Senza Memoria

di AxXx
(/viewuser.php?uid=218778)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rapita ***
Capitolo 2: *** Risveglio ***
Capitolo 3: *** Nome ***
Capitolo 4: *** Conoscenze ***
Capitolo 5: *** Fine Primo Giorno ***
Capitolo 6: *** Risveglio ***
Capitolo 7: *** Cena e Neve ***
Capitolo 8: *** Incubo ***
Capitolo 9: *** Allenamento Romantico ***
Capitolo 10: *** Mi Hai rubato il Cuore ***
Capitolo 11: *** Coppie ***
Capitolo 12: *** Sparita ***
Capitolo 13: *** Ricordi ***
Capitolo 14: *** L'Incubo Torna ***
Capitolo 15: *** Ferite ***
Capitolo 16: *** Finita ***
Capitolo 17: *** Epilogo: Lo Amerò per Sempre. ***



Capitolo 1
*** Rapita ***


 

                                                   RAPITA

 

 

 

 

La vita può cambiare radicalmente, da un giorno ad un altro. Spesso cambia lentamente, altre volte, invece, cambia così velocemente che quasi non te ne accorgi.

Io ho avuto quest’ultima possibilità.

La mia vita cambiò radicalmente da un momento ad un altro. Non ci credete?
Allora ricominciamo dall’inizio vero e proprio.

Il mio nome è Annabeth Chase ho 17 anni, figlia del molto più famoso architetto Fredrick Chase e Atenia Chase, titolare di una grande industri per l’alimentazione energetica. Diciamo che dire che sono ricca è un eufemismo. Mio padre è uno dei più famosi architetti del mondo. Conteso tra decine di aziende e agenzie, ed è persino riuscito a vincere un appalto per ristrutturare un’ala della Casa Bianca. Mia madre, invece, era una delle donne in carriera più importanti della costa occidentale. La sua azienda  forniva energia a quasi tutti gli stati della California ed era diventata particolarmente nota perché era stata una delle prime a sfruttare energia rinnovabile in grande quantità. Aveva contratti milionari in molti stati.

 

 

Era una bellissima mattina di fine inverno nella bellissima New York ed io ero felicemente sveglia nella mia stanza. Ero in un ricco appartamento pagato da mio padre per farmi partecipare ad un corso di studio per architetti, dato che il mio sogno era succedere a mio padre come architetto di carriera. Casa mia era una villa sulla costa californiana, ma non mi era mai piaciuto ostentare troppo la ricchezza su cui potevo contare.

Non mi piacevano i vestiti ricchi, nemmeno fare shopping, se per quello. La mia passione più grande era soddisfare la mia curiosità visitando musei, monumenti e altre grandi opere del presente e del passato. Quando potevo mi infilavo in biblioteca o in una libreria, infatti camera mia a casa, era strapiena di libri, mentre il mio armadio tendeva ad essere sempre un po’ carente.

Quella mattina avrei dovuto prendere l’aereo privato che mio padre aveva noleggiato a posta per farmi tornare a casa in tutta comodità. Il mio appartamento aveva solo una camera da letto, una piccola cucina e una toilette personale. Comodo, ma non particolarmente ricco. Inoltre, al contrario di altri, mi occupavo io di tutto, compresa la pulizia. Non mi dispiaceva la solitudine.

Quando la sveglia suonò mi rigirai subito nel letto, spegnendola: erano ancora le 8.30 e io avevo ancora mezz’ora prima che l’autista di mio padre venisse a prendermi. Non mi piaceva molto, avere un autista, ma ogni tanto i miei insistevano non mi opponevo, d’altra parte non era male.

Mi alzai, indossai un paio di jeans e una camicetta e feci una veloce colazione a base di caffelatte e dei biscotti, mentre guardavo le ultime notizie alla televisione.
Mentre aspettavo che arrivasse l’ora di partire mi misi a leggere, spegnendo l’apparecchio. Quasi non mi accorsi di quanto tempo fosse passato, ma la mia attenzione fu attirata dall’orologio verso le 8.50, facendomi intuire che era il momento di partire. Una fortuna che avessi preparato i miei bagagli la sera prima. In realtà avevo solo uno zaino in cui avevo messo un paio di libri, il mio cellulare e il mio portafoglio. In una valigia, invece, avevo messo tutti i miei ricambi. Indossai una giacca e uscii.

Scesi con l’ascensore fino al parcheggio sotterraneo, dove notai subito la limousine che mi attendeva. Mi avvicinai con calma, incurante di tutto, finché non mi avvicinai alla portiera posteriore.

Qualcuno mi afferrò alle spalle, bloccandomi un polso dietro la schiena. Provai ad urlare, ma l’altra mano soffocò le mie grida, tappandomi la bocca. Altre due mani, mi afferrarono e i due uomini mi gettarono dentro la macchina con forza.

“Dai, metti in moto!” Urlò uno dei due che si posizionò accanto a me.

Cercai di guardare in faccia il mio aggressore, ma il volto era coperto da un passamontagna e l’unica cosa che riuscivo a distinguere erano i suoi capelli neri, che un po’ uscivano dalla copertura e gli occhi neri ricolmi di rabbia.

“C-chi siete? Cosa volete da me?”

Subito, le mie domande furono interrotte da uno schiaffo così forte che mi fece sbattere contro la portiera. I capelli mi erano finiti sugli occhi. Provai a toccarmi il viso. Faceva male e io avevo iniziato a tremare. La mia mente faticava ad elaborare la situazione, tanto ero spaventata.

“Ora dormirai un pochino, tesoro.” Sussurrò l’uomo, avvicinandosi di nuovo a me.

Aveva in mano un panno che avvicinò alla mia faccia. Intuendo quello che voleva fare, tentai di sottrarmi, ma lui era molto più forte di me e non potei impedirgli di premermi il panno sul naso e la bocca. Tentai di non respirare, ma lui premeva con forza, provocandomi un terribile fastidio, così dischiusi le labbra e una sensazione di stanchezza e torpore mi pervase.

 

 

Non capii quanto tempo fosse passato da quando mi avevano narcotizzata. Ero confusa e terrorizzata e avevo una sensazione di nausea che mi faceva venire il voltastomaco.
Le mie narici erano invase da un forte odore penetrante, probabilmente benzina e le tenebre che mi circondavano mi gettavano in una profonda inquietudine.

Non ero nemmeno certa di dove fossi e, quando tentai di alzarmi, mi resi conto di non poter né camminare né parlare.

Le mani erano state legate dietro la schiena con delle strette manette, mentre del nastro adesivo mi stringeva le caviglie. Provai ad urlare, ma dalla mia bocca bloccata uscì solo un mugolio confuso. A giudicare dal sapore di plastica che mi arrivava alla lingua, ero anche stata imbavagliata con del nastro isolante.

Mi colse la claustrofobica sensazione di essere in trappola, come un topolino. Presto sarei stata sbranata, se non avessi cercato una via di fuga. Cercai di ignorare la paura che mi attanagliava il cuore e mi guardai intorno, alla ricerca di qualsiasi cosa potesse aiutarmi a fuggire.

Vidi poco lontano, nell’oscurità, la sagoma di una macchina, anche se non avevo idea di che marca fosse, accanto a lei c’era un tavolo da lavoro, con delle taniche e altri attrezzi, probabilmente utili per ripararla. L’unica via di fuga visibile era una pesante serranda metallica. Probabilmente, quindi, ero in un garage.

Cercai in ogni modo di raggiungere il tavolo, ma era impossibile, dato che le manette erano state fissate al muro, per impedirmi la fuga. Fui colta da un senso di impotenza e frustrazione, così tentai di liberarmi quasi alla cieca, contorcendomi inutilmente. Fu tutto inutile: mi era impossibile rompere le catene che mi ferivano i polsi.

Dopo un tempo che mi parve infinito, la serranda si alzò e fui colta dal panico. Mi rannicchiai come per proteggermi. Intravidi quello che doveva essere un ragazzo. Non aveva il volto coperto, ma indossava un cappuccio che mi impediva di coglierne i lineamenti. I suoi occhi erano azzurri e freddi come il metallo. Una cicatrice gli deturpava il volto all’altezza dello zigomo. Nella mano destra teneva il mio cellulare acceso, nell’altra aveva una pistola. Doveva avere sui ventun’anni, ma questo non lo rendeva meno minaccioso.

“Non ti muovere, tesoro.” Mi intimò freddamente, puntandomela contro.

Subito sentii il sangue fluirmi al cervello impedendomi di ragionare correttamente. Il petto mi si alzava e abbassava frenetico. Lui si avvicinò e mi strappò il nastro adesivo dalla bocca e anche un gemito di dolore. Dopodiché mi premette il cellulare contro l’orecchio.

“Il paparino è al telefono, parla.”

Per un attimo la paura mi impedì di ragionare, ma intuii ciò che volevano loro: soldi. Ovvio che li volessero, mio padre era ricco. Io ero solo uno strumento per raggiungere lo scopo di quei criminali. Non ero nient’altro che un oggetto, come un manichino: tutti lo guardano perché indossa un abito bellissimo, ma nessuno si accorge davvero della sua presenza. Il mio abito erano i soldi di mio padre.

“Qualsiasi cosa ti chiedano non farla!” Urlai, cercando di controllare il tremore nella mia voce.

Gli occhi del ragazzo scintillarono di rabbia e allontanò il cellulare, mettendoselo all’orecchio: “Come ha potuto sentire, non le stiamo mentendo, sua figlia è in mano nostra… e se vuole rivederla viva inizi a cercare i soldi. La richiameremo noi.”

Ecco, avevo indovinato. Soldi, dannati pezzi di carta senza valore. Mi imposi l’autocontrollo, mentre cercavo di capire cosa stesse dicendo mio padre, ma non sentii la sua risposta. Il mio rapitore sembrò soddisfatto e riattaccò la chiamata per, poi, voltarsi verso di me. Il suo sguardo glaciale mi puntava come un leone punta la gazzella, pronto a sbranarlo.

Se solo avessi potuto correre…

“Chi sei tu!?” Urlai, sperando di ottenere qualche informazione in più e, allo stesso tempo, cercare di non farmi sopraffare dalla paura.

Per tutta risposta lui mi si avvicinò e mi sorrise: “Sei troppo curiosa, Annabeth Chase, il tuo solo compito, in questo momento è stare zitta e… forse… potrai tornare a casa.”

Quel forse mi fece sentire male, come se fossi sul punto di vomitare, ma mi imposi un contegno.

“Siete solo degli animali! Volete solo dei soldi!” Urlai disperata. Non sopportavo di sentirmi in trappola.

“Oh… allora è vero che sei intelligente.” Mi schernì lui senza nemmeno fingere di essere offeso. Dopodiché si chinò e mi accarezzò la guancia con la mano libera. “Lo sai che sei proprio carina?”

“Non mi toccare, animale!” Urlai, ritirandomi per quello che le manette mi permettevano.

Iniziai a dimenarmi come una puledra ribelle, cercando in ogni modo di liberarmi, spinta solo dal desiderio di essere libera, fuori da quella gabbia di ghiaccio che l’inverno non avrebbe mai sciolto. Ma la mano del ragazzo si fece dura e uno schiaffo mi colpì di nuovo, facendomi voltare di lato, mentre la pelle offesa pungeva come il disinfettante su una ferita.

I miei capelli furono afferrati vicino alla radice, costringendomi a guardarlo negli occhi. Era vicinissimo e io avevo paura.

“Cerca di fare la brava… non voglio rovinare il tuo bel faccino.” Minacciò con un sorriso freddo, che mi parve un ghigno.

“Luke! Il capo vuole parlarti.”

A parlare era stata una voce dall’altra parte della serranda e il mio aguzzino mi lasciò andare, ma non prima di avermi imbavagliata di nuovo. Avrei dovuto immaginare che non fosse lui la mente dietro quel meschino rapimento: era troppo giovane. Però potevo immaginare che era comunque pericoloso. Sentivo che non aveva lanciato minacce a vuoto, se avessi tentato di scappare, lui me l’avrebbe fatta pagare, ma io non potevo non tentare. Non ero stupida: si erano nominati per nome più volte e quel ragazzo, Luke, si era fatto vedere il faccia. Questo significava una sola cosa: appena ottenuti i soldi che volevano, mi avrebbero uccisa.

 

 

 

La notte arrivò prima di quanto pensassi. L’oscurità si fece ancora più opprimente e la poca luce naturale che vedevo sparì del tutto. Si accese una luce artificiale da una lampada posta sopra di me, il che mi accecò, dandomi l’impressione di avere un forno sopra la testa.

Avevo tentato ogni cosa per liberarmi, tutto si rivelò inutile. Ero seduta per terra, sporca, prigioniera e stanca. I polsi mi facevano male per le convulsioni che avevo tentato inutilmente. Dovevo avere la pelle arrossata e sanguinante e le escoriazioni bruciavano al minimo movimento. Faticavo a respirare a causa del nastro adesivo.

La serranda si rialzò e quel tipo, Luke, si fece di nuovo vedere.

“Passeremo la notte insieme, dolcezza…”

Non osai nemmeno guardarlo in faccia. Mi dava un forte senso di nausea e disprezzo. Era come un serpente, un essere strisciante e disgustoso, pronto a colpire le prede a tradimento con il suo veleno, ma pronto a fare il lavoro sporco per altri. Solo vederlo mi faceva venire il vomito.

“Pensa a quanto sei fortunata, ti farò compagnia.” Disse, sedendosi accanto a me.

Io digrignai i denti per la rabbia e desiderai ardentemente aggredirlo e cavargli gli occhi dalle orbite. Quei dannati occhi di ghiaccio che odiavo.

Mi tolse il nastro adesivo dalla bocca e provò ad imboccarmi per farmi mangiar un creker, ma la sua sola presenza mi aveva tolto l’appetito. Ero convinta che qualsiasi cosa stessi per mangiare sarebbe stata espulsa subito dopo. Ci riprovò un paio di volte, ma alla fine sembrò arrendersi e mi lasciò in pace.

“Presto arriverà la polizia.” Ringhia, cercando di darmi un po’ di contegno. “Vi arresteranno tutti e voi passerete il resto della vostra vita in galera.”

Lui rise di gusto, accarezzandomi una guancia con la sua viscida mano, provocandomi un brivido di disgusto.

“Dovresti vederti… sembra quasi che tu ci creda.”  Sentenziò divertito.

“Stronzo!” Gli sputai in faccia. Non ero mai stata particolarmente scurrile, ma anche io avevo la mia buona scorta di insulti e parolacce da usare. Non ero una signorina come certe mie compagne che si scandalizzavano subito.  

Me ne pentii subito.

La sua mano si strinse sulle mie guance in una morsa d’acciaio, stringendo così forte che i miei denti mi provocarono delle dolorose ferite all’interno nella bocca. Il suo sguardo glaciale si posò su di me, furioso e divertito al tempo stesso.

Mi fu addosso, bloccandoli con tutto il suo peso.

“Bene, mocciosetta… dato che ti farò compagnia, per sta’ notte, che ne dici di divertirci un po’?”

Io mi sentii soffocare dal senso di impotenza e paura, mentre iniziava a baciarmi avidamente il collo, infilando una mano sotto la mia camicetta. Provai a liberarmi e scappare in ogni modo possibile per sottrarmi a quella violenza. Provai ad urlare, ma le sue mani mi serravano la mascella, lasciando uscire solo qualche gorgoglio strozzato.

“Fa silenzio… sono certo che ti piacerà.”

Lui mi schiacciò con forza per terra, strappandomi famelico, la camicetta lasciando scoperto il reggiseno nero. Lanciai un grido che lui non riuscì a fermare, ma era tutto inutile. Provai a divincolarmi ancora, ma lui continuava a tenermi a terra, baciando ogni lembo della mia pelle immacolata.

Desiderai morire, mentre la sua saliva viscida mi sporcava.

Scese sulle mie caviglie in modo da potermi possedere con facilità, ma appena potei muovere liberamente le gambe, iniziai a scalciare, cercando di allontanarlo da me. Schiacciata a terra, però, potevo fare poco o nulla per salvarmi. Lui continuava a toccarmi, provocandomi un forte dolore sia fisico che mentale.

Non volevo che finisse così.

Mi agitai sempre di più ignorando il dolore ai polsi che sicuramente stavano sanguinando come se me li avessero tagliati. Luke iniziò a muovere le mani verso i miei pantaloni e io sobbalzai, quando iniziò a rimuovere i bottoni dall’asola, facendo scendere un po’ l’indumento.

“Lasciami!!!” Urlai con tutte le mie forze, colpendolo al volto con una ginocchiata, anche se forse mi feci più male io, data l’impossibile posizione in cui mi trovavo.

“Mi hai scocciato, sta zitta!” Sbottò lui, afferrandomi per i capelli e facendomi sbattere violentemente la testa sul duro pavimento.

Tutto iniziò a scivolare via, come se un fiume mi stesse strappando i ricordi. Le palpebre si fecero pesanti e il dolore sparì, come la pressione del corpo di Luke sul mio. Adesso sembrava terrorizzato, mentre la serranda si riapriva. Luke mi stava scuotendo cercando di farmi rinvenire, ma io mi sentii scivolare via, mentre percepivo nitidamente il mio sangue scorrere fuori dalla ferita, come la mia anima dal corpo.

Le voci, i suoni e i colori si fecero confusi. Riuscii solo a sentire delle proteste: i compagni di Luke lo stavano accusando di qualcosa, ma io non lo vidi, mentre l’oscurità più totale mi avvolgeva.

 

 

 

Freddo… buio… vuoto…

Non sentivo altro, non ricordavo nemmeno più chi ero.
Avevo freddo.
Sentii dei passi.
Provai a parlare per attirare l’attenzione, ma mi uscì solo un gemito.

Eppure qualcuno avevo attirato, perché dai miei occhi socchiusi vidi due sagome indistinte avvicinarsi.

“…Non puoi… chiama il 911 e lasciala qui.. oppure portala in ospedale tu stesso.”

“Sei matto!? Quell’idiota del commissario Grace non vede l’ora di sbattermi dentro. Mi accuserà di averle messo le mani addosso!”

“Ma non possiamo nemmeno lasciarla qui!”

“Chiama Rachel, se non sbaglio lei sta per prendere una laurea in medicina, anche se sembra grave è alla sua portata.”

“Ti caccerai nei guai, lo sai anche tu!”

“Finiscila e chiamala!”

Le voci dei due ragazzi mi rimbombavano in testa come un fastidioso martellare, ma poi sentii una piacevole sensazione di protezione, mentre due braccia forti mi sollevavano delicatamente, cercando di non farmi male.

“Mi senti?” Provò il ragazzo, mentre lo sentivo camminare, portandosi dietro il mio peso. Avrei voluto rispondere di sì, ma ero a malapena cosciente. Riuscivo solo a vedere pochi tratti del viso, ma prima di sprofondare nuovamente nell’oblio riuscii ad intravedere due bellissimi occhi verdi come il mare che mi osservavano preoccupati.

Erano belli, luminosi e tristi, tanto che pensai che, forse, non sarebbe stato male, affogarvi dentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Hola, popolo di EFP e amanti di Percy Jackson, sono di nuovo io, AxXx con una storia diversa che si slega completamente da quella principale a cui sto lavorando con la mia collega/amica/ compagna/sorella di scleri Water_Wolf. Sì, questa è una storia diversa che, probabilmente, andrà a rilento, visto che dobbiamo continuare la serie originaria. Tuttavia mi sono voluto imbarcare nella mia mini-long (una decina di capitoli, credo) Percabeth, personale.

Spero di non aver esagerato con questo primo capitolo, perché non ero per nulla sicuro di come iniziare. Teoricamente questo capitolo, non doveva nemmeno esserci, poi, però, ho pensato che un minimo di spiegazione ci doveva essere.

Così ho deciso di iniziare da qui, spero di non aver esagerato e di essere rimasto fedele al rating.

AxXx

PS: Se volete avere un assaggio di mio, in un'altra storia di Percy Jackson, ecco a voi la storia che sto scrivendo con quella pazza (Scherzo :P ) di Water_Wolf: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2290649&i=1

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Risveglio ***


             

 

                                               RISVEGLIO

 

 

 

 

 

Avete presente il buio? Quello delle notti più scure, quando nemmeno la luna rischiara il sentiero. Ecco quello che avevo davanti e dietro di me.
L’uomo ha sempre avuto paura del buio, dell’ignoto e di ciò che era sconosciuto, così come io avevo paura di me stessa.
Chi ero?

Nulla, vuoto assoluto. Nessun nome da associare al corpo che la mia volontà muoveva appena.

Davanti ai miei occhi socchiusi c’erano una miriade di colori e ombre minacciose e senza senso, come se il mondo fosse stato messo in una lavatrice e tutti i suoi colori si fossero fusi insieme. Sentivo un dolore sordo in tutto il corpo, che partiva dalla testa fino a raggiungere la punta dei miei piedi.

E avevo freddo.

Indossavo solo la biancheria intima, tutti gli altri vestiti erano spariti e a coprirmi c’era solo una coperta rossa nemmeno troppo pesante. Mi sentivo la pelle sporca, e intirizzita, macchiata qua e la da coaguli di fango.

Emisi un gemito, mentre, a fatica, alzavo un braccio per potermi tastare la testa, nel punto da cui partiva tutto il mio dolore. Percepii una stoffa pesante tra i capelli, probabilmente che mi copriva una ferita, ma per quanto bene mi avessero fasciato la ferita, le mie dita toccarono qualcosa di umidiccio e appiccicoso.

Era rosso.

Era sangue…

Il mio sangue.

Non riuscivo nemmeno a ricordare come me la fossi procurata. Il mio passato era vuoto, spento. Una coltre di nebbia pesante e impenetrabile che lasciava trasparire solo le basi di una vita. Nozioni basilari che ogni persona conosce.

Dove mi trovavo?

Casa mia?

Dopo alcuni minuti riuscii ad alzare la testa gemendo per il dolore. Ne avevo abbastanza di rimanere seduta, dovevo fare qualcosa per stare meglio. Mi trovavo su un divano marrone piccolo, tanto che a mala pena ci stavo io sdraiata.

Fui colta da una specie di sensazione di estraneità: come un sesto senso che mi permetteva di capire le cose solo guardandole.

Ad esempio capii subito che quella non era casa mia. Provavo un senso di estraneità e nulla di quel posto mi sembrava familiare, anzi, ebbi il presentimento di non averci mai messo piede (Ma non chiedetemi come facessi a saperlo: non ne avevo idea).

Ad una prima occhiata regnava il caos più totale. Sembrava che poche cose fossero state messe da parte in fretta e furia. Mi trovavo in uno spazio non molto grande, con tre porte e una grande finestra che dava sull’esterno. Alle mie spalle c’era una libreria impolverata da cui pendevano pagine di libri ch nessuno leggeva da chissà quanto.  Davanti a me c’era un basso tavolino e oltre un televisore vecchio stampo. Una porta finestra illuminava l’ambiente della fioca luce del sole invernale. Sentivo i rumori di clacson e il vociare delle persone, quindi ero in una città, anche bella grande considerata la quantità di rumore. Non c’erano foto ad una prima occhiata, poi il mio sguardo fu attirato da un comodino, posto a fianco del divano su cui riposavo.

C’era la foto di una donna molto bella, dai capelli mossi castani lunghi. Era magra, dagli occhi scuri. La foto la mostrava in riva al mare a fianco di una casa al mare, simile ad una specie di baita. Sorrideva smagliante.

Il pavimento e gli altri arredi erano abbastanza puliti, ma qua e la pendevano calzini e altri indumenti che nessuno si era preso il disturbo di piegare.

Capii anche da quello che non ero a casa mia (Dubito fortemente che indosserei dei boxer) ed era ovvio che fosse la casa di un ragazzo. Era incredibile come si potesse intuire molto di una persona vedendo il posto dove abitava.

Come il ragazzo che abitava quel posto: era triste, vuoto, grigio come quel posto.

“Finalmente ti sei svegliata.”

Una voce intensa, ma tranquilla mi fece sobbalzare per lo spavento. Sulla porta che supposi dava sull’ingresso, c’era un ragazzo sui diciotto anni dai meravigliosi occhi verde, come l’acqua di un oceano tranquillo. Indossava un paio di pantaloni neri che gli fasciavano le gambe longilinee, una maglietta nera gli copriva il torace muscoloso e sulle spalle portava una borsa. Aveva evidentemente sudato, ma i capelli mossi erano comunque ancora ritti in testa, dandogli un aria disordinata.

Mi sforzai di imprimere nella mente ogni particolare di quell’immagine che avevo di lui, soprattutto quegli occhi verdi, bellissimi. Per quanto cercassi di inquadrarlo, ero certa di non averlo mai visto prima.

Ero ancora nell’ignoto.

“Dove sono?”

“A casa mia.”

Logico e dannatamente inutile. Nulla, di quel posto, mi era familiare e quel ragazzo non mi stava certo aiutando.

“Tu… tu chi sei?” Chiesi, cercando di strappargli qualche informazione in più. Avevo assolutamente bisogno di sapere qualcosa. Non sapevo perché, ma odiavo rimanere all’oscuro.

“Percy.” Rispose annoiato il ragazzo, aprendo il frigo, posto in un angolo, dietro il televisore. Prese una bibita, credo una pepsi, ma non sembrava molto felice di rispondere alle domande, quasi fossi un fastidio.

Al mio sguardo implorante, però, sembrò quasi addolcirsi, si sedette su un futon che non avevo notato, poggiò la bibita sul tavolino e aggiunse: “Il mio nome completo è Perseus Jackson, ma preferisco essere chiamato Percy.”

“E… chi sono io?” Chiesi, di nuovo, cercando di riportare alla mente un qualsiasi dannato particolare che mi spiegasse cosa fosse successo. Non avevo nemmeno un nome, non sapevo chi fossi, nemmeno se avessi una famiglia.

Erano vivi? O ero orfana? Mi stavano cercando? Mi avevano buttato fuori di casa? Avevo dei fratelli? Degli amici?
Nessuna di queste domande aveva risposta: ero sola.

“Speravo me lo dicessi tu.” Fu la sua secca risposta: “Magari mi potresti spiegare cosa ci facevi mezza nuda e moribonda tra i cassonetti di un quartiere malfamato di New York.”

“Che cosa!?”

“Ti sto dicendo la verità, avevi bisogno di aiuto e, siccome io ho dei… problemi, non ho potuto chiamare la polizia. Ma non potevo nemmeno lasciare che tu morissi in mezzo alla strada!” Sbottò esasperato. A quanto pare era un tipo a cui non piaceva parlare, se non fosse stato necessario.

“Quindi non mi conosci?”

“No… non ti conosco." Fu la risposta che confermò la mia sola certezza: non sapevo nulla, ero sprofondata nell’ignoto totale, ed io odiavo l’ignoto.

Odiavo non avere punti di riferimento a cui aggrapparmi, persone familiari con cui confidarmi. Persino la mia ombra mi appariva estranea perché non potevo associare un nome a quell’immagine scura sul pavimento.

Cercai di controllare il respiro e le emozioni che mi pervadevano. Avevo paura, lo ammetto, ne avevo molta.

“Io… io non lo so.” Ammisi infine, lasciandomi ricadere triste. Sentivo le lacrime pungere gli occhi, ma mi affrettai a ricacciarle. Non volevo apparire più debole di quanto già sembravo.

Fu con mia enorme sorpresa che lo sentii avvicinarsi a me, sedendosi sul bordo del divano per poi guardarmi in faccia, anche se non negli occhi, quelli lui li evitava, quasi volesse nascondere un segreto.

“Non sai cosa? Nel senso… non ricordi nulla?”

Scossi la testa e mi coprii di più, stranamente imbarazzata: “No… Non ricordo nulla. Non so se ho una famiglia, una casa… non ho nemmeno idea del perché fossi nuda in mezzo alla strada.”

“Non proprio nuda…” Mi corresse lui con uno strano sorrisetto.

Improvvisamente mi sentii arrossire violentemente. Il fatto che qualcuno mi avesse vista senza vestiti mi dava un senso di nausea e di paura.

“i tuoi vestiti erano messi malissimo, te li ho tolti e te li ho messi ad asciugare. Sono lì.” Aggiunse, divertito, indicando fuori dalla finestra. Parlava come se tutto, intorno a lui fosse semplice. Ma non lo era per niente e il suo tono stava iniziando ad irritarmi.

“Mi hai… tolto i vestiti!?” Sbottai, imbarazzatissima.

“Ehi! Ti sarebbe venuta una polmonite!” Si giustificò lui, facendo sparire il sorriso, dietro una maschera di incredulità per, poi, riprendere il controllo. “E se lo vuoi sapere, non mi sono divertito a farti da infermiera! Per fortuna non ero solo!”

Ah, voleva pure dei ringraziamenti, quel cafone pervertito. No, grazie, non gli avrei dato quella soddisfazione. Piuttosto svenivo di nuovo.

Entrambi incrociammo le braccia, quasi in attesa che dicessimo qualcosa. Lui si aspettava dei ringraziamenti ed io delle scuse. Ci volle un bel po’, ma, alla fine, fu lui il primo a cedere.

“D’accordo… visto che sei viva, vedi di recuperare la memoria! Non voglio tenerti qui per sempre!” Sbottò, esasperato.

“Lo cosa è reciproca.” Ringhiai di rimando, cercando di trattenermi dall’usare parole quali ‘pervertito’ e ‘maniaco’

Percy sbuffò, quasi si fosse tolto un impiccio e si avvio verso la sua stanza: “Ottimo!”

“Perfetto!”

Nonostante la sfuriata, non potei non mordermi la lingua. Mi aveva salvato la vita, meritava un minimo di gratitudine. Forse non avrei dovuto, ma il fatto era che io non ce la facevo.

Ero sull’orlo di un crollo emotivo e avevo bisogno di qualcosa o qualcuno a cui aggrapparmi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Ciao, popolo di EFP, in barba al fatto che dovrei lavorare alla mia fan fiction principale con Water_Wolf, ho deciso che, in attesa del seguito, metterò altri capitoli di questa, nella speranza che altri si facciano avanti, perché vorrei proprio sapere che ne pensate.

Ringrazio Ramosa12 che mi ha lasciato quella che spero sia la prima di tante recensioni.

Un bacio, Ramosa, e continua la tua storia ;)

AxXx

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Nome ***


                            Nome

 

 

 

 

Le ore seguenti furono un inferno, per me. Ero sempre più spaesata e l’istinto mi diceva di chiedere, domandare e sapere. Il problema era che Percy, nonostante la sua volontà di aiutarmi, iniziava a scocciarsi. Avevo un’irrazionale paura di tutto ciò che mi circondava, come se potesse accadermi qualcosa.
Cercai di allontanare la sensazione di fragilità che mi pervadeva. Dopotutto Percy mi aveva assicurato che non mi avrebbe lasciata in mezzo alla strada, ma non ero per nulla sicura. Non ricordavo assolutamente nulla e ogni cosa che vedevo si ergeva ignota contro di me.

Non conoscevo nessuno, nemmeno me stessa. Avevo paura di quell’oscurità ignota che era il mio passato. Temevo che mi avrebbe ingoiato in un buco nero senza luce.
E io adoravo la luce, almeno credevo.

L’unica cosa certa era il ragazzo dagli occhi verdi che mi aveva salvata. Era per quella ragione che avevo assolutamente bisogno di sentire la sua voce, mentre si cambiava in bagno per uscire.

“Che lavoro fai?” Chiesi, mentre cercavo di rivestirmi con i miei abiti finalmente asciutti.

“insegno arti marziali ai ragazzi in una palestra.”

Sempre spiccio e questo non faceva che aumentare il mio imbarazzo.

