...and the truth is: baby, you're all that I need!

di ChiaraBaroons
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Uno Spiacevole Incontro ***
Capitolo 2: *** 1. Uno a zero per Maya! ***
Capitolo 3: *** 2. Paura e Delirio... In Piscina ***
Capitolo 4: *** 3. Travis' POV - Maledizione! ***
Capitolo 5: *** 4. And The Story Goes On ***
Capitolo 6: *** 5. Al Mare ***
Capitolo 7: *** 6. Odio Reciproco ***
Capitolo 8: *** 7. Terra chiama Maya! ***
Capitolo 9: *** 8. Giochi Pericolosi ***
Capitolo 10: *** 9. Il Gioco della Verità ***
Capitolo 11: *** 10. Madness ***
Capitolo 12: *** 11. Animal Instinct ***
Capitolo 13: *** 12. Vento di Cambiamenti ***
Capitolo 14: *** 13. Travis' POV - Concentrazione ***
Capitolo 15: *** 14. Riccioli d'Oro ***
Capitolo 16: *** 15. Changes ***
Capitolo 17: *** 16. Travis' POV - Doha.. we're coming! ***
Capitolo 18: *** 17. Travis' POV - Cambio di Rotta ***
Capitolo 19: *** 18 - Competizioni pt.1 ***
Capitolo 20: *** 19 - Competizioni pt.2 ***
Capitolo 21: *** 20 - More Than a Feeling ***
Capitolo 22: *** 21 - Anno nuovo, vita nuova! ***
Capitolo 23: *** 22 - Starlight ***
Capitolo 24: *** 23 - Distance ***
Capitolo 25: *** SCUSE E RITARDI - Una storia senza fine ***
Capitolo 26: *** 24 - Stubborn Love ***



Capitolo 1
*** Prologo - Uno Spiacevole Incontro ***


Maya




*****




Una laurea. Bene e adesso?!

Continuai a farmi quella domanda per tutti i tre mesi che passarono dopo la mia laurea, ma non successe niente: un’opportunità, una proposta di lavoro. Niente.

Tre mesi passati a portare curriculum ovunque, a girovagare ovunque sentendomi una stupida, ma nessuno sembrava essere interessato ad una neo-laureata con quasi il massimo dei voti e con alcune raccomandazioni dei più importanti professori della mia università.

Niente. Fino a quel giorno.

Di certo, appena cominciata la ricerca di un lavoro, non avrei mai immaginato che sarei finita a fare servizi fotografici per una rivista sportiva, anche se una tra le più importanti.

Almeno non ancora.

La redazione si era dimostrata interessata ai miei scatti e alle mie capacità, ma non ne pareva del tutto convinta, così mi chiesero alcune fotografie “nuove” e su un argomento che trattavano loro.

Per fortuna c’era papà.

Scusate la maleducazione, io sono Maya.

Nome particolare, direte. Si, lo so anche fin troppo bene e preferisco non dare spiegazioni: l’ho fatto fin troppe volte.

Tornando a mio padre, lui è un ex nuotatore professionista che, in gioventù, ha vinto molte competizioni, tra cui due campionati italiani ed uno europeo. Poi si è ritirò dopo che mia madre ci abbandonò per farsi un’altra vita.

Lui, una volta mi disse che si era stancata della sua notorietà e che preferiva una vita tranquilla, ma a me non pensò minimamente.

Meglio così: mio padre è stato meraviglioso in questi anni e non ho mai sentito la mancanza di una figura femminile nella mia vita.

Avevo papà e mi bastava.

Alcuni anni fa decise di prendere in affitto un palazzetto sportivo, che poi diventò suo, e ci aprì una scuola, così cominciò a dare lezioni di nuoto a dilettanti, ma con il tempo anche a professionisti.

Posso, con orgoglio, vantarmi di aver avuto un padre allenatore di alcuni dei nuotatori più promettenti a livello nazionale, per un certo periodo.

Quando raccontai a mio padre, Claudio, di questo tipo di fotografie, ne fu entusiasta e mi disse che sarei dovuta andare alla sua piscina per fare delle prove.

Niente di più semplice, mi dissi.

E ne ero fermamente convinta, fino a quando conobbi gli “allievi” di mio padre: un ammasso di ormoni maschili, privi del benché minimo briciolo d’intelligenza. In una parola: uomini.

Non mi dilungherò oltre su discorsi sessisti, tanto a cosa servirebbe?

Accettai la proposta di mio padre.

Il nuoto lo avevo sempre lasciato a lui: me la cavo molto bene, ma avevo sempre declinato ogni proposta di mio padre di prepararmi a competizioni agonistiche; quindi quando entrai nel palazzetto per cominciare a fotografare in giro, per me fu la quarta o quinta volta che misi piede lì dentro.

Non mi sentivo particolarmente agitata: ero la figlia dell’allenatore, quindi non avevo nessun motivo per esserlo; ma avevo la sensazione che qualcosa sarebbe andato storto. Fantastico!

Quando mi ritrovai nel palazzetto, andai subito alla ricerca di mio padre.

Il giorno prima mi aveva proposto di fotografare un suo nuotatore in particolare e, da come me lo aveva descritto, doveva essere particolarmente bravo, quindi particolarmente egocentrico.

Arrivai alla piscina principale e intravidi mio padre mentre parlava con un ragazzo con la sua stessa tuta da allenatore. Diedi un’occhiata in giro e notai che le vasche straripavano di atleti: mio padre era molto richiesto.

Rimasi un attimo ferma dov’ero, proprio davanti alla porta, a cercare di indovinare il prediletto di papà che aveva scelto come mio soggetto, ma non sapevo tra chi scegliere, se tra un ragazzo moro, minimo un metro e novanta, oppure un altro che sembrava più giovane di tutti gli altri.

Poi mi resi conto che, probabilmente, restavo lì per perdere il più tempo possibile: la mia voglia di scattare fotografie a individui completamente sconosciuti, quel giorno, era sottoterra.

Appena mio padre mi propose la sua idea, non potei fare a meno di pensare a quanto la sua passione fosse presente nella mia vita: avevo la fotografia, che era una cosa soltanto mia, ma in quel momento mi trovavo costretta ad unire le due cose.

Da quando avevo cominciato l’università, mi ero distaccata molto da mio padre e forse, in questo modo, sperava di poter recuperare il tempo perduto. Non potevo biasimarlo, ma desideravo essere indipendente e tornare in quel palazzetto mi faceva sentire come se fossi tornata alle catene di quando ero bambina e di quando mio padre si dimostrava fin troppo apprensivo, quasi soffocante.

Odio sentirmi soffocata!

Alla fine accettai perché avevo bisogno di un lavoro e, quella, era la mia unica possibilità per provarci.

Presi un lungo respiro, intenzionata ad andare verso mio padre, quando qualcuno mi travolse entrando dalla porta.

Aiuto!

Ma che…. Una voce maschile.

Non riuscii a restare in equilibrio e finii stesa a terra. Fortunatamente salvai in tempo la mia macchina fotografica.

“La prossima volta, magari, eviterai di stare impalata davanti alla porta!”. Sempre quella voce maschile. Iniziava a diventare irritante.

“Magari tu, in un’altra vita, potrai imparare le buone maniere!”, dissi alzandomi. Da sola. Poi mi voltai verso l’assalitore. Però…

Terribilmente più alto di me, sicuramente un atleta di mio padre, capelli castano chiaro e occhi color nocciola, sicuramente più dolci di quel suo caratteraccio.

Il mio sguardo rimase impassibile, mentre sul viso del ragazzo aleggiava un sorriso divertito.

L’irritazione stava aumentando.

“Stai cominciando un gioco che potrai soltanto perdere”.

“Invece di essere così criptico, metti in moto il cervello e almeno chiedimi scusa!”, dissi stizzita.

Incrociai le braccia al petto, in attesa.

Sentii le guance diventare più calde e mi resi conto poco dopo che sicuramente mi stavo rendendo ridicola, ma non mi azzardai a muovere un dito.

“Mi dispiace, ma proprio non posso, sono già in ritardo a causa della tua goffaggine!”, mi disse lui con un sorriso ancora più divertito sul viso. Poi se ne andò.

“Cafone!”, ringhiai a denti stretti, ma lui era già troppo lontano per potermi sentire.

Realizzai in quel momento che la mia brutta sensazione di poco prima si era appena realizzata.

Perfetto!

Era ufficiale: la giornata era partita malissimo e non poteva far altro che peggiorare, lo sapevo già!

L’ego di quel ragazzo doveva arrivare sicuramente alle stelle.

Provai in tutti i modi a mandar via il nervosismo respirando a fondo. Dovevo andare da mio padre e non volevo presentarmi da lui con i nervi a fior di pelle. Mi dissi che non valeva la pena innervosirsi per un soggetto simile, però, cavolo! avevo le mani che mi prudevano.

Sono sempre stata una ragazza tranquilla, ma ostentazioni di strafottenza come quella continuano ancora oggi a mandarmi in bestia.

Mi avviai verso Carlo, mio padre, ancora intento a parlare con l’altro allenatore.

Gli toccai una spalla. “Papà, sono qui”.

Lui si voltò sorridente, con le rughe che si infittivano vicino agli occhi, benevolo.

“Ciao piccola! Dammi due minuti e sono da te”.

Si voltò ancora e continuò a parlare con il suo collega che, per essere un allenatore, sembrava molto giovane.

Mi guardai un attimo in giro, per passare il tempo, e solo in quel momento notai che tutti gli atleti dovevano essere molto giovani: il più “vecchio” avrà avuto venticinque anni.

Notai anche che tutti si stavano impegnando al massimo: si fermava uno e cominciava un altro.

Mio padre doveva aver di sicuro costituito un dispotico regime mentale, dove tutti dovevano impegnarsi al mille per cento, anche se si trattava di un semplice allenamento, ne ero certa.

Una porta sbatté. Mi voltai verso il punto da cui proveniva il rumore e vidi Mr. Egocentrico fare la sua entrata trionfale dagli spogliatoi, con un sorriso trionfante.

Tutti lo salutarono e lo guardarono come se fosse un dio. Oh no… l’ennesima Diva!

Rivolsi lo sguardo altrove alla parte opposta del palazzetto, rifiutandomi di assistere a quello spettacolo da baraccone.

Continuai a tergiversare per quelli che mi sembravano attimi interminabili e a guardare in giro per le piscine, spazientita. Volevo solamente tornare a casa.

Dopo poco mio padre mi chiamò e quando mi voltai vidi al suo fianco quello che doveva essere il famigerato atleta.

“Oh no!”.

*
Ciao a tutti!
Spero che questo prologo sia piaciuto, sono molto legata a questa storia: è da parecchio che ci sto dietro!
E vi prego... Fatemi sapere cosa ne pensate, come ho iniziato, cosa vi piace e cosa no. Tutto!

Comunque... Vorrei ringraziare chi mi ha convinto a pubblicare questa storia, chi ha sempre sostenuto me ed il mio modo di scrivere (la mia persona <3) e vorrei ringraziare anche chi mi ha dato una mano a definire gli ultimi piccoli particolari prima di pubblicare questo primo capitolo!
Grazie di tutto!
Detto questo, vi saluto! Cercherò di aggiornare presto!
Alla prossima, gente :)

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Capitolo 2
*** 1. Uno a zero per Maya! ***


Maya2




*****



Lo vidi strabuzzare leggermente gli occhi. Non ci poteva credere nemmeno lui.
Se non fosse stata attaccata al cranio, di sicuro mi sarebbe caduta la mascella per la sorpresa, così serrai i denti prima che mio padre potesse accorgersene.

“Piccola, lui è Travis”, mio padre sembrava al settimo cielo con quel sorriso sognante che si ritrovava sul viso. “Travis, lei è mia figlia Maya”.
Lo vidi ancora più sorpreso o spaventato, Travis, e in parte poteva anche piacermi quella sua reazione, ma non potei fare a meno di sentirmi davvero contrariata.
Cercai di mostrarmi il più tranquilla possibile, mentre le mani ricominciavano a prudermi.
In quel momento realizzai che non poteva andare peggio di così: avrei dovuto fotografare Mr. Egocentrico per poter ottenere un lavoro. Fantastico!
Tesi la mano verso di lui, mostrandomi diplomatica, senza rancori, anche se dentro di me in quel momento, di diplomatico, c’era davvero poco.

“Piacere”, dissi con tono più glaciale del previsto. Lui mi prese la mano e me la strinse leggermente. Aumentai la stretta.
“Piacere mio”. Il suo stupore aumentò.
Mio padre continuò a parlare, con i suoi occhi azzurri che brillavano, anche se mi sembrava più un giudice di pace in quel momento. Maledissi mentalmente il giorno in cui avevo accettato l’aiuto di mio padre.

“Travis devi sapere che Maya si è laureata in fotografia e ha trovato lavoro, per una rivista sportiva…”
“Non ancora, papà”
, mormorai mentre ancora ribollivo di rabbia, sempre con lo sguardo puntato su quello di Travis.
Lui, invece, sembrava molto interessato alle parole di mio padre: porgeva tutta la sua attenzione a lui, anche se sulle labbra c’era l’ombra di un sorriso divertito.

“Si, hai ragione. Per il lavoro le hanno commissionato un servizio su uno sport a sua scelta, così le ho consigliato di venire qui ed ho pensato a te come soggetto ideale”, continuò a blaterare.
“Uno sport a mia scelta, già…”, sussurrai talmente piano che mio padre non mi sentì.
Travis, per un momento, sembrava aver perso ogni sicurezza, quando sul suo viso comparve un’espressione smarrita, pareva senza parole, ma poi tornò ad aleggiare sul suo viso quel suo sorrisetto divertito. E dentro di me si mosse la paura di quel suo ipotetico gioco, come lo aveva chiamato poco prima, a mio discapito, ma ero decisissima a non dargliela vinta così facilmente. Ero decisa ad ottenere quel posto ad ogni costo, anche sopportare un megalomane di quel calibro.

“Oh capisco. Qual è la rivista in questione?”
“Non sono tenuta a dirtelo!”
, esclamai brusca, forse un po’ troppo di quanto avrei dovuto.
“Maya, tranquilla”, mi calmò mio padre poggiandomi una mano sulla spalla. Mi voltai verso di lui e mi guardò ancora sorridente. Cominciava ad essere irritante. “Travis, spero accetterai senza problemi”.
Travis mi guardò dubbioso, forse per soppesare la sua prossima azione, ma poi tornò a sorridere a mio padre. “Si… penso che non avrò nessun problema nell’aiutare tua figlia, Claudio”.
Soffocai una risata per il patetico tentativo di quel ragazzo di dimostrarsi gentile verso mio padre, quando con me si era dimostrato tutt’altro.

“Hai sentito Maya? Ho la netta sensazione che lavorerete benissimo, insieme”, esclamò felice, con ancora quel sorriso speranzoso che mi face quasi venire il volta stomaco.
Sospirai. “Si, certo papà”, posai lo sguardo su Travis e una fitta mi colpì lo stomaco quando vidi il suo sorriso, ancora tra il divertito e il malefico. Pensai a come gli sarebbero calzate a pennello corna, forcone e coda da diavolo.

“Certo, Claudio, sarà un piacere lavorare con lei”.
Giuro che adesso vomito
, pensai.
”Mi fa piacere sentirtelo dire, Travis”, disse mio padre dandogli un’amichevole pacca sulla spalla. Oddio.
Mi chiesi come mai avrei potuto lavorare con un soggetto del genere, così pieno di se e strafottente. E pensare che mio padre sembrava approvarlo, sembrava che gli stesse addirittura simpatico.

Che cosa rivoltante!
Pensai a, il mio possibile lavoro, potesse dipendere da quel ragazzo e a come avrei fatto a fotografarlo e parlargli dopo che si era dimostrato così terribilmente arrogante con me. Ma ne avevo davvero bisogno, dovevo farlo. Dovevo avere quel lavoro!
Travis interruppe l’argomento e cominciò a parlare di vasche, allenamenti ed io, lì, smisi di ascoltare.
Nella mia mente, nel frattempo, si diffuse il suono tranquillo e beato delle onde che si infrangevano sugli scogli.
L’ultima cosa che avrei voluto, in quel momento, sarebbe stata ascoltare qualsiasi cosa sarebbe uscita dalla bocca di quel cafone. Continuai a guardarmi in giro, a notare immagini che avrei potuto fotografare, così presi tra le mani la mia macchina fotografica, la mia bambina.
Riuscii anche a fare alcuni scatti, prima che mio padre mi richiamasse sull’attenti.
Maya, ora vi lascio parlare un secondo, così riuscirete ad accordarvi e a conoscervi meglio. Io ho altri atleti di cui occuparmi”, sorrise benevolo.

Ah, papà… se solo sapessi.
Annuii leggermente e lui sparì, lasciandomi sola. Con lui.
E andiamo!
“Non sapevo fossi la figlia di Claudio”
, sul suo volto lessi un briciolo di confusione.
“Nessuno qui dentro lo sa”, ribattei scorbutica, sostenendo il suo sguardo leggermente smarrito.
“Mi dispiace per poco fa, per esserti arrivato addosso come un treno in corsa”.
Non ci potevo credere.
Dopo aver scoperto chi fossi, dopo aver scoperto che il suo allenatore era in realtà mio padre, cominciò a comportarsi come un cucciolo ammaestrato, mentre neanche dieci minuti prima mi aveva trattata come una pezza da piedi, scaraventandomi a terra per la furia con cui aveva varcato la soglia del palazzetto.
Mi sentivo dannatamente presa in giro, come se potessi abboccare all’amo e come se credessi alla sceneggiata che stava cominciando davanti ai miei occhi.

“Oh no, non provarci neanche! Ora stai cercando di comportarti da bravo ragazzo solo perché hai scoperto che sono la figlia del capo, qui dentro”. Mi fissò a bocca aperta, ancora più confuso di prima. “Non ti ho scelto io per il mio lavoro, quindi cercherò di essere il più professionale possibile e, inoltre, cercherò di parlarti il meno possibile e so già che non avrò problemi, con questo”. Strinsi i pugni talmente tanto da far diventare le nocche bianche e conficcandomi le unghie nei palmi. Avevo un diavolo per capello. “Quindi, tu ora allenati e fai quello che devi fare ed io proverò a farti alcune fotografie decenti, senza il bisogno di interromperci a vicenda”, finii il mio monologo e presi un grande respiro.
Travis mi fissava con uno sguardo tra il confuso e il divertito, ma ancora non si era azzardato a ribattere. Solamente in quel momento mi resi conto di come, anche un pallone gonfiato come lui, fosse… terribilmente affascinante in costume da bagno, pronto per l’allenamento. Mi diedi mentalmente uno schiaffo in faccia: mi disse che, abbassare la guardia in quel modo, sarebbe stata solamente una catastrofe.
Dopo alcuni secondi, finalmente, si decise a parlare.
La gattina ha le unghie!”, esclamò strafottente.
Lo guardai esterrefatta con la mascella che mi cadde per la sorpresa.
Cercai di frenare l’istinto pulsante di prenderlo volentieri a schiaffi. Per quanto sarebbe stata una scena epica, divertente, l’immagine del segno rosso su una guancia di Travis venne sostituita da un cipiglio di disapprovazione e delusione di mio padre.

“Come, prego?! Sarai anche il nuotatore migliore qui dentro, ma a quanto vedo l’educazione non ti è stata insegnata. E pensare che, per mio padre, è la cosa più importante”, aggiunsi a denti stretti. “Mi chiedo come puoi ancora essere uno dei suoi atleti con questa dannata arroganza che ti ritrovi!”. Stavo ridendo, ma di una risata nervosa, arrabbiata, offesa. “Prima mi hai detto che avevo cominciato un gioco avrei potuto solamente perdere. Vedremo chi l’avrà vinta”, sibilai imbestialita, rendendomi conto che le parole che uscirono dalla mia bocca non avevano un briciolo di filo logico, ma mandai al diavolo la mia pignoleria e la lingua italiana, concentrandomi ancora sul tizio che avevo davanti.
Lui non era ancora riuscito più a ribattere e ancora mi fissava sorpreso, con le labbra leggermente socchiuse.

“Ricorda che questa gattina non ha le unghie, ma gli artigli”. Detto quello che mi sembrava il tipico copione da film, mi defilai, facendo la mia uscita trionfale, come avevo immaginato, e andai verso la vasca principale, dove c’era mio padre.
Uno a zero per Maya!
 

Molto lentamente, la mattinata passò.
Travis ed io non ci rivolgemmo parola, infatti vagai tranquillamente a bordo della piscina, scattando miriadi di fotografie, lasciandolo indisturbato al suo allenamento.
Girovagai in cerca di ispirazione per alcuni scatti, ma davvero pochi mi sembravano soddisfacenti: avrei dovuto presentarmi il giorno dopo che fare altre fotografie.

Fantastico, pensai.
Quella che era partita come una normalissima giornata di lavoro, che poi era diventata davvero una brutta giornata, in quel momento, mi resi conto, era addirittura peggiorata.
Era ormai ora di pranzo quando decisi di tornarmene a casa.
Trovai mio padre, fortunatamente con Travis. Quando mi avvicinai a loro, smisero di parlare.

“Ciao papà, ora devo andare”.
“Di già, tesoro?”
. Vidi un lampo, negli occhi del nuotatore, che mi sembrò simile al sollievo. Lo fulminai con lo sguardo, cercando di non farmi notare da mio padre, mentre annotava qualcosa su un foglio.
“Si, devo proprio tornare a casa per controllare bene le foto di oggi: non mi sembrano gran ché”, aggiunsi amareggiata. In quel modo, però, ottenni l’attenzione di mio padre in baleno.
“Non sono venute bene?”.
“Non so, ma in ogni caso tornerò domani”.

Il sollievo, negli occhi di Travis, si trasformò in divertimento. E non si curò minimamente di celarlo ai miei occhi. Quanto odiavo l’evidente strafottenza di quel ragazzo.

“Oh bene, Maya! Allora a domani, piccola”, disse, guardandomi con quegli oceani azzurri pieni d’affetto. Mi domandai come non si potesse amare mio padre e il suo viso sempre sereno.“Vi lascio, così potrete mettervi d’accordo per domani”, aggiunse dileguandosi e lasciandomi un bacio sulla guancia, poi sola con la Diva. Sorrisi a mio padre, ma il sorriso svanì all’instante quando mi voltai verso Travis, con lo sguardo più glaciale che riuscii a sfoderare.
L’egocentrico era lì, a sorridermi sardonico ed era… praticamente mezzo nudo.

Accidenti, che fisico!
Poteva anche essere la persona meno sopportabile sulla faccia della terra, per quel che ne sapevo io, ma quelle spalle larghe, quegli addominali scolpiti ad arte non passavano di certo inosservati.
Accidenti!
“Bene… domani avrei gli allenamenti allo stesso orario di oggi”,
disse lui.
Dopo essersi lasciata abbindolare dai suoi addominali, la mia anima glaciale tornò all’attacco. “Perfetto! Allora a domani, allo stesso orario”.
Lui restò lì, impalato, a fissarmi negli occhi con le braccia incrociate al petto, prima di far ricomparire quello stupido sorriso sulle labbra.

Perché?!
“Ti diverto molto, a quanto vedo”.

Lui scoppiò in una risata sincera, probabilmente senza rendersi conto del mio sguardo inferocito. “Si, cioè, no… è solo il tuo essere scostante che mi diverte… non mi sembra di averti fatto alcun torto”.
Alcun torto?!”, esclamai sorpresa.

Gia, il tuo restare impalato davanti a me è un torto!
Scossi la testa contrariata prima di voltarmi verso l’uscita e salutare con una mano sollevata sopra la testa. “Basta, ci vediamo domani”.
Non vedo l’ora!”, disse Travis in tono mieloso.
Me ne andai, sperando che tutto quello che avrei dovuto sopportare sarebbe poi servito a qualcosa.
Tornai a casa ancora inviperita. Controllai le fotografie al computer ed imprecai esasperata: nessuno dei miei scatti era soddisfacente. Aveva avuto la conferma che, il giorno dopo, sarei dovuta tornare in quella piscina, che era diventata il mio inferno personale.
Anche se avevo fatto relativamente poco, era stata una giornata estenuante e mi sentivo veramente stanca. Per il resto della giornata restai in casa, cercando di far passare il tempo in qualche modo e di migliorare, come potevo, le fotografie che avevo scattato. In realtà cercavo ogni scusa plausibile per non dover tornare in piscina il giorno dopo, ma niente.
Il risultato era ancora scadente.
Mandai al diavolo tutto, sperando che una doccia avrebbe lavato via il nervoso.
Come potevo, dopo solamente mezza giornata, provare tanto odio per uno sconosciuto? Come ero riuscita ad innervosirmi in quel modo, solamente per colpa di una rovinosa caduta? In fin dei conti non era stata così grave.
Doveva esserci qualcosa di sbagliato il lui, perché io ero sempre riuscita ad accettare e ad andare d’accordo con tutti, ma quel Travis non riuscivo davvero a farmelo piacere. Tutta quell’arroganza mi faceva veri l’orticaria.
Come biasimarlo, poi? Viso e fisico praticamente perfetti, sicuramente una vita agiata alle spalle: tutti fattori che farebbero salire autostima e strafottenza a livelli spropositati a chiunque. Ma lui era diverso. Era davvero odioso!
Cenai e decisi di andare a letto senza pensarci due volte, pregando per una manciata di ore di sonno ristoratore.

Quella notte sognai piscine chilometriche e flash accecanti.

*
Ehi bella gente!
Non so come ringraziare voi, persone adorabili, che avete recensito il mio primo capitolo! Sono contenta che vi sia piaciuto! poi ringrazio voi, che in silenzio avete cominciato a seguire questa storia... Spero di non deludere le aspettative di nessuno!
E come sempre grazie a chi continua a sostenere me e la pazza idea di questa storia <3
Basta con gli sproloqui... Spero di poter leggere altri commenti e pensieri! ditemi tutto quello che pensate!
Alla prossima, un abbraccio a tutti,
Chiara :)

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Capitolo 3
*** 2. Paura e Delirio... In Piscina ***


Maya3




*****



La mattina dopo mi svegliai completamente intontita e con un mal di testa lancinante. Avevo l’aspetto di un mostro, con le occhiaie pronunciate sotto gli occhi e i capelli terribilmente in disordine, ma il lavoro mi chiamava a gran voce, fischiandomi nelle orecchie.

Il letto era lì a tentarmi e sembrava che mi pregasse perché tornassi sotto le coperte, al calduccio e al sicuro, ma strinsi i denti e decisi di tornare in quella piscina.

Quando arrivai, tutto era già in pieno fermento. Sembrava che ci fossero persino più nuotatori del giorno prima e, con piacere, riuscii a scorgere anche qualche ragazza qua e la: almeno quell’ambiente non era monopolizzato dal sesso opposto.

Vista la brutta esperienza del giorno prima mi spostai dall’ingresso principale e cominciai a camminare piano vicino alle piscine, in cerca di mio padre in mezzo a tutto quel movimento frenetico.

Non riuscii a trovarlo, ma in compenso riconobbi, mentre era in acqua, Travis. Sembrava molto concentrato a terminare la sua vasca

Presi dalla borsa la mia macchina fotografica e cominciai a scattare, regolando varie impostazioni di tanto in tanto.

L’obiettivo quasi ingannava: lui sembrava una persona normale e con un carattere normale, ma avevo già appurato il contrario. Avevo già appurato quanto detestassi il suo carattere da diva, da prima donna e quando riuscisse ad infastidirmi anche solo con l’accenno di un sorriso.

Una mano si poggiò sulla mia spalla, distogliendomi dal mio lavoro. Papà.

Ciao”, dissi in tono svogliato.

Buongiorno Maya”. Lui, invece, sembrava tutto pimpante ed allegro come un bambino a Natale. Il mio completo opposto.

In fin dei conti aveva sempre cercato di avvicinarmi al nuoto, di far nascere anche in me quella passione che era diventata il suo lavoro e la sua vita, e sembrava che, grazie a quel lavoro che tanto smaniavo per avere, ci stesse riuscendo.

Non c’è motivo per essere così felici, papà”, mugugnai continuando con i miei scatti.

Che succede, tesoro?”. A quella domanda mi voltai verso di lui, con gli occhi spalancati per la sorpresa.

Possibile che non si fosse accorto davvero di niente?! Di come avesse sbagliato nella scelta del mio soggetto, di come avesse sbagliato sul conto di travis?

“Me lo stai chiedendo veramente? Sono costretta a lavorare con un idiota!”.

Posai ancora lo sguardo, attraverso l’obiettivo, su Travis che aveva cominciato un’altra vasca. E scattai ancora. E ancora. E ancora.

“Ah…”, disse mio padre in tono che mi parve sconsolato, quasi offeso. Guardai di nuovo verso di lui e vidi che fissava il pavimento con un cipiglio sul viso.

Oh no, non tu, papà! Quel Travis!”, esclamai.

Ah ora capisco. Scusa, sarà la vecchiaia”.

Restammo per un paio di minuti in silenzio a guardare tutto il movimento nel palazzetto.

Sapevo che per mio padre, tutto quello che vedevo, era “casa”, era la sua vita, ma ai miei occhi si mostrava come un semplice allenamento giornaliero.

La mia “casa” era la fotografia, la possibilità di bloccare i momenti a mio piacimento, di congelare attimi per poi farli diventare indelebili, non tutto quello che avevo davanti agli occhi in quel momento, e sapevo che a mio padre non sarebbe mai andato a genio, ma non potevo davvero risolvere la situazione. Avevamo passioni diverse, pensieri diversi e obiettivi diversi.

Mi ero innamorata della fotografia quando ancora ero un’adolescente in cerca di un sogno da raggiungere e, dopo un po’ di tempo, mi disse che ce l’avrei fatta. Ad ogni costo. Sarei diventata brava, sarei diventata famosa e ognuno avrebbe visto e conosciuto la mia storia e l’impegno impiegato per diventare qualcuno. E a piccoli passi ci stavo riuscendo: stavo scalando quella montagna, forse un po’ troppo alta, ma a piccoli passi mi stavo avvicinando sempre più alla meta.

Comunque Travis è un bravo ragazzo, forse un po’ arrogante, ma io lo conosco bene e, dopo tutto quello che ha passato si è ripreso alla grande”, ruppe il silenzio mio padre, in tono pieno di orgoglio. Il suo sguardo, mentre seguiva il protagonista del nostro dialogo, diceva tutto: era davvero fiero di lui, come se stesse parlando del proprio figlio, ma faticavo moltissimo a credere che, proprio quel Travis conosciuto appena un giorno prima, potesse davvero aver passato dei guai.

Dopo tutto quello che ha passato?! Il parrucchiere gli ha sbagliato taglio di capelli?”, dissi fingendomi dispiaciuta.

Non scherzare, Maya! ”, mi rispose mio padre, severo. “Non so chi, tra te e lui, abbia sofferto di più”.

A quelle parole il sorriso che avevo sulle labbra svanì e sentii il sangue gelarsi nelle vene.

Ero perfettamente consapevole di non essermela passata nel migliore dei modi, quando ero più piccola, quindi pensai a cosa poteva essere successo a Travis per essere paragonato a me.

Nonostante tutto, mio padre ed io abbiamo sempre avuto il coraggio e la forza di rialzarci dopo ogni caduta e di uscirne sempre più forti, sempre più indistruttibili.

Beh il suo passato non conta, adesso. Ieri mi ha trattata come una stupida!”.

Mio padre si voltò verso di me con aria divertita e un sorriso sulle labbra. “Oh ti prego, Maya, sai come difenderti”.

Sorrisi anche io, sapendo che aveva perfettamente ragione.

Non ero mai stata simpatica a tutti per la mia sincerità. Alla gente non piace quando gli viene spiattellata in faccia la dura verità. A volte sembrava un male, ma io ho sempre preferito dire le cose come stavano, la realtà, piuttosto che inventare scuse su due piedi e costruire una stupida messa in scena.

Feci un altro paio di scatti qua e la, prima di rendermi conto che Travis mi fissava con sguardo serio, quasi glaciale. Colsi l’opportunità e scattai, senza considerare minimamente lo sguardo di Travis che ancora mi sentivo addosso.

Guardai il risultato nel piccolo schermo della macchina fotografica e notai, con sollievo, che il risultato sembrava decente.

Riposi ancora l’obiettivo su Travis e continuai a scattare, mentre usciva dalla vasca e spariva negli spogliatoi.

“Sono venute bene?”, chiese mio padre.

Non so, ma non sembrano male”, gli risposi alzando gli occhi su di lui.

Al suo fianco si era materializzata una donna che pareva più un condominio: altissima con dei tacchi vertiginosi, pelle perfettamente tirata e truccata quasi a regole d’arte. I capelli castano scuri, con un taglio a caschetto, facevano risaltare le sue iridi blu oceano e la schiera di denti perfetti, che mostrava in un sorriso, facevano quasi spavento.

Strabuzzai gli occhi davanti a quell’ammasso di chirurgia plastica.

Claudio!”, esclamò la modella in pensione

Mio padre si voltò sorpreso verso la voce e sorrise. “Oh Tanya, che piacere rivederti”.

La donna lasciò due baci sulle guance di mio padre, dandosi importanza, prima di tornare a mostrare la schiera di denti bianchi.

Anche per me è sempre un piacere”. Solo in quel momento riuscii a distogliere gli occhi da quel viso innaturalmente bello e giovane e mi resi conto del suo accento straniero: sembrava americana.

Fortunatamente quella donna non mi considerò minimamente, altrimenti avrebbe visto la terribile quantità di stupore e di shock che avevano preso in possesso il mio viso, impedendomi qualsiasi tipo di colloquio.

Cosa ti porta qui, Tanya? Sei venuta a trovare tuo figlio?”.

Figlio?! Chi poteva essere il figlio di quel disastro?

“Oh si, devo chiedergli un favore. Inoltre, è molto tempo che non lo vedo”.

I modi di fare di quella donna mi lasciarono allibita: sembrava essere nata per il ruolo della gatta morta. Sorrideva e ammiccava a mio padre come se volesse ottenere qualcosa oppure come se fossero… amanti!

Oddio no!

Sperai con tutto il cuore che, le mie, fossero solamente fantasie.

Notai l’abbigliamento da ragazzina che indossava e pensai che, quel vestito succinto, sarebbe stato stretto addirittura a me.

Di certo il fisico, a quella Tanya, non mancava: mostrava gambe chilometriche e anche belle, ma per l’età che le davo, avrebbe potuto decisamente evitare mise del genere.

Cercai di distrarmi, così cominciai a girovagare, per l’ennesima volta, per le piscine facendo alcuni scatti che, magari, mi sarebbero stati utili in un altro momento.

Di tanto in tanto gettai lo sguardo ancora su mio padre ancora intento a parlare con quella Tanya, ma mi convinsi a non farmi tante paranoie. Avevo già abbastanza grane per dover pensare a mio padre e a quella donna. Insieme.

Trovai una sedia a un lato di una piscina e la spostai vicino al muro, così da non essere in mezzo. Mi sedetti e guardai le fotografie che avevo appena scattato.

Le osservai con attenzione un paio di volte, prima che qualcuno bussò alla mia spalla. Sollevai lo sguardo e… Evviva!

Travis torreggiava su di me con sguardo impassibile.

Ciao Maya”.

Ciao Travis”.

Trovò una sedia poco distante e la sistemò vicino alla mia, sedendosi e sospirando. Rimase in silenzio un paio di minuti prima di cominciare a parlare.

Io, intanto, guardai in giro pur di non dover guardare la sua faccia da sbruffone.

Se non ti dispiace, oggi preferirei saltare il tuo prezioso servizio fotografico”.

Mi voltai di scatto, assalita dalla rabbia nei suoi confronti.

Speravo scherzasse, che mi prendesse in giro, e quella volta lo avrei addirittura accettato, perché non avevo nessuna voglia di tornare in quel posto un altro giorno, ma quando vidi il suo viso sembrava terribilmente serio.

Come, scusa?!”, chiesi allibita.

Non sono in vena di essere il tuo soggetto oggi, mi dispiace”. Quel suo tono scontroso mi fece ribaltare lo stomaco dal nervosismo.

Cosa… Perché?!”.

Travis voltò di scatto lo sguardo verso di me: aveva un’espressione quasi da allucinato. Le pupille dilatate facevano risaltare ancora di più le sue belle pupille cangianti, ma ciò non mi distolse dal risentimento che mi aveva investito come un fiume in piena.

Questi non sono affari tuoi!”, sibilò.

Incrociò le braccia al petto e distolse l’attenzione da me. Mi sembrava di aver a che fare con un adolescente, in quel momento.

Sentivo le mani cominciare a tremare. Avrei tanto voluto lanciargli qualcosa addosso a quella sua stupida faccia e a quel suo stupido broncio stizzito, ma per sua fortuna non avevo niente a portata di mano, se non la mia macchina fotografica, perciò preferii ingoiare anche quel rospo e provare a calmare i nervi.

Oh mi dispiace se la piccola star si è alzata con il piede sbagliato, stamattina, ma si da il caso che a me quelle foto servano. E subito. Quindi si, sono affari miei!”. I miei onesti tentativi di reprimere la rabbia non stavano funzionando: mi stavo facendo divorare. “Si da il caso che non navighi nell’oro, a differenza tua, suppongo. Ho bisogno di quel lavoro e di quei soldi!”. Sembrava che neanche mi sentisse, quel ragazzo, ma io continuai il mio monologo sperando di fargli venire un po’ di sale in zucca. “Non mi interessa niente dei tuoi capricci da diva!”, aggiunsi quasi senza fiato.

Mi sentivo il volto in fiamme da quanta rabbia avevo in corpo.

Tu non sai niente di me, Maya. Niente! Perciò mi faresti un favore se smettessi di parlare come se mi conoscessi”.

La mascella mi cadde: l’offeso era diventato lui.

In condizioni normali mi sarei addirittura complimentata con lui per come fosse riuscito a rivoltare la frittata.

Riposi l’attenzione altrove con fare scostante, come aveva fatto Travis poco prima.

Allora perché non te ne vai?! Stavo molto bene qui da sola, prima che arrivassi tu”.

Meno sto con mia madre, meglio è!, mormorò.

Madre?!

“Madre?”. Tornai con lo sguardo su di lui, con gli occhi leggermente fuori dalle orbite.

Per quanto mi costasse ammetterlo anche solo a me stessa, era palesemente un gran bel ragazzo, Travis, il ché lo rendeva ancora meno sopportabile e ancora di più l’idiota che si dimostrava, ma quello sguardo serio e quasi cattivo era davvero particolarmente affascinante. Gli occhi cangianti sembravano essersi rabbuiati, ma riuscivano a donargli un qualcosa di estremamente pericoloso.

Cercai di distogliere l’attenzione dai particolari del viso di Travis.

Si, madre. Quella mora con l’atteggiamento da star e che sta parlando con Claudio”.

Lanciai un’occhiata a mio padre che ancora chiacchierava animatamente con quella Tanya. Soffocai una risata, sperando che lui non se ne fosse accorto, al pensiero che quella donna, in realtà, fosse la madre di Travis. Tornai seria.

Non mi sembra italiana, però”, dissi nella speranza di sviare il discordo e di calmare il mio istinto di scoppiare in una risata.

Californiana”, disse posando lo sguardo sul mio. “È lei che ha scelto il nome Travis… che idiozia!Non puoi immaginare quanto, per anni, abbia desiderato un nome italiano, normale”, mormorò con un sorriso mesto. “Non è una madre facile. Per niente!”, aggiunse senza distogliere gli occhi da me.

Cavolo…

Continuò a guardarmi, con gli occhi assenti e forse ancora un po’ arrabbiati, per alcuni secondi prima di riporre l’attenzione sul fermento nelle piscine. Ognuno restò in silenzio per alcuni minuti, poi mi alzai decisa a tornare a casa, non avendo più niente da fare.

Allora me ne torno a casa! Grazie ai tuoi capricci da diva sono venuta fin qui per niente”, aggiunsi regalandogli un piccolo inchino. “Fantastico!”.

Mi fece un po’ pena per un momento, pensando alla madre che si ritrovava, ma quel momento passò in un attimo: ero ancora furiosa per il modo con cui mi aveva dato buca.

Lui rise ed io lo fulminai con lo sguardo.

Sono ancora arrabbiata con te, non mi sembra che ci sia qualcosa da ridere! Due minuti passati a parlare con me da persona civile non ti cambiano il carattere e non cambiano l’idea che mi sono fatta di te”, dissi tutto d’un fiato.

Alle mie parole, Travis mi gelò con lo sguardo.

La nostra, sembrava una gara tra chi dei due guardava più in cagnesco l’altro, ma  non ero intenzionata a cedere. Di certo non per fargli crescere ancora di più quel suo ego spropositato.

Ho provato a parlarti da persona civile, me se proprio vuoi fare la stronza, va bene!”, disse alzandosi dalla sedia e sovrastandomi con la sua altezza. “Vedremo chi avrà la meglio”.

Detto questo se ne andò senza dire altro, lasciandomi allibita davanti alla sua uscita trionfale.

 

Passò una settimana.

Ogni giorno andavo alla piscina per nuove fotografie perché ancora non avevo fatto quello che volevo fosse lo scatto vincente.

Durante quella settimana tornai anche alla redazione della rivista sportiva con alcuni scatti, ma la direttrice, bionda, perfetta e terribilmente glaciale, mi disse che nessuna mia fotografia la conquistava.

Fantastico!

In compenso mi disse anche che vedeva nel mio lavoro molto potenziale, ma anche che la solita location era scontata e cominciava a stancarla, così mi suggerì di portare Travis in altri posti per nuovi servizi fotografici.

Dopo quel colloquio mi segregai in casa a sperare che i miracoli esistessero davvero.

Sperai con tutta me stessa di trovare lo scatto giusto e farla finita con quella storia.

I giorni seguenti furono un inferno: un continuo via vai dalla piscina alla mia camera oscura.

Mi sentivo stremata e la presenza di Travis non aiutava

Sembrava avesse come unico obiettivo quello di rendermi la vita impossibile: quando ne aveva la possibilità, faceva di tutto per rovinarmi gli scatti, altrimenti gli riusciva molto semplice ridicolizzarmi davanti a tutti.

E ci era riuscito: per svariate volt, poi.

Cercai di vendicami quando si presentò ancora sua madre, agghindata per l’ennesima volta come fosse una sedicenne.

Quando ne ebbi l’occasione, le spiegai a cosa servivano i miei scatti e le dissi , con suo grande e palese dispiacere, che Travis non sembrava adatto alla macchina fotografica.

In quel momento non mi sembrava un piano eccezionale, anzi pareva un’azione molto adolescenziale, ma speravo che Tanya sarebbe andata a rimbeccare suo figlio per un maggior impegno da parte sua.

Quello stesso giorno, quando mi incamminai verso l’ufficio di mio  padre per avvisarlo che sarei tornata a casa di lì a poco, mi sentii strattonata da qualcuno che mi fece entrare in quello che sembrava il ripostiglio per tutto l’occorrente per le pulizie.

Venne accesa una solitaria luce al neon attaccata al soffitto. Quello stanzino era davvero minuscolo con al suo interno una quantità incredibile di scope, stracci e secchi, il che rendeva tutto molto più stretto. Davanti a me si stagliava una scaffalatura in ferro piena di prodotti, detergenti per le pulizie.

Indietreggiai e mi scontrai contro chi mi aveva scortato non proprio gentilmente in quel buco.

Mi voltai e vidi gli occhi di Travis. Molto, troppo vicini.

Quella stanza era talmente piccola che ci trovavamo costretti a rimanere a meno di un metro di distanza l’uno dall’altra.

Lui indossava solamente il costume da bagno e notai che la sua pelle ancora luccicava di gocce d’acqua.

Accidenti!

Davvero un colpo basso, Maya!”, sibilò inferocito con uno sguardo che avrebbe incenerito chiunque.

Come, scusa?”, chiesi cadendo dalle nuvole.

Dire quelle cose a mia madre!”, esclamò. Mi arrivò alle narici il familiare odore di cloro che, evidentemente, emanava la pelle di Travis. “Mi è venuta a dire che sono un pessimo soggetto e che non si sarebbe mai aspettata una cosa simile da me, avendo una madre come lei”. Era davvero arrabbiato.

A me sembrava una banalità, uno scherzo alla pari con quelli che mi aveva fatto lui, ma Travis l’aveva presa decisamente sul personale.

Mi chiesi cosa potesse aver fatto sua madre, in passato, per essere tanto detestata dal figlio.

Non ne capii il motivo, ma un sorriso divertito mi comparve sul viso. Come poteva essersela presa per così poco?!

Oh la piccola star ha l’ego ferito, ora?”, dissi con finta compassione. “Quanto mi dispiace!”.

Non ho l’ego ferito, stupida, ma se deve per forza esserci questa specie di guerra psicologica tra noi, che rimanga tra te e me. Mia madre mi crea già abbastanza problemi da sola!”, quasi urlava, Travis. Pregai con tutta me stessa che il corridoio fosse completamente deserto.

Era palesemente adirato con me, ma non potevo lasciare che mi mettesse i piedi in testa. Dopotutto, se ero andata a parlare con sua madre c’era stato un motivo più che valido. Si lamentava tanto e diceva che quella nostra “guerra psicologica” doveva restare tra noi due, quando lui era stato il primo a coinvolgere l’intera palestra.

Mi aveva ridicolizzata fin troppo bene quando, uno dei giorni precedenti, mi aveva “accidentalmente” spintonata, facendomi capitolare a terra, davanti gli occhi di tutti.

Gli sguardi di scherno, le risate ed i bisbigli che ne seguirono mi avevano fatta imbestialire.

Non mi sembra che ti stia dando un limite per ridicolizzarmi davanti a tutti, o sbaglio?”, gli puntai l’indice contro il petto. “Ti sto solamente ripagando con la stessa moneta, Travis!”, aggiunsi in collera.

Le mie parole non ebbero l’effetto che avevo sperato: Travis sgranò gli occhi, incredulo poi divenne, se possibile, ancora più infuriato.

Come potevano, due occhi così belli, appartenere ad una persona come lui, ad una persona tanto piena di se ed irritante?

Fece un passo verso di me, prendendomi alla sprovvista e costringendomi ad arretrare. Mi ritrovai con la schiena poggiata alla scaffalatura in ferro.

Travis si mosse ancora verso di me e poggiò le mani su di essa, ai lati della mia testa. Ero in trappola.

Lui, tuttavia, mi era pericolosamente vicino, come non lo era mai stato, e quei suoi occhi furenti cominciavano farmi davvero paura.

Si, cominciavo ad avere paura. Non aveva avuto ancora occasione di vederlo così imbestialito e con l’espressione da allucinato.

Piantala di crearmi problemi, Maya, e forse avrai quelle tue maledettissime foto, così finalmente te ne andrai”, disse con un filo di voce piena di veleno e rabbia.

Mi sentivo impietrita. Travis mi sovrastava con fin troppa facilità e una sensazione di impotenza mi prese le ginocchia, facendomele sentire deboli.

Si avvicinò ancora a me, sempre con quella strana ira nei suoi occhi cangianti. Mi squadrò da capo a piedi, come per schernirmi, e se ne andò sbattendo la posta, come era arrivato: in un attimo.

Oddio”, sospirai accasciandomi a terra, esausta ed impaurita.





*

Eccomi ancora qua!
Come al solito parto con i ringraziamenti, perchè mi sembra d'obbligo... Quindi GRAZIE a tutti! Da chi recensisce a chi se ne sta zitto zitto in un angolo a leggere la mia storia! Se potessi stritolerei tutti in un abbraccio!
Comunque... Spero che questo nuovo capitolo vi sia piaciuto e che la storia stia procedendo per il verso giusto! Fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima! :)

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Capitolo 4
*** 3. Travis' POV - Maledizione! ***


Maya4




*****



TRAVIS' POV

Forse avevo reagito in modo eccessivo, forse si, ma quando avevo sentito quelle parole uscire dalle labbra, perfettamente ricostruite a mie spese, di mia madre, non ci avevo più visto.

Avevo perso ogni briciolo di ragione e di compostezza.

Mi chiesi svariate volte nell’arco di quell’assurda giornata, con quale coraggio Maya si era presentata da mia madre, Tanya, dicendole quelle stupidaggini inventate su due piedi.

Nemmeno il nuoto, la mia vita, nemmeno i continui consigli di Claudio e nemmeno la determinazione e la concentrazione che buttavo insieme ad ogni bracciata riuscirono a placare i miei nervi impazziti.

Poi mi infuriai, non per quanto Maya avesse detto a mia madre, tra l’altro, stupidaggini assolutamente non vere, ma per la faccia tosta e la sfacciataggine impiegate.

Piccola impicciona!

Avevo già abbastanza problemi a cui pensare, ma poi si aggiunse quella piccola arrogante figlia di papà. Solamente per il bel visino ed il padre famoso ed ammirato che si ritrovava pensava che tutti dovessero crollare al suo cospetto, ai suoi piedi, elogiandola e stendendole il tappeto rosso prima delle sue solite entrate trionfali.

Non la sopportavo. Il solo vederla mi irritava e mi rendeva nervoso.

Sembrava che con quei suoi pozzi color del mare, Maya fosse in grado di scorgere qualcosa nascosto al resto del mondo e a me.

La prima volta che incontrai il suo sguardo rimasi incantato dalla loro bellezza, ma poi quella piccola morettina cominciò a parlare e l’incantesimo si ruppe davanti a me! Quella piccola arrogante finì nella mia lista nera nel giro di un minuto.

Ero affezionato a Claudio, a lui dovevo tutto e se ero diventato bravo, se ero diventato campione era solamente grazie a quell’uomo, a quel santo, ma doveva ammettere che con sua figlia, con Maya, aveva sbagliato tutto.

Si era dimostrata sin dal principio di un’arroganza fuori dal comune.

Nonostante fosse davvero una bella ragazza, la prima cosa che, nel vederla, mi veniva in mente era il suo carattere del tutto discutibile.

Era davvero insopportabile!

Di certo anche io non mi ero comportato nel migliore dei modi sin dall’inizio, ma avevo provato a cambiare le carte in tavola, a mostrarmi gentile nonostante tutto, ma lei aveva messo in croce il mio tentativo di parlarle in modo civile ancora prima di partire.

Non sapevo davvero come comportarmi: avrei dovuto convivere con la presenza di Maya in piscina ancora per un po’ di tempo e il solo pensiero bastava per innervosirmi ancora. Cercavo di pensare solamente al nuoto, ad arrivare alla fine di ogni vasca nel minor tempo possibile, ad ascoltare solamente la voce di Claudio ed i suoi consigli, ma oltre a quella piccola piattola mora che era Maya, ogni tanto compariva anche l’opportunista che era in realtà mia madre.

Ogni volta che si presentava alla piscina era, per me, un continuo susseguirsi di agitazione ed irritazione. Era sempre una tale vergogna vederla ogni volta agghindata a festa, con i tacchi vertiginosi e la pelle perfettamente tirata appesantita da chili e chili di trucco.

Quell’inquietante sorriso che mi rivolgeva ogni volta che i suoi occhi si posavano su di me, mi faceva rivoltare lo stomaco e mi preparava soltanto all’ennesima richiesta di soldi, di un prestito.

Si, ero il mantenitore di mia madre.

Faceva passare le sue richieste di denaro per opere di beneficienza, donazione che, come diceva lei, mi avrebbe restituito in un prossimo futuro, ma sapevo benissimo che, appena arrivati tra le mani dalle unghie perfette di mia madre, quei soldi non li avrei mai più rivisti.

Era un vero schifo!

Ero perfettamente consapevole di quanto fosse falsa, mia madre: non erano soldi devoluti in beneficienza, non erano delle donazioni, per lei, quei soldi, rappresentavano la possibilità di tornare giovane e bella come lo era un tempo.

Nel giro di sei mesi ringiovanì di almeno vent’anni.

Scossi la testa cercando di non pensare in Dio solo sa cosa mia madre avrebbe speso gli ennesimi soldi che le avevo concesso.

Ero finalmente arrivato a casa mia, dopo una giornata psicologicamente estenuante, dopo la sgradita presenza di mia madre sempre pronta ad elemosinare… dopo la mia sfuriata con Maya.

Maya…

Forse avevo davvero esagerato con lei, forse l’avevo trattata un po’ male, in parte se l’era davvero meritato: aveva ficcato il naso dove non avrebbe dovuto.

Solamente Claudio era a conoscenza del difficile rapporto che avevo sempre avuto con mia madre sin dall’adolescenza, del mio passato, e Maya credeva di aver compreso tutto, ma la realtà era ben diversa: lei non aveva capito davvero nulla.

Pensava che, dopo aver parlato con me da persona normale, avesse afferrato ogni particolare della mia vita.

Si era rivelata più infantile di quanto pensassi.

Tuttavia, davanti agli occhi vedevo ancora quei pozzi verde mare impauriti dalla mia reazione e dalla mia pericolosa vicinanza.

L’avevo guardata come mai prima di allora: per la prima volta l’avevo vista davvero.

Avevo finalmente notato le striature azzurre nei suoi occhi verdi e di quanto venissero messi in risalto dalla cascata di riccioli neri che le arrivava fino a metà schiena, avevo notato quanto fosse piccola e fragile rispetto all’armadio che, in realtà, ero io, ma soprattutto avevo notato quanto, quell’espressione, tra la sorpresa e la paura, la facesse sembrare una bambina. E avevo notato quanto fosse indubbiamente bella.

Maledizione!”, esclamai ai muri.

Nonostante tutta la bellezza di cui era in possesso, Maya era una ragazza viziata, o almeno così si comportava.

Gli sguardi truci e le vendette ridicole parevano il suo pane quotidiano.

Decisi di infilarmi sotto le coperte dopo aver passato un paio d’ore a fare zapping tra i canali tv, senza mangiare, quella sera: mi si era chiuso lo stomaco dal nervosismo accumulato.

Rimasi non so quanto tempo immobile a fissare il soffitto, incapace di prendere sonno per colpa di tutti quei pensieri che mi frullavano per la testa senza sosta.

Continuavo a pensare a mia madre e al suo voler essere sempre più giovane di quanto già non sembrasse e a Maya, lei che invece pareva voler sembrare più grande, una donna vissuta.

Mi resi conto di come avessi a che fare, in quei giorni, con due donne agli antipodi l’una dall’altra.

Se con mia madre ero costretto a mantenere un comportamento scostante e scontroso, pensai che, con Maya, avrei dovuto fare il contrario. Oppure essere ancora più scostante. Dovevo pensarci bene.

Pensai di aver inquadrato bene Maya ed il suo atteggiamento, ma mi resi conto che, in realtà, Maya era un enigma.

Un arrogante e meraviglioso enigma.

 

Passò poco più di una settimana, piena della solita monotonia e della solita routine.

Ogni giorno era un continuo via vai da casa mia alla piscina, a tal punto che passai il weekend a letto, stremato dopo giorni di allenamento senza freni.

Il lunedì seguente, come al solito, ero impegnato negli allenamenti per i campionati italiani. Come al solito Claudio seguiva me in particolare, passo dopo passo, e come al solito l’irritante Maya si aggirava a bordo vasca con la sua solita macchina fotografica tra le mani.

Avevo già pensato svariate volte a spintonarla accidentalmente in acqua insieme a quel suo aggeggio, ma poi sarei dovuto partire per qualche paese lontano, per esempio l’Antartide, in cerca di salvezza da una Maya a dir poco furiosa, così avevo accantonato l’idea, anche se, ogni volta che quel pensiero mi tornava in mente, diventava sempre più difficile resistergli.

Poi sarebbe Maya quella infantile!?, esclamò una parte remota della mia coscienza.

Travis!”, disse qualcuno ad un certo punto.

Voltai il capo verso la voce e vidi gli occhi di Claudio fissarmi dall’alto, mentre mi ritrovavo in acqua con gli avambracci poggiati a bordo vasca. Avevo finalmente preso una piccola pausa dopo un numero infinito di bracciate.

Scusami, Claudio, mi ero distratto”, gli risposi.

Lui seguì la linea del mio sguardo e si ritrovò improvvisamente a guardare la figlia ancora alle prese con quel suo aggeggio tra le mani.

Mi schiaffeggiai mentalmente per non aver distolto lo sguardo da Maya in tempo.

Mi ero bloccato, come altre volte, ad analizzare i suoi movimenti ed il suo atteggiamento: non parlava mai con nessuno, non sembrava averne bisogno, e si aggirava sempre silenziosamente e con fare circospetto, come se avesse paura che qualcuno le potesse piombare alle spalle, continuando ininterrottamente a scattare fotografie.

Quel giorno indossava un paio di jeans stretti, con delle Converse nere, che le mettevano in risalto le gambe magre, insieme ad una maglietta del colore dei suoi occhi.

La trovai particolarmente bella così semplice, con i capelli scuri fermati da un elastico in una coda alta.

No, non avrei dovuto soffermarmi con lo sguardo su di lei.

Claudio si voltò ancora verso di me cercando di reprimere un sorriso. Con scarsi risultati, tra l’altro.

Incatenò lo sguardo al mio, forse in attesa di qualcosa.

Mi mette sotto pressione, tua figlia”, gli dissi distogliendo gli occhi dai suoi con un mezzo sorriso sul volto.

Come può metterti sotto pressione una fotografa, Travis!? Non mi sembra che ti sia mai fatto tanti problemi”. Rise.

Lo so, eppure Maya ha il terribile pregio di farmi innervosire. A volte diventa davvero insopportabile!”.

L’avevo detto.

L’ho detto!

L’avevo fatto davvero: avevo parlato male di Maya davanti a suo padre.

D’istinto mi coprii la bocca con una mano, con gli occhi spalancati.

Per una buona volta, non ero riuscito a collegare il cervello alle mie labbra.

Mi aspettavo una reazione quasi apocalittica, con insulti e parolacce rivolte a me, un Claudio infuriato, invece, con mia grande sorpresa, cominciò a ridere.

Sta ridendo, sul serio!?

Alzai lo sguardo su di lui e nei suoi occhi chiari non vedevo tracce di rabbia. Rideva di gusto.

Lo so, non è una ragazza facile: a volte nemmeno io la sopporto. Non la tocca minimamente quello che pensa la gente di lei, infatti penso sia per questo motivo che attorno a lei non ha praticamente nessuno. Per certi versi è molto simile a sua madre”.

Madre!?

Non avevo la minima idea che Claudio potesse essere sposato, non ne aveva mai parlato né con me né con altri, per quello che ne sapevo.

Però a volte penso a quante ne ha passate, Maya, e mi rendo conto di quanto sia comprensibile il suo comportamento”.

Quante ne ha passate? Non pensavo che aveste avuto dei trascorsi difficili, Claudio, non me ne hai mai parlato”.

Lui distolse lo sguardo da me per posarlo ancora sulla figlia e, istintivamente, gli spuntò un leggero sorriso sul viso.

Quell’uomo era sempre stato un mistero, per me: amichevole, ma molto riservato, sempre pronto ad ascoltarti, ma non sprecava mai parole per parlare di sé.

Continua con il tuo allenamento, Travis”, disse, poi, con un sospiro.

 

Continuai il mio allenamento, finalmente pensando solamente a me e al mio lavoro.

Quel giorno mi ero particolarmente dato da fare per migliorare, per far vedere a Claudio quanto tenessi a tutto quello e per renderlo fiero di me.

Era sempre stato come un padre, per me.

Mi aveva fatto i complimenti, mi aveva detto che, da quel giorno in poi, voleva vedere proprio quel Travis, perché gli piaceva. Gli piacevo davvero.

Sembrava una giornata normale, quasi piacevole dopo tanto tempo, ma come al solito mi sbagliavo.

Chi poteva arrivare a rovinarmi la giornata se non mia madre?!

Arrivò di gran carriera con uno dei suoi soliti abiti da ragazzina e un altro, nuovo, paio di tacchi vertiginosi. Con quelli era quasi alta quanto me.

Mi parve di notare le labbra leggermente più gonfie dell’ultima volta in cui la vidi.

Ciao tesoro!”, esordì avvicinandosi per poggiare la sua guancia sulla mia.

Da anni non mi regalava più un vero bacio sulla guancia.

Si allontanò da me in un secondo e mi guardò con quegli occhi blu, così diversi dai miei. A volte mi chiedevo come, una donna del genere, potesse essere davvero mia madre: eravamo così diversi.

I suoi capelli scuri facevano risaltare la bellezza – almeno quella era naturale – dei suoi occhi, intenti a scrutarmi a fondo.

Sapevo fin troppo bene cosa, dopo il mio consueto e scocciato saluto, sarebbe arrivato: l’ennesima richiesta.

Tempo un anno e mi manderà in bolletta, questa donna!

“Ciao mamma”, dissi dopo alcuni secondi.

Non osò nemmeno chiedermi come stavo, se avevo delle novità da raccontarle, come procedevano gli allenamenti per i campionati. Non mi chiedeva mai nulla.

Tesoro, sai che non verrei da te se non fosse di importanza vitale, ma ho bisogno di un piccolo prestito”, disse. “Ovviamente ti restituirò tutto appena potrò”.

Mi parlò con il sorriso sul viso, come se tutte quelle sue richieste di denaro non mi turbassero minimamente, come se non mi vergognassi di una madre che non si comportava come tale, che non si vestiva come tale e che, a volte, l’avevo trovata nel bel mezzo di un flirt con qualche mio vecchio compagno di squadra.

Aveva cinquant’anni suonati, ma sembrava che avesse il cervello di una dodicenne.

Non riuscii a trattenere una risata nervosa, irritata, ma a lei non sembrò darle per niente fastidio.

Di importanza vitale, addirittura! Ora è diventato di importanza vitale”, mormorai tra me e me, con la speranza che, però, mi sentisse.

Mi avviai immusonito verso il mio borsone dove tirai fuori dal mio borsone il portafoglio.

Sono solamente passati dieci giorni dall’ultima volta, oggi ti farai andare bene un paio di banconote da cento euro”, le dissi in malo modo, porgendole le banconote.

Nemmeno il mio tono di voce la scalfiva, nemmeno il mio evidente odio per lei: pensava di essere rimasta a quindici anni fa, quando ancora riuscivo a parlare con lei, quando ancora la vedevo come la mia mamma.

Avevo ventisette anni e non parlavo con quella che era davvero mia madre, dietro tutto quel trucco, da un pezzo.

Oh tesoro ti ringrazio, andranno benissimo per la mia prossima… ehm, donazione!”, disse con un sorriso e quel suo accetto americano ben evidente. “Grazie mille, Travis! Ora ti lascio, ho un appuntamento!”, aggiunse poggiando ancora la sua guancia sulla mia.

E si dileguò, così com’era arrivata. Uscita trionfale e rumore di tacchi sul pavimento.

Respirai a fondo, mentre tornavo nello spogliatoio con il mio borsone sulla spalle.

Dovevo cercare in tutti modi di reprimere la rabbia ed il nervosismo che minacciavo di esplodermi dentro. In quell’occasione avrei perso la testa, sul serio.

Mi sbattei la porta dello spogliatoio alle spalle che, per mia grande fortuna, era vuoto, così nessuno avrebbe potuto vedere lo sguardo omicida che aleggiava sui miei occhi.

Continuai a respirai profondamente, a camminare avanti e indietro per quel piccol locale, a ripetermi che non dovevo perdere le staffe in quel modo, ma per quanta buona volontà ci avessi messo, nulla mi impedì di sferrare un pugno al muro, scorticandomi le nocche.

 

Maledizione!”.

*

Ehi bella gente!

Si, lo so, sono imperdonabile! Scusate l'assenteismo, ma questo POV mi ha tenuta parecchio impegnata! Ho già buona parte della storia già scritta e, grazie anche le richieste di alcuni di voi, ho deciso di aggiungere un POV di Travis ogni tanto. Succederà ogni tre o quattro capitoli perchè, alla fine dei conti, la nostra protagonista è sempre Maya!

Spero davvero che vi sia piaciuto, questo capitolo! Fatemi sapere cosa ne pensate e se, l'idea di qualche POV di Travis ogni tanto può funzionare!

Ringrazio, come sempre, TUTTI: chi ha recensito, che ha messo la mia storia tra le preferite o le seguite, chi mi ha dato una mano a costruire questo capitolo... GRAZIE DI CUORE A TUTTI!!

Alla prossima, bella gente, e un abbraccione a tutti! :)

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Capitolo 5
*** 4. And The Story Goes On ***


Maya5




*****



Dopo quell’avvenimento nella stanza delle scope mi limitai ad andare alla piscina, scattare fotografie indisturbata e rivolgere la parola solamente a mio padre, se proprio ne vedevo la necessità. Non avevo la benché minima voglia di fargli capire  nulla: per quanto bene gli volessi, non sopportavo la sua apprensione se intercettava qualcosa che non andava. La sua mitragliata di domande mi avrebbe distrutta e mandata all’esaurimento, come sempre.

L’unico vero problema erano i miei scatti di Travis in una location differente dalla solita piscina straripante di gente. Ero fermamente decisa a non parlare con lui dopo tutto quello che mi aveva fatto, e detto, ma avevo un disperatissimo bisogno di quelle maledette foto e di quel lavoro.

Dovevo trovare in tempi brevi il modo di risolvere quel mio problema.

Era passato più di un mese dalla prima volta che avevo messo piede lì dentro, e ancora non avevo nulla in mano che potesse sembrare esauriente.

Avevo deciso di telefonare alla direttrice della rivista, la bionda di ghiaccio, come la chiamavo, e mi aveva dato solamente un’altra settimana di tempo, dopodiché avrei perso la mia unica possibilità di ottenere un lavoro e di potermi dichiarare, finalmente, indipendente.

Avevo rimasto solamente una manciata di giorni. Stavo impazzendo e la mia testa continuava a fare un male incredibile ogni volta che entravo in quel posto pieno zeppo di cloro e ostilità nei miei confronti.

Nonostante fossi la figlia del capo e nonostante fossi una visitatrice abituale da parecchi giorni, nessuno mi aveva mai rivolto parola, se non mio padre, Travis e quella pazza di sua madre.

Come puoi dargli della pazza, Maya?! Nemmeno la conosci.

Non la conoscerò, ma di certo non è un soggetto che si vede tutti i giorni!

La mia mente era continuamente in conflitto con se stessa. Ero salita su una macchina che percorreva la via più breve per la pazzia.

Dovevo trovare un modo per risolvere quel mio piccolissimo, insignificante problema.

Mi trovai costretta ad andare da mio padre, ancora, un giorno nel suo ufficio, a parlargli. Appena entrai nel piccolo studio, lo trovai seduto dietro la sua scrivania in legno scuro, così gli raccontai dell’imminente scadenza.

Quando ebbi finito di parlare, mi guardò per una manciata di secondi con fare pensieroso, poi mi rivolse un sorriso radioso, quasi accecante.

Come poteva esserne felice?

Come puoi essere felice del mio fallimento e del mio esaurimento nervoso, papà!?

Credo di avere quello che fa per te, tesoro”, disse con tono talmente felice ed allegro che non fece altro che preoccuparmi ancora di più.

La felicità di mio padre, per quanto mi riguardasse, non portava mai nulla di buono. L’esempio più lampante che mi venne in mente fu… Travis!

Sul suo viso era ancora stampato quel sorriso raggiante. Cominciò a darmi sui nervi.

Non mi sorpresi più di tanto quando mio padre sembrò aver già trovato la soluzione ai miei problemi: era nella sua indole. Pareva che avesse sempre qualche strana idea quando si trattava di combinare me e il suo amato nuoto.

Mi sedetti su una delle sedie davanti alla scrivania e mi preparai ad ascoltare la fantastica idea di mio padre.

Devi sapere, Maya, che per preparare al meglio i miei atleti, faccio almeno una sessione di nuoto al mare”.

Cosa?!”, dissi cercando di capire.

“Ogni tanto mando i miei atleti al mare per un allenamento speciale, non voglio che si abituino troppo al fondo della piscina, e si da il caso che a Travis serva proprio questo tipo di allenamento in vista dei nazionali”.

Mare!

Mio padre mi aveva appena offerto la soluzione ai miei problemi su un piatto d’argento. Sentii il peso del fallimento pian piano alleggerirsi.

Un sorriso sollevato mi coprì il viso.

Beh è perfetto! Basta che tu mi dica quando andrai con Travis al mare ed è fatta!”, dissi ancora sorridente.

Mio padre alzò lo sguardo su di me con aria stranita e sollevando un sopracciglio.

Maya, guarda che io non ci sarò. Travis è abbastanza preparato ed esperto per allenarsi da solo”.

E quel peso che pochi istanti prima si era sollevato dalle mie spalle, come un macigno, tornò sulla bocca dello stomaco. Affondai le mani nella sedia, certa di aver lasciato i segni delle mie unghie sull’imbottitura nera.

Come papà? Stai scherzando…”, aggiunsi con una risata isterica. “Saremo solamente Travis ed io?!”. Il suono che uscì dalle mie labbra non sembrava affatto la mia voce, ma un lamento carico di panico ed isterismo.

Si, Maya”, rispose appoggiandosi allo schienale. “Io devo restare qui. Non posso lasciare tutti gli altri atleti”, disse con semplicità, agitando una mano.

E fu così che il panico che stava ribollendo dentro di me esplose come una pentola a pressione. “C… cosa, papà?! Travis ed io ci odiamo a vicenda! Se staremo insieme, da soli, sarà l’inizio della fine!”. La pentola a pressione scoppiò.

Mi sorpresi soltanto di non aver visto sbuffi di vapore uscirmi dalle orecchie.

Mio padre non sembrava vederla nel mio stesso modo: agitò ancora la mano, con fare superficiale, interrompendomi e inforcò gli occhiali cominciando a guardare alcune scartoffie che aveva sulla scrivania. “Non fare storie, Maya!”, mi disse come se non esistesse problema al mondo, ma per me in quel momento esisteva eccome. “Travis è un bravo ragazzo, forse sei tu che… lo istighi”, aggiunse incerto, come se non fosse del tutto sicuro di quello che aveva appena detto.

Io cosa?!

La situazione si era capovolta: sembrava che la colpa fosse diventata la mia, come se Travis non riuscisse a convivere con un carattere tanto pessimo.

Io non lo istigo, papà!”, esclamai offesa.

Mi alzai di scatto dalla sedia, quasi rovesciandola, e cominciai a camminare avanti e indietro per l’ufficio di mio padre. “È quel suo caratteraccio a istigare me!”, affermai sgranando gli occhi e puntandomi l’indice al petto, come per dare più corpo alle mie parole.

Maya calmati, si tratta solamente di mezza giornata”.

COSA?!”, tuonai perdendo ogni tipo di controllo. “Mezza giornata?! Pensavo che si sarebbe trattato solamente di un paio d’ore, non di mezza giornata!”.

Mio padre finalmente cominciò a guardarmi preoccupato, finalmente si accorse che l’argomento Travis mi faceva quasi paura, che mi faceva saltare i nervi come molle.

Cominciavo ad agitarmi davvero, mentre continuavo a camminare per l’ufficio con passo spedito, facendomi prendere dall’isterismo.

Dopo quell’episodio nella stanza delle scope avevo cominciato ad avere davvero paura di quel ragazzo e il pensiero di dover passare mezza giornata da sola con lui, quasi mi terrorizzava.

Iniziavo ad avere il fiato corto, per quella che poteva sembrare una stupidaggine, ma che a me si presentava come un grave problema che mi gettava addosso quantità spropositate d’ansia.

Maya vuoi calmarti?!”, mi disse mio padre con tono risoluto, facendomi tornare con la mente al nostro dialogo.

Lo guardai negli occhi, ancora in preda al panico, con la speranza che si fosse convinto che, la sua, era un’idea pessima.

Devi assolutamente darti una calmata perché io non verrò con te, non posso, te l’ho detto”, esclamò deciso. Dalla mia bocca uscì uno strano suono simile ad un mugugno.

Ci andrai da sola e, se proprio non te la senti, non rivolgere parola a Travis”, aggiunse con una semplicità snervante.

Il ragionamento di mio padre non faceva una piega, ne ero perfettamente consapevole, ma ero comunque terrorizzata all’idea di passare così tanto tempo da sola con Travis.

Continuavo a chiedermi perché quel ragazzo mi destabilizzasse in quel modo. Tra me e Travis era partita male già dal primo giorno, ma speravo che con il passare dei giorni la situazione sarebbe migliorata, mi bastava anche una semplice indifferenza, ma mi ero sbagliata.

Va bene”, infine mi arresi. “Quando deve andare al mare, Travis?”. Sbuffai esausta.

Mio padre tornò a guardare i suoi fogli indifferente. “Domani”.

Strabuzzai gli occhi ancora, presa alla sprovvista per l’ennesima volta, ma mi limitai ad annuire, a non dire niente e a stringere i pugni decisa a superare anche quel problema.

Uscii dall’ufficio di mio padre diretta ancora alla piscina. Quando passai accanto a quella stanza delle scope feci finta di niente, come se quel brivido non mi avesse percorso davvero la schiena.

Mi avvicinai al bordo della piscina dove c’era Travis ancora intento ad allenarsi.

Mi notò solamente a vasca finita, ma girò il capo dalla parte opposta, evidentemente ancora offeso. Mi ricordò un adolescente stizzito, ancora, ma cercai di non badarci troppo.

Uscì dalla piscina e si incamminò verso una delle tante sedie in plastica bianca dove sopra c’era il suo borsone e il suo asciugamano.

Presi un lungo respiro e decisi di raggiungerlo. Ora o mai più!

Arrivai poco distante da lui e mi fermai.

Travis”, mi uscì dalle labbra in tono flebile, quasi inudibile, infatti Travis non diede segno di avermi sentito. “Travis!”, dissi infine con tono più deciso.

Che diavolo vuoi, Maya?”. Si voltò verso di me così all’improvviso che mi fece sussultare e anche quella volta era vicino. Ancora troppo vicino.

Indietreggiai di un paio di passi, mettendo un po’ di distanza tra noi. Quando alzai lo sguardo rimasi scioccata da quegli occhi dall’aria infuriata, ma allo stesso tempo infelice, come se fosse disperatamente arrabbiato per qualcosa o con qualcuno.

Che cosa ho fatto per ferire l’ego di questa Diva ancora una volta!?

Improvvisamente sentii tutto il mio corpo tendersi davanti a lui: mi chiesi se fosse per il suo sguardo cattivo oppure per il suo corpo ancora mezzo nudo e imperlato di gocce d’acqua davanti a me.

Quelle iridi cangianti mi ipnotizzarono per un fugace momento, facendomi quasi credere di trovarmi davanti ad una persona normale, non a quell’ammasso di testosterone ed arroganza che mi torreggiava davanti

 

Incrociai le braccia al petto, distogliendo lo sguardo da quella serie di muscoli scolpiti ad arte, in un disperato tentativo di darmi più sicurezza e cominciai a parlare.

Volevo dirti che all’allenamento al mare di domani…”, presi un respiro profondo. “Ci sarò anche io”, aggiunsi velocemente, preparandomi alla reazione di Travis.

Sembrò ponderare un momento sulle mie parole, poi lo vidi strabuzzare gli occhi talmente tanto che parvero uscirgli dalle orbite, rendendo ancora più visibili quelle sue particolarissime iridi castane.

Come scusa?!”. Travis parve, infine, allarmato. Indovinai senza problemi la reazione che avrebbe potuto avere: il programma del giorno seguente non sarebbe piaciuto nemmeno a lui, ma vederlo così a disagio e quasi spaventato mi faceva provare un briciolo di soddisfazione. “Perché?”, mi chiese ancora più in panico.

Per lavoro! Per cosa credi?!”, esclamai mettendomi subito sulla difensiva. “Mi servono degli scatti con una location diversa da questa”, con un gesto confuso della mano indicai la piscina. “E mi servono subito. Ne ho parlato con mio padre e si è divertito a combinare ancora me e il nuoto!”.

Mi squadrò dalla testa ai piedi. Ancora.

I suoi occhi ardevano di rabbia, in quel momento, forse della stessa rabbia di quell’occasione nella stanza delle scope, ma se credeva di essere il più dispiaciuto per il disastroso andamento degli eventi si sbagliava di grosso.

Lo vidi abbassare lo sguardo per un momento, per poi stropicciarsi gli occhi, come se fosse improvvisamente stanco, e sospirò profondamente prima di ritrovare l’uso della parola.

Bene, cercherò di non perdere il controllo, né ora né domani. Sei la figlia dell’allenatore, quindi una privilegiata qui dentro”, disse con un sorriso beffardo sul quel viso che avrei preso volentieri a schiaffi fino a farlo sanguinare.

Sembrava essere partito bene, ma dopo quelle parole mi ricredetti. “Puoi ripetere?”.

Fammi finire di parlare, Maya!”, mi zittì. “Che qui dentro sei una privilegiata lo sai anche tu, quindi cercherò di comportarmi a modo, domani”.

Benissimo, ma non sono assolutamente una privilegiata, stupido!”, mi scaldai. “Nessuno mi conosce qui dentro, a parte te, e ho rimesso piede qui dentro poco neanche un mese fa dopo anni”.

Quella conversazione si trasformò in un’altra gara tra sguardi di ghiaccio.

Conoscevo appena Travis, ma cominciavo ad odiarlo davvero. Non riuscivo a capire il motivo di tutto quell’odio reciproco, ma di una cosa ero certa: la giornata seguente sarebbe stata veramente l’inizio della fine.

Convinta tu, comunque domani parto da qui alle otto. Io avrò la mia macchina e tu la tua”, disse stizzito ancora come un adolescente.

Continuai a guardarlo in cagnesco. “Bene!”.

Bene!”, lui fece altrettanto e dopo quella classica scena da film me ne andai, sentendomi il suo sguardo perforarmi la nuca.



*

Salve bella gente!
Prima di parlarvi di questo capitolo, come di consueto, VOGLIO RINGRAZIARE TUTTI QUANTI!
Sto facendo i salti di gioia per quanto l'ultimo capitolo è stato apprezzato! Non ero del tutto convinta di introdurre qualche POV, ogni tanto, ma tutti voi mi avete fatto capire che non è una brutta idea e che ce la posso fare!
Quindi... GRAZIE a chi ha recensito, a chi ha messo tra le preferite o le seguite la mia storia (la solita solfa, penserete... Beh probabile, ma mi sento in dovere di farlo!) e a chi ancora continua a sostener me, la mia storia e i miei personaggi! GRAZIE DI CUORE!

Detto questo... Lo so, questo capitolo non è un gra ché e mi rendo conto che, alla fine dei conti, non succede nulla di eclatante, ma sono stata costretta ad interrompere in questo punto la storia e non vi svelerò il perchè! (non uccidetemi!)
Basta con gli sproloqui! Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio e un abbraccio enorme,
Chiara!

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Capitolo 6
*** 5. Al Mare ***


Maya6




*****



La notte dormii malissimo: continuai a rigirarmi nel letto senza riuscire a smettere di pensare alla terribile giornata che mi aspettava il mattino seguente. Ero sicura che non sarei riuscita a sopportare così tanto tempo la presenza di Travis, in particolare costretta com’ero dalle circostanze.

Il mio corpo si rifiutava di compiere uno sforzo fisico del genere.

Avevo quasi il voltastomaco, ma il pensiero che dopo aver fatto quegli scatti sarebbe tutto finito, mi risollevava un po’ l’animo e mi dava quel briciolo di forza per alzarmi dal letto.

Mi svegliai con la testa che frullava, piena di pensieri e terribili sensazioni e con una leggera sensazione di nausea a completare il quadretto, ma cominciai a prepararmi.

Per colazione non riuscii a mangiare più di uno yogurt per colpa dello stomaco ancora in subbuglio, dopodiché buttai un paio di teli da mare in una borsa insieme a qualcosa da mangiare e ad un immancabile libro.

Mi infilai velocemente sotto la doccia, con la testa che ancora girava, poi indossai un costume da bagno sotto una vecchia tuta sportiva.

Quando mi specchiai quasi mi prese un colpo: quegli occhi verde mare che tanto mi piacevano erano spenti e senza espressione e anche i miei ricci scuri sembravano partecipare al mio disagio, flosci com’erano sulle spalle.

Mandai tutto al diavolo e mi costrinsi ad uscire.

Per essere fine settembre faceva già parecchio freddo, ma se proprio ero costretta ad andare in spiaggia, un tuffo in acqua ero obbligata a farlo.

Quando fui fuori dal mio appartamento e scesi in strada mi accorsi di quanto fosse quasi pungente il freddo mattutino. Anche se qualche spiraglio di sole combatteva tenace il sottile strato di nuvole, il suo calore si sentiva a stento.

Salii in macchina e partii.

Arrivata davanti al palazzetto mi accorsi che Travis non era ancora arrivato. Sbuffai, pronta a rinfacciargli il suo ritardo appena l’avrei visto, e mi misi a leggere il libro che mi ero portata dietro.

Mancavano circa dieci minuti alle otto.

Sei tu in anticipo, scema!

Ancora oggi non ricordo quanto tempo passò, ma mi accorsi di Travis solamente quando venne a bussare al finestrino. Alzai lo sguardo e vidi una strana espressione sul suo viso, ma quando scesi non osai chiedergli il perché.

Anche lui indossava un paio di pantaloni sportivi e una felpa con il cappuccio tirato su. Sembrava anche lui davvero stanco e stremato e le borse sotto gli occhi parvero confermare la mia teoria, restava comunque indubbiamente e fastidiosamente bello.

Come altre volte, in quel momento Travis mi sembrò troppo vicino a me, ma anche in quell’occasione non potei fare a meno di muovere qualche passo indietro, finché non trovai la macchina alle mie spalle.

Ciao Maya”, mi saluto Travis con un tono di voce che non mi era ancora capitato di sentire.

Buongiorno Travis”, gli risposi appoggiandomi alla macchina.

All’improvviso vidi apparire un sorriso ed uno sguardo divertito.

Non mi sembra stare poi così male!

Lo guardai insospettita con un sopracciglio sollevato, ma i suoi occhi erano rivolti altrove. “Buongiornoti ho fatta veramente arrabbiare”, disse ridendo.

Lo guardai inferocita, ma non feci altro che peggiorare le cose e farlo ridere ancora di più. E mentre lui continuava io stavo già cominciando a perdere la pazienza.

Respirai a fondo fino a quando dopo alcuni istanti lui smise di deridermi e si calmò. Il mio sguardo era spazientito, ma Travis, bello, beato e ignaro dei miei nervi alterati, non sembrava essersene accorto: i suoi occhi mi fissavano con intensità, colmi di qualcosa a cui non riuscivo a dare un nome.

E proprio quello sguardo sembrò far tremare qualcosa dentro di me anche se non riuscii a capire cosa fosse, ma quegli occhi mi misero terribilmente a disagio. In ogni caso non potevo permettermi di mostrarmi troppo malleabile davanti ad uno come Travis.

Restammo lì impalati, a fissarci per una manciata di secondi e mi parve che lui cercasse di farmi capire qualcosa che, però, non afferrai.

Ti volevo chiedere un favore, Maya…”, mormorò senza però staccare lo sguardo dal mio.

Lo fissai stupita, quasi stralunata, ma lui non diede segno di cedimento e rimase molto serio. “Un favore, a me? Ti rendi conto di quello che stai dicendo?!

Perfettamente. Non sto affatto bene oggi e ti volevo chiedere se, gentilmente…”, sul suo viso aleggiò un mezzo sorriso. “… se potevo salire in macchina con te”.

Travis si avvicinò a me di un mezzo passo, accorciando la distanza tra noi due e con lo sguardo ancora posato sul mio.

Non riuscivo davvero a capacitarmi e a descrivere la sensazione dei suoi occhi su di me: odiavo Travis, ma per qualche strana ragione quel suo strano sguardo mi faceva rabbrividire ogni volta che cominciava a fissarmi.

Se ne stava davanti a me, statuario e misterioso a guardarmi come un leone che ha appena adocchiato la sua prossima preda, anche se era visibilmente stanco.

Ma di una cosa ero certa: non gli avrei mai più permesso di trattarmi come aveva fatto in quella stanza delle scope.

Mi resi conto, inoltre, di quanto fosse lunatico.

Mi aveva intimato di non creargli più problemi, ma dopo avermi confidato quanto fosse difficile sua madre. Si era dimostrato quasi terrorizzato all’idea di passare con me la giornata, mentre in quel momento era davanti a me con quello sguardo quasi famelico, dopo avermi deriso.

Davvero non riuscivo a capirlo, ma forse non ci volevo neanche provare. Non riuscivo nemmeno a capire perché mi stesse sempre così vicino.

Cercai di riprendere il controllo, prima di decidermi a rispondere. Presi un profondo respiro.

Cos’ha fatto la diva, oggi?”, dissi con un sorriso beffardo sul viso.

Vidi Travis irrigidirsi e alzare un sopracciglio.

Stavo perfettamente riuscendo nel mio tentativo di farlo innervosire.

Tu continua pure a divertirti con questi nomignoli, ma questa volta sono serio”, il suo tono di voce era duro ed aspro. Cattivo. “Davvero, non sto affatto bene oggi e ti sarei grato se per una sola volta mi ascoltassi”.

Va bene”, esclamai esasperata. “Ma solo per questa volta. Non so cosa tu possa avere, se uno dei tuoi soliti capricci o altro, ma sappi che lo faccio solo perché la strada l’avrei dovuta fare in ogni caso”, aggiunsi mettendomi sulla difensiva. Non potevo dargli appigli o cui aggrapparsi.

Okay”, mi rispose stizzito. “Vado a prendere le mie cose dalla macchina”.

E come uno dei soliti cliché, si avviò verso quello che pareva un ultimo modello di BMW sportiva, grigio metallizzato. Mancava solamente la modella bionda e statuaria sul cofano e, quella, sarebbe diventata la perfetta scena per una campagna pubblicitaria.

Un classico, pensai.

Partimmo dal parcheggio quando erano quasi le otto e trenta, con il baule della mia macchina straripante di borse e borsoni di Travis.

Per tutto il viaggio fino alla spiaggia nessuno disse niente, l’unica voce a sentirsi fu quella della radio. Una situazione davvero imbarazzante.

Dopo circa quindici minuti mi accorsi che Travis dormiva beato.

Continuai a guidare, seguendo le indicazioni che lui mi aveva dato prima di accoccolarsi tra le braccia di Morfeo, prestando attenzione alla strada e ogni tanto alla radio, resistendo alla tentazione di svegliarlo. Magari con una suonata di clacson, il ché era molto allettante.

Arrivammo poco prima delle nove al parcheggio prima della spiaggia che mi aveva indicato Travis. Spenta l’auto, mi voltai verso di lui e vidi che dormiva ancora.

Mi fermai alcuni secondi a guardarlo. Sembrava così innocuo, così tranquillo. Portava ancora il cappuccio della felpa sollevato sulla testa, che era poggiata al finestrino. Si intravedeva un ciuffo dei suoi capelli castani come le sopracciglia folte. Aveva il viso rilassato, da bambino e le labbra socchiuse. Aveva delle belle labbra, dovetti ammetterlo.

Era indubbiamente bello, ma ogni volta che si formava quel pensiero nella mia testa tornava fuori la questione del carattere: tremendamente difficile ed arrogante.

Sentivo il suo respiro profondo e regolare.

Non potei fare a meno di chiedermi come, un ragazzo  che sembrava così calmo e docile, potesse essere in realtà un perfetto idiota.

Cercai di non pensarci troppo e di non farmi ingannare da quel bel faccino, così uscii dalla macchina silenziosamente, dopo aver lasciato un biglietto a Travis e lo lasciai lì, dirigendomi alla spiaggia.

Mi incamminai verso il litorale, infreddolita a causa dell’aria che proveniva dal mare. Sulla spiaggia non si vedeva anima viva, così decisi di sistemarmi tra alcune piccole dune per ripararmi e per riuscire a passare il più inosservata possibile.

Anche se pareva una giornata fresca anche sotto il sole, piantai comunque il mio vecchio ombrellone, da poco riesumato dal ripostiglio del mio appartamento. Dopo aver steso il telo da mare, per metà al sole e per metà all’ombra, mi ci stesi sopra e provai a rilassarmi un momento.

Chiusi gli occhi, concentrandomi sul debole rumore del vento e delle onde che invadevano il litorale deserto e anche sul verso dei gabbiani di passaggio: riuscii a trovare uno di quei rari momenti nei quali nella mia testa non girava nulla a velocità astronomiche.

Probabilmente mi addormentai perché, quando riaprii gli occhi, il sole era più alto. Controllai il telefono entro la mia borsa e mi accorsi di essermi appisolata per più di una mezzora: erano le nove e quarantacinque.

Mi alzai e vidi che di Travis ancora non si vedeva l’ombra. Sbuffai, cominciando a parlottare tra me e me di come potevo essere finita in guaio simile.

Oltre ad essere un disastro di proporzioni astronomiche, si stava dimostrando anche completamente inaffidabile. Mi maledissi per aver riposto così tanta fiducia in lui per il mio lavoro.

Mi ripetei che ne valeva la pena e che, prima o poi, sarebbe finito quel supplizio. Sicuramente, in buona parte, era anche colpa mia, che ingigantivo le cose solamente per aver ragione, ma anche lui non si risparmiava: era terribilmente fastidioso e ogni volta si dimostrava il lunatico per eccellenza; preferii smettere di pensare a quel ragazzo che ancora dormiva nella mia auto.

Frugai dentro la mia borsa e presi tra le mani la mia macchina fotografica.

Dopo essermi avvicinata all’acqua, cominciai a catturare le immagini più belle cercando, inoltre, di renderle indelebili non solo nella mia mente. Riuscii ad isolarmi nella tranquillità che solamente la fotografia riusciva a regalarmi.

Mi allontanai un po’ da dove avevo lasciato tutte le mie cose sulla spiaggia, ma in ogni caso ancora non si vedeva nessuno.

Per circa mezzora continuai a scattare fotografie e a non pensare ad altro che ai miei scatti… finché qualcuno non mi chiamò in lontananza. Voltai lo sguardo verso la voce e vidi che, finalmente, la diva aveva deciso di svegliarsi.

Mi incamminai per tornare all’ombrellone con i piedi dentro l’acqua e i pantaloni tirati su fino al ginocchio.

Il mare era ancora molto freddo e cominciai a chiedermi come avrebbe fatto Travis ad allenarsi.

Quando arrivai vicina all’ombrellone, lo vidi impegnato a montare quella che sembrava una tenda da campeggio. Appena mi resi conto della cosa, mi presi il viso tra le mani ridendo e maledicendo il giorno in cui avevo chiesto aiuto a mio padre.

Raggiunsi Travis e incrociai le braccia al petto godendomi lo spettacolo che mi stava fornendo quella diva tremendamente piena di se, mentre cercava, con scarsi risultati, di montare quella maledettissima tenda.

Avevo un sorriso divertito stampato sul viso, a causa della sua sbadataggine e delle sue imprecazioni che ogni tanto mi regalava.

Dopo quelle che mi sembrarono decine di minuti, Travis riuscì nel suo intento e si rimise dritto.

Finalmente si accorse della mia presenza e, non appena incrociò il mio sguardo, scoppiai in una risata sonora.

Lui mi fulminò, poi cominciò a sistemare le sue cose dentro la tenda, mentre io ero ancora occupata a ridere di gusto.

Era troppo per te aiutarmi, vero?!”, disse scocciato. “Certo, una figlia di papà come te che, sicuramente,avrà avuto la vita facile, non deve essere stata abituata a lavorare. Perché avresti dovuto, poi?”. La mia risata si spense in un battito di ciglia e cominciò a salire dentro di me un’incredibile ondata di rabbia. “Con un padre famoso avrai avuto tutti i lussi possibili, magari anche qualcuno che ti facesse i compiti, quando eri bambina. Tutto questo per farti fare il meno possibile”.

Serrai i punti sui fianchi e, quando abbassai lo sguardo, notai le nocche bianchissime. Aveva esageratamente superato il limite, ma non si fermava, continuava a blaterare sulla mia vita a sproposito, come se mi conoscesse. Sentivo il viso bruciare dall’ira e i pugni tremare dal nervosismo.

Zitto!”, sibilai a denti stretti, ma Travis sembrava non avermi sentito.

Per carità, tuo padre è una brava persona, ma con te sembra aver sbagliato su tutti i fronti”. Tornò dritto e cominciò a spogliarsi, ma nemmeno la sua serie di addominali scolpiti riuscì a calmarmi. Poi alzò il capo, con un sorriso divertito sul volto, come se fosse stato appena illuminato da un’idea geniale. “Forse… forse, invece, è solamente colpa di quel caratteraccio che ti ritrovi e, in questo caso, sarebbe solamente colpa tua”.

Indossava solamente il costume da bagno ed aveva ricominciato a rovistare nel suo borsone. Poi si avvicinò a me di qualche passo. Lo guardai inferocita, anche se lui non sembrava fare una piega.

Io ero sempre rimasta in piedi, impalata e immobile per colpa di tutta la rabbia che mi scorreva nelle vene, surriscaldandomi la pelle, come se fosse diventata di fuoco. Non osavo abbassare lo sguardo da quello di Travis, ma i miei occhi irati non sembravano scalfirlo.

Non mi sorprende che tu, in questo momento, sia…”. Il finale della frase di Travis non uscì dalla sua bocca, ma sentii solamente il rumore dello schiaffo che avevo assestato sulla guancia dell’idiota che mi si era parato di fronte.

Lui mi guardò allibito, con la mano poggiata dove già cominciava a vedersi un pronunciato rossore.

Mi decisi a respirare a fondo, per paura di continuare la mia serie di schiaffi che, sicuramente, sarebbe stata infinita. Sentii gli occhi cominciare a pungere, ma mi imposi di non piangere davanti a Travis, anche se solo per nervosismo.

Ti ho detto di stare zitto!”, gli intimai. “Tu non hai la più pallida idea di cosa mio padre ed io abbiamo passato! È stato tutto tranne che facile! Non puoi permetterti di sputare sentenze a caso come se ci conoscessi, perché non è assolutamente così! Mio padre è stato più che meraviglioso con me e anche con i suoi allievi e il suo lavoro, ma ancora non capisco come possa portare su un vassoio d’argento uno stronzo come te!”.

Cominciarono a rigarmi il viso alcune lacrime, non potei evitarlo: il nervosismo e la rabbia avevano avuto la meglio, ma non avevo nessuna intenzione di mostrarmi debole. Non gli avrei concesso nessun altro piccolo vantaggio.

Lo sguardo di Travis non fece trapelare nulla e non si azzardò nemmeno a proferire parola, ma abbassò il capo e si incamminò verso il mare.

Molto più facile così, vero?!”, dissi con un tono tale da potermi far sentire anche da lui che cominciava a distanziarsi.

Mi asciugai le lacrime con la manica della felpa e sbuffai, mentre mi sedetti sul mio telo, ancora furiosa. Scattai qualche altra fotografia per cercare di calmare i nervi, di cui un paio anche a Travis che camminava verso l’acqua più alta.

Volevo assolutamente che tutta quella maledetta storia finisse. Cominciai a respirare profondamente.

Non mi ero mai azzardata, in vita mia, ad alzare le mani su qualcuno, ma in quell’occasione Travis aveva davvero esagerato. Aveva osato parlare come se conoscesse me oppure la storia della mia famiglia.

Certo, avevo fatto una cosa simile anche io con lui, ma ero riuscita a fermarmi prima di oltrepassare il limite, prima di andare sul personale.

Tirai fuori dalla borsa il vecchio libro e cominciai a leggere, cercando di lasciarmi alle spalle lo schiaffo. Poi mi resi conto che non ce la facevo: mi tremavano ancora le mani.

Riposi il libro dove lo avevo preso e affondai le dita nei miei capelli.

Continuai a chiedermi come avevo fatto a finire in guaio simile. Alzai lo sguardo e vidi Travis impegnato nel suo allenamento di stile libero: era palesemente bravo ed elegante mentre nuotava e se me lo fossi trovato davanti agli occhi in circostanze normali, ci avrei fatto un pensierino… ma per quel poco di lui che avevo conosciuto, mi dissi che non ne valeva assolutamente la pena.

Per l’ennesima volta mi alzai in piedi e presi tra le mani la mia macchina fotografica. Mi avvicinai al litorale, zoomai su Travis e cominciai a scattare, sperando ancora una volta che quelle foto sarebbero andate bene alla direttrice della rivista.

Secondo il mio punto di vista, sembrava che una decina di scatti fosse accettabile, ma non si poteva mai sapere. E con la fortuna che l’universo mi riservava in quel periodo, tutto era un’incognita.

Io ero diventata un’incognita.

*

Ciao bella gente... Lo so, questo capitolo non è lunghissimo, ma siamo nel bel mezzo di un pezzo cruciale e abbastanza lungo, infatti cercherò di aggiornare più spesso per non far perdere il filo a nessuno! Spero di non deludervi!
Come al solito, GRAZIE INFINITE A TUTTI VOI, a chi legge, chi recensisce... TUTTI! <3
Vorrei abbracciarvi uno ad uno!
Comunque... Fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo e di come procede la storia, vi prego!
Un abbraccio,
Chiara :)

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Capitolo 7
*** 6. Odio Reciproco ***


Maya6




*****



Restai in piedi, a riva, per quelle che mi parvero ore, fino a quando non mi resi conto che il sole cominciava a riscaldare l’ambiente, anche se in cielo si vedevano ancora parecchie nuvole. E dall’aspetto poco amichevole, tra l’altro.

Tornai all’ombrellone per sfilarmi sia la felpa che la maglietta, così rimasi solamente con i pantaloni della tuta ed il costume.

Mi soffermai alcuni secondi a guardare la specie di tenda da campeggio che Travis si era portato dietro e che, in quel momento, mi trovavo davanti. Sorrisi ancora al ricordo di Travis che imprecava al vento, senza sapere cosa fare.

La scena più esilarante degli ultimi tempi, pensai.

Devo essere stato veramente spassoso, se te la stai ancora ridendo”, disse Travis con voce tagliente.

Quasi trasalii al suono di quella voce e, appena mi voltai verso di lui, il mio sorriso si spense.

Lo trovai a meno di un metro da me, con la pelle che brillava di gocce d’acqua e i capelli ancora zuppi, incollati alla fronte.

Diamine…

Lo gelai ancora con lo sguardo, riducendo gli occhi a due fessure.

Se avessi potuto, lo avrei addirittura fulminato.

Si, una scena fantastica”, incrociai le braccia al petto, come per proteggermi, ed assunsi un espressione saccente. In qualche modo dovevo rafforzare il muro che, poco prima, Travis aveva scheggiato. “E mi hai anche stupita: da te mi sarei aspettata solamente di peggio”.

Mi voltai ancora e, davanti al mio ombrellone, mi sfilai anche i pantaloni e sciolsi i capelli.

Cominciai ad incamminarmi verso il mare con l’intenzione di passare il meno tempo possibile in compagnia di Travis. Sicuramente sarebbe andato a beneficio della salute di entrambi.

Dove stai andando, Maya?”.

Mi bloccai di colpo, a metà strada, e strinsi i pugni, conficcando le unghie nei palmi.

Inspirai a fondo prima di rivolgere l’ attenzione ancora a quel ragazzo esasperante, che era impegnato a smontare la parte anteriore della tenda, trasformandola in una specie di capanna.

Mi chiesi dove avesse preso quell’aggeggio tanto strano.

Ti ho chiesto dove stai andando, Maya”, disse guardandomi con sguardo assente, come se fossi degna di poca attenzione. Poi si alzò ancora in piedi, passandosi il suo telo da mare sul corpo.

Accidenti!

Vado in acqua… la tua vicinanza mi irrita!”.

L’ombra di un sorriso aleggiò sul suo viso. “L’acqua è gelata, Maya, e…”. Il suo sguardo indugiò per una manciata di secondi sul mio corpo, forse facendomi delle analisi più che accurate. “Uno scricciolo come te sembra destinato ad ammalarsi al minimo colpo di freddo”.

Oh adesso ti preoccupi per me, Travis? Ma che dolce!”, esclamai con il miele nella voce. Tornai subito sui miei passi, scuotendo la testa, più contrariata che mai. “Ciao!”, dissi salutandolo con la mano sollevata sopra la testa.

Quello era stato il colmo: dopo le sentenze che mi aveva sputato in faccia senza il minimo ritegno, nemmeno un’ora prima, aveva avuto anche l’accortezza di preoccuparsi per me.

Solamente quando misi i piedi nell’acqua mi dissi che, in fin dei conti, Travis non aveva tutti i torti: l’acqua era davvero fredda; ma continuai nella mia crociata, ad andare avanti e ad immergermi sempre di più, convinta più che mai a non dargliela vinta.

Quando tutto il mio corpo fu coperto dall’acqua, sentii la pelle pungere e i piedi cominciare ad intorpidirsi, ma mi dissi che tutto quello non poteva fare ché bene alla circolazione, così tentai di rilassarmi.

Cominciai a galleggiare, bagnando i capelli e rabbrividendo.

Mi immersi e nuotai, fino a quando riuscii, godendomi quei pochi momenti di tranquillità assoluta. Aprii gli occhi sott’acqua e quello che trovai davanti a me fu il nulla: la sensazione di pace e calma, che mi avvolgeva come una coperta, non poté che aumentare.

Tornai in superficie e gli occhi bruciavano a causa del sale, tuttavia, almeno il mio corpo cominciò ad abituarsi leggermente al freddo dell’acqua.

Continuai quella mia piccola routine per un tempo che mi parve infinito, fino a quando non si alzò una lieve brezza che rinfrescò ancora di più la giornata.

Lanciai un’occhiata al cielo sopra di me e notai che le nuvole cominciavano ad addensarsi, ma la prospettiva di tornare all’asciutto, con Travis a fianco, mi faceva preferire nettamente il gelo e il vento in acqua.

Cominciava, però, a farsi sentire davvero tanto, il freddo, e i capelli zuppi d’acqua non aiutavano di certo.

Ad un certo punto mi voltai verso la spiaggia e notai che Travis non era più al suo “accampamento”, e il mio primo pensiero andò alla mia auto, ma poi vidi spuntare la sua testa dall’acqua ad una decina di metri da me, così il mio panico venne sostituito da disapprovazione.

Mi chiesi per quale assurdo motivo mi stesse raggiungendo.

L’acqua mi arrivava quasi al mento, così decisi di avanzare qualche passo verso la spiaggia, ma così facendo mi trovai praticamente faccia a faccia con Travis.

Lo guardai per alcuni secondi, cercando di restare impassibile, prima che lui cominciò a parlare. “Trovi l’acqua di tuo gradimento, Rambo?”, mi chiese, con un sorrisetto compiaciuto sulle labbra, alla vista della pelle d’oca delle mie spalle fuori dal livello dell’acqua.

Rambo?! Il tuo senso dell’umorismo si limita a questo?”, dissi ridendo, ma di una risata sarcastica, di scherno.

Ricominciai a camminare verso la spiaggia, decisa più che mai a mettere più distanza possibile tra me e lui.

Man mano che mi avvicinavo a lui, mi resi conto di come le apparenze potessero davvero ingannare: sembrava un bravo ragazzo… un gran bel bravo ragazzo, ma si era dimostrato arrogante già dal primo momento e le cose, con il passare del tempo, non erano per nulla cambiate.

Quando arrivai al suo fianco, mi bloccò il braccio con la mano e cominciò a fissarmi con uno sguardo che non ero ancora riuscita a scorgere: pareva andasse tra il disprezzo e… il desiderio? Non riuscivo a dargli un nome.

Quella era una delle tante volte in cui Travis mi sembrava pericolosamente vicino.

Aveva abbassato il suo viso verso di me, in modo che fossero davvero pochi i centimetri a separarci.

In quel momento mi sentii davvero piccola e quasi insignificante al suo fianco, così alto e possente.

Qualcosa sembrava essersi acceso nel suo sguardo e, proprio quel qualcosa, mi fece salire un brivido lungo la schiena.

Ricordai la vicenda dentro la stanza delle scope, dove Travis mi aveva fatto davvero paura… e sospettavo che anche in quell’occasione si potesse ripetere una cosa simile, ma lì, al mare, ero da sola. Anche se avessi avuto la forza di urlare e di scappare, non sarei riuscita ad andare molto lontano.

Non riuscivo a capacitarmi del perché si rivelasse così lunatico, quel ragazzo: iniziava a diventare snervante.

Che cosa vuoi, Travis?”, riuscii finalmente a ripescare un po’ di fiducia in me stessa e biascicai quelle poche parole. Quella, però, non mi sembrò affatto la mia voce.

Non lo so nemmeno io, ma il tuo atteggiamento mi… oddio… non lo so, Maya, ma mi fai innervosire! In un modo in cui nemmeno mia madre riuscirebbe!”, esclamò stizzito.

Si voltò verso di me e me lo ritrovai davanti. Avevo un muro umano davanti agli occhi.

Il vento continuava a soffiare leggero, ma fastidioso e freddo, facendomi rabbrividire ancora una volta.

Volevo tornare alla spiaggia, asciugarmi e avvolgermi ancora nella mia felpa. Solo quello e magari tornare nel mondo immaginario del mio libro.

Avevo la tremenda sensazione che quel particolare momento non avrebbe portato nulla di buono.

Allora lasciami in pace, Travis! Ci odiamo a vicenda, oramai è palese…”.

Mi liberai dalla sua presa che, nel frattempo, era rimasta ben salda sul mio braccio.

Gli rivolsi un ultimo sguardo truce prima di incamminarmi a rilento verso la riva, con i passi frenati dall’acqua che mi arrivava poco più su della vita.

La frustrazione mi attanagliava: il mio non riuscire ad inquadrare quel ragazzo non faceva altro che innervosirmi. Non riuscivo a capire cosa volesse, ma poi pensai che, probabilmente, non lo sapeva nemmeno lui.

Finalmente uscii dall’acqua e il mio corpo fu scosso da tremiti, così corsi fino all’ombrellone per coprirmi con il mio telo il prima possibile.

Mi abbassai sulla mia borsa e scoprii che erano quasi le undici e trenta. Il telefono, oltre a segnalarmi l’orario, mi spiattellava in faccia il nulla: nessuno mi aveva cercata, nemmeno mio padre. Poi dissi a me stessa che, nessuno, avrebbe avuto un buon pretesto per cercare proprio me.

Forse questa maledetta sincerità non è una “qualità” vera e propria…

Tornai dritta e mi resi conto che Travis mi aveva già raggiunta e che, anche lui come me, si stava avvolgendo nel telo per proteggersi da quel vento pungente.

Mi squadrò ancora, come se fosse pronto ad insultarmi e a prendermi a parolacce. Ancora.

Lo ignorai vistosamente, tamponandomi i capelli zuppi e voltando lo sguardo verso la massa d’acqua gelata di fronte a me.

Maya…”, disse lui dopo poco.

Basta!

Non avevo voglia di stare a sentirlo: ne avevo abbastanza dei suoi monologhi da lunatico. Mi voltai di scatto verso di lui, fulminandolo con gli occhi.

