Il Ciclo dei Vinti

di Briseis Sophie J
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Mantide Religiosa ***
Capitolo 2: *** La Vedova Nera ***



Capitolo 1
*** La Mantide Religiosa ***


Salve a tutti! Ho iziato questa raccolta di storie insieme alla mia amica AC.
E' un genere nuovo per noi, dal momento che siamo sempre cimentate nel genere fantasy.
Perciò questo è un bel salto di qualità! Speriamo che sia di vostro gradimento e vi ringraziamo in anticipo per aver deciso di leggere questa storiella.
Siamo molto curiose di sapere che ne pensate! 
Buona lettura e alla prossima! 
AC & Briseis Sophie J

Clarissa si sedette ad uno dei tavolini di betulla del piccolo caffè letterario e aspettò l'arrivo del cameriere. 

Era a caccia. 

Da troppo tempo non aveva accalappiato nessun uomo e il suo arpione giaceva sul fondo del ripostiglio, inutilizzato. 

Si rendeva conto di aver iniziato a perdere il suo tocco magico, quello che le consentiva, con uno schiocco di dita, di avere qualsiasi uomo ai suoi piedi. 

Era una predatrice. Un avvoltoio con sembianze femminili, che se ne stava appostato, aspettando che qualche vittima devastata e dilaniata da una qualche perdita, si accasciasse al suolo, quasi priva di vita. 

Era allora, e solo allora, che il gioco iniziava. 

Aveva avuto molti mariti facoltosi e li aveva spennati tutti, divorandoli fino all'osso. 

Era così che lavorava. 

Prendeva tutto ciò che quegli uomini potevano darle: il loro patrimonio, la loro casa, le loro auto lussuose, i loro  figli.

Tutto doveva essere suo fino a che non otteneva ciò che più desiderava: l'umiliazione del sesso forte, del maschio che si credeva superiore a tutto, inattaccabile. 

Con la scusa di essere una lontana parente, o un'amica di vecchia data, o un'intima conoscente della defunta, si recava ai funerali e faceva breccia con grande maestria nella vita di questi pover'uomini, troppo scossi dalla recente perdita, per capire che la sua apparizione non era casuale così come non lo era la sua conoscenza dei parenti, degli amici, degli stessi figli della vittima predestinata. 

Disperati e incapaci di cogliere l'inganno, o più probabilmente, in cerca di un appiglio sicuro a cui aggrapparsi nel loro momento di maggior debolezza, questi la trovavano lì, al loro fianco, così gentile e disponibile, dotata di grande empatia e con una storia molto difficile, per una donna disposta a tutto pur di raggiungere il suo scopo. 

E scoprendosi credenti nel destino e nelle anime gemelle, la accoglievano, come si accoglie la donna che ti ha salvato la vita: e a questo punto, il gioco era fatto. 

Bastava coccolarli un po', mostrarsi una donna cordiale, arguta e un po' compiacente, condividere per mesi il talamo nuziale, regalando a quegli uomini la migliore esperienza sessuale della loro vita e Clarissa si ritrovava un anello al dito, un patrimonio enorme da gestire e qualche marmocchio piagnucoloso da crescere e accudire. 

Se poi, a distanza di un anno, si convinceva un'amica di fiducia a farsi cogliere in flagrante con le mani nei pantaloni del marito, la conclusione era oltremodo dolce: una piccola fortuna le veniva destinata per continuare a condurre la sua esistenza, il divorzio veniva gestito in via strettamente confidenziale e lei poteva fingersi per qualche mese addolorata e col cuore spezzato, prima di riprendere nuovamente la caccia, e come una mantide religiosa, era consapevole di essere l'unica uscita dignitosamente da quella turpe vicenda.

Eh già, perché il tempo è denaro e Clarissa ne era più che consapevole. 

Se una vittima si mostrava troppo diffidente, mollava l'osso dopo il primo assaggio: perché affaticarsi per convincere un uomo ritroso, quando ve n'erano altri di gran lunga più compiacenti?

Clarissa prese dalla libreria più vicina un libro di fotografie di paesaggi. 

