L'ODDissea - ossia del truzzo e di una sua giornata tipo di The Odd Storyteller (/viewuser.php?uid=579428)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Del risveglio ***
Capitolo 2: *** Della riunione con i pari ***
Capitolo 3: *** Della partita al bar ***
Capitolo 4: *** Della casa di Sturbo ***
Capitolo 5: *** Del pranzo da McDonald's ***
Capitolo 1 *** Del risveglio ***
Capitolo
1: Del Risveglio
Buongiorno,
cari (te)le(spe)tt(at)ori! Il nostro racconto comincia alle ore 7.09
del giorno xx/xx/20xx. Dirigendoci con molta cautela verso la stanza
dove giace il nostro protagonista, e parlando a voce bassa (anzi,
bassissima, mi raccomando!) possiamo vederlo addormentato sul suo letto
in una posa talmente plastica da sfidare persino le leggi della
geometria euclidea. Manca davvero poco al risveglio; ma lui non lo sa,
continua placidamente a dormire con un rivolo di bava che cola
dall’angolo della bocca curvata in un sorriso semi-ebete,
perso in chissà quale sogno. Probabilmente uno molto bello,
data l’espressione grottesca dell’intero suo viso
– come sappiamo tutti, durante il sonno i maschi regrediscono
a uno stato pre-Homo Sapiens o addirittura Neanderthalensis,
collocabile forse ai primordi dell’Homo Erectus, al contrario
delle donne il cui volto si fa sereno e angelico – e dalla
già citata bocca sorridente; trattandosi però di
un ragazzo adolescente dell’età di sedici anni e
di conseguenza completamente assoggettato al più colossale
cancan di ormoni che essere umano possa mai sperimentare, non credo di
allontanarmi troppo dal vero ipotizzando un coinvolgimento di un
qualsiasi esponente del sesso a lui opposto in un qualsiasi momento di
un qualsiasi atto che la comprenda in una qualsiasi posizione in un
qualsiasi stato diverso dal “totalmente vestita”.
Insomma, avete capito.
"Driiiiiiiiin!!"
"Mmmmhhhhhhggggggrrrrrr…"
Ohibò!
Ecco che la sveglia compie il suo dovere trillando allegramente per
destare il nostro protagonista, il quale si lancia in
un’invettiva dal contenuto non del tutto chiaro contro di
essa; in questo caso, però, mi sento in dovere di
solidarizzare con lui.
"Gionataaaaaan!
Svegliatiiiiii!!"
Eccola!
Restando attentamente in disparte, facciamo conoscenza della gentile
genitrice del nostro protagonista. Protagonista che, come avrete
intuito, ha un nome che potrebbe essere frutto della grande fantasia di
una persona che si sia lanciata in spericolate sperimentazioni di
stampo postmoderno. O, più semplicemente, di una persona
stupida.
"GIONATAN!!
ALZA QUEL TUO DANNATO CULO DAL LETTO!!!"
Credo
che il lettore abbia ormai scelto quale delle due interpretazioni
possibili sopraelencate sia anche la più probabile. Ma non
lasciamoci distrarre dalla madre del protagonista! Possiamo infatti
ammirare Gionatan (che, per carità di lingua,
d’ora in poi mi obbligherò a chiamare Jonathan)
mentre si lancia in uno sbadiglio così profondo che sembra
voler ingoiare più aria possibile prima che finisca,
talmente profondo che si provoca involontariamente un fastidioso crampo
alla mascella.
"Awww!!
Aaaaaaawwwwww!!"
Il
dolore fortunatamente ha anche un effetto positivo, eliminando dal
nostro eroe pressoché ogni residuo di sonno e desiderio di
accoccolarsi sotto delle calde e comode e morbidissime coperte per
tornare a dormire; eccolo mentre si siede e sbatte le ciglia con
un’espressione che tradisce tutto il sonno che ancora lo
opprime. Guarda la sveglia – 7.12 – e decide
finalmente di appoggiare prima un piede poi l’altro per
terra; ecco che finalmente si china in avanti, flette le gambe e
suuuu!, si innalza in piedi pronto per una nuova giornata di grande
fatica e profondo impegno; ed ecco che, appoggiando un piede davanti
all’altro, si dirige verso il bagno e, raggiunta la tazza, vi
si lascia andare a peso morto, abbassandosi nel frattempo pantaloni e
mutande con un unico secco gesto che non sembrava decisamente in grado
di fare, data la vitalità di un bradipo sciancato imbottito
di valium; ed eccolo mentre si libera delle scorie che il suo corpo ha
prodotto nelle ultime ore, con un’espressione ebete simile a
quella notturna – espressione stranamente affezionata al suo
viso – e vari rumori di sottofondo che lascio alla vostra
immaginazione. Dopo un tempo ragionevolmente lungo il Nostro finisce
l’evacuazione generale, agguanta senza guardare con la mano
destra un po’ di carta igienica e la utilizza per il fine per
cui è stata pensata nonché prodotta; si alza e
gira la leva dello sciacquone, perdendo lo sguardo nella pinna marrone
che affonda lentamente ma vorticosamente e inesorabilmente nel temibile
Maelstrom che si è creato con l’azione della sua
mano, sapendo cosa prova un demiurgo, in grado con il gesto di una mano
tanto di creare quanto di distruggere.
Ma
anche il demiurgo più potente si sporca le mani, ed essendo
il nostro Johnny decisamente meno potente di molti altri demiurghi veri
o immaginari, e anzi probabilmente ignorando persino il significato
della parola “demiurgo” ammettendo pure che ne
conosca l’esistenza, si vede costretto dalle circostanze e
dal buon costume a lavarsi entrambe le estremità degli arti
anteriori, per poi tuffare il suo viso in quelle stesse mani appena
mondate da qualsiasi lordura umana e non, al fine di mondare pure
quello usando quel derivato di grasso animale – spesso
associato alla civiltà, nonostante lo utilizzassero i
barbari galli ma non i colti e raffinati romani – noto alle
masse con il termine di “sapone”. Terminato il
processo immerge il suo viso questa volta in soffici panni asciutti,
arrossandosi il viso e arruffandosi i pochi capelli ribelli che si
rifiutano di adeguarsi alle regole del nero casco Lego di capelli che
il Nostro mantiene sulla testa, e poi finalmente si dirige famelico
verso l’oggetto dell’ultima necessità
umana fondamentale per la sopravvivenza che ancora non ha soddisfatto,
c’est à dire il cibo (naturalmente considerando
come valida anche una soddisfazione di uno dei suddetti bisogni che sia
solamente illusoria), pronto a ingollare qualsiasi cosa capiti nel
raggio del suo sguardo e possa essere appetibile a un paffuto bambino
particolarmente ingordo di zuccheri e grassi –
così come probabilmente ha stabilito la nostra evoluzione,
essendo questo tipo di cibo particolarmente utile alla sopravvivenza in
casi di scarsità di viveri; però
l’evoluzione è tarata su un periodo ormai
fortunatamente o sfortunatamente passato e lontano, e questo istinto si
sta rivelando più che altro un poderoso alleato tanto dei
capitalisti delle ditte di merendine quanto del sig. Diabete e della
sig.ra Morte – e robe simili; apre la dispensa e si getta con
il sempre presente sguardo ebete su ogni confezione di plastica a
portata di zampa – che cambino colore o nome o
quantità e tipo di ingredienti non fa alcuna differenza
– per poi spalancare con un gesto trionfale il frigorifero
talmente pieno che sembra voler sputare sul nostro eroe per fargli fare
la stessa ingloriosa fine dell’Imperatore Barbarossa, e
subito dopo abbrancare con decisione un bottiglione di Coca-Cola ancora
sigillato.
Essendo
finalmente entrato in possesso degli ingredienti fondamentali per una
sana colazione vitaminica all’italo-americana, calcia
vigorosamente una sedia e ci si lascia andare con la stessa eleganza di
poco fa sulla tazza del suo bagno, chiudendo nel frattempo
l’anta del frigorifero usandola come perno per sedersi
– un’operazione che sembra aver richiesto diversi
anni di pratica, data l’estrema fluidità del gesto
nonostante l’evidente sua pericolosità –
per potersi poi lanciare sul carburante che lo sosterrà
nella impegnativa giornata odierna ma che probabilmente lo
porterà anche più rapidamente all'incontro con la
gentile sig.ra Morte, a cui già prima accennavo; carburante
che viene divorato in modo rapido, efficace e famelico, tanto che in
neanche due minuti giacciono sul tavolo i poveri resti degli involucri
dilaniati come da una mina antiuomo e il bottiglione di Coca-Cola pieno
solo a metà, mentre il Nostro è stravaccato in un
momento di estatica e beata contemplazione dei santi e beati del
Paradiso dei Lipidi, in cui scorrono fiumi di lardo fuso, piovono gocce
di trigliceridi e crescono storti steli di grassi insaturi,
manifestando la sua compiaciuta soddisfazione con un poderoso e
possente rutto. È in questa condizione di beato trasporto
che sua madre fa gentilmente irruzione dentro la cucina, e vedendo la
sua indegna prole nello stato di cui sopra esplode in un impetuoso
"Ancora
fai colazione con quella roba? Ma che cos’hai nel cervello,
una scimmia ubriaca?"
a
cui il nostro risponde con un prevedibile quanto poco furbo
"Se
tu non le compravi non le mangiavo"
seguito
da un ironico
"Cos’è,
se ti compravo un pannolino con stronzo incluso ti mangiavi pure
quello?"
al
quale segue un temerario
"Nono
lo lasciavo a voi…"
la
cui ovvia risposta è un efficace ceffone portato con una
precisione chirurgica sulla guancia destra con il dorso della mano
destra, altro gesto che sembra avvenire abbastanza di frequente data la
mirabile maestria con cui è stato compiuto.
"Non
osare mangiare quella roba, capito stronzetto? Sennò vedi
come ti concio"
ed
è con questa battuta che esce di scena, varcando a passo di
marcia l’uscio della cucina verso ignote faccende domestiche.
Faccende che non ci riguardano, essendo il protagonista il nostro caro
Jonathan; il quale, dopo essersi ripreso dal micidiale uppercut, sembra
voler inviare telepaticamente alla madre una serie di improperi degni
del sergente maggiore dei Marines di un certo vecchio film, anche se
l’effettiva riuscita di un simile e portentoso evento sarebbe
più che altro un pretesto per nuove e probabilmente letali
odiate azioni di odiata ultra-violenza da parte dell’odiata
genitrice.
