Afther death, life.

di Demone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap. 2 ***
Capitolo 4: *** Cap. 3 ***
Capitolo 5: *** Cap. 4 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


AZKABAN, CELLA 267

 

I dissennatori continuavano a passare davanti a quella cella. Ogni giorno, ogni ora, la donna sentiva il loro ansimare, il loro odore putrido. Erano tredici anni che li sentiva attorno a lei. Erano tredici anni che annegava nel dolore. Tredici lunghi anni che viveva -anzi, no, sopravviveva- con quel dolore senza fine, senza alcun ricordo capace di strapparle un sorriso. Una volta le sue labbra erano rosse e sempre piegate in smorfie più o meno divertite ma tutte inquietanti. Ora erano pallide. Erano pallide e non sapevano più piegarsi in niente che non fosse una smorfia di dolore.

Dolore. La costante di quei tredici anni. Dolore interiore. Un dolore che le straziava il petto e l'anima, già nera da anni. Ma quei dissennatori gliela stavano distruggendo. Secondo dopo secondo, la sentiva sbriciolarsi. Erano tredici anni che si sbriciolava.

I primi anni erano stati i più duri e, in un certo senso, i più semplici. Aveva ancora dei ricordi a cui aggrapparsi, ricordi che nascondeva in fondo al cuore, dove loro non li potevano prendere, all'inizio. Col tempo erano riusciti a raggiungere anche quelli. Oramai lei non aveva nulla a cui aggrapparsi. Aveva sperato di aggrapparsi alla sensazione di piacere che provava quando torturava quegli stupidi babbani ma ben presto anche quelle sensazioni erano svanite dalla sua mente. Ora esisteva solo l'oblio. L'oblio e la sofferenza. Ricordi che aveva sotterrato in fondo al cuore la tormentavano da anni. Gli occhi, all'inizio, erano spesso pieni di lacrime. Ora neanche quelle uscivano più.
Urlava. Spesso, durante la notte, la donna urlava. Ma le sue urla erano inghiottite dai rumori delle altre celle. Tutti urlavano, ad Azkaban, e lei più di tutti. Urlava perchè quelle sensazioni la divoravano. Urlava perchè il suo Signore Oscuro non era tornato da lei. Urlava perchè era sola in quella cella. Urlava perchè non aveva la sua bacchetta. Urlava perchè le sue sorelle non c'erano e lei non sapeva se erano morte o vive.

Urlava perchè era sola. Sola. Senza Lui. Senza quell'uomo che l'aveva resa ciò che era.

Raggomitolata in quella cella, avvolta solo da una ormai lurida camicia da notte bianca, magra fino all'osso e con i capelli diventati una massa informe, nera e piena di sudiciume come tutto il resto, Bellatrix Lestrange, nata Black, era come una bambina. Il suo corpo portava ovunque il segno di quello che aveva patito. Graffi, lividi, cicatrici, dimostravano quante volte la donna si era conficcata le unghie così a fondo nella pelle da far sgorgare il sangue. Tutto per la disperazione.

Ma la donna non era ancora domata. No, nonostante tutto, in fondo, lei era ancora la donna forte che era sempre stata, anche se ora nei suoi occhi brillava la luce della follia.

Nessun fantasma, nessun essere, nessun ripensamento avrebbe spento per sempre la scintilla vitale di quella donna, di quel diavolo che in passato camminava coperta da seta e velluto. Per quanto in quel momento lei sembrasse vuota, inutile, domata, senza più nulla che la rendesse ciò che era, appena sentì il marchio sul suo braccio bruciare, la vitalità tornò nelle sue membra.

Era notte. O forse era giorno? Erano anni che Bellatrix non distingueva l'uno dall'altro. Sapeva solo che il suo corpo era crollato nel sonno, se così si poteva chiamare quel limbo in cui cadeva, dove la sua mente era perseguitata dai suoi peggiori incubi. Forse quella non era neanche vita. Forse tutto quello era l'inferno dei dannati. Forse lei sarebbe morta lì.

Dormiva per quasi tutto il tempo, si svegliava solo per mangiare e subito dopo ripiombava in quel dannato limbo. I fantasmi che la spaventavano non le permettevano mai di riposare completamente. Un forte bruciore al marchio la fece rigirare sul pavimento freddo ed umido della cella. Aprì di scatto gli occhi solo quando il dolore divenne ancora più intenso. Si mise a sedere di botto, poggiando la schiena contro il muro alle sue spalle. I suoi occhi non erano più così lucidi da anni. Alzò così in fretta la manica della camicia da strapparla ancora di più. Il marchio. Eccolo. Era vivido, sulla sua pelle, come non era da anni. Tredici anni che la donna non vedeva il marchio così nitido sulla pelle. Tredici anni che lei non era nulla di nulla. Tredici anni che aspettava quel segno. Erano anni che Bellatrix non rideva. Erano anni che non piangeva di gioia. Quel giorno fece entrambe le cose. Rise. Pianse. Gioì. Il suo petto fu riempito da quella gioia che non entrava mai nelle mura dell'orrenda prigione.

“E' tornato! Lui è tornato!” Urlò al soffitto della cella. Posò le labbra fredde e pallide sul marchio, come per poter baciare il suo Signore. “E' tornato” ripeté in un sussurro.

 

In quel momento, in un lungo lontano, Voldemort toglieva le mani dal marchio di Codaliscia e i mangiamorte si smaterializzavano ai suoi piedi. Tutti tranne lei. Tranne la più importante, tranne la più fedele. Ma lei sarebbe tornata presto al suo fianco.

 

 

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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***


AZKABAN, CELLA 267
Era una notte non diversa dalle altre, ad Azkaban. I dissenattori continuavano a camminare fra i loro prigionieri, nutrendosi di ogni stilla di vita. C'era una grande agitazione in quei giorni. Era da un po' che da una cella, dove non molto prima c'era solo un vuoto, si irradiava una continua speranza. Un prigioniero, ad Azkaban che sperava? Non era mai successo. Mai, in tutta la storia, la speranza era entrata fra quelle mura. Neanche Sirius Black, l'unico che era riuscito fino a quel momento a scappare da quel luogo, aveva provato quella speranza così forte, così dirompente, da attirare un così gran numero di dissenattori.
Bellatrix sperava. Anche se i dissenattori le stavano togliendo anche quella, piano, lasciandole solo i dubbi. Ora che era tornato, cosa sarebbe successo? L'avrebbe liberata? Si. Si, l'avrebbe liberata, di sicuro. Ma...ma se lui fosse stato ancora adirato per qualche errore? Lei non l'aveva trovato, non era stata lei ad aiutarlo. Ora forse l'avrebbe lasciata marcire lì dentro per questo.
Bella chiuse gli occhi e, prima di scivolare ancora in quel limbo, sentì una voce all'orecchio, un ricordo troppo lontano per essere specifico. Era solo una voce che pronciava parole indistinte. Era la Sua voce. Quel ricordo lungo un secondo, attirò altri dissenattori alla porta della cella.

ANTICA VILLA BLACK IN ROVINA
“Come procedono i preparativi, Codaliscia?”
L'uomo osservò il liquido lattiginoso nel suo bicchiere, lasciandolo girare lentamente, osservando come la luce creava riflessi e giochi di luce sulle sottili pareti di vetro. Non degnò di uno sguardo l'essere immondo, spaventato, che strisciava ai suoi piedi. Non meritava alcuna attenzione, nessuna. Era il suo servo più inutile, più spaventato, quello che avrebbe ucciso con più piacere. Peccato che in quel momento ogni mano capace di tenere una bacchetta in mano gli era necessaria.
“Q-quali...pre-preparativi...mio..mio signore..?” balbettò quell'inutile essere.
La mano di Voldemort si chiuse con più forza attorno al bicchiere ma si trattenne abbastanza per non romperlo.
“Azkaban. La prigione dei maghi, dove hai permesso che un tuo amico -sempre se così si può definire Sirius Black- fosse rinchiuso per dodici anni, pur essendo egli innocente.” disse freddamente all'essere, fissando solo il camino di fronte a se.
“I-io sto..sto facendo il-il mio meglio...”
“Non mi interessa il tuo meglio! Voglio solo sapere come e quando potrò riavere i miei servi più fedeli! Coloro che saranno al mio fianco quando il mondo magico sarà mio."
“Ab-abbiamo aperto le...le tra-trattative con i di-dissennatori...mio signore. Loro pe-però...vogliono di-di più...”
“Di più?” Voldemort sorrise al buio. “Bene. Lo avranno. Riunisci tutti gli altri, Codaliscia. Entro dieci minuti li voglio tutti al mio cospetto.”
Appena Codaliscia si fu dileguato, Voldemort bevve un sorso di quel liquido bianco e si concentrò di nuovo sul camino. Avrebbe distrutto Azkaban con le sue mani.

AZKABAN
Durante la notte, la quiete di Azkaban era rotta solo dalle urla dei prigionieri, alcuni dei quali invocavano la morte. Fino a quel momento. Quel momento in cui un boato, enorme, riempì la prigione. Il muro cadde, lasciando un enorme spazio libero. Immediatamente i dissenattori provarono ad aggredire i maghi che, sulle loro scope, brandivano le bacchette. Subito fili argentati colpirono gli esseri, facendoli indietreggiare.
“Tu! Muoviti!” urlò uno dei mangiamorte.
La battaglia per liberare i loro compagni era iniziata e sarebbe continuata per tutta la notte, fino a quando i dissenattori non avrebbero chinato il capo a Lui, al Signore Oscuro.