Era da mesi che studiava quel trentenne, consigliatole dalla sua confidente di fiducia, Giorgina, la donna che da dietro le quinte orchestrava il tutto, affinché ogni cosa procedesse secondo il disegno prestabilito. 

Giorgina si occupava di trovare le possibili vittime, di scegliere la strategia di attacco e di rendere il personaggio di Clarissa il più credibile possibile. 

Lei era la burattinaia, la ventriloqua che faceva si che Clarissa non fosse più una ventiseienne con un corpo flessuoso e seducente, una buona preparazione in svariati argomenti, e un verde sguardo magnetico da cui nessun uomo riusciva a staccarsi con facilità, ma la regina della seduzione, la dea del sesso, la strega, artefice di molti cuori spezzati. 

Lo vide arrivare ancor prima che varcasse la soglia: era un abitudinario e questo piaceva molto a Clarissa. Erano i più facili da studiare e monitorare. Non tendevano mai ad uscire dai compartimenti stagni che costituivano la loro vita. 

Ordinò il solito cappuccino e si sedette qualche tavolo più in là di dove lei si trovava. Lo osservò con attenzione: era un bell'uomo, con le spalle larghe e la via stretta. Era vestito in smoking, una cosa che lo rendeva dannatamente sexy. Aveva un'aria pensierosa e preoccupata, che addolciva indubbiamente i lineamenti del volto. A Clarissa sarebbe piaciuto per davvero. Era uno con cui sarebbe andata a letto più che volentieri. Ma era pur sempre questione dei lavoro e quindi non doveva distrarsi in nessun modo.  

Era tempo di agire. 

Sapeva bene che di recente aveva perso la moglie a causa di alcune complicazioni durante il parto. Non era il genere di uomo che Clarissa avrebbe puntato, ma era periodo di magra e aveva un disperato bisogno di denaro per rimpolpare le sue finanze, che si andavano via via assottigliando, a causa del suo stile di vita mondano e costoso.

Lo avvicinò con la scusa di voler leggere la gazzetta che si trovava proprio sul suo tavolo. Lui non la degnò di uno sguardo, asserendo con un debole cenno della mano. 

Clarissa rimase delusa: lo credeva una preda più facile da irretire. Forse si era sbagliata. 

Vedendo che la donna non si muoveva di un millimetro, finalmente l'uomo sollevò lo sguardo e andò letteralmente al tappeto. 

Ecco. Da Bravo. Era questo che volevo vedere.

L'uomo si profuse in una serie di scuse e la invitò a sedersi e si offrì di pagarle la colazione. 

Lei rifiutò con finta modestia. Era brava a far credere agli uomini di essere un indipendente donna d'affari, sicura di sé e del suo posto nel mondo. Di non aver bisogno di nulla da parte degli uomini e di sapere esattamente come tenerli al loro posto. 

<< Mi chiamo Spencer. Spencer Woods.>> 

<< Clarissa. Clarissa Mckenzie. Molto lieta.>> 

Notò che Spencer la osservava con notevole interesse, anche se si teneva sulla difensiva. 

Conversarono del più e del meno, approfondendo la loro conoscenza. Clarissa non amava perdersi in convenevoli, men che mai quando stava lavorando. Sostenne la conversazione solo perché Spencer era in cerca di conferme e perché lei doveva sembrare credibile.

Quando lui le raccontò della moglie, lei si mostrò partecipe del suo dolore, affermando di aver conosciuto la donna in precedenza, ritendendola una moglie di sani principi e dalle forti motivazioni.

Spencer rimase interdetto circa quell'affermazione e volle sapere di più su come le due donne si fossero conosciute. Era in allerta e questo non sfuggi alla donna.

Clarissa non si fece cogliere impreparata: gli snocciolò la maggior parte dei parenti di lei, che diceva di conoscere, lo sorprese con dettagli di cui lui non ricordava neppure l'esistenza e gli raccontò alcuni aneddoti appositamente creati per l'occasione. 

Spencer si ritenne soddisfatto e prosegui con la conversazione, spostandosi su temi più piacevoli.

