marion Nery in Bourdon, sua moglie
Goemon = Ken Hirota, assistente personale di Bourdon
Juro = Goro Saito, socio di Bourdon ed esperto informatico
Jigen = Izumo Tanaka, guardia del corpo e uomo di fiducia di Bourdon.
Era improbabile che uno come Abe rispondesse personalmente al telefono, vedendo un numero sconosciuto. Era più plausibile che rispondesse una segretaria o un assistente. E lo stesso sarebbe dovuto essere per Lupin/Bourdon, quindi fu Goemon a fare la prima telefonata. Tutti gli alti seduti intorno trattenevano il fiato.
Come avevano previsto, rispose un assistente, piuttosto sorpreso di sentire una voce sconosciuta. Ma Goemon fu molto convincente e riuscì a strappare al tipo la promessa che avrebbe riferito al suo capo che monsieur Bourdon aveva un affare interessante da proporgli. Avrebbero richiamato loro.
Non restava che aspettare ancora.
Erano certi che Abe avrebbe fatto prendere delle informazioni, quindi Juro e i suoi collaboratori avevano già creato su internet dei profili di Bourdon, avevano inserito qua e là delle notizie che lo riguardavano e delle foto insieme a Goemon, Juro o Fujiko. Che per l'occasione si era tinta di biondo e si era anche fatta riccia, per essere ancora più vistosa.
Contro le loro previsioni, l'assistente di Abe richiamò solo due giorni dopo e volle parlare direttamente con Bourdon. Goemon glielo passò e Lupin recitò alla perfezione la parte, accennando ai termini della proposta, ma senza entrare troppo nei dettagli, per allettarlo, ma senza scoprire fino in fondo le carte. Da abile giocatore d'azzardo.
L'assistente richiamò l'indomani e comunicò che il signor Abe ora si trovava all'estero, ma era disponibile a incontrare monsieur Bourdon la settimana seguente, a Tokyo. Si sarebbero risentiti per stabilire il luogo e l'ora precisi.
Lupin si fregava le mani soddisfatto.
“Lo sapevo, lo sapevo che avrebbe abboccato! Nessuno resiste! Bene, non ci resta che organizzare la spedizione a Tokyo. Dobbiamo impressionarlo: alloggeremo in uno degli hotel più lussuosi della città e noleggeremo un paio di limousine.”
Lupin non lo disse per non offendere Juro, ma non vedeva l'ora di lasciare quel buco di villaggio sperduto tra i monti e tornare alla civiltà. Anche Jigen cominciava ad averne abbastanza e pure Fujiko in fondo non era fatta per vivere così isolata dal mondo. L'unico che sembrava trovarsi a suo agio lì era Goemon. In fondo quella era stata casa sua per molti anni, quello era il suo Paese, il suo ambiente. Aveva ritrovato i ritmi e la mentalità a cui era abituato. Ma il dovere lo chiamava altrove, a compiere la sua missione.

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Capitolo 23
*** Sosa Abe ***


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Pochi giorni dopo i magnifici cinque lasciarono il villaggio. Non fu semplicissimo organizzare la trasferta, perché dovettero trasportare i loro travestimenti e tutto l'occorrente per il colpo in più viaggi, per caricarli sull'auto di Fujiko e Goemon, su cui poi partirono loro due insieme a Juro, mentre Lupin e Jigen procedevano con la moto con cui erano arrivati. Giunti in prossimità della capitale, però, noleggiarono due limousine: Lupin aveva stabilito che dovessero fare un arrivo trionfale all'hotel, nel caso Abe avesse fatto prendere informazioni su di loro. Sulla prima, guidata da Jigen, viaggiarono Lupin con Fujiko, mentre sull'altra Goemon e Juro. Per fortuna Juro aveva la patente, altrimenti avrebbero dovuto assoldare anche un autista, il che avrebbe potuto complicare le cose.
Scesero in uno degli alberghi più lussuosi della città e prenotarono due camere per Jigen e Juro e una suite per gli altri tre. Fujiko si era tassativamente rifiutata di dividere la camera da letto con Lupin.
“Tanto Abe non ci seguirà fino qua, non scoprirà mai con chi dormo veramente!” aveva strillato inviperita. Quando era così furiosa, non restava che accontentarla. Con grande soddisfazione di Goemon, che sotto quell'aspetto non si fidava affatto di Lupin. Per fortuna le due stanze erano separate dall'ampio soggiorno, il che avrebbe permesso loro di farsi i fatti propri al riparo da orecchie indiscrete.
Attesero che Abe si facesse vivo. Era snervante dipendere così da lui, ma Lupin sosteneva che per il momento era giusto così. Poi il coltello dalla parte del manico ce l'avrebbero avuto loro.
Intanto, su suggerimento di Lupin, Goemon e Juro, con loro sommo imbarazzo, dovevano esercitarsi a sembrare fidanzati o qualcosa del genere.
“Niente di troppo esplicito - li istruiva - In fondo siamo in un contesto professionale. Basterà qualche sguardo, qualche gentilezza, qualche lieve sfioramento di mani... in modo da insinuare più di un dubbio in Abe. Poi, quando ci vedremo la prossima volta, dovrai rivolgere le stesse attenzioni al nostro uomo... sperando che lui gradisca e che gli piaccia tu e non Juro. Anche in quel caso, comunque, non cambia molto. E' fondamentale, prima di liberarci di lui, riuscire a inserire la chiavetta Usb nel suo computer personale. Sfrutteremo ogni occasione utile. Altrimenti, Goemon, dovrai farlo tu, prima di eliminarlo.”
Stabilirono che al primo incontro sarebbero stati presenti Lupin, Goemon e Juro. Jigen li avrebbe solo accompagnati. Avrebbero semplicemente accennato all'affare ad Abe e ai suoi eventuali collaboratori, poi lo avrebbero invitato a cena. E qui sarebbe entrata in scena Fujiko. Poi gli avrebbero lasciato un po' di tempo per riflettere. Ma a quel punto, che lui abboccasse o meno era irrilevante: tanto loro avrebbero comunque messo le mani sul suo patrimonio personale e su quello della setta. Il punto fondamentale era che Goemon si guadagnasse la sua fiducia e potesse così avere accesso al suo pc. Che poi decidesse o meno di tagliarli la gola, in fondo a Lupin non interessava.

Il solito assistente di Abe telefonò una mattina. Fissarono un appuntamento per il tardo pomeriggio, in un altro grosso albergo della città. Abe evidentemente non aveva un vero ufficio. O forse non voleva farlo sapere. Non subito, perlomeno.
Iniziarono i frenetici preparativi. Ripassarono per l'ennesima volta che cosa ognuno avrebbe dovuto dire e fare, prepararono parte della documentazione che avrebbero dovuto sottoporre ad Abe e ognuno provò il proprio travestimento.
Lupin era davvero irriconoscibile, in un completo rosa pesca e con una cravatta dalla fantasia davvero agghiacciante. Juro e Goemon invece erano in abiti borghesi, abbastanza informali, ma molto classici. Entrambi portavano degli occhiali senza montatura, che conferivano loro un'aria intellettuale.
“Lupin - intervenne Fijiko, piuttosto scettica sul quel look - ma sei sicuro che Abe ti prenderà sul serio, conciato così? Sembri un piazzista qualunque. Ricordiamoci che è giapponese, non americano! Loro ci tengono alla forma.”
“E' tutto calcolato, chérie. E comunque lui sarà convinto da quello che gli dirò e si dimenticherà subito del mio aspetto. Va sempre così.”
La ragazza tacque per alcuni minuti.
“Voglio venire con voi.”
“Avevamo stabilito di no, al primo incontro. In questo gioco tu sei mia moglie, e nient'altro.”
“Intendevo dire... senza farmi vedere. Sorveglierò la situazione da lontano. Accidenti, Lupin, non hai preso in considerazione l'ipotesi che potrebbe essere una trappola? O che qualcosa potrebbe andare storto? Sareste tutti lì, in suo potere!”
“Non è vero, Jigen ci aspetterà fuori. Sarà lui a intervenire, in caso di necessità. Non possiamo correre il rischio che qualcuno ti riconosca. Senti, è molto improbabile che Abe si insospettisca subito o che sappia già chi siamo, quindi stai tranquilla, okay?”
Fujiko girò i tacchi e si chiuse in camera. Odiava essere tagliata fuori e starsene senza far niente. Oltre al fatto che era sinceramente preoccupata. Goemon la raggiunse e cercò di calmarla.
“Ti capisco, Fujiko, non sei abituata a non essere coinvolta nell'azione, ma in questo caso Lupin ha ragione. Sei più utile in quel ruolo. Solo per questa volta, dai...”
“Lo spero bene! Potete scordarvi che io mi metta a fare la pupa del gangster! E adesso sparisci! Lo sai che mi fai impazzire vestito così... torna dagli altri, dovete muovervi...”
Goemon per tutta risposta chiuse a chiave la porta.
“No. Manca ancora un sacco di tempo.”

