This Love Will Be The Death of Me

di Nihal_Ainwen
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Calls for Blood ***
Capitolo 2: *** Motherless Hummingbird ***
Capitolo 3: *** The Flavor of Pain ***
Capitolo 4: *** Hymn For The Missing ***
Capitolo 5: *** I Don't Need a Parachute ***
Capitolo 6: *** Take Me To Wonderland ***
Capitolo 7: *** Too Busy Being Yours ***
Capitolo 8: *** The Way You Left Me ***
Capitolo 9: *** The Sharp Edge of a Mirror ***
Capitolo 10: *** Like a Revolver ***



Capitolo 1
*** Calls for Blood ***


                                                               

[Di solito evito sempre l’angolo autrice, ma questa volta credo di dover precisare un paio di cose.

In questo primo capitolo, viene trattato un argomento un po’ delicato, di cui si sente tanto parlare ultimamente soprattutto tra i giovani. Volevo chiarire che io assolutamente non sono “a favore” di comportamenti simili, però capisco chi possa trovarsi in una situazione simile e quanto sia difficile uscirne. Perciò, chiedo in anticipo scusa per eventuali e totalmente involontarie mancanze di rispetto. Se leggete qualcosa che non gradite o per la quale vi sentite offesi, fatemelo notare e vedrò di aggiustare il tutto.
Grazie infinite dell’attenzione, e grazie ancora di più se decidete di continuare a leggere.
XOXO]
 
 

 
 
“Sono malato, malato in tutti i sensi possibili.”
Ecco cosa stavo pensando in quel momento, mentre quello strano ragazzo cominciava a spogliarmi, o forse sarebbe meglio dire a strapparmi i vestiti di dosso, facendo saltare i bottoni e lacerando la stoffa. Lo lasciavo fare, lo assecondavo, perché in fondo era così che mi piaceva: doveva fare male. Non era la prima volta che decidevo di divertirmi in quel modo, ma comunque avveniva raramente rispetto a tutto il resto. Solo quando il mio corpo non poteva reggere roba più forte, solo quando non sentivo più le braccia e mi rendevo conto che la testa stava per saltare in aria, solo a quel punto decidevo di farmi fottere. Non avevo mai fatto l’amore, ma il sesso era un buon modo per sopperire alle mie necessità quando non avevo alternative.
Le mani del ragazzo erano scese rapidamente verso la cerniera dei mie pantaloni, mentre io mi divertito a sbottonargli lentamente la camicia, osservando i bottoni sgusciare fuori dall’asola invece che tutto il resto. Non mi interessava come fosse fatto lo strumento che utilizzavo per farmi del male, cercavo sempre di tenere il più possibile gli occhi chiusi o di guardare altrove. Ma a questo non stava bene, non era un semplice bisturi, era un’affilatissima lama di diamante: voleva essere osservato. Perciò, mi prese con forza il viso con una mano, costringendomi ad alzare lo sguardo verso di lui, che ancora aveva dipinto sulle labbra lo stesso sorriso della prima volta che ci eravamo visti. Il nostro primo incontro risaliva appena a qualche ora prima, in uno stupido locale in cui mi ero fatto accompagnare da una delle poche persone che aveva ancora il coraggio di avere a che fare con me. Basti pensare che l’avevo mollato lì da solo, per farmi portare a casa di un completo sconosciuto che aveva voglia del mio corpo: chi frequenterebbe una persona del genere? Kim Jongdae, uno dei ragazzi più buoni e stupidi dell’intero creato.
Ora che avevo modo di guardarlo meglio, ora che ero obbligato a guardarlo meglio, dovetti ammettere con me stesso che aveva tutti i diritti di pretendere attenzione. Aveva decisamente un bel fisico, ben fatto e di sicuro allenato, le pelle color cioccolato e i capelli castani che gli ricadevano in ciocche scomposte intorno al viso. La frangia, incollata alla fronte per il sudore, era tinta d’argento in un perfetto contrasto con il resto della chioma. Il viso era semplicemente perfetto: lineamenti eleganti, occhi scuri profondi come pozzi, labbra piene. Sicuramente qualsiasi ragazza sarebbe impazzita per un tizio del genere, ma a me non faceva nessun effetto, e di certo non perché ero un ragazzo. Lo sentii stringere la presa ai lati del mio viso, girandomi di lato in modo che gli mostrassi il profilo, per poi riprendere l’operazione di slacciarmi i pantaloni con la mano libera. Sentivo ancora il cotone della camicia sulle spalle, mentre sfilavo la sua lasciandola cadere per terra dietro di lui, ansioso di passare al prossimo stadio. Non ero interessato ai preliminari o allo spogliarsi a vicenda, volevo solo che si brigasse e che mi concedesse quello a cui tanto aspiravo. Voltai il viso di scatto, ribellandomi alla sua stretta solo per la fitta di dolore che ne fu la conseguenza, gioendo per lo scricchiolare della mia mascella costretta tra le sue dita. Finalmente si decise a togliermi i pantaloni e a guidarmi con malagrazia verso il letto al centro della stanza, strattonandomi per un braccio ancora coperto dalla stoffa nera della camicia. Eravamo entrambi mezzi nudi, ma a parti invertite: lui troneggiava su di me a torso nudo, con le ginocchia strette intorno ai miei fianchi e le gambe fasciate dai jeans scuri; io me ne stavo abbandonato sul letto con il petto ancora parzialmente coperto, con solo i boxer a dividermi dal cavallo dei suoi pantaloni attillati fino all’estremo.
-Come ti chiami?- mi chiese all’improvviso accarezzandomi le cosce, rivelando una voce roca ed estremamente sensuale. –Voglio sapere solo questo.- insistette dato che non rispondevo, troppo preso dal suo tocco.
-Baekhyun.- lo accontentai, anche perché in fondo non me ne importava nulla del mio nome come di tutto il resto.
 
Durò parecchio, più di qualsiasi altra volta in cui ero stato costretto ad usare quel metodo per farmi pervadere dal dolore che tanto bramavo. Ero ancora sdraiato con la schiena affondata nel materasso per riprendere fiato dopo l’orgasmo, con il peso di quello strano ragazzo che gravava sulla mia cassa toracica, ancora avvolta nel tessuto della camicia nera ormai strappata in più punti. Dopo la storia del nome, non aveva perso altro tempo, aspettando che gli togliessi anche gli ultimi vestiti prima di sfilarmi i boxer e prendermi senza nemmeno un accenno di preparazione. Inutile specificare che avevo gradito, mentre urlavo tutta la mia sofferenza contro la sua spalla e le lacrime cominciavano a bagnarmi il viso. Poi avevo cominciato a ridere, beandomi di ogni stilettata di dolore che portavano le sue spinte, totalmente indirizzate al suo piacere personale senza pensare minimamente al corpo caldo con cui si stava dilettando: era quello che volevo.
-Sei vivo qua sotto?- mormorò facendomi sentire nuovamente la sua voce profonda, mentre si tirava su per poi ricadere sdraiato al mio fianco. Io mi limitai ad annuire, cominciando a fare i conti con il bruciore dei graffi che avevo sulle gambe e con il male che mi procuravano i principi di ematomi che mi costellavano il corpo.
-Ti piace il dolore.- affermò fissando il soffitto bianco sopra le nostre teste. –Solo un pazzo non avrebbe protestato per i miei metodi.- aggiunse socchiudendo gli occhi e respirando profondamente.
Lo ignorai bellamente, realizzando che quello non era il solito idiota che godeva nel dominare qualunque essere vivente: si era comportato in quel modo, perché aveva capito che era quello che io cercavo di avere da lui. Mi alzai ignorando le fitte che mi trafissero quasi in ogni parte del corpo, cercando con lo sguardo i miei vestiti sul pavimento della camera da letto. Lui rimase sdraiato, spostando però lo sguardo dal muro a me senza dire niente, con un sorriso divertito ad ornargli le labbra ancora gonfie di baci. Quando finalmente trovai i miei boxer ai piedi del letto, sospirai di sollievo, chinandomi con cautela per poterli prendere senza gemere di dolore davanti a quel tipo.
-Davvero pensi di poter andare da qualche parte in quelle condizioni?- esclamò lui sorpreso, mentre io mi stavo già rinfilando i pantaloni grigi che portavo quella sera. –E’ già un miracolo che tu non sia svenuto, vomiterai.- continuò costringendomi a girarmi per guardarlo, grazie alla sua ultima sentenza poco rosea.
-E tu che cazzo ne sai?- gli risposi acido squadrandolo dalla testa ai piedi, completamente nudo, con il corpo lucido sotto la luce della lampada da comodino a causa del sudore.
-E’ uno dei requisiti che servono per fare il mio lavoro, saper cogliere ogni informazione possibile dal corpo di una persona.- mi spiegò senza alcun imbarazzo, tirandosi su a sedere.
-Sei un dottore?- chiesi con una strana punta di curiosità, cosa che non mi capitava da parecchi anni, forse troppi.
-Dimmi, ce lo vedi un dottore a sfondarti in quel modo?- mi prese in giro lui scoppiando a ridere, portandosi una mano sulla pancia piatta con un abbozzo di addominali.
-Sei veramente uno stronzo.- sibilai tra i denti mentre mi voltavo verso la porta, quella scintilla di interesse decapitata da quella sua risata così tremendamente piacevole.
-Scusa, hai ragione.- ammise lui, anche se in quel momento le sue parole erano un mero sottofondo, superflue.
Sentii chiaramente lo stomaco rivoltarsi sotto sopra all’interno del mio corpo, installando in me una sensazione di profondo schifo per il seme del bastardo che ancora macchiava il mio corpo. C’era qualcosa che non andava; non mi era mai capita una cosa del genere e inoltre cominciavo anche a sentire le gambe molli, come quando mi affondavo troppo la lama nel braccio. La testa prese a girarmi vorticosamente, rendendomi difficile anche solo mettere a fuoco la dannata maniglia dorata della porta.
-Che ti avevo detto?- sentii dire al ragazzo mentre si alzava dal letto sbuffando. –Non vomitarmi lì per favore.- si lamentò con quello che sembrava un tono di voce supplicante.
Repressi i conati di vomito che mi stavano sconquassando il corpo, più per non dargli soddisfazione che per altro, mentre lo sentivo armeggiare con qualcosa alle mie spalle. Quando comparve nel mio campo visivo, indossava dei larghi pantaloni di una tuta blu e aveva in mano quella che aveva tutta l’aria di essere una siringa.
-Adesso stai buono e fatti aiutare, mi hai sentito?- quasi mi urlò nell’orecchio, forse per trapassare il ronzio che sentivo ormai da qualche minuto in testa.
-Lasciami stare.- sbiascicai cercando di allontanarmi, dato che ero solito non fidarmi degli aghi, figuriamoci di quelli in mano ad uno sconosciuto con cui avevo appena scopato.
-E’ solo un tonico, io lo uso ogni fottutissimo giorno.- mi sbraitò strattonandomi per un braccio con la mano libera.
Continuavo a non credergli, ma non avevo altra scelta che ubbidirgli e stare il più buono possibile, dato che avrei potuto vomitargli addosso da un momento all’altro e che comunque non avrei avuto la forza per fare qualsiasi altra cosa, non rimanendo in quelle condizioni. Mi sorrise non appena capì che mi ero deciso a collaborare, tendendo una mano verso di me per farmi capire di stendere il braccio. Io eseguii meccanicamente, sforzandomi con tutte le mie forze di non rimettere all’istante quella che era stata la mia misera cena, mentre lui mi tirava su la manica della camicia slacciando i bottoni del polsino. Peccato che non si trovò davanti quello che si aspettava: invece della pelle candida del mio braccio, la sua mano trovò delle bende bianche ormai decorate da delle vistose macchie rosse.
-Ma che cazzo...- imprecò spalancando la bocca, mentre io gli scoppiai a ridere in faccia, trovando non so bene dove la forza per permettermi un azione del genere. –Smettila di ridere o ti ficco direttamente la siringa in bocca.- mi minacciò lasciandomi il braccio con stizza. –Non dirmi che anche l’altro è ridotto così...- mormorò facendosi serio.
-E’ anche peggio, sono mancino.- gli rivelai visto che si trattava del braccio destro, e mi era davvero più semplice infierire su quello rispetto al sinistro.
-Sono alquanto sfigato, non trovi? Di tutti, dovevo decidere di portarmi a letto un autolesionista di debole costituzione.- sospirò passandomi un braccio intorno alla vita, indovinando all’istante che le mie gambe stavano per cedere sotto il peso del mio corpo ferito.
-Ho un bel faccino, e poi te lo meriti, stronzo.- ribattei, lasciandomi guidare fino al bagno senza opporre resistenza.
-Io sì, ma tu non credo.- mi rimproverò, chiudendosi la porta alle spalle per poi accendere la luce. –E adesso rimetti. Non posso iniettarti questa robaccia con le braccia ridotte in quel modo.- mi ordinò facendomi inginocchiare davanti al water con cautela, attento a non farmi ulteriormente male.
 
Dopo circa un’ora in cui era stato un continuo di conati di vomito, senso di nausea ed effettive vomitate nel bellissimo water del bagno del ragazzo, mi sentii completamente svuotato, persino dai succhi gastrici. Lui era stato tutto il tempo appoggiato al lavandino, osservandomi in modo quasi apprensivo e aiutandomi quando gli avevo dato l’impressione di averne bisogno. Finalmente mi rimisi in piedi sulle gambe malferme, raggiungendo il lavello a passi incerti, per sciacquarmi la bocca dell’orrendo sapore che ci aleggiava da troppo tempo. Il tipo mi lasciò fare senza dire nulla, sedendosi sul bordo della vasca da bagno li affianco, continuando però a fissarmi insistente.
-Che hai da guardare?- mormorai alla fine, con ancora la voce rauca ma non più impastata di saliva e saporacci.
-Devi fare una doccia, hai ancora il mio sperma in mezzo alle gambe.- mi ricordò alzando un sopracciglio esasperato.
-Non ce la faccio, sono troppo stanco.- ammisi tenendomi stretto al lavandino, per non scivolare di nuovo a terra. –E poi non avrei con che cambiarmi.- aggiunsi per giustificarmi abbassando lo sguardo.
Lo sentii sospirare e avvicinarsi a me, passarmi di nuovo un braccio intorno alla vita per sorreggermi e poi mi condusse di nuovo verso il water, abbassando la tavoletta e facendomi sedere delicatamente. Ovviamente non avevo la forza ne la voglia di protestare, perché in fondo sembrava essere un bastardo di quelli gentili. Cominciò a sfilarmi i calzini, per poi passare a sbottonarmi e togliermi di nuovo i pantaloni, questa volta però in modo molto più accurato e attento della precedente. Alla fine, passò a sbottonare i pochi bottoni ancora attaccati alla camicia nera.
-Devo aspettarmi qualche altra sorpresa?- mi chiese, alzando lo sguardo e incatenando i suoi occhi con i miei.
Scossi la testa, capendo immediatamente a cosa si riferisse con “sorpresa”, e deglutii a vuoto, stranamente vergognandomi per come mi ero comportato poco prima quando aveva visto le bende sporche sul mio braccio. Lui mi tolse finalmente l’indumento sbrindellato e ancora leggermente umido di sudore, gettandolo a terra invece che nella cesta dei panni sporchi insieme al resto. Rimase per un secondo ad osservarmi, a studiarmi quasi, soffermandosi sulla manciata di cicatrici che deturpavano il mio addome per poi salire verso i pettorali. Fece arrampicare lo sguardo su per le mie spalle, solo per poi riscendere sulle braccia fasciate, mentre poggiava una mano sulla mia coscia destra inginocchiandosi davanti a me. Avevo un brutto livido sul collo e un ematoma abbastanza esteso sulla spalla destra, notai abbassando lo sguardo dove lui teneva puntato il suo, mentre continuava con gli occhi il sentiero tracciato dalle ferite, vecchie e nuove, che coprivano il mio corpo.
-Su quelli c’è la mia firma.- affermò tagliente, sfiorando i danni citati in precedenza. –E anche su questi.- sospirò facendomi allargare le gambe, per mostrarmi dei graffi e un grosso livido nell’interno coscia.
-Cazzo, mi stai facendo sentire in colpa.- imprecai chiudendo di scatto gli arti inferiori. –Fregatene.- sibilai.
Lui si limitò ad alzare le spalle, per poi prendermi una mano tra le sue e facendomela poggiare sul mio stesso ginocchio, mentre le sue dita scioglievano esperte il complicato nodo delle mie bende, scoprendo cioè che c’era nascosto sotto. Per la prima volta lo vidi rabbrividire, quasi inorridito dai tagli che decoravano la mia carnagione chiara, ormai segnata per sempre da cicatrici su cicatrici. Quelli più recenti si erano riaperti, insanguinandomi tutto l’avambraccio, facendo sembrare tutto molto più grave di quello che non fosse in realtà.
-Non dovresti farti questo.- mi disse mentre passava a togliermi l’altra fasciatura. –Dovevano essere molto peggio qualche giorno fa, non è così?- indovinò senz’alcuna difficoltà, alzandosi per buttare via le bende sporche.
-Come ti chiami?- gli domandai, perché sapevo che in fondo sapeva benissimo da solo quale sarebbe stata la risposta alla sua domanda puramente retorica.
-Non posso dirti il mio vero nome, ma puoi chiamarmi Kai se ti va.- mi confessò sincero, aiutandomi ad alzarmi e a sfilarmi i boxer, l’unico indumento che avevo ancora addosso.
-Devi fare qualche lavoro fottutamente figo, o no?- dedussi, ridacchiando e arrossendo leggermente per la situazione in cui ci trovavamo, considerando che eravamo partiti dal sesso violento.
Lui si spogliò dei pantaloni della tuta scuotendo la testa, e non mi meravigliai di constatare che sotto non portava nient’altro, probabilmente perché prima non aveva avuto il tempo di ritrovare le sue mutande finite chissà dove.
-Il mio lavoro fa schifo Baekhyun, veramente schifo.- sbuffò lui aprendo il vetro della doccia, deludendo le mie aspettative di fare un bel bagno caldo con tanto di bollicine.
-Lo sospettavo, certi mestieri sono belli solo nei film.- mormorai entrando prima di lui, che si chiuse la vetrata alle spalle per poi tornare a sorreggermi per i fianchi.
Il tempo di essere investito dal getto d’acqua calda e di sentire le sue mani che vagavano gentilmente sul mio corpo, che gli crollai praticamente addosso, troppo stanco e spossato per reggermi in piedi da solo. Lo sentii insaponarmi per bene con la spugna, passandola più delicatamente dove la mia pelle era ferita ed evitando accuratamente di far finire il bagnoschiuma sui tagli aperti. Dopo un po’ mi fece appoggiare con la schiena ad una delle pareti della cabina, chinandosi sulle ginocchia per lavarmi le gambe, mentre io me ne stavo inerme a guardarlo con gli occhi socchiusi. Quando finalmente spense il getto d’acqua e mi portò fuori, coprendo entrambi con il suo accappatoio ed un grosso asciugamano bianco, mi sentii quasi bene, come sollevato da un enorme peso. Dopo avermi asciugato per bene addosso, passò a tamponarmi con un asciugamano azzurro i capelli impregnati d’acqua, sorridendo quando la mia tinta rossa andò a macchiare il celeste della stoffa. Raggiunto il risultato desiderato con la mia chioma, sparì per qualche secondo nella camera adiacente, lasciandomi seduto per l’ennesima volta sulla tazza del suo water. Tornò con addosso una tuta grigia svariate taglie più grande di quella che doveva portare lui, sorridendomi rassicurante con in mano quelli che avevano l’aria di essere disinfettanti. Ed infatti lo erano: acqua ossigenata, mercurio cromo e altra robaccia di quel genere con cui avevo a che fare tutti i giorni. Mi medicò amorevolmente ogni livido, graffio o ferita che incontrò sul percorso delle sue mani, dedicando una speciale attenzione ai profondi tagli che mi deturpavano le braccia magre e pallide. Le fasciò di nuovo, molto meglio di come avrei potuto fare io o qualsiasi altro medico di mia conoscenza, legando le bende in modo che non mi dessero fastidio ne che mi prudessero a contatto con la pelle.
-Che ne dici di rimanere a dormire qui?- mi chiese retoricamente sorridendo divertito, mentre mi prendeva in braccio senza dimostrare la minima fatica. –Sono già le quattro, adesso ti metto a letto.- mi informò rientrando in camera e chiudendo la porta del bagno con una gamba.
Notai velocemente che aveva cambiato le lenzuola, sostituendo quelle color crema su cui ci eravamo dati da fare quasi tre ore prima, con un bellissimo corredo bianco perla: dovevo essere rimasto solo in bagno più di quello che mi era sembrato, visto che aveva avuto il tempo di rifare il letto. Avrei protestato di norma, dicendogli che non mi piaceva essere trattato in quel modo, ma in realtà avrei mentito sia a lui che a me; perciò rimasi in silenzio, lasciandomi cullare dal ritmo regolare del suo respiro e dal battito del suo cuore. Mi accorsi che mi aveva fatto stendere sul letto e che mi stava infilando un paio di boxer puliti, solo perché avevo smesso di oscillare e perché il materasso era decisamente più freddo del suo petto.
-Ti odio.- sbadigliai, stiracchiandomi come un gatto e continuando a tenere gli occhi chiusi, rendendomi conto che non mi ricordavo quando le mie palpebre si fossero abbassate. –Però grazie.- mormorai mentre lo sentivo tirarmi su con cautela, mentre mi infilava una maglietta leggera e un paio di pantaloni larghi, mettendoci così tanta cura da farmi pensare che avesse paura di rompermi.
-Dormi e non dire altre cazzate.- mi intimò ridacchiando, per poi farmi accomodare con la testa sul cuscino e sdraiarsi al mio fianco, coprendo entrambi con il lenzuolo di cotone.

Mi addormentai quasi immediatamente, con ancora nelle orecchie il suono della sua risata, che avevo inconsciamente iniziando ad adorare quasi più di quella di chiunque altro. In verità, c’era solo una persona che possedeva un modo di ridere che amavo più di quello di Kai: Park Chanyeol.

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Capitolo 2
*** Motherless Hummingbird ***


                                             




[Okay, devo fare un altro piccolo angolo autrice, scusate. Questa volta però è per chiedervi un parere: preferite un aggiornamento ogni cinque giorni (come in questo caso), o settimanale? Perché io ho praticamente tutta la storia già scritta, e per me sarebbe davvero la stessa identica cosa. Fatemi sapere, in qualche modo. /Anche in questo capitolo vengono trattate tematiche delicate, quindi vale lo stesso discorso di quello precedente./Ah, una piccola informazione, che è d’obbligo darvi: ogni capitolo è scritto dal punto di vista di un personaggio diverso. Ad esempio, nel primo era Baekhyun a narrare, in questo sarà Sehun e nel prossimo ancora Chanyeol. Ora non vi tedio più. XOXO]






 “Cosa diamine ci faccio io in un posto simile?”
Pensai, non appena mi trovai all’interno del campus universitario più prestigioso –e quindi costoso- di tutta la capitale della Corea del Sud. Ci ero nato a Seoul e ci ho sempre vissuto, tanto che ormai cominciavo quasi a considerarla come la madre che non avevo mai potuto avere. E nonostante mia madre fosse morta dandomi alla luce, di sicuro doveva aver tenuto a me più di mio padre, per questo continuavo a “parlare” con lei piuttosto che con lui. L’avevo sempre fatto, sin da quando ho ricordo, parlare da solo s’intende. O almeno è quello che crede la gente, perché in verità io parlo a mia madre e, se sto particolarmente attento, mi sembra quasi di sentirla rispondere.
Purtroppo però non era quello il momento di parlare con lei, dato che dove destreggiarmi in mezzo a quella folla per trovare la segreteria o qualsiasi altro posto dove mi dicessero che cosa fare. Tutte le persone a cui provavo a chiedere sembravano non vedermi, cosa a cui non ero affatto abituato e che mi stava mandando in bestia. Chi erano loro per ignorarmi? Sentivo la frustrazione salirmi in corpo, mentre cominciavo a guardarmi intorno con aria omicida, sperando che potessero tutti rompersi qualcosa. Ad agosto, col caldo torrido, prima di dare l’esame più importante della loro misera vita: l’incubo di ogni universitario che si rispetti. Oppure gli auguravo di essere semplicemente bocciati volta dopo volta alla stessa sessione, con un professore infame che manco ti guarda in faccia.
-Ti serve aiuto?- mi sorprese una voce, facendomi sobbalzare  e riscuotendomi dai miei pensieri di vendetta.
-Finalmente qualcuno che ci vede.- esclamai voltandomi, per poi rimanere paralizzato davanti al proprietario della voce profonda che mi aveva fatto saltare.
-Più o meno, diciamo che non ci vedo benissimo.- ribatté il ragazzo che, per mia immensa sfortuna, portava un paio di occhiali neri, del tipo che andavano molto di moda in questo periodo.
-Mi dispiace, non voleva essere una battuta.- mormorai imbarazzato, maledicendomi per essere sembrato scortese con l’unico che era stato gentile con me da quando mi trovavo là.
-Allora, sei nuovo vero?- mi chiese lui, alzando le spalle e sorridendo delle mie scuse, per niente offeso o risentito.
Aveva un bel sorriso, ampio, che mostrava la dentatura perfettamente bianca che si nascondeva sotto un paio di labbra rosee. In realtà, i lineamenti delicati e la guance morbide e lisce, senza nemmeno un accenno di barba, gli davano quasi un’aria da folletto, accentuata dalle sue strane ma simpatiche orecchie. Spuntavano tra la chioma castana che gli ricadeva ai lati del volto, arrivandogli quasi fino alla linea delle spalle. Aveva gli occhi grandi, molto grandi, soprattutto per gli standard di noi orientali, che molto spesso ci ritrovavamo ad avere due fessure. La voce era l’unica cosa che “stonava” col suo aspetto da pixie dispettoso, perché era incredibilmente bassa e profonda, decisamente molto da uomo e poco da folletto.
-In realtà no, sto cercando una persona che vive qua.- lo informai, meravigliandomi che non avesse ancora storto il naso davanti al mio colore di capelli o ai miei vestiti.
-Uhm, vediamo se posso aiutarti io. Se no, poi ti accompagno alla reception.-disse, facendomi cenno di spostarci da lì, dove rischiavamo continuamente di essere investiti da studenti o professori indaffarati.
-E’ mia cugina,se l’hai vista te la ricordi di sicuro.- cominciai seguendolo verso una panchina nel cortile interno. –E’ mezza canadese, si chiama Oh Lily.- proseguii prima che lui si bloccasse all’improvviso, rischiando di farmi cadere a faccia avanti sulla sua schiena.
-L’ho appena salutata in realtà, andava molto di fretta. Ha detto che doveva cambiarsi per una festa in maschera.- mi spiegò guardandomi più attentamente, forse cercando qualche somiglianza. –Tu devi essere Oh Sehun.- indovinò lui, lasciandomi sbalordito a guardarlo con la bocca semi-dischiusa.
-E tu che ne sai?- gli domandai in ansia, preoccupato che la mia pessima reputazione fosse arrivata addirittura fin lì.
-Siamo amici, io e tua cugina. Frequentiamo la stessa facoltà, solo che lei è un anno avanti, e mi ha aiutato molto quando sono arrivato.- mi raccontò lui, mentre io realizzavo che doveva avere al massimo tre anni più di me. –E’ stata lei a parlarmi di te, è preoccupata per...come vivi.- mi confessò con tono interrogativo.
-Non sono affari suoi.- lo liquidai distogliendo lo sguardo, chiedendomi quanto Lily sapesse in realtà al momento.
-Tantomeno miei.- concordò lui alzando le spalle. –La vedi quella palazzina lì?- si riscosse, indicandomi con la mano un edificio dall’altra parte del giardino. –Lei sta lì: quarto piano, interno 13. Hai capito?- concluse, tornando a sorridermi gentile come in precedenza.
Mi limitai ad annuire e a ricambiare il sorriso, prima che il ragazzo più alto si allontanasse salutandomi con la mano, in direzione di un altro ragazzo seduto sul bordo della fontana al centro del cortile.
 
