La ragazza che morì due volte

di steph808
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo1Capitolo 1

Il barbone svoltò l’angolo con passi lenti e strascicati. Stava tornando a casa, a quella che per lui rappresentava una casa. Nel vicolo stretto e lurido che aveva appena imboccato tra palazzi alti e anonimi c’era una rientranza nel muro, una specie di nicchia che lui utilizzava ogni notte per dormire, al riparo dal freddo o dalla pioggia di New York.

In tanti anni, non gli era mai capitato di avere compagnia, nascosto com’era dietro i cassonetti dell’immondizia, ma quella sera una figura occupava il suo solito spazio.

«Ehi, amico, quel posto è mio.»

Nessuna risposta, nessun movimento.

«Ehi, mi ascolti quando parlo?»

Il barbone si avvicinò ancora di qualche passo. La figura distesa gli dava le spalle. La toccò con un piede.

«Oh no! Accidenti!...», mormorò.

C’era una ragazza nella sua nicchia. Ed era morta.

***

I lampeggianti della polizia illuminavano il vicolo di lampi rossi e blu. La zona era stata transennata dai nastri e nessuno che non fosse della squadra investigativa aveva il permesso di entrare.

«Cos’abbiamo qui, Lanie?»

La dottoressa Parish, l’anatomopatologa del Dodicesimo distretto della Polizia di New York, stava esaminando il cadavere, ancora immobile nella posizione in cui era stato trovato. Si alzò in piedi e si trovò davanti il detective Beckett.

«Ciao, Kate. È una donna bianca, tra i diciotto e i venticinque anni. Non sappiamo ancora il nome, non ha documenti.»

«Causa della morte?»

«Sconosciuta, per ora. Non ci sono ferite né segni di violenza.»

«Ora del decesso?»

«Poco meno di un giorno, direi venti ore fa.»

«Non mi aiuti, Lanie. In pratica non abbiamo nessun elemento. Niente documenti, niente ferite.»

«Hai ragione, Kate, ma sarò più precisa dopo le analisi di laboratorio.»

«Ehi, ragazze, mi sono perso qualcosa?»

Il consulente della polizia Richard Castle, il famoso scrittore, era appena arrivato di corsa.

«Ciao, Castle. No, niente di che. Saranno necessari degli esami clinici più approfonditi» rispose la dottoressa Parish.

Lo scrittore si chinò sul cadavere.

«Povera ragazza. Era così carina.»

«Castle! Perché non ti rendi utile e vai a interrogare il barbone che ha trovato il cadavere? Non credo che tu sappia analizzare il corpo meglio di Lanie.»

«Non ha già provveduto Esposito all’interrogatorio?»

«Vuol dire che tu ne farai un altro. Non dici sempre di avere un sesto senso per queste cose?»

«Ok, vado.»

Lo scrittore si allontanò. Beckett non voleva che inquinasse le prove sulla scena del delitto. Lui era pur sempre un consulente civile, lei la detective incaricata delle indagini.

«Ehi, Beckett.» Stavolta era un altro componente della squadra, Kevin Ryan, ad avvicinarsi.

«Trovato qualcosa?»

«Non molto, ma laggiù ci sono tracce di pneumatici ben riconoscibili.»

«Fotografa tutto.»

«Un’altra cosa. Su quel cassonetto, dove il vicolo si stringe tra le case, ci sono tracce di vernice.»

Era facile immaginare la scena. L’assassino era fuggito in macchina e nell’allontanarsi di fretta aveva urtato il cassonetto. Poteva essere una prova.

«Preleva tutti i campioni.»

«Già fatto.» Stavolta era Javier Esposito a comparire con in mano una bustina di plastica che conteneva dei reperti.

Kate Beckett sorrise. Aveva una squadra efficiente, che agiva secondo i suoi ordini ancor prima che potesse impartirli. E poi c’era quel Castle, lo scrittore, che seguiva le sue indagini per avere spunti per i suoi romanzi. Bell’uomo, fascinoso, intelligente e molto spesso utile nella risoluzione dei casi. Ed erano diventati amici. A volte purtroppo, a volte per fortuna, come nei più tipici casi di amore-odio. Castle era un professionista delle complicazioni sentimentali, tuttavia Beckett preferiva le storie semplici, e in ogni caso era meglio per tutti restare concentrati sul lavoro.

«Continuiamo con le ricerche, ragazzi», ordinò.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2Capitolo 2

Nella sede del Dodicesimo distretto della Polizia di New York c’è un ampio open space con le postazioni di lavoro di tutti i detective. Castle si accomodò su una sedia accanto alla scrivania di Beckett e appoggiò due bicchieroni di caffè americano sul tavolo.

«Novità sul caso della ragazza senza nome?» domandò.

«No. Abbiamo preparato una lavagna, come al solito, ma...»

«Qual è il problema?»

«Il problema è che la lavagna è quasi vuota. Non ci sono dettagli, non ci sono elementi. Vieni, ti faccio vedere.»

Beckett precedette lo scrittore nella stanzetta in cui aveva preparato il riassunto visivo del caso.

La foto della ragazza era appesa al centro dello spazio, con accanto l’indicazione a penna dell’indirizzo dov’era stata trovata. Non era una delle solite belle foto sorridenti che attaccavano alla lavagna, ma una triste immagine del volto scattata sul tavolo dell’obitorio.

«Ecco qui, Castle. Questi sono gli elementi che abbiamo.»

«Non vedo scritto niente.»

«Infatti. Sul cadavere non c’erano documenti. Non c’è l’arma del delitto. Anzi, non c’è nemmeno la ferita.»

«Qual è la causa della morte?»

«Non lo so.»

«Grandioso!»

«Castle, non fare dell’ironia sulla morte di una ragazza.»

«Non sono ironico. Questo è un caso interessante.»

Entrò Esposito.

«Ehi, Beckett.»

«Dimmi, Javier.»

«Ho fatto alcune ricerche. La foto non corrisponde a nessun’altra immagine nei database del riconoscimento facciale, e nemmeno le impronte digitali hanno dato risultati. Questa ragazza non ha mai fatto la patente, né il passaporto, né la tessera sanitaria. Non è mai stata arrestata. Ho cercato ovunque ma non ho trovato niente.»

«Forse è straniera» disse Castle. «Oppure si è sottoposta ad una plastica ricostruttiva che le ha cambiato completamente il volto. Adesso è irriconoscibile grazie ad un chirurgo senza scrupoli che le ha cambiato i connotati e poi le ha modificato le impronte digitali con un’operazione altamente rischiosa… Esposito, Beckett, ragazzi, non vi interessano le mie ipotesi? Ehi, dove state andando?»

Erano usciti senza ascoltarlo. Castle li inseguì aggiungendo altre ipotesi.

Beckett si voltò per rimproverargli di aver parlato a vanvera, ma il telefono sulla sua scrivania la precedette con un squillo.

«Beckett.»

«Kate, sono Lanie. Potresti passare da me in obitorio? Ho i risultati delle analisi e sono sicura che vorrai vederli.»

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo3 Capitolo 3

«Beckett, ti ho mai detto che non mi piacciono gli obitori?»

«Molte volte, Castle.» Entrarono nel locale. «Eccoci, Lanie, cos’hai per noi?»

La dottoressa Parish li aspettava accanto ad un tavolo d’acciaio. Inclinò la testa.

«C’è una cosa che dovete vedere.»

«È sul cadavere? Non sono così sicuro di voler osservare da vicino quello che…»

«No, Castle. Non è il cadavere.» Lanie indicò con un dito il corpo, coperto da un lenzuolo bianco, poi ruotò il polso fino a puntare un fascicolo appoggiato su un tavolo. «È qui.»

Beckett afferrò il fascio di fogli.

«Vediamo… è un esame del DNA.»

«Esatto.»

«Non è della ragazza.»

«Esatto.»

