Gioco d'inganni

di IMmatura
(/viewuser.php?uid=564925)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

Gioco d’inganni

 

1

 

-Damn! Non mi avevano detto che la situazione fosse così grave...- borbottava Arthur Kirkland, cercando di farsi strada tra la folla impazzita in quell’edificio. Non si aspettava di trovare tutto questo: il London Stock Exchange era letteralmente in balia del caos. La gente correva da una parte all’altra, con una frenesia scomposta che ne denunciava apertamente il panico. Non erano le classiche corse all’affare in quella vasca di squali della finanza. Stavolta tutti si affollavano ora qui, ora la, chi mormorando chi gridando non si sa cosa, a proposito della sterlina. Quel che era certo è che la maggior parte delle persone presenti li aveva la rabbiosa coscienza di essere rovinata.

Notò anche alcuni sguardi ostili, da parte di coloro che conoscevano la sua effettiva identità. Evidentemente lo incolpavano in qualche modo della situazione.

In qualche modo riuscì a farsi strada fino all’ufficio che cercava di raggiungere. Era ovviamente sbarrato, di fronte all’assedio di broker e investitori vari. Bussò tre volte e si annunciò perentorio. La porta si aprì al volo. Qualcuno provò a strattonarlo, mentre un ometto basso e tarchiato cercava di infilarsi.

-What the hell are you doing? Stop him!- ordinò alla scorta, che intervenne.

Richiuse la porta, lasciandosi quella bolgia infernale dietro le spalle. Si ritrovò di fronte alla candida scrivania high-teck di un dirigente. L’uomo contraddiceva con l’atteggiamento il suo aspetto autorevole. Se ne stava seduto a rigirarsi tra le mani vari fogli, con la faccia disperata. Si stava allentando la cravatta e sbottonando il colletto. Madido di sudore, sembrava anch’egli al limite dell’isteria.

-Una tragedia!- esclamò, appena vide Inghilterra -Una tragedia!-

-Puoi degnarti di darmi una spiegazione? Sono appena arrivato...-

-Oh, mi scusi.- biascicò l’uomo, non facendo neppure caso al suo tono irritato. Si alzò con uno scatto nervoso e, tamponandosi la fronte lucida, porse ad Arthur un foglio.

-La notizia mi è appena arrivata. Non l’ho ancora divulgata a nessuno, se non al personale che, purtroppo, ha dovuto aggiornare le quotazioni di conseguenza...inoltre credo che qualche voce sia trapelata.-

Il rappresentante dell’Inghilterra sbiancò già alla lettura delle prime righe. La riserva monetaria inglese era completamente scomparsa.

-Bloody hell! Mi state dicendo che la sterlina inglese al momento è priva di qualsiasi copertura aurea?- provò a gridare, con la voce leggermente tremante.

Si, decisamente era una tragedia. Anzi, peggio, l’apocalisse.

-Anche rinunciando al gold standard non saremmo mai in grado di tamponare, capisce? Io non so proprio come sia posssibile che...-

Arthur aveva smesso da un bel po’ di ascoltare. In barba all’etichetta si era avvicinato ad una bottiglia di wisky e se ne stava versando un bicchierino...quella notizia richiedeva dell’alcool, per non farlo impazzire. Non aveva la più pallida idea di come spiegare una follia del genere di fronte ai suoi superiori e alla regina. Inoltre, proprio in quel momento il cellulare squillò e, dall’altra parte, c’era l’ultima persona con cui avrebbe voluto parlare.

-Ehi, fratellino.-

Scozia. Decisamente incazzato.

-Dimmi.-

-Puoi spiegarmi per quale motivo, quando sono andato a cambiare le tue schifo di sterline con le monete della MIA zecca, me le hanno pagate quanto dei fottuti tappi di bottiglia?-

-Ehm, c’è stato sicuramente qualche disguido con il cambio...potresti aspettare qualche giorno per...insomma...-

-Non provare a fregarmi, o ti farò passare un brutto quarto d’ora!-

-Non ti stò fregando, ho i miei casini. Vatti a lamentare da Galles o Irlanda, non mi interessa.- lo gelò riattaccando.

Non aveva mai parlato a suo fratello in quel modo, ed era già sicuro che se ne sarebbe pentito, ma al momento tutta la situazione lo stava facendo sragionare. Uno stato non poteva non avere una moneta. Era impensabile, soprattutto in un momento economico del genere. Era come essere morti, politicamente parlando.

Un brivido gli attraversò la schiena.

-Ci sarebbe sempre...- azzardò l’uomo, vedendolo così stravolto -...l’altra proposta...-

-No! Non ho intenzione di tornare davanti agli altri con la coda tra le gambe. Nossignore.- sbraitò, frustrato.

Era ingiusto. Credeva che tenersi la sterlina fosse l’ideale per tutelarsi, nonché per aspettare comodamente il momento in cui lo stupido dollaro di Alfred sarebbe affondato. Invece, adesso, avrebbe dovuto abbandonare i suoi sogni sulla moneta di riserva, presentarsi come uno zimbello alla prossima riunione ed entrare nell’Euro. L’Euro, maledizione!

Aveva decisamente bisogno di un altro bicchierino...

Il telefonino squillò di nuovo. A quanto pare l’universo aveva deciso di perseguitarlo, quel giorno.

-What the hell?! Mi lasciate almeno ubriacare in pace?- aggredì direttamente l’individuo che aveva chiamato, senza sapere chi fosse, ma supponendo si trattasse di qualcun altro dei suoi “adorabili” parenti. Sfortunatamente al peggio non c’era mai fine, per cui la sua previsione si rivelò errata: era Francis. Come dire “di male in peggio”.

-Damn frog, non ho tempo per le tue idiozie, ok? Fuck you! -

-Angelterre...avremmo bisogno che tu venga al più presto...c’è una riunione straordinaria. Importante.-

Arthur poteva contare sulle dita di una mano le volte in cui aveva sentito Francis parlare in modo così distaccato e serio...e non ne era mai venuto fuori nulla di buono.

-Che succede?-

-Nulla di buono, purtroppo. Non posso darti i dettagli per telefono...posso solo dirti che, per quanto mi pesi ammetterlo, la tua presenza è di importanza  a dir poco VITALE.-

-Credimi, tutto riuscirò ad essere fuorché vitale...- commentò l’inglese, per poi mordersi la lingua. Non voleva mostrarsi debole. Soprattutto con Francia.

-Problemi, per caso?-

-Niente di grave, tranquillo. Ci sarò. Dimmi dove e quando...-




 

Si presentò puntuale, nonostante un’orribile notte insonne per le preoccupazioni. Entrò, aspettandosi il consueto caos. Invece alle sue orecchie fu risparmiato il consueto supplizio degli strilli di America che, stranamente, non doveva essere ancora arrivato. Notò che neanche Russia, Giappone, Cina e parecchie altre Nazioni erano assenti. In compenso c’erano tutti i membri dell’UE, con facce scure e un’aria insolitamente dimessa. Alcuni sembravano imbarazzati, altri nervosi. Francis accennò un sorriso forzatissimo vedendolo.

-Bonjour Arthùr...-

-Dalle vostre facce, non lo sembra affatto.-

Sentì distintamente qualcuno borbottare. Con uno sguardo distratto identificò come fonte del brusio Romano Vargas, impegnato evidentemente a mostrare come sempre quanto le riunioni lo infastidissero. Stranamente però ne Spagna ne Feliciano sembravano prendersi la briga di fermarlo, come assorti in altri pensieri. Oltretutto, il meridionale aveva un livido sullo zigomo e il labbro spaccato...dettagli su cui non ci teneva minimamente ad indagare.

-So, what you whant?- Esordì, senza ricevere risposta. La sala fu percorsa da sguardi imbarazzati. Era il momento di scoprire le carte, ma nessuno ne aveva voglia.

Alla fine toccò a Germania prendere in mano la situazione.

-Si tratta di una faccenda che richiede la massima delicatezza, per cui voglio sperare che rimarrà tra noi.-

-Con noi intendi...?-

-Gli stati europei: coloro che ho invitato a presentarsi in anticipo. Non ho idea del perché America abbia indetto una riunione straordinaria, ma anche questa questione è della massima importanza e non possiamo aspettare di indire un convegno europeo.-

Quella palese inosservanza del protocollo, proprio da parte del precisissimo Germania, preoccupò parecchio l'inglese.

-Visto che abbiamo poco tempo, che ne dite di venire al dunque?-

-Per via ufficiale la notizia non è stata ancora divulgata...- iniziò Ludwig -...ma l’UE è stata in tempi recenti oggetto di una serie di crimini volti a metterne a repentaglio la stabilità economica. Furti sistematici la cui unica refurtiva è sempre la stessa: le riserve auree dell’eurozona.-

-What?! You, too...- esclamò l’inglese.

-Come sarebbe a dire “anche voi”?- intervenne di colpo Francia.

-A questo punto non posso più nascondervelo. Anche la sterlina è attualmente priva di qualsiasi copertura...-

La dichiarazione dell’inglese fu accolta con reazioni di ansia e disappunto.

-Questo è un bel problema. Contavamo sulla sterlina come temporanea moneta di riserva...-

-Credevo vi sareste rivolti a qualcun altro.- sibilò Arthur, incrociando le braccia al petto.

-L’avremmo fatto ben volentieri, ma cercavamo qualcuno con la giusta discrezione- spiegò Francis, scostandosi una ciocca di capelli dal viso -E tu più di tutti sai quanto Amerique non sia quel genere di persona!-

Quasi fosse stato chiamato, proprio in quel momento Alfred fece letteralmente irruzione nella stanza.

-‘Sup? Avete cominciato senza l’eroe?-

-Come avremmo potuto, visto che non ci hai detto perché siamo qui...- mentì prontamente Francis, tappando per sicurezza la bocca ad Inghilterra, e guadagnandosi un morso alla mano.

-Terrorismo. Credo...non ne sono sicuro, però...-

-America, capiamo le tue preoccupazioni ma stai diventando un po’ paranoico...- sentenziò Francia.

-Aspettate e vedrete. Hanno già rivendicato il fatto!- esclamò Alfred, sventolandogli un foglio davanti al naso. -Devono esserci tutti, però!-




 

Appena la riunione fù al completo, America mostrò i fogli nei quali, dopo generiche accuse al capitalismo (e nel leggere quella parte Alfred lanciò parecchie occhiatacce ad Ivan) e farneticamenti leggermente inquietanti, si comunicava una notizia shoccante. Sfortunatamente, suello era il punto in cui America aveva smesso di capire cosa c’era scritto.

Inghilterra gli strappò i fogli di mano.

-Shit!-

-Adesso vuoi farmi credere che hai capito?- lo canzonò Alfred -Che cosa vorrebbe dire che sono stato privato della “riserva aurea nazionale”, scusa?-

-Significa che siamo nei guai, e seri.-

-Why?- chiese, rivolgendosi istintivamente in inglese all’altro.

Arthur cercò, sempre in quella lingua, di spegare vagamente ad America come la riserva aurea di una nazione garantisse il valore della moneta, e di quanto fosse grave il fatto che il dollaro, la moneta per così dire “jolly” dell’economia mondiale, su cui si taravano tutte le altre, fosse adesso senza copertura. Un’impresa improbabile che portò l’altro solo ad avere un’espressione ancor più confusa.

-Insomma, ti sta dicendo che siamo nella merda peggio di prima!- disse, scattando in piedi Romano -E che senza quell’oro coi tuoi bei dollaroni verdi puoi pulirtici il culo!-

-Shut up.-

Inutile dire che nella sala si scatenò il caos.

Quando finalmente ad America fu chiara la situazione, si prese la testa tra le mani. Persino lui, il grande eroe, non sapeva come affrontare una cosa del genere. Inoltre, le rivelazioni non erano finite.

A quanto pareva anche altri Stati extraeuropei erano stato oggetto della stessa “menomazione finanziaria”. Insomma, qualcuno aveva succhiato tutto il sangue dell’economia mondiale, già sofferente, lasciandone di fronte alle Nazioni solo il cadavere a cui fare le esequie. La cosa più grave è che le conseguenze non erano al momento neppure immaginabili. L’intera umanità rischiava di cadere nel caos e gli Stati di vacillare e accasciarsi uno dopo l’altro.

-Cerchiamo di ragionare, per favore.- tentò di dire Giappone, ma la sua voce continuava ad essere coperta dalla cattedra, finchè Ludwig non battè il pugno sul tavolo.

-Arigatou, Doitsu-san. Dicevo...se è arrivata una lettera mi pare evidente che i ladri abbiano uno scopo ben preciso. America-san,mi permetteresti di visionare quei documenti?-

Alfred annuì, porgendo i fogli.

-Voi che dite, chi può essere?-

-Innanzi tutto è evidente che l’obiettivo di colui, o coloro, che stanno portando avanti questa follia non è rivendere la refurtiva: se nessuna moneta ha valore, il concetto stesso di comprare viene messo in discussione...-

-Magari dirci qualcosa che non sappiamo già sarebbe un’idea, Angelterre.-

-Perché tu sai qualcosa di più, stupida rana?-

-Vi sembra il momento di inziare ad accusarci tra di noi, aru?- sospirò Cina. Inghilterra, nel frattempo, aveva puntato una lampada contro il viso del francese, intimandogli di parlare.

-Altrimenti cosa farai, mi minaccerai con i tuoi scones?-

-Ti permetti anche di insultarmi, adesso?-

-Io ho insultato la tua cucina, non te...teppistello.-

-COSA HAI OSATO DIRE?!-

-Poi era America quello che non si rendeva conto della gravità della situazione...- disse tra se e se Matthew, senza essere, apparentemente, udito da nessuno. In realtà qualcuno fino a quel momento non era intervenuto, godendosi il teatrino con la serenità di chi non ha nulla da perdere...e quel qualcuno sogghignò appena, fissando con curiosità il canadese...

La squillo del telefono fece zittire tutti, all’istante.

-Pronto?- rispose Feliciano, come nulla fosse.

-E quello quando ci è finito li?- chiese Francia.

-C’era già e non l’avevamo visto?- si chiese intanto Inghilterra.

Un attimo dopo, con espressione confusa, l’italiano riattaccò promettendo di riferire.

-Ehm...è il ladro, dice che se rivolgiamo le nostre riserve dobbiamo andare in un certo posto ad una certa ora...e che c’è qualcosa sotto al tavolo.-

In effetti trovarono una busta con delle dettagliate spiegazioni per raggiungere un luogo...dalle foto (anch’esse incluse) un aeroporto abbandonato. La situazione era a dir poco inquietante, ma ciascuno voleva riprendersi al più presto le proprie riserve auree...

A quel punto ciascuno si rivolgeva ai compagni nella sala, ponendo all’infinito, pur senza parlare, la stessa domanda: andare o non andare?

 

Angolo di IMma-chan

Salve a tutti EFPiani! In preda ad una insolita ispirazione ho deciso di gettarmi in una long di genere psicologico, con un tocco di mistero. Confesso che non è il tipo di storie con cui mi diletto di solito, per cui saranno graditissime tutte le recensioni costruttive (indipendentemente dal colore della bandierina!) e, in generale, la vostra opinione su trama, caratterizzazione, ecc...

Se non fosse ben chiaro qualcosa di questa introduzione non preoccupatevi, in realtà molte cose si spiegheranno andando avanti, ed altre non serviranno più molto nel corso della storia (per esempio tutti i riferimenti all’economia...). Quello che dovete sapere è che le Nazioni sono nel guano fino al collo e devono recuperare la loro ricchezza...che è stata rubata apposta per costringerli a recarsi all’aeroporto e partecipare ad un “gioco”.

L'idea è vagamente ispirata ad un manga bellissimo, che vi consiglio vivamente: Liar Game. Tuttavia sia la trama che i "giochi" saranno completamente diversi...

Spero di avervi incuriositi almeno un po’ e che seguirete questo sclero ;)

Saluti

IMmatura

 

PS Questa storia è dedicata a Micchan, perché le avevo promesso che l’avrei scritta ^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

Nulla è cambiato attraverso i secoli. Chi detiene l'oro detiene il potere. (Alessandro Morandotti)

 

 

II


I passi cadenzati di Germania risuonavano tra le mura cadenti di quel vecchio aeroporto. Era arrivato col consueto anticipo. Del resto difficilmente sarebbe riuscito ad attendere oltre, considerando che non aveva neppure dormito molto. Marciare avanti e indietro su quel pavimento polveroso era l'unico espediente che aveva trovato per dominare la tensione e mantenere il controllo di se.
All'orario stabilito dalla lettera mancava ancora mezz'ora...da almeno tre sbirciate all'orologio da polso. Decisamente la situazione era snervante, oltre che critica. In qualsiasi senso rianalizzasse mentalmente il contenuto di quella missiva, essa sembrava senza senso.
Innanzi tutto non tutti i rappresentanti delle nazioni derubate erano stati convocati. Anzi, il numero si riduceva, per il momento, ad una ventina. Tutti gli altri erano stati persino diffidati (con velate minacce) dal seguirli o indagare.
Ordini assurdi a cui il mondo, tenuto sotto ricatto, si stava piegando.
Se chi era a capo di questa follia aveva come obiettivo solo alcuni, perchè defraudare tutti? Solo per tenerli lontani?
Era evidente che quel piano di cui erano vittime mirava a destabilizzare il mondo intero...quindi perchè attirarli li pochi alla volta. Già, attirarli. Germania non aveva dubbi, infatti, sul fatto che si trattasse di una trappola.
La lettera invitava anche a portare con se un bagaglio, per un paio di pernottamenti. Era dunque evidente che volevano trattenerli. Magari in qualche luogo isolato.
Erano pur sempre in un aeroporto, avrebbero potuto costringerli a salire su un veicolo e portarli ovunque. Tanto più che, finchè avevano in mano le loro riserve auree, erano già come sequestrati. Sequestrati che si consegnano spontaneamente nelle mani del sequestratore, e raggiungono il nascondiglio con le proprie gambe. Davvero un'operazione "pulita", per dei pazzi criminali (più ci pensava, più Ludwig escludeva che potesse trattarsi di un singolo) che, di fatto, avevano inziato con la più grande rapina della storia.
Strinse i pugni con rabbia, contraendosi sul posto. Le gambe si erano come bloccate. Ogni muscolo del tedesco sembrava teso fino allo spasmo. Si chiese, all'improvviso, se non fosse anche quella una menzogna. Magari la storia del bagaglio era solo un depistaggio, e si trattava davvero di terroristi che speravano di poterli uccidere attirandoli pochi alla volta in luoghi isolati.
Eppure sembravano essere parecchio ben informati...potevano non sapere che era impossibile uccidere una Nazione con metodi "tradizionali"?
Però, anche la loro resistenza sovrumana aveva dei limiti. Se quel posto fosse esploso, per esempio, sarebbero sopravvissuti?
Scosse la testa, cercando di non pensare a questo. Si disse che, alla prima avvisaglia di pericolo, avrebbe reagito. Doveva solo rimanere sempre all'erta, e coi riflessi pronti...anche disarmato era in grado di fare molto di più di un branco di guerriglieri.
Un'aspra risata intervenne a distrarlo dalle sue paranoie.
-Vuoi spiegarmi il perchè della mia magnifica presenza in questa topaia, considerando che il problema in corso riguarda la mia magnifica persona solo di straforo?-
-Credimi, avrei preferito mille volte lasciarti a casa a controllare la situazione. Le istruzioni erano chiare, però: dovevamo presentarci entrambi.-
Gilbert, steso su una panca mezza rotta, si stiracchiò.
-Almeno potevamo evitare di arrivare così in anticipo...mi stò annoiando.-
-Willst du mich verarschen?*- prese a sbraitare -Forse non ti è chiara la gravità della situazione...come Nazioni, in questo momento, stiamo letteralmente fluttuando nel nulla. Quell'oro rappresenta la base stessa dell'economia di una nazione, del suo potere. Non recuperarlo significa condannare lo Stato al collasso, diventare gusci vuoti...-
Si interruppe bruscamente, rendendosi conto di quanto quel discorso potesse risultare inopportuno alle orecchie di suo fratello. Prussia. Chi meglio di lui poteva sapere cosa volesse dire diventare una non-nazione, un nome vuoto. Germania avrebbe voluto prendersi a sberle, inoltre, al pensiero delle sue colpe a riguardo. Per un attimo il sogghigno di Gilbert sembrò vacillare.
Poi, con uno scatto deciso ed una nuova, tronfia risata, il prussiano si alzò e si avviò ciondolando verso la vetrata, per guardare con fin troppo interesse, i vecchi aerei abbandonati li ad arrugginire. Sembrava altero e sicuro di se, a schiena dritta, in chiaroscuro contro il cielo. Però ne le voci, ne gli sguardi dei due fratelli si incrociarono più, fino all'arrivo delle altre Nazioni.

Penultimi a presentarsi furono i Vargas. Feliciano di fatto sembrava ancora un po' assonnato. Il fratello invece, per evitare ciò, doveva aver bevuto parecchi caffè di troppo, dato che sprizzava scintille ancor più del solito. Persino Spagna, dopo un po', aveva rinunciato a ronzargli attorno, per rivolgersi ai vecchi amici Gilbert e Francis.
Il Bad Friends Trio era l'unico gruppetto che, in qualche modo, riuscisse a sdrammatizzare la situazione. Pur senza divenire sguaiati, si lasciavano liberamente andare a qualche risatina. Francia poi non lesinava occhiate eloquienti in direzione di Inghilterra...o meglio delle "spalle" di Arthur, che si era appartato al telefono. Silenzioso, Giappone si era portato accanto all'inglese, riuscendo così a sentire distintamente i vari isterismi di quest'ultimo.
-Bloody hell! Why this stupid yankee don't answer the phone?!-
Era evidente che l'oggetto della sua ira era il grande assente della situazione, ovvero America. Anche lui era tra i convocati, ma stranamente la sua risata non aveva ancora trapanato i timpani dei presenti.
-S-sono sicuro che arriverà a momenti...- provò ad intromettersi Canada, ovviamente senza venire minimamente notato.
-Ighiru-san, sono sicuro che avrà le sue motivazioni per tardare.-
-Potrebbe averne se avesse un cervello in cui metterle, ma è evidente che non è così!-
Mentre Kiku cercava di placare l'amico, Yao commentava l'assenza di Alfred con Russia, circondato dai tremanti e silenziosi baltici, che sembrava molto contento della cosa.
Ungheria, lasciato temporaneamente il fianco di Austria, andò a scambiare due chiacchiere con Polonia. Cercava di tenersi impegnata mentalmente, per non farsi prendere dalla furia. Quella situazione risvegliava in lei un antico spirito battagliero. Se in quel momento Prussia l'avesse provocata, forse il tutto non si sarebbe risolto con innocue padellate.
Elizaveta non era neppure la sola disposta anche alla violenza gratuita pur di scaricare l'adrenalina e sgravare un po' il proprio cuore. Le occhiate che Vash Zwigli lanciava di tanto in tanto ad Austria, per esempio, sembravano di per se già colpi del suo fido fucile. Tuttavia erano molto rare.
Per la maggior parte del tempo Svizzera stringeva la presa sulle spalle della sua protetta Liechtenstein. Non con possessività, ma con ansia. La sua paura piùsegreta stava prendendo corpo. La sosteneva con ostinazione, perchè sapeva più per quanto ancora gli sarebbe stato possibile. Il pensiero del loro primo incontro gli torturava la mente. In quel momento si pentì quasi di aver fatto tutto quell'affidamento sulle banche e sul denaro. Se qualcosa fosse andato storto, lui era quello che ci avrebbe rimesso più di tutti e (se ne accorgeva solo adesso) Lili con lui.
Guardava Roderich con odio, per impedirsi di pensare ad una follia: in fondo sapeva per sentito dire che, per quanto snob, Austria non era un dissennato...inoltre la "sorellina" adottiva aveva iniziato a stringere amicizia con Ungheria, negli ultimi tempi...
Preferiva negare l'evidenza, ma nel momento in cui fosse affondato, non voleva che Liechtenstein lo seguisse, e quei due, forse, potevano rappresentare una buona soluzione di ripego, in fondo.
Il rumore improvviso delle pale di un elicottero attirò l'attenzione di tutti i presenti.
I più diffidenti si erano già messi all'erta. Germania si era approssimato al corridoio di uscita, quando Veneziano gli afferrò il braccio. aveva l'aria confusa e spaventata. Ludwig di colpo si ritrovò spiazzata. L'idea che l'amico potesse farsi male per qualche sua imprudenza gli attraversò la mente, e non ebbe più nulla in contrario a lasciare che fosse qualcun altro ad uscire prima di lui.
-Ve, secondo te che sta succedendo?-
-Non lo so, adesso andiamo a vedere, ma controllati...- lo rimbrottò, senza troppa convinzione.
Feliciano si staccò immediatamente, ma rimase comunque prudentemente nascosto dietro le sue spalle. Tutt'altro era l'atteggiamento del fratello, che Spagna stava trattenendo in tutti i modi.
-Romano, espera, por favor.-
-Fatti i cazzi tuoi, voglio vederci chiaro in questa storia...- sbraitava l'altro, dimenandosi dalla presa dello spagnolo.
Antonio non era mai stato così in pena per lui. Di solito l'aggressività verbale di quest'ultimo non lo preoccupava, anzi, per qualche assurdo motivo lo inteneriva quel suo atteggiamento del tipo "se non ti faccio avvicinare, non puoi farmi del male." Invece, da quando era cominciato tutto quel delirio...
Il giorno prima, durante la riunione, non era riuscito, nè con le buone, nè con le cattive, a farsi dare una spiegazione riguardo i suoi lividi in faccia.
Le capacità di guarigione straordinarie che tutti loro avevano li aveva già fatti sparire, ma Spagna ce li aveva sempre davanti agli occhi. Aveva seriamente paura che la rabbia di Lovino, in una situazione così esasperante, lo mettesse nei guai.
-Suficiente, ya te dije que te calmara!**-
Si sorprese del suo stesso tono, autoritario come non lo era mai stato, neppure quando l'altro era sua colonia. Ma si sorprese soprattutto del fatto che Lovino non se ne preoccupò minimamante, mandandolo comunque ad un Paese che gli era ben noto.
Alla fine nessuno resistette oltre alla tentazione di affacciarsi e, a quel punto, un americano sghignazzare sovrastò il frastuono stesso del mezzo aereo.
-L'eroe è arrivato a salvare la situazione!- esclamò esaltato America, sporgendosi dal portellone del mezzo.
-Idiota, hai idea dello spavento che hai fatto prendere a tutti, you moron!-
Ignorando i rimproveri di Inghilterra, il ragazzone si fece allegramente calare con una scaletta.
-Spero tu abbia una spiegazione per questo stupido siparietto...-
-I had to make an hero entry!***-
-Dimmi che stai scherzando...- mormorò Matthew, vergognandosi come un ladro, per conto del fratello.

