Romeo e Giulietta

di Letz
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Questa mia seconda storia si accompagna ad un ringraziamento speciale a Icharus_ che per prima ha recensito "La giacca rossa" e che mi ha convinto a pubblicare anche questa storia. 




Romeo e Giulietta



 
Quella scuola puzzava di ricchezza lontano dieci chilometri, si disse Grantaire. Di certo al collegio Valjean non si arrivava per caso: ci volevano selezioni piuttosto dure e un sostanzioso conto in banca. Per la centesima volta quella mattina si chiese cosa diavolo ci facesse lui lì. Non era ricco e nemmeno troppo intelligente, quindi i suoi zii dovevano avere davvero un buon aggancio lì dentro per riuscire a fare ammettere un disadattato come lui in uno dei cinque migliori collegi di Francia.
“Signor Grantaire, il preside Valjean è pronto a riceverla”, gli comunicò la procace segretaria cercando invano di non fissare i suoi bicipiti coperti di tatuaggi. Un sorriso sarcastico affiorò sulle labbra del ragazzo: Eponine aveva ragione, il suo aspetto faceva sempre un certo effetto alle donne.
L’ufficio del direttore sembrava provenire da un altro secolo –diciannovesimo a giudicare dallo stile dei mobili e dei quadri- pieno com’era di legno, velluto e libri antichi. Grantaire aspirò a pieni polmoni quel sottile odore di carta antica e affumicato. Forse la sua permanenza al Valjean non sarebbe stata così terribile come temeva.
Il preside era un tipo alto e piuttosto ben piantato, con i capelli più sale che pepe. Aveva decisamente l’aria di uno che ha passato la sua vita a sporcarsi le mani, piuttosto che ad ammuffire in un ufficio o dietro una cattedra; uno di quelli che sanno benissimo cos’è una rissa e la sensazione che dà il tirare un pugno ad uno sconosciuto. Grantaire si chiese come avesse fatto a finire un tipo del genere a dirigere una scuola d’élite.
“Signor Grantaire, vorrei rapidamente illustrarle le regole di questa scuola e chiarirle la mia decisione di ammetterla in questo istituto. I suoi zii sono miei conoscenti di vecchia data e siamo rimasti in contatto per molti anni dopo la fine dell’università. Essendo molto preoccupati per i suoi comportamenti autodistruttivi”, e il preside lanciò un’occhiata penetrante ai suoi tatuaggi, “e per i suoi ripetuti fallimenti scolastici hanno deciso di chiedere il mio intervento. Lei si trova qui a titolo fondamentalmente gratuito. Quando il mio bisnonno fondò questa scuola lo fece con l’intento di dare una solida istruzione ai ragazzi più disagiati di Parigi. Si renderà certamente conto che le cose sono un po’ cambiate da allora”, e qui Valjean si concesse un sorrisetto ironico, “ma, in memoria di questo spirito, ho voluto accoglierla nella nostra famiglia. I suoi doveri sono semplici: diplomarsi quest’anno e con la sufficienza in tutte le materie. Per quanto riguarda le regole…questo è un collegio signor Grantaire. Lei vivrà qui in modo permanente durante tutta la durata dell’anno scolastico. Le è permesso uscire, naturalmente in compagnia dei suoi compagni, per due sere alla settimana: venerdì e sabato. La giornata della domenica è libera e potrà impiegare come meglio crede il suo tempo. È assolutamente proibito dormire fuori o introdurre qualcuno nel dormitorio. Né donne né uomini signor Grantaire, lo ricordi bene”, e l’occhiata che Valjean gli lanciò gli fece immediatamente capire che i suoi zii dovevano aver vuotato TUTTO il sacco.
“Credo che sia tutto. Dimenticavo, dovrà prendere parte all’attività di un club se vuole diplomarsi. E su questo non voglio sentire obiezioni. Se ha bisogno di qualsiasi altra informazione di rivolga pure al signor Combeferre. So che siete piuttosto amici”, disse il preside senza nemmeno guardarlo. Il colloquio era decisamente finito.
 
~
 
Grantaire e Combeferre si conoscevano da circa sei mesi, ovvero da quando quest’ultimo aveva iniziato ad uscire con Eponine. Ogni volta che lo vedeva Grantaire non poteva fare a meno di domandarsi cosa la sua migliore amica, forse persino più anticonvenzionale di lui, trovasse di tanto irresistibile in quel tizio con gli occhiali e con la faccia da nerd. Di quelli che guardano The Big Bang Theory per intenderci. Ma quando lo conoscevi meglio Combeferre si rivelava un vulcano di idee, una più strampalata dell’altra. Dopotutto, era venuta a lui l’idea travestirsi da Sailor Moon a Carnevale e di coltivare, grazie alle sue conoscenze botaniche, una pianta di marjiuana sul balcone di ‘Ponine. Grantaire aveva dovuto riconoscere che la sua migliore amica sapeva sceglierseli bene gli uomini. Sperava che tra loro durasse, dato che lui la rendeva così felice.
“Chi si rivede! Quella vecchia spugna di Taire”, grido Combeferre abbracciandolo.
“Vedo che porti ancora a spasso quella brutta faccia ‘Ferre”, ridacchiò il moro abbracciandolo a sua volta.
“Un po’ di tempo in questo posto non potrà che farti bene amico. Dacci nove mesi e sarai diventato un vero gentiluomo”.
“Un damerino impagliato che come te apre le portiere alle donne? Mai nella mia vita”, sghignazzò Grantaire. “Non mi avrete mai, voi avidi borghesi. Piuttosto che preoccuparti dei miei modi pensa ai capelli della tua ragazza”.
“Oh mio dio non dirmi che lo ha fatto sul serio! Sono due settimane che non la vedo e le avevo detto di non azzardarsi nemmeno a…”.
“Tagliarsi i capelli come una hipster? Troppo tardi caro mio. Ora si che non potrai più presentarla ai tuoi. E un uccellino mi ha detto che i suoi capelli ora sono viola”, affermò Grantaire con un sorriso sadico sulle labbra.
“Quella donna mi farà morire uno di questi giorni”, sospirò sconsolato Combeferre. “Idiozie a parte Taire, il preside mi ha incaricato di darti gli orari delle tue lezioni. Ci ho messo una buona parola. Inizi con Disegno, aula 18, tra dieci minuti. Per quanto riguarda il club…puoi unirti al mio. Ho sempre voluto presentarti i ragazzi. Ci divertiremo come pazzi quest’anno”.
“Grazie ‘Ferre sei un amico. Accetto volentieri, ma almeno dimmi di che si tratta”.
“Aula 14. Alle tre. Puntuale, ti prego. E sarà una sorpresa”.
Detto questo Combeferre scappò via lasciando in mano a Grantaire un foglio con scritti dettagliatamente orari delle lezioni, aule, nomi dei professori, programmi del corso. Per una volta il moro apprezzò l’estrema precisione dell’amico: quella mappa era oro colato per un ritardatario cronico come lui. Aveva giusto il tempo di una sigaretta prima di recarsi alla sua prima lezione.
 
~
 
Essere un privilegiato era decisamente figo, decise Grantaire ammirando l’aula 18. Nel suo vecchio liceo erano fortunati se avevano abbastanza banchi per tutti gli alunni, qui invece l’aula di disegno straripava di ogni oggetto che un creativo come lui potesse desiderare. Carboncini, pennelli, album da disegno, persino dei cavalletti di legno. Era il paradiso, quello vero. Avrebbe potuto chiudersi in quell’aula a doppia mandata e vivere di sola arte. Purchè qualcuno lo rifornisse di sigarette e birre ogni tre ore.
Il professore, un tipo scialbo che pareva un impiegato, era stato preavvisato del suo arrivo e lo fece accomodare al suo banco cianciando su quanto avesse sentito parlare del suo talento e come fosse curioso di vedere qualcuno dei suoi lavori. Meno parlare e più disegnare, voleva gridargli in faccia Grantaire, ma la cosa sarebbe probabilmente parsa scortese e quello era solo il suo primo giorno. Che ci mettessero almeno una settimana a capire che tipo era. Decisamente doveva essere la sua giornata fortunata dato che dalla bocca dell’impiegato -pardon, il professor Vattelapesca- erano uscite le magiche parole disegno dal vero. Oh, questo era davvero il paradiso.
Grantaire era così preso a preparare la sua postazione –odiava doversi alzare mentre dipingeva per recuperare altro materiale- che non si accorse dell’entrata del ragazzo finchè non alzò gli occhi e se lo trovò davanti. Era la cosa più bella che avesse mai visto, e di certo la tunica greca che indossava e lasciava scoperta un sacco di pelle  –qualcuno avrebbe detto troppa, ma non lui di certo- aumentava l’effetto wow. I ricci biondi cadevano morbidi fin quasi sulle spalle, lievemente schiacciati da una corona di alloro che cadeva mollemente sulla fronte. Se qualcuno glielo avesse chiesto Grantaire avrebbe detto che la pelle del modello luccicava letteralmente, peggio che un vampiro in Twilight. Il modello si sistemò su una sedia incrociando le gambe e fissando un punto imprecisato del muro oltre Grantaire che ringraziò tutti i santi del Paradiso di non dover fare i conti con quegli occhi così azzurri. Disegnare non era mai stato così difficile. Non perché il ragazzo si muovesse o la composizione –chiaramente impersonava Apollo, dio della musica- fosse particolarmente difficile, ma perché il cervello di Grantaire continuava a ruminare pensieri piuttosto osceni. La colpa era tutta delle labbra del modello, di come se le leccava quando erano troppo secche e di come se le mordicchiava quando sembrava particolarmente annoiato. Dio, quelle labbra sembravano create apposta per fare dei meravigliosi…stop, stop, stop. Basta pensare ad Apollo in ginocchio davanti a te e tutto quello che quella situazione faceva presagire.
Due ore dopo la lezione era finita, e lo era anche il disegno di Grantaire. Non era del tutto soddisfatto del panneggio della tunica ma il viso era decisamente “spettacolare”, come ci tenne a precisare il professore. E davanti a tutta la classe. Mentre sistemava la sua postazione Grantaire controllava con la coda dell’occhio il modello. Non poteva permettergli di scappare così. Si fece coraggio e con il suo miglior sorriso di conquista si avvicinò baldanzoso.
“Ehi. Come va?”. Silenzio.
“Volevo solo dirti che sei un modello fantastico e…cioè se ti andasse di posare per me qualche volta” –magari anche senza niente addosso, disse una vocina nella testa di Grantaire- “insomma questo è il mio numero e…uhm. Beh fammi sapere”. Per tutta risposta il modello alzò un sopracciglio e se andò, lasciando Grantaire in un mare di imbarazzo. 


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Eccomi tornata a tormentarvi con le mie storie. Che dire, Grantaire è in assoluto il mio personaggio preferito e sono fermamente convinta che se fosse vissuto ora sarebbe un ribelle pieno di tatuaggi che non vede l'ora di menare le mani XD  Visto che Marius mi irrita abbastanza non volevo che la povera Eponine soffrisse per un tale imbecille, quindi l'ho felicemente accoppiata con il caro vecchio Combeferre. Spero che il povero Victor non si stia rivoltando nella tomba D:

~Letz



 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Avrebbe dovuto sentire puzza di bruciato dal modo in cui ‘Ferre era stato così sul vago. Un fottuto club di teatro. L’idea non gli piaceva per nulla e sarebbe volentieri scappato a gambe levate dalla dannata aula 14 se ‘Ferre non ce lo avesse trascinato a forza. Lo avrebbero avuto contro la sua volontà, si sarebbe comportato come un cadavere. E mai e poi mai avrebbe recitato con quel gruppo di svitati che lo fissavano sorridendo come se fosse un qualche tipo di creatura aliena. Gli ci volle tutto il suo autocontrollo per ascoltare con pazienza le presentazioni dei suoi nuovi compagni e cercare di ricordarsi i nomi.
Oltre a ‘Ferre, che conosceva già ma che avrebbe decisamente dovuto preoccuparsi di non venire fisicamente eliminato dalla sua lista amici dopo quello scherzetto, c’era un tizio con i capelli rasati a zero che si presentò come Bossuet. A quanto aveva capito la sfiga che perseguitava il tipo era leggendaria, visto che un piccione aveva pensato bene di fare i suoi bisognini sulla sua giacca, era scivolato in una pozzanghera bagnando i compiti di tre mesi e aveva perso il portafoglio, ritrovandosi senza nemmeno i soldi per un caffè. E tutto questo era accaduto solo quella mattina. Grantaire rabbrividì all’idea di cosa potesse succedere in quello che rimaneva dell’anno scolastico. Magari un incendio. O una bella inondazione. L’amico di Bossuet era ancora peggio di lui. Si era presentato come Joly, futuro medico. Peccato che in soli due minuti di conversazione avesse asserito di essere quasi in punto di morte a causa di una malattia tropicale – di cui per altro erano stati registrati solo cinque casi, e tutti negli slum di Porto Alegre – e invitato Grantaire a farsi qualche controllo perché “con tutti quei tatuaggi ti sarai senza dubbio beccato il tetano e forse pure l’AIDS”.
Poi c’era quello con i capelli neri tutti sparati, che di certo non vedevano una spazzola da un bel po’. Sembrava simpatico, probabilmente il più normale e faceva battute che facevano ridere. Un vero miracolo. Il gay radar di Grantaire però suonava insistentemente e gridava ai quattro venti “tizio che dopo vent’anni di matrimonio e un paio di marmocchi divorzierà per essersi fatto beccare in macchina a scopare con un ventenne”. Insomma, il classico gay represso da manuale che adora gridare ai quattro venti quanto gli piacciano le donne. Ma nonostante tutto il tipo – aveva detto di chiamarsi Courfeyrac ma, “ehi chiamami pure Courf” – gli piaceva. Non era compito suo giudicare la vita di nessuno. E poi forse gli serviva solo un po’ di tempo per elaborare la sua gayezza. Eppure gli sarebbe bastato fare un discorsetto con Jean – o Jehan, non aveva capito molto bene – che da come fissava capelli-a-spazzola con sguardo adorante aveva un’idea di gran lunga più chiara sulle sue preferenze sessuali di Courfeyrac. Insomma quei capelli rossi legati in una treccia e quella felpa a fiori gridavano Gayland da tutte le parti. E lui che credeva che in quella scuola ci fossero solo fighetti con la simpatia di un tavolino come mister Lentiggini Pontmercy. Probabilmente, e contro ogni previsione, si sarebbe trovato bene con quel gruppo di spostati.
“Dicci qualcosa di te Grantaire”, cinguettò Jean, “’Ferre ci ha parlato così tanto di te, non vedevamo l’ora di conoscerti”.
“Ecco, io…” cercò di tergiversare Grantaire, sperando che Combeferre non avesse raccontato proprio tutto tutto. Lo salvò la porta che si spalancò di botto.
“Scusate il ritardo ma avevo bisogno di discutere alcuni punti del mio saggio con il professor Javert”, disse una voce fredda come il ghiaccio.
“Tranquillo Enjolras, sei arrivato giusto in tempo per sentire la presentazione del nuovo arrivato Grantaire”, trillò Jean la cui voce pareva conoscere solo due volumi, alto e altissimo. Grantaire alzò lo sguardo per guardare il nuovo venuto e si rese conto in un lampo che la sua vita nella scuola aveva appena preso una piega schifosa.
Il nuovo arrivato era Apollo.
 
~
 
“Enjolras, molto piacere” disse Apollo stringendogli la mano. Grantaire si augurò che non notasse quanto fossero sudate le sue mani in quel momento e quel rossore che gli montava su per il collo.
“P-piacere, Grantaire”, balbettò cercando di non sembrare così ridicolo come invece si sentiva.
“Tu sei quello che mi ha lasciato il suo numero alla lezione di disegno”, constatò Apollo alzando un sopracciglio. Doveva essere un’abitudine.
“Si, si sono io. Ma credevo…cioè, insomma…pensavo fossi uno di fuori e non uno studente”.
“Aiuto volentieri il professore quando ha bisogno di un modello per le sue lezioni dal vero”, spiegò semplicemente Enjolras.
“Bene, ora che ci siamo tutti puoi finalmente dirci qualcosa di te Grantaire”, li interruppe Bossuet.
Probabilmente successe perché si sentiva così imbarazzato e quando era imbarazzato tendeva a parlare a ruota libera, come dopo un paio di bicchieri. Non aveva davvero intenzione di dire quelle cose a dei perfetti estranei.
“Mi chiamo Grantaire ma nessuno, a parte i professori mi chiama così. Preferisco Taire o R. Sia chiaro che non voglio prendermi il merito per questo fantastico gioco di parole: lo ha inventato Eponine, la donna più intelligente che io conosca nonché mia migliore amica e fidanzata del qui presente Combeferre”. Questo commento scatenò una generale risata, che tranquillizzò Grantaire. Stava andando tutto bene.
“Ho vent’anni, quindi credo di essere il più vecchio della compagnia. A scuola non sono mai stato una cima e l’anno scorso mi sono anche fatto bocciare. Studiavo al Liceo d’Arte, quello vicino alla Barriere du Maine per intenderci”.
“E come sei capitato qui al Valjean, se non sono indiscreto?”, domandò Joly curioso.
Una parte di Grantaire voleva urlare un “non sono cazzi vostri” ma la sua regola in amicizia era sincerità. Meglio vuotare il sacco ora piuttosto che tra un mese o due. Tanto lo avrebbero scoperto comunque.
“I miei genitori sono morti in un incidente d’auto quando avevo quindici anni. Da allora vivo con i miei zii. Bravissime persone, ma con tre figli piccoli a cui badare non avevano troppe energie da dedicare all’orfanello caduto tra capo e collo”. Ok, non andava affatto bene. Tutti lo stavano guardando con dispiacere e pietà. “Non sono mai stato un ragazzo facile e loro sono sempre stati…tradizionalisti se così si può dire. Non gli andavano a genio i miei tatuaggi e la gente che frequentavo. Sembravano fermamente convinti che passare le giornate a bere e farmi le canne fosse un modo molto stupido per buttare via la mia vita. Poi c’è stata la bocciatura, cosa che li ha fatti parecchio incazzare. Ma credo che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stato l’avermi beccato a scopare sul tavolo del loro soggiorno”, sogghignò.
“Spero che almeno la tipa ne valesse la pena”, ridacchiò Courfeyrac.
Grantaire lo guardò come se avesse appena detto di essere un grande fan di Hitler. “Non vorrai farmi credere che sembro uno a cui piacciono le ragazze? Così mi offendi tesoro”, rispose con un sorrisetto ironico.
Ecco, questo li aveva fatti ammutolire. “Quindi tu sei gay?” biascicò Courfeyrac rosso come un peperone.
“Ah ah. Spero non sia un problema per nessuno di voi”. Nessuno fiatò. “In questo caso…vorreste spiegarmi che diavolo fate in questo club?”.
“Beh, mi pare ovvio. Allestiamo spettacoli teatrali. Io sono il regista”, affermò tutto serio Jehan, “e, dopo lunghe e sofferte meditazioni, ho trovato l’opera perfetta. Romeo e Giulietta”.
Grantaire notò con soddisfazione che non era l’unico ad avere una faccia schifata.
“Jehaaaaaan ma che ti salta in testa? Quella roba fa venire il diabete. E poi siamo tutti uomini”, si lagnò Courfeyrac.
“Non ci provare nemmeno. Io sono il regista e io decido. Ha anche già assegnato i ruoli” disse quel piccolo psicopatico pel di carota. “Enjolras farà Giulietta. Insomma, nessuno potrebbe resistere a quella faccia. Joly, tu sei Romeo. Courf e ‘Ferre voi farete Mercuzio e Tebaldo. Bossuet, per te pensavo a Paride, più sfortunato di così non potevo trovarne. Marius invece farà Frate Lorenzo e con le parti rimaste ci arrangeremo io e Grantaire. A proposito, mi dispiace da morire ma questa scaletta è roba dell’estate e non potevo immaginare che ti saresti unito a noi. Non c’è problema vero Taire?”.
Grantaire sorrise nel sentirsi apostrofare con così tanta confidenza. “Tranquillo, non aspiro a diventare il nuovo Jean Reno. Credo che con Lèon gli attori francesi abbiano raggiunto il loro apice e il mio contributo sarebbe del tutto inutile”.
“Non dirmi che sei un fan di quel film. Io lo adoro letteralmente. Io non voglio dormire Lèon”.
 “Io voglio amore…o morte”, terminò Grantaire guardando ammirato Courfeyrac. “Finalmente incontro un fratello. Guarda qui”, disse sollevandosi la maglietta e mostrando un tatuaggio sulle costole che recitava proprio Io voglio amore o morte.
Grantaire fu piacevolmente stupido nel vedere Apollo che tratteneva il fiato di fronte ai suoi tatuaggi e arrossiva in modo esagerato, come non avesse mai visto un uomo mezzo nudo. Che animuccia candida.
“Se per voi va bene mi occuperei della scenografia e del montaggio” riprese cercando di ignorare la vocina nella sua testa che gridava all’indirizzo di Enjolras “se ti piace tanto vieni pure qui a toccare”. “Con il disegno me la cavo piuttosto bene” ridacchiò allungando a Jehan un tovagliolo spiegazzato che aveva pasticciato per tutta la riunione. C’era ritratto proprio Jehan che si toccava distrattamente la treccia. “Solo un piccolo assaggio”. Gli occhi luccicanti del rosso gli confermarono di aver fatto colpo.
 
 
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In questo capitolo ho potuto scatenare tutta la mia cattiveria sui poveri Amis. Volevo dare risalto quello che una personcina caustica come Grantaire potesse pensare “a pelle” di tutti gli altri. Spesso mi sono ritrovata anche io a fare commenti del genere – un po’ acidelli, diciamoceli – con le amiche.
Grantaire e la sua vita disastrata *corre a stritolare il povero R*
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento e di non incorrere in nessun linciaggio, grazie a chi legge/segue/recensisce.
 
Lots of love,
~ Letz 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***



Jehan aveva insistito per accompagnarlo personalmente al dormitorio e spiegargli come funzionava la vita quotidiana al Valjean. Grantaire per un attimo temette che quello scricciolo si fosse preso una cotta a prima vista per lui ma fortunatamente quello pareva aver in mente solo il teatro.
“Sarà stupendo avere delle scenografie vere. E tutto grazie a te Taire”, fischiettò Jehan. “Dobbiamo metterci subito al lavoro io e te, non possiamo permetterci di perdere nemmeno un secondo”.
“Ehi, ehi vacci piano folletto”, ridacchio Grantaire accendendosi una sigaretta, “non ti andrebbe prima di dirmi dove dormirò? E cosa mangerò soprattutto. Ho così fame che potrei squartare un dinosauro e vendere le sue ossa ad un museo solo per farmi due soldi da spendere in un McDonald”.
Riuscendo a stupirlo del tutto anche Jehan si accese una sigaretta che sprigionò immediatamente un profumo fresco. Lo scricciolo in effetti sembrava proprio il tipo da sigarette al mentolo.
“Gli studenti mangiano nel refettorio, quell’edificio laggiù. Colazione alle 7.30, pranzo alle 13 e cena alle 19.30. Ma tutto questo per noi dell’ultimo anno non vale. Noi viviamo in una specie di residenza studentesca in cui ognuno ha la propria camera, il proprio bagno e divide con i coinquilini il soggiorno e la cucina. Vogliono che impariamo ad essere autosufficienti, quindi dobbiamo cucinare per noi stessi, lavare e stirare i nostri vestiti e tenere in ordine la casa. Ovviamente ‘Ferre ha chiesto al preside di farti stare con noi del club di teatro. La tua stanza è in fondo al corridoio. Di fronte hai Enjolras e a fianco me”, sorrise felice Jehan.
“La cosa si fa molto interessante. Niente controlli, niente regole e totale autosufficienza. Credo che me la caverò benissimo. Per ringraziarti della tua gentilezza posso invitarti a cena? Sono un ottimo cuoco e potrei prepararti il mio cavallo di battaglia: pasta alla carbonara”.
“Tu sai cucinare italiano? Non posso crederci! È la mia cucina preferita. Sono tre estati che faccio uno stage linguistico a Firenze e lì mi sono innamorato di tutto ciò che è italiano”, gli disse Jehan con gli occhi a cuore.
“Beh, so che detto da un francese è quasi un crimine contro la patria ma credo che in quanto a cucina non ci sia nessuno come gli italiani. Oltretutto, dopo aver vissuto cinque anni a Londra si ha un bisogno fisico di buon cibo”.
“Hai persino vissuto all’estero? Credo tu sia appena diventato la persona più figa di questa scuola. Almeno per me. So che ci conosciamo poco, ma potrei chiederti un favore? Ti andrebbe di vederci qualche pomeriggio per fare conversazione in inglese? Io lo parlo piuttosto bene, sono un patito delle lingue, ma a lungo andare si perde del tutto l’uso della lingua se non la si esercita. Ti prego, ti prego Taire dimmi di si. Farò qualsiasi cosa in cambio”.
“Anche delle ripetizioni ad un caprone come me?”.
“Ma certo. Lingue a parte, sono davvero appassionato di letteratura. Potrei darti una mano con quella”.
Honey, tu mi salvi la vita. Di quella roba non ci ho mai capito nulla”, ammise candidamente Grantaire.
“Allora affare fatto. Non vorrei sembrarti indiscreto ma potrei chiederti ancora una cosa? Potresti consigliarmi un buono studio per un tatuaggio? Ci penso da un paio d’anni ma i ragazzi continuavano a darmi contro. Joly mi ha letteralmente detto che sarei morto, Courfeyrac che mi sarei pentito dopo due giorni ed Enjolras…lui ha semplicemente detto che il corpo è un tempio e che nessuna persona rispettabile si sarebbe fatta mutilare con un tatuaggio”.
“Oh mio dio, che palla al piede questo Enjolras. Non sembrava così contrario ai tatuaggi quando pomeriggio mi fissava come un pesce lesso. O forse il merito era tutto dei miei addominali”, sbuffò Grantaire. “Sai che ti dico honey? Pur di fare un dispetto a quel pezzo di marmo non solo ti consiglierò il miglior studio di Parigi ma ti ci accompagnerò pure. Devo giusto finire di colorare questa bellezza”, disse indicando il fianco destro lungo cui, sotto la maglietta, si snodava una tigre.
“Oh Taire! La cucina italiana, l’inglese e ora anche il tatuaggio. Credo che tu sia la mia anima gemella”. Rendendosi conto di quanto gli era uscito di bocca Jehan divenne dello stesso colore della sua treccia. “Cioè, io non volevo dire…insomma platonicamente, non nel senso che tu ed io..”.
“Tranquillo cucciolotto, ho capito benissimo. Anche io credo che saremo amici per la pelle” rise Grantaire. Le cose per lui al Valjean stavano di nuovo girando nel verso giusto.
 