«Questo fascicolo ha almeno vent’anni.»

«Esatto.»

«Lanie… che vuol dire?»

Il medico legale prese un altro fascicolo.

«Questi sono gli esami della ragazza. Sono arrivati cinque minuti fa dal laboratorio. Quelli che hai in mano, invece, sono gli esami di Mary Ellen O’Neill. Risalgono a vent’anni fa, come hai detto.»

«Mi piace il tuo tono drammatico, stai creando suspence, anch’io nei miei libri…»

«Piantala Castle. E tu, Lanie, vieni al punto.»

«Sono identici, Kate. Mary Ellen O’Neill ha lo stesso DNA di questa ragazza che abbiamo qui sul tavolo.»

«Oh, benissimo. Mi stavo preoccupando per nulla. Abbiamo trovato un nome. Non capisco perché ci hai chiamati.»

«Per la suspence, Beckett, non devi sottovalutare la suspence

«Per due ragioni: la prima è che l’età presumibile della ragazza è di diciotto anni. Venti al massimo.»

«D’accordo. Vuol dire che gli esami risalgono alla sua nascita.»

«No, Kate. Mary Ellen O’Neill aveva venticinque anni al momento delle rilevazioni. E questi esami sono nei nostri schedari perché è morta proprio ventidue anni fa.»

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo4Capitolo 4

La squadra investigativa era riunita al gran completo nella sala principale del distretto.

«Scusa, Beckett, puoi ripetere?» domandò Esposito.

«Nemmeno io ho capito bene» aggiunse Ryan.

«Castle, prova a spiegarlo tu.»

«È semplice ragazzi. Questa ragazza che abbiamo sul tavolo in obitorio ha lo stesso identico DNA di una donna morta vent’anni fa di nome Mary Ellen O’Neill.»

«È impossibile.»

«Ci deve essere un errore.»

«Nessun errore. Lanie ha fatto ripetere gli esami due volte» replicò Beckett.

Ryan ed Esposito si consultarono con lo sguardo. Non riuscivano a darsi nessuna spiegazione.

«Per cosa è morta, questa ragazza?»

«Lanie continua a non saperlo. Non ci sono ferite sul corpo, dovrà procedere con l’autopsia, poi ci aggiornerà.»

«Questo caso è sempre più strano. Beckett, noi cosa facciamo, nel frattempo?»

Kate rifletté per un momento.

«Ryan, tu cerca di scoprire chi ha lasciato la ragazza nel vicolo. Metti a frutto i campioni e le tracce che abbiamo rilevato.»

«D’accordo.»

«Esposito, a te spetta una ricerca tra le persone scomparse. Questa ragazza doveva avere una famiglia, dei genitori, dei fratelli. Cerca di scoprire chi sono.»

«E io, Beckett? Io cosa faccio?»

«Tu, Castle? Beh, tu potresti cercare il fascicolo di Mary Ellen O’Neill e scoprire qualcosa su di lei.»

Lo scrittore abbassò gli occhi.

«Ti aspettavi un compito più entusiasmante? Un arresto, una perquisizione?»

«In effetti…»

«È questo il vero lavoro dei poliziotti, Castle. Chiudersi negli archivi e annegare nelle scartoffie. Scrivilo, nel tuo prossimo romanzo.»

Beckett aveva parlato con tono ruvido. Gli voltò le spalle e si allontanò. Senza darlo a vedere, sorrideva.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo5 Capitolo 5

«Richard, caro, sei tornato?» domandò Martha Rodgers, la madre dello scrittore, non appena lui mise piede nell’appartamento.

«Sì, mamma. E gradirei un aiuto.»

«Certo, caro. Cos’è questo scatolone ingombrante? Appoggialo qui.»

«È il fascicolo di un vecchio caso. Viene dall’archivio.»

«Non sapevo che all’archivio della polizia lasciassero uscire i plichi.»

«Infatti non sanno che l’ho portato via. Beckett vuole che mi seppellisca in archivio a fare ricerche, ma io sono uno scrittore, non una recluta appena uscita dall’accademia. Se devo leggere qualcosa, ho il mio studio, ben attrezzato, con luce adeguata e ogni comodità.»

«Sono sicura che Kate non avrà niente in contrario.»

«O forse parlerà con il capitano Montgomery e mi revocherà l’incarico di consulente.»

La porta d’ingresso si aprì di nuovo. Alexis Castle entrò sorridente.

«Alexis!»

«Ciao, papà. Ciao, nonna.»

Anche la ragazza notò lo scatolone.

«Hai portato del lavoro a casa?»

«Esatto.»

«Questo non è uno scatolone dell’archivio della polizia?»

Castle sorrise. «Ho la figlia più intelligente del mondo, non trovi, mamma?»

Martha annuì soddisfatta.

«Se Beckett lo scopre hai finito di fare il consulente per la polizia» aggiunse Alexis severa.

«È proprio quello che ha detto tuo padre un attimo fa…» iniziò Martha.

Castle la interruppe subito. «Sì, ma noi non glielo diremo, giusto? Fai finta di non aver visto niente, Alexis.»

Afferrò lo scatolone e lo spostò nel suo studio.

«Ecco, il corpo del reato è svanito.»

«Sei proprio matto, papà. Vuoi sempre scherzare.»

«E da cosa l’avresti capito, mia intelligentissima figlia?»

«Quello non è l’incartamento di un caso. Sono solo scartoffie senza valore, documenti archiviati» Alexis sorrise. «Io vado di sopra a fare i compiti. A più tardi.»

 

Alexis aveva ragione. Quando aprì la scatola, Castle scoprì che il caso di Mary Ellen O’Neill non riguardava un omicidio.

Ventidue anni prima, il signor John O’Neill aveva scoperto il corpo senza vita della giovane moglie quando era rientrato a casa una sera. Mary Ellen aveva venticinque anni ed era in ottima forma. Aveva partorito felicemente un bambino pochi mesi prima e si era ripresa alla perfezione, prima della morte improvvisa.

Una volta trovato il cadavere, era arrivata la polizia e il procuratore aveva subito aperto un’indagine, ma le ricerche non avevano portato da nessuna parte. Mary Ellen non era stata uccisa, aveva avuto un malore, il referto medico parlava di infarto.

Il marito, distrutto dal dolore, aveva voluto vederci chiaro e aveva ordinato ogni possibile controllo. Non sapeva spiegarsi perché gli esami cui la moglie si era sottoposta in gravidanza non avevano segnalato alcun problema, ma gli investigatori che si erano occupati del caso erano arrivati alla conclusione che fosse stata solo una tragica fatalità.

John O’Neill aveva preso con sé il figlio di pochi mesi mentre l’indagine veniva archiviata.

Castle fece una ricerca su quell’uomo. Cosa aveva fatto negli ultimi vent’anni? Scoprì che la sua azienda di computer, all’epoca appena nata, aveva fatto fortuna. Adesso la sede principale occupava un bel palazzo nel centro di New York.

O’Neill era milionario.

«Strano che non abbia mai sentito parlare di lui» pensò lo scrittore, che era membro di parecchi club esclusivi in città. Dalle poche informazioni trovate in internet, capì che John O’Neill conduceva una vita molto riservata.

«Allora, riassumiamo» disse Castle ad alta voce.

Mary Ellen non era stata uccisa. La ragazza nell’obitorio non aveva un nome, non aveva documenti e anche lei non aveva segni di violenza sul corpo. Entrambe erano state ritrovate cadavere senza nessuna spiegazione. Una aveva avuto una vita normale, l’altra sembrava non essere mai esistita.

Era tutto molto, troppo strano.

Spostò altre carte nella scatola e vide una fotografia. Mary Ellen O’Neill sorrideva all’obiettivo felice senza sapere che la sua vita era quasi arrivata al termine.

