Senza Memoria di AxXx (/viewuser.php?uid=218778)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rapita ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Nome ***
Capitolo 4: *** Conoscenze ***
Capitolo 5: *** Fine Primo Giorno ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***
Capitolo 7: *** Cena e Neve ***
Capitolo 8: *** Incubo ***
Capitolo 9: *** Allenamento Romantico ***
Capitolo 10: *** Mi Hai rubato il Cuore ***
Capitolo 11: *** Coppie ***
Capitolo 12: *** Sparita ***
Capitolo 13: *** Ricordi ***
Capitolo 14: *** L'Incubo Torna ***
Capitolo 15: *** Ferite ***
Capitolo 16: *** Finita ***
Capitolo 17: *** Epilogo: Lo Amerò per Sempre. ***
Capitolo 1 *** Rapita ***
RAPITA
La
vita può cambiare radicalmente, da un giorno ad un
altro. Spesso cambia lentamente, altre volte, invece, cambia
così velocemente
che quasi non te ne accorgi.
Io
ho avuto quest’ultima possibilità.
La
mia vita cambiò radicalmente da un momento ad un
altro. Non ci credete?
Allora ricominciamo dall’inizio vero e proprio.
Il
mio nome è Annabeth Chase ho 17 anni, figlia del
molto più famoso architetto Fredrick Chase e Atenia Chase,
titolare di una
grande industri per l’alimentazione energetica. Diciamo che
dire che sono ricca
è un eufemismo. Mio padre è uno dei
più famosi architetti del mondo. Conteso
tra decine di aziende e agenzie, ed è persino riuscito a
vincere un appalto per
ristrutturare un’ala della Casa Bianca. Mia madre, invece,
era una delle donne
in carriera più importanti della costa occidentale. La sua
azienda forniva
energia a quasi tutti gli stati della
California ed era diventata particolarmente nota perché era
stata una delle
prime a sfruttare energia rinnovabile in grande quantità.
Aveva contratti
milionari in molti stati.
Era
una bellissima mattina di fine inverno nella
bellissima New York ed io ero felicemente sveglia nella mia stanza. Ero
in un
ricco appartamento pagato da mio padre per farmi partecipare ad un
corso di
studio per architetti, dato che il mio sogno era succedere a mio padre
come
architetto di carriera. Casa mia era una villa sulla costa
californiana, ma non
mi era mai piaciuto ostentare troppo la ricchezza su cui potevo contare.
Non
mi piacevano i vestiti ricchi, nemmeno fare
shopping, se per quello. La mia passione più grande era
soddisfare la mia
curiosità visitando musei, monumenti e altre grandi opere
del presente e del
passato. Quando potevo mi infilavo in biblioteca o in una libreria,
infatti
camera mia a casa, era strapiena di libri, mentre il mio armadio
tendeva ad
essere sempre un po’ carente.
Quella mattina avrei dovuto prendere l’aereo
privato che mio padre aveva noleggiato a posta per farmi tornare a casa
in
tutta comodità. Il mio appartamento aveva solo una camera da
letto, una piccola
cucina e una toilette personale. Comodo, ma non particolarmente ricco.
Inoltre,
al contrario di altri, mi occupavo io di tutto, compresa la pulizia.
Non mi
dispiaceva la solitudine.
Quando
la sveglia suonò mi rigirai subito nel letto,
spegnendola: erano ancora le 8.30 e io avevo ancora mezz’ora
prima che
l’autista di mio padre venisse a prendermi. Non mi piaceva
molto, avere un
autista, ma ogni tanto i miei insistevano non mi opponevo,
d’altra parte non
era male.
Mi
alzai, indossai un paio di jeans e una camicetta e
feci una veloce colazione a base di caffelatte e dei biscotti, mentre
guardavo
le ultime notizie alla televisione.
Mentre aspettavo che arrivasse l’ora di partire mi misi a
leggere, spegnendo
l’apparecchio. Quasi non mi accorsi di quanto tempo fosse
passato, ma la mia
attenzione fu attirata dall’orologio verso le 8.50, facendomi
intuire che era
il momento di partire. Una fortuna che avessi preparato i miei bagagli
la sera
prima. In realtà avevo solo uno zaino in cui avevo messo un
paio di libri, il
mio cellulare e il mio portafoglio. In una valigia, invece, avevo messo
tutti i
miei ricambi. Indossai una giacca e uscii.
Scesi
con l’ascensore fino al parcheggio sotterraneo,
dove notai subito la limousine che mi attendeva. Mi avvicinai con
calma,
incurante di tutto, finché non mi avvicinai alla portiera
posteriore.
Qualcuno
mi afferrò alle spalle, bloccandomi un polso
dietro la schiena. Provai ad urlare, ma l’altra mano
soffocò le mie grida,
tappandomi la bocca. Altre due mani, mi afferrarono e i due uomini mi
gettarono
dentro la macchina con forza.
“Dai,
metti in moto!” Urlò uno dei due che si
posizionò
accanto a me.
Cercai
di guardare in faccia il mio aggressore, ma il
volto era coperto da un passamontagna e l’unica cosa che
riuscivo a distinguere
erano i suoi capelli neri, che un po’ uscivano dalla
copertura e gli occhi neri
ricolmi di rabbia.
“C-chi
siete? Cosa volete da me?”
Subito,
le mie domande furono interrotte da uno
schiaffo così forte che mi fece sbattere contro la portiera.
I capelli mi erano
finiti sugli occhi. Provai a toccarmi il viso. Faceva male e io avevo
iniziato
a tremare. La mia mente faticava ad elaborare la situazione, tanto ero
spaventata.
“Ora
dormirai un pochino, tesoro.” Sussurrò
l’uomo, avvicinandosi
di nuovo a me.
Aveva
in mano un panno che avvicinò alla mia faccia.
Intuendo quello che voleva fare, tentai di sottrarmi, ma lui era molto
più
forte di me e non potei impedirgli di premermi il panno sul naso e la
bocca.
Tentai di non respirare, ma lui premeva con forza, provocandomi un
terribile
fastidio, così dischiusi le labbra e una sensazione di
stanchezza e torpore mi
pervase.
Non
capii quanto tempo fosse passato da quando mi
avevano narcotizzata. Ero confusa e terrorizzata e avevo una sensazione
di
nausea che mi faceva venire il voltastomaco.
Le mie narici erano invase da un forte odore penetrante, probabilmente
benzina
e le tenebre che mi circondavano mi gettavano in una profonda
inquietudine.
Non
ero nemmeno certa di dove fossi e, quando tentai di
alzarmi, mi resi conto di non poter né camminare
né parlare.
Le
mani erano state legate dietro la schiena con delle
strette manette, mentre del nastro adesivo mi stringeva le caviglie.
Provai ad
urlare, ma dalla mia bocca bloccata uscì solo un mugolio
confuso. A giudicare
dal sapore di plastica che mi arrivava alla lingua, ero anche stata
imbavagliata con del nastro isolante.
Mi
colse la claustrofobica sensazione di essere in
trappola, come un topolino. Presto sarei stata sbranata, se non avessi
cercato
una via di fuga. Cercai di ignorare la paura che mi attanagliava il
cuore e mi
guardai intorno, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse aiutarmi a
fuggire.
Vidi
poco lontano, nell’oscurità, la sagoma di una
macchina, anche se non avevo idea di che marca fosse, accanto a lei
c’era un
tavolo da lavoro, con delle taniche e altri attrezzi, probabilmente
utili per
ripararla. L’unica via di fuga visibile era una pesante
serranda metallica.
Probabilmente, quindi, ero in un garage.
Cercai
in ogni modo di raggiungere il tavolo, ma era
impossibile, dato che le manette erano state fissate al muro, per
impedirmi la
fuga. Fui colta da un senso di impotenza e frustrazione,
così tentai di
liberarmi quasi alla cieca, contorcendomi inutilmente. Fu tutto
inutile: mi era
impossibile rompere le catene che mi ferivano i polsi.
Dopo
un tempo che mi parve infinito, la serranda si
alzò e fui colta dal panico. Mi rannicchiai come per
proteggermi. Intravidi
quello che doveva essere un ragazzo. Non aveva il volto coperto, ma
indossava
un cappuccio che mi impediva di coglierne i lineamenti. I suoi occhi
erano
azzurri e freddi come il metallo. Una cicatrice gli deturpava il volto
all’altezza
dello zigomo. Nella mano destra teneva il mio cellulare acceso,
nell’altra
aveva una pistola. Doveva avere sui ventun’anni, ma questo
non lo rendeva meno
minaccioso.
“Non
ti muovere, tesoro.” Mi intimò freddamente,
puntandomela contro.
Subito
sentii il sangue fluirmi al cervello impedendomi
di ragionare correttamente. Il petto mi si alzava e abbassava
frenetico. Lui si
avvicinò e mi strappò il nastro adesivo dalla
bocca e anche un gemito di
dolore. Dopodiché mi premette il cellulare contro
l’orecchio.
“Il
paparino è al telefono, parla.”
Per
un attimo la paura mi impedì di ragionare, ma
intuii ciò che volevano loro: soldi. Ovvio che li volessero,
mio padre era
ricco. Io ero solo uno strumento per raggiungere lo scopo di quei
criminali.
Non ero nient’altro che un oggetto, come un manichino: tutti
lo guardano perché
indossa un abito bellissimo, ma nessuno si accorge davvero della sua
presenza.
Il mio abito erano i soldi di mio padre.
“Qualsiasi
cosa ti chiedano non farla!” Urlai, cercando
di controllare il tremore nella mia voce.
Gli
occhi del ragazzo scintillarono di rabbia e
allontanò il cellulare, mettendoselo all’orecchio:
“Come ha potuto sentire, non
le stiamo mentendo, sua figlia è in mano nostra…
e se vuole rivederla viva
inizi a cercare i soldi. La richiameremo noi.”
Ecco,
avevo indovinato. Soldi, dannati pezzi di carta
senza valore. Mi imposi l’autocontrollo, mentre cercavo di
capire cosa stesse
dicendo mio padre, ma non sentii la sua risposta. Il mio rapitore
sembrò
soddisfatto e riattaccò la chiamata per, poi, voltarsi verso
di me. Il suo sguardo
glaciale mi puntava come un leone punta la gazzella, pronto a
sbranarlo.
Se
solo avessi potuto correre…
“Chi
sei tu!?” Urlai, sperando di ottenere qualche
informazione in più e, allo stesso tempo, cercare di non
farmi sopraffare dalla
paura.
Per
tutta risposta lui mi si avvicinò e mi sorrise:
“Sei
troppo curiosa, Annabeth Chase, il tuo solo compito, in questo momento
è stare
zitta e… forse… potrai tornare a casa.”
Quel
forse mi
fece sentire male, come se fossi sul punto di vomitare, ma mi imposi un
contegno.
“Siete
solo degli animali! Volete solo dei soldi!”
Urlai disperata. Non sopportavo di sentirmi in trappola.
“Oh…
allora è vero che sei intelligente.” Mi
schernì
lui senza nemmeno fingere di essere offeso. Dopodiché si
chinò e mi accarezzò
la guancia con la mano libera. “Lo sai che sei proprio
carina?”
“Non
mi toccare, animale!” Urlai, ritirandomi per
quello che le manette mi permettevano.
Iniziai
a dimenarmi come una puledra ribelle, cercando
in ogni modo di liberarmi, spinta solo dal desiderio di essere libera,
fuori da
quella gabbia di ghiaccio che l’inverno non avrebbe mai
sciolto. Ma la mano del
ragazzo si fece dura e uno schiaffo mi colpì di nuovo,
facendomi voltare di
lato, mentre la pelle offesa pungeva come il disinfettante su una
ferita.
I
miei capelli furono afferrati vicino alla radice,
costringendomi a guardarlo negli occhi. Era vicinissimo e io avevo
paura.
“Cerca
di fare la brava… non voglio rovinare il tuo bel
faccino.” Minacciò con un sorriso freddo, che mi
parve un ghigno.
“Luke!
Il capo vuole parlarti.”
A
parlare era stata una voce dall’altra parte della
serranda e il mio aguzzino mi lasciò andare, ma non prima di
avermi
imbavagliata di nuovo. Avrei dovuto immaginare che non fosse lui la
mente
dietro quel meschino rapimento: era troppo giovane. Però
potevo immaginare che
era comunque pericoloso. Sentivo che non aveva lanciato minacce a
vuoto, se
avessi tentato di scappare, lui me l’avrebbe fatta pagare, ma
io non potevo non
tentare. Non ero stupida: si erano nominati per nome più
volte e quel ragazzo,
Luke, si era fatto vedere il faccia. Questo significava una sola cosa:
appena
ottenuti i soldi che volevano, mi avrebbero uccisa.
La
notte arrivò prima di quanto pensassi.
L’oscurità si
fece ancora più opprimente e la poca luce naturale che
vedevo sparì del tutto.
Si accese una luce artificiale da una lampada posta sopra di me, il che
mi
accecò, dandomi l’impressione di avere un forno
sopra la testa.
Avevo
tentato ogni cosa per liberarmi, tutto si rivelò
inutile. Ero seduta per terra, sporca, prigioniera e stanca. I polsi mi
facevano male per le convulsioni che avevo tentato inutilmente. Dovevo
avere la
pelle arrossata e sanguinante e le escoriazioni bruciavano al minimo
movimento.
Faticavo a respirare a causa del nastro adesivo.
La
serranda si rialzò e quel tipo, Luke, si fece di
nuovo vedere.
“Passeremo
la notte insieme, dolcezza…”
Non
osai nemmeno guardarlo in faccia. Mi dava un forte
senso di nausea e disprezzo. Era come un serpente, un essere
strisciante e
disgustoso, pronto a colpire le prede a tradimento con il suo veleno,
ma pronto
a fare il lavoro sporco per altri. Solo vederlo mi faceva venire il
vomito.
“Pensa
a quanto sei fortunata, ti farò compagnia.”
Disse, sedendosi accanto a me.
Io
digrignai i denti per la rabbia e desiderai
ardentemente aggredirlo e cavargli gli occhi dalle orbite. Quei dannati
occhi
di ghiaccio che odiavo.
Mi
tolse il nastro adesivo dalla bocca e provò ad imboccarmi
per farmi mangiar un creker, ma la sua sola presenza mi aveva tolto
l’appetito.
Ero convinta che qualsiasi cosa stessi per mangiare sarebbe stata
espulsa
subito dopo. Ci riprovò un paio di volte, ma alla fine
sembrò arrendersi e mi
lasciò in pace.
“Presto
arriverà la polizia.” Ringhia, cercando di
darmi un po’ di contegno. “Vi arresteranno tutti e
voi passerete il resto della
vostra vita in galera.”
Lui
rise di gusto, accarezzandomi una guancia con la
sua viscida mano, provocandomi un brivido di disgusto.
“Dovresti
vederti… sembra quasi che tu ci creda.” Sentenziò
divertito.
“Stronzo!”
Gli sputai in faccia. Non ero mai stata particolarmente
scurrile, ma anche io avevo la mia buona scorta di insulti e parolacce
da
usare. Non ero una signorina come certe mie compagne che si
scandalizzavano
subito.
Me
ne pentii subito.
La
sua mano si strinse sulle mie guance in una morsa d’acciaio,
stringendo così forte che i miei denti mi provocarono delle
dolorose ferite all’interno
nella bocca. Il suo sguardo glaciale si posò su di me,
furioso e divertito al
tempo stesso.
Mi
fu addosso, bloccandoli con tutto il suo peso.
“Bene,
mocciosetta… dato che ti farò compagnia, per
sta’
notte, che ne dici di divertirci un po’?”
Io
mi sentii soffocare dal senso di impotenza e paura,
mentre iniziava a baciarmi avidamente il collo, infilando una mano
sotto la mia
camicetta. Provai a liberarmi e scappare in ogni modo possibile per
sottrarmi a
quella violenza. Provai ad urlare, ma le sue mani mi serravano la
mascella,
lasciando uscire solo qualche gorgoglio strozzato.
“Fa
silenzio… sono certo che ti piacerà.”
Lui
mi schiacciò con forza per terra, strappandomi
famelico, la camicetta lasciando scoperto il reggiseno nero. Lanciai un
grido
che lui non riuscì a fermare, ma era tutto inutile. Provai a
divincolarmi
ancora, ma lui continuava a tenermi a terra, baciando ogni lembo della
mia
pelle immacolata.
Desiderai
morire, mentre la sua saliva viscida mi
sporcava.
Scese
sulle mie caviglie in modo da potermi possedere
con facilità, ma appena potei muovere liberamente le gambe,
iniziai a
scalciare, cercando di allontanarlo da me. Schiacciata a terra,
però, potevo
fare poco o nulla per salvarmi. Lui continuava a toccarmi, provocandomi
un
forte dolore sia fisico che mentale.
Non
volevo che finisse così.
Mi
agitai sempre di più ignorando il dolore ai polsi
che sicuramente stavano sanguinando come se me li avessero tagliati.
Luke
iniziò a muovere le mani verso i miei pantaloni e io
sobbalzai, quando iniziò a
rimuovere i bottoni dall’asola, facendo scendere un
po’ l’indumento.
“Lasciami!!!”
Urlai con tutte le mie forze, colpendolo
al volto con una ginocchiata, anche se forse mi feci più
male io, data l’impossibile
posizione in cui mi trovavo.
“Mi
hai scocciato, sta zitta!” Sbottò lui,
afferrandomi
per i capelli e facendomi sbattere violentemente la testa sul duro
pavimento.
Tutto
iniziò a scivolare via, come se un fiume mi
stesse strappando i ricordi. Le palpebre si fecero pesanti e il dolore
sparì,
come la pressione del corpo di Luke sul mio. Adesso sembrava
terrorizzato,
mentre la serranda si riapriva. Luke mi stava scuotendo cercando di
farmi
rinvenire, ma io mi sentii scivolare via, mentre percepivo nitidamente
il mio
sangue scorrere fuori dalla ferita, come la mia anima dal corpo.
Le
voci, i suoni e i colori si fecero confusi. Riuscii
solo a sentire delle proteste: i compagni di Luke lo stavano accusando
di
qualcosa, ma io non lo vidi, mentre l’oscurità
più totale mi avvolgeva.
Freddo…
buio… vuoto…
Non
sentivo altro, non ricordavo nemmeno più chi ero.
Avevo freddo.
Sentii dei passi.
Provai a parlare per attirare l’attenzione, ma mi
uscì solo un gemito.
Eppure
qualcuno avevo attirato, perché dai miei occhi
socchiusi vidi due sagome indistinte avvicinarsi.
“…Non
puoi… chiama il 911 e lasciala qui.. oppure
portala in ospedale tu stesso.”
“Sei
matto!? Quell’idiota del commissario Grace non
vede l’ora di sbattermi dentro. Mi accuserà di
averle messo le mani addosso!”
“Ma
non possiamo nemmeno lasciarla qui!”
“Chiama
Rachel, se non sbaglio lei sta per prendere una
laurea in medicina, anche se sembra grave è alla sua
portata.”
“Ti
caccerai nei guai, lo sai anche tu!”
“Finiscila
e chiamala!”
Le
voci dei due ragazzi mi rimbombavano in testa come
un fastidioso martellare, ma poi sentii una piacevole sensazione di
protezione,
mentre due braccia forti mi sollevavano delicatamente, cercando di non
farmi
male.
“Mi
senti?” Provò il ragazzo, mentre lo sentivo
camminare, portandosi dietro il mio peso. Avrei voluto rispondere di
sì, ma ero
a malapena cosciente. Riuscivo solo a vedere pochi tratti del viso, ma
prima di
sprofondare nuovamente nell’oblio riuscii ad intravedere due
bellissimi occhi
verdi come il mare che mi osservavano preoccupati.
Erano
belli, luminosi e tristi, tanto che pensai che,
forse, non sarebbe stato male, affogarvi dentro.
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Hola,
popolo di EFP e amanti di Percy Jackson, sono di nuovo io, AxXx con una
storia
diversa che si slega completamente da quella principale a cui sto
lavorando con
la mia collega/amica/ compagna/sorella di scleri Water_Wolf.
Sì, questa è una
storia diversa che, probabilmente, andrà a rilento, visto
che dobbiamo continuare
la serie originaria. Tuttavia mi sono voluto imbarcare nella mia
mini-long (una
decina di capitoli, credo) Percabeth, personale.
Spero di
non aver esagerato con questo primo capitolo, perché non ero
per nulla sicuro
di come iniziare. Teoricamente questo capitolo, non doveva nemmeno
esserci,
poi, però, ho pensato che un minimo di spiegazione ci doveva
essere.
Così
ho
deciso di iniziare da qui, spero di non aver esagerato e di essere
rimasto
fedele al rating.
AxXx
PS: Se
volete avere un assaggio di mio, in un'altra storia di Percy Jackson,
ecco a
voi la storia che sto scrivendo con quella pazza (Scherzo :P ) di
Water_Wolf: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2290649&i=1
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Capitolo 2 *** Risveglio ***
RISVEGLIO
Avete
presente il buio? Quello delle notti più scure,
quando nemmeno la luna rischiara il sentiero. Ecco quello che avevo
davanti e
dietro di me.
L’uomo ha sempre avuto paura del buio, dell’ignoto
e di ciò che era
sconosciuto, così come io avevo paura di me stessa.
Chi ero?
Nulla,
vuoto assoluto. Nessun nome da associare al
corpo che la mia volontà muoveva appena.
Davanti
ai miei occhi socchiusi c’erano una miriade di
colori e ombre minacciose e senza senso, come se il mondo fosse stato
messo in
una lavatrice e tutti i suoi colori si fossero fusi insieme. Sentivo un
dolore
sordo in tutto il corpo, che partiva dalla testa fino a raggiungere la
punta
dei miei piedi.
E
avevo freddo.
Indossavo
solo la biancheria intima, tutti gli altri
vestiti erano spariti e a coprirmi c’era solo una coperta
rossa nemmeno troppo
pesante. Mi sentivo la pelle sporca, e intirizzita, macchiata qua e la
da
coaguli di fango.
Emisi
un gemito, mentre, a fatica, alzavo un braccio
per potermi tastare la testa, nel punto da cui partiva tutto il mio
dolore. Percepii
una stoffa pesante tra i capelli, probabilmente che mi copriva una
ferita, ma
per quanto bene mi avessero fasciato la ferita, le mie dita toccarono
qualcosa
di umidiccio e appiccicoso.
Era
rosso.
Era
sangue…
Il
mio sangue.
Non
riuscivo nemmeno a ricordare come me la fossi
procurata. Il mio passato era vuoto, spento. Una coltre di nebbia
pesante e
impenetrabile che lasciava trasparire solo le basi di una vita. Nozioni
basilari che ogni persona conosce.
Dove
mi trovavo?
Casa
mia?
Dopo
alcuni minuti riuscii ad alzare la testa gemendo
per il dolore. Ne avevo abbastanza di rimanere seduta, dovevo fare
qualcosa per
stare meglio. Mi trovavo su un divano marrone piccolo, tanto che a mala
pena ci
stavo io sdraiata.
Fui
colta da una specie di sensazione di estraneità:
come un sesto senso che mi permetteva di capire
le cose solo guardandole.
Ad
esempio capii subito che quella non era casa mia.
Provavo un senso di estraneità e nulla di quel posto mi
sembrava familiare,
anzi, ebbi il presentimento di non averci mai messo piede (Ma non
chiedetemi
come facessi a saperlo: non ne avevo idea).
Ad
una prima occhiata regnava il caos più totale.
Sembrava che poche cose fossero state messe da parte in fretta e furia.
Mi
trovavo in uno spazio non molto grande, con tre porte e una grande
finestra che
dava sull’esterno. Alle mie spalle c’era una
libreria impolverata da cui
pendevano pagine di libri ch nessuno leggeva da chissà
quanto. Davanti a
me c’era un basso tavolino e oltre
un televisore vecchio stampo. Una porta finestra illuminava
l’ambiente della
fioca luce del sole invernale. Sentivo i rumori di clacson e il vociare
delle
persone, quindi ero in una città, anche bella grande
considerata la quantità di
rumore. Non c’erano foto ad una prima occhiata, poi il mio
sguardo fu attirato
da un comodino, posto a fianco del divano su cui riposavo.
C’era
la foto di una donna molto bella, dai capelli
mossi castani lunghi. Era magra, dagli occhi scuri. La foto la mostrava
in riva
al mare a fianco di una casa al mare, simile ad una specie di baita.
Sorrideva
smagliante.
Il
pavimento e gli altri arredi erano abbastanza
puliti, ma qua e la pendevano calzini e altri indumenti che nessuno si
era
preso il disturbo di piegare.
Capii
anche da quello che non ero a casa mia (Dubito
fortemente che indosserei dei boxer) ed era ovvio che fosse la casa di
un
ragazzo. Era incredibile come si potesse intuire molto di una persona
vedendo
il posto dove abitava.
Come
il ragazzo che abitava quel posto: era triste,
vuoto, grigio come quel posto.
“Finalmente
ti sei svegliata.”
Una
voce intensa, ma tranquilla mi fece sobbalzare per
lo spavento. Sulla porta che supposi dava sull’ingresso,
c’era un ragazzo sui
diciotto anni dai meravigliosi occhi verde, come l’acqua di
un oceano
tranquillo. Indossava un paio di pantaloni neri che gli fasciavano le
gambe
longilinee, una maglietta nera gli copriva il torace muscoloso e sulle
spalle
portava una borsa. Aveva evidentemente sudato, ma i capelli mossi erano
comunque ancora ritti in testa, dandogli un aria disordinata.
Mi
sforzai di imprimere nella mente ogni particolare di
quell’immagine che avevo di lui, soprattutto quegli occhi
verdi, bellissimi.
Per quanto cercassi di inquadrarlo, ero certa di non averlo mai visto
prima.
Ero
ancora nell’ignoto.
“Dove
sono?”
“A
casa mia.”
Logico
e dannatamente inutile. Nulla, di quel posto, mi
era familiare e quel ragazzo non mi stava certo aiutando.
“Tu…
tu chi sei?” Chiesi, cercando di strappargli
qualche informazione in più. Avevo assolutamente bisogno di
sapere qualcosa. Non
sapevo perché, ma odiavo rimanere all’oscuro.
“Percy.”
Rispose annoiato il ragazzo, aprendo il frigo,
posto in un angolo, dietro il televisore. Prese una bibita, credo una
pepsi, ma
non sembrava molto felice di rispondere alle domande, quasi fossi un
fastidio.
Al
mio sguardo implorante, però, sembrò quasi
addolcirsi, si sedette su un futon che non avevo notato,
poggiò la bibita sul
tavolino e aggiunse: “Il mio nome completo è
Perseus Jackson, ma preferisco
essere chiamato Percy.”
“E…
chi sono io?” Chiesi, di nuovo, cercando di
riportare alla mente un qualsiasi dannato particolare che mi spiegasse
cosa
fosse successo. Non avevo nemmeno un nome, non sapevo chi fossi,
nemmeno se
avessi una famiglia.
Erano
vivi? O ero orfana? Mi stavano cercando? Mi
avevano buttato fuori di casa? Avevo dei fratelli? Degli amici?
Nessuna di queste domande aveva risposta: ero sola.
“Speravo
me lo dicessi tu.” Fu la sua secca risposta:
“Magari
mi potresti spiegare cosa ci facevi mezza nuda e moribonda tra i
cassonetti di
un quartiere malfamato di New York.”
“Che
cosa!?”
“Ti
sto dicendo la verità, avevi bisogno di aiuto e,
siccome io ho dei… problemi, non ho potuto chiamare la
polizia. Ma non potevo
nemmeno lasciare che tu morissi in mezzo alla strada!”
Sbottò esasperato. A
quanto pare era un tipo a cui non piaceva parlare, se non fosse stato
necessario.
“Quindi
non mi conosci?”
“No…
non ti conosco." Fu la risposta che confermò la mia
sola certezza: non sapevo nulla, ero sprofondata nell’ignoto
totale, ed io
odiavo l’ignoto.
Odiavo
non avere punti di riferimento a cui
aggrapparmi, persone familiari con cui confidarmi. Persino la mia ombra
mi
appariva estranea perché non potevo associare un nome a
quell’immagine scura
sul pavimento.
Cercai
di controllare il respiro e le emozioni che mi
pervadevano. Avevo paura, lo ammetto, ne avevo molta.
“Io…
io non lo so.” Ammisi infine, lasciandomi ricadere
triste. Sentivo le lacrime pungere gli occhi, ma mi affrettai a
ricacciarle.
Non volevo apparire più debole di quanto già
sembravo.
Fu
con mia enorme sorpresa che lo sentii avvicinarsi a
me, sedendosi sul bordo del divano per poi guardarmi in faccia, anche
se non
negli occhi, quelli lui li evitava, quasi volesse nascondere un segreto.
“Non
sai cosa? Nel senso… non ricordi nulla?”
Scossi
la testa e mi coprii di più, stranamente
imbarazzata: “No… Non ricordo nulla. Non so se ho
una famiglia, una casa… non
ho nemmeno idea del perché fossi nuda in mezzo alla
strada.”
“Non
proprio nuda…” Mi corresse lui con uno strano
sorrisetto.
Improvvisamente
mi sentii arrossire violentemente. Il
fatto che qualcuno mi avesse vista senza vestiti mi dava un senso di
nausea e
di paura.
“i
tuoi vestiti erano messi malissimo, te li ho tolti e
te li ho messi ad asciugare. Sono lì.” Aggiunse,
divertito, indicando fuori
dalla finestra. Parlava come se tutto, intorno a lui fosse semplice. Ma
non lo
era per niente e il suo tono stava iniziando ad irritarmi.
“Mi
hai… tolto i vestiti!?” Sbottai, imbarazzatissima.
“Ehi!
Ti sarebbe venuta una polmonite!” Si giustificò
lui, facendo sparire il sorriso, dietro una maschera di
incredulità per, poi,
riprendere il controllo. “E se lo vuoi sapere, non mi sono
divertito a farti da
infermiera! Per fortuna non ero solo!”
Ah,
voleva pure dei ringraziamenti, quel cafone
pervertito. No, grazie, non gli avrei dato quella soddisfazione.
Piuttosto
svenivo di nuovo.
Entrambi
incrociammo le braccia, quasi in attesa che
dicessimo qualcosa. Lui si aspettava dei ringraziamenti ed io delle
scuse. Ci
volle un bel po’, ma, alla fine, fu lui il primo a cedere.
“D’accordo…
visto che sei viva, vedi di recuperare la
memoria! Non voglio tenerti qui per sempre!”
Sbottò, esasperato.
“Lo
cosa è reciproca.” Ringhiai di rimando, cercando
di
trattenermi dall’usare parole quali ‘pervertito’
e ‘maniaco’
Percy
sbuffò, quasi si fosse tolto un impiccio e si
avvio verso la sua stanza: “Ottimo!”
“Perfetto!”
Nonostante
la sfuriata, non potei non mordermi la
lingua. Mi aveva salvato la vita, meritava un minimo di gratitudine.
Forse non
avrei dovuto, ma il fatto era che io non ce la facevo.
Ero
sull’orlo di un crollo emotivo e avevo bisogno di
qualcosa o qualcuno a cui aggrapparmi.
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
Ciao,
popolo di EFP, in barba al fatto che dovrei lavorare alla mia fan
fiction principale con Water_Wolf, ho deciso che, in attesa del
seguito,
metterò altri capitoli di questa, nella speranza che altri
si facciano avanti,
perché vorrei proprio sapere che ne pensate.
Ringrazio
Ramosa12 che mi ha lasciato quella che spero sia la
prima di tante recensioni.
Un
bacio, Ramosa, e continua la tua storia ;)
AxXx
|
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Capitolo 3 *** Nome ***
Nome
Le
ore seguenti furono un inferno, per me. Ero sempre
più spaesata e l’istinto mi diceva di chiedere,
domandare e sapere. Il problema
era che Percy, nonostante la sua volontà di aiutarmi,
iniziava a scocciarsi.
Avevo un’irrazionale paura di tutto ciò che mi
circondava, come se potesse
accadermi qualcosa.
Cercai di allontanare la sensazione di fragilità che mi
pervadeva. Dopotutto
Percy mi aveva assicurato che non mi avrebbe lasciata in mezzo alla
strada, ma
non ero per nulla sicura. Non ricordavo assolutamente nulla e ogni cosa
che
vedevo si ergeva ignota contro di me.
Non
conoscevo nessuno, nemmeno me stessa. Avevo paura
di quell’oscurità ignota che era il mio passato.
Temevo che mi avrebbe ingoiato
in un buco nero senza luce.
E io adoravo la luce, almeno credevo.
L’unica
cosa certa era il ragazzo dagli occhi verdi che
mi aveva salvata. Era per quella ragione che avevo assolutamente
bisogno di
sentire la sua voce, mentre si cambiava in bagno per uscire.
“Che
lavoro fai?” Chiesi, mentre cercavo di rivestirmi
con i miei abiti finalmente asciutti.
“insegno arti
marziali ai ragazzi in una palestra.”
Sempre
spiccio e questo non faceva che aumentare il mio
imbarazzo.
“Quanti
anni hai?”
A
quell’ennesima domanda, la porta del bagno si
spalancò rivelando Percy, ancora a torso nudo, con uno
strano scintillio negli
occhi. Sembrava scocciato e infatti disse: “Dimmi, ma hai
finito con le
domande!?”