Mi trovavo seduto sul letto di mia cugina, intento a fissare il mio stesso cappello poggiato lì affianco, mentre mi raccontava tutta presa la sua vita universitaria. Anche se lei aveva quasi ventisei anni ed io appena ventidue, i ruoli erano sempre stati invertiti: io ero sempre sembrato il più grande e lei la più piccola. Per questo mi ero auto-imposto di venirla a trovare al campus almeno una volta, per farla contenta e per farle credere che non ero un delinquente. Ovviamente la seconda parte era pura illusione, non avevo avuto molta scelta nella mia vita in quel campo, però non volevo che lei lo sapesse ne tantomeno che ci finisse in mezzo. Essere il figlio di uno dei capi della malavita organizzata, aveva i suoi pro e contro, forse più contro che pro se si faceva bene il conto.
-E quindi ti stai preparando per una festa.- la interruppi, mentre blaterava del fatto che, l’altro giorno, una sua amica le avesse rovesciato addosso una tazza di caffè bollente.
-Come l’hai capito?- esclamò brandendo la piastra per capelli come se fosse una spada, puntandomela contro all’altezza del petto, stando però attenta a non scottarmi.
-Ho incontrato un tuo amico di sotto, Park Chanyeol, mi ha detto lui dove trovarti.- le rivelai sorridendo per i suoi modi tuttora infantili, mentre mi tornavano in mente i pomeriggi passati ad ascoltare le sue storie.
-Davvero? E’ un ragazzo tanto caro, sto provando ad insegnargli che ad essere troppo buoni ci si rimette sempre.- sospirò lei riprendendo ad acconciarsi i capelli.
-Se non fosse per lui, starei ancora maledicendo gente a caso nell’atrio.- le confermai passandomi una mano tra i capelli. –Ha detto che la festa è in maschera...- citai, sempre più preoccupato per l’identità di questa famosa festa.
-Esatto, e per mia fortuna SeoYoon può accompagnarmi in macchina, o non avrei saputo come fare con il vestito che mi sono scelta.- ridacchiò lei, nominando di nuovo la ragazza del caffè. –Hai scelto un giorno sfortunato per farmi una sorpresa, Sehunnie.- sbuffò lei, usando il vezzeggiativo che mi affibbiava sin da quando eravamo bambini.
-Potrei accompagnarti io.- le suggerii, più per sapere dove e a che ora fosse la festa che per vera intenzione di farlo.
-Ma no dai, è fuori Seoul, lontanissimo.- tagliò corto lei, dandomi però l’informazione che tanto desideravo avere.
Tirai un sospiro di sollievo rilassandomi notevolmente, abbandonando la schiena sul letto sorridendo sollevato: grazie al cielo non ci saremmo ritrovati alla stesso party.
-Prima di andartene, vuoi vedere il mio vestito?- chiese lei entusiasta, mettendo via la piastra e alzandosi per andare verso l’armadio, dove immaginavo fosse rinchiuso il suo mirabolante costume.
-Ovvio, per chi mi hai preso? Sappi che se non mi piace non ti faccio uscire.- la minacciai ridacchiando, tirandomi di nuovo su a sedere per poter ammirare l’abito.
Più che un vestito da sera, quello che teneva in mano mia cugina per la stampella, sembrava un vestito da sposa, e anche di quelli costosi fatti su misura. Era completamente bianco, con in corpetto tempestato di Swarovski azzurro pallido e un velo di tulle, che dava un effetto di vedo/non vedo al bagliore che emanavano le pietre sotto la luce della lampada. La gonna vaporosa scendeva a balze, fermandosi poco sotto il ginocchio davanti mentre dietro continuava fino a creare uno strascico, ornato da glitter argenteo e candide piume sui lati.
-Che dici? Posso uscire?- mi prese in giro lei, appendendo la stampella all’anta aperta dell’armadio. –E non hai ancora visto le scarpe e la maschera Hunnie.- ghignò lei, volteggiando fino alla scrivania.
Poco dopo mi piazzò davanti alla faccia un paio di scarpe argentate dal tacco vertiginoso, che avrebbero potuto fare invidia ad una sfera stroboscopica da discoteca per quanto brillavano intensamente, dandomi fastidio agli occhi.
 
Mio padre aveva sul serio esagerato questa volta: se non fosse stato mio parente stretto, gli avrei sparato su un piede all’istante. Purtroppo però lo era, ed io ero il suo unico erede, nonché speranza di far sì che il suo dominio durasse anche dopo la sua morte e che il suo nome fosse ricordato. E, secondo il mio modesto parere, lo stava facendo in un modo decisamente sbagliato. Sapevo che era eccentrico e non era raro che organizzasse feste in maschera a tema in casa nostra, ma prima di oggi non aveva mai preteso che io mi travestissi come i nostri ospiti. Ovviamente avevo provato a protestare, ma era servito solo a farmi mollare un manrovescio così forte da buttarmi a terra e lasciarmi il livido. Lui aveva semplicemente sbraitato di truccarmi in modo che non si notasse, di portami via e di costringermi a vestirmi se necessario. Gli avevo sputato e lui aveva riso, cosa che capitava spesso; poi mi ero alzato e me ne ero andato a testa alta, con in mano la scatola di sartoria che conteneva il mio costume, mentre lui mi urlava dietro che qualcosa da lui l’avevo ripresa. Io rabbrividii inorridito, pensando se sotto le sue parole ci fosse davvero un fondo di verità, se davvero somigliavo in qualcosa a quel verme schifoso.
Arrivato finalmente in camera mia osservai attentamente il mio viso allo specchio, constatando che l’ematoma sarebbe stato difficile da nascondere, a meno che il trucco che avevano in programma per me non fosse qualcosa di veramente pesante ed elaborato. Poggiai il contenitore che avevo ancora in braccio sul letto, aprendolo per osservare quale orrore avrei dovuto indossare per fare contento l’unico genitore che avevo. Tirai fuori il vestito stendendolo sul letto, guardando schifato un paio di pantaloni super attillati color turchese e, ancora peggio, una elaborata camicia di seta, con il polsini e il colletto stretti da dei bottoni blu lucidi. La cosa che però mi infastidiva di più della parte superiore, era la trasparenza e l’impalpabilità di quel tessuto, che variava di colore in tutte le sfumature del blu e del verde acqua: anche le piume degli stessi colori, attaccate sulle spalle e sulla schiena, erano più sopportabili della sensazione di essere mezzo nudo. L’unica cosa normale di quel completo erano un paio di scarpe eleganti nere, dato che la maschera che avrei dovuto indossare era piena di brillantini e piumette sempre sulle tonalità del verde e del blu acceso. Iniziai a spogliarmi controvoglia, con la spiacevole sensazione di essere solo qualcosa che mio padre stava cercando di vendere a qualcuno, e con il sospetto che quel qualcuno non mi sarebbe piaciuto nemmeno un po’. Una volta vestito, scrutai la mia immagine nello specchio che avevo appeso sull’anta dell’armadio in vecchio legno scuro, dove parecchi anni fa avevo incollato con lo scotch una delle poche foto di me e mio fratello insieme. Era morto giovane, quando io avevo solo tredici anni, e quasi non mi ricordavo più il suono della sua voce e il suo strano modo di ridere quando facevo i capricci. Era di parecchio più grande di me, ma ciò non gli aveva impedito di morire come un cane in mezzo ad una strada, con un colpo di revolver dritto in una tempia. Ero sempre stato più furbo di lui e, secondo mio padre, avevo anche una mira migliore e meno sensi di colpa di “quello smidollato”. Una bella famiglia. Proprio mentre stavo per cadere in pezzi davanti al mio riflesso, che mi faceva apparire quasi come una schifosissima puttana di alto borgo, bussarono forte alla mia porta.
Andai ad aprire tornando di nuovo impassibile, e mi trovai davanti una ragazzetta magra e spaurita che doveva avere come minimo tre anni meno di me, con in mano quelle che dovevano essere trousse di trucchi. Mi scostai da davanti all’uscio per farla passare e lei sgusciò all’interno veloce come un topo impaurito, guardandosi intorno e rimanendo sulla difensiva. Probabilmente si aspettava cadaveri e congegni di tortura, invece trovò solo un letto ad una piazza e mezza, il vecchio armadio con lo specchio, una scrivania e una cassettiera mezza sfondata. Mi guardò meravigliata, per poi farmi cenno con la testa di sedermi sul bordo del letto, per permetterle di fare il suo lavoro. Ubbidii semplicemente per non farla punire, perché sapevo che se mi fossi ribellato il destino peggiore sarebbe stato senz’altro il suo. La osservai aprire alcuni sacchetti con mani tremanti e rovesciarne il contenuto sul materasso, studiando attentamente i miei vestiti e la maschera poggiata lì affianco. Quando finalmente decise cosa usare, ripose accuratamente il resto dei trucchi nei loro contenitori, respirando profondamente prima di guardarmi in viso. Il livido parve proprio non piacerle, poiché storse il naso andando a recuperare qualcosa che invece aveva deciso di mettere via poco prima. La vidi concentrarsi sul mio viso come se non fossi un essere umano, ma semplicemente una bambola, mentre cominciava ad impiastricciarmi la faccia con non so bene che cosa di umido e fresco. Scoprii solo in seguito che si trattava di fondotinta da teatro, per coprire per bene l’ematoma che avevo sulla guancia. Nei minuti seguenti filò tutto liscio, dovetti solo rimanere fermo e in silenzio mentre lei muoveva le mani sul mio viso esperta. Aveva quasi finito, quando successe la cosa più orribile che sarebbe potuta accadere in un momento simile: mentre mi stava mettendo la matita nera, scivolò sul pavimento di marmo, infilandomi dolorosamente le punta nell’occhio aperto. Urlai di dolore senza nemmeno rendermene conto, pentendomene immediatamente dopo, quando il mio sguardo sfocato dalle lacrime si posò sul viso della ragazza.
-Tu sta zitta.- le intimai alzandomi in piedi, mentre uno dei famosi “amici” di mio padre irrompeva nella mia stanza.
Lo vidi prenderla per i capelli prima di poter fare qualsiasi cosa, la poverina che si dimenava e scalciava piangendo. Non mi ricordò cosa gli dissi di precisò, qualcosa come “lasciala stare, non ha fatto nulla”, ma lui non mi ascoltò e mi rise in faccia, sibilando che avevo il cuore troppo tenero come “quella troia di mia madre”. Non lo sapeva, ma con quell’insulto aveva segnato la sua condanna a morte. Una morte dolorosa.
Aveva quasi raggiunto la porta quando gli sparai il primo colpo ad un polpaccio, appena sotto la giuntura del ginocchio, che lo fece cadere a terra ululando di dolore. La presa sui capelli della ragazza che mi aveva truccato, si allentò notevolmente, facendo in modo che quest’ultimi gli sfuggissero tra le mani e che lei potesse allontanarsi. La vidi di sfuggita nascondersi sotto la scrivania e coprirsi il viso con le mani, spaventata a morte da quello che stava succedendo davanti ai suoi occhi sgranati. Mi avvicinai a passo deciso sparando di nuovo, questa volta colpendogli precisamente una spalla, mentre lui si rialzava in piedi grazie alla rabbia che provava per essere stato colpito da “un ragazzino viziato”. Quando fui a portata ti gancio, tentò inutilmente di assestarmi una di quelle sveglie micidiali che se non ti uccidono poco ci manca, peccato che il dolore lo facesse barcollare e gli annebbiasse la vista. Non mi ci volle molto ad evitarlo e a sparargli di nuovo, questa volta sul ginocchio della gamba ancora sana: ormai era costretto a terra. Mi guardò con ira dall’alto in basso, sputando a qualche centimetro dalle mie bellissime scarpe nere eleganti, fresche di negozio per cui sicuramente mio padre aveva speso un capitale.
-Voglio che tu impari una cosa prima di crepare.- dissi freddo poggiandogli la pistola sulla fronte. –Mia madre non era una puttana.- affermai gustandomi il suo sguardo terrorizzato, ora che aveva capito che l’avrei ammazzato sul serio, prima di premere il grilletto stando attento a non sporcarmi i vestiti.
 
-Ma come cazzo ti hanno conciato?- sbraitai una volta raggiunto il mio miglior amico, zigzagando tra gli invitati alla festa in sfarzosi costumi da milioni e milioni di won.
-In teoria sono un corvo, in pratica sarei più vestito se fossi in costume da bagno.-mormorò Tao in risposta stringendo i denti, lanciando occhiate assassine a chiunque osasse guardarlo.
E come biasimarlo; le cosce costrette in un paio di pantaloni di pelle nera lucida, la maglietta in cotone tutta buchi e penne nere, una maschera affilata nera con dei punti di luce rossi intorno agli occhi: sembravamo davvero un misto tra escort e artisti circensi di Monte Carlo. Sbuffai guardandomi intorno frustrato, infastidito dalle occhiate insistenti delle ragazze mezze nude che volteggiavano sulla pista da ballo, strusciandosi contro il primo uomo utile. In teoria avrei dovuto essere turbato, triste, stanco...invece mi sentivo solo profondamente insultato da quelle oche giulive. Avevo ucciso un uomo a sangue freddo meno di due ore prima, ma ormai togliere la vita alla persone non mi faceva quasi più nessun effetto da un bel po’.
-Che uccello dovresti essere?- mi chiese ZiTao guardandomi perplesso, nel mio turbinio di riflessi blu e verde acqua.
-Un fottutissimo colibrì. E’ ridicolo.- sbottai stizzito, pensando a quanto fosse insulso l’animale che rappresentavo.
-E quello chi è?- esclamò il mio amico ignorando la mia risposta, girandosi verso ciò che aveva catturato la sua più completa attenzione in così poco tempo.
Mi voltai anch’io per capire chi intendesse, sbuffando scocciato per come aveva surclassato l’informazione che gli avevo appena dato, e rimasi folgorato sul posto. Ero diventato improvvisamente incapace di intendere e di volere, gli occhi bloccati su quella figura in lontananza. Avrei voluto distogliere lo sguardo per non risultare invadente, ma non potevo far altro che continuare a fissare lo sconosciuto con la bocca semi-dischiusa dalla meraviglia. Non ci voleva molto a capire da cosa fosse vestito quel ragazzo, grazie allo strascico di piume verdi e blu attaccate alla vita dei suoi pantaloni luccicanti e all’aureola di penne dello stesso colore che si irradiavano dalla spalle per contornargli il viso e ricoprirgli la schiena. Non poteva che essere un pavone, rilucente in tutto il suo splendore.
-Ti piace eh?- mi stuzzicò il mio miglior amico dandomi di gomito, indicando con un cenno del capo lo sconosciuto.
-Fottiti.- sbiascicai riscuotendomi dal mio stato di trance, riuscendo finalmente a togliere gli occhi di dosso al pavone.
Lui in tutta risposta ridacchiò soddisfatto, avendo ormai capito che ero sul serio interessato all’articolo, il quale avevo ripreso a seguire con lo sguardo, mentre avanzava fiero a testa alta per la sala. Il resto degli ospiti si scansava al suo passaggio, forse rendendosi conto di quanto lui fosse superiore a loro in ogni campo possibile ed immaginabile. Di sicuro era la persona che stava riscuotendo più successo, dato che persino mio padre volle andare a parlarci per conoscerlo. Solo io però sembravo essere rapito in quel modo da quel suo fascino surreale, dal modo in cui incedeva lanciando occhiate sprezzanti a tutto e tutti. Era la cosa più bella che avessi mai visto, a parte forse le foto di mia madre e quel ragazzo, con cui ero andato a letto quasi un mese fa. Mi pareva che si chiamasse... Baekhyun.

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Capitolo 3
*** The Flavor of Pain ***


                                                                           




[Ormai ho deciso che l’angolo autrice ve lo porterete per tutta la fic, I’m so sorry. Solo che ho qualcosa da dirvi ad ogni capitolo, che siano premesse o informazioni utili. In questo caso, volevo comunicarvi che, a fine capitolo, ci sono una marea di spoiler sul film “Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi”. Mi dispiace molto per chi non ha avuto l’occasione di vederlo, sia per gli spoiler, che perché non capiranno dei piccoli particolari. Scusate di nuovo. Ah, un’ultima cosa: se la storia vi piace, potreste farmelo sapere? Non chiedo una vera e propria recensione, perché so che magari non avete voglia... Ma un piccolo commento magari. Detto ciò, chiudo qua che mi sto dilungando decisamente troppo.
XOXO]





“Se continua così, finirà per uccidersi, poco ma sicuro.”
Mi ritrovai a pensare, mentre guardavo nel frigorifero praticamente vuoto dell’appartamento, altrettanto vuoto, in cui mi trovavo al momento. Ormai era un anno e mezzo che avevo le chiavi di casa sua, eppure continuavo a pensare di non conoscerlo per niente. Questo però, non mi aveva impedito di innamorarmene follemente sin dal primo istante in cui l’avevo visto. Sospirai, pensando a quanto fossi stupido e a quanto controproducente fosse quel sentimento, assolutamente non ricambiato da colui che ne era oggetto. Eppure io non riuscivo a smettere di amarlo: ogni volta che lo vedevo, il cuore mi saltava in gola; mi bastava sentire la sua voce al telefono, per togliermi il respiro; ogni volta che mi capitava di sfiorarlo appena, mi sentivo morire. Ma ogni sera, puntualmente, mi ritrovavo solo nel mio letto e piangevo, piangevo come una fontana. Non era facile amare una persona come lui, non perché fosse acido come il latte scaduto o schivo come un gatto randagio –cose che in effetti era-...ma perché non amava se stesso. Avevo imparato sulla mia pelle, che essere innamorati di una persona che non si ama, era il dolore peggiore che si potesse provare. Perché tu vorresti tenerlo al sicuro e vederlo felice, mentre lui si butta via rendendo la sua stessa vita un inferno di sofferenze e atrocità. E tu non puoi farci niente, perché non ti ascolta: ti ignora e continua a farsi del male. A farti del male indirettamente, anche se magari non si rende conto di ferire anche te.
Io l’avevo capito in fretta che Byun Baekhyun non si amava, non ci voleva molto, soprattutto se ti dava le chiavi di casa sua dopo solo un mese che ti conosceva. Sembrava non vergognarsi minimante del mondo assurdo in cui viveva, forse perché in fondo di me e del mio giudizio non gliene fregava un bel niente. Ma a me faceva male vederlo morire giorno per giorno; odiavo trovare bende sporche di sangue per casa e il piano del bagno pieno di farmaci, così come odiavo trovare il letto intanto e il frigo costantemente semi-vuoto. Nonostante ciò, non riuscivo ad odiare lui.
Nella mia mente, ero convinto che avrei potuto amarlo abbastanza per tutti e due, che sarei riuscito a tenerlo in vita usando il mio amore per lui. Che prima o poi avrebbe capito quello che provavo e che, magari, avrebbe trovato la forza di smettere con quella droga...per me. Una parte di me, mi dava dell’idiota e mi ribatteva ogni mattina che erano solo illusioni; però c’era un’altra parte, quella più importante, che appena aprivo gli occhi mi sussurrava che oggi avrebbe potuto essere “il giorno giusto”. Non mi ero mai arreso in vita mia, e non l’avrei fatto nemmeno questa volta, anche perché ero molto più motivato di tutte le altre.
Ero andato a casa di Baek dopo essere passato nel mio appartamento, al campus dell’università per la quale avevo vinto una borsa di studio con tanta fatica. Mentre cominciavo a sistemare la spesa nell’elettrodomestico davanti a me, mi ricordai di un incontro che avevo fatto appena qualche ora prima, e che mi aveva lasciato con un strano sapore di amaro in bocca. Oh Sehun, il cugino di Lily, sembrava davvero un bravo ragazzo alla prima occhiata, nonostante i capelli tinti d’argento e il look dark. Guardando attentamente però, osservandolo più a fondo, si notava qualcosa nei suoi occhi che stonava con tutto il resto. Si mimetizzava bene, nascondesi nei coni d’ombra e svoltando gli angoli dell’iride, eppure c’era qualcosa che non andava in lui, qualcosa di...malato. Ora riuscivo a capire perché la mia amica fosse preoccupata per lui, forse anche lei aveva notato quella sottospecie di infezione che lo affliggeva.
Stavo ancora ragionando su cosa avesse potuto farla nascere, che sentii la porta d’ingresso sbattere e il tintinnio delle chiavi poggiate sulla mensola alla sua destra. Chiusi in fretta il frigo finendo di mettere dentro le ultime cose, per poi raggiungere quasi di corsa la sala, impaziente di posare lo sguardo sulla persona che tanto amavo.
-Chanyeol.- mi accolse lui trasalendo per la sorpresa, probabilmente non aspettandosi la mia presenza all’interno.
-Ti ho fatto la spesa, la stavo sistemando.- gli spiegai, come facevo tutte le volte che mi capitava di incontrarlo a casa.
-Grazie, ma non dovevi. Mi da fastidio che tu spenda soldi per comprarmi da mangiare.- sbuffò togliendosi le scarpe e poggiandole affianco alle mie, di qualche numero più grandi.
Io alzai le spalle come facevo sempre, ignorando altamente tutte le sue inutili lamentale su quello che riguardava il cibo. Ci ero abituato, ma niente mi avrebbe fatto smettere di provare a prendermi cura di lui, nemmeno lui stesso.
-Non ho ancora finito, ti va di farmi comp...- iniziai, per poi bloccarmi a guardarlo meglio, poiché avevo notato solo ora che c’era qualcosa di diverso in lui: non era truccato, nemmeno un filo di eyeliner o matita.
-Che cazzo ti prende adesso?- sbraitò alzando gli occhi al cielo, per poi poggiarsi le mani sui fianchi e incenerirmi con una delle sue occhiate omicide.
-Come mai non sei truccato?- gli chiesi, ignorando sia lo sguardo truce che il modo scortese in cui mi aveva parlato.
-Ho dormito fuori e...non era in programma.- mi liquidò abbassando lo sguardo, superandomi tenendo la testa bassa.
“Ti sei fatto di nuovo fottere da qualche sconosciuto del cazzo, non è così?” avrei voluto urlargli, ferito e deluso.
Invece rimasi in silenzio come tutte le altre volte, cercando di trattenere le lacrime come meglio potevo.
 
Mi faceva già male la testa ed ero solamente al terzo giro di drink, era chiaro e lampante che non reggevo l’alcool né la musica martellante sparata a tutto volume dalle casse di quel locale. Dopo l’incontro con Baekhyun del giorno prima però, l’invito di alcuni compagni di corso ad uscire con loro, mi era sembrato quello che ci voleva per non pensare. Forse avevo accettato anche per sembrare più come loro e non fargli fare domande scomode, tipo perché non uscissi con nessuna o perché non andavo mai a trovare i miei. Io non avevo problemi ad accettare di non essere facoltoso come loro, tanto da non potermi permettere il treno per andare a casa ogni week-end, ma qualcuno di loro di sicuro ne avrebbe avuti. Per non parlare del fatto che fossi attratto dai ragazzi invece che dalle ragazze, in uno stato pieno di omofobi imbecilli come il nostro. E di sicuro nell’università più prestigiosa della capitale dovevano essercene parecchi, perciò meglio sviare le loro attenzione dandogli l’impressione di essere uno completamente negli schemi.
Non so per quanto rimasi lì a chiacchierare con loro del più e del meno, dato che in realtà ero molto più concentrato su uno dei baristi che sui loro discorsi. Era un tipetto strano, che dava l’impressione di essere più piccolo di noi anche se in realtà doveva essere di qualche anno più grande, con i capelli tinti di un rosso rame tirati all’insù. Ogni tanto mi aveva anche beccato a fissarlo e una volta mi era sembrato che mi facesse l’occhiolino, l’unica cosa certa è che fu lui a venirmi a tirare fuori dal bagno in cui avevo rimesso anche l’anima. Non potevo certo prendermela con i miei compagni, dato che gli avevo detto io di andare e che era tutto apposto, però un po’ mi era dispiaciuto comunque che nessuno mi avesse aspettato, come minimo per controllare se stavo bene.
-Per essere uno che non regge l’alcool, ci sei andato giù pesante.- esclamò il ragazzo guardandomi mentre mi sciacquavo la bocca, per poi porgermi una bustina di zucchero per togliere il saporaccio.
-Sono uno stupido, mi dispiace.- mormorai accettandola con immensa gratitudine, quasi mi stesse regalando un diamante da un miliardo e mezzo di won.
-Non scusarti, non c’è motivo.- ribatté lui sorridendo e guardandosi allo specchi con occhio critico. –Kim Minseok, piacere di conoscerti.- si presentò prima di sciacquarsi il viso con l’acqua fredda.
-Park Chanyeol, piacere mio.- gli risposi dopo aver mandando giù lo zucchero, beandomi del suo sapore dolce. –Hai...finito il turno?- gli domandai curioso, dato che stava perdendo tutto quel tempo con me.
-Già, visto che sono il più giovane mi lasciano sempre fare il primo turno.- mi informò sorridendo. –Se fossi in te, me ne andrei in fretta comunque. Dopo una certa ora, questo posto si riempie di gentaccia, per questo sono contento di essere il più giovane.- mi rivelò avviandosi verso l’uscita del bagno.
-Uhm, capito. Grazie del consiglio, credo proprio che lo seguirò.- affermai buttando la bustina vuota nel secchio.
-Non c’è di che, alla prossima.- mi salutò uscendo, mentre sventolava la mano nella mia direzione sorridendomi.
Dopo qualche minuto, che avevo impiegato a sciacquarmi la faccia e il collo dato che morivo dal caldo, uscii anch’io dal bagno del locale, con tutta l’intenzione di filarmene dritto al mio appartamento, soprattutto dopo quello che mi aveva detto Minseok. Purtroppo però le cose non andarono esattamente così.
Appena uscito, andai a sbattere in pieno contro un ragazzo alto almeno quanto me, vestito completamente di nero e con talmente tanti buchi alle orecchie che se provavo a contarli perdevo il conto. Magari era anche perché ero ancora brillo, ma mi venne da ridere e non riuscii a trattenermi, scoppiandogli appunto a ridere in faccia senza motivo. E a lui la cosa non piacque proprio per niente, non gli piacque affatto.
Di sciuro mi avrebbe mollato una di quelle sberle che non si dimenticano, se qualcuno non gli avesse fermato il braccio, trattenendolo per un polso. Ci voltammo entrambi verso il mio salvatore, ma mentre lui sembrava solo leggermente scocciato, io spalancai bocca ed occhi per la sorpresa. Era Oh Sehun, il ragazzo che avevo aiutato quella mattina a trovare Lily, suo cugino, e mi stava guardando con aria di disapprovazione. Una forza misteriosa mi costrinse a chiudere la bocca e ad assumere un certo contegno, mentre mi rimettevo dritto e mi sistemavo la maglietta stropicciata e umida di sudore.
-Non dovresti essere qua a quest’ora.- mormorò con quello che sembrava essere un tono tra l’esasperato e il preoccupato, lasciando andare il braccio del suo amico.
-E tu invece sì?- gli chiesi, avendo la conferma che la mia amica faceva più che bene a preoccuparsi per lui.
-Tao, mi faresti il favore di riaccompagnarlo al campus? Quello dove sta anche mia cugina.- mi ignorò sbuffando e rivolgendosi al ragazzo a cui ero andato addosso.
-Volentieri, tutto pur di stare lontano da quelli.- accettò entusiasta l’altro, sorridendomi improvvisamente, dato che ero stato involontariamente il suo mezzo per lasciare una compagnia sgradita.
-Tu non protestare e vattene a dormire, dritto a letto a fare sogni d’oro.- tornò a dirmi Sehun, alzandosi sulle punte per scompigliarmi i capelli, poiché era di qualche centimetro più basso di me.
Ovviamente non potei fare altro che assecondarlo, mentre il ragazzo dai capelli neri mi guidava verso l’uscita tenendomi saldamente per le spalle, forse per assicurarsi che non gli scappassi da nessuna parte.
 
