We're all stories in the end.

di I_am_sherlocked
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A blue box. ***
Capitolo 2: *** You found me. ***



Capitolo 1
*** A blue box. ***


Aveva i capelli lunghi, gli occhi grandi, il viso pallido e le guance arrossate per il freddo. Nessuno ci faceva caso però, che il suo sorriso era triste, i suoi occhi spenti, la sua vita ruotava attorno a una bugia.

«Penso che tu debba darmi una spiegazione.» Ripeté la madre incrociando le braccia al petto.-

«Non ho niente da dirti.» Sbuffò lei, riprendendo a scrivere.

«Chi era quell’uomo?» Chiese stavolta, con tono più deciso.

«Nessuno.» Jane roteò gli occhi e la madre uscì, chiudendo la porta violentemente.

Tutto era iniziato da una tranquilla passeggiata ed era finito con un imbarazzante incidente. Jane era la tipica ragazza italiana di sedici anni. Aveva un sogno, una passione, ma era strana, o almeno era quello che spesso le dicevano alcune sue compagne. Lei non ci faceva mai caso, anche se in realtà faceva male. Le parole possono far più male di qualsiasi altra cosa. Fatto sta che viveva a Londra, decisione di sua madre. Quando la ragazza le chiese il perché di quella inaspettata decisione, lei rispose per lavoro. Jane sapeva la verità. Quel giorno aveva deciso di uscire, anzi, la madre le aveva letteramente imposto di farlo. Pensava che sua figlia passasse troppo tempo dentro casa. Le ore a scuola passarono velocemente, tra qualche voto discreto e qualche chiacchierata. Tornata da scuola, poggiò la cartella accanto al letto e si passò una mano sui lunghi capelli castani. Gli occhi color azzurro erano ricoperti da un sottile strato di matita nera e le labbra avevano un colorito diverso, simile al rossetto che le aveva regalato la zia anni prima e che ancora teneva nascosto. Era l'unica cosa che la collegava alla cara zia, morta mesi prima che lei potesse iniziare il terzo anno di liceo. I jeans stretti non volevano saperne di lasciare respirare la povera Jane, mentre la maglia piuttosto attillata metteva in risalto le curve della ragazza. Quei pochi compiti che le avevano assegnato li avrebbe svolti nel tardo pomeriggio. Prese un libro riposto nella libreria della sua camera, infilandolo in una borsa
sportiva. I libri erano la sua vita, la sua unica passsione. Prima di uscire si guardò un'ultima volta allo specchio,
assicurandosi che i suoi capelli fossero in ordine, non che le interessasse poi così tanto. Le strade di Londra sembravano essersi magicamente svuotate, si poteva intravedere solo qualche passante con un ombrello e dei turisti che non volevano rinunciare a visitare una meravigliosa città come quella. Stranamente lei adorava la pioggia,
era rilassante, ma malinconica allo stesso tempo, la rispecchiava. Alzò la testa verso il cielo e chiuse gli occhi, lasciando che alcune gocce scivolassero sul suo pallido viso per poi ricadere sul cemento ormai bagnato. Si incamminò sotto la pioggia, ignorando le occhiatacce della gente. Si riparò sotto l'insegna ormai vecchia e sporgente di un negozio di abbigliamento dove vi era una panchina e in tutta tranquillità tirò fuori il libro che aveva posato nella borsa, sedendosi, riprendendo a leggere da dove aveva lasciato. Immersa nella lettura, udì uno strano rumore mai sentito prima. Alzò lo sguardo e guardandosi intorno non notò niente di anormale, se non una cabina blu della polizia che prima non c'era. Ne era certa. Aveva percorso quella strada così tante volte. Ad un primo impatto pensò di aver
immaginato tutto, così si alzò dalla panchina, camminando verso quella strana cabina. Dopo un momento di esitazione, con la punta delle dita la toccò, giusto per accertarsi che fosse reale. Basita da quell'inaspettata comparsa,
sentì dei rumori all'interno. La scrutò attentamente, quando la porta si aprì e Jane cadde all'indietro, in una pozza di fango.

 

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Capitolo 2
*** You found me. ***


Jane vattene. Scappa. Fa qualcosa, ma non rimanere lì, impalata a fissare la misteriosa cabina blu. Ma no. Lei non ascoltava mai quello che le diceva la sua mente. Per questo si prendeva costantemente cotte per uomini più grandi, o peggio.. Famosi. Certo, era davvero tanto intelligente come ragazza, ma le emozioni riuscivano a offuscare la ragione, che in quel caso le serviva. Però la curiosità era troppa. Se in quel momento fosse scappata e tornata a casa avrebbe passato tutta la notte a chiedersi come fosse arrivata là quella cabina e perché al suo interno si sentivano strani rumori.
 
Scosse la testa e tornò alla realtà, cercando di essere razionale. Doveva per forza esserci una spiegazione. Qualcosa che potesse comunque spiegare la comparsa della cabina proprio lì.
La ragazza si rialzò, fregandosene del fatto che si fosse sporcata gran parte dei vestiti, e alzò lo sguardo.
 
Non avrebbe dovuto farlo. Sentì il cuore iniziare a battere velocemente, forse troppo e per un momento si chiese se stesse morendo. Aveva l’impressione che il cuore le sarebbe uscito dal petto prima o poi. Che succede Jane? Riprenditi.
 
