Delle volte,mentire ti salva la vita.

di Love01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** It's time to return. ***
Capitolo 2: *** You're lying,Lena. ***
Capitolo 3: *** I've got too many problems. ***
Capitolo 4: *** I'm a big mistake. ***
Capitolo 5: *** Have you done breakfast this morning? ***
Capitolo 6: *** I'll protect you. ***
Capitolo 7: *** Don't leave,this night. ***
Capitolo 8: *** I didn't kill that woman. ***
Capitolo 9: *** Would you like to meet my parents? ***



Capitolo 1
*** It's time to return. ***


Libro O1,Parte 1.


Mattino.

Il mio primo giorno al lavoro.
Ancora non mi capacito di essere ritornata a casa,non era il momento,non ero pronta.Ho ancora cosi' tanti debiti da saldare,cosi' tanti problemi da risolvere e credo non sia il momento più adeguato per rifarsi vivi.
Il cellulare segnava le cinque del mattina e,qui a Los Angeles,il sole sorge abbastanza presto e posso dire con assoluta certezza che lo spettacolo e' da perdere il fiato nella terrazza della mia camera da letto.
Non ho dormito,non dormo da tempo ormai,e se dormo,sono solita fare incubi e risvegliarmi in preda al panico.
Velocemente mi dirigo in bagno e rapida mi faccio una doccia per poi indossare un paio di jeans schiariti,una canotta color panna stretta ed un paio di mocassini.
Appena finito sentii' nuovamente i lamenti di Jason nella stanza accanto,lasciai sul bordo del letto la giacchetta di pelle che stavo per indossare e mi diressi nella stanza del bambino.Piangeva,di nuovo.
Lo presi in braccio e scese con me al piano terra,lo portai in cucina e lo misi sul seggiolino.
«Certo che sei un bambino piuttosto esuberante,eh?»chiesi retorica sfiorandogli il piccolo naso,lui di tutta risposta emise una piccola risata battendo involontariamente le piccole mani che si ritrovava.
Incominciai a preparare la colazione ed intanto sfamai il piccolo.Come sono sempre solita,finii' per pensare ad altro,a quando ero tornata una settimana fa,precisamente.


Flashback.

L'aereo sorvolava la città,i miei occhi erano puntati sul meraviglioso paesaggio che si poteva intravedere dal finestrino.Con le mie lunghe dita affusolate giocherellavo inconsciamente con una ciocca dei miei capelli lunghi e schiariti naturalmente sulle punte.
L'altra mano era intenta a sorreggere il mento poggiando il gomito sul manico del mio posto.Sempre inconsciamente ero solita mordermi il labbro inferiore,roseo,pieno.Ero nervosa,odiavo viaggiare in volo,mi spaventava ma cercavo di mostrarlo il meno possibile,non volevo più apparire debole.
Dalla cabina del pilota,uscii' un uomo,giovane,sulla trentina d'anni:indossava un abito elegante,sul viso traspariva un filo di barba,gli occhi color verde smeraldo ed i capelli color biondo grano.Sorrise dolcemente quando punto' gli occhi sulla donna seduta,ovvero io,si sistemo' i gemelli ai polsi e,come sua abitudine,si accerto' di avere sempre con se la sua arma di difesa.
Dopo essersi toccato la custodia della pistola si avvicino' alla donna sedendosi di fronte a lei;come sua abitudine,si schiarì la voce riportando l'attenzione della ragazza su,io,come mio solito,sobbalzai di poco e strinsi il manico in pelle del mio posto.Strinsi forte la mascella piuttosto irritata,ormai mi ero abituata al suo modo di fare.
«Devi smetterla Grent,la prossima volta ritieniti disoccupato.»
«Mi spiace.Ogni volta mi ripeti questa frase,eppure non hai mai agito.»sorrisi sospirando.Calo' il silenzio poco dopo,passo' la hostess per chiedere se qualcuno desiderasse qualcosa ma entrambi scuotemmo la testa.
«Non credo di essere pronta.»disse poco dopo posando nuovamente lo sguardo sul finestrino.
«Non sei pronta a condurre una vita normale?»chiese inclinando la testa.
«Vita normale?Non ho mai condotto una vita normale e non sono fatta per condurla.Appena metterò piede in città,tutto il peso del mondo graverà sulle mie spalle ed io non sono pronta a questo.»
«Nessuno sa che stai per arrivare in città.Ti ritengono ancora in Brasile.»
«E volevo rimanere in Brasile,infatti.»dissi guardandolo male.
«Beh,e' ora di trovare un lavoro stabile.Invece di girare il mondo..»
«Scommetto che mi hai già trovato un lavoro.»sorrise con fare inquietante,dalla valigetta prese alcuni fascicoli,me li passo' ed incomincio' ad illustrarmi tutto.
«Lavorerai alla Johnson Medical Hospital,Los Angeles.Ottimo stipendio e buone ore.Non puoi tirarti indietro,hai accettato il lavoro un paio di settimane fa ed incomincerai tra una settimana.»
«Johnson Medical Hospital?Con tutti gli ospedali che ci sono proprio li' devo lavorare?»chiesi alzando il tono di un ottava.
«Pagano benissimo e poi hanno offerto di più degli altri appena si e' sparsa la voce del tuo lavoro fisso da dottore.»
«David Johnson?»
«Si,pero' l'ospedale e' gestito da Thomas Johnson,David Johnson e' a New York per affari.»
Fini' di sfogliare la cartella e la ridiedi a Grent,sospirando nuovamente.
«Va bene,casa?»aggiunsi poco dopo.
«Tuo fratello,solo temporaneamente.»la ragazza strabuzzo' gli occhi.
«Sono morta.»
«Non credo sia arrabbiato.»
«Ti arrabbieresti se ti lasciassi inaspettatamente due piccoli marmocchietti e non conoscessi mai tua moglie ed i tuoi due figli?»
«Beh,si.»
«Allora sono fottuta.»
«Ritengo che tu ne abbia passate di peggiori,come quando..»
«Va bene,va bene lasciamo stare che e' meglio.»
La hostess torno' avvisando che tra poco sarebbero atterrati in aereoporto,e cosi' fu.Un auto blindata ci attendeva sulla pista di atterraggio,altri due uomini raccolsero le sole due piccole valigie mie,Grent sali' nell'auto mentre io mi sedetti dietro,gli altri due condussero l'auto blindata fuori dalla pista e dall' aereoporto.
Questo era ciò da cui tentavo di scappare da anni ormai,ma era il momento di ''onorare'' il mio cognome,se si può dire.
«Ha cambiato casa?»
«No,vive ancora li' con moglie e bambini.»
Quanti anni hanno?»
«La bambina ha due anni,mentre il neonato appena sei mesi.»
«Nomi?»
«Il più piccolo si chiama Jason,mentre la bambina Charlotte.»mi morsi il labbro sentendo il nome della bambina,chiusi per un attimo gli occhi respirando con calma.
«Charlotte?E' un nome stupendo.»raggiunsero un grande cancello.
Entrammo percorrendo il vialetto che portava alla bella villa poco distante dalla città,si poteva immediatamente notare l'area circostante ricoperta di verde e con qualche giocattolo sparso qua' e la',sorrisi a quella vista.L'auto si fermo'.
«Siamo arrivati.La stanno aspettando dentro casa.»
«Avevi detto che nessuno sapeva del mio arrivo.»l'uomo non rispose,si limito' a sorridermi e scendere dall'auto,fece il giro ed andò ad aprirmi,i nostri sguardi si intrecciarono,l'uomo divertito,mentre io esausta.
«Sto andando in contro alla mia morte.»dissi aspettando che Grent prendesse le due valigie e me le passasse.
«Non e' la prima volta,giusto Miss?»
«Anche questo e' vero.»dissi un po' divertita.
«Dove vai ora?»continuai poco dopo e notando che l'uomo stesse riaprendo la portiera del conducente.
«Tu vai dalla tua famiglia,io vado dalla mia.Almeno mia moglie non sa che sono tornato e spero di farle una sorpresa.»
«Ci vediamo più tardi,allora?»l'uomo annui' con un cenno e mi lancio' le chiavi della casa.Ricambio' raggiungendo l'ingresso.Intanto Grent aveva già lasciato la proprietà.Presi un respiro profondo prima di inserire le chiavi,girai un paio di volte la toppa e finalmente la porta si apri'.Ad accogliermi ci penso' un bambino,sui sette anni,occhi azzurro scuro e bei riccioli,mi abbraccio' subito anche se rimasi piuttosto scioccata all'inizio,ma poi mi accovacciai ricambiando l'abbraccio.
«Mamma!»mi lascio' un bacio sulla guancia.
«Ehi,ometto.E tua sorella?»chiesi inclinando il volto e lasciando trasparire un sorriso.
«Al parco giochi con mia moglie.»intervenne un uomo.
Alzai la testa fissando l'uomo davanti a me:corporatura robusta,abbigliamento disinvolto e bell'aspetto.
«Ciao Damon.»sussurrai rialzandomi e prendendo in braccio il bambino,nonostante non pesasse poco.
«Helena.»sibilo' lui prima di scomparire in cucina.
Mi aspettavo una reazione del genere da parte sua ma preferì preoccuparmene più tardi,avevo due bambini a cui badare in questo momento.
«Quanto e' arrabbiato da uno a dieci lo zio?»chiesi al bambino.
Il bambino si limito' a mostrare le dieci dita delle mani sorridendo,ricambiai lasciandogli un altro bacio sulla guancia e facendolo scendere dalle mie braccia.Il bambino,Nathan,corse via scomparendo dalle scale per il secondo piano.
«Casa dolce Casa.»la mia voce riecheggiò in tutta la casa.


Ritornai alla realtà e preparai la colazione per il resto delle persone in casa,la tavola era ben allestita alle sette del mattino,l'ora di punta in questa famiglia a quanto pare.
«Buongiorno.»entro' Rose accomodandosi su uno sgabello con in braccio Charlotte.
«Giorno anche a te cognata.»risposi per poi addentare una cialda mentre il bambino stringeva un dito della mia mano.
«Gli stai davvero simpatica,di solito piange tra le braccia di sconosciuti.»
«E' un pregio di mia sorella.»comparve Damon con in mano un giornale.Si sedette accanto la moglie lasciando un bacio a lei ed alla bambina.
«Il problema e' che il pregio viene compensato da numerosi difetti.Buono il caffè.»continuo' poco dopo sorseggiando la bevanda.Mi limitai a sbuffare.
«Nathan e Thea?»chiesi a Rose ignorando Damon,che si limito' a scuotere il capo.
«Si stanno vestendo.»mi rispose mentre faceva mangiare la bambina.
Dal bordo del bancone presi il mio cellulare per accertarmi dell'orario,sette e trenta.
«Conoscendo Nathan sara' tornato a dormire.
Thea invece non ha ancora preparato lo zaino.»aggiunsi prima di uscire dalla cucina.
«Il problema e' che tu non conosci i tuoi figli.»disse ironicamente lui cercando di non farsi sentire.
«Simpatico,Damon.Ti ho sentito.»urlai dal salotto per poi salire le scale.Entrai nella seconda stanza a destra,la stanza di Nathan e,secondo le mie previsioni esatte,il ragazzo era vestito e tornato al letto.Scostai le coperte dal suo corpo e lo scossi leggermente per svegliarlo,ma niente.
«Nathan,e' tardi.»ci misi un po' ma riuscii' a svegliarlo e a sistemarlo e,poco dopo,aiutai Thea col suo zainetto.
«Damon,ti spiace se prendo il Suv Nero?»gli chiesi scendendo le scale,mentre mi stavo sistemando la giacchetta,intanto i bambini erano gia' usciti di casa.
«Fai come vuoi,tanto lo fai sempre.»rispose seccato mentre si sistemava la cravatta.In quel momento Rose poteva ritenersi di trovarsi tra due fuochi,uno dei due sarebbe scoppiato.
«Perfetto,spero il pranzo ti vada di traverso.Buona giornata Rose.»enunciai prima di prendere le chiave ed andarmene.Feci salire i bambini in auto e sistemai loro le cinture per poi sedermi al posto del conducente.Accesi il motore e partimmo.
«Avete la merenda?»chiesi mentre sistemavo lo specchietto dell'auto.Entrambi annuirono.
«Più tardi vi riporta a casa zia Rose,va bene?»
«Perchè?Te ne vai di nuovo?»chiese subito Nathan preoccupato.
«Mamma,non te ne andare.»continuo' poi Thea.
«Nono,non me ne vado.Devo andare al lavoro,torno presto a casa.»raggiungemmo in poco tempo la loro elementare,Nathan frequenta la terza elementare mentre Thea la prima.Li feci scendere dall'auto controllando che avessero tutto.
«Promesso?»chiese Nathan mostrando il mignolo.
«Promesso.»mi accovacciai alla sua altezza mostrando il mignolo e facendo cosi' giurin giurello.
Thea scappo' via lasciandomi un bacio sulla guancia,inseguita da Nathan. Salì in auto e poggiai le mani sul volante,non ero pronta ad andarmene e mi faceva male aver mentito a mio figlio perché nemmeno io potevo sapere se sarei riuscita o no a mantenere la promessa;poggiai la testa sul volante prendendo un respiro profondo,mi decisi poco dopo a partire.Inserii' l'indirizzo dell'ospedale sul gps ed accesi la radio,raggiunsi l'edificio in una ventina di minuti,contando anche il traffico delle otto.
Parcheggiai e scesi dall'auto raccattando la borsa,entrai nell'edificio.
Era piuttosto affollato,tra pazienti e dottori,ma raggiunsi abbastanza facilmente la receptionist.
«Desidera?»una donna bionda,di carnagione scura,mi chiese con un sorriso amichevole,che ricambiai.
«Sono qui per la professione di medico.»
«Ha il cartellino?»scossi la testa.«Carta di identità?Potrò ritrovarla sul computer.»scossi nuovamente la testa.«Mi dia il suo nome,la cercherò sul computer.»chiese gentilmente.
«Helena,Helena Caffrey.» si alzo' dalla sua sedia girevole sconvolta e squadrandomi dalla testa ai piedi.
«E' d-davvero lei?»non mi stupiva quella domanda,non era la prima volta.Mi limitai ad un automatico ''si''.
«Controllo subito,signorina Caffrey.»
«Helena,siamo colleghe credo.Il tuo nome?Sei di Cuba?»
«Cecilia,si e' giusto.Come ha fatto?»
«Caso.»mi limitai a rispondere sorridendo.
Andò a controllare le mie credenziali e,una volta fatto,mi diede il mio cartellino di riconoscimento ed il camice.
«La accompagno negli spogliatoi,almeno potrà cambiarsi.»
Gli spogliatoi femminili si trovano al piano terra,adiacenti a quelli maschili;sono abbastanza ampi,vi e' un armadietto per ogni medico ed infermiere dell'ospedali e ci sono anche le docce.Erano vuoti poiché a quest'ora del giorno si era già al lavoro,velocemente mi tolsi il giacchetto ed indossai il camice.
«Quando inizia il mio turno?»chiesi mentre mi sistemavo i capelli coperti tra la canotta bianca ed il camice.
«Hai il mio stesso turno,perciò incominci ora.»uscimmo dalla stanza ed incomincio' ad illustrarmi il lavoro,niente di nuovo.
"Da quanto lavori qui?»le chiesi interrompendo il suo lungo dialogo di cui avevo perso il segno una decina di minuti fa.
«Due anni.»
«Com'è lavorare qui?»
«Orari flessibile,colleghi simpatici non e' male e poi..»non pote' terminare la frase,fummo interrotte dall'arrivo di un uomo,sulla trentina,col camice indosso e piuttosto agitato.Si avvento' sulla donna accanto a me dandole un bacio veloce sulle labbra,intuii' subito fossero una coppia.
«Il primario ti vuole nel suo ufficio,sbrigati.»riuscii' solo a dire per poi prendere ed andarsene,ma la ragazza lo blocco' per il polso guardandolo perplessa.
«Perché nel suo ufficio?E perché sei cosi' agitato stamattina?»
«Non so perché ti vuole nel suo ufficio e sono agitato stamattina perché il nuovo medico non si fa vedere ed io sono pieno di suoi pazienti.Spero non sia un incompetente.»piccolo malinteso.
Cecilia si volto' verso di me,una smorfia divertita comparve sul volto di entrambe,anche il ragazzo si volto' verso di me,accorgendosi solo ora della mia presenza.
«Ti presento Helena Caffrey,il nuovo medico non incompetente.»dice Cecilia«Io vado,a voi le presentazioni.Ciao amore.»gli lascio' un bacio veloce e scomparve all'angolo del corridoio.
Tesi la mano sorridendo verso il trentenne,notai l'imbarazzo nei suoi occhi.
«Piacere,Helena. Tu sei?»
«Derek,piacere.»alla fine rispose alla mia domanda e strinse la mia mano,anche se un po' tremolante.
«Mi spiace averti dato noie con il lavoro,ho dimenticato il cartellino e Cecilia doveva trovarmi sul computer.Ti spiace illustrarmi le cartelle dei pazienti?»si limito' a fare un cenno con la testa.Lo seguii'.
Ci ritrovammo in una specie di piccolo atrio,alcuni dottori radunati a scherzare coi gomiti poggiati sul bancone,mentre dall'altra parte scaffali e scartoffie di cui si occupavano qualche infermiere.Forse,per farsi un'idea più chiara di dove mi trovi,basta che ci si immagini la serie televisiva Scrubs;anche Derek raggiunse il bancone salutando qualche collega,si fece passare una cartella e mi fece cenno di raggiungerlo.Non mi piacciono i luoghi affollati,preferisco trovarmi in una cerchia ristretta di persone ma decido di mettere da parte il mio scetticismo e raggiungo l'uomo che,nel frattempo si era messo a scherzare con un paio di colleghi.
Mi innervosiva il suo modo di fare,cosi' lo presi per il colletto del camice allontanandoci dalla folla di dottori,che a quanto pare preferiscono ridere piuttosto che salvare vite umane.
«Che ti prende?»chiede divincolandosi dalla mia presa.
«Lavorare,sono venuta a lavorare e non a scherzare.»sospira scocciato e mi passa la cartella.
«Jenny Folton,donna di trentatre anni ricoverata da quasi due settimane in ospedale.»incomincia a parlare mentre ci dirigiamo verso la stanza della paziente.Mi apre la porta scorrevole.
«Prima le signore.»mi limito a sorridere ed entro,chiude la porta dietro di se.
«Ecco il suo primo caso Miss Caffrey,ora salverà la vita a questa donna o la condurrà a morte certa?»
Quella domanda poteva colpire qualsiasi dottore,ma riusci' a coglierò solo l'ironia in quella frase.