La battaglia infuriava ancora, per cielo e terra, quando i primi prigionieri iniziarono ad uscire dalle loro celle. Eccoli, i mangiamorte che tornavano alla vita, tornavano dal loro signore.
Alcuni di loro erano stati ritrovati nelle loro celle, raggomitolati a terra come bambini, incapaci di emettere un fiato. Erano più morti che vivi. Alcuni di loro furono alzati a forza da terra e accompagnati fuori.
Lucius Malfoy storse il naso, entrando in una cella minuscola. Un uomo era accasciato a terra, con il volto nascosto. Malfoy gli si avvicinò lentamente e gli toccò la spalla.
“Via! Sparite, mostri infami! Esseri immondi, sparite! Sparite, oppure uccidetemi!”
Gli occhi erano stravolti dal terrore e dalla pazzia. Afferrò l'uomo che l'aveva attaccato e lo spinse contro il muro. Malfoy si liberò velocemente e dopo pochi secondi riuscì a immobilizzarlo.
Rodolphus. Quell'uomo, quel pazzo, era Rodolphus? Dopo tutti quegli anni, che al prigioniero di sicuro erano sembrati secoli, aveva sperato di non ritrovare il suo amico. Una tomba sarebbe stata preferibile allo spettacolo che si trovava avanti.
Rodolphus era un uomo distrutto, pazzo e sporco, così dannatamente sporco che Lucius avrebbe desiderato poter scappare via da lì e andarsi a lavare tutto quel sudiciume che gli lordava le mani. Tutto, in quel luogo, in quella cella, indicava dolore e pazzia. I muri erano incrostati di sporcizia, non c'era alcun letto e dall'odore che lì vi regnava, Lucius pensò che probabilmente nessuno aveva mai pensato a ripulire la cella da anni.
Ma la cosa più sporca di tutti, era quell'uomo che stava sotto di lui, immobilizzato con uno spreco così minimo di forza. Si dimenava debolmente, aveva gli occhi stravolti e un filo di bava che gli usciva dalla bocca, cadendo sulla barba sporca e lunga, non rasata. I capelli, neri, erano lunghi fino alla schiena, forse anche di più, ed erano così sporchi da essere di una tonalità più scura.
Il ragazzo che Lucius ricordava era l'opposto. Era sempre pulito, sempre pronto a lasciarsi andare ad una morbida risata, con il volto rasato  i capelli corti.  
Restò a fissare a lungo l'uomo negli occhi. Si tolse la giacca e la usò per coprirlo, per evitare che gli altri mangiamorte vedessero quello spettacolo. Lo condusse fuori -impresa resa a dir poco impossibile dalla poca collaborazione dell'uomo e dagli enormi calcinacci che ostruivano il passaggio. Appena furono fuori dalla prigione, si smaterializzò a casa sua. Rodolphus aveva bisogno di cure e lui gliele avrebbe date. Era un suo vecchio amico, aveva un debito in sospeso con lui ed ora era arrivato il momento di ripagarlo.

Lei non aspettò che qualcuno venisse a prenderla, non aspettò di essere salvata. Appena qualcuno passò vicino alla sua cella e la aprì, sgusciò fuori, senza neanche fermarsi. Uscì fuori dalla cella ed iniziò a correre, sempre più veloce, nonostante le gambe molli che le impedivano di essere veloci come voleva. Non si muoveva da così tanto tempo da avere i muscoli quasi atrofizzati ed ogni passo le faceva male. Ma mai, mai, si sarebbe fermata. Doveva raggiungere Lui, il suo Signore. Il suo Signore l'aveva liberata.
Fu la prima a scappare da lì, la prima dei prigionieri a sentire il vento e l'aria pulita sul viso. Pioveva. Pioveva forte e il vento spingeva quella massa nera di capelli, ormai informe, alle sue spalle. Ma lei rideva ancora, di nuovo. Di nuovo una risata le graffiava la gola e usciva fuori dalle sue labbra. La pioggia le cadeva sul volto, la rinfrescava come non succedeva da anni. L'acqua e il vento la facevano sentire viva.
Rideva, con il volto puntato verso l'alto. La luce delle stelle le sembrava magnifica, diversa alle fiamme delle torce a cui era abituata. Tutto era nuovo, era come nascere di nuovo, per l'ennesima volta. Ed era quello che le era successo. Gli odori le riempivano la mente, la pioggia le solleticava il volto e il freddo la faceva sentire viva.
Iniziò a fare una giravolta su se stessa, continuando a ridere. Alzò le braccia al cielo e lasciò che la manica lasciasse vedere il marchio nero.
“Mio Signore! Signore Oscuro!” urlò al cielo. Nessuno di loro la sentì, la tempesta copriva quasi tutti i rumori. Bellatrix però sapeva che Lui l'avrebbe sentita se fosse stato lì. Lui l'avrebbe sempre sentita, Lui l'avrebbe sempre liberata fino a quando lei sarebbe stata la mangiamorte più fedele, più brava e più astuta.
Crollò a terra, le sue gambe non sopportavano più il suo peso. Rimase a terra, con il volto ancora rivolto verso l'alto, fino a quando un mangiamorte non gli posò le mani sulle spalle. Lo fissò per qualche istante e si rimise in piedi, alzando il mento con aria orgogliosa, nonostante non fosse nella condizione di farlo.
“Il signore Oscuro la vuole al suo maniero, signora Lestrange.”
Bellatrix annuì e afferrò il braccio del mangiamorte.

RESIDENZA DI LORD VOLDEMORT
I suoi mangiamorte erano riusciti nell'impresa. Mentre loro combattevano contro i dissennatori, riducendoli lentamente in suo potere, lui osservava il paesaggio fuori al suo balcone. Quell'antica residenza era situata su una montagna, circondata da alberi che prendevano nutrimento da un lago non molto grande e non molto lontano. Era una bella casa, proprietà di Salazar Serpeverde. Nessuno sapeva della sua esistenza fino a poco tempo prima. Solo l'erede di Salazar, un purosangue*, poteva vederla. Nessuno dei suoi mangiamorte conosceva ancora quel posto, erano tutti convinti che vivesse in quel vecchio maniero dei Black abbandonato secoli e secoli fa. Come se lui potesse accontentarsi di qualcosa di simile! Posò una mano sul davanzale e fissò il vuoto per qualche istante. Il silenzio della casa era assoluto. Dopotutto, tranne lui e Nagini, in quella casa viveva solo un servo, un elfo come tanti. Per il resto, lui era solo. Nagini dormiva accanto al fuoco, con l'enorme corpo raggomitolato. Gli sfiorò appena il capo. Era così forte, così tenebrosa, la sua compagna, il suo ultimo horcux ed il più protetto. Avrebbe potuto stritolare una macchina intera e inghiottire tutti i suoi passeggeri solo per poi tornare da lui e sussurrargli tutto quello che i babbani avevano detto, come avevano urlato e supplicato. La sua Nagini era perfetta, ed era l'unica che conosceva ogni suo segreto.
“Mio Signore, la donna è con me.” una voce risuonò nella mente di Lord Voldemort. Dopo pochi secondi si era già materializzato nella sua camera, nel vecchio maniero dei Black.
“Conducila da me.” ordinò, sempre attraverso la mente, al suo servo.
Si avvicinò alla finestra e dopo pochi attimi uno schiantesimo risuonò nella casa.

ANTICA VILLA BLACK IN ROVINA
Bellatrix entrò nella camera dell'oscuro signore, pallida e stanca. Anche un semplice incantesimo come quello l'aveva provata ma non l'avrebbe mai mostrata, non davanti a lui. Quello stupido maghetto, quel mangiamorte che doveva essersi alleato da poco con Voldemort, aveva osato provare a prenderla in braccio quado l'aveva vista e aveva storto il naso. Pensava che fosse un'indifesa bambina? Pensava che gli avrebbe permesso di portarla in quel modo al cospetto del suo Signore? Stupido. Gli aveva sottratto la bacchetta e lo aveva messo a tacere con un semplice schiantesimo, poi era entrata nella stanza, a testa alta e con la bacchetta in mano.
I suoi occhi lo videro subito.
Era una macchia bianca nell'oscurità della stanza.
Arrivò di fronte a lui e si mise in ginocchio. Afferrò l'orlo del suo vestito e lo baciò, bagnandolo con le sue lacrime. Dopo anni in cui l'aveva creduto morto, sentire la stoffa del suo mantello, vederlo, la rendeva immensamente felice come non si era sentita neanche quando la sua cella era stata aperta. Lui era tornato. Lui era vivo. Era vivo e lei era di nuovo ai suoi piedi, pronta a servirlo.