Castle sgranò gli occhi. La ragazza morta e Mary Ellen erano identiche.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo6 Capitolo 6

La mattina seguente Castle attaccò la foto di Mary Ellen O’Neill sulla lavagna delle indagini, che era ancora quasi vuota.

«Un’amica di Jenny ha avuto due gemelli» stava dicendo Ryan. «I gemelli hanno lo stesso DNA, giusto?»

«Esatto» rispose Castle.

«Allora queste due donne sono gemelle. Ecco la spiegazione.»

«Mary Ellen è morta quando questa ragazza non era ancora nata. Non si sono mai visti due gemelli nati a vent’anni di distanza.»

Beckett si avvicinò con un bicchiere di caffè in mano.

«Non avete mai sentito parlare di fecondazione in vitro?»

«Ciao Beckett. Sì, ne ho sentito parlare. Anch’io vivo su questo pianeta.»

«Ecco trovata la spiegazione.»

«Per nulla!»

Kate lo interrogò con lo sguardo.

«Ho già fatto una ricerca. I primi esperimenti di fecondazione assistita sono della fine degli anni ’70. Mary Ellen per quell’epoca era già nata da circa dieci anni.»

Castle sorrise.

Beckett preferiva pensare che il suo fosse un sorriso da odioso saputello. In caso contrario, l’avrebbe trovato affascinante.

«Ryan, hai delle novità con le tue ricerche?»

«Ne parlavo poco fa con Castle. Nessuna ragazza scomparsa corrisponde alla descrizione.»

Entrò il detective Esposito. «Ehi, ragazzi.»

«Javier. Hai delle buone notizie?»

«Non molte, Beckett. Ricordi la vernice sul cassonetto? Ebbene, appartiene ai mezzi della nettezza urbana.»

«C’era da aspettarselo. E le impronte dei pneumatici?»

«Sono di una macchina. Abbiamo identificato il modello.» Esposito citò una berlina, uno dei modelli di punta di una grande casa automobilistica.

«Macchine di quel tipo ce ne sono in giro a migliaia!»

«Proprio così.»

«Videocamere di sorveglianza?»

«Nel vicolo nessuna. Sto lavorando alle registrazioni di un paio di incroci lì vicino.»

Beckett annuì.

Le piaceva pensare che la sua squadra fosse la migliore del Dodicesimo distretto e forse dell’intera polizia di New York, ma stavano lavorando con elementi troppo scarsi.

Non avevano testimoni, non avevano l’arma del delitto. Lanie era ancora chiusa in obitorio a lavorare all’autopsia e, fino a quando non avesse finito, non avevano nemmeno la causa del decesso.

Kate sapeva che il tempo gioca a sfavore degli investigatori: col passare dei giorni, diventa sempre più difficile trovare il colpevole. Ammesso che un colpevole ci fosse davvero.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo7 Capitolo 7

Castle e Beckett parcheggiarono la vettura di servizio e si avviarono a piedi verso la sede della società di O’Neill.

«Qualcosa mi dice che quest’uomo è la chiave.»

«Sei uno scrittore o un indovino, Castle?»

«Sei caustica, Beckett.»

«E tu sei scontato.»

Lui aprì la porta a vetri e le rifilò un’occhiata. Stai dicendo sul serio, Kate? Così diceva la domanda nei suoi occhi. Lei passò oltre ostentando indifferenza. Quell’uomo le piaceva, ma le piaceva anche stuzzicarlo, non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di fargli un complimento. Mai? Forse. Un giorno. Lasciando tempo al tempo.

Si annunciarono alla ragazza della reception e poco dopo entravano nell’ufficio di John O’Neill. Li accolse un uomo di mezza età, molto elegante, così come tutto il suo studio.

«Detective Beckett, signor Castle, accomodatevi.»

«Grazie. Lei sa già perché siamo qui.»

«Sì, detective.»

Beckett non replicò e scese il silenzio.

«Ha qualche domanda specifica da farmi?» domandò alla fine O’Neill.

«Una sola. Sa spiegarsi come sia possibile che una donna nata dopo la morte di sua moglie abbia il suo medesimo DNA?»

«No.»

«Tutto qui? Risponde solo con un semplice “no”?»

«Signor Castle, siete voi i poliziotti. Se voi non avete domande, nemmeno io ho delle risposte.»

Castle e Beckett si consultarono con lo sguardo. In altri contesti, l’avrebbero immediatamente considerato un teste era reticente. Stavolta no. O’Neill sembrava sincero e, soprattutto, sofferente. Alle sue spalle, su una mensola, c’era una foto in compagnia della moglie defunta. La somiglianza con la ragazza nell’obitorio di Lanie era sempre impressionante. Ma la ragazza della foto sorrideva felice in una bella giornata di sole, l’altra aveva il volto cinereo della morte.

«Si è mai risposato, signor O’Neill?»

«No, detective. L’unica donna che abbia mai amato è morta e con lei è morta una parte di me, la parte che sapeva amare.»

«Lei è un poeta.»

«No. Sono solo un uomo ancora innamorato di sua moglie. Anche se è morta più di vent’anni fa.»

Castle si schiarì la voce. «La vita continua», disse. Beckett gli rifilò un’occhiataccia.

«Sì, è una terribile verità. Dopo la morte di mia moglie ho pensato al suicidio. Per me non aveva più senso vivere. Se non mi sono tolto la vita, lo devo solo a mio figlio.»

Beckett non aveva studiato il fascicolo della moglie di O’Neill.

«Lei ha figli?» domandò.

«Solo uno. Si chiama Thomas. È nato pochi mesi prima che mia moglie morisse. Era piccolissimo e io non potevo lasciarlo solo al mondo. Lo dovevo a lui e a Mary Ellen. È solo per mio figlio che sono ancora vivo.»

 

Pochi minuti più tardi, uscivano di nuovo sul marciapiede di New York.

«Che ne pensi, Beckett?»

«Il mio istinto dice che O’Neill è sincero. Potrei sbagliare, ma…»

«Anch’io credo che il suo dolore sia autentico. Solo una cosa non mi convince: sembra che sua moglie sia morta ieri, non ventidue anni fa.»

«È colpa nostra.»

«In che senso?»

«Gli abbiamo detto che una ragazza che sembra in tutto e per tutto la gemella della sua defunta moglie è morta due giorni fa. Dev’essere stato uno shock. Sicuramente gli ha risvegliato molti ricordi tristi.»

«Anche questo è vero.»

«Ma?»

«Non c’è nessun ma.»

«Sicuro? Nessuna intuizione da scrittore?»

Castle stava per rispondere a tono alla provocazione. Poi notò una macchina che parcheggiava davanti al palazzo, nella zona riservata.

«Guarda, Beckett. Quell’auto.»

«La vedo.»

«È un’auto dell’azienda di O’Neill. Il modello è compatibile con le tracce di pneumatico trovate sui vestiti della ragazza.»

«Insieme ad altre centomila auto.»

«Nel nostro mestiere le coincidenze non esistono.»

Castle girò su se stesso e tornò al palazzo, seguito da Beckett. La ragazza della reception confermò che tutte le auto della flotta aziendale erano uguali, stesso modello e stesso colore.

«Le serve altro, signore?» domandò la giovane.

Castle alzò un sopracciglio e stava per dire qualcosa. Prima che potesse fare il galante con la receptionist, Beckett lo afferrò un braccio e lo trascinò via.


NdA
Ciao a tutti! faccio capolino qui sotto solo per ringraziare tutti i lettori.
Questa storia è a metà. Abbiamo tutti gli elementi e tutti i personaggi, bisogna soltato metterli nell'ordine giusto.
Da adesso in poi i fili inizieranno a dipanarsi. Castle ha già pronta una teoria delle sue e Beckett, come sempre, non mollerà fino a quando non avrà scoperto la verità. Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo8 Capitolo 8

Lanie Parish tolse i guanti di lattice con un schiocco.

