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So
keep on pretending
Our heaven is worth the waiting
Keep on pretending it's alright
So keep on pretending
It will be the end of our craving
Keep on pretending
It's alright
Il
Tavastia, il magico Tavastia, l'affollato Tavastia, sempre il solito Tavastia.
Come
ogni capodanno mi trovavo stipata dietro le quinte del piccolo locale di
Helsinki, con in mano un succo di frutta e un ventilatorino portatile. Per
quanto fuori facesse sotto zero, dentro c'era un caldo tropicale e anche indossato
una canottiera scollata,
ero un bagno di sudore. Appoggiata ad un muro completamente graffitato fissavo
con invidia mio marito che con un cappotto di lana e un cappellino viola della stessa stoffa sembrava essere
a suo agio. Come sempre un uomo dalle mille sorprese.
“..and
You'll be right here in my aaaaarms”
“Amore,
odio dirtelo, ma stai stonando come una campana” gli dissi continuando a farmi
aria e vagliando l'ipotesi di mollarlo li e andare fuori a fare un giro.
“Non
sto stonando, sei tu che non ci capisci niente” rispose sistemandosi il cappello e continuando a
fare gorgheggi per riscaldarsi la voce.
“Si e
poi c'è la marmotta che incarta la cioccolata” dissi fulminandolo con lo
sguardo. “Sono laureata al conservatorio tanto quanto te e in pianoforte
oltretutto, quindi se c'è uno che non capisce, quello sei tu, mio caro”
Misi
le mani sui fianchi in posizione da battaglia, pronta a una guerra verbale, che
come al solito avrei vinto io. Non sapeva resistermi.
Improvvisamente
dal nulla apparse Migè che si frappose tra di noi, sempre pronto a difendere il
suo amichetto “Ehy Bi, non farmi incazzare Rakohammaas, che altrimenti poi ci
vieni tu sul palco a cantare”
“Migè
non ti mettere tra me e lui” lo rimproverai.
“Ah
come non detto” disse il bassista sghignazzando e togliendosi di mezzo. Il simpatico
bassista dopo due anni aveva finalmente capito che provare a spallegiare Ville quando litigavamo era una guerra persa.
“Quasi
quasi vi preferisco quando siete così attorcigliati l'uno all'altro che non vi
si distingue” fece capolino Seppo che aveva osservato tutta la scena da dietro.
E come al solito non si sprecava la solita battuta sul fatto che se non stavamo
litigando eravamo attaccati come piovre. Che ci potevamo fare se non riuscivamo
a toglierci le mani di dosso?
“Non
ti preoccupare Seppo” disse Ville afferrandomi per la vita e stringendomi a se
“Sarai accontentato”. Mi prese il volto tra le mani e mi sfiorò i capelli
appoggiando lelabbra al mio orecchio
destro.
“Ti
amo mia piccola arpia” mi sussurrò baciandomi il collo.
Mi
sciolsi in un sorriso, ridendo di me stessa. Per quanto potessi trovarlo
estremamente insopportabile per una buona parte della giornata, e odiare tutti
i suoi piccoli difetti,
quando poi mi ritrovavo stretta tra le sue braccia magre, tutti i litigi si scioglievano, il mio cuore cominciava
a battere al triplo della velocità e mi ritrovano una ragazzina adolescente in
preda ad una cotta.
“Ti
amo anch'io, insopportabile finlandese” risposi allacciandomi più stretta a
lui. Ci scambiammo un bacio che non aveva nulla di casto, incuranti delle
persone che ci giravano intorno, comunqueabituate a vederci
così. Poi mi staccai e decisi che era ora di andare a fare un giro del locale,
di li a poco avrebbero suonato e dovevo andare a riscuotere il mio posto nel
privè che sicuramente era già stato occupato da mia sorella, la quale
puntualmente si approfittava del mio stato di moglie del cantante per prendersi
i posti migliori, ovunque.
“Ville,
io andrei, tua madre sicuramente mi sta cercando e devo far sbolognare Elena
dal mio posto” gli dissi, sistemandogli qualche ciocca ribelle e tirando fuori
una matita nera dalla tasca. Senza che ne accorgesse lo feci sedere e con una
velocità da maestra gli misi il kajal sotto gli occhi. Già bello di per se, con
la matita nera era ancora più figo. Le fan mi avrebbero ringraziato.
“Ahhhh,
Bi, tu e questa matita, non sono la tua barbie personale” mi disse sbuffando ma
rimanendo comunque fermo mentre mi improvvisavo truccatrice. Le sue mani sui
miei fianchi e il respiro contro il seno mi rendevano difficile concentrarmi
sul fare una linea dritta, ma alla fine ce la feci e mi fermai un attimo a
guardare soddisfatta il mio lavoro.
“Si
che sei la mia barbie! Sei mio e faccio di te quello che mi pare” gli risposi
stampandogli un bacio in fronte e allontanandomi. Mi fece dei gesti di finta
disperazione alla mie dipartita che ricambiai con una spudorata linguaccia
mentre mi dirigevo verso l'uscita delle quinte.
Con
facilità riuscii a superare la folla, complici i ragazzi della security che, dato il mio stato cercavano di
tenermi sotto una campana di vetro e complice la mia ormai nota verve di
svicolare ogni qual volta
c'era il rischio di incontrare qualche fan girl impazzita che mi voleva morta.
Nel
privè trovai, come avevo
previsto, mia sorella
buttata sulla mia poltrona preferita e Anita che mi fissava ridendo. Sapendo
cosa stava per succedere si avvicinò preventivamente a me e mi abbracciò
portandomi a sedere a fianco a lei.
Avevo
la migliore suocera sulla faccia della terra, non c'è che dire. Peccato che
Ville non potesse dire la stessa cosa di mia madre, pensai rabbrividendo all'ideadi cosa ci aspettava domani.
“Bianca
mia cara, come sta la stella?” chiese Anita ridendo.
“Il
solito, rompe, fuma, beve caffè, se la fa sotto dalla paura”.
Ridemmo
insieme e ci sedemmo comode a spettegolare sulle ultime news dal mondo della
musica. Uno dei nostri passatempi preferiti. Nel frattempo quella sciroccata di
mia sorella non solo non accennava a togliersi dal mio posto ma stava flirtando
con non so quale starlette della musica pop finlandese.
“Elena,
smettila, diamine” le dissi con fare minaccioso “non ti ho fatto venire qui per
fare la civetta col primo che capita, almeno fallo con qualcuno di decente”
incurante che il tipo mi sentisse feci una smorfia schifata verso di lui e mi
voltai. Improvvisamente mi trovai stretta tra due braccia sconosciute.
“Jussi non
fare caso a Bianca, in questi mesi è più acida del solito” la voce era
inconfondibile.
“Amore
ma che diamine ci fai qua? Non dovresti essere sul palco tipo...ora?”
“Si ma
sono venuto a salutare i miei, ora vado, tranquilla” rispose sedendosi e facendomi appoggiare sulle
sue ginocchia.
Scambiò quattro chiacchiere con Anita, obbligato da me
intimò Elena di togliersi dal mio posto, bevve la quinta redbull della serata e poi finalmente si accorse che era
tardissimo e si decise ad alzarsi.
Mi
guardai intorno. Ero tra le braccia dell'uomo che amavo, la sua famiglia ormai
mia era con noi. I nostri amici erano tutti li. E tra pochi minuti il concerto
di capodanno avrebbe infiammato la sala. Ero felice, spudoratamente felice. Due
anni fa ero intrappolata in una puzzolente sala da ballo vicino Roma a fare
finta di essere felice metnre la metà dei miei amici ballava ubriaca sulle note
dell'ultimo successo commerciale, tutti intorno a me si ingozzavano di roba e
parlavano male del vicino di casa o del collega. Mai mi ero sentita così fuori
luogo, mai come quel giorno la mia voglia di scappare da quel paese retrogrado
si era fatta sentire così prepotentemente, così il giorno dopo, senza parlare
con nessuno ero scappata in Finlandia dando fondo a ogni risparmio. Ma ne era
valsa, eccome se lo era.
Respirai a fondo per godermi il più possibile
quell'atmosfera magica, ne feci il pieno per tenerla in riserva, un jolly per i
giorni che sarebbero seguiti. Baciai mio marito e mi preparerai a godermi le
ultime ore di libertà prima del temuto incontro.
Addio
pace. Benvenuto inferno.
Intorno
alla torre sembrava essersi scatenata una bufera di neve, la natura sembrava
essere in linea con il mio umore nero. Correvo per casa come una disperata, e
essendo “casa” una torre senza ascensore, correre significava fare su e giù per
delle scale ripidissime senza corrimano e puntualmente scivolose.
Quando
pensai di aver finalmente tutto mi infilai il cappotto e mi lanciai in salone
dove trovai una bella sorpresa.
“Ville?!”
dissi oltraggiata “ma che...?”
Io ero
in delirio da partenza, avevo 3 valigie da portare giù, e migliaia di cose da
controllare e lui cosa faceva?
Stava
beatamente seduto in poltrona a leggere.
“Che
c'è amore?” i suoi occhioni verdi mi guardarono con sospetto “perché sei tutta
vestita, non stiamo a casa questa mattina?”
Non
riuscii nemmeno a proferire parola. SI era dimenticato. Solo lui poteva fare
una cosa del genere. Probabilmente lo amavo anche per questo.
“Ville,
tra mezzora arriva il taxi. Sai, quella cosa gialla che ci porta all'aeroporto,
dove quella cosa volante chiamata aereo ci porta in Italia, dove dobbiamo
andare a trovare i miei.”
Presi
fiato dopo il lungo monologo e aspettai che Ville assimilasse la notizia, nel
frattempo mi avvicinai a lui per guardarlo col mio sguardo più cattivo.
“Oh!
Ma io ero convinto dovessimo partire domani” disse con la faccia più angelica
che aveva.
“Devo
crederti?” gli chiesi troneggiando su di lui.
Senza
rispondermi mi trascinò su di se buttando il libro per terra e togliendomi il
pesante cappotto senza sforzo. “Credimi, Bi. Per quanto non mi entusiasmi
l'idea di venire dai tuoi non starei mai qui a fare il finto tonto. Ora...le
valigie sono pronte?”
Annuii
accoccolandomi tra le sue braccia.
“I
biglietti ce li hai in borsa?”
Continuai
ad annuire, facendomi sempre più piccola. Volevo rimanere li per sempre,
stretta a lui, con il camino che sfrigolava davanti a noi e i Type O
che cantavano in sottofondo. Ma prima o poi sarei dovuta tornare in patria, non
potevo continuare a rimandarlo e Ville sarebbe stato con me. La prospettiva non
era poi così male.
Saputo
che ogni cosa era pronta mi slacciò la camicia che indossavo e si sfilò la
maglia dei Sabbath. Io mi sedetti a cavalcioni su di lui capendo esattamente
quali erano le sue intenzioni. Seppur sposati da un anno ancora sembravano due
adolescenti in presa a crisi ormonali e ogni momento era buono per fare
l'amore. I nostri corpi ormai si conoscevano così bene che le nostre mani si
muovevano automaticamente su di essi. Allacciai le braccia intorno al suo collo
nudo, ma lui mi spostò le mani e posò le sue sulla mia pancia, accarezzandola e
avvicinandosi per porgere un orecchio all'altezza dell'ombelico. Iniziò a
sussurrare una canzone, una ninna nanna finlandese che mi cantava sempre quando
avevo difficoltà ad addormentarmi. Poi alzò lo sguardo verso di me.
“Dici
che mi può già sentire?”
Sorrisi
accarezzandogli i capelli e sfiorando a mia volta la mia pancia che cominciava
in quei giorni a mostrare i segni della gravidanza. Un leggero arrotondamento
era già visibile e aspettavo con ansia il momento in cui sarebbe diventata
enorme e avrei potuto sentire il mio bambino scalciare.
“Secondo
me, si. Sopratutto quando suo padre ha una voce così bella”
Rimanemmo
così per altri dieci minuti. Io che guardavo il mio uomo parlare a nostro
figlio, e la tempesta intorno a noi che ci faceva da sottofondo, fischiando e
facendo riempire il nostro udito dei suoni della Finlandia.
Mi
sarebbe mancata in quei giorni. Ma dovevamo andare e prima ci saremmo tolti
questo peso meglio sarebbe stato.
Scusate la latitanza ma ho avuto gli ultimi esami prima della fine della
sessione e mi sono chiusa nel mio bozzolo di studio. Che bello finalmente poter
tornare a scrivere delnostro finnico
preferito.*__*
Disclaimer: Gli HIM non mi appartengono, ne con la mia storia voglio narrare del vero
Ville Valo, riferimenti a fatti o persone sono
puramente casuali.
Capitolo
2
Home
is where your heart is
oh girl, we are the same
we are young and lost and so afraid
there's no cure for the pain
no shelter from the rain
all our prayers seem to fail
in joy and sorrow my home's in your arms
in world so hollow
it's breaking my heart
in joy and sorrow my home's in your arms
in world so hollow
it's breaking my heart
Il
tragitto in aeroporto fu tranquillo. Ogni cosa era al suo posto, eravamo in
anticipo, mia sorella che avrebbe viaggiato con noi era già li ad aspettarci,
io ero stranamente calma e Ville cercava di mascherare l'agitazione fumando una
sigaretta dopo l'altra. Più
che terrorizzarmi l'idea di rivedere tutta la mia famiglia dopo due anni,
duranti i quali non solo ero scappata di casa e trasferita in Finlandia, ma
avevo intrcciato una relazione con una rockstar con un passato oscuro, che
avevo inoltre sposato e che agli occhi di quei dementi che sono gli italiani
ignoranti poteva sembrare un satanista, l'idea che mi terrorizzava di più era
assistere a come i parenti avrebbero trattato mio marito. Già sapevo che sarei
dovuta andare incontro a molte litigate, perché lui, di certo educato e riservato com'era
non avrebbe detto una sola parola.
In
taxi, appoggiata alla
sua spalla, riscaldata dal parka gigantesco nero che una volta era appartenuto
a lui, mi lasciai trasportare dalla mia mente verso il passato, una gita nella
memoria prima di affrontare il futuro prossimo che mi aspettava.
Esattamente
due anni prima ero arrivata
ad Helsinki, sola, congelata, con pochi soldi, ma spudoratamente felice. Ero
libera e orgogliosa di me stessa. A 25 anni avevo mollato tutto, lavoro, amici,
fidanzato ed ero venuta a cercare la mia strada. Per un caso fortuito una mia
amica dei tempi del liceo ora viveva nei dintorni della grande capitale
finlandese, lavorando come fotografa per un agenzia pubblicitaria. Mi aveva
chiesto mille volte di andarla a trovare e io mille volte avevo risposto no,
perchè il mio ragazzo non voleva, perchè i miei genitori non avrebbero
approvato e perchè io avevo paura ad andare contro a tutti loro. Ma una volta
spezzate le catene non mi aveva più tenuto niente, e così per i primi mesi la
dolce Katia mi aveva ospitato sul suo divano, fino a che non era accaduto
qualcosa che mi avrebbe cambiato radicalmente la vita.
Un
tranquillo venerdì sera stavo passeggiando per Munkkiniemi, il quartiere vicino
a dove abitavo, portando a spasso il cane di Katia e facendo quello che per me
assomigliava di più ad uno sport, vagare senza metà sotto le note della mia
musica preferita. Quando ad un certo punto, Luki il cane, scappò dalla mia presa andando a lanciarsi verso il
passante e iniziando a giocare con lui.
Quel
passante era Ville Valo. Sapevo chi fosse anche prima di venire in Finlandia, e
gli morivo dietro sin dai 15 anni, segretamente. Ma ero sempre stata troppo
timida per andare a spasso per il quartiere in cerca di lui. E ora, ritrovarmelo così di fronte era davvero uno shock. E
poi di lì è storia, tra giornalisti e amici avevo raccontato migliaia di volte
di come avevo da brava faccia di bronzo qual'ero diventata chiesto a Ville di
andare a prendere un caffè insieme e lui, con mio enorme sconcerto, aveva
accettato. Penso mi ci fossero voluti meno di cinque minuti per capire che a
costo di legarlo a me con varie catene, non me lo sarei lasciato scappare. Fu
vagamente più difficile farglielo capire, ma alla fine dei fatti tutto si era
risolto per il verso giusto. Tra litigate, baci rubati, giri del mondo su un
troppo affollato tour bus e assedi di fan eravamo sopravvissuti. E ora
aspettavamo un figlio. Da una parte dovevo ringraziare quella dannata notte che
mi aveva fatto scappare dall'Italia, 6 ore di sofferenza per una vita
fantastica, ne è valsa la pena.
Il
volo 563 per Roma FCO decollò da Helsinki senza un minuto di ritardo, era
l'ultimo saluto della Finlandia nei miei confronti, mi potevo dimenticare tale
puntualità nel mio paese natale, dove le metro passavano ogni 10 minuti anche
nelle ore di punta e i treni non arrivavano mai e poi mai all'ora esatta. Mi
aggrappai al braccio di Ville e lo strinsi forte, in preda a un lieve attacco
di panico al pensiero di star veramente per tornare nella soleggiata Italia. Io
volevo rimanere a congelarmi qui, vicino a polo nord, dove d'inverno non c'è
mai sole, dove fa sempre freddo. Io odiavo il caldo.
“Bianca,
non ti agitare che poi mi agito prima io, poi a ruota tua sorella e pure il
bambino di certo non è felice” disse sporgendosi verso di me e sventolandomi
con un giornale.
Sapevo
che aveva una paura terribile dell'aereo, ma stava comunque consolando me. Qual
gentiluomo.
“Bi,
dai stai tranquilla” si mise in mezzo mia sorella che era seduta a fianco a me
dal lato del finestrino. “Al massimo che se i maledetti di mamma e papà ti fanno storie ce ne andiamo e
torniamo subito qui”
“Io e
Ville torniamo qui” precisai “tu te ne rimani a Roma a fare l'università”
Mi
guardò con una faccia offesa e fulminò Ville con lo sguardo “ma..ma il tuo caro
marito mi ha detto che se voglio posso rimanere qui con voi, ha un amico a cui
serve proprio una grafica di siti web”
Io lo
sapevo di aver sposato un pazzo, ma non che arrivasse a questi livelli. Elena
era una piaga vivente, si attaccava come le meduse e non c'era verso di tirarla
via. Si era presentata qualche mese fa sotto casa nostra chiedendo asilo
domestico, in quanto fuggita anche lei da casa. Era però l'unica che era venuta
al mio matrimonio, e che
ogni giorno prima di arrivare in Finlandia mi telefonava e si sincerava di come
stessi io e quell'anoressico di Ville (il suo hobby preferito era chiedermi
come faceva a reggersi in piedi). Ma a parte questo, era comunque troppo da gestire per me.
Mi
voltai verso Ville incredula.
“Beccato”
disse giocherellando con una ciocca di capelli ribelle.
“Lo so
che te lo dovevo dire, ma ho pensato che col bambino avrai bisogno di una mano,
sopratutto per i mesi che saremo in tour” si spiegò
Non
aveva tutti i torti, anzi aveva proprio ragione, ma non gliela avrei fatta
passare così facilmente...
“Tu
brutto traditore, devo già fare da babysitter a te, a tutta la band, e mi lasci
pure questa piattola tra le mani?” gli dissi cercando di mantenere un
espressione seria.
“Ehhh
so che ce la farai” rispose appoggiandosi sulla mia spalla e tirando fuori un
libro dal suo zaino.
“E tu”
dissi rivolta a mia sorella “vedi di non metterti con quella star delle soap
opera se rimani qui a Helsinki, Ville ha tanti amici magnifici, se proprio
devi, scegli tra quelli”
Elena
scoppiò a ridere capendo che stavo dando la mia approvazione al suo
trasferimento permanente nella mia città adottiva, prese il suo ipod e si
addormentò brevemente.
Rimasi
sola con me stessa, il mio cervello, il solito bastardo mi fece immaginare
tutte le peggiori situazioni che sarebbero potute accadere durante il nostro
soggiorno nella penisola della pizza. La peggiore era la possibilità di essere
scoperti a fare roba indicibile da qualcuno dei parenti, terrorizzata
dall'ipotesi scossi il braccio di Ville per renderlo partecipe della mia paura.
Lui mi
guardò con aria affranta “Bi, staremo in un hotel, in centro, andremo dai tuoi
per si e no due ore al giorno, lo so che sei una ninfomane persa, ma credo che
ce la farai a trattenerti”
Come
al solito la mia fantasia troppo vivida mi stava facendo delirare. Gli feci
cenno di poter tornare al suo libro e decisi che dovevo tenere la mente
occupata, così tirai fuori il portatile e iniziai a controllare l'ultima
composizione su cui stavo lavorando. Un po' di sano esercizio mentale mi
avrebbe sicuramente distratto.
L'atterraggio
fu morbido, raccogliemmo tutte le nostre cose, e ci dirigemmo verso gli arrivi.
Varcare la soglia che ci divideva dall'ameno spazio aeroportuale a quello della
realtà fu uno shock. Improvvisamente, a differenza di come mi accadeva in
Finlandia mi sentii ogni occhio addosso, dovevamo essere una scena singolare
agli occhi dei poco abituati italiani. Mia sorella Elena è quello che si
avvicina di più ad essere unadarkettona, con tanto di gonnellina di pizzo nero, pentacolo al collo,
trucco pallido e scarpe col tacco. Io, con un paio di jeans distrutti, una
giacca nera di pelle e un heartagram in bella vista, sia come collana che
tatuato sul collo, inoltre per screzio avevo abbondato con la matita nera e col
rossetto rosso, in Finlandia sarei stata normale, qui ero una freak. E poi
Ville...adorato da migliaia di donne e uomini, un vero sex symbol, qui era solo
una frikkettone con un cappello a fagiolo, il trucco sugli occhi, troppo magro
e troppo tatuato.
Lo
presi per mano e ci avviammo vero l'uscita.
Ad
attenderci c'erano i miei cugini, Boldo e Poldo, due gemelli che condividevano
letteralmente un cervello, data la loro nota stupidità e grettitudine.
Ed
eccomi di fronte alla prima prova della giornata.
“Guarda
chi si vede” esordì Boldo, meglio conosciuto come Andrea mettendo su un aria da
figo, e guardando noi tre con uno sguardo di superiorità che lo faceva solo
sembrare ancora più stupido.
“La
tossica e la pazza sono tornate all'ovile” continuò
Per la
cronaca, la pazza sono io, per motivi ovvi, mentre la tossica è mia sorella. E'
parere comune nella mia famiglia di bigotti che chiunque non rientri nei loro
canoni di normalità si droghi, in quanto impossibile che un essere umano possa
decidere di essere diverso da loro di sua spontanea volontà, quindi il suo
cambiamento è addotto a uno stato di ebbrezza o di overdose.
Ville
che non capisce una parola di italiano. Fortunato lui. Si avvicinò a me per
farsi spiegare cosa stava succedendo. Brevemente gli spiegai in suomi chi erano
i due e cosa stavano dicendo. Non riuscì a trattenere una risata e dato che uno
dei suoi difetti più belli è quello di sentirsi vagamente al di sopra del mondo
intero, indicò i due “Mi stai dicendo che quei due vi stanno sfottendo?”. Non
riusciva a smettere di ridere. Doveva trovare esilarante che due
simil-contadini come Boldo e Poldo potessero anche pensare di essere migliori
di sua moglie e sua cognata.
“E' il
loro modo di raggirare il complesso d'inferiorità” gli spiegai, godendomi
comunque la faccia dei due al vedere Ville che senza alcun problema si prendeva
gioco di loro. Ci sarebbe stato da divertirsi. In questi giorni.