-Noto con piacere che finalmente siete tutti qui.-
Le Nazioni iniziarono a voltarsi freneticamente, alla ricerca della voce ignota. Si scoprì che veniva dai vecchi altoparlanti della pista di decollo.
-Esatto, quindi adesso fatti vedere.- gridò Alfred, sfidando l'interlocutore.
-Tempo al tempo, ragazzo. Non è qui che ci incontreremo. Come avrete notato tutti siamo su una pista per aerei, e ciascuno di voi ha dei bagagli.-
-Ti aspetti davvero che saliamo su un aereo per destinazione ignota?- chiese Inghilterra, un po' sarcastico, un po' sinceramente offeso dalla mancanza di rispetto di quell'uomo. Stava letteralmente insultando la loro intelligenza!
-Non esattamente. Mi aspetto che voi...-proseguì melliflua, la voce -...guardiate partire i tre aerei che vedete alla vostra sinistra e poi carichiate voi stessi e i bagagli su un piccolo pullman che vi aspetta dall'altra parte della pista.-
Parecchie esclamazioni di stupore accolsero quel comando.
-Perchè questa farsa del cavolo?- chiese Romano, con la voce ridotta ad un ringhio.
-Semplici precauzioni, nel caso qualcuno avesse deciso di farsi seguire dai propri servizi segreti.-
Di fronte a questa affermazione Inghilterra prese a fare il vago, Russia mostrò improvviso interesse per il cielo cupo e America iniziò a fischiettare con finta noncuranza.
-L'area in prossimità dell'edificio è strettamente sorvegliata, per cui, se qualcuno vi stà "coprendo le spalle" lo sta facendo da una distanza sufficientemente ampia, per aboccare a questa esca: tre aerei in tre direzioni diverse. Anche se riuscissero a pedinarli tutti quanti, però, voi non sareste su nessuno dei tre.-
Dopo una lunga pausa, proseguì -Non sono uno stupido. Spero che la cosa adesso vi sia chiara. Prima di salire sul mezzo, verrete perquisiti da del personale da me ingaggiato, che controllerà anche i vostri bagagli. In segno di amicizia vi incito a gettare adesso a terra cellulari, trasmittenti nascoste, armi e qualsiasi altro oggetto metallico. I miei uomini sono dotati di metal detector.Se cercherete di eludere la mia sorveglianza, o di ferire i miei uomini, potrete dire addio alla vostra riserva aurea per sempre.
Seppur restii, parecchi di loro si vuotarono le tasche. La situazione rischiò di degenerare, poichè Russia, più diffidente di tutti, non voleva separarsi dal suo tubo. Estonia, Lettonia e Lituania non avevano molta voglia di insistere. Alla fine, le nuove minacce della filodiffusione lo convinsero.
Ugualmente, seppur a malincuore, Ungheria si separò dalla sua padella e Romano, cercando di simulare indifferenza, di un piccolo coltellino che aveva in tasca.
Il suo gesto tuttavia non passò inosservato, e lasciò di stucco parecchi dei presenti.
-Spiegami perchè te ne andavi in giro armato...- lo mise alle strette Antonio, mentre gli altri si erano già avviati verso il pulmino.
-Cazzi miei-
-Romanito, so che la situazione è preoccupante, ma, por favor, non fare pazzie!-
L'italiano lanciò uno sguardo al fratello, che correva alle calcagna di Germania. Spagna era proprio un fesso. Romano era nervoso, irascibile, facile ai "colpi di testa", ma non avrebbe mai messo volutamente a rischio il fratello. Sapeva fin troppo bene che, essendo lui e Feliciano un'unica Nazione, tutte le conseguenze delle sue azioni ricadevano anche sul fratello minore. Si limitò dunque a sbuffare, per poi allontanarsi a grandi passi, col vago obiettivo di tenere lontano Feli da quell'altro bastardo di un tedesco.
Alla fine si sottomisero tutti senza troppe proteste alle perquisizioni e ai metal detector e salirono sul modesto e lercio veicolo, che si avviò singhiozzando. Alla guida, un uomo con indosso un passamontagna, si rifiutò di dare qalsiasi spegazione, dicendo di non essere autorizzato. Dai finestrini non si vedeva che la periferia, degradante nell'aperta campagna, per chilometri e chilometri...

La paura di una minaccia esterna, massima garanzia di concordia, teneva uniti gli animi, anche se non mancavano reciproci sospetti e ostilità. (Tito Livio)



*"Stai scherzando?" o "Mi prendi in giro?"
**"Basta, già ti ho detto di calmarti!"
***"Dovevo fare un'entrata da eroe!"


 

 

 

 

 

Angolo di IMma
Yay! E come promesso ecco il nuovo capitolo. Tranquilli, non ho dimenticato questa storia, non potrei mai. So che certe cose per ora possono sembrare strane, ma in questo capitolo ho più che altro buttato giù degli spunti che diventeranno importanti nel corso della storia (non tutti, ci saranno anche dei colpi di scena, ovviamente ;D). Qualcuno può sembrare OOC, ma è un effetto voluto. svelerò meglio più avanti le cose...
Spagna invece mi è proprio uscito male, mea culpa, e prometto di rimediare nei capitoli successivi. Per chi se lo stesse chiedendo, personaggi che per ora non ho tirato in ballo (nordici, Belgio e Olanda, Ucraina e Bielorussia, ecc...) compariranno SICURAMENTE andando avanti nella storia, quindi non temete. Da questo punto di vista questa fic farà la gioia di tutti.
Intanto ringrazio coloro che già mi stanno mostrando tutto il loro apprezzamento...
Shir, Lady White Witch, Minori chan, Shenharzai e danonleggere.
Chiunque vuole può lasciare una recensione per dirmi cosa gli piace, cosa no, cosa lo stà sconvolgendo di più e, magari, fare anche qualche speculazione...mi farebbe piacere se, man mano che i nostri eroi affronteranno le varie difficoltà, cercaste anche voi di "calarvi" nella storia e, a modo vostro, provaste a risolvere i problemi. Insomma, spero di riuscire a coinvolgervi, ma credo sia naturale ^_^
Fatemi sapere se dovessi riuscirci
Saluti
IMma

PS Vi piacciono le citazioni di inizio e fine capitolo? Io le adoro e mi sa che diventeranno un tratto distintivo di questa storia *.*


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo III ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

 Dicesi età dell'oro quella in cui oro non c'era. (Carlo Dossi)

 

 

III

La villa era circondata da un’alta recinzione e da un robusto cancello. Dietro quelle sbarre era rinchiusa l’abitazione ed un vasto parco circostante. Il posto, esclusi i denti di ferro battuto del cancello, non aveva affatto l’aria minacciosa. Il pullman entrò nel perimetro della recinsione, fermandosi con un ultimo sbuffo. I più si guardavano attorno spaesati. Di certo si aspettavano qualche pericolo. Invece, un gentile individuo mascherato fece loro cenno di accomodarsi. Nessuno ne aveva la benché minima voglia. Ai più svegli, o semplicemente più sospettosi come Inghilterra, non era sfuggita la presenza di un circuito di videosorveglianza. Si poteva dire che, ovunque si voltasse lo sguardo, c’era un occhio elettronico a spiarli. Nessuno si sorprese di sentire di nuovo la voce, diffusa da altri e più numerosi altoparlanti.

-Benvenuti in questa umile dimora. Spero che questa accoglienza basti a convincervi che non voglio nuocervi fisicamente. All’interno potrete tranquillamente ristorarvi, e sistemarvi nelle vostre camere...-

-Col cazzo, io non ci voglio rimanere un minuto di più qui, dicci che vuoi e falla finita!- sbraitò Romano, che ne aveva veramente fin sopra il ciuffo.

-Per favore, sto cercando di dimostrare buona volontà. Non costringetemi ad ORDINARVI  di accomodarvi.-

Spagna mormorò all’orecchio dell’ex-colonia che forse, per il momento, era meglio collaborare.

L’interno dell’edificio era piuttosto opulento. Le pareti linde e candide, i pavimenti in marmo appena lucidato. Inoltre l’ingresso era stato attrezzato con delle vivande disposte su un tavolo, stile buffet di benvenuto.

Germania strinse i pugni fino a far scricchiolare le ossa. Si prendevano anche gioco di loro, adesso? Volevano davvero far credere loro di essere ospiti, dopo averli condotti li come prigionieri. Quella farsa lo confondeva ed esasperava la sua tensione. Il timore di abbassare la guardia lo rendeva paranoico. Cercò di concentrarsi, per sentire eventuali odori strani, o ticchettii sospetti. Per quanto ne sapeva potevano aver deciso benissimo di provare a farli saltare in aria in quel momento. Oppure, il cibo era una trappola, e conteneva qualche sostanza.

Il loro organismo risentiva molto meno degli effetti di qualsiasi stupefacente, ma non ne era immune...anche il semplice alcool, in dosi eccessive (in questo caso circa dieci volte le dosi proibitive per una persona comune) poteva stendere anche loro. Le saltuarie ma memorabili sbronze di un certo inglese ne erano il chiaro esempio.

-Ve, però in fondo sono stati gentili, magari non hanno intenzioni troppo cattive.-

Feliciano fu zittito dal teutonico con un singolo sguardo. Intanto qualcuno si era deciso ad assecondare la voce artefatta. America, infatti, si era letteralmente buttato sul buffet.

-Ti pare il momento di strafogarti, bloody idiot?-

-C’è c’è?- biascicò Alfred, dalla bocca piena -È fame nervosa!-

-P-potrebbe essere avvelenat...- tentò di fermarlo Canada. Francia gli mise affettuosamente una mano sulla spalla.

-Non essere così preoccupato, ma petit, in fondo è sopravvissuto per tutta l’infanzia al cibo di Angleterre...-

Rimase in attesa, ma l’altro non raccolse la provocazione. A quel punto anche Francis si scurì in volto. In qualche modo, il fatto di non ritrovarsi a litigare con l’inglese, rendeva ancor più evidente anche a lui la gravità della situazione. Sospirò, ravviandosi una ciocca di capelli biondi. A questo punto sperava solo che tutta quella faccenda finisse in fretta. Il poco divertimento che la novità aveva suscitato in lui, aveva definitivamente lasciato posto alla più cupa ansia.

-Signori.- richiamò la loro attenzione l’invisibile padrone di casa, con tono fastidiosamente divertito -Vedo che alcuni di voi si sono già messi a proprio agio.-

Qualcuno scosse la testa, mentre Alfred deglutiva un enorme boccone e cercava di ridarsi un eroico contegno.

-Beh, adesso possiamo venire al dunque?- chiese.

-Benissimo, ma prima, vorrei condividere con lor signori il mio punto di vista su una piccola questione chiamata “economia”.- cominciò l’uomo misterioso, mellufluo. -A mio avviso c’è stato un tempo remoto in cui l’umanità viveva secondo lo stato di natura, libera da interessi, egoismi e simili...suppongo che un paio di voi qui potrebbero illuminare meglio di me gli altri, su come molto filosofi concepiscano questo stato di natura. Rosseau, e prima di lui Locke...-

-Sono sempre stato più per Hobbes.- bofonchiò a mezza bocca Arthur. Non era il tipo da credere ad un’improbabile età di concordia universale. L’idea del tutti contro tutti gli sembrava più probabile, come base del genere umano.

-Comprendo il vostro punto di vista, non mi stupisce. In quanto Nazioni siete, seppur più vecchi degli esseri umani, figli della stessa mentalità gretta e calcolatrice. Per questo, da quando i primi di voi sono nati, e con voi le prime comunità associate, tutta la Storia non è stata che una continua lotta tra lupi, neppure capaci di lavorare davvero in branco. Combattere per la gloria, per il potere...sembra che voi e i vostri capi non abbiate mai saputo fare altro. Poi, un bel giorno, qualcuno è arrivato a capire qualcosa: il potere stava nella ricchezza. Così la vita su questa Terra è diventata tempo per accumulare, divorare, ubriacarsi di oro, monete, gioielli. Avete mascherato il vostro egoismo e avete trovato un modo più pulito di farvi la guerra e soddisfare il vostro ego. Perfino coloro che sembravano aver capito il proprio errore...- qui ci fù una pausa, e gli altoparlanti diffusero un sospiro rassegnato -...non sono stati in grado di sopportare la verità e sono ricaduti nelle forme più becere dell’avidità e della crudeltà.-

-Niente di nuovo sotto il sole.- commentò cinicamente Romano, sperando di stuzzicare il loro misterioso sequestratore e spingerlo a spiegare in fretta cosa voleva.

-Già, proprio niente di nuovo. Anche adesso ci sono coloro che con il loro dominio sulla ricchezza comandano e schiacciano gli altri...anche tu dovresti saperlo bene.-

L’italiano sbuffò. Quel discorso non gli sembrava stupido, ma neanche concreto. Era pieno di quelle favole a cui non aveva creduto mai in tutta la vita. Eppure, diceva anche cose vere. Raccontava di gente che si approfittava prima della debolezza sua e di suo fratello per dividerli, poi che cercavano di arricchirsi alle loro spalle, controllando il Mediterraneo. “Mare Nostrum” lo chiamava loro nonno...grandissima cazzata. Niente era di nessuno. Il mare, la terra, il potere erano sempre di chi se li prendeva. Chi aveva i soldi comandava. Lo vedeva ogni giorno della sua vita. A casa sua e altrove.

Non aveva mai riflettuto sul fatto che, stranamente, la cosa non lo faceva neanche più incazzare sul serio.

-Credo che inizi a seguire il mio ragionamento. Ciascuno di voi, almeno una volta, ha approfittato del suo dominio sulle ricchezze per schiacciare gli altri, o semplicemente comandarli...-

Lo sguardo di Romano calò di sbieco su Germania, che di fatto dettava legge in Europa.

-...sfruttare e cavare altra ricchezza, altro potere, dalle proprie colonie, ieri come oggi.-

A quel punto Inghilterra e Spagna si ribellarono. Non che potessero completamente negare le loro colpe, ma il loro rapporto con le colonie era stato anche ben altro, e ce n’erano due esempi li presenti.

-Chi credi di essere è, vigliacco, perché non ti fai vedere in faccia prima di osare insultarmi!- gridava Inghilterra.

-Credi di conoscerci? Noi credevamo in quello che facevamo...abbiamo anche fatto del bene alle colonie...-

-Adesso non sparare cazzate, tu.- commentò Romano.

-Non puoi certo dire che ti abbia mai sfruttato o comandato a bacchetta.-

-Ci hai provato giusto cinque minuti fa, coglione.- commentò l’italiano, lasciando Antonio basito.

-Comunque abbiamo portato la civiltà nel mondo, li abbiamo educati come se fossero membri delle nostre famiglie...- insisté Arthur, cercando di nascondere un improvviso groppo alla gola. Una valanga di ricordi non molto piacevoli lo stava soffocando, e la presenza al suo fianco di America, confuso e turbato, non aiutava.

-Già- ironizzò la voce -Educati a fare lo stesso con le loro neocolon...ehm, pardon, “Paesi alleati”.-

-Ehi! Non è la stessa cosa!- si difese America.

-Beh, se me lo dici tu che volevi spartirti il mondo col tuo acerrimo nemico...-

Alfred non poté far altro che tacere. Non andava particolarmente fiero di quel periodo in cui si era fatto trascinare da quella rivalità malata con Russia. Non ne era venuto fuori niente di buono...tranne forse la corsa allo spazio, ma persino il suo frivolo cervello comprendeva che si trattava di elementi secondari. Tutto sommato, per mostrarsi forte aveva fatto anche cose di cui un eroe non poteva far altro che vergognarsi.

Ciascuno conosceva fin troppo bene il proprio passato...era scritto su migliaia di libri, in fondo. Eppure sentirsi sbattere in faccia ogni cosa in quel modo rendeva ogni macigno più pesante sulla coscienza.

-Avete avuto innumerevoli possibilità di redimervi, eppure avete sempre scelto la strada dell’avidità e della distruzione. Ebbene, ho deciso di aiutarvi a percorrerla fino in fondo. Quel che dovrete fare nelle prossime quarantotto ore è dare il “meglio” di voi stessi in ciò che sapete fare: essere egoisti.-

Entrarono degli uomini con un carrello e degli scrigni. Non avevano serrature. Ciascuno aveva il simbolo di una bandiera sul coperchio. Due degli scagnozzi consegnarono ad ognuno il proprio scrigno. Nel caso dei fratelli Vargas, due scrigni più piccoli finirono nelle mani dei due fratelli. Idem per Ludwig e Gilbert, anche se lo scrigno di quest’ultimo aveva come effige la vecchia bandiera della Prussia.

-Li dentro vi sono delle monete da me coniate per questo...gioco. Ciascuno di voi dovrà semplicemente dimostrare di essere adatto al mondo che avete scelto di creare. Se riuscirete a difendere questa pseudo-ricchezza, alla fine di queste due giornate riceverete l’equivalente in oro. Ovviamente, nessuno vi vieta di aumentarla...e nessuno vi esonera dal rischio di perderla. Mi sono premurato di mettere ciascuno di voi in posizione egualitaria, come doveva essere agli albori dell’umanità. Adesso mostratemi pure il meglio e il peggio del vostro mondo!- annunciò la voce.

-Cosa intendi, esattamente?- chiesero in molti, ma senza ottenere risposta.

 

 

-Fratellone!-

-Che vuoi?- bofonchiò Romano, tutto sommato contento di vedere che l’altro si era staccato dal tedesco bastardo.

-Tu hai capito perché sono tutti ancora così preoccupati? Insomma...abbiamo questi gettoni- disse allegro il minore, agitando la cassetta -ci basterà custodirla fino alla fine del gioco e riavremo il nostro oro. A me sembra che la situazione non sia così tremenda...-

-Sei un deficiente.-

-Ve...ma che ho detto?-

-Secondo te se ne staranno tutti buonini e tranquilli ad aspettare che passino due giorni? Non hai sentito che ha detto quel pazzo bastardo? Chi ha di più alla fine se lo tiene. Un sacco di loro aveva molto di più e se lo vorrà riprendere, qualcun altro pezzo di merda vorrà semplicemente approfittarsi della situazione.- sibilò l’altro. - Neanche un lucchetto o una chiave c’hanno, ste schifo di scatolette. Fregare i gettoni da qui è una passeggiata.-

-Ve! Non ci avevo pensato.- esclamò Veneziano, di colpo tutt’altro che tranquillo. -E adesso che facciamo?-

-Innanzi tutto, piantala di frignare.- ordinò Romano, per poi accennare un sorriso -Non è la fine del mondo...di sti tempi noi abbiamo solo da guadagnarci, in questa cazzata. Innanzi tutto dobbiamo nascondere bene le cassette, e non dire dove sono a nessuno...neanche al bastardo amico tuo. Nemmeno ad Antonio, quell’altro bastardo...nessuno.-

Feliciano annuì. Non gli era del tutto chiara la situazione, ma adesso era molto più preoccupato. Tutte quelle persone più forti che volevano rubare i suoi gettoni...e lui che non era per niente bravo a difendersi...

Aveva ragione suo fratello, nasconderli era la cosa migliore...anche se non capiva perché non dirlo a Germania. In fondo lui era forte, e poteva dargli una mano a difendere i suoi gettoni, no?

-Mi hai capito?- insisteva l’altro, avvicinando il volto così tanto da farlo indietreggiare, e inchiodandolo con lo sguardo più furioso che mai. -Lo so a che stai pensando. Non provare a spifferare qualcosa al mangia crauti, o giuro che ti lascio ad arrangiarti da solo!-

-M-ma, Romano...-

-Niente ma. In teoria siamo già svantaggiati, perché giochiamo con metà dei gettoni ciascuno. L’unica cosa che possiamo fare è giocarcela insieme, e trasformare la situazione di merda in un vantaggio: essendo in due, avremo due nascondigli diversi e, se le cose per uno si mettono male, rimane comunque il “bottino” dell’altro.-

Feliciano lo diceva sempre che suo fratello era davvero intelligente. Un sacco di persone non ne erano convinte, ma lui sapeva benissimo che, quando ci si metteva, Lovino era in grado di fare le cose bene e anche meglio di lui. Si disse che era fortunato ad averlo accanto.

-E quindi, dato che non possiamo sapere chi e quando proverà a fregarci...- continuò l’altro, approfittando di quel moneto di attenzione. La concentrazione di Feliciano era notoriamente labile, e bisognava approfittare al massimo di ogni istante. -Nessuno dovrà sapere dove sono i nostri nascondigli. Nemmeno io dovrò sapere dov’è il tuo e viceversa.-

-Perché?-

-Tu fidati.-

-Ma appunto perché mi fido, posso dirtelo, no?-

-Feli, cazzo, fai come ti dico e basta! Fila, nascondi bene quel fottuto bauletto e non dirmi niente! Ci vediamo qua tra mezz’ora.-

Feliciano sorrise, cercando di mostrarsi convinto. Imn realtà era ancora in dubbio se parlare con Germania o no, e non capiva perché dovevano avere segreti tra di loro...però annuì. Fece anche una specie di goffo saluto militare.

-Agli ordini!- esclamò scherzosamente.

-Sti atteggiamenti tieniteli per quel crucco del cazzo.- borbottò il meridionale, facendogli poi cenno di andare.

Mentre l’altro spariva nel parco della villa, Romano infilò la mano nella cassetta e si mise in tasca una manciata di gettoni. aveva come l’impressione che avere un po’ di “spicci” a disposizione gli sarebbe tornato utile...

 

 



Se riesci a mantenere la calma quando tutti intorno a te hanno perso la testa, forse non hai afferrato bene la situazione. (J. Kerr)

 

 

 

 

 

Angolo di IMma
Il terzo capitolo si è concluso, gente! Ringrazio per la pazienza tutti coloro che stanno leggendo e seguendo questa storia. Per evitarvi inutili e snervanti attese, vi informo che questa fic sarà probabilmente aggiornata con periodicità mensile, in quanto dovrà coesistere con altri miei progetti in corso (o in procinto di iniziare). In più mi piace lasciarvi il tempo di farvi pare mentali e supposizioni varie. Che ve ne sembra, fino ad ora, dei personaggi? In questo capitolo mi sono concentrata su alcuni (ok, lo ammetto, metà capitolo su Romano, ma non posso farci niente...amo questo ragazzo-Nazione-tsundere), ma anche gli altri avranno i loro momenti fondamentali nella storia...

Intanto ringrazio ancora chiunque stia leggendo per l’interessamento, e lo invito a darmi la sua opinione. Secondo voi cos, ha in mente? Ha ragione ad essere così preoccupato?E gli altri, come staranno? L’uomo misterioso li ha messi in una situazione proprio brutta brutta xD

Se questo aggiornamento vi soddisfa, commentate e/o fangirlate in libertà in una recenzioncina

Saluti

IMma-chan ossessionata dalle frasi di apertura e chiusura

#likecriminalminds 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

Non è tanto dell'aiuto degli amici che noi abbiamo bisogno, quanto della fiducia che al bisogno ce ne potremo servire. (Epicuro) 

 

 

IV

Antonio si aggirava per il parco, decisamente preoccupato, con la sua cassetta sottobraccio. Avrebbe dovuto occuparsene, lo sapeva. Forse nasconderla, o per lo meno trovare il modo di sigillarla...eppure non riusciva a concentrarsi. Non riusciva a considerarla una priorità. Continuava a camminare, voltandosi ora a destra, ora a sinistra.

-Mon amie...se fossi meno onesto lo prenderei per un invito a derubarti.- commentò Francia, sbucandogli alle spalle.

-G-già, hai ragione.- ribatté, ripresosi dalla sorpresa, lo spagnolo.

-Ti vedo leggermente turbato, nes pas?-

Annui, storcendo appena la bocca, senza incrinare troppo il consueto sorriso.

-Ecco, io...credo di aver perso di vista Romano...-

-Spagna...- esordì l’amico, sfoggiando la sua espressione più seria. -Credo che ormai sia abbastanza grande per cavarsela da solo, sai.-

Francia sospirò sistemandosi i capelli. A volte aveva l’impressione di esistere solo per fare quel genere di discorsetti saggi ai suoi amici (o nemici) nostalgici del colonialismo. Sperava soltanto di non essere investito anche in questo caso da una valanga di insulti, come gli capitava quando quell’argomento veniva toccato con Inghilterra.

-Lo so. Credimi, nessuno meglio di me si rende conto di quanto sia diventato più...grande, fino ad ora.- un barlume di nostalgia brillò negli occhi di Antonio, per poi perdersi nelle iridi smeraldine. -Però, vedi, c’è sempre stato qualcosa che non riuscivo a capire di lui. Come una specie di distanza, di barriera, tra Romano e il mondo. Ho sempre saputo che quel muro sarebbe rimasto, anche con me...ma adesso ho paura di cosa possa esserci dietro. Francis, tu non l’hai visto prima, all’aeroporto, sembrava...anzi, NON sembrava lui. E la cosa mi preoccupa...-

Effettivamente, l’Italia del Sud era sempre stata un territorio...particolare. Francis non aveva avuto molta esperienza diretta con lui, ma ne sapeva abbastanza per comprendere le preoccupazioni di Spagna. Per quanto ne sapeva erano passate, prima e dopo dell’amico, miriadi di dominazioni su quella nazione, ed incredibilmente gli erano scivolate tutte addosso, come se fossero un fenomeno superficiale. Romano era il tipo che non aggrediva se non a parole, ma neppure si piegava. Lasciava gli altri fare quello che volevano, ma allo stesso tempo riusciva a continuare a fare di testa sua. Strano carattere, il suo.