Voldemort non si curò né del rumore dell'incantesimo né di altro, ma quando vide la donna entrare nella stanza, la scrutò a lungo. Era diversa dalla ragazza che si ricordava, quella che l'aveva seguito per anni. Ora era una donna con la pazzia nello sguardo. Il suo corpo portava i segni di Azkaban. Ovunque c'erano graffi e cicatrici. Ma, osservandola, Voldemort notò anche un'altra cosa. Sulla pelle della donna, nascosto agli occhi della maggior parte delle persone, si era attaccato l'odio. Un odio simile non sarebbe mai potuto essere eliminato. La donna si inginocchiò -o forse cadde?- ai suoi piedi e gli baciò l'orlo del mantello. Le sue lacrime non producevano rumore ma il Signore Oscuro capì che erano lacrime di gioia. Bellatrix Lestrange era tornata da lui.
“Mio Signore...non ho mai, mai dubitato che sareste tornato. Sapevo che l'avreste fatto, Signore. Non ho mai dubitato, la mia fede non ha mai vacillato.” mormorò la donna, ancora china ai piedi del suo signore.
“Lo so, Bella. Lo so. È per questo che ti è stata donata la libertà e la possibilità di tornare al mio fianco.”
una delle sue mani bianche e fredde come la morte, sfiorò i capelli della donna. Le lasciò qualche altro secondo per sfogarsi poi si allontanò bruscamente da lei.
“Ovviamente, devi dimostrare di essere meritevole di questa possibilità e di sicuro non lo farai restando a piagnucolare a terra. Alzati in piedi, Bellatrix.”
Quanto tempo era che non sentiva le labbra dell'uomo pronunciare il suo nome? Da quanto non riceveva un suo ordine? Si alzò in piedi e lo fissò negli occhi. Lord Voldemort era cambiato, Bellatrix lo aveva notato da subito. Il suo viso ora era simile a quello di una serpe, la pelle era bianca come un osso vecchio, e gli occhi erano due gocce di sangue, rossi come rubini. Non era il ragazzo avvenente a cui si era legata ma era, senza alcun dubbio, ancora il mago oscuro più potente di sempre e, nonostante il suo aspetto, lei avvertiva la stessa aura di potere, la stessa forza e la stessa anima nera e spietata.
Se a Voldemort diede fastidio essere guardato in quel modo dalla mangiamorte, non lo diede a vedere. Si limitò a ricambiare il suo sguardo, concentrandosi di nuovo sul corpo della donna. Troppo magra. Era decisamente troppo magra. Le ossa sporgevano fuori dalla pelle che sembrava essere una pergamena vecchia. Di sicuro Bellatrix sarebbe riuscita in poco tempo a recuperare la sua bellezza e a riacquistare il suo vecchio aspetto.
“Mio Signore, chi vi ha trovato? Chi vi ha aiutato a riconquistare il nostro mondo?”
“Non tu, Bellatrix, e tanto ti basti sapere. Sono ritornato da poco, la guerra è tutta da combattere e spero che tu starai al mio fianco, al momento giusto. Anche se, in queste condizioni, sei inutile.”
La donna non arrossì e non mostrò alcuna traccia di risentimento per quelle parole. Era consapevole di quanto fosse debole in quel momento ma il Signore Oscuro non sarebbe stato deluso. Lei sarebbe tornata ad essere la migliore, aveva solo bisogno di tempo. In qualche mese si sarebbe rimessa.
“Hai altre domande?”
“Molte, Signore Oscuro”
“Allora vai, su. Scegline una e spera di ottenere una risposta.”
“Mio marito. È vivo? Sono anni che non ottengo sue notizie.” Freddo. L'unica cosa presente nella voce della donna era il freddo. Un sorriso sadico comparve sul volto di Voldemort. Indicò con un gesto tutta quella casa e fissò negli occhi la mangiamorte.
“Tutto questo, Bellatrix, diventerà il rifugio di voi evasi da Azkaban. Sarà qui che verranno portati tutti. Ora tu hai due scelte, Bellatrix. Puoi restare qua e sperare di essere curata, sperare che qualcuno si occupi di te perchè tu hai bisogno di attenzioni se vuoi tornare in grado di fare più di uno schiantesimo senza svenire, e cercare tuo marito fra i tuoi simili oppure puoi venire con me e diventare la mia serva.” Si girò di spalle, fissando di nuovo il paesaggio fuori dalla finestra. “Ho un'altra abitazione, molto più comoda, dove potrai tornare ad essere la strega che mi serve. Ma non potrai vedere nessuno, né le tue sorelle né nessun altro. Ci sarò solo io e Nagini. Ovviamente di tutto si occuperà un elfo domestico ma dubito che ciò ti interessi.”
Il silenzio nella stanza divenne pesante. Non voleva restare in quella vecchia casa, senza di Lui, ma andare via, andare in quell'altra casa voleva dire tornare in carcere. Voldemort si girò e puntò la bacchetta verso la donna. Non pronunciò neanche l'incantesimo, entrò semplicemente nella sua mente. Bellatrix si irrigidì immediatamente ma non poteva fermarlo in alcun modo, lo sapeva. I suoi dubbi apparvero chiari al Signore Oscuro che si lasciò andare ad una risata.
“Non sarà un carcere, Bellatrix. Potrai uscire, andare ovunque tu voglia, ma non potrai incontrare nessuno. La solitudine ti fa così tanta paura? Oppure io non valgo abbastanza?” la canzonò l'uomo.
“Non vedo mia sorella da quando sono stata arrestata.”
“Qualche mese in più non la ucciderà.”
“Potrò scriverle?”
“No.” L'ordine fu impartito con un tono secco. “Solitudine, Bellatrix, è di questo che hai bisogno. Basta guardarti in viso per capire che, se fossi lasciata sola, in mezzo ad altre persone, compiresti una strage per nulla.”
“Non è vero! Non sono pazza!”
“Si che lo sei. Ma credo che tu sia ancora recuperabile, per fortuna. Non ho intenzione di perdere alleati quindi, se la scelta deve ricadere fra la tua vita e la loro, troverò qualcun altro disposto a stare al mio fianco.” Voldemort le si avvicinò e le prese il volto fra le mani, scrutandolo a lungo. “Scegli, strega.”
La risposta di Bellatrix fu un sussurro appena accennato.
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*So che Voldemort è un mezzosangue e non ho alcuna intenzione di cambiare il suo personaggio. L'ho definito purosangue per un motivo ben preciso che verrà svelato più avanti:)

NOTE: Questo capitolo è incentrato tutto su Bella e Voldemort, lo so, ma tranne quel piccolo spazio che ho dedicato a Rodolphus e a Lucius, non sono riuscita a trovare spazio per gli altri personaggi. Non preoccupatevi, negli altri capitoli compariranno anche gli altri!
E' la mia prima storia in questo fandom quindi, se notate errori (orrori) ditemelo subito! Credo che aggiornerò una volta a settimana, salvo imprevisti (questa settimana fa eccezione perchè il prologo è piccolo e neanche questo capitolo è enorme)
Sarei molto felice di sapere cosa ne pensate della storia, quindi mi farebbero piacere sia recensioni sia messaggi privati. Grazie di tutto:)

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Capitolo 3
*** Cap. 2 ***


VILLA MALFOY

Narcissa Malfoy si materializzò all'improvviso, di fronte all'enorme cancello di ferro battuto lavorato a mano dell'enorme villa dov'era padrona e signora. Attraversò lentamente il parco, a passo misurato, senza correre. Una signora si mostrava sempre composta, anche se si trattava di attraversare solo un corridoio. Chiamò uno dei suoi elfi domestici con un solo gesto. Fissò l'essere dall'alto in basso, sempre con quell'espressione seria, gelida e composta. Non si ricordava neanche il nome di quel servo in particolare. L'elfo che avevano prima si era rivelato un lurido traditore. Dabby, forse si chiamava così, o forse era Dubby? Debby? Ricordava con un delizioso brivido di piacere la sua voce piagnucolosa quando cercava debolmente di scusarsi per qualche errore. Quello che avevano in quel momento era ancora migliore sotto a quel punto di vista. Era più piccolo e più fedele.

“Un bagno caldo. Subito. Pretendo che sia veramente caldo ma se mi scotterò per anche solo un secondo, ti ritroverai a bollire in pentola. Mi hai capito?”

L'elfo annuì spaventato e corse con le sue zampette corte, coperto da quella specie di sacco informe che era così fiero di portare.