«Allora, hai terminato l’autopsia?»

«Giusto un minuto fa. Kate, non so se quello che ho da dire ti piacerà. Forse sì e forse no. Non lo so proprio.»

Erano ancora nell’obitorio, sotto la luce fredda delle lampade al neon.

«Non tenermi sulle spine, Lanie. Com’è morta?»

«Domanda sbagliata, Kate. Io non mi domando com’è morta, ma com’è vissuta. Quella ragazza aveva una serie impressionante di malformazioni interne. Una al cuore e una ai reni abbastanza gravi, poi altre meno importanti.»

«È morta per questo?»

«No.»

La dottoressa Parish prese una cartella doveva aveva segnato i suoi appunti.

«La causa ufficiale del decesso è un’emorragia al cervello. Immagino che si sia sentita male e che sia morta in pochi minuti.»

«Omicidio?»

«No, a meno che qualcuno non abbia inventato un’arma che rompe le vene nella testa senza toccare nient’altro. Non ci sono segni di percosse o violenza. Se dovessi dare un parere definitivo, questa ragazza è morta per cause naturali. Troverai tutto sul referto, questo è quello che posso anticiparti.»

 

Kate tornò alla sua scrivania immersa nei pensieri. Se era morta per cause naturali in pochi minuti, chi l’aveva portata in quel vicolo? E perché?

Lanie aveva confermato che l’età più probabile era di vent’anni. Una ragazza non appare dal nulla. Dov’era la sua famiglia? Perché nessuno ne aveva denunciato la scomparsa?

Con l’ufficializzazione di una morte per cause naturali avrebbe dovuto interrompere le indagini. Era un atto dovuto, non appena si fossero aggiunti risultati dell’autopsia al fascicolo.

Eppure non tutto le tornava. I risultati del DNA, poi, erano davvero straordinari, così come era profondamente inquietante confrontare le fotografie della ragazza con quelle di Mary Ellen O’Neill.

Com’è possibile che due gemelle siano vissute a vent’anni di distanza l’una dall’altra? Che entrambe siano morte in giovane età? Entrambe stroncate da cause naturali ma in circostanze sospette.

No, non era ancora tempo di abbandonare le ricerche.

 

Il capitano Roy Montgomery la riscosse dai suoi pensieri.

«Beckett! Nel mio ufficio!»

Kate scattò in piedi e raggiunse il capitano nella sua stanza.

«Eccomi, signore.»

«Detective Beckett, cos’è questo caso che hai sotto mano?»

«Quello della ragazza senza nome?»

«Io non posso seguire tutti i vostri casi, Beckett. Io so soltanto che il sindaco mi ha telefonato chiedendomi perché uno dei miei detective è andato a disturbare un suo amico, il signor John O’Neill. Un uomo schivo e riservato, ma molto ricco e con buoni appoggi politici. Per di più, sembra che l’hai disturbato senza motivo. Il signor O’Neill non è un sospettato, non è un testimone, non c’entra niente con le indagini.»

«Signore, è un caso molto strano. Il DNA della moglie di O’Neill…»

«Sua moglie è morta oltre vent’anni fa. Hai degli elementi per riaprire il suo caso? Per ipotizzare un omicidio?»

«No, signore.»

«Hai degli elementi per sostenere che O’Neill è coinvolto nel caso di questa ragazza misteriosa?»

«No, signore.»

Il capitano annuì lentamente.

«Allora non ho bisogno che i miei ragazzi inseguano fantasmi, detective. Ci sono tanti casi là fuori che aspettano di essere risolti. Non perdere altro tempo.»

«Sì, signore.»

«Puoi andare, Beckett.»

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo9 Capitolo 9

Morte accidentale. Il caso era risolto, anzi, non era mai stato un vero e proprio caso. Rimanevano ancora alcuni punti oscuri, ma la squadra di Beckett lavorava per risolvere gli omicidi, non altre tipologie di reato. Se qualcuno aveva derubato la ragazza dei soldi e dei documenti che tutt’ora mancavano, se qualcuno aveva trasportato nel vicolo il suo corpo privo di vita invece di dare l’allarme, o di soccorrerla e accompagnarla all’ospedale più vicino, non era loro competenza.

Mentre Beckett riordinava il fascicolo alla sua scrivania, arrivò Castle con i soliti grossi bicchieri di caffè.

«Ciao. Ho saputo che il caso sta per essere chiuso», esordì.

«Proprio così. A quanto pare non è un omicidio.»

«Cosa ti dice il tuo istinto da poliziotta?»

«Mi dice che quella ragazza non era da sola quando è morta. Era in compagnia di qualcuno. E questa persona sa quello che è successo davvero.»

Castle annuì mentre rifletteva.

«E tu? Qual è il tuo parere di consulente?»

«Credo di aver risolto il caso.»

«Davvero?»

«Se fosse un mio romanzo… le due donne non sarebbero due persone diverse. Sarebbe la stessa donna che è morta due volte.»

«Spiegati meglio.»

«Beckett, hai mai sentito parlare dei viaggi nel tempo?»

«Non esistono, Castle. Viaggiare nel tempo non è possibile.»

«Aspetta, bisogna specificare. Non è impossibile, ci sono varie teorie fisiche che spiegherebbero la possibilità di viaggiare nella quarta dimensione, cioè il tempo. Tutto è relativo. Il tempo non scorre nello stesso modo ovunque. Faccio alcuni esempi che sicuramente conosci: per un’astronave che viaggia alla velocità della luce, il tempo è praticamente fermo. Quindi gli astronauti su quella nave viaggerebbero verso il futuro. Nel momento in cui rallentano e tornano a casa, il mondo sarà invecchiato molto più di loro. Oppure, nei buchi neri la massa enorme e concentratissima mette in discussione tutte le leggi della fisica tradizionale. Nei buchi neri la luce non riesce a muoversi! Attraversare un buco nero… sarebbe fantastico! La fisica quantistica spiega molte cose inspiegabili, compresi i viaggi nel tempo. Potrebbero esistere dei portali verso altre epoche, future o passate. I collegamenti iperspaziali, la teoria delle stringhe, la curvatura dell'universo, ci sono decine di spiegazioni per un viaggio nel tempo.»

«Sono speculazioni scientifiche, Castle. Anche se queste teorie fossero esatte, non esiste ancora la tecnologia necessaria.»

Lo scrittore alzò le sopracciglia.

«Così ci dicono. Tu dimentichi la tecnologia militare, Beckett. Il Governo è in possesso di tecnologie che non possiamo nemmeno immaginare.»

«Dunque esiste la macchina del tempo?»

«Perché no?»

Lei fece una faccia perplessa. Poi si allungò sulla sedia.

«Sentiamo, Castle. Personalmente non ci credo, ma ipotizziamo che la macchina del tempo esista e che Mary Ellen O’Neill oppure la nostra ragazza senza nome ne abbiano avuto un esemplare nello scantinato di casa. Che cosa sarebbe successo, secondo te?»

«È semplice. Circa vent’anni fa Mary Ellen compie un viaggio nel tempo. La macchina la spedisce nella nostra epoca.»

«È arrivata qui dal passato solo per morire?»

«I viaggi nel tempo sono pericolosi. Lanie dice che la ragazza presenta delle malformazioni interne.»

«Quindi?»

«Non capisci, Beckett? È un effetto della macchina del tempo. Il teletrasporto quantistico l’ha fatta arrivare ai giorni nostri ma ha avuto degli effetti collaterali sul suo organismo. È per questo che è morta. Una tragica vittima di un esperimento scientifico al di là dei limiti della conoscenza!»

Dopo la conclusione ad effetto, Kate rimase in silenzio.

Castle non stava scherzando, la sua era una teoria autentica, alla quale credeva. Solo uno scrittore, anzi, uno scrittore di fantascienza, avrebbe inventato una storia simile.

