Il Mistero dell'Isola delle Nebbie

di patty92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Cap. 1 ***
Capitolo 3: *** Cap.2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


MIN - Prologo

Il Mistero dell'Isola delle Nebbie

Prologo

Come ogni prologo che si rispetti, questa non è la vera storia, ma aiuta semplcimente a comprenderla. Quello che ho preannunciato nell'intorduzione inizierà nel prossimo capitolo, in ogni caso spero di risucire ad incuriosirvi!

Il palazzo era colossale, abbarbicato su un lungo promontorio, sembrava un gigante addormentato, un gigante dorato. Era costituito da cupole e guglie: una vera meraviglia per gli occhi! Non c’era un solo punto che non valesse qualcosa, tra marmo, oro, argento, pietre preziose… e tutto questo riluceva alla luce del sole, brillando per chilometri e chilometri. Le sue sale erano foderate con il legno dei più pregiati esemplari delle più pregiate specie. Ogni mobile era disposto in modo da sottolineare la potenza e il sapere incommensurabile dei suoi abitanti. Lo stesso sapere simboleggiato dalle centinaia di volumi custoditi nelle grandi biblioteche o nelle stanze private degli eruditi che lì avevano trovato alloggio.
Sotto le mura di questo palazzo c’era un mare, furioso, indomito e tempestoso e una grandissima città, con alte case a più piani, strade lastricate e mura possenti. Era uno spettacolo meraviglioso da vedersi, soprattutto nei giorni in cui il luogo non era sommerso dalle nebbie, che di solito facevano da padrone, però. Da millenni era conosciuto come Città d’Oro, capitale del regno degli Studiosi.
Questa potente gilda era composta dai membri di una razza molto diversa dalla nostra, molto diversa dagli umani e molto, molto più forte. Quando gli uomini giunsero in quelle terre la differenza fra le due specie fu palese e incolmabile. E anche l’odio. I due popoli iniziarono a chiamarsi reciprocamente “alieni”, giurandosi inimicizia eterna, ma quello non era l’unico scontro in atto sul pianeta. Ad ogni gli Studiosi affermavano che il nome corretto della loro razza fosse Vendryk Nich.
Così come nel nebbioso Ovest regnava incontrastata la sapienza, l’intelligenza e la maestosità degli Studiosi, nel deserto del Sud vivevano i Guerrieri, alieni indomiti, robustissimi, dall’abilità innata per il combattimento e una ferocia implacabile. E questi combattenti erano per lo più nomadi, forse per necessità, forse perché non avevano il sapere adatto per erigere una città. Per millenni i Guerrieri e Studiosi vissero in pace, aiutandosi a vicenda e riuscendo perfino a sottomettere la razza degli uomini, arrivata in numero elevatissimo dalle misteriose regioni settentrionali, dove regnavano incontrastate alte montagne indomite. Per anni i padroni del Pianeta grigio furono gli alieni. Finché non scoppiò la guerra.
Nessuno, almeno fra i sopravvissuti, ha mai saputo il motivo che fece traboccare il vaso, perché il rapporto fra Studiosi e Guerrieri era sì instabile, ma non era arrivato in nessun caso alla guerra civile.
E l’ombra del conflitto arrivò sino alle soglie della capitale degli Studiosi che, pur erigendo a loro difesa barriere e trucchi altamente tecnologici, non poterono nulla contro la furia dei Guerrieri. Guidati dal perfido e crudele Immortale, il capo della gilda guerriera, i combattenti alieni irruppero nella Città d’Oro travolgendo, razziando, uccidendo, distruggendo tutto al loro passaggio. Primi fra tutti gli uomini rimasti in città, ovvero quelli che non erano riusciti a fuggire. L’errore dei Guerrieri fu uno solo: attaccarono con tutte le forze a disposizione e, giunti a passo dalla vittoria, vennero distrutti. Decisi a non perdere quella battaglia, gli Studiosi furono pronti a sacrificarsi. Sotto la guida del loro misterioso capo, il Senza Nome, l’Occultato, colui di cui nessuno sapeva l’identità, tranne pochi, che avevano troppa paura per rivelarla.
Quella notte, conosciuta come il declino degli alieni, gli umani videro solo una grande esplosione dalla Città d’Oro, che, improvvisamente, scomparve nel nulla, lasciando dietro di sé solo fondamenta, i ricchi sotterranei e un manipolo di alieni, sconfitti e impotenti. Sia Guerrieri che Studiosi, ma questo contava, ormai?
La risposta era no, perché in quel momento iniziò il dominio degli uomini.
Insediandosi nelle rovine delle città antiche, il genere umano riprese a vivere, bramoso di arrivare, se non superare, il livello raggiunto dagli alieni. Per un momento il loro desiderio si realizzò, dalla misteriosa Isola delle Nebbie una grande e potente famiglia, il clan delle Nebbie, i Settercik, studiarono i resti della precedente civiltà progredendo notevolmente e divenendo il punto di riferimento di tutti
.
Gli ultimi alieni rimasti, però, stavano elaborando un piano per riconquistare il pianeta e, temendo che gli uomini diventassero troppo forti, annientarono i Settercik, tuttavia il sogno di questa famiglia non morì con essa. Anzi, il desiderio di conoscere fece nascere gli Avventurieri: uomini coraggiosi e intrepidi che, esplorando delle rovine millenarie, raccoglievano reperti e oggetti antichi, alcuni per cercare di riportare alla luce il Sapere conquistato dagli alieni, altri per arricchirsi. Fu in questo modo che la splendida città di Acquamarina, il più grande porto del mondo, divenne la patria degli Avventurieri dell’Ovest ed è proprio qui che inizia la nostra storia.