Solo quando la signora Malfoy raggiunse la sua camera da letto permise alla maschera di granito che le copriva il volto di frantumarsi in mille minuscoli pezzettini, lasciando un'espressione stanca, accigliata e preoccupata. Mi sedette stancamente sul letto matrimoniale, con le mani lungo i fianchi, e con gesti sempre più veloci, iniziò a togliersi tutte le forcine che aveva fra i capelli, che le mantenevano la pettinatura perfetta ed intatta. Era appena stata all'antico maniero Black, quella villa che in passato era una delle maggiori residenze estive della sua famiglia. Probabilmente all'inizio apparteneva ad un suo bis-bis-bis qualcosa ma erano secoli che giaceva abbandonata, lasciata solo a se stessa. Con il tempo la famiglia si era sempre più assottigliata fino a non diventare altro che un palazzo abbandonato, pieno di ragnatele, polvere, crepe e chissà quante altre cose, indegne anche solo di essere nominate. Però ora era diventato qualcosa di peggio. All'inizio, quando l'Oscuro Signore le aveva ordinato di dargli quell'abitazione, Narcissa era convinta che quella sarebbe diventata semplicemente la sua nuova abitazione. Modesta, umile, indegna di un mago del suo lignaggio, ma era ciò che aveva chiesto e lei era stata felice di donargliela, come simbolo della fedeltà della sua famiglia. Ma non pensava che sarebbe diventato....diventato un lazzaretto. Quell'antica villa era diventato un vero e proprio lazzaretto. Tutti i prigionieri che erano fuggiti da Azkaban, erano riuniti lì. La maggior parte di loro avevano malattie più o meno semplici da combattere anche se non avevano ricevuto alcuna cura medica in quel luogo. Ma le ferite che spaventavano Narcissa, erano quelle che non vedeva subito. Quando vedeva alcune persone fissarla come se fosse l'essere più strano mai visto, quando sentiva delle urla, quando vedeva quelle persone picchiarsi per cose assurde, capiva che le ferite di Azkaban non erano fisiche. Erano ferite troppo profonde per essere viste ma allo stesso tempo erano evidenti, come se fossero esposte al sole. La maggior parte di loro sarebbe stata uccisa presto. Erano inutili, troppo devastati dai lunghi anni di prigionia per poter capire cosa accadeva attorno a loro, deboli come insetti. Un moto di disgusto le fece mancare il fiato per qualche secondo.

Ma fra loro mancavano la persona che aveva cercato con tutta se stessa per tutti quegli anni. Sua sorella Bellatrix. Era stata rinchiusa lì dentro tanti anni fa, tredici o quattordici, non sapeva neanche quando esattamente. Dopo tutti quegli anni, cos'era rimasto di sua sorella? E, sopratutto, dov'era?Aveva pensato che l'avrebbe trovata lì, in quella villa, fra le altre persone, ma invece non aveva trovato nulla. Aveva pensato allora che sua sorella, la sua sorellona, quella che era sempre stata la più irruente, la più energica e la più forte fra i tre fiori che sua madre aveva messo al mondo -anche se uno di quei fiori era appassito, era diventato una macchia di disonore- non fosse riuscita a resistere a quegli stenti e fosse morta. Le sembrava assurdo, ma era l'unica risposta. Aveva controllato tutta Azkaban alla ricerca di qualche prova della morte della sorella ma non aveva trovato nulla, neanche una foto o una lapide. Nulla. Di sua sorella non rimaneva assolutamente nulla, come se la stessa prigione l'avesse inghiottita, facendo cadere nell'oblio una purosangue, una delle streghe più forti della storia. Basta, aveva bisogno di quel dannato bagno. Doveva smettere di pensare e così probabilmente anche la mente avrebbe smesso di farle male, anche se quella domanda le ronzava ancora nella mente.

Dov'era finita Bellatrix Lestrange, nata Black?

L'acqua oramai era abbastanza calda. Narcissa ci si infilò, lasciandosi avvolgere da quel dolce calore. Chiuse gli occhi e rimase in quella posizione, immobile, per tanto di quel tempo da perderne la cognizione. L'acqua non si raffredava, rimaneva sempre costante grazie ad un incantesimo, e permetteva a Narcissa di rilassarsi.

Il bagno era saturo dei vapori del bagno e dell'odore del bagnochiuma mentre i capelli di Narcissa le vorticavano attorno al viso. Misi il mento a pelo d'acqua, tenendo sempre gli occhi chiusi. Non si rese conto dell'uomo che era entrato nella stanza e solo quando questi la svegliò dal suo dormiveglia con un delicato bacio sulla guancia, per poi passare al collo e alla spalla, aprì gli occhi.

Di fronte a lei, impeccabile come sempre, c'era suo marito. I lunghi capelli biondi scendevano sul perfetto completo elegante e il bastone con la sua bacchetta era appoggiato al muro.

“Lucius...” mormorò la donna con un sorriso rilassato sul volto.

 

L'uomo sorrise, guardando sua moglie. “Narcissa..” le sussurrò con un tono dolce e suadente al tempo stesso all'orecchio, prima di percorrere lentamente il contorno del suo collo con la punta del naso.

L'amava. Sembrava strano da dire, poteva sembrare assurdo, ma ora l'amava. Quando li avevano costretti a sposarsi, l'odiava. Era solo una bambina viziata, una bambina viziata che era diventata la sua dolce ed adorata mogliettina. Ma da un certo punto in poi -Lucius non sapeva quando, forse quando per la prima volta l'aveva vista spaventata dopo una punizione dell'Oscuro Signore- aveva iniziato a capirla, ad amarla, ed ora era sicuro che nessuna donna sarebbe mai stata più adatta a lui di quella splendida figura che era immersa nell'acqua. Narcissa in quel momento era una visione splendida. Il suo corpo nudo era coperto dall'acqua che le scivolava delicatamente addosso e il vapore contribuiva a renderla mistica, quasi come una mitica dea scesa in terra. Come poteva non ammirarla? La spugna passò delicatamente sulle sue gambe mentre stesso Lucius si accingeva a quel compito, con una delicatezza e una passione che in non molti matrimoni sopravviveva ancora in quell'intensità.

“Lucius...notizie di lei..?”

non c'era bisogno di specificare chi, Lucius lo sapeva fin troppo bene. All'inizio era quella la sorella Black che l'aveva stregato, Bellatrix, ma con il tempo quell'amore era sfumato, lasciando solo rispetto e un sentimento affettuoso adatto al loro legame di parentela. Abbassò lo sguardo, concentrandosi solo sulla spugna.

“Non è morta, Lucius. Non lo è, ne sono certa. Bellatrix non sarebbe mai morta come una semplice strega.”

La voce sicura di Narcissa gli fece alzare il volto. Fissò la donna negli occhi e capì che Narcissa sapeva molto più di lui le reali potenzialità di Bellatrix. Baciò Narcissa sulle labbra, entrando nella vasca con lei, ignorando i vestiti che si inzuppavano sempre di più.

“Lo so, Narcissa. Lo so. La troveremo e la riporteremo qui, insieme a suo marito.”

 

Lucius camminava nei corridoi di villa Malfoy con passo cadenzato e sonoro. Indossava vestiti più comodi, più adatti a stare in casa rispetto al completo che indossava quasi sempre. Eccola, la porta che cerva, in fondo al corridoio. Quell'ala della villa era decisamente molto più silenziosa e meno frequentata rispetto al resto della casa. Bussò alla porta e un elfo corse subito ad aprirgli la porta. Era una camera in penombra ma l'aria era fresca, non puzzava di chiuso e non era sporca, sudicia, come quella cella. Neanche l'uomo che occupava il grande letto a baldacchino era lo stesso di quella cella ad Azkaban. Il viso era rasato, i capelli erano stati tagliati drasticamente per vari motivi. Era steso a letto, nella penombra, e fissava solo il soffitto davanti a lui.

“Come sta?” chiese Lucius all'elfo.

“Mio signore...lui..lui migliora, credo.”

“Ha sorriso? Ha riso?”

“N-no, mio..mio signore...”

“Allora come fai a dire che sta migliorando, stupido?!” sibilò Lucius, dando uno schiaffo all'elfo, facendolo rotolare a terra.

“I-io...lui...lui parla...dice certe cose...”

“Cosa?”

“Prima erano pa-parole in-indistinte...ma ora p-parla di Hogwarts...e di- di voi..”

Lucius dedicò un ultimo sguardo freddo all'elfo e si andò a sedere su una poltrona vicino al letto, con un libro in mano. Non era un tipo troppo sentimentale e Rodolphus era come lui. Non gli avrebbe mai permesso di sedersi a tenergli la mano e raccontargli storie sdolcinate su quanto gli era mancato. Il loro rapporto, per quanto intenso, non era mai stato scandito da grandi gesti d'affetto. Niente abbracci, niente spallate da amici, ma sempre un atteggiamento alquanto distaccato. Erano stati complici in molte cose e ciò li aveva resi simili a fratelli ma non si poteva dire che loro due fossero sdolcinati. A Lucius bastava stare lì, accanto a lui, anche se leggeva un libro. Dopotutto, era lì solo per controllare lo stato di salute di Rodolphus, solo per vegliare la guarigione del suo amico. Leggeva in silenzio, senza aprire bocca, e forse per questo, quando sentì la voce di Rodolphus, corrugò le sopracciglia.

“Mi devo allenare.. Voglio vincere la coppa il campionato di Quidditch....ci sarà una grande partita...ed io non perderò. I bolidi. Devono colpire il Cercatore dell'altra squadre....così i 150 punti saranno nostri....”

Lucius fissò l'amico in silenzio, lasciandosi trasportare dai ricordi di Hogwarts, quando sia lui sia Rodolphus erano nella squadra di Quidditch.

 

HOGWARTS-CAMPO DA QUIDDITCH

 

Il vento contrario ostacolava il suo volo, facendo sbandare la scopa. La pluffa non era molto lontana da lui, in quel momento era nelle mani di Bellatrix. Un bolide si avvicinò pericolosamente alla sua scopa ma Rodolphus lo fermò appena in tempo. Fece l'occhiolino a Lucius e riprese a giocare. La partita ormai era gestita dai Serpeverde che, senza alcuno sforzo, stavano vincendo sui Tassorosso. Un sorrisetto soddisfatto comparve sul volto del signor Malfoy, mentre continuava a volare, cercando di individuare quel diamine di boccino. Il vento rendeva difficile individuare la pallina bianca che sicuramente veniva sbatacchiata anch'essa dal vento.