«Questo non spiega il cadavere di Mary Ellen ritrovato vent’anni fa. Se è morta in questa epoca, com’è possibile che sia morta anche vent’anni fa?»

«È un paradosso dei viaggi del tempo. Niente di strano. Cosa succederebbe se io viaggiassi nel tempo e uccidessi mio nonno prima che mio padre fosse nato?»

«Tu non conosci tuo padre, Castle.»

«Proprio per questo. Potrei uccidere mio nonno senza nemmeno rendermene conto. Adesso segui il ragionamento. Cosa succederebbe?»

«D’accordo. Se tuo padre non fosse mai nato, nemmeno tu potresti essere nato.»

«Esatto! Quindi è impossibile che io uccida mio nonno in un viaggio nel tempo. Però io esisto e, se viaggiassi nel tempo, potrei uccidere chiunque in quell'epoca, compreso mio nonno. Quindi, se dovessi mai riuscirci, esisterebbero da quel momento in poi due universi paralleli. Uno in cui io sono nato e uno in cui io non sono nato.»

«Che stupidaggine! L’universo è uno solo.»

«Non è detto. Gli universi paralleli sono un’ottima spiegazione dei viaggi nel tempo. Gli scrittori e gli scienziati…»

Kate lo interruppe alzandosi.

«È tutto molto interessante. Scrivici pure un libro, se vuoi. Se quella ragazza è Mary Ellen O’Neill che ha viaggiato nel tempo ed è stata uccisa dal cattivo funzionamento della macchina del teletrasporto, in ogni caso non si tratta di un omicidio.»

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo10 Capitolo 10

«Castle, non ci credo».

«Già. La teoria dei viaggi nel tempo non mi convince.»

Ryan ed Esposito scossero la testa all’unisono.

«Ragazzi, rifletteteci, è la sola spiegazione.»

«In un tuo romanzo, forse.»

«Javier, tu hai servito nell’esercito…»

«Sì, Castle, ma non ho mai viaggiato nel tempo.»

«Non è quello che volevo sapere. Piuttosto, ho cercato di contattare il generale Jefferson. Lo conosci?»

«Era il mio comandante in capo.»

«È membro del mio stesso circolo del golf, ma non è molto amichevole, ha rifiutato di parlarmi.»

«È un pezzo grosso ed è molto scorbutico, non aspettarti niente.»

Kate Beckett entrò sorridente nella saletta.

«Ehi ragazzi, state ancora discutendo le teorie di Castle?»

«Voglio parlare con qualcuno nell’esercito, Beckett. Qualcuno che si occupi di progetti speciali.»

«Forse non c’è bisogno.»

«Lo sapevo. Hai dei contatti con l’FBI?»

La detective scosse la testa.

«CIA? NSA?»

«No, Castle. Molto più semplice. Ecco qui.»

Beckett fissò una fotografia alla lavagna delle indagini. Ritraeva una ragazza bionda inquadrata dalle telecamere di sicurezza di un luogo pubblico. Poteva essere Mary Ellen o la sconosciuta, impossibile stabilirlo.

«Vi presento Larissa Rostova.»

«È la nostra ragazza senza nome?»

«Proprio lei. Questa foto è di dieci giorni fa, scattata all’aeroporto. Miracoli del riconoscimento facciale avanzato.»

«Beh, io l’avevo detto subito che la ragazza era straniera.»

Era vero. Castle l’aveva ipotizzato fin dal primo giorno, ma nessuno gli fece i complimenti.

«A quanto pare è arrivata in aereo, non con una macchina del tempo», precisò Beckett.

Ryan prese la parola.

«Adesso abbiamo un nome, ma ancora nessun indizio sulla sua morte.»

Anche Esposito era d’accordo.

Kate si concesse un sorriso soddisfatto.

«Non è l’unica immagine che abbiamo a disposizione.»

Aprì a ventaglio una serie di foto che teneva in mano.

 

I programmi di riconoscimento facciale, che comparano le immagini catturate da tutte le telecamere di sicurezza dei luoghi pubblici della città, avevano trovato tre immagini di Larissa Rostova in giro per New York. La prima era all’aeroporto, la seconda in metropolitana e la terza all’imbarco del traghetto per la Statua della Libertà.

Grazie all’immagine dell’aeroporto e ai dati della dogana, erano risaliti al volo con cui era atterrata e da lì al suo nome.

Nella prima immagine era da sola, in metropolitana era accompagnata da una persona che non era stato possibile identificare e sul traghetto turistico era in compagnia…

«Di chi? Beckett, non tenerci sulle spine!»

«Di Thomas O’Neill.»

Castle si illuminò. «Il figlio!»

Thomas era il figlio ventitreenne di John e Mary Ellen O’Neill. Non poteva essere un caso che proprio lui fosse in compagnia di quella ragazza che aveva lo stesso DNA della madre defunta.

«Dobbiamo parlargli, assolutamente.»

«Lo stanno già portando qui. Il caso non è formalmente chiuso, abbiamo ancora un giorno, forse due prima di dover rinunciare per sempre.»

«Beckett, il capitano Montgomery…»

«Sì, lo so. Sto rischiando il tutto per tutto.»

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo11 Capitolo 11

Castle e Beckett entrarono nella sala interrogatori dove li attendeva Thomas O’Neill. La rassomiglianza con la madre era molto marcata. Era la versione maschile del viso che avevano visto tante volte in foto, anche se appartenenti a due persone diverse.

«Perché mi avete portato qui? Sono in arresto?»

Beckett sedette tranquilla.

«No, Thomas, no di certo.»

«Siamo qui solo per fare una chiacchierata» aggiunse Castle.

«Cosa volete sapere?»

«Vogliamo che ci parli di tua madre.»

«È morta da più di vent’anni. Io ero piccolo. In pratica, non l’ho mai conosciuta.»

«Mi dispiace molto.»

Il ragazzo strinse gli occhi, sospettoso.

«È tutto quello che sai dirci?» continuò lo scrittore.

«Sì. Altrimenti voglio un avvocato.»

«E perché mai, Thomas?» domandò Beckett. «Non ti stiamo accusando di niente.»

«Mio padre mi ha detto che gli avete parlato di quella ragazza che è morta. Quella che ha il DNA uguale a mia madre.»

«È vero, siamo stati a trovarlo.»

«Noi non c’entriamo niente.»

«Vuoi dire che non siete stati voi ad ucciderla?»

«Certamente! Non siamo stati noi!»

«Tu però la conoscevi, questa ragazza, vero? Forse potresti dirci come si chiamava.»

Thomas non rispose. Respirò a fondo.

«Voglio parlare con mio padre» disse.

«È giusto. Non sei in arresto, puoi chiamare chi desideri. Castle, vai a prendere un telefono.»

Lo scrittore si alzò ed uscì.

Beckett aprì il fascicolo e tolse le fotografie. Voleva sfruttare il momento per restare da sola con il figlio dell’imprenditore.

«Vedi, Thomas, ho alcune immagini da farti vedere. Sono molto interessanti. Domenica una cittadina russa assolutamente sconosciuta arriva all’aeroporto con un visto turistico. Lunedì eccola in giro per la città e martedì è con te a visitare la Statua della Libertà. La sera stessa viene ritrovato il suo cadavere in un vicolo. Vedi, è molto strano. Non voglio dire che sei stato tu ad ucciderla, ma forse puoi aiutarci a scoprire qualcosa in più. Una cittadina russa quasi tua coetanea che ha lo stesso DNA di tua madre. Capisci, è strano.»

«Non sono stato io.»

«Ti credo. Ma nel vicolo abbiamo trovato tracce di pneumatici. Sono compatibili con le auto della flotta aziendale di tuo padre. Dobbiamo chiedere un mandato per controllare chi ha usato quelle auto nella giornata di martedì?»