Con
un’espressione della faccia che urla tutto quello che la
bocca si limita solo a borbottare, il Nostro procede dapprima a
riposizionare il bottiglione nel luogo appropriato e poi a gettare
nell’immondizia i residui del lauto banchetto, per poi
dirigersi con passo altalenante verso il bagno, suo prossimo obiettivo,
una volta raggiunto il quale acchiappa malamente lo spazzolino e dopo
averne esageratamente coperto le setole con il dentifricio lo caccia
con un impeto all’interno della sua cavità orale,
cominciando poi a strofinarsi con foga i denti, utile a ripulirli da
qualsiasi seppur minimo residuo di cibo oltre che a sfogar il montante
nervosismo. Riesce per nostra fortuna in entrambi i suoi intenti, in
particolare nel secondo e più indiretto; ma questo anche
grazie al fatto di essere perfettamente consapevole di non stare
preparandosi per la scuola, bensì per una giornata di
fancazzismo più puro. L’idea lo esalta a tal punto
che la bocca gli si allarga sempre più in un ghigno,
malevolmente compiaciuto per la propria scaltrezza per un piano che
aveva già applicato numerose volte in passato, ovvero
scrivere qualche scusa a caso falsificando la firma della madre sul
libretto; ed è con questi pensieri che il nostro si sveste
del pigiama, per poi rivestirsi con degli indumenti che per una
qualunque persona dotata non di buongusto, ma quantomeno non daltonica,
parrebbero perlomeno bizzarri, ovvero: scarpe Adidas bianche senza
lacci; calzini spaiati (uno verde a righe nere, uno rosso a righe
azzurre); jeans larghissimi, con la vita talmente bassa da mostrare
dieci centimetri buoni di boxer bianchi con la scritta ARMANI,
così bassa nonostante una evidente e grossolana cintura che,
oltre a essere palesemente falsa, evidentemente sembra non fare neanche
bene il suo lavoro; maglietta rossa di D&G aderente fino
all’inverosimile; e una felpa, un caleidoscopio di colori
probabilmente in grado di far cadere per terra sbavando e mordendo
nella foga di un attacco epilettico chiunque posi incautamente lo
sguardo su di essa.
Una
volta finita la solenne vestizione si controlla attentamente allo
specchio, con uno sguardo che nelle sue intenzioni dovrebbe forse
essere un incrocio tra quello di Jules mentre catechizza Brett e quello
di Eric intento ad abbracciare Tin Tin – anche se il Nostro
non ha la minima idea di chi essi siano – ma che di fatto
finisce per offrire un'involontaria notevole interpretazione del
parimenti a lui sconosciuto Frank-N-Furter; per poi passare a pose da
macho degne di Rocky mentre prova i suoi nuovi regali.
Signori,
ciascuno accresce la propria autostima nutrendo il proprio ego o, come
direbbe qualcun altro, compiendo gesti o azioni che corrispondano al e
fortifichino il proprio sé ideale: certo non possiamo
biasimarlo! Inoltre, sfido chiunque di voi a negare di aver mai fatto
una cosa del genere. Su, siate sinceri con voi stessi. Tra
l’altro, va detto, queste sono osservazioni compiute nella
più totale violazione della privacy, azione che non
è proprio proprio buona e giusta.
Ma
lasciamo da parte tali dissertazioni e torniamo al nostro eroe, che ha
finalmente concluso di essere il più figo della
città, acchiappa la maniglia e irrompe fuori dalla stanza
aprendo la porta con quello che lui ritiene essere
l’atteggiamento di puro stile gangster del ghetto; si dirige
poi verso lo zaino, contenente tutto il necessario per affrontare la
dura giornata, e cioè portafoglio pieno di soldi, pacchetti
di sigarette, accendino, preservativi, iPod, cellulare, chiavi,
occhiali da sole e libri...no, libri no...lo abbranca e se lo posiziona
sulla spalla destra, proseguendo nella sua andatura ondeggiante verso
il sempre più vicino uscio di casa, con lo stesso beato
trasporto di una pia anima cristiana mentre attraversa i cancelli del
Paradiso.
A.A.: Salve a tutti! In attesa di proseguire con la Commedia, vi
pubblico il primo capitolo di questa storia. Se vi piace la
manderò avanti!
Buon
anno nuovo!
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Capitolo 2 *** Della riunione con i pari ***
Capitolo 2: Della riunione con i pari
E fu così che il nostro eroe riuscì finalmente a
uscire dal proprio ghetto personale, alla ricerca di nuove ed
entusiasmanti avventure; avventure che, qualunque esse siano, si
trovano in molti luoghi tutti non coincidenti con la scuola.
'Ma chi me lo fa fare? Ma chi c'ha voglia?' Questo
è quello che è passato nella testa del Nostro
quando, questa mattina, si è svegliato – o meglio,
quando ha preso pieno possesso delle sue facoltà mentali,
che comunque essendo non eccelse non necessitano di un gran dispendio
di energie o di tempo – e si è reso conto della
giornata che lo aspettava; ma probabilmente è quanto
è passato, passa e passerà nella testa di
generazioni di giovani studenti alle prese con il medesimo problema
ogni giorno, costretti in una routinaria prigione fatta di levatacce
mattutine, viaggi troppo brevi, lezioni troppo lunghe, studi a
intermittenza e occhiaie molto profonde. E chi può dar loro
torto? Io no di certo; mantengo ancora freschi in memoria i ricordi del
quel periodo. Ci sono tante persone invece che appartengono a quella
ampia categoria di ex liceali che pensa alla Routine come al passato,
dedicandovi ogni tanto uno sbiadito ricordo sul quale il tempo e
l'esperienza hanno avuto il loro effetto distorcente, presentandolo
come piacevole e nostalgica testimonianza di un periodo ormai svanito e
mai più raggiungibile, certo condito da qualche
preoccupazione ma tutto sommato piacevole.
Ma questo vuol solo dire che tante persone
sbagliano. Non tanto nel considerare gli ultimi rantoli ribelli
dell'adolescenza come un periodo piacevole, ma nel ritenere come di
secondaria importanza tutti i problemi e i traumi incontrati in quel
formidabile cimitero di menti chiamato scuola. Non è un caso
se il nostro eroe rappresenta una eccezione che è sempre
più norma: quanti adulti potrebbero mai accettare di
rimanere per almeno cinque ore con la propria soffice
estremità sempre più piatta e paralizzata su una
scomoda sedia, avendo a disposizione meno spazio vitale di un
carcerato, senza quasi poter muovere le gambe (ma questa è
una questione di stazza), il tutto mentre una persona che se non
incapace, frustrata o semplicemente ignorante ma probabilmente
svogliata e sicuramente sottopagata cerca di convincerti o anche solo
di illustrarti concetti che forse conosce, magari gli interessano ma
difficilmente saranno utili a qualcosa di pratico? Zero.
“Guardi signora suo figlio è svogliato, non
è mai attento, non capisco proprio
perché...” “Che sia un disturbo
dell'attenzione?” “Un ADHD?”
“Magari è autistico?”
“Antisociale?”
No, cazzo, è annoiato!
Oh dannazione...sto divagando! Preso dalla foga mi
sono lanciato in un'invettiva che poco ha a che fare con ciò
in cui ero occupato prima, un atto imperdonabile: chiedo umilmente
scusa. Tornando in tutta fretta al nostro eroe, lo scorgiamo mentre
prosegue nella sua andatura ondeggiante verso luoghi a noi ignoti;
sembra che fortunatamente durante il nostro excursus non abbia compiuto
dei grandi progressi, a parte camminare diritto senza deviazioni per la
sua strada, disinteressato alla carrellata di cancelli di case e negozi
che sembrano sfilare a fianco a lui come modelle in passerella. D'un
tratto si ferma: tiene lo sguardo fisso per terra ma perso nel vuoto,
come se fosse terribilmente concentrato, mentre allunga la mano
sinistra verso lo zaino appeso alla spalla destra, apre la zip e si
mette a frugare come un forsennato alla ricerca di qualcosa che
evidentemente è di vitale importanza, come un anziano miope
alla ricerca delle lenti perdute, come un cliente in fila alla cassa
del supermercato che cerca disperatamente spiccioli mentre i clienti
dietro sbuffano impazienti e la cassiera mastica svogliatamente la
gomma; e come questo estrae trionfante un nichelino dal portafoglio e
lo porge vittorioso alla commessa, così il nostro toglie il
suo cellulare, novello Artù che tiene in mano per la prima
volta la sua Excalibur; senza perdere ulteriore tempo comincia a
battere sulla tastiera veloce come una sventagliata di mitragliatrice,
anche se il suo obiettivo non è uccidere il vietcong
nascosto tra le fronde ma avvisare un suo amico del proprio piano per
la giornata, invitandolo a condividere scorrerie e gozzoviglie. Ripone
il cellulare nella tasca destra e riprende il proprio viaggio,
attendendo una risposta che arriva tre passi dopo, provocandogli una
vibrazione nei pantaloni che il nostro accoglie con un sorriso
veramente molto equivocabile; si ferma di nuovo, riabbranca il
cellulare e chiude a fessura gli occhi, con una espressione
involontariamente molto buffa, nel tentativo di decifrare il minuscolo
carattere del suo cellulare onde essere informato della risposta
dell'amico; dopo esservi infine riuscito, le sue sopracciglia prima
aggrottate si rilassano in un sorriso, esclamando a mezza voce
"Ahah bella zio!"
chiaramente rivolgendosi non a un suo parente ma
al suo sopracitato amico e guadagnandosi la momentanea attenzione di un
passante, che decide subito che il disturbo della quiete non
è foriero di alcuna informazione utile o anche solo
interessante; opinione che noi abbiamo di lui, dato che noi stiamo
seguendo il nostro eroe Jonathan il quale, avendo riposto il cellulare
in tasca, si avvia verso la sua meta con un'andatura più
spedita rispetto a prima, essendo ora a conoscenza del luogo verso cui
si sta dirigendo. Lo seguiamo mentre cammina sotto un plumbeo cielo
tipico del marzo ancora troppo giovane e aggrappato al gelo invernale,
mentre per la prima volta prende una svolta, girando a sinistra in una
via indistinguibile dalla precedente, piena di spazzatura sui
marciapiedi, macchine in sosta vietata, persone che camminano
frettolosamente e grigi caseggiati, con una colonna sonora composta
dagli altrettanto grigi suoni e rumori della città; ma lui
non si preoccupa, immerso nei suoi pensieri ed elucubrazioni proiettati
in luoghi e momenti diversi da quelli, e prosegue diritto, verso un
attraversamento pedonale. Alza lo sguardo, vede che il semaforo
è ancora rosso per i pedoni, quindi eccolo mentre si fer...e
invece no! Prosegue ignorando il divieto e...
