L'ODDissea - ossia del truzzo e di una sua giornata tipo

di The Odd Storyteller
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Del risveglio ***
Capitolo 2: *** Della riunione con i pari ***
Capitolo 3: *** Della partita al bar ***
Capitolo 4: *** Della casa di Sturbo ***
Capitolo 5: *** Del pranzo da McDonald's ***



Capitolo 1
*** Del risveglio ***


Capitolo 1: Del Risveglio

Buongiorno, cari (te)le(spe)tt(at)ori! Il nostro racconto comincia alle ore 7.09 del giorno xx/xx/20xx. Dirigendoci con molta cautela verso la stanza dove giace il nostro protagonista, e parlando a voce bassa (anzi, bassissima, mi raccomando!) possiamo vederlo addormentato sul suo letto in una posa talmente plastica da sfidare persino le leggi della geometria euclidea. Manca davvero poco al risveglio; ma lui non lo sa, continua placidamente a dormire con un rivolo di bava che cola dall’angolo della bocca curvata in un sorriso semi-ebete, perso in chissà quale sogno. Probabilmente uno molto bello, data l’espressione grottesca dell’intero suo viso – come sappiamo tutti, durante il sonno i maschi regrediscono a uno stato pre-Homo Sapiens o addirittura Neanderthalensis, collocabile forse ai primordi dell’Homo Erectus, al contrario delle donne il cui volto si fa sereno e angelico – e dalla già citata bocca sorridente; trattandosi però di un ragazzo adolescente dell’età di sedici anni e di conseguenza completamente assoggettato al più colossale cancan di ormoni che essere umano possa mai sperimentare, non credo di allontanarmi troppo dal vero ipotizzando un coinvolgimento di un qualsiasi esponente del sesso a lui opposto in un qualsiasi momento di un qualsiasi atto che la comprenda in una qualsiasi posizione in un qualsiasi stato diverso dal “totalmente vestita”. Insomma, avete capito.

"Driiiiiiiiin!!"

"Mmmmhhhhhhggggggrrrrrr…"

Ohibò! Ecco che la sveglia compie il suo dovere trillando allegramente per destare il nostro protagonista, il quale si lancia in un’invettiva dal contenuto non del tutto chiaro contro di essa; in questo caso, però, mi sento in dovere di solidarizzare con lui.

"Gionataaaaaan! Svegliatiiiiii!!"

Eccola! Restando attentamente in disparte, facciamo conoscenza della gentile genitrice del nostro protagonista. Protagonista che, come avrete intuito, ha un nome che potrebbe essere frutto della grande fantasia di una persona che si sia lanciata in spericolate sperimentazioni di stampo postmoderno. O, più semplicemente, di una persona stupida.

"GIONATAN!! ALZA QUEL TUO DANNATO CULO DAL LETTO!!!"

Credo che il lettore abbia ormai scelto quale delle due interpretazioni possibili sopraelencate sia anche la più probabile. Ma non lasciamoci distrarre dalla madre del protagonista! Possiamo infatti ammirare Gionatan (che, per carità di lingua, d’ora in poi mi obbligherò a chiamare Jonathan) mentre si lancia in uno sbadiglio così profondo che sembra voler ingoiare più aria possibile prima che finisca, talmente profondo che si provoca involontariamente un fastidioso crampo alla mascella.

"Awww!! Aaaaaaawwwwww!!"

Il dolore fortunatamente ha anche un effetto positivo, eliminando dal nostro eroe pressoché ogni residuo di sonno e desiderio di accoccolarsi sotto delle calde e comode e morbidissime coperte per tornare a dormire; eccolo mentre si siede e sbatte le ciglia con un’espressione che tradisce tutto il sonno che ancora lo opprime. Guarda la sveglia – 7.12 – e decide finalmente di appoggiare prima un piede poi l’altro per terra; ecco che finalmente si china in avanti, flette le gambe e suuuu!, si innalza in piedi pronto per una nuova giornata di grande fatica e profondo impegno; ed ecco che, appoggiando un piede davanti all’altro, si dirige verso il bagno e, raggiunta la tazza, vi si lascia andare a peso morto, abbassandosi nel frattempo pantaloni e mutande con un unico secco gesto che non sembrava decisamente in grado di fare, data la vitalità di un bradipo sciancato imbottito di valium; ed eccolo mentre si libera delle scorie che il suo corpo ha prodotto nelle ultime ore, con un’espressione ebete simile a quella notturna – espressione stranamente affezionata al suo viso – e vari rumori di sottofondo che lascio alla vostra immaginazione. Dopo un tempo ragionevolmente lungo il Nostro finisce l’evacuazione generale, agguanta senza guardare con la mano destra un po’ di carta igienica e la utilizza per il fine per cui è stata pensata nonché prodotta; si alza e gira la leva dello sciacquone, perdendo lo sguardo nella pinna marrone che affonda lentamente ma vorticosamente e inesorabilmente nel temibile Maelstrom che si è creato con l’azione della sua mano, sapendo cosa prova un demiurgo, in grado con il gesto di una mano tanto di creare quanto di distruggere.

Ma anche il demiurgo più potente si sporca le mani, ed essendo il nostro Johnny decisamente meno potente di molti altri demiurghi veri o immaginari, e anzi probabilmente ignorando persino il significato della parola “demiurgo” ammettendo pure che ne conosca l’esistenza, si vede costretto dalle circostanze e dal buon costume a lavarsi entrambe le estremità degli arti anteriori, per poi tuffare il suo viso in quelle stesse mani appena mondate da qualsiasi lordura umana e non, al fine di mondare pure quello usando quel derivato di grasso animale – spesso associato alla civiltà, nonostante lo utilizzassero i barbari galli ma non i colti e raffinati romani – noto alle masse con il termine di “sapone”. Terminato il processo immerge il suo viso questa volta in soffici panni asciutti, arrossandosi il viso e arruffandosi i pochi capelli ribelli che si rifiutano di adeguarsi alle regole del nero casco Lego di capelli che il Nostro mantiene sulla testa, e poi finalmente si dirige famelico verso l’oggetto dell’ultima necessità umana fondamentale per la sopravvivenza che ancora non ha soddisfatto, c’est à dire il cibo (naturalmente considerando come valida anche una soddisfazione di uno dei suddetti bisogni che sia solamente illusoria), pronto a ingollare qualsiasi cosa capiti nel raggio del suo sguardo e possa essere appetibile a un paffuto bambino particolarmente ingordo di zuccheri e grassi –  così come probabilmente ha stabilito la nostra evoluzione, essendo questo tipo di cibo particolarmente utile alla sopravvivenza in casi di scarsità di viveri; però l’evoluzione è tarata su un periodo ormai fortunatamente o sfortunatamente passato e lontano, e questo istinto si sta rivelando più che altro un poderoso alleato tanto dei capitalisti delle ditte di merendine quanto del sig. Diabete e della sig.ra Morte – e robe simili; apre la dispensa e si getta con il sempre presente sguardo ebete su ogni confezione di plastica a portata di zampa – che cambino colore o nome o quantità e tipo di ingredienti non fa alcuna differenza – per poi spalancare con un gesto trionfale il frigorifero talmente pieno che sembra voler sputare sul nostro eroe per fargli fare la stessa ingloriosa fine dell’Imperatore Barbarossa, e subito dopo abbrancare con decisione un bottiglione di Coca-Cola ancora sigillato.

Essendo finalmente entrato in possesso degli ingredienti fondamentali per una sana colazione vitaminica all’italo-americana, calcia vigorosamente una sedia e ci si lascia andare con la stessa eleganza di poco fa sulla tazza del suo bagno, chiudendo nel frattempo l’anta del frigorifero usandola come perno per sedersi – un’operazione che sembra aver richiesto diversi anni di pratica, data l’estrema fluidità del gesto nonostante l’evidente sua pericolosità – per potersi poi lanciare sul carburante che lo sosterrà nella impegnativa giornata odierna ma che probabilmente lo porterà anche più rapidamente all'incontro con la gentile sig.ra Morte, a cui già prima accennavo; carburante che viene divorato in modo rapido, efficace e famelico, tanto che in neanche due minuti giacciono sul tavolo i poveri resti degli involucri dilaniati come da una mina antiuomo e il bottiglione di Coca-Cola pieno solo a metà, mentre il Nostro è stravaccato in un momento di estatica e beata contemplazione dei santi e beati del Paradiso dei Lipidi, in cui scorrono fiumi di lardo fuso, piovono gocce di trigliceridi e crescono storti steli di grassi insaturi, manifestando la sua compiaciuta soddisfazione con un poderoso e possente rutto. È in questa condizione di beato trasporto che sua madre fa gentilmente irruzione dentro la cucina, e vedendo la sua indegna prole nello stato di cui sopra esplode in un impetuoso

"Ancora fai colazione con quella roba? Ma che cos’hai nel cervello, una scimmia ubriaca?"

a cui il nostro risponde con un prevedibile quanto poco furbo

"Se tu non le compravi non le mangiavo"

seguito da un ironico

"Cos’è, se ti compravo un pannolino con stronzo incluso ti mangiavi pure quello?"

al quale segue un temerario

"Nono lo lasciavo a voi…"

la cui ovvia risposta è un efficace ceffone portato con una precisione chirurgica sulla guancia destra con il dorso della mano destra, altro gesto che sembra avvenire abbastanza di frequente data la mirabile maestria con cui è stato compiuto.

"Non osare mangiare quella roba, capito stronzetto? Sennò vedi come ti concio"

ed è con questa battuta che esce di scena, varcando a passo di marcia l’uscio della cucina verso ignote faccende domestiche. Faccende che non ci riguardano, essendo il protagonista il nostro caro Jonathan; il quale, dopo essersi ripreso dal micidiale uppercut, sembra voler inviare telepaticamente alla madre una serie di improperi degni del sergente maggiore dei Marines di un certo vecchio film, anche se l’effettiva riuscita di un simile e portentoso evento sarebbe più che altro un pretesto per nuove e probabilmente letali odiate azioni di odiata ultra-violenza da parte dell’odiata genitrice.