“Quanti anni hai?”

A quell’ennesima domanda, la porta del bagno si spalancò rivelando Percy, ancora a torso nudo, con uno strano scintillio negli occhi. Sembrava scocciato e infatti disse: “Dimmi, ma hai finito con le domande!?”

“Scusa, stavo cercando di fare un po’ di conversazione.” Quella vista mi fece arrossire tantissimo. Provai, per l’ennesima volta, a coprirmi, ma i bottoni della camicetta erano stati tutti strappati e non c’era molta differenza.

Mi resi conto che lui mi stava squadrando da capo a piedi, approfittando del silenzio. Non sembrava così minaccioso, come mi era apparso un attimo prima. Eppure il suo sguardo su di me mi metteva a disagio.

“C-che hai da guardare!?” Chiesi, ritirandomi un po’, in modo da coprire la mia pelle scoperta. Giurai di aver visto le sue guance arrossarsi, poco prima che lui si voltasse, coprendo il suo volto con i capelli ricci.

“N-nulla… piuttosto, tu che hai da fissarmi?” Contrattaccò, controllando la voce.

Questa volta fu il mio turno di arrossire. I miei occhi avevano indugiato sul suo torace. Aveva degli addominali scolpiti di chi si allenava costantemente e le braccia erano toniche e muscolose. Non mi sorprendeva che, nonostante la giovane età, fosse un maestro di arti marziali.

Mi voltai, sentendo il mio viso imporporarsi.

“Diciotto.”

“Cosa?”

“Mi hai chiesto quanti anni ho, no? Te l’ho detto: ho diciotto anni.”

Esasperata, radunai tutta la pazienza di cui ero capace e mi sedetti, sperando con tutta me stessa che quell’incubo finisse presto. Nonostante tutto, però, non potei fare a meno di guardarlo, mentre finiva di vestirsi. Era stranamente rassicurante, nonostante fosse un odioso cafone.

Si sedette accanto a me e notai che si era calmato.

“Ascolta, ragazzina… io non o chi sei, appena te la senti, andremo alla polizia e chiederemo a loro, ma non mi aspetto molto.” Sussurrò, tamburellando il pugno contro il tavolo, come se cercasse di non dare a vedere qualcosa di importante.

“D’accordo… solo che potresti evitare di chiamarmi ragazzina?” Chiesi, infastidita da quel nomignolo. Mi sembrava che lui stesse cercando di erigere una barriera tra noi.

“E come dovrei chiamarti?”

Bella domanda. Non aveva tutti i torti, dopotutto non avevo nemmeno un nome. Solo che quel dannato vezzeggiativo mi dava fastidio, come se mi identificasse come la ragazzina svampita che aveva soccorso in strada. E sinceramente non volevo proprio che mi considerasse così.

“Proviamo a trovarlo!” Proposi, cercando di essere ottimista. Magari se lo avessi coinvolto un po’ si sarebbe abituato.

Avevo un po’ torto.

“Trovatelo da sola, un nome. Io devo andare agli allenamenti.” Sbuffò, avviandosi verso la sua camera.

Inutilmente, cercai di trovare qualcosa che mi ispirasse un nome, ma nulla mi faceva venire un idea. Provai a sfogliare le riviste che vidi nella libreria, ma non trovai nessun particolare nome. Tutti nomi di moto o macchine. Qualche volta appariva, tra le pagine, una pubblicità che mostrava una donna in pose accattivanti, ma nulla che mi facesse venire un idea. Le riviste di moto non erano state, poi, una grande idea, ma il tentativo poteva valere.

Iniziai a scorrere i libri impolverati, ma nessuno dei titoli mi attirava, tranne uno che mi suonava familiare: “Hunger Games.” Ebbi la sensazione di averlo letto anche io, ma non ricordavo assolutamente nulla, nemmeno della trama. Stavo per afferrarlo, quando un campanello suonò ripetutamente, facendomi sobbalzare.

“Perseus Jackson! Ti ordino di aprire immediatamente questa porta!” urlò una voce femminile proveniente dall’esterno.

Chi era? La sua ragazza? L’idea mi fece venire uno strano moto di gelosia, ma subito lo scacciai. Percy aveva il diritto di stare con chi vuole e di certo c’erano persone migliori di quel cafone.

Il diretto interessato, però, uscì di corsa dalla sua stanza e aprì la porta, facendo entrare una ragazza forse più grande di lui. Aveva il volto duro pallido ricoperto di lentiggini che le davano un aria da ragazzina era incorniciato da una cascata di bei capelli neri. I suoi occhi erano azzurro elettrico e aveva l’aria vivace. Entrò senza nemmeno chiedere il permesso. Percy provò a fermarla, ma lei non lo calcolò nemmeno e si piantò davanti a me.

Il suo sguardo mi mise in soggezione.

“Allora è vera la storia della ragazza trovata per strada… cos’è successo, Percy? Sei diventato un supereroe?” Chiese, rivolgendosi a lui.

“Talia! Ti prego!” Provò ad interromperla lui, ma quella era una macchina da guerra e lo ignorò, sedendosi accanto a me.

“Ciao. Io sono Talia Grace, amica di quell’orso solitario di Jackson. Come ti chiami?”

Io arrossii fino alla punta delle orecchie, sentendomi una stupida totale. Avrei voluto poter raccontare qualcosa, ma non sapevo cosa dire.

“Io… non lo so.” Ammisi, in imbarazzo, continuando ad armeggiare con la camicetta, più per non imbarazzarmi che per sistemarla.

“Oh… capisco.” Detto questo si rivolse all’amico. “Hai ripescato una smemorata, eh?”

Il sorrisetto malizioso di Talia sembrò esasperarlo. Alzò gli occhi al cielo. Lo immaginai alla ricerca di ogni briciolo di autocontrollo di cui disponeva.

“Mmmh… non hai un nome, ma… a giudicare dai lineamenti e dal colorito non sei di queste parti.” Aggiunse la mora, tornando a concentrarsi su di me.

Scrollai le spalle, sentendomi la lingua bloccata nel palato. Mi sentivo inutile senza passato. Ero certa che quella ragazza avrebbe potuto dirmi diecimila cose interessanti e io nessuna su di me. Odiavo non sapere di cosa parlare, anche perché parlare mi piaceva.

"Cos’hai in tasca?”

La sua domanda mi lasciò interdetta: in effetti la tasca sinistra dei miei jeans aveva un rigonfiamento che prima non avevo notato. Con tutte quelle preoccupazioni non mi ero nemmeno accorta di quel particolare, o della leggera pressione che l’oggetto esercitava sulla mia coscia.

Appena misi mano nella tasca percepii un freddo blocco di metallo scolpito attaccato ad una catenina. Lo afferrai con eccessiva trepidazione e lo osservai: era un pendente scolpito per formare una parola che poi una catenina permetteva di legare al collo.

“Sembra un pendente… è un nome… Annabeth…” Notò Talia, sporgendosi verso di me.

Appena lo disse, ebbi la certezza che quello era il mio nome. Non sapevo chi mi avesse regalato quel monile, ma fui felice di averlo: finalmente un nome. Qualcosa a cui aggrapparmi, una piccola luce nell’oscurità da cui potevo ripartire per ricostruirmi.

Mentre riflettevo su quel nome, Percy prese da parte la sua amica, cercando di non farsi sentire. Peccarto che, invece, la sua voce mi raggiunse.

“Senti, io devo andare in palestra… puoi rimanere qui ad occuparti di lei. “ Esitò. “è un po’… svampita.”

Ma che cafone! Come si permetteva di darmi della svampita!? Io non ero una svampita, ero senza memoria, ma non mi sembrava una buona scusa per definirmi tale. Una fortuna che la ragazza corse in mio aiuto.

“Non credo che abbia bisogno di una bebysitter, ma se proprio vuoi, rimango.”

“Ottimo… io vado!” Aggiunse, alzando la voce, per poi uscire e andarsene, cosa che, stranamente, mi lasciò un po’ triste.

“Allora… che ne dici di mangiare qualcosa? Hai l’aria di una che non mangia da secoli.”

 

 

Non avendo vestiti, Talia uscì, per poi tornare, mezz’ora dopo con una pizza fumante dentro un contenitori di cartone. L’odore di mozzarella, pasta e salsa di pomodoro cotta invase l’aria e, per la prima volta, sentii veramente la fame. Il mio stomaco brontolava, reclamando cibo e acqua.

Addentai famelica la pizza, cercando di darmi un contegno, ma a Talia non sembrava importare. Mi piaceva: era una ragazza decisa, forte e allegra. Aveva un’energia quasi illimitata e riuscì, persino a strapparmi un sorriso, mentre parlava di un sacco di stupidaggini che riguardavano lei e Percy. Notai che non aveva parlato della sua famiglia, ma non indagai. Nello stesso tempo, rinfrancata dal cibo, provai a raccontare quel poco di storia che avevo.

Lei ascoltò paziente fino alla fine. I suoi occhi blu elettrico sembravano mandare scintille.

“Così… non ricordi proprio nulla.” Commentò alla fine.

Annuii, ma stranamente, sapere il mio nome, avere la pancia piena e aver avuto la possibilità di raccontare tutto, mi fece sentire molto meglio. Non avevo recuperato la memoria, ma almeno mi ero confidata.

“So solo che il mio nome è veramente Annabeth… ma non ricordo nient’altro che un paio di occhi azzurri come il ghiaccio.”

Talia si accigliò, assumendo un cipiglio interrogativo e riuscii a leggere la sua perplessità. Stava cercando di risolvere il mistero che si celava dentro di me, ma non aveva nulla su cui basarsi. Si avvicinò ancora di più, pulendosi la bocca e le mani, con un tovagliolo ed esaminò ogni parte di me.
I suoi occhi si spostavano dal mio volto, fino ai miei vestiti. Ebbi una strana paura: paura che lei mi allontanasse, che mi considerasse un appestata, ma invece, non fece nulla di ciò. Sorrise e mi dette una pacca sulla spalla.

“Tranquilla… non sei sola, ora vediamo di scoprire qualcosa.”

Mi sentii sollevata dal fatto che le mie paure non fossero fondate. Era molto pratica, ma non aveva paura dell’ignoto. La ammirai per il suo ottimismo. Avrei voluto davvero poterlo condividere.

“I tuoi vestiti sono messi male… ma sono costosi, ne sono certa. Devi essere di buona famiglia.” Osservò, rabbuiandosi un po’, come se quello le avesse fatto venire in mente qualcosa di spiacevole.

“E… se non avessi una famiglia?”Non seppi dire se lo sperassi fosse vero o temessi quella possibilità.

“Non dire sciocchezze!” Esclamò Talia, tornando allegra ed energica alla velocità della luce. “Sono certa che, in questo momento, sono preoccupatissimi. Quando li avrai ritrovati, potrai ricordare tutta la tua vita. Anzi ho un idea!”

La mia stima nei suoi confronti aumentò a dismisura, quando mi espose la sua idea: estrasse un piccolo I-phone, dicendo che avrebbe cercato sul sito di persone scomparse una fotografia corrispondente alla mia faccia.

Fui felice di avere quella piccola speranza di tornare a casa. 

 

 

“Che mi sai dire di Percy?” Chiesi, mentre continuava a scorrere foto e descrizioni di ragazze scomparse. Io mi ero messa a lavoro, mettendo via il cartone unto che conservava la pizza che avevamo mangiato.

“Oh… Ehm… non c’è molto da dire, su di lui.” Disse, senza perdere il contatto visivo con lo schermo. “Lui… non è molto felice di se stesso. Ha praticato arti marziali fin da quando era bambino ed è anche un nuotatore fantastico. Sono le due cose che sa fare meglio. Da quando aveva quindici anni ha usato questo suo talento per guadagnarsi da vivere, dato che la madre… diciamo non poteva.”

Detto questo indicò la foto che avevo notato prima sul comodino. Mi avvicinai, osservandola curiosa. Potevo notare quasi ogni singola somiglianza con il figlio: i capelli, così simili, i lineamenti. Solo gli occhi erano diversi. Il figlio aveva degli occhi verde acqua, mentre la madre li aveva castani chiari.

“È… morta?” Chiesi con un filo di voce, pregando di avere torto.

“No… ma è in coma. È rimasta coinvolta in un grave incidente, quando Percy era ancora giovane. Lui… era molto legato a lei. Quasi tutto quello che guadagna lo manda all’ospedale per pagare le cure necessarie a tenerla in vita, anche se i medici dicono che non si sveglierà più. Lui, però, si rifiuta di accettarlo e dice sempre che troveranno una cura e che deve solo avere pazienza. Quando, poi, gli hanno dato un lavoro come maestro in una palestra, un anno fa, ed ebbe qualche soldo in più, riuscì a permettersi l’affitto di questo appartamento. Per il resto… è abbastanza normale.”

La spiegazione di Talia mi lasciò l’amaro in bocca, ed ebbi l’orribile sensazione di essere diventata un peso. Percy faticava ogni giorno per tenere in vita la madre eppure aveva trovato il tempo di salvarmi la vita ed ospitarmi in casa sua. La sua storia era terribilmente triste e mi sentii un’intrusa. Se solo avessi potuto fare qualcosa per dare una mano.

Capii che anche Talia provava dolore, condividendolo con Percy ed iniziai a vederlo sotto una nuova luce. Non lo consideravo più un cafone, ma una persona che aveva avuto un passato sconcertante e che faticava a staccarsi da esso.

“Mi dispiace.” Disse, all’improvviso, la mora, tornata di nuovo quella di prima, solo che era molto accigliata e aveva rimesso in tasca il cellulare. “Non ho trovato nessuno che ti corrisponda… il che siginfica…”

“Che nessuno mi sta cercando.” Conclusi sconsolata, lasciando ricadere la testa sul tavolino di legno, cercando di trattenere la lacrime.

Anche quella speranza era svanita, come il mio passato. Ero tristissima, sia per la storia di Percy che per la mia amnesia. Avrei voluto poter risolvere tutti i problemi, ma non avevo nulla su cui basarmi.

“Ehi! Non è vero! Dai… non ti abbattere. Troveremo una soluzione.” Mi consolò la mora, sedendo accanto a me, accarezzandomi la schiena comprensiva.

Annuii, un po’ sollevata. Era bello poter contare su qualcuno. Talia era una vera amica e seppi di poter contare su di lei. 

 

 

 

 

 

 

 

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Ancora non riesco a staccarmi, ma solo perché non abbiamo ancora iniziato. Appena inizierà la storia principale di Venti del Nord, questa ff andrà in secondo piano. Il lato positivo, però, è che, fino a quel momento, continuerò a scrivere questa storia.

Spero che altri recensiscano, ma fino ad allora, un ringraziamento particolare a Ramosa12.

AxXx

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Conoscenze ***


                                                  CONOSCENZE

 

 

 

 

Il ritorno di Percy fu tanto veloce, quanto inaspettato: erano circa, le due del pomeriggio, quando la porta si aprì, facendolo entrare in casa, ancora sudato per gli allenamenti. Probabilmente aveva mangiato fuori, ma non mi spiegai quel ritardo così assurdo, finché non tirò fuori dal borsone una busta che mi porse.

“Ho visto che i tuoi… vestiti non sono messi benissimo. Ti ho comprato un cambio, così, almeno, potrai coprirti come si deve.” Spiegò guardando fuori dalla finestra, quasi volesse nascondere il fatto che voleva aiutarmi.

A me, però, non interessava. Finalmente la giornata stava prendendo una buona piega: Non avevo la memoria, ma avevo avuto la fortuna a capitare in un posto amichevole, con un ragazzo gentile e che un po’ ci pensava, anche se era un cafone e mi aveva dato della svampita. Non seppi resistere e gli detti un bacio sulla guancia.

“Grazie.”

Percy arrossì così tanto che sembrò sul punto di prendere fuoco, facendo scoppiare Talia a ridere.

“Ehi! Non prendere troppa confidenza!” Mi canzonò una voce femminile, divertita, dietro il ragazzo.

Solo allora mi resi conto che alle sue spalle c’era un’altra ragazza, dai capelli che erano una cascata di ricci rosso fuoco. Aveva anche lei gli occhi verdi ed indossava un paio di short di jeans e una maglietta che sembrava imbrattata in più punti da vari colori di vernice. Anche lei portava uno zaino.

“Rachel!” La salutò Talia, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia, per poi avviarsi verso la porta. “Mi raccomando, la lascio nelle vostra dolci manine. Ci vediamo, Annabeth, spero rimarrai ancora un po’, fa arrossire quel pesce lesso.”

Detto questo, dette anche a me un buffetto sulla guancia, indicando Percy e se ne andò, mentre io la salutavo confusa e anche un po’imbarazzata, mentre la nuova arrivata  si sedeva accanto a me.

“Allora… posso controllare la tua ferita?” Mi chiese, spiccia, senza nemmeno presentarsi.

Ero un po’ preoccupata e, istintivamente, mi voltai per osservare Percy, che, però, mi fece un cenno di assenso.

“Rachel mi ha aiutato a medicarti. È un ottima dottoressa.” Spiegò, senza la minima variazione del volto.

“La smetti di dire che sono una dottoressa!? Io sono una veterinaria. V-E-T-E-R-I-N-A-R-I-A! è diverso! E potrei aggiungere che sono solo al secondo anno di studi.”

Fantastico, quindi ero stata curata da una che non era qualificata a curare gli uomini, per di più inesperta. Dannato testone cafone, ma perché mi era capitato lui!? Ma no, non era nemmeno colpa sua, la sua amica aveva fatto un ottimo lavoro, inoltre un uomo è un animale, non c’è poi così tanta differenza.

Mi voltai, lasciando che la ragazza mi controllasse la ferita, mentre canticchiava una canzone che non riconobbi.

“Mmmmh… sei fortunata che quel testone mi abbia chiamato. Una botta del genere sarebbe potuta essere fatale.” Disse, infine, dopo aver sciolto la benda.

In effetti sentii la testa farsi più leggera, ma subito, il sangue iniziò a correre, facendomi spaventare. Temetti di cadere di nuovo nel buio, dimenticandomi di nuovo, tutto quel poco di vita che avevo. Mi imposi la calma, non potevo mettermi ad urlare come una ragazzina isterica.

“Credi… credi che sia grave?” Cercai di controllare la mia voce, anche se non ero per nulla certa di esserci riuscita.

“Come ti ho già detto, lo era, ma solo perché perdevi sangue. Adesso è tutto sotto controllo. Certo che chi ti ha ferita, doveva essere un bestione.” Commentò, noncurante, mentre la sentivo versare qualcosa, probabilmente una pomata o un coagulante, nella ferita.

“Mi stai dicendo… che sono stata aggredita?” Faticai a registrare quell’informazione. Chi era stato? Perché l’aveva fatto? La mia mente iniziò a formulare un numero di ipotesi infinite su queste domande, ma nulla fece tornare a galla qualche ricordo. Ero ancora nel vuoto totale.

“Dubito che sia una ferita da caduta… è troppo profonda. Devi essere stata spinta.” La sentii irrigidirsi un po’, mentre lo diceva. Forse non voleva traumatizzarmi. “Secondo me, sei stata aggredita, poi il tipo ti ha spinta, ma è stato preso dal panico, vedendoti morta ed è scappato via.”

“Questo non spiega come mai non abbiamo trovato né documenti, né nient’altro, insieme a lei.” Fece notare Percy, che aveva messo a posto il suo zaino e ci osservava con la schiena appoggiata al muro.

Per diversi minuti, un lungo silenzio riempì la stanza: io non parlavo, mentre riflettevo su quanto ero successo. Avrei voluto essere da aiuto, ma nulla usciva da quel vortice nero che si trovava al posto di quella che avrebbe dovuto essere la mia vita passata. Sembrava che quel giorno avessi cominciato a vivere, ma sapevo che non era vero. Il problema era che non capivo se fosse un bene o no. Non potevo dire: “è il più brutto giorno della mia vita”, perché la mia vita, per me, era iniziata quella stessa mattina.

Provai ad immaginare il mio passato, ma le parole di Talia mi rimbombavano nella mente come un eco insopportabile: “Qui tu non ci sei.”
Perché i miei non mi stavano cercando? Mi odiavano? Ero scappata di casa? Mi trattavano bene o male? Mi avevano cacciata? Nella mia mente si fece strada il dubbio che forse erano stati proprio loro ad aggredirmi, ma non volli pensarci, il solo pensiero mi faceva piangere.  

“Ecco fatto. Ora è di nuovo a posto.” Disse, infine, Rachel, sistemandomi la benda.

In quel momento la porta si aprì di nuovo ed entrò un altro ragazzo sui vent’anni: aveva la pelle scura, era vestito con jeans lunghi ed una maglietta verde con su scritto Salva un albero per te stesso con sotto il disegno che doveva corrispondere ad un’associazione ambientalista. Aveva i capelli neri, lunghi e una barbetta simpatica che gli cresceva disordinata sul mento. Aveva gli occhi castani che ricordavano la corteccia di un albero.

“Annabeth, ti presento il mio migliore amico: Grover Underwood, era con me, quando ti abbiamo trovata.” Lo presentò Percy con un sorriso, anche se non sembrava felice che la casa si stesse affollando in quel modo.

“Così ti chiami Annabeth, eh? Sono felice di vedere che stai bene.” Disse lui, sorridendo, facendomi arrossire.

“Ehm… piacere… solo… puoi evitare di guardarmi?” Chiesi, cercando di coprirmi di nuovo. Avendo avuto a che fare solo con altre ragazze, mi ero quasi dimenticata che la mia camicetta era a brandelli. Ora, invece, avrei davvero preferito un po’ di privacy.

Lui sembrò capire, perché si voltò, senza, però, abbandonare il suo sorriso.

“Sarà meglio che mi cambi.” Proposi, prendendo i vestiti che mi aveva preso Percy.

“Certo… il bagno è lì, vai pure.” Mi disse il ragazzo, con un cenno del capo.

Lo ringraziai ed entrai. Era un locale davvero piccolo: c’era solo lo spazio sufficiente per una doccia, un lavandino ed un gabinetto. Mi guardai allo specchio e mi resi conto di avere un aspetto orribile: oltre la camicetta strappata e i pantaloni sporchi, la mia pelle aveva dei lividi, uno particolarmente evidente sulla guancia. I polsi erano feriti, ma non volli sapere come me lo fossi fatto. I miei occhi erano arrossati e la pelle era pallida. I capelli erano appiccicaticci e pieni di nodi.

‘Sembro uno zombie…’ Pensai, mentre cercavo di darmi una sistemata.

“Posso usare la doccia?” Chiesi dall’altra parte della porta.

“Sì! Fai pure! Gli accappatoi sono lì vicino, a destra della doccia.” Rispose Percy.

Sollevata mi spogliai in fretta e presi uno dei due accappatoi appesi, posandolo sul lavandino. Accesi l’acqua calda e mi posizionai sotto il getto. I miei muscoli si rilassarono subito. Sentii lo sporco scivolare lontano da me, così come  lo stress che avevo accumulato durante tutta la mattina. La sensazione di acqua calda mi fece venire i brividi dal piacere e il suo scorrere tra i capelli mi permise di sciogliere i nodi. La feci scorrere sul viso, sentendo tutti i dolori farsi meno intensi.

Mi ripulii velocemente, anche se indugiai per un minuto sotto il getto, beandomi di quella sensazione così piacevole, ma sapendo che non potevo sfruttare così a lungo il bagno, non mi trattenni oltre.

Mentre mi asciugavo, Percy e i suoi amici discutere.

“Devi portarla alla polizia!”

“Lo sai che il comandante Grace non mi sopporta! Mi accuserà di averle messo le mani addosso!”

“Ma non è vero, non avrebbe nemmeno le prove.”

“Mi tratterrebbe… da quando sono sulla sua lista nera, non vede l’ora di sbattermi dentro.”

Poi intervenne Rachel, che sembrava più incoraggiante che arrabbiata: “Percy, smettila! Non puoi tenerla qui per sempre e poi, se l’hanno… se le hanno fatto del male, la polizia dev’essere informata! Hai visto i tagli sui polsi? Sembra che sia stata ammanettata o legata. Non so perché, ma DEVI andare alla polizia.”

Non sentii la risposta, ma intuii che Percy aveva dei problemi e non si fidava delle autorità.

Decisi di fare in fretta, così mi avvolsi nell’accappatoio e usai l’asciugacapelli. Quando fui certa di aver rimosso ogni traccia di sporco dal mio corpo, mi concentrai sui vestiti che Percy mi aveva preso. Mi sentii un po’ in colpa a fargli spendere soldi per me, quando lui faceva fatica ad andare avanti, ma cercai di scacciare quella convinzione.

‘Appena ricorderò qualcosa, lo ripagherò… spero di poterlo fare, almeno.’ Mi dissi, indossando i jeans e il maglione. Ero felice di poter indossare qualcosa di nuovo e pulito. I pantaloni non erano troppo stretti, e il maglione era caldo e comodo. Allo specchio avevo ancora i lividi e le ferite, ma gli occhi erano tornati di un colorito normale e lo sporco era sparito.

Mi sentii sollevata, anche se ero ancora in ansia per quel vuoto che invadeva la mia memoria.

Uscii e vidi che Rachel stava prendendo le sue cose.

“Oh, eccoti… Annabeth, senti, io devo andare. Se avessi bisogno di me, chiamami, Percy, lasciale il telefono e non fare il geloso come al solito.” Mi disse, quando mi vide sulla porta, ammiccando verso l’amico.

Lui scrollò le spalle sospirando. “Lo farò, ci sentiamo Rachel.”

“Ci sentiamo e prenditi cura di lei!” Salutò la rossa, prima di sparire, anche lei, oltre l’ingresso.

Per un attimo, rimasi ferma sulla porta del bagno senza sapere, esattamente cosa fare. I due ragazzi mi squadravano con attenzione, quasi volessero passarmi ai raggi X

“Stai benissimo. Una fortuna che io abbia indovinato le misure.”

Percy aveva un sorriso radioso stampato in faccia che, per poco, non mi fece sciogliere, ma mi imposi un minimo di contegno. Non volevo apparire svenevole, certo che però, era mi sentivo molto più sicura con lui accanto.

Mi avvicinai e mi sedetti sul divano, mentre Grover lanciava un fischio, intuendo che fosse un assenso alle parole dell’amico.

Sentii Percy sedermisi accanto ed io ebbi l’irrazionale impulso di abbracciarlo, ma mi trattenni. Sentivo che doveva dirmi qualcosa di importante.

“Allora… te la senti di andare dalla polizia?”

 

 

 

“Per raggiungere il distretto più vicino ci mettemmo quasi mezz’ora tra camminata e metropolitana, dopotutto Percy non aveva una macchina, solo una moto, che, però, non era lì. Grover mi spiegò che lui preferiva lasciarla a suo cugino: Nico di Angelo, che faceva il meccanico e che custodiva il prezioso veicolo con cura in un garage.

“È gelosissimo di quella moto, secondo me crede che sia la sua fidanzata.” Scherzò il ragazzo, facendo scoppiare a ridere, mentre Percy arrossiva. Adoravo quello scintillio che gli illuminava gli occhi quando era imbarazzato.

“Non è vero!” Sbottò, mentre scendevamo nella metropolitana sotterranea.

Quando ci lasciammo il sole alle spalle mi irrigidii. Capii che non mi piacevano gli spazi bui e chiusi. Poi c’erano tutte quelle persone…
Mi sentii spintonare in più direzioni, mentre seguivo i due lungo quel fiume di gente sconosciuta che mi faceva quasi paura. Per un attimo mi feci prendere dal panico, ma poi sentii la mano di Percy sulla mia.

“Ehi… sei pallida, stai male?” Chiese preoccupato. “Vuoi tornare a casa?”

Scossi la testa, non volevo apparire debole: “No… andiamo.”

Il panico mi aveva presa perché non ricordavo di essere mai stata in un posto così affollato. Tutto, lì, mi era sconosciuto. Era come imparare a camminare di nuovo, ma non mi feci abbattere. Ripresi la calma e stetti dietro ai due.

Una volta all’interno del veicolo Percy ed io ci sedemmo accanto, mentre Grover rimaneva in piedi, dicendo che si sarebbe dovuto fermare al prossimo scalo, così, appena le porte si aprirono di nuovo ci salutammo, lasciandomi sola con l’amico.

Avrei voluto chiedergli tante cose: il suo viso era una maschera impassibile, ma iniziavo a vedere oltre tutta la sua forza di vivere e la sua volontà che riusciva a tenere a bada la tristezza. Avrei voluto poterlo aiutare, ma come potevo, se non sapevo nemmeno come aiutare me stessa?

 

 

 

Al distretto di Polizia fu Percy ad irrigidirsi. Sembrava che quel posto fosse legato a ricordi poco felici. Ci fermammo in portineria, dove un agente prese le sue credenziali, dato che lui raccontò della mia perdita di memoria. Dopo aver fatto questo, fece una telefonata e ci disse di andare nell’ufficio dell’agente Tomas, al secondo piano.

Usammo l’ascensore per raggiungere un ampio stanzone, dove erano allineate una decina di scrivanie, ognuna delle quali ospitava un agente di polizia, intento a ricevere telefonate o a studiare fascicoli di qualche caso. Ogni tanto cercai di buttare un occhio qua e là, alla ricerca del mio volto in una foto, ma non vidi niente che mi somigliasse.  

Entrati nel suo ufficio, lui ci fece delle domande, ma fu prevalentemente Percy a rispondere, pur mantenendo quella postura rigida che aveva da quando era entrato.

“Quindi… signorina, sicura che non ricorda assolutamente nulla?” Chiese l’agente, alla fine, rivolto a me.

“No signore… come ho detto, non ricordo nulla di nulla.” Risposi scuotendo la testa. La domanda mi seccò un po’, dato che era più o meno la quarta volta che lo chiedeva.

“Capisco… signor Jackson, come mai non ha chiamato l’ospedale?”

“Era messa malissimo, non avrebbero fatto in tempo, così ho chiesto ad un’amica che abitava vicino a me di darmi una mano. Come può vedere, sta bene.” Sbottò lui, sempre più rigido. Sembrava che la sua pelle fosse diventata di legno.

“Ha notato qualche particolare, sul posto dove l’ha trovata? Tracce di pneumatici, impronte?”

“Sì, ma erano talmente leggere che non ho idea di che tipo fossero, inoltre nevicava e le tracce sarebbero sparite a breve. Ho pensato prima a lei.” Rispose.

Ha pensato prima a me. Quelle parole mi fecero sentire stranamente felice. Il fatto che Percy si preoccupasse per me era un sollievo. Era stata la prima persona che avevo visto dalla mia perdita di memoria e la prima a darmi una mano. Avrei voluto abbracciarlo.

“Capisco… firma qui, ragazzo.” Concluse l’agente, porgendogli una trascrizione dell’interrogatorio.

Mentre lui scriveva, l’agente mi accompagnò in un laboratorio vicino, dove una donna in divisa medica isolante, mi fece dei veloci prelievi di campioni e delle foto alle ferite delle mani e ai lividi.

“È per capire se sono state provocate da un arma. Se sì, lo scopriremo, inoltre analizzando il tuo sangue potremmo cercare qualche riscontro sui nostri database, è la procedura standard.” Spiegò, mentre mi tamponava la pelle ferita dall’ago.

Non ero molto felice di essere ferita di nuovo, ma almeno sarebbe servito a qualcosa. Mi tirai su di nuovo le maniche del maglione fino ai polsi e mi lasciarono uscire. Percy mi torno a fianco, ansioso di uscire di lì, ma quando fummo a pochi passi dall’ascensore, una voce imperiosa, profonda e marziale ci fermò.

“Jackson, fermo lì!”