SKKREEEEEEECHH!
Una macchina ha inchiodato proprio davanti al
nostro eroe, evitando per un pelo un incidente probabilmente fatale!
L'automobilista urla con la testa fuori dal finestrino
"Coglione!! Ma che cazzo fai?!"
Gli risponde il nostro, con gli occhi spalancati
da tanta foga
"Ooooh sciallo zio! Sta' calmo..."
L'altro, visibilmente scosso e arrabbiato, grida
"Ti stavo per investire cazzo!"
Il Nostro neanche risponde, proseguendo per la sua
strada con la stessa calma andatura ondeggiante di prima, e non nota
nemmeno che l'automobilista riparte sgommando e imprecando contro di
lui e contro altre entità un po' più potenti e
oserei dire anche pericolose. Tranquillo e sereno, permane nel suo
stato di moto, come un asteroide che viaggia solitario nello spazio
sidereo; la monotonia della camminata è rotta soltanto dai
pensieri del nostro eroe, o meglio dalle loro manifestazioni sul suo
viso in forma di ghigni e di altre grottesche espressioni.
Nonostante spesso si senta il desiderio di entrare
nella mente di una persona, e nonostante ancora più spesso
si sentano altre persone giurare di voler dare qualsiasi cosa pur di
entrare nella mente di un'altra persona, io sono abbastanza sicuro di
non voler fare nulla di simile con il nostro eroe. Sicuramente
perché ciò consisterebbe in una violazione della
privacy decisamente grave, poiché non c'è nulla
di più privato dei propri pensieri; poi, perché
dubito di trovare un qualsiasi elemento che sia anche di pur minimo
interesse, anzi sono abbastanza convinto che cercare qualcosa di
rilevante nella mente del Nostro sia paragonabile alla fanciullesca
illusione di trovare i resti di Atlantide nella propria vasca da bagno
o nella ciotola del cane; infine, dettaglio non trascurabile, io sono
l'autore e come tale so esattamente cosa succede e succederà.
Ma non importa! Tralasciando queste
considerazioni, possiamo notare ancora Jonathan mentre segue la strada,
la quale tende parzialmente a sinistra, per poi lanciarsi in un ampio
sorriso appena scorge sull'altro lato della strada due persone che,
già da questa distanza, notiamo essere abbigliate in un modo
riconducibile al suo e avere singolari capigliature con un aperto
disprezzo per la legge di gravitazione universale; ergo probabilmente
appartengono a quella che volgarmente potremmo definire la sua
“compagnia”. Chiaramente in questa storia non
c'è nessun anello da distruggere rischiando la propria vita
contro feroci orchi, crudeli nazgûl e vari supercattivi coi
controcoglioni: “compagnia” è un termine
usato per indicare un gruppo di persone, aventi età, ideali
ed estrazione sociale simili, che trascorrono insieme la maggior parte
del loro tempo, sia libero che non. In questo caso specifico
è tuttavia azzardato parlare di
“ideali”, poiché si finirebbe con
l'attribuire ai membri della Compagnia – termine che d'ora in
poi utilizzerò per indicare quella del nostro eroe
– delle risorse intellettive probabilmente eccessive, e ci si
manterrebbe forse più aderenti alla realtà
parlando invece di “generale e condivisa mancanza di una
visione volontaria e specifica della realtà”,
ossia di una tendenza dei membri a non porsi domande esistenziali
particolarmente degne di nota, ma piuttosto a rimanere legati a una
concezione di “qui e ora” ben lontana dal campo di
ragionamento logico tipico degli esseri umani, che sono in grado di
riflettere, porsi delle domande e fissarsi degli scopi in una
dimensione che consideri passato, presente e futuro su ciò
che sono, chi sta accanto a loro e ciò che li circonda.
Ma il nostro Jonathan non può sentirci,
e comunque se anche avesse potuto farlo si sarebbe probabilmente
fermato con lo sguardo fisso negli occhi del suo interlocutore, perso
nel vuoto cosmico celato dietro le nere pupille e immerso in un limbo
di inconsapevolezza, quindi si avvicina sempre di più ai
suoi due amici, che lo hanno oramai avvistato e lo rendono consapevole
di ciò con un lieve cenno verso l'alto del capo in segno di
saluto, e con un abbozzo di sorriso con sopracciglia inarcate con
atteggiamento da duro, cercando di ottenere uno sguardo scevro da
qualsiasi contaminazione di femminea debolezza, ma ottenendo piuttosto
una sottilmente ironica parodia dello stesso; attraversa la strada
totalmente disinteressato ai pericoli derivanti da tale gesto,
esattamente come poco prima all'attraversamento pedonale, anche se per
sua fortuna questa volta non c'è nessuna automobile pronta a
stirarlo come una pizza, e raggiunge i due compari, atteggiando le sue
labbra in un sorriso simile al loro, mentre si stringono/battono/? la
mano in un complicato rito misterico accessibile solamente agli
iniziati della loro elitaria setta, che non è un semplice
saluto bensì un simbolo che rafforza il legame reciproco, un
atto simbolico paragonabile all'investitura ai tempi di Carlo
Magno e del Sacro Romano Impero, privo però della
componente di sudditanza in favore di una dichiarazione di rapporto
paritario e squisitamente cameratesco.
"Bella Sturbo!"
"Bella Johnny"
"Bella Chicco!"
Tali i nomi in codice dei tre, nomignoli che
derivano spesso dalla semplice abbreviazione del nome o del cognome, ma
che talvolta possono affondare la loro origine in eventi che vedono il
loro portatore coinvolto in qualsiasi maniera o grado e che spesso
però contemporaneamente sono avvolti nella fitta nebbia
dell'oblio, in modo che l'appellativo sembri affibbiato in modo
arbitrario, risultando quindi anche alquanto bizzarro o perlomeno
curioso.
Sturbo parla per primo:
S. "Oh cazzo Gionni c'hai avuto un'idea..."
Gionni: "Eh lo so..."
Chicco: "Eh sì è vero"
J. "...Eh zio cioè stamattina zero
sbatta poi mia ma' ha iniziato...
S. "Uuuuhh la mamma di Gionni!!"
C: "Ahahah!"
Sembra che la gentile genitrice del Nostro
riscuota un certo successo tra i suoi amici.
J: "...che cazzo vuoi? Mia ma' ha iniziato a
rompere le balle e già c'era poca sbatta poi cazzo se mi
rompi le balle col cazzo che vado pure a scuola..."
S. "La maiala di tua madre..."
C. "Ahahah!!"
Sembra che la gentile genitrice del Nostro sia
oggetto di singolari attenzioni da parte dei suoi amici.
J. "...oooh ma cazzo vuoi eh?"
S. "Voglio farmela vabbene?"
J. "Eh fattela allora zio ma sta' attento che
è lei che ti si incula..."
S. "Hahaa! Cioè ma davvero zio? Davvero
potrei..."
J. "E che cazzo mi frega? Cioè...
S. "Zio va' che tua madre è lercia!
Cioè da sturbo...!"
J. "Ma piantala..."
S. "Sì cioè due pere
così!"
C. "Haaahahah..."
Attenzioni morbose, sembra.
J. "Piantala!"
S. "Ma m'hai detto che potevo farmela!"
J. "E sì ma ora basta però
eh?"
S. "Ooh calmo!"
J. "Va bene"
S. "Che si fa allora?"
J. "Ma non so voi dove volete andare?"
C. "È uguale"
S. "Boh non so"
J. "Vabbè zio ci facciamo un giro"
S. "Ok"
C. "Sì"
J. "Ma prima dove passiamo?"
S. "Ma non so..."
J. "Ma zio dimmi una cosa tanto è
uguale"
S. "Al bar"
C. "Al bar!"
J. "Va bene, andiamo".
I tre si incamminano verso la loro nuova
destinazione, la quale si trova dalla parte opposta rispetto a quella
da cui siamo arrivati seguendo John, senza tuttavia interrompere
l'avvincente dibattito.
"Ué però..."
cominciò Sturbo.
"'sa c'è?" rispose Jon.
S. "...eh tua madre è prop..."
J. "Ma la vuoi finire? Hai rotto"
S. "Ooh calmo eh! Solo dammi il suo numero"
J. “Il suo numero?"
S. "Eh"
J. "Ma sei pirla?"
S. "Ooh che cazzo vuoi zio voglio solo il numero"
J. "E che cazzo te ne fai?"
S. "Boh la chiamo"
J. "E che gli dici?"
S. "Che me la faccio"
J. "Seeee non c'hai le palle"
S. "Vuoi vedere?"
J. "No"
S. "Guarda che lo faccio"
J. "Non hai ancora il numero"
S. "Dammelo che lo faccio"
J. "No"
S. "Perché no?"
J. "Perché no! Cioè mia
madre? Ma dai!"
S. "Si! Magari ci sta"
J. "Ma vaffanculo"
S. "Cos'è sei geloso?"
J. "Eh?"
S. "Sei geloso?"
J. "Ma che cazzo dici?"
S. "Sei geloso che potrei essere il tuo paparino?"
Devo ammettere che questa era crudele.
J. "Ma ammazzati"
S. "Ma ammazzati tu!"
J. "Tua madre"
S. "Stavamo parlando della tua"
J. "Era un insulto"
S. "Ma crepa!"
J. "Tua madre"
S. "Mabbafangulo!"
J. "E ora basta"
Comincio a non capire...
S. "Ma prima dicevi che potevo farmela"
J. "E ora ti dico vaffanculo"
S. "Vabbè prima o poi me la faccio"
J. "Cazzi tuoi..."
S. "Almeno io mi do da fare? Tu invece con la tua
tipa?"
J. "Mmmhh..."
S. “Eh?”
J. “Lascia perdere...”
S. "Aaaah ho capito! Non te l'ha ancora data!"
J. "Fatti i cazzi tuoi"
S. "Non te l'ha ancora data!"
J. "è che..." esitò.
S. "Ti ha fatto una sega?"
Oddio, scusatemi...scusate davvero per questi
termini così volgari...
J. "Sì"
S. "Beh è il minimo...e quando te la
dà?"
J. "Macchennesò..."
Però se chiamate il MOIGE giuro che vi
perseguiterò!