Elena
si tolse le cuffiette che aveva tenuto attaccate fino a quel momento e si
avvicinò a me con fare sospettoso. “Bi, andiamocene in fretta” disse sghignazzando.
“Guarda alla tua destra”
Mi
girai e vidi tre ragazzine impazzite che correvano verso di noi. Ma porca,
imprecai “proprio adesso dovevamo beccare le fan deliranti”
“Che
succede Bi?” chiese Ville
che nel frattempo si stava guardando intorno.
“Fan-girl”
gli bastò la parola per mettersi in allarme.
“Facciamo
in tempo a darcela a gambe?”
Mi
voltai per controllare la situazione e mi cascarono le braccia.
“E'
troppo tardi ormai” annunciai rassegnata.
Fu la
solita scena. Le ragazze si fecero avanti squittendo come roditori, mi
lanciarono i solito sguardo di invidia verde a cui ormai ero immune e si fecero
foto con Ville con le loro macchinette fotografiche. Lo adorarono per qualche
minuto e poi se ne andarono felici. Ancora mi meravigliavo di come Ville
riuscisse ad essere così gentile con tutti i suoi fan, doveva aver delle dosi
nascoste di pazienza che spuntavano fuori al momento del bisogno.
Mentre
mi riprendevo mio marito dalla morsa delle fan sentivo Poldo che chiedeva a mia
sorella informazioni su cosa stava accadendo. In quel momento mi venne il
dubbio che la mia famiglia, che di me a malapena sapevo che ero sposata, non
sapesse però con chi. E risi, risi come una pazza isterica. Davvero ne avremmo
viste delle belle.
@ AnAngelFallenFromGrace: grashieepicculamors! I tuoi commenti
sono sempre super speciali, ti dico solo GRAZIEEE perché tanto il resto te lo
dico giornalmente. Ti vi bi
@ claudy: *mearrossisce* sei davvero troppo buona, e quanto mi piace
essere perseguitata, quindi continua pure XDXD grazie per il commento e spero
che ti sia piaciuto anche questo chappy
@ lithi: giammai scordare l’UVD, blasfemiaaaaaa!!!grazie
per il commento julietta mia
@ Ethereal Clover: eh si, ogni tanto sforno roba nuova e ho ancora qual
cosina nel cassetto da condividere con le lettrice himmiche…kiitossss
per il commento^^
Sapevo già che la mia calma serafica sarebbe andata a
farsi benedire. Ne ero convinto. Avevo avuto paura di cantare di fronte a
migliaia di persone, avevo avuto paura all'uscita di un nuovo album e me l'ero
fatta sotto quando avevo detto “lo voglio”. Ma questo terrore recondito tanto
pesante da non volerti fare uscire da una camera di albergo usando una
qualsiasi scusa, no questo non mi era mai capitato. Dover incontrare la
gigantesca famiglia di mia moglie mi dava i brividi e finché non si era
avvicinato il tanto temuto momento non mi ero reso conto del delirio della
situazione. Dai racconti di Bianca e di Elena me li immaginavo come tanti
mostri pronti a mangiarmi appena mi avessero visto.
Eravamo nella nostra camera già da un paio d'ore, i
cugini dementi ci avevano mollato davanti all'hotel e se ne erano andati via,
probabilmente avrebbero raggiunto il resto della famiglia per spettegolare su
di noi. Bianca stava passeggiando nervosamente per la stanza con la musica
nell'orecchie,mentre Elena era nella
suite a fianco alla nostra anche lei stava sicuramente cercando la forza di
uscire da li e trovare la voglia di fare quello per cui eravamo venuti fin qui.
Odiavo vedere Bianca stare così, mi ricordava i primi
mesi in cui stavamo insieme, quando era costantemente preoccupata che qualcuno
della sua famiglia spuntasse a rovinare le cose. Ci erano voluti due anni e una
proposta di matrimonio per farla tranquillizzare, ormai ero io la sua famiglia
e poteva essere sicura che ci sarei stato sempre.
Presi la mia chitarra e iniziai a fare qualche accordo
per rilassarmi, le note dolci della mia acustica erano più potenti di un
qualsiasi antistress, e ben presto mi ritrovai immerso nelle note di una nuova
canzone, ancora senza nome, ancora senza testo.
“Suoni?” Bianca aveva smesso di passeggiare per la
stanza e mi si era seduta a fianco sull'enorme letto della suite, appoggiando
la testa sulla mia spalla.
Annui e spostai la chitarra per abbracciarla,
sentendola tremare e stringersi contro di me. Lacrime calde le scendevano dal
volto e le sentii sul mio collo.
“Ho paura Ville” disse non riuscendo a trattenere i
singhiozzi.
Non potevo sopportare di vedere la mia donna distrutta
per una cosa del genere, già odiavo i suoi genitori, se stava così male solo al
pensiero di vederli non avevo idea di cose le avessero potuto fare in passato.
“Amore, ti prego, respira, ci sarò io con te” le
dissi.
Ero una stupida, una dannata maledetta stupida. Avevo
avuto il coraggio di fuggire, di partire da sola per una terra sconosciuta,
avevo girato il mondo in un tour bus puzzolente e disordinato senza fare un
fiato, avevo sopportato sguardi lascivi verso l'uomo della mia vita, ed ero sopravissuta,
ed ora come una bambina piccola piangevo sulla sua spalla perchè ero
terrorizzata dai miei parenti. La mia parte razionale mi stava urlando le
peggio cose, non avevo motivo di stare così. Non tornavo in Italia da perdente
con la coda tra le gambe, tornavo con un lavoro, con una persona eccezionale al
mio fianco e decisamente con molta più forza. Certo non si poteva dire che mio
marito era quello che qui si chiama il partito perfetto, un ragazzo magrolino
della Scandinavia pazzo come un cavallo e per di più rockstar, ma era il MIO
ragazzo magrolino della Scandinavia, e ai miei occhi era perfetto così.
Decisi che era arrivato il momento di affrontarli, ce
la potevo fare.
Mi alzai di scatto facevo rotolare Ville giù dal letto
e iniziai a correre per la stanza cercando qualcosa di abbastanza shock da
mettermi, se dovevo tornare da vincintrice tanto valeva farlo in grande stile.
“Tu sei completamente pazza amore mio” disse Ville
rialzandosi con fatica “prima ti strapazzi addosso a me piangendo e poi ti cominci
a preparare come una furia”.
Scosse la testa, ormai abituato alle mei follie e mi
si avvicinò bloccandomi contro la parete e impedendomi di continuare nella mia
ricerca.
“Ville, che fai? Non vedi che vado di fretta devo
trovare la mia roba cyberpunk, sono sicura di averla portata con me” dissi
continuando a guardarmi intorno mentre mi spostava i capelli dalla faccia e mi
accarreza il viso.
“Bianca, ora dimmi cosa ci devi fare con la roba
cyberpunk?” chiese ridendo e continuando nella sua opera di farmi impazzire.
“Me la devo mettere, di certo non me la devo mangiare”
risposi stizzita.
Cercai di divincolarmi ma mi strinse ancora più forte
impossessandosi della mia bocca per far finire il fiume di parole che stava
uscendo. “Allora, amore posso capire che tu voglia fare un entrata in grande
stile, ma quei stracci vecchissimi se non ti ricordi male li hai buttati l'anno
scorso perchè ti stavano stretti”
Noooooo! Era vero li avevo praticamente bruciati
durante il falò del solstizio d'estate perchè era finita la legna e inoltre
dato che non mi entravano più non volevo più vederli.
“E cosa mi metto allora? Non posso certo andarci così”
Non mi rispose, ma mi slacciò i bottoni del gilet e si
fece strada verso il basso.
“Argh” soffiai “la vuoi smettere? Non vedi che ho da
fare?”
“No, non smetto, vorrei avere dei bei ricordi a cui
pensare mentre siamo dai tuoi, e non c'è niente di meglio che immaginarti sopra
di me ansimante”
Lo odiavo quando faceva così. Quando era così
maledettamente disarmante.
“Poi dici a me che sono una ninfomane”
Con uno slancio lo presi in contropiede e lo spinsi
sul letto. “Hai ragione amore, facciamo quello che sappiamo fare meglio, che un
po' di sana endorfina non ci aiuti per dopo”
Non feci in tempo a spogliarmi aiutata da lui che mia
sorella, quella guastafeste, entrò in camera nostra.
“Ah, ma voi due siete un caso perso, e io che speravo
che una volta sposati i bollori sarebbero spariti del tutto” disse Elena
coprendosi gli occhi.
“Elenaaaaaaaaaa” urlai mentre Ville sotto di me rideva
come un disperato, non era la prima volta che venivamo beccati in posizioni
simili e ogni volta io arrossivo come un peperone e lui se la rideva.
“Sorellona, lo sai che ti voglio tanto bene, ma sono
convinta che se queste tue arrabbiature facciano male al bambino, diglielo pure
te Ville” disse incrociando le braccia con fare saccente.
“Tu non ti azzardare a darle ragione, piccolo
traditore che non sei altro” gli intimai tappandogli la bocca con una mano.
“Ora Ele, dimmi perchè sei irrotta nella nostra stanza
senza essere invitata?”
“Hanno chiamato mamma e papà, hanno detto che ci
aspettano a casa tra un'ora”
“Un ora???” non avrei mai fatto in tempo a vestirmi e
tutto.
“Si, un ora hai capito bene” rispose
“Ma io ho bisogno di comprarmi qualcosa da mettermi, ho
portato solo vestidi comodi”
“beh ma che problema c'è, andiamo dal bacillario, è
qui sotto proprio” disse Elena con tranquillità. Certe volte mia sorella era un
genio. Un genio.
“Ville, alzati, andiamo dal bacillario, devi venire
pure te che mi serve la tua carta di credito”
“Amore mio, mia unica metà, ora dimmi due cose, primo
come faccio ad alzarmi se sei sopra di me in tutto il peso? Secondo, cosa
diamine è il bacillario?”
Dieci minuti dopo avevo fatto vestire il finlandese,
mi ero messa addosso le prime cose che avevo trovato, e lo stavo trascinando di
corsa per via Laurina sperando che il mitico bacilla fosse aperto.Subito
riconobbi la familiare vetrina dove avevo passato l'adolescenza ad adorare
quella roba e non poterla mai indossare, e ora ero li davanti, avevo i soldi e
potevo indossare quello che volevo.
“Entriamo!” dissi a Ville.
Gli presi la mano e lo spinsi dentro. Mi misi a
cercare tra le gonne quella che sarebbe andata meglio per me, ma quando ero
pronta per andarne a provare qualcuna mi girai e vidi una scena da film. Ville
era in piedi a sbirciare tra le collane esposte, per la fretta non si era messo
il solito cappello, e era li in tutta la sua gloria. Davanti c'era una
ragazzina che completamente sconvolta fissava la sua maglietta e poi alzava lo
sguardo e poi tornava a fissare la sua maglietta. Quasi lasciai cadere la gonna a terra, era una scena troppo esilarante.
Troppe volte mi ero trovata in situazioni simili ma questa qui le batteva
tutte.
“Amore mamma mia quanto sei
brutto su quella maglietta” gli dissi ridendo, in finlandese.
Ville mi fulminò con lo sguardo
iniziando già a diventare rosso come un peperone.
“Non è divertente, Bianca, per
niente” rispose cercando di rimanere serio, mentre la ragazzina gli porgeva
completamente in stato d’adorazione un foglio di carta per farsi fare un
autografo. Attesi che la procedura si concluse, e mi apprestai a tornare in
camerino, quando la ragazza inaspettatamente mi fermò.
“Tu sei Bianca vero?” mi chiese
con gentilezza.
“Si, sono io” non sapevo cosa
aspettarmi.
“Possiamo fare la foto insieme?”
“E che scherzi, certo”
Tirò fuori la macchinetta dalla
borsa e si mise a selezionare varie opzioni, nel frattempo Ville si stava per
mettere in posa, evidentemente pensava gli toccasse fare la foto.
“Amore, questa volta non la devi
fare, la devi scattare” gli dissi con un ghigno. Sembrò vagamente interdetto,
ma prese la macchinetta e scattò la foto.
@ Cherasade: grashieeee!!! *emoticon di commozione*. Per l’incontro
con i genitori di Bianca ci vorrà ancora un pochetto,
mi sono un attimo dilungata su racconti della vita insieme dei nostri Valos…ma prima o poi ci arriverò, speriamo prima che poi XD
@ lithi: giuliettaaaa, ma
scappiamo in Finlandiaaadaiii,
che fa fresco, il panorama è stupendo, i finnici sono adorabili e c’è il Sommo
no??? Baciotti e grazie tesoro
@ frizz_np: finita l’attesa XD grazie per il commento e
spero che ti piaccia anche questoooSuukko
@ Ethereal Clover: oooohLalli, leggere il tuo commento preberna mi ha fatto venire il magoneeeeesighsobsigh, ma come ci ha ridotte quel concerto??? Che il valo ci aiuti (dato che tra l’altro è tutta colpa sua)!!! Cmq,
l’anteprima te l’ho data, hai visto? Me brava angel! Anche
se qui ho aggiunto un pezzettino e ho pronto il capitoletto nuovoooo
*_* poi dopo te lo mandooo
Dopo un piccolo esperimento mal
riuscito nel mondo delle lemon torno all’universo che
mi è più consono, la fic del fancazzeggioXD…eccovi un nuovo capitolo delle pazze avventure di
B e V nella terra degli spaghetti…
It’s all but tears
I'm waiting for you to drown in
my love
So open your arms
I'm waiting for you to open your arms
And drown in this love
I'm waiting for you to drown in my love
So open your arms
I'm waiting for you to open your arms
And drown in this love
Open your arms and let me show you what love can be like
It's all tears and it will be 'til the end of your time
Come closer my love
Will you let me tear your hearth apart? Nowallhopeisgone so drown in this love
“Bianca, non ti agitare come un anguilla, se non si
chiude, non si chiude”
Comprata la gonna, una stupenda gonna nera con tulle
e catene, e avendola comprata della mia taglia non mi ero assolutamente posta
il problema che forse il corpetto che avevo portato con me da Helsinki non mi
sarebbe entrato. Avevo per un attimo dimenticato la piccola protuberanza che
cresceva nella mia pancia. Ed ora ero appoggiata ad una colonna del letto al
baldacchino, come Rose in Titanic e un divertito marito cercava di chiuderla
tra una risata e l’altra.
“Prova a tirare più forte” gli intimai. Io dovevo
mettermi quel corpetto, ne andava del mio orgoglio.
“Tesoro, so che non vuoi sentirtelo dire, però non
vorrei che poi il bambino ne risentisse in qualche modo, non pensi?”
Lo odiavo quando faceva così, quando diceva sempre
la cosa giusta, nel modo giusto, con lo sguardo giusto. Lo odiavo quando mi
rendevo conto di quanto era perfetto.
Sospirai
“Mi arrendo, tirala giù, dovrò trovare qualcos’altro
da indossare deduco”
“Non mi farai tornare li vero?” disse allarmato.
“Zitto e tira giù la zip” gli intimai.
Chiuse la bocca e mise in moto le mani, delicate
scesero dalle mie spalle percorrendo la spina dorsale e raggiungendo il punto
dove la zip si era bloccata. Quel contatto, così delicato eppure fortissimo,
quelle mani che sapevano quanto io appartenessi loro, mi conoscevano così bene,
ed in un attimo la mia mente, traditrice, mi riportò a qualche mese prima.
Eravamo sposati da pochissimo, l’ultima cosa che
volevo era allontanarmi da lui e partire, ma il mio lavoro mi chiamava e avevo
finito le scuse per il matrimonio, dovevo andare e seppur col muso lungo Ville
fu felice di accompagnarmi in aeroporto. Se fossi stata più debole l’avrei
supplicato di venire con e non staccarsi un attimo dal mio fianco, ma lui
doveva lavorare. proprio come me, e sapevo che una mia sola parola gli avrebbe
fatto cancellare ogni impegno che aveva preso, così, di fronte al gate, tirai dentro tutte le mie paure e mi apprestai a
lasciarlo dopo un anno e mezzo che vivevamo in completa simbiosi.
“Fai il bravo” gli dissi “non dimenticarti di
mangiare, bevi molto e non far incazzare Migè perché
ti lamenti troppo, capito?” Trattenendo le lacrime gli porgevo gli ultimi
avvisi prima di prendere il bagaglio e allontanarmi, ma non mi voleva lasciare
andare.
“Si mamma, farò come mi hai insegnato” rispose
ridendo e stringendomi tra le sue braccia, il mio volto arrivava al suo petto e
sebbene sembrasse tranquillo potevo sentire il suo cuore andare a mille.
Lo strinsi forte, frignai un po’ contro di lui e poi
decisi che era arrivato il momento, dovevo smetterla con questa sindrome di
copertina di Linus, bastava uno nella coppia ad averla. Se per lui era il
cappellino viola, per me, era lui la mia copertina e separarmene si stava
rivelando oltre lo straziante.
“Ah la metti così” mi prese in braccio emi fece avvinghiare a lui tirandomi su come
fossi una piuma.
“E tutta questa forza dove l’abbiamo tirata fuori?”
gli chiesi “non mi ricordavo che lei fosse così potente Signor Valo”
“Lei mia cara non sa ancora molte cose di suo
marito”
“Ottimo, un'altra cosa da fare al mio ritorno, ora
me lo segno, adesso vado Ville, capito? Vado.”
“Tu sei proprio sicura di voler andare?” mi chiese
supplicante.
“Se non la smetti, al prossimo tour ti faccio la stessa
scena” ribattei
“Ma se ogni volta che parto in tour fai le feste che
hai casa per tutta per te” disse stampandomi un bacio in fronte.
“In effetti… ora vado,
davvero” Lo abbracciai e lo baciai “ci vediamo tra una settimana amore mio, non
fare danni”
Senti un pezzo di cuore andare via mentre mi
allontanavo dalla figura slanciata e triste che mi guardava, mi sarebbe mancato
tutto di lui, ma ero grande e vaccinata e ce la potevo fare.
Quel viaggio fu orribile, il regista svedese con cui
stavo lavorando per la creazione di una colonna sonora era geniale ma tutto fuorché
socievole e cordiale, ed essendo ormai metà finlandese avevo adottato anche io
la diffidenza verso gli svedesi e mi guardavo intorno come se fossi in una
gabbia di leoni. Per aggiungere sale sulle mie ferite, uno strane virus
intestinale sembrava avermi colpito e passavo metà del mio tempo al bagno.
Diventando sempre più bianca e sentendomi sempre più fiacca. Al telefono con
Ville cercavo di mascherarlo, ma la solita empatia che ci legava non fallì come
avevo sperato, anche a miglia di distanza si accorse che qualcosa non andava e
fui costretta a raccontargli ogni cosa. Ci vollero due ore e una caparbietà che
non sapevo di avere per convincerlo a non venire a riprendermi a Stoccolma col
primo aereo, o a piedi.
Dopo 6 lunghissimi giorni, cadaverica, stanca, e
stressata mi trascinai all’aeroporto e telefonai a mia sorella per passare il
tempo in attesa della chiamata del mio volo, le raccontai dei miei sintomi
chiedendole se avesse avuto mai qualcosa del genere, lei, decisamente più furba
e sveglia di me, ci mise mezzo secondo a farmi la diagnosi. Non potevo
crederci, ero allibita, così controllai e ricontrollai, e mia sorella aveva
ragione. Dirlo a Ville sarebbe stata una scena da non dimenticare.
In aereo ogni dolore che avevo sembrò scomparire, e
il breve viaggio di un ora passò ancora più velocemente. Lessi qualche
quotidiano finlandese, vidi la sua foto per un intervista che aveva fatto
mentre ero via e mi si strinse il cuore, avevo il volto spento e stanco, odiavo
vederlo così. Fortunatamente in quell’istante annunciarono l’atterraggio, mi
strinsi la cintura, raccolsi le mie cose e attesi di poter di nuovo respirare
l’aria di casa mia.
Appena scesa dall’aereo corsi al reparto bagagli,
sperai nella consueta puntualità nella consegna, era quasi mezzanotte e solo il
nostro volo stava arrivando. Non potevo aspettare, volevo tornare a casa, tra
le sue braccia. Quando vidi la mia valigia spuntare per prima ringraziai il
cielo e la presi senza nemmeno controllare la targhetta, tirai fuori il
cellulare dalla borsa per chiamare un taxi, ma non feci in tempo a comporre il
numero che uscendo dal terminal degli arrivi, vidi una figura curva, seduta su
una di quelle scomodissime sedie di plastica, che guardava per terra, con il
capo coperto da un berretto viola. Se non era lui, io mi chiamavo Gioconda.
Accelerai il passo, seguii la sua testa alzarsi e i
suoi occhi incontrare i miei, i suoi magnifici occhi verdi che erano tanto
magnetici quanto tristi in quel momento. In un attimo fui stretta contro di
lui, assaporando l’odore di nicotina che lo permaneva costantemente e il suo
profumo naturale, un profumo trascendentale, che mi ricordava l’edera e
l’incenso.
“Bianca, ti prego, non lasciarmi più da solo così a
lungo” furono le prime parole che mi disse.
Risi. Come faceva il drammatico certe volte.
“Amore mio, ma lo sai che parli come un personaggio
degli harmony vero?”
Per tutta risposta mi guardò imbronciato, mi baciò,
prese la mia valigia, la mia mano e mi portò verso l’uscita dove ci aspettava
un taxi.
Una volta a casa respirai a pieni polmoni la
fragranza di Helsinki, l’odore di legno che emanavano gli alberi intorno al
nostro giardino. Non feci nemmeno caso al delirio di cose sparse per il
salotto, mi fiondai in camera da letto buttando la valigia per terra,
buttandomi sul letto completamente vestita. Qualche minuto dopo fui raggiunta
da Ville che si sedette a gambe incrociate a fianco a me, carezzandomi la
schiena.
“Amore che ne dici di togliere questo vestito,
metterti il pigiama e dormire, sembri davvero esausta”
Non ebbi nemmeno la forza di rispondere, lo prese
come un si e iniziò a tirarmi giù la zip, facendo scorrere delicatamente le
mani sulla pelle sensibilissima e disidrata.
“Bianca, questo vestito non è un po’ stretto?” disse
litigando con la lampo.
Improvvisamente mi ricordai che c’era qualcosa che
dovevo dirgli.
“Eh si, e penso che per i prossimi nove mesi non lo
potrò più reindossare” annunciai.
“Perché? Finalmente hai deciso di arrenderti alle prelibatezze
che cucina mia madre e farla contenta ingrassando di qualche chilo?”
Risi. Gli ci volle un po’ per arrivarci. Si guardò
intorno, chiuse e riaprì gli occhi varie volte. Si grattò la testa.
“Non sarai mica incinta vero?”
“Se per incinta intendi che nei prossimi mesi
diverrò una balena, mangerò per due e che avremmo un fagottino frignante tra
meno di un anno. Beh, allora penso proprio di sì”
@ lithi: siiiiii ** macchina e
aeroporto, dici che lo troviamo qualcuno che ci presta (regalaXD)
i soldi per il costoso biglietto aereo per Hell-sinki?