Sosa Abe arrivò all'appuntamento accompagnato da due uomini enormi, i suoi gorilla, probabilmente, e da uno più mingherlino, che doveva essere l'assistente con cui avevano parlato al telefono.
Lupin, Goemon e Juro lo stavano aspettando da alcuni minuti in una saletta riservata dell'albergo, indicata dall'addetto alla reception, mentre Jigen li teneva d'occhio seduto al bar.
Abe era un uomo distinto, sulla sessantina, di corporatura normale ma non molto alto, con i capelli grigi tagliati a spazzola. Indossava un abito di sartoria dal taglio impeccabile e occhiali con la montatura in tartaruga. Aveva l'aria più innocua del mondo.
Lanciò un'occhiata perplessa al terzetto, soprattutto a Lupin, ma fu questione di una frazione di secondo, poi sul suo volto si stampò un'espressione impassibile che mantenne per tutto l'incontro.
Lupin fece le presentazioni. I due energumeni, constatato evidentemente che non vi era alcun pericolo, uscirono e si piazzarono davanti alla porta, mentre Abe e il suo assistente si sedettero di fronte ai tre. Goemon dovette fare un notevole sforzo su se stesso per non saltargli subito alla giugulare, al pensiero che finalmente aveva davanti il responsabile della morte dei suoi genitori e di molti altri innocenti.
Lupin assunse un'aria improvvisamente seria e professionale e cominciò a esporre al suo interlocutore i vantaggi della loro proposta, ma senza entrare troppo nei dettagli. Juro aveva tirato fuori un portatile, con cui supportava le affermazioni del socio. Nello stesso tempo, lui e Goemon, che si limitava ogni tanto a passare a Lupin o ad Abe dei fogli, cominciarono la loro commedia romantica, lanciandosi ogni tanto qualche occhiata di sottecchi e qualche sorriso furtivo. Se Abe se ne fosse o meno accorto, non lo diede a vedere.
Alla fine della presentazione, Abe rimase in silenzio per alcuni lunghi minuti. Poi sussurrò qualcosa all'orecchio del suo assistente e tornò a fissare Lupin.
“Quello che non capisco - disse con un tono distaccato - è perché veniate a proporre questo sistema rivoluzionario, come lo chiamate voi, proprio a me... Che cosa vi fa pensare che io possa essere interessato... Se davvero, come dite, vi siete accuratamente informati sulla mia modesta persona, dovreste sapere che finora ho condotto i miei affari con risultati più che brillanti senza alcun bisogno di questo genere di aiuti.”
Lupin, per nulla intimidito, sfoderò uno dei suoi sorrisi più accattivanti.
“Giusta obiezione, signor Abe! Ma, vede, è proprio per questo che abbiamo pensato a lei! Il software non può andare in mani qualsiasi. E' destinato soltanto ai numeri uno, a persone come lei. Solo così può davvero rendere al massimo delle sue potenzialità, altrimenti... sarebbe sprecato, e noi non puntiamo sulla quantità, ma sulla qualità! Anche per non … inflazionarlo. Sono sicuro che capisce quello che intendo...”
Abe alzò impercettibilmente un sopracciglio.
“Sarà come dite voi... ma perché non ne ho mai sentito parlare prima?”
“Beh, solitamente chi lo utilizza non ci tiene a farlo sapere troppo in giro... altrimenti la voce si spargerebbe, sempre più gente lo vorrebbe... e addio affari d'oro! Noi invece desideriamo che il nostro cliente sia pienamente soddisfatto e abbia il prodotto praticamente in esclusiva! Infatti noi non ne vendiamo mai più di uno all'anno, e in Paesi sempre diversi.”
“Ma ormai l'economia e la finanza sono globalizzate... è tutto collegato e connesso così strettamente che non ha molto senso questo discorso...”
Lupin tacque. Tutte quelle obiezioni erano in realtà la dimostrazione che la cosa lo interessava, eccome! Altrimenti si sarebbe limitato a dire che ci avrebbe pensato su e si sarebbe congedato. E infatti...
“... tuttavia la questione merita di essere vagliata con più attenzione, monsieur Bourdon. Avrà presto mie notizie, in ogni caso.”
Abe si era alzato.
Lupin intervenne prontamente.
“Perché non ne parliamo con calma a cena, signor Abe? Mi permetto di invitarla... non so, possiamo fare domani sera? Ne sarei davvero onorato e così le potrò far conoscere la mia signora... naturalmente saranno presenti anche i miei collaboratori.”
L'uomo sembrò pensarci su per qualche istante. Guardò il suo assistente.
“Forse si può fare... mi lasci consultare la mia agenda ed entro domattina le farò sapere. E' stato un piacere, monsieur Bourdon. Signori.”
Abe uscì, seguito dal suo assistente e poi dai due gorilla alla porta, che lo scortarono fino a un'auto di grossa cilindrata, con i vetri oscurati, parcheggiata davanti all'albergo.
I tre rimasero ancora qualche minuto nella saletta, riponendo computer e documenti nelle rispettive valigette, poi a loro volta uscirono e si diressero alla limousine, preceduti da Jigen. Fino all'arrivo al loro hotel, nessuno parlò.
Quando finalmente si sentirono al sicuro nella suite. Lupin si lasciò cadere sul divano e si dichiarò soddisfatto.
“A mio parere il pollo è cotto a puntino, ma, siccome non è certo uno sprovveduto, non lo dà a vedere. Ma l'affare lo ingolosisce, eccome! Vedrete che accetterà l'invito a cena... Bel lavoro, ragazzi!”
Raccontarono anche a Fujiko, logorata dall'attesa, tutti i particolari.
“E per quell'altra cosa...? - chiese la ragazza - Come vi è sembrato?”
Tutti alzarono le spalle.
“Loro due hanno recitato la parte alla perfezione, secondo me, ma non so dirti se la cosa lo abbia impressionato. Quell'uomo è una sfinge. Contiamo sulla cena e sulla situazione più informale... magari anche lui si lascerà un po' andare.”

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Capitolo 24
*** La cena delle parti ***