S. "Che stronza"
J. "Sì è vero"
S. "Ma perché?"
J. "Eh boh zio dice che non gli
va...cioè quando siamo lì e stiamo quasi per
farlo si ferma e dice “basta così” ma
non dice mai perché capito? Cioè non so
perché non lo vuole dire..."
S. "Che stronza"
J. "Si è una rottura di
coglioni...davvero zio dopo un po' ti scazza, cioè voglio
dire se non vuoi farlo almeno dimmi perché, cazzo"
S. "E zio chiedigli perché non vuole"
J. "Ho provato ma boh...cioè boh dice
cose così, tipo scuse...boh"
S. "Che stronza..."
A questo punto i tre smettono di parlare; o
meglio, i due dei tre che stavano parlando, dato che il terzo
componente del gruppo fino ad ora ha camminato silenziosamente alle
spalle dei due interlocutori, limitandosi a girare la testa verso chi
parlava come uno spettatore a una partita di tennis; non è
molto chiaro perché non abbia aperto bocca nei minuti
scorsi, anche se dal comportamento sembra trattarsi del classico
sottoposto del branco che pende dalle labbra del leader, ascoltandone
le sagge parole in religiosa soggezione; certo potrebbe anche darsi, in
alternativa, che sia rimasto in silenzio perché
disinteressato alla vexata quaestio della madre del Nostro e immerso in
una profonda riflessione personale – come spesso capita, la
persona che parla di meno è anche quella che dice le cose
più intelligenti e interessanti – ma
ciò è improbabile. La prima interpretazione
è inoltre corroborata dal comportamento del
“leader”, che è palesemente atteggiato a
dominatore con il suo sottoposto, come si evince da diversi
particolari: il camminare davanti a lui, il quasi completo disinteresse
unito alla malcelata soddisfazione per la muta adorazione; sembra quasi
di vedere l'abnorme quantità di serotonina prodotta dal suo
cervello, come in quello di ogni scimmia capobranco che si rispetti.
Ma ecco che ci ritroviamo insieme ai tre innanzi
all'ingresso di quello che sembra essere il loro punto di ritrovo
abituale, a giudicare dalla rapidità con cui ci sono
arrivati e dall'assenza di esitazioni lungo il tragitto; ingresso che
viene varcato dopo che Sturbo ha energicamente aperto la porta.
A.A.: Salve a tutti! Ecco il secondo capitolo
della saga del nostro amico Johnny. Saga che si fa sempre
più avvincente e, ahimé, volgare - ma d'altronde
non ci si può aspettare molto altro da dei sedicenni.
Truzzi, tra l'altro.
Sono stato abbastanza veloce con questo secondo
capitolo: ma non aspettatevi granché, ci metterò
un po' a completare gli altri. Non so quando riuscirò ad
aggiornare! Magari una settimana, magari un mese, magari nella mia
prossima vita...no beh mi auguro prima di allora.
Ne approfitto per ringraziare tutti i miei
lettori, quelli che mi fanno sapere cosa pensano e quelli che non lo
fanno! Mi raccomando, recensite numerosi!
Odd
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Capitolo 3 *** Della partita al bar ***
Capitolo 3 - Della Partita al Bar
Capitolo 3: Della Partita al Bar
Ed eccoli all'interno del bar, in cui regna una
tiepida e accogliente atmosfera in grado di riscaldare corpi e menti e
aleggia un piacevole profumo di pane e brioche appena sfornate. Dando
una rapida occhiata intorno, notiamo che il luogo non è
adibito solamente a bar: oltre al bancone, ai tavoli e alle sedie e al
televisore con schermo piatto dalle dimensioni ragguardevoli
c'è un corridoio che porta verso un locale dove si
intravedono ragazzi seduti, chini sui libri, assorti nella lettura o
intenti a scrivere appunti, in una pacifica atmosfera di rispettoso
silenzio. Purtroppo i Nostri non hanno alcuna intenzione di unirsi a
essi per una invidiabile esperienza di accrescimento culturale, anzi
non guardano neanche per sbaglio gli infaticabili studiosi puntando
all'istante verso la zona bar, che è semideserta con
l'eccezione di un corpulento barista pelato intento a strofinare un
bicchiere e di due uomini seduti a un tavolo con il viso contratto
dall'attenzione e lo sguardo fisso nello schermo del televisore.
"Ciao ragazzi!" li accoglie il barista.
"Bella Lello!" lo salutano quasi i tre quasi in
coro.
"Cosa vi porto?"
"Mah io...vabbè...una Red Bull"
bofonchia Johnny.
"Red Bull anch'io e...quello" risponde a sua volta
Sturbo indicando un panino con la cotoletta.
"Per me M&M's" bisbiglia Chicco.
"Ok...ok...cosa?" chiede Lello.
"M&M's" ripete Chicco alzando la voce, gli
occhi fissi per terra.
"Va bene...sedetevi pure, ragazzi, ve la porto io
la roba" dice Lello mentre infila il panino nel microonde e i tre
prendono comodamente posto attorno a uno spartano tavolo metallico.
"Ok! Ooh Lello! Hai visto il Milan, ieri?" chiede
Sturbo.
L. "Sì certo"
J. "Ha giocato di merda"
S. "Però ha vinto"
J. "Sì ma ha giocato di merda!"
S. "E vabbè ma capita..."
J. "Però Balotelli ha giocato bene"
S. "Figa! Balotelli ha giocato da sturbo...cazzo
il gol che ha fatto..."
J. "Cazzo! Cioè c'erano due difensori
che manco hanno visto la palla...cioè cazzo ha fatto un
numero che se li è ciulati entrambi..."
S. "Hai visto la partita?"
J. "Sì certo"
S. "Ah io no"
J. "Come no? Non avevi visto il gol?"
S. "Sì li ho visti dopo la partita"
J. "Ma la partita no?"
S. "No zio ero con la mia tipa..."
J. "Aah capito..."
"Hey ragazzi" interviene Lello, appoggiando sul
tavolo vivande e bevande "se volete metto su Sky, fanno la partita..."
S. "Quella di ieri?"
L. "Sì, Milan-Marsiglia due a zero di
ieri"
S. "Woo bella! Così me la guardo"
J. "Bella Lello!"
L. "Di niente, ragazzi..." dice Lello mentre torna
al banco
J. "Hey e il mio panino?"
L. "Sta in forno! Quando è pronto te lo
porto, tranquillo"
J. "Bella!"
E a questo punto i tre cedono la parola alla
televisione: lo schermo ha catturato l'attenzione dei presenti, gli
occhi dei quali sono come incollati a quella piccola lente distorcente
sulla realtà, la cui attrazione fatale è in
azione con lo straordinario potere ipnotico del calcio, lo sport
sicuramente più celebre e seguito nel mondo intero
nonché nella nostra patria.
Ma perché? Perché, mi
chiedo, il calcio è lo sport più seguito in
Italia? Ho cercato a lungo la risposta a questo quesito – in
realtà non molto a lungo, ho cose più importanti
da fare – e ho evidenziato un elemento in particolare che
distingue il calcio dagli altri sport: la semplicità, sia
delle regole sia della pratica. Vince chi segna più punti, i
punti si segnano quando la palla entra nella porta avversaria, ma non
si possono usare le mani. Aggiungeteci le regole secondarie, come gli
undici partecipanti, il fuorigioco, stabilire quando la palla viene
considerata fuori dal campo o oltre la linea di porta, il rigore, e
avrai lo sport più elementare sulla faccia della Terra.
Inoltre è facilmente giocabile, dato che, usando un minimo
di fantasia, si possono ricavare le porte e la palla di gioco da quasi
qualsiasi oggetto.
Prendiamo come esempio un altro sport, a mio
parere molto più eccitante ma decisamente meno diffuso: il
basket. Già abbiamo un aumento delle regole: oltre a quelle
di base – si segna facendo entrare la palla nel canestro, non
si tocca la palla con i piedi – ci sono molte più
regole secondarie: non puoi fare più di due passi con la
palla in mano; non puoi palleggiare con due mani; non puoi rimetterti a
palleggiare dopo che hai già palleggiato e ti sei fermato;
dopo la rimessa dal fondo devi superare la metà campo in
otto secondi e dopo averlo fatto non puoi più tornare nella
tua metà campo; la rimessa laterale va effettuata entro
cinque secondi; non si può sostare più di tre
secondi nel pitturato avversario; non puoi bloccare la palla in
parabola discendente; i canestri valgono due punti, tre se tiri fuori
dalla linea dei 6,25m e uno nei tiri liberi; le azioni non durano
più di ventiquattro secondi. E queste non sono nemmeno
tutte! Riguardo la sua praticabilità, poi, siamo costretti
ancora ad ammettere una maggiore difficoltà rispetto al
calcio: serve un canestro, o qualcosa di simile, posto a una certa
altezza, e serve una palla che rimbalzi.
Se prendete in considerazione qualunque altro
sport sarete costretti ad ammettere che esso sarà
più complicato del calcio in almeno uno dei due punti sopra
descritti.
Che la semplicità del calcio sia anche
la chiave del suo successo? Io sono convinto che contribuisca in larga
parte, assieme naturalmente al potere mediatico di cui gode, grazie a
una quasi eterna presenza sulla maggior parte dei canali d'informazione
più diffusi; potere mediatico che, però, non
è semplice causa ma anche sintomo del fenomeno,
così come accade ogni volta che la diffusione di una moda
alimenta sé stessa semplicemente con la propria presenza.
Del potere dei media e delle caratteristiche delle
mode potremmo andare avanti a parlarne per ore, se non giorni; ma non
è questo l'argomento della nostra indagine. È
Jonathan il nostro protagonista! E in questo momento egli è
seduto sulla sua sedia, sorseggiando di tanto in tanto la sua bibita e
seguendo con somma attenzione la partita, che tra l'altro ha
già visto, stando alle sue parole. In questo caso l'ipotesi
che vuole che la durata dell'attenzione selettiva decada rapidamente
con il tempo sembra andare a sbattere conto il palo dell'evidenza, in
quanto il nostro eroe non sembra perdere un singolo dettaglio
nonostante siano passati già quindici minuti dal fischio
d'inizio. E i suoi compagni sembrano comportarsi allo stesso mod...
“Ooohh!” “Ma che
cazzo...?” “EEEH?”
Le concitate voci degli spettatori si
sovrappongono in un'armoniosa manifestazione di contrariato stupore:
sembra che sia accaduto qualcosa non di loro gradimento.