Era la finale del campionato di Quidditch e tutta la scuola era scontenta. Tutta la scuola tranne la casa dei Serpeverde, ovviamente. Ormai la loro squadra aveva distrutto le altre e non era neanche il primo anno che capitava, era già il secondo. Di sicuro avrebbero vinto anche quella coppa e chissà...forse anche la coppa delle casa sarebbe stata loro. Dopotutto l'ambizione dei serpreverde non si fermava davanti a nulla e a nessuno. Di sicuro avrebbero vinto. Loro erano i migliori, senza alcun dubbio.

Il discorso che Rodolphus aveva fatto in quell'occasione nello spogliatoio, parlava di vincere la coppa di Quidditch, di dimostrare che loro non credevano di essere i migliori ma che loro lo erano. Erano erano i migliori. Mai discorso era stato fatto con più ardore e più orgoglio e Lucius era sicuro che il ricordo avrebbe seguito per sempre tutti i componenti della squadra.

Il boccino, eccolo! Lo vedeva, era solo un riflesso dorato ma per lui era abbastanza. Dopo pochi minuti Lucius aveva appena decretato la fine della partita afferrando la palla più piccola del gioco.

Durante la festa dopo la loro ennesima vittoria, gli occhi di Lucius erano rimasti attaccati per tutto il tempo al corpo di una sola donna: alta, magra, pallida e con lunghi capelli neri che le cadevano lungo la schiena. La donna perfetta, con un'indole forte e un qualcosa che la rendeva indomabile. Perfetta. Una donna capace di tenere testa a lui valeva la pena di essere amata.

Era lei la donna che Lucius avrebbe voluto sposare. Strinse gli occhi, facendo un passo verso Bellatrix, e una mano si fermò sulla sua spalla. Lucius si girò di scatto e fissò i suoi occhi in quelli di Rodolphus Lestrange.

Smettila, Lucius.”

Di fare cosa?”
“Di fissarla. È una pazza, Lucius. Non può essere tua moglie. La vedi? Non segue la ragione, solo l'istinto. Tu sei molto più calcolatore.”

E allora?”
“Allora, Lucius, ti condurrebbe sull'orlo della follia.”

Lo sguardo di Rodolphus era serio e fissava solo gli occhi di Lucius. All'epoca non erano ancora stati promessi a nessuno e non potevano sapere che da lì a poco tempo, sarebbe stato Rodolphus il marito della donna per cui batteva il cuore del biondo ragazzo.

Rodolphus si allontanò di qualche passo, tornando a mischiarsi fra la folla festosa, lasciando a Lucius i suoi dubbi. Seguì con lo sguardo le movenze della donna per qualche altro attimo poi tornò a bere la sua burrobirra, in silenzio. Forse Rodolphus aveva ragione.

 

VILLA MALFOY-STANZA DI RODOLPHUS.

Nessuno aveva mai saputo di quelle poche parole scambiate nello spogliatoio. Nella storia di Hogwarts quella era passata semplicemente come la partita migliore dell'anno. La rabbia di Lucius gli aveva permesso di giocare mille volte meglio del solito ma neanche questo gli aveva permesso di ricevere un sorriso della donna.

“Te la ricordi, vero Rodolphus?” abbozzò un sorriso all'uomo. “Però Bellatrix ha condotto te alla pazzia, non me.”

L'uomo per qualche attimo fissò Lucius negli occhi con uno sguardo quasi lucido e la sua bocca di aprì per mormorare qualcosa ma i suoni risultarono indistinti all'orecchio del signor Malfoy. Gli occhi di Rodolphus si chiusero di nuovo e tornò nel limbo della febbre.

Lucius rimase qualche altro attimo nella stanza poi si alzò e se ne andò, lasciando l'elfo a vegliare sul suo amico.

 

RESIDENZA DI LORD VOLDEMORT.

Lord Voldemort rimase immobile per qualche istante, fissando la figura addormentata nel letto di una delle tante camere della sua abitazione. Aveva visto gli altri prigionieri che erano scappati da Azkaban e nessuno di loro era in grado di combattere o almeno non ancora. Ma vederli gli aveva fatto capire quando la sua mangiamorte preferita fosse superiore a tutti loro. Non farfugliava cose incomprensibili durante la notte, non piangeva per un qualcosa di irrilevante. Fissò la figura distesa nel letto per qualche altro attimo poi andò nella sua stanza. Si sedette in poltrona, davanti a un camino dove scoppiettava un allegro fuoco. Dei sibili annunciarono il suo arrivo.

“Bentornata, mia cara. Notizie del mondo dei maghi?”

Vi temono, tutti vi temono. Sono spaventati anche solo dal suono del vostro nome.”

“Bene. È ciò che volevo. C'è altro?”

“Si. Nessuno ha diffuso la notizia dei vostri nuovi alleati.”

Un sorrisetto soddisfatto decorò le labbra dell'Oscuro Signore. “Bene. È così che deve andare. Cornelius mi sta spianando la strada per la vittoria.”

 

Nell'altra stanza, Bellatrix dormiva profondamente. Era stata liberata da Azkaban da pochi giorni, troppo pochi per tornare ad essere la bellissima ragazza che era stata molto tempo prima, prima di essere rinchiusa in quella dannata prigione, ma aveva già fatto dei notevoli passi avanti. La sua pelle era tornata ad essere incontaminata: non c'era più alcuna traccia della sporcizia di Azkaban. I capelli purtroppo erano ancora aggrovigliati. Probabilmente, Bellatrix non sarebbe mai riuscita a farli tornare come prima anche se era riuscita a domarli leggermente con decisi colpi di spazzola. Un paio di forbici erano riusciti a ridargli una parvenza di “forma”. Nonostante ciò, il suo volto era ancora solcato da profonde occhiaie. Passava molto tempo a dormire, recuperando velocemente le forze che le erano state sottratte in quegli anni. Gli squallidi vestiti che indossava quando si era presentata al cospetto dell'Oscuro Signore dopo quattordici anni, erano stati bruciati immediatamente. Al loro posto ora indossava una vestaglia di seta nera che metteva di più in risalto la pelle pallida. Era bella, certo, abbracciata al cuscino come una bambina, ma la sua figura emanava anche un qualcosa di profondamente sbagliato, qualcosa che non sarebbe mai stato cancellato. Ma, sotto le palpebre chiuse, nei suoi occhi, c'era una luce decisa. Lei sarebbe tornata ad essere la migliore. Bellatrix Lestrange avrebbe iniziato ad esercitarsi già dal giorno dopo. Doveva tornare ad essere come prima. Doveva. Era per questo che Lord Voldemort la voleva con lui.

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Capitolo 4
*** Cap. 3 ***


DIMORA DI LORD VOLDEMORT

'Mi deludi, Bellatrix. Una volta sapevi combattere molto meglio. Esistono scolarette ad Hogwarts che riuscirebbero a batterti in pochi secondi! Cosa me me faccio di una serva simile?!'

Le parole dell'Oscuro Signore era stato seguite da un lampo e un dolore immenso. Al solo pensiero, brividi correvano lungo la schiena di Bellatrix che, seduta di fronte allo specchio, fissava il suo stesso volto bianco e segnato dalla stanchezza. La sua bacchetta, poggiata lì affianco, la invitava a stringerla e dare prova di sé. Ma la donna aveva paura di fallire, ancora. Nonostante quell'avvenimento fosse accaduto settimane prima, e nonostante tutto l'allenamento che era seguito, non era sicura di essere tornata all'abilità di un tempo. Eppure era potente, di ciò era sicura, ma quanto lo era? Quanto era migliorata davvero? Si era allenata con un elfo domestico che, seppur sembrasse inutile, aveva un bel po' do abilità ignote ai maghi. Nonostante gli insuccessi iniziali, ben presto aveva iniziato a batterlo sempre. Aveva usato tutte le maledizioni senza perdono su quell'essere. Tutte. Ed ora infatti il suo corpo giaceva a terra, nella sua camera. Quell'elfo non si sarebbe più svegliato e la sua orribile bocca non avrebbe mai potuto dire quanto debole era diventata Bellatrix Lestrange.

Sapeva cosa doveva fare per riottenere l'appoggio del suo signore ma la sua immagine allo specchio sembrava chiederle 'Sei sicura? E se lo deludi? E se tu non fossi veramente pronta come credi? Dopotutto, quello è solo un elfo...'

Non voleva deluderlo di nuovo. Non poteva deluderlo di nuovo. Doveva andare avanti, continuare, doveva riuscire a conquistare di nuovo quello che la prigione le aveva tolto. E se non avesse provato, se non l'avesse chiesto a lui, come avrebbe fatto a sapere quanto era migliorata e quanto invece doveva ancora lavorare? Presa la sua decisione, si alzò di scatto dalla sedia, afferrando la bacchetta ricurva che l'aveva accompagnata per tutti quegli allenamenti. I corridoi di quella villa erano silenziosi, solitari come erano stati per lunghi secoli. I tacchi della Lestrange ruppero quel silenzio mentre il corpo dell'elfo volteggiava alle sue spalle. Doveva provare. Doveva fargli sapere che non aveva sprecato quei giorni con faccende inutili ma aveva fatto di tutto per tornare la Mangiamorte che era una volta. Doveva sapere che lei non si arrendeva, ma lei lottava ancora. Anche se distrutta dalla prigionia, lei non si era arresa. Lei aveva continuato a lottare. Ed ora era pronta per ricevere un responso, negativo o positivo.