«Mangia,Charlotte.»ripete nuovamente Rose esausta,la bambina continua a tenere le labbra sigillate e scuotere la testa in senso di disapprovazione.Ha preso dal padre.
«Io ci rinuncio.»conclude in fine mia cognata lasciandosi cadere sullo sgabello adiacente.Vado a controllare se il sugo per gli spaghetti e' pronto,manca ancora poco.Torno a sedermi sullo sgabello opposto a Rose ed adiacente alla piccola Charlotte,ho portato a casa la cartella di un nuovo paziente,il primo caso l'ho risolto lo stesso primo giorno lasciando la gente piuttosto di stucco.Jason intanto stava facendo un riposino mentre Nathan e Thea sono in giardino a giocare con la palla.Sono le prime ore della sera,fuori si possono notare i colori vivaci del tramonti,uno spettacolo che ho sempre amato.
«Ancora mi chiedo da chi abbia preso Charlotte,se da me o dal padre.»borbotta con le mani sul volto la donna.Per un attimo vi e' un momento di silenzio,ma poi entrambe ci guardiamo negli occhi «Dal padre!»esclamiamo entrambe prima di scoppiare a ridere.
«Sai,Damon non mi ha detto che eri cosi' amichevole."soffia lei tra le risate.
«Davvero?Cosa ti ha detto di me?»
«In realtà parlava poco della sua famiglia,pero',quando tu sei..»
«Scomparsa,si.Continua.»
«Ci eravamo conosciuti poco in quel periodo,anzi io lo conoscevo poco,lui sapeva tutto di me,della mia vita e ciò mi dava sui nervi.Stavo pensando di chiamare la polizia,lo ritrovavo in qualsiasi luogo dove io mi dirigessi.Quel giorno pioveva a dirotto ed io ero a piedi,fradicia.Lui mi si presenta nella sua Bmw nero metallizzato e mi apre un sportello,accetto il passaggio.Gli avevo chiesto di riaccompagnarmi a casa ma lui mi aveva portato qui,in casa sua.»
«Oggi e' casa vostra.»puntualizzo lasciandomi scappare un sorriso sulle labbra,mi piaceva conoscere mio fratello su ogni suo aspetto e questo aspetto non lo avevo mai intravisto,anzi lo avevo sempre trascurato in lui.Ho sempre pensato che,nonostante non avessimo alcun legame di sangue,io e lui,dopotutto,eravamo identici su ogni aspetto ma,in questo momento,dovetti ricredermi.Lui aveva ancora una parte buona dentro di se,una parte di se' capace di amare,cosa che io invece non sono più in grado di fare.
«Già.Comunque,mi ospito' per la notte dicendomi che non mi avrebbe riaccompagnato a casa perché odia guidare quando piove.Ricordo di essermi piegata in due dalle risate per quella affermazione,non poteva trovare scusa piu' assurda.»
«Siete finiti a letto insieme?»annui' arrossendo.
«E la mattina avete fatto colazione sul divano del salotto,giusto?»
«Come fai a saperlo?»chiese imbarazzata.
«E' mio fratello,stesso sangue,stesso carattere se si può dire.»bugia«Continua.»
«Accendemmo la televisione ma non ne facemmo molto casa,eravamo occupati a fare altro."dice con un tono di malizia,sorrido.
«Ad un certo punto..»inizia lei.
«Ad un certo punto mi blocco,drizzando le orecchie.»non ci accorgemmo che Damon era già tornato dal lavoro.Dai suoi occhi traspariva disagio e rabbia,molta rabbia repressa.
«Rose,puoi uscire un attimo per favore.Porta via Charlotte.»chiede con voce roca Damon.
«Tesoro,andiamo a vedere Nathan e Thea,eh?»prende la bambina in braccio e scappa preoccupata.Mi volge uno sguardo prima di andarsene,ansiosa.
«Lascio le labbra di quella che oggi e' mia moglie e volgo lo sguardo verso la televisione.C'era il telegiornale,alzai il volume.Puoi sapere tu come ci sia rimasto ascoltando quelle parole 'La giovane e multi miliardaria Helena Caffrey rimane coinvolta in un incidente aereo all'età di soli vent'anni. L'aereo precipita in mare.'Ho dovuto preparare io i funerali,ho dovuto spiegare io ai tuoi figli che la madre non sarebbe ritornata.Ho dovuto pensare io controllare nostra madre,che non sarebbe riuscita a sopportare la morte di un'altra sua figlia,mentre nostro padre non voleva crederci,ti ha cercata dappertutto ma non ti ha mai trovata.E poi c'ero io,che mi sono dovuto occupare del dolore degli altri e non pensare al dolore per me,di perdere ancora un'altra sorella.»batte i pugni sul bancone cercando di non scaricare la rabbia su di me.Non alza la voce come farebbe qualsiasi altra persona verso di me,sa dei miei problemi in questi casi.
«La cena e' quasi pronta,oggi piatto all'italiana. Spaghetti con sugo.»mi limito a rispondere accennando un falso sorriso e fingendo che non sia successo niente.Questo lo fa scoppiare,fa il giro del bancone e mi prende per il polso.Immediatamente scatto voltandomi di scatto e spingendolo verso il bancone,lo piego in due e poggio un braccio sulla sua gola bloccandogli il respiro.
«H-Helena. Lasciami.»riesce a respirare a fatica,non mi accorgo di ciò che sto facendo.
Semplicemente mi sentivo in pericolo,mi sento sempre in pericolo.Ho imparato a non abbassare mai la guardia.Mi ritiro di poco lasciandolo respirare,fisso le mie mani sconvolta per ciò che ho fatto a mio fratello.
«H-ho il turno di notte oggi.E' tardi,d-dove andare.»lascio completamente la presa su mio fratello ancora sconvolta di me stessa.In quello stesso istante entrano i due bambini.
«Stasera gli zii vi mandano al letto.Niente dolci prima di dormire,intesi?»entrambi annuiscono impercettibilmente.Raccatto velocemente il fascicolo e scappo da casa con la borsa e con la giacca.Monto in auto ma mi blocco ancora prima di partire.
So di aver nuovamente perso il controllo e ciò mi urta i nervi.Io sono innervosita da me stessa.Sinceramente dovrei trovarmi ad essere la paziente piuttosto che il dottore.Se qualcuno tentasse di percepire i miei pensieri,ora sarei rinchiusa in un manicomio.Beh,ho passato di peggio.
Metto in moto e parto.L'auto segna le otto e trenta.Ancora trenta minuti prima che inizi il mio turno notturno. Ritornerò a casa prima delle otto,abbastanza presto per poter accompagnare i bambini a scuola.Mentre guido abbasso completamente i finestrini anteriori,permettendo al mio corpo di trasparire un po' di aria.Indosso camicia leggera di sete color pesca,jeans bianchi ed i miei soliti mocassini dalla Vans a scacchi bianco e nero ma vivo a Los Angeles ed in questo periodo,ai primi giorni dell'estate,la temperatura più bassa sfiora appena i ventinove gradi Celsius.Vorrei poter andare in giro come qualsiasi altre ventitreenne della mia eta',ma mi e' impossibile,poiché io non sono una 23enne qualsiasi.Devo ammettere che Los Angeles e' davvero una bella città notturna,le strade abbondano di gruppi di giovani ragazzi e coppie.Sono tentata di fermarmi in un BarPub circostante ma soffoco immediatamente questa sensazione e conduco la mia strada verso l'edificio dove lavoro.
Una volta raggiunto il lavoro scendo dall'auto,miracolosamente mi scappa uno sbadiglio,segno che forse,dopo tanto tempo,ci sono possibilità che io mi addormenti senza incubi.Non ricordo quando sia stata l'ultima volta in cui sia riuscita a dormire sogni tranquilli finché,in quel momento,non mi torna in mente.Un senso di dolore e tristezza mi percorre e non faccio caso a ciò che mi circonda mentre cammino verso l'edificio.In una piccola frazione di tempo,mi ritrovo per terra un poco dolorante avendo sbattuto contro una povera persona che si faceva i fatti suoi e che purtroppo ha avuto la sfortuna di incrociarmi nella sua vita.Questo era ciò che pensavo finché entrambi non aprimmo prima gli occhi,per vedere contro chi eravamo andati contro,poi spalancammo le bocche capendo di riaver incontrato,forse per entrambi,l'ultima persona che avremmo voluto vedere in questo momento.
«Tom.» l'unico monosillabo che riescono a lasciare le mie labbra in quel momento.

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Capitolo 2
*** You're lying,Lena. ***


Libro O1,Parte 2.


Tom's Chapter.

Devo essere sincero.Lei e' davvero bellissima.
Non la ricordavo cosi',semplicemente attraente.
«Che male,mi spiac..»incomincia lei,ed e' in quell'occasione che ho la possibilita' di udire nuovamente la sua voce.Non la ricordavo cosi',le foto di lei non le danno giustizia,la sua voce.Ancora quel tono dolce,melodioso,capace di far cadere ai propri piedi qualsiasi uomo,senza che abbia visto la donna.La squadro dalla testa ai piedi e lei fa lo stesso con me.
«Tom.»la sua voce sussurra il mio nome.
Mi alzo e le tendo una mano in segno di aiuto,accetta titubante la mia mano e,alzandosi,inciampa tra i suoi piedi e si costringe a reggersi poggiando i palmi della mano sul mio petto.
«Helena.»ricambio anch'io in un sussurro.
Le nostre labbra sono ad una minima distanza,riesco a sentire il suo soffio sul mio viso,io suoi occhi mi guardano dal basso verso l'alto.In un minimo lasso di tempo si stacca imbarazzata da me sistemandosi una ciocca di capelli schiariti naturalmente sulle punte.I suoi capelli sono molto piu' lunghi ora,alcune ciocche raggiungono il bordo del fondo schiena.
«Accetteresti un caffe'latte?»le chiedo volgendo lo sguardo verso il basso,fissando il pavimento.Passano svariati secondi prima che io possa ricevere una risposta.
«Il mio turno sta per iniziare.»cerca di giustificarsi tenendo lo sguardo fisso su qualsiasi altra cosa che non sia io.
«Sono il tuo primario,chiudero' un occhio.»cerco di ironizzare.
«Sono nuova,non posso permettermelo scusa.»stringe forte la sua borsa e scompare tra la moltitudine di dottori e pazienti presenti nell'ospedale.
Sospiro infilandomi la mani nelle tasche ed uscendo dall'edificio.
I sensi di colpa tornano a farsi vivi dopo quasi tre anni.

Helena's Chapter.

«Come ti va la vita dolcezza?»controllo l'aflebo ed il battito del cuore.Sorrido al paziente che tengo in cura da alcuni giorni.
«Bene signor Monroe,e lei?Si sente meglio?»chiedo trascrivendo sulla sua cartella i dati.
"Da quando e' lei la mia dottoressa va molto meglio.»sorrido nuovamente.
Mi siedo sulla poltrona accanto il letto singolo.
«Qualcosa non va?»mi chiede lui studiando il mio viso.
«Oh,non si preoccupi signor Monroe.
Sto bene.»
«La stessa scusa che usava mia figlia.»
«E lei cosa faceva?»
«La torchiavo finche' non parlava.»sul volto di entrambi comparve una smorfia divertita.«Allora?Le va di parlarne?»
«Mi sono incontrata di malo modo con il mio ex.»sul volto dell'uomo cinquantenne comparve un sorriso divertito.
«Ha usato l'articolo 'il',significa che e' piu' di un ex.»su questo aveva ragione.
«Ho letto del suo matrimonio e della nascita di suo figlio.Ha un anno.»
«Mi spiace.»allunga un palmo della mano sulla mia accarezzando il dorso,sorrido.
«Io non provo piu' niente per lui,avrei solo preferito chiudere le cose in un altro modo.»dico alzandomi e congedandomi.
Percorrendo il corridoio,da una stanza,compare Cecilia.
Mi si affianca.
«Ehi miliardaria.»
«E' questo il soprannome che voi veterani avete deciso di darmi?»
«No,ma a me piace.
Helena e' un nome cosi' raffinato,di una donna seria.»puntualizza.
«Ah,e io non sarei seria quindi?»ci fermiamo di scatto nel mezzo del corridoio guardandoci negli occhi,scoppiamo entrambe a ridere.
«Ti sei risposta da sola.»accenna continuando a ridere,raggiungiamo il bancone dove risiedono Derek ed altri dottori.
«Come mai ridi tesoro?»chiede seduto sulla sedia girevole dall'altra parte del bancone.Entrambe posiamo la cartella che tenevamo in mano assieme i gomiti,la ragazza non accenna a smettere di ridere.
Derek si volta guardandomi piuttosto stranito.
«Non le ho fatto niente,giuro.»mi discolpo immediatamente,intanto Cecilia posa la testa sulla mia spalla con le lacrime agli occhi.
Passa qualche minuto nei quali scambio qualche parola con gli altri dottori,alla fine la ragazza si calma.
«Sapete che ore sono?»chiedo informandomi,ho lasciato il cellulare nell'armadietto e non vedo orologi in giro.
«Pochi minuti alle sette,mi meraviglia il fatto che tu non ti sia lamentata per il sonno.»incomincia Derek divertito,anche gli altri sorridono.
«Per me il sonno non e' un problema.Mi abituo molto facilmente alle diverse situazione che mi capitano.»
Ed era vero.Durante quei pochi anni della mia vita posso dire di aver sperimentato molte pene dell'inferno,sempre che esista.Alzo gli avambracci all'altezza delle spalle ed interpongo la testa fra le braccia lasciando credere agli altri che io sia solo un po' stanca.In realta' stavo incominciando a sentire un dolore lancinante alla testa.
Sento pronunciare il mio nome da una voce familiare ma ritengo solo che sia la mia immaginazione a farmi brutti scherzi.
«Helena.»vengo richiamata nuovamente da quella voce.Stavolta e' piu' chiara,piu' vicina.
Lui e' davanti a me.Alzo lo sguardo ed incrocio i suoi occhi color azzurro intenso.Come il nostro scontro di prima indossava una T-shirt blu notte e jeans;sopra il suo camice,ma lui lo tiene sempre sbottonato.Non e' cambiato niente in lui durante questi anni,cosa che non posso dire di me stessa.E' sempre stato uno a cui non andavano a genio i completi da lavoro,tradizione della sua famiglia invece.
«Tommy.»borbotto sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio ed alzandomi in posizione retta,gli altri invece restano nelle loro posizioni,molto probabilmente Tom tiene molta confidenza con i suoi colleghi di lavoro,nonostante lui sia il capo qui.
«Voi vi conoscete?»chiede un po' sbalordito Derek,gli altri drizzano le orecchie interessandosi alla conversazione.
Il dolore alla testa si intesifica,quasi ad impedirmi di rispondere ma cerco di non darlo a vedere agli altri ma lui,lui no,lui capisce cosa sta succedendo.Compie il giro del bancone trovandosi dietro di me,mi volta verso di lui e posa le mani sui miei fianchi,come faceva un tempo,dai fianchi poi le sue mani passarono al mio viso,stringendolo forte,cercando di tenermi sveglia.Tutto cio' lascio' sbalordita la gente accerchiata sul bancone ed anche i dottori che stavano casualmente attraversando il corridoio.
«Cos'avete da guardare?Tornate tutti al lavoro,voi.»ringhia ai dottori lungo il corridoio e sul bancone,tutti eseguono l'ordine ma l'uomo blocca Cecilia e Derek.
«Acqua e la sua borsa.»ordina con tono serio,eseguono gli ordini lasciandoci entrambi soli,anche se in realta' eravamo sotto occhi discreti.
«Non chiudere gli occhi,mai.Capito?»tento di parlare ma il dolore aumenta di volta in volta,mi limito a tentare con un cenno un 'si' automatico.I due tornano subito col necessario.Tom fruga nella mia borsa e trova un pacchetto di compresse,ne prende una e me la fa ingoiare bevendo dell'acqua.Aspetta alcuni minuti prima che il farmaco faccia effetto e lentamente mi fa scendere dal bancone.
«E' il mio ex.»do una risposta alla domanda di Derek,il quale assieme a Cecilia restano piuttosto confusi.
L'uomo si limita a passarsi una mano tra i capelli.In un breve lasso di tempo riprendo lucidita' ed incomincio a sentirmi meglio.I miei occhi si posano direttamente su di lui,il suo corpo e' troppo vicino a me percio' ma allontano raggiungendo una certa distanza.
«Grazie.»sussurro incominciando a fare qualche passo verso le scale d'emergenza.
«Helena,aspetta.Parliamo.»
«Non posso,ho finito il turno scusa.»dico solo per poi prendere le scale d'emergenza.
Non uso mai l'ascensore,mai da quando sono tornata.
Cio' mi ricorderebbe troppo Tom.
Ricordo ancora quell'incredibile giorno,cose che capitano poche volte nella vita.


«Prima le signore.»annuncia come un vero gentlemen indicandomi l'entrata dell'ascensore.
«Oh,grazie dottor Johnson.»dico sarcastica e facendomi strada.
Mi sento avvolgere un fianco da un suo braccio mentre entro,mi volto sorridendogli e lasciandogli un bacio fugace sulle labbra.
«No,non te la cavi cosi' dolcezza.»ammette con tono sommesso,l'ascensore dietro di noi si chiude e l'uomo preme il bottone dell'ultimo piano dell'ospedale.L'ascensore e' costituito con pareti in vetro,noi possiamo vedere le persone fuori,ma quelle fuori non possono vedere cosa facciamo noi dentro.Inoltre l'ascensore dava all'esterno,la vista della Grande Mela e' sublime.
«New York e' stupenda,non credi?»cerco di cambiare discorso.
«Si,ma un giorno lasciero' questa citta'.Los Angeles mi attira molto di piu'.Ma nulla mi attira quanto te.»mi volta nuovamente verso di lui tenendo salda la presa su di me,mi poggia delicatamente sulla parete dell'ascensore sapendo delle mie cicatrici.
Incomincia a lasciare piccoli ed avidi baci umidi lungo il mio collo mentre le sue dita giocherellano con i bottoni della mia camicetta senza maniche.
«Tommy.»lo richiamo come ero sempre solita fare con Nathan e Thea.
«Shh,non parlare dolcezza.»mi zittisco come vuole lui,e lo lascio fare ma non dura.
L'ascensore si ferma d'un certo punto in un piano intermedio,non ricordo quale;ci ricomponemmo prima che lo sportello si aprisse e lasciasse entrare una giovane donna incinta la quale ci sorrise.
«Che piano?»ci chiede gentilmente.
«L'ultimo.»rispondemmo entrambi in coro,ci guardammo negli occhi sorridendo.
Anche lei doveva raggiungere l'ultimo piano,era incinta da trentadue settimane e doveva svolgere l'ultima ecografia.Non la svolse mai.
Quella volta l'ascensore si blocco',lasciando noi bloccati in quel ristretto spazio.
Il destino ha voluto che alla donna si rompessero le acque.
Tom non era pratico per i travagli,lui si occupava di tutt'altro mentre io non svolgevo la professione di medico,anzi facevo tutt'altro che quello.
Pero',prima che conoscessi Tom,l'avevo svolta e mi era spesso capitato di far nascere bambini.Fu quel giorno che Tom seppe della mia laurea in medicina,nonostante avessi solo vent'anni e quella non fosse la mia unica laurea.Rimanemmo rinchiusi per quasi una giornata,mentre fuori tentavano di liberarci.Nel frattempo la donna entro' i travaglio per quasi diciotto ore,ma alla fine riuscimmo a far nascere i bambini.Due gemellini.Un maschio ed una femmina.Strappammo il camice di Tom ed avvolgemmo i due bambini.
«Quali nome ha scelto?»chiesi un poco curiosa mentre tenevo tra le braccia la neonata,Tommy posava il mento sulla mia spalla mentre un suo dito era stato incastrato dalle piccole manine della bambina.
«Helena e Thomas.»


Scaccio via quel ricordo ed esco velocemente dall'ospedale senza aver timbrato l'uscita.Non mi interessa.Torno a casa in tempo per prendere Thea e Nathan.
«Mamma,sei in ritardo.Tra poco ci accompagnava lo zio.»mi ammonisce il bambino,se solo sapesse.
«Mi spiace piccoli,andiamo.»non oso alzare lo sguardo verso mio fratello.
«Helena,aspetta.»mi chiama Rose prima che io vada.Mi volto verso lei sorridendo,mentre i bambini salgono in auto.
«Posso chiederti un favore?Non sarebbe necessario se non fosse importante.»mi dice preoccupata.
«Dimmi pure.»intanto sistemo le cinture ai bambini per poi chiudere lo sportello.
«Devo tornare a lavoro,riunioni importanti a cui non posso mancare.La maternita' e' quasi scaduta ed ancora non ho trovato una badante decente quindi..»incomincia a parlare a macchinetta,tra poco mi sarebbe girata nuovamente la testa.
«Si.»rispondo immediatamente zittendola,nonostante lei non abbia terminato la frase.
«Si,mi occupero' di Charlotte e Jason.Non ti preoccupare,per me e' un piacere.»
«Oh,grazie.Io devo andare,a dopo.»prende l'audi nera in garage e scappa via.
E' allora che constato la mia situazione.Devo accompagnare a scuola i bambini,tornare a casa ed affrontare Damon.
«Che stupida che sono.»dico dando voce ai miei pensieri mentre salgo nel sedile del conducente.Faccio retromarcia ed esco dal cancello prendendo la strada principale.
«Mamma,oggi vado a casa del mio migliore amico.»mi avvisa all'ultimo momento Nathan.
«Tesoro,me lo dici solo adesso?»ai problemi si aggiungono altri problemi.
«Nath,dove abita questo tuo amico?»chiedo poco dopo.
«Mamma.»mi chiama lui.
«Si?»
«Io non conosco la strada.»ammette un po' imbarazzato.Mi sbatto volontariamente la testa sul volante facendo suonare involontariamente il clackson.Rialzo la testa sbuffando.
«Chi lo sa?»
«Zio e Zia.»borbotta per farmi capire che e' una domanda stupida.
Lo guardo male dallo specchietto ma lui non lo nota.
Nathan e' l'esatto opposto di Thea.
Lui esuberante,lei un po' piu' calma.
Lui impulsivo,lei compie le sue scelte con calma.
Lei fa tutto con calma.Ad esempio ora,se ne sta zitta ed ammira il paesaggio al di fuori dell'abitacolo.
«Mamma.»ora mi chiama Thea.
«Si,Thea?»
«Domani e' la giornata Genitori-Figli.Vorresti venire?»freno di colpo.Non solo per l'inaspettata domanda di Thea,ma anche perche' abbiamo raggiunto l'edificio scolastico.
I bambini si slacciano le cinture e scendono con in spalla gli zainetti,anch'io scendo sorreggendo su una spalla la borsa.
Nathan mi saluta velocemente,mentre Thea no.
«Allora?Vieni?Se non vuoi zio Damon e' felice di venire.Di nuovo.»dalla sua voce flebile traspare molta tristezza.
Mi accuccio alla sua altezza sorridendo e spostandole una ciocca di capelli scuri dal viso a dietro l'orecchio.
«Amore,dove e quando e io ci saro'.Sempre.»sul volto della bambina compare un ghigno divertito.
Mi abbraccia lasciandomi un bacio sulla guancia.
«Grazie,mamma.»la bambina scappa via,salgo in auto.
Durante il tragitto di ritorno mi preparo psicologicamente,sapendo cio' che potrebbe succedere in quella casa.La stanchezza,in questo momento,si fa sentire piu' che mai.
Parcheggio sul vialetto ed entro in casa.Lascio la borsa sul comodino assieme le chiavi del suv e mi dirigo in cucina.Jason e' seduto sullo sgabello calmo,cosa molto rara mentre Charlotte e' tra le braccia del padre,l'uomo posa lo sguardo su di me.Mi limito a sorridere.E' tutto cio' che posso fare.
«Buongiorno.»dico con tono sommesso.
Charlotte,appena mi vede,si sbilancia verso di me.
Damon si alza e me la passa.Le lascio un bacio sulla guancia.
«Hai voglia di andare al parco tesoro?»chiedo alla bambina in braccio.
La piccola subito esulta e scalcia perche' io lasci la presa.La faccio scendere e la bambina corre in salotto per poi salire le scale diretta in camera sua per cambiarsi.Vado a prendere subito Jason e gli sfioro il naso.Lo fa sempre ridere.
«Vado a cambiarli.»dico poco dopo a Damon,ancora seduto con le braccia conserti a fissarmi.
«No,aspetta.Parliamo.»
Oggi e' il secondo uomo che mi rivolge queste parole.Dalle parole di Tom,sembrano una richiesta.Dalle parole di Damon,sembrano piu' un ordine.
«Di cosa Damon?Mi spiace per ieri,non era mia intenzione.»mi scuso immediatamente.
«Helena,dove hai imparato quella mossa?»si alza.
«Non so di cosa tu stia parlando Damon.»cerco di sviare la domanda.
«Non mentirmi Helena.Sono stato nell'esercito,ricordi?»
«Preferirei non ricordare quegli anni,Damon.»
«Non ti sto chiedendo di rivangare quel passato.Ti sto chiedendo di dirmi dove hai imparato quella mossa.E' stato lui?Lui ti ha insegnato quello?»
«Non puo' essere stato lui Damon,ragiona.Lui e' morto.Ha lasciato questo mondo quattro anni fa.»
«Stai mentendo,Lena.»mi sta provocando e ci sta riuscendo molto bene.
Non sopporto essere chiamata Lena,un ricordo in particolare riaffora nella mia mente.