Il ragazzo appoggiò i gomiti al tavolo e strinse le mani intorno alla testa.

«Voglio parlare con mio padre.»

 

Beckett era raggiante. L’azzardo era riuscito. Si alzò ed uscì. Thomas non avrebbe detto altro, ma lei non voleva forzarlo a parlare.

Non aveva davanti un colpevole cui strappare una confessione, ma un testimone reticente. Gli avrebbe lasciato chiamare il padre, dopodiché avrebbe inchiodato John e Thomas O’Neill alle loro responsabilità. Era sicura che entrambi sapevano la verità e che prima o poi avrebbero parlato.

Nel frattempo voleva dare un’occhiata al vecchio caso di Mary Ellen.

«Ryan, hai trovato il fascicolo in archivio?»

«No, Beckett, è strano, non si trova.»

«Chi è stato l’ultimo a consultarlo?» domandò.

Prima che Ryan potesse dire niente, le venne in mente la risposta. «Castle!» urlò.

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo12 Capitolo 12

La ragazza, Larissa, era scesa da un aereo e non da una macchina del tempo, ma ancora nessuno sapeva spiegarsi perché il suo DNA fosse identico a quello di una donna morta prima della sua nascita.

Fatto ancora più strano, era cittadina russa e non aveva mai messo piede sul suolo americano. Beckett aveva chiesto di svolgere delle ricerche presso i colleghi di Mosca, ma i risultati sarebbero arrivati troppo tardi. Il caso stava per essere chiuso e lei doveva dare una svolta il prima possibile.

Le videocamere della sorveglianza le avevano offerto il collegamento necessario e doveva sfruttarlo.

John e Thomas O’Neill aspettavano nella sala interrogatori. Aveva lasciato loro il tempo di consultarsi e aveva “dimenticato” le foto incriminanti sul tavolo.

A braccia conserte, da dietro il vetro monodirezionale li osservava confabulare. Ancora pochi minuti e sarebbe entrata per una chiacchierata.

Accompagnata da Ryan.

Stavolta Castle aveva passato il limite. Aveva dimenticato nel bagagliaio della sua automobile il fascicolo del caso di Mary Ellen, che, secondo le regole, non avrebbe mai dovuto lasciare l’archivio della polizia.

Il capitano Montgomery entrò nella sala dello specchio.

«Eccola qui, Beckett. Faccia attenzione, mi raccomando. John O’Neill è amico del sindaco e non è indagato. Voglio che utilizzi la massima discrezione. Con lui e anche con il figlio.»

«Sì, signore. Stavolta non c’è bisogno del vecchio trucco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo.»

«Mi avvisi quando ha terminato. Voglio restare aggiornato.»

Lei annuì e il capitano si allontanò.

Sulla porta incrociò Richard Castle che ritornava. Scambiarono un saluto.

«Ehi, Beckett. Mi dispiace per quella storia del fascicolo.»

«Se tu fossi un poliziotto avresti passato un guaio.»

«Mi avresti degradato?»

«No.»

«Allora non è così grave.»

«Non ti avrei degradato perché se tu fossi un poliziotto saresti una recluta al primo livello. Impossibile degradare chi non ha nessun grado.»

«Molto divertente. Ehi, dove stai andando?»

«A parlare con quei due. È ora di iniziare l’interrogatorio.»

«Vengo con te.»

«No, viene Ryan.»

Il detective di origine irlandese era già pronto ad aprire la porta.

«Ti prego, Beckett…»

Kate si voltò verso di lui.

«Non posso degradarti, ma posso punirti in qualche altro modo.»

«Se è così, posso suggerti io in quale modo mi piace essere punito.»

I loro volti erano vicini. Lo scrittore aveva volutamente frainteso le sue parole e aveva attribuito un significato piccante che lei non cercava, ma che la mise un po’ in imbarazzo.

Iniziò una sfida di sguardi che sembrava infinita.

Ryan tossì e ruppe l’incantesimo. Potevano baciarsi o prendersi a schiaffi da un momento all’altro. In entrambi i casi non gli sembrava un comportamento adeguato ad una stazione della polizia.

«Riporta il fascicolo in archivio» ordinò Beckett. Poi entrò con Ryan nella sala interrogatori.

NdA

Ultimo capitolo di transizione, prometto. Dal prossimo avremo le risposte, che magari qualcuno a questo punto ha già intuito. A presto!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo13Capitolo 13

«La verità, signor O’Neill. Ecco tutto quello che le chiediamo.»

L’interrogatorio andava avanti da alcuni minuti. John e Thomas O’Neill avevano di nuovo negato con forza di essere responsabili della morte di Larissa.

Lanie aveva stabilito che la morte della ragazza era dovuta a cause accidentali. Beckett era disposta a credere alla loro versione dei fatti, ma non voleva negazioni, versioni reticenti, voleva la verità. Semplicemente la verità.

«Altrimenti, la fotografia che ritrae suo figlio in compagnia di una ragazza che è morta poche ore dopo sarebbe sufficiente per tenere aperto il caso. A questo punto, Thomas sarà accusato di omicidio.»

«Sarei arrestato?» domandò il ragazzo spaventato.

«Tu che dici, Ryan?»

Il detective annuì. «Direi proprio di sì.»

Non era un ricatto, ma probabilmente il capitano Montgomery non avrebbe apprezzato lo stratagemma.

I due interrogati si consultarono con lo sguardo.

«D’accordo. Vi dirò tutto.»

«La ascoltiamo.»

«La morte di mia moglie è stato un momento difficilissimo per me. Ero distrutto, non mi vergogno a dirlo. Come vi ho già detto, ho pensato addirittura al suicidio, sono stato in cura contro la depressione. Lei ha mai perso qualcuno che amava, detective?»

«Mia madre.»

«Allora può capire quello che ho provato. È stato un dolore devastante.»

Beckett annuì per farlo proseguire.

«A quei tempi l’impero sovietico era appena crollato. Da pochi anni la nostre imprese commerciavano con quelle del nostro nemico storico. Io avevo appena iniziato la mia attività, all’epoca scrivevo programmi per computer. Un laboratorio scientifico nell’ex Unione Sovietica aveva chiesto i miei servizi e io lavoravo per loro.»

Ryan lo fissò con uno sguardo stupito. Ancora non si spiegava quale fosse il collegamento tra il laboratorio russo e la morte della moglie.

«Di cosa si occupava questo laboratorio?» domandò.

«Di ricerche genetiche. Erano all’avanguardia. Una struttura autorevole finanziata con soldi pubblici e diretta da scienziati molto intelligenti e brillanti. Con il crollo dello Stato volevano espandere la propria attività all’estero, perché non avrebbero più ricevuto i finanziamenti pubblici. Ecco perché avevano bisogno di nuovi computer e di nuovi programmi.»

«Qual è il collegamento?» domandò Beckett.

Il signor O’Neill guardò il figlio. Poi rimase in silenzio. Fece un gesto come per iniziare a spiegarsi poi tacque di nuovo.

«Quando Mary Ellen è morta…»

Si interruppe ancora.

Kate si sporse sulla scrivania. «Sì? Vada avanti.»

«Quando Mary Ellen è morta, ho fatto prelevare il suo DNA e… ho chiesto a quel laboratorio di clonarla.»

 

Clonazione. Ecco spiegato il mistero del DNA identico. Larissa era il clone di Mary Ellen.

Beckett e Ryan erano sbalorditi. A quanto sembrava, quel laboratorio ex sovietico aveva anticipato il resto del mondo di quasi un decennio. La famosa pecora Dolly, il primo animale clonato ufficialmente presentato alla comunità scientifica, sarebbe nata solo alcuni anni più tardi. Ufficialmente, poi, la clonazione umana non era mai stata autorizzata né sperimentata.

Quell’uomo, invece, aveva appena dichiarato che già da vent’anni esisteva una persona nata da un esperimento di clonazione.