Avevo mentito al mio autista improvvisato, dicendogli che Sehun si era sbagliato e che io non abitavo al campus, facendomi accompagnare all’appartamento di Baekhyun invece che a casa mia. Avevo voglia di vederlo, o comunque di sentire la sua presenza il più possibile, qualora non l’avessi trovato a casa, com’era già capitato parecchie volte. Certo, in realtà non avevo mai usato le chiavi a quell’ora della notte, dato che non mi consideravo malato fino a quel punto, però quella sera avevo una strana sensazione. Mi chiusi la porta alle spalle, tirando bene il chiavistello, per poi togliermi le scarpe, rendendomi conto con immenso sollievo della presenza di quelle del proprietario di casa.
Lo trovai appoggiato al bancone di marmo della cucina, intento a fissare un bicchiere vuoto davanti a lui, con gli occhi gonfi e le palpebre pesanti di chi ha sonno ma non vuole dormire. Si accorse di me solo quando mi schiarii la voce, girandosi nella mia direzione con gli occhi spalancati per la sorpresa e i capelli in disordine. Sembrò volermi dire qualcosa, perché aprì la bocca, peccato che poi non ne uscì nemmeno mezzo suono e la richiuse, alzandosi dallo sgabello su cui stava appollaiato prima del mio arrivo.
-Uscire la sera non fa per te.- mi sussurrò avvicinandosi. –Si vede lontano un miglio che sei stanco morto, che hai bevuto troppo e che se ne sono sbattuti tutti.- continuò incrociando le braccia fasciate davanti al petto.
Rabbrividii alla vista delle bende, notando per la prima volta quanto fosse minuto e spaurito il ragazzo che amavo, senza i vestiti e il trucco a fargli da scudo. Eppure, c’era una nota di rimprovero nel suo sguardo che non mi sarei mai aspettato: era davvero...preoccupato per me?
-La domanda che mi preme però è questa: che cosa diamine ci fai qui a quest’ora?- sbraitò all’improvviso alzando la voce, facendomi saltare per quell’improvviso cambio di tonalità.
-Volevo vederti, avevo solo voglia di vederti.- confessai abbassando lo sguardo imbarazzato, come se gli stessi confessando che spesso mi toccavo pensando a lui, cosa che in effetti facevo ma che non gli avrei mai detto.
-Tu sei un emerito... Un inguaribile imbecille.- si corresse costringendomi a rialzare lo sguardo, dato che di solito non si faceva nessun problema a darmi del coglione.
-Come stai?-gli domandai andando ad abbracciarlo, come mi aveva permesso di fare solo una manciata di volte.
-Che domanda sarebbe?- sbuffò lasciandomi fare, senza però ricambiare la stretta, esattamente come da copione.
-Una a caso in realtà.- ammisi dondolando sui talloni e costringendolo a seguire il mio movimento, dandomi l’illusione di poterlo cullare. –Ho sonno hyung.- mormorai poggiando la fronte sulla sua spalla.
-Ed io cosa posso farci?- sospirò, facendomi improvvisamente tremare per l’emozione: mi stava...accarezzando.
Una delle sua mani, si muoveva delicatamente sul mio collo e trai miei capelli, ad un ritmo rilassante che riuscì a farmi distendere i muscoli tesi delle spalle in pochi secondi. Volevo baciarlo, più intensamente di tutte le altre volte che l’avevo desiderato, mentre lui continuava a muovere le dita tra le ciocche della mia chioma castana. E dopo averlo baciato avrei voluto rivelargli quello che provavo per lui, vomitandogli addosso quanto tenevo a lui e quanto fosse importante per me. Avrei voluto potergli prendere il viso tra le mani e baciarlo ancora, dolcemente e poi con passione, spogliandolo del pigiama mentre lui continuava ad accarezzarmi. Avrei voluto fare l’amore con lui e rimanere sveglio tutto la notte a vezzeggiarlo, come se fosse un gattino bisognoso d’affetto. Avrei voluto che lui mi dicesse che per lui era lo stesso, che mi amava e che tutto sarebbe andato meglio da quel momento in poi.
Immaginare tutto ciò faceva tremendamente male, ma avevo un retrogusto dolciastro, di qualcosa che può esistere anche se solo nei sogni. Di qualcosa che accettavo di far esistere solo nella mia immaginazione, semplicemente per non rischiare di allontanarlo da me più di quello che già non fosse.
-Tu lo sai di che sa il dolore? Lo sai hyung?- gli chiesi alzando la testa, guardandolo negli occhi dall’alto in basso.
La sua mano si bloccò all’improvviso, ricadendo molle al suo fianco, mentre tutto il resto del suo corpo si irrigidiva tra le mie braccia, trasformandolo in un fascio di nervi. Indietreggiò lentamente, dopo che io ebbi sciolto l’abraccio lasciandolo andare, continuando però a mantenere il contatto visivo.
-Tu...Vattene.- mi ordinò senza distogliere lo sguardo, cominciando a respirare affannosamente facendo rumore.
Io me ne rimasi fermo al mio posto, senza dare il minimo cenno di volergli ubbidire o come minimo di rispondergli.
-Ti ho detto di andartene. Vattene!- mi strillò cominciando a tremare vistosamente, mentre la frequenza del suo respiro aumentava sempre di più.
-Vuoi davvero soffrire?- scattai afferrandolo per un polso. –Prova a vivere con la consapevolezza che la persona che...a cui vuoi bene, non se ne voglia per niente. Prova a pensare a come deve essere, pregare ogni mattina che non faccia qualcosa di estremamente stupido. Prova ad immaginare come ci sente, quando la tua vita rischia di essere rovinata per le cazzate di qualcun altro.- gli urlai contro scuotendolo per il braccio.
Lui fremette dal dolore, mentre il suo fisico già provato si arrendeva sotto le mie scosse, facendogli cedere le ginocchia. Lo lasciai accasciarsi al suolo, superandolo con le lacrime agli occhi mentre mi dirigevo verso la porta, puntando dritto verso le mie scarpe mentre la vista mi si annebbiava.
-Chanyeol, aspetta.- gridò dal salone con una nota di isteria nella voce; lo ignorai, infilandomi le Converse nere.
Stavo già girando la chiave nella toppa per aprire, quando sentii la sua mano tremante intorno al braccio che teneva la maniglia, la sua presa ustionante sulla mia pelle scoperta.
-Ti ho detto di aspettare.- ripeté respirando profondamente. –Dove cazzo pensi di andartene a quest’ora? Lo so che non ce l’hai la macchina, non posso farti andare via.- mi spiegò guardandomi serio. –Non puoi andartene.- sussurrò allentando la stretta e continuando a guardarmi.
-Non sapevo che fossi bipolare hyung.- scherzai scompigliandogli i capelli, per poi togliermi nuovamente le scarpe.
Pace fatta, come tutte le volte. E continuavo a non trovare il coraggio di dirgli che io non gli volevo bene: io lo amavo. Lo amavo con tutte le mie forze, con tutto il mio cuore, con tutta la mia anima.
 
Ormai mi era passato il sonno, litigare mi riempiva sempre di un’adrenalina che molto spesso non riuscivo a scaricare, perciò avevo chiesto a Baekhyun se gli andava di vedere un film. Lui aveva acconsentito facendo scegliere a me cosa guardare, mentre con lo sguardo vagava per la stanza, forse ancora troppo shockato dal fatto che avessimo discusso per la prima volta dopo un anno e mezzo. Ovviamente aveva in casa solo i dvd che gli regalavo io di tanto in tanto, alcuni ancora sigillati, segno che non si era nemmeno dato la pena di guardarli. Erano già le tre di mattina, perciò scartai horror, thriller e sci-fi per evitare di ritrovarci ad urlare di nuovo, dando fastidio ai poveri vicini che probabilmente, come tutte le persone normali, a quell’ora già dormivano da un pezzo.
Alla fine optai per “Una Serie di Sfortunati Eventi”, uno di quelli che lui non aveva mai visto e che io sapevo praticamente a memoria. Non so cosa mi piacesse in particolare di quel film, probabilmente tutto, ma lo adoravo ed ogni occasione era buona per riguardarlo fino alla nausea, che non sarebbe mai arrivata poiché lo amavo troppo.
 
Avevo visto il film intervallando la visione vera e propria, con le occhiate che lanciavo al ragazzo sdraiato al mio fianco sul divano, totalmente rapito dallo svolgersi degli avvenimenti sullo schermo della televisione. Era stato stupendo vederlo così preso, sorridere durante le parti divertenti e spalancare la bocca ai colpi di scena. Mi sembrava anche di avergli visto gli occhi lucidi, nel pezzo in cui lo zio Montgomery, quello con i serpenti e la “Vipera incredibilmente letale”, veniva trovato morto avvelenato in quella specie di serra. Io lì piangevo sempre, e quella volta non aveva fatto eccezione, come piangevo sempre quando moriva la zia Josephine, mangiata dalla sanguisughe carnivore nel lago lacrimoso. E invece Baekhyun no, lui aveva pianto alla fine, quanto i tre orfani ricevettero la lettera che era andata perduta, quella che gli era stata spedita dai genitori dall’Europa e che non gli era mai stata recapitata.
Si era addormentato durante i titoli di coda, poggiando la testa sulla mia spalla e rannicchiandosi contro il mio petto, probabilmente per un riflesso incondizionato e totalmente involontario. Lo presi delicatamente in braccio, stando attento a non svegliarlo ma soprattutto a non fargli male, ringraziando il cielo che avesse già il pigiama. Lo poggiai delicatamente sul letto matrimoniale della sua camera, preparandomi psicologicamente a dormire sul divano, dato che non mi andava assolutamente di fare il letto ad una piazza nella camera degli ospiti. Aveva una casa grande, per essere uno che vive da solo e in quel modo, mi ero sempre chiesto il perché e non avevo mai trovato una risposta plausibile. Non mi era mai passato per la testa di chiederglielo, forse per non risultare invadente.
Ero talmente preso nei miei pensieri che, quando mi afferrò il polso, mi scappò un grido strozzato per lo spavento.
-Dormi con me.- mormorò continuando a trattenermi, sebbene la sua stretta fosse la più flebile che avessi mai sperimentato. –Ho freddo.- aggiunse continuando a tenere gli occhi chiusi.
Sfuggii alla sua presa solo per sfilarmi i pantaloni scuri e la t-shirt, perché se c’era una cosa che odiavo era dormire vestito, per poi sdraiarmi al suo fianco. Lui si strinse immediatamente a me sotto le lenzuola, rivelando davvero quanto fosse gelata la sua pelle al confronto con la mia. Si riaddormentò immediatamente, con le braccia intorno alla mia vita e la guancia poggiata sul mio petto, come se fossi il suo cuscino/stufa personale. Io rimasi per un po’ a guardarlo, ripetendomi nella mente quanto fosse bello per infinite volte, prima di crollare a mia volta con ancora il sorriso stampato sulle labbra.

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Capitolo 4
*** Hymn For The Missing ***


                                   





[Buonasera. In questo angolo autrice, volevo farvi sapere che le parti in corsivo, almeno per quello che riguarda i capitoli di Jongin, equivalgono a dei flashback. Non mi metto a spiegare cosa sia un flashback, dato che immagino lo sappiate tutti fin troppo bene. Dopo questo capitolo inoltre, ricomincia il ciclo: sarebbe a dire che il prossimo capitolo sarà narrato di nuovo da Baekhyun. Detto ciò, posso lasciarvi tranquillamente alla lettura. XOXO p.s. Il titolo di questo capitolo, è anche il titolo della canzone che ho sentito a ripetizione mentre scrivevo la parte in corsivo./cries/]




Ero seduto sul divano, con le gambe stese sul tavolo, come sapevo perfettamente che il mio coinquilino odiava che stessi. Lo sentivo armeggiare in cucina, sulla quale possedeva il dominio incontrastato, immaginandomi la sua faccia non appena avesse visto la posizione in cui mi trovavo. Cominciai a sorridere in anticipo, pregustandomi già la sua reazione, accomodandomi ancora meglio con le spalle poggiate sullo schienale. Non dovetti attendere molto, prima di scorgere la sua figura tra gli stipiti della porta della sala, con in mano quella che sarebbe stata la nostra cena.
-Ti giuro che oggi non mangi.- mi minacci, guardandomi con quegli occhi enormi, che all’inizio mi erano sembrati talmente strani che avevo avuto difficoltà a guardarlo in faccia. –Leva le gambe da lì, quante volte devo dirtelo?- mi riprese in attesa di una mia qualsiasi reazione.
-Un’altra ancora, KyungSoo.- lo presi in giro, per poi ubbidire e fargli la linguaccia, lasciandogli un po’ di spazio sul divano. –Fino a che non rinuncerai e smetterà di darti fastidio.- aggiunsi, mentre lui poggiava il vassoio sul tavolo.
-Quindi mai.- sospirò stiracchiandosi, ricadendo subito dopo con la schiena tra i cuscini.
-Ehi Soo, come mai hai preparato per una persona sola?- gli chiesi, osservando perplesso l’unica e sola porzione.
-Non ho fame questa sera.- mi rispose alzando le spalle. –Ora mangia, che se si fredda fa schifo.- mi consigliò prima di accoccolarsi ad uno degli angoli del divano.
Terminai la cena in silenzio, dato che l’altro ragazzo si era addormentato poco dopo abbracciato ad uno dei cuscini, e per la prima volta da quando vivevo con lui, dovetti anche lavare le stoviglie. Mi faceva strano entrare in cucina da solo, visto che era sempre stato il suo ambiente, sin da prima che andassi a vivere lì. Dopo aver finito tornai in salone e lo trovai sveglio, con lo sguardo meravigliato poggiato su di me, che non potei fare a meno di ricambiare perplesso.
-Perché non mi hai svegliato?- mi domandò sorpreso, con gli occhi puntati sulle maniche rigirate della mia camicia.
-Dormivi così bene... E poi mi sembravi davvero stanco.- gli chiarii, tornando a stendermi sul divano al suo fianco.
-Ti devo parlare.- esordì lui facendosi pericolosamente serio. –Oggi ci ho pensato tanto e sono arrivato ad una conclusione.- continuò tirando un respiro profondo.
-Per...quel problema?- lo interrogai già in ansia, sapendo già quale sarebbe stata la sua risposta e temendo il resto del discorso, come avevo avuto paura di pochissime altre cose in vita mia.
-Esatto. Credo che ci siano solo due soluzioni, e credo che sia arrivato il momento di prendere una decisione.-riattaccò annuendo lentamente. –Nella prima, te ne vai con la promessa di non farti vedere mai più, in modo che io possa dimenticarti e vivere in pace; nella seconda...potresti rimanere e accettare che mi ami, e poi vada come vada.- mi illustrò tenendo lo sguardo basso. –Io preferirei la seconda, ma la scelta spetta a te.- concluse rilassandosi un po’.
Conoscendomi, sapevo perfettamente che non sarei mai riuscito a mantenere la promessa che voleva che gli facessi scegliendo la prima, perciò non avevo molta scelta in realtà. Per non parlare del fatto che andarmene era l’ultima cosa che volevo fare in quel momento. Perciò presi l’unica decisione che, in quel caso, ero in grado di accettare.
Lo presi per la maglietta attirandolo vero di me, per poi poggiare le mie labbra sulle sue, come avevo avuto la tentazione di fare sin dalla prima volta che l’avevo visto,  nonostante i suoi occhi inquietanti che avevo finito per adorare comunque, per il semplice fatto che fossero parte di lui. La sua risposta non si fece attendere a lungo, quando sentii il suo corpo rilassarsi appoggiato al mio e la sua bocca distendersi in un sorriso contro la mia. Poi mi baciò con dolcezza, accarezzandomi i capelli e la schiena, mentre io fremevo sotto il suo tocco tenendo il suo ritmo.
Non ci mise molto a cambiare, trasformando quel bacio casto in qualcosa di decisamente più passionale, dentro il quale stava probabilmente scaricando tutta la frustrazione di quei sei mesi di stallo. Era un anno che ci conoscevamo, dieci mesi che vivevamo insieme e sei da quando KyungSoo mi aveva detto che mi amava, e da quando io l’avevo respinto a causa del mio lavoro: ero tremendamente spaventato che potesse accadergli qualcosa, se qualcuno avesse scoperto che io ricambiavo i suoi sentimenti.
-Come ti chiami?- mi sussurrò in uno degli intervalli tra i nostri baci, durante i quali eravamo costretti a prendere aria.
-Kim Jongin.- gli rivelai, avendo ormai accettato il rischio di perderlo a causa di quello che facevo per vivere, piuttosto che perderlo comunque per non averci nemmeno provato.
-Voglio fare l’amore con te, Jongin.- mormorò lui prima di baciarmi per l’ennesima volta, facendo perdere un battito al mio cuore già abbastanza sovreccitato.
Non avevo detto nulla, perché lui sapeva già che lo volevo anch’io. Quindi avevamo fatto l’amore, lì sul divano, senza badare a niente che non fossimo noi due. Era stato estremamente dolce, così bello da farmi male. Male perché non sarebbe mai più stato così, perché per me era davvero la prima volta che facevo l’amore con qualcuno. Era un dolore piacevole, perché nonostante avessi già fatto sesso svariate volte, la prima volta che avevo fatto l’amore era con lui.
E poi l’avevamo fatto di nuovo, in camera sua, e l’avevo fatto ridere perché avevamo appena fatto la doccia e avremmo dovuto farla di nuovo. Avevo riso con lui, perché era veramente assurdo che avessi di nuovo voglia dopo nemmeno due ore, ma ce l’avevo e la doccia era stato l’ultimo dei miei pensieri. Alla fine eravamo andati a dormire nel mio letto, non avendo la minima voglia di cambiare le lenzuola sporche del suo, e quella era stata una prima volta a tutti gli effetti: non avevo mai dormito con nessuno, escludendo i miei familiari. Ed ero così felice di dormire con lui che gliel’avevo detto, ma lui non aveva potuto sentirmi, perché già si era addormentato con la schiena poggiata sul mio petto. Lo seguii poco dopo, abbracciandolo da dietro con la testa sulla sua spalla, mentre per la prima volta dopo otto anni mi sentivo in pace. Ero finalmente felice, e mi resi conto di essermi quasi dimenticato com’ era esserlo.
 
“Buongiorno amore mio.”
Pensai appena sveglio, come facevo tutte le mattine da due anni a quella parte, dedicando il primo pensiero della giornata sempre alla stessa persona. In fondo, i morti, dovevano pur stare da qualche parte, ed io ero convinto che tutti i miei “buongiorno” andassero a finire proprio lì, dove stavano le persone che non potevamo più vedere.
Mi alzai svogliatamente dal letto, scalciando via le lenzuola che finirono puntualmente sul pavimento, dirigendomi direttamente in cucina, senza nemmeno tirare su le serrande. Erano passati già due giorni, riflettei mentre mi riempivo la tazza di latte e la mettevo a scaldare nel forno a microonde. E l’uomo che dovevo uccidere era molto peggio di quello che pensavo, non sarebbe stato affatto un problema farlo fuori. Non lo sarebbe stato comunque, dato che sapevo quello che aveva fatto alla mia famiglia, solo ero preoccupato che sarebbe potuto sembrare una brava persona all’apparenza: ma tanto non lo sembrava affatto, gli si leggeva in faccia che era un mostro. Ci avevo parlato giusto per un quarto d’ora, ma mi era bastato per capire quanto fosse schifoso, nonostante in realtà lo sapessi già, dopo tutte le ricerche che avevo fatto su di lui. La cosa che mi aveva fatto ridere, e che tuttora mi faceva sorridere, era quanto fosse spregevole e depravato quell’uomo, troppo preso dal mio aspetto per rendersi conto che non ero uno dei suoi invitati. L’ultima cosa che mi aveva detto era di tornare quando volevo, invitandomi a conoscere suo figlio, che a quanto pare era un mio coetaneo. La cosa mi stupiva, che avesse figli s’intende: quale donna poteva aver accettato di convivere con un uomo simile? Doveva per forza essere stata obbligata a parer mio.
Se lasci i panni nella lavatrice, si sgualciranno da morire. Appena finisce devi tirali fuori, capito? “ risuonò nella mia testa, quando sentii il “beep” insistente dell’elettrodomestico. Ogni tanto mi stupivo di quanto ancora ricordassi bene tutto di lui, dalla sua voce e al suo aspetto, dai suoi modi di fare al ritmo del suo respiro quando dormiva.
Mentre appunto svuotavo la lavatrice finita, mi ritrovai tra le mani un paio di pantaloni che non potevano essere miei, dato che erano decisamente troppo corti. Poi mi ricordai, dandomi dello stupido per non averci pensato subito: dovevano essere quelli di Baekhyun, e da qualche altra parte dovevano esserci anche i suoi boxer blu. Li separai dal resto dei miei vestiti per infilarmi immediatamente nell’asciugatrice, con l’intenzione di riportarglieli appena asciutti. Inoltre volevo davvero controllare se stesse bene, e mi meravigliai di aver lasciato che passassero ben tre giorni prima di informarmi. Probabilmente, se non avessi trovato i suoi vestiti, ne sarebbero passati anche di più, cosa che mi faceva sentire sempre più dispiaciuto, per una volta che avevo trovato qualcosa di buono da fare nella mia vita.
Sei davvero bravo a prenderti cura delle persone, dovrei farti i complimenti.” sentii di nuovo nella mia mente, mentre un sorriso malinconico si dipingeva sulle mie labbra. Era forse per quell’affermazione, fatta tanto tempo fa da una persona di cui non ero riuscito però a prendermi cura, che avevo deciso che mi sarei impegnato a far sì che quel ragazzo non finisse con l’ammazzarsi. Perché se ancora non l’avevo fatto, doveva esserci andato già molto vicino, dato come riduceva le sue stesse braccia. Gli avevo detto che semmai avesse avuto di nuovo voglia di farsi fottere da qualcuno, avrebbe dovuto chiamarmi e che sarei stato disponibile ad accontentarlo. Non perché mi piacesse particolarmente ridurlo in quel modo, ma perché preferivo essere io a farlo piuttosto che altri, che avrebbero potuto fargli anche di peggio per poi fregarsene. Almeno io sapevo che poi l’avrei aiutato, che bene o male sarebbe stato un po’ meglio; mi era sembrata una soluzione giusta, l’unica, anche se speravo fosse solo momentanea. Mi ero auto-imposto di considerarla solo una fase di passaggio, che poi sarei riuscito in qualche modo a fargli capire che sbagliava, che non avrebbe dovuto buttare la sua vita così. La cosa che mi aveva incoraggiato, era che aveva annuito e che mi aveva chiesto di dargli il mio numero, per poi darmi il suo prima di andarsene senza aggiungere altro. In effetti, avrei anche dovuto recuperare i vestiti che gli avevo dato, perché erano alcuni dei suoi e volevo riaverli indietro nonostante tutto, anche se in realtà non erano nemmeno della mia taglia. Però erano della sua, dato che i jeans gli erano calzati a pennello e la camicia bianca gli era scivolata addosso come una seconda pelle.
 
Mi trovavo davanti alla porta di un bel appartamento in una delle zone buone di Seoul, quella dell’università migliore della capitale, e mi ritrovai a dedurre che il ragazzo disperato magari la frequentava. Di certo non doveva avere problemi economici, dato il luogo in cui viveva e i vestiti firmati che tenevo in mano in quel momento. Perché no, poteva essere uno studente universitario: che fosse autolesionista e anche parecchio lunatico non escludeva la cosa. Suonai il campanello, sperando di trovarlo a casa, dato che non avevo dovuto citofonare poiché avevo trovato il portone già aperto, e quindi ancora non sapevo se il proprietario fosse effettivamente all’interno. Quando udii dei passi concitati e il chiavistello scattare, mi tranquillizzai, mettendo su l’espressione più innocente che riuscissi a ripescare nel mio vasto repertorio. Peccato che ad aprirmi non era stato chi mi aspettavo, perciò si trasformò immediatamente in una di quelle perplesse, parecchio perplesse. Non mi aspettavo che avesse un coinquilino ed ero del tutto impreparato ad affrontare una situazione del genere, soprattutto se fossimo stati davvero solo e io lui come sembrava. Il ragazzo che mi trovavo davanti stava sorridendo, un bel sorriso solare di quelli da cui non puoi far a meno di essere contagiato, perciò gli sorrisi anch’io in cambio, mentre mi faceva cenno di entrare.
-Cercavo Baekhyun, è in casa?- domandai togliendomi le scarpe, per poi seguire l’altro ragazzo, esageratamente alto, in salone.
-No è a lavoro, mi dispiace che tu abbia fatto un viaggio a vuoto.- mi rispose lui, tornando a guardarmi. –Posso chiederti chi saresti però?- aggiunse studiandomi con un certo interesse.
-Un...conoscente, dovevo solo riportargli questi.- gli spiegai tirando fuori i vestiti dal sacchetto che tenevo in mano. –Ma penso di poterli anche lasciare a te, giusto?- ipotizzai abbozzando un sorriso.
-Ah...quello dell’altra sera.- mormorò lui, più tra sé e sé che riferendosi a me, mentre prendeva i vestiti che gli stavo porgendo. –Beh allora... Gli dirò che sei passato, quando mi capiterà di vederlo. Come devo chiamarti?- mi disse poi mentre li poggiava sullo schienale del divano.
-Pensavo che vivessi qui anche tu.- mi lasciai scappare, rendendomi conto solo dopo della mia indelicatezza. – Kai, digli così e lui capirà.- lo informai, abbassando lo sguardo.
-Baekhyun vive da solo, non credo accetterebbe un coinquilino.- mi spiegò lui sospirando. –Comunque io sono Park Chanyeol, piacere.- si presentò lui, tornando di nuovo a sorridermi come se niente fosse.
-Piacere mio.- mi limitai ad affermare, sperando che non insistesse per conoscere il mio nome, dato che non avrei potuto dirglielo nemmeno se avessi voluto farlo. –Ehm...Volevo chiarirti che tra me e Baekhyun non c’è stato nulla.- mentii, vedendo che sembrava un po’ deluso continuando a lanciare occhiate veloci ai vestiti del suo amico.
-Non c’è bisogno che mi dici stupidaggini per farmi contento, lo so quello che fa quando esce la sera. E non sono affari miei.- mi tranquillizzò grattandosi la testa. –Non ce l’ho con te, sul serio. Sembri uno...a posto.- continuò, dandomi la schiena per portare gli indumenti in una delle camere.
-Questa è la conversazione più assurda che io abbia mai avuto in tutta la mia vita.- esclamai, sapendo quanto si sbagliasse a definirmi in quel modo, “a posto”.
Lo sentii ridere in lontananza, e mi ritrovai a pensare che aveva una risata piacevole, quasi musicale, nonostante avesse una voce persino più bassa e profonda della mia. Avrei voluto chiedergli se sapeva che il suo amico era autolesionista, ma mi sembrava un po’ troppo per essere un primo incontro, e poi non volevo essere io a dirglielo nel caso non lo sapesse. Non avevo il diritto di rivelargli una cosa del genere, se il diretto interessato aveva reputato che non fosse il caso di informalo di quel lato del suo carattere.
-Non è il mio caso.- mi disse tornando in salone e alzando le spalle. –Sono un vero maleducato, non ti ho chiesto se hai bisogno di qualcosa e non ti ho nemmeno fatto accomodare.- borbottò battendosi una mano sulla fronte.
Questa volta fu il mio turno di scoppiare a ridere, troppo colpito dalla dolcezza di quel ragazzo alto almeno una spanna più di me: a prima vista non avevo immaginato quanto fosse gentile, anche se non avrei detto il contrario.
-Ho dei gusti un po’ particolari.- ammisi sedendomi su uno degli sgabelli davanti al piano della cucina, contento di poter passare un po’ di tempo fingendo di essere una persona normale.
-Se non chiedi, non potrai mai sapere.- ribatté lui impuntandosi, guardandomi serio dal lato del frigorifero.
-Uhm... Vodka alla rosa.- sparai a caso, per vedere la sua reazione ad un richiesta del genere, totalmente assurda.
-Esiste una cosa del genere?- ridacchiò guardandomi un po’ in imbarazzo, ma anche con una certa curiosità latente.
-Non credo, ti stavo solo prendendo in giro.- confessai ridacchiando, per poi fargli il segno di vittoria con la mano.
Stava per rispondermi, quando udimmo il rumore della porta di ingresso che sbatteva, segnale che il proprietario di casa dove essere rientrato dal lavoro. Vidi Chanyeol davanti a me illuminarsi, come un cucciolo quando sente il padrone, e avviarsi a passo svelto verso il corridoio, esattamente come avrebbe fatto un cagnolino. Mi dispiaceva per lui, anche se in realtà non lo conoscevo quasi per niente e non sapevo quale fosse esattamente il rapporto tra lui e Baekhyun, però immaginavo che le cose non andassero come il ragazzo con gli occhiali avrebbe voluto. Probabilmente era innamorato, ma come poteva una persona che non ama nemmeno se stessa ricambiare un sentimento del genere nel modo giusto? Forse, quella di prendermi cura di lui, era un’impresa troppo ardua.
Non puoi saperlo se nemmeno ci provi, quante volte devo ripetertelo?” sbraitò la sua voce nella mia testa, sempre pronta a dirmi le cosa giusta quando cercavo di arrendermi, o consigliarmi quando avevo dei dubbi.
Come faresti senza di me?” rimbombò nella mia mente, quella frase che mi aveva detto così tante volte che avevo perso il conto. Eppure, ce la stavo facendo, senza di lui: bastava tornare indietro, alla scena giusta, e premere “play”, illudermi che fosse ancora lì e crogiolarmi nei ricordi di cose già avvenute.
-E tu che cazzo ci fai qua?-mi riscosse la voce del ragazzo che avevo conosciuto appena tre giorni fa, acido come al suo solito, mentre mi fissava circospetto a qualche metro di distanza.
-Hyung non essere volgare!- lo rimproverò il ragazzo alto, facendomi spalancare gli occhi sorpreso; non avrei mai pensato che Chanyeol potesse essere il più piccolo dei due.
-Sono venuto a riportarti i vestiti, e rivoglio quelli che ti ho prestato.- risposi io, per niente colpito dal modo di comunicare del proprietario di casa.
Lui in tutta risposta marciò impettito verso la stanza dov’era stato il più giovane poco prima, riuscendone con in mano un busta di carta, in così poco tempo che mi fece pensare che li avesse già impacchettati da un bel po’.
-Ecco, bravo.- affermai prendendo la busta e alzandomi. –Ti voglio dare un consiglio, poi vedi se accettarlo o no.- dichiarai mentre mi dirigevo verso la porta. –Se continui ad essere così fottutamente acido, scapperà via anche lui.- gli rivelai indicando l’altro ragazzo con la testa, mentre mi rinfilavo le scarpe. –Ci vediamo.- li salutai aprendo la porta, per poi sorridere un’ultima volta al più alto dei due.
 
