Emocromo- Love in vεin

di Jooles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prima parte ***
Capitolo 2: *** Seconda parte ***



Capitolo 1
*** Prima parte ***


Titolo: “Emocromo. Love in vein”
Fandom:Naruto
Raiting:giallo
Genere scelto e sottogenere:angst; sentimentale, sovrannaturale
Prompt:sangue
Prompt speciale:lacrima







«Chi glielo dice?»
I presenti si guardarono vicendevolmente, ognuno sperando che qualche audace alzasse la mano per proporsi, come insegnavano a scuola quando si doveva rispondere a una domanda.
«Lo faccio io», Choji si alzò dal divano, qualsiasi scusa presa per buona per evadere da quella stanza.
«Non devi farlo da solo…» provò Kiba, la sua intenzione stroncata sul nascere da un cenno della mano di Choji.
«No, è meglio che ci pensi io.»
Tutti concordarono taciturni e ripresero a piangere ognuno sulle spalle dell’altro.

 


 

 

Emocromo
Love in vein

-Prima parte-


 

 
Distesa sul suo letto, Ino gettò l’occhio sullo scaffale dei libri di fronte a lei. I diversi tomi inutilizzati suggerivano una spolverata; in particolare era forte il richiamo di “Applicazione alla pratica infermieristica”, oltre quattrocento pagine che costituivano quasi un vademecum per aspiranti infermieri.
Quel volume era stato riposto lì circa un anno fa e mai più riutilizzato. Le sembrò impossibile che fossero trascorsi tutti quei giorni in così poco tempo.
La deposizione di quel volume era coinciso con una fatto che aveva sconvolto dalle fondamenta la vita di Ino; la morte del padre anzi era stata proprio la causa che l’aveva indotta ad abbandonare i suoi studi.
Era successo per quello che i superstiziosi chiamavano “caso” o anche “destino”, perché si era semplicemente trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Inoichi Yamanaka era appena uscito dal negozio di alimentari sotto casa, quando un colpo di pistola sparato per errore nella sua direzione da parte di un bandito che fuggiva dalla polizia aveva messo un punto fermo alla sua vita.
Ino si era domandata parecchie volte da quel giorno se non avesse potuto cambiare le cose; Inoichi era dovuto uscire di casa perché lei il dì precedente aveva dimenticato di comprare il latte, nonostante sapesse quanto il padre amava farvi colazione. Non era stato dunque il destino a portarglielo via, ma solo la sua maledetta dimenticanza.
Era dunque ingiusto che lei continuasse a fare la vita di un tempo mentre lui non c’era più; non l’avrebbe vista diventare infermiera, perciò non avrebbe avuto senso proseguire nel suo percorso formativo.
Da qualche giorno però, soprattutto grazie all’assiduo e importante aiuto degli amici, Ino aveva ripreso a credere in qualcosa, come ad esempio nel suo futuro.
Era proprio per quel motivo che ora osservava attentamente, da lontano, quel volume medico; lo aveva tenuto a distanza troppo a lungo, sarebbe stato un colpo aprirlo subito. Doveva prima tentare un approccio visivo.
Lo guardò per tutto il tempo che rimase sdraiata sul letto, fin quando fuori la giornata iniziò ad adombrarsi, segno che fosse giunta la sera. Si alzò, tendendo una mano per afferrare il libro, quando il campanello suonò.
 
«Ciao, Choji.»
Choji dentro si sé morì un poco; era la prima volta quella sera che la vedeva abbozzare un sorriso dopo tanto, troppo tempo, e questo non faceva che rendergli ancora più difficile ciò che doveva dirle.
«Vieni dentr -»
«Ino…» la interruppe subito, credendo che non udire la sua voce quasi allegra l’avrebbe fatto sentire meno in colpa.
«Hai una faccia da funerale, ti senti bene?», Ino tornò la stessa che era stata da un anno a questa parte.
Choji portò il peso da una gamba all’altra, dondolando così come i suoi pensieri.
Lo dico o non lo dico?
«Si tratta di Sakura», Choji congiunse le mani dietro la schiena, torturandosi una pellicina incurante del pizzicore che provocava.
«Lo so Choji, capisco come si sente…», oltre a condividere una forte amicizia, poco tempo dopo di lei Sakura aveva condiviso il suo stesso dolore.
«No, Ino… Sakura -»
«Le è successo qualcosa?» subito si allarmò. «Ha avuto un incidente? Maledizione, dobbiamo correre…»
«Ino…»
«… non capisco che stiamo a fare ancora qui…»
«… Ino, ascolta…»
«… vado a prendere le chiavi della macchina, aspettami qu -»
«INO!» dovette urlare Choji.
«Che c’è?» Ino si voltò di scatto mentre era già corsa dentro per cercare le chiavi, indispettita dall’indecisione dell’amico.
«Sakura è morta.»
 
«Fatemi entrare!»
«Ehi, ragazzo, stai indietro!»
«No, voglio entrare!»
«Facci lavorare, capiamo la situazione, ma ci sarai solo d’intralcio.»
«Primario! Signorina Kato, abbiamo un codice rosso!»
«Per di qua, l’ala est è piena. Qual è la situazione?»
«Incidente stradale, ampia ferita al fianco destro, rottura di tutti i muscoli e legamenti della gamba sinistra, temiamo una commozione cerebrale e probabile emorragia interna, arto sinistro rotto. Ha perso moltissimo sangue.»
«Sala 23, è ancora cosciente perciò mi serve che la anestetizziate, trovate il suo corrispondente gruppo sanguigno, avrà bisogno di una trasfusione non appena avrò finito, non voglio un’altra morta dissanguata questa sera.»
«Certo, subito.»
«Prestami i tuoi guanti, i miei sono ancora sporchi per prima e non c’è tempo di andarmi a cambiare.»
 