-Non so che dirti...lo conosci meglio di me, quindi se dici che si comporta stranamente devo crederti. Però devi anche tener presente in che situazione ci troviamo...nessuno è particolarmente rilassato, al momento.-

-Già...tutti in agguato come belve feroci.-

-Per questo ti suggerirei di trovare un posto più sicuro per il tuo scrigno...-

-Intendi dire che dovrei pensare solo a me stesso.-

-Non. Intendo dire che non dovresti rischiare di ridurti in condizioni tali da non poter aiutare più nessuno...-

Antonio lo guardò sorpreso. Nonostante la loro amicizia di vecchia data, raramente si erano ritrovati a parlarsi in modo così serio e sincero. Il loro legame era nato per una bizzarra idea di Gilbert prima, e poi si era mantenuto sul principio del “facciamo incazzare un po’ Inghilterra, dai!”. Insomma, era stato un legame piuttosto “frivolo”, per essere una faccenda di interesse internazionale. Eppure adesso, non approfittando della situazione, ed anzi, riportandolo alla realtà, Francis gli aveva dato prova di amicizia leale e disinteressata.

Piacevolmente sorpreso, lo spagnolo decise di continuare a fare due chiacchiere, chiedendogli notizie della sua cassetta.

-L’ho già messa al sicuro, però...- disse, tirando fuori dal taschino della giacca un gettone, perfettamente liscio da entrambe le parti. -Non ho resistito alla tentazione di conservare questa moneta. Osservala, non noti niente?-

Lo spagnolo cercò di concentrarsi sull’oggetto, mentre Francis lo faceva roteare tra le dita.

-Questo gettone è mal coniato. Tutti gli altri -o almeno, i miei- avevano da un alto un’effige, non in rilievo, ma visibile, di una maschera dorata. Questo invece è identico da entrambi i lati.-

-Pensi che abbia un valore particolare?-

-Se stessimo parlando di una moneta reale forse si, dato che potrebbe essere un pezzo da collezione. Ma dubito che il nostro anfitrione, così spregiatore del denaro, ragioni in termini di numismatica.-

-Dunque...porque?-

-Non so...ho come l’impressione che mi porterà fortuna.- commentò il francese con un sorriso. A spagna sembrò di intuire, dalla piega del suo sorriso e dal timbro della sua voce, una qualche furbizia nascosta. Decise però di non chiedere nulla, ritenendo di aver già ricevuto fin troppa fiducia. Sinceramente, se il francese aveva in mente qualche manovra strana, lui non voleva entrarci...per il momento.

-Non mi sembra la situazione ideale per affidarsi a la suerte...-

-Siamo sempre nelle mani della fortuna, mon amie, soltanto questa situazione ce lo ricorda un po’ di più del consueto...- prese a filosofeggiare l’altro, continuando a giocherellare con la moneta. Mentre il suo sguardo seguiva i riflessi alternati del sole sulle facce, ripensò di nuovo alla lezione avuta da Monaco, su quella che si suole chiamare fortuna.

Un giorno, mentre erano impegnati ad intrattenersi in una delle di lei case da gioco, la ragazza aveva chiesto, con espressione seria: “Qual è la frase più pronunciata in un casinò?”. Lui aveva scrollato le spalle, riflettuto e risposto in modo davvero stupido. “Le juex son fue”. Lei aveva sorriso, come di una specie di amara barzelletta, ed aveva risposto di no. L’aveva lasciato in sospeso, mentre una pallina saltellava nella roulette, e quando si era fermata, aveva lasciato che il dealer svelasse l’arcano al suo posto. La frase più pronunciata nei casinò era il giuramento segreto tra chi conduce il gioco, e la dea bendata che si lascia condurre a passo di valzer. Un patto dichiarato in tre semplici parole: “Il banco vince.”

Per qualche strano motivo, osservando quella moneta, aveva l’impressione di attendere solo il momento buono in cui trarre giovamento da quella lezione di vita...

 

§§§

 

Gilbert di solito non amava starsene in disparte. Eppure, appena finito il delirante discorso in filodiffusione, aveva sentito il bisogno di allontanarsi da tutto e tutti, per nascondersi sul retro della villa e lasciare che i ricordi vagassero. Non poteva certo rimanere impalato e vulnerabile alla mercè di tutti.

Ora che poteva, però, tornava a fissare amaramente lo sguardo e i pensieri su quell’emblema su fondo bianco, tra due righe nere. Da un lato avrebbe dovuto esserne contento...non ci teneva ad avere un cofanetto identico a quello del fratello: la sua magnificenza doveva distinguersi. Dall’altro gli pareva una macabra presa in giro.

Avrebbe volentieri scagliato quell’affare contro il muro, se non ci fossero stati dentro metà dei loro soldi.

Non che prendesse quella situazione molto sul serio. Lui era la magnifica Prussia, non certo uno di quei colletti bianchi impegnati a farsi “guerra” a colpi di sanzioni ed embarghi. Se fosse stata ancora una nazione indipendente e ufficiale gliene avrebbe fatte vedere di tutti i colori. Invasioni, invasioni...altro che quelle pagliacciate.

Se non altro quella sensazione di indifferenza, che proprio non riusciva a togliersi di dosso, gli impediva di dare di matto come quegli altri. Sembravano diventati di colpo tutti ancor meno magnifici del solito. E maledettamente paranoici. Pensandoci, avrebbe anche potuto divertirsi a stuzzicarli...poteva essere divertente.

Tornò a fissare la bandiera sul coperchio e di colpo si sentì immerso nel passato. I suoi muscoli tesi, i denti digrignati. La sensazione che si prova un attimo prima della battaglia. Una sensazione così vivida e improvvisa da lasciarlo senza fiato. Una rivelazione, l’avrebbe definita poi. Per il momento, quando finalmente riuscì a tornare lucido e disteso, si ritrovò si di fronte qualcosa, ma non un nemico fisico. Piuttosto guardò negli occhi una folle tentazione...

-Bruder!- lo richiamò Ludwig, leggermente alterato.

Ci aveva messo un bel po’ a trovarlo. Vederselo sparire di colpo davanti agli occhi, assieme a metà del loro capitale non aveva aiutato i suoi nervi. Il volto del tedesco sembrava leggermente congestionato.

-Was?-

-Gradirei che non te ne andassi in giro con metà dei nostri soldi al vento.- lo rimproverò severamente.

-Ja, ja...pensi che debba nasconderli da qualche parte?-

-Mi sembra una soluzione logica.-

-Capisco...-

Non era il momento buono per parlargli della sua idea, capì in fretta l’albino. Suo fratello non sembrava particolarmente incline al rischio, e neppure di buon umore. avrebbe probabilmente dato in escandescenza. Forse non avrebbe neppure capito la rivelazione che l’altro aveva appena avuto.

Non era neppure ancora certo di cosa fare. Fatto sta che intanto, continuò a passeggiare tranquillamente con la cassetta sotto il braccio. Fece lunghe deviazioni in mezzo agli alberi, risbucando poi, all’improvviso, alle spalle di tizio o caio. era divertente vedere il malcapitato di turno sbiancare, di fronte alla sua aria magnifica e tranquilla. Persino i più ingenui sembravano profondamente turbati, anche solo dalla curiosità.

Pian piano, la prima idea prendeva forma. Iniziò a sbuffare, come se il peso della cassetta fosse di colpo aumentato. Poi, dopo un ennesimo, ampio giro del parco, riapparve sereno e tronfio, commentando a voce spropositatamente alta che per fortuna aveva trovato un bel posto al suo tesoro ora che era “diventato” così pesante...

 

§§§

 

Vash Zvigli aveva la sua idea su come affrontare quella situazione. Giocare in difesa e non parlare con nessuno. Non gli pareva esattamente il momento buono per socializzare. Mezza Europa aveva finalmente l’occasione di mettere le mani nelle sue tasche, ed era sicuro che la maggior parte dei presenti ne avrebbe approfittato. Anche Lily, che sorrideva inconsapevole, era decisamente in una brutta situazione.

-Ascolta...so che stavi legando davvero molto con Ungheria, ma credo che per un po’ sarebbe meglio stare per conto nostro, capito?-

La ragazza annui. Si fidava ciecamente del suo “tutore”. In fondo la sua condotta neutrale e diffidente li aveva preservati sempre da tanti problemi. Inoltre non aveva alcun dubbio sull’affetto sincero di Vash, mentre gli altri...

Sorrideva sempre, lei, quasi a scusarsi della sua presenza. Non era forte come Svizzera. Non riusciva ad andare in giro con la serenità sfrontata dell’altro, sapendo quanti soldi degli altri finivano nelle sue banche. Quando il fratello le aveva spiegato come stavano davvero le cose in casa sua, Lily era rimasta leggermente delusa, ma si era adeguata. Non aveva nessun altro di cui fidarsi. Non voleva costringerlo ad altri sacrifici per lei.

Anche adesso, prestando attenzione al suo sguardo, si rendeva conto che l’apprensione dello svizzero era concentrata più sulla cassetta nelle sue mani, che sulla propria.

-Lili...-

-Si?-

-Non parlare con nessuno, finchè non te lo dirò...e se qualcuno dovesse avvicinarsi a te dimmelo.-

-Sono contenta che ci sia tu, con me.- mormorò lei, accostandosi un po’ di più all’altra nazione, che gli trasmetteva, anche in quella situazione, affetto e sicurezza.

Era così fragile. Questo pensava preoccupatissimo Svizzera. Fragile, ed anche troppo ingenua. L’aveva protetta, isolata dal mondo, e adesso rischiava di averne fatto una preda perfetta per chiunque. Avrebbe avuto abbastanza occhi per sorvegliarla?

Aveva sbagliato tutto con lei, ora se ne rendeva conto. Si sentiva confuso e frustrato per questo. Per la prima volta desiderò qualcuno con cui sfogarsi. Per la prima volta mise in dubbio se stesso, e la neutralità in cui si era sempre rifugiato. Un viso amico non gli sarebbe dispiaciuto affatto, in quel momento...

Lily si era seduta sul prato, stringendo saldamente il suo piccolo tesoro tra il petto e le ginocchia. Lo invitò con lo sguardo a fare altrettanto. quel posto, se non fosse stata un’assurda trappola di telecamere, sarebbe apparso piacevole. Quasi rilassante. quell’angolo di giardino, poi, era piacevolmente ombreggiato ed isolato.

Sapeva che era sbagliato. Eppure il ragazzo trovò in quest’ultimo aspetto un po’ di sicurezza.

La sorellina guardava distrattamente una farfalla volare, mentre Vash assaporava il silenzio. L’unico suono in grado di gelare la paura. Il suono della solitudine, che sembrava dire: nessun amico, nessun nemico...nessun accordo, nessun tradimento...

Tornava così a rinchiudersi nella sua neutralità, Svizzera, e nel suo isolamento rotto solo dalla presenza, dolce e rispettosa di Lily. Tanto dolce da assecondare il silenzio, rallentando anche il respiro pur di vederlo un po’ più sereno. Tanto rispettosa da non ferirlo dicendogli che a lei, a volte, tutto quel silenzio, quel bozzolo di solitudine, faceva un po’ paura. Forse dipendeva da quanto, ancora adesso, fosse più piccola...

 

 

 




La diffidenza verso gli altri nasce anche dalla sfiducia in noi stessi. (Roberto Gervaso)

 

 

 

 

 

Angolino Epico
Un paio di Nazioni qui hanno già in mente di fare i furbetti...secondo voi dove vuole arrivare Prussia con le sue manovre? E Francis, che intenzioni ha con quella strana moneta?

Si, questo capitolo è esattamente quello che sembra: BAD FRIENDS TRIBUTE!!!

(Con un’aggiunta di Svizzera e Liechtenstein, perché la mia testolina malata ha deciso all’ultimo così...diciamo che volevo sguazzare un po’ nella pressione psicologica addosso a Vash. Perché sono maledettamente sadica.)

Vi ringrazio per il sostegno constante, espresso anche attraverso le vostre recensioni, e soprattutto per aver avuto la pazienza di rispettare i miei tempi. Lo so, sono una lumaca addormentata! T.T

Come sempre sentitevi liberi di lasciare un commento per speculare, commentare o lanciarmi (virtualmente) ortaggi vari

Saluti epici ed al prossimo mese (o forse prima...)

IMma-chan

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo V ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

La paura del pericolo è diecimila volte più spaventosa del pericolo vero e proprio, quando si presenta di fatto davanti ai nostri occhi; e l'ansia è una tortura molto più grave da sopportare che non la sventura stessa per la quale stiamo in ansia. (Daniel Defoe)

 

 

V

-Vi giuro che è totalmente vero!- insisteva Feliks, parecchio scosso, rivolgendosi a Lituania e Ungheria. Toris sembrava preoccupato, ma non troppo. Nel corso del tempo aveva imparato a non dare troppo credito alle voci riportate da Polonia...tendeva infatti a riportare ogni sorta di pettegolezzo, e se, da una parte, in questo caso la faccenda era anche plausibile, dall’altro era possibile che stesse “gonfiando” comunque la sua storia. Di parere diverso era Ungheria, decisamente preoccupata e alterata, che voltando le spalle in modo insolitamente scortese, si diresse verso l’interno della villa, pensierosa.

Vi trovò Roderich, che non ne era neppure uscito e, dopo aver trovato un nascondiglio alla sua cassetta, si era accomodato al pianoforte del salone centrale. Sperava di smorzare la propria tensione con la musica, ma aveva sorpreso le sue mani a tremare, ed aveva temporaneamente rinunciato.

-Elizaveta...- mormorò, sobbalzando al suo arrivo.

-Austria, perdonami, non volevo spaventarti.-

-No, dispiace a me di non essere, come dire...molto lucido, al momento.-

Ungheria cercò di nascondere tutte le sue preoccupazioni. Sapeva bene quanto Austria, messo alle strette, finisse col sentirsi in difficoltà, e se non riusciva neppure a rifugiarsi nella musica (che l’aveva consolato persino in tempi di guerra) era evidente l’impatto che lo stress stava avendo su di lui. Cercò di rassicurarlo.

-Al contrario, credo che tu abbi fatto una scelta saggia, per esempio, nel nascondere la cassetta all’interno della villa. Prima o poi verrà notte, ed in questo modo, avendola vicina, sono sicura che ti sentirai un po’ più tranquillo.-

“Ed anche io” aggiunse l’ungherese nella sua testa.

-Tu credi?- chiese l’austriaco, non osando chiederle se avesse fatto lo stesso.

-Stando alle ultime voci, si.-

-Che genere di voci...-

Non avrebbe dovuto raccontarglielo, lo sapeva. Tuttavia quella situazione stava davvero stancando anche Elizaveta, ed il bisogno di sfogarsi ebbe la meglio.

-Dicono che Prussia abbia già trovato parecchi nascondigli all’esterno ed abbia “alleggerito” alcune cassette, prima di nascondere la sua.-

Austria tentò di deglutire, scoprendo la sua salivazione completamente azzerata. Non che si sentisse minacciato personalmente, ma sapere che c’era già chi aveva iniziato a “fare sul serio” non alleggeriva la sua ansia. Al contrario lo rendeva sospettoso. Istintivamente scattò per chiudere la porta, prima di chiedere maggiori dettagli all’altra.

A quanto ne sapeva Ungheria, Gilbert era stato visto da parecchie Nazioni aggirarsi con aria sospetta nel giardino e poi, in uno dei suoi consueti deliri di onnipotenza, si era lasciato sfuggire qualcosa. Niente di più di una frase o due, che però lasciavano intuire che il suo tesoro fosse aumentato. Ciò, ovviamente, poteva essere avvenuto in un solo modo...

-A discapito di qualcuno che ha nascosto male i suoi gettoni.-

-Già...-

-Per caso tu avevi...- tentò di chiedere Roderich.

-No. Anch’io avevo pensato che un nascondiglio all’interno fosse più sicuro, oltretutto può essere controllato anche da fuori, a patto di rimanere nei pressi del portone d’ingresso. Qualsiasi movimento sospetto deve passare da li.-

Non aveva pensato a tutte queste cose, Austria. Come non aveva pensato di uscire comunque, poi, per depistare almeno un minimo i sospetti. Si sentì uno sciocco ad aver dubitato della prudenza di Ungheria, quando era stato lui il primo a commettere un passo falso. Di sicuro avevano notato tutti la sua assenza li fuori. Così aveva bruciato una buona intuizione e (forse) messo a rischio anche il tesoro dell’altra.

Non palesò però la sua amarezza, limitandosi a congedarla gentilmente. Nella sua testa il vago proposito di rimediare in qualche modo, abbandonato subito dopo...rischiava di peggiorare le cose. Non si era mai sentito così inadeguato alla situazione: in teoria era una Nazione più che valida, ma la sua mancanza di pragmatismo gli faceva fare delle vere sciocchezze che, in quel contesto, potevano diventare fatali. Si costrinse di nuovo a sedere al piano, sperando, per lo meno, di riuscire a suonare, per non dare l’impressione di essere troppo preoccupato e vulnerabile.

Da fuori, appoggiata alla porta appena richiusa, Elizaveta meditava in silenzio su qualcosa di simile. Si era resa conto anche lei della condotta rischiosa dell’austriaco, ma non gliene faceva una colpa e si riprometteva, per quanto possibile, di proteggerlo, come sempre.

 

§§§

 

Da parecchi minuti Giappone si chiedeva nervosamente cosa fare: non voleva apparire maleducato, ovviamente, ma si sentiva in dovere di dissuadere Inghilterra dai propositi che gli stava palesando. L’inglese sembrava determinato ad approfittare di quel soggiorno forzato per svolgere indagini più ampie su tutta la faccenda. Comprensibile, ma decisamente rischioso, dal momento che tutta la loro concentrazione ed energia, al momento, avrebbe dovuto essere spesa a difesa del proprio forziere. Eppure Arthur sembrava molto deciso...

In realtà aveva già iniziato la sua opera poco prima, quando, con la scusa di cercare un nascondiglio nella villa, si era avventurato al piano di sopra. Qui aveva trovato una serie di porte sigillate, ciascuna con una serratura a tessera magnetica. Quelle misure di sicurezza lo avevano convinto che il cervello di quella folle operazione si trovasse in quella parte dell’edificio. Inoltre, il secondo piano, era anche la posizione più ovvia in caso di necessità di fuga: ricordava bene che il tetto della villa era spianato, probabilmente per ospitare una zona d’atterraggio elicotteri.

-Ho fondati motivi di credere che questo pazzo si nasconda al secondo piano...-

-Così hai visitato l’interno della villa.-

-Oh, solo superficialmente, poi, ovviamente, mi sono concentrato sul portare lontano la mia cassetta.- mentì l’inglese, cercando di apparire disinvolto. Nessuno doveva sospettare che, invece, fosse rientrato da una finestra ben nascosta per piazzare la sua cassetta sul retro di uno scaffale della libreria interna, in fondo al corridoio.

Kiku riuscì a cogliere la diffidenza nell’atteggiamento dell’altro, ma non gliene fece una colpa. Erano in un frangente che richiedeva quel genere di sgradevoli cautele. Si limitò a proseguire come nulla fosse il discorso, insistendo (per quanto il suo carattere gli permetteva) sui rischi delle ricerche che l’altro voleva intraprendere.

Non poteva sapere, però, che quelle indagini servivano ad Arthur soprattutto a tenersi occupato. L’inglese non voleva correre il rischio di perdere il controllo di se. Non avrebbe servito a quel bloody insane del loro “ospite” la ragione su un piatto d’argento. Tutto quel parlare di forzieri gli dava il capogiro, ma non aveva intenzione di tornare a fare il corsaro. Tutto quello che avrebbe fatto era difendere il proprio (non era così ingenuo da sperare troppo nell’onestà di tutti i presenti) e trovare la mente malata che aveva progettato tutto questo. Imporsi autocontrollo e distrarsi in modo comunque utile. Poteva funzionare.

A scuotere entrambe le Nazioni fu la corsa sfrenata di America, che quasi rischiò di investirli.

-What the hell! Stai attento!-

-America-san, non dovresti correre in questo modo, rischi di far male a qualcuno...-

“Per esempio noi” aggiunse mentalmente Arthur, ammirando sinceramente la capacità di Kiku di non esternare quel genere di pensieri. Quello si che era un invidiabile autocontrollo.

-Scusate, emergenza!- si giustificò l’americano, senza accennare a fermarsi.

-Questa faccenda non mi convince.- commentò Inghilterra. -Sarà meglio vedere dove va...-

Giappone annuì e i due presero, con il loro ritmo, a seguire a distanza Alfred. Il ragazzo, completamente ignaro, si fiondò attraverso il portone della villa. Arthur e Kiku si arrestarono sulla soglia, lanciandosi un’occhiata eloquente. Erano evidentemente arrivati alle stesse conclusioni, contemporaneamente.

-Idiot.- Sibilò tra i denti l’inglese.

­­-Ighiru-san non dovremmo essere così avventati. Aspettiamolo qui e diamogli la possibilità di spiegarsi...-

In quel mentre Alfred spuntò fuori allegramente, con un’andatura decisamente più tranquilla.

-Dove diavolo sei stato?- lo interrogò Inghilterra.

-A...fare pipì?- tentò l’americano, leggermente intimorito dall’espressione dell’altro. Non credeva fisicamente possibile per quelle sopracciglia così enormi aggrottarsi così tanto...erano inquietanti.

-Non raccontarmi balle, ti conosco da quando eri alto così.- insisteva l’inglese, accennando più o meno all’altezza dei suoi polpacci.

-Ok, ok, dude! Ero a controllare i miei gettoni, e allora?-

Kiku sospirò e Arthur si tirò una manata in fronte.

-America-san...- decise di intervenire l’asiatico -...non credo che la tua condotta sia stata molto previdente. Sia io che Ighiru-san avevamo facilmente intuito le tue intenzioni...-

America tentò di sdrammatizzare con una risata, ma si vedeva che era leggermente offeso. Non gli piaceva passare per stupido, nonostante di solito gli riuscisse molto bene.

-Ma...dovevo farlo...voi non avete idea di cosa sta succedendo!-

-Cosa, esattamente?- chiese, sarcastico, Inghilterra.

-Prussia! Pare che abbia già derubato a destra e a manca...DOVEVO essere sicuro che non fosse ancora arrivato qui!-

-Sei veramente ancora più idiota di quanto pensassi, allora!- gli sbraitò contro l’inglese, accostandoglisi al viso. Nonostante la differenza di altezza a suo favore, America rimase per un attimo titubante, di fronte all’espressione accigliata dell’altro, e a quello scatto improvviso.

-Così Prussia ha intenzione di derubare tutti, eh?-

-Giuro!-

-E giustamente tu hai pensato di correre come un idiota, facendo vedere a tutti quanta dannata fretta avevi, per venire qui e servirgli il tuo nascondiglio su un piatto d’argento!-

-Oh, shit!-

-Ah, ci sei arrivato! Non posso crederci!-

-M-ma sono sicuro che, a parte voi, non mi abbia seguito nessuno...ahahah!-

-Anche se fosse...anche se ti avesse solo visto prendere quella porta...quanto pensi ci metterà a rivoltare le stanze una ad una? Cinque ore? Sei? Dieci? Se convince qualcuno a dargli una mano anche meno e di sicuro non due giorni!-

-Quindi adesso che si fa?-

-“Adesso” giri i tacchi e vai a riprenderti la tua roba, mentre io mi riprendo la mia visto che tu , stupid yankee, hai appena “bruciato” anche il mio nascondiglio!-

Detto questo America rientrò mogio, seguito da Inghilterra intento ad insultarlo nei più disparati modi, mentre Kiku optò per l’allontanarsi. Non voleva mettere a disagio Arthur costringendolo ad ammettere, ora che la rabbia l’aveva fatto tradire, di avergli mentito.

 

§§§

 

Feliciano si aggirava per il giardino con l’aria turbata. Non voleva tradire la fiducia di suo fratello, ma dopo quello che aveva riferito loro Elizaveta (per metterli in guardia, diceva...) aveva assolutamente bisogno di parlare con Germania. Inutile dire che suo fratello non sarebbe stato d’accordo. Tuttavia Italia era assolutamente convinto che parlare col tedesco l’avrebbe aiutato. Lui era sempre così preciso, e aveva il controllo della situazione...insomma, l’avrebbe rassicurato su tutto, comprese quelle voci su Prussia a cui stentava parecchio a credere.

Suo fratello, al contrario, aveva accolto la notizia senza troppa sorpresa, imprecando vivacemente contro tedeschi, prussiani e “compagnia crucca al completo”. Senza neppure offrire al prussiano il beneficio del dubbio, Romano gli aveva ordinato tassativamente di non avere a che fare con lui neppure per sbaglio, e di mandarlo da lui se l’avesse infastidito in qualche modo...

Tuttavia Italia non voleva credere davvero che Gilbert fosse di colpo loro nemico...insomma, lui era stato sempre gentile nei suoi confronti, anche quando aveva smesso di essere una nazione! Perché adesso avrebbe dovuto derubarlo?

Immerso in questi pensieri, cercava di pensare ad altro. Si ripeteva che Germania avrebbe smentito tutto, forse si sarebbe anche arrabbiato per quei sospetti.

“Speriamo di no.” pensò tra se e se, accelerando un po’ il passo.

A quel cambiamento di ritmo, l’albino che lo spiava da dietro un cepuglio decise di venire allo scoperto, come una belva in agguato, richiamata dalla paura della preda.