~
 
La cena era piaciuta a tutti e questo aveva contribuito a farlo accettare ancor di più dal gruppo. L’unico che aveva avuto da ridire era stato Apollo che non credeva fosse particolarmente patriottico, e a maggior ragione in un momento di recessione, mangiare prodotti stranieri. “Rilassati Apollo, è solo del pecorino. L’economia della Francia non andrà a puttane per questo”. Enjolras divenne rosso come un peperone. Probabilmente non era abituato a quel linguaggio, decise Grantaire.
“Come mi hai chiamato scusa?”. Oh, quindi era quello il problema.
“Apollo. Stamattina nella mia testa era così che ti chiamavo. Devo abituarmi alla tua discesa nel mondo dei mortali. E al tuo essere così sorprendentemente umano. Sei per caso arrossito? Eppure a Disegno parevi un pezzo di marmo”.
“Evidentemente questo pezzo di marmo ti piaceva, dato che mi hai lasciato il tuo numero”, disse Enjolras rosso di rabbia. O di imbarazzo, Grantaire non avrebbe saputo dire.
“Da come mi fissavi sbavando al club devo dedurre che nemmeno io ti faccia tanto schifo”, lo prese in giro il moro.
Prima che il biondo potesse rispondere il telefono di Grantaire squillò. Andò a rispondere nel corridoio buio. Salvato in corner.
“Ciao dolcezza. Sopravvissuto al primo giorno di riformatorio?”
“Quante volte te lo devo ripetere ‘Ponine? È una scuola, che tra le altre cose frequenta anche il tuo ragazzo. Povero cristo, ancora non si è ripreso dopo la notizia dei tuoi capelli viola”.
Eponine ridacchiò dall’altro lato del telefono. “Fino a che continuerò a fargli pompini non ci andrà troppo per il sottile”.
“Cristo ‘Ponine, quante volte ti devo dire che certi particolari della tua relazione me li risparmierei volentieri?”, disse Grantaire piuttosto schifato. “A proposito, ho conosciuto gli amici di ‘Ferre. Tipi a posto se non consideri che fanno parte di un club di recitazione. Ho già rimediato un insegnante di letteratura ed è solo il primo giorno! E poi il tipo che sta nella stanza di fronte alla mia credo sia l’uomo più scopabile di questo pianeta. Solo a pensare cosa potrebbe fare con quella bocca…meglio che non continui. Voglio che tu mantenga la tua innocenza”.
“Ora chi è che mi delizia con particolari indecenti della sua vita sessuale?”, si finse scandalizzata Eponine. Grantaire era troppo preso dalla telefonata per accorgersi che non era solo nel corridoio.
“Ho già detto che mi manchi da morire?”.
“Anche tu R. Anche tu. Ora devo lasciarti. Je t’aime”.
“Anche io ti amo. Ci vediamo venerdì. Conterò le ore”. Detto questo Grantaire chiuse il telefono e tentò di avviarsi verso il soggiorno, riuscendo a muovere solo pochi passi prima di andare addosso ad Enjolras.
“Io…mi dispiace non volevo disturbarti. Credevo avessi finito. Mi dispiace, solitamente non sono un tipo aggressivo. O polemico” – o umano, voleva aggiungere Grantaire, ma si trattenne – “Sono stato decisamente inopportuno prima. Considerando che hai anche un ragazzo”.
Grantaire non capiva a cosa diavolo si stesse riferendo e glielo fece notare.
“Tesoro non ho proprio nessun ragazzo io. Se ti riferisci alla telefonata era Eponine. La Eponine di Combeferre, giusto perché tu non abbia dubbi”. Grantaire si interruppe: era diventato improvvisamente consapevole dei pochi centimetri che lo separavano da Apollo. In un secondo gli tornarono alla mente tutti i pensieri non proprio casti di quella mattina. Quale miglior modo che mettere in imbarazzo quel pezzo di marmo che provarci spudoratamente con lui? La vena sadica di Grantaire non aveva limiti e in quella partita aveva solo da guadagnare: magari ad Enjolras piacevano gli uomini quanto piacevano a lui. “E comunque io sono un tipo fedele. Non ci proverei con i modelli che ritraggo se avessi un fidanzato”. A questa frase non ci fu risposta ma Grantaire ebbe almeno la soddisfazione di vedere Enjolras scappar via come se gli andassero a fuoco i vestiti. 1 a 0 per il lato oscuro.
 

 
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Ed eccoci qui con il terzo capitolo ^_^
Che dire, io amo Jehan e sono fermamente convinta che lui e Grantaire siano anime gemelle (ovviamente senza nessuna implicazione sessuale). Poi Jehan mi mette allegria e scrivere di lui è sempre un piacere.
Enjolras e Grantaire che si beccano sono semplicemente la normalità, anche se si conoscono da quattro ore. È scritto nel loro DNA, facciamocene una ragione.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, grazie di cuore a chi segue/legge/recensisce in particolare a Icharus_ e _Rossyj_ che sopportano (e supportano) questa storia assurda.

~Letz
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Jehan era decisamente pazzo, ormai Grantaire non aveva più dubbi. Voleva che realizzasse una bozza di un metro per due di tutti i pannelli di cui si sarebbe composta la scenografia a colori. “Così avremo tempo di cambiare qualcosa nel caso”, aveva cinguettato quel fascista come se gli stesse chiedendo di fare un picnic e non un lavoro enorme che avrebbe richiesto almeno una settimana di lavoro esclusivo. Erano tre giorni che nel pomeriggio si chiudeva in aula 18 a dipingere. In quel momento stava lavorando alla scena del balcone ma non era del tutto soddisfatto della luna. All’improvviso una mano si posò sulla sua spalla facendolo quasi cadere dalla sedia.
“Cristo Enjolras mi stava per venire un infarto. Non si bussa più in questa dannata scuola?”, gridò Grantaire.
“Ascoltavi la musica, non mi hai sentito. Eppure ho bussato un bel po’. Credevo fossi morto o qualcosa del genere. Posso?”, e senza aspettare la risposta Enjolras prese in mano una delle cuffiette. “Dire Straits. Non ti facevo uno da questa roba”.
“Era solo per calarmi nel mood di questo stupido Romeo e Giulietta”. La sua voce stava assumendo un tono decisamente lagnoso.
“Beh abbiamo quasi replicato la scena. Hey it’s Romeo, you nearly gimme a heart attack”, canticchiò il biondo. “Peccato io sia solo Giulietta, dovrai accontentarti”. E detto questo si accomodò sorridendo su una sedia vicino a lui. Il cervello di Grantaire doveva essere ancora in preda allo shock perché ci mise un attimo ad elaborare. Enjolras stava sorridendo. Potrei fare follie per quel sorriso, pensò. Ma poi la realtà fece di nuovo capolino nell’aula 18. Lui ed Apollo non stavano nella stessa stanza dal giorno della telefonata, due settimane prima. Sembrava incredibile come riuscisse ad evitarlo pur vivendo ad una sola camera di distanza. Aveva persino preso l’abitudine di mangiare da solo nella sua stanza. Agli altri aveva detto di essere molto preso con lo studio ma nessuna persona normale sarebbe stato così piena di compiti dopo sole due settimane di scuola. Il problema era uno solo: voleva evitarlo. All’inizio si era sentito ferito, poi furioso. Tempo una settimana e non avrebbe sentito più nulla, nemmeno quell’insana attrazione che lo attirava vertiginosamente verso Enjolras. E invece ecco qui Apollo che voleva rovinare il suo bel percorso di disintossicazione ricominciando a parlargli.
“Cosa ci fai qui?”, quasi ringhiò Grantaire. “Mi era parso di capire che la mia compagnia ti fosse piuttosto sgradita”.
Ora Enjolras sembrava imbarazzato. “Jehan mi ha mandato a dirti che tra mezz’ora ci sarà una seduta straordinaria del club”.
“Ok, grazie mille. Finisco questo pannello e vi raggiungo”, rispose il moro continuando a dipingere.
“Posso restare? Se non ti dispiace ovviamente”.
“Fai come vuoi”.
Si era seduto troppo vicino, realizzò Grantaire. Riusciva a sentire il profumo del suo shampoo – camomilla, ci avrebbe giurato – e aveva anche una panoramica perfetta delle sue labbra. Cristo, gli serviva proprio una sigaretta. Se ne accese una velocemente, ignorando la faccia scocciata di Enjolras. Peggio per lui se non sopportava il fumo, nessuno gli aveva chiesto di rimanere. Mentre teneva la sigaretta con la destra continuò a disegnare con la sinistra, fermandosi ogni tanto a considerare il dipinto nel suo insieme.
“Sei davvero bravo. Scommetto che te lo dicono tutti. E poi sei perfino ambidestro. Anche Leonardo lo era, lo sapevi?”, gli disse Enjolras.
“Sì, l’ho letto da qualche parte. Ma mi dispiace deluderti, non sono un vero ambidestro. Ho dovuto fare di necessità virtù e imparare a usare la mano sinistra quando la destra era fuori uso”.
“Ti capisco, anche io mi sono rotto un polso cadendo dalla bici. I due mesi peggiori della mia vita”.
“Beh, le cose per me sono state un po’ più complicate. Prima ero uno scricciolo come Jehan, so che vedendomi ora sia una cosa difficile da credere ma ti assicuro che ero davvero minuto. Se a sedici anni dici di essere gay stai pur sicuro che trovi qualcuno pronto a prenderti a pugni finchè non ritratti. Erano in tre e mi hanno rotto il braccio in due punti. Purtroppo per loro sono ancora decisamente gay”, affermò Grantaire con un sorriso amaro. “In dieci settimane di gesso ho imparato a usare la sinistra altrettanto bene che la destra”.
La faccia di Enjolras era parecchio sconvolta e sembrava sull’orlo delle lacrime, nemmeno fosse stato lui quello con il braccio rotto e preso a pugni dai bulli.
“Tranquillo, ormai è passata. Ho iniziato ad andare in palestra e nessuno mi ha più dato fastidio. O meglio, quelli che ci hanno provato si sono ritrovati con un bell’occhio nero. Capisco che tu non abbia avuto di questi problemi. Insomma, neppure il peggior bullo omofobo si azzarderebbe a prendere a pugni quel bel musino”.
“Io non sono…cioè non…non ho mai avuto nessuna storia. Né con una ragazza né con un ragazzo”.
Ora l’atmosfera era decisamente tesa. Grantaire non si aspettava quell’uscita da Enjolras ma gli fece enormemente piacere: forse c’era una possibilità che Apollo finisse nel suo letto di sua spontanea volontà. Era decisamente un esperto di tipi confusi, in realtà solo bisognosi di una spintarella.
“Uhm, carini i tatuaggi. Qual è stato il primo?”. Tipica domanda per cambiare discorso. Poteva concedergliela, per quel giorno aveva già fatto imbarazzare abbastanza Enjolras.
“Questo qui sul polso sinistro”, rispose indicando una scritta in greco, “me lo sono fatto con ‘Ponine quando avevamo quindici anni. Ovviamente di nascosto e falsificando la firma dei genitori. I miei zii non ne furono molto felici. Credo che la punizione sia durata più di un mese”, ridacchiò Granatire, “comunque significa…”.
“Amore infinito”, completò Enjolras.
“Tu leggi il greco antico?”.
“Perché tu no?”. Di nuovo quel dannato sopracciglio alzato.
“Nah, l’idea è stata di ‘Ponine, è lei il genio tra noi due. So che sembra una cosa assurda, farsi un tatuaggio in una lingua che nemmeno si conosce, ma avevamo solo quindici anni e un disperato bisogno di appartenere a qualcosa, o a qualcuno”.
“E’ una cosa molto dolce invece. Non amo molto i tatuaggi ma credo che su di te siano in qualche modo…giusti” -sospiro profondo- ” Credo sia ora di andare Grantaire”.
Il suono del suo nome pareva straordinariamente bello in bocca a lui, appena strascicato, come se lo stesse assaporando. Chissà come doveva essere sentirsi chiamare da quella voce mentre ci si stava scopando il proprietario. Grantaire non vedeva l’ora di scoprirlo.
 
~
 
Jehan sembrava stranamente eccitato e questo fece subito insospettire Grantaire. Quale malsana idea aveva partorito quella mente infernale?
“Ragazzi, sono due settimane che ci penso e credo proprio che l’idea di Romeo e Giulietta sia troppo tradizionale. Dato che questo è il nostro ultimo anno insieme dovremmo cimentarci di qualcosa di veramente originale. Perciò mi chiedevo se foste d’accordo a proporre una nostra versione modernizzata del testo di Shakespeare. Niente di troppo radicale a livello di dialoghi, intendiamoci. Vorrei qualcosa che scuota le coscienze, qualcosa di poetico, di reale, di al passo con i tempi. Vorrei un Romeo e Giulietta gay”.
Grantaire avvertì un sonoro cadere di mascelle. Probabilmente Jehan sarebbe stato linciato sul posto.
“Ragazzi vi preeeeeegooooo”, li implorò Jehan con la sua miglior faccia da carino&coccoloso. “E’ un’idea geniale. E poi noi siamo tutti maschi, sarebbe ridicolo far vestire Enjolras da donna”.
“Jehan sai benissimo che Valjean non acconsentirà mai ad una produzione così radicale. Insomma, siamo pur sempre in un collegio con un nome piuttosto rispettabile”, si fece sentire Combeferre in tutto il suo buon senso. “L’idea è veramente grandiosa, tu sei un regista grandioso ma non vorrei vederti deluso”.
Gli altri concordarono: sarebbe stato uno spettacolo bellissimo ma la proposta era irrealizzabile.
“Parlerò io con Valjean. Gli spiegherò le nostre motivazioni. Insomma, questo spettacolo potrebbe muovere le coscienze. Sarebbe un passo importante per il riconoscimento dei diritti delle minoranze”, intervenne con tono serio Enjolras.
“Enj, questo non è uno dei tuoi comizi politici. Non ti permetterò di strumentalizzare il nostro spettacolo solo per far vedere quanto sei politicamente impegnato”, si oppose decisamente Jehan.
Grantaire seguiva con interesse questa discussione: Combeferre gli aveva spiegato che Enjolras era uno di quei tipi politicamente schierati contro ogni tipo di ingiustizia, di quelli che vanno ad ogni manifestazione urlando slogan contro la guerra e i tagli all’istruzione. La sua ambizione più grande era cambiare il mondo. Grantaire ammirava gli uomini come lui, forse perché nella sua vita, escludendo l’arte ed Eponine, non aveva mai avuto nulla in cui credere.
“So benissimo a cosa miri Enjolras. Ora che Taire si è unito ai noi vuoi cogliere la palla al balzo per ergerti a paladino dei diritti civili. Cosa c’è di meglio di uno spettacolo gay con un gay che recita per fare pubblicità alle tue iniziative politiche?”. Jehan pareva decisamente furioso.
“Ti sbagli Jehan. Non potrei mai mettere in mezzo Grantaire e obbligarlo a rivelare a tutta la scuola la sua omosessualità. Dio, per che razza di persona mi prendi? Pensavo solo che intorno a noi centinaia di ragazzi e ragazze vengono discriminati ogni giorno per il loro orientamento sessuale. Siamo pronti a lavarcene le mani fino a che non succede a qualcuno che conosciamo personalmente”, ed Enjolras lanciò un’occhiata penetrante a Grantaire, “ma credo che sia ora di cambiare. E il primo cambiamento da fare è quello in noi stessi”.
Detto questo Enjolras si alzò e andò a piazzarsi davanti a Grantaire che trattenne il fiato di fronte all’espressione seria del ragazzo.
“Mi dispiace per il mio comportamento inqualificabile degli ultimi giorni. Amici?”.
Mentre si stringevano la mano Grantaire pensò che nessuno come Enjolras riusciva a farlo sentire così felice ed incazzato allo stesso tempo.
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Di nuovo qui con un nuovo capitolo. Qui le cose finalmente si smuovono e Jehan si dimostra il piccolo nazista che è in realtà. Insomma, usare lo sguardo carino&coccoloso è un vero colpo basso, nessuno potrebbe resistergli.
Enjolras è il solito confuso, pezzo di marmo, contradditorio che tutti noi amiamo. Perché lo spettacolo di Jehan sarà una bomba, e lui ovviamente deve metterci il becco con le sue idee politiche. Ma lo fa anche per Grantaire, e la cosa è inaspettatamente dolce anche se terribilmente confusionaria.
Grazie a chi legge/segue/recensice (ogni recensione è bene accetta, non siate timidi. Nessuno di voi sarà mangiato, sono solo tanto curiosa di sapere cosa vi piace o non vi piace di questa storia).
 
Lots of love,
~Letz

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Capitolo 5
*** Capitolo V ***




Il preside Valjean si era preso una settimana di tempo per “valutare attentamente una questione che potrebbe avere serie ripercussioni su questo istituto”. Marius Pontmercy che, Grantaire lo aveva scoperto solo il giorno prima, usciva con la figlia del preside aveva promesso di metterci una buona parola.
“Se glielo chiede Cosette ci darà di sicuro il permesso. Quell’uomo non le può rifiutare nulla”, aveva affermato sicuro Mister Lentiggine. Grantaire compianse quella povera ragazza: non solo aveva per padre quel parruccone di Valjean, ma si ritrovava per fidanzato quel pesce lesso di Pontmercy.
Nel frattempo Grantaire affogava nei compiti. Aveva problemi in almeno metà delle materie ma, si consolava, in quelle che gli piacevano non si limitava ad andar bene, eccelleva decisamente. I ragazzi del club di teatro studiavano sempre insieme e tra loro si erano stretti dei taciti patti per cui i compiti e le verifiche passavano regolarmente di mano in mano. Di questa piccola “associazione a delinquere a scopo copiativo”, come la chiamava Courfeyrac, ormai beneficiava anche Grantaire. Alle conversazioni di inglese che faceva con Jehan si era unito anche Courf, che era una schiappa con le lingue. In cambio lui, insieme a Combeferre, aiutava Grantaire con Matematica e Fisica. Bossuet era un asso in Diritto e Joly in Scienze e Chimica. Tutti, Enjolras a parte, avevano un punto debole che gli altri membri del gruppo aiutavano a migliorare.
Quel pomeriggio Grantaire era alle prese con una delle materie più noiose del pianeta: Storia. E, sfiga suprema, Jehan era dovuto restare in aula per un compito in classe pomeridiano, abbandonando l’amico al proprio triste destino. Sbuffando sonoramente il ragazzo iniziò a ripetere ad alta voce la lezione, senza accorgersi che non era solo nella stanza.
“Ehm, ehm, posso darti una mano Grantaire?”. Tra tutte le persone che potevano esserci in quell’aula, proprio Enjolras doveva incontrare?
“Mi salveresti la vita. Odio la Rivoluzione Francese. E ti prego, chiamami R. Mi viene l’orticaria a sentirmi chiamare Grantaire”.
“Nessuna persona sana di mente odierebbe la Rivoluzione Francese Gran…R”, rispose Enjolras iniziando a scarabocchiare su un foglio per appunti le divisioni politiche all’interno della Convenzione. “Insomma hanno ghigliottinato un re e liberato un paese in cui vigeva ancora la legge feudale. Quanti altri popoli possono dire lo stesso? In Francia abbiamo avuto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti”.
“Tesoro, non capisco niente di questa roba. Diritti, uguaglianza, libertà. Guardati un po’ intorno e capirai in due secondi che queste sono solo parole”.
“Come puoi essere così cinico? Bisogna impegnarsi in prima persona per trasformare quelle che sono semplici parole, seppur ispiratrici, in fatti. Non ci si può nascondere quando il tuo paese ti chiama”.
“Non voglio piangermi addosso ma la mia vita non è stata proprio rose e fiori. Quando vedi lo schifo che sta fuori da questa scuola per privilegiati non ti resta molto spazio per credere a tutte le tue belle parole”, disse Grantaire con amarezza.
“Io credo che insieme, io e te e gli altri, potremmo costruire un mondo migliore. Ma è impossibile farlo se tu non credi più in niente”.
“Io credo in te”. Ma come gli era venuto in mente di dire una cosa del genere? Nemmeno avesse avuto cinque anni. “Voglio dire che anche se non credo che il mondo possa cambiare, quando ti sento parlare tu mi fai credere che sia una cosa possibile. Forse se mi resti abbastanza vicino mi attaccherai un po’ della tua fiducia cieca”.
Il sorriso che Enjolras gli lanciò avrebbe potuto illuminare la stanza per una settimana. Non credeva che un uomo potesse avere così tanti denti da mostrare tutti in una volta. Il cuore di Grantaire mancò un battito: Enjolras stava iniziando a piacergli in modo decisamente esagerato ed adolescenziale.
 
~
 
Contro ogni previsione Valjean aveva accettato. Enjolras appariva decisamente euforico mentre quel venerdì lo comunicava agli Amis riuniti. Combeferre annuiva soddisfatto come se fosse stato sempre convinto dell’esito positivo della vicenda, Marius continuava a ripetere quanto Cosette fosse stata grandiosa a convincere il padre, Courfeyrac si mise a fare un balletto e Jehan pianse come una fontana. Joly e Bossuet si limitarono a battersi il cinque gridando “Romeo&Giulietto: here we come”. Grantaire, che voleva dare un contributo alla causa, propose di uscire tutti insieme a festeggiare.
 
~
 
“R questo locale è fighissimo!”, urlò a pieni polmoni Jehan per sovrastare il rumore assordante della musica, “Non ci ero mai venuto prima”.
Grantaire non si stupì più di tanto. La Chapelle non era esattamente il tipo di locale che un gruppo di studenti del Valjean poteva frequentare nel week end. Era a metà tra un pub e una vera e propria discoteca, il tutto inserito nel contesto di una chiesa sconsacrata. Lui invece lì era di casa, dato che il proprietario, Feuilly, viveva nel suo stesso palazzo.
“Feuilly, ci porti sette medie?” ordinò Grantaire.
“Ma io non bevo”, si oppose Enjolras.
“La sua la bevo io. Porta una coca cola al principino qui”. La faccia di Enjolras era decisamente infuriata.
Nel tempo che ci misero ad arrivare le birre Courfeyrac era già sparito in pista con una brunetta decisamente carina e Joly era già stato in bagno tre volte per lavarsi le mani dato che “questo locale è un vero ricettacolo di germi”. Mentre sorseggiavano le birre Pontmercy e Bossuet avevano deciso di sfidarsi in una gara di bevute e avevano fatto portare una scacchiera per la dama alcolica. Jehan e Grantaire avevano iniziato a fare scommesse sul vincitore e piano piano avevano coinvolto metà del locale. Persino Enjolras sembrava divertirsi e godersi la musica.
All’improvviso Grantaire sentì due braccia forti che lo cingevano da dietro e una voce sexy che sospirò nel suo orecchio: “Mi sei decisamente mancato R”. Si girò di scatto e si trovò davanti un ragazzo alto, con i capelli castani piuttosto lunghi e una giacca di pelle con un logo da motociclista. Bahorel. Si erano conosciuti l’anno prima e da allora si erano presi e lasciati ad intermittenza. Tecnicamente non erano mai stati insieme, più che altro andavano a letto insieme.
“Anche tu Bahorel”, sorrise Grantaire.
“Che ne dici di venire da me stasera? È tanto che non ti fai vedere”.
 Sentire quelle parole rese Grantaire acutamente consapevole del fatto che erano due mesi che non faceva sesso, e gli mancava terribilmente. Non era mai stato un tipo da la-castità-è-una-cosa-meravigliosa. Era decisamente tentato di accettare ma il suo sguardo si posò sul tavolo occupato dai suoi amici. Enjolras stava fissando lui e Bahorel con uno sguardo preoccupato.
“Tutto ok con quel tipo?” sillabò il biondo all’indirizzo di Grantaire che si sentì terribilmente colpevole. Come se andare a casa di Bahorel a scopare per tutta la notte fosse un tradimento nei confronti di Enjolras. 
“Un’altra volta Bahorel, stasera sono con i miei amici”.
 