«Lei crede che solo perche' e' una delle donne piu' ricche del mondo io non le faccia niente?»ringhiava l'uomo in tono minaccioso davanti a me.Si poteva sentire perfettamente il suo accento russo.
«Queste sono le sue parole.Io non ho detto niente.»rispondo acida,posando i polsi ammanettati sul tavolo.
"Ora posso tornare nella mia cella a marcire?»continuo poco dopo.
«Lei sa che e' quello che fara' per il resto dei suoi giorni?Il mondo la crede morta da otto mesi.Ma lei,ha ancora una possibilita'.Deve solo parlare Miss Caffrey.Non le chiediamo altro.»compie il giro del tavolino e mi fa alzare,lo ritrovai davanti a me.Il suo sguardo torvido si poso' sul mio corpo mentre con una mano mi alzo' il mento,l'altra la poso' su un fianco.Un sorriso malizioso comparve sul suo viso.Sorrido.
«Se io parlo,voi mi liberate quindi.E' questo l'accordo giusto?»
«Si,e' questo l'accordo.»mi attira di piu' al suo corpo,quasi ansima nonostante io non mi trovi nelle migliori delle condizioni,a quanto pare sono ancora attraente.
«Ci sono due cose che nella vita non hanno limiti.»
«Quali sono Lena,me lo dica.»lentamente la sua mano si posa sul mio fondoschiena.
«La femminilita'.»
«Si.»geme quasi.
«Ed i modi di abusarne.»dissi con tono suadente per poi prepararmi.
Tentai di tirargli una gomitata sullo stomaco ma lui mi precedette,era sempre di un passo in avanti a me.Schivo' il colpo e la sua mano si sposto' sulla mia nuca attirandomi al freddo metallo del tavolo.Mi blocco'.
«Stai mentendo,Lena.»
«Ricorda una cosa di me.»si china verso le mie labbra.
«Dimmi.»
«Nel tuo futuro ci saranno solo due possibilita'.Un giorno,potresti ritrovarti a condurre la bella vita,io saro' solo uno dei tuoi soliti prigionieri.Ma questo e' molto improbabile.»
«Allora dimmi cos'e' sicuro del mio futuro,Lena.Sono curioso.»ringhia quasi lasciando sul suo volto un sorriso inquietante,da pazzoide quasi.Ricambio.
«Morirai Claus.E stai certo di una cosa.Il tuo corpo verra' fatto in mille pezzi da me,questa e' una promessa.Lo giuro sulla sua tomba.»lo minaccio con tono sommesso,lui pero' non mi prese sul serio.Dalle sue labbra fuoriusci' solo una specie di risata isterica,da pazzoide.
«Allora e' vero.L'amore puo' portare alla pazzia.»
«Qui,l'unico pazzo sei tu.»


Torno alla realta'.Mi sento scuotere da Damon,preoccupato.Stringo forte il bambino tra le braccia.
«Posso darti un consiglio Damon?»
«Di cosa parli?»
«Non domandare Damon,se sapessi la verita' non riusciresti piu' a guardarmi in faccia.E soprattutto non chiamarmi Lena,mai.Io sono Helena.»il mio tono lo lascia un poco perplesso.
Alla fine non risponde,si limita a lasciare un bacio sulla fronte del bambino ed ad uscire di casa con il Suv.
Vado a cambiare i bambini e prendo la monovolume bianca.Tre auto.Il minimo.La giornata trascorre bene,i bambini si divertono.Riporta a casa Thea dopo scuola,mentre Nathan passa il pomeriggio dal suo amico,poi Rose lo riaccompagna a casa.
«Non hai dormito Helena.Vai a letto.»mi dice Rose con tono colpevole,lo noto immediatamente.
«Rose non e' colpa tua,non ti devi preoccupare.Non perdo tempo a tentare di dormire,non ci riesco.Ed anche se ci riuscissi,sarebbe molto sconveniente per voi.»ci trovavamo in salotto,stese a fare un po' di zapping con la televisione dopo cena.In realta' non ho nemmeno cenato.
Cerco sempre di essere vaga con Rose.
Lei e' davvero una persona stupenda,e' questo il problema.Ho paura che lei venga a sapere qualcosa su di me non conveniente.
«Non hai toccato cibo oggi,pero'.»
«Lei non tocca mai cibo,e' questo il punto.»compare Damon.
Questa convivenza incomincia a mettermi sui nervi,prima trovo una casa per me.Meglio e'.
«Non e' vero.»
«Stai mentendo di nuovo Len..Helena.»si corregge per sua fortuna.
«Per te mento sempre Damon.»
«Questo e' diverso.»rispondo a tono alzandomi.
«Perche' ti assegnano sempre i turni notturni?»Rose.
«Non me li assegnano,mi sono offerta io.Vado,augurate buonanotte ai bambini per me.»raccolgo velocemente la borsa e vado al lavoro.
Solo una volta indossato il camice ricordo gli episodi di questa mattina.
Ovviamente la gente sara' affamata di domande.Dentro la tasca metto per sicurezza cellulare ed una compressa nel caso di emergenze.
Salgo le scale e raggiungo l'atrio.
Una volta entrata,noti abbastanza occhi puntati su di me,occhi indiscreti.Nessuno osa domandarmi niente pero'.
Raggiungo il bancone,l'infermiera mi passa tre una nuova cartella.
«Ma sono gia' piena.»dico in mia difesa.
«Mi spiace,ultimamente i pazienti aumentano.»dice per poi voltarsi e passare scartoffie ad altri dottori.

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Capitolo 3
*** I've got too many problems. ***


Libro O1,Parte 3.


Forse hanno ragione.
Dovrei fermarmi un attimo e prendere una pausa.
Guardo il sole sorgere dal balcone della mia stanza.Lei mie gambe dondolano nel vuoto,mi reggo alla ringhiere per non cadere ad un'altezza di sei metri,credo.
Una volta ho letto di una bambina che era caduta a quell'altezza.
Per sua grande fortuna era sopravvissuta senza alcun danno.
Un miracolo.Questo era ciò che dissero i giornali.
In realtà non era stato un incidente,era un tentato omicidio.
Ma chi poteva credere a quella bambina di sei anni che sosteneva il padre l'avesse buttata.Beh,io le credo.
Quella bambina ero io.
Mi hanno cambiato il turno,Derek lo ha fatto per il mio bene.
«Stai lavorando troppo,non devi esagerare o finirai per impazzire.»mi disse ieri sera prima di rimandarmi a casa.
Delle volte mi chiedo perché mi trovi qui,ora.
Mi lamento sempre della mia vita quando la gente al di fuori ritiene che sia perfetta e non esiterebbero minimamente a fare scambio.
Nemmeno io esiterei a scambiare la mia vita con la loro.
Solo perché la mia vita superficiale sia perfetta,non significa che anche io lo sia,anzi.
Il letto e' ben fatto.Sembra che nessuno lo abbia mai usato,ed in effetti io non mi stendo in quel materasso da un paio di giorni.
Negli altri giorni tentavo solo di dormire,sapendo che non ci sarei mai riuscita nonostante ciò.
Dalla posizione del Sole capisco che sono ancora le quattro del mattino.
Ho imparato a servirmi della natura,invece degli oggetti dell'uomo.
Nella mente torna a presentarsi un ricordo nitido.
«L'uomo non ha bisogno di oggetti specifici per sopravvivere.Basta l'astuzia e l'intelligenza.»



«Manca poco Lena.»mi ripete nuovamente lui.
Sbuffo sonoramente e continuo ad arrampicarmi sul massiccio.
«Quando torneremo nel mondo civile,te la faro' pagare Drake.
E' una promessa.»lo minaccio,ma non serve molto.La mia voce è solo un soffio,credo che lui non mi abbia nemmeno sentita.
«Si,ti ho sentita Lena.Voi adolescenti siete insopportabili.Delle volte.»borbotta fermandosi sopra di me,siamo ad una distanza di un metro.
«Prendi la mia mano.Manca poco.»si tiene con l'imbracatura ed un braccio,mi tende l'altro.
Lo afferro e con il suo solo braccio riesce a sollevarmi fino alla sua altezza.
«Ti avevo detto di mangiare Lena.»
«Ma io ho mangiato.»mi lamento,nonostante abbia ragione.
«Non mentirmi,Lena.Più tardi ne riparliamo.»
«Sto sprecando i miei anni con te Drake.
Non so cosa mi attragga di te.»
«Non so nemmeno io cosa mi attragga di una diciottenne,ciò nonostante ora sono qui.E tu sei qui con me.Perciò non mi faccio domande.Mi limito a lavorare.»
«Facile parlare per un sergente dell'esercito.»
«Anche tu fai parte dell'esercito.»
«Sono un dottore Drake,non un soldato.»bofonchio mentre lo sto per superare.
«Con me lo diverrai Lena,soldato Lena.»
«Ti ho superato.»esulto quasi.
Aveva ragione.Mancava poco,raggiungemmo la cima poco dopo.Io prima di lui.Lo aiutai a salire ma il suo peso in confronto al mio mi fece cadere all'indietro sul terreno roccioso,lui cadde sopra di me.Non era caduto completamente su di me,si reggeva sui bracci sorridendo.I suoi occhi verde lacuna.Mi ci perdevo sempre,sempre.
«Durante gli anni in esercito ho imparato una cosa.»
«Cosa?»soffio di ricambio premendo sul suo corpo.
«L'uomo non ha bisogno di oggetti specifici per sopravvivere.Basta l'astuzia e l'intelligenza.»
«Tu dici?»
«Si,ma ho capito che queste due doti non mi bastano.Ho bisogno anche dell'amore,ora.»



Quel ricordo mi provoca un momento di debolezza.
Rientro in stanza e mi infilo sotto le coperte.Abbasso le serrande e aggiungo le tende.Accendo il climatizzatore e mi infilo sotto le coperte rannicchiandomi su me stessa.Mi addormento con quel ricordo.
Sogno un sogno senza sogni.Niente ricordi.Niente bei o brutti momenti.Semplicemente l'oscurità che mi avvolge nella sua morsa fredda e gelida,non mi divincolo per liberarmi come sono solita fare,lascio' che il buio mi inghiotta.
Mi sento accarezzare lentamente e dolcemente la testa,un paio di dita sistemano le ciocche dei miei capelli dietro l'orecchio.Dal tocco riconosco l'individuo che poggia accanto a me.Non mi sforzo nemmeno di aprire gli occhi.
«Non dovresti essere al lavoro?»chiedo con la voce un poco impastata nel sonno.
Lo sento sobbalzare per lo stupore,anche se lui ha cercato di non farlo notare.L'ho percepito.
«Se l'amministratore manca per un giorno,non è la fine del mondo.»
«E l'ufficio legale?Rose?»
«Niente appuntamenti oggi;Rose invece e' al lavoro.»
«Vattene Damon.
Voglio rimanere sola.»
«Voglio parlare Helena.
Seriamente.Stavolta sarò razionale,non perderò le staffe.»
«Va bene,ma ora esci.»
«Perché?»
«Sono in intimo.»apro gli occhi e stringo il lembo delle coperte all'altezza delle spalle.L'uomo si alza ed esce cautamente dalla stanza.Mi cambio velocemente e scendo in salotto.
Un odore invitante mi attira in cucina.Una colazione abbondante mi attende sul bancone mentre Damon tiene in braccio Charlotte.
«Va a guardare la televisione Charlotte.»la fa scendere e la bambina,stranamente ubbidiente di piena mattina,esegue la richiesta.
«Di cosa volevi parlarmi?»mi accomodo con disinvoltura sullo sgabello ed assaggio un boccone.Bisogna essere sinceri:
Damon è davvero un ottimo cuoco.
«L'isola Helena,voglio sapere cosa e' successo.»posai la portata sul piatto esausta,mi sto innervosendo.
«Basta Damon.
Non c'e' niente da sapere.L'aereo è precipitato.Io,al contrario del pilota e delle hostess,mi sono salvata.Ho passato due anni in quell'isola a sopravvivere e cercare un modo per tornare indietro finché un peschereccio non e' passato a pochi chilometri di distanza dall'isola.
Ed oggi mi ritrovo qui.»
«La stessa trama di una serie televisiva da quattro soldi.Ora dimmi la verità.»
«Cercherò di rendertela più semplice,in modo che tu smetta di farmi domande.
Tutti cerchiamo di stabilire dei legami.Ci fanno sentire al sicuro,al riparo.Siamo esseri umani,abbiamo bisogno degli altri.Ma per me e' diverso Damon.
I legami affettivi che costituisco nella mia vita portano alla morte delle persone a cui tengo.»bevvi l'ultimo sorso di caffè latte e mi alzai.
«Ora vado da mia figlia.Buona giornata libera Damon.» velocemente lascio la cucina e saluto anche la mia nipotina,per poi prendere borsa e chiavi dell'auto.
Speriamo questa giornata non mi riservi altre sorprese.
Ne ho avute abbastanza ultimamente.



«Spero di non rivederla più in giro signor Monroe.»dico mentre lo conduco sulla carrozzina verso l'uscita.
«Sono un paziente così stressante?» 
Solo ora capisco che l'uomo non capisce il senso della mia frase.
«Affatto signor Monroe.
Preferirei rivederla in altre circostanze,invece di un doppio B-pass,non crede?» l'uomo scoppia in una fragorosa risata,che termina con un paio di colpi di tosse.
Raggiungiamo l'uscita principale.La figlia,credo,lo sta attendendo all'uscita.
L'uomo,anche se debolmente,riesce ad alzarsi.
«E' stato un piacere signor Monroe.»gli dico porgendogli la mano,l'uomo la stringe con molta forza,ma nulla che possa farmi del male.
«Anche per me è stato bello conoscerla Helena Caffrey.» risponde,prima di lasciarmi un sorriso e voltarsi verso l'uscita.
Passo la carrozzina ad un infermiera e percorro il corridoio del primo piano.Oggi ho fatto il giro di tutti i pazienti e sono tutti in buona salute.Sono io quella che non sta bene,sinceramente.
Tengo una velocità piuttosto moderata,ma mi accorgo di essermi scontrata contro qualcosa,non un oggetto,una persona.Ma piccola,molto più piccola di me.Mi sono scontrata contro un bambino.Dalla statura ipotizzo che debba avere appena un anno,anche Nathan alla sua eta' deteneva la stessa altezza.
«Oh,piccolo.» 
Ho sempre avuto un debole per i bambini,come i bambini hanno sempre avuto un debole per me modestamente.Lo dimostra il fatto che abbia due figli all'età di soli 23 anni,e che delle volte non riesca a staccarmi dai miei nipoti.Non sono una di quelle ragazze che semplicemente adora i bambini,i bambini sono influenzabili.Molto influenzabili.
Mi chino all'altezza del bambino,inizialmente impaurito.Cerco di sembrare il più familiare possibile,lentamente allungo le mani verso il piccolo e riesco a prenderlo in braccio.Inizialmente si dimena impaurito,ma lentamente si calma e avvinghia le braccia sul mio collo per reggersi.Spero sappia parlare.
«Come ti chiami?» aspetto qualche secondo prima che mi risponda.
«Phil.»la sua voce,cosi' piccola e cosi' tenera.
Mentre lo tengo in braccio salgo le scale per raggiungere il mio piano.
«E quanti anni hai?» mi mostra un solo ditino.Sorrido.
«Sai dov'è la mamma?» 
«La mamma non e' qui.» 
Quale madre lascia il figlio da solo.
«E dov'è la tua mamma?» 
«Al lavoro.» 
«Ti ha lasciato qui da solo?»
«No,sono con papà.» 
«E chi è papà?» 
«Dice di essere un dottore,ma la notte si trasforma in un supereroe.» dice molto convinto.
Sul mio volto compare un ghigno divertito,supereroe.Ora le ho sentite tutte.
Anche quando Nathan e Thea avevano la sua eta' mi credevano una supereroe.Ma ero tutto il contrario.
Raggiungo il mio solito punto di incontro,trovo Cecilia.
Si alza immediatamente dalla sedie compiaciuta.
«Ehi,come stai campione?»scombina i capelli del bambino.
«Ti prego non dirmi che sei la madre.»
«No,no ti ho detto che non ho figli Helena.»
Poso il bambino sul bancone,mentre mi arriva un messaggio da Rose.
«Ci penso io a riaccompagnare a casa i bambini.Nel pomeriggio viene a giocare con Nathan il suo migliore amico.Buona giornata.»
Rose Caffrey.
Orario:11.45
«Bene,mi avvisano sempre all'ultimo momento.Ti va di pranzare Cecilia?»
«Certo,ma prima ti riportiamo da tuo padre.»si rivolge al bambino.
«Phil,vedi il tuo papà?»scuote la testa.
«Allora lo andiamo a cercare.»
«No,Helena aspetta.»
«Non ti preoccupare,faccio subito.»
Prendo il bambino in braccio,la testa rivolta verso le mie spalle.
«Papà!»lo sento urlare dietro di me.
Mi volto verso la direzione dove il bambino ha urlato.
Avevo chiesto niente sorprese.Vengo ripagata con una sorpresa,ovviamente.
«Ti ho trovato finalmente.»Tom.
Lascio scendere il bambino che corre verso il padre,lo prende in braccio poggiandolo sul suo collo.E' piuttosto pericoloso,per i miei gusti ma lui lo regge sui bracci,speriamo bene.Lentamente si avvicina al bancone,preferisco andarmene ma Cecilia capisce immediatamente.Mi brucia con lo sguardo.Decido di non andarmene,è il momento di parlare.
«Ciao,Helena.»
«Tom.»
Posa il bambino sul bancone,i suoi occhi su puntano su di me.
«Possiamo parlare?»incomincia con tono sommesso.«In privato.»precisa poco dopo.
«Campione,hai voglia di giocare?»Cecilia prende il bambino e scompaiono nel corridoio.
«Vale ancora quell'offerta del caffè latte?»chiedo un pò imbarazzata.
L'uomo sorride ed annuisce.C'è un Bar opposto all'ospedale.
Non siamo gli unici dottori che lo frequentano.Molti passano qui la pausa pranzo.
Ci accomodiamo su un tavolo ed ordiniamo,le bevande arrivano subito.Per me il solito caffè latte,mentre Tommy non si è mai tolto il vizio per l'Espresso,italiano.
«Non hai perso il vizio per il caffè latte in questi anni,eh?»
«Da quando sono tornata ne bevo molto,almeno so che se mi succederà qualcosa potrò dire di aver bevuto la mia bevanda preferita un'ora prima.»dico con un tocco d'acidità.Solo poco dopo capisco di aver esagerato.Si passa una mano tra i capelli.E' nervoso,tanto nervoso.Lo faceva sempre al lavoro quando era stressato,oppure quando suo padre lo stressava.
«Mi dispiace,Helena.
Mi sento colpevole.»
Di cosa,scusa?
«E di cosa,scusa?»
«Non avresti preso quell'aereo se io non ti avessi..»non riesce a pronunciare quella parola.
Il solo ricordo mi urta i nervi.Rispondo io al posto suo.
«Tradita.»rispondo.
Bevo un sorso di caffè latte.
«Non era destino,Tommy.Tu hai sposato la donna con cui mi hai tradita,ed ora avete un figlio bellissimo e che ai suoi occhi tu sei un eroe.Lo eri anche per me,Tom.»dico con tono sommesso.
«Delle volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non fosse accaduto tutto ciò.Tu saresti rimasta con me?Avremmo potuto avere un figlio insieme?Ci saremmo trasferiti a Los Angeles?Avresti continuato la tua carriera professionale?»
«No,Tommy.Non saremmo durati.Io ero un problema tre anni fa,ed ora sono una catastrofe.Non sono arrabbiata con te per ciò che mi hai fatto,hai semplicemente anticipato ciò che sarebbe potuto accadere entro poco tempo.»
«Avrei voluto almeno chiudere la storia decentemente.Tu sei scappata,l'aereo si è schiantato.Tutto in un arco di appena un giorno.Ho passato gli ultimi tre anni con enormi sensi di colpa,le notti non dormivo Helena.
Sognavo te,vederti..»
«Morire.Anche a me e' capitato Tom.
Non fare il mio stesso errore,affidati a tua moglie finché puoi.Prima o poi i sensi di colpa ti inghiottiranno e non ne uscirai mai più.Io ci ho provato.»mi alzo afferrando la borsa e terminando il caffè latte.
«Da quanto non dormi?»si alza anche lui,dalla tasca posteriore dei suoi jeans recupera il portafoglio e lascia i soldi sul tavolo.
«Ho perso il conto.»ammetto«Prima o poi crollerò.»continuo poco dopo.
Ragioniamo un attimo.Sto riferendo al mio ex come mi sento.Gli sto dicendo di essere debole.Questo non giova molto alla mia immagine.
«Helena,io..»
«Pausa pranzo terminata.Tu tuo figlio,io il lavoro ed anche Cecilia.Forza,sbrigati.»cambio subito argomento.
Lo strattono per un braccio e torniamo immediatamente in ospedale.Velocemente mi infilo il camice e mi prendo Cecilia mentre Tom recupera suo figlio.
La strattono via correndo,mi allontano il più possibile da lui.
«Ehi,ehi calmati.
Com'è andata?»mi costringe a fermarmi in un angolo del corridoio.
«Come vuoi che sia andata?»le dico con tono piuttosto irruento.
«Non bene a quanto pare.»
«E' andata bene,abbiamo chiarito un paio di questioni ed ora si torna al lavoro.»
Conduco normalmente il mio lavoro e prima che tramonti torno a casa.