S. “Arbitro coglione!”
Chissà perché avevo il
sospetto che il responsabile dell'ignobile misfatto fosse proprio lui.
J. “Figa ha fatto un fallo della
Madonna...”
La Madonna gioca a calcio? Me l'ero persa.
S. “Ma ci vedi, arbitro di 'sto cazzo?
Ma cazzo gli ha segato le gambe!”
J. “Sì infatti! Cazzo era da
giallo”
Grazie al replay abbiamo modo di rivedere l'azione
incriminata: un lentissimo Balotelli cerca di allungare la palla oltre
il suo marcatore, il quale però allunga il piede appena in
tempo per deviare la sfera facendo al contempo inciampare l'avversario,
che cade con il viso contratto in un'espressione di autentica
sofferenza a causa dell'improvviso sollevamento dei propri piedi dovuto
a una misteriosa forza invisibile che gli fa perdere l'equilibrio.
“Ma si è buttato!”
I due sollevano uno sguardo omicida verso lo
sventurato che ha avuto l'ardire di intervenire, uno dei due
sconosciuti che assistono lì vicino.
S. “Che cazzo dici? Minchia da
espulsione era!”
Espulsione, multa, squalifica a vita, arresti
domiciliari, detenzione in carcere, ergastolo, forca, damnatio
memoriae! Ecco quel che ci vuole.
J. “Ma hai visto? Era fallo!”
No, si è palesemente tuffato.
È questo che fanno i calciatori: si tuffano nel verde mare
del campo di calcio novanta minuti a settimana per tuffarsi nel verde
mare dei soldi per il resto della vita. Ah, il duro lavoro del
calciatore.
“Macché fallo? Sì
è tuffato, dai!”
J. “Ma vaffanculo! Oh ha rischiato di
farsi male!”
“Mavà,
mavà...”
I due difensori della povera vittima schizzano in
piedi con uno stridore di sedie metalliche.
“Oooh ragazzi” alza la voce
Lello da dietro il bancone “calmi, eh? Niente risse qui
dentro”
“Sì, sta' tranquillo
Lello...” risponde rilassato Sturbo, che si siede con tutta
calma e afferra il suo panino ormai freddo.
“Coglione...” borbotta
controvoglia Jonathan lasciandosi andare sulla sedia.
S. “Dai sta' bbono! Tanto il Milan
vince”
J. “C'hai ragione anche tu...”
Detto questo nel bar ritorna il silenzio che aveva
preceduto la tempesta, interrotto solamente dagli occasionali commenti
degli spettatori e dalle esultanze in corrispondenza dei gol, e dalla
breve pausa tra primo e secondo tempo. I novanta minuti passano molto
lentamente, in quanto la partita è particolarmente noiosa
– come dicevo, reputo decisamente più interessante
il basket – e priva di emozioni. Finalmente giunge il
termine, e i tre decidono di alzarsi per lasciare quel luogo.
L. “Dunque...sono cinque euro per il
panino, due e cinquanta per la RedBull e un euro per gli
M&M's”
Una volta finita la danza delle monetine i tre
lasciano finalmente il bancone salutando Lello, e si avvicinano alla
porta d'uscita.
Ma ora, un piccolo break! Ci vediamo tra poco!
- BREAK -
Anziana signora ben vestita e seduta su un divano:
“Salve! Vi do il benvenuto al primo break di questa storia.
Io sono Madame Poux-Poux, e sono...”
Voce dal pubblico: “Madame
come?!”
“Ho detto Madame Poux-Poux,
signorino.”
“Mi prende in giro?”
“No, signorino, ma se continua
così sarà la sicurezza a prenderla e a gettarla
in un posto che dubito troverà piacevole. Ha altre domande
da fare?”
“N-no, scusi.”
“Benissimo. Dicevo, benvenuti al primo
break di questa storia. 'Che cos'è un break?', vi state
chiedendo. I break sono una geniale invenzione dell'Autore per coprire
quei momenti della narrazione in cui non sa cosa scriv...”
“Ma no, mannaggia, non doveva dire
così”
“Pardon? Cosa ha detto, Signor
Gobbo?”
“Ho detto che non doveva dire quello!
Doveva dire che è una 'pausa per fare riposare il pubblico'
eccetera eccetera!”
“Oh, che sbadata...dunque, dimenticate
ciò che ho detto: questo break è pensato per
concedere al gentile pubblico di questa sublime opera un momento per
riposarsi, andare a prendere da bere, controllare la mail e via
dicendo. Inoltre, dato che l'Autore è un comunista
anticapitalista spietatamente avverso alle pubblicità, sono
qui anche per informarvi della presenza di altre storie scritte dal
Sommo e per invitarvi a leggerle!”
“Boo, abbasso”
“Basta pubblicità!” “Ho smesso
di guardare la tv per non guardare la pubblicità, non voglio
trovarmela anche qui!” “Buffone!”
“Al Sommo io dico 'suca'!” “All'Autore un
autorevole 'vaffanculo'!”
“Signori! Un minimo di contegno! Era un
semplice e inoffensivo spot! Se non vi piace vi basta saltare qualche
riga, però sappiate che così vi perderete anche
l'opportunità di partecipare al nostro speciale
spazio-proposte.”
“Spazio proposte? E che
è?”
“Vedo che ho ricatturato la vostra
attenzione e me ne compiaccio. Dunque, lo spazio-proposte, come
è intuibile...o almeno lo è da persone
semidotate...è un'opportunità che diamo agli
spettatori di avanzare richieste sul futuro svolgimento della
trama...”
“Richieste? Del tipo?”
“Del tipo che se lei per caso
è interessato a introdurre un particolare elemento
all'interno della storia può avanzare delle proposte in
questa occasione.”
“Tipo un po' di sesso?”
“Ero sicura che qualcuno lo avrebbe
detto. Sì, era esattamente quello che intendevo. Dunque, uno
spettatore propone “un po' di sesso”. Altre
idee?”
“Azione!” “Sesso per
me va bene” “Vogliamo un po' di sangue!”
“Sesso, sesso!” “Suspence! Manca di
suspence!” “Altro sesso!”
“La vostra fantasia mi meraviglia.
Dunque, sembra che il sesso riscuota molto successo...oh, chiedo scusa
per la rima...e poi mi sembra di aver capito anche
“sangue” e “suspence”. Vado
errata?
Il pubblico intero scuote vigorosamente la testa.
“Molto bene, dunque le proposte sono
“sesso”, “sangue” e
“suspence”. Vedrò di informare l'Autore
di queste tre simpatiche s.”
“Evvai! Un po' di sesso!”
“Conteniamoci, prego...ho detto che
l'Autore sarà informato delle proposte, non che le
accetterà di sicuro...”
Il pubblico borbotta contrariato.
“Mi spiace, ma non posso assicurarvi
nulla. Ma...ohibò! Mi accorgo ora che il nostro tempo
è scaduto; devo restituire la parola. Vi saluto, cari
lettori! Buona continuazione!”
- FINE DEL BREAK -
Grazie, Madame. Salve, pubblico! Siete rilassati?
Non vi preoccupate, non vi siete persi granché. I tre
infatti hanno quasi raggiunto l'abitazione di Sturbo, dopo aver passato
tutto il tragitto a parlare di cose relativamente inutili e poco
interessanti.
S. “Allora me lo dai il numero di tua
madre?”
Ecco, appunto.
J. “NO!”
S. “Sei un bastardo...”
Detto questo, spalanca con un calcio la porta del
suo palazzo.
A.A.: Salve a tutti e benvenuti al terzo capitolo
della storia di Johnny, in cui i tre amici passano una eccitante mattinata
a guardare una interessantissima
partita di calcio.
Ringrazio tutti i lettori e i recensori e vi do
appuntamento al prossimo aggiornamento (che non so quando
sarà)!
Odd
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Capitolo 4 *** Della casa di Sturbo ***
Della casa di Sturbo
Capitolo 4: Della casa di Sturbo
I tre superamici best friend 4ever <3 – 'mazza quanto
so' ironico! – salgono tumultuosamente le scale.
“Woo! Bella Chicco! 'Nnamo!”
Ehi! Ma che maniere...! Un po' di rispetto per i
nostri esperti! L'urlo a pieni polmoni di Sturbo mi ha colto totalmente
alla sprovvista: non sembra esserci nessuna motivazione dietro a tale
gesto, o almeno una motivazione evidente; forse ha semplicemente delle
difficoltà a trattenere i propri impulsi primordiali. A
questo punto mi domando cosa farebbe davanti a una potenziale partner
sessuale.
“Dove cazzo ho messo le chiavi mannaggia
alla M****** ...”
...ehi! Fermi tutti! Aspettate un attimo! Mi vedo
costretto dalle circostanze a compiere un intervento di censura.
È una misura che non mi piace adottare perché la
odio visceralmente, in quanto stupida e inutile – sono
convinto che ostacolare la diffusione di qualsiasi idea usando la
censura “è come cercare di curare la forfora
tramite la decapitazione”, come disse Frank Zappa –
e inoltre, essendo questo una sorta di studio naturalistico
caratterizzato da un'osservazione oggettiva e imparziale, non dovrei
permettermi di intervenire sui dialoghi dei miei soggetti di studio!
...
Ok, è vero, ho infarcito questo
“studio oggettivo e imparziale” di acidi commenti
personali, ma non è questo il punto. Il punto è:
ho dovuto modificare il dialogo. Perché?
Perché c'è una bestemmia! E
io mi rifiuto di riportarla, al diavolo l'imparzialità.
Perché le bestemmie sono un'offesa gratuita ai sentimenti
religiosi dei credenti e perché mi danno fastidio. Non si
discute!
Oh, vacca fetusa! I tre stanno entrando! Ecco,
guardate cosa mi costringete a fare, dannazione...whew, appena in
tempo! Eccomi all'interno dello spazioso e aerato appartamento: vengo
accolto da una fragranza di pino silvestre mentre il mio sguardo
percorre la sala davanti a me, arredata con un bianco divano a penisola
posto di fronte a un televisore e a un armadio, e arriva alle finestre
alte fino al soffitto che illuminano tutto lo spazio circostante.
J. “Che figata casa tua”
C. “Già”
S. “Tu ci sei già stato,
Chicco?”
C. “No, mai”
S. “Ah...”
J. “Che facciamo?”
S. “Mmm...sesso a tre?”
J. “Ma piantala, frocio di
merda”
S. “Scherzavo!”
J. “Io no. Si guarda la tv?”
C. “Ok! Che fanno?”
J. “Il Grande Fratello”
Oh cacchio!