Quel rumore ritmico la infastidiva; era appena sussurrato, eppure nel silenzio in cui la stanza era immersa rimbombava peggio di una campana a lutto.
Ino aprì appena gli occhi, strofinandoli col dorso della mano per risvegliare il senso della vista, rimasto assopito evidentemente per parecchio tempo. La pelle delicata delle palpebre fu graffiata da qualcosa di duro appiccicato sulla sua mano. La scostò sorpresa, notando come quell’arma del fastidio le fosse stata appositamente attaccata con una garza adesiva.
Batté le palpebre più volte, riuscendo a capire infine che si trattava di una farfallina da flebo; mosse la mano indispettita, sentendo tirare l’ago dentro la pelle, collegato da un lungo filo alla boccetta di liquido appesa col collo in giù.
Una giovane ragazza, doveva avere diciotto anni al massimo, entrò nella stanza guidando un carrello con sopra i medicinali verso il letto. Non appena l’infermiera notò che si fosse svegliata annunciò che avrebbe avvertito la dottoressa Kato.
«…e non tirare la flebo, ti farai male» aggiunse, vedendo l’irrequieta paziente giocare pericolosamente con il tubicino.
Ino cercò di calmarsi, avrebbe avuto modo di sbraitare e di fare la scellerata non appena fosse arrivata la dottoressa. Non ricordava per quale assurdo motivo si trovava in una stanza d’ospedale, e la spiegazione più plausibile che le venne in mente fu l’avvenimento di un’improvvisa apocalisse che aveva raso al suolo tutto e perciò l’avevano dovuta ospitare lì, insieme a centinaia di altri sfollati come lei, come se l’ospedale fosse stato adibito ad ostello.
Mosse gli arti sotto le coperte per capire se fosse ferita ma non sentì niente; a dire il vero non riuscì neanche a percepire le articolazioni muoversi, e questo la preoccupò terribilmente.
Stava per alzare le coperte per scoprire cosa avessero fatto al suo corpo, quando una voce austera bloccò ogni sua intenzione.
«Io non lo farei fossi in te, Ino.»
Ino la guardò stralunata, i capelli scompigliati annullarono completamente lo sguardo truce che provò ad indirizzare al medico.
«Che ci faccio qui? Perché mi sento tutta indolenzita? Me lo dica!»
La dottoressa si avvicinò al letto della sua paziente, sedendosi in bilico sul bordo del letto.
«Ino, calmati» il medico le afferrò la mano libera dall’ago e la chiuse dentro le sue.
Ino aveva imparato nel tempo a diffidare da chi le dicesse di calmarsi: l’indicazione a mantenere la calma seguiva sempre una notizia terribile.
“Signorina si calmi… suo padre è morto.”
“Ino, stai tranquilla. Non puoi fare più niente per lui.”
Ino chiuse gli occhi, credendo in quel modo di poter creare uno scudo tra lei e la notizia; sperava davvero che così avrebbe fatto meno male.
«La prego, faccia in fretta» disse Ino.
«Hai un’ampia ferita sul fianco destro, la tua gamba sinistra è ancora attaccata al resto del corpo per puro miracolo. Se ti senti indolenzita è normalissimo, sei ancora sotto l’effetto dell’anestetico.»
Riprese subito a parlare per evitare che Ino pensasse troppo a quello che le era appena stato detto.
«Cosa ricordi?»
Ino sbuffò sonoramente e incurante della maleducazione, scocciata da quelle domande perditempo. Pensandoci però, realizzò presto di non ricordare assolutamente nulla di ciò che le fosse accaduto.
Scosse la testa per rispondere negativamente alla domanda.
La dottoressa sospirò, grattandosi una guancia in evidente difficoltà: non era mai facile parlare di certi argomenti. Quando gli aspiranti diventavano medici, gli veniva insegnato anche come comportarsi in quei casi; il modo migliore era essere schietti e diretti, non bisognava mostrarsi compassionevoli e né dunque lasciarsi coinvolgere dall’emozione.
Non ci si abituava mai, però.
«Hai avuto un bruttissimo incidente: sei stata investita in pieno da una macchina.»
Erano cose che potevano succedere, purtroppo; chiunque avesse ascoltato quella conversazione non avrebbe compreso motivo di tanta angoscia nell’animo della dottoressa. Era stato un incidente, nessuna colpa per alcuno. Ma alla dottoressa Shizune Kato era stato raccontato il contesto dell’incidente; se quel chiunque avesse dunque udito la conversazione essendo a conoscenza dei fatti per intero avrebbe condiviso i sentimenti del medico.
Ino strizzò gli occhi, mentre due forti abbaglianti gialli e un rumore stridulo di gomme strisciate sull’asfalto le balenarono in mente. Sentì che la mano poggiata in grembo aveva iniziato ad inumidirsi e pensò di aver strattonato l’ago dalla pelle e che il sangue avesse iniziato a fuoriuscire. Invece erano solo le sue lacrime.
Shizune fece per parlare di nuovo, ma fu disturbata da una momentanea intrusione.
«Mi sa che ho sbagliato stanza.»
Era entrato fin dentro la camera, guardandosi intorno come se fosse stato catapultato lì all’improvviso. Spaesato, il giovane ragazzo sbuffò, maledicendo a denti stretti la costruzione labirintica dell’edificio.
«L’abbiamo spostata nella quarantasette, Shikamaru» l’informò Shizune.
Ino capì che il suo nome fosse Shikamaru solamente perché nella stanza, loro due a parte, vi era solo lui. Questo infatti non reagì come se qualcuno gli avesse appena parlato, quasi non rispondesse al nome con cui il medico gli si era appena rivolto; riuscì senza ringraziare, era entrato evitando di salutare e allo stesso modo se ne andò, grattandosi la nuca.
Ino lo seguì con lo sguardo fin quando anche l’ultimo ciuffo del suo spettinato codino non scomparvero dietro il muro.
«… delle visite.»
«Eh?» domandò distratta. La dottoressa doveva aver detto qualcosa, ma un mal di testa acuto la distolse dall’attenzione ancor più di quanto già non avesse fatto quel Shikamaru.
«Dicevo, è iniziato l’orario delle…»
Ma non udì la frase completa, perché improvvisamente, senza alcun segnale di precedente malessere, svenne.
 

~¤~

 
Il buio si era ormai completamente impadronito della stanza. Le mattonelle bianche avorio lucenti riflettevano la spia rossa del televisore spento, mentre un petalo dal mazzo di fiori che Choji aveva portato alla sua amica andava ad accumularsi agli altri sulla superficie del comodino.
L’orologio digitale posto accanto al vaso di fiori segnava le 3.17 quando Ino si svegliò di soprassalto, dopo aver visto nuovamente le luci abbaglianti di una macchina che le venivano incontro, seguite dal rumore stridente dei freni. Guardò l’ultima cifra fin quando cambiò in otto, attendendo che il respiro tornasse a regolarsi; le mani tremavano dallo spavento, e temeva di addormentarsi per dover rivivere nuovamente la sua tragedia.
 