Ci voltammo entrambi, per vedere un uomo alto e ben piantato farsi avanti. Al contrario degli altri agenti, indossava un abito da uomo elegante: pantaloni, scarpe da sera, giacca e cravatta. Il volto era squadrato e i capelli neri. Gli occhi erano azzurri elettrici e minacciosi, come un fulmine in una tempesta.

Sentii Percy irrigidirsi ancora di più e lo vidi stringere i denti, mentre sussurrava: “Gioven Grace.”

Grace…

Grace…

Talia Grace! Ecco dove avevo già sentito quel nome!

Osservai di nuovo quell’uomo possente farsi avanti, fino a fermarsi davanti a noi: era il capo della polizia ed era anche il padre di Talia.

 

 

 

 

 

 

 

 

---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

  [Angolo dell’autore]

Rieccomi! In tempo record aggiorno, tornando alla carica con un nuovo capitolo. Finalmente Annabeth si rilassa, nonostante le migliaia di preoccupazione che la attraversano, poverina.

Così si scopre che il capo della polizia è il padre di Talia (Da notare che Gioven, sarebbe Giove, cioè, il nome latino di Zeus, scusate, ma non avevo molte idee ;) )

Chissà quali altre sorprese riserveranno il futuro di Annabeth. Riuscirà mai a ricordare chi è veramente?

AxXx

PS: in ringraziamento particolare a Ramosa12, Alex_Logan e Cloud_Jas che hanno recensito! Non siate timidi e recensite anche tutti voi che seguite la storia ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Fine Primo Giorno ***


                    Fine Primo Giorno

 

 

 

 

Percy fu condotto nell’ufficio dell’ispettore capo, mentre io fui lasciata sola, seduta lì a fianco, in attesa che lui potesse uscire.

“Aspetti qui, signorina… devo trattenere il suo amico solo per qualche minuto.” Disse il capo della polizia Grace, sorridendomi freddamente, mentre metteva una mano sulla spalla del ragazzo.

Ovviamente nessuno di noi due pensò di contraddirlo, ma intuii che Percy non era per niente felice di quella situazione ed anche io non ero del tutto convinta. Infatti, a riprova dei miei sospetti, erano passate quasi tre ore da quando lui era chiuse lì dentro. Ogni tanto il signor Grace era uscito, per prendere un caffè, ma non mi aveva prestato attenzione.

Controllai per l’ennesima volta l’ora sull’orologio a muro che troneggiava sulla parete alla mia destra.

“Annabeth! Che ci fai qui?” Chiese Talia che si fece avanti, come se conoscesse a mena dito tutto quel posto. Era ancora vestita con i jeans attillati e la maglietta scollata.

“Sto aspettando che Percy finisca… tuo padre l’ha portato dentro.” Risposi, facendo un cenno verso la porta.

“Oh no…” La ragazza si dette un colpo sulla fronte con il palmo della mano. Sembrava terribilmente dispiaciuta. “Avrei dovuto immaginarlo, eh sì, che lui non voleva venire. Da quanto è lì.”

“Tre ore, circa.”

“Cosa!?”

Mi strinsi le spalle: non ricordavo se quell’uomo lo potesse fare per legge, ma avevo la sensazione che non potesse. Il problema è che ero io, quella senza memoria, lui aveva il coltello dalla parte del manico.

“Perché non si sopportano?” Chiesi. Mi dispiaceva interrogare Talia, soprattutto perché anche a lei non sembrava piacere quell’argomento, ma avevo bisogno di sapere.

“Mmmh… è una parte della storia di Percy che non mi piace. Soprattutto perché lui non c’entrava molto e non è una bella storia. Due anni fa, rimase coinvolto in una retata della polizia per fermare un pericoloso spacciatore. Lui… non ho idea del perché si trovasse in zona, ma lui fu preso insieme a tutti gli altri criminali. Per via di una serie di cavilli legali, quasi tutti i coinvolti furono scagionati, Percy compreso. Mio padre, all’epoca, era a capo dell’operazione ed era convinto che tutti i coinvolti fossero colpevoli. Si è legato al dito il fatto che fossero stati scagionati e quindi approfitta sempre di ogni scusa per accusare Percy di qualsiasi cosa succeda.”

Altro problema con cui Percy doveva occuparsi. Di nuovo mi sorpresi che riuscisse ad avere tempo per allenare, e occuparsi di me. Io sospirai e abbracciai le mie ginocchia. Ormai erano le sei del pomeriggio ed io iniziavo a sentire la fame farsi strada e abche il desiderio di uscire e tornare a casa mia… o meglio, casa di Percy, visto che era l’unico posto che potevo considerare casa.

“Aspetta qui, ci penso io a riportare qui quella testa calda.” La rassicurò Talia, camminando impettita verso la porta, aprendola di botto.

“Ciao papi!” Esclamò, richiudendosela alle spalle.

Sentii provenire, da dietro la porta, delle voci, all’inizio erano tranquille, ma poi divennero concitate e forti, tanto che ebbi l’impulso di tapparmi le orecchie, per non sentire, ma non lo feci. Riuscii solo a percepire poche parole sconnesse, ma intuii che padre e figlia si stavano prendendo a male parole.

“Grazie, pa’… sono certa che starà benissimo!” Sbottò lei, uscendo poco dopo, con Percy che le barcollava dietro. Era sudato, e le palpebre sbattevano di continuo, come se fosse confuso.

“Cosa ti ha fatto!?” Chiesi, in ansia, cercando di guardarlo negli occhi, che sfuggivano i miei.

“Nulla di particolare… a parte uccidermi di parole. Ha cercato in ogni modo di farmi confessare che ti avessi violentata, ma non sono così deficiente.” Spiegò lui, mentre scendevamo l’ascensore, insieme alla nostra amica.

“Ma non è vero! Tu mi hai salvato la vita, quel tipo è un’idiota!” Pu essendo il padre di una mia amica, non riuscii proprio a trattenermi.

Sorprendentemente fu proprio lei a ridere di quel che avevo detto: “Non hai idea di quanto hai ragione. Mio padre è un testone… però non dire a nessuno che il candidato alle elezioni per sindaco della città è una testa di legno.”

Informazione da registrare: il signor Gioven Grace era candidata come Sindaco di New York. Non seppi perché, ma memorizzai l’informazione, certa che mi sarebbe tornata utile.

“Sentite… visto che dovete mangiare entrambi, e io non ho una gran voglia di tornare a casa, che ne dite di mangiare fuori? Offro io.” Propose la mora, appena uscimmo dal distretto.

Nonostante l’aria fosse inquinata, era molto meglio respirare l’aria inquinata fuori che quella fumante e viziata all’interno di quel distretto.

“Grazie, Tal… ma se tu non vuoi tornare a casa,  dove andrai a dormire?” Chiese, Percy, dopo avermi presa per mano. +

Nonostante mi sentissi un po’ in imbarazzo, non potei non sentirmi rassicurata dalla sua stretta, che mi guidava in quel labirinto di strade a me del tutto sconosciute. Eppure non potei non pensare che lui lo facesse più per non farmi perdere che per affetto: come se mi considerasse solo una bambina ed io non volevo che mi considerasse una bambina.

“Oh, sono certo che i tuoi cugini mi ospiteranno volentieri. Nico è un tipo a posto, sono certa che non mi negherà asilo per una notte.” Rispose lei, senza fermarsi.

Camminammo a lungo, quasi senza meta. Mentre Percy e Talia chiacchieravano del più e del meno, io mi tenni a lui, guardandomi intorno, osservando quella massa di persone che ci passavano accanto incuranti, come fantasmi. Ogni persona poteva essere per me un ricordo, ma nessuna aveva un aria familiare.

Cercavo qualcosa che riportasse a galla il mio passato: nei volti, nelle giacche, nei passi, nelle case e nelle ombre, ma nulla mi dava l’impressione di essere già stata lì. Non avevo idea di cosa mi fosse successo: era come se fossi nata quel giorno.

Mentre camminavo, ascoltai la conversazione tra Talia e Percy.

“Dovresti tornare… la band non è la stessa senza di te, eri la nostra chitarra, senza di te stoniamo parecchio.” Disse Talia, dando una pacca sulla spalla del ragazzo.

“Sai bene che non ho tempo… ho troppo da fare.”

“Hai sempre troppo da fare… ti rendi conto di quante possibilità hai sprecato?”

“Non ho idea di cosa tu stia parlando.” Sbuffò lui, nascondendosi di nuovo, dietro i suoi capelli mossi, come il mare durante una tempesta.

“Invece sì… Eri il nuotatore migliore di New York e sai suonare la chitarra in maniera fantastica. Ma hai gettato via tutto per rimanere ad insegnare arti marziali.” Rispose Talia, scuotendo la testa.

“Sai perché l’ho fatto… non avevo tempo per aspettare che la fortuna girasse… avevo bisogno di soldi, subito.” Rispose senza scomporsi.

Avrei davvero voluto potergli chiedere del suo passato, anche solo per curiosità. Volevo sapere di quella sua vita difficile magari per aiutarlo, ma sentii che non era il momento giusto. Temevo che si sarebbe potuto arrabbiare se avesse scoperto che sapevo così tante cose su di lui. Era strano non sapere niente di se stessi e così tanto di un’altra persona.

“Lo so… mi dispiace, però… saresti potuto diventare una persona importante.” Disse la mora, dandogli una gomitata amichevole. Non sembrava volerlo canzonare, ma che dietro al sorriso della ragazza si nascondesse sincero dispiacere.

“Lo so… grazie per l’interessamento.” Borbottò Percy, continuando a camminare.

 

 

“Allora, ti piace?”

Io non risposi alla domanda di Talia, ma addentavo l’hamburger che mi era stato offerto. Avevo una fame incredibile a causa di tutto il tempo passato nella centrale. Sapevo che avrei dovuto cercare di essere un po’ più educata mentre mangiavo, ma lo stomaco reclamava. La mattina non avevo fatto colazione e mezza pizza a mezzogiorno non mi aveva saziato del tutto.

“Dovrò stare attento, o mi svuoterà il frigorifero.” Commentò Percy sarcastico, mettendomi in imbarazzo.

“Non è vero! Non mangio così tanto.” Sbottai, pulendomi il mento dal ketchup. “Ho solo fame!”

Lui rise di gusto, facendomi arrossire ancora di più. Non capivo perché cavolo dovesse comportarsi da cafone antipatico. Sospettai si divertisse a prendermi in giro. Sbuffai sonoramente, cercando di ignorarlo e addentai l’ennesimo boccone, masticando e assaporando l’insalata e la carne del panino. Non mi ero accorta, però, che, forse avevo esagerato e, nella fretta di ingoiare, il boccone mi andò di traverso.

Mi sentii soffocare e una mano mi batté dietro le scapole per spingere fuori dalle vie respiratorie il cibo in eccesso e, per fortuna, riuscii a sputare fuori tutto, tossendo alla ricerca d’aria.

“Te l’avevo detto di non ingozzarti.” Mi canzonò Percy, continuando a tenere la sua mano sulla mia spalla.

Io non risposi, troppo impegnata ad ansimare ed arrossire: che vergogna, ammettere che mi ero persino dimenticata come si mangia. Ora mi avrebbe preso in giro per tutta la vita. Ma non sembrava intenzionato a farlo. Mi si avvicinò, pulendomi la faccia ancora sporca con il tovagliolo.

“Forse dovresti mangiare un po’ più piano.” Sussurrò, con un sorrisetto divertito, ma senza alcuna malizia.

Stranamente, mi sentii irritata, non sapevo perché, ma mi dava fastidio essere trattata come una bambina di cinque anni. Mi separai dalla sua calda mano premuta contro la schiena e lo guardai male.

“Non ho bisogno di una babysitter… anche se non ricordo nulla, posso mangiare da sola.”

Lui borbottò qualcosa che mi sembrò “D’accordo, però sei una svampita comunque.”, ma non risposi, anche perché non ero del tutto sicura di quel che aveva detto. Quando finimmo di mangiare fui quasi felice di poter tornare alla metropolitana: sapevo che da lì sarei tornata a casa di Percy, l’unico rifugio sicuro in quella tempesta di oscurità che vorticava intorno a me. Talia scese due fermate prima della nostra. Mi salutò, dandomi un bacio sulla guancia e arruffò i capelli dell’amico, facendogli la linguaccia.

“Ci si vede e prenditi cura di Annie, altrimenti ti strozzo.” Minacciò con un sorrisetto divertito, come se volesse sottintendere qualcosa sotto quelle parole.

“Non c’è problema… lei non ha bisogno di una babysitter.” Rispose lui, salutandola, scimmiottando la mia voce.

Appena la porta si chiuse gli tirai un pugno sul braccio: “Smettila di prendermi in giro!”

Lui scrollò le spalle, facendo finta di niente ed io mi voltai dall’altra parte, sospirando esasperata. Non ricordavo che la vita potesse essere così complicata e stancante, ma forse ero io che ero debole. La mia testa era un affollamento di domande e nessuna risposta. Mi chiedevo sempre le stesse cose, cercando, invano di riportare alla mente qualcosa che mi ricordasse la mia vita, ma nulla mi faceva venire in mente qualcosa di utile.

Tornati a casa Percy iniziò ad armeggiare con il divano: lo spinse contro il muro, spostò il tavolino e il futon, per poi aprirlo rivelando un divano letto. Non era molto grande, ma almeno era accogliente. Lo aiutai a sistemare lenzuola e coperte, così che potesse assomigliare di più ad un vero letto.

“Finché non ricordi qualcosa potrai rimanere qui. Casa mia non sarà grande, ma posso tenerti con me, per un po’, non sono il tipo da lasciarti dormire per strada.” Spiegò, una volta che ebbe finito.

“Grazie, Percy… mi dispiace disturbarti.” Dissi, sincera. Non sapevo cos’atro dire, ma a lui non sembrò importare, perché si avvicinò a me e mi appoggiò una mano sulla spalla.

“Stai tranquilla… posso solo immaginare come ti senti, anche io sarei disperato e smarrito, se perdessi la memoria, ma per quel che vale, conta pure su di me. Non ti chiuderò la porta in faccia.” Mi rassicurò con un sorriso stanco. I suoi occhi verdi erano l’unico faro di certezza in quel mare di nulla che mi circondava. Avrei voluto abbracciarlo, ma mi imposi un minimo di contegno. Non potevo somigliare ad una ragazzetta svenevole, che si lascia subito andare. Questo non mi impedì, però, di sorridere in risposta.

“Sei molto gentile… prometto che, appena ricorderò qualcosa, farò di tutto per restituire questo favore.”

“Non ce n’è bisogno… ricorda presto.”

Detto questo andò in camera sua, dandomi la buonanotte. Lo sentii cambiarsi e mettersi a letto, così decisi che era inutile rimanere sveglia ancora. Sentivo le palpebre pesanti e la testa ciondolare, così mi tolsi il maglione e i jeans e mi misi sotto le coperte, tirandomele su fino al mento. Affondai la testa nel morbido cuscino, sentendo il mio corpo invaso dal dolce tepore che precedeva il sonno. Per un attimo ebbi paura di chiudere gli occhi, temendo di dimenticare anche quel giorno.

Se il giorno dopo mi fossi svegliata di nuovo senza ricordare nulla?

Scacciai quel pensiero, mentre mi concentravo su Percy, Talia, Rachel e Grover. I loro volti amichevoli mi rassicurarono, allontanando la paura irrazionale del buio.

E finalmente, chiusi gli occhi, ponendo fine a quel mio primo nuovo giorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Salve a tutti, popolo di EFP! Come promesso, capitolo arrivato alla velocità della luce. Finalmente il primo giorno di Annabeth si è concluso e lei può riposare dolcemente, in attesa del secondo. Vi sono piaciuti i personaggi fin ora? Avevo in mente di mettercene qualcun altro, ma preferisco aspettare. Dopotutto è ancora presto, ma non temete. Ci saranno tutti, a poco a poco.

E tornerà anche Luke, ovviamente ;)

Quindi, recensite tutti!

AxXx

PS: Ringraziamentissimi speciali a Ramosa12, _Serefic_, Clouds_Jas che hanno recensito tutta la storia fin qui. Attendo altre vostre bellissime recensioni :D E non solo loro, ovviamente, ma anche di tutti quelli che seguono questa storia così orribile. :3

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Risveglio ***


                             RISVEGLIO

 

 

 

 

Nel buio vidi due occhi di ghiaccio che mi puntavano come quelli di un predatore.  Provai a sfuggirgli, ma quelli mi seguivano. Sentii una sensazione soffocante, come se mi stessero premendo un cuscino sulla faccia. Provai ad urlare, ma non mi usciva voce dalle labbra, provai a divincolarmi, ma il corpo era schiacciato a terra.

La mia pelle sembrò bruciare, poi arrivò il dolore, come se tutte le ferite mi fossero state aperte con un coltello arroventato.

Poi aprii gli occhi.

Una luce calda, soffusa e dolce usciva dalla porta finestra alla mia destra. Mattina.

Ero spaventata: avevo fatto un incubo e la cosa peggiore era che avevo la sensazione che fosse anche un ricordo. Quegli occhi di ghiaccio mi facevano davvero paura. Notai che mi ero agitata nel sonno, dato che le coperte erano spostate e attorcigliate intorno alle mie gambe.

Per un attimo il mio cuore iniziò a battere all’impazzata, nel timore di aver dimenticato di nuovo qualcosa, così mi alzai veloce.

‘Mi chiamo Annabeth, sono a casa di Percy Jackson che mi ha ritrovata moribonda per strada. Ieri mi sono addormentata sul suo divano letto e ho fatto un incubo. Ho preso due volte la metropolitana, ho mangiato a pranzo una mezza pizza e a cena un hamburger. Ho conosciuto Talia Grace, figlia di Gioven Grace, Rachel e Grover Underwood.”

Fare il punto della giornata precedente mi fece sentire meglio. La paura di dimenticare non ce la puoi avere se non hai mai perso la memoria. Avevo paura di svegliarmi, senza più sapere che mi chiamavo Annabeth, senza sapere chi era il ragazzo che mi aveva salvata, né chi era l’amica che mi aveva ricordato il nome.

Sospirai e mi alzai, prendendo i vestiti ch la sera prima avevo ripiegato con cura e posti sul futon. Mi diressi verso il bagno, mi lavai la faccia e togliendomi il sonno dagli occhi.

Poi sentii la porta aprirsi.

Percy era entrato nel bagno con ancora solo i pantaloni e mi stava fissando intensamente, come se fosse sorpreso. Io, di mio, mi coprii frettolosamente con l’asciugamani, visto che ero ancora svestita. Proprio in quel momento doveva entrare!? Ero rossissima, tanto che potevo fare concorrenza ai capelli di Rachel e non solo per il fatto che lui guardasse me. Infatti, anche io non potei non soffermarmi sui suoi addominali scolpiti, il petto sporgente e le braccia forti. Era davvero bello, sarei stata molto felice di abbracciarlo, se non fosse un cafone pervertito con l’abitudine di vedermi in intimo.

“Esci dal bagno, maniaco!” Sbottai, cercando di tornare a concentrarmi su qualcosa che non fosse lui.

“Ma… guarda che il bagno è mio!” Protestò lui, distogliendo lo sguardo. Meno male.

“Non guardarmi, pervertito, esci! Lasciami vestire!”

La mia voce era altissima e stridula, ma non riuscivo a controllare, farmi vedere così mi metteva terribilmente in imbarazzo. Volevo sparire il prima possibile.

“D’accordo,  non c’è bisogno di agitarsi… vedi di non occuparlo troppo a lungo.” Sbuffò lui, uscendo, facendomi sentire un po’ meglio.

Tornai al lavandino e mi sciacquai di nuovo la faccia, ma questa volta per rinfrescarla e calmare il rossore acceso che mi colorava le guance. Respirai profondamente e mi asciugai veloce. Presi i miei vestiti e li indossai, sollevata, finalmente il mio cuore iniziò a calmarsi.

“Sai che sei comunque in casa mia?” Mi canzonò Percy, un po’ infastidito, quando uscii dal bagno.

“Ma non potevi bussare!? Sai che ci sono anche io e tu apri la porta? Così a caso!?” Ero ancora furibonda per il fatto che lui mi avesse messo in imbarazzo per l’ennesima volta.

“Ma è casa mia! Da quando devo bussare ad una porta di casa mia!?” Chiese lui arrossendo, forse per il fatto che si sentiva scavalcato, ma che cavolo! Aveva dimenticato le regole basilari della decenza?

“Da quando mi hai invitato a restare… non potresti ricordare che ci sono anche io!?”

“Lasciamo perdere.” Sentenziò lui, entrando nel bagno, sbattendomi la porta in faccia. Bravo cafone.

Sospirai, sentendomi la testa un po’ pesante per via di quella sfuriata, così mi misi a lavoro e rifeci il letto, stendendo con cura le coperte e le lenzuola per poi mettere a posto il copriletto. Soddisfatta del lavoro che avevo fatto, mi sedetti e mi guardai intorno. Dal giorno prima non era cambiato nulla: era ancora tutto in disordine.

‘Percy non è un grande amante dell’ordine.’ Pensai, raccogliendo un paio di calzini. Ero un po’ disgustata, ma non mi piaceva affatto tutto quel disordine. Inoltre, visto che mi aveva ospitata, decisi di mettere un po’ a posto, almeno il salotto (Così magari quel cafone avrebbe imparato un po’ di educazione).

Stranamente non fu fastidioso o lungo come credevo: Percy aveva messo un po’ a posto, quando ero finita lì, quindi non dovetti raccogliere tutto il suo armadio. Inoltre sembrava aver pulito da poco, perché gli armadi non erano coperti di polvere e il pavimento era pulito. Mi limitai a piegare un paio di calzini.

“Grazie… l’avrei fatto io… uno di questi giorni, ma mi hai tolto la fatica.” Mi disse, improvvisamente alle spalle, uscendo dal bagno, facendomi sobbalzare.

“Stavo solo cercando di rendere più accogliente casa tua.” Mi spiegai, arrossendo un po’. Strano che ogni tanto fosse così gentile e poi diventasse un cafone incredibile in altre situazioni. Stranamente quel comportamento mi affascinava.

“Allora… nulla?” Chiese, sedendosi sul divano rifatto, invitandomi accanto a lui.

Scossi la testa e accettai: “No… nemmeno il sonno mi ha fatto ricordare qualcosa.”

Non volli raccontare del terribile incubo che avevo fatto. Avevo paura che mi desse della pazza e poi non era nemmeno un ricordo. Non aveva senso preoccuparlo per nulla. Inoltre avevo lo strano desiderio di non andarmene da lì, quasi mi fossi affezionata a quel posto nuovo, ma che sapeva di casa.

“Mi dispiace…” Sussurrò, Percy, prendendo del latte dal frigo. “Ti va’?”

Annui, senza esitazione, così mi porse una tazza di latte, accompagnata da un pacchetto di biscotti. Non avevo molta fame, ma seppi che, se non l’avessi fatto, sarei svenuta per il poco cibo, così mi sforzai di mandare giù qualche biscotto e il latte. Non parlammo fino alla fine della colazione.

“senti, io devo andare a lavoro. Puoi rimanere qui. Ho qualche DVD, anche se non so se sono il tuo genere… poi ci sono i miei libri e i miei videogiochi, ma non li riprendo da un pezzo e non so se a te piacciono… oh, nell’agenda lì ci sono i numeri di Talia e Rachel, se vuoi, ma non so se sta’ mattina possono venire, comunque sia, ho una copia delle chiavi sotto il telefono.” Propose lui, mettendo le tazze vuote nel lavandino.

Io rimasi attenta e, sinceramente, ancora non me la sentivo di parlare con loro. Ero ancora un po’ confusa e volevo rimanere nella mia solitudine.

“Credo rimarrò qui… se vuoi. Magari leggo qualcosa, ma non so cosa… qualche consiglio?” Decisi, infine, voltandomi verso di lui.

Per tutta risposta, Percy si alzò e si diresse verso la libreria, scorrendo i vari volumi.

“Mmmh… non ho idea di cosa possa piacerti. Hunger Games è molto bello da leggere, mi manca il Canto della Rivolta, Il Signore degli anelli è pesante… gli altri libri sono ancora peggio. Magari potresti vederti qualche DVD, mi hanno regalato il film de lo Hobbit, è molto divertente.” Mi propose, aprendo il lettore, osservando il cellulare.

“Lascia… faccio io, ora vai a lavoro.” Lo incoraggia, cercando di mostrarmi sicura, quando in realtà, non lo ero.

“D’accordo, allora ci vediamo dopo.” Mi disse lui, poggiandomi una mano sulla spalla per poi avvicinarsi, dandomi un buffetto amichevole sulla guancia.

Cavolo! Ora diventava gentile e tenero. Mi sentii arrossire e rimasi imbambolata, mentre lui si staccava da me, uscendo. Io mi sentii le gambe molli, ma non volevo cedere. Non dopo un giorno, che cavolo! Non era nemmeno il mio tipo, dopotutto non lo sopportavo quando era un cafone… però era irresistibile quando si preoccupava per me con quei suoi modi dolci.

Scossi la testa e mi avvicinai al televisore, cercando di capire come funzionasse. Non avete idea di quanto fosse complesso imparare a far funzionare di nuovo un dannato lettore DVD. Mi sentivo un’emerita imbecille. Mi ci volle un quarto d’ora per riuscire a capire come funzionasse tutto, compreso il telecomando. Misi il Cd e mi guardai il film che mi aveva proposto.

In effetti era molto divertente, era strano che, però, i nani Kili e Fili fossero così belli, quasi fossero dei modelli bassi. Invece Thorin le piacque, ma caratterialmente il migliore era Bilbo. Furono due ore molto divertenti e non le dispiacque affatto aver deciso di rimanere lì per potersi vedere un bel DVD in pace.

Alla fine, decise di guardarmi qualcos’altro e scorsi la collezione di film di Percy. Il problema era che mi sembravano tutti un po’ troppo… strani. C’erano un sacco di film Horror o con troppa azione: come transformers, Resident Evil e altri. Stranamente Avengers sembrò attrarmi, ma non seppi se provarlo. Soppesai la custodia con attenzione per decidere quando il telefono suonò.

Per la sorpresa per poco non lasciai cadere la custodia, ma riuscii a reggerla. La misi a posto e andai a rispondere.

“Pronto? Chi Parla?”

“Oh, Annabeth, cercavo giusto te… sono Rachel, posso passarti a prendere? Vorrei fare un giro in centro con te e, visto che non hai altri vestiti, pensavo di darti io qualche cambio.” Propose lei, entusiasta, dall’altra parte della cornetta.

Io giocherellai con il cavo telefonico. Sapevo che Percy tornava tardi e non potevo guardare solo film. Erano ancora le undici e un quarto, la giornata era ancora lunga: “D’accordo… se vuoi… ti aspetto, allora.”

“Perfetto! Sono certa che ti distrarrà, magari ti divertirai anche.” Disse lei, chiudendo la telefonata.

Sospirai, un po’ in ansia. Dopotutto un po’ di compagnia non mi avrebbe fatto male. Presi le chiavi che Percy mi aveva indicato e mi sedetti, sospirando, attendendo l’arrivo della rossa. Forse aveva ragione: rimanendo lì avrei potuto solo rimuginare su me stessa, senza ottenere risposte. La mia mente era un ammasso di nulla. Forse avevo davvero bisogno di distrarmi.

 

 

 

“Allora? Come ti senti?”

Rachel mi aveva portata in un grande centro commerciale in centro a New York, facendomi fare decine di giri. Non avendo nemmeno un soldo, non potevamo comprare nulla, ma guardare non sembrava una cattiva idea. C’erano tantissime cose, soprattutto sembrava che ci fossero montagne di prodotti, come se dovessero mostrare opulenza. C’era così tanta gente che il rumore mi stordiva.

Nonostante questo, riuscii a tenere dietro alla mia amica, senza troppi problemi. Ogni tanto mi fermavo davanti a qualche vetrina ad osservare vestiti particolarmente affascinanti o vestiti molto belli. Tuttavia era più la curiosità a spingermi, non il desiderio di averli. Non mi sembrava il caso di spendere così tanto per certe cose.

Verso l’una del pomeriggio, ci sedemmo in un bar, per mangiare un panino. Nonostante fossi preoccupata per quell’uscita, dovetti ammettere che camminare mi aveva tranquillizzata, e non avevo più la mente affollate di domande del mio passato.

“Ora mi sento meglio, grazie davvero, Rach.” Risposi, piluccando distrattamente il panino che avevo in mano. Avevamo parlato per tutto il giorno e lei era una ragazza davvero allegra ed energica. Grazie a lei ero riuscita a liberarmi un attimo delle mie preoccupazioni, facendomi ridere e avevamo, persino, iniziato a chiamarci per nomignoli.

“Di nulla, Annie, solo che devi davvero passare da casa mia. Avrai bisogno di qualche cambio… e poi come fai a sopportare Percy?” Chiese, allegra, mentre leggeva una rivista ambientalista.

“Grazie… ma, Percy non sembra male…” Dissi debolmente, pulendomi la bocca, bevendo un sorso dell’aranciata che mi era stata offerta.

“hai ragione… però, sai. Ti sto parlando da amica. E poi, credimi, lo conosco meglio i di te. Ci siamo frequentati per due mesi, prima che lo lasciassi.” Rispose, noncurante, continuando a sfogliare la rivista.

Improvvisamente sentii il mio stomaco contorcersi e provai un moto di gelosia alla notizia che Rachel era l’ex di Percy. Cercai di scacciare quel sentimento: lei mi era stata molto vicina e non avevo voglia di spezzare subito quell’amicizia.

“Oh… quindi… avete rotto? Perché?” Chiesi, cercando di mantenere un tono neutro, anche se mi sentivo stranamente allegra nel saperlo libero.

“Mmmh… diciamo che non mi piaceva il fatto che lui mi ignorasse, soprattutto perché dava così tanto peso ai suoi lavori e aveva poco tempo per me. Mi bidonò anche diversi appuntamenti importanti. Gli dispiaceva, certo, ma non la smetteva di farlo. Quando, poi, mancò una cena dove sarebbero stati presenti anche i miei genitori gli parlai. Era davvero dispiaciuto, ma mi disse che un aveva avuto un impegno a lavoro, così ci chiarimmo e… be’, decidemmo di rimanere amici.” Spiegò lei, tranquilla.

“Non ti dispiace che abbiate rotto?”

“Un po’ sì.” Ammise. “Ma stava diventando imbarazzante per entrambi, e poi meglio averlo come amico che no. Inoltre credo che non avrebbe funzionato comunque. Abbiamo preferito conservare l’amicizia.”

Mentre riflettevo su quello che aveva detto la ragazza, sentii squillare il suo cellulare. Lei rispose tranquilla, incurante del mio sorriso a mezze labbra che non riuscivo a trattenere.

“Pronto? Ciao Nico! Sì… d’accordo… no, lo sai che a quest’ora è a lavoro. D’accordo, lo avverto io, e sì, c’è anche Grover… sì… sì, d’accordo, apparecchia per una persona in più, ci sarà un ospite a cena. A sta’ sera!”

Detto questo chiuse la telefonata e si rivolse a me: “Ehi, Annie… ti va una cena all’Italiana?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

A causa di un certo problema la stesura della mia storia principale su questo fandom è ritardata. Fondamentalmente è causato dall’irreperibilità della mia adorata collega. Il che, però, mi permette di dedicarmi a questa, facendo più capitoli possibili.

Quindi vi lascio a questo sesto capitolo con Annabeth con gli incubi e qualche rivelazione focosa sul passato del caro Percy Jackson. Il prossimo capitolo vedrà la comparsa di altri personaggi.

