Un'alchimia inattesa

di Rosmary
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alchimia ***
Capitolo 2: *** Inatteso ***
Capitolo 3: *** Un'alchimia in attesa ***
Capitolo 4: *** Per sempre ***



Capitolo 1
*** Alchimia ***


I personaggi presenti in questa storia sono proprietà di J.K. Rowling;
la mini-long è scritta senza alcuno scopo di lucro.




 




 
“Al diavolo.”

Fred sputò furioso quell’imprecazione e infilandosi il cappotto, sordo ai richiami di George, uscì dal loro negozio, marciando a passo svelto tra le strade semideserte di Diagon Alley. Non capitava spesso che i due ragazzi litigassero tra loro, ma quando accadeva erano liti caratterizzate da fitti battibecchi, voci sempre più alterate e qualche insulto di troppo; erano pesanti i litigi tra Fred e George Weasley, perché entrambi conoscevano perfettamente l’altro e avevano quindi ogni tipo d’arma a disposizione per ferire e farlo anche molto bene.
Quella giornata era iniziata male sotto ogni punto di vista: dapprima, Fred aveva calpestato – e involontariamente sgualcito – il maglione prediletto di George, il quale aveva intimato al fratello di fare maggiore attenzione a dove metteva i piedi, peccato che nel rimbeccarlo avesse urtato il comodino, facendo cascare a terra proprio la bacchetta di Fred, che era rotolata sino a finire sotto al letto. A quel punto George, subendo l’ovvia provocazione di Fred riguardo al ‘prestare attenzione’, aveva dovuto recuperarla. Un po’ assonnati e un po’ irritati dal fastidioso risveglio, s’erano vestiti in silenzio, consumando molto rapidamente la colazione – George, in particolare, aveva preferito bere solo un tiepido caffè prima di precipitarsi al piano inferiore. Una volta al negozio, l’andazzo della giornata storta non era migliorato affatto: tra prodotti non ben confezionati, scaffali in disordine e discussioni su cosa scontare, i due neoimprenditori erano riusciti a malapena a ricordarsi d’aprire il negozio. Verity, arrivata ai Tiri Vispi alle nove in punto, era stata rimproverata da Fred, perché, era noto, una commessa diligente si sarebbe anticipata di almeno dieci minuti; Verity avrebbe volentieri fatto notare al ‘signor Weasley’ che era sempre arrivata alle nove in punto e a lui e a suo fratello era sempre andato bene, ma l’intervento di George era stato più veloce degli intenti della strega, cosicché quello che doveva essere un semplice appunto fatto dal titolare alla dipendente si era tramutato nell’ennesima discussione tra i due gemelli. La commessa, conoscendoli e intuendo che il proprio ritardo non fosse il reale fulcro della questione, si era dedicata alle solite mansioni, lasciando in balia di loro stessi George e Fred. Da quel momento in poi, discutere su ogni più piccolo dettaglio e ingigantirlo era stato estremamente semplice, esattamente come arrivare a un Fred infuriato che gridava al diavolo e abbandonava il proprio negozio.
Nervoso, infreddolito e anche intristito, Fred continuava a percorrere le strade di Diagon Alley senza una reale meta. Si guardava intorno e non scorgeva nessun volto familiare, nessuna vetrina accattivante, anzi, le poche vetrine che ancora spiccavano in quel grigiore erano tutte semicoperte dalla saracinesca, come se i proprietari fossero pronti a chiudere i battenti da un momento all’altro. Quello scenario attutì il nervosismo in favore della tristezza mista alla nostalgia dei tempi passati, quando le vie del ‘centro commerciale’ magico erano affollate e chiacchierine e si vedevano tanti bambini in giro, molti dei quali erano a far le fusa al negozio di Quidditch. Già, QuidditchHogwarts… Neanche sotto tortura avrebbe ammesso che la scuola gli mancava, o, più precisamente, gli mancava il clima di Hogwarts: i dormitori, le divise stropicciate, gli amici e i nemici a cui fare scherzi, le lezioni da marinare e i compiti da copiare all’ultimo minuto… gli mancava non essere responsabile di niente, perché a scuola non c’erano ordini da fare, fornitori da pagare, clienti insoddisfatti con cui trovare un accordo… non c’era una Verity a cui fare da titolare, non c’era nulla di tutto quello, c’erano solo gli scherzi d’architettare e nuovi Tiri Vispi da inventare, e non perché la clientela esigeva novità, ma perché a lui e a George andava.
Sulla scia di quei pensieri si ritrovò a Smaterializzarsi a Hogsmeade e con un sorriso ricordò che era sabato e che molti studenti sarebbero stati in giro, con un po’ di fortuna avrebbe incontrato suo fratello o sua sorella, o magari Katie, che frequentava l’ultimo anno. Ecco, con Katie avrebbe volentieri scambiato due parole, anche se forse lei gli avrebbe prima rimproverato il non aver risposto neanche a mezza lettera e poi avrebbe acconsentito a una allegra rimpatriata.
Scrollando la spalle e infilandosi le mani in tasca, si diresse ai Tre Manici di Scopa, meta preferita dalla maggior parte degli studenti e da Katie, che, odiando il freddo, s’ostinava a trascorrere i suoi weekend invernali lì dentro, con la conseguenza che in passato Lee aveva dovuto caricarsela in spalla più di una volta per portarla un po’ in giro, all’aria aperta.

“Fred?”

“George?”

“Ehi, è il gemello Weasley!”

Chi?

“Ma come chi. Quello che ha fatto saltare in aria l’ufficio della Umbridge!”

“Ma cosa dici, scema! Lui e il gemello hanno fatto saltare in aria il terzo piano, non l’ufficio della preside!”

“Sciocchezze. Sono volati via su un drago che ha incendiato tutta la Sala Grande, me l’ha raccontato il cugino dell’amico del fratello di Tom.”

“E chi è Tom?”

“Il migliore amico di Sophia, la sorella di Steve di Tassorosso, che è il fidanzato della sorella di… tua, in effetti. Dovresti conoscere Tom anche tu!”

Fred, messo il piede all’interno del locale, assistette a quel siparietto a dir poco attonito – e anche parecchio lusingato, il suo ego ringraziava a gran voce! –, scioccato dal trambusto che s’era levato da quei tre tavolini vicini all’ingresso, tutti occupati da studenti che non conosceva, a occhio potevano avere tra i tredici e i quattordici anni, non di più. A essere esilarante fu che, risucchiati dalla discussione su cosa o chi avessero distrutto lui e George prima di andar via in grande stile, presero a ignorare completamente la loro ‘star’, che poté sorpassarli senza ulteriori fastidi e rivolgere un gran sorriso alla sempre avvenente Madama Rosmerta.

“Fred?”

L’interpellato non fece in tempo ad alzare gli occhi al cielo che realizzò con sollievo di conoscere quella voce. “Harry, ciao,” disse semplicemente, registrando velocemente l’assenza del fratello.

Harry Potter era seduto a uno dei tavoli a pochi passi dal bancone, strofinava le mani tra loro e sembrava rapito da pensieri troppo grandi per essere esternati, c’era anche l’ombra di occhiaie fresche sotto ai suoi occhi verdi, come se da un paio di notti a quella parte avesse perso l’abitudine di dormire. Fred non fece caso a tutti quei particolari, forse perché era abituato a vedere Harry tormentato o magari perché era sin troppo preso dai propri fantasmi.

“Come mai da queste parti?” chiese l’occhialuto sedicenne.

“Facevo un giro,” liquidò. “Dov’è Ron?”

“A divorare la faccia di Lavanda Brown. Se ti guardi intorno, sicuramente vedrai un tavolo con due polipi appiccicati: è il suo,” biascicò a denti stretti la neogiunta Hermione, che prese posto accanto a Harry. “Ah, ciao, Fred,” aggiunse in ultimo.

Fred la guardò perplesso: anche lei, esattamente come Harry, aveva l’aria di chi non dormiva da un bel po’, e poi era nervosa, molto più del solito, difatti non faceva altro che lanciare sguardi offesi in giro e stare seduta rigida e impettita, come se avesse il mondo intero in antipatia. Il diciottenne, ad ogni modo, dedicò molte più attenzioni alle parole della strega, non essendo per nulla sicuro d’aver ben capito dove fosse e cosa facesse suo fratello; tuttavia, intuendo che non fosse un argomento gradevole ‘Ron e le sue gesta’, finse indifferenza e focalizzò il discorso sul particolare più irrilevante. “Mi hai riconosciuto anche tu,” disse infatti, sedendosi senza invito al tavolo dei due.

“Non era difficile, c’è il cartellino col nome sul tuo cappotto,” spiegò spiccia lei.

“Vero, a volte lo dimentico.”

Risaliva a qualche settimana prima la decisione sua e del fratello di portare stupidi cartellini con i propri nomi sugli abiti da lavoro; i due Weasley, infatti, avevano notato che nei clienti e soprattutto nei fornitori generava fastidio il non saperli riconoscere – a quanto sembrava, era alquanto fondamentale sapere con certezza chi fosse il proprio interlocutore. Innervosito da quei pensieri che lo rimandavano a George, Fred tolse il proprio nome dal cappotto e infilò quel rettangolo plastificato in tasca, sotto gli sguardi sospettosi dei due Grifondoro: aveva messo un po’ tanta foga nello sbarazzarsi del cartellino.

“È successo qualcosa?” s’azzardò a chiedere Harry.

“Nulla.”

Seguì quasi un minuto di totale silenzio, un silenzio imbarazzato e anche stranito: i tre ragazzi si studiavano distrattamente, chi tamburellando con le dita sul tavolo, chi rigirandosi una ciocca di capelli tra le dita, chi pulendo controvoglia gli occhiali. Era palese che fosse successo qualcosa a Fred, ma né Harry né Hermione ebbero nell’immediato il coraggio di porgli domande a riguardo. A spezzare l’atmosfera imbarazzata fu l’ingresso in scena di Lumacorno, che come un segugio fiutò la presenza del Prescelto e si diresse direttamente da lui, il quale, memore delle parole di Silente, si prestò al gioco di quell’avido insegnante, accettando con celata irritazione di bere una Burrobirra al bancone in compagnia del professore. Hermione sospirò allo sguardo rassegnato di Harry, che salutava con un ‘a dopo’ i due amici, mentre Fred non poté impedirsi di raddrizzarsi sulla sedia e rivolgere un eloquente sguardo interrogativo alla Grifondoro.

“Non guardarmi così!” sbottò lei.

“Come ti sto guardando?”

“Come uno che vuole sapere.”

“Beh, ma io voglio sapere. Perché Harry fa il leccapiedi con quello?”

“Harry non fa il leccapiedi,” ribatté a denti stretti Hermione. “Ti basti sapere che Lumacorno è una compagnia consigliata.”

L’enfasi che Hermione pose sul ‘consigliata’ incuriosì Fred e, in un certo senso, stemperò anche l’ondata d’antipatia per Harry: Fred Weasley poteva sopportare quasi tutto, ma nel quasi per i leccapiedi non c’era posto.

“Allora, Weasley, che ti è successo?” chiese con finto disinteresse Hermione, nascondendo il viso dietro al menu.

A Fred sfuggì un ghigno. “Bell’approccio, Granger, altri avrebbero iniziato con il banale come va!”

“Che a te vada male è evidente, sarebbe stato uno spreco di tempo chiedertelo.”

“Certo che sei diretta.”

“Ottimizzo il mio tempo,” disse lei con un sorriso, lasciando che il suo sguardo sbucasse al di là del menu.

“Ho litigato con George,” ammise Fred dopo una smorfia. “E non fare quella faccia! Anche noi litighiamo.”

Hermione tentò di camuffare l’espressione attonita con un colpetto di tosse. “Vuoi parlarne?”

“Non è che ne abbia molta vog…” S’interruppe d’improvviso, fissando lo sguardo su un punto alle spalle di lei. “Oh, mamma… questa cosa mi bloccherà lo sviluppo…”

“Ma cosa?” chiese Hermione, voltandosi a sua volta. “Ah. I polipi,” considerò seccamente, affrettandosi a dare di nuovo le spalle a Ron e Lavanda.

“Sì, in effetti sembrano proprio polipi… Ma che schifo, le sta mangiando la faccia. Mi rifiuto d’essergli parente,” affermò nauseato Fred, distogliendo lo sguardo dalla coppia e tornando a rivolgere l’attenzione alla ragazza, ritrovandosela anche più impettita di prima, un po’ rossa in volto e un filo arrabbiata. Che fosse… “Sei gelosa di Ron?”

“Cos’hai detto?”

“Hai capito.”

In risposta, Hermione incrociò le braccia al petto e s’esibì in uno sbuffo contrariato. Le era impossibile reagire in modo più dignitoso: detestava quella situazione, detestava Lavanda, detestava Ron e, , detestava essere gelosa di quel traditore che aveva preferito Lavanda a lei, ma tutto questo non poteva certo dirlo a Fred, non poteva dirlo proprio a nessuno, sarebbe apparsa patetica e anche infantile. Così si limitò a tacere, perché neanche la forza di negare a gran voce aveva al momento: che Fred traesse le conclusioni che voleva, lei non aveva alcun interesse di smentire o confermare.

“Hermione?”

“Cosa vuoi?”

“Ti piace mio fratello.”

“Pensa quel che vuoi, ma tieni il becco chiuso!” inveì lei, guardandosi intorno preoccupata. “Non voglio altri pettegolezzi su di me.”

Fred non avrebbe mai creduto di riuscire a ridere di gusto dopo un brutto litigio con George, eppure quelle risate che riempirono l’angolo in cui erano seduti appartenevano proprio a lui ed era sempre lui a doversi tenere la pancia e a dover asciugare qualche lacrima divertita. “Hermione! Tu… Tu… Merlino!”

Io cosa?”

Era nervosa, lo sentiva, ma tutto quello era troppo divertente per ammutolirsi.“Tu sei completamente pazza!”

Ci vollero due bicchieri d’acqua, un’occhiataccia da un anziano signore seduto accanto a loro e tutto lo sdegno di Hermione per costringere Fred a smettere di ridere; alla fine, il giovane aveva ammesso di trovare esilarante il fatto che una ragazza intelligente – così si diceva in giro! – come Hermione potesse essere gelosa e innamorata di Ron, che a dire del fratello maggiore era ancora un perfetto idiota. Hermione, come ogni ragazza che si rispetti, ritenne di doversi sentire lusingata dal velato complimento e una parte di lei patteggiò per Fred e per il suo definire ‘perfetto idiota’ Ron. Il commento ironico non bastò a lavare via l’infatuazione, ma fu utile a stemperare la brutta atmosfera creatasi e a permettere alla ragazza di rilassarsi contro lo schienale della sedia, sorseggiare la Burrobirra e guardare con occhi diversi colui che le era di fronte: non più un fastidio o un impiccione, ma una possibile buona compagnia con cui trascorrere parte del pomeriggio.