«Ino,» Choji la guardava apprensivo come se temesse che l’amica volesse buttarsi dalla finestra da un momento all’altro, «come ti senti?»
La ragazza tentò di tranquillizzarlo in tutti i modi, poi di cambiare discorso, dicendogli quanto le piacessero i fiori.
Choji ripose che era felice che li apprezzasse, e la conversazione scemò tra risolini nervosi. Improvvisamente il ragazzo paffuto si alzò dalla sedia posta lì per i visitatori, battendo i pugni sulle proprie ginocchia, sconfortato.
«Ma cosa ti è saltato in mente? Ti sei… tu, Ino…»
Non riusciva a concludere una frase dato che i ripetuti e violenti singhiozzi stroncavano ogni parola sul nascere.
«Ti sei… sd-sdraiata in mezzo alla… alla strada, I-Ino… la macchina… sopra… c’era sa-sangue sull’asfalto…»
Ino abbassò lo sguardo, imbarazzata a morte per aver fatto preoccupare così il suo amico.
La sera in cui Choji le aveva annunciato della morte di Sakura, Ino aveva finito definitivamente di crollare in quel baratro nel quale aveva rischiato di cadere alla morte del padre. Così aveva preso la decisione di cui aveva avuto paura un anno prima; era corsa in camera per prendere il suo libro di infermieristica e aveva atteso che facesse completamente buio. Poi, in spalla solamente i suoi lunghi capelli lasciati sciolti per una rara volta, aveva raggiunto quell’angolo della strada dove l’anno precedente era iniziato e finito tutto. Si era sdraiata al centro dell’incrocio, la scarsità dell’illuminazione stradale avrebbe avuto il suo ruolo fondamentale e, poggiato il libro sul petto, aveva atteso. Non aveva avuto modo di rendere Inoichi fiero di lei, semplicemente perché non ce n’era stato il tempo; lui avrebbe voluto vederla diventare una brava infermiera e Ino aveva pensato che una volta finito tutto, avrebbe avuto tutto il tempo per studiare… insieme a lui.
Subito dopo la sfuriata di Choji, dall’uscio della porta avevano fatto capolino Kiba, Hinata e Shino; mentre Hinata si era trattenuta un po’ più a lungo, Kiba e Shino avevano atteso fuori, lasciando libero sfogo alle chiacchiere femminili.
Ino aveva potuto origliare tra una timida parola di Hinata e l’altra i discorsi dei ragazzi.
«…e poi Sakura non è più stata la stessa. Lei e Sasuke erano una coppia strana, cioè, li hai visti no? A lui rodeva sempre il culo, poi se fosse un romanticone io questo non lo so. Però oh, se si amavano…»
«Non è stato un anno tranquillo. L’incidente di Sasuke, Sakura, Inoichi…», Shino si sedette sulla panchina di attesa.
«I medici avevano detto che Sakura era rimasta scioccata, sai, erano in macchina insieme e se l’è praticamente visto morire davanti…»
«È questa la spiegazione che dai al gesto estremo di Sakura?» domandò Shino pragmatico.
 Kiba si scompigliò i capelli e alzò lo sguardo, pensando se fosse proprio quello ciò che credeva.
«Dico solo che non la giudico, guarda che queste cose ti fanno perdere la testa…» in quel momento furono interrotti da un’infermiera anziana che si era avvicinata a loro con sguardo truce.
«Abbassate la voce, diamine!», poi si affacciò nella stanza dove riposava Ino e cacciò Hinata in malo modo, dicendo che l’orario di visite era terminato.
 
Ino socchiuse gli occhi, prendendo profondi respiri.
A quell’ora di notte le chiacchiere del giorno tacevano e tutti i corridoi dell’ospedale erano immersi in un silenzio sepolcrale. Fu per questo che i passi che Ino udì poco dopo rimbombarono ampiamente. Li sentì avvicinarsi sempre più alla sua stanza la cui porta era stata lasciata aperta in caso di emergenza.
Ino si voltò dal lato dell’uscio, socchiudendo gli occhi in modo da poter vedere chi passasse per di lì a quell’ora così tarda, ma dando comunque l’impressione di essere addormentata. Intravide la figura di una donna, riconoscendo lo stesso camice della dottoressa Kato. Riuscì solo a vedere una chioma bionda trattenuta in due codini prima che sparisse dietro il muro interrotto dall’arco della sua porta.
I passi cessarono e Ino quasi si spaventò quando vide la donna far capolino nella stanza. Questa scrutò l’oscurità, accertandosi che la paziente dormisse, per poi avvicinarsi al letto. Ino allora chiuse completamente le palpebre, ma quando la dottoressa le toccò la mano con l’ago impiantato dentro, forse per controllare che fosse ancora lì, Ino sobbalzò dallo spavento, tradendo la sua immagine dormiente.
«Mi dispiace averti svegliata» e dicendolo sembrò sinceramente mortificata.
La ragazza nascose dietro il palmo un ampio sbadiglio e fece spazio sul letto quando la donna le chiese di scansarsi un pochino per farla sedere.
«Tu sei Ino, giusto? La dottoressa Shizune mi ha parlato del tuo intervento. Come ti senti?»
«Debole» ammise e affondò ancor più la testa nel cuscino.
La donna aggrottò le sopracciglia, non tradendo il fatto che fosse stata improvvisamente attanagliata da un pericoloso dubbio.
«Ti hanno fatto la trasfusione dopo che sei svenuta oggi pomeriggio?» domandò leggermente allarmata.
Ino vi pensò attentamente, ma l’unica cosa che aveva fluito nel tubicino della flebo era stato l’antibiotico antidolorifico.
«No, non me l’hanno fa…», non fece in tempo a finire di parlare che la dottoressa iniziò a indirizzare offese e invettive al degenerato sistema ospedaliero.
«Manderò un bel po’ di lettere, farò un bel po’ di tagli al personale… ingrati scansafatiche…» borbottava mentre usciva dalla stanza di corsa.
Ino si mise a fatica a sedere, sistemando meglio il grosso cuscino dietro la schiena per rimanere sollevata col busto.
Non dovette attendere a lungo il ritorno della bizzarra donna, che si presentò nella stanza con in mano un kit medico di fortuna, tubicini di varia larghezza e una sacca contenente un liquido scuro. Poggiò tutto sul primo letto libero alla sua vista, poi tornò indietro per accendere la luce della camera. Le lampadine illuminarono il fluido segreto nella bustina trasparente, che si rivelò essere sangue.
Ino ricordò subito il secondo capitolo del suo volume di infermieristica e comprese immediatamente tutte le procedure che avrebbero seguito.
La dottoressa Tsunade Senju (lesse il cartellino appuntato sul camice del medico all’altezza del suo voluminoso seno) aprì il kit, estraendone un ago dal preoccupante diametro, farfalline di varie misure, alcol disinfettante, cotone, tubicini. In pochi minuti assemblò tutti i pezzi e strappò con poca delicatezza l’ago già inserito nella pelle della ragazza per sostituirlo con uno più grosso. Il medico prese la sacchetta del sangue, appendendola al posto dell’antibiotico che le avevano somministrato fino a quel momento; in pochi secondi il tubo trasparente si colorò di cremisi e un lieve pizzicore punse la parte della mano penetrata dall’ago.
Tsunade esalò un profondo sospiro di sollievo.
«Tornerò tra un po’, tu rimani qui tranquilla.»
Raccolse tutto ciò che le era occorso per la rapida operazione e sparì ancora una volta.
Ino, non trovando nulla che la potesse distrarre, iniziò a far scorrere lo sguardo sulle pareti, i letti, ogni angolo raggiungibile della stanza. Contò mentalmente tutti i petali che si erano sradicati dal loro nucleo, aggiungendone un altro che aveva appena toccato la superficie del legno; si interessò delle ruote del carrello dei medicinali di fronte e della televisione all’angolo destro della stanza. Poi, si susseguirono nella sua mente una serie di immagini; pensò alla vecchia infermiera che aveva trascinato Hinata fuori dalla stanza, a Choji, tutti gli amici che l’erano venuta a trovare, un codino castano che spariva dietro la porta, di nuovo Hinata, la dottoressa Kato…
«Mi sa che ho sbagliato stanza.»
…la dottoressa Senju e la sacchetta di sangue che aveva in mano varcata la soglia della camera, un ragazzo con lo sguardo perso…
Ino si massaggiò le tempie, iniziando a sentirsi più stanca di prima. Percepiva una strana sensazione che aumentava proporzionalmente allo svuotamento della sacca di liquido; le ricordò qualcosa legata ai tempi della sua prima adolescenza, quando era sciocca e superficiale, quando quel sentore cambiava una volta ogni pochi mesi. Non si trattava di percezione fisica legata a qualche malanno o dolore, non che Ino non potesse distinguere le due cose, semplicemente le venne immediatamente quella prima idea, che venne scartata a rigor di logica e di esperienza. Non era qualcosa che aveva letto nei libri della sua scelta di studi, dunque depennò mentalmente qualsiasi male di natura biologica che l’avrebbe tenuta incollata al letto dell’ospedale.
Era ansia, bellezza, maledizione, angoscia, spensieratezza tutto insieme: era bene, ma anche male. Ino si tirò nervosamente meglio a sedere sul materasso, preoccupandosi quando la prima persona che le venne in mente quando pensò di associare quella sensazione a qualcuno fu uno sconosciuto.
Perché al suono del nome Shikamaru che rimbombava nel cranio, anche se le sembrava che fosse per tutta la costruzione ospedaliera, Ino non poté fare a meno di sorridere.
In quel momento seppe che, inspiegabilmente, si era perdutamente innamorata di lui.