Qui c'è qualcosa che non va.
E' tutto tranquillo oggi.Troppo tranquillo.
«Stai bene dolcezza?»mi chiede Derek.
Intanto,annoiata,risiedo sulla sedia a rotelle con le gambe poggiate sul bancone.
«E' tutto tranquillo,oggi.»rifletto ad alta voce.
«Ci sono giorni in cui l'ospedale è un caos,ed altri in cui non abbiamo niente da fare.Goditi queste giornate.»mi consiglia dall'altra parte del bancone.
Allo stesso tempo ci raggiunge Cecilia,esuberante come sempre.
Anche io ero così,sempre esuberante,sempre col sorriso stampato in faccia.E soprattutto non perdevo l'attimo per ridere.In parole povere,ero ottimista.Ma ero anche giovane,ed ingenua.Non sapevo che la mia vita nuoceva e,come l'erba cattiva,dovevo essere tagliata via.
«Il problema e' che non ho passato un giorno della mia vita nella tranquillità,prima o poi dovrà succedermi qualcosa.»dico con svogliatezza.
Mancano pochi minuti al termine del mio turno,quando mi arriva una chiamata al cellulare.
Questa davvero non me l'aspettavo.
«Visto,deve sempre succedermi qualcosa.»borbotto.
Rimango a fissare per svariati secondi lo schermo del cellulare.
«Non rispondi?»mi chiede Cecilia.
«Se rispondo sono fottuta,se non rispondo chiamerà il pronto soccorso.»
«Okey,questo è inquietante.»dice Derek.
«Non sai quanto.»sbuffo.
«In bocca al lupo.»mi dice Cecilia.Le faccio una linguaccia.
Alla fine decido di accettare la chiamata e mi porto il cellulare alle orecchio.
Se è vero che per ogni essere umano vi è un angelo custode,beh spero il mio mi sostenga.
«Mamma!Che sorpresa.»cerco di essere il più dolce possibile.
«Ciao,piccola.»mi risponde dall'altra parte.
«Se mi hai chiamato deve essere successo qualcosa.»salto i convenevoli,per andare al punto.
«Io e tuo padre stiamo arrivando.»sputa il rospo.
«Ah,bene.Quando?»
«Entro qualche ora.»disse«Stai lavorando?»continuò poco dopo.
«Ehm, si ho ancora un lungo turno.Ho paura di staccare tardi,molto tardi.»
«Ah,non preoccuparti.Tanto rimaniamo un paio di giorni.Ci sarà tutto il tempo che vogliamo.»
«Perfetto,allora.Io vado,a presto.»riattacco immediatamente senza lasciarle il tempo di rispondere.
«Allora,che succede?»Cecilia mi chiese incuriosita.
Derek con disinvoltura stava sfogliando una cartella ma avevo notato che era anche lui interessato alla questione.
«I miei genitori stanno arrivando a Los Angeles per rivedermi.»affermo ancora sbigottita.
«E qual'è il problema?»
«La domanda giusta sarebbe 'Quali sono i problemi?',i miei non vengono se non e' successo qualcosa.E,stavolta,davvero non so cosa ho fatto di male.»
«Te la caverai,dolcezza.»mi dice Derek salutandomi con un cenno alla mano per poi andarsene.Lo stesso fece Cecilia.
Sorrisi a me stessa e,girai i tacchi.Era ora di andar via.
Raggiunsi velocemente l'ingresso dell'edificio.
Gemetti,quando sbattei contro qualcuno.Mi ritrovai a fare qualche passo indietro.Rischio anche di cadere ma subito prendo il controllo del mio corpo al solo pensiero di far nuovamente la figura dell'incapace.Io non sono goffa,anzi sono piuttosto agile.
«Signorina,tutto apposto?»mi domanda una voce preoccupata.
Scuoto debolmente la testa e mi sistemo i capelli caduti davanti gli occhi tirandoli indietro.Batto le palpebre finché le immagini di ciò che mi circonda non divengono più nitide.
«Stavo meglio prima di sbatterle contro.»mi lamentai.
La persona che avevo appena sgridato era difficile da inquadrare.Era un mix esplosivo di autorevolezza ed autocontrollo.Pericoloso,e non poco.
«Sicuramente»risponde piuttosto seccato«Le serva una mano?»
Probabilmente era abituato ad un trattamento migliore dalle donne.Era sicuro di se stesso.Ogni movimento era svolto con la massima cura e controllo.
«No.Le ho sbattuto contro,mica sono caduta a terra.»spiego toccandomi la fronte.
In cuor mio,speravo che non fosse diventata tutta rossa.Nel preciso istante in cui mi ero trovata contro di lui avevo avuto la sensazione di esser sbattuta contro del granito,mica una persona.
Era umano?
«Non avrei permesso una cosa del genere.»muove lievemente la testa.
I capelli tendenti al ramato,ma non troppo,gli ricadono sul viso accentuando gli occhi.
«Che le assicura che mi sarei fatta prendere?»incrocio le braccia sopra il petto.
In realtà,quel gesto era servito a nascondere il battito furioso del mio cuore.Ho l'impressione che la persona con cui sto combattendo fosse bravo a notare le cose quanto me.
«Non ho mai visto una ragazza comportarsi in questo modo.»
borbottò.
Ad impatto,pensavi che stesse parlando con se stesso.Il tono era basso,quasi confidenziale.
Sicuramente,non stava parlando con me.
«Con lei,forse»azzardo cogliendolo nuovamente alla sprovvista«ci sono ragazze così.»
Lo sconosciuto quando si rende conto di aver parlato ad alta voce,raddrizza la schiena.
Aveva perso l'autocontrollo.Ed ora non sapeva come recuperarlo.
«Devo andare.»afferma affannato.
«Paura del confronto?»abbozzo un sorriso.
«No,ho del lavoro da sbrigare.»si giustifica ora irritato.
Lo guardo negli occhi.Freddi come il metallo.Sta mentendo.
«Le hanno mai insegnato a mentire meglio?»chiedo con tono tagliente,di sfida.
Solitamente non mi comporto in questo modo con un estraneo,ma lui.Solo guardarlo negli occhi ho un gran bisogno di sfidarlo,quasi come se ci assomigliassimo.Improbabile.
A passo lento gli passo affianco e,casualmente,gli sfioro il braccio.Lui si irrigidisce a quel contatto e trattiene il fiato come se lo avessi colpito con un pugno in pieno stomaco.
Certamente,se lo avessi fatto,sarebbe andata molto peggio.
M'incammino verso l'auto che avevo parcheggiato a qualche metro di distanza.Percorro velocemente il marciapiede e con il telecomando automatico apro gli sportelli della macchina.
Mi sentivo stranamente a mio agio.Come se avessi conseguito una vittoria importante.In realtà,era cosi'.Dopo la mia ultima frase sprezzante,lui non aveva risposto.Si era limitato a fissarmi andar via,e devo essere sincera,sentire i suoi occhi puntati su di me,mi dava uno strano effetto.Piacere,soddisfazione.
Quelle emozioni tornano,dopo tempo,a scorrere nelle mie vene.Mi sento quasi assuefatta,come se avessi appena fatto uso della miglior qualità di eroina presente nel mercato.E devo essere sincera.
Quell'uomo non aveva niente da invidiare agli altri,in quanto aspetto fisico.
Nonostante fossi abbastanza alta per la mia età,lo sconosciuto mi superava da forse una quindicina di centimetri.Ma,certamente,raggiungeva i due metri,se non più.
Il suo fisico,nonostante indossasse un abito nero,era ben allenato.Intuisco immediatamente che il suo non è un addestramento qualsiasi,la sua corporatura assomiglia incredibilmente a quella che riesce a costituirsi un ottimo ex militare.Beh,si tiene in forma.In questo ci assomigliamo.
Scaccio via il pensiero di quell'uomo.
«La mia solita figuraccia giornaliera»penso tra me e me.
Metto in moto l'auto e parto.Destinazione:casa.Sono appena le quattro del pomeriggio,Thea oggi e' andata con Nathan dal suo solito migliore amico,prima o poi dovrò vedere questo bambino.
Perciò in casa ci sono solo Rose e Damon,per ora.
Probabilmente mamma non lo ha avvertito del loro arrivo,sennò avrebbe già preparato le valigie per trasferirsi qualche giorno.In effetti questo sarebbe ciò che voglio fare,ma non posso.Non so dove sono i bambini e senza loro non parto.Aumento la velocità sperando di non essere beccata da una pattuglia e raggiungo casa in una decina di minuti.
Velocemente lascio l'abitacolo per entrare in casa.Raggiungo velocemente il salotto,sentendo le distinte voce di due uomini e due donne.
Le sorprese non si concludono qui.
«La mia piccola Lena.»la voce dolce,ma un poco stridula di mia madre mi perfora quasi i timpani.
Mi avvolge nel suo abbraccio materno,ma non mi sento a mio agio.Mi irrigidisco mentre lei aumenta la presa,le mie braccia restano sospese nell'aria,ancora non consapevoli di ciò che sta accadendo.L'assuefazione di meno di trenta minuti fa scompare in un batter di ciglio.
«Mamma.»la richiamo come faccio sempre con Nathan e Thea.
«Si,piccola?»
«Non sono molto incline agli abbracci in questo periodo.»l'avverto.
«Mamma,staccati prima che ti sbatta sul muro tentando di soffocarti.»si intromette Damon alzandosi dal divano.Il suo tono tagliente mi innervosisce.
Mia madre finalmente lascia la presa indietreggiando un pò sconvolta.
«Soffocarti?Di che state parlando?»chiede lei confusa.
Mio padre,che fino a quel momento non aveva avuto voce in capitolo,si alza dalla poltrona con non chalance.
I suoi lineamenti duri,in realtà  rivelano un uomo di buon'animo.Ma non sempre è
così.
«Damon,spiegati.»ordina la voce roca di mio padre.
Qui la persona che non dovrebbe essere coinvolta è Rose,ma la donna preferisce rimanere seduta sul divano cercando di trovare un filo conduttore in questa storia.
«Damon.»lo richiamo.Incrocio i suoi occhi.
Spero abbia capito che di questa questione non se ne debba parlare,se non noi due in privato.Ma probabilmente,lui preferisce usare questa situazione per carpirmi qualche informazione.Ed,infatti,è ciò che sta per fare.Lo capisco dal sorriso inquietante che compare prima che le sue labbra si dischiudano.
«Mi hai quasi bloccato l'esofago.»dice rivolgendosi a me.
«Che cosa hai fatto?»mi riprende mia madre,mantenendo però un tono pacato.
«Mi stavi innervosendo.E comunque mi stavi urlando in faccia.»decido di usare la situazione a mio favore.I miei genitori rivolgono gli occhi verso mio fratello.
«Sai che non devi mai alzare il tono con tua sorella.Le conseguenze non sono delle migliori e tu lo sai perfettamente.»lo rimprovera mio padre.
Damon si offende,rispondendo a tono.E' allora che inizia una discussione tra i tre,a cui io riesco miracolosamente a tirarmi fuori.Rose si limita a mimarmi un «Ben fatto.»
Sorrido.
«Caffè latte?»le mimo io di risposta,lei annuisce e,senza che se ne accorgano,scompariamo in cucina.
«Gliela date sempre vinta da quando e' tornata,sempre.»sento Damon urlare dalla stanza accanto piuttosto irritato.
«Wow.»enfatizza Rose.
«Già,quando eravamo giovani era peggio.»dico mentre verso il caffè su cinque tazze,su una in particolare ci aggiungo un goccio di latte.Per me.
«Ma tu sei ancora giovane.»
«Ho superato la soglia dei ventun'anni.Non sono più molto giovane.»le passo la sua tazza.
«Come mai non bisogna alzare la voce con te?»la curiosità la travolge come una tempesta.
Non c'è niente di male se gliene parlo.
«E' un pò difficile da spiegare ma,in parole povere,soffro di attacchi di panico.Quando una persona alza troppo il tono con me,incomincio a respirare a fatica finché non il panico non si insidia nella mia mente.Solitamente cado a terra gridando e respirando a fatica.»prendo un sorso della bevanda.
«Mi dispiace.»sono le uniche parole che fuoriescono dalle sue labbra.
Ora capisco perché Damon l'abbia sposata.E' così ingenua,è così facile confidarsi con lei,è così semplice.In tutto quello che fa.
Finiamo entrambi il liquido e posiamo il bicchiere sul sottobicchiere.Rose controlla l'ora sul suo orologio da polso.
«Si sono già fatte le sei.Devo andare a riprendere Thea e Nathan.
Ultimamente passano tanto tempo con gli amici,non capisco il perché.»
«Ah,no.Vado io.
Avrò più clemenza con i figli davanti che mi fanno scudo.»
«Ma non sai dove sono.»
Una piccola risata fuoriesce dalle mie labbra.
«Il non sapere una cosa non mi ha mai fermato dal farla.»
Altro motivo della mia rovina.

Ecco la terza parte.
Spero sia di vostro gradimento.
Continuo il prima possibile.Voi passate però.

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Capitolo 4
*** I'm a big mistake. ***


Libro O1,Parte 4.




Tecnologia ultramoderna,non mi tradire proprio ora che ho bisogno di te.
Almeno quindici minuti fa,mi sarei dovuta presentare davanti la porta del proprietario della casa,di cui ora davvero non ricordo il nome.Solitamente ricordo tutto,per mia sfortuna,ma il nome di questo uomo mi e' sfuggito,quasi il mio cervello lo abbia fatto apposta.Avevo dimenticato di non essere pratica con la nuova tecnologia.Dopotutto,cosa chiedi ad una donna che ha dovuto passare due anni della sua vita in un "isola" sperduta.Reimposto nuovamente l'indirizzo che Rose mi aveva fornito e credo di esserci riuscita stavolta.
Infatti vedo il grande cancello.
«Non penso tu possa sbagliare.E' la proprietà più grande,la riconoscerai dal cancello grande e color nero laccato.»ricordo ancora le parole di Rose.
Con l'avvicinarsi della mia auto verso il cancello,questo si apre,probabilmente avranno riconosciuto l'auto dalla telecamera in un angolo del cancello,nascosta.Ma se aguzzi l'occhio la noti.
Percorro un lungo vialetto inclinato,la casa è posta piuttosto in alto,quasi a dividerla dalle altre ville distanti qualche chilometro.Parcheggio davanti la casa,accanto un auto sportiva.Bene.
«Il solito riccone che ama sprecare smisuratamente il suo patrimonio.»dico tra me e me.
Scendo dall'abitacolo e percorro la piccola distanza che mi divide dalla porta d'ingresso;una volta raggiunta la porta,prendo un profondo respiro prima di bussare alla porta.
Dietro la casa riesco a sentire delle urla,di bambini divertiti.Aspetto qualche secondo prima che una donna mi apra.
«Buonasera,ella es?»mi chiede dolcemente la donna.
Dall'accento riconosco immediatamente la sua nazionalità.
Probabilmente è la governante,credo tenga massimo cinquant'anni,anche se io gliene darei di meno.Gli occhi color nocciola sono contornati piccole ciglia e tiene raccolti i suoi capelli bruni con un elastico.
«Sono la madre di Nathan e Thea.
Sono venuta a prenderli.»dico cercando di essere il più dolce possibile,cosa improbabile.
La donna si limita a sorridermi ed a farmi accomodare,chiude la porta dietro di se.
«Lei deve essere Helena Caffrey,giusto?»annuisco.
«E lei è?»chiedo per sapere il suo nome.
«Carla,me llamo Carla.»risponde facendomi strada in salotto.
«Per caso è originaria di San Paolo?»le chiedo poco dopo.
«Si,se nota?»mi risponde con un tono piuttosto compiaciuto.
«Ho passato due settimane a San Paolo prima di tornare a Los Angeles.La gente e' molto ospitale nelle favellas.»
La donna sorride nuovamente.
«I bambini sono fuori a giocare in giardino.»mi indica per poi scomparire in cucina.
Una porta scorrevole a vetro divide il salotto dal giardino,mi avvicino ad essa e noto che questo signore è più di un semplice riccone:il terreno di sua proprietà si estende per qualche ettaro,il che non e' di poca importanza.Vi è una bellissima piscina ed anche una depandance.
Faccio scorrere con la mano la porta scorrevole e mi inoltro all'aperto.
Immediatamente una fresca brezza,dal mare probabilmente,mi avvolge nella sua presa.Mi sento quasi come questa mattina.Piacevolmente soddisfatta.
A pochi metri di distanza vedo Nathan giocare con un altro bambino della sua età.Finalmente vedo il suo famoso migliore amico.Mentre Thea invece sta giocando a frisbee con un bellissimo pastore tedesco.
Lentamente cercai di raggiungerli,ma,non so come,misi male un piede.Mi preparavo già ad una brutta scivolata,sarò agile,ma delle volte sono davvero goffa e sbadata.Pensavo di cadere,ma non fu così.Avevo già chiuso le palpebre ma,prima che potessi entrare in contatto con l'erba sul terreno sento delle mani aggrapparsi al mio corpo,una si poggia su un mio fianco,mentre l'altra poco sotto la mia nuca.Lentamente queste mani mi attirano verso l'alto,facendomi entrare in contatto con un corpo ma non uno qualsiasi.Era lui.Avrei sempre riconosciuto il suo corpo di granito,duro,rigido.Eppure stavolta,era più rilassato,molto più rilassato rispetto questa mattina.Una forte sensazione di piacere mi invase dentro,quasi come se il mio corpo mi stesse ordinando di non staccarmi da lui.E,a quanto pare,lui non me lo permetteva.
Lentamente riapro le palpebre e focalizzo bene l'individuo che mi ha salvato da un'altra brutta figura.Le mie iridi si incrociano immediatamente con le sue,stavolta sono di un grigio più intenso,come se fosse cambiato qualcosa in sole tre ore di distanza.
Lentamente con gli occhi squadro il suo corpo e lui fa lo stesso con me,prima che sul suo viso comparve un sorriso,compiaciuto,inquietante.
«Come le ho detto stamattina Miss Caffrey»la sua voce mi penetra in tutto il corpo«non avrei mai permesso una cosa del genere.»ammette con tono sommesso.
Ha appena avuto la sua rivincita su di me.Il primo round l'ho vinto io,mentre il secondo lui.Chi vincerà il terzo?
Stavo per rispondergli quando il suo pastore tedesco ci assale.Quaranta chili non sono facili da sorreggere,così finimmo per cadere,io sopra di lui.
«Di solito preferisco essere io a trovarmi sopra.Ma posso sempre fare un'eccezione per lei.»dice nuovamente lui con tono sommesso.
Mi accorgo solo ora di non aver detto una parola da quando mi sono ritrovata davanti a lui;le mie dita,durante la caduta,si sono aggrappate alla sua camicia di sete,mentre le sue mani non si sono mai staccate da dove si trovassero poco prima.
Mi preparo a rispondergli quando il cane mi lecca una guancia.
«Charlie.»lo richiama il padrone.
I suoi occhi non si staccano da me.I miei occhi non si staccano da lui.
Qualcosa mi blocca dall'andarmene,ma quando ricordo la posizione in cui ci troviamo e la presenza di tre bambini,velocemente riesco a svincolarmi dalla presa dell'uomo e mi alzo in piedi,mentre lui resta a terra preso alla sprovvista.Come questa mattina.
«Mamma!»sento Thea chiamarmi da poco lontano,si avvicina velocemente a me e mi si avvinghia ad una gamba,mi limito ad accarezzarle i capelli mentre continuo a tenere lo sguardo fisso sull'uomo,che non accenna ad arrendersi.
Anche Nathan si accorge del mio arrivo e,anche se preso alla sprovvista,è comunque felice e corre,inseguito dal suo amico,per raggiungermi.
«Mamma!»quanta immaginazione hanno i bambini.
Mi abbraccia alla vita.Intanto il suo amico guarda confuso il padre.
«Papà?Perché sei per terra?»lo richiama il bambino.
L'uomo subito lascia il mio sguardo per occuparsi del figlio.
Si alza sistemandosi l'abito nero.
«Sono caduto.»si limita a dire.
Entrambi sappiamo che non siamo solo caduti.
«Il suo amico Charlie ha contribuito però.»finalmente dischiudo le labbra lasciando che la mia sfacciataggine prenda il sopravvento.Ammonisco il cane,che si sdrai coprendosi gli occhi con le zampe.
Thea subito lascia la presa su di me,per tornare a coccolare il cane.Ora mi sento sostituita da un cane.
«Credo che a Charlie tu stia simpatico.»risponde l'uomo davanti a me,con tono azzardato.
«Beh,mi sta più simpatico Charlie che il padrone.»azzardo di rimando.
I suoi lineamenti si irrigidisco.
«Le hanno mai insegnato a controllarsi?»il suo tono si sta alzando.Non mi piace.
«E a lei hanno mai insegnato ad abbassare il tono con una donna?»la mia sfacciataggine ha davvero preso il sopravvento,ma dentro me si insinua anche la paura.
Cercando di non essere notata stringo forte la mano di Nathan.
Lui mi guarda,per poi capire che non mi sento a mio agio.
«Oliver,noi dobbiamo andare.»avvisa Nathan al suo amico.
Oliver?Bel nome.
«Ci vediamo domani,allora.»risponde il bambino.
«Certo,ci vediamo a scuola.»acconsente Nath.
«Mamma,mi compri un cane?»mi chiede di punto in bianco.
Mi massaggio le tempie esausta,l'uomo davanti a me lo nota.
«Chiedi ai nonni.Sono appena arrivati.»dico ad entrambi«Ora andiamo.»
Velocemente rientro nell'interno della casa per dirigermi verso l'uscita,apro la porta e faccio uscire i bambini.L'uomo mi segue e prima che possa chiudere la porta,la blocca.
«Vuole altro?»chiedo scocciata.
«Volevo solo salutarla.Miss Caffrey.»dice lui con non chalance.
«Visto che lei sa chi sono,potrei sapere il suo nome?»gli chiedo per non sembrare troppo scortese.
Sarà l'ultima volta che mi vedrà,quest'uomo mi fa salire i nervi alle stelle.
«William,William Johnson.»
Stavolta fu lui a cogliermi alla sprovvista.Aveva appena vinto il terzo round.
Me ne andai senza rivolgergli uno sguardo,salì in auto sconvolta.
«Johnson.William Johnson.»dico tra me e me prima di mettere in moto e lasciare la tana del lupo.
Subito un ricordo si insinua nella mia mente.