Con un’espressione della faccia che urla tutto quello che la bocca si limita solo a borbottare, il Nostro procede dapprima a riposizionare il bottiglione nel luogo appropriato e poi a gettare nell’immondizia i residui del lauto banchetto, per poi dirigersi con passo altalenante verso il bagno, suo prossimo obiettivo, una volta raggiunto il quale acchiappa malamente lo spazzolino e dopo averne esageratamente coperto le setole con il dentifricio lo caccia con un impeto all’interno della sua cavità orale, cominciando poi a strofinarsi con foga i denti, utile a ripulirli da qualsiasi seppur minimo residuo di cibo oltre che a sfogar il montante nervosismo. Riesce per nostra fortuna in entrambi i suoi intenti, in particolare nel secondo e più indiretto; ma questo anche grazie al fatto di essere perfettamente consapevole di non stare preparandosi per la scuola, bensì per una giornata di fancazzismo più puro. L’idea lo esalta a tal punto che la bocca gli si allarga sempre più in un ghigno, malevolmente compiaciuto per la propria scaltrezza per un piano che aveva già applicato numerose volte in passato, ovvero scrivere qualche scusa a caso falsificando la firma della madre sul libretto; ed è con questi pensieri che il nostro si sveste del pigiama, per poi rivestirsi con degli indumenti che per una qualunque persona dotata non di buongusto, ma quantomeno non daltonica, parrebbero perlomeno bizzarri, ovvero: scarpe Adidas bianche senza lacci; calzini spaiati (uno verde a righe nere, uno rosso a righe azzurre); jeans larghissimi, con la vita talmente bassa da mostrare dieci centimetri buoni di boxer bianchi con la scritta ARMANI, così bassa nonostante una evidente e grossolana cintura che, oltre a essere palesemente falsa, evidentemente sembra non fare neanche bene il suo lavoro; maglietta rossa di D&G aderente fino all’inverosimile; e una felpa, un caleidoscopio di colori probabilmente in grado di far cadere per terra sbavando e mordendo nella foga di un attacco epilettico chiunque posi incautamente lo sguardo su di essa.

Una volta finita la solenne vestizione si controlla attentamente allo specchio, con uno sguardo che nelle sue intenzioni dovrebbe forse essere un incrocio tra quello di Jules mentre catechizza Brett e quello di Eric intento ad abbracciare Tin Tin – anche se il Nostro non ha la minima idea di chi essi siano – ma che di fatto finisce per offrire un'involontaria notevole interpretazione del parimenti a lui sconosciuto Frank-N-Furter; per poi passare a pose da macho degne di Rocky mentre prova i suoi nuovi regali.

Signori, ciascuno accresce la propria autostima nutrendo il proprio ego o, come direbbe qualcun altro, compiendo gesti o azioni che corrispondano al e fortifichino il proprio sé ideale: certo non possiamo biasimarlo! Inoltre, sfido chiunque di voi a negare di aver mai fatto una cosa del genere. Su, siate sinceri con voi stessi. Tra l’altro, va detto, queste sono osservazioni compiute nella più totale violazione della privacy, azione che non è proprio proprio buona e giusta.

Ma lasciamo da parte tali dissertazioni e torniamo al nostro eroe, che ha finalmente concluso di essere il più figo della città, acchiappa la maniglia e irrompe fuori dalla stanza aprendo la porta con quello che lui ritiene essere l’atteggiamento di puro stile gangster del ghetto; si dirige poi verso lo zaino, contenente tutto il necessario per affrontare la dura giornata, e cioè portafoglio pieno di soldi, pacchetti di sigarette, accendino, preservativi, iPod, cellulare, chiavi, occhiali da sole e libri...no, libri no...lo abbranca e se lo posiziona sulla spalla destra, proseguendo nella sua andatura ondeggiante verso il sempre più vicino uscio di casa, con lo stesso beato trasporto di una pia anima cristiana mentre attraversa i cancelli del Paradiso.



A.A.: Salve a tutti! In attesa di proseguire con la Commedia, vi pubblico il primo capitolo di questa storia. Se vi piace la manderò avanti!

Buon anno nuovo!

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Capitolo 2
*** Della riunione con i pari ***


Capitolo 2: Della riunione con i pari


E fu così che il nostro eroe riuscì finalmente a uscire dal proprio ghetto personale, alla ricerca di nuove ed entusiasmanti avventure; avventure che, qualunque esse siano, si trovano in molti luoghi tutti non coincidenti con la scuola.

'Ma chi me lo fa fare? Ma chi c'ha voglia?' Questo è quello che è passato nella testa del Nostro quando, questa mattina, si è svegliato – o meglio, quando ha preso pieno possesso delle sue facoltà mentali, che comunque essendo non eccelse non necessitano di un gran dispendio di energie o di tempo – e si è reso conto della giornata che lo aspettava; ma probabilmente è quanto è passato, passa e passerà nella testa di generazioni di giovani studenti alle prese con il medesimo problema ogni giorno, costretti in una routinaria prigione fatta di levatacce mattutine, viaggi troppo brevi, lezioni troppo lunghe, studi a intermittenza e occhiaie molto profonde. E chi può dar loro torto? Io no di certo; mantengo ancora freschi in memoria i ricordi del quel periodo. Ci sono tante persone invece che appartengono a quella ampia categoria di ex liceali che pensa alla Routine come al passato, dedicandovi ogni tanto uno sbiadito ricordo sul quale il tempo e l'esperienza hanno avuto il loro effetto distorcente, presentandolo come piacevole e nostalgica testimonianza di un periodo ormai svanito e mai più raggiungibile, certo condito da qualche preoccupazione ma tutto sommato piacevole.

Ma questo vuol solo dire che tante persone sbagliano. Non tanto nel considerare gli ultimi rantoli ribelli dell'adolescenza come un periodo piacevole, ma nel ritenere come di secondaria importanza tutti i problemi e i traumi incontrati in quel formidabile cimitero di menti chiamato scuola. Non è un caso se il nostro eroe rappresenta una eccezione che è sempre più norma: quanti adulti potrebbero mai accettare di rimanere per almeno cinque ore con la propria soffice estremità sempre più piatta e paralizzata su una scomoda sedia, avendo a disposizione meno spazio vitale di un carcerato, senza quasi poter muovere le gambe (ma questa è una questione di stazza), il tutto mentre una persona che se non incapace, frustrata o semplicemente ignorante ma probabilmente svogliata e sicuramente sottopagata cerca di convincerti o anche solo di illustrarti concetti che forse conosce, magari gli interessano ma difficilmente saranno utili a qualcosa di pratico? Zero. “Guardi signora suo figlio è svogliato, non è mai attento, non capisco proprio perché...” “Che sia un disturbo dell'attenzione?” “Un ADHD?” “Magari è autistico?” “Antisociale?”

No, cazzo, è annoiato!

Oh dannazione...sto divagando! Preso dalla foga mi sono lanciato in un'invettiva che poco ha a che fare con ciò in cui ero occupato prima, un atto imperdonabile: chiedo umilmente scusa. Tornando in tutta fretta al nostro eroe, lo scorgiamo mentre prosegue nella sua andatura ondeggiante verso luoghi a noi ignoti; sembra che fortunatamente durante il nostro excursus non abbia compiuto dei grandi progressi, a parte camminare diritto senza deviazioni per la sua strada, disinteressato alla carrellata di cancelli di case e negozi che sembrano sfilare a fianco a lui come modelle in passerella. D'un tratto si ferma: tiene lo sguardo fisso per terra ma perso nel vuoto, come se fosse terribilmente concentrato, mentre allunga la mano sinistra verso lo zaino appeso alla spalla destra, apre la zip e si mette a frugare come un forsennato alla ricerca di qualcosa che evidentemente è di vitale importanza, come un anziano miope alla ricerca delle lenti perdute, come un cliente in fila alla cassa del supermercato che cerca disperatamente spiccioli mentre i clienti dietro sbuffano impazienti e la cassiera mastica svogliatamente la gomma; e come questo estrae trionfante un nichelino dal portafoglio e lo porge vittorioso alla commessa, così il nostro toglie il suo cellulare, novello Artù che tiene in mano per la prima volta la sua Excalibur; senza perdere ulteriore tempo comincia a battere sulla tastiera veloce come una sventagliata di mitragliatrice, anche se il suo obiettivo non è uccidere il vietcong nascosto tra le fronde ma avvisare un suo amico del proprio piano per la giornata, invitandolo a condividere scorrerie e gozzoviglie. Ripone il cellulare nella tasca destra e riprende il proprio viaggio, attendendo una risposta che arriva tre passi dopo, provocandogli una vibrazione nei pantaloni che il nostro accoglie con un sorriso veramente molto equivocabile; si ferma di nuovo, riabbranca il cellulare e chiude a fessura gli occhi, con una espressione involontariamente molto buffa, nel tentativo di decifrare il minuscolo carattere del suo cellulare onde essere informato della risposta dell'amico; dopo esservi infine riuscito, le sue sopracciglia prima aggrottate si rilassano in un sorriso, esclamando a mezza voce

"Ahah bella zio!"

chiaramente rivolgendosi non a un suo parente ma al suo sopracitato amico e guadagnandosi la momentanea attenzione di un passante, che decide subito che il disturbo della quiete non è foriero di alcuna informazione utile o anche solo interessante; opinione che noi abbiamo di lui, dato che noi stiamo seguendo il nostro eroe Jonathan il quale, avendo riposto il cellulare in tasca, si avvia verso la sua meta con un'andatura più spedita rispetto a prima, essendo ora a conoscenza del luogo verso cui si sta dirigendo. Lo seguiamo mentre cammina sotto un plumbeo cielo tipico del marzo ancora troppo giovane e aggrappato al gelo invernale, mentre per la prima volta prende una svolta, girando a sinistra in una via indistinguibile dalla precedente, piena di spazzatura sui marciapiedi, macchine in sosta vietata, persone che camminano frettolosamente e grigi caseggiati, con una colonna sonora composta dagli altrettanto grigi suoni e rumori della città; ma lui non si preoccupa, immerso nei suoi pensieri ed elucubrazioni proiettati in luoghi e momenti diversi da quelli, e prosegue diritto, verso un attraversamento pedonale. Alza lo sguardo, vede che il semaforo è ancora rosso per i pedoni, quindi eccolo mentre si fer...e invece no! Prosegue ignorando il divieto e...