Era incredibile.

Eppure tutto tornava. Lo stesso DNA, come nel caso di due gemelli; l’incredibile somiglianza tra le due donne, che avevano pressoché la stessa età al momento della morte; l’assenza di tracce nei database governativi di Larissa, che era a tutti gli effetti cittadina straniera.

Non erano madre e figlia, non erano nemmeno sorelle. E non erano nemmeno la stessa persona.

Beckett e Ryan tempestarono di domande John O’Neill. Lui non era un esperto di biologia e medicina, non sapeva spiegare come quel laboratorio fosse riuscito nell’impresa.

«In realtà, io avevo perso qualsiasi contatto col laboratorio. Non sapevo niente di Larissa, non sapevo che era nata, che era cresciuta, non sapevo niente.»

«Com’è possibile?»

«Sei mesi dopo aver fornito il DNA e aver pagato quello che mi avevano chiesto, il direttore del laboratorio, il professor Niesvitsky, è morto. I suoi collaboratori si sono rifiutati di rispondere alle mie domande, all’epoca. Non ho mai saputo se l’esperimento di clonazione di Mary Ellen era riuscito oppure no e, dopo un po’, ho smesso di insistere.»

«Allora perché Larissa è venuta negli Stati Uniti?»

«Quella povera ragazza… voi non immaginate quanta pena mi abbia fatto.»

Secondo O’Neill, Larissa, la sosia genetica della sua amata moglie, aveva passato la vita intera in un orfanatrofio statale. Nata a seguito di un esperimento genetico, l’avevano trattata come una cavia da laboratorio per un paio di anni.

«Purtroppo, non hanno mai cercato una famiglia per lei.»

«E perché? Non potevano darla in adozione?»

«Detective, nessuno vorrebbe in adozione una bambina malata.»

«Malata?» domandò Beckett.

«Larissa aveva moltissimi problemi. Alcuni fisici, malattie, insufficienza renale, cardiaca. Nella sua breve vita ha sofferto molto. E poi, aveva altri problemi. Era destinata ad essere una cavia da laboratorio, ma gli scienziati l’ha studiata solo per pochi primi anni prima di consegnarla all’orfanatrofio. Vi chiederete perché. L’hanno abbandonata per una ragione semplice: oltre ai problemi fisici, aveva alcuni preoccupanti handicap mentali.»

L’imprenditore era commosso.

«Mary Ellen era così intelligente! Larissa, invece, era altrettanto bella ma le sue capacità cognitive non erano pienamente sviluppate.»

«Che significa?»

«Era una disabile, detective Ryan. Così è chiaro? All’apparenza sembrava una giovane donna del tutto normale, ma era sufficiente rivolgerle la parola per capire che la sua mente era quella di una bambina. E il suo corpo era martoriato da molte malattie interne.»

«Perché è venuta a New York?»

«Perché ormai era troppo grande per stare in un orfanatrofio. Povera ragazza…»

All’improvviso, il signor O’Neill si alzò in piedi e si allontanò di un passo dal tavolo, nascondendo il viso in un fazzoletto.

Thomas prese la parola.

«Ci siamo ritrovati sulla porta di casa una donna che era la copia precisa di mia madre. Anch’io non sapevo della sua esistenza. Vi immaginate lo shock?»

Beckett e Ryan erano senza parole. Annuirono.

«Spedita da noi da un orfanatrofio in Russia. Mio padre si sente responsabile della vita e anche della morte di Larissa. Io…»

«Tu, Thomas, eri con lei.»

«Sì, ero con lei quel giorno. Quando è arrivata, l’ho accompagnata in giro per la città. Cos’altro dovevo fare? Era sperduta, preoccupata, lontana da casa sua, non parlava la nostra lingua, ma in compenso era curiosa e si divertiva a girare per New York. Le sembrava un grande parco giochi. Mentre mio padre pensava a cosa fare e telefonava in giro, io le ho fatto fare un giro turistico con una delle macchine dell’azienda. Verso sera, ad un tratto, si è sentita male. È successo all’improvviso. Eravamo in macchina, ad un tratto è svenuta, si è accasciata sul sedile. È stato terribile. Lei… è morta prima che potessi fare qualcosa.»

«Allora hai perso la testa e l’hai abbandonata.»

«È così. Non capivo più niente. Era morta, era inutile accompagnarla in ospedale. Avevo paura di essere accusato di omicidio. L’ho abbandonata in un vicolo… il resto lo sapete.»

Adesso anche Thomas era sull’orlo delle lacrime che il padre tratteneva a stento.

Beckett e Ryan uscirono dalla sala interrogatori.

 

«Tu gli credi?» domandò Ryan nel corridoio.

«Possiamo controllare ogni singola parola. È una storia troppo inverosimile per essere inventata.»

«Lo penso anch’io. Parola mia, Beckett, non ho mai sentito niente di simile.»

«Nemmeno io. Una clonazione umana. Ti rendi conto?»

«Il nostro lavoro a volte è proprio strano.»

«Già. Riferirò al capitano Montgomery.» La detective, perplessa, appoggiò una mano al fianco. «In ogni caso, però, continua a non essere un omicidio.»

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo14Capitolo 14

Alexis Castle ascoltava a bocca aperta accoccolata sul divano. Martha Rodgers, in equilibrio sul bracciolo, era stupita.

«Richard, dici davvero? Una clonazione?»

«È così, mamma. Abbiamo già avuto alcuni riscontri. Sembra incredibile, ma è la verità.»

«Non credevo che i laboratori sovietici fossero così avanzati» aggiunse Alexis.

«La tecnologia militare è sempre un passo avanti. Anch’io lo pensavo, ma in riferimento alla macchina del tempo. Per fortuna che il generale Jefferson non ha voluto parlarmi. Avrei fatto una figuraccia.»

«Richard, non riesco a capacitarmi.»

«Non sei l’unica. Di sicuro quel laboratorio meriterebbe più attenzione, chissà cos’hanno combinato in tanti anni di attività fuori da ogni controllo, ma la polizia di New York non ha giurisdizione su un Paese straniero. I dettagli combaciano. Dai nostri primi controlli incrociati, John O’Neill non ha mai avuto contatti con Larissa, il clone di sua moglie, fino a pochi giorni fa.»

«È una storia incredibile, papà.»

«Attente a non slogarvi la mascella per il troppo stupore. Tutt’e due.»

«Cosa dice Beckett?»

«Si è rassegnata.»

«Che vuol dire?»

«Adesso anche lei crede che Larissa non sia stata uccisa, ma che sia morta per quell’emorragia interna, alla testa, di cui ha parlato Lanie.»

«In realtà, è stata uccisa da coloro che l’hanno clonata» osservò Alexis. «È morta per un esperimento scientifico riuscito male. E ha vissuto una vita d’inferno, con le malattie che aveva e con il suo handicap mentale.»

«Esatto, Alexis, cara. Se quella ragazza aveva un deficit d’intelligenza, chi l’ha accompagnata dalla Russia agli Stati Uniti? E dall’aeroporto alla casa degli O’Neill?»

Castle aprì la bocca per rispondere, ma si interruppe ancor prima di articolare una parola.

Aveva il volto ispirato delle grandi occasioni.

«Mamma, Alexis… voi due siete dei geni!»

 

Poco più tardi, lo scrittore entrava di corsa nel dodicesimo distretto.

«Beckett! Presto! Dai ordine di arrestare John O’Neill!»

«Castle! Che dici?»

Si lasciò cadere sulla sedia al fianco della scrivania.

«Fidati di me. Non ci ha raccontato tutta la verità!»

Beckett prese il telefono, ancora poco convinta.

«Esposito? È ancora da voi il signor O’Neill e il figlio?»

«No. Gli abbiamo fatto firmare i documenti della deposizione e se n’è andato ormai parecchie ore fa.»