Il suo sguardo si posò sul cravattino e vagò per tutto il suo corpo: dal ciuffo color nero, alla camicia un po’ sgualcita fino alle carpe. Rimase in quella posizione per circa un minuto, finché l’uomo spazientito le posò un dito sulla fronte.
 
«Sei viva, vero?» Chiese lui sorridendo.
 
Ogni secondo che passava sembrava durare un’eternità. E quegli occhi verdi erano ancora posati sul suo volto. Per la prima volta Jane provava imbarazzo.
 
«Sì. Penso proprio di sì.» Rispose cercando inutilmente di nascondere l’imbarazzo. Ormai era diventata color paonazzo.
 
Il sorriso sul viso dell’uomo si allargò fino a diventare una vivace risata. Sembrava quella di un bambino, in netto contrasto con quei occhi stanchi e vecchi.
 
«E comunque scusa.» Aggiunse.
 
Jane alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi, ma si ritrovò a doverlo abbassare nuovamente. Non le era mai capitato e anche se non voleva ammetterlo, era terrorizzata.
 
«I vestiti li posso lavare. Stia tranquillo.» Cercava di essere il più naturale possibile, anche se la bocca si era improvvisamente seccata, così come la gola. Anzi no. Sentiva la gola prendere fuoco. Le bruciava tutto e Dio.. Era tutta colpa sua. Di quel buffo uomo con un cravattino e un sorriso sempre stampato sul volto.
 
«Giusto. Beh, io non li lavo mai. E neanche mi piacerebbe.» A quella frase assunse un’espressione simile a una smorfia.
 
Lei rimase immobile. Avrebbe voluto ridere, ma per educazione non lo fece, forse anche perché con la gola in quello stato non ci riusciva. Che poi.. Per quale motivo le bruciava la gola?
 
«Ma non mi sono presentato! Ah che sbadato. Scusami, la vecchiaia inizia a farsi sentire. Sono il Dottore e tu sei..?» Si passò una mano sul ciuffo, tentando di aggiustarselo. Cosa che fece anche con il cravattino poco dopo.
 
«Beh..» Niente. Le parole le morirono in bocca.
 
«Fantastico! Ho sempre desiderato incontrare qualcuno che si chiamasse Beh! Mi piace!» E detto questo prese a gesticolare.
 
E Jane inutilmente cercò di spiegargli che il suo nome non era quello, ma alla fine si arrese. Era una battaglia persa già dall’inizio poiché lui non smetteva neanche un secondo di parlare. Iniziò a raccontare di avventure fantastiche, di quanta gente famosa aveva conosciuto e poi di compagne. Si soffermò su quel termine per un bel po’ e cominciò a ripetere di quanto erano state fantastiche. Nei suoi occhi si poteva intravedere un misto di malinconia e dolore.
 
«Dovrei rientrare a casa.» Dovresti Jane, dovresti. Ma perché resti lì? E’ come se il tuo corpo non volesse muoversi, vero?
 
In effetti era vero. Non aveva nessuna intenzione di andarsene. Quell’uomo riusciva a incuriosirla a tal punto di spingerla verso l’interesse. Perfetto. Ti sei innamorata, vero? Stupida. Lo sai come finirà.
 
 
Quanto era passato? Un’ora? Sì, probabile. Ormai la giovane si era lasciata andare ai racconti del Dottore. Ogni frase, ogni parola, ogni singola lettera era musica per le sue orecchie. Sarebbe rimasta volentieri ad ascoltarlo per tutto il giorno. Ovviamente non poteva.
 
«E’ grave essere diversi?» Se ne uscì improvvisamente lei.
 
Lui si voltò verso la giovane con un triste sorriso sulle labbra.
 
«E’ grave sforzarsi di essere uguali.» Era come se avesse capito tutto, così rimase a guardarla per qualche secondo negli occhi con aria paterna. Dopotutto poteva essere la nipote di sua nipote. Insomma, lui era sicuramente troppo grande e lei troppo innocente.
 
Si limitò a guardarla. Quello sguardo le disse tutto quella che c’era da dire. Jane, smettila di torturarti l’anima per un uomo che neanche conosci. Eppure le sembrava di conoscerlo da una vita.
 
Lui le aveva spiegato tutto. Del suo vero essere, della cabina, delle sue vecchie rigenerazioni. Quella parte non l’aveva ben capita, ma non le importava. Neanche si chiese perché stesse parlando con un alieno. Che poi non lo era. Non agli occhi di Jane.
 
Se dobbiamo essere strani facciamolo insieme.”
 
Lei si morse un labbro per non dire cose di cui poi si sarebbe pentita e con un veloce movimento della mano si spostò una ciocca di capelli dal pallido viso. Tante volte le chiedevano se era un vampiro. Tanto per prenderla in giro. Però al momento non voleva pensarci. C’era lui e questo le bastava.
 
Il Signore del Tempo invece sembrava molto deciso a non lasciarsi troppo andare. In verità non lo faceva mai, beh.. Quasi mai. Si aggiustò più volte il cravattino, forse per imbarazzo, o forse solo perché gli andava. Erano ben dieci minuti che nessuno dei due parlava, ma alla fine lui si decise ad aprir bocca.
 
«E tu cosa fai nella vita?»
 
Mi deprimo. Bello, eh?

 

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