-Kesesese! Klein Italien, che piacere...dove vai?-

-Oh, ehm...Prussia...- si imbrogliò Feliciano, indietreggiando istintivamente. -Io...cercavo Germania!-

Il sogghigno sul volto pallido del prussiano non lasciava molti dubbi sulle sue intenzioni. Quella smorfia furba e malevola feriva profondamente Feliciano. Non si aspettava quell’ostilità, come non si aspettava che fossero vere quelle dicerie. Eppure l’altro incalzava, strafottente...

-Davvero? Non è che, invece, stavi andando a controllare la tua cassetta?-

-Certo che no, ve!- mentì l’italiano, scuotendo energicamente il capo.

-Dovresti, invece...non si sa mai che qualcuno, possa...come dire...”alleggerirla”.-

Italia smise di indietreggiare e il suo sorriso timido si spense definitivamente. Quelle allusioni erano fin troppo chiare. Romano aveva ragione, su tutta la linea. Cos’aveva detto, a proposito di Gilbert? Mandarlo da lui?

-Devo preoccuparmi, per caso?- chiese allora, insolitamente serio e rigido.

Gilbert temporeggiò un attimo sorpreso. Non si aspettava quel genere di reazione. Il suo piano sembrava non essere così magnifico come pensava: prima Inghilterra aveva messo in allarme America, vanificando il suo pedinamento, e adesso non riusciva neppure a far tradire quel sempliciotto di Feliciano. Non uno sguardo preoccupato in qualche direzione, non un gesto o un qualsiasi indizio. Doveva mettergli ancora un po’ di pressione, convincerlo che i suoi gettoni fossero davvero in pericolo...

-Se me lo chiedi così, suppongo non ci sia più bisogno di fingere...ho trovato una cassettina con il tuo caro tricolore, Italien. Niente di speciale, a dirla tutta...la mia era molto più magnifica, non trovi?- lo sguardo del prussiano, mentre divagava allegramente, aveva un qualcosa di sadico ed inquietante. Italia non l’aveva mai visto così...quegli occhi cremisi sembravano quasi trapassarlo senza vederlo, come inseguendo una qualche idea fissa...

-Ve, ma è impossibile!-

-Oh, invece è così...- continuò l’albino, mellifluo -...ovviamente avrei potuto appropriarmi dei tuoi gettoni, ma...-

-“Ma”?- disse, più a se stesso che a Gilbert, riflettendo. Doveva usare la testa, in quella situazione. Qualcosa non quadrava. Se Gilbert avesse davvero trovato i suoi gettoni, nulla gli impediva di prenderli. Non aveva senso che gli sbandierasse la cosa in quel modo. Adesso era ancora più confuso!

-...ma in nome della nostra buona amicizia, ho pensato di proporti un accordo...-

-Davvero? Che accordo?-

-Ti darò la possibilità di provare a nascondere i tuoi gettoni un po’ meglio...a condizione che una parte passino immediatamente nelle mani del sottoscritto.- spegò Gilbert. -Non guardarmi così, klein Italien¸non c’è niente di personale. Anzi, direi che ti sto venendo incontro, no?-

-Ve, ma io non posso farlo, perché...perché...io non so dove sono le cassette.- mentì, incrociando le dita nella tasca, affinché il prussiano non si accorgesse della menzogna. -Mio fratello si è incaricato di nasconderla, assieme alla sua!-

-Quindi voi due giocate in squadra?- sibilò Gilbert, studiando l’espressione dell’altro. Sembrava sinceramente preoccupato, eppure non abbastanza da perdere il controllo. Il che era insolito: di solito Feliciano si faceva prendere dal panico per molto meno. -In effetti mi sembra logico...non tutti possono essere all’altezza della mia magnificenza. Oltretutto, ora che ci penso, la cassetta poteva anche essere del tuo lieben bruder...-

-V-ve, può darsi...per favore lascia stare i gettoni di mio fratello! Per favore!-

Quella richiesta accorata rallegrò Gilbert. Adesso si che si cominciava a ragionare. Tuttavia, se davvero le cose stavano come Italia aveva detto, lui gli era completamente inutile, in quanto non gestiva ne i gettoni di Romano, ne i suoi.

-Nein, nein...scusami, Italien, ma credo che discuterò la questione di persona con tuo fratello.-

-Ma...-

-Suvvia, dovevi pensarci prima di smettere di giocare in solitario...sulla stessa barca si può anche affondare, sai?-

-Tu invece giochi in solitario?- si lasciò sfuggire l’italiano, pentendosene subito dopo. Tuttavia Gilbert, già proiettato alla sua prossima volta confermò, spiegando che Ludwig non sarebbe stato in grado di apprezzare il suo “magnifico disegno”.

Feliciano trattenne a stento un sospiro di sollievo. Se qualcosa poteva lenire un po’ il suo dispiacere, era sapere il suo amico estraneo a quella losca manovra. Non avrebbe sopportato di dover dare ragione al fratello anche su di lui. In realtà si sentì stupido per aver dubitato anche di Germania: decisamente la compagnia esclusiva di Lovino lo stava influenzando...

Prussia a quel punto lo congedò, leggermente stizzito. Italia non se lo fece ripetere due volte, e tornò di corsa sui suoi passi, mentre un leggero sorriso gli si disegnava sul volto. Germania era ancora suo amico e, quanto a Prussia, era sicuro che suo fratello avrebbe trovato il modo di sistemare la faccenda...





 

Non sono gli altri che ci deludono, in realtà restiamo delusi da noi stessi. Crediamo di aver capito tutto degli altri e in realtà non abbiamo capito niente. (Ornella Casini)

 

 

 

 

 

Angolino Epico
Beh, a quanto pare Prussia è riuscito a creare un bel po’ di scompiglio tra le Nazioni. Di sicuro adesso sono tutti sotto pressione, ma c’è chi la gestisce sorprendentemente bene e chi malissimo...

Il patrimonio italiano è davvero in pericolo? I forzieri di Roderich ed Elizaveta (ancora dentro la villa) rimarranno intatti? America riuscirà a non fare altre idiozie? Inghilterra scoprirà qualcosa di più sull’uomo misterioso, o perderà la testa?

Spero che queste domande non vi assillino troppo. Vi ringrazio per la cortese attenzione e vi do appuntamento al capitolo di maggio.

Saluti epici

IMma-chan

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

L'unico modo per diventare più furbi è di giocare con un avversario più furbo. (dal film “Revolver”)

 

 

VI

-Hai capito cosa devi fare?-

-Ve, certo, fratello!- esclamò allegro Feliciano.

-E allora che cazzo ci fai ancora qui, che il bastardo arriverà a momenti!- lo sgridò Romano, spingendolo in malo modo dietro un robusto tronco d’albero.

Per fortuna, dopo il colloquio con Prussia, Italia si era precipitato a riferirgli tutto, anziché fare cose stupide. Per lui era abbastanza evidente che quello dell’albino era un bluff (tra l’altro, neppure molto riuscito...): un bastardo che può ricattarti così scioltamente può benissimo anche derubarti, e non ha alcun bisogno di farti pressione se ne ha già l’occasione. L’obiettivo do Gilbert era prendersi gioco di suo fratello, spingendolo a correre a controllare i suoi gettoni, e fregarlo di conseguenza. Quel bastardo doveva pagarla cara. Cosa pensava, che loro fossero gli ultimi dei cretini, a farsi fregare in modo così idiota?

Tuttavia, non poteva esserne completamente certo, quindi era importante che Feliciano facesse la sua parte senza distrarsi. Mentre lui teneva il bastardo impegnato, doveva controllare, in maniera discreta, il suo nascondiglio, per confermargli che fosse tutto a posto. A quel punto, avrebbe potuto rivoltare la situazione. Anzi, ora che ci pensava bene, suo fratello gli aveva riferito anche un’altra cosa interessante...

Un fruscio in lontananza avvertì i fratelli Vargas che era il momento. Gilbert sbucò da destra, rispetto al punto di vista di Feliciano.

-Bene, bene...ma chi abbiamo qui?-

-Che diavolo vuoi?- ringhiò Romano, spostandosi lentamente. Per seguire la sua “preda” con lo sguardo, Gilbert fu costretto a girare su se stesso, dando le spalle all’albero da cui Italia spiava. Lentamente, il minore dei fratelli iniziò ad indietreggiare e, quando fu sicuro che l’albino non si sarebbe voltato, prese a correre. Non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva, ma appena fuori dalla visuale di Gilbert avrebbe rallentato.

Intanto la conversazione del meridionale col prussiano proseguiva...

-Così, mi ha detto il tuo lieben bruder che sei stato tu a nascondere i gettoni di entrambi, eh?-

-Già.-

-Beh, non sei molto bravo a nascondere cose, temo...-

-Davvero?- chiese Romano, sforzandosi di simulare indifferenza. Non voleva dare la minima soddisfazione a quel bastardo...anche se la voglia di spaccargli la faccia per aver ricattato suo fratello era fortissima. Invece di tirargli il pugno che meritava, l’italiano si limitò ad infilare le mani in tasca, lasciando l’altro abbastanza perplesso

-Capisco, tu non mi credi, giusto? Peccato, perché, a sentire il tuo fratellino sono proprio i tuoi gettoni, quelli nei guai...-

-Intendi questi gettoni?- chiese Romano, tirandone fuori un paio, ed iniziando a giocherellarci. Lo sguardo sgranato ed avido di Prussia bastò a confermare quanto, in realtà, non avesse nulla in mano.

-Si da il caso che i miei gettoni non siano più nella cassetta da un pezzo, bastardo, quindi questa faccenda non mi riguarda...oppure è una cazzata.-

-Beh, i-io non ci credo...- farfugliò Prussia, che aveva appena realizzato di trovarsi in una rete di menzogne molto più ampia della sua. Stava palesemente improvvisando e rischiando grosso, ma non c’era motivo di credergli sul serio. Seminare gettoni a destra e a manca era dannatamente rischioso, nessuno di loro l’avrebbe mai fatto. Tuttavia si era già tradito, e Romano non perse tempo a farglielo notare.

-Non si tratta di crederci, se hai già visto i miei soldi, ma tu NON hai visto un cazzo di niente, vero? Stai sparando balle dal primo momento, non è così? Pensavi di farci cacare in mano e farci correre a indicarti dove sono i gettoni. Beh, indovina un po’, questi trucchetti del cazzo non attaccano con me!- esplose Romano improvvisamente, con veemenza, facendo un paio di passi minacciosi verso di lui. Senza dubbio, ora, Gilbert riconosceva con sollievo il suo caratteraccio, ma non riusciva a spiegarsi il quel cambiamento improvviso. Non poteva sapere che, dietro le sue spalle, Feliciano si stava riprendendo dalla corsa, dopo aver fatto al fratello il segnale concordato per dire “Tutto a posto. I miei gettoni sono al sicuro.”

Da quel momento in poi, Lovino non doveva più preoccuparsi di mettere a rischio il fratello, e poteva giocare pesante.

-Non osare parlarmi a quel modo.- protestò Gilbert, sfidandolo con lo sguardo. -Scommetto che non è vero che hai nascosto i gettoni di Feliciano...e se fossero i suoi? Vuoi davvero mettere a rischio il suo capitale perché CREDI di avere di fronte un bluff?-

-No, per questo l’ho mandato a spostare i soldi mentre tu mi intrattenevi con la tua fottuta recita.- rispose l’italiano, concedendosi anche il lusso di ridergli in faccia. -E visto che adesso il tuo merdoso piano dipende dal nostro silenzio farai bene a non disturbarci più. Sai, quando sono incazzato tendo a non tenere sotto controllo Veneziano, e noi non vogliamo che vada a dire a qualcuno...tuo fratello per esempio...che Prussia l’ha ricattato “ma per fortuna per finta”. Giusto?-

Gilbert serrò i pugni. Si ripromise di picchiare Antonio la prossima volta che gli avesse parlato di quanto Lovino in realtà fosse “fragile, a modo suo”. Quell’italiano era Satana, nella migliore delle ipotesi!

Non gli rimase che ritirarsi, borbottando maledizioni in tedesco, e senza neppure notare Italia, ormai in bella vista, che se lo vide passare accanto a lunghe falcate infuriate. Il settentrione corse ad abbracciare il fratello. Insolitamente docile a quelle attenzioni, Romano si passò una mano sul volto, come per schiarirsi le idee o riprendere il controllo di se. Solo lui sapeva cosa gli era, per un attimo, passato per la testa, e adesso voleva solo dimenticarsene in fretta. Sarebbe stato facile, ripagare Gilbert con la stessa moneta: un pugno di gettoni per il loro silenzio. Per fortuna si era fermato in tempo. La presenza di Feliciano gli aveva ricordato perché non farlo, perché non essere così...

-Sei stato grande...ad un certo punto mi hai quasi fatto paura! Ma come sapevi che non era vero?- chiese tutto d’un fiato il minore, ignaro ed esaltato per la gioia e il sollievo.

Romano non sembrava soddisfatto, invece. Si limitò a sospirare che quel tipo era un pessimo ricattatore e, senza spavalderia, ma anzi, con uno strascico d’amarezza nella voce, aggiunse: -Ho avuto a che fare con bastardi peggiori...-

 

§§§

 

Per la prima volta Matthew considerava una fortuna passare inosservato. Non amava scontrarsi con gli altri e, se ne aveva la possibilità, voleva superare quel gioco perverso facendosi gli affari propri: tutelando se stesso, ma non facendo male a nessuno. Non si era neppure preoccupato di nascondere la sua cassetta, anzi la teneva poggiata sulle ginocchia, mentre riposava con la schiena pocciata ad un tronco. Quel giardino era di una bellezza rara, ed era un vero peccato che fosse stato scelto come campo di gioco per quella sfida ansiogena e sadica. Inspirò l’aria che iniziava a farsi leggermente afosa...doveva essere arrivato il primo pomeriggio. Non aveva con se l’orologio, e tutte le stranezza a cui aveva assistito gli avevano fatto perdere la cognizione del tempo.

La sua “maledizione” di invisibilità l’aveva sempre messo nella posizione ideale per osservare gli altri. In questo particolare frangente rappresentava un vantaggio non trascurabile, dato che gli aveva permesso di capire, prima di tutti, chi tra di loro rappresentasse la minaccia maggiore in quel gioco. No, non si trattava di Prussia. Quella voce secondo cui aveva svuotato una o più cassette lui l’aveva seguita nascere e gonfiarsi dal niente, sapeva che era infondata. Così come non si preoccupava della misteriosa sparizione di Cina. L’aveva visto infatti entrare in una botola che, presumibilmente, conduceva ad un capanno per gli attrezzi. Si era anche avvicinando sentendo strani rumori. Suppose che, in qualche modo, stesse approfittando di quella specie di rimessa per nascondere i suoi gettoni.

Il segnale che l’aveva effettivamente messo in allarme era stato il comportamento di due nazioni baltiche: Lettonia ed Estonia. I due, dopo l’iniziale corsa ai nascondigli si erano comportati un po’ come gli altri, ma da un certo momento in poi i due si erano come pietrificati sul piazzale di fronte alla villa, dove li aveva scaricati il pullman. Insomma, in bella vista. Era come se non avessero più nulla da controllare. Come se stessero gridando indirettamente di essere stati derubati. Tuttavia non sembravano neppure intenzionati a provare a riprendersi il maltolto...sembravano più che altro rassegnati. Solo una cosa poteva spiegare tutto questo, anzi, una persona. Non poteva, però, arrischiarsi a spiarla con quella cassetta di gettoni con se.

Sinceramente, non aveva alcuna intenzione di correre rischi per verificare, ma si può dire che la conferma gli arrivò da se, di fronte agli occhi.

Intravisto Russia in lontananza, decise di non fidarsi della sua labile capacità di passare inosservato, e preferì occultare meglio se stesso e la cassetta, dietro dei cespugli.

Non era solo...con lui, a debita distanza e decisamente diffidente, c’era Lituania. Toris si guardava continuamente le spalle, poi tornava a fissare preoccupato Ivan, che lo precedeva. Non aveva evidentemente il coraggio di chiedere dove fossero diretti e perché. Canada, da dietro il cespuglio, li vide fermarsi a pochi passi dall’albero a cui era appoggiato, poi vide Ivan sollevare un mucchietto di foglie li vicino. Infilò le mani per estrarre qualcosa, la cui vista gelò il sangue sia a Toris, che a Matthew che, anche se da lontano, aveva già capito: i suoi sospetti ora erano una certezza...

 

§§§

 

Il sole picchiava sulla chioma bionda di Alfred, che con passo spedito e l’aria abbastanza distratta, se ne andava in giro con la cassetta sotto il braccio. Mentre cercava di pensare ad un nuovo nascondiglio, contava sulla sua forza per intimidire le altre Nazioni. Era certo che nessuno avrebbe osato sfidarlo corpo a corpo per rubargliela...beh, a parte forse Russia, che però, sembrava fortunatamente fuori dalla circolazione.

La luce intensa, riflettendosi sui suoi occhiali, lo costringeva a socchiudere e sforzare gli occhi. Tuttavia quello schiudersi del cielo ad America piaceva, gli pareva un segnale positivo. Si sentiva, ingenuamente, assistito in qualche modo dalla sorte. Proprio in quel momento, pur con qualche difficoltà, notò un bagliore singolare provenire da terra. Qualcuno sembrava aver perso un gettone.

Chinato verso la moneta, rifletteva indeciso. Da una parte, la sua morale di eroe gli avrebbe imposto di cercarne il legittimo proprietario...dall’altra era pur vero che lui, in partenza, era la Nazione più ricca e il pazzo che li aveva portati li, per “pareggiare” le loro posizioni, aveva usato molte delle sue ricchezze. Tecnicamente quei soldi erano suoi, giusto? Alla fine si guardò un paio di volte attorno e, non notando nessuno, prese l’oggetto tra le mani, tirando su il volto congestionato. Avvertì un leggero capogiro, causato dal caldo e dalla posizione scomoda in cui aveva deciso di riflettere. Stava per infilarsi il gettone in tasca quando, alle sue spalle, spuntò Francia.

-Bonjour Amerique.- esordì affabile il francese, che l’aveva visto benissimo prendere la sua moneta fortunata, lasciata li “per caso”.

-Ah, hi France, ‘sup?-

-Come mai hai ancora la tua cassetta sotto il braccio?-

-Protetta da un eroe è più al sicuro che in qualsiasi nascondiglio.- disse con orgoglio l’americano, per evitare di raccontare come stesse per tradirsi in modo alquanto stupido. Non ci avrebbe fatto una gran bella figura...

-Capisco...- lo assecondò l’altro, volendone innanzitutto carpire la fiducia. -Così hai deciso di comportarti da eroe...davvero lodevole da parte tua. In effetti è piacevole avere a che fare con persone dai principi così retti come i tuoi.-

Alfred era fin troppo facile da affascinare con le lusinghe. Aveva un’alta stima di se stesso, e dunque non aveva motivo per sospettare che quella degli altri potesse essere interessata. In questo senso era di un egoistico candore quasi infantile. Così Francis ebbe gioco facile a proseguire per quella strada...

-Amerique, c’è una cosa che mi preoccupa, e credo che tu possa aiutarmi...-

-The hero è a tua disposizione.-

-Ho perduto alcuni gettoni e temo che qualche brutta persona possa averne...come dire...approfittato.-

-S-sarebbe davvero una brutta cosa.- farfugliò America, vergognandosi di colpo come un ladro. -I-io per esempio avevo trovato questa, e mi stavo giusto chiedendo di chi fosse.-

Porse la moneta a Francia, che la rigirò tra le mani.

-Mercì, Amerique, ma credo che questa moneta debba tenerla...in fondo l’avevi onestamente trovata. Non si disdegnano i regali della fortuna, sai?-

-N-no, non mi sembra corretto.- insisteva l’altro.

-Un modo ci sarebbe, per capire a chi vuole assegnare la sorte questo gettone...-

-Cioè?-

-Ho appena notato che questa moneta, nello specifico, è diversa da tutte le altre. Guarda, entrambi i lati sono uguali e vuoti, mentre un gettone comune ha su una faccia una mascherina bianca.-

-Davvero?- chiese Alfred, che non vi aveva prestato attenzione. Istintivamente volle verificare estraendo dalla sua cassetta un campione. -Oh, It’s true!-

-Questo ci da l’occasione di risolvere la questione con un piccolo gioco...ti va di giocare?-

-Sure, spara, di che si tratta?-

-Prenderemo questo gettone ed uno dei tuoi...-

-Ehi!- protestò Alfred, vedendosi sfilare la moneta di mano.

-Tranquillo, la riavrai subito, mon amie...- lo rassicurò Francis, continuando a spiegare la dinamica della scommessa. -Li metteremo entrambi in un sacchetto, ed estrarremo le monete per un numero dispari di volte. Se esce più volte il tuo gettone con la maschera, potrai tenerti entrambi.-

-E tu che ci guadagni?-

Alfred era a volte un po’ ingenuo, ma non tanto stupido. C’era qualcosa che non lo convinceva.

-Ovviamente, se invece esce più volte la mia moneta, sarò io ad intascare tutta la posta. Puoi sempre rifiutare, Amerique...-

In effetti la cosa più saggia da fare, sarebbe stata restituire il gettone “difettoso” e girare i tacchi. Ma la saggezza non era una delle principali virtù di America, che si sentiva in compenso molto fortunato e finì per abboccare all’esca lanciata dal francese.



 

Chi pesca con l’amo d’oro qualcosa piglia sempre (Proverbio italiano)

 

 

 

 

 

Angolino Epico
Mai sottovalutare gli italiani...MAI! U.U

Se ritenete necessario inserire l’avvertimento OOC ditemelo, secondo me in questo capitolo, però, il comportamento “anomalo” di Romano inizia ad avere motivazioni. La situazione in cui si trova al momento risveglia in lui dei ricordi e delle associazioni mentali non esattamente piacevoli... in condizioni normali non sarebbe riuscito a tener testa in quel modo a Prussia, ma a volte l’inca**atura può essere anche costruttiva (a me capita, poi non so...).

Quanto alla scena di Matthew, sappiate che il nostro piccolo caro canadese ignorato ha appena iniziato a far sfoggio di abilità deduttiva...anche per lui ho in mente qualche momento da protagonista. Per ora mi sono limitato a metterlo in mezzo ad una scena cliffangher xD

Più che per lui c’è da preoccuparsi per il fratellino, che si è messo in gioco contro qualcuno di non molto raccomandabile...il gioco della moneta è un piccolo tributo a Liar Game (anche se nel manga il gioco viene fatto con due carte, non due monete...), tuttavia vi invito a non sbirciare tra le pagine dell’opera, ma a cercare di scoprire da voi dove possa essere la fregatura...che comunque svelerò nel prossimo capitolo.

A Giugno, gente!

IMma-chan

PS Le citazioni di questo capitolo non sono il massimo, ma cercherò di rialzare il livello culturale più avanti, promesso T.T

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo VII ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

Tre persone possono tenere un segreto se due di loro sono morte. (Benjamin Franklin) 

 

VII

Ivan sorrideva soddisfatto, guardando con un sorriso mellifluo e quasi divertito la nazione che aveva di fronte, prostrata dalla disperazione e con le mani tra i capelli. Nelle grinfie del russo, la cassetta con la bandiera della Lituania dondolava leggermente, inclinandosi ora a destra, ora a sinistra. Sembrava rallegrarsi con il suono metallico dei gettoni, quasi quanto osservando la sua vittima sbattere nervosamente le palpebre. Toris non riusciva ancora a credere, a capacitarsi. Era convinto che il suo nascondiglio fosse sicuro. Quella situazione era esattamente quella che lui, Eduard e Ravais volevano evitare a tutti i costi. Si erano promessi di coprirsi le spalle a vicenda, ma a quanto pare non era bastato...oppure...

-Q-quindi?- ebbe il coraggio di chiedere, appena riprese un minimo di lucidità.

-Come, prego?-

-I-insomma...hai vinto, si può dire così. Perché mi hai fatto venire qui, allora?-

-Continui a dipingermi come una persona orribile, lo sai?- disse il russo avvicinandosi. Lituania indietreggiò istintivamente. -Può darsi che io voglia vincere, in effetti, ma il discorso del nostro simpatico ospite mi ha fatto venire un’idea piuttosto generosa...-

-S-spiegati meglio.-

-Per vincere ho bisogno semplicemente di mantenere o aumentare il mio tesoro. Direi che raddoppiarlo, per me, sarebbe più che sufficiente. Adesso spetta a te aiutarmi a rendere la cosa più...sopportabile.-

-Come, scusa?-

-Guarda qui dentro...-

Toris non aveva molta voglia di obbedire. La parte più vigliacca di lui si immaginava addirittura buttato e sepolto vivo in quella fossa. Nondimeno scarseggiavano alternative, così con la coda dell’occhio esplorò il nascondiglio segreto, che oltre alla cassetta di Ivan ospitava già anche quelle di Eduard e Ravais. Così aveva preso anche i loro gettoni? Quando? Come?

-Mi basta prendere un pugnetto qui, un pugnetto li...-

-D-dove vuoi arrivare?-

-Devi solo fare il bravo e guardarti intorno, Lituania, e dirmi dove si trova un’altra cassettina, magari due. Ci sono tanti modi in cui si può perdere questo gioco e tu non vuoi perderlo finendo completamente in rovina, giusto?-

-M-mi stai proponendo di venderti i nascondigli degli altri?!- esclamò, facendo accigliare l’altro. Portandosi un dito alla bocca il russo gli intimò di parlare più piano.

-Non lo farò mai!- sibilò infine, raccogliendo tutto il suo coraggio.

-Oh, è un vero peccato, sai...perchè in fondo Estonia e Lettonia hanno fatto davvero un buon lavoro, invece...così mi costringi, per essere giusto, a prendere tutti i tuoi gettoni.-

-G-giusto? Quello che stai facendo è completamente dispotico, ingiusto e...m-malato.- protestò, ritrovandosi l’imponente figura dell’altro a pochi millimetri dal suo viso. Sapeva che non era armato, ma anche che la superiorità fisica di Ivan rimaneva piuttosto grande. Senza contare il fatto che aveva letteralmente in mano la sua sorte. Un macabro deja vu. Si irrigidì sentendo le mani del russo stringersi all’altezza della sua mandibola...se fosse sceso verso il collo...