Travis smettila!”, esclamai esasperata. “Non ne posso più dei tuoi continui cambiamenti d’umore e dei tuoi discorsi. Basta, davvero! Per fortuna con le foto ho finito, ora, quindi tutta questa storia termina qui!”. Cominciavo ad alterarmi. “Tu non mi piaci e viceversa, da quanto mi hai fatto capire, di conseguenza non sei costretto e volermi essere amico”, aggiunsi mimando le virgolette con le mani.

Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e presi un profondo respiro, esausta.

Pensavo che, dopo aver detto tutto quello in faccia a Travis, mi sarei sentita meglio, ma la realtà era ben diversa: non era cambiato nulla, anzi mi sentivo ancora più nervosa.

Mi accorsi del leggero tremore alle mani e sembrava essersene accorto anche lui, da come faceva viaggiare i suoi occhi dalle mie mani al mio viso, inoltre sembrava che con quel suo strano sguardo fosse pronto a divorarmi, come se fossi una facile preda. E probabilmente in quell’occasione lo ero davvero.

Non riuscivo ancora a capacitarmi di come, a volte, lo sguardo di Travis riuscisse a destabilizzarmi in quel modo, a fermare il flusso di pensieri che occupava costantemente la mia mente.

Distolsi il mio sguardo dal suo, stendendo sulla sabbia ancora calda il mio telo e sedendomi sopra di esso. Cominciai a districarmi i nodi tra i capelli tra le mani, a volte imprecando mentalmente per il dolore, ma sempre senza azzardarmi a guardare in volto Travis. Non ne avevo le forze.

Mi misi a pensare a tutto quello che lui poteva aver fatto e detto di sbagliato nei miei confronti e mi resi conto che, a parte la scenata di poco prima, avevo davvero pochi motivi per incolparlo di qualcosa, ma non ero ancora riuscita a capire per quale motivo il suo comportamento mi infastidisse tanto.

Avevo la pelle d’oca su tutto il corpo: il vento ancora non si era deciso a smettere di soffiare ed il sole coperto dalle nuvole non era di grande aiuto.

Dopo essermi asciugata, indossai i miei pantaloni sportivi, mentre Travis si sistemò all’interno della sua tenda senza fiatare.

Quando alzai lo sguardo verso il cielo vidi le nuvole cominciare a farsi più nere e mi dissi che non promettevano nulla di buono. Nemmeno loro.

Decisi di lasciar perdere il mio continuo pensare senza fine e mi sistemai sotto il mio ombrellone a leggere, a lasciarmi alle spalle quel mondo e quel momento tanto strano, a lasciarmi alle spalle tutto il resto per immergermi nel mondo immaginario del mio libro.

Riuscii finalmente a rilassarmi e a svuotare la mia mente che, nei giorni precedenti, era sempre stata piena di pensieri e di paranoie.

Avevo passato un periodo difficile e snervante, ma in quel momento continuavo a leggere, e a leggere, e a leggere, estraniandomi dal mondo esterno per entrare in uno tutto mio.

In un mondo tutto mio, si… peccato che le palpebre cominciarono a farsi pesanti…

Si, andiamo in un altro mondo, solo per cinque minuti.

 

Qualcuno mi stava scuotendo la spalla.

Sarà papà. Non voglio andare a scuola!

E continuava ad agitarmi come un giocattolo, ma io non volevo andare via, però avevo freddo, tanto freddo.

Dov’è la coperta?!

“Maya!”. Quella non sembrava affatto la voce di mio padre. “Maya, svegliati!”.

Aprii leggermente gli occhi e vidi qualcuno chino su di me, senza capire bene chi fosse.

Si, sicuramente è papà!

No, ancora cinque minuti”, mugugnai.

Maya, svegliati! Sta piovendo!”, sbottò infine la voce.

Cosa… Travis!”. Aprii gli occhi e vidi Travis chino su di me, con i capelli bagnati e un’espressione stizzita negli occhi. “Cosa vuoi?”, chiesi mettendomi seduta e ritrovandomi con il suo volto poco distante dal mio.

Alle mie parole sgranò leggermente gli occhi, schiudendo appena le labbra. Sembrava sconvolto e, in quel momento di silenzio assoluto, dove i nostri sguardi rimasero stranamente incollati gli uni agli altri, capii per quale motivo lui mi stesse guardando attonito.

Mi voltai lentamente e, guardandomi attorno, capii che una forte pioggia si stava abbattendo sulla spiaggia. “Oh…


*

Ciao bella gente!
Scusate se ho tardato un po' a pubblicare questo capitolo... Comunque, spero vi piaccia anche se è un piccolo capitolo di transito! Ne succederanno delle belle (muahahah io so tutto e voi no!). 
Scusatemi, sto dilagando... Fatemi sapere cosa ne pensate e come procede la storia, mi raccomando, ci conto! :)

Come sempre ringrazio TUTTI VOI, "miei" piccoli e bellissimi lettori! Mi riempite di felicità!
GRAZIE DI CUORE a chi recensisce, a chi aggiunge la mia storia tra le sue preferite/seguite/da ricordare e chi legge in silenzio! <3
Detto questo, vi lascio... Al prossimo capitolo!
Un abbraccio a tutti,
Chiara :)

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Capitolo 8
*** 7. Terra chiama Maya! ***


Maya7




*****




Buona sera/buongiorno/buon pomeriggio (il tutto è a vostra interpretazione) bella gente!

Oggi scrivo qui su per una piccola premessa: non odiatemi quando finirete il capitolo! Diciamo che l'ispirazione in questo periodo scarseggia "assai" e mi ritrovo, spesso e volentieri, a fissare una pagina bianca senza sapere cosa scrivere!

Comunque, si lo so, sto aggiornado di rado! Mi piacerebbe pubblicare almeno un paio di capitoli a settimana, ma a volte proprio non ce la faccio... Almeno questa volta cercherò di mantenere la mia parola e di pubblicare un altro capitolo prima di lunedì! Sarò in Germania per quasi una settimana e non riuscirò a fare nulla!

Buona lettura! Ci vediamo sotto! :)


Maya, diluvia e a meno che tu non voglia prenderti una polmonite, prendi le tue cose e vai nella mia tenda. Io, intanto, chiudo l’ombrellone”, disse alzandosi.

Quando il mio cervello ebbe recepito il messaggio, ammassai tra le braccia tutte le mie cose e corsi verso la tenda, affondando i piedi nella sabbia bagnata. Mi accorsi solo in quel momento di avere parte dei pantaloni e del telo fradici.

Sistemai la mia borsa e la macchina fotografica, che fortunatamente non aveva subito danni, nel fondo della tenda, al sicuro dalla pioggia e, buttandomi la felpa ancora asciutta sulle spalle, entrai in quel rifugio di fortuna.

Travis tornò poco dopo, ancora più zuppo di poco prima, e si sistemò accanto a me, dopo essersi scollato energicamente i capelli con una mano. In quel momento mi ricordò un cucciolo bagnato, anche se di cucciolo non aveva proprio niente.

La tenda era molto più spaziosa di quello che sembrava, infatti in due si riusciva a restare comodamente seduti.

Travis, che ancora era a petto nudo, si passò velocemente il telo sul corpo, mettendosi poi in fretta e furia una maglietta e la felpa. Si strinse in se stesso, scosso da lievi tremiti.

La pioggia, nel frattempo, continuava a cadere incessante e il rumore che provocava, sbattendo contro la parete della tenda, era davvero snervante. Un continuo martellare che, pian piano, ti entrava in testa.

Sentivo il corpo completamente bloccato dal freddo, come se i muscoli non rispondessero più ai miei comandi, ma anche a causa di quella strana situazione che stavo vivendo in quel momento.

Maya, stai tremando!”, esclamò Travis quasi allarmato.

Lo fissai per alcuni con sguardo assente, del tutto comprensibile, mi dissi, analizzando bene il modo in cui mi aveva svegliata, poi mi resi conto di essere pervasa da brividi di freddo.

Oh si, ho freddo”, dissi con una voce che non sembrava affatto la mia.

Travis sospirò, quasi rassegnato, poi si avvicinò a me. “Devi toglierti questi pantaloni, sono fradici”, mormorò osservandomi.

Cos’ho fatto io di male!?

La situazione stava per diventare ancora più strana ed imbarazzante di quanto già non fosse.

Sgranai leggermente gli occhi, stupita da quanto lui mi aveva appena detto, ma poi, per una sola volta, decisi di mettere da parte l’orgoglio. Ma solamente per quel momento.

Mi sfilai i pantaloni, sentendomi la persona più goffa sulla faccia del pianeta, e con ogni probabilità lo ero davvero, in quella tenda che, si, sembrava capiente per due persone sedute, ma un minimo movimento rendeva precario ogni equilibrio. Avvicinai le gambe al petto, dopo aver gettato i pantaloni in un angolo e mi strinsi nella felpa.

Nel frattempo, Travis aveva preso dal suo borsone quella che sembrava una coperta a motivo scozzese.

Quando riuscii a scorgere una piccola parte del suo volto e riconobbi quel suo sorrisetto divertito sulle labbra e, come di consueto, mi fece leggermente innervosire.

Perché stai ridendo, ora?”, chiesi stizzita.

Lui mostrò la sua serie di denti perfetti, senza però guardarmi, e soffocò una risata.

Rido perché in questo momento sembri più una bambina indifesa, invece che la ragazza con la lingua biforcuta che sei in realtà”, disse guadandomi negli occhi.

Dissi a me stessa che, la fitta nel ventre che avevo appena sentito, non poteva essere causata dal suo sguardo.

Avrai preso freddo, scema!

Di certo, quella piccola parte del mio cervello che utilizzava ancora un briciolo di ragione, non mi era d’aiuto in quel momento.

Aprii la bocca per replicare con una delle mie solite frecciatine, ma poi mi venne da ridere e lasciai perdere la questione.

Guardai ancora fuori dalla tenda e notai che, se possibile, la pioggia era addirittura aumentata.

Sentivo ancora lo sguardo di Travis addosso, ma non osavo voltarmi e guardarlo in faccia, poi si spostò leggermente e con una zip, comparsa da chissà dove, chiuse la tenda, restringendo il nostro raggio d’azione.

Chissà per quale assurdo motivo avevo la sensazione che, quella pioggia non avrebbe portato nulla di buono.

Vidi con la coda dell’occhio lui spostarsi leggermente verso di me aprendo la coperta scozzese.

Quella non era assolutamente la situazione che mi sarei aspettata di vivere insieme a Travis, non era quello che mi ero immaginata quella mattina, appena uscita di casa. Mi sentivo estremamente a disagio, anche se sembrava non esserci nulla di preoccupante.

Almeno non ancora.

Vieni qui, Maya”, disse Travis dopo alcuni attimi, distogliendomi dai miei pensieri.

Guardai Travis e lo trovai spostato più indietro, come se aspettasse che mi gettassi tra le sue braccia.

E allora fallo!

Ecco che, nei momenti meno opportuni, arriva la parte decisamente non razionale del mio cervello.

Lo fissai dubbiosa, non avendo ben capito cosa volesse da me, ma lui si mostrava tranquillissimo.

Hai capito benissimo, invece, testona!

Come, scusa?”, esclamai, dopo aver cercato di scorgere qualcosa nel suo sguardo.

Vieni qui da me, Maya! Non ho nessuna intenzione di farti del male, se è questo a preoccuparti”, rispose in tono esasperato, alzando gli occhi al cielo.

Come poteva essere cambiata così tanto in così poco tempo, la situazione che stavo vivendo?

Lo sguardo impertinente, anche se un po’ tediato, di Travis sembrava volesse chiedermi di fidarmi di lui.

Come posso!?

Con quale coraggio potevo porre un minimo di fiducia in lui quando, fino a neanche un paio d’ore prima, aveva sputato sentenze tutt’altro che leggere su di me?

Lo guardai ancora, per alcuni secondi, senza sapere cosa fare oppure come interpretare il suo sguardo forse spazientito dalla mia titubanza. Probabilmente non aveva capito quanto mi avesse spiazzata.

Alla fine mi decisi e per una volta assecondai la sua richiesta, avvicinandomi a lui.

Finalmente”, mormorò ancora esasperato, quando gli fui davanti. “Ora girati e siediti”. Obbedii ancora.

Appena mi voltai, Travis, fece passare sopra la mia testa la coperta e me la posò addosso, poi si avvicinò ancora a me e mi ritrovai improvvisamente imprigionata tra le sue braccia.

Sgranai gli occhi, scioccata e forse un po’ preoccupata da quel momento. Ero praticamente chiusa a riccio, con la schiena poggiata al petto di Travis, mentre lui, seduto, accerchiava le mie gambe con le sue. Le sue braccia, strette sulla coperta, mi circondavano il collo, ma la cosa che mi mise a disagio più di tutte fu il suo mento poggiato sulla mia spalla ed i nostri volti terribilmente vicini.

Travis…”, dissi, quasi impaurita. “Che diavolo stai facendo?! Smettila!”.

Provai a divincolarmi, ma i miei tentativi si rivelarono completamente inutili perché lui, da grande simpaticone che era, non fece che rafforzare la sua stretta su di me. Non riuscivo a muovermi e, piccola com’ero rispetto a lui, non avevo alcuna possibilità di uscire vincitrice da quel confronto.

Stai zitta, almeno per una volta, Maya. Sia tu che io stiamo congelando, quindi questa è la nostra unica soluzione possibile”. Il suo alito soffiava sulle mio orecchie, facendomi il solletico. “A meno che tu non voglia uscire da questa tenda e raggiungere la tua auto, è ovvio”, aggiunse sarcastico.

Ha pure voglia di fare il simpatico!

Ascoltai la pioggia che ancora sferzava contro quel trabiccolo, costretta a rassegnarmi alla condizione in cui mi trovavo. Misi il broncio.

Scossi leggermente la testa, rassegnata, e sbuffando esasperata.

Di certo, quando ero uscita di casa quella stessa mattina, non mi sarei mai immaginata che sarei finita prigioniera delle braccia di Travis, in quella tenda che ancora resisteva tenacemente alla pioggia.

Quindi, vuoi andare la fuori, Maya?”, mi chiese sfidandomi, sempre soffiandomi sull’orecchio.

No, resto qui, ma non pensare che questa situazione mi vada a genio, perché non è così!”, esclamai innervosita. “Penso di non essermi mai sentita tanto a disagio come in questo momento”, aggiunsi con un mormorio, più a me stessa che a Travis, chiudendomi ancora di più a riccio, sperando di mettere una manciata di centimetri di distanza tra il suo corpo e il mio.

Pensi davvero che io sia a mio agio, Maya?”, chiese lui, ridendo. Mi strinse ancora di più, rendendo vani i miei tentativi di allontanarmi da lui. Il suo mento era ancora poggiato sulla mia spalla.

Con la coda dell’occhio potevo scorgere parte del suo viso e sembrava molto più tranquillo di quanto voleva par apparire, ma pensare che anche lui si sentiva leggermente a disagio, mi risollevava un po’ il morale.

“Beh, almeno questo mi fa sentire un po’ meglio”, sussurrai con un mezzo sorriso stampato sulla faccia.

Non ho alcun dubbio che, qualcosa che dia fastidio a me, faccia piacere a te, Maya”. Rise ancora.

Si può sapere per quale motivo, ogni volta che mi dici qualcosa, ripeti il mio nome?”, gli chiesi curiosa.

Non me ne ero accorta fino a quel momento, ma, man mano che ripercorrevo con la mente le nostre brevi conversazioni, mi rendevo conto che il mio nome compariva spesso e volentieri.

Rimase zitto un momento, Travis, e con la coda dell’occhio vidi la sua fronte aggrottata, poi parlò: “Non lo so, mi viene naturale, Maya”, disse incerto, con una risata imbarazzata. “Vedi? Non so dirti il perché… forse perché mi piace il tuo nome e come suona”.

Le sue parole furono sorprendenti, per me.

Mi irrigidii e mi voltai a guardarlo.

Non appena mi girai, una fitta di dolore mi colpì il collo, facendomi mancare per un momento l’aria nei polmoni. D’istinto mi portai la mano sul punto dolente.

Alzai lo sguardo ancora un po’ stralunato da quel frangente e, a pochi centimetri dal mio, trovai il suo viso.

Dannazione!

Restai per la seconda volta senza fiato.

Gli occhi cangianti di Travis, quella volta con delle particolari venature verdi, erano lì davanti a me a scrutarmi con uno strano sguardo: tra il preoccupato ed il sorpreso.

Per un momento studiai i lineamenti del suo viso ed ebbi, per l’ennesima volta, la conferma di quanta bellezza possedesse quel ragazzo. Le sopracciglia folte e marcate, ma comunque ben delineate, la mascella squadrata e le labbra piene.

Se solo non avesse avuto quel caratteraccio…

Era davvero strano trovarsi prigioniera delle braccia di quello che, per me, era praticamente uno sconosciuto. Da sola con lui, in una tenda su una spiaggia deserta, mi sentivo davvero come se in quel posto non avrei dovuto esserci, come se fosse sbagliato, ma come poteva essere sbagliata una cosa che mi faceva sentire all’improvviso così leggera?

Terra chiama Maya! Terra chiama Maya!


*

Eccomi qua!

Spero che il capitolo vi sia piaciuto e... non odiatemi! Non odiatemi! Non odiatemi! Ormai questi finali sembrano essere diventati la mia firma... Comunque fatemi sapere dcosa pensate di questo capitolo e dello svolgimento della storia! Sono curiosa!

Come sempre... GRAZIE A TUTTI per le recensioni, i commenti, per aver messo la mia storia tra le preferite o le seguite... GRAZIE DI CUORE!

Alla prossima e un abbraccione enorme!

Chiara

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Capitolo 9
*** 8. Giochi Pericolosi ***


Maya9




*****



La mia simpatica coscienza, per una volta, arrivò in mio soccorso al momento opportuno.

No, non dovevo ammorbidirmi. Non potevo proprio!

Distolsi lo sguardo da Travis e tornai a fissare la tenda che ancora resistiva alla pioggia, anche se sembrava nettamente diminuita.

Tutto bene?”, mi chiese lui con l’ennesimo soffio sulle orecchie e il tono quasi gentile.

Respirai a fondo per un paio di secondi, indecisa se rispondere o meno a quella domanda, ancora intontita da quei suoi occhi ipnotici.

Si, Travis”, risposi, flebile, “Mi fa solamente male il collo”, aggiunsi con la mano poggiata ancora sul punto dolente.

Mi massaggiai la pelle per alcuni secondi, come se sapessi quello che stavo facendo, ma la realtà era ben diversa: non avevo idea della serie di azioni che, in quel momento, stavo compiendo, cercavo solamente un pretesto per troncare la conversazione o per cambiare argomento.

Poi lui posò la sua mano sulla mia, quella ancora sul collo, e la spostò con delicatezza. “Posso?”, mi chiese con una punta di gentilezza nella voce.

Proprio non gli si addicevano quelle premure.

Voltai leggermente il viso verso di lui, senza però guardarlo in faccia. Sentivo ancora dentro di me la paura di incontrare quegli occhi capaci di farmi tremare.

Cosa vorresti fare?”.

Un massaggio, nulla di che, ma ho imparato qualcosa dopo molte sedute dal massaggiatore”.

Vuoi farmi un massaggio?”, domandai alzando un sopraciglio.

Si, ho visto il tuo sguardo quando ti sei voltata verso di me”, parlò, distogliendo gli occhi da me. “Penso che tu abbia preso freddo oppure che tu abbia una contrattura”.

Lo guardai sottecchi per un momento, cercando di analizzare a fondo la sua espressione che, purtroppo, non lasciava trapelare nulla.

Tu, vuoi fare un massaggio. A me”, dissi ancora, osservandolo stranita. “Che fine ha fatto lo stronzo di un’ora fa?”, domandai con un’espressione interrogativa e tutto il sarcasmo possibile.

Lui rise, mostrandomi la sua serie di denti perfetti. “Visto che la tua stima di me è pari allo zero, sto cercando di… sorprenderti”, mi rispose, incerto.

Gli occhi di Travis indugiarono sul mio collo e sul lembo di pelle della spalla che usciva dalla felpa.

Vidi il suo petto alzarsi piano e capii che, in quel momento, stava respirando a fondo, come se si stesse trattenendo dal fare qualcosa. Mi chiesi se la tensione che invadeva me, in quel frangente, stesse attaccando anche lui.

Poi i miei occhi si soffermarono sulla sua clavicola e sui muscoli che si intravedevano dalla sua felpa e, in un attimo, sentii le guance accaldarsi e il fiato mancare, davanti a quella visione.

Terra chiama Maya! Terra chiama Maya!

L’aria era tornata tesa e piena di quello che sembrava un incontro a metà strada tra imbarazzo e… desiderio?

No, non è possibile!

Non poteva esserlo, assolutamente!

Lui aveva già dimostrato  in svariate occasioni la sua avversione verso di me ed io proprio non lo sopportavo. Anche se avevo già ammesso a me stessa quanto fosse attraente, quanto fosse dannatamente affascinante.

Accidenti!

Alzai lo sguardo e trovai ancora gli occhi di Travis a scrutarmi. Sembrava stesse nascondendomi qualcosa, ma preferii non fare domande e così tornai a fissare la tenda davanti a me.

La mia mente correva a mille, cercando di decidere cosa fare, poi un pensiero mi balenò in testa: dopo quella giornata sarebbe tutto finito.

E allora al diavolo tutto!

Presi un profondo respiro e abbassai quel poco la zip della felpa per poter scoprire le spalle.

Dai, fai questo massaggio, poi andiamo via”, mormorai senza alcuna convinzione. Mi legai la cascata di capelli ricci scuri in alto, in un concio fatto alle meglio e chinai il capo, in attesa.

Mi sentivo stranamente agitata, come se fossi stata ancora a scuola davanti ad un’interrogazione.

Percepivo l’aria fresca, che entrava dagli spifferi di quell’abitacolo, sfiorarmi le spalle, facendomi rabbrividire e venire la pelle d’oca.

Improvvisamente le mani di Travis si posarono sul mio collo e sussultai per la sorpresa: erano stranamente calde e, a contatto con il mio corpo e le mie spalle rinfrescate, sentii la pelle pungere.

Per alcuni secondi, lui, mi carezzò con una delicatezza che proprio non gli si addiceva.

Che meraviglia…

Se non avessi discusso così tanto oppure se Travis non avesse avuto quello strano carattere, quel particolare momento mi sarebbe anche piaciuto.

Mi sarebbe piaciuto veramente tanto: mi sarei poggiata alla sua schiena, in attesa della sua mossa seguente, crogiolandomi tra le sue braccia forti e quel profumo di salsedine.

Non sopportavo quel ragazzo, ma avevo già ammesso uno smisurato numero di volte quanto fosse… sexy.

Al diavolo!

Si, era sexy e mi rendevo conto solamente in quel momento di quanto difficile fosse resistergli.

Strabuzzai gli occhi alla reazione del mio corpo : mi irrigidii all’istante, stupita dal piacere che provavo grazie alle mani di quello strano ragazzo.

Dopo alcuni secondi di indecisione, Travis cominciò a massaggiare la mia pelle ed i miei muscoli.

Finalmente cominciai a rilassarmi, come se fossi appena stata immersa in una vasca piena d’acqua calda e bagnoschiuma. Sospirai estasiata dai movimenti precisi, delicati, ma allo stesso tempo decisi delle mani di quel ragazzo. Avrei potuto credere a tutto, ma di certo non alle sue evidenti capacità di massaggiatore, tuttavia mi dovetti ricredere.

Mi sentivo stranamente leggera, come se tutta la preoccupazione e la tensione di pochi istanti prima fosse svanita nel nulla e mi avesse liberata di un peso enorme.

Dopo essere rimasto per alcuni minuti sul collo, passò alle spalle e lì la mia mente cominciò a viaggiare, lasciando perdere il pianeta Terra.

Sai che sei davvero bravo, Travis?”, gli dissi con la voce un po’ impastata.

Lo sentii ridere leggermente, senza però smettere di massaggiare la mia pelle e mandarmi in estasi. Avvertii il suo respiro sfiorarmi le spalle.

Anche se avessi voluto, non sarei riuscita a muovere un muscolo: ero talmente rilassata che il collegamento cervello-corpo sembrava essersi disconnesso.

Ti ringrazio, Maya”. Lui mi riportò con i pensieri al presente, ma si zittì all’istante.

Per quanto risultasse piacevole, una volta tanto, il suo silenzio, la situazione risultava a dir poco imbarazzante.

Dovevo allentare quella tensione, in qualche modo.

Quindi ti piace il mio nome”, mormorai più a me stessa che a lui.

Travis si bloccò un momento, con le mani calde e leggermente callose sulle mie spalle.

Mi irrigidii quando i suoi pollici carezzarono la linea del mio collo sempre con delicatezza.

Maya non cedere!

La mia coscienza si rivelò più determinata di me.

Speravo te ne fossi dimenticata”, disse serio, ma poi rise, ricominciando con i suoi massaggi.

Soppesai per un momento le sue parole, cercando di dargli un senso, ma poco dopo scossi la testa, lasciando perdere le mie paranoie.

Travis si agitò dietro di me e quando finalmente la possibile tarantola che lo tormentava si fermò, mi sembrò più vicino rispetto a poco prima.

Provai a lanciargli uno sguardo, con la coda dell’occhio, sperando che lui non se ne accorgesse e ne ebbi la conferma: un minimo movimento e sarei stata tra le sue braccia.

Grazie al silenzio di tomba che era calato per l’ennesima volta sulle nostre teste, riuscii a percepire la pioggia nettamente diminuita. Pensai a quanto poco tempo mi distanziasse dal ritorno a casa.

Si, Maya, il tuo nome mi piace: ha un bel suono e, inoltre, penso che ti si addica”, affermò poco dopo.

Mi si addice?”, chiesi curiosa.

Si, perché è un nome con un certo carattere, ma ha anche qualcosa di…”, si fermò, indeciso su cosa dire. “Misterioso”, aggiunse con l’ennesimo soffio sulle mie spalle.

Alzai il capo, sorpresa dalle parole che aveva appena utilizzato e lui fermò ancora le sue mani.

Misterioso… sarei misteriosa, io?”, chiesi, voltandomi verso di lui ed alzando un sopracciglio.

Un sorriso divertito apparve sulle labbra di Travis, tremendamente vicine alle mie. Ancora. Ma in quell’occasione non avevo alcuna possibilità di muovermi, di allontanarmi  e quando il mio sguardo si allacciò al suo, non riuscii a trovarne nemmeno la forza.

Mi sentivo impietrita, come se ogni muscolo del mio corpo mi avesse abbandonata.

Sbattei le palpebre un paio di volte ed il sorriso del ragazzo davanti a me scomparve, lasciando spazio ad un’espressione quasi smarrita. Poggiò le mani sulle ginocchia, ai miei fianchi, e sospirò, ma senza smettere di scrutarmi.

Lo sai che mi metti a disagio, vero?”, dissi schietta.

Quello squarcio divertito tornò ad illuminare il volto di Travis, ma per quanto potesse essere accattivante con quell’espressione sul viso, non riuscii a fare a meno di trovarlo tremendamente fastidioso. Non riuscivo proprio a capire cosa ci fosse di divertente.

Lo fissai torva, mentre lui ancora se la rideva.

Io ti metto a disagio? Non ti rendi conto di quanto tu metta a disagio me!?”, esclamò sempre con quel sorriso.

Cosa? Come posso farlo?”, gli domandai allibita.

Con il tuo comportamento, il tuo carattere, il tuo aspetto”, rispose.

Mi irrigidii ancora, diventando quasi di marmo.

Lo metto a disagio per il mio aspetto?

Potevo capire per il mio carattere: non sono mai stata una persona facile, non sono mai piaciuta a molta gente; ma non capivo davvero come potessi imbarazzarlo per il mio aspetto.

Travis si mosse e notai il suo avvicinarsi, anche se solamente di alcuni centimetri.

Era più vicino che mai. Ancora un mossa sarei finita per baciarlo.

Dannazione!

Lui metteva a disagio. E molto.

Il suo essere terribilmente lunatico era snervante e mi chiesi che cosa ci facesse così vicino a me, cosa diamine volesse da me, ma non riuscivo a trovare una risposta con un briciolo di senso.

Era davvero insopportabile, arrogante, pieno di se, strafottente… ma pur sempre fastidiosamente attraente. Forse anche troppo.

“Come può, il mio aspetto, metterti in imbarazzo?”, chiesi, guardando la tenda ed innervosendomi ancora di più sentendo Travis ridere.

Dopo alcuni istanti parlò: “Me lo stai chiedendo seriamente, Maya?”, chiese con una punta di sarcasmo nella voce.

Lo fissai, come se stesse parlando in un’altra lingua, mentre lui, ancora vicino a me, non dava segni di cedimento. Poi nella mia mente balenò un’idea.

Facciamo un patto”, alle mie parole Travis aggrottò la fronte. “Dato che, questa, probabilmente, sarà l’ultima volta in cui avrò l’enorme piacere di vederti, potremmo fare una cosa”. Io ed il sarcasmo: una combinazione invincibile. “Ora, noi due, ci diremo in totale sincerità pregi e difetti dell’altro”, dissi, con la parvenza di un sorriso divertito sul volto. “Preparati perché, la tua lista di difetti potrebbe durare in eterno”.

L’espressione di Travis pareva sbalordita. Sbatté le palpebre un paio di volte, apparentemente confuso ed indeciso su cosa rispondere: sembrava addirittura che lo avessi sconvolto, quando, in realtà, la mia idea non aveva un briciolo di senso.

Dopo alcuni istanti, lui ruppe il silenzio.

Questa è l’ultima volta in cui ci vediamo, giusto?”, sussurrò incerto, guardandomi di sottecchi.

Si, quindi non abbiamo nulla da perdere”, risposi semplicemente.

Alzò un sopracciglio, ma poi mi rivolse uno strano sorriso, a cui ovviamente non mi azzardai a rispondere.

Sorridi troppo, ragazzo!

“Va bene, ci sto!”, esclamò, divertito come un bambino a Natale. Mi porse la mano ed io la strinsi con forza, cercando di fargli comprendere quanto, lui, in tutto e per tutto, non mi facesse alcun effetto.

Quanto sei sicura di te, Maya!

Coscienza, smettila di fare la simpatica!

“Comincio io!”, dissi anticipandolo sul tempo, prima che lui potesse proferire parola.

Che gentile”, ironizzò lui, per un momento, per poi assumere una strana aria di sfida, ma non mi lasciai intimorire da quelle iridi color nocciola, capaci di lasciarmi senza un pensiero in testa, ma al tempo stesso di riempirmi di fantasie e paranoie.

Che il gioco cominci!

*

Ciao bella gente! Che dire...
Questo capitolo non è tra i più convincenti, ma è stato buttato giù di getto: volevo mantenere la mia parola e postarvi il seguito prima della mia partenza!
Il finale... Si, lo so! Sempre lo stesso... Ma, fidatevi, aspettate ancora un pochino che poi si comincia a ragionare! (muahahah)

Comunque... Come sempre grazie a chi legge, a chi mi segue e a chi solamente legge in silenzio! Un bacione enorme a tutti <3

Ci "vediamo" la prossima settimana!
Un mega abbraccione a tutti voi,
Chiara 

p.s. Ovviamente fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo! :)

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Capitolo 10
*** 9. Il Gioco della Verità ***


Maya9




*****



Tornai con lo sguardo davanti a me, sulla tenda che ancora ci proteggeva dalla pioggia che, man mano che il tempo passava, diminuiva sempre più.

Poi cominciai a pensare a cosa avrei potuto dire e Travis, a come avrei potuto usare al meglio le parole.

Sul mio viso comparve un sorrisetto divertito: avevo, finalmente, la possibilità di dire apertamente tutto quello che pensavo di quel ragazzo, senza filtri né divieti.

Ricorda Travis: totale sincerità”, lo intimai, con uno sguardo di sbieco. Poi ricominciai il mio monologo. “Allora… sei pieno di te, in un modo davvero impressionante, ed estremamente arrogante, come se in tutto quello che fai fossi bravo solamente tu”, mi resi conto di parlare a macchinetta, ad una velocità tale che, a stento, si comprendeva ciò che dicevo. Ero partita in quarta e sembrava che nulla avesse il potere di fermarmi. “Sei anche molto lunatico, infatti per la maggior parte del tempo non riesco a capire cosa ti passi per la testa”.

Travis, mentre il mio sproloquio procedeva senza sosta, non si era ancora azzardato ad interrompermi oppure a ribattere, il ché mi sembrò a dir poco singolare, ma per fortuna le sue mani non si erano fermate un secondo dal massaggiare il maniera sublime sia il mio collo che le mie spalle.

Un’altra cosa, Travis… quella volta nella stanza delle scope… lì ti ho odiato davvero”, mormorai con molta meno decisione di poco prima. Sembrava svanito tutto il coraggio che avevo utilizzato per parlare, o meglio criticare, quel ragazzo. Mi sentivo stranamente vulnerabile, privata della mia solita corazza, come ancora non mi era capitato.

Le sue mani esitarono per un momento, prima di ricominciare nella loro danza.

Perché mi avresti odiato davvero, scusa?”, chiese quasi offeso.

Perché mi hai spaventata, idiota!”, mi giustificai, cominciando ad alterarmi. “Non mi sembra di averti fatto un gran torto, visto come ti stavi esibendo con le tue doti da stronzo nei miei confronti. Volevo solamente vendicarmi in qualche modo”, dissi, tormentando la cerniera della mia felpa. “Poi ho visto tua madre, così le ho detto semplicemente che non mi sembravi un soggetto adatto alla macchina fotografica, ma l’ho fatto perché mi sembrava una cosa stupida, insignificante… poi arrivi tu, mi fai prendere un infarto e mi tratti in quel modo”.

La mia voce era poco più che un sussurro.

Quella mia amata corazza di spavalderia e di coraggio era andata in frantumi, lei, sempre presente e pronta a proteggermi, se n’era andata, lasciandomi più indifesa che mai.

Travis si fermò di colpo e lo sentii allontanarsi da me, sospirando.

Attesi un momento, decidendo sul da farsi, poi mi girai verso di lui.

I suoi occhi erano fissi a terra, aveva le ginocchia sollevate, con le braccia poggiate su di esse. I capelli castano chiaro, oramai asciutti, gli ricadevano sulla fronte, spettinati, donandogli un’aria da ragazzino che poteva lasciare incantati.

Non riuscivo a distinguere la sua espressione, ma poi sollevò il capo, allacciando il suo sguardo al mio. Quasi mi mancò il respiro.

I suoi occhi erano pieni di qualcosa di nuovo, forse stanchezza, ma non la solita, quella fisica, Travis pareva provato, stanco di quell’assurda situazione come, d'altronde, lo ero io. Mi fissò per alcuni istanti, poi scosse la testa sorridendo, chissà per quale motivo.

Se ti ho spaventata e trattata male, ti chiedo scusa”, disse, con ancora quello squarcio allegro sul viso.

Come!? Mi stai prendendo in giro, Diva?

L’ho fatto perché… hai sbagliato. Te l’ho detto quel giorno: possiamo insultarci, odiarci quanto vuoi, ma lascia perdere mia madre. Mi crea già abbastanza problemi senza che tu la istighi”.

Va bene, lasciamo perdere…”. Travis mi interruppe con un gesto della mano.

Ora tocca a me”, il suo sorriso divenne quasi un ghigno.

Mi voltai ancora verso la tenda: non avevo nessuna intenzione di guardare quell’odioso ed incomprensibile ragazzo, mentre si dilettava in un monologo dove, sicuramente, non avrebbe fatto altro che insultarmi.

Bene… sei così testarda che, a volte, vorrei chiuderti da qualche parte e lasciarti sbollire da sola, pensi sempre di essere nel giusto, di aver ragione… spesso mi viene da ridere perché ci credi così tanto che riesci a far cambiare idea anche a me”, parlava con voce seria, anche se velata da un pizzico di ironia. “Inoltre, hai una grande stima di te stesse, a volte anche troppa”.

Cosa!?

“Cerchi di far sempre la simpatica e, nonostante a volte tu riesca nel tuo intento, spesso non ti rendi conto di come tu possa superare il limite. Però…”.

Un però!? Mi degni di questo onore, Travis? Stai davvero pensando di farmi un complimento?

Fino a quel momento era stato tutto una critica continua, un’analisi superficiale del mio atteggiamento e dei miei comportamenti, senza magari chiedersi da cosa potessero essere dati, ma poi c’era stato quel barlume di speranza, quel però che mi faceva pensare in qualcosa di buono.

Ti ho osservata mentre fotografi, quando hai la tua macchina fotografica in mano…”, ebbe un attimo di esitazione, poi continuò a parlare. “La passione e l’impegno che metti in quello che fai è davvero ammirevole”.

Raddrizzai il capo, sorpresa dalle sue parole.

Mi ha appena fatto un complimento.

Aveva davvero apprezzato il mio modo di lavorare. Non potevo crederci. Mi voltai verso di lui, incredula e, alla vista della mia espressione, Travis rise ancora.

Si, Maya, ho appena fatto un apprezzamento su un particolare del tuo carattere, ma solo questo… per il resto sei insopportabile”, aggiunse avvicinando per un secondo il suo viso al mio, con aria complice.

Lo guardai con un sopracciglio sollevato. “Come se tu fossi un angioletto”, dissi sarcastica.

Ci fu un attimo, solamente un secondo, in cui i nostri sguardi si incollarono ancora gli uni agli altri, ma quando mi resi conto che la pioggia aveva finalmente terminato la sua crociata contro quella tenda, che cominciava a diventare troppo piccola, il momento passò.

Se ne accorse anche lui. “Possiamo uscire ora, penso”, disse con un accenno di imbarazzo.

Aprii la tenda, sentendo subito l’aria fresca di salsedine sfiorarmi le spalle ancora scoperte. Uscii sperando di apparire il meno goffa possibile.

Avvertii la sabbia ancora bagnata sotto i piedi, ma non ci badai più di tanto: ero troppo impegnata ad ammirare il paesaggio che mi si presentò attorno. Era da mozzare il fiato.

Il mare agitato, con le onde increspate di bianco, sotto un cielo pieno di nuvole grigie, ma con un particolare raggio di luce che risplendeva sull’acqua, come se il Sole avesse appena deciso di riposarsi su quel mare infuriato. Il tutto possedeva una strana aria misteriosa.

Caspita!”. Travis fu al mio fianco.

Mi mossi in fretta, per paura di perdere quel fotogramma spettacolare, e dalla tenda afferrai la mia macchina fotografica. Cominciai a scattare, a congelare quel momento, a renderlo indelebile ed eterno.

Il mondo attorno a me sparì.

Prima mi riferivo a questa passione”, disse lui, con un sussurro all’orecchio.

Il mio corpo si irrigidì all’istante, sorpreso dall’effetto provocatomi dalla sua voce. Sentivo Travis terribilmente vicino, per l’ennesima volta.

Lui posò ancora le sue mani sulle mie spalle, facendomi partire un brivido lungo la schiena.

Non era l’unico complimento che volevo farti, Maya”, disse ancora con tono flebile, accattivante. “Quando prima ti ho detto che mi metti a disagio per il tuo aspetto, mi riferivo al tuo viso, ai tuoi lineamenti… al tuo fisico”.

Cosa!?                                   

Lo stupore invase il mio viso, facendomi perdere l’uso della parola. Non riuscivo a credere che proprio lui, lo stesso ragazzo che mi aveva insultata e quasi minacciata, mi stesse confessando delle cose simili.

Sei di una bellezza disarmante e, probabilmente, neanche te ne rendi conto, ma ti posso assicurare che, il primo giorno che hai varcato la porta della piscina, gli sguardi degli atleti erano tutti rivolti a te”.

Cosa stava facendo? Come si stava comportando? Quella confessione mi lasciò a bocca aperta.

Non poteva essere vero. Non ci volevo credere, non potevano essere vere, quelle parole. E per quale motivo mi stava dicendo quelle cose?

Una valanga di domande mi investì la mente, come un treno in corsa. Non riuscivo più a pensare lucidamente.

Le mani di Travis ripartirono nel loro viaggio sulla mia pelle, facendomi rabbrividire ancora. Le gambe nude, poi, non erano d’aiuto.

“N… non è vero, Travis, ne sono sicura!”, la voce mi mancò dalla tensione e dall’imbarazzo.

Mi prese la macchina fotografica dalle mani e lo sentii posarla ancora all’interno della tenda, poi tornò dietro di me, posandomi la coperta sulle spalle e lasciandomi le mani su di essa. “È davvero strano vederti così in imbarazzo quando ti si fa un complimento”, disse con una risata. “Te l’ho detto, non te ne rendi conto, ma hai la capacità di attirare lo sguardo di chiunque”, aggiunse avvicinandosi ancora a me.

Presi un profondo respiro, ignorando il continuo subbuglio che ribolliva dentro di me e sperando che, dalle mie labbra, uscisse un tono di voce apparentemente tranquillo.

Come potrei attirare lo sguardo di chiunque? Non mi sembra di essere così attraente da potermelo permettere”. La mia sicurezza era andata a farsi un giro.

È questo il punto: non ti sembra, ma lo sei”.

L’ennesimo incidente di percorso, l’ennesima sensazione di essere stata appena investita da qualcosa di troppo veloce e pesante per me.

Facciamo una cosa, Maya: proseguiamo con il gioco di poco fa, ricominciamo a parlarci con sincerità”, disse voltandomi verso di lui. “Oramai ho capito che non mi sopporti, quindi non farti tanti scrupoli: insultami, criticami… voglio sapere tutto quello che ti passa per la testa”. Un irritante sorriso si stampò sul suo viso. “Non mi sembra che ti sia fatta tanti problemi, poco fa”.

Ce la posso fare!

Dovevo recuperare quella sicurezza, quel carattere tanto spavaldo, quella sfacciataggine che tanto mi contraddistinguevano , perché ne avevo abbastanza di tutta quella sensazione di vulnerabilità.

Perché Travis era ancora così vicino a me? Perché non manteneva le distanze?

Per quanto mi sforzassi non riuscivo a trovare una risposta esauriente alle mie domande.

Gli occhi cangianti di quel ragazzo non mollavano per un secondo i miei, facendomi sentire più imbarazzata che mai.

Piegò leggermente la testa di lato e mi fissò incuriosito, per un momento. “Io ho già detto qualcosa, ora tocca a te”, esclamò con ancora il sorriso a contornargli le labbra.

L’avrei volentieri preso a schiaffi.

Respirai profondamente, in cerca delle parole giuste da utilizzare, ma nulla occupava la mia mente. C’era solamente il vuoto.

Comincio ad odiare questo gioco”, mormorai.

Lo scrutai ancora una volta, prima di distogliere definitivamente lo sguardo. Come potevo trovare le parole giuste per criticarlo?

Eravamo passati sull’aspetto fisico, da quel poco che avevo capito, e, per quanto mi costasse ammetterlo, riguardo a quello non aveva nulla da invidiare a nessuno.

Optai per la schiettezza.

Sarà l’ultima volta in cui lo vedrò, in cui gli parlerò, tanto vale essere sinceri.

La mia mente viaggiava alla velocità della luce nella speranza di trovare un modo per uscire indenni da quella situazione.

Allora… per quanto il tuo carattere possa lasciare a desiderare, riguardo al tuo aspetto…”, la mia voce era ancora flebile. Strinsi i denti, mi decisi a darmi una svegliata e, dopo aver incontrato ancora i suoi occhi, ricominciai a parlare. “Riguardo al tuo aspetto non ho niente da dirti, sono sincera. Penso che tu sia un bel ragazzo, con un viso anche fin troppo giovane ed angelico per il tuo carattere e… con un bel fisico”.

L’avevo detto. Nel momento stesso in cui quelle parole uscirono dalle mie labbra, sentii le guance diventare di fuoco. “Anche se in quella palestra, di fisici scartabili, ne ho visti ben pochi”, aggiunsi, infine, per sviare l’argomento, agitando confusamente una mano.

Un lampo divertito si posò sullo sguardo di Travis, facendolo sembrare un adolescente davanti ad un videogioco. “Tutto qui?”, chiese, fingendosi geloso, quando quell’aria soddisfatta lasciava intendere anche troppo.

Aveva avuto quello che volevo: io avevo abbassato la guardia ed avevo giocato le sue stesse carte. Si era sentito elogiato e lui sembrava esserne felice.

I suoi occhi parevano ardere, pieni di una qualche sensazione o emozione particolare, a cui non riuscivo a dare un nome.

Mi chiesi da dove arrivasse tutta quella mia agitazione.

Sentivo ogni muscolo fuori uso, pietrificato da quel suo sguardo.

Cosa significano queste fitte allo stomaco?

Tutto qui!? Probabilmente non ti rendi conto di quanto sia imbarazzante, per me, dire queste cose apertamente”, esclamai esasperata. “Tu la fai facile… beh, per me non lo è!”. In un batter d’occhio avevo recuperato la mia voce.

Quel sorriso divertito, ancora lì a tormentarmi, sembrava non volersene andare e cominciavo ad odiarlo come mai prima di allora.

Non è facile nemmeno per me, ma mi rendo conto che questa, probabilmente, sarà l’ultima volta in cui parleremo, quindi cercherò di non crearmi problemi a dirti in faccia quello che penso”. Si avvicinò ancora a me, mentre era occupato nel suo sproloquio.

Si trovava, per la centesima volta, fin troppo vicino a me, sovrastandomi con i suoi numerosi centimetri in più del mio scarso metro e sessanta.

Provai a non sentirmi eccessivamente insignificante.

Per questo motivo cercherò di essere sincero: come ti ho detto prima, non te ne rendi conto, ma sei davvero attraente, Maya”, disse abbassandosi leggermente verso di me e sfiorandomi una guancia con le nocche.

Sentii la pelle bruciare, come fosse stata appena inondata da un getto di acqua bollente

E c’è un qualcosa di terribilmente affascinante nei tuoi occhi”, continuò, sfiorandomi lo zigomo. “Quando prima ti ho vista in costume da bagno, poi quando sei uscita dall’acqua… pensavo mi stesse per prendere un infarto”.

Terra chiama Maya! Terra chiama Maya! Houston abbiamo un problema!

“Che stupidaggine questo gioco della sincerità, Travis”, mormorai in preda alle emozioni.

Ero decisamente terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere se non fossi riuscita a fare marcia indietro ed allontanarmi da quel ragazzo, ma una parte di me desiderava che, quel qualcosa, succedesse. Una piccola parte, davvero insignificante, ma perfettamente capace di annebbiarmi la mente. Inoltre, avevo paura di come sarebbe cambiata la situazione se i nostri volti si fossero avvicinati ancora di pochi centimetri, ma sempre quella piccola parte di me stessa voleva scoprirlo.

Mi resi conto di come, la mia idea su Travis, potesse mutare con tanta facilità.

Lo penso anche io, Maya, ma almeno ora sappiamo che, tra noi, non c’è solamente odio e disprezzo”.

Lui si avvicinò ancora, facendo quasi aderire i nostri corpi.

Se io, in quei giorni, ero divenuta un’incognita, quel ragazzo per me continuava ad essere sempre lo stesso mistero.

La realtà era innegabile: quel sincero confronto sull’aspetto fisico aveva innescato la miccia e, per quanto mi costasse ammetterlo, lui davanti a me era un continuo richiamo.

Che cosa superficiale, pensai.

Sentivo il bisogno di avvicinarmi ancora, per bruciare quella breve distanza che ancora ci separava, ma poi la mia mente cominciò ad espormi a gran voce le sue solite paranoie ed i soliti flussi di pensieri che si contraddicevano a vicenda.

Non sapevo cosa fare!

E se per una volta nella mia vita mandassi al diavolo tutto?

Quel pensiero dilagò nel mio cervello come un’epidemia.

Mi dissi che, si, potevo mandare tutto e tutti a quel paese per una volta e seguire solamente i miei istinti. Alle conseguenze avrei pensato in un secondo momento.

Avrei pensato in un’altra occasione al mio lavoro, a mio padre alla sua disapprovazione se fosse venuto a conoscenza anche solo di un minimo particolare, perché in quel momento vedevo solamente Travis ed i suoi occhi, pronti a divorare ogni singola parte di me.

Eravamo a pochi centimetri di distanza l’una dall’altro, infatti potevo sentire il suo respiro sfiorarmi il viso.

Percepivo il mio corpo svuotato da ogni cellula vitale, immobile ed inerme di fronte a lui, ma al tempo stesso pieno di energia, euforia ed eccitazione, come se lo sguardo di quel ragazzo avesse la capacità di rinvigorirmi e di farmi sentire più viva che mai.

Una mano di Travis continuava a viaggiare sul mio viso, sulla mia guancia, con una delicatezza incredibilmente piacevole, poi scese e si aprì sulla linea del mio collo, provocandomi una serie di brividi su tutto il corpo.

Piegai leggermente la testa, per facilitare lo scorrere di quelle carezze tanto caste quanto peccaminose.

Nessuno aveva ceduto lo sguardo: continuavamo a scrutarci attentamente, in attesa di chi avrebbe avuto il coraggio di fare la prima mossa.

Poi mi avvicinai a lui, riducendo ulteriormente le distanze e poggiando leggermente il mio corpo al suo.

Ancora mi chiedo da quale remota parte di me stessa trovai la forza, la sfacciataggine di fare la prima mossa.

Perché mi ero alzata sulle punte dei piedi ed avevo preso tra le mani i capelli ancora umidi di Travis? Perché mi ero avvicinata ancora di più?

Mi sentivo stranamente piena di coraggio e di insicurezze al tempo stesso. Speravo solamente che l’espressione sul mio viso non mi tradisse, che non mostrasse la mia agitazione.

“Stai avendo una brutta influenza su di me, Travis”. Non riuscii a fermare quelle parole prima che uscissero dalla mia bocca.

*

Ciao bella gente! Che dire...
Questo capitolo non è tra i più convincenti, ma è stato buttato giù di getto: volevo mantenere la mia parola e postarvi il seguito prima della mia partenza!

Comunque... Come sempre grazie a chi legge, a chi mi segue e a chi solamente legge in silenzio! Un bacione enorme a tutti <3

Ci "vediamo" la prossima settimana!
Un mega abbraccione a tutti voi,
Chiara 

p.s. Ovviamente fatemi sapere cosa pensate di questo capitolo! :)

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Capitolo 11
*** 10. Madness ***


Maya10




*****



Il suo sguardo non fece trapelare nulla come al solito, ma poi sulle sue labbra comparve un sorriso sghembo, che gli incurvava solamente un angolo della bocca.

Non riuscii a fare a meno di provare il solito moto di irritazione, ma in quel caso non badai più di tanto alle mie paranoie: ero troppo impegnata a non implodere per l’agitazione.

Travis fece scorrere lentamente le sue mani dalle mie spalle giù fino ai fianchi, dove si fermarono, stringendomi leggermente.

Un brivido mi percorse tutta la colonna vertebrale, arrivando fino alla base della nuca e, per un fugace momento, non riuscii a distinguere più la mia fin troppo fervida immaginazione dalla realtà.

Terra chiama Maya! Terra chiama Maya!

Zitta coscienza!

Tentai di disattivare ogni connessione possibile con il cervello che, con tutte le sue forze, mi urlava a chiare parole di allontanarmi da quel ragazzo che tanto odiavo, ma che in quel momento mi pareva soltanto peccaminoso ed irresistibile come il desiderio.

Quegli occhi cangianti, di una tonalità quasi ambrata non si fermavano un momento dallo scrutare attentamente il mio viso e, ogni volta che incontravano i miei, era un continuo tremore alle ginocchia.

Prima odio, poi quello che ancora mi pareva desiderio, come se quella pioggia, su di noi, avesse avuto un insolito effetto a calamita.

Con una mano percorsi la linea del collo di Travis ed il lembo di belle che gli lasciava scoperta la felpa, ma senza cedere lo sguardo.

Pelle calda, liscia, tonica…

Tutta da baciare!

No, assolutamente no, Maya!

Lo sentii cingermi la vita con un braccio, sollevandomi un po’ da terra e facendo scorrere la mano libera sul mio fianco, lentamente, provocandomi l’ennesima scarica di adrenalina, l’ennesima serie di brividi e… una nuova sequenza di pensieri poco consoni.

Stai fraternizzando con il nemico, Maya?”, sussurrò Travis, con fare vittorioso, facendo sfiorare le nostre labbra.

Per un brevissimo secondo sentii una morsa allo stomaco, ma quell’incredibile, assurdo, ma comunque stranamente piacevole momento passò in un batter d’occhio.

Con una breve serie di parole, quel ragazzo mandò tutto in frantumi, compresa la mia piccola dose di follia. Riuscii a riacquistare quel briciolo di lucidità e concentrazione necessarie per allontanarmi da lui di alcuni passi.

Mi squadrò dalla testa ai piedi, leggermente sorpreso, poi vidi spuntare ancora sul suo viso lo stesso sorrisetto strafottente di poco prima

Sei un vero idiota, Travis!”, esclamai dopo il milionesimo scambio di sguardi. Oramai avevo perso il conto delle volte in cui i miei ochi si erano soffermati nei suoi, ammaliati da quella strana bellezza che, tuttavia, si addiceva alla perfezione a quel ragazzo.

E ti pareva!

Lui, inaspettatamente, cominciò a ridere di gusto, divertito da non so quale particolare.

Mi chiesi come, per un fugace istante, potevo aver perso il lume della ragione in quel modo, avvicinandomi pericolosamente a Travis e mettendo a dura prova tutto il mio buon contegno.

Zitta, lo rifaresti volentieri!

La mia coscienza, sempre fin troppo sincera, arrivava sempre nei momenti meno opportuni, ma purtroppo aveva ragione.

Nonostante tutti i lati negativi, sarei andata fino in fondo se lui non avesse avuto la brillante idea di parlare come il “solito Travis”. Avrei fatto quella follia, si, perché sarebbe stata un’occasione imperdibile, perché non lo avrei mai più visto e non avrei mai avuto più niente a che fare con lui.

I suoi occhi mi avevano ipnotizzata, dal primo momento in cui avevano incontrato i miei, il suo viso giovane e fresco ed il suo corpo terribilmente perfetto e tonico da sembrare irreale, avevano stuzzicato la mia curiosità sin dal principio. In quell’occasione non avevo saputo resistergli: noi due soli, in un luogo pressoché isolato… mi era parso quasi perfetto lasciarmi sopraffare dai miei istinti per una volta. Sono pur sempre una donna e, uno come Travis, di certo non passa inosservato.

Non mi è sembrato che, prima che tornassi in te, ti avessi infastidita”, esordì il solito sbruffone.

Quelle sue iridi ambrate mi scrutarono ancora con insistenza, quasi volessero scalfirmi, poi lo vidi accennare un passo verso di me e, d’istinto, arretrai e mi allontanai ulteriormente da lui.

Stop! Fermo lì, Travis: hai perso la tua occasione ed ora è tornata la solita stronza con cui hai in atto una guerra”, esclamai, alzando le mani come per difendermi.

Lui continuò a ridere, distogliendo l’attenzione da me e lasciandomi prendere un sospiro di sollievo.

 

Eravamo sulla via del ritorno, con il baule della mia macchina ancora straripante e, probabilmente, zuppo d’acqua come tutto quello che conteneva e quell’atmosfera di tensione ad impregnare l’aria.

L’atmosfera si era fatta tagliente, ancora di più del viaggio d’andata, tremendamente silenziosa e, ogni tanto, interrotta solamente da qualche canzone alla radio.

Poi, ad un certo punto, su una stazione radiofonica fecero passare Madness, dei Muse, e non riuscii a fare a meno di pensare a come il destino avesse dato il via ad una crociata contro di me già da tempo.

Per quanto ami quella canzone, in quel frangente la trovai fastidiosamente appropriata e veritiera.

Folle.

La follia è lo scheletro di quella canzone, ne è il cuore, il cervello: è tutto; e proprio la follia aveva preso il controllo del mio corpo e della mia mente quel giorno.

 

And now, I need to know, is this real love?
Or is it just Madness keeping us afloat.
But when I look back at all the crazy fights we had
It was like some kind of Madness, was taking control.

 

No, non lo è! Decisamente non è una canzone appropriate! Il nostro amore non è follia: il nostro non è amore e stop! Finisce lì, finisce oggi con una figura di merda da parte mia e, forse, una vittoria in più per lui, ma finisce oggi!

Non poteva esserlo, no? Matt Bellamy, con la sua voce epocale, si chiedeva se quello fosse una sottospecie di amore, di vero amore… No, decisamente non era la canzone appropriata.

And I have finally realized
I need your Love
I need your Love

Come to me, just in a dream
Come on and rescue me
Yes I know, I can’t be wrong
And maybe I’m too headstrong
Our love is…
Madness

 

Decisamente non è appropriata!

 

Finalmente arrivammo al parcheggio della piscine e quasi non ci potevo credere: era tutto finito!

Scendemmo entrambi dalla mia auto e, per prima cosa, aprii il bagagliaio, sentendomi investita da un forte odore di mare e salsedine., così Travis poté scaricare tutti i suoi armamenti.

Gettò tutto dentro la sua piccola e modesta auto, poi lo vidi tornare verso di me e cominciò a fissarmi. Ancora. Come faceva sempre.

Bene, ora me ne vado. Devo trasferire tutte le fotografie sul… ma poi, cosa ti può interessare, no?”, dissi, agitando le mani confusamente. “Se mi assumono potrai… beh, non sono affari tuoi!”. Mi voltai verso la mia auto, pronta ad andare. “Addio Travis!”, lo salutai rivolgendogli un ultimo sguardo.

Stupida, perché lo hai fatto?

Travis si era visibilmente avvicinato a me, restringendo le distanze in modo preoccupante. Come al solito.

Tornò il silenzio. Per l’ennesima volta.

Notai, non so come, un suo continuo spostamento di attenzione dai miei occhi alle mie labbra, prima che di abbassare lo sguardo verso l’asfalto e cominciare a scrutare un punto indefinito.

Travis, devo andare”, dissi a mezza voce, per niente convinta delle mie parole.

Lo so”, mi rispose lui, con un tono di voce che dovrebbe essere considerato illegale. Sensualità allo stato puro, ecco cosa avevo percepito.

Bene, allora allontanati dalla mia auto”, indietreggiai alla ricerca di un qualsiasi appiglio. “Non vorrei imbrattarla con il tuo sangue se, per sbaglio, ti investissi”.

Brava! Ecco la stronza che piace a me!

Grazie coscienza, ma ora chiudi quella bocca!

Lui rise leggermente, prima di recepire il messaggio e battere in ritirata.

Alzai lo  sguardo ed incontrai ancora il suo, che non accennava a cedere. Era a dir poco estenuante.

Dovevo andare via da quel posto, dovevo allontanarmi il più possibile da lui. Ne avevo bisogno.

Ho capito, me ne vado”, disse, incamminandosi verso la sua auto e rivolgendomi l’ennesimo sguardo dopo pochi passi. “Ciao Maya!”, mi sorrise infine.

 

Finalmente a casa!

Non avevo mai avuto tanta voglia di tornare tra le mie quattro mura come in quel momento: mi sentii immediatamente meglio, più rilassata e tranquilla.

Dopo aver trasferito ogni fotografia sul mio computer mi sarei rintanata nella mia camera oscura e lì, lo sapevo, ogni preoccupazione se ne sarebbe andata definitivamente.

Gettai la borsa a terra, appena entrata nel mio appartamento e, dopo aver lanciato un urlo tra l’esasperato ed il vittorioso, controllai cosa il mio frigo avesse da offrirmi. La voglia di prepararmi qualcosa da mangiare era sotto i piedi.

Niente. Deserto totale.

Ricordarsi di andare a fare la spesa, appuntato nella mente.

Agguantai un biscotto da un contenitore prima di tornare all’ingresso e recuperare la mia borsa.

Già pregustavo l’idea di un’infinita doccia calda: tutta la pioggia ed il vento della spiaggia mi avevano infreddolita a dismisura.

Vagavo per casa gettando un qualcosa da una parte e qualcos’altro dall’altra, trasformando quel piccolo abitacolo in una discarica.

Mi dissi che, prima o poi, avrei dovuto cambiare qualcosa lì dentro.

Mi piaceva, ogni tanto, mettere in atto una piccola rivoluzione nel mio appartamento: la stessa disposizione di mobili, gli stessi quadri e le stesse fotografie, ovviamente scattate da me, appese al muro dopo un po’ di tempo cominciavano ad annoiarmi.

Ero un continuo cambiamento e quelle stanze che, per mia fortuna, mi ospitavano silenziose, mutavano in base ai miei cambiamenti d’umore.

Mi avviai verso il bagno, dove tenevo la lavatrice, e vi buttai dentro i pantaloni sportivi che ancora indossavo.

La mia pancia brontolò. Stavo morendo di fare.

Tornai in cucina di corsa e, dopo aver controllato a fondo il contenuto del mio frigo, trovai, per la gioia del mio stomaco, l’ultimo yogurt rimasto.

Occupai una sedia al tavolo da pranzo e divorai quel poco che le mie scorte possedevano.

La giornata appena passata mi aveva resa più affamata di quanto avessi immaginato.

Sicura che sia il cibo quello che vuoi?

COSCIENZA!?

La sfacciataggine della mia mente mi fece arrossire violentemente.

Okay, stavo pian piano impazzendo. Diedi la colpa ad una possibile insolazione.

Era nuvolo, oggi, stupida!

Fantastico! Comunque sono sicura che la mia fame sia di cibo, magari di dolci, zuccheri, carboidrati. Cibo!

La realtà era ben diversa: non ero più sicura di nulla, dopo quelle poche ore sulla spiaggia.

Le mani di Travis mi avevano fatta sentire realmente e palesemente viva dopo quella che mi pareva un’eternità, mi aveva fatta sentire leggera, quasi mi avesse riempita d’elio.

Eppure c’era sempre qualcosa che frenava i miei istinti, facendomi diventare più reticente ed insicura. In poche parole, quel ragazzo incrinava, con straziante lentezza, ogni mia barriera facendomi diventare una persona che, in realtà, non ero.

Stavo degenerando, ma per mia fortuna quella storia, quella piccola parte della mia vita, aveva finalmente avuto il suo epilogo, non così tanto epico, ma almeno accettabile, lasciandomi forse con ‘amaro in bocca, ma con l’animo certamente più leggero.

Toc toc toc.

Quel tocco deciso alla porta mi destò dal mio sonno di pensieri e mi resi conto di come fossi rimasta imbambolata con il cucchino a mezz’aria.

Non mi resi nemmeno conto di non indossare un paio di pantaloni, ma solamente il costume da bagno, quando mi avviai verso la porta d’ingresso, imprecando mentalmente verso chiunque se la stesse prendendo con la mia entrata.

Colui o colei che aveva appena interrotto il mio spuntino non dava tregua: continuava a battere il pugno sulla mia porta con decisione ed impazienza.

Poi la aprii,decisa più che mai ad insultare chi stesse cercando di far crollare il mio appartamento, ma quando mi resi conto che, l’aggressore d’ingressi, in realtà era Travis, ogni mia sicurezza, ogni mia decisione svanì, lasciandomi solamente un leggero tremolio alle gambe.

*

Taaa Daaaan... Il Coniglio Pasquale è arrivato!

Dopo tante sofferenze sono riuscita a postare il nuovo capitolo. come sempre scusate il ritardo e l'assenza prolungata, ma sto passando dei giorni un po' tosti, nonostante la vacanza *sigh*..

Sono a mezzo con la tesina, ma volevo stoppare questo mio continuo assenteismo, così... ECCO QUA UN CAPITOLO FRESCRO FRESCO! Non ho idea di quando avrò la possibilità di postare il seguito, sinceramente.. Spero la prossima settimana, ma preferisco non promettrvi niente e costruire prospettive e promesse che, magari, non riuscirei a mantenere!

Non odiatevi, perchè io vi voglio tanto bene e vi dico che siete adorabili! Vi basta come scusa, da parte mia, per avervi lasciate con il fiato sospeso, come al solito? Spero di si...

Nuova svolta! Taaa Daaan!

Eggià... Beh, fatemi sapere che ne pensate, gente! :)

Come sempre ringrazio tutte voi, bellissime donzelle che continuate a seguire me, ragazza mentalmente disturbata! E a chi recensisce farei una statua! Grazi di cuore, davvero, mi fate impazzire di gioia! <3

Detto questo mi dileguo... Alla prossima bella gente!

Un abbraccio, un bacione e... BUONA PASQUA!

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Capitolo 12
*** 11. Animal Instinct ***


Maya11




*****



Rimasi seriamente shockata quando mi resi conto di avere proprio lui davanti agli occhi, sulla soglia del mio appartamento e con il fiatone dovuto a tutte le rampe di scale.

Un appartamento ad un piano inferiore, no!? Perché il settimo!?”.

Travis parlò con voce affannata, neanche avesse appena terminato una maratona, ma per certi versi poteva essere considerata tale la veloce scalata di quattordici rampe di scale.

Vederlo in quello stato, con il viso leggermente arrossato, gli occhi stralunati, ma sempre fastidiosamente bello da far male, aveva mandato in frantumi la mia corazza di protezione, ogni briciolo di sarcasmo ed ogni mia sicurezza. Per l’ennesima volta.

Forse proprio perché mi sentivo terribilmente scoperta e a disagio, e non per la mia mancanza di decenza e pantaloni, lo assecondai quando si avvicinò a me e tornai in casa mia, indietreggiando.

Mi seguì silenzioso, chiudendosi la porta alle spalle, quando fu dentro, e osservandomi con una scintilla nello sguardo che avrebbe fatto sciogliere l’Antartide. Era fuoco, puro e pericoloso, capace di scottarti al solo sfiorarlo, in grado di lasciarti dannatamente incantata.

Mi bloccai solamente quando trovai il muro alle mie spalle: ero in trappola, ma forse si stava realizzando quello che volevo davvero. Forse stavo realmente impazzendo  oppure Travis aveva il potere di farmi fare cose folli, ma il punto era soltanto uno: in quell’occasione, nel mio appartamento, nessuno aveva via di scampo.

Maya, calma! Lascia a lui la prima mossa!

Si, lo so! Zitta ora, sono impegnata ad ammirare e ad avere paura di questo ragazzo, annegando nel mio stesso lago di bava.

Ero ridicola!

Perché sei qui?”, gli chiesi con un filo di voce, mentre lui mi sovrastava con la sua altezza.

Non ti sembra evidente, Maya”, rispose lui, avvicinandosi ancora e poggiando le mani ai lati della mia testa.

No, non mi sembra, oramai non capisco più nulla”. Confessai a lui quello che, già da tempo, frullava nella mia testa e mi sorpresi di come il mio tono di voce sembrasse tranquillo quando, in realtà, ero tutta in subbuglio. Una pentola a pressione pronta a scoppiare. “Non sono più sicura di niente e non più cosa pensare: mi mandi in tilt il cervello, Travis”.

Mi fissò incerto per un momento poi chinò il volto verso di me ed io, pronta morire d’infarto, non riuscii a reggere il suo sguardo, così cominciai a fissarmi i piedi pur di non incontrare quei tizzoni ardenti che erano diventati i suoi occhi.

Sei ancora sicura di essere l’unica a sentirsi così?”, disse con un sussurro al mio orecchio. “Non sai quanto ti sbagli, Maya”, aggiunse sempre con quella voce illegale.

Dal nulla, mi sfiorò il lobo con la bocca, restringendo ancora la distanza tra noi, per poi scendere sul collo e, quella scia di baci leggeri che lasciava, era una tortura, un brivido dietro l’altro. Le labbra morbide di Travis viaggiavano sulla mia pelle senza sosta, senza timore, ma con una sorprendente delicatezza, da far sciogliere chiunque ai suoi piedi.

Non riuscii a fare a meno di pensare a quante altre ragazze aveva certamente sedotto con quello stesso metodo.

Potrebbe essere considerato uno stalker!

Se sei così insicuro anche a tu allora ti faccio i miei complimenti: sei proprio un bravo attore!”, dissi quasi ansante.

Recuperai quel briciolo di coraggio necessario per riprendere il controllo delle mie facoltà mentali e, non appena mi resi conto della realtà di quel momento, lo afferrai per la felpa e lo avvicinai a me.

Lo sentii accennare una risata e l’ennesimo brivido mi percorse repentino la schiena. “Acida come sempre”, sussurrò poi.

Eravamo completamente andati, persi in noi stessi, consumati dal nostro odio reciproco e quello, proprio quell’avvicinamento tanto pericoloso, era la prova di come le nostre menti ci avessero abbandonati, lasciandoci in preda agli istinti.

In un attimo, le sue labbra raggiunsero il mio viso, carezzandolo delicatamente e diffondendo per il mio corpo scosse di piacere.

Piacere.

Si, stavo annegando nel piacere, nella sorpresa e nello sconcerto di come il mio corpo aderisse perfettamente al suo.

Mi baciò la mandibola, gli zigomi, il mento, poi si bloccò di colpo, restandomi comunque molto vicino.

I miei occhi verde-azzurri si persero in quel fuoco vivo che aveva preso possesso del suo sguardo.

sono ancora in tempo per andare via, Maya”, mi disse con un mormorio. “Basta che tu me lo dica adesso, altrimenti non saprò come fermarmi”.

La sua voce era puro sesso ed io stavo davvero impazzendo. Non ero solita ad avere pensieri simili, ma in quel momento non potevo farne a meno. Le mie capacità mentali erano tornate a livello primordiale.

Lo osservai attentamente, cercando di trovare un qualche cedimento, ma non riuscii e scorgere nulla, se non una dose massiccia dose di desiderio.

Poteva davvero finire in un modo così subdolo quella “storia”? Con una botta e via?

Perché non poteva essere diversamente, non lo avrei permesso.

Travis era lì a tentarmi e, per un’unica volta, lo avrei accettato, ma solamente in quell’occasione: da quel ragazzo non cercavo nulla.

Non cercavo nulla da nessuno, avevo altro a cui pensare e a cui dedicarmi.

Gli concessi un ultimo sguardo, poi le mie mani salirono fino alle sue spalle ed io mi alzai in punta di piedi, in modo da potermi gustare appieno la vista del suo volto.

Le distanze si accorciavano, i nostri respiri si fondevano in uno unico e le labbra erano pronte a scattare, a catturare quelle altrui per cominciare una danza che avrebbe portato solamente disastri.

Allora non farlo, non ora”, esalai in un soffio.

Lo sguardo di Travis mutò, gli occhi divennero più famelici e sulle sue labbra comparve un sorriso malizioso.

Chiunque si sarebbe liquefatto alla vista di quel ghigno tanto meraviglioso quanto preoccupante.

Si abbassò leggermente verso di me, sfiorandomi il collo con la punta del naso e la barba corta di un giorno; non riuscii a fermare i brividi continui , i tremiti che mi percorrevano il corpo. Inoltre, Travis non faceva altro che alimentare l’attesa, facendomi impazzire.

Poi mi fissò ancora, dopo avermi lasciato un bacio nell’incavo del collo che fuoriusciva dalla felpa.

Ne sei sicura, Maya?”.

Persi la pazienza.

Quella titubante sarei dovuta essere io, non lui, perché proprio Travis aveva cominciato quel gioco. Era stato il primo a fare complimenti, a sfiorarmi, poi era piombato alla mia porta, senza un’apparente vero motivo.

Presi il suo viso tra le mani, giocando con i capelli alla base della nuca, e per un fugace momento mi persi in quegli occhi cangianti che parevano volermi divorare.

Non sono sicura di nulla, Travis, ma per una volta non voglio dare ascolto a niente e a nessuno”, sussurrai a pochi centimetri dal suo viso. “E ti giuro che, se non smetti di blaterare, ti prendo a calci!”.

Mi avvicinai ancora, non prestando caso al sorriso che aleggiava sul viso di Travis, e facendo sfiorare le nostre labbra. Una pressa si impossessò del mio stomaco, facendomi fremere per l’eccitazione.

Non era da me comportarmi in quel modo, cedere a certe provocazioni e giocare lo stesso subdolo gioco che tanto andavo a criticare. “Per una volta facciamola questa follia”, sentenziai infine.

Il sorriso di Travis si espanse, illuminandogli il viso, ed io ignorai il leggero fastidio che mi provocò. Poi arrivò l’inizio della fine.

Dopo quelli che mi parvero secoli di attesa, riuscii finalmente a sentire le sue labbra sulle mie. Arrivarono di getto e, con forza, cominciarono a divorarmi senza pietà.

Lui sembrava finalmente deciso, sicuro di quanto stava facendo ed io, d’altro canto, non potevo far altro che corrergli dietro ed assecondarlo.

Le sue braccia mi agguantarono la schiena, sollevandomi leggermente da terra: tra le sue mani non ero che un fuscello inesistente.

Mi baciava con insistenza, con la necessità di percepire il contatto della mia bocca sulla sua ed io, da perfetta stupida quale ero, mi stavo sbriciolando tra le sue mani per quanta passione mi gettava addosso. Sentivo tutto, ogni minimo particolare, ogni sospiro, ogni tocco leggero delle sue mani, sentivo come la sua lingua cercasse la mia per una danza senza fine e sentivo come tutto ciò piacesse ad entrambi.

Ci sapeva fare, questo era innegabile, ma non mi lasciai sopraffare da lui. Mi dissi che avrei dovuto tenergli testa. Strinsi maggiormente le braccia attorno alle sue spalle, al suo collo, per non crollare per mancanza d’ossigeno.

Lui non dava tregua: era un treno in corsa, pronto a deragliare.

Era inevitabile sentirsi insignificanti al suo cospetto. Sembrava avere il pieno potere della situazione, lui che stringeva i miei fianchi come un ossesso, che non sembrava volersi fermare per nessuna ragione al mondo e che, come sempre, mi sovrastava con la sua stazza e la sua altezza.

Poi, d’un tratto, tutto terminò.

Ritrovai Travis, dopo aver aperto gli occhi, a pochi passi da me, con il viso arrossato, le labbra gonfie ed il fiatone.

Dovetti chiedere aiuto all’appoggio del muro dietro di me per un momento, prima di sentirlo parlare. Ancora.

Mai come in quell’occasione avevo desiderato il silenzio da parte sua.

Maya”, cominciò ansante. “Per quanto tu mi possa considerare un competo stronzo, non voglio…”.

Dannazione, Travis!”, gridai esasperata, senza dargli la possibilità di terminare il suo monologo zuppo di sensi di colpa. “Smettila di accampare scuse; rispondimi sinceramente: mi vuoi, ora?”, gli chiesi, quasi adirata.

Lui mi fissò per un momento, completamente smarrito e sorpreso dalla mia reazione. Sembrava essere tornato bambino, con quel cipiglio corrucciato.

Si, Maya, ma voglio mettere in chiaro una cosa…”, continuò, dandomi ulteriore conferma di quanto potesse rivelarsi insicuro a volte.

Zitto! Non mi sto facendo paranoie, non mi sto costruendo dei castelli, sto solamente aspettando che tu la smetta di essere così titubante”, esclamai, alzando gli occhi al cielo. Ero un fascio di nervi, nonostante tutti i miei tentativi per nasconderlo.

Non sono in cerca di una storia, Maya”, disse, facendosi improvvisamente serio.

Mi lasciò leggermente spiazzata per la sua confessione. Non che io volessi il contrario, ma solitamente non è nel genere maschile mettere in chiaro le cose, quasi ad avvertirla possibile preda, se hanno la possibilità di portarsela a letto.

Tutto sembrava sottosopra.

Nemmeno io, Travis: una botta e via non la implica”, gli risposi, scatenando l’ennesima espressione stupita sul suo viso.

Me ne sarei pentita, lo sapevo, ma volevo andare fino in fondo e non pensare alle conseguenze, anche solo per un momento.

Non era una cosa normale, ne ero perfettamente consapevole, e mi facevo ribrezzo per quanto facilmente ero caduta in basso, ma la follia aveva un retrogusto stranamente piacevole, in quel frangente, e non sapevo come resisterle.

Mi abbracciava con promesse e malizia e mi faceva assaggiare la lussuria, allontanandosi immediatamente da me e lasciandomi con un pugno di mosche e gli ormoni impazziti.

Toccava a me prendere in mano la situazione, così lo afferrai di slancio per la felpa, ignorando per l’ennesima volta la sua risata e cancellando in un batter d’occhio la distanza che divideva le nostre labbra.

Quello era un Travis completamente diverso: sembrava non sapersi risparmiare, capace di scaricare ogni frustrazione in quella danza di labbra che quasi faceva male.

Con lentezza straziante calò la zip della felpa, sfiorando ogni tanto la mia pelle, ma senza interrompere per un secondo il contatto delle nostre bocche.

Mi tolse di dosso quell’indumento, diventato improvvisamente troppo ingombrante, pesante e superfluo per tenerlo indosso, carezzandomi la schiena con la stessa delicatezza utilizzata sulla spiaggia. Sembrava essere perfettamente in grado di manipolare la mia pelle a suo piacimento, mandandomi quasi in estasi.

Con le dita mi insinuai sotto l’orlo della sua felpa e della sua maglietta, assaporando la sensazione della sua pelle straordinariamente morbida sotto i palmi, poi gli sollevai leggermente gli abiti e lui, intuendo le mie azioni, mi aiutò nell’impresa di sfilare ad un colosso come lui dei vestiti.

Per un momento vi rimase incastrato con la testa e, stranamente, fu a me che spuntò il sorriso. E Travis se ne accorse nel momento stesso in cui i suoi occhi ritrovarono i miei, dopo che si fu liberato di quella trappola.

Finalmente un sorriso, Maya”, disse beffardo, spingendomi lentamente verso la parte dietro di me. “Sono colpito”.

Quella voce. Due parole. Le mie ovaie che invocarono pietà.

Non sono di ghiaccio, Travis”, gli risposi a tono, senza tuttavia riuscire a cancellare quel mezzo sorriso che mi occupava le labbra.

Lo so, Maya”, parlò lui, sollevandomi improvvisamente da terra e prendendomi in braccio.

Mi ancorai, sorpresa, alle sue spalle, allacciando le gambe alla sua vita.

Sembrava tutto surreale, anche quella strana adrenalina che scorreva nelle mie vene ad una velocità incontrollabile, anche la bocca di Travis che aveva ricominciato a baciare il mio collo, il mio viso; tutto sembrava surreale.

Sei suadente e calda come il fuoco”, sussurrò ancora, con il viso nell’incavo del mio collo.

Una sua mano dai miei fianchi si insinuò lenta e peccaminosa su, lungo le spina dorsale e, quando trovò il laccio del costume da bagno, non esitò un momento a sciogliere il fiocco.

Forse staremo più comodi in camera da letto, non credi?”, mi chiese con le labbra sulle mie.

Perdersi in quegli occhi era diventato una tortura.

Andiamo”, riuscii a rispondergli a malapena, troppo sopraffatta dalle emozioni per articolare una frase di senso compiuto.


*


Sono. Ancora. Viva.
Dopo un mese esatto eccomi qua.. Lo so, vi ho lasciate con la storia a metà, in un momento pessimo, ma sono stata molto impegnata con la scuola e diaciamo che non sono stata nemmeno tanto bene!
Però ora ci sono.. Lo so, forse questo capitolo non è gran ché, ma ora COMINCIA IL BELLO!

Come sempre grazie a chi mi segue, a chi lascia recensioni, a chi legge.. A TUTTE VOI, BELLEZZE! <3

Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un abbraccio,
Chiara :)

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Capitolo 13
*** 12. Vento di Cambiamenti ***


Maya11




*****




NdA
Questa volta scrivo all'inizio..
Mi sembra più che doveroso farvi delle immense, sincere, dispiaciutissime SCUSE! Non avrei voluto farvi attendere così tanto per un capitolo, vi chiedo davvero scusa, dal profondo del cuore!
Non ho deli veri e proprio motivi, vi dico solo che sono stata parecchio impegnata con la maturità ed alcuni casini che mi sono successi, ma ora sono tornata! E non finisce qua.. Sono già pronta a pubblicarvi un nuovo POV di Travis da un po' di giorni! Di certo, questa volta, non farò passare dei mesi: cercherò di diventare più brava!
Detto questo mi dileguo e vi lascio al capitolo.. Scusatemi ancora!
Ci vediamo sotto!

Era successo!

Ero scesa ad un livello tale che nemmeno la mia coscienza si faceva sentire.

Mi disgustava l’idea di essere arrivata a tanto solamente a causa di quello stupido istinto che si faceva sentire nei momenti meno opportuni. Ero diventata come tutte le altre ragazze che avevo sempre criticato: una sgualdrina; e avrei preferito un biglietto di sola andata per gli inferi piuttosto che restare stesa sul letto, a guardare il soffitto, con ancora Travis al mio fianco.

Avevo il corpo coperto dalle lenzuola di cotone leggero, gelosamente bloccate dalle mie braccia distese lungo i fianchi; mi tremavano ancora le mani.

Sentivo il respiro pesante del ragazzo accanto a me, ma non azzardavo nemmeno uno sguardo verso la sua direzione: non volevo vederlo, non volevo ammirare per l’ennesima volta quel corpo assurdamente perfetto, quelle labbra che mi avevano fatta impazzire e quelle mani che sapevano manovrarmi alla perfezione.

Era stato qualcosa di nuovo, qualcosa di caldo e passionale, e mi aveva investita con tutta la sua forza. Era stato come restare sospesi in un limbo temporale, isolato da tutto il resto del mondo, che ci aveva trasportati in un luogo dove non c’erano né litigi né battibecchi.

Per quel momento non ero stata con il Travis che mi faceva innervosire, che tanto mi aveva fatta impazzire, ero andata a letto con un ragazzo completamente diverso, quasi perfetto, in possesso di una delicatezza, ma al tempo stesso di una forza da lasciare esterrefatti, sconcertati.

E forse era proprio quello a farmi imbestialire: avevo a che fare con Travis, ragazzo affetto da problemi di doppia personalità e non riuscivo a comprendere quale, delle due persone con cui avevo avuto a che fare, mi faceva più paura.

Mi spaventavano tutti i suoi continui cambiamenti di umore, tutti i suoi voltafaccia. Lui mi faceva paura.

Forse ero ancora segnata da quell’occasione nell’armadio delle scope oppure mi ero già pentita di ciò che avevo appena fatto, ma l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era a quanto riuscissi a sentirmi a disagio nel mio stesso letto. Avrei tanto voluto evaporare, dissolvermi nel nulla per evitare di assistere alla mia stessa fine.

Forse il monologo di Michael Douglas nel film “La Guerra dei Roses”(*) avrebbe fatto al caso mio, in quel frangente. Di certo avrebbe descritto appieno il mio stato d’animo.

Di punto in bianco mi misi seduta sul letto, trascinandomi dietro le lenzuola, poi cercai di recuperare la biancheria il più in fretta possibile, con la speranza di non sembrare troppo goffa. Sentivo il vitale bisogno di evadere, di uscire da quella stanza ancora densa della nostra pazzia.

Dovevo rinchiudermi nella mia camera oscura, da sola, e ricominciare a respirare regolarmente per non rischiare di impazzire oppure diventare preda di una crisi di nervi. Sentivo la necessità di riconquistare le distanze, i miei spazi, le mie sicurezze, tutto ciò a cui avrei potuto aggrapparmi.

Recuperai da terra una vecchia t-shirt degli AC/DC, ormai grande e sformata, e fuggii dalla mia stanza, da Travis, e mi chiusi la porta alle spalle quando raggiunsi la mia camera oscura.

Il respiro cominciò a correre all’impazzata, incapace di comprendere quanto mi mettesse agitazione, ed il battito, ormai deciso a frantumarmi la cassa toracica, riuscivo a percepirlo addirittura nelle orecchie. Non potevo di certo farmi prendere dal panico con quel ragazzo ancora in casa, ma tutto, dentro di me, sembrava pronto ad esplodere, a mandarmi in mille pezzi.

Stupida! Stupida! Stupida!”, cominciai a parlottare con voce quasi inudibile, tra me e me. “Maya sei un’emerita stupida!”.

Il cervello degenerava, non riceveva più ossigeno ed io stavo seriamente rischiando l’esaurimento nervoso.

Mi accasciai a terra, con la schiena poggiata alla porta, e mi presi la testa fra le mani, con la speranza che la situazione potesse migliorare, con la speranza di potermi svegliare da quell’incubo e che, una volta aperti gli occhi, di Travis non ci sarebbe stata più nessuna traccia.

Si, probabilmente stavo ingigantendo tutto quanto, peggiorando solamente la mia salute mentale, ma proprio non riuscivo a trovare alcun lato positivo in quanto avevo appena fatto.

Perché, forse, non c’era davvero un lato positivo, non c’era il sole dietro le nuvole, ma solamente l’acquazzone che ti annebbia la vista e le idee. Ed io, in quell’occasione, ero diventata cieca.

Cieca e preda degli istinti, anche se Travis non si era di certo tirato indietro.

Era anche colpa sua, si, perché non mi aveva respinta, non mi aveva fermata.

Era colpevole quanto me, Travis, lui che era arrivato di punto in bianco a casa mia, rischiando di buttare giù la porta. Sempre se, l’aver fatto sesso con un individuo praticamente sconosciuto, si potesse definire una colpa, era ugualmente spartita ad entrambi, perché entrambi avevamo perso il controllo e perché, cose simili, da soli non si fanno.

Il buio pesto della camera oscura, in parte, riuscì a tranquillizzarmi ed a placare il continuo martellare del mio cuore che rischiava di fuoriuscirmi dalla cassa toracica, ma non calmò, tuttavia, il flusso di pensieri e di immagini che si riversarono nella mia mente, così non riuscii a far meno di rivivere tutto quello che avevo appena passato. Come se la continua serie di brividi che mi percorreva il corpo non fosse bastata a ricordarmelo.

Perché, nonostante tutti i miei sforzi per sviare l’argomento nei miei pensieri, ero costretta ad ammettere che era stato tutto fantastico. Persino la continua scarica di adrenalina che aveva riempito le mie vene, facendole quasi esplodere, persino la consapevolezza di essere nel torto e di star sbagliando tutto, sin dal principio.

Probabilmente era proprio quel particolare a farmi infuriare con me stessa, perché, nonostante il tizio in camera mia fosse proprio Travis, mi era piaciuto.

E probabilmente fu per colpa di tutti quei miei discorsi privi di senso che mi annebbiavano la mente che, quando sentii bussare alla porta della mia camera oscura, saltai in piedi in un attimo.

Mi chiesi vagamente quanto tempo avessi passato lì dentro a rimuginare sull’accaduto.

Maya, va tutto bene?”, la voce distorta di Travis quasi mi perforò l’orecchio. “Sei lì dentro?”.

Come poteva, dopo un momento simile, preoccuparsi per me? Era Travis e la preoccupazione verso altre persone proprio non gli si addiceva.

Bussò ancora e non potei fare a meno di notare quanto risultasse insistente. Così mi preparai mentalmente, un respiro profondo e solita espressione contrariata in volto, ed aprii la porta, trovandomi Travis davanti agli occhi con indosso solamente i boxer.

Cominciamo bene!

Che vuoi, Travis?”, gli chiesi con una nota di disappunto nelle voce, poggiando le mani sui fianchi.

Per un attimo mi guardò, quasi sorpreso della mia reazione, ma poi scosse la testa, allontanandosi da me e tornando verso la camera da letto.

Sospirai, dirigendomi verso la cucina: la fame cominciava a farsi sentire davvero e, in qualche modo, sentivo di dover sfogare tutta la rabbia e la tensione che avevo in corpo, anche se i miei ricordi mi stavano regalando immagini completamente differenti di metodi per sfogare la rabbia.

No, Maya, ci sono i biscotti!

Mi dissi che, in situazioni del genere, serviva spina dorsale e che non avrei mai più permesso che la mia fibra morale crollasse in quel modo, nonostante le sensazioni che mi aveva regalato e che, nemmeno sotto tortura, avrei ammesso al mondo.

Era stata solamente una volta, una sporadica occasione, nulla di più.

Dal nulla, Travis ricomparve, completamente rivestito, come se nulla fosse successo. Mi fissò per alcuni istanti, senza dire niente, con quel suo solito, stupido sguardo con cui sembrava voler scoprire sempre qualcosa di nuovo, fino a quando non rivolse l’attenzione altrove e sedette al tavolo della cucina.

Potrei avere un bicchiere d’acqua?”, mi chiese, continuando a fissare il pavimento.

Gli lanciai uno sguardo contrariato, infastidito da quell’improvvisa dimostrazione di educazione, come se, di punto in bianco, avesse avuto paura di rompermi, come se avesse pensato che, nonostante tutto, ero costituita di fragile porcellana. “Da quando hai imparato l’educazione, Travis?”, gli chiesi, acida.

Lui rise, leggermente, senza sforzarsi, e scosse leggermente il capo prima di incollare nuovamente il suo sguardo al mio. “Non ti scomodare, ora me ne vado e tolgo il disturbo”.

Si, forse sarebbe la cosa migliore, Travis”, gli risposi con uno sguardo truce e più acido che mai, sentendomi quasi in colpa per quanta cattiveria stavo utilizzando, ma quella sensazione evaporò non appena lui mi raggiunse in un lampo, accorciando per l’ennesima volta le distanze.

Trattenni il fiato, d’istinto, e quasi mi spaventai quando me lo ritrovai davanti agli occhi in un attimo, come era successo nella stanza delle scope.

Quel momento continuava a tornarmi alla mente.

Mi ritrovai bloccata tra il banco della cucina ed il muro umano che mi si era appena parato davanti.

Riuscii solamente a pensare a come non potesse fare a meno di fissarmi come se volesse bruciarmi viva, in quel momento: i suoi occhi erano puro fuoco che non davano tregua alla mia pelle.

Era già capitato, in precedenza, che quelle iridi mi incutessero un certo timore, ma mai come in quel momento.

Sei una stronza, lo sai, vero?”, mi domandò lui, senza distogliere lo sguardo dal mio viso.

Si, ne ero a conoscenza, ma tu, dicendomi queste cose, non mi incoraggi a migliorare”, riuscii a rispondere grazie ad un lampo di lucidità.

Per quanto mi sforzassi di apparire tosta, sicura di me stessa e per quanto cercassi di essere tagliente nei confronti di Travis, lui sembrava non fare una piega: se ne restava lì, in piedi davanti a me, con la solita faccia che avrei riempito volentieri di schiaffi.

Almeno ne sei consapevole, Maya”, disse con un sorrisetto strafottente sul viso.

Poi, in un attimo, esattamente com’era arrivato, Travis girò i tacchi e levò le tende sbattendo la porta.

Ero più confusa che mai, con migliaia di pensieri per la testa e completamente sconcertata per l’uscita di quel dannato ragazzo, ma nulla mi impedì di rimpinzarmi di biscotti, dato che mi trovavo già in cucina.

In qualche modo dovevo liberarmi di quel continuo nervoso.

 

Era davvero parecchio tempo che non passavo una notte tranquilla quanto quella: merito delle lenzuola pulite oppure della mia mente finalmente libera, non lo sapevo di preciso, ma sicuramente qualcosa mi aveva dato una mano.

Dopo l’uscita da prima donna di Travis e la quantità esorbitante di biscotti che avevo ingurgitato, mi ero concessa una lunga doccia, nella speranza che mi levasse tutta la salsedine di dosso e, successivamente, non avevo esitato un secondo a cambiare l’intero corredo del letto in camera mia, troppo impregnato di sale marino e sensi di colpa. Questi ultimi, anche dentro me stessa, erano andati svanendo pian piano, con il passare delle ore.

Nel tardo pomeriggio ero tornata la solita Maya, collassata a peso morto sul divano con il solo intento di dormire.

Avevo telefonato alla redazione della rivista sportiva, avvisando immediatamente la direttrice di ghiaccio della quantità di fotografie che avevo da mostrarle, e lei, sempre con i suoi toni freddi e composti, mi diede appuntamento la mattina seguente per l’ennesimo colloquio.

Tornai a sperare, anche se quel lavoro non era la mia massima aspirazione.

Controllai le fotografie e mi resi conto, solo in quel momento, di quante ne avessi scattate: una quantità esorbitante; ma almeno riuscii a tirare un sospiro di sollievo quando notai di essere in possesso di buon materiale.

Mi sorpresi di alcuni scatti particolarmente interessanti che mi sembrarono azzeccati per quel tipo di rivista, come un dove avevo inquadrato Travis di spalle, con lo sguardo concentrato rivolto verso la sua destra, mentre si incamminava verso il largo, oppure un altro dove Travis si trovava già in acqua, pronto per un’altra bracciata. Non erano male, erano belle.

Poi mi imbattei in uno scatto che mi fece trasalire: lui, in acqua, con le labbra a pelo d’acqua e lo sguardo fisso su di me. Ecco, quella fotografia faceva un po’ paura, grazie anche ai toni grigi, che avevano attanagliato il cielo, che facevano risaltare maggiormente i suoi occhi nocciola.

Quel ragazzo sapeva essere particolarmente inquietante.

Scelsi le immagini migliori, le mandai alla stampante che avevo nella camera oscura e le imbustai, pronte per la rivista la mattina seguente e con la speranza che, quella, sarebbe stata la volta buona.

Quando arrivai alla redazione del giornale, mi accolse una segretaria, vestita di tutto punto e con dei tacchi vertiginosi, con un sorrisetto scocciato sul volto. Probabilmente se, in quell’ambiente, i dipendenti non si presentavano irritati ed estremamente annoiati, non venivano assunti. Ero entrata in quegli uffici solamente un paio di volte e mai, nemmeno una sporadica volta, avevo visto un sorriso sincero.

La stessa segretaria dall’aria tediata mi accompagnò in una sala d’aspetto che, ricordavo, portava all’ufficio della direttrice della rivista: era tutto bianco, asettico ed accecante, troppo semplice ed essenziale. Quello spazio nuoceva alla vista.

Tra poco verrà ricevuta, signoria”, parlò la ragazza, attirando la mia attenzione. “Nel frattempo può attendere qui”. solito sorrisetto di circostanza e se ne andò, con i suoi tacchi a spillo come unico rumore di sottofondo.

Belle scarpe”, sussurrai tra me e me.

Mi accomodai su una delle poltroncine in pelle bianca che riempivano lo spazio, in attesa del mio “giudizio finale”. Di certo il secco e chiaro rumore del grande orologio appeso alla parete non aiutava i miei nervi a calmarsi.

Tenevo con forza la busta marrone tra le mani, come se le fotografie al suo interno potessero fuggire a gambe levate. Io, al loro posto, lo avrei fatto all’istante.

Ero tesa come una corda di violino, come neanche alla mia laurea ero stata.

Dieci minuti e ancora niente.

Cominciai a sentirmi estremamente a disagio e fuori luogo rispetto all’ambiente in cui mi trovavo: tutto sembrava studiato a regola d’arte, nonostante ci fossero davvero pochi oggetti da sistemare minuziosamente, ma anche la posizione del tavolino in vetro, al centro della stanza, pareva il risultato di ore di studio.

Quella sensazione di inadeguatezza non fece che accrescere quando, di punto in bianco, un’altra ragazza arrivò entrò dalla stessa direzione da cui ero arrivata io e, dopo aver bussato alla porta della direttrice, entrò nell’ufficio.

Anche lei era vestita fin troppo bene, con scarpe nere e lucide, fin troppo alte, ed uno strano cipiglio di superiorità in viso, fin troppo fastidioso. Era palese che io, con le mie Converse nere, i miei semplici e consumati jeans ed una semplice maglia bianca, non avessi nulla a che fare con le persone che vagavano per quegli uffici.

Venticinque minuti e la mia pazienza aveva cominciato a scemare.

Presi tra le mani il telefono, solamente per controllare l’ipotetica presenza di chiamate o messaggi, ma non avevo ricevuto nulla.

Calma piatta. Come quella che aleggiava in quell’ambiente.

Ad un certo punto la porta dell’ufficio si spalancò ed uscì la stessa ragazza che vi era entrata poco prima seguita da un’altra che, di certo, non passava inosservata. Non sapevo se fosse la testa di riccioli biondi, ovviamente perfetti, oppure i pantaloni di seta rosa shocking ad attirare maggiore attenzione.

Entrambe mi rivolsero una strana occhiata, prima di dileguarsi parlottando tra di loro.

Decisamente ero la persona meno adeguata per quell’ambiente.

Tornai con lo sguardo alla porta dell’ufficio e sobbalzai sulla sedia quando vidi la direttrice di ghiaccio poggiata allo stipite, con le braccia incrociate al petto, intenta a fissarmi.

Rabbrividii istintivamente alla vista di quegli occhi.

Buongiorno Maya, entra pure”.

Rimasi un attimo interdetta, dopo l’invito che mi fece quella donna, come se di punto in bianco ogni mia sicurezza si fosse prosciugata al suono della sua voce. La fissai un momento e non potei fare a meno di invidiarle la sicurezza che trasudava.

Buongiorno”, mi sentii dire poco dopo.

Entrai nell’ufficio, anch’esso bianco ed essenziale, e mi accomodai su una delle poltrone disposte di fronte alla scrivania in legno scuro.

Mi sentii un pesce fuor d’acqua, come se anche le pareti mi urlassero a chiare parole quanto fossi inadatta per quell’ambiente, ma decisi di tenere la testa alta e di mostrarmi sicura di me stessa, anche se in realtà ero tutt’altro che tranquilla.

Bene, Maya”, cominciò la direttrice di ghiaccio, sistemandosi sulla sua sedia dall’altra parte della scrivania. “Spero che tu abbia gli scatti giusti, oggi: ti ho già informata di come questa rappresenti la tua ultima possibilità per entrare nel nostro team, giusto?”, aggiunse, piegando leggermente il capo da un lato.

Il suo sguardo sembrava voler recepire ogni mia debolezza ed indecisione.

Si signora, me lo ha ricordato l’ultima volta che ci siamo incontrate e penso, e spero, di possedere ciò che sta cercando”.

Continua così, Maya!

Quel briciolo di sicurezza che riuscii a manifestare, mi sorprese.

Mi ero alzata terribilmente inquieta quella mattina e, solitamente, quella situazione avrebbe rappresentato l’andamento dell’intera giornata. Tuttavia, quello spiraglio di luce e di forza che avevo dimostrato, nonostante l’agitazione che mi attanagliava lo stomaco, sembrava essere il modo giusto per cambiare le carte in tavola.

Bene, allora guardiamo questi scatti”, disse poggiando i gomiti alla scrivania e guardandomi con un sorriso ambiguo sulle labbra.

Quella donna, nonostante la bellezza e la forza che emanava, faceva paura.

Le passai la busta con all’interno le fotografie che aveva scelto e, improvvisamente, pensai a come avrei potuto fare la scelta sbagliata, a come avrei potuto stampare altre immagini, a come avrei potuto evitare che Travis mi distraesse fino a farmi deconcentrare sul mio lavoro.

Tutto mi sembrò sbagliato, fuori posto, persino la donna davanti a me, con in mano le fotografie che le avevo portato, con in mano la fatidica decisione per il mio futuro.

Strano, ma vero, avevo buttato tra le braccia di una persona completamente sconosciuta il mio futuro e parte del mio destino, nonostante mi fossi sempre dimostrata pronta a prendere il controllo delle redini della mia vita, senza l’aiuto di altre persone che, senza ombra di dubbio, non avrebbero fatto altro che condizionare il mio pensiero e le mie decisioni.

Beh…”, nemmeno me ne ero accorta, troppo presa dai miei pensieri e dalle mie paranoie, ma la direttrice stava sfogliando i miei scatti. Nonostante i miei sforzi, non riuscivo a decifrare alcuna emozione sul suo viso.

Non disse altro per quella che mi parve un’eternità, si limitò ad osservare ed analizzare attentamente le immagini che aveva tra le dita.

Ed io, nel frattempo, mi stavo facendo consumare dall’agitazione.

Questo ragazzo, oltre che essere uno tra i migliori nel suo sport, è una vera meraviglia”, disse infine, facendomi quasi cadere dalla sedia per la sorpresa.

Cosa!?

Quello era il momento in cui si doveva decidere del mio futuro, non l’attimo in cui si doveva lasciare prevalere l’aspetto di Travis.

Come, scusi?”, chiesi con la voce più alta di un’ottava.

La donna sollevò lo sguardo su di me, con un sopracciglio alzato, per un secondo, prima di tornare a rivolgere l’attenzione al mio lavoro. “Si, Maya, lui è il genere di ragazzo che, se incontri per strada, non puoi fare a meno di guardare”, disse con indifferenza. “Ed in foto viene anche molto bene”.

Non puoi fare a meno di guardarlo… Certo! L’importante è che tenga la bocca chiusa.

Trattenni il respiro, sembrava essere arrivato il momento cruciale: lei posò lentamente gli scatti sulla scrivania prima di rivolgermi un’occhiata attenta. Mi stava analizzando, ancora una volta.

Tentai di sostenere il suo sguardo con tutte le mie forze, perché l’ultima cosa che volevo era mostrarmi senza spina dorsale. Dovevo apparire sicura di me stessa, continuavo a ripetermelo.

Allora Maya, cosa pensi delle fotografie che mi hai mostrato?”, mi chiese, improvvisamente, prendendomi per l’ennesima volta in contropiede.

Penso di averle proposto del valido materiale che, tra l’altro, mostra le mie caratteristiche di fotografa”, riuscii a rispondere senza esitazione. “Penso di averle mostrato quanto io possa essere versatile per questo lavoro”.

La donna di fronte a me esitò ancora un momento prima di ricominciare a parlare. “Sai, hai talento e la mia rivista ha bisogno di una fotografa come te, ma temo che tu non sia adatta per questo ambiente”, mi confessò distogliendo lo sguardo dal mio. “O quantomeno sembra che tu, nel profondo, non desideri appieno questo impiego”.

L’aveva capito subito, quella donna, ed era arrivata subito al punto, senza tanti giri di parole.

Rimasi un momento perplessa, senza sapere esattamente cosa dire e come rispondere alla sua più che veritiera affermazione. Ero la persona meno adatta per un impiego a stretto contatto con lo sport, ma volevo quel lavoro, ne avevo bisogno.

Sarò sincera”, cominciai, rapita da un’ondata di sicurezza, agitandomi sulla sedia. “Probabilmente ha ragione, non sono la persona più adatta per la sua rivista, non prediligo lo sport come potenziale soggetto per un mio servizio, ma sono brava in ciò che faccio e possiedo un innato spirito di adattamento, perciò non capisco perché non dovrebbe assumermi, scusi la franchezza”.

Parlai tutto d’un fiato, per evitare interruzioni e, quando vidi spuntare sul volto della direttrice un’espressione tra la sorpresa ed il compiacimento, non seppi se cominciare a festeggiare o scavarmi la fossa.

Raddrizzai la schiena pronta al verdetto finale.

Sei, sincera, te lo concedo, e questa qualità mi piace, la trovo fondamentale”, mi parlò con un mezzo ghigno sul volto. “Eh va bene, per ora sei in prova”.

Finalmente!

Era un passo, molto piccolo, ma pur sempre meglio di niente.

Non riuscii a reprimere l’enorme sorriso che si impossessò del mio volto e, se ne avessi avuto la possibilità, probabilmente mi sarei messa a ballare in quell’ufficio, ma ero già in una posizione precaria, così optai per il mantenimento di un comportamento decoroso.

Non ti emozionare troppo, cara”, parlò senza nemmeno darmi il tempo per ringraziarla. “Per ora ti verranno assegnati semplici scatti, giusto per capire il tuo livello, nulla di più, poi tra un po’ di tempo potremo riparlarne”, aggiunse insieme a quello che mi parve un vero sorriso.

Tutto mi risultò leggermente surreale.

Grazie! Grazie mille per l’opportunità”, la ringraziai con la voce leggermente rotta dall’emozione. “Lo avrà già sentito altre volte, ma le voglio dire che non se ne pentirà, assolutamente”.

Lo spero bene, Maya”, aggiunse poi, alzandosi dalla sua poltrona in pelle nera. Mi raggiunse dalla parte opposta della scrivania e mi tese la mano che, senza esitazione, strinsi, alzandomi dalla mia postazione.

Solamente in quel momento notai quanto, nonostante gli anni che presumevo avesse, fosse bella ed alta. Molto alta. Grazie anche ai tacchi che indossava. Era inevitabile sentirsi insignificanti al cospetto di quella donna, aveva la straordinaria capacità di attirare tutta la luce possibile: risplendeva, nonostante la determinazione che traspariva dalla sua espressione.

Mi congedò dopo poco, dicendomi che avrebbe avuto un altro appuntamento di lì a qualche minuto, così me ne andai, borbottando qualche altro ringraziamento.

Quasi non ci credevo: tutte quelle settimane passare a dover sopportare Travis ed il suo comportamento avevano dato i loro frutti, erano servite a qualcosa. Ce l’avevo fatta!

Dopo tanto tempo, finalmente, ero riuscita a raggiungere un vero e proprio scopo, avevo raggiunto il traguardo che mi ero posta e, la cosa che mi rendeva maggiormente felice, era la consapevolezza di averlo fatto con le mie sole forze. Certo, un grande aiuto me lo aveva dato anche mio padre, Claudio, e per quello avrei dovuto ringraziarlo, ma gran parte del lavoro lo avevo fatto io, con le mie forze, con la mia testa e la mia determinazione.

Tutto mi sembrò meno fastidioso, più colorato, più bello, quando uscii dall’ufficio della direttrice. Il bianco delle pareti non era più accecante come quando ero entrata, gli sguardi altezzosi degli impiegati risultavano meno fastidiosi: tutto era cambiato. Oppure ero solamente cambiata io ed ero diventata leggermente più permissiva.

Tuttavia qualcosa era cambiato e, nel preciso istante in cui raggiunsi l’esterno dell’edificio, non me ne importò di meno da cosa derivasse questo cambiamento. Riuscii solamente a pensare a quanto mi sentissi meglio, a posto con me stessa, più leggera di quanto non mi fossi mai sentita.

Avevo ottenuto quel lavoro che avevo tanto agognato e, per la prima volta, non trovai nulla di cui lamentarmi.

Decisi di telefonare immediatamente mio padre, così da renderlo partecipe della mia felicità e della mia euforia, così da poterlo ringraziare perché, per la prima volta, mi sentivo molto più buona di quanto non fossi mai stata.

Per quanto mi costasse ammetterlo, avrei dovuto ringraziare anche Travis, seppur in minima parte, ma decisi immediatamente che non lo avrei mai fatto.

Nemmeno sotto tortura.

(*)  Film del 1989
Monologo di M. Douglas: "Mi scusi, avvocato Thurmond, bieco, lercio, schifoso pezzetto di merda: adesso io vorrei dire due parole alla mia signora. Se questa è una gara di caduta rapida verso il basso, hai vinto: mostrandogli la mia lettera sei piombata di botto nel più profondo strato di merda fossile uscita dal buco di culo del più stronzo degli ominidi".

Rende bene l'idea delle sensazioni di Maya!

*

Eccomi ancora..