“Non dovevi raccontarmi di te e George?” tentò quindi, vogliosa di non scacciare il ritrovato buonumore.

“Harry quando torna?” chiese invece lui, ignorandola.

“Non lo so, credo che non torni affatto.”

“E tu cosa fai se lui non torna?”

“Dipende…”

“Benissimo, allora noi andiamo via, ti parlerò di me e George altrove, dove non starai a logorarti per Ronnie!”

Hermione accolse impreparata e imbarazzata quelle parole, non s’aspettava un tale riguardo da Fred, ma non obiettò, perché ne aveva effettivamente abbastanza di avere Ron e Lavanda alle proprie spalle. Uscì facendo un cenno sbrigativo a Harry e affiancandosi all’improbabile compagnia di quel sabato. Il vento pungente di novembre li travolse non appena misero il naso fuori dalla locanda, costringendoli a stringersi nei cappotti e a rimpiangere il calore dei Tre Manici. Forse, fu solo per sgranchirsi i muscoli del viso, ma Fred iniziò realmente a raccontarle l’accaduto di quella mattina, che ormai sembrava molto lontana, nonostante fossero trascorse neanche due ore piene. Parlò del litigio, del nervosismo, delle responsabilità che tanto odiava e che lo rendevano irritabile e pronto ad accanirsi contro chiunque, persino contro George. Parlava spedito Fred, infarcendo il racconto di aneddoti divertenti o di battute, e Hermione notò con un po’ di invidia che la sua espressione era perennemente votata all’apparente noncuranza e il suo atteggiamento era scanzonato al di là di tutto. Non lo interruppe, anzi, a tratti le era addirittura impossibile credere alle sue parole, credere al fatto che si stesse realmente confidando con lei, come se fosse la sua più cara amica, ma poté dirsi felice di avergli comunicato fiducia e di potersi tuffare per un breve istante nella vita di un’altra persona, dimenticando tutto quello che la tormentava, dal complicato rapporto con Ron al rovente desiderio di vendetta di Harry.

“Ti va di entrare?” chiese lui quando erano a pochi passi da un'altra locanda.

“Madama Piediburro? Harry mi ha raccontato che c’è rumore di sturalavandini lì dentro…”

“E anche una ridicola atmosfera da fidanzatini felici, ci vanno tutte le coppiette, ma o entriamo nel mondo dello zucchero filato o congeliamo al freddo.”

“C’è sempre la Testa di Porco,” obiettò Hermione.

Fred inarcò le sopracciglia, assumendo un’aria alquanto maliziosa. “Punto primo: non ho intenzione di arrivare fino alla Testa di Porco. Punto secondo: tranquilla, Granger, non ti mangio mica! Lo so, stai riconsiderando la tua cotta per Ron, faccio quest’effetto su tutte, è un vero dramma! Sono una specie di cal…”

“Entriamo!” l’interruppe lei, senza preoccuparsi di nascondere il sorriso divertito. Fred e la sua autostima avrebbero causato complessi d’inferiorità persino in Voldemort!

Una sorta di campanellino stucchevole annunciò l’ingresso della non-coppia all’interno del locale, che si presentava in tutto il suo ‘splendore’: coppiette che amoreggiavano ovunque, zuccherosi sorrisi dispensati dalla proprietaria e dall’unico cameriere presente, menu a forma di cuori e, come se non bastasse, un vasetto con due rose rosse al centro di ognuno di quei tavolini tondi. I due ragazzi, un po’ a disagio, dovettero accomodarsi a uno dei tavoli al centro – quelli più appartati erano già occupati. L’unica nota positiva era la temperatura: altissima! Spogliatisi dei cappotti, si preoccuparono di ordinare due tè bollenti con dei biscotti al latte.

“Non credevo che avrei mai messo piede qui dentro,” commentò Fred, e Hermione non poté che concordare. “Ah, quasi dimenticavo, ma Katie? Non l’ho vista da nessuna parte, volevo salutarla.”

“Katie Bell?”

“Sì. Perché quella faccia?”

“Oh, Fred… pensavo l’avessi saputo…”

Hermione non temporeggiò e gli raccontò dell’incidente ai danni di Katie, attendendo pazientemente che Fred vomitasse tutta la sua rabbia per quanto successo all’amica. Arrivarono poi i tè e i biscotti a stemperare il cattivo umore e, senza ben capire come, i due ragazzi accantonarono il tetro discorso e tornarono sull’episodio di Fred, che affermò di doversi scusare al più presto col gemello.
Con sorpresa di entrambi, tra risate, confessioni e scambi d’opinione, il pomeriggio passò in fretta e furia, persino il mondo dello zucchero filato sembrava essere diventato piacevole, tanto che a nessuno dei due importò l’essere circondati da coppiette innamorate, non ci fu disagio e non ci furono allusioni imbarazzanti, ma solo tante parole, alcune sorridenti e altre meste. Non ricordavano d’essere mai stati insieme e soli tanto a lungo e forse era stato un errore non avvicinarsi mai, perché in fondo, nonostante le apparenti diversità, una alchimia tra loro c’era ed era ben percepibile.

“Granger!”

Quella voce suadente e sicura, che interruppe l’animato dialogo tra i due ragazzi, non apparteneva a Fred, ma a un ragazzo alto, robusto, molto carino a dire il vero, che s’era avvicinato con atteggiamento tronfio al tavolo.

“McLaggen, buonasera,” salutò educatamente Hermione.

“Non sapevo fossi tipa da Madama Piediburro o ti avrei invitato!”

Sgranò gli occhi dalla sorpresa la Grifondoro, mentre le gote si coloravano di un rosa più deciso. “Oh, beh…”

“Sempre che non dia fastidio al tuo ragazzo,” aggiunse Cormac, interrompendola e indirizzando un’occhiata piuttosto risentita a Fred, che non si smosse di una virgola.

“No, ma lui non è…”

“Ottimo!” celiò nuovamente il Grifondoro, impendendo a Hermione di concludere il proprio pensiero per la seconda volta. “Mi farò vivo in questi giorni, magari al Lumaclub!”

Con un occhiolino carico di sottintesi e l’accenno all’elitario club di Lumacorno – come se questo bastasse a renderlo ‘meritevole’ di un appuntamento –, Cormac McLaggen si congedò, curandosi di tornare da una Corvonero confusa, che era presumibilmente in sua compagnia.
Hermione tossicchiò imbarazzata, ostinandosi a non fissare lo sguardo su Fred, che se ne stava immobile, con le dita attorno alla tazza di tè e un sorrisetto sarcastico stampato in volto.

“Dai, parla,” sbottò lei. “Tanto lo so, stai per prendermi in giro.”

“Affascinante il tuo ammiratore,” cominciò Fred, avvicinando la sedia a quella di Hermione, che annuì rassegnata. “Davvero, molto affascinante. Soprattutto quella sua aria da mago del secolo è affascinante! Dovresti uscirci!”

Il sopracciglio destro della giovane, scettico, scattò verso l’alto. “Uscirci? È un troglodita.”

“Vero, si vede lontano un miglio. Ma penso che a Ronnie darebbe un gran fastidio, dopotutto è anche lui un troglodita!”

A Hermione sfuggì una risatina divertita: immaginò Cormac e Ron con addosso una sorta di straccetto da uomo delle caverne e una grossa clava tra le mani. “Mi stai dando consigli per far colpo su tuo fratello?” domandò lei, conscia che, per quel giorno, i freni inibitori erano andati allegramente in vacanza.

“Consideralo un ringraziamento per avermi fatto sbollire il nervosismo!” affermò convinto. Tirò via una rosa dal vaso ch’era sul tavolino e gliela porse con finta galanteria. “Per te,” sibilò malizioso, imitando l’atteggiamento ammiccante di Cormac.

Hermione scoppiò a ridere e accettò di buon grado la rosa: dopotutto, era pur sempre un regalo. “Sai, sei molto bravo a fare il troglodita!” scherzò.

“Fingerò di non averti sentita! Dai, ti riporto a scuola, bimba.”

Annuì accondiscendente lei. Erano settimane che non trascorreva delle ore così piacevoli, Fred s’era rivelato una compagnia Eccezionale, una sorpresa che andava davvero Oltre Ogni Previsione, e la giovane si ritrovò scioccamente a sperare che quel pomeriggio non rimanesse un episodio isolato, ma quando giunsero ai cancelli di Hogwarts, lui le diede un semplice buffetto sul capo e la salutò con un vago ‘ci vediamo’, che voleva dire tutto, certo, ma soprattutto niente. Ciononostante, Hermione non volle assolutamente rovinare il piacevole ricordo di quelle ore e così, rigirandosi la rosa rossa tra le mani, superò i giardini, l’atrio, i corridoi e raggiunse la sua stanza con ancora un bel sorriso sul volto. Non seppe spiegarsi perché, ma decise di non voler buttare via il fiore e lo sistemò in un vasetto improvvisato poco appariscente e anche bruttino, che poggiò sul proprio comodino, incurante degli sguardi curiosi di Calì, che non ebbe la sfacciataggine di chiederle chi le avesse regalato la rosa.
 

*


“Harry, sbrigati, vorrei avere il tempo di masticarla, la colazione,” sbottò Hermione l’indomani, scocciata dalla lentezza con cui Harry si trascinava per il corridoio.

“È domenica, non abbiamo lezioni.”

“Certo che no, ma dobbiamo studiare e se perdiamo tutta la mattina in Sala Grande…”

“Ho capito! Accelero,” acconsentì Harry, sotto lo sguardo soddisfatto dell’amica.

Giunsero in Sala Grande verso le nove, notando con sorpresa la presenza di Ron, che s’era buttato giù dal letto addirittura alle otto. Harry non aveva neanche controllato il baldacchino dell’amico prima di uscire dalla stanza, convinto che stesse dormendo e sicuro di non avere intenzione alcuna di svegliarlo e convincerlo a fare colazione con lui e Hermione: non voleva sopportare le loro beghe – ancora non aveva ringraziato Fred per aver deciso di litigare con George, andare a Hogsmeade e tenere Hermione talmente occupata d’averla fatta tornare al castello addirittura tranquilla. Tuttavia, essendo già lì, non potevano certo ignorarlo e, nonostante l’evidente aria contrariata della ragazza, i due Grifondoro s’accomodarono accanto a Ron, che li salutò con un gran sorriso.

“Buongiorno!”

“Come mai così allegro e pimpante alle nove di domenica mattina?” chiese scettico Harry.

“Lavanda sta dormendo! Posso mangiare in santa pace!”

Quel commento farcito di infantile gioia stranì Harry e interessò Hermione, che si degnò d’alzare gli occhi dal croissant e posarli sulla zazzera rossa di Ron. Il Prescelto, per un breve istante, s’illuse che quella incresciosa situazione tra i suoi migliori amici stesse per risolversi; ma quando mai le illusioni di Harry diventavano realtà? Mai! E infatti un gufo planò su Hermione proprio nell’istante in cui la ragazza aveva deciso di rivolgere un mezzo saluto a Ron.

“Che roba è?” chiese Harry.

Hermione scosse la testa e, senza curarsi di rispondere verbalmente, accettò la scatola rettangolare che le porgeva il gufo, constatando che le dimensioni di quel pacco dovevano essere ingannevoli, perché era molto leggero. L’aprì sotto gli sguardi incuriositi di Ron e Harry: c’era tanta, tantissima, ovatta su cui poggiava una rosa rossa e un piccolo biglietto. Le dita della giovane tremarono inspiegabilmente d’aspettativa quando, dimentica d’essere in Sala, annusò rapita il fiore e lesse le poche righe che l’accompagnavano: ‘Scommetto che a quel troglodita di mio fratello sta per venire un infarto e io non potevo perdermi l’occasione d’essere la causa della sua morte!’. Non c’era la firma, ma Hermione non ne aveva bisogno, sollevò lo sguardo dall’inchiostro nero con espressione divertita, infischiandosene delle occhiate curiose di chi le era intorno; dopotutto, neanche Harry poteva immaginare che il mittente fosse Fred, Hermione all’amico aveva infatti raccontato del litigio tra George e Fred, di Cormac, ma aveva per qualche ragione omesso la parte in cui Fred, scherzando, le regalava la rosa che tuttora era sul suo comodino.

“E questo che accidenti significa?” domandò tutto rosso in viso – e in effetti prossimo a un infarto – Ron.

“Che sei un troglodita,” l’informò con un ghigno Hermione.

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Capitolo 2
*** Inatteso ***


Dedicato a tutti coloro che mi seguono, con le scuse per questo terribile ritardo





“Sai che circolano scommesse su di te?”
 
Era impossibile per lei riuscire a concentrarsi sui complessi esercizi di Aritmanzia con quella domanda retorica che le attanagliava i pensieri: stupido, stupidissimo Seamus. Non era nella sua indole dare peso a dicerie e pettegolezzi, ma iniziava a sentirsi troppo chiacchierata, come ai tempi della Skeeter e dei suoi articoli al veleno, e la cosa non le piaceva, non le piaceva affatto.
Controvoglia, rilesse per l’ennesima volta quella serie di numeri da decifrare: aveva le mani ai lati del viso con le dita che sprofondavano nei capelli ribelli, i gomiti poggiati sul tavolo della biblioteca e la schiena curvata in avanti; Hermione Granger era distrutta e non avrebbe mai creduto che a distruggerla potessero essere dei rilassanti compiti, per giunta di Aritmanzia. Ah, ma lei lo sapeva, qual era il vero problema! Il vero problema erano quei sussurri indelicati che le perforavano i timpani ad ogni angolo del castello: ‘chi è il matto che spedisce una rosa rossa al giorno alla Granger?’ dicevano alcuni, ‘secondo me se le spedisce da sola’ commentavano altri; un circolo infinito di malelingue, le quali, a essere onesti, provenivano quasi totalmente dalla parte femminile della scuola, e dai Serpeverde naturalmente – figurarsi se i Serpeverde si lasciavano sfuggire un’occasione per prendersi gioco dell’amichetta del cuore di Potter! Fatto era che se Hermione aveva trovato divertenti, e anche un po’ lusinghiere, le attenzioni scherzose di Fred, già dalla terza rosa mattutina aveva iniziato ad averle in antipatia, poiché detestava essere al centro dei discorsi dei pettegoli e, a dirla tutta, detestava ancora di più che in molti reputavano assurdo che un ragazzo avesse tali attenzioni nei suoi riguardi, assurdo che lei avesse avuto il tempo di trovarselo, un ragazzo. Non erano commenti carini e per una diciassettenne, anche se rispondeva al nome di Hermione Granger, erano un’ottima fonte da cui attingere interrogativi e complessi al gusto di insicurezze e nulla autostima.
 