Chissà se il Valo stesso se lo inteneriamo decide di
pagarcelo lui e adottarci come peluche personali…sarebbe
una rosea prospettiva
@ Ethereal
Clover: grazieeeLalls, eh si berna ci ha ridotto
male a tutte, decisamente! Se dovessi star a parlare delle mie pazzie post berna mi rinchiuderebbe in un centro di sanità mentale right
away…ma fortuna che ci siete voi con cui dividere il
delirio profondo XD…
@ blaise_sl_tr07: ma grazie *_* tra tutte le fic
che ho scritto mi ero affezionata alla protagonista femminile solo per un'altra,
quindi sapere che è apprezzata mi fa un piacere immenso, davvero grazie! Per quanto
riguarda quella bertuccia di Elena, è un po’ scema, perdoniamola, e non ha
ancora combinato niente di troppo grave XD
@ Vampire_Heart: quella dannata frase ormai ce la devo buttare
ovunque da quando l’ho sentita dire al sommo in un intervista…davvero
non si rende conto che essendoun
ragazzo magrolino della scandinavia incontra ogni
sogno di perfezione **…è troppo modesto quell’uomo, davvero gli servirebbe la
tua cura di autostima, allora forse si capirebbe il suo innato potenziale di
far impazzire una donna solo con uno sguardo…cmq
grazie per il commentino, stavolta sono stata brava e questo chap te l’ho mandato!!!
Oggi,
alle 11.25 un bell’aereo della Finnair mi porterà in Finlandia nella
meravigliosa Helsinki. Tra 6 giorni sarò di ritorno, sicuramente con qualche
neurone e tanti soldini in meno ma speriamo con qualche foto decente e tanti
bei dettagliucci da mettere nella fic…quindi
a presto, post Finlandia dovrei riuscire a postare 6 e 7 che sono li che
attendono nel pc di essere resi noti al mondo..
Suukko
Stay
HIM XD
“Circle
of fear”
Capitolo 5
If you wanna
save her
Then first youll have to save yourself
If you wanna free her from the hurt
Then dont do it with your pain
If you wanna see her smile again Dont show her youre afraid
Cause your circle of fear is the same
Erano le 7 di sera.
Ero in una città straniera.
Mia moglie incinta stava cercando in tutti i modi di evitare la cena con
i suoi parenti. Se fosse stato per me l’avrei presa, fatto le valigie e sarei
tornato a Helsinki a godermi l’inverno e la pace della nostra casa seppellita
nei sobborghi della città. Ma, prima o poi le sarebbe toccato affrontare questi
fantomatici parenti serpenti. Dirgli in faccia di tutto il rancore che si
trascinava da anni dentro e liberarsi finalmente della rabbia repressa che provava
nei loro confronti.
“Bianca” la scossi “alzati da quel letto immediatamente e smettila di
cantare”.
Let me bleed you this song of my heart deformed
Sdraiata sul letto con un mano a carezzare la pancia ormai visibilmente rotonda,
cantava a squarciagola la sua canzone preferita. Se non fosse stato che seppur
laureata al conservatorio e compositrice, aveva una voce terribile, sarebbe
stata uno spettacolo.
“Come dimenticare i problemi distruggendo una canzone dell’amato sposo”
pensai.
Non dava alcun segno di volersi riscuotere dal torpore, era persa nel suo
mondo.
Era lei la parte forte della
coppia, io quello lunatico e con vari complessi. Lei la spina dorsale della
nostra tranquillità, ed ora, vederla su un altro piano della realtà, impaurita
da un confronto che gettava ombre su di lei da ormai due anni, si stava
rivelando un esperienza catartica. Dovevo fare qualcosa, tagliare via le mie
stesse paure e fare quello che lei aveva fatto per me nel momento più buio
della mia vita.
In fin dei conti ero Ville Valo. Mica uno
qualsiasi. Potevo farcela a sopportare una branco di ignoranti senza cervello.
“Bianca? Bi?” mi sedetti sul letto a fianco a lei togliendole una
cuffietta dall’orecchio. Mi lanciò uno sguardo furioso. “Sono le 7, dobbiamo
andare. Il taxi sarà qui sotto in breve tempo”. Le toccai la guancia e sentii
che era umida, aveva pianto.
Dannatissimi parenti.
Mi costrinsi a respirare profondamente, e non fare quello che avevo
sempre voluto fare. Andare li da solo, magari portandomi Elena dietro per
questioni linguistiche e risolvere la questione in pochi minuti. Dovevo vederli
in faccia questi mostri che spaventavano la mia altrimenti coraggiosa Bianca.
“Bi, andiamo. Ne hai passate di tutti i colori e hai paura di un
confronto con gente che conosci da quando sei nata? Sai i loro punti deboli e
sai come difenderti e non stai andando da sola, ci sono io, c’è Elena”
Sembrò riscuotersi un attimo. Si stropicciò gli occhi spegnendo il
lettore mp3. Si accoccolò per qualche minuto tra le mie braccia, come a voler
racimolare un po’ di forza e poi si alzò. Vedendola dirigersi verso il bagno
con i vestiti, notai che il suo sguardo diventava ad ogni momento più fiero e
sicuro.
Quella era la mia ragazza.
Presi un paio di pantaloni dalla valigia cercando di soppesare le mie
opzioni.
Nero e oscuro o colorato e casual?
Il nero era senza alcun dubbio il mio colore preferito, ma avevo anche
imparato ad indossare altro. Quando si ha il nero dentro, non importa cosa
appare all’esterno o di che colore è il tessuto che uno indossi. Il nero la
vince sempre.
Afferrai i jeans sdruciti che avevo comprato anni prima in America e una
camicia nera semi elegante. Mentre litigavo con i bottoni sentii il mio
cellulare squillare.
Scavai tra la pila di roba buttata per terra per trovarlo. Guardai il
display.
Seppo.
“Pronto?” dissi chiedendomi cosa avesse da dirmi di così importante da
cercarmi.
“Ville, scusami se ti disturbo so che sarai occupato, ma è una questione
di grande importanza”.
Mi sedetti sul letto incrociando le gambe e accendendomi una sigaretta.
“Dimmi tutto”.
Sentii dall’altro capo del telefono Seppo che
si schiariva la voce. Ebbi il presentimento che non fosse una cosa piacevole.
“Qualcuno ha fatto una soffiata alla Warner Italia, sanno che sei li e…”
Cazzo. Non lo lasciai finire, Warner Italia significava solo guai. Warner
Italia significava Eleonora Trevi. La direttrice dell’export straniero che si
occupava del lancio dei nostri album qui.
“… e Eleonora vuole vedermi” conclusi la frase per lui. Indeciso se
mettermi a ridere o imprecare.
“Si, non mi chiedere come, ma sa in che albergo sei e ti aspetta per un
aperitivo in un bar li sotto”
“Seppo non se ne parla proprio” urlai “devo
andare a cena dai genitori di Bianca e di certo non posso declinare l’invito
per Eleonora, ora la chiami e le dici che se proprio ha il bisogno impellente di fare due chiacchiere con me, che
trovasse un altro giorno”
Venendo qui non mi era assolutamente passato per la mente che ci sarebbe
stato quello che noi affettuosamente chiamiamo “The Trevi Gate”.
Erano anni che la manager mi faceva proposte indecenti e insisteva per portami
a cena da sola ogni volta che mi trovavo nel suo raggio d’azione. Da parte mia
non c’era mai stato minimo interesse, era una quarantenne troppo curata, troppo
attaccata ai soldi e decisamente somigliante a una piattola. Ma non avevo mai
potuto rifiutare di incontrarla, da lei dipendevano le distribuzioni dei nostri
album qui e non si poteva rischiare un “incidente diplomatico” perché io facevo
il difficile. Ma questa volta non ci sarebbero stati santi.
“Ville, ti ci vorranno solo 30 minuti o meno. Lei domani parte e lo sai
quanto ci tiene…”
Si che lo sapevo quanto ci teneva e sapevo anche che avrei dovuto dare un
tranquillante a Bianca appena lo sarebbe venuta a sapere.
“Ora ti devo lasciare” continuò “ti chiamerà a breve per dirti il posto”
chiuse in fretta la chiamata lasciandomi a riflettere.
In quel momento Bianca uscì dal bagno avvolta solo da asciugamano nero e
con i capelli bagnati. Mi distrassi un attimo godendomi lo spettacolo e poi mi
avvicinai, non troppo però, sarebbe stata capace di lanciarmi qualcosa.
“Bi, mi ha chiamato Seppo” iniziai sedendomi
sul lato del letto dove si stava asciugando i capelli.
“Ah si? Me l’hai salutato vero? Mi manca tanto” disse con lo sguardo
triste, lui le faceva da padre e da confidente, un po’ come con tutti noi.
“No, andava di fretta, mi ha chiamato per dirmi che la Warner ha saputo
che sono qui…”
La lasciai fare due più due, quando si trattava del Trevi Gate, la mia Bi era più sveglia di quanto già non fosse.
Improvvisamente il phon che aveva in mano non mi sembrò più tanto
innocuo, spostò l’impugnatura fino a poterlo usare come arma contundente.
“Warner uguale Eleonora? O mi sbaglio?” chiese, era ovviamente una
domanda retorica ma mi sbrigai a rispondere.
“Ebbene si” risposi mestamente.
“E cosa vorrebbe questa volta? Non ha ancora capito che non sei il suo
zerbino? E che sei sposato con una fantastica e perfetta ragazza come me?”
Anche incazzata sapeva come farmi ridere. Potevo mai amarla di più?
“E’ praticamente qua sotto, vuole che vada a prendere un aperitivo
conlei”.
1…2…3
“Cosaaaaaaaaaaaaaaa????” urlò brandendo il phon
con fare pericoloso.
“Guarda amore, se era un altro giorno non me ne sarebbe fregato nulla, di
certo non ho paura di quella sgallettata che ti fa la
corte, ma stasera devi venire con me ne va della mia sanità mentale”.
Mi sporsi per prenderle la mano.
“Bianca, domani parte e lo sai…”
Si rabbuiò. “Lo so, lo so, ma io sono incinta e ho bisogno di sostegno
emotivo. Il fagottino frignante che sta qui dentro è tutta colpa tua e per
farti perdonare del fatto che io stia diventando una balena perlomeno dovresti
farmi da spalla in situazioni ostiche, non trovi?” disse indicando il pancione
e fissandomi trucemente.
Io alla parola fagottino ebbi un flash ripensando alla sera che avevo
scoperto dell’arrivo del bambino. La notizia che in pochi mesi avrei avuto una
vita tra le braccia, una creatura di cui occuparmi, mi aveva terrorizzato e non
poco. Poi avevo visto la faccia di Bianca che mi sorrideva come a dire “insieme
ce la possiamo fare” e decisi di lasciare le preoccupazioni al dopo. Non sapevo
se sarei stato un buon padre ma perlomeno ci avrei provato.
Bianca intanto attendeva una mia risposta, la presi tra le braccia
facendola sedere sulle mie ginocchia e baciandola delicatamente sulle labbra.
“Non provare a imbonirmi così, subdolo che non sei altro” mormorò mentre
scendevo a baciarle il collo nudo e facevo scivolare via l’asciugamano andando
carezzare la pancia. Con la lingua percorsi la discesa tra il seno e l’ombelico
facendola rabbrividire e rilassarsi.
“Tu che dici Eva, la mamma e la zia Elena ce la faranno da sole senza di
me per una mezzoretta?” chiesi alla bimba appoggiando la bocca sulla pelle
calda dello stomaco.
Bianca mi distolse dal discorso unilaterale con la mia bambina tirandomi
per i capelli.
“Non fare il furbo con me Mister Valo, quella
bambina ti direbbe di si anche dalla pancia, non oso pensare a quando sarà grande…” disse scuotendo sardonicamente la testa. “Facciamo
così, per quanto tema l’idea di presentarmi li senza di te perché so già cosa
succederà. Tu devi fare il tuo lavoro e devi dire a quella zoc”
le tappai una mano con la bocca, niente parolacce davanti a mia figlia “si
quella li insomma, che tu sei sposato e che se ti si avvicina di nuovo la tua
tenerissima moglie le spaccherà la fronte, ci siamo capiti?”. Mi sorrise, ma
non come sorride Heidi, piuttosto come sorride Joker. Se Eleonora avesse visto
la faccia di Bianca in quel momento, ci avrebbe pensato due volte a voler
prendere un aperitivo con me.
Detto questo Bianca raccolse l’asciugamano, prese il telefono e chiamò
Elena per dirle di farsi trovare nella hall entro dieci minuti, poi si vestì
velocemente indossando la gonna che aveva preso al Bacillario
euna camicia grigia con pizzi neri. I
capelli lisci e neri erano sparati da ogni parte e sulle labbra aveva un velo
di rosso.
“Fermati” la presi e la baciai “sei bellissima”. Mi aspettavo che mi
avrebbe spinto via urlandomi una delle sue migliori frasi sarcastiche, invece
si strinse contro di me baciandomi a sua volta, nell’atto riempiendomi la
camicia di rossetto rosso.
“Ti ho lasciato sul comodino l’indirizzo dei miei, e non ti azzardare a
pulirti dal rossetto, la tipa deve capire che Ville Valo
è mio” annunciò ridendo staccandosi da me per prendere la borsa e raggiungere
sua sorella.
“Ti amo anch’io” le urlai mentre si allontanava e mi preparai
psicologicamente all’incontro con la piattola.
@EtherealClover: *siallontantana
velocemente stile gambero, terrorrizata dalla furia Lallica* ma grazieeeeeeeLalsss!! Avendo giurato di non rinnegare più i miei miseri
scritti, mi inquino a te per il commento e ti supplico in ginocchio di non
mandarmi Bam, pliiiiizz*valoeyes*
@blaise_sl_tr07: *________* grazie davvero per il
commento, è piacevole come una cioccolata calda d’inverno leggere commenti del
genere *enormi occhi a cuore*.
Spero che anche questo meriti (ho i miei dubbi eh, ma stiamo a vedere XD) bacioneee
@lithi:costumi nah, ma ho una marea di robina
nera e una bella camicia viola tutta fession che so
che faranno molto effetto ai suoi occhi di finnico XDXD
@Cherasade: ha tardato un po’
l’aggiornamento ma c’è…tra la valigia e migliaia di
altre cose da fare i poveri Bi e Ville sono passati in secondo piano. Anche
loro cmq ringraziano sentitamente per i complimenti e si inquinano
profondamente U.Ubaciii
@OOgloOO: Grazieeeemilleee!!! Eh si il
sommo è il sommo, non c’è che dire, me molto grata che anche gli altr due pezzi della storia rimangano graditi^^ un bacione
Ed eccomi
tornata dalla Finlandia…dire che ho trovato un posto
da chiamare casa è semplicemente un eufemismo, ogni singola cosa mi ha rapito e
fatto sua, ogni raffica di vento, ogni silenzio, ogni sorriso, ogni angolo di
verde. Ma penso che dal cap 8 (il primo scritto dopo
la FI) si inizierà a capire che a quanto pare non esiste solo il Mal D’Africa
ma anche il mal di Finlandia e giusto io me lo dovevo prendere…
Capitolo 6
“Poison Girl and Husband are glad to present…”
I
did it all just for her
I did it all just for her
And love wants us dead
Just me and my poison girl
I did it all just for her
I did it all just for her
And love's heart is death
For me and my poison girl
Lanciai un bacio a Ville che era rimasto seduto sul
letto e di corsa mi diressi verso la hall. Me lo sentivo che alla fine sarebbe
successo qualcosa che avrebbe rovinato il mio piano perfetto, arrivare li con
tutta la famigliola al completo fare sfoggio di gran felicità, zittire ipettegolezzi e andarmene via dopo poche ore
con un peso in meno e l’anima risollevata. Ma no, ovviamente a me non poteva
andare tutto bene. Sfiga era il mio secondo nome. Mentalmente iniziai a
preparare colpi di risposta alle frecciatine acide che mi avrebbero colpito e
pregai che Ville si liberasse presto di quella lurida donna e mi raggiungesse
presto.
“Dov’è il secco?” chiese Elena che nel frattempo mi
si era avvicinata. Vedendoci vicine eravamo uno spettacolo simpatico, lei
fasciata da un vestito di cotone nero pieno di pizzi rossi e delle calze a rete
viola, contornata da varie catene e anelli di cui aveva fatto scorta a Helsinki.
E poi io, che sembravo uscita da un film horror degli anni venti, con la mia
gonna a balze nera e una camicia decisamente gotica, il pancione dava
all’effetto finale un che di famiglia Addams. Dovevo
dire a Ville se invece di Eva gli sarebbe piaciuto come nome Mercoledì, la
pargola non avrebbe apprezzato ma noi ci saremmo morti dalle risate per anni,
senza dubbio.
“Ha da fare…il Trevi Gate” dissi mestamente, anche Elena sapeva la storia, ormai
era diventata una barzelletta tra di noi.
“Ancora lei?” disse Elena ridendo “quella
vecchiaccia non ha ancora capito che questo corteggiamento non s’ha da fare?”.
“Sembrerebbe di no, comunque ci raggiungerà entro
breve, e sarà meglio per lui che si sbrighi altrimenti vado io li e lo prendo
per i boccoli d’oro che si ritrova.”
Piegandosi in due dalle risate mia sorella mi prese
sottobraccio e insieme uscimmo dall’albergo per prendere il taxi. “Ci sarà da
divertirsi, senza Ville immagino solo i commenti che potranno uscire dalla bocca
di quelle serpi” disse Elena dando voce ai miei pensieri mentre la macchina
percorreva le vie di una Roma illuminata quasi a giorno e trafficata come
sempre. Non sarebbe stata più la città eterna senza il suo perenne traffico.
Esattamente venti minuti dopo eravamo davanti la
porta di quella villetta tanto curata quando eccezionalmente brutta. Uno
specchio veritiero e coerente di coloro che ci vivevano dentro. Prima di
scendere dal taxi presi il telefonino e scrissi un messaggio a Ville, intendeva
essere minatorio, ne uscì qualcosa di più smielato che acido.
“Sono qui davanti.
Dovresti essere qui a fianco a me a tenermi la mano e farmi i tuoi sorrisi che
illuminano la notte, invece ho solo quella sciroccata di mia sorella che
conoscendola sta scommettendo dopo quando inizierò a urlare. Sbrigati!!! Tua
disperatissima moglie e unico amore”
Premetti il tasto di invio, sistemai la gonna, pagai
il taxi, feci un respiro profondo e …
Ero pronta.
Non facemmo in tempo a scendere dalla macchina che
mia madre e mia nonna, vestite di tutto punto fecero la loro comparsa sulle
scalette che portavano all’ingresso. I loro sguardi prima coperti da un sorriso
falso come i miei capelli tinti, si incurvarono in una smorfia di semi disgusto
e con mio sommo disprezzo iniziarono a parlottare tra di loro, attendendoci
invece di venirci incontro. Presi per mano Elena e affrettai il passo.
Prima entravo, prima ne sarei uscita.
Nel frattempo alle due si era aggiunta anche mia
cugina, Linda, un essere meschino, brutta come la fame poverina, che
stranamente si era sempre sentita in competizione con me cercando di superarmi
in ogni cosa che facevo e quandonon ci
riusciva amava spifferare ogni mio malfatto a mia madre. Quello che si chiama
una cugina d’oro.
Ancora tre passi e le avrei raggiunte, rallentai
gradualmente l’andatura e mi appoggiai una mano sul pancione cercando conforto
da Eva, che già a soli tre mesi di vita sapeva come infondermi pace e
tranquillità.
La prima cosa che sentii fu questa.
“Ma che cosa hai addosso?” quasi strillò mia nonna
indicando l’heartagram che indossavo.
Poi fu la volta di mia madre.
“Ma sei incinta” disse indicando la mia pancia ormai
non più nascondibile.
E infine la serpe. Linda.
“Ma dov’è il tuo fantomatico uomo?”
Presi un respiro profondo, strinsi la mano di mia
sorella, e risposi. L’educazione prima di tutto, pensai.
“Ho indosso il simbolo della band di mio marito,
nonna. E si, sono incinta, di tre mesi. Una bambina” annunciai fiera. Feci una
pausa, la questione Ville era più ostica. “Mio marito” dissi calcando la parola
“ha avuto un importante questione di lavoro da risolvere, ci raggiungerà a
breve”.
“Ah si? Doveva andare a fare la giornaliera offerta
a Satana?” disse Linda.
Credeva di essere simpatica non c’è che dire.
“No quella l’ha già fatta prima Linda, ora stava
facendo quella a Zeus, sai com’è, mai trascurare i dèi dell’Olimpo” dissi
ridendo, non avrebbero mai capito il sarcasmo ma continuavo a provarci.
“Vogliamo entrare?” proposi.
Le tre arpie si voltarono insieme non prima di avere
salutato anche Elena sempre con una punta di disgusto nella voce. Ma lei era
tranquilla, come sempre, ormai non avevo assolutamente più da stupirmi.
Dentro casa sparsa per il salone ci sarà stata una
buona metà della famiglia, sembrava si fossero tutti riuniti per veder tornare
in patria la freak. In un lato scorsi Poldo e Boldo
che borbottavano qualcosa nella loro strana lingua che era un incrocio di
ignoranza e romano imparato male, di italiano nemmeno parlarne ovviamente.
Seduti ad un tavolo c’erano vari zii che attingevano dal copioso antipasto, non
li degnai di uno sguardo, stavo cercando Kiki, meglio
conosciuta come Chiara, l’unica cugina che adoravo, la sua presenza alla cena
mi aveva certamente rassicurato ma ora non la vedevo da nessuna parte.
Improvvisamente mi sentìì abbracciare da dietro.
“Indovina chi sono?” disse una voce familiare.
“Cucciolaaa!” mi girai
immediatamente per andare a incontrare il volto dolce e gentile della mia
cuginetta di 15 anni, e la abbracciai stretta. Elena si unì all’abbraccio di
gruppo.
“Insomma” disse Kiki
sciogliendosi dall’abbraccio “dov’è Ville?”. I suoi occhi erano due stelle, lei
sapeva chi era, anche troppo bene. Quando aveva solo dieci anni avevo preso mia
sorella e lei istruendole alla musica da ascoltare. Gli HIM erano i primi della
lista.
“Luce ci raggiungerà tra poco” risi.
“Ah spero bene per lui, ho migliaia di cose da
chiedergli e fargli firmare. Dici che non si infastidirà”
“Se lo fa vieni da me, lo rimetto in riga io”
Scoppiamo a ridere tutte insieme. Iniziavo a sentire
la stanchezza e la tensione e non sapevo per quanto ancora mi avrebbero retto
le gambe, inoltre continuavo a darmi della stupida perché per quanto fossi
cosciente che da sola ero in grado di sopportare questa situazione e uscirne
egregiamente, volevo lui, lo volevo qui al mio fianco pronto a farmi ridere
come faceva sempre, pronto a sdrammatizzare ogni cosa, pronto a tenermi tra le
sue braccia magre eppure così sicure.
“Bianca, meglio che ti siedi” mia sorella si era
evidentemente accorta del mio pallore e mi stava facendo sedere sul divano.
“Insomma” mia madre si era avvicinata insieme ad
altre parenti che non vedevano l’ora di impicciarsi “siamo curiosi tutti di
sapere quando finirà quest’esilio infantile e deciderai di tornare qui. Anche
se non so se Roberto ti rivorrà con un pargolo, lui è sempre stato disposto a
riprenderti sai?”
Mi voltai verso mia sorella. Poi verso Kiki. Entrambi i loro volti erano scioccati come il mio.
Avevo capito bene allora.
“Esilio? Tornare qui? Stai scherzando spero” dissi
pregando che non stesse dicendo davvero tali cose.
“No che non scherzo Bianca”. Non le diedi il tempo
di finire.
“Io non ho alcuna intenzione di ritornare in Italia,
ne quantomeno di rimettermi con Roberto. Sono sposata e molto felice, grazie”
“Ora dici così per spirito di ribellione, hai sempre
voluto fare l’anticonformista, ma lo sappiamo tutti che prima o poi tornerai
all’ovile, tanto poi non vi sarete sposati in chiesa immagino, non ci vorrà
molto a divorziare.”