«Sono stanca d'incontrarci di nascosto,Helena.»
«Come vuoi spiegare ai tuoi genitori perché ti incontri sempre con Helena Caffrey?»
«Posso dire che è la fidanzata di mio cugino,il che è vero.»
«Chissà,forse anche futura moglie.»la stuzzico un pò.
Sul suo volto compare un sorriso a 360 gradi.
«Te l'ha chiesto?Come?Dove?Quando?La tua reazione?L'anello?»incomincia a farneticare lei in mezzo al mare,il suo tono di voce è troppo alto.
Smette subito quando capisce di aver esagerato.
«Scusami,non volevo alzare la voce.Devo ancora abituarmici.E' così strano.»
Scegliamo un punto nascosto e ci sediamo sotto l'ombra di alcune rocce.Lasciamo cadere i teli da mare e ci spogliamo rimanendo in costume da bagno.Gli occhi di lei si puntano sulla mia schiena.Nel suo sguardo si può leggere paura,tristezza,malinconia,sensi di colpa.
«Non è colpa tua.Non sei stata tu.»la ammonisco immediatamente.
I suoi trent'anni in confronti ai miei appena venti,dovrebbe essere lei ad ammonirmi e non io.
«Mia madre è riuscita a salvarmi da quel bastardo,ma la tua no.»
«La mia ha preferito abbandonarmi all'età di sei anni in balia di quel verme.Ci sono giorni in cui la capisco però,anche io non sarei riuscita ad andare avanti.Il padre di tua figlia non può picchiarti ogni santa notte e tu non fai niente.Poi però mi ricordo che quella era una prostituta tossico dipendente e capisco che a lei non gliene e' mai fregato un accidenti di me.»
La donna si limita ad ascoltarmi,e poi abbracciarmi.Mi lascia un bacio sulla guancia e ci dirigiamo verso l'acqua.Un suo braccio mi cinge la vita mentre il mio cinge il suo collo.Le sue labbra si avvicinano al mio orecchio.
«Ricorda,io ti giuro che nessuno oserà più farti del male.»sorrido alla sua affermazione e le schizzo un pò d'acqua.
«Prima però,pensa a salvare tuo fratello,tua madre,tuo padre e te stessa soprattutto.Io sono solo uno scarto di società che i Caffrey hanno deciso di adottare.»
«Da quando sei tornata in America ti minimizzi troppo,tesoro.Cosa e' successo in Afghanistan?»mi schizza dell'acqua addosso.
«Te ne parlerò più tardi.Semmai ora parlami un pò della tua famiglia.Come hai detto che si chiama tuo fratello?»
«William,William Johnson.Se non stessi con Tommy,te lo consiglierei.Dopotutto non avete legami di parentela.»
«E' tuo fratello.»la richiamo.
«Ma tu non hai legami con lui.Niente ti impedisce di legarti a lui.»
«Sto più che bene con Tommy.Ma ti consiglio di controllare tuo fratello.»
«E perché?»
«Ha fatto numerosi errori nei suoi anni da politico,lo stanno controllando.Come stanno controllando te ed i tuoi genitori.Dovete stare attenti.»
«Come fai a saperlo?»
«Anche io ho fatto numerosi errori di cui non vado fiera,da quando sono a New York mi stanno seguendo.Non sanno che ho capito cosa sta succedendo.Tu devi solo fare ciò che ti dico.»
«Sei lo dici tu.Se non ci si può fidare dei familiare,di chi ci si può fidare?»
«Dell'istinto.Il mio almeno è infallibile.»
«La solita modesta,eh?»mi dice lei dandomi uno spintone.
Sorrido e gliela faccio pagare facendola cadere sott'acqua,lei di tutta risposta fa lo stesso con me.




«William Johnson.Mi sto cacciando in guai grossi,molto grossi.»ripeto tra me e me mentre i bambini dietro hanno ricominciato a litigare per la razza del loro nuovo cane.
Torno subito a casa,infuriata con Damon.
Faccio entrare i bambini a casa,che di tutta risposta si fiondano sui nonni.
«Tu,in cucina.Ora.»non gli lascio il tempo di rispondere.Li aspetto in cucina,arriva dopo un paio di minuti.
«Vuoi soffocarmi di nuovo?»chiede lui ironico.
«No,stavolta ti ammazzo sul serio.»dico alzando il volume della voce.
Ovviamente,gli individui nella stanza accanto avevano udito le mie parole.
«E cos'avrei fatto per meritarmelo?»dice lui,con un tono misto al curioso e allo sconvolto.
«William Johnson?Ti suona familiare per caso?»continuo a tenere il volume della voce alto.
«Si,certo.E' una brava persona,mi capita di lavorare con lui delle volte ed è un ottimo padre per Oliver.Anche a Nathan e Thea sta molto simpatico quando vanno a casa di Oliver.Qual'è il problema?»chiede lui con non chalance«Ed abbassa il tono della voce.»mi ordina poco dopo.
«A me non interessa con chi lavori,ma i miei figli non devono avere niente a che fare con quella famiglia.»sono in bilico tra il mantenere la calma per i miei figli ed il tagliare la carotide a Damon.
Sto superando il confine per la seconda.
«Non credi che questo odio per i Johnson sia stupido?»
«Io non odio i Johnson,semplicemente non voglio averci più niente a che fare.
Già è tanto se lavoro da Tom.»ammetto con rabbia repressa.
«Allora voglio vedere Sabato,con il ricevimento.»azzarda lui.
Inclino la testa confusa,dischiudo le labbra cercando di intuire di che cosa si tratti.
«Ricevimento?Di che stai parlando?»
«Chiedi ai nostri genitori.»mi spinge lui.
Mi massaggio un attimo le tempie sapendo ciò che mi sta aspettando.Prendo un respiro profondo per lasciare la cucina e comparire in salotto.
«Di che ricevimento sta parlando Damon?»chiedo a mio padre.
L'uomo rotea gli occhi al cielo,sa che questa discussione non andrà a finire bene.
«Portate via Nathan e Thea.»chiede lui.
Mia madre e Rose accompagnano i bambini in giardino,all'aperto,per giocare un pò.Damon ci raggiunge e così siamo in tre.
«Di che ricevimento sta parlando Damon?»riformulo nuovamente la domanda.
«La tua ultima apparizione pubblica è stata un anno fa,quando ti hanno ritrovata.Tu non sai quanto parlino di te,solo di te in questo periodo.Molta gente è curiosa di rivederti così..»non voleva continuare,avevo intuito il continuo.
«Così vuoi darmi in pasto ai media?»è  allora che capisco perché sono venuti qua.
Vogliono che lavori come Damon. Finanza,giurisprudenza.Senno' a cosa sarebbero servite quelle lauree in legge ed economia.
«No,no e no.Voi siete venuti soltanto perché volete che ritorni nell'azienda di famiglia.State certi che questo non accadrà mai.»
«Hai il quaranta per cento delle azioni Helena,sei coinvolta quanto noi.»si intromette Damon.
E cosa centrano i Johnson?»chiedo poco dopo.
«Siamo alla pari con loro,entrambi abbiamo bisogno di salire di quota.Tu dovrai convincere Cristal Johnson a stipulare un contratto di alleanza economica.»mio padre.
«Oh,no.Questo te lo puoi scordare.Sai perfettamente i miei problemi con quella donna,con quella famiglia,e ti aspetti pure che le parli?Questa e' l'ultima goccia.»dico,per poi voltarmi e salire le scale.
«Helena Caffrey.
Se tu non ti presenterai a quel ricevimento tra due giorni,puoi scordarti il tuo conto fiduciario.Non vedrai nemmeno un centesimo.Ti farò licenziare dal tuo lavoro,sai che posso farlo.»mi minaccia mio padre,tra me e me sorrido e mi volto.
Avevo appena salito i primi due gradini e scesi nuovamente per poi presentarmi davanti a lui.Gli puntai il dito sul petto.
«E questa la chiami minaccia?Ti faccio vedere io quella che si chiama minaccia.»stavolta avevo superato quel confine.
Mi rivolsi verso mio fratello,lo feci indietreggiare fino a farlo sbattere contro la porta di vetro che ci divideva all'esterno.
«Se tu oserai solo continuare a scavare sul mio passato Damon,credo che Charlotte e Jason rimarranno orfani di padre.Se sara' necessario,anche di madre.»spalancò gli occhi.Sorrisi.
«Queste si chiama minaccia,papà.»dico poi voltandomi verso mio padre.
«Congelami pure il conto fiduciario.Licenziami se ti va.Non ho più niente da perdere nella mia vita.»aggiungo prima di salire in camera da letto.
Sono stanca di questa vita.Sarei potuta morire quel giorno,eppure non è successo.Hanno preferito farmi soffrire,una morte lenta e dolorosa diceva lui.




Mi sferra un altro colpo.Questo probabilmente mi ha provocato un livido sulla guancia sinistra.
«Perché non uccidermi ora che ne avete la possibilità?Le e' cosi' difficile uccidere una donna?»chiedo sputando sangue e col sorriso stampato in viso.
Nemmeno in questa situazione la sfacciataggine ha la buona idea di lasciarmi in pace.
Il russo scoppio' in un'altra delle sue fragorose risate.Giuro che se qualcuno mi libera,quest'uomo si pentirà amaramente di ciò che mi ha fatto.
«Oh,piccola Lena.Cosi' giovane eppure cosi' pericolosa.Cosa direbbe il suo caro Tommy?Eh?»questa minaccia indiretta mi fece ribollire il sangue.
«E' facile minacciare e divertirsi quando non si e' legati ad una sedia,vero?E' bello sentirsi grandi per uno come lei,giusto?Scommetto che sfoga la sua frustrazione sessuale sulle sue vittime,eh?Certo che per la sua statura,non credevo che li sotto potesse essere cosi' piccolo.»azzardo nuovamente con un ghigno sul viso.
L'uomo,di tutta risposta,mi sferra un altro colpo in pieno viso provocandomi,molto probabilmente,un occhio nero.Un urlo strozzato fuoriesce dalle mie labbra.
«Le prometto Lena che,quando saremo riusciti ad avere le nostre informazioni,sarò più che felice di ucciderli.Ma non prima di essermi divertito con lei,tesoro.»mi minaccia giocando con una ciocca di capelli.
Io,di tutta risposta,gli sputo del sangue in faccia.
«Va all'inferno Claus.»è tutto ciò che riesco a dire.
«Prima le donne Miss Caffrey.
Portatela nella stanza del freddo.Forse,stavolta,i suoi animi si congeleranno e parlerà.»ordina agli uomini all'angolo della stanza.
Non ho la forza di ribellarmi,mi lascio trascinare verso la cella frigorifera per quarantotto ore di freddo polare.Spero davvero di morire,meglio una morte veloce piuttosto che una lenta e dolorosa.




Finisco di preparare i borsoni di Nathan e Thea e sono pronta.
Raccolgo i capelli in una disordinata coda,alcune ciocche restano fuori contornandomi il viso,altre intrecciate nel laccio ricadono appena sopra la mia nuca.Così sempre che tenga i capelli corti,sto bene così.Poso sulla spalla il mio borsone e sulle mani tengo quelli piccoli dei bambini,prima ce ne andiamo,meglio sarà.
Si è fatta velocemente sera,ho espressamente chiesto che non mi chiamassero per cena.Il litigio di ieri mi ha aperto gli occhi.Non sono andata al lavoro oggi,mi sono data malata.Avevo bisogno di passare la giornata sul riflettere da farsi.Io non andrò a quel ricevimento domani sera.Ho chiamato Grent,lui mi porterà via da questo posto.Mi spiace lasciare Rose e i miei nipotini,ma non è la prima volta che sono costretta a rinunciare a qualcosa a cui tengo.Ai bambini pero' non rinuncio.Sono mancata per troppo tempo.Sento bussare forte sotto alla porta,è il segnale che Grent è arrivato.Velocemente scelgo le scale e apro.
«Pronta?»mi chiede subito lui.
«Prendi le borse e metti in moto,faccio subito.»lui annuisce ed esegue gli ordini.
Velocemente vado in cucina,miracolosamente i bambini hanno appena finito di cenare.
«Nathan,Thea.
Ce ne andiamo,forza.»dico senza peli sulla lingua.
Nel pomeriggio avevo detto ai bambini che saremmo andati a stare in un hotel.Per loro hotel,è sinonimo di grandi letti su cui saltare senza che qualcuno ti faccia la predica.Subito scapparono fuori casa.
«Ce ne andiamo?»ripete mia madre.
«Scusa mamma,ma hai sposato un coglione.Scusa Rose,ma hai sposato un coglione.Tale padre,tale figlio.A presto.»
Non lascio loro il tempo di rispondere,me ne vado subito con i bambini sbattendo la porta d'ingresso.Li faccio salire nei sedili posteriori,mentre io mi siedo accanto a Grent.
«Parti.Se devi,investi qualcuno.»lui sa perfettamente che la seconda parte,non la intendevo veramente.
«Non credi sia esagerato tutto questo.Loro sono la tua famiglia.»mi ammonisce mentre guida.
«Non ho legami di sangue con loro.»dico sprofondando nel sedile.
«Ma ti sei fatta rinchiudere in ben tre prigioni per loro.Hai sopportato torture per loro.Non avrai legami di sangue,ma hai di certo legami affettivi.Le cicatrici sul tuo corpo lo provano.»azzarda nuovamente.
Lui sa tutto.Sa tutto di me.Del mio passato.Dell'isola.
«Cambiamo argomento Grent,ci sono i bambini.»chiedo esausta.
«Non ci possono sentire con il vetro che ci divide da loro.»
«Io però li sento litigare nuovamente per la razza del cane.»
Ci guardiamo un attimo negli occhi prima di scoppiare a ridere.
«Hai cercato ciò che ti ho chiesto?»gli chiesi poco dopo.
Lui mi indicò il cruscotto.
Il fascicolo era ben ordinato,un pregio di Grent.
«L'ho seguita nelle ultime settimane.Da quando hai messo piede a Los Angeles,il governo è entrato in tilt.Verranno a prenderti presto,probabilmente.»
«Lei come sta?»
«Sta bene,vive a Firenze con marito e figlia da tre anni oramai.»
«Almeno mi ha ascoltata,in Italia non potranno raggiungerla.Se fosse rimasta a New York probabilmente ora sarebbe morta.»
«Lei è al sicuro.Ci ho pensato io.Ora sei tu il loro bersaglio primario.Quindi?»
«Non posso lasciare il paese.Darei troppo nell'occhio,o probabilmente e' quello che vogliono per eliminarmi definitivamente.Una bomba la prima volta non ha funzionato,ma la seconda non può fallire.Quindi,mi faro' arrestare se sarà necessario ma mi faro' aiutare dai media.»
«Cos'hai in mente Caffrey?»
«Non lo so,dimmelo tu.»lo stuzzico.
Stavolta non mi faro' prendere da sola,se affondo io,affonderanno tutti.

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Capitolo 5
*** Have you done breakfast this morning? ***


Libro O1,Parte 5




«I suoi occhi.Le sue labbra.Il suo corpo.
Lei,Lena,è una donna perfetta.La mia donna ideale.»sussurra il russo al mio orecchio sinistro,con tono sommesso.
«E lei,Claus,tortura le sue donne ideali?»gli rispondo azzardando.
«E' il destino che ha voluto fosse una prigioniera da torturare.Ma se lei parlasse,ora sarebbe tutto diverso Lena,tutto.»
«No,non cambierebbe nulla Claus. Non andrei a letto con lei in qualsiasi circostanza.Con lei toccherei solo il fondo di quest'esistenza.»
I lineamenti dell'uomo si indurirono.Mi tiro' uno schiaffo in pieno volto,ormai ho ben familiarizzato con il dolore.
Dopotutto,si sa che le donne sono più predisposte a soffrire.Noi ci prepariamo per il parto,al contrario degli uomini.Lo ripeteva sempre mamma a cena verso papà,mentre io e Damon parlavamo di altro,o non ci rivolgevamo la parola.
Mi pento di non aver mai approfondito il legame con Damon,lui ha sempre tentato ma io l'ho sempre respinto.
E' facile creare legami affettivi,e' difficile vederli spezzarsi come un ramoscello.
«Lo sa?Suo fratello si è sposato.»
Vorrei poter strangolare l'uomo davanti a me,ma non posso.Le catene al muro mi tengono le mani legate,solo le mie gambe sono libere.Non è la mia cella.
E' quella che i russi chiamano Stanza della Tortura.
«Buon per lui.»dico indifferente.
«E' diventata zia,sa?Una bella bambina,appena un mese.»
«Congratulazioni per Damon,allora.»
«Già,ma cosa potrebbe succedere se,per caso,questa bambina si ritrovasse orfana di genitori a solo un mese.»mi stava minacciando,ed io non rispondevo bene alle minacce.
«Osa solo torcere loro un capello,e giuro che non sarò clemente con il tuo corpo.»
«Forse,un giorno.Ma ora sono io quello che non sarà clemente con il tuo corpo.»
«Allora divertiti,Claus. Non ho piu' niente da perdere.»
Pensavo di aver cancellato quel giorno dalla mia mente.