AxXx

PS: recensite, recensite e recensite.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Cena e Neve ***


                                              Cena e Neve

 

 

 

 

 

 
Strano che mi preoccupassi tanto di quella serata quando, in realtà, era solo una cena. Nico e Bianca non erano proprio cugini, ma Percy era così legato a loro che li definiva tali, e vivevano in un appartamento molto più spazioso, rispetto a quello di lui. C’era anche da dire che erano in due a lavorare e potevano occuparsi di dividere i costi. Inoltre Bianca aveva ricevuto un premio in denaro quando aveva vinto un anno prima un campionato di tiro con l’arco, piazzandosi seconda dietro una sua compagna chiamata Zoe. Erano praticamente gemelli  ed avevano diciotto anni, anche se Nico sembrava dimostrarne di più, mentre la sorella aveva una spruzzatina di lentiggini che la ringiovanivano.

Erano entrambi di origine Italiana, o almeno, la madre era di origine Italiane e loro ne avevano ereditato il cognome. Dovetti ammettere che erano entrambi degli ospiti davvero fantastici. A quanto pare la mia storia aveva raggiunto anche loro, ma nessuno dei due cercò di farmi domande sconvenienti nel tentativo di farmi ricordare qualcosa.

“Annie! Eccoti!” La saluto Rachel, quando arrivarono. Era seduta sulla terrazza insieme Grover che controllavano una specie di lista.

“Ciao… che state facendo?” Chiesi, accomodandomi accanto a loro, mentre un invitante odore di pancetta e uova si spandeva dalla cucina. A quel che avevo capito, i due ragazzi avrebbero tentato un difficile piatto Italiano: la carbonara e, da quel che sentivo, doveva essere proprio un buon piatto.

“Stiamo contando le firme che abbiamo ricevuto. Sai… io e Grover facciamo parte di un’associazione ambientalista e ci stiamo occupando di una raccolta firme per fermare la vendita di una sezione del Parco Nazionale di Sequoia, in California.” Spiegò la rossa, facendo una specie di confronto tra due liste.

“E sta andando male…” Borbottò il ragazzo, sconsolato.

Per quel poco che sapevo, cercai di mostrarmi interessata, cercando di intavolare una conversazione. Mi dissi che ero stata fortunata ad esser stata salvata da Percy e non da qualche sfruttatore o criminale. Lui era un bravo ragazzo e loro erano simpatici, nonostante nessuno di loro navigasse nell’oro.

“Ragazzi! La cena è pronta!” Annunciò Bianca, Portando in tavola dei piatti fumanti che emanavano un odorino davvero invitante.

“Eccoci.” Sospirò Rachel, posando la lista. “Almeno ci abbiamo provato… ritenteremo dopo.”

Insieme ai due mi misi a tavola e mi ritrovai accanto a Percy che stava già osservando il piatto avidamente. Alla mia sinistra c’era Thalia che stava riempiendo il padrone di casa di complimenti.

“Attenta, scotta ancora.” Mi avvertì Bianca, seduta davanti a me, che alzava gli spaghetti con la forchetta, per poi farli ricadere sul piatto, nel tentativo di scioglierli.

Per un attimo andai nel panico: come diavolo facevo a mangiare, allora, prima che raffreddasse? Questo problema era davvero imbarazzante: oltre alla mia vita, alcune nozioni erano sparite, lasciandomi in difficoltà in situazioni piuttosto comuni. Fortunatamente il mio salvatore corse nuovamente in mio aiuto.

“Spargila sui bordi e mangia quella al limite…” Sussurrò, succhiando uno spaghetto, con gusto.

Ecco, altra situazione imbarazzante: perché dovevo assomigliare ad una bambina di cinque anni? Non ero tale, ma mi sentivo comunque un emerita stupida, come quando, qualche ora prima mi ero resa conto di non ricordare come si allacciassero le scarpe e dovetti chiedere a Percy di allacciarmele.

Lui mi aveva guardato malissimo, per poi sbuffare qualcosa che suonò così: “Guarda questa bimbetta che gli devo pure fare da babysitter.”
Lo avevo ignorato, nascondendo il rossore che mi colorava le gote dietro la cascata dei miei capelli biondi, mentre osservavo quello che faceva per imprimerlo nella memoria. Mi era bastato un attimo per ricordare quelle nozioni di base.

Scacciai il ricordo imbarazzante e iniziai a mangiare. In effetti era davvero buonissima. Il rigatino era stato cotto al punto giusto, raggiungendo una consistenza croccante e insaporendo la pasta che succhiavo con gusto. La cena fu animata e molto allegra: i miei amici parlavano tra di loro, chiedendomi, ogni tanto, qualche opinione, ma solo per non farmi sentire esclusa. Avevano molto tatto, sorto questo aspetto: evitavano di mettermi in imbarazzo, senza tenermi da parte, cosa di cui ero loro molto grata.

Alla fine, finimmo di mangiare e Nico alzò il bicchiere in direzione della sorella.

“A mia sorella Bianca che sta per partire per un nuovo campionato, sperando che vinca di nuovo.” Annunciò, facendola arrossire. Non avevamo alcolici, ma un brindisi ci stava bene. Ecco perché c’era quella cena: era una specie di cena d’addio.

“Ed anche ad una nuova amica… Annabeth che è letteralmente saltata fuori dal nulla.” Aggiunse Percy, prendendomi di sprovvista, facendomi arrossire.

“A Bianca e Annabeth!” Dissero tutti in coro, per, poi bere.

 

 

 

 

Dopo aver brindato, mettendomi in imbarazzo, provai ad aiutare Nico a sparecchiare, per cortesia, ma lui mi sorrise e accantonò l’offerta.

“Grazie… ma sei una mia ospite, sono io che sparecchio.”

“D’accordo… ma se hai bisogno di aiuto, ti do volentieri una mano.” Acconsentii, per poi, andarmi a sedere in terrazza.

I rumori della città erano attutiti dall’oscurità. La poca gente per strada camminava rapida verso casa, probabilmente per tornare dalla famiglia. Quel pensiero mi riempì di tristezza. Ogni cosa che facevo o guardavo, sembrava ricordarmi che io non avevo un posto a cui tornare.

“Tutto a posto?”

Bianca si era avvicinata a me, silenziosa. I suoi lunghi capelli neri ricadevano in morbide ciocche lisce che incorniciavano il viso giovane e si accordavano benissimo agli occhi scuri.

“Più o meno… sto ancora pensando al mio passato… o meglio a quello che dovrebbe esserlo.” Risposi, scuotendo il capo, sconsolata. Nonostante i tanti tentativi di farmi passare quella sensazione, nulla sembrava abbastanza da prendere il posto di quel buco nero che aveva ingoiato i miei ricordi.

“Grover mi ha detto cos’è successo. Mi dispiace molto.” Ammise lei, gentile. “La polizia non ha trovato nulla?”

Scossi la testa triste: “No… non hanno richiamato… credo che mi abbiano messo da parte. Sono solo uno scarto.”

“Non dire così!” Intervenne Nico, che, probabilmente stava cercando la sorella. “Noi non ti consideriamo uno scarto. Percy è un tipo a posto e potrai sempre contare su di noi.”

“Mio fratello ha ragione… in caso quel testa d’alghe ti dovesse dare fastidio, sono certa che mio fratello ti ospiterà. Camera mia sarà libera per un bel po’.” Aggiunse Bianca, per poi girare lo sguardo verso Nico che annuì convinto.

“Certamente… non temere, non ti consideriamo uno scarto. Considera come se fosse un nuovo inizio. All’inizio sarà dura, ma mi sembri una tipa tosta. Appena supererai il trauma, sarai una leonessa!” Disse dandomi una pacca sulla spalla.

Ero davvero commossa per la loro disponibilità. Riuscii a malapena a trattenere le lacrime e mi sedetti a terra, appoggiando la schiena al corrimano della terrazza.

“Grazie ragazzi… so di sembrare una bambina di otto anni, ma, davvero, mi state aiutando tantissimo.” Li ringraziai, felice della loro compagnia, poi, però, un moto di curiosità mi spinse a chiedere: “Ma perché lo chiamate Testa d’alghe?”

Bianca e Nico ridacchiarono e si rivolsero un sorriso d’intesa, come se stessero riportando alla mente qualcosa di esilarante.

“In realtà non c’è un motivo particolare… solo che, prima di diventare un maestro, Percy faceva due sport: il nuoto e le arti marziali. Era un bravissimo nuotatore, ma un giorno, mentre eravamo al mare, lui si mise a fare una gare subacquea con Nico e Grover… essendo in vantaggio guardò dietro e batté la testa contro uno scoglio completamente ricoperto da alghe. Da allora lo chiamiamo così per prenderlo in giro quando fa di testa sua o fa l’antipatico.” Spiegò il fratello maschio, ridacchiando al solo ricordo.

“Ehi gente! Venite, si guarda un film!” Ci chiamò Talia all’improvviso, affacciandosi, tenendo in mano la custodia di un DVD.

Nico mi porse la mano, mentre la sorella tornava dentro e io mi lasciai aiutare, sentendomi il cuore un po’ più leggero. All’interno Talia stava scorrendo la collezione di film di Nico.

“Dì un po’, Di Angelo… ma tu hai solo Horror e Splatter? Non per rompere, perché anche a me piacciono… ma che cavolo! Cambia un po’ genere!” Borbottò, prendendo un’altra custodia.

“Senti un po’, ma secondo te cosa dovrei vedermi? Twilight!? Ho già vomitato abbastanza, quando l’ho visto per sbaglio.” La prese in giro il ragazzo, affiancandosi a lei.

“Cos’è Twilight?” Chiesi, curiosa a Percy che si era accomodato su un cuscino a terra, appoggiandosene uno accanto a lui invitandomi a sedermi.

“Un film orripilante. Un polpettone romantica con i vampiri.” Rispose lui, sbuffando. A quanto pare non gli piaceva molto.

“Capisco…”

“Allora gente… che ne dite di Resident Evil?” Chiese Nico, con un sorrisetto che non mi piaceva per niente, quasi il dischetto fosse un arma terribile.

“Ecco che ci risiamo… altro spargimento di sangue e altri incubi notturni per tutti.” Borbottò Grover, scuotendo il capo, facendo scoppiare a ridere Rachel che era accucciata su uno dei braccioli del divano su cui si sedettero Nico e Talia.

Bianca era per terra, con la testa appoggiata al divano e sembrava interessata, mentre Grover si posizionò vicino all’angolo più lontano, come se dovesse scappare da un momento all’altro.

Di mio non sapevo cosa aspettarmi, così decisi di tentare di seguire la trama, come avevo fatto con lo Hobbit, a casa di Percy. Me ne pentii subito: il film che Nico aveva scelto era un’accozzaglia di terrificanti squartamenti, sparatorie, sangue a fontane e mostri improponibili. Non sapevo se prima quel genere mi piacesse, ma in quel momento per niente. Grover continuava a nascondersi, Rachel distoglieva spesso lo sguardo, gemendo alle scene peggiori e anche Percy sembrava teso, anche se non lo dava a vedere. Talia, Nico e Bianca, invece, sembravano tranquillissimi e commentavano alcune scene definendole ‘fintissime’.

A me sembravano fin troppo orride.

Arrivati a metà film ci fu una scena che mi prese di sorpresa, quando un grosso mostro salò fuori dal pavimento, divorando un soldato. La scena mi colse così di sorpresa che lanciai un urlo e saltai, chiudendo gli occhi e stringendomi alla prima cosa che avevo a portata di mano.

“Potresti farmi respirare?”

Con mio profondo imbarazzo, mi resi conto che ero letteralmente saltata in collo a Percy, stringendo le braccia intorno al suo collo per lo spavento.
Mi allontanai rossissima, mentre tutti ci guardavano con dei sorrisetti allusimi stampati in faccia.

“Che avete da guardare!?” Sbottammo in coro io e il ragazzo, finendo per imbarazzarci ancora di più.

Gli altri tornarono a concentrarsi sul film, ma notai che Talia e Rachel stavano scuotendo la testa e si fecero un cenno di intesa, come se stessero pianificando qualcosa.

 

 

 

 

Una volta finito il film ci disperdemmo, tornando a casa. Talia mi propose di andarla a trovare il giorno dopo, per dare inizio ad una ricerca personale, ignorando la polizia. Voleva aiutarmi a ritrovare il mio passato e avrebbe fatto di tutto per aiutarmi. Fui felice di poter contare su di lei.

Anche Rachel mi salutò, ricordandomi di chiamarla se avessi voluto farmi un giro in santa pace. Bianca salutò tutti, visto che la mattina dopo sarebbe partita e tutti le augurammo buona fortuna. Sperai davvero che vincesse.

Mentre camminavo, accanto a Percy continuavo ad osservare la strada, incapace di guardarlo. Mi batava la sua sola presenza per farmi stare bene, ma anche in ansia. Non sapevo cosa fare quando sentii le mani di Percy abbracciarmi dietro le spalle, facendo in modo che la sua giacca ci coprisse entrambi.

“Che stai facendo!?” Chiesi, sentendomi arrossire dalla testa ai piedi.

Alzai lo sguardo, ma lui non stava guardando me. I suoi occhi erano fissi in alto, verso il cielo nuvoloso, che stava liberando dei candidi cristalli argentei che calavano sulla città come una bianca coperta notturna.

“L’ultima neve dell’inverno… dubito che ce ne saranno altre.” Commentò, stringendomi a se, per trasmettermi un po’ del suo calore.

Io non commentai. Effettivamente era freddo, ma il calore di Percy era l’unica cosa che mi sembrò importante. Il suo corpo era caldo e scolpito, come quello di una statua greca, tanto che mi sentivo molto più sicura con lui a fianco.
Non mi lasciò nemmeno un secondo, fino a che non arrivammo a casa sua, dove mi aiutò a preparare il divano letto.

Mi cambiai e gli detti la buonanotte, per una volta in due giorni, il mio cervello si spense senza paura, dimentica dell’oscurità della mia memoria. Avevo solo una cosa che mi affollava il pensiero: un paio di occhi verdi come il mare e un corpo caldo che mi teneva al caldo nelle notti di inverno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Vediamo il caro Percy farsi sempre più sciolto e dolce, nei confronti della nostra smemorata Annabeth. Inoltre sono apparsi Nico e Bianca, anche se quest’ultima rimarrà un po’ più sullo sfondo.

Presto entreranno in campo anche altri personaggi, ma ormai sono rimasti pochi quelli da mettere. Vi informo che questo, con quello precedente, era più una sorta di capitolo di passaggio. Nei prossimi ci saranno, principalmente, eventi importanti e ci saranno diversi salti temporali.

Quindi, dal prossimo capitolo aspettatevi delle sorprese ;)

AxXx

PS: Voglio tante recensioni che mi dicano anche dove e cosa sto sbagliando, mi raccomando.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Incubo ***


                                                 INCUBO

 

 

 

 

 

 Tutte le notti quel raccapricciante, macabro incubo turbava la quiete del mio sonno.

Sotto le mie palpebre chiuse iniziavano a delinearsi ombre, immagini, oggetti, urla, colori, figure che non riuscivo a decifrare.
Parole frammentarie, come codificate, erano un sussurro sconnesso che mi rimbombava nelle orecchie, urla e pianti. Un odore acre, forte e pungente solleticava le mie narici, soffocandomi, mentre nell’ombra si delineava una figura massiccia.

Riuscivo a sentire il peso sul mio corpo, la morsa che mi gettava nel panico e nel terrore, il suo tocco. Lo rividi, imponente e crudele, folle di rabbia e crudeltà. Le sue mani accarezzavano lascive la mia pelle, stringendomi avidamente, viscido, come una serpe. Le ferite tornavano ad aprirsi, a dolere e a distruggermi.

La sua voce era un sussurro che bisbigliava crudeli sussurri, minacciandomi. Mi voleva, mi desiderava, ma non c’era nessun sentimento, nel suo duro abbraccio di pietra. Solo la crudeltà nel dell’avermi per puro sfizio, distruggendo la mia volontà, sfruttandomi come un oggetto.

Le sue mani, indugiavano su di me, accarezzandomi lascive, fredde, come il metallo, ferendomi e violandomi. Cercavo di divincolarmi, fuggire da quel contatto disgustoso, ma i suoi occhi di ghiaccio erano fissi su di me, inchiodandomi a terra.

Iniziai ad urlare e pregare che qualcuno mi aiutasse.

“ANNABETH!!!”

Spalancai gli occhi. Percy era seduto sul bordo del divano letto, con lo sguardo colmo di preoccupazione. Una mano era appoggiata al bracciolo, ma l’altra mi accarezzava dolcemente la spalla. Indossava pantaloni e maglietta del pigiama.

“P-Percy…” sussurrai, respirando affannosamente per l’incubo appena avuto. So che potrebbe sembrare folle, ma avevo la sensazione che il mostro che avevo sognato fosse reale.

“Stavi urlando nel sonno… sembravi impazzita, che succede?” Domandò, fisso su di me.

La sua voce era calma e gentile. Era bello e il suo corpo era accogliente, troppo perché potessi resistere alla tentazione. Mi avvicinai a lui e mi avvinghia, abbracciandolo forte, ma senza fargli male. Lo sentii irrigidirsi per un attimo, ma poi mi strinse a se, cullandomi in una stretta dolce e rasserenante. Sentii il groppo che avevo alla gola sciogliersi e non riuscii a trattenere le lacrime.

“Ehi… va tutto bene… cos’hai sognato?” Chiese premuroso, asciugandomi le gocce salate che mi puntellavano il viso senza staccarsi.

Il mio cuore iniziò a rallentare e io presi qualche minuto per godere di quel contatto così intimo. Ero felice che mi fosse accanto, in quel momento, perché non ero sicura che sarei riuscita a resistere ad un altro incubo.

Lui non ebbe fretta e non si staccò da me, dandomi il tempo di riprendermi. Quando mi sentii pronta gli raccontai tutto. Non riuscivo a trattenere le parole e dissi tutto nei minimi dettagli: il terrore che mi attanagliava, la sensazione soffocante di essere in trappola e i miei timori che il ragazzo con la cicatrice (Così lo chiamai, perché non avevo nomi da associare a lui) fosse reale e che mi stesse cercando.

Lui rimase in silenzio, ascoltandomi. Non disse nulla, ma il suo sguardo indugiò su di me. Non mi stava guardando come una pazza, ma con una strana luce negli occhi, come se avesse percepito qualcosa che, però, faticava ad capirla.

Alla fine sospirò e mi parò dolcemente: “Non so cosa sia successo, Annie… ma credimi, nessuno che conosco ha queste caratteristiche… forse è un ricordo di un tuo momento passato. Sai calma, qui nessuno ti farà del male.”

“Sì… d’accordo.” Sussurrai, riprendendo il controllo. Non mi preoccupava il fatto che lui mi potesse considerare una bambina, mi premeva solo che quell’incubo mi lasciasse in pace. “Solo che ho paura… ogni notte sempre la stessa storia. Ormai ho paura di chiudere gli occhi.”

Fu allora che lui fece qualcosa che mi colse assolutamente alla sprovvista: si sporse verso di me e mi dette un bacio sulla guancia. Non era nulla di particolare, ma il contatto delle sue labbra sulla mia pelle, fece saltare un battito al mio cuore e mi rilassai subito.

“Vuoi che rimanga con te?” 

Il mio cuore perse un battito. Incapace a parlare, potei soltanto annuire.
Percy si sistemò accanto a me, sdraiandosi in modo che non occupasse troppo spazio. Una fortuna che il divano fosse abbastanza largo. Io, però, non riuscivo a stargli lontana. Mi accoccolai a lui, stringendolo, ascoltando il dolce battito del suo cuore.

Lui mi cinse con le sue forti braccia, in un abbraccio protettivo, come se volesse difendermi dai brutti sogni che mi perseguitavano. Ero così vicina che quasi ogni parte dei nostri corpi era a contatto. Lui era caldo e solido: una roccia a cui aggrapparmi, per non essere trascinata via dalla tempesta nera che mi vorticava intorno.

Il battito del suo cuore, ebbe lo stesso effetto di un sonnifero, una ninnananna rilassante che mi fece abbassare le palpebre, ma io non volli arrendermi. Volevo godermi quel calore, la sensazione di vicinanza e affetto che quell’abbraccio mi trasmetteva.
Nonostante i miei sforzi, la resistenza venne meno e morfeo mi richiamò nel suo mondo, questa volta, calmo e senza incubi.

 

 

 

La mattina arrivò in un attimo, solleticandomi gli occhi con la sua luce dorata. Sentivo nitidamente le braccia di Percy che mi tenevano dolcemente legata a lui, e io mi lasciai cullare da quella sensazione, ammirando i perfetti lineamenti del suo viso e i riflessi scuri che gli illuminavano i capelli come una piccola aureola.

Non volevo staccarmi: era troppo bella quella situazione. Lui dormiva beato, accanto a me, il suo calore mi teneva calda e lui era comodo. Mi sentivo lo stomaco pieno di farfalle che solleticavano le pareti, come se fossero ad un concerto rock.

Quando si svegliò, i suoi luminosi occhi verdi indugiarono su di me e mi dette un dolce bacio sulla fronte.

“Buongiorno… altri incubi?” Chiese, sorridendo.

Scossi la testa, sentendomi dannatamente leggera e desiderosa che lui rimanesse vicino a me.

“Non questa notte… grazie a te.” Sussurrai, accoccolandomi a lui. Perché doveva comportarsi da idiota, certe volte? Quando era gentile era fantastico, un sogno. Avrei voluto che lo fosse sempre, come in quel momento.

Per alcuni minuti rimanemmo abbracciati, ma dopo un attimo lui si staccò.

“Per quanto mi piacerebbe rimanere… dovremmo alzarci, ti lascio il bagno libero per prima, così mi posso fare una doccia.” Propose, allontanandosi un attimo.

“Hai ragione… vado.” Nonostante il desiderio del mio corpo di rimanere accanto a lui, decisi di impormi un contegno e mi alzai. Una fortuna che indossassi un pigiama che Rachel mi aveva prestato.

 

 

 

Era passata una settimana da quando mi ero risvegliata lì, senza memoria, mezza nuda, in quella casa di uno sconosciuto che ormai lo consideravo ben più di un amico. Era gentile e disponibile. Inoltre sapeva come tirarmi su quando ero giù. Ogni tanto continuava a dimenticarsi della mia presenza, finendo per farmi fare figure imbarazzanti e diventava irritabile, ma mi stavo abituando a vivere insieme a lui.

In quel periodo mi ero vista spesso con Rachel, Nico e Talia. La rossa mi portava sempre a visitare qualche centro commerciale, o andammo insieme al cinema a vedere un film. Spesso ci vedevamo con Grover, coinvolgendomi nelle loro raccolte di firme il che mi teneva la mente impegnata. Era una ragazza molto simpatica ed energica. Mi aveva regalato persino dei suoi vestiti usati per potermi cambiare.

Nico lo vedevo relativamente poco, ma un paio di volte mi invitò a cena a casa sua, consigliandomi qualche film (Anche se dubitavo dei suoi gusti cinematografici).

Talia mi invitò spesso a casa sua che era praticamente una di quelle perfette case da casa americana con salotto, cucina, cantina camere per tutti e bagno spazioso. Praticamente il contrario della casa di Percy. Lei mi invitò in camera sua e con il suo portatile contattava i suoi amici di facebook e controllava altri siti di persone scomparse per scoprire qualcosa su di me. Nonostante non avesse trovato nulla, continuava ad avere fiducia e a rassicurarmi. Conobbi anche la band in cui suonava, formata dai fratelli Stoll (facevano il basso e la batteria) e Nico che suonava la pianola. Ebbi anche una veloce visita di suo fratello Jason e non avrei mai pensato che fossero imparentati.

Lui sembrava il tipico principe azzurro: alto, con il viso leggermente squadrato,  dai capelli biondi e gli occhi azzurri elettrici del padre. Aveva il fisico allenato e un aria da giovane militare. Talia mi disse che, al contrario di lei, lui era il cocco del papà, dato che aveva iniziato a frequentare la scuola di polizia. Aveva anche una ragazza: Piper Mclean, figlia di un attore parecchio famoso. In pratica era la tipica coppia felice delle favole: lui il principe e lei la nobile principessa.

“Sono diabeticamente mielosi, quei due… mentre invece Jason è un rompiscatole, quando lei non c’è.” Borbottò una volta, mentre li vedevamo uscire, mano nella mano.

Non avevo risposto, troppo impegnata ad immaginare me stessa e Percy nella medesima situazione. Ormai ero certa di essermi presa una cotta colossale per lui, ma non capivo se lui ricambiava. Inoltre avevo il terribile timore di avere già un ragazzo e, però, me l’ero dimenticato come tutto il mio passato. Motivo per cui non volevo dire nulla.

 

Quel giorno era domenica ed era il giorno libero di Percy. Conoscendo le sue abitudini, mi sciacquai in fretta la faccia e mi lavai mani e denti (Tutte cose che Talia e Rachel mi avevano passato, nonostante protestassi, certe volte). Dopodiché lasciai il bagno libero per il ragazzo.
Sentii l’acqua scorrere, mentre lui si lavava. Io mi vestii e mi misi a rifare il divano letto, ripiegandolo e sedendo mici sopra, facendo il punto della situazione. Ricordare quello che avevo fatto il giorno prima mi aiutava ad assicurarmi di non aver dimenticato nulla.
All’improvviso, qualcuno suonò al campanello facendomi sobbalzare.

Scesi di sotto, all’ingresso ed aprii la porta.

Mi ritrovai davanti il tipo più strano che avessi mai visto: era magrissimo e alto poco più di me. I capelli ricci neri come il carbone gli ricadevano in ciocche disordinate sul viso e gli occhi scuri brillavano stupiti. Aveva l’aria da ‘elfo di babbo natale’. Appena mi vide spalancò la bocca, ma subito, la sua espressione, si tramutò in un sorriso malizioso.

“Ehi… pensavo di aver bussato alla porta di Percy Jackson, ma tu sei uno spettacolo molto migliore.”

Eccone un altro, di pervertiti, e questo si credeva pure spiritoso.

“Questa è casa di Percy… io sono un amica, mi chiamo Annabeth, tu chi sei? Come mai lo cerchi?” Chiesi, cercando di ignorare il suo tono allusivo che mi stava mettendo in imbarazzo.

“Oh… un amica? Certo… va bene, fammi entrare, tanto gli devo parlare… e poi non gli è mai dispiaciuto avermi intorno.” Assicurò lui, sempre più allusivo.

Non avevate idea del rossore che mi colorava. Quel tipo sembrava fatto a posta per fare il buffone, mi stuzzicava con il solo sguardo. Lo lasciai entrare a malavoglia e lui si accomodò sul futon, seguendomi con lo sguardo.

“Sono solo un’amica… amica e basta.” Sbottai, sistemandomi, a mia volta, sul divano appena rifatto.

“Oh… quindi sei libera? Che ne dici di vederci sta’ sera nel ristorante sull’ottava? Fanno una pizza deliziosa.” Ridacchiò lui, con gli occhi brillanti, alzando un paio di volte le sopracciglia (Uno strano modo di abbordarmi).

“No grazie.” Borbottai, cercando di ignorarlo.

In quel momento la porta del bagno si andò e il mio cervello andò in tilt. Percy era completamente nudo, fatta eccezione che per un asciugamani che lo copriva fin poco sopra le ginocchia. Lo teneva fissato in vita. La vista della sua pelle lucida, bagnata e brillante per la luce che si rifletteva sulle gocce d’acqua fece esplodere il mio cervello.

“Leo! Che ci fai qui!?” Chiese, ignorandomi. Il che mi permise di ricompormi prima che mi vedesse sbavare.

“Amico! So che te la passi bene!” Esclamò l’altro, ridendo. Sembrava che non gli importasse nulla dello sguardo furibondo che Percy gli stava lanciando.

“Abbastanza… tutto a posto.” Fu la laconica risposta.

“Rachel mi ha anche detto che hai salvato una turista demente.” Aggiunse, sempre con quel suo tono allusivo.

Percy arrossì di vergogna, io per la rabbia. Come si permetteva quella specie di folletto a chiamarmi demente!?

“La turista demente sarei io.” Ringhiai, sporgendomi verso di lui, mostrando quella che sperai essere un espressione minacciosa.

Eppure o lui era un bravissimo attore, o non mi era riuscita tanto bene perché lui ammiccò verso di me e tornò a concentrarsi su Percy: “Però, amico… che culo.”

Sospirammo entrambi, sconsolati. Decidemmo di far buon viso a cattivo gioco: io distolsi lo sguardo e Percy tornò in bagno per potersi vestire.

“Cosa vuoi?”

“TI ricordi che giorno è oggi, vero?”

“Domenica.”

Leo sbuffò per lo scambio di battute monosillabi che l’altro gli aveva rivolto: “Non dire stupidaggini! Oggi è iniziano le iscrizioni e le qualificazioni per il torneo del Pugno Dorato*! Potremmo partecipare! Tu con il tuo karate ed io con il mio Krav Maga**. Potremmo vincere!”

“Lo sai che ho chiuso con quella roba… smettila di assillarmi!” Sbottò Percy scuotendo il capo. A quanto pare era qualcosa che lo metteva in imbarazzo.

“Scusate… che cos’è questo torneo? E cosa dovrebbe essere il Krav Maga?” Chiesi, curiosa. Non avevo mai sentito quelle parole.

“Oh… il Pugno Dorato è una sorta di… Torneo di lotta on-line, parzialmente legale, a cui io partecipo spesso. Il Krav Maga è uno dei tre stili di combattimento che Percy conosce, ance se è specializzato nel Karate. Il Krav Maga è una disciplina particolare che pratico anche io… e si basa sulla difesa personale contro possibili aggressori.” Spiegò Leo, con un sorrisetto astuto.

“Sì, ma io non intendo partecipare… ho sempre da fare con la palestra… e forse potrei trovare un altro lavoro, tra un paio di settimane.” Continuò l’altro, tornando completamente vestito dal bagno.

Invece io ero dannatamente curiosa: “Davvero? Non ne ho mai sentito parlare.. sembra interessante.”

Leo sembrò divertito e mi si avvicinò accostandosi a me come se mi volesse confidare un segreto (Ero convinto di aver visto lanciargli un occhiata di fuoco, mentre lo faceva): “Se non hai paura di essere arrestata, te lo posso mostrare.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Campionato fittizio, da me creato per questa storia,in quanto non seguirebbe le regole di un vero torneo. Rimarrà sullo sfondo, anche se mi serve per mettere un paio di situazioni.

*Arte marziale praticata, inizialmente, in Israele, poi diffusasi come arte marziale di autodifesa che si basa su un uso offensivo di varie mosse di altre arti marziali. È considerato uno sport ufficiale, ma è poco praticato.   

 

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Salve gente, ma quanto sono veloce, incredibilmente, ad aggiornare? Tantissimo! Questo è niente, in confronto alle mie altre storie che dovrei aggiornare, ma non aggiorno mai :P

Invece su questa, ci sto prendendo gusto :3

E questo capitolo inizia a farsi interessante, perché quei due sono dolciosissimi. (Spero, almeno, di esserci riuscito a farli così :P )

Quindi recensite presto questo nuovo capitolo, anche altri che non l’hanno fatto!

AxXx

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Allenamento Romantico ***


                                       Allenamento Romantico

 

 

 

 

 

Leo mi aveva mostrato un sito internet dove si spiegavano le regole del torneo, ma capii subito che non era il mio genere di sport. Non mi piaceva la lotta, preferivo qualcosa di meno pericoloso. Non era proprio un torneo ufficiale, ma, a quel che sentivo, era una sorta di raduno per appassionati di arti marziali. Il fatto è che, alla fine, c’era anche un torneo che, però, non era ufficiale. Il fatto è che il premio era altissimo. Leo sembrava entusiasta, mentre Percy non era proprio il massimo.