“Ci rinuncio.”
 
Uno sbuffo stremato accompagnò quelle parole, seguito dal tonfo del librone di duemila pagine che si chiudeva. Neanche le importò di disturbare qualcuno, anche perché in quella biblioteca c’erano lei, Madama Pince e altri due o tre studenti, considerando che la gran parte del popolo studentesco era ad agghindarsi per recarsi a Hogsmeade, proprio come ogni sabato.
 
“Più delicatezza, Granger.”
 
Hermione sollevò lo sguardo verso il ragazzo che le era dinanzi e prim’ancora d’arrivare al volto storse il naso: sciarpa verde e argento, non prometteva nulla di buono. Ciononostante, le sopracciglia s’inarcarono del tutto in un’espressione infastidita solo quando i lineamenti del viso di lui – sfortunatamente attraenti ed eleganti – le chiarirono l’identità dello scocciatore.
 
“Non ho proprio tempo,” celiò lei, alzandosi e riempiendo la borsa con i propri libri e pergamene.
 
Il Serpeverde accennò una smorfia indecisa, a metà tra l’irritazione e il lieve divertimento. “Inutile che ti scaldi, non sono qui per sprecare del tempo con una come te, mi manda…”
 
“Zabini, l’eleganza delle tue parole delizierebbe il nostro caro Lumacorno.”
 
Quell’intervento inaspettato, dal tono pomposo e, invero, molto sprezzante, spezzò il discorso di Blaise Zabini e annunciò la neopresenza di Cormac McLaggen. Hermione saettò lo sguardo dall’uno all’altro, incredula d’essere dinanzi a ben due campioni di idiozia. Aveva fatto bingo.
 
“McLaggen, non so chi frequenti, ma ti ripeto per l’ennesima volta che non mi piace essere interrotto.”
 
Hermione, suo malgrado, incurvò gli angoli della bocca in un sorrisino solidale, perché Cormac aveva effettivamente l’orrido vizio di interrompere chiunque, a lui non interessavano i discorsi degli altri, bensì che gli altri ascoltassero lui. Un pavone in piena regola, ma che riscuoteva molto successo tra le ragazze, soprattutto se di uno o due anni più piccole di lui.
 
“Zabini, hai davvero creduto per un solo istante che a me interessi cosa piaccia o non piaccia a te?”
 
Il tono del Grifondoro trasudava sconcerto. Insomma, Blaise davvero credeva che Cormac potesse avere interesse a conoscere le preferenze di qualcuno che considerava a malapena un conoscente? Inaudito!
Hermione avrebbe volentieri trascorso lì l’intero pomeriggio, in fondo quei due trogloditi erano spassosi, ma s’era ripromessa di terminare quei maledetti esercizi di Aritmanzia e l’avrebbe fatto – in camera sua, n’era certa, avrebbe trovato la giusta concentrazione. Per nulla intenzionata a scoprire cosa il Serpeverde aveva da dirle, tentò di sgattaiolare via.
 
“Non così in fretta, Granger,” esordì Blaise, disinteressandosi completamente da Cormac. “Lumacorno ci vuole nel suo studio domani dopo pranzo.”
 
“Ma domani è domenica,” obiettò d’istinto lei.
 
“Acuta osservazione, davvero: complimenti,” commentò con tono asciutto e canzonatorio Zabini, che, ignorando i perché non vuole anche me? accalorati di Cormac, andò via dalla biblioteca.
 
“Tutti insopportabili questi Serpeverde.”
 
“Ben detto, Granger! Anzi, ora che se ne è andato, e prima che io esca di senno per la faccenda di Lumacorno, cosa ne pensi di fare un giro a Hogsmeade con me?”
 
“Come?”
 
“Avanti, Hermione, non avere vergogna. Lo so che è un sì, come so cosa c’è dietro le sei rose di questa settimana.”
 
“Lo sai?” chiese con tono sempre più sconcertato, e intanto impallidiva: che la spiasse?
 
“Ma certo! Lo so da quando ci siamo visti da Madama Piediburro! Segnali per me, no? Per farmi capire che non aspettavi altro che un mio passo avanti! E quegli stupidi dei nostri compagni che scommettono su di te e Weasley o, peggio, su di te e Potter. Non hanno occhio, non hanno capito! Allora, principessa, sono qui per realizzare il tuo sogno!”
 
Hermione non seppe in quel momento se fosse più offensivo declinare semplicemente l’invito, dargli del matto o scoppiare a ridere. Tra le tre optò per la variante più originale, e accettò l’invito. Non avrebbe saputo dire se a convincerla fosse stato l’atteggiamento assolutamente tronfio e presuntuoso del ragazzo – che aveva molti aspetti comici, in verità – o l’idea di zittire le malelingue che la immaginavano chiusa nella sua stanza a recapitarsi rose perché non si pensasse a lei come a una brutta oca secchiona – testuali parole della dolcissima Pansy Parkinson. Ma Hermione accettò, e vide colorarsi di un leggero porpora le gote di Cormac, un particolare che la stranì piacevolmente, con quell’espressione sembrava addirittura un ragazzo normale.
Percorse silenziosa il tragitto che la conduceva ai dormitori, subendo il carattere logorroico del ragazzo ch’era con lei, e gli sorrise incerta prima d’addentrarsi nel reparto femminile. Una volta nella sua camera, tirò via i libri dalla borsa e li sistemò con cura nella piccola biblioteca improvvisata – erano tre mensole fitte di libri – e smise velocemente la divisa scolastica in favore di un semplice jeans e di un maglioncino. Fu infilando il giubbino che lo sguardo le cadde sulla sottospecie di vasetto con le sette rose e una strana sensazione, che somigliava alla speranza, s’attorcigliò attorno alle sue caviglie, arrampicandosi vorace, strizzando ben preso tutto il corpo. Cacciò via quegli strani tumulti interiori, o meglio tentò di tenerli a bada, si diede della stupida senza un reale motivo e uscì dalla stanza, tornando da Cormac.
 
“Sei bellissima,” disse lui non appena la vide.
 
Hermione distolse imbarazzata lo sguardo, non era abituata a certe attenzioni e Cormac, nonostante tutto, aveva quel tipo di fascino che riusciva a generare soggezione in una ragazza, era un fascino sicuro quello di McLaggen, molto diverso da quello misterioso di Viktor, letteralmente opposto a quello insopportabilmente dolce e un po’ maldestro di Ron, ma, se ne rese conto con tanto sconcerto, simile in molti aspetti al fascino esercitato dall’altro, da Fred. Per quanto fossero diversi i due ragazzi, li accomunava la convinzione d’essere attraenti, piacevoli e quindi ‘ideali’ sopra ogni cosa. La considerazione la fece ridacchiare quand’oramai erano giunti a Hogsmeade. Cormac colse quel ridere come una conseguenza ovvia dell’essere con lui: Hermione era felice, e come darle torto!
Non ci volle molto prima che alcuni studenti, più che altro dell’anno di Hermione, notassero la coppia, con la conseguenza che nel giro di una mezzora Cormac fu eletto ‘misterioso spasimante’ e lei fu eletta ‘ragazza di McLaggen’. Un’accozzaglia di frottole che Hermione accolse con uno sbuffo e la sempiterna domanda su quanto fossero infantili e sciocchi i suoi compagni di scuola; iniziava anche a temere di poter incontrare Ron – che, per inciso, non le rivolgeva più la parola. Era geloso marcio a detta di Fred – o Harry, nel remoto caso in cui Piton gli avesse concesso uno ‘sconto’ sulla punizione. In antitesi ai dilemmi di lei, c’era Cormac ch’era di tutt’altro avviso: lui adorava essere al centro dell’attenzione e profittò della situazione per stringere maggiormente la presa sui fianchi della ragazza che gli camminava accanto.
 
“Non respiro,” commentò indelicata Hermione, obbligandolo a mollare la presa. “Andiamo da Rosmerta?”
 
“Scherzi? Andiamo da Madama Piediburro!”
 
“McLaggen, quanta fretta!”
 
No. L’onore di interrompere un discorso avviato non fu di Cormac quella volta, ma di un altro ragazzo, un ragazzo alto, dal fisico asciutto e robusto, dal volto sbarbato e i corti capelli rossi, dall’espressione perennemente irriverente e il sorrisetto sghembo tatuato sul viso. L’onore fu di Fred Weasley.
 
“Fred?”
 
“Non fingere di confondermi con George, bimba!”
 
“Non abbiamo tempo, Weasley,” affermò con malcelata irritazione Cormac.
 
Ma Fred, esattamente come una settimana prima, non fece una piega, si limitò a fare un cenno del capo al sapore di vieni con me a Hermione, ignorando bellamente l’altro. Hermione, la cui speranza aveva ripreso a strizzarle il corpo assieme all’aspettativa, tentennò per alcuni istanti, tentando di analizzare molto rapidamente la situazione: c’erano due ragazzi che non erano Harry e Ron – e già questo era strano –, uno di loro l’apostrofava ‘principessa’ e l’altro ‘bimba’, uno di loro aveva inspiegabilmente, almeno per la ragazza, un palese interesse nei suoi confronti e non lesinava a farlo capire, mentre l’altro era un gigantesco punto interrogativo che voleva con molta probabilità divertirsi un po’, uno di loro l’aveva invitata a Hogsmeade – e lei aveva accettato –, mentre l’altro s’era presentato senza invito, portando con sé una bella faccia da schiaffi. Inutile girarci intorno: l’analisi poneva chiaramente Fred in una situazione di netto svantaggio; inoltre, sarebbe stato oltremodo ineducato lasciare solo Cormac…
 
“Cormac, io l’avevo dimenticato,” esordì. Cormac non faticò ad accigliarsi. “Avevo appuntamento con lui.”
 
“Ma…”
 
“Benissimo! Situazione risolta! McLaggen, tanti cari saluti a te e a tutta la famiglia, eh, ora levati di torno!”
 
Hermione non fece in tempo a replicare, a vomitare la valanga di scuse che aveva in mente, a pestare i piedi a Fred, a… Non fece in tempo proprio a fare un bel niente, che venne assalita dalla nauseante sensazione della Smaterializzazione sotto agli occhi di uno scioccato Cormac, per poi ritrovarsi a toccare terra all’esterno di una bettola: la Testa di Porco.
 
“Mi spieghi cosa ti è saltato in mente? Sei tutto matto.”
 
“E tu sei tutta scema! Io scherzavo su quel deficiente di McLaggen, e ora vieni, che ti offro una Burrobirra come non se ne bevono da nessuna parte!”
 
Fred non volle perdere altro tempo e spinse Hermione all’interno della Testa di Porco. La ragazza s’avviò silenziosa a un tavolo che sembrava meno sporco degli altri e vi si accomodò con in viso una chiara espressione dispiaciuta e ricca di sensi di colpa. Non l’aveva capito, cosa le era preso in quella frazione di istanti, non avrebbe dovuto mentire a Cormac e trattarlo a quel modo. Certo, non era un suo grande amico McLaggen e neanche le interessava, ma si era dimostrato gentile e, cosa più importante, lei aveva accettato di passare con lui il pomeriggio. Si era comportata male.
 
“Cosa pensi?” le chiese Fred, sedendole accanto.
 
“Mi sono comportata male, da stupida. Non so neanche in che modo scusarmi, sono stata imperdonabile.”
 
Erano serie le parole di Hermione, che mai s’era comportata in modo così stupido e istintivo. A ben vedere, in quel periodo aveva accumulato talmente tanti comportamenti stupidi e istintivi che avrebbe dovuto iniziare a meravigliarsi del contrario, ossia d’avere un modo di fare decoroso e assennato.
Era tutta colpa di Ron.
Con lui era iniziato tutto: la gelosia, l’irritabilità, la stoltezza… tutto. A causa di Ron e della sua assurda relazione con Lavanda, Hermione percepiva la propria quotidianità sgretolarsi man mano, perché a barcollare e a cascare nel vuoto erano sin troppe certezze. Stava cambiando tutto e lei non faceva in tempo a star dietro ai mutamenti, che veloci la beffeggiavano.
In un periodo del genere, Fred era stato una scoperta, una distrazione, una novità; qualcosa di strano e di diverso. S’era ritrovata ad aspettare ogni mattina la sua rosa e il suo messaggio, nonostante le chiacchiere, nonostante le domande sempre più invadenti di Ginny e persino di Harry, che dalla ritrosia dell’amica era arrivato a ipotizzare che il ‘misterioso spasimante’ fosse Draco Malfoy – d’altra parte, era noto che in quel periodo Harry vedeva Draco Malfoy ovunque, a momenti lo vedeva anche sotto al letto, ma quella era un’altra storia.
 
“Hai intenzione di startene zitta tutto il pomeriggio?” chiese con ironia Fred, spezzando il flusso di pensieri della ragazza.
 
“Perché sei qui?”
 
“Volevo vederti.”
 
“Perché?”
 
“Perché sì.”
 
Perché sì non è una risposta.”
 
“Per te, per me lo è.”
 
“Hai di nuovo litigato con George?”
 
“No, ma mi ha preso in giro quando ha saputo che avrei passato il sabato con te.”
 
“E perché gli hai detto una bugia?”
 
“Non gli ho detto una bugia, io non mento mai a George.”
 
“Ma non dovevi essere con me, non avevamo un appuntamento.”
 
“Eppure siamo qui!”
 
“Se non fossi stata a Hogsmeade?”
 
“Impossibile: volevi rivedermi.”
 
“Sciocchezze: sono qui solo perché me l’ha chiesto Cormac.”
 
“Sì, continua a ripetertelo.”
 
“E se non mi avessi trovata?”
 
“Mi avresti trovato tu.”
 
“Smettila.”
 
“Di fare cosa?”
 
“Di… di fare questo! Smettila! Sembra quasi…”
 
“Quasi?”
 
“Quasi che… ma sì… che ci provi un po’… con me…”
 
“Leva il sembra e il quasi, bimba.”
 
Hermione rimase a bocca aperta e boccheggiò anche un paio di volte, guardando Fred come si guarda un poveretto uscito di senno. Un ‘eh?’ sussurrato fu tutto ciò che riuscì a dire e il ragazzo, in risposta, ridacchiò irriverente, spostandole una ciocca di capelli dalla fronte.
 
“Dai, Prefetto! Fatti una risata, sto scherzando!” affermò insolente. Hermione rise, ma fu una risata, per qualche ignota ragione, forzata. “Ecco le Burrobirre! Bevila tutta, Hermione, che questa qui ha un sapore speciale!”
 