Lo stava dicendo come se ci credesse davvero. Come
se fosse convinta che la vita che mi ero faticosamente ricostruita fosse una
bugia, un gioco. E tutti gli altri sorridevano, anche loro parte di questa
messa in scena, non potevo lasciar correre. Mi alzai in piedi, raccogliendo le
forze.
“Mamma, e tutti voi, miseri borghesi che vivete una
vita falsa e monotona. Di certo non posso farvi capire cosa si prova a
respirare libertà lontano da qui, in un paese sincero e onesto. Non posso
sperare nella vostra comprensione questo è un dato di fatto, ma tornando non mi
sarei nemmeno immaginata un farsa del genere. Come potete anche solo pensare
che potrei rinunciare a quello che ho ora per il nulla che avevo qui?” la mia
era una domanda retorica, ma Linda si sentì tirata in causa.
“Ah si? E cos’hai?” chiese con malizia. “Un marito
inesistente, un gruppo di satanisti e qualche amico che sta con te per pietà?”
Potevo sentire la rabbia repressa per anni salire
su, la gola mi bruciava, le parole lottavano per uscire, caustiche e acide. Il
cuore andava a mille. Ma prima che potessi rispondere mia sorella prese la
parola, mettendosi davanti a me.
“Ha me” disse “ e già questo dovrebbe bastare. Siamo
insieme in questo esilio come lo chiamate voi, un esilio adorabile e mai così
amato. Per quanto ciò che siamo e come civestiamo non possa rientrare nei vostri canoni di normalità, sappiate
che nemmeno voi rientrate nei nostri. Bigotti con cervelli rinsecchiti dalla
troppa televisione, meschini e incattiviti da una vita senza stimoli. Se voi
criticate noi, noi critichiamo voi”
“Elena, ora basta” si intromise mio padre “hai già
dato abbastanza fondo alla tua innata stupidità e infantilità”.
Chiamate mia sorella come volete e rimarrà calma. Ma
datele della stupida ed è capace di saltarvi al collo. Le presi un braccio e me
la tirai a fianco.
Era una situazione così paradossale, volevo ridere
per non piangere. Come potevano nel 2008 succedere ancora queste cose? Che
qualcuno mi desse una spiegazione, perché io le avevo finite.
In quel momento sentìì il
cellulare squillare. Guardai il display, un sorriso mi illuminò il volto, quel
sorriso che sono lui sapeva tirarmi fuori.
Era un messaggio: “Sono qui fuori”.
Senza degnare di uno sguardo la famiglia che si
accorpata per seguire il diverbio mi lanciai fuori, mandando a quel paese tutte
i miei castelli d’indipendenza. Avevo bisogno di Ville, e solo ora mi rendevo
conto di quanto stare insieme a lui rendeva la mia vita completa.
Aprii la porta quasi con ferocia, ed era li
sorridente, appoggiato ad una colonna con le mani in tasca ed il fedele
cappello viola in testa. Mi lanciai tra le sue braccia e come una bambina
piccola mi feci stringere contro il suo petto e confortare dalla sua voce.
“Ho fatto presto hai visto?” mi disse carezzandomi i
capelli.
“Come hai fatto?”
“Il tuo rossetto ha fatto il suo dovere, appena l’ha
visto ha messo su il muso, e sentendomi parlare solo di te e di Eva. Non poteva
che arrendersi.” Continuò ridendo.
“Ben le sta" dissi accoccolata contro di lui.
Avevo il mio pezzo di paradiso qui con me, ora potevo anche rientrare e
affrontare la gabbia dei leoni.
@ Ethereal
Clover: lalli a
volte mi fai paura XDXD però me mooolto onorata e mi
inquino per ringraziarti (sappi che date le mie precarie condizioni di salute
potrei rimanerci)…me così felice che i miei zucchigonisti piacciano a qualcuno ahahah
ed ora col mio mal di gola vado a consolarmi facendo il corso di finnico..ma
quanto adoro ripetere puhutko? *___*
@ Cherasade: oooh ci stava tutto il
fazzolettino e le lacrime…al ritorno ne avrei avuto
davvero bisogno, se avessi potuto mi sarei attaccata a torre valo enon me ne
sarei più andata. La figlia del Baltico è troppo bella. Grazie per il commi, me
commossa *_*…il cap post Fi
sarà l’8 per adesso c’è ancora roba arretrata
@ OogloOO: ma grassssieee è stato
tutto bellissimo sighsob…ma
Bianca si fida di quella zucchina di suo marito, anche se avrei dovuto far un pensierino
a mandarla a fare del serio male alla tipa
@ blaise_sl_tr07: sono tornata impaccata di fotinefighissime se vuoi ti linko il mio flickr dove ho messo le più belle. Per il resto, grazie per
il commento, davvero non me lo merito per questa umile storiellina *inquino*
@ lithi: la cartolinaaaaaJuuuules non avevo l’indirizzo, ma rimedierò con un sacco
di porcherie finniche!!!! e la prossima volta te ne mando un carico intero…grazie per il commi tesoooro,
spero di vederti lunedì
L’ultimo capitol scritto prima
della Finlandia…avviso come disclaimer
prima di ricevere pomodori marci che dopo Helsinki la storia ha preso una piega
diversa da come l’avevo concepita, spero non faccia troppo schifo XD
Baciiii
Enjoy
Capitolo 7
Your arms are my castle
Your arms are my castle,
Your heart is my sky.
They wpe away tears,
That I cry.
The good and the bad times,
We've been through them all.
You make me rise,
When I fall!
(Every Time We Touch – Cascada)
Ripensavo ad una frase che Ville mi diceva spesso, l’aveva cantata, l’aveva
sussurrata, l’aveva scritta. Nella gioia e nel dolore la mia casa è tra le tue
braccia. E stretta contro di lui, i suoi occhi gentili e dolorosamente perfetti
dritti sul mio volto, protettivi e seri mi trapassavano l’anima ricordandomi
ogni istante ancora che la mia casa non erano quattro pareti di cemento
riempite di mobili e foto, il luogo dove il mio cuore aveva messo le radici
erano le sue braccia secche e il suo petto magro contro cui raggomitolandomi
potevo sentire il ritmo della mia vita.
Mi guardai intorno, quel posto era sempre lo stesso, ero io ad essere cambiata.
Finalmente abbracciata al mio uomo, con la nostra bambina a rendere difficile
un avvinghiamento da polpo, che era la nostra
specialità, presi il suo viso tra le mie mani fredde e feci in modo di avere i
miei occhi alla stessa altezza dei suoi.
“Grazie, perché per quanto tu sia lunatico, pazzo, pieno di complessi e
dannato come solo un principe della notte può essere. Sei la mia luce e la mia
casa. E quando ogni cosa era contro di me, mi hai accolto e mi hai reso
completa. Senza di te sarei un sassolino inutile in un parco con migliaia di
fiori molto più interessanti, grazie a te ora sono perlomeno un pezzo di
prato.” Gli dissi ridendo, non ero mai stata romantica, ne sdolcinata, toccava
spesso a lui farmi fermare il cuore con le sue frasi e le sue canzoni, ma sarà
stata per colpa degli ormoni o della situazione, in quel momento avrei potuto
continuare all’infinito.
“Bianca…”sussurrò.
“Shhh, per una volta fai parlare me” risposi
poggiandogli delicatamente un dito sulle labbra.
Non feci in tempo a formulare un altro pensiero che sentii un cancello
sbattere dietro di me e le mie orecchie captarono uno sbuffo sonoro e
familiare. Mi voltai di scatto, maledicendo la mia sfiga, l’aereo che mi aveva
portato qui, e la cicogna che aveva sbagliato strada alla mia nascita.
“R-r-r-oberto?” gridai con la voce strozzata
nascondendomi dietro a Ville che incuriosito seguiva i miei spostamenti con lo
sguardo.
“Di grazia, Bi, cosa cazzo stai facendo?” disse sempre con la solita
delicatezza riportandomi a fianco a lui e prendendomi la mano portandosela
dietro la schiena come a voler che mi avvinghiassi a lui. Innamorata si,
manon bambina di cinque anni.
“Fermo, per una volta sfruttiamo la tua altezza, fai il bravo e nascondimi,
su su” gli dissi cercando di spostarlo davanti per
coprirmi. Sapevo che era un tentativo vano, ma qualcosa dovevo farlo, qualsiasi
cosa pur di evitare ogni contatto con la persona che era appena entrata.
Ma era già troppo tardi.
“Bianca?” la voce sin troppo conosciuta era indirizzata a me.
Roberto, il mio vecchio fidanzato, un essere terrificante della cui
stupidità mi ero accorta davvero troppo tardi.
“Ciao” dissi con una voce che avrebbe tagliato il cemento.
Vidi il suo sguardo correre su di me, e sulla persona a cui ero
abbracciata. Non capiva. Lo sguardo era vacuo e indispettito. Un sorriso
malefico mi crebbe sulle labbra, nessuno doveva avergli detto di Ville.
“Cosa ci fa la mia ragazza tra le tue braccia?” disse rivolto a Ville.
La sua ragazza? Aveva avuto un’amnesia fulminante e si era dimenticato gli
ultimi due anni?
Ville mi fissò aspettando che gli traducessi cosa aveva detto Roberto,
quando lo feci mi guardò scoppiando a ridere, si girò verso di lui fulminandolo
con un’espressione sardonica, uno di quei suoi sorrisi dove sapevi, o almeno io
lo sapevo, che stava prendendo in giro qualcuno.
“Roberto, non ti capisce, non parla italiano” dissi continuando a
sorridere.
“What you do with mi
girlfriend?”. Il suo tentativo di parlare inglese mi provocò un accesso
di risa, non riuscivo a smettere.
“What?!” disse Ville. “Bianca, penso di aver
capito chi sia e sono convinto che si sia perso qualcosa, mi faresti la grazia
di spiegarglielo prima che lo attacco al muro più vicino? Kiitos”
“Ai suoi ordini, capo” dissi mettendomi sull’attenti per sfottere il suo
tono diventato quasi serio.
“Roberto” dissi parlandogli come si parla ad un bambino di cinque anni “non
so cosa ti abbiano detto, ma io non sono più la tua ragazza, capisci? Due anni
fa ti ho lasciato, sono andata in Finlandia e ora sono sposata. Con lui”
indicai Ville “è tutto chiaro?”.
“Sposata? Ma tu dovevi sposarti con me. Tua madre mi aveva detto che
saresti tornata e che in realtà non mi avevi mai lasciato ma ti stavi solamente
prendendo un periodo di pausa…”
Ero sconvolta. Mia madre continuava a stupirmi, lei e il piccolo mondo di
bugie che si era creata attorno solo per non affrontare la pura e semplice
verità. Io non ero la figlia che lei credeva di avere. Non sognavo un
matrimonio in bianco, una villa a bordo città, un circolo di amici con cui
andare a mangiare il sabato sera, ne avevo il bisogno di apparire perfetta agli
occhi degli altri- e lei questo non lo concepiva. Come poteva sua figlia,
cresciuta secondo stretti principi voler dalla vita delle cose così alternative
e strane. Ma soprattutto come poteva stare con un uomo del genere?
Improvvisamenteun immagine invase
la mia mente, il matrimonio che mia madre avrebbe voluto per me, in bianco, con
200 invitati se non più, in un posto di classe con bomboniere sfarzose e
addobbi floreali che avrebbero fare andar in banca rottaun paese del terzo mondo. Vidi me in mezzo a
quella gente, a quella festa, e mi vidi spenta, senza ragione di vivere. Poi la
mia mente mi regalò un'altra immagine…
Ruovesi. Un piccolo pezzo di paradiso
affacciato su uno dei migliaia di laghi finlandesi. Un cottage piccolo e
intimo. Il giardino esterno privo di abbellimenti, reso suggestivo solo dal
grande potere di madre natura. Gli alberi frondosi e verdi avvolgevano un
gruppo di trenta persone che comodamente seduto su dei tronchi attendeva il
nostro arrivo. La musica lenta e dolce teneva compagnia ai pochi amici che
erano appena stati presenti al nostro matrimonio. Un giudice di pace ci aveva
sposati sotto un vecchio abete, lo stesso abete dove per la prima volta ci
eravamo detti ti amo, ed ora eravamo davanti al piccolo cottage, Ville mi teneva
stretta tra le sue braccia. Le parole non servivano in quel momento. Avevo
tutto. Ero finalmente completa. Lui era mio ed avevo avuto il matrimonio che
sempre avevo sognato.
Un cambiamento nella musica ci
riscosse dalla nostra bolla di gioia. Unadellemiecanzonipreferite.
I'll keep you company
In one glorious harmony
Waltzing with destiny forever
Dance me into the night
Underneath the moon shining so bright
Turning me into the light
“Balliamo Signora Valo?” mi disse Ville porgendomi la mano e trascinandomi
sulla radura abidita a spazio per danzare.
“Con piacere, my
lord”risposi inchinandomi leggermente come ogni dama che si rispetti.
Il mio vestito frusciava intorno
a me con grazia, facendomi sentire ancor più leggera. L’avrei voluto semplice e
nero, ma dopo aver visto la meraviglia che ora indossavo tra me e lui c’era
stato un colpo di fulmine.
Intorno al petto ero fasciata da
una giacca di raso bianco che sfumava nel viola della gonna, una nuvola di tulle
colore del tramonto inoltrato, andando a sfociare nel colore della notte più
fonda. Un vestito così puro eppure così oscuro. Era stato mio sin dal primo
sguardo. Ed ora mio marito, la mia metà, pensai ridendo. Mi teneva stretta
contro di lui facendomi volteggiare al ritmo di quella canzone così misteriosa
e straziante…E tra le sue braccia anche io, senza
ritmo e scoordinata, mi sentivo una principessa. Unica e importante. Non avrei
mai dimenticato quel momento.
“Mammaaaa” urlai riscuotendomi dai mieipensieri e dirigendomi di corsa verso
l’interno della casa, con Ville stretto al fianco. Questa volta avremmo
chiarito. Doveva capirlo, con le buone o con le cattive.
Prima però che potessi rintracciare mia madre tra la folla di parenti
ammassata nel salotto senza dare troppo nell’occhio, mi ritrovai ogni sguardo
puntato addosso. Anzi, precisamente ogni occhio era puntato sulla persona che
avevo almio fianco. Più alto di tutti
loro, scarno e dinoccolato, vestito di nero con la matita nera sotto gli occhi
che gli avevo messo obbligandolo a non fare storie, con i capelli sciolti
coperti solo dal suo solito cappellino viola e uno sguardo divertito. Loro non
potevano capire quando il suo apparire fosse interconnesso al suo essere, e
quanto il suo essere fosse perfetto in tutti i suoi difetti, in ogni imperfezione
lui era l’apoteosi del bellezza che giace nel difetto. Quando tante pecche si
uniscono in maniera così sublime non può che uscirne un prodotto perfetto, e
quel prodotto era mio e l’avrei difeso con le unghie e con i denti.
“Villeeeeeeeeeeeeee!!!!!!!!!!!!”
Mentre l’attenzione di tutti era rivolta nel giudicare mio marito, c’era
una persona che invece l’aveva già giudicato e l’aveva trovato ottimo, e non
aspettava altro che godere della sua presenza.
Kiki si era lanciata come un fulmine
verso di noi, una palletta frusciante di rosso e
viola.
Mi ero accorto degli sguardi insistenti rivolti a me, ma non feci in tempo
a elaborare la situazione che un uragano si avvolse contro di me. E mi prese le
mani tra le sue guardandomi con enormi occhi azzurri e luccicanti.
“Tu..tu…tu sei vero” disse quasi incredula.
“E tu devi essere Kiki” dissi ridendo e capendo
immediatamente che doveva trattarsi della cugina pazza di Bi, che da un anno a
questa parte mi mandava email deliranti facendomi le
domande più disparate. Ma era adorabile e conoscerla era un onore.
“Oh si certo che sono io” rispose passandosi le mani tra i capelli.
“L’unica e inimitabile”
Risi abbracciandola e dandole un bacio in fronte.
“E’ davvero un piacere conoscerti finalmente”
“Anche per me, non sai quanto”
Bianca nel frattempo ci fissava ridendo. Doveva aspettarselo che sarebbe
successa una cosa del genere.
“Ville, su su, hai tutta la vita per fissare
Bianca, adesso concentrati un attimo su di me, dobbiamo passare alle cose
serie” disse riportando l’attenzione su di lei.
“Cose serie” mi spaventava vagamente ma ero ben disposto a cercare di
esaudire ogni suo folle desiderio.
“Prima cosa, so che hai conosciuto Frank Iero dei
MyChemical Romance.”
Io annui, non capendo cosa c’entrasse con me.
“Bene, ora sappi che devi raccontarmi ogni minimo particolare su di lui”
annunciò con tono serio.
Ci riflettei un attimo. Frank era un caro ragazzo, non si sarebbe
arrabbiato se avessi fatto ciò che stavo per fare. Volevo stare con Bianca e il
modo migliore per mettere Kiki Ko era questo.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca, composi un numero, attesi risposta e
dopo aver mormorato qualche parola in finnico, una voce allegra e simpatica mi
rispose in un americano fortemente accentato.
“Frank amico, ho da chiederti un piacere, ho qui la cugina di mia moglie
chemorirebbe per parlarti…”.
Mi guardi un attimo intorno, Bianca si stava sganasciando dalle risate di
fronte alla reazione di Kiki, sembrava avesse visto
la Madonna, un fantasma e l’ologramma di Frank nello stesso momento.
“Passamela dai, ti devo un piacere no?” rispose la voce dal telefono.
“Ottimo” presi il telefonino e lo lanciai a Kiki.
“Vedi di non farmi fare brutte figure “ dissi prendendo la mano di Bianca e
preparandomi ad affrontare i suoi inquietanti parenti.
@ Cherasade: oooh si sono dei strunzi, diciamo che li ho un tantino calcati su una
famiglia che conosco…e fanno davvero così. Questa è
la cosa che fa paura. Mi inquino per i complimento, spero di continuare a
meritarli, dopo la Finlandia le cose sono un tanti nello cambiate XDXD la fic ha preso una piega mooooolto
diversa da come l’avevo concepita. Grazie per il commentinuz,
baciotti
@ Ethereal Clover: certo certo fai di
loro quello che vuoi Lalli, te li mando in consegna e
puoi usarli come pungiball personale, hai la mia
benedizione, basta che non ti fustighi e che non mi mandi B&B
@ lithi: eeeh si quel soggettone
credeva di poter competere col Dio Finnico…povero lui
ahahah è stato bellissimo rivederti figliola julsica *____* devo troppo venire da te a delirare a
ottobre!!! Grazie per il comm, asusual
@ kiki91: ma grashieee! Me si commuove, sul serio. Non
sono abituta a tutti questi complimenti ç_ç*siinchina*
Da qui cominciano i capitoli post-finlandia…anche se non serviva dirlo, sarà abbastanza
palese. La storia diciamo ha fatto tutto da sola, l’idea base era tutta altra…
The land of the dark songs (SynkkienLaulujenMaa)
Capitolo 8
Kun
minä kotoani läksin niin pilvet ne varjoili
Ja katkista katkerimman kohtalon mulle maailma tarjosi
Kylän karkeloissa tulin tyttösen tuntemaan
Enkä minä loistetta sinisistä silmistä unhoita milloinkaan
Eikä mun ikäväni haiadu täällä outojen seurassa
Ennen kuin kukkii se orjan ruusu minun hautani reunalla
Guardavo quell’insignificante gruppo di persone, ben vestite, curate, con
falsi sorrisi, impregnate di viscido bigottismo. Per loro ero pazza, esageravo,
volevo solo ribellarmi. Le loro facce erano quasi specchi, vi potevo leggere
l’incomprensione e il disprezzo, nemmeno si sforzavano a comprendere. Tutto
sommato non gliene facevo una colpa, come avrebbero potuto? Ma guardai Ville a
fianco a me, sorridente e in attesa di darmi man forte nella mia litigata,posai una mano sulla pancia e strinsi la mano
a Ville. Mi guardai intorno, pensai a cosa c’era davanti a me e a cosa avevo
creato li su nel mio piccolo angolo di paradiso e decisi che non ne valeva la
pena.
Mai avrebbero capito, mai mi avrebbero accettata e fondamentalmente, mi
resi conto, aveva smesso di interessarmi il giorno in cui avevo messo piede
all’aeroporto di Vantaa e la fragranza della libertà
mi aveva inondato completamente. Io appartenevo a quel luogo e qui, in un paese
che si stava uccidendo da solo, non avevo nulla da fare.
“Andiamocene” dissi a Ville. “Non ne vale la pena, non ho bisogno di re
instaurare un legame che non è mai esistito, voglio solo tornare a casa e
passare il resto della gravidanza a mangiare pulla e
sentirti cantare.”
Non so se lo aveva sconvolto di più la mia decisione di andare via o la
prospettiva di vedermi ingrassare e tramutarmi in un dolcetto finlandese, il
suo sguardo fu comunque memorabile, penso non aspettasse altro che fuggire via
da li. In questo eravamo molto simili piuttosto che affrontare le difficoltà
preferivamo rintanarci nel nostro piccolo bozzolo di pace, magari davanti ad un
fuoco acceso e con un libro in mano.
“Sei sicura Bi?” mi chiese con sguardo serio.
Annuii.
Respirai a fondo. Presi coraggio. Nella mia testa c’era solo il bellissimo
parchetto di fronte casa nostra, il sapore dell’aria, fragrante e pulito, il
verde che così verde non c’era, la neve, il vento ghiacciato, il manto bianco
che in quel momento ricopriva la mia adorata Suomenlinna
aveva già preso possesso della mia mente. Non vedevo più l’assolata Italia, ne
i fasulli addobbi natalizi, con il pensiero ero seduta da Koti
pizza a saziare le mie voglie con una bella Tropicana,
con davanti Ville che come al solito mi fissava dall’alto della sua pizza
vegetariana, sorridendo sotto i baffi. Era li che appartenevo e li volevo
tornare.
“Io me ne vado” annunciai ad alta voce.
Una decina di occhi sconvolti mi fissarono, ma non li vedevo. Ero già a
casa.
Due mesi dopo…
Raggomitolata sotto al gigantesco piumone che copriva il nostro ancor più
gigantesco letto cercai di sforzarmi per ricordarmi chi fossi, come mi chiamavo
e soprattutto perché avevo puntato la sveglia alle 8 di mattina in un gelido
giorno di febbraio. Rotolai senza grazia dall’altra parte del letto dove il mio
finnico preferito dormiva beato coperto da una copertina di lana e un pigiama
che chiamarlo pesante era un eufemismo. La mediterranea ero io ed era lui a
soffrire il freddo. Prima o poi qualcuno mi avrebbe dovuto spiegare questo
mistero.
Sperando di svegliarlo mi incastonai sotto al suo braccio tatuato e mi accoccolai
contro il suo fianco. Ma dopo due minuti non si era mosso di un millimetro e
ronfava beatamente ed io avevo caldo, anzi, per la precisione mi stavo
sciogliendo a temperature solari. Colpa degli ormoni pensai mentre scalza a
praticamente in canottiera mi dirigevo verso la finestra per aprire la tenda.
Se c’era un modo di svegliare Luce era quello di fargli assaggiare un po’ della
sua omonima. Ma aprendo le finestre mi resi conto che essendo le sei di mattina
qualche raggio di sole sarebbe arrivato solamente tra almeno 5 ore, non mi
restava altro che l’attacco fisico. Con il pancione già sovra misura che mi
ritrovavo non sarebbe stato facile, ma ce la potevo fare. Se io ero sveglia di
certo non mi poteva lasciare da sola.