Le cose procedevano esattamente secondo la volontà di Clarissa. 

Bingo. Aveva fatto centro. Di nuovo. 

Si accorse di come lui parlava con calore della sua azienda, del cross-fit, dei libri gialli e del giardinaggio, una sua inconfessabile passione, a suo dire.

La mattinata trascorse tranquilla e al momento della separazione, Spencer le chiese il recapito telefonico e la invitò a cenare insieme la sera seguente. 

Era fatta.

Per molti mesi avrebbero giocato a fare i piccioncini, fino al giorno del grande passo, e al conseguente salto di qualità. 

Clarissa si avviò verso la sua BMW con notevole soddisfazione, pregustando l'anno che sarebbe seguito. 

Forse non ho poi perso del tutto il mio tocco magico.

Si, perché lei era una predatrice. Un avvoltoio con sembianze femminili. 

Clarissa era una mangiatrice di uomini. 

 

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Capitolo 2
*** La Vedova Nera ***


La Vedova Nera 



Salve! Sì, lo so. Sono storie molto diverse l'una dall'altra ma quello che le lega è ovviamente l'indubbia presenza femminile raggiratrice, mendace, violenta, vendicativa, lussuriosa... Sono storie brevi, come lunghe. Le prossime che verranno saranno molto più lunghe e intricate di queste. 
Spero che vi piacciano, ma nel frattempo vi lascio con questa, che è un lavoro a due mani, le mie e quelle della mia migliore amica AC. Chiedo venia per gli eventuali errori, lo abbiamo ricontrollato ma qualcuno sfugge sempre.
Buona lettura!
AC & Briseis Sophie J


 

Tom non si ricordava neppure perché aveva deciso di farlo. 

Aveva ricevuto una e-mail da parte di una tale, di nome Amelia, che gli proponeva un paio di sedute per affrontare uno degli argomenti che negli ultimi tempi lo perseguitavano: non era ancora sposato. 

Per un uno in carriera come lui era un fatto infamante, sopratutto quando i suoi compagni di avventure lo invitavano a quelle terribili cene a sei, sperando di presentargli qualche bella ragazza, ambiziosa e desiderosa di mettere le mani sul suo portafoglio.

Si, probabilmente aveva accettato per colpa di una scommessa, ma non ne era certo: non era uno che accettava le sfide. 

No, Tom semplicemente le scansava, perché sapeva che le sfide di quegli amici erano alcune tra le più pericolose. 

Si iniziava con un battuta fraintesa, qualche risata, fino a giungere a cose veramente serie. 

Molti prima di lui si erano giocati la barca a vela, la Maserati, la casa al mare. 

"Tutto quello che ho, l'ho guadagnato onestamente”, era solito dire. 

Un’altra frase che gli piaceva molto era: “Sono un self-made man”, uomo che si è fatto da solo.

Peccato che non era così. 

Se era arrivato fin lì, era solo grazie al suo amico Jonathan Thompson, che aveva oliato i suoi contatti pur di fargli avere un lavoro dignitoso. 

Il resto era storia. 

Aveva fatto il minimo sindacale di gavetta per arrivare ad essere un uomo d’azione, uno dei tanti che toccavano con mano i miliardi e li facevano fruttare per conto di altri.

Giocando in borsa, aveva fatto fallire diverse società importanti, comprando le loro azioni, poi rivendendole, poi comprandole nuovamente ad un prezzo più vantaggioso, e aveva sottratto denaro a degli onesti investitori. 

Il suo capo lo chiamava il 'falco', perché riusciva sempre a fare affari, fiutando una potenziale preda in quel frenetico mondo finanziario. 

Stava guidando il suo nuovo Q5 nero verso via XX Settembre. 

Era una macchina comprata qualche mese prima, con un motore potente, fatto per andare a grande velocità. 

Gli interni erano di una pelle beige piuttosto morbida e alcune parti del cruscotto erano di legno.

Ingranata la terza, si immise in una stradina laterale. Perché mai dovrei andarci…

Era solo una fottuta scommessa. 