~
 
“Chi era quello?”, chiese Enjolras con noncuranza.
“Un amico”, rispose Grantaire fingendo noncuranza mentre in realtà si sentiva andare a fuoco. “A proposito di amici, dove si è cacciato Courf?”.
“Nella mia macchina. Con la brunetta”. La voce di Enjolras grondava letteralmente disapprovazione.
“E Jehan cosa ne pensa del fatto che presti a Courfeyrac la tua macchina per scoparci dentro?”, domandò curioso Grantaire.
“Jehan? Cosa c’entra adesso Jehan?”.
“Oh mio dio, non dirmi che non ti sei accorto che sbava letteralmente dietro a Courf”. La faccia sconvolta di Enjolras avrebbe meritato un Oscar. “Cristo, ma cosa hai sugli occhi, fette di salame? Eppure vi conoscete da…cinque anni?”.
“Veramente da otto”.
“Così peggiori solo la tua posizione Apollo”, rise Grantaire.
“Forse ti sbagli R. Insomma quello là mi pare proprio Jehan e non mi pare che lui e il tuo amico in giacca di pelle stiano parlando del tempo”.
Grantaire si girò giusto in tempo per vedere Jehan e Bahorel avvinghiati su un divanetto.
“Vieni ad aiutarmi a staccare quelle due cozze oppure vuoi continuare a crogiolarti nell’autocompiacimento?”, sbuffò.
Lui e Enjolras si avvicinarono a Jehan e Bahorel. “Ehi Ba’ puoi lasciarmi un minuto con il mio amico?”.
“Tranquillo R, stavo per andarmene. Insomma il ragazzino sta piangendo per qualche dannato motivo”.
Jehan si stava effettivamente sciogliendo in un mare di lacrime. “Oh Taire, perché lui non mi vuole? Insomma, non sono meglio io di quell’oca?”.
Honey, sei ubriaco. E ne sono piuttosto sicuro, visto che hai appena limonato con il mio ex che conoscevi da circa cinque minuti. Non preoccuparti per Courf, è solo un’idiota. Ma sono sicuro che prima o poi capirà quanto tieni a lui”.
“Grazie Taire, ti voglio be…” ma le parole del rosso furono soffocate dall’ennesima crisi di pianto.
Ci volle almeno mezz’ora per calmare Jehan e ci riuscirono solo con un paio di gocce di Valium che Joly tirò fuori dal suo borsello. Finalmente il ragazzo si addormentò su un divanetto ma, dato che Courfeyrac non era ancora rientrato, non potevano tornare a casa, quindi Grantaire decise di approfittarne.
“Apollo, vuoi ballare con me?”, chiese con il cuore che gli batteva a mille. E se avesse detto di no? Sarebbe morto dall’imbarazzo.
“Volentieri”.
Per un po’ ballarono in silenzio, troppo imbarazzati dall’improvvisa intimità creatasi tra di loro. Poi Enjolras ruppe il silenzio.
“Chissà quanto mi hai trovato ridicolo prima. Tu in un mese hai capito cose su Jehan che io non sospettavo nemmeno dopo otto anni. Forse in me c’è qualcosa che non va”.
“Tranquillo tesoro, a volte le cose che vediamo meno sono quelle che dovrebbero saltare più all’occhio. La tua faccia quando te l’ho detto però è stata impagabile”, e Grantaire si lanciò in un’efficace imitazione dell’amico.
Per un secondo Enjolras lo fissò in silenzio, facendo temere al moro di averlo offeso. Poi scoppiò in una risata fragorosa.
“Sai che è la prima volta che ti vedo ridere? Sei bellissimo quando lo fai”.
Enjolras si limitò ad arrossire e a continuare a ballare.
 
~
 
Erano rientrati al dormitorio da una mezz’ora quando il cellulare di Grantaire squillò.
 
Grazie per la serata.
Non credo di aver mai riso così tanto.
Ho conservato il tuo numero da quella mattina
a Disegno. Spero non ti dispiaccia.
E.
 
Il cuore di Grantaire fece una capriola.
 
________________________________________________________________________________________________ 
 
Rieccomi qui, con un nuovo mirabolante capitolo XD
Finalmente l’idea di Jehan viene approvata e tutti posso allegramente andare ad ubriacarsi nel locale di Feuilly :D  E, a sorpresa, l’ubriaco della serata non è Grantaire ma Jehan. Miracoloso direi.
Bahorel, purtroppo per me che lo trovo un personaggio fantasticamente casinista, non avrà molto spazio ma avrà un ruolo importante in futuro, non temete. E poi ci voleva proprio un ex di Taire per complicare le cose.
Grazie mille a chi legge/segue/recensisce (su su, non siete timidi e lasciatemi una recensioncina).
 
Lots of love,
~Letz

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ***


Mancavano pochi giorni alla fine di ottobre e le prove erano iniziate a pieno ritmo. Jehan, che soffriva del peggior caso di mania di controllo che Grantaire avesse mai visto, aveva ricontrollato almeno cinque volte i bozzetti della scenografia prima di approvarli, con il sollievo di tutti gli Amis. Tutti erano entrati nello spirito dell’opera, anche se in modi decisamente diversi. Courfeyrac girava con una spada infilzando qualsiasi cosa gli capitasse a tiro, Enjolras dopo solo due giorni sapeva già tutto il copione a memoria, Marius passava ore al telefono con Cosette recitandole versi di Shakespeare, mentre Joly e Bossuet si erano messi a confezionare i vestiti di scena insieme a Musichetta, una studentessa di moda che aveva avuto una storia con entrambi – e nello stesso periodo, gli aveva riferito Combeferre.
Le cose sembravano andare decisamente per il verso giusto. Ovviamente non poteva durare. Quel giorno Bossuet era euforico: niente di anche solo vagamente orribile gli era capitato. Niente colonia di scarafaggi nell’armadio, come la settimana prima, o dissenteria dovuta al latte scaduto, come quel lunedì. Non credendo alla sua buona stella volle raccontare agli Amis della sua incredibile fortuna. La reazione fu unanime benchè variegata: qualcuno toccò ferro altri, più prosaicamente, si toccarono direttamente le palle.
“Dopo questa tua uscita, come minimo ci crollerà il soffitto in testa”, si lagnò Courfeyrac.
“Vedrete che non succederà niente. Finalmente la sfiga ha finito di perseguitarmi”, gongolò invece Bossuet, “Vedrete, uomini di poca fede!”.
“Sarebbe splendido Bossuet”, trillò Jehan abbracciandolo, “ora però dobbiamo provare”, aggiunse con un tono che non ammetteva repliche.
Normalmente Grantaire non assisteva alle prove, preso com’era a completare la scenografia, ma quel giorno Jehan aveva insistito. Avrebbero provato il momento del primo incontro tra Romeo e Giulietta ed era la prima scena su cui il genio creativo di Jehan si era concentrato cambiandone alcune parti. “Ti prego Taire, devi venire. Se è uno schifo avrò bisogno di sostegno morale”, lo aveva implorato. Grantaire voleva troppo bene a quello scricciolo per dirgli di no.
La prima parte della prova fu perfetta: Joly era un Romeo credibile e pieno di sentimento, Enjolras era semplicemente straordinario. Più volte Grantaire si incantò a guardare le sue mani che si muovevano mentre parlava e il tono della sua voce gli sembrava miele. Enjolras stava iniziando a piacergli sul serio. In lui non vedeva più solo un bel viso, o un bel corpo ma una persona che, seppur il suo opposto, lo attirava vertiginosamente. Era decisamente fottuto.
- I santi non si muovono, eppure esaudiscono coloro che li pregano
- Allora non muoverti, così la mia preghiera sarà esaudita. Ecco, le tue labbra hanno tolto il peccato dalle mie
“Stooooooooop”, gridò inferocito Jehan, “Joly il bacio! Lo dovevi baciare dopo esaudita”.
Joly divenne prima rosso e poi cadaverico. “Cioè noi dovremmo baciarci? In scena, davanti a tutti?”.
“Si Joly, credevo avessi letto il copione. Soprattutto le parti che ho rivisto. Ci sono baci, molti baci. Qualcuno nemmeno troppo innocente”, ridacchiò in modo sadico Jehan.
“No Jehan tu non capisci, io non posso farlo! Sicuramente mi beccherò la mononucleosi o qualche altra orribile malattia”.
“Non essere ridicolo Jolllly”, lo redarguì il regista con sguardo omicida, “tu sei Romeo e NON PUOI TIRARTI INDIETRO”.
Nessuno avrebbe potuto prevedere la reazione di Joly: prima un pianto isterico, poi quello che Grantaire potè classificare solo come attacco di panico. Joly tremava in modo incontrollato e respirava affannosamente mentre Bossuet lo cullava parlandogli dolcemente all’orecchio. La crisi passò dopo circa un quarto d’ora, lasciando il ragazzo spossato.
“Ok, Jehan, mi pare chiaro che Joly non può fare Romeo. La sola idea lo ha quasi ammazzato”, disse Courfeyrac. “Urge trovare in tempi rapidi una soluzione. Servirebbe qualcuno che non ha problemi a baciare un uomo. Con la lingua”.
Grantaire si ritrovò gli occhi di tutti gli Amis addosso. “No, toglietevelo dalla testa. Io non recito”.
“Sai il copione a memoria Taire. Quando l’ho scritto ero praticamente sempre nella tua stanza e me lo hai sentito ripetere almeno cento volte”.
“Non è questo Jehan, è che non credo di essere in grado. E poi voi siete nel club da cinque anni, io da nemmeno due mesi. Potrebbe farlo Marius”, disse speranzoso.
“Niente da fare bello, come gay sarei credibile quanto una giraffa in discoteca”, rispose Pontmercy.
“Grantaire fallo per me”, lo supplicò Jehan.
“Ok, ok. Per te Jehan”, accettò infine Grantaire. La sua decisione fu salutata da un sonoro applauso.
 
~
 
Sono totalmente fottuto ‘Ponine.
Mi hanno incastrato nel ruolo di Romeo.
 
Quanto la fai tragica.
Finchè non ti obbligano a mettere la
calzamaglia puoi sopravvivere.
 
Hai la segatura nel cervello?
Enjolras farà Giulietta. Questo significa
baci, tanti baci.
Dovresti essere contento.
Chi non vorrebbe passare ore a
limonare il proprio sogno erotico?
 
Credo che lui mi piaccia sul serio.
 
Ora si che sei fottuto Romeo.
 
 
~
 
Per colpa della defezione di Joly le prove dovettero ricominciare dal punto di partenza. Grantaire ringraziò tutti i santi che conosceva per aver differito di almeno un paio di settimane la famigerata scena del bacio. Una parte di lui sperava di morire prima di arrivare al punto in cui Romeo e Giulietta passano la notte insieme. Lui ed Enjolras in un letto, decisamente poco vestiti – conoscendo i gusti di Jehan – era più di quanto potesse sopportare. Il solo pensiero gli provocava un’imbarazzante erezione.
Grantaire si consolò pensando che almeno per quel giorno non avrebbe dovuto vedere Enjolras, vista che, considerati i recenti sviluppi del loro rapporto, lo lasciava sempre piuttosto scosso. Quel pomeriggio infatti lui Jehan ed Eponine sarebbero andati allo studio di tatuaggi: non era tipo da dimenticare una promessa fatta ad un amico.
La sua sorpresa fu enorme quando nel salone trovò ad aspettarlo Jehan in compagnia di Enjolras. “Enj si unisce a noi. Spera di convincermi a rinunciare”, rise allegramente il rosso. Grantaire si limitò a grugnire.
Fuori dalla scuola li aspettava Eponine che fumava appoggiata al cofano della sua macchina. Grantaire le andò incontro e sibilò: “C’è anche Enjolras, ti prego non fare commenti inopportuni. Anzi, non parlargli nemmeno”. La risata di gola di ‘Ponine gli fece capire come tutte le sue speranze sarebbero state disattese.
“Ciao ragazzi. Tu devi essere Jehan”, disse stringendo la mano al rosso, “Eponine, molto piacere. Uhm, tu invece sei?”, interloquì lanciando una lunga occhiata da sotto le ciglia a Enjolras che per tutta risposta la guardò come per farle una radiografia.
In quel periodo Eponine era tornata al suo colore naturale, il nero corvino, seppur con qualche ciocca blu elettrico e viola. Indossava degli shorts neri, calze nere semi trasparenti che lasciavano intravedere i tatuaggi sulle gambe – due giarrettiere con infilate due pistole – e scarponi neri militari. Il golfino leggero non riusciva a nascondere le braccia coperte dai tatuaggi –sul braccio destro una geisha e sul sinistro il suo amante. Decisamente non il genere di persona che Enjolras frequentava di solito.
“Enjolras, lieto di conoscerti. Grantaire parla spesso di te”.
“Mi ama, è più forte di lui. Quindi tu sei il famoso Enjolras. Anche R parla molto di te”. Lo sguardo di Eponine non prometteva nulla di buono si disse Grantaire. “R avresti dovuto dirmi che era il ragazzo più bello che avessi mai visto. Cioè, mi aveva detto quanto fossi figo, ma aveva decisamente sottostimato il tuo bel faccino”.
Grantaire avrebbe voluto sotterrarsi e un’occhiata al viso color mattone di Enjolras lo convinse ancora di più della giustezza di quella decisione. Avrebbe strangolato Eponine.
 
~
 
Alla fine neppure Enjolras riuscì a far desistere Jehan dal suo proposito. Mentre il rosso si faceva tatuare anche Grantaire ne approfittò per terminare di colorare la tigre che aveva sul fianco destro. Era così concentrato sul percorso dell’ago sulla pelle che si dimenticò completamente che Eponine ed Enjolras erano rimasti da soli. Per ore. Quando, a lavoro finito, si girò e li vide parlare insieme non poteva credere ai suoi occhi. Cosa avranno mai avuto da dirsi?
“Vedo che avete fatto conoscenza”, li interruppe.
“Eponine mi stava raccontando dell’Accademia d’Arte che frequenta e mi ha invitato a tenere qualche comizio”, rispose entusiasta Enjolras.
“Anziché parlare facci vedere l’ultimo capolavoro di Jaz”, lo interruppe la ragazza.
Grantaire si tolse la maglietta e la reazione di Enjolras fu la stessa di quella prima riunione al club. Rimase senza parole ad osservare i tatuaggi sul corpo del moro. Era un corpo decisamente tonico, bicipiti e addominali erano perfettamente definiti e tutti quei tatuaggi…Enjolras non aveva mai usato la parola sexy, nemmeno nella sua testa, ma questa volta non riuscì a non applicarla a Grantaire. Sul fianco destro, ancora arrossato, si snodava una tigre in perfetto stile giapponese che appoggiava le zampe anteriori su una roccia. Sulle costole, dal lato sinistro, la frase tratta da quel film di cui Enjolras aveva già scordato il nome. Sul bicipite destro uno Stregatto sorrideva sornione mostrando la bocca piena di denti mentre il braccio sinistro era completamente occupato da una ragazza che personificava la Natura che comanda sui quattro elementi. Enjolras non poté trattenersi dall’allungare una mano e sfiorare la pelle arrossata. Improvvisamente curioso chiese: “Ti fa molto male?”.
Grantaire fissava affascinato le dita del biondo che toccavano la sua pelle. La cosa era decisamente erotica. Lo schiarirsi di voce di Eponine ruppe la magia ed Enjolras fuggì letteralmente via verso il lettino dove Michael, l’altro tatuatore, stava terminando il tatuaggio di Jehan.
Grantaire colse lo sguardo disapprovante di Eponine. Guai in arrivo.
“Cristo R, ti sei infilato in un bel casino”.
“Non ti piace?”, mugolò Grantaire.
“Non è questo il punto. Prima lo stavi guardando come io guardo ‘Ferre. Tu sei mezzo innamorato di lui, Taire”.
Grantaire iniziò a fissare insistentemente la punta delle proprie scarpe ma Eponine gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarla.
“Sbrigati a chiedergli di uscire prima che questo dio greco ti faccia rimbecillire del tutto”.  


 
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Finalmente succede quello che tutti aspettavano. Ovvero, se Enjolras fa Giulietta come mai Grantaire non fa Romeo? Ecco risolto questo piccolo e noioso problema, grazie alla gentile collaborazione dell’ipocondria di Joly e alla sfortuna cronica di Bossuet.
E ovviamente non poteva mancare la seduta dal tatuatore e la prima, vera, ufficiale apparizione di Eponine. Che diciamocelo, è una gran figa, oltre che essere molto molto perfida. La adoro :D
Grantaire tatuato è wow, super super sexy, e se lo dice Enjolras dobbiamo proprio fidarci.
Come sempre grazie infinite a chi legge/segue/recensisce.
 
Lots of love,
~Letz

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ***



Le settimane che seguirono furono decisamente le migliori della vita di Grantaire. Sembrava che dopo l’uscita allo studio di tatuaggi Enjolras avesse abbandonato tutte le riserve che nutriva sul suo conto. Tutti i giorni studiavano insieme, soli o con gli altri Amis; i giorni in cui non avevano le prove con il club si ritrovavano nell’aula disegno o nella camera di Grantaire per completare la scenografia e ripassare insieme il copione. Enjolras aveva anche accettato di fargli da modello, aiutando così Grantaire ad ingrossare il book di disegni che intendeva presentare per l’ammissione all’Accademia d’Arte. Era da quando aveva dieci anni che sapeva che l’arte sarebbe stata la sua strada, ma fino a quel momento non aveva trovato nessuno – i suoi genitori e ‘Ponine a parte – che lo incoraggiasse; i suoi zii anzi gli avevano sempre ripetuto che di arte non si può campare e avrebbe dovuto studiare qualcosa di utile come Economia. Enjolras, che voleva frequentare Scienze Politiche ed era una persona idealista e concreta al tempo stesso, lo aveva invece incoraggiato senza riserve facendo innamorare Grantaire ancora di più.
Pur di fare piacere ad Enjolras – che odiava il fumo, ma soprattutto odiava che i suoi vestiti puzzassero come posaceneri - Grantaire aveva smesso di fumare le sue amate Marlboro light e aveva iniziato a comprare solo sigarette aromatizzate al mentolo, nonostante le odiasse profondamente. Evidentemente il suo calvario non era passato inosservato perché dopo soli quattro giorni Grantaire aveva trovato sulla sua scrivania un pacchetto di sigarette, vere sigarette, e un biglietto, Smettila subito con questa follia al mentolo. Rivoglio il vero R. firmato semplicemente E.
Il loro rapporto era uno dei più belli che Grantaire avesse mai vissuto: era come essere fidanzati con il proprio migliore amico. Peccato che loro non fossero fidanzati. Parlavano di qualsiasi argomento e condividevano molti interessi ma Enjolras fuggiva come la peste ogni contatto fisico. Era decisamente la persona più riservata e pudica che conoscesse. Joly gli aveva raccontato che una volta era entrato senza bussare nella sua camera e aveva trovato Enjolras in mutande. L’urlo del biondo si era sentito fino a Montparnasse e Joly aveva dovuto fare delle scuse pubbliche per aver “invaso la privacy” di Enjolras. Grantaire, che chiamava tutti “tesoro” e “dolcezza” e poteva passare ore abbracciato a Eponine a vedere film era un po’ spiazzato da un carattere così diverso dal suo.
Sulla scena erano affiatatissimi e Jehan andava letteralmente in visibilio per la loro interpretazione. Grantaire era un Romeo strafottente e sarcastico mentre Enjolras era una Giulietta decisamente maliziosa, altro che la timida verginella di Shakespeare.
E poi c’erano i baci. Tanto baci, come aveva predetto Jehan. Grantaire era fermamente convinto di non aver mai baciato nessuno così tanto come faceva con Enjolras. Le storie che aveva avuto non erano state molto romantiche: pochi baci e tanto sesso. Sapeva riconoscere quando la mattinata era andata bene – burro cacao al miele – e quando era stata un disastro – labbra morsicate in continuazione – solo dai baci che si scambiavano. Questa era l’unica cosa di cui non parlavano. Insomma, a chiunque era chiaro che a Grantaire Enjolras piaceva da impazzire e il biondo sembrava ricambiare – Jehan aveva addirittura chiesto se si fossero messi insieme. Ma l’unica volta che aveva osato chiedere un timido “come ti senti a baciare un uomo?” Grantaire si era sentito rispondere un freddo “quello che succede sulla scena non è reale. Insomma stiamo recitando”. Il piccolo cuore di Grantaire aveva fatto un brutto crack.
E poi c’era stata quella volta che Grantaire voleva archiviare nella categoria del troppo-imbarazzante-per-parlarne. Stavano recitando l’ennesima scena disgustosamente romantica e piena di baci quando Enjolras si era avvicinato lentamente – o cielo, in modo così sensuale- e aveva iniziato a baciarlo. Come da copione. Ma non era da copione avere la lingua di Enjolras che accarezzava lentamente l’interno del suo labbro. Grantaire era letteralmente scappato dal palco e si era rifugiato in bagno per nascondere l’erezione che premeva nei suoi pantaloni e di cui Enjolras, vista la vicinanza, non aveva potuto non accorgersi. Dopo cinque minuti avevano bussato alla porta.
“R tutto bene?”. Dannato Enjolras.
“Uhm. Nausea”. Meno parole diceva meno si sarebbe notato l’affanno nella sua voce. “Non credevo che baciare un uomo ti facesse così effetto da farti venire la nausea”. Courfeyrac era un vero idiota quando si comportava così.
 “Ora esco e ti ammazzo, brutto idiota”. E la prova era terminata con Grantaire che inseguiva Courfeyrac cercando di colpirlo con uno spadino di legno.
Quella sera però Enjolras aveva bussato alla porta. Si era accomodato sul letto di Grantaire e per un po’ era rimasto in silenzio.
 “Ehm, tutto bene Apollo?”.
“Ah ah. Stavo solo pensando”. Lunga pausa di silenzio. “Il bacio di oggi. Era uno schifo vero? Cioè era la prima volta, non avevo idea di cosa fare”. Il viso di Enjolras stava assumendo un preoccupante color aragosta. “Però mi sono detto: hai diciannove anni e non hai mai veramente baciato nessuno. Approfitta dell’occasione per fare esperienza”.
Il cuore di Grantaire fece l’ennesimo crack.
 
~
 
“Quel festone deve stare diritto Taire. In che lingua te lo devo dire”, si lagnò Jehan. “Non ti ho ingaggiato per aiutarmi a preparare la festa di Natale perché poi venisse uno schifo totale”.
“Ti hanno mia detto che sei la rincarnazione di un gerarca nazista?”, lo rimbeccò Grantaire sistemando quel dannato festone per la terza volta.
“Le tue insinuazioni mi offendono. Voglio solo che tutto sia perfetto, perché io adoro il Natale. Piuttosto cosa hai comprato ad Enjolras?”, disse il rosso con tono smielato.
“E tu a Courf?”, ridacchiò Grantaire. “Tanto, tanto amore inespresso?”.
Jehan gli lanciò contro una stella cometa di compensato che mancò clamorosamente il bersaglio per finire contro il muro.
“Colpo basso honey. Ti chiedo scusa. Anche se dovresti proprio dirglielo”.
“Quando tu lo dirai ad Enjolras”, ribattè piccato il rosso.
“Alla festa di domani gli chiederò di uscire con me. A Natale sono tutti più buoni, no? Punto tutto sulla pietà natalizia. Quindi io direi di fare un patto: domani noi due sfigati usciremo dalla friendzone, in un modo o nell’altro”.
I due si strinsero le mani come due cospiratori.
 