Questa non è la mia prima storia: io amo scrivere e credo di aver scritto tanto nella mia vita. Tuttavia questa è la prima storia che pubblico su questo sito, quindi non posso ammettere di essere tranquilla. Anzi, sono davvero insicura. Con il tempo ho imparato che le critiche sono davvero utili e aiutano a migliorare. Ogni scrittore dovrebbe sempre cercare di migliorare il proprio stile in effetti, almeno a mio parere. Dunque un vostro commento, sia esso negativo o positivo, sarà ben accolto. In ogni caso, sono sempre convinta, che bisogni scrivere per se stessi, solo in questo modo ci si può divertire e si può considerare la scrittura un piacere. Dunque credo che continuerò lo stesso a pubblicare questa storia, almeno nella parte che ho già scritto. In base alle recensioni - qualora le ricevessi - proseguirò con gioia questa storia.

Patty

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Capitolo 2
*** Cap. 1 ***


L'avventuriere, il ricatto e la ragazza misteriosa
Con questo capitolo iniiza la storia vera e propria, in effetti ho sempre pensato che, scrivendo qualcosa, l'inizio sia sempre la parte più difficile. Spero comunque di essermela cavata!

Cap.1

L’avventuriere, il ricatto e la ragazza misteriosa

Era una piovosa serata d’autunno e la nebbia iniziava a ricoprire ogni edificio del porto, quando, in un sontuoso palazzo, un uomo incappucciato e avvolto in un mantello nero era chino sulla scrivania del suo studio, una grande stanza illuminata e riscaldata da un vivace fuoco, intento a studiare dei documenti. Tutto in quella camera esprimeva il carattere del suo occupante: i mobili erano pregiati, ovviamente costosi, e decisamente cupi. Gli enormi scaffali che foderavano due pareti, quelle laterali, esprimevano la passione per il sapere del proprietario, dettato più dalla smania di potere, che dalla curiosità. Nel complesso, però, la stanza era anche semplice ed essenziale, non erano presenti inutili soprammobili o cianfrusaglie simili, tuttavia il potere e la ricchezza, così come il carattere dispotico e intransigente di colui che l’aveva arredata. All’improvviso si udì un gran fracasso, proveniente probabilmente dall’atrio, l’uomo alzò allora la testa e irritato sbottò: “Che diavolo succede?”
Immediatamente un servitore in livrea argentata entrò nella stanza dicendo: “Mi scusi, Eccellenza, ma la squadra speciale è appena tornata: il ragazzo è qui.”
L’uomo, di cui nessuno sapeva il vero nome e che era detto semplicemente Lord, si calmò subito. “Bene, fallo entrare”disse.
L’ordine fu subito eseguito: poco dopo due uomini trascinarono al cospetto di Lord un ragazzo sui diciotto anni, con capelli castani e occhi azzurri. Era piuttosto alto e indossava un vestito grigio tagliato diagonalmente da una stretta fascia rossa, su cui risplendeva una spilla d’oro a forma di “A”, simbolo degli Avventurieri. Aveva un mantello di un blu cupo e scuro, da cui spuntava la punta di un enorme spadone che portava sulle spalle, il suo nome era Arnic, detto il Vigoroso, uno dei più giovani, famosi e forti membri della sua gilda.
Dopo aver osservato con lieve interesse il ragazzo, Lord si alzò, rivelando una figura davvero alta e imponente, e sulla sua faccia comparve un perfido sorriso, poi disse: “Benvenuto Arnic, sono lieto che tu abbia accettato il mio invito.”
“Si figuri, Eccellenza, ma non doveva mandare i suoi scagnozzi, sarei venuto da solo… so bene dove abita.” rispose questi, beffardo. Il suo carattere era indomito: non permetteva a nessuno di dargli ordini.
Lord, che emana un’aura di maestosità e incuteva timore, gli si avvicinò e mormorò, con voce melliflua: “Non ero certo che saresti arrivato subito. Sai, io non amo perdere tempo, dunque veniamo subito al punto: ho bisogno di te, devi portarmi una cosa.” Evidentemente il dispotico signore non era la persona da tollerare insubordinazioni al suo potere. Restava solo da vedere chi fosse più forte fra i due.
“Mi rincresce deluderla, ma io non lavorerò più per lei, lo sa benissimo.” asserì il ragazzo, deciso.
“E tu sai altrettanto bene di essere in debito con me, se non vuoi eseguire i miei ordini paga le diecimila monete con cui ho finanziato la tua ultima, disastrosa spedizione.” ribatté acido Lord. Era abituato a farsi obbedire, con le buone o con le cattive maniere.
Il ragazzo esitò. La serpe che si trovava davanti era l’essere più pericoloso della città. Per una volta, forse, era meglio mandare al diavolo l’orgoglio. Da morto non gli sarebbe servito. E poi, sentire quello che aveva da dire Lord non significava di certo accettare. “Non ho così tanti soldi, di che si tratta?” domandò allora Arnic, sconfitto.
“Una sciocchezza! Vai nell’Isola delle Nebbie e portami il tesoro perduto dei Settercik.” rispose questi malignamente. Sapeva bene, come tutti, che da quando il Clan era stato annientato, diciassette anni prima, nessuno aveva osato mettere piede su quell’isola, considerata maledetta. “L’Isola delle Nebbie? Lei è impazzito Lord! Non intendo intraprendere una missione suicida, lei non puoi costringermi!” sbottò allora il ragazzo, impaurito. Non era pazzo. Alcuni dei suoi compagni avventurieri, gente vissuta, che aveva affrontato pericoli inimmaginabili, non osava neppure pronunciare quel nome maledetto, figuriamoci pensare di andarci. Lui stimava molto l’opinione dei suoi compagni, in effetti… no, non ci sarebbe andato.
Lord andò fuori di sé dalla rabbia, stringendo i denti, con voce spaventosa sibilò in modo inquietante: “Attento, non metterti contro di me, potrei arrivare a…”
“Uccidermi? Non ho paura!” lo interrupe con arroganza il ragazzo.
“Non sono un idiota Arnic, tu sei un bravissimo Avventuriero, hai sbagliato una volta ma non è rilevante. Se ti uccidessi perderei sicuramente denaro e io non voglio questo, comprendi?” replicò l’altro, calmandosi. Non per questo, però, sembrava meno spaventoso.
“Allora non mi mandi su quell’isola, ci sono poche probabilità che ritorni, e poi io non desidero andarci.”
“Tu non desideri?” ripeté Lord, incredulo, scoppiando in una risata malvagia. “Tu non desideri?! Ragazzino, non scherzare con me! In primo luogo tornerai… se non ti importa della tua vita forse ti importa di quella di tuo nonno.”
Arnic impallidì, sapeva che Lord era il finanziatore più malvagio e senza scrupoli della città, ma non si aspettava un colpo basso simile: lui era stato cresciuto da suo nonno dopo che i suoi genitori erano morti.
“Io non ti obbligo a fare niente, ma se non torni entro sette giorni con il tesoro ucciderò tuo nonno. Chiaro? Puoi andare e non azzardarti a chiedermi un finanziamento!” concluse l’uomo congedandolo e Arnic, sapendo che era meglio obbedirgli, lasciò velocemente la stanza.