Digrignò i denti, e puntò gli occhi sulla strada, cercando di calmarsi. 

Non era una di quelle persone impulsive, che, prese le chiavi della macchina, dicevano arrivederci e se ne andavano chissà dove.

 No, no, lui era riflessivo e attento. 

La sua vita non era stata facile: la sua famiglia aveva sempre vissuto contando sulla generosità degli altri. 

Aveva sempre provato fastidio per coloro, che si rifiutavano di dare uno strappo a quei poveri diavoli che, con un pollice alzato, cercavano un passaggio per raggiungere la città più vicina. 

Sapeva cosa significava non avere una base solida sotto i piedi e non voleva ritornare in  quella condizione di precarietà. 

 

Era quasi giunto nel luogo previsto per l'appuntamento. Parcheggiò la macchina in uno dei parcheggi a pagamento e si diresse verso un edificio, a tre piani, risalente probabilmente  agli anni del fascismo, che era circondato da un grazioso giardinetto.

Dietro ad una porta a vetri, vi era la portinaia. Quartiere per ricchi

Il trentenne suonò il campanello e attese. 

La portinaia era una signora piuttosto anziana, con lunghi capelli grigi, legati accuratamente in una coda di cavallo. Il volto era piuttosto scavato e livido, dovuto forse ad una recente malattia. 

Lei gli aprì la porta e chiese di vedere le sue credenziali. 

Tom le porse la patente. La donna tirò fuori da una borsa di tela sgualcita un porta-occhiali marrone. Al suo interno vi erano un paio di occhiali dalla lente rotonda e spessa.

 La informò subito del suo appuntamento con la dottoressa Amelia. 

La portinaia annuì. 

"Solo un momento, per favore."

Digitò qualche numero sulla tastiera del telefono, probabilmente collegato con la maggior parte degli appartamenti, e scambiò qualche parola con la donna.

La vecchia indicò al giovane la via per prendere l'ascensore e gli disse di fermarsi al terzo piano.

Tom la ringraziò e si affrettò a raggiungere il luogo dell’appuntamento.

Una delle due porte del piano era leggermente aperta. 

Il trentenne cercò il campanello e il nome corrispondente, ma sulla parete non vi era nulla. Decise di aspettare, conscio che la donna non si sarebbe fatta attendere a lungo. 

Infatti, poco dopo, una donna alta con capelli scuri e ricci si affacciò e gli fece cenno di entrare. 

Nell'entrare nell'appartamento, Tom urtò contro un uomo palestrato e calvo, che se ne stava andando. 

Aveva un profumo molto dolce e inteso addosso. Insolito per un uomo. Forse è il compagno della donna

Si chiuse la porta alle spalle. L'intero abitacolo era illuminato da candele, che servivano a rilassare i pazienti e a metterli a loro agio. 

Era una appartamentino accogliente, piccolo, ma non troppo. Probabilmente fungeva soltanto da luogo di lavoro.

Non fece in tempo a fare qualche passo, quando alle sue spalle fu preso da due braccia forti e muscolose, mentre un altro individuo gli copriva il volto con un sacco nero della spazzatura. 

Tom rideva, convinto che fosse uno scherzo organizzato dai suoi amici: di recente non lo avevano visto spesso con una donna e si erano preoccupati della sua carente vita sessuale.

Devo ricordarmi di dire loro che questo è il peggior scherzo, che abbiano mai concepito.

I due sconosciuti lo adagiarono sul letto e lo legarono mani e piedi con fascette di plastica, poi uscirono.  

Ok. Ora basta! E’ stato bello finché è durato.- 

Cominciava a sentirsi a disagio e non era certo che gli sarebbe piaciuto quello che stava per succedere.

Una mano morbida si strofinò contro il suo membro floscio. 

Tom si strattonò e si dibatté, ma le fascette erano troppo resistenti per cedere.

Gli venne tolto il sacco dal volto e lui poté vedere la sua carceriera. Non l’aveva osservata bene prima. Era una donna nella media, non particolarmente attraente, ma aveva un luccichio negli occhi, che le dava un’aria sensuale.