Mi risveglio di scatto,urlando.
Avevo rimosso tutti i giorni di tortura,o almeno avevo tentato.
Smossi le coperte e mi sedetti sul bordo del grande letto.
Sul mio corpo si era imperlato il sudore.Il battito del cuore era irregolare.Il respiro affannato.
Almeno mi sono risvegliata al letto e non in un'altra stanza dell'albergo.
Controllo l'orologio digitale sul comodino del letto e constato che sono solo le O5.43 del mattino.
«Almeno oggi è Domenica.»ripeto tra me e me.
I bambini intanto dormono nelle loro camere da letto,ampie,accoglienti.E' un buon albergo,dopotutto Grent sceglie sempre molto bene.
Scosto tutte le coperte e mi alzo dal letto dirigendomi in bagno.
Ho sudato molto la notte,se non mi faccio la doccia finirò per beccarmi la febbre.
Girai il rubinetto e attesi che arrivasse l’acqua calda. Quando questa cominciò a scorrere versai del bagnoschiuma.Dormo col solo intimo,perciò velocemente mi spoglio e mi guardo allo specchio.
Lentamente le ferite del passato si stanno rimarginando ma quelle da bambina restano,ancora.
La mia pelle era candida,ma tra qualche tempo sarebbero apparse nuovamente le cicatrici molto probabilmente.Solo la superficie della mia schiena e parte del mio ventre non sono ancora guarite.A giudicare dal pizzicore che ogni tanto mi rovinava le giornate, mancava poco.
Sospirai e mi gettai nell'acqua bollente.
I miei muscoli immediatamente si rilassarono a contatto con l’acqua calda. Chiusi gli occhi e lasciai che i pensieri scorressero via.Presi un respiro profondo e lasciai che la testa scivolasse sotto l’acqua.
«Non pensare, non pensare»mi ripetei mentre il profumo di menta invadeva ogni cosa. Il bagnoschiuma che avevo trovato nel bagno era davvero forte.
Nuovamente l’immagine di William Johnson mi apparve come se fosse proprio davanti i miei occhi.Ricordavo ancora come si era preso possesso del mio corpo.Come se fossi un oggetto di sua proprietà,ma io non sono di nessuno.
Quando sentii i polmoni bruciare, riemersi.
«Dove mi sto cacciando?»penso tra me e me.
Tossii l’acqua in eccesso.Allungai una mano verso l’asciugamano bianca, uscii dalla vasca e mi coprii.Rapidamente mi asciugai ed uscì dal bagno.Indossai dell'intimo bianco in pizzo ed aggiunsi una camicia di seta,da uomo.
Odorava ancora di lui.Nonostante gli anni il suo profumo è ancora impregnato nell'indumento.
Nonostante gli anni l'indumento mi resta ancora un poco grande,il bordo raggiunge metà della mia coscia,coprendo così il mio fondoschiena.
Scaccio dalla mente questo pensiero,oggi sono da sola.
Grent è con la sua famiglia,gliel'ho imposto.
«No,Helena. Tu non resti sola.»erano queste le sue parole testuali.
«E' un ordine.Sono io il tuo capo.»e questa era la mia risposta seccata.
Ora mi pento.Aveva ragione,non dovrei restare sola,ora.Ma,dopotutto,io mi sento sempre sola.Quindi la differenza non è molta.
«Ho bisogno di dare un taglio a questa faccenda.»mi ripeto tra me e me,mentre mi dirigo nella cucina.
Il frigorifero è pieno,rimarrò qui per un tempo indeterminato,almeno finché non trovo un bell'attico o una bella villetta davanti il mare.Anche questo albergo è vicino al mare,per fortuna.Ed e' distante pochi chilometri dal lavoro,quindi se volessi potrei anche andare a piedi.
Preparo la colazione e vado a svegliare i bambini.
«Mamma,oggi cosa facciamo?»mi chiede Nathan a tavola.
Mi ero dimenticata che Nathan non riesce a rimanere in un luogo per troppo tempo,ha sempre bisogno di uscire.
«Non preoccuparti.Oggi la mamma vi mostra dove lavora.»
I due bambini si guardano come per intendersi,fanno spallucce e tornano a mangiare.Roteo gli occhi al cielo.
«Sono dei Caffrey. La sfacciataggine è nel sangue.»penso tra me e me sorseggiando il caffè latte.
Terminata la colazione i ragazzi vanno a cambiarsi mentre io mi limito ad indossare un paio di jeans con i miei soliti mocassini della Vans. Nonostante siano passati gli anni,questa marca e' ancora tra le migliori.
Velocemente raccolgo la borsa e le chiavi dell'auto,usciamo.
Ci corichiamo nell'abitacolo ed in un quarto d'ora sono davanti l'edificio.Parcheggio ma non apro,mi volto verso i bambini.
«Rompete di nuovo qualcosa e potete scordarvi del cane.Intesi?»li avviso immediatamente.
L'ultima volta che li ho portati in una mia postazione di lavoro,i danni che hanno causato sono stati esorbitanti.L'azienda per di piu' era quella di famiglia,almeno.Una volta li ho portati nell'ospedale dove lavorava Tom,prima dell'incidente.Non e' andata a finire bene.Oggi però non posso lasciarli soli.Speriamo bene.
«Lo giuriamo,mamma.»ripetono all'unisolo.
Anche se lo fanno con le migliori delle intenzioni,so che qualcosa si rompera'.Tanto la carta di credito esiste apposta per quello.
Sospiro e scendo dall'auto.
Nonostante mi renda irrequieta prendo l'ascensore,per fare prima,e raggiungo il mio piano.
«Angelo custode.Proteggimi.»dico prima che le porte scorrevoli si aprano.
Come mi aspettavo,i due si guardano negli occhi per intendersi e scappano via dalle mia mani.
«Due fulmini,wow.»non li ricordavo così veloce.
Sbadiglio e raggiungo il bancone.
«Avete visto quei bambini?Sono due fulmini.»chiede retorico Derek.
«Hanno un non so che di familiare.»riflette ad alta voce Cecilia.
«Di solito,appena vedo una persona la saluto.Poi incomincia la conversazione.»puntualizzo ai due mentre mi passano una cartella.
«Giorno.»rispondono entrambi.
«Il tuo camice?»chiede poco dopo Cecilia.
«A casa di mio fratello.Basta il cartellino sulla camicia,no?»azzardo mentre sfoglio la cartella medica di un paziente.
«Seriamente,avete visto quei bambini?Sono sicura di averli visti in televisione,o in una rivista.»rimuggina nuovamente Cecilia.
Sospiro divertita,voglio aspettare a dire che sono i miei figli.
«Tu che ne pensi Helena?»mi chiede Derek.
«Penso che sia ora di incominciare il giro Derek,andiamo?»svio la domanda.
Lui si limita ad annuire e fa il giro del bancone presentandosi accanto a me,ci prepariamo per il primo paziente ma il tonfo di qualcosa di molto grande che cade distrae tutti i dottori in giro.
Dal corridoio compaiono i due bambini che corrono via divertiti,non mi calcolano nemmeno e voltano l'angolo.
«Ma di chi sono quei bambini?»chiede un pò alterato lui.
«Hanno rotto due defibrillatori.»sento urlare dal corridoio.
La mia carta di credito sta per essere ben consumata.
«Il cane se lo scordano.»borbotto tra me e me,ma Derek mi sente.
«Cosa?»chiede lui.
«Andiamo,forza.E' già tardi.»in due buone ore abbiamo terminato il giro.Ma in tutti i reparti si e' sparsa la voce dei bambini privi di un genitore.Mi diverte questa situazione.Devo essere sincera.
«Se vedo uno dei due fulmini lo prendo per il colletto e lo lego alla sedia.»dice Derek mentre raggiungiamo il bancone.
«Provaci e io ti butto dalla finestra.»penso tra me e me.
Posiamo le cartelle sul bancone mentre Cecilia si volta verso noi.
«A quanto ho sentito,i fulmini hanno rotto cinque defibrillatori,buttato qualche qualche sacca di sangue ed altro.Il conto è salato.Nessuno riesce a star loro dietro,a quanto pare.»
«Hanno preso dalla madre.»penso tra me e me.
«Caffrey?»mi sento chiamare.
E' Tom,ci raggiunge.
«Buongiorno Tommy.»dico sbadigliando.
«Credo che tu stia per avere la luna storta Helena.»aveva un fax in mano.
«Li hai riconosciuti immediatamente,vero?»gli chiedo sorridente.
Lui annuisce un po' divertito.
«Non credere che mi sia dimenticata di loro.»mi dice passandomi il fax.
«Cos'e'?»gli chiedo,aprendo il foglio.
«Il conto da pagare.»mi dice mentre Cecilia gli passa una cartella.
«Pensavo a piu' zeri.»dico leggendo.
«Vai in fondo.»mi consiglia.
Ritiro cio' che ho detto.
«Come mai un conto?»chiede Derek piuttosto curioso.
Entrambi stavamo per rispondergli quando i due famosi fulmini compaiono da un angolo del corridoio.Mi stavano quasi superando quando mi volto verso loro.
«Voi due.Muovete un altro muscolo e giuro che ne pagherete le conseguenze.»li minaccio.
I due si fermano irrigidendosi.«Venite qua,ora!»ordino loro.
Lo fanno.
Gli altri restano piuttosto stupiti,eccetto Tom che guarda la scena divertito.
«Ora vi sedete qua e state fermi,capito?»i due annuiscono e fanno il giro del bancone sedendosi sulle sedie a rotelle,accanto Cecilia.
«Wow,ci sai fare con i bambini.»si limita a dire Derek.
«Tom,mi dispiace.Di nuovo.»dico piuttosto imbarazzata mentre guardo male i due,poi mi rivolgo a loro.
«Ma in auto non vi avevo detto di comportarvi bene.»li ammonisco un po' duramente.
«Ci spiace,mamma.»si limitano a rispondere loro.All'unisolo.
In quell'istante tutto il corridoio si ferma.
«Ecco dove li avevo visti i bambini,ero sicura fossero famosi.»esclama Cecilia.
«E' divertente vedere le reazioni delle persone che ti circondano.La piu' inaspettata e' stata quella di Derek.»
«Stavo scherzando prima.»cerca di difendersi lui.
Mi viene da ridere.
«Hanno creato più problemi dell'ultima volta.»dico rileggendo il conto.
«L'ultima volta c'era solo Nathan con quattro anni,è un pò difficile che Thea crei problemi all'età di un anno.»mi incoraggia Tom,mentre scompiglia i capelli al ragazzino.
«Mh,pensavo che Thea fosse più calma.Ti va bene carta di credito?»dico frugando nella borsa.
«Assegno.Mi spiace.»
«Lo troverai domani mattina sulla tua scrivania.»dico mentre lui si muove per andarsene.
«No,non portarlo da me.Ai conti ci pensa mio padre.»inghiotto un soffio di saliva.
«Tuo padre?Ti prego Tommy,non farmi questo.»
«Mi spiace.Ma tanto potrete conversare stasera.
Ricorda:è una serata elegante.»dice lui prima di andarsene.
«Ora mi trovo costretta ad andare a quello stupido ricevimento.E' tutta colpa vostra.»mi rivolgo ai bambini guardandoli mani.«Il cane ve lo potete scordare,ora.»continuo poco dopo.
«No.»sento loro lamentarsi ma non do loro peso.
«Credo che non diventerò mai padre.»rimuggina Derek.
Cecilia drizza le orecchie.
«Come scusa?»chiede lei un poco alterata.
«Io vi lascio al vostro litigio.Voi due invece..»mi rivolgo ai bambini ora«non muovetevi da qui,capito?Torno subito.»
Lascio il bancone e torno al lavoro.
Finisco abbastanza tempo prima per tornare a controllare i due.
Intanto Cecilia ha portato loro pastelli e fogli e loro disegnano.
«Grazie,Cecilia.»
«Di niente,ora torno al lavoro.Tanto manca poco prima che stacchi con Derek.»
La donna scompare ed io resto con i due bambini.
«Scusate,ma cosa vi è venuto in mente mentre correvate in giro per l'edificio?»chiedo loro,i due si limitano a guardarmi e fare spallucce,per poi tornare a disegnare.
Sbuffo e prendo il cellulare.Lo accendo e noto di avere numerose chiamate perse da parte dei miei genitori,di mio fratello e di Rose.Noto però,un e-mail,ma non e' di nessuno di loro.Spalanco gli occhi.

Da: William Johnson-Styles.
A: Helena Caffrey.
Oggetto: Colazione.

Cara Signorina Caffrey,
Spero di esser stato nei suoi pensieri come lei è stata nei miei. Approfitto per domandarle: ha fatto colazione oppure no?

William Johnson-Styles.
Amministratore Delegato Johnson Enterprises Holdings Inc. 

Inclino la testa piuttosto confusa.Colazione?
E poi,chi gli ha dato la mia e-mail?Probabilmente,Damon.
Decido di rispondergli.

Da: Helena Caffrey.
A: William Johnson-Styles.
Oggetto: Stalker.

Caro Signor Johnson-Styles,
Spero di non sembrarle minacciosa quando le dico che il suo fare inquietante mi mette sui nervi e non mi farei scrupoli a denunciarla nel caso mi perseguiti.
E comunque,cosa centra la colazione?

Dott. Helena Caffrey.
Amministratrice Delegata Caffrey Enterprises Holdings Inc.

Damon aveva ragione.Detengo ancora il quaranta per cento delle azioni,percio' se vanno loro in rovina,ci vado anch'io essendo Amministratrice Delegata.
Mentre guardo i bambini disegnare e rimuggino sulla serata,mi arriva una sua e-mail.

Da: William Johnson-Styles.
A: Helena Caffrey.
Oggetto: Serata.

Cara Signorina Caffrey,
Spera bene.Lei non mi sembra affatto minacciosa,anzi,piuttosto eccitante.Vorrei ricordarle che non ha risposto alle mie domande.Lo faccia al piu' presto,per favore.
Spero di incontrarla nuovamente questa sera,al ricevimento.
Ricordi:è una serata elegante.

William Johnson-Styles.
Amministratore Delegato Johnson Enterprises Holdings Inc.

Inclino nuovamente la testa,bofonchio.
«Di sorprese ne ho avute troppe oggi.»rifletto ad alta voce.«E,a quanto pare,non finiranno qui.»penso tra me e me.
Una volta finito il turno ritorno in albergo con i bambini,davanti la stanza trovo l'inaspettato.
«Che ci fai qui?Oggi e' il tuo giorno libero.»lo ammonisco mentre inserisco le chiavi nella toppa.Intanto lui saluta i bambini,come sempre gioiosi.La giornata di oggi non li ha proprio toccati.
«Sono venuta ad aiutarti.»dice sventolando una custodia per abiti in mano.
Inclino la testa ed apro la porta.Entriamo e ci pensa lui a chiuderla.
«Devi andare a quel ricevimento.»mi ordina immediatamente lui.
«Thea,Nathan.Andate a guardare la televisione in camera vostra.»non se lo fanno ripetere due volte.
Intanto mi muovo nel salotto adiacente la cucina e mi accomodo sul divano.Incomincio a fare zapping con il televisore.
«Helena,prendimi sul serio.»
«Non sono in vena,Grent.»
«Giornata storta?»
«William Johnson.»mi limito a rispondere.
L'uomo drizza le orecchie.
«Il pericolo ti attrae.E quello è già stato più di una volta la tua rovina.»mi ammonisce lui.
«Cambiamo argomento.Perché dovrei andare a quel ricevimento?»
«Perché verrebbe a tuo vantaggio.»non intendo.
«Spiegati meglio.»gli faccio cenno di accomodarsi sul divano.
Si siede e,intanto,posa la custodia sulla poltrona accanto.
«Il Governo ha aperto un'inchiesta su di te.»incomincia lui.
«Quello lo sapevo anch'io,Grent.»lo interrompo.
«Ascoltami.Lasciami parlare,sei troppo impulsiva»mi ammonisce nuovamente lui«Hanno affidato il caso ai piani alti della Cia e,a quanto pare,aspettano da tempo questa sera.Loro non vogliono che tu torna.Ti voglio nascosta come in quest'ultimo mese.»
Cerco di collegare il tutto.
«Quindi,se io non vado,loro potranno prendermi senza fare troppo rumore.Ma se io partecipo alla serata,allora i media torneranno a tormentarmi e diverrà più difficile prendermi in custodia.»dico alzandomi.
«Esatto.»mi sorride lui.
«E va bene,se mi vogliono avere dovranno sudare molto.Il loro addestramento in confronto al mio,è nullo.»dico soffermandomi su un canale che trasmette musica.
«Ricorda che io sono stato addestrato lì.»
«Lo so,ma fra noi due sai chi vincerebbe in uno scontro.»
«Già,ma tu hai bisogno di me lo stesso.Due anni fa le tue capacità non ti hanno aiutata a molto.»
«In due anni si migliora.»
«Beh,sta calando il tramonto.L'abito è lì.Mia moglie mi ha aiutato a scegliere un abito adatto a te.»
«Kathrine ha molto buon gusto.»lo interrompo.
«Beh,comunque Nathan e Thea vengono a dormire da me e Kathrine.Non credo sia adatto portarli con te.»
«Si,hai ragione.E poi dopo il conto salato di oggi,ho bisogno di levarmeli di torno un attimo.»
Non che non sopporti i bambini,ma sono giovane.Ho solo 23 anni e mi ritrovo con due bambini cresciuti e pestiferi.Una serata ci vuole.
L'uomo si limita a sorridermi.
In pochi minuti Grent porta via i bambini.
Tornerà entro due ore ed io,entro quel lasso di tempo,dovrò essere pronta.
Mi faccio una doccia ristoratrice,per poi asciugare i capelli e piastrarli.Tolgo il vestito dalla custodia.
«Kathrine.Ti sei vinta una vacanza nei Caraibi con tuo marito.»dico mentre gli occhi mi brillano.
Il colore blu notte si intona perfettamente alle svariate sfumature che i miei occhi possono assumere.Dal verde al celeste.Dal celeste al grigio ambrato.
L'abito da sera senza spalline ricade perfettamente sul mio corpo esile ma slanciato.E' piuttosto provocatorio,il che mi piace.A partire dallo sterno lascia scoperto quasi tutto il mio ventre,permettendo così di far emergere un poco le mie forme.
Dietro è piuttosto ambiguo,il che mi intriga.Un sottilissimo velo sempre blu notte dovrebbe coprire la mia schiena,permettendo cosi' a nessuno di notare qualche possibile cicatrice del passato,eppure sembra quasi abbia la schiena scoperta.Questa ambiguità mi piace molto.
Non mi trucco.Mi mostro per ciò che sono.
Per i capelli opto di raccoglierli con un paio di bacchette ma lascio delle corte ciocche ai bordi del mio volto.Quelle lunghe invece le raccolgo e le lascio cadere sino l'altezza della mia nuca.L'effetto a boccoli delle punte rende il mio aspetto solo più intrigante.
C'era un solo problema.
Pochette e tacchi?Non avevo nessuna delle due.
Nello stesso istante in cui riflettevo su questo bussarono alla porta,Grent.Gli apro.
«Scusami.Li avevo lasciati in auto.»mi sventola davanti gli occhi una pochette nera e tacchi dello stesso colore dell'abito.
Gli sorrido ed indosso i tacchi.
«Non riesco a starci,Grent.»dico quasi in bilico sul cadere,poso le mani sulle sue spalle.
«Dopotutto non indossi quei cosi da tre anni,è normale.»
«Si,ma ora come faccio?»gli chiedo esausta.
«Pensa che questa difficoltà non è niente in confronto a ciò che hai passato in questi ultimi anni.»
Seguo il suo consiglio,ed in effetti,ha ragione.I tacchi sono solo una sciocchezza.Usciamo dall'albergo mentre mi tengo ad una sua spalla abituandomi alle scarpe.
«Il ricevimento si tiene nella filiale di Los Angeles.»
«In parole povere nell'attico principale dove lavora Damon?»chiedo mentre guardo l'esterno del finestrino dell'auto in moto.
«Esatto.»
«Quando inizia il grande ''evento''?»cerco di ironizzare.
«In realtà gli esponenti più importanti sono già entrati.»mi dice lui.
«Allora sono in ritardo.»
«E' il tuo marchio,ricordi?»mi chiede lui«Entrerai nel momento in cui Damon incomincerà il discorso,tutti ritengono tu non ti presenterai al ricevimento ma un colpo di scena è ciò che serve ai giornali.»
«Se mai dovessi lasciare la professione di dottore,ricordami che tu potresti aiutarmi nel mondo dello spettacolo come manager.»gli dico ironica.
Lui sorride.
Speriamo sia una serata con pochi imprevisti.Credo non reggerei.

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Capitolo 6
*** I'll protect you. ***


Libro O2,Parte 1.



William's Chapter.