Uscendo il giovane avventuriere fumava dalla rabbia. Completamente perso nei suoi pensieri ignorò i saluti della gente, camminando furiosamente sotto una leggera pioggerellina, che lo lasciava del tutto indifferente. Maledizione! Arnic pensò subito che non poteva assolutamente lasciare che suo nonno fosse assassinato, ma non voleva assolutamente svolgere quella missione per Lord! Dunque non aveva scelta: doveva lasciare la città con suo nonno immediatamente e andare più lontano possibile, cercando un luogo dove il suo potentissimo antagonista non potesse trovarlo e possibilmente non avesse potere. Si diresse immediatamente nel sobborgo dove abitava le rare volte che si fermava ad Acquamarina: non c’era un minuto da perdere.

La città era molto diversa da tutto ciò che aveva visto nella sua vita. Il caldo deserto del Sud ospitava alcuni insediamenti stabili, ma ovviamente l’architettura era molto diversa. La ragazza si bloccò di colpo, stupita. Era come se avesse già visto Acquamarina una volta, da quella stessa posizione. Si trovava sulla cima di una delle colline che circondavano la maestosa cittadina, la quale giaceva sotto i suoi occhi nel suo completo splendore. Le luci della città brillavano come stelle, in netto contrasto con l’oscurità della notte e della grigia nebbia che circondava il porto. Alcune navi piuttosto grandi, abbastanza perché lei potesse vederle, erano ormeggiate, come massicce ombre di relitti fantasmi. Tutto sommato era un bel posto.
“Sarà meglio essere prudenti.” si disse, pensosa, avviandosi verso la città. La sua figura appariva piuttosto alta ed esprimeva un assoluta tranquillità. Non per questo, però, un pizzico di preoccupazione la attanagliava. Di certo il compito che l’aspettava non era semplice. Anche se non le importava di stupide superstizioni su improbabili maledizioni, sapeva di avere un nemico potente lì fuori. Sapeva anche che i suoi amici presto sarebbero arrivati. Però, conoscendo l’uomo che li guidava, dubitava che avrebbe agito con discrezione. Anche a costo di sembrare matta, scoppiò a ridere allegramente.
“Quando Lion arriverà e scoprirà che sono qui, si arrabbierà moltissimo.” pensò divertita. “Ad ogni modo ho un conto in sospeso con il nostro obiettivo e intendo saldarlo, questa volta quel vecchio bisbetico dovrà accontentarsi! tanto non arriverà mai in tempo!”
Il passo della ragazza era ritmato e rapido, eppure incredibilmente leggero. Avvolta nell’oscurità intorno alla città sembrava quasi invisibile. Il suo mantello scuro svolazzava lieve, producendo un soffocato fruscio. Entro pochi minuti sarebbe arrivata.
“Eccoci qui, dunque. Speriamo che Acquamarina, la gemma dell’Ovest, sia all’altezza delle mie aspettative.” mormorò, intravedendo la porta d’entrata nella cinta muraria.