“Ma dai! Ho già scommesso con Travis!” Protestò il riccio messicano, facendo una faccia fintamente dolce, nel tentativo di convincerlo.

“Ti ho detto di no!” Sbottò il ragazzo dagli occhi verdi e luminosi. Fui felice che non partecipasse, anche perché vedevo che certi partecipanti si facevano parecchio male.

“Ho capito… be’, divertiti con la tua amica.” Lo sbeffeggiò lui ghignando, prima di scappare di corsa.

Lessi sul volto di Percy il desiderio di corrergli dietro, ma io allungai la mano e lo trattenni. Non volevo che se la prendesse così tanto con un amico. Dopotutto Leo era simpatico quando non filtrava in modo esagerato con me. Aveva un aria allegra ed era molto strano (In senso buono). Lui mi guardò e annuì a malapena, rimanendo al suo posto.

Mentre lui si sedeva io guardai la sua stanza, cercando di imprimere nella mia mente ogni singolo particolare. Era una stanza un po’ stretta, ma accogliente. Ero seduta su una vecchia sedia girevole, con davanti una scrivania, con un computer ed un’altra foto di Sally Jackson che teneva in braccio il figlio, coccolandolo amorevolmente. Sulla parete di sinistra c’era un armadio a tre ante, e alle mie spalle c’era un letto ad una piazza e mezzo. Il tutto era illuminato a sole da un'altra ampia finestra posta alla mia destra. Il tutto era accogliente e luminoso. Al contrario del resto della casa era colorato e luminoso. Su una delle ante c’era un poster di un qualche gruppo musicale, mentre vicino al letto c’era una chitarra.

“Mi avevano detto che sapevi suonarla… ma sembra che tu non la usi spesso.” Feci notare, guardando lo strumento abbandonato a se stesso.

“Qualche volta strimpello qualcosa, ma non sono così bravo.” Borbottò lui, prendendola in mano con delicatezza. Sembrava stranamente a suo agio con quella in mano ed ero curiosa di sentirlo.

“Suoni qualcosa? Secondo me sei bravo.” Proposi, sorridendo, facendo una faccina ironicamente dolce. Ogni tanto ci prendevamo in giro per quella cosa, ma quando la facevo lui sorrideva e accettava le mie proposte.

“Forse non è il caso…”

“Per favore?”

Sospirò. “D’accordo…” Acconsentì, un po’ giù.

Prese il plettro posto sulla scrivania accanto al computer e accordò con cura lo strumento. Con le dita saggiò le corde e iniziò a suonare. Subito la dolce melodia proveniente dalla cassa di risonanza, riempì l’ambiente. Non sapevo che spartito fosse, ma intuii che non era Rock, sembrava una rivisitazione in chiave moderna di uno spartito più classico. Forse Percy non era un musicista da palcoscenico, però, per quel poco che capivo, lo considerai bravissimo. Non perdeva mai il tempo, mettendo concentrazione in ogni singola nota, rendendo la musica uniforme e armoniosa. Mi venne quasi voglia di ballare, ma mi trattenni, anche perché non c’era spazio per farlo.

Adoravo il modo in cui batteva ritmicamente il piede per terra per tenere il tempo mentre suonava e il modo in cui inarcava le folte sopracciglia nere, fino quasi ad unirle. Quando finii dovetti ricordarmi di respirare.

“Non dire nulla… so che è orribile.” Sbuffò, riponendo con cura la chitarra.

“Ma non è vero… sei bravissimo.” Commentai con gli occhi sognanti. Cercai di distogliere lo sguardo, ma mi sembrava impossibile.

“Non esagerare sapientona… so solo strimpellare qualche spartito.” Si schermì lui ridacchiando.

“Invece sei troppo modesto… e smettila di chiamarmi  ‘sapientona’!” Borbottai corrucciata.

Il fatto che mi chiamasse così era dovuto al fatto che, fondamentalmente, quando ero a casa, non potevo fare mai a meno di leggere un libro e controllare su Wikipedia tutto ciò che riguardava un argomento che mi piaceva. Come quando il mio sguardo si era soffermato su un paio di scarpe Nike. Le calzature, di per se, non mi avevano impressionato, ma il nome mi incuriosì, così la sera stessa rapii il computer di Percy e feci una ricerca a tutto campo di quella parola.
Da allora lui mi chiamava affettuosamente ‘Sapientona’.

“D’accordo… allora, che hai in mente di fare, oggi?” Chiese, rimettendo a posto il plettro e sedendosi accanto a me.

“Nulla di particolare…  tu?”

“Nulla…”Ammise, infine.

Io mi soffermai sullo schermo del computer, ormai sul punto di spegnersi e un’idea strana mi catturò la mente. Non ero, o almeno credevo di non esserlo mai stata, una tipa violenta, ma avevo la strana paura che il mio aggressore diventasse reale. Forse non avrei potuto fargli nulla, ma c’era pur sempre la possibilità che riuscissi a difendermi, ma solo se lo sapevo fare.

“Mi insegni autodifesa?” Chiesi tutto d’un fiato, senza quasi guardarlo. Non sapevo spiegarmelo, ma sentii poteva essermi utile.

Dovetti averlo lasciato parecchio interdetto, perché lui rimase a bocca aperta per un attimo, prima di rispondere: “Non c’è problema… solo… a che ti servirebbe?”

“Be’, innanzitutto per passare un po’ di tempo… con te. Poi sono smemorata, ma non stupida… sapersi difendere da soli è sempre utile, non ci sarà sempre un cavaliere come te a difendermi.” Spiegai, facendogli un occhiolino, concedendomi un po’ di malizia.

Percy mi guardò confuso, come se, all’improvviso, avessi cambiato forma sotto i suoi occhi, ma poi annuì: “Certo… possiamo farlo.”

 

 

 

 

Decidemmo di iniziare il giorno stesso, nonostante fosse domenica. Percy mi condusse alla sua palestra dove mi presentò anche il direttore: Chiron Trainer. Era un uomo alto, sulla cinquantina, con un po’ di barba molto curata, gli occhi gentili ed era molto ben piazzato, con l’aria di uno che è abituato ad insegnare senza arrabbiarsi. Sembrava in buoni rapporti con il ragazzo e infatti questi mi spiegò che era stato proprio l’allenatore a promuoverlo a maestro, pur non avendo tutti i requisiti adatti, permettendogli, così, di insegnare senza problemi, a patto che i suoi allievi avessero meno di quattordici anni. Era anche un buon amico di famiglia, infatti aiutava molto Percy e parlava di lui a molte persone, facendogli avere lavoretti in modo che potesse tirare avanti nei periodi di magra. Non sembrò nemmeno essere infastidito dalla loro richiesta di prendere in prestito una parte della sua palestra per qualche ora.

“Basta che non distruggiate nulla e che mi riportiate le chiavi.” Assicurò sorridendo gentilmente.

“Non si preoccupi, ci prenderemo noi cura di ogni cosa… non faremo nulla di pericolosissimo. Devo solo fare un favore.” Disse Percy, ringraziando.

All’interno indossai una tuta sportiva che mi aveva prestato Rachel e raggiunsi Percy, già in tenuta da combattimento.

“Wow…” Sussurrò lui, guardandomi come se non mi avesse mai visto. “Stai benissimo! Dovevi essere una persona che si allenava costantemente.”

“Ehmm… non lo so. Grazie.” Sussurrai, arrossendo. Cavolo, come lo adoravo quando diventava così dolce.

Lui si ricompose in fretta e si avvicinò a me, mettendosi in guardia, con i pugni alzati. Il suo sguardo sembrò diventare tempestoso e io mi ritrovai ad osservarlo con un po’ di timore, ma non feci trasparire nulla e lo imitai.

“Allora… questa è la posizione base per la difesa. Il braccio sinistro deve rimanere più in basso rispetto a quello destro che protegge il viso.” Spiegò, aiutandomi ad assumere la posizione corretta.

“Ora… le mosse base, per affrontare qualsiasi aggressore devi riuscire a capire i suoi punti deboli. Di solito la gola o la zona in mezzo alle gambe. Ora prova a colpirmi.” Ordinò, incitandomi.

Iniziai a tirare pugni, cercando di colpirlo dove mi aveva detto, ma ogni volta che incrociavo il suo sguardo, non riuscivo ad alzare una mano contro di lui e i miei colpi rallentavano. Lui, invece, era la perfezione: i suoi occhi erano un mare tempestoso che si concentrava su di me evitando i colpi e anticipando ogni mia mossa.

“Non distrarti… sono un tuo avversario, ricordalo!”

Dopo avermi spiegato le basi e le mosse base, mi invitò a creare delle combinazioni, usando calci e pugni a ripetizione. Ero stranamente rilassata, nonostante la fatica. Lui era molto paziente e sopportava i miei ridicoli scivoloni, quando sbagliavo una mossa mettendo un piede in fallo. Dopo due ore decidemmo d smetterla e lui sembrò molto soddisfatto.

“Non avrai fatto arti marziali, ma devi aver sicuramente fatto qualche sport in passato.” Sentenziò offrendomi un po’ d’acqua.

“Grazie… ma come sai, non ricordo quasi nulla…”Ammisi, uscendo dallo spogliatoio, di nuovo cambiata e afferrando la bottiglia che mi porgeva. Sembrava volermi proporre qualcosa, ma dal rossore intuii che non gli piaceva.

“Senti… io… dovrei parlarti un attimo.” Disse, improvvisamente serio.

Io lo guardai interrogativa. Avevo un po’ paura che mi volesse dire qualcosa di brutto, ma scartai l’ipotesi. Non erano successe cose particolarmente rilevante, in quei giorni.

“Dimmi…”

“Ecco… mercoledì c’è un film che potrebbe piacerti… ti andrebbe di venire al cinema con me? Offro io…” Mentre lo diceva, sembrava arrossire fino alla punta delle orecchie ed io mi sentii allo stesso modo.

Cavolo!

Dov’erano Talia e Rachel quando avevo bisogno di consigli romantici? Perché non ricordavo nulla? Non mi avevano mai invitato ad un appuntamento?

“D-d’accordo… ma… sicuro di potertelo permettere?” Chiesi, mordendomi il labbro inferiore, un po’ ansiosa.

“Certo… nessun problema, ho qualche soldo da parte…” Spiegò, sempre più agitato.

“Allora va bene… prometto che t ripagherò. Appena ricorderò qualcosa…” Promisi, dandogli un veloce bacio sulla guancia che lo lasciò interdetto.

 

 

 

 

“Oh… davvero ti ha chiesto di uscire?”

Ero a casa di Talia per un’altra sua ricerca infruttuosa. Ma a quanto pare, per una volta, non era il mio passato l’oggetto principale della conversazione.

“Sì… che devo fare, secondo te? Devo vestirmi in qualche modo?” Chiesi, ansiosa. Non volevo fare brutta figura. C’era la possibilità che fosse il mio primo appuntamento e non volevo fare brutta figura.

“Vestiti normale e parla in modo naturale… Percy non è un tipo pretenzioso.” Susurrò, ridacchiando maliziosa.

“D’accordo… spero davvero di non dire stupidaggini.” Borbottai, per nulla tranquillizzata.

“Non dire così… senti, Percy non ha mai chiesto a nessuno di uscire. Anche quando stava con Rachel, lui non la invitava mai al cinema, al massimo a casa sua. Se ti ha invitato significa che gli piaci davvero.” Disse la mora, sorridendo incoraggiante. Forse aveva ragione: mi stavo preoccupando troppo.

Mi ero messa a leggere un sacco di cose di gossip e siti con libri romantici e mielosi per capire cosa dovessi fare, se dovessi acconciarmi i capelli in qualche modo particolare, se dovessi vestirmi in maniera adatta o se dovessi dire o fare qualcosa. Peccato che non si potesse imparare l’Amore sui libri. Potevi solo viverlo.

“Io torno a casa… ci vediamo, Tal.” La salutai, io, dandole un bacino sulla guancia.

Mentre uscivo mi avviai verso l’ingresso, dove stavo prendendo la mia giacca, ma mentre allungavo la mano, qualcuno mi travolse. Non mi buttò a terra, ma mi sbilanciò un po’.

“Oh, scusami… stavo cercando di prendere la mia giacca.”

Mi voltai e notai che ad avermi urtato era stata la ragazza di Jason: Piper. Non l’avevo mai vista così da vicino. Da lontano sembrava una specie di principessa, o forse ero io che la consideravo tale, ma, vedendola da vicino, non era così perfetta. Certo che però era carina, aveva i tratti tipici di un’indigena americana, i capelli castani avevano un taglio asimmetrico e gli occhi scuri mi fissavano amichevoli. Indossava un paio di Jeans e una maglietta rosa un po’ stinta. Non sembrava male, come persona.

“Non preoccuparti, nemmeno io ti avevo vista.” Ammisi, sorridendo e prendendo la mia giacca.

“Sei Annabeth, vero? La nuova amica di Talia.” Intuì lei, indossando il suo. Stranamente, la trovai simpatica.

“Sì… e tu sei Piper, la ragazza di Jason.”

“Sì… ehm… piacere di conoscerti.” No capii cosa, ma sembrava nervosa e anche un po’ triste per qualcosa. Che fosse colpa mia?

“Ehi… ho detto una cosa che non andava bene?” Chiesi, poggiandole una mano sulla spalla, come per tirarla su.

“No… solo che… ho appena litigato con Jason… ho scoperto una cosa che mi ha fatto parecchio male.” Ammise abbassando lo sguardo.

Mi sentii stranamente in pena per lei, così le detti una pacca sulle spalle e le indicai la porta: “TI va di fare una passeggiata? Magari se mi racconti qualcosa starai meglio.”

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo Autore]

LOL non riesco a credere che sono riuscito a mantenere questa velocità di pubblicazione, soprattutto con un'altra idea che mi frulla in testa su questo fandom. Non so quanto durerà, però… infatti ho un’altra idea, inoltre sta per ricominciare la serie dei Semidei del Nord. Fino ad allora, però, dovrei avere tempo di continuare a pubblicare.

 

Quindi recensite, recensite e recensite.

AxXx

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Mi Hai rubato il Cuore ***


                                                                       Mi hai rubato il Cuore.

 

 

 

 

 

Piper e io passeggiavamo tranquilli lungo la navata principale di un centro commerciale. All’inizio lei mi era sembrata un po’ snob, ma mi resi conto che avevo avuto un’impressione totalmente sbagliato: sembrava stranamente triste e non indossava abiti firmati o molto eleganti. Era molto casual, jeans e maglione, molto semplice, insomma. La borsa, non sembrava nemmeno particolarmente vistosa. Se qualcuno l’avesse vista per strada non avrebbe mai detto che fosse la figlia di un attore. In effetti era normalissima, sembrava cercare a posta di non mostrare nulla di se stessa.

“Mi piacerebbe offrirti qualcosa… ma non ho un soldo.” Ammisi, dopo un po’, indicando un bar, poco lontano.

Lei, però, non sembrò infastidirsi e scrollò le spalle: “Sai il problema, io di soldi ne ho anche troppi.”

 Sembrò quasi volersi rimangiare l’affermazione, quando ci sedemmo insieme allo stesso tavolo. Non ordinammo niente, all’inizio, ma poi lei decise di prendere un gelato alla fragola, chiedendo se anche io volessi qualcosa. Fui tentata di accettare, ma per una volta, non mi andò nulla, così scossi la testa e declinai.

“Piuttosto, dimmi… che è successo tra te e Jason?” Chiesi, osservando il suo volto triste. Sembrava davvero giù.

“Io… be’, ho litigato con lui.” Spiegò, evasiva, come se si vergognasse di qualcosa.

“Ti va di raccontarmelo.”

Mi osservò attentamente, quasi temendo che io le stessi tendendo una trappola, ma poi annuì incerta: “Va bene…”

Ci fu qualche secondo di silenzio, prima che la mora iniziasse a parlare.

“Non so… mi prenderai per una stupida… ma ieri sera, io e Jason ci siamo dati appuntamento in un locale. Io ero andata lì da sola ed ero molto felice… insomma, ultimamente il nostro rapporto era un po’ giù di tono, ma pensavo che un appuntamento avrebbe potuto tirarci su. Solo che quando sono arrivata, lui era avvinghiato ad una sua compagna della scuola di polizia… una certa Reyna… e lei lo stava baciando.” Siegò, tutto d’un fiato, asciugandosi in fretta le lacrime, che minacciavano di uscire.

Non dissi nulla, sentendomi stranamente vicina a lei, pur non conoscendola. Mi chiesi come mi sarei sentita, se avessi visto Percy baciare un’altra ragazza. (Probabilmente sarei scappata in lacrime).

“Io non riuscii a rimanere… mi faceva male il cuore e mi sono sentita tradita… oggi sono venuto da lui per chiarirmi, ma quando ho visto Reyna che dormiva nel suo letto, mi sono sentita uno schifo. Gli ho urlato contro e me ne sono andata di corsa.” Concluse, con la voce spezzata.

Dovevo ammettere che un po’ la capivo: difficile immaginare che Jason avesse una spiegazione plausibile per quel comportamento. Insomma, non è proprio bello vedere una ragazza nel letto del proprio ragazzo e non potei fare a meno di pensare che Jason si fosse come un bastardo di bassa lega.

“Mi dispiace… se vuoi posso parlargli.” Proposi, cercando di farla stare un po’ meglio.

“Non importa… appena starò un po’ meglio, lo farò io… se ci riuscirò.” Ammise Piper, finendo, pian piano la coppetta che stava piluccando distrattamente.

Mentre sospiravo, cercando di non pensare al fatto che Percy potesse fare una cosa simile con me, mi guardai intorno e notai qualcosa che mi fece salire un brivido: alle spalle di Piper c’era un ragazzo, fermo, appoggiato ad una colonna, con le cuffie dell’I-pod nelle orecchie. Indossava un paio di Jeans laceri, e una felpa con il cappuccio tenuto calato, come per non farsi riconoscere.

Da quell’angolazione era impossibile che mi vedesse, ma io vedevo bene lui. Sembrava totalmente disinteressato alla musica che ascoltava, continuava a passare lo sguardo su Piper, soffermandosi per qualche attimo su di lei diverse volte, per poi tornare a fissare altro.

La mia inquietudine aumentò quando notai una cicatrice sullo zigomo che mi fece tornare in mente il mostro che mi tormentava nei sogni.

Scossi la testa.

Doveva essere un dannato scherzo, perché io non potevo ricordare solo un mostro e che fosse proprio lui la prima persona che rincontravo dopo aver perso la memoria. Il destino doveva avere un bel senso dell’umorismo.

“Senti… io sono un po’ stanca…” Borbottai, abbassando anche io il cappuccio per assicurarmi che non mi riconoscesse. “Vuoi che ti accompagni a casa?”

Piper finì il gelato e saldò il conto, mentre io mi guardavo intorno. Il ragazzo era ancora lì, ma continuava a seguire la mia amica con lo sguardo, ignorando completamente me: o non mi aveva riconosciuta, o non mi aveva vista, o mi ero immaginata io la somiglianza.

Appena uscimmo, decidemmo di fare una veloce passeggiata prima di dividerci.

“Come hai conosciuto Talia?” Chiese dopo un po’ la mia compagna. “Vai a scuola con lei?”

Io sussultai, un po’ a disagio. Mi dava fastidio parlare di quello che mi era accaduto. Poi, però, pensai che Piper era stata sincera con me, mi aveva detto cosa la turbava, così decisi di raccontarle tutto: della mia amnesia, di come mi ero risvegliata senza memoria a casa di Percy, di come Talia e Rachel mi avevano aiutato e di come era passata l’ultima settimana.

“Cavolo… che cosa strana… mi dispiace, scusami se ti ho messo a disagio.” Sussurrò, lei, poggiando una mano gentile sulla mia spalla.

“Non preoccuparti… mi sono quasi abituata a questa situazione del cavolo, però vorrei davvero poter ricordare qualcosa.” Ammisi, sorridendole. “E poi Percy, Nico, Rachel e Talia, sono ottimi amici e non mi fanno pesare il fatto di essere una smemorata.”

“Capisco…” Lei sembrò riflettere su qualcosa. “Non ti manca nulla? Magari posso aiutarti anche io…” Propose, guardandomi  speranzosa.

“No… non mi manca niente, a parte i soldi… non mi va di elemosinarli agli altri.” Ammisi, un po’ titubante. Non volevo farmi prestare denaro da nessuno, ed ero pronta ad un netto rifiuto se lei me li avesse offerti.

Invece quello che mi propose mi stupì: “Potrei trovarti un lavoro, sai?”

Io arrossii parecchio: non mi ero aspettata una proposta del genere. Anche se allettante, non sapevo cosa avrei potuto fare. Non sapevo nemmeno se in passato avessi mai avuto un lavoretto Part-time.

“Cosa potresti farmi fare?” Chiesi cautamente.

“Be’… io faccio la babysitter… conosco della gente che ha bisogno sempre di un po’ di aiuto con i loro figli. Tu sembri una brava ragazza, non credo avrai problemi.” Spiegò Piper, sorridendo.

“Ma… io non so cosa dovrei fare. E poi… non so nemmeno se serve una qualche qualifica? Serve?” Chiesi, iniziando a ragionare febbrilmente sulla possibilità. Era allettante, ma avevo paura di combinare casini terribili.

“No… puoi farlo, conosco persone che hanno bisogno di una mano. C’è una famiglia accanto a quella di Jason che hanno bisogno di una babysitter e la loro figlia è una dolcezza. Mi avevano chiesto se conoscevo qualcuno, se vuoi, ti porto a conoscerli. Sono delle brave persone.” Mi assicurò lei, cercando di rassicurarmi.

“D’accordo… almeno avrò qualche soldo per ripagare Percy dell’ospitalità. Grazie davvero.” Accettai, alla fine, ringraziandola. Dopotutto era in buona fede.

 

 

 

 

 

Passarono i tre fatidici giorni prima dell’appuntamento con Percy e quella sera ero talmente nervosa che avrei quasi voluto rifiutare per la paura. Certe volte mi chiedevo perché le ragazze di certi telefilm stessero tanto in bagno a prepararsi. Pensavo fosse una parodia, ma quando mi ci ritrovai io, non seppi proprio cosa fare.

Da domenica, mi vedevo anche con Piper e quando le avevo parlato dell’appuntamento, mi aveva prestato un sacco di trucchi dicendomi di farmi bella: ma cosa mi serviva esattamente? Lo smalto doveva essere rosa o rosso? O Percy lo preferiva blu? E il rossetto? Rosso fuoco? Rosso ciliegia? O Rosa? Oppure qualche altro colore? Il mascara? Lo dovevo mettere? L’Ombretto?

Cavolo!

Perché doveva essere così difficile!? E perché non c’erano libri o pagine internet che mi potevano aiutare?

Mi sentivo più stupida di quando avevo chiesto a Percy di allacciarmi le scarpe.

Alla fine decisi di non truccarmi per nulla. Mi lavai velocemente, assicurandomi di avere anche i capelli puliti, mi misi un paio di Jeans, una camicetta e una giacca. Insomma, proprio come mi aveva trovata lui. Anche lui aveva un abbigliamento simile. Aveva le mani in tasca e continuava ad aggiustarsi un ciuffo ribelle che continuava a finirgli in mezzo agli occhi, cosa che io trovavo terribilmente adorabile.

“Andiamo?” Chiesi, cercando di non far trasparire il mio nervosismo.

“Certo.” Annuì il ragazzo, alzandosi e avvicinandosi alla porta invitandomi a passare per prima.

Decidemmo di andare a piedi, tranquilli. Ormai non c’era più neve, ma era comunque freddino, ma io non ci feci caso. Io e Percy continuavamo a camminare fianco a fianco e dopo un po’ sentii le sue dita intrecciarsi con le mie. Mi sentii avvampare, ma non mi ritirai e strinsi. Continuammo a camminare, mano nella mano, fino alla stazione della metropolitana. Quando ci sedemmo accanto, lui mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui.

“Annabeth… non hai ancora ricordato nulla?” Chiese, all’improvviso. Non riuscii a capire, ma qualcosa, nella sua voce, mi fece capire che era in attesa.

“No… ma non voglio pensarci, adesso.” Risposi, appoggiando la testa sulla sua spalla. Era così rilassante, stargli accanto.

“Capisco… mi dispiace.” Borbottò, poco convinto.

Sorrisi, ormai eravamo diventati molto vicini. Mi aveva raccontato molto della sua vita: la sua passione per il nuoto, i suoi problemi di famiglia e di denaro, e alcuni eventi poco felici nella sua vita, come quando fu pestato a dieci anni da un branco di bulli che lo mandarono al pronto soccorso. Da allora si era impegnato nel karate e nell’autodifesa, in modo da poter difendere se stesso e le persone che amava. Mi raccontò anche altri eventi e fu molto sincero e piacevole. A me piaceva molto ascoltarlo, mi rasserenava e il suono della sua voce era quasi ipnotico.

“Percy…” Iniziai, alzando lo sguardo su di lui.

“Mh?”

“Se mai non dovessi mai ricordare nulla… Ho paura… potrei rimanere con te?” Chiesi, preoccupata, temendo un po’ la risposta. Ma non avevo nulla da temere, perché lo sentii stringermi un po’ di più, come per proteggermi.

“Certo… non ti lascerei mai in mezzo alla strada… sei troppo sapientona per essere abbandonata.” Ridacchiò, scherzando, ma allo stesso tempo dolce.

Mi tenni stretta a lui per tutto il viaggio, grata per il sostegno che lui continuava a darmi.

 

 

 

Al cinema c’era l’ultimo film della serie lo Hobbit, e mi piacque un sacco. Adorai tutti i personaggi, ma c’era qualcosa che mi piaceva ancora di più: in quel cinema c’ero io con Percy Jackson. Lui ridette con me, commentando certe scene e si imbronciò un po’ quando dissi che Thorin Scudodiquercia era più bello di lui.

“Ma’… a me tutta quella barba non piace… e poi è stupido.” Aveva commentato, incrociando le braccia offeso.

Cosa che mi fece ridere quasi quanto altre scene del film.

Quando uscimmo, lui mi cinse le spalle e mi riportò a casa, con calma, avvicinandosi a me, sempre di più, tanto che, mentre camminavo, potevo sentire il suo cuore battere contro il mio orecchio.

“Sai… dopodomani ho un… colloquio, diciamo così. Forse mi prendo un lavoro.” Gli dissi, mentre camminavamo.

“Davvero?” Chiese, sorridendo. “Allora vuoi proprio rifarti una vita. Sembra quasi che tu voglia lasciarti alle spalle la vecchia.”

“Forse…” Ammisi, pensierosa. “Il fatto è che non ricordo ancora nulla… se non dovessi ricordare mai, dovrò pur guadagnarmi da vivere.”

Per un attimo, il silenzio ci avvolse e io mi accorsi che ci eravamo fermati. Percy stava aprendo la porta di casa e mi fece cenno di precederlo. Seguii le scale e raggiunsi il suo appartamento e misi a posto la giacca. Ma quando cercai di avvicina al divano sentii che lui mi stava trattenendomi per la vita, costringendomi a voltarmi.

“Dimmi… in questa nuova vita? C’è posto per il tuo salvatore?” Chiese, malizioso.

Mi accorsi solo in quel momento di quanto eravamo vicini.

Deglutii a fatica, sentendomi lo stomaco invaso da miliardi di farfalle che volavano in formazione.

Il mio cervello era in tilt, ragionare era impossibile e il cuore batteva così veloce che pensai potesse esplodermi.

“Se vuoi… non ho nulla in contrario, Testa d’Alghe.” Risposi, in un sussurro, avvicinandomi sempre di più al suo viso.

Le nostre labbra si incontrarono, mentre lui continuava a stringersi sempre di più a me. Le mie si dischiusero automaticamente, accarezzando le sue morbide e lisce con un delicato sapore salmastro. La sua lingua indugiò, quasi a chiedere permesso, ma quando fui io, a prendere l’iniziativa, lui non perse tempo e ricambiò con passione. Era la cosa più bella che avessi mai provato, credo in entrambe le vite che avevo vissuto. Il suo corpo era caldo e il suo tocco mi faceva fremere di eccitazione. Le sue mani mi accarezzavano i capelli e la sua mano mi faceva tremare dal piacere. Mi strinsi a lui, intrecciando le dita tra i suoi capelli, mentre lui dischiudeva le labbra, quasi mi stesse concedendo un dono.

Rimanemmo così per quasi un minuto finché i polmoni non reclamarono aria, solo allora mi allontanai da lui, senza però, sciogliere l’abbraccio.

“Sei bellissima, Annabeth…” Sussurrò Percy, appoggiando la sua fronte alla mia.

“Anche tu.” Fu la mia risposta. Mi accoccolai a lui, appoggiando il viso sull’ampio petto di quel ragazzo che mi aveva rubato il cuore. “Sono felice che sia stato tu a trovarmi.”

 

 

 

 

 

 

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Potrei dire migliaia di cose su questo capitolo, ma preferisco che siate voi a commentar,e perché questo è IL capitolo, forse più importante della storia, perché si unisce la coppia e si scopre qual cosina *Fischietta*

Commentate, che è il capitolo, spero migliore.

AxXx

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Coppie ***


                                                 COPPIE

 

 

 

 

È davvero incredibile come la vita può cambiare in meglio, anche quando ti sembra tutto finito. Venti giorni prima era una ragazzetta spaventata ed impaurita dalla sua stessa ombra, senza memoria, senza una casa, senza un lavoro e senza nemmeno un nome.

Invece, grazie a Percy, era tutto cambiato: ormai casa mia e casa sua erano la stessa cosa. I signori Wilson, mi avevano accettato come babysitter di Lucy, una dolce bambina di otto anni, molto tranquilla, ma anche molto curiosa, che non mi dava nemmeno grosse difficoltà, permettendomi di guadagnare poco, ma a sufficienza, in modo da poter, almeno, aiutare Percy a fare la spesa, quando ne aveva bisogno o a tirare avanti, dato che era difficile essere in due in una casa così piccola.

Continuavo a prendere lezioni di autodifesa, da lui, imparando mosse nuove e sentendomi sempre più forte. Lui mi faceva fare anche degli esercizi per tonificare i muscoli e in dieci giorni, già si vedevano i primi risultati.

Ero un po’ più forte ed ero in grado di correre a lungo senza risentire troppo della stanchezza. Percy ci scherzava su, dicendo che gli avrei potuto rubare il lavoro, ma io sapevo che ero lui il maestro.

Ogni sera ci sedevamo insieme sul divano a guardarci un film, ma io tenevo sempre gli occhi fissi sulle sue iridi verde mare che mi attiravano irresistibilmente. Anche lui non faceva molto caso a ciò che mettevamo, sembrava quasi che accendessimo la TV solo per fingere che tutto, in quella casa, non fosse cambiato, quasi un rituale da seguire.

Io mi accoccolavo a lui, per ascoltare il regolare battito del suo cuore che mi rilassava, mentre mi accarezzava la schiena e i capelli. I suoi baci erano di una dolcezza infinita e io rabbrividivo sempre, come se fosse la prima volta.  

Avevamo, persino, smesso di dormire separati: dormivamo nello stesso letto, abbracciato come bambini. Non fraintendete, non mi sentivo ancora pronta a certe cose, ma non mi dispiaceva sentirlo accanto a me, poco prima di dormire.

Le sue braccia forti erano un scudo contro gli incubi del mio passato che facevo di tutto per ignorarli. Ed io mi stringevo a lui, sicura che i mostri che affollavano i miei sogni non si sarebbero avvicinati a me.