Ancora un grandissimo SCUSATEMI! Davvero, mi farò perdonare.. Ora voglio solamente fare un piccolo ringraziamento poi vi lascio.. Quindi GRAZIE MILLE a tutte voi che, nonostante la mia poca costanza negli aggiornamenti, siete sempre qua a seguirmi, a recensire e a non abbandonare la sottoscritta! Lo apprezzo davvero tanto e non smetterò mai di scusarmi per questi mesi di vuoto totale! Mi dispiace!

Alla prossima,

Chiara :)

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Capitolo 14
*** 13. Travis' POV - Concentrazione ***


Maya13




*****



In ritardo, come sempre, ma meglio tardi che mai!

Ringrazio velocemente tutte voi, bellissime creature che continuate a seguirmi nonostante i tempi di pubblicazione esagerati! Mi era anche andato in tilt il computer e pensavo di aver perso tutto il capitolo, ma eccolo qui ed ecco a voi Travis..

Buona lettura ed un abbraccio,

Chiara

TRAVIS' POV

Quindici vasche.

Mi sentivo stanco, stremato, quando fino a poco tempo prima quelle quindici vasche le avrei fatte persino ad occhi chiusi, ma non osavo fermarmi. Sapevo che, se l’avessi fatto, avrei ricominciato a pensare, a viaggiare con la mente ai mille all’ora e non volevo. Non dovevo.

Avevo una competizione alle porte e non ero pronto, nemmeno lontanamente. Di certo, non potevano dirmi di mancare di tempismo perché, se dovevo cominciare a perdere la concentrazione sul mio obiettivo, lo facevo nel momento più sbagliato possibile. Tuttavia, la colpa non era solamente mia: se quell’odiosa brunetta non mi avesse fatto impazzire, in quel momento non avrei di certo dovuto combattere una battaglia contro me stesso.

Ebbene si, anche in quel caso la colpa era sua e soltanto sua.

Io non avevo fatto nulla, era stata lei a saltarmi addosso. Avrei potuto fermarla, certo, ma l’istinto maschile non si può controllare: agisce senza pensare alle conseguenze. Come in quel caso.

Era stato lui a portarmi a casa di Maya, mi aveva spinto lui a seguirla per le strade fino al suo appartamento. Ero rimasto in auto a pensare, per un po’ di tempo, a decidere se agire oppure tornarmene a casa indisturbato, ma poi nella mia testa tutto era diventato offuscato, i pensieri si scontravano tra loro e non era più in grado di seguire un ragionamento che avesse un filo logico. Così mi ero ritrovato a bussare prepotentemente alla porta dell’appartamento di quella ragazza, dopo una corsa frenetica per le scale.

Non avevo pensato al dopo, a come mi avrebbe potuto attaccare Maya, a come non avrei potuto fare a meno di pensare a quelle ore di sesso consumate insieme. A come ne avrei potuto desiderare ancora.

Per quanto cercassi di nasconderlo anche a me stesso, mi era piaciuto e non mi sarei lamentato se ne avessi avuto ancora. Non riuscivo a togliermi dalla testa quel suo corpicino tanto esile quanto perfetto, quelle sue curve e quel verde mare che mi aveva osservato traboccante di desiderio.

Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma era piaciuto anche a lei, ne ero sicuro!

Travis, pensi di continuare ad allenarti oppure ti porto un caffè!?”.

Mi resi conto solamente in quel momento di aver terminato prima del dovuto: ero poggiato al blocco di partenza della vasca da un tempo indefinito e non avevo fatto altro che fissare il vuoto.

A risvegliarmi dal mio sonno ad occhi aperti era stato Roberto, il collaboratore di Claudio. Oltre quelle parole non mi aveva rivolto molta attenzione, aveva già trovato chi aiutare tra i più giovani.

Decisi di uscire dalla piscina, maledicendomi per la mia mancanza di impegno e spina dorsale. Dovevo fare una bella chiacchierata con il mio allenatore e, se ne avessi avuto l’occasione, anche con sua figlia.

Dopo aver agguantato il mio borsone, mi legai un asciugamano in vita e cominciai a dirigermi verso l’ufficio di Claudio.

Dovevo trovare il modo di recuperare la concentrazione perdura ed ero certo che, solamente lui, sarebbe riuscito a risolvere il mio problema.

Mi fermai un momento in spogliatoio, dove gettai sulla prima panchine libera tutte le mie cose, e mi tolsi dalla testa quella diavoleria che tutti chiamavano cuffia. Tornai sui miei passi ed in poco tempo raggiunsi la porta dell’ufficio del mio allenatore, ancora con solamente l’asciugamano in vita. Lui, in ogni caso, mi conosceva da tempo e sapeva com’ero e quel luogo era come casa mia, infatti spesso mi lasciava a briglia sciolta, ma se esageravo sapeva sempre come rimettermi in carreggiata.

Pensai a quanto fosse fortunata Maya ad avere un padre come lui.

Arrivai a destinazione, bussai ed entrai subito dopo aver avvertito la voce di Claudio urlare “avanti”, ed eccola lì, seduta con lo sguardo rivolto al telefono cellulare, intenta ad inviare un sms.

Oh parli del diavolo...”, disse Claudio, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi radiosi.

A quelle parole gli occhi di Maya scattarono immediatamente nei miei, senza prima aver osservato di sfuggita il mio corpo.

Le era piaciuto, non c’erano dubbi.

La osservai strabuzzare gli occhi ed irrigidirsi in un attimo, quasi avesse un qualcosa di orripilante nel campo visivo, e le nocche bianche smascheravano perfettamente la stretta convulsa che esercitava sul cellulare.

La osservai per una manciata di secondi, reprimendo il desiderio di scappare a gambe levate, poi scossi leggermente la testa e rivolsi l’attenzione a Claudio che, sfortunatamente, ci fissava confuso ed incuriosito.

Claudio”, cominciai con fin troppo entusiasmo. “Volevo chiederti se c’è la possibilità per me, di fare allenamento con il palazzetto completamente vuoto”. Mi avvicinai leggermente alla scrivania dove, dietro, era seduto il mio allenatore, tenendo bene a mente di non rivolgere lo sguardo altrove.

Papà, io andrei”, disse Maya, quasi in un sussurro.

Riuscii a percepire tutto il suo nervosismo.

Non la degnai di uno sguardo: in quel momento una particolare crepa di una scaffalatura al mio fianco sembrava davvero interessante.

No, Maya, non ho ancora finito”, rispose lui in tono sbrigativo. “Allora Travis, perché vorresti la piscina sgombra?”. Cominciò a studiare attentamente la mia espressione e, per la prima volta, mi trovai a corto di parole ed in seria difficoltà. Incespicai un paio di volte nelle mie stesse parole, in cerca di un appiglio a cui aggrapparmi per poter fuggire da quella situazione.

Claudio non sembrava intenzionato a cedere, anzi, continuava a scrutarmi fin troppo attentamente.

“Beh... insomma, devo partecipare ai campionati mondiali tra poco e…”, cominciai a guardarmi in giro, stando ben attento a non rivolgere il minimo sguardo a Maya. Non mi riconoscevo più. “cioè, con la piscina così piena di persone perdo tuta la mia concentrazione e non riesco ad allenarmi come dovrei”.

Parlai a macchinetta, come mai avevo fatto prima e, a monologo terminato, mi trovai senza fiato. E non riuscivo a capire perché. Dovevo uscire da quella stanza, buttarmi per l’ennesima volta in piscina e trattenere il respiro sott’acqua fino a quando i polmoni me l’avrebbero permesso. Quella mi sembrava l’unica soluzione plausibile per sbollire la tensione.

Lo sguardo attento di Claudio cominciava ad infastidirmi, in particolare perché, sicuramente, vedeva molto più di quanto desiderassi lasciar trapelare. Non ero più io, in quei giorni: stavo lasciando scoperte troppe carte che avrei dovuto ancora giocare.

Travis”, cominciò l’uomo di fronte a me, alzandosi dalla sua poltrona ed avvicinandosi a me. “Pensavo che fossi tornato in possesso della giusta concentrazione dopo quella giornata al mare”. Impallidii.

Sentimmo un tonfo sordo ed entrambi, Claudio ed io, ci voltammo verso Maya, intenta a raccogliere dal pavimento il telefono cellulare che le era caduto dalle mani. Poi sollevò lo sguardo verso di noi e quasi mi caddero le braccia nel vederla in tremendo imbarazzo, con le guance dipinte di un rosso acceso.

Spostò velocemente l’attenzione da suo padre a me, guardandomi con gli occhi quasi sbarrati e quasi mi scatenò un brivido per tutta la schiena. Mi chiesi per quale motivo mi stesse fissando come un cucciolo impaurito. Dov’era finita la sua spavalderia?

Quanto sei sbadata, figlia mia!”, disse improvvisamente Claudio, facendomi reprimere una risata.

La vidi inspirare profondamente per poi tornare con lo sguardo allo schermo del telefono.

Dicevamo, Travis?”, chiese lui, dopo pochi istanti.

Cosa?”.

Mi colse impreparato, ero troppo impegnato a decifrare il comportamento di sua figlia.

L’espressione sul viso di Claudio parlò più di lui, con quelle sopracciglia aggrottate e gli occhi leggermente socchiusi: cominciava a sospettare qualcosa. E per depistarlo sarei dovuto tornare il solito Travis, in quell’esatto momento.

Scusa Claudio, ma quell’allenamento alla spiaggia non mi è servito a molto”, cominciai, con il tono di voce più convincente che potessi avere. “Ecco perché vorrei allenarmi a piscina vuota: il mare non ha fatto altro che peggiorare la mia concentrazione”.

Ancora quello sguardo sul viso di quell’uomo, ancora indecisione e sospetto, poi in un batter d’occhio tornò ad essere lui, il mio allenatore di sempre: tutto felice e sorridente. “Come desideri, Travis”, disse tornando a sedersi alla sua scrivania. “La piscina è completamente sgombra la mattina presto fino alle otto oppure la sera dopo le ventuno. Le chiavi le hai già, quindi potrai aprire la mattine e dovrai chiudere la sera”. Inforcò gli occhiali che aveva sulla scrivania e, dopo aver lanciato uno sguardo veloce alla figlia, tornò a fissarmi attentamente. Ancora una volta.

Ecco, in quel momento mi feci prendere dal panico ed ebbi paura di ciò che avrebbe potuto dire Claudio. Il suo sguardo serio non prometteva nulla di buono e l’ultima cosa che volevo era non averlo più dalla mia parte, soprattutto con del sesso occasionale con sua figlia in mezzo.

Restava una delle poche persone a credere in me senza riserve.

“Questo, però, non ti esonera dagli allenamenti giornalieri, Travis”, tirai un sospiro di sollievo. “Dovrai presentarti qui ogni giorno, poi decideremo come gestire tutte le tue giornate ed i tuoi allenamenti”.

Certo, Claudio! Come vuoi tu, grazie mille”, risposi tutto d’un fiato.

Mi congedai velocemente da quella situazione a dir poco imbarazzante, ringraziai ancora il mio allenatore e non dissi una parola a Maya, non le rivolsi nemmeno uno sguardo.

Dovevo tornare assolutamente in acqua. Ne sentivo il bisogno.

Dal giorno seguente in poi avrei dovuto lavorare come mai in vita mia: mi aspettavano davvero i campionati mondiali e non avevo la minima idea di come affrontarli. Ero terrorizzato solo all’idea.

Mi sarei dovuto battere con i migliori al mondo e il pensiero che, tra loro, spiccava anche il mio nome, mi faceva tremare le ginocchia.

Quello ero un piccolo grande traguardo, per me.

Avevo cominciato tardi, rispetto alla media, ma mi ero spaccato la schiena a forza di bracciate e di vasche percorse a perdifiato. Avevo combattuto più di chiunque altro e pensare che, incredibilmente, ero riuscito a piazzarmi per i mondiali, mi rendeva quasi orgoglioso di me stesso. Orgoglioso di me stesso era un parolone, ma rendeva quasi l’idea: ero in pieno fermento e non vedevo l’ora di gareggiare.

Mancavano circa sei settimane a dicembre, all’inizio dei campionati, ed ero tremendamente indietro sulla tabella di marcia, ma l’adrenalina che scorreva a mille nelle mie vene sembrava parlare con un’altra voce. Avrei quasi voluto urlare, soprattutto a tutte quelle porte chiuse in faccia che avevo racimolato nel corso degli anni, che ce la stavo facendo, che ci stavo riuscendo per davvero.

E gran parte del merito del mio successo andava a Claudio.

Lui mi aveva scoperto, lui mi aveva spronato a cominciare e lui era diventato quasi un padre, per me. Mi conosceva meglio di quanto mi conoscessi io stesso, e a volte questa qualità mi spaventava, ma sapevo di poter contare su di lui, sui suoi consigli e sul suo conforto. E in un particolare periodo della mia vita mi era stato davvero d’aiuto. Quando…

Il mio flusso di pensieri si bloccò di colpo, quando mi resi conto che una mano mi stava strattonando il polso con forza. Colto di sorpresa, non potei fare a meno che seguire chiunque mi stesse trascinando e, improvvisamente, mi trovai in uno stanzino angusto, piccolo. Una stanza con un intero corredo per le pulizie, dedussi dal forte odore di detersivo e disinfettante che mi investii le narici.

Ma che sta succedendo?”, dissi guardandomi in giro. E quando mi voltai verso la porta d’entrata, verso chi mi aveva trascinato in quell’abitacolo, quasi mi si staccarono le braccia dal resto del corpo per la sorpresa. Perché, di certo, Maya era l’ultima persona che desideravo mi portasse in un luogo simile.

Quasi mi persi in quel verde mare che le lampade al neon del locale rendevano quasi irreali.

Okay, forse non è l’ultima persona che vorrei in un posto simile. Forse.

Puoi spiegarmi?”, sbottò lei, tutto d’un tratto, poggiando le mani sui fianchi.

Ecco, quella fu, probabilmente, la mossa peggiore che potesse fare: se voleva incutermi davvero timore e farmi parlare, evidenziare i suoi fianchi non era di certo la mossa più azzeccata.

Ah io dovrei spiegare a te delle cose”, cominciai con ironia, forse troppa ironia. “Quanto sei tu quella che mi ha trascinato qui dentro. E poi cosa dovrei spiegarti di preciso, scusa?”.

Perché hai detto quelle cose con mio padre presente? Non hai visto come ci ha guardati!?”. Cominciava a dare in escandescenza e non capivo proprio per quale motivo. Sì, avevo notato anche io il modo in cui Claudio ci aveva osservati e, sì, per un momento avevo temuto anche io che avesse intuito qualche cosa, ma poi tutto è svanito in un attimo ed era tornato alla tranquilla normalità di sempre, quindi proprio non riuscivo a capire tutta la sua preoccupazione.

Poi mi lampeggiò davanti agli occhi il motivo per quanto sembrava davvero in ansia e quasi le scoppiai a ridere in faccia, ma cercai di trattenermi. Con scarsi risultati.

Non riuscii ad evitarlo, così cominciai a ridere di gusto, come non facevo da parecchio tempo e quasi dovetti sorreggermi alle scaffalature al mio fianco per non crollare a terra dalle risate.

Si può sapere per quale motivo hai cominciato a ridere come un idiota?”, mi chiese Maya, la donna di ghiaccio.

Lei, a differenza mia, pareva più seria che mai, con quel cipiglio scocciato sul viso. attendeva solamente, non proprio pazientemente, che riprendessi fiato e cominciassi a parlare.

Quel suo piede che sbatteva sul pavimento cominciava ad irritarmi.

Presi un profondo respiro, mi stampai sul viso il miglior sorriso strafottente che riuscissi a trovare e cominciai a parlare. “Hai per caso paura che il tuo papà scopra che hai fatto la ragazzaccia, Maya?”.

Mi uscì di getto, forse un po’ brutale, ma mi aveva chiesto una spiegazione ed io le avevo fortino la risposta più sincera che avessi.

Lei sbiancò, sotto la luce innaturale delle lampade al neon, e strabuzzò gli occhi quando assimilò le mie parole.

Probabilmente avevo esagerato e sarei dovuto fuggire a gambe levate, perché quello sguardo omicida non prometteva nulla di buono, ma restai lì impalato, davanti a quella ragazza più complicata di un tabu.

Mi asserii di colpo, dimenticando improvvisamente tutta l’ironia di quel momento, e cominciai a fissare Maya negli occhi, come a giocare a chi avesse ceduto per primo lo sguardo. E lei non diceva nulla, non faceva nulla, mi imitava e se ne stava nella sua parte di scantinato ad osservarmi attentamente.

Qual è il vero problema?”, le chiesi dopo alcuni istanti.

Cedette, con mia grande sorpresa Maya abbassò lo sguardo e cominciò a studiarsi le punte dei piedi, e in quel momento mi ricordò perfettamente una ragazzina, una bambina colta in fallo che non ha altra scelta che guardare a terra con vergogna.

Mi avvicinai, non so per quale motivo, ma sentii il bisogno di avvicinarmi a lei e di guardare dentro quel mare che era tutto tranne che comprensibile. La raggiunsi e la vidi irrigidirsi, ma cercò di non darlo eccessivamente a vedere, e non riuscii a resistere alla tentazione, così le presi il mento con una mano e le sollevai il viso.

Mi vennero quasi i brividi quando notai come, in un istante, l’espressione di quella ragazza mutò: mi ricordò sempre più una bambina.

La mia mente, già seriamente compromessa, era più confusa che mai, con migliaia di pensieri che si scontravano a vicenda e non creavano altro che caos. Un ammasso di idee, immagini, parole che non servivano a nulla, ma facevano solamente numero ed opprimevano il mio povero cervello dentro quella fragile scatola cranica.

Restammo in quella posizione per non so quanto tempo, a studiarci, a cercare di scorgere un lampo di esitazione negli occhi dell’altro, ma nulla pareva cambiare e nessuno dei due pareva voler retrocedere.

Io, di certo, no. Era una sensazione strana, ma bella, stavo bene, come se quel verde mare, quasi liquido, fosse diventato il lenitivo giusto per i miei giorni di ansia e di stress.

Cosa succede, Maya?”, le chiesi in un soffio.

Lo spazio angusto, troppo ristretto, la vicinanza pericolosa e… lei, non facevano altro che stuzzicarmi e minare il mio controllo, quello stesso controllo che, mi ero ripromesso, non avrei più perso. Soprattutto con la figlia del mio allenatore.

Perché hai detto quelle cose, Travis?”, mi chiese in tono flebile, ma non si mosse. Non si comportò come suo solito, non si allontanò come se la mia vicinanza comportasse una contaminazione da una malattia mortale. Restò lì, immobile, con i suoi numerosi centimetri in meno, tremendamente piccola e apparentemente fragile.

Sapevo fin troppo bene a cosa si riferiva, ma non sapevo esattamente cosa dirle. Non ne avevo proprio idea, perché nemmeno io avevo capito bene per quale motivo avevo pronunciato quelle parole.

Certo, erano vere, perché dopo quella giornata al mare, la mia concentrazione era partita per una destinazione a me sconosciuta con un biglietto di sola andata e, visti gli imminenti campionati, avevo bisogno di tornare me stesso, ma non so per quale motivo non ho atteso, non ho lasciato perdere. Avrei potuto scegliere un momento migliore, sarei potuto andare via e trovare un momento in cui Maya non fosse presente, ma non l’ho fatto. E l’idea di aver quasi offeso quella ragazza, mi dava una strana sensazione.

Abbassai la mano e mi allontanai di un passo da quella ragazza, ben deciso a non fare lo stesso errore del nostro ultimo incontro. “Non lo so, ma ciò che ho detto è la verita… tra poco avrò una competizione importante e ho perso tutta la mia concentrazione”, le dissi guardandomi in giro. “Ciò che è successo tra noi ha fatto più danni che altro, per me”, aggiunsi con un mezzo sorriso.

La guardai ancora e la vidi con la mia stessa espressione. E per la prima volta mi resi davvero conto di quanto le donasse un sorriso, seppur piccolo quanto quello che avevo davanti agli occhi.

Almeno non sono l’unica a sentirmi così”, scherzò con una lieve risata.

Quella conversazione da persone civili mi sembrava quasi irreale: se non erano insulti vari, noi non parlavamo proprio, ma…

No, Travis, niente ma!

Sai, Travis, ho avuto il lavoro”, cambiò discorso con estrema maestria. “Quindi dovrei ringraziarti, anche se…”.

Anche se?”, le chiesi incuriosito.

Maya mi guardo per un momento, con uno strano sguardo negli occhi, poi scoppiò improvvisamente in una risata.

Era strano vederlo ridere, forse per la sua continua aria di superiorità oppure per il perenne cipiglio scocciato, ma tutto ciò non le rendeva giustizia. Vederla ridere fu una rivelazione: era molto più bella di quanto pensassi.

Anche se ciò che è accaduto l’ultima volta che ci siamo visti vale molto più di un semplice grazie”, mi disse dopo alcuni istanti, continuando a ridere.

Non ci potevo credere, ma stava scherzando con me. Maya e Travis che parlano da persone civili e scherzano anche. Impossibile.

Venne da ridere anche a me, non so se per la risata contagiosa di quella ragazza oppure per le sue ultime parole, ma cominciai a ridere, quasi quanto poco prima.

Era davvero strano comportarmi da persona normale con lei, la stessa ragazza che mi aveva fatto impazzire con uno schiocco di dita. Tuttavia aveva uno strano retrogusto al quale ci si poteva abituare fin troppo facilmente e, questo, mi rese consapevole della leggera preoccupazione che si mosse dentro di me.

Poi tutto cessò. Dopo una risata di troppo, un’altra smorzata e bloccata metà, uno sguardo sostenuto più del dovuto e un sospiro esalato con timidezza.

L’atmosfera tornò seria e la tensione che si avvertiva nell’aria si poteva tranciare a mani nude.

Non potevo e non dovevo commettere lo stesso errore, dovevo andarmene il prima possibile da quell’abitacolo troppo piccolo per Maya e per me. Dovevo scappare dalla tentazione di prenderla e farla mia ancora una volta, così da poter sentire le sue unghie nella mia schiena ed i suoi sospiri sulla mia pelle.

Non avevo dimenticato i brividi che mi aveva provocato quel giorno: era fenomenale, senza mezzi termini.

Non avevo dimenticato come, stranamente, mi aveva stretto a se, quando era arrivata al limite, come le sue labbra combaciavano alla perfezione con le mie e come i nostri corpi rappresentavano una macchina fin troppo ben collaudata.

Non avevo dimenticato quanto, nei giorni seguenti, avevo desiderato che tutto quello accaduto a casa di Maya si ripetesse.

È meglio che vada”, quelle parole mi uscirono dalla bocca senza che me ne accorgessi. “Se tuo padre non mi trova in piscina mi uccide”, aggiunsi poi, con quello che speravo fosse un sorriso.

Mi sorpresi di me stesso per quanta forza di volontà trovai all’ultimo minuto, per come riuscii a sotterrare il mio istinto, per come decisi di non ascoltare le decisioni che mi urlava la mia testa.

Mi incamminai verso la porta, alle spalle di Maya, e riuscii anche ad abbassare la maniglia prima che lei afferrasse il mio polso. Ancora una volta.

Inspirai a fondo, leggermente preoccupato per quello che sarebbe potuto succedere, poi sollevai lo sguardo verso la ragazza intenzionata a mandarmi in pappa il cervello.

La vidi osservare tutto di me, prima che incollasse i suoi occhi ai miei. Un brivido mi percorse tutta la schiena.

Cosa vuoi, Maya?”, le chiesi con voce rassegnata, esasperata.

Imprevedibile come sempre, si avvicinò a me e tolse la mia mano dalla maniglia. Mi ritrovai in gabbia, con le spalle poggiate contro la porta fredda e lei davanti a me, con uno strana scintilla negli occhi. E mi stava facendo impazzire per l’ennesima volta.

Bruciò le distanze in un attimo, posando delicatamente le sue mani sul mio addome scoperto.

Mi uscì un sospiro quando incrociò ancora il mio sguardo.

Le sottili mani di Maya salirono lentamente per il mio corpo seguite poi dalle sue labbra, sfiorando delicatamente la mia pelle.

Sarebbe diventata la mia dannazione, lei.

Poi si alzò in punta di piedi, arrivando con il viso quasi all’altezza del mio, e circondò le mie spalle con le sue braccia.

Cosa vuoi, Maya?”, le dissi con più forza, prendendo tra le mani i suoi fianchi e facendo aderire i nostri corpi.

Le si mozzò il respiro.

Arrivò ad una manciata di centimetri dal mio viso e quasi potei sentire l’adrenalina scorrerle nelle vene, la stessa adrenalina che le arrossò le guance.

Devo ringraziarti, Travis”, mi rispose con un tono di voce talmente sexy ed accattivante che divenni tutto un brivido.

Poi si avventò sulle mie labbra e tutti i miei buoni propositi andarono all’aria, diventando solamente una nebbiolina leggera in un angolo remoto della mia mente.

E al diavolo l’autocontrollo e la concentrazione.

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Capitolo 15
*** 14. Riccioli d'Oro ***


Maya14




*****



Incredibile, ma vero.. sono già pronta con un nuovo capitolo! Lo so, è disarmante!
Se nei prossmi giorni si scatenerà il diluvio univarsale, datemi tranquillamente la colpa di tutto!
Scherzi a parte, buttare giù questo capitolo è stato più facile di quanto pensassi: vorrei sempre mantenere il giusto equilibrio di serietà ed ironia, soprattutto per Maya. Quella ragazza è una testa calda ed è difficile scrivere dal suo punto di vista. Cerco di fare del mio meglio..
Comunque.. questo capitolo è leggermente più lungo dei miei soliti standard, ma devo farmi perdonare per i continui salti temporali tra un aggiornamento e l'altro. Quindi, eccolo qui..
Dal prossimo si comincia a ballare, ragazze! Tenetevi forte!

Buona lettura e ci vediamo sotto!


E dire che mi ero imposta di non ringraziare Travis… ero decisamente una donna di parola, sì, e gli asini volavano tra gli arcobaleni.

Era colpa sua, tutta sua, perché io me ne stavo bella tranquilla nell’ufficio di mio padre a parlare con lui del mio nuovo lavoro e, in un batter d’occhio, si è presentato lui con un asciugamano legato in vita. Neanche fosse stato un Bronzo di Riace…

Poi aveva detto quelle cose, aveva detto che quella giornata al mare aveva minato la sua povera concentrazione ed io non ci avevo più visto. Ecco per quale motivo gli ero corsa dietro, perché volevo delle spiegazioni belle e buone. Perché quello accaduto in quella giornata era successo per colpa sua e sembrava che volesse quasi scaricare tutte le sue responsabilità su di me. Non potevo permetterlo.

Poi, certo, la situazione mi era sfuggita di mano, troppe immagini si erano susseguite nella mia mente e l’odore nauseante di disinfettante di quello stanzino me l’aveva annebbiata. Ed era successo. Ancora una volta.

La facilità con cui mi aveva sollevata da terra e mi aveva stretta a sé, era stata disarmante per me. E, se possibile, era stato anche meglio di quel giorno al mio appartamento, ma quest’informazione sarebbe finita nella tomba insieme a me.

Non avrei detto mai nulla a nessuno perché Travis, nonostante fosse… diciamo, capace, restava un vero e proprio idiota. Mi aveva incastrata con quel suo sguardo confuso, ma allo stesso tempo sensuale ed io non ci avevo capito più nulla. E anche per quel motivo non lo sopportavo, lo odiavo davvero. Ed il nostro odio reciproco lo manifestavamo nel modo migliore conosciuto da entrambi, sì.

Quando finalmente uscimmo dalla stanza delle scope arrivò il momento di imbarazzo vero e proprio: ci fissammo per alcuni secondi rossi in viso, con ancora il fiato corto e la vergogna liquida negli occhi. Poi lui doveva tornare in piscina ed io dovevo tornare a casa, così percorremmo il corridoio insieme, senza dire una parola nemmeno in quell’occasione e a debita distanza l’uno dall’altra. Nemmeno ci salutammo, solamente l’ennesimo sguardo, forse ancora nervoso, ma di certo confuso.

Tornai a casa e nemmeno me ne accorsi: mi comportai da automa per tutto il tragitto in auto e, per mia fortuna, ci arrivai sana e salva.

Ancora oggi non so quanto tempo restai seduta in auto a pensare.

 

Passarono i giorni, arrivò novembre ed il mio lavoro procedeva a gonfie vele. Sì, ancora non avevo compiti importantissimi, ma in un colloquio la direttrice della rivista si dimostrò molto contenta dei miei risultati e del mio lavoro. E per una volta riuscii ad essere fiera di me stessa.

I miei scatti erano buoni, indipendentemente dal soggetto e dallo sport, erano davvero belli e chi ne aveva la possibilità me lo faceva notare.

Non c’erano solo segretarie scocciate ed antipatiche in quell’edificio: riuscii a conoscere alcune persone davvero simpatiche che, almeno, si dimostrarono gentili e disponibili verso la nuova arrivata. Cercarono di fare il possibile per non farmi sentire un pesce fuor d’acqua. E quasi ci riuscirono.

Poi arrivò una telefonata della direttrice, mentre un pomeriggio mi aggiravo per casa decidendo come sistemare i mobili. Un’altra volta.

La donna di ghiaccio voleva vedermi immediatamente nel suo ufficio.

Mi salii il panico e subito cercai di fare mente locale, ma non riuscivo a trovare un cavillo per cui potesse incolparmi di mancata diligenza oppure di aver svolto un compito in maniera scorretta. Proprio non riuscivo a capire per quale motivo avesse bisogno di me con tanta urgenza.

Quando arrivai in redazione, la solita segretaria imbronciata mi accompagnò verso la sala d’aspetto, nonostante conoscessi a memoria il tragitto e lei conoscesse bene me.

La lasciai compiere le sue solite cerimonie ed il suo solito copione, fatto da sorrisi falsi ed occhiate sbieche.

Attesi fino a quando dall’ufficio non uscì quella ragazza che vidi tempo prima, ricci biondi perfetti e vestita di tutto punto, senza, tuttavia, quei pantaloni rosa shocking che ricordavo fin troppo bene.

Ciao”, mi disse cinguettante, con uno sguardo tanto amichevole quanto nauseante.

Non le risposi, mi limitai a guardarla storto e a chiedermi da quale fiaba saltasse fuori quella creatura tanto strana. Di certo, l’abitino corto a fiori che indossava era strano.

Dannazione, è novembre!

Aveva cominciato a fare freddo, davvero, ma a quanto pareva a quella ragazza la cosa non toccava minimamente. Magari la vedeva come un’occasione per mettere in mostra le gambe perfette.

Già, perfette, purtroppo.

La donna di ghiaccio mi attese sulla porta, con un sorriso di circostanza, come al solito, così io entrai e mi sedetti in una delle poltrone davanti alla scrivania. Avevo imparato la routine.

Bene, Maya…”, cominciò lei, sedendosi nell’altra poltrona vuota al mio fianco. “Ti starai chiedendo per quale motivo ti ho chiamato con tanta urgenza”.

Beh si, è stata una chiamata inaspettata ed ho paura di quello che potrebbe significare”, le dissi schietta, agitandomi.

Lei mi guardò un momento, poi le vidi sorridere, ma sorridere davvero. “Oh no, non ti preoccupare: niente brutte notizie, anzi”, si alzò improvvisamente, facendomi sussultare, poi si sistemò al suo posto, dall’altra parte della scrivania. “Ti ho chiamata qui per due motivi: il primo è per dirti che, da domani in poi, il tuo lavoro sarà a tempo indeterminato. Hai avuto un mese di tempo per dimostrarmi le tue qualità e sono stata contenta del tuo lavoro, quindi voglio premiarti”, mi svelò.

Quasi cadetti dalla mia postazione.

Non potevo credere a quello che le mie orecchie avevano appena sentito. Ce l’avevo fatta davvero. La notizia di aver ottenuto il lavoro, di averlo finalmente ottenuto davvero, mi rese felice come non mai. Sì, non era la mia massima aspirazione fotografare sport su sport, ma era meglio di niente ed erano state premiate le mie qualità. Ed io ero felice.

Oh… oddio, grazie mille”, risposi raggiante. Mi sarei messa a saltellare. “Grazie davvero per l’opportunità”.

Si, beh… avrei voluto attendere almeno fino al nuovo anno, ma ti sei dimostrata molto più versatile di quanto pensassi ed ogni tuo scatto era una continua sorpresa, quindi ho deciso di anticipare i tempi”, poi cominciò a trafficare con alcuni fogli che aveva sulla scrivania, per prenderne tra le mani quattro o cinque. “La seconda questione di cui volevo parlarti è il tuo primo incarico come mia dipendente a tutti gli effetti”.

Di già!? Beh sono pronta a tutto”, e lo ero davvero! Quella notizia mi aveva riempita di una carica che avevo sentito poche volte in vita mia e mi sentivo pronta per ogni lavoro e per ogni impresa.

Non ne ho dubbi, Maya”, disse, con un sguardo divertito. “Avrai notato la ragazza che è uscita dal mio ufficio, poco fa?”.

Riccioli d’oro? Si, non passa inosservata”, dissi senza pensare.

Strabuzzai gli occhi nel momento stesso in cui mi resi conto di quello che avevo appena detto al mio capo che, tanto per cambiare, mi aveva appena dato un lavoro a tempo indeterminato. “Oh, mi spiace, non volevo”, cercai di scusarmi e di sembrare davvero dispiaciuta, ma la direttrice mi sorprese quando cominciò a ridacchiare.

Non ti preoccupare, Maya, hai perfettamente ragione”, disse sorprendendomi ancora. “Comunque per questo tuo nuovo incarico, dovrai lavorare con Riccioli d’oro per un articolo molto importante che sarà presente nel numero di gennaio”.

La prospettiva di lavorare con quella bambolina appena uscita dal parrucchiere non mi faceva impazzire, per niente, ma sapere di dover prendere parte alla nascita in un articolo molto importante colmava quella mancanza di intraprendenza.

Va benissimo, l’importante è che per me ci sia del lavoro da fare”, dissi dopo alcuni istanti. “Ma non posso garantire che, per sbaglio, non la chiami Riccioli d’oro”.

Riuscii a scatenare una nuova risata della direttrice che, di ghiaccio, non mi sembrava più così tanto.

Non preoccuparti, Maya, Simona sa essere molto accondiscendete, quando vuole”, mi disse improvvisamente seria. “Ecco perché è una delle migliori giornaliste che ho”.

Chissà per quale motivo, ma non riuscivo a credere che, quella ragazza, quella Simona, fosse molto accondiscendete. Almeno non nel lavoro. Mi sembrava più una vipera pronta a colpirti alle spalle nel momento meno opportuno.

Cercherò di non sembrare una villana, allora”, dissi che il miglior sorriso angelico che riuscii a sfoderare.

Non avevo più freni e non capivo per quale motivo. Forse stavo esagerando, ma proprio non riuscivo a frenare quelle parole: uscivano senza il mio permesso.

Ti ringrazio, Maya”, mi rispose lei, con lo stesso sorriso divertito di poco prima. “Allora.. tu e Simona dovrete lavorare insieme per circa un mese e mezzo, forse due e il risultato dovrà essere ottimo, non ammetto errori”.

La donna di ghiaccio fece ritorno in un batter d’occhio e, infatti, l’atmosfera si era fatta quasi insostenibile.

Va bene, ma per cosa dovremmo lavorare insieme?”, le chiesi impaziente. Ogni scusa pareva perfetta per sviare l’argomento e per tergiversare. E la sensazione che dilagava dentro di me non era per niente rassicurante.

La donna davanti a me continuò a trafficare per alcuni secondi con i fogli che aveva sulla scrivania, in cerca di qualcosa di particolare e, quando finalmente la trovò, le spuntò uno strano sorriso. “Per te non dovrebbe essere difficile questo compito, Maya, in fin dei conti con Travis hai già avuto a che fare”, sganciò la bomba, come se nulla fosse.

Come!?”, la mia voce si alzò di alcune ottave, senza che me ne rendesi neanche conto.

Lei mi osservò un momento, con le sopracciglia aggrottate ed un’espressione dubbiosa sul volto. Dovevo tornare in me e far finta di nulla, perché non avrei permesso a niente e a nessuno di intromettersi nel mio lavoro. Anche se le ultime parole della mia datrice di lavoro mi rassicuravano ben poco.

Si, Maya”, sussurrò piegando leggermente la testa di lato, come per scrutarmi meglio. “Il pezzo forte del nostro numero di gennaio dovrà essere un articolo su Travis che, almeno, occupi quattro pagine della nostra rivista e, ovviamente, desidero da parte tua la massima collaborazione per avere degli altri scatti magnifici”, disse voltando verso di me il fogli che teneva tra le mani. Si rivelò essere uno degli scatti che feci a Travis al mare: la fotografia con le sue labbra a pelo dell’acqua e lo sguardo magnetico rivolto verso l’obiettivo.

Una serie di brividi cominciarono a percorrere tutto il mio corpo.

Deglutii a fatica, senza aver ripreso l’uso della parola. Non riuscii nemmeno a distogliere lo sguardo da quello di quel maledetto ragazzo che, tramite la mia fotografia, mi fissava intensamente, quasi volesse scuoiarmi viva.

Simona si occuperà dell’articolo e, dato che già conosci questo ragazzo, ti chiedo di fare le dovute presentazioni quando sarà il momento giusto”, continuò a parlare, lei, ignara di come quella notizia mi avesse destabilizzata. “Ti chiedo un altro favore, Maya: potresti parlare con Travis chiedendogli gentilmente se si rende disponibile per quest’idea?”, mi chiese rivolgendomi uno sguardo di ghiaccio, che non ammetteva risposte negative. Quella donna cominciava davvero a fare paura, era tornata la solita direttrice di ghiaccio.

Ed io ancora non riuscivo a proferire parola, ero davvero troppo scossa. L’idea di restare a contatto con Travis per quasi due mesi mi dava la nausea e scatenava dentro di me un’altra sensazione a cui non riuscivo esattamente a dare un nome. E preferii non indagare.

Era capitato due volte, per due volte avevo ceduto ed avevo fatto sesso con lui e un po’ mi facevo schifo, perché io non ero così, non ero la ragazza da sesso occasionale che si lasciava trasportare dagli istinti. Certo, non mi era dispiaciuto, ma mi ero ripromessa fermezza e decisione. E quel nuovo incarico, il mio primo vero incarico da fotografa a tutti gli effetti, mi spaventava a morte perché sapevo, ne ero certa, che, in qualche modo, prima o poi sarebbe capitato ancora una volta.

L’attrazione fisica reciproca era evidente ed innegabile, ma Travis restava l’essere più idiota sulla faccia della Terra e, probabilmente, mi facevo un po’ schifo anche per quel motivo, perché Travis non faceva al caso mio. Per niente.

Ehm…”, cominciai intimorita. “Cercherò di fare del mio meglio, ma, l’avviso, Travis ed io ci conosciamo appena e non siamo esattamente in buoni rapporti”, le dissi, schietta.

Se non volevo far nascere sospetti in quella donna, cominciavo davvero male.

Lei mi rivolse un veloce sguardo, ancora una volta, poi si concentrò sulle carte che aveva sotto gli occhi. “Mi interessa relativamente poco, Maya”, parlò con voce tagliente. “In questo ambiente non ci possono stare tutti simpatici e non possiamo andare d’accordo tutti quanti, come se fossimo veri amici. Non esiste. È un ambiente duro che, alla prima possibilità, ti pugnala alle spalle e, detto sinceramente, non voglio che questo capiti a te, quindi preparati”.

Quelle parole mi sorpresero davvero, anche più dei sorrisi e delle lievi risate che si concesse. Sembrava quasi che, in uno strano modo, quella donna tenesse a me, almeno sotto il profilo professionale. E non capivo bene perché.

Non mi faccio spaventare dalla prima persona che passa, signora, l’ho solamente avvisata che non so come Travis possa rispondere a me ad una richiesta simile, dati i nostri rapporti leggermente… agitati”, dissi cercando di non lasciar trapelare troppe informazioni, seppur involontariamente.

Sono contenta che tu sia preparata a ciò che riserva la tua carriera”, disse regalandomi un altro mezzo sorriso. “Ma io ti ho chiesto un favore e se quel ragazzo ti negherà la possibilità di questo articolo, manderò Simona oppure andrò io stessa”.

Sarebbe stato divertente assistere ad un incontro simile, tra la direttrice di ghiaccio e quel pallone gonfiato. Sarei stata davvero curiosa: chissà chi ne sarebbe uscito vivo. Oppure con quella Simona, tutta sorrisi ammiccanti ed abbigliamento eccentrico. Una facile preda per uno come Travis.

Farò del mio meglio, allora”, le dissi sorridente.

La fiducia che, in quel modo tanto contorto, quella donna riponeva in me, quasi mi rinvigoriva e mi dava la forza giusta per affrontare una sfida simile, ma restava comunque un’enorme e difficile sfida. E, sicuramente, quel ragazzo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per rendermi ancora più complicato il lavoro.

Benissimo”, disse alzandosi dalla sua postazione e tornando nella poltrona a fianco alla mia. “Sai, Maya, tra poco ci saranno i campionati mondiali di nuoto e so che Travis parteciperà, quindi, probabilmente, anche tu e Simona partirete con lui e tutto il team, per seguire in ogni momento la gara di quel ragazzo ”.

Oh mio dio!

Questa non ci voleva, davvero. Già mi sembrava difficile dover lavorare a stretto contatto con quella ragazza e con Travis, ma pensare di dover partire per una località a me ancora sconosciuta con entrambi, con mio padre, con tutto il team, mi faceva tremare le ginocchia. E la nausea non faceva che intensificarsi.

So che tuo padre è l’allenatore di Travis”, disse in tono affabile e, evidentemente, dal mio viso intuì il mio stupore perché, pochi istanti dopo mi disse: “Tranquilla, sono semplicemente informata”.

Avevo immaginato fosse importante e piena di risorse, quella donna, ma non avevo pensato a delle qualità da spia o da 007. Io ero sempre rimasta nell’anonimato, nell’ombra, e pochissime persone erano a conoscenza del legame di sangue tra mio padre e me e, sicuramente, per quel motivo la rivelazione della mia datrice di lavoro mi lasciò sorpresa.

Non solo per questo motivo ho scelto te per questo incarico”, mi rivelò. “Certo, una vicinanza simile a queste persone rende a me e anche a te il lavoro più semplice, ma sappi che ti ho scelta perché hai talento e perché ho riposto tutta la mia fiducia nelle tue capacità e nella tua professionalità”.

Ero incastrata ed ero caduta nella trappola con tutti e due i piedi.

Dannazione!

 

Ero uscita dall’ufficio della direttrice di ghiaccio, quella sera, con un mal ti testa atroce ed una fame che attanagliava il mio stomaco dal momento in cui avevo conosciuto Simona.

Pensai immediatamente a quanto potesse essere vuota e superficiale, quella donna. Non smise un secondo di sorridere, quando la nostra datrice di lavoro ci presentò e mi chiesi svariate volte come facesse a non restare paralizzata con gli ancora della bocca sollevati. Ci presentammo e ci venne ripetuto quanto avremmo dovuto lavorare insieme, quanta fiducia la direttrice aveva riposto nel nostro lavoro e quanto sperava nella buona riuscita di questo articolo. La solita solfa.

L’unica cosa che desideravo davvero era uscire da quel palazzo, mettere qualcosa sotto i denti e buttarmi a letto, sotto le coperte, fino alla mattina seguente. Invece passò un’altra mezzora ed io non ne potevo davvero più.

Erano le sette passate quando arrivai al mio appartamento e sapevo che, da lì a pochi minuti, sarebbe arrivato mio padre con due pizze prese da asporto.

Appena avevo avuto un attimo di respiro, lo avevo contattato immediatamente, chiedendogli di cenare da me così da potergli parlare senza problemi e terzi incomodi ad irrompere all’improvviso.

Quando arrivò a casa mia lo salutai velocemente, con un bacio sulla guancia, e lo accompagnai al tavolo della cucina perché, davvero, stavo morendo dalla fame e, prima di affrontare un discorso come quello che mi ero preparata, avevo bisogno di divorare almeno due tranci di pizza.

Con molta calma spiegai tutto quanto a mio padre che, purtroppo o per fortuna, si mostrò fin troppo entusiasta dell’idea. Sembrò un bambino a Natale, quando venne a conoscenza del tempo che avrei dovuto impiegare per l’articolo e le fotografie.

Poi, per curiosità, gli chiesi dove si svolgessero questi fantomatici campionati.

Oh Maya, quest’anno saranno a Doha”, mi rispose, tutto contento e sorridente con voce esaltata, come se potessi davvero sapere di cosa stesse parlando.

Dove, scusa!?”, gli domandai, perplessa.

A Doha, in Qatar!”, esclamò al settimo cielo.

Mi cascò la mascella dalla sorpresa. Non ci potevo credere.

Mio padre, invece, sembrava pronto per mettersi a saltellare sulla sedia come un bambino, con quegli occhi azzurri accesi e limpidi di felicità.

 

Fortunatamente amavo il caldo, amavo il mare e tutto quello che ne conveniva perché, se così non fosse stato, soggiornare in Qatar per alcuni giorni sarebbe stata una vera impresa.

Sapevo già come preparare la valigia e la moltitudine di costumi da bagno che vi sarebbero andati a finire perché, sì, avrei lavorato, ma nessuno mi avrebbe impedito di fare alcune scappate in spiaggia. Ma dovevo ancora parlare con Travis e non sapevo esattamente come fare. Così telefonai alla mia datrice di lavoro e le chiesi una mano e lei, credendosi simpatica, mi disse che la mattina seguente avrebbe mandato anche Simona alla piscina di mio padre per aiutarmi ad annunciare la lieta novella alla star del momento.

Proprio l’aiuto che avevo tanto agognato.

Quella fatidica mattina mi alzai malissimo, con un macigno al posto della testa e la voglia di vivere sotto le scarpe. Se dopo la giornata al mare avevo il terrore di incontrare Travis, quel giorno non sapevo proprio cosa pensare.

Dopotutto ero stata io a trascinarlo in quello stanzino, ad avvicinarmi a lui e a fare il primo passo. In poche parole, avevo paura di come avrebbe reagito il mio corpo alla sua vicinanza. E anche di come avrebbe potuto reagire Travis. E di come avrebbe potuto interpretare tutto quanto quella Simona.

Ci sarebbe stato da ridere, di sicuro, ma non per me. Ero tesa come una corda di violino e, davvero, non avevo nessuna voglia di andare a quella maledetta piscina.

Avrei volentieri mandato solamente quella biondina, sarebbe stata perfettamente in grado di cavarsela da sola. Magari Travis sarebbe saltato addosso anche a lei.

In ogni caso, di malavoglia, raggiunsi la piscina e, non appena vidi mio padre, mi diressi verso di lui per spiegargli tutto quanto. Chissà cosa avrebbe pensato di Riccioli d’oro.

Mi salutò allegramente come sempre, Claudio, e quando finii di esporgli il programma della mattinata, non poté fare a meno che risultare ancora più felice.

Quell’uomo era sempre e costantemente il ritratto della felicità.

Poi vidi Travis arrivare dal corridoio degli spogliatoi e quasi mi venne un colpo. Mi raggelai seduta stante e smisi di ascoltare i discorsi di mio padre su quanto fosse felice di vedermi dentro quel posto, nonostante non fossi dentro una vasca. Non riuscii proprio ad ascoltare un’altra parola: Travis mi aveva inchiodata con il suo sguardo, un’altra volta.

Sembrava aver avuto la mia stessa reazione, lui, il ragazzo tutto d’un pezzo e, mentre sembrava che stesse quasi per rivolgermi un mezzo sorriso malizioso, si voltò di scatto verso la porta d’entrata.

Seguii il suo sguardo e scoppiai a ridere: capii all’istante per quale motivo la sua attenzione si fosse spostata con così tanta velocità.

Simona aveva fatto la sua entrata plateale, avvolta in un paio di jeans attillati e in una camicetta azzurro cielo che, di comodo, sembrava aver ben poco. Il tutto completato con un meraviglioso paio di decolleté nere e lucide.

Proprio l’abbigliamento giusto per una piscina. No, lei non era come me, in jeans larghi e strappati, Converse e felpa nera.

Eravamo agli antipodi.

Riccioli d’oro si guardò in giro per alcuni istanti con uno strano sguardo soddisfatto negli occhi, come se stesse valutando quale preda sbranare per prima, poi mi vide e, se fossi stata una persona normale, quel sorrisone sincero che mi rivolse, l’avrei anche apprezzato. Ma non ero normale, ero me stessa ed ero una tra le persone più ciniche del pianeta, quindi quell’esposizione di dentatura bianca e perfetta mi fece venire la pelle d’oca.

Si incamminò, Simona, verso me e mio padre, rivolgendo sguardi ammiccanti e sorrisini subdoli ad ogni nuotatore che le capitasse a tiro e, dal mio punto di vista, la scena fu davvero fantastica: la quantità di mascelle cadenti che vedetti in quel momento mi fecero sbellicare.

Non mi dire che la tua collega è quella lì”, disse mio padre a denti stretti, intento a fissare Simona.

Gli rivolsi una breve occhiata e notai, con estremo piacere, la mia stessa espressione di sorpresa mista a disgusto. “Ebbene si, ecco Riccioli d’oro!”, risposi velocemente, prima che la diretta interessante mi raggiunse tutta sorridente.

Restò un secondo immobile, come per far imprimere nella mia mente la sua figura alta e slanciata, dannatamente perfetta, poi cominciò a parlare q quasi rimpiansi quei secondi di quiete.

Maya, che piacere rivederti”, parlò con il suo tono quasi stridulo.

Non potei fare a meno di strabuzzare gli occhi e fingere un sorriso, perché l’entusiasmo che utilizzò mi spaventò non poco. “Simona… ehm, ciao”, le risposi, poco convinta. “Ti presento mio padre, Claudio, l’allenatore di Travis”, presentai mio padre cercando di cambiare immediatamente discorso.

E fu così che mio padre venne abbagliato dal sorriso più solare che vide in vita sua. Simona, di certo, sapeva come risultare affabile e disponibile. Forse un po’ troppo disponibile, ma questi restavano futili dettagli.

Si strinsero la mano energicamente, senza distogliere lo sguardo, prima che Riccioli d’oro cominciasse a parlare. “Oh, ma io la conosco, ho letto tantissime cose sul suo conto”, cominciò ammirata. “È davvero ammirevole tutto il suo lavoro come allenatore, dopo una carriera florida come la sua, Claudio”. Sì, Simona ci sapeva fare, senza dubbio. E la prova inconfutabile era l’espressione allibita di mio padre che, per quanto potesse sembrare facile e alla mano, non si faceva mai prendere in giro da nessuno.

Beh grazie mille, Simona”, disse lui, sorridendo. “Apprezzo davvero tanto ciò che hai detto”.

Si, bene”, mi intromisi, sbrigativa. “Ci siamo conosciuti, ci siamo fatti i complimenti, ora possiamo arrivare al nocciolo della questione?”. Ignorai volutamente le loro espressioni leggermente sorprese, non avevo voglia di restare a fare il terzo incomodo, mentre venivano ripercorsi gli anni d’oro di mio padre. “Papà, dov’è Travis?”.

Sono qui”. Due parole, una voce e mille brividi che mi percorsero la schiena. Quella voce risultava fin troppo dura da come la ricordavo. Ma, di certo, io la ricordavo in tutt’altro modo.

Non osai voltarmi, quella volta: avevo imparato a spese della mia sanità mentale quanto, la vista di Travis a torso nudo, potesse nuocere. Restai ferma immobile, esattamente lì dov’ero ed attesi che quel ragazzo si materializzasse al mio fianco.

Mi concentrai sull’espressione di Simona che, di certo, non nascondeva affatto l’apprezzamento verso Travis e tutta la moltitudine di muscoli che si portava appresso, anzi. La scena sarebbe stata quasi comica, se non mi fossi sentita così raggelata.

Travis, finalmente”, disse mio padre, cercando di rompere il ghiaccio che si era formato dall’arrivo della superstar. “Mia figlia deve chiederti una cosa”, aggiunse poi.

Questa me l’avrebbe pagata cara.

Ah si?”, chiese Travis, divertito, voltandosi verso di me. Quella finta espressione sorpresa gliel’avrei fatta volare via a suon di schiaffi molto volentieri.

Maledetto.

“Beh no, non solo io”, risposi velocemente, cercando di giustificarmi, ma senza rivolgergli uno sguardo. “Simona ed io dobbiamo chiederti una cosa”, aggiunsi, indicando la ragazza di fronte a me. E lei non aspettava altro.

Sono Simona”, esclamò, avvicinandosi velocemente a Travis, porgendogli la mano che, lui, non attese a stringere. “È davvero un enorme piacere conoscerti”, disse poi, civettuola più che mai.

Quello che accadde nei trenta secondi seguenti, non riuscii a comprenderlo appieno, ma una cosa la capii all’istante: la presenza di mio padre e la mia divennero improvvisamente superflue.

Simona e Travis si scambiarono occhiate che, normalmente, definirei infuocate. Ma non in senso cattivo. Avrei volentieri proposto di accompagnarli allo stanzino delle scope perché, ormai ne ero consapevole, era un luogo decisamente più appartato per colloquiare, ma poi avrei dovuto fornire una serie di spiegazioni a mio padre che sarebbero risultate un tantino scomode. Quindi, decisi di restarmene zitta, in attesa che le due superstar la smettessero di guardarsi come se fossero gli unici esseri umani sulla faccia della Terra.

Ehm, bene ragazzi”, cominciò mio padre, infrangendo, per mia fortuna, quei secondi imbarazzanti. “Ora che, finalmente, ci conosciamo, vogliamo passare al nocciolo della questione?”. Non potei fare a meno che apprezzare quell’intervento.

Tale padre, tale figlia.

Si, beh…”, cominciai.

Allora, Travis…”, disse Simona, sovrastando la mia voce. “Quando cominciamo con le domande per l’articolo?”.

Di certo quella ragazza andava dritta al punto ed era, dovetti ammettere, una qualità ammirevole, ma pur sempre fastidiosa.

Travis rimase sorpreso: fu palese che non sapesse di cosa si stesse parlando. E dovetti reprimere una risata perché, quella sua espressione leggermente spaesata, risultava davvero spassosa. Soprattutto se mista a quel ghigno da playboy che aveva stampato in faccia.

Come, Simona?”, le chiese.

La mia direttrice ti ha scelto per l’articolo di punta del numero di gennaio della nostra rivista”, rispose lei, tremendamente affabile. “Quindi, io sono qui per domandarti quando saresti disponibile per poter rispondere ad alcune domande. E scusa il gioco di parole”, aggiunse con una risatina.

Io ero diventata improvvisamente inutile. Riccioli d’oro pareva in grado di affrontare tutta la questiona con le sue sole forze, dimenticandosi, involontariamente o no, della mia fondamentale presenza per il servizio fotografico che avrebbe accompagnato il suo maledetto articolo.

Un po’ mi infastidiva questo suo voler mettersi in mostra, ma dovevo ammettere, purtroppo, che Simona sapeva come fare il suo lavoro perché, era palese, aveva già conquistato Travis. Con una semplice occhiata.

E mio padre doveva averla pensata al mio stesso modo perché, dopo alcuni istanti, mi disse ad un orecchio: “Che dici se ce ne andiamo? La tua collega sembra avere la situazione in pugno”.

Lanciai un ultimo sguardo ai due davanti ai miei occhi, lei perfettamente vestita e lui perfettamente svestito, poi presi mio padre sottobraccio e levai le tende insieme a lui.

 

Passò quasi un’ora.

Un’ora durante la quale io mi limitai a starmene seduta su una sedia a bordo piscina a fare qualche scatto alle prime persone che mi capitavano a tiro.

Mio padre di dimostrò fin troppo impegnato, infatti non riuscì a tenermi compagnia nemmeno un momento. Non che mi dispiacesse stare da sola, sola con la mia bambina, ma dover assistere e dover ascoltare la conversazione di Travis e Simona, poco distanti da me, di rivelò un’ardua impresa.

Avevo capito quanto potesse risultare vuota e superficiale, quella ragazza, ma le poche cose che riuscii a capire dalla loro conversazione, mi fecero venire la nausea. E questa, fu accentuata dagli scarsi tentativi di Travis di non pavoneggiarsi troppo e dai suoi tentativi di flirtare.

Sì, sarebbero stati una grande coppia, quei due.

Il mix di battutine squallide, risate forzare e mani poggiate su spalle e gambe, volontariamente, è ovvio, si rivelò assolutamente inaffrontabile.

Poi mio padre chiamò Travis all’ordine, dicendogli che, per quella giornata, aveva relazionato fin troppo con la nuova arrivata e, dopo un veloce saluto ammiccante, lasciò Simona dov’era. E raggiunse me.

Piuttosto, avrei preferito dover ascoltare un’altra ora di conversazione.

L’hai conquistata, superstar?”, gli chiesi sarcastica.

Lui scoppiò in una risata. “Sei gelosa, Maya?”, chiese avvicinando il viso al mio orecchio, così da potersi far sentire solamente da me. “Tranquilla, il trattamento speciale lo riservo solamente a te”, disse poi.

Ed in quel frangente la mascella cascò a me, non a tutti gli atleti della piscina. La presunzione di Travis raggiunse livelli epici.

Mi sentii avvampare, sorpresa dalla sua stupidità, e non mi disturbai nemmeno di non darlo troppo a vedere.

Però se mi schiaffeggia anche lei e mi fa cambiare idea, non ti garantisco l’esclusiva”, continuò lui. “Ah sarà divertente questa storia dell’articolo! E pensa quando saremo a Doha”.

Dovetti reprimere l’istinto di mollargli un ceffone in pieno viso, in quel caso non eravamo soli come quel giorno in spiaggia. Ma resistetti a fatica perché, la sfacciataggine che mostrò in quel frangente, mi fece finire il sangue alla testa e mi diede il voltastomaco.

Sì, avrei preferito di gran lunga dover ascoltare una conversazione tra lui e Riccioli d’oro!

Sei uno stronzo, Travis”, gli sibilai a denti stretti.

Ma lui non batté ciglio, anzi, riuscii solamente a farlo sorridere di più.

Dovevo proprio essere uno spettacolo pietoso.

Ci si vede, Maya”, mi salutò infine, cominciando ad allontanarsi verso mio padre. Poi si voltò improvvisamente, attirando ancora la mia attenzione. “Non vedo l’ora!”, aggiunse, con quel sorriso divertito che cominciavo davvero a detestare.

Decisi di allontanarmi dalla sedia su cui ero seduta fino a poco prima per non avere a portata di mano oggetti contundenti da lasciare a quell’idiota.




*

Eccomi qua.. spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Ora volevo regalarvi un piccolo, insignificante SPOILER del prossimo capitolo.. spero che possa stuzzicare la fantasia durante l'attesa.


Alla prossima,
Chiara

P.S.
Come sempre.. GRAZIE A TUTTE!


Sei sicura di quello che fai?”, le chiesi in tono tagliente.
Durante la giornata, quella bambolina mi aveva fatto davvero girare le palle.
Ma certo, carissima”, continuò lei, come se fossimo migliori amiche. “Ho già in pugno Travis, non preoccuparti. Svolgerò io il lavoro pesante: tra poco usciremo a cena”.
Ecco spiegato l’abbigliamento da prostituta.

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Capitolo 16
*** 15. Changes ***


Maya15



*****



No, no e ancora no!”, sbraito Riccioli d’oro da dietro la sua postazione. “Maya, questi scatti non vanno per niente bene, penso che tu debba impegnarti di più”. Pensava fosse facile, la superstar di turno.

Già era una sfida dover sopportare le continue risate soffocate di Travis, il soggetto del giorno, in più dovevo sorbirmi gli insegnamenti da maestrina di Simona che, davanti al monitor al quale arrivavano tutti i miei scatti, se ne restava seduta ad impartire ordini e nient’altro.

Simona, nei servizi fotografici si lavora in due: modello e fotografo”, cominciai acida. “E, dato che io faccio la fotografa di professione, qua a sbagliare non sono io”.

Il sorriso divertito sparì immediatamente dalle labbra di Travis ed io potei ritenermi leggermente più soddisfatta.

L’idea di Simona, per il servizio fotografico dell’articolo, non poteva che ritenersi un orrore: un assurdo e banalissimo “trono” in primo piano con la piscina straripante di atleti sullo sfondo. Un orrore per nulla originale.

Il caos che, in quella particolare mattina, regnava nella piscina era assordante e la mia concentrazione era andata a farsi benedire già parecchi scatti prima, ma cercavo di non lamentarmi troppo: avevo due superstar alle calcagna pronte a rimbeccarmi. Il caos era dato anche dall’assenza di mio padre, quel giorno, e Roberto, per quanto fosse competente, non veniva mai visto come mio padre, non con la stessa autorità. E lui, il mio caro Claudio, non poteva scegliere giornata peggiore per non presentarsi.

La mia testa stava scoppiando.

Maya, non dire queste assurdità, Travis sta facendo un ottimo lavoro!”, disse Simona, con venerazione.

Mi voltai leggermente verso di lei, per congelarla con lo sguardo, ma mi sorpresi a fissare Travis con sguardo ammiccante. E a me non poté che salirmi il voltastomaco.

Se vuoi sostituirmi, fai pure, Simona”, cominciai, già con il sorriso sulle labbra. “Di certo, qualche lavoretto con i fiocchi lo riuscirai a fare”.

Solitamente non ero mai così cattiva, ma quando le battute mi venivano servite su un piatto d’argento non riuscivo a resistere. Come in quel caso.

Mi voltai ancora verso Travis, ignorando l’espressione stampata sul volto di Riccioli d’oro, e lo vidi sorridere divertito, ancora una volta. E pensare che, in quell’occasione, non stava ridendo di me mi provocò una strana sensazione, che accantonai in un secondo, tornando al mio lavoro. O almeno provandoci.

Attesi ancora qualche minuto, scattai qualche altra fotografia, ma sapevo benissimo che, quello squallore, avrebbe fatto venire i conati di vomito alla mia direttrice. E proprio non mi sembrava il caso. Così sbottai.

Mi dispiace, ma non ce la posso fare”, esclamai attirando l’attenzione di entrambe le superstar e di qualche altro atleta di passaggio. “Questo servizio è demenziale ed è una vera schifezza! Ci serve qualcosa di nuovo, di originale, non questo aborto”.

Vidi Simona a dir poco contrariata e sorpresa per la mia reazione, ma la ignorai per l’ennesima volta e continuai a parlare. “Questa storia del trono è assurda e a dir poco pretenziosa, soprattutto se Travis torna da Doha senza aver vinto nulla: ci farebbe solo la figura dell’idiota e, ovviamente, noi non vogliamo questo per la nostra piccola e viziata superstar, vero!?”, aggiunsi acida, come stessi parlando al un bambino, fissano lo sguardo contrariato di Travis. “E tu sai che ho ragione, non fare tanto l’offeso!”, dissi infine, puntandogli un dito contro.

Sembrò soppesare un momento le mie parole, per poi alzarsi dal suo trono e raggiungermi. Probabilmente notò i miei occhi sbarrati perché si fermò a debita distanza. “Non hai tutti i torti, Maya, non vorrei che saltasse fuori una cosa troppo pomposa”, disse sorprendendomi.

Travis che dava ragione a me: era la fine del mondo, altro che 2012!

Mi fissò per alcuni istanti con sguardo indecifrabile, come se stesse cercando di studiarmi, di leggere cosa mi passasse per la testa, e si rivelò anche abbastanza fastidioso.

Finché non arrivò Riccioli d’oro a reclamare spasmodicamente attenzioni. “Bene, allora cosa proponi di fare, genio?”, chiese lei, piccata. Non si poteva proprio farle una critica che, come previsto, partiva in quarta sulla difensiva.

Rimasi un momento a pensare, a guardarmi intorno in cerca d’ispirazione. Ero fatta così: l’ispirazione per il mio lavoro la traevo dalla gente, dalle loro parole, dai loro genti, dal non sapere che storia abbiano oppure che cosa pensino. Traevo ispirazione da qualunque forma vivente mi passasse accanto e, anche in quell’occasione, attendevo la scintilla che avrebbe innescato non so quale meccanismo nella mia testa.

Non so perché, ma ho la sensazione che oggi abbiano buttato più cloro del dovuto, in acqua”.

Un ragazzo passò accanto a Simona, in compagnia di una ragazzine che, ad occhio e croce, non aveva più di quattordici anni.

E, come mi aspettavo, arrivò l’idea. Folgorante, un fulmine a ciel sereno.

Non sarebbe stato facile, ma sarebbe stato avvincente, originale e avrebbe fatto colpo, assolutamente.

Sul mio viso comparve un sorriso compiaciuto, mentre ero ancora impegnata a studiare gli ultimi dettagli nella mia mente, e nemmeno me ne accorsi, se non per Simona che mi chiese cosa ci fosse di così tanto divertente.

Non c’è nulla di divertente, ma ho avuto un idea”, dissi raggiante, guardandomi ancora in giro, per analizzare tutte le prospettive e tutti i dettagli che mi capitassero a tiro: un gruppo di ragazzi che si dirigeva verso gli spogliatoi, Roberto con il fischietto tra le labbra, la ragazzine di poco prima pronta ai blocchi di partenza. Cercavo di memorizzare tutto perché, a costo di lavorare tutta notte, avrei trasformato il servizio fotografico in una storia vera e propria. “Faremo il servizio fotografico sott’acqua, mentre Travis percorre la lunghezza della vasca, mentre si gira per tornare ai blocchi, mentre entra in acqua”, parlai a macchinetta, fin troppo euforica per la mia trovata. “E racconteremo una storia con le fotografie, la tua storia”, parlai poi, rivolta a Travis. E quasi mi parve di vedere il suo sguardo incupirsi di colpo, ma non ci badai molto, troppo impegnata a fabbricare dettagli ed idee malsane. “E ci saranno anche altri scatti di quando saremo a Doha, dei tuoi allenamenti, della concentrazione prima della gara e, se ce ne sarà l’occasione, del momento della vittoria”, conclusi, sospirando quasi estasiata.

Seguii il silenzio. Un lungo, imbarazzante, teso momento di silenzio, durante il quale sia Travis che Simona mi fissavano con sguardi stupefatti e, probabilmente, leggermente spaventati.

Sapevo di aver fatto centro, sapevo di aver trovato l’idea giusta perché l’euforia che mi scorreva all’impazzata nelle vene mi faceva sentire davvero viva. Sapevo di aver ragione e non avrei permesso a nessuno di ostacolare il mio lavoro, nemmeno ai due palloni gonfiati che se ne stavano ancora impalati ad osservarmi come se fossi impazzita. Se avessi dovuto, li avrei costretti anche a forza, in qualche modo.

Poi sul viso della superstar di turno, del mio soggetto, comparve un sorriso. Quasi perverso, a dire il vero, e, in quel momento, seppi con certezza che Travis sarebbe stato assolutamente dalla mia parte. Stranamente.

Per quanto mi costi ammetterlo, mi piace”, parlò ancora con quel ghigno sul viso. “Per una volta, hai avuto una buona idea, Maya”, continuò, prendendosi gioco di me. Tuttavia, ero troppo su di giri per prestarci attenzione e per ribattere.

Non attesi nemmeno il parere di Simona, poco mi importava, e presi tra le mani il mio cellulare per comunicare immediatamente il cambio di programma alla mia direttrice. Nel frattempo, Travis tornò in vasca, lasciando una povera e piccola Riccioli d’oro immusonita e con le braccia conserte in un angolo vicino all’uscita: sembrava avercela con il mondo intero, solamente perché avevo surclassato la sua squallida idea di Travis Re del Mondo.

Il trono si trovava ancora al suo posto, orribile ed inquietante come sempre, e, non appena riuscii ad incontrare Roberto, gli chiesi se potesse farlo sparire di lì. In un batter d’occhio, quell’abominevole poltrona sparì dalla mia vista.

La direttrice si mostrò entusiasta, davvero entusiasta per la mia idea, e mi disse che, dal giorno seguente, mi avrebbe fornito tutta l’attrezzatura necessaria per il servizio fotografico. E non potei che essere ancora più su di giri: sapere di avere la possibilità di lavorare con attrezzature costosissime, all’avanguardia e decisamente più funzionali della mia bambina, mi fece quasi saltellare sul posto come una scolaretta.

Poi vidi Simona parlare al telefono e pensai subito alla nostra datrice di lavoro che le comunicava il cambio di programma repentino. Di certo, Riccioli d’oro non era contenta: lo si capiva benissimo dal cipiglio che le occupava il volto, dal piede che batteva a terra e dal broncio che aveva sulle labbra. La bambina non aveva ottenuto ciò che voleva ed in quel momento faceva i capricci.

Non riuscii a trattenere una risata.

Come ci si sente ad aver avuto una buona idea?”.

Sussultai appena sentii il respiro e la voce di Travis al mio orecchio. E, non appena mi voltai, sconvolta, mi resi conto di quanto si fosse fatto vicino senza che io potessi sentirlo.

Proprio non riuscivo a capire come facesse, con così tanta naturalezza, a starmi vicino dopo… beh si, quello! Avrei tanto voluto avere la sua stessa sicurezza che tanto amava ostentare.

Io ho sempre buone idee, superstar, ma non metto mai gli striscioni in giro per farlo sapere al mondo”, risposi acida, guardandolo come se fosse appestato.

Cercai, con scarsi risultati, di non lanciare uno sguardo al suo fisico tonico sapientemente ricoperto di gocce d’acqua: tutta la mia tempra e la mia decisione stava svanendo.

Poi posai lo sguardo nel suo ed avrei preferito continuare ad ammirare il suo corpo perché, quei suoi maledetti occhi, sembravano volermi scorticare viva. Erano pieni di quella che sembrava passione, desiderio, una silenziosa richiesta che non riuscivo ad identificare, ma mi dissi che uno come lui non poteva voler niente del genere da una come me. Ed io non avrei fatto nulla per fargli cambiare idea, perché, se sapevo una sola cosa al mondo, ero certa sul fatto che Travis ed io avremmo dovuto restare a chilometri di distanza, per evitare di fare del male a noi stessi e agli altri.

Beh…”, cominciò con un sorriso malizioso in viso. “L’idea di fermarmi per chiedere spiegazioni, quella volta è stata davvero magnifica, te lo concedo”, disse godendo della mia espressione scioccata.

Sapevo fin troppo bene a cosa alludeva e, se non fossero state presenti tutte quelle persone, gli mollato un ceffone in pieno viso.

Stavo per rispondere per le rime quando, con mio estremo disgusto, ci raggiunse Simona. “Sarai contenta, Maya! Ora devo progettare l’articolo dall’inizio”, cinguettò scocciata. “I miei prossimi giorni si sono riempiti per colpa tua, grazie tante”, aggiunse lanciandomi un’occhiataccia.

Trattenni una risata, davanti ai suoi capricci da adolescente, ma non riuscii a trattenermi dal prenderla in giro per vie traverse. “Oh Simona, mi spiace!”, cominciai, con finto rammarico. “Dovrai sicuramente spostare tutti gli appuntamenti da estetista, parrucchiera e tanti altri! Che compito arduo”.

Si, continua pure a scherzare, tu, ma non immagini quanto sia difficile far combaciare i miei appuntamenti per tenermi libera qualche ora per la maschera di bellezza”, si lamentò, lei.

Premetto che, anche con le mie migliori intenzioni, io ci ho provato. Ho cercato di non riderle in faccia e di non prenderla in giro, ma proprio non ce l’ho fatta ed è per questo motivo che levai le tende all’istante, lasciando la bambina capricciosa nelle mani di un Travis a dir poco stupefatto.

E fu ascoltando i suoi lamenti che me ne andai definitivamente da quel luogo, ne avevo fin sopra i capelli.

Oh Travis, difendimi tu, te ne prego: lei non capisce!”.

 

Avevo ancora in mente la scena del giorno prima, i lamenti ed i capricci di Simona, mentre me ne stavo seduta tranquilla nella sala d’attesa della direttrice della rivista. Chissà perché avevo un sorriso perfido stampato sul viso da ore.

Ero stata chiamata lì per ritirare tutta l’attrezzatura e per spiegare in maniera più dettagliata le mie intenzioni per il servizio fotografico, ed ero felice come una bambina. Mi sentivo euforica e, anche se solo un po’, mi infastidiva quella sensazione, ma cercavo di non badarci molto: in quei giorni risultavo fin troppo contraddittoria.

Ero persino riuscita a pensare che, tutto sommato, l’esperienza con Travis ed i successivi campionati a Doha non sarebbero stati gli inferi, ma poi avevo scosso la testa in maniera decisa dicendomi che la stupidità di quella superstar non avrebbe avuto alcun limite.

Dopo pochi istanti entrai nell’ufficio ed immediatamente notai varie borse e sacche abbandonate ai piedi di una delle poltrone degli ospiti. Non stavo più nella pelle: dovevo testare e provare tutta la nuova attrezzatura.

Maya, accomodati”, disse la direttrice, con un vago sorriso in volto. “Bene, spiegami per filo e per segno questa tua folgorante idea”.

Ed io partii a macchinetta, senza quasi prendere respiro. Le raccontai nei minimi dettagli le mie idee, la mia iniziativa e le mie intenzioni, spiegandole molto bene quanto non ammettessi intrusioni da parte di Simona: lei doveva solamente occuparsi dell’articolo. Il servizio fotografico spettava interamente a me.

Beh, non puoi pretendere che lei se ne stia con le mani in mano, mentre ti appropri di tutto il lavoro”,mi schernì, infastidita.

Non voglio rubare il lavoro a nessuno, ma questa idea, questo servizio mi sta a cuore perché proviene da me, nei minimi dettagli, e vorrei che ne uscisse fuori un qualcosa di straordinario”, le risposi, intenzionata a non cedere davanti al suo sguardo nervoso.

Poi qualcuno bussò alla porta e, fortunatamente, la mia datrice di lavoro distolse l’attenzione da me, esclamando un “avanti” al disturbatore di turno.

Riccioli d’oro fece capolino sulla porta, cacciando nella stanza la sua testa ricciuta e perfettamente acconciata. Una visione poco gradita, insomma, almeno a me.

Oh Simona, entra, ti stavo aspettando”, disse la donna davanti a me, facendole cenno di accomodarsi nella poltrona al mio fianco.

Dopo che la bionda si fu sistemata, con le gambe perfettamente accavallate, in una posa elegante, la direttrice si decise finalmente a parlare.

Oggi ho deciso di chiamare entrambe per mettere bene in chiaro le cose: non dovete fare di testa vostra!”, esclamò quasi arrabbiata. “Apprezzo le iniziative, le nuove idee, soprattutto se molto buone”, aggiunse lanciandomi uno sguardo leggermente compiaciuto, per poi tornare al suo cipiglio innervosito. “Ma non tollererò altro: voi due, signorine, dovete imparare a collaborare perché, lo ripeto, in questo caso non ammetto errori o sbavature! Dovrà essere tutto perfetto!”.

Il suo tono di voce era a dir poco alterato, forse colpa delle numerose ottave che aveva acquistato durante il discorso, ma la cosa mi restò impressa fu quanto facesse spavento, quella donna, arrabbiata.

Intesi!?”, esclamò, infine.

Intesi”, rispondemmo in un coro flebile, Simona ed io, intimorite da tutto il potere che emanava la donna dalla parte opposta della scrivania.

Bene, ora, signorine, potete levare le tende”, disse poi, chiarendoci il fatto che non ci volesse più nel campo visivo.

In un batter d’occhio feci piazza pulita di tutte le borse messe a disposizione dalla direttrice e scattai verso la porta, decisa a mettere più distanza possibile da quel mostro di donna.

Appena fuori dall’ufficio tirai un sospiro di sollievo, poi cominciai ad incamminarvi verso l’uscita dell’edificio, senza pensare alla presenza di Simona che, tuttavia, dopo qualche istante mi raggiunse.

Restò zitta per alcuni secondi, ma poi, con mio sommo dispiacere, cominciò a parlare: “Dobbiamo lavorare insieme, Maya”, mi illuminò lei.

Complimenti, Simona, quanto sei arguta”, le risposi acida.

Non ci siamo simpatiche, e questo è evidente, ma dobbiamo almeno cercare di sopravvivere”, disse fermandomi per un braccio e guardandomi negli occhi. “Tengo molto a questo articolo e, nonostante sia costretta a lavorare con te, non permetterò che qualcosa vada storto per colpa tua”.

L’improvvisa decisione che vidi nei suoi occhi mi sorprese: sembrava una persona completamente differente, non la Riccioli d’oro tutta miele e zucchero che avevo conosciuto nei giorni precedenti. Sembrava più una pantera pronta ad attaccare, ad attaccarmi alla gola per paura che le portassi via la preda più ambita.

Il fatto che, in quell’attimo, nella mia mente Travis fosse divenuto la preda e non il predatore che ammalia con lo sguardo, fu alquanto ironico.

Tengo molto a questo lavoro anche io, Simona, se credi il contrario, mi spiace, ma hai sbagliato”, parlai sinceramente, continuando nei miei passi, con ancora lei alle calcagna.

Dovremmo lavorare a giorni alterni, almeno fino a Doha, sai”, disse.

E, per quanto mi costasse ammetterlo, aveva ragione e, quella, sembrava anche un’ottima idea. Già lavorare solamente con Travis, di per sé, si mostrava un’ardua impresa, se poi ci aggiungevo il fattore “bella e disponibile bionda”, la situazione diventava ingestibile. Così le prestai finalmente la giusta attenzione: “Ti sto ascoltando”, la guardai con gli occhi ridotti a due fessure.

Sul suo viso comparve uno strano sorriso, quasi sincero, e mi spiazzò perché mi sarei aspettata di tutto, tranne che un sorriso sincero. “Bene, io vedrò Travis in alcuni giorni e tu in altri, così nessuna di noi intralcerà il lavoro dell’altra e, forse, salterà qualcosa di buono”, disse esaltata più che mai. “Io avrò le mie possibilità per l’articolo e tu avrai le tue per il servizio fotografico e per accordarci ci sentiremo per sms, così non saremo nemmeno costrette a parlarci”, aggiunse poi, cercando di mostrarsi simpatica.

Ci pensai su, cercando di non pensare troppo a come, almeno per quella volta, Simona avesse avuto una buona idea. Cercai di far finta di pensare alla sua proposta quando, in realtà, sapevo già perfettamente che avrei accettato e che non mi sarei mai lasciata scappare la possibilità di togliermi Riccioli d’oro dai piedi.

Andata”, sussurrai ancora incerta delle sue intenzioni.

Strabuzzai gli occhi quando la vidi saltellare leggermente sul posto, estasiata e felice: quella ragazza era a dir poco strana. Strana e bipolare.

Perfetto Maya”, disse con un sorriso. “Comincerò io, così tu avrai domani disponibile per poter fotografare Travis”.

Ecco svelato l’arcano: lei aveva già programmato tutto quanto. Sapeva che non avrei resistito e che avrei accettato la sua proposta.

Sembrava, ma non era affatto stupida!

Sei sicura di quello che fai?”, le chiesi in tono tagliente.

Durante la giornata precedente quella bambolina mi aveva fatto davvero girare le palle e quel suo repentino cambio di umore mi aveva spiazzata. Non volevo farmi prendere in giro da una come lei.

Ma certo, carissima”, continuò lei, come se fossimo migliori amiche. “Ho già in pugno Travis, non preoccuparti. Svolgerò io il lavoro pesante: tra poco usciremo a cena”.

Ecco spiegato l’abbigliamento da prostituta.

 

Non avevo resistito! Appena arrivata a casa dalla redazione mi ero impegnata a studiare la nuova attrezzatura che mi era stata data ed ero a dir poco euforica.

Avevo a disposizione macchine fotografiche subacquee, tradizionali ed una serie di obiettivi da migliaia di euro. E quasi mi facevano paura. Più di tutto, mi spaventava l’idea di poter rovinare qualcosa, di poter provocare anche solo un piccolo graffio a tutta quella meraviglia.

L’avevo passata così, la sera, come una piccola nerd alle prese con il suo nuovo videogioco. E un po’ mi infastidiva quella mia situazione, in particolare se continuavo a pensare a come, diversamente da me, Simone fosse impegnata. Certo, la compagnia che si era scelta lasciava parecchio a desiderare, ma almeno non se ne stava segregata in casa a pensare al proprio lavoro del giorno seguente.

No, non lo sembravo, ero una vera e propria nerd con il giocattolo nuovo da studiare. Ovviamente senza dimenticare gli occhiali ed il pacchetto di biscotti per cena.

Mi appuntai nella mente di cominciare a mangiare più cibi sani.

La mia autostima, già a livelli estremamente bassi, stava calando a picco.

Il giorno seguente chiamai mio padre per sapere quando avrei potuto trovare Travis solo, ad uno dei suoi allenamenti, e per mia fortuna mi disse che quella sera lo avrei trovato alla piscina. Poi quando mi disse che lui, mio padre, l’unica nota positiva che avrebbe migliorato la serata che mi aspettava, non sarebbe stato presente… avrei lanciato volentieri il cellulare fuori dalla finestra. Proprio quella sera avrebbe avuto un importante appuntamento.

Per una cosa o per un’altra, quando si trattava di Travis, la fortuna non era mai dalla mia parte. Tuttavia, mi misi l’anima in pace e, quando arrivarono le ventuno, decisi di avviarmi verso la piscina, piena di borse e borsoni come se mi fossi dovuta trasferire.

Arrivai poco più tardi, sperando di non trovare l’auto di Travis nel parcheggio. Speranza che svanì all’istante non appena scorsi nell’ombra la sua maledetta BMW metallizzata.

Mi assalì l’idea di tamponare, sempre casualmente, quell’ammasso di ferraglia, denaro e tecnologia, ma poi mi resi conto che non sarei stata credibile come angioletto innocente, così lasciai perdere.

Mi addentrai nel palazzetto, facendo meno rumore possibile e, quando arrivai alla porta che conduceva alle vasche, la aprii lentamente.

Mi guardai in giro attentamente, per colpa dell’ambiente in penombra, poi vidi Travis in piedi al limite di uno dei blocchi di partenza.

Inizialmente non mi accorsi di nulla di strano, ma quando mi concentrai maggiormente sullo sguardo di quel ragazzo, capii che qualcosa non andava: aveva gli occhi persi nel vuoto e, per quanto fosse lontano da me, Travis sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

Per un momento rimasi di sasso perché, quello che avevo davanti a me, era dannatamente diverso dal solito Travis, ma poi mi convinsi che, la sua aria contrita, fosse solamente un gioco di luci e riflessi dell’acqua.

Così decisi di completare la mia entrata ad effetto. “Travis!”, sbraitai con tutta la mia forza.

E la scena che vidi nei secondi successivi fu memorabile.

La superstar alzò di scatto lo sguardo verso di me, spaventato, poi lo vidi barcollare pericolosamente sul blocco di partenza, agitando convulsamente le braccia per cercare di mantenere l’equilibrio, e cadere rovinosamente in acqua. Ovviamente dopo aver urlato un’imprecazione che risuonò per tutto il palazzetto.

Ripeto, la scena più memorabile di sempre.

Fu impossibile evitarlo, così scoppiai a ridere improvvisamente, appoggiando tutta l’attrezzatura a terra per paura di danneggiarla, con le troppe risate.

Risi come una scema, con le braccia strette alla pancia che doleva dall’intensità, come non facevo da tempo, completamente incurante dell’espressione omicida di Travis quando riemerse dal tuffo improvvisato.

Mi dovetti appoggiare alla porta d’entrata perché, davvero, non mi reggevo in piedi per quanto stessi ridendo.

Maya, sei un’emerita idiota!”, gridò Travis dall’acqua.

Sperava di infastidirmi, lo avevo capito, ma le sue parole non fecero altro che farmi ridere ancora più sguaiatamente.

Scusa, io…”, e non finii nemmeno la frase che dovetti sedermi a terra. I crampi allo stomaco mi stavano uccidendo, non smettevo davvero più di ridere.

Nel frattempo, intravidi Travis uscire dalla vasca a afferrare un grande asciugamano che si passò sul corpo, sempre bello come il sole, ma nemmeno il suo fisico statuario riuscì a distrarmi dalla mia continua risata. Cominciò ad avvicinarsi a me, con quella che sembrava la peggior faccia da funerale.

Cercai di darmi un contegno perché, se fossi stata al suo posto, avrei scatenato il putiferio, ma avevo ancora in mente l’espressione spaventata della superstar un secondo prima di cadere in acqua.

Mi sollevai da terra e mi rimisi in piedi, provando a mantenere un’espressione seria e composta, ma il sorriso divertito che avevo stampato sul viso non voleva proprio andarsene.

Travis si piazzò davanti a me, con le braccia incrociate al petto fin troppo definito e l’asciugamano legato in vita.

Per un momento pensai di cedere e di lanciarmi su di lui perché, tutto in quel momento, mi urlava di seguire l’istinto, ma evitai di rendermi ridicola ancora una volta.

Ti sei divertita abbastanza?”, chiese, acido quanto un limone.

Dovetti reprimere una risata prima di rispondere. “Scusami, Travis, non volevo”, gli dissi, poggiando le mani sui fianchi. “Ma non ho proprio resistito e non avevo idea che tu…”.

E scoppiai ancora a ridere.

Travis scosse la testa, contrariato, poi tornò ai blocchi di partenza, forse pronto per allenarsi davvero.

Quando hai finito, fammi sapere, così capirò per quale assurdo motivo sei qui”, gridò, scocciato.

Dopo alcuni istanti, finalmente, riuscii a tornare in me e a smettere di sghignazzare, così recuperai tutti i miei averi e mi incamminai verso le solite sedie bianche poco distanti dai blocchi e dalla superstar. Riuscii persino a spiegargli il motivo della mia presenza, mentre mi ignorava candidamente, troppo occupato a prepararsi per le vasche successive.

Quindi, cosa devo fare?”, mi chiese all’improvviso, infrangendo il momento di silenzio che si era creato, senza, tuttavia, rivolgermi lo sguardo.

Faceva ancora l’offeso.

Poi pensai alla sua domanda e mi resi conto di non sapere esattamente come rispondergli, perché non avevo la minima idea di come comportarmi e di come agire. Continuai a pensarci su, a cercare di immaginare cosa avrei fatto al posto di quel ragazzo, e gli risposi istintivamente.

Sii te stesso”, mormorai incerta, attirando la sua attenzione. “Fai come se io non ci fossi, come se tu fossi solo ad uno dei tuoi soliti allenamenti”.

Nel frattempo avevo preso tra le mani una delle macchine fotografiche tradizionali che mi aveva fornito la redazione ed avevo perfezionato tutte le varie impostazioni, i livelli, in base alla scarsa luce che avevo a disposizione. Si, era davvero scarsa e soffusa, ma donava a tutto l’ambiente un tocco leggermente tetro. E mi piaceva da impazzire.

Devo essere me stesso”, ripeté Travis leggermente incerto sul da farsi.

Si, Travis”, risposi spazientita. “Cercherò di distrarti il meno possibile e prometto di non urlare più così improvvisamente”, aggiunsi con un sorriso tra il divertito ed il perfido. Sorriso che, tuttavia, scomparve alla vista del suo sguardo glaciale per lasciar spazio al sorriso più angelico che avessi in serbo.

Poi lo vidi prepararsi quasi fosse ad una vera e propria competizione e posizionarsi perfettamente ai blocchi di partenza. Ed io non persi tempo e cominciai a scattare e continua quando lo vidi tuffarsi in acqua e cominciare a percorrere la vasca a nuoto.

Camminai lungo il bordo piscina, così da poter inquadrarlo nel modo migliore e lo seguii con l’obiettivo fino a quando non terminò.

Se la cavava dannatamente bene, dovevo ammetterlo, ed era un piacere fotografare lui, le sue linee pulite che scorgevo durante le bracciate ed il suo innato talento.

Era odioso, bravissimo nella sua specialità, ma restava comunque un idiota.

Guardami”, esclamai, mentre si arrampicava al lato corto della piscina.

E lui si voltò verso di me, ancora gocciolante e con i muscoli della schiena in bella vista. E per un fugace momento dimenticai ciò che dovevo fare, soprattutto quando mi rivolse lo sguardo più sexy che gli avessi mai visto negli occhi.

Ripresi il controllo di me stessa, fortunatamente, così scattai. Parecchie volte, per essere sicura di aver colto il momento giusto.

Bene, direi che come inizio non è male”, mugugnai, dirigendomi verso le altre borse che avevo portato con me. Dovevo cambiare obiettivo e prenderne uno più grande, in modo da poter catturare più particolari dal volto di Travis. “Continua pure, io cercherò di fare il possibile per non disturbarti”. Il mio tono di voce aveva perso spessore, fin troppo. tutta colpa di quei suoi maledetti occhi che si ostinavano ad osservarmi con troppa intensità, quasi volessero mangiarmi viva.

Ero rimasta voltata con le spalle verso Travis per tutto il tempo, troppo impegnata ad armeggiare con tutta l’attrezzatura che avevo sotto gli occhi, e nemmeno mi accorsi di come lui si fosse pericolosamente avvicinato. Se non per la sua voce al mio orecchio.

Ora cosa dovrei fare, Maya?”, chiese in tono suadente, scostandomi i capelli dalla spalla sinistra, scoprendola.

Maledetta me, quando ho avuto la brillante idea di indossare una maglietta fin troppo larga che lasciava ben visibili entrambe le spalle e le clavicole.

Mi irrigidii quanto una statua nel momento stesso in cui lui cominciò a sfiorare la mia pelle con la sua mano, ancora fredda e bagnata. Il naso mi si riempì del forte odore del cloro.

Il tocco di Travis era talmente delicato che, per un istante, temetti di essermi immaginata tutto quanto, ma poi mi afferrò il mento con due dita e mi costrinse a voltarmi.

Quegli occhi, quei suoi maledetti occhi talmente indefiniti mi fecero tremare le ginocchia.

Cosa devo fare, Maya?”, sussurrò ancora, provocandomi un brivido in un punto imprecisato dentro di me. “Dimmelo”.

Cos’era quella? Una muta richiesta per avere il mio permesso per saltarmi addosso oppure erano solamente i suoi subdoli modi per stordirmi e confondermi le idee?

Davvero non riuscivo a capire cosa stesse cercando di fare e cosa stesse cercando da me, ma non sarei caduta ancora una volta nella sua trappola, per quanto sublime e peccaminosa potesse essere.

Devi continuare ad allenarti, Travis”, risposi in tono flebile, abbassando lo sguardo dal suo. Non disse nulla, ma si allontanò da me e si andò a posizionare per l’ennesima volta ai blocchi.

Tirai un enorme sospiro di sollievo e, mentalmente, mi strinsi la mano da sola per aver tenuto testa a quell’enorme tentazione che rappresentava Travis.

Non mi sarebbe dispiaciuto togliermi qualche altro sfizio, soprattutto con lui, perché lo avrei fatto con piacere, ma ero finita in quella situazione perché avevo del lavoro da fare e, di certo, non mi era passato di mente quanto fosse un perfetto idiota e nemmeno il suo appuntamento con Simona, la sera prima.

E la mia non era gelosia, assolutamente, ma professionalità lavorativa. Che avevo ignorato per ben due volte, certo, ma quelli erano dettagli.

Ricominciai a scattare dal momento in cui Travis si tuffò ancora in acqua e non lo persi di vista un momento, colta alla sprovvista dalla voglia di tornarmene a casa, nonostante avessi ancora gli scatti subacquei da fare.

Avrei voluto fare tutto quanto in tempo record, così da liberarmene il prima possibile: la vicinanza di Travis ricominciava ad infastidirmi. Anche se il solo ricordo del suo tocco quasi gentile sulla mia spalla mi provocava brividi per tutto il corpo.

Decisi di prepararmi per gli scatti sott’acqua, in modo da poter scavalcare l’ostacolo più grande che mi si presentava davanti.

Non sapevo esattamente come comportarmi, era un’esperienza completamente nuova per me, quella di dovermi cimentare in scatti simili. Per me rappresentava una sfida, soprattutto stare molto tempo sott’acqua senza avere la possibilità di respirare, ma ero intenzionata e decisa a superarla. Perché ero fatta così: dovevo continuamente superare me stessa ed i miei standard.

Maya, che stai facendo?”, chiese Travis, sorpreso e quasi allarmato, dopo aver terminato la vasca. “Non pensavo di poter avere un effetto così… caloroso, su di te!”, aggiunse con un sorriso beffardo sul viso.

Semplicemente, mi stavo spogliando, restando comunque in costume che avevo sapientemente deciso di indossare sotto i miei abiti. Di certo, in acqua non potevo andarci vestita.

L’effetto che tu eserciti su di me è lo stesso che esercita un biglietto aereo di sola andata per l’Antartide”, scherzai piccata, continuando ad armeggiare con la macchina fotografica e scattando un paio di foto a Travis, intento ad osservarmi attentamente. “Devo fare gli scatti subacquei, ricordi?”, chiesi, poggiando la mano libera dalla macchina fotografica sul fianco.

Lo vidi distrarsi un momento, perdere la solita espressione soddisfatta e superiore, ma giusto il tempo di un battito di palpebre, poi tornò il solito Travis.

Allora accomodati”, mi disse con fare malizioso. “Io non aspettavo altro”. Ed il suo ghigno non fece che allargarsi quando vide la mia espressione scioccata. Ma non avevo di dargli alcuna soddisfazione.

Attento, Travis”, lo avvisai. “Siamo soli e non c’è nessun testimone: sarebbe un gioco da ragazzi commettere un omicidio senza lasciare tracce”.

Il suo viso sorpreso rappresentò, per me, una ricompensa sufficiente.

Quanto sei crudele”, borbottò.

Mi avvicinai alla piscina, incerta se continuare con quella pazzia oppure no e, non appena avvertii l’acqua fredda sulle dita dei piedi, mi maledissi per la mia stupida determinazione a voler portare a termine quel lavoro.

Poggiai la macchina fotografica al bordo, ignorando il ghigno di Travis, poco distante da me, e mi buttai di getto in acqua, pensando che sarebbe stato più semplice sopportare il freddo.

Ed in quel momento riuscii a comprendere quanto la mia pazzia fosse giunta alle stelle.

Nonostante la sensazione di pace che mi invase, sentendo solo silenzio e leggerezza, non potevo ignorare il freddo che mi attaccò ogni centimetro di pelle. Restai un momento completamente sott’acqua, cercando di abituarmi seppur in minima parte alla temperatura dell’acqua, poi tornai in superficie, passandomi le mani sul viso e sui capelli.

Le tue entrate ad effetto sono di una delicatezza incredibile”, mi prese in giro la superstar che, nel frattempo, era rimasta comodamente poggiata al bordo della piscina.

Mi costrinsi controvoglia a raggiungerlo, solamente perché la macchina fotografica era accanto a lui.

Sono sorprendenti, lo so”, dissi, nuotando. “Ti fanno capitolare a terra oppure, nel tuo caso, in acqua”, aggiunsi con il sorriso angelico di poco prima.

Travis si comportò come se non avesse udito una parola, facendo perfettamente l’indifferente, anche se, nei suoi occhi, di indifferente c’era ben poco. Aveva lo stesso sguardo sexy e famelico che mi aveva rivolto durante gli scatti di tempo prima e, nonostante ci avessi provato con tutte le mie forze, non riuscii ad ignorarlo.

Così fissai i miei occhi nei suoi e, per alcuni istanti, restammo così: poggiati entrambi al bordo della piscina, a pochi centimetri di distanza e in attesa della prima mossa dell’altro.

Attesa che svanì nell’istante in cui Travis si allontanò verso il centro della vasca a nuoto. Lo ringraziai mentalmente per la sua piccola fuga.

Ed ora che devo fare, fotografa?”, chiese, stranamente, senza un briciolo di ironia.

Se non ti infastidisce, ora fai un’altra vasca”, dissi, accendendo la macchina fotografica. “Io cercherò di riprendere qualcosa sott’acqua, mentre passi”.

E mentre lui si dirigeva verso i blocchi di partenza, io cominciavo la mia discesa verso il fondo della piscina, della corsia che avrebbe occupato la superstar.

Fortunatamente Travis ebbe l’accortezza di partire immediatamente, evitandomi una permanenza troppo prolungata senza respirare e, con mia grande sorpresa, riuscii persino a fare alcuni scatti: a lui che entrava in acqua, che percorreva tranquillo la lunghezza della vasca prima in un punto poi in un altro, a lui che si girava per poter tornare indietro.

Poi cominciai la mia risalita, a corto d’ossigeno.

Incontrai la superstar appena tornai in superficie, quasi mi stesse attendendo. “Tutto bene?”, chiese.

Ed io pensai di aver ingerito fin troppa acqua, di aver respirato fin troppo cloro perche lui non poteva davvero aver fatto quella domanda a me.

Mi scrollai dal viso l’acqua e lo fissai sottecchi, cercando di scorgere una scintilla di ironia, ma non riuscii a trovare nulla se non pura sincerità. E la cosa mi irritò non poco.

Si, sto bene”, risposi, nuotando verso il bordo piscina.

Controllai bene gli scatti e, con fin troppa delusione, mi resi conto di quanto fossero poco speciali, nonostante fossero i primi. Certo, non era stato facile per la prima volta, ma mi aspettavo comunque qualcosa di meglio. “non vanno bene questi scatti, Travis”, esclamai, nervosa. “Dobbiamo riprovare”.

Ed andammo avanti in quel modo per almeno altre sei o sette volte.

Persi il conto delle imprecazioni che partirono a me e di quelle che mi rivolse la superstar, mi affaticai come mai, forse colpa dei troppi biscotti, e mi innervosii ancora di più quando, a fine serata non avevo ancora nulla di davvero speciale tra le mani.

Volevo che gli scatti subacquei fossero il pezzo forte di tutto quanto, già mi immaginavo una delle mie fotografie a pagina intera con un bel titolo ben visibile, ma di quel passo sarei arrivata a gennaio con un pugno di mosche.

Uscii dalla piscina, sollevandomi con le braccia sul bordo e corsi a prendere l’asciugamano che mi ero portata appresso per coprirmi. Con orrore, quando controllai il cellulare, notai una chiamata persa da Simona, una da mio padre e l’orologio che segnava quasi le ventitre e trenta.

Avevo passato più di due ore lì dentro.

Con il telo sulle spalle, cominciai a raccattare tutte le mie cose in silenzio, senza prestare caso a Travis che aveva seguito la mia idea di levare le tende.

Mi sentivo terribilmente abbattuta, sia per le sensazioni contrastanti che combattevano dentro di me, sia per lo scarno risultato di quella sera. Avevo faticato per più di due ore producendo davvero materiale a dir tanto mediocre e mi detestavo per questo. Non ero il tipo di persona che si lasciava abbattere da situazioni simili, ma non riuscivo a trovare la nota positiva che sarebbe stata in grado di farmi cambiare il giudizio della serata.

Proprio non capivo per quale motivo me la stessi prendendo tanto con me stessa. E, probabilmente, Travis intuì qualcosa dai miei modi rabbiosi di sistemare tutti i miei averi, di mettere al sicuro l’attrezzatura, di passarmi il telo sulla pelle, di rivestirmi e di legarmi i capelli ancora umidi sopra la testa.

Si avvicinò a me, sempre silenziosamente, e sussultai quando mi afferrò delicatamente un polso. Troppo delicatamente.

Presi un profondo respiro e sollevai lo sguardo sul suo e, per poco, non mi cedettero le gambe.

Non riuscii ad interpretare appieno la sua espressione, mentre mi osservò, ma l’unica cosa che riuscii a comprendere fu quanto mi fecero tremare i suoi occhi. Ancora una volta.

Tuttavia, in quell’occasione era diverso: non sembrava voler fare lo spaccone e nemmeno farmi salire i nervi a fior di pelle, ma non riuscii a capire cosa volesse fare.

Mi voltò lentamente e mi trovai di fronte a lui, poi mi poggiò le mani sulle spalle e non potei nascondere il brivido che mi percorse la schiena e che mi fece venire la pelle d’oca sulla pelle. Il mio corpo si dimostrò un infame traditore.

Maya, non pensarci troppo”, cominciò lui ed io non nascosi la mia sorpresa, quando intuii a cosa si riferisse. “Questa sera non è andata benissimo, ma avrai sicuramente altre occasioni e, per quanto mi fai innervosire, sono sicuro che riuscirai a fare un ottimo lavoro”.

Rimasi spiazzata, completamente.

Un discorso simile me lo sarei aspettato da chiunque, tranne che da Travis. Proprio lui che, inizialmente, non aveva fatto altro che ostacolarmi comportandosi da emerito stronzo. Ma in quel momento mi parlò come se fosse il mio migliore amico, come se fosse davvero la persona giusta per confortarmi, e ci rimasi di sasso. Soprattutto quando mi resi conto che, in uno strano modo, le sue parole mi erano servite e mi avevano colpito tanto a fondo da pensare che fossero vere e sincere.

Per uno stupido ed insignificante momento mi fidai di lui, pensando a quanto avessi lo avessi giudicato male. Poi quel momento passò ed io tornai la scorbutica ragazza di sempre, quella che non riesce mai a fidarsi di nessuno, e mi allontanai di un passo da lui, interrompendo il contatto che aveva creato con le sue mani sulle mie spalle.

Lo osservai un momento, dandomi della stupida per aver pensato che, nel suo sguardo, ci fosse un briciolo di delusione, poi cominciai a prendere tutti i miei borsoni sulle spalle in religioso silenzio.

Chiederò a mio padre il programma dei tuoi allenamenti, così potrò venire per terminare il lavoro”, dissi dopo alcuni istanti, senza avere il coraggio di rivolgergli uno sguardo.

Così mi incamminai verso l’uscita, senza degnarlo di un’occhiata, di un saluto, senza fare niente di eclatante. Ero troppo codarda per averne il coraggio.

Non ero in me, lo sentivo, e la cosa migliore che potessi fare era battere in ritirata perché non avrei risposto delle mie azioni. Per l’ennesima volta.

Non ero in me quando, a metà strada tra lui e l’uscita, mi spuntò sul viso una specie di piccolo sorriso e, di certo, non ero in me quando lasciai tutte le borse a terra e tornai a passo deciso da Travis.

E certamente non ero in me quando mi sollevai sulle punte dei piedi e lo baciai.

Decisamente, non ero in me.

Lui, dopo un momento di sorpresa e sconcerto, rispose al mio bacio, forzandomi le labbra per avere libero accesso alla mia bocca. E non riuscii a reprimere quel brivido che mi percorse la schiena, soprattutto quando poggiò le mani sui miei fianchi delicatamente, quasi mi potessi rompere in mille pezzi.

Poi mi allontanai leggermente da lui, interrompendo il contatto delle nostre labbra, per paura di andare oltre e di non riuscire a fermarmi. E non osai nemmeno guardarlo in faccia quando, sulle labbra, gli sussurrai il più imbarazzato grazie che avessi mai detto.

E dopo la mia ennesima mancanza di professionalità, mi defilai. Recuperai per l’ennesima volta tutte le mie borse e scappai da quel maledetto posto e da quel maledetto ragazzo che, con fin troppa facilità, si ostinava a mandarmi in tilt il cervello.

Doveva per forza essere così perché, altrimenti, non mi sarei mai comportata in quel modo. E dico mai.

No, non ero proprio in me. Nemmeno quando mi infilai in macchina, pronta per tornare in macchina, con le guance a fuoco e la testa che girava vorticosamente.




*




Questa volta, stranamente, non ho nulla da dire.. solo che ho pubblicato un capitolo più lungo del solito, che sono stata quasi puntuale e che, il prossimo capitolo, dovrebbe essere un POV di Travis!
Spero che vi sia piaciuto questo papiro e, se mi fate sapere che ne pensate, mi farebbe piacere! Sono aperta a qualunque tipo di critica!
E, ovviamente, ringrazio tutte: dal seguito a chi ha abbastanza coraggio da recensire questa storia e anche a chi legge silenziosamente! Grazie di cuore!

Alla prossima,
Chiara.

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Capitolo 17
*** 16. Travis' POV - Doha.. we're coming! ***


Maya17



*****



Non ero nervoso, rischiavo di essere internato in un ospedale psichiatrico, ma non ero nervoso.

Pensare che, nel giro di ventiquattro ore, sarei partito per il patibolo, per Doha, mi addossava un tale carico di agitazione e nervosismo da serrarmi lo stomaco.

Avevo preparato tutto l’occorrente un paio di giorni prima ed avevo perso il conto delle volte in cui avevo ricontrollato tutto, mi ero allenato come un pazzo in quegli ultimi giorni ed avevo paura di arrivare al momento della gara troppo affaticato per potercela fare. Avevo una paura fottuta.

In tutta la mia vita avevo sempre cercato di mantenere i nervi saldi, in ogni situazione, ma, per quanto ne abbia passate di cotte e di crude, a quella non ero per nulla preparato.

Se stavo impazzendo c’era un motivo e la visita improvvisata di mia madre, poche ore prima della partenza, non mi aveva di certo aiutato.

Speravo di poter partire senza dover pensare ad altro che alla competizione, ma quando si era presentata a casa mia, fingendosi quasi una vera madre, avevo visto le mie speranze crollarmi davanti agli occhi.

Ciao tesoro”, esclamò, quando aprii la porta. “Ma perché le cose le devo sempre scoprire dagli altri?”, aggiunse, entrando a casa mia. Senza un briciolo di invito, tra l’altro.

Presi un profondo respiro, cercando di non perdere il controllo, caricare mia madre in spalla e buttarla fuori dalla porta. Non sarebbe stato carino.

La seguii per il mio appartamento e la vidi sedersi aggraziata sul mio divano, come faceva sempre, accavallando le sue gambe perfette.

 

Sono le undici di sera quando mi alzo ed esco da camera mia.

Non riesco a dormire, non faccio altro che girarmi da una parte all’altra nel letto. Ho già problemi con il sonno a soli nove anni.

Mi aggiro in casa mia, seguendo la luce che arriva dal salotto, facendo finta che tutto quel buio non mi faccia paura, e arrivo all’entrata della stanza.

Ho nove anni, non dormo ed ho paura del buio, è normale che abbia bisogno di…

“Mamma”.

E la donna di fronte a me, al di là del divano, si volta, con una tazza di tè in mano. Stava guardando fuori dalla finestra.

“Travis, tesoro”, dice, poggiando la tazza sul tavolo da pranzo. È così piccola, questa casa, che tutto è così vicino e ammassato che quasi non si passa. “Che fai ancora sveglio?”, mi chiede e si avvicina a me, spettinandomi i capelli.

Alzo gli occhi e la guardo ed è la mamma più bella del mondo, la mia. Ed i suoi occhi sono così limpidi e sinceri che mi fanno sentire il bambino più importante del mondo. Ed il suo sorriso mi tranquillizza, all’istante.

Mi prende per mano e mi accompagna al divano, dove si siede accanto a me ed accavalla le sue gambe perfette. È sempre così elegante, la mia mamma.

“Mamma, non riesco a dormire”, mi lamento e mi stropiccio gli occhi che cominciano a bruciare.