SKKREEEEEEECHH!

Una macchina ha inchiodato proprio davanti al nostro eroe, evitando per un pelo un incidente probabilmente fatale! L'automobilista urla con la testa fuori dal finestrino

"Coglione!! Ma che cazzo fai?!"

Gli risponde il nostro, con gli occhi spalancati da tanta foga

"Ooooh sciallo zio! Sta' calmo..."

L'altro, visibilmente scosso e arrabbiato, grida

"Ti stavo per investire cazzo!"

Il Nostro neanche risponde, proseguendo per la sua strada con la stessa calma andatura ondeggiante di prima, e non nota nemmeno che l'automobilista riparte sgommando e imprecando contro di lui e contro altre entità un po' più potenti e oserei dire anche pericolose. Tranquillo e sereno, permane nel suo stato di moto, come un asteroide che viaggia solitario nello spazio sidereo; la monotonia della camminata è rotta soltanto dai pensieri del nostro eroe, o meglio dalle loro manifestazioni sul suo viso in forma di ghigni e di altre grottesche espressioni.

Nonostante spesso si senta il desiderio di entrare nella mente di una persona, e nonostante ancora più spesso si sentano altre persone giurare di voler dare qualsiasi cosa pur di entrare nella mente di un'altra persona, io sono abbastanza sicuro di non voler fare nulla di simile con il nostro eroe. Sicuramente perché ciò consisterebbe in una violazione della privacy decisamente grave, poiché non c'è nulla di più privato dei propri pensieri; poi, perché dubito di trovare un qualsiasi elemento che sia anche di pur minimo interesse, anzi sono abbastanza convinto che cercare qualcosa di rilevante nella mente del Nostro sia paragonabile alla fanciullesca illusione di trovare i resti di Atlantide nella propria vasca da bagno o nella ciotola del cane; infine, dettaglio non trascurabile, io sono l'autore e come tale so esattamente cosa succede e succederà.

Ma non importa! Tralasciando queste considerazioni, possiamo notare ancora Jonathan mentre segue la strada, la quale tende parzialmente a sinistra, per poi lanciarsi in un ampio sorriso appena scorge sull'altro lato della strada due persone che, già da questa distanza, notiamo essere abbigliate in un modo riconducibile al suo e avere singolari capigliature con un aperto disprezzo per la legge di gravitazione universale; ergo probabilmente appartengono a quella che volgarmente potremmo definire la sua “compagnia”. Chiaramente in questa storia non c'è nessun anello da distruggere rischiando la propria vita contro feroci orchi, crudeli nazgûl e vari supercattivi coi controcoglioni: “compagnia” è un termine usato per indicare un gruppo di persone, aventi età, ideali ed estrazione sociale simili, che trascorrono insieme la maggior parte del loro tempo, sia libero che non. In questo caso specifico è tuttavia azzardato parlare di “ideali”, poiché si finirebbe con l'attribuire ai membri della Compagnia – termine che d'ora in poi utilizzerò per indicare quella del nostro eroe – delle risorse intellettive probabilmente eccessive, e ci si manterrebbe forse più aderenti alla realtà parlando invece di “generale e condivisa mancanza di una visione volontaria e specifica della realtà”, ossia di una tendenza dei membri a non porsi domande esistenziali particolarmente degne di nota, ma piuttosto a rimanere legati a una concezione di “qui e ora” ben lontana dal campo di ragionamento logico tipico degli esseri umani, che sono in grado di riflettere, porsi delle domande e fissarsi degli scopi in una dimensione che consideri passato, presente e futuro su ciò che sono, chi sta accanto a loro e ciò che li circonda.

Ma il nostro Jonathan non può sentirci, e comunque se anche avesse potuto farlo si sarebbe probabilmente fermato con lo sguardo fisso negli occhi del suo interlocutore, perso nel vuoto cosmico celato dietro le nere pupille e immerso in un limbo di inconsapevolezza, quindi si avvicina sempre di più ai suoi due amici, che lo hanno oramai avvistato e lo rendono consapevole di ciò con un lieve cenno verso l'alto del capo in segno di saluto, e con un abbozzo di sorriso con sopracciglia inarcate con atteggiamento da duro, cercando di ottenere uno sguardo scevro da qualsiasi contaminazione di femminea debolezza, ma ottenendo piuttosto una sottilmente ironica parodia dello stesso; attraversa la strada totalmente disinteressato ai pericoli derivanti da tale gesto, esattamente come poco prima all'attraversamento pedonale, anche se per sua fortuna questa volta non c'è nessuna automobile pronta a stirarlo come una pizza, e raggiunge i due compari, atteggiando le sue labbra in un sorriso simile al loro, mentre si stringono/battono/? la mano in un complicato rito misterico accessibile solamente agli iniziati della loro elitaria setta, che non è un semplice saluto bensì un simbolo che rafforza il legame reciproco, un atto simbolico paragonabile all'investitura ai tempi di Carlo Magno  e del Sacro Romano Impero, privo però della componente di sudditanza in favore di una dichiarazione di rapporto paritario e squisitamente cameratesco.

"Bella Sturbo!"

"Bella Johnny"

"Bella Chicco!"

Tali i nomi in codice dei tre, nomignoli che derivano spesso dalla semplice abbreviazione del nome o del cognome, ma che talvolta possono affondare la loro origine in eventi che vedono il loro portatore coinvolto in qualsiasi maniera o grado e che spesso però contemporaneamente sono avvolti nella fitta nebbia dell'oblio, in modo che l'appellativo sembri affibbiato in modo arbitrario, risultando quindi anche alquanto bizzarro o perlomeno curioso.

Sturbo parla per primo:

S. "Oh cazzo Gionni c'hai avuto un'idea..."

Gionni: "Eh lo so..."

Chicco: "Eh sì è vero"

J. "...Eh zio cioè stamattina zero sbatta poi mia ma' ha iniziato...

S. "Uuuuhh la mamma di Gionni!!"

C: "Ahahah!"

Sembra che la gentile genitrice del Nostro riscuota un certo successo tra i suoi amici.

J: "...che cazzo vuoi? Mia ma' ha iniziato a rompere le balle e già c'era poca sbatta poi cazzo se mi rompi le balle col cazzo che vado pure a scuola..."

S. "La maiala di tua madre..."

C. "Ahahah!!"

Sembra che la gentile genitrice del Nostro sia oggetto di singolari attenzioni da parte dei suoi amici.

J. "...oooh ma cazzo vuoi eh?"

S. "Voglio farmela vabbene?"

J. "Eh fattela allora zio ma sta' attento che è lei che ti si incula..."

S. "Hahaa! Cioè ma davvero zio? Davvero potrei..."

J. "E che cazzo mi frega? Cioè...

S. "Zio va' che tua madre è lercia! Cioè da sturbo...!"

J. "Ma piantala..."

S. "Sì cioè due pere così!"

C. "Haaahahah..."

Attenzioni morbose, sembra.

J. "Piantala!"

S. "Ma m'hai detto che potevo farmela!"

J. "E sì ma ora basta però eh?"

S. "Ooh calmo!"

J. "Va bene"

S. "Che si fa allora?"

J. "Ma non so voi dove volete andare?"

C. "È uguale"

S. "Boh non so"

J. "Vabbè zio ci facciamo un giro"

S. "Ok"

C. "Sì"

J. "Ma prima dove passiamo?"

S. "Ma non so..."

J. "Ma zio dimmi una cosa tanto è uguale"

S. "Al bar"

C. "Al bar!"

J. "Va bene, andiamo".

I tre si incamminano verso la loro nuova destinazione, la quale si trova dalla parte opposta rispetto a quella da cui siamo arrivati seguendo John, senza tuttavia interrompere l'avvincente dibattito.

"Ué però..." cominciò Sturbo.

"'sa c'è?" rispose Jon.

S. "...eh tua madre è prop..."

J. "Ma la vuoi finire? Hai rotto"

S. "Ooh calmo eh! Solo dammi il suo numero"

J. “Il suo numero?"

S. "Eh"

J. "Ma sei pirla?"

S. "Ooh che cazzo vuoi zio voglio solo il numero"

J. "E che cazzo te ne fai?"

S. "Boh la chiamo"

J. "E che gli dici?"

S. "Che me la faccio"

J. "Seeee non c'hai le palle"

S. "Vuoi vedere?"

J. "No"

S. "Guarda che lo faccio"

J. "Non hai ancora il numero"

S. "Dammelo che lo faccio"

J. "No"

S. "Perché no?"

J. "Perché no! Cioè mia madre? Ma dai!"

S. "Si! Magari ci sta"

J. "Ma vaffanculo"

S. "Cos'è sei geloso?"

J. "Eh?"

S. "Sei geloso?"

J. "Ma che cazzo dici?"

S. "Sei geloso che potrei essere il tuo paparino?"

Devo ammettere che questa era crudele.

J. "Ma ammazzati"

S. "Ma ammazzati tu!"

J. "Tua madre"

S. "Stavamo parlando della tua"

J. "Era un insulto"

S. "Ma crepa!"

J. "Tua madre"

S. "Mabbafangulo!"

J. "E ora basta"

Comincio a non capire...

S. "Ma prima dicevi che potevo farmela"

J. "E ora ti dico vaffanculo"

S. "Vabbè prima o poi me la faccio"

J. "Cazzi tuoi..."

S. "Almeno io mi do da fare? Tu invece con la tua tipa?"

J. "Mmmhh..."

S. “Eh?”

J. “Lascia perdere...”

S. "Aaaah ho capito! Non te l'ha ancora data!"

J. "Fatti i cazzi tuoi"

S. "Non te l'ha ancora data!"

J. "è che..." esitò.

S. "Ti ha fatto una sega?"

Oddio, scusatemi...scusate davvero per questi termini così volgari...

J. "Sì"

S. "Beh è il minimo...e quando te la dà?"

J. "Macchennesò..."

Però se chiamate il MOIGE giuro che vi perseguiterò!