“Scusa,
stavo cercando di fare un po’ di
conversazione.” Quella vista mi fece arrossire tantissimo.
Provai, per
l’ennesima volta, a coprirmi, ma i bottoni della camicetta
erano stati tutti
strappati e non c’era molta differenza.
Mi
resi conto che lui mi stava squadrando da capo a
piedi, approfittando del silenzio. Non sembrava così
minaccioso, come mi era
apparso un attimo prima. Eppure il suo sguardo su di me mi metteva a
disagio.
“C-che
hai da guardare!?” Chiesi, ritirandomi un po’,
in modo da coprire la mia pelle scoperta. Giurai di aver visto le sue
guance
arrossarsi, poco prima che lui si voltasse, coprendo il suo volto con i
capelli
ricci.
“N-nulla…
piuttosto, tu che hai da fissarmi?”
Contrattaccò, controllando la voce.
Questa
volta fu il mio turno di arrossire. I miei occhi
avevano indugiato sul suo torace. Aveva degli
addominali scolpiti di chi si allenava costantemente e le braccia erano
toniche
e muscolose. Non mi sorprendeva che, nonostante la giovane
età, fosse un
maestro di arti marziali.
Mi
voltai, sentendo il mio viso imporporarsi.
“Diciotto.”
“Cosa?”
“Mi
hai chiesto quanti anni ho, no? Te l’ho detto: ho
diciotto anni.”
Esasperata,
radunai tutta la pazienza di cui ero capace
e mi sedetti, sperando con tutta me stessa che quell’incubo
finisse presto.
Nonostante tutto, però, non potei fare a meno di guardarlo,
mentre finiva di
vestirsi. Era stranamente rassicurante, nonostante fosse un odioso
cafone.
Si
sedette accanto a me e notai che si era calmato.
“Ascolta,
ragazzina… io non o chi sei, appena te la
senti, andremo alla polizia e chiederemo a loro, ma non mi aspetto molto.”
Sussurrò, tamburellando il
pugno contro il tavolo, come se cercasse di non dare a vedere qualcosa
di
importante.
“D’accordo…
solo che potresti evitare di chiamarmi
ragazzina?” Chiesi, infastidita da quel nomignolo. Mi
sembrava che lui stesse
cercando di erigere una barriera tra noi.
“E
come dovrei chiamarti?”
Bella
domanda. Non aveva tutti i torti, dopotutto non
avevo nemmeno un nome. Solo che quel dannato vezzeggiativo mi dava
fastidio,
come se mi identificasse come la ragazzina svampita che aveva soccorso
in
strada. E sinceramente non volevo proprio che mi considerasse
così.
“Proviamo
a trovarlo!” Proposi, cercando di essere
ottimista. Magari se lo avessi coinvolto un po’ si sarebbe
abituato.
Avevo
un po’ torto.
“Trovatelo
da sola, un nome. Io devo andare agli
allenamenti.” Sbuffò, avviandosi verso la sua
camera.
Inutilmente,
cercai di trovare qualcosa che mi
ispirasse un nome, ma nulla mi faceva venire un idea. Provai a
sfogliare le
riviste che vidi nella libreria, ma non trovai nessun particolare nome.
Tutti
nomi di moto o macchine. Qualche volta appariva, tra le pagine, una
pubblicità
che mostrava una donna in pose accattivanti, ma nulla che mi facesse
venire un
idea. Le riviste di moto non erano state, poi, una grande idea, ma il
tentativo
poteva valere.
Iniziai
a scorrere i libri impolverati, ma nessuno dei
titoli mi attirava, tranne uno che mi suonava familiare:
“Hunger Games.” Ebbi
la sensazione di averlo letto anche io, ma non ricordavo assolutamente
nulla,
nemmeno della trama. Stavo per afferrarlo, quando un campanello
suonò ripetutamente,
facendomi sobbalzare.
“Perseus
Jackson! Ti ordino di aprire immediatamente
questa porta!” urlò una voce femminile proveniente
dall’esterno.
Chi
era? La sua ragazza? L’idea mi fece venire uno
strano moto di gelosia, ma subito lo scacciai. Percy aveva il diritto
di stare
con chi vuole e di certo c’erano persone migliori di quel
cafone.
Il
diretto interessato, però, uscì di corsa dalla
sua
stanza e aprì la porta, facendo entrare una ragazza forse
più grande di lui.
Aveva il volto duro pallido ricoperto di lentiggini che le davano un
aria da
ragazzina era incorniciato da una cascata di bei capelli neri. I suoi
occhi
erano azzurro elettrico e aveva l’aria vivace.
Entrò senza nemmeno chiedere il
permesso. Percy provò a fermarla, ma lei non lo
calcolò nemmeno e si piantò
davanti a me.
Il
suo sguardo mi mise in soggezione.
“Allora
è vera la storia della ragazza trovata per
strada… cos’è successo, Percy? Sei
diventato un supereroe?” Chiese,
rivolgendosi a lui.
“Talia!
Ti prego!” Provò ad interromperla lui, ma
quella era una macchina da guerra e lo ignorò, sedendosi
accanto a me.
“Ciao.
Io sono Talia Grace, amica di quell’orso
solitario di Jackson. Come ti chiami?”
Io
arrossii fino alla punta delle orecchie, sentendomi
una stupida totale. Avrei voluto poter raccontare qualcosa, ma non
sapevo cosa
dire.
“Io…
non lo so.” Ammisi, in imbarazzo, continuando ad
armeggiare con la camicetta, più per non imbarazzarmi che
per sistemarla.
“Oh…
capisco.” Detto questo si rivolse all’amico.
“Hai
ripescato una smemorata, eh?”
Il
sorrisetto malizioso di Talia sembrò esasperarlo.
Alzò gli occhi al cielo. Lo immaginai alla ricerca di ogni
briciolo di
autocontrollo di cui disponeva.
“Mmmh…
non hai un nome, ma… a giudicare dai lineamenti
e dal colorito non sei di queste parti.” Aggiunse la mora,
tornando a
concentrarsi su di me.
Scrollai
le spalle, sentendomi la lingua bloccata nel
palato. Mi sentivo inutile senza passato. Ero certa che quella ragazza
avrebbe
potuto dirmi diecimila cose interessanti e io nessuna su di me. Odiavo
non
sapere di cosa parlare, anche perché parlare mi piaceva.
"Cos’hai
in tasca?”
La
sua domanda mi lasciò interdetta: in effetti la
tasca sinistra dei miei jeans aveva un rigonfiamento che prima non
avevo
notato. Con tutte quelle preoccupazioni non mi ero nemmeno accorta di
quel
particolare, o della leggera pressione che l’oggetto
esercitava sulla mia
coscia.
Appena
misi mano nella tasca percepii un freddo blocco
di metallo scolpito attaccato ad una catenina. Lo afferrai con
eccessiva
trepidazione e lo osservai: era un pendente scolpito per formare una
parola che
poi una catenina permetteva di legare al collo.
“Sembra
un pendente… è un nome…
Annabeth…” Notò Talia,
sporgendosi verso di me.
Appena
lo disse, ebbi la certezza che quello era il mio
nome. Non sapevo chi mi avesse regalato quel monile, ma fui felice di
averlo:
finalmente un nome. Qualcosa a cui aggrapparmi, una piccola luce
nell’oscurità
da cui potevo ripartire per ricostruirmi.
Mentre
riflettevo su quel nome, Percy prese da parte la
sua amica, cercando di non farsi sentire. Peccarto che, invece, la sua
voce mi
raggiunse.
“Senti,
io devo andare in palestra… puoi rimanere qui
ad occuparti di lei. “ Esitò.
“è un po’…
svampita.”
Ma
che cafone! Come si permetteva di darmi della
svampita!? Io non ero una svampita, ero senza memoria, ma non mi
sembrava una
buona scusa per definirmi tale. Una fortuna che la ragazza corse in mio
aiuto.
“Non
credo che abbia bisogno di una bebysitter, ma se
proprio vuoi, rimango.”
“Ottimo…
io vado!” Aggiunse, alzando la voce, per poi
uscire e andarsene, cosa che, stranamente, mi lasciò un
po’ triste.
“Allora…
che ne dici di mangiare qualcosa? Hai l’aria
di una che non mangia da secoli.”
Non
avendo vestiti, Talia uscì, per poi tornare,
mezz’ora dopo con una pizza fumante dentro un contenitori di
cartone. L’odore
di mozzarella, pasta e salsa di pomodoro cotta invase l’aria
e, per la prima
volta, sentii veramente la fame. Il mio stomaco brontolava, reclamando
cibo e
acqua.
Addentai
famelica la pizza, cercando di darmi un
contegno, ma a Talia non sembrava importare. Mi piaceva: era una
ragazza
decisa, forte e allegra. Aveva un’energia quasi illimitata e
riuscì, persino a
strapparmi un sorriso, mentre parlava di un sacco di stupidaggini che
riguardavano lei e Percy. Notai che non aveva parlato della sua
famiglia, ma
non indagai. Nello stesso tempo, rinfrancata dal cibo, provai a
raccontare quel
poco di storia che avevo.
Lei
ascoltò paziente fino alla fine. I suoi occhi blu
elettrico sembravano mandare scintille.
“Così…
non ricordi proprio nulla.” Commentò alla fine.
Annuii,
ma stranamente, sapere il mio nome, avere la
pancia piena e aver avuto la possibilità di raccontare
tutto, mi fece sentire
molto meglio. Non avevo recuperato la memoria, ma almeno mi ero
confidata.
“So
solo che il mio nome è veramente Annabeth… ma non
ricordo nient’altro che un paio di occhi azzurri come il
ghiaccio.”
Talia
si accigliò, assumendo un cipiglio interrogativo
e riuscii a leggere la sua perplessità. Stava cercando di
risolvere il mistero
che si celava dentro di me, ma non aveva nulla su cui basarsi. Si
avvicinò
ancora di più, pulendosi la bocca e le mani, con un
tovagliolo ed esaminò ogni
parte di me.
I suoi occhi si spostavano dal mio volto, fino ai miei vestiti. Ebbi
una strana
paura: paura che lei mi allontanasse, che mi considerasse un appestata,
ma
invece, non fece nulla di ciò. Sorrise e mi dette una pacca
sulla spalla.
“Tranquilla…
non sei sola, ora vediamo di scoprire
qualcosa.”
Mi
sentii sollevata dal fatto che le mie paure non fossero
fondate. Era molto pratica, ma non aveva paura dell’ignoto.
La ammirai per il
suo ottimismo. Avrei voluto davvero poterlo condividere.
“I
tuoi vestiti sono messi male… ma sono costosi, ne
sono certa. Devi essere di buona famiglia.”
Osservò, rabbuiandosi un po’, come
se quello le avesse fatto venire in mente qualcosa di spiacevole.
“E…
se non avessi una famiglia?”Non seppi dire se lo
sperassi fosse vero o temessi quella possibilità.
“Non
dire sciocchezze!” Esclamò Talia, tornando allegra
ed energica alla velocità della luce. “Sono certa
che, in questo momento, sono
preoccupatissimi. Quando li avrai ritrovati, potrai ricordare tutta la
tua
vita. Anzi ho un idea!”
La
mia stima nei suoi confronti aumentò a dismisura,
quando mi espose la sua idea: estrasse un piccolo I-phone, dicendo che
avrebbe
cercato sul sito di persone scomparse una fotografia corrispondente
alla mia
faccia.
Fui
felice di avere quella piccola speranza di tornare
a casa.
“Che
mi sai dire di Percy?” Chiesi, mentre continuava a
scorrere foto e descrizioni di ragazze scomparse. Io mi ero messa a
lavoro,
mettendo via il cartone unto che conservava la pizza che avevamo
mangiato.
“Oh…
Ehm… non c’è molto da dire, su di
lui.” Disse,
senza perdere il contatto visivo con lo schermo.
“Lui… non è molto felice di se
stesso. Ha praticato arti marziali fin da quando era bambino ed
è anche un
nuotatore fantastico. Sono le due cose che sa fare meglio. Da quando
aveva
quindici anni ha usato questo suo talento per guadagnarsi da vivere,
dato che
la madre… diciamo non poteva.”
Detto
questo indicò la foto che avevo notato prima sul
comodino. Mi avvicinai, osservandola curiosa. Potevo notare quasi ogni
singola
somiglianza con il figlio: i capelli, così simili, i
lineamenti. Solo gli occhi
erano diversi. Il figlio aveva degli occhi verde acqua, mentre la madre
li
aveva castani chiari.
“È…
morta?” Chiesi con un filo di voce, pregando di
avere torto.
“No…
ma è in coma. È rimasta coinvolta in un grave
incidente, quando Percy era ancora giovane. Lui… era molto
legato a lei. Quasi
tutto quello che guadagna lo manda all’ospedale per pagare le
cure necessarie a
tenerla in vita, anche se i medici dicono che non si
sveglierà più. Lui, però,
si rifiuta di accettarlo e dice sempre che troveranno una cura e che
deve solo
avere pazienza. Quando, poi, gli hanno dato un lavoro come maestro in
una
palestra, un anno fa, ed ebbe qualche soldo in più,
riuscì a permettersi
l’affitto di questo appartamento. Per il resto…
è abbastanza normale.”
La
spiegazione di Talia mi lasciò l’amaro in bocca,
ed
ebbi l’orribile sensazione di essere diventata un peso. Percy
faticava ogni
giorno per tenere in vita la madre eppure aveva trovato il tempo di
salvarmi la
vita ed ospitarmi in casa sua. La sua storia era terribilmente triste e
mi sentii
un’intrusa. Se solo avessi potuto fare qualcosa per dare una
mano.
Capii
che anche Talia provava dolore, condividendolo
con Percy ed iniziai a vederlo sotto una nuova luce. Non lo consideravo
più un
cafone, ma una persona che aveva avuto un passato sconcertante e che
faticava a
staccarsi da esso.
“Mi
dispiace.” Disse, all’improvviso, la mora, tornata
di nuovo quella di prima, solo che era molto accigliata e aveva rimesso
in
tasca il cellulare. “Non ho trovato nessuno che ti
corrisponda… il che siginfica…”
“Che
nessuno mi sta cercando.” Conclusi sconsolata,
lasciando ricadere la testa sul tavolino di legno, cercando di
trattenere la
lacrime.
Anche
quella speranza era svanita, come il mio passato.
Ero tristissima, sia per la storia di Percy che per la mia amnesia.
Avrei
voluto poter risolvere tutti i problemi, ma non avevo nulla su cui
basarmi.
“Ehi!
Non è vero! Dai… non ti abbattere. Troveremo una
soluzione.” Mi consolò la mora, sedendo accanto a
me, accarezzandomi la schiena
comprensiva.
Annuii,
un po’ sollevata. Era bello poter contare su
qualcuno. Talia era una vera amica e seppi di poter contare su di lei.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
Ancora
non riesco a staccarmi, ma solo perché non
abbiamo ancora iniziato. Appena inizierà la storia
principale di Venti del
Nord, questa ff andrà in secondo piano. Il lato positivo,
però, è che, fino a
quel momento, continuerò a scrivere questa storia.
Spero
che altri recensiscano, ma fino ad allora, un
ringraziamento particolare a Ramosa12.
AxXx
|
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Capitolo 4 *** Conoscenze ***
CONOSCENZE
Il
ritorno di Percy fu tanto veloce, quanto
inaspettato: erano circa, le due del pomeriggio, quando la porta si
aprì,
facendolo entrare in casa, ancora sudato per gli allenamenti.
Probabilmente
aveva mangiato fuori, ma non mi spiegai quel ritardo così
assurdo, finché non
tirò fuori dal borsone una busta che mi porse.
“Ho
visto che i tuoi… vestiti non sono messi benissimo.
Ti ho comprato un cambio, così, almeno, potrai coprirti come
si deve.” Spiegò
guardando fuori dalla finestra, quasi volesse nascondere il fatto che
voleva
aiutarmi.
A
me, però, non interessava. Finalmente la giornata
stava prendendo una buona piega: Non avevo la memoria, ma avevo avuto
la
fortuna a capitare in un posto amichevole, con un ragazzo gentile e che
un po’
ci pensava, anche se era un cafone e mi aveva dato della svampita. Non
seppi
resistere e gli detti un bacio sulla guancia.
“Grazie.”
Percy
arrossì così tanto che sembrò sul
punto di
prendere fuoco, facendo scoppiare Talia a ridere.
“Ehi!
Non prendere troppa confidenza!” Mi canzonò una
voce femminile, divertita, dietro il ragazzo.
Solo
allora mi resi conto che alle sue spalle c’era
un’altra ragazza, dai capelli che erano una cascata di ricci
rosso fuoco. Aveva
anche lei gli occhi verdi ed indossava un paio di short di jeans e una
maglietta che sembrava imbrattata in più punti da vari
colori di vernice. Anche
lei portava uno zaino.
“Rachel!”
La salutò Talia, dandole un buffetto
affettuoso sulla guancia, per poi avviarsi verso la porta.
“Mi raccomando, la
lascio nelle vostra dolci manine. Ci vediamo, Annabeth, spero rimarrai
ancora
un po’, fa arrossire quel pesce lesso.”
Detto
questo, dette anche a me un buffetto sulla
guancia, indicando Percy e se ne andò, mentre io la salutavo
confusa e anche un
po’imbarazzata, mentre la nuova arrivata
si sedeva accanto a me.
“Allora…
posso controllare la tua ferita?” Mi chiese,
spiccia, senza nemmeno presentarsi.
Ero
un po’ preoccupata e, istintivamente, mi voltai per
osservare Percy, che, però, mi fece un cenno di assenso.
“Rachel
mi ha aiutato a medicarti. È un ottima
dottoressa.” Spiegò, senza la minima variazione
del volto.
“La
smetti di dire che sono una dottoressa!? Io sono
una veterinaria. V-E-T-E-R-I-N-A-R-I-A! è diverso! E potrei
aggiungere che sono
solo al secondo anno di studi.”
Fantastico,
quindi ero stata curata da una che non era
qualificata a curare gli uomini, per di più inesperta.
Dannato testone cafone,
ma perché mi era capitato lui!? Ma no, non era nemmeno colpa
sua, la sua amica
aveva fatto un ottimo lavoro, inoltre un uomo è un animale,
non c’è poi così
tanta differenza.
Mi
voltai, lasciando che la ragazza mi controllasse la
ferita, mentre canticchiava una canzone che non riconobbi.
“Mmmmh…
sei fortunata che quel testone mi abbia
chiamato. Una botta del genere sarebbe potuta essere fatale.”
Disse, infine,
dopo aver sciolto la benda.
In
effetti sentii la testa farsi più leggera, ma
subito, il sangue iniziò a correre, facendomi spaventare.
Temetti di cadere di
nuovo nel buio, dimenticandomi di nuovo, tutto quel poco di vita che
avevo. Mi
imposi la calma, non potevo mettermi ad urlare come una ragazzina
isterica.
“Credi…
credi che sia grave?” Cercai di controllare la
mia voce, anche se non ero per nulla certa di esserci riuscita.
“Come
ti ho già detto, lo era, ma solo perché perdevi
sangue. Adesso è tutto sotto controllo. Certo che chi ti ha
ferita, doveva
essere un bestione.” Commentò, noncurante, mentre
la sentivo versare qualcosa,
probabilmente una pomata o un coagulante, nella ferita.
“Mi
stai dicendo… che sono stata aggredita?” Faticai a
registrare quell’informazione. Chi era stato?
Perché l’aveva fatto? La mia
mente iniziò a formulare un numero di ipotesi infinite su
queste domande, ma
nulla fece tornare a galla qualche ricordo. Ero ancora nel vuoto totale.
“Dubito
che sia una ferita da caduta… è troppo
profonda. Devi essere stata spinta.” La sentii irrigidirsi un
po’, mentre lo
diceva. Forse non voleva traumatizzarmi. “Secondo me, sei
stata aggredita, poi
il tipo ti ha spinta, ma è stato preso dal panico, vedendoti
morta ed è
scappato via.”
“Questo
non spiega come mai non abbiamo trovato né
documenti, né nient’altro, insieme a
lei.” Fece notare Percy, che aveva messo a
posto il suo zaino e ci osservava con la schiena appoggiata al muro.
Per
diversi minuti, un lungo silenzio riempì la stanza:
io non parlavo, mentre riflettevo su quanto ero successo. Avrei voluto
essere
da aiuto, ma nulla usciva da quel vortice nero che si trovava al posto
di
quella che avrebbe dovuto essere la mia vita passata. Sembrava che quel
giorno
avessi cominciato a vivere, ma sapevo che non era vero. Il problema era
che non
capivo se fosse un bene o no. Non potevo dire: “è
il più brutto giorno della
mia vita”, perché la mia vita, per me, era
iniziata quella stessa mattina.
Provai
ad immaginare il mio passato, ma le parole di
Talia mi rimbombavano nella mente come un eco insopportabile: “Qui tu non ci sei.”
Perché i miei non mi stavano cercando? Mi odiavano? Ero
scappata di casa? Mi
trattavano bene o male? Mi avevano cacciata? Nella mia mente si fece
strada il
dubbio che forse erano stati proprio loro ad aggredirmi, ma non volli
pensarci,
il solo pensiero mi faceva piangere.
“Ecco
fatto. Ora è di nuovo a posto.” Disse, infine,
Rachel, sistemandomi la benda.
In
quel momento la porta si aprì di nuovo ed entrò
un
altro ragazzo sui vent’anni: aveva la pelle scura, era
vestito con jeans lunghi
ed una maglietta verde con su scritto Salva
un albero per te stesso con sotto il disegno che doveva
corrispondere ad
un’associazione ambientalista. Aveva i capelli neri, lunghi e
una barbetta
simpatica che gli cresceva disordinata sul mento. Aveva gli occhi
castani che
ricordavano la corteccia di un albero.
“Annabeth,
ti presento il mio migliore amico: Grover
Underwood, era con me, quando ti abbiamo trovata.” Lo
presentò Percy con un
sorriso, anche se non sembrava felice che la casa si stesse affollando
in quel
modo.
“Così
ti chiami Annabeth, eh? Sono felice di vedere che
stai bene.” Disse lui, sorridendo, facendomi arrossire.
“Ehm…
piacere… solo… puoi evitare di
guardarmi?”
Chiesi, cercando di coprirmi di nuovo. Avendo avuto a che fare solo con
altre
ragazze, mi ero quasi dimenticata che la mia camicetta era a brandelli.
Ora,
invece, avrei davvero preferito un po’ di privacy.
Lui
sembrò capire, perché si voltò, senza,
però,
abbandonare il suo sorriso.
“Sarà
meglio che mi cambi.” Proposi, prendendo i
vestiti che mi aveva preso Percy.
“Certo…
il bagno è lì, vai pure.” Mi disse il
ragazzo,
con un cenno del capo.
Lo
ringraziai ed entrai. Era un locale davvero piccolo:
c’era solo lo spazio sufficiente per una doccia, un lavandino
ed un gabinetto.
Mi guardai allo specchio e mi resi conto di avere un aspetto orribile:
oltre la
camicetta strappata e i pantaloni sporchi, la mia pelle aveva dei
lividi, uno
particolarmente evidente sulla guancia. I polsi erano feriti, ma non
volli
sapere come me lo fossi fatto. I miei occhi erano arrossati e la pelle
era
pallida. I capelli erano appiccicaticci e pieni di nodi.
‘Sembro
uno zombie…’
Pensai, mentre cercavo di darmi una
sistemata.
“Posso
usare la doccia?” Chiesi dall’altra parte della
porta.
“Sì!
Fai pure! Gli accappatoi sono lì vicino, a destra
della doccia.” Rispose Percy.
Sollevata
mi spogliai in fretta e presi uno dei due
accappatoi appesi, posandolo sul lavandino. Accesi l’acqua
calda e mi
posizionai sotto il getto. I miei muscoli si rilassarono subito. Sentii
lo
sporco scivolare lontano da me, così come
lo stress che avevo accumulato durante tutta la mattina.
La sensazione
di acqua calda mi fece venire i brividi dal piacere e il suo scorrere
tra i
capelli mi permise di sciogliere i nodi. La feci scorrere sul viso,
sentendo
tutti i dolori farsi meno intensi.
Mi
ripulii velocemente, anche se indugiai per un minuto
sotto il getto, beandomi di quella sensazione così
piacevole, ma sapendo che
non potevo sfruttare così a lungo il bagno, non mi trattenni
oltre.
Mentre
mi asciugavo, Percy e i suoi amici discutere.
“Devi
portarla alla polizia!”
“Lo
sai che il comandante Grace non mi sopporta! Mi accuserà
di averle messo le mani addosso!”
“Ma
non è vero, non avrebbe nemmeno le prove.”
“Mi
tratterrebbe… da quando sono sulla sua lista nera,
non vede l’ora di sbattermi dentro.”
Poi
intervenne Rachel, che sembrava più incoraggiante
che arrabbiata: “Percy, smettila! Non puoi tenerla qui per
sempre e poi, se l’hanno…
se le hanno fatto del male, la polizia dev’essere informata!
Hai visto i tagli
sui polsi? Sembra che sia stata ammanettata o legata. Non so
perché, ma DEVI
andare alla polizia.”
Non
sentii la risposta, ma intuii che Percy aveva dei
problemi e non si fidava delle autorità.
Decisi
di fare in fretta, così mi avvolsi
nell’accappatoio
e usai l’asciugacapelli. Quando fui certa di aver rimosso
ogni traccia di
sporco dal mio corpo, mi concentrai sui vestiti che Percy mi aveva
preso. Mi
sentii un po’ in colpa a fargli spendere soldi per me, quando
lui faceva fatica
ad andare avanti, ma cercai di scacciare quella convinzione.
‘Appena
ricorderò qualcosa, lo ripagherò…
spero di poterlo fare, almeno.’
Mi dissi, indossando i jeans e il maglione. Ero felice di poter
indossare
qualcosa di nuovo e pulito. I pantaloni non erano troppo stretti, e il
maglione
era caldo e comodo. Allo specchio avevo ancora i lividi e le ferite, ma
gli
occhi erano tornati di un colorito normale e lo sporco era sparito.
Mi
sentii sollevata, anche se ero ancora in ansia per
quel vuoto che invadeva la mia memoria.
Uscii
e vidi che Rachel stava prendendo le sue cose.
“Oh,
eccoti… Annabeth, senti, io devo andare. Se avessi
bisogno di me, chiamami, Percy, lasciale il telefono e non fare il
geloso come
al solito.” Mi disse, quando mi vide sulla porta, ammiccando
verso l’amico.
Lui
scrollò le spalle sospirando. “Lo farò,
ci sentiamo
Rachel.”
“Ci
sentiamo e prenditi cura di lei!” Salutò la rossa,
prima di sparire, anche lei, oltre l’ingresso.
Per
un attimo, rimasi ferma sulla porta del bagno senza
sapere, esattamente cosa fare. I due ragazzi mi squadravano con
attenzione,
quasi volessero passarmi ai raggi X
“Stai
benissimo. Una fortuna che io abbia indovinato le
misure.”
Percy
aveva un sorriso radioso stampato in faccia che,
per poco, non mi fece sciogliere, ma mi imposi un minimo di contegno.
Non
volevo apparire svenevole, certo che però, era mi sentivo
molto più sicura con
lui accanto.
Mi
avvicinai e mi sedetti sul divano, mentre Grover
lanciava un fischio, intuendo che fosse un assenso alle parole
dell’amico.
Sentii
Percy sedermisi accanto ed io ebbi l’irrazionale
impulso di abbracciarlo, ma mi trattenni. Sentivo che doveva dirmi
qualcosa di
importante.
“Allora…
te la senti di andare dalla polizia?”
“Per
raggiungere il distretto più vicino ci mettemmo
quasi mezz’ora tra camminata e metropolitana, dopotutto Percy
non aveva una
macchina, solo una moto, che, però, non era lì.
Grover mi spiegò che lui
preferiva lasciarla a suo cugino: Nico di Angelo, che faceva il
meccanico e che
custodiva il prezioso veicolo con cura in un garage.
“È
gelosissimo di quella moto, secondo me crede che sia
la sua fidanzata.” Scherzò il ragazzo, facendo
scoppiare a ridere, mentre Percy
arrossiva. Adoravo quello scintillio che gli illuminava gli occhi
quando era
imbarazzato.
“Non
è vero!” Sbottò, mentre scendevamo
nella
metropolitana sotterranea.
Quando
ci lasciammo il sole alle spalle mi irrigidii.
Capii che non mi piacevano gli spazi bui e chiusi. Poi
c’erano tutte quelle
persone…
Mi sentii spintonare in più direzioni, mentre seguivo i due
lungo quel fiume di
gente sconosciuta che mi faceva quasi paura. Per un attimo mi feci
prendere dal
panico, ma poi sentii la mano di Percy sulla mia.
“Ehi…
sei pallida, stai male?” Chiese preoccupato. “Vuoi
tornare a casa?”
Scossi
la testa, non volevo apparire debole: “No…
andiamo.”
Il
panico mi aveva presa perché non ricordavo di essere
mai stata in un posto così affollato. Tutto, lì,
mi era sconosciuto. Era come
imparare a camminare di nuovo, ma non mi feci abbattere. Ripresi la
calma e
stetti dietro ai due.
Una
volta all’interno del veicolo Percy ed io ci
sedemmo accanto, mentre Grover rimaneva in piedi, dicendo che si
sarebbe dovuto
fermare al prossimo scalo, così, appena le porte si aprirono
di nuovo ci
salutammo, lasciandomi sola con l’amico.
Avrei
voluto chiedergli tante cose: il suo viso era una
maschera impassibile, ma iniziavo a vedere oltre tutta la sua forza di
vivere e
la sua volontà che riusciva a tenere a bada la tristezza.
Avrei voluto poterlo
aiutare, ma come potevo, se non sapevo nemmeno come aiutare me stessa?
Al
distretto di Polizia fu Percy ad irrigidirsi.
Sembrava che quel posto fosse legato a ricordi poco felici. Ci fermammo
in
portineria, dove un agente prese le sue credenziali, dato che lui
raccontò
della mia perdita di memoria. Dopo aver fatto questo, fece una
telefonata e ci
disse di andare nell’ufficio dell’agente Tomas, al
secondo piano.
Usammo
l’ascensore per raggiungere un ampio stanzone,
dove erano allineate una decina di scrivanie, ognuna delle quali
ospitava un
agente di polizia, intento a ricevere telefonate o a studiare fascicoli
di
qualche caso. Ogni tanto cercai di buttare un occhio qua e
là, alla ricerca del
mio volto in una foto, ma non vidi niente che mi somigliasse.
Entrati
nel suo ufficio, lui ci fece delle domande, ma
fu prevalentemente Percy a rispondere, pur mantenendo quella postura
rigida che
aveva da quando era entrato.
“Quindi…
signorina, sicura che non ricorda
assolutamente nulla?” Chiese l’agente, alla fine,
rivolto a me.
“No
signore… come ho detto, non ricordo nulla di
nulla.”
Risposi scuotendo la testa. La domanda mi seccò un
po’, dato che era più o meno
la quarta volta che lo chiedeva.
“Capisco…
signor Jackson, come mai non ha chiamato
l’ospedale?”
“Era
messa malissimo, non avrebbero fatto in tempo, così
ho chiesto ad un’amica che abitava vicino a me di darmi una
mano. Come può
vedere, sta bene.” Sbottò lui, sempre
più rigido. Sembrava che la sua pelle
fosse diventata di legno.
“Ha
notato qualche particolare, sul posto dove l’ha
trovata? Tracce di pneumatici, impronte?”
“Sì,
ma erano talmente leggere che non ho idea di che
tipo fossero, inoltre nevicava e le tracce sarebbero sparite a breve.
Ho
pensato prima a lei.” Rispose.
Ha
pensato prima a me.
Quelle parole mi fecero sentire
stranamente felice. Il fatto che Percy si preoccupasse per me era un
sollievo.
Era stata la prima persona che avevo visto dalla mia perdita di memoria
e la
prima a darmi una mano. Avrei voluto abbracciarlo.
“Capisco…
firma qui, ragazzo.” Concluse l’agente,
porgendogli una trascrizione dell’interrogatorio.
Mentre
lui scriveva, l’agente mi accompagnò in un
laboratorio vicino, dove una donna in divisa medica isolante, mi fece
dei
veloci prelievi di campioni e delle foto alle ferite delle mani e ai
lividi.
“È
per capire se sono state provocate da un arma. Se
sì, lo scopriremo, inoltre analizzando il tuo sangue
potremmo cercare qualche riscontro
sui nostri database, è la procedura standard.”
Spiegò, mentre mi tamponava la
pelle ferita dall’ago.
Non
ero molto felice di essere ferita di nuovo, ma
almeno sarebbe servito a qualcosa. Mi tirai su di nuovo le maniche del
maglione
fino ai polsi e mi lasciarono uscire. Percy mi torno a fianco, ansioso
di
uscire di lì, ma quando fummo a pochi passi
dall’ascensore, una voce imperiosa,
profonda e marziale ci fermò.
“Jackson,
fermo lì!”