Lei mi passa un braccio intorno alle spalle e mi stringe a sé ed io circondo con forza la sua vita con le mie. Non dice niente per alcuni minuti, si limita a cullarmi ed io non le chiedo altro perché sto già meglio.

Sapevo che la mia mamma avrebbe risolto qualsiasi problema.

“Travis, devi andare a dormire”, mi dice, lei, con quel suo strano accento. Mai strano quanto quello della nonna: lei parla ed io non capisco proprio nulla. “Domani devi andare a scuola”.

“Ma non ci riesco!”, insisto, io. Ed è vero: non so perché, ma non riesco a dormire. “Non è che sono malato, mamma?”, le chiedo, già più agitato.

Lei scoppia a ridere, scioglie il nostro abbraccio e si alza dal divano. E vorrei tanto che non l’avesse fatto perché ho bisogno della stretta della mia mamma, anche se la sua risata mi piace tanto.

“Non dire stupidaggini”, dice, andando verso la cucina. “Facciamo una cosa, Travis: aspettiamo insieme il ritorno di tuo padre e, nel frattempo, beviamo un po’ di tè, ti va?”.

La vedo armeggiare con un pentolino d’acciaio e la mia tazza colorata. E dopo poco me la porge, piena di un liquido scuro e caldo.

Ha un buon profumo.

“Che cos’è, mamma?”.

“Si chiama Earl Grey, tesoro”, mi dice prendendo la sua tazza dalla tavola e facendo cin cin con la mia.

Poi si sente il rumore della chiave nella porta di casa che, dopo un secondo, si apre, facendo entrare una folata di vento insieme a…

“Papà!”, urlo lasciando la tazza alla mamma, poi corro verso l’ingresso.

 

Mi ripresi dal mio momentaneo distacco dalla realtà perché, ovviamente, la donna che avevo davanti agli occhi in quel momento non era la stessa donna che mi aveva cresciuto i primi anni. Decisamente, la bambolona tutta botox e trucco esagerato non era quella che avevo conosciuto come madre.

Sei venuta per altri soldi?”, le chiesi, cominciando a perdere le staffe. Di certo, sapeva bene come fare ad irritarmi: non mi degnò di uno sguardo, troppo occupata a guardarsi in giro e ad accarezzarsi i capelli, nemmeno fossero un cucciolo.

Che cosa vuoi, Tanya!?”, sbottai, fuori di me.

Lentamente, spostò l’attenzione su di me e mi scrutò con sguardo glaciale. Espressione che non vedevo da parecchio tempo, ma non mi feci intimorire: avevo smesso di avere paura di mia madre da parecchi anni.

I tuoi ventisette anni non ti danno il diritto di urlarmi contro in questo modo”, mi disse gelida. “Resto sempre tua madre”.

Quasi le risi in faccia per l’assurdità di ciò che aveva detto, ma cercai di trattenermi. Tuttavia, non riuscii a frenare le parole che uscirono di getto dalla mia bocca. “La donna che ho davanti agli occhi non è mia madre, non più”.

 E mi sorpresi di quanto suonai convincente, persino alle mie orecchie. Non le avevo mai detto una cosa simile, ma mi sentii stranamente bene, come se mi fossi tolto un grosso peso dallo stomaco.

Il colpo andò a segno. Lo capii dall’espressione scioccata che le comparve sul volto, seguito da quello che parve dispiacere, ma non ebbi il tempo di prestarci troppa attenzione: avevo ancora molte, troppe, cose da preparare.

Mi diressi verso la porta d’ingresso e la aprii, scostandomi dall’entrata e guardandola insistentemente in una, non proprio, muta richiesta di levarsi di mezzo. “Ed ora ti pregherei di andare via”, cominciai, ignorando volutamente l’occhiata che mi rivolse. “Ho una competizione da vincere e, con la tua presenza, non riesco a pensare”.

La vidi alzarsi dal divano e raggiungermi con calma, facendo risuonare i suoi tacchi a spillo per il mio appartamento. Mi si piazzò davanti, osservandomi attentamente con quel mare che aveva negli occhi, prima di rivolgermi una specie di sorriso.

Ho sempre invidiato la tua determinazione, Travis: mi ricordi tanto tuo padre, a volte”.

E quelle parole mi spiazzarono. Scaraventarono via ogni corazza che avevo deciso di erigere in sua presenza e crearono una voragine tanto profonda dentro di me che mi chiesi con quale forza riuscii a non crollare.

Buona fortuna, tesoro”.

Se ne andò. Non una parola di più, non un gesto, non un tocco. Levò le tende dopo aver sganciato la bomba.

 

Tempismo. Maledetto tempismo.

Se quella donna non fosse piombata nel mio appartamento poco prima della partenza, io non sarei stato uno straccio in aeroporto.

Mia madre non era mai stata maestra di tempismo come in quel momento. E pensare a come mi ero lasciato impressionare da lei, con fin troppa semplicità, mi infastidiva come non mai.

Sapeva fin troppo bene quali tasti premere, quella donna. Per quel motivo, il giorno della partenza, raggiunsi Claudio ed i pochi già arrivati con una da funerale. Vidi sul viso del mio allenatore un’espressione interrogativa e compresi che avrebbe voluto sapere il motivo del mio malumore, ma con un gesto della mano, gli feci intendere che non avevo per niente intenzione di parlarne.  E lui, fortunatamente, lasciò perdere e tornò a concentrarsi sul giornale che aveva tra le mani.

Mi sedetti accanto agli altri due atleti di Claudio che avrebbero gareggiato con me, Luca e Michele. Non mi erano particolarmente simpatici, in realtà nella squadra del mio allenatore poche persone mi andavano realmente a genio, ma mi piaceva far credere a tutti il contrario.

Entrambi mi rivolsero un leggero cenno con il capo e, almeno, capii di non essere l’unico in stato pietoso per l’ansia e la paura. Il morale mi si risollevò leggermente.

In quel momento, da solo, con i miei compagni ed il mio allenatore, mi resi finalmente conto di quanto fossi solamente ad un passo dalla realizzazione di un sogno. Mi resi conto di quanto sembrassero assurde ed insignificanti le paranoie che mi ero fatto fino a qualche istante prima, a causa di mia madre, e mi resi conto di come, in quell’occasione ed in quei giorni, avrei dovuto escludere tutto il resto del mondo dalla mia bolla di vita personale.

Ed ero intenzionato a farlo, perché volevo dimostrare davvero qualcosa, il mio valore e la mia determinazione. Lo dovevo più a me stesso che alle altre persone, perché mi ero spaccato la schiena, perché avevo lavorato come un ossesso, perché volevo vincere e sapevo di potercela fare.

Così misi le cuffiette alle orecchie e sparai la musica al massimo volume. E quella bolla di pseudo tranquillità e pace si creò intorno a me, escludendomi da tutte le chiacchiere ed i rumori che potevano trovarsi all’aeroporto di Fiumicino.

Poggiai i gomiti alle ginocchia e mi presi la testa tra le mani, chiudendo gli occhi e cercando di scacciare quella fastidiosa sensazione di nervoso ed agitazione che sembrava volermi divorare le viscere perché, l’ultima cosa che avrei dovuto fare, sarebbe stata farmi prendere dal panico. E non dovevo, altrimenti sarei stato capace di mandare al diavolo tutto e tornarmene a casa.

Continuai a tenere le palpebre serrate e a concentrarmi sulle parole della canzone che passava nella mia testa in quel momento. Nothing else matter dei Metallica.

 

Forever trusting who we are

And nothing else matter

 

Fu quando sentii quelle parole che mi resi conto di essere in possesso di tutti I mezzi necessari per potercela fare. Avevo un’occasione, una dannatissima occasione, ero bravo e sapevo fino a che punto potermi spingere, non avevo molta gente che credesse in me, ma avevo Claudio e mi bastava perché, sapevo, almeno era sincero.

Ma nonostante quello continuavo ad avere una paura fottuta.

Poi qualcuno bussò alla mia spalla e la mia bolla di tranquillità scoppiò nell’istante stesso in cui aprii gli occhi e mi trovai davanti una cascata di boccoli biondi ed un paio di occhi scuri. Simona.

Era tutta sorridente, fresca come una rosa e sembrava appena uscita dal salone del suo parrucchiere di fiducia. In una parola, perfetta.

Si, era davvero perfetta e molto bene, così tanto che, i suoi atteggiamenti altezzosi e leggermente svampiti, risultavano quasi comprensibili ed accettabili. Poi quei jeans neri che indossava mettevano in risalto le sue gambe. E che gambe… dannatamente perfette anche quelle.

Mi chiesi come potesse stare comoda con un abbigliamento così attillato e le scarpe con il tacco a spillo.

Tra viaggi aerei e scali, saremmo stati sballottati in giro quasi quindici ore. Forse fu per quel motivo che non riuscii a comprendere quei suoi abiti, ma non mi lamentai: in fin dei conti, era un gran bel vedere.

Mi tolsi le cuffiette dalle orecchie e, sinceramente, vorrei non averlo fatto perché, quella ragazza, cominciò a parlare a macchinetta.

Travis, che piacere”, cominciò, tutta raggiante. “Non sarai agitato, vero? Insomma, essere nervosi è normale, da deboli, ma è normale. E tu non hai bisogno del nervosismo: sei forte e scommetto che porterai a casa la medaglia più importante”.

Parlava, dannazione quanto parlava. E anche veloce, talmente veloce che, a volte, faticavo a starle dietro.

Si accomodò sulla sedia libera al mio fianco ed accavallò le gambe. Ed un moto di rabbia mi salì fino al cervello.

Allora sono un debole, Simona”, risposi, spazientito. “Mi spiace deludere le tue aspettative”.

Non le diedi nemmeno il tempo di rispondermi che già mi ero infilato di nuovo le cuffiette alle orecchie.

Era strana, quella ragazza.

Ostentava la sua sicurezza in maniera esagerata, dimostrandosi spesso terribilmente fastidiosa, ma durante la cena che avevamo condiviso era stata diversa. Non era stata antipatica oppure insistente ed egoista, ma leggera, sopportabile e quasi carina. Ed avevamo parlato, nel modo più tranquillo possibile.

Avevamo parlato tanto e di argomento così insignificanti che nemmeno me li ricordavo, ma era stato piacevole. Stranamente piacevole.

Poi era giunta in aeroporto come un tornado, spazzando via la mia bolla di pace, tra l’altro, e aveva gettato tutto in malora.

Nel frattempo era arrivato anche Roberto, il collaboratore di Claudio, e quando vidi arrivare anche il secondo tornado della truppa capii che nessuno mancava all’appello.

Se speravo di recuperare un briciolo di tranquillità, mi sbagliavo di grosso e lo compresi quando riconobbi Maya tra la folla presente in aeroporto. Grazie anche a quel suo trolley verde lime, probabilmente più pesante di lei, che si portava appresso: risultava difficile passare inosservata.

Distolsi immediatamente lo sguardo da lei, concentrandomi sulla playlist del mio iPod e sul brano seguente da ascoltare; non avevo intenzione di avere a che fare con lei, di parlare. Preferivo recitare la parte dell’indifferente, nonostante fossi sempre stato un pessimo attore.

Non so esattamente quanto tempo passò, ma dopo aver deciso di ignorare completamente Maya, vidi Simona alzarsi dal suo posto accanto al mio  e, ovviamente, ebbi la pessima idea di seguirla con lo sguardo. La vidi avvicinarsi al piccolo tornado e cominciare a parlare, probabilmente di lavoro, quindi di me, optai infine.

Non avrei voluto soffermarmi tanto a guardarle, a notare la differenza tra le due ragazze, come potessero apparire agli opposti. Una vestita di tutto punto e con i tacchi vertiginosi e l’altra con i jeans strappati, una t-shirt bianca ed una camicia presa direttamente dall’armadio di Kurt Cobain. Però, dannazione, aveva gli stessi toni dei suoi occhi ed era una tortura.

Era una tortura avere entrambe le ragazze nel campo visivo e non sapere cosa fare, se non restare immobile e muto a godermi il panorama.

Si allontanarono dal gruppo un momento e ricominciarono a parlare. Più che altro parlava Simona e si agitava, fasciata dentro i suoi jeans ed il suo magnifico maglioncino bianco. Ogni suo movimento sembrava studiato alla perfezione per non sembrare sgraziato e, di certo, per non passare inosservato. Conosceva il suo corpo alla perfezione, si notava da come il suo abbigliamento mettesse sempre in evidenza i punti giusti e da come le pose che assumeva la facessero sembrare una modella.

Avrebbe fatto carriera, non sapevo esattamente in quale modo, ma ero certa che l’avrebbe fatta.

Poi c’era Maya, che ascoltava con un sopracciglio leggermente sollevato e le mani poggiate sui fianchi, come faceva spesso.

Era strano il modo in cui Simona sembrava non incuterle alcun timore: pareva perfettamente a suo agio, Maya, nonostante i numerosi centimetri in meno e la sicurezza che sprigionava la bionda davanti a lei. Non era intimorita oppure a disagio; anche lei, a modo suo, sprigionava sicurezza, ma non la ostentava come l’altra ragazza.

Le teneva testa, lo avevo già notato tempo prima, ma era bello averne conferma anche in quel frangente. Soprattutto quando, per un momento, ebbi paura che Maya saltasse alla gola di Simona per atterrarla: lo sguardo che le riempiva gli occhi non prometteva nulla di buono.

Era divertente restare a guardarle, a guardare le loro labbra muoversi senza riuscire a carpirne i suoni e le parole, le loro mani muoversi freneticamente ed il piede destro della morettina battere ritmicamente a terra dall’impazienza.

Creatura tanto piccola quanto agguerrita, Maya.

Perché era quello, in realtà, lei: una cosina minuscola, ma con una forza ed una grinta ineguagliabile.

Non mi arrivava nemmeno alla spalla, ma cominciava ad imparare come farmi capitolare ai suoi piedi. Soprattutto quando si ostinava a mettere le mani sui fianchi e ad evidenziarli.

Quei suoi fianchi tanto piccoli quanto accoglienti.

E mi faceva capitolare anche indossando quei colori che tanto le facevano risaltare gli occhi.

Quella ragazza era una tortura, un mistero.

Poi il suo sguardo incontrò il mio per un istante. Un istante che mi parve lunghissimo.

Prima sorpresa, poi confusione con qualche briciola di fastidio, ecco cosa avevo visto nei suoi occhi, prima che arrivasse una massiccia dose di disappunto.

Ripeto, quella ragazza era un mistero.

Non solo, una delle ultime sere in cui l’avevo vista, aveva fatto dietrofront e mi aveva baciato, ma aveva avuto anche l’assurda idea di ringraziarmi. Dopotutto, io non avevo fatto nulla, in quell’occasione, le avevo semplicemente consigliato di non preoccuparsi troppo.

Le successive fotografie subacquee erano andate molto meglio: io mi ero dimostrato più diffidente e tranquillo e lei aveva imparato a resistere di più sott’acqua ed era stata scostante come sempre. Negli ultimi tempi, eravamo tornati alla solita routine, nulla di nuovo.

Certo, gli sguardi strani e confusi, come quello, persistevano, ma erano divenuti il maggior contatto tra noi.

Così come lo aveva allacciato al mio, Maya distolse lo sguardo e tornò a prestare attenzione a Simona che, imperterrita, continuava a blaterare.

Fortunatamente avevo le cuffiette e la musica al un tono talmente alto che andrebbe proibito per preservare i timpani in buono stato.

Il tempo passò, fin troppo lentamente, ma arrivò il momento dell’imbarco e, dopo quelli che mi parvero anni, salimmo sull’aereo che ci avrebbe portato ad Istanbul per lo scalo. Preferivo non pensare alle sei ore abbondanti che avremmo dovuto trascorrere in quell’aeroporto in attesa del volo che ci avrebbe condotti a Doha.

Sarebbe stata una giornata infinita, quella.

Inoltre, ebbi la sfortuna di capitare ancora al fianco di Simona, nei posti centrali, mentre Roberto la affiancava dalla parte opposta e, Luca e Michele, si trovavano alla mia destra e, Maya e Claudio, dietro di loro.

Mi aspettava un viaggio interminabile, lo avevo capito da quel sorrisetto civettuolo che aleggiava sulle labbra della bionda al mio fianco. E faceva quasi spavento.

Oh Travis, saremo compagni di viaggio”, cinguettò, al settimo cielo, e quasi mi venne da riderle in faccia per l’assurdità di quella frase. L’aveva detta come se fossimo stati negli scout.

E per le quattro ore seguenti non andò meglio: un fiume in piena avrebbe fatto meno disastri, soprattutto alle mie orecchie. Non era fastidiosa per il suo conversare a macchinetta, senza darsi un freno, ma lo era per il vuoto dei suoi discorsi: non c’era nulla di serio, nulla con un briciolo di valore, era tutto estremamente superficiale. E stare a sentire una donna per quattro ore, mentre parla di chi si è sposato o divorziato, nel mondo dello spettacolo, o di quanto sia comodo un suo paio di zeppe, non è tra le mie aspettative migliori. E non lo era nemmeno allora.

Sentivo la testa scoppiare ed i muscoli del viso far male per i sorrisi troppo forzati, ma continuavo ad assecondare i suoi monologhi, rispondendo solamente con qualche monosillabo di circostanza. Continuavo a cercare di fare il gentiluomo, ma non ne potevo davvero più.

Fortunatamente, nella conversazione si intromise Roberto, che attirò l’attenzione della bionda al mio fianco, ed io ne approfittai per fingermi addormentato ed infilarmi ancora una volta le cuffiette alle orecchie.

Un’occasione del genere non potevo lasciarmela scappare.

Cercai di fingermi davvero tra le braccia di Morfeo, anche quando sentii Simona toccarmi il braccio per reclamare attenzione. Ne avevo fin sopra i capelli di lei e l’ultima cosa che volevo era ricominciare ad ascoltarla, senza poter dire nulla. Inoltre, speravo davvero di poter dormire per qualche ora.

Per colpa dell’ansia e dell’agitazione non avevo dormito molto, quella notte, anzi, quasi niente. E non andava bene: dovevo essere in forma, riposato e ben concentrato, perché ero solo all’inizio della scalata.

Quel pensiero mi gettava addosso una quantità di tensione impensabile, ma mi dava anche la carica giusta per cominciare a percorrere la salita. Ero dannatamente competitivo e, ovviamente, lo mostravo anche in quel momento, cercando di nascondere il nervosismo agli occhi degli altri.

All’improvviso sentii qualcuno passarmi accanto e percorrere il corridoio al mio fianco. Socchiusi gli occhi, sperando di poter vedere la hostess che avevo inquadrato al momento dell’imbarco, tutt’altro che brutta, ma mi ritrovai deluso alla vista di Claudio, diretto verso i bagni.

Rimasi un secondo interdetto, tolsi la cuffietta e potei notare come, Simona, avesse trovato altra carne da macello con cui parlare, poi lanciai una veloce occhiata dietro di me, a Maya, e la vidi impegnata ad armeggiare con il computer portatile.

All’instante mi comparve uno strano sorriso sulle labbra, forse più un ghigno perfido, e non riuscii a resistere alla tentazione. Avevo compreso fin troppo bene come mi risultasse impossibile poter riposare in aereo, così mi alzai dal mio posto e mi gettai all’istante su quello lasciato vuoto dal mio allenatore, vicino a sua figlia.

La osservai attentamente, prima il suo volto da perfetta attrice, che rimase indifferente, poi il portatile sulle sue ginocchia: stava lavorando ai suoi scatti subacquei. E sembravano a dir poco meravigliosi.

Lasciai perdere, troppo preso dal volerla innervosire, anche se lei sembrava più una statua di cera.

Notai le cuffiette scendere dalle orecchie verso il suo ventre piatto, dov’era poggiato il suo iPod e non riuscii ad ignorare il suono sommesso che ne usciva. Preso dalla curiosità, avvicinai la mano alla sua cuffietta destra, quella vicina al finestrino, per poter ascoltare il caos che ne usciva.

La vidi bloccarsi ed irrigidirsi l’istante stesso in cui notò la mia mano nel campo visivo.

Altro che statua di cera, era solamente un’attrice molto brava, ma il suo corpo la tradiva ogni volta, mostrandola per quella che era.

Presi delicatamente la cuffietta in mano, sporgendomi verso di lei quanto bastasse per non mostrarmi eccessivamente invadente, poi cedetti all’ennesima tentazione e le sfiorai il collo con le dita, più per stuzzicare lei che soddisfare me stesso, prima di tornare ad occupare il mio spazio vitale.

L’avevo vista trattenere il respiro, non lo avevo sognato. Si, ero stanco ed assonnato, ma non fino al punto di immaginarmi le cose.

Avevo visto il suo petto bloccarsi nello stesso momento in cui avevo toccato la sua pelle e l’avevo interpretato come una piccola conquista.

Il suo lavoro al computer l’aveva ignorato per un secondo, poi aveva ricominciato come se niente fosse.

Una quasi perfetta attrice.

In realtà, era una maschera indossata alla perfezione, ma qualche volta le scappavano alcuni dettagli dalle mani.

Riuscii finalmente ad ascoltare il brano che passava per l’iPod di Maya e riconobbi all’istante un vecchio, ma famosissimo pezzo dei Queen: Don’t stop me now.

Complimenti per la scelta”, le dissi.

Tu ascolti i Queen!?”, chiese lei, guardandomi con un sopracciglio sollevato.

Mi scappò un sorriso, involontariamente, alla vista della sua espressione tra la sorpresa e lo shock. Era strana, a volte, forse per il suo essere bipolare oppure per la sua straordinaria mimica facciale perché, da un suo semplice sguardo, si poteva comprendere quasi qualsiasi cosa.

Ho pessimi gusti nello scegliere chi portarmi a letto, ma in fatto di musica non mi si può dire nulla”, le risposi.

E lo feci sorridendo, senza malizia, senza un briciolo di scherno. Le sorrisi perché, questo suo voler costruire continuamente invalicabili barriere, era quasi estenuante.

Mi sorpresi nel vederla interdetta, per l’ennesima volta nel giro di poco tempo, ma rimasi di sasso quando la sentii reprimere una risata, distogliendo lo sguardo dal mio.

Touche”, disse piano.

Nessuno dei due parlò per alcuni istanti, lei si limitò a lavorare ancora sui suoi scatti ed io alternai l’attenzione dallo schermo alla concentrazione che vedevo sul suo volto.

Si notava lontano un miglio quanto s’impegnava nel suo lavoro. Ci teneva davvero ed era precisa, quasi fastidiosa, ma cercava ogni dettaglio per rendere migliore il risultato finale. Ed era ammirevole.

A cosa stai lavorando, Maya?”, le domandai, osservando uno dei suoi scatti subacquei di cui ero protagonista.

Sto modificando le fotografie migliori, Travis”, mi rispose, continuando a lavorare. “Cerco la luce migliore, per quanto possibile, l’inquadratura ed altre particolarità che non ti sto nemmeno a spiegare”.

Mi piacciono moltissimo, sai?”, le dissi all’orecchio.

E avrei voluto che tutto restasse in quel modo perché, davvero, lei non avrebbe dovuto rivolgere l’attenzione su di me. Non ero preparato a quella vicinanza e non ero preparato agli occhi limpidi e sorpresi di quella ragazza. Fu una combinazione esplosiva.

Dovetti reprimere l’impulso di avvicinarmi ancora di più e colmare quella distanza che, in quel momento, mi parve infinita, perché l’unico mio desiderio bruciante era quello di andare oltre, di non fermarmi ad un bacio, ma di prendere a forza Maya, chiudermi nel bagno con lei e soddisfare quel desiderio carnale che mi stava divorando.

Davvero ti piacciono?”, chiese lei, quasi esitante, incerta.

Anche in quell’attimo mi venne spontaneo sorriderle, leggermente, senza mostrarmi troppo divertito dal suo bipolarismo.

Te l’ho già detto, Maya, sei molto brava”, le mormorai.

Sul suo volto comparve un lieve ghigno compiaciuto, poi si allontanò da me, prendendo un profondo respiro. Ed ecco, ancora una volta, il suo bipolarismo: tornò a lavorare sui suoi scatti, con il suo programma professionale su quel dannato computer portatile.

Decisi di prestare attenzione al brano di turno, nel mio orecchio, ma non riuscii a riconoscerlo. Tuttavia, ne apprezzai la tranquillità, la delicatezza ed il romanticismo e, immediatamente, mi sentii leggermente più sereno.

Solamente pochi istanti dopo mi resi conto di Claudio, seduto al mio posto, intento a parlare con la bionda tutto pepe.

Per un momento mi sentii grato verso il mio allenatore che, per alcuni minuti, mi aveva donato uno spicchio di tranquillità e pace, ma poi mi sentii terribilmente in colpa per il terribile fardello che gli avevo lasciato.

Seppur controvoglia, mi tolsi la cuffietta dall’orecchio e la lasciai a Maya.

Vado a salvare tuo padre”, le dissi, scocciato.

Lei sollevò leggermente il capo dal suo lavoro, lanciò un veloce sguardo ai sedili più avanti prima di trattenere l’ennesima risata.

Era strano sentirla ridere, vederla davvero divertita da una scena e così normale nei miei confronti. Un po’ mi mancava la ragazza acida con la rispostaccia sempre pronta, ma quel lato di Maya mi era del tutto nuovo, da scoprire e quasi intrigante.

Buona fortuna, allora”, disse prima che mi alzassi dal sedile per lanciarmi nella mia personale missione suicida.

Interruppi i discorsi tra Simona ed il mio allenatore, chiedendo di poter tornare al mio posto e, come magra consolazione, ricevetti uno sguardo da parte di Claudio che poteva valere più di mille parole.

Anche lui ne aveva avuto abbastanza.

Scusami, Simona, ma ora vorrei dormire”.

La liquidai ancora prima che aprisse bocca, la poveretta, ma la sua vocina mi aveva davvero stancato.

Arrivammo finalmente ad Istanbul, con sei ore per poter prendere il volo seguente e nessuno svago degno di essere chiamato tale. Sarebbe stata un’attesa infinita ed io non avevo più un briciolo di forza. Non avevo mai avuto tanto bisogno di dormire come in quel momento.

Restare tutto il tempo in quella struttura, con il classico caos da aeroporto, si era rivelato essere un’ardua impresa, che non veniva di certo facilitata dalla presenza di Simona.

Sembrava essersi attaccata a me come una cozza al suo scoglio preferito.

Per perdere tempo avevo deciso di perlustrare l’aeroporto, più volte. Ma non era servito a molto: avevo occupato solamente un paio d’ore, a dire tanto.

Spesi il resto del tempo a pensare e a prepararmi mentalmente per tutto ciò che mi attendeva a Doha.

Mi sistemai su tre sedie, riuscendo a distendere le gambe, grazie anche all’immensa disponibilità di posti liberi, giusto per provare a riposare una manciata di minuti. Anche se il mio solito turbinio di pensieri sembrava addirittura impedirmi di respirare.

Era stata una pessima idea, fermarmi a riflettere, ma avevo ancora delle ore da occupare: tanto valeva rodersi il fegato.

 

Mi sembrò quasi un sogno quando riuscii a sistemarmi a bordo del secondo aereo, quello che, finalmente, ci avrebbe condotti a Doha. Mancavano altre cinque ore di volo, ma mi resi conto di come non me ne importasse.

Mi importava solamente arrivare in hotel, buttare tutte le mie cose in camera e riuscire a dormire almeno un paio d’ore. Possibilmente senza la presenza di biondine tutto pepe che non arrivano mai ad esaurimento scorte, quando si tratta di parole dette tanto per creare rumore.

Almeno ebbi la fortuna di non capitare al suo fianco anche su quell’aereo: la tranquillità ed il silenzio di Luca e Michele si rivelarono assolutamente magnifiche. Eravamo i tre uomini più tesi e più stanchi sulla faccia del pianeta.

Incredibile, ma vero, riuscii addirittura ad appisolarmi, durante il volo.

Venni svegliato da un’hostess gentile quanto carina che, con gentilezza, mi picchiettò la spalla reclamando attenzione. Cercai di ricordarmi di intraprendere viaggi in aereo più spesso, se quelle erano le donne che vi lavoravano sopra.

Dopo essere scesi ed aver recuperato ogni bagaglio, tutti noi ci incamminammo verso l’uscita dell’aeroporto, diretti al Four Season Hotel di Doha che, la Federazione, aveva scelto per ospitare tutti gli atleti partecipanti alle competizioni.

Volevano fare le cose in grande, insomma.

Quando fummo tutti quanti al di fuori dell’edificio, ci rendemmo conto di quanto, per essere quasi le sei del mattino, a dicembre, facesse caldo.

Troppo caldo per chi, come me, era avvolto in una felpa invernale.

Nemmeno me ne resi conto, ma al mio fianco trovai Maya.

Sei preoccupato, superstar?”, mi chiese, acida come sempre.

Nonostante tutto, mi venne da ridere. Forse per il nervosismo, forse per l’ansia oppure per la semplice mancanza di sonno, ma risi.

In questo momento ho solamente caldo”, le risposi, guardandola nei suoi occhi stanchi. “E avrei bisogno immediatamente di un letto comodo”, aggiunsi, accompagnando il sorriso più malizioso che avessi in serbo.

Come sempre, mi fissò prima scettica, la ragazza, come se avessi detto chissà quale assurdità, poi la vidi distogliere lo sguardo dal mio, per prestare attenzione alle sue Converse.

Sicuramente la camera di Simona sarà più comoda ed accogliente della tua”, rispose, lui, ridendo. “Perché non provi a chiederle asilo politico? Sono sicura che ti accoglierà a braccia aperte”.

Non riuscii a capirne il divertimento, ma nella mente di Maya sembravano viaggiare migliaia di barzellette. Sicuramente, il suo continuo ridere, completamente divertita, avrebbe avuto un briciolo di senso, ai miei occhi.

Potrei sapere cosa ci trovi di così esilarante!?”, le domandai, stizzito.

Odiavo sentirmi escluso dal minimo discorso, dal minimo pensiero. Soprattutto quando si trattava di Maya, perché proprio non riuscivo ad inquadrarla.

Lei non mi ascoltò, ma si incamminò insieme a suo padre verso il primo taxi che si era fermato davanti all’uscita dell’aeroporto.

Decisi di avvicinarmi a lei, fingendomi un perfetto gentiluomo e aiutandola a caricare quella sua valigia fluorescente, così da poterla tormentare e per scoprire questo grande e divertente segreto che non la faceva smettere di ridere.

Vorrei ridere anche io, Maya”, sibilai, caricando la sua valigia del baule del taxi.

La morettina si fermò un momento, mi lasciò uno sguardo divertito, che ignorai all’istante non appena vidi come, quel sorriso che sfoggiava, le incorniciava il viso alla perfezione.

Ecco tornato il bipolarismo.

Magari Simona apre qualcos’altro, che ne so”, disse piano. “Comunque dovresti provarci, tigre, l’hai già conquistata. Però compra un paio di tappi per le orecchie: forse non smette un secondo di parlare nemmeno in situazioni più… intime”.

E ricominciò a ridere, forse ancora più di poco prima.

Dovevo sembrarle davvero patetico e, probabilmente, aveva ragione perché, me ne rendevo conto, quando avevo deciso di uscire a cena insieme alla bionda tutto pepe non avevo calcolato gli effetti collaterali che si sarebbero manifestati in seguito.

Non ebbi nemmeno il tempo di rispondere a quella piccola arrogante, avevo perso l’opportunità nel momento stesso in cui si fiondò all’interno del veicolo insieme al padre.

Ed io rimasi lì, in piedi. Come un perfetto idiota, senza accorgermi di come, nel giro di ventiquattro ore, sarebbe cominciato tutto il calvario di quei campionati.

*

Ed ecco, finalmente, questo POV! Vi confesso che è stata un po' un'impresa arrivare alla fine, non so per quale motivo, ma, in un certo senso, l'ansia che ha provato Travis, l'ho provata anche io.. Spero vi possa piacere comunque e spero che possiate dirmi cosa ne pensate..

E che mi dite del piccolo Travis!? Personalmente, lo adoro.. forse perchè è palesemente diverso dal Travis dei nostri giorni oppure per questo amore materno che è andato svanendo nel tempo.. non lo so, ma mi fa una grande tenerezza!

FINALMENTE SIAMO ARRIVATI A DOHA, GENTE! Ed ora arriva il calvario per me, per poter descrivere nel modo più giusto possibile una località completamente sconosciuta.. cercherò di non deludervi!

Come sempre... GRAZIE DI CUORE a tutte per il seguito! E grazie alle temerarie che, ogni tanto, fanno sentire la loro voce con qualche recensione! Non immaginate quanto apprezzi il gesto.. ovviamente GRAZIE anche a chi legge in silenzio, ma continua a seguirmi! Davvero, grazie mille..

Detto questo.. vi lascio! E ci vediamo alla prossima con *rullo di tamburi* un altro POV di Travis! Al momento, la superstar è lui.. voglio dargli il giusto spazio sotto i riflettori!

Alla prossima e un mega abbraccio a tutte,

Chiara

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Capitolo 18
*** 17. Travis' POV - Cambio di Rotta ***


Maya18



*****



Quella figura strana allo specchio non ero io, non potevo essere assolutamente io. La faccia ingrigita, con quel paio di occhiaie degne del miglior panda, non era la mia. E continuavo a cercare di convincermi, nel bagno della mia lussuosissima camera del Four Seasons Hotel di Doha, ma con scarsi risultati. In compenso, avevo cominciato a consolarmi su quanto fosse comprensibile quel mio stato mentale e fisico, dopo aver viaggiato per più di dodici ore, aver cambiato fuso orario ed aver riposato solamente tre ore scarse.

No, non era comprensibile, ero semplicemente patetico.

Avevo ancora addosso l’odore del viaggio infinito, dell’afa e del caldo così fuori luogo a dicembre, e non avevo nemmeno avuto la forza necessaria per concedermi una breve doccia. Decisi che me ne sarei occupato direttamente in vasca quella stessa mattina.

Si, ero decisamente patetico.

Cercai di non perdere troppo tempo ad autocommiserarmi, in ritardo com’ero per la colazione, così preparai e gettai le ultime cose nel borsone firmato dalla nazionale italiana.

Attraversai la mia stanza, un tantino spropositata per una sola persona, ed uscii nel corridoio del quarto piano dell’albergo per raggiungere la sala ristorante dove avevo appuntamento per la colazione, con il resto della truppa. Venti minuti prima di quando mi presentai.

Riconobbi il resto del mio gruppo in pochi istanti, grazie anche alle divise bianche e blu della nazionale e alla testa di riccioli della bionda tutto pepe che risaltava tra la folla.

Mi salutarono tranquillamente, evitando di farmi notare la mia mancanza di puntualità, poi riuscii finalmente a mettere qualche cosa di commestibile sotto i denti, saziando la fame nervosa che mi stava attanagliando lo stomaco già da diverso tempo.

Quella colazione a buffet era un sogno, quasi un miraggio.

Vidi ogni sorta di cibo commestibile disposto sui tavoli in base al loro genere, ovviamente pensati a regola d’arte. Ottenendo un quadro di colori e profumi da far invidia alla miglior galleria d’arte oppure al miglior ristorante.

Era un buon modo per svegliarsi, quello.

Mi accomodai al fianco di Simona, per mia scelta, dato che le altre facce da funerale non promettevano nulla di buono ed io avevo bisogno di qualcuno che mi fornisse una distrazione, in quel momento. Certo, avrei preferito qualcosa di più carnale e con meno spettatori, ma le chiacchiere tranquille e vuote della bionda accanto a me andavano bene comunque. Almeno mi davano la possibilità di concentrarmi su altro e, fortunatamente, quella mattina sembrava aver perso il suo innato talento di macchinetta sforna parole.

Era strano vederla in quel modo e catalogarla, quasi, ma quel giorno era diversa, come se anche lei soffrisse di bipolarità come la sua amichetta.

O forse era l’intero genere femminile a soffrirne.

Tuttavia, quella mattina, Simona era una persona completamente differente, nuova. La stessa ragazza con cui ero uscito a cena, quella sera.

Riuscì persino a farmi ridere, nonostante mi sentissi un tronco senza vita per colpa del nervosismo. Ogni tanto se ne usciva con qualche battuta stupida e si rendeva anche simpatica. Straordinariamente simpatica.

E tutti gli uomini presenti al nostro tavolo, la truppa di Claudio, sembrava rapito ed affascinato da quella sua strana spontaneità.

Si offrì anche di seguirci al palazzetto dove si sarebbero disputate le competizioni, così da avere più materiale su cui lavorare, e ne fui quasi… sollevato. Era in grado di infondermi una particolare tranquillità che, in un momento come quello, non poteva che farmi bene.

Forse era d’aiuto anche l’assenza della piccola arrogante.

Quella mattina, Maya, non si era fatta vedere a colazione e, per il resto della giornata, era rimasta un’incognita, nonostante fossi pienamente convinto che all’allenamento sarebbe stata presente per non farsi mancare altri scatti, puntigliosa come sempre. Poi mi resi conto di come fossi felice della sua assenza: il sentirsi continuamente l’obiettivo della macchine fotografica puntato addosso cominciava a diventare estenuante.

Così arrivammo al fantomatico edificio, già preparato ed addobbato a festa per il giorno seguente, per l’inizio della fine, e non riuscii a fare a meno di pregare che tutto andasse bene. O almeno discretamente.

Non avevo idea di cosa avrei dovuto fare, in quel momento, la sola idea di entrare in acqua mi faceva venire il voltastomaco e mi faceva sentire pesante come una pietra.

Girovagammo per alcuni minuti, in gruppo, per cercare di capire come tutto fosse programmato, e quando, infine, ci dissero che era possibile allenarsi, non attendemmo un minuto in più per prepararci, nonostante il mio corpo ripudiasse quell’iniziativa.

Riuscimmo a ricongiungerci anche con il resto della squadra italiana e, finalmente, conobbi gli altri due membri che avrebbero gareggiato per la staffetta, insieme a me e a Luca.

Era strano considerarsi una vera e propria squadra, soprattutto venendo da due realtà diverse, ma ci eravamo accordati alla perfezione su come avremmo dovuto porci e, dopo i convenevoli, non restava altro da fare se non allenarci fino a spaccarci la schiena.

Una prospettiva interessante, insomma.

 

Quattro ore. Quattro interminabili ore di allenamento a dir poco estenuante, con un unico risultato: facevamo pena.

Non so ancora oggi perché, ma i tempi ottenuti nelle varie prove erano a dir poco squallidi, decisamente non da campionati mondiali, semmai da amichevoli tra paesini di provincia.

E tutto questo si rifletteva nei nostri atteggiamenti. La frustrazione era arrivata a livelli mai visti e, di certo, il malumore generale si poteva scorgere da miglia di distanza.

Il giorno seguente sarebbe stato un inferno, ne ero completamente certo.

Tornammo all’albergo, con facce da funerale comprese, per concederci un pranzo degno di essere chiamato tale nella sala ristorante di quella mattina e, forse, una sana dormita.

Nessuno ebbe il coraggio di proferire parola, nemmeno Simona, seduta al mio fianco in taxi, che pareva aver perduto il suo solito brio. Teneva gli occhi bassi, osservandosi le unghie perfette con attenzione.

Avrei voluto scoprire cosa le passava per la testa, perché quell’aria avvilita non le donava proprio. Tuttavia, non le chiesi nulla, troppo occupato a maledire me stesso per i risultati scadenti che avevo ottenuto quel giorno. Mi diedi al mutismo convinto, ignorando chiunque mi rivolgesse una qualsiasi domanda, passando per un perfetto stronzo.

Persino a tavola l’atmosfera non cambiò, anzi: il clima glaciale che era sopraggiunto sulle nostre teste faceva quasi spavento; ed evidentemente anche per il nostro cameriere fu così: sgattaiolò via non appena ci servì le nostre ordinazioni.

L’unica che non si fece intimidire fu, ovviamente, Maya, che giunse al nostro tavolo a pranzo già cominciato, stranamente sorridente e fresca come una rosa. E quando mi resi conto della sua pelle leggermente abbronzata, lasciata scoperta da una maglietta che le scendeva su una spalla, una strana, lieve fitta allo stomaco: l’aria di Doha le donava fin troppo. E non riuscii a non trovare la cosa irritante, soprattutto dopo aver passato una giornata infernale. Lei, invece, pareva appena uscita da una rivista patinata.

Si fermò interdetta non appena si rese conto dei nostri musi lunghi, prima di cominciare a parlare con Claudio.

Ciao papà”, disse, stampando un bacio sulla guancia dell’uomo. “È successo qualcosa?”.

Non considerò nessun altro, non rivolse alcun saluto e, di certo, non degnò nessuno di uno sguardo. Me compreso. La solita ragazzina altezzosa e presuntuosa aveva fatto il suo ritorno.

Nulla di cui tu debba preoccuparti, tesoro”, le rispose con un sorriso finto, tirato. “Abbiamo solamente ottenuto un tempo pessimo agli allenamenti della staffetta”.

La vidi chiaramente, da come chiuse gli occhi un momento e storse le labbra, reprimere un sorriso ed io, da perfetto idiota qual ero, ci cascai ancora una volta e non riuscii a non innervosirmi.

Ehm… non ti preoccupare, papà”, disse lei, poggiandogli una mano sulla spalla e cercando di restare serie in volto. “Domani andrà meglio”, aggiunse, infine, come se il suo giudizio potesse davvero cambiare le carte in tavola.

La realtà era semplice: eravamo in una situazione pessima e anche quella piccola arrogante lo sapeva perfettamente e quella parvenza di un sorriso che occupava quelle sue maledette labbra, era la prova di quanto il malumore generale e la nostra disfatta la divertisse.

Era irritante. Tremendamente irritante!

Non riuscii a reggere oltre, non ne ebbi le forze, mi alzai di scatto e mi congedai, dopo aver mangiato poco e niente ed aver lasciato tutti i presenti al tavolo di sasso. Sentivo il terribile bisogno di staccare la spina e di isolarmi dal resto del gruppo, nonostante fossi perfettamente consapevole di come mi sarei potuto mangiare le mani dal nervoso e di come mi avrebbe solamente logorato.

Raggiunsi la mia stanza in un attimo, senza nemmeno accorgermi del passo spedito che avevo assunto e delle espressioni stranite che, altre persone presenti in ascensore, assunsero appena videro il mio viso da funerale. Volevo, dovevo stare da solo, in isolamento nel mio harem personale fino alla mattina seguente, fino al momento in cui tutto sarebbe venuto a galla. Paradossale quanto quella stanza decisamente fuori misura, in quel momento, mi apparve opprimente e claustrofobica, e strano come ogni oggetto inquadrato nel mio campo visivo mi fece venir voglia di lanciarlo contro il muro.

Sapevo che, presto o tardi, mi sarei fatto prendere dal panico, dall’ansia pre-gara, ma non mi sarei mai immaginato nulla del genere. Il respiro quasi mi mancava e non riuscire a scorgere nulla di familiare, in quell’ambiente, nulla di mio mi gettava in un allarmante stato d’ansia. Non sapevo come fare, continuavo a guardarmi in giro, con il fiato corto, e a circumnavigare il salotto di quella dannata stanza senza trovare una soluzione semplice ed indolore a quella mia momentanea pazzia. Poi sentii bussare alla porta.

Presi un profondo respiro, sperando di non apparire eccessivamente stralunato, ed andai ad aprire.

Claudio!”, esclamai.

Ciao Travis, posso entrare un momento?”, chiese con l’accenno di un sorriso sul volto ed in quel mare che aveva negli occhi.

Mi colse completamente impreparato e nel bezzo di una perfetta crisi esistenziale degna del peggior adolescente, così non potei fare a meno di togliermi dalla sua traiettoria e lasciarlo entrare, lasciarlo girovagare per l’ambiente.

Appena si trovò all’interno cominciò a guardarsi intorno ammirato, per poi dirigersi alla grande finestra della parete opposta alla porta.

Complimenti per la stanza, ragazzo”, mormorò, ammirando il mare che regnava all’esterno. “Di certo ha una vista migliore della mia”.

Su quello aveva ragione: c’era una vista meravigliosa. Ed era forse l’unica cosa accettabile di tutta quell’opulenza. Si poteva ammirare la spiaggia, ovviamente riservata per l’albergo, le famiglie che si godevano una giornata di sole ed il mare, calmo ed immenso. Quello stesso mare che, la mattina del nostro arrivo, mi aveva rapito per non so quanto tempo. Ero rimasto ad osservarlo, ad ammirarlo per un tempo infinito, privandomi di minuti di sonno preziosi, ma non mi era importato molto. Sentivo il bisogno di mettere a riposo la mente e, restare sul balcone ad osservare ciò che si stagliava davanti a me, si era rivelato il sistema migliore.

Hai bisogno di qualcosa, Claudio?”. Gli chiesi, con un velo di sospetto.

Non esattamente, Travis”, cominciò, voltandosi a guardarmi. “Volevo solamente parlarti del tuo scatto di poco fa. Va tutto bene?”.

No, non va affatto bene: abbiamo totalizzato dei tempi orribili, siamo scoordinati oltremisura come squadra e, come se non bastasse, arriva tua figlia, con quella faccia tosta che si ritrova, e dopo aver scoperto il fallimento di oggi, ha pure il coraggio di sghignazzare come se nulla fosse, come se non fossi stato presente davanti ai suoi occhi”. Gli risposi tutto d’un fiato e, solamente dopo aver terminato quel monologo, mi resi conto di ciò che avevo appena detto. Mi immobilizzai all’istante e cercai con lo sguardo quello del mio allenatore, ancora davanti alla finestra, preparandomi ad un discorsetto con i fiocchi su quanto risultassi impertinente e fuori luogo. Dovevo smetterla di lasciarmi scappare frasi simili, soprattutto in presenza di Claudio.

Oh scusami, non volevo dire una cosa simile, non so cosa mi sia preso, davvero”, cercai di scusarmi come meglio potevo, risultando solamente un idiota attaccato improvvisamente dalla balbuzie. “Sono solamente nervoso”.

Lo guardai negli occhi, aspettandomi un’espressione furente, e mi sorpresi di trovarlo allegro e sorridente, come lo era sempre. “Non ti preoccupare, ragazzo”, parlò, ridendo genuinamente. “Capisco il tuo nervosismo, a volte Maya sa essere esasperante ed inopportuna, ma non ha mai amato il mio mondo e questo sport, quindi non mi sorprendo più, oramai”, aggiunse, infine.

Mi sembrò di avvertire le sue parole piene di rammarico e tristezza, quasi.

Morivo dalla curiosità, avrei voluto tanto sapere per quale motivo Maya detestasse tanto il nuoto e tutto ciò che lo circondava, per quale motivo Claudio provasse tanto rammarico e per quale motivo conobbi quella ragazza solamente pochi mesi prima, come se fosse saltata fuori dal nulla.

Cambiando discorso… come ti senti?”, chiese.

Mi sento a pezzi, Claudio”, esclamai, sedendomi di peso sul divanetto disposto al centro del salottino. “Non ho mai pensato di poter toccare il fondo in questo modo, di poter arrivare a questo squallore. E mi sento terribilmente in colpa perche so di non essermi impegnato come avrei dovuto e mi dispiace perché deludo me stesso e… anche te”.

Per alcuni istanti non accadde nulla e Claudio non replicò, non disse niente. Si mosse, camminò lentamente verso di me e di sedette sul divano, al mio fianco.

Non avevo il coraggio di guardarlo negli occhi un’altra volta.

Lo sentii sospirare, quasi esasperato, e non mi azzardai ad alzare lo sguardo, per paura di scorgere fin troppo disappunto.

L’ultima cosa che volevo era deludere le aspettative di quell’uomo.

Non ti dirò che domani andrà bene, Travis, perché non ci credo, e non ti dirò che, al contrario di ciò che pensi, oggi avete fatto un ottimo lavoro, perché non è così, ma devi cercare di vivere quest’avventura al meglio”, cominciò, lui. “Se già in partenza sei così negativo non puoi che far peggio. Calma e sangue freddo, ragazzo”.

Mi diede una pacca sulla spalla, in un modo così paterno che mi si strinse il cuore. non riuscii a muovermi, non riuscii ad emettere un suono, troppo occupato a cercare di tenere insieme i pezzi di me stesso e di non crollare.

Era strano rendersi conto di come ogni briciolo di forza e sicurezza avesse abbandonato il mio corpo in un battito di ciglia. Mi sentivo svuotato da ogni energia, non ero più me stesso ed esserne consapevole mi infastidiva terribilmente. Sapevo cosa mi stava succedendo, eppure non sembravo intenzionato a fare la mossa giusta per cambiare le carte in tavola.

Cerca di non rimuginare troppo sulle cose, ragazzo, e pensa ad impegnarti al meglio”, disse, infine, alzandosi in piedi. Si incamminò verso la porta da solo, continuando a parlare. “Sei arrivato fino a qui ed è già un traguardo importante, devi essere fiero di te, qualunque possa essere il risultato finale”.

Mi voltai di scatto appena udii le sue parole e riconobbi all’istante il suo unico sorriso di incoraggiamento. E non potei fare a meno di sentirmi riconoscente verso i suoi confronti, ancora una volta. “Grazie, Claudio”, mormorai.

Mi sorrise ancora e riconobbi qualche somiglianza con la figlia, poi aprì la porta e se ne andò.

Continuava a porre fin troppa fiducia in me e nelle mie potenzialità, quell’uomo, ed il dubbio che lui potesse sbagliarsi era sempre e costantemente presente nella mia mente, perché non mi sentivo per nulla pronto e decisamente non all’altezza della situazione che avevo alle porte. Ed avevo una paura fottuta di deludere le sue aspettative, soprattutto in quell’occasione.

Continuava a proteggermi ed incoraggiarmi tramite le sue parole, nonostante non meritassi nemmeno un minuto della sua attenzione.

Era un uomo fantastico, Claudio, ed io ero troppo testardo e codardo per prestargli ascolto.

Avevo un’occasione e tutto sembrava pronto per andare allo scatafascio, compresa la mia determinazione che, negli anni, non mi aveva mai abbandonato. In quel momento mi sentivo solo, davvero solo, privo del benché minimo senso del dovere e pieno di ogni tipo di paura.

Mi sentii improvvisamente, tremendamente stanco e spossato e l’idea di buttarmi nel letto e dormire fino al mattino seguente era troppo allettante, ma ero ridotto ad uno straccio ed una sana doccia era quello che serviva. Come un unguento benefico da spalmare sopra le troppe ferite che segnavano il mio corpo.

Restai sotto il getto tiepido dell’acqua per un tempo indefinito, lasciando che i muscoli si rilassassero e che la mente si liberasse da quel mare di cattivi presagi che l’avevano appestata. Dovevo trovare il modo di tornare me stesso, il Travis di sempre, ed anche in tempi brevi.

Doha. Dimora della più grande occasione della mia vita e rovina del mio già precario equilibrio mentale.

 

Dopo essere finalmente uscito dalle piacevoli grinfie della doccia, girovagai per la stanza, cercando di decidere se ordinare qualcosa da mangiare dal servizio in camera oppure uscire per prendere una sana boccata d’aria. In verità, l’idea di uscire da quell’ambiente mi spaventava e mi serrava la bocca dello stomaco, anche se avevo una tremenda voglia di concedermi una passeggiata in spiaggia, così optai per il classico servizio in camera.

Era oramai ora di cena, avevo già telefonato per la mia ordinazione, quando sentii bussare alla porta. Per l’ennesima volta.

Convinto che fosse l’addetto dell’albergo con la mia cena, andai ad aprire tranquillamente, con indosso solamente un asciugamano stretto in vita.

Prego, entri pure…”, dissi in lingua inglese, ma non appena riconobbi la figura davanti a me, mi bloccai.

Buonasera Travis”, disse, lei.

Simona”, esclamai. “Cosa ci fai qui?”.

Per la prima volta la vidi in imbarazzo, forse per il mio abbigliamento sconveniente o semplicemente perché si trovava davanti alla porta della mia stanza senza un apparente motivo. La vidi arrossire in viso, perfino.

Non vorrei disturbarti, ma ho bisogno di parlarti”, disse dopo alcuni istanti. “Non ci vorrà molto, posso entrare?”.

Certo, vieni”.

La feci passare e anche lei, come Claudio, si guardò un attimo in giro, per poi rivolgere l’attenzione a me ed alle sue mani che non smetteva di torcere.

Era agitata, si vedeva lontano un miglio, ma non capirne il motivo era snervante.

Allora, Simona, dimmi”, la incoraggiai. “Vuoi sederti?”.

No, preferisco restare in piedi, in ogni caso farò presto”, rispose in tono flebile.

Attesi come un perfetto idiota per una manciata di minuti, sperando che trovasse il coraggio di parlare, ma continuava a tenere lo sguardo fisso sulle sue mani e a non parlare.

Sollevò il capo di scatto, allacciando i suoi occhi ai miei e quasi mi spaventai. Poi parlò talmente in fretta che non riuscii a comprendere le sue parole, tanto che mi trovai costretto a chiederle di ripetere.

Scusami, non so cosa mi stia prendendo”, mormorò, passandosi nervosamente una mano tra i boccoli biondi. “Ho detto che sono qui solamente per augurarti buona fortuna per la gara di domani”.

Mi pareva fin troppo nervosa per essere lì solamente per quel motivo, lei che sembrava aver un tempra ferrea. Il tipico carattere da giornalista. Eppure io le incutevo timore e la innervosivo.

Una parte di me continuava a non capire, mentre l’altra credeva che, una situazione simile, non avrebbe portato nulla di buono.

La osservai attentamente per un momento, nel suo perfetto completo nero elegante che le fasciava gentilmente le gambe slanciate. Con quegli abiti sembrava un membro della reception dell’albergo più che una giornalista.

Beh ti ringrazio, ma non ti saresti dovuta disturbare, ci saremmo visti domani mattina”, le dissi, sorridente.

Questo sembrò mandarla ancora più in tilt. “Si, lo so, ma non volevo che altra gente potesse trovarsi in mezzo”, rispose, ancora più in agitazione.

Che cosa ti prende, Simona?”.

Non lo so, non sembro io, ma sono qui davanti a te e capisco di non essermi mai sentita così in imbarazzo”, confessò.

Se il problema è l’abbigliamento, vado a vestirmi”.

No, Travis, non è quello il problema”, disse, ridendo nervosamente. “Il problema sono io!”.

Mi sembrò davvero esasperata ed agitata, come mai l’avevo vista, e d’un tratto incollò i suoi occhi ai miei, con uno sguardo tanto intenso e carico di emozioni da farmi quasi rabbrividire.

Improvvisamente capii l’origine del suo nervosismo e mi resi conto che avrei voluto non aprire la porta della mia stanza, non perché Simona non mi piacesse, ma perché avevo il presentimento che, nel suo sguardo, risiedesse anche una preoccupante dose di speranza che, con ogni probabilità, non sarei riuscito a soddisfare, nonostante ogni fibra del mio corpo mi urlasse di caricarla in spalla e portarla a letto. Forse per accontentare lei o, più probabilmente, per trovare una giusta valvola di sfogo.

Fatto sta che, in quel preciso momento, mi sentii la persona meno adatta per intessere un qualsiasi tipo di rapporto, anche prettamente sessuale. Avevo altro a cui pensare e mi sarei riempito di botte in testa, in un secondo momento, per essermi lasciato scappare una donna simile, ma Simona aveva avuto un terribile tempismo ed aveva scelto il momento più sbagliato in assoluto.

La vidi avvicinarsi a me e, nonostante tutti i miei buoni propositi, non riuscii a muovere un muscolo, nemmeno per allontanarla. La lasciai fare e la lasciai arrivare a pochi centimetri da me, senza distogliere lo sguardo dal suo.

Il problema sono io, perché non dovrei assolutamente essere qui”, mormorò, poco convinta. “Dovrei andarmene, adesso, sai?”.

Hai ragione, dovresti andartene”, le risposi, scostandole delicatamente un ricciolo biondo dal viso.

Parole al vento, convinzioni dissolte per colpa di un paio di occhi magnetici, ciglia svolazzanti e due gambe perfette, ecco cos’ero io. Una completa contraddizione, perché, mi ero reso conto, non appena lei si avvicinò ancora, che non l’avrei fermata. Sarei andato fino in fondo, io. Sarebbe stata lei a dover bloccare tutto, prima di arrivare al disastro, perché io non ne avrei avuto la forza.

Pochi centimetri, ecco cosa separava il corpo da Simona dal mio, eppure mi sembrò una distanza infinita, inaffrontabile. Poi fu lei a fare il passo decisivo e si avventò su di me, come se quella rappresentasse l’ultima azione della sua vita. Trovò le mie labbra con le sue e non esitò un attimo a forzarle per aver pieno accesso alla mia bocca.

Un bacio furioso, disperato, reso tale anche dalle sue mani che, impazienti, viaggiavano sulle mie spalle.

Volevo di più, ormai il contatto delle sue sole labbra non mi bastava: pretendevo di più, bramavo farla mia per una sola volta, desideravo scaricare tutta la tensione annidata nel mio corpo.

La sollevai da terra e lei non attese un attimo a circondare la mia vita con le sue gambe lunghe e perfette. Cercai la parete più vicina, così da poter avere un sostegno, e, appena la trovai, mi ci fiondai con violenza, facendola gemere di piacere.

No, Travis, fermati”, biascicò contro le mie labbra. Non la calcolai minimamente, preso com’ero a torturare il suo collo con la bocca.

Travis!”, esclamò più decisa.

Mi staccai all’istante da lei, continuando a tenerla tra le mie braccia, contro il muro. La guardai per un momento, non capendo il suo improvviso cambio di rotta e maledicendola per aver fermato tutto quanto.

Mettimi giù, per favore”, mormorò, abbassando lo sguardo.

Ecco le parole che non avrei voluto sentire. Nonostante avesse detto davvero poco, sapevo che non sarebbe successo nulla e che io sarei rimasto solo ed insoddisfatto, la sera prima della gara.

Di certo, non era una prospettiva allettante.

La posai con calma a terra, continuando a tenerla intrappolata tra me e la parete alle sue spalle.

Scusami, non so cosa mi sia preso”, disse lei, non rivolgendomi l’attenzione.

Non ti preoccupare, è anche colpa mia, Simona”.

Mi allontanai da lei, raggiungendo il divanetto e gettando un veloce sguardo al mare al di fuori della finestra.

Travis…”, sembrava quasi sull’orlo del pianto. “Tu mi piaci, davvero, ma non so davvero cosa mi sia preso, poco fa. Non avrei voluto che finisse in questo modo, in realtà non volevo nemmeno venire qui, perche sapevo che qualcosa sarebbe successo”.

Non preoccuparti, Simona, davvero”, le dissi, cercando di sorriderle in modo convincente. “Faremo finta che non sia successo nulla”.

Per un momento la vidi ancora dispiaciuta ed in imbarazzo, poi tornò improvvisamente la giornalista svampita di sempre, con il suo solito sorriso esagerato sul viso. Bipolarità, ecco il segreto di tutto, e quasi mi spaventava.

Bene, allora non è successo niente”, disse, allegra. “Allora ti lascio e ci vediamo domani mattina”.

Era un enigma, quella ragazza, forse anche di più dell’altro impiastro che lavorava con lei. Un enigma indecifrabile.

Si voltò verso la porta e se ne andò senza rivolgermi un’altra parola oppure uno sguardo. Levò le tende improvvisamente, quasi volesse fuggire da me.

Per alcuni minuti continuai a guardare la porta, esterrefatto.

La sua uscita di scena mi aveva lasciato impietrito e con migliaia di dubbi per la testa, come se i miei soli problemi non bastassero. Oltre alla paura per la gara, la presenza di Maya, si aggiungeva anche Simona ed i suoi improvvisi e spaventosi cambi d’umore e personalità.

Se prima mi trovavo in alto mare, dopo la sua visita mi sentivo davvero annegare tra insicurezze e paranoie non intenzionate a lasciare il mio corpo.

Decisamente la condizione perfetta per affrontare un campionato mondiale, come no.

*




Salve bella gente! E Buon Natale, anche se in ritardo..
Sì, lo so.. sono in un ritardo pazzesco, ma ho avuto un blocco incredibile e non sapevo più da che parte farmi! Come al solito sono riuscita a finirlo nel giro di poco, dopo essere stata ferma per giorni!
Ma almeno sono riuscita a pubblicare prima di Capodanno, anche se manca davvero poco..
Spero che il capitolo vi piaccia e, vi prego, non odiatemi! Fatemi sapere cosa ne pensate, ve ne prego, perchè questo improvviso cambio di rotta un po' mi spaventa..

Come sempre, ci tengo a ringraziarvi dal profondo del cuore.. chi legge in silenzio, chi mi ha aggiunta nelle varie categorie e le temerarie che hanno recensito! GRAZIE!

Vi lascio.. alla prossima, bellezze! E Buon Anno, anche se in anticipo!
Chiara.

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Capitolo 19
*** 18 - Competizioni pt.1 ***


Maya18


*****




Quanto avrei voluto restarmene a letto oppure girovagare ancora per Doha, come avevo fatto il giorno precedente, invece di dirigermi verso il palazzetto sportivo insieme al resto della combriccola.

Primo giorno di competizioni, primo giorno d’inferno.

Pensare che, da quel momento in poi, avrei dovuto trascorrere il mio tempo, ed i miei giorni in quella città, rinchiusa tra quattro mura a fissare atleti andare avanti ed indietro per vasche, ininterrottamente, mi faceva venire il voltastomaco. E non capivo proprio per quale motivo ero costretta ad assistere alle gare, quel giorno. Sì, Travis gareggiava, ma a me la staffetta non riguardava minimamente, nemmeno per i miei scatti, ma ero stata costretta da una visita, la sera precedente, di Simona. Mi aveva detto che non potevamo di certo perderci un evento ed un’occasione simile per poter arricchire il nostro articolo, così l’ho assecondata. Completamente controvoglia.

Non ero mai stata tanto a contatto con il nuoto fino a quel momento.

Avrei tanto voluto esplorare quella città, fotografare gli enormi grattaceli che la popolavano e visitare ancora una volta il Museo di Arte Islamica e quello strano, meraviglioso parco ricavato dal deserto. Per ore, il giorno precedente, ero rimasta sotto l’ombra di un ulivo a rilassarmi, a fotografare particolari e famiglie, a pensare e da tempo non ero mai stata così bene. Almeno avevo avuto un giorno di pausa e libertà prima di continuare con il lavoro.

Sentivo addosso ancora parte della calma che mi aveva rapita durante il mio giro turistico, ma le espressioni cupe e la palese agitazione che regnava sul resto del gruppo di mio padre era spossante. E che silenzio insopportabile.

Poi c’era la mia amata collega, con un sorriso osceno da un orecchio all’altro ed una tremenda voglia di parlare. Si vedeva lontano un miglio, ma non avevo per nulla intenzione di abboccare all’amo. Non era la solita ragazza svampita, sembrava quasi peggiorata e nettamente più stupida, come se l’ansia pre-gara avesse attaccato perfino il suo cervello. In quel momento ebbi la conferma di quanto brutta potesse essere la giornata che mi stava aspettando.

Incontrai mio padre e lo salutai velocemente, cercando di tranquillizzarlo. Notai la tensione sulle spalle e suo viso da metri di distanza ed io suoi occhi, più scuri e cupi di quanto fossero in realtà, parevano un mare in tempesta, non più limpido, placido e cristallino come prima.

Calmati, papà”, gli dissi, cercando il suo sguardo. “Sai bene che agitarsi non serve a nulla, me lo hai insegnato tu”.

Posò la sua attenzione su di me, regalandomi un flebile sorriso, e quasi riuscii a riconoscere il mio solito papà. Con il dorso della mano mi sfiorò una guancia e lo squarcio allegro sulle sue labbra si allargò.

Lo so, tesoro”, cominciò, lui. “Ma non posso farne a meno: sono i miei ragazzi”, aggiunse, quasi commosso e con gli occhi velati di lacrime.

Mi si strinse il cuore a vederlo così orgoglioso e fiero dei suoi atleti, ma al tempo stesso mi investì una folata di gelosia anche se cercai di scacciarla dai miei pensieri, convincendomi che, come sua figlia, non avevo nulla da temere. Anche se lo spettro oscuro dell’invidia continuava a persistere dentro di me.

Arrivò improvvisamente Roberto, il collaboratore di mio padre, per parlare insieme delle ultime strategie, anche se non capivo fino in fondo cosa ci fosse da escogitare, così me ne andai e lasciai i due uomini alle loro chiacchiere e, non appena voltai lo sguardo, individuai Travis in disparte, con le cuffiette alle orecchie e lo sguardo fisso al parcheggio al di fuori della porta dell’albergo.

In disparte era un eufemismo, in realtà.

Tutta la troupe si trovava accanto alla porta d’ingresso, in attesa dell’arrivo dei taxi, mentre lui se ne stava tutto solo, con il muso lungo ad almeno cinque metri da noi.

Decisi di avvicinarmi, troppo curiosa di scoprire il motivo di quel suo strano comportamento, inoltre mi sentivo incline alla gentilezza più del solito, forse merito della passeggiata terapeutica del giorno prima.

Lo raggiunsi e, nel momento in cui mi trovai davanti a lui, ebbi la sua completa attenzione, tanto che si tolse persino le cuffie.

Mi fissò per alcuni istanti, come se dovesse mettermi a fuoco, con una strana luce negli occhi, con una strana intensità che non riuscii a comprendere appieno.

Oltre che essere palesemente distrutto, sembrava quasi rattristato all’idea di andare a gareggiare. “Che vuoi, Maya?”, chiese scontroso.

Buongiorno a te, Travis”, gli risposi, ridendo di gusto.

Non mi sembra il momento per scherzare”, ribatté, ancora più nervoso di prima, distogliendo lo sguardo dal mio.

Oh, scusa tanto, superstar”, cominciai, sulla difensiva. “Per una volta ero venuta da te con ‘intenzione di mostrarmi gentile”, aggiunsi, incrociando le braccia la petto.

Era nervoso, certo, e sarebbe stato un pazzo a non esserlo soprattutto quel giorno, ma nulla gli dava il diritto di parlarmi con tanta sufficienza. Sembrò pensare alle mie parole, per un momento, poi sospirò sonoramente prima di rivolgere lo sguardo a terra, continuando a restare muto e a fissare il pavimento, quasi fosse un bambino colto con le mani nel sacco.

Cercai di avvicinarmi quel poco che bastava per incontrare il suo sguardo, pauroso e preoccupato, quasi sull’orlo del pianto, e lui quasi si spaventò, raddrizzando la schiena all’istante.

Stai bene, Travis?”, gli chiesi con calma, cercando di studiare attentamente la sua espressione ed i suoi gesti, ma invano: non riuscii a capire un accidente di quel ragazzo, tranne l’evidente ansia che ormai lo aveva conquistato.

Non lo so, Maya”, disse, infine, esasperato. “Ho solo paura che oggi possa essere un completo disastro, anzi, ne sono certo”.

Caspita, sei messo male, ragazzo”, cercai di sdrammatizzare, ma non riuscii a fare altro che peggiorare le cose: se possibile, Travis si irrigidì ancora di più.

Si passò nervosamente una mano tra i capelli castani, scompigliandoli in un modo che trovai incredibilmente sexy, ma cercai con ogni fibra del mio corpo di nascondere quella strana sensazione che mi aveva invasa. Distolsi lo sguardo e lo rivolsi al resto del gruppo, ancora in attesa dei taxi, e mi resi conto di essere osservata.

Simona, a metri di distanza, mi osservava con ancora quel suo sorriso osceno sul volto, insieme ad uno sguardo che avrebbe potuto incenerire chiunque, ma di certo non me, non in quel momento, perché non avevo la minima intenzione di farmi intimidire da Riccioli d’Oro. Non quella mattina, quando avrei dovuto dare il meglio di me per il lavoro ed avrei dovuto appoggiare mio padre.

Nessuno avrebbe potuto sopraffarmi, quella mattina.

Ti dispiacerebbe salire in taxi con me, Maya?”, domandò improvvisamente, Travis.

Mi voltai di scatto verso il mio interlocutore, prestandogli ogni briciolo della mia attenzione, certa di non aver compreso bene le sue parole, e lo trovai intento a fissarmi intensamente, come se mi volesse pregare con gli occhi.

Come!?”, esclamai, sorpresa.

No, non potevo aver davvero capito la sua domanda, non poteva, lui, desiderare davvero la mia presenza, ne ero certa. Eppure lui sembrava convinto delle sue parole.

Te lo sto chiedendo per favore”, disse poi, quasi al limite dell’esasperazione. “Sento che potresti essere l’unica persona tra tutti loro che potrebbe non gettarmi addosso ancora più ansia”, concluse, avvicinandosi di un passo, accorciando le distanze.

Sei sicuro di quello che stai dicendo, Travis? Perche se vuoi proprio me, sei davvero messo male”.

Si, lo so che è strano, ma preferisco qualcuno che mi odi, piuttosto che qualcuno che mi dica di stare tranquillo e che tutto andrà bene”, disse.

Ed io non riuscii a non risultare sorpresa dalle sue parole: non dal suo voler scegliere me come compagna di viaggio fino al palazzetto, piuttosto dalla sua convinzione del mio odio nei suoi confronti.

Mi trovai a pensare a come, in realtà, non odiassi esattamente quel ragazzo, ma come lo trovassi solamente uno dei tanti con l’ego smisurato e con modi di fare completamente all’opposto dei miei. Non era una persona da odiare, anzi, per i risultati che aveva ottenuto e per la sua determinazione era quasi da ammirare. Quasi, ovviamente.

Va bene, Travis, ma posso sapere per quale motivo hai scelto me, allora?”, gli chiesi, sospettosa, lasciando in un angolo tutti i miei dubbi e le mie teorie.

Lui mi scrutò un momento, sottecchi, per poi reprimere uno strano sorriso, quasi amareggiato. “So già che riderai di me”, mormorò.

Era in imbarazzo! Mi sembrava praticamente impossibile, eppure quello che aveva da dirmi lo imbarazzava davvero e la mia curiosità non faceva che aumentare, anche la mia perfidia, forse, perché sentivo il bisogno di alleggerire la situazione e prenderlo un po’ in giro.

Ma chi vogliamo prendere in giro, ogni momento era perfetto per giocare con l’ego di quel ragazzo.

Quindi?”, gli chiesi, troppo incuriosita per poter attendere oltre. “Si può sapere di cosa dovrei ridere?”. Poggiai le mani sui fianchi, in trepidante attesa.

Lo vidi incupirsi per un momento, senza capirne il motivo, per poi tornare lo stesso ragazzo con l’ansia a mille. “Ho escluso i miei compagni a prescindere, puoi capire il perché, e di certo non mi va di avere al mio fianco Roberto oppure tuo padre”, cominciò, agitando nervosamente le mani a mezz’aria. “Mi ripeterebbero solamente di stare calmo e tranquillo e che tutto andrà bene e sappiamo tutti che non sarà così, poi Simona…”. La voce gli morì in gola prima che potesse terminare la frase ed avrei voluto davvero prendere il suo collo tra le mani e strozzarlo per il modo in cui mi stava tenendo sulle spine, ma la buona educazione mi bloccò all’istante.

Solamente per non dovermi sorbire una strigliata da mio padre nel bel mezzo dell’albergo, siamo sinceri, altro che educazione!

Che cosa, Travis?”, gli domandai, cercando di reprimere quel sorrisetto divertito che voleva spuntarmi sul viso ad ogni costo, con davvero scarsi risultati.

Ci siamo baciati”, disse tutto d’un fiato. “Ed ora è tutto a dir poco imbarazzante”.

Oh…

Quella notizia non me l’aspettavo, proprio per niente.

Rimasi quasi a bocca aperta, cercando di metabolizzare ciò che avevo appena saputo, anche se non mi sarebbe dovuto importare nulla. Eppure una sorta di fastidio aveva cominciato a ribollire nel mio stomaco e, non appena ne fui consapevole, ne rimasi sconcertata, perché non potevo permettermi di provare qualcosa per quel ragazzo, se non odio e rabbia. Mi sarei presa a schiaffi davanti a tutti, e anche molto volentieri, solamente per aver provato a paragonare quel fastidio alla gelosia.

Giammai, mi venne da pensare.

Solamente dopo aver messo a tacere il mio monologo mentale riuscii ad incastrare tutti i pezzi del puzzle. Capii finalmente il motivo di quello strano ed inquietante sorriso che non voleva lasciare il viso di Simona e anche di quell’occhiata che mi aveva rivolto. Tutto tornava ed improvvisamente fu molto più divertente.

Stai ridendo”, mi fece notare, infastidito, il Don Giovanni del momento.

Lo fissai un momento negli occhi, giusto per scorgere la stessa traccia di nervosismo  della sua voce anche nel suo viso, poi mi resi conto che aveva ragione: nemmeno mi ero accorta del sorriso fin troppo genuino che aveva occupato le mie labbra.

Cercai di tornare seria, anche se si dimostrò un’impresa pressoché impossibile.

Scusami”, dissi, distogliendo gli occhi dai suoi, troppo torbidi di nervosismo e stizza. “Ho solamente pensato a come si è presentata la mia cara collega, questa mattina, non volevo prendermi gioco di te. In realtà, mi fai un po’ pena”, confessai, infine, abbandonandomi ad una leggera risata.

Travis mi osservò per un momento, come se fosse appena caduto dalle nuvole, riducendo gli occhi a due fessure e piegando leggermente la testa di lato.

Probabilmente non te ne rendi nemmeno conto, del guaio in cui ti sei cacciato”, gli spiegai, anticipando la sua domanda. “Ti auguro già da ora buona fortuna, con la bionda, perché ho la sensazione che non riuscirai a togliertela di torno tanto facilmente”.

Tanto valeva essere sincera, in quel momento, non avevo nulla da perdere, ma lui, dopo un momento di indecisione si stampò sul viso quel suo solito ghigno compiaciuto che mi fece salire il sangue alla testa in un batter d’occhio.

Maledetta me, le mie congetture e le mie teorie, la mia smania di renderle di dominio pubblico e il morso troppo forte alla lingua che mi inflissi per punirmi.

Per caso sei gelosa, Maya?”, domandò, lui, con quella sua dannata faccia tosta, avvicinandosi ancora di un passo a me, accorciando ulteriormente le distanze.

Non poteva fare così, non ne aveva il diritto. Era ingiusto nei miei confronti comportarsi come la vittima di una sorta di femme fatale, per un attimo, e come affascinante cacciatore, l’attimo dopo. Ed oltre che ingiusto, era destabilizzante.

Come!?”, dissi, con la voce leggermente più acuta del dovuto, mettendomi sulla difensiva. “Tu sogni, Travis, ecco la verità ed io dovrei essere davvero disperata per essere gelosa di una come Simona”.

Uno a zero per Maya!

Mi ero ripresa, e per fortuna, ed ero riuscita a riemergere da quel momento di sbando che mi aveva provocato quell’assurda insinuazione di Travis. Assurda a dir poco, tra l’altro… infondata, ridicola, pessima: tutti aggettivi che rendevano meglio l’idea.

Ah…”, esalò, quasi dispiaciuto. E ne rimasi un attimo sconcertata, nonostante quel suo improvviso cambio di rotta non mi convincesse per nulla. “E non lo sei, in realtà?”.

Appunto. Avevo avuto ragione a dubitare di quel faccino da cane bastonato che aveva messo su.

Maledizione, Travis”, esclamai, esasperata. “No, non sono disperata e non arriverei mai così in basso da doverti scegliere, e continua di questo passo ed in taxi ti ritroverai sia mio padre che Simona, è una promessa”, conclusi, leggermente più alterata di quanto volessi sembrare.

Okay, calma tigre”, ribatté lui, esplodendo in una risata quasi contagiosa. “Stavo solamente scherzando, lo so fin troppo bene che per te sono troppo poco, non vorrei mai che dovessi ridimensionare i tuoi standard per me”, concluse, sempre con quella sua maledetta strafottenza e quel sorrisetto in volto, facendomi l’occhiolino.

Stentavo a crederci, ma avevamo parlato come due persone normali, come due civili ed era stato quasi piacevole. Sì, certo, non erano mancate le solite frecciatine ed allusioni, ma almeno non eravamo arrivati al solito punto di non ritorno, urlando a vicenda e ricoprendoci di insulti ed era un grande passo avanti, anche se ancora non capivo in quale direzione.

Era strano, ovviamente, relazionarsi in modo ordinario con qualcuno che avevo sempre, o quasi almeno, preso a parolacce, eppure lo avevo trovato semplice e stranamente piacevole, anche se non lo avrei mai ammesso nemmeno sotto tortura.

Ragazzi”.

Fu mio padre a richiamarci e ad interrompere uno scambio di sguardi fin troppo interessante ed intenso tra me e Travis. “Dobbiamo andare, sono arrivati i taxi!”.

Mi sentii quasi colta sul fatto, e non ne capii il motivo, ma mi avviai comunque verso l’uscita, seguendo il resto del gruppo come se nulla fosse, attendendo al fianco della superstar il nostro taxi.

 

La testa mi scoppiava, letteralmente, ed il continuo pesante brusio che faceva da sottofondo al luogo della competizione, l’Hamad Aquatic Centre, non faceva che peggiorare la situazione ed alimentare il nervosismo che già scorreva all’impazzata nelle mie vene.

Lasciai Travis al suo destino non appena scendemmo dall’auto che ci aveva condotti fin lì, augurandogli buon fortuna e ricevendo in cambio solamente uno scorbutico grazie. Non ci avevo badato più di tanto, sapevo che era terrorizzato all’idea di andare a gareggiare per poi fare una figura pessima, non gli andava a genio e potevo capirlo, ma di certo non mi sarei lasciata abbattere da una sciocchezza simile. Non mi aspettavo nulla di più di quello che Travis mi aveva già mostrato, così lo lasciai andare, mandandolo al diavolo tra me e me.

Il palazzetto traboccava di gente da ogni parte del mondo, formando un caleidoscopio di colori, lingue, tradizioni meravigliose, senza dimenticare la miriade di fotografi e giornalisti che assediavano i posti migliori, per avere le migliori possibilità di riuscita nel lavoro, ed io non ero da meno: a forza di gomitate alle costole ed excuse me urlati, ma non sentiti, ero riuscita a conquistare la postazione perfetta per poter immortalare Travis ed il resto della competizione.

La mia testa chiedeva pietà, i miei poveri piedi erano stati schiacciati come mai prima di allora ed erano appena le nove di mattina ed avevo ancora un’intera giornata davanti agli occhi.

Dopo l’esperienza di Doha nessuno mi avrebbe impedito di finire in letargo nel mio appartamento almeno fino all’incarico successivo.

Attesi impaziente l’inizio della competizione dei ragazzi di mio padre, assistendo a tutte quelle precedenti, più per il desiderio di togliermi di mezzo che per la competizione stessa, e fui quasi sollevata quando riuscii a scorgere la superstar insieme a Claudio e a tutto il resto della squadra della staffetta.

Tutti ritenevano l’Italia una delle favorite, in quel momento, ma dalle loro facce da funerale non mi sarei aspettata chissà quale successo. Non che non avessi fiducia in quei ragazzi o nel lavoro svolto da mio padre durante i mesi di preparazione, ma conoscevo Travis, anche se in minima parte, ed avevo avuto la possibilità di parlare con Luca, l’altro atleta di Claudio presente alla staffetta, ed avevo il presentimento che due personalità come le loro non potessero combaciare, almeno non durante una gara a squadre, dove la collaborazione era fondamentale. Anche se speravo in un loro riscatto, soprattutto per la felicità di mio padre.

Persa nei miei pensieri nemmeno mi resi conto di aver intercettato lo sguardo di Travis. Cercai di accennare un leggero, leggerissimo sorriso di incoraggiamento giusto per alleggerire la tensione, fin troppo evidente sul suo volto, e fortunatamente riuscii nel mio intento: lui rispose con uno sguardo più tranquillo ed io non persi tempo, così ne approfittai perché. Dopotutto, stavo pur sempre lavorando e scattai un paio di fotografie. Non in primo piano, troppo scontate, ma la rappresentazione della squadra italiana intenta a parlare, con al centro Travis con la sua completa attenzione rivolta a me.

Stavo facendo bene il mio lavoro, nonostante la compagnia sarebbe potuta risultare migliore, ed ero fiera di me stessa e di ciò che avevo imparato e svolto.

Vidi poi i ragazzi prepararsi alle loro postazioni, dopo un momento di agitazione e confusione generale, e capii che tutto stava per avere inizio e sperai con tutta me stessa di non farmi catturare dall’ansia da prestazione che stava affliggendo tutti quanti gli atleti.

Doveva andare bene, almeno per me.

 

Era andata bene, certo, ma solamente a me, ci tengo a precisarlo. Diciamo che tutta la speranza, riposta su una buona riuscita generale, aveva solamente portato sfortuna alla squadra italiana. Un po’ mi sentivo in colpa, ovviamente, ma cercai di convincermi che, in fin dei conti, non avevo fatto nulla.

Durante la sessione mattutina i ragazzi di mio padre si erano classificati quindi, a causa di virate un po’ troppo lente, particolare che avevo notato persino io, ma nella sessione pomeridiana erano arrivati ad un soffio dal gradino più basso del podio. Solamente per colpa di due decimi di secondo l’Italia si era classificata quarta. Due maledettissimi decimi.

Gliel’avevo tirata, dannazione!

 

Finita la giornata, decisi di attendere il primo taxi disponibile e tornarmene in albergo, nella mia stanza, perché non ne potevo davvero più di tutto il caos che mi aveva circondata fino a pochi minuti prima. Era solamente il primo giorno di competizioni ed io mi sentivo completamente a pezzi, distrutta da ore ed ore passate in un palazzetto sportivo straripante di gente, con il volume degli altoparlanti a livelli insopportabili, senza dimenticare della fatica che avevo fatto per conquistarmi una posizione discreta da cui poter svolgere il mio lavoro. Sentivo il bisogno di stare da sola, senza qualcuno con cui dover parlare e tessere pubbliche relazioni. Solamente un po’ di musica ed un infinito bagno caldo nella vasca della mia camera d’albergo.

E mi ci sarei fiondata di getto, se solo anche solo un taxi si fosse degnato di accostare ad ogni mio gesto.

Ciao”.

Mi voltai, improvvisamente colpita di sentire qualcuno parlare la mia stessa lingua dopo aver percorso un excursus di decine di idiomi differenti.

Luca”, esclamai, sorpresa, trovando a pochi metri di distanza l’altro atleta di mio padre ad aver gareggiato quel giorno. “Ciao”, lo salutai, con un sorriso.

Quanto dovrò aspettare per un taxi, secondo te?”, domandò, affiancandomi.

Non chiedere a me, è meglio”, gli risposi, storcendo il naso e trasudando disappunto da tutti i pori. “Sono parecchi minuti che aspetto, ma ancora nessuno si è degnato di prestarmi attenzione”.

Luca si lasciò andare in una sonora risata, talmente bella e genuina da risultare contagiosa.

Sembrava il tipico nuotatore, fatto con lo stesso stampo di tutti gli altri, ma al tempo stesso sembrava avere qualcosa di particolare, capace di contraddistinguerlo dalla massa. Forse era la luce che emanavano i suoi occhi cristallini, messi in risalto dai capelli castano scuro, oppure era il suo modo di fare, leggermente più semplice di quello di Travis, per esempio.

Permetti?”, mi chiese, facendo segno verso la strada, e quasi non riuscii a credere ai miei occhi quando, dopo un suo fischio, uno dei tanti taxi di passaggio si fermò sul ciglio della strada, esattamente davanti a noi.

Che cliché”, dissi, ridendo. “il classico cavaliere dalla brillante armatura arrivato in aiuto della donzella in difficoltà”.

Ora che mi ci hai fatto pensare, ho lasciato il mio bianco destriero in spogliatoio”, ribatté lui, con un sorriso luminoso in volto. “Se non ti dispiace, approfitto del tuo taxi, se la mia presenza non ti turba”.

Era addirittura simpatico, oltre che incredibilmente bello, anche se tutto il suo teatrino non mi convinceva proprio per niente. Non mi sarei lasciata abbindolare da un paio di occhi dolci e da un momento di galanteria.

Accettai comunque la sua proposta, considerandomi troppo gentile per lasciarlo a piedi, e lasciai che salisse su quell’auto con me e, non appena lasciammo il palazzetto sportivo, cominciò a parlare come se ci conoscessimo da anni.

Mi venne da pensare a come sembrasse la versione maschile di Simona, riguardo alle chiacchiere a macchinetta e, l’ultima cosa che avrei voluto fare, era proprio trovarmi qualcuno con cui condividere il viaggio sino all’albergo che non teneva un momento la bocca chiusa. Quello era il tipico e perfetto esempio di come le apparenze potessero davvero ingannare.

Nemmeno si era reso conto, Luca, di aver intavolato una conversazione a senso unico, dove l’unico interlocutore era sé stesso e basta. Io mi limitavo a rispondere tramite cenni con il capo, mentre lui continuava imperterrito a spiegarmi per quale assurdo motivo non avessero ottenuto buoni risultati, quel giorno.

Ovviamente Luca era diventata l’anima pia della situazione, nel suo racconto, quello senza un briciolo di colpa che aveva svolto il suo compito alla perfezione, mentre gli altri tre componenti avevano commesso svariati errori, Travis in particolare.

Avevo saputo da mio padre che, tra i due atleti, non scorreva esattamente buon sangue, già da parecchio tempo, ed in quel momento capii che doveva essere, in realtà, una specie di competizione tra maschi alfa per determinare la vera stella della piscina.

Uomini…

E lui continuava a straparlare, a spiegarmi in che modo i suoi compagni di squadra avevano mandato in rovina il lavoro di mesi, quando lui era stato il primo a mettere a rischio tutto e tutte con le sue virate da principiante. Le avevo viste bene e non erano degne di un campionato di quel calibro, ma mi dissi che fu per colpa dell’agitazione. Certo, mi ero allontanata parecchio dal nuoto, ma una vasca percorsa nel modo sbagliato la sapevo ancora riconoscere.

Avevo fatto un enorme buco nell’acqua a definire Luca leggermente diverso dagli altri e mi chiesi istintivamente con quali occhi avevo avuto il coraggio di guardarlo in quel modo. Se possibile, mi sembrava addirittura più egocentrico di Travis, in quel momento.

Per mia immensa fortuna, dopo un viaggio che mi parve infinito, arrivammo davanti al Four Seasons Hotel ed io mi lanciai di getto al di fuori dell’auto, forse per paura che quel ragazzo potesse non lasciarmi andare ed intrappolarmi ancora nella sua conversazione senza né capo né coda.

Maya, aspetta un momento”. Appunto.

Mi bloccai, sospirando pesantemente ed al limite dell’esasperazione, capendo già in partenza che l’essere volata fuori dal taxi non era servito assolutamente a nulla.

Ti andrebbe di bene qualcosa al bar dell’albergo?”, mi chiese, raggiungendomi davanti all’entrata, con un sorriso esitante in volto.

Rimasi shockata davanti alla faccia tosta di quel ragazzo che, dopo dieci minuti passati a parlare, pensava di potermi abbordare al bar dell’hotel, come se fossi una qualunque. Sì, magari lo stava facendo con tutte le sue buone intenzioni, certo, ma aveva avuto un pessimo tempismo ed aveva completamente sbagliato il momento in cui provarci con me. Sempre se parlare a raffica, peggio di una zitella con un esercito di gatti, si potesse definire “provarci”.

Mi spiace, Luca”, cominciai, entrando finalmente nella hall dell’albergo, dopo aver rivolto un sorriso di cortesia al portiere di mezza età che mi aveva aperto la porta. “Non sto molto bene e vorrei riposare un po’ prima della cena, sarà per un’altra volta, eventualmente”.

Lo vidi rabbuiarsi un momento, per poi nascondere molto sapientemente la delusione dietro che bel faccino di bronzo che si ritrovava, sfoderare un sorriso smagliante, prima di caricarsi il borsone della nazionale in spalle. “Capisco, non preoccuparti”, disse allegramente, troppo allegramente. “Vorrà dire che non mi darò per vinto”, concluse con voce più roca, facendomi l’occhiolino ed avvicinandosi all’ascensore.

Superstar, bello e pure sfacciato. Sì, aveva le stesse identiche credenziali degli altri nuotatori che avevo conosciuto ed avevo avuto la conferma ai miei sospetti sulla sua diatriba con Travis: due prime donne simili non potevano coesistere pacificamente nello stesso ambiente, non sarebbe nemmeno bastato l’ossigeno per il loro ego.

 

Non ebbi nemmeno la forza di cenare insieme al resto del gruppo, quella sera, mi sentivo completamente distrutta e con una gran emicrania. Ordinai qualcosa dal servizio in camera e mi rintanai nell’enorme letto matrimoniale subito dopo aver terminato la cena. Non controllai nemmeno gli scatti della prima competizione dalla stanchezza e dallo stress accumulato, riuscii solamente a restare piaggiata tra quelle lenzuola che parevano non volermi lasciare andare.

Il giorno seguente mi svegliai a mattina già inoltrata, incurante delle gare che si stavano svolgendo. Avevo avvisato mio padre la sera precedente, quando mi aveva raggiunta in camera e mi aveva trovata in uno stato pessimo.

Per quanto avrei voluto ripiombare tra le braccia di Morfeo, mi convinsi che Doha aveva ancora bisogno di essere esplorata, vissuta, così mi avviai lentamente e con passo pesante verso il bagno per darmi una rinfrescata. Circa quaranta minuti dopo uscii finalmente dalla stanza, camminando a passo svelto per raggiungere la sala ristorante prima che venisse chiuso il buffet delle colazioni. Ero in ritardo pazzesco, anche se non avevo nessun orario preciso, ma volevo mettere qualcosa sotto i denti e quell’albergo offriva una scelta spaventosamente ampia ed appetitosa.

Non appena arrivai a destinazione, cercai un tavolo libero che non fosse eccessivamente esposto a possibili relazioni pubbliche: la mia voglia di intavolare conversazioni era sotto metri di terra, quella mattina.

Poi notai, seduta in un angolo della sala, con una giacca in pelle poggiata allo schienale della sua sedia, una figura che mi sembrò fin troppo familiare, così decisi di avvicinarmi, armata del mio solito sarcasmo e della mia solita ironia.

Da quando scegli tavoli appartati, superstar?

Da quando persone come te cominciano davvero a darmi sui nervi, Maya”, rispose lui, con un sorriso tirato.

Ti sei svegliato dalla parte sbagliata dal letto, Travis?”, gli domandai, sedendomi sulla sedia accanto alla sua.

Mi lanciò un’occhiata glaciale, continuando a masticare la cucchiaiata di frutta che aveva appena infilato in bocca, e solo in quel momento notai l’espressione stanca e stravolta, per non parlare delle pesanti occhiaie che contornavano i suoi occhi arrossati. Era davvero a pezzi, nonostante mi sembrasse comunque appena uscito da una rivista patinata. “Direi che non hai proprio dormito, invece”, ipotizzai, continuando ad osservarlo divorare la sua macedonia.

Infatti”, rispose, dopo aver deglutito. “E comunque sentiti libera di occupare questo posto ed infastidirmi”, aggiunse, infine, più scorbutico del solito.

Sono venuta per la colazione, poi ti ho visto”, esitai un momento, troppo concentrata sul suo viso, ed incredibilmente ottenni la sua completa attenzione. “Ero curiosa di sapere come ti sentivi”, confessai, poi. E mi sorpresi delle mie stesse parole perché, inaspettatamente, erano vere.

Sapevo che per lui la giornata precedente si era rivelata più di una semplice sconfitta, ne ero certa, e la sua presenza in albergo, invece che al palazzetto sportivo, non poteva che essere una conferma ai miei sospetti.

Davvero ti interessa sapere come sto?”, mi chiese, incredulo quasi quanto me, allargando quei suoi occhi cangianti. “Non ti sembra ovvio, dopo una disfatta come quella di ieri?”.

Non potei non ridere davanti alla sua espressione sorpresa e davanti al suo incredibile scetticismo. “Per quanto tu mi creda una stronza senza cuore, Travis, ti assicuro che ti sbagli”, dissi sorridendo ed incontrando il suo sguardo, leggermente più mansueto di quanto fosse fino a qualche istante prima. “Lasciami prendere qualcosa da mangiare, poi ne parliamo”.

Mi alzai dal mio posto ed andai al buffet, scegliendo pane tostato, marmellata ed un po’ di frutta, senza dimenticarmi di una buona ed abbondante dose di caffè, poi tornai da Travis, accomodandomi dove ero seduta fino a poco prima.

Hai paura di prendere qualche chilo?”, mi chiese, notando la scarsa quantità di cibo nel piatto.

No, semplicemente non ho molta fame”, risposi, in vena di scherzi. “Ho già mangiato parecchio sarcasmo, in stanza”, aggiunsi, guardando i suoi occhi divertiti con un sorrisetto in viso.

Per fortuna sembrava voler stare al gioco, Travis, con quella sua espressione d furbetto. Nonostante fosse reduce da una giornata praticamente pessima sotto ogni aspetto, pareva abbastanza tranquillo da non rispondere alle mie battute nella sua solita maniera acida.

Mi soffermai un attimo ad osservarlo, mentre era concentrato sulla sua macedonia di frutta, e mi resi conto di come potesse apparire innocuo in certe occasioni, come se riuscisse a nascondere alla perfezione quel suo lato da prima donna che mi faceva salire il sangue al cervello.

Strano soggetto, lui, bipolare quanto una donna durante i suoi giorni di ciclo.

Mi soffermai sui suoi occhi, fin troppo enigmatici, quella mattina, per poterci leggere dentro qualcosa di chiaro, ma restavano comunque belli da far girar la testa alla maggior parte delle persone, poi, proprio quegli occhi si posarono su di me, quasi sorpresi. Incontrarono i miei e cominciarono a scrutarmi con attenzione, con intensità e quasi mi sentii in soggezione sotto il suo sguardo, ma non avevo intenzione di cedere, anche se, ne ero sicura, prima o poi mi sarei persa in quel labirinto che erano i suoi occhi.

Continuammo ad osservarci per alcuni istanti, senza che nessuno dicesse nulla, senza che nessuno muovesse un muscolo, quasi per paura di dire o fare la cosa sbagliata, di rovinare quel momento di tranquillità che, tra noi, era praticamente sempre inesistente.

Era strano, ma era piacevole, mi resi conto per l’ennesima volta.

Poi Travis scosse leggermente la testa, con un sorrisetto in viso, e distolse lo sguardo dal mio, come se non riuscisse a reggere oltre quell’assurda tensione che si era creata.

Tirai un sospiro di sollievo, cercando di non farmi notare, e comincia a consumare la mia colazione, che non avevo ancora toccato. Quello scambio di sguardi era stato stranamente più intenso del solito ed era stato.. strano, ancora. Sì, perché per un momento tutto il brusio della sala ristorante, il via vai dei camerieri e persino l’odore che emanava il buffet erano spariti, tutto quanto era evaporato in una nuvola di fumo. C’eravamo solamente io e la superstar che mi stava seduta a fianco, solamente noi ed i nostri occhi intenti a studiarsi.

Che cosa hai intenzione di fare, oggi?”, mi chiese, improvvisamente.

Non lo so”, risposi, dopo aver deglutito un pezzetto di pane tostato e marmellata. “Penso che farò un giro per la città e mi fermerò ad un parco che ho trovato l’altro giorno, è un posto molto tranquillo”.

Ah”, si limitò a rispondermi, abbassando lo sguardo, nemmeno fosse un bambino colto sul fatto.

Non potevo davvero abbassarmi a tanto, no, non dovevo fargli quella domanda, non dovevo mostrarmi gentile con lui, perché lo avevo fatto altre volte ed io ci avevo solamente rimesso qualcosa. Non serviva a nulla la gentilezza, soprattutto con lui, soprattutto in quei giorni in cui aveva sempre i nervi a fior di pelle.

Vuoi venire con me, Travis?”, sospirai, infine, andando a scontrarmi con tutte le mie buone intenzioni di passare una giornata da sola, in completa tranquillità.

Lo avevo fatto davvero, dannazione!

Come, scusa!?”, domandò, incredulo, strabuzzando gli occhi e rendendoli ancora più micidiali di quanto già non fossero a dimensioni normali. Nemmeno lui credeva a quel mio momento di gentilezza.

Io, dal canto mio, non riuscii a frenare una risata nervosa, pentendomi di quanto gli avevo appena chiesto perché, ne avevo la prova, la vicinanza di quel ragazzo non portava mai nulla di buono. “Si, lo so, è incredibile che te lo abbia chiesto”, dissi, ridendo. “Ma se davvero non vuoi girare a vuoto per la città, ti conviene accettare la mia proposta subito prima che decida di cambiare idea”.

Lo osservai un momento, cercando di capire cosa potesse passargli per la testa, ma facendo l’ennesimo buco nell’acqua: quel ragazzo era un completo tabù.

Travis in compenso non aveva distaccato un momento gli occhi dal mio viso, forse cercando di capire se stessi scherzando o meno, e non potevo dargli torto: dati i nostri trascorsi da guerriglia, aveva tutte le ragioni del mondo a dubitare di me. Anche io lo avrei fatto, al posto suo.

Va bene, Maya”, si decise, infine, riducendo gli occhi a due fessure.

Ad una condizione, superstar”, lo avvisai. “Alla prima parola sbagliata ti trovi una guida turistica del posto”, conclusi, puntandogli la forchetta addosso.

Lo vidi ridere, tranquillo come non mai, come se a lui non apparisse assurda quella situazione.

Oppure, forse ero solamente io a farmi migliaia di problemi per una questine che, in realtà, poteva essere normalissima. In fin dei conti, i nostri diverbi si erano attenuati, in quei giorni a Doha, ma la mia indole diffidente non voleva saperne di levarsi dai piedi.

Okay, ci sto”, rispose, tornando improvvisamente serio ed sporgendosi leggermente verso di me, accorciando le distanze. “Ma ti pongo anche io una condizione”, mormorò.

No, non potevo decisamente fidarmi di quel ragazzo.

Ah si? Sentiamo”, dissi, decidendo di stare al gioco e scontrandomi per l’ennesima volta con ciò che urlava il mio subconscio, sporgendomi di mia volta sul tavolo.

Smettila di chiamarmi superstar, Maya”, parlò, infine, dopo alcuni secondi di silenzio, persi ad osservarmi attentamente. “Mi infastidisce e, in ogni caso, un nome ce l’ho”.

Sarà difficile, ma affare fatto”, risposi con sarcasmo, tendendo una mano verso di lui, in attesa che la stringesse, suggellando quel patto nato dal nulla.

Per un momento osservò la mia mano, forse indeciso sul da farsi, poi si avvicinò ancora, sporgendosi nella mia direzione, e solamente dopo aver incatenato il suo sguardo al mio, avvolse la avvolse nella sua che, a suo confronto, scompariva.

Pelle contro pelle, calda, accogliente, come se mi stesse invitando a farmi avanti.

Rimasi un momento frastornata da quel contatto, dalla sua delicatezza così tanto strana, dai suoi occhi che non volevano liberarmi un momento dalla loro tortura.

Non capivo cosa mi stava succedendo, per quale motivo mi sentivo stranamente senza forse e per quale motivo non riuscivo a spiccicare parola.

Allora, quale sarà la prima tappa?”, mi domandò, con quella sua voce illegale.

***

Sono ancora viva, giuro..

Mi prometto ogni volta che vi farò attendere meno, per un seguito, ma finisco sempre per far passare settimane.. e per questo vi chiedo scusa, davvero! Almeno, adesso, per il prossimo capitolo, ne ho già un pezzetto scritto.. in principio volevo non doverlo dividere in due parti, ma alla fine mi son resa conto che sarebbe stato infinito e che vi avrei fatto attendere ancora parecchio! Quindi ve ne do un assaggio, spero possa piacervi comunque..

Come sempre, voglio ringraziare le temerarie che si azzardano a lasciare una recensione - lo apprezzo davvero tantissimo - e anche a chi continua a leggere in silenzio e chi ha messo la mia storia nelle seguite/preferite! Grazie, grazie, grazie!

Alla prossima - spero presto - ,

Chiara

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Capitolo 20
*** 19 - Competizioni pt.2 ***


maya20




*****



Mi parve vederlo ritornare bambino, con gli occhi spalancati, sempre pronti a conoscere nuovi luoghi, nuovi mondi, con la voglia di esplorare ogni centimetro di terra, con le labbra socchiuse per la magnificenza che gli si piazzava davanti. Perché, c’è da dirlo, Doha è maestosa ed è assolutamente normale sentirsi una nullità al suo cospetto, davanti ad una concentrazione tale di innovazione e grattacieli infiniti.

Lo avevo portato negli stessi posti che avevo esplorato due giorni prima, al museo d’Arte Islamica, al centro della città e all’Aspire Park.

E lì, per la maggior parte del tempo, eravamo rimasti, seduti sotto lo stesso ulivo che avevo occupato qualche giorno addietro.

E stranamente avevamo parlato, come due persone normali, oserei dire. Travis mi aveva spiegato le dinamiche della gara del giorno prima, cosa era andato storto che cosa poteva andare peggio, ed era una visione completamente diversa da quella di Luca, molto più attendibile ed imparziale. Avevano sbagliato tutti, secondo il suo punto di vista, nessuno era da scusare, e mi era piaciuto quel suo non volersi salvare dal resto del gruppo, quella sua intenzione di mostrarsi uguale agli altri, colpevole quanto gli altri. Ed era stata una cosa davvero inaspettata. Lo avevo lasciato parlare, senza interruzioni, e mi sorpresi quando lo vidi così loquace e tranquillo, nonostante tra noi ci fosse stato tutto tranne che tranquillità.

Ma forse aveva avuto ragione lui, il giorno precedente, quando mi aveva considerata la persona che gli gettava addosso meno tensione per la sua gara perché, fondamentalmente, a me delle competizioni interessava davvero poco.

Mi importava portare a casa un bel lavoro, belle fotografie da poter utilizzare per quel maledetto articolo.

Avevamo passato insieme giusto tre o quattro ore, niente di più, cercando di ignorarci il più possibile al di fuori dell’Aspire Park, ma senza rendere la situazione troppo pesante ed imbarazzante: un silenzio piacevole, che ci dava la possibilità di viaggiare con la mente e di esplorare in santa pace la città. E ci eravamo riusciti, più o meno.

Di certo, non quando eravamo stati costretti a salire su un autobus straripante di persone per tornare in albergo, perché di taxi non se ne vedevano nemmeno le ombre.

Direi che è la nostra unica opzione”, aveva detto, lui, quando l’autobus frenò bruscamente davanti a noi. “A meno che tu non voglia tornare in hotel a piedi”, aggiunse con un sorriso, infine.

Nessuna delle due possibilità, in realtà, mi attirava, ma decidemmo per la meno peggio, per quella che, almeno, ci avrebbe provato di dolori alle gambe il giorno seguente.

Così salimmo sul trabiccolo pubblico e, non appena le porte furono serrate, il conducente partì quasi sgommando, ricevendo una serie di imprecazioni sia da parte mia che di Travis. Poi si fermò di nuovo, dopo nemmeno un paio di chilometri – ovviamente inchiodando –, così salirono almeno un’altra decina di persone, riducendo notevolmente lo spaio e l’ossigeno disponibile dentro quell’ammasso di ferraglia.

Era stato soffocante e fuori luogo, soprattutto restare così tanto appiccicata a Travis, con la mia schiena praticamente poggiata al suo petto.

Imbarazzante e sconveniente.

Per non parlare di quando l’autobus aveva inchiodato all’improvviso ancora una volta, facendo balzare tutti in avanti, compreso Travis, che si era scontrato con me e, per risparmiarmi una rovinosa caduta, mi aveva afferrato per un fianco, trattenendomi

Decisamente imbarazzante e sconveniente.

E preferisco tralasciare di come la sua mano aveva esitato un momento, prima di lasciare il mio fianco.

Salirono altre persone e tutti si ritrovarono costretti ad indietreggiare per cercare di fare spazio, mentre io, vedendo gli altri passeggeri arrivarmi addosso, mi ritrovai costretta a finire poggiata completamente a Travis che, come suo solito, si rivelò essere una statua di marmo, impassibile.

Non ti preoccupare, non mi infastidisci”, mormorò, poi, dopo che l’autobus ripartì in quarta, così me ne restai lì, con la schiena poggiata al suo petto, a dir poco imbarazzata dalla situazione.

Nessuno di noi aveva detto nulla per il resto del viaggio.

Eravamo rimasti in silenzio, dopo esserci scambiati uno sguardo di circostanza – che forse era durato più del dovuto -, ed avevamo atteso la fine di quel viaggio, di quella tortura tanto assurda in quel buco di autobus.

Arrivammo dopo un’attesa infinita davanti all’albergo e, a forza di spintoni, riuscimmo a poggiare nuovamente i piedi a terra, prima che il veicolo ripartisse sfrecciando per le strade di Doha.

Ma chi ti ha dato la patente, razza di idiota!?”, esclamai, dopo aver esaurito la pazienza, sbuffando.

Vidi Travis rivolgermi l’attenzione, cercando di reprimere un sorriso divertito con scarsi risultati. Lo fulminai con lo sguardo, decisamente poco incline alla risata, in quel momento, ma lui non sembrava essere del mio stesso avviso, tanto che non riuscì a trattenersi e scoppiò in una sonora risata.

Sembrava spensierato, come se quelle ore spese a girovagare per la città fossero davvero servite ad allontanare l’ombra minacciosa della competizione che gli incombeva sulle spalle. Sembrava diverso, più sereno, più semplice, un ragazzo normale non la superstar che avevo conosciuto nei mesi precedenti. Ma questo non lo giustificava comunque dal deridermi, cosa che stava facendo anche in quel momento.

Non è divertente, Travis”, mugugnai, indispettita dalla sua allegria. “Può essere catalogato come calamità naturale, quell’autista”, aggiunsi, incrociando le braccia al petto.

Oh me ne sono accorto, Maya”, riuscì a rispondere, tra le risate. “Ma è stato comico, in un certo senso”.

A pensarci bene aveva ragione, ma questo non migliorava di certo le cose. Persone del genere non dovrebbero nemmeno averla, la patente, figuriamoci guidare autobus pubblici. Sarebbe potuta succedere qualche catastrofe e, di comico, non ci sarebbe stato assolutamente nulla.

Si, ero leggermente più pessimista di quanto avrei dovuto essere, ma quello era stato il quarto d’ora più lungo ed assurdo della mia vita.

Ah andiamo”, esclamò all’improvviso, Travis. “Smettila di essere un pezzo di legno, è stata una scena comica, tutto qui: la tipica scena da film”, aggiunse, infine, continuando a sorridere divertito.

Lo fissai un momento, osservando quei suoi occhi stranamente illuminati dal divertimento e dalla semplicità e quella sua espressione serena, quasi fosse un ragazzino appena sceso da una giostra al lunapark. Non sembrava per niente la stessa persona che avevo insultato ed odiato in precedenza, sembrava un ragazzo semplice, con la spensieratezza giusta per la sua età.