n/a
Bene, se state pensando che io sia impazzita, no, ora vi spiego tutto. Ino non si è innamorata così a buffo, una spiegazione c'è e verrà con il prossimo capitolo. ;) (La nota sovrannaturale è lì per quello u.u.)
La prima cosa che ci tengo a dire è che questa storia nasce più o meno due anni fa. Leggevo di come gli antichi romani bevessero il sangue dei gladiatori perché ritenevano li rendesse più forti. Nel prossimo capitolo vi spiegherò poi questo stupido collegamento xD.
Inoltre ci tengo a chiarire il "mistero" (ma quale mistero??) dietro al titolo: per quelli di voi che conoscono bene l'inglese, sapranno che la parola "invano" non si scrive così come la leggete, di fatto si scrive "in vain", con la "A".
Quindi vi starete chiedendo, perché 'sta deficiente l'ha scritto con la "E"? Niente panico.Ma non ve lo posso spiegare ora perché altrimenti farei un mega spoiler. Lo scoprirete al prossimo e conclusivo capitolo (se avrete la pazienza di leggerlo *-*).
La storia ha partecipato al contest "Romantic vs. Angst" di Kirame27 e C_Lennon aggiudicandosi il terzo posto (*-* <3), un contest davvero ben organizzato, mi sono divertita a partecipare.
E niente, spero resterete con me fino al secono e ultimo capitolo.
Fatemi sapere se vi sembra tutto troppo assurdo o stupido, prenderò atto e non vi ammorberò più con storie del genere, giuro.
Alla prossima.,
Jooles

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Capitolo 2
*** Seconda parte ***


Autrice: Jooles (EFP)/ Jooles93 (FFZ)
Titolo: “Emocromo. Love in vein”
Fandom: Naruto
Raiting: giallo
Genere scelto e sottogenere: angst; sentimentale, sovrannaturale
Prompt: sangue
Prompt speciale: lacrima




 
Emocromo
Love in vein

-Seconda parte-

 




Shikamaru varcò quell’atrio ormai più familiare della sua stessa casa. Salutò con un cenno della mano l’uomo al banco informazioni, dirigendosi verso l’ascensore incastonato nel muro del corridoio di fronte a lui. La solita routine lo portò a schiacciare il pulsante indicante il numero “2” senza nemmeno accorgersi del movimento del suo dito indice. Se non fosse stato per il dlin-dlon che avvisava dell’arrivo al piano selezionato, Shikamaru nemmeno si sarebbe accorto dell’apertura delle porte. Si trascinò fuori dall’elevatore di metallo, procedendo spedito verso la sala prelievi.
«Buongiorno caro» salutò un’anziana infermiera dal paffuto volto simpatico.
«Salve Noako» ricambiò Shikamaru. Il ragazzo si diede un’occhiata intorno, sbiancando alla vista della stanza gremita di persone in attesa. La vecchietta notò l’impazienza del giovane e con fare cospiratorio avvicinò il volto all’orecchio di quello.
«Vieni mascalzone, ti faccio passare avanti» e strizzando un occhio gli fece cenno di seguirlo. Shikamaru si guardò attorno nervoso, giurando di aver visto non poche occhiatacce dirette proprio a lui.
Venne condotto in una stanzetta molto piccola, si sarebbe detta quasi un magazzino, stracolma di scaffali con provette e medicinali.
«Arriva subito» lo informò l’infermiera, porgendogli una sedia sulla quale Shikamaru si accasciò.
Pensò che fosse davvero troppo presto per recarsi in ospedale, per giunta di un sabato mattina, il che non faceva che accrescere l’ingiustizia verso la sua condizione di forzato mattiniero. Il sonno gli fece dimenticare di essersi offerto per quella situazione di sua spontanea volontà. E pensando, ripensando e rimuginando sull’illegalità, a suo parere, delle alzatacce mattutine, chiuse gli occhi.
Non appena la dottoressa Senju entrò nella stanzetta dovette ripetere più volte i suoi poderosi colpi di tosse, tanto che quando finalmente ridestò il ragazzo dal suo dormiveglia, la sua gola ne risentiva.
«B-Buongiorno» riuscì a biascicare con la bocca impastata.
«Sei una manna dal cielo mio giovane e altruista ragazzo, la banca del sangue ci ha bloccato le donazioni per uno stupido furto avvenuto ieri notte. Dobbiamo arrangiarci con quello che abbiamo in scorta per un paio di giorni almeno…»
A prova che il lavoro di direttrice dell’ospedale non doveva essere poi tanto rilassante, la dottoressa Tsunade sfoggiava due ampie occhiaia al di sotto dei luminosi occhi.
Il medico si diresse verso gli scaffali, afferrando del cotone e imbevendolo poi nel disinfettante, che strofinò sulla giuntura del braccio del ragazzo.
Agguantò poi una siringa dall’ago di dimensioni preoccupanti, andando quasi a punzecchiare il lembo di pelle dapprima disinfettato, quando ritirò improvvisamente la mano, come se avesse ricordato un particolare importante.
«Non hai mangiato, vero?» lo trucidò col solo sguardo.
Shikamaru si grattò la nuca imbarazzato.
«Andiamo, è successo solo una volta…», e presa quella risposta per un “no” la donna procedette con l’operazione.
Mentre il ragazzo sentiva un risucchio all’imboccatura dell’ago sotto la sua pelle, Tsunade parlò.
«Oggi pomeriggio faremo la villocentesi» annunciò.
Shikamaru, scocciato della naturalezza con cui la dottoressa, alle otto di mattina, sfoggiava paroloni a lui sconosciuti, sbatté le palpebre per mostrare quanto in fondo non avesse recepito una virgola del significato di quella frase.
«Kurenai deve sostenere un esame per sapere se il bambino è in buona salute» spiegò. «Vuoi esserci?» domandò al ragazzo.
Shikamaru deglutì.
«Non è niente di spaventoso, non preoccuparti» tentò di rassicurarlo, ma il risolino nervoso del giovane tradì  il suo poco entusiasmo.
Quando la sacca fu bella rigonfia per la consistenza del liquido, la direttrice e medico fermò l’operazione.
«Questo dovrebbe andar bene» parlò tra sé e sé. «Vai a casa, mangia, e ci vediamo verso le tre, a quell’ora mi sembra che abbia la visita. È nella solita stanza.»
«Alle tre, allora» disse Shikamaru.
 