S. "Che stronza"

J. "Sì è vero"

S. "Ma perché?"

J. "Eh boh zio dice che non gli va...cioè quando siamo lì e stiamo quasi per farlo si ferma e dice “basta così” ma non dice mai perché capito? Cioè non so perché non lo vuole dire..."

S. "Che stronza"

J. "Si è una rottura di coglioni...davvero zio dopo un po' ti scazza, cioè voglio dire se non vuoi farlo almeno dimmi perché, cazzo"

S. "E zio chiedigli perché non vuole"

J. "Ho provato ma boh...cioè boh dice cose così, tipo scuse...boh"

S. "Che stronza..."

A questo punto i tre smettono di parlare; o meglio, i due dei tre che stavano parlando, dato che il terzo componente del gruppo fino ad ora ha camminato silenziosamente alle spalle dei due interlocutori, limitandosi a girare la testa verso chi parlava come uno spettatore a una partita di tennis; non è molto chiaro perché non abbia aperto bocca nei minuti scorsi, anche se dal comportamento sembra trattarsi del classico sottoposto del branco che pende dalle labbra del leader, ascoltandone le sagge parole in religiosa soggezione; certo potrebbe anche darsi, in alternativa, che sia rimasto in silenzio perché disinteressato alla vexata quaestio della madre del Nostro e immerso in una profonda riflessione personale – come spesso capita, la persona che parla di meno è anche quella che dice le cose più intelligenti e interessanti – ma ciò è improbabile. La prima interpretazione è inoltre corroborata dal comportamento del “leader”, che è palesemente atteggiato a dominatore con il suo sottoposto, come si evince da diversi particolari: il camminare davanti a lui, il quasi completo disinteresse unito alla malcelata soddisfazione per la muta adorazione; sembra quasi di vedere l'abnorme quantità di serotonina prodotta dal suo cervello, come in quello di ogni scimmia capobranco che si rispetti.

Ma ecco che ci ritroviamo insieme ai tre innanzi all'ingresso di quello che sembra essere il loro punto di ritrovo abituale, a giudicare dalla rapidità con cui ci sono arrivati e dall'assenza di esitazioni lungo il tragitto; ingresso che viene varcato dopo che Sturbo ha energicamente aperto la porta.








A.A.: Salve a tutti! Ecco il secondo capitolo della saga del nostro amico Johnny. Saga che si fa sempre più avvincente e, ahimé, volgare - ma d'altronde non ci si può aspettare molto altro da dei sedicenni. Truzzi, tra l'altro.

Sono stato abbastanza veloce con questo secondo capitolo: ma non aspettatevi granché, ci metterò un po' a completare gli altri. Non so quando riuscirò ad aggiornare! Magari una settimana, magari un mese, magari nella mia prossima vita...no beh mi auguro prima di allora.

Ne approfitto per ringraziare tutti i miei lettori, quelli che mi fanno sapere cosa pensano e quelli che non lo fanno! Mi raccomando, recensite numerosi!

Odd

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Capitolo 3
*** Della partita al bar ***


Capitolo 3 - Della Partita al Bar

Capitolo 3: Della Partita al Bar

Ed eccoli all'interno del bar, in cui regna una tiepida e accogliente atmosfera in grado di riscaldare corpi e menti e aleggia un piacevole profumo di pane e brioche appena sfornate. Dando una rapida occhiata intorno, notiamo che il luogo non è adibito solamente a bar: oltre al bancone, ai tavoli e alle sedie e al televisore con schermo piatto dalle dimensioni ragguardevoli c'è un corridoio che porta verso un locale dove si intravedono ragazzi seduti, chini sui libri, assorti nella lettura o intenti a scrivere appunti, in una pacifica atmosfera di rispettoso silenzio. Purtroppo i Nostri non hanno alcuna intenzione di unirsi a essi per una invidiabile esperienza di accrescimento culturale, anzi non guardano neanche per sbaglio gli infaticabili studiosi puntando all'istante verso la zona bar, che è semideserta con l'eccezione di un corpulento barista pelato intento a strofinare un bicchiere e di due uomini seduti a un tavolo con il viso contratto dall'attenzione e lo sguardo fisso nello schermo del televisore.

"Ciao ragazzi!" li accoglie il barista.

"Bella Lello!" lo salutano quasi i tre quasi in coro.

"Cosa vi porto?"

"Mah io...vabbè...una Red Bull" bofonchia Johnny.

"Red Bull anch'io e...quello" risponde a sua volta Sturbo indicando un panino con la cotoletta.

"Per me M&M's" bisbiglia Chicco.

"Ok...ok...cosa?" chiede Lello.

"M&M's" ripete Chicco alzando la voce, gli occhi fissi per terra.

"Va bene...sedetevi pure, ragazzi, ve la porto io la roba" dice Lello mentre infila il panino nel microonde e i tre prendono comodamente posto attorno a uno spartano tavolo metallico.

"Ok! Ooh Lello! Hai visto il Milan, ieri?" chiede Sturbo.

L. "Sì certo"

J. "Ha giocato di merda"

S. "Però ha vinto"

J. "Sì ma ha giocato di merda!"

S. "E vabbè ma capita..."

J. "Però Balotelli ha giocato bene"

S. "Figa! Balotelli ha giocato da sturbo...cazzo il gol che ha fatto..."

J. "Cazzo! Cioè c'erano due difensori che manco hanno visto la palla...cioè cazzo ha fatto un numero che se li è ciulati entrambi..."

S. "Hai visto la partita?"

J. "Sì certo"

S. "Ah io no"

J. "Come no? Non avevi visto il gol?"

S. "Sì li ho visti dopo la partita"

J. "Ma la partita no?"

S. "No zio ero con la mia tipa..."

J. "Aah capito..."

"Hey ragazzi" interviene Lello, appoggiando sul tavolo vivande e bevande "se volete metto su Sky, fanno la partita..."

S. "Quella di ieri?"

L. "Sì, Milan-Marsiglia due a zero di ieri"

S. "Woo bella! Così me la guardo"

J. "Bella Lello!"

L. "Di niente, ragazzi..." dice Lello mentre torna al banco

J. "Hey e il mio panino?"

L. "Sta in forno! Quando è pronto te lo porto, tranquillo"

J. "Bella!"

E a questo punto i tre cedono la parola alla televisione: lo schermo ha catturato l'attenzione dei presenti, gli occhi dei quali sono come incollati a quella piccola lente distorcente sulla realtà, la cui attrazione fatale è in azione con lo straordinario potere ipnotico del calcio, lo sport sicuramente più celebre e seguito nel mondo intero nonché nella nostra patria.

Ma perché? Perché, mi chiedo, il calcio è lo sport più seguito in Italia? Ho cercato a lungo la risposta a questo quesito – in realtà non molto a lungo, ho cose più importanti da fare – e ho evidenziato un elemento in particolare che distingue il calcio dagli altri sport: la semplicità, sia delle regole sia della pratica. Vince chi segna più punti, i punti si segnano quando la palla entra nella porta avversaria, ma non si possono usare le mani. Aggiungeteci le regole secondarie, come gli undici partecipanti, il fuorigioco, stabilire quando la palla viene considerata fuori dal campo o oltre la linea di porta, il rigore, e avrai lo sport più elementare sulla faccia della Terra. Inoltre è facilmente giocabile, dato che, usando un minimo di fantasia, si possono ricavare le porte e la palla di gioco da quasi qualsiasi oggetto.

Prendiamo come esempio un altro sport, a mio parere molto più eccitante ma decisamente meno diffuso: il basket. Già abbiamo un aumento delle regole: oltre a quelle di base – si segna facendo entrare la palla nel canestro, non si tocca la palla con i piedi – ci sono molte più regole secondarie: non puoi fare più di due passi con la palla in mano; non puoi palleggiare con due mani; non puoi rimetterti a palleggiare dopo che hai già palleggiato e ti sei fermato; dopo la rimessa dal fondo devi superare la metà campo in otto secondi e dopo averlo fatto non puoi più tornare nella tua metà campo; la rimessa laterale va effettuata entro cinque secondi; non si può sostare più di tre secondi nel pitturato avversario; non puoi bloccare la palla in parabola discendente; i canestri valgono due punti, tre se tiri fuori dalla linea dei 6,25m e uno nei tiri liberi; le azioni non durano più di ventiquattro secondi. E queste non sono nemmeno tutte! Riguardo la sua praticabilità, poi, siamo costretti ancora ad ammettere una maggiore difficoltà rispetto al calcio: serve un canestro, o qualcosa di simile, posto a una certa altezza, e serve una palla che rimbalzi.

Se prendete in considerazione qualunque altro sport sarete costretti ad ammettere che esso sarà più complicato del calcio in almeno uno dei due punti sopra descritti.

Che la semplicità del calcio sia anche la chiave del suo successo? Io sono convinto che contribuisca in larga parte, assieme naturalmente al potere mediatico di cui gode, grazie a una quasi eterna presenza sulla maggior parte dei canali d'informazione più diffusi; potere mediatico che, però, non è semplice causa ma anche sintomo del fenomeno, così come accade ogni volta che la diffusione di una moda alimenta sé stessa semplicemente con la propria presenza.

Del potere dei media e delle caratteristiche delle mode potremmo andare avanti a parlarne per ore, se non giorni; ma non è questo l'argomento della nostra indagine. È Jonathan il nostro protagonista! E in questo momento egli è seduto sulla sua sedia, sorseggiando di tanto in tanto la sua bibita e seguendo con somma attenzione la partita, che tra l'altro ha già visto, stando alle sue parole. In questo caso l'ipotesi che vuole che la durata dell'attenzione selettiva decada rapidamente con il tempo sembra andare a sbattere conto il palo dell'evidenza, in quanto il nostro eroe non sembra perdere un singolo dettaglio nonostante siano passati già quindici minuti dal fischio d'inizio. E i suoi compagni sembrano comportarsi allo stesso mod...

“Ooohh!” “Ma che cazzo...?” “EEEH?”

Le concitate voci degli spettatori si sovrappongono in un'armoniosa manifestazione di contrariato stupore: sembra che sia accaduto qualcosa non di loro gradimento.