Quanti anni hai, Travis?”, gli domandai, all’improvviso, rendendomi conto di non sapere che età avesse la superstar.

Rimase un attimo di sasso, forse sorpreso dal mio improvviso cambio di argomento, poi mi sembrò quasi in imbarazzo, il momento dopo.

Cosa… ventisette, ma perché ti interessa?”, chiese, diventando più curioso.

Dovevo inventarmi qualche scusa oppure tirare fuori dal cilindro una delle mie solite frecciatine per fargli morire quel sorrisetto compiaciuto e divertito da quel suo bel visino che tanto ostentava, a volte. E dovevo farlo in fretta, perché l’attesa non portava mai nulla di buono, soprattutto se presa come esitazione.

Ah nulla, volevo solamente sapere quanto tempo ti resta prima che i più giovani ti buttino giù a calci dal tuo trono”, riuscii finalmente ad articolare, con un sorriso angelico sulle labbra.

Missione compiuta, pensai, infine, notando la sua espressione sorpresa che venne immediatamente sostituita dal suo solito cipiglio impregnato di disappunto.

Non gli diedi nemmeno il tempo di rispondermi a tono e mi incamminai verso l’entrata dell’hotel, decisa più che mai a rinchiudermi nella mia stanza e a concedermi una lunga e rigenerante doccia.

Nonostante fosse dicembre, a Doha faceva caldo, troppo caldo per essere quasi vicini a Natale.

Entrai nella hall, sorridendo al solito portiere che, ormai, sembrava avermi riconosciuta e cominciai a dirigermi verso gli ascensori.

Ti rifugi subito in camera tua, Maya?”, domandò, lui, destandomi dai miei sogni ad occhi aperti.

Mi voltai lentamente verso di lui e me lo ritrovai ad un paio di passi di distanza, intento a fissarmi con una strana scintilla negli occhi, ben diversa dal divertimento che avevo scorto poco prima, molto più intensa, molto più torbida.

Esitai un momento a rispondere alla sua domanda, forse per il tono di voce che aveva utilizzato, quasi saccente, ma al tempo stesso intriso di una qualche specie di speranza., oppure esitai per colpa del momento di scompenso che mi causarono quei suo sguardo così intenso, così carico di decine di emozioni che non riuscii a riconoscere.

Credo di si, Travis”, riuscii a dire, infine, dopo aver riacquistato le mie facoltà mentali. “Ho bisogno di una doccia, quel viaggio in autobus mi ha distrutta più di tutto il resto della giornata”.

Lo vidi avvicinarsi a me, ancora di un passo, minimizzando la distanza che ci separava, osservandomi con ancora più intensità e facendomi sentire tanto piccola da voler scomparire. Era dannatamente più alto di me.

Nonostante i miei centimetri scarsi, cercavo sempre di farmi valere in qualche modo, ma in quel momento non riuscivo a pensare ad altro che a scappare, a rinchiudermi nella mia stanza per uscire solamente la mattina seguente, quando avrei dovuto fotografare il ragazzo davanti a me per la sua competizione più importante.

Mi sentivo inerme, davanti al suo sguardo, disarmata da ogni sorta di scudo che costruivo ogni volta che qualcuno minacciava la mia incolumità, per così dire, e non avevo idea di cosa avrei dovuto fare senza passare per una perfetta idiota.

Hai fame?”, chiese, poi, con un’espressione indecifrabile in volto.

Non ne ho idea”, risposi, rendendomi conto di aver sconnesso ogni filo conduttore i fosse tra il mio cervello e la mia bocca.

Ma che diamine sto dicendo!?

E lui sorrise, forse più comprensivo di quanto pensassi oppure solamente più divertito di quanto sarei riuscita a sopportare. L’unica cosa certa era che, quella manciata di minuti mi aveva mandato in panne tutto quanto, dalla mente alla punta dei piedi, e mi sentivo ancora più stupida ed impacciata di poco prima, senza che lui avesse fatto o detto qualcosa di particolare.

Scusami, volevo dire che non saprei che fare perché sono parecchio stanca”, dissi, cercando di rattoppare per quanto possibile la terribile figura che avevo fatto.

Ti andrebbe di mangiare qualche cosa al ristorante dell’albergo oppure rischi di addormentarti sul tavolo?”, mi chiese, senza cercare di nascondere la massiccia dose di sarcasmo nella sua voce. Di certo non le mandava a dire, Travis.

Non riuscii a reprimere la risata che mi si riverberò in gola e mi lasciai andare, dicendomi che per una buona volta tutto il buon senso poteva andare a farsi fottere, anche se, le ultime volte che l’avevo pensata in quel modo, ero finita in situazioni ben più scomode, con Travis, di un pranzo nel ristorante di un albergo.

Cercherò di non russare, allora”, ribattei, restando al suo stesso gioco. Se si armava di sarcasmo, di certo, io non potevo che rispondere con la stessa moneta.

 

Ma non è vero”, esclamai, stizzita.

Oh si, invece”, mi contraddisse, lui, per l’ennesima volta, continuando a mangiare il suo piatto di pesce grigliato. “Ma ti ostini a non volerlo ammettere, nemmeno a te stessa”, continuò, allacciando il suo sguardo al mio, cominciando a diventare insistente. E noioso. Aggiungiamogli anche ripetitivo.

Sbuffai sonoramente, senza cercare di nascondere il mio disappunto e tornando a concentrarmi sul piatto di pasta che avevo davanti. Una delizia, per essere chiari.

Quando avevo accettato la sua proposta di pranzare insieme non avevo messo in conto tutte le possibilità a mio sfavore di incappare in argomenti scomodi, che avrebbero potuto mettermi in imbarazzo, come in quel caso.

Non avrei mai pensato che Travis potesse avere tanta faccia tosta, così tanto da arrivare a dirmi, come se fosse la cosa più normale del mondo, che si vedeva lontano un miglio quanto mi vergognassi di stare seduta in pubblico con lui, soprattutto dopo quello che era successo tra noi – o come aveva detto lui: dopo quelle due incomprensioni finite male, o bene in base ai punti di vista -.

Si capisce da come ti agiti sulla sedia e da come continui a guardarti intorno”, mi aveva detto, nemmeno fosse il miglior analista sulla faccia della terra. “È a dir poco palese, Maya”.

Faceva tanto la faccia di bronzo, lui, con quel suo sorriso sarcastico stampato in faccia, mentre continuava a consumare il suo pasto, guardandomi con divertimento. Mi chiesi se si fosse accorto di come mi sentissi in imbarazzo.

Aveva tirato fuori dal cilindro quel discorso come se nulla fosse, facendomi andare di traverso l’acqua che stavo sorseggiando e, ovviamente, facendomi fare l’ennesima figura da idiota: gli ospiti dei tavoli vicini al nostro mi guardarono tutti con preoccupazione mista a divertimento.

Non mi ostino a non volerlo ammettere, Travis”, ribattei, tornando con la mente al presente. “Semplicemente non capisco perché dovrei vergognarmene”, aggiunsi, sperando di apparire il più impassibile possibile perché, diciamocelo, era molto di più di semplice vergogna, quella che provavo. Non avevo mai fatto una cosa del genere, per puro divertimento e solo per aver ceduto all’istinto e, quella consapevolezza, mi faceva sentire una perfetta stupida che, davanti ad un bel ragazzo con un fisico invidiabile, era caduta come una pera cotta.

Sì, ero una stupida, sia per sentirmi in quel modo, ma anche per non riuscire a farmi meno paranoie di quante servissero in realtà.

Perché non vuoi che tuo padre venga a sapere qualcosa di ciò che è successo tra noi”, disse, poi, come un fulmine a ciel sereno.

Dannazione, era scaltro il ragazzo!

Aveva pienamente ragione, anche se solo in parte: era tutto vero, non volevo che mio padre scoprisse una cosa del genere, perché non sapevo come avrebbe reagito e perché non sapevo se mi avrebbe guardato in un modo diverso. E non volevo che qualcosa, del mio rapporto con lui, cambiasse perché era tutto ciò che avevo rimasto al mondo e non potevo permettermi di perdere anche lui. Non dovevo lasciare che accadesse, dovevo riuscire a tenere tutto all’oscuro.

Lo fissai negli occhi, paralizzata dalla verità che mi era stata sbattuta in faccia senza alcuna delicatezza, come un secchio di acqua fredda di primo mattino. E non riuscii a pronunciare parola per una manciata di secondi, perché non trovai alcuna scusa a cui aggrapparmi per salvarmi da quella situazione tanto strana.

Lo posso capire, Maya, davvero”, parlò, lui, vedendo che ancora non riuscivo a spiccicare parola. “Ma non dovresti vergognartene, almeno non con te stessa”, concluse, infine, rivolgendo l’attenzione all’ultimo trancio di pesce rimasto nel suo piatto.

Lo osservai per un momento, mentre continuava a mangiare, senza che lui si accorgesse dei miei occhi addosso, indisturbata. Solo per cercare di trovare le parole giuste da dire.

E perché non dovrei vergognarmene?”, chiesi, poggiando i gomiti sul tavolo e prendendomi il viso tra le mani. “Sentiamo il saggio”, aggiunsi, un po’ più velenosa di prima, ottenendo la sua completa attenzione.

Mi scrutò un momento, assottigliando lo sguardo, quasi offeso dall’ennesimo nomignolo che gli avevo appena affibbiato. Finì di masticare il boccone che aveva ancora in bocca e posò con cura le posate sul piatto, ormai vuoto.

Perché è successo e basta, perché è stato un attimo di debolezza a cui abbiamo ceduto entrambi”, cominciò, osservando ogni mio movimento con attenzione, con fin troppa intensità. “Perché non è stata solo colpa tua: ci sono caduto dentro anche io, non solo tu, Maya. Siamo esseri umani, fin troppo deboli davanti ad una tentazione”, concluse, lasciandomi un momento interdetta.

Mi aveva sorpresa, certo, perché non mi sarei mai aspettata discorsi del genere da uno come lui. Come quando mi aveva raccontato di com’era andata la competizione, aveva attribuito la colpa a tutti quanti, non solo agli altri membri della squadra, ma anche a se stesso.

E si stava comportando quasi allo stesso modo anche in quel momento e non me lo sarei mai aspettata.

Per alcuni istanti nessuno disse niente, c’erano solo i nostri sguardi che non accennavano a cedere, che continuavano a studiarsi come per cercare una qualsiasi debolezza su cui far presa, ma non cambiava nulla, niente saliva a galla. C’erano solo i nostri occhi che non si staccavano gli uni dagli altri. Ed era quasi soffocante non riuscire a cedere per prima, non riuscire a parlare, non riuscire a pensare ad altro che ai suoi occhi nei miei.

Non hai nulla da dire?”, mi chiese lui, come se mi avesse appena letto tra i pensieri contorti che viaggiavano tra la mia mente.

Più o meno”, risposi, con un sorriso tirato. “Diciamo che in parte hai ragione, ecco”.

Quale parte?”, si sporse sul tavolo, diventando più curioso. “Quella in cui dico che hai paura che Claudio venga a sapere qualcosa oppure la mia perla di saggezza sull’essere umano?”, aggiunse, ridacchiando.

Non riuscii a non unirmi a lui, perché la perla di saggezza, come l’aveva chiamata lui, mi era piaciuta e, a modo suo, era veritiera.

La parte su mio padre”, ammisi, infine, più a me stessa che a lui, con un sonoro sospiro. Mi ero rassegnata, ecco la verità, tanto valeva essere sinceri per una volta. “Anche se il tuo momento filosofico mi è piaciuto”, aggiunsi, sorridendogli divertita.

In quel momento ero diventata io quella che si sbilanciava troppo nel ridere e non andava bene, non mi faceva sentire al sicuro, ma sempre in bilico, pronta a sbagliare la mossa successiva.

Dovevo concentrarmi sulla filosofia, non sul nuoto, lo so”, disse lui, assecondandomi e regalandomi un sorriso quasi accecante. “Sarei stato grande, uno tra più grandi, di certo”, aggiunse, scoppiando a ridere per le sue stesse idiozie.

Lo osservai un momento, cercando di non seguirlo a ruota – invano – e rendendomi conto di quanto risultasse fresco ed innocente, mentre rideva di gusto, e di come gli occhi gli illuminassero il viso.

Era fin troppo bello per i normali standard, ma non lo ostentava – almeno non negli ultimi tempi -, e questo, probabilmente, lo rendeva ancora più interessante, se visto sotto una certa luce. Io ne avevo conosciuto prima i lati negativi, quelli arroganti e da superstar, ed avevo passato dei giorni d’inferno per colpa sua, ma nell’ultimo periodo di preparazione ed in quei giorni a Doha sembrava un’altra persona, un altro Travis, molto più alla mano e semplice, molto meno complicato. Anche se i suoi pensieri e le sue emozioni restavano comunque un mistero.

Quindi, vuoi spiegarmi perché ti vergogni così tanto di una sciocchezza?”, mi chiese, Travis, improvvisamente, tornando serio.

Sciocchezza!?”, esclamai, quasi allibita. “Sarà che sei abituato a portarti a letto chiunque ti passa a tipo, l’importante è che respiri, ma per me non è una sciocchezza, soprattutto perché ti odiavo, davvero”, conclusi.

Mettiamo le cose in chiaro”, si agitò sulla sedia, cambiando posizione e poggiando i gomiti al tavolo. “Primo: io non mi porto a letto chiunque, anzi, la mia serietà su questo tema potrebbe sorprenderti. Secondo: non mi importa solo che respiri, ma per chi mi hai preso!?”, mi domandò, poi, fin troppo divertito dalla situazione per sembrare convincente.

Per uno che miete fin troppe vittime e nemmeno lo sa, ecco per chi ti ho preso”, risposi a tono, senza smettere di ridere.

Certo, vedila come ti pare”, disse, arrendendosi. “E comunque non mi sono lasciato scappare il dettaglio del verbo odiare al passato, solo ora mi rendo conto di aver fatto progressi”, aggiunse, sorprendermi.

Speravo non se ne fosse accorto, speravo che quella mia svista fosse passata inosservata, ma Travis era molto più scaltro di quanto volesse dare a vedere.

Ah già”, cominciai, facendo l’indifferente. “Diciamo che ora sei diventato quasi sopportabile”, aggiunsi, infine.

Mi scrutò per un momento, Travis, come per convincersi delle mie parole, per poi lasciarsi scappare un sorriso che mi parve quasi imbarazzato, ma poi dissi a me stessa di aver avuto le traveggole. Non poteva essere vero.

Di certo sei migliorato notevolmente da quando cercavi di intralciare il mio lavoro, all’inizio, ma continui ancora a darmi ai nervi”, dissi, sincera, studiando con attenzione il mio piatto vuoto, pur di non incontrare il suo sguardo che sentivo perforarmi la nuca. “Ma solo alcune volte”.

Del tipo?”, domandò Travis, incuriosito dal mio barlume di sincerità.

Del tipo quando sembra che quello con il ciclo mestruale sia tu e non io, ecco quando”, risposi, scoppiando a ridere, sollevando lo sguardo ed incontrando il suo.

Lo trovai con i gomiti poggiati al tavolino ed il viso tra le mani, più vicino di quanto lo ricordassi, intento a studiarmi con attenzione.

Quella giornata aveva preso una piega del tutto inaspettata perché, di certo, quando mi ero svegliata quella mattina, non mi sarei mai immaginata di ritrovarmi a pranzare proprio con Travis. Sarebbe stata l’ultima persona con cui mi sarei mai aspettata di pranzare, ecco tutto.

E, cosa ben più sconvolgente, stavamo conversando come se nulla fosse, come sia io che lui fossimo due persone normali e non due individui che, alla prima occasione, erano sempre pronti a farsi la guerra. Forse era proprio quel particolare a sorprendermi, perché in fin dei conti mi sentivo bene – nonostante i suoi occhi indagatori -, mi sentivo tranquilla e non sempre in balia tra agitazione e nervosismo.

Ora dovrei andare”, mormorai, senza nemmeno accorgermene, e senza distogliere lo sguardo dal suo. Mi sembrò di vedere scomparire ogni traccia di divertimento e di tranquillità di poco prima, dai suoi occhi, ma non mi soffermai più di tanto su quei particolari: dovevo defilarmi prima che la situazione potesse peggiorare e dovevo farlo in fretta, senza dare a Travis la possibilità di ribattere.

Così mi alzai in piedi, lasciandolo un momento interdetto, e presi la mia borsa, intenta ad andarmene, quando mi resi conto che lui mi seguì a ruota, alzandosi a sua volta dalla sedia.

Ti accompagno all’ascensore”, borbottò lui, recuperando la sua giacca in pelle.

Dannazione!

 

Dopo aver lasciato la sala ristorante, tornammo nella hall, diretti agli ascensori per tornare alle nostre camere.

Non aveva proferito parola, lui, si era limitato a seguirmi in silenzio, quasi fosse la mia ombra e, in tutta sincerità, un po’ metteva soggezione, sentire la presenza di questo armadio alle mie spalle.

Schiacciai il pulsante per chiamare l’ascensore ed attesi, in silenzio, in completo imbarazzo: tutta la tranquillità di poco prima era svanita nel nulla, in una nube di fumo.

Poi finalmente il trabiccolo arrivò e le porte si aprirono, ma quando entrai mi resi conto che Travis non mi aveva seguita ancora una volta.

Me lo ritrovai davanti, a pochi centimetri da me, poggiato allo stipite del muro.

Non torni in camera?”, gli domandai, istintivamente.

Per quanto mi piacerebbe recuperare ore di sonno, no”, rispose, con un sorriso tirato in volto. “Faccio un salto al palazzetto per vedere come vanno le altre competizioni”, aggiunse, infine, senza staccare gli occhi dai miei.

Restammo in quella posizione per alcuni istanti, con lui poggiato alla porta ed io con la mano sulla fotocellula dell’ascensore, per evitare che le porte si chiudessero e che schiacciassero Travis tra di loro.

Sembrava si stesse trattenendo dal fare qualcosa, lui, un eterno indeciso che non sapeva quale sarebbe potuta essere la mossa più rischiosa. Ed io sperai con tuta me stessa che si limitasse a salutarmi e nulla di più, perché non volevo altre complicazioni, altre cose a cui pensare. Volevo solo tornarmene in camera e passare l’intero pomeriggio nella vasca da bagno.

Capisco”, mormorai, interrompendo quel pesante silenzio che era arrivato all’improvviso. “Allora ci vediamo domani mattina”.

Si, certo”, ribatté, lui, sorridendo ancora, ma più malinconico, quasi più triste. “Sempre che non decida di scappare, questa notte”, aggiunse.

Scoppiai a ridere perché sapevo che non l’avrebbe mai fatto: piuttosto che passare per codardo avrebbe fatto la figura dell’idiota. “Si, certo”, biascicai, riprendendomi dalle risate. “Cerca di dormire, Travis: la faccia da funerale non si addice ad un professionista”, aggiunsi, allontanandomi e poggiando la schiena alla parete interna dell’ascensore.

Lo vidi allontanarsi a sua volta, per dare la possibilità alle porte di chiudersi e di lasciarmi tornare in stanza, senza distaccare gli occhi dai miei.

Cominciava a diventare spossante sostenere il suo sguardo.

Grazie, Maya”.

Fu l’ultima cosa che sentii prima di vedere il riflesso di me stessa.

L’ascensore era circondato da specchi che regalavano un caleidoscopio perfetto, anche se in quel momento lo trovai parecchio irritante. Non volevo vedere il mio viso arrossato dal sole, i miei occhi stanchi ed il mio abbigliamento più trasandato del solito.

Avevo in testa solamente l’ultimo sguardo di ringraziamento che Travis mi aveva rivolto e mi dava ai nervi, perché lo trovai fastidiosamente affascinante ed io non dovevo trovare nulla del genere in un ragazzo come lui, assolutamente.

 

Il fatidico giorno X, il giorno del giudizio, il giorno della grande sfida, chiamatelo come volete. Fatto sta che, finalmente, arrivò! E non mi sembrava nemmeno possibile, non mi sembrava vero che proprio quello sarebbe stato il mio ultimo giorno a Doha, ecco tutto.

Mi sarebbe mancata, in un certo senso, quella città, la sua energia, quello strano caldo a dicembre, il cibo, mi sarebbe mancato un po’ tutto, certo, ma avevo bisogno della mia Italia, del mio appartamento e di dormire per un giorno intero.

Forza Maya, andiamo”, esclamò Simona, distogliendomi dai miei pensieri.

Eravamo nella hall dell’albergo, come sempre, in attesa dei taxi, ma quella mattina non avevamo compagnia, stranamente. Non c’era tutto il resto della squadra, mio padre oppure Roberto, nemmeno Travis. Avevo trovato solamente Simona e lei aveva trovato solamente me, con la mia stessa incredulità nello scoprire che tutti gli altri ci avevano abbandonato ed avevano deciso di raggiungere il palazzetto prima del dovuto.

Certo, la competizione di Travis era quella più attesa, ma almeno un messaggio, un avviso potevano lasciarlo, invece nulla! Deserto totale.

Seguii la mia collega dentro la vettura, inforcando gli occhiali da sole e mettendo le cuffie alle orecchie, decisa più che mai a non ascoltare una singola parola che sarebbe potuta uscire dalla bocca della bionda al mio fianco. Non ne avrei avuto le forze.

Non ero io quella prossima a gareggiare, eppure mi sentivo agitata come mai prima di allora, e non mi piaceva per niente quella sensazione, come se il mio corpo non fosse più sotto il mio controllo, come se non riuscissi a decidere cosa fare e cosa no, ma purtroppo ero costretta a convivere con quella sensazione soffocante fino al momento della fine delle competizioni. Ovvero fino al pomeriggio abbondantemente inoltrato.

Che strazio!

Arrivammo finalmente al palazzetto e, sia io che Simona, non attendemmo un attimo a correre all’interno della struttura, cercando di agguantare le postazioni migliori. Mi avrebbe dato una mano con gli spintoni, mi aveva detto lei, mi avrebbe aiutata ad arrivare ad una postazione perfetta per i miei scatti e, in quel momento, mi era quasi piaciuta quella Simona, determinata e testarda, con il sorriso vittorioso in viso. E lo aveva fatto davvero, non proprio con spintoni ed altro, ma più che altro con sguardi ammalianti e sorrisini ambigui, ma almeno eravamo riuscite ad arrivare il più vicino possibile alle vasche.

Perché non me lo hai detto prima?”, le domandai, sorpresa. “Nei giorni scorsi mi sarei risparmiata parecchie gomitate nelle costole”.

Scoppiò a ridere, attirando l’attenzione di parecchi altri fotografi intorno a noi.

Mi sarei seppellita molto volentieri, certo, ma almeno per una volta era stata utile.

Dopo un’ora abbondante, cominciammo a vedere gli atleti avvicinarsi alla vasca principale, pronti per gareggiare e, tra questi, scorsi finalmente anche Travis, affiancato da mio padre. Più che affiancato, sembrava quasi piantonato, ma sapevo bene che, per evitare la nascita di paranoie inutili, mio padre preferiva restare incollato ai propri atleti fino al momento cruciale in cui tutto sarebbe iniziato.

Che stai aspettando, Maya? Un cartello scritto?”, mi domandò, scioccata, Simona. “Comincia a fotografare Travis, forza!”.

Come pensi che possano uscire scatti del genere con mio padre a due centimetri da lui, eh!?”, ribattei, stizzita.

Beh tu scatta, ho in mente un paragrafo dell’articolo in cui includerò anche tuo padre, quindi qualche sua immagine può solo essere utile”, rispose lei, agitando una mano a mezz’aria, annoiata.

Nonostante non fossi convinta delle sue parole, scattai qualche fotografia, cercando di centrare l’angolatura giusta, nonostante fossi parecchio distante da loro, e cercando di immortalare entrambi con espressioni decenti. Contenta Simona, contenti tutti.

Poi arrivò il momento X, finalmente, il momento in cui sarebbe cominciata la gara, ma cominciata per davvero!

Vidi tutti gli atleti avvicinarsi ai blocchi di partenza, scambiarsi gli ultimi accorgimenti con gli allenatori, respirare intensamente e cercare di isolarsi dall’ammasso di brusio che era diventato il palazzetto. Travis, invece, sembrava essere in un altro modo, perso com’era a fissare la distesa d’acqua davanti a lui, come se la stesse sfidando con lo sguardo, come se le stesse dicendo che quel giorno non avrebbe vinto lei, quel giorno sarebbe stato il suo giorno, il giorno per essere un vincente e per far vedere a tutti quanti il suo valore.

Sembrava perso in se stesso, agitato nonostante mio padre reclamasse la sua attenzione. Non accennava ad ascoltarlo, a dare tregua all’acqua che aveva sotto gli occhi.

Scattai ancora, cercando di catturare la particolarità di quel momento, per quando stupido potesse sembrare.

Mio padre gli afferrò un braccio, probabilmente stanco di parlare a vuoto e lui, finalmente, torno con la mente sulla terra, all’inizio della competizione che sarebbe arrivato a momenti. Si guardò intorno spaesato, osservando tutta la schiera di persone disposte sugli spalti, il resto degli atleti al suo fianco, la schiera di giornalisti e fotografi addossati dietro di me e, incredibilmente, riuscì ad intercettare il mio sguardo.

Rimasi un attimo spaesata da quel contatto, forse per colpa dell’intensità che caricò in quello sguardo, forse per colpa del caldo che mi aveva improvvisamente colpita. Non lo so, ma mi sentivo inerme sotto i suoi occhi, proprio in quel momento, a metri di distanza.

Continuava a respirare piano, Travis, a mantenere un controllo tanto granitico quanto pronto a crollare al primo soffio di vento, così non abbassai lo sguardo, non mi mossi, per paura di distruggere quel contegno che si ostinata ad esporre quando, in realtà, appariva tutt’altro che calmo e tranquillo. Si stava lasciando rapire dall’ansia, era palese, colpa anche del respiro che aveva cominciato a gonfiargli maggiormente il petto.

Mio padre lo riportò per l’ennesima volta al presente, schiaffeggiandogli la guancia e facendolo sorridere divertito.

Colsi quell’opportunità per dedicarmi ad altro, per cercare qualche altro particolare in giro per il palazzetto su cui posare la mia attenzione, perché altrimenti non avrei retto un altro scambio di sguardi con Travis, non uno del genere.

Chiesi a Simona l’orario, due volte nel giro di trenta secondi, trafficai con la mia macchina fotografica, controllai l’obiettivo e gli scatti precedenti, fino a quando non gli atleti non vennero avvisati di prepararsi sui blocchi di partenza. Ed io tornai improvvisamente sull’attenti.

Cominciai a scattare, nonostante fossero solo in posizione, spronata anche da una Simona che aveva abbandonato la compostezza da prima donna ed aveva cominciato a farsi prendere dal panico, nemmeno fosse stata un’incredibile tifosa. Continuai a scattare quando gli atleti partirono al fischio e si buttarono in acqua, cominciando la prima vasca di stile libero, cominciando ad acquistare terreno dopo la prima virata, continuando ognuno il proprio percorso. Continuai a catturare attimi importanti, man mano che Travis distanziava tutti gli altri, seguito solamente da altri due atleti.

Erano tutti lì, ecco, tutti a pochi centimetri di distanza, ed erano proprio quei centimetri a fare la differenza. Anche dopo la seconda virata, dopo aver raggiunto la metà della competizione, dopo aver ottenuto maggiore distanza dagli ultimi.

Era solamente la sessione mattutina, quella, solamente la prima gara perché, purtroppo, il gran finale ci sarebbe stato in chiusura della giornata, ma sembrava tutt’altro. Sembrava quella la ciliegina sulla torta di un campionato che si era rivelato essere incredibile e, probabilmente, anche tutte le persone che facevano da pubblico la pensavano così perché, di certo, ad applausi ed urla non si risparmiavano.

Ultima virata, ultimi venticinque metri da percorrere e Travis era secondo, ad una distanza che, difficilmente, avrebbe potuto recuperare. Ma continuò a combattere, continuò a spingere con forza in quelle ultime bracciate, come se ne andasse della sua vita. Ma servì a poco, il brasiliano che lo aveva distanziato da prima dell’ultima virata non aveva accennato a cedere. E ce l’aveva fatta.

Almeno Travis era arrivato secondo, riuscendo a passare alla finale anche se, dall’abbondante disappunto che si notava sul suo viso, non sembrava piacergli per niente quel suo risultato.

Prima donna!

Doveva dare il massimo nella gara successiva, non in quella.

 

Simona ed io ci concedemmo una pausa pranzo, riuscendo a prendere un paio di panini al bar del palazzetto, nonostante la bionda non approvasse per niente quel cibo così poco salutare. Altro non potevamo fare e nessuna delle due si era portata in borsa qualche provvista, così si dovette accontentare, nonostante per un momento sembrò sul punto di decidere di restare a digiuno per l’intera giornata.

Riuscimmo anche a rintracciare Luca e Michele e, per un paio d’ore restammo con loro, in cerca di compagnia che non fosse formata da altri fotografi e giornalisti di chissà quale nazionalità. Sentimmo i loro commenti sulla competizione di Travis e, per quanto Michele riuscì a restare imparziale, Luca non si risparmiò in critiche e accorgimenti su come, Travis, avrebbe potuto vincere, invece di arrivare solamente secondo.

Doveva tirare una brutta aria, tra le prime donne della piscina di mio padre.

Osservai Michele, più tranquillo e timido, restarsene in disparte ed osservare le gare che continuavano a susseguirsi, evitando di ascoltare il fiume di parole che continuava ad uscire dalle labbra di Luca e che sembrava non volersi fermare. Così mi sedetti al suo fianco, lasciando Simona alle prese con l’altro nuotatore.

Ciao”, mi salutò Michele, sorridendomi.

Era il più giovane tra tutti, mi aveva detto mio padre, persino più giovane di me. E si notava, nonostante non mancasse alcuna qualità del perfetto nuotatore, si notava dai suoi occhietti vispi, dal viso da ragazzino e dal quel suo sorriso solare.

Restai al suo fianco fino a quando Simona non mi richiamò all’ordine, chiacchierando con lui del più e del meno, parlando della sua gara e di come, purtroppo, non era andata bene. Mi confessò di essere contento ugualmente perché, per un ragazzo della sua età, trovarsi in quel posto era un traguardo più che soddisfacente.

No, non tirava una brutta aria nella piscina di mio padre, ma piuttosto qualcuno doveva aver bevuto più cloro di qualcun altro, tutto qui.

Dopo aver salutato per l’ennesima volta i due ragazzi, tornai insieme a Simona alla nostra postazione e, come prima, i gentiluomini presenti, ci lasciarono passare grazie i sorrisini della bionda. Mancava il tappeto rosso e sarebbe stato tutto quanto perfetto.

Agguantai la mia macchina fotografica, pronta a dare il meglio di me, pronta a togliere dal cilindro i miei lavori migliori, consapevole che, di lì a pochi istanti, sarebbe tutto finito, finalmente. Simona, come me, sembrava essere sull’orlo di una crisi di panico, nonostante cercasse di nasconderlo molto bene, dietro il trucco perfetto e l’abbigliamento da giornalista provetta, ma avevo cominciato a conoscerla un pochino e, quando se ne restava zitta ed immobile, era sinonimo di catastrofe.

Gli atleti rientrarono, i superstiti delle batterie precedenti con allenatori a seguito ed ognuno si posizionò davanti al proprio blocco di partenza, in attesa dell’apposito segnale, dell’inizio della vera finale.

Siamo una bella squadra, sai?”, mormorò, improvvisamente, Simona, guardando ovunque tranne che nella mia direzione.

Tu dici?”, le domandai, incredula delle sue parole.

Sì, se ci mettiamo d’impegno e lasciamo da parte il fatto che tu non sopporti me e viceversa, siamo una bella squadra”, confessò, lanciandomi uno sguardo con la coda dell’occhio. “Comincia!”, esclamò poi, non riuscendo più a nascondere l’ansia nella sua voce.

Mi voltai di scatto, notando tutti gli atleti in posizione, Travis compreso, ed improvvisamente il palazzetto divenne silenzioso, come se tutti fossero in attesa del fischio d’inizio.

Ed arrivò! Gli atleti partirono e si tuffarono in acqua, partendo con le bracciate e sferzando l’acqua, lasciandosela alle spalle.

Prima virata e tutti quanti, chi più chi meno, furono quasi allo stesso punto, poco distanti gli uni dagli altri. E Travis non era da meno, continuava a dare filo da torcere a chi cercava di distanziarlo.

Seconda virata e Travis è allo stesso livello del solito brasiliano, lo stesso che lo aveva battuto la stessa mattina, entrambi più distanti da tutti gli altri. La vera competizione era tra loro, tutti gli altri potevano scomparire.

Terza ed ultima virata, ultimi venticinque metri, ultima vasca prima della fine, ultimi momenti prima della tanto agognata fine della competizione. E loro erano sempre lì, sempre a pochi centimetri di distanza l’uno dall’altro, sempre in continuo cambiamento. Prima Italia, poi Brasile, di nuovo Italia ed ancora Brasile.

E continuavo a scattare, a catturare momenti, ad assistere alla gara tramite l’obiettivo della mia macchina fotografica perché, per quanto avrei voluto posarla a terra solo per un momento, sapevo che proprio quegli ultimi istanti non potevo lasciarmeli scappare

Ultimi metri, ultime bracciate e sentii Simona al mio fianco trattenere il respiro, farsi rigida per colpa di quel momento di agitazione ed ansia pura, liquida nelle sue vene quanto nelle mie. E probabilmente in quelle di tutti quanti nel palazzetto.

Ed il tempo non sembrava passare, sembrava tutto fermo, bloccato nel tempo, come se il fato si fosse fatto più bastardo e avesse voluto prolungare l’attesa e la nostra agonia, come se non bastasse il fatto che, per quella maledetta finale, avevamo dovuto aspettare giorni.

Ultimi istanti, ultimi secondi, l’ultimo paio di bracciate prima della fine, prima di toccare le piastrelle fredde del lato della piscina da cui erano partiti, ultimi momenti prima di decretare il vincitore.

Ah al diavolo le fotografie!”, esclamai, togliendomi la macchina fotografica dal viso.



*


Non odiatemi, vi prego! Vi prego non lanciatemi uova e pomodori marci, io vi voglio bene!
So di essere stata abbastanza perfida - limitiamoci ad "abbastanza", vah - a terminare un capitolo in questo modo, ma è stato un lampo che mi è arrivato il testa mentre finivo di scrivere il capitolo! Nota positiva: non vi ho fatto attendere mesi per un capitolo!
Sto migliorando, almeno...

Detto questo, ringrazio come sempre quelle bellissime anime che spendono minuti del loro tempo per recensire la mia storia! GRAZIE!
Ringrazio anche chi si limita a leggere, chi è arrivato da poco ed ha aggiunto questa storia tra le seguite/preferite/ricordate... GRAZIE ANCHE A VOI!

Spero che riusciate a lasciarmi qualche commento, così da sapere come mi sto comportando e come sta procedendo la storia nel suo insieme, ve ne prego!
Alla prossima e un abbraccio a tutte,
Chiara

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Capitolo 21
*** 20 - More Than a Feeling ***


Maya20




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Dannazione, ce l’ha fatta!”, riuscii a mormorare, prima che un boato mi entrò nelle orecchie. Come sempre il palazzetto era esploso in grida applausi, ovazioni, ma in nessuna delle precedenti occasioni c’era stata Simona ad unirsi alla massa, non c’era stato mio padre con il suo entusiasmo, non c’era stato gran parte del palazzetto unito sotto lo stesso tifo.

Travis era tra i favoriti, lo sapevo, ma non pensavo che sarebbe arrivato fino a quel punto.

Lo osservai per un momento guardarsi intorno, alla ricerca dei tabelloni dei punteggi e, solo dopo aver constatato di esserci riuscito, di aver conquistato il titolo di campione mondiale, lo vidi esultare e prendere a pugni l’acqua, schizzando chiunque nelle vicinanze, e sorridere come non lo avevo mai visto fare. E non si poteva fare altro che essere contagiati da quel sorriso, ed era tutto più che comprensibile perché, chiunque, sarebbe stato al settimo cielo, al posto suo, chiunque sarebbe stato così felice.

Avevo lasciato perdere tutto il resto, avevo preso tra le mani la macchina fotografica ed avevo immortalato il suo entusiasmo, la sua felicità ed il suo enorme sorriso quando incontrò lo sguardo di mio padre. Immortalai anche Claudio, l’orgoglio che traboccava dai suoi occhi – insieme a parecchie lacrime di gioia – la sua palese felicità davanti al successo del suo campione. Aveva conquistato un sogno, lo avevano fatto entrambi e non potei che essere felice – in un certo senso – per loro. Sapevo di non poter rendere tanto fiero mio padre, almeno non fino a quel punto, ma scacciai quel pensiero: quel giorno era solo per loro, le mie varie paranoie potevano attendere fino al ritorno in Italia.

Oh santo cielo, ce l’ha fatta”, gridò Simona, attirando l’attenzione di gran parte dei fotografi attorno a noi. “Maya, hai visto!? Travis ha vinto, ce l’ha fatta!”, esclamò ancora, non riuscendo a trattenere la felicità.

Lasciai perdere le espressioni imbambolate degli uomini accanto a noi, troppo occupata a capire il motivo di quell’improvviso abbraccio di Simona, probabilmente troppo esaltata dalla vittoria di Travis per avere un minimo di contegno. Al diavolo il contegno, per una volta, pensai. In quell’occasione praticamente tutto era ammesso.

Si, ho visto, Simona, non sono cieca”, risposi, ridendo.

Tutti gli atleti uscirono finalmente dall’acqua, ritornarono all’asciutto e non riuscii a trattenere una risata quando vidi Travis arrivare da mio padre ed abbracciarlo, sollevandolo per un momento da terra. Non mi lasciai scappare quell’occasione, scattai all’impazzata, catturando ogni particolare, ogni risata, ogni lacrima che continuava a scendere sul viso di mio padre, ogni sorriso, tutto. Scattai ancora, quando il brasiliano secondo classificato andò da Travis per stringergli tranquillamente la mano, facendogli – probabilmente – le congratulazioni. Poi il campione si voltò ancora verso il suo allenatore, verso Claudio e sorrise ancora una volta, sorrise come se non ci fosse altro da fare e riservò lo stesso trattamento a Roberto, quando li raggiunse, abbracciandolo di getto e sollevandolo da terra per un momento con una facilità incredibile.

La superstar ce l’aveva fatta, in un modo incredibile, con una gara da cardiopalma, ma ce l’aveva fatta davvero, era diventato campione.

E adesso chi lo sopporta più, pensai senza riuscire a nascondere un sorriso.

 

Arrivò il momento delle cerimonie, dell’incoronazione – chiamiamola così – dei campioni di quella giornata e, finalmente, il turno della premiazione di Travis.

E fu un’emozione indescrivibile l’Inno di Mameli, ascoltarne la forza e la potenza, vedere l’emozione di Travis mentre ne cantava ogni parola, la sua espressione felice e come, con estremo orgoglio, indossava la medaglia d’oro sopra la divisa italiana. Così fotografai ancora, fermamente decisa a non voler perdere un’occasione simile. Scattai fino a quando ne ebbi la possibilità, colpa anche della massa di fotografi che premeva per farsi avanti, per avere una visuale migliore. Nemmeno la presenza di Simona serviva a qualcosa, quel momento era troppo prezioso per lasciarselo scappare, ma ero sempre stata una combattente e non mi lascai intimidire, così cercai di mantenere la mia postazione, perfetta per avere un’inquadratura meravigliosa del podio.

L’Inno arrivò alla sua fine, così come seguirono le ovazione e la serie infinita di applausi e vidi Travis scagliare un pugno al cielo, in segno di vittoria, con un enorme sorriso ad occupagli le labbra, così immortalai anche quel momento, quell’attimo in cui tutto sembrava perfetto. E sapevo che sarebbe stata un’immagine meravigliosa per quel maledetto articolo, sapevo che sarebbe stata perfetta.

 

Finite le premiazioni, tutto l’entusiasmo scemò, insieme ai fiumi di persone che continuavano a spingere per poter uscire dalla struttura.

Simona ed io attendemmo, insieme a Michele e Luca, l’arrivo degli ultimi componenti del team, Travis e mio padre compresi, così da poter tornare in albergo tutti insieme. La bionda, per tutta l’attesa, non fece altro che parlare di come quella sera avremmo dovuto festeggiare, prima della partenza del giorno seguente. Ed insisteva, aveva cercato di convincere i due ragazzi che erano con noi – ed ovviamente ci era riuscita senza il minimo sforzo – per poter passare una serata tranquilla, bevendo qualcosa in un locale che lei stessa aveva adocchiato un paio di giorni prima.

Come avesse fatto ad adocchiare un locale del genere, poi, restava un mistero.

Ed ovviamente aveva costretto anche me, dicendomi che almeno un’altra figura femminile sarebbe servita, altrimenti lei si sarebbe sentita sola in mezzo a tutti questi ragazzacci, come aveva detto lei. Sì, certo.. avrei potuto anche restare con la testa sotto la sabbia per un mese che, lei, non se ne sarebbe minimamente accorta.

Finalmente arrivarono anche mio padre, Roberto e Travis al seguito, dopo aver risposto ad alcune domande dei giornalisti italiani in trasferta a Doha.

Ed ecco la nostra superstar!”, esclamò Luca, in tono quasi sprezzante.

Ed io quasi scoppiai a ridere quando lo sentii chiamare Travis in quel modo: una coincidenza davvero incredibile. E probabilmente venne in mente la stessa cosa anche a lui perché, in un attimo, trovò il mio sguardo e mi scrutò leggermente infastidito.

Lasciai perdere le sue paranoie ed osservai per un momento la medaglia lucente che ancora portava al collo. Penso che, se avesse potuto, se la sarebbe fatta cucire al petto, così da poterla mostrare a tutto il mondo, insieme ai suoi pettorali scolpiti, ovviamente. Se doveva comportarsi da prima donna, doveva farlo per bene, come minimo.

Lasciai perdere in un attimo le mie teorie, non appena sentii Simona correre verso il vincitore della giornata e saltargli praticamente addosso, gettandogli le braccia al collo. Partì con così tanta velocità che fu addirittura in grado di spostarmi i capelli dal viso. Assurdo.

Complimenti Travis”, esclamò Simona, all’improvviso, con la sua vocina squillante. Non invidiai per nulla la superstar, in quel momento: probabilmente aveva perso la completa funzionalità del timpano sinistro. “Ne ero sicura, sapevo che alla fine avresti vinto tu! Era scritto nel destino!”, continuò, ancora ancorata alle spalle di Travis.

Scritto? Nel destino.. ma siamo seri!?

Osservai la scena con un sopracciglio sollevato, non riuscendo a capire da dove potesse aver sentito una stronzata del genere, Simona. Sapevo che non c’era tutta con la testa, che nonostante fosse un asso nel suo lavoro fosse davvero strana, ma non pensavo che sarebbe arrivata fino a quel punto.

Sentii Michele trattenere una risata e, colta da un’improvvisa voglia di complottare alle spalle altrui, mi avvicinai a lui. “Ed io che pensavo che il cloro potesse far male solamente a voi nuotatori”, gli mormorai, in modo che sentisse solamente lui.

Deve averne respirato una dose massiccia senza che noi ce ne accorgessimo”, rispose lui, sempre con lo stesso tono cospiratorio, facendomi sorridere divertita. Era simpatico, per essere praticamente un ragazzino, e se ne restava tranquillamente sulle sue, senza ostentare il fatto che un giovane come lui fosse ad una competizione importante come quella. Ed era spiritoso, senza troppi sforzi.

Sollevai lo sguardo, continuando a ridere per la simpatia di Michele, ed incontrai gli occhi di Travis, con ancora Simona tra le braccia.

Cos’era quello? Risentimento!?

Mi sforzai di capire cosa potesse passare per la testa a quel ragazzo, dato che, dopo una vittoria del genere, non avrebbe dovuto pensare ad altro che alla medaglia che portava ancora al collo, ma era come fare un buco nell’acqua. Era inutile cercare di capire i suoi pensieri, completamente inutile.

Bene ragazzi, io direi di tornare in albergo e festeggiare”, saltò su mio padre, attirando l’attenzione di tutti, ma non quella di Travis, che continuava a scrutarmi come se volesse scorticarmi viva.

Ma che diavolo gli prende!?

Cercai di ignorarlo, così seguii mio padre mentre si dirigeva verso l’uscita e lo presi sottobraccio, facendogli i complimenti per il successo ottenuto. Meglio ignorare quella superstar in piena sindrome premestruale, sì.

Complimenti papà”, gli dissi, raggiante. Ero contenta per lui, assolutamente! Dopo tanto tempo si meritava una vittoria del genere: non potevo nemmeno immaginare cosa si potesse provare, ma sapevo che era fiero di sé stesso, di Travis e del lavoro che avevano fatto insieme, perché alla fine ci erano riusciti, avevano vinto ed erano riusciti a sbaragliare la concorrenza.

Grazie, piccola”, rispose lui, con il sorriso da un orecchio all’altro, lasciandomi un bacio sulla fronte. “Non puoi immaginare la mia felicità, in questo momento. Questa sera dobbiamo festeggiare”, continuò, leggermente su di giri.

Scoppiai a ridere, vedendolo così ostinato a far festa, abituata com’ero a vederlo sempre tranquillo e sereno nelle sue serate, il più delle volte sul suo divano di casa.

Prendemmo i taxi, finalmente, e ci dirigemmo verso l’albergo con calma, colpa del traffico che si era formato all’uscita del palazzetto, ma dopo quella che mi parve una vita, finalmente arrivammo.

Ci eravamo dati appuntamenti una mezzora dopo al ristorante dell’hotel per cenare finalmente tutti insieme e festeggiare i successi e la fine del campionato, così riuscii anche ad avere il tempo di concedermi una doccia veloce. Quell’intera giornata dentro al palazzetto mi aveva sfinita e tutte le urla dell’ultima ora mi avevano mandato il cervello in pappa come se niente fosse.

Decisi di vestirmi bene, quella sera, o meglio del solito, dipende dai punti di vista. Non ero mai stata quel tipo di ragazza che alla prima occasione indossava vestiti alla moda e tacchi vertiginosi per farsi notare, avevo sempre preferito la comodità e fu così anche quella sera: i miei migliori jeans stretti, una blusa elegante verde acqua e l’unico paio di decolté nere a tacco dodici che avevo avuto il coraggio di portarmi dietro, con la speranza che non ci sarebbe stata occasione di indossarle.

Tornai al piano terra, dirigendomi al ristorante, stranamente puntualissima, e cercai con lo sguardo qualcuno della combriccola, ma trovai solamente la chioma bionda di Simona, intenta a chiacchierare – o meglio, flirtare – con uno dei camerieri nelle vicinanze.

Strabuzzai gli occhi non appena la riconobbi. Fasciata da un meraviglioso tubino nero che le arrivava molto sopra il ginocchio, scollatura vertiginosa ed un paio di magnifici sandali rosso fuoco. L’outfit da prostituta aveva fatto il suo grande ritorno, da prostituta di alto rango, tra l’altro.

Mi avvicinai a lei e, non appena si rese conto della mia presenza, liquidò il cameriere come se nulla fosse accaduto. E non bastava la sua incredibile altezza a farmi sentire un nano da giardino, in più indossava tacchi a spillo chilometrici e, nonostante li indossassi anche io, la differenza faceva spavento.

Accantonai le mie congetture nel momento stesso in cui vidi arrivare mio padre affiancato da Roberto, ovviamente, ed attendemmo con loro l’arrivo degli ultimi tre ritardatari. Mi avvicinai a mio padre, probabilmente per non sentirmi troppo in imbarazzo a fianco ad un colosso come Simona, così lasciai che la bionda cominciasse a chiacchierare tranquillamente con Roberto.

E dopo alcuni minuti finalmente arrivarono anche le tre superstar di turno, nemmeno fossero i Tre Moschettieri, e ci raggiunsero non appena ci videro.

Ah..

Rimasi un attimo senza parole, con la mente in panne, quando li vidi arrivare tutti insieme, di una bellezza incredibile. Ognuno aveva i suoi particolare da valorizzare e, quella sera ci erano riusciti tutti alla perfezione e probabilmente senza il minimo sforzo.

Forza ragazzi, sto morendo di fame”, esclamò Roberto, quando notò la presenza dei tre nuotatori, salvandomi in corner da una figura probabilmente pessima. La mascella sarebbe potuta cadermi a terra, come una perfetta idiota.

Ci incamminammo verso il nostro tavolo, accompagnati dallo stesso cameriere con cui, poco prima, Simona stava tessendo pubbliche relazioni e ci accomodammo, io tra mio padre – a capotavola – e Michele, che mi sorrise tranquillamente.

Cominciarono a chiacchierare tutti quanti tranquillamente, di come era andata la giornata, di cosa poteva andare meglio e del successo della superstar di turno. Li vedevo fin troppo presi dai loro discorsi per impicciarmi, così me ne restai in silenzio facendo vagare lo sguardo per la sala ristorante dell’albergo, senza soffermarmi su nulla in particolare.

Me ne sarei andata tranquillamente, io, che in quel tavolo ero decisamente di troppo. Simona, ogni tanto, saltava su con qualche suo parere e si immetteva nella conversazione, mentre io non sapevo da che parte farmi senza sembrare fuori posto. Osservai per un momento tutti i componenti del nostro gruppo, uno ad uno, studiando le loro espressioni ed i loro volti, notando particolari che, prima, non avevo mai notato. Per esempio, quanto Roberto dovesse essere più giovane di quanto credevo e di come, la sua postura scomposta sulla sedia, lo rendesse ancora più giovanile. Nemmeno sapevo quanti anni avesse, nonostante lo conoscessi da tempo. Oppure quanto gli occhi cristallini di Luca sembrassero quasi trasparenti, dello stesso colore delle piscine in cui erano stati fino a qualche ora prima. E la semplicità di Michele rispetto ai suoi due compagni di squadra: si notava fin troppo bene quanto fosse più giovane, più bambino rispetto a Luca e Travis, quanto l’indole del nuotatore tanto arrogante quanto sfacciato non lo avesse ancora contagiato. E mi sarebbe dispiaciuto per lui, probabilmente, se fosse diventato come gli altri perché lo vedevo molto come un faro di speranza in mezzo al nulla.

Lasciai perdere i miei pensieri nel momento stesso in cui arrivarono – finalmente – le nostre ordinazioni, interrompendo tutti gli inutili discorsi del resto del gruppo. Il cibo che ci si era presentato davanti agli occhi risultava molto più accattivante di un paio di chiacchiere vuote. Ma questo non fermò Simona, ovviamente! Perché lei trovava sempre il modo di cominciare una semplice conversazione, anche nel momento più sbagliato in assoluto, quando sarebbe bastato un piccolo silenzio per accompagnare il pasto.

Volevo levare le tende al più presto!

Cosa farete, dopo, ragazzi?”, chiese mio padre, ignorando il chiacchiericcio della bionda.

Dopo quando!?”, saltò su, lei, improvvisamente interessata da quel cambio di direzione.

Dopo cena, ovviamente”, continuò, mio padre. “Non vorrete restarvene in albergo anche questa sera!? Dovete festeggiare, almeno voi giovani”.

Dove diavolo era finito il piccolo silenzio che tanto agognavo, poco prima? Dove si era cacciato, lui, quel maledetto?!

Non abbiamo ancora deciso, Claudio”, intervenne Travis, continuando a gustarsi la sua grigliata di pesce. “Abbiamo sentito di un locale non molto lontano da qui, ma non c’è nulla di certo”.

Oh si, andiamo! Magari è lo stesso locale che avevo addocchiato”, esclamò la biondina, ormai carica come una molla. Nessuno la avrebbe più fermata, e lo avevano capito tutti quanti. “Dobbiamo assolutamente festeggiare, sia la fine delle competizioni che il successo di Travis, ovviamente”, aggiunse, quasi facendo le fusa sul tavolo. Avrebbe avuto bisogno di qualche ripetizione di galateo, lei, che faceva tanto la diva di Hollywood, ma che al primo ammasso di muscoli ben piazzati si squagliava come un gelato al sole.

Era a dir poco irritante, soprattutto notare come, tutti gli uomini al tavolo, parvero rapiti da quel suo comportamento da gatta morta.

Dov’è chi preferisce il cervello ad un paio di gambe lunghe?

Certo che ci andremo, Simona”, sorrise Luca, sistemandosi sulla sedia. “Ho bisogno di bere qualche cosa”.

Si, ma non esagerate, ragazzi, vi devo riportare in Italia sani e salvi”, lo ammonì Claudio, comportandosi da padre per tutti quanti. “Sai, dovresti andare anche tu, Maya”, aggiunse, lasciandomi di stucco.

Mi chiesi se stesse seriamente scherzando. Perché non poteva davvero pensare che avrei accettato una cosa del genere, una serata insieme ad una mini setta di idioti che ragionavano con tutto tranne che con la testa. E per tutto, intendo tutto.

Lo fulminai con lo sguardo, mio padre, per ricevere in cambio solamente un sorriso angelico.

Oh si, dovresti venire, Maya”, esclamò ancora, Simona, dall’altra parte del tavolo. “Non mi vorrai mica lasciare da sola con tutti questi ragazzi”, aggiunse, maliziosa. E quasi mi venne da vomitare.

Sì, come se l’idea non ti allettasse”, mormorai, più a me stessa che a lei, facendo andare di traverso l’acqua a Michele, al mio fianco, l'unico che era stato in grado di sentirmi.

Già, Maya, non vorrai lasciare sola con noi la tua povera collega”, saltò su Travis, che fino a quel momento era rimasto buono al suo posto. E avrebbe potuto farlo ancora.

Aveva uno strano sorriso stampato in faccia, enigmatico, quasi diabolico, e non potei fare a meno di chiedermi che cosa avesse in testa in quel momento.

 

Nemmeno me ne resi conto e la cena finì in un batter d’occhio. Ed ovviamente tutti quanti mi avevano pregato di andare a festeggiare con i giovani del gruppo, tutti quanti si aspettavano da me la stessa disponibilità che Simona amava tanto ostentare.

Un passo per volta. Bevuta accettata, giusto dieci minuti in compagnia per non sembrare troppo scortese, poi sarei tornata in albergo simulando un incredibile mal di testa.

Era un piano perfetto, il mio, e lo escogitai alla perfezione durante il tragitto a piedi che facemmo per raggiungere il locale. Maledetta me e la mia stupida idea di indossare i tacchi, quella sera.

Avevano deciso di andare in un locale troppo in, per i miei gusti. Crystal, ecco come si chiamava il buco d’inferno in cui mi avevano costretta ad andare. Con gente che nemmeno mi piaceva, tra l’altro.

Musica troppo alta – e musica orribile, tanto per cambiare – fiumi di gente che nemmeno avevano un posto a sedere e che, per la maggior parte, erano già abbondantemente ubriachi. E non era nemmeno passata la mezzanotte.

Si vedeva davvero poco, lì dentro, con quelle luci soffuse per fare atmosfera. A fatica riuscivo a distinguere le figure dei nuotatori davanti a me che cercavano di farci strada tra la gente. Era un compromesso tra una discoteca ed un cocktail bar, troppo piccolo per poter essere una buon’idea.

Non so in quale modo, ma riuscimmo a trovare un posto per sederci, in un angolo vicino alla minuscola pista da ballo. Un tavolino al centro di un divanetto ad U, molto striminzito anche solo per ospitare cinque persone. Che poi, tre di questa persone, fossero nuotatori professionisti con fisici statuari e decisamente più alti della media, era assolutamente irrilevante.

Come facciamo ad ordinare da bere?”, gridò Simona, cercando di farsi sentire sopra il livello della musica, aggrappata ad un braccio di Travis.

Perché risultava sempre fastidiosa, quella ragazza? Per quale stupido motivo, eh?

In fin dei conti, quel giorno al palazzetto non era stata male. Sarà stato l’abbigliamento da prostituta e la sua svenevole disponibilità, sì, certo.

Vado a cercare un cameriere o qualcosa del genere”, rispose Michele.

Non poteva abbandonarmi, non lui che mi sembrava l’unico con una qualche specie di cervello, non lui che sembrava quello normale tra tutti.

Cercò di defilarsi e di passare in mezzo alla quantità incredibile di persone che continuavano a passarci accanto. Mi aveva lasciato nella vasca degli squali, in un certo senso, e glielo avrei rinfacciato a vita, probabilmente.

Ci accomodammo, in attesa, ed ovviamente ebbi la sfortuna di capitare davanti a Travis e Simona che, ovviamente, ancora non aveva allentato la presa sul braccio del ragazzo. Probabilmente, continuando di quel passo, si sarebbero fusi insieme e l’elevata temperatura nel locale era decisamente a loro favore.

Lasciai un’occhiata a Luca, poco distante da me, e lo trovai intento a fissarmi fin troppo intensamente, quasi volesse mangiarmi viva.

Ma che razza di problemi aveva anche lui!?

Simona cominciò a parlare, con voce fin troppo alta, nonostante il volume elevato della musica, ma tutta la sua attenzione era rivolta a Travis, a cui continuava a stare fin troppo attaccata.

Ma riusciva a respirare, per caso, Travis?

E lui mi sembrava addirittura interessato. Certo, ero sicura che una scopata con Simona non gli sarebbe dispiaciuta per nulla, ma era davvero squallida, quella scena. Chi era di bella presenza finiva sempre con chi era altrettanto di bella presenza, il solito stupido cliché. E faceva quasi vomitare.

Soprattutto il modo in cui Simona continuava a muoversi e ad atteggiarsi da gatta in calore, con la sua mano poggiata sul ginocchio di Travis e gli occhioni maliziosi. Uno schifo.

Finalmente arrivò Michele, seguito da un cameriere che, in un batter d’occhio prese le nostre ordinazioni e si defilò.

Mi spostai leggermente verso il centro del divano, facendo spazio a Michele e, purtroppo, avvicinandomi a Luca più del dovuto.

Eravamo tutti fin troppo vicini, tranne ovviamente Simona e Travis che avrebbero fatto prima a prendersi una stanza e levarsi di torno, almeno ci avrebbero risparmiato quello spettacolo disgustoso.

Tornò il cameriere, tutto trafelato, con un vassoio stracolmo di bicchieri tra le mani, cercando di farsi strada per arrivare fino a noi e ci consegnò tutte quante le bevande, insieme allo scontrino che avremmo dovuto consegnare alla cassa.

Non esitai un momento ad afferrare il  mio Negroni e a cominciare a berlo. Tutto solo per levare le tende il prima possibile, avevo resistito fin troppo. ed eravamo praticamente appena arrivati.

Michele e Luca cominciarono a parlare tra loro ed io mi sentii quasi come il miglior terzo incomodo, tra la coppia di amici che mi era accanto e la coppia di amici di letto che avevo davanti.

Cominciai a domandarmi come Travis potesse comportarsi in quel modo. Se non mi ricordavo male, nemmeno gli piaceva, Simona, eppure sembrava fare le fusa tanto quanto lei. avevano smesso di gridare per riuscire a parlarsi ed erano passati ai sussurri alle orecchie ed io non potei fare a meno di innervosirmi ancora di più.

Ma che mi stava prendendo? Era l’effetto dell’alcool, sicuramente.

Perché non poteva davvero infastidirmi quello che avevo davanti. Insomma, saranno stati pure affari loro, no? Chi se ne importava se Simona aveva cominciato a premere sull’acceleratore, baciando il collo di Travis e cominciando a risalire con la mano che aveva sul ginocchio. Chi se ne importava di Travis e del suo braccio stretto sulle spalle di quella ragazza. Chi se ne importava se finivano a letto insieme, quella sera. E non appena lo sguardo offuscato di Travis incontrò il mio mi resi conto di come avrei dovuto andarmene da quel posto, di come sarei dovuta tornare in camera mia.

Buttai giù l’ultimo sorso del mio cocktail, cominciando a sentire la testa girare, ma non ci feci caso. Volevo e dovevo andarmene da quel posto, altrimenti avrei cominciato a lanciare bicchieri come fossero coriandoli.

Ragazzi, io torno in albergo”, dissi a Luca e a Michele, interrompendo i loro discorsi. “Questa musica mi sta mandando in tilt il cervello”, aggiunsi, alzandomi dal divanetto ed attirando l’attenzione di tutto l’intero tavolo.

Incredibile, ma vero, avevo interrotto il perfetto idillio dei due piccioncini.

Sicura di non voler restare?”, mi domandò Simona, lasciandomi impietrita.

Si, Simona, non sono mai stata sicura di nulla come in questo momento”, le risposi, fulminandola con lo sguardo. Non poteva davvero essere così ottusa.

Allora ti accompagniamo, Maya”, sbraitò Luca, facendosi sentire sopra il volume della musica, alzandosi a sua volta e facendo un segno con il capo a Michele. “Fare da candela non è tra le mie aspirazioni”, aggiunse, sorridendo.

Non era stato discreto, non aveva fatto in modo di far ascoltare quella frase solamente a me e a Michele, aveva urlato come se nulla fosse e, la frecciatina, non era passata inosservata a Travis che aveva cominciato ad osservarci infastidito. Ed io avrei voluto tanto fare una standing ovation a Luca, per questo.

Ma poi, anche lui, quanto era altalenante?

Si, meglio levare le tende, amico”, saltò su Michele, ridendo di gusto.

Perfetto. Avevo trovato anche gli accompagnatori perfetti per il viaggio di ritorno che mi avrebbero aiutata a non cascare a terra per colpa dell’alcool!

Ci abbandonate tutti, ragazzi!?”, esclamò ancora, lei, continuando a restare avvinghiata al suo nuotatore. “Dovevamo festeggiare tutti insieme”, continuò, lamentandosi.

Se voi volete continuare a festeggiare, fate pure e prendetevi una stanza nel rispetto della pubblica decenza, almeno, noi ce ne andiamo”, ribattei, inacidita dall’alcool che avevo in corpo, avviandomi verso l’uscita, lasciando perdere lo sconcerto negli occhi di Travis.

Uscimmo da quel locale a forza di spintoni, lasciando perdere i commenti di chi aveva avuto la sfortuna di scontrarsi con noi, e quasi tornai indietro nel tempo, a qualche ora prima, al palazzetto, quando sembrava di dover andare in guerra per ottenere una postazione decente per fotografare. Solamente quando fummo all’aria aperta ricominciammo respirare davvero; era troppo caldo, in quel locale, troppo piccolo per contenere una folla simile e non potei fare a meno di tirare un sospiro di sollievo quando mi ritrovai fuori di lì.

Finalmente”, mormorai, cominciando a seguire Luca e Michele verso l’albergo.

Cominciava a diventare imbarazzante”, scherzò Luca, grattandosi il capo.

Anche troppo, per i miei gusti”, rispose Michele, ridendo di gusto.

Ed io che pensavo che a voi ragazzi potesse piacere uno spettacolo simile”, ridacchiai, prendendo entrambi sottobraccio. La testa girava senza sosta e sentivo di aver bisogno di un appiglio a cui aggrapparmi per evitare di crollare a terra.

Oh ti prego”, esclamò Luca, lanciandomi un’occhiata dubbiosa. “Vanno bene moine del genere, a volte, ma non in un locale pieno di gente e soprattutto se si è in compagnia”, concluse, con tutte le ragioni dalla sua parte.

E soprattutto se quella ragazza ha una risatina da far accapponare la pelle”, aggiunse, dopo alcuni istanti, Michele, scatenando le risa di tutti.

Ed aveva ragione anche lui, dannazione. Perché la risatina sciocca di Simona era qualcosa di orripilante e, invece, lei sembrava usarla come arma di seduzione. Assurdo.

Continuammo per la nostra strada, parlando del più e del meno ed io fui costretta a giustificare quell’improvviso contatto che avevo cercato da entrambi e, quando finii di parlare, entrambi i ragazzi non si risparmiarono commenti e frecciatine, ovviamente.

Ti sei scolata tutto peggio di alcolista”, rise Luca.

Sicura che fosse solamente la musica ad infastidirti, Maya?”, domandò poi, Michele, all’improvviso, facendomi sussultare.

Ma certo che era solo per la musica, per cos’altro, altrimenti!?

Nemmeno mi aveva sfiorato il comportamento da prostituta d’alta classe di Simona, assolutamente. Mi sentivo superiore a tutto questo, non poteva essere stata che la musica ad infastidirmi, sì.

Oh ti prego, non essere ridicolo”, minimizzai, cercando di lasciar cadere il discorso. “Certo che era la musica, sempre se è possibile definirla tale”.

Allora le occhiatacce a Simona erano solamente un caso”, continuò lui, non demordendo e scrutandomi attentamente. Certo che era un osso duro, lui.

Certo, solamente un caso”, ribattei, facendo l’indifferente. “Un caso dovuto al mal di testa”.

Ci furono alcuni momenti di silenzio, dove c’erano solamente i rumori della città ed il chiacchiericcio dei passanti a fare da sottofondo, e continuammo a camminare tranquillamente verso l’albergo che cominciava a scorgersi alla fine della strada.

Chissà perché, ma non ti credo”, continuò il ragazzino, quando fummo davanti all’hotel.

E nemmeno io”. Ed ecco Luca, arrivato per dare man forte.

L’alcool non ha dato fastidio solamente a me, ragazzi”, dissi, ridendo e cercando di convincere me stessa.

Ci stavo provando con tutte le forze.

 

Mi accompagnarono entrambi alla mia stanza, per paura che, tutta intera, non ci arrivassi, che inciampassi in qualche cosa di inesistente e che potessi addormentarmi nel corridoio dell’albergo. Certo, ero leggermente brilla, ma non fino a quel punto. Le mie facoltà mentali erano ancora intatte. Leggermente scandalizzate dallo spettacolo a cui avevano assistito un po’ di tempo prima, certo, ma completamente intatte.

Erano stati carini, Luca e Michele, e per un momento avevo avvertito la sensazione di poter davvero diventare amica, con quei due. Anche Luca, quando voleva, sapeva essere simpatico e persino divertente, senza risultare pesante.

Michele già l’adoravo, per la sua semplicità e per la sua bravura nel dire le cose in faccia, senza filtri né mezzi termini. Con lui sarei potuta assolutamente essere amica.

Entrai nella mia stanza, chiudendomi la porta alle spalle e poggiando un momento la schiena ad essa, tirando un enorme sospiro di sollievo.

Quasi non ci potevo credere, ma quell’avventura era giunta finalmente al termine. Il mattino dopo saremo tornati in Italia e, per un bel po’ di tempo, di nuoto non ne avrei sentito parlare. Stop con l’acqua delle piscine, stop al cloro e, soprattutto, stop ai nuotatori egocentrici.

Per un po’ di tempo ci sarei stata solamente io, Maya, con un po’ di buona musica e quel pacchetto di biscotti che mi aspettava a casa. Non avrei avuto tempo per nessuno, se non, forse, per mio padre.

Tolsi finalmente quella tortura che erano diventati i miei tacchi e quasi mi venne da urlare per la sensazione di sollievo che avvertii non appena i miei poveri piedi toccarono terra. Era stata una vera e propria tortura, quella serata, e le maledette scarpe che avevo scelto di indossare non mi avevano semplificato nulla.

Dovevo darmi una rinfrescata. In quel locale si soffocava e, inoltre, dovevo scacciare un po’ la sensazione di capogiro che ancora non mi aveva abbandonata.

Benedetto sia il minifrigo che avevano messo in camera! Decisi di prendere uno yogurt, giusto per ingerire qualche cosa prima di andarmene a letto e, nel frattempo, feci una sosta in bagno per rinfrescarmi.

Non ne potevo davvero più. Quella città mi aveva stancata e cominciavo a non sopportare quel caldo tanto assurdo per essere dicembre. Volevo il freddo, volevo la pioggia e volevo il mio appartamento.

Cominciavo a sentire davvero la mancanza di casa mia, del mio angolo personale, nonostante Doha non fosse tanto male come città. Ma, in quel momento, avevo bisogno di Italia.

Finii il mio spuntino di mezzanotte e lo cestinai all’istante, dirigendomi verso il letto per recuperare quella maglia sproporzionata che avevo usato come pigiama, ma venni fermata da alcuni colpi frettolosi alla porta, e lì, proprio in quel momento, avrei voluto tanto uccidere in malo modo chiunque fosse stato in corridoio.

Era passata da un bel pezzo l’una e, nel giro di qualche ora, sarei dovuta essere già in piedi per poter andare con tutta la combriccola all’aeroporto, quindi avevo bisogno di ore di sonno perché sapevo già che, in aereo, non avrei dormito per niente.

Ed il nervosismo non fece che aumentare quando, dopo aver aperto la porta, mi resi conto di avere di fronte una delle ultime persone con cui avrei voluto parlare in quel momento.

Che cazzo ci fai qui?”, esclamai, senza darmi un contegno.

Ciao anche a te, scaricatrice di porto”, rise, lui, l’idiota che era venuto a disturbarmi. Ed entrò pure nella mia stanza, facendomi scansare per avere il passaggio libero.

Travis è tardi, maledizione, tra poche ore partiremo ed io voglio dormire”, mi lamentai, continuando a tenere la mano sul pomello della porta. Doveva andarsene e doveva farlo in fretta.

Quanto sei noiosa”, disse, alzando gli occhi al cielo e chiudendo di sua iniziativa la porta. “Sono qui solo per parlare un momento, farò presto”.

Parlare?”, chiesi, allibita. “Non possiamo rimandare questo a domani mattina? Abbiamo infinite ore in aereo per parlare, se proprio dobbiamo”.

Era davvero assurdo che volesse parlare, proprio in quel momento. E poi, dove aveva cacciato Simona?

Sicuramente nel suo letto che lo attendeva a gam-cioè, braccia aperte.

Sì, stavo delirando e, sì, ne ero perfettamente consapevole, ma non sapevo davvero cosa pensare. Lo avevo visto, fino a nemmeno un’ora prima, tutto avvinghiato alla bionda, ma in quel momento aveva avuto addirittura di presentarsi in camera mia per parlare.

Lo avrei preso a schiaffi. Magari con i tacchi che giacevano a terra a poca distanza da me.

Farò presto, lo prometto”, sospirò, incrociando le braccia al petto, con aria scocciata.

Era lui, quello annoiato. Addirittura.

Che problemi hai?”, mi chiese, quasi fulminandomi con gli occhi.

Se non fosse stata attaccata al cranio, probabilmente, mi sarebbe cascata la mascella per terra per lo sconcerto. Perché non poteva chiedermi davvero una cosa simile, non poteva avere avuto la presunzione di presentarsi in camera mia, ad un orario indecente, domandandomi quali problemi avessi. Non poteva essere tanto stupido.

Scusami?”, chiesi, allibita. “Ma sei serio? Ti presenti alla mia porta quasi alle due di notte e chiedi a me quali problemi ho? Ti sei mai fatto un esame di coscienza, Travis!?”.

Un esame di coscienza? Non sono stato io quello che ha rovinato la serata e non sono stato io quello che se ne è andavo via dopo nemmeno dieci minuti, Maya. Forse dovresti essere tu a farti questo esame”, ribatté a tono, facendo quasi l’offeso.

Si stava comportando come un bambino, ecco qual era la verità, e cominciavo a ricredermi davvero sulla giornata precedente che avevamo passato assieme.

Doveva aver preso troppo sole oppure bevuto troppa acqua con il cloro.

Fermati, Travis, non peggiorare la situazione”, dissi, avvicinandomi di un passo, sentendo il sangue cominciare a scaldarsi per la rabbia. Perché, sì, ero arrabbiata ed avrei voluto sbatterlo fuori dalla stanza a calci. “Se vogliamo metterla su questo piano, non sono stata io a cominciare a tubare con la prima bionda che mi si è seduta accanto, non sono stata io a rendere la situazione pesante nonché imbarazzante, ma tu nemmeno te ne accorgi. Ti è tutto dovuto, certo, e nemmeno ti accorgi quando sbagli perché sei convinto di essere sempre nel giusto. Ma sai una cosa?” , gli domandai, con le mani tremanti. “Commetti una stronzata dietro l’altra e, probabilmente, la tua vittoria è stata solamente un colpo di fortuna”, conclusi, quasi con il fiatone.

Sapevo di aver esagerato, e lo capii dal suo sguardo infuocato ed arrabbiato, perché sapevo quanto si era impegnato e, in parte, quello che avevo detto non era vero. Ma lui non era l’unico ad essere arrabbiato, perché qualche cosa doveva essere concessa pure a me e, sentendomi attaccata per qualcosa che non avevo assolutamente fatto, avevo perso il lume della ragione ed avevo risposto ad istinto.

Davvero pensi questo?”, mi chiese, quasi sibilando. “Che abbia finto per pura fortuna?”.

Cercai di calmarmi un momento, perché sapevo di averlo colpito nel profondo, in un certo senso, e non volevo peggiorare la situazione. Ero stanca e volevo dormire, quindi la cosa migliore che potessi fare era alzare bandiera bianca e farlo uscire dalla mia stanza.

No che non lo penso, Travis”, sospirai, infine, massaggiandomi le tempie e chiudendo gli occhi. Il capogiro era tornato in un batter d’occhio. “Ma non puoi comportarti in questo modo, da ragazzina isterica e piombare alla mia porta a quest’ora”, conclusi, aprendo gli occhi e trovandolo più vicino di qualche passo. Ormai erano giusto un paio di metri a separarci.

Allora perché lo hai detto?”, continuò, lui, deciso a non demordere.

Perché ne ho le palle piene di questo posto e di questa storia, perché sono stanca e perché non vedo l’ora di tornarmene a casa”, risposi. “Semplicemente questo”.

Però non posso sempre portarti all’esasperazione per poter avere un po’ di sincerità”, e si avvicinò ancora a me, scrutandomi attentamente e bruciando quella poca distanza che ancora ci separava.

Ed improvvisamente mi sentii in pericolo, sentii troppi campanelli d’allarme nella, mia mente, suonare contemporaneamente. Dovevo congedarlo all’istante.

Non avevo capito una singola parola di quello che mi aveva appena detto, era sempre stato fin troppo criptico, ma in quel momento aveva superato sé stesso.

Ti rendi conto delle assurdità che stai dicendo?”, domandai, continuando a restare sull’attenti. Da uno come Travis potevo aspettarmi qualunque cosa.

Lo vidi ridere di gusto e cominciai a pensare che, probabilmente, era impazzito completamente e nemmeno se ne era reso conto. “Forse sì, forse no”, rispose, sorridendo e passandosi una mano tra i capelli.

Bene, ora potresti anche andartene”, gli feci notare, incrociando le braccia la petto. “Sono stanca e voglio andare a dormire”.

Sì, ora me ne vado”, mormorò, continuando ad osservarmi attentamente, non riuscendo a capire cosa stesse scrutando con tanta insistenza. “Solo un’ultima cosa, e probabilmente tu mi riproporrai la stessa domanda di prima, ma devo chiedertelo: quando comincerai a lasciarti andare?”.

Sì, era completamente impazzito, altrimenti quelle sue domande sconnesse non avrebbero avuto alcun senso. Doveva aver perso il senno, senza ombra di dubbio, e cominciava davvero a preoccuparmi, perché risultava ancor di più imprevedibile ed io non sapevo proprio come comportarmi.

Che cosa stai dicendo, Travis?”, gli chiesi, restando sulla difensiva.

Non hai visto, prima? Devo farti incazzare e perdere la pazienza per farti parlare sinceramente, devo sempre portarti al limite ed io mi sono stancato, davvero”, rispose, lui, avvicinandosi impercettibilmente a me. “Allora, quando comincerai a lasciarti andare, Maya?”.

Non poteva parlarmi in quel modo, soprattutto quando sentivo ancora dell’alcool scorrermi in corpo, quando avevo la mente annebbiata dalla stanchezza e dal sonno. Non poteva parlarmi con quella voce, dire il mio nome come se nulla fosse e nemmeno starmi così vicino, con quei suoi occhi incatenati ai miei.

Avevo bisogno di una protezione, di uno scudo, perché l’idiota aveva frantumato tutto per l’ennesima volta e, le braccia incrociate al petto, non servivano a molto, alla fine dei conti.

Continuo a non sapere di cosa tu stia parlando, Travis”. La mia voce era ridotta ad un sussurro, un suono appena udibile, e non avevo neppure avuto il coraggio di reggere il suo sguardo ambiguo, non avevo avuto le palle di continuare a guardarlo in quei suoi occhi infuocati. Non ce l’avevo fatta, avevo alzato per l’ennesima volta bandiera bianca.

Sai bene di cosa sto parlando, Maya, non fare finta di nulla”, sussurrò, lui, poggiando le mani sulle mie spalle e cominciando a scendere sulle braccia.

Maledetto il mio corpo che continuava a tradirmi nei momenti meno opportuni! Perché non potevo cominciare a rabbrividire ogni volta che le mani di Travis sfioravano la mia pelle, non era giusto nei miei confronti. Non volevo che succedesse ancora, non volevo cadere preda del mio stesso istinto e buttarmi tra le braccia di quell’idiota di un nuotatore. Avevo il mio orgoglio da mantenere bello e lucido e, in quel modo, non facevo altro che scavarmi la fossa.

Poi, lui, non doveva passare la serata con Simona? Dai loro comportamenti in quel locale, sembrava proprio così. Allora, dov’era quella maledetta bionda, quando serviva? Perché non era lì, in quel momento, a portarsi via Travis?

Non dovevo cedere a lui ed ai suoi stupidi atteggiamenti, nonostante i brividi continui fossero una gigantesca distrazione. Era paradossale vedere un ragazzo come lui, grande e grosso, e rendersi conto di come, incredibilmente, potesse essere delicato. Ed io che mi fermavo anche a fare pensieri simili, sperando di non cadere nella sua stupida trappola.

Lasciati andare, Maya”, mormorò, chinandosi su di me.

Era ad una manciata di centimetri dal mio viso e sentivo perfettamente il suo respiro sfiorarmi la pelle delle guance, già surriscaldate da prima, come se anche lui fosse lì per tentarmi. E cominciò a baciarmi il collo, delicatamente, l’idiota, senza interrompere il viaggio delle sue mani sulle mie braccia e sulle mie spalle.

Non poteva succedermi ancora una volta, non dovevo mostrarmi tanto debole anche in quell’occasione.

Travis, smettila”, mormorai, cercando di sembrare risoluta. “Dovresti andartene”.

Forse”, rispose, continuando con la sua tortura.

Non demordeva, non mi lasciava scampo ed il mio corpo sembrava essere diventato di pietra, non accennava a muoversi. Perché tutto sembrava essere contro di me? Perché proprio quella sera non ero rimasta in camera mia a riposare per il viaggio che avremmo dovuto intraprendere il giorno seguente? Per quale assurdo motivo mi ero lasciata convincere ad andare in quel maledetto locale, insieme agli altri ragazzi?

La stretta al petto delle mie braccia si era fatta più forte, la mani cominciavano a far male, colpa anche delle unghie che continuavo a premere contro i miei palmi, ma tutto pur di non cedere. Era una sfida contro me stessa.

Dovresti ascoltarmi, qualche volta”, mormorò, lui. “Sarebbe molto più semplice”, aggiunse, mordendo leggermente la mia spalla.

Sussultai, quasi sentendo migliaia di scariche elettriche attraversare il mio corpo, presa completamente alla sprovvista, e lui non si lasciò scappare quel mio momento di debolezza. Così aumentò la presa sulle mie braccia e distrusse l’ennesimo scudo che avevo cercato di tirare su, allargandomi le braccia e facendosi più vicino.

Guidò le mie mani con lentezza, nemmeno fossi una bambola di porcellana, sulle sue spalle, poi tra i suoi capelli alla base della nuca e me le abbandonò lì. Continuò la tortura di poco prima, con le sue mani che viaggiavano sulla mia pelle senza sosta, che mi provocavano brividi in ogni momento e che mandavano a puttane ogni mia convinzione.

Lo odiavo, con tutta me stessa, in quel momento, perché mi faceva capire realmente quanto potessi essere debole, fragile davanti ad un paio di moine assestate nel modo giusto. E non era corretto nei miei confronti, questo suo comportamento, perché lo sapeva, ne era perfettamente a conoscenza e non esitava un momento per approfittarsene.

Aveva ricominciato a fissarmi, l’idiota, a non voler interrompere il contatto che aveva con il mio sguardo ed era impressionante quanto mi facesse sentire stupida ed inadeguata, in quel momento.

Ma che diavolo mi stava succedendo?

Ti faresti molti meno problemi se, per una volta, mi prestassi ascolto”, mormorò, ad una manciata di centimetri dalle mia labbra.

Mi sarei fatta molti meno problemi se, invece di presentarsi in camera mia, Travis fosse andato a letto con Simona. Mi sarei fatta molti meno problemi se mi avesse lasciata stare. “Tu vaneggi, Travis”, dissi, d’un fiato, senza però la giusta enfasi. “Stai dicendo cose senza senso”.

Cose senza senso?”, chiese, ironico, alzando un angolo della bocca. “Allora di cosa hai paura? Cosa ti ferma?”.

Già, cosa mi fermava? Cosa mi faceva rimuginare in continuazione su ciò che mi stava accadendo? Cosa mi faceva sentire i piedi di piombo, ogni volta che Travis sfiorava la mia pelle?

Non poteva essere nulla di serio, non poteva esserlo davvero, altrimenti mi sarei cacciata in un guaio più grande di me stessa, in qualcosa di incomprensibile che mi avrebbe portato solamente problemi. Cos’era a fermarmi, allora?

Se davvero non ci doveva essere nulla, allora perché continuavo a restarmene ferma, per paura di fare il passo sbagliato? Perché ero io quella che continuava a vaneggiare invece che Travis?

Non potevo farmi impressionare da lui, non potevo lasciargli manipolare la mia mente. Non c’era nulla a fermarmi e, se mi lasciavo trascinare da Travis, lo facevo solamente per puro divertimento, niente di più. Perché non esisteva nemmeno quel di più!

Giusto?

Non c’è nulla a fermarmi, Travis”, risposi, decisa, prima di bruciare quella breve distanza che ancora ci separava. Ed ero caduta nella sua trappola ancora una volta e sapevo che, prima o poi, me ne sarei pentita amaramente, ma non potevo lasciarmi condizionare dai suoi discorsi senza senso. Tra noi due non c’era assolutamente, quindi una sciocchezza in più o una in meno non faceva differenza, non sarebbe cambiato nulla.

Aveva caricato quel bacio di così tanta passione che quasi mi stordiva, quasi mi faceva girare la testa per la sua intensità. Aveva cominciato a stringermi a sé, tenendomi ben salda per la vita, ed io non potevo fare a meno di cercare un appiglio nelle sue spalle forti, per evitare di stramazzare a terra come una perfetta idiota. E, quella, sarebbe stata la figura di merda per eccellenza e non dovevo permetterlo.

Lo sentii cercare l’orlo della blusa e sollevarlo leggermente, per poi strapparmela praticamente di dosso dopo aver sollevato le braccia. Era agitato, Travis, nervoso ed impaziente, e tutto questo rendeva quello stupido gioco ancora più eccitante.

Cominciai a sbottonargli la camicia che indossava, con calma, sfiorando di tanto in tanto la sua pelle e continuando a baciarlo, a farmi baciare come se quella fosse l’ultima cosa concessa al mondo. Se dovevamo essere in due a giocare, allora dovevamo farlo alla pari ed io, dal canto mio, dovevo farlo impazzire come lui stava facendo con me.

E nemmeno me ne resi conto di quanto ci ritrovammo sul letto della mia stanza, già con il fiato corto e le mani che viaggiavano veloci, cercando di togliere di mezzo gli ultimi abiti, diventati improvvisamente ingombranti ed inutili. Nemmeno mi resi conto di come diventammo una cosa sola, di come le nostre labbra non accennassero a staccarsi un momento, di come la mia pelle fu percorsa da brividi che parevano non finire mai, di come tutto sembrò improvvisamente surreale.

Perché non poteva essere vero, non poteva capitare ancora una volta ed io non potevo essere stata così tanto stupida da stare al gioco.

Sapevo che, prima o poi, mi sarei fatta male, che avrei cominciato ad avere troppe aspettative che poi si sarebbero sciolte come neve al sole, perché nulla mi sarebbe arrivato in cambio.

Vedevo il fuoco cominciare a bruciarmi poco a poco, fino a quando non mi avrebbe divorata completamente, senza darmi la possibilità di scappare. E dovevo trovare un rimedio a tutto ciò, il prima possibile, per cercare di salvare il più possibile di me stessa, per cercare di scappare da quella trappola.

Sapevo che prima o poi mi sarei fatta male e, probabilmente, se ne rendeva conto anche Travis, nonostante alla prima occasione non aspettasse un momento per trascinarmi verso il fondo, per farmi sentire ancora fragile ed inadeguata, anche se lì, in quel momento, mi sentivo perfetta, mi sentivo bene mentre lui continuava a baciare la mia pelle, mentre continuava a sfiorare il mio corpo con le sue mani. Mi sentivo quasi perfetta tra le sue braccia, ed era proprio quella la cosa che mi spaventava di più.

 

Mi sarei presa volentieri a schiaffi, sì. Anche in quel momento, con ancora il fiato corto e le mani che tremavano leggermente, con ancora la mente annebbiata dal desiderio e dal piacere, mi sarei presa a schiaffi da sola, solo per convincermi di aver fatto un terribile sbaglio.

E Travis era ancora lì, sul letto, poco distante da me e potevo sentire come, anche a lui, mancasse il fiato.

Cosa avevamo fatto? Cosa avevo fatto, io!?

Dobbiamo smetterla, Travis”, dissi, cercando di respirare adeguatamente, girandomi su un fianco per poterlo osservare.

Fissava il soffitto, con le braccia incrociate dietro il capo e non accennava a prestarmi attenzione, sembrava perso completamente nei suoi pensieri.

Travis”, lo chiamai, ponendo fine finalmente alla sua distrazione. “Dobbiamo smetterla di fare così”, ripetei, una volta incrociato il suo sguardo.

Credi che non lo sappia?”, domandò, retorico, tornando a fissare il soffitto come se nulla fosse. “Ma non mi sembra nemmeno la fine del mondo”.

Era facile, per lui, lavarsene le mani in quel modo. “Allora la prossima volta che ti viene la malsana idea di presentati alla mia porta, lascia perdere e continua per la tua strada”, ribattei, acida, chiedendomi come potesse dare poco peso ad una cosa simile.

Poi l’occhio mi cadde dietro l’orecchio sinistro di Travis dove, indisturbato, se ne stava un piccolo tatuaggio, una piccola ancora dalle linee sottili e delicate. Nulla di pretenzioso, un disegno piccolo e fine, talmente piccolo che, fino a quel momento,  non lo avevo nemmeno notato. “E quel tatuaggio?”, domandai.

Lo vidi voltare di scatto la testa e cercare il mio sguardo, quasi impaurito, e non potei fare a meno di domandarmi che cosa avessi mai detto di male.

Pareva terrorizzato, e pure leggermente infastidito dalla mia domanda, ma proprio non riuscivo a capire per quale motivo. Continuò a fissarmi per alcuni istanti, come se al mio posto ci fosse una creatura aliena, poi lo vidi rilassarsi in viso prima di alzarsi e cominciare a rivestirsi come se nulla fosse.

Devo andare”, disse, scorbutico, raccogliendo tutte le sue cose.

Quasi non ci potevo credere. Si era offeso per la mia domanda, per caso? Cosa avevo detto di male, poi? Doveva davvero avere qualche serio problema, quel ragazzo, perché un comportamento simile non era assolutamente normale, anzi, era davvero preoccupante.

In meno che non si dica era già rivestito, con il telefono in una mano e le scarpe nell’altra ed aveva cominciato a fissarmi intensamente, mandandomi per l’ennesima volta in tilt per tutti i suoi cambi d’umore. Si avvicinò lentamente a me, sedendosi sul bordo del letto ed osservandomi attentamente, mentre io, coperta solamente dal lenzuolo, dovevo essere sicuramente di un colore tendente al bordeaux.

Dov’era finita la mia faccia tosta, dannazione!?

Lo so che non possiamo andare avanti così Maya”, cominciò, cercando di sorridere, invano e non distogliendo per un attimo i suoi occhi dai miei. “Non credere che io non ci stia provando”, aggiunse, tornando in piedi e dirigendosi verso la porta, senza dire una parola in più, lasciandomi a bocca aperta.

Bipolarismo, era l’unica spiegazione.

Aprì la porta, dopo avermi rivolto un ultimo sguardo, poi se ne andò così come era arrivato, improvvisamente e senza una spiegazione vera e propria.

Mi avrebbe mandata la manicomio, lui. E per fortuna che con fotografie e cazzate varie avevo finito.

 

Un branco di morti viventi, ecco cosa eravamo tutti quanti, la mattina della partenza. Fatta esclusione di Simona, ovviamente, che, chissà per quale motivo, era sempre fresca come una rosa, un fiore appena sbocciato ed era davvero irritante vederla sempre così perfetta, in ogni occasione. Troppo perfetta.

Non ero riuscita a chiudere occhio, nelle poche ore che mi erano rimaste dopo la dipartita di Travis, ed avevo preferito preparare al meglio i miei bagagli, per evitare di dimenticare qualcosa. E tutto si notava fin troppo, nei capelli legati in disordine sopra la testa, nelle occhiaie che mi rendevano simile ad un panda e nella mia irascibilità, fin troppo accentuata di quanto già non fosse normalmente.

Lasciammo quella maledetta città, finalmente, partimmo per l’Italia lasciandoci alle spalle Doha che aveva creato più problemi che altro.

Tesoro, dovresti riposare un po’, ora”, disse, mio padre, poco dopo aver preso posto in aereo. “Non sembri stare molto bene”.

No, infatti, non ho dormito affatto”, confessai, massaggiandomi le tempie.

Hai fatto le ore piccole, eh?”, chiese, con un mezzo sorriso e facendomi quasi prendere un infarto.

EH!?”, esclamai, non riuscendo a capire dove volesse andare a parare.

Il locale in cui siete andati ieri sera, Maya”, rispose, più confuso di prima. “Sarete tornati a notte inoltrata, immagino”.

Ah”, sospirai di sollievo, vedendo un enorme pericolo scampato. “No, sono tornata presto, almeno io, non mi sentivo molto bene”.

Almeno cerca di dormire adesso”.

Non me lo feci ripetere due volte. Frugai nella mia borsa alla ricerca dell’iPod e, non appena lo trovai, infilai le cuffiette per estraniarmi dal mondo, come mio solito, ed il mio viaggio verso casa non poteva cominciare in modo migliore.

 

I looked out this morning and the sun was gone
turned on some music to start my day
I lost myself in a familiar song
I closed my eyes and I slipped away

Boston – More than a Feeling

 

Avevo un incredibile numero di ore, davanti a me, ed avevo bisogno di dormire, non volevo pensare, non volevo continuare a rodermi il fegato per l’ennesimo sbaglio che avevo commesso. Perché era stato quello, la notte appena trascorsa, un enorme e terribile sbaglio e non sarebbe capitato un’altra volta. quella volta ne ero davvero convinta, non doveva capitarmi ancora e non avrei mai più permesso che Travis mi prendesse in contropiede e mi convincesse ad abbassare la guardia. Dovevo essere più forte, più dura anche con me stessa.

Speravo che, con il ritorno a casa, almeno qualche cosa si potesse sistemare, che qualche particolare terribilmente fastidioso se ne potesse finalmente andare, come quell’assurda collaborazione con Simona. Avrei atteso solamente un giorno, giusto il tempo di riprendermi dal viaggio e di dormire tutto il giorno, poi avrei portato tutto il materiale alla redazione della rivista e, da quel momento in poi, avrei avuto una bionda in meno nella mia vita e sarebbe andato tutto molto meglio, ne ero pienamente convinta, doveva andare così.

Avevo bisogno di casa, avevo bisogno del mio appartamento ed avevo bisogno di levarmi la presenza di quella ragazza di dosso e, magari, qualcosa avrebbe cominciato a girare per il verso giusto.

Ero ottimista, allora, e se avessi saputo cosa mi aspettava, probabilmente sarei rimasta in quella maledetta città passando per pazza.

*****


Ed eccomi qui, finalmente.. ciao bellezze!
E poi, mie gentili signorine, ESISTE UN BANNER, FINALMENTE! Che ne dite?
Diciamo che sono ancora alle prime armi e sto solamente facendo delle prove, ma pensavo che almeno un volto dovessero averlo, questi due poveretti. Ecco, sono più o meno così, tranne alcuni particolari, ma questi due ragazzi rendono parecchio l'idea di come me li sono immaginati. Fa tanto schifo?
So di avervi lasciato ad un momento orribile e, per più di un mese, non mi sono fatta viva e mi dispiace tanto! Mi prenderei a schiaffi da sola, vi giuro.. Non volevo far passare tanto tempo nemmeno questa volta, ma tra le feste ed altri impegni mi sono ritrovata a terminare il capitolo solamente in questi giorni, nonostante il grosso fosse già stato scritto parecchio tempo fa!

Vi chiedo scusa, davvero..
Cooomunque.. che ne dite!? E' di una lunghezza stratosferica, e anche per questo vi chiedo scusa, ma non volevo troncare a metà una cosa simile, diciamo così.. anche perchè non avrei mai trovato il momento giusto per poterlo troncare. Meglio così, allora: vi ho fatto attendere più di un mese, ma almeno sono tornata con un capitolo parecchio sostanzioso. Spero di essere stata perdonata.
Voglio ringraziare tutte le temerarie che, nel capitolo precedente, si sono fatte sentire ed hanno recensito.. lo apprezzo davvero tanto! Ma ringrazio, ovviamente, anche chi si è aggiuto da poco e chi continua a leggermi in silenzio! GRAZIE!

Detto questo, alla prossima.. e fatemi sapere cosa ne pensate, ditemi cosa potrebbe succedere, secondo voi, e come sta procedendo la storia. Sono davvero curiosa di sentire il vostro punto di vista!
Un abbraccio,
Chiara.

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Capitolo 22
*** 21 - Anno nuovo, vita nuova! ***


Maya21

NdA
Questo capitolo è qualcosa di infinito e ci ho messo davvero anima e corpo per portarlo a termine, 
oltre che un sacco di tempo, come sempre. Spero vi piaccia.. ci vediamo sotto!

*****

Davvero un ottimo lavoro, Maya”.

Ecco come mi aveva accolta la direttrice della rivista, dopo averle mostrato i miei migliori scatti dei campionati.

Erano stati giorni difficili, quelli a Doha, e… inaspettati, questo è sicuro, ma non avevo atteso un momento di più per liberarmi di quel lavoro. C’erano troppi ricordi, troppi pensieri che si ostinavano a non abbandonarmi e troppe sensazioni che continuavo a ripercorrere, e sentivo il bisogno di togliermi di mezzo quel malloppo.

Avevo atteso solamente un giorno, giusto il tempo di riprendermi dalle ore di volo e dal viaggio in aereo, poi mi ero messa all’opera per trovare le immagini perfette per l’articolo, per togliermi finalmente quel peso dallo stomaco.

Sapevo che non avresti avuto problemi, ma questa volta mi hai davvero sorpresa”, aveva detto, poi, dopo essersi resa conto che ero rimasta troppo inebetita per rispondere.

Me ne ero andata dalla redazione della rivista con il sorriso sulle labbra ed il cuore più leggero, perché sapevo che quell’avventura tanto strana aveva finalmente trovato la sua dannata fine: non avrei più visto Simona e non avrei mai più dovuto sopportare la sua voce ed i suoi atteggiamenti, non avrei dovuto rivedere Travis, per quanto strano potesse sembrare. Ma ero felice di aver voltato pagina e di aver concluso quella parte della mia vita. La avrei ripresa in mano com’era prima che Doha arrivasse a sconquassarla ed avrei lavorato come una matta per far vedere il mio valore, senza altri intralci o problemi.

 

Okay, non volevo altri problemi collegati al mio lavoro, ma la mia vita era diventata davvero una noia. Forse mi ero abituata troppo facilmente al movimento e a non poter avere un momento tutto per me, ma non avrei mai pensato che, tornare alla normalità, equivalesse a quella noia incredibile.

Dopo aver consegnato gli scatti alla rivista, non avevo più avuto alcune notizie, nessun altro nuovo incarico e, anche se avevo ricevuto un cospicuo compenso, volevo lavorare. Non ero fatta per state con le mani in mano, non più, almeno.

Forse l’esperienza di Doha, e tutto ciò che era successo prima, mi aveva cambiata e nemmeno me ne ero resa conto e non mi piaceva proprio, quel particolare. Mi andava bene, la mia vita, prima, ed improvvisamente mi ero ritrovata ad odiare la monotonia che non faceva altro che girarmi attorno.

L’unica nota positiva di quel periodo era stata l’arrivo del Natale, quindi tutti i giri per negozi per gli addobbi ed i pochi regali che mi ero prefissata di fare. Avevo deciso di cucinare per mio padre, quell’anno, nonostante non fossi mai stata una cuoca provetta, ma doveva per forza vedere che meraviglia era diventato il mio appartamento, grazie alle nuove decorazioni ed il piccolo albero che avevo deciso di comprare.

Buon Natale, tesoro”, esclamò, non appena aprii la porta di casa, abbracciandomi di slancio, facendomi quasi cadere a terra.

Era sempre stato speciale il Natale, per mio padre, ed io non avevo mai capito perché e nemmeno mi ero scomodata a chiedergli qualcosa. Avevo sempre preferito restare nell’ignoranza, per evitare spiacevoli sorprese che, magari, fossero collegate a quella che, una volta, era mia madre. Sì, quella donna che non ricordavo nemmeno che faccia avesse.

Lo feci entrare in casa, lasciando che ispezionasse casa mia, mentre io finivo di preparare il pranzo di Natale in cucina. Speravo davvero di non aver sbagliato nulla, cucinando da sola: volevo che, almeno per una volta, mio padre fosse fiero di me per qualcosa che non fosse collegato al lavoro.

Avevamo passato una giornata tranquilla, chiusi in casa chiacchierando delle ultime novità e tirando fuori vecchi ricordi di vecchi Natali passati insieme e, in un certo senso, era sempre un pugno alla bocca dello stomaco, rivangare ciò che era accaduto anni prima. Era sempre stato meglio così e, in un tacito accordo, aveva deciso con mio padre di lasciare il passato al suo posto, anche se in occasioni simili spolveravamo solamente i ricordi più belli e divertenti.

Era stato felice di poter pranzare grazie a me e alla mia cucina, anche se non ero per nulla sicura della sua sincerità. Un palato ce lo avevo anche io e, ciò che avevamo mangiato, non era proprio gran ché, anzi, ma mio padre si era sempre dimostrato troppo signore e gentile per criticare un qualsiasi lavoro di una donna, soprattutto se la donna in questione ero io, sua figlia.

Hai qualche programma per l’ultimo dell’anno, Maya?”, chiese, all’improvviso, mentre ce ne stavamo stesi sul divano davanti alla televisione.

Se per programma intendi una full immersion di serie tv con gelato e spumante, allora sono impegnatissima”, risposi, sorridendo e facendo ridere mio padre, a sua volta.

Sono serio”, cominciò. “Abbiamo organizzato, alla piscina, una festa per il Capodanno e speravo potessi venire anche tu”.

Tu che organizzi una festa? E questa novità da dove salta fuori?”, gli domandai, scettica.

Devo stare al passo con i tempi, Maya”, ribatté, con una risata. “Roberto ed io abbiamo deciso di provare ad organizzare questo gala e, alla fine, abbiamo optato per la piscina”.

Fermati un momento”, esclamai, mettendomi improvvisamente seduta. “Un gala? Avevi detto una festa, papà, non… un gala, ma sei serio!?”.

Una semplice festa l’avrei potuta anche accettare, non c’era nulla di male, ma un gala? Non sapevo nemmeno da che parte cominciare, ad essere sincera, poi il solo pensiero di restarmene in tiro per tutta la sera mi faceva venire la nausea.  Ed un branco di persone vestite alla perfezione, con abiti da migliaia di euro spesi solamente per una serata l’anno, con scarpe abbinate e Rolex al polso?

Sapevo che mio padre avrebbe invitato mezza Italia, quella importante del mondo del nuoto, ovviamente, quella che contava davvero e la sensazione di inadeguatezza mi aveva catturata nel tempo di un battito di ciglia. Non ero mai stata adatta a quell’ambiente e non lo sarei mai stata, nemmeno in un futuro davvero lontano.

Tesoro, non ti agitare”, cercò di calmarmi, mio padre, continuando a mantenere lo sguardo incollato al televisore. “Ci sarà giusto un centinaio di persone e tu devi essere presente”, concluse, più deciso di quanto avrei voluto.

Un centinaio di persone. Lo aveva detto come se fosse la cosa più semplice del mondo ed era facile, per lui, perché ci era cresciuto, in quell’ambiente, con quelle persone, ma io non ero affatto come lui o come la maggior parte degli invitati. Avevo sempre preferito restarmene in disparte perché, sapevo, la notorietà collegata a mio padre non mi sarebbe mai piaciuta; praticamente nessuno sapeva chi fossi e avrei preferito che, quel particolare, restasse tale e non che, a ventiquattro anni, diventassi improvvisamente la figlia di mio padre.

Era un ragionamento strano, contorto, ma mi faceva una paura tremenda.

Papà, mi spiace, ma questo non fa per me e tu lo sai bene”, balbettai, quasi in preda al panico.

Oh non essere sciocca, Maya”, rispose, lui, palesemente infastidito dal mio comportamento. “Ti basterà restare fino a mezzanotte, se proprio devi, ma devi esserci per forza, tesoro, dopotutto la tua redattrice capo ha insistito per far si che, sia la fotografa che la giornalista dell’articolo su Travis, fossero presenti”.

Ah perfetto”, esclamai, massaggiandomi le tempie. “Dovrò sorbirmi anche la presenza di Simona, come se la presenza di un centinaio di perfetti sconosciuti non fosse abbastanza”.

Silenzio, almeno questa volta farai come ti dico, Maya”, ribatté, ancora. “Questo è un ottimo modo per mettere in luce il tuo lavoro, per dare credito alla rivista per cui lavori e per cercare sponsor importanti e non permetterò ai tuoi capricci di rovinare tutto quanto”, aggiunse, guardandomi, severo.

Io non stavo facendo i capricci. Avevo smesso parecchi anni prima, ma, in quel momento, proprio non riuscivo a digerire questo suo volermi mostrare al pubblico, nemmeno fossi stata un premio oppure il risultato di una battuta di caccia. Non mi piaceva e non sarei riuscita a farmelo piacere per fare bella figura davanti agli ospiti di mio padre, tuttavia, sapevo che, quella sua espressione corrucciata e decisa, non ammetteva repliche. Non lo aveva mai fatto e, sapevo, non avrebbe cominciato in quel momento.

 

Alla fine avevo ceduto per forza di cose, anche se continuavo a non essere convinta di quella stupida festa.

Negli ultimi giorni prima del Capodanno ero andata in lungo e in largo per trovare un abito adatto per l’occasione e, mio padre, aveva insistito perché lo comprassi con il suo denaro, spacciandolo per un regalo di Natale in ritardo. Non ero d’accordo nemmeno per quel particolare, ma aveva insistito fino a farmi diventare matta.

Alla fine, dopo ore di viaggi tra un negozio e l’altro, avevo trovato quello che più mi stuzzicava, anche se non mi ci vedevo proprio ad una serata elegante. Ne avevo approfittato anche per cercare un nuovo paio di tacchi per l’occasione, dato che le uniche che possedessi non mi sembravano molto adatte. Ed avevo speso una follia e mi dissi che, per il resto dei miei giorni, ero a posto con lo shopping.

Il pomeriggio prima della festa decisi di prepararmi per tempo, conoscendo la mia tendenza al ritardo cronico; mio padre mi aveva chiesto di presentarmi per le otto, puntuale, aveva specificato. E, in tutto questo, c’era il mio caro e amato letto che continuava a fissarmi assiduamente, cercando di convincermi a darmi per malata e a restare a casa, rintanata sotto le coperte.

Cominciavo davvero a perdere il lume della ragione.

Alla fine ero riuscita nell’intento di prepararmi a dovere per quell’assurda serata che mi aspettava e, il risultato che ne era uscito, mi sorprendeva. Non sembravo io, quella allo specchio, con i capelli racconti in modo morbido sulla testa e il viso truccato, anche se non in modo eccessivo. Decisi di andarmene di casa perché, se avessi perso ancora del tempo davanti allo specchio, cercando di capire chi fosse quella persona, probabilmente avrei deciso di dare buca a mio padre e restare nella mia tana; così salii in macchina, poggiando sul sedile del passeggero la borsetta che avevo riesumato dall’armadio e la macchina fotografica che mio padre mi aveva chiesto di portare per immortalare la serata.

Cominciavo a pentirmi di quella decisione, di aver assecondato la richiesta di mio padre, ma in quel momento non potevo nemmeno tirarmi indietro, non più. Soprattutto perché sapevo quanto Claudio ci tenesse, nonostante non me lo avesse detto esplicitamente. Inoltre, era davvero un buon modo per farsi conoscere e, alla fine, mio padre non navigava nell’oro e non poteva di certo permettersi di sponsorizzare tutto quanto di tasca sua, quindi potevo capirlo, nonostante non avessi la minima voglia di mettermi in mostra nemmeno fossi un trofeo.

Quello era Travis e, probabilmente, sarebbe rimasto sul piedistallo più in luce per tutta la serata, anche se non avevo chiesto conferma della sua presenza a mio padre. Meno sospetti aveva e meglio era. Ma sapevo che, in ogni caso, sarebbe stato presente, me lo sentivo, soprattutto se quell’assurda serata girava intorno al voler mettere in mostra la piscina ed il lavoro di mio padre.

Ero certa solamente di una cosa: sarebbe stata una lunga, lunghissima serata.

 

Travis’ POV

 

Sarebbe stata una lunga serata, quella, me lo sentivo. Come se una pressa mi stesse stritolando lo stomaco e l’abito elegante che indossavo non aiutava per niente la mia povera respirazione.

Ero stato costretto dalla decisione e dall’entusiasmo di Claudio a tirarmi a lucido per l’occasione, nonostante fossimo nello stesso posto dove ogni giorno mi allenavo per ore con davvero poco indosso, nonostante le piscine fossero state recintate.

Aveva fatto un bel lavoro, però, il mio allenatore, soprattutto per aver creato un’atmosfera molto tranquilla, nonostante fossero presenti decine e decine di persone. Le candele galleggianti sull’acqua, i neon della palestra semi coperti dai dei drappi di stoffa per non creare una luce troppo artificiale ed i tavoli a bordo delle piscine, sparsi per tutto il palazzetto. Era meraviglioso, su questo non c’era alcun dubbio, ma la mia propensione al sorriso facile e al dover restare lì per tutta la sera, come un pezzo da museo, era pari a zero.