Lei, seppure ancora un po’ intontita, seguì il consiglio e sorseggiò la bevanda, dovendo ammettere che Fred aveva ragione: la Burrobirra della Testa di Porco era molto più buona di quella che normalmente beveva. Non la ricordava così gustosa, colpa del fatto che l’ultima volta ch’era stata lì aveva ben altro a cui pensare.
S’accorse dopo alcuni minuti ch’erano in silenzio e che Fred aveva smesso di bere per osservarla. Smise anche lei di bere e poggiò il boccale sul tavolo in legno, incrociò le braccia al petto e ricambiò lo sguardo indiscreto del ragazzo con un’espressione spazientita.
 
“Ti sei ricordata che ci sono anch’io?” chiese immediatamente lui, cogliendo al volo l’occasione.
 
“Non l’ho mai dimenticato.”
 
“Perché mi ignori, allora?”
 
“Fred, sei estenuante! Io non ti ignoro. Semplicemente, non ti capisco, e poi non riesco a smettere di pensare a McLaggen, sono stata terribile.”
 
Sbuffò lui, scuotendo il capo con aria di rimprovero. “Granger, Granger, Granger… ma quanto sei cervellotica?! Cosa c’è da capire? Ci siamo scritti per tutta la settimana, mi sono divertito con te sabato scorso e mi ha fatto piacere continuare a essere in contatto con te. Cosa c’è da capire in questo? Riguardo al deficiente…”
 
“Si chiama Cormac McLaggen.”
 
“Peggio per lui, perché ha proprio la faccia di uno che si chiama deficiente!” ribatté celere, facendo ridere Hermione. “Dicevo, riguardo a quello, che ti importa? Voleva solo mangiarti la faccia!”
 
“Ti prego! Che immagine nauseabonda!”
 
“Non fare tanto la schizzinosa, che Ron ha la stessa tecnica,” aggiunse malizioso.
 
“Smettila,” affermò arrossendo Hermione. “E poi tu che ne sai della tecnica di McLaggen? Sei il suo ex fidanzatino?”
 
L’ironia sprigionata dalla domanda provocatoria di Hermione portò Fred a tossicchiare due o tre volte, perché il riso aveva costretto il sorso di Burrobirra a prendere la direzione sbagliata. “Questa è bella, te lo concedo!” disse quando si fu ripreso. “Il punto è che i tipi come lui usano tutti lo stesso approccio.”
 
“E tu che approccio usi?”
 
Il quesito, invero posto da Hermione senza malizia, ma sull’onda della conversazione scherzosa, provocò in Fred un’espressione che di malizioso aveva tutto, dall’umettarsi con sfacciataggine le labbra all’avvicinarsi a lei. Hermione, che in quel brevissimo lasso di tempo aveva messo in moto il suo ingegnoso – e quasi mai fallace – cervello, impallidì prima e lasciò poi al suo viso l’onere di tingersi di un delizioso rosa intenso, poiché finalmente conscia di cosa aveva chiesto.
 
“Non pensare male!” si difese a quel punto, abbandonando il boccale e irrigidendosi alla vicinanza di Fred.
 
“Male? Io sto pensando molto bene! Non sono molto bravo con le parole, ma se vuoi posso mostrartelo, il mio approccio…”
 
Le parole del ragazzo morirono letteralmente contro le labbra di Hermione. Le sfiorò soltanto, le sfiorò con delicatezza, senza schiudere le proprie, senza forzarla in nessun modo, solo la mano destra azzardò un piccolo tragitto, tuffandosi tra i capelli ribelli di lei, stringendo con garbo qualche ciocca tra le dita. Hermione aveva gli occhi sgranati dalla confusione, occhi che miravano prima alle labbra di Fred, poi al suo naso, poi cercavano d’osservarne l’intero viso e, infine, arrestavano il loro frenetico lavoro sullo sguardo di lui. S’accorse con sorpresa che anche Fred non aveva rinunciato alla vista, aveva anzi uno sguardo vivo e, si meravigliò nel constatarlo, caratterizzato da sprazzi di paura che s’alternavano all’eccitazione. Sembrava che anche lui si stesse chiedendo quale mossa fare, se allontanarsi o avvicinarsi ancora. Lei cosa avrebbe voluto? Non lo sapeva. Era però certa che le piaceva sentire il proprio respiro confondersi con quello di lui, percepire il rassicurante calore generatosi in quei pochi centimetri che li separavano… le piaceva avere il cervello spento, fuso, interdetto, le piaceva non aver desiderato neanche per un istante che la tonalità d’azzurro di quegli occhi divenisse più chiara e che quel naso s’allungasse appena.
Dopo alcuni istanti, si sentì qualcuno deglutire e con sorpresa d’entrambi s’accorsero che quel suono in genere figlio del nervosismo proveniva da Fred, che abbozzò un sorrisetto incerto e poggiò la propria fronte contro quella di lei. Una parte di lui gli suggeriva di baciarla; dopotutto, lui era abituato a seguire la sua personalissima legge ‘se qualcosa ti piace, prendila’ e Hermione gli piaceva: gli era piaciuto trascorrere quelle ore con lei una settimana prima, gli era piaciuto ascoltarla parlare di ogni argomento, gli era piaciuto poter ridere con lei e al contempo poterle confidare i propri tormenti, gli era piaciuto persino vederla alzare gli occhi al cielo sulla parola ‘Quidditch’, perché era divertente dirle ‘non capisci un tubo!’ e vederla arrossire dall’indignazione per poi spiegare con minuzia il motivo per cui non le piaceva il famoso sport. Era stimolante stare con lei ed era stato stimolante scriverle per l’intera settimana. Era stato tutto così naturale: lui le inviava la rosa con un breve messaggio sarcastico dove si faceva beffe di Ron e dei pettegoli, erano sì e no tre righe – quando andava bene, s’intende – e lei gli rispondeva la sera, in genere dopo la ronda, e gli raccontava dei nuovi pettegolezzi e dell’indignazione ad oltranza di Ron. Era tutto così naturale.
 
“Quanto pensi di poter resistere?” provocò Fred.
 
“E tu?” ribatté lei con un filo di voce, intenzionata a tenergli testa.
 
“Bella risposta.”
 
Hermione non ebbe tempo di compiacersi, poiché sentì qualcosa affondare nel suo labbro inferiore e non faticò molto a capire che gli intrusi erano gli incisivi di Fred. Le scappò un sorrisetto imbarazzato, un sorrisetto che ebbe la colpa di costringere la sua bocca a schiudersi e a permettere ai denti di Fred di affondare il colpo, come se fosse stato un predatore che da troppo tempo bramava la stessa difficile preda.
Fu la fine
La fine delle inibizioni, delle domande, del raziocinio, dei comportamenti assennati. Fu anche la fine dell’immobilità di Hermione, che affondò la mano tra i capelli di Fred, avvicinandolo a lei, atteggiamento che per il ragazzo fu una sorta di autorizzazione a procedere. Così, dimentico persino d’essere in un locale pubblico, la trasse a sé e abbandonò l’intento di morderla in favore di un bacio. Forse, non era giusto. Forse, non era sano. Quasi certamente non era normale, eppure erano lì, in quell’angolo della Testa di Porco, dove ogni cliente faceva un po’ quel che voleva e tutti fingevano di non vedere e non sentire, a scambiarsi un bacio così carico di trasporto che sembrava impossibile esistere tra due ragazzi che s’approcciavano l’un l’altra per la prima volta.
Hermione non pensò in quel momento che un’altra valanga di certezze stesse andando in pezzi. Probabilmente, se di lì a un paio d’ore le avessero chiesto cos’era successo lei avrebbe risposto con una sola parola: inatteso.

 

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Capitolo 3
*** Un'alchimia in attesa ***


Ancora una volta mi scuso del ritardo. La buona notizia è che il prossimo è l'ultimo capitolo, quindi non dovrete attendere troppo per vedere la storia conclusa. Un grazie a tutti coloro che ancora leggono questa storia




 
Tra le cose che Hermione più odiava in assoluto figurava senza ombra di dubbio l’attesa. Lei, puntuale più di un orologio svizzero, aveva l’abitudine di anticiparsi in ogni situazione, che fosse un appuntamento con un amico, una lezione o persino la cena non aveva importanza alcuna: lei anticipava tutto e tutti e lo faceva con estremo piacere, perché vogliosa di non infliggere a niente e nessuno un’odiosa attesa. Di conseguenza, se l’amico in questione tardava o il professore faceva un minuto di ritardo, Hermione s’irritava, se i pochi minuti divenivano ore, l’irritazione si tramutava in nervosismo. Ragion per cui non era strano che l’Hermione Granger accomodata all’intimo tavolino da tè di Lumacorno fosse tutt’altro che ben disposta alla conversazione: da più di dodici ore era in attesa, in attesa di una rosa o di una misera lettera o anche di un timido segnale di fumo… era in attesa di Fred Weasley. Soltanto il giorno prima aveva un sorriso da guancia a guancia, così smagliante e insolito per lei che persino Calì e Lavanda s’erano sentite in dovere d’avvicinare la compagna di stanza e chiederle cose le fosse accaduto. Ma Hermione non aveva detto loro nulla, aveva solo abbozzato un vanesio cenno – una vanità che neanche credeva di possedere! – in direzione delle rose sul comodino. Era poi andata a dormire con il vivido ricordo del pomeriggio trascorso assieme a Fred e di tutto quello ch’era successo, e i sogni erano stati tutti belli, persino troppo belli per chi come lei trascorreva notti insonni da mesi. Niente Ron e niente preoccupazioni in quel sabato, ed era stata una sensazione favolosa, che l’aveva travolta e sedotta, lasciandola con la voglia irrequieta di provarla ancora. Una sensazione a cui lei aveva dato il nome Fred Weasley. La domenica mattina, sollecitata dall’aspettativa e dall’attesa, s’era recata in Sala Grande e trepidante aveva seguito i gufi recapitare la posta, ma per lei, salvo la Gazzetta del Profeta, non c’era nulla. ‘Cos’è, Granger? Hai litigato col tuo ragazzo immaginario?!’ s’era sentita schernire dal tavolo Serpeverde, e gli occhi in quel momento avevano pizzicato. Cosa significava? Dov’era la sua rosa? E il suo messaggio? Quelle impudenti domande l’avevano tormentata tutta la giornata e sia Harry, che Ron avevano intuito che il pessimo umore della ragazza era dovuto all’assenza dell’ormai solito dolce risveglio. Harry, discretamente, aveva provato a chiederle se nel weekend fosse accaduto qualcosa, ma lei s’era chiusa nel proprio mutismo, un mutismo che non s’era arreso neanche allo sguardo indagatore – e un po’ contento – di Ron.
 
“Hermione, mia cara, non è di tuo gradimento il tè?”
 
L’interrogativo lezioso di Lumacorno risvegliò Hermione dai propri pensieri, riportandola alla realtà e a quell’incontro imposto dal docente solo il giorno prima. Puntò lo sguardo su Blaise Zabini, seduto di fronte a lei e intento a scrutarla con evidente sdegno, e poi sul professore che attendeva una ragionevole risposta. La strega esibì un sorriso sinceramente imbarazzato e strinse tra le mani la tazza non più fumante di tè.
 
“Io adoro il tè, era solo troppo caldo,” inventò, costringendo le labbra di Blaise a un ghigno divertito. “Ha accennato al Ministero quando siamo arrivati, di cosa…?”
 
“Oh! Certo, certo! Altro che tè, mia cara, altro che tè! Pensavi al Ministero!”
 
“No, io non…”
 
“Non devi nasconderlo! Io ne sono compiaciuto, poiché mi conferma che ancora una volta ho scelto bene!”
 
Le parole entusiaste di Horace dipinsero la perplessità sui volti degli unici due invitati di quel pomeriggio, che si scambiarono degli sguardi interrogativi, come se l’uno cercasse risposte nel volto dell’altra e viceversa.
 
“Professore, le spiacerebbe essere più chiaro?” domandò educato Blaise.
 
“Con estremo piacere, ragazzo mio! Mi spiace solo di non aver potuto coinvolgere anche il nostro caro Harry, ma il signor Preside… beh… lui non trova saggio che il ragazzo s’allontani così tanto da Hogwarts, ma io gliel’ho detto, che con me non ci sarebbero stati problemi… Ah, un vero peccato! Ma per fortuna ho voi!”
 
Neanche Hermione riuscì a trovare piacevole quell’accenno a Harry, e se Blaise non nascose una smorfia di disappunto, la ragazza dovette affrettarsi a bere un sorso di tè per soffocare lo sbuffo contrariato. Lei adorava Harry, era il suo migliore amico!, ma non riusciva a tollerare che l’amico in questione si fosse accaparrato il titolo di primo della classe con uno sporco inganno. Quel titolo sarebbe dovuto spettare a lei, altro che a Harry Potter e al suo amato Principe Mezzosangue!
Lumacorno, per fortuna, non notò affatto le smorfie dei suoi due pupilli, perché si tuffò immediatamente in ciò che più gli interessava ed ecco che a Hermione e Blaise fu finalmente chiaro il motivo che li aveva costretti lì, in quel piccolo ufficio, la domenica pomeriggio: un incontro al vertice, come piaceva dire al docente.
 
“Sono quindi riuscito a convincerlo, sapete, lui è un mio vecchio amico, ho insegnato anche a sua figlia, la ragazza ha addirittura più stoffa del padre! Una vera diplomatica, nata per far politica! Ma questo è secondario, ora, dico bene?” domandò retorico, guardando i due studenti come se fossero due gustosissimi bignè. “Sabato prossimo tutti e tre andremo al Ministero e visiteremo gli uffici più importanti! Assieme a Harry siete tra i più promettenti e avete l’età giusta! Oh, vi presenterò molte persone, state tranquilli, e cercheremo anche di far sbilanciare qualcuno!”
 
“Sbilanciare, signore?” intervenne Zabini, interessato più che mai alla piega che aveva preso quel pomeriggio.
 
“Sbilanciare, Blaise, esatto!” ribatté immediatamente Lumacorno con occhietti scintillanti. “Tra due anni voi sarete diplomati e nessun mio pupillo ha dovuto far troppa strada per arrivare in cima! Uno stage presso la persona giusta è quello che ci vuole per iniziare, il resto verrà da sé, vedrete!”
 
“Professore, ho una perplessità.”
 
“Parla pure, Hermione!”
 
“Ecco… non trova un po’ prematuro tutto questo? Io sono solo al sesto anno e ancora non so bene quale strada intend…”
 
“Fermati subito, signorina! Sei ancora giovane per capire certe dinamiche,” disse il docente conciliante, “per questo ci sono io a farvi da guida! È deciso, allora!”
 