Scostai le mille copertine provocandogli un involontario brivido che lo
fece rotolare verso il centro del letto in cerca del piumone, ma non gli diedi
tempo di ritrovarlo, mi sedetti a cavalcioni su di lui andando a cercare la sua
bocca. Gli diedi un morbido bacio di buongiorno, sfiorando prima le sue labbra
immobili divertendomi a scommettere quanto tempo ci avrebbe messo a rendersi
conto che un peso anomalo si era comodamente appollaiato sulla sua pancia magra
e delicata. Dopo appena qualche secondo sentìì le sue
labbra rispondere alle mie e le sue braccia muoversi velocemente per farmi
togliere dalla mia comodissima posizione. Mi ritrovai al suo fianco con gli
acuti occhi versi puntati verso i miei.
“Strega” mi apostrofò sbadigliando e stringendomi contro di lui, più che
per affetto lo faceva per scaldarsi, ma ormai lo avevo perdonato anche per
questa sua piccola debolezza, era un cucciolo freddoloso e non mi dispiaceva
assolutamente essere la sua stufetta personale. “Perché mi hai svegliato a
quella che deduco sia l’alba?” sussurrò.
“Dimmelo tu, la sveglia ha suonato ma non mi ricordo assolutamente perché
l’avevo messa, tu hai idea?” chiesi facendo enormi occhioni
a cuore.
Lo vidi riflettere e spostare la testa di lato come faceva ogni volta che
pensava intensamente.. Improvvisamente i suoi occhi si illuminarono, doveva
esserselo ricordato deogratias.
“Tra esattamente un’ora arriva Kiki in aeroporto”
disse orgoglioso di essersi ricordato una cosa una volta tanto. La sua memoria
aveva la consistenza di una groviera ammuffita ma fortunatamente c’ero io a
sopperire a questa mancanza, ma ora con gli ormoni impazziti tendevo a
scordarmi anche la mia data di nascita…povera Eva, si
sarebbe ritrovata due genitori oltre che pazzi come cavalli anche decisamente
smemorati.
“Porca lurida di quella banana verde” per evitare di avere una figlia che avebbre imprecato già dalla nascita tendevo a colorire i miei
insulti con metafore vegetali il che non rendeva assolutamente come i veri
epiteti che adoravo usare, ma almeno non mi facevano sentire in colpa.
“Hai ragione!!!” urlai alzandomi il più velocemente che potevo e afferrando
il telefono di casa per chiamare un taxi che possibilmente alla velocità della
luce ci avrebbe portati in aeroporto. Dopo aver chiamato il taksi,
con l’interfono chiamai Elena che era due piani sopra beatamente addormentata
tra le braccia della sua ultima fiamma, un giocatore di hockey con aspirazioni ingegnieristiche…chi la capiva era bravo, non c’è che dire.
“Ele, tra venti minuti pronta e linda che
dobbiamo andare a prendere Kiki”. Anche lei aveva
scordato ma non si fece problemi a imprecare in romano, italiano, finlandese e
inglese. Tappai virtualmente le orecchie a Eva, tirai fuori dal letto di peso
il finnico secco e mi cercai qualcosa da mettere…mentre
le mie mani arraffavano tra le migliaia di maglioni pesanti mi cadde l’occhio
su un capo che non mi ricordavo di possedere e un flash mi portò indietro di
due mesi.
“Come te ne vai?” mi disse Kiki implorante, aveva appena messo giù il telefono con
Frankie ed era sulle nuvole, probabilmente non vedeva l’ora di raccontarmi ogni
cosa che si erano detti, ma io dovevo andarmene anche se avrei voluto così
tanto passare del tempo con lei.
“Si bimba, ho fatto un viaggio a
vuoto qui, questo incontro non s’ha da fare e io ho bisogno di tornare a casa,
al freddo.”
Mi guardò con occhi tristi
speranzosa che io cambiassi idea.
Ville si intromise.
“Perché non vieni a trovarci
sotto carnevale, avete qualche giorno di riposo, no?” disse cercando di tirare
su il morale alla mia adorabile cugina.
“Davvero? Io, a Hellllsinki?” lo disse pronunciando varie L più del
normale. Il suo tono era già più allegro. “Sarebbe il paradiso, giuro che
potrei pagarvi per farmi venire su in Finlandia”. I suoi occhi erano due
cuoricini luccicanti.
“Bene allora parla con tua madre
e vedi se per lei è ok, se dice di si, a fine febbraio sei ufficialmente ospite
a casa Valo” le dissi sorridendole.
Agli altri parenti non rivolsi
più che una smorfia di superiorità sfoderando la mia migliore maschera di
cinismo, non ci furono bisogno di parole, ne di altre discussioni. Avevamo
sbagliato entrambi, loro a tentare di riportarmi nel mondo che avevo con gioia
abbandonato, ed io, stupida che avevo accettato di venire ben sapendo cosa
sarebbe successo.
Uscendo sentii la voce sibillina
di Linda
“Guardatela come se ne va con la
coda tra le gambe. Lei, quella drogata di sua sorella e quel poveraccio che se
l’è sposata” disse con acidità.
Mi girai a guardarla, le risi in
faccia, strinsi ancora più forte la mano di Ville che nel frattempo stava
internamente gioendo al pensiero di come si era scampato la situazione. Come
minimo mi avrebbe comprato un azienda di dolcetti alla cannella per
ringraziarmi della fuga precoce da quella terra così strana ai suoi occhi.
E come per magia fui fuori da
quel luogo così arido, sembrò passare in un attimo il tempo che ci volle per
riprendere le valigie dall’albergo, chiamare la Finnair per farci anticipare il
nome…non nego che pronunciare il nome Ville Valo durante la telefonata fu altamente d’aiuto, entro
poche ore eravamo tutti e tre pronti e languenti su una scomodissima
poltroncina a Fiumicino. Durante il viaggio in taxi verso l’aeroporto mi ero
guardata fuori, poco mi sarebbe mancato di quella terra, ormai i lacci erano
stati strappati e niente mi legava più li, la propria casa è nel cuore di colui
che si ama e nelle persone che si hanno attorno. E io avevo i miei due pezzetti
di legno e cemento a fianco a me che tenevano al caldo il mio cuore e me.
Mai quattro ore di volo passarono
più felici e spensierate. Elena era in piena verve creativa smanettando sul pc qualche insegna per chissà quale nuovo locale di Hell City, Ville strimpellava la chitarra che si portava
ovunque, cercando di dare i meno fastidio possibile a chi avevamo intorno, ma
essendo la prima classe di un viaggio infrasettimanale il resto della gente si
limitava a due signori anziani che tornavano a casa ed erano profondamente
addormentati.
Il rombo dei motori
all’atterraggio fu pura musica, mi fiondai fuori già col fido cellulare in mano
pronta a chiamare un taksi, ma non feci in tempo a
uscire dal terminal degli arrivi che vidi un flemmatico Seppo
che ci attendeva appoggiato ad una colonna. In un secondo ero abbracciata al
mio secondo padre e caro amico. Ville l’aveva avvisato che stavamo tornando
quando Seppo aveva chiamato per sincerarsi che con la
Trevi fosse andato tutto bene. E da bravo papà ci era venuto a prendere.
Tempo di vedere uscire Ville e
Elena con i bagagli e già eravamo in macchina sparati verso la città. Appena
vidi il porto mi meravigliai di come il mio cuore poteva farmi questi strani
scherzi, ero stata via solo due giorni eppure mi sembrava di essere stata
lontana anni e anni. Doveva essere la gravidanza. Passammo a fianco del Kauppatori per poi dirigerci su per Aleksanderinkatu
girando a destra per imboccare la lunghissima Mannerhmintie
che ci avrebbe portato su verso il nord ovest di Helsinki. A malapena riuscii a
trattenere le lacrime alla vista del parco di Tooloon,
del Kiasma, del verde che mi attorniava come a darmi
il benvenuto.
Ville si accorse immediatamente
del mio stato e mi avvicinò a lui.
“Ora lo senti vero?” mi chiese
dandomi un bacio in fronte.
“Ogni singola molecola lo sente”
gli risposi capendo immediatamente a cosa si riferiva. Per il primo anno avevo
faticato a capire il suo profondo amore per questa piccola città nascosta sulle
sponde del Baltico, riservata e silenziosa, i cui abitanti erano così
tranquilli da sembrare fantasmi leggiadri. Io non mi attaccavo a nulla, non
avevo radici, dove c’era lui io sarei stata benissimo. Ma adesso capivo che
senza Helsinki l’equazione non sarebbe più quadrata, io lui e la nostra città
eravamo il primo triangolo d’amore che avrebbe funzionato per sempre. Lei amava
noi e noi la amavamo senza remore. Un patto di fedeltà destinato a durare a
vita.
“Biancaaaaaa” Ville urlava dal basso. Io ero
ancora intenta a scegliermi i vestiti immersa nei miei ricordi. “Kiki è atterrata in questo istante, sbrigati”,
Mi catapultati giù sperando di non rotolare per le scale, essendo ormai
diventata tonda come una palletta da golf.
Giustamente inciampai sull’ultimo gradino, ma il finnico fu stranamente svelto
di riflessi e mi prese tranquillamente tra le braccia.
“Corri un'altra volta così per le scale e cucinerò io ogni sera per un
anno” mi disse ridendo ma con fare minaccioso.
“Agli ordini, capo” gli dissi prendendolo infilandomi sotto il suo braccio
per farmi avvolgere dal calore della sua spalla e ci dirigemmo fuori.
Ho un esame dopodomani e vado di
corsissima ç_ç mi dispiace non ringraziarvi tutte di
persona come al solito, ma il libro di Marketing mi reclama, quindi un GRAZIE
GIGANTESCOa lithi,
blaise_sl_tr07, frizz_np, kiki91,
Ethereal Clover. Luvyaguys!!!
Softly
the light shines in through
The gates of grace on me and you
Deceiving our restless hearts A flickering
flame so serene
Devours the night so we could see
The fear we hold on to so strong
But i know where i belong
Away from your gods
That heal all wounds and light this endless
dark
Il taksi
stava sfrecciando a velocità della luce verso Vantaa.
Avevamo convinto noi Kiki a prendere l’aero delle 5 di
mattina per farla arrivare in tempo per ammirare l’alba, che a Helsinki in quel
periodo era alle 11, uno spettacolo imperdibile. Vedere la sua faccia quando il
sole morbido e basso avrebbe baciato la città intorno all’ora di pranzo sarebbe
stato senza prezzo.
Elena era seduta dall’altro
lato del taksi intenta a parlare al telefono con Jonne, la sua ultima fiamma che per grande disperazione di
Bianca non era quel Jonne, biondo, etereo, cantante
dei Negative e mio caro amico, no, era un decerebrato giocatore di hockey sul
ghiaccio. Ogni volta che tale ragazzo metteva piede nella torre, Bianca dalla
sua postazione pc esattamente opposta alla porta di
casa lo bruciava con gli occhi. E se ero mal fortunatamente in casa me la
ritrovavo sbuffante che si veniva a rintanare in braccio a me, e non era
leggera, cerando di convincermi ad andare a cacciare il tipo.
“Tu sei Ville Valo, non può dirti di no” mi diceva ogni volta con occhi
imploranti. Gli ormoni le avevano dato completamente alla testa e le stavano
scombussolando la personalità.
“Love, come prima tappa dove
la portiamo?” mi apostrofò Bianca che si era staccata dal telefonino
svegliandomi dai miei pensieri. Mi voltai verso di lei appoggiandole soprappensiero
un braccio intorno al collo e stropicciandole le frangetta nera. Ero
perfettamente cosciente di soffrire di sindrome del polpo, ma da lei
principalmente, non riuscivo a togliere le mani di dosso, ogni sua bollente a
calda cellula attraeva le mie gelide e nordiche come i magneti si attraggono
tra di loro, o come mela e cannella fanno un sodalizio perfetto. Lei era la mia
mela paffuta e dolce, io la spezia timida e non gradita a tutti. Certe volte la
sera mentre Bianca già era nel mondo dei sogni la guardavo dormire, fissando il
suo volto tranquillo, aspettandomi che da un momento all’altro potesse sparire.
La solitudine mi aveva ossessionato per troppo tempo, e per tanti anni ero
stato convinto che per me non sarebbe mai arrivato quel qualcuno così perfetto
da poterlo guardare dormire ed essere felice, quel qualcuno che solo con una
parola poteva sistemare ogni cosa. Ma, alla fine il destino era stato magnanimo
e mi aveva fatto trovare Bianca, non avrei potuto chiedere di meglio.
“Portiamola a fare colazione
prima di tutto” le risposi. Non c’era niente di meglio che iniziare la giornata
a Helsinki con kahvijapulla, possibilmente seduti al caldo in uno dei bar del Kamppi. Meno stavo in giro, meno rischiavo di prendermi
l’ennesimo raffreddore.
“Ottima idea capo” ribattè Elena chiudendo la telefonata con la sua fiamma del
momento e sistemandosi meglio la sciarpa nera e il cappello di velluto che
aveva in testa, eravamo in vista dell’aeroporto e se era come pensavo, fuori
doveva fare qualche grado sotto lo zero. Bianca era troppo poco coperta come al
solito, completamente incurante che sia lei che Eva potessero ammalarsi senza
problemi.
“Bi, non pensi che una giacca
a vento e un paio di pantaloni di velluto siano un po’ poco?” le dissi
guardandola mentre si chiudeva la giacca e recuperava la borsa dal fondo del taxi.
Era meglio se mi fossi stato
zitto.
“L’unico finnico freddoloso
me lo dovevo andare a trovare io” mugugnò facendo finta di non avermi sentito.
“E’ il caldo a far stare male le donne incinta, te lo dico io. Un po’ di freddo
farà benissimo a Eva, vero piccina?” disse accarezzandosi la pancia. “Tu non
sarai come il tuo papà che muore di freddo d’estate.”
Presi il mento di Bianca e
lo sollevai all’altezza del mio volto. Le diedi un bacio morbido sul naso,
bollente e tondeggiante.
“Quando avrai una tosse senza
fine e disboscherai foreste per avere scorta di kleenex,
ricordati che non ti dirò te l’avevo detto solo perché ti amo più di me stesso”
le sussurrai percependo il taksi che si fermava.
“Non ce ne sarà bisogno,
piccolo principe ghiacciato, sei tu il cerotto di casa”. Mi apostrofò ridendo.
Vidi Kiki
spuntare dal gate degli arrivi coperta da strati e
strati di vestiti ma con un sorriso che avrebbe illuminato anche questa buia
giornata nordica. Ville era a fianco a me cercando di non sciogliersi per tutta
la roba che aveva addosso. Appena ci vide si fiondò immediatamente tra le mie
braccia trascinandosi dietro armi e bagagli e non senza rumore. Un po’ della
popolazione locale si voltò per dare un volto a quel fracasso così inusuale, ma
presto persero interesse. I finnici si fanno di media i fatti loro, ma non
disturbare la quiete dei luoghi pubblici, come la danno loro un occhiata
gelida, nessuno ci riesce mi aveva detto Ville nei primi mesi di permanenza
qui.
“Tesoro!” gridai
ritrovandomela tra le braccia, era talmente più alta di me che poteva mangiarmi
in testa ma mi sforzai comunque di abbracciarla come si deve e spupazzarla
prima che venisse reclamata da Elena che se stritolò per bene e poi la prese
sottobraccio. Con occhioni luccicanti guardò poi
Ville che aveva le mani in tasca e sogghignava.
“Ciao scricciolo” le disse
sfoderando uno di quei sorrisi che stenderebbero un statua di cemento armato.
Lui si che poteva chiamarla scricciolo, gigante che non era altro. Tsk.
“Salve Maestà” rispose la
mia cuginetta facendo una sorta di riverenza accennata. “Come stanno le
vossignorie quest’oggi?”continuò Kiki in un inglese
che migliorava di mese in mese.
“Mah se questa sciroccata di
tua cugina non mi facesse impazzire giornalmente tutto andrebbe più che bene”
le rispose.
“Vile essere quale non sei
altro..” gli diedi un cazzotto sulla spalla mettendomi in punta di piedi.
“Ouch,
mi hai fatto male”.
“Ben ti sta, così impari a
non portarmi il rispetto che merito”. Indignata mi allontanai a braccia
incrociate prontamente ripresa da lui che senza troppa difficoltà mi avvicinò a
se impedendomi di muovermi. “Queste smancerie non serviranno a farti perdonare
mio adorato” gli dissi.
“Ah no?”. Una mano bollente
si fece strada su per la mia schiena lasciandomi senza fiato.
Un colpo di tosse ci
distrasse.
“Ma fanno sempre così?”. Era
la voce di Kiki.
“Sempre” il tono di Elena
era serio e rassegnato. “E ora sono in pubblico. Vedrai a casa, se mi facessi
pagare per ogni volta che li ho colti in flagrante sarei milionaria”.
Kiki assentì pensierosa.”Beh gli si potrebbe fare qualche
foto e mandarla in rete, le fan sarebbe deliziate e le riviste ci pagherebbero
fior fiore di soldi.”
Non sapevo se ridere o
piangere. Uno non poteva nemmeno fare due coccole in pace che la gente si
risentiva. Che storia. Sfido io ad avere sotto mano Ville Valo
e a non staccargli le mani di dosso un attimo. Ti ispira proprio a spupazzarlo
in continuazione, per non parlare di altre cose.
Ville nel frattempo non
accennava a togliermi le mani di dosso, ora la sua sinistra era comodamente
appoggiata sul mio pancione mentre con la destra mi aveva fatto appoggiare alla
sua spalla.
“Mi sta venendo il diabete”.
Mia sorella, la delicatezza fatta persona.
“Vieni Kappa andiamocene da
qui, ti porto al Morticia. Voi due” ci disse mentre
si erano già allontanate “che fate venite con noi o vi mettete a concepire un
altro figlio sul pavimento dell’aeroporto?”.
Ridendo io e il mio sin
troppo coccoloso marito ci incamminammo dietro di
loro.
Intorno a noi era tutto
buio, ma come altro poteva essere alle tre del pomeriggio a Helsinki, in
inverno? Faticavo a tenere gli occhi aperti ma sembrava che avrei dovuto
resistere per qualche altra ora, Ville stava facendo il misterioso su non si sa
quale posto dovessimo andare verso le cinque. Ed ora eravamo nella torre con
due caffè davanti a noi e un ora e mezza da passare evitando di addormentarci
sul tavolo della cucina, avevamo lasciato le due, ormai completamente prese da
interminabili chiacchiere, da qualche parte in zona Kaisaniemi
che cercavano la strada per la zona dei negozietti dark.
“Ripetimi perché loro sono
in giro e noi siamo qui a fare gli asociali?” chiesi a Ville squartando un
dolcetto alla cannella per passare il tempo.
“Perché dovevano fare dei
giri e tu non ti devi stancare” disse poco convinto.
“Kiki
è venuta a trovare noi, zucca. I giri con Elena li avrebbe fatti un altro
giorno, come ti ha ripetuto ben cinque o sei volte mentre ci supplicava di
rimanere, quindi, inventatene un'altra”
Lo fissavo con sospetto.
Dovevo capire cosa avesse in mente.
“E’ che…mi
ero dimenticato di una cosa, piuttosto importante, che ricorre proprio oggi.”
Disse non aggiungendo altro.
“Deduco che tu non mi voglia
dire altro”. Lo fulminai con gli occhi. “Bene, attenderemo”.
C’è da dire che faceva
freddo. Un caffè mi ci voleva proprio. E il caldo della torre finalmente senza
nessuno dentro mi stuzzicava assai.
“Stasera che si fa?”
azzardai a chiedere.
Un sospiro di frustrazione
mi fece desistere dall’indagare oltre. Mi alzai misi un cd degli Apocalyptica e mi sedetti sul divano intenta a guardare il
fuocherello che faceva strani scherzi di luce nella stanza esagonale
drappeggiata di Dischi D’oro, quadri trovati in giro per il mondo e libri
sparsi dove capitava. Appoggiai la testa sul morbido la bracciolo fissando un
punto vuoto nel muro di fronte a me e annegando nel sapiente uso del cello di Eicca, Paavo e Perttu.
“Bianca, Bi, andiamo”.
Mi sentii prendere in
braccio e scuotere.
“Sono le cinque, è ora”
“Ma dove dobbiamo andare?”
chiesi nel dormiveglia.
“Vedrai”.
A piedi ci avviammo fuori.
“E il taksi?”
“Per questa volta andiamo a
piedi, Bi”
Gli occhi verdi si
illuminarono mentre un sorriso furbo gli solcava il volto. Ville Valo, l’uomo che aveva fatto diventare ricca la compagnia
dei taksi di Munkkieniemi
che andava a piedi? D’inverno?”
Tu, mio caro non me la conti
buona, gli stavo per dire. Ma un bacio casto mi tappò la bocca.
“Shhh,
fai la brava finlandese adottata, non parlare e seguimi”
Lo presi per mano ed
entrambi coperti da vari strati di paille ci avviamo
giù per Solnantie, per poi prendere Ramsayranta che correva sul mare e dove il vento quasi ci
spostava, se non ci fossi stata io con la mia mole il secco sarebbe già volato
verso Munkkivuori, svoltammo in Meilahdentie
e iniziai a capire dove stavamo andando, ma continuavo a non capire il perché.
Ma dovevo stare zitta e seguirlo. Per una volta gli avrei dato ascolto.
Gli ultimi metri furono i
più difficili, il freddo stava per piegare anche me, ma quando vidi il
ponticello bianco, il paeseggio mozzafiato e la
fragrante aria che caratterizzava quel posto, tutto passò.
Nel buoi infinito
dell’inverno finnico, davanti al primo posto che avevo chiamato casa il freddo
non esisteva più.
“Ma perché siamo a Seurasaari?” chiesi a Ville guardando la mia isoletta
felice e riportanto a galla ogni magnifico ricordo
che avevo di quel luogo. “E’ chiusa d’inverno”
“Per me no” annunciò.
“Buon anniversario!!!” continuò
ridendo e trascinandomi in avanti.
Lo guardai incredula.
“Anniversario?”
Lithi: Grazie figliolettaaa!! L’esame
è andato bene per fortuna, anzi tutti e due sono andati bene e ora un po’ di
meritato riposo
Ethereal Clover: oh che bello mi sono salvata da B&B vero? Con tutte le anteprime che ti ho mandato come
minimo devono starim lontano per due anni xD
kiki91:grazieeeeeee! Anzi coem direbbe Ville: kiitos! Tutti
gli in bocca al lupo sono serviti, perché ho preso un bel trenta tondo tondo
blaise_sl_tr07: grazia cara, l’ho scritto il giorno dopo essere
tornata da Helsinki, in piena crisi nostalgica, quindi deduco che in loro ci
fosse molto di quello che avevo provato io nei giorni passati nella figlia del
baltico *__*
All
our times have come
Here but now they're gone
Seasons don't fear the reaper
Nor do the wind, the sun or the rain..we can be like they are
Come on baby...don't fear the reaper
Baby take my hand...don't fear the reaper
We'll be able to fly...don't fear the reaper
Baby I'm your man...
L’avevo portata nel suo paradiso, nel posto che per
la prima volta due anni prima aveva chiamato casa. Il gelo non la toccava più,
la notte le era amica e i suoi occhi risplendevano di una gioia innocente.
“Anniversario?” mi rispose continuando a non
capire.
La presi sottobraccio portandola in avanti.