Sapevo per quale motivo era stato fatto tutto quello, certo, ma non avevo comunque l’umore adatto per passare come un fenomeno da baraccone, in mezzo a tutta quella gente con persino le orecchie piene di soldi. Mi facevano alquanto ribrezzo, loro, con le donne a braccetto ricoperte di gioielli ed i abiti appena usciti dai negozi più costosi della città.

Decisi di restarmene in un angolo, indisturbato, con il telefono in mano, fino a quando non sarebbe arrivato il momento di accomodarci ai tavoli e cominciare a cenare. Avevo incontrato Michele, poco prima, e mi ero risollevato vedendo quanto, anche lui, non avesse per nulla voglia di restare chiuso lì dentro.

Almeno non ero solo.

Non avevo ancora avuto modo di parlare con Claudio da quando ero arrivato, ma era tutto più che comprensibile. Doveva fare gli onori di casa, quella sera, e di certo non avrebbe avuto molto tempo per noi che avevamo la fortuna di poterci parlare ogni giorno; lo vedevo terribilmente preso ad accogliere chiunque entrasse dalle porte con un sorriso sincero ed impartire direttive al servizio catering che aveva assoldato per quella sera, così decisi di lasciar perdere completamente la mia idea di dirigermi verso di lui per avere qualcuno con cui parlare.

Tuttavia, lo avrei volentieri ucciso non appena fui arrivato al palazzetto per avermi costretto ad invitare anche mia madre a partecipare alla serata.

Non l’avesse mai fatto: per giorni, prima della festa, mi aveva tartassato di chiamate e messaggi per cercare di capire particolari di cui nemmeno ero a conoscenza, per non parlare dell’imminente bisogno di soldi per essere perfetta per l’occasione. Se quello doveva essere il suo concetto di perfezione, la situazione era più preoccupante di quanto pensassi. Con quell’abito bianco era a dir poco ridicola e, probabilmente, nemmeno a Simona sarebbe donato uno straccetto simile, striminzito com’era.

Mi ero rifiutato di andare a prenderla, però. Sapevo che sarebbe stata una delle ultime persone ad andare via da quella festa, conoscendola, ed io non ero di certo disposto ad aspettarla; volevo andarmene al più presto e, la serata, non era nemmeno cominciata.

Mi fermai un momento ad osservarla, a distanza, mentre chiacchierava con un gruppetto di donne che, bene o male, avranno avuto la sua stessa età. E la sua stessa passione per il denaro, a giudicare dal loro abbigliamento.

Era strano vederla in quell’ambiente e non mi piaceva per nulla, e probabilmente non mi sarebbe mai piaciuto, perché quella piscina era casa mia, il mio rifugio, e la sua presenza sembrava contaminarlo.

Sarebbe stato un inferno, quella serata, e lo avevo capito nel momento stesso in cui avevo sistemato il nodo della cravatta che avevo indossato sopra la camicia inamidata, quando ancora ero a casa, al sicuro.

Ricominciai a guardare il cellulare, cercando un qualsiasi modo per ammazzare il tempo, nell’angolo che mi ero ritagliato in quella gabbia di leoni, ma non riuscii a trovare un qualsiasi passatempo utile per tenere la mente occupata. Non c’era nulla che potessi fare per non sentirmi fuori posto, lì dentro.

Mi incamminai verso l’angolo che era stato adibito a bar, in cerca di alcool per poter affrontare meglio tutto quanto, anche se non ero mai stato un assiduo bevitore, ma avevo bisogno di qualcosa da bere, qualcosa che potesse rendere tutti quanti più simpatici. Così mi lasciai servire l’aperitivo che Claudio aveva scelto per l’occasione, ovviamente non troppo alcolico.

Ecco un altro motivo per odiare il mio allenatore, in quel momento.

E proprio in quel momento lo vidi abbracciare una figura minuta, nettamente più bassa di lui e quasi mi venne un infarto quando, terminato l’abbraccio, riconobbi Maya, davanti all’entrata della piscina. E dovetti osservarla con attenzione per alcuni istanti per cercare di capire se quella fosse davvero lei o meno, perché non sembrava lei. Nemmeno lontanamente, se non per la statura, forse.

Ma quella donna non era la ragazza che ricordava a Doha, avida di informazioni e di scoprire la città in cui era stata costretta a soggiornare per giorni, non era quella con cui aveva avuti più screzi che altro, non era la ragazza con cui aveva fatto sesso per tre volte contro ogni logica. I suoi soliti ricci racconti il modo morbido sulla nuca, con alcune ciocche lasciate libere per completare il tutto, il trucco leggero, ma delineato alla perfezione con gli occhi in un meraviglioso netto contrasto con la linea nera che li accerchiava, e quel vestito che aveva indosso. Quell’abito nero, semplice e lineare che, nonostante le arrivasse ai piedi, le donava in modo fastidiosamente incredibile, con la gonna morbida, liscia ed il busto attillato che le fasciava perfettamente la figura. E solamente quando si voltò ancora una volta verso il padre potei notare il particolare che caratterizzava l’intero abito, quella scollatura vertiginosa che lasciava completamente scoperta la schiena.

Mi ritenni un uomo fortunato per la penombra che mi nascondeva e per il poco afflusso di persone che avevo nelle vicinanze perché, se qualcuno avesse lanciato uno sguardo nella mia direzione, avrebbe visto solamente un completo idiota con le labbra socchiuse per la sorpresa di quella visione. E, all’improvviso, fui assaltato dall’improvviso desiderio di rapire quella ragazza e replicare ciò che era successo nella stanza delle scope, in quel palazzetto, tempo prima.

Avevo bisogno d’aria, di schiarirmi le idee perché, Maya, con il suo solo arrivo aveva già incasinato le cose più di quanto non lo fossero prima, senza il suo aiuto. Così mi diressi velocemente verso l’uscita, poco lontano da dov’era lei e, probabilmente, qualcuno mi avrebbe ritenuto quasi un fuggitivo per la fretta con cui abbandonai l’edificio, uscendo nel parcheggio e venendo investito dal freddo di fine dicembre. Ma andava bene così, avevo bisogno di qualcosa che raffreddasse la fiamma che ero diventato, e tutto quello solo per aver visto una ragazza vestita elegantemente, ragazza che, tra l’altro, avevo avuto la possibilità di vedere nettamente meglio ed in altre occasioni.

Dovevo darmi una regolata, ecco tutto, perché non avrei durato mezz’ora, là dentro, senza impazzire realmente.

Travis”, esclamò una voce alle mie spalle, e conoscevo fin troppo bene quella voce per poter far finta di nulla.

Così voltai lo sguardo e, quando riconobbi Simona venirmi incontro, pensai che quella sera l’universo voleva davvero divertirsi a giocare con il mio contegno ed il mio autocontrollo. Perché, se Maya si era rivelata una meravigliosa sorpresa, Simona non aveva per nulla deluso le mie aspettative, tutt’altro. Con quell’abito rosso che le arrivava sopra il ginocchio e le scarpe nere, altissime, con il viso perfettamente curato e contornato dai suoi soliti capelli biondi resi lisci, quella sera.

Doveva essere appena arrivata, a giudicare dal cappotto pesante lasciato aperto che indossava e dalla borsetta tra le mani. Si avvicinò a me con grazia, sfoggiando uno dei suoi sorrisetti accattivanti. “Sembri un’altra persona, questa sera”, confessò non appena mi raggiunse. “Sei fantastico!”, aggiunse, con più entusiasmo, facendo quasi le fusa.

Ti ringrazio, ma tu non sei da meno, Simona”, risposi, sorridendo, cercando di mascherare il nervosismo di poco prima che non accennava a lasciarmi in pace.

Certo, quella ragazza era un altro paio di maniche, rispetto a Maya, ma non mi sarebbe dispiaciuta un’occasione, nonostante la reputassi una semplice svampita. Ed aveva ancora in mente quella sera in quel locale a Doha, quando avevamo parlato, atteggiandosi come la più facile delle ragazze, stuzzicando la mia immaginazione. Ma poi si era rivelata scontata, la solita compagnia che qualcuno cerca per una botta e via, strusciandosi addosso a me come la più squallida delle sgualdrine. Inoltre, Maya aveva deciso di complicare tutto quanto, andandosene via sia con Michele e Luca, quell’idiota che l’aveva adocchiata già da tempo.

Così non avevo più retto. Dopo cinque minuti, ad essere esagerati, avevo chiesto a Simona di tornare in albergo, non sopportando più la sua presenza e la calca presente in quel buco di locale.

L’avevo lasciata nella hall dell’hotel senza una spiegazione, prendendo il primo ascensore libero e dirigendomi direttamente alla porta di Maya, pretendendo delle spiegazioni per quel suo comportamento da stupida, per capire cosa davvero volesse lei e, forse, per capire cosa volessi io stesso.

Poi era successo quello che era successo e la situazione era degenerata, e sarebbe solamente peggiorata se avessi risposto alla domanda di Maya in merito al mio tatuaggio, così da perfetto codardo avevo levato le tende nel giro di un battito di ciglia, lasciando a letto una Maya esterrefatta.

Che cosa ci fai qua fuori, tutto solo?”, domandò, lei, civettuola come suo solito.

Avevo bisogno di un po’ d’aria, tutto qui”, risposi, sperando che non cominciasse a mitragliarmi con le sue migliaia di domande. “Torniamo dentro? Non vorrai prendere freddo”, aggiunsi, cominciando ad incamminarmi verso l’entrata.

Dovevo trovare Michele, dentro quel palazzetto, e cercare un minimo di supporto da parte sua, un briciolo di compagnia che mi aiutasse a non impazzire e sapevo che solamente uno come lui, con la sua indole tranquilla, avrebbe detto sempre la cosa giusta.

Ritornammo all’interno del palazzetto, dove accompagnai Simona al guardaroba  per lasciare il giaccone poi, per l’ennesima volta, me ne andai a gambe levate verso l’angolo bar, dove avevo appena intercettato Michele.

Aiutami, ti prego!”, mormorai, non appena lo raggiunsi, attirando la sua attenzione. E, non appena vide la mia espressione, scoppiò a ridere, senza ritegno, consumando il suo aperitivo e porgendomene uno identico.

Quanto deve essere dura recitare la parte dello scapolo più ambito, qui dentro”, mi canzonò, continuando a ridere.

Non sei divertente!”.

Ah perché deve essere davvero difficile essere conteso da due ragazze come Simona e Maya”, ribatté, lui, lanciandomi un’occhiataccia.

Maya? Ma cosa stai dicendo?”, gli chiesi, non capendo dove volesse arrivare. “Tu vaneggi, Michele”.

Affatto, ma lei non se ne è nemmeno resa conto e nemmeno tu, a quanto pare!”, aggiunse, infine, quasi sorpreso, con lo sguardo perso nel vuoto.

Quanti ne hai bevuti, di quei bicchieri, Michele? Cominci a preoccuparmi”, esclamai, guardandolo bene e non trovando alcun segno di ubriachezza. Doveva essere completamente impazzito, allora, per dire cose simili, senza alcun senso.

 

Maya’s POV

 

Aveva fatto un lavoro meraviglioso, mio padre, senza ombra di dubbio , e nemmeno mi dispiaceva. Era la compagnia a lasciar a desiderare, e anche parecchio.

Ero stata presentata ad una decina di persona nei primi cinque minuti, ad esagerare, e mio padre non si era risparmiato con gli elogi, cosa che mi fece sentire in estremo imbarazzo.

Appesi ai muri, qua e là, c’erano i miei scatti che sarebbero stati presenti nell’articolo, insieme ad altre vecchie fotografie di campioni precedenti, e tutti sembrarono fin troppo entusiasti nel conoscere la persona che aveva scattato quelle immagini. Così avevo colto la prima occasione disponibile ed ero scappata da Claudio che continuava a parlare a macchinetta, salutando ed accogliendo chiunque gli capitasse a tiro.

Avevo intravisto, prima di fuggire a gambe levate da mio padre, una figura fin troppo familiare uscire dal palazzetto, quasi correndo,e non potei fare a meno di chiedermi cosa potesse aver fatto Travis per andarsene in quel modo, ma quando, poco dopo, lo vidi rientrare con Simona al suo seguito compresi all’istante la fretta che aveva avuto per andare a recuperare la sua… accompagnatrice? Forse, non avrei indagato in ogni caso. Di certo quell’abitino rosso fuoco la rendeva poco signorile, almeno per quella serata.

Lascai perdere, così mi concentrai su come immortalare al meglio il palazzetto addobbato a festa, su come poter cogliere ogni particolare al meglio, compresi i fiumi di persone che continuavano ad entrare senza sosta.

La direttrice della rivista mi aveva praticamente imposto di fare un buon lavoro, tutto pur di mettere il luce il giornale per cui lavoravo, e, nemmeno fossi una bambina, mi aveva raccomandata di comportarmi a dovere, nonostante fosse tutto organizzato proprio da mio padre. Era assurdo.

Girovagai per il palazzetto in cerca delle migliori angolazioni, fermandomi all’angolo bar per prendere l’aperitivo della serata e non facendo caso agli sguardi che ricevevo ogni volta che, gli ospiti della serata, intravedevano la macchina fotografica tra le mie mani. Nemmeno fossi un paparazzo.

Potresti cominciare a fare qualche fotografia, sai?”, disse una voce alle mie spalle, mentre mi dirigevo verso l’angolo perfetto che avevo trovato poco prima. Così mi voltai e fui sorpresa di trovarmi ad un paio di metri di distanza Michele, anche lui, tirato a lucido per quella festa, perfetto nel suo completo nero con la camicia bianca, senza cravatta, ma con i primi due bottoni slacciati.

Se volevi un calendario, bastava dirlo”, gli risposi, ridendo ed avvicinandomi a lui.

Un calendario?”, chiese, lui, fingendosi pensieroso. “No, meglio di no, potrei far sfigurare gli altri. Però ci sono decine di persone che, per una buona fotografia, farebbero di tutto, soprattutto stasera”, continuò, scoppiando a ridere.

Forse hai ragione, avrei preferito restarmene a casa, questa sera”.

Quanto sei noiosa, Maya”, esclamò, prendendomi sottobraccio e cominciando a camminare lungo il bordo della piscina. “Cerca di divertirti almeno questa sera, poi ti sei preparata a meraviglia, quindi penso non ti dispiaccia molto essere qui, sotto gli occhi di tutti, soprattutto con un abito come quello che hai indosso”.

Il ragazzo riservato e silenzioso lo hai lasciato a Doha, per caso?”, gli chiesi, piacevolmente sconvolta dal suo comportamento.

Probabile”, rispose, continuando a ridere. “Comunque, ti sei superata, questa sera, sei meravigliosa”.

Ah non ci provare, Michele, sono semplicemente vestita meglio del solito”, risi, ancora, apprezzando sempre di più la semplice compagnia di quel ragazzo. “E anche tu non sei affatto male, ma il calendario non te lo faccio in ogni caso”.

Peccato, ci ho provato”, ribatté, lui ridendo. Poi lo vidi mutare nel giro di un battito di ciglia, quando distolse l’attenzione da me e rivolse il suo sguardo altrove, all’entrata del palazzetto. Così, seguii il suo sguardo ed incontrai gli occhi scuri di una ragazza che, a malapena, avrà avuto vent’anni e che non smetteva un attimo di sorridere a Michele.

Ti sei dimenticato di dirmi qualcosa?”, mormorai, notando la stessa espressione della ragazza sul viso del ragazzo al mio fianco.

Nulla di importante”, minimizzò, lui, sorridendomi imbarazzato. “Quella è la mia ragazza, tutto qui”.

Tutto qui!? È meravigliosa”, esclamai, felice per lui e per la sua espressione da stupido che aveva sul viso. Che fosse perso per quella ragazza era ormai palese, ma era comunque bello vedere come, due persone giovani come loro, potessero essere attratti l’una all’altro e come potesse bastare un sorriso per cambiare tutto. “Cosa ci fai ancora qui? Vai da lei, forza”, continuai, spingendolo leggermente verso la sua direzione, facendolo ridere.

Grazie Maya”, disse, poi. “Dopo vengo a presentartela”.

Li guardai per un momento, quando finalmente furono uno davanti all’altra, e li trovai semplicemente adorabili. Forse un po’ troppo dolci, ma erano belli da vedere, stavano bene insieme e non c’era altro da aggiungere. Così li lascia in pace e continuai a girovagare per il palazzetto salutando con un cenno chi avevo conosciuto poco prima e chi, evidentemente, sapeva chi fossi grazie alla parlantina di mio padre.

Continuavo a scattare fotografie, ogni tanto, giusto per catturare qualche momento in particolare o Claudio sorridente insieme all’ospite di turno. Fino a quel momento la serata si era rivelata una vera noia, tranne per quei pochi minuti trascorsi insieme a Michele, ma per il resto calma piatta. Fin troppo piatta.

Avevo sapientemente evitato Simona, quando mi vide, cominciando a parlare con un gruppetto di sconosciuti che mi erano stati presentati poco prima, ma di cui non ricordavo il nome. Tutto pur di evitare Riccioli d’Oro. E si rivelarono anche abbastanza simpatici, nonostante fossero tutti un po’ troppo loquaci, ma riuscirono a salvarmi dalla bionda in carriera e ciò mi bastò. Mi domandarono del mio lavoro, dell’esperienza a Doha e, dopo alcuni minuti di conversazione, scoprii che la coppia di settantenni con cui parlavo maggiormente erano amici di vecchia data di mio padre, nonostante la differenza d’età.

Somigli molto a tua madre, sai?”, disse la donnetta che avevo davanti, con un sorriso radioso. Ed io mi sentii gelare, mentre me ne restavo impalata cercando di assimilare quell’affermazione. “Nonostante tu abbia gli occhi identici a quelli di Claudio”.

Non volevo assomigliare a mia madre, non volevo avere assolutamente alcun collegamento con quella donna; avevo perso tutto nel momento stesso in cui mi ero ritrovata con solamente un genitore a crescermi, sentendomi abbandonata da quella che mi aveva messa al mondo.

Erano in pochi a sapere la storia, con tutti i suoi particolari e, probabilmente, dalla semplicità con cui quella frase era stata detta, la vecchietta non era tra i pochi a conoscere la verità.

Scusatemi signori, ma ora devo proprio andare, altrimenti mio padre comincerà a tempestarmi di domande in merito a fotografie che ancora non ho fatto”, mi dileguai nel momento stesso in cui mi augurarono una buona serata, sentendo il bisogno di evadere da quel momento e di ingerire qualcosa da bere che fosse in grado di stordirmi abbastanza da potermi permettere di affrontare meglio la serata. E l’aperitivo che continuavano a servire non era di nessun aiuto, nonostante mi trovassi ancora una volta davanti al banco bar a chiedere un bicchiere.

Poteva anche essere troppo leggero, ma avevo bisogno di bere e, fino al momento in cui non ci fossimo accomodati a tavola, quello rappresentava la mia unica scappatoia.

Lo sai che sei peggio di un alcolizzato?”.

Nemmeno mi voltai, quando sentii quella voce alle mie spalle, quella sua solita nota di superiorità ed egocentrismo. Se avevo cercato un attimo di pace, in quel momento, qualcuno lassù doveva avercela a morte con me perché, proprio Travis, era l’ultima persona con cui avrei voluto parlare.

Bevi a dismisura per essere così minuta”, aggiunse, con una leggera risata.

E tu mi conosci troppo poco per continuare a parlare”, ribattei, voltandomi finalmente verso di lui. E mi maledissi all’istante, perché non avrei dovuto averlo fatto, assolutamente, perché la visione di Travis in smoking, con la camicia inamidata ed il nodo perfetto della cravatta, era una libidine. Libidine fin troppo fastidiosa, ai miei occhi, ma che sembrava aver il potere di mantenere l’osservatore con lo sguardo incollato a lui.

Beh io non la metterei su questo piano”, rispose, non facendosi scoraggiare. “Rispetto alla maggior parte delle persone qui dentro, io ti conosco meglio di chiunque altro”, aggiunse, infine, riducendo la voce ad un sussurro e fissandomi con uno sguardo da predatore.

Ma che gli era successo? Era forse impazzito oppure era stato l’aperitivo a dargli alla testa? “Oh ti prego”, esclamai, con una smorfia disgustata. “Vai ad abbordare la tua bionda, invece che sprecare queste battute squallide con me”.

La bionda, come la chiami tu, si sta facendo incantare da Luca”, commentò, indifferente. “Non che mi dispiaccia, ma mi ero stancato di restare lì impalato ad assistere ai soliti corteggiamenti da manuale”.

Avresti potuto imparare qualcosa, magari”, sputai, cercando di liberarmi di quel bell’imbusto al più presto. Ormai avevo imparato che, alla minima provocazione, si infiammava all’istante e, come suo solito, avrebbe concluso il tutto con un’uscita di scena degna del miglior film da Oscar. “O ti senti già così esperto da permetterti di scartare ogni consiglio che ti si presenta davanti”, aggiunsi, cercando di andarmene e camminando in cerca del posto a sedere che mi era stato assegnato.

Mi ero semplicemente stancato della compagnia, Maya”, continuò, lui, seguendomi e facendomi innervosire per la sua testardaggine.

Cercai di lasciarlo perdere, nonostante continuasse ad impersonare il perfetto segugio e a seguirmi in silenzio, continuando la mia ricerca, finché non trovai finalmente il tavolo in cui avrei cenato. Diedi una veloce occhiata anche a tutti gli altri nomi presenti e quasi mi sentii mancare quando mi resi conto di avere dei compagni d’eccezione con cui trascorrere la serata. Travis alla mia destra, poi Simona, Luca, Michele ed infine una certa Sara, alla mia sinistra, che, ipotizzai, fosse la ragazza dell’unica persona in quel tavolo che non avrei volentieri affogato. Un tavolo tondo che si sarebbe potuto trasformare in un perfetto campo di battaglia.

Che succede?”, chiese Travis, avvicinandosi e guardando l’allestimento del tavolo davanti a me. “Oh…”.

Appunto.

L’unica consolazione possibile era solamente l’espressione del ragazzo al mio fianco, tra lo sconvolto e il sorpreso, forse anche un po’ spaventato. Ma ciò non migliorava comunque la situazione. Tutto quello restava un assurdo disastro.

Di certo, non ci annoieremo”, commentò, lui, dopo qualche istante, cercando di trattenere un sorriso.

Non sei divertente”, lo zittii, poggiando la mia borsetta e quella per la macchina fotografica sulla sedia. “Sapevo che sarebbe stata un disastro, questa serata, ma così è davvero troppo”, conclusi, quasi borbottando tra me e me.

Dovevo trovare un modo per far passare il tempo più velocemente, per alleggerire la serata, soprattutto dopo aver scoperto il brutto scherzo che mi aveva giocato mio padre con quella stupida posizione.

Quindi cosa vorresti fare? Chiedere a Claudio di rivoluzionare la posizione dei tavoli solamente perché la compagnia non è di tuo gradimento?”.

Cominciava a darmi davvero fastidio quella sua insistenza, come se fosse diventata la sua missione, quella di mandarmi al manicomio. Nonostante nemmeno Travis sembrasse contento di quel nuovo sviluppo, continuava ad importunarmi e lo avrei volentieri gettato nella piscina così vestito di tutto punto, se poi non si fosse riversato tutto quanto su di me. E come minimo, stronzo com’era, Travis mi avrebbe reso pan per focaccia spedendomi in acqua a calci.

Credo che andrò a prendere altro aperitivo”, mormorai, guardandomi attorno. “La serata richiederebbe una quantità smisurata di alcool”.

Posso unirmi a te?”, mi chiese, poi, attirando la mia attenzione. “Prometto di non darti fastidio, ho solamente il tuo stesso bisogno di rendere tutti quanti più simpatici, in qualche modo”, continuò, osservandomi attentamente, in attesa di una mia risposta.

La realtà è che non avevo la più pallida idea di cosa dirgli, perché non sapevo proprio che fare. Era quel suo sguardo a mandarmi in tilt, così attento ed intenso, quei suoi maledettissimi occhi che non accennavano a cedere.

Va bene”.

Non potevo aver detto davvero una cosa simile, non potevo crederci: mi ero fatta fregare ancora una volta da quel suo bel faccino innocente. E lui era tutt’altro che innocente. “Ma una sola parola e finisci a mollo”, lo minacciai, pungolandogli il petto più volte, guadagnandomi un sorriso complice in cambio.

Forse sarebbe diventato più simpatico anche lui, con un paio di aperitivi in più.

 

Travis’ POV

 

Quelle ultime novità non mi erano proprio andate giù, per niente, come se riuscire a cenare nello stesso tavolo insieme a quelle persone fosse stato facile. Certo, gli ultimi minuti passati con Maya al bancone degli aperitivi era stato piacevole e, quella sera, era davvero da bella da mozzare il fiato, ma quel suo cipiglio infastidito che non le aveva ancora abbandonato il viso cominciava a darmi davvero sui nervi. E la situazione non cambiò nemmeno quando, finalmente, ci accomodammo a tavola per cominciare a cenare, nonostante la presenza di Michele e della sua Sara alleggerissero parecchio la situazione. Ma io mi trovavo tra due fuori, tra due primedonne completamente diverse tra loro, una che non faceva altro che attirare l’attenzione su di sé e l’altra che avrebbe far di tutto pur di scappare da quel posto, sempre con la sua aria di superiorità, e Michele, dall’altra parte del tavolo, non faceva altro che lanciarmi sguardi divertiti, come se già non bastasse la realtà a prendermi in giro. Più o meno lui aveva capito qualcosa, non era stupido, il ragazzo, ed avevo sempre cercato di schivare le sue frecciatine, ma a volte risultava talmente subdolo che non riuscivo a negare l’evidenza. Tuttavia, non era mai voluto entrare nel dettaglio, non aveva mai chiesto altro, mi aveva solamente detto di stare attento e di non fare cazzate e, sinceramente, continuavo a non capire quelle sue parole, come se lui fosse a conoscenza di qualcosa che a me era stata tenuta nascosta. Almeno non era stato come Luca che, a turno, mi aveva chiesto quante più cose possibili prima su Maya poi su Simona, come se una non gli bastasse. Era assurdo oltre che maledettamente irritante.

Avrei voluto andarmene, prendere su le varie portate e tornare a casa mia, con una birra in mano, perché tutta quella compostezza e quei finti sorrisi non li sopportavo più. E per fortuna avevamo appena finito di mangiare il secondo, dopo due primi e due antipasti.

Come Claudio avesse potuto creare una cosa simile, non lo sapevo, ma non si era assolutamente risparmiato nemmeno per quel che riguardava il menu.

Erano quasi le undici e noi eravamo ancora relegati ai tavoli, seduti per finire quella dannatissima cena che continuava ad andare avanti ad oltranza. Ed era evidente a tutti come, quella situazione, pesasse a tutti, nonostante Sara e Michele cercassero di intavolare qualche discorso con noi altri, ma Luca e Simona erano fin troppo impegnati a mangiarsi con gli occhi e Maya, nonostante dicesse qualche parola qua e la, non aveva la benché minima voglia di chiacchierare, era palese. Così avevo cercato di salvare la situazione, parlando un po’ con Sara, cercando di conoscerla meglio e di scoprire come si fossero conosciuti lei e Michele. Ed era anche simpatica, forse un po’ timida, ma dopo aver rotto il ghiaccio non aveva fatto altro che parlare tranquillamente, seguita a ruota da Michele che, in fatto di parlantina, a volte non scherzava davvero.

Tu, Maya, che ne pensi?”, chiese, all’improvviso Sara.

Che Maya fosse in un altro mondo era palese, ma non sembrò scoraggiarsi, anzi, forse fu proprio il sorriso di incoraggiamento dell’altra a farla parlare. “Di che cosa? Scusami, ma non stavo seguendo il discorso”.

Di quello che avete passato a Doha, è stato divertente?”.

Dovetti trattenermi dal ridere quando, sentendo quella domanda, Maya sbiancò di colpo. Che si fosse divertita avevo qualche dubbio, ma forse gli ultimi momenti in albergo le avevano fatto recuperare il tempo perso dato che, a mio modesto parere, erano stati tutt’altro che spiacevoli. Ma alla fine lei era sempre e comunque una grande incognita e ancora non avevo capito che cosa volesse lei, cosa pensasse o cosa si aspettasse, mi aveva solamente detto che avremmo dovuto farla finita con quella storia, nient’altro. E, alla fine, non le avevo nemmeno dato una risposta sensata, me ne ero solamente andato da perfetto idiota; ma in quel momento, la scena che mi si parava davanti agli occhi era a dir poco esilarante, con Maya con gli occhi ancora strabuzzati, mentre fissava Sara che, con i suoi occhioni la osservava paziente in attesa di una risposta, e Michele che, da grande genio che si era sempre mostrato, scrutava me incuriosito dalla mia reazione.

Diciamo che è stato solamente lavoro, nonostante quella città non fosse niente male, ma non è successo nulla”, mormorò, infine, sbloccandosi finalmente dallo stato catatonico in cui era entrata.

Nulla, aveva detto, e dire che mi aveva infastidito quel suo commento era davvero poco, perché qualcosa era successo, nonostante non fosse la fine del mondo, ma era successo. Ancora, per la terza volta, e quel suo menefreghismo mi dava alla testa. Poteva anche essere una meravigliosa attrice, ma percepivo una freddezza mai vista prima, in lei, in quel momento, ed avrei tanto voluto ricordarle se, in camera sua, l’ultima notte, non era davvero successo nulla.

Almeno hai avuto la possibilità di visitare una città come quella, Maya”, rispose Sara, con aria sognante. “Hai visto una parte del mondo, io mi reputerei fortunata”.

Nel frattempo, l’altra coppietta al mio fianco non ne voleva sapere di entrare nella conversazione tant’erano occupati a spogliarsi con gli occhi e a parlarsi tramite sussurri alle orecchie. Avrebbero potuto prendere tranquillamente borse e cappotti ed andarsene da lì, per quanto erano di compagnia.

Vedevo Simona molto presa, nonostante si fosse sempre dimostrata molto presa praticamente da tutti, ma da Luca si lasciava ammaliare con fin troppa facilità e non avevo dubbi che, per loro, la serata non sarebbe finita in quel posto, a festeggiamenti terminati. Luca, invece, stava sfoderando le sue armi migliori, ormai lo conoscevo e, quello sguardo da cacciatore incallito, lo sfoderava solamente quando sembrava davvero interessato ad appendere un’altra testa alla sua immaginaria parete dei trofei.

Era assurdo ed imbarazzante, restare a quel tavolo, nonostante ci fosse stato quell’attimo in cui mi sarei spanciato dalle risate, ma sentivo di non appartenere a quel momento, a quella serata in genere, per persone sempre in tiro e con il completo migliore fatto su misura.

Avevo bisogno di tornare a casa, alla mia tranquillità.

Mia madre, intanto, era riuscita a trovare posto insieme al gruppo di oche con cui aveva parlato prima della cena e, almeno lei, sembrava godersi la serata, nonostante cercasse sempre di farsi notare in mezzo alla folla, ma almeno non sembrava rappresentare un grosso problema, in quel momento. Si stava divertendo e, molto probabilmente, nulla sarebbe cambiato fino alla fine della serata, quindi tanto valeva lasciarla perdere e lasciarla divertirsi.

Che poi lei si stesse davvero divertendo ed io mi sarei voluto buttare in acqua, vestito com’ero, giusto per fare qualcosa di diverso dal mostrare il solito sorriso tirato e rispondere alle varie domande a monosillabi, era assolutamente irrilevante.

 

La cena finalmente finì e, per mia fortuna, mancava solamente mezz’ora allo scoccare del nuovo anno. Tempo di fare gli auguri a tutti e me ne sarei andato a gambe levate.

Ormai nessuno se ne stava seduto ai tavoli dove avevamo cenato e, ovviamente, il catering assoldato da Claudio aveva già pensato a liberare l’area più spaziosa del palazzetto, facendola diventare una pista da ballo improvvisata dove, solamente i più temerari, si erano azzardati a muovere qualche passo. Per lo più persona di mezz’età che continuavano a muoversi lentamente a ritmo con la musica che passava in quel momento. E per fortuna che il dj assunto per la serata sembrava aver lasciato a casa propria tutto il repertorio di musica elettronica che, per l’ultimo dell’anno, anche il più incapace tirava fuori dal cassetto. Almeno la musica era ascoltabile, nonostante non fossi amante di Frank Sinatra, Billie Holiday e Nina Simone.

Poi vidi scendere in pista Claudio che trascinava una non poco scontenta Maya, cercando di scappare dalla presa salda che suo padre aveva al polso. Il mio allenatore rideva divertito, mentre continuava a non voler sentire ragioni sul rifiuto della figlia e, alla fine, la prese tra le braccia e si mise in posizione, muovendosi anche lui lentamente sulle note di Strangers in the Night di Frank Sinatra.

 

Strangers in the night, exchanging glances
Wond'ring in the night, what were the chances

We'd be sharing love
Before the night was through

 

Era strano guardali, in quel momento, perché pareva che niente e nessuno avrebbe potuto rovinare quell’attimo in cui, padre e figlia, si osservavano attentamente, entrambi con l’ombra di un sorriso sulle labbra. Era un sfida, quella, era ormai palese e, probabilmente, Maya odiava ballare. Ma restava al gioco, continuava a farsi guidare da Claudio che la guardava come se fosse la cosa più bella al mondo.

Quel rapporto padre e figlia era qualcosa di speciale ed era lontano anni luce da quello che avevo passato io, con mia madre.

Era lontano anni luce da quello che avevo passato e basta.

Dovresti smetterla di guardarla in quel modo, sai?”, disse, all’improvviso, Michele alle mie spalle, facendomi sobbalzare. “Prima o poi la consumerai”, concluse, osservando la scena a cui stavo assistendo.

Ma che diavolo stai dicendo?”, ribattei, cercando di deviare il discorso. “Sicuro di non aver bevuto troppo vino, a tavola?”.

Ne ho bevuto meno di te, se è questo che ti interessa, e la mia menta è fin troppo lucida per lasciare che i tuoi stupidi tentativi di divagare vadano in porto”.

Colpito e affondato.

Certo, era giovane, lui, ma era una tra le persone più scaltre ed intelligenti che avessi mai conosciuto ed un po’ mi infastidiva, perché non sapevo mai come poter scappare dalle sue stupide psicoanalisi.

Non ti si può nascondere nulla, vero?”, domandai, con un sorriso amaro in vico, tornando con lo sguardo a Maya e a suo padre che continuavano a ballare e a chiacchierare tra di loro.

A me no, mi spiace, e ti sto osservando da quando siamo stati a Doha e, lasciatelo dire, se fare lo stronzo con lei pensi che possa funzionare, ti sbagli di grosso”, aggiunse, infine, neanche fosse il vecchio saggio della situazione.

Ed io non facevo lo stronzo con Maya, lei faceva la stronza con me ed io rispondevo di conseguenza, non sapendo come comportarmi altrimenti. La verità era che mi mandava in bestia, lei, quando metteva in bella mostra quel suo maledetto lato bipolare e mandava in tilt la mia mente, perché non sapevo mai come comportarmi o come parlarle. Sembrava che, la mia sola presenza, le costasse il sorriso che solitamente mostrava a tutti gli altri. Ed un po’ mi dispiaceva, perché aveva un bel sorriso e perché sembrava quasi una bambina, quando gli occhi cominciavano a brillarle, ma probabilmente mi detestava a tal punto da non sopportare nemmeno qualche parola con me.

Non saprei che altro fare, Michele”, commentai, dopo alcuni istanti di silenzio. “Lei è troppo complicata e nemmeno se ne rende conto”.

E tu ti rendi conto che, alla fine, la metti solamente a disagio comportandoti da padrone del mondo?”, sbottò, poi, attirando l’attenzione di un gruppo di persone al nostro fianco.

Parla piano, idiota!”, lo rimbeccai. “Ed io non la metto a disagio, le sto semplicemente sulle palle”.

Mi voltai verso di lui, quando mi resi conto che non la smetteva un attimo di fissarmi allibito, poi lo vidi scoppiare a ridere divertito, non capendone il senso.

Certo che siete uno più imbranato dell’altra”, esclamò, poi, cercando di trattenere le risa.

E tu sei un idiota! Dove hai lasciato la tua ragazza? Sei sicuro che non abbia bisogno di te, in questo momento?”, gli chiesi, non sopportando più la sua presenza e quella sua ridicola presa in giro.

Tranquillo, me ne vado e ti lascio solo a spogliare con gli occhi quella ragazza”, rispose, Michele, cominciando ad incamminarsi verso Sara che, a qualche metro da noi, chiacchierava con un gruppo di ragazze.

Ti ho già detto che sei un idiota, vero!?”, sbraitai, facendolo ridere ancora di più.

Io non stavo spogliando con gli occhi Maya, assolutamente. Semplicemente, stavo ammirando la complicità che aveva con suo padre, mentre ballavano. Che poi lei stesse indossando un abito del genere, che metteva in mostra una considerevole parte della sua pelle, era del tutto irrilevante, sì.

Non la stavo spogliando con gli occhi, dannazione, però tutto sembrava girare attorno a lei, e la cosa che rendeva tutto più naturale era il fatto che lei non se ne rendesse nemmeno conto, non si era mai accorta degli sguardi che volavano su di lei quando lavorava, quando camminava per quella piscina ed in quel momento, tra le braccia di Claudio, perfettamente ignara di tutto, come sempre.

Non la stavo spogliando con gli occhi, allora perché non riuscivo a distogliere lo sguardo? E per quale stupido, assurdo motivo mi stavo avviando verso di lei e verso suo padre, che continuavano a ballare, nonostante la musica fosse cambiata?

Scusa, Claudio, posso rubarti un ballo con tua figlia?”, gli chiesi, poi, non riuscendo a riconoscermi.

Quello non ero io!

Ah Travis”, esclamò, sorridendo come solo lui sapeva fare. “Certo, eccola qui, divertitevi”, aggiunse, passandomi la mano di sua figlia che, da gran signora qual era sempre stata, non si degnava nemmeno di nascondere lo sconcerto.

Così guardai Claudio lasciarci, raggiungendo Roberto che, per sua immensa sfortuna, si era imbattuto nella parlantina di mia madre, ed unendosi al gruppo; lasciai volutamente perdere l’occhiata soddisfatta che mi lanciò Michele, alle loro spalle, tornando a guardare Maya.

Sempre la solita delicata e carina Maya. “Non ti bastavano le risate della cena, per infastidirmi?”. Appunto.

No, mi dispiace per te”, ribattei, compiaciuto, mettendomi in posizione e poggiando la mano libera sulla sua schiena nuda.

Non era più la stessa ragazza tranquilla che aveva ballato con il padre fino a qualche momento prima, si era irrigidita ed era nervosa, ed era palese. Ma non poteva davvero avere ragione Michele, non era possibile. Anche quando, anche lei, si mise in posizione notai come fosse sulle spine, imbarazzata da quella situazione.

Sicuro di saperti muovere? Di solito i nuotatori non sono dei tronchi di legno?”, domandò, poi.

Voleva giocare con il fuoco e l’avrei accontentata, perché non mi sarei fatto mettere i piedi in testa da quella ragazzine dalla lingua biforcuta. “Beh ne hai già avuto prova più di una volta, non credo di essere per niente negato”, ribattei, sorridendole malizioso. Se voleva scherzare, aveva trovato pane per i suoi denti.

Ancora con queste battute squallide”, mormorò, poi, scuotendo il capo. “Quanti anni hai? Quindici?”.

Te le vai a cercare, Maya”, commentai, continuando a ballare con lei.

Poi calò il silenzio, interrotto solamente dalla musica in sottofondo che si diffondeva per tutto il palazzetto e, alla massa che era già  in pista, si unì addirittura mia madre accompagnata da Claudio e, se non fosse stata per l’evidente differenza di centimetri, aiutata soprattutto dai tacchi vertiginosi di mia madre, sarebbero potuti anche sembrare una coppia normale. Si conoscevano da anni e, soprattutto il mio allenatore, aveva sempre cercato di mostrarsi il più gentile possibile, con lei, e alla fine erano diventati amici, in qualche modo a me sconosciuto.

Distolsi lo sguardo da loro, non riuscendo a sopportare l’evidente messa in scena di mia madre, la solita che metteva su ogni qualvolta che sentiva molti occhi puntati su di lei, così osservai ancora Maya che, sempre nel suo solito stadio di nervosismo, guardava altrove.

Quindi a Doha non è successo nulla?”, le chiesi, infine, quasi liberandomi di un peso.

I suoi occhi saettarono nei miei e mi sorpresi come, con le luci che c’erano lì dentro, sembrassero ancora più chiari, di un colore tendente al blu.

Così è per questo motivo che hai interrotto il ballo con mio padre?”, disse, poi, sempre con quel suo tono acido.

Rilassati per una volta, Maya, dannazione”, ribattei, esasperato da quel suo comportamento. “No, non è per quello e, se devo dirla tutta, non so nemmeno perché sono qui con te, a ballare”, confessai, infine.

Allora potevi anche evitare di interrompere l’idillio”, rispose.

Non hai riposto alla mia domanda, Maya”.

Cosa dovrebbe essere successo, scusa? Cosa avrei dovuto dire?”, mi chiese, scontrosa, non accennando a cedere lo sguardo.

Era decisa, convinta di quel che aveva detto prima alla cena, si vedeva da come mi scrutava con decisione e dalla forza della sua voce. Ma nonostante quello era sempre la solita ragazzina viziata che si ostinava a farmi innervosire.

Non sono qui per dirti che hai sbagliato a rispondere in quel modo a Sara, stupida, ci mancherebbe altro”, dissi, poi. “Ti ho semplicemente chiesto se, davvero, non è successo nulla, per te”.

Avevo abbassato ogni scudo e mi sarei preso a schiaffi per quello, perché non avevo la minima idea di quello che mi stava succedendo e, sentirmi così esposto, mi faceva sembrare l’adolescente che ero stato. Ed io ho sempre odiato la mia adolescenza.

Continuai a guardarla negli occhi e, quando la vidi tentennare, pensai di avere le traveggole perché, quella piccola stronzetta, aveva avuto un attimo di dubbio. E non sapeva cosa dire, non sapeva quale battuta sagace tirare fuori dal cilindro.

Non lo so, Travis”, confessò, infine, distogliendo lo sguardo dal mio e rivolgendo la sua attenzione alle altre coppie che ballavano attorno a noi. “Continuo a capirci sempre meno”.

Silenzio. Ancora.

Cominciava a farsi pesante, quella situazione, perché entrambi avevamo capito che, alla fine, eravamo giunti ad un punto decisivo di qualcosa che nemmeno sapevamo che sembianze avesse.

Scusa, per prima”, mormorò, all’improvviso, Maya, dopo alcuni istanti.

Come?”, le chiesi, attonito, sicuro di non aver capito esattamente cosa avesse detto.

Ti ho chiesto scusa, Travis, non farla più difficile di quanto già non sia”, ribatté, guardandomi male. “Ma sto odiando profondamente questa serata e vorrei tanto andarmene senza che mio padre si arrabbi”.

Siamo sulla stessa barca, Maya”, dissi, attirando ancora la sua attenzione, e facendo scorrere lentamente la mia mano sulla sua schiena. “E la presenza di mia madre, conciata in quel modo soprattutto, non rende la mia permanenza qui più sopportabile”.

La sentii ridere e mi chiesi se, davvero, fossi impazzito. “Lasciatelo dire, questa volta Tanya si è superata”, commentò, sorridendo, lanciando uno sguardo a mia madre e suo padre che continuavano a ballare. O meglio, a Claudio che cercava di stare dietro ad una Tanya a dir poco scatenata, nonostante il ritmo tranquillo della canzone. Poi Maya tornò a guardarmi, all’improvviso, quasi colpita da un’illuminazione. “Aspettiamo mezzanotte e andiamocene”, disse.

La fissai stralunato, certo di aver capito male le sue parole. “Che hai detto?”.

Sì, hai sentito bene”, rise, rispondendo ai miei dubbi. “Tu non vuoi stare qui ed io, di certo, ho altro di meglio da fare che restare in questo posto a fare la bella statuina, allora andiamocene di qui così, se proprio dovrò ucciderti, saprò anche come occultare il cadavere senza dare nell’occhio”, aggiunse, infine, sorridendo.

Non poteva essere vero, non poteva aver detto quelle parole. Doveva essere impazzita o, più probabilmente, ubriaca dopo tutto il vino che aveva accompagnato la sua cena. Eppure, dalla luce che illuminava i suoi occhi, sembrava essere terribilmente seria, nonostante fino a qualche momento prima non si fosse risparmiata in frecciatine e risposte scorbutiche. Aveva la straordinaria, quanto irritante, capacità di cambiare umore tanto spesso quanto mia madre cambiava paio di scarpe preferite, ed era snervante, ma al tempo stesso stimolante, perché non avevo mai la più pallida idea di cosa aspettarmi in un momento o nell’altro, da lei. era un continua sorpresa, a volte non tanto piacevole, ma continuava a stupirmi per i suoi frequenti cambi di rotta.

Sicura di star bene, Maya?”, le domandai, ridendo di gusto, davanti alla sua espressione convinta.

Sì, anche se non sono convinta delle conseguenze, ma voglio andarmene non appena ne avrò la possibilità”, ribadì, ancora una volta, distogliendo lo sguardo dal mio, colta dall’ennesimo momento di incertezza.

Era volubile, a volte fin troppo, ma forse era proprio quello che mi attraeva tanto. Anche se non ero esattamente attratto da lei, nonostante fosse bellissima, ma mi intrigava quel suo strano comportamento, quel suo continuo portarmi al limite della pazienza, facendomi perdere le staffe.

Così mi avvicinai ancora di più a lei, rafforzando la presa che avevo nel suo corpo e chinandomi leggermente per arrivare meglio al suo orecchio. “Sicura che le possibili conseguenze non ti convincano?”, le domandai, poi, carezzando delicatamente la sua schiena nuda ancora una volta.

La sentii irrigidirsi contro il mio corpo e mi ritenni soddisfatto quando percepii la sua pelle d’oca sotto il palmo della mia mano. Poi voltò lo sguardo verso di me, lentamente, e solamente in quel momento mi resi conto di quanto, inspiegabilmente, eravamo vicini l’uno all’altra, con solamente pochi centimetri a dividerci. “Non quelle che regalano piacere in un primo momento, credo”, rispose, lei, quasi in un sussurro, sostenendo lo sguardo.

Era audace, oltre che irrimediabilmente imprevedibile, e non riuscii a trattenere un sorriso compiaciuto quando la vidi così sicura di sé.

Ora mi restava solamente da capire come poter trascorrere più di mezz’ora, prima di andare via da quel posto, senza rischiare di impazzire.

 

È ovvio, alla fine, che, quando desideri ardentemente una cosa, il tempo che trascorre prima di ottenerla diventa estremamente lungo e noioso. Perché era quello che mi era successo, dopo la straordinaria scoperta di quel lato di Maya, un po’ imprevedibile.

Dopo aver terminato di ballare ognuno era andato per la propria strada, dopo uno scambio non troppo velato di sguardi, e anche in quel momento non riuscii a non domandare a me stesso se, in realtà, Maya non fosse più che ubriaca, perché infondo quel comportamento non era da lei, nonostante la preferissi così, piuttosto che con la solita aria scontrosa. Però mi lasciava qualche dubbio.

Comunque, lei si aggregò a Michele e Sara che, in disparte, stavano ammirando alcuni suoi scatti del servizio fotografico su di me, e non appena il ragazzo si rese conto che, il nostro ballo era giunto al termine, mi lanciò la stessa occhiata di poco prima, un misto tra il compiaciuto e il soddisfatto, ed avrei tanto voluto togliergli quell’espressione dal viso a schiaffi, perché era a dir poco irritante. Come se, già da tempo prima, avesse saputo che sarebbe accaduto qualcosa.

Mi avvicinai al tavolo su cui erano poggiati tutti i bicchieri e le varie bevande, e non esitai un momento a versarmi un calice di spumante, in cerca di qualcosa con cui alleggerire la tensione che mi stava sgretolando lo stomaco; così incontrai Claudio, in un momento di pausa dal suo solito chiacchierare praticamente con tutti, da bravo padrone di casa.

Allora, Travis”, cominciò, bevendo un sorso d’acqua. “Cosa ne pensi della festa?”, mi chiese, poi, guardandomi negli occhi, sorridente.

Non è niente male, Claudio, questo te lo concedo e hai fatto un ottimo lavoro, ma non sono adatto a questo tipo di feste”, aggiunsi, infine, ridendo.

Ah lo so, tranquillo, ma per racimolare qualcosa ho dovuto tirare su una baracca simile”, commentò, guardandosi attorno per osservare il lavoro perfetto che era stato fatto dal servizio di catering che aveva ingaggiato. “Sai, più la gente ha soldi in tasca più apprezza queste cose sfarzose”.

Ne sono convinto e spero bene che, alla fine, tutto questo possa servire a qualcosa”. Non avevo mai apprezzato una spesa di soldi simile a quella, ma sapevo che qualche problema con la piscina c’era, quindi se tutto quello era stato fatto per salvare il duro lavoro che Claudio aveva fatto negli anni, allora andava bene. Perché era diventata casa mia, quel palazzetto, quelle piscine; era diventato il mio rifugio e l’unico posto in cui riuscivo a sentirmi davvero me stesso. “Comunque penso che, augurato il buon anno a tutti, me ne andrò di qui: mi si sta paralizzando la mascella a forza di sorridere”.

Claudio scoppiò a ridere, dandomi una sonora pacca sulla spalla. “Non avevo dubbi ed hai la mia approvazione, se è questo che cerchi, perché il tuo lavoro oggi lo hai fatto e ti ringrazio per essere stato presente, questa sera”, disse, infine, cercando il mio sguardo e sorridendo.

Poi se ne andò così com’era arrivato, andando a parlare con un gruppo di uomini che, più o meno, avranno avuto la sua stessa età, perfettamente vestiti da capo a piedi, senza un capello fuori posto. Forse erano proprio quegli uomini quelli a cui, lo sfarzo di quella cena, piaceva.

Continuai a girovagare senza meta, scambiando qualche parola qui e là, fino a quando non arrivò il momento di distribuire i calici di champagne per festeggiare il nuovo anno. Mancavano circa due minuti allo scoccare della mezzanotte e non riuscii a spiegarmi il perché, ma mi sentivo come un bambino la mattina di Natale, quando arrivava il momento di scartare i regali. Sarà stato quell’improvviso cambio di programma che mi aveva migliorato la serata, ma non vedevo l’ora di andarmene da quel posto e togliermi l’abito che mi stava quasi impedendo di respirare. Che poi avrei tolto ogni indumento anche a Maya, gustandomi la visione di quel corpo, con tutta calma, era del tutto irrilevante, sì.

Un cameriere mi passò davanti, lasciandomi un calice, e scomparendo in un battito di ciglia dalla mia visuale.

Travis, finalmente”, esclamò una voce, poco lontana da me. E non potei non riconoscere quella voce, fin troppo squillante e felice per i miei gusti.

Mamma”, risposi, cercando di fingermi felice. Poi la vidi avvicinarsi fin troppo, un po’ traballante sui suoi tacchi vertiginosi, e abbracciandomi velocemente. Se su Maya avevo avuto dei dubbi, lei era completamente ubriaca, nonostante cercasse di darsi un contegno.

Ma dove diavolo ti eri cacciato, tesoro? Ti ho perso di vista non appena sono entrata qui dentro”, cercò di dire, tra l’elevato tasso alcolico e l’accento californiano che, nonostante tutti gli anni  passati in Italia, non aveva abbandonato.

Non mi pare che, senza di me, tu non sia riuscita ad ambientarti, o sbaglio?”, le chiesi, tagliente, non riuscendo ad ottenere una vera e propria reazione da parte sua. Era troppo impegnata a guardarsi in giro e a mostrare l’improvvisa vicinanza con me per prestarmi ascolto.

Era sempre stata così, dalla mia adolescenza in avanti, troppo occupata a mettersi in mostra per preoccuparsi di me.

Certo, Travis”, rispose, continuando a rivolgere la sua attenzione altrove. Così decisi di andarmene, lasciandola lì in piedi, intenta ad adocchiare il prossimo uomo su cui far colpo con quel suo abito da battona.

Nonostante avessi sempre cercato di contenere quel suo comportamento, soprattutto in serate come quelle saltava fuori, ed avrei tanto voluto seppellirmi da qualche parte o andarmene lontano, pur di non vedere come quella donna svalutasse il suo corpo. Non la sopportavo e stentavo a credere che fosse la stessa donna che, nei primi anni, mi aveva cresciuto come una vera madre.

Incontrai Michele che, vista la mia faccia e vista mia madre poco lontana, capì al volo che qualcosa non andava, così mi chiese di unirsi a lui e Sara per aspettare la mezzanotte e, poco dopo, sbucarono dal nulla Luca e Simona che, poco dopo la fine della cena, avevo completamente perso di vista. E tornarono entrambi sorridenti come due idioti e leggermente più trasandati, rispetto a prima, e la mia mente volò all’istante allo stanzino delle scope dove Maya ed io avevamo fatto sesso per la seconda volta, quando lei mi aveva trascinato dentro con la forza. Ecco, quella era stata un’altra volta in cui lei mi aveva sorpreso.

Poi arrivò anche lei, Maya, avvicinandosi alla ragazza di Michele con la quale, alla fine, sembrava aver instaurato un certo rapporto di amicizia, lanciandomi poi uno sguardo che mi parve carico di promesse e che, ovviamente, non sfuggì all’occhio attento di Michele, al mio fianco.

Ti devo ripetere di non fare l’idiota con lei, Travis?”, domandò, sussurrando, cogliendo al volo l’attimo in cui le altre due ragazze cominciarono a chiacchierare, entrambe con un calice in mano. “Perché sembra che, prima, tu non mi abbia dato ascolto”.

Non rompere le palle, Michele, non stiamo facendo nulla di male ed entrambi sappiamo a cosa stiamo andando incontro”, ribattei, cercando di mantenere la calma perché, quella sua continua pressione, aveva cominciato a darmi sui nervi.

Non è vero e tu lo sai bene, entrambi lo sapere, ma siete liberi di fare quello che vi pare e sappi che, quando arriverà il momento giusto, verrò ad urlarti che te l’avevo detto”, continuò, poi, guardando altrove. “Lei è una brava ragazza, nonostante ogni tanto faccia la stronza, quindi evita di comportarti come tuo solito con le donne, okay?”, chiese, infine, guardandomi male.

Forse lì dentro, oltre a Claudio, lui era l’unica persona a conoscermi davvero perché non si era mai fermato alla facciata da campione che mettevo su ogni volta che entravo in acqua. Si era sforzato di conoscere davvero Travis e, alla fine, era diventato l’unico vero amico su cui potessi contare, ma in quel momento, quella poca fiducia che riponeva in me, quasi mi feriva. Perché sì, aveva ragione, con le donne avevo sempre cercato qualcosa di semplice, senza problemi né pretese, cosa che alla fine moriva dopo solamente una notte, ma non ero un idiota e sapevo quando fermarmi, soprattutto se la persona in questione era la figlia del mio allenatore, uomo che ritenevo praticamente di famiglia.

Allora evita di straparlare ancora e fermati qui, quando vorrò farmi dare lezioni di vita ti manderò un messaggio, intesi?”, risposi, quasi ringhiando, non riuscendo ad intimidirlo in ogni caso.

Il nostro scambio di occhiatacce fu interrotto da Claudio che, al centro di quella che era diventata la pista da ballo, reclamava l’attenzione di tutti tramite il microfono che stringeva in una mano. Così cominciò un breve discorso per ringraziare tutti per la loro presenza e per le donazioni che erano state fatte, facendo trasparire un certo compiacimento per la riuscita della serata, e ringraziò sua figlia e Simona per aver lavorato con me per l’articolo della rivista, pregando tutti di comprare il numero di gennaio in cui sarei stato presente, e continuò a parlare fino a quando il conto alla rovescia non arrivò a quindici secondi e ci unimmo tutti quanti al coro, stringendo i nostri calici di champagne. Poi tutto andò avanti ed io quasi non trattenevo l’eccitazione e, probabilmente, dall’espressione che Maya aveva in viso doveva essere quasi lo stesso anche per lei.

Tredici secondi. Ed uno sguardo che lei mi lanciò, attirando la mia attenzione, e mi sembrò di vedere il mare in quei occhi che volevano tutto tranne che restare in quel posto.

Dieci secondi. E il mio timpano destro che andò a farsi fottere per colpa dell’euforia che Simona metteva in ogni numero urlato a squarciagola, con la mano libera allacciata al braccio di Luca che, altrettanto euforico, non staccava gli occhi dalla scollatura della bionda, mentre lei continuava a saltellare.

Otto secondi. E tutto era a dir poco ridicolo, assurdo, tanto da farmi ridere di gusto, improvvisamente, guadagnandomi un’occhiata dubbiosa da parte di Maya che, ancora, era intenta a fissarmi.

Sei secondi.

Cinque secondi.

Quattro.

Tre. E al diavolo tutto perché, quella notte, non avrei ascoltato i consigli di nessuno, non avrei fatto altro che seguire il mio istinto che mi urlava nella testa, che non smetteva un attimo di impormi di portare via di lì quella ragazza che mi guardava attentamente e fare ogni cosa possibile, con lei, perché sentivo il bisogno di sentire ancora la sua pelle sotto le mie mani, di trovarmi ancora dentro di lei e di sentire i suoi sospiri solleticarmi il viso.

Due.

Uno.

Buon anno!”. Ed era praticamente finita ed io mi sentivo con un peso in meno sulla bocca dello stomaco.

Così, dopo il boato, le urla e gli applausi, arrivarono gli auguri di rito per il nuovo anno, le strette di mano, gli abbracci, i baci, tutte le solite cose che sembravano volersi prendere gioco di me, come se in quel momento l’universo avesse deciso di scherzare con la mia vita e la mia pazienza, perché volevo scappare, volevo andare via da quel posto.

Michele mi batté una mano sulla spalla, sorridendo, come se le parole di poco prima non fossero nemmeno esistite, mentre Simona mi saltò addosso decisamente poco elegantemente, mandandomi in frantumi anche l’orecchio sinistro, abbracciandomi. Luca, invece, si limitò a stringermi la mano con un sorriso finto stampato sulle labbra, i soliti convenevoli per chi, alla fine, ti sta a dir poco sulle palle. Poi arrivò Sara che avvicinò solamente la sua guancia alla mia, velocemente, concentrandosi poi sul fidanzato al mio fianco.

E infine Maya, che mi scrutava con il mare negli occhi, agitato ed intrepido, con l’ombra di un sorriso accattivante sulle labbra. E si avvicinò a me lentamente, quasi mi volesse torturare e, nel momento in cui fu davanti a me, a pochi centimetri di distanza, abbassai il capo su lei, avvicinandomi al suo orecchio e augurandole un buon anno nuovo, prima di lasciarle un bacio sulla guancia, accompagnato dall’ennesima carezza alla schiena che le fece venire la pelle d’oca.

Era arrivato il momento di andare e levare le tende, e ne ebbi la conferma quando sollevò il capo verso di me, incontrando ancora una volta i miei occhi.

Dovevamo scappare a gambe levate o, altrimenti, avremmo dato uno spettacolo che, per una festa simile, non era esattamente adatto.

 

Maya’s POV

 

Non capisco per quale motivo mi sia lasciata convincere da te”, dissi, aprendo la porta del mio appartamento e facendo entrare Travis che, fino a quel momento, mi aveva seguita in silenzio.

Io ti avrei convinto a fare cosa, scusami?”, mi chiese lui, poi, con un certo grado di sconcerto. “Non mi sembra di essere stato io a proporre questa cosa”.

Ed aveva ragione, dannazione, perché mi ero lasciata andare fin troppo, alla festa, e quello era il risultato perché, per l’ennesima volta, avevo lasciato che fosse l’istinto a parlare per me e non la ragione.

Certo, la festicciola di capodanno di mio padre alla piscina mi aveva davvero stancata e c’erano davvero poche persone che consideravo sopportabili, ma non avrei voluto arrivare fino a quel punto, non dopo l’ennesima stupida promessa che avevo fatto a me stessa. Ma c’era stato qualcosa nei discorsi di Travis, nei suoi occhi, nella sua voce, mentre ballavamo, che mi aveva convinta a lasciarmi andare perché, davvero, mi sembrava di essere nella sua stessa barca, per motivi che non avrei voluto che esistessero.

Ero una donna tutta d’un pezzo, io, certo!

Per la prima volta effettiva, quel ragazzo era entrato nel mio nido, a casa mia. La prima scappatella dopo il mare non l’avevo nemmeno calcolata tanto era stata breve e promiscua. Ed era terribilmente strano accogliere qualcuno che non fosse mio padre, nel mio appartamento.

Lo osservai per un momento, mentre si guardava intorno e cercava di cogliere ogni particolare dell’entrata e del salotto con lo sguardo, così come lo avevo osservato in qualche occasione quella sera, mentre si aggirava senza meta vicino alle piscine, scambiando qualche parola con chi gli capitava a tiro. Ed avevo visto perfettamente come, in realtà, non fosse per niente a suo agio, in mezzo a tutte quelle persone, e probabilmente era stato proprio quello a spingermi verso la direzione che avevo intrapreso, facendogli una proposta che mi parve assurda nell’istante dopo in cui l’avevo pronunciata.

Anche in quel momento sembrava a disagio, nonostante cercasse di ambientarsi con quelle pareti che non facevano altro che parlare di me, ma almeno apprezzavo il tentativo ed il suo silenzio perché mi sarei aspettata una mitragliata di domande, ma di certo non quello. “Sembri un cucciolo impaurito, lo sai?”.

Non capita tutti i giorni di entrare in casa tua, non ti pare?”, ribatté lui, sorridendo, ma continuando a guardarsi attorno, fino a quando non vide la libreria vicino al divano. Così si avvicinò, cominciando a leggere tutti i vari titoli. “Con che coraggio tieni una quantità di carta simile? Non ti fanno pena le foreste in Amazzonia?”, mi chiese, ridendo per la sua stessa battuta. Squallida, oltretutto.

No, sono molto egoista per questo”, risposi, stando al gioco. “Vuoi qualcosa da bere?”, gli chiesi, poi, dirigendomi verso la cucina.

No, grazie, sto bene così”.

Lo lasciai girovagare per il soggiorno, senza sapere bene cosa fare o cosa dire, così andai in cucina perché, quella situazione, mi aveva fatto venire una sete tremenda, senza contare l’agitazione che mi stava divorando. E non capivo perché.

Alla fine, era stata una bella serata, tralasciando Simona e le sue manie di protagonismo durante la cena, e conoscere Sara mi aveva fatto davvero piacere, ma quando avevo passato il tempo sulla pista da ballo prima con mio padre poi con Travis, mi sembrò di vedere tutto muoversi a rallentatore, come se dovessi assaporare appieno quei momenti. Ed era stato strano perché, nonostante cercassi di allontanarlo sempre e comunque da me, lui si intestardiva e non mi dava tregua e, alla fine, ero stata bene, in un certo senso, ancora se non lo avrei mai ammesso nemmeno sotto tortura. Perché, in un certo senso, quella sera mi aveva stupita oltre che ammaliata, vedendolo con quell’abito su misura per lui, ma questo non cambiava i fatti, non cambiava il suo comportamento ed i suoi atteggiamenti da idiota e da prima donna. Travis restava sempre e comunque Travis.

Lo avevo visto muoversi bene e, probabilmente, mi aveva fatto un certo effetto grazie ad una notevole esperienza in fatto di donne e quel particolare mi preoccupava davvero tanto, perché sapevo che, se mi fossi lasciata coinvolgere troppo, mi sarei fatta male.

Smetterai mai di rimuginare su tutto ciò che ti capita?”, chiese, lui, facendomi sobbalzare.

Ero talmente immersa nei miei pensieri, nelle mie paranoie da non accorgermi nemmeno della presenza di Travis alle mie spalle. Era stato silenzioso, calmo ed era arrivato all’improvviso, ed io avevo quasi avuto un infarto per la sorpresa. E quando mi voltai finalmente verso di lui me lo trovai a pochi centimetri di distanza, come faceva sempre, invadendo il mio spazio vitale.

Non so di cosa tu stia parlando”, ribattei, cercando di lasciar cadere il discorso.

Pensi troppo, come sempre, e quando lo fai ti fissi le punta delle dita, corrugando la fronte”, continuò, lui, lasciandomi allibita. “Sono un bravo osservatore”.

Ed aveva ragione perché, quando continuavo ad analizzare tutto, nella mia mente, non facevo altro che torturami le punta delle dita e fissarmele, e lui era stato così bravo ad osservarmi da rendersene conto. “Potresti essere scambiato per uno stalker, invece che per un osservatore”.

Non ti arrendi mai, vero?”, chiese, retorico, con un sorriso sulle labbra. “Cominci ad essere snervante”.

Nemmeno tu sei tanto simpatico”, risposi, cercando di darmi un tono sotto il suo sguardo divertito, ma, l’unica reazione che ottenni, fu una sua risata. Poi si avvicinò ancora a me, facendomi retrocedere e poggiare al piano della cucina, così mi trovai in trappola, come sempre, perché da lui sembravo non poter scappare. Voleva farmi impazzire, lo avevo capito, ed usava quei suoi stupidi metodi per mandarmi in esaurimento nervoso e ci stava riuscendo, in un certo senso, perché quei suoi continui sorrisi alternati a battutacce degne del peggio camionista mi confondevano. E, come sempre, mi ritrovavo senza sapere cosa fare o cosa dire.

Da stupida codarda scappai, facendo finta di nulla e cominciando a sciogliere i capelli, sentendo il suo sguardo su di me.

Cominciavo a pentirmi di quel mio momento da coraggiosa, quando gli avevo proposto di andarcene insieme dalla festa, e quel mio continuo voler fuggire ne era la prova, ma mi trovavo davvero senza sapere che cosa fare. Sembravo essere tornata una bambina e la presenza di Travis cominciava ad intimidirmi, il suo sguardo da cacciatore ed i suoi passi lenti e misurarmi, mentre ancora una volta mi raggiungeva.

Continui a scappare da me”, mormorò, poi, quando fu ancora alle mie spalle.

Mi sarei dovuta arrendere, anche solo per una volta, altrimenti sarei andata avanti all’infinito e, quella mia continua battaglia con me stessa, cominciava a distruggermi, a sgretolarmi dall’interno, ed ero stanca di combattere per una battaglia che, alla fine, avevo perso in partenza.

Cosa dovrei fare? Dartela vinta e gettarmi tra le tue braccia!?”, gli chiesi, piccata, voltandomi a guardarlo. “Non è nel mio stile, mi spiace”.

Ti basterebbe abbandonare quella corazza che ti porti dietro, per una volta”, continuò, lui, fissandomi negli occhi ed incantandomi per l’intensità del suo sguardo. Cominciò a giocare con le punte dei miei capelli che, ormai, cadevano liberi in una nuvola indefinita. “Non mi sembra così difficile, Maya”.

Lo dici tu”, esclamai, all’improvviso, colta sul vivo. “Ho sempre vissuto con questa corazza e, negli unici momenti in cui ne facevo a meno, restavo scottata e venivo delusa dalla persona di turno, quindi sì, Travis, è difficile abbandonarla”, conclusi, agitata, non riuscendo però a muovere un muscolo. Lui non sapeva niente, non sapeva quello che avevo passato e cosa mi era successo nei rari momenti in cui non mi ero comportata da stronza. Non sapeva nulla di me.

Credi sia facile per me, ma non sai quanto ti sbagli e non immagini nemmeno quanto mi renda nervosa questa cazzo di situazione a cui, tra l’altro, non riesco a dare un nome e vorrei tanto semplificarmi la vita, ma sono fatta così e devo rimuginare sulle cose all’infinità, non posso cambiare, quindi non mi venire a dire che è facile, perché non lo è per niente”. Avevo quasi il fiatone per la foga che avevo messo in quel mio discorso e ancora non capivo se potesse avere un senso o meno, ma di una cosa ero sicura: e Travis non si fosse tolto, nel giro di un paio di secondi, quell’espressione divertita dal viso, gliel’avrei tolta io a suon di schiaffi. Perché era snervante, oltre che tremendamente fastidioso, e lui nemmeno se ne rendeva conto.

Poi, all’improvviso, mi prese il viso tra le mani e mi baciò, spingendomi verso la parete alle mie spalle cogliendomi impreparata, perché fino ad un secondo prima stavo discutendo con lui che continuava a mandarmi in tilt il cervello con le sue frasi fuori luogo, poi quello. Ed era stato inaspettato rendersi conto di come, alla fine, era piacevole restarsene lì, intrappolata tra il suo corpo ed il muro di casa mia, come già era successo. Era piacevole restare lì, a farmi baciare da quell’individuo che mi intrigava tanto quanto mi stressava.

Potresti smetterla, per una volta, di interpretare ogni mia frase come un attacco personale, Maya?”, mi chiese, poi, interrompendo in contatto delle nostre labbra, lasciandomi un attimo spaesata.

Se questo è il risultato, perché dovrei fermarmi?”. Non potevo averlo detto davvero, non potevo essermi lasciata sfuggire un pensiero simile e, dall’espressione sorpresa che mise su, probabilmente anche Travis era del mio stesso avviso, poi scoppiò a ridere, ancora, ed io non potei fare a meno di seguirlo a ruota perché, quella situazione, aveva un qualcosa di assurdo che non riuscivo a capire.

Poi le sua mani, dal mio viso, scesero alle spalle e, quando mi resi conto delle sue intenzioni, era ormai troppo tardi perché aveva già cominciato a sfilarmi il vestito dalle maniche, facendolo scivolare lentamente sulla mia pelle. “Dovresti indossare più spesso abiti simili”, commentò, fingendosi pensieroso. “Si tolgono molto più semplicemente”.

La prossima volta, allora, opterò per una camicia di forza”, ribattei, ridendo.

Gli sfilai velocemente la giacca dell’abito, lasciando perdere la sua espressione compiaciuta, mentre le sue mani scendevano sui miei fianchi, facendo cadere a terra l’abito che mi era costato una piccola fortuna. Ma in quel momento non badavo a nulla se non all’uomo che avevo davanti, che sembrava volermi mangiare con gli occhi, mentre osservava attentamente ogni centimetro della mia pelle e alle mille scariche di brividi che continuavano a percorrermi.

Scalciai l’abito ai miei piedi, cominciando ad incamminarmi verso la mia stanza, senza però dimenticarmi di Travis che, ancora leggermente imbambolato, non faceva altro che fissarmi; così afferrai la cravatta e lo attirai a me, continuando a camminare verso la camera da letto. Ma non mi diede nemmeno il tempo di ragionare che, improvvisamente, mi fece voltare ancora verso di lui e mi prese in braccio senza troppi complimenti, ed io allacciai le gambe alla sua vita, prendendo tra le mani i suoi capelli ed incontrando i suoi occhi, che avevano tutto dentro, tranne un briciolo di pazienza.

 

Mi ero svegliata all’improvviso, non capendo in che situazione mi trovassi, ma poi avevo visto Travis al mio fianco, nel letto. Dormiva a pancia in giù, con le braccia sotto il cuscino e sembrava essere la persona più tranquilla del mondo, oltre che un adolescente dopo aver fatto le ore piccole, con un ciuffo di capelli che gli ricadeva sulla fronte.

Mi calmai un attimo, passandomi una mano tra i capelli che erano ridotti in uno stato pietoso, e tornai a guardarlo, ricordandomi della notte che avevamo appena trascorso insieme, nonostante la sveglia sul comodino mi stesse urlando che le due del pomeriggio erano passate da un pezzo. Eravamo rimasti nel letto, facendo sesso, parlando, insultandoci di tanto in tanto e ricominciando tutto da capo, ed era stato strano, perché in qualche modo mi sembrava normale, mi sembrava quotidiano, come se lui ed io fossimo qualcosa in più. Quel qualcosa che non ci era permesso essere.

Scappai ancora, afferrando la camicia di Travis che giaceva in fondo al letto, e mi diressi in cucina, cercando di fare meno rumore possibile. Avevo bisogno di bere qualcosa e non esitai un momento a cominciare a prepararmi la prima tazza di tè dell’anno, sperando che potesse calmare il fiume di pensieri che mi affollava la testa. Perché sapevo che quello non avrebbe portato nulla di nuovo eppure mi ero lasciata convincere ed ero caduta nel tranello, da perfetta stupida.

E quello era il risultato: un’emicrania imminente, accompagnata da sensi di colpa e paranoie epiche, senza dimenticare il ragazzo che ancora dormiva nel mio letto, ignaro di quel conflitto interiore che mi stava annientando.

Avevo corso un gran rischio, soprattutto permettendogli di restare a dormire, ma alla fine mi aveva fatto talmente pena che non mi ero sentita di cacciarlo da casa mia perché, alla fine, faceva fatica a tenere gli occhi aperti. Così, in un impeto di buonismo, gli avevo semplicemente detto di restare, girandomi dall’altra parte e cercando di appisolarmi il prima possibile, ma il suo grazie e la sua mano che sfiorava ancora una volta la mia schiena l’avevo sentita benissimo, fin troppo bene. Ed era stata una stretta allo stomaco, nonostante avessi cercato con tutte le mie forze di non pensarci, ma avevo fallito miseramente ed ero riuscita a prendere sonno solamente verso le sette di mattina, due ore dopo aver sentito Travis cominciare a respirare regolarmente, pesantemente addormentato.

Continui a rimuginare, Maya”.

L’ennesimo spavento che, la sua voce, mi provocò, nonostante in quell’occasione fosse ad un paio di metri di distanza da me. Mi voltai di scatto, trovandomelo davanti agli occhi, in boxer, con quella faccia da addormentato che mi fece quasi sorridere.

Stavo pensando a quale miscela fare, tutto qui”, dissi, cercando di dargliela a bere.

Non mi convinci, ma intanto che ci siamo, cosa devi preparare?”, domandò, poi, raggiungendomi e guardando da sopra la mia spalla tutti le tipologie di tè che avevo davanti agli occhi.

Earl Grey, forse”, mormorai, tentando di lasciare perdere la sensazione che mi provocava il suo corpo, mentre sfiorava poco involontariamente il mio. Tuttavia, vidi perfettamente il suo viso irrigidirsi, per un motivo a me sconosciuto, ma cercai di non farci troppo caso. “Intanto devo mettere a bollire l’acqua”, continuai, scappando per l’ennesima volta ed allontanandomi da lui ed armeggiando con il fornello.

Poi sospirai, rendendomi conto che non avevo alcuna possibilità di scappare, così cercai il suo sguardo ancora assonnato e non mi sorpresi quando lo trovai appoggiato con il fianco al tavolo in cucina, intento a fissarmi. Mi avvicinai a lui, cercando di apparire più coraggiosa di quanto fossi in realtà, e quando gli fui davanti mi fu nuova quella sensazione che sentivo dentro di me, come se la vicinanza di Travis mi infondesse una certa calma che prima non c’era.

Ti dona la mia camicia, sai”, biascicò, con la voce ancora impastata dal sonno, facendo scorrere la sua mano sul mio fianco, scendendo sulla coscia e risalendo sotto il tessuto della camicia. E probabilmente mi sarei potuta sciogliere, sotto le sue mani, per la delicatezza che a volte mi riservava.

E a te dona non averla”, ribattei, cercando di nascondere un sorriso, facendolo ridere. Poi mi sollevò leggermente, senza preavviso, e mi fece sedere sul tavolo al nostro fianco, avvicinandosi pericolosamente a me, continuando a guardarmi negli occhi, senza proferire parola.

Iniziava ad essere spossante, quella situazione, con gli occhi di Travis che non la smettevano un attimo di fissarmi intensamente, come se cercassero di capire cosa mi passasse per la testa, ma per quanto assurdo potesse essere, mi confuse ancora di più la ricerca di un contatto che sentivo. Così sollevai lentamente una mano, sfiorando con le dita la sua mascella, scendendo poi sul collo e sulla linea delle spalle. Ed i miei occhi seguivano la mia mano, perché sapevo di non essere in grado di poter sostenere uno sguardo come quello che mi stava offrendo lui.

Tu resta qui, al tè ci penso io”, mormorò, quando la mia mano torno al suo viso. Poi si avvicinò ancora a me, sfiorandomi delicatamente il collo con le labbra e scomparendo l’attimo dopo, andando ai fornelli dove l’acqua sembrava essere pronta.

Così restai seduta sul tavolo della mia cucina, ancora imbambolata, e mi persi ad osservare un uomo che non era mio padre muoversi nella mia cucina, quasi si sentisse a casa.

Ed era strano rendersi conto come, ancora una volta, tutto quello sembrava essere normale, quotidiano.

*****

Eccomi, finalmente, dopo un'attesa infinita come sempre.. e mi dispiace davvero fare così, perchè vorrei essere più presente e vorrei publicare più spesso, ma tra  impegni, computer che mi si ribella contro e ispirazione che manca, mi riduco sempre all'ultimo.
Comunque.. ho voluto pubblicare un malloppo simile tutto d'un pezzo per evitare di interromperlo, perchè non ce n'era bisogno e mi sarebbe diaspiaciuto. Poi dovevo farmi perdonare per queste attese lunghissime, così ecco qua più di 13000 parole tutte per voi.
Quindi.. che ve ne pare, per ora? A mio parere, questa è una bella svolta, se così si può chiamare, perchè ancora nessuno dei due si era lasciato andare così tanto. Poi l'ho voluto strutturare in questo modo, con entrambi i POV dei nostri protagonisti, perchè per l'idea che avevo in testa mi sembravano più adatti averli entrambi.. spero vi sia piaciuto.
Detto questo, ringrazio come sempre le meraviglie che recensiscono (perchè siete davvero delle meraviglie), ma anche chi legge in silenzio e chi è arrivato da poco, mettendo la mia storia tra le seguite/recensite!
Spero di farmi viva prima della fine del mondo.. un abbraccio a tutte,
Chiara

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Capitolo 23
*** 22 - Starlight ***


Maya23




*****


Non è assolutamente vero”, esclamai, cercando di far valere la mia opinione che, in quel momento, era stata accantonata con fin troppa facilità. “Preferirei guardare altro, per quanto riguarda le competizioni di nuoto ne ho avuto abbastanza”.

Erano passate praticamente sei settimane da quando, la notte dell’ultimo dell’anno, mi ero ritrovata a casa mia con Travis a seguito. Non ci frequentavamo, ed era stato messo perfettamente in chiaro dalla sottoscritta già tempo prima, ma quando ne avevamo la possibilità ci incontravamo, per lo più al mio appartamento, e a parte aver testato gran parte delle superfici utilizzabili lì dentro, facevamo ben poco altro. Più che altro film alla tv e chiacchiere vuote, giusto per passare il tempo.

Non mi sembra di averti chiesto chissà cosa e, tanto per cambiare, ti stavi per addormentare, quindi mi è sembrato il minimo cambiare canale”, cercò di giustificarsi, lui, che fregava il telecomando da sotto il naso delle persone.

Non eravamo scesi in particolari riguardo alle nostre vite private, eravamo ancora troppo sconosciuti per poter scendere troppo a fondo, ma ci eravamo confrontati su parecchi argomenti e, spesso, ci trovavamo stranamente d’accordo, ma quando accadeva il contrario finivamo sempre per discutere e, per lo più, per insultarsi senza problemi. Era un’amicizia turbolenza, sempre se amicizia si trattasse perché né io né lui ne eravamo certi. E nemmeno in un’occasione avevamo cercato di dare una seria definizione a quello che eravamo diventati. Perché non eravamo nemmeno friends with benefits – giusto per essere più internazionali – dato che, come nostro solito, tendevamo a complicarci la vita ed a crearci mille problemi; quindici eravamo definiti solamente un grandissimo punto interrogativo.

Si, ma non per del nuoto”, mi lamentai, cercando di afferrare il telecomando che teneva sollevato troppo in alto per me. “Ancora una volta”, specificai, infine.

Travis si affidava sempre più spesso ai centimetri che ci dividevano, divertendosi sempre più spesso a mie spese che, con tutte le mie forze, avevo sempre cercato di farmi valere nonostante, in confronto a lui, fossi sempre stata una nanetta. Così, alla fine della storia, mi ritrovavo sempre a dover combattere contro di lui per recuperare il telecomando e poter cambiare canale dato che, quella, era pur sempre casa mia. Ma raramente ero riuscita a vincere, a discapito suo, ovviamente, che più di un paio di volte di era ritrovato con un mio ginocchio sul petto a comprimergli la cassa toracica. E sarebbe successo anche in quell’occasione, se non fosse stato per Travis che, con un colpo di reni, riuscì a spedirmi per terra senza troppi complimenti, facendomi cadere come una pera cotta.

E lui cominciò a ridere senza ritegno, stringendosi lo stomaco tra le braccia per quanto le sue risa erano sguaiate, e nemmeno il mio sguardo di fuoco riuscì ad intimidirlo, nonostante fossi davvero stizzita per la botta che avevo appena dato. Sembrava non notarmi nemmeno, lui, quasi con le lacrime agli occhi.

Sei il solito idiota, Travis”, esclamai, alzandomi in piedi. “E sei un bambino, tanto per cambiare”.

Lo guardai ancora una volta, mentre cercava di trattenersi a stento, cominciando ad escogitare la mia prossima vendetta, anche se non avevo la minima idea di cosa avrei potuto fare. Così lo lasciai alle sue risate e ai suoi programmi sul nuoto, ignorando il suo tentativo di richiamarmi indietro e dirigendomi verso la mia camera oscura, sperando che potesse darmi quella pace necessaria per stilare il mio piano.

Non avevo la più pallida idea di cosa avrei potuto fargli, ma qualcosa dovevo inventarmi perché, oltre ad una figuraccia di dimensioni epiche, avevo davvero sbattuto il culo per terra e mi aveva fatto male, quindi Travis doveva pagarmela, in qualche modo. Sembravo molto una bambina, in quel momento, stizzita per così poco, ma non potevo farci nulla. E non era la prima volta che, tra noi, accadeva una cosa simile.

Alla fine mi ritrovai a sistemare quelle poche cose che, nella mia camera oscura, erano fuori posto, perdendo tempo e non riuscendo a pensare a come potermi vendicare, così tornai in salotto dopo nemmeno quindici minuti e, stranamente, trovai Travis addormentato sul divano, nonostante alla tv ci fossero ancora le competizioni che tanto aveva agognato guardare.

Mi fermai un momento a fissarlo, e non era nemmeno la prima volta che avevo l’occasione di guardarlo dormire. Più di una volta era rimasto da me più del necessario, ma non avevo insistito più di tanto nel cacciarlo, pensando che non potesse davvero essere una cosa così disastrosa. E, come in quel momento, già in un paio di occasioni mi ero svegliata nel cuore della notte e, per un po’, mi ero bloccata a studiare il suo viso mentre dormiva. Le sue labbra socchiuse, la fronte che si aggrottava di tanto in tanto, regalandogli un’espressione infastidita, come in quel momento.

Poi il lampo di genio. E non attesi un momento a correre in cucina, cercando di fare meno rumore possibile, e recuperare due coperchi di pentole che avevo a portata di mano. Mi avrebbe odiato e, probabilmente, me ne sarei pentita, ma era un’occasione troppo accattivante per lasciarsela scappare. Così mi avvicinai lentamente al bracciolo del divano dove lui aveva deciso di poggiare il capo e, cercando di trattenere le risate, respirai a fondo prima di cominciare a sentirmi come un membro della parata di San Patrizio. Poi cominciai a sbattere tra loro i due coperchi e, lo spettacolo che mi si parò davanti agli occhi, fu a dir poco appagante, nonché da sbellicarsi dalle risate.

Travis, che all’inizio saltò spaventato sul divano, dopo un momento crollò giù dal divano, ancora più impaurito dal caos che creavano quei due pezzi da cucina. Poi, quando decisi di fermare quella tortura, cominciai a ridere senza riuscire a fermarmi, dovendomi poggiare al divano per paura di cadere a terra per mancanza di fiato. E intanto lui mi fissava truce, ancora stordito dalla sveglia che avevo appositamente preparato per lui, ma non era riuscito a spaventarmi per quanto divertente fu quella scena.

Ora… ora mi posso ritenere soddisfatta”, cercai di articolare, tra le risa. “Avresti dovuto vedere la tua faccia”.

E avrebbe dovuto vederla davvero, perché era a dir poco uno spasso, nonostante si notasse perfettamente quanto fosse incazzato. Ma mi importava davvero poco, perché avevo avuto la mia vendetta ed era stata più bella di quanto avessi sperato.

Poi, lentamente, si alzò da terra con una strana espressione in viso, mista a malizia e perfidia, e fu proprio quello a spaventarmi in minima parte e a farmi smettere di ridere all’istante perché avevo la strana sensazione che non sarebbe accaduto nulla di buono, almeno per me.

Che ti prende?”, domandai, ricomponendomi e facendo un passo indietro, intimorita dai suoi occhi famelici.

A me? Nulla”, rispose, lui, con un ghigno sulle labbra, come se fosse davvero convinto che mi bevessi una stronzata simile. “Piuttosto dovresti preoccupare di te stessa”, continuò, avvicinandosi di qualche passo. Ed io cercai di recuperare quella distanza, continuando ad indietreggiare perché, nonostante la sua espressione fosse accattivante, non sapere quel che mi aspettava mi infastidiva e preoccupava al tempo stesso.

Un altro passo avanti ed uno indietro, fino a quando non mi scontrai con il tavolo della cucina, così decisi di aggirarlo, continuando a tenere lo sguardo incollato a quello di Travis che, con estrema tranquillità, sembrava non aspettare altro che un mio momento di distrazione. Ma ormai avevamo il tavolo in mezzo a noi ed era strano, nonché divertente, in un certo senso, tornare bambini in quel modo, facendo finta di giocare al gatto e al topo. Anche se dubitavo che lui stesse fingendo.

Me la pagherai, Maya”, mormorò, lui, con un sorriso divertito, poggiando le mani al piano del tavolo. “Puoi scappare quanto vuoi, in ogni caso prima o poi ti prenderò”.

Scapperò in Brasile”, ribattei, senza pensare, facendolo ridere. “Andrò nella foresta Amazzonica e non mi farò più trovare”, continuai, cercando di restare seria anche se, a dire il vero, si era rivelata un’impresa davvero difficile.

Non avevo via di scampo e lo sapevamo perfettamente entrambi, nonostante io cercassi un modo per raggiungere una qualsiasi altra stanza senza essere acciuffata dal nuotatore che continuava ad osservarmi attentamente.

Maledetti quei suoi occhi.

Nemmeno con lo scatto più fulmineo del mio repertorio sarei riuscita a sfuggirgli, ma ci provai comunque, cominciando a correre come una pazza verso la mia camera oscura, ma a lui bastò allungare un braccio per mettermi in trappola, in un batter d’occhio.

Allora, piccola amazzone, dove vorresti scappare?”, chiese, sbeffeggiandomi, e stringendo la presa sul mio corpo, facendo aderire la mia schiena al suo petto.

Voglio tornare nella mia madre terra”, ribattei, ridendo.

E in un attimo mi sollevò da terra, con fin troppa facilità, non allentando in ogni caso la stretta che continuava ad esercitare sul mio corpo. Poi cominciò ad incamminarsi a passo svelto verso la camera da letto, cominciando a ridere come un idiota – seguito a ruota da me -, ed in quel momento capii che, probabilmente, la mia punizione sarebbe stata più lussuriosa e piacevole di quanto avessi mai pensato.

 

Travis’ POV

 

Dopo la vittoria a Doha e l’euforia che ne seguì non avevo fatto altro che prepararmi per le Olimpiadi. E ad una persona qualunque sarebbe sembrato stupido, cominciare ad allenarsi per un evento che sarebbe arrivato dopo più di un anno, ma non avevo la minima intenzione di lasciarmi scappare un’occasione come quella che rappresentava il Brasile, nel 2016, e inoltre era normale prepararsi con largo anticipo per competizioni simili, nonostante fosse davvero spossante.

Claudio non mi dava tregua ed aveva perfettamente ragione a volermi spronare fino a quel punto, ma molte volte si rivelava essere solamente fin troppo assillante, con i suoi soliti urli alla piscina e le sue ramanzine se qualcosa non era andata per il verso giusto. Il ché, nelle ultime settimane, avveniva più spesso del solito e di quanto avessi sperato. E di questo il mio allenatore se ne era accorto, ma continuava a restarsene buono e calmo e a riprendermi quando ce n’era bisogno.

Se solo avesse saputo la verità, probabilmente, gli sarebbe preso un infarto. Dopo avermi ucciso con le sue mani, ovviamente.

Mi ero immaginato quella scena parecchie volte e, più andavo avanti, più mi rendevo conto che, se fosse successo davvero, avrei dovuto cominciare a correre per trovare rifugio in un nuovo paese. Forse meglio un nuovo continente.

Maya si era presentata alcune volte, alla piscina, mentre ero occupato con gli allenamenti e a parte continui scambi di sguardi tra il divertito ed il timoroso per la situazione in cui ci trovavamo, solamente un paio di volte ci era capitato di rivivere ciò che era accaduto nello stanzino delle scope.

Probabilmente, se qualcuno fosse venuto a conoscenza del nostro tipo di rapporto, ci avrebbero scambiato per ninfomani, ma alla fine sapevamo che quello era l’unico modo per non finire in discussione, con insulti e parolacce a completare il quadretto. Era un rapporto turbolento, il nostro, anche se un rapporto vero e proprio non lo era assolutamente. Sapevamo che, in qualsiasi momento, avremmo potuto scrivere la parola fine a quella cosa, ma finché ci andava bene ne approfittavamo. Beh, certo, forse un po’ troppo e un po’ più spesso di quanto avrei mai pensato, ma restavano dettagli, quelli.

Era passato più di un mese dall’ultima notte dell’anno e, nel frattempo, avevo scoperto alcune cose su di lei, le sue passioni, i suoi gusti, ma quello che più mi premeva sapere restava un mistero. Né io né lei eravamo mai riusciti a trovare il coraggio di parlare del nostro passato, come se fosse troppo brutto o difficile da rimandare, e quello era stato un tacito accordo che avevamo stretto non ricordo nemmeno quando. Forse una delle tante volte che eravamo finiti a letto insieme dopo gli ennesimi insulti.

Non avevo la minima idea di come avrei potuto continuare ad andare avanti perché, in un certo senso, a lei cominciavo ad affezionarmi perché era molto più di quanto lasciasse trasparire quell’espressione da stronza che, spesso e volentieri, metteva su, ma sapevo fin troppo bene che per lei non significava nulla quello che poteva esserci tra noi. Anche se non c’era nulla, e lo sapevo. Bastava proprio lei a ribadirmelo fino allo sfinimento. Ma eravamo entrambi del parere che, finché eravamo giovani e consenzienti, potevamo fare ciò che più ci piaceva.

E quello piaceva ad entrambi. Fin troppo.

Pensi di ricominciare ad allenarti, Travis, o preferisci che ti porti un caffè?”, mi chiese Roberto, quando passò davanti a me e si rese conto della mia espressione annoiata e distratta.

Me ne stavo tranquillamente poggiato al bordo della piscina, con le labbra a pelo d’acqua ad analizzare i comportamenti di quella ragazza che continuavano a mandarmi in panne, perché una volta era la persona più insopportabile ed indisponente sulla faccia di questo pianeta e, il momento, si rivelava essere docile, tranquilla e con la parlantina facile. Cosa che continuava a stupirmi ogni giorno di più.

Le piaceva ritagliarsi i suoi spazi, lo avevo capito, soprattutto quando prendeva un libro tra le mani e metteva le cuffie alle orecchie, ma c’erano volte in cui era proprio lei a venirmi a cercare, con l’ombra di un sorriso sul volto. E di me non restava più nulla, se non un idiota che la seguiva senza battere ciglio.

Mi guardai un attimo intorno e non feci altro che osservare tutti i miei compagni che si ammazzavano di lavoro, continuando a fare vasche su vasche per essere preparati e pronti per le prossime competizioni. Ed erano a dir poco ammirevoli. Poi c’ero io che avevo la voglia di allenarmi sotto i piedi e ci mancava davvero poco che mi addormentassi con la testa poggiata al bordo.

Così ricominciai con il mio lavoro, prima che Roberto potesse tornare a darmi una vera strigliata, o peggio, che facesse venire Claudio con il suo solito cipiglio irritato che cominciava a contraddistinguerlo in quei giorni.

Di certo, l’ultima cosa che volevo, era qualcuno che mi facesse la predica, soprattutto in quel momento in cui avrei mollato tutto e me ne sarei tornato volentieri a letto.

 

Le giornate cominciavano a susseguirsi senza che io me ne rendessi conto, probabilmente colpa del fatto che, oltre a casa mia, nel giro delle ultime settimane avevo visto solamente quella dannata piscina; nemmeno per Doha mi ero allenato ed impegnato tanto, ma quello che mi aspettava era ben diverso da dei campionati mondiali. E faceva molta più paura.

Eravamo agli inizi di marzo e pensare che avrei dovuto continuare in quel modo per più di un anno, mi faceva venire la nausea. Ma continuavo ad andare avanti, era il sogno della mia vita, l’unico vero obiettivo che mi ero sempre posto e, di certo, non potevo deludere Claudio in un momento come quello. Ne avrebbe sofferto troppo, e non avrei potuto sopportare l’espressione di disappunto e la delusione sul suo volto.

Però cominciavo a sentirmi davvero stanco, forse per colpa del fatto che, nemmeno dopo i successi di Doha, non mi ero fermato un attimo, e mi sarebbero bastati solamente un paio di giorni di pausa, per staccare il cervello e per dare un attimo di tregua al mio corpo che, ormai, andava avanti ad inerzia. Ma quello che più di tutto mi bloccava, era la possibile reazione di Claudio perché in quei giorni sembrava un’altra persona, molto più irascibile e nervoso di quanto non fosse mai stato. E vedere come, certe volte, riprendeva alcuni miei compagni per delle piccolezze insignificanti e come si scaldasse, faceva davvero paura. Era strano vederlo in quello stato, nonostante fosse comprensibile.

Così avevo preferito tacere e tenere quel desiderio per me, per evitare che la prossima sfuriata potesse essere indirizzata a me.

Ti vedo parecchio distratto, in questo momento, campione”, disse, una voce alle mie spalle, mentre cercavo di capire come migliorare le mie virate senza dover chiedere consiglio a Claudio. Ed era ovviamente una voce troppo nota perché potessi confonderla con qualcun’altra.

Forse è la tua presenza a distrarmi, Simona”, ribattei, voltandomi a guardarla e sorridendole. E non mi sfuggì il compiacimento che le si annidò in quel mezzo sorriso che mi rivolse, cercando forse di apparire seducente.

Certo, era una gran bella ragazza e sarei stato un idiota a non rendermene conto, ma era vuota ed insipida, nonostante su molti argomenti fosse davvero ferrata, ma avevo avuto già parecchie volte la terribile conferma di quanto a lei importasse solamente la facciata del mondo, e non il suo interno, non i suoi particolari. Forse era questo e la terribile somiglianza a mia madre, nei modi di fare, a farmi innervosire ogni volta che sentivo una qualche parola uscire dalla sua bocca.

Sei troppo signore per dirmi in faccia la verità, caro, ma sono meno stupida di quanto credi”.

Dannazione!

Non che mi aspettassi una risatina stupida e gli occhioni da cerbiatta, ma di certo non mi sarei mai aspettato una frecciatina simile, soprattutto dopo essermi reso conto di quanto fosse vera. Ma era stata la sua sincerità a sorprendermi ed il modo in cui lo disse, sempre con quel sorrisino in faccia come se non le importasse di nulla. E probabilmente era così, perché negli ultimi tempi l’avevo vista parecchie volte in piscina, sempre alla ricerca di Luca e sempre con indosso straccetti che lasciavano scoperti pezzi di pelle più di quanto ne coprivano.

Esibizionista? Chi, Simona!?

Touchè”, mormorai, grattandomi il mento e poggiandomi al bordo della piscina. “Ma ci tengo a precisare che non ho nulla contro di te”, aggiunsi, con il miglior sorriso da bravo ragazzo che riuscii a sfoderare.

Lo so, tutti mi adorano”, replicò, lei, tirando fuori dalla sua borsa il cellulare.

Oltre che esibizionista, aggiungerei anche modesta. Giusto per avere una descrizione più dettagliata di questa ragazza, eh.

Comunque, perché tu lo sappia, ti stavo cercando”, aggiunse, Simona, continuando a guardare il display del suo telefono.

Non vorrei essere ovvio, ma mi hai trovato”.

Lo so, campione, ma non mi hai lasciato finire”, ribatté, poi, lanciandomi un’occhiata infastidita. “Tu ed io andremo a cena insieme”.

Per un momento mi chiesi se stesse parlando seriamente oppure fosse tutto solamente un gioco, uno scherzo, ma disse quelle parole con una convinzione ed una sicurezza tale che quasi mi sconvolse e, probabilmente, se non fossi stato in acqua sarei caduto a terra. Perché non poteva essere seria o, almeno, non poteva pensare che io potessi accettare come se nulla fosse, soprattutto dopo il fiasco che si era rivelata Doha per noi due.

E no, la mia non era una domanda”, continuò, come se mi stesse leggendo nel pensiero. “Tu accetterai ed io dovrò farti qualche domanda per un breve articolo per la rivista. La parte dedicata a te nel numero di gennaio è piaciuta talmente tanto che è stato richiesto qualche piccolo aggiornamento sui preparativi per le prossime Olimpiadi”.

Tutto tornava al suo posto, ovviamente, ma in ogni caso la situazione diventava più piacevole, anzi. Probabilmente sarebbe stata un inferno, quella serata, piena di domande a raffiche e frecciatine che avrebbero colpito in pieno il bersaglio. E, un momento dopo, mi ritrovai terrorizzato dall’ipotesi in cui lei avrebbe voluto scendere nei dettagli della mia vita privata, andando a finire fin troppo vicina a Maya. E non potei non domandarmi se non sapesse già qualcosa, quella specie di arpia in gonnella dal bel faccino.

I giornalisti sono subdoli, falsi e non aspettavano un momento ad infangarti e a tirarti giù per la buona riuscita di un articolo da prima pagina. E quella era la mia più grande paura, soprattutto con una come Simona che aveva vissuto abbastanza a stretto contatto con la mia realtà e con il mio ambiente, che conosceva perfettamente Maya e che sapeva come fosse legata al mio allenatore.

Mi sarei dovuto giocare bene le mie carte, cercando di non scendere in particolari e di non lasciarmi scappare qualche informazione che le sarebbe bastata per tirare su un perfetto castello di carte pieno zeppo di menzogne.

Vedo che hai già organizzato tutta la cerimonia nei minimi dettagli”, commentai, issandomi per poter uscire dall’acqua e smetterla di guardarla finalmente dal basso, nonostante fosse una più che meravigliosa visione. “A quando il grande evento?”. Se doveva giocare con il sarcasmo, non avrei atteso un attimo per farmi avanti, nonostante quella sua espressione soddisfatta metteva un po’ spavento, soprattutto perché ero consapevole del fatto che era lei ad avere il coltello dalla parte del manico.

Claudio mi aveva informato di come, grazie all’articolo pubblicato dalla rivista per cui lavoravano sia Simona che Maya, la piscina riuscì ad ottenere più visibilità, di come la mia storia divenne all’improvviso molto più interessante e di come riuscimmo ad ottenere più sponsor rispetto a prima, e mi aveva anche detto che avrei dovuto mantenere un basso profilo, mostrandomi disponibile e gentile con lo staff della rivista perché se ci fosse stata un’altra possibilità di metterci in mostra – come stava accadendo in quel momento – non me la sarei dovuta lasciare scappare. Ed era meglio obbedire al mio allenatore, in quel periodo.

Domani sera”, rispose, secca. “Ci troviamo qui per le sette e trenta, e non ritardare: odio dover cenare ad orari indecenti, poi non riesco più a digerire”, continuò, rimettendo a posto il telefono, come se nulla fosse. Doveva aver controllato la sua agenda, molto probabilmente fitta di appuntamenti come parrucchiere ed estetista.

Mi fissò per un momento, come incerta delle sue azioni, prima di riprendere il completo controllo delle sue facoltà mentali, tornando la donna tutta d’un pezzo con cui avevo avuto a che fare fino a quel momento. Ed era strana, per certi versi, Simona, perché non sembrava affatto la ragazza con cui avevo passato il tempo a Doha. Sembrava cresciuta, maturata, si era fatta meno svampita e meno stupida, nonostante continuasse a mantenere salda quella sua facciata, ma era più diretta, senza peli sulla lingua e senza paura di dire la cosa sbagliata al momento sbagliato.

E vedi di abbandonare per una sera questa tua divisa da nuotatore sciupa femmine, renditi presentabile perché non voglio che tu mi faccia sfigurare, soprattutto nel locale che ho scelto”, aggiunse, quasi facendomi una risonanza. Poi cominciò ad andarsene da dove era venuta, dirigendosi verso l’uscita.

Carina come sempre, Simona”, le dissi, infine, sapendo bene che avrebbe sentito le mie parole.

Ah dimenticavo, paghi tu!”, esclamò, agitando una mano in aria, senza nemmeno prendersi il disturbo di voltarsi a guardarmi, come se già il fatto che me la sarei dovuta sorbire per un’intera serata non bastasse a gettare la mia voglia di vivere nel cesso.

 

A cena con Simona?”.

Non si scomodò nemmeno a mascherare lo stupore nella sua voce, non ne aveva alcun motivo, e quello sguardo scettico che mi aveva rivolto la diceva lunga su cosa pensasse di quello pseudo appuntamento che avrei avuto il giorno seguente con la bionda. Ma Maya non si lasciò sfuggire altro, era troppo orgogliosa per farlo, si limitò solamente a fissarmi per alcuni istanti come se fossi appena giunto da un altro pianeta, perché lei sapeva quanta poca simpatia nutrivo per l’altra ragazza.

Si, lo so, è assurdo, ma ha detto che è per un piccolo articolo per la vostra rivista”, cercai di giustificarmi, cadendo di peso sul divano.

Mi ero diretto a casa sua subito dopo l’allenamento, non sapendo bene cosa fare, e l’avevo trovata ancora in pigiama intenta a lavorare su alcuni scatti che le erano stati commissionati per un servizio su un giocatore di tennis, una nuova stella nascente, a quanto avevo capito. Mi aveva aperto con la sua solita aria annoiata e un po’ sorpresa, ma quando si rese conto di chi si trovasse davanti a gli occhi non si scomodò nemmeno a dire qualcosa che tornò al computer, lasciandomi la possibilità di entrare.

Faceva sempre così: apriva, si accorgeva che ero io e tornava ai suoi lavori come se nulla fosse.

Ha anche detto che è stato richiesto un aggiornamento sui miei allenamenti per le Olimpiadi, dopo l’articolo di gennaio, così è arrivata, mi ha informato della cosa e se ne è andata”.

Strano, non ne sapevo nulla”, mormorò, continuando a fissare lo schermo del portatile. “Non metteranno nemmeno una tua immagine, come minimo, o ne ricicleranno qualcuna”.

Devi stare davvero sulle palle, a Simona, se non sei stata informata di un’occasione simile”, la punzecchiai, osservandola attentamente al lavoro. Ma sembrava troppo presa anche solo per rendersi conto delle mie frecciate.

O forse è stata più clemente del solito, nei miei confronti, risparmiandomi una serata a tre che sarebbe potuta finire in rissa”, ribatté, lei, con la sua solita delicatezza. “E lasciamelo dire, fotografarti ancora, e magari tutto in tiro e in compagnia di quella ragazza, non è tra le mie migliori aspirazioni”.

Nonostante non sembrasse prestare attenzione a nessuno se non al suo maledetto computer, mi aveva fatto capire fin troppo bene quanto potesse rivelarsi multitasking, soprattutto rispondendo alle mie provocazioni con una tranquillità che quasi metteva i brividi. Continuava a lavorare eppure era abbastanza sveglia da non lasciarsi sopraffare da me o dalle mie parole. Era una continua sfida, lei, ecco cos’era.

Ma non mi era sfuggito ciò che aveva detto, e probabilmente nemmeno si era conto di come il suo discorso potesse venire travisato con semplicità, ma io me ne ero reso conto in quello stesso momento, cercando di capire cosa volesse dire con quelle parole. Sicuramente ero io dalla parte del torno, perché sembrava troppo fredda e distante per preoccuparsi per un’uscita simile, eppure quello era un pensiero che si era rivelato come un tarlo nella mia mente.

Non sarai gelosa, vero?”, le domandai, assottigliando lo sguardo senza riuscire a nascondere quel sorriso divertito che stava facendo di tutto pur si comparire sulle mie labbra.

E finalmente riuscii ad ottenere la sua completa attenzione, tanto che distolse lo sguardo dallo schermo del computer e trovò i miei occhi. Alzò un sopracciglio, guardandomi scettica, perplessa e forse anche un po’ seccata, perché non era la prima volta che tiravo fuori quel discorso. Eppure ogni singola volta andavo a segno, ottenevo la sua completa attenzione e la vedevo rispondere sempre con una tale quantità di sarcasmo da farla apparire irreale. Come in quell’occasione.

Sicuro che il tuo ego riesca a stare in questo appartamento? Forse gli servono spazi più grandi”.

Colpito e affondato!

Di certo, di lei non passava inosservata la semplicità con cui riusciva portare ogni situazione a suo favore con delle semplici parole. Avrebbe dovuto fare lei la giornalista, non Simona: ne aveva la faccia tosta, la parlantina diretta e sincera, la capacità di non trovarsi mai in imbarazzo e a disagio.

E con la stessa tranquillità con cui mi aveva appena rimesso al mio posto, tornò a prestare attenzione al suo lavoro, perfettamente consapevole di come fosse riuscita nel suo intento di zittirmi. Tuttavia, non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere, perché quella situazione aveva un ché di assurdo, ma che ancora sfuggiva alla mia comprensione.

Mi alzai dal divano, avvicinandomi a lei e scorgendo alcuni suoi scatti – meravigliosi, come sempre – e mi fermai un momento ad osservarla attentamente, a notare come i suoi occhi si stringessero davanti ai particolari che solamente lei notava, davanti agli errori che credeva di aver commesso e di come, alcune volte, l’ombra di un sorriso le occupava le labbra se un’immagine riceveva la sua approvazione. Era maledettamente meticolosa in ciò che faceva e non lasciava mai nulla al caso, anzi, era addirittura disposta ad andarsene a letto all’alba pur di rendere perfetta un’immagine per la rivista; a volte era sfiancante vederla sempre davanti a quello schermo, nella sua camera oscura, chiusa in sé stessa perché il suo lavoro le occupava sempre più ore del giorno.

Sapevo che negli ultimi tempi aveva lavorato parecchio, aveva cominciato a farsi conoscere e, ormai, il suo nome era noto tra i corridoi della redazione della rivista per cui lavorava, ma si notava perfettamente anche la stanchezza che le si annidava nel volto, negli occhi assonnati ed arrossati per le troppe ore passate davanti ad uno schermo. Ma era talmente testarda che nemmeno con le forze sarei riuscito a convincerla a desistere e a prendersi un paio d’ore di pausa per riposarsi.