Arnic, ansimando, arrivò nei sobborghi orientali di Acquamarina.
La sua casa si trovava in quartiere piuttosto buio, solo qualche rara lampada illuminava, con un chiarore piuttosto pallido e malsano, sprazzi di case e strade. Vedendo la familiare scala in legno scuro che portava all’ingresso della sua dimora, tirò un sospiro di sollievo e si rilassò.
Probabilmente troppo, perché non vide l’ombra scura che aspettava davanti alla porta e che sembrava decisamente piuttosto sospetta.
Quando arrivò davanti alla porta d’entrata Arnic capì di aver sottovalutato Lord: quell’uomo era astuto come una volpe oltre che essere malvagio. Davanti all’entrata infatti c’erano due delle sue guardie personali. Non Arnic appena si avvicinò una di esse disse, divertito e falsamente cortese: “Cosa desideri?”
“Entrare in casa mia, ovviamente.”
“Questa casa è stata sequestrata da Sua Eccellenza Lord come pegno per il tuo debito, Arnic il Vigoroso, ma se desideri equipaggiarti per la missione all’Isola delle Nebbie, sei il benvenuto.”
“Non diciamo sciocchezze amico, voglio vedere mio nonno, fammi passare…” rispose il ragazzo, spazientito, posando al mano sull’elsa del suo spadone, era arrivato il momento di farsi rispettare. La guardia impallidì, tutti conoscevano la forza di Arnic il Vigoroso, ma in quel momento si sentì una voce:
“Credi forse che Lord sia uno sprovveduto? Io sono il capitano di questa squadra, se provi solo ad estrarre la tua spada tuo nonno passerà dei brutti momenti, non hai scelta, se vuoi il tuo equipaggiamento dillo, te lo farò subito avere.”
Arnic sospirò, dannandosi per la sua impulsività, la stessa che l’aveva fatto fallire durante la sua ultima spedizione, la stessa che non l’aveva fermato appena aveva visto le guardie davanti a casa sua. Sarebbe stato decisamente più semplice cercare di entrare di soppiatto e salvare suo nonno.
Quel maledetto, odioso e sporco ricatto non gli lasciava scelta!
“Hai ragione, ascolta, nella prima camera a destra c’è un baule d’ebano, lì c’è tutto ciò che mi serve, posso entrare?”
“Sta bene.” rispose il capitano.