La prima volta che lo vidi, non sapevo ancora chi era, dato che era stato alla festa in maschera in cui mi ero imbucato per insinuarmi nelle grazie del mio obbiettivo. La seconda però, la seconda lo sapevo eccome, e non potei fare a meno di maledirmi in aramaico per i pensieri che aveva fatto su di lui due sere prima. Il ragazzo con il vestito blu e verde su cui avevo tanto fantasticato, convinto che sarebbe stato bello vederlo gemere sotto di me con la pelle chiara bollente per l’eccitazione, non era niente altro che il figlio dell’assassino di tre membri su cinque della mia famiglia. Pensandoci bene, portarmelo a letto sarebbe potuta essere una soddisfazione con i fiocchi, ma forse avrei umiliato più lui che suo padre, e non era quello il mio scopo. Il problema però, era un altro: fare sesso con lui, era una cosa che mi attraeva a prescindere dalla mia vendetta. Semplicemente desideravo il suo corpo, e non come un mero capriccio, più come un drogato che cerca l’estasi. Quando si presentò, con l’aria svogliata di chi vorrebbe fare tutto meno che trovarsi lì, mi imposi come obbiettivo secondario quello di conquistarlo. Non c’era niente di più soddisfacente che averla vinta su una preda difficile, mi riempiva sempre di orgoglio anche se in realtà non mi importava granché.
Sei il solito ragazzino, Jongin. Mi chiedo quando crescerai.” sospirò la sua voce, con quella nota di divertimento che ci metteva ogni volta che pronunciava quella frase. Sorrisi tra me e me, pensando che quel ragazzo dai capelli tinti avesse anche un bel nome: si chiamava Oh Sehun.

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Capitolo 5
*** I Don't Need a Parachute ***


                                                           





[E’ destino: i capitoli di Baekhyun li posto sempre con la luce del sole. Per ora gli altri tre li ho aggiunti tutti che erano come minimo le due di notte, perfect. Detto ciò, scusatemi per il ritardo. Avrei dovuto aggiornare ieri, ma ero in viaggio quindi ovviamente non ho potuto. A proposito di questo, volevo dirvi che il prossimo capitolo lo metterò prima di cinque giorni in realtà. Essendo che il dodici parto e torno il diciannove, avevo pensato di far sfasare un po’ gli aggiornamenti. Con questa info, vi lascio alla lettura. Spero che la storia continui a piacervi, se così non fosse…Piango. XOXO]




 “Odio venire in questo posto, perché continuo a farlo?”
Pensai, mentre mi avviavo per i viottoli sconnessi del cimitero, costantemente invaso da quelle nebbiolina grigia. Sembrava che in tutta Seoul la nebbia fosse tutta lì, perennemente, senza mai abbandonare quelle lapidi e i cadaveri che rappresentavano. Ero appena andato a cambiare i fiori ai miei, dato che quelli che gli avevo portato la volta prima si erano seccati per marcire successivamente a causa dell’umidità. Ormai erano cinque anni che se n’erano andati, ma in fondo la mia vita era cambiato molto poco, avevo solo cominciato a sperimentare nuove forme di masochismo, dato che non dovevo più nascondermi con loro. Ebbene no, non ero diventato autolesionista per la loro prematura scomparsa, lo ero già da qualche anno ed riuscito a far sì che non se ne accorgessero mai. Probabilmente ora lo sapevano però, dato che non potevo più mentire ai fantasmi, che ero certo mi scrutassero ogni volta che andava a trovarli in cimitero. Però non mi giudicavano, credo che fossero solo preoccupati per il loro bambino, l’unico che gli era rimasto dopo che mio fratello era morto di polmonite a soli sei mesi. C’era anche la sua tomba lì vicino ed io non mi dimenticavo mai di portare i fiori anche a lui, nonostante non l’avessi ma conosciuto, dato che io sarei nato solamente sette anni dopo la sua morte. Mi dispiaceva deludere i miei genitori, ma ero fatto così, dipendente dal dolore fisico: non sarei mai riuscito a smettere, lo sapevo fin troppo bene. Vivevo ancora nella casa che era stata la nostra, ma dopo un anno avevo deciso di fare dei lavori di ristrutturazione radicali, in modo che di quella che era stata l’abitazione della famiglia Byun non rimanesse assolutamente più nulla.
Mentre ancora ero perso nei ricordi di quella che era stata la mia infanzia, relativamente felice e spensierata, udii dei singhiozzi provenire a qualche metro da dove mi trovavo io. C’era un ragazzo totalmente vestito di nero, in ginocchio davanti ad una delle lapidi in marmo di quella zona di sepoltura, con la fronte poggiata sulla pietra respirando affannosamente. Non so per quale assurdo motivo, ma mi avvicinai, intenzionato a chiedergli se avesse bisogno di aiuto, nonostante sospettassi fortemente che non avrei comunque potuto fare nulla per lui. Non appena calpestai l’erba fuori dal selciato, si girò a guardarmi contrariato, con gli occhi rossi e gonfi di lacrime e le guance bagnate.
-Tu...Io ti conosco.- sussurrò poco dopo, addolcendo leggermente lo sguardo e il tono di voce, tirandosi in piedi.
In effetti era vero, ci conoscevamo, se così si poteva dire. Per essere precisi, avevamo solamente scopato poco più di un mese prima, in una stupenda camera d’albergo con tanto di cioccolatino sul cuscino. Mi limitai ad annuire.
-Per chi sei venuto tu?- mi chiese avvicinandosi e prendendomi sottobraccio, come se nulla fosse successo prima.
-I miei genitori e mio fratello.- gli risposi sincero, dato che non avevo nessun motivo per mentirgli; non me la sentivo di essere sgarbato come al solito, in un posto simile e con uno che aveva appena smesso di disperarsi.
-Io per mia madre, mio fratello sta da un’altra parte ma non ci vado spesso.- mi informò, anche se io non gli avevo chiesto assolutamente nulla. –Mi dispiace che...siano morti, i tuoi intendo. E tuo fratello.- mi disse trascinandomi verso il cancello in ferro battuto, continuando a tenermi a braccetto.
-Non ho mai conosciuto mio fratello, è morto neonato parecchi anni prima che nascessi.- gli raccontai, non avendo la forza di staccarmi per salutarlo; mi sembrava che si chiamasse Sehun.
-Mia madre è morta dodici ore dopo la mia nascita, mi ha tenuto in braccio solo una volta. Mia zia dice che ha insistito tanto per farlo.- ricambiò lui, fermandosi davanti l’ingresso del cimitero.
Lo guardai stupito, cercando di immaginare quanto fosse brutto non aver mai avuto una madre a prendersi cura di te: a rimboccarti la coperta la sera e a raccontarti le favole; a cantarti la ninnananna e a preparati la cena; a baciarti la fronte quando tornavi a casa da scuola o dal corso di nuoto.
-Sehun...Giusto?- mormorai guardandolo triste, dispiacendomi per la prima volta dopo anni per qualcuno che non fosse quell’idiota fuori misura a cui avevo dato le chiavi di casa.
-Baekhyun... Se non mi sbaglio.- indovinò dopo aver annuito, per confermarmi che mi ricordavo bene il suo nome.
-Hai una buona memoria.- mi complimentai annuendo a mia volta, mentre lui lasciava la presa intorno al mio braccio, solo per passare il suo intorno alla mia vita.
-E tu hai da fare per caso?- mi domandò, continuando a tenermi stretto per il bacino, fissandomi dritto negli occhi.
-Non sono mai stato con una persona due volte.- gli rivelai, mentre un sorriso malizioso cominciava a nascere sulle sua labbra. –Mi chiedo se dovrei fare un’eccezione.- aggiunsi ricambiando il suo sguardo.
-Magari volevo portarti sulla ruota panoramica, o ammazzarti e gettare il tuo corpo in un fiume.- ipotizzò lui cominciando a camminare verso il parcheggio. –Però, io direi che dovresti farla, l’eccezione intendo.- concluse annuendo mentre io lo seguivo senza opporre resistenza.
-Abbiamo appena parlato di morti, e tu mi stai chiedendo se voglio farmi scopare?- sbuffai alzando gli occhi al cielo.
-Già, o qualcosa di quel genere.- ammise alzando le spalle, senza dare il minimo cenno di voler togliere il braccio.
-Sei fortunato che io non abbia alcuna voglia di aspettare l’autobus.- accettai, guardando come la sua espressione cambiava, trasformandosi in quella di qualcuno soddisfatto del suo lavoro.
-Di solito nemmeno io concedo il bis, nessuno mi ha mai soddisfatto tanto.- mi confessò mentre apriva la sua macchina con il telecomando, una Audi TT grigio metallizzato.
-Sarebbe un complimento?- mi informai curioso, poiché lui nemmeno sospettava del perché fossimo stati insieme la prima volta, come invece aveva capito subito Kai, quello subito dopo di lui. Mi piaceva Kai, e forse anche Sehun.
-Una specie. Vedilo come preferisci.- ridacchiò salendo sull’automobile, attendendo che lo facessi anch’io, prima di sgommare via ad una velocità assurda.
Dato che io non gli stavo rispondendo, accese la radio, inserendo però un cd che si trovava infilato nel contenitore dello sportello del guidatore, piuttosto che sintonizzarla su qualche stazione. Mi sembrava di riconoscere il gruppo a cui apparteneva la musica che stavamo ascoltando, ma non avevo idea di come si chiamasse la canzone.
-Che canzone è?- chiesi, più scocciato dal fatto di non saperne il nome che per la curiosità di conoscerlo veramente.
-Non mi ricordo il titolo, traccia sei. Controlla tu.- mi disse passandomi la custodia del cd, rimanendo concentrato sulla strada davanti a lui con il sorriso sulle labbra.
Scoppiai a ridere non appena lessi il titolo sul retro del contenitore in plastica: non poteva essere davvero quello.
-Cemeteries of London, direi che si addice alla situazione.- lessi ad alta voce, in modo che cogliesse anche lui l’ironia di quella faccenda, evitando che mi prendesse per pazzo per aver riso; rise anche lui immediatamente dopo.
 
Mi svegliai che ormai era buio, con lo sguardo diretto verso la finestra aperta davanti a me, che lasciava entrare una piacevole brezza fresca. Sentii delle dita sfiorare la pelle nuda delle mia schiena, partendo dalla base del collo fino ad arrivare alla vita, e poi una paio di labbra baciarmi il collo lentamente. Rimasi sdraiato godendomi i brividi, forse di freddo forse di piacere, che mi stavano facendo fremere in quel momento, con le lenzuola che mi avvolgevano la parte inferiore del corpo. L’altro ragazzo si lasciò sfuggire un sospiro per poi poggiare una guancia sulla mia scapola destra, passandomi le braccia intono ai fianchi doloranti. Ovviamente mi sarebbero spuntati nuovi lividi sulle gambe, e forse avevo anche qualche graffio sulla schiena e qualche segno di denti sul collo e sulle spalle: tutto nella norma.
-Perché porti le bende? E come mai ti piace farlo violento?- mi chiese Sehun, stringendo di più la presa sulla mia vita.
-Perché sono drogato di sofferenza, dipendente dal dolore fisico.- gli confessai, senza vergognarmi nemmeno un po’.
-Oh...Sei masochista quindi.- dedusse lui sistemandosi meglio al mio fianco, respirandomi sul collo scoperto, con il risultato di farmi venire altri brividi.
-Inorridito?- sibilai stiracchiandomi e abbracciando il cuscino sotto di me, continuando a guardare le stelle fuori dalla finestra, pensando che mi sarebbe piaciuto morire come loro: brillare forte e poi spegnermi in un’esplosione.
-Affatto.- mi contraddisse baciandomi la schiena più volte, per poi passarmi una mano tra i capelli tinti di rosso.
-Ti faccio pena? Compassione?- insistetti, incredulo di aver trovato ben due persone che non si erano allontanate schifate, dopo aver compreso di essere andate a letto con un autolesionista.
-E secondo te, io avrei insistito per fotterti la seconda volta perché mi fai pena?- ghignò mordendomi un braccio.
-Che cazzo ne so io, magari sì.- sbuffai piccato, allontanandomi per mollargli uno schiaffo sulla spalla nuda, segnata dal passaggio delle mie unghie sulle sua pelle chiara.
-Hai sbagliato persona, io se vado a letto con una persona è perché mi piace. O meglio, perché mi appaga.- mi spiegò ridendo, buttandosi con la schiena sul materasso.
-Quindi ti appago.- ipotizzai io, strisciando sui gomiti fino a poggiargli il mento sul petto per guardarlo in viso curioso.
-A quanto pare sì, molto più degli altri.- mi confermò sorridendo e scompigliandomi i capelli. –Ed io? Ti compiaccio?- mi interrogo, soffiandosi via una ciocca di capelli da davanti agli occhi.
-A quanto pare sì, molto più degli altri.- ripetei, citandolo alla lettera per poi sorridergli, sentendo le fitte di dolore che ancora mi colpivano quando provavo a muovere le gambe.
Subito dopo la mia risposta, mi afferrò per i cappelli tirandomi in avanti, in modo che potesse arrivare a baciarmi senza alzare il busto. Mi morse il labbro fino a sentire il sapore del mio sangue in bocca, facendomi gemere soddisfatto, prima di staccare le sue labbra dalle mie.
-Sono un bastardo senza cuore, dovrei dirti che farti del male è sbagliato...Invece ti assecondo.- borbottò chiudendo gli occhi, continuando a tirarmi i capelli.
-‘Fanculo, che ti frega?- lo liquidai appoggiandomi di nuovo su di lui, lasciandolo giocare con la mia chioma come voleva.
-Non lo so, però un po’ mi importa. Non è che ti ammazzi?- mi scrutò sospettoso, dicendo quelle parole con una strana ansia nella voce, che mi impedì di dubitare della loro veridicità.
-Sto cominciando a domandarmi se ho una calamita per gli stronzi gentili, tu sei già il secondo in cinque giorni cazzo.- esclamai esasperato, ripensando a Kai che era venuto addirittura a riportarmi i vestiti lavati e stirati a domicilio.
Sehun scoppiò a ridere portandosi una mano sugli occhi, per poi tornare a sbirciare in mia direzione attraverso le dita, attirandomi verso di sé con la mano libera.
-E’ perché sembri tenero... Poi passi dalla versione tenera a quella “fottimi-fino-a-che-non-svengo”, e alla fine diventi amaro come l’aceto.- mi informò annuendo convinto. –Sei strano, mi intrighi.- aggiunse alzando le spalle.
Gli sorrisi accoccolandomi al suo fianco, con le ginocchia strette intorno al suo bacino e le braccia a circondargli il petto. Mi addormentai così, mentre lui mi pizzicava i fianchi e ridacchiava quando avevo degli spasmi involontari. Non pensò di smettere nemmeno per una frazione di secondo, fino a che non mi abituai al fastidio e caddi addormentato sopra di lui che ancora mi guardava.
 
Non potevo crederci, non potevo essere davvero a casa a quell’ora, non poteva essere successa seriamente una cosa del genere. Spalancai la porta del mio appartamento in preda all’ansia, sbattendomela alle spalle per poi correre verso l’interno della casa senza nemmeno sfilarmi le scarpe. Non sapevo nemmeno quale fosse precisamente la mia meta, cominciai semplicemente a vagare con lo sguardo dappertutto, solo per constatare che la persona che cercavo non era in salone. Le parole del messaggio in segreteria continuavano a rimbombarmi nel cervello, mentre ispezionavo velocemente la cucina, per poi dirigermi verso il bagno. Che significava “credo di averti macchiato le mattonelle, ma devono essere abituate”? Ero nel panico, quando proprio quella frase mi suggerì quale doveva essere la mia destinazione, spingendo le mie gambe a scattare con più decisione verso il bagno. Andai a finire addosso alla porta chiusa a causa del parquet lucidato a dovere con la cera, spalancandola con il fiato grosso per la corsa. Quel idiota se ne stava addormentato seduto dentro la vasca da bagno, con una mano ancora poggiata sulla fronte a stringere un asciugamano sporco di rosso. Per un momento pensai che fosse morto, fidandosi del fatto che sarei andato da lui immediatamente, come non avevo fatto, e non chiamando nessun altro. Poi però vidi il suo petto alzarsi e abbassarsi al ritmo regolare del suo respiro, lasciandomi sfuggire un grido strozzato per il sollievo.
-Hyung, sono inciampato... Ero senza occhiali.- si giustificò con la voce ancora  impastata, svegliato dal mio urlo.
-Sei un idiota, un imbecille, uno stupido...- lo accusai inginocchiandomi fuori dalla vasca e sporgendomi verso l’interno per controllare il danno vero e proprio. –Non avresti dovuto chiamare me, ma l’ambulanza.- lo rimproverai, sentendomi in colpa per non avergli risposto, troppo impegnato a riposare tra le braccia di Sehun.
-Sto bene, e poi tu non chiami mai l’ambulanza.- ribatté lui leggermente piccato, mentre scostavo il telo dalla sua testa per analizzare la ferita.
-Ti prenderei a pizze in faccia, razza di coglione.- sbraitai, sospirando però di sollievo, notando che in realtà era solo un graffio e niente di serio o di cui non sarei riuscito a prendermi cura io.
-Eppure sono ancora vivo.- insistette con una strana espressione d’orgoglio dipinta sul volto, osservandomi contento.
-Passi quasi più tempo a casa mia che a casa tua.- lo sgridai alzandomi per prendere acqua ossigenata e cerotti. –Lo sai che non dovresti vero?- continuai prendendo una asciugamano pulito ed inzuppandolo d’acqua, per pulire la ferita prima di disinfettarla e applicare la medicazione.
-Perché? Il tuo appartamento è molto più grande ed è praticamente sempre vuoto.- protestò lui mentre gli passavo il tessuto bagnato sulla fronte, cercando di essere il più delicato possibile.
-Fai come ti pare.- mi arresi passando a tamponare il taglio con il cotone bagnato di disinfettante, attento a non fargli male, per poi appiccicargli un enorme cerotto sulla parte incriminata, tenendogli i capelli per evitare che qualcuno ci finesse incollato in mezzo.
-Posso rimanere a dormire qui?- mi chiese speranzoso, guardandomi con quei suoi occhioni da cucciolo smarrito.
-Devi rimanere a dormire qui, dove pensi di andare conciato in questo modo?- sbuffai esasperato, dandogli una mano a mettersi in piedi a ad uscire dalla vasca.
-Possiamo dormire insieme, hyung?- mi domandò appoggiandosi piano a me, costringendomi a cambiare direzione, dato che credevo di doverlo portare nella stanza degli ospiti mentre, a quanto pareva, voleva dormire con me.
-Ma tu una famiglia non ce l’hai? Una fidanzata, un cane, una tartaruga...- sospirai esasperato facendolo accomodare sul mio letto perfettamente intatto.
-Ho una mamma, ho una papà e una sorella maggiore. E mia nonna ha dei gatti.- mi raccontò entusiasta, annuendo vigorosamente nonostante il taglio in fronte. –E tu?- mi interrogò perplesso e curioso allo stesso tempo.
-Io...Ho un cucciolo.- affermai mentre lo aiutavo a sfilarsi la maglietta e i pantaloni, per poi farlo sdraiare sul letto.
-Davvero? Ma dov’è?- esclamò incredulo, guardandomi uscire dalla camera per mettere via le scarpe e poi rientrare: doveva aver battuto davvero forte la testa.
-Qua, nel mio letto anche se non dovrebbe. Ultimamente lo sto viziando troppo.- gli rivelai, spogliandomi e prendendo il pigiama da sotto il cuscino.
-Ma tu...stai parlando di me.- sentenziò sorpreso, fissandomi a bocca aperta mentre le sue guance si imporporavano.
-Esatto, io ho te.- confermai infilandomi il pigiama, mentre realizzavo che era davvero così: io avevo solo Chanyeol.
 -E ti accontenti di così poco?- mormorò raggomitolandosi sotto le lenzuola, aspettando che lo raggiungessi a letto.
-Tu non sei poco, sei anche troppo per uno come me.- ammisi, sapendo che avevo ragione, che lui non avrebbe mai dovuto sprecare il suo tempo dietro ad una persona del mio stampo; solo che ero troppo egoista per cacciarlo via.
-Ti voglio bene hyung.- sussurrò piano al mio orecchio non appena mi sdraiai al suo fianco, facendomi rabbrividire.
-T-ti voglio...bene anch’io.- balbettai sbalordito, guardando il ragazzo che mi stava vicino chiudere gli occhi e sorridere, addormentandosi poco dopo stringendomi come se fossi un peluche.
 
Avevo appena finito di medicarmi dei tagli appena fatti, quando qualcuno suonò alla porta; dovetti lasciare il bagno in disordine per andare ad aprire allo scocciatore di turno, o almeno a controllare chi fosse per poi decidere se accoglierlo in casa oppure no. Avevo appena raggiunto che sentii bussare di nuovo con più impazienza di prima.
-Hyung, sono io. Lo so che ci sei, aprimi che ho le mani impegnate.- mi urlò dall’esterno Chanyeol con un tono di voce entusiasta, che non mi faceva presagire niente di buono.
Eseguii preoccupato, sentendo le braccia prudermi per le ferite, contento che non fosse arrivato mentre me la procuravo, appena una ventina di minuti prima: odiavo farmi trovare insanguinato da lui, mi vergognavo.
-Che cosa vuoi? Stai meglio?- lo investii di domande appena fu all’interno, più attento alle condizioni della sua fronte che alla cesta che teneva in mano, mentre lui si toglieva le scarpe senza usare gli arti superiori.
-Sto alla grande, sono anche riuscito ad andare a lezione questa mattina.- mi informò sorridendo smagliante come al solito, con gli occhiali neri calati sul naso. –Questo è per te.- dichiarò porgendomi la cesta con tanto di fiocco.
Io lo osservai perplesso, per poi abbassare gli occhi sul regalo che mi stava tendendo, quando “qualcosa” all’interno emise uno strano verso, spaventandomi e facendomi indietreggiare di qualche passo verso il salone.
-Tranquillo Baek, non morde. Però potrebbe graffiare.- confessò lui, grattandosi la testa leggermente imbarazzato.
-E’ un gatto.- esclamai sorpreso sbirciando all’interno della cesta, vedendo finalmente l’oggetto della conversazione.
-Già, e sembrerebbe anche molto buono, prova a prenderlo in braccio.- mi suggerì annuendo. –Secondo me gli piaci, ha miagolato quando ha sentito la tua voce.- mi spiegò sorridendo contento.
Attento a non strusciare gli avambracci contro i bordi della cesta di vimini, tirai fuori il micetto dall’interno, che era stato rivestito di cuscini imbottiti per evitare che si facesse male con il legno. L’animaletto si lasciò prendere senza opporre alcune resistenza, per poi fissarmi muovendo la coda e rimanendo tranquillamente a penzoloni tra le mie mani inesperte: non avevo mai preso in braccio un gatto prima d’ora. Era piccolo, tanto minuscolo che quasi mi sarebbe entrato tutto in una mano, e completamente nero, con due occhi azzurri enormi.
-Prendilo così.- mi fece vedere Chanyeol guidando i miei movimenti, in modo che il gattino si poggiasse sul mio avambraccio sinistro. –Su questo è meglio, giusto?- mi chiese un po’ in ansia, indicando le bende.
-Sì, è meglio.- confermai capendo immediatamente a cosa si riferisse, mentre il mio nuovo amico si stiracchiava.
-Ti piace, hyung?- domandò curioso tornando a sorridermi con entusiasmo, accarezzando la testolina del micio.
-Tantissimo.- sussurrai abbassando lo sguardo per non arrossire imbarazzato, ottenendo comunque scarsi risultati.
-Bisogna trovargli un nome ora, non possiamo lasciarlo senza.- mi disse continuando a vezzeggiare il cucciolo nero.
-Non ho molte idee, la fantasia mi è sempre mancata.- ammisi, osservando come al gatto piacessero le coccole.
Ad un tratto, l’animaletto che avevo in braccio si sollevò sulle zampette minute, girandosi verso di me senza un apparente motivo, per poi miagolare guardandomi dritto in faccia: sembrava quasi che mi stesse accusando.
-Anche lui vuole che sia tu a dargli un nome, sforzati.- mi caricò il ragazzo di fronte a me, annuendo convinto.
-Ma...è maschio o femmina?- lo interrogai, rendendomi conto di aver creduto che fosse maschio, ma che in realtà ancora non lo sapevo per certo.
-E’ maschio.- mi rivelò passando un dito sulla schiena del micetto, che ancora aveva tutta la sua attenzione su di me.
-Ti piace Dobi?- mormorai chinandomi verso quello che sarebbe stato il mio nuovo coninquilino, che in risposta mi poggiò le zampe anteriori sulle guance, cominciando poi a leccarmi il naso.
-Io direi che gli piace.- sentii dire a Chanyeol prima che cominciasse a ridere, felice che tra me e il suo regalo fosse nato l’amore a prima vista da parte di entrambi.
-Dobi.- ripetei mentre il cucciolo continuava imperterrito a leccarmi tutta la faccia, riempiendomi di baci a modo suo.