Lascia perdere per un momento il lavoro, Maya”, le dissi, poggiando le mani sulle sue spalle.

Non posso, Travis”, ribatté, lei, convinta. “Domani devo consegnare questi scatti e sono già in ritardo sulla tabella di marcia”.

Ma devi anche dormire, non credi?”.

Avrò abbastanza tempo per dormire quando sarò morta”, rispose, ridendo. “Ora devo finire questo stramaledetto incarico”.

Era irremovibile, come sempre, e sapevo che non avrei potuto dire nulla per farle cambiare idea. Ecco un chiaro esempio di quando, con la sua testardaggine, si dimostrava la persona più irritante sulla faccia della terra. Così presi una sedia dal tavolo della cucina e mi sistemai alle sue spalle che, seduta su quel minuscolo sgabello che utilizzava per la piccola scrivania del computer, se ne stava tutta curva sullo schermo. Mi avvicinai il più possibile a Maya, poi cominciai a massaggiarle lentamente le spalle, sapendo con quale facilità abbassasse ogni sua barriera davanti a tocchi del genere.

Non potevo dire di conoscerla alla perfezione, ma ero stato bravo ad osservare in quelle settimane, ed avevo capito le cose essenziali di lei, cosa potesse piacerle e cosa no. E dei massaggi simili, mentre era sul punto di addormentarsi, li accettava sempre molto volentieri.

Così non mi aiuti, però”, si lamentò, raddrizzando leggermente la schiena ed abbandonando per un attimo il computer, passandosi energicamente le mani sul viso.

Non puoi continuare così, e lo sai”, mormorai, attirando ancora di più il suo corpo al mio, facendole poggiare la schiena al mio petto. Era sul punto di cedere, me lo sentivo, ed avrei dovuto continuare per quella strada solamente per qualche altro momento e sarebbe stata fatta.

Non avrai il mio corpo in cambio, se è questo che credi”, disse poi, lei, quasi leggendomi nel pensiero. Anche se non ero del tutto convinto di ciò che volevo in quel momento.

Mi piaceva quella sensazione di tranquillità che cominciavo a sentire e quella situazione che si era andata a creare non mi dispiaceva affatto. Sembrava una cosa da tutti i giorni: io che tornavo dall’allenamento e trovavo lei al lavoro, stanca dopo una giornata intensa, io che le concedevo un momento di tranquillità e relax e tutto che finiva nel più scontato dei modi. Ma non era quello il caso, perché non eravamo una cosa da tutti i giorni, noi. Eravamo di passaggio, un lampo occasionale che avrebbe occupato le nostre vite per qualche altro tempo, poi sarebbe sparito ed i suoi ricordi li avremmo messe nel cassetto delle cazzate post adolescenza. “Vorrei solamente che rallentassi un momento, Maya, che ti prendessi i tuoi spazi perché si vede lontano un miglio quanto tu sia stanca”.

La sentii abbandonarsi completamente a me, mentre continuavo a passare le mani sulle sue spalle e sulle braccia, entrare quasi in fare rem e chiudere gli occhi, sospirando. “Devo solamente ricontrollare una decina di scatti e scegliere quelli migliori, poi avrò finito; non rendermi le cose più difficili, Travis”, mormorò, poggiando la testa sulla mia spalla, quasi mezza addormentata. Diceva di voler tanto finire di lavorare, eppure non sembrava avere alcuna intenzione di muovere un dito per impedirmi di corromperla in quel modo.

Le spostai i capelli da una parte, avendo così libero accesso alla parte del suo collo più vicina a me , e non attesi un attimo a chinarmi su di lei. “Puoi concederti qualche momento di pausa”, cercai di convincerla, per l’ennesima volta, facendo scorrere le labbra sulla sua pelle, scendendo piano fino alla porzione di pelle lasciata scoperta dalla maglietta che indossava. “Poi potrai tornare a lavorare”.

Maya poggiò le mani sulle mie ginocchia e, se avesse potuto, si sarebbe rannicchiata ancora di più a me, cercando di recepire alla perfezione ogni mio tocco. Sembrava ancora più piccola e minuta, in quel momento, e quasi scompariva.

Continuai per quella strada per non so quanto tempo, e lei si ostinava a non lasciarsi andare, a non voler dormire qualche istante per potersi riprendere. Apriva gli occhi, ogni tanto, giusto per cercare di restare sveglia e controllare che il suo computer fosse ancora davanti a lei. Poi, come se non bastasse, il mio cellulare cominciò a suonare all’improvviso, ancora dentro al borsone da allenamento dove lo avevo lasciato.

Sentii Maya sbuffare sonoramente, perché aveva capito all’istante quel momento di relax era appena giunto al termine, così si staccò da me dandomi la possibilità di alzarmi dalla sedia e correre a recuperare quell’aggeggio infernale che faceva sentire la sua presenza nei momenti meno opportuni. E, solamente quando lessi il nome che occupava il display, mi resi conto di come avrei voluto gettare il telefono fuori dalla finestra.

Mamma”, dissi, rispondendo, cercando di ignorare l’espressione divertita sul viso di Maya.

Ciao amore!”, esclamò, lei, quasi perforandomi un timpano. “Sarà possibile che debba farmi sentire sempre e solo io? Ricordi che hai una madre, vero?”.

Purtroppo sì, me ne ricordo”, ribattei, cadendo ancora una volta di peso sul divano. “Cosa vuoi?”.

Forse ero stato un po’ duro, troppo diretto – e anche Maya sembrava pensarla a quel modo, vista la sua espressione sorpresa -, ma ne avevo davvero abbastanza delle telefonate programmate di mia madre. Se proprio ci teneva a sentire la voce del figlio, ogni tanto, non avrebbe dovuto chiamare solamente una volta al mese, giusto in tempo per chiedermi altri soldi.

Non potei non domandarmi come avessi potuto cadere in un guaio simile.

Tesoro, ma che hai? Sei talmente scontroso, oggi”, continuò, con la sua voce sibillina e quel suo accento che, nonostante gli anni in Italia, sembrava non volerla abbandonare.

Sono solamente stanco”, risposi, esasperato. “Rispondi alla mia domanda, per favore, così potrò tornare a farmi gli affari miei”, continuai, lanciando un’occhiata a Maya che, nonostante il suo sguardo fosse rivolto ancora una volta allo schermo del computer, ascoltava attentamente la conversazione con mia madre.

Oh beh, volevo solamente ricordarti che domani passerò da te, sai”, cominciò, fingendosi imbarazzata. “Sai bene che non vorrei ridurmi a questo, ma mi trovo costretta ancora una volta a chiederti un piccolo aiuto; lo metterò in conto, tesoro, non ti preoccupare. Ti ridarò tutto, parola di mamma”.

 

“Tesoro, non ne ho idea”, esclama, la mia mamma, guardandomi negli occhi. Sono tanto diversi dai miei, quegli occhi, lei è tanto diversa da me.

“Ma io voglio che torni ora”, continuo, io, sempre più deciso. Non voglio passare un’altra serata solo con mamma, voglio il mio papà, voglio giocare al Capitano con lui. “Devi farlo tornare ora, mamma!”.

“Travis, non posso, mi hai capito?”, chiede, abbassandosi al mio livello, con le ginocchia poggiate a terra. “Non posso fare tornare papà adesso, è a lavorare, lo sai bene”.

“Ma io voglio giocare al Capitano”, continuo, pestando i piedi sul pavimento.

Siamo nella mia cameretta e tra poco si mangia, ma la mamma mi ha già detto che papà non riuscirà a tornare per cena. Probabilmente tornerà quando io sarò già a dormire, ma lo voglio aspettare, voglio vedere il mio papà. E voglio giocare al Capitano!

“Giocherai domani al Capitano, va bene? Domani papà sarà a casa dal lavoro e potrai giocare con lui quanto vorrai, parola di mamma!”, mi promette, con un sorriso. “Ma adesso devi smetterla di fare i capricci, Travis”, aggiunge, più severa di prima. Ma non mi fa paura, è la mia mamma e mi vuole bene, quindi non mi spaventa.

Poi si alza dal pavimento e va verso la cucina. Stava cucinando la cena, prima che arrivassi io quasi in lacrime. Sono già un ometto, io, e non posso piangere, ma voglio il mio papà. Voglio giocare con lui.

Saltò sul mio letto, accucciandomi vicino al cuscino e prendo il regalo che papà mi ha fatto qualche giorno fa. Era tanto che non lo vedevo e, quando è tornato dal suo ultimo viaggio, mi ha portato quella piccola ancora in miniatura che tengo sempre sul comodino vicino al letto.

È il regalo più bello che papà mi abbia fatto, è bellissima! Ed è mia, nemmeno la mamma può toccarla, solo io. Di notte mi fa compagnia, la metto sotto il cuscino e sembra quasi che il mio papà sia accanto a me a raccontarmi tutte quelle storie di marinai, mari e imprese eroiche.

Da grande voglio essere un pirata, e quando l’ho detto al mio papà è scoppiato a ridere. Mi prendeva in giro, e non mi è piaciuto. Ma poi mi ha detto che, qualunque cosa voglia fare, sono in grado di farla. Quindi, se lo dice il mio papà deve essere vero!

 

Parola di mamma. Le sembravo ancora il bambino che aveva tentato di crescere, probabilmente, perché era da quando avevo sette anni che non mi diceva così. E faceva male, soprattutto perché sembrava prendersi gioco di me.

Non mi interessa”, mormorai, massaggiandomi le tempie con la mano libera. “L’importante è che mi lasci in pace, mamma, non è il periodo adatto”.

Oh si, lo so”, esclamò, incrinando ulteriormente il mio povero timpano. “Eco perché vorrei chiederti qualche spicciolo in più, tesoro, così per un po’ ti lascio in pace. È un’idea formidabile, non trovi?”.

Formidabile. Aveva davvero una strana concezione della parola formidabile, ma non glielo feci notare, non ne avevo le forze. Volevo solamente che quella telefonata finisse, che mi lasciasse in pace e che sparisse dalla mia vita per un po’. Quella non era mia madre, non più.

La migliore che tu abbia avuto”, esclamai, trasudando sarcasmo da tutti i pori. Cosa che, da lei, non venne affatto recepita. “Sei davvero un genio, mamma”.

Fu il tono che usai ad attirare l’attenzione di Maya. Forse per l’esasperazione troppo evidente, forse per la mia espressione oppure per il sospiro che mi concessi prima che la donna dall’altra parte del telefono ricominciasse a parlare.

Oh tesoro, quanto sei gentile con la tua mamma”, replicò, lei, fingendosi commossa. Era rivoltante. “Allora ci vediamo domani al tuo appartamento, va bene? Non dimenticartene, te ne prego”.

Non mi diede nemmeno il tempo di replicare – nonostante non fosse in vena di farlo – che chiuse la chiamata all’istante, come per paura che potessi cambiare idea. E forse lo avrei fatto, se non fosse stato per il malsano desiderio di levarmela dai piedi, di smettere di dover ascoltare quella sua voce fastidiosa. Lo avrei fatto se ne avessi avuto la forza, se non mi fossi cacciato in un casino simile già tempo prima.

Poggiai la testa alla testiera del divano, chiudendo gli occhi e sospirando, quasi sconfitto da quella telefonata che mi aveva rovinato la giornata. Mi sentivo svuotato, stanco come non mai; nemmeno dopo uno dei più duri allenamenti mi ero ritrovato in quello stato.

Travis”.

Non me ne ero nemmeno reso conto, ma Maya si era alzata dal suo sgabello e mi stava di fronte, con un’espressione preoccupata. I capelli legati alla bell’e meglio, la t-shirt oversize, quei due oceani assonnati; era bella anche così, un po’ trasandata. Ed aveva mormorato il mio nome quasi con paura, come se fosse spaventata dalla mia reazione, come se fossi potuto scattare all’improvviso per la rabbia. Ma come potevo scattare con una come lei davanti agli occhi?

Tutto bene?”, mi chiese, avvicinandosi ancora di qualche passo, quasi raggiungendomi.

Che domande fai?”, le chiesi, sarcastico. “Non ti sembro un bambino a Natale?”.

Smettila di fare l’idiota, per una volta”.

Non sto facendo l’idiota, Maya”, ribattei, allungandomi verso di lei e afferrandole un fianco, così da riuscire a farla sedere a cavalcioni su di me. “Sto semplicemente evitando il problema”.

Beh, non dovresti”, continuò, Maya, incrociando le braccia al petto e lanciandomi un’occhiata saccente.

Senti da che pulpito arriva la predica”, risi, davanti alla sua ostinazione. Perché era assurdo che, proprio una come lei, mi venisse a dire che avrei dovuto risolvere i mie problemi, proprio lei che si privava di ore di sonno per poter terminare un incarico, proprio lei che se ne restava ore davanti al computer.

E la vidi trattenere un sorriso, nonostante sembrasse convinta a non lasciar perdere il mio umore diventato improvvisamente nero. Non si faceva distrarre dagli eventi, semplicemente questo, anche se a volte ero riuscita a darle la spinta giusta per lasciarsi andare. Ma non era quello il caso. “Si può sapere che ti prende?”.

Forse fu quel suo tono quasi sconfitto - neanche fosse lei la vittima delle assidue telefonate di mia madre -, oppure quei suoi occhi che sembravano non voler lasciare i miei o le sua mano che raggiunse la mia mascella e ne segnò il profilo, nel suo solito modo delicato che aveva. Non so cosa fosse stato, ma mi sentii cedere per la prima volta dopo anni, sentii tutte quelle barriere che avevo eretto nel corso degli anni incrinarsi davanti a me, per colpa di quella maledetta ragazza che non faceva altro che prendermi in contropiede e sorprendermi. E continuava a guardarmi come fossi un cucciolo impaurito, lei, e non sopportavo quella sensazione di impotenza che avvertivo quando i suoi occhi incontravano i miei, quando mi guardava in quel modo, quando si ostinava a percorrere le linee del mio viso con una lentezza incredibile, mandandomi al manicomio.

Il problema è mia madre, tutto qui”, cominciai, spostandole uno ciocca di capelli dal viso, sfuggita all’elastico della coda. “L’hai conosciuta, avrai capito com’è; non è semplice starle dietro, soprattutto se si fa viva una volta al mese con un taglio di capelli diverso, una nuova parte del suo corpo rifatta a puntino e la solita richiesta di soldi per mantenersi”.

La vidi strabuzzare gli occhi, incredula, e anche la sua mano si fermò dal percorso che aveva intrapreso sul mio viso; sicuramente non si aspettava una rivelazione simile, nonostante a molti potesse sembrare insignificante.

Non era insignificante, cazzo, era tutt’altro che semplice, soprattutto se la donna in questione aveva una considerazione pari a zero di suo figlio, se non per i soldi del proprio conto corrente o per la notorietà che ne derivava. Ed io ero stanco, mi ero rotto le palle già tempo prima, ma non avevo trovato il coraggio di fare il passo decisivo e darci un taglio per davvero, ponendo la parola fine a tutta quella storia.

Mantenersi?”, chiese, Maya, ancora incredula e con gli occhi fuori dalle orbite. Risaltavano ancora di più, quei suoi mari, con quell’espressione stupita.

Sì, Maya, ogni mese arriva alla mia porta con la sua migliore faccia da mendicante e riesce, sempre, ad estorcermi i soldi sufficienti affinché riesca a campare fino alla richiesta successiva. Ed io da perfetto coglione ci casco ogni volta!”, aggiunsi, incazzato con me stesso. E lo ero davvero, perché parlandone con lei mi rendevo conto di come non avessi un briciolo di spina dorsale, di forza per fermare tutto quello. “Le ho dato un brutto vizio, e adesso sembra non poterne più fare a meno. Vuole essere giovane come lo era anni fa, vuole tornare al fiore degli anni, a mie spese”.

La mano di Maya riprese il suo corso, più titubante rispetto a prima, ma cercò di non darlo a vedere. Non riuscivo a reggere i suoi occhi preoccupati e dispiaciuti, non volevo farle pena e non volevo la sua compassione, e mi pentii all’istante di averle rivelato un particolare simile della mia vita. Particolare che erano davvero in pochi a saperlo.

Non parlò per non so quanto tempo, lei, forse per metabolizzare la notizia, per cercare di capire come potersi muovere nei miei confronti, nervoso com’ero. E la capivo perché anche io, al suo posto, non avrei saputo cosa fare, cosa dire. Ma lei era sempre un passo avanti a me.

Resta comunque tua madre, ecco perché ci caschi ogni volta”, disse, infine, torturando il colletto della mia maglia. “Sarà anche un tipo strano, non lo nego, ma resta la donna che ti ha messo al mondo”.

Lo so, ma non è più la donna che mi ha cresciuto, da bambino”, continuai, imperterrito, studiando il disegno che occupava gran parte della t-shirt di Maya. Tutto pur di non incontrare il suo sguardo. “Non è più la mia mamma”, mormorai, infine, quasi non credendo alle mie orecchie per come mi ero esposto.

Intravidi il sorriso che cercò di nascondere Maya, non so per quale motivo. Non si era mossa, non aveva detto nulla, aveva semplicemente continuato a carezzarmi il viso, non sapendo esattamente cosa fare. Ma apprezzavo il suo silenzio, la calma con cui decideva le parole migliori da dire.

Da quanto va avanti così?”, domandò, poi, rompendo il silenzio che si era creato.

Da un paio d’anni, ma in questi ultimi mesi è diventata più insistente e, ogni mese, è lì a chiedere l’elemosina”, confessai, tornando a guardarla.

Sembrava concentrata a seguire il percorso delle sue dita, assorta nei suoi pensieri, ma sapevo bene che la sua attenzione era rivolta completamente su di me. Sembrava inerme, una bambina occupata a giocare. E forse proprio per quello mi lasciai andare ancora un po’, feci crollare un’altra barriera e ricominciai a parlare.

Quando è ritornata in Italia non era più lei, si faceva vedere una volta l’anno, se mi andava bene, e le bastavano cinque minuti per stancarsi di me, così se ne andava e tornava in California dal surfista che aveva deciso di seguire”, cominciai, concentrandomi su un ricciolo di Maya che le era sfuggito e non sui suoi occhi che continuavano a cercare i miei. “Se ne è andata, la prima volta, quando avevo undici anni ed è stato un colpo incredibile, per me, perché le volevo bene e si era sempre comportata da madre perfetta, con me, ma poi ha fatto crollare tutto con una semplicità disarmante. Sono rimasto con mio padre perché non avevo nessun altro, perché quella che credevo fosse la donna della mia vita aveva lasciato la sua famiglia per un ventenne conosciuto di straforo”.

Il tocco di Maya si era come intensificato, quasi volesse farmi sentire la sua vicinanza tramite le sue mani, e con l’altra mano aveva cominciato a giocare con i miei capelli, alla base della nuca. Sperava di calmarmi, lo avevo capito, sapeva che non era facile per me parlare così apertamente e quello era il suo modo per farmi capire che andava tutto bene. Io, invece, non riuscivo a trovare il coraggio di incontrare i suoi occhi, non ne avevo le forze. Avevo come la netta sensazione che non avrei trovato altro che compassione, nei suoi oceani, ed era l’ultima cosa che volevo vedere.

E tuo padre?”, chiese, in un soffio, insicura se pormi quella domanda o meno.

Mio padre è sempre stato perfetto, troppo signore per mostrarsi ferito dalla decisione che aveva preso Tanya, nonostante sapessi perfettamente quanto ne avesse sofferto”, dissi, cominciando a sentire la gola stringersi per la situazione in cui mi trovavo. Era un tasto ancora dolente, quello, nonostante fossero passati anni. Ma ancora ne soffrivo, ancora mi riusciva troppo difficile parlarne. “Faceva il marinaio, in uno quei vecchi vascelli che attraccano ai porti giusto per il gusto di far vedere al mondo come fossero belle le vecchie navi, e di rado era a casa, ma quando c’era esistevo solamente io, sai? Voleva recuperare il tempo perso”, continuai, avendo perso ogni freno ed ogni filtro possibile. Avevo cominciato ad essere sincero, finalmente, tanto valeva farlo fino in fondo. “Non so bene cosa sia stato a dare l’input a mia madre e a farla scappare, ma mio padre non aveva nulla da invidiare agli altri. Certo, non era la tipica bellezza che noti in mezzo alla folla, ma è sempre stata una persona meravigliosa, di quelle persone che ti fanno sorridere con la loro sola presenza…”.

Aspetta…”, mi interruppe, Maya, confusa. Ma io sapevo perfettamente dove voleva andare a parare e non ero pronto per quel momento, non lo ero affatto. “Era?”, mi chiese, infine, con la stessa insicurezza che l’aveva contraddistinta negli ultimi minuti.

Finalmente riuscii a guardarla negli occhi e non vidi altro che preoccupazione per la risposta che le stavo per dare. Certo, aveva chiesto conferma, ma sapeva perfettamente cosa avrei risposto, aveva solamente bisogno di sentirselo dire.

Si, era, Maya”, dissi, finalmente, con un sorriso amaro, mandando giù il groppo in gola.

Lo stupore nel viso di Maya diceva tutto, parlava da sé ed io continuai, evitando che potesse dire qualcosa, per paura che tutto potesse complicarsi ulteriormente. “Ha continuato a lavorare, qualche volta, dopo che mia madre se ne andò, ma non voleva lasciarmi a casa da solo per tutto quel tempo, così cominciò a lavorare sempre meno e ad essere sempre più stanco, poi… un giorno torno a casa da un allenamento e lo trovo steso a terra, incosciente, così chiamo un’ambulanza, vado insieme a lui in ospedale e, dopo due ore passare a fare avanti e indietro per la sala d’aspetto, mi vengono a dire che è sveglio, che voleva parlarmi, ma che non devo trattenermi per molto perché deve riposare. Avevo sedici anni, cazzo, come potevo non trattenermi? Dove sarei andato?”, esclamai, infine, ponendo quella domanda più a me stesso che a Maya che, come avevo previsto, aveva cominciato ad osservarmi con tristezza, e le sue mani si erano fermate, avevano fermato l’unica cosa che sembrava calmarmi. Si erano posate sulle mie spalle con pesantezza, come se quello non rappresentasse un peso solamente mio, ma anche suo. “Così raggiungo mio padre e ancora ricordo la moltitudine di macchinari che gli stavano attorno, che gli gettavano addosso una luce strana. Sembrava più vecchio di quindici anni, lui, in quel lettino da ospedale, mentre cercava di riposare e di respirare in modo adeguato. Alla fine, dopo aver girato attorno al discorso non so quante volte, mi venne a dire che era malato, gli avevano diagnosticato un cancro al quarto stadio all’intestino e che… era inoperabile, non c’era altro da fare che aspettare”.

Sospirai pesantemente, passandomi le mani sul viso, come per scacciare una stanchezza che in realtà non c’era. Era solamente la forza di ricordi che ancora facevano troppo male, ricordi che venivano rivangati dopo un tempo lunghissimo e che erano stati sepolti fino a quel momento per preservarmi, ma sentirsi così svuotato, così debole dopo aver detto solamente parte della storia era la cosa peggiore. “Certo, abbiamo provato con la chemio e siamo andati avanti per qualche tempo, ma la situazione non migliorava, anzi. Così cominciai a saltare sempre più allenamenti, a chiedere scusa a tuo padre per tutte quelle assenza, ma dovevo occuparmi di mio padre, di quello che avevo creduto fosse l’uomo più potente del mondo, del mio supereroe che tornava a casa la sera solamente per poter giocare con me. Ero diventato improvvisamente adulto, comportandomi come un adolescente non dovrebbe mai fare, ma non avevo altra scelta se non quella: andavo a scuola e correvo a casa per paura che potesse succedergli qualcosa”.

Rivangare nel passato non era mai stato tanto difficile, non aveva mai fatto tanto male, eppure continuavo ad andare avanti, continuavo a raccontare la mia storia a Maya che, quasi con le lacrime agli occhi, non faceva altro che fissarmi con apprensione. “Poi, un giorno, torno a casa in fretta e furia perché avevo sentito che ci sarebbe stato uno di quei vascelli poco lontano da casa mia: avevo già organizzato tutto, pensato ad ogni particolare, avrei preso un taxi sia all’andata che al ritorno perché non volevo affaticare mio padre, nonostante in quegli ultimi giorni si sentisse meglio. Ma quando tornai a casa lo trovai a letto, disteso, che respirava a malapena e non aspettai un attimo di più a chiamare l’ennesima ambulanza. Fu come un flashback, quello, a dir poco terribile”.

Cominciavo ad agitarmi, a non poterne davvero più di tutta quella storia e se avessi avuto la forza necessaria, probabilmente, me ne sarei andato seduta stante, ma il mio corpo non accennava alcun movimento, se non per le mani che avevano ricominciato a giocare con una ciocca dei capelli di Maya, come per distrarmi. Ma se fosse stato così facile, non mi sarei trovato in quella situazione. non accennavo a rivolgerle uno sguardo, quando lo avevo fatto mi ero sentito un perfetto idiota. “Così mi ritrovai sempre nella sala d’aspetto ad andare avanti e indietro, ma le ore da due erano diventate cinque e nessuno si era fatto vivo, nessuno mi aveva dato una minima informazione. Solamente quando fu sera inoltrata un dottore – non ricordo nemmeno che faccia avesse – mi venne a dire che avevano fatto ogni cosa possibile per mio padre, avevano provato a rianimarlo diverse, troppe volte, ma non c’era stato nulla da fare. Il cancro era troppo esteso e lui troppo debole; così a diciassette anni mi sono ritrovato senza una madre, occupata chissà dove con il suo stramaledetto surfista e senza un padre, l’unica vera persona che avesse sempre creduto in me, indipendentemente da quello che ero in grado di fare o meno”.

Maya non disse nulla, non fece nulla, sapeva che non avevo ancora finito e così preferì tacere piuttosto che interrompermi in un momento così delicato.

Mi ha sempre detto che qualunque cosa voglia fare, sono in grado di farla. Ha sempre creduto in me, ha sempre pensato che fossi invincibile, quando il supereroe tra i due era lui, ma nel momento in cui sarei dovuto essere presente, nel momento in cui avrei dovuto salvarlo non c’ero, non ci sono stato nel momento cruciale e mi odio per questo. Non faccio altro che odiarmi ogni mattina, quando mi guardo allo specchio, perché il senso di colpa è troppo grande, pesante e fa male”.

Ed era vero, cazzo se era vero! Ed era stato il tarlo che mi aveva distrutto il cervello nei dieci anni che erano passati, che mi aveva disgregato dall’interno facendomi sentire una nullità. Ed era quella consapevolezza a farmi sentire di merda, senza mezzi termini, perché sapevo di non aver fatto tutto il possibile per salvare l’unica persona che non mi avesse mai remato contro, che avesse sempre creduto in me e nelle mie potenzialità. E il rimorso più grande era quello di non aver avuto la possibilità di dimostrargli quanto il resto del mondo si fosse sbagliato sul mio conto, di renderlo fiero di me e di vedere ancora una volta quell’espressione felice che tanto caratterizzava il suo sguardo. La cosa che mi faceva incazzare maggiormente, poi, era il palese menefreghismo di mia madre, di quella maledetta donna che se ne era sempre lavata le mani, che aveva abbandonato la sua stessa famiglia per un ragazzino abbronzato della California, per una vita migliori e per migliori aspettative.

Travis, non… non devi dire queste cose, non è colpa tua”, mormorò lei, con fare rassicurante.

Come può non essere colpa mia, Maya!?”, esclamai, cercando il suo sguardo. E non lo avessi mai fatto, perché quelli erano due laghi pronti a straripare, ed era stranissimo vederla così scossa, non me la sarei mai immaginata. Ma era bellissima, come sempre. “Come posso non sentirmi in colpa davanti a tutto questo? È colpa mia, lo so, e sono stato un idiota a suo tempo quando credevo che tutto sarebbe andato bene. Ci credevo davvero, cazzo, anche se mia madre non c’era più. Avevo mio padre e lui aveva me, ma poi tutto è andato a puttane, tutto è andato perso”, continuai, quasi sull’orlo di un esaurimento nervoso, sull’orlo delle lacrime. E, dannazione, non potevo crederci perché quello non ero io, non mi riconoscevo più: avevo pianto due volte nella mia vita, e quella era una novità assurda, incredibile e spiacevole. “Come posso non incolpare me stesso per quello che è successo? Perché se l’avessi scoperto probabilmente non sarebbe successo e, ti prego, se hai la soluzione, dimmela e aiutami perché così non riesco ad andare avanti”.

Era diventato tutto insostenibile, tutto quanto, e non faceva altro che peggiorare e quella ne era la prova, perché cominciavo ad essere davvero stanco, spossato. Ed era quella sensazione alla bocca dello stomaco, il rimorso ed il senso di colpa a farmi dormire male la notte, a farmi stare male per una cosa su cui non avrei mai potuto avere potere, ma ero convinto che avrei potuto fare qualcosa, in qualche modo. Eppure avevo fallito miseramente.

Travis, non puoi fartene una colpa, tu non c’entri niente con quello che è successo a tuo padre, non avresti potuto fare nulla: presto o tardi sarebbe successo”, cercò di convincermi, lei, con decisione, prendendomi il viso tra le mani e costringendomi a guardarla. Non avevo scampo. “Non darti colpe che non hai”, aggiunse, con voce più dolce e rotta dall’emozione.

Non riuscirai a farmi cambiare idea, Maya, ci ha provato tuo padre per dieci anni e non ci è minimamente riuscito… e sai cosa mi fa incazzare? Che una persona come mio padre sia metri sottoterra, mentre una sanguisuga come mia madre, quella maledetta donna, invece sia ancora viva e vegeta e in perfetta forma”.

Lei rimase di sasso davanti alla mia affermazione e non me lo sarei aspettato nemmeno io, ma era la verità ed era quasi liberatorio dirlo ad alta voce. Avevo sperato per fin troppo tempo che mia madre cambiasse atteggiamento, che tornasse la donna che mi aveva cresciuto nei primi anni, ma più aspettavo e più mi rendevo conto di come fosse giunta ad un punto di non ritorno.

Parli così perché sei incazzato, adesso”, disse, assottigliando lo sguardo, senza però togliere le mani dal mio viso.

Si, sono incazzato, ma queste cose le penso davvero, Maya, e se sapessi anche solo una minima parte di ciò che ha fatto mia madre mi daresti ragione. E mio padre ti sarebbe piaciuto, non ho dubbi, lui piaceva a tutti”, aggiunsi, abbassando lo sguardo ancora una volta, ricominciando a guardare i disegni sulla maglia di lei, che ancora se ne stava appollaiata sulle mie gambe. “Non è nemmeno venuta al funerale, sai?”.

Quella, probabilmente, fu la cosa che mi fece più male perché, nonostante avessi cercato di mettermi in contatto con lei, non riuscì a farsi sentire. Così mi ero ritrovato da solo, il giorno del funerale, affiancato dalla mia vicina di casa, costretto a stringere la mano e ringraziare decine di sconosciuti che erano venuti per farmi le condoglianze. “Quando tornò in Italia mi disse che aveva avuto un contrattempo e che non era riuscita a prendere l’aereo in tempo, quattro anni dopo la morte di mio padre, Maya. Quattro anni passati da solo, senza sue notizie e senza sapere se anche lei fosse ancora viva o meno”.

Non sarà stata la madre perfetta, ma dire quelle parole è in ogni caso sbagliato, Travis, e non sto cercando di giustificarla, assolutamente: ha sbagliato su tutti i fronti; ma tu devi anche imparare a dimenticare e ad andare avanti. Se continui a convivere con questo peso non vivrai mai davvero”, aggiunse, infine, spostando le mani sui miei capelli e cominciando a giocarci. Era rilassante, il suo tocco, ogni volta che mi sfiorava era come se venissi percorso da scariche al tempo stesso piene di adrenalina, ma anche capaci di tranquillizzarmi.

Come faccio a passarci sopra?”, le chiesi, disperato, avvicinandola ancora di più a me. Avevo bisogno della sua vicinanza, avevo bisogno di lei come non mai. “Mio padre è stato l’unico che abbia creduto davvero in me, senza riserve, l’unico che sia riuscito a farmi sentire qualcuno”, continuai, poggiando la fronte sulla sua spalla.

Non devi dimenticare tuo padre, assolutamente, ma devi smetterla di incolparti per qualcosa che nessuno è in grado di controllare. Purtroppo succede e mi dispiace davvero che sia capitato a tuo padre, ma non puoi farci nulla, non più. E non avresti potuto nemmeno a suo tempo”.

Aveva ragione, lo sapevo perfettamente, ma continuavo ad incolparmi perché non riuscivo ancora ad accettare quella perdita, troppo grande da metabolizzare. Ci aveva provato anche Claudio, quel santo uomo che era addirittura venuto al funerale, dieci anni prima, ma non era riuscito nel suo intento e dubitavo fortemente che potesse riuscirci anche Maya. Ero certo solamente del fatto che avrei dovuto conviverci a vita.

Ma non ho potuto fare nulla per salvarlo; non ricordo nemmeno l’ultima cosa che ci siamo detti, non ricordo nulla”, mormorai, ormai al limite. Stavo per cedere e non volevo, non dovevo perché non sapevo se sarei stato in grado di fermarmi.

 

Oh, Starlight don't you cry
We're going to make it right before tomorrow
Oh, Starlight don't you cry
We're going to find a place where we belong
We're we belong
And so you know
You'll never shine alone
Starlight we'll find a place where we belong
We belong

Slash ft. Myles Kennedy - Starlight

 

Poi Maya mi attirò a sé, circondandomi le spalle con le braccia e stringendomi, e fu quasi istintivo rispondere a quell’abbraccio improvvisato. Istintivo e normale e, per un momento, fu come tornare a respirare regolarmente con il viso immerso nei suoi ricci. Continuò a stringermi, lei, come se fosse questione di vita o di morte ed io non avrei voluto cambiare nemmeno un singolo particolare di quel momento: sembrava perfetto, nonostante fosse ben lontano dalla perfezione. Sapeva che avevo bisogno di quello, di un contatto che mi riportasse alla realtà e che mi tenesse incatenato a me stesso, che mi impedisse di cedere.

E forse era proprio per quel motivo che, alla fine, l’ancora che mi aveva regalato mio padre a sette anni me l’ero tatuata, per avere un modo per restare ancorato a lui, ai ricordi più belli che avevo e agli errori che avevo commesso, all’occasione di salvarlo che mi ero lasciato scappare. Ma avevo come la strana sensazione che, in quel momento, la vera ancora che avevo a disposizione fosse tra le mie braccia.

Respira, Travis”, sussurrò, aumentando la presa e facendosi ancora più vicina. “Respira e smettila di pensarci, adesso”.

Fu quasi semplice dimenticarmi del mondo, in quel momento, di quello che avevo detto e pensato come se non ci fosse altro che quell’appartamento con noi due dentro. Semplice ed efficace, grazie a lei.

 

Maya’s POV

 

Ero rimasta tutta la notte davanti al computer per poter finire il lavoro da consegnare la mattina seguente e, neanche a dirlo, non avevo chiuso occhio. Quei maledetti scatti mi avevano portato via più tempo di quanto avessi immaginato e, a dirla tutta, non avevo fatto tutto questo gran lavoro: quella maledetta pallina da tennis mi sfuggiva prima che riuscissi ad inquadrarla. Sperai solamente che, andando avanti con il tempo, non mi venissero più commissionati servizi su quel dannatissimo sport. E mi sarei dovuta presentare in redazione, alla direttrice tanto per cambiare, in uno stato a dir poco orrendo, con le occhiaie ed i capelli ancora a dir poco scombinati dalla sera prima.

La sera prima… ancora a pensarci mi vengono i brividi.

Non avrei mai immaginato che Travis potesse aver passato un inferno simile, lui che mi è sempre sembrato sicuro si sé e con la coscienza a posto, ma avevo completamente sbagliato su di lui: mi aveva lasciata senza parole, a dir poco, soprattutto per la tragedia a cui aveva assistito quando era poco più che un ragazzino ed era stato brutto, angosciante ascoltare tutto il resoconto della sua vita, di come sua madre si fosse comportata letteralmente di merda, ma non ero riuscita a fermarlo. Volevo sapere di più, e non perché fossi avida di informazioni, ma perché per una volta volevo davvero capire per quale motivo Travis fosse diventato quello che era. Ed era stato anche peggio, probabilmente, vederlo incolpare sé stesso per la morte del padre, per qualcosa che ancora nessuno purtroppo riesce davvero a controllare, a fermare.

Non lo avevo mai visto, sentito così disperato, triste e così bisognoso di qualcuno che gli stesse accanto, e sapere che in quei dieci anni l’unica persona su cui riuscì a fare affidamento fu mio padre, non faceva altro che intristirmi ancora di più. Perché era solo, nonostante sembrasse l’amico di tutti, in palestra, l’atleta che tutti prendono da esempio, ma quella sera era stato solamente Travis, solamente un ragazzo che ancora soffriva per la morte dell’unica persona che lo avesse incoraggiato e spronato, prima che cominciasse davvero ad impegnarsi nel nuoto.

Mi aveva distrutta, quella rivelazione, in un certo senso, forse perché non ero per niente pronta a scoprire un particolare simile della sua vita, perché non me lo aspettavo affatto. E vederlo così indifeso mi aveva fatto sorgere mille dubbi, nella mia testa.

Non ricordo nemmeno quanto tempo passò prima che sciolse quell’abbraccio, tanto stretto da farmi mancare il fiato. Ma non avevo accennato a muovere un muscolo, capivo quanto ne avesse bisogno; così restai lì, con le costole strette dalle sue braccia, il respiro mozzato dalla sua forza e i brividi che sembravano essere passati dal suo corpo al mio. Poi si era distaccato da me lentamente, continuando ad osservare attentamente la prima maglia che ero riuscita ad indossare, quella con una miriade di disegni senza alcun senso; non aveva il coraggio di guardarmi in faccia, lo avevo capito sin da subito, e non ne capivo davvero il motivo, ma forse l’orgoglio maschile rappresentava n ostacolo troppo grande per essere superato così tranquillamente. Così continuai a giocare con i suoi capelli alla base della nuca, studiando tutte le emozioni che passarono sul suo viso, gli occhi assenti e l’espressione triste, e mi resi conto di provare una gran pena nei suoi confronti.

Poi finalmente trovò le forze di alzare gli occhi e di trovare i miei, e tentai inutilmente di sorridergli, di fargli capire che andava tutto bene in un certo senso, ma non sembrava vedermi davvero, lui. Sembrava perso, forse come il ragazzino di diciassette anni che si era occupato del padre malato di cancro e che lo aveva visto morire senza poter davvero fare qualcosa di utile.

Mi chiesi come potesse sembrare Travis, a quell’età, se i suoi occhi fossero stati già vispi e sfrontati già allora oppure se fossero diventati così con il passare degli anni.

Forse dovrei tornarmene a casa”, aveva mormorato, guardandomi negli occhi.

E non me la ero proprio sentita di lasciarlo andare in quello stato, perché si vedeva lontano un miglio quanto fosse ancora scosso da tutto quello che mi aveva detto, che aveva rivangato. Sarebbe stato come sbattere fuori di casa un cucciolo impaurito, e sarebbe stato meschino. Così nemmeno ci avevo pensato su quando, in risposta, gli dissi di restare. Mi era uscito naturale e, in un certo senso, non me ne ero pentita, perché sapevo che era la cosa giusta da fare.

Non era in grado di restare da solo, quella sera, e nonostante mi sembrasse una cosa davvero strana interpretare quella parte, di quella che arriva in salvo dopo una storia strappa lacrime, non avevo potuto fare altrimenti. E non era per fare del perbenismo, non era per mettermi in luce con Travis, era semplicemente perché ormai avevo imparato a conoscerlo e, in quello stato, non lo avevo mai visto e mi preoccupava.

Poi aveva cominciato a baciarmi con una disperazione tale da farmi venire la pelle d’oca sul tutto il corpo e fu come se lui se ne accorgesse, perché tornò a stringermi come aveva fatto poco prima e la miriade si sensazioni che provai quasi mi investirono come un treno in corsa. Era urgenza, quella, urgenza di smetterla di pensare a tutto quello che gli era passato, urgenza di trovare un appiglio a cui aggrapparsi per paura di sprofondare in un luogo che avrebbe spaventato chiunque. E lui ne era terrorizzato, aveva una tale paura del suo passato che fu palese anche a me, che lo conoscevo a malapena sotto molti aspetti. Era urgenza e necessita di sentire il suo corpo attaccato al mio, di sentirsi una sola persona, di sentire qualsiasi altra cosa che non fosse il dolore in cui aveva vissuto negli ultimi dieci anni; e faceva male anche a me, che ero rimasta solamente spettatrice per pochissimo tempo.

Neanche a dirlo che anche il più ingombrante degli indumenti sparì e, Travis ed io, finimmo come eravamo abituati a finire quando si presentata una situazione troppo difficile per essere affrontata. Finivamo a sotterrare i pensieri ed i dubbi tra le lenzuola, tra i cuscini, li scacciavamo via per paura che tornassero a tormentarci.

Molto bene, Maya”, disse la direttrice, facendomi tornare con la mente al presente, nel suo ufficio. “Te la sei cavata anche questa volta e sono felice di vedere quanto tu possa essere versatile”.

Ed io che pensavo di essere stata un disastro su tutti i fronti, in quell’incarico che mi aveva portato via più forze e sanità mentale di quanto avesse fatto il servizio a Doha. Ed era tutto dire.

Cerca di non rilassarti troppo, però, ho già in mente qualcosa che potrà pesare parecchio sul tuo curriculum e che ti renderà ancora più nota di quanto tu non sia già ora”, continuò, lei, lanciando un ultimo sguardo alle fotografie che aveva sparso per la scrivania. Il fatto che lei credesse che fossi nota in quell’ambiente mi rendeva nervosa perché, sì, avevo preso parte ad alcuni servizi ed articoli che erano andati molto bene e, il più delle volte, i miei scatti non erano affatto male, ma non credevo di essere arrivata tanto lontano e, soprattutto, di essermi già fatta un nome, se non negli uffici della rivista. “Abbiamo in mente un articolo sul compagno di squadra di Travis, Luca, per il prossimo numero. Alla fine, dopo i mondiali a Doha, ci sono arrivate alcune richieste per avere una storia su di lui e su come sia arrivato fino a quel punto dato che, in fin dei conti, resta ancora un po’ sconosciuto; così abbiamo pensato di accontentare quelle richieste e di puntare su di lui, giusto per un breve articolo per ora, ma le tue fotografie dovranno essere fondamentali”.

Non mi sembrava vero. Ero riuscita finalmente a distaccarmi dal nuoto – nonostante mi riuscisse molto più naturale immortalare quello sport –, a sentirmi quasi indipendente e lontana da quell’ambiente  e sentirmi dire che mi era stato commissionato un altro servizio del genere mi faceva venire la nausea. Soprattutto se il soggetto in questione era Luca, per cui non nutrivo una particolare simpatia. Mi sarei fatta andare bene addirittura un altro servizio fotografico a Travis e con Michele sarei stata la donna più felice sulla faccia del pianeta, ma con lui proprio no. “Posso sapere per quale motivo avete scelto proprio me?”, mi azzardai a chiedere, stringendo i pugni.

Perché, Maya, ti sai muovere bene con quello sport, perché conosci già il soggetto da quanto mi han detto e perché conosci anche l’ambiente a cui è legato”, rispose, lei, palesemente seccata. “Inoltre, comporterà un compenso niente male, soprattutto per essere una trasferta”.

Una trasferta?”, domandai confusa.

Sì; dato che i nostri lettori vogliono conoscere la storia di Luca, abbiamo deciso di ambientare il servizio fotografico in un luogo che potesse richiamare le sue origini, ecco perché tu andrai, insieme ad una piccola equipe e al nostro soggetto, in Puglia, nel paesello sul mare dove è cresciuto Luca”.

Mi sarebbe caduta a terra la mascella, probabilmente, se non fosse stata attaccata alla testa e non ci avrei visto nulla di sbagliato. Perché, davvero, quella notizia era tutt’altro che piacevole, oltre che inaspettata.

Avevo intravisto qualche volta Luca, in piscina, e lo avevo visto spesso e volentieri intento a pavoneggiarsi in giro e, quando Simona rallegrava tutti quanti della sua presenza, lo avevo visto interpretare la figura del marpione in un modo del tutto naturale, oltre che sfacciato. E Michele me ne aveva parlato, varie volte, ed avevo scoperto che era diventato anche di Travis, dopo i mondiali a Doha. Che si fosse montato la testa era palese, ormai, ma che si sentisse così padrone di sé stesso da permettersi distrazioni e comportamenti simili era assurdo. “In… in Puglia?”.

Ero terrorizzata, ed il fatto che saremmo stati in una cerchia ristretta a viaggiare non mi faceva stare per niente tranquilla. Avrebbe potuto comportarsi con me nello stesso modo con cui aveva fatto con Simona, lui, e non mi sarebbe andato affatto giù, soprattutto perché lo vedevo come il perfetto pallone gonfiato da rivista patinata e sapevo che, con quel servizio fotografico, non avrebbe fatto altro che montarsi ulteriormente la testa.

Si, Maya, hai capito bene. Luca è cresciuto in un paesino delizioso, davvero, a Torre dell’Orso ed è incredibile che, per i pochi abitanti che ha, proprio uno di loro si stia facendo strada a livello internazionale”, continuò, lei, guardandomi come se non capissi il colpo di fortuna che mi era capitato, ma se avesse saputo tutti i particolari, probabilmente, avrebbe capito lei, la verità su quella situazione. “Sarà una settimana emozionante, te lo posso assicurare, soprattutto perché lo vedo come una location molto interessante e caratteristica e spero che tu riesca a farti valere anche in questa occasione”.

Che fosse una notizia catastrofica, quella, lo avevo capito al volo, ma venire a sapere che avrei dovuto passare un’intera settimana dispersa chissà dove con un soggetto come quello che ero costretta a fotografare era davvero troppo. E la consapevolezza di non poter far nulla per risparmiarmi qualcosa, di quella specie di punizione, era la notizia peggiore, perché avrei tanto voluto scappare da quel posto e da quell’incarico che incombeva come un’ombra sulle mie spalle. Una settimana con il provolone per eccellenza. Poteva anche essere paradisiaco, il luogo in cui saremmo dovuti andare, che non mi sarebbe importato gran ché, era la compagnia a lasciare davvero a desiderare.

Fu come rivivere un flashback, come quando venni a sapere della trasferta a Doha e mi resi conto di come le cose fossero cambiate, da quel momento, perché adesso riuscivo a sopportare la presenza di Travis quasi senza problemi, Simona me la sarei fatta andare bene in ogni caso, avrei evitato di ascoltare i suoi discorsi vuoti e di considerarla, ma la tenacia e la testardaggine di Luca mi spaventavano. Soprattutto quando si trattava di donne.

E quando dovrei partire, esattamente?”, domandai, cercando di regolare la mia voce che continuava a tremare.

Tra dieci giorni, così avrai tutto il tempo necessario per prepararti”, rispose, secca, lei, controllando qualcosa al computer. Fu come se non esistessi, in quella stanza, con quella donna glaciale che si faceva gli affari suoi e mi rispondeva a stento. Certo, era dannatamente brava nel suo lavoro, ma aveva una capacità di relazionarsi amichevolmente con gli altri pari a zero. “E quando uscirai da questo ufficio, fermati nella hall a ritirare tutta l’attrezzatura che ti ho assegnato per l’incarico. Portala a casa e fai alcune prove, giusto per tenerti in allenamento”.

Aveva già pensato a tutto e sapeva che non avrei potuto dire di no a quell’opportunità che mi stava proponendo su un piatto d’argento, sapeva che non avrei avuto il coraggio perché capiva quanto tenessi alla mia carriera e al mio lavoro. Così me ne andai a testa bassa da quel posto che cominciavo a detestare, per tutte le botte nei denti che continuava riservarmi. Ancora non capivo se fossero più le delusioni o le gratificazioni che mi regalava.

Ritirai i borsoni con l’attrezzatura che mi era stata assegnata e me ne tornai a casa senza dire una parola, ero troppo scioccata per poter anche solo parlare. Improvvisamente, la voglia di passare una serata carina, diversa dalle altre, mi era improvvisamente passata, sotterrata chissà quanti metri sottoterra. E il ricordo di ciò che aveva detto Travis non aiutava affatto, l’idea che lui dovesse andarsene in giro con Simona per chissà quale articolo era a dir poco assurda, oltre che fastidiosa. E non poteva essere fastidiosa, quell’idea, dannazione! Perché avrebbe implicato un qualche tipo di legame che, ovviamente, non esisteva affatto, ma forse era stata la sera precedente a cambiare le carte in tavola.

No, non cambiava nulla! Eravamo abbastanza grandi per decidere di divertirci come più ci piaceva e quello era il risultato; che poi la sera prima fosse degenerata in qualcosa di inaspettato, era assolutamente superfluo.

Mi ero ritrovata a casa, per il resto della giornata, a provare l’attrezzatura, a mangiarmi le mani per colpa del nervosismo che si ostinava a non lasciarmi andare e a chiedermi, verso sera, come stesse procedendo la cena tra Simona e Travis. E mi sarei presa a schiaffi nel momento stesso in cui mi resi conto di come la mia mente finisse a pensare certe cose con una semplicità disarmante, perché non mi doveva importare affatto, dovevo fregarmene come lui faceva con me, la maggior parte delle volte.

Però non riuscivo a smettere di pensare a quello che era successo la sera prima, quando lui aveva finalmente deciso di aprirsi con me. Non che ne fossi particolarmente contenta, ma avevo capito che gli aveva fatto bene in un certo senso, nonostante non dovesse essere stato facile rivangare in quel modo un passato simile. E mi era sentita una privilegiata, più o meno, perché non poteva raccontare una storia del genere al primo che gli passava accanto, no? Insomma, per quanto potesse essere strano quel nostro rapporto, quello era stato un gran passo avanti, la dimostrazione che oltre al sesso non più tanto occasionale e le discussioni, eravamo in grado anche di resistere ad argomenti seri e, soprattutto, se uno aveva un problema l’altro era lì pronto ad ascoltarlo. Più o meno.

Era successo tutto così improvvisamente, dal nulla, che nemmeno io sapevo più cosa pensare e la testa cominciava a farmi male, per i troppi dubbi che erano nati in quelle ultime ventiquattro ore.

Mi chiusi nella mia camera oscura per non so quanto tempo, sperando di riuscire a prendere sonno grazie al buio pesto e alla tranquillità di quella stanza, nonostante fossi seduta per terra, con la schiena contro la porta. Ma la mia mente non ne voleva sapere di lasciarmi stare, di placarsi per potermi dare un attimo di tregua e, se nemmeno quella stanza in particolare riusciva a darmi pace, dovevo davvero essere messa male.

Ma non potevo, non potevo davvero, perché avrebbe significato troppe cose che mi spaventavano in un modo incredibile.

Solamente dopo che riuscii a decidermi ad uscire di lì mi resi conto che era quasi notte fonda, troppo tardi perché potesse esserci qualcosa di decente in tv o perché potessi mettermi a leggere qualcosa; così presi uno dei dischi della mia “collezione” e misi su un po’ di musica, sperando che potesse calmarmi. Insomma, se nemmeno del buon jazz riusciva a placare l’oceano in tempesta che era diventato la mia mente avrei dovuto preoccuparmi seriamente.

 

Il giorno dopo mi ero risvegliata uno straccio. Ancora una volta, e non ne potevo davvero più di quella catena che sembrava non avere fine; sembravo un’anima in pena che girovagava per il proprio appartamento senza un fine vero e proprio e nemmeno la massiccia dose di caffeina che decisi di concedermi mi aiutò a darmi una sonora svegliata.

Ero rimasta per tutta la sera precedente sdraiata sul letto ad arrovellarmi cervello e fegato, in una sorta di battaglia bipolare della mia mente che, a seconda dei momenti, si dava addosso con pensieri e punti di vista differenti. Ero patetica, fine della storia.

Quel giorno, poi, sarei dovuta andare alla piscina per avvisare mio padre delle novità, ma la prospettiva di incontrare Luca e, quindi, finire a parlare della settimana che avremmo passato insieme in Puglia oppure Travis, mi faceva venire il voltastomaco. Però mi sembrava davvero assurdo e stupido riferire tutto a Claudio con una semplice telefonata. Così, anche di prima mattina, mi ritrovai a combattere contro me stessa in una battaglia che avevo già perso in partenza.

Misi su altra musica, rock ‘n roll anni cinquanta per riuscire a smuovere un po’ l’ammasso di tristezza ed occhiaie che ero diventata, ma sembrava non esserci nulla da fare. E, in un momento di incredibile noia, durante il tardo pomeriggio mi ritrovai a telefonare a Travis, quasi senza rendermene conto.

Ma che cazzo sto facendo!?

Ehi”, rispose, dopo alcune squilli, lui. E avrei tanto voluto che non lo facesse, perché ero una codarda senza precedenti, la persona che avrebbe immediatamente chiuso quella dannatissima telefonata se non fosse passata per una perfetta idiota.

Silenzio. Mi sentivo bloccata da chissà quale sensazione, imbambolata com’ero seduta sul divano, non sapevo che dire.

Maya, tutto bene?”, chiese, poi, dopo altri istanti passati in assoluto mutismo.

Sì, cioè… credo di sì”, biascicai, in risposta. “In realtà non lo so”.

Mi fa piacere sentirti sempre così decisa”, rise, prendendomi in giro, l’idiota. Perché era un idiota fatto e finito se credeva di abbindolarmi con le sue frasi ad effetto, perché se davvero pensava che mi sarei lasciata distrarre da quattro parole incastrate alla perfezione si sbagliava di grosso.

Allora”, cominciai, animata da chissà quale coraggio. “Deduco che dall’allegria della tua voce la cena di ieri sera sia stata un successone”.

Mi sarei voluta scavare la fossa con le mie mani, dopo quelle parole, perché mi erano uscite di getto e senza che ci potessi pensare su. Ed ero una stupida, una vera stupida, perché sapevo che comportandomi in quel modo non avrei risolto assolutamente nulla, non avrei fatto passare i mille dubbi che continuavano ad affollarmi la mente e, di certo, non avrei fatto passare le ondate di rabbia e nervosismo che mi investivano ogni volta che tornavo a pensare alla serata precedente, quando io vagavo senza motivo per il mio appartamento, mentre lui se ne stava bello in tiro in un ristorante con Riccioli d’Oro. E sentivo di non dover provare tutte quelle emozioni, quel misto di sensazioni che mi mandava il sangue alla testa, perché avevo la netta sensazione che non avrebbero portato nulla di buono, nulla di concreto, nulla che avrebbe potuto soddisfarmi davvero.

Ieri sera?”, domandò, il finto tonto, come se fosse davvero sorpreso dalla mia domanda. “Ah sì, beh non è stato niente male; la cena un po’ banale, ma… diciamo che poi la situazione è migliorata nettamente”.

Era uno stronzo.

Ed io avevo avuto la conferma di come avessi sbagliato a riporre in lui anche solo un briciolo di speranza, quella che era nata quando avevo rimuginato per ore sul fatto che lui avesse raccontato del suo passato, di come avesse sofferto. Ma più di tutto era stato il suo comportamento a destabilizzarmi completamente, ad annientarmi, perché mi era sembrato davvero sconfitto, quella sera, davvero distrutto e si era lasciato abbracciare da me come mai aveva fatto, come se avesse davvero bisogno di quel contatto.

Ma mi ero sbagliata, completamente, perché era tale e quale a Luca, lui. Se non peggio, perché almeno l’altro lo faceva solamente per un puro piacere fisico, mentre lui aveva messo in gioco troppo ed aveva lasciato che, spesso e volentieri, io giocassi le mie carte, perdendo troppo di me stessa.

Non avevo dubbi, sai”, sputai, inviperita. Forse più con me stessa che con lui, perché alla fine non aveva fatto nulla di male, lui, ad andarci a letto, con Simona. Ce lo eravamo ripetuto non so quante volte che, tra noi, non c’era alcun legame, alcun vincolo. Avevamo deciso di restare come sospesi nell’aria, senza doverci dare una vera e propria definizione, per puro divertimento. E mi faceva davvero incazzare la rabbia che sembrava volermi divorare viva, perché non avevo il diritto di provarla e perché era sbagliato. “Almeno, prima di tornare da me la prossima volta, va in ospedale a fare qualche test. Sai, non vorrei dovermi beccare una qualche malattia venerea”.

E non sapevo più cosa stavo dicendo, cosa stavo pensando. Ero completamente andata, fottuta da quella sensazione terribile che mi faceva tremare le mani.

Certo che no ti smentisci mai, tu”, ribatté, la voce innervosita dal mio comportamento.

E lo sarei stata anche io, cazzo, perché mi stavo comportando come una bambina, quando mi ero sempre ripromessa di cercare di non cadere troppo in basso, di non lasciarmi coinvolgere dagli eventi ed avevo sbagliato su tutti i fronti.

Almeno, per quanto riguarda la finezza, da una come Simona potresti imparare davvero tanto, sai?”.

Quello era davvero troppo perché, se io avevo sbagliato senza rendermene conto, lui stava davvero esagerando venendomi a dire quelle cose. Perché sapeva quanto non sopportassi quella ragazza ed i suoi atteggiamenti da prima donna, come se fosse lei l’unica al mondo. Lei non era nessuno e neppure Travis, tanto per cambiare, per venire a dirmi cose del genere.

Penso che una come lei sia ferrata su argomenti tutt’altro che fini, se vogliamo dirla tutta”, continuai, cominciando a camminare avanti e indietro per il salotto come una forsennata. “E comunque non ti ho chiamata per parlare di quella… di lei; volevo avvisarti che nei prossimi giorni non sarò molto presente: tra nove giorni devo partire per una trasferta in Puglia con il tuo caro amico Luca”.

Silenzio. Ancora una volta, ma almeno in quell’occasione non ero io ad essere rimasta senza parole. E fu quasi una sorta di rivincita sentire come, con una notizia del genere, fossi riuscita a zittire quel pallone gonfiato che era in realtà Travis. Per una volta era rimasto senza parole, senza le sue solite frecciate con cui controbattere.

Una trasferta? Con Luca?”, domandò, poi, incerto, con la voce che mi risuonò quasi disgustata quando pronunciò il nome del suo compagno di squadra.

Le ore sott’acqua ti hanno rovinato l’udito oppure hai fatto urlare Simona troppo a lungo?”, gli chiesi, ironica. Nonostante in me, di ironico, in quel momento ci fosse davvero molto poco. “Sì, la rivista vuole un servizio su Luca e lo vogliono ambientare da dove è partito, quindi nel suo paese d’origine ed ecco perché per una settimana me ne andrò in Puglia con lui e qualche membro dello staff”.

Lasciai perdere il fatto che, la permanenza in luogo completamente sconosciuto, con uno come Luca mi spaventava a dir poco, non meritava di saperlo ed io non volevo assolutamente mostrarmi più debole di quanto già non mi sentissi. Lasciai perdere il fatto che mi spaventasse quell’incarico in sé, perché improvvisamente mi sentii una perfetta incapace pronta ad alzare bandiera bianca.

Ti sento parecchio entusiasta”, mormorò, lui. E non seppi come interpretare quel suo tono di voce, se sconfitto oppure infastidito, ma mi imposi di non pensarci troppo su perché avevo ben altro a cui pensare e, quella facciata da stronza che avevo ritirato su, doveva restare in bella mostra. Almeno per il tempo di quella telefonata.

Certo, cosa credi?”, cominciai, passandomi una mano tra i capelli. “Un’opportunità del genere non me la lascio scappare e poi avrò la possibilità di visitare la Puglia, e per fortuna che ci sarà uno come Luca che, almeno, mi farà da guida”.

Attenta che il suo itinerario non finisca in qualche letto”, sputò, lui, decisamente più infastidito di quanto non fosse già prima.

E anche se fosse?”, azzardai.

Avevo paura della sua reazione, in un certo senso, perché sapevo quanto si potesse scaldare alcune volte, soprattutto se si cominciava a parlare dell’altro ragazzo che, tanto per cambiare, non sopportava.

Sei libera di fare e di farti chi cazzo ti pare, Maya, esattamente come lo sono io, ma almeno a me questo particolare mi è sempre stato ben chiaro in mente”, disse, infine, con voce piatta. E fu come una stilettata allo stomaco, quel suo tono indifferente, menefreghista; ed ebbi ancora una volta la conferma di come mi fossi sbagliata sul suo conto, perché stava tornando fuori lo stesso Travis dei primi tempi in cui lo avevo conosciuto, lo stronzo che se ne frega altamente degli altri e cammina pestando tutto ciò che trova sul suo cammino. Avrei dovuto saperlo, ma avevo sperato che fosse una persona diversa ed avevo preso un abbaglio colossale.

Lo è anche per me, idiota, infatti cercherò di vivermi ogni momento di quest’esperienza”, ribattei, sentendomi velenosa come non mai. “Vorrai scusarmi, ma ora ho altro da fare piuttosto che continuare a discutere con te al telefono”.

Sia mai che sprechi minuti preziosi a parlare con uno stupido come me, mi sentirei troppo in colpa”, rispose, Travis, con una risata ironica prima di riattaccare il telefono, lasciandomi un attimo interdetta.

Aveva avuto anche il coraggio di privarmi di quel privilegio, di poter porre fine a quella malsana conversazione che avevamo appena avuto. Che poi, quando mai noi siamo riusciti a parlare in modo civile, come due persone normali? Mai, ecco quando e quella era solamente un’altra occasione che andava ad ammucchiarsi al resto.

E mi sentii improvvisamente svuotata, senza forze e priva della benché minima briciola di intelligenza, perché mi ero appena comportata come una perfetta e completa idiota, io che avevo sempre cercato di essere sempre giusta, sincera. Avevo appena dato un immenso calcio nel culo a tutti quelli che erano stati i miei principi, e per cosa poi!? Per non sentirmi inferiore a Travis che, come sempre, riusciva a superare ogni sua situazione, poco importava come ne uscivano quelli che cercavano di combattere contro di lui. Per non sentirmi una bambina a mostrarmi indifesa ed impaurita per una cosa che non avrebbe dovuto spaventarmi affatto, ma che avrebbe dovuto farmi crescere solamente la voglia di combattere per far vedere al mondo intero chi sono e cosa valgo.

E non potevo davvero scoppiare a piangere, non in quel momento e non dopo quello che era successo. Nemmeno una singola lacrima sarebbe dovuta crollarmi dagli occhi, altrimenti quella a crollare sarei stata io, poi. E non potevo permetterlo, non a pochi giorni da un’impresa che mi sembrava a dir poco titanica.

Doha, in confronto, era niente!

Fu quasi istintivo alzare il volume del giradischi e chiudermi nella mia camera oscura. Istintivo ed assurdo perché, fondamentalmente, non aveva alcun senso quel mio comportamento, ma avevo bisogno di un attimo di pace, di momento di calma e tranquillità che non mi sembrava di scorgere da alcuna parte, solo nella quotidianità che pareva farsi sempre più lontana, divertita dal fatto che la avessi praticamente appena mandata a puttane senza alcun ripensamento.

*****

Buonasera, bellezze!
Incredibile, ma vero.. questa volta sono riuscita a non ridurmi all'ultimo a pubblicare e - momento epico - non vi ho fatto aspettare più di un mese per il seguito. Mi sento un po' più fiera di me..
Allora, allora: capitolo pesantuccio, questo! Oltre che lunghissimo come gli ultimi (se non di più) lo reputo pesante per ciò che tratta, soprattutto nel POV di Travis, ma era ora che il suo passato venisse fuori e.. TA DAAN! Ecco il significato del tatuaggio!
E' davvero molto importante, per lui, e spero di aver fatto trasparire questo particolare perchè, a questo momento della storia, tengo davvero tantissimo. E spero davvero con tutta me stessa di averlo descritto al meglio.
Poi.. dolcezze, novità, disastri (tanto per cambiare). Un capitolo bello denso di eventi!
Che ne pensate, voi? Vi prego, fatemi sapere qualsiasi cosa, dal semplice commento alla recensione infinita. Mi sembra di essere una bambina a Natale ed ho bisogno di sapere se, almeno per questa volta, ho fatto un buon lavoro!

PICCOLA, GRANDE NOVITA'..
Dato che mi è stato chiesto, ed ammetto che già da tempo ci stavo pensando su, ho creato un gruppo chiuso su Facebook per chi volesse rimanere aggiornato su come procedono i vari capitoli, su novità, qualche spoiler, i volti dei nostri personaggi.. insomma, tutto! Lo vedo molto come un buon mezzo per tenermi in contatto con voi!

Mi trovate qui: Born to Run. Mi raccomando, entrate così avrò la possibilità di conoscervi meglio e di lasciarmi conoscere!

Detto questo, voglio ringraziare tutte voi come sempre! Chi lascia recensioni, chi si limita a mettere la mia storia tra le proprie seguite/preferite e chi legge soltanto! Grazie davvero perchè, probabilmente, andrei avanti davvero a fatica senza di voi!
Alla prossima, un abbraccio,
Chiara

p.s: Poi arriverà il momento in cui vi spiegherò il motivo del nome del gruppo! :)

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Capitolo 24
*** 23 - Distance ***


*****

Per quale motivo, poi, avevo deciso di accettare quell’incarico? Non che mi fosse stata data altra scelta, giustamente, ma se avessi potuto avrei preferito concentrarmi su altro e su un soggetto completamente differente perché, più si avvicinava il giorno della partenza e più io cominciavo ad andare nel panico più totale. Ed era anche un compito semplice, alla fine, ma non capivo per quale motivo mi sentissi così incapace e fuori luogo, per non parlare di quella sottile paura che mi invadeva ogni volta che cominciavo a come sarei potuta sopravvivere a quella settimana con Luca.

Speravo solamente che, almeno nei pochi membri dello staff che mi avrebbero affiancato, ci fosse qualcuno di compagnia.

Non avevo avuto molto tempo per fare altro, prima di andare in Puglia, se non prepararmi e passare ad aggiornare mio padre alla piscina. Ed era stato un supplizio entrare lì dentro ed attendere che Claudio finisse di riprendere un gruppetto di ragazzi per chissà quale cosa. Un supplizio soprattutto per colpa degli occhi di Travis che sentivo addosso, puntati alla schiena. Non avevo intenzione di voltarmi né tantomeno di rivolgergli la parola, non ce l’avrei fatta a mantenere la calma e, in quel momento, avevo bisogno dei miei nervi saldi per non impazzire davanti a mio padre.

Era difficile nascondere una cosa simile a lui, ma se gli avessi raccontato anche solo un minimo particolare avrebbe cominciato ad insospettirsi, a fare sempre più domande ed io non avrei retto e, probabilmente, gli avrei raccontato tutto – beh proprio tutto no, ovviamente – e lui sarebbe andato su tutte le furie. Così avevo preferito tacere e mentire più a me stesa che a lui, facendo finta che non fosse davvero accaduto nulla di particolare. Ma l’insistenza dello sguardo di quel maledetto pallone gonfiato che sentivo tra le scapole era davvero insopportabile.

Poi mi si affiancò Luca che cominciò a straparlare come al solito di come avrei amato il suo paese, il mare e tutto ciò che poteva esserci in Puglia, e di come lui sarebbe stato la guida turistica perfetta, nei miei confronti. E non me ne poteva importare di meno, in tutta sincerità, perché probabilmente mi sarei limitata ai servizi fotografici per la rivista poi mi sarei chiusa nella mia stanza d’albergo, nulla di più.

Per fortuna, Roberto richiamò Luca all’ordine, mandandolo a fare altre vasche lontano da me e, finalmente, vidi mio padre avvicinarsi a me, con il suo solito sorriso sul volto.

Così gli raccontai ogni cosa e lui, tanto per cambiare, ne fu schifosamente entusiasta, perché è un’occasione irripetibile, disse lui. Ed io, invece, ne avrei fatto volentieri a meno. Ma nessuno sembrava capirlo, tantomeno lui che sprizzava gioia ed orgoglio da tutti i pori e, probabilmente, se avessi deciso di abbandonare l’incarico avrei rappresentato l’ennesima delusione, per lui. Quindi tanto valeva tenere la testa bassa e continuare per una strada che non volevo assolutamente percorrere. Continuò anche lui a straparlare su come mi sarebbe piaciuta sicuramente, quell’esperienza, e di come sarei potuta crescere ancora di pi per quanto riguardava il lavoro, ma non stavo nemmeno ad ascoltarlo, io. Erano sempre le stesse parole che mi rifilava ogni volta che lo informavo di un nuovo incarico, e cominciava davvero ad essere monotono, lui. Nemmeno se ne accorgeva, poi.

Cercai di andarmene il più in fretta possibile, interrompendolo a metà delle sue parole di incoraggiamento, praticamente scappando da quel luogo, da quell’odore di cloro che aveva cominciato a farmi venire la nausea e da quel paio di occhi che continuava a scorticarmi la schiena.

 

Era tutto stramaledettamente pronto. Tutto tranne la sottoscritta, che non faceva altro che girovagare per casa in cerca di qualcosa di cui, in realtà, non aveva bisogno. Un motivo ben preciso c’era, se avevo deciso di preparare la valigia giorni prima della partenza, e quella ne era la prova. E fu quasi assurdo rendersi conto di come, Torre dell’Orso, mi arrivò alle calcagna senza che me ne rendessi minimamente conto perché, sì, ero arrivata con quei pochi membri dello staff che mi ero stati affiancati e di Luca nemmeno l’ombra. Almeno mio padre aveva avuto l’accortezza di avvisarmi la sera prima di come, di punto in bianco, dopo l’allenamento il nuotatore fosse partito per il suo paese natale, senza rendere partecipe nessuno di quella notizia. Avevamo già cominciato con il piede sbagliato, ma cercai in ogni caso di non pensarci oltre.

Certo, quel paesino sembrava una meravigliosa briciola di mondo, ma non migliorava affatto la mia situazione e nemmeno quello che avrei dovuto passare per un’intera settimana. Il mare che si stagliava davanti alla costa era a dir poco invitante, con quel colore intenso e limpido; sembrava irreale trovarsi lì, se non fossero stati per i borsoni delle attrezzature e per l’ansia che non accennava a diminuire. Avrei preferito di gran lunga passare alcuni giorni sulle spiagge che erano state scelte per il servizio a poltrire, tra acqua e sole, invece che dover lavorare in un posto simile.

E, ovvio, mi trovavo in un angolo di paradiso e, tra l’altro, era per lavoro, ma la compagnia lasciava davvero a desiderare. Soprattutto se mettevo in conto che proprio Luca rientrava nella categoria dei più simpatici del momento. Ed era davvero strano rendersi conto di come mi ero ridotta a creare nella mia mente dei compartimenti stagni dove gettare la gente secondo i miei gusti, ma in quei giorni fu proprio così.

I membri della troupe che mi avevano accompagnata erano degli asociali, in realtà, diffidenti da far spavento e, con ogni probabilità, anche muti dato che nemmeno all’arrivo all’aeroporto si erano disturbati a dire una sola parola come saluto. Solamente una ragazza, Mara, aveva avuto il coraggio di farsi avanti per il resto del gruppo e di salutarmi, chiedendomi addirittura come stessi. Un miracolo, praticamente. Non che mi lamentassi, capiamoci: la solitudine, nel novanta per cento dei casi, faceva sempre al caso mio e quell’esperienza non era da meno; tuttavia vedere che, almeno ad una persona, ispiravo fiducia non era affatto male.

Solamente dopo esserci sistemati nell’albergo ed aver ritrovato Luca – ammiccante come sempre – ci rendemmo conto che, se avessimo voluto rispettare le scadenze ed i giorni disponibili per il servizio fotografico, avremmo dovuto cominciare quel pomeriggio stesso con le fotografie al mare. Non prima di esserci concessi un bagno.

Non era proprio il clima ideale, per essere a metà Marzo più o meno, ma quella distesa d’acqua così limpida, pura ed invitante era una tentazione troppo grande a cui poter resistere. Così Luca, Mara ed io ci ritrovammo immersi nell’acqua fino al collo prima di cominciare davvero a lavorare. Avevo in dotazione anche l’attrezzatura subacquea, ma non mi sembrava la giornata perfetta per utilizzarla.

Il resto della piccola troupe – tre personcine abbastanza anonime – restarono seduti in spiaggia ad osservare la scena, con un’espressione a dir poco annoiata in volto. Erano due ragazzi ed un’altra ragazza, e nemmeno ricordavo i loro nomi, ma di certo loro non avevano fatto alcunché per aiutarmi in quell’impresa.

Ci ritrovammo ad ascoltare Luca parlare del suo paese, Mara ed io, incantate dall’immagine che potevamo scrutare dall’acqua e dalle parole del nuotatore, anche. Era un bel paesino, davvero, forse troppo piccolo, ma comunque suggestivo. Eppure, per qualche motivo, sentivo che mancava qualcosa all’appello, qualcosa che probabilmente avrebbe cambiato le carte in tavola e migliorato nettamente la situazione, ma era troppo tardi per restare a pensare a cose del genere, dovevamo lavorare e riuscire ad ottenere scatti sensazionali per il servizio fotografico di Luca.

E fu dannatamente facile, lavorare con lui, perché stranamente sapeva ascoltare i miei consigli ed i miei accorgimenti. Cosa che, con la maggior parte dei soggetti con cui avevo avuto a che fare, non era mai successa.

Per quel giorno avevo optato per delle semplici immagini di lui seduto sulla spiaggia oppure in cammino per il bagnasciuga, con lo sguardo rivolto a me oppure al mare. Si era seduto sul moscone di un bagnino, ad un certo punto, Luca, e non avevo resistito nemmeno in quell’occasione, così avevo scattato e ne era uscita un’immagine semplice e naturale, come quelle che preferivo per servizi del genere. Se con l’articolo su di lui dovevamo scoprire le sue origini, allora anche le fotografie che lo avrebbero accompagnato sarebbero dovute restare sulla stessa lunghezza d’onda. Ed era stato quasi piacevole lavorare con lui, grazie anche all’aiuto di Mara che continuava a sdrammatizzare la situazione e a fare da tramite, il più delle volte.

Così, a serata inoltrata, riuscimmo a recuperare tutti i nostri averi sparsi per quello squarcio di spiaggia e a tornare in albergo, seguiti da Luca che decise di accompagnarci. Aveva deciso di restare a dormire dai suoi genitori, lui, ed al suo posto avrei fatto lo stesso.

Ci disse anche che, almeno una sera di quelle, eravamo tutti invitati a casa sua e che sua madre aveva insistito per volerci conoscere, dicendo di volerci preparare una cena con i fiocchi per farci conoscere la cucina pugliese. E non potemmo far altro che accettare, nonostante più della metà della troupe non si dimostrò particolarmente d’accordo – qualcuno a caso, eh – dicendo che saremmo stati presenti molto volentieri.

Fu Mara a convincere me, con quel sorriso imbarazzato che sembrava contraddistinguerla. E non potei fare a meno di chiedermi se, oltre alla possibilità di gustarsi una buona cena, ci fosse dell’altro sotto. Anche perché quelle occhiate che continuava a lanciare a Luca non mi convincevano per niente. Perché sembrava un tipo a posto, lei, fin troppo semplice per una superstar come Luca, ed avevo il netto presentimento che avrebbe potuto farsi male, lei, cercando di andare dietro ad un tipo come lui. Non che avesse mai fatto nulla di male, ma Luca sembrava il perfetto esempio del solito Don Giovanni che fa cadere ai suoi piedi chiunque con la semplice forza di un sorriso accattivante. La bellezza ed il sorriso li aveva e li sapeva usare alla perfezione e, probabilmente, se non avesse cominciato a straparlare quella volta a Doha sarebbe accaduta la stessa cosa anche a me. Ma non mi ero lasciata ingannare, avevo già un nuotatore che mi creava una miriade di problemi e mi bastava.

Così non potei fare a meno di chiedermi cosa stesse facendo Travis in quel momento, alla piscina oppure al suo appartamento, mentre cominciavo a prepararmi per una doccia veloce prima di scendere nella sala ristorante per la cena. Avrei potuto chiamarlo oppure anche solo mandargli un messaggio, ma il solo ricordo di come ci eravamo lasciati l’ultima volta mi faceva imbestialire, soprattutto con me stessa.

Perché, seriamente, cosa credevo? Che uno come lui accantonasse la sua indole per una come me con cui non aveva nemmeno un vero e proprio rapporto, al di fuori dell’ambito sessuale? Ero stata una stupida, ecco tutto; lasciandomi incantare dalle sue parole e dalle sue debolezze avevo lasciato che mi scavasse dentro ancora di più di quanto non avesse già fatto, ed era stato un errore di valutazione madornale.

Certo, gli avevo mentito riguardo a Luca e lui era scattavo, ma almeno gli avevo reso pan per focaccia perché il solo pensiero di sentirmi in inferiorità mi faceva innervosire. Perché avrebbe potuto mettermi i piedi in testa con fin troppa facilità e, successivamente, non ne sarei più uscita. Così avevo deciso di esagerare cercando di difendermi in qualche modo, anche se non avevo fatto altro che peggiorare la situazione. Ed ero stata ancora più stupida, nonché codarda, comportandomi in quel modo, ma non avevo trovato altre possibilità tra cui scegliere.

Non lo capivo davvero, quel ragazzo. Continuava ad essere un vero mistero e continuava a confondermi sempre di più ogni giorno che passava, rendendomi praticamente impossibile ogni mossa. Ed io non sapevo più cosa dire o cosa fare, se non giocando al suo stesso gioco e piazzando sul viso la mia migliore espressione infastidita. Così quelle poche volte in cui ero stata costretta ad andare alla piscina da mio padre, mi ero ritrovata a guardarlo male più o meno allo stesso modo in cui lui fissava me, con occhiatacce insistenti ed espressioni incazzate.

Non sarei stata io la prima a cedere, non sarei scesa a tanto.

E continuai a pensarci anche dopo cena, quando Mara mi convinse ad accompagnarla per un giro in paese giusto per non restare rinchiusa nella camera dell’albergo, nonostante non riuscii a cavare un ragno dal buco nemmeno in quell’occasione. Almeno riuscii a distrarmi un po’, grazie a quella ragazza che aveva oltrepassato lo stato di timidezza da un po’ e che non smetteva un attimo di parlare: era simpatica, nonostante parlasse un po’ troppo, ma almeno era un piacere ascoltarla ed era anche capace di farmi parlare come se la conoscessi da tempo.

Avrà avuto si e no la mia età, lei, e forse fu proprio per quel motivo che riuscimmo subito ad instaurare una specie di rapporto d’amicizia. Anche perché in quel contesto, con la compagnia che avevamo, le altre possibilità scarseggiavano parecchio.

Non credo che riusciremo ad integrarci anche con gli altri, sai?”, mi disse lei, ad un certo punto. “Sembrano quasi al patibolo, durante il lavoro, e davvero non li capisco perché se fosse sempre così questo lavoro, almeno io, pagherei”.

Se fosse sempre così sarebbe una vacanza e non un lavoro, mi spiace dirtelo”, le risposi, ridendo. “E comunque ogni cosa porta i suoi lati negativi: guarda la compagnia che ci è toccata. Anche se fosse una vacanza, sarebbe una noia in ogni caso”.

La intravidi trattenere un sorriso e non potei non cogliere l’occasione per scoprire qualcosa in più su di lei e sui sospetti che nutrivo sul suo interesse su Luca, perché la curiosità era davvero troppa.

Beh, ma non tutta la compagnia questa volta è da scartare, no? C’è anche gente simpatica, come te”, saltò su lei, prima che potessi proferire parola.

Come me e come Luca, immagino”, ipotizzai, guardandola con la coda dell’occhio e vedendola arrossire.

Beh… penso di si, insomma, non lo so”, cercò di dire, fissandosi i piedi. Tutto pur di non incontrare il mio sguardo.

Era addirittura più piccola di me, lei – ed era tutto dire -, ed i suoi capelli lunghi, neri come la pece, non facevano altro che renderla ancora più bassa. Era piccola ed indifesa, ecco, e non avevo idea di come avrebbe potuto lei sperare in qualcosa con Luca. “Sembra simpatico… credo”.

Per quanto lo conosco, quando vuole sa essere simpatico, ma forse è un po’ troppo esibizionista almeno per i miei gusti”, le confessai, cercando di metterla all’erta. “Non so quanto possa essere affidabile, sai? L’ho conosciuto a Doha e in un altro paio di occasioni e mi è sempre sembrato molto più Don Giovanni rispetto alla media”.

Mara si fermò all’istante, guardandomi attentamente, prima di ricominciare a camminare tranquillamente per le strade del paese. Non credevo di averla scioccata fino ad un punto tale, ma forse avevo calcolato male la sua sensibilità.

Pensa che avrei voluto conoscerlo meglio”, mormorò poi, guardando davanti a sé. “Ti avrei voluto chiedere di domandargli cosa ne pensa di me, ma se davvero è un tipo simile preferisco non averci a che fare”.

Non fraintendermi, ma credo che più o meno tutto il genere maschile sia così, forse lui lo esterna con più semplicità e senza curarsi di ciò che pensa la gente, e per certi versi fa bene. Non voglio che siano proprio le mie parole a frenarti, alla fine ho avuto poche occasioni per conoscerlo davvero, ma ti avviso che dovrai misurarti con una come Simona se vuoi conoscere Luca”, aggiunsi, poi, sentendo un’ondata di rabbia invadermi. “Sembra voler mettere i piedi in più scarpe possibili, lei”.

Chissà perché, ma me lo aspettavo”, commentò, ridacchiando. Anche se era palese che, infondo, non ci trovasse proprio nulla di divertente. “Ma perché dici questo? Non credevo la conoscessi così bene”.

Ho avuto a che farci per un servizio che abbiamo fatto per gennaio ed ho imparato a conoscerla abbastanza e, anche nelle rare occasioni in cui l’ho incontrata anche fuori dal lavoro, l’ho sempre vista molto… disponibile praticamente verso tutti. E Luca è uno di questi, poi non so cosa ci sia esattamente tra di loro, ma se è come in altre occasioni credo che preferisca mantenere rapporti puramente fisici”.

Era strano parlare così apertamente con qualcuno che conoscevo a malapena, soprattutto di un argomento simile che, dal nulla, mi faceva provare migliaia di sensazioni contrastanti e per lo più negative. Ma sentivo di potermi fidare di quella ragazza, ispirava fiducia anche solo guardarla e vederla così indifesa e presa da Luca mi faceva avere quasi compassione di lei. Soprattutto se, dopo qualche parola scambiata, aveva confessato di voler sapere di più su di lui.

Era un comportamento un po’ adolescenziale, ma sembrava talmente giovane ed ingenua che tutto sembrava comprensibile.

Non so se volerci sbattere la testa oppure no”, mormorò poi, lei.

“Non ti saprei dare un buon consiglio, io, soprattutto per quello che sto passando”, le risposi, a mo’ di consolazione. “Ti conviene chiedere a qualcun’altra, mi dispiace”, conclusi, ridacchiando.

“Mi sembra un tipo simpatico, davvero”, continuò Mara, come se nemmeno avesse ascoltato le mie parole. E per certi versi gliene fui grata perché, alla fine, avrebbe potuto cominciare a fare domande su domande ed era l’ultima cosa che avrei voluto. “Quando siamo stati in acqua, durante il primo servizio e anche prima, quando ci ha accompagnati in albergo, sembrava una persona semplice”.

“Preferisco non dire altro, ma se vuoi posso provare ad indagare su cosa pensa Luca di te”, mi arresi, infine.

Mi sarei cacciata in un altro guaio, come minimo, ma sentivo quasi il bisogno di aiutala davvero. Forse anche per il fatto che, oltre mio babbo, non avessi mai avuto chissà quante persone attorno e lei mi piaceva, mi andava a genio e tra tutte le persone che erano con me a Torre dell’Orso sembrava l’unica in grado di costruire un briciolo di rapporto d’amicizia con altre persone.

Mi chiesi, per un momento, cosa avrebbe pensato Luca quando gli sarei andata a chiedere cosa pensasse di quella ragazza che, alla fine, aveva appena conosciuto. Senza contare quanto ci avesse provato, più o meno, con me a Doha. Avevo il netto presentimento che avrebbe potuto farsi idee completamente sbagliate, lui, e non me ne s

arei affatto sorpresa; speravo solamente in un minimo di buon senso da parte sua.

Tornammo in albergo dopo poco, salutandoci nella hall dell’albergo e dandoci appuntamento la mattina seguente per la colazione. Così riuscii finalmente a rientrare in camera per potermi rilassare, per potermi finalmente estraniare dal mondo con l’ennesima doccia, troppo lunga rispetto alla media. Avevo bisogno di calmare i nervi, in un certo senso, nonostante la passeggiata con Mara fosse stata parecchio piacevole. Ma mi sentivo inquieta e non capivo il perché.

Era strano, forse, ritrovarsi così lontana da casa con persone che non conoscevo affatto, nonostante fosse per lavoro, e quella sensazione non mi piaceva affatto. Non perché non fossi abituata a starmene da sola, ma perché avevo la sensazione che non avessi lasciato tutto come doveva essere, a casa mia. Come se qualcosa non fosse al suo posto, e sapevo perfettamente la risposta, davvero, ma ero troppo stupida ed orgogliosa per ammetterlo addirittura con me stessa.

Travis aveva semplicemente complicato ogni aspetto della mia vita, come se non bastasse il fatto che fosse complicata e stupida già di per sé. E lo odiavo per questo, davvero, perché mi aveva messa alla prova più volte ed io avevo sempre fallito miseramente, facendo la figura dell’idiota come mio solito. Non sapevo cosa fare, cosa pensare e come agire per semplificarmi la situazione, come se più semplice non potesse affatto diventare.

Nemmeno me ne resi conto quando, ad un certo punto, mi ritrovai con il telefono tra le mani e la chat di Travis davanti al viso. Ed ovviamente non riuscii a pensare lucidamente prima di inviargli davvero un messaggio.

 

Ehi..

 

Stupida e banale, ecco cos’ero. E quella ne era la prova perché quella era una pessima uscita, soprattutto dopo la discussione con cui ci eravamo lasciati. Se speravo di migliorare qualcosa in quel modo, probabilmente, mi sbagliavo di grosso.

Cominciai a vagare per la stanza, dopo aver inviato il messaggio, borbottando tra me e maledicendomi per l’ennesimo attimo di debolezza che mi aveva colpita. E la mia mente cominciò a viaggiare e a creare i possibili scenari che mi si sarebbero potuti parare davanti che, per lo più, passavano dall’estremo mutismo da parte di lui alla serie di insulti che, infondo, mi sarei meritata tranquillamente.

Poi il telefono vibrò improvvisamente sul tavolino su cui l’avevo lasciato, facendomi sobbalzare per la sorpresa. Ed io ci misi alcuni istanti ad incamminarvi verso l’aggeggio, diffidente ed indecisa se leggere oppure no, ma poi mi dissi che, se proprio dovevo rendermi ridicola con quella scenetta – dato che ero stata proprio io a cominciare -, dovevo almeno andare fino in fondo.

 

Ah ma allora sono ancora degno della tua parola.

 

“Sei il solito stronzo!”, esclamai, irritata. Ma sentivo di avere perfettamente ragione, perché la mia mossa era stata una sorta di resa, come se con solamente tre lettere avessi deciso di innalzare bandiera bianca; e lui non lo aveva capito, aveva deciso di comportarsi da idiota come faceva sempre, dandomi la conferma di come fosse infantile per la maggior parte del tempo, come se la prima donna che albergava in lui si facesse vedere nei momenti meno opportuni.

 

Sei degno della mia parola quando non reciti la tua solita stupida parte della superstar.

 

Non ero riuscita  a trattenermi e lui nemmeno meritava che lo facessi, perché aveva bisogno di qualcuno che gli rendesse pan per focaccia, giusto per evitare di alimentare ancora di più quell’ego spropositato che si ritrovava. Ed era assurdo che quel compito toccasse a me, perché non lo volevo e tra l’altro mi spossava, rendendomi più scorbutica di quanto già non fossi.

 

Cosa ti ho detto riguardo a quel soprannome che ti ostini ad affibbiarmi?

 

Sinceramente?

Non ricordo, mi sembra di aver parlato con il tuo alterego, a questo punto.

 

Ennesima prova di debolezza?

Probabilmente sì, ma non ero riuscita a fermarmi nemmeno in quell’occasione e quello era il risultato: la solita serie di parole infilate a caso nel modo più giusto possibile per far vedere al mondo quanto potessi essere stupida, a volte.

E continuavo a non comprendere quel suo comportamento, la rabbia che mi aveva riservato l’ultima volta in cui avevamo parlato, soprattutto dopo una giornata tanto intensa come quella precedente, dove lui sembrava aver abbassato ogni barriera di cui potesse disporre.

 

Deve essere rimasto a Doha. Ma sappi che anche tu sei cambiata, vorrei farti notare.

 

Mi ero seduta sul divanetto davanti al tavolino, cercando di comprendere al meglio quel suo ultimo messaggio. Nonostante fosse tutto tranne che comprensibile.

Certo, ero cambiata molto da quando avevo cominciato quel calvario con il lavoro che mi aveva parlato a lui, eppure nei suoi confronti ero sempre rimasta coerente con le mie idee e glielo avevo sempre fatto presente, non mi ero mai nascosta. Non come aveva fatto lui, almeno.

La verità è che mi aveva ferita e probabilmente nemmeno se ne era reso conto, l’idiota. E mi odiavo per avergli permesso una cosa simile, perché sapevo che ne sarei uscita distrutta e non sarei stata più me stesso, e non me lo potevo permettere. In particolare con un’incognita come Travis.

 

Possiamo chiamarlo corso della vita, forse, e non possiamo impedirlo. Mi spiace.

 

Per una volta smettila di affidarti a discorsi da filosofa, Maya. Hanno smesso di incantarmi da un pezzo.

 

Non ho mai usato discorsi da filosofa, Travis. Ed incantarti non è mai stata la mia missione. Pensavo che ormai avessi capito che non sono quel genere di persona

che cerca di prendere in giro il proprio interlocutore per indorargli la piccola.

 

Non è mai stata la tua missione, certo… peccato che tu ci sia riuscita. Più di una volta.

 

Strabuzzai gli occhi leggendo quel suo ultimo messaggio, forse per la troppa sincerità o forse perché non mi sarei mai aspettata una risposta simile, con un impatto del genere. Non pensavo davvero di essere mai riuscita ad incantarlo, come aveva detto lui, con quali mezzi poi? L’unica cosa che mi riusciva semplice era rendermi particolarmente odiosa e testarda, in alcuni casi.

 

E non ti ho mai reputata quel genere di persona, altrimenti ti avrei lasciata perdere già da un pezzo.

 

Continui a confondermi ogni giorno di più, dannazione! Poi dovrei essere io quella sibillina…

 

Più che confusa mi sembri decisa a negare l’evidenza, anche adesso.

 

Probabilmente nemmeno si rendeva conto di cosa gli usciva dalla bocca quando cercava di mettermi in difficoltà, a volte. Come in quell’occasione, mandandomi in confusione e facendo nascere decine di domande nella mia mente, perché non riuscivo a capire cosa intendesse con quel messaggio. Non riuscivo a capire lui, per la maggior parte del tempo.

Non ero una che si ostinava a negare l’evidenza, io, e non capivo nemmeno quale fosse quell’evidenza da poter negare; non riuscivo a capire dove volesse arrivare o cosa volesse dire.

 

Questa conversazione sta degenerando.

 

Decisi di rispondergli in modo da poter sviare il discorso, perché avrebbe portato ad altre domande e ad altre risposte del tutto incomprensibili che non avrebbero fatto altro che confondermi sempre di più. Tanto valeva evitare l’argomento come facevo la maggior parte delle volte.

 

Starà anche degenerando, ma la preferisco così. Perché se ricomincio a pensare a dove ti trovi ora e la compagnia che ti è toccata torno ad innervosirmi.

 

Non è colpa mia, pensavo l’avessi capito. Lo faccio per lavoro e non perché l’ho deciso io. Se avessi potuto avrei evitato questa serie di problemi.

 

Avevo voluto evitare un argomento scomodo per ritrovarmene uno addirittura peggiore ed avevo deciso per optare per la sincerità, nonostante potesse sembrare parecchio controproducente e stupido da parte mia. Ma mi ero stancata di quella situazione e del comportamento da idiota di Travis nei miei confronti, e speravo che in quel modo i nostri diverbi si potessero appianare.

Ma se si parlava di lui tutto era sempre una stupida e stramaledetta incognita.

 

Strano… ti ricordo parecchio entusiasta dell’iniziativa. O sbaglio?

 

Ecco, quello era un altro dei suoi tanti modi di mettermi alla prova, come se quell’imbarazzante conversazione non fosse abbastanza. Sì, perché mi ero scavata la fossa da sola, credendo che lui potesse seguire le mie idee e sviare il discorso insieme a me, ma mi ero sbagliata di grosso. E quella ne era la prova.

Ma parte di quello che gli avevo detto per telefono, l’ultima volta era vero: era una grande opportunità, quella, e non me la sarei fatta scappare, nonostante fossi sempre impegnata a lamentarmi per migliaia di aspetti che, a mio parere, non andavano bene. Era pur sempre lavoro, e la compagnia me la dovevo far andare bene.

 

Lo sono anche adesso, perché è una bella opportunità, ma non ho mai nascosto il fatto che le persone che mi sono state affiancate non mi piacciono. A parte una certa Mara, sembra simpatica.

 

Allora devo essere stato io a fraintendere, evidentemente. Perché ho in mente parole completamente diverse.

 

Quanto era subdolo, a volte. Perché quello era il suo modo per estorcermi delle scuse che, ovviamente, non sarebbero arrivate. Ero troppo orgogliosa per abbassarmi a tanto e sapevo che quella guerra sarebbe andata avanti fino alla fine dei tempi, tra noi. Perché lui, per certi versi, era come me e, proprio come me, non sarebbe stato il primo a chiedere scusa, come non sarei stata io, e quella sarebbe diventata l’ennesima questione lasciata in un angolo a prendere polvere, irrisolta.

 

Sono state parole diverse, lo so, ma l’ho fatto per proteggermi. Forse. Mi sono sentita attaccata, in un certo senso, e quello è stato il mio modo di rispondere, nonostante abbia peggiorato la situazione. Ma non mi pento, perché alcune di quelle cose le penso davvero e, probabilmente, ci troveremo in disaccordo anche qui, ma va bene così. Tu hai la tua vita ed io ho la mia, e né tu né io abbiamo il diritto di mettere becco nelle faccende dell’altro: ecco perché ti ho risposto in quel modo, perché ti sei andato ad impicciare dei miei affari e mi hai trattata come se la colpevole fossi io, quando ti sei comportato praticamente allo stesso modo.

Cose del genere non dovrebbero succedere, soprattutto tra due persone che non hanno alcun legame.

 

Se ribadirgli per l’ennesima volta che tra noi non c’era nulla fosse servito, lo avrei fatto. Glielo avrei ripetuto allo sfinimento se fosse servito per cambiare le cose, anche se cominciavo a dubitare di fin troppe cose. Come quella che, in fin dei conti, servisse più a me che a lui, mettere in chiaro le cose. Ma no, non poteva essere, non doveva. Perché lui ed io eravamo un terribile errore, e avrei dovuto capirlo quella volta dopo il servizio fotografico al mare, quando Travis si era presentato al mio appartamento. Avrei dovuto capirlo prima che iniziassi a complicare tutto quanto con le mie stesse mani, scavandomi da sola una fosse talmente profonda da non poter più uscire.

 

Sai cosa non riesci ancora a capire, Maya? Che continui a fare tutto quanto di testa tua, da sola, continui a crearti castelli in aria di cose che nemmeno sono successe ed io agisco di conseguenza, perché ti ostini a difenderti e a voler aver ragione. E mi fai incazzare perché, appunto, non capisci.

 

Si credeva tanto sicuro di sé, lui, tanto spavaldo da poter mettere su teorie che non avevano né capo né coda. Non era assolutamente vero, nemmeno una parola di quel maledetto messaggio che aveva cominciato ad innervosirmi come non mai, facendomi quasi tremare le mani per la rabbia. Perché non era lui quello dalla parte del giusto, non era lui ad aver ragione. Altrimenti avrebbe significato solamente una cosa, e non poteva essere! Non poteva davvero.

E poi lui arrivava sempre con le sue stupide dimostrazioni di testosterone e virilità, come se volesse segnare il territorio o che altro, ma si rendeva solamente ridicolo ogni volta. E per lo più finivamo per discutere e prenderci a parolacce.

 

Non è affatto vero che mi faccio castelli da sola, dannazione. Ogni maledettissima volta tu mi dai tutti i presupposti per pensare male. E cosa dovrei fare, altrimenti? Dimmelo, perché magari riesco a capisci qualcosa perché, ora come ora, sono più confusa di prima.

 

Ed era vero, maledizione!

Cominciavo a capirci sempre meno, sia di lui che di me stessa perché mi trovavo sempre più stordita dalla miriade di pensieri che mi affollavano la testa, urlando tutti insieme a gran voce. Era solo un gran caos che non avrebbe mai portato a nulla, e Travis non aiutava affatto. Né lui né la sua smania di farmi da psicologo.

 

Potresti provare ad essere te stessa, per una volta. ho avuto poche occasioni per vedere la vera Maya, ma mi è piaciuta e la preferisco mille volte alla ragazza che si fa migliaia di problemi e che parte in quarta quando le cose non vanno come vuole lei!

Lo so che non ci sono legami tra noi… me lo hai ripetuto centinaia di volte, ma lo dico per te perché ti si potrebbero semplificare tante cose.

 

L’ultima cosa che avrei dovuto fare, proprio in quel momento, era cominciare a crollare in mille pezzi, con il tremore alle mani che aveva cominciato a farsi sempre più accentuato, rendendomi difficile anche solo mantenere una presa salda sul telefono. Ero ancora seduta sul divanetto, con le finestre spalancate, ma era come se mi mancasse l’aria per qualche stupido motivo. E non sapevo che fare, se non continuare a respirare pesantemente ed agitarmi ancora di più.

Non avevo mai mostrato la vera me, almeno non di proposito perché, il più delle volte, non mi piaceva e mi faceva paura. Eppure Travis ne aveva parlato come se fosse una cosa positiva, come se dentro di me ci fossero una sorta di Dr. Jekyll e Mr. Hyde sempre pronti a lottare tra loro. Avevo cercato di mostrarmi sempre e solo Mr. Hyde con lui, ma non era bastato: in qualche modo lui era stato in grado di vedere il mio Jekyll e di conoscerlo. E sembrava piacergli, addirittura, e non capivo come potesse essere vero.

 

La fai troppo facile, tu… per me non è semplice, invece. Ogni volta che ho tentato di essere me stessa e di dare fiducia ad una qualsiasi persona sono stata presa per il culo e sono stata ferita. E quello che mi da più fastidio è esserne consapevole e sapere che questo mio comportamento non porterà a nulla e che resterò sola, ma non so che altro fare. Ho troppa paura, per certi versi.

 

Cadere era un contro, crollare dal nulla era un altro. E quello era proprio il mio caso, perché le lacrime che avevano cominciato a scendere erano del tutto inaspettate ed indesiderate, perché sapevo che non sarei più riuscita ad alzarmi dopo aver toccato il fondo e mi sentivo terribilmente vicina a quel punto, al punto di non ritorno, e non sapevo proprio che cosa fare.

Espormi in quel modo verso Travis era stato un enorme salto nel vuoto, eppure non avevo avuto la forza di fermarmi e di tirarmi indietro: ero partita come un fiume in piena ed ero diventata inarrestabile. E non c’era nulla di bello in questo.

Ero sempre riuscita a cavarmela, a restare in piedi nonostante tutto intorno a me sembrasse intenzionato a farmi crollare, e non ero caduta nel vuoto. Ero sopravvissuta, ma in quel momento mi sentivo sicura del fatto che, probabilmente, non avrei più avuto le forze necessarie per rialzarmi.

 

Sei tu che vuoi restare sola, ma ti assicuro che sei piena di persone che a te ci tengono. Me compreso, se vogliamo essere brutalmente sinceri…

E non devi per forza buttare giù ogni scudo con cui cerchi di proteggerti, ma cercare di prestare un briciolo di fiducia in più nel genere umano perché non tutti sono dei mostri. Non so cosa tu abbia passato per diventare così, ma vorrei tanto che provassi a cambiare… sono convinto che tu possa farcela.

 

Strabuzzai gli occhi leggendo quel suo ultimo messaggio. Perché evidentemente non ero stata l’unica ad esporsi tanto, in quel momento, e per un momento non riuscii quasi a crederci. Non era da lui fare commenti simili, nonostante fosse più propenso di me a parlare e ad esternare i sentimenti, ma fino a quel punto non ci era mai arrivato. Nessuno di noi, e sembrava tanto un momento della verità, quello.

Cercai di raccogliere quei pochi pensieri che sembravano essere rimasti nella mia mente perché, improvvisamente, si era svuotata, e cominciai a pensare a cosa avrei potuto rispondergli. Nonostante gli occhi ancora appannati dalle lacrime sembravano volermi complicare il compito. Non avevo idea di cosa fare e continuavo ad agitarti senza un vero e proprio motivo, quando avrei dovuto solamente calmarmi.

Mi incamminai verso il letto, stendendomi su di esso e cominciando a fissare il soffitto, in cerca di ispirazione. Forse.

In verità, ogni possibilità che mi passava per la testa sembrava enormemente sbagliata, come se non ci fosse altra cosa da fare che starsene zitta a rileggere fino alla nausea l’ultimo messaggio di Travis. Anche se, più riguardavo quelle parole, più il panico continuava a salire.

Poi mi dissi che avrei dovuto darmi una svegliata, continuando a ripetermelo non so quante volte, così optai per la sincerità e cominciai a scrivere finalmente quella maledetta risposta che sembrava non voler più arrivare.

 

Ancora non l’hai capito che sono crollati più scudi di quanti avrei voluto? E non perché l’ho deciso io, ma perché ci sono stati momenti che mi hanno fatto credere in qualcosa di diverso ed io, da perfetta stupida, ci sono cascata in pieno.

Poi arrivi tu con questi messaggi e non fai altro che peggiorare la situazione, mandandomi ancora di più in confusione. Non mi aiuti, sai? Nonostante tu stia cercando di farlo. Non mi sono mai trovata in una situazione simile e mi ritrovo a non sapere cosa fare, come muovermi, e tutto per colpa tua e per colpa di quel niente che c’è tra noi.

Ed è vero che non ho fiducia nel genere umano, perché ne ho avuta fin troppa e non è mai finita bene: quella a rimetterci qualcosa sono sempre stata io e credo sia più che comprensibile che io, ora come ora, mi comporti così.

Non so cosa fare, Travis, davvero…

 

Io non faccio nulla, Maya, sono solo me stesso e se seguissi il mio esempio non ci troveremmo a discutere ogni volta che ce ne capita l’occasione.

Non sono conversazioni da fare tramite messaggi, queste, in ogni caso, e se potessi verrei lì in questo momento, credimi. Perché credo sia arrivato il momento di chiarire ogni singolo punto, finalmente… e anche perché qua mi sembra di impazzire.

 

Se fossi qui non faremmo altro che complicare le cose ulteriormente, conoscendoci. I nostri tentativi di conversazioni civili sono sempre finiti in modi… non tanto civili, ecco.

 

Sembra che tu stia parlando di due criminali, così.

E comunque dipende sempre dai punti di vista, perché io la vedo in modo completamente diverso!

 

Faceva tanto l’idiota, lui, ma sapevamo entrambi che avevo ragione dicendo che non avremmo fatto altro che complicarci la vita, nonostante lui sembrasse voler negare l’evidenza. E, inoltre, aveva scritto che, se avesse potuto, sarebbe venuto da me e non sapevo come interpretarlo o come reagire, perché mi spaventava davvero troppo tutto quanto, in quel momento, da quei messaggi assurdi di Travis a quella camera d’albergo improvvisamente troppo vuota, ed in quel momento mi sentii io quella ostinata a voler negare l’evidenza. Ma come altro poteva essere?

Doveva essere in quel modo e basta, nient’altro. Niente che mi complicasse ulteriormente la vita, nessun sentimento equivoco che mandasse a fanculo tutto quello che avevo costruito e me stessa.

 

Cominci a vaneggiare, Travis. Forse è ora che te ne vada a letto… cosa che dovrei fare anche io, visto che domani mi attende un’altra giornata di servizi.

Buonanotte.

 

Sempre pronta a rovinare tutto. Vai pure a letto, tu che ne hai bisogno, io sono fresco come una rosa.

 

Continuai a non capire cosa gli passasse per la testa, di cosa stesse parlando e, nonostante fossi davvero confusa e scossa da quella conversazione, decisi di mandare tutto al diavolo e di cominciare a prepararmi per la notte. Avevo bisogno di dormire, altrimenti il giorno seguente sarei stata a dir poco intrattabile, e preferivo mostrarmi quantomeno normale verso quei pochi sfortunati che mi erano stati assegnati come staff.

Il fatto che, una volta a letto, impiegai non so quanto tempo a dormire, continuando a rigirarmi nel letto ed immaginarmi non so quanti scenari con Travis, asciugandomi lacrime che avrebbero dovuto smettere di scorrere già parecchio tempo prima, era assolutamente irrilevante, sì.

 

I giorni continuarono a scorrere tranquillamente, a differenza di quello che avevo pensato all’inizio di quel viaggio.

Luca si era stranamente dimostrato più disponibile – e in senso equivoco – e simpatico nei confronti di tutti, riuscendo ad avere successo solamente con me oppure con Mara, che in fin dei conti pendeva dalle sue labbra. Povera ragazza, perché anche se pareva migliorato, il nuotatore della situazione, avevo il netto presentimento che la sua indole da predatore e Don Giovanni sarebbe saltata fuori nel momento più inatteso. Ma più passavano i giorni e più andavamo avanti con quegli infiniti servizi fotografici – in spiagge che continuavano a meravigliarmi sempre più di giorno in giorno, tanto per cambiare – e più mi rendevo conto che quel ragazzo sembrava davvero cambiato, dal giorno alla notte: forse era l’aria del suo paese e della sua terra a fargli bene e a cambiarlo in meglio, non ne ero sicura, ma più lo osservavo e più notavo come fosse, in fondo – molto, ma davvero molto in fondo –, un ragazzo semplice.

Non credi che per oggi possa bastare, Maya?”, mi chiede Mara, ad un certo punto.

Erano passate ore da quando eravamo giunti in quella piccola baia nascosta dagli scogli ed avevo perso completamente la cognizione del tempo: il sole aveva cominciato da un pezzo a tramontare e l’aria si era fatta più fresca, ma era una giornata talmente bella con colori talmente affascinanti e suggestivi che mi sembrava un vero peccato sprecare quell’opportunità.