Continuava a fermarsi, incantata e incuriosita.
“Due anni fa, a questa stessa ora, dov’eri?”
“Come posso ricordarmelo?” rispose ridendo.
Continuava a brancolare nel buio.
“Sei arrivata a Helsinki due anni e due mesi e
mezzo fa, ma quand’è che l’hai chiamata davvero casa? Quando hai capito che
questo era il posto dove dovevi stare?”
Fisso le nuvole scure, pensierosa, cercando di
rintracciare nella sua memoria un ricordo, qualcosa che lei stessa mi aveva
detto.
“…io”
Una lacrima silenziosa e fredda scese sul suo volto
e la sua mano calda scese a stringere con forza la mia, ghiacciata e tremante,
con l’altra mi sfiorò il volto, fissandomi con occhi lucidi e uno sguardo
sorpreso.
“Come fai a ricordarti?” mi chiese senza smettere
di piangere.
“Come fai a ricordarti che qui, due anni fa, ho
chiamato questo posto casa?”
Non le risposi ma continuai a camminare, lei mi
seguì in silenzio e raggiungemmo il ponticello che segnava l’entrata all’isola
di Seuraasari.
Superatolo una valanga di lucine illuminarono il
nostro cammino, lanciando ombre magiche sul bosco intorno a noi.
“Ma come?”. Il suo volto era acceso e felice, un
lampo di divertimento ogni tanto le sfiorava gli occhi. Se la conoscevo bene
stava cercando di capire quante cose avevo dovuto impegnare per fare una cosa
del genere. Per galanteria non le avrei detto che la famiglia che custodiva
l’isola erano zii di Migè. Sarebbe rimasto segreto
almeno fino a che lei a suon di minacce e coccole non me lo avrebbe fatto
confessare. Risi alla sola idea del terzo grado che mi aspettava una volta
passata l’ebbrezza della serata.
“Di qua” le dissi prendendola per il braccio e
spostandola verso l’entrata di una piccola casa sul lato destro del sentiero.
“La mia casetta” esclamò rimanendo a bocca aperta.
“Possiamo davvero entrarci?” inquisì Bianca già sui primi scalini.
“E’ tutta nostra fino alle sette”.
Si fiondò dentro saltellando e guardandosi intorno.
Fino a che la scoperta di qualcosa non la fermò facendola ammutolire
completamente.
“Ville…”
Davanti a me c’era una tavolo completamente,
disperatamente, dolcemente pieno di liquirizia. Di tutti i tipi, di tutti i i colori, forme e aromi. Al centro un pentolone di mou di
liquirizia, con un bastoncino si poteva raccoglierne un po’ e mangiarla come un
leccalecca…un esperienza divina che si poteva provare
solo a Seuraasari.
Ero alle lacrime.
Prima o poi mi sarei dovuta abituare al fatto che
al mondo esistesse una persona talmente innamorata di me da regalarmi tutto
questo, da ricordarsi una stupidaggine del genere.
Non era una cena in un ristorante di lusso,
contornata da un diamante e da fiori costosi. Ero nel mio posto preferito al
mondo, ero in un sogno di dolce liquirizia realizzato dentro al posto che aveva
fatto ricominciare a battere il mio cuore.
Prima o poi avrei trovato le parole adatte per
ringraziarlo e dirgli cosa tutto questo significasse veramente per me. Per ora
dalla mia bocca uscì solo un sussurro.
“Mina rakastansinua”.
“Ti amo anche io” rispose stentato nella mia lingua
natale. Dovevo averglielo sussurrato così tante volte che alla fine l’aveva
imparato. E con la sua voce, con il suo accento, in quel luogo e in quel
momento, mi appariva così vero come mai lo era stato.
Così reale. Così mio.
Gli diedi un cazzotto sulla spalla, tornando un
attimo in me.
“Guardaci, stiamo diventando melensi. Due
debosciati” sbuffai mentre metteva il muso.
“Ti rimedio una cena romantica a base di questa
robaccia nera che provoca impotenza e mi dai del melenso?” mi chiese mentre già
ero intenta ad intingere il bastoncino nel paradisiaco intingolo.
“Si si, siamo entrambi smielati. Un anno fa mi
avresti chiamato dal tour bus per dirmi quante ragazzine odiose ti avevano
chiesto una foto, e quanti BigMac Gas si era mangiato
davanti a te e io ti avrei preso in giro fino alla nausea e per finire in
bellezza avremmo fatto bollente sesso telefonico” annunciai ridendo come una
dannata al ricordo dei bei tempi andati quando eravamo tutto tranne che una
coppia nella norma.
Anche Ville si unì alla risata, forse ricordando di
quella volta che mentre tutto fomentato mi stava confessando quanto ardesse per
toccarmi di nuovo, quando era spuntato Migè con una
telecamera e l’aveva sputtanato con chiunque passasse di li.
“Beh Bi, per quello ci sarà tempo, ma per ora
possiamo fare almeno una delle due cose no?”
Il faccino malizioso ce lo aveva di natura e quando
si sforzava a farlo era semplicemente da saltarli addosso, senza mezzi termini
ne giri di parole.
Strisciai fino al punto del tappeto dove si era
seduto e mi sporsi per dargli un morbido bacio sulle labbra semi aperte. In
pochi secondi era come se stessi andando a fuoco. Ogni molecola del mio corpo
aveva il disperato bisogno di toccare le sue.
“E la liquirizia?” mi apostrofò “già te la sei
dimenticata?”
Ci pensai su un attimo.
“Ah, giusto! La liquirizia.” Allungai una mano
verso il piccolo bastoncino che spuntava dal pentolino.
“Non ti azzardare Bianca”. Il suo tono appariva
quasi minaccioso. Quasi.
“Tranquillo, non è per te, è per me” lo rassicurai
mettendomi a cavalcioni sulle sue cosce e alzando i bordi della pesante
maglietta che indossava.
Se c’era una feticcio che avevo, era il suo
tatuaggio sotto l’ombelico. Aveva sempre scatenato e tuttora lo faceva delle
fantasie talmente perverse che certe volte mi facevo paura da sola. Era
semplicemente l’apoteosi dell’erotismo. Quelle sottili linee nere, intrecciate,
sulla sua pancia piatta e pallida. Sesso, in una sola parola.
Mi dedicai ad abbassare i jeans ma prima di finire
l’opera dovetti fulminarlo con lo sguardo, stava facendo dei versi che tutto si
addicevano tranne che a quello che mi apprestavo a fare.
“Non è cryptonite e tu
non sei Superman mio caro” gli intimai “quindi vedi di fare i suoni orgasmici
che ti riescono così bene”
Fece una sorta di mugugno di disapprovazione
continuando a guardare con scetticismo verso la mia pancia, ma non si mosse di
un millimetro lasciandomi al mio giochino. Quanto adoravo quando mi faceva fare
quello che volevo del suo corpo perfetto.
Feci colare la liquirizia ormai tiepida lungo i
contorni dell’heartagram sentendolo rabbrividire ogni
volta che un sottile strato della sostanza nera veniva a contatto con la sua
pelle.
Soffiai sulla sostanza ormai completamente
attaccata ai contorni del tatuaggio e gli provocai un sussulto che lo scosse
per intero.
“Bianca, mi stai uccidendo” disse con il poco fiato
che gli rimaneva.
“Non ti fa più schifo la liquirizia eh?” lo
stuzzicai continuando a soffiare sulla pancia.
“Toglila immediatamente da la” mi intimò.
“Ai tuoi ordini” non me lo feci ripetere due volte,
abbassai la testa e mi godetti il mio casa-anniversario, eseguendo la sua
richiesta.
Vedere mia moglie nuda, sorridente, sdraiata lungo
il mio corpo magro, sentire la pressione della pancia gonfia e rotonda che
aveva dentro di se la nostra bambina mi stava facendo tornare piccolo. Mi
sentivo come il giorno che la musica era entrata nella mia vita, quando si era
aperta la porta su quel magico mondo.
Ed ora avevo Bianca, e il mio piccolo diavoletto
che tra quattro mesi ci avrebbe tenuto tutti svegli. Già immaginavo le urla di
Bianca, e le bestemmie in indocinese che avrebbe lanciato. E non vedevo l’ora
di cantare a Eeva le canzoni che mio padre aveva
cantato a me.
Cullato da quelle immagini di pace che tempestavano
la mia mente, non mi accorsi che Bianca aveva cominciato ad agitarsi stile
anguilla. Quando c’era qualcosa che non le tornava si trastullava col mio
tatuaggio sul braccio destro senza stare ferma un secondo. Cercare di risolvere
l’intricato puzzle di rovi la calmava sempre, ero il suo anti stress personale.
“C’è qualcosa che non va, sweetheart?”
le chiesi accarezzandole i capelli.
“Non trovi che facciamo quasi schifo da quanto
siamo perfetti?”. Era incredibilmente seria nel chiedermelo.
In quel momento il mio cervello non sapeva darmi
una risposta logica che avrebbe potuto soddisfare la sua domanda. Era lei
quella filosofica, io mi limitavo ad annuire.
“Se per un ex-alcolista e una fuggiasca che
aspettano una bambina che diverrà un demonio, che vivono come due marmotte in
letargo tutto l’anno intendi la perfezione, allora si. Facciamo davvero schifo,
e mi piace tanto essere disgustosamente perfetti insieme.”
“Dillo che quando non ci sono ti leggi gli harmony, confessalo e non ti farò nulla di male” dissi
minacciandomi con un dito puntato contro di me.
“Oh si, ne leggo a bizzeffe”.
“Ora che lo so sto molto meglio, grazie amore, sei
sempre così comprensivo con me!”
“Non c’è di che”.
“Cazzo” esclamò dopo neanche due secondi. “Che ore
sono?”
Rotolai di lato per controllare l’orario sul
cellulare e imprecai anche io in varie lingue.
“Vestiti, dobbiamo essere al Tavastia…ORA”
“Al Tavastia? Ma è chiuso
oggi” protestò.
“Tu vestiti che al resto ci penso io” le dissi chiamando
l’ennesimo taksi e sperando che Elena stesse facendo
quello che l’avevo supplicata di fare.
kiki91@ oh si
chissà se il sommo ci fa un po’ di spazio nella cuccia degli animali,
sicuramente saremmo tranquillissime e magari gli facciamo anche compagnia, e
quando non c’è puliamo casa e teniamo lontane le fan pazze XDXD grazie per il
commentino^^ bacione
EtherealClover@aiutooooo!!! *pam scappa di
corsa da B&B* cosa devo fare per togliermeli di torno? XD
-Ville- mi appoggiai contro la sua spalla cercando
di non dare corda ad una strana sensazione che stava facendo seriamente
attorcigliare il mio stomaco. –Che c’è al Tavastia?-
chiesi sperando di avere una risposta.
Io e questo tipo di sorprese non andavamo così
d’accordo.
-Bi, se me lo chiedi un'altra volta potrei non
rispondere di me stesso- il tono era quasi serio. Quella cadenza che usava
quando cercava di minacciarmi. Peccato che lo conoscessi talmente bene da
riconoscere ogni sfumatura, e sapere che se avessi insistito un altro po’ me
l’avrebbe detto. Due coccole lo scioglievano come neve al sole.
Ma mi precedette stampandomi un bacio in bocca per
azzittirmi. Diciamo che ebbe il suo effetto.
-Siamo arrivati-. In pochi minuti ci eravamo
trovati davanti al Tavastia. –Io devo andare dietro,
li c’è Elena- mi indicò – ci vediamo dentro, love-.
In un soffio me lo vidi sparire da davanti diretto verso l’entrata del locale.
La mia curiosità stava raggiungendo livelli
inimmaginabili.
Vidi mia sorella e Kiki
appoggiate comodamente alla bacheca rossa, avevano entrambe una sigaretta in
mano e stavano parlando animatamente. Appena mi video smisero di chiacchierare
e ammutolirono.
Stavo cominciando ad arrabbiarmi. Se tutti sapevano
qualcosa e io no potevo tirare fuori il demone nascosto in me. Anche Eva stava
risentendo del mio pseudo nervosismo, non smetteva un secondo di scalciare.
Appoggiai una mano sulla pancia cercando di calmare lei e me stessa ma con poco
successo.
Improvvisamente mi ritrovai Kiki
addosso che parlava alla velocità della luce, blaterando parole
incomprensibili.
-Non sai…incontrato…Elena…capisci?-
avevo bisogno di un traduttore automatico.
-Kiki, Kiki- la presi per le
spalle –con calma. Che è successo?-
Stava iperventilando.
-Bi, tu non sai- fece un respiro profondo –chi
abbiamo incontrato prima-
-Chi avete incontrato?- chiesi pazientemente.
-Allora, camminavamo tranquille in cerca del Morticia, quando Elena ad un certo punto mi trascina dietro
un angolo nello stesso istante in cui vediamo spuntare una chioma bionda.
Allora lei comincia ad imprecare contro lo sconosciuto passante in varie
lingue- blaterò Kiki senza fare pause.
-E poi, mi giro verso la criniera bionda e chi è?
JONNE-
-Jonne?- le faccio il verso. – Quel Jonne?-
Elena non lo sopportava. Anzi. Lo odiava a morte.
Ogni volta che spuntava a casa nostra a prendere un caffè con Ville magicamente
lei spariva e ritornava la sera tardissimo non prima di avermi chiamato per
assicurarsi che se ne fosse andato.
Risi istericamente al solo immaginarmi mia sorella
che sbraitava contro il povero biondino che non le aveva mai fatto nulla di male.-E
cos’ha fatto?- chiesi incuriosita a Kiki.
-Lei voleva scappare. Ma se lo poteva anche
sognare. Sono in Finlandia e incontro una celebrities
locale che è anche amica di famiglia, mica me la faccio scappare no?-
-Non fa una piega- assentii.
-Quindi l’ho supplicata per la mia felicità eterna
e con la promessa di varie barrette di cioccolata di fermarlo e salutarlo-
disse con tono entusiasta – ma non c’è n’è stato bisogno perché Jonne ci aveva già viste, e tutto baldanzoso si è
avvicinato a Elena con un sorriso a mille mila denti. Secondo ha una cotta per
lei- aggiunse sospirando.
Eh si, ci voleva un genio per capire che il biondo
era perdutamente e disperatamente innamorato di mia sorella. E ogni volta che
ce lo trovavamo a casa, il suo faccino triste alla scoperta che Elena non c’era,
era da foto. Ville se la rideva, io macchinavo per trovare un modo di metterli
insieme. E prima o poi ce l’avrei fatta, se il fato mi avesse assistito.
-E come è andata a finire?- chiesi innocentemente.
-Beh, Jonne era talmente
felice di vedere Elena che ci ha trascinato in giro per il centro- concluse Kiki con un sorriso sulle labbra –e alla fine ci ha chiesto
dove saremmo state questa sera e io gli ho detto che Ville ti aveva…-
-Si?- la incalzai.
-Kiki, diamine!-
Mia sorella era arrivata. Niente da fare. Non sarei
riuscita a cavare la notizia da nessuno.
-Ville non doveva fare nulla Bi, niente di cui
preoccuparti tranquilla- mi disse con tono molto subdolo.
-Si Elena e poi…-cominciai.
-C’è la marmotta che incarta la cioccolata- dissero
all’unisono. –Queste marmotte prima o poi andranno in sciopero lo sai vero?-
aggiunge Elena con la sua sempre sottile ironia.
-Simpatica, davvero- borbottai.
-Insomma, hai visto Jonne?-
Tanto valeva fare qualche pettegolezzo se proprio
non riuscivo a scoprire cosa il mio adorato marito stava tramando alle mie
spalle.
-Non nominare quel nome. Non mi ha dato pace tutto
il pomeriggio, ci seguiva ovunque non smettendo un istante di parlare. Un
essere insopportabile, Bi, non so come fate voi a tollerarlo-
C’era qualcosa nella sua voce che mi faceva
presagire un cambiamento. Sembrava di sforzasse a non sopportarlo, ma forse era
solo una mia impressione dovuta al Cupido inside che ogni tanto faceva capolino
nella mia mente, o agli ormoni impazziti per la gravidanza.
-Chi disprezza compra, Ele-
le risposi con tono saggio.
Non rispose. Si limitò a fulminarmi con lo sguardo
e tenermi il broncio.
Forse questa volta ci avevo preso.
-E’ tutto pronto, ragazzi?- il mio tono era tutto fuorché
calmo per vari motivi. Ogni cosa doveva andare alla perfezione, Bianca mi
avrebbe ucciso perché era fuori al freddo ad aspettare e odiava essere tenuta
all’oscuro di qualcosa. Bam era magicamente arrivato
ad Helsinki e sembrava che Elena non fosse riuscita a trovargli qualcosa altro
da fare. Non sapevo per quanti altri giorni avrei potuto evitare che Bianca lo
scoprisse e lo andasse a cercare minacciandolo di morte.
-Stai tranquillo, Luce. E’ tutto pronto- un Linde
ancora più zen del solito mi rispose da dietro le quinte.
Presi il cellulare e lanciai il segnale a Elena.
Nell’arco di dieci minuti avevo visto arrivare metà
dei nostri amici, tutti borbottavano tra di loro, e nessuno voleva dirmi cosa
stava per accadere. Il secco ne avrebbe sentite due da me, dopo.
Prima di vedere Elena tirare fuori il cellulare e
fare cenni nascosti alla piccola folla radunata fuori dal Tavastia
avevo scorto Seppo che come un fulmine era entrato
nel locale, due o tre dei roadie, una decina di
nostri amici di Helsinki e qualche rappresentante della Warner finlandese.
La mia curiosità stava salendo a livelli stellari.
-Entriamo- annunciò Elena prendendomi per mano.
Non ero mai stata così agitata prima di entrare nel
Tavastia, era uno dei pochi luoghi dove mi sentivo
davvero a casa.
Raccolsi un po’ di coraggio e spinta soprattutto
dalla curiosità che mi stava uccidendo mi misi al passo con mia sorella e mi incamminai
verso il fumoso corridoio del locale.
Un sottofondo musicale che mi era stranamente
familiare accompagnò la nostra entrata, una volta superato il piccolo atrio mi
affacciai sulla sala principale. Era tutto fiocamente illuminato da candele
sparse per tutto l’ambiente e la pista da ballo solitamente sgombra era colma
di divanetti e tavolini con un aria confortevole. Tutte le poltrone erano
rivolte verso il palco. Che per la prima volta vedevo coperto da una tenda.
Le cose erano due: o Ville aveva chiamato l’intero
cast di Notre Dame de Paris
a fare una prima solo per me, o stavano facendo qualche ristrutturazione. Non
vedevo altrimenti il motivo per tale segretezza
Tutti intorno a me si sedettero. Anche io presi
posto a fianco ad Elena e Kiki su uno dei divanetti
proprio sotto al palco. Non sapevo più ormai cosa aspettarmi ma almeno ero
comoda e al caldo.
-Zucchero filato!- una voce famigliare trillò da
dietro di me. Mi girai e vidi una Jonne affannato
venire verso mia sorella con enormi occhi a cuore.
-Non chiamarmi così ti ho detto- urlò Elena mentre
il cantante, vestito stranamente sobrio per i suoi standard, si sedeva a fianco
a lei e le metteva una mano intorno alle spalle. Per mia grande gioia quella
serpe di mia sorella non si scostò, ma si limitò a volgere lo sguardo altrove
senza degnarlo di alcuna attenzione.
Soddisfatta scoccai a Jonne
uno sguardo di approvazione che fu ricambiato da uno dei suoi sorrisi più
furbeschi. Sapeva quello che faceva il ragazzo.
Improvvisamente i miei pensieri da agenzia
matrimoniale furono distratti da alcuni rumori provenienti da dietro le quinte.
Se il sesto senso me la diceva giusta Ville era appena inciampato in qualche
amplificatore. Come faceva praticamente sempre.
Qualche istante dopo lo vidi spuntare da dietro la
tenda con un microfono in mano.
Niente cappello viola.
Niente strati di vestiti.
Niente look trasandato ma figo.
Era il Ville di cui mi ero disperatamente
innamorata a 18 anni. L’idolo dei miei sogni di piccola adolescente metallara.
Oscuro e misterioso. Bello come solo lui poteva essere.
Un paio di jeans che non ricordavo nemmeno che
avesse gli fasciavano comodamente le gambe ossute. Una canottiera, anzi, la
canottiera, quella col drago, aderiva sul busto senza fare una grinza. E per
finire, il rosario nero, quell’oggetto così sacro eppure così profano pendeva
dal suo collo con grazia.
I miei occhi incrociarono i suoi. Incorniciati da una
massa di boccoli castani. Quei capelli che ogni volta che ci passavo le mani
lanciavano fitte di doloroso piacere lungo la mia spina dorsale. E il mio
regalo personale, sapevo che tutto era fatto per me, ma questa cosa in
particolare mi tirò fuori un sorriso infinito.
La matita sugli occhi. Esattamente come ai vecchi
tempi. Tanta, lucida e soprattutto nera come la notte.
Quando si accorse del mio ghigno si inchinò
restituendomi il sorriso.
Non ebbi il tempo di abituarmi a rivederlo così che
la tenda si alzò che dietro di lui apparvero gli altri quattro.
Linde, Migè, Gas e
Burton. Tutti con i loro strumenti, evidentemente pronti a fare un concerto. Il miocervello non riusciva a capire.
“Stricken by fear you held me, my Darling
Denied , the love didn’t give me up
Lost in hazel eyes and brown silk
Now I resurrect”
Delle note sconosciute, delle parole sconosciute.
Ma sempre le sue parole, la sua musica.
Una nuova canzone.
Lo shock della realizzazione mi lasciò senza fiato.
Avevo atteso due anni prima di sentire le nuove canzoni, di mettere le mani sul
nuovo album, ma Ville mi aveva impedito di sentire qualsiasi traccia fino a che
non fosse pronta. Bruciante di desiderio gli avevo fatto promettere che la
prima persona a sentire il nuovo album una volta completato sarei dovuta essere
io, pena tortura. E ora capivo. Capivo perché non mi aveva fatto sentire nulla.
Quell’album era lui. Quell’album ero io. Eravamo
noi. E più la prima canzone si snodava in migliaia di stupende sfumature più mi
rendevo conto che aveva avuto ragione. La sua musica andava sentita completa,
quando ogni magico tassello era andato a creare quell’incantesimo che dava vita
all’anima del Love Metal.
-E questa era SowingFears- dissi traendo un respiro profondo. Ed una era
andata.
Dire che fossi terrorizzato per questa cosa, era
usare un eufemismo. Per la prima volta stavamo facendo sentire il nuovo
materiale ad un pubblico che non fosse Seppo o Silke. Guardai Bianca, il suo parere sarebbe stato il più importante.
Per quanto fossimo sposati, mi amasse, fosse una nostra fan, se una cosa non le
piaceva, quella cosa di media faceva davvero schifo. Avevo dovuto ingoiare
l’orgoglio molte volte e cominciare a fidarmi del suo giudizio.
I suoi occhi si allacciarono ai miei
istantaneamente. Stava piangendo e sorrideva.
Non servì altro.
-Mi scuso di avervi trascinati qui senza preavviso-
dissi avvicinandomi al microfono –ma dovevamo scegliere un giorno per questa session e oggi ricorreva una data importante per colei che
è l’anima di questo album.-
La guardai e vidi che stava sogghignando, potevo
sentirla sporgersi verso Elena e sussurrare quanto fossi sdolcinato.-E dato che
quando saremmo in tour per promuoverlo Bianca sarà troppo incinta per venirci a
sentire, mi è sembrato giusto regalarle la prima anteprima – conclusi sentendo
le guance diventarmi rosse. Anche io non ero immune alla timidezza a quanto
sembrava.