Spalancai di scatto gli occhi.
La luce al mio fianco era ancora accesa e il silenzio assordante della stanza mi stava opprimendo in una maniera orribile.Presi un respiro profondo, allontanai le coperte dal mio corpo accaldato, sudato,e mi alzai in piedi.Controllai l’orario sul cellulare. Erano le due di notte.
Mi scompigliai i capelli,indossai i pantaloni della tuta e abbassai la maniglia della porta.Sicuramente,Helena stava dormendo e io avevo bisogno di aria fresca.Forse,
Mi incamminai verso il salotto a piedi nudi così da attutire i miei stessi passi. Aggrottai la fronte quando intravidi qualcuno nel salotto. Immediatamente mi passarono in mente tutti gli anni di addestramento militare a cui ero stato predisposto per mia volonta'.
Con gli occhi, cercai la luce.
Per fortuna la vidi grazie ai raggi lunari.Quando premetti il bottone riconobbi lo sconosciuto. In realta' era Helena Caffrey.
Indossava una mia t-shirt scura e attillata ma anche sudata,le stava grossa;infatti raggiungeva meta' delle sue coscia magroline.
Eppure c'era qualcosa di strano in lei.
Il corpo slanciato tremava debolmente,le ginocchia erano piegate come a voler crollare a un momento all'altro e la testa si muoveva come se non riconoscesse il luogo in cui si trovava.
«Che cosa..»pensai.
Presi un respiro profondo. Non potevo guardarla,soltanto.
«Caffrey.» dissi. Utilizzai il nomignolo che ormai le avevo affibbiato.
Lei sussulto' impaurita e si giro'.
Rimasi impressionato alla vista dei suoi occhi.Ora erano di un grigio intenso,simili ai miei,oltre ad essere grandi e tremendamente spaventati come quelli di un bambino.
«Tu chi sei?» mi chiese con voce flebile,ingenua.
Aggrottai la fronte al suono di quella domanda.
Io. Chi. Ero?
«William.» risposi automaticamente.Chi altri,se no?
«Abbassa la voce»disse improvvisamente venendo verso di me«Lui sta tornando».
Assottigliai lo sguardo.
Di che cosa stava parlando?
«Chi sta tornando?» indagai con le braccia conserte sul petto nudo.
«L’uomo cattivo».
Quando si avvicino' ancor di piu' a me potei notare una cosa.
Le sue parole erano quelle di un bambino mentre i suoi occhi impauriti erano anche spenti.Come se fosse in trance.
Stava sognando,per caso? Questo spiegava, pero', perché non mi aveva riconosciuto.
«Sei sicura?» approfondii l’argomento.
«Sì,solitamente mamma torna a quest’ora dopo che è stata via durante la notte»spiego'.
Annuii dandole ragione.Che cosa potevo fare ancora?
«E lui torna con lei?» aggrottai la fronte. Era il padre, per caso?
«La protegge dagli sconosciuti» sussurrò torturandosi le mani.
Arretrai di un passo quando un fulmine cadde dal cielo. Le luci del salotto si spensero con mia enorme sorpresa.
Nonostante fossimo a fine Giugno e ci trovassimo nei pressi di Los Angeles,stanotte era scoppiato a piovere inaspettatamente.
Un tonfo mi fece stringere gli occhi e un singhiozzo riempi l’aria silenziosa.
«Che cosa..»ripetei nuovamente.
Le luci si riaccesero così come se ne ero andate,all'improvviso.
Ci misi un po’ a mettere a fuoco ogni cosa.Aggrottai la fronte quando non vidi più Helena.
«Oh,no.»pensai appena la vidi seduto a terra con le ginocchia strette al petto.
Mi resi conto che il pensiero fatto nella macchina era giusto.
Helena Caffrey indossava una maschera.Era brava ad interpretare quel personaggio della giovane stronza e sfacciata ma,la verità era quella davanti i miei occhi.
Una ragazza che tremava spaventata a causa del suo peggiore incubo.
Sospirai.
«Caffrey!» esclamai.
Anche io soffrivo di incubi e mai nessuno era intervenuto a salvarmi. Forse perché mai a nessuno avevo raccontato che cosa riguardassero davvero.Nessuno sapeva quello che avevo fatto quando ero stata lontana da casa.Ero solo.
«Lui mi fara' di nuovo male»singhiozzò mentre si toccava gli avambracci scoperti.
Deglutì un fiotto di saliva e mi fissò con gli occhi lucidi di pianto.
«No» gli risposi prontamente con voce dolce.
Lei si morse il labbro inferiore e mi guardò.
«Lo farà. Lo fa sempre e,mamma non lo blocca» mi raccontò sfregandosi gli occhi gonfi.
Sospirai al suono delle sue parole.
Che razza di donna, mamma, permetteva una cosa del genere?
«Questa volta non accadrà» la rassicuro.
Mi guardai un attimo attorno e sotto i suoi occhi indifesi, mi misi in ginocchio davanti a lei.Lentamente avvolsi il suo corpo nelle mie braccia.Helena sussultò lievemente come se fosse rimasto colpito dal mio gesto e,si rilassò un po’
«Perche'?» farfugliò soltanto.
Il grigio torbido dei suoi occhi si era calmato come se la tempesta si fosse allontanata e il sole fosse spuntato.La quiete dopo la tempesta.
«Perché io non glielo permetterò»la rassicurai.
Il suono di un altro fulmine la fece sussultare, rannicchiare su se stessa.
Le piccole mani che prima mi avevano stretto ora erano legate attorno al corpo come se cercassero di proteggerlo.La vidi sussultare come se qualcuno lo stesse colpendo a forza sulla schiena.
«William, che cosa vorresti che facessero dopo un incubo?»
Mi chiesi.Certo, i miei erano semplici incubi dettati dal nervosismo, non veri e propri ricordi che rischiavano di rovinare anche la realtà esterna.
Mi scossi i capelli già aggrovigliati.
Le immagini di poco fa mi colpirono. Quello che era successo poche ore prima. Sembrava passato già un secolo.
Amavo particolarmente dare ordini a chi non spettava sentirli ma, era l’unica soluzione.Non ero sicuro ma nemmeno tanto sfiduciato dall'idea.
«Caffrey!» esclamai gattonando verso di lei.
Il corpo continuava ad esser scosso da tremori e singhiozzi. Sembrava non sentirmi.
«Caffrey!» provai a richiamarla ancora una volta.
Niente.
«Helena!» gridai esasperato e,quasi,spaventato.
Non poteva continuare in eterno quella situazione.
Stranamente, però, lei alzò la testa.
Le lacrime scorrevano sulle guance arrossate dal pianto, gli occhi grigi erano gonfi e i capelli bruni erano una massa scomposta e senza forma.
Rimaneva comunque il ragazza piu' bella che avessi mai visto.
«Ho paura!» esclamò tutto d’un fiato.
«Lo so» gli risposi «L’ho visto, ma…».
Allungai le braccia verso di lui.
«C… cosa» le ciglia nere risplendettero sotto la luce artificiale del salotto. Erano lunghe.
«Vieni tra le mie braccia,Helena»dissi nuovamente il suo nome «Sarai al sicuro».
E in meno di qualche secondo, lei si gettò al loro interno.
Ero seduto a terra con Helena e il suo corpo in mezzo alle mie gambe.La testa con i suoi capelli bruni era poggiata sulla mia spalla,le ginocchia erano rannicchiate in avanti ma non erano fastidiose e le mani stringevano il mio petto.La maglietta era totalmente bagnata di sudore.
«Sono al sicuro?»mi chiese alzando la testa.
Gli occhi grigi sgranati mi erano ancora sconosciuti.
Non era ancora tornato quello di ieri. La donna sensuale, provocatoria e dannatamente capace di farmi impazzire,ancora non tornava a galla.
«Sì,Helena,sei al sicuro.Con me, sarai sempre al sicuro»le accarezzai i capelli.
Lei trattenne un attimo il respiro ma poi sospirò di piacere. Si stava tranquillizzando. I tremori erano terminati anche se le lacrime avevano lasciato dei segni sul viso già segnato dalla stanchezza.
«William.» ripeté il mio nome come se fosse un talismano protettivo.
Lentamente la tirai più in alto finché il suo viso non fu poco distante dal mio.Le labbra si schiusero.
Erano cosi' rosee,invitanti.Mi chiedo che sapore abbiano.
«Helena,Helena.»ripetei il suo nome come a volerlo assaggiare.
«Io…» sussurrò socchiudendo gli occhi.
«Helena,svegliati»le accarezzai la guancia bagnata di lacrime.
Lei sussultò.
«I… io» scosse lievemente la testa.
«Va. Tutto. bene» scandii per bene le parole«Ci sono io qui»la rassicurai.
Lei si rannicchiò ancor di più.
«Guardami negli occhi» posai una mano sotto al suo mento.
Lei deglutì e arrossì lievemente.
«William…» gemette a bassa voce.
«Helena, ritorna in te.ORA»le ordinai.
E fu così.
Gli occhi grigi si ingrandirono mentre le pupille si dilatarono.E le sue mani mollarono di poco il mio petto mentre il respiro si calmò ancor di più.
La vidi chiudere le palpebre e non riaprirle piu'.
«Helena.»tentai di richiamarla ma non ricevetti alcuna risposta.
«Helena!»la richiamai nuovamente ma senza alcun esito.
Delicatamente presi di peso il suo corpo e la portai nella mia stanza da letto.Lentamente scostai le coperte nere di seta e posai la donna sul letto,per poi coprirla nuovamente.
Mi diressi nella veranda collegata alla stanza col cellulare in mano.
Lo chiamo.
«Come sta andando?»mi chiede dall'altra parte del cellulare.
«Non me la sono portata al letto.»lo avviso immediatamente.
«Grazie.»
«Non mi avevi detto che era sonnambula?»
«Helena e' sonnambula?Non lo sapevo.»
«E' tua sorella,come fai a non saperlo?»lo ammonisco dall'altra parte del cellulare.
«E' complicato,Johnson.»
«No,non lo e' Damon.E' tua sorella.»
«Fai il tuo lavoro,William.Ricordi il tuo compito?»azzarda lui.
«Abbassa il tono Caffrey,sono piuttosto esausto e soprattutto non vorrai che tua sorella venga a sapere tutto.»
«Io vado.E' tardi.»e riattacca.
Rientro nella camera quando capisco che sta per ricominciare a piovere.Chiudo le finestre dietro di me e mi volto verso la donna stesa sul mio letto.Non e' piu' rannicchiata.Ora copre buona parte del letto e stringe saldamente il lembo delle coperte.La testa e' rivolta verso l'alto e le sue labbra sono dischiuse,mentre i suoi lunghi capelli sono posati disordinatamente sul cuscino.
Qualcosa in me si accende,una scintilla.Di nuovo.



Helena's Chapter.


Accetto sempre una sfida.
E lui,William Johnson,e' una delle piu' grandi che io abbia affrontato.
Una fioca luce che filtra dalle tende mi sveglia.
Lentamente focalizzo la stanza in cui mi trovo.
Certamente questo non e' il letto della camera degli ospiti.Mi punto su un gomito mentre con la mano libera mi massaggio una tempia.Lentamente faccio ordine nella mia mente.
Grent mi ha accompagnato alla serata.
E' andato tutto secondo i piani e sono state scattate molte foto.
Ho firmato il contratto con Johnson,ma non Cristal.
William.
Certamente,per il mio orgoglio,non sarei mai tornata a casa con Damon,o mio padre.Percio' avrei preferito prendere un autobus,ma non ricordo come,ho accettato un passaggio da Johnson.
Ed ora mi ritrovo qui,da lui.
Scosto le coperte e mi siedo sul bordo del letto.
Mi sfugge qualcosa.Questa notte non e' stata calma,affatto.
Ne sono sicura.Su un comodino trovo un piccolo biglietto.Lo apro.
“Dirigiti in bagno.
-William Johnson.“
Inclino la testa un poco confusa e vado nel bagno collegato alla camera.Trovo una busta ed un altro bigliettino accanto il lavandino.
“Miss Caffrey,
l'attendo nella sala da pranzo.
Le consiglio di farsi una doccia,la scorsa
notte era troppo accaldata e potrebbe prendersi la febbre.
L'aspetto.
-William Johnson.“
«Cos'e' successo la scorsa notte?»ripeto tra me e me.
Intanto decido di farmi una doccia,anche perche' non aveva tutti i torti.Uscii' dall'acqua e nella busta trovai abiti ed intimo.
«E' davvero entrato in un negozio di intimo femminile per comprarmi degli abiti e della biancheria?»penso tra me e me.
La sola immagine mi rende piacevolmente felice di piena mattina.
Ora indossavo una camicetta senza maniche nera,con due tasche all'altezza dei seni ed un paio di jeans.Mi stiracchiai davanti lo specchio e notai che,alzando completamente le braccia,si poteva notare la striscia del reggiseno.
«Pervertito.»farfugliai.
Prima di scendere prendo la busta vuota e vado nella camera degli ospiti.Recupero l'abito costoso e lo poggio dentro il sacchetto assieme la pochette.Indosso nuovamente i tacchi,mi ci sto abituando.
Scendo le scale con la busta tra le dita,l'odore di cornetti caldi invade il mio naso.
Quando arrivai in cucina,sussultai.
William Johnson era seduto a capotavola con le mani sotto al mento. Sembrava aspettare qualcuno. Mi resi conto che stava attendendo me.Da quanto tempo? Indossava un abito nero, scarpe lucide e cravatta argentata che risaltava grazie al suo sguardo talmente simile,identico.
«Mi piace farti aspettare!»esclamai mentre avanzavo verso di lui.
Immediatamente si girò verso di me. I suoi occhi luccicarono e la sua bocca si aprì, si chiuse e si aprì nuovamente per parlare.
«Lo avevo capito» ammise con tono incolore.Sembrava aver riacquistato il suo controllo.
Sospirai.
Quando avrebbe capito che era facile riacquistarlo a anche perderlo? Soprattutto con me…
«Ne sono contenta. Una cosa in meno su cui discutere» chiarii camminando per la stanza.
«Ti vanno bene i cereali per colazione?»mi domandò cambiando totalmente argomento.
«Benissimo»incominciai,feci spallucce.
«C’è anche della spremuta e qualche fetta biscottata con marmellata» continuò lui,interrompendomi.
Abbozzai un sorriso.
Si era proprio dato da fare,eh. Avevo paura che me ne andassi a digiuno?
La tavola era apparecchiata per due ma sembrava ospitare più persone. Non c’era solo spremuta, fetta biscottata con marmellata di qualche tipo, e latte con cereali.C’era anche molta frutta come ciliegie, fragole e cioccolata fondente e al latte.
«Hai apparecchiato come se dovesse mangiare la regina di Inghilterra con noi» risi.
Lui scosse lievemente la testa.
«Per me…» si morse il labbro inferiore «Il cibo è molto importante» continuò a fatica.
Avevo notato come avesse preso il vizio di mordersi il labbro.Lo faceva apposta?
«Lo avevo capito»dissi stringendo la busta.
Lui si irrigidì leggermente.
Ecco,era proprio quello che mi rendeva titubante. Che cavolo gli prendeva?
«Che cosa vuoi, allora?» si toccò la cravatta con fare nervoso.
Guardai un attimo la tavola.
«Cereali, decisamente!»esclamai.
Notai come lui stesse bevendo solo del caffé macchiato.
Schioccai la lingua.
«Se non fosse che io debba andare.»lo avvisai.
«E come mai?» ribatté innocentemente.
Sorrisi sarcastica.
«Niente mi costringe a rimanere qui.»puntualizzai.
«Io.Io ti costringo a rimanere qui.»
Lui alzò lo sguardo rivolgendolo verso di me.
Lessi un certo smarrimento a loro intero.
«L'ha voluto lui.»pensai tra me e me.
Mi avvicinai a lui,fino trovarmi di fianco a lui.
L'uomo poso' di norma il caffe' macchiato che stava sorseggiando e si volto' verso di me.
Sorrisi con fare inquietante e mi sedetti a cavalcioni sopra di lui.
Lui sussultò.
«I… io…».aveva perso il controllo della situazione.
Di nuovo.
Le mie labbra si accostarono all'altezza del suo orecchio e lo mordicchiarono un poco.
«La prossima volta,se vuoi costringermi a stare con te»incomincio sussurrando e lasciando un bacio sul suo collo per poi tornare a parlare«legami al letto con un paio di manette.Credo potrebbe sorprenderti come andra' a finire la situazione.»
Lo sento inghiottire un flotto di saliva.Aveva completamente perso il controllo,non riusciva piu' a recuperarlo.
Mi rialzo sistemandomi i capelli e riprendendo la busta.
«Grazie per l'ospitalita' e per gli abiti.»dico davanti la porta d'ingresso.
Ormai avevo perso il contatto visivo,mentre lui aveva perso la testa.Esco dalla casa e prendo un taxi.
Una lampadina si accende nella mia mente.
«La nottata?»penso.
Non trovo una connessione con cio' a cui si riferisse Johnson nel biglietto.Una risposta dovra' pur esserci.
Spero di trovarla.


«Mamma,Sabato posso dormire da Oliver?»mi chiede Oliver.
Un boccone mi va di traverso.Bevo subito un sorso d'acqua.
«Dormire da Oliver?»ripeto un poco scioccata.
Lui si limita ad annuire e fare spallucce,continuando a mangiare il suo pasto.
«Se Nathan dorme da Oliver,anch'io voglio dormire da un'amica.»protesta subito Thea.
E cosi' parte una discussione tra le due parti,mentre io rifletto.
Far dormire mio figlio dal Johnson?Non lo so,davvero non lo so.
«In realta' pensavo di fare un salto fuori citta' durante il weekend.»dico zittendo i due.
«E dove?»chiedono all'unisolo.
«Visto che questa e' la vostra ultima settimana di scuola,pensavo di festeggiare con Disneyland,non credete?»e cosi' i due fulmini tornarono.
Come in ospedale l'altro giorno,i due gioirono abbastanza.
Orlando,ora devo andare ad Orlando solo per non vedere un uomo.
Wow,che etica!
Sono passati un paio di giorni da quando non lo vedo,e saro' sincera.E' strano non avere sue notizie.
«Che l'abbia spaventato l'altro giorno?»penso tra me e me.
Scaccio via dalla mente quella giornata e prendo i piatti sporchi per poi metterli in lavastoviglie.
I bambini intanto vanno a giocare nella mia camera da letto.Saltellano sul grande letto lasciando il televisore acceso coi cartoni.
«Quanto vorrei un pianoforte,in questo momento.»
Prendevo lezioni di pianoforte dall'età di dieci anni,che è anche l'età in cui mi hanno adottata.Non credo me lo sarei potuta permettere prima.Non lo solo per i soldi,ma anche per,per lui.
In quell'istante ricordo che vi è un pianoforte nella hall dell'albergo.Probabilmente lo tengono solo per rendere il luogo piu' raffinato ma non credo sia un problema se ne faccio uso,un po'.
Vado a vedere i bambini.
«Ragazzi,vi piacerebbe sentire la mamma suonare?O cantare qualcosa?»chiedo loro mentre saltellano.
«No,grazie.»rispondono all'unisolo,continuando a saltellare.
Non posso lasciarli soli in casa,cosi' abbandono l'idea di tornare a suonare e vado a stendermi al letto.
Accendo il televisore e lascio su un canale che trasmetteva musica.
«Certo,non sarebbe una cattiva idea entrare nel mondo dello spettacolo.»penso tra me e me.«Però dopo credo diverrei piuttosto stressante,e lo sono gia' troppo.»continuo poco dopo.
Il tempo passo' velocemente,misi a dormire i bambini mentre io rimasi sveglia per ore a studiare un caso da lavoro.
Ora che ci penso,non ho ancora dato l'assegno al padre di Tom,ma la scorsa serata non l'ho visto e tanto meno al lavoro.
Scoccate le due del mattino mi stendo sul letto tentando di dormire ma senza successo.

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Capitolo 7
*** Don't leave,this night. ***


Libro O2,Parte 2.