Dieci minuti più tardi Arnic usciva da casa sua con tutto il denaro che aveva, circa duecento monete d’oro, uno zaino con qualche ricambio, dei viveri e l’equipaggiamento standard degli Avventurieri: una bussola, delle mappe, un paio di torce e della corda. Aveva preso con se anche due preziosi pugnali come armi di riserva e un piccolo arco.
Si diresse dunque nella taverna del “Leone Rampante” punto di riferimento di tutti gli avventurieri del paese. Si trovava al centro della città ed era una grande casa in legno, di vecchio stile. L’interno era un ambiente familiare e allegro, illuminato dall’allegra fiamma di un camino, dove fra l’altro ribolliva un grande pentolone di rame.
Vari tavoli con altrettante panche erano sparse per la stanza, in un angolo si trovava un bancone di noce, con davanti qualche sgabello, dietro al quale si trovava un oste, dalla faccia rubiconda e allegra e la voce grossa e burbera. Lì accanto si accedeva alla cucina, da cui usciva un aroma decisamente invitante. Sulla sinistra, proprio davanti all’ingresso, iniziavano delle scale per il piano superiore, dove si trovavano le camere per gli ospiti della locanda. Quando Arnic entrò, notò una figura ammantata dalle movenze leggere e delicate che saliva quelle scale. Strano, non c’erano molti visitatori in quel periodo dell’anno. Normalmente avrebbe chiesto notizie, ma ora non aveva tempo da perdere e decisamente altre preoccupazioni per la testa.
Iniziò così a chiedere a qualche conoscente aiuto per la sua missione, ma, come si era aspettato, tutti gli risero in faccia rifiutando. L’unico che sembrò dargli retta fu un uomo piuttosto anziano che non aveva mai visto.
“Così Arnic il Vigoroso vuole diventare anche l’Impavido o per meglio dire il Pazzo? Hai idea di che cosa si nasconde su quell’isola? Io non ti seguirei mai, a meno che non dimostri di essere davvero un fenomeno: dicono che sei un asso con la spada, ma non credo che ti basterà… ti propongo una sfida.” domandò, questi, beffardo.
“Accetto, vecchio…” ribatté il ragazzo, punto sull’orgoglio.
“Seguimi.” Arnic e l’uomo misterioso si trovavano in un angolo oscuro e nascosto della taverna, ma quelle parole attirarono l’attenzione i tutti i presenti. I due uscirono, seguiti da parecchi commensali.
L’uomo condusse Arnic nel campo d’addestramento degli avventurieri, nel grande cortile dove si trovavano i bersagli per il tiro con l’arco. Solo qualche lanterna illuminava il luogo, rendendo ancora più difficile la sfida che il vecchio stava per proporgli.
“Eccoci qui. Dimostra di essere un vero talento anche con l’arco.” dichiarò l’uomo, affabile. Poi prese dalla sua tasca una piccola medaglia dorata e la fisso su un bersaglio. “Se riesci a colpire questa con il tuo insulso arco dal punto più lontano del cortile ti seguirò.” spiegò, evitando di scoppiare a ridere malignamente solo per un pelo.
Un gruppetto di curiosi si era raggruppato lì intorno. Arnic sospirò, lui era una frana con l’arco, non ce l’avrebbe mai fatta…Tuttavia tentare non nuoce, così il ragazzo provò.
Prese l’arco, incoccò una freccia, fece un bel respiro e, dopo aver preso la mira per qualche secondo, lasciò andare la corda facendo partire il colpo. Naturalmente fallì, la freccia non colpì nemmeno il bersaglio, scatenando l’ilarità dei presenti, ma Arnic era orgoglioso e, irritato, esclamò:
“Provaci tu, allora, vediamo quanto sei bravo.”
La folla approvò e l’uomo esitò, non era sicuro di farcela, tuttavia prese l’arco e tentò, fallendo miseramente, ma neanche lui tollerò i commenti dei presenti e gridò:
“Sfido chiunque dei presenti a colpire quella medaglia, se qualcuno ci riesce gli darò tutto il mio denaro, altrimenti sarà lui a darmelo.”
Tutti si zittirono, non volevano rischiare, finché da dietro la folla una figura avvolta interamente in un mantello scuro, si alzò, si avvicinò e domandò in tono impertinente: “Quanto ti rimane nella borsa, vecchio Job? Dieci monete d’oro?”
La voce, limpida e cristallina, apparteneva a una ragazza che non poteva avere più di diciassette anni; tutti si misero a ridere, ma Job rispose fieramente: “Almeno mille monete d’oro e tu, ragazzina?”
“Più di quanto pensi, accetto la sfida.” fu la risposta, tranquilla e noncurante.
“Bene, non ho da niente perdere.” rispose beffardo il vecchio avventuriero.
“A parte mille monete d’oro” osservò la sfidante imperterrita, poi si calò il cappuccio, muovendo nel frattempo il suo raffinato mantello, che era decorato finemente con fili dorati, i quali formavano senza dubbio delle fiamme lungo tutto il vestito. Rivelò così una carnagione bianca, anzi, bianchissima, senza però essere pallida, lunghi capelli neri le cadevano sulle spalle, occhi dello stesso colore brillavano nella penombra del cortile e un sorriso astuto le illuminava il volto. Nessuno aveva mai visto una persona simile ad Acquamarina. Era senza dubbio bellissima, ma oltre a questo c’era qualcosa in lei di incredibilmente potente, tanto che le risate dei presenti si spensero subito. Sembrava che la sconosciuta potesse davvero diventare pericolosa, all’occorrenza. Con lentezza assoluta, la ragazza, infine estrasse un arco a dir poco meraviglioso: di legno scuro, molto alto, intarsiato di pietre preziose, la corda sottile e resistente, leggermente argentata, l’impugnatura era in argento ed oro. L’arma scintillò provocando l’ammirazione dei presenti.
“Accidenti, ragazzina, basterebbe che tu mi dessi quell’arco per pareggiare il conto…” esclamò Job, incantato.
Lei scoppiò a ridere, argentina. “Pareggiare il conto? Io non ho ancora perso e tu non hai ancora vinto!” ribatté, stupita. “E poi non cederei Cacciatore Silenzioso a nessuno, almeno finché non sarò morta. Per finire tu hai parlato di soldi, se fallisco ti darò duemila monete d’oro.” commentò pacatamente la ragazza, poi prese una freccia dalla punta dorata, la incoccò, tese la corda e fissò con decisione il suo bersaglio. Rimase perfettamente immobile, probabilmente valutando la direzione del vento o altri fattori simili. Tutti trattennero il fiato, impietriti. Il suo silenzio non era affatto quello impacciato ed esitante di Arnic o di Job: era sicuro e calcolato, degno dei migliori arcieri. Con calma infinita e una precisione mortale, rilasciò la corda, in un atteggiamento spaventosamente naturale e incurante, colpendo il centro esatto della medaglia.
Tutti rimasero in silenzio, stupiti.
La ragazza sorrise fra sé e sé, soddisfatta. Era stato un gioco da ragazzi. Trovava estremamente appagante tirare con i piedi per terra gli sbruffoni arroganti come Job, che, pur vantandosi continuamente, era il peggior avventuriere che avesse mia incontrato. Chissà se si ricordava di lei…
“Le mille monete d’oro” ricordò allora la vincitrice, pacata.
Job impallidì balbettando:“Cerca di capire: non ho nient’altro… devo pur vivere, io non posso dartele…”
La ragazza annuì, accondiscendete. “Lo immaginavo, ma non importa. Comunque questo dimostra che la tua parola non vale niente, adesso dovrai cambiare città di nuovo, è un vero peccato visto che a Rosa del Deserto ti cercano ancora, dovresti stare attento.” rispose, serafica, dipingendosi però in faccia un sorrisetto sardonico.
Job sembrò diventare ancora più spaventato.
“Tu sei… Leanderhall l’Astuta, fiamma del deserto, la leggenda del sud…” esalò, atterrito. “Non sarai qui per conto del governo di Rosa del Deserto, spero!”
“No, hanno rinunciato a cercarti, ma io non ci rimetterei più piede, al tuo posto. Addio e buona fortuna, Job.” commentò lei, divertita, pensando che probabilmente il governo della capitale del Deserto aveva altro a cui pensare piuttosto che dare la caccia a quell’idiota.
La ragazza sorrise nuovamente, poi si riprese la freccia e, ignorando gli sguardi attoniti dei presenti, lasciò il cortile, fischiettando. Arnic era rimasto di sasso.
“Chi era?” domandò al vecchio imbroglione, che si era seduto su una panca, visibilmente scosso.
“Non hai sentito? È Leanderhall l’Astuta, la migliore avventuriera del Sud, così come tu sei il migliore qui nell’Ovest, solo che sembra avere più fortuna di te, ecco, non si è mai cacciata nei guai con i finanziatori…”
“Taci!” lo interruppe il ragazzo, irritato. Quel vecchio l’aveva già preso in giro abbastanza. “Pensi che sarebbe disposta ad aiutarmi, piuttosto?”
“Non lo so, ma è l’unica che può farlo.”
“Bene, mi sai dire qualcosa di più su di lei?”
“No, il suo stesso nome, Leanderhall, significa “Colei che viene dal mistero”, pochi sono quelli che possono affermare di conoscerla almeno un po’. Ma fidati, è un’eccezionale avventuriera, non avrei mai dovuto sfidarla.”spiegò Job, e non appena finì di parlare Arnic si allontanò di corsa.