Il resto del pomeriggio trascorse molto velocemente: Lumacorno era perso in un monologo tutto suo, monologo in cui spiegava ai ragazzi le persone su cui puntare e il motivo per cui aveva scelto proprio loro due tra gli altri. Hermione si rinchiuse in un mutismo disgustato, non condivideva per niente l’operato del docente, ciò che aveva in mente lui era di raccomandarli e agli occhi della giovane strega era un qualcosa di assolutamente scorretto e svilente. Purtroppo, non poteva certo ribellarsi apertamente al volere di un professore, soprattutto se si trattava di Horace Lumacorno e delle mire su quelli che chiamava ‘pupilli’. Di conseguenza, tacque, ignorando anche l’espressione rapita di Blaise Zabini, che da bravo e acuto Serpeverde trovava del tutto lecito il mondo delle raccomandazioni.
Quando, un paio d’ore dopo, il docente ritenne d’aver trattenuto abbastanza gli studenti, li congedò con un ampio e eccitato sorriso, e Hermione non perse tempo ad allontanarsi il più possibile da quello studio e dall’idea di dover essere etichettata come l’ennesima raccomandata di Lumacorno. Il pregio che aveva avuto quel triste pomeriggio era l’essere riuscito a distogliere per un po’ la mente da Fred e dal suo silenzio, ma non appena si ritrovò sola tutti i dubbi riaffiorarono. Nuovamente assorbita dai propri pensieri, non s’accorse di una figura che le veniva incontro, tanto che sbatté letteralmente contro uno sterno piatto.
 
“Ahi… scusa…” farfugliò lei.
 
“Nessun problema, era te che cercavo.”
 
Hermione riconobbe quella voce immediatamente e un rossore colpevole si dipinse sulle sue gote. Annuì debolmente al ragazzo e, prima ancora che questi potesse dirle qualsiasi cosa, fece ciò che era giusto: si scusò.
 
“Non sono qui per questo.”
 
“Come?”
 
“Non mi interessano le tue scuse, né sapere com’è andato il pomeriggio col tuo ragazzo. Volevo solo sapere di Lumacorno: allora, che voleva da te e Zabini? Perché mi ha escluso?”
 
Il tono di Cormac McLaggen infastidì e non poco Hermione, che smise le vesti della ragazza dispiaciuta e indossò quelle solite, decidendo persino che quel ‘tuo ragazzo’ riferito a Fred non avesse importanza al momento.
 
“Non sono tenuta a dirti nulla,” disse infatti, imitando il tono incolore del fastidioso interlocutore.
 
Intenzionata a non trattenersi oltre, fece un passo in avanti, vogliosa di aggirare il ragazzo e percorrere quei pochi metri che la separavano dal ritratto della Signora Grassa. Ma Hermione avrebbe dovuto saperlo, che le sue belle idee erano destinate al fallimento. Cormac, cui non andava d’essere liquidato per la seconda volta, le afferrò il polso e la voltò verso di sé, così d’averla dinanzi e vicina.
 
“Ma sei impazzito?” protestò sgomenta Hermione.
 
“Infastidito,” precisò lui. “Senti, Granger, sii un po’ più carina quando una persona ti fa una domanda.”
 
“Non sono tenuta alla gentilezza verso chi si comporta in modo tanto prepotente. E ora lasciami.”
 
“Altrimenti?”
 
“Altrimenti ti gonfio di botte.”
 
No. Non era stata Hermione a dare voce alla minaccia, ma Ron Weasley. Già, proprio quel Ron Weasley, che per sfortuna di Cormac aveva deciso di rientrare in Sala Comune proprio quando il ragazzone aveva afferrato Hermione. Se ne stava in piedi e a pochi passi dai due il più piccolo di Molly e Arthur, con le mani chiuse a pugni che tremavano un po’ e l’aria arrabbiata e un tantino incerta, di chi non è realmente sicuro di potersi ergere a cavaliere senza macchia e senza paura. D’altronde, Ron non era certo il ragazzo più sicuro e sfrontato di Hogwarts, ma era un amico leale e tanto impulsivo, e vedere Hermione quasi strattonata da un McLaggen che le intimava un impertinente “altrimenti” era stato troppo.
 
“Ron, non dire sciocchezze,” disse immediatamente la ragazza, che ben conosceva il carattere irruento dell’amico. Non era nuovo a certi modi di operare.
 
“Già, Weasley, non dire sciocchezze e non ti immischiare. Alla tua amica ho fatto solo una domanda, se è così gentile da rispondere, io vado via e saluti a tutti.”
 
Il tono di Cormac era tronfio come al solito, ciononostante, il ragazzo dovette sentire sul serio puzza di botte, perché lo lasciò, il polso di Hermione, lo lasciò con nonchalance, come se neanche vi avesse fatto caso. A quel gesto, i lineamenti di Ron si rilassarono e così anche quel leggero tremore che s’era impossessato del suo corpo; s’affiancò a lei d’istinto, ma non smise neanche un istante di guardare Cormac: quella scenetta a cui aveva assistito non gli era piaciuta per niente.
La ragazza, osservando l’atteggiamento di Ron, non credeva ai propri occhi. Erano mesi che non si rivolgevano la parola, mesi che lei era costretta a sopportare le risatine di Lavanda e le accuse taciute di Ron, il quale non le aveva mai spiegato cosa gli avesse fatto. Non poteva immaginarlo di certo Hermione, che il mago le recriminava d’aver baciato anni prima Krum.
 
“Granger, allora?”
 
Per l’ennesima volta in quella giornata infinita, la strega dovette abbandonare i propri pensieri in favore della realtà. “Lumacorno ha voluto vedere me e Zabini per proporci una visita al Ministero. E, siccome ci tieni tanto, ha preferito fare a meno della tua presenza a causa della pessima abitudine che hai di straparlare su tutto. Secondo Lumacorno, non sei abbastanza diplomatico per questo tipo di situazioni. Devi ancora crescere.”
 
“Cosa?”
 
“Lo ha detto lui.”
 
Le braccia di Hermione erano conserte, il tono era pratico e l’espressione, beh, era del tutto soddisfatta. Ormai, il senso di colpa per il proprio comportamento era svanito in favore della convinzione d’aver fatto benissimo a non passare il sabato col ragazzo, che a quanto sembrava era stato gentile con lei solo nella speranza di poter avere qualcosa in cambio: quello stupido di Fred aveva ragione.
 
“Il vecchio inizia ad avere occhio,” commentò Ron divertito. “Possiamo andare?” chiese dunque a Hermione.
 
“Ma di che ti preoccupi, Weasley?” intervenne Cormac, nel chiaro intento di sfogare su qualcuno il fastidio per quanto appena appreso. “Non tocco una ragazza che mi dà buca, perciò sta’ tranquillo, che a tuo fratello nessuno frega la fidanzata.”
 
Fu la fine. Cormac non aveva la più pallida idea d’aver appena lanciato un Bombarda, difatti andò via tutto contrariato e offeso a causa della faccenda di Lumacorno; in quel corridoio restarono solo gli occhi inquisitori di Ron e quelli imbarazzati di Hermione.
Ciò che seguì, la ragazza lo rivisse con l’ausilio della memoria durante l’intera notte, ripensando al ‘mio fratello chi?’ sconclusionato e rabbioso di Ron, allo sconcerto dello stesso ragazzo al sentirsi rispondere ‘Fred’. Ripensò a se stessa intenta a chiarire che Fred non era il proprio ragazzo, ma che era lui il mittente delle rose. Ricordò del sopraggiungere di Harry e del sollievo di quest’ultimo nell’apprendere che dietro ai regali mattutini c’era solo Fred. Ma Ron non era stato dello stesso avviso di Harry: Ron l’era sembrato preda di una gelosia troppo grande per essere espressa a parole, si era detto tradito, e Hermione aveva trovato, e ancora trovava, sinceramente assurdo quell’ammasso di sensazioni che il giovane s’era cucito addosso; dopotutto, lui aveva scelto Lavanda e non poteva recriminarle d’essere riuscita a smettere di soffrire per questo.
Ripensò a tutto… a tutto… e ripensò anche a ciò che aveva provato, ch’era stata la sorpresa più grande. Non aveva percepito gioia perché a Ron importava di lei, né qualsiasi altra emozione simile, ma solo fastidio. Era assurdo, ma in poco più di una settimana Fred Weasley era riuscito a scacciare il fratello più piccolo dal cuore di Hermione, e Hermione pensò che, in pieno stile fratelli Weasley, l’aveva scacciato al solo scopo di frantumarglielo a sua volta, quel debole cuore.
Quella notte non pianse affatto Hermione, né seguitò col nervosismo d’attesa, semplicemente s’analizzò. Analizzò il proprio anno sino ad allora, i sentimenti che aveva creduto di provare per Ron, e che forse provava ancora – chi poteva saperlo!, l’ingresso prepotente di Fred nella propria vita e pensò che, in fondo, quella settimana aveva mescolato un po’ tutte le carte in tavola. Era tutto strano, strano e bello, perché forse, ipotizzò, quella stranezza figlia dei colpi di scena e degli eventi inaspettati era tutto ciò che doveva esserci nella vita di una ragazza giovanissima, di soli diciassette anni. In una notte di messa a nudo, di ripensamenti e di dubbi, Hermione riscoprì la bellezza della sua età e credé anche di capire perché Fred era riuscito a conquistarla in così poco tempo: lui era la normalità e la spensieratezza che le erano sempre mancate; una considerazione certamente vera e che soddisfaceva l’animo razionale della strega più brillante di Hogwarts, che evidentemente non voleva arrendersi all’idea che tra due persone potesse esserci semplicemente dell’alchimia.
 
“Come stai?”
 
“Bene, Harry.”
 
“Perché ho la sensazione che mi stai mentendo?”
 
“Non preoccuparti per me. Sto bene.”
 
Quella conversazione ebbe luogo la mattina del lunedì in Sala Grande. Da quel momento in poi, Harry prese l’abitudine di chiedere come stai? a Hermione dopo ogni colazione, quando la ragazza fingeva di essere indifferente all’assenza di una rosa o di una misera lettera o anche di un timido segnale di fumo… all’assenza di Fred Weasley.
Ron, diversamente dall’amico, non pose alcuna domanda a Hermione e neanche si curò di parlarle o scusarsi o rivolgerle un cenno. Ron ignorò la Granger e si rifugiò, come aveva già fatto, tra le braccia soffocanti e innamorate della bella Lavanda Brown, la quale continuava a ignorare le voci malevole, intensificatesi dal litigio tra Hermione e Ron, che la ritraevano come la seconda scelta di Weasley. Hogwarts in fatto di malelingue non faceva sconti a nessuno.
La settimana trascorse molto rapidamente per Hermione, che si tuffò a capofitto in tutto ciò che era scolastico e, quando non aveva nulla da fare, elaborava piani per permettere a Harry di conquistare la piena fiducia di Lumacorno.
Fred non s’era fatto sentire, neanche una volta.
La mattina del sabato un gufo picchiettò alla finestra di Hermione, che sobbalzò dalla sorpresa. Una sorpresa che sfumò in fretta, poiché la grafia piccola e composta apparteneva al professore di Pozioni, che le ricordava di indossare un abito carino e a modo e di portare con sé la pergamena con i risultati dei G.U.F.O.; un vero squallore quella messinscena, cui però la giovane dovette arrendersi. Così indossò un vestitino a tubino d’un azzurro pallido, molto elegante nella sua semplicità, che le copriva le gambe oltre le ginocchia e le braccia oltre i gomiti. Di meglio, non ne aveva, e se possedeva almeno quell’abito improbabile era grazie a sua madre, che previdente lo aveva infilato in valigia a insaputa della figlia. Le scarpine che mise erano ancora più semplici del vestito. S’osservò allo specchio con fare critico e con la voglia di spogliarsi e riappropriarsi della divisa: non era a suo agio abbigliata come l’ospite di una cerimonia, e fu proprio per questo suo disagio che decise di non soffermarsi anche sui capelli, che liquidò in una treccia.
Senza ulteriori indugi, s’affrettò a raggiungere l’atrio di Hogwarts. Essendo in anticipo, attese per quasi trenta minuti l’arrivo di Lumacorno e di Blaise Zabini, che, diversamente da lei, appariva notevolmente eccitato e a proprio agio senza la divisa. Il docente studiò entrambi con vivo interesse e, decidendo che erano presentabili, annunciò la partenza.
 
“Ben trovato, Horace! È un onore e un piacere averti qui assieme ai tuoi più validi studenti!”
 
Hermione si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo a quel pomposo e viscido saluto. Accanto a lei, Blaise sorrideva come non mai: il ragazzo ci sapeva fare. E mentre tutti si compiacevano ed esibivano ipocriti sorrisi, lei riusciva solo a pensare che in quello stesso edificio, qualche mese prima, era morto Sirius e che proprio lì lei stessa aveva rischiato di chiudere gli occhi per sempre. Per sua fortuna, il tempo scivolò via con rispettosa celerità.
Ciononostante, ciò che colpì la giovane come uno schiaffo in pieno viso fu che niente e nessuno di quello che vedeva e ascoltava le interessava minimamente. Negli anni passati, le era successo di sognare di poter essere un giorno una tirocinante o una valida impiegata del Ministero, ma tutti i suoi pensieri, in quel frangente, erano stati risucchiati prima dalla brutta esperienza vissuta assieme a Harry e poi, per tentare di distrarsi da quella, erano stati assorbiti dal solo concetto che riusciva a soggiogarla sul serio: lei era a Londra, e anche Fred.
Aveva tentato invano di non pensare a lui durante tutta la settimana, aveva addirittura provato a convincersi d’essere in realtà interessata a Ron, ma nulla era servito. Il suo cuore, più che la sua mente, restava sempre fisso sull’assenza di Fred. Non poteva dire di essersi sentita tradita da quell’assenza, ma offesa di certo, perché in fondo l’aveva un po’ usata e poi lasciata, come se anche lui, esattamente come Cormac, fosse stato interessato a trascorrere solo un pomeriggio diverso senza troppe conseguenze.
 
“Come vedete, qui si svolge…”
 
Era il Capo di qualche ufficio che parlava e lei, in piedi e fintamente attenta, continuava a insistere su Fred, chiedendosi se fosse normale sentirsi a quel modo quando il ragazzo che avevi baciato spariva. Ah, quanti ragionamenti stupidi! Una settimana intera ad affaccendarsi per non cedere agli istinti delle stupidissime ragazze infatuate e ora che era al Ministero, intenta a giocare col futuro, tutto ciò che riusciva a fare la sua testolina era pensare a Fred e a quanto… a quanto fosse vicino. Dopotutto, per chiarire la faccenda le sarebbe bastato pochissimo: andare da lui, esigere spiegazioni e mettere un punto a tutto. In fondo, era facile: tre D e un po’ di concentrazione. Lei aveva ben diciassette anni e nessuna puzza di traccia intorno. Era folle. Era sbagliato. Ma era convincente.
 