~
 
“Ragazzi è ora dei regali”, gridò Courfeyrac cercando di radunare tutti intorno all’albero. La stanza si riempì in breve di esclamazioni di sorpresa e di carta da regalo che volava da ogni parte. Grantaire aveva ricevuto un libro su Caravaggio – da Eponine e Combeferre – un libro di Bukowski, rigorosamente in lingua inglese – da Jehan e Courfeyrac- e due biglietti per una mostra su Dalì – da Joly e Bossuet. Dato che il suo budget era schifosamente basso aveva deciso di fare a tutti un regalo creativo. Aveva realizzato il ritratto di ciascuno e in più aveva dipinto un ritratto di gruppo in cui erano presenti tutti gli Amis in costume di scena. Dagli abbracci che riceveva i suoi regali erano stati decisamente apprezzati.
Era dall’inizio della festa che Grantaire sentiva un nodo in fondo allo stomaco. Quella sarebbe stata la serata decisiva, quella in cui avrebbe capito sul serio se Enjolras provava qualcosa per lui. Per darsi coraggio si era scolato almeno cinque bicchieri di vino. Pessima idea, visto che ora aveva un terribile cerchio alla testa e i suoi filtri cervello-bocca sembravano del tutto fuori uso. In più Jehan aveva riempito la stanza con rametti di vischio, costringendo la gente a fermarsi ogni tre passi per baciarsi sulle guance. Ecco come mai Grantaire aveva deciso di restarsene seduto sul divano a bere e giocare con Courf alla play station.
“Questo è per te Courf”, cinguettò Jehan, “spero ti piaccia. Personalmente adoro il tuo regalo, questo blu si intona con i miei occhi”.
“L’ho scelto apposta”, rispose Courfeyrac con dolcezza mentre apriva il suo regalo. “Oh mio dio la filmografia completa di Trantino”, gridò abbracciando l’amico.
Grantaire pensò che serviva solo una spintarella a qui due. “Vischio”, gridò.
Courfeyrac alzò gli occhi verso il soffitto. “Pare che ci tocchi”, rise allegro. Jehan non gli lasciò nemmeno finire la frase e lo baciò con foga. Courfeyrac, all’inizio un po’ sorpreso, ricambiò il bacio con calore. La scena fu salutata da fischi, applausi ed “era ora”, “ci avete messo solo cinque anni a capirlo”. Courfeyrac ridacchiava imbarazzato tenendo stretta la mano di un Jehan più rosso dei suoi capelli. Tutto è bene quel che finisce bene, pensò Grantaire. Quei due erano perfetti insieme, ci avevano solo messo un po’ ti tempo per capirlo. Ora toccava a lui. Per farsi coraggio ingollò altri due bicchieri di vino in rapida sequenza.
“Ehm Enjolras, ti vorrei parlare”.
“R, mi hai letteralmente evitato tutta la festa per giocare alla play con quel cretino di Courf”, lo rimproverò Enjolras. “Ti perdono solo per il magnifico disegno che mi hai regalato. Anche se non sono neppure lontanamente così bello”.
“Per me lo sei”, rispose gravemente Grantaire.
“Sei ubriaco per caso?”, rise il biondo.
“Sei la cosa più bella che io abbia mai visto. Ti prego Apollo esci con me. Insomma sei ridicolmente attraente e nelle ultime settimane non abbiamo fatto altro che baciarci”.
La faccia di Enjolras era piuttosto sconvolta e Grantaire iniziò a sentire l’alcool andargli alla testa. Alzò il tono di voce.
“Insomma non faccio altro che pensare a te, a quanto sia bello parlare con te e ridere con te”.
Ora tutti li stavano fissando in silenzio.
“Tu devi uscire con me oppure impazzirò perché tu ti comporti come un fidanzato ma non lo sei e io vorrei che lo fossi. Vorrei baciarti quando voglio e scoparti, dio quanto vorrei scoparti, è l’unica cosa a cui penso da quando ti ho conosciuto”.
Grosso, grosso errore. I suoi filtri cervello-bocca erano definitivamente andati. Enjolras sembrava aver appena ricevuto un pungo in faccia.
“Sei ubriaco Grantaire e mi stai mettendo in imbarazzo davanti a tutti i miei amici”, sibilò livido e se andò. Ma Grantaire lo trattenne per un braccio e disse la cosa più stupida che si potesse dire in quel momento. “Vischio”. E tentò di baciare Enjolras che gli assestò un sonoro schiaffo prima di scappare via dalla festa.    
 
 
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Scusatemi per la terribile assenza, ma la mia vita reale mi ha richiamato all’ordine.
Questo capitolo inizia molto bene e finisce molto male, un po’ come succede nella vita vera in cui tutto sembra perfetto e invece...il dramma. Per fortuna Jehan e Courf risolvono i loro evidenti problemi di comunicazione, altrimenti il titolo di questo capitolo avrebbe dovuto essere “Lo sfacelo più totale”.
Perché è evidente che a Grantaire piaccia Enjolras, così come è evidente che Enjolras non capisca nulla e messi insieme, quei due possono rovinare ogni scena anche solo vagamente romantica. Se magari Grantaire smettesse di bere le cose sarebbero più facili, o per lo meno non farebbe dirette allusioni sessuali alla bella e bionda verginella di turno (aka Enjolras).
Spero che il capitolo sia valso l’attesa, grazie mille a chi legge/segue/recensisce. Siete fantastici.
 
~Letz

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ***


“Direi che Enjolras non vuole decisamente uscire con me”, rise istericamente Grantaire fino a che la risata non si trasformò in un pianto dirotto. Pianse così tanto da non sentire nemmeno i conciliaboli dei suoi amici che si chiedevano cosa fosse meglio fare.
“Taire, Taire, ora ti portiamo da ‘Ponine ok?”, gli disse dolcemente Combeferre. “Le cose si sistemeranno. Però ti prego, cerca di smettere di piangere”.
Grantaire arrivò a casa di Eponine in stato quasi catatonico. Continuava a controllare il cellulare sperando di trovare una chiamata o un messaggio di Enjolras. Gli rispondeva solo lo schermo vuoto.
“’Ferre vuoi spiegarmi che cazzo significa questo?” strillò Eponine vedendoli entrare in casa sua letteralmente trascinando Grantaire. “Cosa è successo a R? R, R, rispondimi per l’amore di Dio”.
“Smettila di gridare ‘Ponine. È completamente ubriaco e ci ha provato con Enjolras che non l’ha presa benissimo”.
Lo sguardo di Eponine era decisamente omicida. “Cosa ha fatto quell’idiota?”.
“Lo ha schiaffeggiato”, mormorò imbarazzato Combeferre.
“Lo ucciderò. Giuro che ammazzerò quel bastardo del vostro amico”.
Cercando di calmarsi Eponine si sedette vicino a Grantaire e iniziò ad accarezzargli piano i capelli sussurrandogli parole di incoraggiamento.
“Credo che per oggi voi ragazzi abbiate fatto abbastanza. Vi chiamo più tardi per farvi sapere come sta”, e la ragazza congedò bruscamente gli Amis. Vedendo che Grantaire non accennava a smettere di guardare il cellulare glielo sfilò dolcemente dalle mani, tolse la batteria e lo chiuse in un cassetto. Staccare la spina per qualche giorno non poteva fargli che bene.
 
~
 
Grantaire non era mai stato così grato ai suoi zii. Dopo averlo obbligato a passare Natale con loro, avevano accolto con un metaforico sospiro di sollievo la sua decisione di non accompagnarli a Tolosa in visita ai parenti. Questo aveva permesso a Grantaire di avere la casa tutta per sé e di poter passare il resto delle feste con la famiglia di Eponine. Non che gli importasse molto delle feste ora che si sentiva come investito da un tir.
La mattina di Capodanno, mentre Grantaire preparava la cioccolata per Gavroche, il fratellino di Eponine, arrivò Combeferre. Entrambi erano decisamente imbarazzati e per un discreto quarto d’ora nessuno aprì bocca.
“Taire possiamo smettere di ignorarci come fossimo alle elementari?”.
“Scusami ‘Ferre ma dopo una settimana chiuso in casa con Eponine e con svariate bottiglie di rum le mie maniere sono terribili. Come vanno le cose?”, sorrise stancamente Grantaire.
“Non molto bene. Sono venuto perché me lo ha chiesto Enjolras: dice che non rispondi ai suoi messaggi”.
“Di che diavolo stai parlando? Io non ho ricevuto nessun messaggio”, disse Grantaire frugandosi nelle tasche alla ricerca del cellulare.
“R è nel terzo cassetto, in mezzo alle tovaglie”, disse Eponine che era improvvisamente apparsa. “L’ho preso il giorno in cui avete litigato. Te lo avrei ridato quando me lo avessi chiesto”, spiegò a mo’ di scusa.
Tremando Grantaire accese il cellulare e inserì il codice PIN. Lo smartphone iniziò a vibrare per i messaggi ricevuti. Gli avevano scritto tutti gli Amis e leggendo le loro parole gli vennero le lacrime agli occhi. E poi c’erano i messaggi di Enjolras. Sembrava che non avesse fatto altro che scrivergli per una settimana intera. I primi erano di scuse
 
R mi dispiace per lo schiaffo.
E.
 
Davvero R, mi dispiace.
E.
 
E ora cosa vuoi, che mi metta in ginocchio?
E.
 
Poi iniziavano i messaggi imploranti
 
Ti prego R, rispondimi qualcosa.
Anche un vaffanculo.
E.
 
“Ha detto di controllare anche la segreteria”, intervenne Combeferre.
Il messaggio sulla segreteria era della notte prima. “R perché non mi rispondi? Ho bisogno di parlarti di una cosa importante. Mi dispiace così tanto…io…io…non ce la faccio senza di te”. Gli altri due minuti erano solo singhiozzi.
“Sta piangendo”, disse Grantaire come se non riuscisse ad elaborare l’idea.
“Non l’ho mai visto piangere. E lo conosco da sedici anni”, commentò sconvolto Combeferre. “Credo sia il caso che tu vada da lui. Dice che ti aspetta al parco vicino a Montmartre”.
Grantaire stava già correndo fuori dalla porta.
 
~
 
Quel giorno al parco pareva non ci fosse un’anima, forse per i fiocchi di neve che stavano iniziando a cadere su Parigi, i primi di quell’inverno. Grantaire si guardò nervosamente in giro alla ricerca di una testa bionda. Alla fine lo vide, seduto sulla panchina vicina allo stagno delle papere. Una volta Enjolras gli aveva detto che da bambino era il suo posto preferito e che non vedeva l’ora di farglielo conoscere, non appena sarebbe arrivata la primavera. Sembravano passati secoli da quel pomeriggio.
“Enjolras”, la voce di Grantaire suonò affannata, come se avesse corso per chilometri.
Enjolras aveva pianto, Grantaire se ne accorse subito. E sembrava anche non dormire da una settimana. Le occhiaie blu donavano al suo viso una bellezza stropicciata di cui non ci si poteva che stupire. Anche in quelle condizioni restava il ragazzo più bello che avesse mai visto. Grantaire non era preparato alle braccia di Enjolras che lo strinsero e al suo naso gelido che si appoggiò al suo collo. Mai, da quando si conoscevano erano stati così vicini, se non per esigenze di copione.
“Enjolras?”. Ora la voce di Grantaire era incrinata.
Con un movimento brusco Enjolras si liberò dall’abbraccio e gli tese un pacchetto.
“Enjolras, cosa…?”.
“È il mio modo di chiedere scusa”, rispose il biondo con la voce ancora velata di pianto.
Il pacchetto conteneva una foto incorniciata. Erano loro durante una prova mentre recitavano. Si guardavano dolcemente e la mano di Grantaire era appoggiata teneramente sulla guancia di Enjolras. Grantaire si ricordò delle parole di Eponine, “lo guardi come io guardo ‘Ferre”.
“L’ha scattata Courf. Mi ha detto di guardarla, e che avrei capito tutto. Aveva ragione. Tu mi guardi in un modo Grantaire…credi che non me ne accorga ma io lo vedo. Sento i tuoi occhi che mi seguono tutto il giorno. Non sono un’idiota. Anche un cieco avrebbe capito che ti piaccio”. Enjolras pareva portare il peso del mondo sulle sue spalle. “E io non sono un’idiota”.
“Perché sei qui Enjolras?”.
“Forse dopotutto io sono un’idiota. Volevo parlarti. So che sembra una cosa da maniaci ma avevo studiato ogni possibile scenario, ogni tua possibile risposta. Dio, mi conosci, se non posso abbinare calze e mutande ho delle crisi di nervi. Devo avere tutto sotto controllo. E con te è impossibile. Quando ti sei messo a parlare alla festa mi ha preso il panico. Hai fatto l’unica cosa che non avevo previsto. Riesci sempre a stupirmi: tu sei imprevedibile quanto io sono abitudinario”. Enjolras si concesse un sorriso triste. “Le cose che hai detto mi hanno toccato. Insomma, tu ti sei dichiarato di fronte a tutti senza nemmeno la certezza di avere una risposta positiva mentre io ho passato due mesi a spiarti e ho deciso di parlarti solo quando mi sono convinto al mille per cento che tu mi ricambiavi”.
Grantaire era basito. “Stai dicendo che tu…cioè che io ti piaccio?”.
“Dio, certo. Come hai potuto non capirlo?”.
“Cristo Apollo mi hai schiaffeggiato di fronte a tutti i nostri amici. Quello non era esattamente il modo migliore per farmi capire quali fossero i tuoi sentimenti”.
“Mi ha preso il panico. Riuscivo solo a pensare a quanto fossi felice che tu mi volessi quanto ti volevo io. Poi hai detto quelle cose sul fatto che volevi scoparmi. Io non sono un trofeo Grantaire. Io ho dei sentimenti, non sono uno come Bahorel che puoi chiamare quando vuoi un po’ di sesso senza complicazioni. Mi sono chiesto se quello che vedevi in me era solo un bel viso, un Apollo di marmo da portare a letto”. Enjolras sembrava fisicamente distrutto. Grantaire lo abbracciò di slancio.
“Credo di amarti Grantaire, ti amo così tanto che mi fa male. Perché ci sono mille modi in cui potresti ferirmi e io non sono il tipo da relazione, da cose romantiche, fiori e cioccolatini e nessuna persona sana di mente vorrebbe stare con me perché io sono un pezzo di marmo e tu sei così vivo che potresti davvero farmi cambiare. E se cambio, se imparo ad innamorarmi e tu mi spezzi il cuore?”.
“Enjolras l’unica cosa che voglio è stare con te. Uscire, tenersi per mano, baciarsi come una coppia normale. E posso anche aspettare tutta la vita che tu sia pronto per venire a letto con me. Sai benissimo che non ho mai avuto una vera storia, e prima di conoscerti non ne sentivo il bisogno. Ma ora che ti ho conosciuto sento che potrei essere felice solo stando con te. Forse sono come uno di quei dannati pinguini che ti piacciono tanto e che scelgono un solo compagno per la vita”.
Enjolras rise piano. “Forse anche io sono uno stupido pinguino”.
Grantaire non avrebbe mai dimenticato quel momento. La neve scendeva leggera a imbiancare le vie del parco ed Enjolras era tra le sue braccia e aveva appena detto che lo amava. Si sciolse dall'abbraccio per guardarlo: anche con il naso rosso per il freddo e gli occhi arrossati per il troppo piangere la bellezza di Enjolras splendeva come una fiamma.
- Oh, ella insegna perfino alle torce come splendere di più viva luce, sospiro Grantaire. Involontariamente gli erano venute alla mente le parole di Shakespeare. Chissà come sembrava sciocco in quel momento agli occhi di Enjolras. Il biondo lo guardò in modo strano e con voce roca sussurrò un altro verso del Bardo.
- Tu m’ami?… So che mi rispondi “Sì”, ed io ti prenderò sulla parola; O gentile Romeo, se m’ami, dimmelo con lealtà
Grantaire avrebbe potuto mettersi a ballare in quel momento.
“Ti amo Enjolras, dalla prima volta che ti ho visto nell’aula di Disegno. Vuoi metterti con me?”.
“Mille volte sì”.
Il loro primo bacio – quelli sul palco non contavano decisamente – fu come una scarica elettrica. Enjolras, solitamente così riservato, gli si era incollato addosso, passava le sue mani nei suoi capelli, gli mordeva le labbra e Grantaire pensò che quel bacio l’avrebbe fatto impazzire. Si staccarono solo molto – decisamente molto – tempo dopo, ansimanti come dopo una corsa. Grantaire cercò di nascondere l’evidente erezione che gli premeva nei jeans mentre Enjolras, altrettanto imbarazzato, faceva lo stesso.
“Credo che sia ora di tornare a casa. Dopotutto è l’ultimo dell’anno e vorrei passarlo con gli Amis. E con te”.
Grantaire annuì piano. Anno nuovo vita nuova, dicevano. Sperava che le cose nell’anno nuovo sarebbero state altrettanto perfette.


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Perdono, perdono perdono. Stranamente la mia vita fuori da questo fandom ha richiesto la mia presenza e mi sono un po' arenata con la pubblicazione.
Finalmente romanticismo e un po' di fluff. Ma quanto sono dolci quando non fanno gli idioti? 
Grazie a chi legge/segue/recensisce, siete fantastici.

~Letz

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ***


Grantaire si era illuso che dopo il momento cuore-a-cuore nel parco il suo rapporto con Enjolras sarebbe magicamente cambiato. Grosso errore. Enjolras era sempre il ragazzo riservato e geloso della sua privacy che era scappato a gambe levate la prima volta che ci aveva provato con lui nel corridoio buio. A Capodanno agli Amis aveva solo detto che le cose tra loro erano sistemate, senza accennare minimamente al fatto che si erano messi insieme. Ovviamente lo avevano comunque capito tutti, visto che allo scoccare della mezzanotte si erano baciati. Ma quel bacio a fior di labbra non aveva niente a che fare con quello furioso e appassionato che si erano scambiati nel parco deserto. Enjolras si era staccato immediatamente dalle labbra di Grantaire, come se - Grantaire se lo era chiesto con una stretta allo stomaco - si vergognasse di stare con lui.
Il loro primo appuntamento non era andato molto meglio. Grantaire lo aveva portato in uno dei suoi bar preferiti, dove lui ed  Eponine avevano lavorato per un’estate e che serviva una quantità impressionante di cioccolate aromatizzate. Enjolras sembrava un bambino la mattina di Natale mentre trangugiava la sua cioccolata alla cannella ma quando Grantaire aveva provato a prendergli la mano da sopra il tavolo il biondo si era prontamente scostato. Quando erano saliti in macchina però – come se volesse farsi perdonare – Enjolras lo aveva portato in una strada secondaria ed avevano passato una buona ora a baciarsi. Una parte di Grantaire pensò che nascondersi in macchina a limonare fosse una cosa da quindicenni ma ricacciò l’obiezione in fondo alla sua testa. In fondo si sentiva decisamente grato di aver avuto Enjolras che si strusciava su di lui e gli infilava le mani ovunque. Proprio ovunque.
Uscivano insieme da quasi quattro mesi e in pubblico Enjolras si ostinava a comportarsi come fossero due amici. Nessuno, esclusi gli Amis, Eponine e Cosette sapevano della loro relazione. A Eponine lo aveva ovviamente detto Grantaire, mentre Cosette lo aveva saputo da Marius a cui aveva spifferato tutto Jehan. Quel piccolo pel di carota impiccione. Ogni mattina Grantaire si svegliava deciso a parlare, a porre la fatale domanda “ti vergogni a stare con me?”, ma ogni mattina il sorriso caldo che Enjolras gli lanciava da sopra la sua tazza di cappuccino lo rendeva incapace di parlare. Non voleva rovinare le cose tra di loro. E poi in privato le cose andavano splendidamente. Se fuori dalla scuola sembravano due semplici compagni di classe, e durante le riunioni del club Enjolras si limitava a far scivolare pigramente la mano nella sua –rigorosamente sotto al tavolo, convinto che nessuno se ne potesse accorgere -, non appena restavano soli Enjolras si trasformava. Era caldo, appassionato, vibrante. Non facevano altro che baciarsi, strusciarsi, toccarsi, esplorarsi. Non avevano ancora fatto sesso, ma tutto il resto lo avevano fatto eccome. Enjolras – incredibile a dirsi – era un vero talento. Insomma, Grantaire aveva dalla sua una discreta esperienza ma Enjolras aveva la foga di un quindicenne alle prese con la sua prima storia. La prima volte che gli aveva fatto un pompino Grantaire aveva seriamente dubitato che quella fosse la prima volta per il biondo. Insomma, certi trucchetti si imparano solo con l’esperienza.
Enjolras si era limitato a ridere, con la sua risata di gola così sexy. “Ho cercato solo di fare quello che tu fai così divinamente a me”. Si era stiracchiato come un gatto al sole e aveva aggiunto con sguardo malizioso: “Forse dovresti darmi qualche altro consiglio pratico”. E Grantaire lo aveva fatto, fino a farlo gemere e implorare.
 
~
 
Jehan ed Eponine lo fissavano preoccupati mentre bevevano i loro caffè.
“Vuoi dirmi che dopo più di tre mesi ancora non avete scopato?”.
“’Ponine non è questo il punto”, sbuffò Jehan. “Dopo più di tre mesi voi ancora non vi baciate in pubblico. Questo è il punto”.
“Non tutti sono due polipi come te e Courf”, si mise sulla difensiva Grantaire. “Enjolras è solo molto riservato”.
Cherie, credo che dobbiate discutere della cosa. Tra poco è il suo compleanno, potreste uscire a cena e parlare civilmente della cosa”, propose Eponine.
“Dice che il suo compleanno lo passa sempre con i suoi”.
Jehan lo guardò in modo strano. “Vuoi dirmi che non ti ha detto nulla?”.
“Di cosa diavolo stai parlando?”.
“Per il suo compleanno Enjolras ci ha sempre invitato nella casa al mare dei suoi. Manca solo una settimana, pensavo ci saresti stato anche tu”.
Grantaire sentì improvvisamente le ginocchia cedere. Quindi era vero che Enjolras si vergognava a stare con lui. Certo, tre mesi erano prematuri per conoscere i parenti, ma potevano benissimo fingersi due amici. Evidentemente il problema era lui, i suoi tatuaggi e il suo parlare sboccato. Quanto era stato stupido a credere che uno perfetto come Enjolras potesse stare con un disadattato come lui.
“Credo…credo di dover andare a rompere con Enjolras”.
 
~
 
Enjolras era tranquillamente seduto alla sua scrivania, ignaro della tempesta che stava per scatenarsi nella sua stanza. Grantaire era seduto sul letto, immerso in un silenzio piuttosto minaccioso. Aveva passato gli ultimi due giorni a parlare con tutti gli Amis dei suoi problemi con Enjolras. Alla fine era stato Combeferre a dargli il consiglio più assennato. “Affronta la cosa di petto e soprattutto non farlo svicolare. Enjolras tende a minimizzare i problemi e a bypassarli”.
Il telefono di Enjolras squillò improvvisamente. “Maman. Metto il vivavoce così posso continuare a sottolineare”, annunciò.
“Tesoro come stai?”.
“Ah ah. Mmmm bene”.
“Enjolras stai di nuovo studiando mentre siamo al telefono? Almeno cinque minuti al giorno a tua madre potresti dedicarli”.
“Scusa maman”. Il tono di Enjolras era decisamente poco contrito.
“Chiamavo solo per sapere se la tua fidanzata ha deciso se verrà sabato o no. Sai, stiamo preparando le camere…”.
Enjolras si fece pallido come la morte. “Non ha ancora deciso. Ti devo richiamare”.
“La tua fidanzata?”. La voce di Grantaire grondava letteralmente disgusto. “Ora capisco un sacco di cose. Ecco perché non vuoi che la gente ci veda come una coppia. Tu ti vergogni di essere gay.”.
“Quando ho detto ai miei che uscivo con qualcuno hanno presunto che fosse una ragazza e io…”.
“Non hai voluto correggere l’errore per non dare un dispiacere al tuo caro paparino e alla tua mammina”.
“Non ti permetter Grantaire. Devo dar loro il tempo di accettarlo”.
“Forse sei tu che non lo accetti Enjolras. Oppure il problema sono io? Troppi tatuaggi, troppo fumo, troppo alcool per la tua bella famiglia borghese?”.
“Non parlare così della mia famiglia. I tuoi sono morti prima di saperlo, quindi per te le cose sono state molto più facili”. Enjolras si pentì immediatamente delle sue parole. “Non volevo dire..”.
“Che sono stato fortunato a ritrovarmi a quindici anni solo al mondo? A venir cresciuto da due persone che mi ritenevano un peso? A essere picchiato perché gay? Oh, certo. Sono stato molto fortunato”. Grantaire era sull’orlo delle lacrime. “E giusto perché tu lo sappia, i miei lo sapevano. L’ho detto il giorno del mio quindicesimo compleanno. Quindi non temere, hanno fatto in tempo a sapere che il loro unico figlio era gay. E hanno fatto in tempo ad esserne orgogliosi. Quindi ai tuoi puoi anche dire che la tua ragazza non verrà. Perché tu e io non stiamo più insieme Enjolras. Non voglio stare con qualcuno che si vergogna di me”.
E detto questo uscì sbattendo la porta e corse via. Non abbastanza velocemente per non sentire Enjolras che lo chiamava piangendo come se gli si stesse spezzando il cuore.
 