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Capitolo 6
*** Take Me To Wonderland ***


                                                                               





[Buonasera, in questo angolino devo informarvi di uno spiacevole evento (?): non potrò aggiornare regolarmente il prossimo capitolo. Il fatto è che domani mattina parto e dovrei rientrare il diciannove, basta fare due conti e vedrete che è una settimana. Indi per cui vi lascio con questo, sperando vivamente che abbiate la pazienza di aspettare fino al mio rientro per il prossimo. p.s. Il titolo del capito è tratto dalla canzone “Wonderland” di Natalia Kills, che mi ha ispirata durante la scrittura dello stesso. XOXO]




“Non posso essere veramente così ossessionato da quel tizio.”
Mi ritrovai a pensare mentre camminavo per le strade di Seoul con il mio bubble tea in mano, quando mi trovai davanti il soggetto della mia fissazione. Mi chiedevo quanto fossi ossessionato da lui, semplicemente perché avevo cominciato a seguirlo involontariamente, domandandomi dove abitasse e cosa ci facesse qui. A mio padre piaceva, l’aveva accolto immediatamente dopo “averlo messo alla prova”, la quale consisteva nel sistemare un paio di persone scomode che ultimamente ci avevano dato fin troppi fastidi. Era stato rapido, pulito e non aveva lasciato alcuna traccia: secondo la polizia, quei due uomini potevano essere stati uccisi solo che da un fantasma. L’avevo conosciuto ufficialmente il giorno dopo, mentre se ne andava in giro con un sorriso soddisfatto stampato sulla faccia, e l’avevo trovato immediatamente insopportabile. Ero stato brusco, antipatico, il più freddo e distaccato possibile, mentre in realtà avrei voluto saltargli addosso e togliergli quella smorfia dal viso. Non era amore, non era attrazione, non era passione: era ossessione. Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso; mi dava fastidio se gli altri lo guardavano, o gli parlavano; odiavo come ci provasse con quelle stupide oche. Cos’avevano in più quelle poco di buono che io non avevo? Era frustrante, perché ogni volta che lui provava ad approcciarsi con me, l’orgoglio prendeva il sopravvento, e lo trattavo sempre come uno straccio per pavimenti. Sospirai prendendo un altro sorso del mio bubble tea, rendendomi conto che perdendomi nei miei pensieri avevo perso di vista lui, Kai.
-Mi chiedevo, come mai mi seguivi?- mi fece sobbalzare la sua voce alle mie spalle. –Mi hai offeso, pensavo di interessarti e poi ti sei perso a pensare ad altro.- continuò passandomi un braccio intorno alle spalle.
-Non ti stavo seguendo, di te non me ne frega niente.- ribattei liberandomi dalla sua presa, guardandolo male.
-Mi sono sistemato i capelli, la frangia mi aveva stufato.- proseguì ignorando le mie parole e la mia occhiataccia.
Mi voltai a guardarlo, notando che ora i suoi capelli erano tutti castani, senza quelle insensate ciocche argentee che aveva le prime volte che l’avevo visto. Sbuffai indispettito, poiché mi ero ritrovato a pensare che così era anche più bello di quanto non lo fosse già prima.
-Lo so che ti piaccio, è inutile che fai tanto il sostenuto.- mi rivelò ghignando come al solito, fin troppo convinto di sé.
-Ah davvero? Ma va a farti fottere da qualcun altro.- sbottai dandogli una leggera spinta, per poi concentrarmi di nuovo sulla mia bevanda, finendola senza aggiungere altro.
-Ehi, mi stai offendendo di nuovo. Io non mi faccio fottere.- mi corresse con un’espressione di finta indignazione sul volto, mentre io buttavo il contenitore di plastica in uno dei secchi pubblici.
-Forse non hai capito: non me ne frega niente di quello che fai a letto. Sono stato abbastanza chiaro?- mentii, mentre già cominciavo a pensare a come sarebbe stato stare sotto, e la cosa non mi piacque per niente.
-Peccato, davvero. A me sarebbe interessato sapere quello che fai tu.- mi sussurrò avvicinando pericolosamente la sua bocca al mio collo, allontanandosi subito dopo, lasciandomi in preda ai brividi.
-Ti avrei già sparato, se non fossimo in un luogo pubblico.- sibilai guardandolo gelido, cercando di non pensare a come doveva essere sentire le sue labbra sulla mia pelle.
-Me l’avevano detto che sei uno che non si fa pregare, se si tratta di far fuori qualcuno.- mi disse prendendomi sotto braccio, guidandomi tra la folla di persone accalcate davanti alle vetrine dei negozi.
-Mi spieghi cosa diamine vuoi da me?- esclamai esasperato, cercando di divincolarmi dalla sua presa, stufo di tutti quei suoi giochetti provocanti che mi facevano sentire un povero sprovveduto.
-Voglio che tu mi faccia provare una cosa, poi vedrai che vorrai provare anche tu.- mi rispose enigmatico, continuando a sorridere e trascinarmi, mentre la sera calava sulle strade della mia adorata capitale.
-Lo sappiamo tutti e due che mi stai prendendo in giro, mi vuoi umiliare perché credi che io sia solo un ragazzino viziato.- provai ad ipotizzare, arrendendomi però alla sua volontà smettendo di dimenarmi.
-Io non penso, ho chiesto di te in giro.- ammise annuendo, fermandosi davanti ad un bel palazzo non troppo lontano da casa mia. –Mi hanno detto che tuo fratello è morto ammazzato, che tua madre è morta di parto e che hai il grilletto facile.- continuò aprendo la porta con la chiave magnetica. –Poi ho estorto qualcosa a Tao, però ben poco, giusto che in realtà tuo padre ti sta parecchio sul cazzo.- aggiunse ridacchiando mentre prendevamo l’ascensore.
-Se non fosse mio padre, l’avrei già ammazzato.- gli confermai, meravigliandomi del fatto che si fosse informato.
-Però tu non sai niente di me.- mi punzecchiò lui, facendomi entrare in quello che doveva essere il suo appartamento.
-Su questo ti sbagli.- lo interruppi studiando casa sua, trovandola inverosimilmente spoglia. –Vivi qua da poco, non ti piace affezionarti alle cose e meno ricordi conservi meglio è per te.- dedussi del suo salone praticamente vuoto. –Molto probabilmente sei orfano e ho il sospetto che tu non abbia mai avuto una relazione seria. Ah, hai ventidue anni e ti piace leggere.- elencai godendomi la sua espressione sbalordita.
-Hai buone capacità deduttive, Sherlock.- dovette darmene atto, mentre si avvicinava per prendermi per un polso. –Vediamo se indovini quello che voglio fare ora.- mormorò ghignando a pochi centimetri dalla mie labbra, facendomi credere che mi avrebbe baciato, per poi lasciarmi a bocca asciutta dirigendosi in quella che doveva essere la sua camera da letto: non l’avevo mai desiderato così tanto.
 
L’ennesimo centro, come ogni volta che prendevo in mano un’arma e facevo partire il colpo, mandandolo sempre esattamente dove volevo. Il bersaglio era ridotto ad un colabrodo, quando spinsi il pulsante per recuperare il foglio appiccicato al fantoccio di plastica, in modo da osservare da vicino i risultati ottenuti. Non potevo fare a meno di compiacermi della mia mira straordinaria e non sprecavo mai un’occasione per vantarmene, dato che era l’unica cosa in cui fossi bravo grazie esclusivamente alla mie capacità. Perciò mostrai il foglio bucato al mio migliore amico, che se ne stava appoggiato con le spalle al muro con un sorriso soddisfatto stampato sulle labbra. Lui mi fece l’occhiolino per niente invidioso della mia abilità, dato che lui possedeva il suo campo in cui eccellere: nessuno sapeva uccidere una persona a mani nude, in quanti modi avrebbe saputo farlo lui. Tao praticava il wushu più o meno dalla prima volta in cui io avevo puntato gli occhi su un’arma da fuoco, il che corrispondeva più o meno a quindici anni fa ormai. Ci eravamo conosciuti che io avevo dieci anni e lui undici, ed eravamo diventati inseparabili per forza di cose, essendo gli unici bambini in quel posto squallido e malato. Proprio per questo, era l’unico che consideravo davvero un amico, a cui volevo bene e sul quale sapevo di poter sempre contare: ZiTao non mi avrebbe mai tradito, ed io non avrei mai tradito lui. Non ci eravamo mai detti una cosa del genere, ma sapevamo entrambi che era così tra di noi, che avremmo preferito morire piuttosto che vendere l’altro. Era consolante averlo con me.
-Devo raccontarti una cosa.- esordii mentre uscivamo dalla zona riservata come poligono, dirigendoci verso la mia camera, il posto più riservato che conoscessi in tutta la casa.
-Scommetto che riguarda quello nuovo.- indovinò lui, una volta seduti sul mio letto, guardandomi lucidare a dovere la revolver appena usata al piano di sotto.
-Hai dei problemi seri quel ragazzo, sul serio.- gli confermai riponendo l’arma nella sua apposita custodia, come tutte quelle che appartenevano alla mia ricca collezione.
-Del tipo?- insistette lui perplesso, poiché, ovviamente, ancora non riusciva a capire dove volessi andare a parare.
-Mi ha fatto una sega, nel vero senso della parola. Non sto scherzando.- esclamai ancora perplesso dagli avvenimenti della sera prima, incredulo io stesso.
-Ma cosa... Io non le voglio sapere le vostre cosacce, tienitele per te e per quell’altro pervertito.- inorridì Tao coprendosi il viso con le mani, scuotendo la testa imbarazzato.
Sospirai esasperato, non capendo come potesse essere ancora così pudico sotto quell’aspetto, nonostante ormai avesse ventitré anni: ancora si trovava più a suo agio a parlare di squartamenti che di sesso, incredibile.
-Non stai davvero reagendo così, mi rifiuto di crederci.- sbuffai sdraiandomi con la testa sprofondata nel cuscino.
-Oh Sehun, non venirmi più a raccontare quello che ti fa quel tizio. Sono praticamente sicuro che la prossima volta non si limiterà a masturbarti, ed io non lo voglio sapere.- dichiarò invece lanciandomi l’altro guanciale in faccia.
Non potei fare a meno di scoppiare a ridere: non tanto perché trovassi divertente il suo imbarazzo, più che altro per mascherare il mio al pensiero di Kai che “non si limitava”.
 
“Ti ho mai raccontato del prima uomo che ho ucciso? Te l’ho mai raccontato? Penso di no, credo proprio di no.
Avevo diciotto anni mamma, ero appena maggiorenne, non avrei mai pensato di trovarmi in una situazione simile prima di allora. Sapevo, avevo sempre saputo, che razza di famiglia era la nostra, e armeggiavo con roba pericolosa sin da quando avevo appena sette anni. Non penso che tu avresti voluto una cosa del genere per me, ne per mio fratello, ma tu non c’eri e non c’era niente tra me e mio padre. Mi sentivo bene mentre facevo fuoco, ma l’unico essere vivente a cui avessi mai sparato era una mela, un’innocua ed inanimata mela. E’ stato orribile quel giorno, mi ero svegliato con un forte senso di nausea, e avevo vomitato durante le prime ore del pomeriggio. Ancora non sapevo cosa sarebbe accaduto di lì a breve, ma probabilmente non avrei potuto fare comunque nulla per cambiare le cose.
Si chiamava Kris e mi era sembrato da subito un uomo, nella sua bellezza da foto modello, con le gambe fasciate dai pantaloni neri e grigi. Solo dopo avevo scoperto che il suo vero nome era Wu Fan e che in realtà aveva appena quattro anni in più di me, solo quando ormai era morto. Fu un incidente, non volevo sparare, non volevo ucciderlo.
Quella fu l’unica volta che mi tremò la mano, che presi male la mira...che mancai il bersaglio: dopo quel giorno cambiò tutto, non poteva essere altrimenti. Non potevo più permettermi di sentirmi in colpa in quel modo, non dopo aver sperimentato il mio primo omicidio ed aver colpito la persona sbagliata. In qualche modo Kris mi aveva aiutato morendo, mi aveva fatto capire che se hai in mano un’arma non puoi permetterti di fare un passo falso.”
Stavo parlando con mia madre, precisamente le stavo raccontando di Wu Fan, quando sentii bussare alla mia porta.
Mi alzai scocciato, deciso a liquidare chiunque avesse osato interrompere il dialogo tra me e mia madre, a meno che non si fosse trattato di Tao, cosa molto improbabile dato che sapeva che a quell’ora ero impegnato. Spalancai la porta con ancora la maglietta sgualcita e i capelli scompigliati, che avevo deciso di tingere di nuovo di biondo, guardando il malcapitato con odio profondo. Peccato che alla fine non riuscii affatto a cacciarlo come avrei voluto.
-Con chi parlavi?- chiese Kai, sbirciando all’interno della mia camera come se la cosa fosse assolutamente normale.
-Che cosa ci fai qua?- ribattei coprendogli totalmente la visuale dell’interno con il mio corpo, mentre lui sorrideva.
-Perché non mi fai entrare? Voglio svelarti un segreto.- ammiccò, spingendomi leggermente con entrambe le mani.
-E se per caso io stessi intrattenendo una signora? Cosa ti fa pensare che tu possa arrivare qui, e fare il bello e cattivo tempo come ti pare?- sbottai spintonandolo indietro con malagrazia.
-Non sei il tipo che intrattiene le signore.- sghignazzò lui lasciandomi fare. –E comunque, me lo fa pensare il fatto che l’altra volta l’hai gradito, “il bello e cattivo tempo”.- mi ricordò, avvicinandosi ad un soffio dal mio viso.
-Entra.- gli concessi alla fine, voltandomi e andando a buttarmi di nuovo sul letto a peso morto, sicuro che mi avrebbe seguito e che avrebbe chiuso a chiave la porta; come infatti fece esattamente un secondo dopo.
-Tuo padre, lo devo uccidere.- dichiarò accomodandosi sul bordo del materasso, come se mi avesse semplicemente detto che gli piaceva il mio nuovo colore di capelli.
-Come scusami?- esclamai perplesso tirandomi su a sedere di scatto, afferrandolo per lo scollo della maglietta nera.
-Quando hai detto che sono orfano, avevi ragione, e lo sono per colpa di tuo padre. Quindi adesso voglio sgozzarlo come un maiale e lasciarlo a morire affogato nel suo sangue. Chiaro il concetto?- continuò tranquillamente lui.
-Cosa ti fa credere che io non ti ammazzi seduta stante?- sibilai, puntandogli la canna della pistola che avevo sul comodino su una tempia, senza fare una piega.
-La stessa cosa di prima.- sussurrò continuando a sorridere sereno, nonostante lo stessi chiaramente minacciando.
-Quindi secondo te...- cominciai spostando la pistola sotto la sua mascella. -...io ti lascerai tentare di ammazzare mio padre, perché mi hai fatto una sega. Certo, non sei male, ma direi che è un po’ poco.- continuai, caricando l’arma.
-No, secondo me...- iniziò lui, avvicinandosi ancora di più a me. -...mi darai una mano. E non solo perché forse odi tuo padre quanto me, ma anche per questo.- terminò prima di premere le sua bocca piena sulle mia, con ancora la revolver praticamente infilzata in gola.
Lo lasciai fare colto alla sprovvista, sgranando gli occhi mente lui chiudeva i suoi, concentrandosi totalmente su di me, leccandomi piano le labbra con l’intenzione di insinuare la sua lingua nella mia bocca. Non appena ripresi coscienza di me stesso, lo allontanai con uno strattone, tornando a puntargli l’arma da fuoco ad una tempia.
-Tu ti sei fumato il cervello. Non riuscirai mai a far fuori mio padre, finirai per farti uccidere.- sbraitai shockato, guardando come si leccava le labbra soddisfatto.
-E’ un prezzo che sono disposto a pagare per la vendetta. Il tuo “caro” genitore, ha provato ad uccidermi, mi sembra il minimo ricambiarlo con la stessa moneta.- mi spiegò, sistemandosi i capelli con nonchalance. –Avevo otto anni, ero in camera di mia sorella a pasticciare con i suoi trucchi...Quando è esplosa un bomba nella cucina di casa mia. Mio padre è morto sul colpo insieme a mia sorella maggiore, mia madre tredici ore dopo in ospedale agonizzando. Ci siamo salvati mia sorella di mezzo ed io, il più piccolo di casa.- mi raccontò facendosi d’un tratto serio. –Aiutami Sehun, mi merito un’occasione.- mi supplicò, facendomi capire quanto costasse al suo orgoglio pregarmi.
-Cosa ci ricavo io?- domandai scaricando l’arma per poi poggiarla sul comodino, sdraiandomi di nuovo sul letto.
-La libertà.- mi rispose sorridendo, per poi venire a sedersi al mio fianco. –E se non ti bastasse, potrei farti fare un tour guidato del Paese delle Meraviglie.- aggiunse chinandosi a baciarmi di nuovo.
“Capisci mamma? Non posso dirgli di no. Mi sta parlando di libertà, di un mondo in cui non sono solo l’ombra di quel verme. Di un futuro in cui non devo più uccidere nessuno, in cui potrei sparare come sport e magari vincere le Olimpiadi. Come posso rinunciare ad un’opportunità del genere? Come posso sbattere la porta in faccia ad una vita normale? Dammi una mano, mamma ti prego. Cosa faresti tu?” Pensai mentre le mani di Kai si insinuavano sotto la mia t-shirt, e la sua lingua si intrometteva prepotentemente nella mia bocca.
-Sehun... Che ti succede?- mormorò lui guardandomi perplesso, per poi accarezzarmi delicatamente i capelli tinti.
-Ho appena deciso di aiutarti ad uccidere l’unico genitore che ho, scusa se sono un po’ frastornato.- biascicai con ancora il suo sapore in bocca, e la sensazione delle sua mani che vagavano sul mio petto.
-Tu hai sempre avuto solo tua madre: che padre è uno che fa sporcare le mani di sangue a suo figlio?- esordì lui guardandomi negli occhi, diventando serio nuovamente. –I miei non avrebbero voluto che diventassi questo, ma ormai non ho scelta. Tu sì, fallo per lei e...per me.- concluse baciandomi di nuovo, dolcemente, prendendomi il viso tra le mani e chiudendo gli occhi come la prima volta.
“Potrebbe essere la mia rovina mamma, ma potrebbe anche essere la chiave della mia salvezza.” Riflettei passandogli una mano tra i capelli morbidi. Mi concentrai, quasi fino a farmi dolere la testa, e la sentii; sentii nella mia mente la risposta che cercavo, l’approvazione che tanto desideravo:”Vattene da qui amore, va il più lontano possibile. Il Paese delle Meraviglie, se è il posto che ti piace.
Io e Kai ci eravamo addormentati uno affianco all’altro, senza in realtà aver fatto quasi nulla, a parte qualche bacio particolarmente appassionato che era sfociato in dei tocchi parecchio intimi da parte di entrambi. Alla fine eravamo crollati quasi in contemporanea, più per l’accenno di noia che per la vera spossatezza. Quando avevo aperto gli occhi, il sole stava tramontando, donando ai capelli dell’altro ragazzo una sfumatura ramata e dipingendo un gioco di chiaro/scuri sul suo volto addormentato. Le ciglia lunghe e scure proiettavano la loro ombra sugli zigomi bene fatti, le labbra piene atteggiate ad un sorriso rilassato: sembrava quasi una persona tranquilla, mentre era incosciente.
Sbadiglia stiracchiandomi, attento a non disturbare il sonno del mio nuovo compagno di affari, deciso a lasciarlo dormire il più possibile, giusto per godermi lo spettacolo in tranquillità. Da sveglio sapeva essere veramente insopportabile, mentre in quel momento...Sembrava quasi un cagnolino indifeso tra le braccia del suo padrone.
 
Mi ero riservato il pomeriggio libero da qualsiasi impegno, così da poter accompagnare mia cugina a fare compere nei pressi dell’università, giusto per passare un po’ di tempo fingendomi una persona normale. Non mi sarei mai aspettato, che in uno dei negozio di trucchi in cui Lily mi aveva obbligato a fare una tappa, ci avrei incontrato lui.
Certo, era innegabilmente lui, eppure non era lui: era diverso dal nostro primo incontro, diverso anche da quando ci eravamo incontrati al cimitero. Sembrava una persona tranquilla, perfettamente nella norma, mentre si divertiva a giocare con la faccia di mia cugina, come se fosse la sua bambola preferita. Era ovvio che ancora non si era accorto della mia presenza, ma soprattutto che la sua “paziente” era una mia parente, dato che non mi aveva nemmeno guardato, troppo concentrato sulla sua opera d’arte.
-Baekhyun?- richiamai la sua attenzione ad un tratto, mentre Lily dischiudeva piano gli occhi, non capendo perché il ragazzo che la stava truccando si fosse fermato.
-Che ci fai tu qui?- mi chiese lui sbalordito, con il pennellino che aveva in mano fermo a mezz’aria e gli occhi sgranati.
-Sto accompagnando mia cugina, lei per essere più precisi.-gli risposi sorridendo, mentre lui riprendeva a lavorare.
-Quindi vi conoscete?- si impicciò lei curiosa come al solito, con una nota di entusiasmo infantile nella voce acuta.
-Ci siamo incontrati solo un paio di volte.- le spiegai io, mentre l’altro ragazzo sorrideva sovrappensiero, forse al ricordo delle occasioni alle quali mi stavo riferendo.
Più lo guardavo, più mi convincevo che sarebbe potuto essere un bel ragazzo, e non solo fisicamente: perché mai si riduceva in quel modo?

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Capitolo 7
*** Too Busy Being Yours ***


                                                                                     





[Scusate del ritardo dell’aggiornamento e della brevità di questo angolo autrice, ma sono estremamente di fretta. Detto ciò, grazie a tutti quelli che continuano a seguire la storia e soprattutto a recensirla. Se dovesse smettere di piacervi, coinvolgervi o interessarvi...vi piacerebbe farmi sapere perché? *occhioni dolci alla KyngSoo* Grazie in anticipo, vi lascio alla lettura. p.s. Scusate gli eventuali errori ma non ho avuto il tempo materiale di rileggere il capitolo, sigh. XOXO]




Stavo chiacchierando tranquillamente con JongDae della mia insana, ma a quanto pare apprezzata, idea di fargli delle foto per un mio progetto, quando tirò fuori l’argomento vacanze. E’ vero che eravamo già a luglio, ma in realtà ancora non ci avevo mai pensato, troppo preso dallo studio e dei miei altri impegni extra-scolastici. Avevo promesso solennemente ai miei e a mia sorella che sarei andato a trovarli, dato che l’ultima volta che ero tornato a casa era stato per il compleanno di mia madre, a febbraio. Anche perché comunque non avrei avuto i fondi per permettermi di partire, magari mi sarei fatto qualche week-end al mare. Il mio amico invece mi stava raccontando i suoi piani, che in fondo non erano poi tanto diversi da miei, a parte il piccolo particolare che lui sarebbe andato una settimana in Cina, per conoscere i genitori del suo ragazzo. Ero un po’ invidioso sotto quel campo, dato che a lui tutto era andato a gonfie vele sin dall’inizio della loro relazione. Lui e Yixing si erano conosciuti, tanto per fare una cosa nuova, all’università, dove il secondo era venuto per approfondire lo studio del coreano. Era stato praticamente amore a prima vista e mi era venuto spontaneo da subito fare il tifo per loro, che sembravano fatti davvero l’uno per l’altro. Avevano avuto solo qualche piccolo diverbio con la famiglia del più grande, che a quanto pare si era risolto più che bene, dato che avevano invitato JongDae a conoscerli. Ero ovviamente contento per loro, e non mi riservai di augurargli buona fortuna e che tutto andasse per il meglio, solo che ero anche rosso d’invidia per quanto tra loro le cose fossero facili. Non potevo innamorarmi anch’io di uno come tanti? Mi pare scontato, no.
Pensandoci bene, era tutta colpa… No, non colpa, merito: era tutto merito di quest’ultimo, se io avevo conosciuto Byun Baekhyun. Per arrotondare quel poco al mese che mi mandavano i miei, avevo deciso di sfruttare una delle mie tante passioni per fare dei lavoretti occasionali: la fotografia. Ero sempre stato uno a cui piaceva immortalare le cose nel tempo, e dato che la pittura sembrava non essere il mio forte, mi ero buttato sulla fotografia. E avevo scoperto di avere un certo talento, quasi come quello che avevo nel suonare la chitarra. Il problema non era stato trovarmi una modella, dato che Lily mi aveva genialmente consigliato di chiedere ad una sua amica, che aveva accettato con immenso piacere al primo approccio, quanto trovare qualcuno che “la sistemasse”. Per i capelli di nuovo non avevo avuto noie, sempre grazie alla mia amica canadese, ma per il trucco… Mi ero ritrovato in un mare di guai.  Ed era lì che era spuntato JongDae, risolvendo la situazione con uno schiocco di dita. Mi aveva detto di avere un suo ex-compagno di scuola, che conosceva dai tempi delle elementari, che faceva il truccatore per professione, e che di certo non gli avrebbe negato un favore così, da nulla. Ancora non sapevo cosa sarebbe successo non appena l’avessi visto; riassumendo: avevo perso completamente la testa. Perciò, ora mi trovavo lì, ad ascoltare il mio amico che mi raccontava dei progetti che aveva per la settimana che avrebbe passato col il suo fidanzato nel suo paese natale, mentre io non potevo che chiedermi se la persona che amavo si sarebbe mai accorta di quello che provavo per lei.
Ci salutammo a qualche metro di distanza dalla mia meta, mentre lui svoltava verso la fermata dell’autobus, che l’avrebbe condotto dritto tra le braccia della sua dolce metà. Per quanto riguardava me, avevo altri progetti per quel pomeriggio, intenzionato a portare a termine delle commissioni che mi aveva lasciato Lily per un suo progetto. Anche lei ultimamente si vedeva con un ragazzo, di nome Kim JoonMyeon, incredibilmente dolce e gentile, ma soprattutto totalmente innamorato, che le stava dando parecchie soddisfazioni, ma anche parecchio da fare. Ogni volta che me ne parlava, ero quasi tentato di dirle che almeno lei riceveva anche qualcosa in cambio, mentre io ero bloccato da un anno e mezzo in una storia a senso unico.
Mi era venuta spesso la tentazione di voltare pagina, di chiuderla lì e lasciare che Baekhyun facesse ciò che voleva della sua vita. Però, ogni volta che andavo a dormire con l’intenzione di ridargli il secondo mazzo di chiavi e di non vederlo mai più, mi svegliavo la notte urlando, perseguitato da incubi in cui lui era morto ed io mi ritrovavo sposato con una donna che odiavo. Era una cosa orribile, e in quelle notti non ero mai riuscito a riprendere sonno, troppo terrorizzato che quel sogno tremendo potesse trasformarsi in realtà. Ero troppo innamorato per poter lasciar perdere, per potermi arrendere senza avere il terrore che lo avrei rimpianto per il resto dei miei giorni.
Mentre ancora riflettevo sulla mia testardaggine, qualcuno mi afferrò con forza per un braccio, tirandomi in una stradina secondaria, una delle traverse delle strada principale su cui mi trovavo. Avrei urlato, più per la sorpresa che per lo spavento, se non avessi avuto una mano premuta con forza sulla bocca, pronta a soffocare qualsiasi rumore sarebbe potuto fuoriuscirne. Strabuzzai gli occhi, dato che l’unica cosa che mi veniva in mente in quel momento, era che qualcuno stesse cercando di derubarmi, e che gli unici soldi che avevo in tasca non erano nemmeno i miei. Come avrei spiegato a Lily che mi ero fatto fregare i suoi soldi su una delle vie principali in pieno giorno? Probabilmente mi avrebbe creduto, dato che sapeva quanto fossi imbranato. Quando però la presa sul mio braccio si allentò e la mano si spostò dal mio viso, dovetti ricredermi, mentre realizzavo che nessuno stava cercando di rapinarmi.
Mi voltai lentamente, ancora vincolato dalla stretta appena accennata, e quello che mi trovai davanti mi lasciò semplicemente di stucco. Era il ragazzo che mi aveva accompagnato all’appartamento di Baekhyun qualche notte fa, l’amico del cugino della mia amica canadese. La domanda che ora mi ronzava in testa era la seguente: cosa voleva un amico di Sehun da me?
-Ti ricordi di me?- mi chiese, scrutandomi con quel suo sguardo freddo e fin troppo penetrante, che in qualche modo riusciva a farmi sentire “spoglio”, indifeso.
 -Dovresti essere…Tao.- mormorai con un principio d’ansia nella voce, che cresceva ogni secondo di più.
-Bravo, esatto. Ti stavo per dare uno schiaffo, ricordi?- aggiunse lasciandomi definitivamente andare.
-Già, e poi mi hai accompagnato a casa.- aggiunsi, per fargli capire che decisamente mi ricordavo di lui.
 -Bene, Sehun ha bisogno che tu gli faccia un favore.- continuò, senza sorridermi nemmeno per un secondo, serio e concentrato su quello che probabilmente era il suo compito.
-Di che genere di favore parli?- sussurrai, sempre più preoccupato per tutta quella losca e strana faccenda in cui mi stavo infilando con tutte le scarpe.
-Niente di pericoloso o illegale, solo tenere sua cugina lontana da un certo posto.- mi chiarì, passandosi una mano tra i capelli neri. –Lui era sicuro che non avresti avuti problemi ad accettare.- continuò.
-Se fosse stato qualcosa di illegale, fidati che non l’avrei fatto.- borbottai abbassando lo sguardo. –E comunque, quale sarebbe questo posto?- mi informai tornando in me.
-Il locale dell’altro giorno. Ultimamente…è meglio se eviti di andarci anche tu.- mi consigliò, lanciando uno sguardo perplesso verso il cerotto che ancora ornava la mia fronte.
-Figurati, sarà più che un piacere girare a largo da quel posto.- lo rassicurai annuendo con convinzione.
Finalmente, prima di girarsi e sparire nell’ombra com’era apparso, mi dedicò un lieve sorriso, appena accennato, che però mi spiegò più cose di quanto avrebbe potuto dirmi a voce: a Tao quella vita non piaceva. Non era un criminale per scelta, doveva esserlo diventato a causa di qualche obbligo a cui non poteva sottrarsi, e probabilmente la stessa cosa valeva per Sehun. E quale legame era più vincolante di quello di sangue?
 