Ci
voltammo entrambi, per vedere un uomo alto e ben
piantato farsi avanti. Al contrario degli altri agenti, indossava un
abito da
uomo elegante: pantaloni, scarpe da sera, giacca e cravatta. Il volto
era
squadrato e i capelli neri. Gli occhi erano azzurri elettrici e
minacciosi,
come un fulmine in una tempesta.
Sentii
Percy irrigidirsi ancora di più e lo vidi
stringere i denti, mentre sussurrava: “Gioven
Grace.”
Grace…
Grace…
Talia
Grace! Ecco dove avevo già sentito quel nome!
Osservai
di nuovo quell’uomo possente farsi avanti,
fino a fermarsi davanti a noi: era il capo della polizia ed era anche
il padre
di Talia.
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
Rieccomi!
In tempo record aggiorno, tornando alla
carica con un nuovo capitolo. Finalmente Annabeth si rilassa,
nonostante le
migliaia di preoccupazione che la attraversano, poverina.
Così
si scopre che il capo della polizia è il padre
di Talia (Da notare che Gioven, sarebbe Giove, cioè, il nome
latino di Zeus,
scusate, ma non avevo molte idee ;) )
Chissà
quali altre sorprese riserveranno il futuro
di Annabeth. Riuscirà mai a ricordare chi è
veramente?
AxXx
PS:
in ringraziamento particolare a Ramosa12,
Alex_Logan e Cloud_Jas che hanno recensito! Non siate timidi e
recensite anche
tutti voi che seguite la storia ^_^
|
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Capitolo 5 *** Fine Primo Giorno ***
Fine
Primo Giorno
Percy fu
condotto nell’ufficio dell’ispettore capo, mentre
io
fui lasciata sola, seduta lì a fianco, in attesa che lui
potesse uscire.
“Aspetti
qui, signorina… devo trattenere il suo amico
solo per qualche minuto.” Disse il capo della polizia Grace,
sorridendomi
freddamente, mentre metteva una mano sulla spalla del ragazzo.
Ovviamente
nessuno di noi due pensò di contraddirlo, ma
intuii che Percy non era per niente felice di quella situazione ed
anche io non
ero del tutto convinta. Infatti, a riprova dei miei sospetti, erano
passate
quasi tre ore da quando lui era chiuse lì dentro. Ogni tanto
il signor Grace
era uscito, per prendere un caffè, ma non mi aveva prestato
attenzione.
Controllai
per l’ennesima volta l’ora sull’orologio
a
muro che troneggiava sulla parete alla mia destra.
“Annabeth!
Che ci fai qui?” Chiese Talia che si fece
avanti, come se conoscesse a mena dito tutto quel posto. Era ancora
vestita con
i jeans attillati e la maglietta scollata.
“Sto
aspettando che Percy finisca… tuo padre l’ha
portato
dentro.” Risposi, facendo un cenno verso la porta.
“Oh
no…” La ragazza si dette un colpo sulla fronte con
il palmo della mano. Sembrava terribilmente dispiaciuta.
“Avrei dovuto
immaginarlo, eh sì, che lui non voleva venire. Da quanto
è lì.”
“Tre
ore, circa.”
“Cosa!?”
Mi
strinsi le spalle: non ricordavo se quell’uomo lo
potesse fare per legge, ma avevo la sensazione che non potesse. Il
problema è
che ero io, quella senza memoria, lui aveva il coltello dalla parte del
manico.
“Perché
non si sopportano?” Chiesi. Mi dispiaceva
interrogare Talia, soprattutto perché anche a lei non
sembrava piacere
quell’argomento, ma avevo bisogno di sapere.
“Mmmh…
è una parte della storia di Percy che non mi
piace. Soprattutto perché lui non c’entrava molto
e non è una bella storia. Due
anni fa, rimase coinvolto in una retata della polizia per fermare un
pericoloso
spacciatore. Lui… non ho idea del perché si
trovasse in zona, ma lui fu preso
insieme a tutti gli altri criminali. Per via di una serie di cavilli
legali,
quasi tutti i coinvolti furono scagionati, Percy compreso. Mio padre,
all’epoca, era a capo dell’operazione ed era
convinto che tutti i coinvolti
fossero colpevoli. Si è legato al dito il fatto che fossero
stati scagionati e
quindi approfitta sempre di ogni scusa per accusare Percy di qualsiasi
cosa
succeda.”
Altro
problema con cui Percy doveva occuparsi. Di nuovo
mi sorpresi che riuscisse ad avere tempo per allenare, e occuparsi di
me. Io
sospirai e abbracciai le mie ginocchia. Ormai erano le sei del
pomeriggio ed io
iniziavo a sentire la fame farsi strada e abche il desiderio di uscire
e
tornare a casa mia… o meglio, casa di Percy, visto che era
l’unico posto che
potevo considerare casa.
“Aspetta
qui, ci penso io a riportare qui quella testa
calda.” La rassicurò Talia, camminando impettita
verso la porta, aprendola di
botto.
“Ciao
papi!” Esclamò, richiudendosela alle spalle.
Sentii
provenire, da dietro la porta, delle voci,
all’inizio erano tranquille, ma poi divennero concitate e
forti, tanto che ebbi
l’impulso di tapparmi le orecchie, per non sentire, ma non lo
feci. Riuscii
solo a percepire poche parole sconnesse, ma intuii che padre e figlia
si
stavano prendendo a male parole.
“Grazie,
pa’… sono certa che starà
benissimo!” Sbottò
lei, uscendo poco dopo, con Percy che le barcollava dietro. Era sudato,
e le
palpebre sbattevano di continuo, come se fosse confuso.
“Cosa
ti ha fatto!?” Chiesi, in ansia, cercando di
guardarlo negli occhi, che sfuggivano i miei.
“Nulla
di particolare… a parte uccidermi di parole. Ha
cercato in ogni modo di farmi confessare che ti avessi violentata, ma
non sono
così deficiente.” Spiegò lui, mentre
scendevamo l’ascensore, insieme alla
nostra amica.
“Ma
non è vero! Tu mi hai salvato la vita, quel tipo
è
un’idiota!” Pu essendo il padre di una mia amica,
non riuscii proprio a
trattenermi.
Sorprendentemente
fu proprio lei a ridere di quel che
avevo detto: “Non hai idea di quanto hai ragione. Mio padre
è un testone… però
non dire a nessuno che il candidato alle elezioni per sindaco della
città è una
testa di legno.”
Informazione
da registrare: il signor Gioven Grace era
candidata come Sindaco di New York. Non seppi perché, ma
memorizzai
l’informazione, certa che mi sarebbe tornata utile.
“Sentite…
visto che dovete mangiare entrambi, e io non
ho una gran voglia di tornare a casa, che ne dite di mangiare fuori?
Offro io.”
Propose la mora, appena uscimmo dal distretto.
Nonostante
l’aria fosse inquinata, era molto meglio
respirare l’aria inquinata fuori che quella fumante e viziata
all’interno di
quel distretto.
“Grazie,
Tal… ma se tu non vuoi tornare a casa,
dove andrai a dormire?” Chiese, Percy, dopo
avermi presa per mano. +
Nonostante
mi sentissi un po’ in imbarazzo, non potei
non sentirmi rassicurata dalla sua stretta, che mi guidava in quel
labirinto di
strade a me del tutto sconosciute. Eppure non potei non pensare che lui
lo
facesse più per non farmi perdere che per affetto: come se
mi considerasse solo
una bambina ed io non volevo che mi considerasse una bambina.
“Oh,
sono certo che i tuoi cugini mi ospiteranno
volentieri. Nico è un tipo a posto, sono certa che non mi
negherà asilo per una
notte.” Rispose lei, senza fermarsi.
Camminammo
a lungo, quasi senza meta. Mentre Percy e
Talia chiacchieravano del più e del meno, io mi tenni a lui,
guardandomi
intorno, osservando quella massa di persone che ci passavano accanto
incuranti,
come fantasmi. Ogni persona poteva essere per me un ricordo, ma nessuna
aveva
un aria familiare.
Cercavo
qualcosa che riportasse a galla il mio passato:
nei volti, nelle giacche, nei passi, nelle case e nelle ombre, ma nulla
mi dava
l’impressione di essere già stata lì.
Non avevo idea di cosa mi fosse successo:
era come se fossi nata quel giorno.
Mentre
camminavo, ascoltai la conversazione tra Talia e
Percy.
“Dovresti
tornare… la band non è la stessa senza di te,
eri la nostra chitarra, senza di te stoniamo parecchio.”
Disse Talia, dando una
pacca sulla spalla del ragazzo.
“Sai
bene che non ho tempo… ho troppo da fare.”
“Hai
sempre troppo da fare… ti rendi conto di quante
possibilità hai sprecato?”
“Non
ho idea di cosa tu stia parlando.” Sbuffò lui,
nascondendosi di nuovo, dietro i suoi capelli mossi, come il mare
durante una
tempesta.
“Invece
sì… Eri il nuotatore migliore di New York e sai
suonare la chitarra in maniera fantastica. Ma hai gettato via tutto per
rimanere ad insegnare arti marziali.” Rispose Talia,
scuotendo la testa.
“Sai
perché l’ho fatto… non avevo tempo per
aspettare
che la fortuna girasse… avevo bisogno di soldi,
subito.” Rispose senza
scomporsi.
Avrei
davvero voluto potergli chiedere del suo passato,
anche solo per curiosità. Volevo sapere di quella sua vita
difficile magari per
aiutarlo, ma sentii che non era il momento giusto. Temevo che si
sarebbe potuto
arrabbiare se avesse scoperto che sapevo così tante cose su
di lui. Era strano
non sapere niente di se stessi e così tanto di
un’altra persona.
“Lo
so… mi dispiace, però… saresti potuto
diventare una
persona importante.” Disse la mora, dandogli una gomitata
amichevole. Non
sembrava volerlo canzonare, ma che dietro al sorriso della ragazza si
nascondesse sincero dispiacere.
“Lo
so… grazie per l’interessamento.”
Borbottò Percy,
continuando a camminare.
“Allora,
ti piace?”
Io
non risposi alla domanda di Talia, ma addentavo l’hamburger
che mi era stato offerto. Avevo una fame incredibile a causa di tutto
il tempo
passato nella centrale. Sapevo che avrei dovuto cercare di essere un
po’ più
educata mentre mangiavo, ma lo stomaco reclamava. La mattina non avevo
fatto
colazione e mezza pizza a mezzogiorno non mi aveva saziato del tutto.
“Dovrò
stare attento, o mi svuoterà il frigorifero.”
Commentò Percy sarcastico, mettendomi in imbarazzo.
“Non
è vero! Non mangio così tanto.”
Sbottai, pulendomi
il mento dal ketchup. “Ho solo fame!”
Lui
rise di gusto, facendomi arrossire ancora di più.
Non capivo perché cavolo dovesse comportarsi da cafone
antipatico. Sospettai si
divertisse a prendermi in giro. Sbuffai sonoramente, cercando di
ignorarlo e
addentai l’ennesimo boccone, masticando e assaporando
l’insalata e la carne del
panino. Non mi ero accorta, però, che, forse avevo esagerato
e, nella fretta di
ingoiare, il boccone mi andò di traverso.
Mi
sentii soffocare e una mano mi batté dietro le
scapole per spingere fuori dalle vie respiratorie il cibo in eccesso e,
per
fortuna, riuscii a sputare fuori tutto, tossendo alla ricerca
d’aria.
“Te
l’avevo detto di non ingozzarti.” Mi
canzonò Percy,
continuando a tenere la sua mano sulla mia spalla.
Io
non risposi, troppo impegnata ad ansimare ed
arrossire: che vergogna, ammettere che mi ero persino dimenticata come
si
mangia. Ora mi avrebbe preso in giro per tutta la vita. Ma non sembrava
intenzionato a farlo. Mi si avvicinò, pulendomi la faccia
ancora sporca con il
tovagliolo.
“Forse
dovresti mangiare un po’ più piano.”
Sussurrò,
con un sorrisetto divertito, ma senza alcuna malizia.
Stranamente,
mi sentii irritata, non sapevo perché, ma
mi dava fastidio essere trattata come una bambina di cinque anni. Mi
separai
dalla sua calda mano premuta contro la schiena e lo guardai male.
“Non
ho bisogno di una babysitter… anche se non ricordo
nulla, posso mangiare da sola.”
Lui
borbottò qualcosa che mi sembrò “D’accordo,
però sei una svampita comunque.”,
ma non risposi, anche perché non ero del tutto sicura di
quel che aveva detto. Quando
finimmo di mangiare fui quasi felice di poter tornare alla
metropolitana:
sapevo che da lì sarei tornata a casa di Percy,
l’unico rifugio sicuro in
quella tempesta di oscurità che vorticava intorno a me.
Talia scese due fermate
prima della nostra. Mi salutò, dandomi un bacio sulla
guancia e arruffò i
capelli dell’amico, facendogli la linguaccia.
“Ci
si vede e prenditi cura di Annie, altrimenti ti
strozzo.” Minacciò con un sorrisetto divertito,
come se volesse sottintendere
qualcosa sotto quelle parole.
“Non
c’è problema… lei non ha bisogno di una
babysitter.” Rispose lui, salutandola, scimmiottando la mia
voce.
Appena
la porta si chiuse gli tirai un pugno sul
braccio: “Smettila di prendermi in giro!”
Lui
scrollò le spalle, facendo finta di niente ed io mi
voltai dall’altra parte, sospirando esasperata. Non ricordavo
che la vita
potesse essere così complicata e stancante, ma forse ero io
che ero debole. La
mia testa era un affollamento di domande e nessuna risposta. Mi
chiedevo sempre
le stesse cose, cercando, invano di riportare alla mente qualcosa che
mi
ricordasse la mia vita, ma nulla mi faceva venire in mente qualcosa di
utile.
Tornati
a casa Percy iniziò ad armeggiare con il divano:
lo spinse contro il muro, spostò il tavolino e il futon, per
poi aprirlo
rivelando un divano letto. Non era molto grande, ma almeno era
accogliente. Lo
aiutai a sistemare lenzuola e coperte, così che potesse
assomigliare di più ad
un vero letto.
“Finché
non ricordi qualcosa potrai rimanere qui. Casa
mia non sarà grande, ma posso tenerti con me, per un
po’, non sono il tipo da
lasciarti dormire per strada.” Spiegò, una volta
che ebbe finito.
“Grazie,
Percy… mi dispiace disturbarti.” Dissi,
sincera. Non sapevo cos’atro dire, ma a lui non
sembrò importare, perché si
avvicinò a me e mi appoggiò una mano sulla
spalla.
“Stai
tranquilla… posso solo immaginare come ti senti,
anche io sarei disperato e smarrito, se perdessi la memoria, ma per
quel che
vale, conta pure su di me. Non ti chiuderò la porta in
faccia.” Mi rassicurò
con un sorriso stanco. I suoi occhi verdi erano l’unico faro
di certezza in
quel mare di nulla che mi circondava. Avrei voluto abbracciarlo, ma mi
imposi
un minimo di contegno. Non potevo somigliare ad una ragazzetta
svenevole, che
si lascia subito andare. Questo non mi impedì,
però, di sorridere in risposta.
“Sei
molto gentile… prometto che, appena ricorderò
qualcosa, farò di tutto per restituire questo
favore.”
“Non
ce n’è bisogno… ricorda
presto.”
Detto
questo andò in camera sua, dandomi la buonanotte.
Lo sentii cambiarsi e mettersi a letto, così decisi che era
inutile rimanere sveglia
ancora. Sentivo le palpebre pesanti e la testa ciondolare,
così mi tolsi il
maglione e i jeans e mi misi sotto le coperte, tirandomele su fino al
mento. Affondai
la testa nel morbido cuscino, sentendo il mio corpo invaso dal dolce
tepore che
precedeva il sonno. Per un attimo ebbi paura di chiudere gli occhi,
temendo di
dimenticare anche quel giorno.
Se
il giorno dopo mi fossi svegliata di nuovo senza
ricordare nulla?
Scacciai
quel pensiero, mentre mi concentravo su Percy,
Talia, Rachel e Grover. I loro volti amichevoli mi rassicurarono,
allontanando
la paura irrazionale del buio.
E
finalmente, chiusi gli occhi, ponendo fine a quel mio
primo nuovo giorno.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
Salve
a tutti, popolo di EFP! Come promesso,
capitolo arrivato alla velocità della luce. Finalmente il
primo giorno di
Annabeth si è concluso e lei può riposare
dolcemente, in attesa del secondo. Vi
sono piaciuti i personaggi fin ora? Avevo in mente di mettercene
qualcun altro,
ma preferisco aspettare. Dopotutto è ancora presto, ma non
temete. Ci saranno
tutti, a poco a poco.
E
tornerà anche Luke, ovviamente ;)
Quindi,
recensite tutti!
AxXx
PS:
Ringraziamentissimi speciali a Ramosa12, _Serefic_,
Clouds_Jas che hanno recensito tutta la storia fin qui. Attendo altre
vostre
bellissime recensioni :D E non solo loro, ovviamente, ma anche di tutti
quelli
che seguono questa storia così orribile. :3
|
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Capitolo 6 *** Risveglio ***
RISVEGLIO
Nel
buio vidi due occhi di ghiaccio che mi puntavano
come quelli di un predatore. Provai
a
sfuggirgli, ma quelli mi seguivano. Sentii una sensazione soffocante,
come se
mi stessero premendo un cuscino sulla faccia. Provai ad urlare, ma non
mi
usciva voce dalle labbra, provai a divincolarmi, ma il corpo era
schiacciato a
terra.
La
mia pelle sembrò bruciare, poi arrivò il dolore,
come se tutte le ferite mi fossero state aperte con un coltello
arroventato.
Poi
aprii gli occhi.
Una
luce calda, soffusa e dolce usciva dalla porta
finestra alla mia destra. Mattina.
Ero
spaventata: avevo fatto un incubo e la cosa
peggiore era che avevo la sensazione che fosse anche un ricordo. Quegli
occhi
di ghiaccio mi facevano davvero paura. Notai che mi ero agitata nel
sonno, dato
che le coperte erano spostate e attorcigliate intorno alle mie gambe.
Per
un attimo il mio cuore iniziò a battere
all’impazzata, nel timore di aver dimenticato di nuovo
qualcosa, così mi alzai
veloce.
‘Mi
chiamo Annabeth, sono a casa di Percy Jackson che mi ha ritrovata
moribonda per
strada. Ieri mi sono addormentata sul suo divano letto e ho fatto un
incubo. Ho
preso due volte la metropolitana, ho mangiato a pranzo una mezza pizza
e a cena
un hamburger. Ho conosciuto Talia Grace, figlia di Gioven Grace, Rachel
e
Grover Underwood.”
Fare
il punto della giornata precedente mi fece sentire
meglio. La paura di dimenticare non ce la puoi avere se non hai mai
perso la
memoria. Avevo paura di svegliarmi, senza più sapere che mi
chiamavo Annabeth,
senza sapere chi era il ragazzo che mi aveva salvata, né chi
era l’amica che mi
aveva ricordato il nome.
Sospirai
e mi alzai, prendendo i vestiti ch la sera
prima avevo ripiegato con cura e posti sul futon. Mi diressi verso il
bagno, mi
lavai la faccia e togliendomi il sonno dagli occhi.
Poi
sentii la porta aprirsi.
Percy
era entrato nel bagno con ancora solo i pantaloni
e mi stava fissando intensamente, come se fosse sorpreso. Io, di mio,
mi coprii
frettolosamente con l’asciugamani, visto che ero ancora
svestita. Proprio in
quel momento doveva entrare!? Ero rossissima, tanto che potevo fare
concorrenza
ai capelli di Rachel e non solo per il fatto che lui guardasse me.
Infatti,
anche io non potei non soffermarmi sui suoi addominali scolpiti, il
petto
sporgente e le braccia forti. Era davvero bello, sarei stata molto
felice di
abbracciarlo, se non fosse un cafone pervertito con
l’abitudine di vedermi in
intimo.
“Esci
dal bagno, maniaco!” Sbottai, cercando di tornare
a concentrarmi su qualcosa che non fosse lui.
“Ma…
guarda che il bagno è mio!” Protestò
lui,
distogliendo lo sguardo. Meno male.
“Non
guardarmi, pervertito, esci! Lasciami vestire!”
La
mia voce era altissima e stridula, ma non riuscivo a
controllare, farmi vedere così mi metteva terribilmente in
imbarazzo. Volevo
sparire il prima possibile.
“D’accordo,
non
c’è bisogno di agitarsi… vedi di non
occuparlo troppo a lungo.” Sbuffò lui,
uscendo, facendomi sentire un po’ meglio.
Tornai
al lavandino e mi sciacquai di nuovo la faccia,
ma questa volta per rinfrescarla e calmare il rossore acceso che mi
colorava le
guance. Respirai profondamente e mi asciugai veloce. Presi i miei
vestiti e li
indossai, sollevata, finalmente il mio cuore iniziò a
calmarsi.
“Sai
che sei comunque in casa mia?” Mi canzonò Percy,
un po’ infastidito, quando uscii dal bagno.
“Ma
non potevi bussare!? Sai che ci sono anche io e tu
apri la porta? Così a caso!?” Ero ancora furibonda
per il fatto che lui mi
avesse messo in imbarazzo per l’ennesima volta.
“Ma
è casa mia! Da quando devo bussare ad una porta di
casa mia!?” Chiese lui arrossendo, forse per il fatto che si
sentiva
scavalcato, ma che cavolo! Aveva dimenticato le regole basilari della
decenza?
“Da
quando mi hai invitato a restare… non potresti
ricordare che ci sono anche io!?”
“Lasciamo
perdere.” Sentenziò lui, entrando nel bagno,
sbattendomi la porta in faccia. Bravo cafone.
Sospirai,
sentendomi la testa un po’ pesante per via di
quella sfuriata, così mi misi a lavoro e rifeci il letto,
stendendo con cura le
coperte e le lenzuola per poi mettere a posto il copriletto.
Soddisfatta del
lavoro che avevo fatto, mi sedetti e mi guardai intorno. Dal giorno
prima non
era cambiato nulla: era ancora tutto in disordine.
‘Percy
non è un grande amante dell’ordine.’ Pensai,
raccogliendo un
paio di calzini. Ero un po’ disgustata, ma non mi piaceva
affatto tutto quel
disordine. Inoltre, visto che mi aveva ospitata, decisi di mettere un
po’ a
posto, almeno il salotto (Così magari quel cafone avrebbe
imparato un po’ di
educazione).
Stranamente
non fu fastidioso o lungo come credevo:
Percy aveva messo un po’ a posto, quando ero finita
lì, quindi non dovetti
raccogliere tutto il suo armadio. Inoltre sembrava aver pulito da poco,
perché
gli armadi non erano coperti di polvere e il pavimento era pulito. Mi
limitai a
piegare un paio di calzini.
“Grazie…
l’avrei fatto io… uno di questi giorni, ma mi
hai tolto la fatica.” Mi disse, improvvisamente alle spalle,
uscendo dal bagno,
facendomi sobbalzare.
“Stavo
solo cercando di rendere più accogliente casa
tua.” Mi spiegai, arrossendo un po’. Strano che
ogni tanto fosse così gentile e
poi diventasse un cafone incredibile in altre situazioni. Stranamente
quel
comportamento mi affascinava.
“Allora…
nulla?” Chiese, sedendosi sul divano rifatto,
invitandomi accanto a lui.
Scossi
la testa e accettai: “No… nemmeno il sonno mi ha
fatto ricordare qualcosa.”
Non
volli raccontare del terribile incubo che avevo
fatto. Avevo paura che mi desse della pazza e poi non era nemmeno un
ricordo.
Non aveva senso preoccuparlo per nulla. Inoltre avevo lo strano
desiderio di
non andarmene da lì, quasi mi fossi affezionata a quel posto
nuovo, ma che
sapeva di casa.
“Mi
dispiace…” Sussurrò, Percy, prendendo
del latte dal
frigo. “Ti va’?”
Annui,
senza esitazione, così mi porse una tazza di
latte, accompagnata da un pacchetto di biscotti. Non avevo molta fame,
ma seppi
che, se non l’avessi fatto, sarei svenuta per il poco cibo,
così mi sforzai di
mandare giù qualche biscotto e il latte. Non parlammo fino
alla fine della
colazione.
“senti,
io devo andare a lavoro. Puoi rimanere qui. Ho
qualche DVD, anche se non so se sono il tuo genere… poi ci
sono i miei libri e
i miei videogiochi, ma non li riprendo da un pezzo e non so se a te
piacciono…
oh, nell’agenda lì ci sono i numeri di Talia e
Rachel, se vuoi, ma non so se
sta’ mattina possono venire, comunque sia, ho una copia delle
chiavi sotto il
telefono.” Propose lui, mettendo le tazze vuote nel
lavandino.
Io
rimasi attenta e, sinceramente, ancora non me la
sentivo di parlare con loro. Ero ancora un po’ confusa e
volevo rimanere nella
mia solitudine.
“Credo
rimarrò qui… se vuoi. Magari leggo qualcosa, ma
non so cosa… qualche consiglio?” Decisi, infine,
voltandomi verso di lui.
Per
tutta risposta, Percy si alzò e si diresse verso la
libreria, scorrendo i vari volumi.
“Mmmh…
non ho idea di cosa possa piacerti. Hunger Games
è molto bello da leggere, mi manca il Canto della Rivolta,
Il Signore degli
anelli è pesante… gli altri libri sono ancora
peggio. Magari potresti vederti
qualche DVD, mi hanno regalato il film de lo Hobbit, è molto
divertente.” Mi
propose, aprendo il lettore, osservando il cellulare.
“Lascia…
faccio io, ora vai a lavoro.” Lo incoraggia,
cercando di mostrarmi sicura, quando in realtà, non lo ero.
“D’accordo,
allora ci vediamo dopo.” Mi disse lui,
poggiandomi una mano sulla spalla per poi avvicinarsi, dandomi un
buffetto
amichevole sulla guancia.
Cavolo!
Ora diventava gentile e tenero. Mi sentii
arrossire e rimasi imbambolata, mentre lui si staccava da me, uscendo.
Io mi sentii
le gambe molli, ma non volevo cedere. Non dopo un giorno, che cavolo!
Non era
nemmeno il mio tipo, dopotutto non lo sopportavo quando era un
cafone… però era
irresistibile quando si preoccupava per me con quei suoi modi dolci.
Scossi
la testa e mi avvicinai al televisore, cercando
di capire come funzionasse. Non avete idea di quanto fosse complesso
imparare a
far funzionare di nuovo un dannato lettore DVD. Mi sentivo
un’emerita
imbecille. Mi ci volle un quarto d’ora per riuscire a capire
come funzionasse
tutto, compreso il telecomando. Misi il Cd e mi guardai il film che mi
aveva
proposto.
In
effetti era molto divertente, era strano che, però,
i nani Kili e Fili fossero così belli, quasi fossero dei
modelli bassi. Invece
Thorin le piacque, ma caratterialmente il migliore era Bilbo. Furono
due ore
molto divertenti e non le dispiacque affatto aver deciso di rimanere
lì per
potersi vedere un bel DVD in pace.
Alla
fine, decise di guardarmi qualcos’altro e scorsi
la collezione di film di Percy. Il problema era che mi sembravano tutti
un po’
troppo… strani. C’erano un sacco di film Horror o
con troppa azione: come
transformers, Resident Evil e altri. Stranamente Avengers
sembrò attrarmi, ma
non seppi se provarlo. Soppesai la custodia con attenzione per decidere
quando
il telefono suonò.
Per
la sorpresa per poco non lasciai cadere la
custodia, ma riuscii a reggerla. La misi a posto e andai a rispondere.
“Pronto?
Chi Parla?”
“Oh,
Annabeth, cercavo giusto te… sono Rachel, posso
passarti a prendere? Vorrei fare un giro in centro con te e, visto che
non hai
altri vestiti, pensavo di darti io qualche cambio.” Propose
lei, entusiasta,
dall’altra parte della cornetta.
Io
giocherellai con il cavo telefonico. Sapevo che
Percy tornava tardi e non potevo guardare solo film. Erano ancora le
undici e
un quarto, la giornata era ancora lunga:
“D’accordo… se vuoi… ti
aspetto,
allora.”
“Perfetto!
Sono certa che ti distrarrà, magari ti
divertirai anche.” Disse lei, chiudendo la telefonata.
Sospirai,
un po’ in ansia. Dopotutto un po’ di
compagnia non mi avrebbe fatto male. Presi le chiavi che Percy mi aveva
indicato e mi sedetti, sospirando, attendendo l’arrivo della
rossa. Forse aveva
ragione: rimanendo lì avrei potuto solo rimuginare su me
stessa, senza ottenere
risposte. La mia mente era un ammasso di nulla. Forse avevo davvero
bisogno di
distrarmi.
“Allora?
Come ti senti?”
Rachel
mi aveva portata in un grande centro commerciale
in centro a New York, facendomi fare decine di giri. Non avendo nemmeno
un
soldo, non potevamo comprare nulla, ma guardare non sembrava una
cattiva idea.
C’erano tantissime cose, soprattutto sembrava che ci fossero
montagne di
prodotti, come se dovessero mostrare opulenza. C’era
così tanta gente che il
rumore mi stordiva.
Nonostante
questo, riuscii a tenere dietro alla mia
amica, senza troppi problemi. Ogni tanto mi fermavo davanti a qualche
vetrina
ad osservare vestiti particolarmente affascinanti o vestiti molto
belli.
Tuttavia era più la curiosità a spingermi, non il
desiderio di averli. Non mi
sembrava il caso di spendere così tanto per certe cose.
Verso
l’una del pomeriggio, ci sedemmo in un bar, per
mangiare un panino. Nonostante fossi preoccupata per
quell’uscita, dovetti
ammettere che camminare mi aveva tranquillizzata, e non avevo
più la mente
affollate di domande del mio passato.
“Ora
mi sento meglio, grazie davvero, Rach.” Risposi,
piluccando distrattamente il panino che avevo in mano. Avevamo parlato
per
tutto il giorno e lei era una ragazza davvero allegra ed energica.
Grazie a lei
ero riuscita a liberarmi un attimo delle mie preoccupazioni, facendomi
ridere e
avevamo, persino, iniziato a chiamarci per nomignoli.
“Di
nulla, Annie, solo che devi davvero passare da casa
mia. Avrai bisogno di qualche cambio… e poi come fai a
sopportare Percy?”
Chiese, allegra, mentre leggeva una rivista ambientalista.
“Grazie…
ma, Percy non sembra male…” Dissi debolmente,
pulendomi la bocca, bevendo un sorso dell’aranciata che mi
era stata offerta.
“hai
ragione… però, sai. Ti sto parlando da amica. E
poi, credimi, lo conosco meglio i di te. Ci siamo frequentati per due
mesi,
prima che lo lasciassi.” Rispose, noncurante, continuando a
sfogliare la
rivista.
Improvvisamente
sentii il mio stomaco contorcersi e
provai un moto di gelosia alla notizia che Rachel era l’ex di
Percy. Cercai di
scacciare quel sentimento: lei mi era stata molto vicina e non avevo
voglia di
spezzare subito quell’amicizia.
“Oh…
quindi… avete rotto? Perché?” Chiesi,
cercando di
mantenere un tono neutro, anche se mi sentivo stranamente allegra nel
saperlo
libero.
“Mmmh…
diciamo che non mi piaceva il fatto che lui mi
ignorasse, soprattutto perché dava così tanto
peso ai suoi lavori e aveva poco
tempo per me. Mi bidonò anche diversi appuntamenti
importanti. Gli dispiaceva,
certo, ma non la smetteva di farlo. Quando, poi, mancò una
cena dove sarebbero
stati presenti anche i miei genitori gli parlai. Era davvero
dispiaciuto, ma mi
disse che un aveva avuto un impegno a lavoro, così ci
chiarimmo e… be’,
decidemmo di rimanere amici.” Spiegò lei,
tranquilla.
“Non
ti dispiace che abbiate rotto?”
“Un
po’ sì.” Ammise. “Ma stava
diventando imbarazzante
per entrambi, e poi meglio averlo come amico che no. Inoltre credo che
non
avrebbe funzionato comunque. Abbiamo preferito conservare
l’amicizia.”
Mentre
riflettevo su quello che aveva detto la ragazza,
sentii squillare il suo cellulare. Lei rispose tranquilla, incurante
del mio
sorriso a mezze labbra che non riuscivo a trattenere.
“Pronto?
Ciao Nico! Sì… d’accordo…
no, lo sai che a
quest’ora è a lavoro. D’accordo, lo
avverto io, e sì, c’è anche
Grover… sì… sì,
d’accordo, apparecchia per una persona in più, ci
sarà un ospite a cena. A sta’
sera!”
Detto
questo chiuse la telefonata e si rivolse a me:
“Ehi, Annie… ti va una cena
all’Italiana?”
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
A
causa di un certo problema la stesura della mia
storia principale su questo fandom è ritardata.
Fondamentalmente è causato
dall’irreperibilità
della mia adorata collega. Il che, però, mi permette di
dedicarmi a questa,
facendo più capitoli possibili.
Quindi
vi lascio a questo sesto capitolo con
Annabeth con gli incubi e qualche rivelazione focosa sul passato del
caro Percy
Jackson. Il prossimo capitolo vedrà la comparsa di altri
personaggi.