“Molto bene, ragazzi, vi lasciamo curiosare! Ricordatevi di stare su questo piano e di non disturbare nessuno! Ci vediamo tra… diciamo un trenta minuti!”
 
L’affermazione di Lumacorno s’intromise a forza tra i pensieri di lei e fu uno sprono, la conferma che la malsana idea era giusta. Annuì distrattamente al docente e, prese le dovute distanze da Blaise e dai due uomini panciuti attorno a Horace, si infilò nell’ascensore, poi in un corridoio e poi fu fuori dal Ministero.
Aveva le mani tremanti e un principio di sudore a inumidirle. Respirò ed espirò più di una volta, face avanti e indietro in un angusto angolino appartato e agguantò incerta la bacchetta. Lo stava facendo sul serio?
 
“Hermione Granger, non puoi farlo. Non va fatto. E se ti scoprono e ti espellono? E se ti spacchi? E se ti spacchi e muori? E se lui sta con un’altra?
 
Una pazza, ecco cosa sembrava. L’ultima domanda le morì in gola e fu forse la motivazione più grande. Non indugiò ancora e si Smaterializzò con bene in mente la sua meta: i Tiri Vispi Weasley. Che stesse facendo la sua prima pazzia per amore, Hermione non lo capì affatto. Ai propri occhi giustificò quel gesto assurdo con la voglia di far chiarezza su una faccenda che le impediva di dormire la notte e la distraeva di giorno. Una scusante tutto sommato ben congeniata, su questo non v’erano dubbi.
Quando i piedi tornarono a toccare terra, il cuore le batteva all’impazzata, ma in quel caso non c’entrava nulla Fred, bensì il terrore di spaccarsi in più punti e di morire all’istante. Ma essere Hermione Granger aveva tra i tanti pregi anche quello di riuscire in quasi ogni cosa, difatti la Smaterializzazione era andata a buon fine, tanto che si ritrovò proprio dinanzi all’ingresso del negozio più esilarante di Diagon Alley. Con aria colpevole si guardò attorno e stringendosi nel cappottino, come a nascondere l’abito ‘da cerimonia’, entrò nei Tiri Vispi.
 
“Hermione? Ma cosa diamine ci fai qui?”
 
“George?”
 
“Certo che sono George… ma tu… ma tu che ci fai qui? Come fai a stare qui? Chi ti ha portata? Mica ti sai Smaterializzare?”
 
“Dov’è Fred?”
 
“Ma da te, ecco dov’è!”
 
Sgranare gli occhi, aprire la bocca e torcersi le mani fu la reazione di Hermione alla rivelazione di George, che la guardava a sua volta allucinato e confuso. Cosa significava ‘da te’? Avrebbe tanto voluto chiederglielo, ma George seppe solo intimarle di non muoversi di lì, uscire dal negozio correndo e sparire in un batter d’occhio, lasciando la ragazza ancora boccheggiante e stordita.
Il caos presente nell’allegro luogo l’assalì quando un ignaro cliente la urtò, facendola quasi cadere in terra. Si rese allora conto d’essere tra due scaffali strapieni di robaccia e che proprio a due passi da lei, in bella mostra, c’era quell’aggeggio che qualche mese prima le aveva fatto l’occhio nero. Sorrise nel rivederlo, ricordando che in quel frangente Fred era stato davvero molto gentile con lei e che lei, per una strana ragione, era stata assalita da un pizzico di imbarazzo e da una strana euforia, come se la sola vicinanza del ragazzo fosse stata ‘benefica’.
Rapita dal ricordo, non se ne accorse, di quel sorriso ebete e un po’ perplesso che l’era comparso sul viso, ma se ne accorse Fred, che era appena entrato assieme a George.
 
“Ma cosa ci fai qui?!”
 
“Fred, ma George… è uscito…”
 
“Sì, è venuto a raccattarmi a Hogsmeade, ti aspettavo sulla stradina che porta a Hogwarts.”
 
Scioccata. Non c’erano altri termini per descrivere Hermione, mentre Fred esibiva un bel sorrisetto ammirato e, prendendola per mano, la guidò nel magazzino, bene intenzionato ad allontanarsi da occhi indiscreti. La giovane si lasciò condurre e nulla disse, semmai provava disperatamente a mettere insieme i pezzi di quel puzzle tutto matto! Lui era a Hogsmeade per lei, lo stesso lui che non aveva dato cenni di vita per tutta la settimana! Non aveva senso, non ne aveva proprio. Fu quando sentì le mani di Fred stringerle la vita e le sue labbra sfiorare le proprie che Hermione si risvegliò dalla trance, allontanandolo bruscamente e guardandolo arcigna.
 
“Ma sei normale? Cosa significa? Non puoi pensare che io trascorra ogni sabato con te e poi non ti fai sentire per tutta la settimana. Non sono un giocattolo.”
 
Non disse altro, si limitò all’essenziale. E ora, che l’aveva dinanzi, si maledisse anche per il gesto avventato di recarsi da lui. D’un tratto, vide con chiarezza ciò che aveva fatto e lo giudicò molto stupido.
Fred, d’altro canto, non riusciva proprio a cogliere il rimprovero della ragazza, la osservava dubbioso, avvicinandosi nuovamente e con lentezza studiata. Ma un ghigno, malizioso e soddisfatto, ne tradiva lo stato d’animo eccitato.
 
“Perché quell’espressione?” chiese infatti lei, portando le braccia conserte e il mento all’insù.
 
“Niente. Penso solo che tu sia strana forte!”
 
“Ah, io sarei quella strana.”
 
“Certamente! Vieni qui per me, non so come, ma voglio saperlo, e poi non vuoi essere toccata. Cos’è? Hai la luna storta?!”
 
“Io non sono qui per te.”
 
“No? Benissimo, ti vado a chiamare George!”
 
“Imbecille, fermati,” chiamò Hermione con una punta, finalmente, di divertimento. Fred, che aveva solo finto di uscire dal magazzino, ghignò ancora più apertamente.
 
“Allora, lo ammetti, che sei qui per me!”
 
“Non sono qui per te, sono qui con Lumacorno. Ha portato me e Zabini al Ministero.”
 
Il ragazzo finse di guardarsi attorno perplesso e ne approfittò per cingerle di nuovo i fianchi, e questa volta lei non si ritrasse. “Me lo ricordavo diverso, il Ministero. Un po’ più grande forse, più ordinato…”
 
“Molto divertente.”
 
“Perché sei qui?”
 
Scacciò via l’imbarazzo, si costrinse a guardare lui in viso e decise che il momento era arrivato. “Per una spiegazione. Vorrei solo sapere perché un sabato lo passi con me e la settimana dopo mi ignori del tutto.”
 
“Finalmente l’hai detto!” esordì lui ridendo. “Immaginavo di trovarti agguerrita per l’attesa. Sono solo stato troppo impegnato con il negozio, è stata la settimana dei fornitori questa. La sera ero troppo stanco e la mattina troppo assonnato per scriverti due righe.”
 
La spiegazione di Fred era lineare, spontanea e il suo sguardo, che ben sosteneva quello della strega, non sembrava mentire. Hermione analizzò ogni parola, ogni espressione e ogni gesto e domandò a se stessa se poteva credere a quelle parole.
Da un lato, credeva che quella di Fred fosse una scusa plausibile, certo, ma solo una scusa. Dall’altro lato, invece, doveva ammettere a se stessa che un comportamento come quello era certamente in linea col carattere del ragazzo, che di certo non era incline a soffermarsi sui dettagli o a ragionare sulle conseguenze delle proprie azioni. In più, quelle espressioni e quei gesti che aveva osservato con tanta cura tradivano sicurezza e, di conseguenza, sincerità.
Una settimana d’attesa poteva essere liquidata così? Poteva accettarlo? Ma le sue erano solo domande retoriche: da ragazza intelligente quale era, sapeva perfettamente d’aver accettato una qualsiasi giustificazione, purché vera, nel momento in cui s’era recata da lui.
 
“Una storia molto commovente,” disse dunque, scegliendo la bonaria ironia.
 
“Tutta vera, miss Granger! E poi, perché avrei dovuto scriverti? Mica sei la mia ragazza!”
 
Se durante quel botta e risposta Hermione s’era sentita per una strana ragione a proprio agio, e aveva quasi dimenticato di quanto fosse stato avventato e sciocco il proprio gesto, quell’affermazione di Fred seppe farla arrossire, indignare e vergognare come mai nulla prima di allora. Sarebbe volentieri scappata via, maledicendo il proprio istinto a vita, ma lui fece qualcosa di completamente inaspettato: rise. Rise di cuore, allegro, stringendola a sé in una morsa che di possessivo aveva tutto. E allora rise anche lei, senza un reale perché, ma vogliosa di affidarsi ancora una volta a quel temibile istinto in combutta col cuore.
Fu un attimo e le loro labbra tornarono a incontrarsi e lo fecero in modo famelico e impudente, perché erano labbra che si conoscevano bene e che trovavano gusto nello sfiorarsi, nel fondersi, nell’essere insieme.
Arrivò molto tardi il momento in cui Hermione ricordò che un professore la stava aspettando e probabilmente cercando al Ministero della Magia, e anche allora non le importò davvero di poter essere nei guai, perché quell’alchimia in attesa da troppo tempo, un tempo che, se ne resero conto entrambi, era molto più di una settimana – forse erano anni –, valeva più di qualsiasi altra cosa.
 

 
*
 
 
“E ti ha creduto?” chiese interessato Harry.
 
“Certo! Dopotutto, sono Hermione Granger e Hermione Granger non mente mai!” esclamò soddisfatta, imburrandosi ben bene il pane tostato, che ebbe l’onore d’essere eletto colazione di quella domenica mattina.
 
“Wow. Sono… non me lo sarei mai aspettato da te. E poi hai avuto i nervi saldi…”
 
“Non è difficile sostenere d’essersi persi al Ministero, in fondo, è un labirinto. E poi sono stata via solo un paio d’ore.”
 
Harry si lasciò sfuggire un sorrisetto divertito, che soffocò nel proprio Succo di Zucca. “Certo che Fred ti fa uno strano effetto!”
 
Hermione avrebbe volentieri ribattuto che quanto accaduto in quell’occasione non si sarebbe mai più ripetuto, ma un gufo che aveva un pacchetto tra le zambe interruppe la filippica. Quei pochi presenti in Sala Grande indirizzarono gli sguardi curiosi alla Grifondoro, che, con un po’ le gote arrossate e un’evidente aspettativa, aprì il pacchetto e scoprì al suo interno una rosa rossa e una pergamena che vantava una sola frase: ‘se ieri non l’avessi capito, visto che eri in tilt, sei la mia ragazza a tutti gli effetti. Ti aspetto sabato prossimo, di’ al vecchio di Pozioni che il Ministero ti è piaciuto!’. Le labbra di Hermione si incurvarono verso l’alto e il rossore sulle gote si intensificò: in effetti, il Ministero le era piaciuto proprio tanto!

 

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Capitolo 4
*** Per sempre ***


26 luglio 1997
 
Molly non avrebbe mai pensato di poter assistere a una scena simile: uno dei suoi figli – forse il più scalmanato – era in piedi dinanzi al lavello della cucina e grattava con un ruvido straccio il fondo incrostato della pentola. L’osservò con attenzione la donna e lo vide con le spalle curve in avanti, l’atteggiamento rabbioso e i muscoli del viso tesissimi, pronti a stracciarsi e a imbruttire il giovanissimo volto del ragazzo. S’avvicinò con cautela al figlio, poggiandogli una mano sulla schiena, ma quella mano non sortì effetto alcuno, perché lui era più che determinato a ignorarla e a continuare a strofinare contro il metallo usurato.
 
“Fred,” chiamò Molly. “Fred… Fred, cosa succede?”
 
“Niente.”
 
“Metti giù, lascia fare a me.”
 
Ma Fred continuava imperterrito, ignorando le domande implicite della madre, che lo guardava con la fronte sempre più corrugata e le labbra sempre più strette. Strinse la stoffa della maglia del figlio Molly, per poi lasciarla andare nel momento in cui un’altra figura fece capolino in quella cucina. La signora Weasley osservò anche la neogiunta e vide sul suo volto la stessa tensione di Fred e nel suo sguardo la medesima espressione assorta. Non pose domande, accontentandosi di sospirare rumorosamente con l’esatto scopo d’essere udita, abbandonando con quell’eloquente gesto la stanzetta colma di malumore.
Quando i passi della donna furono lontani, l’acqua smise di fuoriuscire dal rubinetto, lo straccio fu abbandonato e la pentola fu lasciata mezza sporca a colare nel lavandino. Le umide mani di Fred si strinsero allora attorno al bordo del ripiano della cucina, mentre lui seguitava a stare in silenzio, con quelle dannate spalle curve in avanti. Hermione non emise un solo suono e in tal modo acuì la tensione e il tangibile nervosismo del ragazzo che le mostrava la schiena.
D’un tratto, la porta che rendeva il cucinino accessibile a tutti si chiuse in un tonfo che echeggiò rabbioso e Fred si voltò verso la ragazza, mostrandole quei muscoli tesi e quelle mani gocciolanti e stranamente tremanti. Hermione ne ebbe quasi timore, non ricordava d’averlo mai visto in uno stato simile; certo, c’erano stati momenti difficili tra loro, litigi e incomprensioni, ma le mani di Fred non avevano mai tremato.
 
“Vuoi parlare, immagino,” esordì il ragazzo.
 
“Sarebbe opportuno, sì.”
 
Opportuno… che parolina intelligente, proprio da te.”
 
Il sarcasmo cattivo dell’affermazione ferì Hermione ancora una volta: da quando aveva abbandonato casa e famiglia per recarsi alla Tana e prepararsi a seguire Harry nella sua battaglia, Fred non era stato più lo stesso, le aveva anzi recriminato ogni gesto e ogni parola, accusandola più che apertamente d’essere illusa, incosciente ed egoista. Illusa perché convinta che Harry Potter fosse davvero la risposta a tutte le brutture e i pericoli di una guerra sanguinolenta. Incosciente perché sicura d’essere abbastanza preparata e in gamba da poter fronteggiare Voldemort e i suoi Mangiamorte col solo aiuto di Harry e Ron. Egoista perché pretendeva d’essere illusa e incosciente senza di lui.
Le avrebbe potuto perdonare tutto, tutto, compresa l’illusione e l’incoscienza, ma l’egoismo no, quello era troppo anche per Fred Weasley. E avevano litigato, litigato duramente, come mai in quell’anno di relazione era accaduto. Le incomprensioni tra loro erano state all’ordine del giorno, come in una qualsiasi altra coppia molto giovane, ma erano state solo incomprensioni: non crudeli, ma risolvibili. A ogni piccola discussione era sempre seguita la rosa rossa, ch’era divenuta un po’ il simbolo della loro storia, una rosa che con le sue spine ricordava a entrambi che anche qualcosa di bellissimo poteva provocare ferite, ma erano ferite che sapevano rimarginarsi, ferite che guarivano.
Peccato che quella volta non ci fossero state rose: solo steli smorti e tante, troppe, spine appuntite.
 