Aveva addosso solo un accappatoio di seta con motivi orientali, leggermente aperto all'altezza dei seni per dare un'idea di ciò che si celava al di sotto. 

Lei gli si mise sopra a cavalcioni e prese a parlare. 

- Non ti ricordi di me, non è vero?-

- È un vero peccato, ma no. Se no, andrei a denunciarti per sequestro di persona.-

La ragazza rise e lo guardò con occhi maligni.

- Davvero non ti ricordi? E dire che ci siamo incontrati più volte. Mi hai incontrata per strada e sei passato oltre, quasi come se non mi avessi visto. E’ assurdo! Perché io, appena ti ho visto, ti ho riconosciuto subito. Cosa credevi, eh? che quella email ti fosse arrivata dal cielo? No, caro mio. Son stata io.—

Tom scavò a fondo nella sua mente, cercando anche un solo ricordo che fosse riconducibile a quella squilibrata.

- No, non mi ricordo di te e francamente è molto meglio così. Pensavo fosse qualcosa di architettato dai miei amici, nulla che avesse a che fare con roba bondage o giù di lì. Lo sai vero, che non appena esco di qui, ti denuncio?-

- E chi ti crederebbe? È più facile per i giudici credere il contrario. Che sei stato tu a prendere l’iniziativa e che io mi sono semplicemente difesa.-

Tom sbuffò. Quella stronza purtroppo aveva ragione. Tentò di liberarsi di nuovo con scarsi successi. Ne aveva abbastanza. 

- Allora dimmi chi sei! Magari, del tuo nome mi ricordo.-

- Amalia, idiota! Amalia! Non posso crederci! davvero non ti dice niente questo nome? -

- Ah, ora ricordo: denti di ferro!- un sonoro schiaffo si schiantò sulla sua guancia destra.

- Non chiamarmi così, lurido bastardo! Pensavi di essere passato a miglior vita, comprando macchine costose e facendoti nuovi amici, ma qui ti sbagli. Io sono tornata, per cercare vendetta! Mi ricordo ancora quando tu e Brigitte avete organizzato quella patetica festa in mio onore, per farmi sentire la più popolare del liceo. Mi avete umiliata! per voi era tutto un gioco, eh?-

- Andiamo! Tu volevi essere trattata come la principessina e ci hai praticamente supplicato di entrare a far parte del nostro gruppo. Pensavamo che dandoti una lezione, avresti lasciato perdere. Eri ossessionata da Brigitte! La tempestavi di messaggi e telefonate! E tutto solo perché ti aveva rivolto la parola un paio di volte. Certo, noi abbiamo sbagliato, ma anche tu eri una bella credulona. Non avevi le carte in regola per essere una di noi! Ah! Cavoli! E il bello è che era facile trovare altre ragazze come te: volevate tutte la stessa cosa. Vivere una favola! Ma quanto eravate infantili? -

Tom ridacchiò, ma non per molto. Sentì come un taglio di bisturi, squarciargli la pelle sotto al capezzolo sinistro. 

Il ragazzo si lasciò sfuggire un gemito di dolore. 

Amalia rise malignamente, pregustando la sua vendetta.

- Fa male vero? Si, lo so. Ma non ti preoccupare, Tom, non ti farò troppo male, non voglio rovinare la tua bellezza. Se no poi, per rimorchiare, dovrai serpe avere i vestiti addosso! ma è anche vero che, dopo che avrò finito con te, non ne avrai più bisogno.- 

Gli slacciò la cintura e gli calò le brache di jeans; i boxer bianchi griffati vennero subito dopo.

Tom osservò la sua carceriera pregustare il suo premio. 

Se è solo una scopata quella che vuole non c'è problema, pensò rilassato.

Forse se fossero state due persone in una situazione diversa, Amelia si sarebbe anche accontentata di una scopata. 