Le rivolsi un ultimo sorriso, presi il microfono e
ricominciai a cantare.
-Apri la porta, Ville-
-Non ho le chiavi-
-Aspetta-
-Magari se smetti di baciarmi il collo le trovo,
che dici?-
Il concerto era finito. Poche parole per
descriverlo. E ora, come dire, stavo dimostrando la mia gratitudine a mio
marito, non che di certo mi dispiacesse fare i miei doveri di moglie.
Tutt’altro.
Ma a quanto sembrava eravamo destinati a rimanere
fuori casa e congelati.
Kiki e Elena erano rimaste al Tavastia.
Un certo Zacky, chitarrista di una band che avrebbe
dovuto suonare il giorno dopo era spuntato al locale per caso e non c’era stato
verso di portare via mia cugina. Mentre la mai sfacciata sorella, meschina e
bugiarda, era stata trovata da me avvinghiata a Jonne
come una medusa. Aveva fatto finta tutto il tempo. Che infida ragazza.
E ora eravamo rimasti soli. Avvinghiati l’uno
all’altro eravamo scesi dal taksi senza smettere di
baciarci, sembravano essere tornati ai primi mesi di matrimonio, quando ogni
occasione era buona per farlo ovunque capitasse. Ma, vederlo così, come ai
vecchi tempi, mi aveva provocato dei strani moti di lussuria. Mi sentivo come la
fan che aveva finalmente conquistato il suo idolo, quando avevo conosciuto
Ville ero più grande, lui non era più il bel tenebroso che come una droga
infestava ogni mio sogno per notti infinite. Era solo quella meravigliosa
persona che avevo sposato.Ed ora invece, con un bel
salto nel passato mi stava regalando la mia fantasia proibita.
-Bi, è aperta-
-Come è aperta?- chiesi.
-Si, guarda-
Mi feci avanti, fifone com’era non si sarebbe mai
avventato a entrare. Mi sporsi dentro e la luce del salone era accesa.
Una voce.
-Ciao Bianca-
-Mamma?-
@ Ethereal Clover: magnanima tu? Muhahahahahaha
facciamo prima a vedere il Valo grasso ahahaa comunque avendo ora: marchio nero e biglietti dell’helldone direi che è ora di mettere a nanna B&B no?
@lithi: forse troppo coccoloshoooo
XD ma non ho resistititooooooo. Cmq grazie per gli
esami U:U per fortuna sono andati bene. E l’uni a PG come va?
@ valeriana: ma grazie!!! E chi non vivrebbe felice con uno
così XD peccato che il vero Valo sarà sicuramente mooooolto meno puccio, e tanto tanto più pazzo ahaha
@ kiki91: potremmo mettere su un’azienda *animali domestici del Valo
offrono firme e autograficINC*
seriamente, ci facciamo i soldi ahaha
Here
we are
And don't know how to stop
Waiting for the war
To end it all
Love is insane and Baby
We are too
It's our hearts little grave
And the salt in our wounds
-Fammi entrare, Bi-
-Vattene-
Ero seduta a gambe incrociate sul mio letto, le mani occupate a distruggere
la canottiera col drago. La sua canottiera. La stoffa, vecchia e ormai erosa
dall’uso, si spezzava sotto le mie mani come burro. Ogni filo, ogni pezzo che
veniva via era una lacrima, un urlo di rabbia soffocato.
La voce di mia sorella mi arrivava così lontana. Come da un altro mondo. Il
mio sangue pulsava nella testa, e l’ira mi accecava.
-Bianca Valo-. Elena stava cominciando a perdere
le staffe.-Per tutti gli scoiattoli mannari, fammi entrare in questa cazzo di
stanza.
-Giammai- gridai di rimando.
-Non fare la bambina piccola, il secco se n’è andato, la mamma è andata via…-
-E Kiki?- chiesi speranzosa.
-Kiki è qui sotto con Jonne e Linde- rispose-
-Linde?—chiesi sgomenta.
-Sembra che sia venuto a fare da avvocato difensore al tuo adorato marito-
Se fossi vissuta in un cartone animatoora ogni poro del mio corpo avrebbe emanato fumo e avrei potuto iniziare
la mia trasformazione in Grisù, il draghetto, e
lanciare fiamme.
-Prima combina casini poi mi manda uno dei suoi amichetti a discolparsi?-
dissi digrignando i denti.
-Eva, tuo padre è una persona
ignobile- dissi rivolta al mio pancione –te lo dico subito così ti prepari-
-Bi, fammi entrare. E non parlare con la bambina. Non la puoi traviare con
le tue paranoie sin da piccola-
Mi alzai e feci entrare mia sorella nella stanza.
-Ti farei una foto guarda- disse sghignazzando –sembri un incrocio tra un gremlins e un furetto con la rabbia- concluse incrociando
le braccia sul suo corpetto da casa, di cotone leggero e con nastri viola di
velluto.
-Sempre d’aiuto, Sis. Non c’è che dire-
-Grazie grazie, lo so- rispose sedendosi anche lei sul letto e dandomi un
cioccolatino che aveva in tasca.
-Ora, mangiati quel cioccolatino e poi raccontami bene come sono andati i
fatti. Io ho sentito solo la versione del secco e non so se fidarmi-
-Sdruonzo. Tu…bob
bai-
-Magari prima finisci di masticare, che dici?-
-Cosa ci fai qui?- gridai rivolta
a mia madre.
Lo shock stava lentamente
scemando lasciando posto alla rabbia.
Ville era rimasto senza parole.
Era a fianco a me, ma sembrava essere passato ad un altro livello della realtà,
non rispondeva agli stimoli e non apriva bocca.
-Beh, sono venuta a vedere questo
piccolo paradiso che tanto declami e a rendermi foriera di una notizia che
potrà interessarti- disse con molta tranquillità.
-Esiste il telefono- borbottai.
-Preferivo portartela di
persona-disse passandomi un plico che teneva in mano. Un lampo di perfidia e
sadismo le brillò negli occhi. E un brivido percorse la mia schiena.
Mi chiesi cosa mai potesse
esserci di così importante li dentro da convincerla a venire fino in Finlandia.
Non doveva essere nulla di buono, altrimenti non si sarebbe neanche presa la
briga di telefonare.
Decisi che fare supposizioni era
solo una perdita di tempo.
Via il dente, via il dolore.
Aprii il plico, ma quello che mi
trovai davanti era qualcosa che esulava da ogni supposizione che avessi potuto
fare. Era qualcosa di irreale.
Una fitta lancinante mi colpì
allo stomaco mentre un grido muto mi tolse il respiro per qualche secondo.
-Ma come è…-sussurrai
senza fiato.
-Com’è possibile?- chiese mia madre. –E’
possibile che sai com’è, i paparazzi in Italia sono ovunque e fare una cosa del
genere proprio in centro, in uno dei ristoranti più famosi di Roma, non poteva
passare inosservata.-
-Sembra proprio che il tuo
finlandese perfetto, non sia la persona di cui ci hai narrato con orgoglio-
aggiunge con un tono cinico e pieno di disprezzo.
Continuavo a fissare quell’immagine,
senza rendermi conto davvero costa stavo osservando. Non poteva essere vero,
semplicemente non poteva.
Muta e sconvolta passai il plico
a Ville, che non aveva capito nulla di cosa ci eravamo dette io emia madre. Non riuscii a guardarlo negli
occhi, lo shock mi stava facendo perdere il controllo di me stessa e prima di
dire qualcosa di cui mi sarei pentita volevo sentire la sua versione dei fatti.
Vidi i suoi occhi sgranarsi, le
mani cadere lungo i fianchi mentre la cartelletta contenente la foto che lo
ritraeva insieme a Eleonora Trevi, intenti in un bacio passionale, cadde a
terra. La seguii con gli occhi, poi tornai a guardare lui.
-Bianca, io…-iniziò.
-Tu cosa?- dissi cominciando a
sentire un moto d’ira salire dal profondo. Cercai di fermarlo ma non mi riuscì.
-Cosa ci fai attaccato a quella
serpe? Eh?- urlai.
-Fammi spiegare, Bi.- disse rimanendo calmo.
Doveva esserci una spiegazione.
La mia parte logica sapeva che c’era una spiegazione, ma in quel momento non
potevo darle ascolto.
-Lei…mi è saltata addosso- mormorò.
-Si e io mi chiamo Julia Roberts-.
Un sorriso sottile gli sfiorò il
volto.
-Perché non me l’hai detto?- il
mio tono era sempre più alto.
-Io volevo dirtelo, ma avevo…- non gli lasciai finire la frase-
-Paura?Sei esattamente come tutti
gli altri uomini. Codardo e meschino. Dovevi dirmelo e subito-
Cercò di avvicinarsi per
prendermi la mano. Sapevo che se glielo avessi lasciato fare, poi l’avrei
lasciato parlare e l’avrei perdonato un istante dopo. Così mi scansai.
-Vattene, togliti dalla mia
vista. Infido che non sei altro.-
-Ma Bianca. Fammi spiegare, ti
prego-
-Non.mi.supplicare. Hai baciato quella donna, ti sei anche
fatto fotografare da un paparazzo, ma soprattutto, non me l’hai detto. Cosa
pensavi che avessi fatto se me l’avessi detto?- gli chiesi.
-Come minimo mi avresti bruciato
vivo o peggio-
-Si, in effetti hai ragione, ma
questo non cambia le cose. Meritavo di saperlo.-
-Ma ti saresti incazzata e sei
incinta, l’ho fatto per Eeva.-
-Tutte schifose balle, vattene-.
Cercavo di essere perentoria, ma non sembrava prendermi sul serio, gli appariva
difficile capire quanto la mancanza di fiducia mi distruggesse dentro, il non
sapere le cose era ciò che più tirava fuori la mia parte irrazionale. In quell’esatto
momento, nemmeno lui poteva calmarmi.
Lo fissai con astio, senza
lasciar cadere lo sguardo.
Alla fine si accorse delle fiamme
che uscivano dai miei occhi, si girò, si accese una sigaretta e se ne andò. Non
voltandosi indietro.
-Quindi sei arrabbiata perché non te l’ha detto,
fondamentalmente?- chiese Elena quando ebbi finito di raccontare cosa era
successo.
-Ha fatto come se niente fosse, capisci?- dissi. –E
sapeva che se lo fossi venuto a sapere avrei dato di matto, ma non gliene
fregava nulla. No, lui doveva pararsi il culo, come tutti gli altri uomini, e
poi ora tutta la famiglia chissà cosa penserà.-
Elena mi fulminò con lo sguardo.-Come se te ne
fregasse qualcosa di loro, suvvia Bi., siamo seri. Sei così incazzata che ti
stai inventando castelli in aria. Sei cosciente che se non avessi tutti gli
ormoni scombinati, ora sareste amabilmente a letto a farlo come conigli?-
La guardai strabuzzando gli occhi.
-Ma per chi mi hai preso?- le dissi indignata.
-Ti ho presa per una che non da peso a queste
stronzate, non l’hai mai fatto. Tu lo ami, lui ti ama. Vi è sempre bastato per
superare davvero ogni difficoltà e voi non litigate mai seriamente. Finite
sempre a letto insieme. Devi seriamente pensare di farti dare qualche
medicinale per tornare normale, ma prima chiamalo e digli che è tutto a posto-
Ero sconvolta. Anche lei. Non ci potevo credere.
Mi ero chiusa in camera apposta, non prima di aver
cacciato via mia madre e dirle di non ripresentarsi più davanti a me nei
prossimi cinque o sei mesi. Avevo usato la scusa della litigata per incazzarmi
pure con lei. Bella per me.
-Giammai, Sis. Proprio
non se lo merita, ha fatto il furbo e con me non fai il furbo- dissi
incrociando le braccia e richiudendomi nella mia bolla di silenzio.
-Dì che sei troppo orgogliosa per ascoltarlo e chiedergli
scusa del tuo attacco di bile- aggiunse non demordendo. La odiavo quando faceva
l’avvocato del diavolo. Era dannatamente brava.
-Ti odio, Elena. O-d-i-o.
Mi hai capito? Almeno tu dovresti essere dalla mia parte- come una bambina
iniziai a piangere incontrollata, indicandole i pezzi della canottiera
distrutta davanti a me.
-E guarda, gli ho anche distrutto tutti i pezzi
della canottiera. Non mi vorrà più!- dissi appoggiandomi sulle sue gambe e
piangendo.
-Brava Bi, ora ci siamo. Fatti un piantarello che poi passa tutto- disse mia sorella
facendomi le carezze sulla testa.
-Ma io non lo perdono mica così facilmente eh?
Qualcuno dovrà passare sul mio cadavere prima che gliela lasci passare senza
dirgliene quattro.- aggiunsi continuando a piangere e scivolando lentamente in
un sonno ristoratore sulle gambe di Elena, che come al solito, si rivelava il
mio angelo custode preferito, anche se decisamente più stronza dello standard
degli angeli.
Linde era alla torre. Elena era li anche lei.
Se c’era qualcuno che poteva far tornare Bianca in
se, erano proprio loro due, uno con la sua calma serafica e la pace interiore,
l’altra a suon di ceffoni. E io invece vagavo per la città senza una metà,
dandomi dell’idiota per come mi ero comportato. In questo caso avrei voluto
essere un uomo di ferro, senza remore e pieno di orgoglio da scoppiare. Un uomo
che non si sarebbe sentito in colpa per aver nascosto una cosa del genere, anzi
avrebbe affermato la sua innocenza e urlato e gridato.
Io non ero così. Avrei voluto imparare ad esserlo.
Ma per ora mi dovevo accontentare di autodistruggermi e piangermi addosso
perché avevo fatto la cazzata del secolo. E volevo chiederle scusa, volevo che
mi ascoltasse, che mi lasciasse spiegare. Ma la conoscevo meglio di come
conoscevo me stesso. Ed era un tornado, se si incazzava spazzava via tutto. Ed
era meglio se in quel momento io non fossi stato la piccola casetta di legno
pronta ad essere spazzata via dalla sua furia.
Così mi ritrovai davanti ad un edificio familiare,
davanti ad una porta che avevo varcato molte volte quando combinavo qualche
cazzata. Nel mio nido, dove potevo tornare bambino, avere cioccolata calda e
parlare con le due voci della mia coscienza.
Citofonai.
-Sono io, papà-
@Lithi: muahahahaha mi piace
che il colpo di scena abbia avuto qualche effetto!!! Sono contenta che vada
tutto bene anche se mi mancano tanto i nostri pranzetti infrasettimanali sob
@ ooohsììì la Finlandia è
stupenda, se ti capita vacci! Poi con la compagna di camera finlandese hai
anche più motivi xD. Sono forti loro poi perché tendono
a sminuire il loro paese, un po’ come facciamo noi italiani quando spariamo
peste e corna ahaha cmq grazie per la recensione, mi
sono spaccata dalla risate a leggerla
@ Ethereal
Clover: eh ci speravo Lalli…forse DOPO ti rabbonirai
vero? xD
@ kiki91: esattamente Vengeance,
compagno chitarrista di Gates, amico di Shadows e Revmuahahaha. Essendo Kiki la versione su carta della mia nipotina virtuale,
anche lei una grande fan degli Ax7, gliel’ho dovuto almeno far incontrare
@ blaise_sl_tr07: grazie carissima! Le tue
recensione sono sempre stupendissime, *blushes*
I see it in your eyes
I feel it in your touch
I taste it from your lips
And baby more i love you
Come un cagnolino abbandonato entrai a testa bassa
dentro la mia vecchia casa, abbracciai mio padre e senza che mi dicesse nulla
mi sedetti sulla poltrona della chiacchierata. Ne avevo combinate tante, e
grosse, e ogni volta tornavo qui, con la coda tra le gambe, sapendo che tra le
parole del mio saggio padre avrei ritrovato quel me stesso che ogni tanto
sperdevo in qualche parte d’Europa o tra le braccia di una donna sbagliata.
Lo vidi sparire e ricomparire qualche istante dopo
con due tazze di thè verde e un piatto di biscotti
che si divertiva a fare. Le forme era alquanto inusuali, ma si sa, qualcuno
doveva testare i prodotti che vendeva al negozio e le formine strane era il suo
hobby.
-Che è successo?- mi chiese sedendosi davanti a me
e porgendomi il thè bollente.
-Bianca mi ha cacciato di casa- dissi con tono
mesto.
-Mhhh.- mugugnò riflettendo sulla cosa. Una ruga di
espressione gli incrinò la fronte e pensai che spesso mi dicevano che anche io
avevo una cosa simile, quando ero concentrato un solco profondo si dipingeva
sulla mia fronte. Bianca era stata la prima ad accorgersene, e dopo aver
tentato con varie creme di liberarmi di quel segnò dell’età, aveva deciso che
le piaceva e vedermelo la faceva impazzire.
Pensare a lei, lei che era parte di me come un
altro organo, e pensare che non potevo andare li con tranquillità, prenderla in
giro, abbracciarla, baciarla era una sensazione molto somigliante a migliaia di
spilli ficcati sotto pelle.
-E perché ti ha cacciato?- chiese infine Kari dopo aver riflettuto a lungo.
-Le ho tenuta nascosta una cosa- risposi. Se lo
conoscevo bene non mi avrebbe chiesto cosa, ma semplicemente ‘perché’.
-Perché avevo paura, papà. Ero terrorizzato che si
sarebbe incazzata talmente tanto da fare qualcosa di pazzo, la conosci, e ora
con la gravidanza è completamente fuori di testa.-
Mio padre mi scrutò a lungo, guardandomi negli
occhi.
-Solo per questo?-chiese.
Non sapevo se amare e odiare che mi leggesse nel
pensiero.
No, era ovvio che non fosse solo per quello.
-Io a quella cena non ci sarei mai dovuto andare.
Dovevo andare con Bianca dai suoi genitori, il lavoro avrebbe dovuto aspettare.
E quando quella donna mi è saltata addosso senza che me ne accorgessi e mi ha
baciato, l’ho capito. Ma ormai il danno era fatto, e non sapevo come dirglielo,
aveva già belle magagne da risolvere, e poi tornati a Helsinki siamo tornati a
fare la happy-couple e non volevo rovinare tutto,
come ho fatto altre volte. Ho preferito la bugia-. Un fiume di parole mi era
uscito dalla bocca senza fermarsi, mi sentivo già più libero e leggero. Quel
segreto era stato un mattone per mesi e mesi, ben seppellito ma comunque li,
pronto a rovinare tutto.
-Ville, come tuo solito, stai ingrandendo tutto,
anzi l’hai già abbondantemente fatto. Si vede lontano un miglio che voi due
siete una persona sola. Avresti dovuto dirglielo molto prima, e lei si sarebbe
incazzata, ti avrebbe urlato contro, ma glielo avresti detto tu. Non lo sarebbe
venuto a scoprire in altri modi drastici come penso sia accaduto-annuii mentre
parlava –ecco, vedi. Il tuo problema è sempre stato che hai paura delle
ripercussioni dei tuoi errori sulle persone che ami. Devi capire, che se ti
amano, come Bianca fa, ti perdonano.-
-Lo so-dissi abbassando la testa. Non aveva senso
mentire a me stesso. Ero stato un coglione e mi meritavo le urla e le grida.
-E poi voi due scopatori pazzi, non potete starvi
lontani, quindi adesso fila a casa da lei e trova un modo di farti ascoltare-
disse mio padre facendomi shushù con la mano.
-Ma papà?!?- non sapevo se ridere o essere
indignato.- Non è che posso rimanere un po’ qui? Almeno finché Elena non mi
chiama per dirmi che posso tornare senza rischiare l’evirazione.-
-Che figlio codardo che ho cresciuto- disse
ridendo- tra mezzora torna tua madre che è uscita con le sue amiche, intanto
facciamoci un panino, poi ti preparo il tuo vecchio letto.
Era quasi l’una di notte ed ero buttato sul divano
del salone dei miei, ascoltando un vecchio LP di Neil Young che era sfuggito al
mio radar il giorno che mi ero trasferito ed avevo portato via tutta la mia
roba. Il fumo di varie sigarette mi circondava come una piccola nuvola grigia,
e un solitario caffè mi faceva compagnia in questa notte che sapevo avrei
passato insonne.
Mia madre era tornata, mi aveva visto, aveva capito
che qualcosa non andava e si era fatta raccontare ogni cosa, senza tralasciare
ogni dettaglio.
-Povera ragazza, sarà distrutta ora- aveva detto
Anita. Di me non si era assolutamente preoccupata. Solidarietà femminile,
dedussi. Sicuramente mia madre e Bianca non avevano il classico rapporto di
bisticci e occhiate perfide che correva spesso tra suocere e nuore. Anzi, ero
io quello che mediamente veniva bistrattato quando loro due facevano comunella.
-Vado da lei. Avrà bisogno di sostegno emotivo-
aveva poi annunciato senza troppi complimenti.
Mio padre l’aveva guardata ridendo e poi mi aveva
dato una pacca sulla spalla per confortarmi. Molto d’aiuto devo dire.
Ed ora, Kari era a
dormire, e io ero a deprimermi con un sottofondo di musica che poco mi aiutava.
Se avessi chiamato Migè o un altro dei ragazzi,
sarebbero tutti corsi da lei e mi avrebbero dato dell’idiota, come se già non
me lo stessi dando da solo, e ripetutamente.
Keeps
me searching
for a heart of gold
And I'm getting old.
-E non me lo ricordare anche tu- gridai verso il
giradischi- lo so che sto diventando vecchio- con uno scatto tolsi l’album dal
lettore, presi il cappotto, chiamai un taksi e attesi
il suo arrivo.
La notte da qualche parte mi avrebbe portato.
Sentivo un assordante rumore di passi provenire dal
basso, doveva essere notte inoltrata ed completamente arrotolata nelle coperte,
inconsciamente con fatica mi liberai e tastai con la mano sul lato sinistro per
cercare Ville, ma quando la mia mano trovò il vuoto mi resi conto di cosa era
successo solo poche ore prima. Una solitaria lacrima che non era stata ancora
versata mi scese sulla guancia, mi passai la mano sul volto e la ritrovai
macchiata di nero, il trucco doveva essersi completamente sciolto. Andando
verso la porta incrociai lo sguardo con lo specchio, il mio riflesso mi
spaventò, sembrava che un tram mi avesse investito ripetutamente, diciamo che
litigare con l’unico amore della mia vita non fosse un esperienza davvero
salutare.
Mi sistemai svogliatamente i vestiti stropicciati
che indossavo dalla mattina prima e mi diressi giù per vedere chi stava facendo
quel casino a quell’ora di notte e a casa mia.
La scena che mi ritrovai davanti mi provocò un
accesso di risate impressionante.
Ridere per non piangere no?
Sembrava che la mia intera famiglia, quella vera,
non i burini italiani, si fosse radunata nel soggiorno e stessero discutendo
animatamente. C’era Linde buttato sulla poltrona a fianco al camino, Elena
avvinghiata Jonne sul divano che agitava le mani
contro un Migè intento a mangiare un cioccolatino, Kiki leggeva una rivista al contrario in Finlandese a
fianco a Migè, e per finire vidi Anita in piedi al
centro del salone che stava redarguendo Linde.
-C’è qualcosa di cui dovrei essere messa al
corrente?- dissi scendendo le scale. Tutti si voltarono a guardarmi
ammutolendosi all’istante. –Insomma?-
-Bi, mia cara, come stai?- nessuno rispose alla mia
domanda, ma Anita mi venne incontro prendendomi tra le braccia e stringendomi a
lei.