Ormai avevo deciso di lasciarmi alle spalle il passato: era perso, dimenticato. Forse l’avrei ritrovato, ma ormai avevo una nuova vita. Non ne potevo più di angosciarmi per qualcosa che avevo perso quando quello che aveva trovato era così bello. Non navigavo nell’oro, ma almeno era una vita. Avevo un ragazzo straordinario, dei bellissimi amici e un posto da chiamare casa Cosa potevo volere di più?

Con loro mi trovavo bene e non mi sentivo più sola, inutile, stupida o dimenticata. Ora mi sentivo sicura e forte. Sapere di avere delle brave persone su cui contare era un grande sollievo e la loro presenza mi dava sempre forza, quando ricadevo, per qualche istante, nel vortice di disperazione che la mia mente ancora ospitava. Ma poi mi bastava scambiare due parole con Rachel, Piper o Talia e subito mi riprendevo.

Ogni tanto andai a mangiare da Nico che sembrava soddisfatto del fatto che noi stavamo insieme. Mi dette una mano e, quando chiesi notizie di Bianca, mi disse che lei sarebbe stata via fino alla fine del mese, ma che aveva chiesto di me, augurandomi di essere felice con Percy.

Ebbi anche la possibilità di rivedere Leo che mi deliziò con una serie di battute dal dubbio gusto, ma che alla fine divertivano. Era un tipo a posto, quando non flirtava con me, con quei suoi modi allusivi e non mi chiamava “Turista Demente”.

Erano passati esattamente cinque giorni da quando ci eravamo messi insieme. Percy rientrò a casa con un po’ di ritardo. Il mio turno di lavoro come babysitter era concluso da poco, di solito tornavo verso le quattro, quando la signora Wilson tornava da lavoro e si occupava personalmente del figlio. Invece lui tornava, di solito, mezz’ora dopo, ma quel giorno erano addirittura le cinque.

“Indovina chi sono?”

“Non lo so… vediamo… un ragazzo bellissimo?” Chiesi, maliziosa, fingendo confusione.

“Solo? Mi potrei offendere, signora smemorata.” Brontolò lui, dandomi un bacio sul collo, provocandomi un brivido di piacere.

“Dai, Percy… smettila.” Ridacchiai, riferendomi, non al bacio, ovviamente.

“D’accordo, ma devi promettere di tenere gli occhi chiusi.”Disse, scostando le mani.

Io ubbidii, appoggiandomi al suo petto, sospirando. Sentii le sue mani appoggiarsi alle mie gambe, lasciandovi una specie di cartoncino quadrato, ricoperto da una membrana che mi ricordava carta da regalo.

“Ora puoi aprire gli occhi.”

Mi ave dato una scatoletta bianca, con un fiocco da regalo rosso. Non capivo perché mi stesse facendo un regalo, non era passato nemmeno troppo tempo da quando ci eravamo messi insieme. Lo aprii curiosa e dentro ci trovai un cellulare. Non era una versione moderna, quelli ultrapiatti in cui dovevi battere sullo schermo, per scrivere, ma aveva l’aria nuova e sembrava in ottimo stato. Era bianco, con una striscia rosa che lo attraversava al centro e dietro c’era inciso con vernice dorata in modo stilizzato ‘Alla mia Sapientona’.

“Spero ti piaccia… l’incisione in vernice dorata l’ho chiesta come personalizzazione, ma non sapevo se il colore…”

Non gli detti il tempo di finire, perché gli detti un bacio sulle labbra.

“Percy… io… grazie, davvero… ma… quanto hai speso!?” Domandai, rivolta a lui, commossa. Non sarà stato l’ultimo modello, ma a me bastava che fosse un suo regalo. Non era indispensabile, forse, ma era un pezzo di normalità in più nella mia vita.

“Non molto credimi… volevo solo farti un pensierino. Inoltre ho già preparato tutto, il tuo numero è già attivo, così puoi chiamare chi vuoi. Ho pensato che ti sarebbe…”

Lo interruppi voltandomi e dandogli un bacio sulle labbra che lui, inizialmente, non riuscì a ricambiare dalla sorpresa. Ero felice che lui pensasse a me. Mi dispiacque un po’, ma non riuscivo a resistere. Sapevo che lui era un tipo parsimonioso, quindi quel regalo valeva doppio.

Lui si allontanò da me e mi tenne stretta: “Sei irresistibile.”

“Anche tu, testa d’Alghe.” Risposi, accarezzando i suoi capelli mossi come le onde del mare.

All’improvviso, però, sentii le sue mani scendermi in vita, per poi risalire sotto la camicetta, lungo la schiena, provocandomi dei brividi. Per un attimo fui tentata di farlo continuare, ma lo fermai. Non me la sentivo ancora di andare così oltre, nel nostro rapporto. La cosa mi metteva un po’ in difficoltà. Per fortuna lui non insistette e si fermò, dandomi un leggero bacio sulle labbra.

“Oggi devi uscire?” Mi chiese, allontanandosi da me, e sedendosi.

“Sì… Piper mi ha chiesto una mano per una cosa.” Risposi, prendendo una borsa (Quella me l’ero comprata io). “Ci vediamo sta’ sera?”

“Certo, amore… ti aspetterei per cento anni.” Scherzò lui, facendomi l’occhiolino.

Sorrisi di rimando e mi avvicinai a lui schioccandogli un bacio sulla guancia, prima di uscire.

 

 

 

Piper e io ci incontrammo di nuovo allo stesso centro commerciale dove ci eravamo viste il primo giorno. Lei stava giocherellando con le ciocche dei suoi capelli asimmetrici che, però, non la rendevano meno bella di quanto fosse. Un po’ la invidiavo perché lei riusciva a sembrare molto bella senza dover riempire di tre chili di trucco.

“Ciao Piper… come te la passi?” La salutai, dandole un bacio sulla guancia.

“Io sto bene… tu e Percy?”

Ormai il fatto che ci eravamo messi insieme era diventato di dominio pubblico e Piper era stata la prima a darmi una mano in questo senso. Sembrava volermi aiutare a non farmi finire nella sua stessa situazione, da quando Jason l’aveva lasciata.

Cioè, non l’aveva proprio lasciata, solo che era andato a letto con un'altra persona.

“Allora vieni… oggi voglio proprio rilassarmi.” Disse la mora, sorridendo, cercando di nascondere il suo dolore. Da quando si erano lasciati lei era continuamente triste e cercavo in tutti i modi di farla stare su.

Stranamente, Piper aveva come me, la passione per i film e i libri, quindi, il nostro modo di divertirci era andare nelle librerie o nelle videoteche alla ricerca di qualcosa di interessante. Lei adorava parlare delle trame e dei film e io la ascoltavo volentieri. Se ne trovavamo uno che ci piaceva, di solito, lei me lo comprava, nonostante io cercassi di protestare. A lei non piaceva mostrare la sua ricchezza, ma adorava farmi i favori, e alla fine riusciva sempre a convincermi.

“Allora… Percy ti ha regalato un cellulare, molto carino.” Disse, una volta usciti. Erano le sei del pomeriggio e ci eravamo fermati nello stesso bar dove ci eravamo fermate.

Io mi ero presa un gelato alla crema e lei al limone e mangiava, mentre mi illustrava tutte le opzioni del telefonino. Era molto energica, come se volesse ignorare il dolore che si portava dentro. A lei Jason piaceva davvero, ma la situazione tra i due era quasi del tutto rotta.

E proprio in quel momento arrivò il signor traditore.

“Piper!” La chiamò, correndo verso di noi.

“Andiamo Annie… improvvisamente il posto mi sembra troppo affollato.” Borbottò la ragazza, cercando di tirarmi via, ma io la trattenni. Avevo la sensazione che Jason ci avrebbe seguite e non volevo che ce lo trascinassimo dietro.

“Piper, ti prego, ascoltami!” Pregò Jason, sedendosi con noi.

Ora che lo vedevo da vicino, sembrava anche lui molto triste e aveva gli occhi lucidi, come se avesse pianto.

“Che cazzo vuoi!?” Sbottò Piper, furiosa. “Non ti è bastato scaricarmi in quel modo!? Avresti potuto avvertirmi che preferivi un’altra!”

Era la prima volta che la sentivo usare dei termini così pesanti e anche Jason doveva essere sorpreso perché sgranò gli occhi, sorpreso ed intristito.

“Credimi, Piper… stai fraintendendo tutto… io e Reyna… lei… io non l’ho baciata… lei era ubriaca fradicia. Si è avvinghiata a me e…”

“E ti si è appoggiata per sbaglio anche sulla tua bocca!?” Domandò Piper, furiosa.

“No… è lei che mi ha baciato! Una volta stavamo insieme, ma poi l’ho lasciata. Quella sera ha provato a flirtare con me, ma io l’ho allontanata, ma lei mi ha baciato lo stesso, mentre era ubriaca!” Spiegò Jason, sulla difensiva. Dovetti ammettere che, pur essendo improbabile, era comunque plausibile… una volta avevo visto Leo ubriaco che baciava Nico. (Da notare che poi Leo gli aveva tirato un ceffone incredibile, dopo.)

“E allora cosa ci faceva nella tua stanza!?” Sbuffò Piper scettica. Ovvio che non ci credesse, nemmeno io l’avrei fatto al posto suo.

“Te l’ho detto… era ubriaca! Non potevo lasciarla in mezzo alla strada alla mercé di qualche maniaco! L’ho portata a casa mia per farla riprendere, ma non abbiamo fatto nulla! Ti prego, devi credermi.” Jason continuava a tenere la voce relativamente bassa, ma sembrava sincero.

“Non potevi riportarla a casa?” Protestai, dubbiosa.

“Lei non ha una casa… è orfana, vive in un college ed è un college parecchio pesante: le regole sono chiare, l’avrebbero buttata fuori se fosse tornata in quello stato! Non volevo che si mettesse nei guai, per questo l’ho portata a casa mia.” Spiegò, guardandomi risentito, come se l’avessi costretto a dire qualcosa che non voleva.

Ci fu un lungo silenzio durante il quale sembrammo tutti e tra in attesa della decisione di Piper. Dovetti ammettere che, per quanto difficile da credere, era pur sempre possibile che Jason avesse detto la verità. Magari la ragazza aveva frainteso, ma ero dubbiosa io stessa, di quella storia. (Anche se dovevo ammettere che Percy, per aiutare Rachel avrebbe fatto probabilmente, lo stesso.)

“Senti Jason… la tua storia non mi convince…” Borbottò Piper, sospirando.

“Lo so, ma credimi è la verità.” Disse il ragazzo allungando la mano verso la sua, che, però, lei ritrasse.

“Ascolta, Jas, dammi tempo… vorrei pensarci su.” Sussurrò la ragazza, abbassando lo sguardo.

“Meglio di niente… mi dispiace, Piper, ma te lo giuro, non volevo.” Si scusò un ultima volta il biondo, cercando di incrociare il suo sgardo.

Sentendomi un intrusa mi voltai, cercando di ignorarli, come se volessi dar loro un po’ di privacy.

Fu allora che vidi di nuovo il ragazzo incappucciato che guardava Piper e sorrideva. Un sorrido freddo e crudele che mi fece rabbrividire.

Era il sorriso dei miei incubi.  

 

 

 

 

 

 

 

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo autore]

Io sono ancora qua! Ebbene, questo è un capitolo un po’ corto perché di “Passaggio” anche lui. Esso accompagnerà l’entrata in scena di un gruppo di personaggi… ehm… cattivissimi che faranno cose molto cattive.
Comunque sia, mi siete stati tutti di grande aiuto. Il capitolo precedente ha ricevuto una valanga di recensioni positive e ringrazio tutti quanti per il supporto.
Informo che ho iniziato un’altra ff su Percy Jackson (Anche se sono intenzionato a portare avanti questa, per prima) la storia riguarda una rivisitazione della Maledizione del Titano: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2459526&i=1
E mi farebbe molto piacere se, qualcuno di voi che tiene così tanto a me, volesse darci un’occhiata per dirmi che ne pensa, perché ho sempre bisogno del sostegno di voi recensori.
Per chi, invece, seguiva “Sangue del Nord” informo che il suo Seguito “Venti del Nord” avrà inizio lunedì con il primo capitolo di Alex.

Grazie a tutti e recensite tutte le mie storie! :D

AxXx

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Sparita ***


                              SPARITA

 

 

 

 

Quanto era passato da quel giorno in cui mi risvegliai in quella stessa casa, ignara di tutto, senza nemmeno un ricordo e senza sapere dove mi trovassi? Un mese. Trenta giorni esatti erano passati. Trenta giorni in cui la mia vita era cambiata, passando dalla peggiore delle pene, al migliore dei premi. Ormai ero di casa.

Mercoledì: il giorno libero di Percy, e infatti lui mi accolse in casa abbracciandomi e dandomi un lungo bacio sulle labbra, come se dovesse respirare la mia stessa aria per rimanere in vita. (Non che mi dispiacesse, dato che se non lo baciavo almeno una volta al giorno, rischiavo di andare in crisi di astinenza.)

“Bentornata, bellissima… com’è andata, oggi?” Mi chiese, non appena si fu staccato. (Cosa che mi provocò un gemito contrariato.) “Lucy ti ha dato problemi?”

“Come può averlo fatto… vivere con te mi allena a tutto, ormai.” Scherzai, io, intrecciando le mie dita tra i suoi capelli morbidi. Era uno dei miei passatempi preferiti: i suoi capelli erano bellissimi e metterci le mani era come toccare un onda in riva al mare. Scorrevano tra le dita come se fossero inconsistenti, provocando un leggero solletico che mi rilassava.

“Mmmmh… ora mi sto offendendo, signorina. Dimmi come mai dovrei permetterle di tornare qui, dopo avermi dato del bambinone?” Scherzò Percy, fingendosi arrabbiato.

“Già… sono proprio cattiva, ma tu sei il mio bambinone.” Risposi, avvicinandomi, sempre di più, lasciando che le sue mani mi stringessero la vita. “E questo…” Aggiunsi, dandogli un bacio. “è il motivo per cui non mi lasceresti mai.”

Percy sorrise e mi trascinò sul divano, abbracciandomi forte. Mi lasciai cullare dalla sua presenza, mentre sentivo le sue mani percorrermi dolci la pelle della schiena e i capelli biondi.

“Sei bellissima.” Mi disse, semplicemente.

Ispirai il suo odore di mare, che tanto amavo e lo guardai negli occhi.
Avrei voluto affogare per sempre nel suo mare, ma, ahimè, bisogna occuparsi della vita, quindi mi alzai e permisi a lui di fare altrettanto, anche se continuò a tenermi una mano che mi cingeva le spalle.

“Come sta’ tua madre? Che dicono i medici?” Domandai, pronta a tirarlo su di morale. Era una specie di rito, ormai: ogni mercoledì lui usava il giorno libero per andare a far visita alla madre, Sally Jackson, in coma. Nell’ultimo mese avevo cercato di aiutarlo, ma quando lui tornava, con quell’aria affranta e lo sguardo triste, mi piangeva il cuore.

“I medici… loro dicono che lei rimane in vita, ma non possono fare altro.” Sospirò, lui. Voltandosi verso di me.

Eccolo: quello sguardo triste, come se fosse sul punto di piangere. Potevo sentire nella sua testa la sua voce che ripeteva: Non piangere, sii forte. Non piangere, sii forte. Non piangere, sii forte. Lui era così, era forte. Doveva esserlo perché lo era stato per tutta la vita. Ma io avrei voluto che per una volta, almeno, abbandonasse quel duro guscio di paure e angosce e che venisse da me. Che capisse che su di me poteva contare e che si sfogasse.

“Le saresti piaciuta, sai?” Disse, facendomi riemergere dai miei pensieri.

“Davvero?”

“Sì… vi somigliate così tanto. Anche lei era una donna forte. Nonostante non navigasse nell’oro, è riuscita a tirarmi su onestamente.” Disse, il ragazzo, accarezzandomi la guancia.

“Anche a me sarebbe piaciuto conoscerla.” Sussurrai, abbassando, tristemente lo sguardo.

Per qualche minuto rimanemmo seduto a fianco, senza parlare, quasi fosse un silenzo di lutto, poi lo sentii alzarsi e sospirare.

“Hai progetti per oggi pomeriggio e sta’ sera?” Chiese, passandosi il braccio sul viso. Cercò di farlo passare come un gesto noncurante, ma ebbi la certezza che si stesse asciugando della lacrime.

“Oggi ho un appuntamento con Rachel e Piper, voglio che si conoscano. Tu?”

“Anche io avrei un appuntamento: Nico e Leo mi hanno chiesto una cosa sulla mia moto, e vogliono che vada in officina con loro a darle un’occhiata.” Rispose, sorridendo. Finalmente stava tornando normale. Sapevo che non poteva fare a meno di essere triste per la madre, ma vederlo così a pezzi mi faceva venire l’angoscia.

“Che ne dici di vederci insieme tutti sta’ sera? Bianca chiama per aggiornarci sul campionato di tiro con l’arco. Sembra sua in vantaggio.” Aggiunse, avvicinandosi a me e accarezzandomi la guancia.

“Certo… sono certa che a Piper piacerebbe.” Sospirai, allungando il collo verso la sua mano, come un gatto che cerca carezze.

“D’accordo… allora a sta’ sera, bellissima.” Mi salutò lui, dandomi un bacio sulla guancia.

 

 

 

Da quando Piper era diventata amica mia, aveva iniziato a frequentare anche Rachel che sembravano andare molto d’accordo. Ci eravamo messe tutte insieme per aiutarla a ritrovare un po’ di affiatamento con Jason, anche perché Piper era ancora molto dubbiosa sulla veridicità delle sue parole. Sospettava che il ragazzo la volesse solo per divertirsi e lei non voleva essere sfruttata.

Così si era rivolta a noi per poter avere aiuto. Rachel era sincera, gentile e diretta, andava sempre al sodo e questo aiutava ad affrontare meglio le cose.

Quel pomeriggio arrivai al centro commerciale con l’aria primaverile che si faceva sentire anche nell’inquinatissima New York. L’aria si era riscaldata e il freddo aveva lasciato il posto ad un tepore fresco e rilassante. Ormai mi ero abituata a vivere lì.

Avevo persino chiesto a Talia di smettere di cercare informazioni.

Ormai avevo perso le speranze di tornare indietro, dopo un mese senza informazioni. Nemmeno la polizia aveva trovato nulla, così mi ero rassegnata. Non che la cosa mi dispiacesse, soprattutto perché c’era una cosa (o meglio una persona) che mi tratteneva lì. Il suo nome iniziava con la P e finiva con la Y.

“Annabeth!” Mi salutò Rachel, agitando la mano, sorridendo, con i riflessi del sole tra i capelli che li facevano sembrare in fiamme.

“Rachel!” Risposi, correndole in contro baciandole la guancia. “Ti trovo bene! Come va’ la raccolta di firme?”

“Abbastanza bene… questa volta io e Grover ci siamo dato da fare… poi si è unita a noi una certa Juniper Green, una ragazza vivace che sembra molto decisa in questo senso. Ci ha dato una mano.” Disse, mentre camminavamo lungo il viale. Avevamo appuntamento con Piper al parco, così approfittammo per raccontarci qualcosa, dato che ultimamente non l’avevo vista molto.

“Allora… come va’ con Percy?”

Sussultai. Non volevo iniziare con quel particolare argomento. Lei era stata con Percy, in passato, ma poi si erano lasciati. Una parte di me si sentiva in colpa con la rossa perché mi sentivo come se le avessi rubato il posto.

“Lascia stare.” Mi anticipò, intuendo i miei pensieri. “è meglio per tutti. Non era destino che stessimo insieme. Lui aveva bisogno di una ragazza che tenesse davvero a lui e che lo capisse. A quanto pare tu sei caduta dal cielo a posta per lui.”

“Però… scusa se te lo dico, ma lui stava con te. Non ti dispiace che io… be’, chiunque se la prenderebbe. Sarebbe umano.” Le feci notare io. Non che non fossi contenta, ma era un comportamento che non mi aspettavo.

“Ma io non sono chiunque. Lui ha bisogno di essere felice, ha sofferto molto per la madre e per ciò che ha passato in passato. Saperlo felice rende felice me, quindi, se tu lo rendi felice, allora sono felice anche io.” Rispose Rachel con un gran sorriso.

Io la abbracciai: “Grazie.”

Arrivammo al parco verso le quattro del pomeriggio, proprio l’ora in cui avremmo dovuto incontrare Piper, che, però, non era presente.

“Che strano… di solito è puntuale…” feci notare, guardandomi intorno, alla ricerca dell’inconfondibile capigliatura asimmetrica e la carnagione color cioccolata.

“Già… magari ha incontrato traffico. O la metropolitana ha avuto un contrattempo.” Ipotizzò Rachel, sedendosi su una panchina.

“Forse… forse hai ragione.” Dissi, sottovoce, cercando di non far trasparire i miei timori.

In questi giorni avevo visto il ragazzo con la cicatrice che ci seguiva sempre più spesso. Non ero sicura che mi avesse riconosciuta, ma temevo che lui non stesse guardando me. Si concentrava su Piper. Una volta, per curiosità, l’avevo seguito e lui l’aveva seguita fin sotto casa (Un appartamento in centro).

I miei timori erano che la mia amica fosse in pericolo.

La cosa peggiorò quando lei non apparve, nonostante passassero i minuti fino a che non arrivarono le cinque e mezzo.

“Ma dove può essere!? Se lo sarà dimenticata?” Chiese Rachel, perplessa, mentre controllava l’ora sul suo cellulare.

“Aspetta…” No, non le è successo nulla, se lo sarà sicuramente dimenticato. O magari è con Jason. O forse si è sentita male e si è dimenticata di disdire. Dai, Annabeth, non essere disfattista. Presi il cellulare e digitai il numero di Piper.

Suonava.

Nessuna risposta.

Di nuovo, ma nulla.

Dai, rispondi… dove sei finita!?

Nulla nemmeno la terza volta.

“Non risponde?” Chiese la rossa. Anche lei sembrò improvvisamente preoccupata.

Scossi la testa: “No… sono un po’ in ansia.”

“Forse è con Jason… ultimamente cercavano di riallacciare i rapporti.” Propose, poco convinta Rachel. Intuii che anche lei stava cercando di non pensare alle ipotesi peggiori.

Decidemmo di andare a cercarla, pur sapendo che, forse, non era nulla. O almeno lo speravamo. Ci dirigemmo alla più vicina stazione della metropolitana e prendemmo il primo mezzo per il quartiere della famiglia Grace, mentre il mio cervello stava affogando nel timore per la mia amica. Non potevo credere che stesse succedendo qualcosa del genere e più andavo avanti, più mi sembrava di sentire una sensazione di Deja Vu che non avevo mai provato. Come se avessi avuto un esperienza del genere.

Doveva centrarci sicuramente il tipo che seguiva Piper, perché era l’unica cosa, del suo passato, che ricordava con una certa precisione, anche se non erano sensazioni felici.

Arrivate a casa, però, le mie preoccupazioni sembrarono avverarsi come nel peggiore dei miei incubi: Jason era attaccato al cellulare, come se stesse cercando di contattare qualcuno. A quanto pare aveva beccato la segreteria telefonica.

“Che succede?” Chiesi, temendo la risposta.

Il ragazzo si voltò verso di me, quasi spaventato: “Wow… che ci fate voi qui?”

“Stavamo cercando Piper… non si è presentata ad un nostro appuntamento.” Spiegò Rachel, affiancandomi. “Pensavamo vi foste riappacificati e foste insieme.”

“Magari…” Sospirò il biondo abbassando lo sguardo, sconsolato. “Oggi, dopo scuola, avremmo dovuto incontrarci. Ieri sera ci eravamo parlati, e lei si era decisa a darmi una seconda possibilità. Ma non si è presentata. L’ho chiamata almeno dieci volte, ma non rispondeva mai. Poi, circa mezz’ora fa, ho beccato solo la segreteria telefonica.”

Io e Rachel ci guardammo in ansia: Piper era sparita. Non poteva aver mancato due appuntamenti in un giorno solo.

“Forse è malata?”

Talia spuntò da dietro un angolo, con le braccia incrociate, e un cipiglio deciso.

“Ma… allora perché non ha risposto alle nostre telefonate?” Protestò il fratello, lasciandosi ricadere sul divano.

“Potremmo andare a vedere come sta’… parlate come e l’avessero rapita.” Protestò Talia. Effettivamente era un’idea un po’ strana, ma che ci potevamo fare? Avevo quella strana sensazione di pericolo che mi premeva contro il cranio che non mi permetteva di pensare ad altro.

“Sentite… forse hai ragione, Tal, andiamo a casa sua, so dove abita. Se sta male, dovrebbe essere lì.”Proposi, cercando di non pensare al peggio.

“D’accordo. Andiamo!” Ci incitò subito, Jason, conducendoci al garage che si apriva sul fianco della casa. A quanto pare aveva la patente quando si mise alla guida.

Non fu difficile attraversare le strade della città. Essendo pomeriggio, la maggior parte della gente era ancora in ufficio o a lavoro e le macchine che circolavano erano, per lo più, taxi e veicoli da trasporto. La macchina di Jason attraversava il traffico senza difficoltà, scivolando da una corsia all’altra. Dovetti ammettere che era un buon guidatore.

“Ci siamo.” Dissi, indicando il palazzo. Fu più problematico trovare parcheggio, ma alla fine, accostammo in un vicoletto non troppo sporco e decidemmo di lasciare lì l’auto.

Arrivati davanti alla porta dell’appartamento ci fermammo tutti quanti. Bussai alla porta, ma non ricevetti risposta. Bussai di nuovo e ancora nulla.

Iniziavo a preoccuparmi sul serio.

“Entriamo.” Sentenziò Jason, con un cipiglio deciso.

“Wow… ehi, cowboy! Non ci pensare, questa porta non è tua, non la puoi sfondare.” Scherzò Talia, ridacchiando. In effetti sembrava davvero intenzionato a buttarla giù.

“Ma che dici!?” Domandò lui, sbattendo le palpebre perplesso. Estrasse, allora, un mazzo di chiavi e ne infilò una nella toppa, aprendo la porta. “Piper me ne ha dato una copia.”

Appena entrai mi resi conto che qualcosa non andava: la casa sembrava deserta, ma le tende erano chiuse, come se nessuno le avesse scostate da quella mattina. Di solito Piper aveva l’abitudine di lasciare la borsa sulla sedia accanto alla porta, ma su di essa non c’era nulla.

Setacciammo la casa e io mi diressi in camera da letto. Della mia amica non c’era traccia. Il letto era rifatto, ma era freddo. Controllai il guardaroba, ma non trovai la giacca che ieri portava.

Non c’era.

“Ragazzi… di lei non c’è traccia!” Sbottò Rachel, mordendosi nervosamente le unghie.

Già…

A quanto pare lei, ieri sera, non era mai riuscita a tornare a casa.

 

 

 

 

 

 

 

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo autore ]

Questo capitolo è diverso dagli altri, quindi, cercate di essere buoni con me. *Occhioni da cucciolo* ops… ehm… Piper è sparita, e noi sappiamo bene chi è stato.

Annabeth inizia a ricordare, ma nessuno le crede, per questo dovrà essere lei a salvare l’amica (Perché c’è un certo capo della polizia troppo occupato in una campagna elettorale, per stare dietro ad una ragazza scomparsa) 

Quindi, continuate a seguire la storia che si avvicina alla fine e ricordate che c'è anche la mia altra storia che mi piacerebbe se tutti voi ci andaste a dare un'occhiata. Vi prego, ho bisogno sempre di recensioni *Occhioni da cucciolo*
AxXx

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Ricordi ***


                                                     RICORDI

 

 

 

 

 

Non credevo fosse possibile, dopo quasi un mese. Invece, ecco che iniziano a riaffiorare. Sono orribili i primi ricordi che mi tornano in mente, perché non credo siano quelli della mia famiglia. Mi trovavo in una stanza ampia e poco illuminata.

Nel ricordo riuscivo solo a sentire un forte odore di benzina e un terribile dolore ai polsi. Il flash durò solo pochi secondi, ma mi lasciò completamente senza fiato.

“Annie… cos’hai?”

Nonostante la confusione riuscii a mettere a fuoco gli occhi di Rachel che mi guardavano preoccupati.

“Io… sto bene.” Mentii, cercando di rimettermi in piedi senza troppi problemi. Ero caduta in mezzo al salotto di Piper e tutti mi stavano intorno preoccupati, ma, vedendomi sveglia decisero che non ero in pericolo.

“Meno male… almeno tu non sei in pericolo. Ma Piper…?” Chiese Talia, preoccupata.

“Andiamo da nostro padre. Dovrà intervenire quando saprà della sua scoparsa.” Propose Jason, sicuro. Al contrario della sorella, lui aveva un buon rapporto con il signor Grace, ma qualcosa mi diceva che non sarebbe bastato.

“Tentare non costa nulla… e potremmo riuscire a salvare.” Disse Rachel, posando una mano sulla spalla di Talia che sembrava sul punto di ribattere.

Mi sembrò la mossa giusta: la rossa voleva evitare un litigio tra i due fratelli, soprattutto in quel momento in cui perdere tempo era inaccettabile. Il problema era che io non mi sentivo molto bene. Mi sentivo come se il mio cervello fosse stato aperto con un coltello a posta per far riaprire i ricordi più dolorosi. Quella sensazione di deja vu si era trasformata nel mio passato.

“Io… sentite… io trono a casa… sto… sto poco bene. Vorrei tornare a casa.”Ansimai, cercando di non farmi sopraffare dalla nausea.

Dovetti sembrare un vero zombie, perché nessuno protestò quando tornai a casa mia. In seguito non avrei potuto dire come riuscii a tornare, dato che il mio cervello continuava a proiettare immagini orribili di quello che mi era successo. Intuii che no solo quello fosse l’immagine di un mio rapimento, ma anche del motivo per cui avevo perso la memoria.

Arrivai alla porta che, ormai barcollavo per non vomitare. Mi sembrava di sentirmi ancora addosso le sue manacce schifose, mentre mi sporcava con la sua saliva. Avevo il desiderio di andare a farmi una doccia per pulirmi dal sudiciume che la sua sola presenza mi lasciava.

“Annie, che hai?”

Percy.

Lui era già tornato e vedermi in quello stato doveva averlo spaventato, perché me lo sentii subito a fianco, stringendomi in un tenero abbraccio che mi fece stare molto meglio. Per fortuna avevo lui.

“Percy…” Mi strinsi a lui, ispirando il suo odore salmastro, come se fosse appena andato in spiaggia. Sentii il nodo che avevo alla gola, sciogliersi di colpo e tutte le mie preoccupazioni fuoriuscirono in un colpo solo.

Iniziai a piangere in silenzio, stringendo la sua maglietta. Le sue mani indugiarono su di me, accarezzandomi i capelli per confortarmi. Iniziò a cullarmi, come una bambina e io lo lasciai fare, singhiozzando. Avevo paura di quel ragazzo dei miei sogni. Quel mostro che era così prepotentemente riapparso per rapire una mia amica e riportarmi nel vortice oscuro che mi aveva ingoiato.

Ci volle qualche minuto per riuscire a riordinare le idee, ma alla fine ci riuscii e sciolsi l’abbraccio, anche se mantenni la mano attaccata al suo petto. Dovevo avere un aspetto terribile: con gli occhi rossi e l’aria sconvolta, ma cercai di reagire. Non potevo piangermi addosso mentre Piper era in pericolo.

“Annie… che cos’hai? È successo qualcosa?” Mi chiese Percy, asciugandomi una lacrime che mi imperlava la guancia destra.