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Abe fu di parola. Il suo assistente li richiamò la mattina dopo, dicendo che l'invito per la sera stessa era accettato. Goemon chiese se avevano esigenze o preferenze particolari, ma l'unica richiesta fu che il locale fosse tranquillo e non troppo affollato. Si diedero un altro appuntamento telefonico per comunicare il nome del ristorante e l'orario.
I quattro conoscevano abbastanza bene la città e discussero un bel po' prima di scegliere il posto adatto. Consultarono anche vari siti internet e poi decisero di andare a vedere di persona due o tre posti. Tutto doveva essere perfetto, Abe doveva sentirsi a suo agio. Alla fine optarono per un ristorante minimalista, ma molto chic, di cucina giapponese tradizionale rivisitata. Erano quasi certi che il loro ospite avrebbe apprezzato.
Su un punto però furono tutti d'accordo: Goemon non avrebbe dovuto accettare nessun appuntamento “galante” prima della sera successiva. Sempre ammesso che il suo tentativo di seduzione andasse in porto...
Fujiko non aveva digerito di essere stata di fatto esclusa dall'azione e aveva deciso di “vendicarsi”. Così esagerò nel look: abito verde lungo, scollatissimo davanti e dietro, spacchi e tacchi vertiginosi, gioielli appariscenti. Solo nel trucco fu abbastanza sobria, limitandosi a mettere in risalto gli occhi da gatta.
A Goemon però, quando la vide, venne un colpo.
“Ma... ma... non avrai mica intenzione di uscire così?”
“E' ovvio! E' questo il mio ruolo, no? L'avete deciso voi! Devo stanare Abe. E ti assicuro che non ci sono altri modi per farlo, soprattutto in una sola sera. Quindi non fare quella faccia, lasciami lavorare e concentrati piuttosto su quello che devi fare tu!”
Al samurai non restò che incassare, mentre Lupin dovette esercitare tutto il suo autocontrollo per non allungare le mani.
“Dopotutto sono tuo marito, no?” rispose all'occhiataccia della donna.
Salirono sulle limousine e si diressero al ristorante. Arrivarono pochi minuti prima di Abe e lo attesero al bar. L'uomo arrivò scortato, come il giorno prima, dai due gorilla e dal suo assistente, di cui finalmente scoprirono il nome, Ichiro Ikeda.
Sedettero al loro tavolo e iniziò il gioco delle parti.
Fujiko iniziò quasi subito a civettare con Abe, che non a caso era stato fatto accomodare accanto a lei, mentre Goemon e Juro erano seduti di fronte, in modo da poterlo vedere bene in volto. Si faceva fatica, in quel momento, a pensare che Abe fosse in realtà un crudele assassino. Sembrava una persona perbene, si comportava come un perfetto uomo di mondo, cordiale, educato e dalla conversazione brillante. Fu subito evidente, però, che su di lui il fascino di Fujiko non aveva alcun potere. Le rispondeva gentilmente, le versava da bere, ma quasi non la guardava in viso, men che meno da altre parti. Come invece facevano i camerieri e quasi tutti i clienti di sesso maschile del locale.
Quasi impercettibilmente, invece, cominciò a rivolgersi sempre più spesso a Goemon, sia con la parola che con lo sguardo. Forse nessuno ci avrebbe fatto caso, in un'altra situazione, ma in quel momento tutti erano attenti a captare il minimo segnale. E ogni cosa sembrava proprio confermare la notizia data da Miya.
Il samurai, secondo copione, si mise a ricambiare gli sguardi e i sorrisi di Abe. Ad un certo punto, l'uomo parve non avere occhi che per lui e, dimenticando le buone maniere, quasi non degnò più di considerazione gli altri commensali. I quali si scambiarono delle occhiate soddisfatte, cercando di non farsi scorgere dal suo assistente, che invece sembrava un po' a disagio per la piega che stava prendendo la serata.
Parlarono di lavoro solo verso la fine della cena, quando Abe, vuoi per effetto dell'alcol vuoi per il suo nuovo interesse “sentimentale”, era chiaramente su di giri e molto ben disposto verso Bourdon/Lupin.
“Mi avete quasi convinto, monsieur Bourdon. Quasi... Lasciatemi tutta la documentazione, la sottoporrò ai miei consulenti e, dopo aver sentito il loro parere, prenderò una decisione, prima di lasciare la città, s'intende” aggiunse guardando Goemon.
Il samurai gli porse sorridendo la cartelletta con la documentazione cartacea, ma non quella su supporto elettronico. Sperava così di dare ad Abe il pretesto per richiamarlo a breve e magari incontrarlo da qualche parte. A quel punto, lui avrebbe avuto modo sia di utilizzare la chiavetta di Lupin sia di portare a compimento la sua vendetta.
Tutti risalirono sulle rispettive auto e tornarono ai propri alloggi. Nessuno sulle due limousine parlò fino all'albergo. Non potevano escludere che Abe ci avesse fatto mettere delle cimici dai suoi scagnozzi. Una volta nella suite, si scatenarono. Lupin sghignazzando diede una sonora pacca sulle spalle a Goemon.
“E bravo, diavolo di un samurai! Hai fatto colpo sul vecchio! Alla fine della cena era cotto come una pera, avrei potuto ottenere qualsiasi cosa da lui!”
Goemon spiegò che cosa aveva fatto con la documentazione. Non era stato programmato, era un'idea che gli era venuta al momento.
“Benissimo, davvero molto astuto, ragazzo! Non ci resta che attendere la sua telefonata.”
“Sì, ma dobbiamo anche organizzare bene il loro incontro” intervenne Fujiko, che aveva sempre paura di quello che sarebbe potuto accadere al suo uomo.
“Ma sì, chérie, non ti preoccupare, non abbandoneremo il tuo prezioso fanciullo! Però propongo di parlarne domani, adesso è tardi e abbiamo tutti bevuto troppo!”
Ognuno si ritirò nella propria stanza, ignorando le lamentele di Lupin a proposito del fatto che avrebbe dovuto dormire tutto solo.
Goemon si lasciò cadere sul letto, togliendosi gli occhiali e massaggiandosi la radice del naso. Cominciava a risentire della tensione nervosa che aveva sostenuto per tutta la sera e gli era piombata addosso un'improvvisa stanchezza. Fujiko se ne accorse e si inginocchiò dietro di lui, accarezzandogli le spalle. Quella situazione ricordò loro la notte in cui era cominciato tutto, a Parigi...
“Sei stato bravo - gli sussurrò - Lo sapevo che te la saresti cavata alla grande!”
“Oh, in fondo è stato più facile del previsto. E poi non è finita. Se da sobrio ci ripensa e decide che non è il caso? Oppure magari è timido...”
“Timido quello? Non credo proprio! E' uno abituato a ottenere sempre quello che vuole, ed è questo che mi fa paura. Se diventa violento?”
Goemon le prese le mani tra le sue.
“Ne abbiamo già parlato. Pensi che sia così facile cogliermi di sorpresa? E poi sono grosso il doppio di lui, oltre ad avere la metà dei suoi anni!”
“Sì, ma i suoi gorilla sono piuttosto massicci e hanno un'aria molto poco rassicurante.... Voglio che domani pianifichiamo tutto nei minimi dettagli... tu non devi correre il minimo pericolo!”
“Mi sembra che su questo punto siamo tutti d'accordo, no? Adesso togliti quel vestito da donna di malaffare, per favore! Non ti posso più vedere!”
La ragazza rise, si staccò da lui e corse vicino alla finestra, dalla porte opposta della stanza.
“Vieni a togliermelo tu, se ci tieni tanto!”

La banda entrò in fibrillazione quando il solito cellulare trillò il giorno dopo di buon mattino. Come al solito, rispose Goemon, che si irrigidì immediatamente: dall'altra parte questa volta non c'era il buon Ikeda, ma Abe in persona. Come aveva previsto, gli chiese di fargli avere anche la documentazione su chiavetta. Entrambi convennero che non era prudente spedirla per posta elettronica.
Quando chiuse la comunicazione, il samurai deglutì e fissò gli altri che lo guardavano in silenzio.
“Ho un appuntamento con lui. Stasera alle 18. Nella sua suite al Four Seasons, ultimo piano. Da solo.”
Lupin si fregò le mani.
“Molto bene! Ora possiamo organizzarci! Prima di tutto dobbiamo prenotare una stanza nelle vicinanze della suite, dove staremo noi quattro, pronti a intervenire. Non sarà facile, così all'ultimo momento...”
Fujiko telefonò subito al Four Seasons per cercare la camera, usando uno dei suoi tanti nomi falsi.
“Uff! Negli ultimi piani hanno solo suite... ne ho prenotata una al penultimo, ma non possiamo andarci prima delle 14... Certo che questa storia ci sta costando un sacco di soldi! Speriamo di rifarci!”
Lupin tirò fuori da una valigia i microfoni e i trasmettitori e ne verificò il funzionamento.
“Ecco, questo lo nasconderemo addosso a Goemon e così noi dall'altra parte potremo sentire tutto.”
Mostrò poi al samurai come utilizzare la chiavetta contenente in realtà il programma per carpire le informazioni sui conti bancari.
Divenne di colpo molto serio.
“Senti, Goemon, a me personalmente della tua vendetta non importa un granché. Ma non voglio che ti metta nei guai. Quindi, che arma pensi di usare? Non puoi andare lì con la tua katana, mi pare evidente...”
“Certo che no, ci avevo già pensato. Ho portato con me un coltello, un tantō, che può essere nascosto facilmente in una valigetta.”
“Mmmh... non vuoi una pistola? E' più sicura. Abbiamo anche il silenziatore...”
“Ti ringrazio, ma... mi hai mai visto usare una pistola? A maggior ragione in una situazione come questa... Non preoccupatevi, so quello che faccio.”
Tutta questa apprensione da parte dei suoi amici era del tutto inedita e cominciava sinceramente a scocciarlo.
“Naturalmente non dobbiamo farci vedere da nessuno dello staff di Abe. Arriveremo alla spicciolata, magari dalle scale di servizio. Quando Goemon avrà fatto... quello che deve fare, ci raggiungerà e ce ne torneremo qui. Mi sembra tutto chiaro, no?”
Jigen caricò la sua inseparabile Smith&Wesson, fece il pieno di munizioni e annuì.
Anche Fujiko aveva messo in borsa la sua pistola. Con quella addosso si sentiva più tranquilla.
Si divisero. Lupin, non travestito, e Fujiko con una parrucca nera presero il taxi per primi, poi su un altro li seguirono Jigen e Juro. Goemon li avrebbe raggiunti più tardi.
“Fatti bello, mi raccomando!” fu l'ultima raccomandazione di Lupin prima di uscire.
“Ma vaff...”
Che bisogno c'era? L'appuntamento l'aveva già. Una volta là dentro, doveva fare solo due cose. Essere bello ed elegante non gli sarebbe servito a niente. Doveva essere lucido, deciso e spietato. Nient'altro.
Esaminò il suo coltello. Non era la sua arma preferita, ma era ben affilata e, soprattutto, sufficientemente piccola da essere occultata con facilità. Non aveva ancora deciso dove però. Non poteva escludere che Abe possedesse una pistola, quindi doveva poter tirare fuori il tantō prima che lui capisse che cosa stava succedendo. Con uno dei suoi scatti fulminei, lo scagliò contro la porta. Il coltello si conficcò profondamente nel legno, sibilando minaccioso. Mal che vada, lo lancerò.
Quando anche lui si fece portare da un taxi al Four Seasons, si era già trasformato in una gelida, inesorabile macchina da guerra.
I soci lo aspettavano nella suite al penultimo piano. Lupin gli sistemò addosso il microfono e fece le prove con la sua trasmittente. Funzionava perfettamente.
“Potrebbero perquisirti, ma cercheranno solo armi, non penseranno certo a una cimice... Piuttosto, dove hai messo il coltello?”
“Nella valigetta, sotto la fodera. Fingerò di tirare fuori qualcosa di lavoro. Non dovrebbe destare sospetti.”
“Perfetto. La chiavetta ce l'hai. Si va in scena!”
Fujiko, cercando di mascherare il nervosismo, lo baciò. Lui le sorrise rassicurante, uscì dalla stanza e prese l'ascensore per salire al piano superiore.
Davanti alla suite di Abe stazionavano, come si aspettava, i due bodyguard, che lo riconobbero subito. Erano sicuramente informati del suo arrivo.
Lo perquisirono, ma in modo molto frettoloso. Non controllarono nemmeno il contenuto della valigetta. Anzi, si scusarono con lui.
“Ci perdoni, signor Hirota... ma è la prassi.”
“Ne sono consapevole - rispose tranquillamente Goemon - Nessun problema.”
Dopodiché uno dei due bussò alla porta, mise dentro la testa e annunciò ad Abe che il suo ospite era giunto. L'uomo poi si scostò per farlo passare e richiuse l'uscio dietro di lui.
“Ken! Carissimo! Vieni pure avanti!” lo accolse una voce cordiale.
Abe gli venne incontro tenendogli la mano. Indossava una elegante veste da camera, sotto la quale sembrava non portare altro, ed era in ciabatte.
La fronte del samurai si imperlò impercettibilmente di sudore. Aveva ragione Fujiko. Questo era uno che non amava perdere tempo.