Anche se nel corridoio risuonava il rumore dei suoi tacchi, nella testa della donna risuonava solo il battito del suo cuore. Ogni colpo aumentava la sua sicurezza. Quando finalmente arrivò alla porta della stanza dell'Oscuro Signore, il suo respiro era calmo. L'agitazione si era ridotta ma rimaneva lì, rintanata nel fondo del cuore.

 

Il rumore secco di un pugno che tocca il legno allontanò l'Oscuro Signore dai suoi pensieri. Si allontanò dall'enorme finestra a cui si era appoggiato. Il sole era arrivato allo zenit da non molto tempo e la luce illuminava tutta la terra che circondava quell'enorme villa. Il sole riscaldava la pelle, aumentava il calore corporeo. La mano di Voldemort era posata sul davanzale, dove quel calore la colpiva. I raggi avevano reso la pelle dell'uomo calda come quella di qualunque altra persona. Come se lui fosse stato vivo, umano. La mano bianca come un osso era diventata calda. Eppure il resto del suo corpo era freddo come il ghiaccio. Nagini era sulle sue spalle e la lunga lingua biforcuta si muoveva verso la luce. Anche lei voleva riscaldarsi. Ma lei era un rettile, lui un uomo. No, lui era più simile a un Dio che a un uomo ma il prezzo per quel cambiamento era stato il suo aspetto, la sua umanità.

Quel suono l'aveva distratto dai suoi pensieri. In quella casa erano solo in tre e di sicuro quell'insulso elfo domestico non avrebbe mai osato disturbarlo in nessun modo, a meno che non desiderasse lunghe ore di tortura. Solo lei poteva bussare alla sua porta, aspettando il suo permesso. In realtà l'uomo la stava aspettando. Sapeva che le parole dure che le aveva rivolto giorni prima sarebbero state abbastanza dure da spronarla ma si sentiva già pronta? Bene, era meglio darle una possibilità.

“Vieni avanti, Bellatrix.”

Bellatrix entrò nella stanza a grandi passi. Si inchinò, posando le ginocchia sul pavimento freddo e abbassando il capo.

“Mio Signore. Sono pronta.”

“Davvero, Bellatrix? Vieni a dimostrarlo.”

Sul volto dell'uomo si aprì un sorriso gelido, mentre anche lui impugnava la sua bacchetta.

 

 

VILLA MALFOY

“LASCIAMI! TI HO DETTO DI LASCIARMI! MOSTRO!”

Le urla dell'uomo riempivano villa Malfoy. L'elfo tentava di trattenere il mago che sembrava impazzito. Rodolphus si agitava, urlava e strepitava. Provava ad alzarsi, ma l'elfo glielo impediva.

“Signore non lo fate! Vi prego, signore. Kart deve mantenerlo qui. Kart si occupa di lui.”

Lucius entrò nella stanza in fretta, e si avvicinò al letto dell'amico. Rodolphus aveva gli occhi dilatati e fissava il vuoto. Quando Lucius entrò nel suo campo visivo, la mano di Rodolphus si strinse attorno al suo braccio.

“Lucius! Loro sono qui. Loro vogliono toglierci l'anima. Lucius uccidimi. Non voglio diventare come loro!”

Il signor Malfoy fissò l'amico, senza sapere cosa rispondere. Si riferiva sicuramente ai dissennatori ma in quella casa non ce n'erano. Dovevano essere le allucinazioni che sembravano non finire mai. Alcune volte, come quella, lo svegliavano di notte. Rodolphus non sarebbe mai tornato com'era, secondo Lucius. Ma lui non si arrendeva. I Malfoy non venivano mai battuti e di sicuro non sarebbe stato una malattia a fermare Lucius Malfoy. Così si limitò a tenere le mani sulle spalle dell'amico, tenendolo fermo.

“Qui non ci sono dissenantori, Rodolphus! Calmati.”

Sibilò Lucius. Vedendo che l'amico non reagiva, lanciò un'occhiataccia all'elfo.

“Fai qualcosa, stupido! Calmalo”

L'elfo scoccò le dita e il corpo di Rodolphus si rilassò. Lucius rimase immobile a fissare il corpo addormentato dell'amico. Dio, in che inferno era finito? Come poteva farlo uscire da lì?

“Perchè non lo sapevo?”

Disse una voce. Fredda, dura, ma anche flebile. Come di qualcuno che nonostante la rabbia vuole sapere ma teme la risposta, qualunque essa sia. Quando Lucius alzò lo sguardo, vide che sua moglie lo fissava dallo stipite della porta.

 

RESIDENZA DI LORD VOLDEMORT

Il fiato si fermò nel petto di Bellatrix mentre la maledizione dell'Oscuro Signore la colpiva in pieno. Il dolore infiammò i suoi muscoli e un urlo uscì dalla bocca della donna. Solo un urlo, prima che Voldemort decidesse di interrompere la maledizione Cruciatus. Fissò la strega che riprendeva fiato, prima di alzarsi, appoggiandosi sul palmo delle mani. L'uomo aspettò che la donna si alzasse, prima di puntare di nuovo la bacchetta contro di lei.

“Crucio.”

Un altro raggio rosso seguì la fredda parola ma quella volta la maledizione fu respinta prontamente da Bellatrix che non si era distratta. Il duello riprese, con forza. Incantesimi e contro incantesimi venivano scagliati da entrambe le parti mentre i due sembravano quasi danzare attorno a quella villa. Un passo dopo l'altro, prima che un'altra maledizione colpisse in pieno la donna. Lord Voldemort si fermò, respirando profondamente e guardando la donna ai suoi piedi. Il pugno di Bellatrix colpì il terreno mentre digrignava i denti.

Non era ancora forte come una volta, non riusciva a batterlo. Non ci sarebbe mai riuscita. Askaban stava vincendo. Per tanti anni era stata lei a vincere in una certa misura contro la prigione ma in quel momento le sembrava che fosse la prigione a vincere su di lei. Si era esercitata tanto ma non era abbastanza, non ancora. Una sola lacrima di rabbia, delusione e disprezzo verso se stessa le attraversò la guancia. Le ore passate ad allenarsi con l'elfo le sembrarono inutili in quel momento. Tanto tempo sprecato. La sua abilità non era la stessa e non lo sarebbe mai stata. Non era più la ragazza che era stata rinchiusa ad Askaban, era solo una reietta. Era una debole. Quando la mano dell'Oscuro Signore si posò sotto il suo mento e le alzò il volto, si aspettava di vedere il disprezzo in quegli occhi color sangue. Invece vi trovò rispetto e orgoglio mal celato. Era così inusuale vedere dei sentimenti simili comparire sul volto dell'Oscuro Signore che ogni scusa della donna si bloccò in gola.

“Sei migliorata. Non sei come un tempo, Bellatrix Black, ma sei migliorata. Adesso alzati e riprendi in mano la tua bacchetta. Sei pronta per essere allenata di nuovo da me.”

Gli occhi di lei rimasero fissi in quelli di lui per un lungo istante in cui il silenzio regnò sovrano. Era come essere tornati indietro nel tempo, quando lei non era altro che una giovane strega promettente. Nulla di importante, solo una strega che poteva essere la migliore. Anche all'epoca lui le aveva detto che era pronta per essere allenata da lui. Ma in quegli anni lontani chiamarla Black non era un errore, come in quel momento. Ormai Bellatrix era sposata, e suo marito non era l'uomo che per l'ennesima volta nella sua vita la stava spronando a dare il meglio

Bellatrix annuì appena, senza distogliere il suo sguardo dagli occhi dell'uomo. Neanche lui volle rompere quel legame.

Per un attimo, i loro occhi rimasero uniti da un filo invisibile e se uno dei due aveva notato l'errore dell'Oscuro Signore, non lo disse.

 

VILLA MALFOY

La furia di Narcissa era palpabile. Lui, suo marito, l'aveva tradita in quel modo! Non le aveva detto che nella loro casa viveva il marito di sua sorella, forse l'unica persona al mondo che sapesse qualcosa di utile su Bellatrix. Come aveva potuto farlo? Sapeva quanto la sorella fosse importante per lei. Aveva già perso Andromeda, non voleva perdere di nuovo anche Bellatrix.

“Dovevi dirmelo.” Disse freddamente.

“Perchè?” Disse con tono stanco Lucius.

“Perchè? Come perché, Lucius? È mio cognato, ha visto mia sorella per ultimo! Forse a lui hanno detto se Bellatrix era viva, se era stata trasferita in qualche altro luogo. Invece hai preferito tenermi segreto questo...come lo vogliamo definire? Dettaglio?”