S. “Sì! È sul
sei!”
E così Sturbo accende il televisore,
lanciando poi il telecomando sul divano, che si schianta in modo
violento ma sicuro sul soffice divano, presto seguito da Johnny e
Chicco più o meno con la stessa grazia.
S. “Oh io vado di là, torno
subito...” dice Sturbo prima di oltrepassare una porta
situata sulla parete della televisione.
Il Nostro comunica di aver capito producendo con
la gola uno strano suono gutturale: basta un'occhiata per capire che
è già avvenuta la trasformazione –
testa reclinata in avanti, bocca semiaperta, occhi sbarrati e
pressoché totale mancanza di battito di ciglia –
che avviene quando la televisione prende possesso delle menti dei suoi
interlocutori, ipnotizzandoli come l'incantatore con i suoi serpenti.
Dato che due dei nostri personaggi sono fuorigioco
e l'altro è scomparso per motivi ignoti, possiamo operare
con tutta calma una analisi dell'abitazione. Notiamo che la televisione
è un Panasonic da 50'', probabilmente con risoluzione in HD
(conclusione n.1: la Sturbo family ha parecchi dindini); l'armadio che
lo contiene è spartano, color panna, semplice nelle linee:
sembra essere il tipico moderno mobile Ikea, montaggio a prova di
idiota e solidità di un castello di carte a nove piani
edificato su un tavolino sorretto da tre gambe di diversa altezza. Ah,
gli armadi di una volta! Quelli sì che erano fatti come si
deve! Più difficili da scalfire di un'armatura completa
medievale, talmente solidi che per spaccarli bisognava saltarci sopra
minimo in tre (non uno di meno)! Ma lasciamo da parte i luoghi comuni
da simpatico vecchietto reduce dei bei tempi andati e torniamo
all'analisi dell'armadio: possiamo vedere dietro un'antina di vetro
alla sinistra della tv degli alcolici e dei bicchieri di cristallo con
un sottile strato di polvere; sulla mensola alla nostra altezza invece
possiamo notare (gioia per gli occhi) dei libri ordinatamente schierati
uno di fianco all'altro, la maggior parte dei quali con coste scolorite
e consunte e tutti (immensa tristezza per gli occhi) coperti da uno
strato di polvere spesso un dito (conclusione n.2: sono più
impolverati dei bicchieri, quindi o non vengono toccati da tempo
immemore o Sturbo ha una donna delle pulizie nana); il resto del
contenuto è celato in cassetti e scomparti chiusi da antine
in legno.
Diamo un'occhiata al resto della stanza: sul
pavimento giace un maestoso tappeto, forse provenente dall'esotico
Iran, ma più probabilmente dalle mani di operai cinesi
sottopagati di un'azienda di Quarto Oggiaro; alla sinistra del divano e
a ridosso del muro si innesta un piccolo tavolino tondo con la
superficie di cristallo e due sedie dalle forme bizzarre e non
facilmente definibili, il genere di cosa che sono solito definire
“robaccia moderna”, essendo io un ignorante
riguardo la nobile arte dell'arredamento di interni (conclusione n.3:
Sturbo & family hanno talmente tanti dindini che non sanno
proprio come spenderli).
Le mie elucubrazioni vengono bruscamente
interrotte dal tonfo di una porta che si apre annunciando ai presenti
l'ingresso del padrone di casa, talmente solenne e trionfale da
attirare persino l'attenzione dei suoi due compari.
“Oh ma...che cazzo hai fatto?”
chiede Johnny spalancando gli occhi.
“Figata, eh?” ghigna
soddisfatto Sturbo.
mmppffHAHAHAHA!!
S. “Ho comprato questi vestiti
nuovi”.
AHAHAHAHAH!! Ahahah! Ahah...ehm...uhm chiedo
umilmente scusa per la mia perdita di autocontrollo. La mia
è stata una debolezza imperdonabile e prometto che non
ricapiterà. Ma a quanto pare Sturbo era andato a cambiarsi i
vestiti, poiché è tornato indossando: canottiera
aderente color oro, pantaloni in pelle neri e oro aderenti fino
all'inverosimile e sorretti da delle improbabili bretelle, i quali
sconfinano senza soluzione di continuità in scarpe Converse
dello stesso colore e (mie amate Converse, quale supplizio è
per me vedervi in tale stato) addobbate con strani aggeggi
sbrilluccicanti; dato che però in questo modo la vista
dell'osservatore è soltanto stesa a terra priva di sensi,
Sturbo ha ritenuto necessario darle il colpo di grazia definitivo
aggiungendo sulla propria testa un bizzarro cappellino dei Los Angeles
Lakers girato sulla destra, sul proprio collo una collana di
gigantesche perle bianche e quelli che sembrano i resti di ermellino
scuoiato, una cintura con la fibbia dalle fattezze della faccia di una
delle Superchicche e, per concludere, quelle che probabilmente sono
delle autoreggenti rosa sulle sue bianche braccia.
S. “Sì...ho deciso che faccio
i provini per il Grande Fratello...”
J. “Ma c'è adesso,
zio”
S. “Eh?”
J. “Il Grande Fratello c'è
adesso, i provini li hanno già fatti”
S. “Sì cioè per
l'anno prossimo”
J. “Aah ok! Ma dove li fanno!”
S. “No devi mandare un video!”
J. “Eh?”
S. “Eh zio per iscriverti devi mandare
un video!”
J. “Un video? Che video?”
S. “Un video tuo! Cioè ti fai
un video in cui fai delle cose e poi glielo mandi e loro decidono se
vai bene”
J. “E cosa fai nel video?”
S. “Boh quello che
vuoi...cioè io mi presento e metto su la musica e ballo un
po'”
J. “Figata!”
S. “Eh sì e allora ho
comprato questi vestiti”
J. “Te li metti nel video?”
S. “Sì metto
questi...cioè sono fighi”
J. “Già”
S. “Metto anche i pantaloni stretti per
far vedere il pacco”
J. “Sei uno zio!”
Speriamo che il nipote non lo conosca mai...
S. “Eh lo so”
J. “Ma perché li hai
messi?”
S. “Eh per farveli vedere...”
J. “Ah”
S. “Poi zio perché
c'è il Grande Fratello! Cioè mi sono vestito per
l'occasione.”
È mentre dice queste parole che si
avvicina ai compagni e si siede a fianco a loro, per dedicarsi alla
contemplazione del diletto programma televisivo con l'abbigliamento
acconcio, consapevole come lo era Machiavelli che per le
attività culturali è necessario creare la giusta
atmosfera indossando gli abiti appropriati onde riviverla nel modo
più efficace e assaporare in prima persona il piacere della
conoscenza; e da qui, il nulla pressoché completo per lungo,
lungo tempo.
Infatti, sembra che Il Grande Fratello si limiti a
trasmettere la noiosa e monotona vita di un gruppo di persone
all'interno di una casa piena di telecamere che li spia in ogni momento
e in ogni luogo; gli spettatori quindi stanno davanti alla tv a
guardare altre persone che non fanno nulla. La domanda sorge spontanea:
è più inutile l'esistenza dei
“protagonisti” o quella degli spettatori? Io credo
che sia quella degli spettatori, perché loro non si limitano
a perdere tempo – quello che fanno i protagonisti –
ma addirittura guardano interessati altre persone che perdono tempo; di
conseguenza, si potrebbe dire che la loro è una perdita di
tempo al quadrato.
Qualcuno potrebbe far notare che, dato che io sto
descrivendo questa scena, la vostra sarebbe una perdita di tempo al
cubo, ma non è così, state tranquilli! Voi siete
qua perché interessati allo studio di questa fauna urbana,
come direbbe qualcuno di voi. E forse anche per vedere le scene di
sesso che qualcuno ha richiesto. Bene, su queste ultime non ho ancora
deciso se inserirle. Ma riguardo la fauna urbana, cosa possiamo dire
adesso, per riempire questo vuoto?
Potremmo discutere su programmi come il Grande
Fratello. Programmi che hanno un pubblico molto vasto, programmi che
sono insieme causa ed effetto del degrado intellettuale a cui
assistiamo impotenti negli ultimi sfortunati tempi. La domanda a cui si
giunge di solito è: è nato prima l'uovo o la
gallina? È nato prima lo stupido o è nato prima
il programma?
Secondo me è una domanda che non ha
molto senso. Pensare all'imbarbarimento culturale come a un fatto a
sé, un evento improvviso che piove dal cielo è
una semplificazione mostruosa: la crescente stupidità
odierna e la presenza di programmi come il Grande Fratello sono da
analizzare come un processo continuo, in cui piccoli cambiamenti
avvengono uno dopo l'altro non come i gradoni di una scalinata, ma come
una strada in lieve salita, rinforzandosi a vicenda.
Sicuramente la televisione è stato il
principale amplificatore del fenomeno: dato che i programmi vivono a
seconda dello share, è naturale che si scelgano argomenti
che piacciono a tante persone. Il problema di scelte come queste
è che vengono “tagliate le ali”, vengono
ignorate le minoranze, e si prendono in considerazione solo gli
argomenti più seguiti, che quindi diventano gli unici
presenti sugli schermi.
C'è da dire anche che l'ignoranza
è sinonimo di facilità e felicità.
Infatti essere ignoranti è terribilmente facile,
poiché è sufficiente non conoscere, non fare
nulla, rimanere chiusi nel proprio piccolo io senza affrontare il
multiverso di idee che popolano il mondo; invece il sapere necessita di
una ricerca attiva, è un amore che richiede tempo e
sacrifici. In più genera sofferenza, poiché
è solo affacciandosi sull'infinità del sapere che
si intuisce la propria misera piccolezza; ed è prendendo
atto delle interminabili questioni che affliggono l'uomo che si rischia
di essere travolti dalla disperazione, di vivere nell'amarezza
dell'impotenza. L'ignorante invece non sa, non conosce cosa
c'è là fuori: è libero dalle
preoccupazioni che non riguardano il suo piccolo mondo personale, ed
è felice, stupidamente felice.
Ma vallo a spiegare a gente come loro! Vallo a
spiegare ad amebe in grado di rimanere per ore seduti davanti al Grande
Fratello e alle pubblicità, un altro grande male delle
televisioni. Male che è ancora più potente e
subdolo quando gli spettatori non sanno ragionare con la propria testa,
quando giacciono inerti davanti a spot che mostrano prodotti davanti a
cui l'unica cosa saggia da dire sarebbe un sonoro “Ma che
cazzo è quella roba? Ma cosa mai ci potrò
fare?”.