Non c’è problema, Mara”, gridò Luca, dal bagnasciuga a qualche metro di distanza dov’era seduto. “Queste giornate vanno vissute fino all’ultimo”, aggiunse, con un sorriso a dir poco genuino.

Che ne era stato del pallone gonfiato che credevo di aver conosciuto?

Luca ha ragione”, ammisi, continuando a fotografarlo, mentre lo sorprendevo intento a fissare Mara. “Mi perderei scatti troppo belli: prometto di non tardare ancora molto”.

Continuammo per un’altra mezzora abbondante, prima che alcune lievi lamentele cominciarono ad arrivarmi da quei tre membri della troupe che sembravano tutto tranne che utili; così decisi di lasciar perdere e di cominciare a raccogliere tutte le nostre attrezzature per dirigerci finalmente in albergo.

Noi cominciamo a portare su l’attrezzatura già pronta”, mi avvisò Mara, avviandosi con il resto del gruppo verso gli scogli che avrebbero dovuto percorrere per tornare in strada.

Va bene, ma state attenti”, mi raccomandai, temendo come non mai per quelle migliaia di euro in pericolo. “E che qualcuno resti di guardia, mentre tornate a prendere il resto”.

Nemmeno mi resi conto di essere rimasta sola con Luca e solamente quando si sedette di peso sulla spiaggia poco distante da me – facendomi prendere un infarto – mi accorsi di avere compagnia. Anche se, a dirla tutta, sembrava tutt’altro che di compagnia, con quel suo sguardo perso a fissare il mare ed il vento che gli sferzava il viso. Era come incantato dalla distesa d’acqua che aveva davanti e sembrava non voler nemmeno accennare a cedere.

Ti vedo pensieroso, Luca”, gli dissi, attirando la sua attenzione, continuando a sistemare la mia attrezzatura dentro i borsoni. “Stai bene?”.

Mi è solamente mancato questo posto e cerco di assorbirne il più possibile prima di ripartire”, confessò con un sospiro. “Venivo sempre qui, da bambino, con la mia famiglia”. Non lo credevo quel genere di persone così legate ai luoghi dell’infanzia, come se gli fossero cuciti addosso con filo doppio, ma mi sbagliavo. Ed era strano vederlo sotto quella luce, lo faceva apparire diverso, un semplice ragazzo della sua età e non un nuotatore di fama internazionale.

Mi dispiace per te, ma non so quanto potrebbe essere contento mio padre se tu restassi qua, soprattutto con una preparazione come quella che state seguendo ora”, ribattei, cercando di fare conversazione, perché un silenzio tra noi mi appariva troppo pesante da affrontare. “Comunque, a quella ragazza piaci”, buttai lì, come se nulla fosse, ottenendo – ma guarda! – finalmente la sua competa attenzione. Perché se si parla di donne tutti saltano sull’attenti.

Continuava a fissarmi a lungo, nonostante non lo stessi degnando di una minima attenzione, ma lui sembrava non voler demordere. Poi, finalmente, parlò. “Ma di chi diavolo stai parlando?”.

Oh, non fare il finto tonto, bell’imbusto”, lo canzonai, sorridendo. “Parlo dell’unica ragazza che sembra disposta a darti un minimo di vere attenzioni, e non parlo di me, tengo a precisarlo. Mara continua a non volerti togliere gli occhi di dosso”, aggiungo, infine, non sapendo se esserne divertita o meno, perché ho imparato a conoscere quella ragazza e credo sia davvero in gamba. E mi dispiacerebbe tanto se, per colpa di uno come Luca, andasse a prendersi una brutta batosta.

Mi voltai verso di lui, incontrando il suo sguardo un po’ incuriosito, ma al tempo stesso un po’ seccato. Forse. La realtà era che lui rappresentava un vero tabu, la maggior parte delle volte.

Non sai cosa stai dicendo, Maya”, commentò, tornando a guardare il mare.

Eccome se lo so, invece, mio caro”, ribattei, convinta più che mai della mia teoria. Ed avevo la netta sensazione di non sbagliare di molto nemmeno nei suoi confronti. “Ne ho tutte le certezze. E, sinceramente, credo che anche a te possa interessare. E non provare a negarlo perché, più di una volta, ti ho beccato perso ad osservarla”, conclusi, puntandogli un dito contro.

Non è una brutta ragazza, non ho problemi ad ammetterlo, ma tu davvero esageri”, concluse, con una risata nervosa che sapeva tanto di stronzata.

Non mi inganni, tu”, ribadii, scorgendo Mara di ritorno sugli scogli dal primo viaggio per l’attrezzatura. “Ma, in ogni caso, vedi di non comportarti da idiota: lei è una brava ragazza e, quando dico che le piaci, dico sul serio”, lo avvisai, infine, parlando a voce bassa. Ero seria e lui lo aveva finalmente capito, nonostante sembrasse comunque confuso, ma almeno sapevo di essermi fatta intendere a dovere.

Restano i tuoi due borsoni, Maya, poi siamo a posto”, mi avvisò lei, sorridendo e completamente ignara della conversazione che avevo appena avuto con Luca che, da perfetto attore, ricominciò a fissare il mare mentre sistemava le poche cose che si era portato appresso.

Le sorrido in risposta e le passo la borsa più piccola che ho già preparato, ma prima che possa incamminarsi verso gli scogli ancora una volta viene fermata da Luca che richiama l’attenzione di entrambe. “vi avevo detto che sareste dovuti venire a cena dalla mia famiglia, vero? Beh, dato che tra meno di due giorni dovremmo partire, avevo pensato a questa sera”, propose, leggermente imbarazzato ed evitando volutamente gli occhi allegri di Mara. “Ho già avvisato mia madre, quindi non potete rifiutare altrimenti rischio il rogo”, continuò, scherzando.

Mi volto istintivamente verso Mara che, cercando di trattenere un sorriso, mi lancia un’occhiata entusiasta, senza però dire una parola. Lascia a me la decisione e so che, se dovessi dare un no come risposta, non si azzarderebbe ad accettare l’invito, così per puro spirito di sacrificio accetto sorridente, curiosa di conoscere anche la famiglia di Luca. “Noi ci siamo, ma non so quanto possano essere di compagnia gli altri tre, sinceramente”, avviso Luca, prima che possa trovarsi tre statue di cera in casa propria.

Non gli si dice nulla ed il gioco è fatto, tanto con ogni probabilità direbbero comunque no”, salto su Mara, sorprendendomi per la sua audacia. La vedevo sorridere verso di me, per spostare poi lo sguardo alle mie spalle, e sapevo che stava osservando Luca. E speravo davvero che l’idiota si comportasse civilmente e che, almeno, contraccambiasse lo sguardo.

Dire che abbiamo un accordo, allora”, esclamò, poi, il nuotatore alle mie spalle.

E quando mi voltai potei notare come, finalmente, si rimpossessò de suo coraggio e della sua spavalderia, guardando attentamente la mia collega con quel sorrisetto furbo che lo aveva sempre contraddistinto.

Avrei dovuto cambiare il nome in Stranamore, o quantomeno lavorare in una sorta di compagnia per appuntamenti al buio perché – diciamo la verità – avevo un talento innato.

 

Luca ci venne a prendere dall’albergo verso le otto di sera, dopo averci dato la possibilità di sistemarci e di lasciare tutta quanta l’attrezzatura, poi cominciammo ad incamminarci verso casa sua e lui, da bravo padrone di casa, ci avvisò di non fare molto caso ai comportamenti della sua famiglia che, per certi versi, aveva definito strani e fin troppo espansivi. Non sapevo davvero cosa aspettarmi perché, dalle sua parole, sembravano persone completamente diverse da lui che, oltre alle battutine che lanciava, non si era mai spinto fin troppo oltre.

Mara, invece, era elettrizzata e sembrava un’adolescente alla sua prima cotta. Mi aveva confessato – durante l’attesa nella hall – di non avere idea di come comportarsi, ma che non si sarebbe persa quell’occasione per nulla al mondo. Ed io, da perfetta stupida, ero stata quasi tentata di rivelargli della mia chiacchierata con il nuotatore, ma non sapevo come avrebbe potuto prenderla. Così avevo optato per il silenzio.

Sembrava davvero presa e, quel suo comportamento, mi faceva sorgere centinaia di domande che mi sembravano davvero assurde. Come poteva essersi lasciata incantare da Luca in così poco tempo? Insomma, sì, era un bel ragazzo, ma nel caso di quella ragazza tutto sembrava andare oltre al semplice aspetto fisico.

Spero che abbiate fame, perché c’è cibo per un esercito intero”, ci avvisò lui, davanti a quella che sembrava essere casa sua.

Ed aveva ragione, dannazione! La quantità di cibo che sua madre e sua zia avevano preparato era davvero incredibile e, più di una volta, mi chiesi se ogni singolo giorno per loro fosse così.

Venimmo accolte come se facessimo parte della famiglia, con abbracci che definirei quasi soffocanti e sorrisi capaci di scaldare il cuore, cosa che non avevo mai visto in vita mia. E Luca non aveva davvero niente a che fare con queste persone, non sembrava nemmeno parente. Anche lui, come me, sembrava essere più freddo e distaccato, nonostante mostrasse sempre quella sua aura da ragazzo fin troppo disponibile. Sua madre lo aveva abbracciato più volte, nel corso della serata, e lui si era sempre dimostrato parecchio distante, nonostante si notasse perfettamente come fosse legato alla sua famiglia. Era una famiglia simpatica, quella, di quelle famiglie che non stanno mai zitte e fanno un gran baccano, ma almeno erano divertenti ed avevano la meravigliosa capacità di farti sentire davvero a casa.

Erano le undici di sera ed ancora saltava fuori dal nulla cibo a volontà. Mara continuava a lanciarmi sguardi disperati ogni volta che un qualche parente di Luca le riempiva il piatto. Io, invece, continuavo a mangiare lentamente così da avere sempre nel piatto qualche cosa, anche se cominciavo ad accusare i primi segni di stanchezza ed i primi segnali di uno stomaco che sembrava voler esplodere.

Credo sia arrivato il momento di smettere di mangiare, mamma”, esclamò Luca, vedendo arrivare l’ennesimo piatto sulla tavola. “Se Claudio viene a sapere che ho sgarrato così tanto nella dieta mi farà fare vasche fino all’anno nuovo”.

Per una sera puoi anche smettere di pensare al nuoto. Non vedi come sei dimagrito?”, ribatté, lei, poggiando sul tavolo un vassoio di dolci dall’aspetto meraviglioso. “Tuo padre è troppo severo con i suoi ragazzi, Maya, diglielo da parte mia”. Quella donna era uno spasso.

Dopo più di un’ora sia io che Mara cominciammo davvero a sentire la stanchezza arrivare, grazie soprattutto alla serie di sbadigli che sembravamo scambiarci. Io, però, ero troppo presa ad osservare la scena che mi si parava davanti agli occhi: la mia collega e Luca che, dal nulla, avevano cominciato a parlare come se fossero amici di vecchia data. Mi ero rifiutata di sedermi accanto a Mara, così ero stata pressoché rapita dalla zia del nuotatore che mi aveva voluta al suo fianco e Luca era stato quasi costretto a sistemarsi accanto a quella ragazza che era diventata tutta sorrisi ed occhiate allegre. Sembrava esserci una strana alchimia tra i due, particolare che era stato notato da tutti i presenti tranne che dai diretti interessati, ma erano talmente presi dai loro discorsi che al resto dei presenti prestarono attenzione ben poco.

Così, dopo aver chiesto alla zia di Luca di lasciare soli i due ragazzi, mi alzai dalla sedia salutando e ringraziando tutti quanti, avvisando che sarei tornata in albergo. Da sola, rifiutando ogni proposta sia da Mara che da Luca di accompagnarmi. Non volevo guastar loro la serata ed inoltre avevo bisogno di restare un po’ da sola, dopo aver passato una serata così caotica e con così tanta gente. Non che non mi fossi divertita, per carità, ma cominciavo a sentire la mancanza di un po’ di silenzio.

La mia collega mi lanciò un’occhiata che sembrava voler dire tutto, anche se speravo avesse abbastanza intelligenza da non farsi incantare davvero e da non combinare disastri. Il ché, detto da me, era assolutamente assurdo. Comunque li lasciai ai loro discorsi, incamminandomi verso l’albergo e godendomi il vento leggero che continuava a soffiare.

Dovevo resistere solamente un altro giorno, non di più, poi sarei tornata ancora una volta alla mia vita. Particolare che, nelle ultime ore, sembrava mancarmi sempre di più, nonostante la famiglia di Luca si fosse fatta in quattro per accogliere Mara e me alla perfezione. Ma volevo rivedere mio padre e, altra cosa importante, continuavo ad avere quella questione in sospeso con Travis, ed era arrivato il momento di chiarirsi una volta per tutte.

 

Credo che non riuscirò mai a ringraziarti abbastanza”, continuò Mara, durante l’attesa per l’imbarco dell’aereo che ci avrebbe riportati a casa.

Era dal giorno precedente che andava avanti con quella storia, e quasi cominciavo ad averne abbastanza. Certo, mi faceva piacere sapere di essere in parte responsabile per aver smosso la situazione, ma cominciava ad essere davvero fin troppo euforica. E non la smetteva un attimo di parlare.

La mattina dopo la cena a casa della famiglia di Luca, Mara mi aveva presa da parte e mi aveva raccontato come si fosse trovata bene a parlare per ore con il nuotatore. Era rientrata alle tre del mattino in albergo, ma – cosa ben più scioccante – non era successo assolutamente nulla tra i due. Niente di niente.

Il ché poteva voler dire due cose: o non c’era la minima attrazione - ma ne dubitavo davvero molto – oppure erano talmente affiatati e in sintonia da non voler rovinare tutto quanto dopo la prima chiacchierata. Ed erano da ammirare, per certi versi, soprattutto perché se avessi seguito il loro esempio, a suo tempo, probabilmente non mi sarei trovata nella situazione in cui ero caduta con entrambi i piedi.

Continuavo ad osservare attentamente Luca, per cercare di capire quanto meglio possibile il suo comportamento, i suoi atteggiamenti nei confronti di quella ragazza che sembrava non riuscire a smettere di sorridere sotto i baffi, ma pareva un vero e proprio mistero. Troppo serio ed impassibile, forse per mascherare una qualsiasi emozione ai miei occhi dopo la chiacchierata che avevamo avuto in spiaggia. Eppure, nonostante sembrasse lo stesso ragazzo di sempre, era seduto accanto a lei, cosa che non era mai successa prima se non a casa della sua famiglia. E lì, alla fine, erano stati costretti.

In ogni caso, non sarei andata chiedere informazioni a nessuno: avrei atteso fino a quando non sarebbe arrivato il momento in cui, uno di loro due, sarebbe venuto da me. Ed ero sicura che prima o poi sarebbe successo, come ero sicura che questa storia tra loro sarebbe andata avanti.

Finalmente partimmo per tornarcene a casa e, neanche a dirlo, non appena l’aereo si levò da terra cominciai a sentire una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se parte di me volesse restarsene in Puglia. E, purtroppo, sapeva che era vero perché, in parte, non mi sentivo affatto pronta per ritornare a Roma. Proprio per niente. Ed il motivo era solamente uno, alto, stupido e con le spalle larghe.

Vedere come mi ero ridotta per colpa sua non faceva che innervosirmi, soprattutto per tutte le promesse che avevo fatto a me stessa. Promesse che si erano andare a far fottere senza che me ne accorgessi.

Dovevo pensare bene a come comportarmi, come agire e cosa non fare per evitare di rendermi ulteriormente ridicola, dato che mi ero messa in mostra decisamente troppo rispetto a quanto avrei sperato. Infatti, ecco perché cominciai a maledirmi non appena mi resi conto che, dopo aver lasciato le valigie al mio appartamento, presi le chiavi della macchina per raggiungere Travis a casa sua.

Avevo lasciato tutto il gruppo all’aeroporto non appena avevo recuperato anche l’ultimo borsone della mia attrezzatura e, a parte Mara, non mi ero nemmeno disturbata a salutare qualcuno: sentivo la netta sensazione che, se non avessi agito in quel momento, non l’avrei più fatto e mi sarei tirata indietro come una perfetta codarda, nonostante fossi perfettamente consapevole di quanto fosse sbagliato quel mio modo di agire e di pensare.

Sbagliato perché sapevo che non avrebbe portato a niente, ma sentivo come il bisogno di provarci in ogni caso, di tentare un’ultima cosa e di capire cosa passasse per la testa di quel maledetto ragazzo.

Così mi trovai davanti alla porta dell’appartamento di Travis, senza saper bene che cosa fare, improvvisamente colta da un’ondata di terrore e di disagio perché, alla fine, non ci eravamo lasciati nel migliore dei modi, durante quella sera passata a scambiarci messaggi, ancora peggio l’ultima volta che avevamo davvero scambiato due parole. Non avevo idea di cosa potermi trovare davanti oppure chi trovarmi davanti, ed una parte di me continuava a sperare che non saltasse fuori Riccioli d’Oro dal nulla, perché non ero davvero dell’umore adatto.

Ed infine mi feci coraggio e bussai, forse un po’ più forte di quanto avrei voluto, ed attesi qualche istante prima di sentire la chiave girare e la porta aprirsi.

Restai un momento a fissare Travis, a ricordare ogni suo particolare forse, e a studiare l’espressione stupita che gli era comparsa sul volto non appena aveva capito di chi fosse davvero arrivato alla sua porta a quell’ora. E senza nemmeno avvisare. Ma come avrei potuto avvisare, d’altronde? Con quale coraggio?

Doveva essere tornato da poco dall’ultimo allenamento, lui, con indosso ancora i suoi pantaloni sportivi, la felpa con il logo della piscina di mio padre ed il solito odore di cloro che arrivava persino a me.

Vuoi entrare?”, mi chiese, dopo qualche istante, senza distogliere lo sguardo dal mio.

Mi limitai ad annuire, io, invece. Come se fossi diventata improvvisamente timida e muta, così mi decisi ad entrare abbassando lo sguardo a terra, non riuscendo più a sostenere quei suoi occhi. E continuai a sentirli addosso, sulla pelle, anche dopo aver sentito la porta richiudersi e mi faceva sentire dannatamente a disagio, per certi versi. Ero in territorio nemico e mi ci ero buttata di mia spontanea volontà pensando, addirittura, di essere nel giusto quando, in realtà, avevo sbagliato su tutta la linea.

Finalmente decisi di riprendere coraggio e di alzare gli occhi per incontrare quelli di Travis che, poggiato alla porta d’ingresso, attendeva una mia mossa. Perché, almeno quella volta, sapevo che lui non avrebbe mosso un dito, non si sarebbe fatto avanti ed infondo aveva pienamente ragione. Quella più confusa ero io, come sempre, e lui aveva bisogno di una sorta di dimostrazione, ma io non sapevo proprio cosa fare e come portarmi.

Certo, avevo sentito la sua mancanza dall’ultima telefonata che avevamo avuto, quando lo avevo informato della settimana che avrei trascorso in Puglia; tuttavia sapevo anche che, quella miriade di sensazioni, era sbagliata e non avrei dovuto provarla perché uno come Travis non era fatto per me ed io non ero fatta per lui. Noi due eravamo sbagliati, e lo sapevamo entrambi, ma lui sembrava voler sorvolare il problema.

Eppure, con quello sguardo incollato al mio, tutto pareva andare all’aria, anche il mio più forte tentativo di mantenermi a distanza di sicurezza da uno come lui. Anche la questione Simona passava in secondo piano, nonostante fosse comunque un problema a dir poco fastidioso.

Al diavolo!

Agli effetti collaterali di quella malsana situazione avrei pensato in un secondo momento, fu l’unica cosa che riuscii a pensare quando finalmente mi decisi ad avvicinarmi a lui, poggiando la fronte al suo petto e stringendo la sua felpa tra le mani. E fu quasi come tornare a respirare, sentire le braccia di Travis intorno a me, e bruciava, faceva male, perché sapevo che non doveva andare in quel modo, ma in quel momento non riuscivo davvero a pensare a nulla di razionale, così avevo lasciato correre, per l’ennesima volta. Come avrei potuto fare altrimenti?

 

Travis’ POV

 

Me ne stavo steso sul letto ad osservare Maya che, del tutto inaspettatamente, era piombata a casa mia senza nemmeno avvisare, come un fulmine a ciel sereno. Ed era stato proprio così, come sentirsi fulminati senza aspettarselo, trovarsela davanti alla mia porta.

Avevo preferito non chiedergli il motivo di quella visita, me ne ero stato zitto per vedere quale sarebbe stata la sua prima mossa e, in tutta sincerità, avevo sperato con tutto me stesso in un finale simile. Dall’ultimo assurdo epilogo che avevamo avuto per telefono non c’era stato altro che silenzio, tra noi, e quei pochi messaggi che ci eravamo scambiati avevano fatto più danni che altro, probabilmente, creandole ancora più domande nella mente. Come poteva davvero farsi tanti problemi, lei? A volte non riuscivo davvero a capirla, soprattutto perché se solo avesse lasciato un attimo correre sarebbe stato tutto molto più semplice, tutto molto più sincero. Ma no, lei doveva continuare a complicare la situazione, creandosi con le sue stesse mani migliaia di problemi ed io non sapevo più da che parte farmi.

Pensavo di averle dimostrato abbastanza, di averle fatto capire che non era una delle solite conquiste, una delle tante. Lo pensavo anche io, all’inizio, ma con il passare del tempo quel suo carattere del cazzo e quelle sue fisime mentali avevano continuato a scavarmi dentro ed tutto era quasi diventato importante. Lei era diventata importante, e dannazione avrei preferito che non fosse mai successo, per certi versi. Perché era complicata e quando ci si metteva sapeva davvero rompere le palle, ma ero quasi arrivato ad un punto di non ritorno e vederla arrivare da me aveva solamente peggiorato le cose.

Le avevo raccontato praticamente tutto di me, le avevo rivelato cose che nemmeno mia madre sapeva eppure sembrava non essere abbastanza. Oppure era lei la testarda che negava tutto quanto, anche la più grande evidenza. Non la capivo, davvero!

E non riuscii a tenere a freno una mano, che automaticamente corse ai suoi capelli, mentre anche lei continuava a fissarmi, stesa nel mio letto. La avvicinai a me ancora di più, trovandomela ad un soffio e non potei fare a meno che ricominciare a baciarla, perché se davvero si aspettava che dopo tutto quello che mi aveva fatto passare mi sarei accontentato, si sbagliava di grosso. La strinsi a me, quasi per paura che potesse scappare a gambe levate da un momento all’altro e, da una come lei, mi sarei aspettata di tutto. Ecco perché non mi sorpresi affatto quando, dopo qualche istante, cercò di spingermi via da lei ed io, da perfetto idiota, decisi di non forzare troppo la mano e mi allontanai a mia volta, cominciando a studiare quei suoi occhi in tormento, quel mare mosso forse come non mai.

Non sarei dovuta venire”, bisbigliò, forse più a sé stessa che a me, ma riuscii a sentirla distintamente comunque.

Sembrava non avere più il coraggio di guardarmi in faccia, lei, la solita che sembrava annientata da chissà quali problemi e dialoghi interiori. Avrei tanto voluto sapere cosa le stesse passando per quella maledetta testa che non smetteva un attimo di pensare. Poi, finalmente, risollevò lo sguardo e la vidi più confusa che mai. Il ché era davvero assurdo.

Non sarei dovuta venire, Travis”, ripeté, questa volta più convinta.

Allora perché lo hai fatto? Potevi restartene a casa, non credi?”, ribattei, stizzito dai suoi continui cambi d’umore. Perché non ne potevo davvero più; era stata lei a piombare a casa mia, a farsi avanti e poi, con una semplicità incredibile, continuava a fare retromarcia nel momento in cui bisognava avere quel briciolo di coraggio in più per non farsi sopraffare dalle paure. E lei era davvero una gran vigliacca, la maggior parte delle volte, e non capivo davvero per quale motivo.

Non lo so”, rispose, in un sussurro, torturando il lenzuolo con cui si era coperta fino al collo. E se fosse stata un’occasione qualsiasi mi avrebbe fatto addirittura tenerezza, ma in quel momento ne avevo fin sopra i capelli della sua stramaledetta indecisione, avevo bisogno anche io di una qualsiasi dimostrazione, ma lei sembrava convinta con tutta sé stessa a non darmi alcuna soddisfazione e a nascondersi come sempre.

Non puoi non saperlo, Maya”, continuai. “Dannazione, è così difficile per te lasciarti andare? Perché pensavo avessi più spina dorsale, pensavo fossi più forte di così, ma evidentemente mi sbagliavo”.

I suoi occhi saettarono nei miei nel momento stesso in cui comprese appieno le mie parole, ed avevano fatto centro: avevo finalmente ottenuto una reazione degna di essere chiamata tale. Era arrabbiata, si sarebbe visto a chilometri di distanza, ma mi sarebbe andata bene qualsiasi emozione, in quel momento, piuttosto che vederla rannicchiata in un angolo del letto senza avere il coraggio di alzare lo sguardo.

Tu non sai assolutamente nulla di me, razza di idiota!”, esclamò, inviperita. “Non hai idea di quanto io possa essere forte o meno, non lo sai, quindi non osare venire da me a farmi la paternale per cose di cui non sei a conoscenza”, continuò, allontanandosi ancora di più da me. Poi la vidi sedersi sul bordo del letto, dandomi le spalle, e recuperare i suoi vestiti sparsi per il pavimento. Si rivestì in un batter d’occhio, ostinandosi a non guardarmi e a chiudersi sempre più a riccio, negandomi ogni minima possibilità di avvicinarmi a lei. Si incamminò verso il salotto, uscendo dalla mia stanza, ma non potevo lasciarla andare via così, io, non potevo lasciarmi scappare l’occasione di chiarirmi davvero con lei. Così cercai di rivestirmi anche io, per quanto possibile, e la raggiunsi, trovandola poco distante dalla porta d’ingresso, intenta a riprendersi la sua borsa.

Hai perfettamente ragione, di te non so nulla. Ma ti sei mai chiesta per quale motivo, eh?”, le chiesi, senza nemmeno preoccuparmi di come potesse risultare esasperata ed arrabbiata la mia voce. “Ti sei mai chiesta perché io vada avanti a supposizioni, quando si tratta di te? Perché non mi dai nemmeno la possibilità di conoscerti davvero, ti tiri indietro quando le cose cominciano a farsi un po’ troppo complicate per te e scappi a gambe levate”.

Io non sto scappando!”, sbraitò, lei, colta sul vivo. E mi fulminò con lo sguardo, con quegli occhi in tempesta che sembravano volermi dire tutto e niente.

Davvero?”, le chiesi, schernendola. “E adesso cosa stai facendo, esattamente? Perché se questo non è scappare, non ho davvero idea di cosa sia”.

Nessuno disse niente per quella che mi parve un’eternità, nessuno osava muovere un muscolo e nessuno osava distogliere lo sguardo dall’altro, e se avessimo potuto ci saremmo lanciati addosso qualsiasi oggetto a portata di mano.

Avevo sbagliato io ad affezionarmi troppo a quella ragazza, perché sembrava troppo presa da sé stessa e troppo intenta a preservarsi per rendersi conto di cosa avrebbe potuto ottenere. Sarebbe bastato abbassare leggermente quella sua dannatissima corazza, nient’altro, ma per lei sembrava troppo complicato persino quello.

Io starò anche scappando, ma lo sto facendo perché ti aspetti troppo da me, lo hai sempre fatto”, cominciò, in un sibilo, velenosa come non mai. “Ti sei fatto troppe illusioni su quello che abbiamo passato e su cosa abbiamo fatto, come se oltre al sesso potesse esserci altro, ma io ho sempre messo in chiaro le mie intenzioni, sempre! Sei stato tu a voler quel qualcosa in più, ma io mi sono sempre dimostrata contraria; ed ecco il risultato della tua testardaggine! Stiamo litigando, come sempre, e come pensi possa funzionare una storia, tra noi? Sei davvero convinto che possa andare avanti? Non sai quanto ti spagli, sei un illuso!”.

E furono quei suoi occhi a ferirmi più di tutto, più delle sue parole, perché sembravano davvero convinti di quello che stavano dicendo. ma come potevo essermi sbagliato così tanto, su di lei? La credevo capace di tutto, tranne di potermi deridere fino a quel punto, come se non bastasse l’evidenza a farmi sprofondare metri e metri sottoterra. Eppure continuavo ad essere convinto che qualcosa non andava ancora per il verso giusto, qualcosa ancora non mi convinceva.

Era solamente l’ennesimo suo tentativo ti proteggersi e di mettersi al sicuro, ma io ne avevo davvero abbastanza, non sopportavo più quella situazione e nemmeno lei, cocciuta come pochi. Così mi avvicinai alla porta d’ingresso, aprendola e spostandomi per farle spazio.

Allora vattene!”, le dissi, fulminandola con lo sguardo. “Non stavi forse scappando? Come sempre, poi”.

Vaffanculo, Travis!”, esclamò, prima di uscire decisa da casa mia e di scomparire alla mia vista. Tanto meglio, pensai. Mi avrebbe creato solamente troppi problemi, lei, con quei suoi atteggiamenti da stronza. Così sbattei la porta, maledicendo quella ragazza e me stesso per essermi lasciato incantare da un paio di occhi fuori dal comune e da un bel sorriso, seppur raro.

Mi maledissi perché mi ero lasciato incastrare molto più di quanto avrei voluto e perché, in quel momento, non sapevo davvero da che parte farmi per uscirne.

 

*****

Buongiorno e buon Ferragosto (anche se in ritardo) a tutte, runners!
Ebbene sì, sono ancora viva - non vi libererete di me tanto facilemente - e finalmente sono tornata con un nuovo capitolo! Non so bene perchè, ma non è stato semplice scrivere questo capitolo, poi per colpa di una serie di impegni e di novità ho trovato ben poco tempo per mettermi a scrivere, scusatemi!
Comunque, meglio tardi che mai..
Allora, che ne pensate?
Qui non vediamo i nostri protagonisti nello stesso luogo per la maggior parte del tempo, ma è un particolare che non mi dispiace, anche perchè ci sono stati momenti in cui la distanza è servita e altri in cui ha creato più casini di quanti non ce ne fossero già.
E di Travis che mi dite? Quel povero ragazzo ha una bella gatta da pelare e, se potessi, mi offrirei volontaria per fargli passare la sbandata.
Spero di potervi tenere aggiornate più spesso e di non farmi vedere una volta ogni mai!

Comunque, se non avete visto nel capitolo scorso, questo è il gruppo su Facebook che ho creato per tenermi in contatto con voi e per tenervi aggiornate con novità, spoiler e altro.
Born to Run
Quindi, unitevi al disagio che qualche altra mente deviata è sempre ben accetta :)

Detto questo, ringrazio come sempre chi si fa sentire con una recensione, chi aggiunge alle preferite/seguite la mia storia e a chi legge in silenzio. GRAZIE!

Alla prossima, runners, e buone vacanze per chi ancora ne ha,
Chiara

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Capitolo 25
*** SCUSE E RITARDI - Una storia senza fine ***


Scuse
Scuse e ritardi -  Una Storia Senza Fine

Chissà se ancora vi ricordate di me o della mia storia.
Io faccio fatica a ricordare l'ultima volta in cui ho scritto seriamente,

e mi dispiace davvero tanto per tutte voi che ancora leggete di Maya e Travis.
Cercherò di spiegarmi in breve...

Negli ultimi mesi si sono susseguite serie di avvenimenti che mi hanno completamente presa e, alla fine,
se trovavo un briciolo di tempo libero proprio non riuscivo a mettermi a scrivere.
Tra l'aver aperto un bar con mia sorella (il Generale, come la chiamo io),

la scuola di ballo di una serie di piccole pesti e altre cose,
mi ritrovo a non avere ancora il capitolo pronto per l'aggiornamento.
Non sto qui
a spiegarvi i particolari della mia vita (credo che vi interessino ben poco)
e nemmeno a cercare altre scuse improbabili, ci tengo solamente a dire che non ho abbandonato

del tutto la storia, è solamente in stand-by. Come me, più o meno.
Una storia di odio-amore che non avete idea,
perchè a volte li odio davvero quei due dannatissimi personaggi, per quanto sono problematici e altro,
ma non posso
fare a meno di loro.
Sono i primi personaggi che mi sono usciti discretamente e che mi piacciono davvero,
così come la storia in sé. Ecco perchè non smetterò in ogni caso

di scrivere. Sono solamente in pausa e sto cercando in ogni caso di trovare le parole giuste
per andare avanti a scrivere, perchè ho
davvero migliaia di idee per continuare,
solo che quando mi ritrovo con una penna in mano non mi escono le parole.

Se conoscete un rimedio a tutto questo, io sono tutta orecchie, fatemi sapere se avete idee.

Detto questo, ci tengo a chiedere scusa davvero a tutte voi,
anche a chi ha recensito l'ultimo capitolo e ancora non ha ricevuto una risposta.

Prima o poi arriverà, giuro!
Siete sempre meravigliose, lo dico davvero,
ed è per questo e per voi che sto cercando di andare avanti a scrivere, oltre che per me stessa.

Quindi, prima o poi tornerò, questa è una minaccia, non una promessa. E dovrete sopportarmi.
Vi auguro il meglio che questa vita possa offrirvi, davvero, ve lo auguro con tutto il cuore!
Sappiate che, in un certo senso, mi mancate...


Chiara

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Capitolo 26
*** 24 - Stubborn Love ***


Maya24

Gruppo su Facebook: Born to Run

*****

Travis’ POV

 

Tutto quello cominciava davvero ad innervosirmi.

Dopo tre settimane passate solamente ad allenarmi senza pensare ad altro – o almeno provandoci – avevo iniziato a dare di matto, prima ritrovandomi a parlare con me stesso, poi cominciando a rispondere ai miei compagni come se fossi appena tornato all’età della pietra. E non capivo davvero perché.

Insomma, avevo quelle stramaledette Olimpiadi per cui prepararmi e Claudio continuava a farmi sempre più pressione, come se non bastasse la mia emotività già traballante. E più che di emotività, si trattavano di nervi che non ne volevano sapere di restarsene buoni ed indisturbati.

Tre settimane passate ad assimilare più cloro che altro e cominciavo davvero a non avere più un briciolo di pazienza per quella che era diventata davvero una situazione assurda, una comica, perché da fuori doveva per forza esserlo. E se non fossi stato io, il diretto interessato, probabilmente ci avrei riso sopra. Ma ero il protagonista sfigato di quella commedia da quattro soldi che era diventata la mia vita.

Non avevo idea di che fine avesse fatto la calma che avevo sempre pensato di avere, doveva aver alzato bandiera bianca dopo il mio ennesimo tentativo – andato a vuoto – di darmi una regolata. Ed al posto suo, avrei fatto la stessa identica cosa.

Cominciavo a credere davvero di essere un caso disperato.

Gli ultimi avvenimenti con Maya mi avevano scombussolato più del solito, e la cosa che mi faceva innervosire maggiormente era come non riuscissi a capirne il vero motivo. Forse, quando si era presentata a casa mia, del tutto inaspettatamente, avevo sperato che qualcosa avesse capito e che si fosse data una svegliata, ma mi ero sbagliato completamente. Mi ero lasciato incastrare senza nemmeno rendermene conto e ci ero finito con tutti e due i piedi, in quel baratro che erano diventati gli occhi di Maya. Perché aveva avuto la stupida accortezza di stregarmi, quella ragazza, come se non bastasse la mia stupidità a darmi una sonora spinta.

Mi ero lasciato trasportare dalle emozioni e quello era il risultato, e mi meritavo tutto quello che stavo passando. Solamente perché, se avessi avuto un briciolo di intelligenza in più, non sarei finito per tenere a quella ragazza molto più di quanto non fosse concesso. E, dannazione!, non era da me, quello non ero io e non mi riconoscevo davvero più, non sapevo più chi ero.

L’unica cosa che riusciva a darmi un barlume di speranza era il dubbio che aveva instillato l’improvvisa comparsa di Maya al mio appartamento, quella sera. Perché se davvero non fosse stata coinvolta, non sarebbe accaduto davvero nulla.

Continuavo a ripetermi che non poteva davvero andare in quel modo e che quella stramaledetta donna non aveva detto tutta la verità, nemmeno a sé stessa, probabilmente. Mi ero ripromesso, poi, di venirne a capo, in qualche modo, prima o poi.

Cercai di tornare con la mente al nuoto, nonostante sembrasse davvero un’impresa titanica, ma dovevo farlo, dovevo darmi una svegliata e cercare di non deludere quelli che ancora credevano in me e nelle mie potenzialità, Claudio in primis. Claudio che, proprio quel giorno, sembrava avere un diavolo per capello.

Nell’ultimo periodo era stato parecchio intrattabile, certo, ma non era mai arrivato a quei livelli nemmeno nei suoi giorni peggiori, ed il fatto che fosse anche lui messo come me mi rassicurava, in parte. Inoltre, mi incuriosiva davvero tanto ed avrei voluto scoprire il motivo di quel suo caratteraccio, se non avessi rischiato di andare incontro a morte certa, più o meno.

Sembrava portarsi appresso un’aura pericolosa e cattiva che lasciava tutti quanti a debita distanza, ed i suoi occhi sempre allegri e gentili non erano mai stati tanto burrascosi. Poi lo vidi dirigersi verso di me a passo di marcia, facendo allontanare chiunque gli passasse accanto, ed io non potei fare a meno di provare un leggero brivido di paura.

Dannazione, Travis”, esclamò, fulminandomi con lo sguardo. “Pensi di rientrare in acqua e lavorare, almeno tu? Hai deciso di prenderti un giorno di ferie?”. Okay, forse intrattabile non era la parola adatta e nemmeno nero di rabbia, era proprio incazzato come non lo avevo mai visto. E probabilmente con il mondo intero.

S-scusa, Claudio”, mormorai, distogliendo lo sguardo da quei suoi occhi che non facevano altro che scagliare fulmini.

Niente scuse”, continuò. “Devi cominciare a darti da fare, altrimenti non potremmo mai farcela!”, aggiunse, sospirando pesantemente e passandosi una mano sul viso.

C’era qualcosa che non andava, lo avevo notato subito, ma avevo preferito restarmene buono, non chiedere nulla già dal primo momento, ma cominciavo a non poterne davvero più. Se si fosse comportato in quel modo solamente con me avrei anche capito, avrei lasciato perdere e avrei eseguito i suoi ordini in silenzio, a testa bassa, ma quando cominciava a prendersela anche con il suo collega, Roberto, c’era da preoccuparsi, sì.

Claudio”, cominciai, esitante. “Va tutto bene?”.

Domanda stupida perché, insomma, non andava tutto bene ed era palese e tutti avevano preferito evitarlo, piuttosto che chiedere.

Osservai il mio allenatore calmarsi un attimo, giusto il tempo di un sospiro più pesante, più stanco, giusto il tempo per capire che c’era davvero qualche problema, ma poi all’improvviso si ritrovò ad indossare una maschera di indifferenza che metteva quasi i brividi. Ed ecco le somiglianze con la figlia, quando tutto andava storto, quando la situazione cominciava a complicarsi e quando ci si trovava in una situazione scomoda. L’indifferenza era la loro migliore arma.

Ti sembra che vada tutto bene, Travis?”, domandò diretto, inviperito. “Sei davvero diventato tanto cieco da non renderti conto che non ci sia un cazzo che vada bene, eh?”.

In anni di allenamento non lo avevo mai sentito imprecare, mai, per quanto assurdo potesse sembrare. Ed era strano vederlo, sentirlo così incazzato con il mondo intero, così agitato tanto da parlare come mai aveva fatto. C’era davvero qualcosa che non andava e la mia mente non smetteva un momento di agitarsi per cercare di capire cosa ci potesse essere dietro a quel suo comportamento. Ma proprio non riuscivo a trovare un motivo tanto grave.

Non credevo nemmeno che in tutto quello potesse avere a che fare Maya – che non si faceva vedere da giorni -, almeno direttamente, ma non si poteva mai sapere. Nonostante dubitavo fortemente che, tra quei due, potesse essere accaduto qualcosa di grave.

Sto parlando sul serio, Claudio”, gli dissi, serio, poggiando una mano sulla sua spalla. “Cosa è successo?”.

Si guardò in giro per un istante, prima di sospirare pesantemente e chinare il capo. Sembrò improvvisamente stanco, sfinito da tutta quella rabbia che si portava appresso e non mi piaceva affatto, vederlo così. Era sempre stato lui quello che se ne andava in giro a rallegrare e rassicurare la gente, era sempre lui quello che chiedeva se qualcosa non andava e non parlava mai di sé, non dava mai a vedere se qualcosa andava male. Era semplicemente lui, una persona che cercava di non buttarsi giù, di restare a galla per sé stesso e per gli altri.

Si grattò la nuca, quando un sorriso amareggiato gli comparve sul viso, poi si voltò a guardarmi e mi sorpresi quando notai un’incredibile somiglianza con Maya, in quello sguardo stanco, spossato.

Oggi è semplicemente una giornata peggiore delle altre, tutto qui”, cominciò, tornando ad osservare la piscina attorno a lui e tutti i suoi atleti. “Diciamo che negli anni passati ho sempre avuto la possibilità di restarmene a casa a sbollire la rabbia, mentre oggi non ce l’ho fatta”.

Che giorno sarebbe oggi?”, non riuscii a trattenermi dal fargli quella domanda, nonostante fossi perfettamente consapevole di quanto potessi apparire invadente. E se mi avesse detto di farmi gli affari miei avrei perfettamente capito e non sarei andato oltre, non ne avevo alcun diritto. Ma invece di mandarmi al diavolo, tornò con lo sguardo a terra, Claudio, e anche quella briciola di sorriso, seppur non sincero, scomparve.

L’oggi di diciannove anni fa, Travis, e mi sembra assurdo che sia passato così tanto tempo perché, nonostante provi a farmene una ragione, continua a fare male”, mormorò, poi, sospirando per l’ennesima volta. sembrava costargli uno sforzo immenso, continuare a parlare. “Diciannove anni fa, ecco quando quella che era mia moglie ha lasciato me e Maya e se ne è andata”, concluse, tornando a guardarmi negli occhi.

Ed io mi sentii estremamente a disagio, perché sapevo che non avrei dovuto indagare così a fondo, ma ero stato troppo cocciuto e stupido per fermarmi. Avevo fatto altre domande ritrovandomi solamente in una posizione alquanto scomoda, non sapendo bene come comportarmi. E mi dispiaceva davvero troppo per lui, per l’unica persona che mi era sempre sembrata in grado di affrontare tutto quanto, nella sua vita, ed invece in quel momento era davanti a me, con tutte le sue maschere gettate a terra, senza qualcosa dietro la quale nascondersi.

Io…”, cominciai, non sapendo bene dove andare a parare, cosa dire senza risultare un perfetto stupido. “Io non ne sapevo nulla, Claudio, mi dispiace, non avrei dovuto chiedere”.

Non hai nulla di cui scusarti, Travis, sono io quello che si sta comportando come un idiota, oggi”, ribatté, lui. “Ma non posso farne a meno, non ci riesco. Vorrei solamente tornarmene a casa, sul divano, e non pensare a nulla fino a quando questa giornata non sarà finita. E, probabilmente, conoscendo Maya, starà facendo la stessa identica cosa: mi assomiglia su troppi aspetti, a volte”.

Solamente in quel momento realizzai che, in quella faccenda, era coinvolta anche Maya e mi resi conto di non sapere assolutamente nulla di lei, niente che la riguardasse davvero perché, se avessi saputo il significato di quella giornata, probabilmente non mi sarei trovato alla piscina. Anche Maya doveva avere sofferto, sempre che non fosse stata un pezzo di ghiaccio anche da bambina, ma proprio non riuscivo a vederla in quel modo. Vedevo solamente una bambina più piccola della media con un paio di occhioni in grado di incantare il mondo.

Maya come ha affrontato… tutto quanto?”, chiesi, infine, cercando di capirne il più possibile.

All’inizio è stata dura, era molto legata a sua madre e ancora oggi non riesco a capire come abbia fatto ad abbandonarla, lei, ma poi ha cominciato a reagire e, dopo qualche anno, non le importava più, anzi, ha cominciato ad odiarla davvero. Fino a quando non si è fermata all’indifferenza totale”, spiegò, Claudio, e a volte cercò di buttarla addirittura sul ridere, ma con scarsi risultati. Doveva aver sofferto anche per sua figlia e pensare a cosa aveva dovuto passare nel periodo subito dopo la fuga della moglie era assurdo, perché lui era ancora lì. Non si era lasciato abbattere ed aveva continuato per la sua strada, insieme a Maya. “Ma se devo essere sincero, credo che lei ne soffra ancora, ma nemmeno se ne rende conto. Ormai avrai capito com’è, mia figlia, si nasconde talmente tanto dai problemi e dalla sofferenza che ne ha fatto un’abitudine senza accorgersene, e non va bene. Non fa bene a lei, perché quando comincerà a crollare, sarà difficile da rimettere in piedi”.

Rimasi stupito dalla sua sincerità, da quello che mi aveva detto e da come, su certi aspetti, la pensassimo allo stesso modo. Ed ero preoccupato, per lui, ma soprattutto per Maya che continuava ad assimilare, a mandare giù rospi troppo grossi che prima o poi l’avrebbero fatta esplodere. Avrei tanto voluto poter risolvere tutto quanto, in qualsiasi modo, ma non sapevo da che parte farmi, non sapevo come comportarmi.

Poi Claudio ricominciò a parlare. “Non piange da quando ha quindici anni, se non mi sono perso qualcosa. Credo che abbia accumulato fin troppe delusioni e che abbia bisogno di distruggere tutti quei muri che ha voluto tanto tirare su. E credo che da sola non riesca a farcela”, aggiunse, lanciandomi uno sguardo che non riuscii ad interpretare appieno, uno sguardo che mi confuse ancora di più, perché non poteva essere possibile che proprio Claudio sapesse qualcosa di sua figlia e me.

Distolsi gli occhi dai suoi, concentrandomi sulla prima cosa che mi capitò sotto gli occhi, tutto pur di non far trasparire quel moto di nervosismo che mi aveva assalito.

Torna ad allenarti, ora”, ricominciò, lui, tornando quasi lo stesso Claudio di poco prima. “Abbiamo già perso troppo tempo a parlare”.

Rimasi un momento fermo ad osservare il mio allenatore dirigersi verso altri atleti, facendo finta di nulla, come se nulla fosse accaduto, e per certi versi era da ammirare perché era in possesso di una forza incredibile, ma restava comunque un uomo che aveva sofferto troppo.

Poi tornai a pensare a sua figlia, a quella stupida di Maya che si ostinava a tenersi tutto dentro, ad incassare ogni colpo senza mai rispondere a dovere. E non potei fare a meno di chiedermi come potesse stare, in una giornata simile, se davvero ne soffrisse ancora come aveva detto Claudio. Non potei fare a meno di chiedermi quanto l’avrebbe fatta incazzare una mia visita improvvisa, proprio in quell’occasione, dopo giorni di silenzio radio tra noi.

 

Me ne sarei pentito, forse, ma ci avevo pensato talmente tanto durante la giornata che sentivo il bisogno di togliermi quel peso dallo stomaco e scoprire qualcosa di più, come se potesse davvero servire a qualcosa. Ma avevo come il presentimento che non avrebbe fatto altro che complicare tutto quanto. Come se ci fosse bisogno di qualche altra complicazione.

Così continuai a bussare e, solamente dopo il terzo tentativo, sentii dei passi avvicinarsi alla porta e la chiave girare nella serratura.

Improvvisamente, venni assalito dall’ansia e da un’improvvisa voglia di scappare a gambe levate, come se fuggire in quel momento fosse servito a qualcosa. Non potevo battere in ritirata, non in quel momento, non a quel punto, con la porta che cominciava ad aprirsi davanti a me.

Che diavolo ci fai qui!?”, esclamò Maya, quando si rese conto di avere me, proprio me davanti agli occhi. E si fece riconoscere come sempre per la sua delicatezza.

I capelli legati a caso, sopra la testa, gli abiti decisamente di un paio di taglie più grandi, il viso stanco: Claudio aveva ragione. Era nella sua stessa situazione.

Pensi di rispondermi o preferisci restare a fare la bella statuina davanti alla mia porta?

Ciao Maya, Sì, sto bene, grazie per avermelo chiesto. Com’era il limone che hai mangiato stamattina?”, le chiesi, infine, non riuscendo a nascondere una nota di irritazione nella voce. Non aveva più senso cercare di essere gentile con lei, soprattutto quando decideva di comportarsi come una zitella inacidita dalla mancanza di sesso.

Pensa a trovare un valido motivo per essere qui, invece che fare l’idiota”, continuò, non lasciandosi impressionare da me. Si appoggiò allo stipite della porta,con le braccia incrociate al petto, guardandomi con un sopracciglio alzato, come se per lei rappresentassi davvero poco. Ed era esattamente ciò che stavo provando, sotto il suo sguardo di glaciale.

Vorrei parlarti, anche se può non essere di tuo gradimento”, cominciai, avvicinandomi alla porta ed evitando Maya, entrando nel suo appartamento. “Perciò, grazie mille per l’ospitalità”, conclusi, con un sorriso tirato, giusto per il gusto di farla innervosire. Perché sembrava diventato l’unico modo efficace per farla parlare apertamente, con sincerità.

Dannazione, Travis”, esclamò, facendo sbattere la porta e lanciandomi uno sguardo che di rassicurante aveva ben poco. “Devi smetterla di fare tutto di testa tua, e non è proprio giornata, quindi sei pregato di levare il culo dal mio appartamento ed andartene!”.

Sembrava davvero al limite della pazienza, con quei suoi occhi fuori dalle orbite, ma quello era solo l’inizio e non mi sarei fermato prima di sentire tutta la sua storia, per filo e per segno. Non mi sarei fermato fino a quando non avessi visto tutti quei suoi muri crollare al suolo.

Lo so che non è giornata”, ribattei, continuando a fissarla. Era arrivato il momento di smetterla di scherzare e di girarci attorno.

Bene, allora se…”, cominciò, fermandosi poi di colpo, dopo aver compreso appieno le mie parole.

Se ne restò zitta un momento, con lo sguardo quasi allucinato e le labbra socchiuse, osservandomi come se venissi da un altro pianeta e per un momento ebbi quasi paura di come sarebbe potuta esplodere, perché era imprevedibile, Maya. “Come sarebbe a dire che lo sai?”, mi domandò, dopo un istante, in un sussurro.

Bomba sganciata, ed aveva ottenuto l’effetto che avevo desiderato e non mi sarei fermato fino a quando non avesse detto tutto quanto.

”, le confermai, continuando a scrutarla. “Me lo ha detto tuo padre, all’allenamento”.

Quelle poche parole sembravano averla mandata nel panico più totale ed era palesemente a disagio, lo si vedeva dagli occhi che avevano cominciato a posarsi su tutto quanto tranne che sul sottoscritto. E fece quello che era solita fare quando cominciava a trovarsi in difficoltà, scappò per l’ennesima volta dirigendosi a passo spedito verso la cucina. Ma non mi lasciai sfuggire quel briciolo di occasione che sembrava essermi capitata, non volevo; così la seguii in silenzio, aspettando che fosse lei la prima a parlare.

Beh, non avrebbe dovuto, non sono affari tuoi”, disse, poi, con fin troppa calma. “Per una volta avrebbe dovuto tenere la bocca chiusa. E tu potevi risparmiarti questa visita, cosa volevi? Vedere se ero occupata a piangermi addosso?”, domandò, infine, voltandosi improvvisamente a guardarmi. E non vidi altro che fuoco, nei suoi occhi, rimorso e rabbia.

Mi spiace informarti che hai fatto un viaggio a vuoto, Travis”, aggiunse, e se avesse potuto avrebbe sputato veleno, prima di tornare a trafficare con le attrezzature da cucina senza, in realtà, fare nulla di concreto.

Ti ho detto che sono qui per parlare, Maya, o per ascoltare. dipende da cosa ti può essere più utile”, ribattei, cominciando ad innervosirmi.

La vidi voltarsi di scatto ancora una volta verso di me, con lo sguardo furente e le labbra semiaperte. E se non avessi saputo che, tutta quella messinscena, veniva tirata su solamente per proteggere sé stessa, avrei quasi avuto paura.

Credi ancora che abbia bisogno di te, Travis!?”, mi chiese, con una risata amara, schernendomi. “Non mi sono mai pianta addosso in vita mia e non ho intenzione di farlo ora, non con te”, aggiunse, infine, e terminò con meno enfasi, come se fosse improvvisamente stanca di parlare. Poi tornò a darmi le spalle, poggiando entrambe le mani al banco della cucina, tenendo la testa chinata.

Non avevo la minima idea di cosa fare e di come comportarmi, una parte di me avrebbe voluto raggiungerla e sistemare le cose, ma non avevo la minima idea di come fare per limitare i danni.

Maya…”, cominciai, prima di venire interrotto proprio da lei.

Non capisco cosa ti dia il diritto di piombare a casa mia dopo giorni di silenzio, pretendendo che mi apra con te su un argomento come… come questo”, sputò, velenosa. “Davvero, non riesco a capire come tu possa avere certe pretese con…”.

Maledizione, Maya, smettila!”, esclamai, perdendo definitivamente la pazienza. “Non sono venuto qui con delle pretese, e se per una volta mi ascoltassi capiresti le mie intenzioni. Ma no, devi sempre straparlare ed allontanare chiunque cerchi di darti una mano”, le dissi esasperato, quasi urlando.
Non ne potevo davvero più di quel suo comportamento e la odiavo, la odiavo davvero quando faceva la stronza in quel modo, perché lei era più di quella facciata che si ostinava a mostrare, era più di quella montagna di arroganza e frecciate non tanto velate. Era molto di più e nemmeno se ne rendeva conto.

Mi avvicinai lentamente a lei, in attesa di una sua risposta che sembrava non arrivare mai, poi le posai le mani sulle spalle, cercando di scorgere il suo viso tra tutti quei ricci che le ricadevano sul volto. Ma era nascosta tra tutti quei capelli e se ne restava zitta, non aveva ancora proferito parole, e l’unica cosa che riuscivo a percepire erano le sue spalle che si alzavano ed abbassavo in modo irregolare, come se anche solo l’azione del respirare le riuscisse difficile, complicata come non mai.

Perché mi stai facendo questo?”, domandò, dopo alcuni istanti, con voce incrinata. E mi sembrava tanto vicina la meta, la riuscita dei miei intenti. “Perché cerchi ogni volta di annientarmi?”.

Maya, ne hai bisogno”, le dissi, piano, cercando di voltarla verso di me. “Ne hai bisogno tu come ne ho avuto bisogno io, e mi sento in dovere di restituirti il favore”.

No, non è vero!”, esclamò, poi, sbattendo la mano contro il ripiano a cui era appoggiata. “Cazzo, Travis, è l’ultima cosa di cui ho bisogno, tu non hai idea di cosa stai parlando”.

Continuò a tenere lo sguardo incollato al pavimento, nonostante fossi riuscito a farla girare verso di me, ma sembrava non volerne sapere di sollevare gli occhi.

Con una mano le afferrai il mento e la costrinsi a guardarmi, notando quanto sembrasse improvvisamente stanca e spossata, con gli occhi leggermente arrossati. Stava cedendo, si vedeva, lo sentivo, ed avevo paura di cosa avrebbe comportato tutto quello.

Credi di avere sempre ragione, tu, di essere sempre nel giusto, ma questa volta no, Travis, questa volta ti sbagli di grosso”, sussurrò, continuando a guardarmi, e a stento capii le sue parole per quanto parlò piano. “Questa volta… io, non ce la faccio”.

Sgusciò ancora una volta dalla mia presa, scappando, ancora e cominciò a girovagare per il suo appartamento senza una meta precisa. Non avevo idea di come comportarmi e di cosa dirle senza perdere la pazienza che, anche in quel momento, cominciava a vacillare.

Non so come sia successo, il vero motivo della sua fuga, so solo che è da pazzi anche solo pensare di abbandonare i propri figli, non credi? Come può una madre lasciarsi alle spalle sua figlia!?

Aveva cominciato a parlare davvero, improvvisamente, nel momento in cui era crollata di peso sul divano, guardandosi le mani che continuavano a torturare l’orlo della maglia. Ed io avevo quasi paura di muovere anche un solo passo: non avrei permesso che si fermasse ancora una volta e che si chiudesse in se stessa.

A cinque anni non ti rendi conto di quello che ti accade davvero, sei fin troppo infantile e stupida, ma crescendo ti rendi conto di tutto quanto pian piano, come se la vita non facesse già abbastanza schifo. Man mano che passa il tempo ti accorgi di piccoli particolari a cui non avevi nemmeno fatto caso e non hai idea di quanto faccia male, di quanto faccia schifo farsi migliaia di domande per capire dove hai sbagliato per meritare una cosa simile. Nessun bambino merita di essere abbandonato così di punto in bianco, senza una spiegazione. Ma lei lo ha fatto ed è stata così tanto stronza che mi fa schifo anche solo pensarci”, prese un profondo respiro, passandosi una mano tra i capelli e stringendo, vicino alla nuca, fino a farsi male, togliendosi infine l’elastico che li teneva fermi a stento.

La vedevo tentare di trattenersi il più possibile, di restare in quel precario equilibrio a cui sembrava fin troppo affezionata, la vedevo cercare di trattenere le lacrime, di non piangere. Sapevo che si sarebbe solamente arrabbiata di più con sé stessa se avesse perso quella sfida che sembrava essere diventata invincibile.

Mio padre ha detto che se ne è andata per colpa sua, perché la sua celebrità aveva cominciato ad infastidirla e non ne reggeva più il peso. Io non ho nulla a che fare con tutto questo, secondo lui, e credo sia anche peggio. Significa che nemmeno mi ha calcolata, non ha pensato alla sua maledetta figlia nemmeno un istante. C’era solo lei e la vita tranquilla che tanto voleva, così se ne è andata una sera, mentre ero già a letto. Sai cosa mi ha detto mio padre, la mattina dopo? Ha detto che sarebbe tornata, nei giorni seguenti sarebbe tornata ed io ci ho sperato così tanto, ci ho creduto fino a star male, ma poi i giorni sono diventati settimane, poi mesi e alla fine ho smesso di chiedere che fine avesse fatto mia madre e quando sarebbe tornata. Solamente sei anni dopo mio padre mi ha raccontato tutto quanto, e credo di aver pianto per delle ore, dopo. Credo di aver pianto come mai in vita mia e lui non sapeva da che parte farsi, non aveva la minima idea di come comportarsi, e come dargli torto?” , le uscì una risata amara, che non mi convinse affatto. Sembrava sul punto di crollare in mille pezzi da un momento all’altro, di cadere nell’oblio da cui continuava a scappare da fin troppo tempo.

Poi si è fatto in quattro per me, cercando di seguire allo stesso tempo anche la piscina. E ci è riuscito, maledizione! Mia madre aveva avuto così poca fiducia in lui che per un momento mi aveva fatto sorgere dei dubbi, ma ora che ci ripenso mi rendo conto di come si sia impegnato per non farmi mancare nulla, per essere sempre presente. La scuola, i concerti, l’università, i soldi per pagare questo appartamento… ha fatto tutto il possibile e anche di più perché doveva rimpiazzare una donna che non ha avuto le palle di fare il suo lavoro!”, aggiunse, quasi ringhiando ed assottigliando lo sguardo sulle sue mani, visibilmente nervosa.

E mi fa incazzare, non sai quanto, che lei si sia rifatta una vita perché, sai, quando avevo sedici anni sono andata a cercarla e l’ho trovata, ho scoperto dove abitava quella donna. Sono arrivata in Veneto, facendo credere a mio padre di aver passato un weekend a casa di un’amica, e l’ho trovata davanti ad una scuola. Credo che abbia vent’anni, ora, la bambina che ho visto correrle incontro. Dopo quel momento, me ne sono tornata di corsa a casa, senza nemmeno voltarmi indietro. Decisi nel momento in cui salii sul treno che, quella parte della mia vita, era conclusa, non ci avrei più pensato. E sono rimasta fedele alla mia parola… fino a questo momento”, disse poi, sollevando gli occhi a fatica ed incontrando i miei. E la sensazione di disagio che provai fu indescrivibile, fu come rendersi conto di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato e con la persona sbagliata. Aveva quello strano potere, lei, di farti sentire come la persona migliore del mondo, un attimo, e quella peggiore l’attimo dopo.

Per colpa tua, perché sei così cocciuto da farmi venire la nausea. Sei contento, ora?

Spero davvero che tu lo sia davvero tanto, perché… perché io non ne posso più, non ce la posso fare”, tornò con le mani tra i ricci scomposti, prendendosi la testa e scuotendola leggermente. “Non ce la faccio proprio a ripensare a mia madre, fa troppo male. Per anni sono riuscita a tenerla sepolta chissà dove ed ora tu, con le manie di sincerità sei arrivato a mandare a puttane tutto quello che ho costruito con fin troppa fatica”, il suo tono di voce si era alzato notevolmente, diventando più acuto, disperato. Ed avrei davvero voluto fare qualcosa per farle passare tutto quel dolore che sembrava provare, ma non avevo davvero idea di che cosa fare, di come comportarmi. Me ne restavo in piedi davanti a lei, immobile e senza avere la forza di muovere un muscolo.

Dio, Travis”, esclamò, all’improvviso. “Perché lo hai fatto, per quale assurdo motivo sei arrivato qui come un treno in corsa!? Perché? Ti diverte vedermi così?”, chiese, poi, spalancando gli occhi e fissandomi. Stava cominciando a crollare, le prime lacrime stavano scendendo sulle sue guance e fu come ricevere una pugnalata al petto, vederla in quello stato.

Non pensavo che mi odiassi fino a tal punto, cosa ti ho fatto di male per meritarmi questo, eh? Lo hai fatto perché ti sei trovato nella stessa situazione, eh? Perché ti ho messo alle strette e hai trovato il modo perfetto per vendicarti?”, la sua voce aveva cominciato ad incrinarsi, a non reggere più la situazione, così come il suo viso che sembrava un vero disastro: gli occhi già rossi e inondati di lacrime, l’espressione sofferente.

Non credevo fossi così subdolo!”, sussurrò, infine, cominciando a lasciarsi andare in singhiozzi che cercava comunque di trattenere, abbassando lo sguardo e nascondendosi dietro i riccioli che le cadevano sulla fronte.

Mi avvicinai lentamente, con cautela, pensando a quello che avrei potuto fare o dire, soprattutto dopo quello che mi aveva detto. Ed io non volevo assolutamente che pensasse certe cose di me, perché non avevo insistito per puro gusto personale. Tenevo a lei e volevo aiutarla, volevo che fosse un po’ più spesso la Maya dei primi tempi dopo quel Capodanno passato insieme. Non era quella che avevo davanti la donna che mi aveva lasciato senza fiato, e vederla in quello stato mi faceva male, mi faceva venir voglia di fare tutto il possibile per migliorare la serie di stati d’animo che parevano sovrapporsi in lei. Non avevo idea di come avrei fatto, ma ero deciso a fare del mio meglio.

Mi inginocchiai davanti a lei, prendendo un respiro profondo e cercai di attirare la sua attenzione, abbassandomi a livello del suo viso. Ma lei continuava a sfuggirmi, cercando di non incontrare il mio sguardo. Così le presi il viso tra le mani, sollevandolo ed incontrando i suoi occhi, quell’oceano in tempesta. E fu quasi come una pugnalata al petto.

Non sono subdolo, Maya, e di certo non sono venuto qui con l’intenzione di farti crollare”, cercai di sembrare sincero, ma sapevo che sarebbe stato davvero difficile convincerla, farle capire davvero per quale motivo mi trovavo lì. “Voglio solamente capire per quale motivo sei diventata così, voglio conoscerti e, questo, comprende ogni più piccola cosa e tutto quello che ti è capitato di spiacevole. Voglio conoscere la vera te, non quella che si nasconde, non quella che cerca di difendersi ad ogni attacco, voglio che ti apra con me e che ti possa fidare. E mi dispiace davvero, non sai quanto, di aver riaperto una ferita simile”.

Quanto può sembrare indifesa una persona, mentre piange, mentre fa crollare tutti quei muri che per anni ha cercato di mantenere su? Quanto può far male vedere una persona cadere a pezzi?

E lei non ce la fece più a tenersi tutto dentro, a nascondere tutte quelle sensazioni che sembrava provare all’unisono. Crollò nel momento stesso in cui finii di parlare, come se avesse cercato di resistere il più possibile, di trattenersi fino al momento giusto, ed i singhiozzi che avevano cominciato ad uscirle dalla gola mi stringevano lo stomaco in una morsa. Non avevo idea di quanto potesse essere disperata, di quanto potesse aver sofferto e, probabilmente, non lo avrei mai saputo, ma il suo pianto rendeva perfettamente l’idea.

Si prese il viso tra le mani, nascondendosi per l’ennesima volta, così cercai di avvicinarmi ancora di più a lei e la abbracciai nel modo migliore in cui potessi fare. Doveva sentirmi vicino, doveva capire quanto si potesse fidare davvero di me e non le avrei permesso di scappare ancora una volta, non gliel’avrei lasciato fare. Ero lì per un motivo ben preciso, cioè prendermi cura di lei e non avrei lasciato rovinare tutto dal suo orgoglio. L’avrebbe superato ed io l’avrei aiutata, a partire da quel momento.

Maya, calmati, ti prego”, le mormorai, tra i capelli, sentendola tremare tra le mie braccia.

La fai tanto facile tu, lo hai sempre fatto”, esclamò, poi, tra le lacrime, allontanandomi da lei e cercando il mio sguardo. “Ma non lo è affatto. Non lo è mai stato e non lo sarà mai. Perché? Perché mi ha fatto questo!? Cosa ho fatto di sbagliato per farla scappare?”. Quella serie di domande dovevano rappresentare una vera e propria tortura, da come ricominciò a piangere, più disperata di prima, e faceva male, faceva davvero un male cane vederla soffrire in quel modo, vederla tormentarsi per qualcosa che con lei non aveva nulla a che fare, perché mi rifiutavo di credere che la madre se ne fosse andata per colpa sua. Non avrebbe avuto alcun senso.

Non osare incolparti per una cosa simile, Maya, non pensarci nemmeno!”, cominciai, deciso a farmi ascoltare. “Non è colpa tua e, onestamente, credo che l’unica ad averci rimesso qualcosa sia lei, non tu. Non ha potuto vederti raggiungere i tuoi traguardi, non ha potuto vedere come, nonostante tutto, tu sia riuscita a farti strada, a rialzarti con le tue gambe. Tu non hai nulla di cui incolparti, credimi. Così come mi hai detto che non devo incolparmi per la morte di mio padre, tu non devi farlo per la fuga di mia madre”.

La vidi cercare improvvisamente i miei occhi, guardarmi con quella che sembrava un briciolo di speranza, quando sentì quelle parole e sperai davvero di aver colto nel segno, di poterla convincere seguendo quella strada.

Nemmeno se lo immaginava, ma mi aveva davvero aiutato, mi aveva fatto sentire meglio, nonostante tutto quello successo a mio padre non sarebbe mai passato davvero, ma per un solo momento lo avevo quasi dimenticato. Per un solo istante avevo quasi dimenticato cosa significasse crescere senza un padre e senza una madre accanto, andare avanti con il pensiero fisso e martellante di non aver fatto abbastanza e di non essere mai abbastanza. E lo avevo fatto grazie a quella ragazza che sembrava quasi irriconoscibile e, per questo, le dovevo almeno quel favore.

Tu non hai smesso di incolparti per tuo padre”, mormorò, poi. “Non cercare di darmela a bere”.

Probabilmente una parte di me si incolperà sempre, ma avevi ragione tu: presto o tardi sarebbe successo ed io non sarei stato in grado di fare nulla. Ma la tua situazione è ben diversa, tua madre ha fatto una scelta e, nonostante sia stata quella sbagliata, ti ha fatto diventare quella che sei oggi”. Non sapevo più a cosa aggrapparmi, non avevo idea se quello che le stavo dicendo avrebbe funzionato, ma ci speravo davvero. E tanto valeva essere brutalmente sinceri, in quell’occasione, non farsi scappare quel suo attimo di debolezza per potermi aprire lo stretto indispensabile. “E, nonostante non abbia la minima idea di chi saresti potuta diventare con tua madre ancora al tuo fianco, sappi che io preferisco in ogni caso la donna che ho davanti agli occhi in questo momento, con tutti i suoi mille difetti. Vai bene così, Maya, non credere al contrario”.

Vuoi dire questo disastro ambulante?”, chiese, dopo qualche istante, tranquillizzandosi leggermente.

No, tu”, risposi, togliendole i capelli dal viso. “In tutte le tue sfaccettature, tu”.

Restò in silenzio, continuando ad osservarmi, mentre io cercavo di capire come potesse essere stato tanto semplice dirle quelle parole. Perché, diciamocelo, ero stato un vero e proprio idiota a non dirglielo prima e, con ogni probabilità, viste le sue condizioni il giorno seguente non se ne sarebbe nemmeno ricordata. Ma andava bene così, mi ero tolto un peso che aveva sostato fin troppo sul mio stomaco ed era stata una vera e propria liberazione.

Continua a fare male, Travis”, mi disse, poi,con la voce ancora rotta dal pianto e le lacrime che avevano ripreso il loro percorso sul suo viso. Le passai le mani sulle guance, cercando di limitarmi all’insultare mentalmente la madre di quella ragazza che non meritava affatto tutto quel male.

Lo so, piccola”. Non riuscii a dirle altrimenti, ad articolare una frase con un senso perché lei in quelle condizioni mi destabilizzava e mi impediva di pensare lucidamente. Anche se, la maggior parte del tempo, mi annebbiava la vista. Così mi avvicinai ancora, abbracciandola delicatamente, stringendola poi più forte quando cominciai a sentire distintamente i suoi singhiozzi ricominciare. Crollò con il viso nell’incavo del mio collo, crollò in mille pezzi tra le mie braccia senza che potessi fare qualcosa di concreto per aiutarla. Ma andava bene così, sapevo che prima o poi ce l’avrebbe fatta, sarebbe riuscita a rialzarsi. Era più forte di quello che credeva e nemmeno se ne rendeva conto, perciò, in quell’abbraccio che di normale aveva ben poco, andava bene così.

 

Non avrei voluto svegliarla, ma dovevo scappare e andarmene senza dirle nulla, lasciandola svegliare da sola, non mi sembrava proprio il caso. Non dopo quello che era accaduto la sera precedente. Era riuscita a prendere sonno – finalmente – solamente poche ore prima, probabilmente esausta dalle varie crisi di pianto che l’avevano assalita.

Era stata la prima volta che avevo visto piangere una persona in quel modo, non pensavo nemmeno fosse umanamente possibile, ma era successo. E davanti ai miei occhi, per giunta. Avevo avuto paura per me stesso perché non avevo idea di come comportarmi, ma soprattutto per lei perché pareva davvero non riuscire a smettere ed aveva continuato a tremare contro di me, singhiozzando come una bambina. Ma se fosse stata davvero una bambina a piangere in quel modo, il tutto si sarebbe risolto in fretta, invece la situazione era seria e reale e faceva paura.

Eppure sembrava così tranquilla in quel momento, nonostante avesse passato quelle poche ore di sonno in preda a sogni che non avevano fatto altro che agitarla, ma almeno si era calmata, addormentandosi praticamente addosso a me. Ma non avevo avuto il coraggio di spostarla, preoccupato che potesse svegliarsi e ricominciare ancora a piangere, a stare male.

Se ne stava rannicchiata su un fianco, dandomi la schiena, chiusa talmente tanto a riccio che non potei fare a meno di chiedermi come potesse dormire bene in quella posizione. Così mi avvicinai a lei, facendo aderire il mio corpo al suo e le passai delicatamente la mano sul braccio che spuntava dal lenzuolo, praticamente abbracciandola.

Maya”, sussurrai, cercando di svegliarla nel modo più delicato possibile. Ma lei sembrava non ascoltarmi. Provai a chiamarla ancora una volta, baciandole la porzione di pelle dietro l’orecchio e affondando il viso nella massa di capelli scomposti sul cuscino, e finalmente la sentii svegliarsi, mugugnando chissà cosa e muovendosi leggermente.

Lasciami dormire”, biascicò, scorbutica, con la voce ancora impastata dal sonno. Almeno sembrava aver riacquistato parte del suo solito carattere.

Non ti preoccupare, puoi tornare a dormire”, la rassicurai, sorridendo divertito dalla sua solita indole scontrosa. “Volevo solamente avvisarti che devo andare”.

La vidi socchiudere gli occhi, stropicciandoseli con una mano, prima di cercare il mio sguardo. Come poteva essere così di prima mattina, dopo l’inferno che aveva passato la notte precedente? “Ma che ore sono?”, domandò, rimettendosi nella posizione precedente, senza però chiudere gli occhi.

Sono le sette”.

E che dovresti fare alle sette?”, domandò in un sussurro, non riuscendo ad articolare una vera e propria frase per colpa del sonno.

Devo andare ad allenarmi, Maya”, risposi, spostandole alcune ciocche dal viso perdendomi ad osservare i suoi lineamenti. “Tanto per cambiare”, aggiunsi, in un sussurro. Mi sollevai su un gomito, per poterla osservare meglio, per poterla vedere ancora assorta nei suoi pensieri con lo sguardo perso nel vuoto, come se nemmeno avesse ascoltato le mie parole. Certo, aveva recuperato un briciolo di sé stessa, ma ancora non le era passata del tutto, ed era molto più che comprensibile.

Poi si voltò con calma verso di me, mettendosi a pancia in alto, fissandomi con quelle pozze d’acqua che la sera precedente avevano straripato come non mai. Metteva quasi a disagio, quel suo sguardo, come se fosse lì pronto per dirti che non eri altro che uno dei tanti, che non eri nessuno, ed io non riuscivo davvero a capire se fossero proprio quelli i suoi pensieri oppure se fosse solamente frutto della mia immaginazione.

Sei rimasto”, disse infine, quasi sorpresa, lasciandomi interdetto. Davvero pensava che me ne sarei andato? Dopo quello che avevo visto non l’avrei lasciata sola nemmeno se mi avesse buttato fuori dal suo appartamento a calci, non ce l’avrei fatta.

Dove pensavi che andassi?”, le chiesi, poi, continuando a giocare con i suoi capelli vicino alla nuca. “Mi hai fatto preoccupare, Maya, forse non te ne rendi conto, ma per un momento ho davvero pensato che non saresti riuscita a fermarti”.

Tanto valeva essere sinceri anche in quell’occasione, nonostante sembrasse stupido. Ma quando le avevo detto che mi ero preoccupato era tutto completamente e assolutamente vero, perché non avrei mai pensato che una come lei potesse crollare in quel modo, rompendosi in mille pezzi.

Poi Maya afferrò una mia spalla e mi attirò a sé, ed io rischiai di sotterrarla tra me ed il materasso, ma sembrava non importarle. E vederla così bisognosa di un semplice abbraccio mi lasciò di stucco, perché vengono sempre tanto sottovalutati, gli abbracci, e vengono dimenticati, ma con uno come quelli fu come tornare a respirare davvero, fu come sentirsi davvero importanti per qualcuno. Si aggrappò con un braccio alle mie spalle e alla mia nuca e con l’altro mi avvicinò a lei ancora di più, cingendomi il busto. Così la avvolsi anche io come meglio potei, affondando il viso nei suoi capelli e stringendola a me come non avevo mai fatto, probabilmente. Quasi non mi sembrava vero, eppure era stata davvero lei a lasciarsi andare in quel modo, cercando la mia vicinanza.

Sei rimasto”, ripeté, lei, con un tono sommesso che avrei scambiato quasi per commosso. “Nonostante mi sia comportata da perfetta stronza, sei rimasto, ieri sera”, aggiunse, facendo più salda la sua presa.

Stai zitta”, la ammonii.

Questa volta mi devi lasciare parlare”, ribatté, lei, non sciogliendo l’abbraccio.

Entrambi eravamo ben consapevoli che, qualunque fosse il discorso che avrebbe fatto Maya, non saremmo mai riusciti a farlo faccia a faccia, guardandoci negli occhi, non riuscendo a nascondere la sincerità. Ma andava bene così, andava benissimo quell’abbraccio quasi soffocante, ma vero da far male. Andava bene parlare sulla pelle dell’altro, e non avrei cambiato  un solo particolare nemmeno se avessi potuto.

Mi dispiace”, ammise, dopo qualche istante di silenzio, sorprendendomi. “Ti ho trattato malissimo e… mi dispiace, davvero. E per ieri sera… ti ringrazio”, concluse, con voce incrinata.

Mi stesi su un fianco, trascinando Maya con me per poterla finalmente guardare in viso, per vedere quei suoi occhi ancora inumiditi dall’emozione, per vedere finalmente quelle sue migliaia di barriere che cominciavano a cadere pian piano.

Le scostai i riccioli che le ricadevano sul viso, sfiorandone la pelle con le dita, mentre lei sembrava non intenzionata a lasciarmi andare, per una volta. E mi persi ancora in quei pozzi che non smettevano un momento di fissarmi, di scrutare il mio volto, mi persi come avevo fatto la prima volta e come avrei fatto ogni altra volta successiva, probabilmente. E fu proprio in quel momento, forse, che mi resi conto di quanto fossi fottuto.

Sta zitta, una buona volta”, le ribadii, avvicinandola ancora a me. “Zitta e torna a dormire, ne hai bisogno”.

La vidi aggrottare leggermente le sopracciglia, mentre potevo immaginare il suo cervello intento ad analizzare ogni singolo particolare di ciò che le avevo appena detto, poi tornò a rilassarsi contro di me con la fronte poggiata alla mia spalla. “Dovresti andare, allora, se non vuoi far tardi”, sussurrò, ed io feci davvero fatica a sentirla. “Mio padre potrebbe ucciderti, o peggio: farti fare vasche su vasche fino a quando camperai”, aggiunse, ridacchiando. E fu quasi surreale sentire quel suono uscire dalla sua bocca, con la sua voce ancora assonnata, perché sembrava davvero aver recuperato parte di sé stessa, sembrava che la sera precedente non ci fosse nemmeno stata.

Rimasi un momento in silenzio, a pensare, a cercare di capire cosa fare e come agire, nonostante sapessi perfettamente cosa avrei fatto infine. Forse lo sapevo dal momento stesso in cui mi ero svegliato con il corpo di Maya accanto al mio e con il suo profumo sulla mia pelle, sul cuscino, tra le lenzuola. Ovunque.

Già in quel momento avevo capito che non sarei riuscito ad abbandonarla in una giornata simile, nonostante l’allenamento che mi attendeva, nonostante la ramanzina che mi sarei beccato sicuramente da Claudio. Non potevo andarmene e non volevo. Così mi sistemai meglio sul letto, facendo attenzione al corpo di Maya e tornando a poggiare la testa sul cuscino. “Di allenamenti e di vasche ne dovrò fare in ogni caso, oggi posso anche mandare a fanculo il resto del mondo”, mormorai, giocando con i capelli di Maya, che sollevò lo sguardo all’improvviso, trovandosi spaventosamente vicina a me.

Una stilettata ai polmoni, ecco cos’erano quegli occhi, perché che fossero intrisi di felicità, rabbia o sorpresa, restavano comunque micidiali, capaci di farti mancare il respiro. Come quel mezzo sorriso che le spuntò sulle labbra, che cercò in qualche modo di nascondere, invano. “L’allievo perfetto che salta gli allenamenti? Chi sei tu e che ne hai fatto della superstar, del campione mondiale?”, mi punzecchiò, ridendo, portando una mano tra i miei capelli alla base della nuca.

Ed io mi beai di quel tocco, cercando di gustarmi il più possibile la sensazione delle mani di Maya su di me, seppur solamente tra i capelli. Poggiai la fronte alla sua, chiudendo gli occhi e respirando profondamente perché dovevo trattenermi, dovevo mantenere il controllo per non rovinare quel momento e la tranquillità della ragazza che, la sera prima, aveva perso completamente il controllo di sé stessa. Non avrei approfittato di lei in quella situazione, non ce l’avrei fatta.

Oggi sono solamente me stesso, non il campione, non l’allievo perfetto. Oggi sono solo Travis”, risposi, cercando di darmi un tono, nonostante il tocco delle sue mani mi stesse mandando in estati, su un altro pianeta dove non c’era il nuoto di mezzo e dove non c’erano ostacoli né per lei né per me. “Non voglio andarmene… posso restare?”, le chiesi, poi, aprendo gli occhi e trovando i suoi intenti a fissarmi a pochi centimetri dal viso.

Lei si limitò ad annuire, leggermente, come se avesse paura di far conoscere la propria opinione in merito, e non mi diede nemmeno il tempo di studiare la sua espressione, i suoi occhi, che abbassò immediatamente lo sguardo, tornando a poggiare la fronte sulla mia spalla, rintanandosi tra le mie braccia. Ed io non feci altro che stringerla ancora di più, avvicinandola a me e sentendo ogni particella del mio corpo animarsi a contatto con la sua pelle.

Cercai di darmi una calmata, di contenermi e di pensare ad altro, ma l’unica cosa che mi si parava davanti agli occhi, nella mia mente, quando decidevo di serrare le palpebre, era quel sorriso incerto che si era lasciata scappare poco prima, come se una qualche emozione diversa dal solito l’avesse animata.

Era stato un passo avanti, quello, una sorta di resa che aveva portato ad un risultato migliore di quello precedente. E non me lo sarei lasciato scappare, non avrei più permesso a me stesso di fare l’idiota e di perdere un qualcosa di così prezioso come la persona che si era addormentata con la testa sopra il mio braccio.

 

Mi ero svegliato più di tre ore dopo, con ancora il corpo di Maya vicino al mio ed il suo profumo nelle narici. Dava alla testa, tutto quanto, e dava quasi dipendenza.

Lei continuava a dormire indisturbata, fortunatamente, così dopo alcuni istanti passati ad osservarla rannicchiata contro di me, decisi di alzarmi per andarmi a preparare qualcosa in cucina.

Mi avrebbe ammazzato, probabilmente, per aver utilizzato le sue cose senza chiedere, ma la sera prima non mi ero nemmeno fermato a mangiare un boccone prima di raggiungerla e cominciavo ad avere fame. Ricordavo il primo giorno dell’anno, quando l’avevo trovata in cucina intenta a prepararsi una tazza di tè, e ricordavo perfettamente come impazzisse per il tè Earl Grey. Era un particolare che non avrei mai potuto dimenticare e che la faceva assomigliare pericolosamente a mia madre, ma lasciai perdere. Così mi decisi a fare qualcosa di carino e, dopo aver cercato un po’ per la cucina, misi sul fornello l’acqua per il tè e attesi con le mani poggiate al bancone che fosse pronto.

Dalla sera prima avevo ancora indosso i pantaloni sportivi, non avendo avuto il coraggio di spogliarmi completamente con Maya messa in quelle condizioni, e cominciavo a sentire il bisogno di una doccia, ma avrei atteso fino a quando non si fosse svegliata, troppo preoccupato che potesse cadere ancora in crisi. Avrei voluto tornare al mio appartamento, certo, ma non me la sentivo proprio di lasciarla sola.

Era stato un po’ come tornare a vedere il mondo con gli occhi di sempre, svegliarsi accanto a quella ragazza. Perché sapevo quanto potesse essere davvero rompipalle e nevrotica, ma dopo quel momento era tornata anche la stessa Maya che aveva saputo sorprendermi e mandarmi al manicomio e stupirmi per come, a volte, rendesse tutto quanto più semplice. E non riuscivo davvero a capacitarmi di come avesse potuto soffrire così tanto, quella ragazza, ma tutto spiegava i suoi atteggiamenti ed i mille muri che ogni volta cercava di tirar su. Ma io ero riuscito a distruggerli, quei muri, anche solo un paio e mi stavo avvicinando sempre di più a quella che pensavo fosse davvero Maya. Peccato che più mi avvicinavo e più mi rendevo conto di come risultava difficile, poi, lasciarla andare, allontanarsi da lei.

Tornai a concentrarmi sul pentolino d’acqua davanti a me, che aveva cominciato a bollire, così spensi il fornello ed immersi l’infusore, perdendomi ad osservare i vari flussi di colore che avevano cominciato a tingere l’acqua.

Ingannava e stregava, quel colore che si muoveva lento ed indisturbato e dava un senso di pace che sapeva incantare. E fu per quel motivo che mi resi conto della presenza di Maya solamente quando si avvicinò a me, posando una mano sul mio avambraccio.

Mi voltai lentamente verso di lei, che si stava sporgendo per poter vedere cosa stessi facendo e cercò di nascondere un sorriso quando si rese conto della qualità di tè che avevo scelto tra la sua scorta. Sembrava aver ancora i segni del cuscino stampati in faccia e si notava fin troppo bene la stanchezza sul suo volto, ma restava comunque bella da mozzare il fiato. Come sempre.

Poi sollevò lo sguardo, trovando il mio, e quasi mi pensi dentro quel mare che sembrava non abbandonarla mai, che la caratterizzava e la rendeva unica. Mi ci sarei tuffato seduta stante e, conoscendomi, non ne sarei più uscito.

Ben svegliata”, mormorai, continuando ad osservarla. Non avevo nemmeno il coraggio di muovere un muscolo, nonostante ogni mia particella stesse urlando di prendere quella ragazza e farla mia. Ma la vedevo ancora troppo fragile, un castello di carte all’aria aperta pronto a crollare, così mi limitai a restare immobile e ad attendere una sua reazione. “Pensavo non ti saresti svegliata prima di domani mattina”, aggiunsi, cercando di buttarla sul ridere.

Ma lei non fece una piega: il sorrisetto di poco prima era sparito chissà dove, lasciando il posto ad un’espressione indifferente, assente. Era davvero spossante vederle così, sentirla così su un altro pianeta. Non era lei quella, nonostante non si fosse mai esposta più di tanto, ma così era davvero troppo.

La vidi appoggiarsi con la schiena al banco della cucina, accanto a me, rivolgendo lo sguardo al tè che sembrava quasi pronto.

Non dovevi”, disse, poi, facendo un cenno con il capo al fornello. “Avrei fatto io”.

Non volevo svegliarti”, risposi, mettendomi di fronte a lei, intrappolandola tra il mio corpo e il bancone, con le mani poggiate al piano accanto ai suoi fianchi.

Il suo sguardo crollò a terra, non riuscendo a sostenere i miei occhi che continuavano ad analizzare ogni briciola di emozione che le attraversava il viso. Dovevo capire cosa le passava per la testa e sembrava un’impresa titanica, quasi impossibile.

Sembrava quasi intimorita dalla mia presenza, e non mi pareva possibile perché non era mai successo, non si era mai lasciata sopraffare da me o da qualunque altra persona. Era strano e diverso e non mi piaceva non poter navigare nei suoi occhi. Ci avevo quasi preso l’abitudine.

Ehi”, le dissi, piano, cercando di attirare la sua attenzione, facendomi più vicino.

Si avvicinò anche lei, poggiando la fronte al mio petto e sospirando pesantemente, mostrandosi ancora più debole e fragile.

Se ne stava lì, con solamente la pelle della sua fronte come contatto con me, perché sembrava davvero altrove. Così non riuscii a resistere e le presi il viso tra le mani, sollevandole il volto e sentii l’ennesima stilettata perforarmi i polmoni, quando vidi quei suoi maledetti occhi, ancora lucidi, ancora sull’orlo dell’ennesimo pianto. “Tutto bene?”, chiesi in un soffio, sfiorandole gli zigomi con i pollici.

Non lo so nemmeno io, Travis”, rispose esasperata, lei, dopo alcuni istanti persi a fissarmi. “Pensavo di aver superato tutto quanto, non mi è mai successo di crollare in questo modo, ed è stato come tornare a quando mi svegliavo dagli incubi, da bambina, e cercavo mia madre. Ma lei non c’era mai, e mio padre impazziva ogni volta per cercare di calmarmi”.

Si prese il volto tra le mani, abbassando il volto, nascondendosi ancora una volta. ma se io ero riuscito a superare, anche se solo in parte, tutto lo schifo che mi era successo, doveva farlo anche lei. perché sapevo che ce l’avrebbe fatta, ne ero sicuro. Era forte, e nemmeno lo sapeva.

Guardami”, le dissi, deciso, cercando comunque di mantenere un tono calmo. “Maya, ti prego, guardami”.

E finalmente si decise ad ascoltarmi, a risollevare quel suo sguardo liquido che mi preoccupava ogni attimo di più. Le presi le mani, liberando completamente il suo viso, e me ne portai dietro la schiena, tornando poi a sfiorarle il volto come poco prima.

Non è colpa tua, mettitelo bene in testa, ed è normale reagire così”, cercai di convincerla, sapendo bene quanto potesse essere difficile. “E te lo dice uno che ne sa qualcosa”, aggiunsi, poi, ammorbidendo i toni e cercando di farla sorridere.

Non dirlo a mio padre, Travis”, mi pregò, avvicinandosi leggermente a me. E non me la sentii proprio di dirle di no, nonostante Claudio avrebbe dovuto sapere, ma quella scintilla di disperazione negli occhi e nella voce mi aveva fatto vacillare e convinto a reggerle il gioco. “Me… me ne vergogno troppo e… so che ne soffrirebbe”. Continuò, lei, facendo più salda la presa alla base della mia schiena.

Va bene”, sospirai, infine, arrendendomi a lei. Come sempre. Ed io che per un momento avevo creduto davvero di poterle resistere, anche solo per una volta. “Ma promettimi che non ti incolperai mai più per una cosa del genere, tu non hai fatto niente”, cercai di convincerla e mi feci ancora più vicino, poggiando la fronte alla sua, circondandole le spalle con le braccia.

Poi mi allontanai da lei, sciogliendo quella specie di abbraccio, che era diventato quasi un modo per aggrapparsi l’uno all’altra, e tornai con le mani poggiate al banco, ai lati di Maya. E la scrutai attentamente, guadagnandomi un sorriso appena abbozzato, una briciola della solita Maya.

Siamo intesi?”, le domandai, poi, sorridendo.

E lei annuì leggermente, poggiando le mani sulle mie, esitante, quasi timida come non era mai stata, seguendole con lo sguardo.

Quando prima ti ho detto che mi dispiace”, cominciò, ed io quasi non la sentii per quanto parlava piano, poi sollevò lo sguardo ed incontrai i suoi occhi che parevano essersi calmati, non erano più agitati, mossi, tempestosi. “Stavo dicendo sul serio”, aggiunse, facendosi improvvisamente seria. E lo dovevo considerare un evento, perché sapevo che stava parlando con sincerità e, in più, lo stava facendo guardandomi negli occhi, non nascondendosi dietro muri invalicabili.

Ed io non riuscii a rispondere, se non con l’ennesimo sorriso, l’ennesimo squarcio di felicità che mi occupava le labbra, e avvicinai il viso a quello di lei, non riuscendo a resistere, nonostante mi limitai a sfiorarle una guancia con le labbra. “Lo so, Maya”, le dissi in un soffio, restando sulla sua pelle. “Lo so”.

E restammo immobili, come se il tempo si fosse fermato, come se avessimo entrambi paura di far scoppiare quella bolla che si era creata, debole e fragile. Restammo in quella posizione per alcuni istanti interminabili, in quel mezzo abbraccio nel silenzio più assoluto. Ma alla fine fu lei a muoversi, a distruggere quel fermo immagine, avvicinandosi e rannicchiandosi tra le mie braccia.

E tu continui a restare, nonostante io non sappia ancora cosa fare”, continuò, cingendomi la vita con le braccia, ed io rimasi fermo, immobile con lei premuta sul mio corpo, ancora per paura che cambiasse atteggiamento per l’ennesima volta, volubile com’era. Avevo cominciato a vederla come una bambola di porcellana, piccola, delicata, sempre pronta a rompersi.

Non ho fretta, in un certo senso”, le risposi, non sapendo bene quale significato potessero avere le mie parole.

Se ne restò zitta per un momento, facendosi addirittura più piccola di quanto già non fosse, poi sollevò il capo, facendosi scontrare i suoi occhi con i miei. L’ennesimo colpo al cuore.

Non avevo la benché minima spina dorsale, e dire che mi ero ripromesso di starmene buono e calmo per evitare di farla crollare ancora una volta, ma, dannazione!, come avrei potuto resistere con lei che mi guardava come non aveva mai fatto, come fossi davvero qualcuno di importante? E ce l’avrei anche fatta – con non poche difficoltà, certo – se solo lo sguardo di Maya non fosse caduto sulla mia bocca.

E diamine, quanto mi erano mancate quelle labbra, il corpo esile di quella ragazza addossato al mio, le sue mani a stringermi i capelli. Quanto mi era mancata lei.

Rendersi conto di quell’assurda mancanza faceva male, davvero, ma tutto veniva surclassato da lei e dal suo corpicino in cerca del mio, dal suo respiro sulle mie labbra che premevano frenetiche sulle sue. Veniva tutto surclassato da lei.

Ci eravamo comportati da stupidi entrambi e questo ci aveva portati all’ennesima discussione e all’ennesimo periodo di distacco, e se in quel bacio ci fosse stata solamente quella mancanza sarebbe stata la cosa migliore per entrambi, una sensazione passeggera e destinata a scomparire. Ma c’erano così tanti sentimenti, lì dentro, c’era un così grande miscuglio di sensazioni ed emozioni da farmi tremare le ginocchia. C’era così tanto che risultava difficile persino dare un nome a tutto quello che ci stava attorno.

E continuai a baciarla, a lasciarmi baciare, a complicare ulteriormente le cose, sollevandola da terra e facendola sedere sopra il piano della cucina, prendendo il suo corpo tra le braccia ed avvicinandola ancora a me, stringendola ancora.

Cazzo, quanto mi ero rincretinito per una donna, per uno scricciolo quasi invisibile. Ero fottuto, semplicemente. Perché non sarei mai riuscito a togliermela dalla mente completamente, lo capii in quel momento, con il viso tra le sue mani e le sue gambe allacciate ai miei fianchi. Capii quanto fossi fregato quando pronunciò il mio nome mentre scendevo con le labbra sul suo collo, sulle clavicole lasciate scoperte dalla maglia, perché sapevo che non avrei potuto più fare a meno di un suono simile, pronunciato da lei, da quella voce.

Ma soprattutto lo capii quando mi fermò e respirò a fondo prima di cercare i miei occhi e quando la vidi sorridere, ma sorridere davvero, come non aveva mai fatto con me. Un sorriso che, finalmente, le occupò gli occhi, quei pozzi che tornarono a brillare e che erano rivolti a me e a me soltanto.

Ed io, da perfetto idiota, mi ritrovai senza avere la più pallida idea di come comportarmi davanti a quella meraviglia.

Finirò al manicomio per colpa tua”, le feci notare, rispondendo a quel suo sorriso. “Mi avrai sulla coscienza”.

Penso che correrò il rischio”, ribatté, ridendo e tornando a giocare con i miei capelli alla base della nuca, facendomi sospirare. Quelle sue mani erano una libidine.

Mi persi l’ennesima volta a fissarla, a studiare lei e la sua espressione, quel mezzo sorriso che sembrava non volersene andare da quelle labbra, quelle maledette labbra che erano una tentazione continua, una tortura. Mi persi e basta, perché un labirinto sarebbe stato meno complicatone contorno di lei, sarebbe stato più facile liberarsene, avrebbe fatto meno male. Invece, avevo la sensazione che Maya avrebbe fatto male, in un modo o nell’altro avrebbe fatto male, e tanto. Ma se si trattava di viverla ancora, di conoscerla ancora… e di amarla ancora, avrei fatto quello ed altro. E già solo il fatto di rendermi conto di essere, in uno strano e stupido modo, innamorato di lei era come scavarsi la fosse con le mie stesse mani. E non sarei più riuscito a venirne fuori.

Dannazione, ero davvero fottuto!

 

Maya’s POV

 

Credo che abbiano firmato le carte del divorzio un weekend, quando avevo sei o sette anni e mio padre mi aveva lasciata alla vicina, una sua zia di secondo grado, forse. Ricordo che mi ha portato al parco poco distante da casa nostra per i due pomeriggi interi, perché Claudio mi ci portava di rado, e quando è tornato a casa, mio padre mi ha fatto dormire con lui”. Travis continuava ad osservarmi rapito, mentre mi esponevo a lui come non avevo mai fatto con nessun’altro. E lo stavo facendo con una semplicità tale da farmi venire le vertigini.

Mi aveva annientata con la stessa forza di un uragano, e sentirsi crollare addosso diciannove anni di vita aveva fatto davvero male, ma lui era rimasto. Nonostante tutte le cazzate che avevo fatto, nonostante tutto quello che avevo detto era rimasto. Era piombato a casa mia dal nulla, senza preavviso, aveva saltato gli allenamenti giornalieri ed era ancora lì, ad ascoltare il mio straparlare che sembrava non avere più fine.

Eravamo ancora a letto, dopo esserci lasciati andare per l’ennesima volta, coperti solamente dal lenzuolo, e nessuno dei due sembrava avere la minima intenzione di alzarsi ed andarsene.

Non mi aveva mai permesso di dormire con lui”, continuai, girandomi su un fianco e poggiando il gomito al materasso, con la testa sul palmo della mano. Travis, accanto a me, invece, non aveva smesso un momento di accarezzarmi un fianco ed ascoltarmi in religioso silenzio, con il viso voltato verso di me. “Perciò capii subito che qualcosa non andava. Ero una bambina, certo, ma conoscevo le espressioni sul volto di mio padre, quindi non ci misi molto a fare due più due”.

Una giovane Sherlock”, scherzò Travis, con un sorriso, guadagnandosi uno schiaffo leggero sul petto.

Elementare, Watson”, ribattei. “Comunque, non mi ha mai detto nulla, ma se continuo a pensarci è quella l’unica occasione possibile”, cominciai a tracciare le linee del tatuaggio di Travis con la mano libera, distrattamente, sfiorando di tanto in tanto la sua pelle. E il sorriso che cercò di trattenere, dopo un momento di esitazione, non mi passò inosservato.

Passarono alcuni istanti, con me impegnata ad osservare la mia mano ed il suo percorso e Travis impegnato a non distogliere gli occhi da me. E non era assillante come le volte precedenti, sapevo che mi stava studiando dal momento in cui mi ero risvegliata, ma la sensazione del suo sguardo su di me non era più la stesa. Era quasi piacevole.

Non me ne aveva mai parlato, Claudio, ma dopotutto non sapevo nemmeno della tua esistenza, qualche mese fa”, interruppe il silenzio, lui, ricominciando a far scorrere la sua mano sulla mia pelle. “Per questo, ringrazio tutte le cadute da sbadata davanti alle porte”, aggiunse, poi, ridendo e facendomi ricordare il nostro primo tragico incontro.

Sbadata io? Sei tu che sei entrato come una furia, superstar”, aggiunsi, infine, marcando quell’aggettivo che odiava, con un sorriso angelico sulle labbra. E in ricompensa ricevetti un pizzico non troppo gentile sul fianco, ma quell’occhiata divertita smorzava tutto quanto.

Poi, ancora con il sorriso sulle labbra, Travis si avvicinò leggermente, chiudendo gli occhi con un sospiro. La sua mano su di me cominciò a percorrere lentamente la schiena, facendomi rabbrividire, e se ne restò in silenzio.

Accoccolato in quel modo a me, mi sembrò un bambino un po’ troppo cresciuto. Forse quel bambino che aspettava la sera il ritorno del padre, con gli occhi serrati, ma comunque con le orecchie sempre sull’attenti.

Aveva fatto tanto per me e me ne stavo rendendo conto solamente in quel momento, con il silenzio che regnava sovrano, dopo aver passato ore a piangere e a rivangare il passato, ma mi aveva fatto bene, lo sentivo. Ed era frustrante rendersi conto di come, in parte, quell’uomo avesse sempre avuto ragione. Parlare del mio passato aveva alleggerito di quel poco che bastava il peso che continuavo a portarmi sullo stomaco e farlo con lui lo aveva reso meno difficile. Lo avrei dovuto ringraziare perché, dopotutto, se lo meritava, qualcosa da parte mia in segno di riconoscimento se lo meritava davvero.

Continuavo ad osservare ogni piccolo particolare del suo viso e mi rendevo conto che, qualcosa, stava cambiando. Aveva già cominciato tempo prima, ma ero stata talmente stupida e codarda da respingere il più piccolo cambiamento e da nascondermi come avevo sempre fatto. Ma se c’è una cosa che h imparato da mio padre è che, in ogni occasione, la cosa migliore da fare è rialzarsi e combattere per quello che ci sta più a cuore. E Travis, nonostante avessi provato qualunque cosa per evitarlo, lo era diventato davvero. Avevo cominciato a tenere a lui senza nemmeno accorgermene e, solamente in quel momento, mi rendevo conto di avere la verità stampata in faccia.

Sai, io…”, comincia, non sapendo bene da che parte cominciare. Perché, insomma, non era facile cambiare completamente rotta, non era facile mandare all’aria tutto quello che mi ero ripromessa di non fare, ma quando mi ero detta che in qualche modo dovevo ringraziarlo, mi ero decisa non tirarmi indietro. “Io, non…  oddio, non sono sicura di non volere quel qualcosa in più, adesso”. E quello era il mio modo di ringraziarlo: dargli una possibilità, provare a vivere quel qualcosa in più che mi aveva sempre spaventata e che continuava a spaventarmi, ma aveva fatto talmente tanto per me ed era stato talmente presente che, una semplice stretta di mano, sarebbe stata un insulto.

Lo vidi aprire gli occhi all’improvviso e cercare il mio sguardo. E fu quasi divertente la sua espressione, così sorpresa da sembrare irreale e leggermente spaventata. Sembrava essere diventato un tronco di legno, lui, per come si era irrigidito dopo aver compreso le mie parole, e in un certo senso mi spaventava quella sua reazione, mi mandava in confusione, perché non avevo idea di che cosa potesse significare.

Ecco, adesso mi fai paura”, dissi, cercando di nascondere una risata nervosa. “Questa non era la reazione che mi aspettavo, ma sono seria. Davvero, forse per una volta so cosa voglio, cioè smetterla di nascondermi da me stessa. E questo comprende anche te, soprattutto dopo quello che hai fatto per me, ieri sera”.

Maya, frena”, mi interruppe, lui, all’improvviso, facendomi andare ancora di più nel pallone perché, proprio nel momento in cui decidevo di essere sincera, lui non poteva saltare su dicendomi “frena”!

Non dire così solo per esserci stato, ieri sera”, cominciò, sorridendo appena. “Non voglio che ti senta in debito con me per qualsiasi motivo”.

Non mi sento in debito con te, Travis!”, esclamai, mettendomi seduta sul materasso, tirandomi dietro il lenzuolo. “Quello che è successo mi ha solamente aperto gli occhi e, per essere stato presente, ti ringrazio, ma non è per questo motivo che… che ti ho detto di volere qualcosa in più”, aggiunsi, infine, sentendo la voce mancare. Quella sua reazione mi aveva fatta vacillare, confondere ancora prima di rendermi conto di poter anche ricevere un rifiuto da parte sua. E dopo tutto gli sforzi fatti per buttare giù la mia corazza, probabilmente, non lo avrei sopportato.

Ehi”, cercò di attirare la mia attenzione, sedendosi al mio fianco e prendendomi il mento con una mano, facendo scontrare ancora una volta il suo sguardo con il mio. “Guardami”, disse piano. “Non credere che non ti voglia, perché non hai idea di quanto avrei dato per sentirti dire questo tempo fa, ma voglio che tu sia sicura delle tue scelte. Quindi, pensaci, non voglio farti fretta. Pensaci bene, ti prego, poi ne riparliamo, okay?”, mi chiese, infine, sorridendo più convinto.

Mi persi per un momento ad osservarlo, a studiare quei suoi occhi che parevano non volersi mai distaccare da me e, per un solo momento, pensai a cosa sarebbe successo se lì, proprio in quell’istante, mi fossi tirata indietro per l’ennesima volta. probabilmente, lui si sarebbe stancato davvero di me e mi avrebbe mandato al diavolo una volta per tutte, e mi resi conto di volere assolutamente una cosa simile, di non voler vederlo andare via da quell’appartamento non sapendo se fossi riuscita o meno a vederlo un’altra volta. Volevo lui, Travis, nonostante avessi una paura fottuta di tutte le possibili conseguenze, ma mi aveva fatta sentire tranquilla così tante volte che mi convinsi che ci sarebbe riuscito anche in quell’occasione.

Okay”, sospirai, cercando di sorridere. “Va bene”, aggiunsi, poi, poggiando la fronte sulla sua spalla.

Brava, piccola”, mormorò, mentre mi cingeva le spalle con un braccio e mi trascinava di peso con lui, ancora stesi sul letto. E mi bastò quello, un bacio tra i capelli e quell’insignificante, piccolo particolare che fu la sua mano, mentre mi tirava il lenzuolo fin sopra le spalle, coprendomi. Mi bastò lui, mentre ricominciò a coccolarmi leggermente, senza mai risultare troppo scontato o dolce.

Mi bastò Travis, con i suoi mille difetti, a scavarmi la pelle delicatamente, pian piano, a fondermi il cervello e a mandare a puttane ogni promessa che avevo fatto a me stessa perché, in altre occasioni, non mi sarei nemmeno disturbata a tirarlo indietro per un braccio, baciandolo e ringraziandolo per quello che aveva fatto per me, quando quella sera se ne andò dal mio appartamento.

Mi bastarono quei due giorni a farmi passare l’intera serata con un sorriso da idiota sulle labbra, a prendere il telefono in mano e scrivere un messaggio a mio padre perché, in un certo senso, per quella situazione dovevo qualcosa anche a lui.

 

Grazie per averglielo detto. Ti voglio bene, papà!

*****

Sarà che a Natale si è tutti più buoni, ma a me quest'atmosfera ha dato ispirazione.
Ho passato giorni a finire questo capitolo perchè DOVEVO finirlo. Per voi, ma soprattutto per me stessa perchè questi due mi sono mancati davvero tantissimo, non avete idea. 
Sono stata fin troppo occupata e questo è il risultato. Non darò date precise, non vi dirò quando aggiornerò perchè sono un'incognita e non mi sembra giusto propinarvi false speranze. Sappiate solo che non ho abbandonato questa storia e che non ho intenzione di farlo. Tengo troppo a tutto questo per lasciarlo in un angolo a prendere polvere.
Spero che voi stiate bene, comunque. Appena avrò un secondo, risponderò anche alle recensioni dello scorso capitolo! Nel frattempo, vi ringrazio di cuore per esserci ancora, anche voi che vi limitate a leggere!
Detto questo, Buon Natale, buone feste e felice anno nuovo.. buona vita, ve la meritate. Ce la meritiamo tutti quanti!

Chiara

P.S. Se volete, questo è il gruppo che ho creato su Facebook, per restare aggiornate sull'andamento della storia, per parlare, per conoscermi (se volete).. Born to Run

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