Narcissa camminava avanti e indietro, mentre Lucius era seduto sul letto, nella loro camera matrimoniale. Guardava la moglie, vedeva la sua ira trasudare da ogni gesto, da ogni sguardo. Era in momenti come quello che Nacissa mostrava la sua indole da Black, la sua forza. Sua moglie sarebbe stata capace di fare tutto, se solo avesse voluto. Lucius era orgoglioso di lei. Non era solo una bella donna, non era capace di comandare solo la casa. Narcissa era determinata, era severa e sotto la seta e il velluto aveva un'anima di ferro. Lei non si era piegata neanche quando sua sorella Andromeda aveva lasciato la loro famiglia per stare con un Sanguemarcio, né quando Bellatrix era finita ad Askaban. Per anni era stata convinta di essere l'unica sorella rimasta, l'unica che non era stata travolta dalla vita. Solo quando aveva saputo che Lucius ed altri Mangiamorte avrebbero assaltato la prigione aveva permesso ad un briciolo di speranza di germogliare. Ora si aggrappava a quella briciola, nutrendo con essa la sua determinazione.

“Lui sa! Tu non gli hai chiesto nulla, ma lui di sicuro sa!”

Disse Narcissa con rabbia, stringendo fra i pugni delle mani un lembo della vestaglia. Con un sospiro l'uomo si alzò e si avvicinò alla moglie. Posò le mani sulle sue spalle e la fissò negli occhi.

“Hai ragione. Lui sa qualcosa. Qualche informazione potrebbe essere sepolta nella sua mente. Ma in questo momento lui non è in grado di dirci nulla. Vive fra la febbre e le allucinazioni. Dobbiamo aspettare, essere pazienti. Appena guarirà sarai la prima a rivolgergli tutte le domande che vuoi. Ma fino a quel momento non possiamo fare nulla, tranne aiutare Rodolphus a guarire.”

Narcissa annuì lentamente, mentre riconosceva la logica delle parole di suo marito e lentamente l'ira evaporava. Era stata accecata dalla voglia di sapere e non aveva pensato allo stato dell'uomo. Però ora che sapeva, avrebbe fatto di tutto per aiutare Rodolphus a guarire.

“Lui sa che Rodolphus sta qui?”

“Io non gliel'ho detto e ho ordinato all'elfo di non dire niente a nessuno, ma non si è mai sicuri di cosa sa l'Oscuro Signore.”

Narcissa sospirò di nuovo e si massaggiò appena le tempie. Capiva che Lucius aveva voluto tenere segreto lo stato di salute di Rodolphus per proteggerlo. Conoscendo suo cognato, anche Narcissa si rendeva conto di come era sempre stato importante per lui mantenere sempre una parvenza di eleganza. Non avrebbe mai permesso che la sua immagine venisse contaminata in quel modo. Prese la mano di suo marito e lo condusse a letto, con se.

“Domani i nostri problemi saranno ancora vivi, Lucius. Facciamoli sparire almeno per questa notte.”


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NOTE:Si sono consapevole di meritarmi i pomodori marci in faccia ma mi appello alla vostra clemenza. Ho iniziato questa storia mesi e mesi da e l'ho lasciata perdere perchèa vevo troppo impegni. Ora ho deciso di riprenderla quindi, se c'è qualcuno che la segue ancora, mi scuso umilmente. Se siete tutti spariti, non posso che darvi ragione. Mi dispiace di avervi fatto aspettare così tanto ç_ç 
Riguardo al capitolo c'è poco da dire. Forse non è all'altezza degli altri ma ho appena ripreso a scrivee e giuro che mi farò perdonare! 
Se vedete errori di qualunque tipo o non vi piace come ho descritto qualche personaggio, ditemelo subito! Per eventuali spiegazioni, chiedete nelle recensioni (?) 
Buona giornata e buona estate a tutti!

 

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Capitolo 5
*** Cap. 4 ***


VILLA MALFOY
Il Medimago guardò attentamente l'uomo disteso nel comodo letto della villa di Lucius Malfoy. Il corpo magro era segnato da delle profonde cicatrici sui polsi e sulle caviglie ma nonostante questo sembrava stare abbastanza bene. Certo, era di sicuro troppo magro, ma almeno era vivo il che era già tanto. La febbre che aveva bruciato quel corpo per giorni interi era finalmente cessata ma il quadro clinico continuava a non essere dei migliori. Anni di stenti avevano portato all'estremo quel mago ed ora bisognava fare tutto il possibile. Gli occhi del Medimago non tradivano nessuna emozione, nessuna espressione. Si comportava come un robot, un automa. Tutto ciò che faceva era eseguire gli ordini che gli erano stati impartiti dalla signora Malfoy. La maledizione Imperio non aveva lasciato alcuno scampo. Narcissa, dopo aver saputo che suo marito aveva soccorso Rodolphus e che ora suo cognato viveva a casa loro, aveva deciso di prendere in mano la situazione. Quando aveva notato che l'uomo non migliorava né peggiorava, aveva deciso di correre un rischio in più. Era stata lei a usare la maledizione senza perdono contro l'uomo che in quel momento esaminava suo cognato. In poco tempo, seguendo le cure, Rodolphus era già migliorato. Ma per quanti sforzi facesse, i progressi le sembravano sempre più lenti. Era torturata costantemente dal dubbio. Voleva sapere come stava la sorella, se stava bene e se era viva.
Tutto quello che le rimaneva della sorella era quel sottile filo di speranza a cui non voleva rinunciare. Erano anni che non aveva notizie di sua sorella maggiore, della ragazza che l'aveva aiutata a diventare una donna e a superare il dolore per la perdita di Andromeda. Infatti anche se la secondogenita non era morta, per la famiglia Black aveva cessato di esistere. Aveva rinnegato gli insegnamenti di una vita sposando il Sanguemarcio, Ted Tonks. Il purissimo sangue della grande casata dei Black era stato infangato con quel matrimonio e quell'onta si poteva ripulire solamente rinnegando colei che aveva commesso sull'atroce atto. Ora Narcissa si sentiva sola. Era l'unica superstite di un trio di sorelle. Non c'era più nessuno che poteva ricordare con lei momenti della sua infanzia e si sentiva immensamente sola. Voleva recuperare almeno quel pezzo della sua famiglia. Sapeva che ora che era una donna sposata avrebbe dovuto smetterla di considerare i Black la sua famiglia e pensare solo a ciò che aveva costruito con suo marito, con Lucius, ma per quanto amasse suo figlio e suo marito non poteva di sicuro dimenticare tutti quegli anni in cui era stata una donna nubile, quegli anni in cui esisteva Narcissa Black, il delicato giglio della famiglia Black. E non la forte Narcissa Malfoy. No, non poteva e non voleva dimenticare.
“Il paziente migliora continuamente, signora Malfoy. Se gli farà bene un infuso con queste piante probabilmente entro pochi giorni riconquisterà la completa lucidità. La febbre ormai è calata e più di così io non posso fare.”
“La ringrazio, Medimago Gareon. Un mio elfo lo materializzerà nel suo appartamento. Non faccia parola con nessuno di tutto questo, come al solito. Adesso può andare.”
Disse con freddezza la bionda e con un gesto imperioso della mano congedò il Medimago, rimanendo sola nella stanza. Poggiò una mano sul mobile e guardò suo cognato, Rodolphus Lestrange e i ricordi la strapparono all'improvviso da quel luogo.

VILLA LESTRANGE
“Tu la devi fermare! Sei suo marito, Rodolphus, le devi dire di smetterla! Devi ordinarglielo se è necessario.”
I capelli le erano sfuggiti dalla pettinatura che poche ore prima le aveva fatto con tanta attenzione il suo elfo domestico e le ricadevano attorno al viso di porcellana in ciocche sparse. Quando aveva saputo quello che la sorella stava facendo, si era smaterializzata immediatamente nella dimora dei Lestrange. Aveva dovuto aspettare per un bel po' nel salone, torturandosi il labbro e camminando avanti ed indietro così tante volte fa aver perso il conto. Quando un elfo domestico aveva osato chiederle qualcosa – la giovane non ricordava neanche cosa – lei lo aveva scacciato con un calcio, troppo preoccupata per badare a cosa dicevano quelle repellenti creature. Dopo un tempo che le era sembrato infinito, suo cognato Rodolphus era tornato a casa e finalmente gli aveva potuto parlare. Non gli aveva dato neanche tempo per togliersi il mantello, aveva direttamente posto la domanda principale.
“È vero? Bellatrix lo sta davvero cercando ancora?”
“Come fai a saperlo?”
“Non importa. Voglio solo sapere se è vero o meno.”
“Importa invece! Se lo sai tu allora c'è il rischio che lo scopra anche qualcun altro!”
“Allora....allora è vero?! Bellatrix sta ancora cercando l'Oscuro Signore?”
“Si Narcissa.”
“E tu l'aiuti?”
“Si.”
Era stato a quel punto che la conversazione era degenerata e Narcissa era arrivata ad alzare la voce.
“Tu la devi fermare! Sei suo marito, Rodolphus, le devi dire di smetterla! Devi ordinarglielo se è necessario.”
Rodolphus l'aveva guardata, piantandole in faccia due occhi severi e aveva stretto il pugno. “Narcissa basta. Non sono affari tuoi quello che io devo o non devo dire a mia moglie. Non dimenticarti che Bellatrix non è più una Black. Adesso è una Lestrange e tu una Malfoy. Appartenete a due famiglie diverse.”
“Stai parlando di mia sorella! Di mia sorella che rischia di finire ad Askaban o ancora peggio. Per cosa, poi? Per cercare un morto? Ha perso ormai, Rodolphus, e tu lo sai! Anche se fosse vivo – e non lo è, lo sai- avrebbe perso ogni cosa. Adesso dobbiamo pensare a salvare noi e le nostre famiglie.”
“Basta!” urlò l'uomo che fece un paio di passi in avanti, arrivando al punto di squadrare la donna negli occhi. Quando parlò il suo tono di voce era gelido e non ammetteva repliche. “Abbiamo giurato, Narcissa. Ha giurato anche tuo marito. Gli dobbiamo fedeltà e la fedeltà non svanisce così velocemente.” si allontanò appena da lei e si girò di spalle, aggiustandosi i polsi dell'abito che indossava. “In ogni caso sai com'è fatta tua sorella e sai quanto è fedele all'Oscuro Signore. È la sua serva più importante, lo sanno tutti, e non lo abbandonerà mai.”
A quelle parole calde lacrime erano scese lungo le guance della donna. “Non può rischiare così tanto! Ho bisogno di lei!” aveva urlato.