Alla luce di questo, quindi, diventa abbastanza
chiaro il motivo per cui la televisione diffonda l'ignoranza
più enciclopedica e generalizzata.
Purtroppo però i tre non accennano a
muoversi, e per un periodo non inferiore alle due ore e mezza rimangono
incatenati alla diabolica stregoneria di quella malefica scatola,
intervenendo ogni tanto con commenti che tralascio per
pietà; due ore e mezza che sono un inferno che vi
risparmierò, con una simpatica ellissi che ci
porterà direttamente alle fasi finali della tortura.
Sento una pancia che borbotta. E per una volta non
è la mia.
J. “Mmmhh”
S. “Figa che cazzo era?”
J. “Il mio stomaco...ho
faaameeee”
S. “Andiamo a mangiare?”
J. “Oh sì”
S. “Dove andiamo?”
J. “Ma non stiamo a casa tua?”
S. “Eh no zio che cazzo facciamo cucino
io?”
J. “Mmh”
S. “Non so mica cucinare, è
roba da donne”
Secondo una concezione medievale, sì.
J. “Allora dove andiamo?”
S. “Andiamo da McDonald's”
J. “Bella! Sì andiamo al
Mac.”
S. “Ok mi cambio poi andiamo”
Detto questo Sturbo raccoglie con enorme sforzo di
volontà le forze necessarie ad alzarsi, per poi gettarsi in
piedi e scomparire dietro la porta che conduce alle sue stanze. Gli
altri due rimangono ancora con lo sguardo fisso nello schermo,
finché il loro compare ritorna vestito in modo meno
appariscente di prima.
“Dai su in piediiii!” li
incita Sturbo urlando come un hooligan.
“Arriviamo...” esala Johnny
mentre si trascina in piedi con il vigore di un anziano zoppo e
raggiunge l'amico vicino alla porta.
J. “We comunque...”
S. “Sì?”
J. “Quei vestiti sono da zio”
S. “Lo so zio da sturbo!”
Detto questo, apre la porta di casa e la
oltrepassa assieme agli altri due.
A.A.: Salve! In attesa di
terminare il periodo degli esami pubblico questo capitolo, che
è pronto già da un po' di tempo. Non ne ho altri
pronti, quindi il prossimo aggiornamento arriverà
sicuramente dopo il 12 febbraio!
Ringrazio i recensori e i lettori
e vi do appuntamento a sabato prossimo con l'ultimo canto dell'Inferno!
Odd
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Capitolo 5 *** Del pranzo da McDonald's ***
Capitolo V
Capitolo 5: Del
pranzo da McDonald's
Ed
eccoli finalmente tornati all'aria aperta, folleggiando alquanto come
degli autentici sbarazzini della strada, poiché avevano
deciso di
eseguire il numero “rifornimento da McDonald's”.
Perché si sa,
uno dei più grandi piaceri della vita è
rimpinzarsi di vaccate.
Raggiungono
il succitato fast food ignorando
le conseguenze del fatto che
si ciberanno di junk
food; queste due sono espressioni che
essendo inglesi paiono essere più scientifiche e fanno
quindi molto
più figo, e indicano la natura veloce di un pasto in quel
posto, adatto alla frenetica esistenza cittadina, ma soprattutto la
qualità delle vivande proposte, a confronto delle quali il
rancio
dei militari pare un esempio di raffinata nouvelle cuisine.
Ho
dato sufficiente prova delle mie conoscenze da poliglotta, quindi
possiamo tornare alla nostra combriccola di mattacchioni mentre si
dispone ordinatamente in fila e attende il proprio turno con docile
pazienza...
Sì,
vi piacerebbe! In realtà i tre si avvicinano alla cassa
spintonando
in malo modo i presenti nel tentativo di insinuarsi nei più
angusti
pertugi che si aprono e si richiudono nello spazio di un istante a
causa dei moti casuali della folla, guadagnandosi in tal modo sguardi
indispettiti e borbottii di disapprovazione.
Finalmente
dopo una non eccessiva attesa i tre riescono a guadagnarsi la prima
fila e l'attenzione di una cassiera e ordinano una sfilza di panini
dai buffi nomi quali Big Mac, Crispy McBacon e Big Tasty con un
adeguato condimento di patatine fritte e beveraggi vari, pagano il
conto e cercano un tavolo a cui sedersi.
“Là!”
Sturbo
ha avvistato il punto per lui più adatto a desinare con gli
amici;
forse è il loro posto abituale, o forse è una
sorta di locus
amoenusche
offre come vista un
rilassante scorcio del creato, ruscelletti,
alberi secolari, augelli che cinguettano...
“Perché
lì?” chiede Johnny.
“Zio
perché da lì vediamo il culo di quelle in
fila!”
Beh,
dovrete ammettere che ci ero andato vicino.
“Oh
zio guarda qua! Il Big Mac è gigante, cazzo!”
Sturbo
cerca di impressionare i suoi amici con le dimensioni del proprio
panino; però, mi spiace, non riuscirà mai a
impressionare me:
questi occhi, infatti, hanno visto Adam Richman fagocitare cibi dalle
dimensioni di un neonato e dal contenuto calorico quantificabile
nell'ordine dei megatoni di energia. E poi perdonami, ma i panini del
McDonald's sono veramente minuscoli; cosa che, unita al loro prezzo e
agli ingredienti che preferisco non sapere per evitarmi un infarto
cerebrale, li rende veramente pessimi.
Ma
i tre hanno scartato i panini
dai loro involucri resi semitrasparenti dall'unto
e hanno iniziato ad addentare
e masticare i loro pranzi con la stessa signorile
classe di Jake ed Elwood da
Mr. Fabulous al ristorante Chez Paul, o quella di Trinità
nella
locanda alle prese con i fagioli; e sembrano davvero
gustare quegli scarni panini insapori e
quelle patatine dalla consistenza del cartone e
glassate di zucchero per mascherarne
l'assenza il sapore, patatine che hanno visto la luce immerse
in un mare di olio dal colore
tendente all'arancione.
“Mmm
senti come è buono” dice Sturbo mentre con gli
occhi chiusi annusa il suo
panino, neanche si trattasse di preliminari con una avvenente
fanciulla.
“Coa?”
gorgoglia Johnny con la bocca piena. Lui infatti è arrivato
subito
al sodo e ha già dato i primi azzanni.
“Il
Big Mac! Lo senti? Niente ha il suo odore, mmm...adoro l'odore di Big
Mac al mattino...”
Tralasciamo
il fatto che è l'una passata, ma a me questa frase sembra di
averla
già sentita.
“'ara
'io!” mugugna Johnny con la bocca semipiena; credo che sia
interpretabile con un 'guarda zio' “c'è chitto ca
'a carne è
cento pecento da bovini italiani! Gulp! Vuol dire che è
anche sano,
cazzo!”
Vuol
dire che al McDonald's hanno un gran senso dell'umorismo.
“Eh
già!” grufola di rimando Sturbo “Poi nei
panini ci sono pomodori
e insalata!”
“Mah!
Figa, troppa roba sana!” biascica Johnny.
Dei
veri salutisti, eh?
“No
ma è strano! Cioè pensavo ci mettessero la merda,
invece ci mettono
roba controllata! Va' qua, c'è il marchio!” dice
Sturbo mentre
indica la tovaglietta.
Beh
allora c'è da credergli.
“Guarda!”
Sturbo si avvicina la tovaglietta al viso e serra gli occhi
concentrato “I bovini sono...nati ed...all...allevati in
Italia;
una qua...qualità che viene monti...moti...mo-ni-to-rata
lungo tutta la figliera
almi...a...ali...alimentare...attraverso...oltre...trentacinque che
numero è questo? Trentacinque uno due tre zeri mille? mille
controlli...anuali...nel rispetto di...severe norme di...igiene e
sicru...sicurezza. Cioè figo!” aggiunge una volta
finita l'ardua e
malriuscita impresa di lettura.
Gli
altri due annuiscono interessati, continuando nel frattempo a
inghiottire cibo.
È
proprio
in quel momento che fa il suo ingresso all'interno del fast
food una scalmanata e rumorosa
comitiva
di giovincelli: sono una decina, con un'equa distribuzione di maschi
e femmine; il vestiario maschile comprende felpe variopinte, jeans a
vita bassa e cappellini; quello femminile magliettine scollate, jeans
aderenti, pacchiani
gioielli palesemente
falsi e trucco talmente pesante da rassomigliare più a una
maschera
di cera.
A vedere quel gruppo di ragazzini che si dimenano, si spingono,
camminano fuori dal branco e rientrano nei ranghi sembra di osservare
uno di quei banchi di pesci, o uno di quegli stormi di uccelli, che
formano le loro
meravigliose coreografie involontarie, mantenendo sempre
l'unità del gruppo.
Dall'aspetto
e dal
tono di voce non dimostrano più di tredici anni.
Credo,
signori, che davanti a noi abbiamo nientepopodimeno che i famigerati
bimbiminkia; o, per usare un termine aulico che mi sento autorizzato
a prelevare direttamente dalla mia Bibbia personale – *dlin!
Messaggio promozionale 'Nonciclopedia,
l'enciclopedia priva di qualsivoglia contenuto!' – a dei
fallomarmocchi.
I
tre accolgono l'ingresso dei suddetti con la stessa reazione che
hanno riservato agli altri clienti: generale indifferenza da parte di
Johnny e Chicco, attenta esamina del fondoschiena degli esemplari del
gentil sesso da parte di Sturbo, il quale sembra apprezzare il nuovo
panorama.
La
comitiva ordina da mangiare con urla e schiamazzi; ed è
sempre con
urla e schiamazzi che prende posto nel tavolo subito a fianco a
quello dei nostri tre eroi, proprio alle spalle di Sturbo e alla
sinistra di Johnny, in un fragore di risa argentine, sedie che
stridono per terra e vassoi lasciati cadere sui tavoli. Dalla nostra
posizione riusciamo a sentire il dialogo di due bambini elevarsi
sopra il sottofondo di voci.
“Oh
guarda qua! È gigante!”
“Sìì!
Finalmente un Big Mac!”
“Oh
una volta me ne sono pappati quattro!”
“E
beh io cinque!”
E
io ventordici!
“Ho
una pancia infinita, posso mangiare qualsiasi cosa!”
I
due interrompono l'avvincente scambio per poter addentare i primi
soddisfacenti bocconi dei loro saporiti panini mentre i nostri tre
proseguono a ingozzarsi con solenne indifferenza, se si eccettua un
impercettibile sollevamento del sopracciglio destro da parte di
Sturbo.