Uscito dall’ospedale Shikamaru sfilò dalla tasca posteriore dei jeans scuri il telefono. Lo schermo segnalava due chiamate perse, ma senza nemmeno controllare il nome, sapeva benissimo da parte di chi fossero. Compose rapidamente un numero, non aveva voglia di scorrere la rubrica, e premette il tasto di chiamata. Squillò una sola volta, poi il beep divenne improvvisamente più rapido e la telefonata cessò.
“Tsk, prima mi chiama e poi attacca, che seccatura.”
«Odio quando non mi rispondi idiota, e se sono in pericolo di vita?»
Shikamaru si voltò, guardò il telefono che aveva in mano, poi alzò lo sguardo, la persona che aveva parlato era anche lei con il cellulare a disposizione.
«Sai cavartela anche meglio senza il mio aiuto», e Temari sorrise beffarda a quell’affermazione.
«Dovresti almeno provare a comportarti da Lancillotto nei miei confronti, visto che sei il mio ragazzo.»
«Se dovessi provarci probabilmente le parti si invertirebbero. Sai, preferisco aspettare in pigiama su un bel letto comodo che qualcuno venga a salvarmi.»
«Attento a come parli Nara» parlò Temari seducente, avvicinando le sue labbra a quelle del ragazzo, lasciando l’impronta di un veloce bacio. Un altro, sul collo.
Shikamaru provò un leggero brivido e arrossì appena percettibilmente.
 
~¤~
 
Alle nove precise un infermiere entrò nella stanza, scostando con poco tatto le tende e spalancando le finestre. Si avvicinò al letto con in mano un bicchiere di acqua e un paio di pasticche dello stesso color verde mela, le porse alla ragazza i cui occhi chiari ancora non si erano abituati alla luce violenta che aveva d’un tratto invaso la stanza, e la invitò a prenderle.
Ino aprì il palmo della mano, lasciando che il ragazzo vi facesse cadere i medicinali. Li ingoiò aiutandosi con l’acqua, finito porse il bicchiere all’infermiere.
Guardò il sole che splendeva al di là del vetro dentro il quale era rinchiusa e azzardò una richiesta.
«Posso spostarmi nel letto vicino alla finestra?»
Il ragazzo con il camice celestino roteò gli occhi, seccato di dover sottostare alle richieste di un’altra pazza esigente, così spinse da una parte il lettino più vicino alla vetrata, che grazie alle rotelle scivolò senza fatica verso il fondo della stanza, tirando poi a sé quello che ospitava la paziente.
Ino ringraziò a denti stretti, affranta dai modi scocciati e poco propensi all’aiuto dell’infermiere. Questo berciò un “Prego”, strusciando poi le sue Crocs fuori dalla camera. La ragazza si voltò dall’altra parte, stizzita, afferrando a fatica la bottiglia di acqua sul comodino.
Un brivido lungo il collo.
Involontariamente si portò una mano al di sotto dell’orecchio, corrugando la fronte perplessa. La stanchezza le faceva temere le situazioni più assurde, perciò dovette convincersi faticosamente che si trattasse semplicemente di uno spiffero d’aria. Nonostante la finestra fosse chiusa, sigillata.
Certo, poteva venire anche dal corridoio.
Ma il reparto di terapia intensiva dove sostava lei si trovava nel cuore della costruzione e non faceva capolino su alcuno sbocco verso l’esterno.
Ino aveva finito così le sue scuse, e prima ancora di poter scacciare quel pensiero insulso come avrebbe fatto con una mosca in agosto, la sua mente venne involontariamente rivolta a qualcos’altro.
Vide i suoi occhi assonnati, la sua espressione annoiata, i capelli che dovevano sembrare morbidi, la maglietta verde e i suoi pantaloni scuri. E in quel momento fu sicura, senza alcun’ombra di dubbio, che poco fa fosse stato lui a lasciarle quel brivido sul collo.
 