Ma dopo aver sentito che era diventato il gioco dei ragazzi popolari, far sentire le ragazze speciali per una settimana, uscendo con loro, regalando loro una collanina, facendo finta di preferire loro alle bellezze della scuola. Per poi portarle nel loro scannatoio e farci sesso con loro e mettere su una pagina interne, appositamente creata, le valutazioni su com’era stato, che odori avevano sentito, su come si erano comportate le ragazze.

Insomma, una crudeltà bella e buona.

E Amelia voleva essere crudele, come loro por erano stati con lei.

Perciò si diresse verso una porticina secondaria e bussò due volte. I due energumeni di prima uscirono e andarono, uno a tappare la bocca del prigioniero e l'altro a prendere una cassetta di attrezzi da giardino. 

Amelia esitò. Ma poi, si riscosse e continuò nel piano diabolico, che aveva architettato fino a quel momento.

Ad Amelia venne dato un oggetto metallico di grandi dimensioni.

La donna si erse sul materasso e si slacciò del tutto l'accappatoio. 

Prese il membro di Tom e se lo infilò dentro con un colpo secco. 

Tom la vide muoversi dall'alto verso il basso in maniera costante ed un piacere frenetico si fece strada nel suo ventre. 

L'orgasmo giunse poco dopo. 

Ad Amelia venne data una provetta con cui raccolse un po’ di sperma.

- Bene, Tom, adesso non mi servi più. Volevo una famiglia, una bella casa e del sano sesso con te, ma tu mia rifiutata, umiliata e derisa. È ora di saldare i conti in una qualche maniera, no?! Non avrai mica pensato di farla franca! No, non guardarmi così. Non mi fai alcuna pietà. Le tue scelte le hai fatte molto tempo fa ed è ora che tu te ne assuma la responsabilità. Non preoccuparti: anche George e Matt sono già stati sistemati. Tutti i nodi tornano al pettine, no? -

Da dietro la schiena la ragazza tirò fuori delle cesoie ben affilate. 

Tom la supplicò di non farlo, che avrebbe fatto qualunque cosa per lei. 

Giocò persino la carta della famiglia, ma fu tutto inutile. 

Il suono delle cesoie che si chiudevano intorno al suo membro fu contemporaneo all'urlo attutito del uomo. 

Il sangue sgorgava copioso e macchiava dappertutto. 

Amelia raccolse i suoi pantaloni da terra e prese il portafoglio e le chiavi della macchina.

Lo guardò. Nella sua vulnerabilità, totalmente in sua balia, totalmente privo di ogni via di scampo.

Quasi le dispiaceva. Dopo tutti quegli anni provava ancora qualcosa per lui.

Rimase lì con lui, tenendogli la mano, fino alla fine.

Rimase lì anche molto tempo dopo, che l’uomo era morto.

Uno dei due energumeni le disse che dovevano muoversi oppure qualcuno avrebbe notato qualcosa. Non voleva ficcanaso in giro.

Era anche il motivo per cui avevano scelto quel posto.

Amelia non si era resa conto di piangere. 

si asciugò il viso velocemente e si guardò intorno, cercando di ricordarsi quello che andava fatto.

Rimisero a posto la stanza alla bell’e meglio.

La donna rivestì velocemente ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle. 

Tutti i suoi averi erano già stati caricati sul Q5 e i due uomini l'aspettavano di sotto. 

Salita sulla macchina, partirono a tutta birra.

Uno strano senso di abbandono si faceva largo in lei, come se fosse la fine di qualcosa di importante. 

Si mise a guardare fuori la distesa di campi coltivati e lasciò che la mente vagasse libera.

Sorseggiava un buon bicchiere di Chianti.

Tom perché voi uomini non siete mai quello che noi donne vorremmo? Perché ci tradite, deludete, amareggiate? Perché vi fate odiare? Sto ancora cercando di capirlo. Forse è una di quelle domare rimaste insolute dall’alba dei tempi. Non lo sai che le donne sono mine vaganti? Non lo sai che siamo vendicative? Non lo sai che siamo vedove nere che aspettano la prossima vittima pazientemente?

 

 Grazie per averlo letto! Alla prossima! Fateci sapere quello che ne pensate!

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