AxXx
PS:
recensite, recensite e recensite.
|
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Capitolo 7 *** Cena e Neve ***
Cena e Neve
Strano che mi preoccupassi tanto di quella serata
quando, in realtà, era solo una cena. Nico e Bianca non
erano proprio cugini,
ma Percy era così legato a loro che li definiva tali, e
vivevano in un
appartamento molto più spazioso, rispetto a quello di lui.
C’era anche da dire
che erano in due a lavorare e potevano occuparsi di dividere i costi.
Inoltre
Bianca aveva ricevuto un premio in denaro quando aveva vinto un anno
prima un
campionato di tiro con l’arco, piazzandosi seconda dietro una
sua compagna
chiamata Zoe. Erano praticamente gemelli
ed avevano diciotto anni, anche se Nico sembrava
dimostrarne di più,
mentre la sorella aveva una spruzzatina di lentiggini che la
ringiovanivano.
Erano
entrambi di origine Italiana, o almeno, la madre
era di origine Italiane e loro ne avevano ereditato il cognome. Dovetti
ammettere che erano entrambi degli ospiti davvero fantastici. A quanto
pare la
mia storia aveva raggiunto anche loro, ma nessuno dei due
cercò di farmi
domande sconvenienti nel tentativo di farmi ricordare qualcosa.
“Annie!
Eccoti!” La saluto Rachel, quando arrivarono.
Era seduta sulla terrazza insieme Grover che controllavano una specie
di lista.
“Ciao…
che state facendo?” Chiesi, accomodandomi
accanto a loro, mentre un invitante odore di pancetta e uova si
spandeva dalla
cucina. A quel che avevo capito, i due ragazzi avrebbero tentato un
difficile
piatto Italiano: la carbonara e, da quel che sentivo, doveva essere
proprio un
buon piatto.
“Stiamo
contando le firme che abbiamo ricevuto. Sai… io
e Grover facciamo parte di un’associazione ambientalista e ci
stiamo occupando
di una raccolta firme per fermare la vendita di una sezione del Parco
Nazionale
di Sequoia, in California.” Spiegò la rossa,
facendo una specie di confronto
tra due liste.
“E
sta andando male…” Borbottò il ragazzo,
sconsolato.
Per
quel poco che sapevo, cercai di mostrarmi
interessata, cercando di intavolare una conversazione. Mi dissi che ero
stata
fortunata ad esser stata salvata da Percy e non da qualche sfruttatore
o
criminale. Lui era un bravo ragazzo e loro erano simpatici, nonostante
nessuno
di loro navigasse nell’oro.
“Ragazzi!
La cena è pronta!” Annunciò Bianca,
Portando
in tavola dei piatti fumanti che emanavano un odorino davvero
invitante.
“Eccoci.”
Sospirò Rachel, posando la lista. “Almeno ci
abbiamo provato… ritenteremo dopo.”
Insieme
ai due mi misi a tavola e mi ritrovai accanto a
Percy che stava già osservando il piatto avidamente. Alla
mia sinistra c’era
Thalia che stava riempiendo il padrone di casa di complimenti.
“Attenta,
scotta ancora.” Mi avvertì Bianca, seduta
davanti a me, che alzava gli spaghetti con la forchetta, per poi farli
ricadere
sul piatto, nel tentativo di scioglierli.
Per
un attimo andai nel panico: come diavolo facevo a
mangiare, allora, prima che raffreddasse? Questo problema era davvero
imbarazzante: oltre alla mia vita, alcune nozioni erano sparite,
lasciandomi in
difficoltà in situazioni piuttosto comuni. Fortunatamente il
mio salvatore
corse nuovamente in mio aiuto.
“Spargila
sui bordi e mangia quella al limite…”
Sussurrò, succhiando uno spaghetto, con gusto.
Ecco,
altra situazione imbarazzante: perché dovevo
assomigliare ad una bambina di cinque anni? Non ero tale, ma mi sentivo
comunque un emerita stupida, come quando, qualche ora prima mi ero resa
conto
di non ricordare come si allacciassero le scarpe e dovetti chiedere a
Percy di
allacciarmele.
Lui
mi aveva guardato malissimo, per poi sbuffare
qualcosa che suonò così: “Guarda
questa
bimbetta che gli devo pure fare da babysitter.”
Lo avevo ignorato, nascondendo il rossore che mi colorava le gote
dietro la
cascata dei miei capelli biondi, mentre osservavo quello che faceva per
imprimerlo
nella memoria. Mi era bastato un attimo per ricordare quelle nozioni di
base.
Scacciai
il ricordo imbarazzante e iniziai a mangiare.
In effetti era davvero buonissima. Il rigatino era stato cotto al punto
giusto,
raggiungendo una consistenza croccante e insaporendo la pasta che
succhiavo con
gusto. La cena fu animata e molto allegra: i miei amici parlavano tra
di loro,
chiedendomi, ogni tanto, qualche opinione, ma solo per non farmi
sentire
esclusa. Avevano molto tatto, sorto questo aspetto: evitavano di
mettermi in imbarazzo,
senza tenermi da parte, cosa di cui ero loro molto grata.
Alla
fine, finimmo di mangiare e Nico alzò il bicchiere
in direzione della sorella.
“A
mia sorella Bianca che sta per partire per un nuovo
campionato, sperando che vinca di nuovo.”
Annunciò, facendola arrossire. Non
avevamo alcolici, ma un brindisi ci stava bene. Ecco perché
c’era quella cena:
era una specie di cena d’addio.
“Ed
anche ad una nuova amica… Annabeth che è
letteralmente saltata fuori dal nulla.” Aggiunse Percy,
prendendomi di
sprovvista, facendomi arrossire.
“A
Bianca e Annabeth!” Dissero tutti in coro, per, poi
bere.
Dopo
aver brindato, mettendomi in imbarazzo, provai ad
aiutare Nico a sparecchiare, per cortesia, ma lui mi sorrise e
accantonò
l’offerta.
“Grazie…
ma sei una mia ospite, sono io che
sparecchio.”
“D’accordo…
ma se hai bisogno di aiuto, ti do
volentieri una mano.” Acconsentii, per poi, andarmi a sedere
in terrazza.
I
rumori della città erano attutiti
dall’oscurità. La
poca gente per strada camminava rapida verso casa, probabilmente per
tornare
dalla famiglia. Quel pensiero mi riempì di tristezza. Ogni
cosa che facevo o
guardavo, sembrava ricordarmi che io non avevo un posto a cui tornare.
“Tutto
a posto?”
Bianca
si era avvicinata a me, silenziosa. I suoi
lunghi capelli neri ricadevano in morbide ciocche lisce che
incorniciavano il
viso giovane e si accordavano benissimo agli occhi scuri.
“Più
o meno… sto ancora pensando al mio passato… o
meglio a quello che dovrebbe esserlo.” Risposi, scuotendo il
capo, sconsolata.
Nonostante i tanti tentativi di farmi passare quella sensazione, nulla
sembrava
abbastanza da prendere il posto di quel buco nero che aveva ingoiato i
miei
ricordi.
“Grover
mi ha detto cos’è successo. Mi dispiace
molto.”
Ammise lei, gentile. “La polizia non ha trovato
nulla?”
Scossi
la testa triste: “No… non hanno
richiamato…
credo che mi abbiano messo da parte. Sono solo uno scarto.”
“Non
dire così!” Intervenne Nico, che, probabilmente
stava cercando la sorella. “Noi non ti consideriamo uno
scarto. Percy è un tipo
a posto e potrai sempre contare su di noi.”
“Mio
fratello ha ragione… in caso quel testa d’alghe ti
dovesse dare fastidio, sono certa che mio fratello ti
ospiterà. Camera mia sarà
libera per un bel po’.” Aggiunse Bianca, per poi
girare lo sguardo verso Nico
che annuì convinto.
“Certamente…
non temere, non ti consideriamo uno
scarto. Considera come se fosse un nuovo inizio. All’inizio
sarà dura, ma mi
sembri una tipa tosta. Appena supererai il trauma, sarai una
leonessa!” Disse
dandomi una pacca sulla spalla.
Ero
davvero commossa per la loro disponibilità. Riuscii
a malapena a trattenere le lacrime e mi sedetti a terra, appoggiando la
schiena
al corrimano della terrazza.
“Grazie
ragazzi… so di sembrare una bambina di otto
anni, ma, davvero, mi state aiutando tantissimo.” Li
ringraziai, felice della
loro compagnia, poi, però, un moto di curiosità
mi spinse a chiedere: “Ma
perché lo chiamate Testa d’alghe?”
Bianca
e Nico ridacchiarono e si rivolsero un sorriso
d’intesa, come se stessero riportando alla mente qualcosa di
esilarante.
“In
realtà non c’è un motivo
particolare… solo che,
prima di diventare un maestro, Percy faceva due sport: il nuoto e le
arti
marziali. Era un bravissimo nuotatore, ma un giorno, mentre eravamo al
mare,
lui si mise a fare una gare subacquea con Nico e Grover…
essendo in vantaggio
guardò dietro e batté la testa contro uno scoglio
completamente ricoperto da
alghe. Da allora lo chiamiamo così per prenderlo in giro
quando fa di testa sua
o fa l’antipatico.” Spiegò il fratello
maschio, ridacchiando al solo ricordo.
“Ehi
gente! Venite, si guarda un film!” Ci chiamò Talia
all’improvviso, affacciandosi, tenendo in mano la custodia di
un DVD.
Nico
mi porse la mano, mentre la sorella tornava dentro
e io mi lasciai aiutare, sentendomi il cuore un po’
più leggero. All’interno
Talia stava scorrendo la collezione di film di Nico.
“Dì
un po’, Di Angelo… ma tu hai solo Horror e
Splatter? Non per rompere, perché anche a me
piacciono… ma che cavolo! Cambia
un po’ genere!” Borbottò, prendendo
un’altra custodia.
“Senti
un po’, ma secondo te cosa dovrei vedermi?
Twilight!? Ho già vomitato abbastanza, quando l’ho
visto per sbaglio.” La prese
in giro il ragazzo, affiancandosi a lei.
“Cos’è
Twilight?” Chiesi, curiosa a Percy che si era
accomodato su un cuscino a terra, appoggiandosene uno accanto a lui
invitandomi
a sedermi.
“Un
film orripilante. Un polpettone romantica con i
vampiri.” Rispose lui, sbuffando. A quanto pare non gli
piaceva molto.
“Capisco…”
“Allora
gente… che ne dite di Resident Evil?” Chiese
Nico, con un sorrisetto che non mi piaceva per niente, quasi il
dischetto fosse
un arma terribile.
“Ecco
che ci risiamo… altro spargimento di sangue e
altri incubi notturni per tutti.” Borbottò Grover,
scuotendo il capo, facendo
scoppiare a ridere Rachel che era accucciata su uno dei braccioli del
divano su
cui si sedettero Nico e Talia.
Bianca
era per terra, con la testa appoggiata al divano
e sembrava interessata, mentre Grover si posizionò vicino
all’angolo più
lontano, come se dovesse scappare da un momento all’altro.
Di
mio non sapevo cosa aspettarmi, così decisi di
tentare di seguire la trama, come avevo fatto con lo Hobbit, a casa di
Percy.
Me ne pentii subito: il film che Nico aveva scelto era
un’accozzaglia di terrificanti
squartamenti, sparatorie, sangue a fontane e mostri improponibili. Non
sapevo
se prima quel genere mi piacesse, ma in quel momento per niente. Grover
continuava a nascondersi, Rachel distoglieva spesso lo sguardo, gemendo
alle
scene peggiori e anche Percy sembrava teso, anche se non lo dava a
vedere.
Talia, Nico e Bianca, invece, sembravano tranquillissimi e commentavano
alcune
scene definendole ‘fintissime’.
A
me sembravano fin troppo orride.
Arrivati
a metà film ci fu una scena che mi prese di
sorpresa, quando un grosso mostro salò fuori dal pavimento,
divorando un
soldato. La scena mi colse così di sorpresa che lanciai un
urlo e saltai,
chiudendo gli occhi e stringendomi alla prima cosa che avevo a portata
di mano.
“Potresti
farmi respirare?”
Con
mio profondo imbarazzo, mi resi conto che ero
letteralmente saltata in collo a Percy, stringendo le braccia intorno
al suo
collo per lo spavento.
Mi allontanai rossissima, mentre tutti ci guardavano con dei sorrisetti
allusimi stampati in faccia.
“Che
avete da guardare!?” Sbottammo in coro io e il
ragazzo, finendo per imbarazzarci ancora di più.
Gli
altri tornarono a concentrarsi sul film, ma notai
che Talia e Rachel stavano scuotendo la testa e si fecero un cenno di
intesa,
come se stessero pianificando qualcosa.
Una
volta finito il film ci disperdemmo, tornando a
casa. Talia mi propose di andarla a trovare il giorno dopo, per dare
inizio ad
una ricerca personale, ignorando la polizia. Voleva aiutarmi a
ritrovare il mio
passato e avrebbe fatto di tutto per aiutarmi. Fui felice di poter
contare su
di lei.
Anche
Rachel mi salutò, ricordandomi di chiamarla se
avessi voluto farmi un giro in santa pace. Bianca salutò
tutti, visto che la
mattina dopo sarebbe partita e tutti le augurammo buona fortuna. Sperai
davvero
che vincesse.
Mentre
camminavo, accanto a Percy continuavo ad
osservare la strada, incapace di guardarlo. Mi batava la sua sola
presenza per
farmi stare bene, ma anche in ansia. Non sapevo cosa fare quando sentii
le mani
di Percy abbracciarmi dietro le spalle, facendo in modo che la sua
giacca ci
coprisse entrambi.
“Che
stai facendo!?” Chiesi, sentendomi arrossire dalla
testa ai piedi.
Alzai
lo sguardo, ma lui non stava guardando me. I suoi
occhi erano fissi in alto, verso il cielo nuvoloso, che stava liberando
dei
candidi cristalli argentei che calavano sulla città come una
bianca coperta
notturna.
“L’ultima
neve dell’inverno… dubito che ce ne saranno
altre.” Commentò, stringendomi a se, per
trasmettermi un po’ del suo calore.
Io
non commentai. Effettivamente era freddo, ma il
calore di Percy era l’unica cosa che mi sembrò
importante. Il suo corpo era
caldo e scolpito, come quello di una statua greca, tanto che mi sentivo
molto
più sicura con lui a fianco.
Non mi lasciò nemmeno un secondo, fino a che non arrivammo a
casa sua, dove mi
aiutò a preparare il divano letto.
Mi
cambiai e gli detti la buonanotte, per una volta in
due giorni, il mio cervello si spense senza paura, dimentica
dell’oscurità
della mia memoria. Avevo solo una cosa che mi affollava il pensiero: un
paio di
occhi verdi come il mare e un corpo caldo che mi teneva al caldo nelle
notti di
inverno.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
Vediamo
il caro Percy farsi sempre più sciolto e
dolce, nei confronti della nostra smemorata Annabeth. Inoltre sono
apparsi Nico
e Bianca, anche se quest’ultima rimarrà un
po’ più sullo sfondo.
Presto
entreranno in campo anche altri personaggi,
ma ormai sono rimasti pochi quelli da mettere. Vi informo che questo,
con
quello precedente, era più una sorta di capitolo di
passaggio. Nei prossimi ci
saranno, principalmente, eventi importanti e ci saranno diversi salti
temporali.
Quindi,
dal prossimo capitolo aspettatevi delle
sorprese ;)
AxXx
PS:
Voglio tante recensioni che mi dicano anche dove
e cosa sto sbagliando, mi raccomando.
|
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Capitolo 8 *** Incubo ***
INCUBO
Tutte
le notti quel raccapricciante, macabro incubo
turbava la quiete del mio sonno.
Sotto
le mie palpebre chiuse iniziavano a delinearsi
ombre, immagini, oggetti, urla, colori, figure che non riuscivo a
decifrare.
Parole frammentarie, come codificate, erano un sussurro sconnesso che
mi
rimbombava nelle orecchie, urla e pianti. Un odore acre, forte e
pungente
solleticava le mie narici, soffocandomi, mentre nell’ombra si
delineava una
figura massiccia.
Riuscivo
a sentire il peso sul mio corpo, la morsa che
mi gettava nel panico e nel terrore, il suo tocco. Lo rividi, imponente
e
crudele, folle di rabbia e crudeltà. Le sue mani
accarezzavano lascive la mia
pelle, stringendomi avidamente, viscido, come una serpe. Le ferite
tornavano ad
aprirsi, a dolere e a distruggermi.
La
sua voce era un sussurro che bisbigliava crudeli
sussurri, minacciandomi. Mi voleva, mi desiderava, ma non
c’era nessun
sentimento, nel suo duro abbraccio di pietra. Solo la
crudeltà nel dell’avermi per
puro sfizio, distruggendo la mia volontà, sfruttandomi come
un oggetto.
Le
sue mani, indugiavano su di me, accarezzandomi
lascive, fredde, come il metallo, ferendomi e violandomi. Cercavo di
divincolarmi, fuggire da quel contatto disgustoso, ma i suoi occhi di
ghiaccio
erano fissi su di me, inchiodandomi a terra.
Iniziai
ad urlare e pregare che qualcuno mi aiutasse.
“ANNABETH!!!”
Spalancai
gli occhi. Percy era seduto sul bordo del
divano letto, con lo sguardo colmo di preoccupazione. Una mano era
appoggiata
al bracciolo, ma l’altra mi accarezzava dolcemente la spalla.
Indossava
pantaloni e maglietta del pigiama.
“P-Percy…”
sussurrai, respirando affannosamente per
l’incubo appena avuto. So che potrebbe sembrare folle, ma
avevo la sensazione
che il mostro che avevo sognato fosse reale.
“Stavi
urlando nel sonno… sembravi impazzita, che
succede?” Domandò, fisso su di me.
La
sua voce era calma e gentile. Era bello e il suo
corpo era accogliente, troppo perché potessi resistere alla
tentazione. Mi
avvicinai a lui e mi avvinghia, abbracciandolo forte, ma senza fargli
male. Lo
sentii irrigidirsi per un attimo, ma poi mi strinse a se, cullandomi in
una
stretta dolce e rasserenante. Sentii il groppo che avevo alla gola
sciogliersi
e non riuscii a trattenere le lacrime.
“Ehi…
va tutto bene… cos’hai sognato?” Chiese
premuroso, asciugandomi le gocce salate che mi puntellavano il viso
senza
staccarsi.
Il
mio cuore iniziò a rallentare e io presi qualche
minuto per godere di quel contatto così intimo. Ero felice
che mi fosse
accanto, in quel momento, perché non ero sicura che sarei
riuscita a resistere
ad un altro incubo.
Lui
non ebbe fretta e non si staccò da me, dandomi il
tempo di riprendermi. Quando mi sentii pronta gli raccontai tutto. Non
riuscivo
a trattenere le parole e dissi tutto nei minimi dettagli: il terrore
che mi
attanagliava, la sensazione soffocante di essere in trappola e i miei
timori
che il ragazzo con la cicatrice (Così lo chiamai,
perché non avevo nomi da
associare a lui) fosse reale e che mi stesse cercando.
Lui
rimase in silenzio, ascoltandomi. Non disse nulla,
ma il suo sguardo indugiò su di me. Non mi stava guardando
come una pazza, ma
con una strana luce negli occhi, come se avesse percepito qualcosa che,
però,
faticava ad capirla.
Alla
fine sospirò e mi parò dolcemente: “Non
so cosa
sia successo, Annie… ma credimi, nessuno che conosco ha
queste caratteristiche…
forse è un ricordo di un tuo momento passato. Sai calma, qui
nessuno ti farà
del male.”
“Sì…
d’accordo.” Sussurrai, riprendendo il controllo.
Non mi preoccupava il fatto che lui mi potesse considerare una bambina,
mi
premeva solo che quell’incubo mi lasciasse in pace.
“Solo che ho paura… ogni
notte sempre la stessa storia. Ormai ho paura di chiudere gli
occhi.”
Fu
allora che lui fece qualcosa che mi colse
assolutamente alla sprovvista: si sporse verso di me e mi dette un
bacio sulla
guancia. Non era nulla di particolare, ma il contatto delle sue labbra
sulla
mia pelle, fece saltare un battito al mio cuore e mi rilassai subito.
“Vuoi
che rimanga con te?”
Il
mio cuore perse un battito. Incapace a parlare,
potei soltanto annuire.
Percy si sistemò accanto a me, sdraiandosi in modo che non
occupasse troppo
spazio. Una fortuna che il divano fosse abbastanza largo. Io,
però, non
riuscivo a stargli lontana. Mi accoccolai a lui, stringendolo,
ascoltando il
dolce battito del suo cuore.
Lui
mi cinse con le sue forti braccia, in un abbraccio
protettivo, come se volesse difendermi dai brutti sogni che mi
perseguitavano.
Ero così vicina che quasi ogni parte dei nostri corpi era a
contatto. Lui era
caldo e solido: una roccia a cui aggrapparmi, per non essere trascinata
via
dalla tempesta nera che mi vorticava intorno.
Il
battito del suo cuore, ebbe lo stesso effetto di un
sonnifero, una ninnananna rilassante che mi fece abbassare le palpebre,
ma io
non volli arrendermi. Volevo godermi quel calore, la sensazione di
vicinanza e
affetto che quell’abbraccio mi trasmetteva.
Nonostante i miei sforzi, la resistenza venne meno e morfeo mi
richiamò nel suo
mondo, questa volta, calmo e senza incubi.
La
mattina arrivò in un attimo, solleticandomi gli
occhi con la sua luce dorata. Sentivo nitidamente le braccia di Percy
che mi
tenevano dolcemente legata a lui, e io mi lasciai cullare da quella
sensazione,
ammirando i perfetti lineamenti del suo viso e i riflessi scuri che gli
illuminavano i capelli come una piccola aureola.
Non
volevo staccarmi: era troppo bella quella
situazione. Lui dormiva beato, accanto a me, il suo calore mi teneva
calda e
lui era comodo. Mi sentivo lo stomaco pieno di farfalle che
solleticavano le
pareti, come se fossero ad un concerto rock.
Quando
si svegliò, i suoi luminosi occhi verdi
indugiarono su di me e mi dette un dolce bacio sulla fronte.
“Buongiorno…
altri incubi?” Chiese, sorridendo.
Scossi
la testa, sentendomi dannatamente leggera e
desiderosa che lui rimanesse vicino a me.
“Non
questa notte… grazie a te.” Sussurrai,
accoccolandomi a lui. Perché doveva comportarsi da idiota,
certe volte? Quando
era gentile era fantastico, un sogno. Avrei voluto che lo fosse sempre,
come in
quel momento.
Per
alcuni minuti rimanemmo abbracciati, ma dopo un
attimo lui si staccò.
“Per
quanto mi piacerebbe rimanere… dovremmo alzarci,
ti lascio il bagno libero per prima, così mi posso fare una
doccia.” Propose,
allontanandosi un attimo.
“Hai
ragione… vado.” Nonostante il desiderio del mio
corpo di rimanere accanto a lui, decisi di impormi un contegno e mi
alzai. Una
fortuna che indossassi un pigiama che Rachel mi aveva prestato.
Era
passata una settimana da quando mi ero risvegliata
lì, senza memoria, mezza nuda, in quella casa di uno
sconosciuto che ormai lo
consideravo ben più di un amico. Era gentile e disponibile.
Inoltre sapeva come
tirarmi su quando ero giù. Ogni tanto continuava a
dimenticarsi della mia
presenza, finendo per farmi fare figure imbarazzanti e diventava
irritabile, ma
mi stavo abituando a vivere insieme a lui.
In
quel periodo mi ero vista spesso con Rachel, Nico e
Talia. La rossa mi portava sempre a visitare qualche centro
commerciale, o
andammo insieme al cinema a vedere un film. Spesso ci vedevamo con
Grover,
coinvolgendomi nelle loro raccolte di firme il che mi teneva la mente
impegnata. Era una ragazza molto simpatica ed energica. Mi aveva
regalato
persino dei suoi vestiti usati per potermi cambiare.
Nico
lo vedevo relativamente poco, ma un paio di volte
mi invitò a cena a casa sua, consigliandomi qualche film
(Anche se dubitavo dei
suoi gusti cinematografici).
Talia
mi invitò spesso a casa sua che era praticamente
una di quelle perfette case da casa americana con salotto, cucina,
cantina
camere per tutti e bagno spazioso. Praticamente il contrario della casa
di
Percy. Lei mi invitò in camera sua e con il suo portatile
contattava i suoi
amici di facebook e controllava altri siti di persone scomparse per
scoprire
qualcosa su di me. Nonostante non avesse trovato nulla, continuava ad
avere
fiducia e a rassicurarmi. Conobbi anche la band in cui suonava, formata
dai
fratelli Stoll (facevano il basso e la batteria) e Nico che suonava la
pianola.
Ebbi anche una veloce visita di suo fratello Jason e non avrei mai
pensato che
fossero imparentati.
Lui
sembrava il tipico principe azzurro: alto, con il
viso leggermente squadrato, dai
capelli
biondi e gli occhi azzurri elettrici del padre. Aveva il fisico
allenato e un
aria da giovane militare. Talia mi disse che, al contrario di lei, lui
era il
cocco del papà, dato che aveva iniziato a frequentare la
scuola di polizia.
Aveva anche una ragazza: Piper Mclean, figlia di un attore parecchio
famoso. In
pratica era la tipica coppia felice delle favole: lui il principe e lei
la
nobile principessa.
“Sono
diabeticamente mielosi, quei due… mentre invece
Jason è un rompiscatole, quando lei non
c’è.” Borbottò una volta,
mentre li
vedevamo uscire, mano nella mano.
Non
avevo risposto, troppo impegnata ad immaginare me
stessa e Percy nella medesima situazione. Ormai ero certa di essermi
presa una
cotta colossale per lui, ma non capivo se lui ricambiava. Inoltre avevo
il
terribile timore di avere già un ragazzo e, però,
me l’ero dimenticato come
tutto il mio passato. Motivo per cui non volevo dire nulla.
Quel
giorno era domenica ed era il giorno libero di
Percy. Conoscendo le sue abitudini, mi sciacquai in fretta la faccia e
mi lavai
mani e denti (Tutte cose che Talia e Rachel mi avevano passato,
nonostante
protestassi, certe volte). Dopodiché lasciai il bagno libero
per il ragazzo.
Sentii l’acqua scorrere, mentre lui si lavava. Io mi vestii e
mi misi a rifare
il divano letto, ripiegandolo e sedendo mici sopra, facendo il punto
della
situazione. Ricordare quello che avevo fatto il giorno prima mi aiutava
ad
assicurarmi di non aver dimenticato nulla.
All’improvviso, qualcuno suonò al campanello
facendomi sobbalzare.
Scesi
di sotto, all’ingresso ed aprii la porta.
Mi
ritrovai davanti il tipo più strano che avessi mai
visto: era magrissimo e alto poco più di me. I capelli ricci
neri come il
carbone gli ricadevano in ciocche disordinate sul viso e gli occhi
scuri
brillavano stupiti. Aveva l’aria da ‘elfo di babbo
natale’. Appena mi vide
spalancò la bocca, ma subito, la sua espressione, si
tramutò in un sorriso
malizioso.
“Ehi…
pensavo di aver bussato alla porta di Percy
Jackson, ma tu sei uno spettacolo molto migliore.”
Eccone
un altro, di pervertiti, e questo si credeva
pure spiritoso.
“Questa
è casa di Percy… io sono un amica, mi chiamo
Annabeth, tu chi sei? Come mai lo cerchi?” Chiesi, cercando
di ignorare il suo
tono allusivo che mi stava mettendo in imbarazzo.
“Oh…
un amica? Certo…
va bene, fammi entrare, tanto gli devo parlare… e poi non
gli è mai dispiaciuto
avermi intorno.” Assicurò lui, sempre
più allusivo.
Non
avevate idea del rossore che mi colorava. Quel tipo
sembrava fatto a posta per fare il buffone, mi stuzzicava con il solo
sguardo.
Lo lasciai entrare a malavoglia e lui si accomodò sul futon,
seguendomi con lo
sguardo.
“Sono
solo un’amica… amica e basta.” Sbottai,
sistemandomi,
a mia volta, sul divano appena rifatto.
“Oh…
quindi sei libera? Che ne dici di vederci sta’
sera nel ristorante sull’ottava? Fanno una pizza
deliziosa.” Ridacchiò lui, con
gli occhi brillanti, alzando un paio di volte le sopracciglia (Uno
strano modo
di abbordarmi).
“No
grazie.” Borbottai, cercando di ignorarlo.
In
quel momento la porta del bagno si andò e il mio
cervello andò in tilt. Percy era completamente nudo, fatta
eccezione che per un
asciugamani che lo copriva fin poco sopra le ginocchia. Lo teneva
fissato in
vita. La vista della sua pelle lucida, bagnata e brillante per la luce
che si
rifletteva sulle gocce d’acqua fece esplodere il mio
cervello.
“Leo!
Che ci fai qui!?” Chiese, ignorandomi. Il che mi
permise di ricompormi prima che mi vedesse sbavare.
“Amico!
So che te la passi bene!” Esclamò
l’altro,
ridendo. Sembrava che non gli importasse nulla dello sguardo furibondo
che
Percy gli stava lanciando.
“Abbastanza…
tutto a posto.” Fu la laconica risposta.
“Rachel
mi ha anche detto che hai salvato una turista
demente.” Aggiunse, sempre con quel suo tono allusivo.
Percy
arrossì di vergogna, io per la rabbia. Come si
permetteva quella specie di folletto a chiamarmi demente!?
“La
turista demente sarei io.” Ringhiai, sporgendomi
verso di lui, mostrando quella che sperai essere un espressione
minacciosa.
Eppure
o lui era un bravissimo attore, o non mi era
riuscita tanto bene perché lui ammiccò verso di
me e tornò a concentrarsi su
Percy: “Però, amico… che
culo.”
Sospirammo
entrambi, sconsolati. Decidemmo di far buon
viso a cattivo gioco: io distolsi lo sguardo e Percy tornò
in bagno per potersi
vestire.
“Cosa
vuoi?”
“TI
ricordi che giorno è oggi, vero?”
“Domenica.”
Leo
sbuffò per lo scambio di battute monosillabi che
l’altro gli aveva rivolto: “Non dire stupidaggini!
Oggi è iniziano le
iscrizioni e le qualificazioni per il torneo del Pugno Dorato*!
Potremmo
partecipare! Tu con il tuo karate ed io con il mio Krav Maga**.
Potremmo
vincere!”
“Lo
sai che ho chiuso con quella roba… smettila di
assillarmi!” Sbottò Percy scuotendo il capo. A
quanto pare era qualcosa che lo
metteva in imbarazzo.
“Scusate…
che cos’è questo torneo? E cosa dovrebbe
essere il Krav Maga?” Chiesi, curiosa. Non avevo mai sentito
quelle parole.
“Oh…
il Pugno Dorato è una sorta di… Torneo di lotta
on-line,
parzialmente legale, a cui io
partecipo spesso. Il Krav Maga è uno dei tre stili di
combattimento che Percy
conosce, ance se è specializzato nel Karate. Il Krav Maga
è una disciplina
particolare che pratico anche io… e si basa sulla difesa
personale contro
possibili aggressori.” Spiegò Leo, con un
sorrisetto astuto.
“Sì,
ma io non intendo partecipare… ho sempre da fare
con la palestra… e forse potrei trovare un altro lavoro, tra
un paio di
settimane.” Continuò l’altro, tornando
completamente vestito dal bagno.
Invece
io ero dannatamente curiosa: “Davvero? Non ne ho
mai sentito parlare.. sembra interessante.”
Leo
sembrò divertito e mi si avvicinò accostandosi a
me
come se mi volesse confidare un segreto (Ero convinto di aver visto
lanciargli
un occhiata di fuoco, mentre lo faceva): “Se non hai paura di
essere arrestata,
te lo posso mostrare.”
*Campionato
fittizio, da me creato per questa storia,in
quanto non seguirebbe le regole di un vero torneo. Rimarrà
sullo sfondo, anche
se mi serve per mettere un paio di situazioni.
*Arte
marziale praticata, inizialmente, in Israele, poi
diffusasi come arte marziale di autodifesa che si basa su un uso
offensivo di
varie mosse di altre arti marziali. È considerato uno sport
ufficiale, ma è
poco praticato.
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[Angolo
dell’autore]
Salve
gente, ma quanto sono veloce, incredibilmente,
ad aggiornare? Tantissimo! Questo è niente, in confronto
alle mie altre storie
che dovrei aggiornare, ma non aggiorno mai :P
Invece
su questa, ci sto prendendo gusto :3
E
questo capitolo inizia a farsi interessante,
perché quei due sono dolciosissimi. (Spero, almeno, di
esserci riuscito a farli
così :P )
Quindi
recensite presto questo nuovo capitolo, anche
altri che non l’hanno fatto!
AxXx
|
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Capitolo 9 *** Allenamento Romantico ***
Allenamento
Romantico
Leo
mi aveva mostrato un sito internet dove si
spiegavano le regole del torneo, ma capii subito che non era il mio
genere di
sport. Non mi piaceva la lotta, preferivo qualcosa di meno pericoloso.
Non era
proprio un torneo ufficiale, ma, a quel che sentivo, era una sorta di
raduno
per appassionati di arti marziali. Il fatto è che, alla
fine, c’era anche un
torneo che, però, non era ufficiale. Il fatto è
che il premio era altissimo.