Eccomi di nuovo qui. Sono davvero felice di aver ricevuto la mia prima recensione, fra l'altro anche un complimento. Ringrazio davvero Darcy per il suo splendido commento. Spero che questo capitolo sia di gradimento suo gradimento e di tutti coloro che si prenderanno la briga di leggere. Grazie ancora e alla prossima.
patty

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Capitolo 3
*** Cap.2 ***


Il Mistero dell'Isola delle Nebbie Prologo

Cap. 2

Arnic il Guerriero e Leanderhall la Studiosa

Arnic scese in paese, correndo, mentre una sorda speranza si insinuava dentro di lui. La strada era deserta, chissà dove era andata quella misteriosa Leanderhall, doveva assolutamente trovarla.

“Sembra che tu stia cercando qualcosa, posso aiutarti?” domandò una voce alle sue spalle.
Arnic si girò di scatto e vide proprio l’avventuriera del sud, appoggiata sul muro della locanda, accanto alla porta, con le braccia conserte. Il suo mantello non rifletteva la luce: probabilmente non l’avrebbe notata se non fosse stato attirato dal suono della sua domanda.
“In realtà l’hai già fatto, vorrei chiederti una cosa…” ripose quindi, leggermente ansante.
L’altra sorrise distintamente. “Fai pure, ma prima sappi che se non mi dici perché vuoi andare sull’Isola delle Nebbie, non accetterò mai di aiutarti.” replicò la ragazza, pacatamente. Evidentemente la voce si era sparsa in fretta, tuttavia il suo intuito doveva essere formidabile.
Arnic esitò, non voleva parlare della sua vita privata con un’estranea, però non aveva molta scelta e inoltre quella Leanderhall gli ispirava fiducia.
“È una storia lunga, seguimi, devo cercare una barca per partire prima dell’alba, posso parlare camminando.”
La ragazza annuì e così venne a sapere dei problemi di Arnic con Lord, del suo fallimento e del ricatto del finanziatore.
“Non hai fallito.” commentò, solo. “Semplicemente qualcuno è stato nelle grotte di Cristallo prima di te.”
“Che vuoi dire?”
“Un gruppo di Avventurieri che conosco sono tornati con il tesoro delle caverne più o meno mentre tu partivi da Acquamarina.”
“Fantastico…” rispose mestamente il ragazzo. “Assolutamente fantastico, in pratica ora sono deriso da tutti per un semplice ritardo.”
Leanderhall scoppiò a ridere. “Nessuno è infallibile, Arnic. Un vero avventuriere sa accettare le proprie sconfitte e trarre vantaggio dalle sue esperienze. Se sei arrivato fino alla fine delle grotte di Cristallo significa che sei capace. Gli uomini come Job sono dei veri ciarlatani: in vita sua non ha mai portato a termine una spedizione, non da solo almeno. Dubito che sarebbe in grado di trovare un tesoro nel suo giardino, perfino se sapesse esattamente dove cercare!” commentò, allegra.
Arnic la fissò stupito, ma nel profondo riconoscente. Decisamente sembrava aver avuto una grande fortuna nell’incontrare quell’avventuriera.
“Almeno hai una minima idea di che cosa sia il tesoro dell’isola?” domandò improvvisamente Leanderhall, distogliendolo dalle sue riflessioni.
“No, ma alcuni mormorano di montagne d’oro e pietre preziose.” rispose, affascinato.
“Sì certo, ma Lord è già straricco di suo, quel che gli interessa adesso è il potere.” osservò la ragazza, assorta. Arnic si domandò se quella fosse più una sua riflessione che un osservazione diretta a lui.
“Che intendi dire?” chiese comunque, curioso.
“Secondo la leggenda il palazzo dei Settercik sorge sulle rovine della Città d’Oro, la capitale del regno degli Studiosi, e contiene tutto il sapere rimasto che avevano acquisito. Con questa conoscenza un uomo potrebbe comandare su tutto il mondo, il vero potere degli alieni stava negli Studiosi, senza di loro i Guerrieri avrebbero combattuto in eterno con lance dalla punta di pietra.” spiegò la ragazza, con solennità. I suoi occhi brillarono. Per Arnic fu chiaro di aver trovato una di quelle avventuriere esaltate, che speravano di riportare la civiltà umana agli stessi fasti di quella aliena.
Il ragazzo sbuffò. “Non mi interessa, voglio solo salvare mio nonno.” affermò l’altro, deciso.
La ragazza lo guardò di sottecchi, assorta. La sua situazione era difficile, senza alcun dubbio, ma non le era sembrato di aver incontrato un altro di quegli insulsi cacciatori di tesori che si spacciavano per Avventurieri. Nel Sud, da dove veniva, fare quel mestiere significa tutt’altro. Doveva accettare che l’Ovest ospitasse gente di mentalità diversa, però non avrebbe offerto il suo aiuto a un mero mercenario.
“Sei avventuriero solo per arricchirti?” domandò, con tono indecifrabile.
“Sì esatto, non ci vedo niente di male.” replicò l’altro alzando le spalle.
“Non badi all’aspetto storico dei reperti che riporti e non cerchi di apprendere cose nuove?”
“No, vendo tutti i libri antichi che trovo e l’unica cosa che mi interessa sapere è l’arte del combattimento.”
“Saresti un Guerriero di primo ordine se tu non fossi umano.” osservò allora Leanderhall, sorridendo stranamente.
“E tu una Studiosa, ma con questo? Non ho bisogno di consigli, voglio solo il tuo aiuto.” mormorò l’altro, irritato, suonando piuttosto arrogante.
“Da quando sogni di essere un avventuriero?”
“Da quanto avevo circa sei anni.”
“Sei solo un mercenario, non un vero avventuriero, Arnic.” commentò Leanderhall, pacata. “E la tua richiesta pare un po’ troppo presuntuosa per uno che è disperato.”
“Non mi interessa!” sbottò l’altro, infuriato. “E visto che non vuoi aiutarmi, me ne vado: ho da fare. Grazie per l’aiuto.”
Arnic se ne andò di corsa, frustato: era stato un’idiota a parlare con quella Leanderhall, sarebbe andato da solo! Dietro di lui la misteriosa ragazza sorrise, senza cercare di raggiungerlo.