«Rintraccialo. Dobbiamo parlargli di nuovo.»

Interruppe la comunicazione.

«Adesso spiegati, Castle.»

«Larissa non è stata uccisa l’altro giorno, ma molti anni fa. Qui abbiamo a che fare con un’organizzazione internazionale di traffico di persone, anzi di cavie umane.»

Beckett era ancora scettica.

«Larissa era malata e non aveva tutte le rotelle a posto, poverina. Non può essere arrivata da sola a New York.»

«Questo lo immaginavo, Castle.»

«È stata abbandonata da Thomas quando è morta.»

«Sì. Il ragazzo ha dato fuori di testa.»

«Lanie si è stupita che fosse ancora viva con tutte le malattie che aveva.»

«Castle… stai dicendo frasi senza senso.»

«Non capisci? Larissa era una cavia!»

«È quello che ha detto O’Neill per prima cosa.»

«Lei era una prova, un prodotto campione. Ce n’è un’altra!»

«Un’altra cosa?»

«Un’altra ragazza clonata, Beckett!»

Entrò Ryan.

«Ehi, ragazzi. Li abbiamo trovati.»

«Chi?»

«I due O’Neill. Non sono a casa, non rispondono al telefono, ma hanno due posti prenotati su un volo per Francoforte.»

«In Germania?»

«E da lì per Mosca.»

«Si fa interessante» disse Beckett.

«Devo fermarli?» domandò Ryan.

Kate pensò al capitano Montgomery, all’amicizia col sindaco e alla sua carriera. Un errore a questo punto e si sarebbe ritrovata a dirigere il traffico per il resto della vita.

Rifletté a lungo. Castle aveva uno sguardo sicuro di sé e la invitava con gli occhi a fidarsi di lui.

«Ryan, dai disposizioni. L’aereo non deve staccarsi dal suolo fino a quando non avremo parlato con quei due.»

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo15Capitolo 15

Arrivarono all’aeroporto a sirene spiegate. I colleghi del servizio aeroportuale e doganale avevano accompagnato O’Neill e il figlio in una stanza dove venivano eseguite le perquisizioni dei bagagli sospetti.

«Detective Beckett! Che sta succedendo? Perché ci hanno trattenuto qui? Voglio delle spiegazioni!»

«Signor O’Neill, lei è in arresto!»

Si avvicinò con le manette in pugno.

«Io? Lei sta scherzando, detective! Io sono una vittima.»

«Le offro un’ultima possibilità. Ci dica chi è il suo contatto.»

«Non capisco di cosa stia parlando.»

«Esposito, leggi i suoi diritti a questo signore.»

«Fermo! Aspetti… posso spiegare.»

John O’Neill si appoggiò all’unico tavolo della saletta.

«Sappiamo che c’è un’altra ragazza clonata» disse Castle. «Larissa era soltanto una cavia malriuscita, non è così? È per questo che l’avete abbandonata quando è morta! Sarebbe rimasto solo un cadavere senza nome, se non fosse stato per questa storia del DNA.»

«Io…»

«Non neghi l’evidenza. Il laboratorio ha clonato sua moglie con più embrioni. Si fa sempre così in questi casi, è la procedura standard. Dopo la clonazione, si impiantano più embrioni per farli nascere. C’è un’altra ragazza che ha lo stesso DNA di sua moglie, che gode salute migliore e che voi due state andando a conoscere in Russia. Mi sbaglio?»

Thomas O’Neill aveva in tasca un foglio spiegazzato. Lo consegnò ai poliziotti.

«Ci hanno dato questo.»

Era la stampa di una fotografia con due ragazze identiche. Due gemelle bionde sedute al tavolo della mensa con la divisa dell’orfanatrofio. Entrambe erano il ritratto preciso di Mary Ellen.

«Sono Larissa e Natalia…»

«Chi è il vostro contatto?»

«Il professor Niesvitsky.»

«Il direttore del laboratorio! Non ha detto che era morto?»

John O’Neill scosse la testa.

«Ho mentito. È lui che ha accompagnato qui Larissa e che mi ha parlato di Natalia. Sapeva che a quella povera ragazza restavano solo pochi giorni di vita.»

Thomas era di nuovo sull’orlo di una crisi nervosa, quando prese la parola.

«Era con me in macchina quando è morta. Larissa non parlava inglese, era lui, il professore, a fare da traduttore, altrimenti sarebbe stato impossibile capirsi. Quando si è sentita male, è stato lui ad abbandonarla nel vicolo, mi ha costretto ad ubbidirgli. Io volevo portarla comunque in ospedale, ma lui disse che nessuno l’avrebbe riconosciuta, senza documenti e senza prove di un omicidio.»

«Dopo la sua morte, ha chiesto altri soldi» aggiunse il padre. «Mi ha ricattato per restituirmi mia moglie.»

«Quelle ragazze non sono sua moglie. Sono altre persone.»

«È vero, ma… lei non capisce…»

John O’Neill non era un assassino, ma da vittima si stava trasformando in complice di un’organizzazione internazionale di tratta di schiavi e, addirittura, di allevamento di cavie umane.

«Dov’è il professore in questo momento?»

«Sull’aereo che dovremmo prendere anche noi. Viaggia con un falso nome.»

«Ci dia quel nome.»

 

Due agenti in divisa scortavano un uomo ammanettato giù per la scala di servizio avvicinata al portellone dell’aereo. Una volante della polizia aspettava accanto all’aeromobile. Fecero salire l’uomo sui sedili posteriori e chiusero gli sportelli.

«È lui, vero?» domandò Castle. Aveva riconosciuto la figura: era la stessa persona che accompagnava Larissa nell’immagine tratta dalle videocamere della metropolitana.

«Che uomo spregevole!» disse Beckett. «Merita un’incriminazione per delitti contro l’umanità.»

«Anche la giustizia russa vorrà processarlo. Chiederanno l’estradizione.»

«Prima noi, Castle. Qui a New York deve rispondere di una notevole serie di reati.»

«Il suo laboratorio va fermato.»

«Il capitano Montgomery ha già avvisato il sindaco. Per queste faccende si attiverà il Dipartimento di Stato. Noi abbiamo fatto il nostro dovere.»

«I due O'Neill sono in arresto?»

«No, penserà a loro il procuratore. Passeranno qualche guaio e saranno incriminati per reati minori, in fondo non sono degli assassini.»

«E la gemella clonata?»

«Le restituiremo il corpo della sorella. E faremo il possibile perché la sua vita sia migliore, d’ora in avanti.»

Lo scrittore si voltò verso la detective. Esposito e Ryan aspettavano accanto all’auto di servizio, vicino ad un grosso autocarro per il rifornimento dei jet.

«Quindi mi sbagliavo. Niente macchina del tempo, a quanto pare, solo grossi aerei.»

«Proprio così.»

«Dì un po’ Beckett, se avessi la macchina del tempo, quale epoca vorresti visitare?»

«Qualsiasi epoca prima di Gutenberg e dell’invenzione dei caratteri mobili.»

«Perché mai?»

«Perché a quei tempi non c’erano libri stampati. E quindi non c’erano neanche scrittori di best seller.»

Subito dopo gli voltò le spalle e si allontanò a passo deciso verso Ryan ed Esposito.

«Ehi, Beckett, aspetta un attimo! Cosa vorresti dire?»

Castle la rincorreva ma lei, senza farglielo notare, stava sorridendo.

 

 

 

NdA

Eccomi, ho messo la parola fine.

Ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno letto fin qui, soprattutto chi ha avuto la pazienza di seguire fin dall’inizio e i recensori.

Avevo un obiettivo: raccontare un episodio aggiuntivo, nuovo e (spero) credibile di una delle mie serie televisive preferite, cercando il più possibile di rispettarne lo stile. Spero che il risultato piaccia quanto è piaciuto a me raccontare.

Alla prossima!

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