Leo sembrava entusiasta, mentre Percy non era proprio il massimo.
“Ma
dai! Ho già scommesso con Travis!”
Protestò il
riccio messicano, facendo una faccia fintamente dolce, nel tentativo di
convincerlo.
“Ti
ho detto di no!” Sbottò il ragazzo dagli occhi
verdi e luminosi. Fui felice che non partecipasse, anche
perché vedevo che certi
partecipanti si facevano parecchio male.
“Ho
capito… be’, divertiti con la tua amica.”
Lo sbeffeggiò lui ghignando,
prima di scappare di corsa.
Lessi
sul volto di Percy il desiderio di corrergli
dietro, ma io allungai la mano e lo trattenni. Non volevo che se la
prendesse
così tanto con un amico. Dopotutto Leo era simpatico quando
non filtrava in
modo esagerato con me. Aveva un aria allegra ed era molto strano (In
senso
buono). Lui mi guardò e annuì a malapena,
rimanendo al suo posto.
Mentre
lui si sedeva io guardai la sua stanza, cercando
di imprimere nella mia mente ogni singolo particolare. Era una stanza
un po’
stretta, ma accogliente. Ero seduta su una vecchia sedia girevole, con
davanti
una scrivania, con un computer ed un’altra foto di Sally
Jackson che teneva in
braccio il figlio, coccolandolo amorevolmente. Sulla parete di sinistra
c’era
un armadio a tre ante, e alle mie spalle c’era un letto ad
una piazza e mezzo.
Il tutto era illuminato a sole da un'altra ampia finestra posta alla
mia destra.
Il tutto era accogliente e luminoso. Al contrario del resto della casa
era
colorato e luminoso. Su una delle ante c’era un poster di un
qualche gruppo
musicale, mentre vicino al letto c’era una chitarra.
“Mi
avevano detto che sapevi suonarla… ma sembra che tu
non la usi spesso.” Feci notare, guardando lo strumento
abbandonato a se
stesso.
“Qualche
volta strimpello qualcosa, ma non sono così
bravo.” Borbottò lui, prendendola in mano con
delicatezza. Sembrava stranamente
a suo agio con quella in mano ed ero curiosa di sentirlo.
“Suoni
qualcosa? Secondo me sei bravo.” Proposi,
sorridendo, facendo una faccina ironicamente dolce. Ogni tanto ci
prendevamo in
giro per quella cosa, ma quando la facevo lui sorrideva e accettava le
mie
proposte.
“Forse
non è il caso…”
“Per
favore?”
Sospirò.
“D’accordo…”
Acconsentì, un po’ giù.
Prese
il plettro posto sulla scrivania accanto al
computer e accordò con cura lo strumento. Con le dita
saggiò le corde e iniziò
a suonare. Subito la dolce melodia proveniente dalla cassa di
risonanza, riempì
l’ambiente. Non sapevo che spartito fosse, ma intuii che non
era Rock, sembrava
una rivisitazione in chiave moderna di uno spartito più
classico. Forse Percy
non era un musicista da palcoscenico, però, per quel poco
che capivo, lo considerai
bravissimo. Non perdeva mai il tempo, mettendo concentrazione in ogni
singola
nota, rendendo la musica uniforme e armoniosa. Mi venne quasi voglia di
ballare, ma mi trattenni, anche perché non c’era
spazio per farlo.
Adoravo
il modo in cui batteva ritmicamente il piede
per terra per tenere il tempo mentre suonava e il modo in cui inarcava
le folte
sopracciglia nere, fino quasi ad unirle. Quando finii dovetti
ricordarmi di
respirare.
“Non
dire nulla… so che è orribile.”
Sbuffò, riponendo
con cura la chitarra.
“Ma
non è vero… sei bravissimo.” Commentai
con gli
occhi sognanti. Cercai di distogliere lo sguardo, ma mi sembrava
impossibile.
“Non
esagerare sapientona… so solo strimpellare qualche
spartito.” Si schermì lui ridacchiando.
“Invece
sei troppo modesto… e smettila di
chiamarmi ‘sapientona’!”
Borbottai
corrucciata.
Il
fatto che mi chiamasse così era dovuto al fatto che,
fondamentalmente, quando ero a casa, non potevo fare mai a meno di
leggere un
libro e controllare su Wikipedia tutto ciò che riguardava un
argomento che mi
piaceva. Come quando il mio sguardo si era soffermato su un paio di
scarpe
Nike. Le calzature, di per se, non mi avevano impressionato, ma il nome
mi
incuriosì, così la sera stessa rapii il computer
di Percy e feci una ricerca a
tutto campo di quella parola.
Da allora lui mi chiamava affettuosamente
‘Sapientona’.
“D’accordo…
allora, che hai in mente di fare, oggi?”
Chiese, rimettendo a posto il plettro e sedendosi accanto a me.
“Nulla
di particolare… tu?”
“Nulla…”Ammise,
infine.
Io
mi soffermai sullo schermo del computer, ormai sul
punto di spegnersi e un’idea strana mi catturò la
mente. Non ero, o almeno
credevo di non esserlo mai stata, una tipa violenta, ma avevo la strana
paura
che il mio aggressore diventasse reale. Forse non avrei potuto fargli
nulla, ma
c’era pur sempre la possibilità che riuscissi a
difendermi, ma solo se lo
sapevo fare.
“Mi
insegni autodifesa?” Chiesi tutto d’un fiato, senza
quasi guardarlo. Non sapevo spiegarmelo, ma sentii poteva essermi utile.
Dovetti
averlo lasciato parecchio interdetto, perché
lui rimase a bocca aperta per un attimo, prima di rispondere:
“Non c’è
problema… solo… a che ti servirebbe?”
“Be’,
innanzitutto per passare un po’ di tempo… con te.
Poi sono smemorata, ma non stupida… sapersi difendere da
soli è sempre utile,
non ci sarà sempre un cavaliere come te a
difendermi.” Spiegai, facendogli un
occhiolino, concedendomi un po’ di malizia.
Percy
mi guardò confuso, come se, all’improvviso, avessi
cambiato forma sotto i suoi occhi, ma poi annuì:
“Certo… possiamo farlo.”
Decidemmo
di iniziare il giorno stesso, nonostante
fosse domenica. Percy mi condusse alla sua palestra dove mi
presentò anche il
direttore: Chiron Trainer. Era un uomo alto, sulla cinquantina, con un
po’ di
barba molto curata, gli occhi gentili ed era molto ben piazzato, con
l’aria di
uno che è abituato ad insegnare senza arrabbiarsi. Sembrava
in buoni rapporti
con il ragazzo e infatti questi mi spiegò che era stato
proprio l’allenatore a
promuoverlo a maestro, pur non avendo tutti i requisiti adatti,
permettendogli,
così, di insegnare senza problemi, a patto che i suoi
allievi avessero meno di
quattordici anni. Era anche un buon amico di famiglia, infatti aiutava
molto
Percy e parlava di lui a molte persone, facendogli avere lavoretti in
modo che
potesse tirare avanti nei periodi di magra. Non sembrò
nemmeno essere
infastidito dalla loro richiesta di prendere in prestito una parte
della sua
palestra per qualche ora.
“Basta
che non distruggiate nulla e che mi riportiate
le chiavi.” Assicurò sorridendo gentilmente.
“Non
si preoccupi, ci prenderemo noi cura di ogni cosa…
non faremo nulla di pericolosissimo. Devo solo fare un
favore.” Disse Percy,
ringraziando.
All’interno
indossai una tuta sportiva che mi aveva
prestato Rachel e raggiunsi Percy, già in tenuta da
combattimento.
“Wow…”
Sussurrò lui, guardandomi come se non mi avesse
mai visto. “Stai benissimo! Dovevi essere una persona che si
allenava costantemente.”
“Ehmm…
non lo so. Grazie.” Sussurrai, arrossendo.
Cavolo, come lo adoravo quando diventava così dolce.
Lui
si ricompose in fretta e si avvicinò a me,
mettendosi in guardia, con i pugni alzati. Il suo sguardo
sembrò diventare
tempestoso e io mi ritrovai ad osservarlo con un po’ di
timore, ma non feci
trasparire nulla e lo imitai.
“Allora…
questa è la posizione base per la difesa. Il
braccio sinistro deve rimanere più in basso rispetto a
quello destro che
protegge il viso.” Spiegò, aiutandomi ad assumere
la posizione corretta.
“Ora…
le mosse base, per affrontare qualsiasi
aggressore devi riuscire a capire i suoi punti deboli. Di solito la
gola o la
zona in mezzo alle gambe. Ora prova a colpirmi.”
Ordinò, incitandomi.
Iniziai
a tirare pugni, cercando di colpirlo dove mi
aveva detto, ma ogni volta che incrociavo il suo sguardo, non riuscivo
ad
alzare una mano contro di lui e i miei colpi rallentavano. Lui, invece,
era la
perfezione: i suoi occhi erano un mare tempestoso che si concentrava su
di me
evitando i colpi e anticipando ogni mia mossa.
“Non
distrarti… sono un tuo avversario, ricordalo!”
Dopo
avermi spiegato le basi e le mosse base, mi invitò
a creare delle combinazioni, usando calci e pugni a ripetizione. Ero
stranamente rilassata, nonostante la fatica. Lui era molto paziente e
sopportava i miei ridicoli scivoloni, quando sbagliavo una mossa
mettendo un
piede in fallo. Dopo due ore decidemmo d smetterla e lui
sembrò molto
soddisfatto.
“Non
avrai fatto arti marziali, ma devi aver
sicuramente fatto qualche sport in passato.”
Sentenziò offrendomi un po’
d’acqua.
“Grazie…
ma come sai, non ricordo quasi nulla…”Ammisi,
uscendo dallo spogliatoio, di nuovo cambiata e afferrando la bottiglia
che mi
porgeva. Sembrava volermi proporre qualcosa, ma dal rossore intuii che
non gli
piaceva.
“Senti…
io… dovrei parlarti un attimo.” Disse,
improvvisamente serio.
Io
lo guardai interrogativa. Avevo un po’ paura che mi
volesse dire qualcosa di brutto, ma scartai l’ipotesi. Non
erano successe cose
particolarmente rilevante, in quei giorni.
“Dimmi…”
“Ecco…
mercoledì c’è un film che potrebbe
piacerti… ti
andrebbe di venire al cinema con me? Offro io…”
Mentre lo diceva, sembrava arrossire
fino alla punta delle orecchie ed io mi sentii allo stesso modo.
Cavolo!
Dov’erano
Talia e Rachel quando avevo bisogno di
consigli romantici? Perché non ricordavo nulla? Non mi
avevano mai invitato ad
un appuntamento?
“D-d’accordo…
ma… sicuro di potertelo permettere?”
Chiesi, mordendomi il labbro inferiore, un po’ ansiosa.
“Certo…
nessun problema, ho qualche soldo da parte…”
Spiegò, sempre più agitato.
“Allora
va bene… prometto che t ripagherò. Appena
ricorderò qualcosa…” Promisi, dandogli
un veloce bacio sulla guancia che lo
lasciò interdetto.
“Oh…
davvero ti ha chiesto di uscire?”
Ero
a casa di Talia per un’altra sua ricerca
infruttuosa. Ma a quanto pare, per una volta, non era il mio passato
l’oggetto
principale della conversazione.
“Sì…
che devo fare, secondo te? Devo vestirmi in
qualche modo?” Chiesi, ansiosa. Non volevo fare brutta
figura. C’era la
possibilità che fosse il mio primo appuntamento e non volevo
fare brutta
figura.
“Vestiti
normale e parla in modo naturale… Percy non è
un tipo pretenzioso.” Susurrò, ridacchiando
maliziosa.
“D’accordo…
spero davvero di non dire stupidaggini.”
Borbottai, per nulla tranquillizzata.
“Non
dire così… senti, Percy non ha mai chiesto a
nessuno di uscire. Anche quando stava con Rachel, lui non la invitava
mai al
cinema, al massimo a casa sua. Se ti ha invitato significa che gli
piaci
davvero.” Disse la mora, sorridendo incoraggiante. Forse
aveva ragione: mi
stavo preoccupando troppo.
Mi
ero messa a leggere un sacco di cose di gossip e
siti con libri romantici e mielosi per capire cosa dovessi fare, se
dovessi
acconciarmi i capelli in qualche modo particolare, se dovessi vestirmi
in
maniera adatta o se dovessi dire o fare qualcosa. Peccato che non si
potesse
imparare l’Amore sui libri. Potevi solo viverlo.
“Io
torno a casa… ci vediamo, Tal.” La salutai, io,
dandole
un bacino sulla guancia.
Mentre
uscivo mi avviai verso l’ingresso, dove stavo
prendendo la mia giacca, ma mentre allungavo la mano, qualcuno mi
travolse. Non
mi buttò a terra, ma mi sbilanciò un
po’.
“Oh,
scusami… stavo cercando di prendere la mia giacca.”
Mi
voltai e notai che ad avermi urtato era stata la
ragazza di Jason: Piper. Non l’avevo mai vista
così da vicino. Da lontano
sembrava una specie di principessa, o forse ero io che la consideravo
tale, ma,
vedendola da vicino, non era così perfetta. Certo che
però era carina, aveva i
tratti tipici di un’indigena americana, i capelli castani
avevano un taglio
asimmetrico e gli occhi scuri mi fissavano amichevoli. Indossava un
paio di
Jeans e una maglietta rosa un po’ stinta. Non sembrava male,
come persona.
“Non
preoccuparti, nemmeno io ti avevo vista.” Ammisi,
sorridendo e prendendo la mia giacca.
“Sei
Annabeth, vero? La nuova amica di Talia.” Intuì
lei, indossando il suo. Stranamente, la trovai simpatica.
“Sì…
e tu sei Piper, la ragazza di Jason.”
“Sì…
ehm… piacere di conoscerti.” No capii cosa, ma
sembrava nervosa e anche un po’ triste per qualcosa. Che
fosse colpa mia?
“Ehi…
ho detto una cosa che non andava bene?” Chiesi,
poggiandole una mano sulla spalla, come per tirarla su.
“No…
solo che… ho appena litigato con Jason… ho
scoperto una cosa che mi ha fatto parecchio male.” Ammise
abbassando lo
sguardo.
Mi
sentii stranamente in pena per lei, così le detti
una pacca sulle spalle e le indicai la porta: “TI va di fare
una passeggiata?
Magari se mi racconti qualcosa starai meglio.”
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
Autore]
LOL
non riesco a credere che sono riuscito a mantenere questa
velocità di pubblicazione, soprattutto con un'altra idea che
mi frulla in testa
su questo fandom. Non so quanto durerà,
però… infatti ho un’altra idea, inoltre
sta per ricominciare la serie dei Semidei del Nord. Fino ad allora,
però,
dovrei avere tempo di continuare a pubblicare.
Quindi
recensite, recensite e recensite.
AxXx
|
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Capitolo 10 *** Mi Hai rubato il Cuore ***
Mi
hai rubato il Cuore.
Piper
e io passeggiavamo tranquilli lungo la navata
principale di un centro commerciale. All’inizio lei mi era
sembrata un po’
snob, ma mi resi conto che avevo avuto un’impressione
totalmente sbagliato:
sembrava stranamente triste e non indossava abiti firmati o molto
eleganti. Era
molto casual, jeans e maglione, molto semplice, insomma. La borsa, non
sembrava
nemmeno particolarmente vistosa. Se qualcuno l’avesse vista
per strada non
avrebbe mai detto che fosse la figlia di un attore. In effetti era
normalissima,
sembrava cercare a posta di non mostrare nulla di se stessa.
“Mi
piacerebbe offrirti qualcosa… ma non ho un soldo.”
Ammisi, dopo un po’, indicando un bar, poco lontano.
Lei,
però, non sembrò infastidirsi e
scrollò le spalle:
“Sai il problema, io di soldi ne ho anche troppi.”
Sembrò quasi
volersi rimangiare l’affermazione, quando ci sedemmo insieme
allo stesso
tavolo. Non ordinammo niente, all’inizio, ma poi lei decise
di prendere un
gelato alla fragola, chiedendo se anche io volessi qualcosa. Fui
tentata di
accettare, ma per una volta, non mi andò nulla,
così scossi la testa e
declinai.
“Piuttosto,
dimmi… che è successo tra te e Jason?”
Chiesi, osservando il suo volto triste. Sembrava davvero giù.
“Io…
be’, ho litigato con lui.” Spiegò,
evasiva, come
se si vergognasse di qualcosa.
“Ti
va di raccontarmelo.”
Mi
osservò attentamente, quasi temendo che io le stessi
tendendo una trappola, ma poi annuì incerta: “Va
bene…”
Ci
fu qualche secondo di silenzio, prima che la mora
iniziasse a parlare.
“Non
so… mi prenderai per una stupida… ma ieri sera,
io
e Jason ci siamo dati appuntamento in un locale. Io ero andata
lì da sola ed
ero molto felice… insomma, ultimamente il nostro rapporto
era un po’ giù di
tono, ma pensavo che un appuntamento avrebbe potuto tirarci su. Solo
che quando
sono arrivata, lui era avvinghiato ad una sua compagna della scuola di
polizia…
una certa Reyna… e lei lo stava baciando.”
Siegò, tutto d’un fiato,
asciugandosi in fretta le lacrime, che minacciavano di uscire.
Non
dissi nulla, sentendomi stranamente vicina a lei,
pur non conoscendola. Mi chiesi come mi sarei sentita, se avessi visto
Percy
baciare un’altra ragazza. (Probabilmente sarei scappata in
lacrime).
“Io
non riuscii a rimanere… mi faceva male il cuore e
mi sono sentita tradita… oggi sono venuto da lui per
chiarirmi, ma quando ho
visto Reyna che dormiva nel suo letto, mi sono sentita uno schifo. Gli
ho
urlato contro e me ne sono andata di corsa.” Concluse, con la
voce spezzata.
Dovevo
ammettere che un po’ la capivo: difficile immaginare
che Jason avesse una spiegazione plausibile per quel comportamento.
Insomma,
non è proprio bello vedere una ragazza nel letto del proprio
ragazzo e non
potei fare a meno di pensare che Jason si fosse come un bastardo di
bassa lega.
“Mi
dispiace… se vuoi posso parlargli.” Proposi,
cercando di farla stare un po’ meglio.
“Non
importa… appena starò un po’ meglio, lo
farò io…
se ci riuscirò.” Ammise Piper, finendo, pian piano
la coppetta che stava
piluccando distrattamente.
Mentre
sospiravo, cercando di non pensare al fatto che
Percy potesse fare una cosa simile con me, mi guardai intorno e notai
qualcosa
che mi fece salire un brivido: alle spalle di Piper c’era un
ragazzo, fermo,
appoggiato ad una colonna, con le cuffie dell’I-pod nelle
orecchie. Indossava
un paio di Jeans laceri, e una felpa con il cappuccio tenuto calato,
come per
non farsi riconoscere.
Da
quell’angolazione era impossibile che mi vedesse, ma
io vedevo bene lui. Sembrava totalmente disinteressato alla musica che
ascoltava, continuava a passare lo sguardo su Piper, soffermandosi per
qualche
attimo su di lei diverse volte, per poi tornare a fissare altro.
La
mia inquietudine aumentò quando notai una cicatrice
sullo zigomo che mi fece tornare in mente il mostro che mi tormentava
nei
sogni.
Scossi
la testa.
Doveva
essere un dannato scherzo, perché io non potevo
ricordare solo un mostro e che fosse proprio lui la prima persona che
rincontravo dopo aver perso la memoria. Il destino doveva avere un bel
senso
dell’umorismo.
“Senti…
io sono un po’ stanca…” Borbottai,
abbassando
anche io il cappuccio per assicurarmi che non mi riconoscesse.
“Vuoi che ti
accompagni a casa?”
Piper
finì il gelato e saldò il conto, mentre io mi
guardavo intorno. Il ragazzo era ancora lì, ma continuava a
seguire la mia
amica con lo sguardo, ignorando completamente me: o non mi aveva
riconosciuta,
o non mi aveva vista, o mi ero immaginata io la somiglianza.
Appena
uscimmo, decidemmo di fare una veloce
passeggiata prima di dividerci.
“Come
hai conosciuto Talia?” Chiese dopo un po’ la mia
compagna. “Vai a scuola con lei?”
Io
sussultai, un po’ a disagio. Mi dava fastidio parlare
di quello che mi era accaduto. Poi, però, pensai che Piper
era stata sincera
con me, mi aveva detto cosa la turbava, così decisi di
raccontarle tutto: della
mia amnesia, di come mi ero risvegliata senza memoria a casa di Percy,
di come
Talia e Rachel mi avevano aiutato e di come era passata
l’ultima settimana.
“Cavolo…
che cosa strana… mi dispiace, scusami se ti ho
messo a disagio.” Sussurrò, lei, poggiando una
mano gentile sulla mia spalla.
“Non
preoccuparti… mi sono quasi abituata a questa
situazione del cavolo, però vorrei davvero poter ricordare
qualcosa.” Ammisi,
sorridendole. “E poi Percy, Nico, Rachel e Talia, sono ottimi
amici e non mi
fanno pesare il fatto di essere una smemorata.”
“Capisco…”
Lei sembrò riflettere su qualcosa. “Non ti
manca nulla? Magari posso aiutarti anche io…”
Propose, guardandomi speranzosa.
“No…
non mi manca niente, a parte i soldi… non mi va di
elemosinarli agli altri.” Ammisi, un po’ titubante.
Non volevo farmi prestare
denaro da nessuno, ed ero pronta ad un netto rifiuto se lei me li
avesse
offerti.
Invece
quello che mi propose mi stupì: “Potrei trovarti
un lavoro, sai?”
Io
arrossii parecchio: non mi ero aspettata una
proposta del genere. Anche se allettante, non sapevo cosa avrei potuto
fare.
Non sapevo nemmeno se in passato avessi mai avuto un lavoretto
Part-time.
“Cosa
potresti farmi fare?” Chiesi cautamente.
“Be’…
io faccio la babysitter… conosco della gente che
ha bisogno sempre di un po’ di aiuto con i loro figli. Tu
sembri una brava
ragazza, non credo avrai problemi.” Spiegò Piper,
sorridendo.
“Ma…
io non so cosa dovrei fare. E poi… non so nemmeno
se serve una qualche qualifica? Serve?” Chiesi, iniziando a
ragionare
febbrilmente sulla possibilità. Era allettante, ma avevo
paura di combinare
casini terribili.
“No…
puoi farlo, conosco persone che hanno bisogno di
una mano. C’è una famiglia accanto a quella di
Jason che hanno bisogno di una
babysitter e la loro figlia è una dolcezza. Mi avevano
chiesto se conoscevo
qualcuno, se vuoi, ti porto a conoscerli. Sono delle brave
persone.” Mi
assicurò lei, cercando di rassicurarmi.
“D’accordo…
almeno avrò qualche soldo per ripagare
Percy dell’ospitalità. Grazie davvero.”
Accettai, alla fine, ringraziandola.
Dopotutto era in buona fede.
Passarono
i tre fatidici giorni prima dell’appuntamento
con Percy e quella sera ero talmente nervosa che avrei quasi voluto
rifiutare
per la paura. Certe volte mi chiedevo perché le ragazze di
certi telefilm
stessero tanto in bagno a prepararsi. Pensavo fosse una parodia, ma
quando mi
ci ritrovai io, non seppi proprio cosa fare.
Da
domenica, mi vedevo anche con Piper e quando le
avevo parlato dell’appuntamento, mi aveva prestato un sacco
di trucchi
dicendomi di farmi bella: ma cosa mi serviva esattamente? Lo smalto
doveva
essere rosa o rosso? O Percy lo preferiva blu? E il rossetto? Rosso
fuoco?
Rosso ciliegia? O Rosa? Oppure qualche altro colore? Il mascara? Lo
dovevo
mettere? L’Ombretto?
Cavolo!
Perché
doveva essere così difficile!? E perché non
c’erano
libri o pagine internet che mi potevano aiutare?
Mi
sentivo più stupida di quando avevo chiesto a Percy
di allacciarmi le scarpe.
Alla
fine decisi di non truccarmi per nulla. Mi lavai
velocemente, assicurandomi di avere anche i capelli puliti, mi misi un
paio di
Jeans, una camicetta e una giacca. Insomma, proprio come mi aveva
trovata lui.
Anche lui aveva un abbigliamento simile. Aveva le mani in tasca e
continuava ad
aggiustarsi un ciuffo ribelle che continuava a finirgli in mezzo agli
occhi,
cosa che io trovavo terribilmente adorabile.
“Andiamo?”
Chiesi, cercando di non far trasparire il
mio nervosismo.
“Certo.”
Annuì il ragazzo, alzandosi e avvicinandosi
alla porta invitandomi a passare per prima.
Decidemmo
di andare a piedi, tranquilli. Ormai non c’era
più neve, ma era comunque freddino, ma io non ci feci caso.
Io e Percy
continuavamo a camminare fianco a fianco e dopo un po’ sentii
le sue dita
intrecciarsi con le mie. Mi sentii avvampare, ma non mi ritirai e
strinsi.
Continuammo a camminare, mano nella mano, fino alla stazione della
metropolitana. Quando ci sedemmo accanto, lui mi cinse le spalle e mi
avvicinò
a lui.
“Annabeth…
non hai ancora ricordato nulla?” Chiese,
all’improvviso.
Non riuscii a capire, ma qualcosa, nella sua voce, mi fece capire che
era in
attesa.
“No…
ma non voglio pensarci, adesso.” Risposi,
appoggiando la testa sulla sua spalla. Era così rilassante,
stargli accanto.
“Capisco…
mi dispiace.” Borbottò, poco convinto.
Sorrisi,
ormai eravamo diventati molto vicini. Mi aveva
raccontato molto della sua vita: la sua passione per il nuoto, i suoi
problemi
di famiglia e di denaro, e alcuni eventi poco felici nella sua vita,
come
quando fu pestato a dieci anni da un branco di bulli che lo mandarono
al pronto
soccorso. Da allora si era impegnato nel karate e
nell’autodifesa, in modo da
poter difendere se stesso e le persone che amava. Mi
raccontò anche altri
eventi e fu molto sincero e piacevole. A me piaceva molto ascoltarlo,
mi
rasserenava e il suono della sua voce era quasi ipnotico.
“Percy…”
Iniziai, alzando lo sguardo su di lui.
“Mh?”
“Se
mai non dovessi mai ricordare nulla… Ho paura…
potrei rimanere con te?” Chiesi, preoccupata, temendo un
po’ la risposta. Ma
non avevo nulla da temere, perché lo sentii stringermi un
po’ di più, come per
proteggermi.
“Certo…
non ti lascerei mai in mezzo alla strada… sei
troppo sapientona per essere abbandonata.”
Ridacchiò, scherzando, ma allo
stesso tempo dolce.
Mi
tenni stretta a lui per tutto il viaggio, grata per
il sostegno che lui continuava a darmi.
Al
cinema c’era l’ultimo film della serie lo Hobbit, e
mi piacque un sacco. Adorai tutti i personaggi, ma c’era
qualcosa che mi
piaceva ancora di più: in quel cinema c’ero io con
Percy Jackson. Lui ridette
con me, commentando certe scene e si imbronciò un
po’ quando dissi che Thorin
Scudodiquercia era più bello di lui.
“Ma’…
a me tutta quella barba non piace… e poi è
stupido.” Aveva commentato, incrociando le braccia offeso.
Cosa
che mi fece ridere quasi quanto altre scene del
film.
Quando
uscimmo, lui mi cinse le spalle e mi riportò a
casa, con calma, avvicinandosi a me, sempre di più, tanto
che, mentre
camminavo, potevo sentire il suo cuore battere contro il mio orecchio.
“Sai…
dopodomani ho un… colloquio, diciamo così. Forse
mi prendo un lavoro.” Gli dissi, mentre camminavamo.
“Davvero?”
Chiese, sorridendo. “Allora vuoi proprio
rifarti una vita. Sembra quasi che tu voglia lasciarti alle spalle la
vecchia.”
“Forse…”
Ammisi, pensierosa. “Il fatto è che non ricordo
ancora nulla… se non dovessi ricordare mai, dovrò
pur guadagnarmi da vivere.”
Per
un attimo, il silenzio ci avvolse e io mi accorsi
che ci eravamo fermati. Percy stava aprendo la porta di casa e mi fece
cenno di
precederlo. Seguii le scale e raggiunsi il suo appartamento e misi a
posto la
giacca. Ma quando cercai di avvicina al divano sentii che lui mi stava
trattenendomi per la vita, costringendomi a voltarmi.
“Dimmi…
in questa nuova vita? C’è posto per il tuo
salvatore?” Chiese, malizioso.
Mi
accorsi solo in quel momento di quanto eravamo
vicini.
Deglutii
a fatica, sentendomi lo stomaco invaso da
miliardi di farfalle che volavano in formazione.
Il
mio cervello era in tilt, ragionare era impossibile
e il cuore batteva così veloce che pensai potesse esplodermi.
“Se
vuoi… non ho nulla in contrario, Testa
d’Alghe.”
Risposi, in un sussurro, avvicinandomi sempre di più al suo
viso.
Le
nostre labbra si incontrarono, mentre lui continuava
a stringersi sempre di più a me. Le mie si dischiusero
automaticamente,
accarezzando le sue morbide e lisce con un delicato sapore salmastro.
La sua
lingua indugiò, quasi a chiedere permesso, ma quando fui io,
a prendere l’iniziativa,
lui non perse tempo e ricambiò con passione. Era la cosa
più bella che avessi
mai provato, credo in entrambe le vite che avevo vissuto. Il suo corpo
era
caldo e il suo tocco mi faceva fremere di eccitazione. Le sue mani mi
accarezzavano i capelli e la sua mano mi faceva tremare dal piacere. Mi
strinsi
a lui, intrecciando le dita tra i suoi capelli, mentre lui dischiudeva
le
labbra, quasi mi stesse concedendo un dono.
Rimanemmo
così per quasi un minuto finché i polmoni non
reclamarono aria, solo allora mi allontanai da lui, senza
però, sciogliere l’abbraccio.
“Sei
bellissima, Annabeth…” Sussurrò Percy,
appoggiando
la sua fronte alla mia.
“Anche
tu.” Fu la mia risposta. Mi accoccolai a lui,
appoggiando il viso sull’ampio petto di quel ragazzo che mi
aveva rubato il
cuore. “Sono felice che sia stato tu a trovarmi.”
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
dell’autore]
Potrei
dire migliaia di cose su questo capitolo, ma
preferisco che siate voi a commentar,e perché questo
è IL capitolo, forse più
importante della storia, perché si unisce la coppia e si
scopre qual cosina *Fischietta*
Commentate,
che è il capitolo, spero migliore.
AxXx
|
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Capitolo 11 *** Coppie ***
COPPIE
È
davvero incredibile come la vita può cambiare in
meglio, anche quando ti sembra tutto finito. Venti giorni prima era una
ragazzetta spaventata ed impaurita dalla sua stessa ombra, senza
memoria, senza
una casa, senza un lavoro e senza nemmeno un nome.
Invece,
grazie a Percy, era tutto cambiato: ormai casa
mia e casa sua erano la stessa cosa. I signori Wilson, mi avevano
accettato
come babysitter di Lucy, una dolce bambina di otto anni, molto
tranquilla, ma
anche molto curiosa, che non mi dava nemmeno grosse
difficoltà, permettendomi
di guadagnare poco, ma a sufficienza, in modo da poter, almeno, aiutare
Percy a
fare la spesa, quando ne aveva bisogno o a tirare avanti, dato che era
difficile essere in due in una casa così piccola.
Continuavo
a prendere lezioni di autodifesa, da lui,
imparando mosse nuove e sentendomi sempre più forte. Lui mi
faceva fare anche
degli esercizi per tonificare i muscoli e in dieci giorni,
già si vedevano i
primi risultati.
Ero
un po’ più forte ed ero in grado di correre a
lungo
senza risentire troppo della stanchezza. Percy ci scherzava su, dicendo
che gli
avrei potuto rubare il lavoro, ma io sapevo che ero lui il maestro.
Ogni
sera ci sedevamo insieme sul divano a guardarci un
film, ma io tenevo sempre gli occhi fissi sulle sue iridi verde mare
che mi
attiravano irresistibilmente. Anche lui non faceva molto caso a
ciò che
mettevamo, sembrava quasi che accendessimo la TV solo per fingere che
tutto, in
quella casa, non fosse cambiato, quasi un rituale da seguire.
Io
mi accoccolavo a lui, per ascoltare il regolare
battito del suo cuore che mi rilassava, mentre mi accarezzava la
schiena e i
capelli. I suoi baci erano di una dolcezza infinita e io rabbrividivo
sempre,
come se fosse la prima volta.
Avevamo,
persino, smesso di dormire separati: dormivamo
nello stesso letto, abbracciato come bambini. Non fraintendete, non mi
sentivo
ancora pronta a certe cose, ma non mi dispiaceva sentirlo accanto a me,
poco
prima di dormire.
Le
sue braccia forti erano un scudo contro gli incubi
del mio passato che facevo di tutto per ignorarli. Ed io mi stringevo a
lui,
sicura che i mostri che affollavano i miei sogni non si sarebbero
avvicinati a
me.