-Ti darò un po’ di tempo per pensarci, da?- sussurrò a pena addosso al suo viso terrorizzato -Dovresti apprezzarlo, sono uno dei pochi qui che vuole fare “gioco di squadra”, sai...-

Sorrise della sua stessa ironia, mentre lo lasciava. Per la tensione, di colpo rilasciata, Toris quasi si accasciò. Vacillò appena, facendo due passi indietro. Non sapeva se voltarsi o meno. Sapeva solo che uno dei suoi due più cari amici aveva parlato e l’aveva incastrato nella trappola da cui avevano promesso di proteggersi a vicenda. Forse sperando di entrare nelle grazie del loro aguzzino e salvare il proprio forziere. Si sentiva in trappola e, quel che è peggio, senza nessuno a cui appoggiarsi: non era appena stato tradito?

Alla fine si decise a dare le spalle a quel luogo e fuggì, accompagnato dal frusciare delle fogle e dall’ironico invito del russo a tornare con “buone notizie”. Intanto, dietro il suo cespuglio, Matthew rabbrividiva. Era anche peggio di quanto pensasse. Russia non aveva semplicemente derubato i baltici, li aveva letteralmente assoldati come spie. Con i loro soldi. Non sapeva se anche Toris si sarebbe sottomesso, ma quella specie di organizzazione era già fin troppo pericolosa. Un simile potere sulla volontà altrui, in mano ad uno come Russia, non avrebbe portato nulla di buono. Soprattutto in quella situazione...

 

§§§

 

Germania si sedette sull’erba, finito il giro del giardino. Aveva seguito la recinzione della tenuta per tutta la sua lunghezza, valutando dive si trovassero le telecamere, se vi fossero punti ciechi, quanto potesse essere difficile in caso di assoluta necessità aggirarla. Si era reso conto immediatamente che scappare sarebbe stato facile, fin troppo...evidentemente il manipolatore di tutto ciò era convinto che la minaccia di distruggere la loro ricchezza sarebbe stata sufficiente a farli collaborare. E (maledizione) aveva ragione!

Altrimenti perché constatare quanto potesse essere facile forzare la sicurezza di quel posto non l’aveva rassicurato affatto? Lo infastidiva anche il fatto di essere l’unico a cercare di affrontare la situazione per quello che era davvero: l’attacco di un nemico sconosciuto. Possibile che fosse rimasto il solo a ricordarsene? Tutti gli altri sembravano come impazziti, si erano lasciati trascinare in quella assurda pratica, probabilmente ideata solo per distrarli. La sua serietà, la sua preparazione bellica, lo spingevano a diffidare soprattutto di fronte a quell’azione di depistaggio. Chiunque li tenesse sotto scacco era riuscito a dividerli, metterli l’uno contro l’altro, polverizzare una resistenza che, se solo fosse stata organizzata, avrebbe già potuto affrontare e chiudere la faccenda. Era frustrante essere sempre il solo a prendere seriamente le cose.

Inoltre, un sospetto aveva attraversato la sua mente, atterrendolo. Se davvero qualcuno di loro fosse uscito di li senza neppure un gettone, cosa sarebbe successo? Loro non erano persone comuni, loro risentivano di ogni cosa che avveniva sul loro territorio. Bloccare il denaro, il flusso dei mercati, era un po’ come privarli della loro linfa, bloccare il loro flusso sanguigno...poteva essere mortale? Si costrinse a scartare quell’ipotesi: prima di loro erano esistiti Nazioni e popoli nati dal baratto che se l’erano cavata per secoli. Probabilmente lo stress lo portava ad ingigantire i problemi.

-Ve, Ludwig!-

Scattò in piedi, il tedesco, voltandosi con una faccia rabbiosa verso il povero Italia.

-P-per favore non guardarmi così, che ti ho fatto?- piagnucolò il castano.

-Niente, Italien, sono solo un po’ teso, mi spiace...-

Feliciano sorrise, convinto di poterlo distrarre. Non voleva rovinare quel momento di tranquillità, per il quale aveva deciso di disobbedire a suo fratello. Lovino era stato grande con Prussia, e Feliciano avrebbe voluto assecondarlo in tutto e per tutto, però...Germania era suo amico, e per stessa ammissione di Gilbert era estraneo al suo piano. Non ci vedeva niente di male, dunque, nello stare un po’ con lui. In un certo senso, era come se ne avesse bisogno...

-Mi chiedevo che fine avessi fatto.- disse, dopo un tempo interminabile, il tedesco. In una situazione così rischiosa si aspettava di aver sempre il piccolo Italia alle calcagna, invece era scomparso quasi subito.

-Ve, ero con Romano! A proposito...non dirgli che sono venuto a parlare con te, perché lui non voleva e...-

-Tuo fratello...- ringhiò Ludwig.

-Cosa?-

-Un idiota, come tutti voi altri! Non vi rendete nemmeno conto di comportarvi come degli incoscienti menefreghisti! Qualcuno ci sta tenendo in ostaggio, e voi vi mettete a giocare, a fare il bello spettacolino tanto per intrattenerlo...Nessuno qui, NESSUNO, sta pensando veramente a risolvere questa situazione, tra voi idioti!-

Feliciano non si sentiva un idiota, ne considerava tale suo fratello. Ed era spaventato dal modo in cui di colpo Ludwig si era messo ad urlare. Parlava in quel modo strano e ancor più aggressivo di quando l’italiano scappava dagli allenamenti. Si morse forte la lingua. Avrebbe voluto piangere, ma non lo fece, ferito ancora una volta dai comportamenti che si ritrovava attorno. Avrebbe avuto quasi voglia di gridargli in faccia che Gilbert era il primo a giocare all’attore dilettante, ma probabilmente l’avrebbe fatto infuriare di più. Inoltre Romano si era raccomandato, e su questo punto non aveva intenzione di deluderlo. Ludwig prese a camminare avanti e indietro e tentò di scusarsi di nuovo per il modo brusco, ma Italia ormai si aspettava di sentirlo sbraitare da un momento all’altro.

-Devi capire che è difficile...tutto questo è...fuori anche dalla mia portata. Probabilmente sei venuto da me convinto di trovarmi tranquillo, in grado di gestire la situazione, ma...non è una situazione da gestire. Questa situazione è una guerra da combattere, e intorno a me ho solo mercenari e disertori...capisci?-

No, non capiva. Intuiva però, nel tono della voce dell’altro, che anche lui provava la stessa delusione che lo stava percorrendo da quando era iniziata quella tortura. La delusione di non poter contare su nessuno, o quasi. In fondo, Italia sapeva di poter contare su suo fratello. Si convinse che potesse essere quello il problema. Doveva solo far capire a Germania che anche lui aveva qualcuno su cui contare e sarebbe tornato tutto a posto. Ne era convinto. Istintivamente glielo disse, avvicinandosi quasi con l’intenzione di abbracciarlo. Fu respinto, per fortuna dolcemente.

-Danke, ma...non adesso.- lo rimbrottò, imbarazzato -Voglio controllare anche l’interno della villa per verificare se c’è qualcosa di sospetto.-

-Ve, posso aiutarti?-

-Se vuoi.- acconsentì, pur sapendo di non poter contare troppo su quell’aiuto. Tutto sommato era una proposta gentile , e non si sentiva di rifiutarla. Le cose, dal suo punto di vista, non potevano peggiorare più di così, quindi...poteva combinare tutti i guai che voleva. Perché era quasi contento che fosse tornato a ronzargli attorno?

 

§§§

 

-It’s impossible!- protestò America, gettando a terra il sacchetto di seta rossa. Aveva perso. Di nuovo. A questo punto, dopo numerose vittorie del francese, Alfred era certo di avere di fronte a se un imbroglione. Eppure non riusciva a svelare il trucco e a recuperare almeno un misero gettone. Accusarlo era stato inutile. Con un condiscendente sorriso Francis l’aveva invitato a pescare personalmente la moneta, al turno successivo, ed aveva comunque vinto. Il tutto, sotto gli occhi di una piccola folla incuriosita, attirata dalle sue proteste. Non riusciva a rifarsi. Ciononostante continuava caparbiamente a rigiocare, allettato anche dalla nuova proposta di Francis: raddoppiare la posta. Le probabilità erano a suo favore, stavolta, quindi avrebbe almeno ammortizzato la perdita...poi, se tutto andava bene...

Continuava ad abboccare con una facilità sorprendente, e Francis si fregava le mani, sorridendo complice, di tanto in tanto, al piccolo pubblico ignaro.

-Tipo, ma come fa?-

-Non ne ho idea...-

-Non ho capito bene il gioco, aru...ma America ha perso di nuovo?-

In mezzo a quella folla c’erano anche Romano e Antonio, che si erano lasciati cogliere dalla curiosità. Più che altro Romano aveva finto interesse per quella cazzata per sfuggire al fuoco di fila di preoccupazioni e attenzioni dello spagnolo. Commentavano tra di loro lo svolgersi dell’ennesimo round. Spagna gli aveva appena spiegato della “moneta fortunata” di Francia, che Lovino scoppiò a ridere, senza potersi trattenere. Francis lo guardò storto, riprendendo a discutere con America che quella scommessa fosse “perfettamente onesta”.

-Così onesta che dovrei proporla al posto del gioco delle tre carte...- bofonchiò a mezza bocca, rivolto a Spagna.

-Tu hai capito come fa? Come riconosce la moneta?- chiese incuriosito Antonio.

-Non ha alcun bisogno di riconoscerla...cazzo, ma sei cieco? Il trucco è semplicissimo e poteva abboccare solo quel bastardo lì. Guarda bene come giocano: America pesca la moneta, non la guarda e la posa sul coperchio della sua scatola. Per controllare se c’è la maschera o no la rigira.-

-E allora?-

-Adesso ci arrivo, cazzo, non mettermi fretta! Dicevo...se la fottuta maschera però è a vista, la pescata è considerata nulla, e viene rimessa dentro. E qui sta la fregatura! Metà delle volte che la giocata di America è buona viene annullata, mentre Francia avrà sempre giocate buone, perché il suo gettone è pulito come un fottuto specchio da tutte e due le parti. In teoria hanno le stesse probabilità, ma in pratica il bastardo francese si assicura il doppio delle giocate in partenza, quindi...-

-Desole, ho vinto di nuovo, mon amie!- proruppe nel frattempo Francis, interrompendo il parlottio dei due. Di fronte a lui Alfred, frastornato, stanco e anche vagamente umiliato, aveva perso la sua tracotanza e aveva assunto l’aria di un bambino in preda a una crisi isterica.

-No, no, no! It’s impossible! Non è giusto...- aveva perso due gettoni in un colpo stavolta, e iniziava a sentire la cassetta farsi più leggera. Questo, unito alla coscienza di essere osservato mentre falliva l’aveva letteralmente fatto regredire...qualcuno avrebbe potuto giurare che aveva le lacrime agli occhi. Tutto ciò destava il brusio degli spettatori. Romano era l’unico a rimanere indifferente: non parteggiava ne per quel ricco bastardo che stava sbattendo il muso contro la realtà (ed era anche ora...) ne per il viscido che lo stava spellando vivo. “Bella lotta tra bastardi.” fu tutto ciò che attraversò la sua mente.

 

 

Bisogna sempre giocare onestamente quando si hanno le carte vincenti. (Oscar Wilde) 

 

 

 

 

Angolino Epico
Questi giorni sono per me un vero delirio, ma faccio del mio meglio per aggiornare...confesso che ho avuto meno tempo del solito per il “labor limae”, quindi se vi sembra una schifezza questo capitolo abbiate pietà e perdonatemi fino al prossimo. Comunque eccovi le ultime novità dalla villa misteriosa: Russia è il male, ora ne ho la certezza. Secondo voi Toris come reagirà? Venderà davvero qualche altro giocatore ad Ivan? Si accettano scommesse gente! (E tranquille, io sono più onesta di Francis u.u)

A proposito...confesso che inizialmente volevo far svelare a Matthew il trucchetto della moneta, ma poi ho pensato che sarebbe stato più immediato e “divertente” (per quanto sia divertente riportare gli inganni di una brutta persona...) spiegato da Romano. Inoltre Spagna sapeva della moneta “speciale” e questo era un elemento essenziale per capire la cosa, quindi...beccatevi il mio amore, punto. <3

Quanto alle eventuali GerIta in ascolto (?) chiedo perdono se la scena con quei due è stata quasi angst e per niente shipposa (??), ma la verità è che volevo si capisse che Germania sta diventando LEGGERMENTE paranoico u.u

Comunque Ita-chan è Ita-chan e sa sempre come ri-addolcirlo ;)

A Luglio, bella gente!

IMma-chan

PS Se qualcuno di voi (chi???O.o) stesse compatendo il povero America...non preoccupatevi, lo farò riprendere. Forse. *risata malvagia*

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

L'importanza dei soldi deriva essenzialmente dall'essere un legame fra il presente ed il futuro. (John Maynard Keynes)

 

VIII

Se l’era ritrovato di fronte quasi per caso, mentre si allontanava a grandi passi dal suo nascondiglio con la cassetta sotto il braccio. Deglutì. Il prussiano di fronte a lui sembrava decisamente agguerrito.

-Ne ho abbastanza di giocare...- sibilò a se stesso, più che a Matthew, intento ad osservarlo spaventato.

Non era la prima volta che soffermava la sua attenzione sull’albino. Aveva sempre trovato il colore dei suoi occhi leggermente inquietante e adesso, mentre borbottava a se stesso con lo sguardo fisso e assottigliato, gli incuteva ancora più timore. Gli ordinò di consegnargli immediatamente lo scrigno. Il canadese strinse istintivamente a se l’oggetto, e, con un sussurro appena udibile, rifiutò. Nella sua testa, tanti timori: non che si ritenesse debole, ma era poco abituato agli scontri fisici, dato che per lo più veniva ignorato. Prussia invece aveva secoli di esperienza a riguardo. E sembrava anche su tutte le furie, il che ne avrebbe sicuramente moltiplicato le energie. Il suo piano, buono, ma con qualche lacuna, doveva essere fallito. Così aveva deciso di passare alle maniere forti col primo che gli fosse capitato a tiro.

Gilbert prese un braccio in avanti, riuscendo ad afferrare la cassetta di legno. Iniziarono a contendersela, l’uno con foga e cercando anche di spingere a terra l’avversario, l’altro preoccupato soprattutto di non farne rovesciare il contenuto. Ad un tratto Prussia ebbe un’idea. Si irrigidì, come se volesse usare tutte le sue forse. Canada abboccò al tranello, e strattonò con energia. Le braccia dell’altro allentarono la presa e l’albino vide l’altro vacillare all’indietro. Nello sforzo di recuperare l’equilibrio, Matthew aveva tolto le mani dallo scrigno.

Se ne rese conto un attimo dopo, vedendo la Nazione di fronte a lui sogghignare soddisfatta.

-N-non puoi farlo...- tentò di protestare.

-Spiacente, klein Canada, l’ho appena fatto. Niente di personale, ovviamente.-

Normalmente sarebbe stato felice di sentire qualcuno chiamarlo con il proprio nome, ma adesso gli veniva quasi da piangere. Sapeva che non avrebbe più visto quella cassetta, probabilmente, a meno che non riuscisse a prendere tempo.

“Pensa, Matthew, pensa!” si ripeteva, sforzandosi di non perdere la testa di fronte all’albino che, aperto il suo scrigno, ne valutava soddisfatto il contenuto. Aveva il bagliore di quei gettoni riflesso nello sguardo e il suo sorriso si era fatto più largo, ma non meno teso e battagliero. Sembrava già proiettato alla prossima mossa, ebbro di quella prima vittoria.

-P-perché?-

-Come?-

-P-perché, ho detto. V-voglio saperlo. Ho già perso, no, q-quindi non hai nulla da perderci...-

-Te l’ho già detto, niente di personale.- ripetè annoiato, per poi aggiungere. -Non capiresti. Dubito che possa interessarti.-

-Non puoi saperlo.- era il momento di colpirlo nella vanità -Scommetto che sono parte di un disegno più grande, giusto? Insomma, girano voci sul fatto che tu abbia un piano, o qualcosa del genere...dev’essere qualcosa di grandioso...-

-Il mio piano- spiegò, inchiodandolo con lo sguardo. -è molto semplice...io voglio vincere. Più che posso. Tutto, se necessario. Voglio riportare la più grande e magnifica vittoria possibile su questa Terra. Hai idea di cosa si possa fare con tutta quella ricchezza, eh? No? Te lo dico io: comprare terre, tante terre, costruire edifici magnifici, assoldare un esercito...in poche parole RICREARE UNA NAZIONE. LA MIA NAZIONE. UNA NUOVA MAGNIFICA NAZIONE!-

Riprese fiato, dopo quella confessione gridata con tono tracotante. Matthew osservava i suoi movimenti nervosi e incoerenti, il suo sguardo ora fisso e aggressivo, ora sfuggente. Sembrava quasi fuori di se. Quell’idea, di tornare ad essere una Nazione, doveva averlo affascinato a tal punto da fargli dimenticare tutto il resto. Per quanto ne sapeva, Prussia in passato era stato tra le più grandi potenze. Doveva essere difficile per lui, di colpo, ritrovarsi ad essere praticamente un ospite a casa di suo fratello, e soprattutto non contare più nulla, in termini politici. Doveva essere un gran peso. Matthew si rese conto di non poterlo immaginare davvero: certo, anche lui si sentiva spesso messo da parte, ma era così da sempre, vi si era tristemente abituato. Per l’albino doveva essere un’altra storia, peggiore. Da perdere la ragione.

-S-se è così...ti interesserà trovare più cassette possibili, giusto? I-i-io posso aiutarti.-

-Come? Vorresti aiutarmi?- chiese sorpreso e divertito il prussiano, studiando di nuovo con curiosità chi aveva di fronte, come la scorsa volta al meeting. Quel Canada, l’ex-pupillo di Francis, era davvero un tipo singolare...

-S-saresti disposto a ridarmi i gettoni se te ne facessi trovare tanti, tanti di più? N-non hai nulla da perderci, se n-non sei soddisfatto dell’accordo, puoi sempre tenerti la mia cassetta.- Notò che Gilbert non sembrava prenderlo sul serio, per cui decise di giocarsi il tutto per tutto. -Ecco,io...ho scoperto che Russia ha messo su un bel bottino. A te Russia n-non piace, giusto?-

Russia, uno dei fautori della sua dissoluzione. Quello che l’aveva tenuto per tanti anni sotto il suo potere e lontano da suo fratello. Non è che non gli piacesse...lo odiava, praticamente.

-Sto ascoltando...-

 

§§§

 

-Scusascusascusa! Non mi uccidere!!!- Gridò spaventato Italia serrando gli occhi. Odiava l’essersi divisi, ma Germania gliel’aveva intimato categorico. Non sarebbero mai riusciti ad esplorare tutta la villa in breve tempo, se non si fossero divisi. Così si era ritrovato solo, con una pesante sensazione di pericolo, a camminare furtivamente in un corridoio, finché qualcuno non gli era andato a sbattere addosso girando l’angolo.

-Shut up you bloody idiot!- sibilò Inghilterra, facendo per tappargli la bocca. Ci ripensò, e decise piuttosto di chiedere all’italiano che ci facesse li.

Feliciano sbirciò appena da un occhio e, resosi conto che si trattava effettivamente del britannico, ancora intimorito, ma già meno di prima, rispose: -Ve, non so se dovrei dirtelo però...io e Germania investighiamo...-

-Come scusa?-

-N-non arrabbiarti!- esclamò. lasciando stupito Arthur che non aveva letteralmente mosso un muscolo contro di lui. - Dicevo, io e Germania stavamo cercando in giro per la villa qualche indizio dei nostri rapitori.-

Sentì l’altro sospirare e si affrettò a scusarsi. Non voleva farsi un altro nemico.

-Al contrario, sospiravo di sollievo. Vedo che fortunatamente non sono l’unico a non essersi messo a giocare, e a ricordare che siamo ancora degli ostaggi...-

-Ve, allora stavi investigando anche tu?-

-Diciamo di si.- tagliò corto Inghilterra, superandolo per raggiungere le scale e ridiscendere a pian terreno.

-Ve, aspetta! Che c’è dietro quelle porte, lo sai? Perché io ho un po’ paura...- chiese Italia, senza più preoccuparsi di tenere la voce bassa, o di eventuale segretezza. Inghilterra gli ringhiò contro che non aveva importanza, dato che erano tutte ben chiuse da una serratura, che richiedeva una tessera magnetica. Evitò di aggiungere che aveva provato a forzarne un paio con la magia, senza successo. Aveva un orgoglio da difendere, diamine. Fece per andarsene ma notò con fastidio che Italia sembrava volerlo accompagnare. Sospettoso, Arthur si voltò di nuovo verso di lui, scoccandogli un’occhiataccia.

-Non sto andando a controllare i miei gettoni, quindi piantala di seguirmi...-

-Non ci stavo neanche pensando ai gettoni, lo giuro!- protestò Feliciano, con una mano sul cuore. -Io devo solo scendere a dire a Ludwig che non ho trovato niente, e che le porte sono tutte chiuse. Grazie di avermelo detto. Mi hai fatto risparmiare tanto tempo e Germania sicuramente sarà contento.-

Quando Arthur lo vide sorridere, pensò che forse era sincero. Inoltre, le parole di Vargas lo impensierirono un po’. Se davvero qualcun altro stava indagando sulla situazione, era per il bene di tutti. Poteva essere utile condividere rispettivamente le proprie informazioni...quelle strettamente inerenti alla situazione. Col cavolo che andava a dire a qualcuno dove aveva (ri)nascosto il suo forziere, ovviamente. Scesero le scale in assoluto silenzio, mentre Inghilterra si chiedeva irritato come l’altro potesse stare così calmo. era assurdo. Illogico. Italia di solito aveva paura della sua stessa ombra, che stava succedendo?

-Tu sei preoccupato?- chiese l’italiano, tanto per rompere quell’atmosfera di disagio.

-Ovviamente, tu no?-

-Ve, un po’ si! Ma sono tranquillo, finchè so che posso contare su mio fratello che mi ha aiutato a difendere i miei gettoni, e Germania che sta cercando di capire chi sono “i cattivi” che ci hanno portati qui. Se succede qualcosa, so a chi chiedere aiuto. Poi stanno succedendo un sacco di cose che mi fanno dispiacere, ma non sono spaventato, sono più...nervoso, per questo. E un po’ arrabbiato...ma poco poco, ve!-

Non si poteva dire che Italia facesse mistero di ciò che pensava. Arthur finora si era sempre stupito di come una Nazione del genere potesse essere stata la patria di tanti scaltri diplomatici...no, decisamente di fronte a Feliciano non pensavi istintivamente ad una persona machiavellica. Se continuava a guardarlo storto, mentre l’altro continuava a chiacchierare, era per una leggera punta d’invidia. Fino ad ora Inghilterra si era sentito completamente in balia dei nemici e senza nessun appoggio valido: Kiku era troppo prudente per assecondarlo, Alfred aveva quasi rischiato di far saltare il suo nascondiglio, e la stupida rana (non che sentisse il bisogno del suo appoggio, ma si aspettava un minimo di serietà, diamine!) sembrava essere sparita nel nulla appena scoperto di non poterlo punzecchiare. Fino ad ora non si era neppure stupito di quella situazione, essendo abituato per orgoglio a fare tutto da solo, a costo di spingersi al limite. Adesso, vedendo l’italiano che, ormai completamente rassicurato, riusciva a blaterare allegro, si chiese se anche lui sarebbe riuscito a controllarsi meglio, con qualcuno di fidato accanto. O semplicemente sapendo di avere qualche alleato...

 

§§§

 

-Come avete potuto farlo?- chiese Toris indignato. Di fronte a lui gli altri due baltici rimanevano muti. Ravais aveva le lacrime agli occhi, mentre Estonia continuava a tirarsi nervosamente su gli occhiali.

-Io...non ho avuto altra scelta.- sbottò infine il più piccolo, iniziando a singhiozzare appena. -M-mi ha messo paura, mi ha detto che se non gli dicevo dov’era la cassetta di Eduard, lui...- non riuscì a proseguire. A Lituania non restò che immaginare quali potessero essere state le minacce. Guardò il ragazzo in tutta la sua bassa e gracile statura. Che poteva fare, contro Ivan?

-Capisco Lettonia, ma tu...- disse, rivolto ad Estonia.

-Non giudicarmi. Era la scelta meno rischiosa. Capisci che non avrei potuto oppormi senza il rischio di perdere tutto, e neppure fare il doppio gioco, visto che ormai il mio capitale è legato al suo. Anche tu, smettila di gridare, potrebbero sentirci. Ricorda che se scoprono il nascondiglio dei gettoni di Russia, scoprono anche i nostri. Se stiamo tranquilli, Ivan sicuramente troverà qualcun altro con cui prenderla, e il danno sarà più ammortizzabile.-

-Ammortizzabile? Stai parlando di vendere gente a quel pazzo per riavere i tuoi soldi! Sono l’unico qui che si rende conto...-

Serrava i pugni, impotente. Sapeva tutto quello che Estonia gli stava dicendo: non potevano fare niente, collaborare era la scelta migliore...ma non era quella giusta! Sentiva l’obbligo verso se stesso di non arrivare a questo punto. Rifiutare però significava rinunciare a qualsiasi stabilità economica, oltre che mandare Russia su tutte le furie. Era una mossa suicida, che avrebbe solo ritardato l’inevitabile: quanto ci vuole ad annettere una Nazione in bancarotta? Come difendersi senza poter comprare armi o mantenere un esercito? Eppure doveva esserci una via d’uscita. Un modo per non dovergli ubbidire di nuovo. Non era ancora stato sottomesso, dunque non aveva intenzione di comportarsi già come se lo fosse. Il modo l’avrebbe trovato...