~
 
Da quando stava con Enjolras – verbo al passato, loro non stavano più insieme – Grantaire aveva dato un taglio all’alcool. Aveva provato a cambiare per qualcuno che in definitiva era troppo codardo persino per tenergli la mano in pubblico. Quanto era stato patetico.
Quella sera però Enjolras non c’era – e non ci sarebbe stato più, passato, passato, passato – quindi poteva ubriacarsi come se non ci fosse un domani. E quanto avrebbe voluto che domani non arrivasse mai. Niente spiegazioni, niente facce dispiaciute, niente Enjolras. Solo un’altra bottiglia e sarebbe tornato al collegio. Peccato se lo stesse ripetendo da almeno quattro bottiglie.
“R sei in condizioni pietose”. La risata – in verità somigliava a un latrato – di Bahorel lo riscosse dai suoi pensieri su Enjolras – passato, passato, passato. “Il prossimo giro lo offro io”.
Andarono avanti per un paio di birre a chiacchierare del più o del meno. O meglio, Bahorel parlava e Grantaire si limitava ad annuire o grugnire. Non era di molta compagnia quella sera, e non capiva come mai Bahorel continuasse a starsene lì a parlare con lui.
“Ho rivisto il tuo amico. Il rosso, quello con il culo meraviglioso. Stava con il suo ragazzo, Cour-qualcosa. Mai visti due tizi più appiccicaticci. Mentre parlavo con Jean il tipo gli faceva la guardia come un San Bernardo”.
“Courfeyrac. Sì, stanno insieme da quasi quattro mesi. Sono molto innamorati”.
“Jean ha accennato al fatto che anche tu ti stavi vedendo con qualcuno. E poi ti ritrovo qui, da solo e completamente ubriaco. Non dovresti essere a casa a scopare con il tuo fidanzato?”.
Sentire Bahorel parlare così di Enjolras – di lui ed Enjolras – gli fece chiudere lo stomaco. Una cascata di ricordi gli invase la testa. Enjolras nel suo letto. Enjolras abbracciato a lui. Enjolras che gemeva e raggiungeva l’orgasmo nella sua mano. Enjolras che gli baciava il naso e gli diceva piano che lo amava. Passato, passato, passato.
“Ci siamo lasciati”.
“Mi dispiace. Vuoi venire su da me per un po’ di consolazione?”.
Grantaire avrebbe dovuto dire di no. La ferita era ancora fresca – decisamente sanguinante – e andare a letto con Bahorel non avrebbe migliorato le cose. Anzi le avrebbe solo peggiorate. Insomma, con che coraggio si sarebbe guardato allo specchio a mattina dopo? La mattina dopo aver tradito Enjolras. Ma loro non stavano più insieme. Quindi non sarebbe tecnicamente stato un tradimento.
Lo stomaco di Grantaire si stava letteralmente ribellando all’idea ma il suo cervello non riusciva a ragionare lucidamente. Le labbra di Bahorel erano screpolate, e non sapevano di burro cacao al miele come quelle di Enjolras, il suo corpo era solido quanto quello di Enjolras era esile. Anche se il suo cuore gridava NO il suo cervello – schifoso bastardo – si limitò a ribattere un “perché no”. Quindi Grantaire fece l’unica cosa sensata in quel momento: salì a casa di Bahorel. 
 
 
_______________________________________________________________________________________________________________________________ 

Finalmente un po’ di angst, come se non ne avessimo già avuta abbastanza. Non mi stancherò mai di precisare che Enjolras quando si tratta di sentimenti è al livello di un bambino di due anni, e forse una relazione – con un tipo “particolare” come Grantaire poi – non è proprio una cosa con cui il nostro fearless leader possa convivere pacificamente.
Mi scuso con tutti per la mia totale incapacità nello scrivere scene di sesso, ci sto lavorando (non per questa fic, che resterà nel rating arancione) e spero di non ricevere nessun uovo marcio dritto in faccia.
E ricordate, mai prendere decisioni importanti quando siete spaventosamente ubriachi, le conseguenze potrebbero essere…poco carine, come Grantaire qui presente sa bene.
Grazie a chi legge/segue/recensisce, sono contenta che i miei mostruosi ritardi non vi impediscano di godervi (?) questa storia sconclusionata.
~Letz

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Capitolo 10
*** Capitolo X ***


Non era più abituato a bere così tanto. Se Eponine lo avesse visto in quel momento, riverso sul letto con in testa un solo pensiero fisso – non vomitare, non vomitare, non vomitare – probabilmente avrebbe riso come una pazza. Nessuno reggeva l’alcool come lei, neppure Bahorel. Cristo, Bahorel. Preferiva non pensare a quello che era successo la notte prima.
Grazie a Dio era sabato. Niente lezioni, il che significava che poteva passare la giornata in camera sua a smaltire la sbronza. Il suo telefono però non era decisamente d’accordo e si mise a ronzare. Due nuovi messaggi.
 
Sapevo che le cose si sarebbero
sistemate tra te ed Enj.
Jehan.
 
Ma che cazzo stava dicendo Jehan? Troppo preso ad affogare i suoi dispiaceri nell’alcool non aveva detto né a lui né a ‘Ponine della sua litigata con Enjolras quindi quel messaggio per lui era arabo.
 
Il biondo non mi sembrava il
tipo da dichiarazioni pubbliche.
Beh, congratulazioni signora Enjolras.
‘P.
 
Ci si metteva pure ‘Ponine con questa assurdità. Dichiarazioni pubbliche? Ma che cazzo avevano tutti quella mattina? L’ennesima vibrazione del cellulare. Grantaire resistette alla tentazione di buttarlo contro il muro. Una notifica di facebook.
 
Enjolras è impegnato con Grantaire.
 
~
 
Grantaire uscì dalla sua stanza come una furia. Avrebbe tirato il collo ad Enjolras. Eppure le parole “non stiamo più insieme” gli erano sembrate estremamente chiare. Prima dell’omicidio però gli serviva un caffè. Un caffè molto lungo. Forse sarebbe stato meglio farsi due caffè. Peccato che quella mattina niente andasse nel verso giusto.
La sala comune era letteralmente invasa di rose. Grantaire contò almeno sei mazzi, che per la grandezza del locale erano decisamente troppi. Rose rosse, enormi e così profumate da dare il mal di testa. Ma il peggio erano le foto. Qualcuno – non c’era il minimo dubbio su chi fosse il responsabile – aveva coperto le pareti di foto. Il frigo, gli armadietti, non c’era un solo angolo che fosse scampato a quello scempio. Erano foto di lui ed Enjolras. Alcune le conosceva – le aveva scattate Courf che aveva il pallino della fotografia – ma la maggior parte non le aveva mai viste. E non ci mise molto ad intuire il perché: erano foto che Enjolras aveva scattato di nascosto con il suo cellulare. Erano loro due a letto – mezzi nudi - mentre si baciavano, in modo decisamente poco casto. Il pensiero di quello che era successo dopo che quelle foto erano state scattate lo fece decisamente arrossire.
Ma la cosa peggiore era Enjolras che in piedi in mezzo alla stanza lo fissava tranquillamente, come se non avesse passato la notte a tappezzare la loro sala comune con quelle foto pornografiche.
“Tu…tu…fottuto idiota”, urlò Grantaire a pieni polmoni. “Spiega. Hai due minuti”.
“Mi pare chiaro. Sto cercando di essere romantico e di farti capire che non mi vergogno a stare con te. Probabilmente sono stato troppo riservato sulla nostra storia. Pensavo fosse una cosa privata, da non mettere in piazza”.
Grantaire si sarebbe messo a ridere se la soluzione non fosse stata così tragica.
“Hai riempito la sala comune di nostre foto. Questo è mettere in piazza i nostri affari personali”.
“L’ho detto ai miei. Che sto con te, che ti amo e che se la cosa li disturba possono andare al diavolo”, disse tranquillamente Enjolras. “Quindi ora possiamo continuare con le nostre vite e…”.
“Sono stato con Bahorel ieri notte”.
Enjolras iniziò a piangere.
Grantaire non lo aveva mai visto piangere. Lo aveva sentito piangere al telefono e lo aveva visto dopo aver pianto nel parco, ma lo spettacolo di Enjolras in lacrime…era più di quanto chiunque potesse sopportare. Era come vedere il David di Michelangelo piangere, perché il suo viso era serio e immoto ma le lacrime colavano senza sosta lungo le guance. Già questo quasi bastò a spezzare il cuore di Grantaire.
Ma quando il viso di marmo di Enjolras si ruppe sotto l’onda dei singhiozzi e delle emozioni anche il cuore di Grantaire lo fece.
“Non è successo niente con Bahorel. Ero ubriaco e sono salito da lui ma non ce l’ho fatta. Ho pensato a te e non ce l’ho fatta”.
E per la prima volta da Capodanno le cose tra di loro furono chiare. Grantaire realizzò che qualsiasi cosa fosse successa tra di loro non sarebbe mai stato capace di lasciare Enjolras. E la cosa lo spaventò a morte perché le possibilità per lui erano due: restare tutta la vita con Apollo o finire solo e con il cuore a pezzi. Ma quando guardò Enjolras si rese conto che anche lui era arrivato alla stessa conclusione ed era questo che aveva causato quella crisi di pianto. Non tanto l’idea che lui avesse potuto tradirlo, quanto la consapevolezza che sarebbe rimasto comunque con lui, qualsiasi cosa fosse successa.
“Quindi i tuoi…”, cercò di dire qualcosa – qualsiasi cosa.
“Ti vogliono conoscere. Sabato”, disse Enjolras asciugandosi gli occhi con la manica del maglione.
“Enjolras”. Il suo nome suonò come un sospiro nella bocca di Grantaire. “Sei la persona meno romantica che conosco. Eppure hai comprato le rose”.
“Perché tu sei romantico. E voglio farti felice in tutti i modi che conosco e anche in quelli che non conosco”.
“Allora lascia che io ti renda felice. Smettila di respingermi Enjolras. Ieri notte ho realizzato che peggio di stare senza di te è stare con qualcuno che non sei tu. Quindi lascia che io ti renda felice”.
“Sono io che voglio rendere felice te”, ribattè Enjolras come un bambino capriccioso.
Grantaire ridacchiò prima di baciarlo profondamente. “Tu mi farai impazzire Apollo”.
“Io sono già pazzo di te invece”. La risata argentina di Enjolras fu la cosa più bella di quella mattinata.
 
~
 
“Enj, cosa significa questa riunione straordinaria? Insomma è sabato e hai decisamente rovinato i miei piani di pennichella pomeridiana”, si lagnò Marius.
“C’entra qualcosa la tua improvvisa follia che ha trasformato il nostro soggiorno in una serra?”, insinuò Bossuet.
“O forse vuoi scusarti di avermi quasi causato un infarto con le tue foto semi pornografiche?”, lo accusò Joly.
Enjolras si schiarì la voce preparandosi ad un discorso. Tutti, tranne Grantaire, avevano assistito ai comizi del biondo e quindi prepararono le loro migliori facce annoiate.
“Volevo parlarvi. Siamo amici da anni, alcuni di voi li conosco fin dalle elementari e volevo che foste i primi a saperlo. Io sono gay”.
Ecco, Enjolras si era aspettato qualche reazione, di certo non il silenzio.
“Ah ah. La cosa è molto interessante Enj”, lo sfottè Courfeyrac. “Peccato solo che lo sospettiamo da…sempre?”.
L’occhiata che Enjolras gli lanciò poteva essere definita solo come sconvolta.
“Ehm, credo anche che mi piaccia qualcuno”, balbettò il biondo.
“Che cosa dolce Enj. E chi è?”, cinguettò Jehan ignorando lo sguardo omicida di Grantaire.
“Lui è…uhm. Grantaire”.
“E ora verrai anche a dirci che state insieme in segreto da mesi”, rincarò Joly – anche se nessuno capì se fosse serio oppure no.
“Da Capodanno”, pigolò Enjolras in un mare di imbarazzo.
Le risate degli Amis probabilmente furono sentite persino in cima alla Torre.
“Tesoro lo sappiamo benissimo. Insomma non siamo ciechi. Ma è comunque carino che tu voglia ufficializzare la cosa”.
“Voi…voi…lo sapevate?”. Fosse stata qualsiasi altra persona Grantaire avrebbe messo una mano sul fuoco che stava mentendo. Ma si trattava pur sempre di Enjolras, lo stesso che non aveva capito di Jehan e Courf e che era rimasto sconvolto quando il cameriere del Margot gli aveva lasciato il suo numero scritto su un tovagliolo – Grantaire aveva dovuto spiegargli con pazienza che è questo che fanno le persone quando vogliono provarci.
“Vi ho visti limonare in aula Disegno”, disse Courf.
“In aula studio”. Joly.
“In bagno alla Chapelle”. Bossuet.
“Sul divano di ‘Ponine”. Combeferre.
“Non ti aspetterai che ti faccia la lista?”. Marius.
“Ignorali. Siamo tanto felici per voi”. Jehan.
Ma Courfeyrac non aveva la minima intenzione di lasciar perdere: non capitava tutti i giorni di poter sfottere selvaggiamente Enjolras, che normalmente aveva lo humour di un tavolino. Si avvicinò quindi a Grantaire e mettendogli un braccio intorno alla spalla iniziò a recitare:
- Monna Laura a paragone della tua donna era una sguattera (ebbe però migliore spasimante, a celebrarla in rima, quella là); Didone al paragone una sciattona, Cleopatra niente meglio di una zingara, Elena ed Ero due vili bagasce, Tisbe, magari, col suo occhio verde, ma non da starci a perder troppo tempo… Signor Romeo, bonjour!, alla francese, in onore delle tue braghe francesi!
Enjolras divenne di un deciso color aragosta, tra le risate soddisfatte di Courf. Grantaire decise di essere cavalleresco, e difendere la sua Giulietta.
“Invidioso Courf perché nessuno dedicherebbe mai a te certe belle parole?”.
- Meriteresti un bel morso all’orecchio per questa tua battuta.
E persino Grantaire, con tutta la sua buona volontà non potè non ridere davanti a Courf che cercava di morderlo starnazzando come un’oca.
- No, non mordere, oca mia buona, non ne avresti i denti.
Ma Courfeyrac aveva eccome i denti, e glieli conficcò nel braccio.
“Fottuto idiota mi hai fatto male”, ululò Grantaire.
“Quante storie per un morsetto. È un semplice segno del mio affetto. Dopotutto sono un buon cane fedele”, e Courf fece seguire a queste parole una decisa leccata sulla guancia di Grantaire.
“Joly, passami una salviettina prima che mi venga la rabbia e mi tocchi sopprimere questo San Bernardo”.
Jehan, piccolo com’era, si mise tra i due litiganti con fare molto teatrale. “Dovrai passare sul mio cadavere”.
“Oh cuore mio, quanto sei coraggioso”, disse Courf abbracciando il suo fidanzato e iniziando a baciarlo con passione. Polipi.
Grantaire si sentì toccare su una spalla. Era Enjolras che lo fissava in modo malizioso.
“Una ricompensa per il coraggioso Romeo che ha così ben difeso la sua Giulietta”, disse prima di coinvolgerlo in un lungo bacio. Questa volta gli schiamazzi degli amici furono così forti da essere sentiti fino a Rouen. 


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So che alcuni di voi penseranno, evviva, tutto risolto ma Enjolras è del tutto fuori parte. Io invece penso che quando una persona come Enjolras, quindi fredda, incapace di avere una storia normale, totalmente ostinato e dittatoriale cerca di essere, per una volta, normale ecco che scatta la tragedia. Ci sono persone che caratterialmente sono romantiche e fanno cose romantiche ma Enjolras no, quindi penso che sia perfettamente in linea con il suo carattere esagerare e incasinare le cose. 
Ringrazio Matysse per la fantastica scena del coming out che, non con queste esatte parole ma quasi, è realmente avvenuta.
Ebbene si, avevate ragione, con Bahorel non è successo niente. Spero di aver trasmesso quel senso di ineluttabilità che a parer mio circonda la storia di Enjolras e Grantaire: in qualche modo sono destinati a stare insieme nonostante tutto il dolore che si provocheranno a vicenda.
La scenetta Grantaire/Courfeyrac mi ha fatto ridere da sola mentre la scrivevo, quindi vi tocca beccarvela tutta. Per chi se lo chiedesse, Shakespeare ha davvero scritto quelle cose (e altre persino peggiori, fidatevi). Quell'uomo era un fottuto genio, il caso è chiuso.
Grazie a chi legge/recensice/segue, siete fantastici.

Lots of love,
Letz

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ***


“Odio le camicie, mi fanno sembrare un pinguino”, si lagnò Grantaire infilandosi due dita nel colletto.
“I pinguini sono animali adorabili”, si limitò ad osservare Enjolras ignorando lo sguardo di odio del suo ragazzo. “E poi stai benissimo vestito così. Quella camicia sta molto meglio addosso a te che a Courf”.
“È tutto inutile, non basterà una camicia per piacere ai tuoi. Insomma io non piaccio ai genitori. Io sono la classica persona che fa dire ad un padre “figliolo, non diventare mai così”. Io…”. Grantaire iniziava a sentirsi il cervello vuoto. Il treno era quasi arrivato a Mentone e lui iniziava ad avvertire una preoccupante ondata di panico corredata da altri sintomi quali mani sudate – in realtà tutto il suo corpo era completamente fradicio, maledetta camicia - bocca secca e respiro affannoso. Enjolras era sembrato sicuro del loro rapporto, ma quale persona di buon senso si farebbe diseredare pur di rimanere con uno spostato come lui?
“Io ti adoro, quindi anche loro saranno obbligarti a trovarti favoloso”, lo rassicurò Enjolras stringendogli forte la mano. “E poi anche per Eponine e Cosette è la prima volta a casa mia, ma non mi sembrano così nervose”.
Grantaire non avrebbe mai finito di stupirsi per quello che usciva dalla bocca di Enjolras, che era decisamente la persona più stupidamente intelligente che avesse mai conosciuto. Il suo QI probabilmente era quello di un cervellone, ma quanto a relazioni sociali e sentimenti Enjolras era un ritardato.
“Forse perché non stanno conoscendo i genitori del proprio ragazzo? Ragazzo allergico alle relazioni, che in diciannove anni di vita non ha mai portato a casa nessuna fidanzata. Ragazzo che dal giorno alla notte ha fatto coming out con la famiglia dicendo “se le cose non vi stanno bene posso anche andarmene di casa”. Sì, qualcosa mi dice che Cosette ed Eponine non sono nervose perché loro non saranno giudicate, osservate e criticate dai genitori dell’amore della loro vita”.
“Quindi sono l’amore della tua vita?”, fece le fusa Enjolras strusciandoglisi addosso.
“Mi pareva che non fosse quello il punto. Inutile ormai preoccuparsi. Siamo arrivati”, disse Grantaire osservando con orrore il cartello che indicava la stazione di Mentone.
 
~
 
La casa era enorme. Ovviamente non avrebbe dovuto esserne troppo stupito, visto che tra tutti gli Amis quello più fornito di denaro era sicuramente Enjolras. Ma Grantaire non poteva comunque credere che qualcuno potesse spendere così tanti soldi per una casa al mare. La loro casa di Parigi sarebbe probabilmente stata grande come Versailles. Bossuet gli aveva distrattamente detto che se fosse stato troppo freddo per fare il bagno in mare – dopotutto era solo la metà di aprile – sarebbero stati nella piscina riscaldata della villa. A quel punto Joly era intervenuto per lamentarsi della sua terribile allergia al cloro. “Fortuna che l’idromassaggio di Enj non è pieno di quella robaccia”. Piscina privata, idromassaggio, palestra – questo lo aveva saputo da Courf – e un giardino enorme, parte tenuto all’inglese, parte all’italiana – lo aveva detto Jehan, che adorava scrivere in mezzo a tutto quel verde. Grantaire ora era semplicemente terrorizzato.
Eponine gli tirò una gomitata. “Ti sei sistemato per la vita R. Potrai fare il mantenuto a spese del tuo principe azzurro”.
Grantaire la spinse via con malagrazia. “Sei un’idiota ‘Ponine”. Era decisamente nervoso, e non aveva tempo per le battute salaci della sua migliore amica. Doveva concentrarsi sull’obiettivo: essere quanto più falso possibile e convincere i genitori di Enjolras di essere il fidanzato perfetto, e non l’assoluto disastro che era.
Cherie, eccoti qui. Vi aspettavamo almeno mezz’ora fa”. La voce era decisamente argentina e trillante. Incredibile a dirsi, persino più cinguettante di quella di Jehan. Praticamente degli ultrasuoni.
La visione dei genitori di Enjolras che li aspettavano sulla porta ebbe il potere di fargli cedere le ginocchia. Dal padre Enjolras aveva ereditato il naso greco e la mascella decisa, nonché la serietà nello sguardo. Gli occhi e i capelli però li aveva presi dalla madre, un celeste che sfumava nel fiordaliso e un biondo grano che molte ragazze avrebbero invidiato. Entrambi vestivano con eleganza, completo blu navy per Enjolras senior e un abito da cocktail color lavanda per la signora Enjolras.
“Il treno era in ritardo maman”, disse Enjolras abbracciandola.
Uno a uno gli Amis si avvicinarono per salutare la coppia. Grantaire spesso dimenticava che li conoscevano tutti da anni, Courf e ‘Ferre quasi dalla culla. Imbarazzato cercò di tenersi prudentemente sullo sfondo.
“Courfeyrac come stai? Enj mi ha detto che tu e Jehan vi siete fidanzati. Sono tanto felice per voi”, e la madre di Enjolras stritolò Courf in un abbraccio.
“Grazie Clarisse. E Lucky come sta? La frattura si è saldata?”. Grantaire si ricordò che Lucky era il cane di Enjolras e si sentì sempre peggio. Courf dava del tu alla madre di Enjolras mentre lui sarebbe probabilmente svenuto anche solo nel dirle “salve”.
“Zoppica leggermente ma nel giro di poche settimane dovrebbe ristabilirsi del tutto. Joly ringrazia tantissimo tuo padre per tutto quello che ha fatto per il povero Lucky” – il padre di Joly era un veterinario? Grantaire non si era mai preso la briga di indagare – “Jehan devi assolutamente convincere quel testone di Enj a seguirti a Firenze quest’anno”. E la madre di Enjolras continuò a parlare di banalità per quelle che a Grantaire parvero ore. Finalmente la sua attenzione si spostò su Cosette ed Eponine, che se ne stavano in un angolo a bisbigliare sottovoce.
“E chi sono queste due bellezze?”.
“Clarisse questa è la mia ragazza, Eponine”, intervenne Combeferre con galanteria.
In suo favore, Grantaire dovette ammettere che la vista dei tatuaggi di Eponine non fece la minima impressione sulla madre di Enjolras, che baciò calorosamente la ragazza, informandosi sulla sua vita e sui suoi gusti in fatto di vestiti e stilisti. Decisamente non il tipo di conversazione a cui ‘Ponine era abituata, ma anche lei sapeva fingere bene quando voleva.
Ma quando gli occhi di Clarisse – Grantaire doveva sforzarsi per chiamarla così, anche se lo faceva solo nella sua testa – si posarono su Cosette Grantaire capì di non avere nessuna chance di piacere ai genitori di Enjolras. Cosette era perfetta. Capelli sempre in ordine, perfettamente truccata e vestita con gusto. Educata ma arguta, dolce ma volitiva. Il sogno di ogni madre – soprattutto di una come Clarisse – per il proprio figlio.
“Lei è Cosette, la mia fidanzata”, disse Marius, “è la figlia del preside Valjean”. Cosette arrossì di imbarazzo – probabilmente non amava molto essere costantemente presentata come la-figlia-di – mentre Marius gongolava, felice della sua conquista.
Dopo i consueti convenevoli con Cosette l’attenzione di Clarisse non poteva che venir attratta da Grantaire, che si sistemava nervosamente i polsini della camicia come se da quello dipendesse la sua vita.
Mamam, papa lui è Grantaire. Il mio ragazzo”. Era la prima volta che lo chiamava così in pubblico, e la cosa parve così ufficiale che a Grantaire si mozzò il fiato. Lui era il suo ragazzo. Suonava strano persino alle sue orecchie, eppure aveva avuto quasi quattro mesi per abituarsi all’idea.
Il padre di Enjolras, che non aveva ancora aperto bocca gli strinse vigorosamente la mano. “Molto piacere di conoscerti Grantaire. Io sono Guillame”. La stretta era decisa, e questo a Grantaire piacque. Ma fu il sorriso che accompagnò la stretta di mano che lo tranquillizzò: era lo stesso sorriso tutto-denti che Enjolras faceva quando era felice, realmente felice. Quel sorriso da diecimila watt, che poteva riscaldare una stanza anche in pieno dicembre.
“E io Clarisse”, li interruppe la madre di Enjolras, “e non provare a chiamarmi “signora”. Così mi fai sentire vecchia”.
“Nessuno potrebbe definirti vecchia maman”, sospirò Enjolras come se fosse esausto di tutto quel teatrino.
“Enjolras ha ragione signora, lei è splendida”.
“Chiamami Clarisse caro, è un ordine. Insomma, tu e il piccolo angelo qui state insieme sul serio? Oppure è solo una delle sue stramberie come il periodo vegetariano e quello buddista?”.
Maman”, il tono di voce di Enjolras era minaccioso.
“Quanto sei noioso caro. Una semplice battuta innocente e guarda come scatti. Credo che il nostro Grantaire abbia molto senso dell’umorismo per stare con uno come te”.
Grantaire non poté impedirsi di unirsi alla risata di Clarisse. Aveva proprio ragione: certi giorni la sua storia con Enjolras gli sembrava tutta una barzelletta. La coppia peggio assortita del secolo. Forse si era fatto tanti problemi per nulla, sia Clarisse che Guillame sembravano bendisposti nei suoi confronti e nessuno aveva ancora detto frasi come “un figlio gay è la vergogna di una famiglia”.
“Ok, cherie, tu e l’angioletto state insieme. Non voglio fare la mamma apprensiva, ma in diciannove anni di vita Enj non ha mai portato a casa nessuna fidanzata o fidanzato. Quindi vorrei farti una domanda, e vorrei tu fossi sincero”.
A Grantaire sudavano le mani. Chissà cosa avrebbe voluto sapere quella pazza.
“Tesoro voi fate sesso sicuro? Cioè usate i preservativi? Insomma con tutte le malattie che ci sono a questo mondo”.
Maman”. Ora Enjolras stava letteralmente urlando. “Mi pareva avessimo concordato niente-domande-imbarazzanti”.
“Come vuoi tu cherie”, disse Clarisse. Poi strizzò l’occhio a Grantaire e sussurrò: “Continuiamo dopo caro”.
 