S. “Arbitro coglione!”

Chissà perché avevo il sospetto che il responsabile dell'ignobile misfatto fosse proprio lui.

J. “Figa ha fatto un fallo della Madonna...”

La Madonna gioca a calcio? Me l'ero persa.

S. “Ma ci vedi, arbitro di 'sto cazzo? Ma cazzo gli ha segato le gambe!”

J. “Sì infatti! Cazzo era da giallo”

Grazie al replay abbiamo modo di rivedere l'azione incriminata: un lentissimo Balotelli cerca di allungare la palla oltre il suo marcatore, il quale però allunga il piede appena in tempo per deviare la sfera facendo al contempo inciampare l'avversario, che cade con il viso contratto in un'espressione di autentica sofferenza a causa dell'improvviso sollevamento dei propri piedi dovuto a una misteriosa forza invisibile che gli fa perdere l'equilibrio.

“Ma si è buttato!”

I due sollevano uno sguardo omicida verso lo sventurato che ha avuto l'ardire di intervenire, uno dei due sconosciuti che assistono lì vicino.

S. “Che cazzo dici? Minchia da espulsione era!”

Espulsione, multa, squalifica a vita, arresti domiciliari, detenzione in carcere, ergastolo, forca, damnatio memoriae! Ecco quel che ci vuole.

J. “Ma hai visto? Era fallo!”

No, si è palesemente tuffato. È questo che fanno i calciatori: si tuffano nel verde mare del campo di calcio novanta minuti a settimana per tuffarsi nel verde mare dei soldi per il resto della vita. Ah, il duro lavoro del calciatore.

“Macché fallo? Sì è tuffato, dai!”

J. “Ma vaffanculo! Oh ha rischiato di farsi male!”

“Mavà, mavà...”

I due difensori della povera vittima schizzano in piedi con uno stridore di sedie metalliche.

“Oooh ragazzi” alza la voce Lello da dietro il bancone “calmi, eh? Niente risse qui dentro”

“Sì, sta' tranquillo Lello...” risponde rilassato Sturbo, che si siede con tutta calma e afferra il suo panino ormai freddo.

“Coglione...” borbotta controvoglia Jonathan lasciandosi andare sulla sedia.

S. “Dai sta' bbono! Tanto il Milan vince”

J. “C'hai ragione anche tu...”

Detto questo nel bar ritorna il silenzio che aveva preceduto la tempesta, interrotto solamente dagli occasionali commenti degli spettatori e dalle esultanze in corrispondenza dei gol, e dalla breve pausa tra primo e secondo tempo. I novanta minuti passano molto lentamente, in quanto la partita è particolarmente noiosa – come dicevo, reputo decisamente più interessante il basket – e priva di emozioni. Finalmente giunge il termine, e i tre decidono di alzarsi per lasciare quel luogo.

L. “Dunque...sono cinque euro per il panino, due e cinquanta per la RedBull e un euro per gli M&M's”

Una volta finita la danza delle monetine i tre lasciano finalmente il bancone salutando Lello, e si avvicinano alla porta d'uscita.

Ma ora, un piccolo break! Ci vediamo tra poco!




- BREAK -

Anziana signora ben vestita e seduta su un divano: “Salve! Vi do il benvenuto al primo break di questa storia. Io sono Madame Poux-Poux, e sono...”

Voce dal pubblico: “Madame come?!”

“Ho detto Madame Poux-Poux, signorino.”

“Mi prende in giro?”

“No, signorino, ma se continua così sarà la sicurezza a prenderla e a gettarla in un posto che dubito troverà piacevole. Ha altre domande da fare?”

“N-no, scusi.”

“Benissimo. Dicevo, benvenuti al primo break di questa storia. 'Che cos'è un break?', vi state chiedendo. I break sono una geniale invenzione dell'Autore per coprire quei momenti della narrazione in cui non sa cosa scriv...”

“Ma no, mannaggia, non doveva dire così”

“Pardon? Cosa ha detto, Signor Gobbo?”

“Ho detto che non doveva dire quello! Doveva dire che è una 'pausa per fare riposare il pubblico' eccetera eccetera!”

“Oh, che sbadata...dunque, dimenticate ciò che ho detto: questo break è pensato per concedere al gentile pubblico di questa sublime opera un momento per riposarsi, andare a prendere da bere, controllare la mail e via dicendo. Inoltre, dato che l'Autore è un comunista anticapitalista spietatamente avverso alle pubblicità, sono qui anche per informarvi della presenza di altre storie scritte dal Sommo e per invitarvi a leggerle!”

“Boo, abbasso” “Basta pubblicità!” “Ho smesso di guardare la tv per non guardare la pubblicità, non voglio trovarmela anche qui!” “Buffone!” “Al Sommo io dico 'suca'!” “All'Autore un autorevole 'vaffanculo'!”

“Signori! Un minimo di contegno! Era un semplice e inoffensivo spot! Se non vi piace vi basta saltare qualche riga, però sappiate che così vi perderete anche l'opportunità di partecipare al nostro speciale spazio-proposte.”

“Spazio proposte? E che è?”

“Vedo che ho ricatturato la vostra attenzione e me ne compiaccio. Dunque, lo spazio-proposte, come è intuibile...o almeno lo è da persone semidotate...è un'opportunità che diamo agli spettatori di avanzare richieste sul futuro svolgimento della trama...”

“Richieste? Del tipo?”

“Del tipo che se lei per caso è interessato a introdurre un particolare elemento all'interno della storia può avanzare delle proposte in questa occasione.”

“Tipo un po' di sesso?”

“Ero sicura che qualcuno lo avrebbe detto. Sì, era esattamente quello che intendevo. Dunque, uno spettatore propone “un po' di sesso”. Altre idee?”

“Azione!” “Sesso per me va bene” “Vogliamo un po' di sangue!” “Sesso, sesso!” “Suspence! Manca di suspence!” “Altro sesso!”

“La vostra fantasia mi meraviglia. Dunque, sembra che il sesso riscuota molto successo...oh, chiedo scusa per la rima...e poi mi sembra di aver capito anche “sangue” e “suspence”. Vado errata?

Il pubblico intero scuote vigorosamente la testa.

“Molto bene, dunque le proposte sono “sesso”, “sangue” e “suspence”. Vedrò di informare l'Autore di queste tre simpatiche s.”

“Evvai! Un po' di sesso!”

“Conteniamoci, prego...ho detto che l'Autore sarà informato delle proposte, non che le accetterà di sicuro...”

Il pubblico borbotta contrariato.

“Mi spiace, ma non posso assicurarvi nulla. Ma...ohibò! Mi accorgo ora che il nostro tempo è scaduto; devo restituire la parola. Vi saluto, cari lettori! Buona continuazione!”

- FINE DEL BREAK -




Grazie, Madame. Salve, pubblico! Siete rilassati? Non vi preoccupate, non vi siete persi granché. I tre infatti hanno quasi raggiunto l'abitazione di Sturbo, dopo aver passato tutto il tragitto a parlare di cose relativamente inutili e poco interessanti.

S. “Allora me lo dai il numero di tua madre?”

Ecco, appunto.

J. “NO!”

S. “Sei un bastardo...”

Detto questo, spalanca con un calcio la porta del suo palazzo.




A.A.: Salve a tutti e benvenuti al terzo capitolo della storia di Johnny, in cui i tre amici passano una eccitante mattinata a guardare una interessantissima partita di calcio.

Ringrazio tutti i lettori e i recensori e vi do appuntamento al prossimo aggiornamento (che non so quando sarà)! 

Odd

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Capitolo 4
*** Della casa di Sturbo ***


Della casa di Sturbo

Capitolo 4: Della casa di Sturbo


I tre superamici best friend 4ever <3 – 'mazza quanto so' ironico! – salgono tumultuosamente le scale.

“Woo! Bella Chicco! 'Nnamo!”

Ehi! Ma che maniere...! Un po' di rispetto per i nostri esperti! L'urlo a pieni polmoni di Sturbo mi ha colto totalmente alla sprovvista: non sembra esserci nessuna motivazione dietro a tale gesto, o almeno una motivazione evidente; forse ha semplicemente delle difficoltà a trattenere i propri impulsi primordiali. A questo punto mi domando cosa farebbe davanti a una potenziale partner sessuale.

“Dove cazzo ho messo le chiavi mannaggia alla M****** ...”

...ehi! Fermi tutti! Aspettate un attimo! Mi vedo costretto dalle circostanze a compiere un intervento di censura. È una misura che non mi piace adottare perché la odio visceralmente, in quanto stupida e inutile – sono convinto che ostacolare la diffusione di qualsiasi idea usando la censura “è come cercare di curare la forfora tramite la decapitazione”, come disse Frank Zappa – e inoltre, essendo questo una sorta di studio naturalistico caratterizzato da un'osservazione oggettiva e imparziale, non dovrei permettermi di intervenire sui dialoghi dei miei soggetti di studio!

...

Ok, è vero, ho infarcito questo “studio oggettivo e imparziale” di acidi commenti personali, ma non è questo il punto. Il punto è: ho dovuto modificare il dialogo. Perché?

Perché c'è una bestemmia! E io mi rifiuto di riportarla, al diavolo l'imparzialità. Perché le bestemmie sono un'offesa gratuita ai sentimenti religiosi dei credenti e perché mi danno fastidio. Non si discute!

Oh, vacca fetusa! I tre stanno entrando! Ecco, guardate cosa mi costringete a fare, dannazione...whew, appena in tempo! Eccomi all'interno dello spazioso e aerato appartamento: vengo accolto da una fragranza di pino silvestre mentre il mio sguardo percorre la sala davanti a me, arredata con un bianco divano a penisola posto di fronte a un televisore e a un armadio, e arriva alle finestre alte fino al soffitto che illuminano tutto lo spazio circostante.

J. “Che figata casa tua”

C. “Già”

S. “Tu ci sei già stato, Chicco?”

C. “No, mai”

S. “Ah...”

J. “Che facciamo?”

S. “Mmm...sesso a tre?”

J. “Ma piantala, frocio di merda”

S. “Scherzavo!”

J. “Io no. Si guarda la tv?”

C. “Ok! Che fanno?”

J. “Il Grande Fratello”

Oh cacchio!