Addormentarsi in autobus è una pessima idea a prescindere, poi se si sta facendo sera e si ha il senso dell’orientamento di una mangusta cieca, la cosa diventa ancora più problematica. Ed era esattamente quello che era successo a me quella sera, che ora mi ritrovavo in un quartiere completamente estraneo cercando il modo di tornare indietro. Tirava anche una certa brezza fredda a cui non avevo pensato quand’ero uscito di casa, pensando di tornarci molto prima di quell’ora. Ormai era il tramonto, e non avevo la minima idea di dove si trovasse la fermata dell’autobus che avrebbe dovuto riportarmi al campus. Ero pressappoco disperato, ma chiamare qualcuno per chiedere aiuto, a ventiquattro anni per una cosa del genere, era qualcosa che il mio orgoglio non poteva sopportare. Ero più che in grado di badare a me stesso e in qualche modo avrei fatto, magari controllando con il gps del cellulare non appena avessi trovato il nome della via su cui mi trovavo.
Stavo ancora camminando alla ricerca di un qualche punto di riferimento, quando qualcuno mi venne addosso, ad una velocità talmente alta da buttarmi a terra. Cadde anche lui, precisamente mi cadde proprio addosso, rialzandosi quasi immediatamente, il volto coperto da una maschera nera e rossa. Lo guardai sbalordito, poiché non mi spiegavo perché mai qualcuno dovesse andare in giro mascherato in quel modo. Solo dopo notai la macchia rossa sulla mia leggera camicia azzurra, che mi fece rabbrividire, domandandomi da dove venisse quel sangue e se fosse effettivamente mio. Mi toccai cautamente in fianco, ma non sentii nessun dolore, perciò ipotizzai che doveva essere dello strano tizio davanti a me. Appena poggiai lo sguardo su di lui, guardandolo più attentamente, mi resi conto che anche i suoi vestiti erano strani e che respirava affannosamente, piegato su se stesso con le mani poggiate sulle ginocchia. Notai anche un altro piccolo ed insignificante particolare, di cui prima non avevo avuto modo di rendermi conto: era un lago di sangue, non avrebbe dovuto essere ancora vivo dopo averne perso così tanto.
-Hai bisogno d’aiuto?- gli chiesi alzandomi in piedi, anche se la risposta era più che ovvia date le circostanze in cui si trovava.
-No, la maggior parte non è mio.- sibilò lui rimettendosi dritto, per poi guardarsi intorno con aria circospetta, realizzando che c’eravamo solo io e lui.
-La tua voce… L’ho già sentita.- mormorai più tra me e me che a lui, mentre mi sforzavo di ricordare a chi appartenesse quel particolare timbro di voce.
-Sfortunatamente per te, è così.- mi confermò lui con un certo dispiacere. –Che ci fai da queste parti?- mi domandò mentre si sfilava la maschera inquietante, rivelandomi chi ci fosse nascosto dietro.
Spalancai bocca e occhi incapace di dire qualsiasi cosa, troppo shockato dall’identità del tizio che avevo davanti, spostando lo sguardo incredulo dal suo viso ai suoi vestiti sporchi di rosso.
-Lasciamo perdere, seguimi.- mi ordinò afferrandomi saldamente per un braccio, non dandomi scelta.
-Non sono sicuro di volerti venire appresso in realtà…-provai a ribattere, costringendolo a fermarsi.
-Okay, va bene, non sono esattamente la persona che credevi. Ma puoi fidarti, ti voglio solo portare a casa. Questo posto non fa per te, non capisco nemmeno perché tu sia qui in effetti.- mi spiegò riprendendo a marciare sicuro, mentre a me non rimaneva che seguirlo perplesso.
-Mi sono perso.- rivelai, ancora confuso dagli strani avvenimenti di quella giornata apparentemente normale, come tutte le altre prima di lei. –Senti Kai…Ma da dove viene tutto quel sangue?- mi decisi a chiedere, quando ormai ero salito in quella che doveva essere la sua macchina.
 -Da uno dei collaboratori di uno dei pesci grossi della malavita.- mi confessò, mentre metteva in moto dopo avermi lanciato la maschera rossa e nera con malagrazia.
-Quindi cos’è che fai per vivere?- insistetti, ricordandomi di quando l’avevo definito un tipo “apposto”.
-Per un periodo ho lavorato nell’intelligence, ma ero un ragazzo troppo “prodigio” e mi sono stufato relativamente in fretta.- cominciò a raccontarmi, quasi non aspettasse altro che sfogarsi. –Ora come ora in realtà non lavoro, vivo con l’eredità dei miei genitori, perché mi sto dedicando a…ad un’altra cosa.- continuò un po’ incerto. –Però non avrei dovuto dirtelo, e tu non avresti dovuto saperlo.- terminò.
-Quindi adesso…mi dovresti tipo uccidere?- ipotizzai, cominciando a pensare seriamente ad un’eventualità del genere: non ero spaventato, solo dispiaciuto per la mia famiglia e preoccupato per Baekhyun. Chi si sarebbe preso cura di lui se io fossi morto? Chi avrebbe aiutato mio padre a casa, se avesse perso l’unico figlio maschio?
-Ma non dire cazzate per favore.- sbottò lui, inforcando l’autostrada a tutta velocità. –Se avessi davvero voluto ammazzarti, non credi che l’avrei già fatto? Mi sei simpatico e sei davvero una brava persona, io non uccido gente innocente.- aggiunse avvilito, per poi mettere il broncio.
-Scusa se sono un po’ sconvolto, sai com’è...- mi difesi io, rilassandomi notevolmente sul sedile del passeggero. –Comunque grazie del passaggio, sarei rimasto lì a vita altrimenti.- lo ringraziai sorridendo.
-Tu non stai bene, c’è qualcosa di profondamente sbagliato in te.- affermò lui voltandosi a guardarmi.
-Probabile, ho un debole per i casi disperati.- ammisi, ripensando alla persona di cui ero innamorato.
 -Me ne sono accorto.- disse lui per poi scoppiare a ridere, mentre io mi rendevo conto di quale sarebbe stata la nostra meta.
Non potei fare a meno di sorridere, pensando a come avrebbe reagito il proprietario di casa a quella nostra visita serale, sempre se ci fosse stato a casa. Eppure qualcosa mi diceva di sì, non sapevo cosa fosse, solo una stupida sensazione, ma ero quasi convinto che il ragazzo che amavo fosse a casa.
 
Aprii la porta con il mio paio di chiavi, senza prendermi la briga di citofonare e di far scomodare Baekhyun. Kai mi seguì cauto all’interno, cercando di coprire al meglio la grossa macchia di sangue, che comprendeva gran parte della sua maglietta e la parte superiore dei suoi pantaloni. Stranamente, mentre entrambi ci sfilavamo le scarpe, Dobi, il cucciolo di gatto che avevo regalato a Baekhyun, non ci venne ad accogliere zampettando, come era solito fare quando qualcuno oltrepassava l’uscio di quella che ormai era anche casa sua. La cosa fece nascere in me una sorta d’ansia, dato che non era mai successo prima che non vedessi il micio all’ingresso, sia che il suo padrone fosse all’interno sia che non ci fosse. Rimasi per un po’ in attesa, speranzoso che fosse solo un po’ in ritardo rispetto al solito, che preso avrei visto la sua figurina nera stagliarsi contro lo sfondo bianco del pavimento dell’ingresso.
Ovviamente però ciò non accadde e, il fatto che io non mi muovessi, spinse il ragazzo che era con me a poggiarmi una mano sul braccio, e a chiedermi se c’era qualcosa che non andava. Ma come potevo spiegargli? Ero praticamente certo che non sapesse come Baek si riduceva una settimana sì ed una no, come potevo dirgli una cosa del genere senza il permesso del diretto interessato? Alla fine scossi la testa, riprendendo coscienza del mio corpo, e avanzai verso il salone buio, senza avere il coraggio di accendere la luce o di chiamare il proprietario dell’appartamento fin troppo silenzioso. Controllai che il bagno fosse vuoto, e lo trovai esattamente così, perfettamente in ordine, senza tracce di rosso o di disordine tra i medicinali e le bende. Poi consigliai a Kai di farsi una bella doccia mentre io gli cercavo qualcosa di pulito da indossare, deducendo che a quanto pare la persona che amavo doveva essere uscita quella sera.
Percepii chiaramente l’abitudinale pugnalata al centro del petto, mentre mi sforzavo di non pensare a Baekhyun gemere e contorcersi dal dolore, sotto le spinte di chissà quale sconosciuto. Eppure, in quel caso, ero consapevole che non avrei mai e poi mai potuto dargli ciò che voleva, non in quel campo. Avrei potuto averlo, almeno fisicamente se non come desideravo, ma la verità è che io non sarei mai riuscito a fargli del male: io non volevo solo fare sesso con lui, io volevo farci l’amore. E quando si fa l’amore con una persona, non gli si fa del male; quando si fa l’amore con una persona, ci si prende cura di lei e si è accorti che provi lo stesso piacere che provi tu senza farla soffrire in alcun modo. Se lui non era disposto a fare l’amore con me, io non ero disposto ad andarci a letto, quello mi era sempre stato chiaro. La cosa che ora mi preoccupava maggiormente, era dove si fosse andato a cacciare Dobi, dato che probabilmente doveva essere solo in casa, prima del nostro arrivo.
Avrei trovato la risposta che cercavo qualche secondo dopo, quando entrai in camera da letto per cercare degli abiti per il ragazzo in doccia. Nella stanza, illuminata dalla luce soffusa della lampada da comodino, dormivano beatamente entrambi gli occupanti dell’appartamento. Baekhyun se ne stava rannicchiato al centro del letto, infagottato in un pigiama decisamente troppo grande per lui, che però aveva qualcosa di familiare ai miei occhi. Il gattino invece, se ne stava raggomitolato sotto il suo pomo d’Adamo, in modo che il mento del padrone fosse appoggiato sulla sua schiena. Sembravano essere entrambi sereni e più che tranquilli, forse rassicurandosi a vicenda con la semplice compagnia reciproca, e mi ritrovai a sorridere, contento di aver preso la scelta giusta.
Fu in quel momento, che mi resi conto di dove avevo già visto i pantaloni grigi e la canottiera dello stesso colore che ora stava indossando il ragazzo addormentato: quelle cose erano mie. Continuai a fissare incredulo il mio hyung, che riposava ignaro persino della mia presenza nella stanza, chiedendomi perché mai portasse i vestiti che usavo d’inverno, perché faceva troppo freddo per stare semplicemente in boxer, quando rimanevo a dormire a casa sua. Mi riscossi solo al suono della risata soffocata di Kai, del quale avevo completamente dimenticato la presenza, che ora si trovava alla mie spalle, con un asciugamano legato in vita in modo da non risultare completamente nudo. Quando mi voltai verso di lui, facendogli cenno di fare silenzio per non svegliare né Baekhyun né il cucciolo, lui si limitò ad ammiccare, lasciando la camera con la sua solita andatura convinta, il telo che gli ricadeva sensualmente sui fianchi umidi.
Dovevo ammettere a me stesso che era decisamente un gran bel ragazzo, ma ora come ora, nulla avrebbe potuto distogliere la mia attenzione dalla bellezza fragile e delicata di quello che dormiva sul letto. Non mi era mai sembrato più splendido che in quel momento, mentre riposava apparentemente sereno con Dobi accoccolato sotto il suo mento. E non potei far a meno di sorridere come un idiota, mentre pensavo al fatto che, anche se indirettamente, anch’io ero partecipe ad uno dei pochi momenti normali della sua esistenza tormentata.
Era forse per sentire il mio profumo, che aveva indossato il mio pigiama? Poteva essere che gli mancasse la mia presenza al suo fianco, in quel letto troppo grande per una persona così sola e piccola?
Certo, probabilmente stavo solo viaggiando troppo con la fantasia, imbastendomi illusioni su illusioni… Ma il loro sapore era così dolce e la tentazione troppo grande, anche solo per provare a resistergli. Perché non sperare, in fondo era già un anno e sei mesi che lo facevo con tutte le mie forze e oltre. Ero semplicemente troppo impegnato ad essere di Baekhyun, per potermi innamorare di qualcun altro.

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Capitolo 8
*** The Way You Left Me ***


                                                         




[Prima di tutto, mi scuso per l’irregolarità con cui sto postando ultimamente. Perdonatemi, ma sono stata veramente sommersa da una miriade di impegni che non avevo programmato. In secondo luogo, volevo ringraziare tutti quelli che leggono, recensiscono e/o seguono la mia storia. Senza di voi sarebbe inutile scrivere, non vi pare? /Un ringraziamento speciale alla Bibiru, lettrice affezionata e autrice che ama farmi piangere; se volete impersonare fontane vi consiglio in particolare “è buon tempo per i bombardamenti”. Ah, non ditele che le faccio pubblicità, ssssh./ Detto ciò, vi lascio alla lettura. P.s. L’immagine è molto random, sorry. XOXO]




Non mi ci era voluto molto a convincere Sehun ad aiutarmi; sia perché avevo saputo come sfruttare i dissapori che c’erano tra lui e suo padre, sia perché avevo saputo usare altrettanto bene l’ascendente che sapevo avere su di lui.
In effetti un po’ mi dispiaceva usarlo, ma ero praticamente certo che lui avrebbe fatto lo stesso, se si fosse trovato al mio posto. Per un momento avevo pensato di doverci andare a letto per farlo accettare, cosa che avrebbe sottointeso fare il passivo e non è che mi piacesse molto, invece lui si era limitato a qualche bacio.
Era strano, pensavo di piacergli molto di più, ero convinto che mi trovasse irresistibile… Eppure, vedendo com’erano andate le cose, forse mi ero sbagliato, e sarebbe stata giusto la seconda volta in tutta la mia vita. Era alquanto sconvolgente pensare che la prima volta era stata quella con lui e che le seconda invece riguardava una persona che stavo usando. Ma non era certo il momento di pensare a cosa frullasse nella strana testa di Oh Sehun.
Mi aveva consigliato, che il modo più efficace per riuscire nel mio compito e non farmi ammazzare, era fare in modo che l’attenzione di suo padre fosse rivolta altrove: in pratica, avrei dovuto distrarlo.
Non avevo ben capito cosa intendesse, finché un giorno non mi aveva fatto trovare il cadavere di uno dei “soci” del padre in un vicolo. Mi aveva spiegato che ci voleva qualcosa che lo appassionasse, poiché era un uomo estremamente eccentrico, che ci voleva un personaggio che avrebbe catturato la sua mente malata. Il suo piano, che poi divenne anche il mio, era di far credere al suo genitore che ci fosse qualcuno che voleva indebolire il suo dominio sulla zona, facendo fuori i suoi “alfieri”. Non era una cattiva idea, fino a quando non mi spiegò che sarei dovuto andarmene in giro ad ammazzare gente… in costume come un attore di teatro. Alla fine però avevo capitolato, confidando nel fatto che conoscesse la mia vittima molto più di me, e che sapesse come attirare la sua attenzione.
Mi aveva chiesto se avessi una buona mira e io gli avevo risposto di sì, leggermente irritato dal fatto che non l’avesse capito da solo. A quel punto mi aveva “gentilmente suggerito”, che in questo caso sta a significare “ordinato senza possibilità di appello”, di ucciderli tutti a colpi d’arma da fuoco. Non che avessi mai avuto intenzione di fare altrimenti, ma mi venne spontaneo chiedergli il motivo di quella costante, perché ammazzarli tutti nello stesso modo. Lui si era limitato a liquidarmi con un “è per il personaggio” e a lanciarmi una strana maschera nera e rossa, molto simile a quelle che vendevano in “non mi ricordo quale” città italiana.
Mentre ce ne andavamo, gli avevo chiesto se ci era mai stato, all’estero, giusto per fare conversazione. Mi aveva risposto che sì, ci era stato parecchie volte, e un po’ l’avevo invidiato mentre mi elencava nomi su nomi di capitali europee e metropoli americane. Era stato persino in Egitto… Gli mancava giusto un continente.
Non capivo perché stessi ripensando ora a quella conversazione, appena dopo aver ucciso il primo della lista che mi aveva dato Sehun il giorno prima. Eppure, distratto dall’immaginare le luci di New York, andai dritto addosso ad un passante, maledicendomi immediatamente dopo per la mia stupidità acuta. Non avrei mai immaginato che, il tizio che avevo appena travolto e a cui avevo sporcato di sangue la camicia, potesse essere una persona che conoscevo. Non che lo conoscessi sul serio, avendolo visto solo una volta in vita mia, ma quando lo guardai attraverso le fessure della maschera, non potei fare a meno di imprecare mentalmente: avevo appena investito Park Chanyeol, che ora guardava inorridito la macchia rossa che risaltava sul tessuto azzurro.
Mi piegai su me stesso indeciso su cosa fare, poggiando le mani sulle ginocchia per riprendere fiato, mentre lui si alzava in piedi e si offriva di aiutarmi. Avrei dovuto ucciderlo, o meglio, il buonsenso mi diceva di ucciderlo, in modo che non mi creasse poi problemi in futuro. Il guaio era che non avevo mai ammazzato nessuno che non se lo meritasse, e non volevo che quel ragazzo gentile e dal sorriso contagioso pagasse per i miei errori. Quel poco che era rimasto della mia coscienza, si rifiutava categoricamente di ucciderlo, anche perché mi era stato simpatico da subito. “Hai un istinto infallibile Jongin, non sbagli mai su certe cose.” sentii rimbombare nella mia mente.
-No, la maggior parte non è mio.- lo informai in risposta alla sua domanda, avendo preso la mia decisione.
 
Me ne stavo seduto comodamente sul divano, nel salone dell’appartamento di Baekhyun, con addosso quelli che dovevano essere dei vestiti di Chanyeol, dato che invece di starmi stretti mi erano larghi. Mi ero medicato da solo l’unica ferita che mi ero procurato, un taglio sul palmo della mano destra, quando il tizio moribondo mi aveva afferrato per una caviglia facendomi cadere nella pozza del suo sangue. Ovviamente era morto immediatamente dopo, e non avrei mai saputo cosa pensava di fare trattenendomi, ridotto in fin di vita in uno schifoso vicolo di periferia. Magari voleva solo guardare in faccia chi l’aveva ammazzato, oppure era un estremo tentativo di dire le ultime parole, fatto sta che non era riuscito nel suo intento misterioso.
Mi imposi di non pensarci, osservando il ragazzo alto che si scaldava un bicchiere di latte, con ancora i capelli bagnati per la doccia. Era entrato in bagno subito dopo avermi fornito degli indumenti puliti da indossare, con la raccomandazione di non andare in giro mezzo nudo. Avevo ubbidito giusto perché mi sembrava già abbastanza sconvolto, anche se mi sarebbe piaciuto provocarlo un po’, giusto per vedere la sua reazione.
Era stato dentro parecchio, molto più di quello che mi sarei immaginato, e stavo per cominciare a preoccuparmi quando uscì raggiungendomi in sala. Mi aveva scrutato sospettoso, soffermandosi qualche secondo sulla medicazione alla mano, per poi voltarsi e riempirsi il bicchiere di latte che ora si trovava nel microonde.
-Mi dispiace per i tuoi genitori.- mormorò all’improvviso, talmente piano che quasi non riuscii a sentirlo sotto il “beep” del timer dell’elettrodomestico.
-E’ successo tanto tempo fa, non dispiacerti.- lo tranquillizzai, immaginando che avesse capito che erano morti dal mio discorso sull’eredità, quello che gli avevo fatto in macchina poco prima.
-Lo so che non sono affari miei… Ma sicuro che ne valga la pena?- mi chiese sedendosi al mio fianco. –Nel senso, vendicarsi non serve a molto. Non riporterai indietro nessuno, rischi solo…di raggiungerli.- mi chiarii guardando a terra, chiaramente in imbarazzo.
-Sei più perspicace di quello che credessi, lo sai?- esclamai io, allungando le gambe sul parquet chiaro. –Comunque, hai ragione, la vendetta non serve praticamente a nulla. Però da soddisfazione e poi non ho niente da perdere.- gli spiegai sorridendo, per cercare di alleggerire la questione.
-Perdonami, non avrei dovuto impicciarmi in cose che non mi riguardano.- si scusò cominciando a bere.
-Figurati, pensare che io non ti ho ancora ringraziato.- ribattei annuendo, con la conferma che quel ragazzo era veramente troppo buono.
-Tu mi hai dato un passaggio togliendomi dai guai, ma io non ho fatto nulla per te.- dichiarò perplesso, poggiando il bicchiere vuoto sul tavolino di vetro lì davanti.
-Per prima cosa, non mi stai giudicando ne tantomeno denunciando alla polizia; in secondo luogo, mi hai prestato i tuoi vestiti e ospitato per una notte. Ti sembra niente?- elencai, continuando a sorridergli.
-Beh, la casa non è mia… E per quanto riguarda il denunciarti, non so nemmeno io perché non l’ho fatto.- ammise scuotendo la testa, per poi cominciare a ridere.
 -Perché mi credi: dentro di te, lo sai che quello che ho ucciso se lo meritava.- ipotizzai io, cercando di sembrare più sicuro di quanto non fossi in realtà.
-Non dovremmo essere noi a decidere chi merita di morire e chi no, però...probabilmente hai ragione.- concordò rilassandosi nuovamente sul divano. –Posso chiederti una cosa?- aggiunse un po’ incerto.
-Certo, se non posso risponderti sappi che non lo farò.- puntualizzai, mettendo in chiaro che c’erano cose che non potevo svelargli, fondamentalmente per il suo bene.
-E’ una domanda un po’ personale, parecchio personale…- continuò alzando lo sguardo verso di me.
-Vuoi sapere come sono morti i miei?- provai ad indovinare, dato che è la classica domanda che ti fa la gente quando sa che qualcuno a cui volevi bene non c’è più.
-No, non riguarda quello. Però è comunque molto… intima.- mi stupì lui, con un misto di imbarazzo e curiosità nella voce insicura.
-Dai, spara allora. Sinceramente non ho idea di cosa tu voglia sapere.- ammisi, cercando di immaginare cosa potesse interessargli di me, ottenendo però scarsi risultati.
-Con la vita che fai, sei mai stato innamorato di qualcuno?- si decise alla fine abbassando lo sguardo sulle sue ginocchia, arrossendo leggermente.
Quelle parole non poterono che procurarmi l’ennesima fitta di dolore dove un tempo c’era stato il mio “cuore”: non l’organo, perché quello c’era ancora, ma quella parte di me in grado di amare. Certo che ero stato innamorato, nonostante il mio stile di vita poco tradizionale, e lo ero stato a tal punto di credere di aver perso la capacità di farlo di nuovo. Dopo aver amato una persona in quel modo, dopo avergli donato anima e corpo, non ti rimaneva più niente se non il ricordo di come l’avevi amata. Non credevo di aver ancora la possibilità di amare qualcuno, dopo che l’amore della mia vita se n’era andato in quel modo.
-Sì, lo sono stato. Sono stato innamorato da morire, per questo ora non credo di poter amare di nuovo.- gli rivelai, quando sentii il familiare bruciore agli occhi che precedeva le lacrime. –Perché…me lo chiedi?- sussurrai, mentre lui mi passava un braccio intorno alle spalle, capendo probabilmente che ero sull’orlo del pianto. –Si capisce così tanto che mi manca qualcosa?- proseguii lasciandolo fare.
-No, in effetti no, sembri molto sicuro di te.- mi tranquillizzò annuendo. –Volevo solo avere una conferma, e ancora non so se questo sia un bene o un male.- seguitò sospirando, intanto che io cominciavo a calmarmi riassumendo il controllo delle mie emozioni.
-Lo ami vero?- mormorai, quando fui più che certo che non sarei scoppiato a piangere sulla sua spalla.
 -Di chi parli?- finse di non aver capito, mentre cominciava inconsciamente ad agitarsi in preda all’ansia.
-Del caso disperato che dorme beatamente nell’altra stanza.- lo presi in giro io dandogli di gomito, avendo finalmente recuperato totalmente la mia sicurezza.
-Intendi Baekhyun?- biascicò lui allontanandosi leggermente, guardando con disappunto il mio sorriso.
-Ti pare? Io intendevo il gatto.- lo presi in giro inizialmente, ridacchiando per la sua faccia stupita. –Ovvio che intendevo Baekhyun.- gli confermai alla fine annuendo. –E sai che ti dico? Che non c’è nemmeno bisogno che tu mi risponda, tanto lo so già.- lo stuzzicai facendogli l’occhiolino.
-Davvero?! Beh… Buonanotte allora.- mi augurò scappando verso la camera degli ospiti, rosso in viso fino alla punta delle sue simpatiche e strane orecchie.
Mentre lo guardavo chiudersi la porta alle spalle, per poi riaprirla e lasciare cadere all’esterno un cuscino con tanto di federa, pensai che avrei voluto tanto che fosse felice con la persona che amava. Mi alzai per prendere il guanciale che era senza dubbio per me, destinato a passare la notte sul divano, e mi posi un altro obbiettivo. Invece di prendermi cura di Baekhyun, dato che a farlo c’era già l’altro ragazzo, il mio compito da ora in poi sarebbe stato quello di fargli capire che qualcuno lo amava, che Chanyeol lo amava. Sapevo bene che non sarebbe bastato quello per tirare fuori l’altro ragazzo dall’atrocità in cui stava lentamente annegando, ma sarebbe stato un passo avanti.
 