Ormai
avevo deciso di lasciarmi alle spalle il passato:
era perso, dimenticato. Forse l’avrei ritrovato, ma ormai
avevo una nuova vita.
Non ne potevo più di angosciarmi per qualcosa che avevo
perso quando quello che
aveva trovato era così bello. Non navigavo
nell’oro, ma almeno era una vita.
Avevo un ragazzo straordinario, dei bellissimi amici e un posto da
chiamare
casa Cosa potevo volere di più?
Con
loro mi trovavo bene e non mi sentivo più sola,
inutile, stupida o dimenticata. Ora mi sentivo sicura e forte. Sapere
di avere
delle brave persone su cui contare era un grande sollievo e la loro
presenza mi
dava sempre forza, quando ricadevo, per qualche istante, nel vortice di
disperazione che la mia mente ancora ospitava. Ma poi mi bastava
scambiare due
parole con Rachel, Piper o Talia e subito mi riprendevo.
Ogni
tanto andai a mangiare da Nico che sembrava
soddisfatto del fatto che noi stavamo insieme. Mi dette una mano e,
quando
chiesi notizie di Bianca, mi disse che lei sarebbe stata via fino alla
fine del
mese, ma che aveva chiesto di me, augurandomi di essere felice con
Percy.
Ebbi
anche la possibilità di rivedere Leo che mi
deliziò con una serie di battute dal dubbio gusto, ma che
alla fine
divertivano. Era un tipo a posto, quando non flirtava con me, con quei
suoi
modi allusivi e non mi chiamava “Turista Demente”.
Erano
passati esattamente cinque giorni da quando ci
eravamo messi insieme. Percy rientrò a casa con un
po’ di ritardo. Il mio turno
di lavoro come babysitter era concluso da poco, di solito tornavo verso
le
quattro, quando la signora Wilson tornava da lavoro e si occupava
personalmente
del figlio. Invece lui tornava, di solito, mezz’ora dopo, ma
quel giorno erano
addirittura le cinque.
“Indovina
chi sono?”
“Non
lo so… vediamo… un ragazzo bellissimo?”
Chiesi,
maliziosa, fingendo confusione.
“Solo?
Mi potrei offendere, signora smemorata.” Brontolò
lui, dandomi un bacio sul collo, provocandomi un brivido di piacere.
“Dai,
Percy… smettila.” Ridacchiai, riferendomi, non al
bacio, ovviamente.
“D’accordo,
ma devi promettere di tenere gli occhi
chiusi.”Disse, scostando le mani.
Io
ubbidii, appoggiandomi al suo petto, sospirando.
Sentii le sue mani appoggiarsi alle mie gambe, lasciandovi una specie
di
cartoncino quadrato, ricoperto da una membrana che mi ricordava carta
da
regalo.
“Ora
puoi aprire gli occhi.”
Mi
ave dato una scatoletta bianca, con un fiocco da
regalo rosso. Non capivo perché mi stesse facendo un regalo,
non era passato
nemmeno troppo tempo da quando ci eravamo messi insieme. Lo aprii
curiosa e
dentro ci trovai un cellulare. Non era una versione moderna, quelli
ultrapiatti
in cui dovevi battere sullo schermo, per scrivere, ma aveva
l’aria nuova e sembrava
in ottimo stato. Era bianco, con una striscia rosa che lo attraversava
al
centro e dietro c’era inciso con vernice dorata in modo
stilizzato ‘Alla mia
Sapientona’.
“Spero
ti piaccia… l’incisione in vernice dorata
l’ho
chiesta come personalizzazione, ma non sapevo se il
colore…”
Non
gli detti il tempo di finire, perché gli detti un
bacio sulle labbra.
“Percy…
io… grazie, davvero… ma… quanto hai
speso!?”
Domandai, rivolta a lui, commossa. Non sarà stato
l’ultimo modello, ma a me
bastava che fosse un suo regalo. Non era indispensabile, forse, ma era
un pezzo
di normalità in più nella mia vita.
“Non
molto credimi… volevo solo farti un pensierino.
Inoltre ho già preparato tutto, il tuo numero è
già attivo, così puoi chiamare
chi vuoi. Ho pensato che ti sarebbe…”
Lo
interruppi voltandomi e dandogli un bacio sulle
labbra che lui, inizialmente, non riuscì a ricambiare dalla
sorpresa. Ero
felice che lui pensasse a me. Mi dispiacque un po’, ma non
riuscivo a
resistere. Sapevo che lui era un tipo parsimonioso, quindi quel regalo
valeva
doppio.
Lui
si allontanò da me e mi tenne stretta: “Sei
irresistibile.”
“Anche
tu, testa d’Alghe.” Risposi, accarezzando i suoi
capelli mossi come le onde del mare.
All’improvviso,
però, sentii le sue mani scendermi in
vita, per poi risalire sotto la camicetta, lungo la schiena,
provocandomi dei
brividi. Per un attimo fui tentata di farlo continuare, ma lo fermai.
Non me la
sentivo ancora di andare così oltre, nel nostro rapporto. La
cosa mi metteva un
po’ in difficoltà. Per fortuna lui non insistette
e si fermò, dandomi un
leggero bacio sulle labbra.
“Oggi
devi uscire?” Mi chiese, allontanandosi da me, e
sedendosi.
“Sì…
Piper mi ha chiesto una mano per una cosa.”
Risposi, prendendo una borsa (Quella me l’ero comprata io).
“Ci vediamo sta’
sera?”
“Certo,
amore… ti aspetterei per cento anni.”
Scherzò
lui, facendomi l’occhiolino.
Sorrisi
di rimando e mi avvicinai a lui schioccandogli
un bacio sulla guancia, prima di uscire.
Piper
e io ci incontrammo di nuovo allo stesso centro
commerciale dove ci eravamo viste il primo giorno. Lei stava
giocherellando con
le ciocche dei suoi capelli asimmetrici che, però, non la
rendevano meno bella
di quanto fosse. Un po’ la invidiavo perché lei
riusciva a sembrare molto bella
senza dover riempire di tre chili di trucco.
“Ciao
Piper… come te la passi?” La salutai, dandole un
bacio sulla guancia.
“Io
sto bene… tu e Percy?”
Ormai
il fatto che ci eravamo messi insieme era
diventato di dominio pubblico e Piper era stata la prima a darmi una
mano in
questo senso. Sembrava volermi aiutare a non farmi finire nella sua
stessa
situazione, da quando Jason l’aveva lasciata.
Cioè,
non l’aveva proprio lasciata, solo che era andato
a letto con un'altra persona.
“Allora
vieni… oggi voglio proprio rilassarmi.” Disse
la mora, sorridendo, cercando di nascondere il suo dolore. Da quando si
erano
lasciati lei era continuamente triste e cercavo in tutti i modi di
farla stare
su.
Stranamente,
Piper aveva come me, la passione per i
film e i libri, quindi, il nostro modo di divertirci era andare nelle
librerie
o nelle videoteche alla ricerca di qualcosa di interessante. Lei
adorava
parlare delle trame e dei film e io la ascoltavo volentieri. Se ne
trovavamo
uno che ci piaceva, di solito, lei me lo comprava, nonostante io
cercassi di
protestare. A lei non piaceva mostrare la sua ricchezza, ma adorava
farmi i
favori, e alla fine riusciva sempre a convincermi.
“Allora…
Percy ti ha regalato un cellulare, molto
carino.” Disse, una volta usciti. Erano le sei del pomeriggio
e ci eravamo
fermati nello stesso bar dove ci eravamo fermate.
Io
mi ero presa un gelato alla crema e lei al limone e
mangiava, mentre mi illustrava tutte le opzioni del telefonino. Era
molto
energica, come se volesse ignorare il dolore che si portava dentro. A
lei Jason
piaceva davvero, ma la situazione tra i due era quasi del tutto rotta.
E
proprio in quel momento arrivò il signor traditore.
“Piper!”
La chiamò, correndo verso di noi.
“Andiamo
Annie… improvvisamente il posto mi sembra
troppo affollato.” Borbottò la ragazza, cercando
di tirarmi via, ma io la
trattenni. Avevo la sensazione che Jason ci avrebbe seguite e non
volevo che ce
lo trascinassimo dietro.
“Piper,
ti prego, ascoltami!” Pregò Jason, sedendosi
con noi.
Ora
che lo vedevo da vicino, sembrava anche lui molto
triste e aveva gli occhi lucidi, come se avesse pianto.
“Che
cazzo vuoi!?” Sbottò Piper, furiosa.
“Non ti è
bastato scaricarmi in quel modo!? Avresti potuto avvertirmi che
preferivi
un’altra!”
Era
la prima volta che la sentivo usare dei termini
così pesanti e anche Jason doveva essere sorpreso
perché sgranò gli occhi,
sorpreso ed intristito.
“Credimi,
Piper… stai fraintendendo tutto… io e
Reyna…
lei… io non l’ho baciata… lei era
ubriaca fradicia. Si è avvinghiata a me
e…”
“E
ti si è appoggiata per sbaglio anche
sulla tua bocca!?” Domandò Piper, furiosa.
“No…
è lei che mi ha baciato! Una volta stavamo
insieme, ma poi l’ho lasciata. Quella sera ha provato a
flirtare con me, ma io
l’ho allontanata, ma lei mi ha baciato lo stesso, mentre era
ubriaca!” Spiegò
Jason, sulla difensiva. Dovetti ammettere che, pur essendo improbabile,
era
comunque plausibile… una volta avevo visto Leo ubriaco che
baciava Nico. (Da
notare che poi Leo gli aveva tirato un ceffone incredibile, dopo.)
“E
allora cosa ci faceva nella tua stanza!?” Sbuffò
Piper scettica. Ovvio che non ci credesse, nemmeno io l’avrei
fatto al posto
suo.
“Te
l’ho detto… era ubriaca! Non potevo lasciarla in
mezzo alla strada alla mercé di qualche maniaco!
L’ho portata a casa mia per
farla riprendere, ma non abbiamo fatto nulla! Ti prego, devi
credermi.” Jason
continuava a tenere la voce relativamente bassa, ma sembrava sincero.
“Non
potevi riportarla a casa?” Protestai, dubbiosa.
“Lei
non ha una casa… è orfana, vive in un college ed
è
un college parecchio pesante: le regole sono chiare,
l’avrebbero buttata fuori
se fosse tornata in quello stato! Non volevo che si mettesse nei guai,
per
questo l’ho portata a casa mia.” Spiegò,
guardandomi risentito, come se
l’avessi costretto a dire qualcosa che non voleva.
Ci
fu un lungo silenzio durante il quale sembrammo
tutti e tra in attesa della decisione di Piper. Dovetti ammettere che,
per
quanto difficile da credere, era pur sempre possibile che Jason avesse
detto la
verità. Magari la ragazza aveva frainteso, ma ero dubbiosa
io stessa, di quella
storia. (Anche se dovevo ammettere che Percy, per aiutare Rachel
avrebbe fatto
probabilmente, lo stesso.)
“Senti
Jason… la tua storia non mi convince…”
Borbottò
Piper, sospirando.
“Lo
so, ma credimi è la verità.” Disse il
ragazzo
allungando la mano verso la sua, che, però, lei ritrasse.
“Ascolta,
Jas, dammi tempo… vorrei pensarci su.”
Sussurrò la ragazza, abbassando lo sguardo.
“Meglio
di niente… mi dispiace, Piper, ma te lo giuro,
non volevo.” Si scusò un ultima volta il biondo,
cercando di incrociare il suo
sgardo.
Sentendomi
un intrusa mi voltai, cercando di ignorarli,
come se volessi dar loro un po’ di privacy.
Fu
allora che vidi di nuovo il ragazzo incappucciato
che guardava Piper e sorrideva. Un sorrido freddo e crudele che mi fece
rabbrividire.
Era
il sorriso dei miei incubi.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
autore]
Io
sono ancora qua! Ebbene, questo è un capitolo un
po’ corto perché di
“Passaggio” anche lui. Esso accompagnerà
l’entrata in scena
di un gruppo di personaggi… ehm… cattivissimi che
faranno cose molto cattive.
Comunque sia, mi siete stati tutti di grande aiuto. Il capitolo
precedente ha
ricevuto una valanga di recensioni positive e ringrazio tutti quanti
per il
supporto.
Informo che ho iniziato un’altra ff su Percy Jackson (Anche
se sono
intenzionato a portare avanti questa, per prima) la storia riguarda una
rivisitazione della Maledizione del Titano: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2459526&i=1
E mi farebbe molto piacere se, qualcuno di voi che tiene
così tanto a me,
volesse darci un’occhiata per dirmi che ne pensa,
perché ho sempre bisogno del
sostegno di voi recensori.
Per chi, invece, seguiva “Sangue del Nord” informo
che il suo Seguito “Venti
del Nord” avrà inizio lunedì con il
primo capitolo di Alex.
Grazie
a tutti e recensite tutte le mie storie! :D
AxXx
|
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Capitolo 12 *** Sparita ***
SPARITA
Quanto
era passato da quel giorno in cui mi risvegliai
in quella stessa casa, ignara di tutto, senza nemmeno un ricordo e
senza sapere
dove mi trovassi? Un mese. Trenta giorni esatti erano passati. Trenta
giorni in
cui la mia vita era cambiata, passando dalla peggiore delle pene, al
migliore
dei premi. Ormai ero di casa.
Mercoledì:
il giorno libero di Percy, e infatti lui mi
accolse in casa abbracciandomi e dandomi un lungo bacio sulle labbra,
come se
dovesse respirare la mia stessa aria per rimanere in vita. (Non che mi
dispiacesse, dato che se non lo baciavo almeno una volta al giorno,
rischiavo
di andare in crisi di astinenza.)
“Bentornata,
bellissima… com’è andata,
oggi?” Mi
chiese, non appena si fu staccato. (Cosa che mi provocò un
gemito contrariato.)
“Lucy ti ha dato problemi?”
“Come
può averlo fatto… vivere con te mi allena a
tutto, ormai.” Scherzai, io, intrecciando le mie dita tra i
suoi capelli
morbidi. Era uno dei miei passatempi preferiti: i suoi capelli erano
bellissimi
e metterci le mani era come toccare un onda in riva al mare. Scorrevano
tra le
dita come se fossero inconsistenti, provocando un leggero solletico che
mi
rilassava.
“Mmmmh…
ora mi sto offendendo, signorina. Dimmi come
mai dovrei permetterle di tornare qui, dopo avermi dato del
bambinone?” Scherzò
Percy, fingendosi arrabbiato.
“Già…
sono proprio cattiva, ma tu sei il mio
bambinone.” Risposi, avvicinandomi,
sempre di più, lasciando che le sue mani mi stringessero la
vita. “E questo…”
Aggiunsi, dandogli un bacio. “è il motivo per cui
non mi lasceresti mai.”
Percy
sorrise e mi trascinò sul divano, abbracciandomi
forte. Mi lasciai cullare dalla sua presenza, mentre sentivo le sue
mani
percorrermi dolci la pelle della schiena e i capelli biondi.
“Sei
bellissima.” Mi disse, semplicemente.
Ispirai
il suo odore di mare, che tanto amavo e lo
guardai negli occhi.
Avrei voluto affogare per sempre nel suo mare, ma, ahimè,
bisogna occuparsi
della vita, quindi mi alzai e permisi a lui di fare altrettanto, anche
se
continuò a tenermi una mano che mi cingeva le spalle.
“Come
sta’ tua madre? Che dicono i medici?” Domandai,
pronta a tirarlo su di morale. Era una specie di rito, ormai: ogni
mercoledì
lui usava il giorno libero per andare a far visita alla madre, Sally
Jackson,
in coma. Nell’ultimo mese avevo cercato di aiutarlo, ma
quando lui tornava, con
quell’aria affranta e lo sguardo triste, mi piangeva il
cuore.
“I
medici… loro dicono che lei rimane in vita, ma non
possono fare altro.” Sospirò, lui. Voltandosi
verso di me.
Eccolo:
quello sguardo triste, come se fosse sul punto
di piangere. Potevo sentire nella sua testa la sua voce che ripeteva: Non piangere, sii forte. Non piangere, sii
forte. Non piangere, sii forte. Lui era così, era
forte. Doveva esserlo
perché lo era stato per tutta la vita. Ma io avrei voluto
che per una volta,
almeno, abbandonasse quel duro guscio di paure e angosce e che venisse
da me.
Che capisse che su di me poteva contare e che si sfogasse.
“Le
saresti piaciuta, sai?” Disse, facendomi riemergere
dai miei pensieri.
“Davvero?”
“Sì…
vi somigliate così tanto. Anche lei era una donna
forte. Nonostante non navigasse nell’oro, è
riuscita a tirarmi su onestamente.”
Disse, il ragazzo, accarezzandomi la guancia.
“Anche
a me sarebbe piaciuto conoscerla.” Sussurrai,
abbassando, tristemente lo sguardo.
Per
qualche minuto rimanemmo seduto a fianco, senza
parlare, quasi fosse un silenzo di lutto, poi lo sentii alzarsi e
sospirare.
“Hai
progetti per oggi pomeriggio e sta’ sera?” Chiese,
passandosi il braccio sul viso. Cercò di farlo passare come
un gesto
noncurante, ma ebbi la certezza che si stesse asciugando della lacrime.
“Oggi
ho un appuntamento con Rachel e Piper, voglio che
si conoscano. Tu?”
“Anche
io avrei un appuntamento: Nico e Leo mi hanno
chiesto una cosa sulla mia moto, e vogliono che vada in officina con
loro a
darle un’occhiata.” Rispose, sorridendo. Finalmente
stava tornando normale.
Sapevo che non poteva fare a meno di essere triste per la madre, ma
vederlo
così a pezzi mi faceva venire l’angoscia.
“Che
ne dici di vederci insieme tutti sta’ sera? Bianca
chiama per aggiornarci sul campionato di tiro con l’arco.
Sembra sua in
vantaggio.” Aggiunse, avvicinandosi a me e accarezzandomi la
guancia.
“Certo…
sono certa che a Piper piacerebbe.” Sospirai,
allungando il collo verso la sua mano, come un gatto che cerca carezze.
“D’accordo…
allora a sta’ sera, bellissima.” Mi
salutò
lui, dandomi un bacio sulla guancia.
Da
quando Piper era diventata amica mia, aveva iniziato
a frequentare anche Rachel che sembravano andare molto
d’accordo. Ci eravamo
messe tutte insieme per aiutarla a ritrovare un po’ di
affiatamento con Jason,
anche perché Piper era ancora molto dubbiosa sulla
veridicità delle sue parole.
Sospettava che il ragazzo la volesse solo per divertirsi e lei non
voleva essere
sfruttata.
Così
si era rivolta a noi per poter avere aiuto. Rachel
era sincera, gentile e diretta, andava sempre al sodo e questo aiutava
ad
affrontare meglio le cose.
Quel
pomeriggio arrivai al centro commerciale con
l’aria primaverile che si faceva sentire anche
nell’inquinatissima New York.
L’aria si era riscaldata e il freddo aveva lasciato il posto
ad un tepore
fresco e rilassante. Ormai mi ero abituata a vivere lì.
Avevo
persino chiesto a Talia di smettere di cercare
informazioni.
Ormai
avevo perso le speranze di tornare indietro, dopo
un mese senza informazioni. Nemmeno la polizia aveva trovato nulla,
così mi ero
rassegnata. Non che la cosa mi dispiacesse, soprattutto
perché c’era una cosa
(o meglio una persona) che mi tratteneva lì. Il suo nome
iniziava con la P e
finiva con la Y.
“Annabeth!”
Mi salutò Rachel, agitando la mano,
sorridendo, con i riflessi del sole tra i capelli che li facevano
sembrare in
fiamme.
“Rachel!”
Risposi, correndole in contro baciandole la
guancia. “Ti trovo bene! Come va’ la raccolta di
firme?”
“Abbastanza
bene… questa volta io e Grover ci siamo
dato da fare… poi si è unita a noi una certa
Juniper Green, una ragazza vivace
che sembra molto decisa in questo senso. Ci ha dato una
mano.” Disse, mentre
camminavamo lungo il viale. Avevamo appuntamento con Piper al parco,
così
approfittammo per raccontarci qualcosa, dato che ultimamente non
l’avevo vista
molto.
“Allora…
come va’ con Percy?”
Sussultai.
Non volevo iniziare con quel
particolare argomento. Lei era stata con Percy, in passato, ma
poi si erano lasciati. Una parte di me si sentiva in colpa con la rossa
perché
mi sentivo come se le avessi rubato il posto.
“Lascia
stare.” Mi anticipò, intuendo i miei pensieri.
“è meglio per tutti. Non era destino che stessimo
insieme. Lui aveva bisogno di
una ragazza che tenesse davvero a lui e che lo capisse. A quanto pare
tu sei
caduta dal cielo a posta per lui.”
“Però…
scusa se te lo dico, ma lui stava con te. Non ti
dispiace che io… be’, chiunque se la prenderebbe.
Sarebbe umano.” Le feci
notare io. Non che non fossi contenta, ma era un comportamento che non
mi
aspettavo.
“Ma
io non sono chiunque. Lui ha bisogno di essere
felice, ha sofferto molto per la madre e per ciò che ha
passato in passato.
Saperlo felice rende felice me, quindi, se tu lo rendi felice, allora
sono
felice anche io.” Rispose Rachel con un gran sorriso.
Io
la abbracciai: “Grazie.”
Arrivammo
al parco verso le quattro del pomeriggio,
proprio l’ora in cui avremmo dovuto incontrare Piper, che,
però, non era
presente.
“Che
strano… di solito è
puntuale…” feci notare,
guardandomi intorno, alla ricerca dell’inconfondibile
capigliatura asimmetrica
e la carnagione color cioccolata.
“Già…
magari ha incontrato traffico. O la metropolitana
ha avuto un contrattempo.” Ipotizzò Rachel,
sedendosi su una panchina.
“Forse…
forse hai ragione.” Dissi, sottovoce, cercando
di non far trasparire i miei timori.
In
questi giorni avevo visto il ragazzo con la
cicatrice che ci seguiva sempre più spesso. Non ero sicura
che mi avesse
riconosciuta, ma temevo che lui non stesse guardando me. Si concentrava
su
Piper. Una volta, per curiosità, l’avevo seguito e
lui l’aveva seguita fin
sotto casa (Un appartamento in centro).
I
miei timori erano che la mia amica fosse in pericolo.
La
cosa peggiorò quando lei non apparve, nonostante
passassero i minuti fino a che non arrivarono le cinque e mezzo.
“Ma
dove può essere!? Se lo sarà
dimenticata?” Chiese
Rachel, perplessa, mentre controllava l’ora sul suo cellulare.
“Aspetta…”
No,
non le è successo nulla, se lo sarà sicuramente
dimenticato. O magari è con
Jason. O forse si è sentita male e si è
dimenticata di disdire. Dai, Annabeth,
non essere disfattista. Presi il cellulare e digitai il
numero di Piper.
Suonava.
Nessuna
risposta.
Di
nuovo, ma nulla.
Dai,
rispondi… dove sei finita!?
Nulla
nemmeno la terza volta.
“Non
risponde?” Chiese la rossa. Anche lei sembrò
improvvisamente preoccupata.
Scossi
la testa: “No… sono un po’ in
ansia.”
“Forse
è con Jason… ultimamente cercavano di
riallacciare i rapporti.” Propose, poco convinta Rachel.
Intuii che anche lei
stava cercando di non pensare alle ipotesi peggiori.
Decidemmo
di andare a cercarla, pur sapendo che, forse,
non era nulla. O almeno lo speravamo. Ci dirigemmo alla più
vicina stazione
della metropolitana e prendemmo il primo mezzo per il quartiere della
famiglia
Grace, mentre il mio cervello stava affogando nel timore per la mia
amica. Non
potevo credere che stesse succedendo qualcosa del genere e
più andavo avanti,
più mi sembrava di sentire una sensazione di Deja Vu che non
avevo mai provato.
Come se avessi avuto un esperienza del genere.
Doveva
centrarci sicuramente il tipo che seguiva Piper,
perché era l’unica cosa, del suo passato, che
ricordava con una certa
precisione, anche se non erano sensazioni felici.
Arrivate
a casa, però, le mie preoccupazioni sembrarono
avverarsi come nel peggiore dei miei incubi: Jason era attaccato al
cellulare,
come se stesse cercando di contattare qualcuno. A quanto pare aveva
beccato la
segreteria telefonica.
“Che
succede?” Chiesi, temendo la risposta.
Il
ragazzo si voltò verso di me, quasi spaventato:
“Wow… che ci fate voi qui?”
“Stavamo
cercando Piper… non si è presentata ad un
nostro appuntamento.” Spiegò Rachel,
affiancandomi. “Pensavamo vi foste
riappacificati e foste insieme.”
“Magari…”
Sospirò il biondo abbassando lo sguardo,
sconsolato. “Oggi, dopo scuola, avremmo dovuto incontrarci.
Ieri sera ci eravamo
parlati, e lei si era decisa a darmi una seconda
possibilità. Ma non si è
presentata. L’ho chiamata almeno dieci volte, ma non
rispondeva mai. Poi, circa
mezz’ora fa, ho beccato solo la segreteria
telefonica.”
Io
e Rachel ci guardammo in ansia: Piper era sparita.
Non poteva aver mancato due appuntamenti in un giorno solo.
“Forse
è malata?”
Talia
spuntò da dietro un angolo, con le braccia
incrociate, e un cipiglio deciso.
“Ma…
allora perché non ha risposto alle nostre
telefonate?” Protestò il fratello, lasciandosi
ricadere sul divano.
“Potremmo
andare a vedere come sta’… parlate come e
l’avessero rapita.” Protestò Talia.
Effettivamente era un’idea un po’ strana,
ma che ci potevamo fare? Avevo quella strana sensazione di pericolo che
mi
premeva contro il cranio che non mi permetteva di pensare ad altro.
“Sentite…
forse hai ragione, Tal, andiamo a casa sua,
so dove abita. Se sta male, dovrebbe essere
lì.”Proposi, cercando di non
pensare al peggio.
“D’accordo.
Andiamo!” Ci incitò subito, Jason,
conducendoci al garage che si apriva sul fianco della casa. A quanto
pare aveva
la patente quando si mise alla guida.
Non
fu difficile attraversare le strade della città.
Essendo pomeriggio, la maggior parte della gente era ancora in ufficio
o a
lavoro e le macchine che circolavano erano, per lo più, taxi
e veicoli da
trasporto. La macchina di Jason attraversava il traffico senza
difficoltà,
scivolando da una corsia all’altra. Dovetti ammettere che era
un buon
guidatore.
“Ci
siamo.” Dissi, indicando il palazzo. Fu più
problematico trovare parcheggio, ma alla fine, accostammo in un
vicoletto non
troppo sporco e decidemmo di lasciare lì l’auto.
Arrivati
davanti alla porta dell’appartamento ci
fermammo tutti quanti. Bussai alla porta, ma non ricevetti risposta.
Bussai di
nuovo e ancora nulla.
Iniziavo
a preoccuparmi sul serio.
“Entriamo.”
Sentenziò Jason, con un cipiglio deciso.
“Wow…
ehi, cowboy! Non ci pensare, questa porta non è
tua, non la puoi sfondare.” Scherzò Talia,
ridacchiando. In effetti sembrava
davvero intenzionato a buttarla giù.
“Ma
che dici!?” Domandò lui, sbattendo le palpebre
perplesso. Estrasse, allora, un mazzo di chiavi e ne infilò
una nella toppa,
aprendo la porta. “Piper me ne ha dato una copia.”
Appena
entrai mi resi conto che qualcosa non andava: la
casa sembrava deserta, ma le tende erano chiuse, come se nessuno le
avesse
scostate da quella mattina. Di solito Piper aveva l’abitudine
di lasciare la
borsa sulla sedia accanto alla porta, ma su di essa non c’era
nulla.
Setacciammo
la casa e io mi diressi in camera da letto.
Della mia amica non c’era traccia. Il letto era rifatto, ma
era freddo.
Controllai il guardaroba, ma non trovai la giacca che ieri portava.
Non
c’era.
“Ragazzi…
di lei non c’è traccia!”
Sbottò Rachel,
mordendosi nervosamente le unghie.
Già…
A
quanto pare lei, ieri sera, non era mai riuscita a
tornare a casa.
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
autore ]
Questo
capitolo è diverso dagli altri, quindi,
cercate di essere buoni con me. *Occhioni da cucciolo* ops…
ehm… Piper è
sparita, e noi sappiamo bene chi è stato.
Annabeth
inizia a ricordare, ma nessuno le crede,
per questo dovrà essere lei a salvare l’amica
(Perché c’è un certo capo della
polizia troppo occupato in una campagna elettorale, per stare dietro ad
una
ragazza scomparsa)
Quindi,
continuate a seguire la storia che si avvicina alla fine e ricordate
che c'è anche la mia altra storia che mi piacerebbe se tutti
voi ci andaste a dare un'occhiata. Vi prego, ho bisogno sempre di
recensioni *Occhioni da cucciolo*
AxXx
|
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Capitolo 13 *** Ricordi ***
RICORDI
Non
credevo fosse possibile, dopo quasi un mese.
Invece, ecco che iniziano a riaffiorare. Sono orribili i primi ricordi
che mi
tornano in mente, perché non credo siano quelli della mia
famiglia. Mi trovavo
in una stanza ampia e poco illuminata.
Nel
ricordo riuscivo solo a sentire un forte odore di
benzina e un terribile dolore ai polsi. Il flash durò solo
pochi secondi, ma mi
lasciò completamente senza fiato.
“Annie…
cos’hai?”
Nonostante
la confusione riuscii a mettere a fuoco gli
occhi di Rachel che mi guardavano preoccupati.
“Io…
sto bene.” Mentii, cercando di rimettermi in piedi
senza troppi problemi. Ero caduta in mezzo al salotto di Piper e tutti
mi
stavano intorno preoccupati, ma, vedendomi sveglia decisero che non ero
in
pericolo.
“Meno
male… almeno tu non sei in pericolo. Ma
Piper…?”
Chiese Talia, preoccupata.
“Andiamo
da nostro padre. Dovrà intervenire quando
saprà della sua scoparsa.” Propose Jason, sicuro.
Al contrario della sorella,
lui aveva un buon rapporto con il signor Grace, ma qualcosa mi diceva
che non
sarebbe bastato.
“Tentare
non costa nulla… e potremmo riuscire a
salvare.” Disse Rachel, posando una mano sulla spalla di
Talia che sembrava sul
punto di ribattere.
Mi
sembrò la mossa giusta: la rossa voleva evitare un
litigio tra i due fratelli, soprattutto in quel momento in cui perdere
tempo
era inaccettabile. Il problema era che io non mi sentivo molto bene. Mi
sentivo
come se il mio cervello fosse stato aperto con un coltello a posta per
far
riaprire i ricordi più dolorosi. Quella sensazione di deja
vu si era
trasformata nel mio passato.
“Io…
sentite… io trono a casa… sto… sto
poco bene.
Vorrei tornare a casa.”Ansimai, cercando di non farmi
sopraffare dalla nausea.
Dovetti
sembrare un vero zombie, perché nessuno
protestò quando tornai a casa mia. In seguito non avrei
potuto dire come
riuscii a tornare, dato che il mio cervello continuava a proiettare
immagini
orribili di quello che mi era successo. Intuii che no solo quello fosse
l’immagine di un mio rapimento, ma anche del motivo per cui
avevo perso la
memoria.
Arrivai
alla porta che, ormai barcollavo per non
vomitare. Mi sembrava di sentirmi ancora addosso le sue manacce
schifose,
mentre mi sporcava con la sua saliva. Avevo il desiderio di andare a
farmi una
doccia per pulirmi dal sudiciume che la sua sola presenza mi lasciava.
“Annie,
che hai?”
Percy.
Lui
era già tornato e vedermi in quello stato doveva
averlo spaventato, perché me lo sentii subito a fianco,
stringendomi in un
tenero abbraccio che mi fece stare molto meglio. Per fortuna avevo lui.
“Percy…”
Mi strinsi a lui, ispirando il suo odore
salmastro, come se fosse appena andato in spiaggia. Sentii il nodo che
avevo
alla gola, sciogliersi di colpo e tutte le mie preoccupazioni
fuoriuscirono in
un colpo solo.
Iniziai
a piangere in silenzio, stringendo la sua
maglietta. Le sue mani indugiarono su di me, accarezzandomi i capelli
per
confortarmi. Iniziò a cullarmi, come una bambina e io lo
lasciai fare,
singhiozzando. Avevo paura di quel ragazzo dei miei sogni. Quel mostro
che era
così prepotentemente riapparso per rapire una mia amica e
riportarmi nel
vortice oscuro che mi aveva ingoiato.
Ci
volle qualche minuto per riuscire a riordinare le
idee, ma alla fine ci riuscii e sciolsi l’abbraccio, anche se
mantenni la mano
attaccata al suo petto. Dovevo avere un aspetto terribile: con gli
occhi rossi
e l’aria sconvolta, ma cercai di reagire. Non potevo
piangermi addosso mentre
Piper era in pericolo.
“Annie…
che cos’hai? È successo qualcosa?” Mi
chiese
Percy, asciugandomi una lacrime che mi imperlava la guancia destra.