S. “Sì! È sul sei!”

E così Sturbo accende il televisore, lanciando poi il telecomando sul divano, che si schianta in modo violento ma sicuro sul soffice divano, presto seguito da Johnny e Chicco più o meno con la stessa grazia.

S. “Oh io vado di là, torno subito...” dice Sturbo prima di oltrepassare una porta situata sulla parete della televisione.

Il Nostro comunica di aver capito producendo con la gola uno strano suono gutturale: basta un'occhiata per capire che è già avvenuta la trasformazione – testa reclinata in avanti, bocca semiaperta, occhi sbarrati e pressoché totale mancanza di battito di ciglia – che avviene quando la televisione prende possesso delle menti dei suoi interlocutori, ipnotizzandoli come l'incantatore con i suoi serpenti.

Dato che due dei nostri personaggi sono fuorigioco e l'altro è scomparso per motivi ignoti, possiamo operare con tutta calma una analisi dell'abitazione. Notiamo che la televisione è un Panasonic da 50'', probabilmente con risoluzione in HD (conclusione n.1: la Sturbo family ha parecchi dindini); l'armadio che lo contiene è spartano, color panna, semplice nelle linee: sembra essere il tipico moderno mobile Ikea, montaggio a prova di idiota e solidità di un castello di carte a nove piani edificato su un tavolino sorretto da tre gambe di diversa altezza. Ah, gli armadi di una volta! Quelli sì che erano fatti come si deve! Più difficili da scalfire di un'armatura completa medievale, talmente solidi che per spaccarli bisognava saltarci sopra minimo in tre (non uno di meno)! Ma lasciamo da parte i luoghi comuni da simpatico vecchietto reduce dei bei tempi andati e torniamo all'analisi dell'armadio: possiamo vedere dietro un'antina di vetro alla sinistra della tv degli alcolici e dei bicchieri di cristallo con un sottile strato di polvere; sulla mensola alla nostra altezza invece possiamo notare (gioia per gli occhi) dei libri ordinatamente schierati uno di fianco all'altro, la maggior parte dei quali con coste scolorite e consunte e tutti (immensa tristezza per gli occhi) coperti da uno strato di polvere spesso un dito (conclusione n.2: sono più impolverati dei bicchieri, quindi o non vengono toccati da tempo immemore o Sturbo ha una donna delle pulizie nana); il resto del contenuto è celato in cassetti e scomparti chiusi da antine in legno.

Diamo un'occhiata al resto della stanza: sul pavimento giace un maestoso tappeto, forse provenente dall'esotico Iran, ma più probabilmente dalle mani di operai cinesi sottopagati di un'azienda di Quarto Oggiaro; alla sinistra del divano e a ridosso del muro si innesta un piccolo tavolino tondo con la superficie di cristallo e due sedie dalle forme bizzarre e non facilmente definibili, il genere di cosa che sono solito definire “robaccia moderna”, essendo io un ignorante riguardo la nobile arte dell'arredamento di interni (conclusione n.3: Sturbo & family hanno talmente tanti dindini che non sanno proprio come spenderli).

Le mie elucubrazioni vengono bruscamente interrotte dal tonfo di una porta che si apre annunciando ai presenti l'ingresso del padrone di casa, talmente solenne e trionfale da attirare persino l'attenzione dei suoi due compari.

“Oh ma...che cazzo hai fatto?” chiede Johnny spalancando gli occhi.

“Figata, eh?” ghigna soddisfatto Sturbo.

mmppffHAHAHAHA!!

S. “Ho comprato questi vestiti nuovi”.

AHAHAHAHAH!! Ahahah! Ahah...ehm...uhm chiedo umilmente scusa per la mia perdita di autocontrollo. La mia è stata una debolezza imperdonabile e prometto che non ricapiterà. Ma a quanto pare Sturbo era andato a cambiarsi i vestiti, poiché è tornato indossando: canottiera aderente color oro, pantaloni in pelle neri e oro aderenti fino all'inverosimile e sorretti da delle improbabili bretelle, i quali sconfinano senza soluzione di continuità in scarpe Converse dello stesso colore e (mie amate Converse, quale supplizio è per me vedervi in tale stato) addobbate con strani aggeggi sbrilluccicanti; dato che però in questo modo la vista dell'osservatore è soltanto stesa a terra priva di sensi, Sturbo ha ritenuto necessario darle il colpo di grazia definitivo aggiungendo sulla propria testa un bizzarro cappellino dei Los Angeles Lakers girato sulla destra, sul proprio collo una collana di gigantesche perle bianche e quelli che sembrano i resti di ermellino scuoiato, una cintura con la fibbia dalle fattezze della faccia di una delle Superchicche e, per concludere, quelle che probabilmente sono delle autoreggenti rosa sulle sue bianche braccia.

S. “Sì...ho deciso che faccio i provini per il Grande Fratello...”

J. “Ma c'è adesso, zio”

S. “Eh?”

J. “Il Grande Fratello c'è adesso, i provini li hanno già fatti”

S. “Sì cioè per l'anno prossimo”

J. “Aah ok! Ma dove li fanno!”

S. “No devi mandare un video!”

J. “Eh?”

S. “Eh zio per iscriverti devi mandare un video!”

J. “Un video? Che video?”

S. “Un video tuo! Cioè ti fai un video in cui fai delle cose e poi glielo mandi e loro decidono se vai bene”

J. “E cosa fai nel video?”

S. “Boh quello che vuoi...cioè io mi presento e metto su la musica e ballo un po'”

J. “Figata!”

S. “Eh sì e allora ho comprato questi vestiti”

J. “Te li metti nel video?”

S. “Sì metto questi...cioè sono fighi”

J. “Già”

S. “Metto anche i pantaloni stretti per far vedere il pacco”

J. “Sei uno zio!”

Speriamo che il nipote non lo conosca mai...

S. “Eh lo so”

J. “Ma perché li hai messi?”

S. “Eh per farveli vedere...”

J. “Ah”

S. “Poi zio perché c'è il Grande Fratello! Cioè mi sono vestito per l'occasione.”

È mentre dice queste parole che si avvicina ai compagni e si siede a fianco a loro, per dedicarsi alla contemplazione del diletto programma televisivo con l'abbigliamento acconcio, consapevole come lo era Machiavelli che per le attività culturali è necessario creare la giusta atmosfera indossando gli abiti appropriati onde riviverla nel modo più efficace e assaporare in prima persona il piacere della conoscenza; e da qui, il nulla pressoché completo per lungo, lungo tempo.

Infatti, sembra che Il Grande Fratello si limiti a trasmettere la noiosa e monotona vita di un gruppo di persone all'interno di una casa piena di telecamere che li spia in ogni momento e in ogni luogo; gli spettatori quindi stanno davanti alla tv a guardare altre persone che non fanno nulla. La domanda sorge spontanea: è più inutile l'esistenza dei “protagonisti” o quella degli spettatori? Io credo che sia quella degli spettatori, perché loro non si limitano a perdere tempo – quello che fanno i protagonisti – ma addirittura guardano interessati altre persone che perdono tempo; di conseguenza, si potrebbe dire che la loro è una perdita di tempo al quadrato.

Qualcuno potrebbe far notare che, dato che io sto descrivendo questa scena, la vostra sarebbe una perdita di tempo al cubo, ma non è così, state tranquilli! Voi siete qua perché interessati allo studio di questa fauna urbana, come direbbe qualcuno di voi. E forse anche per vedere le scene di sesso che qualcuno ha richiesto. Bene, su queste ultime non ho ancora deciso se inserirle. Ma riguardo la fauna urbana, cosa possiamo dire adesso, per riempire questo vuoto?

Potremmo discutere su programmi come il Grande Fratello. Programmi che hanno un pubblico molto vasto, programmi che sono insieme causa ed effetto del degrado intellettuale a cui assistiamo impotenti negli ultimi sfortunati tempi. La domanda a cui si giunge di solito è: è nato prima l'uovo o la gallina? È nato prima lo stupido o è nato prima il programma?

Secondo me è una domanda che non ha molto senso. Pensare all'imbarbarimento culturale come a un fatto a sé, un evento improvviso che piove dal cielo è una semplificazione mostruosa: la crescente stupidità odierna e la presenza di programmi come il Grande Fratello sono da analizzare come un processo continuo, in cui piccoli cambiamenti avvengono uno dopo l'altro non come i gradoni di una scalinata, ma come una strada in lieve salita, rinforzandosi a vicenda.

Sicuramente la televisione è stato il principale amplificatore del fenomeno: dato che i programmi vivono a seconda dello share, è naturale che si scelgano argomenti che piacciono a tante persone. Il problema di scelte come queste è che vengono “tagliate le ali”, vengono ignorate le minoranze, e si prendono in considerazione solo gli argomenti più seguiti, che quindi diventano gli unici presenti sugli schermi.

C'è da dire anche che l'ignoranza è sinonimo di facilità e felicità. Infatti essere ignoranti è terribilmente facile, poiché è sufficiente non conoscere, non fare nulla, rimanere chiusi nel proprio piccolo io senza affrontare il multiverso di idee che popolano il mondo; invece il sapere necessita di una ricerca attiva, è un amore che richiede tempo e sacrifici. In più genera sofferenza, poiché è solo affacciandosi sull'infinità del sapere che si intuisce la propria misera piccolezza; ed è prendendo atto delle interminabili questioni che affliggono l'uomo che si rischia di essere travolti dalla disperazione, di vivere nell'amarezza dell'impotenza. L'ignorante invece non sa, non conosce cosa c'è là fuori: è libero dalle preoccupazioni che non riguardano il suo piccolo mondo personale, ed è felice, stupidamente felice.

Ma vallo a spiegare a gente come loro! Vallo a spiegare ad amebe in grado di rimanere per ore seduti davanti al Grande Fratello e alle pubblicità, un altro grande male delle televisioni. Male che è ancora più potente e subdolo quando gli spettatori non sanno ragionare con la propria testa, quando giacciono inerti davanti a spot che mostrano prodotti davanti a cui l'unica cosa saggia da dire sarebbe un sonoro “Ma che cazzo è quella roba? Ma cosa mai ci potrò fare?”.