Era una festa come quella a cui mi ero imbucato qualche tempo fa, solo che il tema era diverso e che questa volta ero uno degli invitati ufficiali. In quest’occasione, l’enorme salone della villa dove viveva Sehun, non era pieno di piume e penne, bensì di pietre luccicanti, glitter e tulle. Come la volta precedente, non potei fare a meno di attirare l’attenzione su di me, solo per poi guardare tutti dall’alto in basso, mettendo il resto degli ospiti in soggezione anche al mio solo passaggio. Ero sempre stato consapevole di essere bello, e per forza di cose avevo anche imparato a vendere al meglio i miei pregi, in modo da nascondere i miei eventuali difetti. Sapevo di avere la pelle scura, color cioccolato, perciò, essendo il tema della festa i colori, avevo scelto di essere il bianco. La mia scelta aveva stupito tutti, ma ricordandosi del mio bellissimo costume da pavone, la mia inconsapevole vittima mi aveva assecondato, promettendomi che sarei stato l’unico a portare quel colore. La cosa ridicola, era che il mio obbiettivo si era lasciato totalmente ammaliare da me, forse illudendosi che io lo “ammirassi” dato il giro in cui ci trovavamo. Fatto sta che così era stato: la pista da ballo era un turbinio dei più disparati colori, ma non c’era nemmeno un tocco di bianco. Forse era anche per questo che la gente si voltava a fissarmi meravigliata, mentre facevo sfoggio del mio completo totalmente bianco, non particolarmente appariscente ma comunque molto più elegante della maggior parte di quelli presenti in sala. La cosa che mi piaceva di più di tutto il mio costume, erano le spirali di Swarovski sulle maniche, che rilucevano sotto la luci psichedeliche del salone, dando quasi l’idea che splendessero di luce propria.
Mentre ancora mi vantavo senza alcun ritegno con chiunque osasse guardarmi, portando svariate fanciulle al quasi svenimento, individuai Tao poco lontano da me, notando come rappresentasse bene il mio opposto in tutti i sensi.
Se io ero completamente vestito di bianco, lui indossava solo il colore nero; come io mi divertivo a stare al centro dell’attenzione, lui se ne stava nascosto nell’angolo più remoto della sala. Lo raggiunsi con poche ampie falcate, incurante dei suoi già vani sforzi di non farsi notare, sapendo che parecchi sguardi seguivano perennemente i miei spostamenti, compreso nei quali sapevo esserci anche quello dell’assassino di tre membri della mia famiglia.
-Io cerco di starmene in disparte, e tu mi vieni a cercare? Grazie mille.- protestò il ragazzo alto, mettendo il broncio.
-Scusami, in realtà cercavo Sehun, ma non lo vedo da nessuna parte.- gli spiegai lanciandomi di nuovo qualche occhiata sprezzante intorno, facendo arrossire qualche ragazza troppo insistente.
-L’ultima volta che l’ho visto, si stava lamentando della stravaganza di suo padre. Come sempre.- mi riferì lui sbuffando esasperato, decisamente stufo di sentire il suo amico ripetergli sempre le stesse cose. –Poi però è stato...distratto da qualcosa e mi ha piantato qui.- aggiunse alzando le spalle. –Io credevo fossi tu.- mi chiarì.
-No, non ero io.- ammisi con una punta di delusione nella voce, domandandomi chi avesse attirato l’attenzione del ragazzo che cercavo, che di solito si lasciava incantare solo ed esclusivamente da me. Era per caso...gelosia?
-Guarda, eccolo là.- mi riscosse il ragazzo dai capelli neri, indicandomi un punto in lontananza al piano superiore.
L’oggetto del mio desiderio, e di quello strano sentimento che sembrava proprio essere gelosia, se ne stava appoggiato al cornicione della balconata che si trovava in cima alla rampa di scale in marmo bianco, la stessa che portava alle camere private della gigantesca residenza. La prima cosa che notai, non furono i suoi pantaloni rossi, né tantomeno la camicia in raso dello stesso colore; la prima cosa che notai dirigendo lo sguardo dove puntava il braccio di Tao, era che Sehun non era solo. Insieme a lui, o meglio avvinghiato a lui, c’era un ragazzetto completamente vestito di lillà, con i capelli tinti di uno strano rosa pallido sbiadito che gli donava particolarmente.
Abbandonai l’altro ragazzo senza dargli spiegazioni, intenzionato a raggiungere i due colombi sul trespolo e ad infastidirli come meglio potevo. Non sapevo nemmeno bene io perché, ma mi dava un fastidio tremendo, vedere come le mani di quel ragazzo scorrevano lascive sul tessuto leggero che copriva il petto di Sehun. E altrettanto tormento mi davano gli sguardi che il mio socio gli rivolgeva, leccandosi le labbra e sussurrandogli chissà cosa all’orecchio, facendo ridere il ragazzo in lillà ancora abbracciato a lui.
-Bel panorama.- esclamai una volta arrivato in cima alla scalinata, senza che nessuno dei due si fosse accorto di me.
-Kai...- sospirò il ragazzo in rosso, guardandomi tra l’esasperato e lo scocciato. –Che cazzo vuoi adesso?- proseguì.
L’altro ragazzo nel frattempo, avevo preso a scrutarmi con un certo interesse, soffermandosi più volte sulle spirali luccicanti del mio completo gessato: dovevano piacergli le cose che brillavano a quanto pareva.
-Niente, solo guardare l’arcobaleno da qua sopra.- mentii alzando le spalle, avvicinandomi ad entrambi sorridendo. –Tu invece saresti..?- domandai allo sconosciuto, che da vicino sembrava quasi essere fatto di fine porcellana.
-Lu Han, piacere di conoscerti.- si presentò lui accennando un inchino, cosa che in quell’ambiente si faceva di rado.
-Incantato.- scherzai io facendogli un inchino vero e proprio, per poi prendere la sua mano e baciarla delicatamente.
Lo sentii ridere, e dovetti ammettere che c’era qualcosa di intrigante in quella sua risata cristallina, apparentemente innocente. Più continuavo ad osservarlo da vicino, più lo trovavo bello e, a modo suo, estremamente attraente.
-Smettila di fare il cascamorto Kai, l’ho visto prima io.- mi rimproverò Sehun mentre tornavo in posizione eretta.
-Non sei all’asilo e lui non è un giocattolo, devi conquistarlo se vuoi averlo.- lo provocai, prendendo il polso dell’altro ragazzo per attirarlo verso di me, cosa che lui mi permise di fare sorridendo soddisfatto.
-Pensavo di averlo già fatto...- mormorò incredulo il ragazzo vestito di rosso, osservando la scena perplesso e stupito.
-Beh, ti sbagliavi. Al nostro Lu Han piace essere conteso, non è così?- indovinai con facilità, sentendo il suo corpo caldo premere con naturalezza contro il mio, fasciato dal completo elegante.
-Perfetto. Faremo a modo suo allora.-affermò il mio socio, avvicinandosi a noi due con un ghigno inquietante, che non prometteva niente di buono, stampato sul volto.
Senza aggiungere altro, fece aderire il suo corpo a quello di Lu Han, prendendogli il viso tra le mani e costringendolo in un bacio che non sembrò dispiacere per niente al più basso dei due. La cosa era divertente certo, ma dal mio punto di vista assumeva anche un aspetto parecchio eccitante, mentre loro due continuavano a baciarsi tra le mie braccia. Se era la guerra che voleva, la guerra avrebbe avuto: non ero intenzionato a farmi battere in campo di seduzione. Perciò, mi chinai sul collo del ragazzo ancora appoggiato a me, cominciando a baciarlo delicatamente, passandogli le braccia intorno alla vita con fare possessivo. Lo sentii tendersi come la corda di un violino, mentre il suo corpo, impegnato su due fronti, si lasciava travolgere dall’improvvisa ondata di piacere procuratagli da entrambi.
Lu Han era quel tipo di preda a cui piaceva giocare con i suoi cacciatori, che preferiva farsi vedere per poi sparire nuovamente tra i cespugli, ricomparendo poi all’improvviso prendendosi gioco del mondo intero: quasi come un cerbiatto. Gli piaceva essere al centro dell’attenzione, lo si capiva chiaramente da come si stava comportando in quel momento, mentre ben due ragazzi si divertivano a giocare col suo corpo. Ancora non mi era chiaro se fosse davvero intenzionato a concedersi ad entrambi, ma la cosa ormai si stava facendo troppo interessante per lasciarla a metà.
Ad un tratto, mentre il ragazzo al centro era preso a ricambiare la piacevole tortura a cui l’avevo sottoposto qualche instante prima, sentii chiaramente le labbra stranamente fresche di Sehun poggiarsi sulle mie, invitandomi ad approfondire il bacio. Non potei negargli quel permesso, mentre i nostri tre corpi si facevano sempre più vicini e accaldati, assecondandolo nel ritmo che aveva dato al bacio. Sentii Lu Han gemere vicino al mio orecchio con la testa reclinata all’indietro sulla mia spalla, mentre il suo fondoschiena era costretto a strusciare contro i miei fianchi. Contemporaneamente, il corpo del ragazzo in rosso, premeva contro il suo intrappolandolo in una gabbia fatta di braccia e gambe, impossibilitandolo a sottrarsi a quel piacevole contatto. Solo quando fu soddisfatto del risultato ottenuto, certo che entrambi stavamo impazzendo di desiderio, si decise a guidarci entrambi in un luogo più appartato, continuando a sorridere malizioso e fiero di sé. Forse c’era qualcosa di sbagliato in tutta quella storia, forse non eravamo io e Sehun ad aver conquistato la preda: probabilmente era avvenuto l’esatto contrario.
 

 

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Capitolo 9
*** The Sharp Edge of a Mirror ***


                                                                           



[Prima di dire qualsiasi cosa, mi scuso per l’ennesimo ritardo: ora che sono rientrata a scuola il tempo per scrivere è diminuito drasticamente, sigh. In secondo luogo, devo ammettere che ho avuto molti dubbi nell’ultimo periodo sul fatto di continuare o no questa storia. I motivi sono svariati, ma uno dei tanti è che mi sto pentendo della direzione che diedi al plot quando nacque. Nonostante tutto non ho voglia né tempo per modificare le cose, allo stesso tempo non mi va di lasciare l’ennesima storia incompleta. Indi per cui sappiate che la trama non piace più nemmeno a me, più o meno. Chiarito questo, vi avverto che la parte iniziale di questo capitolo è molto brutta e tratta di un tema molto molto delicato: spero di non aver combinato casini, perché scriverla mi è costato un sacco. Ovviamente, se leggete qualcosa di inappropriato o indelicato, vi supplico di dirmelo. Concludendo, grazie tanto alla Bibiru e alla ZessCode per il supporto morale: è anche per voi che questo capitolo è qua, ricordatevelo. p.s. Perdonatemi eventuali errori, ma al momento non mi prende di rileggere, scusate tantissimo. XOXO]




Mi ero sempre domandato come, una persona come me, potesse essere stata così fortunata almeno in campo lavorativo. Non solo guadagnavo più che bene, ma facevo anche un lavoro che mi piaceva non troppo lontano da casa mia, una ventina di minuti a piedi al massimo. Sotto quell’ambito, mi sentivo quasi realizzato ed era anche l’unico posto dove mi sentissi quasi sereno, escludendo i momenti in compagnia di quella pertica sorridente denominata Park Chanyeol. In realtà, né quest’ultimo né il lavoro, mi sembravano motivazioni sufficienti per provare a vivere una vita normale, o almeno non ancora. Di recente però, le parole di Kai continuavano a rimbombarmi nel cervello, in ogni momento in cui la mia mente non fosse concentrata altrove. “Se continui ad essere così fottutamente acido, scapperà via anche lui.”, mi aveva detto quando mi aveva riportato i vestiti, riferendosi al ragazzo al mio fianco. Cominciavo a rendermi conto, per mia sfortuna, che non avrei saputo come fare, se mi avesse abbandonato anche lui, sapendo però che avrebbe avuto tutte le buone ragioni per farlo. Il problema, l’enorme guaio, era che avevo cominciato a considerare la sua presenza scontata, eppure, ogni volta che lo trovavo a casa o che entrava dalla porta d’ingresso, il mio cuore perdeva un battito. Non era felicità, poteva esserne lo spettro probabilmente, o forse era qualcosa di ancora diverso: avevo dimenticato da tempo, come fosse provare determinate emozioni che mi ero precluso anni addietro.
Stavo per perdermi di nuovo nei ricordi di quel giorno di otto anni fa, quando sentii qualcuno venirmi addosso, sulla strada che mi portava dal negozio dove lavoravo a casa. Alzai lo sguardo verso l’individuo, almeno per fargli notare che avrebbe dovuto scusarsi, ma non appena i miei occhi incontrarono i suoi, decisi che non era il caso di fargli notare proprio niente. Mi allontanai di qualche passo, per poi scusarmi velocemente e superarlo affrettando il passo, con una certa ansia di arrivare nel mio appartamento. Non so bene perché mi fossi comportato così, ma c’era qualcosa che non mi piaceva nella faccia di quell’uomo, il modo in cui mi guardava mi aveva spaventato e fatto venire voglia di scappare. Che reazione ridicola per un ragazzo di ventiquattro anni, stavo pensando mentre scuotevo la testa. Mi stavo ancora dando del bambino, quando sentii qualcuno afferrarmi per un braccio, facendomi vedere le stelle dal dolore a causa dei tagli, e mi girai verso la persona in questione inviperito. Rabbrividii, rendendomi conto che era lo stesso tizio di prima, e mi odiai per aver scelto di fare il turno di pomeriggio, dato che ora la strada era decisamente meno affollata che di giorno. Cercai di non partire in quarta, nonostante la sensazione che avessi fosse tutt’altro che buona, invitando con educazione quell’uomo a lasciarmi tornare a casa. La risposta che mi diede non fece che peggiorare le cose: mi avrebbe fatto tornare a casa, solo dopo aver “giocato” con me. Spalancai la bocca, domandandomi se per “giocare” intendesse quello che pensavo, e cominciai a guardarmi intorno inorridito. Tutti quelli che si trovavano in giro a quell’ora, erano sicuramente persone che tornavano a casa dopo una stancante giornata di lavoro, troppo presi dalla fretta di rincasare o dalla spossatezza per notarmi. Anche perché la voce aveva deciso di abbandonare momentaneamente la mia gola, impedendomi di urlare o di emettere alcun suono che non fosse qualche basso lamento. L’uomo sorrise, o meglio, storse la bocca in una strana smorfia che avrebbe dovuto sembrare un sorriso, forse perché persone del genere non erano capaci di sorridere normalmente. Non appena mi accorsi che la presa sul mio braccio si era allentata, seppur di poco, ne approfittai per liberarmi con uno strattone, ignorando il dolore delle pelle che si squarciava nuovamente. Mi girai e cominciai a correre senza nemmeno rendermi conto di che direzione avevo preso, mentre sentivo il familiare liquido caldo colarmi sotto le fasce, fino a raggiungere il polso. Il sangue cominciò a gocciolare nel mio palmo, fino a bagnarmi le dita e cadere sull’asfalto del marciapiede, costringendomi a fermarmi senza fiato per constatare l’entità del danno. Peccato però, che non appena cominciai a tirarmi su la manica della giacca, il tizio poco raccomandabile mi afferrò per il braccio ancora sano, questa volta facendomi urlare dallo spavento. Qualcuno si girò, semplicemente per poi voltarsi dall’altra parte, credendo forse che fosse un mio parente o qualcosa del genere, proseguendo tranquillamente per la loro strada. Non mi rimaneva che dibattermi, mentre l’uomo mi trascinava non so esattamente bene dove, con un braccio inutilizzabile e l’altro bloccato nella sua morsa. Avevo paura, paura di essere costretto a fare qualcosa di estremamente umiliante, perché non era certo il dolore a preoccuparmi. Allo stesso tempo però, in un momento del genere, avevo paura anche di quello, perché non ero stato io a cercarmelo e non sarei stato io a goderne: non volevo che mi guardasse, che mi toccasse. Cominciai a implorarlo di lasciarmi andare, senza ovviamente ottenere nessun risultato, se non quello di farlo ridere dei miei tentativi inutili.
Mi stavo quasi rassegnando a quell’orribile trattamento, imponendomi di cercare di farlo essere il meno penoso possibile, quando l’uomo davanti a me si bloccò all’improvviso, strattonandomi con malagrazia. Serrai gli occhi, non osando guardare quello che sarebbe avvenuto da lì a poco, mentre sentivo le lacrime cominciare a solcarmi le guance, lasciando una scia calda sulla pelle del mio viso. Ad un tratto però, la presa sul mio braccio svanì ed io barcollai all’indietro stupito, alzando lentamente le palpebre, solo per vedere il molestatore steso a terra, con una mano premuta sul naso sanguinante. Il sollievo mi pervase, quando lo vidi alzarsi e superarmi con una spallata, buttandomi a terra, ma almeno lasciandomi lì senza farmi altro. Alzai gli occhi ancora pieni di lacrime verso il mio soccorritore, tenendomi il braccio sanguinante con l’altra mano, non essendo in grado di alzarmi da solo. Rimasi quasi shockato, nel constatare che conoscevo la persona che mi aveva aiutato, sottraendomi ad un destino più che orribile. Si chinò su di me, senza nemmeno darmi il tempo di ringraziarlo a dovere, aiutandomi ad alzarmi con aria preoccupata e passandomi un braccio intorno alla vita, com’era ormai quasi d’abitudine.
-Come ti senti? Ti ha…toccato?- mi chiese, mentre io mi stringevo involontariamente a lui, ricominciando a piangere per la tensione accumulata e per il sollievo di essere finalmente al sicuro. -Ti porto a casa.- mi disse ricambiando la stretta, dopo che l’ebbi rassicurato scuotendo il capo, per fargli capire che grazie a lui non aveva avuto il tempo di farmi nulla. –Lo lascerò per ultimo, in modo che sappia che la morte sta arrivando a prenderlo.- lo sentii mormorare tra sé e sé, troppo confuso per chiedergli di cosa stesse parlando e a chi si riferisse. –Voglio che quel verme schifoso sappia che ogni azione si paga.- continuò, mentre sentivo la rabbia cieca crescere nella sua voce.
L’ultima cosa che vidi, prima di svenire tra le braccia del mio salvatore, fu il familiare portone del mio palazzo, segno che ero finalmente arrivato a casa; l’ultima cosa che percepii invece, fu la sensazione piacevole di essere preso in braccio, beandomi del calore che emanava il suo petto come la prima volta.
 
Qualcuno mi stava accarezzando i capelli; qualcuno con un tocco gentile e delicato, le dita calde che ogni tanto mi sfioravano la fronte, spostando la frangia rossastra. Se non mi fosse stato chiaro sin dal principio che quelle erano le mani di un uomo, avrei quasi creduto di essere tornato indietro nel tempo, a quando mia madre era viva e mi metteva a letto la sera. Avevo il sospetto di conoscere già l’identità del ragazzo che mi stava abbracciando, perciò aprii lentamente gli occhi per verificare se avessi ragione. Solo per scoprire che mi sbagliavo: mi sarei aspettato di trovarmi davanti il viso di Kai, dato che era stato lui a riportarmi a casa, invece quello che si presentò ai miei occhi era il sorriso tutto denti di Park Chanyeol. Aveva stampata sul volto la solita espressione da cucciolo mezzo idiota, però ormai lo conoscevo abbastanza bene da capire quanto in realtà fosse preoccupato, cosa che mi dispiaceva un po’.
Mentre lui ancora sorrideva, sentii una presenza familiare strusciarsi contro il mio collo, regalandomi la sensazione di morbidezza e calore che avevo cominciato ad apprezzare. Dobi, il gattino nero che mi aveva regalato proprio l’altro ragazzo, cominciò a fare le fusa rannicchiandosi come al solito sotto il mio mento, leccandomi piano una guancia. Inizia ad accarezzargli la testolina, percependo che anche lui doveva aver capito che c’era qualcosa che non andava, cercando di rassicurarlo come meglio potevo.
-Era preoccupato per te, non è stato zitto un secondo.- mi informò il moro ancora sdraiato al mio fianco.
-Povero amore…- mormorai al micio che cominciava a rilassarsi. –Kai è andato via?- gli chiesi alzando gli occhi su di lui, domandomi cosa gli avesse raccontato effettivamente il mio soccorritore.
-No, è in cucina a fare il latte. Ha detto che è l’unica cosa che sa cucinare.- mi rispose annuendo. –Mi ha chiesto di “dargli il cambio” quando sono arrivato, hai avuto gli incubi hyung.- mi rivelò stringendo involontariamente la presa intorno alle mie spalle, facendomi notare che indossavo il pigiama.
-Mi dispiace… Non dovreste preoccuparmi.- sbiascicai, sentendomi la persona più orribile ed ipocrita dell’universo, perché in realtà ero contento della sua presenza nel mio letto.
-Me l’hai ripetuto un’infinità di volte, quando capirai che non serve a nulla?- sbuffò lui esasperato.
-Ancora non capisco perché mi hai preso tanto a cuore.- ammisi perplesso, osservando Dobi che crollava addormentato grazie alle mie carezze, come faceva quasi tutte le sere.
-Mi dicono che ho un debole per i casi disperati.- affermò alzando le spalle, mentre io spostavo piano il gattino in quella che ormai era la sua “parte” di letto, attento a non svegliarlo di nuovo.
-Non mi puoi aiutare, nessuno può.- sbottai io, sentendo l’ansia crescere dentro di me senza un motivo apparentemente valido, decidendo di alzarmi e raggiungere Kai in cucina.
-Lasciami provare, tanto non mi arrendo così facilmente.- ribatté lui afferendomi per il braccio a cui mi ero fatto male poco prima, facendomi mugolare per il dolore.
-E’ proprio questo il tuo problema: non demordi.- lo accusai voltandomi, per poi lasciarmi riportare a letto, seduto sulle sue gambe innaturalmente lunghe. –Qualsiasi altra persona sana di mente, non perderebbe ancora il suo tempo con uno come me dopo un anno e mezzo. Perché tu invece sì?- mi lamentai, non avendo però la forza di cacciarlo o di fare cose di quel genere.
-Non posso dirtelo hyung, è un segreto.- scherzò lui come al solito, poggiando la testa sulla mia spalla.
-Sei proprio un coglione senza speranze, Chanyeol.- lo rimproverai, meravigliandomi del tono lamentoso con cui era uscita fuori la mia voce mentre parlavo.
-Posso chiederti quando e perché hai cominciato a…farti del male?- mi sorprese facendosi improvvisamente serio, passandomi le braccia intorno alla vita.
-Otto anni fa, andavo ancora a scuola. Per quanto riguarda il perché, posso dirti che era per distrarmi dal dolore psicologico.- gli confessai, stupendomi di me stesso. –Non pensavo che sarebbe diventata una dipendenza, quando l’ho fatto le prime volte.- continuai massaggiandomi le tempie.
-Avevi sedici anni giusto?- mi interruppe lui, facendomi sdraiare di nuovo con la schiena sul materasso.
-Sì esatto, sai fare bene i conti.- mi complimentai sorridendo, più per alleggerire l’aria che per altro.
-Come mai soffrivi così tanto da non poterlo sopportare? Psicologicamente intendo…- mi domandò, pensando bene di approfittare di quel mio momento di apertura nei suoi confronti.
-Perché mia madre aveva il cancro, di nuovo.- lo accontentai, cercando di non piangergli addosso. –Dopo tre anni è morta, e mio padre l’ha seguita quattro mesi dopo. Si è lasciato morire d’amore, non poteva stare senza di lei.- gli raccontai nascondendo il viso sulla sua spalla. –Ovviamente le cose sono degenerate, da quando non dovevo più…nascondermi davanti a loro. In più ero maggiorenne da un anno quando se ne sono andati, perciò eccomi qua.- proseguii respirando profondamente.
Lui non disse niente, cosa che apprezzai molto, dato che qualunque cosa avesse detto sarebbe stata completamente inutile; si limitò a cullarmi tra le sue braccia, stringendomi forte ma allo stesso tempo delicatamente, senza farmi sentire dolore da nessuna parte. Era la prima persona a cui confidavo il motivo che mi aveva portato a quella droga, ma sapevo che a lui potevo dirlo: che anche se non fosse riuscito a comprendere le mie azione, ne avrebbe almeno capito il motivo. Con Chanyeol stavo…bene.
Lo realizzai solo in quel momento, mentre lui cominciò a sussurrarmi parole rassicuranti all’orecchio, poiché si era accorto che avevo cominciato a tremare visibilmente. Non sapevo bene nemmeno io cosa mi facesse rabbrividire, se il ricordo di mia madre o la tensione accumulata per lo scampato stupro, sapevo solo che se non ci fosse stato lì lui, probabilmente mi sarei sfogato in qualche maniera deleteria. Probabilmente avrei infierito ancora sui miei polsi, o mi sarei indotto il vomito…c’erano tante di quelle possibilità. Il punto era che non lo stavo facendo, ed era solo grazie a quel ragazzo smisuratamente alto.
Credevo ormai di non essere più capace di provare affetto, per merito suo invece ero stato costretto ad ammettere che non era così, poiché mi ero affezionato immediatamente al cucciolo che mi aveva regalato; pensavo che non sarei mai più stato in grado di preoccuparmi per qualcuno, e anche lei avevo dovuto capitolare, dato che per lui mi preoccupavo eccome; ero convinto di aver perso qualsiasi capacità di amare, di provare amore…ma mi ero sbagliato di nuovo, perché non avrei saputo come altro definire quel misto di sensazioni che mi pervadevano quando ero con lui. Era così incredibile, così improbabile, che mi ero deciso a considerarlo impossibile. Il fatto che fossi innamorato di lui però, non cambiava affatto le cose: come avrei potuto amarlo nel modo giusto, se non riuscivo a volere bene a me stesso? Come potevo trattarlo come meritava e rispondere alla sue necessità, se mi odiavo sin dal primo giorno in cui avevo cominciato a sfregiarmi? Non potevo, semplicemente non ne sarei stato capace.
-Non mi lasciare… Non mi abbandonare anche tu.- piagnucolai alla fine, pentendomene subito dopo.
-No che non ti lascio, io voglio restare.- mi rassicurò lui, baciandomi una guancia con incertezza. –Vado a controllare che Kai non abbia fatto saltare in aria la cucina, aspettami qua.- esclamò alzandosi col sorriso. –Ti porto una bella tazza di latte caldo, ne hai bisogno.- mi spiegò, prima di uscire dalla stanza.
Mi sentii immediatamente solo e triste, quando vidi la sua ampia schiena sparire tra gli stipiti della porta, mentre si apprestava a raggiungere l’altro ragazzo in sala. Perciò, non potei fare a meno di prendere in braccio Dobi, interrompendo il suo pacifico sonno, per poi cominciare ad accarezzarlo. Il gattino non sembrò affatto volermene, per averlo svegliato così brutalmente, iniziando a fare le fusa tra le mia braccia, mordicchiando le mie bende per gioco come faceva spesso per divertirsi.
 