La spiaggia era decisamente silenziosa, sotto di lui, e si sentiva solo il leggero sciabordare delle onde, che lasciavano della soffice schiuma bianca sulla sabbia. Il ragazzo sorrise. Niente tempeste e la marea era buona: il viaggio sarebbe stato tranquillo. Sarebbe giunto alla meta senza problemi. Doveva ammettere che ora era davvero più tranquillo. Dopotutto lui era un avventuriere, qualsiasi cosa pensasse Leanderhall. Pochi minuti dopo aver lasciato la ragazza, Arnic arrivò alla capanna di un vecchio pescatore, suo amico. L’edificio era semplice e spoglio, in legno chiaro, ed aveva solo una stanza. Il vecchio aprì la porta subito, senza offendersi per l’ora tarda. Ascoltò con pazienza la richiesta di Arnic e accettò subito di prestargli la sua barca, anche conoscendo la destinazione, perché era in debito con lui, gli disse solo, prima che partisse: “Sii prudente, ragazzo mio, voglio vederti tornare sorridente con il tesoro, mi raccomando.”
“Contaci, amico, e grazie.” ribatté l’avventuriere, correndo via.
Arnic si diresse verso il peschereccio, ancorato nelle immediate vicinanze in una piccola baia, la barca non era molto grande, ma era veloce, aveva una stiva e una cabina per dormire, inoltre non avrebbe avuto problemi a guidarlo: era un ottimo marinaio, anzi le cose che gli riuscivano meglio nella vita erano il combattimento con la spada e la navigazione. Il ragazzo impiegò mezz’ora a preparare la barca e, quando stava per salpare, qualcuno domandò: “Hai intenzione di navigare da solo fino all’isola? È molto lontana.”
“Me la caverò, Leanderhall, ti ho già detto che non ho bisogno d’aiuto, vattene.” rispose Arnic seccato, ma anche stupito, la ragazza era seduta sulla sabbia dietro di lui e probabilmente si trovava sulla spiaggia da molto tempo, infatti non l’aveva vista arrivare, si chiese come sapesse che, fra tutti le barche ormeggiate nel vasto porto della città, avrebbe usato proprio quella. In realtà l’abilità nel nascondersi fra le ombre di Leanderhall era molto alta, per questo Arnic non si era accorta di lei, mentre lo stava cercando.
“Non credi di essere un po’ precipitoso?” osservò allora l’avventuriera, divertita.
“Che vuoi dire?”
“È buio pesto, potresti schiantarti sulla scogliera, non ti conviene aspettare domattina e intanto cercare aiuto?” domandò l’altra, serafica.
“Idiozie! Conosco questa baia come le mie tasche e, per inciso, non ho bisogno di una mano.” sbottò, infuriato, Arnic. “Inoltre non ho tempo: ci sono almeno due giorni di navigazione da qui all’isola e devo ritornare tra una settimana, se considero anche il viaggio di ritorno ho solo tre giorni per esplorarla. Adesso perché non ritorni a farti gli affari tuoi e mi lasci in pace? Mi hai già tormentato abbastanza!”
La ragazza percepì un sorta di amarezza nella sua voce. Sorrise dolcemente per un secondo, probabilmente non si era sbagliata, in fondo.
“Non volevo offenderti, Arnic il Vigoroso, prima sono stata inopportuna, vuoi scusarmi?” chiese Leanderhall pacatamente.
Il ragazzo, indifferente, continuò nei preparativi e non rispose così la ragazza continuò: “Ammetto di aver esagerato, ma stavo solo esprimendo un punto di vista… comunque, come ti dicevo hai bisogno d’aiuto.”
“Questo è il tuo parere ed è diverso dal mio, inoltre dubito che qualcuno degli avventurieri di questa città abbia voglia di andare nell’Isola delle Nebbie.” sibilò Arnic in risposta.
“Giusto, credevo che qui nell’Ovest la gente fosse coraggiosa, ma sbagliavo. Io vengo dal Sud però…”
“Non finire quella frase Leanderhall, andrò da solo.” la interrupe, bruscamente, il ragazzo.
“Fai pure, troverò un’altra nave per raggiungere l’isola, ma non aspettarti di trovare il tesoro al tuo arrivo.” concluse la ragazza, alzandosi.
“Aspetta, vai anche tu nell’isola?” esclamò Arnic, interdetto.
“Certo, quel posto è pieno di mistero e io sono un’avventuriera…”
Il ragazzo rifletté: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un’avversaria, forse gli conveniva accettare l’aiuto offertogli.
“C’è posto sulla barca, se vuoi venire…” disse precipitosamente. Non aveva neanche finito di parlare, che Leanderhall saltò con agilità sorprendente sulla barca, la quale, finalmente, poté salpare verso nord ovest, silenziosa e rapida alla volta dell’isola delle Nebbie. Leanderhall la Studiosa e Arnic il Guerriero avevano appena concordato la loro alleanza, aprendo la strada verso il ritrovamento del tesoro dei Settercik.
“Ci aspetta un bel viaggetto.” commentò l’avventuriera, allegramente, mentre Arnic la fissava stupito: non era del tutto sicuro di aver fatto la scelta giusta a portarla con sé.