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Capitolo 25
*** Vendetta ***


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“Bevi qualcosa?” chiese Abe al giovane, avvicinandosi al tavolino su cui erano sistemate diverse bottiglie di liquori.
Goemon non voleva bere. Non amava farlo, e aveva paura che in quel momento gli togliesse lucidità. Ma non voleva nemmeno destare sospetti nella sua vittima. Quindi accettò del whisky liscio. Controllò però attentamente che Abe non versasse qualcosa di strano nel suo bicchiere e si servisse a sua volta dalla stessa bottiglia. L'uomo sembrava rilassato e di buon umore.
Intanto, in corridoio, i suoi complici avevano messo fuori combattimento i due gorilla. Fujiko, con il viso seminascosto da un paio di enormi occhiali scuri, ne aveva distratto uno fingendo di non riuscire a entrare nella sua suite e chiedendogli aiuto, e Juro e Jigen li avevano tramortiti e rinchiusi in uno stanzino di servizio, legati e imbavagliati.
Goemon prese il bicchiere, bagnò appena le labbra e si guardò intorno, fotografando mentalmente ogni angolo della stanza, ogni possibile via di fuga. Appurò che non c'era nessun altro. Intanto commentava la magnifica vista che si godeva dall'ampia vetrata.
“Da quanto tempo lavori con monsieur Bourdon?” gli chiese a un tratto Abe.
“Da circa 3 anni” buttò lì Goemon, un po' colto alla sprovvista.
“Troppi. Di questi tempi bisogna cambiare spesso posto di lavoro, fare tante esperienze, soprattutto quando si è giovani di talento come te...”
Il samurai annuì con un mezzo sorriso. Dove voleva andare a parare il vecchio?
“Come fa a definirmi di talento? Non mi conosce nemmeno!”
“Ti prego, lasciamo perdere i formalismi, diamoci entrambi del tu. Lo so, perché ho fiuto per capire quanto valgono le persone. E' un aspetto fondamentale per la mia professione.”
In questo caso non hai capito proprio niente!
“Immagino. Ne sono lusingato.”
“Avrai intuito che voglio farti una proposta...”
Abe si sedette sul divano e lo invitò a fare altrettanto. Goemon esitò. La chiavetta, pensò. Devo fare prima quel lavoro!
“Vorrei prima darle, cioè, darti, il materiale che mi avevi chiesto. Purtroppo ci è rimasta solo questa chiavetta, non posso lasciartela, ma posso scaricare i dati sul tuo pc. Così ci togliamo il pensiero e possiamo dedicarci ad altro” aggiunse allusivo.
Cosa mi tocca dire!
Abe parve contrariato, ma poi probabilmente convenne che aveva ragione. In fondo, quei dati gli servivano davvero. Si alzò, andò a prendere dalla scrivania un piccolo portatile e lo appoggiò sul basso tavolino davanti al divano. Goemon si sedette e vi infilò il pendrive. Non era necessario fare altro: la chiavetta avrebbe rapidamente svolto il suo doppio lavoro. Intanto, decise di distrarre Abe.
“Allora, che cosa volevi propormi?”
“Di lavorare per me. Come assistente personale...”
“Ma... e il signor Ikeda?”
“Oh, ormai è prossimo alla pensione. Prima o poi avrei dovuto cercare un sostituto, e tu sei capitato al momento giusto. All'inizio farai il suo vice, naturalmente, il lavoro è abbastanza complesso e lui ti dovrà insegnare molte cose. Poi riceverà una sostanziosa buonuscita e potrà finalmente godersi la vita. Se lo merita, dopotutto mi ha servito fedelmente per anni.”
Goemon tacque alcuni istanti. Quest'uomo deve davvero aver perso la testa, per prendere a lavorare con lui il primo venuto, nella sua posizione! Ora capisco come le donne riescono a farci fare qualsiasi cosa!
“La tua proposta, Sosa, mi lusinga e mi alletta molto, naturalmente... Ma ci devo riflettere... Sarebbe un grosso cambiamento di vita per me... Dovrei trasferirmi in Giappone, suppongo... e tutto il resto.”
“Certo, mi rendo conto. Non voglio farti fretta, pensaci con calma... E poi, immagino... c'è quel tuo amico, no? Il socio di monsieur Bourdon...”
“Chi, Goro? Oh, non farti delle idee... andiamo molto d'accordo, ma … non c'è niente di serio tra noi, ”
Intanto, per fortuna, la chiavetta aveva svolto il suo compito. Goemon la tolse dal computer e si alzò per riporla nella valigetta, che aveva lasciato vicino all'ingresso.
Era giunto il momento di agire. Aprì la valigetta, dando le spalle ad Abe, e prese il coltello dalla fodera dove era nascosto. Con un gesto repentino la fece scivolare nella manica sinistra della giacca e tornò verso il divano. Adesso doveva studiare il momento giusto per puntarlo alla gola di Abe. Si rese conto che l'uomo avrebbe potuto capire le sue intenzioni guardando il suo riflesso nella vetrata. Quindi Goemon si avvicinò al divano da dietro con studiata lentezza, sorridendo.

Fu un attimo.
Abe si chinò leggermente in avanti per posare il bicchiere sul tavolino, abbassando gli occhi. E il samurai ne approfittò subito. Estrasse il tantō dalla manica e contemporaneamente con un balzo gli fu addosso, schiacciandolo contro lo schienale del divano, bloccandolo con il braccio libero e puntandogli il coltello alla gola.
Per qualche secondo Abe non capì che cosa stesse succedendo e forse pensò a uno scherzo di cattivo gusto. Ma quando sentì che la presa che gli bloccava il respiro non si allentava, iniziò a dimenarsi.
“Ken! - tentò di gridare, ma la voce gli uscì strozzata - Che ti prende?!? Lasciami immediatamente!!!”
Per tutta risposta Goemon strinse più forte. La rabbia e l'odio che aveva tenuto sotto controllo per tutte quelle settimane cominciarono a prendere il sopravvento.
“Aiuto!” tentò ancora di gridare Abe, certo sperando che i suoi bodyguard lo sentissero.
“E' inutile che strilli. I miei soci hanno tolto di mezzo i tuoi scagnozzi, non verrà nessuno ad aiutarti. Prega il tuo dio, se ne hai uno, perché stai per pagare per tutto quello che hai fatto, bastardo assassino!”
“Ma chi... chi sei? Di cosa stai blaterando? Io non ti ho fatto niente!”
“Goemon Ishikawa. Ti dice niente questo nome?”
L'uomo smise di colpo di agitarsi. Tacque per alcuni istanti, come per recuperare qualcosa nella memoria.
“Tu?!? Come... come hai fatto a trovarmi?!? Io... io ti ho cercato per anni!”
“Lo so. So tutto, so quello che tu e quella banda di criminali del Sentiero del Dragone d'oro avete fatto ai miei genitori e a molti altri! So che volevi far uccidere anche me, che ero solo un bambino. Ma hai finito di fare del male. Non ti faccio a pezzi lentamente come meriteresti solo perché non ne ho il tempo... Ma prima che ti sgozzi devi dirmi una cosa. Perché?”
“Perché... se sai tutto come dici, l'avrai capito da solo. Tuo padre e altri volevano uscire dalla setta... non potevamo permetterlo, o l'intero sistema sarebbe crollato. Quando ci sono in gioco degli ideali più grandi occorre a volte sacrificare qualcuno... Ahi!”
Goemon fremette di sdegno e premette il coltello più forte sulla giugulare.
“Non parlare di ideali! I soldi, solo quelli vi interessavano! Ma adesso potete dire addio alle vostre ricchezze! Con quella chiavetta ho potuto prendermi tutti i vostri codici bancari... tra poco non vi resterà più nulla!”
“Maledetto! E' stata tutta una messinscena! Hai approfittato della mia buona fede, non sei migliore di me!”
“Sta' zitto! Voglio solo sapere perché volevi la morte di un bambino di 10 anni!”
Aveva continuato a ripetere a Fujiko che a lui non importava saperlo. Ma ora quella domanda gli era uscita di getto, e improvvisamente si rese conto che la risposta in realtà stava a cuore anche a lui.
E Abe l'aveva capito. Era un uomo astuto e calcolatore. Quell'informazione poteva diventare il suo salvavita.
“Perché dovrei dirtelo? Tanto mi ammazzerai comunque!”
Goemon esitò per una frazione di secondo.
“D'accordo. Come vuoi. In fondo sono passati quasi 20 anni, non ha più molta importanza. Io sono ancora vivo, e tu tra poco sarai morto.”
“Un momento! Non puoi uccidermi così! Sono disarmato!”
“Anche le persone che hai fatto ammazzare tu lo erano! Erano inermi e innocenti! Non è il mio stile, lo ammetto, ma tu non meriti nessun riguardo da parte mia.”
Era vero, non aveva mai ucciso nessuno così, a sangue freddo. Ma che cosa avrebbe dovuto fare? Sfidarlo a duello? Era una cosa che fanno gli uomini d'onore. E Abe non lo era.
“Basta, abbiamo chiacchierato anche troppo!”
“Aspetta! Ti dirò tutto!”
Perché lo stava facendo? Solo per prendere tempo? Sperava arrivasse qualcuno a salvarlo?
In quel preciso momento, un gran frastuono li fece trasalire entrambi. Qualcuno aveva sfondato la porta, chiusa a chiave, e in un secondo alcuni uomini incappucciati e armati si sparsero per la stanza.
Istintivamente Goemon arretrò verso la vetrata, facendosi scudo con Abe e cercando di capire che cosa stesse accadendo. Chi diavolo erano quegli uomini e, soprattutto, da che parte stavano?
Ma quando vide la persona che entrò subito dopo il commando, lo stupore lasciò immediatamente il posto a un'ira incontrollabile.
“Juro! Maledetto traditore! Sei uno di loro! Sei sempre stato dalla sua parte!”
“Non è come pensi, Goemon. Ora lascialo a noi. E' finita.”
Due degli incappucciati gli strapparono Abe dalle braccia e, con sua grande meraviglia, lo ammanettarono e lo trascinarono fuori, mentre quello non sapeva se essere più sollevato per aver scampato la fine o più preoccupato di quanto gli sarebbe capitato dopo.
Nella suite restarono solo loro due, uno di fronte all'altro.