 

 

 

Noi svendiamo la nostra onestà molto facilmente, ma in realtà è l'unica cosa che abbiamo, è il nostro ultimo piccolo spazio. All'interno di quel centimetro siamo liberi. (V per Vendetta) 

 

 

 

 

Angolino Epico

Prima che pensiate male di Matt, vorrei ricordarvi che al momento non è nella posizione migliore per essere altruista. Oppure, in qualche modo, sta cercando di esserlo? Perché vuole rivelare a Gilbert il nascondiglio, secondo voi? E Prussia, una volta avuta quell’informazione, starà ai patti? Troppe domande, non ce la facevo a scioglierle in questo capitolo, chiedo perdono...

Inoltre, riusciranno i nostri eroi a collaborare per risolvere il mistero della villa? Sinceramente, adesso che si prospetta la possibilità (grazie a Ita-chan che quando vuole è un grande, anche senza saperlo!) di una collaborazione tra le poche persone ancora raziocinanti, la vedo difficile ma non impossibile...se riusciranno davvero tutti a fidarsi.

Ultimo ma non ultimo, Toris. Go, Liet, go! Non svenderti a nessun prezzo! (E magari, se ci riesci, rimani anche vivo, please! T.T)

So che quest’ultimo paragrafo è un po’ corto, ma non avrei saputo come interromperlo, altrimenti...capirete perché nel prossimo capitolo.

Grazie per l’attesa e alla prossima

IMma-chan

PS Se vi state chiedendo come mai è scomparso Romano sappiate che è una faccenda momentanea: dalla regia (???) mi facevano notare che praticamente si stava prendendo un terzo di ficcy solo lui, e la cosa può andare bene per me, ma non per una storia equilibrata.

Fangirl interiore: al diavolo io voglio Romano!!! <3

*IMma inspira profondamente e le tira un pomodoro in faccia* Ti capisco, ma come scrittrice (FTW?) ho degli obblighi!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** capitolo 9 ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

Se credi ai sogni sei un uomo ricco; se credi al mondo sei un uomo ricco di sogni. (Anonimo)

 

IX

Si osservavano, quasi sfidandosi ad un duello di sguardi. Le iridi violacee del russo brillavano appena di soddisfazione, mentre stringeva tra le mani quella nuova cassetta. Inizialmente aveva deciso di non dedicarsi più personalmente alla ricerca, ma quel tesoro gli era capitato tra le mani per uno scherzo della sorte, lasciandolo piacevolmente sorpreso. Era un affare di cui voleva occuparsi personalmente. Un affare di tale urgenza da spingerlo a cercare immediatamente Cina, anziché mandarlo a chiamare e portarlo, come aveva fatto con Lituania, troppo vicino al suo nascondiglio. In fondo quell’operazione aveva, si, grande effetto scenografico, ma era anche piuttosto rischiosa. Qualche orecchio indiscreto avrebbe potuto scoprire quanti gettoni fossero stipati nel suo pozzo segreto...

Yao aveva un’espressione indecifrabile. Non ne era ancora certo, ma probabilmente stava per accadere qualcosa di assolutamente inaspettato, ad uno di loro. E quel qualcuno non era lui.

-Sembra che io abbia vinto questa partita.-

-Ne sei sicuro, aru?-

-Eh?- chiese, confuso. -Cosa vorresti dire?-

-Apri lo scrigno...-

Ivan si affrettò a farlo, preoccupato, per scoprire che la scatola era piena di semplici ed inutili sassi. La scagliò a terra. Il contenuto si sparse e il legno stesso andò in pezzi. Feceun passo avanti, calpestandone le schegge e poi, inaspettatamente, sembrò ricomporsi.

-Bel tentativo, aru! Ma devi sapere che mi ero premunito: in una specie di seminterrato ho trovato del materiale avanzato, lo stesso con cui, probabilmente, sono state realizzate le cassette originali. Prendendo la mia a modello ne ho realizzate altre, e le ho sparse per il giardino...anche se ricominciassi a cercare, le probababilità che trovi la cassetta giusta sono poche.- spiegò intanto l’altro.

Un bel piano, bisognava ammetterlo. L’esperienza millenaria di Cina, unita alla sua strabiliante velocità nelle attività manuali, si erano rivelate vincenti.

-Sono impressionato, devo ammetterlo...- riconobbe Ivan, tornando a sorridere. -Vorrà dire che gli altri avranno del lavoro in più da fare.-

-Gli altri?-

Rimase senza parole quando il russo rivelò, con finta noncuranza e un sogghigno leggermente soddisfatto, di avere già tre altri giocatori completamente alla sua mercè. Yao era abbastanza sveglio da intuire chi potessero essere...

Tuttavia non riusciva a capacitarsene: chiunque in una situazione del genere si sarebbe ribellato. L’essenza di quel gioco era proprio poter assumere il potere sufficiente a ribaltare gli equilibri vigenti. Era questo che, nel bene e soprattutto nel male, aveva mosso finora i giocatori. Possibile che Ivan riuscisse ad esercitare un dominio psicologico così forte sugli Stati baltici anche in quelle condizioni. O più semplicemente essi erano talmente abituati a subire da non provarci nemmeno? Erano dubbi che Yao era seriamente interessato a chiarire. Se era vero il detto “il nemico del mio nemico è mio amico”, Cina doveva assolutamente scoprire se in quella coalizione forzata c’era ancora qualcuno disposto a lottare. Soprattutto adesso che era stato evidentemente “preso di mira”.

-Se dovessero trovarli...i gettoni, intendo, ti farò avvisare prima. Nonostante tutto, voglio che tra noi sia uno scontro leale...-

“Sempre che quattro contro uno sia uno scontro leale.” pensò l’asiatico. Il tentativo di fargli abbassare la guardia era tanto evidente da risultare offensivo. Forse vi era anche della sottile provocazione, che preferì non raccogliere. Che andasse a fare con America quei giochettiSi pentì subito di quell’ultimo pensiero, e si morse la lingua. Ci mancava solo una Terza Guerra Mondiale, in quella situazione d’inferno.

Ivan interpretò diversamente quel silenzio. Si adombrò leggermente.

-Non hai alcun motivo per credermi, ma preferirei lo facessi. Il discorso di quel tipo...- iniziò -Sono sicuro che ha risvegliato qualche ricordo anche in te.-

Ideali sepolti, errori, ma anche speranze...tante memorie attraversarono la mente di Cina, che annuì greve. Il movimento fu stentato, quasi meccanico, accompagnato da un deglutire a vuoto. Cosa c’entrava tutto questo?

-Chiunque sia questa persona, non è la prima a credere in un’utopia, non credi? Come non è il primo ad aver aperto gli occhi su come funziona il mondo, e ad aver avuto schifo di ciò che ha visto. Mi sono chiesto come tu abbia fatto, dopo aver capito quel che ho capito anch’io, a rimanere ottimista sulle altre Nazioni. Su quei pagliacci che mi additano come il mostro della situazione, quando sono tutti mostri di egoismo. Non scuotere la testa, ti capisco. Anzi, quasi ti invidio per come riesci ancora a dar loro una possibilità.-

-Se davvero non approvi la sopraffazione degli altri, perché tu per primo...-

-Perché no?- chiese semplicemente Ivan -Perché sorrido mentre lo faccio? Perché ammetto di provare piacere? O perché non sono abbastanza ipocrita da nascondermi dietro discorsi “rispettabili”? La sostanza è sempre la stessa...mi adeguo.-

-Ci si può adeguare anche in altro modo!- protestò Cina. La sua voce era acuta, ma non per questo meno decisa, nell’affermalo. C’era anche tanto di bello da imparare dagli altri. Non era sempre semplice stare al passo, ma era possibile anche farlo con le proprie forze, con i propri sacrifici. Lui aveva guadagnato così il suo riscatto economico, e non gli piaceva sentirsi dire che l’unica strada era, invece, il sopruso. Era incredibile come una rivoluzione partita da pensieri simili si fosse divaricata sempre più fino a portare a risultati così diversi. Yao, quando finalmente aveva abbracciato l’economia di stampo occidentale, l’aveva fatto con entusiasmo, lasciandosi coinvolgere da ogni cosa (fino al punto di imitare un po’ troppo spudoratamente gli altri...), con curiosità verso ciò che gli avrebbe riservato il futuro. Ivan era solo ferito, cupo e disincantato. Chiuso in se stesso e nella sua rabbia che sfogava contro chi poteva, quando poteva. Anche lui adesso era ricco, ma si era inaridito dentro. Era, in fondo, qualcosa di molto triste.

-Vedremo chi di noi due ha ragione. Questo gioco sembra fatto per far soccombere i deboli. Spero per te che essere ancora fiduciosi verso il prossimo non sia quel genere di debolezza fatale...-

 

§§§

 

-Devo ammetterlo. Questo bottino è più che degno della mia magnificenza.- disse Gilbert sogghignando, chino accanto a Matthew sulla buca. Dentro, quattro scintillanti cassette facevano mostra di se, e l’albino sembrava già pronto ad allungarvi mani rapaci quando Matthew lo fermò.

-A-aspetta. Non puoi prenderli adesso!-

-Non avrò un’altra occasione. Se adesso hai scrupoli di coscienza peggio per te, dovevi pensarci prima. Non farmi perdere altro tempo o non avrai la tua parte della torta...- sibilò stizzito l’albino. Proprio non riusciva a capire cosa passasse per la testa di quel tipo. Era rimasto silenzioso per tutto il tempo, dopo aver dato questa fantastica dritta al suo stesso aguzzino, e adesso cercava di fermarlo. O era leggermente dissociato mentalmente, oppure c’era sotto qualcosa. E Gilbert ne aveva abbastanza di rimanere fregato da gente insospettabile. Voleva sapere subito cosa.

-Non voglio nessuna fetta di nessuna torta. Voglio finire il gioco coi miei gettoni, niente di più, niente di meno. Ma non voglio neanche che Russia esca di qui così potente, perché sarebbe un pericolo.-

-Kesesesese! Tutto questo è molto nobile...- lo derise -...ma credo che tu sia un po’ troppo altruista per questo gioco, allora. Così vorresti salvare il mondo dal terribile russo delle nevi, o qualcosa del genere?-

-Non il mondo.- ammise Matthew, con fatica, decidendo di essere il più sincero possibile. -America. Lo so che mi lascia sempre da parte, che è egoista, fastidioso e tutto il resto...ma è mio fratello. Gli voglio bene comunque...un po’...-

-Aspetta, frena...non ti seguo.- ammise Gilbert, prendendosi finalmente il tempo di fissare l’altro negli occhi. Sembrava sincero. Aveva un’espressione dimessa, ma in qualche modo determinata.

-Alfred è ingenuo. Non so come se la stia cavando, ma ho paura possa uscire da qui molto debole. Russia invece sta vincendo alla grande...se dovesse ottenere davvero tutti questi soldi, come pensi li spenderebbe?-

-Vodka.- rispose di primo acchito, per poi aggiungere -...ed armi. Non necessariamente in quest’ordine.-

-E sappiamo entrambi su chi le userebbe per primo...le armi intendo.-

-Oh.-

Già. “Oh.”. Dalla bocca del magnifico lui non era uscito altro.

-Per questo ti chiedo, anzi, ti prego di aspettare. Vorrei che Russia lo scoprisse il più tardi possibile. Che non avesse il tempo materiale di rifarsi, capisci? P-potresti aiutarmi? Non ti chiedo in cambio niente di più di ciò che è mio, puoi tenerti tutto il resto.-

Raramente Gilbert si era sentito così disarmato. Quel ragazzo sembrava un pulcino spaurito che cercava di sbattere le ali per rimanere al di sopra di una fossa di leoni. La cosa incredibile era però che, fino ad ora, sembrava quasi esserci riuscito. In fondo aveva saputo cogliere una buona occasione per ottenere il suo scopo, ed aveva riflettuto bene sul da farsi. Ancora non riusciva a capire fino in fondo se fosse molto stupido o molto furbo. In ogni caso, un’idea bislacca gli attraversò la mente.

-Però, sei un tipo sveglio, eh? L’hai pensata bene...-

-I-io...v-volevo solo...-

-Rilassati. Anch’io ho un fratello, lo capisco benissimo...però, non ho intenzione di ridarti i tuoi gettoni senza un indennizzo. Non posso permettermi cedimenti adesso. Niente di personale. Anzi, in futuro potresti essere un valido alleato per la Magnifica Prussia.-

-Grazie...credo...-

- Non mi sembra tu abbia afferrato...ti ridarò i tuoi gettoni solo ad affare concluso. Inoltre ho da aggiungere una condizione: ti aiuterò a patto che anche tu aiuti me. Una specie di alleanza. Anch’io tengo a West, e per questo sto cercando di non coinvolgerlo...ma un complice potrebbe tornarmi utile. Inoltre quando dominerò l’Europa mi farebbe comodo avere una persona fidata che tenga d’occhio le cose di la dell’Atlantico...Matthew, giusto?-

Aveva ancora in mano i suoi gettoni, ma i suoi discorsi erano evidentemente folli, quasi a livello di delirio. Canada non poteva accettar...aspetta, l’aveva chiamato col suo nome proprio? Era un dettaglio stupido ed insignificante, su cui non avrebbe dovuto concentrarsi, ma che, messo su una bilancia in equilibrio tra il rischio di non rivedere i suoi soldi, e quello di rivederli, ma vedere suo fratello fatto a pezzi da Russia, fece pendere la bilancia dalla parte più impensabile e pericolosa. Accettò, fissando quegli occhi spiritati e di nuovo persi. Come prima, provò una sensazione di empatia. Da qualche parte, in un angolo della sua coscienza, nacque la voglia di aiutare anche lui. Un po’ della sua rabbia, Matthew la capiva. Il timore verso quello strano tipo dall’aria spavalda, ma in fondo sofferente, si era sostituito alla curiosità di scoprire chi era davvero uno dei pochi che, tra le Nazioni, si era ricordato di lui.

 

§§§

 

Dove cavolo si era cacciato quello stupido di suo fratello? Eppure gli aveva detto di non andarsene in giro come nulla fosse. Sicuramente era andato a cercare quel bastardo di un crucco. Romano tirò un calcio ad una pietra per la stizza. Rotolò lentamente sul prato, seguendo la curva declinante del terreno. Era quasi sera, ormai. Il sole si stava a poco a poco nascondendo dietro le colline. Proprio quando stava per iniziare ad imprecare, vide Feliciano venirgli incontro trafelato.

-Ve, scusami, fratellone...mi sono fermato a...-

-Hai fatto tardi per colpa di quel bastardo, non è così? Che ti ha fatto? Ti ha chiesto dei tuoi gettoni?-

-No, niente del genere!- rispose prontamente il minore, sostenendo le domande con aria quasi indignata. -Ludwig non è interessato a queste cose.-

-E ci mancherebbe altro! Non è che gli manchino, i soldi...-

-Non essere così cattivo, Germania sta facendo una cosa molto, molto importante.-

-E cioè?-

-Sta cercando di capire che sta succedendo. Ed anche Inghilterra. Ed io ho fatto tardi per dare loro una mano a esplorare la villa. Domani controlliamo il seminterrato, che è l’unico posto dove non siamo ancora stati, ve...-

-Tu non controlli proprio un cazzo di niente.- sbottò.

-Cosa?-

-Ascoltami.- disse, prendendolo per le spalle, e cercando di non urlare troppo. Non voleva spaventarlo, voleva solo la sua attenzione per fargli un discorso molto, molto serio. -Non mi interessa cosa ha in mente il crucco, o quell’altro bastardo sopracciglione. Tu adesso non muovi un passo senza di me, chiaro. Stavo crepando di ansia prima, e di tutto il tuo discorso ho capito solo una cosa: Germania ti sta di nuovo tirando dentro in un casino.-

-Ci siamo già dentro, da quando siamo arrivati.- protestò Feliciano. Il fratello esitò un attimo, non si aspettava ribattesse. Si aspettava che iniziasse a piagnucolare, o che gli dicesse quanto era “fantastico” il mangia patate. Se non altro, aveva capito che non era il momento di fare gli idioti.

-Appunto non voglio che ti infili ancora di più nei guai. Ogni fottuta volta che sei andato appresso a quello li, sei finito in un casino, e non puoi negarlo. Guardami in faccia, non fare quell’espressione da cane bastonato, perché con me non attacca. Non c’entra niente, adesso, il fatto che Germania mi stia altamente sulle scatole. Esserci amico è una tua scelta, non la condivido, ma ormai c’ho rinunciato a farti cambiare idea. Se, però, per colpa di quello stronzo ti succede qualcosa gliela faccio pagare, sappilo...e stavolta non è una minaccia a vuoto, giuro che lo faccio!-

-Mi sono offerto io. Ho deciso io che voglio aiutare, voglio essere utile, l’ho deciso io!- gridò in risposta Italia, esasperato. -Voglio che questa situazione finisca, così da non dover più far preoccupare te, ne lui, ne nessuno. Anche questa è una mia scelta, ed io ci vado, domani!-

-No!-

-Invece si, ve!- si impuntò. Battè persino il piede a terra con l’aria di un bambino capriccioso. -Ho fatto tutto quello che mi hai detto finora, non ho detto a nessuno dove sono i miei gettoni, non ho detto niente a Germania di Prussia...mi sono fidato di te. Adesso per favore, fidati tu. Non finirò nei guai, te lo prometto.-

Quell’ultima frase la disse con più dolcezza, tendendo una mano verso il fratello che, però, non era proprio in vena di ricevere carezze. Si scostò con uno scatto felino, sbuffando.

-Romano io...ho avuto una piccola idea. Se te la dicessi, sono sicuro che ti sembrerebbe stupida, ma secondo me può funzionare. Non ne ho ancora parlato con nessuno, ma ci ho pensato tanto. Ti prego...lasciami provare a...-

-Vengo con te.- lo interruppe il fratello, stizzito.

-Eh?-

-Domani io vengo con te, che di quella gente non mi fido.-

Italia sorrise felice. Ce l’aveva fatta. Ancora non l’aveva convinto, ma era sulla buona strada, ed era la cosa più importante. L’avrebbe anche abbracciato, ma non aveva molta voglia di ricevere una testata, per cui si trattenne. Tornò a riflettere sulla sua piccola, stupida idea, mentre il fratello lo fissava. Più ci tornava su, più si convinceva che quella strada apparentemente così ovvia, proprio perché nessuno l’aveva considerata, potesse essere quella giusta.

 

 

 

Quando si ha fiducia di poter fare una certa cosa, si acquisterà sicuramente la capacità di farla, anche se, all’inizio, magari non si è in grado. (Ghandi) 

 

 

 

 

 

 

Angolino del disimpegno (presso il Mind Palace di IMma)

La prima scena è quel che è, serviva principalmente per introdurre l’elemento del magazzino, che mi servirà anche nel prossimo capitolo. Inoltre mi piace pensare che, in qualche modo, Ivan abbia un minimo di rispetto in più per Yao. Così ho iniziato a farlo parlare e la cosa si è trasformata in una specie di delirio headcanon. Scusate. Comunque bisogna ammettere che la trovata di Cina è ingegnosa. Non a caso è il più vecchio li dentro...un minimo di esperienza in più lo avrà, no?

Passando a commentare l’improbabile alleanza (non del tutto volontaria) tra Prussia e Canada...visto? Ve l’avevo detto che Canada è buono! Adesso speriamo solo che Prussia non lo rovini. E che la smetta di minacciarlo di non ridargli i gettoni, tanto Matthie è talmente di buon cuore che lo prenderebbe a compassione comunque. u.u

Passando alla terza scena...sappiate che è stata una vera impresa scriverla...ho cambiato idea tante volte su come strutturarla...ma finalmente ce l’ho fatta. Che ne pensate, secondo voi Feliciano è OOC? Ma soprattutto, cosa ha in mente?

A settembre

IMma

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** capitolo 10 ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

La vera misura della tua ricchezza è data da quanto sarebbe il tuo valore se perdessi tutto il tuo denaro. (Bernard Meltzer)

 

X

Gli altoparlanti avevano gracchiato di raggiungere la villa, dove, a detta del loro misterioso sequestratore, era stata imbastita per loro una piccola cena. Giappone però non aveva la minima intenzione di avviarsi. Aveva bisogno di calma, più che di cibo, dopo quella lunga giornata. Sapendo la maggior parte degli altri nell’edificio, poteva recarsi con meno rischi a controllare che il suo nascondiglio fosse sicuro. Poi, forse, li avrebbe raggiunti.

Tuttavia dovette rivedere i suoi piani udendo qualcuno...singhiozzare? Possibile?

Rimase immobile, trattenendo il respiro per secondi interminabili. Non aveva la più pallida idea di come comportarsi in quel frangente. Da una parte, voleva sincerarsi di cosa fosse accaduto. Dall’altra, sorprendere una persona in quelle condizioni l’avrebbe senza dubbio messa in imbarazzo. Quanto ad avvicinarsi di nascosto, e spiare, non era un’ipotesi da prendere in considerazione. Se qualcuno l’avesse fatto con lui, l’avrebbe ritenuto imperdonabile.

Non riuscendo a decidersi, optò per il rimanere in attesa che l’altro si palesasse. Erano stati convocati alla villa, quindi si sarebbe per forza diretto in quella direzione, prima o poi. Giusto il tempo di ricomporsi.

Mosse un paio di passi, al primo fruscio. Aveva intenzione di sembrare casualmente di passaggio, ma non riuscì a dissimulare la sorpresa quando si ritrovò di fronte America, pallido come non l’aveva mai visto, e ancora intento a strofinarsi la manica del giubbotto contro la faccia.

-A-america-san?-

L’altro sobbalzò, non avendolo notato. Si sforzò di sorridere. Non riuscì a capire subito se fosse convincente, dato che Giappone non lasciava mai trapelare le sue vere emozioni.

-Japan...allora? Tutto bene?-

-Ai.- rispose l’altro, prima di osar chiedere. -E tu?-

“Menti!” gridò il cervello di America. “Tu sei the Hero, non devi mostrarti debole, soprattutto adesso. Menti!”

Invece disse la verità. Forse perché era stanco, e deluso. Ammise di aver perso del denaro. Raccontò tutta la faccenda di Francia e della moneta. Arrivò per fino a dirgli di essersi vergognato, e di aver pianto, poco prima.

Kiku accolse con imbarazzo il suo sfogo, senza dire nulla.

-Perché mi stai dicendo queste cose?-

-Perché solo tu e England finora mi avete aiutato. Gli altri ce l’hanno tutti con me.- si lagnò il biondo, rischiando di riniziare a singhiozzare. -E poi...a te posso dirlo, perché tu mi hai già visto così: tu accetti sempre di vedere i film horror con me...a te lo posso dire. I-I’m scared, Japan.-

Non era stato facile pronunciare quelle parole. Kiku era davvero stupito. In genere America si guardava bene dal mostrare tutto ciò che smentiva quell’immagine di eroe che si era costruita attorno. La stessa storia dei film era iniziata proprio per quello: Alfred era convinto che si sarebbe dato maggiore contegno, in presenza di qualcuno. Poi, però, era diventato qualcosa di diverso. Con lui, America aveva ammesso un po’ delle sue paure (quelle più stupide, ovvio...). In più...Kiku aveva letteralmente visto il peggio di lui. Forse era quella la ragione per cui stava vomitando parole su parole, buttando fuori tutto senza remore.

“Non posso cadere più in basso.” pensò distrattamente. “Anche se sto ammettendo di avere paura, non è niente. Non posso cadere più in basso di...quella volta.” Un giorno sarebbe riuscito a pensarci, senza usare eufemismi. Almeno con se stesso.

-Non voglio perdere tutto.- continuò -Non posso permetterlo. Io...io sono l’America. Tutto quello che ho si basa su quanto sono forte e, si, anche ricco. Non voglio diventare inutile. Non voglio essere un’altra di quelle vecchie glorie come Inghilterra, o Spagna, o Francia, di cui tutti dicono: “Oh, quello...una volta si che era importante.”. Non lo sopporterei. Non voglio!-

-P-per favore. Calmati.- farfugliò l’asiatico.

-T-ti ho messo a disagio?- chiese ad un tratto, notando il modo in cui l’altro aveva distolto lo sguardo.

-Leggermente, ma non ha importanza.- ammise Kiku. -Comincio ad abituarmici.-

-Sorry, ma stavo per scoppiare. Dovevo parlare con qualcuno.-

-G-grazie della fiducia che hai riposto in me, America-san. Purtroppo non saprei come aiutarti, al momento...lasciami riflettere...-

-Non importa. I-in qualche modo la risolverò. Sono pur sempre un eroe, no?- rispose, gonfiando il petto e battendovi sopra un pugno, per sottolineare il concetto. Stava recuperando un po’ di positività, ed energia...

-Non credi sia il caso di parlarne anche con qualcun altro? Forse Ighiru-san potrebbe avere qualche idea...-

-Ma...-

-Capisco le tue perplessità, ma credo davvero che potrebbe essere d’aiuto. Di sicuro non avrebbe alcuna remora a mettersi contro Francia e, inoltre...credo sia sinceramente preoccupato per te. Anche se dubito possa ammetterlo spontaneamente...-

-Se lo dici tu...- borbottò Alfred, non del tutto convinto. Pian piano tornava a comportarsi nella sua maniera un po’ infantile, ma allegra. Si sentiva un po’ più leggero. -Però non dirgli che l’ho chiamato “vecchia gloria” o, usciti da qui, cercherà di nuovo di farmi sedere su quella specie di sedia maledetta!-

Giappone sospirò, senza sapere se il suo ritorno alla normalità fosse una cosa buona o meno.