Inizialmente il viaggio fu tranquillo: nessuno dei due parlava. Più proseguiva, però, e più Leanderhall era inquieta: una fastidiosa sensazione di déjà vu le martellava in testa.
“Ci sono problemi?” domandò la voce di Arnic, dietro di lei. Ovviamente il ragazzo era a poppa, al timone.
“No.” fu la risposta tranquilla di Leanderhall, che era seduta a circa metà della nave, davanti all’entrata della cabina.
“Potresti andare a riposare. Almeno uno di noi dovrebbe essere sveglio domani.” mormorò Arnic, sbadigliando.
Leanderhall sorrise. “Stava pensando, ma in effetti un po’ di sonno mi farà bene.” commentò, pacata. Si alzò con grazia, mettendo una mano sulla maniglia della porta dietro di lei.
“Sei arrivata questa sera ad Acquamarina, vero?” domandò improvvisamente Arnic.
L’altra annuì, forse leggermente stupita. “Immagino che mi avrai vista salire le scale della locanda e che sapessi che essa non avesse ospiti da almeno una settimana.” osservò, però, calmissima.
Arnic rimase di sasso. “In effetti sì.”
“Ti ho visto anch’io, nello specchio in cima alle scale. E quando ho pagato il conto alla locanda l’oste stava quasi saltando di gioia, borbottando che non aveva mai visto una settimana così scarsa di clienti. Per fortuna che questo è il ritrovo degli avventurieri, ha soggiunto poi, che mi riempiono la locando tutta la sera! Ovviamente, quindi, anche tu devi essere cliente abituale al “Leone Rampante”, no?” spiegò la ragazza, sorridendo.
“In effetti sì”
“Allora buonanotte, sta’ attento. Il mare può essere infido.”
“Buonanotte.” ribatté Arnic, stancamente. Quella ragazza era davvero incredibile.

Nello stesso momento, in una stanza male illuminata, due uomini stavano parlando, uno era completamente avvolto in un mantello nero, l’altro portava un uniforme grigia. Si capiva perfettamente l’ansia del primo, che borbottava nervosamente, e il terrore del secondo.
“Sei sicuro di quello che dici?” chiese l’uomo ammantato.
“Sì, Eccellenza, i suoi uomini hanno interrogato tutti i presenti nella locanda, non ci sono dubbi.” “Ed era sola?”
“Sì, ma gli altri potrebbero arrivare in qualsiasi momento.”
“Maledizione, non ho tempo di aspettare… dovrò arrangiarmi, preparatemi una nave.”
“Ne è certo, eccellenza? Credo che…”
“Non mi importa quello che credi, mi basta che tu faccia in fretta, muoviti!” sbottò l’altro, infuriato. “Scenderò fra dieci minuti e per allora esigo la barca pronta.” concluse irato, andandosene.
Il soldato in uniforme deglutì, pensando che fosse decisamente meglio ubbidire.

Sullo sfondo di un mare in tempesta, per fortuna lontano, l'isola si ergeva dai flutti tumultuosi, improvvisamente e senza alcun sentore. Banchi grigiastri di nebbia l'avvolgevano, occultandone la vista e donandole il suo nome. Proprio in quel luogo due grandi poteri della storia erano nati ed erano stati distrutti. E l'eredità di sapere lasciata dal passato attendeva, con trepidazione: occorreva solo che qualche temerario accogliesse la sfida. Era ormai l’alba, quando i due avventuri la raggiunsero, stupendosi dell’aura inquietante di mistero che la avvolgeva. Per non parlare del fitto strato di nebbia grigia, in effetti non appena la barca si avvicinò alla sua costa Arnic fu costretto a fermarsi: non vedeva più lontano del suo naso.
“Proseguire è rischioso” commentò, irritato.
“Dovrebbe esserci un molo qui vicino, forse dovremmo aspettare che la foschia si diradi.” rispose allora Leanderhall che si trovava dalla parte opposta del timone, a prua.
L’avventuriera si era alzata quasi un’ora prima ed era rimasta lì, a fissare il mare davanti a lei, assorta.
“Non abbiamo tempo da perdere…” sbottò Arnic.
“Non lasciare che al fretta e la tensione guidino i tuoi passi, la preoccupazione per tuo nonno ti fa onore, ma se ci schiantiamo non potrai riuscire a salvarlo.” rispose Leanderhall, carezzevole.
“Oh, per tutti gli avventurieri, non mi serve la paternale!” ribatté l’altro, seccato.
“Sei nervoso.” osservò la ragazza. “Dovresti riposare, esplorare l’isola non sarà facile, inoltre senza nebbia sarà tutto più semplice: non aspetteremo oltre mezzogiorno, tranquillo.”
Arnic stava per ribattere, ma si accorse che Leanderhall aveva ragione.
“Non oltre mezzogiorno.” ripeté, deciso, entrando nella cabina e sbattendosi la porta alle spalle. Leanderhall sospirò, lo sguardo fisso sulla gigantesca isola davanti a sé. E così era arrivata, anche se aveva la strana sensazione che il suo fosse più un ritorno. Ma che diavolo le succedeva? La ragazza scosse la testa, irritata. Il difficile stava per arrivare.

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