Io
lo guardai negli occhi e gli presi la mano per
portarlo al divano dove ci sedemmo. Presi un lungo respiro e gli
raccontai ogni
cosa: ogni paura, ogni timore, i miei ricordi che erano così
improvvisamente
tornati e della sparizione di Piper. Lui rimase in ascolto, senza dire
una
parola, attento e silenzioso come ogni giorno, dopodiché mi
prese il viso tra
le mani, per farmi voltare verso di lui.
“Annie…
Mi dispiace davvero. Non posso nemmeno
immaginare cosa stai provando in questo istante. Ma io so che sei una
ragazza
forte e che riuscirai a superare questo momento. Io sarò
qui, al tuo fianco,
ogni qual volta sentirai il bisogno di qualcuno. Tu ce la
farai… io ne sono
certo. E se quel pazzo dovesse tornare a cercarti, non gli
permetterò di
metterti le mani addosso. Prima dovrò passare sul mio
cadavere.” Sentenziò lui
deciso, con lo sguardo pieno di compassione per me e rabbia per quel
che mi
avevano fatto.
“Ma…
se dovesse venire, potrebbe farti del male Percy!
Non voglio che ti succede qualcosa… non voglio
perderti.” Sussurrai, sentendo
gli occhi riempirsi di lacrime al solo pensiero. Se quel pazzo era
riuscito a
rapirmi era sicuramente armato e pronto a tutto.
“Annabeth…
non dire sciocchezze. Non mi perderai, te lo
prometto. Io per te ci sarò sempre.” Detto questo,
si sdraiò sul divano,
stringendomi e trascinandomi con lui. Eravamo sdraiati insieme, io
sopra di
lui, che mi stringeva, dandomi leggeri baci su tutto il viso,
confortandomi,
mentre le mie mani continuavano a tenerlo, quasi temessi di vederlo
svanire da
un momento all’altro.
Non
mi lasciò per diversi minuti e io non volli
allontanarmi. La sua presenza era un balsamo,
una medicina contro il dolore che provavo, come se fossi
tornata
all’inizio: lacerata tra la nuova vita e la vecchia che
tornava prepotentemente
a galla con i ricordi peggiori.
“Annie…
che ne dici se ti fai una doccia, poi andiamo a
quella cena. Sta’ sera dovevamo andare da Nico,
ricordi?”
Annuii.
Percy
stava cercando di tirarmi su, ma dubitavo che
bastasse. Nonostante questo cercai di non farmi prendere dalla
tristezza e mi
trascinai in bagno con il cambio di abiti e mi spogliai. Osservai nello
specchio il mio corpo che ormai sapevo violato da
quell’animale e sentii di
nuovo montare la nausea. Mi lanciai sotto il getto dell’acqua
calda e mi
lasciai cullare dalla sensazione di trovarmi in un posto sicuro.
Avrei
preferito le braccia di Percy per stare meglio,
ma non potevo rinchiudermi a tartaruga per sempre. Fare la muffa non mi
avrebbe
salvata. Inoltre il pensiero di Piper in pericolo era un chiodo fisso.
Sentivo
che lo era e che dovevo aiutarla.
Mi
detti una pulita veloce e mi asciugai, velocemente,
legandomi i capelli a coda.
Ormai
avevo scelto: non avrei più avuto paura del mio
passato.
“Allora…
com’è andata?” Chiesi a Talia, appena
fece il
suo ingresso in casa Di Angelo.
Io
ero andata con Percy da Leo, Nico e Grover che si
erano riuniti a casa sua. Quando avevamo raccontato loro
cos’era successo
l’aria si era fatta pesante e nessuno aveva più
voglia di mangiare nulla. Leo
era diventato pensieroso, Leo aveva cercato di fare una battuta con il
solo
effetto di deprimere tutti e Grover si mise a mangiare salatini (Cosa
che
faceva spesso quando era nervoso) fino a che, per sbaglio, non morse il
piattino che si era portato inavvertitamente alla bocca, facendosi
malissimo.
(Una cosa che rialzò, per qualche istante il mio umore.
Poi
erano arrivate Rachel, Talia e Jason, che
sembravano abbattuti e arrabbiati.
“Mio
padre è un’idiota!” Sentenziò
la mora, dando un
calcio al muro.
“Perché?
Che ha detto?” Chiese Nico, in ansia.
“Niente…
all’inizio sembrava vagamente interessato, ma
poi ha chiamato Tristan Mclean, il padre di Piper. Be’, non
so cosa si siano
detti, ma sembra che il Signor Mclean abbia detto che Piper si fosse
allontanata volontariamente e che era molto impegnata e che non voleva
essere
disturbata.” Rispose Rachel, sedendosi accanto a Leo che,
sorprendentemente, le
si avvicinò dandole una pacca comprensiva sulla spalla.
“Ma
è assurdo! Se ne sarebbe andata senza avvertire
nessuno di noi!?” Sbottai, irritata. “Non
è possibile, vostro padre DEVE
intervenire!”
“è
quello che gli abbiamo detto.” Rispose Talia
prontamente. “Solo che lui ha risposto che non vuole
indispettire i Mclean.
Loro appoggiano la sua campagna elettorale e non vuole perdere il
sostegno di
cui gode. Così non ha nemmeno provato a cercare…
semplicemente ci ha buttati
fuori dal suo ufficio.”
Nico
si avvicinò alla ragazza e le posò una mano dolce
sulla spalla: “Tal, non è colpa tua. Avete fatto
il possibile.”
Le
sorrise tristemente e abbracciò il ragazzo per un
attimo, sospirando, poi si staccò, lasciandolo un
po’ sorpreso.
Per un attimo rimanemmo tutti fermi ai nostri posti, indecisi su cosa
dire o
fare, ma poi Percy ruppe il silenzio.
“Allora?
Che facciamo?”
Tutti
si voltarono a guardarlo.
“Come
che facciamo? È la polizia ad occuparsi di queste
cose, le regole sono chiare.” Disse, sconsolato Jason.
Sembrava terribilmente
abbattuto. Non potei dargli torto, non potevo nemmeno immaginare come
si
sentisse.
“Al
diavolo le regole, Grace! È la tua fidanzata che
è
sparita! Io non la conosco nemmeno bene, però non
rimarrò con le mani in mano!
Quindi, Grace, tira fuori le palle e datti da fare! Se vuoi rivederla,
smettila
di seguire le regole e datti da fare!” Sbottò
Percy, battendo i pugni sul
tavolo.
Però
che ramanzina.
Jason
sembrò turbato da quel discorso. Tamburellò
velocemente le dita sul tavolo un paio di volte prima di alzare le
spalle: “Hai
ragione, Jackson. Devo smetterla di seguire mio padre come un
cagnolino. Faremo
da soli!”
“E
bravo fratellone!” esclamò Talia, dandogli una
pacca
sulla spalla. “Finalmente ti fai valere.”
Lui
sorrise tristemente, ma il fatto che fossimo tutti
d’accordo mi rincuorò e mi fece sperare che le
cose stessero per migliorare.
“Ok,
bene ragazzi… forse siamo determinati, ma su una
cosa Jason ha ragione: non siamo poliziotti, non abbiamo i loro mezzi e
non
abbiamo nemmeno un indizio su dove possano averla portata.”
Fece notare Leo,
grattandosi i capelli pensieroso.
“Forse
no… io… potrei avere qualcosa.” Dissi
esitante,
cercando di non farmi prendere dal panico. Avevo paura di condividere
le mie
esperienze, soprattutto perché non volevo che mi
giudicassero.
Fortunatamente
la mano di Percy corse sulla mia,
stringendola. Mi guardò con i suoi intensi occhi verdi
annuendo, mostrandomi
che approvava e che mi avrebbe aiutata. La sua presenza mi dette
coraggio, così
presi un respiro profondo e raccontai dei ricordi che mi erano tornati
in mente
quel pomeriggio.
Ci
volle un po’ perché continuavo ad esitare indecisa
oppure spaventata, ma cercai di non interrompermi troppe volte. Un paio
di
volte sentii la mia voce incrinarsi, ma non mi fermai fino alla fine.
“Se
quello stronzo ha messo le mani addosso a Piper,
giuro che gli spezzo le ossa!” Sbottò Jason, a
denti stretti.
“Calma,
amico… prima di spaccargli la faccia dobbiamo
trovarlo… almeno adesso sappiamo che
c’è il tipo che seguiva Piper e che
probabilmente l’ha rapita è lo stesso che ha fatto
perdere la memoria ad
Annabeth.” Lo calmò Leo, facendo battere
l’indice sul tavolo, come per
contare.
“Annie…
lo so che non è piacevole… ma non
c’è altro?
Non c’era un nome… qualcosa di più per
identificarli?” Chiese gentilmente
Rachel alla mia sinistra, tenendomi una mano dietro la schiena, come
per
accarezzarmi, quasi fossi un cucciolo.
Scossi
la testa, mentre continuavo a spremere le
meningi alla ricerca di quel particolare che mancava. C’era
qualcosa, ne ero
certa, che poteva aiutarci.
“Ragazzi…
non tormentate più Annabeth… lei ha detto
tutto quello che sapeva. Evitiamo di rendere tutto ancora
peggio.” Li ammonì
Percy, stringendomi la mano protettivo.
Ma
io non lo ascoltai. Cercavo nei ricordi, scavavo
nella memoria, alla ricerca di qualcosa di particolare. Ero certa,
sicura,
assolutamente di aver sentito il nome del mio rapitore.
“Luke…”
Mi sfuggì dalle labbra. “Il suo nome…
è Luke.”
All’improvviso
vidi Talia osservare Percy che sussultò,
come se gli avessi tirato un pugno con la sola pronuncia di quel nome.
“Io…
credo di sapere qualcosa su di lui.” Ammise, dopo
qualche minuto, abbassando la testa.
“Cosa!?”
Chiesi, sorpresa. Il terribile sospetto che
nacque nella mia testa, fu subito scacciato. Non poteva essergli
complice.
“Non
fraintendetemi… tempo fa, se ricordate bene, fui
arrestato per essere presente sul luogo di uno scambio di merce
rubata… in
realtà… io ero lì per fare il palo.
All’epoca non avevo lavoro e avevo
assolutamente bisogno di un po’ di soldi. Un mio… conoscente… Ethan Nakamura, mi
disse che, se avessi fatto il palo a
quello scambio, mi avrebbero dato parte dei soldi.”
Spiegò, tristemente. Fui
certa che si sentisse in colpa. Potevo capirlo, anche se sapevo che lui
non
c’entrava nulla. Non aveva rapito nessuno e sapevo
perché gli servivano soldi.
“Come
ma non hai detto subito?” Chiese Nico accigliato,
probabilmente sorpreso, dato che nemmeno lui sapeva nulla di quella
storia.
“Perché
all’epoca non aveva nessuna cicatrice…
così
quando l’avete nominato, non ho fatto subito il collegamento.
Ma il nome… credo
siano la stessa persona.” Disse, amareggiato.
“Hai
ancora contatti con lui?” Chiesi, quasi del tutto
certa della risposta. Non ne aveva mai parlato e se non
l’aveva ricordato
prima, non si incontravano da un pezzo.
“No…
l’ho visto solo quella volta.”
“Però…
aspetta… io conosco Ethan Nakamura!”
Esclamò
Leo, alzandosi in piedi.
“Davvero!?”
Chiedemmo tutti in coro, guardandolo.
“Certo!
Ha portato la sua moto alla nostra officina! Ci
deve un po’ di soldi.” Spiegò il
ragazzo, indicando se stesso e Nico.
Tutti
ci guardammo, capendo che stavamo pensando tutti
la stessa cosa: l’unico modo per ritrovare Piper era parlare
con quel Nakamura.
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
autore]
Ci
avviciniamo alla fine di questa storia romanticosa. Annabeth
comincia a ricordare il peggio e, ovviamente, certi imbecilli a capo
della
polizia Gioven Grace non intervengono. Per fortuna
Percy è sempre pronto
ad essere in prima fila per difendere Annabeth da qualsiasi cosa, anche
dal suo
passato.
Cosa
sucederà?
No,
non velo dico, dovrete soffrire per il prossimo capitolo :P
AxXx
PS:
andate anche qui, nella mia seconda storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2459526&i=1
PPS:
è Iniziato Venti del Nord, seguito di Sangue del Nord, se
andate nella sezione di Percy Jackson, li troverete.
|
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Capitolo 14 *** L'Incubo Torna ***
L’Incubo Torna
Il
giorno dopo mi sentii peggio di quello prima: avevo
avuto sogni e ricordi poco piacevoli. Avevo anche iniziato a ricordare
qualcosa
del mio passato: qualche flash di casa e della mia scuola passata, ma
ancora
non ricordavo nulla di rilevante, nemmeno nomi o qualcosa di utile a
identificarmi. Ero ancora Annabeth, la fidanzata di Percy Jackson, il
ragazzo
che mi teneva tra le braccia.
La
sera prima eravamo tornati a casa devastati per quel
che era successo. Io non riuscivo a staccarmi dalla sua mano e ci
eravamo
buttati nel letto abbracciati, con la sola consolazione l’uno
dell’altra. Io mi
sentivo uno straccio per quello che avevo raccontato e lui si sentiva
in colpa
per averlo aiutato. Ma io sapevo che lui non c’entrava:
all’epoca era in una
situazione difficile e aveva fatto quello che doveva. Non aveva ferito
ne
ucciso nessuno. Nessuno si era fatto male.
Lui,
però, ne soffriva, perché era onesto e non
avrebbe
voluto.
“Buongiorno
Annie.” Mi sussurrò, appena fu sveglio,
stringendomi un po’ di più.
“Buongiorno
a te, Perce… come ti senti?” Chiesi,
aggrappandomi alla sua canottiera.
“Così
e così… sono preoccupato.”
“Per
cosa?”
“Per
Piper… in mano a quell’animale che ti ha quasi
violentata… e a te. Non voglio che ti succeda qualcosa. Non
me lo perdonerei.”
Spiegò, dolcemente, dandomi un bacio sulla guancia.
Mi
accoccolai teneramente a lui, ordinando al mio
cervello di spegnersi. Volevo solo assaporare il suo calore, sapendo
che lo
amavo e lui amava me.
Ci
alzammo, insieme, e sentii le sue braccia intorno alla
mia vita e mi dette un bacio sul collo. Erano baci dolci e misurati,
quasi
volesse farmi un massaggio per farmi stare meglio. E dovetti ammettere
che
funzionava alla grande.
“Andiamo…
dobbiamo alzarci e vedere se c’è qualche
novità.” Mi disse il ragazzo, sorridendo triste.
La
mattina procedette nell’apatia più totale. Ci
aggiravamo entrambi come zombie, nella casa. Ci lanciammo qualche
occhiate e mi
ritrovai a pensare che avrei preferito non ricordare nulla, pur di
rimanere
accanto a lui. La mia memoria aveva ferito tutti: io dal dolore di quel
che
avevo passato, lui facendolo sentire in colpa per il suo precedente
errore.
Perché non potevo tornare indietro.
Sembrava che mi capitasse di tutto per farmi star male.
L’espressione
addolorata di Percy mi fece sentire come se avessi un incudine al posto
dello
stomaco, impedendomi di mangiare.
Andammo
a lavoro senza il solito entusiasmo, ma
cercammo entrambi di sembrare normali. Feci giocare Lucy come se non mi
stesse
accadendo nulla e non feci parola con nessuno di quello che avevamo
scoperto.
Il
pomeriggio la situazione si sciolse.
“Annabeth…
Leo sta venendo qui, ha qualcosa per noi.”
Mi informò il ragazzo, stringendomi al ritorno.
Cinsi
la sua vita e lo strinsi. Era l’unica cosa che mi
permetteva di non impazzire, in quel momento. Ci sedemmo insieme sul
divano, in
attesa di Leo che, presto, entrò con l’ara un
po’ ansiosa.
“Ehi,
Jackson. Come vi trovate, piccioncini?” Chiese,
con un sorriso sghembo e mooolto, forse troppo allusivo.
“Stiamo
bene, Leo, e puoi chiamarmi per nome, sai?” Gli
fece notare il ragazzo, incrociando le braccia. “Allora?
Novità?”
Il
giovane meccanico sembrò
irritato: “Oggi Nakamura è venuto da
noi,
così ne ho approfittato per chiedere qualcosa su Luke,
dicendo che volevi
parlargli. Lui… diciamo che è diventato subito
sospettoso. Alla fine, però, mi
ha detto che andrò in un locale: il Lotus, sta’
sera. Forse da ubriaco sarà più
sciolto.”
“Meglio
di niente… hai informato gli altri?”
“Certo…
che intendi fare?” Chiesi Leo, guardando Percy,
come se potesse leggergli nel pensiero.
“Mi
pare ovvio: andrò a parlare con lui. So dove si
trova il locale, più che altro, informa Jason, prima che
decida di uccidere
Ethan, mi serve vivo, se vuoi che parli.” Lo
avvertì Percy, cercando di
controllarsi. Era, evidentemente, avvinto da brutti ricordi, ma faceva
ogni
cosa per controllarli.
“D’accordo.
Allora a sta’ sera.” Sussurrò Leo,
dandogli
un’amichevole pacca sulla spalla, per una volta per niente
desideroso di fare
battute.
Appena
fummo soli, Percy si passò una mano sulla fronte
e sembrò sul punto di piangere.
“Perce…
dai, non fare così. Non è colpa tua.”
Dissi,
accarezzandogli la guancia. Non volevo che soffrisse.
“Lo
so… ma se avessi saputo cosa sarebbe successo… mi
sento in colpa per quello che ti ha fatto.”
Borbottò, allontanandosi da me.
No,
questo non doveva dirlo.
“Non
è vero!” Lo abbracciai di corsa, tenendolo
stretto. “Sai… ho avuto molta paura per quello che
mi ha fatto, ma io non avrei
mai conosciuto te. Percy, so perché l’hai fatto:
tu non c’entri. Io ti amo lo
stesso.”
Sentii
le sue braccia intorno alla mia vita, mi strinse
forte e sentii le sue lacrime che uscivano, ma lui fu veloce ad
asciugarsele.
“Grazie,
amore mio.” Sussurrò, dandomi un bacio veloce.
Quella
sera eravamo insieme davanti al Lotus, con Nico
e Talia che ci coprivano, come aveva detto lei. Il moro le teneva la
mano, cosa
che mi sembrò strana, dato che Talia era una tipa forte, ma
a lei non sembrò
darle fastidio.
“Dov’è
Jason?” Chiese Percy, guardandosi intorno.
“Ehi,
non potevamo portarci dietro tutta la banda.
Avremmo dovuto portare tutta la banda? Saremmo stati troppi e di
sicuro, quel
tipo Nakamura si sarebbe insospettito. Meglio, inoltre, che sia tu a
parlargli.” Spiegò Nico, tirandogli un affettuoso
pugno sulla spalla.
Percy
no sembrò entusiasta, ma quando gli strinsi la
mano lui sembrò incoraggiato ed entrammo tutti insieme.
Il
locale aveva un aria fumosa e pesante, come se tutti
stessero fumando. Avevo il naso invaso da forti odori di alcol e
qualcosa che
non volli identificare (Probabilmente vomito). La musica era sparata a
tutto
volume, tanto che facevo fatica a sentire me stessa parlare, mentre una
strana
sfera emetteva luci ad intermittenza sparandola a mitra nei miei occhi,
dandomi
un gran fastidio. Molti ragazzi che intravedevo appena, mi guardavano
in modo
lascivo e un paio di volte sentii delle mani poggiarsi sul mio sedere,
cosa che
mi fece sobbalzare e mi avvicinai ancora di più a Percy. Una
volta uno provò a
mettermi le braccia intorno al collo, ma io lo scansai, veloce.
Non
mi piaceva quel posto, per niente.
Mi
sentivo soffocare e avrei preferito trovarmi
ovunque, ma la mia determinazione nel trovare Piper mi fece resistere e
continuai il percorso insieme ai miei amici, fino al bancone, dove Nico
si
separò da noi.
“Io
e Talia andiamo a sederci poco lontano. Vi teniamo
d’occhio, in caso succeda qualcosa, chiamo la
polizia.”Sussurrò, lanciandoci un
occhiata complice, mentre metteva il braccio sulla spalla della ragazza
come un
perfetto fidanzato protettivo.
“Andiamo?”
Chiese Percy, guardandomi, senza lasciare la
mia mano.
Mi
limitai ad annuire.
Al
bancone trovammo un ragazzo, intento a bere un
cocktail di non so cosa e non volevo nemmeno saperlo. Era moro, sui
ventun’anni, magro e alto. Teneva i capelli scarmigliati,
sparsi sulla testa,
dandomi l’idea che si fosse pettinato con i petardi, ma aveva
un’aria sciatta e
cattiva, come se volesse pugnalare alle spalle il primo che gli
capitava a
tiro. (Cose che probabilmente faceva dato che teneva un coltello a
serramanico
alla cintura). Aveva una benda sull’occhio sinistro e questo
gli dava un aria
ancor più pericolosa.
Ci
sedemmo accanto a lui, ma mi assicurai che tra me e
Ethan ci fosse Percy: non volevo stare vicina a quel viscido essere. Mi
faceva
ribrezzo.
“Nakamura…
sono un paio di anni che non ci vediamo.”
Iniziò Percy, senza prendere nulla da bere. Anche io non
presi nulla. Ogni
tanto avevo provato a prendere una birra, ma dopo la seconda nausea,
decisi che
non ne valeva la pena di sentirsi male per quella porcheria. Avevo la
sensazione, inoltre, che i cocktail fossero anche più forti.
“Jackson…
sembra che tu abbia bisogno di soldi.”
Borbottò l’altro con voce quasi cantilenante. A
vederlo, in effetti, mi sembrò
chiaro che fosse ubriaco: il suo unico occhio era lucido, in faccia
aveva
stampato un sorriso ebete e ciondolava un po’ la testa, quasi
non riuscisse a
reggersela sul collo.
“No…
sono qui per riscuotere il favore.” Rispose
subito, il mio ragazzo dagli occhi verdi deciso. Sembrava sul punto di
tirare
un pugno all’altro per fargli riacquisire un po’ di
lucidità, ma si trattenne.
“Ah…
d’accordo. Cosa vuoi?”
“Diciamo
che… ho sentito delle voci su Luke… sai, il
nostro amico comune.”
Disse come se
stesse sputando ogni singola sillaba. “So che sta facendo un
po’ di soldi…”
Era
stato molto vago, al punto giusto da far vuotare il
sacco ad Ethan che, nelle sue condizioni, sembrò cascarci in
pieno.
“Credimi…
Jackson… non potrai mai entrare nel suo giro.
Luke lavora in alto, adesso. Sonorc è un tipo pericoloso, ma
sta facendo
guadagnare un mucchio di soldi, sì. Aaaaaah, hanno chiesto
anche a me di
partecipare, ho accettato, ma mi hanno solo detto di fare il
palo… bella la tua
amica, te la sbatti?”
Mi
sentii arrossire fino alla punta dei capelli, ma
cercai di non darlo a vedere, nascondendomi dietro un finto sorriso
perso, come
se anche io fossi ubriaca. Percy, invece, avvampò, ma non
commentò, lasciando
correre.
“Dimmi
di più, ti va’?” Chiese, cercando di
apparire
naturale.
Ethan
probabilmente, era troppo ubriaco per poter
reagire e continuò: “Oh, certo… ma
sappi che non sì partecipa facilmente… non
si fidano di nessuno. So solo che Luke, ultimamente, va sempre al
porto… credo
in un magazzino, ma non so quale di preciso.”
Abbastanza,
come inizio. Percy gli pagò da bere e ci
defilammo. Eppure avevo la sensazione che Ethan Nakamura mi stesse
osservando,
mentre correvo dietro al mio ragazzo, quasi fossi un pezzo di carne
molto
interessante.
No…
Non
poteva avermi riconosciuta in quello stato.
All’esterno,
Talia e Nico ci raggiunsero. Sembravano un
po’ su di giri e notai che sulle labbra di lui
c’erano delle tracce di rossetto
rosso scuro, proprio come quello di Talia.
“Ehm…
scusate, ma siete venuti qui per limonare o per
tenerci d’occhio?” Chiese Percy, con un sorriso
sghembo, facendo arrossire
entrambi.
“N-non…
non è come pensi…” Provò a
protestare il
ragazzo, palesemente a disagio.
Talia,
però, nonostante fosse rossa riuscì a rispondere
per le rime: “Dovevamo trovare una copertura, un tipo mi
importunava così ho
dovuto… prendere in prestito le labbra di Nico. Ora diteci
cos’avete scoperto.”
Dovetti
trattenermi dallo scoppiare a ridere perché
avevo la sensazione che ha nessuno dei due fosse dispiaciuto prendere in prestito le labbra e avevo
la sensazione che si fossero spinto un po’ più in
là di esse. Percy, però, fu
più netto e raccontò tutto, nonostante, anche a
lui gli scintillassero gli
occhi dal divertimento.
“Ti
rendi conto che il porto della città è
immenso!?!? Ci
vorrebbero giorni per setacciarlo. In quel tempo…
be’, non sappiano cosa
potrebbero fare a Piper.” Sentenziò la mora,
sconsolata.
Questa
volta fui io a parlare: “Non potevamo spingerci
oltre! Se l’avessimo fatto avrebbe capito e si sarebbe
insospettito. Meglio questo
che niente. Chiamate Jason e gli altri, inizieremo a setacciare
l’area
portuale. Se abbiamo fortuna e la troviamo, chiamiamo la
polizia.”
“Io
inizio subito. Io e Jason potremo farlo, lui è
tutto il giorno che è nervoso, si sente inutile e potrebbe
fargli bene un
uscita serale.” Propose Nico, scoccando un occhiata
ammiccante a Talia.
“Perché
ho la sensazione che ci sarà anche Talia e che,
probabilmente non vi limiterete a
cercarla?” Chiesi, sorprendendo me stessa con quella battuta.
Che mi stessi
trasformando in Leo.
“Stupida,
certo che no!” Disse la mora, tirandomi una
patta amichevole sulla fronte.
Quella
sera, a casa, Percy crollò a letto forse più per
i suoi problemi che per la stanchezza. Sembrava triste e, nonostante
avesse
parlato con me, intuii che aveva bisogno di un po’ di tempo
per rifletterci su.
Io, invece, non riuscii a chiudere occhio.
Mi
rigiravo nel letto, come se fossi sporca. Sentivo
come un sesto senso che mi diceva che qualcosa non andava. Nemmeno la
vicinanza
di Percy mi fu di conforto. Non erano i ricordi a colpirmi: ma la
strana
sensazione che lo sguardo di Ethan mi aveva lanciato, quasi mi avesse
riconosciuta
o intravista.
Alla
fine mi alzai, sospirando.
Guardai
la sveglia e mi resi conto che era ancora l’una
di notte.
Sbuffai
e, silenziosa, per non disturbare il ragazzo
che dormiva accanto a me, scansai le coperte per andare in bagno. Avevo
bisogno
di rinfrescarmi. Aprii il rubinetto dell’acqua, facendola
scorrere un po’ per
farla diventare tiepida ed iniziai a sciacquarmi le braccia e il viso.
Mi parve
di sentire uno scricchiolio, mentre mi versavo l’acqua sul
collo, ma non ci
feci caso.
Mossa
sbagliata.
Infatti,
appena chiusi l’acqua l’aria mi parve
stranamente silenziosa. Tornai nel salotto e mi accorsi che la luce era
spenta,
anche se ero sicura di averla lasciata accesa.
Mi
accigliai.
Camminai
verso la porta della camera, ma non la
raggiunsi.
Due
mani forti, dure e fredde mi afferrarono per la
gola, tirandomi indietro.
Un
rantolo terrorizzato mi sfuggì, ma subito, qualcosa
mi chiuse la bocca, impedendomi di chiedere aiuto.
“Guarda
un po’, per una volta non è l’erba
cattiva a
non morire.” Sussurrò una viscida voce, molto
vicina al mio collo.
Era
Luke.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
autore]
MUAHAHAHAHAHAHARGH!!!!
*Risata malvagissima*
Ok,
no, scusate il ritardo. Come va, lettori?
Aspettavate questo capitolo? Sono stato sufficientemente cattivo?
Ebbene
sì, vi lascio con un finale a sorpresa per
farvi aspettare ancor più trepidanti il prossimo :P
Comunque,
scusate il ritardo, davvero, è arrivato un
periodo davvero negativo in casa mia, poi ho ricominciato con la saga
principale i Venti del Nord sono arrivati pronti a fare a pezzi Crono e
i suoi
alleati nella serie Cronache del Nord.
Tuttavia
sono riuscito a scrivere questo capitolo.
Vi
informo che siamo arrivati alla fine e mi scuso,
se delle volte non rispondo alle recensioni, dato che ho avuto, come
già
spiegato un periodo un po’ complesso.
A
presto!
AxXx
|
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Capitolo 15 *** Ferite ***
FERITE
Era
rivoltante.
Anzi
peggio.
Era
l’idea stessa dello schifo.
Sentii
il suo fiato sul mio collo, pesante come piombo.
La sua mano, premuta sulla mia bocca, mi soffocava, impedendomi di
chiamare in
aiuto Percy, che dormiva nella stanza accanto. Luke era stato bravo,
non
l’aveva nemmeno svegliato. Probabilmente l’avrebbe
ucciso nel sonno, ma
sentendo l’acqua scorrere, aveva deciso di prendere
l’iniziativa e di
approfittare per togliere di mezzo chi si era alzato.
Una
parte di me ringraziò di aver permesso a Percy di
vivere, ma quell’orribile animale, che mi toccava, spingendo
le sue viscide
mano, sotto il pigiama, mi faceva venire il vomito.
Lo
sentivo come un serpente che mi accarezzava le curve
del seno, avvicinandosi al mio ventre, senza provocarmi nessun piacere.
Provai
a mordere la mano davanti a me, ma lui la teneva ben serrata.
Provai
a divincolarmi, ma appena mi mossi un po’ lui mi
strinse le braccia intorno al corpo, impedendomi qualsiasi movimento
semplice.
Odiavo essere in trappola.
“Sai…
non credevo fossi tu, quando ti vedevo con
quell’adorabile ragazza mora. Credevo di avere le
allucinazioni.” Iniziò Luke,
abbassando la mano sui miei pantaloni, giocando con
l’elastico. “Ma poi, quando
Ethan è tornato e mi ha parlato di te… cavolo,
sono fortunato.”
Le
sue dita scostarono l’orlo, avvicinandosi ancora di
più alla mia intimità, facendomi sobbalzare.
Se
solo avessi potuto scappare, chiamare aiuto.
Non
volevo che finisse così e non volevo che fosse lui
a farmi questo.
Provai
di nuovo a liberarmi, ma lui mi tirò i capelli,
facendomi gemere dietro la sua mano serrata.
“Ssssh…
ti piacerà, credimi. Alla tua amichetta non è
dispiaciuto per niente.” Mi sussurrò con la sua
viscida voce, leccandomi il
collo.
Piper!
Pensai, infuriata. Cosa le aveva fatto quel maniaco!?
La
rabbia mi spinse ad agire: tentai di liberarmi, ma
lui estrasse un coltello e me lo puntò alla gola.
“Ora
sta’ zitta… che ci divertiamo un
po’.”
Con
una lentezza orribile, quasi si divertisse di più a
torturarmi, piuttosto che avermi, iniziò a tagliare la parte
frontale del mio
pigiama lasciandomi scoperto il reggiseno.
Di
nuovo gemetti, ma era un suono troppo debole per
attirare l’attenzione di Percy.
Mentre
sentivo la sua mano avvicinarsi al bordo dei
miei slip, sentii la rabbia montare in me: quell’animale
aveva fatto del male a
me, mi aveva rubato la vita, aveva rapito Piper e probabilmente le
aveva fatto
del male.
Non
potevo arrendermi.
Mentre
la sua mano si faceva più audace, piegai la
testa in avanti, come per arrendermi, portando con me il blocco. Luke
era così
eccitato che non pensò nemmeno a quello che volevo fare.
Ricorda,
Annie: il viso è estremamente sensibile, un qualsiasi colpo
al viso, farà
indietreggiare il tuo avversario.
Spinsi
con tutta la mia forza la testa all’indietro,
con uno scatto repentino. La mia nuca impattò contro il viso
di Luke e sentii
un crack, un cedimento, forse gli
avevo rotto qualcosa, ma l’importante era che lui si era
ritirato, tenendosi il
naso sanguinante, lanciando un grido di dolore.
Grazie,
Percy…
Pensai, ringraziandolo delle sue lezioni di autodifesa.
Luke si asciugò il naso sanguinante e provò di
nuovo ad aggredirmi, ma questa
volta fui preparata: tesi la gamba e lo colpii lì, in mezzo
alle gambe, dove fa
più male, facendolo cadere a terra, gemendo di dolore.
“Percy!!!
Percy aiuto!!!” Urlai, con tutta la mia
forza, sperando che si fosse svegliato.
“Stronzetta,
vieni qui!” Ringhiò Luke, afferrandomi per
il collo, gettandomi a terra.
Per
qualche secondo lottammo distesi per terra. Io gli
rifilai un paio di calci e gli ficcai un dito in un occhio e un pugno
alla gola
facendolo rantolare dal dolore. Per un attimo riuscii a strisciare via,
ma poi
fui tirata di nuovo sotto di lui e mi tirò uno schiaffo.