«Buongiorno», la dottoressa Shizune entrò cautamente nello spazio in cui riposava, spingendo con le braccia tese di fronte a lei un carrellino trasportante tutto l’occorrente di cui si era avvalsa la Senju la notte appena passata.
Ino salutò e si preparò mentalmente a trascorrere immobile quelle quasi due ore.
«Pronta?» la donna si avvicinò e sorrise gentilmente. Ino chiuse gli occhi, annuendo, e quando pochi attimi dopo sentì il solito pizzicore, udì anche la voce della Kato in lontananza.
«Tutto a posto? Ti senti strana, giramenti di testa, nausea?»
Ino pensò che sì, eccome se si sentisse strana, ma poiché era iniziato tutto poco prima della trasfusione, rispose che andava tutto bene.
«Allora possiamo aumentare un po’ la velocità» la informò la donna, girando una rotellina attaccata al tubo per far sì che venisse rilasciata un maggiore quantità di sangue.
La giovane paziente iniziò a provare lo stesso stato d’ansia e di paura di perdita che l’avevano attanagliata solo poche ore prima, appena dopo la prima trasfusione ricevuta. Successivamente, un vortice di immagini si impadronì della sua mente, come se fossero d’un tratto divenute gli unici ricordi custoditi: Shikamaru che camminava dentro la sua stanza, Shikamaru che si massaggiava la nuca spaesato, lo stesso ragazzo che veniva baciato sul collo da una sconosciuta, da qualcuno che non era lei…
Non ricordò di aver mai vissuto quell’ultimo episodio e si spaventò, tanto da iniziare a tremare. Gli occhi ancora chiusi, iniziò a disperarsi e a sentirsi tradita. Non poteva farle questo, non a lei…
«Ino! Ino!» qualcuno la chiamava e la scuoteva; sapeva benissimo che si trattava della dottoressa, ma non voleva ancora aprire gli occhi, voleva più ricordi.
Seriamente preoccupata, Shizune interruppe la trasfusione immediatamente e Ino poté finalmente schiudere le palpebre.
Si guardò attorno spaesata, riconoscendo la sua stessa espressione negli occhi del medico. Shizune aveva un’aria davvero spaventata, le sue mani erano ancora strette attorno alle esili braccia della sua debole paziente.
«Non capisco, andava tutto bene» sospirò preoccupata la donna. «Forse dovremmo riprovare tra un po’» disse, poi si congedò, assicurandole che sarebbe tornata presto per dei controlli. Ino annuì e non appena il camice svolazzante del medico non fu più alla vista si abbandonò incosciente al riposo.
 
~¤~
 
«Andiamo fanciulla, ti spostiamo in una stanza più carina» e se Ino fosse stata sveglia in quel momento avrebbe visto l’occhiolino del ragazzo infermiere che aveva appena varcato la soglia.
Assonnata, Ino riuscì solamente a intravedere uno spettinato ammasso pel di carota, poi percepì chiaramente il suo letto scivolare sul liscio pavimento.
«Non so come hai resistito qui dentro… altro che anestetico, secondo me ti hanno fatto proprio dei bei siringoni di crack…»
Una ragazza con lo stesso camice che contraddistingueva chiunque lavorasse lì dentro (Ino credeva di non aver mai visto tanto celeste in vita sua, tutti indossavano un uniforme del medesimo colore) camminava spedita verso di loro, e quando si incrociò con il suo collega gli porse una cartellina gialla sbiadita.
«Porta tu questo al piano tre» e senza voltarsi ad attendere una risposta, proseguì spedita fino alla fine del corridoio.
«Agli ordini!» urlò il ragazzo. «Faremo una brevissima sosta, piccola, ok?»
Ino riuscì a percepire il sincero sorriso dietro le sue spalle. Si era accorta della tensione che aleggiava in quel luogo, delle facce accigliate del personale, del loro andare sempre di corsa, o del loro aleggiare stanco tra i corridoi. Contrariamente alle sue aspettative invece, dopo giorni aveva incontrato un volto amichevole, mettendo da parte la dottoressa Kato e la direttrice.
Raggiunsero l’ascensore del primo piano, l’infermiere che domandava “Permesso! Permesso! Beep, beep!”, facendo scansare ai lati tutti coloro che erano stipati all’interno del macchinario, aprendo un varco nel centro abbastanza grande da poter trasportare il giaciglio della paziente. Rivolta verso il lato opposto all’apertura dell’ascensore, sul quale era appeso un grande specchio che ne occupava tutta la parete, Ino poté sbirciare il cartellino del ragazzo dietro di lei. Riuscì però a leggere solamente il suo nome prima che questo si protendesse nuovamente in avanti per trainare il letto, nascondendo così la placchetta dietro le sue braccia.
Yahiko e la branda da lui tirata uscirono dall’ascensore, proseguirono per qualche metro, fermandosi poi di colpo di fronte una porta a vetri spalancata. Ino venne accuratamente parcheggiata al lato del corridoio e Yahiko varcò la soglia, attraversando quella che era una sala d’attesa, per poi bussare ad una porta chiusa. L’aprì quando ottenne il permesso, richiudendo l’uscio dietro di sé.
Ino sorrise, realizzando che lo avesse fatto per la prima volta da quando era rimasta bloccata lì dentro, pensando alla camminata saltellante del gentile infermiere e al suo tono amichevole. Poi spostò lo sguardo alla sala d’attesa. Un uomo teneva stretta nelle sue la gracile mano di una donna, che nonostante non sorridesse poteva dirsi felice, quasi in estasi, ed era tutto nel suo sguardo. Quando si portò la mano libera al ventre, Ino ne comprese il motivo. Quello che doveva essere il marito o il compagno si voltò a guardarla, un’adorazione quasi eterea nel suo volto nei confronti dell’amata e del fragile miracolo che custodiva dentro di lei. Qualche posto più il là, un’altra donna dai lunghi capelli scuri e mossi, accarezzava con dolcezza malinconica il suo più dolce tesoro. Non poteva vedere chi fosse seduto vicino alla donna, poiché era nascosto dal muro. Una ragazza venne fuori dalla parte più interna della sala, raggiungendo il cestino dei rifiuti. Diede un ultimo sorso al caffè che teneva in mano, raschiò con il bastoncino di plastica i residui di zucchero sul fondo, poi gettò il bicchiere nella spazzatura. Si guardò attorno con aria assonnata, portò le mani congiunte dietro la schiena che inarcò, stiracchiandosi. Mentre dava un’occhiata all’orologio legato al polso, una figura le si avvicinò. Ino finì di osservare la ragazza, imprimendo bene nella mente i suoi capelli biondi e gli occhi verdi, profondi e bellissimi, prima di spostare l’attenzione sulla persona che le si era appena avvicinata.
Tutt’a un tratto, credette seriamente che il suo cuore avesse terminato i battiti.
Nemmeno quando si era intromesso nella sua stanza lo aveva avuto a una distanza così ravvicinata e Ino si sentì sporca, come se osservarlo di nascosto dall’altra parte del corridoio fosse un peccato.
Era evidente che i due ragazzi si conoscessero, Shikamaru le aveva appena rivolto la parola. Ino si tirò le coperte fin sopra il naso, acuendo la vista per poter leggere il labiale.
 