Il giorno dopo, nonostante la ferma opposizione di Kai e Chanyeol, uscii di casa alla solita ora per andare a lavoro, non intenzionato a lasciarmi condizionare dagli avvenimenti del giorno prima. In realtà, se si fosse trattato dello stesso orario di ieri, probabilmente mi sarei inventato qualche scusa per non andare, ma essendo il turno prima di pranzo, mi sentivo alquanto più sicuro. Solo quando ormai ero a metà strada, mi ricordai che quel giorno avrei dovuto attaccare un’ora dopo, dandomi dell’idiota per essermene dimenticato. Tornare indietro sarebbe stato controproducente, anche solo per il fatto di dovermi sorbire quei due che si erano piazzati a casa mia, ma anche perché non avrei fatto in tempo a raggiungere il mio piano che sarei dovuto riuscire di nuovo. Mentre ancora riflettevo su come impiegare tutto quel tempo extra, mi imbattei nella nuova pasticceria che aveva aperto non meno di due settimane fa; da fuori non sembrava male. Stavo ancora osservando i dolci in vetrina, ignorando il fatto che avessi già fatto colazione, quando mi ricordai di una conversazione avuta un paio di giorni fa con l’amante dei casi disperati. Mi aveva detto di esserci stato, e aveva anche portato un paio di paste, e che aveva incontrato un ragazzo che conosceva; si era messo a raccontarmi che questo tizio, la mattina se ne stava lì in mezzo ai fiorellini e ai colori pastello, mentre la sera faceva il barista al pub dove si era ubriacato la sera che avevamo visto il film. Ebbi la forte tentazione di ringraziarlo, per essersi assicurato che il mio cucciolo tornasse a casa sano e salvo, e senza rendermene conto ero già dentro per vedere se lo riconoscevo. Scossi immediatamente la testa, shockato dalle mie stesse azioni facendo per uscire, quando il profumo di dolci mi fece ricordare che avevo del tempo extra da perdere. Che male c’era ad assaggiare qualcosa? Assolutamente nessuno. Stavo giusto cominciando a guardarmi in giro, che notai una ragazza seduta ad un tavolo fissarmi socchiudendo gli occhi, come se cercasse di riconoscere in me qualcuno che aveva già visto da qualche altra parte. Le lancia un’occhiata di sfuggita, assicurandomi che sì, ci eravamo già incontrati, in quanto era una delle ragazze che avevo truccato con più piacere, essendo mezza occidentale. Non capitavano spesso clienti stranieri in negozio, perciò mi era rimasta impressa quella bionda, se non altro perché era anche la cugina di Sehun, l’unico ragazzo a cui mi ero concesso una seconda volta. La salutai con la mano sorridendo, gesto che ricambiò con piacere, per poi tornare agli appunti che aveva davanti, lasciandomi scegliere cosa volevo ordinare in tranquillità assoluta.
-Serve una mano?- mi chiese un ragazzo da dietro il bancone, con un sorriso quasi più dolce della torta che stavo guardando da quando avevo messo piede dentro.
-Vorrei prendere tutto, anche se credo di aver già scelto inconsciamente.- gli risposi, tirando fuori un minimo di gentilezza da non so bene quale remoto angolo del mio misero corpo.
-Ti posso fare una domanda?- sussurrò lui, sporgendosi in avanti con fare cospiratorio e una strana espressione sul viso dai tratti delicati, che lo faceva sembrare molto più giovane di quello che doveva essere.
-Mi avvalgo della facoltà di non rispondere in anticipo, se mi sembrerà opportuno non farlo.- gli concessi, incuriosito da tutta quella sua confidenza e da cosa volesse sapere.
-Ti chiami Baekhyun per caso?- proseguì dopo aver annuito alla mia condizione, lasciandomi a fissare i suoi occhi sconcertato, non capendo come avesse fatto ad indovinare il mio nome. –Oh, Channie è bravo a descrivere le persone. Ho capito subito che eri tu.- mi spiegò ammiccando.
Così quello era il “pasticciere picci picci” di giorno e il “barista tutto brillantini” la sera, nonché il conoscente di Chanyeol. E a quanto pare, quest’ultimo, non si era dato problemi a fornirgli il mio identikit.
-Ma non ha un caz-…nient’altro da fare?- mi corressi arrossendo leggermente, imbarazzato per il termine che stavo per usare davanti ad un completo sconosciuto.
-Sento molto peggio sull’altro posto di lavoro, credimi.- mi tranquillizzò ridacchiando. –Scommetto che è questa che vuoi.- indovinò indicando la torta che mi aveva attirato da subito.
-In realtà…Non so nemmeno cosa sia, mi piaceva…l’aspetto.- confessai annuendo incerto, mentre leggevo il nome sul suo cartellino: Kim Minseok. –Comunque ho cambiato idea, voglio quel cosa là.- lo informai, indicando un piccolo bicchierino di cioccolato con dentro la panna.
-Almeno sai cos’è no?- scherzò lui servendomi, sempre con il sorriso dolce sul volto da bambino. –Comunque quella torta si chiama “Biancaneve” ed è una sottospecie di strudel, solo con il cioccolato intorno.- mi chiarì lui, indicando la tortina con la glassa rossa e bianca che avevo puntato all’inizio.
La prima frase che mi venne in mente fu “Specchio, specchio delle mie Brame...”.
 
 

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Capitolo 10
*** Like a Revolver ***


                                              




[Che dire, sono sparita per mesi.
Mi dispiace moltissimo essermi volatilizzata in questo modo, ma tra mancanza di tempo e impicci vari, proprio non ho potuto fare altrimenti. Il mio pc ha ripreso miracolosamente a vivere un’oretta fa, perciò ne approfitto per aggiornare. Immagino che la mia storia sia finita nel dimenticatoio, anche per quei pochi che la seguivano, ma non si sa mai. Ormai è una sfida con me stessa completare questa fic, una questione personale. Se poi dovessi sbagliarmi e ci fosse qualche anima pia a cui ancora interessa, sarebbe una piacevole sorpresa. Fatemi sapere i vostri pareri, dopo questo lungo periodo di stasi.
Vi lascio alla lettura.]




Like a Revolver
Non c’era giorno che odiassi più della domenica, soprattutto se la notte prima avevo dormito poco e male, tormentato da incubi che nemmeno ricordavo. Mio padre pretendeva che in quel giorno facessimo colazione insieme, si divertiva a fare la persona “normale” chiedendomi come stavo e cose del genere. Era una recita davvero penosa, perché entrambi sapevamo che lui mi avrebbe fatto quasi sempre le stesse domande e che io avrei dato sempre le stesse risposte. Eppure a lui piaceva; si divertiva da morire a vedermi contorcere sulla sedia, ogni volta che toccava un tasto che sapeva essere dolente per me. Come quando mi diceva che anche lui sentiva molto la mancanza di sua moglie e che per fortuna aveva me: non poteva essere più ipocrita e falso…e non c’era modo migliore per torturarmi psicologicamente. Una volta avevo anche reagito, ma era stato peggio, dato che si era messo a ridere ricordandomi per l’ennesima volta che somigliavo molto più a lui che a lei. Era una delle cose che chiedevo spesso a mia madre, il motivo per cui avesse sposato un mostro simile, cosa l’aveva portata a scegliere un uomo del genere, a generarci dei figli. Per quanto mi concentrassi, per quanto mi sforzassi, quella era una delle domande a cui non avevo mai avuto risposta.
-Che ne pensi del ragazzo nuovo?- mi chiese mio padre con un sorriso, distogliendomi dai miei pensieri.
-Sa il fatto suo credo. Non ha portato a termine tutti gli incarichi che gli hai affidato finora?- risposi continuando a tenere lo sguardo basso, sulla tazza di latte caldo davanti a me.
-Sì esatto, e ha anche rotto il naso al mio asso. Lo sapevi questo?- mi informò, facendomi cadere di mano il cucchiaino per la sorpresa: era così che Kai “teneva un basso profilo”? Quel ragazzo non mi ascoltava.
-In realtà no, non siamo poi così amici.- ammisi alzando le spalle, per poi bere tutto d’un fiato il latte rimasto. –Ma come mai ha fatto una cosa del genere? Ci stava provando con lui?- domandai cercando di non sembrare interessato, quando in realtà sapevo bene quanto fosse pervertito l’uomo di cui stavamo parlando.
-No figliolo, lo so che quel ragazzo ti piace. Non te lo toccherà nessuno.- mi sorprese di nuovo ridacchiando, facendomi stringere i pugni sotto il tavolo per resistere alla tentazione di alzarmi e spaccargli la faccia.
-E allora perché avrebbe dovuto fare una cosa simile?- continuai, cercando di ignorare la sua frecciatina.
-Da quello che ho capito, l’ha beccato che stava tentando di farsi uno che conosceva. Ovviamente la cosa non gli è piaciuta e gli ha rotto il naso.-disse tranquillamente, come se quella di provare a stuprare un povero ragazzo fosse una cosa da niente, completamente nella norma.
-Ho finito, posso andare?- cercai di affrettarmi, avendo passato già troppo tempo con quel’essere immondo.
-Certamente tesoro.- acconsentì lui sorridendo di nuovo.-E mi raccomando, dì al nostro caro ragazzo che ora si è fatto un nemico. Ah, lo stavo quasi dimenticando, digli anche che gli ha fatto una promessa: ha giurato che quando avrà finito col suo amico, gli spezzerà ogni osso del corpo. Sai, come risarcimento per il naso.- mi spiegò, rimanendo impassibile con quel suo sorriso mostruoso.
-Mi fate tutti schifo.- sibilai sputando a terra, per poi voltarmi senza degnarlo più di uno sguardo, sapendo che purtroppo quell’uomo non scherzava.
Praticamente scappai dalla stanza, con un forte senso di nausea a stringermi la bocca dello stomaco, immaginando che ricevere un trattamento del genere fosse la cosa più brutta che potesse capitare ad una persona. Io avrei preferito morire che vivere con quella vergogna, con quel ricordo a tormentarmi tutte le notti ed ogni volta che chiudevo gli occhi. Non riuscivo a smettere di pensarci e presto dovetti correre in bagno, a vomitare la misera colazione appena fatta. Come potevano parlare di cose del genere senza sentirsi male? Come potevano fare cose del genere senza pentirsene nemmeno un po’? Non me ne sarei mai capacitato, mi faceva tutto troppo ribrezzo quel posto. Ormai non vedevo l’ora di poter attuare il mio piano, e non solo per aiutare Kai con la sua vendetta…ma perché cominciavo a volerlo vedere morto quasi quanto lui, se non di più. Forse l’avevo sempre desiderato nel mio profondo, ma non avevo mai avuto il coraggio di ammetterlo a me stesso. Era appena mattina ed ero già stanco morto, perfetto.
                                     
Cercai di riferire a Kai ciò che mi era stato detto con le migliori parole possibili, ma ovviamente tutto rimaneva quello che era: una minaccia è pur sempre una minaccia. Non l’avevo mai visto in quello stato, e non mi ero sentito di fare alcun commento sulla sua reazione, lasciandogli sfogare la rabbia a modo suo. La casa era la sua, se voleva metterla a soqquadro ne aveva tutto il diritto in fondo. Me ne rimasi seduto sul divano, fino a che non raggiunse il limite di sopportazione: aveva cominciato ad urlare come un ossesso, maledicendo un po’ tutto e tutti…poi si era accasciato a terra l’improvviso, cominciando a singhiozzare in silenzio. Solo a quel punto mi avvicinai, passandogli un braccio intorno alle spalle e aiutandolo ad alzarsi da terra, ormai cosparsa dei vetri delle cornici vuote che aveva lanciato contro il muro poco prima.
Ti illudi di aver aiutato una persona, di averla sottratta da un destino orribile nonostante tu stesso ti definisca orribile, solo per poi scoprire di averla condannata ad una sorte addirittura peggiore. Sapevo quello che significava, sentivi il mondo caderti addosso, con tutta l’ineluttabilità del tuo essere completamente inutile. Una volta, tre anni fa, avevo difeso Tao da un ragazzo che l’aveva insultato perché cinese: ovviamente poi ci avevano frustati entrambi, perché quello era il figlioccio di non ho mai capito bene quale capo criminale. Di sicuro però, ci era andata molto meglio che a quel ragazzo sconosciuto, per cui avevo ormai simpatizzato.
Kai si riprese in fretta, asciugandosi le lacrime con stizza e allontanandomi con uno spintone, a causa del quale mi ritrovai col fondoschiena sul pavimento e un grosso pezzo di vetro conficcato in un palmo. Emisi uno strano sibilo di dolore, mordendomi la lingua per non urlare, per poi studiare il danno con occhio clinico: non sembrava essere troppo grave, di sicuro stavo più bene io che l’altro ragazzo.
-Mi dispiace.- mormorò mentre mi sfilavo la scheggia dalla mano. –Ero un po’…scosso.- aggiunse tendendomi la sua, per aiutarmi ad alzarmi.
-Figurati, penso sia…normale.- lo tranquillizzai accettando la sua offerta, facendomi tirare su da lui.
Quello che fece dopo però, non l’avevo previsto e nemmeno ci avrei creduto se me l’avessero detto. Mi attirò verso di lui, facendo cozzare il mio petto contro il suo, stringendomi poi con le braccia, quasi in una specie di prigione umana. In realtà non era affatto una gabbia, né niente di così particolare: era semplicemente un abbraccio. Mi strinse talmente forte da farmi quasi male, mentre io me ne rimanevo immobile, troppo sorpreso per poter pensare di fare qualunque cosa che non fosse impormi di respirare. Eppure, in quella morsa, persino respirare era inebriante, dato che non potevo fare a meno di inspirare il suo odore, con il viso estremamente vicino al suo collo scoperto. Alla fine ricambiai l’abbraccio, incurante del fatto che gli avrei rovinato la maglietta a causa della mano insanguinata, passandogli le braccia intorno al busto e poggiando la testa sulla sua spalla. C’era qualcosa di rassicurante in quel gesto, qualcosa che non avevo provato né quando ci eravamo baciati nella mia camera da letto, né quando ci eravamo divisi Lu Han alla festa di qualche sera prima. Avevo ricevuto molto più sentimento in quell’abbraccio, che in tutti i baci e le carezze che avessi mai ricevuto da lui o dal altri. Mi sentivo quasi in colpa, sapendo che tutto ciò era avvenuto perché un suo conoscente rischiava di essere violentato ogni volta che metteva piede fuori di casa. Senza nemmeno saperlo per di più. Era un pensiero alquanto orribile e penoso da fare in quel momento, perciò lo relegai in un angolino della mia mente per andarlo a ripescare solo in seguito, godendomi a pieno tutte le sensazioni che mi trasmetteva il corpo di Kai stretto al mio.
-Sehun…- sussurrò con le labbra fin troppo vicine al mio orecchio, facendomi rabbrividire a causa del suo respiro caldo sulla mia pelle. –Perché rovino sempre la vita a tutti quelli che mi si avvicinano?- mi chiese sospirando, poggiando il mento sulla mia spalla con fare sconsolato.
-Non è colpa tua, è il destino che prova gusto ad accanirsi sempre con le stesse persone.- lo rassicurai accarezzandogli lentamente la schiena, mentre lui cominciava a distendersi un po’.
-Sarei dovuto morire anch’io con i miei genitori, se solo non fossi stato un bambino disubbidiente.- mi disse all’improvviso, sorridendo rassegnato. –Ogni volta che mi chiamavano per andare a cena, rispondevo sempre “cinque minuti”, e arrivavo in ritardo ogni volta. Per questo sono vivo.- mi raccontò. –Ma non dovrei auto-commiserarmi davanti a te, non hai certo avuto una vita facile.- si riscosse sciogliendo l’abbraccio, con mio sommo dispiacere ed un certo disappunto.
-Ti porto a mangiare fuori.- gli dissi con tono imperativo, prendendolo per mano e conducendolo fino alla sua camera da letto. –Perciò, penso che sia opportuno che tu ti cambi.- aggiunsi, ignorando la sua espressione tra lo sconvolto e il meravigliato.
-Sei impazzito?- ipotizzò mentre frugavo nel suo armadio, incurante del disordine che mi stavo lasciando dietro lanciando vestiti a destra e a manca.
-Molto probabile, ma non è questo che conta al momento.- annuii osservando attentamente un paio di jeans chiari. –Questi non sembrano essere della tua misura...- dichiarai esprimendo ad alta voce la mia perplessità.
-Non mi pare di averti dato il permesso di guardare nel mio armadio.- mi rimproverò strappandomi di mano l’indumento incriminato. –Ringrazia il cielo di non averlo sporcato.- bofonchiò piegandolo con cura.
-Metti questi.- lo ignorai decidendo di non prendermela per come ero stato appena trattato, conscio del fatto che dovesse essere ancora relativamente sotto shock.
In tutta risposta Kai afferrò con malagrazia gli abiti che gli porgevo, andandosi a barricare nel bagno della sua stanza a passo di marcia, lasciandomi da solo in piedi in mezzo al caos procurato dall’uragano “Sehun”. A quel punto, troppo in ansia per non fare niente ma troppo spossato per fare qualcosa di costrittivo –tipo riordinare-, decisi di prendere in prestito, dal fornito guardaroba dell’altro ragazzo, un paio di pantaloni neri strappati sulle ginocchia e una t-shirt dello stesso colore stinto. Non avevo un vero motivo per cambiarmi, ma sentire costantemente il suo profumo addosso aveva un non so che d rilassante, per non parlare del fatto che ero dannatamente curioso di scoprire la sua reazione.
-Ti dona il total black.- esordì appoggiato allo stipite della porta del bagno, facendomi sussultare sorpreso.
-Hai fatto molto in fretta, non me lo aspettavo.- gli rivelai, finendo di aggiustarmi i suoi vestiti neri addosso.
-Stavo meditando se farti aspettare una o due ore, prima di uscire.- confessò sorridendo in quel suo modo insopportabilmente sensuale. –Poi mi sono reso conto che ero troppo curioso, per attuare la mia vendetta istantaneamente.- concluse alzando le spalle, per poi avvicinarsi quasi ancheggiando.
-Sei ossessionato dalla parola “vendetta”, sembra quasi che tu non riesca a vivere senza pronunciarla almeno una volta al giorno.- lo presi in giro dirigendomi verso l’ingresso.
-Forse è davvero così, chi può saperlo.- cantilenò uscendo di casa per primo, dopo essersi infilato una paio di scarpe di tela consumate. –Hai finito con tutti quei lacci?- mi punzecchiò, mentre ero intento ad allacciarmi con cura gli anfibi.
-Smettila di lamentarti, oppure mi rimangio l’invito.- lo minacciai seguendolo finalmente sul pianerottolo illuminato, per poi chiudermi la porta alle spalle.
-Non sia mai, rimpiangerei a vita di aver sprecato un’occasione del genere.- esclamò chiamando l’ascensore. –Non si riceve tutti i giorni un invito a pranzo da un ragazzo così attraente.- mi provocò ammiccando.
-Sei proprio un caso perso, deficiente dalla testa ai piedi.- sbuffai abbassando lo sguardo, per cercare di nascondere l’imbarazzo dovuto al suo complimento: sembravo una dannata ragazzina del liceo, maledizione.
Il pranzo con Kai era letteralmente volato: sia perché il tempo che passavo da solo con lui non mi sembrava mai abbastanza; sia per il fatto che i momenti che trascorrevo in quel bistrot francese mi parevano sempre scorrere più velocemente, rispetto al resto della mia vita. Ero sempre stato stranamente legato a quel posto, anche prima di sapere da mia zia che mia madre ci aveva lavorato per ben sette anni, prima che nascesse mio fratello. Mi aveva raccontato più volte di quanto le piaceva lavorare lì, e di quanto amava la granita che servivano nel periodo estivo. Non mi era mai piaciuta molto la granita, ma quella era speciale e aveva un sapore del tutto diverso; ovviamente, la prendevo ogni volta che mi capitava di andare lì. Ero partito con l’idea di offrire io, ma non avevo considerato che l’altro ragazzo si sarebbe fermamente opposto pretendendo di pagare lui al mio posto. C’era stato un piccolo ed acceso dibattito, che ci aveva portati alla conclusione più assurda che si potesse pensare: io pagai quello che aveva ordinato lui, mentre lui pagò quello che avevo ordinato io. Io gli offrivo il pranzo e contemporaneamente lui lo offriva a me. Mentre ci alzavamo, colsi con la coda dell’occhio l’immagine di una splendida ragazza dai capelli neri e setosi, china vicino all’orecchio della sua amica. Avevo lo sguardo puntato sul mio compagno -e accompagnatore allo stesso tempo-, mentre l’altra giovane sgranava gli occhi sorpresa, probabilmente per ciò che aveva appena udito. In effetti, quando passammo di fianco al loro tavolo, la sentii pigolare come un uccellino una frase simile a:“Sembrano proprio una bella coppia quei due”. Cercai immediatamente di distogliere la mia attenzione da quel commento, non potendo però impedire alla mie guance di imporporarsi al pensiero di essere stato scambiato per il fidanzato di Kai. Era forse per il modo in cui mi teneva per mano? O per l’andatura sicura con cui mi aveva guidato fino all’uscita? Poteva anche essere per quel suo sorriso convinto e irresistibile, che pure si addolciva quando parlava con me. Per un momento, per un instante soltanto, mi chiesi se magari sarei mai potuto essere davvero il suo ragazzo... Se un giorno mi avrebbe riempito di attenzioni e romanticherie, o se avremmo mai fatto l’amore tutta la notte solo per poi dormire tutto il giorno seguente. La risposta che mi diedi, dopo essermi preso il lusso di indugiare qualche minuto su quell’eventualità, fu che la cosa era estremamente improbabile, date le circostanze. Eppure, non riuscivo a crederla totalmente impossibile, come invece avrei dovuto fare sin da subito valutando la situazione più lucidamente: magari sarei riuscito davvero a farlo innamorare di me, dato che io ero innamorato di lui. Ancora non sapevo che Kai, al contrario di me, aveva già amato qualcun altro profondamente, con tutto il suo cuore, e che il ricordo di quella persona ancora aleggiava nella sua esistenza e riempiva la sua mente.
 
Avevo rischiato di perdere il treno quella mattina, sempre a causa degli incubi che tormentavano le mie notti da una settimana buona a quella parte. La cosa che non sopportavo di quegli orribili sogni era che la mattina non li ricordavo mai, avevo solo il sapore dell’amaro in bocca e un forte mal di testa, come memento del fatto che c’erano stati. Mi abbandonai già stremato sul consunto sedile in pelle verdognola, mettendomi le cuffie nelle orecchie con l’intenzione di dormire fino al capolinea, dove sarei dovuto scendere. Mio padre mi aveva spedito per una settimana da mia zia, la sorella di mia madre, la quale viveva fuori Seoul in una sperduta villa di campagna. Non mi aveva detto perché, ma io sapevo perfettamente il motivo di quell’improvviso e repentino allontanamento: aveva una paura fottuta di perdere il suo erede, che il fantomatico assassino fantasma ammazzasse anche me oltre che i suoi collaboratori. Perché in fondo, in un modo malato e perverso, doveva tenerci a me, quel minimo che bastava per fargli desiderare che non morissi ammazzato come uno qualunque. Considerando però, che tutta quell’idea era stata partorita dalla mia mente e che il killer interessato era mio socio, in realtà non correvo assolutamente nessun rischio a rimanere nella capitale. Avevo recitato bene la mia parte, fingendo di oppormi quel tanto che bastava per risultare credibile per poi “sottostare” alla sua decisione, della quale ero più che contento a dire il vero. Lily e mia zia materna MinHee erano le uniche familiari a cui fossi davvero affezionato, forse perché bene o male mi avevano cresciuto loro ed erano state le uniche a mettere un pizzico di amore nella mia infanzia arida e desolata.
Non avrei mai immaginato, chi sarebbe salito sul mio treno alla fermata dopo, tirandosi dietro un piccolo trolley grigio e uno zaino nero abbandonato sulla spalla destra: l’amico di mia cugina che avevo incontrato al campus, Park Chanyeol. Si lasciò cadere con malagrazia sul sedile di fronte al mio, troppo concentrato nell’atto di togliersi gli occhiali e sfregarsi gli occhi stanchi, per notare la mia presenza all’interno dello scompartimento. Solo quando ebbe messo via il suo bagaglio, si rese conto con meraviglia di non essere solo, spalancando quei suoi occhi già innaturalmente grandi, da cucciolo smarrito al ciglio di una strada.
Mi tolsi le cuffie accennando un saluto, come era da persona educata fare, eppure sapevo benissimo che in altre circostanze avrei totalmente ignorato il mio compagno di carrozza fingendo di dormire beato. Ma non in quel caso, non se la persona con cui dividevo quel viaggio era lui; quel ragazzo mi era rimasto piacevolmente impresso sin dal primo momento in cui l’avevo visto, quando avevo fatto quell’infelice battuta sulla sua “buona/non-buona” vista. I capelli piacevolmente scompigliati ricadevano in morbidi ricci castani sulla sua fronte e ai lati del suo viso, mascherando un po’ la sue strane ma simpatiche orecchie. Gli occhiali neri dalla montatura moderna erano tornati al loro posto, schermando i suoi occhi color nocciola con le lenti trasparenti graduate. Park Chanyeol era di certo una persona piacevole da ammirare, con quei suoi tratti delicati e quasi infantili, che pure andavano perfettamente d’accordo con il suo corpo da uomo, alto e ben formato. In quel momento sperai che rispondesse al mio saluto sbiascicato, giusto per godere del suono della sua voce calda e profonda, rassicurante in una parola sola.
-I tuoi capelli ti faranno presta causa, Oh Sehun.- mi avvertì sorridendo, mostrandomi la sua perfetta dentatura da rivista dentistica, dopo aver notato che li avevo di nuovo tinti.
-Tuo padre fa il dentista per caso?- non mi trattenni, pentendomi subito dopo del modo in cui avevo intrapreso la conversazione, essendo ben conscio che avere i genitori non era una cosa così scontata.
-In realtà insegna musica in una scuola, anche se a tempo perso da anche lezioni private di pianoforte.- mi rispose, stendendo davanti a sé le lunghe gambe fasciate in un paio di jeans scuri. –Non ti chiedo cosa fa il tuo perché credo di saperlo, non perché non provi interesse nei tuoi confronti.- mi sorprese sbadigliando.
-Grazie della gentilezza, inventare una scusa ogni volta comincia a diventare ridicolo.- gli confessai, mettendo definitivamente via il mio ipod. –Parti, dove vai di bello?- cambiai argomento subito dopo.
-A trovare i miei prima che cominci la sessione di esami di settembre, non posso permettermi di spendere troppo ultimamente.- mi disse tranquillamente, senza farsi problemi con la sua difficoltà economica.
-Ti va...di parlarmi un po’ della tua famiglia?- gli proposi distogliendo lo sguardo leggermente in imbarazzo.
-E’ una famiglia nella norma, niente di eccezionale, però per me è perfetta, la migliore del mondo.- cominciò poggiando la schiena sul sedile. –Mio padre fa quello che sai e mi ha trasmesso la passione per la musica; mia madre invece è sempre stata il saldo pilastro di casa, la persona a cui tutto ruotava intorno e che sapeva sempre cosa fare; ho anche una sorella maggiore che ha aperto un fioraio, era il suo sogno sin da piccola. Siamo tutti più o meno realizzati, non trovi che sia una cosa rara?- terminò stiracchiandosi.
-Stare fermo non è il tuo forte, vero?- lo presi in giro, cercando di nascondere l’invidia che provavo nei suoi
confronti: avrei ucciso per avere quello che aveva lui, una famiglia felice.
 

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