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Capitolo 26
*** Spiegazioni ***


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Goemon ebbe l'impulso di usare il coltello, che stringeva ancora convulsamente nella destra, contro Juro. Ma si sentì di colpo come svuotato. La rabbia cieca che l'aveva dominato fino a quel momento stava rifluendo, come la bassa marea.
Guardò torvo il suo amico... era ancora un amico?
Se avessero voluto uccidermi, l'avrebbero fatto subito, durante l'irruzione.
“Allora... che cosa significa tutto questo? Mi hai impedito di compiere la mia vendetta, mi devi delle spiegazioni, e ti auguro che siano molto convincenti!”
“Sediamoci. Ti dirò tutto.”
Si lasciarono cadere sul divano.
“Non faccio parte della setta, ma dei servizi segreti giapponesi. Di una sezione non ufficiale, che ha il compito di dare la caccia proprio ai capi del Sentiero del Dragone d'oro. Abe era l'unico che non eravamo ancora riusciti a beccare, ma grazie all'aiuto tuo e dei tuoi amici finalmente ce l'abbiamo fatta. Ma non potevo lasciartelo uccidere. Ce ne occuperemo noi. Ti garantisco che non potrà più nuocere a nessuno.”
Goemon era allibito. Non se lo sarebbe mai aspettato.
“Ma... avevi detto che gli altri li avevi eliminati tu...”
“Sì, infatti. Li abbiamo fatti sparire. Quelli ancora vivi, perché alcuni sono morti di morte naturale, non usciranno mai di prigione. Sono in isolamento, in un carcere speciale, ma è come se non esistessero più, nessuno sa dove si trovano. Sono ufficialmente scomparsi. Anche Abe subirà la stessa sorte. E' quasi peggio della morte, non credi? I tuoi cari, quelli di Fujiko, Miya, il nostro maestro... hanno avuto giustizia. E tu non ti sei sporcato le mani di sangue...”
Il samurai tacque. Meditava. Forse era davvero meglio così.
“Anche Miya fa parte dei servizi segreti?”
“Sì, come tutti quelli che mi hanno aiutato in questi anni.”
“E io? Come sapevi che sarei venuto?”
“Non lo sapevo. Lo speravo. Speravo che prima o poi saresti arrivato in cerca della verità. Sempre che tu fossi ancora vivo... Certo, non immaginavo che ti saresti portato dietro i rinforzi” aggiunse con un sorriso.
“La chiavetta... immagino che la vorrai...”
Juro scosse la testa.
“No. Tenetela voi. Consideratela un compenso per l'aiuto che ci avete dato. A noi non interessano i soldi della setta, ma soltanto smantellarla. Abe era l'ultimo grande capo. Con lui fuori dai giochi, non dovrebbe essere difficile ridurre progressivamente il suo potere.”
Goemon era sempre più stupefatto. Gli riusciva difficile credere che qualcuno potesse rinunciare a tanto bendidio. Ma era grato a Juro.
“C'è anche la tua parte...”
“Non ne ho bisogno, davvero.”
Il samurai avrebbe voluto fargli tante altre domande. Si chiese come mai i suoi amici non si fossero ancora presentati. Se erano ancora collegati con il suo microfono, dovevano aver sentito tutto.
“Ma... Lupin e gli altri? Perché non sono qui?”
“Ehm... per precauzione li ho chiusi nella loro stanza. Ma adesso possiamo liberarli...”
A Goemon veniva quasi da ridere, immaginando le loro facce. Poi pensò a quanto sarebbe stata furiosa Fujiko, e la cosa gli parve subito molto meno divertente.
“Dicevi che la setta è infiltrata ovunque, anche tra i politici, anche nella polizia... come fai a essere sicuro che non lo sia anche nei servizi segreti?”
Juro esitò un attimo.
“Questa sezione dei servizi segreti ufficialmente non esiste. Non dovrei dirtelo, ma... noi lavoriamo direttamente con uomini di fiducia dell'imperatore... sono molti anni che lui è al corrente di quanto succede davvero nella setta e sta cercando di contrastarla.”
Il samurai era impressionato. Anche se lui viveva in Occidente ormai da molto tempo, la profonda venerazione dei giapponesi per il loro imperatore era ancora molto viva in lui.
“E Ikeda? Che cosa ne sarà di lui?”
“Abe gli aveva dato il pomeriggio libero... lo stiamo tenendo d'occhio, non è detto che lui sia coinvolto con la setta...”
“E i due bodyguard?”
“Quando riusciranno a liberarsi e si renderanno conto che Abe è sparito, lui sarà già lontano... comunque controlleremo anche loro.”
“C'è un'ultima cosa che devo sapere. Non ho fatto in tempo a chiederlo ad Abe. Stava per dirmelo, credo, quando siete arrivati voi. Perché quelli della setta volevano uccidere anche me?”
“Avevi detto che non ti importava saperlo...”
“Sì, lo so... ma ora che ho la possibilità di ricevere la risposta, ho bisogno di conoscere la verità... voglio sapere perché Miya è stata torturata e sfregiata, perché il nostro maestro ha dovuto suicidarsi... e tutto questo solo per proteggere la mia vita... Non so se riesci a capirmi...”
“Sì, credo di sì... Glielo chiederò io e te lo farò sapere. Te lo prometto solennemente.”
Goemon scosse il capo, amareggiato.
“Non credo che te lo dirà... perché dovrebbe farlo? Ormai la sua sorte è segnata.”
“Oh, quanto a quello... non uccidiamo quei bastardi per esplicito ordine dell'imperatore, ma nulla ci impedisce di … sciogliere loro la lingua... e con metodi non ortodossi, se necessario...”
“D'accordo, allora... mi fido di te. Ora forse è meglio raggiungere gli altri.”
“Sì, saranno furibondi, ma purtroppo era necessario. Non potevo rischiare che mandassero a monte tutta l'operazione.”
Lasciarono la suite. Gli uomini incappucciati l'avevano già perquisita e avevano preso il portatile, la 24 ore e altri effetti personali di Abe.
“E' meglio che entri da solo - disse Goemon, una volta scesi al piano inferiore - Potrebbero pensare che tu sia uno della setta, come ho creduto io.”
Il samurai aprì la porta con la tessera che l'altro gli porse, prima di allontanarsi.
“Raggiungo i miei uomini. Vi aspetto nella hall.”
Quando la porta si spalancò, si trovò la pistola di Jigen a un centimetro dal suo naso.
“Ah! Sei tu! - urlò fuori di sé - Si può sapere che cazzo è successo?!? E dov'è quel traditore doppiogiochista del tuo amico? Se lo becco lo faccio secco!”
“Calmati, Jigen! Non è come sembra! Ti posso spiegare tutto.”
Goemon era certo che avrebbe dovuto subire una sfuriata anche da Fujiko, ma non fu così. Con sua grande sorpresa la ragazza volò tra le sue braccia e gli inondò il petto di lacrime.
“Sei salvo! - diceva tra un singhiozzo e l'altro - Ho avuto tanta paura!”
Un po' imbarazzato dalla presenza di Jigen e Lupin, il giovane la strinse a sé.
“Non è successo nulla. E' tutto a posto, non fare così.”
“Quando abbiamo capito che Juro era sparito - proseguì lei - e ci aveva rinchiuso qua dentro, abbiamo pensato subito che fosse d'accordo con Abe e che ti avrebbero fatto del male, come avevo sempre temuto! Ero disperata!”
La lasciarono sfogare ancora per un po'. Non erano abituati a vederla così.
Lupin non aveva ancora parlato. Osservava la scena con la sua solita aria sorniona.
“Allora? - disse a un tratto - Si può sapere che cosa avete combinato? A un certo punto Juro è sparito con i trasmettitori e ci ha chiusi a chiave...Eravamo tutti preoccupatissimi, non solo Fujiko... abbiamo chiamato la reception per farci aprire, ma non è venuto nessuno... evidentemente Juro li aveva istruiti a dovere...!”
Goemon raccontò brevemente ai tre amici, sempre più strabiliati, quello che era successo.
“... e qui c'è la chiavetta. Juro ha detto di tenercela come compenso per il nostro aiuto...”
Lupin allungò la mano, incredulo. Dentro di sé aveva già detto addio al bottino.
“Molto nobile da parte sua...”
“Sì - rifletté Goemon - E' molto migliore di me. Ha messo la sua vendetta al servizio della giustizia.”
“Bene, e ora che si fa?” chiese Jigen.
“Direi che ce ne possiamo tornare al nostro albergo e fare subito il trasferimento, prima che quelli della setta si accorgano di qualcosa. Non dovrebbero, perché Abe non ha fatto in tempo a dare l'allarme... ma non si sa mai.”
Il gruppetto lasciò la stanza. Nella hall incontrarono Juro ad aspettarli. Trattennero a stento Jigen, che lo avrebbe volentieri preso a pugni.
“Perché non ci hai detto niente?!? Abbiamo pensato di tutto, ed eravamo preoccupati per Goemon! Non ci hai nemmeno riflettuto, eh? Avevi in mente soltanto la tua missione!”
Juro non se la prese. Si aspettava una reazione del genere.
“Mi dispiace aver agito così, ma era necessario. Credo che possiate capirlo.”
Lupin cercò di dissipare la tensione. Anche perché non voleva irritare Juro, nel caso cambiasse idea sul contenuto della loro preziosa chiavetta. Gli batté una mano sulla spalla.
“Sei in gamba, hai ingannato tutti! Ma tutto è bene ciò che finisce bene, vero, ragazzi?”
Si guardarono. Poteva essere l'ultima volta che si vedevano.
“Credo che le nostre strade si dividano qua - disse Juro - Vi siamo grati per l'aiuto che ci avete dato, anche senza... esserne consapevoli.”
Fujiko lo abbracciò e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Non erano da lei simili manifestazioni, ma in questo caso aveva più di un motivo per essergli grata. E non soltanto perché li aveva accolti a casa sua, li aveva aiutati, pur con un suo tornaconto, e aveva lasciato a loro tutto il bottino...
Lupin e alla fine anche Jigen gli strinsero la mano. Con Goemon invece si appartò in un angolo. I due confabularono per un po', poi il samurai raggiunse i suoi amici e insieme ritornarono al loro albergo.
“Peccato - commentò Lupin stiracchiandosi - che dobbiamo abbandonare queste belle limousine e tra poco anche il nostro lussuosissimo hotel!”
“E perché, scusa? - lo interruppe Jigen - Se la tua chiavetta miracolosa fa il suo dovere, possiamo spassarcela alla grande, no?”
Salirono nella loro suite e Lupin tirò fuori un portatile.
“Ah! - commentò ancora il pistolero - Ti sei proprio convertito senza rimedio alla tecnologia!”
“Eh sì, vecchio mio. I tempi cambiano e bisogna adeguarsi, se non vuoi essere tagliato fuori dal mondo del lavoro!”
“Un momento! - intervenne Fujiko - Dove trasferiamo i soldi? Visto che non abbiamo un conto corrente in comune...”
“Ma sul mio, baby. O non ti fidi di me?”
“L'hai detto, caro. Non mi fido di te. Io ho un conto sicuro. In Svizzera.”
“Proprio tu parli! Fammi capire - la aggredì Jigen - Per quale motivo noi dovremmo invece fidarci di te?”
“Buoni buoni, non litigate! Per me un conto vale l'altro. Appena trasferiti i soldi, li divideremo in quattro parti e disporremo i bonifici sui conti degli altri tre, subito, qui in diretta. Tutto alla luce del sole. Così non ci saranno problemi.”
Alla fine, come sempre, la spuntò Fujiko.
Con una certa trepidazione scaricarono i dati dalla chiavetta. Ma Goemon aveva eseguito il suo compito alla perfezione e sullo schermo comparvero i numeri, i codici iban e tutte le informazione necessarie per accedere ai conti intestati ad Abe. Non potevano sapere se si trattasse di tutto il patrimonio della setta, ma in fondo non potevano pretendere troppo.
Fecero subito la prova con uno.
Funzionava!
Divennero euforici. Proseguirono finché non li ebbero svuotati tutti. Alla fine, la cifra totale li lasciò di stucco. Probabilmente non avevano mia visto così tanto denaro tutto insieme nella loro intera carriera di ladri professionisti.
Secondo l'accordo, divisero il bottino in parti uguali e Fujiko dispose subito i bonifici. A Julien avrebbe provveduto lei in un secondo momento.
“E vedi di non fare scherzi! - insistette Jigen con fare minaccioso - O è la volta buona che pareggio i conti con te una volta per tutte!”
“No. Questa volta non farà scherzi, ne sono certo - disse serafico Lupin - Abbiamo un garante, vero, Goemon?”
Goemon non sembrava molto coinvolto da quanto gli stava accadendo intorno. Era felice che la chiavetta funzionasse, ma la sua mente era chiaramente altrove.
“Ci vorrà qualche giorno prima che i soldi siano disponibili, lo sapete, vero? Prima di agitarvi per niente!” commentò sarcastica Fujiko.
“Bene, direi di uscire a cena a festeggiare!”
Al ristorante finalmente si rilassarono.
“Jigen e io pensavamo di rientrare subito in Europa. Ho in mente un altro affare... a Londra. Esposizione straordinaria dei tesori della Casa Reale... Non c'è molto tempo per organizzarlo, ma... ce la possiamo ancora fare.”
“Io devo restare qui ancora per un po' - disse Goemon serio - Devo sbrigare delle faccende.”
Fujiko lo guardò stupita. Non le aveva detto niente. Anzi, in verità, da quando erano rientrati in albergo non le aveva quasi rivolto la parola.
“Come volete. Faremo a meno di voi... perché immagino che resterai anche tu, Fujiko!”
“Sì, certo, naturalmente” rispose lei disinvolta. Ma non era tanto sicura che questo fosse anche il desiderio di Goemon.