Shikamaru si avvicinò a Temari.
«Che confusione qui…» si lamentò il ragazzo, riferendosi alle infermiere che parlottavano e sghignazzavano allegramente a tono di voce fastidiosamente alto.
Cosa aveva detto? “Trasfusione”?
«Tsk, a te dà fastidio tutto, brontolone.»
«La signora Yuhi?» chiamò improvvisamente una dottoressa, affacciandosi dalla stessa porta da cui era entrato Yahiko. Mentre la signora dai capelli lunghi e neri e dall’aria triste che era rimasta seduto per tutto il tempo da sola si alzava, Temari esortò Shikamaru con un cenno della testa ad entrare. E così erano insieme, pensò Ino.
«Andiamo» Shikamaru le sfiorò il gomito per incitarla a seguirlo.
“Ti amo”?
Yahiko uscì dallo studio della dottoressa nello stesso momento in cui quei tre vi entrarono.
Ci volle un attimo ad Ino per capire e tutto ciò che le stava intorno divenne improvvisamente confusionario.
Trasfusione.
Era stato l’istinto a farglielo comprendere, o forse il richiamo di ciò che non apparteneva a lei che le scorreva dentro verso il suo padrone. Solo in quel momento se ne accorse, ma alla vista del ragazzo aveva sentito un cambiamento nel suo corpo. Poteva chiaramente sentire il flusso del suo sangue e percepirne ogni singola particella; riusciva a discernere quello che le apparteneva da quello che non era il suo, e le sue paure trovarono così conferma.
Ti amo.
Ma non era rivolto a lei, e una vena di dolore prese il sopravvento su qualsiasi altro sentimento.
In preda a spasmi dettati dal terrore, Ino iniziò a divincolarsi sul lettino; si graffiava gli avambracci fino a sanguinare, come a volersi liberare in quel modo di ciò che era estraneo dentro di sé.
«Levatemelo, levatemelo subito!». Yahiko si precipitò da lei, cercando di mantenerla ferma.
«Ehi, ehi, calmati, cosa ti succede?», l’infermiere la guardava terrorizzato, lo sguardo della ragazza era perso, vuoto.
Ino non voleva farsi capire da quel ragazzo che tentava di bloccarle i movimenti; doveva agire subito, prima che avesse sofferto ancora.
«Tu non capisci! Il sangue, deve uscire, subito! Io non posso amare una persona che nemmeno sa chi sono! Aiutami, ti prego, aiutami!», lottò con tutte le sue forze per riuscire ad alzarsi da quel lettino sul quale veniva costretta dalla ferrea stretta del giovane.
Yahiko aveva urlato qualcosa, “sedativo” forse, ma Ino non aveva tempo per preoccuparsi di quelle cose.
Riuscì ad alzarsi, ma non appena ebbe poggiato piede sul pavimento, l’equilibrio negatole dalla gamba ingessata la fece rovinare a terra malamente. In un attimo, due figure sconosciute furono sopra di lei. La bloccarono a terra, provocandole dolore alle spalle, per le quali la stavano trattenendo.
«Aiut…», sentì un pizzico al braccio, poi le figure che la sovrastavano divennero lentamente dei fiochi fantasmi.
 