 



________________________________________________________________________________________________________________________________ 
 
Ed eccomi di nuovo qui, a scocciarvi con i miei assurdi capitoli. Innanzitutto, la scelta di Mentone è assolutamente casuale e senza senso, ci sono stata in vacanza un paio di volte e quindi l’ho usata come scenario.
Per una volta volevo che i genitori di Enjolras fossero simpatici e tolleranti, non due palle al piede per cui il figlio è una terribile vergogna. La madre è un tantino pazza, e credo che nel profondo Enjolras un po’ se ne vergogni, ma fondamentalmente è un’oca piuttosto innocua. Il padre è misterioso, non parla praticamente mai ed è piuttosto assente. Siamo la coppia più bellaaa del mondooooo *canticchia come una pazza*
È vero, in questo capitolo non succede niente, o quasi, ma mi piaceva fare una bella descrizione della coppia Enjolras, quindi non lapidatemi (in effetti qualcosa succede, si scopre che Grantaire in camicia è sexy).
Grazie a chi legge/recensice/segue, mi fa piacere sapere che qualcuno apprezza i miei piccoli scleri.
 
Lots of love,
Letz

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ***


Per la gioia di Grantaire la cena fu molto semplice. Le portate erano infinite, ma tutte cose che conosceva, cose normali. Niente cosce di rane, uova di quaglia e salsine strane. Almeno a tavola non avrebbe fatto figuracce. Il chiacchiericcio di Clarisse faceva da sottofondo alla cena. Se avesse avuto un numero di parole prestabilito da dire al giorno, quella donna le avrebbe consumate prima di colazione.
“Combeferre non mi sono ancora congratulata. Tuo padre mi ha detto che sei stato ammesso alla facoltà di Matematica della Sorbona”.
“Grazie mille Clarisse. In realtà sono ancora indeciso se iscrivermi a Matematica o se puntare su Architettura. Stare con Eponine mi ha fatto capire che potrei riuscire anche in un lavoro più creativo, quindi sto valutando tutte le mie opzioni”.
“Tu invece che ambizioni hai Eponine? Studi all’Accademia d’Arte giusto?”.
Eponine annuì piano. Anche lei, come Grantaire, tendeva a mettersi sulla difensiva quando si parlava del futuro e delle sue scelte di vita. Troppi anni a sentirsi dire che a fare gli artisti si finisce sotto i ponti probabilmente li avevano resi un po’ cinici.
“Ho sempre voluto fare l’illustratrice o la fumettista. Il corso che organizza l’Accademia è molto buono e dovrei avere buone speranze lavorative”.
“’Ponine è troppo modesta per dire che è stata selezionata, insieme ad altri ventiquattro candidati provenienti da tutto il mondo, su un gruppo di cinquemila aspiranti fumettisti. E tu non hai buone speranze amore, tu sei la migliore del tuo corso e ce la farai sicuramente”. La voce di Combeferre tremò leggermente mentre pronunciava queste parole e chiunque li avesse visti, lì, in quel momento, avrebbe capito quanto si amavano. Eponine, la scatenata Eponine, quella che non poteva stare ferma ed era sempre pronta a fare casino aveva trovato in Combeferre il suo punto di appoggio naturale. Lui le dava stabilità, lei gli aveva fatto scoprire la leggerezza della vita.
Dato che si era entrati in argomento tutti volevano dire la loro e la conversazione si era trasformata in un io-da-grande-farò. Grantaire si sentiva rilassato – grazie anche al vino che il padre di Enjolras continuava a versargli nel bicchiere – e si mise con piacere ad ascoltare i suoi amici e i loro piani per il futuro.
Il più deciso era ovviamente Joly. Suo padre faceva effettivamente il veterinario, quindi fin da piccolo era stato circondato da testi di medicina. Per il suo dodicesimo compleanno aveva chiesto in regalo uno scheletro perfettamente ricostruito, che faceva un perfetto paio con la bambola anatomica con gli organi removibili che aveva chiesto l’anno prima. Nonostante soffrisse di un caso incurabile di ipocondria, quando si trattava di altre persone Joly era efficiente e metodico e già da tre anni collaborava con la Croce Rossa. Nessuno quindi si stupì quando Joly rivelò, rosso dall’emozione, di essere stato ammesso con largo anticipo alla facoltà di Medicina della miglior università di Parigi.
Grantaire propose un brindisi. L’alcool era sempre una buona cosa, e lo era ancor di più se si doveva festeggiare.
“Tu invece Bossuet?”, chiese Guillame.
“Giurisprudenza. Insomma, sarebbe da stupidi mandare in malora lo studio di papà, che per inciso ha minacciato di diseredarmi dovessi scegliere un’altra facoltà”, rispose allegro il ragazzo. Tutta la tavolata rise, tranne Joly e Grantaire, che – forse proprio grazie al vino – aveva colto perfettamente la verità dietro le parole apparentemente allegre di Bossuet. Avrebbe dovuto presentargli Bahorel, che frequentava il terzo anno di Giurisprudenza ma il cui motto era “avvocato mai”. Si sarebbero intesi a meraviglia.
Alla fine saltò fuori che Jehan avrebbe studiato interpretariato, anche se sognava di diventare scrittore, e Courfeyrac si sarebbe iscritto ad Economia, per subentrare al posto del padre nella gestione dell’azienda di famiglia.
Per una volta Grantaire fu felice di avere due zii a cui importava ben poco dell’università a cui si sarebbe iscritto. La maggior parte dei suoi amici sembrava decisamente manovrata dalla propria famiglia, che li spingeva ad essere qualcuno a qualsiasi costo. Per lui le cose erano molto più semplici: si sarebbe trovato una stanza in affitto e un lavoretto con cui mantenersi in attesa dell’occasione della vita: esporre i suoi quadri in una vera galleria d’arte.
“Manchi solo tu Enjolras”, lo provocò Grantaire, “che farai a settembre?”.
“Scienze Politiche alla Sorbona”, rispose il ragazzo con semplicità.
“Così sarai vicino a Combeferre. E anche a Grantaire, l’Accademia non è lontana”, cinguettò Clarisse. “Visto che sei deciso ad andare a vivere per conto tuo potresti cercare casa con Combeferre, gli edifici di Matematica e Scienze Politiche sono praticamente contigui”.
“A settembre andrò a vivere insieme a Grantaire”.
Grantaire quasi si strozzò con la sua cucchiaiata di piselli. Il silenzio che calò sul tavolo era carico di aspettative, imbarazzo, sgomento e altri confusi sentimenti che Grantaire non riuscì a percepire. Tutti lo stavano fissando, in attesa di una sua reazione. Cercando di mantenere la calma – e di non sembrare una ragazzina isterica – sillabò: “E questo quando lo hai deciso?”.
“Credo che il momento preciso sia stato quando mi hai detto di amarmi a Capodanno”, rispose candidamente Enjolras.
“E quando pensavi di dirmelo, o di discuterne con ME?”.
“Questo significa che non vuoi venire a vivere con me?”. Il viso di Enjolras era impassibile ma Grantaire si accorse che gli tremava il labbro, come succedeva sempre quando era realmente in ansia per qualcosa.
“Io credo di aver bisogno di un po’ d’aria. Scusatemi”. E detto questo Grantaire uscì dalla sala da pranzo.
 
~
 
Jehan tremava di freddo. Non era stata una buona idea uscire in giardino solo con il suo cardigan leggero ma non voleva ancora rientrare. Aveva bisogno di tempo da solo per riflettere. Enjolras li aveva sconvolti tutti, ma in particolare aveva sconvolto lui. Considerava Grantaire come un fratello e non poteva credere che gli avesse nascosto una cosa del genere. E invece nemmeno lui sapeva nulla. Una magra consolazione. Non riusciva nemmeno ad essere felice per l’inaspettato regalo dei genitori di Enjolras: Guillame e Clarisse erano partiti subito dopo cena e sarebbero rimasti soli fino alla sera successiva, quando sarebbero rientrati al Valjean.
Parlare del futuro lo aveva spaventato. La scuola sarebbe finita e loro si sarebbero divisi, sparsi per la Francia o addirittura per il mondo. Lui era l’unico tra gli Amis a non essere di Parigi: i suoi genitori vivevano in Provenza e tornava a casa solo per le vacanze. Il Valjean era la sua intera famiglia. Sarebbe rimasto a vivere e frequentare l’università a Parigi, questo lo aveva deciso l’anno prima e i suoi genitori approvavano. Sapeva bene quali fossero i piani di Grantaire per il futuro e aveva intenzione di chiedergli di andare a vivere insieme. Enjolras non aveva bisogno di una casa, i suoi ne avevano una enorme nel centro di Parigi. Lui invece aveva bisogno di una casa, aveva bisogno di Grantaire. Da solo non ce l’avrebbe fatta.
Due braccia forti lo circondarono e Courfeyrac gli sussurrò dolcemente all’orecchio: “Sapevo di trovarti qui, poeta solitario. Ti ho portato una giacca, pensavo avresti avuto freddo con questo vento”.
Jehan avrebbe potuto piangere per la tenerezza di quelle parole. Da quando stava con Courf non si era mai sentito infelice, o solo. Ma quel giorno era diverso. D’impulso abbracciò il ragazzo. “Tu non lascerai mai vero?”.
“Amore mio…mai, mai, mai”, lo rassicurò Courf baciandogli piano i capelli.
“Sono arrabbiato con Enjolras. So che è stupido, e infantile, ma mi sento come se mi stesse rubando Taire. Non voglio vivere da solo Courf, so che non ce la farei. Voi siete tutti di qui, conoscete Parigi mentre io dopo otto anni mi sento ancora un ragazzo di provincia”.
“Jehan, tu non sarai mai solo. Noi Amis ci saremo sempre per te. Io ci sarò sempre per te. A questo proposito…ho parlato con i tuoi genitori”. Jehan sbiancò. I suoi non avevano preso benissimo la sua relazione con Courf – non che fossero omofobi, semplicemente non apprezzavano molto il ragazzo – ed era stanco di discutere con loro per telefono su quanto sbagliato fosse Courfeyrac per lui.
“Gli ho fatto leggere i tuoi racconti”.
Jehan avrebbe voluto urlare. “Sono cose private, sai benissimo che odio che altri leggano ciò che scrivo”.
“Jehan devono capire. Sei nato per fare questo. Tu devi scrivere, non metterti a tradurre cose scritte da altri. Tu sei straordinario, non accontentarti di essere normale”. Jehan iniziò a piangere perché lui non si sentiva straordinario, lui si sentiva piccolo e meschino e immeritevole di tutto l’amore che Courf gli dimostrava.
“Anche tua madre ha pianto. Ma questo lo puoi immaginare, è così emotiva. Hanno detto che devi iscriverti ad un corso di scrittura creativa se vuoi diventare il nuovo Victor Hugo, non ad una stupida scuola di interpretariato”.
Jehan si asciugò lentamente le lacrime. Era così felice che non gli sembrava nemmeno di essere lui il protagonista di quella scena.
“Cosa credi stupidino, che ti avrei guardato salire sul patibolo senza far nulla? E poi mio padre mi ha detto che sei andato a parlargli della mia passione per la fotografia e indovina un po’? Il vecchio vuole comunque che mi iscriva a Economia ma dice che mi darà soldi per tutti i corsi di fotografia che voglio”.
Il bacio che si scambiarono fu più dolce di qualsiasi altro. Forse perché entrambi si sentivano così incredibilmente adulti, ora che avevano preso in mano le loro vite. O forse perché avevano scoperto un nuovo modo di amarsi.
“C’è un'altra cosa che vorrei chiederti”, e Courfeyrac si inginocchiò e Jehan credette che sarebbe svenuto. “Jean Prouvaire, amore mio. So che nemmeno in dieci vite sarò degno di meritarti. Ma so che ti amo, e che non vorrei vivere nemmeno un giorno senza di te. Io odio pulire, lascio pile di vestiti sporchi in giro per la casa, preferirei morire che lavare i piatti. Quindi ti capirei se mi dicessi di no. Jehan, vuoi venire a vivere con me?”.
“Idiota, pensavo volessi chiedermi di sposarti”, urlò Jehan rosso in viso. Poi si calmò, prese un bel respiro e “Si, lo voglio”.
 





 
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Sono una persona orribile che non rispetta le scadenze *piange come una fontana*
Per farmi perdonare vi porto un capitolo pieno di pucciosità made in Couhan, che sono la coppia più dolce del mondo, che solo a guardarli fanno cariare i denti.
Ovviamente Enjolras deve rovinare i momenti in cui tutti sono felici con la sua incapacità sociale, ma vedrete che tutto si sistemerà in qualche magico modo. Povero Jehan, conosco benissimo quella sensazione che ti fa dire “sono stato messo da parte”. Ma per te c’è zio Courf, che non ti lascerà mai mai mai (altrimenti sarà picchiato a morte da una schiera di fangirls impazzite).
Spero che il capitolo sia valso l’attesa, grazie a chi legge/recensisce/segue, siete fantastici.
 
Lots of love,
Letz

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ***


Il fuoco ardeva pigramente nel caminetto del salotto, nonostante fosse ormai aprile e non ci fosse nessun bisogno di tutto quel calore supplementare. Ma Joly soffriva terribilmente il freddo ed era grato ai genitori di Enjolras di aver lasciato acceso il camino. Anche se ricordava benissimo come Bossuet, l’inverno precedente, si fosse ustionato toccando proprio quel camino e di come avesse dovuto medicarlo. Bossuet era stato il suo primo paziente, con tutti gli incidenti che gli capitavano era una cavia perfetta per fare pratica. E non si lamentava mai, non imprecava, non piangeva e non si dimenava. A Joly pareva quasi di avere a che fare con uno dei manichini della facoltà di medicina.
Dalla cucina arrivò un rumore di posate cadute ed un’imprecazione. Bossuet, il solito Bossuet. Joly lo trovò con la mano che sanguinava copiosamente infilata sotto un getto di acqua fredda.
“Mi stavo facendo un sandwich e il coltello è scivolato. Nella mia mano”, rise Bossuet.
Ma Joly non rideva. Erano anni che vedeva Bossuet farsi male in ogni modo, e ben più di un paio di volte erano stati incidenti gravi, tanto da richiedere una corsa in ospedale.
“Ci vorranno dei punti”, osservò gravemente esaminando la ferita.
“Mi affido alle tue abili mani”.
Joly fece magicamente comparire dalla sua borsa ago e filo e iniziò a lavorare in silenzio. Da Bossuet nemmeno un lamento.
“Quando pensi di dire a tuo padre che non vuoi iscriverti a Giurisprudenza?”. La voce di Joly tremava leggermente. Sapeva bene che Bossuet odiava parlare di suo padre e della sua famiglia e l’ultima volta avevano avuto una discussione piuttosto animata che era terminata con porte sbattute e tre giorni di silenzio.
Bossuet si irrigidì sotto le mani dell’amico. “Joly credevo ne avessimo già parlato. Io voglio iscrivermi a Giurisprudenza”, e cercò di abbozzare un sorriso. Si divincolò gentilmente dalla stretta di Joly e si alzò dalla sedia. Ma Joly non voleva saperne di arrendersi e lo strattonò per un braccio. E Bossuet lanciò un piccolo grido. Nemmeno quando avevano dovuto riallineargli una frattura alla gamba aveva gridato. Lo sguardo stralunato di Bossuet gli confermò che stava succedendo qualcosa di estremamente sbagliato al suo amico. Delicatamente sollevò la manica della felpa di Bossuet. Sul suo braccio fiorivano svariati lividi. All’occhio attento di Joly i diversi colori dei lividi testimoniavano che quella storia andava avanti da tempo. Alcuni erano recenti, altri risalivano a settimane prima.
“Bossuet…”.
“Ho sbattuto contro una porta”. La voce di Bossuet era venata di panico.
“Bossuet…”.
“Mi conosci, faccio sempre cose stupide e pericolose e…”.
“Tuo padre ha ricominciato a bere”.
Si fosse trattato di un altro degli Amis Bossuet avrebbe negato. Ma Joly era il suo migliore amico, la persona a cui voleva più bene al mondo e che conosceva a memoria ogni sua espressione. Quindi non poteva sperare di nasconderglielo, nemmeno in mille vite l’avrebbe fatta franca con lui.
“Da un paio di mesi. Ma davvero, lui non voleva. Sono stato io, con quella assurda idea della scuola di teatro…la colpa è solo mia”.
Joly non era una persona espansiva. Quando doveva curare qualcuno era delicato e confortante ma nella vita di tutti i giorni, la vita vera, non amava molto tutto quell’abbracciarsi e toccarsi. Sopportava Courf che si appoggiava alle sue spalle durante le riunioni e non gli dispiacevano gli abbracci di Jehan, o le pacche sulle spalle di Combeferre. Ma lui non faceva mai il primo passo, non era mai il primo ad abbracciare o toccare. Quindi abbracciare Bossuet così forte da togliergli il fiato non era esattamente una cosa nel suo stile. Era semplicemente la cosa più difficile che avesse mai fatto, ma anche la più giusta.
“Non è colpa tua, e se lo ripeti io ti strangolo. La colpa è di quello stronzo di tuo padre che passa le sue giornate a bere anziché preoccuparsi di suo figlio. E tu non ci torni in quella casa, vieni a stare da me per l’estate e per le vacanze e starai in camera mia come al solito. Tu non ci torni da quel bastardo, e se ti tocca di nuovo io lo ammazzo perché nessuno deve permettersi di farti del male. Non finchè io sarò lì per impedirlo. E dovrà spaccare anche la mia di testa per farmi smettere perché io non ti posso lasciare così e…”.
Bossuet era letteralmente nel panico. In qualche modo doveva farlo smettere di parlare. E l’unico modo che trovò fu quello di tappare letteralmente la bocca di Joly. Con la propria. Non aveva mai pensato a lui in quel modo, ma baciare Joly era la cosa più naturale del mondo. Perché a nessuno importava di lui come a Joly, che era l’unico sempre pronto ad aiutarlo quando finiva inevitabilmente per fare qualcosa di stupido o gli capitava qualcosa di inspiegabilmente sfortunato.
Joly non aveva mai pensato a Bossuet in quel modo, ma baciare Bossuet era la cosa più naturale del mondo. Perché ogni volta che credeva di avere una malattia incurabile Bossuet c’era, dandogli le medicine e facendolo ridere. E tutte le volte che Bossuet si era fatto male o era finito in ospedale Joly aveva sentito una stretta al cuore, che non aveva mai collegato a qualcosa di così stupido come l’amore. Era uscito con Musichetta per un po’, e da poco avevano ricominciato a vedersi, ma non aveva mai provato vero interesse per la ragazza. Sesso facile e senza complicazioni, ecco cosa offriva Musichetta.
Staccarsi da quel bacio fu difficile. Entrambi sapevano che avrebbero dovuto parlare della cosa, analizzare i loro sentimenti e nessuno dei due si sentiva pronto a farlo. Non dopo che Joly aveva scoperto il segreto di Bossuet.
“Domani”, sospirò Bossuet. “Domani parleremo di tutta questa cosa”.
Joly assentì piano. Domani. In quella parola c’era tanta speranza. Domani.
 
~
 
Un leggero bussare alla porta riscosse Grantaire dai suoi pensieri. Dopo essersi preso quella boccata d’aria durante la cena si era rintanato nella stanza che i genitori di Enjolras gli avevano assegnato ed era rimasto sdraiato sul letto a fissare il soffitto. Molto coraggioso da parte sua.
“Entra”.
Enjolras si fece timidamente strada nella stanza. Indossava un assurdo pigiama rosso a righe, con la maglia così larga che gli scivolava su una spalle lasciando scoperta la sua pelle color latte.
“Amore, sei ancora arrabbiato?”.
Dio, come si poteva resistere a quella vocina pigolante e al suo proprietario? Soprattutto quando in faccia aveva stampata quell’espressione a metà tra il colpevole e l’infelice. Per la prima volta Grantaire pensò a quanto fosse giovane Enjolras rispetto a lui. Non anagraficamente - avevano solo un anno di differenza - ma per quello che avevano vissuto. Enjolras, con il suo pigiama a righe troppo largo per lui, dimostrava poco più di sedici anni. E il modo in cui lo aveva chiamato amore…doveva essere così che lo chiamava sua madre quando era un batuffolo tutto occhioni azzurri e capelli dorati.
Grantaire voleva davvero essere irritato con Enjolras, per la sua sensibilità pari a quella di uno scaldabagno e per averlo messo in imbarazzo davanti a tutta la tavolata. Ma non poteva essere realmente arrabbiato con Enjolras perché in quel momento sembrava proprio un bambino che la mamma ha appena rimproverato.
Grantaire picchiettò delicatamente il materasso vicino a lui, nel gesto internazionale che significa “siediti qui”.
Enjolras si sdraiò letteralmente su Grantaire.
“Sei arrabbiato”. Era un’affermazione stavolta.
“Non arrabbiato, solo sorpreso”. A Grantaire sembrava di parlare con un bambino, quindi scelse con cura le parole. “Enjolras tu non puoi prendere decisioni che riguardano me senza nemmeno consultarmi. Lo capisci?”.
Enjolras annuì in modo compito, come un bravo scolaretto.
“Ho sbagliato i modi e anche i tempi. Me ne rendo conto. Ma non mi importa di quello che pensano gli altri, mi importa solo della tua risposta. Vuoi venire a vivere con me a settembre?”.
“Ci hai riflettuto bene Enjolras? Non avrai tutto quello a cui sei abituato, niente camerieri che lavano, stirano e cucinano per te. E poi tu non sei come me, non hai bisogno di prendere un appartamento tuo, puoi vivere con i tuoi. E potremmo comunque vederci ogni giorno, come facciamo ora”.
Il labbro di Enjolras tremava, maledizione. Le cose si mettevano male.
“Quella mattina nel parco, io ero serio. Io non credo di essere un pinguino, io sono un pinguino. Monogamo. Quindi non ho bisogno di tempo per pensarci, di essere più maturo per prendermi un impegno con te. Quando si tratta di te, di noi, io non so esprimermi perché il mio vocabolario non ha parole per spiegare certe cose. Ma cercherò di essere il più chiaro possibile. I pinguini possono stare senza la loro compagna, quando vanno a caccia o cose così. Ma non sentirai mai un pinguino dire: oh siamo giovani per un impegno, magari potremmo essere anime gemelle tra un anno”.
Grantaire scoppiò a ridere perché Enjolras era così buffo e così poco il solito Enjolras.
“Ok, ok, il concetto è chiaro. Siamo due pinguini condannati l’uno all’altro. In realtà quelle di prima erano solo stronzate, volevo dirti subito di sì ma volevo tenerti ancora un po’ sulla corda”. Il ghigno sulla faccia di Grantaire era demoniaco.
“Quanto sei stronzo, Gesù” lo insultò Enjolras prendendolo a cuscinate.
La battaglia di cuscini andò avanti per almeno dieci minuti, ovvero fino a quando non si ruppero le federe e tutte le piume uscirono dai cuscini. Affannati e pieni di piume i due ragazzi si guardarono negli occhi sorridendo. Enjolras baciò Grantaire lentamente e profondamente prima di sussurrare: “Voglio fare l’amore con te”.
Grantaire obiettò: “E i tuoi?”.
“Se ne sono andati. Notte e tutto domani liberi”, disse Enjolras leccandosi le labbra.
In ogni altra occasione Grantaire si era trattenuto, perché rispettava Enjolras e non voleva fargli pressioni. Ma la decisione di vivere insieme e tutte quelle piume non lo facevano ragionare lucidamente. Si avventò sulle labbra di Enjolras e iniziò a spogliarlo con foga, baciando ogni centimetro della sua pelle. Nonostante l’eccitazione e le aspettative che entrambi si trascinavano dietro da mesi fu dolce e delicato. A Grantaire sembrava di accarezzare una statua di vetro, che avrebbe potuto rompersi da un momento all’altro. Ma Enjolras era fatto di carne e ossa e tremava sotto le sue mani, chiedendo sempre di più.
Parecchio tempo dopo Enjolras si stiracchiò come un gatto che fa le fusa.
“È stato incredibile. Penso che potrei non averne mai abbastanza. Anche se non avrei mai immaginato che la mia prima volta sarebbe stata con Romeo”.
 