Io lo guardai negli occhi e gli presi la mano per portarlo al divano dove ci sedemmo. Presi un lungo respiro e gli raccontai ogni cosa: ogni paura, ogni timore, i miei ricordi che erano così improvvisamente tornati e della sparizione di Piper. Lui rimase in ascolto, senza dire una parola, attento e silenzioso come ogni giorno, dopodiché mi prese il viso tra le mani, per farmi voltare verso di lui.

“Annie… Mi dispiace davvero. Non posso nemmeno immaginare cosa stai provando in questo istante. Ma io so che sei una ragazza forte e che riuscirai a superare questo momento. Io sarò qui, al tuo fianco, ogni qual volta sentirai il bisogno di qualcuno. Tu ce la farai… io ne sono certo. E se quel pazzo dovesse tornare a cercarti, non gli permetterò di metterti le mani addosso. Prima dovrò passare sul mio cadavere.” Sentenziò lui deciso, con lo sguardo pieno di compassione per me e rabbia per quel che mi avevano fatto.

“Ma… se dovesse venire, potrebbe farti del male Percy! Non voglio che ti succede qualcosa… non voglio perderti.” Sussurrai, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime al solo pensiero. Se quel pazzo era riuscito a rapirmi era sicuramente armato e pronto a tutto.

“Annabeth… non dire sciocchezze. Non mi perderai, te lo prometto. Io per te ci sarò sempre.” Detto questo, si sdraiò sul divano, stringendomi e trascinandomi con lui. Eravamo sdraiati insieme, io sopra di lui, che mi stringeva, dandomi leggeri baci su tutto il viso, confortandomi, mentre le mie mani continuavano a tenerlo, quasi temessi di vederlo svanire da un momento all’altro.

Non mi lasciò per diversi minuti e io non volli allontanarmi. La sua presenza era un balsamo,  una medicina contro il dolore che provavo, come se fossi tornata all’inizio: lacerata tra la nuova vita e la vecchia che tornava prepotentemente a galla con i ricordi peggiori.

“Annie… che ne dici se ti fai una doccia, poi andiamo a quella cena. Sta’ sera dovevamo andare da Nico, ricordi?”

Annuii.

Percy stava cercando di tirarmi su, ma dubitavo che bastasse. Nonostante questo cercai di non farmi prendere dalla tristezza e mi trascinai in bagno con il cambio di abiti e mi spogliai. Osservai nello specchio il mio corpo che ormai sapevo violato da quell’animale e sentii di nuovo montare la nausea. Mi lanciai sotto il getto dell’acqua calda e mi lasciai cullare dalla sensazione di trovarmi in un posto sicuro.

Avrei preferito le braccia di Percy per stare meglio, ma non potevo rinchiudermi a tartaruga per sempre. Fare la muffa non mi avrebbe salvata. Inoltre il pensiero di Piper in pericolo era un chiodo fisso. Sentivo che lo era e che dovevo aiutarla.

Mi detti una pulita veloce e mi asciugai, velocemente, legandomi i capelli a coda.

Ormai avevo scelto: non avrei più avuto paura del mio passato.

 

 

 

“Allora… com’è andata?” Chiesi a Talia, appena fece il suo ingresso in casa Di Angelo.

Io ero andata con Percy da Leo, Nico e Grover che si erano riuniti a casa sua. Quando avevamo raccontato loro cos’era successo l’aria si era fatta pesante e nessuno aveva più voglia di mangiare nulla. Leo era diventato pensieroso, Leo aveva cercato di fare una battuta con il solo effetto di deprimere tutti e Grover si mise a mangiare salatini (Cosa che faceva spesso quando era nervoso) fino a che, per sbaglio, non morse il piattino che si era portato inavvertitamente alla bocca, facendosi malissimo. (Una cosa che rialzò, per qualche istante il mio umore.

Poi erano arrivate Rachel, Talia e Jason, che sembravano abbattuti e arrabbiati.

“Mio padre è un’idiota!” Sentenziò la mora, dando un calcio al muro.

“Perché? Che ha detto?” Chiese Nico, in ansia.

“Niente… all’inizio sembrava vagamente interessato, ma poi ha chiamato Tristan Mclean, il padre di Piper. Be’, non so cosa si siano detti, ma sembra che il Signor Mclean abbia detto che Piper si fosse allontanata volontariamente e che era molto impegnata e che non voleva essere disturbata.” Rispose Rachel, sedendosi accanto a Leo che, sorprendentemente, le si avvicinò dandole una pacca comprensiva sulla spalla.

“Ma è assurdo! Se ne sarebbe andata senza avvertire nessuno di noi!?” Sbottai, irritata. “Non è possibile, vostro padre DEVE intervenire!”

“è quello che gli abbiamo detto.” Rispose Talia prontamente. “Solo che lui ha risposto che non vuole indispettire i Mclean. Loro appoggiano la sua campagna elettorale e non vuole perdere il sostegno di cui gode. Così non ha nemmeno provato a cercare… semplicemente ci ha buttati fuori dal suo ufficio.”

Nico si avvicinò alla ragazza e le posò una mano dolce sulla spalla: “Tal, non è colpa tua. Avete fatto il possibile.”

Le sorrise tristemente e abbracciò il ragazzo per un attimo, sospirando, poi si staccò, lasciandolo un po’ sorpreso.
Per un attimo rimanemmo tutti fermi ai nostri posti, indecisi su cosa dire o fare, ma poi Percy ruppe il silenzio.

“Allora? Che facciamo?”

Tutti si voltarono a guardarlo.

“Come che facciamo? È la polizia ad occuparsi di queste cose, le regole sono chiare.” Disse, sconsolato Jason. Sembrava terribilmente abbattuto. Non potei dargli torto, non potevo nemmeno immaginare come si sentisse.

“Al diavolo le regole, Grace! È la tua fidanzata che è sparita! Io non la conosco nemmeno bene, però non rimarrò con le mani in mano! Quindi, Grace, tira fuori le palle e datti da fare! Se vuoi rivederla, smettila di seguire le regole e datti da fare!” Sbottò Percy, battendo i pugni sul tavolo.

Però che ramanzina.

Jason sembrò turbato da quel discorso. Tamburellò velocemente le dita sul tavolo un paio di volte prima di alzare le spalle: “Hai ragione, Jackson. Devo smetterla di seguire mio padre come un cagnolino. Faremo da soli!”

“E bravo fratellone!” esclamò Talia, dandogli una pacca sulla spalla. “Finalmente ti fai valere.”

Lui sorrise tristemente, ma il fatto che fossimo tutti d’accordo mi rincuorò e mi fece sperare che le cose stessero per migliorare.

“Ok, bene ragazzi… forse siamo determinati, ma su una cosa Jason ha ragione: non siamo poliziotti, non abbiamo i loro mezzi e non abbiamo nemmeno un indizio su dove possano averla portata.” Fece notare Leo, grattandosi i capelli pensieroso.

“Forse no… io… potrei avere qualcosa.” Dissi esitante, cercando di non farmi prendere dal panico. Avevo paura di condividere le mie esperienze, soprattutto perché non volevo che mi giudicassero.

Fortunatamente la mano di Percy corse sulla mia, stringendola. Mi guardò con i suoi intensi occhi verdi annuendo, mostrandomi che approvava e che mi avrebbe aiutata. La sua presenza mi dette coraggio, così presi un respiro profondo e raccontai dei ricordi che mi erano tornati in mente quel pomeriggio.

Ci volle un po’ perché continuavo ad esitare indecisa oppure spaventata, ma cercai di non interrompermi troppe volte. Un paio di volte sentii la mia voce incrinarsi, ma non mi fermai fino alla fine.

“Se quello stronzo ha messo le mani addosso a Piper, giuro che gli spezzo le ossa!” Sbottò Jason, a denti stretti.

“Calma, amico… prima di spaccargli la faccia dobbiamo trovarlo… almeno adesso sappiamo che c’è il tipo che seguiva Piper e che probabilmente l’ha rapita è lo stesso che ha fatto perdere la memoria ad Annabeth.” Lo calmò Leo, facendo battere l’indice sul tavolo, come per contare. 

“Annie… lo so che non è piacevole… ma non c’è altro? Non c’era un nome… qualcosa di più per identificarli?” Chiese gentilmente Rachel alla mia sinistra, tenendomi una mano dietro la schiena, come per accarezzarmi, quasi fossi un cucciolo.

Scossi la testa, mentre continuavo a spremere le meningi alla ricerca di quel particolare che mancava. C’era qualcosa, ne ero certa, che poteva aiutarci.

“Ragazzi… non tormentate più Annabeth… lei ha detto tutto quello che sapeva. Evitiamo di rendere tutto ancora peggio.” Li ammonì Percy, stringendomi la mano protettivo.

Ma io non lo ascoltai. Cercavo nei ricordi, scavavo nella memoria, alla ricerca di qualcosa di particolare. Ero certa, sicura, assolutamente di aver sentito il nome del mio rapitore.

“Luke…” Mi sfuggì dalle labbra. “Il suo nome… è Luke.”

All’improvviso vidi Talia osservare Percy che sussultò, come se gli avessi tirato un pugno con la sola pronuncia di quel nome.

“Io… credo di sapere qualcosa su di lui.” Ammise, dopo qualche minuto, abbassando la testa.

“Cosa!?” Chiesi, sorpresa. Il terribile sospetto che nacque nella mia testa, fu subito scacciato. Non poteva essergli complice.

“Non fraintendetemi… tempo fa, se ricordate bene, fui arrestato per essere presente sul luogo di uno scambio di merce rubata… in realtà… io ero lì per fare il palo. All’epoca non avevo lavoro e avevo assolutamente bisogno di un po’ di soldi. Un mio… conoscente… Ethan Nakamura, mi disse che, se avessi fatto il palo a quello scambio, mi avrebbero dato parte dei soldi.” Spiegò, tristemente. Fui certa che si sentisse in colpa. Potevo capirlo, anche se sapevo che lui non c’entrava nulla. Non aveva rapito nessuno e sapevo perché gli servivano soldi.

“Come ma non hai detto subito?” Chiese Nico accigliato, probabilmente sorpreso, dato che nemmeno lui sapeva nulla di quella storia.

“Perché all’epoca non aveva nessuna cicatrice… così quando l’avete nominato, non ho fatto subito il collegamento. Ma il nome… credo siano la stessa persona.” Disse, amareggiato.

“Hai ancora contatti con lui?” Chiesi, quasi del tutto certa della risposta. Non ne aveva mai parlato e se non l’aveva ricordato prima, non si incontravano da un pezzo.

“No… l’ho visto solo quella volta.”

“Però… aspetta… io conosco Ethan Nakamura!” Esclamò Leo, alzandosi in piedi.

“Davvero!?” Chiedemmo tutti in coro, guardandolo.

“Certo! Ha portato la sua moto alla nostra officina! Ci deve un po’ di soldi.” Spiegò il ragazzo, indicando se stesso e Nico.

Tutti ci guardammo, capendo che stavamo pensando tutti la stessa cosa: l’unico modo per ritrovare Piper era parlare con quel Nakamura.  

 

 

 

 

 

 

 

 

--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo autore]

Ci avviciniamo alla fine di questa storia romanticosa. Annabeth comincia a ricordare il peggio e, ovviamente, certi imbecilli a capo della polizia Gioven Grace non intervengono. Per fortuna Percy è sempre pronto ad essere in prima fila per difendere Annabeth da qualsiasi cosa, anche dal suo passato.

Cosa sucederà?

No, non velo dico, dovrete soffrire per il prossimo capitolo :P

AxXx

PS: andate anche qui, nella mia seconda storia: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2459526&i=1

PPS: è Iniziato Venti del Nord, seguito di Sangue del Nord, se andate nella sezione di Percy Jackson, li troverete.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** L'Incubo Torna ***


                                           L’Incubo Torna

 

 

 

 

 

Il giorno dopo mi sentii peggio di quello prima: avevo avuto sogni e ricordi poco piacevoli. Avevo anche iniziato a ricordare qualcosa del mio passato: qualche flash di casa e della mia scuola passata, ma ancora non ricordavo nulla di rilevante, nemmeno nomi o qualcosa di utile a identificarmi. Ero ancora Annabeth, la fidanzata di Percy Jackson, il ragazzo che mi teneva tra le braccia.

La sera prima eravamo tornati a casa devastati per quel che era successo. Io non riuscivo a staccarmi dalla sua mano e ci eravamo buttati nel letto abbracciati, con la sola consolazione l’uno dell’altra. Io mi sentivo uno straccio per quello che avevo raccontato e lui si sentiva in colpa per averlo aiutato. Ma io sapevo che lui non c’entrava: all’epoca era in una situazione difficile e aveva fatto quello che doveva. Non aveva ferito ne ucciso nessuno. Nessuno si era fatto male.

Lui, però, ne soffriva, perché era onesto e non avrebbe voluto.

“Buongiorno Annie.” Mi sussurrò, appena fu sveglio, stringendomi un po’ di più.

“Buongiorno a te, Perce… come ti senti?” Chiesi, aggrappandomi alla sua canottiera.

“Così e così… sono preoccupato.”

“Per cosa?”

“Per Piper… in mano a quell’animale che ti ha quasi violentata… e a te. Non voglio che ti succeda qualcosa. Non me lo perdonerei.” Spiegò, dolcemente, dandomi un bacio sulla guancia.

Mi accoccolai teneramente a lui, ordinando al mio cervello di spegnersi. Volevo solo assaporare il suo calore, sapendo che lo amavo e lui amava me.

Ci alzammo, insieme, e sentii le sue braccia intorno alla mia vita e mi dette un bacio sul collo. Erano baci dolci e misurati, quasi volesse farmi un massaggio per farmi stare meglio. E dovetti ammettere che funzionava alla grande.

“Andiamo… dobbiamo alzarci e vedere se c’è qualche novità.” Mi disse il ragazzo, sorridendo triste.

La mattina procedette nell’apatia più totale. Ci aggiravamo entrambi come zombie, nella casa. Ci lanciammo qualche occhiate e mi ritrovai a pensare che avrei preferito non ricordare nulla, pur di rimanere accanto a lui. La mia memoria aveva ferito tutti: io dal dolore di quel che avevo passato, lui facendolo sentire in colpa per il suo precedente errore. Perché non potevo tornare indietro.
Sembrava che mi capitasse di tutto per farmi star male. L’espressione addolorata di Percy mi fece sentire come se avessi un incudine al posto dello stomaco, impedendomi di mangiare.

Andammo a lavoro senza il solito entusiasmo, ma cercammo entrambi di sembrare normali. Feci giocare Lucy come se non mi stesse accadendo nulla e non feci parola con nessuno di quello che avevamo scoperto.

Il pomeriggio la situazione si sciolse.

“Annabeth… Leo sta venendo qui, ha qualcosa per noi.” Mi informò il ragazzo, stringendomi al ritorno.

Cinsi la sua vita e lo strinsi. Era l’unica cosa che mi permetteva di non impazzire, in quel momento. Ci sedemmo insieme sul divano, in attesa di Leo che, presto, entrò con l’ara un po’ ansiosa.

“Ehi, Jackson. Come vi trovate, piccioncini?” Chiese, con un sorriso sghembo e mooolto, forse troppo allusivo.

“Stiamo bene, Leo, e puoi chiamarmi per nome, sai?” Gli fece notare il ragazzo, incrociando le braccia. “Allora? Novità?”

Il giovane meccanico sembrò  irritato: “Oggi Nakamura è venuto da noi, così ne ho approfittato per chiedere qualcosa su Luke, dicendo che volevi parlargli. Lui… diciamo che è diventato subito sospettoso. Alla fine, però, mi ha detto che andrò in un locale: il Lotus, sta’ sera. Forse da ubriaco sarà più sciolto.”

“Meglio di niente… hai informato gli altri?”

“Certo… che intendi fare?” Chiesi Leo, guardando Percy, come se potesse leggergli nel pensiero.

“Mi pare ovvio: andrò a parlare con lui. So dove si trova il locale, più che altro, informa Jason, prima che decida di uccidere Ethan, mi serve vivo, se vuoi che parli.” Lo avvertì Percy, cercando di controllarsi. Era, evidentemente, avvinto da brutti ricordi, ma faceva ogni cosa per controllarli.

“D’accordo. Allora a sta’ sera.” Sussurrò Leo, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla, per una volta per niente desideroso di fare battute.

Appena fummo soli, Percy si passò una mano sulla fronte e sembrò sul punto di piangere.

“Perce… dai, non fare così. Non è colpa tua.” Dissi, accarezzandogli la guancia. Non volevo che soffrisse.

“Lo so… ma se avessi saputo cosa sarebbe successo… mi sento in colpa per quello che ti ha fatto.” Borbottò, allontanandosi da me.

No, questo non doveva dirlo.

“Non è vero!” Lo abbracciai di corsa, tenendolo stretto. “Sai… ho avuto molta paura per quello che mi ha fatto, ma io non avrei mai conosciuto te. Percy, so perché l’hai fatto: tu non c’entri. Io ti amo lo stesso.”

Sentii le sue braccia intorno alla mia vita, mi strinse forte e sentii le sue lacrime che uscivano, ma lui fu veloce ad asciugarsele.

“Grazie, amore mio.” Sussurrò, dandomi un bacio veloce.

 

 

 

Quella sera eravamo insieme davanti al Lotus, con Nico e Talia che ci coprivano, come aveva detto lei. Il moro le teneva la mano, cosa che mi sembrò strana, dato che Talia era una tipa forte, ma a lei non sembrò darle fastidio.

“Dov’è Jason?” Chiese Percy, guardandosi intorno.

“Ehi, non potevamo portarci dietro tutta la banda. Avremmo dovuto portare tutta la banda? Saremmo stati troppi e di sicuro, quel tipo Nakamura si sarebbe insospettito. Meglio, inoltre, che sia tu a parlargli.” Spiegò Nico, tirandogli un affettuoso pugno sulla spalla.

Percy no sembrò entusiasta, ma quando gli strinsi la mano lui sembrò incoraggiato ed entrammo tutti insieme.

Il locale aveva un aria fumosa e pesante, come se tutti stessero fumando. Avevo il naso invaso da forti odori di alcol e qualcosa che non volli identificare (Probabilmente vomito). La musica era sparata a tutto volume, tanto che facevo fatica a sentire me stessa parlare, mentre una strana sfera emetteva luci ad intermittenza sparandola a mitra nei miei occhi, dandomi un gran fastidio. Molti ragazzi che intravedevo appena, mi guardavano in modo lascivo e un paio di volte sentii delle mani poggiarsi sul mio sedere, cosa che mi fece sobbalzare e mi avvicinai ancora di più a Percy. Una volta uno provò a mettermi le braccia intorno al collo, ma io lo scansai, veloce.

Non mi piaceva quel posto, per niente.

Mi sentivo soffocare e avrei preferito trovarmi ovunque, ma la mia determinazione nel trovare Piper mi fece resistere e continuai il percorso insieme ai miei amici, fino al bancone, dove Nico si separò da noi.

“Io e Talia andiamo a sederci poco lontano. Vi teniamo d’occhio, in caso succeda qualcosa, chiamo la polizia.”Sussurrò, lanciandoci un occhiata complice, mentre metteva il braccio sulla spalla della ragazza come un perfetto fidanzato protettivo.

“Andiamo?” Chiese Percy, guardandomi, senza lasciare la mia mano.

Mi limitai ad annuire.

 

 

 

 

Al bancone trovammo un ragazzo, intento a bere un cocktail di non so cosa e non volevo nemmeno saperlo. Era moro, sui ventun’anni, magro e alto. Teneva i capelli scarmigliati, sparsi sulla testa, dandomi l’idea che si fosse pettinato con i petardi, ma aveva un’aria sciatta e cattiva, come se volesse pugnalare alle spalle il primo che gli capitava a tiro. (Cose che probabilmente faceva dato che teneva un coltello a serramanico alla cintura). Aveva una benda sull’occhio sinistro e questo gli dava un aria ancor più pericolosa.

Ci sedemmo accanto a lui, ma mi assicurai che tra me e Ethan ci fosse Percy: non volevo stare vicina a quel viscido essere. Mi faceva ribrezzo.

“Nakamura… sono un paio di anni che non ci vediamo.” Iniziò Percy, senza prendere nulla da bere. Anche io non presi nulla. Ogni tanto avevo provato a prendere una birra, ma dopo la seconda nausea, decisi che non ne valeva la pena di sentirsi male per quella porcheria. Avevo la sensazione, inoltre, che i cocktail fossero anche più forti.

“Jackson… sembra che tu abbia bisogno di soldi.” Borbottò l’altro con voce quasi cantilenante. A vederlo, in effetti, mi sembrò chiaro che fosse ubriaco: il suo unico occhio era lucido, in faccia aveva stampato un sorriso ebete e ciondolava un po’ la testa, quasi non riuscisse a reggersela sul collo.

“No… sono qui per riscuotere il favore.” Rispose subito, il mio ragazzo dagli occhi verdi deciso. Sembrava sul punto di tirare un pugno all’altro per fargli riacquisire un po’ di lucidità, ma si trattenne.

“Ah… d’accordo. Cosa vuoi?”

“Diciamo che… ho sentito delle voci su Luke… sai, il nostro amico comune.” Disse come se stesse sputando ogni singola sillaba. “So che sta facendo un po’ di soldi…”

Era stato molto vago, al punto giusto da far vuotare il sacco ad Ethan che, nelle sue condizioni, sembrò cascarci in pieno.

“Credimi… Jackson… non potrai mai entrare nel suo giro. Luke lavora in alto, adesso. Sonorc è un tipo pericoloso, ma sta facendo guadagnare un mucchio di soldi, sì. Aaaaaah, hanno chiesto anche a me di partecipare, ho accettato, ma mi hanno solo detto di fare il palo… bella la tua amica, te la sbatti?”

Mi sentii arrossire fino alla punta dei capelli, ma cercai di non darlo a vedere, nascondendomi dietro un finto sorriso perso, come se anche io fossi ubriaca. Percy, invece, avvampò, ma non commentò, lasciando correre.

“Dimmi di più, ti va’?” Chiese, cercando di apparire naturale.

Ethan probabilmente, era troppo ubriaco per poter reagire e continuò: “Oh, certo… ma sappi che non sì partecipa facilmente… non si fidano di nessuno. So solo che Luke, ultimamente, va sempre al porto… credo in un magazzino, ma non so quale di preciso.”

Abbastanza, come inizio. Percy gli pagò da bere e ci defilammo. Eppure avevo la sensazione che Ethan Nakamura mi stesse osservando, mentre correvo dietro al mio ragazzo, quasi fossi un pezzo di carne molto interessante.

No…

Non poteva avermi riconosciuta in quello stato.

All’esterno, Talia e Nico ci raggiunsero. Sembravano un po’ su di giri e notai che sulle labbra di lui c’erano delle tracce di rossetto rosso scuro, proprio come quello di Talia.

“Ehm… scusate, ma siete venuti qui per limonare o per tenerci d’occhio?” Chiese Percy, con un sorriso sghembo, facendo arrossire entrambi.

“N-non… non è come pensi…” Provò a protestare il ragazzo, palesemente a disagio.

Talia, però, nonostante fosse rossa riuscì a rispondere per le rime: “Dovevamo trovare una copertura, un tipo mi importunava così ho dovuto… prendere in prestito le labbra di Nico. Ora diteci cos’avete scoperto.”

Dovetti trattenermi dallo scoppiare a ridere perché avevo la sensazione che ha nessuno dei due fosse dispiaciuto prendere in prestito le labbra e avevo la sensazione che si fossero spinto un po’ più in là di esse. Percy, però, fu più netto e raccontò tutto, nonostante, anche a lui gli scintillassero gli occhi dal divertimento.

“Ti rendi conto che il porto della città è immenso!?!? Ci vorrebbero giorni per setacciarlo. In quel tempo… be’, non sappiano cosa potrebbero fare a Piper.” Sentenziò la mora, sconsolata.

Questa volta fui io a parlare: “Non potevamo spingerci oltre! Se l’avessimo fatto avrebbe capito e si sarebbe insospettito. Meglio questo che niente. Chiamate Jason e gli altri, inizieremo a setacciare l’area portuale. Se abbiamo fortuna e la troviamo, chiamiamo la polizia.”

“Io inizio subito. Io e Jason potremo farlo, lui è tutto il giorno che è nervoso, si sente inutile e potrebbe fargli bene un uscita serale.” Propose Nico, scoccando un occhiata ammiccante a Talia.

“Perché ho la sensazione che ci sarà anche Talia e che, probabilmente non vi limiterete a cercarla?” Chiesi, sorprendendo me stessa con quella battuta. Che mi stessi trasformando in Leo.

“Stupida, certo che no!” Disse la mora, tirandomi una patta amichevole sulla fronte.

 

 

 

 

Quella sera, a casa, Percy crollò a letto forse più per i suoi problemi che per la stanchezza. Sembrava triste e, nonostante avesse parlato con me, intuii che aveva bisogno di un po’ di tempo per rifletterci su.
Io, invece, non riuscii a chiudere occhio.

Mi rigiravo nel letto, come se fossi sporca. Sentivo come un sesto senso che mi diceva che qualcosa non andava. Nemmeno la vicinanza di Percy mi fu di conforto. Non erano i ricordi a colpirmi: ma la strana sensazione che lo sguardo di Ethan mi aveva lanciato, quasi mi avesse riconosciuta o intravista.

Alla fine mi alzai, sospirando.

Guardai la sveglia e mi resi conto che era ancora l’una di notte.

Sbuffai e, silenziosa, per non disturbare il ragazzo che dormiva accanto a me, scansai le coperte per andare in bagno. Avevo bisogno di rinfrescarmi. Aprii il rubinetto dell’acqua, facendola scorrere un po’ per farla diventare tiepida ed iniziai a sciacquarmi le braccia e il viso. Mi parve di sentire uno scricchiolio, mentre mi versavo l’acqua sul collo, ma non ci feci caso.

Mossa sbagliata.

Infatti, appena chiusi l’acqua l’aria mi parve stranamente silenziosa. Tornai nel salotto e mi accorsi che la luce era spenta, anche se ero sicura di averla lasciata accesa.

Mi accigliai.

Camminai verso la porta della camera, ma non la raggiunsi.

Due mani forti, dure e fredde mi afferrarono per la gola, tirandomi indietro.

Un rantolo terrorizzato mi sfuggì, ma subito, qualcosa mi chiuse la bocca, impedendomi di chiedere aiuto.

“Guarda un po’, per una volta non è l’erba cattiva a non morire.” Sussurrò una viscida voce, molto vicina al mio collo.

Era Luke.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo autore]

MUAHAHAHAHAHAHARGH!!!! *Risata malvagissima*

Ok, no, scusate il ritardo. Come va, lettori? Aspettavate questo capitolo? Sono stato sufficientemente cattivo?

Ebbene sì, vi lascio con un finale a sorpresa per farvi aspettare ancor più trepidanti il prossimo :P

Comunque, scusate il ritardo, davvero, è arrivato un periodo davvero negativo in casa mia, poi ho ricominciato con la saga principale i Venti del Nord sono arrivati pronti a fare a pezzi Crono e i suoi alleati nella serie Cronache del Nord.

Tuttavia sono riuscito a scrivere questo capitolo.

Vi informo che siamo arrivati alla fine e mi scuso, se delle volte non rispondo alle recensioni, dato che ho avuto, come già spiegato un periodo un po’ complesso.

A presto!

AxXx

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Ferite ***


                                                          FERITE

 

 

 

 

 

 

Era rivoltante.

Anzi peggio.

Era l’idea stessa dello schifo.

Sentii il suo fiato sul mio collo, pesante come piombo. La sua mano, premuta sulla mia bocca, mi soffocava, impedendomi di chiamare in aiuto Percy, che dormiva nella stanza accanto. Luke era stato bravo, non l’aveva nemmeno svegliato. Probabilmente l’avrebbe ucciso nel sonno, ma sentendo l’acqua scorrere, aveva deciso di prendere l’iniziativa e di approfittare per togliere di mezzo chi si era alzato.

Una parte di me ringraziò di aver permesso a Percy di vivere, ma quell’orribile animale, che mi toccava, spingendo le sue viscide mano, sotto il pigiama, mi faceva venire il vomito.

Lo sentivo come un serpente che mi accarezzava le curve del seno, avvicinandosi al mio ventre, senza provocarmi nessun piacere. Provai a mordere la mano davanti a me, ma lui la teneva ben serrata.

Provai a divincolarmi, ma appena mi mossi un po’ lui mi strinse le braccia intorno al corpo, impedendomi qualsiasi movimento semplice. Odiavo essere in trappola.

“Sai… non credevo fossi tu, quando ti vedevo con quell’adorabile ragazza mora. Credevo di avere le allucinazioni.” Iniziò Luke, abbassando la mano sui miei pantaloni, giocando con l’elastico. “Ma poi, quando Ethan è tornato e mi ha parlato di te… cavolo, sono fortunato.”

Le sue dita scostarono l’orlo, avvicinandosi ancora di più alla mia intimità, facendomi sobbalzare.

Se solo avessi potuto scappare, chiamare aiuto.

Non volevo che finisse così e non volevo che fosse lui a farmi questo.

Provai di nuovo a liberarmi, ma lui mi tirò i capelli, facendomi gemere dietro la sua mano serrata.

“Ssssh… ti piacerà, credimi. Alla tua amichetta non è dispiaciuto per niente.” Mi sussurrò con la sua viscida voce, leccandomi il collo.

Piper! Pensai, infuriata. Cosa le aveva fatto quel maniaco!?

La rabbia mi spinse ad agire: tentai di liberarmi, ma lui estrasse un coltello e me lo puntò alla gola.

“Ora sta’ zitta… che ci divertiamo un po’.”

Con una lentezza orribile, quasi si divertisse di più a torturarmi, piuttosto che avermi, iniziò a tagliare la parte frontale del mio pigiama lasciandomi scoperto il reggiseno.

Di nuovo gemetti, ma era un suono troppo debole per attirare l’attenzione di Percy.

Mentre sentivo la sua mano avvicinarsi al bordo dei miei slip, sentii la rabbia montare in me: quell’animale aveva fatto del male a me, mi aveva rubato la vita, aveva rapito Piper e probabilmente le aveva fatto del male.

Non potevo arrendermi.

Mentre la sua mano si faceva più audace, piegai la testa in avanti, come per arrendermi, portando con me il blocco. Luke era così eccitato che non pensò nemmeno a quello che volevo fare.

Ricorda, Annie: il viso è estremamente sensibile, un qualsiasi colpo al viso, farà indietreggiare il tuo avversario.

Spinsi con tutta la mia forza la testa all’indietro, con uno scatto repentino. La mia nuca impattò contro il viso di Luke e sentii un crack, un cedimento, forse gli avevo rotto qualcosa, ma l’importante era che lui si era ritirato, tenendosi il naso sanguinante, lanciando un grido di dolore.

Grazie, Percy… Pensai, ringraziandolo delle sue lezioni di autodifesa. Luke si asciugò il naso sanguinante e provò di nuovo ad aggredirmi, ma questa volta fui preparata: tesi la gamba e lo colpii lì, in mezzo alle gambe, dove fa più male, facendolo cadere a terra, gemendo di dolore.

“Percy!!! Percy aiuto!!!” Urlai, con tutta la mia forza, sperando che si fosse svegliato.

“Stronzetta, vieni qui!” Ringhiò Luke, afferrandomi per il collo, gettandomi a terra.

Per qualche secondo lottammo distesi per terra. Io gli rifilai un paio di calci e gli ficcai un dito in un occhio e un pugno alla gola facendolo rantolare dal dolore. Per un attimo riuscii a strisciare via, ma poi fui tirata di nuovo sotto di lui e mi tirò uno schiaffo.