 Buona Pasqua a tutti!

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Capitolo 27
*** Il segreto - Epilogo ***


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by Triz
 

Glielo chiese, quando furono da soli, in camera loro. Ma lui per tutta risposta la fece cadere sul letto e cominciò a baciarla con impeto, scoprendo man mano lembi sempre più estesi della sua pelle di seta.
“Non parliamo adesso. Adesso facciamo l'amore e basta.”
Fujiko si abbandonò tra le sua braccia. Dimenticò la paura e la tensione, felice che fossero finalmente liberi, e lui fosse lì, sano e salvo.
“Perché devi restare ancora?” gli chiese accarezzandogli il viso.
“Perché... non ho ancora avuto tutte le risposte. E Juro ha promesso di darmele. Se vuoi rimanere anche tu, ne sarei contento... ma se vuoi tornare a casa tua, o unirti a Lupin per il nuovo colpo... io non ti tratterrò, e ti raggiungerò il prima possibile.”
“Ma cosa dici? Certo che resterò con te.”
La ragazza lo fissò intensamente negli occhi.
“Una volta mi hai detto che non eri un assassino... Sono contenta che tu non lo sia diventato adesso, che tu non abbia ucciso quell'uomo...”
“Sì, anch'io.”
“E' questo che ho detto a Juro. L'ho ringraziato per averlo impedito.”
“Eppure l'avrei fatto, se non fosse arrivato lui. Ero talmente accecato dall'odio e dall'ira che avrei tagliato la gola a un uomo disarmato e senza alcuna possibilità di difendersi. Non avevo mai fatto niente di simile, e questo mi ha spaventato. Anche se quell'individuo è un mostro, non è degno di un samurai uccidere così... anzi, non è degno di nessun uomo”.
“E' a questo che pensavi, prima? Sembravi così lontano...”
“Sì, anche. Pensavo che vorrei andare a salutare Miya e darle metà della mia parte... così se vuole potrà farsi operare, come dicevi tu...”
“E tu? Rinunci?”
“Non ho bisogno di tutti quei soldi. Anche Juro non li ha voluti, posso farlo anch'io, e voglio usarli per sdebitarmi con chi mi ha salvato la vita. Anche se non credo che basterebbero tutte le ricchezze del mondo per rimediare a tutto il male che ha fatto quella setta maledetta...”
“Sei proprio diverso da noi, tu. Non sei mai stato un vero criminale.”
Goemon sorrise e la strinse più forte.
“Ti ricordi che ti avevo promesso di portarti a visitare il quartiere dove abitavo da bambino? Ho pensato che ora possiamo andarci. Non mi fa più tanto male l'idea.”