 



 
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Cielo, cielo, cielo. Questo capitolo è orribile. Eppure, liberissimi di non crederci, ci ho messo GIORNI a scriverlo.
Fondamentalmente con questo capitolo getto alle ortiche tutte le mie promesse di non scrivere una storia smielosa in cui tutti si accoppiavano con tutti. Ed invece ecco qui Joly e Bossuet che limonano nella cucina di Enjolras D:
Fortuna che ci sono Enjolras e Grantaire a risollevare la situazione, con i loro pucciosissimi programmi di vita e il loro meglio-tardi-che-mai momento di sesso sfrenato (si, lo so che non c’è niente di sfrenato nella mia descrizione I’m totally bad at porn, checcipossofare?).
Grazie a chi legge/segue/recensice, siete fantastici. In particolare, la mia eterna riconoscenza va a Catcher, che in qualche modo riesce sempre a trovare qualcosa di positivo in questa inenarrabile e incasinata storia.
 
Lots of love,
Letz

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ***


Bossuet aveva passato la notte a vagare sulla spiaggia pensando all’assurda piega che aveva preso la sua vita. Normalmente avrebbe discusso della cosa con Joly, ma Joly era parte del grosso casino che stava cercando di sbrogliare, quindi era decisamente escluso. Gli serviva una persona di buon senso, quindi Courfeyrac era escluso. Una persona razionale, quindi doveva eliminare anche Jehan. Con Grantaire non aveva molta confidenza ed Enjolras non riusciva nemmeno a capire i suoi di sentimenti, figurarsi quelli degli altri. Aveva bisogno di Combeferre.
Combeferre sembrava non aver dormito molto, probabilmente Eponine lo aveva tenuto sveglio fino a tardi e Bossuet si sentì un totale idiota a convocare un amico sulla spiaggia alle sei del mattino solo per parlargli dei suoi problemi.
“E quindi vi siete baciati”. ‘Ferre era decisamente calmo, rassicurante e razionale.
“A voler essere onesti io ho baciato lui. Per farlo stare zitto”.
Combeferre scoppiò a ridere. “E tu questo lo definisci un problema?”.
“Il problema è che ho passato la notte su una spiaggia a gelarmi il culo e ad aspettare una rivelazione che non è mai arrivata”.
“Una rivelazione su Joly?”.
“Dovrei sapere cosa fare, giusto? Quando baci qualcuno dovresti capire qualcosa. Io non ho capito un cazzo”, sospirò Bossuet con la testa tra le mani.
“Non bisogna per forza essere innamorati per baciarsi, potete essere due amici che per caso si sono baciati. Fino a che non avrai una risposta non fare casini Bossuet”.
Combeferre gli diede una pacca sulla spalla e lo aiutò ad alzarsi.
“Ora andiamo a fare colazione, sto morendo di fame”.
 
~
 
“Courfeyrac per l’amor di Dio, cerca di morire in modo credibile!”, strillò Jehan.
“Eddai amore, non gridare. Come posso morire serenamente se ad ammazzarmi è quel mollaccione di Combeferre? È la cosa meno credibile di questo mondo”.
Ovviamente Jehan aveva voluto provare anche quel giorno, che sarebbe dovuto essere di riposo. Aveva concesso di spostare il set dal soggiorno di Enjolras alla spiaggia, visto che la giornata era decisamente soleggiata e, miracolosamente, senza vento.
“Non cercare di incantarmi con le tue moine”, disse Jehan, ovvero l’uomo più facile da convincere con qualsiasi tipo di moina dell’intero pianeta.
-Peste su entrambe le vostre famiglie
gridò Courfeyrac prima di stramazzare al suolo contorcendosi come un verme. Tutti scoppiarono a ridere, persino Combeferre, solitamente così composto, ed Enjolras, che non era proprio portato per gli scherzi. 
Joly, che dopo aver rinunciato al ruolo di Romeo era passato a quello di Benvolio, cercò di far alzare Courfeyrac che lo trascinò con lui facendolo cadere.
“Fottiti Courf, ora ho la sabbia dove un uomo perbene non dovrebbe mai avere la sabbia”, lo insultò Joly. “Forse Benvolio avrebbe dovuto ammazzare Mercuzio, vista la sua – e la tua – totale idiozia”.
-Io sono un uomo che Dio ha fabbricato perché si rovinasse da se stesso
ribatté Courfeyrac.
-Tu se un gentiluomo che si compiace di ascoltarsi quando parla, e in un minuto infila tante chiacchiere di quante potrebbe ascoltarne in un mese
lo rimbeccò Grantaire.
“Ragazzi mi obbligate a darvi cinque minuti di pausa per ritrovare un po’ di serietà”, sospirò irritato Jehan.
Mentre tutti si rilassavano Bossuet, non visto, si allontanò verso la casa. Aveva passato la mattinata ad evitare Joly, e ci era riuscito solo stando appiccicato a ‘Ferre, guadagnandosi prima le occhiate omicide di Eponine e poi un suo commento sarcastico sul suo “amore non corrisposto” per ‘Ferre. Quella donna era una vera e propria iena quando ci si metteva. Joly lo aveva fissato da lontano con espressione indecifrabile per tutto il tempo delle prove, almeno fino a che non era toccato a lui provare la sua scena.
Bossuet era letteralmente incantato da Joly che recitava, perché era semplicemente perfetto; ogni gesto, seppur casuale, era calibrato per la scena che stava recitando. E poi c’era molto feeling con Courfeyrac e Grantaire e i tre interpretavano perfettamente un trio di amici litigiosi e sempre pronti a prendersi in giro.
Riscossosi da quei pensieri Bossuet ritornò lentamente verso il gruppo di amici prima che qualcuno si accorgesse della sua breve sparizione. Tutti erano impegnati: Jehan e Courf si stavano letteralmente mangiando la faccia come due polipi, Enjolras e Combeferre discutevano di qualcosa che stava annoiando a morte Eponine, che fumava una sigaretta con espressione tediata, Marius scattava foto con il cellulare a Cosette, mentre Grantaire disegnava sul suo blocco da disegno con Joly appoggiato alla sua spalla che indicava qualcosa sul foglio.
Vedere quei due così vicini, i ricci di Grantaire mescolati ai fini capelli castani di Joly,  le teste vicine e gli occhi accesi per qualche cosa che solo loro potevano comprendere, fece letteralmente rivoltare lo stomaco di Bossuet. Da quando quei due erano così intimi?
“Di cosa parlate ragazzi?”. Era un totale idiota. Se cerchi di evitare una persona, la logica vorrebbe che stessi ad almeno dieci metri di distanza da chi cerchi di evitare. E invece lui stava andando a parlare con Joly, solo perché lo aveva visto ridere con Grantaire e si sentiva geloso.
“Ho fatto qualche schizzo dello scheletro dell’aula di anatomia settimana scorsa e Joly mi aiuta a correggere alcuni errori anatomici”, sorrise felice Grantaire.
Joly invece non sorrideva, anzi aveva smesso non appena aveva visto Bossuet venire vicino a loro.
“Scusami Taire, devo parlare di una cosa con Bossuet, prima che sparisca di nuovo”, disse il ragazzo con voce gelida.
Bossuet era così in preda al panico che indietreggiò lentamente, ma Joly continuava a venire avanti, quindi Bossuet non ebbe altra scelta che iniziare a correre all’indietro. Ma ovviamente lui era Bossuet, e le gambe gli si arrotolarono una con l’altra e finì lungo disteso per terra. E ovviamente, visto che la sfiga quando si trattava di lui ci vedeva benissimo, cadde sull’unico sasso della spiaggia.
Si toccò piano la nuca ed era calda, e appiccicosa. Sangue. Quel sasso doveva essere tagliente. In men che non si dica Joly era sdraiato al suo fianco e gli premeva un fazzoletto sulla testa e nella confusione e nella nausea che gli montava su per lo stomaco Bossuet pensò che Joly era un angelo e che la sua vita senza di lui avrebbe fatto schifo. Aveva fisicamente bisogno di quel ragazzo, di averlo vicino, di sentire le sue mani sul suo corpo ogni volta che lo medicava. Ma ovviamente lui per Joly era solo un peso, o peggio ancora una graziosa cavia da laboratorio su cui fare pratica. Bossuet pensò con rammarico che il bacio della sera prima sarebbe stato il primo e l’ultimo tra di loro. Forse lo fece perché era ancora confuso, e la ferita alla testa pulsava dolorosamente, facendogli sentire un rombo nelle orecchie.
“Lasciami stare Joly. Posso fare da solo non sono un bambino”, e allontanò bruscamente la mano di Joly dalla sua testa sanguinante. La faccia ferita di Joly lo fece subito sentire in colpa.
“Bossuet ti prego, parliamo di quello che è successo ieri”.
“Non è successo niente ieri”, ribattè, sperando che non si percepisse il panico nella sua voce. Non poteva permettersi di perdere Joly come amico, quindi la strategia era semplice: negare di avere con lui qualsiasi coinvolgimento emotivo. Se fingeva di non provare nulla per lui avrebbero potuto continuare ad essere amici, e mantenere il loro rapporto integro. Forse era stata la botta, ma alla fine era arrivata la rivelazione che Bossuet aveva aspettato tutta la notte: era amore. E lui era fottuto.
“Parlo di tuo padre, non del bacio”. Joly si rese conto immediatamente dell’errore fatto quando vide Bossuet farsi pallido e alzarsi di scatto.
“Resta fuori da questa storia Joly”, sibilò Bossuet con rabbia. “Per il tuo bene, restane fuori”.
 
~
 
Le panchine della stazione erano gelide e Bossuet strinse più vicino al collo il bavero del cappotto. Aveva perso il treno e il prossimo non sarebbe passato che tra un’ora. In parte era stata sfortuna – la coda al bar era lunga – in parte il desiderio di evitare un imbarazzante viaggio seduto a fianco di Joly.
“Sigaretta?”, chiese Grantaire con un ghigno. Bossuet normalmente non fumava, ma non voleva essere sgarbato. Dopotutto Grantaire era sceso dal treno per venire a cercarlo al bar, finendo anche lui per perdere il treno. Per un po’ rimasero in silenzio a fumare. Ma Grantaire non era il tipo che poteva stare in silenzio a lungo.
“Uhm, che gran casino tra te e Joly oggi”, commentò Grantaire.
“Non ne voglio parlare”, rispose Bossuet con tono piatto.
“Nemmeno del bacio?”, lo stuzzicò Grantaire.
Bossuet digrignò i denti meditando di uccidere il ragazzo. Non avevano così tanta confidenza da parlare di certe cose, ed era ancor più irritato dal fatto che Grantaire avesse spudoratamente origliato la sua litigata con Joly.
“Non pensavo di avere avuto una così pessima influenza su di voi. Da quando sono arrivato al Valjean metà del club di teatro è diventato gay”. La risata di Grantaire risuonò per tutta la stazione e un paio di persone lanciarono al ragazzo una lunga occhiata di disapprovazione.
“Io non..io e Joly non…”, balbettò Bossuet.
“Tesoro, ho sostenuto questa conversazione decine di volte. Anche Enjolras diceva di essere confuso prima di incontrare me”. Grantaire sorrise in modo non proprio innocente. “Tranquillo, Joly ricambia in pieno e voi siete per-fet-ti. L’ipocondriaco e l’uomo più sfortunato del mondo. Grande coppia”.
Bossuet rise, ma era una risata piena di amarezza. “Joly lo fa per dovere, si sentirebbe in colpa a non aiutare un amico che sta male. Non lo fa certo perché è innamorato di me”.
“Quindi quando questa mattina è venuto a chiedermi cosa fare dopo il vostro non-troppo-innocente-bacetto lo ha fatto solo per fare conversazione?”. Grantaire sogghignò soddisfatto vedendo l’espressione stupita di Bossuet. “Chiamalo e scusati. E magari chiedigli anche un appuntamento, imbranato”.
La mano di Bossuet tremava mentre componeva il numero del cellulare di Joly. L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile, la invitiamo a riprovare più tardi. In un tentativo estremo fece il numero di Courfeyrac.
“Ehi Courf puoi passarmi Joly? È una cosa urgente”.
“Mmm, è qui con noi ma è al telefono. Credo sia Musichetta, quei due hanno ricominciato a vedersi da qualche settimana”.
Joly chiuse con rabbia la chiamata e, sotto gli occhi allibiti di Grantaire, prese a calci la panchina. Niente lieto fine per lui e Joly, ma doveva aspettarselo. Nessuno sceglie Paride se può avere Romeo.
 
 
 



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Di nuovo qui ad ammorbarvi con i miei scleri. Volevate Joly e Bossuet? Eccoli qui! Volevate dell’angst? Servito su un piatto d’argento! Volevate Courf fare l’idiota? E io vi accontento.
Per le future richieste inviare una messaggio al 348etcetc :)
Scherzi a parte questo capitolo è stato complicato da scrivere perché nemmeno io riuscivo a decidermi se Joly e Bossuet dovessero rimanere amici e farsi una risata sul bacio o scoprire di essere innamorati e cavalcare verso il tramonto. Nel dubbio ci ho infilato dalla sana angst e una padellata di sentimenti confusi, che non fanno mai male.
Non so voi ma avrei pagato per assistere a quella conversazione in stazione. Grantaire è un converti-eterosessuali ormai.
Grazie a chi ha sempre la pazienza di leggermi/recensirmi/seguirmi, sapere che quello che scrivo vi piace è una sensazione stupenda.
Lots of love,
Letz 

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ***


Maggio non è mai un mese tranquillo quando ti aspettano gli esami di maturità, ma nessuno degli Amis avrebbe mai immaginato che le cose potessero andare così male. Ovviamente Joly e Bossuet non si rivolgevano più la parola, tranne che gli indispensabili convenevoli che due persone, troppo educate per ignorarsi, si scambiano. Frasi sul tempo, come stai – mentre a nessuno importava realmente la risposta – ci vediamo al club. Alle prove l’aria era decisamente pesante, visto che anche Marius aveva i suoi problemi e non faceva altro che sospirare e lamentarsi, facendo oscillare tutti tra la pietà e il desiderio di spaccargli la testa. Cosette lo aveva lasciato, ufficialmente per “incompatibilità caratteriale”, ufficiosamente – informazione che arrivava da Courfeyrac – per il nuovo arrivo della squadra di nuoto, un certo Mathieu. Marius disperato era persino peggio di Marius innamorato, visto che non riusciva a concentrarsi né sulla scuola né sul teatro e che riusciva a rendere tutti mortalmente depressi. Joly, Bossuet e Marius stavano seriamente mettendo in crisi il futuro del teatro, che dopo la brutta litigata di Enjolras e Grantaire sembrava spacciato.
Era la loro prima vera litigata da quando avevano deciso di andare a vivere insieme e nessuno dei due era realmente preparato ad uno scontro così violento. Enjolras stava organizzando una manifestazione contro la guerra e non si capacitava di come Grantaire non volesse partecipare.
“Non mi convincerai mai a venire a sventolare una bandiera arcobaleno in Place de la Bastille”, aveva sbraitato Grantaire.
“Non è quello che ho chiesto. Ti ho chiesto come pensi di non partecipare visto che stai con me e io tengo a questa cosa!”, aveva strillato Enjolras.
“Dio, cosa pensi di cambiare con uno stupido corteo? Pensi di cambiare il mondo andando a manifestare contro il governo? Finirai solo per farti spaccare la testa da qualche poliziotto”.
“Sei solo un cinico disfattista senza spina dorsale. Io voglio fare questa cosa, quindi tu dovresti appoggiarmi, dato che dici di amarmi”.
“Cristo Enjolras, hai cinque anni? Non devo sempre darti ragione su tutto. Questo è essere il tuo schiavetto, non il tuo fidanzato”.
“Forse allora non ho bisogno di un fidanzato”, aveva urlato a pieni polmoni Enjolras prima di chiudersi in camera sua.
Jehan quando lo aveva saputo aveva avuto una crisi di nervi.
“Non possiamo farcela se Romeo e Giulietta nemmeno si guardano in faccia”, aveva singhiozzato sulla spalla di Courf.
“Vedrai amore che risolveranno in fretta la cosa. Dai loro tre giorni, forse anche meno”.
 
~
 
Due giorni dopo la litigata Enjolras stava ancora pensando a come chiedere scusa. Si era subito pentito delle sue parole e si sarebbe volentieri ingoiato la lingua. Lui e Grantaire si erano evitati a vicenda ed Enjolras si sentiva da schifo. Quindi doveva pensare a qualcosa di grandioso per chiedere scusa a quello che, sperava, era ancora il suo ragazzo. All’improvviso ebbe un’illuminazione e si diede dell’imbecille per non averci pensato subito.
Due giorni dopo la litigata Grantaire stava lavorando ad un nuovo progetto. Si sentiva in colpa per come aveva urlato addosso ad Enjolras, che in fondo non gli stava chiedendo un grosso sacrificio e lui come fidanzato avrebbe dovuto essere più accomodante. Dopotutto Enjolras era terribilmente stressato per gli esami. Quindi stava lavorando a quella cosa, sperando che fosse un buon modo per dire “scusami se ho fatto l’imbecille”. Non era certo una scusa – Grantaire non era così innamorato di Enjolras da non capire che la colpa stava per un buon due/terzi dalla parte del biondo – ma un modo gentile per chiudere quella assurda litigata.
La mattina del terzo giorno Enjolras lasciò sul letto di Grantaire – mentre lui era in bagno - una grossa scatola. Pochi minuti prima Grantaire aveva lasciato sul letto di Enjolras – mentre lui era in soggiorno a fare colazione – un foglio.
Si accorsero dei regali circa nello stesso momento, e quasi si scontrarono nel corridoio uscendo dalle rispettive stanze.
“Mi hai comprato una scatola di Caran D’Ache”, balbettò Grantaire.
“Hai disegnato un volantino per la manifestazione”, pigolò Enjolras.
“Ti amo”, dissero insieme prima di baciarsi.
La litigata era già dimenticata – a giudicare dai rumori sospetti che per un paio d’ore provenirono dalla camera di Grantaire e che costrinsero Combeferre ad andare a studiare in biblioteca – e Jehan potè tirare un sospiro di sollievo per il futuro del teatro.
 
~
 
Bossuet non saltava mai le lezioni. Non fingeva delle emicranie per evitare le lezioni di trigonometria – come Jehan – o si faceva buttar fuori dalla classe – come Courfeyrac. O meglio, Bossuet saltava delle lezioni, ma solo quando era in infermeria per uno dei suoi infiniti incidenti. Da quando aveva litigato con Joly, Bossuet si era isolato dal gruppo e nessuno si era stupito di non averlo visto nel week end, immaginando fosse tornato a casa. Domenica sera tutti avevano avuto qualcosa da fare, quindi nessuno si era accorto che Bossuet non era rientrato nel dormitorio. Il primo a sospettare qualcosa fu Courfeyrac, che a inglese divideva il banco con Bossuet e che non vedendo arrivare l’amico, e soprattutto non ricevendo risposta ai messaggi, iniziò a chiedere a tutti – persino a Joly - cosa fosse successo questa volta. Nessuno sapeva niente, e quando l’infermeria risultò vuota e Bossuet non si presentò nemmeno alle lezioni del pomeriggio un agitatissimo Joly fece irruzione nell’ufficio del preside Valjean per informarlo che Bossuet era sparito. Dopo una serie di telefonate piuttosto concitate Valjean convocò gli Amis per informarli che, stando a quello che la madre di Bossuet era riuscita a spiegargli tra una crisi di pianto e l’altra, Bossuet era finito in ospedale dopo che suo padre lo aveva picchiato fino a fargli perdere i sensi.
 
~
 
Joly conosceva bene gli ospedali e quindi sapeva benissimo che correre era assolutamente vietato. Ma se non ci fosse stato Combeferre – la guida, il punto fermo, l’unico realmente calmo del gruppo – a trattenerlo per un braccio di sicuro Joly si sarebbe messo a correre. Perché in ospedale non c’era una persona qualsiasi, ma Bossuet, che lo aveva baciato e poi cacciato, e che non gli aveva mai dato l’occasione si spiegare i suoi sentimenti, che non gli aveva permesso di dichiararsi. E poteva essere tropo tardi, per lui e per loro.
I medici non volevano parlare con loro, erano solo amici, non parenti, come se il rapporto che avevano con Bossuet fosse di serie B. Joly avrebbe voluto gridare che loro – lui – lo amavano veramente, non suo padre che lo aveva picchiato per mesi, non sua madre che aveva permesso che tutto questo continuasse.
Virginie, la madre di Bossuet, aveva spiegato loro che da qualche tempo il marito era diventato intrattabile, aveva ricominciato a bere e più volte aveva alzato le mani sia su di lei che sui figli. Quando finalmente si era decisa a denunciare il fatto, e a comunicare all’uomo la sua volontà di divorziare lui aveva semplicemente detto che l’avrebbe ammazzata. Bossuet si era messo in mezzo e il padre, dopo aver infierito con calci e pugni, lo aveva buttato contro il tavolo facendogli sbattere la testa contro lo spigolo.
“I medici dicono che ha un trauma cranico, e che fino a che non si sveglia non possono dire con certezza se ci siano dei danni permanenti”, pianse Virginie. “Il mio povero bambino”.
Joly pensò che sarebbe morto in quell’istante. “Devo vederlo, vi prego fatemelo vedere”, implorò i medici. Probabilmente stava piangendo, ma non se ne rese conto fino a che un giovane medico, probabilmente un tirocinante, gli tese un fazzoletto e iniziò a sussurrargli piano all’orecchio.
“Purtroppo non possiamo. Se solo fossi un parente stretto potresti entrare. Purtroppo per te sappiamo che non lo sei. Ma”, e lo sguardo del medico si fece cospiratorio, “per un fidanzato potremmo fare un’eccezione”.
Joly sbiancò: era davvero così ovvio quello che provava? Così evidente che persino un perfetto estraneo se ne rendeva conto?
“Una piccola bugia a fin di bene”, disse il medico sottovoce.
Joly tirò su col naso e si asciugò le ultime lacrime e si rivolse ad uno dei medici – quello con la barba nera, che sembrava piuttosto triste per la sua situazione - “So che non sono un parente stretto ma io e lui siamo fidanzati e vorrei tanto vederlo anche solo per…” – dire addio, ma non poteva dirlo ad alta voce perché avrebbe reso tutta la situazione vera – e ora tutti lo stavano fissando con tanto d’occhi, tutti tranne Grantaire che lo stava abbracciando e sussurrando parole di incoraggiamento nel suo orecchio.
La stanza era asettica, bianca e triste – Bossuet amava i colori accesi, avrebbe volentieri chiesto a R di dipingere tuto quell’assurdo bianco – e Bossuet era bianco come la benda che gli circondava la testa – “fortuna che porto i capelli così corti che nessuno si accorgerà dalla differenza” – e non si muoveva.
“Se mi senti stringimi la mano. Ti prego ti prego ti prego ti prego”, come un mantra, come una preghiera, lui che in Dio non aveva mai creduto. “Sono Joly, e tu devi svegliarti perché ti amo e sappi che non lo dico solo perché hai un buco in testa”.
I miracoli succedono, anche se alla scuola di medicina fanno di tutto per fartelo dimenticare. I miracoli esistono e Bossuet stava stringendo la sua mano e stava aprendo gli occhi e…
“Dove sono? E tu chi sei?”.
 
 





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Eccomi qui, in assurdo ritardo. Ormai sarete stufi marci delle mie scuse :’(
In questo capitolo depresso ci sono almeno un paio di cose divertenti che vorrei che notaste: Marius è stato lasciato e maltrattato da una Cosette finalmente un po’ bitch e non sono santissima santarellina e il povero Combeferre è stato personalmente vittimizzato da Grantaire ed Enjolras che hanno deciso di darsi al sesso riconciliatorio.
Non posso spendere troppe parole sull’idiozia di Enjolras e Grantaire, ormai lo sanno anche i sassi che questa coppia è formata da due perfetti rimbabiti.
Ecco perché ora tocca a Joly e Bossuet creare ansie e casini, e so di essere orribile a far finire Bossuet in ospedale – non che sia la prima volta – e a far finire il capitolo così, ma forse io adoro essere orribile XD
Grazie a voi che sopportate le attese infinite, leggete/seguite/recensite, sappiate che manca poco alla fine di questo calvario.
 