“Ora
basta!” Ringhiò con il naso che ancora sanguinava.
Le
sue mani si abbassarono verso i miei pantaloni, ma
prima che potesse fare qualcosa, due mani lo afferrarono per il collo,
sbattendolo al muro con violenza.
“P-percy…”
Mormorai sollevata nel vederlo.
Con
la poca luce che filtrava dalla finestra lo vidi
furioso che teneva serrata la gola di Luke che, pur essendo
più robusto,
sembrava in difficoltà. Non riusciva a liberarsi e
rantolava, anche se sembrava
più un ringhio animalesco.
“Toglile
le mani di dosso, bastardo!” Urlò Percy
tirandogli un pugno sul naso che si ruppe definitivamente.
Dopodiché partì,
tempestandolo di pugni, senza dargli la possibilità di
reagire.
Luke,
però, non si arrese e lo caricò a testa bassa,
facendolo cadere sul divano.
“Jackson,
sei sempre il solito, vero. Ti sei scelto
proprio un bel bocconcino.” Lo schernì il biondo,
tirandogli un pugno sul viso.
“Lascialo!”
Strillai, saltandogli sulla schiena ed
iniziando a graffiargli il viso alla cieca.
Il
maniaco urlò tenendosi le ferite, cercando di
scrollarmi di dosso, ma io continuavo a stringergli la gola con le
braccia,
continuando a graffiarlo furiosa. Non mi sarei arresa senza combattere,
non
questa volta.
Lui,
allora, mi spinse contro la parete, schiacciandomi
contro il muro.
Mi
sentii mancare il fiato e lui riuscì a liberarsi,
tirandomi un ceffone che mi stordì da quanto era forte.
Mentre
cercavo di riprendermi vidi Luke e Percy
affrontarsi nel salotto, ormai devastato dalla lotta. Il biondo era
riuscito a
prendere il coltello e provava ad incalzare l’avversario, ma
il mio ragazzo era
rapido e riuscì ad afferrare il braccio armato e torcerlo
fino a fargli mollare
la presa. Luke ringhiò e tentò di colpirlo di
nuovo, ma non riuscì a colpirlo e
si beccò un bel calcio allo stomaco.
“Sei
solo uno stronzo, toccala ancora e ti strappo le
palle!” Minacciò Percy, stringendo i pugni.
Uno
scintillio nella mano di Luke, però mi spaventò:
era riuscito a riprendere il coltello.
“Percy,
attento!” Urlai.
Per
un attimo chiusi gli occhi spaventata.
Quando
li riaprii vidi Luke fuggire zoppicando, mentre
Percy si teneva il fianco.
No!
Pensai, disperata gemendo per la paura.
Gli
corsi incontro e lo tirai su: all’altezza della
vita c’era una profonda ferita da affondo dalla quale usciva
una quantità
improponibile di sangue.
“No
Percy… no…” Gemetti, mentre lui si
teneva la
ferita, stringendo i denti per il dolore.
“Chiama…
il pronto soccorso.” Biascicò, cercando di
limitare il sangue che colava copioso e crudele.
Le
mie mani tremavano sulla tastiera del cellulare, ma
riuscii comunque a digitare il numero di emergenza ed avvertire
l’ambulanza,
dopodiché digitai il numero di Talia.
“Pronto?
Chi è?” Sembrava che avesse la lingua
impastata e in sottofondo mi parve di sentire Nico sussurrarle qualcosa.
“Hanno…
hanno ferito Percy… è.. è stato
Luke!” Dissi,
singhiozzando.
“COSA!!??”
“è…
piombato qui… Percy mi ha… mi ha
difesa… ma Luke
l’ha accoltellato!” La mia voce parve un gemito.
“Aspettaci
lì… chiama l’ambulanza, noi ti
raggiungiamo
subito!”
All’ospedale
la polizia mi interrogò e io raccontai
tutto, per filo e per segno. Questa volta, per lo meno, mi cedettero,
dato che
un tipo aveva accoltellato il mio ragazzo. Dovevano intervenire. Poi
arrivarono
Nico e Talia, con i capelli scarmigliati, sembrava che fossero corsi
lì in
fretta e pochi minuti dopo arrivò anche Jason che
parlò con uno dei poliziotti.
“Ora
la polizia sa tutto, ma non abbiamo capito dove
quell’animale si nasconde.” Disse il ragazzo
biondo, mentre, nella stanza
davanti a noi dei medici tenevano Percy sotto osservazione.
Il
corridoio così bianco, come un osso essiccato al
sole, mi metteva addosso una strana ansia e temetti il peggio. Ma
sapevo anche
che quella ferita, per quanto grave, non era mortale.
“Quell’animale
sa molto di te, Annie… se lo troviamo,
forse il tuo passato tornerà a galla.” Disse Nico,
cercando di tirarmi su.
“Non
me ne frega nulla!” Sbottai nervosa. “Quello mi ha
aggredita due volta ed ha rapito Piper! La cosa più
importante è trovarlo e
sbatterlo, possibilmente a vita, dietro le sbarre.”
“Ha
ragione… ma dobbiamo trovarlo. Idee su dove possa
essere?”
Nessuno
disse nulla: eravamo ad un punto morto.
A
poco a poco si riunirono tutti gli amici di Percy:
compresa la famosa Reyna che, a quanto pareva, aveva dato una mano a
Jason con
la storia della ricerca di Luke.
“Come
ha fatto a sapere di te?” Chiese Leo, accigliato.
“Pensavo non lo sapesse… o che ti credesse
morta.”
“Ethan
Nakamura… lui deve avermi riconosciuta, mentre
eravamo nel locale. O meglio credo che gli sia sfuggita la mia
presenza, quando
è tornato ubriaco da quel bastardo. Luke ha capito che ero
io.” Spiegai,
rabbrividendo al solo pensiero delle sue mani su di me.
“Sapete
che vi dico: probabilmente lui ne sa più di
quanto ci abbia detto. Dico di andare a casa sua e riempirlo di pugni
finché
non ci dice tutto.” Propose Nico, battendo i pugni.
“No,
potrebbe non cedere… e di certo nessuno di noi,
qui, riuscirebbe a farlo.” Disse, seria la ex di Jason.
“Scusa,
ma lei che ci fa qui?” Chiese Bianca, appena
tornata da Boston, insieme a Zoe, la sua avversaria che,
però, non sembrava.
“Guarda
che sono presente!”
“State
calme voi due!” Le fermò Jason, prima che
potessero
iniziare a darsele. “Le ho chiesto io di aiutarci, di lei ci
si può fidare.”
Io
non mi interessai; volevo solo prendere Luke e
rompergli tutti i denti per quello che aveva fatto a Percy. Poco dopo
un medico
uscì dalla sua stanza e gli chiesi subito come stava.
“Stabile…
è un ragazzo forte e se la caverà. Entro due
giorni dovrebbe essere di nuovo a posto. Una fortuna che
l’intervento sia stato
così tempestivo. Solo che avrà bisogno di
riposo.”
Quelle
parole mi fecero stare molto meglio, ma temevo
davvero di crollare da un momento all’altro. Dovevo fermare
Luke, non solo per
Piper, ma anche per me stessa. Scoprire il mio passato e fermare quel
criminale.
“Ragazzi,
non possiamo lasciare Percy da solo.” Disse
Rachel, mordendosi il labbro inferiore.
“Non
preoccuparti, hai sentito il medico, no? Se la
caverà.” La rassicurò Leo, dandole una
pacca amichevole sulla spalla.
“Se
Luke torna per finirlo, allora non serve a nulla
medicarlo.” Sbottò la rossa, inarcando le
sopracciglia. “Io rimango con lui.”
Come
avrei voluto farlo anche io, ma non potevo
rimanere lì. Volevo smetterla di scappare.
“Nico…
io… esco un attimo. Ho bisogno di prendere un po’
d’aria.” Borbottai, anche se volevo fare cose ben
diverse dal prendere un po’
d’aria.
Per
fortuna nessuno se ne rese conto e mi lasciarono
andare, borbottando scuse. Si sistemarono tutti e iniziarono a
discutere,
mentre io uscivo di corsa, cercando di non pensare a Percy. Ora volevo
prendere
a calci quell’animale di Luke.
Per
fortuna i taxi e le metropolitane erano in funzione
anche di notte nell’eternamente sveglia New York.
Sapevo
che era una pazzia, ma avevo così paura per
Piper che non potei trattenermi.
Andai
al porto da sola.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
autore]
Mi
scuso ancora per il “Non rispondere” alle
recensioni, ma il
motivo, fondamentalmente, è uno: devo recuperare i tre
giorni di silenzio con
questa storia. Inoltre i Venti del Nord mi lasciano un
po’… impegnato, anche
perché non è facile contattare la cara wolfie ;)
(No, non è la mia coniuge, di
nessun tipo, siamo amici e basta -_- ) Comunque, farò di
tutto per aggiornare
in poco tempo, dato che mancano due, massimo tre capitoli, alla fine
della
storia.
Quindi
a presto!
AxXx
|
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Capitolo 16 *** Finita ***
FINITA
Probabilmente
avrei dovuto chiedere l’aiuto degli altri
e aspettarli, ma io non ne potevo più: dovevo fare qualcosa
per porre fine a
quell’incubo che mi aveva avvolta. Credevo che se ne fosse
andato, che la mia
vita sarebbe andata avanti. Avevo persino iniziato a sperare che,
insieme a
Percy, potessi crearmene una nuova, diversa e tutta mia. Invece mi era
stata di
nuovo strappata da quel mostro di Luke.
Ora
basta!
Decisi
di seguire il mio intuito per capire dove si
trovasse quell’animale. Ero certa che l’avrei
trovato e con lui Piper. L’avrei
salvata, tirata fuori dal buco in cui era stata rinchiusa.
Il
porto era immenso, poco illuminato e con container
metallici e magazzini ovunque. Sembrava deserto, ma sapevo che, da
qualche
parte, Luke teneva Piper prigioniera. Non avevo molte informazioni, ma
cercai
di intuire dove si trovasse.
Sicuramente
era in un luogo abitato, dato che ricordavo
che era venuto a prendermi di notte, quindi dovevo cercare un magazzino
illuminato. E doveva essere un posto abbastanza grande da contenere una
macchina, dato che ero abbastanza sicura di essere stata imprigionata
in un
garage.
Camminai
a lungo, girando per tutto il porto,
nascondendomi appena sentivo una voce. Nonostante fossero le tre di
notte non
avevo per niente sonno, l’unico mio desiderio era prendere a
calci quel
criminale di Luke. Spesso controllavo l’orologio per sapere
quanto tempo fosse
passato. Sapevo che, forse, sarebbe stato meglio chiamare gli altri, ma
ne
avevo abbastanza di aspettare: volevo agire.
Continuai
a cercare finché un bagliore non mi attirò:
un magazzino aveva una luce accesa da una delle finestre posteriori.
Ormai
ero decisa a controllare ogni centimetro del
porto e, forse, quel piccolo colpo di fortuna sarebbe servito.
La
fortuna mi dovette aiutare perché beccai il posto
giusto: all’interno c’erano sei o sette persone che
se la ridevano come degli
idioti. Solo Luke sembrava quello meno divertito di tutto. Il viso era
ricoperto di sangue secco, pieno di graffi e furioso. A quanto pare non
era
molto felice di essere stato messo all’angolo da Percy.
Non
persi tempo a decifrare quello che dicevano quel
groppo di gangster e mi arrampicai sul tetto del magazzino ed iniziai a
guardare dalle finestrelle per trovare Piper.
Appena
la vidi riconobbi il luogo dov’era rinchiusa:
era lo stesso dove mi avevano messa e subito i ricordi mi invasero in
modo
violento.
L’odore
pesante di benzina…
La
sensazione di soffocamento…
La
paura…
Scossi
la testa e mi decisi a rimandare i convenevoli
con il mio passato. Mi calai attenta di sotto, cercando di non far
rumore,
approfittando di una specie di cavo che non avevo notato e che
penzolava fino
quasi al pavimento.
Toccai
terra facendo pianissimo, assicurandomi che intorno
non ci fossero cose tipo telecamere o trappole per fermare chi fosse
entrato,
ma non vidi nulla.
“Piper…”
Bisbigliai, cercando di attirare la sua attenzione.
Non
muovendosi mi avvicinai ancora, ma la vista del suo
corpo mi fece piangere. I piedi erano tenuti legati da del nastro
adesivo, come
la bocca che emetteva solo qualche rantolio o lamento. Le mani erano
ammanettate
molto strette e sembrava che Luke si fosse divertito a stringerle fino
a
provocarle ferite profonde. Il corpo era coperto di sangue e ferite
varie, come
se fosse stata picchiata. I vestiti erano strappati lasciando
l’intimo bianco
in bella vista.
“Piper…”
Dissi di nuovo, con voce rotta, questa volta
mi avvicinai e le accarezzai il viso.
Lei
gemette di paura e provò a divincolarsi, ma appena
mi riconobbe si bloccò e si voltò verso di me. Mi
guardò, quasi non ci
credesse. Aveva gli occhi rossi per il pianto e la guancia era coperta
da un
livido violaceo.
“Piper…
stai tranquilla, ti tirerò fuori di qui.” La
rassicurai, abbracciandola e togliendole, delicatamente, il nastro
adesivo.
Lei
crollò tra le mia braccia, iniziando a piangere
disperata sulla mia spalla. Quante torture aveva subito per essere
ridotta
così?
“Annie…
ti prego, andiamocene.” Mi implorò,
rannicchiandosi come una bambina.
“Ssssh…
ora ce ne andiamo e chiamiamo la polizia. Non
ti faranno più del male, te lo prometto.”
Sussurrai, aiutandola ad alzarsi.
Le
tremavano le gambe e non potendo liberarle le mani,
ebbe parecchie difficoltà a stare in piedi, ma
l’idea di essere libera la
sostenne. Nonostante fosse ferita doveva essersi difesa e mi
sembrò che Luke si
fosse limitato a divertirsi, senza
abusare di lei. Il che mi fece sentire un po’ meglio,
nonostante avessi ancora
una gran voglia di cavargli gli occhi.
“Ve
ne andate già?”
Parli
del diavolo.
Luke
era dietro di noi e sorrideva come se avesse non
si fosse mai divertito così tanto in vita sua. Piper gemette
ed iniziò a
tremare, mentre io lo guardai con odio, posizionandomi davanti a lei
per
proteggerla.
“Sei
venuta a divertirti?” Chiese avvicinandosi a me.
Mi
misi in posizione di difesa, come mi aveva insegnato
Percy e lo guardai con ferocia.
“No,
sono venuta a finire quello che ti ho fatto sta’
sera, come va la faccia?” Chiesi sprezzante, con un ringhio
che voleva essere
minaccioso.
In
effetti Luke sembrò esitare e si toccò le ferite
sul
viso, da poco rimarginate.
“Come
va’ la faccia? Scommetto che sei stato bravo a
scappare.” Rincarai, sperando di farlo arrabbiare, in modo da
sfruttare la
situazione a mio vantaggio.
Lui
ci cascò.
“Sta
zitta, stronza!” Urlò, cercando di tirarmi un
pugno che evitai abbassandomi.
In
risposta gli tirai un calcio nella bocca dello
stomaco che lo piegò in due dal dolore. Un pugno alla gola
lo mandò a terra,
mentre rantolava sorpreso e ferito, sia nel corpo che
nell’orgoglio.
“Luke…
luke che succede!?”
Dannazione,
i suoi compagni stavano venendo a vedere
cosa stesse succedendo. Colpii di nuovo Luke e lo mandai
definitivamente a
terra. Gli frugai velocemente nelle tasche e trovai le chiavi delle
manette. Mi
avvicinai a Piper che si era attaccata al muro spaventata e la liberai.
“Pips…
devi andartene. Corre sul tetto e chiama la
polizia, io proverò a trattenerli per quanto mi è
possibile.” Sussurrai,
abbracciandola e lei fece altrettanto.
“Annie,
no… ti prego, non… ho paura, ma ti devo la
vita. Vai prima tu.” Singhiozzò lei, con le
lacrime che gli rigavano il volto.
Nonostante quello che le avevano subito, era disposta a rischiare, pur
di
mettermi in salvo.
“Non
ti lascio in mano di quelli vai e…”
Non
ebbi il tempo di finire perché sentii come un botto
incredibile e riconobbi la voce di Leo.
“Bravo
Festus!”
“Smettila
di chiamare il tuo furgone da lavoro “Festus”!
Che razza di nome è!?” Ed era la voce di Talia che
rispondeva a tono. A quanto
pare era scoppiata una rissa.
“Significa
felice in latino ed è un nome bellissimo per
un furgone!” Ribatté lui, con il tono di chi sta
cercando di tirare qualcosa in
testa a qualcuno.
“Smettetela
voi due! Dobbiamo trovare Annabeth!”
Non
potevo crederci: era Percy!
“Andiamo,
presto!” Dissi a Piper, per incoraggiarla,
dirigendomi verso la serranda che ci separava dai miei amici.
Stavo
per aprirla, quando sentii le mani di Luke
stringersi intorno al mio collo, cercando di soffocarmi.
“Muori,
maledetta… mi sei costata troppo.”
Ringhiò stringendo
le mani sulla mia gola, mentre lucine gialle mi danzavano davanti agli
occhi.
Cercai
di liberarmi, ma questa volta lui sembrò
preparato e non mi lasciò molto spazio per divincolarmi,
stringendo ancora più
forte la mano sulla mia gola. Piper tentò di aggredirlo, ma
lui le tirò uno schiaffò
così forte che lei cadde stordita a terra.
“un
peccato doverti ammazzare, ma credo sia meglio per
tutti.” Ringhiò, mentre stringeva sempre
più forte. Tentai di dimenarmi o
liberarmi, ma lui, per forza, mi era superiore.
La
vista iniziò ad annebbiarsi, ma non mi arresi. Dovevo
resistere. Poi, però, tutto cambiò drasticamente:
la pressione sul mio collo
cessò all’improvviso ed io mi ritrovai a tossire
ed ansimare per la mancanza d’ossigeno.
“Certo
che, anche ogni tanto dovresti aspettare gli
altri, sai?”
Alzai
lo sguardo e mi ritrovai a fissare il mio
riflesso dei verdi occhi di Percy che mi guardavano preoccupati,
nonostante il
suo sorriso sghembo. In mano teneva una spranga di metallo e a terra,
Luke era
svenuto.
“Percy…
che fai qui? Sei ferito!” Esclamai,
abbracciandola, felice come non lo ero mai stata in vita mia.
Accanto
a noi Piper e Jason si stavano abbracciando con
la stessa intensità. Lei si accasciò tra le sue
braccia e lui la strinse come
se dovesse affondare se l’avesse lasciata.
“Piper…
mi dispiace. Se ci fossi stato… non ti
avrebbero fatto del male.” Disse il biondo, prendendola in
braccio.
“Non
dire nulla, Jas. Almeno sei arrivato.” Sussurrò
lei, stringendolo a se, affondando il viso nella maglietta di lui,
sospirando.
Sorrisi,
mentre Percy ed io uscivamo nella zona
principale del magazzino. La maggior parte dei criminali era stata
messa K.O.,
mentre tutti gli altri si davano una mano. C’era
l’intera banda: Leo, che
sorrideva, mentre controllava il suo furgone nero con il motivo della
fiamma
sulle fiancate. Talia e Nico erano in disparte. Lui la stava aiutando a
fasciarsi il polso che lei doveva essersi ferita nella rissa e lei gli
sorrideva, facendolo arrossire. Backandorf aiutava Leo nella
riparazione,
Rachel e Grover controllavano che fossero tutti stesi, Reyna stava
parlando con
Zoe e Bianca che tenevano i loro archi sportivi a tracollo. A quanto
pare li
avevano utilizzati contro qui tipacci.
“Come
avete fatto a trovarmi?” Chiesi sorpresa e
felice, mentre mi stringevo a Percy, mortalmente stanca.
“Ringrazia
Nico: è stato lui a seguirti e a chiamarci
per dirci dov’eri andata.” Iniziò Percy,
indicando l’amico che si era un po’
perso negli occhi di Talia che lo stava tenendo per mano.
“Già…
quando ci ha chiamati Percy è andato fuori di
testa e ci ha seguito, nonostante i medici gli avessero detto di non
fare
movimenti bruschi. Alla fine ci ha seguiti ed è voluto
venire a tutti i costi.”
Aggiunse Beckendorf, lanciandoci un occhiata molto eloquente.
“Già…
Leo ha guidato questo catorcio…”
“Ehi!
Festus non è un catorcio! Ha il cuore di una
ferrari!” Protestò il ragazzo, imbronciato.
“Scusa
Festus, fino al porto e quando Nico ci ha detto
che eri entrata, abbiamo capito che era il covo di questi criminali.
Così
abbiamo usato il catorc… ehm… festus, come
ariete. Li abbiamo colti di sorpresa
e li abbiamo stesi tutti prima che potessero mettere mano alle
armi.” Concluse
Talia, affacciandosi da dietro Nico, ancora imbambolato.
“Ragazzi,
avete rischiato tantissimo, questi tipi non
sono dei semplici teppisti erano armati, avrebbero potuto
uccidervi!” Protesta,
per poi essere interrotta da Percy che mi abbracciò forte,
nonostante la ferita
appena medicata.
“Annabeth…
per te io affronterei un esercito. Così come
Jason farebbe per Piper.”
Mi
strinsi a lui, sollevata da quel contatto. Credevo
di essere sul punto di baciarlo, ma Leo fischiò e
ridacchiò: “Prendetevi una
camera!”
Arrossimmo
entrambi e ci staccammo, mentre gli altri
ridevano.
La
polizia arrivò circa cinque minuti dopo, con
ambulanza e forze speciali a sirene spiegate, manco dovessero
annunciarsi in
pompa magna. Gioven Grace in persona si era fatto avanti, quando aveva
saputo
che entrambi i figli erano sul posto.
I
medici curarono me, Piper, Percy e Talia. Piper era
messa davvero male e gli fu consigliato di rimanere a riposo per almeno
tre o
quattro giorni per riprendersi dallo shock del rapimento, mentre noi
altri non
avevamo nemmeno bisogno di riposo.
Fummo
tutti interrogati e tutti i criminali furono
arrestati, compreso Luke che però, paradossalmente, aveva
preso una legnata
così forte che aveva perso la memoria. Gli augurai di morire
dietro le sbarre.
Forse era crudele, ma dopo tutto quello che aveva fatto se lo meritava.
Nel
loro covo scoprimmo che non eravamo state le uniche
ad essere rapite: Sonorc e la sua banda aveva rapito altri cinque
ragazzi di
ricca famiglia, pretendendo dalle loro famiglia riscatti molto alti.
Dopodiché
li uccidevano e minacciavano le famiglie di
ritorsioni se avessero parlato. Nessuno fermava Luke, il più
efficiente della
banda e lo lasciavano divertire con
l’ostaggio
se voleva, sapendo che, tanto, l’avrebbero fatto fuori.
Fui
avvolta da una grande tristezza e dispiacere per
quelle cinque vite che non ero riuscita a salvare e piansi per loro,
come non
credevo avessi potuto fare. Io ero stata terribilmente fortunata.
Probabilmente
sarei svenuta durante l’interrogatorio se Percy non mi fosse
stato accanto.
Alla
fine, in una borsa all’interno del magazzino,
trovarono uno zaino nero con dentro dei documenti: erano i miei.
Il
mio nome era davvero Annabeth Chase.
E
ricordai tutto.
-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
[Angolo
Autore]
Gente,
ci siamo, il prossimo capitolo sarà l’ultimo di
questa serie,
finalmente hanno messo K.O. definitivamente quel bastardo di Luke che
finirà in
carcere per tutti i suoi crimini, insieme ai suoi compagni.
Annabeth
ha recuperato finalmente, la memoria e i cattivonissimi
sono stati messi K.O.
Quindi,
ringrazio tutti per aver seguito questa storia e spero che
vi sia piaciuto. Tra sta’ sera e domani, arriverà
l’ultimo capitolo e la mia
prossima storia AU Percabeth postapocalittica che spero, vorrete vedere
anche
voi. (La nuova AU è questa http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2473374&i=1 spero veniate a darci un'occhiata per vederla e recensirla. Non mettetela subito in croce)
Quindi
a presto!
AxXx
|
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Capitolo 17 *** Epilogo: Lo Amerò per Sempre. ***
Epilogo:Lo
amerò per sempre
Fu
strano tornare alla vecchia vita. Mia madre e mio
padre erano stati minacciati di ritorsioni se avessero provato a
denunciare il
mio rapimento, così, pur di riavermi indietro, avevano
preparato il riscatto.
Poi avevano perso ogni contatti quando io avevo perso la memoria.
Riaverli fu
come una doccia di acqua fredda che ripuliva ogni traccia di quel nero
sporco
che copriva la mia memoria.
Non
riuscii a passare nemmeno un momento da sola con
Percy, però. La polizia mi trattenne in centrale
finché i miei non vennero a
prendermi. Riuscii solo a salutarlo al volo, mentre lui mi guardava
malinconico, dal finestrino della macchina di mio padre.
Ero
felice di aver ritrovato la mia vecchia vita: mi
ricordai dei miei amici Frank Zang, Hazel e Silena, miei compagni di
università
e cari amici, ma improvvisamente sentii la mancanza di Talia, Nico,
Piper,
Jason e soprattutto Percy. Ora ero anche certa di non avere un
fidanzato,
quindi lui era il mio primo ragazzo.
Gioven
Grace si prese tutto il merito del mio salvataggio
e di quello di Piper, ma una volta a casa raccontai la
verità per filo e per
segno. Mio padre volle aiutare Percy e promise di sostenere le spese
mediche
della madre. Ogni tanto lo vidi a casa mia, pensai per parlare con mio
padre,
ma non riuscivamo mai ad avere un momento di intimità.
Di
solito c’erano i miei amici, oppure c’erano i miei
e
mettermi a limonare con lui, davanti a loro, non mi sembrava una buona
idea.
Certo, parlammo e gli chiesi cosa fosse successo di bello, a New York e
come
stesse la sua famiglia.
Mi
raccontò di Piper che si era ormai ripresa dalla
brutta esperienza. Mi disse che lei mi avrebbe voluto riabbracciare, se
suo
padre non la stesse tenendo fortificata in casa, quasi temesse che il
contatto
con l’aria la uccidesse. Era tornata dolce e allegra come
prima, anche se
leggermente malinconica. Si era messa, finalmente, in pianta stabile
con Jason
e sembrava che quella storia stesse prendendo la piega giusta. (La
brutta
esperienza doveva averle fatto capire quanto possa essere terribile
separarsi
da chi ami).
Dopo
l’ultima scenata, Talia aveva lasciato la casa
paterna e si era trasferita a casa Di Angelo dove, a quanto pareva,
Nico stava
facendo il buon padrone di casa, accogliendola calorosamente.
Molto
calorosamente.
Per
il resto, gli altri mi salutavano e mi auguravano
di riprendermi. Alla fine mio padre aveva anche pagato una delicata
operazione
per Sally Jackson per tentare il suo risveglio, cosa che Percy non
avrebbe mai dimenticato.
Tantai
di iniziare un discorso con lui su ciò che
provavo, ma ogni volta che provavo ad accennare a noi due, arrivava una
scocciatura che mi metteva in imbarazzo, bloccandomi sul posto.
I
miei mi tennero a casa a lungo, per farmi riprendere
dallo shock, ma io non mi sentivo bene. Avevo un dolore,
all’altezza del petto
che né loro, né i miei vecchi amici e nemmeno
quelli nuovi potevano guarire.
Erano
passate due settimane, ormai.
Ero
seduta in spiaggia con una camicia ed un paio di
pantaloncini. Non avevo scarpe: adoravo la sensazione di sabbia tra le
dita.
Osservavo il tramonto sul mare, così bello che mi ricordava
Percy.
Quanto
avrei voluto che fosse lì vicino a me.
Non
riuscii a credere quando lo sentii alle mie spalle,
che mi abbracciò teneramente. Sobbalzai e mi irrigidii
quando sentii le sua
braccia posarsi sulla mia spalla, coperta dalla canottiera.
“Mi
sei mancata, Sapientona.” Sussurrò, sedendosi alle
mie spalle, incastrando i nostri corpi alla perfezione, quasi fossimo
due pezzi
di un puzzle destinati ad attaccarci insieme.
“Percy…
che ci fai qui?” Chiesi, così felice da non
riuscire a crederci. Mi sedetti, appoggiando la schiena al suo ampio
petto.
“Sono
venuto a trovarti, ovvio. Volevo stare con te.”
Rispose, cullandomi come una bambina, nello stesso modo con cui mi
aveva
calmato un mese prima, quando ero convinta che Luke fosse tornato a
prendermi.
Mi
voltai e lo spinsi sulla sabbia, facendolo cadere di
schiena. Mi sedetti su di lui e mi chinai fino a baciarlo a lungo. Non
me lo
sarei lasciato sfuggire, nemmeno se fossimo stati in diretta
internazionale.
“Percy…”
Sussurrai, senza fiato, non appena mi staccai.
Lui
capovolse la situazione, facendomi ricadere sulla
sabbia con un sorriso splendente come il sole.
“Così…
sei una vera principessa.” Mi sussurrò
all’orecchio,
mentre mi baciava il collo.
Mi
imbronciai, sentendo come se quello che aveva detto
fosse un muro. Mi scansai: “Percy… senti, lo so
che ora mi penserai una
ragazzina viziatissima e antipatica, ma ti giuro che ti amo ancora. Non
è
cambiato niente da quando te l’ho detto la prima volta. Ma se
tu volessi…”
Non
potei più dire nulla, perché le sue labbra
sigillarono le mie, in un lungo, passionale bacio così
profondo, bello e
passionale che il mondo si sciolse intorno a noi. Le sue labbra si
arricciavano
in maniera adorabile, sulle mie, la sua lingua giocava con la mia,
accarezzandola, stringendola, spingendola ed io ero alla sua
mercé. Era così
bello che pensai che se il paradiso dovesse scendere in terra, lo aveva
fatto
nel corpo di Percy Jackson.
Dopo
qualche minuto lo sentii allontanarsi da me per
riprendere fiato ed io gemetti contrariata.
Perché
non poteva baciarmi ancora un po’!?
“Sai,
annie? Ogni tanto dovresti parlare un po’ meno.”
Sussurrò al mio orecchio.
Diavolo!
Dov’era il cielo? Dov’era la terra? Non
riuscivo a registrare nulla che non fosse lui. Ero convinta che se, in
quel
momento fosse scoppiata la terza guerra mondiale, non mene sarei
nemmeno
accorta, da quanto ero persa, naufraga nel mare dei suoi occhi.
“Hai
ragione… quindi potresti baciarmi ancora, così
non
parlo?” Domandai implorante, abbracciandolo ancora
più stretto.
Lui
ubbidì.
Quella
notte i miei non c’erano.
Dopo
giorni ero riuscita a convincerli che non correvo
pericoli così mi lasciarono sola con Percy, anche se mia
mamma gli lanciò un’occhiataccia
come per avvertirlo: “prova a
toccare mia
figlia e ti faccio ingoiare le pupille.”, ma io non
ci badai.
Tornammo
su quella spiaggia, troppo eccitati per
parlare. Non serviva.
Ci
eravamo già chiariti.
Io
lo amavo.
Lui
mi amava.
Ci
stringemmo, ci baciammo e ci amammo.
Lui
era bellissimo, dolce e delicato. Lo amai ancora di
più per questo.
Su
quella spiaggia, con l’argentea luna che illuminava
il cielo stellato, riflessa sulle onde del mare, testimone del nostro
amore,
giacevamo insieme con lui che mi stringeva a sé, come se
fossi l’ossigeno che
lo teneva in vita.
“Percy?”
Lo chiamai, indecisa.
Volevo
rimanere lì per sempre, fermare il tempo e
vivere come una statua legata al mio tutto.
“Annie…
sei bellissima, come una dea.” Sussurrò,
baciandomi leggero sulle labbra.
Risposi,
incapace di dire nient’altro oltre al suo
nome. Lui era ciò che mi era mancato, in tutti quegli anni.
Era il mio tutto,
la mia completezza.
Mi
strinsi a lui, ancora nudi, liberi da ogni
costrizioni e felici come non mai.
Non
c’era bisogno di ricordi che me lo dicessero: io lo
amavo.
Lo
avrei amato per sempre.
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[Angolo
dell’autore]
Immagino
che questo capitolo sia corto, ma dopo tanto scrivere ho
voluto fare un capitolo tutto Percabeth con pochi altri accenni ad
altre
coppie. Ho voluto fare un Happy ending con i fiocchi. E poi
diciamocelo, quei
due stanno proprio bene insieme.
Sono
l’AMORE (Tutto maiuscolo).
La
storia è, quindi, finita.
Ma
non la mia mente malata che crea Percabeth improponibili come se
fosse una pazzia. Quindi, se mai voleste una percabeth con
più azione, un po’
più elaborata e un po’ più
“complessa.” Ecco a voi la mia altra storia
percabeth sul fandom di EFP: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2473374&i=1
Commentate
e giuro che, questa volta, risponderò alle vostre domande
;)
AxXx
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