Alla luce di questo, quindi, diventa abbastanza chiaro il motivo per cui la televisione diffonda l'ignoranza più enciclopedica e generalizzata.

Purtroppo però i tre non accennano a muoversi, e per un periodo non inferiore alle due ore e mezza rimangono incatenati alla diabolica stregoneria di quella malefica scatola, intervenendo ogni tanto con commenti che tralascio per pietà; due ore e mezza che sono un inferno che vi risparmierò, con una simpatica ellissi che ci porterà direttamente alle fasi finali della tortura.

Sento una pancia che borbotta. E per una volta non è la mia.

J. “Mmmhh”

S. “Figa che cazzo era?”

J. “Il mio stomaco...ho faaameeee”

S. “Andiamo a mangiare?”

J. “Oh sì”

S. “Dove andiamo?”

J. “Ma non stiamo a casa tua?”

S. “Eh no zio che cazzo facciamo cucino io?”

J. “Mmh”

S. “Non so mica cucinare, è roba da donne”

Secondo una concezione medievale, sì.

J. “Allora dove andiamo?”

S. “Andiamo da McDonald's”

J. “Bella! Sì andiamo al Mac.”

S. “Ok mi cambio poi andiamo”

Detto questo Sturbo raccoglie con enorme sforzo di volontà le forze necessarie ad alzarsi, per poi gettarsi in piedi e scomparire dietro la porta che conduce alle sue stanze. Gli altri due rimangono ancora con lo sguardo fisso nello schermo, finché il loro compare ritorna vestito in modo meno appariscente di prima.

“Dai su in piediiii!” li incita Sturbo urlando come un hooligan.

“Arriviamo...” esala Johnny mentre si trascina in piedi con il vigore di un anziano zoppo e raggiunge l'amico vicino alla porta.

J. “We comunque...”

S. “Sì?”

J. “Quei vestiti sono da zio”

S. “Lo so zio da sturbo!”

Detto questo, apre la porta di casa e la oltrepassa assieme agli altri due.




A.A.: Salve! In attesa di terminare il periodo degli esami pubblico questo capitolo, che è pronto già da un po' di tempo. Non ne ho altri pronti, quindi il prossimo aggiornamento arriverà sicuramente dopo il 12 febbraio!

Ringrazio i recensori e i lettori e vi do appuntamento a sabato prossimo con l'ultimo canto dell'Inferno!

Odd


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Capitolo 5
*** Del pranzo da McDonald's ***


Capitolo V Capitolo 5: Del pranzo da McDonald's

Ed eccoli finalmente tornati all'aria aperta, folleggiando alquanto come degli autentici sbarazzini della strada, poiché avevano deciso di eseguire il numero “rifornimento da McDonald's”. Perché si sa, uno dei più grandi piaceri della vita è rimpinzarsi di vaccate.

Raggiungono il succitato fast food ignorando le conseguenze del fatto che si ciberanno di junk food; queste due sono espressioni che essendo inglesi paiono essere più scientifiche e fanno quindi molto più figo, e indicano la natura veloce di un pasto in quel posto, adatto alla frenetica esistenza cittadina, ma soprattutto la qualità delle vivande proposte, a confronto delle quali il rancio dei militari pare un esempio di raffinata nouvelle cuisine.

Ho dato sufficiente prova delle mie conoscenze da poliglotta, quindi possiamo tornare alla nostra combriccola di mattacchioni mentre si dispone ordinatamente in fila e attende il proprio turno con docile pazienza...

Sì, vi piacerebbe! In realtà i tre si avvicinano alla cassa spintonando in malo modo i presenti nel tentativo di insinuarsi nei più angusti pertugi che si aprono e si richiudono nello spazio di un istante a causa dei moti casuali della folla, guadagnandosi in tal modo sguardi indispettiti e borbottii di disapprovazione.

Finalmente dopo una non eccessiva attesa i tre riescono a guadagnarsi la prima fila e l'attenzione di una cassiera e ordinano una sfilza di panini dai buffi nomi quali Big Mac, Crispy McBacon e Big Tasty con un adeguato condimento di patatine fritte e beveraggi vari, pagano il conto e cercano un tavolo a cui sedersi.

“Là!”

Sturbo ha avvistato il punto per lui più adatto a desinare con gli amici; forse è il loro posto abituale, o forse è una sorta di locus amoenusche offre come vista un rilassante scorcio del creato, ruscelletti, alberi secolari, augelli che cinguettano...

“Perché lì?” chiede Johnny.

“Zio perché da lì vediamo il culo di quelle in fila!”

Beh, dovrete ammettere che ci ero andato vicino.

“Oh zio guarda qua! Il Big Mac è gigante, cazzo!”

Sturbo cerca di impressionare i suoi amici con le dimensioni del proprio panino; però, mi spiace, non riuscirà mai a impressionare me: questi occhi, infatti, hanno visto Adam Richman fagocitare cibi dalle dimensioni di un neonato e dal contenuto calorico quantificabile nell'ordine dei megatoni di energia. E poi perdonami, ma i panini del McDonald's sono veramente minuscoli; cosa che, unita al loro prezzo e agli ingredienti che preferisco non sapere per evitarmi un infarto cerebrale, li rende veramente pessimi.

Ma i tre hanno scartato i panini dai loro involucri resi semitrasparenti dall'unto e hanno iniziato ad addentare e masticare i loro pranzi con la stessa signorile classe di Jake ed Elwood da Mr. Fabulous al ristorante Chez Paul, o quella di Trinità nella locanda alle prese con i fagioli; e sembrano davvero gustare quegli scarni panini insapori e quelle patatine dalla consistenza del cartone e glassate di zucchero per mascherarne l'assenza il sapore, patatine che hanno visto la luce immerse in un mare di olio dal colore tendente all'arancione.

“Mmm senti come è buono” dice Sturbo mentre con gli occhi chiusi annusa il suo panino, neanche si trattasse di preliminari con una avvenente fanciulla.

“Coa?” gorgoglia Johnny con la bocca piena. Lui infatti è arrivato subito al sodo e ha già dato i primi azzanni.

“Il Big Mac! Lo senti? Niente ha il suo odore, mmm...adoro l'odore di Big Mac al mattino...”

Tralasciamo il fatto che è l'una passata, ma a me questa frase sembra di averla già sentita.

“'ara 'io!” mugugna Johnny con la bocca semipiena; credo che sia interpretabile con un 'guarda zio' “c'è chitto ca 'a carne è cento pecento da bovini italiani! Gulp! Vuol dire che è anche sano, cazzo!”

Vuol dire che al McDonald's hanno un gran senso dell'umorismo.

“Eh già!” grufola di rimando Sturbo “Poi nei panini ci sono pomodori e insalata!”

“Mah! Figa, troppa roba sana!” biascica Johnny.

Dei veri salutisti, eh?

“No ma è strano! Cioè pensavo ci mettessero la merda, invece ci mettono roba controllata! Va' qua, c'è il marchio!” dice Sturbo mentre indica la tovaglietta.

Beh allora c'è da credergli.

“Guarda!” Sturbo si avvicina la tovaglietta al viso e serra gli occhi concentrato “I bovini sono...nati ed...all...allevati in Italia; una qua...qualità che viene monti...moti...mo-ni-to-rata lungo tutta la figliera almi...a...ali...alimentare...attraverso...oltre...trentacinque che numero è questo? Trentacinque uno due tre zeri mille? mille controlli...anuali...nel rispetto di...severe norme di...igiene e sicru...sicurezza. Cioè figo!” aggiunge una volta finita l'ardua e malriuscita impresa di lettura.

Gli altri due annuiscono interessati, continuando nel frattempo a inghiottire cibo.

È proprio in quel momento che fa il suo ingresso all'interno del fast food una scalmanata e rumorosa comitiva di giovincelli: sono una decina, con un'equa distribuzione di maschi e femmine; il vestiario maschile comprende felpe variopinte, jeans a vita bassa e cappellini; quello femminile magliettine scollate, jeans aderenti, pacchiani gioielli palesemente falsi e trucco talmente pesante da rassomigliare più a una maschera di cera. A vedere quel gruppo di ragazzini che si dimenano, si spingono, camminano fuori dal branco e rientrano nei ranghi sembra di osservare uno di quei banchi di pesci, o uno di quegli stormi di uccelli, che formano le loro meravigliose coreografie involontarie, mantenendo sempre l'unità del gruppo. Dall'aspetto e dal tono di voce non dimostrano più di tredici anni.

Credo, signori, che davanti a noi abbiamo nientepopodimeno che i famigerati bimbiminkia; o, per usare un termine aulico che mi sento autorizzato a prelevare direttamente dalla mia Bibbia personale – *dlin! Messaggio promozionale 'Nonciclopedia, l'enciclopedia priva di qualsivoglia contenuto!' – a dei fallomarmocchi.

I tre accolgono l'ingresso dei suddetti con la stessa reazione che hanno riservato agli altri clienti: generale indifferenza da parte di Johnny e Chicco, attenta esamina del fondoschiena degli esemplari del gentil sesso da parte di Sturbo, il quale sembra apprezzare il nuovo panorama.

La comitiva ordina da mangiare con urla e schiamazzi; ed è sempre con urla e schiamazzi che prende posto nel tavolo subito a fianco a quello dei nostri tre eroi, proprio alle spalle di Sturbo e alla sinistra di Johnny, in un fragore di risa argentine, sedie che stridono per terra e vassoi lasciati cadere sui tavoli. Dalla nostra posizione riusciamo a sentire il dialogo di due bambini elevarsi sopra il sottofondo di voci.

“Oh guarda qua! È gigante!”

“Sìì! Finalmente un Big Mac!”

“Oh una volta me ne sono pappati quattro!”

“E beh io cinque!”

E io ventordici!

“Ho una pancia infinita, posso mangiare qualsiasi cosa!”