“Non voglio litigare con te.”
 
La fermezza del tono non riusciva a mascherare il reale stato d’animo di Hermione, i cui occhi sembravano spaccati a metà: da un lato la voglia di liberarsi dalle lacrime accumulate, dall’altro la voglia di mostrarsi imperturbabili e maturi.
 
“Non piangere.”
 
“Non sto piangendo.”
 
“Meglio così.”
 
“Non cambierò la mia decisione.”
 
“Lo so.”
 
“Ho scelto anni fa di essere la migliore amica di Harry, e ho sempre saputo dove questo mi avrebbe portata.”
 
“So anche questo.”
 
“Non posso abbandonarlo ora. Non voglio abbandonarlo ora, né mai.”
 
“Ne sono sempre stato consapevole.”
 
“Lui ha bisogno di me, e di Ron. Ha bisogno della fiducia del suoi amici, della loro presenza. Non ha chiesto lui di essere il Prescelto e io, che lo considero un fratello, devo portare un po’ di questo peso anche sulle mie spalle, sperando di rendere meno affaticate le sue.”
 
“Lo so, Hermione. Lo so. Lo so meglio di quanto credi.”
 
“E allora perché non capisci?”
 
Sussurrò quella domanda con una vocina così sottile da non somigliare per nulla alla sua. Le lacrime, che non conoscevano orgoglio e compostezza, sconfissero la necessità della giovane d’apparire stoica e adulta, scorrendo lungo le guance una dietro l’altra. Nessun singhiozzo per Hermione, ma solo labbra serrate e assottigliate e gocce d’acqua salata sul volto e sul collo e poi ovunque; quel pianto silenzioso le marchiava tutto il corpo. A Fred bastò solo guardarla per ammalarsi di lei ancora una volta.
Già, ammalarsi.
La prima volta che aveva maturato quella strana definizione, il suo rapporto con Hermione aveva due mesi e un litigio al gusto di incomprensioni reciproche minacciava una rottura permanente. In quell’occasione, Fred proprio non aveva capito che scegliere di trascorrere il finesettimana in montagna con George e Lee avrebbe potuto ferire Hermione, che riusciva a vederlo solo nei finesettimana. In quell’occasione, Fred aveva continuato a scriverle lettere, dicendole che i finesettimana non erano merce a esaurimento, bensì infiniti, e loro due avevano migliaia di finesettimana a disposizione. In quell’occasione, Fred aveva infine rinunciato alla montagna e a Lee e a George e s’era recato a Hogsmeade con la voglia di strattonare Hermione, litigarci e poi baciarla sino a quando il respiro non fosse mancato. E fu proprio in quell’occasione che si disse ammalato di lei, perché finalmente conscio d’esserne innamorato. Ma innamorato era sempre stata una parola che l’aveva fatto rabbrividire, nauseare e, a dirla tutta, spaventare; così, s’era inventato una nuova parola, che racchiudeva tutto ciò che di sbagliato c’era per Fred nell’amore, e la parola era ammalato. Dopotutto, l’amore per il giovane Weasley era sempre stato etichettato come un’infida malattia, una di quelle contagiose, che prima di manifestarsi aspettavano d’aver ormai schiavizzato tutto il tuo corpo, una malattia di cui era nota la cura, ma si trattava di una cura costosissima, lunga e dolorosa.
Dovettero passare altri due mesi prima che Fred accettasse d’essere innamorato e non ammalato: l’amore non era una condanna e non era qualcosa da cui difendersi, l’amore era semplicemente amore. Furono gli eventi, come spesso accadeva, a scombussolare tutto. La decisione di Hermione di partire alla ricerca degli Horcrux senza di lui aveva infatti costretto Fred a rintanarsi nuovamente nell’idea di un amore come malattia. Dopotutto, se non fosse stato così malato, lui le avrebbe semplicemente detto buona fortuna e l’avrebbe lasciata andare.
 
“E tu? Tu perché non capisci?”
 
Non più rabbia nella voce di Fred, ma solo stanchezza e – notò Hermione con stupore – rassegnazione.
Rassegnazione.
Assurdo. Fred Weasley e la rassegnazione erano elementi che insieme non potevano coesistere, eppure erano lì, insieme. La consapevolezza d’averlo ferito come nessun altro avrebbe potuto fare schiaffeggiò con ferocia Hermione, che vinta da quell’ammasso di nauseanti realtà strinse Fred in un abbraccio possessivo, che elemosinava il perdono per una scelta che non sarebbe comunque cambiata.
Le mani della ragazza s’allacciarono al collo di lui, il suo seno aderì senza imbarazzo al petto dell’altro e i capelli folti, come fastidiosa peluria, solleticarono il mento di Fred chino verso la testa di lei. Un pesante sospiro accompagnò le braccia del mago attorno al minuto corpo, dando vita a un secondo abbraccio, possessivo e innamorato quanto il primo.
 
“Ti amo.”
 
“Resta con me, allora,” incalzò Fred, saldando ancor più la presa. “Resta con me… oppure, lasciami venire con te.”
 
Fu strano, ma Hermione ebbe la sensazione che una scossa elettrica la percorresse e la costringesse ad annuire e a mimare con le labbra un ‘sì, vieni con me’. Un mimare che Fred dovette percepire scritto sulla pelle, perché con foga le afferrò il volto e incrociò il suo sguardo alla ricerca di una conferma di quanto appena intuito. E la conferma arrivò, brillava di luce propria negli occhi di Hermione, che mai avrebbe immaginato un simile risvolto; dopotutto, sapeva bene che a cercare gli Horcrux avrebbero dovuto essere lei, Harry e Ron. Ma di Fred era innamorata, e questo vinceva su tutto.
La rabbia e il malumore svanirono in un batter d’occhio e il sorriso tornò a colorare il volto di Fred, sciolse la tensione dei muscoli, sgranchì persino le ossa e indusse le labbra a fremere nell’attesa di incontrare altre labbra. Così, un bacio e poi un altro e un altro ancora e tanti baci assieme assorbirono i lividi sparsi nei due ragazzi. I corpi si fecero più vicini e le mani più audaci, e mentre quelle di Hermione racimolavano il coraggio per insinuarsi al di sotto della maglia di Fred, quelle del ragazzo già sfioravano la pelle della ragazza, una pelle che s’elettrizzava e rabbrividiva al passaggio di quelle dita impudenti.
Hermione si ritrovò a sgranare gli occhi scuri e a sbatacchiare le ciglia con imbarazzo e sorpresa quando s’accorse di non aver più la maglia a coprirle il busto. Fred sorrise di quell’espressione e attirò a sé la ragazza, affondando le ‘impudenti dita’ tra i suoi capelli, baciandola ancora una volta. Hermione lasciò sciogliere imbarazzo e sorpresa in quel nuovo contatto, che aveva un sapore ben diverso, un sapore molto più intimo e molto più maturo, sembrava avere il sapore dell’adesso e del per sempre.
In quella notte di luglio, non vi furono esitazioni. Non una sola parola fuoriuscì dalle labbra dei due: spiegazioni e conferme non erano necessarie, perché erano tutte nei gesti, negli sguardi… erano in loro due insieme.
Rabbrividì lei quando percepì la pelle toccare il tavolo in legno presente in quel cucinino. Rabbrividì quando si conobbero in modo tutto nuovo. Rabbrividì – e anche un po’ sorrise – quando per un attimo pensò d’avere immaginato quel momento tante volte e in nessuna delle ‘tante volte’ c’erano stoviglie sporche nel lavello, impazienza e un tavolo in legno. In nessuna delle tante volte erano nel cucinino della Tana ad augurarsi di essere ancora vivi il giorno dopo. Ma la realtà, d’altronde, era sempre diversa dalla fantasia, ed era in genere migliore proprio perché reale.
 
“Ti amo.”
 
Fu un sussurro roco di Fred detto con labbra tremanti, tremanti quanto tutto il resto del corpo. Due paroline che Hermione s’era rassegnata a non udire: sapeva d’essere amata, ma sapeva anche che Fred non era incline a manifestare l’amore con parole ‘adatte’ o ‘consone’, come le definiva lui ogni volta che un ‘ti amo’ abbandonava le labbra della strega.
Non riuscì a impedirselo Hermione, e rise. Rise gioiosa, imbarazzata, un po’ scossa persino. Ma rise.
 
“Riesco a farti ridere anche quando sono serio,” scherzò lui.
 
“È la tua condanna,” l’accordò lei.
 
Fred le concesse un tacito assenso, mentre incastrava le dita di Hermione nelle proprie. Neanche lui l’aveva immaginato così, quel momento tanto importante. Era terribilmente scomoda la posizione in cui erano, persino le ginocchia dolevano al contatto con il ripiano rigido. Ma in quell’istante tutto sembrava essere poco importante. La dolenzia, l’ambiente, la nulla comodità erano tutti particolari insignificanti, perché loro due erano insieme ed era vivida la convinzione che lo sarebbero stati sempre.
Quando, in un tempo invero brevissimo, i loro corpi urlarono il bisogno di uno sfregarsi ancora più intimo, Fred, guidato dall’alchimia che apparteneva soltanto a loro due, dolcemente infranse l’irrisoria distanza che li separava, e non gli era mai successo di avvertire il cuore premere contro le ossa allo scopo, forse, di spaccarle tutte e liberarsi.
Lo sguardo chiaro cercò quello scuro e lo trovò come non avrebbe mai creduto di trovarlo: in lacrime. Non poteva saperlo lui, che anche i suoi occhi erano lucidi, ma Hermione li vide e capì che Fred soffriva con lei. Perché soffrissero anziché essere percorsi dalla gioia, non ebbero il coraggio di chiederselo l’un l’altra. Nessuno seppe spiegarsi cosa fosse quell’opprimente sensazione che li aveva schiavizzati nell’istante in cui i loro corpi s’erano allacciati. Sapevano solo che un dolore, che andava ben al di là del piano fisico, troneggiava prepotente su di loro e impediva a corpi e menti di assaporare il piacere proprio dell’intima unione. Quella che avrebbe dovuto avere il dolce gusto della prima volta ebbe i macabri contorni di un’ultima volta.
Gemiti, respiri, movimenti scomposti, fretta di arrivare a qualcosa di non meglio identificato, pelli sudate che faticavano a carezzarsi divennero lo sfondo di un’emozione che di sbagliato aveva tutto, perché era brutta; non poteva descriversi in altro modo. Brutta perché carica di un’accozzaglia di sensazioni negative, sensazioni brutte.
 
“Dillo di nuovo,” sussurrò Hermione.
 
“Ti amo.”
 
“Anch’io.”
 
Solo quei sentimenti buttati fuori assieme agli ultimi respiri seppero strappare dei sorrisi – che di vinto avevano i contorni ed anche più – ai due amanti. Si guardarono stremati quando l’energia che non seppe stravolgerli come avrebbe dovuto ebbe il suo culmine, portando i due corpi a distaccarsi e a tornare a vivere in autonomia.
Entrambi scossi dalle sensazioni provate, ricomposero in silenzio le loro figure. Fred, che non riusciva a scacciare una strana angoscia, strinse la ragazza in un forte abbraccio quando ancora non s’era rivestita del tutto.
 
“Sei felice?” le chiese.
 
“Sì, se sono con te.”
 
“Va bene.”
 
Il sorriso forzò le labbra dei due, che ancora una volta non ebbero il coraggio di chiedersi altro, di analizzare cosa fosse accaduto, cosa fosse andato storto. Perché non c’era stata gioia? Piacere? Emozione bella? Era stato tutto veloce, totalizzante sicuramente, ma dannatamente angosciante.
Mano nella mano, uscirono da quel cucinino insonorizzato e chiuso a chiave, imbattendosi in una sala ormai buia e avvolta dal silenzio della notte. Solo un piccolo lume tradiva la presenza di qualcuno – che Fred ipotizzò essere suo padre – nella piccola stanzetta adibita a modesto studiolo da Molly. A quanto sembrava, nessun abitante della Tana aveva osato disturbarli, forse proprio Molly aveva imposto tale veto, avendo visto il malumore del figlio.
 
“Dormiamo qui?”
 
“Sul divano?”
 
“Ti dispiace?”
 
“Non hai vergogna?”
 
Hermione scosse il capo e un sorriso sghembo, finalmente malandrino e vivace, corruppe le labbra di Fred.
 
“Vuoi già il bis?!”
 
“Voglio solo dormire.”
 
“Con me.”
 
“Con te, sì. Vuoi che chiami George?”
 
“Chiamalo pure, tanto non gli piaci!”
 
“Brutto idiota!”
 
Una cuscinata in pieno volto, che ebbe il merito di stemperare appena l’inqualificabile atmosfera, accompagnò quell’ironico epiteto. Fred, più agguerrito che mai, scaraventò la fidanzata sul divano, iniziando a solleticarla ovunque. Fu in quel momento che s’accorsero che qualcosa era effettivamente cambiato: nonostante tutto, un nuovo grado di sintonia li aveva raggiunti, e davvero lui era lei e lei era lui. Tra cuscinate e solletico, trascorsero quelle rimanenti ore della notte, decidendo di comune e tacito accordo d’accantonare quanto di opprimente percepito nell’istante in cui erano stati un tutt’uno. Alle volte, come in quell’occasione, ignorare ciò che generava paura diventava un’esigenza, un’esigenza per andare avanti.
L’indomani ebbe inizio con delle battutine maliziose di George, che s’era imbattuto per primo nella coppia appisolata sul consunto divano. Hermione non aveva avuto neanche la forza di arrossire: intorpidita, stanca, scossa, eppur carica di una nuova e non catalogabile sensazione, era sgattaiolata dritta al bagno, dove una curiosissima Ginny – che aveva notato il letto a suo fianco vuoto – l’aveva seguita in cerca di particolari. Per un paio d’ore sembrò tutto perfettamente normale e in linea con le età dei ragazzi: battute, sorrisi maliziosi, un po’ d’imbarazzo e confidenze tra amiche. Tutto come doveva essere, fino a quando Ron non pretese l’attenzione di Hermione e quest’ultima, suo malgrado, dovette confidargli la novità, informandolo che anche Fred sarebbe partito con loro.
 