-Beh, Nit, potrebbe andare meglio, sai com’è…senza Luce le piante muoiono- dissi amaramente. Mi aveva
fatto incazzare, mi aveva mentito, ma era mio e senza di lui ormai ero un
relitto, ed erano passate solo poche ore. Dovevo sbrigarmi a farmi passare
questa dannatissima incazzatura, e sperare che non fosse troppo arrabbiato.
Anche Eva stava risentendo della mancanza di Ville, continuava a dare calci
senza fermarsi.
-Piccola, ora andiamo da papà, stai tranquilla- le
sussurrai accarezzandomi il pancione con delicatezza.
-Ma come?- mi chiese Migè.
–Noi siamo tutti qui riuniti perché la coppia perfetta ha litigato e tu vuoi
già andare da lui? Stavamo macchinando come fargliela pagare.-
-Aaaah ora capisco perché siete tutti radunati qui a fare
macello, Novella 2000 si trasferisce a Helsinki eh?-risi guardando Kiki e Elena che furono le uniche a comprendere la battuta.
-Noi volevamo solo essere d’aiuto, Bi- Linde prese
la parola cercando di scusare la pseudo-riunione. –O
perlomeno, quello era lo scopo. Poi ci siamo messi a chiacchierare degli altri
due piccioncini qua- disse indicando mia sorella e Jonne
che si erano lanciati in una maratona di apnea. –E poi ora si stava discutendo
di dove andare a cercarci qualcosa da mangiare a quest’ora. Lo sai vero che il
vostro frigo è schifosamente vuoto?-
-Lo so, parlane col tuo amichetto li. Mi porta
sempre a mangiare fuori, e l’unica cosa che abbiamo è cioccolata, caffè e thè-
scossi il capo e sorrisi pensando a tutte le volte che cercavo di cucinare e
venivo malamente trascinata al ristorante giapponese. La cucina casalinga non
era la prima passione di Ville, diciamo.
Finii di scendere le scale e andai a sedermi sul
divano a fianco a Elena e Jonne.
-Voi avete idea di dove sia?- chiesi speranzosa.
-Un’ora fa era a casa nostra- rispose Anita –Kari stava cercando di fargli entrare un po’ di sale in
zucca, e quando sono andata via si stava deprimendo sul divano ascoltando Neil
Young, fumando come un turco.
Un ghigno di sadismo mi sfiorò il volto, l’avevo
già perdonato quello si, ma sapere che si stava autopunendo per come si era
comportato mi rendeva molto, ma molto felice.
-Ottimo, ottimo, era proprio quello che mi
aspettavo- dissi.
-Ora però mi ha chiamato Kari,
si è svegliato e non l’ha trovato, deve essere uscito e non ha lasciato nessun
messaggio, e il cellulare è spento-
Un battito del cuore perse il suo ritmo.
Dove poteva essere andato, alle due di notte con
una morsa di gelo che non se ne vedevano da anni. Fissai gli altri ma nessuno
di loro mi sembrava preoccupato.
-Tranquilla, Bi. Avrà preso un taksi
e si starà facendo portare in giro per Helsinki, se lo conosco bene- disse Migè sgranocchiando una barretta di cioccolata ai lamponi.
-Sicuro, Sis. Siediti qui
con noi e aspettiamo che sia giorno, poi lo andiamo a cercare. Tanto i suoi hotspot li conosciamo- Elena si era un attimo slacciata dal
fianco del biondo cantante e mi stava accarezzando una mano.
Non sapevo cosa fare. Fuori era tutto ghiacciato
eppure non potevo rimanere li a casa, con le mani in mano.
Improvvisamente una canzone risuonò nella mia
mente. And the sacramentisyou
Sapevo dov’era. O almeno dove sarebbe andato.
Se era già li e stava congelando per fare il finto
duro, l’avrei ammazzato di botte, quello era sicuro.
-Ragazzi, so dov’è- dissi afferrando il cordless e
chiamando la nostra fidata compagnia di taksi.
-Dove hai intenzione di andare a quest’ora?- la
voce di Anita e quella di Elena si unirono nella stessa frase.
-Vado a riprendermi quell’idiota che mi sono
sposata-.
Andai su di corsa, presi i stralci della famosa
canottiera e li nascosi per bene in un cassetto, sperando che non gli venisse
la malsana idea di andarsela a cercare di nuovo. Mi misi addosso quanti più
strati di lana potevo, sciarpa, cappello, calze, enorme cappotto da sci ed ero
pronta.
-Eva, andiamo a riprendere la zucchina che ti farà da
padre che ne dici?-
La bambina sembrò sentire la mia domanda e lanciò
un piccolo calcio sulla milza.
-Ok, ok, sei d’accordo anche tu, ma la prossima
volta un po’ più piano, la mamma ringrazia sentitamente.
Il rumore di un clacson mi avvisò dell’arrivo del taksi.
Scesi di corsa le scale, tutto il gruppetto raduno
mi stava guardando come se fossi un aliena. Prima mi chiudevo in camera urlando
al tradimento e alla vendetta, poi me lo correvo a riprendere di notte, a
Helsinki, d’inverno. Potevo capirli.
Ma stiamo parlando di Ville HermanniValo.
Nonché di mio marito.
E quando si tratta di lui, la pazzia è routine
quotidiana.
Dopo 6 mesi ce l’ho fatta!! Questo è l’ultimo capitolo
prima di un piccolo epilogo, ringrazio col cuore chi l’ha seguita qui, grazie
davvero, e ringrazio le mie donnine, coloro che l’hanno fatta andare avanti a
forza di urla e minaccie di distruzione della mia
collezione himmica. Luvyaangelz
Capitolo 14
And love (of course) said NO
Kill me
I begged and love said no
Leave me
for dead and let me go
Kill me
I cried and love said no
Kill me
I cried and love said no
Forse andare li
non era stata l’idea migliore che avessi potuto avere. Ero appena scesa dal taksi e già sentivo ogni giunturadel mio corpo che stava andando in ipotermia.
Ma tra i brividi mi feci forza e mi diressi verso le scale.
Davanti a me, Tuomiokirkko si ergeva pallida nella luce dolce e fioca dei
pochi lampioni che illuminavano la grande piazza del Senato, e rischiaravano
con leggerezza la strada a quei pochi coraggiosi che si affannavano a salire le
sue scale di notte.
Doveva essere li
davanti, pregai,davanti all’unica
chiesa dove amavamo andare, magari anche solo a bere un caffè sulle sue scale o
a chiacchierare dopo un concerto.
Aguzzai la
vista, ma era troppo scuro e troppo lontano, quindi mi misi l’animo in pace e
mi costrinsi a salire la ghiacciata scalinata.
Dopo solo pochi
gradini però scorsi una figura che camminava lungo il ciglio delle scale,
all’esatto opposto di dove mi trovavo io. Urlare non sarebbe servito perché non
mi avrebbe sentito, così affrettai il passo.
La mia mente
voleva correre ma il mio corpo non ce la faceva, così mi settai su un andatura
media, ma a metà delle scale dovetti fermarmi per riprendere fiato. Mi sedetti
sul primo gradino disponibile e attesi che i miei polmoni ricominciassero a
funzionare e la mia schiena smettesse di urlarmi bestemmie in aramaico antico
codificato.
Ma,
improvvisamente, un braccio avvolse le mie spalle e un altro corpo infagottato
si appoggiò accanto al mio.
Voltandomi
incontrai i suoi occhi verdi, incatenando il mio sguardo al suo e cercando di
non perdermi nel mare di emozioni che ondeggiavano nel suo sguardo luminoso.
-Ciao, Fiona- mi disse baciandomi la fronte e appoggiando la sua
testa alla mia.
-Ciao, Shrek- risposi meravigliandomi che si ricordasse questa
storia.
La prima volta
che Olivia ci aveva visti insieme, reduci da un accesa discussione e quindi
appiccati come meduse l’uno all’altro era venuta da noi, ci aveva studiato per
qualche minuto poi aveva proferito la sua sentenza.
-Voi due siete
come Shrek e Fiona- aveva
detto la bambina con tono saggio, ripreso sicuramente dal padre.
-Grazie Olivia,
che bel complimento- avevo risposto ridendo.
-Ah, ma voi
siete la versione figa-
Ville e Linde si
erano quasi rotolati per terra dalle risate, io invece avevo riflettuto su quel
commento della piccola. Un po’ in fondo era vero, eravamo proprio come i due
orchi della Dreamworks, chiusi nella nostra torre
coperta d’edera, il fango era meglio evitarlo, ed eravamo sempre protetti dalla
nostra bolla di felicità e dai nostri amici più cari, un paio di ciuchini e
vari gatti con gli stivali, sempre pronti a fare gli occhi dolci per ricevere
qualche favore. Ogni tanto un Azzurro di passaggio disturbava il nostro quieto
vivere, ma per loro, avevamo Zenzy…
Le parole, come
al solito, sembravano essere inutili tra di noi. Appena la mia mano fu nella
sua capii che potevo ritenermi perdonato e decisamente più fortunato di quanto
mi meritassi.
-Sono stato una
testa di…-
-Cazzo! Si, lo
sei stato, ma sei la mia testa di cazzo, bugiarda e infida, e mi vai più che
bene così- rispose Bianca, stringendosi a me.-Ma la prossima volta dimmelo, se
vorrai evitare di essere bruciato sul rogo insieme alle tue orride camicie con
stampe strane-.
-Promesso- misi
la mia mano e la sua sul mio cuore, e girandomi le diedi un bacio, un bacio al
ghiacciolo, ma comunque un signor bacio.
-E poi sai-
aggiunse contro le mie labbra –la signorina qui non ne voleva sapere di stare
senza di te-
Mise la mia mano
sul suo ventre per farmi sentire, percepii un piccolo movimento, come una
manina che si spostava verso la mia, sapevo che era frutto della mia fantasia, Eeva era ancora troppo piccola perché potessi già sentire
la sua mano, ma amavo l’idea che io e mia figlia già sentissimo disperatamente la
mancanza l’uno dell’altro.
Feci alzare in
piedi Bianca e la portai davanti a me. Il mio orecchio poggiato alla sua
pancia, che ascoltava il battito costante del piccolo cuore racchiuso li
dentro.
-Andiamo a casa,
che dici?-mi chiese dopo vari minuti, mettendomi le mani nei capelli e
guardandomi.
-Direi di si-
risposi- c’è giusto un letto sul quale non vedo l’ora di “dormire.”-
Per la prossima
volta che avessimo litigato, dovevo ricordarmi che era meglio farlo a casa,
perché tanto lo sapevano entrambi che andava sempre a finire così. Come fai a
tenere il muso a chi ti conosce meglio di te stesso?
-Ottima idea,
mio principe della notte, anche io ho una certa voglia di stendermi sotto le
coperte a “dormire”- disse facendomi alzare e prendendomi per mano.
-Ci sono tutti
dentro, Ville- dissi mentre si stava divertendo a baciarmi il collo,
disturbandomi nella gigantesca impresa di trovare le chiavi di casa nella mia
ancora più gigantesca borsa di Mary Poppins.
-Se continui a
schiacciarmi contro la porta sarà difficile che riusciamo a entrare, non
trovi?-
Borbottando in
qualche lingua che assomigliava all’aramaico antico si scostò e mi lasciò
aprire la porta di casa.
Ma non feci in
tempo a mettere piede dentro che già si era tolto vari strati di vestiti, e si
stava dando da fare per togliere anche i miei.
-Lo sai che dopo
quello che hai combinato dovrei tenerti a stecchetto per almeno una settimana?
Sarebbe una giusta punizione per i tuoi misfatti.-
Non mi rispose,
si limitò solamente a togliermi l’ultimo strato di lana che mi copriva ed
appoggiarsi contro la mia schiena, avvolgere le mani sulla vita, e iniziare a
sussurrare, a un centimetro dal mio orecchio.
Every
vow i break on my way towards your heart
Countless times i've prayed for
forgiveness
But gods just laugh at my face
And this path remains
-Così non vale,
Secco. Stai giocando davvero sporco-
Sapeva
perfettamente che effetto mi faceva quella canzone, e la sua voce. E sapeva
checombinate, la tentazione mi avrebbe
vinta.
Un colpo di
tosse ci distrasse dai nostri preliminari. Ci voltammo insieme. Sei paia
d’occhi erano puntati contro di noi.
-No, ma ragazzi
continuate pure, fate come se non ci fossimo. E’ bello sapere che i nostri
ninfomani preferiti abbiano fatto pace-
Un Migè che si stava ingozzando di sushi parlò dal salone,
mentre il resto della ciurma era intento a arrostire marshmellow
sul mio fornelletto da campo, e tutti ci guardavano ridendo.
-Se permettete,
io porterei mia moglie su in camera, dobbiamo parlare di cose molto serie, poi
è incinta ed è molto affaticata- si intromise Ville sghignazzando dopo aver
fatto un cenno di saluto alla famiglia riunita intorno al nostro tavolo.
-Si si andate
pure a parlare-disse Elena.
-Ma voi rimanete
qui tranquilli, non ci disturbate mica- concluse Ville quando mi aveva già
trascinato su per le scale, non mi feci pregare oltre e lo seguii verso il
nostro luogo di perdizione preferito.
Una luce
insistente mi svegliò. Ero al caldo, ed era già tarda mattinata. Un braccio
avvolgeva le mie spalle, e un respiro regolare spezzava il silenzio.
Mi girai,
seppellii la mia faccia contro il suo collo. E felice, tornai a dormire,
abbracciata al mio sogno più bello.
Sesto mese di gravidanza- Marzo
-Biancaaaaaaa- speravo che mi sentisse dal primo piano.
-Che c’è?-
rispose.
-Hai per caso
visto la mia camicia con i fiori?- le chiesi. Volevo metterla per andare al Tavastia quella sera.
-L’ho usata come
straccio per pulire la tua vecchia culla, quella che ci ha dato tua madre per Eva-.
Settimo Mese di Gravidanza –Aprile
-Allora andiamo
al cinema con Jonne e Elena?- chiesi mentre cercavo
disperatamente il mio portatile tra le migliaia di scartoffie.
Nessuna
risposta.
-Ville?- chiesi
dirigendomi verso la cucina.
Il pancione ormai
era pressoché infinito e mi muovevo a velocitàbradipo, ma questo non gli dette comunque il tempo di nascondere le sue
attività segrete.
Era li tutto
intento col mio pc in mano a giocare a tetris, gioco al quale era disperatamente negato, ma si
ostinava a voler giocare.
-E tu dovresti
diventare padre tra due mesi?-
Ottavo Mese di Gravidanza – Maggio
-T’ho detto vai-
mi disse Bianca sdraiata sul letto col pancione scoperto intenta a finirsi le
ultime scorte di liquirizia che le erano rimaste.
-Ma non voglio
lasciarti da sola- risposti sedendomi a fianco a lei.
-Ville, su, non
fare il bambino, devi andare a quel concerto. Sai com’è? Siete voi che dovete
suonare, mica pinco pallino. E poi qui c’è Elena-
-Si che è su a
fornicare con la Barbie-grugnuii.
-Tu fatti i
cavoli tuoi.-
Mi aveva
convinto, presi due cose dal tavolo e mi diressi di sotto.
-Fermo li-
-Cosa c’è
ancora?- le chiesi.
-Se ti azzardi a
uscire con quella cosa addosso, considerami già vedova.-
Nono Mese di Gravidanza- Giugno
Eva sembrava non
avesse alcuna intenzione di uscire dal suo antro al calduccio. Ne la voce di
Ville che la esortava a presentarsi al mondo, ne le mie parolacce l’avevano
ancora convinta. Così me ne stavo tranquilla a trafficare con la mia collezione
di libri fantasy che custodivo gelosamente in quella che doveva essere la
cabina armadio, quando la voce di Ville mi raggiunse.
-Amore, hai idea
di dove sia la mia canottiera col drago?- mi chiese mentre un brivido freddo mi
percorreva la schiena. –Oggi fa un caldo terribile ed è l’unica cosa leggera
che ho-
-Ehm, no-
proprio non saprei, gli gridai di rimando.
-Amore?-
continuò-
-Hai idea di
cosa siano questi pezzettini di stoffa nera nascosti sotto ai tuoi vecchi reggiseni?-
Splash.
Cazzo.
Al quadrato.
-E’ la tua
canottiera col drago- iniziai- e per la cronaca, mi si sono appena rotte le
acque.
Grazie piccola
figlia furba, stavi aspettando per salvare la mamma vero? Mormorai tra me e me.
Andremmo mooolto d’accordo io e te, sogghignai.
@ valeriana,;
questa cosa delle ragazze finniche che disprezzano i loro compatrioti l’avevo
già letta, ho riso troppo. Beh, se le piacciono quelli italiani ha fatto un
grande affare LOL. Tutti mammoni e rincoglioniti, però magari li vogliono
proprio così. Grazie per il comm, asusual!
@ lithi: ma brava la mia fogliolina che s’è comprata Digital,
quand’è che ti unisci definitivamente agli angeli e ti fa un bell’hearti??! Devo troppo venire a trovati, mi manchi tanto
ç__ç
@ kiki91: mononeuronico,
povero cuore xDxD*guarda
verso la Fi e chiede scusa a Luce per tale cosa*, cmq, sì, a volte l’è assai rincretinito, porellino.
@ blaise_sl_tr07: lo sooo, quella scena è stata tremenda da scrivere, non sapevo
più dove mettermi le mani, alla fine è uscita confusa ç__ç…(il segreto è che in
realtà non doveva succedere niente di tutto ciò xD,
ma tu non hai sentito nulla). Cmq, come ringrazierebbe il Valo,
kiitospajion, a presto^^
@ Lally: peccato che la tregua sia durata poco, alla fine ce lo siamo ritrovate
proprio in mezzo ai cocomeri il BF…ancora mi ricordo
quando l’ho visto uscire per presentare i 69, lurido bastardo.
Ed ecco
la fine fine di questa storia…che
non è la vera fine di tutto. Diciamo che è la conclusione di “questa” parte di
storia. Non mi capisco nemmeno da sola xD
Ringrazio
tutti coloro che l’hanno seguita fino ad ora, commentando o non commentando.
Ringrazio i miei angeli con cui ho condiviso due dei più bei viaggi della mia
vita proprio nella patria delle Somme Maestà infernali. Ringrazio mia sorella
per aver fatto da modello alla sorella della protagonista e Anita e KariValo per averci donato il
protagonista xD Siamo tutte contente che quella sera
non avete deciso di vedere un film LOL
A prestoooo
Epilogo
“Eva”
Eva
sails away
Dreams the world far away
The Good in her will be my sunflower field
Non ce l’avevo fatta.
Entrare in sala parto andavo oltre le mie
possibilità di coraggio. Ero rimasto seduto di fuori, con una sigaretta spenta
in mano, e lo sguardo perso nel vuoto. Per tre ore, lunghissime e surreali
avevo atteso, avevo guardato verso quella porta davanti a me con terrore e
speranza. Una paura inconscia che potesse succedere qualcosa alle due donne
della mia vita, e la speranza di vedere uscire un infermiera che veniva a dirmi
che tutto era andato bene.
E poi.
Poi ero entrato, mi avevano chiamato e facendomi
coraggio avevo varcato la soglia.
Bianca, stesa sul lettino stanca ma sorridente
teneva in braccio un piccolo fagottino incartato in una copertina bianca, e il
suo sguardo sembrava rapito da una forza magnetica. Io stesso improvvisamente
sentii una forza trascinarmi in avanti. Il richiamo del sangue.
Mi avvinai con cautela. Era il primo incontro con
la mia bambina, e avevo paura.
Ma poi la vidi. Paffuta. Morbida. Un po’ grinzosa.
Con gli occhi identici ai miei, il colore sarebbe
stato ancora un mistero per vari giorni, ma la forma era inconfondibile, e un
sorriso si affacciò sulla mia bocca, chissà a quanti mesi di vita Bianca le
avrebbe insegnato che mettere la matita nera era fondamentale alla
sopravvivenza.
Le labbra erano di Bianca, il naso un misto strano.
Una piccola patata con una punta alla francese. Il resto era lei, Eva, già
unica e perfetta.
-E’ bellissima- mormorai stendendomi vicino a
Bianca e baciandola.
-Non avevo dubbi che lo sarebbe stata- rispose- e
sentila, non piange, sicuramente non ha preso da te-
Ridemmo insieme, e poi continuammo incantati a
fissare Eva, che con i suoi occhi, già profondi ci fissava di rimando, chiedendosi
forse perché le erano toccati due tipi così strani come genitori. Sperai che
non l’avremmo delusa.
In quel momento a fianco a loro due, rapito da due
occhi appena nati. Toccai il cielo, e tornai sulla terra.
Ero un padre.
Un mese dopo…
-Ville?!-
Ero intenta a riempire il biberon per Eva, mentre
Anita e Elena litigavano con le istruzioni del passeggino nuovo che la band ci
aveva regalato. Ma avevo uno strano presentimento.
L’avevo lasciato da solo con la piccola, doveva
solo tenerla tranquilla finché non fosse arrivato il cibo, ma conoscendolo
stava sicuramente facendo qualcosa che gli avevo vietato, tipo farle sentire
col volume al massimo i Black Sabbath.
-Ma prima inizia a sentire la vera musica meglio è-
mi aveva risposto la prima volta che l’avevo trovato con lei in braccio sulla
poltrona che le cantava, facendo head banging, Hole in The Sky.
-Piuttosto cantale qualcosa con la chitarra
acustica, almeno non le distruggi l’udito già durante l’infanzia- gli avevo
detto, cercando di suonare perentoria, ma vederlo sprofondatonella poltrona, con la nostra principessina
in braccio, vestita solo di una vecchia maglietta di Johnny Cash,
riadattata da me a tutina. E vederlo che la guardava come se non esistesse
altro essere sulla terra, mi aveva addolcita troppo.
Mi diressi verso il piano superiore, E, come avevo
previsto, stava facendo qualcosa che non doveva fare.
-Pucci, pucci, bububu, chi è la piccolina
del papà? Sei tuuuu-
Stava parlando alla mia già geniale figlia come se
fosse un cane.
Erano entrambi stesi sul letto e la stava facendo
volare sopra la sua testa.
-Ville? Cosa ti avevo detto?-
Si accorse della mia presenza e uno sguardo di
richiesta di misericordia si dipinse sui suoi occhi.
-Mi dispiace, ma non ce la faccio a parlarle come
se fosse un adulta-
Lo scrutai e sembrava sincero. Poi resistere a
quello sguardo da cucciolo abbandonato era ancora troppo difficile, forse in
quarant’anni sarei diventata immune a lui e ai suoi occhi.
Così mi sdraiai sul letto insieme a loro, Ville
posò Eva tra noi due. Calma e silenziosa ci scrutava senza fare un fiato, alzai
gli occhi verso di lui, e potei leggere nel suo sguardo la stessa straripante e
strana felicità che mi invadeva da un ormai un mese. Tutto si era sciolto, ogni
altro legame, quando per la prima volta avevo messo gli occhi sulla mia
bambina, e migliaia di fili dorati si erano andati a congiungere alei. Ed ora, entrambi avvolti dal nostro
bozzolo di gioia guardavamo la nostra piccolina, già così intelligente e
silenziosa, che dovevamo sembrarle noi i neonati.
La nostra Eva
Eva che dormiva beata tra le braccia di Ville che
si dilettava a cantarle ogni cosa che gli veniva in mente.
Eva che aveva creato intorno a se una corte di
amici adoranti che la viziavano in maniere terribile.
Eva che già dava sintomi di pazzia profonda,
avendola trovata con le manine come appoggiate su una chitarra elettrica.
Eva. Piccolo essere infernale che si faceva amare
solo con uno sguardo.