Il giorno dopo si separarono. Lupin e Jigen andarono all'aeroporto diretti a Londra.
“Fatevi vivi quando tornate, piccioncini!” strillò Lupin dal taxi.
Fujiko e Goemon lasciarono l'albergo e si trasferirono in uno più piccolo e modesto, nel quartiere Kichijoji. Goemon le mostrò la sua casa, la sua scuola, il parco dove andava a giocare, perfino la tomba dei suoi genitori, che non visitava da quasi 20 anni. Le raccontava episodi e aneddoti della sua infanzia, alcuni anche divertenti. Come se finalmente avesse fatto pace con i suoi ricordi.
Fujiko lo ascoltava incantata. La verità vi farà liberi... Chissà perché le era venuta in mente questa frase.
Un giorno andarono a trovare Miya. Era già stata informata di quanto era successo e naturalmente era molto felice. Fujiko entrò a salutarla, ma poi, con la scusa di dover fare delle compere, li lasciò da soli. Goemon doveva parlarle dell'operazione e convincerla ad accettare il suo aiuto, e lei si sentiva di troppo.
Quando il giovane uscì di casa, lei lo stava già aspettando in macchina.
“Allora? Ce l'hai fatta?”
“Sì. E' stata durissima, ma alla fine ha accettato e ha detto che prenderà in considerazione l'idea dell'intervento chirurgico. Le ho detto di chiamarci, se deciderà di farlo in Europa...”
“Hai fatto bene. Le auguro davvero di realizzare finalmente tutti i suoi sogni.”

Finalmente, dopo una settimana, Juro li contattò. Goemon gli aveva restituito il cellulare che usavano per farsi chiamare da Abe, quindi telefonò su quello di Fujiko. Chiese di incontrarli in un posto sicuro. Aveva notizie piuttosto delicate. Scelsero la loro camera d'albergo, piuttosto che un locale pubblico. In fondo, in quei giorni si erano comportati come una coppietta di turisti, e non c'era nulla di strano se si vedevano con un amico.
Si salutarono calorosamente. Juro andò subito al punto. Esitò solo un attimo guardando fugacemente Fujiko.
“Puoi parlare davanti a lei, lo sai” lo incoraggiò Goemon.
“Abe ha vuotato il sacco. Non è stato nemmeno necessario sfiorarlo. Appena si è reso conto della sua situazione, è caduto in uno stato di prostrazione tale che lo ha praticamente privato di volontà. E' irriconoscibile, credetemi. E quello che ha rivelato è piuttosto sconvolgente, Goemon.”
Fece una pausa, come per cercare le parole più appropriate.
“I capi della setta ti volevano morto perché tu eri depositario di molti loro segreti...”
Goemon lo interruppe.
“Ma … non è possibile! Ero solamente un bambino!”
“Non ne eri cosciente, infatti. Tuo padre, che era un membro piuttosto importante del Sentiero del Dragone d'oro, prima di decidere di uscirne, aveva trovato un posto sicuro per nascondere tutto ciò che sapeva: la tua mente*, Goemon.”
I due spalancarono gli occhi e la bocca, ma senza articolare parola.
“Ti ha fatto ipnotizzare, o qualcosa del genere, e ti ha trasmesso tutte le informazioni di cui era in possesso, suppongo soprattutto gli atti criminali, le persone eccellenti che sostenevano la setta, ecc. ecc. Alla fine tu non avresti ricordato nulla. Per recuperare tutto questo qualcuno avrebbe dovuto ipnotizzarti di nuovo.”
Goemon era sconvolto.
“Non capisco... Perché mio padre avrebbe scelto di mettere a rischio la mia vita in questo modo? E come ha fatto la setta a scoprirlo?”
“A quanto ho capito, lo psicologo che ha eseguito l'ipnosi è andato a raccontarlo a qualcuno, forse per paura, forse per interesse. Abe dice di non ricordare come sono venuti a saperlo. Tuo padre non pensava di metterti in pericolo. Probabilmente sospettava di esserlo lui, ma chi avrebbe immaginato che se la prendessero con un bambino? Si è fidato della persona sbagliata, purtroppo. A quel punto la setta non poteva rischiare che qualcuno riuscisse a tirar fuori le informazioni dalla tua testa...”
Anche Fujiko era allibita. Le sembrava tutto assurdo. Di fatto, il padre di Goemon aveva condannato a morte suo figlio. Senza volerlo, d'accordo, ma con quell'azione lo aveva messo nell'occhio del ciclone. Come aveva potuto agire con tale leggerezza, sapendo con chi aveva a che fare?
Juro proseguì.
“Ora il punto è un altro. Quelle informazioni potrebbero esserci utili, Goemon. Saresti disposto a farti ipnotizzare per recuperarle? Penseremmo a tutto noi.”
La ragazza rabbrividì. Possibile che quella storia non fosse ancora finita?
“Ma... quelle informazioni sono vecchie di quasi 20 anni! A che cosa vi possono servire ormai?”
“Ti sbagli. Sicuramente molte persone sono ancora in vita, molte connivenze sono ancora valide... forse non tutto sarà utilizzabile, ma conoscere anche il passato può aiutarci a ricostruire il quadro attuale. Non posso e non voglio obbligarti a farlo. Ma ti prego di pensarci seriamente. Possiamo disporre dei migliori professionisti del Paese.”
Goemon socchiuse gli occhi, come faceva sempre quando rifletteva.
Fujiko sapeva già quale sarebbe stata la sua risposta. Rivolse a Juro la domanda che lui non avrebbe mai fatto.
“E' una procedura.. pericolosa?”
“No, per nulla. L'ipnosi non comporta alcun rischio per chi vi si sottopone. Non è possibile manipolare la volontà della persona, né farle fare o dire cose che non farebbe mai spontaneamente, né cancellare la sua memoria. Nella peggiore delle ipotesi, non riusciremo a recuperare quelle informazioni. Tutto qui.”
Tacquero per alcuni lunghi minuti. Juro si alzò e si mise a guardare fuori dalla finestra.
Poi Goemon parlò.
“Lo farò. Mi sottoporrò all'ipnosi. Lo devo a te, a me, a Fujiko, a Miya e a tutti gli altri. Dovete cancellare quella setta dalla faccia della Terra!”
Juro sorrise.
“Grazie, davvero. Cercherò di organizzare il tutto il prima possibile, così sarai finalmente libero di andartene. Mi faccio vivo io.”
Si congedò.
Goemon si rese conto di non avere più tanta fretta di andarsene. Era mancato dal suo Paese per quasi 10 anni, ma, nel bene e nel male, le sue radici erano lì. Non le aveva messe da nessun'altra parte.
Fujiko lo abbracciò.
“Sei sicuro di volerlo fare? Io non mi sento del tutto tranquilla.”
“Sì. E' molto più utile fare questo che non ammazzare Abe. Così per noi sarà finalmente finita. Se ne occuperanno Juro e i servizi segreti, molto meglio di quello che potremmo fare noi. Non ti preoccupare, hai sentito che cos'ha detto, non c'è nessun rischio. Ci possiamo fidare di lui.”
La ragazza non aggiunse altro. Lei, invece, non vedeva l'ora di buttarsi quella storia alle spalle e tornare alla loro solita vita. E poi, in fondo, che garanzie avevano che Juro agisse davvero per i servizi segreti? Aveva portato via Abe, ma questo non significava che non potesse essere suo complice, e in realtà volesse ipnotizzare Goemon per carpirgli delle informazioni... Ma, si disse, è anche vero che, se fosse stato in combutta con la setta, non avrebbe avuto bisogno di lui e di quello che aveva archiviato nella sua mente. Sarebbe bastato non rivelargli nulla, e lui non lo sarebbe mai venuto a sapere. Più ci pensava, più le sembrava che fosse tutto pazzesco! Decise che avrebbe preteso di assistere all'operazione, e si sarebbe portata dietro una pistola. Qualunque cosa fosse successa, avrebbero venduto cara la pelle.
Juro fu di parola e li chiamò due giorni dopo. L'appuntamento era in una zona periferica della città, in un anonimo palazzo. Probabilmente era una delle sedi operative della loro cellula.
Li accolsero Juro, un uomo con il camice bianco e una giovane donna. Juro li presentò come il medico che avrebbe eseguito l'ipnosi e una sua collega dei servizi segreti. Mostrò loro anche il curriculum del dottore. La seduta sarebbe stata registrata e filmata, senza però mai mostrare il volto di Goemon. Fujko lo abbracciò, prima che entrasse in un'altra stanza insieme al medico e alla donna.
“Vorrei assistere” disse a Juro.
“Non è possibile, mi dispiace. Dobbiamo limitare al massimo le interferenze. Goemon potrebbe non parlare in modo chiaro e dobbiamo essere sicuri di registrare tutto per bene. Ma puoi guardare da qui, attraverso il vetro. Andrà tutto bene, se siamo fortunati sarà anche una cosa breve.”
La ragazza lo fissò negli occhi. Erano limpidi e sereni. Quasi si pentì di avere dubitato di lui. Ma anni trascorsi a guardarsi sempre le spalle l'avevano resa istintivamente diffidente.
“D'accordo” si rassegnò, accomodandosi su una sedia che il giovane le porgeva.
Dall'altra parte del vetro, Goemon fu fatto sdraiare su una specie di divano imbottito. Di fronte a lui si sedette il dottore, mentre la ragazza sistemava una serie di apparecchiature, una telecamera e un registratore. Juro si mise a una scrivania, con un pc portatile davanti. Fujiko non poteva sentire le loro voci. Vide però che dopo qualche minuto Goemon chiuse gli occhi e dopo una pausa cominciò a parlare, lentamente, muovendo ogni tanto le palpebre, come se stesse davvero “leggendo” qualcosa nella sua mente. Probabilmente Juro annotava le cose più importanti sul computer.
In realtà, l'operazione durò quasi due ore. Due ore durante le quali il samurai non smise mai di parlare, anche se con frequenti, ma brevi, intervalli. Ne doveva sapere di segreti, suo padre!
Finalmente il dottore disse qualcosa e Goemon aprì gli occhi. Lo lasciarono sdraiato ancora qualche minuto, gli diedero un bicchiere d'acqua. Doveva essere sfinito.
Juro fece cenno a Fujiko di entrare e la ragazza si precipitò dentro. Si chinò su Goemon e gli accarezzò il viso sudato.
“Come ti senti?”
“Bene - la rassicurò lui con un sorriso - Mi sento solo un po' stanco... come svuotato.”
“Non si preoccupi, è normale - intervenne il dottore - Stasera vada a dormire presto e vedrà che domattina sarà come nuovo.”
“Allora, vi sono stato utile?” chiese a Juro, mettendosi a sedere.
“Sì, non sai quanto. Hai parlato per quasi due ore. Nomi eccellenti, membri occulti, attività illecite, insospettabili società collegate... Una vera miniera d'oro! Sottoporremo tutta questa massa di informazioni ai nostri analisti e prevedo che verranno fuori delle belle sorprese! Grazie, Goemon. Farò presente il tuo contributo all'imperatore.”
Goemon scosse la testa, sorridendo.
“Meglio di no. Se poi viene a sapere che in realtà sono un malvivente, magari ci rimane male!”
La collega di Juro intanto verificava che la registrazione e il filmato fossero venuti bene: erano perfetti.
Non c'era più bisogno di lui. Era davvero arrivato il momento degli addii.
I due uomini si guardarono intensamente.
“Se un giorno vorrai tornare al villaggio, sarai sempre il benvenuto. Anche Fujiko, naturalmente.”
“E se tu vorrai farti un giro in Europa, fatti sentire...”
“Ma... - chiese la ragazza - Vuoi dire che anche se è tutto finito, tornerai a vivere lassù?”
“Non è affatto finita, Fujiko. Abbiamo appena cominciato. Temo ci vorrà parecchio tempo per smantellare la setta... e dopo mi aspetterebbe comunque una nuova missione. E' il mio lavoro, e il villaggio è un nascondiglio sicuro. E poi io sono cresciuto lì, ci sono affezionato.”
“Dimmi la verità - chiese Goemon - I tuoi genitori sono davvero morti per mano della setta? E anche quelli dei tuoi collaboratori? O era solo una copertura?”
“Sì, i miei sì, purtroppo. Degli altri, solo qualcuno. Ti potrei raccontare come sono stato reclutato dai servizi segreti, subito dopo la morte del maestro, ma sarebbe troppo lungo... magari la prossima volta che ci vediamo...”
Fujiko lo abbracciò di nuovo. Non le importava di metterlo in imbarazzo.
“Tienici informati sui progressi... quello che puoi rivelare, naturalmente.”
“Senz'altro!”
Salutarono gli altri due e tornarono al loro albergo.