“Ora basta!” Ringhiò con il naso che ancora sanguinava.

Le sue mani si abbassarono verso i miei pantaloni, ma prima che potesse fare qualcosa, due mani lo afferrarono per il collo, sbattendolo al muro con violenza.

“P-percy…” Mormorai sollevata nel vederlo.

Con la poca luce che filtrava dalla finestra lo vidi furioso che teneva serrata la gola di Luke che, pur essendo più robusto, sembrava in difficoltà. Non riusciva a liberarsi e rantolava, anche se sembrava più un ringhio animalesco.

“Toglile le mani di dosso, bastardo!” Urlò Percy tirandogli un pugno sul naso che si ruppe definitivamente. Dopodiché partì, tempestandolo di pugni, senza dargli la possibilità di reagire.

Luke, però, non si arrese e lo caricò a testa bassa, facendolo cadere sul divano.

“Jackson, sei sempre il solito, vero. Ti sei scelto proprio un bel bocconcino.” Lo schernì il biondo, tirandogli un pugno sul viso.

“Lascialo!” Strillai, saltandogli sulla schiena ed iniziando a graffiargli il viso alla cieca.

Il maniaco urlò tenendosi le ferite, cercando di scrollarmi di dosso, ma io continuavo a stringergli la gola con le braccia, continuando a graffiarlo furiosa. Non mi sarei arresa senza combattere, non questa volta.

Lui, allora, mi spinse contro la parete, schiacciandomi contro il muro.

Mi sentii mancare il fiato e lui riuscì a liberarsi, tirandomi un ceffone che mi stordì da quanto era forte.

Mentre cercavo di riprendermi vidi Luke e Percy affrontarsi nel salotto, ormai devastato dalla lotta. Il biondo era riuscito a prendere il coltello e provava ad incalzare l’avversario, ma il mio ragazzo era rapido e riuscì ad afferrare il braccio armato e torcerlo fino a fargli mollare la presa. Luke ringhiò e tentò di colpirlo di nuovo, ma non riuscì a colpirlo e si beccò un bel calcio allo stomaco.

“Sei solo uno stronzo, toccala ancora e ti strappo le palle!” Minacciò Percy, stringendo i pugni.

Uno scintillio nella mano di Luke, però mi spaventò: era riuscito a riprendere il coltello.

“Percy, attento!” Urlai.

Per un attimo chiusi gli occhi spaventata.

Quando li riaprii vidi Luke fuggire zoppicando, mentre Percy si teneva il fianco.

No! Pensai, disperata gemendo per la paura.

Gli corsi incontro e lo tirai su: all’altezza della vita c’era una profonda ferita da affondo dalla quale usciva una quantità improponibile di sangue.

“No Percy… no…” Gemetti, mentre lui si teneva la ferita, stringendo i denti per il dolore.

“Chiama… il pronto soccorso.” Biascicò, cercando di limitare il sangue che colava copioso e crudele.

Le mie mani tremavano sulla tastiera del cellulare, ma riuscii comunque a digitare il numero di emergenza ed avvertire l’ambulanza, dopodiché digitai il numero di Talia.

“Pronto? Chi è?” Sembrava che avesse la lingua impastata e in sottofondo mi parve di sentire Nico sussurrarle qualcosa.

“Hanno… hanno ferito Percy… è.. è stato Luke!” Dissi, singhiozzando.

“COSA!!??”

“è… piombato qui… Percy mi ha… mi ha difesa… ma Luke l’ha accoltellato!” La mia voce parve un gemito.

“Aspettaci lì… chiama l’ambulanza, noi ti raggiungiamo subito!”

 

 

 

 

All’ospedale la polizia mi interrogò e io raccontai tutto, per filo e per segno. Questa volta, per lo meno, mi cedettero, dato che un tipo aveva accoltellato il mio ragazzo. Dovevano intervenire. Poi arrivarono Nico e Talia, con i capelli scarmigliati, sembrava che fossero corsi lì in fretta e pochi minuti dopo arrivò anche Jason che parlò con uno dei poliziotti.

“Ora la polizia sa tutto, ma non abbiamo capito dove quell’animale si nasconde.” Disse il ragazzo biondo, mentre, nella stanza davanti a noi dei medici tenevano Percy sotto osservazione.

Il corridoio così bianco, come un osso essiccato al sole, mi metteva addosso una strana ansia e temetti il peggio. Ma sapevo anche che quella ferita, per quanto grave, non era mortale.

“Quell’animale sa molto di te, Annie… se lo troviamo, forse il tuo passato tornerà a galla.” Disse Nico, cercando di tirarmi su.

“Non me ne frega nulla!” Sbottai nervosa. “Quello mi ha aggredita due volta ed ha rapito Piper! La cosa più importante è trovarlo e sbatterlo, possibilmente a vita, dietro le sbarre.”

“Ha ragione… ma dobbiamo trovarlo. Idee su dove possa essere?”

Nessuno disse nulla: eravamo ad un punto morto.

A poco a poco si riunirono tutti gli amici di Percy: compresa la famosa Reyna che, a quanto pareva, aveva dato una mano a Jason con la storia della ricerca di Luke.

“Come ha fatto a sapere di te?” Chiese Leo, accigliato. “Pensavo non lo sapesse… o che ti credesse morta.”

“Ethan Nakamura… lui deve avermi riconosciuta, mentre eravamo nel locale. O meglio credo che gli sia sfuggita la mia presenza, quando è tornato ubriaco da quel bastardo. Luke ha capito che ero io.” Spiegai, rabbrividendo al solo pensiero delle sue mani su di me.

“Sapete che vi dico: probabilmente lui ne sa più di quanto ci abbia detto. Dico di andare a casa sua e riempirlo di pugni finché non ci dice tutto.” Propose Nico, battendo i pugni.

“No, potrebbe non cedere… e di certo nessuno di noi, qui, riuscirebbe a farlo.” Disse, seria la ex di Jason.

“Scusa, ma lei che ci fa qui?” Chiese Bianca, appena tornata da Boston, insieme a Zoe, la sua avversaria che, però, non sembrava.

“Guarda che sono presente!”

“State calme voi due!” Le fermò Jason, prima che potessero iniziare a darsele. “Le ho chiesto io di aiutarci, di lei ci si può fidare.”

Io non mi interessai; volevo solo prendere Luke e rompergli tutti i denti per quello che aveva fatto a Percy. Poco dopo un medico uscì dalla sua stanza e gli chiesi subito come stava.

“Stabile… è un ragazzo forte e se la caverà. Entro due giorni dovrebbe essere di nuovo a posto. Una fortuna che l’intervento sia stato così tempestivo. Solo che avrà bisogno di riposo.”

Quelle parole mi fecero stare molto meglio, ma temevo davvero di crollare da un momento all’altro. Dovevo fermare Luke, non solo per Piper, ma anche per me stessa. Scoprire il mio passato e fermare quel criminale.

“Ragazzi, non possiamo lasciare Percy da solo.” Disse Rachel, mordendosi il labbro inferiore.

“Non preoccuparti, hai sentito il medico, no? Se la caverà.” La rassicurò Leo, dandole una pacca amichevole sulla spalla.

“Se Luke torna per finirlo, allora non serve a nulla medicarlo.” Sbottò la rossa, inarcando le sopracciglia. “Io rimango con lui.”

Come avrei voluto farlo anche io, ma non potevo rimanere lì. Volevo smetterla di scappare.

“Nico… io… esco un attimo. Ho bisogno di prendere un po’ d’aria.” Borbottai, anche se volevo fare cose ben diverse dal prendere un po’ d’aria.

Per fortuna nessuno se ne rese conto e mi lasciarono andare, borbottando scuse. Si sistemarono tutti e iniziarono a discutere, mentre io uscivo di corsa, cercando di non pensare a Percy. Ora volevo prendere a calci quell’animale di Luke.

Per fortuna i taxi e le metropolitane erano in funzione anche di notte nell’eternamente sveglia New York.

Sapevo che era una pazzia, ma avevo così paura per Piper che non potei trattenermi.

Andai al porto da sola.  

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo autore]

Mi scuso ancora per il “Non rispondere” alle recensioni, ma il motivo, fondamentalmente, è uno: devo recuperare i tre giorni di silenzio con questa storia. Inoltre i Venti del Nord mi lasciano un po’… impegnato, anche perché non è facile contattare la cara wolfie ;) (No, non è la mia coniuge, di nessun tipo, siamo amici e basta -_- ) Comunque, farò di tutto per aggiornare in poco tempo, dato che mancano due, massimo tre capitoli, alla fine della storia.

Quindi a presto!

AxXx

 

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Finita ***


                                                          FINITA

 

 

 

 

 

 

Probabilmente avrei dovuto chiedere l’aiuto degli altri e aspettarli, ma io non ne potevo più: dovevo fare qualcosa per porre fine a quell’incubo che mi aveva avvolta. Credevo che se ne fosse andato, che la mia vita sarebbe andata avanti. Avevo persino iniziato a sperare che, insieme a Percy, potessi crearmene una nuova, diversa e tutta mia. Invece mi era stata di nuovo strappata da quel mostro di Luke.

Ora basta!

Decisi di seguire il mio intuito per capire dove si trovasse quell’animale. Ero certa che l’avrei trovato e con lui Piper. L’avrei salvata, tirata fuori dal buco in cui era stata rinchiusa.

Il porto era immenso, poco illuminato e con container metallici e magazzini ovunque. Sembrava deserto, ma sapevo che, da qualche parte, Luke teneva Piper prigioniera. Non avevo molte informazioni, ma cercai di intuire dove si trovasse.

Sicuramente era in un luogo abitato, dato che ricordavo che era venuto a prendermi di notte, quindi dovevo cercare un magazzino illuminato. E doveva essere un posto abbastanza grande da contenere una macchina, dato che ero abbastanza sicura di essere stata imprigionata in un garage.

Camminai a lungo, girando per tutto il porto, nascondendomi appena sentivo una voce. Nonostante fossero le tre di notte non avevo per niente sonno, l’unico mio desiderio era prendere a calci quel criminale di Luke. Spesso controllavo l’orologio per sapere quanto tempo fosse passato. Sapevo che, forse, sarebbe stato meglio chiamare gli altri, ma ne avevo abbastanza di aspettare: volevo agire.

Continuai a cercare finché un bagliore non mi attirò: un magazzino aveva una luce accesa da una delle finestre posteriori.

Ormai ero decisa a controllare ogni centimetro del porto e, forse, quel piccolo colpo di fortuna sarebbe servito.

La fortuna mi dovette aiutare perché beccai il posto giusto: all’interno c’erano sei o sette persone che se la ridevano come degli idioti. Solo Luke sembrava quello meno divertito di tutto. Il viso era ricoperto di sangue secco, pieno di graffi e furioso. A quanto pare non era molto felice di essere stato messo all’angolo da Percy.

Non persi tempo a decifrare quello che dicevano quel groppo di gangster e mi arrampicai sul tetto del magazzino ed iniziai a guardare dalle finestrelle per trovare Piper.

Appena la vidi riconobbi il luogo dov’era rinchiusa: era lo stesso dove mi avevano messa e subito i ricordi mi invasero in modo violento.

L’odore pesante di benzina…

La sensazione di soffocamento…

La paura…

Scossi la testa e mi decisi a rimandare i convenevoli con il mio passato. Mi calai attenta di sotto, cercando di non far rumore, approfittando di una specie di cavo che non avevo notato e che penzolava fino quasi al pavimento.

Toccai terra facendo pianissimo, assicurandomi che intorno non ci fossero cose tipo telecamere o trappole per fermare chi fosse entrato, ma non vidi nulla.

“Piper…” Bisbigliai, cercando di attirare la sua attenzione.

Non muovendosi mi avvicinai ancora, ma la vista del suo corpo mi fece piangere. I piedi erano tenuti legati da del nastro adesivo, come la bocca che emetteva solo qualche rantolio o lamento. Le mani erano ammanettate molto strette e sembrava che Luke si fosse divertito a stringerle fino a provocarle ferite profonde. Il corpo era coperto di sangue e ferite varie, come se fosse stata picchiata. I vestiti erano strappati lasciando l’intimo bianco in bella vista.

“Piper…” Dissi di nuovo, con voce rotta, questa volta mi avvicinai e le accarezzai il viso.

Lei gemette di paura e provò a divincolarsi, ma appena mi riconobbe si bloccò e si voltò verso di me. Mi guardò, quasi non ci credesse. Aveva gli occhi rossi per il pianto e la guancia era coperta da un livido violaceo.

“Piper… stai tranquilla, ti tirerò fuori di qui.” La rassicurai, abbracciandola e togliendole, delicatamente, il nastro adesivo.

Lei crollò tra le mia braccia, iniziando a piangere disperata sulla mia spalla. Quante torture aveva subito per essere ridotta così?

“Annie… ti prego, andiamocene.” Mi implorò, rannicchiandosi come una bambina.

“Ssssh… ora ce ne andiamo e chiamiamo la polizia. Non ti faranno più del male, te lo prometto.” Sussurrai, aiutandola ad alzarsi.

Le tremavano le gambe e non potendo liberarle le mani, ebbe parecchie difficoltà a stare in piedi, ma l’idea di essere libera la sostenne. Nonostante fosse ferita doveva essersi difesa e mi sembrò che Luke si fosse limitato a divertirsi, senza abusare di lei. Il che mi fece sentire un po’ meglio, nonostante avessi ancora una gran voglia di cavargli gli occhi.

“Ve ne andate già?”

Parli del diavolo.

Luke era dietro di noi e sorrideva come se avesse non si fosse mai divertito così tanto in vita sua. Piper gemette ed iniziò a tremare, mentre io lo guardai con odio, posizionandomi davanti a lei per proteggerla.

“Sei venuta a divertirti?” Chiese avvicinandosi a me.

Mi misi in posizione di difesa, come mi aveva insegnato Percy e lo guardai con ferocia.

“No, sono venuta a finire quello che ti ho fatto sta’ sera, come va la faccia?” Chiesi sprezzante, con un ringhio che voleva essere minaccioso.

In effetti Luke sembrò esitare e si toccò le ferite sul viso, da poco rimarginate.

“Come va’ la faccia? Scommetto che sei stato bravo a scappare.” Rincarai, sperando di farlo arrabbiare, in modo da sfruttare la situazione a mio vantaggio.

Lui ci cascò.

“Sta zitta, stronza!” Urlò, cercando di tirarmi un pugno che evitai abbassandomi.

In risposta gli tirai un calcio nella bocca dello stomaco che lo piegò in due dal dolore. Un pugno alla gola lo mandò a terra, mentre rantolava sorpreso e ferito, sia nel corpo che nell’orgoglio.

“Luke… luke che succede!?”

Dannazione, i suoi compagni stavano venendo a vedere cosa stesse succedendo. Colpii di nuovo Luke e lo mandai definitivamente a terra. Gli frugai velocemente nelle tasche e trovai le chiavi delle manette. Mi avvicinai a Piper che si era attaccata al muro spaventata e la liberai.

“Pips… devi andartene. Corre sul tetto e chiama la polizia, io proverò a trattenerli per quanto mi è possibile.” Sussurrai, abbracciandola e lei fece altrettanto.

“Annie, no… ti prego, non… ho paura, ma ti devo la vita. Vai prima tu.” Singhiozzò lei, con le lacrime che gli rigavano il volto. Nonostante quello che le avevano subito, era disposta a rischiare, pur di mettermi in salvo.

“Non ti lascio in mano di quelli vai e…”

Non ebbi il tempo di finire perché sentii come un botto incredibile e riconobbi la voce di Leo.

“Bravo Festus!”

“Smettila di chiamare il tuo furgone da lavoro “Festus”! Che razza di nome è!?” Ed era la voce di Talia che rispondeva a tono. A quanto pare era scoppiata una rissa.

“Significa felice in latino ed è un nome bellissimo per un furgone!” Ribatté lui, con il tono di chi sta cercando di tirare qualcosa in testa a qualcuno.

“Smettetela voi due! Dobbiamo trovare Annabeth!”

Non potevo crederci: era Percy!

“Andiamo, presto!” Dissi a Piper, per incoraggiarla, dirigendomi verso la serranda che ci separava dai miei amici.

Stavo per aprirla, quando sentii le mani di Luke stringersi intorno al mio collo, cercando di soffocarmi.

“Muori, maledetta… mi sei costata troppo.” Ringhiò stringendo le mani sulla mia gola, mentre lucine gialle mi danzavano davanti agli occhi.

Cercai di liberarmi, ma questa volta lui sembrò preparato e non mi lasciò molto spazio per divincolarmi, stringendo ancora più forte la mano sulla mia gola. Piper tentò di aggredirlo, ma lui le tirò uno schiaffò così forte che lei cadde stordita a terra.

“un peccato doverti ammazzare, ma credo sia meglio per tutti.” Ringhiò, mentre stringeva sempre più forte. Tentai di dimenarmi o liberarmi, ma lui, per forza, mi era superiore.

La vista iniziò ad annebbiarsi, ma non mi arresi. Dovevo resistere. Poi, però, tutto cambiò drasticamente: la pressione sul mio collo cessò all’improvviso ed io mi ritrovai a tossire ed ansimare per la mancanza d’ossigeno.

“Certo che, anche ogni tanto dovresti aspettare gli altri, sai?”

Alzai lo sguardo e mi ritrovai a fissare il mio riflesso dei verdi occhi di Percy che mi guardavano preoccupati, nonostante il suo sorriso sghembo. In mano teneva una spranga di metallo e a terra, Luke era svenuto.

“Percy… che fai qui? Sei ferito!” Esclamai, abbracciandola, felice come non lo ero mai stata in vita mia.

Accanto a noi Piper e Jason si stavano abbracciando con la stessa intensità. Lei si accasciò tra le sue braccia e lui la strinse come se dovesse affondare se l’avesse lasciata.

“Piper… mi dispiace. Se ci fossi stato… non ti avrebbero fatto del male.” Disse il biondo, prendendola in braccio.

“Non dire nulla, Jas. Almeno sei arrivato.” Sussurrò lei, stringendolo a se, affondando il viso nella maglietta di lui, sospirando.

Sorrisi, mentre Percy ed io uscivamo nella zona principale del magazzino. La maggior parte dei criminali era stata messa K.O., mentre tutti gli altri si davano una mano. C’era l’intera banda: Leo, che sorrideva, mentre controllava il suo furgone nero con il motivo della fiamma sulle fiancate. Talia e Nico erano in disparte. Lui la stava aiutando a fasciarsi il polso che lei doveva essersi ferita nella rissa e lei gli sorrideva, facendolo arrossire. Backandorf aiutava Leo nella riparazione, Rachel e Grover controllavano che fossero tutti stesi, Reyna stava parlando con Zoe e Bianca che tenevano i loro archi sportivi a tracollo. A quanto pare li avevano utilizzati contro qui tipacci.

“Come avete fatto a trovarmi?” Chiesi sorpresa e felice, mentre mi stringevo a Percy, mortalmente stanca.

“Ringrazia Nico: è stato lui a seguirti e a chiamarci per dirci dov’eri andata.” Iniziò Percy, indicando l’amico che si era un po’ perso negli occhi di Talia che lo stava tenendo per mano.

“Già… quando ci ha chiamati Percy è andato fuori di testa e ci ha seguito, nonostante i medici gli avessero detto di non fare movimenti bruschi. Alla fine ci ha seguiti ed è voluto venire a tutti i costi.” Aggiunse Beckendorf, lanciandoci un occhiata molto eloquente.

“Già… Leo ha guidato questo catorcio…”

“Ehi! Festus non è un catorcio! Ha il cuore di una ferrari!” Protestò il ragazzo, imbronciato.

“Scusa Festus, fino al porto e quando Nico ci ha detto che eri entrata, abbiamo capito che era il covo di questi criminali. Così abbiamo usato il catorc… ehm… festus, come ariete. Li abbiamo colti di sorpresa e li abbiamo stesi tutti prima che potessero mettere mano alle armi.” Concluse Talia, affacciandosi da dietro Nico, ancora imbambolato.

“Ragazzi, avete rischiato tantissimo, questi tipi non sono dei semplici teppisti erano armati, avrebbero potuto uccidervi!” Protesta, per poi essere interrotta da Percy che mi abbracciò forte, nonostante la ferita appena medicata.

“Annabeth… per te io affronterei un esercito. Così come Jason farebbe per Piper.”

Mi strinsi a lui, sollevata da quel contatto. Credevo di essere sul punto di baciarlo, ma Leo fischiò e ridacchiò: “Prendetevi una camera!”

Arrossimmo entrambi e ci staccammo, mentre gli altri ridevano.

 

 

 

La polizia arrivò circa cinque minuti dopo, con ambulanza e forze speciali a sirene spiegate, manco dovessero annunciarsi in pompa magna. Gioven Grace in persona si era fatto avanti, quando aveva saputo che entrambi i figli erano sul posto.

I medici curarono me, Piper, Percy e Talia. Piper era messa davvero male e gli fu consigliato di rimanere a riposo per almeno tre o quattro giorni per riprendersi dallo shock del rapimento, mentre noi altri non avevamo nemmeno bisogno di riposo.

Fummo tutti interrogati e tutti i criminali furono arrestati, compreso Luke che però, paradossalmente, aveva preso una legnata così forte che aveva perso la memoria. Gli augurai di morire dietro le sbarre. Forse era crudele, ma dopo tutto quello che aveva fatto se lo meritava.

Nel loro covo scoprimmo che non eravamo state le uniche ad essere rapite: Sonorc e la sua banda aveva rapito altri cinque ragazzi di ricca famiglia, pretendendo dalle loro famiglia riscatti molto alti.

Dopodiché li uccidevano e minacciavano le famiglie di ritorsioni se avessero parlato. Nessuno fermava Luke, il più efficiente della banda e lo lasciavano divertire con l’ostaggio se voleva, sapendo che, tanto, l’avrebbero fatto fuori.  

Fui avvolta da una grande tristezza e dispiacere per quelle cinque vite che non ero riuscita a salvare e piansi per loro, come non credevo avessi potuto fare. Io ero stata terribilmente fortunata. Probabilmente sarei svenuta durante l’interrogatorio se Percy non mi fosse stato accanto.

Alla fine, in una borsa all’interno del magazzino, trovarono uno zaino nero con dentro dei documenti: erano i miei.

Il mio nome era davvero Annabeth Chase.

E ricordai tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo Autore]

Gente, ci siamo, il prossimo capitolo sarà l’ultimo di questa serie, finalmente hanno messo K.O. definitivamente quel bastardo di Luke che finirà in carcere per tutti i suoi crimini, insieme ai suoi compagni.

Annabeth ha recuperato finalmente, la memoria e i cattivonissimi sono stati messi K.O.

Quindi, ringrazio tutti per aver seguito questa storia e spero che vi sia piaciuto. Tra sta’ sera e domani, arriverà l’ultimo capitolo e la mia prossima storia AU Percabeth postapocalittica che spero, vorrete vedere anche voi. (La nuova AU è questa http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2473374&i=1 spero veniate a darci un'occhiata per vederla e recensirla. Non mettetela subito in croce)

Quindi a presto!

AxXx

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Epilogo: Lo Amerò per Sempre. ***


                                     Epilogo:Lo amerò per sempre

 

 

 

 

 

Fu strano tornare alla vecchia vita. Mia madre e mio padre erano stati minacciati di ritorsioni se avessero provato a denunciare il mio rapimento, così, pur di riavermi indietro, avevano preparato il riscatto. Poi avevano perso ogni contatti quando io avevo perso la memoria. Riaverli fu come una doccia di acqua fredda che ripuliva ogni traccia di quel nero sporco che copriva la mia memoria.

Non riuscii a passare nemmeno un momento da sola con Percy, però. La polizia mi trattenne in centrale finché i miei non vennero a prendermi. Riuscii solo a salutarlo al volo, mentre lui mi guardava malinconico, dal finestrino della macchina di mio padre.

Ero felice di aver ritrovato la mia vecchia vita: mi ricordai dei miei amici Frank Zang, Hazel e Silena, miei compagni di università e cari amici, ma improvvisamente sentii la mancanza di Talia, Nico, Piper, Jason e soprattutto Percy. Ora ero anche certa di non avere un fidanzato, quindi lui era il mio primo ragazzo.

Gioven Grace si prese tutto il merito del mio salvataggio e di quello di Piper, ma una volta a casa raccontai la verità per filo e per segno. Mio padre volle aiutare Percy e promise di sostenere le spese mediche della madre. Ogni tanto lo vidi a casa mia, pensai per parlare con mio padre, ma non riuscivamo mai ad avere un momento di intimità.

Di solito c’erano i miei amici, oppure c’erano i miei e mettermi a limonare con lui, davanti a loro, non mi sembrava una buona idea. Certo, parlammo e gli chiesi cosa fosse successo di bello, a New York e come stesse la sua famiglia.

Mi raccontò di Piper che si era ormai ripresa dalla brutta esperienza. Mi disse che lei mi avrebbe voluto riabbracciare, se suo padre non la stesse tenendo fortificata in casa, quasi temesse che il contatto con l’aria la uccidesse. Era tornata dolce e allegra come prima, anche se leggermente malinconica. Si era messa, finalmente, in pianta stabile con Jason e sembrava che quella storia stesse prendendo la piega giusta. (La brutta esperienza doveva averle fatto capire quanto possa essere terribile separarsi da chi ami).

Dopo l’ultima scenata, Talia aveva lasciato la casa paterna e si era trasferita a casa Di Angelo dove, a quanto pareva, Nico stava facendo il buon padrone di casa, accogliendola calorosamente.

Molto calorosamente.

Per il resto, gli altri mi salutavano e mi auguravano di riprendermi. Alla fine mio padre aveva anche pagato una delicata operazione per Sally Jackson per tentare il suo risveglio, cosa che Percy non avrebbe mai dimenticato.  

Tantai di iniziare un discorso con lui su ciò che provavo, ma ogni volta che provavo ad accennare a noi due, arrivava una scocciatura che mi metteva in imbarazzo, bloccandomi sul posto.

I miei mi tennero a casa a lungo, per farmi riprendere dallo shock, ma io non mi sentivo bene. Avevo un dolore, all’altezza del petto che né loro, né i miei vecchi amici e nemmeno quelli nuovi potevano guarire.

Erano passate due settimane, ormai.

Ero seduta in spiaggia con una camicia ed un paio di pantaloncini. Non avevo scarpe: adoravo la sensazione di sabbia tra le dita. Osservavo il tramonto sul mare, così bello che mi ricordava Percy.

Quanto avrei voluto che fosse lì vicino a me.

Non riuscii a credere quando lo sentii alle mie spalle, che mi abbracciò teneramente. Sobbalzai e mi irrigidii quando sentii le sua braccia posarsi sulla mia spalla, coperta dalla canottiera.

“Mi sei mancata, Sapientona.” Sussurrò, sedendosi alle mie spalle, incastrando i nostri corpi alla perfezione, quasi fossimo due pezzi di un puzzle destinati ad attaccarci insieme.

“Percy… che ci fai qui?” Chiesi, così felice da non riuscire a crederci. Mi sedetti, appoggiando la schiena al suo ampio petto.

“Sono venuto a trovarti, ovvio. Volevo stare con te.” Rispose, cullandomi come una bambina, nello stesso modo con cui mi aveva calmato un mese prima, quando ero convinta che Luke fosse tornato a prendermi.

Mi voltai e lo spinsi sulla sabbia, facendolo cadere di schiena. Mi sedetti su di lui e mi chinai fino a baciarlo a lungo. Non me lo sarei lasciato sfuggire, nemmeno se fossimo stati in diretta internazionale.

“Percy…” Sussurrai, senza fiato, non appena mi staccai.

Lui capovolse la situazione, facendomi ricadere sulla sabbia con un sorriso splendente come il sole.

“Così… sei una vera principessa.” Mi sussurrò all’orecchio, mentre mi baciava il collo.

Mi imbronciai, sentendo come se quello che aveva detto fosse un muro. Mi scansai: “Percy… senti, lo so che ora mi penserai una ragazzina viziatissima e antipatica, ma ti giuro che ti amo ancora. Non è cambiato niente da quando te l’ho detto la prima volta. Ma se tu volessi…”

Non potei più dire nulla, perché le sue labbra sigillarono le mie, in un lungo, passionale bacio così profondo, bello e passionale che il mondo si sciolse intorno a noi. Le sue labbra si arricciavano in maniera adorabile, sulle mie, la sua lingua giocava con la mia, accarezzandola, stringendola, spingendola ed io ero alla sua mercé. Era così bello che pensai che se il paradiso dovesse scendere in terra, lo aveva fatto nel corpo di Percy Jackson.

Dopo qualche minuto lo sentii allontanarsi da me per riprendere fiato ed io gemetti contrariata.

Perché non poteva baciarmi ancora un po’!?

“Sai, annie? Ogni tanto dovresti parlare un po’ meno.” Sussurrò al mio orecchio.

Diavolo! Dov’era il cielo? Dov’era la terra? Non riuscivo a registrare nulla che non fosse lui. Ero convinta che se, in quel momento fosse scoppiata la terza guerra mondiale, non mene sarei nemmeno accorta, da quanto ero persa, naufraga nel mare dei suoi occhi.

“Hai ragione… quindi potresti baciarmi ancora, così non parlo?” Domandai implorante, abbracciandolo ancora più stretto.

Lui ubbidì.

 

 

 

 

Quella notte i miei non c’erano.

Dopo giorni ero riuscita a convincerli che non correvo pericoli così mi lasciarono sola con Percy, anche se mia mamma gli lanciò un’occhiataccia come per avvertirlo: “prova a toccare mia figlia e ti faccio ingoiare le pupille.”, ma io non ci badai.

Tornammo su quella spiaggia, troppo eccitati per parlare. Non serviva.

Ci eravamo già chiariti.

Io lo amavo.

Lui mi amava.

Ci stringemmo, ci baciammo e ci amammo.

Lui era bellissimo, dolce e delicato. Lo amai ancora di più per questo.

Su quella spiaggia, con l’argentea luna che illuminava il cielo stellato, riflessa sulle onde del mare, testimone del nostro amore, giacevamo insieme con lui che mi stringeva a sé, come se fossi l’ossigeno che lo teneva in vita.

“Percy?” Lo chiamai, indecisa.

Volevo rimanere lì per sempre, fermare il tempo e vivere come una statua legata al mio tutto.

“Annie… sei bellissima, come una dea.” Sussurrò, baciandomi leggero sulle labbra.  

Risposi, incapace di dire nient’altro oltre al suo nome. Lui era ciò che mi era mancato, in tutti quegli anni. Era il mio tutto, la mia completezza.

Mi strinsi a lui, ancora nudi, liberi da ogni costrizioni e felici come non mai.

Non c’era bisogno di ricordi che me lo dicessero: io lo amavo.

Lo avrei amato per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

[Angolo dell’autore]

Immagino che questo capitolo sia corto, ma dopo tanto scrivere ho voluto fare un capitolo tutto Percabeth con pochi altri accenni ad altre coppie. Ho voluto fare un Happy ending con i fiocchi. E poi diciamocelo, quei due stanno proprio bene insieme.

Sono l’AMORE (Tutto maiuscolo).

La storia è, quindi, finita.

Ma non la mia mente malata che crea Percabeth improponibili come se fosse una pazzia. Quindi, se mai voleste una percabeth con più azione, un po’ più elaborata e un po’ più “complessa.” Ecco a voi la mia altra storia percabeth sul fandom di EFP: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2473374&i=1

Commentate e giuro che, questa volta, risponderò alle vostre domande ;)

AxXx

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2447944