 

§§§

 

La sala che li aveva accolti ospitava una tavola riccamente imbandita dal medesimo personale mascherato e silenzioso che avevano visto quella mattina. Alcuni uomini sorvegliavano la situazione, con sguardo fisso. Non parlavano e sembravano quasi non sbattere neppure le palpebre. A qualsiasi domanda delle nazioni davano la stessa risposta, ripetuta con tono freddo e quasi meccanico: “Non siamo autorizzati a rispondere.”

Si muovevano quasi sotto ipnosi. Persino quando uno di loro fu strattonato da un esasperatissimo Romano, nessuno degli altri fece una piega. Neppure la vittima stessa dell’aggressione aveva reagito. Era rimasta immobile, in attesa di poter rientrare nelle cucine. La voce misteriosa aveva gracchiato l’ordine di lasciarlo, reiterando le consuete minacce.

Inghilterra avrebbe volentieri sbattuto il pugno sul tavolo. Cercare di cogliere indizi da quella gente sembrava impossibile: i volti erano completamente celati da maschere o passamontagna. Le espressioni assenti, i corpi rigidi e impettiti. Si esprimevano in inglese, ma per semplice comodità. Non avevano l’accento anglosassone. Anzi, non vi era nessun genere di inflessione particolare nella loro voce, che lasciasse intuire qualcosa circa la provenienza. Le mani, e gli altri lembi di pelle scoperta, rivelavano carnagioni eterogenee e contraddittorie.

Aveva già sospettato che potesse trattarsi di un’organizzazione vasta, e adesso ne aveva la conferma. Quegli individui venivano un po’ da tutto il mondo. Sembravano ben addestrati, anche se al momento non erano armati.

Sul filo di quei pensieri notò, finalmente, l’assenza di Alfred. Quell’idiota era sparito proprio quando il suo aiuto, per una volta, poteva rivelarsi utile. Per quanto Arthur faticasse ad ammetterlo, sapeva che nessuno come America era preparato riguardo questo genere di cose. A causa della minaccia incombente del terrorismo, l’americano aveva dovuto per necessità applicarsi allo studio delle dinamiche di organizzazioni del genere, internazionali, vaste e gerarchizzate. Doveva riuscire a parlarci il prima possibile, si disse Inghilterra, sperando che, per una volta, l’altro riuscisse a mantenere un minimo di serietà.

Alzò lo sguardo sugli altri commensali, per lo più silenziosi, o al massimo intenti a borbottare con il vicino di tavolo. I fratelli Vargas si erano praticamente isolati ad un lato del tavolo, discutendo fitto fitto. Ogni tanto però Feliciano alzava lo sguardo per rivolgere un sorriso a Germania. Ci mise un po’ a notare che l’italiano cercava, meno spesso, anche uno sguardo di intesa da parte sua.

Dall’altra parte della tavolata, intanto, Gilbert aveva seguito il diffondersi della notizia del “fattaccio” tra Francia e America. A partire da Polonia la notizia aveva percorso già mezzo tavolo, in una specie di silenzioso telefono senza filo. Sperò mentalmente che quel pasto inutile (la maggior parte delle nazioni, per la tensione, non stava toccando cibo) finisse prima di far arrivare quella storia alle orecchie di Matthew. Al momento il caro vecchio amico francese era in una situazione di vantaggio, quindi Gilbert se lo stava tenendo buono con sogghigni di finta complicità. Al momento giusto, non avrebbe guardato in faccia a nessuno, ma per il momento era meglio fare un po’ l’ipocrita.

Una scenata con lacrime agli occhi era l’ultima cosa di cui aveva bisogno. L’utilità di quella specie di “alleato” che era Canada derivava da una sola cosa...non dava nell’occhio. Vanificato questo talento, sarebbe diventato del tutto inutile. Aveva già in mente un paio di idee, per dar da fare a quel pulcino spaurito, ma doveva continuare a tenere il basso profilo che si era imposto fino ad adesso.

Lo osservò. A testa bassa, fissava il piatto ancora pieno. I capelli biondi ricadevano sul viso, e non si curava di spostarli. Aveva gli occhi lucidi, ed il corpo era percorso da leggeri fremiti. Serrava le dita attorno al bordo del tavolo, come volesse rivoltarlo da un momento all’altro, o vi si stesse aggrappando per disperazione. Matthew era assorto in qualche pensiero, o meglio, in qualche preoccupazione. Era successo qualcosa di grosso. Il brusio, nella parte della tavolata alla sua destra, cresceva. Qualcosa di negativo, secondo lui: aveva visto Ivan sorridere e battere un paio di volte le mani, come divertito. E pericolosamente soddisfatto. Anche Prussia si comportava in modo strano. Osservava ora quella gente intenta a spettegolare, ora lui. Come se lo tenesse d’occhio. Qualunque cosa fosse, lui la sapeva già. Sperò di convincerlo a parlargliene, dopo.

 

§§§

 

Appena anche America e Giappone ebbero varcato la porta della sala, la voce nell’altoparlante annunciò che aveva altre notizie per loro.

-Ho fatto allestire per voi delle camere, così che possiate riposarvi. Immagino sia stata una lunga giornata.-

Romani si trattenne a stento dall’inveire contro quello stronzo, che adesso si permetteva anche di fare del sarcasmo.

-Le vostre stanze si trovano al piano superiore.- annunciò l’uomo misterioso. -Ciascuno di voi riceverà una tessera magnetica con cui potrà avere accesso solo e soltanto alla propria camera. Questo per non sfavorire coloro che hanno deciso di difendere il proprio tesoro tenendolo con se. Quello che voglio vedere da voi è una spietata guerra d’astuzia, non furtarelli da quattro soldi.-

Inghilterra sobbalzò. Al piano superiore? Quindi...tutto il tempo impiegato nel perquisire quel piano era stato inutile?

No. Loro erano di meno, rispetto alle porte che aveva visto. C’era una porta in più, era certo di ricordare bene. Quello si che era un indizio coi fiocchi. Anzi, era un obiettivo! Avrebbe tentato di nuovo di forzare la serratura con un incantesimo e, forse, sarebbe venuto a capo di quell’assurda matassa in cui si erano ritrovati aggrovigliati. Non subito però...prima voleva vedere cosa sarebbe accaduto nella notte. Aveva l’impressione che ci sarebbe stato ben poco tempo per fare sonni tranquilli.

Notte significava almeno otto ore di buio, solitudine, e guardia abbassata. Sicuramente qualcuno avrebbe cercato di approfittare della situazione. Magari la stupida rana francese, che rideva in maniera scandalosa da quando si era accomodato.

Gli uomini che li circondavano diedero ad ognuno di loro un tesserino magnetico. Ciascuno recava su un lato la bandiera del Paese rappresentato. Quelle dei Vargas avevano, per distinguerle, le iniziali dei loro nomi. Ancora una volta, il tesserino di Gilbert riportava il bianco e il nero della bandiera prussiana. L’albino continuava a rigirarsi la scheda tra le mani, ossessivamente, ridacchiando tra se e se. Bene, non erano li da nemmeno ventiquattr’ore, e già due di loro erano partiti per la tangente. Fantastico.

Vennero scortati lungo le scale e videro che le porta del piano superiore erano state contrassegnate, esattamente come le “chiavi”. Tranne l’ultima porta, in fondo al corridoio.

-Ve, e li che cosa c’è?- chiese Italia.

-Non lo so. -Borbottò il fratello. -Ma non mi piace, e sono contento che le nostre camere siano ben lontane!-

Inghilterra fu tentato di maledirli entrambi. Perché stavano mostrando tutto quell’interesse per l’unico indizio che avevano, così avrebbero spinto il loro carceriere a stare più all’erta. Però non si sentiva di dare completamente torto al maggiore. Adesso che si trovava più vicino (per una bizzarra coincidenza, la sua camera era praticamente contigua a quel luogo misterioso.), percepiva anche lui una sorta di aura negativa. Non era vera e propria magia, ma comunque qualcosa di sovrannaturale. Forse la stessa cosa che incantava gli individui al piano di sotto. Forse gli stessi poteri che avevano permesso a quel tipo di derubarli. Tutti. Quasi in contemporanea.

Anche ammessa una disponibilità immensa di mezzi e uomini, sarebbe stato difficile eludere la sicurezza di mezzo mondo. Qualunque cosa fosse, quella strana energia, poteva essere la risposta. Si avvicinò con aria circospetta. La sensazione di angoscia che avvertiva in quel momento gli aveva fatto dimenticare tutti gli altri propositi, e persino la presenza delle telecamere di sorveglianza. Se c’era di mezzo qualcosa di magico, doveva scoprirlo subito. La situazione poteva essere molto più pericolosa di quanto avessero immaginato tutti finora. Per fortuna, prima che potesse tradirsi, qualcuno lo chiamò.

-Ighiru-san.-

-Si, Giappone?-

Voltandosi, vide che con lui c’era anche America. Kiku stava spronando, con lo sguardo, quest’ultimo ad aprire bocca.

-C’è una cosa di cui dovremmo parlarti...però non arrabbiarti, ok?-

 

 

Una volta eliminato l’impossibile, quel che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità. (Arthur Conan Doyle) 

 

 

 

 

 

 

Angolino del disimpegno (presso il Mind Palace di IMma)

Buonsalve, gente. Pronti per il rientro a scuola?

Dall’alto della mia immensa saggezza e magnanimità ho pensato di anticipare la pubblicazione di questo capitolo, in modo da sollevare un po’ i vostri animi. Spero possiate gradire questo umile omaggio, accompagnato dai migliori auguri per questo anno scolastico.

Approfitto dell’angolino del disimpegno, quest’oggi, per ringraziare tutti coloro che hanno letto finora la fanfiction, e in particolare: Lady White Witch, adrienne riodanne e chocobanana_  per aver recensito lo scorso capitolo.

Grazie a tutti e al mese prossimo

IMma

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni


 

 

Tutti si scagliano contro l'egoismo come se fosse possibile sopravvivere senza. Da biasimare è solo il suo eccesso. (Alessandro Morandotti)


 

XI

-Gilbert...-

-Magnifico, prego.-

-Magnifico Prussia?-

-Adesso ci siamo, dimmi.- rispose l’albino, sogghignando all’indirizzo di Matthew, per poi ricominciare a misurare a larghi passi il salone.

-C’è qualcosa che dovrei sapere? Ho notato un po’ di...tensione prima, a tavola.- chiese il canadese, fermo sulla porta, tirandosi su gli occhiali.

L’altro sbuffò annoiato. Stava cercando di concentrarsi su qualcosa di molto più importante, al momento. Dire a Canada che suo fratello si era fatto fregare non era tra le sue preoccupazioni. Però, era anche vero che il canadese si era offerto di aiutarlo...Beh, offerto, per modo di dire. Tecnicamente era sotto ricatto.

Magari quella notizia poteva servire a motivarlo.

-Tuo fratello ha perso dei soldi.-

-C-cosa? Quando?- chiese, per poi prendere un profondo respiro e fare la domanda che temeva più di tutte -Chi...?-

-Francia.-

L’effetto di quella notizia su Matthew fu lo stesso di una secchiata d’acqua gelida. Proprio non riusciva a capacitarsene. Voleva bene a Francis, era stato come un fratello per lui. Non lo riteneva capace di cose del genere...e poi perché contro Alfred? Proprio non capiva. Infilò una mano tra i capelli biondi, mentre si sforzava di analizzare la cosa lucidamente. Prussia lo vide così sconvolto da provare quasi compassione.

-In questo gioco nessuno guarda in faccia a nessuno. Non prenderla sul personale.- consigliò distrattamente, aggirandosi nei pressi di uno scaffale.

-Ma...ma...perché lui?-

-Senza offesa, ma anche a me tuo fratello sembra facilmente raggirabile, sai...-

Ottenne indignate proteste a cui non prestò troppa attenzione. Stava spostando dei libri nella speranza di trovare qualche nascondiglio segreto. Allo stesso tempo, rifletteva su dove potessero aver deciso di nascondere i loro gettoni gli altri. Uno in particolare.

Canada sospirò un “che faccio, adesso?” con l’aria più abbattuta del mondo.

-Ti dico io che fai, mi aiuti a capire dove c’è odore di soldini, e recuperi quello che serve per tappare il “buco finanziario” di quel...genio. Ci stai?-

Si era ripromesso di non approfittare della situazione, Matthew. Ma era anche vero che in quel gioco d’inganni le regole sembravano fatte apposta per essere infrante, e le cose per cambiare tanto in fretta da stordirlo. Inoltre, non poteva dimenticare che, al momento, i suoi gettoni erano ancora nelle mani dell’albino, intento a lanciare ovunque occhiate avide e febbrili.

-Diciamo di si...dato che non ho molta scelta.- capitolò alla fine. -Cercheremo la cassetta di Francis?-

-Nah, non per ora. Aspetterei ancora un po’, per vedere se gonfia ancora il bottino, prima di metterci le mani. Lo freghiamo domani, come Russia.- disse con tono pratico il prussiano. Notando lo sguardo dell’altro, storse un po’ il naso. -Non guardarmi così. Niente di personale, ricordi? So che siete legati, e teoricamente sarebbe anche mio amico, ma è stato lui il primo a non farsi scrupoli.-

Era vero. Per quanto assurdo, o più semplicemente triste, potesse essere, era solo e soltanto la verità.

-Renditi utile, aiutami a pensare.- ordinò Prussia, riportandolo coi piedi per terra. -Sono troppo Magnifico per entrare nelle menti mediocri. Se tu fossi, per esempio, quel damerino spocchioso di Austria, dove metteresti la tua cassetta piena di gettoni?-

-Beh...- non voleva pensarci, non voleva fare quelle cose. Eppure, al momento, lasciarsi trascinare gli sembrava l’unica opzione praticabile pur di non affondare in pensieri cupi, disperati, e decisamente poco utili. -Dato che proprio non riesco ad immaginarlo, io partirei cercando di ricostruire i suoi movimenti.-

-Tze. Ci avevo pensato anch’io, cosa credi? Quello non ha schiodato il sedere dal pianoforte, neanche fosse a casa sua!- sbottò nervoso Gilbert.

-Stai dicendo che ha suonato il piano? Non mi pare di averlo sentito...-

-No, si è solo sedut...aspetta!- esclamò, schizzando in direzione dello strumento e aprendo la ribalta. Sbuffò deluso.

-Niet.-

La voce del prussiano era ridotta ad un ringhio per l’irritazione. Si accasciò sulla seduta di fronte allo strumento. Matthew, intanto, si era avvicinato a sua volta, curioso.

-In effetti sarebbe stato troppo facile da scoprire. Chiunque, premendo anche solo per gioco un tasto, si sarebbe accorto che qualcosa impediva alle corde di risuonare. Però...ti spiacerebbe spostarti?-

-Eh?-

-Ti alzeresti da li, per favore?- ripetè gentilmente, per poi chinarsi sulla sedia. Si rese subito conto che la seduta, imbottita, era staccata dal resto della struttura in legno. Lo sgabello aveva praticamente un doppio fondo. All’interno, la cassetta di Austria.

-Magnifico, sapevo di essere sulla strada giusta.- disse Gilbert strofinandosi il naso con un dito, fingendo di ignorare il fatto che era stato Canada ad avere l’intuizione vincente. -comunque anche tu non te la sei cavata male, ragazzino.-

-G-grazie...credo.- non era particolarmente fiero di se, Matthew, ma neppure abituato a ricevere complimenti. Una microscopica parte di lui trovava la cosa gratificante.

-Bene. A te l’onore...-

-Meglio di no.- rispose asciutto, tornando in se. No, non voleva appropriarsene. Era sbagliato. Anche se tutti, compreso Francia, lo stavano facendo, non significava che rubare in quel modo fosse diventata una cosa giusta.

-Allora ne prenderò metà.- Annunciò l’albino riempiendosi le tasche.

-Non tutto?- chiese sorpreso.

-No. Siamo pur sempre parenti, io e Roderich...e poi non voglio mica annientarlo. Solo mettermi in condizione di tiranneggiarlo un po’.- rispose ridacchiando Gilbert. Non sembrava più così cattivo e fuori controllo, adesso. Sembrava solo allettato dall’idea di migliorare la sua situazione attraverso il denaro, come lo erano tutti. Accadeva tutti i giorni anche nella normalità, e questo non faceva di nessuno una cattiva persona a prescindere.

Canada si ritrovò a pensarci e a rendersi conto che, fino ad ora, aveva visto la situazione in modo limitato. O bianco o nero. Invece le sfumature di grigio, erano tante e differenti l’una dall’altra. Così come Prussia aveva sbandierato le sue ragioni, quando si era appropriato della sua cassetta, allo stesso modo Francia avrebbe avuto fior di motivazioni per giustificarsi. Parlare non sarebbe servito a nulla, al momento. Contavano solo i fatti.

 

§§§

 

Lily Zwigli piangeva. Si era accasciata a terra, appena uscita dal bagno femminile della villa. Adesso se ne stava rannicchiata sulla moquette, con il volto tra le mani e le spalle scosse da frequenti singhiozzi. Vash si era chinato su di lei, temendo un malore. Ma appena appurato dai suoi balbettii cosa era accaduto, si era messo a sbraitare cose irripetibili, prendendo un vecchio fucile scarico, da esposizione, attaccato alla parete del corridoio. Probabilmente per abitudine. Del resto aveva intenzione anche di usarlo come oggetto contundente, pur di scoprire quale tra quei disgraziati aveva osato fare una cosa del genere.

La cosa che più lo faceva impazzire di rabbia era che se la fossero presa con lei. Vigliacchi.

Il furto era stato così rapido, da non dare il tempo alla ragazza di notare nulla. Esattamente come le era stato detto da Svizzera, lei non aveva parlato con nessuno, cercando di passare inosservata. Aveva aspettato che l’unica altra ragazza, Ungheria, usasse la toilette, per poi finalmente entrare anche lei, senza pericolo. O così credeva. Aveva posato la cassetta a vista, mentre si lavava le mani. Poi, però, si era resa conto di non poter far a meno di usare il gabinetto. Il ladro aveva approfittato del momento in cui si era, giustamente, chiusa nel cubicolo.

Era stata ingenua, questo era vero, ma Svizzera sentiva di avere una parte di colpa. L’aveva fatta isolare, convinto di poterla proteggerla in ogni situazione, invece era bastato un attimo in cui si erano separati a metterla nei guai. Come se l’infame, chiunque egli fosse, stesse aspettando da tutto il giorno solo il momento in cui Vash avrebbe necessariamente dovuto allentare la sorveglianza.

Il frastuono avrebbe dovuto attirare tutti i presenti, ma la maggior parte ormai sguazzava in altre preoccupazioni o in un’egoistica indifferenza. I pochi che si affacciarono alla porta, ricevettero poi un’accoglienza tutt’altro che calorosa.

-Chi di voi è stato?- chiese lo svizzero, puntando la canna del fucile contro un terrorizzato Ravais.

-Vash, smettila!- si intromise Elizaveta. -Dubito che il ladro sia tra i presenti...ed anche se lo fosse di certo non verrebbe a dircelo.-

-Credo che la signorina Ungheria abbia ragion...- mormorò la vittima, prima di essere interrotta dal fratello.

-Io invece credo di avere proprio di fronte la ladra.-

Lily protestò debolmente che non poteva trattarsi della giovane ungherese, senza che la sua voce riuscisse a sovrastare quella indignata dell’altra ragazza. Tuttavia i sospetti che Svizzera aveva non erano del tutto infondati. Ungheria era l’unica altra donna, ovvero l’unica che l’aveva vista entrare in bagno, e che poteva rientrarci per compiere il furto senza destare troppi sospetti.

-Non sono spariti un po’ di gettoni, è sparita la cassetta intera. Dove avrei potuto nasconderla per portarla via, eh?-

-Che succede, qui?-

L’intromissione di Austria fu tutt’altro che di aiuto. La discussione prese pieghe quasi violente. Vash impugnò il fucile scarico dal lato della canna, come se volesse spaccare qualche testa con il calco. Roderich aveva difeso Elizaveta, con un piglio che raramente dimostrava. Si era ripromesso di fare la sua parte per difenderla e l’avrebbe fatto. Glielo doveva e, nonostante dovesse ritrovarsi a discutere in maniera così volgare, voleva anche farlo. Ungheria era commossa, e allo stesso tempo, si teneva pronta ad intervenire se la situazione fosse degenerata in uno scontro fisico. Dietro le spalle di Vash, Lily continuava a piangere sommessamente.

Ci volle un po’ perché tutti si calmassero, o per lo meno fingessero di farlo. Ungheria ed Austria se ne andarono per primi. Lui ostentava un’aria indignata, mentre la ragazza stringeva i pugni con rabbia. La cosa che le dava più fastidio era quell’atteggiamento di Vash. Pensava alla sua amica (perché tale considerava, comunque, la minore degli Zwigli) e all’atteggiamento che aveva avuto fino ad ora. Silenziosa, isolata, sola. Perché Svizzera non si rendeva conto che non avrebbe potuto proteggerla per sempre? Perché non le permetteva di trovare anche qualcun altro su cui contare?

Lo svizzero accompagnò la sorella nella direzione opposta, dandole il braccio. Scossa, lei continuava a piangere dicendo che era stata colpa sua. Vash si fermò un attimo. La vide porgergli la sua cassetta, che nella confusione aveva posato a terra, accanto alla sorella.

-Tienila.-

-Come?-

-Finchè non ritroviamo l’altra...quella è tua.-

-N-non posso...io...-

-Se non l’avessi sorvegliata avremmo perso anche quella, quindi è giusto così.-

Lily si ricordò di quando Vash si era preso cura di lei, arrivando letteralmente a togliersi il pane di bocca per farla mangiare, e aiutarla a rimettersi in sesto come nazione. Le si riempirono gli occhi di lacrime. Lui la scosse delicatamente. Se avesse voluto vederla piangere, non le avrebbe certo ceduto i suoi gettoni. Era sicuro di riuscire a ritrovare gli altri, ma...aveva capito, adesso. Si era reso conto che saperla felice e al sicuro era più importante di tutto. Compresa la sua ossessione per i soldi. Si sarebbero rialzati, come avevano fatto già una volta. C’era tempo per ricostruire un patrimonio, un’eternità, nel suo caso. Ma una volta persa una persona, non si può più recuperare. E Lily era da sempre una persona troppo importante per correre questo rischio.

A margine della scena Ravais, ormai rimasto solo, si morse un labbro, avvicinandosi al mobiletto tra le porte dei due bagni. Era una specie di comodino con un buffo vaso da fiori. Vuoto. Aprì l’anta di legno con un sospiro triste...

 

§§§

 

Quella sera non ci furono altre sorprese. Tutti andarono a dormire nel più assoluto ed imbarazzato silenzio. Il mattino dopo, di buon’ora, Romano sentì bussare alla porta della sua stanza. All’inizio pensò ad uno scherzo dell’immaginazione. Bussarono di nuovo.

-Chi cazzo è a quest’ora?- sbraitò, girandosi verso il muro e calcando il cuscino sulla sua testa.

-Fratellone.-

Veneziano? Alle...sette del mattino? Era assurdo. Scattò in piedi, preparato al peggio. Doveva essere successo qualcosa di tremendo per buttarlo giù dal letto a quell’ora indecente. Il minore sobbalzò quando si vide aprire di fronte la porta di scatto, e si trovò faccia a faccia con il fratello stravolto.

-Che succede? Qualche altro bastardo ha provato a rompere? I tuoi gettoni ci sono ancora?-

-Nessuno mi ha dato fastidio. Tutto a posto, per ora, ve.- biascicò con un sorriso, sforzandosi di non sbadigliare.

-E quindi?-

-Non ti ricordi che volevi accompagnarmi?-

-A quest’ora?- chiese il meridionale, trasecolato.

-Ci siamo messi d’accordo...yawn...così.-

-Scommetto che l’orario l’ha deciso quel crucco bastardo...- bofonchiò, afferrando al volo una camicia posata su una sedia. Il tempo di vestirsi e i due si avviarono attraverso il giardino. La rugiada aveva depositato le sue gocce sulle foglie degli alberi, che ora penzolavano appesantite, pronte a gettare loro qualche piccolo schizzo sul naso. L’aria era fresca. I due fratelli si lanciarono uno sguardo d’intesa e si separarono per qualche minuto. Ciascuno doveva controllare le proprie cose, e l’accordo di farlo in segreto, per non rischiare di esporsi a vicenda, era ancora valido. Sorprendentemente, tornarono al punto in cui si erano lasciati quasi contemporaneamente. Feliciano sorrise, mentre Romano si limitò a brontolare un “andiamo?” decisamente poco convinto.

-Tutto bene, vero fratellone?-

-Ma si, si, accidenti...-

-Ve...allora perché sembri preoccupato?-

-Perché non capisco dove vuoi arrivare.- sbottò alla fine. -Ho detto che ti appoggerò e lo farò, ma cazzo spiegati una dannatissima volta!-

-Beh...- esordì Italia, alzando leggermente lo sguardo verso il cielo che si stava rischiarando. Camminava a piccoli passi, mentre il fratello lo affiancava. Non aveva paura di andare a sbattere contro qualcosa per questo. In pratica, lo stesso discorso valeva per il gioco, ma non sapeva bene con che parole esprimersi. -Vedi io ho chiacchierato con un po’ di gente, da quando siamo qui.-

-Gente tipo il mangia crauti?-

-Anche, ma non solo lui!- esclamò convinto, continuando -Il punto è che tutti, fino ad adesso, mi sembra non si fidino di nessuno.-

“Ma non mi dire...” pensò Romano, senza però esternare i suoi pensieri.

-Se ci pensi, l’abbiamo visto già da Prussia, che ha deciso di non dire niente a Germania di quello che stava facendo. Poi ho parlato con Germania, era un po’ agitato persino lui, perché dice che il vero problema è capire chi ci ha fatti venire qui. Più o meno le stesse cose ha detto Inghilterra, che stava indagando da solo.-

-E questo perché ci riguarda?-

-Ve, infatti non ci riguarda!- Era proprio quello il punto. -Perché io e te fino ad adesso abbiamo deciso insieme cosa fare, e tu mi hai aiutato e ci stiamo coprendo le spalle a vicenda. Secondo me è per quello che possiamo stare più tranquilli. Sappiamo sicuramente che almeno una persona qui non cercherà di imbrogliarci.-

Aveva senso, aveva maledettamente senso. In qualche modo, si ritrovavano in una situazione insolitamente avvantaggiata.