“Di’ qualcosa.”
 
“Harry dirà di no.”
 
“Harry capirà.”
 
“E se fossi io a non capire?”
 
In piedi, all’esterno della Tana, Hermione fronteggiava l’amico di sempre con sguardo insicuro. Solo il giorno precedente avevano a lungo discusso di ‘Fred’, convenendo che non sarebbe potuto andare con loro per nessuna ragione, poiché Harry non l’avrebbe permesso.
 
“Cosa c’è da capire, Ron?”
 
Boccheggiò lui, boccheggiò colpito dal rovente imbarazzo. “Niente.”
 
Quel ‘niente’ mise un punto alla discussione. Entrambi sapevano cosa celasse quella apparentemente innocua parola, ma nessuno dei due aveva intenzione di far tornare a galla rancori vecchi di mesi. Ron, in fondo, sapeva bene che Hermione non gli era mai appartenuta, ma non capiva cosa l’avesse portata a scegliere Fred. Hermione, a sua volta, aveva ben compreso, ormai, che l’interesse di Ron nei suoi riguardi andava ben oltre l’amicizia – e solo Merlino sapeva quanto questa consapevolezza, neanche un anno prima, l’avrebbe resa felice –, ma il suo cuore aveva donato il proprio timone a un altro capitano. Non c’era nulla da dire, a ben vedere, tra quei due giovanissimi maghi; c’erano solo realtà da accettare per ciò che erano.
Ancora una volta, fu la realtà dei fatti, insensibile e maligna, a calpestare ogni buon progetto, ogni proposito. La fuga di Harry, la morte di Malocchio, la ferita di George, il matrimonio di Bill e Fleur… tutto assieme avvenne e tutto in un arco di giorni brevissimo. Non ci fu tempo per nulla, neanche per un arrivederci, che la mano di Hermione si trovò incastrata in quella di Ron e poi in quella di Harry e poi ‘niente’, proprio il niente di Ron che sembrava innocuo e celava tutto.
 
“Hermione… mi dispiace… noi… Non possiamo tornare indietro.”
 
Le pronunciò Harry quelle parole al gusto di mortificazione e maldestra sicurezza, le pronunciò il giorno del matrimonio di Bill e Fleur, quando, preda della paura d’essere catturati, mutilati o uccisi, s’erano Smaterializzati, certo, ma in tre, lasciando Fred – e il cuore di Hermione – alla Tana.
 
*
 
“Sta’ calmo, Fred, la troviamo… hai capito? Freddie, la troviamo. Io e te troviamo lei, nostro fratello e Harry.”
 
“No, George. No. Non li troveremo mai.”
 
“Fai in modo che sia lei a trovare te, allora.”
 
Due paia d’occhi identici si voltarono verso Lee Jordan, il cui aspetto era stravolto quanto quello dei gemelli. Abbozzò un sorriso Lee, poggiando una mano sulla spalla di George e un’altra sulla spalla di Fred.
 
“Noi saremo la Resistenza e chiunque è dalla nostra parte saprà che ci siamo, che siamo vivi, e saprà come mettersi in contatto con noi.”
 
Le parole asciutte di Lee convinsero i due Weasley e dalle ceneri del terrore e della disperazione nacque ‘Radio Potter’. Quella notte, Fred leccò in segreto le proprie ferite, scoprendosi per la seconda volta capace di covare paura, rabbia e frustrazione. L’odore del sangue di George ancora gli infettava le narici e la vista di quello stesso sangue ancora gli causava incubi; e ora aveva altro fetore da combattere ed altre immagini da scacciare: erano i presagi, gli incubi, erano tutto ciò che in quei lunghi mesi di guerra e attesa gli trafugarono il sorriso. Neanche George riusciva più a lenire le ferite del gemello, poiché ne aveva lui stesso di fresche, sanguinanti e brucianti: ogni minuto poteva essere l’ultimo per tutti, quella era una guerra, dannazione, una guerra. E arrivati al punto in cui nessuno poteva più giurare d’aver almeno intravisto Harry Potter in un qualsiasi buco, la sensazione che la fine fosse alle porte si impadronì un po’ di tutti, dai più pessimisti ai più fiduciosi.
Il ‘due maggio’ che avrebbe deciso le sorti della seconda guerra magica giunse quando tutti i giusti s’erano istruiti a non sperare.
Hermione non seppe neanche come fosse finita lì, nella Stanza delle Necessità, di nuovo a Hogwarts, di nuovo a casa. Non lo seppe affatto, ma capì d’essere finalmente capitata nel posto giusto quando due braccia forti, che ancora l’amavano, la strinsero in una morsa soffocante, possessiva, disperata.
 
“Fred… io… mi dispiace… ti amo…”
 
“Sta’ zitta. Sei viva, questo vale tutto…”
 
Nonostante le urla, gli scalpitii e il caos, a Fred e Hermione sembrò di essere stati risucchiati in una dimensione fatta solo per loro due, in cui spazio per altro non c’era. Tremante, fu lei ad avvicinare le proprie labbra a quelle del ragazzo, a carezzarle, a morderle, a sentirle contro la propria pelle, fu lei a voler ustionare entrambi con un bacio che aveva in sé quell’angoscia e quell’emozione brutta di quando erano stati un tutt’uno per la prima volta.
Qualcuno dovette chiamarli perché si separassero, e lo fecero con riluttanza, con le mani affondate nei visi, tra i capelli, con i corpi appiccicati come a volersi saldare per sempre.
 
“Ci vediamo dopo.”
 
“Ci vediamo dopo,” confermò lei. Resta vivo avrebbe voluto dirgli, ma preferì il silenzio.
 
*
 
4 maggio 1998
 
Una sola domanda annebbiava i suoi pensieri: sul serio non sapeva che sarebbe finita così?
Lo sapeva eccome. Lo sapeva benissimo lei. E lo sapeva anche lui. L’avevano capito quella notte di luglio, ne avevano avuto riconferma quando, ritrovandosi, di nuovo quelle scariche elettriche cattive e roventi li avevano assaliti.
Resta vivo. Avrebbe potuto dirglielo. Sarebbe cambiato qualcosa?
 
“Sarebbe cambiato qualcosa? Mi avresti ascoltata? No. Tu non mi hai mai ascoltata. Mai a seguire i miei consigli. Brutto idiota, anche se non te l’ho detto, dovevi capirlo… dovevi capirlo, che dovevi restare vivo. E invece sei morto davanti a me.”
 
Serrò le palpebre e le lacrime, scomposte e acide, le percorsero il viso, marchiandolo di un male indelebile. Rivide in quell’istante l’esplosione, i pezzi cascare su qualcosa o qualcuno, percepì la puzza della fuliggine, il tremore in tutto il corpo, il terrore che, nel rialzarsi in piedi, avrebbe trovato uno o più corpi sotto i macigni. Un terrore che s’era materializzato nella figura di Fred, una figura malmenata dalla morte, che aveva preteso il mago tra le sue schiere. Il dolore di Ron e di Percy e di Harry, neanche lo ricordava. Non ricordava neanche d’aver pianto o urlato o… non ricordava niente. Ricordava solo la cieca e furiosa rabbia. Brutto idiota, non dovevi morire, avrebbe voluto dirgli. Ma a cosa sarebbe servito? Tra loro due, ormai, v’era la vita intera ed anche la morte. V’erano lo spazio e il tempo. Tutto li separava, solo i ricordi avrebbe potuto tenere con sé, e quelli li avrebbe custoditi gelosamente.
Per sempre.
Il funerale era terminato molte ore prima, un funerale cui lei aveva assistito in disparte, tra le ultime file, perché troppo vigliacca per guardare la lapide bianca scivolare nel terreno scuro. Ma ora, ora che era sola, che era sola con lui, che non era sola perché era con lui, poteva sfogarsi e lo faceva con lacrime e rabbia. Lo faceva strizzando tra le dita lo stelo spinato di una rosa rossa, incurante delle punture e del sangue che colava dalle proprie dita. Lo faceva chinandosi sul terriccio macchiato di un sangue che, forse, poteva vedere solo lei, e adagiando lì la sua rosa rossa e, con essa, anche delle gocce del proprio sangue, che era sicuramente visibile a tutti.
 
“Questa è tua. È nostra. Curala, ché voglio trovarla ancora rossa e viva quando saremo di nuovo insieme.”
 
Furono le ultime parole proferite a voce che Hermione rivolse a Fred, e fu anche la prima e l’ultima volta che visitò quel cimitero. Si impose di vivere, perché era giusto così. Si impose anche d’essere felice, perché anche questo era giusto. Si impose di far tutto ciò che andava fatto in quella vita, perché questo le avrebbe fatto meritare una seconda vita, ma con lui.
Ritrovò la sua famiglia, terminò i suoi studi, intraprese una gratificante carriera e, cinque anni dopo la morte di Fred, trovò anche il coraggio di lasciarsi amare da quel ragazzo che non l’aveva mai dimenticata, l’aveva anzi attesa per un tempo giudicabile da chiunque come esagerato.
Dopotutto, Ron sapeva che Hermione era riuscita ad andare avanti e sapeva d’essere amato. Ma sapeva anche che una generosa fetta del cuore della ragazza sarebbe sempre appartenuta a qualcun altro, che questo qualcun altro era amato da lei come lei non avrebbe saputo amare altri. Lo aveva accettato. Vivere significava anche saper accettare dei giusti compromessi, e ai sopravvissuti di una guerra questo era un concetto chiarissimo.
 
“Se ci sposassimo?” chiese Ron, un giorno.
 
“Non regalarmi rose rosse.”
 
“Certo che no, so che non ti piacciono.”
 
Hermione lo guardò sorpresa e intimorita, quella frase buttata lì per caso – che voleva dirle tutto – riuscì a denudarla. Per la prima volta, rispettò davvero Ron e comprese d’aver dinanzi un uomo maturo, magari indurito dalle sofferenze, ma ancora in grado di amare e di vivere giorno dopo giorno. Allora, incapace di dire altro, annuì.

*

Erano felici lei e Ron, e le rose rosse non appartenevano alla loro storia. Le rose rosse appartenevano a un rapporto ancora in bilico, mai finito, che Hermione avrebbe sempre portato con sé, come monito costante di una felicità smisurata che, prima o poi, sarebbe toccata anche a lei.
 
*
 
Maggio 2006
 
“Forza, Hermione, ancora uno sforzo, tesoro, ci siamo quasi…”
 
Parole vuote. Hermione indirizzò alla Medimaga un’occhiataccia che avrebbe incenerito chiunque, ad eccezione di chi – come quella attempata donna – era abituata a determinate reazioni. Le mani della signora Granger e di Molly, strette in quelle di Hermione, pulsavano e dolevano, poiché la ragazza quasi le maciullava. Ben decisa a non emettere un solo urlo o gemito, sfogava quell’insensato dolore con respiri pesanti, occhiatacce e muscoli irrigiditi. Un insieme che rendeva ancora più faticosa l’espulsione.
Erano ormai ben cinque ore che quella stanzetta del San Mungo sopportava le quattro donne riunite. Al di fuori del piccolo rettangolo, un gruppetto di ansiosi uomini occhieggiava di tanto in tanto la porta chiusa, sperando di avere notizie.
 
“Avanti, tesoro, un ultimo sforzo…”
 
“Mamma! Stai… ZITTA!”
 
Non ci fu tempo per aggiungere altro, poiché ‘zitta’ – urlata a squarciagola – venne accompagnata da una piccola bambina tutta coperta di liquido, con ancora il cordone a legarla all’isterica neomamma. Un solo colpetto sicuro della Medimaga e la bambina pianse. Pianse lei, e piansero anche le signore Granger e Weasley, piansero di gioia.
 
“Eccola qui! Ti sei fatta desiderare, eh, signorina?! Mammina,” scherzò la Medimaga in direzione di Hermione, “c’è una persona che vuole conoscerti!” concluse, adagiando con estrema delicatezza l’appena nata tra le braccia della ragazza.
 
Hermione neanche ebbe il coraggio di stringere la figlia, qualcosa le diceva che avrebbe potuto spezzarla. Era così delicata che sembrava essere di seta e non di semplice carne. In quell’istante, la strega maturò la convinzione di non aver mai saputo cosa fosse realmente la bellezza, perché nulla di più bello di quella bambina poteva esistere. Aveva i capelli radi e rossi. Gli occhi, gli occhi avrebbero potuto essere di qualsiasi colore, non riusciva a capirlo, erano ancora semichiusi. Il nasino era minuscolo, così come le manine e i piedini e tutto… era tutto minuscolo e da proteggere. Era tutto bellissimo.
Aveva il corpo stremato Hermione, dolorante, ma non le importava per niente. Anzi, tutto il dolore precedente alla nascita era scoppiato in una bolla di sapone. Dimenticato! Nessun dolore era troppo se il risultato era quella bimba che piangeva tra le sue braccia, ma che – forse fu Hermione a illudersi – già la riconosceva, già sapeva d’essere con la sua mamma; una mamma che si lasciò sfuggire qualche lacrima commossa mentre la Medimaga portava via la neonata.
Ron, Harry e i due nonni entrarono in quell’istante, e Ron per poco non svenne quando capì che quella tra le braccia del medico era sua figlia. Con un sorriso ebete, emozionato e felice e bello si avvicinò alla donna che lavava accuratamente la bimba, senza però il coraggio di allungare un solo dito su quella creatura minuscola. Anche lui, come Hermione, pensò che fosse bellissima, bella quanto niente altro al mondo poteva essere.
 
“Come si chiama?” chiese con un filo di voce Molly.
 
Rose. Si chiama Rose. La mia Rose rossa.”
 
Ron non batté ciglio. Si avvicinò alla moglie e, semplicemente, le posò un bacio a fior di labbra. Andava bene così. Rose era per Hermione un patto rinnovato e consolidato: Fred era con lei, era sempre con lei, e l’avrebbe aspettata in un prato ricoperto di rose rosse. Nell’attesa, le aveva dato in dono la più bella tra tutte le rose, e l’aveva fatto sereno, perché era giusto così, giusto che a guardar crescere quel prezioso fiore di maggio fosse un altro uomo accanto alla donna che gli sarebbe appartenuta per sempre.





 

NdA: con questo capitolo la minilong si conclude. È stata dura scrivere questo capitolo, ma l'intera storia è nata grazie al finale che avete letto. Ringrazio tutti coloro che hanno letto, recensito, preferito/ricordato/seguito! Grazie infinite, spero che "Un'alchimia inattesa" abbia meritato il vostro tempo.
Alla prossima :)

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