ANTICA VILLA BLACK IN ROVINA
Pochi si stavano già allenando, constatò Lord Voldemort mentre da una stanza solitaria osservava l'enorme giardino sottostante. Non si era di sicuro aspettato che i suoi Mangiamorte più fedeli, coloro che avevano sopportato l'inferno per lui, si riprendessero così velocemente. La maggior parte di loro era ancora debole e scrutando la mente di alcuni aveva scoperto che in loro non c'era altro che paura. Avevano paura di guarire, paura di quello che sarebbe diventato la loro vita. Alcuni di loro avevano anche paura dei propri ricordi. Eppure nessuno di loro aveva reagito nello stesso modo di lei. Loro preferivano restare lì, a farsi guarire, mentre invece la mangiamorte per eccellente aveva provato in tutti i modo a non essere debole. Non voleva ricordare, Bellatrix, e voleva cancellare tutti quegli anni dalla sua memoria. L'unico modo che aveva per farlo era quello di tornare quella di prima. E lei l'aveva fatto, si era impegnata, ma non tutti erano come lei. Nessuno era come lei. Nessuno. Lei era unica.
Lord Voldemort scacciò quei pensieri futili dalla sua mente, concentrandosi solo su quello spaurito gruppo di maghi che provava a migliorare ma in maniera abbastanza fiacca. Una smorfia si aprì sul suo volto. Posò le fredde dite scheletriche sul corpo della sua adorata Nagini che, con le spire avvolte attorno alle sue spalle, osservava con lui la scena, fiutando l'aria con la punta della sua lingua. Anche lei era inquieta. Quel luogo pieno di debolezza non le piaceva. L'Oscuro Signore la accarezzò lentamente, accorgendosi a malapena della pelle fredda sotto le sue dita.
“Calma, Nagini. Pochi minuti e torniamo a casa.”
Sussurrò in serpentese, prima di girarsi e rivolgere finalmente la sua attenzione all'uomo che da un bel po' di tempo era inginocchiato al suo cospetto. I lunghi capelli biondo chiaro gli coprivano appena il volto e affianco a lui era poggiato un bastone nero rifinito in argento.
“Lucius. Sono afflitto per la perdita della tua famiglia.”
“Perdita...? Mio signore di quale perdita parla?”
Un sorriso increspò le labbra dell'Oscuro Signore. “Qui non vedo tua cognata. Non è una perdita, caro il mio Lucius?”
Le spalle di Lucius ebbero un tremito appena percettibile. “I Dissennatori hanno detto che era viva. La Gazzetta la cita fra gli evasi. Forse è solo....persa.”
“Tu credi, Lucius? Oppure ci crede tua moglie in queste cose?” chiese Lord Voldemort con voce suadente.
Il silenzio regnò sovrano per ben poco tempo, riempito solo dal sibilo di Nagini che, dopo aver abbandonato le spalle del suo padrone, si avvicinava al Mangiamorte, fermandosi in un cerchio attorno alle game. L'Oscuro Signore chiuse gli occhi ed esplorò la mente del suo servo. Pensiero dopo pensiero lesse tutto poi con una voce di miele e ghiaccio gli parlò.
“Chiedimelo, Lucius. So cosa desideri chiedermi.”
“Cercatela. Vi prego, Oscuro Signore, cercatela. Cercate Bellatrix, ve ne supplico.”
Lucius pronunciò quelle parole in tono sommesso, fissando un lembo della veste dell'Oscuro Signore. Il suo appello era disperato. Ogni notte ormai vedeva Narcissa, la sua Narcissa, che non si dava tregua. Sua moglie aveva cercato e ricercato più volte notizie sulla sorella. Era tornata ad Askaban di nascosto, aveva visitato il cimitero della prigione e controllato in tutte le celle. L'aveva sentita mentre ordinava ad un elfo di trovare i registri della prigione e di reperirvi tutte le informazioni riguardante la sorella. L'aveva vista mentre picchiava quello stesso elfo fino a lasciarlo a terra, moribondo nel suo stesso sangue solo perché non aveva trovato informazioni. L'aveva vista mentre permetteva al suo viso di incresparsi in una smorfia di tristezza quando pensava di non essere vista ed infine aveva visto come con forza nascondeva tutto sotto uno strato di sicurezza.
Sopratutto aveva visto se stesso mentre osservava impotente la moglie, sapendo che in quel momento Narcissa cercava solo la sorella.
Aveva ricordato la ragazza che aveva conosciuto fra i Serpeverde e la donna che si era sposata con il suo migliore amico. Ricordava la Mangiamorte che era diventata.
“Perchè mi fai questa richiesta, Lucius? Per Narcissa o per te?”
“Per me, mio signore...?”
“L'amavi, Lucius.” disse con disprezzo Lord Voldemort.
Lucius chiuse gli occhi per un attimo. Si, l'amava. Una volta, quando entrambi erano ad Hogwarts, ama Bellatrix. Ma era stata solo una cotta, un sentimento che aveva lasciato solo un profondo rispetto. “E' stato molto tempo fa, mio signore. Quel sentimento è sparito da tempo ormai. Lo chiedo per mia moglie e...si, forse anche per me, ma non perché provi per lei qualcosa di diverso dal rispetto ma perché mia moglie ne ha bisogno.”
“Bene, Lucius. Le tue parole non sono state vane.” si girò di spalle, congedando il Mangiamorte.
Lucius aveva appena poggiato una mano sul pomello della porta quando Lord Voldemort senza neanche girarsi, gli diede un ultimo ordine. “Quando il tuo ospite particolare si risveglierà, Lucius, voglio saperlo ancor prima di tua moglie. Adesso vai.”
Il corpo di Lucius si irrigidì per un'ultima volta poi il Mangiamorte oltrepassò la porta, sparendo.
“Nagini vieni. Torniamo a casa.”
Poggiò una mano sul corpo del serpente e si smaterializzò.

DIMORA DI LORD VOLDEMORT
Un forte schiocco risuonò nell'aria e un attimo dopo l'Oscuo Signore insieme alla sua Nagini comparvero nella stanza. Per un istante il tempo sembrò sospeso poi Lord Voldemort si portò una mano al cuore, affondando le dita nella carne e appoggiandosi con l'altra ad una colonnina del letto a baldacchino. L'aria gli mancava, non era abbastanza, e un rantolo gli sfuggiva dalle labbra serrate.
Un attimo dopo tutto era passato.
“Signore state sempre peggio.”
“Lo so Nagini ma ho già la soluzione.”

VILLA MALFOY
Narcissa era seduta davanti allo specchio e con gesti lenti e precisi si spazzolava i lunghi capelli biondi. Lucius entrò a passi lenti e le baciò la guancia prima di sedersi sul letto.
“Lo sa.”
La mano di Narcissa si fermò poi lentamente posò la spazzola sullo specchio della toilette. Si alzò e raggiunse Lucius, sedendosi accanto a lui e abbracciandolo dolcemente.
“Cosa vuole?”
“Solo sapere quando si risveglierà.”
“Lucius sapevi che non avresti potuto tenerlo nascosto per sempre.”
Lucius chiuse gli occhi, pensando solo all'abbraccio della moglie.

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NOTE: In questo capitolo Bellatrix non compare proprio, lo so, e nel prossimo mi farò perdonare. Non l'ho inserita solo perchè in questo momento non ci sono molte novità su di lei. Si sta allenando con la stessa costanza di sempre e migliora sempre di più. In compenso però c'è una piccola parte in cui Voldemort pensa a lei. So che non è molto ma per esigenze di trama non potevo inserirla. Mi sono concentrata di più su Lucius e Narcissa questa volta e spero di aver sottolineato come Bellatrix manchi a loro e quanto la strega era importante nelle loro vite.
Nel prossimo cpaitolo ci sarà una rande svolta, promesso v.v
Per adesso buona notte e recensite, voglio sapere cosa ne pensate!

§Demone.

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