I due interrompono l'avvincente scambio per poter addentare i primi soddisfacenti bocconi dei loro saporiti panini mentre i nostri tre proseguono a ingozzarsi con solenne indifferenza, se si eccettua un impercettibile sollevamento del sopracciglio destro da parte di Sturbo.

“E...oh ieri stavo giocando a Uold of Uorcaft”

La pronuncia è “w3:ld – ɒv – wɔːʳkra:ft”, bimbo.

“Eh?”

“Eh però ho avuto sfiga, c'era un gruppo di nabbi...cioè mi lasciavano sempre solo e quindi mi sciottavano ogni volta”

“Perché?”

“Eh ero sempre da solo contro mille...”

“Perché quegli stronzi ti lasciavano solo?”

“Boh...cioè all'inizio hanno detto qualcosa ma era in inglese...io rispondevo 'ok' ma non capivo, cioè era troppo difficile l'inglese.”

“Ah giusto...”

“Sennò col cavolo che mi battono, sono troppo forte io!”

E detto questo addenta con convinzione il suo hamburger, quasi a voler sottolineare la sua maschia virilità. Ho abbastanza esperienza negli MMO e nella vita quotidiana per sapere che dire di sì senza aver capito una mazza non è consigliabile a meno di volere farsi odiare dalla gente seria, ma tant'è.

“Ehi” interviene l'altro “hai visto l'ultimo video di Miley Cyrus? È troppo figa!”

“No, mi spiace, io ascolto solo rock e punk”

“Tipo?”

“Tokio Hotel, Dari, eccetera!”

Oh mio Dio...per il rock sono tempi veramente duri. Anzi, dari.

“E anche Bitols, Roling Stons e Led Zeplin? Cose così?”

“Nono, quella è roba da vecchi...cioè è merda, io ascolto roba da giovani! I Tokio Hotel sono veramente rock, cioè Bill è troppo bravo, ci mette passione...e poi i Dari, loro sono punk, sono ribelli davv...”

Il delirante monologo è interrotto da una patatina volante che colpisce il volto dell'oratore, la cui bocca si arriccia all'istante in una smorfia di disgusto, in un tripudio di risate infantili; il bambino-bersaglio abbassa lo sguardo sul tubero proiettile per poi rialzarlo con le sopracciglia aggrottate in una espressione tra l'offeso e l'irato, sorpreso da una simile mancanza di rispetto; e, dato che i compagni continuano a ridere compiaciuti dalla burlesca trovata, dopo aver esaminato con un almeno nelle intenzioni feroce sguardo l'irriverente compagine per individuare l'autore di un così ignobile e sleale atto, afferra la patata incriminata e la scaglia con tutta la forza che riesce a imprimere con il suo esile e bianco braccio verso il cecchino fellone. La patata raggiunge la destinazione desiderata e si va a infilare nella maglietta del suddetto, il quale cessa all'istante di ridere e scatta come un'anguilla indiavolata con il viso dipinto in una maschera di esterrefatto terrore aumentando vieppiù il volume delle già incontrollabili risate, e, dopo essersi alzato in piedi rovesciando la sedia su cui era seduto, dimenandosi come in preda a convulsioni dovute all'assalto di un esercito di formiche, afferra finalmente il dardo mortale e cerca di lanciarlo dove lo aveva già in precedenza spedito, stavolta mancando il bersaglio e colpendo il vicino, la cui espressione del viso da spensierata e benevola diviene dapprima sorpresa e poi offesa e vendicativa. Ma un'ulteriore patata volante compie la sua traiettoria fino a colpire un altro membro della tavolata: ed ecco che in una manciata di secondi l'iniziale scambio in stile partita di tennis si tramuta in un temibile fuoco incrociato di proiettili che divengono mano a mano più letali in quanto cosparsi di sale, maionese, ketchup e persino di saliva.

I nostri tre però rimangono in una condizione di beata calma, come saggi epicurei che hanno raggiunto la tranquillitas, come una fortezza costruita su una roccia a strapiombo sull'oceano che rimane tetragona e indifferente al furioso assalto delle onde in tempesta.

O almeno rimangono in tale stato fino al momento in cui quello che sembra essere una pepita di pollo cosparsa di una salsa color rosa atterra esattamente nel piatto davanti a Sturbo.

E qui, cari lettori, avviene proprio come nei film: il tempo rallenta fino a fermarsi quasi del tutto, così da mostrare in modo più preciso il rapido susseguirsi di varie emozioni sul viso della vittima. Dapprima è palese la sua sorpresa, poiché ancora si sta chiedendo cosa sia il nuovo oggetto entrato nel suo campo visivo e nel piatto in cui stava comodamente consumando il suo lauto pasto; la sorpresa si tramuta prima in curiosità e poi, dopo che ha riconosciuto la natura e la provenienza dell'UFO (in fondo si tratta pur sempre di un Oggetto Volante Non Identificato), in quello stupore quasi fanciullesco tipico del superiore che mai ha subito un così plateale esempio di mancanza di rispetto da parte dei suoi sottoposti; e come questo si rivolge con sguardo minaccioso alla sfortunata vittima, così Sturbo si volta lentamente, gli occhi folli ridotti a fessura, scrutando gli esagitati bambini per individuare il colpevole.

Tuttavia la turba di invasati frombolieri non sembra essersi nemmeno accorta del fattaccio, in quanto continuano a lanciarsi oggetti senza dar segni di cedimento alla noia o alla stanchezza; un disinteresse che non fa che aumentare l'ira del furioso, la cui figura pietrificata è scossa da un tremito.

Johnny e Chicco intanto assistono alla scena con muto stupore, e non osano nemmeno aprire bocca, nel timore di diventare bersaglio della frustrazione del loro compagno; dopo dei lunghissimi secondi, però, e dopo essersi lanciati un'occhiata, Johnny prende il coraggio a piene mani, inspira a pieni polmoni e sfiata:

“Sturbo...?”

Sturbo si volta di scatto, stralunato.

“...tutto bene? Ti hanno lanciato un pollo sul piatto...”

Sturbo abbassa lentamente lo sguardo, senza rispondere: sembra in stato di shock.

“Ehi...amico, mi preoccupi”

Sturbo alza lo sguardo, l'espressione dipinta in un ghigno da clown assassino di un film dell'orrore.

“Vendetta!”

Il sibilo a denti stretti sembra il rantolo di uno zombie del sopracitato film dell'orrore, ma il volto di Johnny si fa molto meno teso: anzi, la proposta sembra riscuotere la sua approvazione, e quindi si guarda intorno alla ricerca del modo migliore per ottenerla. Nota che, al contrario di lui, Sturbo sembra avere già bene in mente cosa fare: infatti ha afferrato il bicchiere di Coca-Cola ancora pieno a metà, lo ha aperto e ci ha inserito gli sparuti avanzi del pasto dei tre, ottenendo un atroce cocktail i cui letali miasmi si spandono nell'aere uccidendo tutte le forme di vita circostanti: le piante si anneriscono, gli insetti smettono per sempre di battere le ali e le persone cadono per terra come birilli colpiti dalla palla da bowling...

No, non succedono per davvero queste cose, però sarebbe certamente molto scenografico.

Dicevamo: Sturbo ha oramai preparato la sua vendetta, e fissa il vuoto ghignando malevolmente e attendendo il suo momento come un giovane fidanzatino al primo appuntamento; o, per essere più precisi, come un maniaco sessuale dopo una lunga astinenza in attesa di un gruppo di indifese verginelle.

Johnny intanto sembra aver capito qual è l'intenzione del compagno: afferra dei pacchetti di maionese e si mette in attesa anche lui, fissando compiaciuto Sturbo e venendo contagiato dal suo ghigno satanico.

Chicco, invece, si guarda intorno impaurito.

È in questa formazione che i tre attendono con ansiosa pazienza il momento adatto; i secondi passano, uno dopo l'altro, e il molesto baccano della tavolata di menadi e satiri sembra sembra cominciare finalmente a scemare; se prima il numero di proiettili era tale da oscurare persino la luce del sole portando una infausta eclissi sul campo di battaglia, ora il cielo si fa più limpido e sgombro di materiale, le grida diventano normale chiacchiericcio di sottofondo, e la quiete dopo la tempesta mostra in tutto il suo impietoso spettacolo i segni dello scontro appena avvenuto: brandelli di cibo, macchie e resti non identificabili sparsi ovunque.

È precisamente quando ogni movimento del tavolo si è placato che i tre compiono la loro mossa: si alzano e si avvicinano al campo di battaglia. Sturbo si appoggia al tavolo con il gomito sinistro, reggendo la testa con la mano, e con l'altro braccio cinge il ragazzino che si trovava dietro di lui, celando così alla vista il bicchiere, e fissa sorridendo i suoi occhi, che ricambiano con uno sguardo interrogativo.

“Qualcuno” esordisce Sturbo a voce alta “ha lanciato un pollo sul mio vassoio. Queste cose non si fanno...”

I commensali ammutoliscono, tesi.

“Già, queste cose non si fanno...” rincalza Johnny.

I commensali si scambiano occhiate preoccupate: e subito dopo, in contemporanea, i due scagliano il loro attacco.

Johnny con la sinistra mette sul tavolo i pacchetti di maionese uno sopra l'altro, e con la destra cala una manata sopra di essi: il contenuto esce in un'ondata di densa salsa gialla da dei fori praticati in precedenza dal vendicatore addosso alla vittima più vicina, coprendolo di maionese. Sturbo rovescia il contenuto del bicchiere nel cappuccio del bambino a cui stava parlando, e mentre questi sta ancora cercando di capire cosa succede, lo cala con forza sul capo dello sventurato. Tra lo stupore generale di bambini che trattengono increduli il respiro, i tre si catapultano verso l'uscita lasciandosi alle spalle morte e devastazione e irrompono fuori.






A.A.: Salve a tutti! Ecco il nuovo capitolo, mi scuso per il terrificante ritardo. Cercherò di essere più puntuale d'ora in poi; comunque, questa sarà l'ultima storia che aggiornerò di volta in volta, le prossime farò in modo di terminarle prima di pubblicarle, così da essere puntuale.
Grazie a tutti e alla prossima!
Odd

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