Fujiko lo obbligò a farsi un bagno rilassante.
“Solo se mi fai compagnia...”
“Ma... il dottore ha detto che devi riposarti!”
“Niente affatto. Ha detto di andare a dormire presto stasera, e sono appena le cinque!”
La ragazza non obiettò più. E non si oppose nemmeno alle sue carezze insistenti, né respinse il corpo di lui che chiamava così prepotentemente il suo.
“Dillo, Fujiko” le sussurrò sulle labbra.
“Dire... cosa?”
“Di' che adesso lo sai, che cosa provi per me. Perché l'hai capito, vero?”
La ragazza annuì.
“Ti amo, Goemon.”
“Che cosa facciamo, ora? Vuoi rimanere ancora?”
Erano andati a letto presto, ma quanto a dormire subito...
“Credo sia ora di tornare. Io sono nato e cresciuto qui, ma ormai non è più casa mia da molto tempo. Ora il fatto di poterci tornare quando voglio senza pericoli mi conforta, e lo farò, ogni tanto.”
“Ma dove vuoi andare?”
Goemon sorrise malizioso.
“Secondo te, siamo ancora in tempo a raggiungere quei due disgraziati a Londra? Senza di noi si metteranno nei guai oppure si terranno gloria e bottino tutti per loro!”

Epilogo

Tornati da Londra, Fujiko volle andare a trovare Lebrun, il figlio del meccanico che aveva eseguito (o tentato di eseguire) la perizia sull'auto incidentata dei suoi genitori. Gli parlò della setta e gli rivelò che probabilmente anche suo padre era stato eliminato da loro, per sottrargli la prova che la macchina era stata manomessa e liberarsi di un testimone scomodo.
L'uomo rimase ovviamente sconvolto. Fujiko lo capiva: anche lei aveva fatto fatica ad accettare quella terribile verità. Gli accennò che le autorità giapponesi stavano arrestando i colpevoli e che tutto sarebbe presto finito.
Non aveva dimenticato il proposito suo e di Goemon di risarcire i figli delle vittime della setta, e Lebrun era alla fine l'unico che conoscevano. Tuttavia dovette faticare non poco a convincerlo ad accettare l'assegno che aveva preparato.
“Lo tenga, signor Lebrun. Lo sappiamo che qualunque cifra non varrà mai quanto un padre perduto, ma... è giusto così. E poi lei ci ha aiutato, le sue indicazioni ci hanno fornito dei tasselli che ci mancavano!”
A Julien aveva già pensato. E nonostante questo, erano rimasti ancora tanti di quei soldi da bastare una vita. E, nonostante questo, Fujiko e Goemon tornarono a fare esattamente quello che facevano prima. A volte da soli, a volte in combutta con Lupin e Jigen, gli amici di sempre.

Dopo alcuni mesi, Juro mandò loro un e-mail in cui raccontava dei progressi delle sue indagini, senza fare nomi e senza mai dire esplicitamente a chi si riferiva. Tanto non ce n'era bisogno.
Grazie anche alle informazioni fornite da Goemon sotto ipnosi, avevano potuto arrestare molti fiancheggiatori e alcuni dei capi attuali del “Sentiero del Dragone d'oro”. Avevano scoperto delle sedi segrete, in cui avevano trovato le prove degli omicidi commissionati, tra cui quelli che li riguardavano da vicino, e di svariati altri crimini. I vertici del “Sentiero del Dragone d'oro” avevano affidato l'esecuzione di quegli odiosi assassinii ai killer della setta, come il maestro Okada, con l'accusa di aver tradito gli ideali dell'associazione con i loro matrimoni misti. Era un pretesto come un altro. Avrebbero potuto inventarsi qualsiasi altra cosa. Non erano stati eliminati i figli semplicemente perché non era necessario: si trattava per lo più di bambini o ragazzini, che non avrebbero mai saputo come far valere i loro diritti sui patrimoni di famiglia affidati alla setta, che così, nella maggior parte dei casi, poté tenerseli indisturbata.
Juro confermò che i membri appartenenti ad antiche famiglie di samurai avevano fatto incidere sulle loro katane il simbolo della setta.
Nello stesso tempo, in tutto il Giappone era iniziata una campagna stampa che aveva informato l'opinione pubblica sulla reale natura dell'associazione. Che ormai aveva i giorni contati. Non sarebbe passato molto tempo, infatti - prevedeva Juro - e l'imperatore stesso l'avrebbe probabilmente dichiarata illegale.
Fujiko e Goemon si guardarono negli occhi.
L'incubo era finito davvero.
Erano liberi.

 

 

* L'idea mi è venuta da un episodio (il numero 20, per la precisione) di un altro amato anime, “Capitan Harlock SSX: rotta verso l'infinito”

 

THE END

 

 

… e siamo arrivati alla fine … sniff  : - (

Un affettuoso ringraziamento a chi ha letto e soprattutto a chi non ha fatto mancare i suoi generosi (e simpatici!) apprezzamenti: le fedelissime Fujikofran e Ninjaistinct, Triz (che mi ha anche regalato la sua “composizione”), ElyInTheCorner, e anche Harlocked e Mamie, che mi hanno seguita fin qui dal fandom dove ci siamo conosciute.

Sono stata davvero bene in vostra compagnia! Vi abbraccio tutte e alla prossima avventura!



 

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