~¤~
 
Si risvegliò dopo parecchi giorni. Lo capì dal fatto che sul comodino riposavano in un vaso i primi fiori che le aveva portato Choji, ormai rinsecchiti. Ancora non aveva riaperto gli occhi, ma poté chiaramente percepire qualcuno seduto ai piedi del suo letto. Quella persona doveva essersi accorta del suo risveglio.
«Come ti senti?» domandò la dottoressa Senju con tono grave.
Ino schiuse le palpebre per poterla guardare negli occhi. Sicuramente, anzi, senza ombra di dubbio, era venuta a conoscenza della sua sfuriata e probabilmente, forse quasi certamente, l’aveva presa per una pazza.
«Lei deve credermi» sussurrò rocamente; aver dormito per così tanto tempo le aveva seccato la gola.
La dottoressa Tsunade le porse un bicchiere d’acqua, aiutandola a mettersi seduta piegandole il cuscino dietro la schiena.
Ino bevve avidamente, tossendo poi per un sorso andatole di traverso. La donna seduta di fronte a lei attese pazientemente che si riprendesse. Poi parlò, con lo stesso tono preoccupato di poco prima.
«Ti va di dirmi cosa è successo?»
Ino avrebbe voluto scuotere violentemente la testa e dirle che no, non voleva raccontare niente di tutta quella faccenda; ciò che desiderava più al mondo era di tornare a casa sua e dimenticare. Ma avendo compreso la maniera in cui quei suoi sentimenti erano nati, sapeva anche di non poter ignorare un bel niente. Era dentro di lei, se avesse potuto strapparsi un lembo di pelle l’avrebbe visto, il sangue estraneo. Si immaginò che fosse di un colore diverso, forse nero, come un veleno. Non appena lo ebbe pensato si maledì di averlo fatto: tutto ciò che concerneva Shikamaru non poteva essere malvagio.
O forse era solo condizionata da ciò che provava. Si chiese se fosse davvero giusto provare qualcosa di così grande, qualcosa che era nato prima del mondo, per qualcuno di sconosciuto.
Per giunta già impegnato con un’altra.
Poi, un lampo di genio. Poteva rivelare tutto, per filo e per segno, alla Senju. Lei le avrebbe creduto, Ino doveva convincersi innanzitutto di quello. Poi la donna avrebbe trovato una soluzione, magari un antidoto.
E così, convinta di quell’ultimo pensiero che si rivelava ogni secondo che passava più plausibile, la ragazza riversò in fiumi di parole tutto quanto.
«Le dirò tutto ma lei deve promettermi due cose» esordì. Già probabilmente non aveva iniziato nel migliore dei modi.
Come conferma alla sua disposizione all’ascolto, Tsunade annuì.
«Bene» sussurrò Ino. Non si sarebbe aspettata una così facile accondiscendenza perciò non aveva pensato a come impostare il discorso.
«Ehm… per prima cosa dovrà lasciarmi parlare fino alla fine. Già è difficile quello che le sto per dire, se venissi interrotta non saprei come continuare.»
Fece una pausa attendendo qualche obbiezione da parte del medico, che però non arrivò.
«La seconda richiesta è un pochino più impegnativa, però lei lo deve promettere. Io so quello che ho provato e non sono pazza. Deve promettermi di credere a quello che le sto per dire.»
La donna si mise più comoda, appoggiando la schiena alle sbarre di ferro del letto. Ino ne dedusse che fosse pronta per qualsiasi cosa le avrebbe detto. Così iniziò.
«Me ne sono accorta non appena mi sono sentita male dopo la trasfusione operata dalla dottoressa Kato. Le è stato detto che non ha avuto successo, giusto?», attese conferma, che la dottoressa le diede.
«Potevo percepire chiaramente lo scorrere del sangue sotto la pelle. Circolava ad una velocità incredibile, era come impazzito. So che sembra assurdo, ma io lo sentivo. Poi nella mia mente si sono susseguite delle immagini, ricordi che giravano attorno ad una stessa persona.»
Tsunade corrugò le sopracciglia, a dividerle una profonda ruga. Ino tese la mano, facendo cenno di attendere la fine del racconto.
«Ma poi ho visto qualcosa che io non ho mai vissuto, l’ho visto con gli occhi di un’altra persona. E le dico che non poteva essere per certo una mia memoria perché io questa persona non la conosco nemmeno, quindi è impossibile che io vi abbia interagito in qualsiasi modo, soprattutto in quello che domina il mio ricordo .»
«Così, dopo aver rivisto quella stessa persona l’altro giorno, quando Yahiko mi stava portando in questo nuovo reparto, ho rivissuto la stessa sensazione provocata dalla seconda trasfusione. Il sangue, ecco, ha come reagito alla vicinanza con colui a cui apparteneva. Mi faceva male, voleva uscire da dentro di me.»
La direttrice non si stupì nemmeno del fatto che conoscesse il nome di uno dei suoi dipendenti e presa da quel racconto inverosimile incitò la ragazza a continuare.
«Da quando mi è stata fatta la trasfusione, io…», le sembrava assurdo doverlo ammettere, ma per poter avere almeno una possibilità di farsi credere dalla dottoressa Senju, doveva confessare tutto.
«… io mi sono… innamorata del mio donatore.»
Il medico si alzò di scatto dal letto. In anni di lavoro aveva visto le situazioni più disparate, ascoltato le spiegazioni più assurde. Conosceva le controindicazioni di una trasfusione: nausea, vomito, dolori lombari. Nei casi più gravi si arrivava all’insufficienza renale o allo shock. Tra le complicazioni non era contemplato l’innamoramento.
«Ino, conosco bene tutte le conseguenze negative di una somministrazione di sangue, tra queste non c’è-»
«Shikamaru» la interruppe la giovane.
Tsunade sgranò gli occhi, auto convincendosi che la stanchezza per il doppio turno appena concluso le stesse giocando brutti scherzi.
«Cosa?» non avrebbe ammesso di aver sentito quel nome fin quando Ino non lo avesse ripetuto chiaro e forte.
«Shikamaru è il mio donatore.» L’occhiata che Ino le rivolse le fece comprendere la sua risolutezza riguardo ciò che stava affermando. Quella era la prova lampante che non stesse mentendo.
Non poteva saperlo, le informazioni riguardo chi donava il sangue erano segrete.
«Te lo ha detto lui?» Pareva la soluzione più ovvia.
Ino sbatté le mani sul materasso, esasperata.
«No! No, no, no! Io non lo conosco nemmeno! Non ci siamo mai rivolti la parola, dottoressa, lei deve credermi! E deve credermi quando le dico che per qualche strano motivo, il suo sangue ha fatto sì che io mi innamorassi di lui!»
Le iridi chiare di Tsunade tremolavano, così come la cornice di lunghe ciglia si chiudeva e si riapriva velocemente come soggette ad un tic nervoso. Probabilmente quella ragazza era stanca, spossata. Sì, doveva essere così. Si era inventata tutto di sana pianta.
Una voce interruppe il suo flusso di pensieri.
«Dottoressa, abbiamo un’emergenza.» Shizune Kato si era appoggiata allo stipite della porta, trafelata dalla corsa appena compiuta lungo tutto il corridoio in cerca del suo superiore.
Ancora confusa dal racconto della ragazza, Tsunade camminò come in trance verso il suo dovere. Una ragazza passò di fronte alla porta aperta della camera, spinta di corsa su una barella con un paio di paramedici al seguito. Mentre Tsunade raggiungeva la collega, quest’ultima le spiegava la situazione.
«Il fidanzato ha detto che si trovavano in discoteca, ha visto la ragazza bere da un bicchiere che le era stato offerto, poi…», Ino non udì il resto, le voci si allontanavano insieme ai loro passi nel lungo corridoio.
A pochi secondi di distanza dietro di loro giunse un ragazzo.
«Non può entrare» lo bloccò un uomo in camice.
«Devo entrare!», Shikamaru lottava contro la stretta del medico.
«Stanno facendo il possibile, li lasci lavorare» insistette il dottore.
Shikamaru dovette rinunciare al contrasto e si lasciò cadere a terra, stringendosi la testa tra i palmi della mani.
«Ce la farà?» Ino sentì uno dei paramedici bisbigliare con l’uomo che aveva lottato contro la disperazione del ragazzo che ora sedeva sul pavimento lucido con lo sguardo perso nel vuoto.
Quello in risposta scosse la testa.
 
Dopo il suo sangue, la cosa migliore che un uomo può dare di sé è una lacrima.
Ino ammirò il volto sconvolto di Shikamaru e constatò quanto la sua bellezza rimanesse intaccata nonostante il dolore.
Qualcosa brillò sulla sua guancia sotto la luce al neon del corridoio. Ino avrebbe dovuto mettersi l’anima in pace.
Shikamaru non piangeva per lei. Ma fece finta del contrario. Ormai avrebbe dovuto convivere con quel sentimento non corrisposto.
Ed era per questo che anche una semplice illusione era tutto ciò che le occorreva.








n/a
Perfettooo, con questa storia ho la certezza di essere una persona imperdonabile. Solo oggi mi accorgo che non avevo postato l'ultima parte e ce l'avevo nel mio pc pronta e finita da una vita!
Cooomunque, non ho molto da aggiungere alle note del primo capitolo. Semplicemente, se non si è capito ma spero di sì, il sangue di Shikamaru che Ino aveva nelle vene in qualche modo l'ha fatta innamorare di lui. Probabilmente, una volta smaltito e andato in ricircolo il sangue -(non conosco i termini medici, perdonatemi! Gi per scrivere quelle due cose che ci sono in questa storia ho dovuto fare una ricerca interminabile!)- Ino probabilmente non proverà più quei sentimenti. Ma non ci è dato saperlo, in realtà la Dea dell'Ispirazione non mi ha voluto fornire questa informazione, perciò rimarremo nel dubbio temo.
Insomma, che dire, grazie alle gentilissime e pazientissime persone che per mesi hanno atteso quest'ultima parte. Spero che ci siate ancora e spero vivamente di sentirvi con una recensione, anche piccola. :)
A presto con altri deliri, che l'ispirazione sia sempre con voi!
<3

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