Lots of love,
Letz

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Capitolo 16
*** Capitolo XVI ***


Con il senno di poi mettersi ad urlare come se il palazzo andasse a fuoco non era stata una buona idea da parte di Joly. E ora almeno quattro medici e due – anzi no, tre, l’ultimo era nascosto dietro il dottore ciccione – specializzandi lo fissavano ansiosamente in attesa che rispondesse alle loro domande.
“Sto bene. In che lingua ve lo devo dire?”, alzò gli occhi al cielo Bossuet.
“Signor Lesgles lei ha subito un trauma cranico e la sua memoria…”.
“Non mi chiami in quel modo, da mio padre non voglio niente, me che meno il suo fottuto cognome. E la mia memoria funziona, mi chiamo Bossuet, ho 18 anni, mia madre si chiama Virginie, il mio colore preferito è il blu di Prussia”.
“Ricorda qualcosa dell’incidente?”.
“Un secondo mio padre sta urlando contro mia madre e il secondo dopo mi sveglio in un letto di ospedale con Joly che mi fissa bianco come un cencio e mi dice che…”.
“Signor Lesgles, si sente bene?”.
“Certo che mi sento bene, ho appena ricevuto una dichiarazione d’amore dal mio migliore amico. Lei non sarebbe un po’ sconvolto?”.
 
~
 
Sei giorni dopo Bossuet era allo stremo. I medici si rifiutavano di fargli vedere i suoi amici, con la scusa che “solo i parenti sono ammessi” e la polizia si era presentata almeno tre volte per interrogarlo e formalizzare la denuncia. Dato che era maggiorenne aveva deciso di testimoniare in tribunale per assicurarsi che suo padre non mettesse il naso fuori dalla galera per almeno dieci anni.
Ma finalmente era arrivato il giorno della sua dimissione e tutti i suoi amici erano lì, nel parcheggio dell’ospedale. E per una volta Bossuet si sentì la persona più fortunata del mondo. Eccettuato Gastone, ma lui era un personaggio di un fumetto.
Tutti i suoi amici si stavano avvicinando – come una mandria di bufali – per stringerlo in un soffocante abbraccio in stile ti-vogliamo-bene-per-non-esserti-fatto-spaccare-la-testa-da-quel-violento-di-tuo-padre quando una voce isterica giunse dal retro del gruppo.
“Allontanatevi, lasciatelo respirare. Insomma, ha subito un trauma e…”.
“E tu vuoi essere il primo a saltargli addosso e stai giocando la carta del futuro medico”, fece dello spirito Grantaire scatenando le risate del gruppo.
Joly si fece avanti sgomitando e imprecando contro l’idiozia dei suoi amici e per un secondo i loro sguardi si incrociarono. Nessuno dei due era certo di cosa fare e Bossuet chiuse gli occhi per poter raccogliere i pensieri e partorire una frase che non fosse “ehi, è un po’ che non ci si vede”. Si ritrovò addosso Joly che lo stringeva fino a togliergli il respiro e sussurrava parole incoerenti al suo orecchio. Parole che assomigliavano sospettosamente a “ti amo”, ma forse le sue orecchie non funzionavano bene. Ma Joly ora lo stava fissando dritto negli occhi e nessuno lo aveva mai guardato così, come se lo amasse nonostante la sua sfortuna, i suoi capelli assurdi, il suo equilibrio precario e la sua incapacità nel cucinare – aveva fatto passare a tutti la notte in bagno a vomitare l’anno prima quando aveva tentato di cucinare una semplice pasta con il sugo.
“Anche io ti amo”, e le parole erano uscite rima che potesse pensarci, o perlomeno farle sembrare meno brutali.
“Molto bene, perché solo tu conosci i dosaggi dei miei farmaci, e cosa fare se ho un attacco di panico. Capisci subito se ho la febbre e riesci sempre a svegliarmi quando mi vengono gli attacchi di malattia del sonno e…”.
Bossuet gli chiuse la bocca con un bacio, prima che il suo fresco fidanzato iniziasse ad elencare tutte le sue malattie.
 
~
 
“Non siamo pronti, le prove generali erano un disastro e faremo una figuraccia. Poi è il nostro ultimo anno, quindi non possiamo nemmeno rifarci il prossimo anno”. Jehan era praticamente isterico la sera della prima, se la sua treccia sfatta non fosse stata un indizio sufficiente di certo lo era la sua diarrea verbale.
“Amore, andrà tutto bene. È solo una recita scolastica in fondo”.
Grosso, grosso errore. Mai, mai sminuire il teatro di fronte a Jehan. Eppure Courfeyrac avrebbe dovuto imparare da quella volta in cui aveva definito Beckett “un vecchio arteriosclerotico incapace di mettere in fila tre parole sensate” e aveva vinto una fantastica lezione di un’ora sui pregi e sulle innovazioni apportate dal Teatro dell’assurdo alla scena teatrale moderna.
“No, Courfeyrac, è un omaggio personale al più grande drammaturgo di tutti i tempi e non posso permettere che voi zotici incapaci me lo roviniate”.
“Forse non dovresti gridare così forte, o il pubblico potrebbe sentirti”, e con questo consiglio Courfeyrac corse in camerino, prima che Jehan potesse eliminarlo fisicamente prima che lo facesse Combeferre in scena.
 
~
 
“E se vomito in scena? Non avrei dovuto mangiare maiale, con il rischio di beccarmi una bella trichinosi. E se svengo? Sai quanto sia sensibile alla luce dei fari. Forse dovrei recitare con gli occhiali da sole”. Joly era così agitato che si era morso le lebbra fino a farle sanguinare. Mentre puliva via il sangue con un fazzoletto Bossuet pensò che era decisamente strano che la prima preoccupazione di Joly era quella di morire in scena, e non quella - decisamente più normale, ma cosa c’era di normale in loro due e nella loro storia - di dimenticare la battute.
“Con la fortuna che mi ritrovo probabilmente il sipario mi crollerà in testa e qualche cosa andrà a fuoco. È passato un bel po’ di tempo da quando ho mandato qualcosa a fuoco. Tu sarai perfetto come sempre”.
Joly lo guardò come se non potesse credere a quello che sentiva. “Sono almeno due settimane che non succedono cose assurde quando sei insieme a me. Forse la mia ipocondria neutralizza la tua sfortuna”.
Poteva essere vero, anche se Bossuet sospettava che la sua sfortuna fosse solo sopita – dopotutto l’incidente con suo padre avrebbe dovuto concedergli almeno un anno di non-sfortuna – ma baciare con passione Joly dietro le quinte poteva essere un ottimo porta fortuna.
 
~
 
- Vuoi già partire? L’alba è ancor lontana. Era dell’usignolo, non dell’allodola, il cinguettio che ha ferito poc’anzi il tuo trepidante orecchio. Un usignolo, credimi, amore; è lui che canta, ogni notte, laggiù sull’albero di melograno.
Quante volte avevano avuto quella conversazione? Tutte le notti che avevano passato insieme - da quella prima dichiarazione al parco al coming out con i loro amici – le avevano passate nella stanza di Enjolras, con Grantaire che doveva sgattaiolare nel suo letto prima che tutta la casa si svegliasse. Ed Enjolras cercava sempre di trattenerlo, con scuse sempre nuove. Ma questa era la sua preferita.
- L’ansia di rimanere è più forte di quella di partire. Vieni o morte, e sarai la benvenuta! Così vuole Giulietta, e così sia! Sei soddisfatta adesso, anima mia? Parliamo pure. Non è ancora giorno.
E lui fingeva sempre di voler rimanere, dicendo che non gli importava se i loro amici li avessero trovati in posizioni piuttosto equivoche e decisamente poco vestiti.
- È giorno, invece, è giorno! Ahimè, fa’ presto! Va’! È l’allodola quella che canta, ora, con quel suo verso fuori tono, sforzandolo con aspre dissonanze.
Ed Enjolras che si arrabbiava e lo cacciava via, non prima di averlo riempito di baci.
- Addio! Addio! Ancora un ultimo bacio, e poi me ne vado.
Ma lui voleva sempre un bacio in più, che rubava dalle labbra imbronciate di Enjolras che gli chiedeva quando avrebbero potuto di nuovo stare insieme, come se non si vedessero ogni giorno a scuola e non passassero insieme anche tutto il loro tempo libero. Ma lui gli rispondeva comunque. “Tra un’ora sola amore mio. Tra un’ora sola”.
 
~
 
L’applauso sembrava non finire mai, e dovettero uscire per tre volte a salutare il pubblico che sembrava non averne mai abbastanza di loro. Erano tutti un po’ imbarazzati, forse perché nessuno di loro si aspettava che la loro versione riveduta e corretta potesse piacere a così tante persone. Anche Jehan ebbe la sua dose di applausi e di mazzi di fiori – tutti sospettarono Courfeyrac della cosa, ma lui continuò a negare con estrema convinzione -, cosa che lo ridusse sull’orlo delle lacrime. Il preside Valjean si avvicinò per congratularsi personalmente con ognuno di loro, e con loro estrema sorpresa i ragazzi scoprirono che l’uomo era un grande appassionato di teatro e letteratura. Infatti non si limitò a fare dei generici complimenti ma si congratulò con Courfeyrac per aver colto lo spirito ribelle di Mercuzio, e apprezzò la serietà e il senso dell’onore del Tebaldo di Combeferre. E quando venne il momento di salutare Enjolras e Grantaire Valjean augurò ad entrambi tanta felicità e fortuna.
“Ne avrete bisogno, in un mondo chiuso come il nostro”, e il suo tono era triste, come se parlasse per esperienza personale.
Persino Javert face loro dei complimenti, ma irritò Enjolras affermando che il fulcro del dramma era la giusta punizione, e il conseguente esilio, di Romeo. I due stavano quasi per mettersi a discutere ma la mano di Grantaire sul braccio di Enjolras riuscì in qualche modo a farlo fermare e a fargli ringraziare a denti stretti l’uomo, prima di andarsene in un turbinio di mantelli.
 
~
 
Stranamente a proporre il brindisi non fu Grantaire ma Courfeyrac, probabilmente il più sentimentale tra gli Amis – Jehan era il tipo di sentimentale che legge poesie agli amici, Courfeyrac quello che piange e abbraccia tutti.
“All’amicizia, quella vera. Perché tra vent’anni saremo ancora qui – ovviamente non fisicamente qui, anche se adoriamo il bar di Feuilly”.
E i ragazzi alzarono i bicchieri e finsero di non vedere che un po’ tutti avevano le lacrime agli occhi, perché vent’anni sono tanti e perdersi è fin troppo facile.
Ma in un modo o nell’altro loro non si sarebbero mai persi.
 
 




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Odiatemi pure, sono una ritardataria cronica. Questo è l’ultimo capitolo!!! Se escludiamo l’epilogo naturalmente :D
Mi risparmio gli sbrodolamenti sentimentali al “vero” capitolo finale.
Non so per quale motivo questo capitolo mi sembra particolarmente carino, forse perché tutti sono agitati per lo spettacolo e si comportano come delle scimmie isteriche.
Grazie a chi legge/recensice/segue ma soprattutto sopporta le mie lungaggini.
Spero di non farvi aspettare troppo per la fine,
 
lots of love
Letz

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


Cinque anni dopo.
 
Grantaire era mortalmente stanco. Quel lavoro alla Chapelle, nonostante fosse manna dal cielo per i suoi conti, era distruttivo per il suo fisico, soprattutto ora che si stavano avvicinando i suoi esami finali e la sua prima esposizione di quadri di una certa importanza. Cercando di non pensare alle tre ore di sonno che lo attendevano – prima che la sveglia, quella stronza, suonasse per ricordargli che l’università chiamava – si concesse un minuto per contemplare Enjolras che dormiva pacificamente nel suo lato del letto. Ancora non gli sembrava vero di convivere con Apollo, il suo Apollo che lo svegliava ogni mattina con un bacio sul naso perché le persone starebbero meglio se la mattina ricevessero un bacio sul naso.
Grantaire ricordava ancora le infinite discussioni sulla zona della città dove abitare, le infinte visite a immobili fatiscenti e monolocali spacciati come “graziosi loft parigini”. Fino a che un giorno, esausti dalle continue litigate e dal caldo asfissiante che colpisce sempre le grandi città nei mesi estivi, si erano ritrovati in una stradina del Quartiere Latino poco lontano dalla Senna, ed eccolo, il loro futuro appartamento, al secondo piano di una palazzina abitata da gente piuttosto strana – Jehan li avrebbe definiti bohemien – ma molto accogliente, che li aveva aiutati durante i primi, tragici giorni del trasloco lasciando davanti alla porta del cibo vero. Enjolras aveva quasi pianto alla vista delle due grosse quiches lorraine che aveva preparato Sven – un metallaro finlandese venuto a Parigi per scrivere il suo primo album – che li avevano salvati dall’ennesimo pasto di cinese take away.
Allora le cose erano facili, erano spensierati e vivere insieme sembrava un gioco. Ma Grantaire non voleva essere mantenuto dai genitori di Enjolras e si era trovato un lavoro e poi un altro, sempre impieghi precari come cameriere o barman che lo lasciavano in debito di sonno e diminuivano il suo tempo con Enjolras. Con un improvviso colpo di testa Enjolras si era iscritto a Giurisprudenza e si era appena laureato con il massimo dei voti e con più di sei mesi di anticipo sugli amici Marius e Bossuet. Quando non era in università era in biblioteca, o alle riunioni del circolo politico del candidato sindaco Lamarque. I loro orari raramente coincidevano e Grantaire sentiva che la loro storia stava lentamente scivolando nella routine, o peggio nell’indifferenza tipica di una vecchia coppia sposata. Enjolras era sempre irritabile e se prima discutevano raramente, ora non passava giorno senza che litigassero per qualche piccola sciocchezza. Come quella sera, quando Enjolras si era lamentato del disordine di Grantaire e da lì era iniziata una discussione senza fine che era terminata con una porta sbattuta e un “vado al lavoro, perché le bollette arrivano ogni mese e fosse per te vivremmo per strada”. Probabilmente aveva esagerato, ma Grantaire non era bravo con le situazioni critiche. Più Enjolras si allontanava, più lui faceva di tutto per allontanarlo ancora di più, in un assurdo comportamento di difesa che lo spingeva a ferire prima di essere ferito.
 
~
 
Ovviamente era stata un’idea di Jehan e nonostante Grantaire non si illudesse che potesse essere la soluzione ai problemi suoi e di Enjolras, di certo passare più tempo con i loro amici li avrebbe aiutati. Riportare in scena Romeo e Giulietta cinque anni dopo il diploma avrebbe rinsaldato i vincoli tra di loro che, dopo tutto quello che era successo, si erano un po’ allentati.
Peccato che Enjolras non fosse per nulla d’accordo.
“Non credo proprio di avere tempo per questo. La campagna di Lamarque è agli sgoccioli e…”.
“Lasciami tradurre. Non hai tempo per vedere i tuoi amici una sera alla settimana?”.
“Grantaire sai quanto sono impegnato”.
“Impegnato a stare lontano il più possibile da questa casa”. Non riusciva a dire da me, ma era implicito.
“Non siamo più dei ragazzini Taire, e rifare lo spettacolo non ci riporterà indietro di cinque anni. Siamo cambiati”.
“Io invece vorrei tornare a cinque anni fa, perché cinque anni fa tu eri ancora innamorato di me”.
Per mesi quel dubbio era rimasto sopito in un angolo della sua mente, ma era la prima volta che lo esternava così chiaramente e rabbiosamente. Amava Enjolras, non poteva fare a meno di amarlo, come non poteva impedirsi di respirare. Otto mesi prima aveva comprato un anello dicendosi “quando sarà il momento giusto glielo darò, quando sarà una buona giornata, quando farà qualcosa di dolce e spontaneo”. Erano otto mesi che la scatola di velluto blu prendeva polvere in una scatola insieme ai suoi pennelli vecchi.
Lo sguardo di Enjolras era a metà tra lo stupito e il ferito, come se non potesse credere a quello che il suo fidanzato aveva appena detto. In un secondo gettò le braccia al collo di Grantaire e stringendolo forte iniziò a posare baci su ogni angolo di pelle che riusciva a raggiungere.
“Amore mio”, sospirava tra un bacio e l’altro. E poi, fissandolo direttamente negli occhi. “Oh mio Dio, sono stato orribile negli ultimi mesi e lo sapevo ma tu mi sembravi così distante ed ero furioso perché pensavo ti fossi stancato di me e invece io ti amo così tanto che…”. Grantaire lo zittì con un bacio e lo trascinò a letto. Ci sarebbe stato tempo al mattino per le scuse e le spiegazioni, per il momento voleva solo fare l’amore con il suo stupido e bellissimo fidanzato che lo amava ancora.
 
~
 
Dietro le quinte l’agitazione era al massimo, nemmeno al loro primo spettacolo erano stati così nervosi. Grantaire fissò i suoi amici uno per uno e ripensò a come erano solo cinque anni prima, e a quanta acqua era passata sotto i ponti, per tutti loro.
All’anulare sinistro di Marius ora c’era una fede d’oro, e in prima fila anche Cosette ne sfoggiava una identica. Si erano sposati quasi un anno prima, una cerimonia sfarzosa in una villa in campagna fuori Parigi. Nessuno – nemmeno Courf, l’amante delle scommesse – avrebbe puntato un euro sulla possibilità che Marius riconquistasse Cosette. E infatti per due anni Pontmercy aveva continuato a struggersi per la sua ex, che non lo considerava minimamente.Stanca di tutto questo balletto Eponine – santa Eponine l’aveva rinominata Marius – gli aveva organizzato un appuntamento con sua sorella Azelma, affermando che in meno di due settimane di frequentazione avrebbe sistemato per sempre Marius. Ovviamente tutti credevano che Azelma avrebbe fatto innamorare perdutamente il ragazzo, ma non avevano fatto i conti con le manovre delle sorelle Thenardier. Per due settimane Azelma aveva trascinato Marius nei posti che Cosette frequentava e si era messa a fare la gatta morta con lui che, rosso come un peperone, accettava imbarazzato le sue avances e i suoi baci umidicci. Cosette sulle prime aveva fatto l’indifferente, ma una sera – la dodicesima o la tredicesima, non riuscivano proprio a ricordarlo – si era accostata al tavolo dei due presunti piccioncini per lanciare occhiatacce ad Azelma e invitare Marius fuori per un caffè. La gelosia era stata un’arma efficace ed eccoli lì, tre anni dopo, sposati e in cerca del primo figlio.
In quanto a figli però Combeferre ed Eponine li avevano battuti sul tempo. Non erano state rose e fiori come per Marius e Cosette, ma pianti isterici e notti insonni per decidere cosa fare di questo bambino capitato per caso. Grantaire ricordava ancora il campanello che aveva trillato alle due di notte ed Eponine, pallida come un cencio che proprio lì nell’androne gli aveva detto di essere incinta. Erano giovani, 22 anni Combeferre e 23 Eponine, e non si sentivano pronti per un impegno gravoso come un figlio. Stavano ancora finendo la scuola, non avevano uno straccio di lavoro ed erano entrambe persone di buonsenso, che si rendevano perfettamente conto che con l’amore non si mangia né si mantiene un figlio. Ma in qualche modo ci erano riusciti e ora Amanda – letteralmente “colei che deve essere amata” - stava per compiere due anni e i suoi genitori erano le persone più felici del mondo.
Le cose non erano state facili nemmeno per Courfeyrac e Jehan, e Grantaire sospettava che i suoi amici attirassero i peggiori problemi del mondo. Per farla breve Jehan aveva sorpreso Courf a tradirlo ed ora erano in quella fase di studio circospetto di due persone che si amano ancora ma che si sono fatte male a vicenda. Jehan aveva vissuto per un po’ con lui ed Enjolras, poi con Joly e Bossuet – gli unici che, a dispetto della sfortuna di quest’ultimo, vivevano serenamente e in pace –e da quando avevano iniziato a provare, circa cinque mesi prima, era tornato al vecchio appartamento che divideva con Courf. Forse era stato il suo spirito romantico o la filosofia buddista che lo invitava al perdono, fatto sta che i due si erano riconciliati, anche se stavano tentando di non forzare le cose.
 
~
 
Grantaire non aveva preparato un discorso, sapeva che nel tentativo maniacale di impararlo a memoria si sarebbe impappinato. Le cose con Enjolras si erano sistemate, discutevano ancora me con meno acredine e non andavano mai a letto senza essersi chiariti. Continuavano a vedersi poco, ma anziché lamentarsi cercavano di ritagliarsi degli spazi, anche solo per una mezz’ora, per potersi vedere. E quando Enjolras lo aveva rapito dal suo studio per portarlo nel loro ristorante preferito Grantaire aveva tirato fuori la scatola di velluto, l’aveva spolverata e aveva iniziato a pensare a come chiedere al suo fidanzato di sposarlo.
Gli tremavano le ginocchia e probabilmente era la cosa più stupida che avesse mai fatto, perché essere rifiutati davanti a cinquecento persone non era decisamente il sogno della sua vita. Aspettò che gli applausi si calmassero, prese un bel respiro e cominciò.
“Grazie a tutti per essere venuti. Dai vostri applausi capisco che avete gradito la nostra piccola versione di Romeo e Giulietta. Sono passati cinque anni dalla nostra prima, e finora unica rappresentazione, e da quel giorno sono cambiate molte cose. Siamo cresciuti e maturati e ora dobbiamo pensare a pagare le bollette, portare i figli all’asilo nido e lavorare per mantenerci. Molte cose sono cambiate, ma come vedete i legami che abbiamo stretto in questa scuola sono ancora forti e nonostante le nuove responsabilità dell’essere adulti riusciamo ancora ad essere amici”.
Se non era svenuto fino ad ora poteva farcela, si ripetè nella sua mente.
“La storia di Romeo e Giulietta è una storia d’amore, di un amore che sfida ogni convenzione e buonsenso. Per mia fortuna, ho potuto anche io fare esperienza di un amore del genere”, e lanciò un’occhiata ad Enjolras che arrossì lievemente, “Ma la storia di Romeo e Giulietta non finisce con due figli e una graziosa villetta a Verona. E quando penso che in ogni secondo si può perdere coloro che si amano, beh, mi rendo conto che se ami qualcuno devi dirglielo, anzi gridarglielo affinchè ti senta sempre”.
Si inginocchiò davanti ad Enjolras mentre un mormorio si diffondeva nella sala gremita.
“Enjolras, tu mi rendi immensamente felice e non voglio far passare nemmeno un giorno senza farti altrettanto felice. Sposami Enjolras”.
E d’improvviso si ritrovò per terra, con il suo fidanzato che lo abbracciava e baciava e lo prendeva a pugni. Perché lo stava prendendo a pugni?
“Idiota di un Grantaire, sempre a rubarmi la scena. Come al nostro primo appuntamento, dovevo essere io a chiedertelo e invece tu hai dovuto fare quella scena alla festa di Natale”.
lo sguardo di Grantaire doveva essere perplesso perché Enjolras, dopo averlo baciato a lungo disse: “Ti sposo idiota, anche se per una volta volevo essere io a fare la prima mossa”.
E dal taschino tirò fuori una scatola di velluto blu.
“Anche io oggi volevo chiederti di sposarmi”.
 
 
 




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Ed eccomi qui, in cronico ritardo come sempre ma decisamente soddisfatta. È il mio primo lavoro di una certa consistenza e pubblicare l’ultimo capitolo è come lasciare andare un figlio *si asciuga una lacrimuccia*
GRAZIE a chi ha letto, sopportando le mie lunghe attese, improbabili accoppiamenti di personaggi, frasi melense, angst come se piovesse, figli, matrimoni, tradimenti, litigate, riappacificazioni e l’immancabile, scontatissimo ma comunque apprezzabile lieto fine (e annessa cavalcata verso il tramonto).
La frase sul bacio-sul-naso è dei Peanuts, la amo alla follia e fidatevi, è estremamente vera. Grantaire che compra l’anello e attende tempi migliori è una citazione di un film che secondo me tutti dovrebbero vedere e che è Erin Brokovic.
Tutti gli errori di battitura, i verbi sbagliati e le cose che non hanno funzionato sono interamente colpa mia. I fantastici personaggi invece non sono nemmeno vagamente mia proprietà, dio benedica Hugo per averceli regalati.
La scena finale della proposta è stata una delle prime cose che ho pensato quando ho iniziato questa storia perché sono un inguaribile romantica e vorrei un lieto fine per tutti quelli che amo.
Un ringraziamento speciale a Catcher, commentatrice assidua e futura stella del teatro, questa storia sarebbe andata diversamente se tu non ci fossi inciampata dentro.
Lots of love, e un lieto fine per tutti voi,
 
Letz

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