“E...oh
ieri stavo giocando a Uold of Uorcaft”
La
pronuncia è
“w3:ld
– ɒv – wɔːʳkra:ft”,
bimbo.
“Eh?”
“Eh
però ho avuto sfiga, c'era un gruppo di
nabbi...cioè mi lasciavano
sempre solo e quindi mi sciottavano ogni volta”
“Perché?”
“Eh
ero sempre da solo contro mille...”
“Perché
quegli stronzi ti lasciavano solo?”
“Boh...cioè
all'inizio
hanno detto qualcosa ma era in inglese...io rispondevo 'ok' ma non
capivo, cioè era troppo difficile l'inglese.”
“Ah
giusto...”
“Sennò
col cavolo che mi battono, sono troppo forte io!”
E
detto questo addenta con convinzione il suo hamburger, quasi a voler
sottolineare la sua maschia virilità. Ho abbastanza
esperienza negli
MMO e nella vita quotidiana per sapere che dire di sì senza
aver
capito una mazza non è consigliabile a meno di volere farsi
odiare
dalla gente seria, ma tant'è.
“Ehi”
interviene l'altro “hai visto l'ultimo video di Miley Cyrus?
È
troppo figa!”
“No,
mi spiace, io ascolto solo rock e punk”
“Tipo?”
“Tokio
Hotel, Dari, eccetera!”
Oh mio Dio...per il rock sono tempi veramente duri. Anzi, dari.
“E
anche Bitols, Roling Stons e Led Zeplin? Cose
così?”
“Nono,
quella è roba da vecchi...cioè è
merda, io ascolto roba da
giovani! I Tokio Hotel sono veramente rock, cioè Bill
è troppo
bravo, ci mette passione...e poi i Dari, loro sono punk, sono ribelli
davv...”
Il
delirante monologo è interrotto da una patatina volante che
colpisce
il volto dell'oratore, la cui bocca si arriccia all'istante in una
smorfia di disgusto, in un tripudio di risate infantili; il
bambino-bersaglio abbassa lo sguardo sul tubero proiettile per poi
rialzarlo con le sopracciglia aggrottate in una espressione tra
l'offeso e l'irato, sorpreso da una simile mancanza di rispetto; e,
dato che i compagni continuano a ridere compiaciuti dalla burlesca
trovata, dopo aver esaminato con un almeno nelle intenzioni feroce
sguardo l'irriverente compagine per individuare l'autore di un
così
ignobile e sleale atto, afferra la patata incriminata e la scaglia
con tutta la forza che riesce a imprimere con il suo esile e bianco
braccio verso il cecchino fellone. La patata raggiunge la
destinazione desiderata e si va a infilare nella maglietta del
suddetto, il quale cessa all'istante di ridere e scatta come
un'anguilla indiavolata con il viso dipinto in una maschera di
esterrefatto terrore aumentando vieppiù il volume delle
già
incontrollabili risate, e, dopo essersi alzato in piedi rovesciando
la sedia su cui era seduto, dimenandosi come in preda a convulsioni
dovute all'assalto di un esercito di formiche, afferra finalmente il
dardo mortale e cerca di lanciarlo dove lo aveva già in
precedenza
spedito, stavolta mancando il bersaglio e colpendo il vicino, la cui
espressione del viso da spensierata e benevola diviene dapprima
sorpresa e poi offesa e vendicativa. Ma un'ulteriore patata volante
compie la sua traiettoria fino a colpire un altro membro della
tavolata: ed ecco che in una manciata di secondi l'iniziale scambio
in stile partita di tennis si tramuta in un temibile fuoco incrociato
di proiettili che divengono mano a mano più letali in quanto
cosparsi di sale, maionese, ketchup e persino di saliva.
I
nostri tre però rimangono in una condizione di beata calma,
come
saggi epicurei che hanno raggiunto la tranquillitas, come
una
fortezza costruita su una roccia a strapiombo sull'oceano che rimane
tetragona e indifferente al furioso assalto delle onde in tempesta.
O
almeno rimangono in tale stato fino al momento in cui quello che
sembra essere una pepita di pollo cosparsa di una salsa color rosa
atterra esattamente nel piatto davanti a Sturbo.
E
qui, cari lettori, avviene proprio come nei film: il tempo rallenta
fino a fermarsi quasi del tutto, così da mostrare in modo
più
preciso il rapido susseguirsi di varie emozioni sul viso della
vittima. Dapprima è palese la sua sorpresa,
poiché ancora si sta
chiedendo cosa sia il nuovo oggetto entrato nel suo campo visivo e
nel piatto in cui stava comodamente consumando il suo lauto pasto; la
sorpresa si tramuta prima in curiosità e poi, dopo che ha
riconosciuto la natura e la provenienza dell'UFO (in fondo si tratta
pur sempre di un Oggetto Volante Non Identificato), in quello stupore
quasi fanciullesco tipico del superiore che mai ha subito un
così
plateale esempio di mancanza di rispetto da parte dei suoi
sottoposti; e come questo si rivolge con sguardo minaccioso alla
sfortunata vittima, così Sturbo si volta lentamente, gli
occhi folli
ridotti a fessura, scrutando gli esagitati bambini per individuare il
colpevole.
Tuttavia
la turba di invasati frombolieri non sembra essersi nemmeno accorta
del fattaccio, in quanto continuano a lanciarsi oggetti senza dar
segni di cedimento alla noia o alla stanchezza; un disinteresse che
non fa che aumentare l'ira del furioso, la cui figura pietrificata
è
scossa da un tremito.
Johnny
e Chicco intanto assistono alla scena con muto stupore, e non osano
nemmeno aprire bocca, nel timore di diventare bersaglio della
frustrazione del loro compagno; dopo dei lunghissimi secondi,
però,
e dopo essersi lanciati un'occhiata, Johnny prende il coraggio a
piene mani, inspira a pieni polmoni e sfiata:
“Sturbo...?”
Sturbo
si volta di scatto, stralunato.
“...tutto
bene? Ti hanno lanciato un pollo sul piatto...”
Sturbo
abbassa lentamente lo sguardo, senza rispondere: sembra in stato di
shock.
“Ehi...amico,
mi preoccupi”
Sturbo
alza lo sguardo, l'espressione dipinta in un ghigno da clown
assassino di un film dell'orrore.
“Vendetta!”
Il
sibilo a denti stretti sembra il rantolo di uno zombie del
sopracitato film dell'orrore, ma il volto di Johnny si fa molto meno
teso: anzi, la proposta sembra riscuotere la sua approvazione, e
quindi si guarda intorno alla ricerca del modo migliore per
ottenerla. Nota che, al contrario di lui, Sturbo sembra avere
già
bene in mente cosa fare: infatti ha afferrato il bicchiere di
Coca-Cola ancora pieno a metà, lo ha aperto e ci ha inserito
gli
sparuti avanzi del pasto dei tre, ottenendo un atroce cocktail i cui
letali miasmi si spandono nell'aere uccidendo tutte le forme di vita
circostanti: le piante si anneriscono, gli insetti smettono per
sempre di battere le ali e le persone cadono per terra come birilli
colpiti dalla palla da bowling...
No,
non succedono per davvero queste cose, però sarebbe
certamente molto
scenografico.
Dicevamo:
Sturbo ha oramai preparato la sua vendetta, e fissa il vuoto
ghignando malevolmente e attendendo il suo momento come un giovane
fidanzatino al primo appuntamento; o, per essere più
precisi, come
un maniaco sessuale dopo una lunga astinenza in attesa di un gruppo
di indifese verginelle.
Johnny
intanto sembra aver capito qual è l'intenzione del compagno:
afferra
dei pacchetti di maionese e si mette in attesa anche lui, fissando
compiaciuto Sturbo e venendo contagiato dal suo ghigno satanico.
Chicco,
invece, si guarda intorno impaurito.
È
in questa formazione che i tre attendono con ansiosa pazienza il
momento adatto; i secondi passano, uno dopo l'altro, e il molesto
baccano della tavolata di menadi e satiri sembra sembra cominciare
finalmente a scemare; se prima il numero di proiettili era tale da
oscurare persino la luce del sole portando una infausta eclissi sul
campo di battaglia, ora il cielo si fa più limpido e sgombro
di
materiale, le grida diventano normale chiacchiericcio di sottofondo,
e la quiete dopo la tempesta mostra in tutto il suo impietoso
spettacolo i segni dello scontro appena avvenuto: brandelli di cibo,
macchie e resti non identificabili sparsi ovunque.
È
precisamente quando ogni movimento del tavolo si è placato
che i tre
compiono la loro mossa: si alzano e si avvicinano al campo di
battaglia. Sturbo si appoggia al tavolo con il gomito sinistro,
reggendo la testa con la mano, e con l'altro braccio cinge il
ragazzino che si trovava dietro di lui, celando così alla
vista il
bicchiere, e fissa sorridendo i suoi occhi, che ricambiano con uno
sguardo interrogativo.
“Qualcuno”
esordisce Sturbo a voce alta “ha lanciato un pollo sul mio
vassoio.
Queste cose non si fanno...”
I
commensali ammutoliscono, tesi.
“Già,
queste cose non si fanno...” rincalza Johnny.
I
commensali si scambiano occhiate preoccupate: e subito dopo, in
contemporanea, i due scagliano il loro attacco.
Johnny
con la sinistra mette sul tavolo i pacchetti di maionese uno sopra
l'altro, e con la destra cala una manata sopra di essi: il contenuto
esce in un'ondata di densa salsa gialla da dei fori praticati in
precedenza dal vendicatore addosso alla vittima più vicina,
coprendolo di maionese. Sturbo rovescia il contenuto del bicchiere
nel cappuccio del bambino a cui stava parlando, e mentre questi sta
ancora cercando di capire cosa succede, lo cala con forza sul capo
dello sventurato. Tra lo stupore generale di bambini che trattengono
increduli il respiro, i tre si catapultano verso l'uscita lasciandosi
alle spalle morte e devastazione e irrompono fuori.
A.A.: Salve a
tutti! Ecco il nuovo capitolo, mi scuso per il terrificante ritardo.
Cercherò di essere più puntuale d'ora in poi;
comunque, questa sarà l'ultima storia che
aggiornerò di volta in volta, le prossime farò in
modo di terminarle prima di pubblicarle, così da essere
puntuale.
Grazie a tutti e alla prossima!
Odd
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