-Quindi, siamo solo noi che possiamo stare un po’ più tranquilli e aiutare anche gli altri, capisci? Lo possiamo fare solo noi, fratellone! Dobbiamo fare in modo che gli altri si fidino di noi, così potremo collaborare e trovare una soluzione...senza continuare a trattarci così male a vicenda.-

-Collaborare?- chiese sarcastico il maggiore, facendo schioccare la lingua con stizza. -Non siamo mai riusciti per secoli e ti aspetti che proprio in una situazione del genere, in cui a fare gli stronzi ci si guadagna, tutti diventino dei...-

-Mica tutti, ve. Abbastanza da fare un gruppo. Un gruppo che debba preoccuparsi un po’ meno dei propri gettoni e possa pensare anche ad uscire da questa situazione.- precisò -Però...sarebbe bello se alla fine si riuscisse ad aiutare tutti...-

Che ingenuo che era Veneziano. Eppure il suo discorso non era sconclusionato come al solito. Anzi, doveva ammettere che l’idea di avere le spalle più coperte a Romano sarebbe davvero piaciuta. Però non dalle persone a cui suo fratello, al momento, aveva deciso di affidarsi. Era molto scettico, su quelli li. Era scettico su tutti, in realtà.

Veneziano procedeva tranquillo, e Romano capì che non avrebbe rinunciato alla sua idea, perché per quanto pigro, fifone e un po’ combina guai, il suo fratellino era un altruista. E un ingenuo. Per assurdo, l’unica soluzione era seguire il suo piano, cioè coprirgli le spalle. Avrebbe verificato lui che la fiducia di suo fratello non andasse sprecata e che nessuno li prendesse per fessi. Feliciano era incapace di essere diffidente...

In un certo senso, ogni singola parola uscita dalla bocca del settentrione era vera: poteva essere così, poteva provare a fare la differenza con quell’assurdo piano, solo insieme a lui. Romano non si sarebbe tirato indietro, anche se non condivideva proprio tutto...forse un pochino fesso, anzi no, altruista, poteva riuscire ad essere anche lui. In fondo, tutta quella storia dei gettoni era sempre più chiaramente un giochino sadico utile soprattutto a mettere gli uni contro gli altri, senza apparente alternativa. Valeva la pena provare a...collaborare...solo per deludere il bastardo che si stava godendo lo spettacolo dalle telecamere.

“Vediamo che succede, signor voce-del-cazzo, a guastarti la festa!”

 

 

E l'idea mia è tutta qui: se le persone viziose sono tutte quante collegate tra loro e appunto perciò costituiscono una forza, allora basterà che le persone oneste facciano anche loro altrettanto. (Lev Tolstoj) 

 

 

 

Angolino del disimpegno (presso il Mind Palace di IMma)

Beh, che dire...un bel po’ di colpi di scena notturni, non vi pare? Innanzi tutto Matthew. Lo adoro. Mi piace soprattutto perché finora sta cercando di mettersi nei panni delle persone che ha intorno. Volevo che fosse un personaggio intelligente e positivo, ma senza trasformarlo in una specie di moralizzatore. Anche se hanno la fortuna-sfortuna di essere Nazioni, non dobbiamo dimenticarci che i nostri hetaliani sono anche, senza eccezione alcuna, umani. Quindi ci stà che si mettano in discussione, o si lascino trascinare dalle circostanze, a volte...

Parliamo di Lily...non uccidetemi. Il furto della sua cassetta sarà l’ennesimo mistero nel mistero, e credetemi che potrebbe rivelarsi un colpo di scena niente male. Inoltre mi serve ai fini della trama. #vivalasincerità

Siete felici di rivedere in azione Romano? Nel prossimo capitolo tornerà anche Inghilterra.. E i miei due tsundere del cuore dovranno pure interagire, quindi...preparate i parafulmini, perché prevedo tempesta! xD

Scusate inoltre il ritardo nell’aggiornare, ma sono stata fagocitata e digerita per un po’ dalla vita reale. Grazie più che mai dunque a Chibs, chocobabana_, ChocolateKiller, Clepsamia, danonleggere, Ester 961, Fantom94, IamCrazy, JLuna_Diviner, ladyanarchica, Momoe12, Nemesis98, nikkith, Queen Giulietta, Shir, Triscele_Celtica98 e WeirdPuck che hanno deciso di continuare (o iniziare) a seguire questa storia sopportando la mia lentezza.

Grazie a tutti e al mese prossimo

IMma

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Hidekaz Himaruya; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 

 

 

Gioco d'inganni

 

 

Gli uomini hanno una pietra di paragone per vagliare l'oro, ma l'oro è la pietra di paragone con cui vagliare gli uomini. (Thomas Fuller) 

 

XII

-Ravais?- chiese Lituania avvicinandosi al ragazzino lettone. Tremava, rannicchiato in un angolo della sala, con qualcosa sulle ginocchia. Una cassetta. -Che significa?-

Lettonia alzò lo sguardo. Aveva la consueta aria tesa, sul punto di piangere, ma il volto era anche segnato da un paio di occhiaie. Probabilmente non aveva chiuso occhio. Le mani tremavano, ad un millimetro dall’oggetto che non osavano più toccare. Era stato così terribilmente semplice rubare quei gettoni, ma averli, adesso, era così difficile. Non avrebbe saputo spiegarselo, ma per qualche motivo le lacrime sempre in bilico sui suoi occhi, all’improvviso, minacciavano di sfuggirgli, trascinandosene dietro molte altre.

-C-credevo di p-poterlo fare...- mormorò con voce rotta. Toris si chinò alla sua altezza.

-Fare cosa? Cosa volevi fare?- chiese, cercando di non perdere la calma. Il giorno prima aveva aggredito lui ed Estonia ma quella mattina, dopo aver dormito poco e pensato tanto, si era sentito un po’ in colpa.

-Io l’ho vista...stavo uscendo dal bagno e lei entrava. Mi sono spaventato e sono andato a sbattere contro quel mobiletto...sembra un comodino...sembrava fatto apposta...-

Per frasi sconnesse, Lituania riuscì a ricostruire la dinamica del furto che la sera prima aveva agitato non poco gli animi. Ravais aveva visto Lily Zwigli entrare nel bagno. Era andato a sbattere contro il mobiletto, perché per la sorpresa di incrociare qualcuno a quell’ora era sobbalzato. Forse l’idea gli era venuta allora, oppure dopo, quando era rimasto ad ascoltare prima il fruscio di un rubinetto, poi la ragazza serrare il cubicolo. La porta dell’antibagno era rimasta socchiusa, si vedeva chiaramente quella cassetta, sul lavandino.

Era abituato a muoversi silenziosamente, Lettonia, dai tempi trascorsi in casa di Russia. Meno ci si faceva sentire, meglio era, a quei tempi. Gli ci era voluto un attimo per prendere quel delicato oggetto da dove era stato dimenticato e portarlo, in fretta e furia, fuori. Sapeva istintivamente di non poterlo tenere con se, e aveva già trovato il nascondiglio perfetto per riporre la cassetta e tornare a prenderla in seguito. Aveva fatto tutto così in fretta, da rendersene a malapena conto. Forza della disperazione, o istinto di sopravvivenza, non avrebbe saputo dirlo. Aveva agito d’istinto, comunque, ma già l’attimo dopo, la sua coscienza l’aveva spaventato anche più del fucile scarico di Svizzera puntato addosso.

-Perché, perché, perché vuoi fare il ladruncolo per Russia?- chiese il lituano, afferrandolo per le spalle. -So che sei spaventato, ma...capisci che mettere nei guai anche altre persone non ci salverà comunque!-

-Io non volevo dare la cassetta a...- deglutì, anziché pronunciare quel nome. La sua voce era diventata un sussurro. -Rivolevo solo una cassetta mia. Volevo nasconderla meglio e non farla trovare a nessuno...io volevo...-

Toris sgranò gli occhi chiari, sorpreso. Il tremito di Ravais lo stava contagiando, attraverso le braccia che allentarono la presa. Il silenzio si era fatto pesante.

-Volevo solo scappare. Non volevo essere di nuovo sotto il controllo di Russia. Volevo una cassetta al posto della mia per essere libero di starmene in pace!- Alla fine i singhiozzi esplosero, mentre continuava la sua confessione. -Credevo non mi importasse...tanto se stavo agli ordini di Ivan avrei dovuto comunque rubare i soldi ad altre persone. Una sola, contro tanti. Qualcuno a caso al posto mio. Credevo non mi sarebbe importato, però...però io non ci riesco! Non posso tenere questi gettoni, non posso, non posso più!-

-Lo so.- mormorava Lituania, cercando di calmarlo. Sapeva di aver a che fare con una nazione matura quanto lui però non riusciva a fare a meno di consolarlo come un ragazzino. Forse per l’aspetto che aveva, ancor più piccolo e fragile del solito. Ravais forse non si era opposto a metterlo nei guai, prima, ma adesso aveva iniziato a dire di no a quella situazione e lui doveva convincerlo a non smettere. Così cercava di fargli coraggio come poteva, con pacche esitanti sul braccio.

-Troveremo un altro modo, ne sono sicuro. Prometto che lo troveremo.-

-Davvero?-

Toris deglutì. Si stava assumendo una responsabilità enorme, che non dipendeva davvero da lui. Stava facendo una promessa falsa in partenza, e pericolosa. Non aveva ancora la più pallida idea di come uscire da quella situazione di ricatto. Sapeva solo consa l’altro aveva bisogno di sentirsi dire. Promise.

-Cos’hai intenzione di fare, con quei gettoni?-

-Non lo so.- Ammise Lettonia. -Lei non mi ha fatto niente, non si merita questo...però ho paura...-

-Fai quello che ti senti. Una soluzione verrà fuori. Io intanto voglio cercare Polonia...fino ad ora ha saputo tutto di tutti qui dentro, potrebbe darci una mano, a modo suo.-

-Tu credi?-

-Se riesci a sopportarlo.- disse incerto, strappando all’altro un forzato sorriso e un cenno di assenso. Si alzò, il piccolo Ravais, dicendo di dover fare una cosa e sparendo su per le scale.

Dopo qualche minuto due leggeri colpi alla porta della sua stanza sorpresero Lily Zwigli. Era Svizzera? La ragazza chiese, ma non ottenne risposta. Sentì un tonfo e dei passi veloci allontanarsi, così si decise ad aprire appena la porta, per verificare che non fosse successo nulla. A terra c’era la sua cassetta. Avrebbe voluto piangere dalla gioia, ma aveva qualcosa di ancora più urgente da fare: doveva avvisare Vash. Non vedeva l’ora di restituirgli i suoi gettoni. Non le importava più sapere chi era il ladro, in realtà non era stata arrabbiata fin dal principio. Era solo preoccupata e delusa. Entrambi sentimenti che erano spariti in quell’istante.

Solo sollevandola si rese conto che qualcosa non andava. Era più leggera. Aprendola scoprì che era piena solo per metà. Bussò comunque alla porta di Vash, insistendo per restituirgli il suo scrigno, che il ragazzo le aveva affidato. Non riuscì a tenerlo all’oscuro del piccolo “deficit” ancora presente nelle sue finanze. Svizzera aveva orecchio per le monete e si accorse subito che suonavano troppo poco. Se ne accorse come se la cassetta di Lily fosse stata spalancata sotto i suoi occhi. E decise. Mentre la ragazza si affacciava sul corridoio, forse aspettandosi di trovare l’altra metà della refurtiva pocciata da qualche parte sulla moquette, lui fece un rapido travaso. Adesso era la sua cassetta, rossa con una bella croce bianca, ad essere più leggera.

Nel frattempo Ravais era quasi caduto giù dalle scale, tanto aveva corso scendendole con le mani nelle tasche. Si appoggiò con la schiena al muro , scivolando lentamente. Alla fine non c’era riuscito. Il suo era rimasto un coraggio a metà, un’onestà imperfetta ed egoista...o forse solo spaventata. C’era un bagliore di luce che si sforzava, piano piano, di rischiarare l’oscurità e scacciare via le paure, poco alla volta. Per ora era riuscito a fare qualcosa di buono, e ripromettersi di completare l’opera quando le sue mani avrebbero smesso di tremare, al contatto con il metallo freddo delle monete. Quel gesto incompleto, quasi risibile, in fondo valeva qualcosa. Quel peso, un po’ scarso, che Lily aveva sentito nelle sue mani per un attimo, era il peso del buono di una persona. Ravais era onesto a metà...ma in fondo chi era mai stato onesto o disonesto in pieno?

 

§§§

 

Germania si era imposto il più assoluto silenzio. Quella giornata sarebbe stata decisamente lunga ed estenuante, ed anche un suo respiro poteva peggiorarla ulteriormente.  Da qualche minuto procedevano in quattro, avvolti dal più imbarazzante silenzio, mentre Romano Vargas gli lanciava continuamente occhiate ostili, e Veneziano supplicava sottovoce il fratello (sottovoce per modo di dire, dato che a volte era chiaramente udibile) di “essere gentile”. Sorprendentemente, dopo un’iniziale fase di diffidenza, Inghilterra non si era opposto. Sembrava più arrendevole, quella mattina.

In realtà le parole più giuste sarebbero state assonnato e distratto. Aveva infatti dormito poco e male, quella notte, dopo un lungo e sofferto colloquio con America e Giappone, su cui stava rimuginando ancora adesso. Stupido America! In che diavolo di guaio doveva andare a cacciarsi! Damn, a volte era così idiota da fargli venir voglia di gridare...eppure era preoccupato per lui, e il suo cervello si arrovellava attorno al problema senza riuscire a farsi venire in mente una soluzione valida. A parte strozzare Francis, cosa che probabilmente non avrebbe risolto il problema...ma quanto l’avrebbe fatto sentire meglio!

-Shit! Me ne ero dimenticato!- esclamò di colpo quest’ultimo, facendo sobbalzare tutti. Si era appena ricordato un’altra cosa che aveva saputo da Kiku ieri sera, e di cui avrebbe dovuto parlare subito. Era arrabbiato con se stesso, ovviamente, ma la cosa non impedì ai due Vargas di schizzare “casualmente” dietro le spalle di Germania. Soprattutto Lovino, che si era spaventato sul serio. Non l’avrebbe mai ammesso neanche sotto tortura, ma Inghilterra gli metteva terribilmente ansia. La sola presenza lo rendeva teso, senza una motivazione precisa. Scherzi dell’inconscio, probabilmente, nutrito fin dall’infanzia dai racconti, non proprio rassicuranti e lusinghieri, di Spagna.

-Senti, coso, stai calmo!- lo apostrofò comunque (sempre ben nascosto dietro il crucco, che dal suo punto di vista era tranquillamente sacrificabile...). Era il suo modo di reagire. Si fosse rivolto a Ludwig, non avrebbe ottenuto reazione alcuna, dato che il tedesco si era ormai abituato. Sfortunatamente Arthur aveva tutt’altro carattere, decisamente più suscettibile, e quella specie di scintilla minacciava di far scoppiare un incendio.

-Se hai problemi con me o con qualcun altro puoi pure tornartene da dove diavolo sei venuto. Non sono proprio dell’umore oggi, ok?-

-Ma non mi dire...cazzo, non me n’ero accorto!-

-COMUNQUE...- pronunciò perentorio l’inglese, tornando a rivolgersi al gruppo intero. -Ieri sera ho avuto una...ehm...conversazione con Giappone. Tra le altre cose mi ha detto che per quasi tutta la giornata di ieri il seminterrato è stato occupato da Cina. Potrebbe essere un problema, non l’avevo calcolato, all’inizio...-

-Potrebbe?- chiese ironico il maggiore dei Vargas. -Si che è un fottuto problema!-

-Non direi, basterebbe parlarci con calma e non vedo perch...-

Se si era ripromesso di non intervenire, Ludwig, era per ottime ragioni. Non ebbe il tempo di pentirsi di aver cambiato ideo, o di terminare la frase.

-Ma allora veramente hai una fottuta patata al posto della testa tu! Se è stato tutto il tempo li è ovvio che è il suo cazzo di nascondiglio e non ci farà accostare nemmeno per sbaglio! Porca miseria, siamo pure venuti ad un orario indecente per niente...E quest’altro genio qua se ne ricorda adesso...-

-Con me non ti permettere, chiaro!- ribattè Arthur, chiamato in causa. -Ho già i miei fottuti problemi e pure quelli che gli altri mi accollano, permetti che qualche cosa mi sfugga, damn it?-

-Ve, per favore, non litighiamo. Siamo tutti preoccupati, ma sono sicuro che possiamo parlare con calma. Fratellone smettila di essere così ostile e...ehm...-

-Si, si, anch’io.- sbuffò l’inglese, intuendo cosa Feliciano non avesse il coraggio di dire.

-Grazie. Visto? Tutto a posto. Sono sicuro che riusciremo a parlare con calma anche con Cina, ve. Ah, e...Inghilterra?-

-Cosa, ancora?-

-Se possiamo aiutare per le altre cose che ti preoccupano basta dirlo.- disse convinto Italia.

-Ne dubito.- rispose quest’ultimo, più conciliante. -In realtà sarei io a dover dare una mano ad America che ha fatto un disastro, that idiot, ma non mi viene in mente niente...-

-America?- chiese il settentirone.

-Ah, già, non te l’avevo raccontato. Una cazzo di scena...Francis l’ha fregato per bene!- si intromise Romano.

-What? Stai dicendo che eri là a goderti lo spettacolo?- gridò indignato Inghilterra, tentato di mettergli le mani al collo. In che modo lo raccontava, poi, così sfacciatamente indifferente. Sentendosi afferrare per il bavero Romano reagì. Tirò una forte spinta all’altro, sotto lo sguardo decisamente preoccupato di Germania. Italia intanto stava per mettersi a piangere.

-Non c’ero solo io, maledizione! E toglimi le mani di dosso o ti tiro una testata che ti faccio scappare quei fottuti bruchi dalla faccia per lo spavento!-

-Cerchi guai, italian?-

-Li cerchi tu, li cerchi! Nessuno ha detto niente perché nessuno si voleva mettere in mezzo, soprattutto per quell’idiota che, con tutto il rispetto, ‘sta pieno di soldi da fare schifo. Fattene una cazzo di ragione!-

“E non rompere il cazzo a me!” avrebbe volentieri aggiunto, ma il messaggio sembrava essere passato. L’inglese aveva borbottato qualcosa a mezza bocca alzando le mani, e poi si era chiuso in un silenzio più ostile di prima.

-Deve essere proprio preoccupato...- disse Feliciano all’orecchio del fratello. -Un po’ mi dispiace, ve...sia per lui che per America...-

Romano sbuffò in risposta. Feliciano voleva aiutare tutti, gliel’aveva detto. Ma lui non era proprio convinto di questa cosa. Inoltre adesso avevano un problema più serio. Cina era sbucato loro di fronte aprendo la botola del seminterrato.

Sorprendentemente, convincerlo di non avere intenzioni ostili non fu così difficile. Sembrava contento di aver trovato qualcuno non interessato a quel gioco sadico. Chiese solo qualche minuto per portare al sicuro le sue cose, e loro glielo diedero, allontanandosi a sufficienza. Dopo quella prova di onestà, furono accolti a braccia aperte.

Il seminterrato era più ampio di quanto avessero immaginato. Sembrava ben tenuto, nonostante l’odore di stantio. Era stato usato di recente come rimessa per attrezzi di vario genere. C’erano anche due grosse casse pesanti che Yao non aveva aperto. L’orientale mostrò orgoglioso il tavolo da lavoro dove, con qualche pezzo di legno e della vernice, aveva prodotto varie copie della sua cassetta, per depistare eventuali ladri. Un piano ingegnoso, riconobbero gli altri.

-Ho avuto fortuna, aru. Qui dentro probabilmente hanno costruito le cassette originali, quindi c’erano ancora i materiali.-

-Cos’è quel macchinario laggiù?- chiese Italia, avvicinandosi ad una specie di pressa. Germania disse che somigliava ad una macchina da stampa, se non fosse stato per le dimensioni ridotte del timbro.

A Romano ricordava più uno di quegli aggeggi che si usavano nelle campagne per chiudere le bottiglie di pomodoro. Il “timbro” come lo chiamava quel crucco, aveva un bordo più spesso, come se dovesse ripiegare i bordi di un tappo a pressione. La base però non era un anello per tenere il collo della bottiglia, ma un pezzo speculare all’altro. Gli venne un sospetto. Mentre il tedesco e suo fratello tentavano di aprire le casse, cacciò di tasca una moneta e la infilò nella fessura. Coincideva perfettamente. Abbassò anche la leva, e capì di avere ragione. Quell’arnese era servito a coniare quelle strane monete. Probabilmente i gettoni erano fatti di due dischi di metallo più larghi pressati assieme. In qualche modo quel macchinario veniva riscaldato perché i bordi esterni si piegassero e saldassero tra loro.

-Hanno coniato le monete con quello, aru? Ed io che non l’avevo neanche calcolato...- commentò Yao, che stava sbirciando dietro le sue spalle.

-Non vedo altra spiegazione, visto quel che abbiamo trovato noi.- disse Germania, mostrando due dischetti di metallo, dentellati. Su uno c’era una maschera impressa, sull’altro no. Era ciò che avevano trovato nelle casse.

-Ve, ho capito! Mettevano i dischetti qui e qui, poi chiudevano e i denti si incastravano, giusto?- Romano annui e il fratello sorrise felice di aver indovinato.

-Stai dicendo che potremmo produrne ancora, con questi materiali, aru?-

-No.-

-Ve, cosa? Ma fratellone hai detto tu che questo macchinario...-

-Serviva per fare i gettoni, e lo confermo, però guarda!- strappò senza troppi complimenti di mano a Germania i due dischetti dentati e li sovrappose, per poi confrontarli con la sua moneta. Sovrapposti, erano più sottili. -Dentro doveva esserci un altro dischetto. Un’anima interna di un metallo diverso...-

-Oro?- suppose Ludwig.

-Forse.- borbottò il Sud d’Italia, nervoso per essere stato interrotto. Dal tedesco, per di più. -Comunque qualcosa di valore, visto che non l’hanno lasciato qui assieme al resto. Non sono stati così coglioni da lasciare tutto. Così si accorgono se qualche imbecille qualsiasi prova a fare il furbo.-

-Quindi non abbiamo scoperto nulla di utile?- chiese avvilito Feliciano.

-No. Potremmo anche provarci a battere moneta falsa, ma la beccherebbero subito. Peserebbe di meno...-

Quella cosa gli aveva fatto venire un’idea bizzarra. Utilissima, se fosse stato in vena di fare lo stronzo, ma a pensarci bene, anche per una piccola vendetta, per una specie di buona azione...circa.

Scosse energicamente la testa. Non era un suo problema quello, perché avrebbe dovuto preoccuparsene? Lui doveva solo badare a se a suo fratello. Era Feliciano quello che voleva aiutare tutti. Però non sapeva come farlo. A lui, che non voleva, veniva in mente come. Suo fratello aveva detto che potevano farlo perché erano insieme. Romano ci aggiunse mentalmente che ci potevano riuscire solo insieme. A quanto pare, gli toccava proprio.

Si avvicinò al fratello, abbastanza avvilito, posandogli una mano sulla spalla.

-Scusa, stavo pensando...- accennò con un movimento della testa in direzione di Inghilterra. Quel bastardo non aveva fiatato per tutto il tempo ed ora stava rigirandosi tra le mani un truciolo di legno, con aria frustrata. Lo gettò a terra e lo schiacciò sotto la scarpa mormorando qualche imprecazione nella sua lingua.

-Strano, vero? Litiga sempre con America e poi la prende così a cuore...non sembra, ma secondo me è proprio una brava persona.- si astenne dall’aggiungere che trovava gli somigliasse un po’.

-Se lo dici tu. Dicevi sul serio, che ti dispiaceva?-

Feliciano annuì con convinzione.

-E va bene. Ehi, simpaticone!- fece Lovino, riferendosi all’inglese, con quelle sopracciglia più aggrottate che mai. -Vieni qua un attimo che ti devo parlare...-

 

 

 

A volte siamo un po' egoisti; tiriamo diritto per conto nostro e non vogliamo badare agli altri. No, ciascuno deve pensare a sé e agli altri. Tutto il bene che volete e procurate a voi, cercate di farlo anche ai vostri compagni. (Giuseppe Allamano) 

 

 

 

 

 

Angolino del disimpegno (presso il Mind Palace di IMma)

Vi aspettavate che Ravais fosse il ladro? La disperazione fa davvero brutti scherzi, a volte...

Forse adesso le cose riusciranno ad appianarsi. Nel prossimo capitolo ci sarà il contronto di Lituania con Polonia e...non solo. Chissà che non arrivi un’alleanza inaspettata? Si sta formando un altro gruppo pronto a fare del proprio meglio (circa) contro la vera minaccia della villa. No, non l’uomo misterioso...Ivan, che è il MALE *Sente un soffio di vento gelido e rabbrividisce* e che OVVIAMENTE amiamo per questo ^^” *Trova misteriosamente un tubo abbandonato sul suo comodino come monito*.

Questa storia mi ucciderà, prima o poi...

Passando a commentare la seconda parte, non poteva esserci più casino di così, nevvero? Cina per fortuna è stato accomodante...c’erano già troppi problemi in questa squadra decisamente male assortita. Per una volta Romano ha fatto bene a sbottare in faccia all’altro tsundere del team, e a dargli una bella scossa. Ma che idea avrà avuto adesso?

Per scoprirlo, purtroppo, dovrete aspettare il prossimo capitolo (pregando che nel frattempo un certo russo non mi uccida)

Saluti

IMma

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2452687