«Che ne pensi di questa serata?»mi chiede lei mentre sorseggia il suo cocktail.Sorrido sapendo che vuole sentirselo dire.
«Si,avevi ragione.Tu hai sempre ragione Cecilia.Avevo bisogno di uscire ed ora eccomi qui.»
In uno dei locali piu' famosi di Los Angeles mentre bevo del semplice champagne.
«Dannazione Helena,ti decidi a bere qualcosa.Siamo qui da un paio d'ore,e finora hai offerto da bere a tutto il locale,eccetto te stessa.»mi rimprovera Derek mentre termina il suo Scotch.
«Io non bevo,sono astemia.»ripeto nuovamente.
«E da quando sei astemia?Ho letto molto articoli in cui ti arrestavano per guida in stato di ebrezza.»
«Ero un adolescente depressa,mentre ora non lo sono piu'.»
«Allora,balliamo.»si offre Derek.
«Non so ballare,voi andate.»li incoraggio mentre ordino dell'altro champagne.
Non bevo alcolici da quando avevo 19 anni,prima credo ne fossi piuttosto dipendente.
E mentre la musica riecheggia nella discoteca,io mi ritrovo sul bancone a riflettere,ma i miei pensieri vengono interrotti.
«Un Cosmopolitan,grazie.»nonostante la musica fosse alta,avrei riconosciuto dappertutto la sua voce.
Mi voltai incerta per poi incrociarmi con i suoi occhi grigi,simili ai miei delle volte.
«Non pensavo l'avrei piu' rivista Mr Johnson.»dico maliziosa sorseggiando un po' di champagne.
«Sono stato impegnato con il lavoro Miss Caffrey,ma non si preoccupi.Lei e' rimasta nei miei pensieri,come io spero di esserlo stato nei suoi.»e in effetti era cosi'.
Negli ultimi giorni non ero riuscita a togliermelo dalla mente,nemmeno quando sono stata in vacanza con i bambini non e' stato abbastanza.
«Aspetti e speri,Mr Johnson!»esclamo sorridendo.
L'uomo si limita a sorseggiare il suo cocktail.Cosi' raffinato,cosi' altezzoso.
«Lo sa,l'alcolico che di solito ordina una persona rispecchia il suo carattere.»bofonchio mentre termino lo champagne.
«Quindi lei ora riuscirebbe ad analizzarmi solo basandosi sul cocktail che sto bevendo?Mi stupisce molto lei,Miss Caffrey.»sorride sorseggiando il Cosmopolitan.
«La laurea in psicoanalisi pero' mi avvantaggia.»dico inclinando la testa di lato e passandomi una mano tra i capelli.
«Medicina e Psicoanalisi.Ha due lauree,come me.»dice quasi assaporando le parole«Mi stupisca allora.Mi analizzi.»
«Mi sta sfidando,Mr Johnson?L'avviso.Io amo vincere.»dico voltandomi verso lui.
«Oh,Miss Caffrey.Lei ancora non mi conosce,ma posso dirle con fermezza che anch'io amo vincere.Molto,forse troppo.»
L'ha voluto lui.Con gli occhi cerco Cecilia,ma probabilmente staranno ballando in mezzo alla folla.Le invio un messaggio avvisandola che sto per andarmene.
«Le spiace aspettare un attimo?»chiedo un po' imbarazzata.
Lui si limita ad annuire mentre sorseggia il suo alcolico.
Lo stupisco quando mi alzo in piedi sul banconi ed offro nuovamente un alcolico a tutte le persone presenti nel locale.
Come risposta sento solo alzarsi il volume della musica e maggiori urli e schiamazzi.
«Bene,ora possiamo andare.»dico scendendo dal bancone e sistemandomi la camicetta senza maniche.«Ah,e metta tutto nel conto di Jonathan Caffrey»mi rivolgo al barista.Lui si limita ad annuire sorridendo,mentre assieme ai colleghi,si prepara per servire i numerosi alcolici a spese di mio padre.
Non credo potra' imbestialirsi molto davanti i suoi nipoti.Ora che ci penso,devo chiamare Nathan e Thea per sapere come stanno.
Sono a San Diego da un paio di giorni,e non posso dire che non mi manchino.
Esco fuori con l'uomo al mio fianco.Mi conduce davanti la sua auto.
«Voi Johnson esagerate sempre.»dico rivolgendomi all'uomo accanto a me.
«Noi Johnson non offriamo alcolici a tutti i presenti in un locale.»puntualizza«quindi sali e non ammonirmi mai piu'.Non sei mia madre,per fortuna.»continua dopo sbloccando i due sportelli dell'auto.Subito questi si alzano verso l'alto e lui sale sul sedile del conducente,mentre io lo affianco un po' scettica.
«Qual'e' il problema di quest'auto?»mi chiede mettendola in moto.
Rapidamente ci ritroviamo a sfrecciare per le strade di Los Angeles.
«Vuoi davvero saperlo?La risposta potrebbe non essere di tuo gradimento.»lo avviso voltandomi verso di lui.
Il suo sguardo e' sempre fisso sulla strada.E' molto attento.
«Parla.Sopporto bene le critiche.»risponde un po' seccato.
L'ha voluto lui.
«Questa marca di auto,scommetto sia stata prodotta a Rio De Janeiro,giusto?»chiedo sapendo gia' la risposta.
«Si,continua.»mi sprona lui incuriosito.
«Beh,questa auto viene fabbricata da meccanici laureati ma sottopagati e costretti a lavorare per poco denaro al giorno che devono cercare di sfruttare per poter sostenere la propria famiglia.Ti puo' bastare?Se vuoi ti faccio vedere anche le foto delle loro case,credo le favellas possano essere di tuo gradimento.»dico molto seccata.
«Ora capisco perche' hai vinto due premi per la pace.»borbotta lui.
«Sono stata in molti posti e ho potuto studiare le condizioni di vita di molte persone.»bofonchio guardando fuori dal finestrino.
Arriviamo nella sua villa poco dopo.Esce dall'auto e fa il giro per aprirmi.
«Galante.»mi limito a stuzzicarlo mentre esco.
Intanto lui chiude lo sportello dietro di me e si accinge a superarmi per aprirmi la porta di casa.
«L'ultima volta non te l'ho chiesto,ma tuo figlio?»
In effetti la sera in cui mi aveva costretto a dormire a casa sua,suo figlio non c'era.La camera era vuota.
«Sta dalla madre.Io ho la custodia solo durante il weekend.»mi informa un po' amareggiato,per poi condurmi nella cucina.
«E questo ti da fastidio?»gli chiedo un po' curiosa.
«Non mi piace parlare molto della mia vita privata,percio' torniamo al motivo per tu sei qui.Analizzami.»risponde evasivo prendendo due bicchieri.In uno verso del vino,nell'altro champagne.Me lo passa.
«Grazie.»e sorseggio dello champagne«ma se vuoi che ti analizzi,allora devo sapere altro.»
«No,tu ti devi basare solo sulla tua laurea e sul mio Cosmopolitan.Sono curioso di vedere come te la cavi.»mi stuzzica sorridendo.
«Come vuole lei,Mr Johnson.»dico sedendomi opposta a lui.
Mi sento stranamente a mio agio vicino a lui,e questo e' un problema.
«Allora Mr Johnson..»incomincio
«Puo' chiamarmi William,lo sa.»
«E lei puo' chiamarmi Helena,lo sa.»
«Continui pure,Helena allora.»
«Bene,William.Lei e' un uomo giovane,sui trent'anni narcisista,egocentrico e saccente.»
«Come prego?»si innervosi',alzo' il tono.
«Si innervosisce facilmente,molto facilmente.Infatti,il Cosmopolitan rispecchia il suo carattere,delle volte possibilmente violento.Questo e' causato dal suo passato,torbido,pieno di problemi,con la legge forse.Ed oggi vive,forse,con un armadio colmo di scheletri che non ha mai tentato di ripulire.Usi le donne per provare piacere nella tua esistenza,eccetto quando sei con tuo figlio.Forse lui rappresenta l'unico barlume di luce nelle tue buie giornate.Sei un gran donnaiolo,provi piacere nel portarti una donna al letto ogni giorno.Chissa',forse ti piace punirle.»azzardo per poi bere l'ultimo sorso dello champagne.
Lui non risponde,riflette.
Credo di aver esagerato,meglio andarmene.
«Credo che per questa sera basti,hai la forza di riaccompagnarmi oppure devo prendere un taxi?»
«No,tu resti.»mi ordina alzandosi scocciato dallo sgabello.
«Non ci tengo,ma grazie lo stesso.»
«Ma se te ne vai,non saprai mai cos'e' successo quella notte.»
Un'altra prerogativa che non sono mai riuscita a risolvere.
«Cos'e' successo quella notte?»chiedo sperando in una risposta.
«Se te lo dicessi,probabilmente tu scompariresti per sempre.E questo e' cio' che non voglio.Promettimi che non te ne andrai,stanotte.»
Sto correndo un serio rischio,ora.
Restare con lui significherebbe sfidarlo ancora,e credo di cedere stavolta.So a che cosa sta puntando lui,e sinceramente,anche io lo vorrei.Qualcosa in lui mi attrae come una calamita.Ed io,davvero,non riesco ad ignorare questa cosa.
«Vabene,stanotte restero'.»mi arrendo alla voglia.
«Sei sonnambula,per caso?»mi chiede lui posando il bicchiere e facendo il giro del bancone.
Mi giro con lo sgabello incrociando nuovamente i suoi occhi grigi,mi sento quasi intrappolata.
Mi intrappola sul serio quando posa i bracci ai lati del mio corpo inclinando con fare inquietante la testa,ora sono davvero in trappola.Eppure non ho paura.
«No,non sono sonnambula.Perché questa domanda,prego?»farfuglio imbarazzata.
Decido di mettere ordine nella mente.Ci metto poco per capire cos'è successo.«Oh.Cazzo.»scandisco bene le parole.
«M-mi dispiace.»bofonchio abbassando lo sguardo.«Di solito sono incubi,non arrivo a questo punto.»continuo ancora sconvolta per me stessa.
Lui si limita ad avvicinarsi sempre di più a me,sempre con fare inquietante.Si accosta all'altezza del mio orecchio.
«Forse è meglio che tu vada al letto.Domani ne riparleremo a colazione.»sussurra al mio orecchio per poi prendermi la mano.Intreccio' le sue dita alle mie.Rimasi confusa per quest'azione,alzai lo sguardo verso di lui.
«Perché?Cosa stai cercando in me?»gli chiedo cercando spiegazioni.
Perché io?Cosa ci trova in me di diverso dalle altre?Conosco la sua fama,io,certamente,non sarò una della lista.
«La felicità.»risponde all'altezza delle mie labbra.
Una sua mano si posa sulla mia guancia,accarezzandola lentamente,mentre l'altra si posa sulla mia nuca.
«Baciami.»gli ordino a un soffio dalle sue labbra carnose.
Mi perdo in quegli abissi color grigio intenso.
L'uomo non se lo fa ripetere due volte.
Lentamente le sue labbra si avvicinano alle mie.Inizialmente non dischiudo le labbra,la sua lingua inumidisce le mie labbra ed incomincia a giocare con il mio labbra,lo mordicchia finché non dischiudo le labbra lasciando uscire un piccolo gemito di piacere.In quel momento la sua lingua invase la mia bocca.Incominciò ad esplorare ogni angolo di essa,lo sentì gemere dentro di me.Alla fine mi lasciai andare e cinsi con le mie dita il suo collo mentre la mia lingua si univa alla sua in quella danza frenetica piena di emozioni.
La cosa si intensificò.Ci avvicinammo sempre di più finché i nostri corpi non aderivano perfettamente l'un l'altro.Mi spinse più indietro,finché non sbattei di malo modo sul granito del bancone,ma non ci feci caso.Ero troppo occupata a pensare ad altro.
«Sarò la prossima della lista,vero?»chiedo staccandomi,anche se di malavoglia,dalle sue labbra.
I nostri respiri erano affannosi,avevano comunque bisogno di riprendere aria.
«No,tu sarai l'ultima.»puntualizza per poi affondare di nuova la lingua nella mia bocca.
Mi alzò di peso,era molto forte.Velocemente mi avvinghiai con le gambe alla sua vita mentre lui avvolse le mie mani sulla mia schiena per sorreggermi.
Quel gesto mi fa sentire protetta.Di nuovo.
Lentamente salimmo le scale per il secondo piano continuando a baciarci,con una mano aprì la porta della sua camera da letto,la stessa in cui mi ero risvegliata quella notte.
Mi adagio' con delicatezza sul letto,lasciando le mie labbra.Intanto le mie palpebre erano socchiuse,cercavo di godermi il più possibile quel momento.Si chinò sotto il letto e mi tolse le scarpe assieme le sue.Non me ne ero accorta ma si era levato la giacca sportiva,rimanendo in camicia e pantaloni.
Corrugò le labbra in un sorriso,mentre dolcemente mi accarezzava una guancia.In quel momento eravamo presi l'uno dallo sguardo dell'altro,stavolta fui io a fare la prima mossa.
Posai una mano sulla sua nuca attirandolo alle mie labbra,che premettero con irruenza sulle sue.
Le sue dita incominciarono a sbottonare con una lentezza assurda la mia camicetta,fino a raggiungere l'ultimo bottone;a quel punto,lentamente scostò dalla mia pelle l'indumento di seta color pesca.
Indietreggiammo sino raggiungere il centro del letto,le nostre labbra intanto erano impegnate a scontrarsi l'un l'altre,affondai la testa sui bordi cuscini mentre il suo corpo si scontrava sempre più col mio.Posò le sue mani sui miei fianchi,alzandomi con il minimo sforzo il bacino e scambiandoci di posto.
Ora io mi trovavo sopra di lui,seduta a cavalcioni con le gambe ai lati del suo corpo.
Lentamente gli tolsi la camicia bianca che andò a fare compagnia con la mia sul pavimento.
Lui desiderava,lui voleva possedere.
Ma io no.
A vicenda,incominciammo a sbottonare i pantaloni dell'altro.Il primo a rimanere in intimo fu lui,con i soli boxer.
Ci scambiammo nuovamente di posto e,mentre io ero nuovamente distesa sul letto,lui,sopra di me,incominciò a lasciare piccoli baci dall'incavatura del mio collo.Lentamente scese sorpassando il reggiseno.Si fermò lì e con le dita incominciò a giocare con gli orletti in pizzo nero.
Agguantò uno dei miei seni e lo strinse,mentre con le labbra tornava a baciare e gustarsi il mio corpo.Prima però lasciò un paio di baci sui miei seni.Cercai di soffocare una piccola risatina che voleva fuoriuscire in quel momento,ma l'uomo se ne accorse ed alzò gli occhi verso di me,sorridendo.
Sorrisi,anch'io a mia volta.
Continuò a baciarmi,sino raggiungere il bordo dei miei jeans sbottonati.Me li abbassò ed io li cacciai via dalle caviglie.
Nuovamente incominciò a giocare con il bordo delle mie mutandine.
Solo in quel momento capì cosa stesse per succedere,non mi sentivo pronta.Ma non me la sentivo nemmeno di bloccarlo.Involontariamente lasciai fuoriuscire dalle mie labbra un sospiro di preoccupazione,lui lo notò. 
Tenevo gli occhi fissi sul soffitto,non me la sentivo di andare avanti in questo modo.
Forse,lui,stava conoscendo la mia vera natura.Sensibile,malinconica,frustrata.
Presi un respiro profondo chiudendo le palpebre,quando riaprì incrociai il suo sguardo.Non mi ero accorta avesse lasciato le mie gambe per tornare al mio volto.
«E' ora di andare al letto.»si limitò a dire mostrando un sorriso intrigante.
Boccheggiai sconvolta per la sua azione.
William Johnson che rinuncia al sesso?Questo sì che sarebbe il titolo di un articolo da premio Pulitzer.
«Perché?»chiesi.
«Non c'è un motivo,semplicemente stasera preferisco fare qualcos'altro diverso dal sesso.»risponde con tono sommesso.
«Cosa?»chiesi inclinando la testa di lato,mentre i miei capelli erano sparsi sul cuscino disordinatamente.
Non rispose,mostrò.
Si sdraiò su un lato del letto attirandomi a sé,la mia schiena aderiva al suo petto,mentre la mia testa era posata poco sopra l'altezza del suo cuore.Attirò a se il lembo della coperta coprendo così i nostri corpi.
Affondò il viso sui miei capelli,inspirando il loro odore.
Avvolse il mio corpo nella presa delle sue grandi braccia che si trovavano ora sul mio grembo.
«Hai sonno?»mi chiese poco dopo lasciando un piccolo ed umido bacio dietro il mio collo,più o meno all'altezza di uno dei miei tatuaggi.
«No,e tu?»chiesi quasi sussurrando,mentre mi accoccolavo al suo petto.
«No,hai voglia di parlare?»soffiò dopo vari secondi,quasi titubante.
Intuì cosa volesse sapere.
«Avevo solo dieci anni quando i Caffrey mi adottarono.»
«Non sapevo ti avessero adottata.»rispose lui davvero sorpreso.
«In pochi lo sanno,dopotutto la notizia di un bambino adottato da una famiglia benestante non è molto originale.»puntualizzai con una nota di ironia.
«Ed i tuoi genitori biologici?»
«La mia madre biologica mi abbandonò all'età di sette anni,mentre lui morì in un incidente.Io sopravvissi per miracolo e venni dopo un mese circa adottata da Bob e Dylan Caffrey.»
«E lui ti..»non credo riuscissi ad andare avanti.
«Picchiava?»terminai io al posto suo.
Mi svincolai dalla sua presa sedendomi tra le sue braccia.«Guarda bene la mia schiena.»continuo poi voltandomi verso un'altra direzione.
Con le dita scosto i capelli in un lato del mio collo,lasciando così la schiena completamente scoperta.Eccetto forse per il ferretto del reggiseno,ma non copre quasi nulla in realtà.
Le sento sedersi come me,passarono vari secondi,probabilmente solo allora aveva notato le cicatrici rimaste da bambina.
Sento il suo indice percorrere una lunga cicatrice che copre un lato della mia schiena.
Con quanti modi quell'uomo mi abbia torturata,credo di non ricordare come me l'abbia procurata.
Nuovamente l'indice percorre un'altra cicatrice,orizzontale questa volta,appena sotto la striscia del reggiseno.
Ce ne sono altre,ma lui si ferma qui.Mi volto verso di lui e noto che stringe con forza e rabbia i lembi della coperta.I suoi occhi sono di un grigio più freddo ora.Incrocia il mio sguardo,e sembra che ciò lo calmi.
Le sue nocche accarezzano dolcemente una mia guancia.
«Nessuno ti farà più del male.Non lo permetterò.»ripete con tono sommesso.
Mi attira a sé nuovamente,ci stendiamo sul letto abbracciati l'un l'altro e ci copriamo con la leggera coperta nera in velluto.
Fui la prima a crollare nel sonno,per una volta mi sentivo nuovamente protetta.Durante la notte mi ripeté sempre quella frase,prima che anche lui crollasse dopo me.
Mi risvegliai tardi,molto tardi.
Pensai di ritrovarmi sola nel letto,ma non fu così.
Notai le sue dita intrecciate alle mie,mi voltai e lo vidi puntellato sul gomito con la mano sulla guancia mentre mi fissava.Aveva un che di dolce,ma anche inquietante.
«Buongiorno.»mi disse con voce roca.
Si allungò verso di me e mi lasciò un bacio a stampo sulle labbra,per poi tornare a fissarmi.
«Buongiorno.»dissi un pò stordita,sia dal sonno,sia dal bacio.
Ora che ci penso.Ho dormito?Wow,non dormivo così bene da tempo.«Da quanto mi stavi guardando?»chiesi poco dopo.
«Forse,un'ora.»rispose naturale.Sorrise.
«Che ore sono?»chiedo poi,cercando di mostrare il rossore del mio viso per l'imbarazzo.
«Mezzogiorno.»dice con tono arguto«abbiamo dormito abbastanza.»puntualizza poi.
«Vorrei recuperare altre ore.»dico con tono lamentoso.
«Vado a farmi una doccia,poi tocca a te.»si limita a rispondere scostando le coperte ed alzandosi.
Lo vedo dirigersi in bagno con i soli boxer.
Affondo il viso nei cuscini cercando di riprendere sonno,mentre il brusio dell'acqua che scende nella doccia,mi distrae.
Dopo forse un quarto d'ora,il corso d'acqua cessa.Alzo la testa aspettandomi che lui esca,e,infatti,lo vedo uscire e appoggiarsi allo stipite della porta.Un sorriso spavaldo e malizioso compare nel suo viso mentre il suo corpo bagnato lo rende solo più attraente.
Per mia sfortuna un asciugamano,a partire dai suoi fianchi,avvolge il suo corpo.Mi morsi inconsciamente il labbro,non mi sarebbe dispiaciuto vedere il resto.
«Curiosa?»mi chiede lui con tono malizioso.
«Aspetta e spera,Mr Johnson.»rispondo tono sommesso sedendomi sul bordo del letto.
I miei occhi non si staccano dal suo corpo.I suoi occhi non si staccano dal mio corpo.
«E lei è curioso,per caso?»chiedo con tono malizioso ed alzandomi dal letto.
Mi avvicino a lui e poso i palmi della mano sul suo petto,intriso di goccioline d'acqua.
«Molto Miss Caffrey,molto.»risponde lui sempre con tono malizioso.
«Beh,sarà costretto ad attendere per sua sfortuna Mr Johnson.»rispondo fingendomi dispiaciuta.
«Beh,lei però può vedere,se ne ha voglia.»risponde lui stringendo i lembi dell'asciugamano.
Giochiamo nuovamente al gatto ed al topo.
«Se lei desidera liberarsi,questo non è un mio problema.»rispondo avvicinandomi alle sue labbra.
Sento il tessuto morbido e bianco posarsi sulle dita dei miei piedi.Allora capisco,che l'uomo ha lasciato cadere il suo asciugamano,ed ora e' completamente nudo.Ma non mi interessa.I miei occhi preferiscono tenere lo sguardo fisso sui suoi.
Non voglio perdere questa sfida,così sopprimo la mia curiosità ed ignoro l'uomo chiudendo la porta del bagno dietro di me.
Mi guardo un attimo allo specchio prima di spogliarmi ed entrare in acqua.Rimasi sotto la corrente per forse una ventina di minuti,l'acqua calda è rilassante.Molto.
Rifletto su che cosa fare di questi giorni.Ora c'è lui.Ma i bambini?Mi mancano,tanto.E dovrò aspettare ancora un paio di giorni prima che ritornino da me,quindi sino Domenica sarò priva della loro compagnia.Il che mi spiace.
Esco dall'acqua e mi avvolgo in un altro asciugamano morbido di spugna.Raccolgo i capelli bagnati senza dover usare niente,è una cosa che faceva sempre la mia madre biologica.
Guardandomi allo specchio,mi rifletto quasi in lei.
Ciò mi fa sentire uno schifo.
Velocemente mi vesto con gli abiti della notte scorsa e riprendo il cellulare dalla tasca.

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Capitolo 8
*** I didn't kill that woman. ***


Libro O2,Parte 3.



«Secondo te cos'è la vita?»
«Una punizione,una punizione divina.»rispondo volgendo gli occhi verso le stelle in cielo.
«Sarà l'ultima volta che ci vedremo io e te,vero?»mi chiede lei ansiosa.
«I miei casini ti stanno rovinando la vita e non posso permettere più una cosa del genere.»biasimo più me stessa che lei.
«Non è colpa tua Helena.»cerca di calmarmi lei.
«Oh,si che lo è.»sbotto arrabbiata ed alzandomi dal telo.«E' colpa mia se ora sei costretta ad andartene.E' colpa mia se ora non potrai più rivedere tua madre,tuo padre,tuo fratello e tua sorella.E' colpa mia se tu,tuo marito e tua figlia dovete partire per l'Italia,senza motivo alcuno.E' tutta colpa mia.»continuo quasi con le lacrime agli occhi.
La donna si alza e si limita ad abbracciarmi,sussurrandomi «Non è colpa tua,Helena.»
Mi stacco da lei dopo vari minuti.
«Vorrei trovarmi sottoterra,in questo momento.»ammonisco me stessa.
Intanto una lacrima riga il mio viso.Lei me la toglie col pollice.
«Sei la sorella che chiunque vorrebbe,Helena.»incomincia lei.
«Se volesse andare all'Inferno,allora si.»continuo acida io.
Lei scuote la testa in senso di disapprovazione,e sorride ancora.
«Sono fortunata ad averti Helena.Un giorno tutto si sistemerà.»
Ma quel giorno non è ancora giunto.




Rinvengo da quel sogno ad occhi aperti.
Vivo con i sensi di colpa.
Sono il mio pane quotidiano,se si può dire.
La mia anima gemella per il resto dell'eternità.
Sbuffo sonoramente e mi alzo dal letto dell'ospedale.Un'ora di pausa passata al letto,ma non ho chiuso gli occhi.
I letti dei dormitori non sono comodi come dicevano.
Da pochi giorni ho scoperto che questo è un ospedale universitario.Ciò risponde al perché veda sempre così tanti giovani in giro.Sono tutti specializzandi.Mi è stato offerto di prenderne un gruppo ma ho rifiutato.Non sono fatta per insegnare,ma non è questo il problema.Il lavoro finirebbe per portarmi via troppo tempo,ed io non posso permettere una cosa del genere.
Sono una madre single,cazzo.
Raggiungo il bancone sbadigliando.
Trovo Tommy dall'altra parte del bancone.
«Hai dormito stanotte?»mi chiede lui preoccupato.
«Si.»e per una volta non sto mentendo.«Ma vorrei recuperare altre ore.»
Puntualizzo poi puntellando i gomiti sul marmo freddo.
«Hai più dato l'assegno a mio padre?»mi chiede poco dopo.
«Ora che ci penso,tuo padre non l'ho proprio visto.Non puoi prenderlo tu?»chiedo quasi in una supplica.
Il padre di Tom non mi è mai andato a genio.Sinceramente,mi spaventa.Ha un non so che di familiare,qualcosa a che fare con la mia infanzia,ma non ricordo cosa.
Per questo,ora mi ritrovo a non volerlo proprio vedere quell'uomo.
«Posso fare un'eccezione,ma solo per stavolta.Comunque,è partito di nuovo.Ultimamente non sta fermo,per questo non lo trovi in ufficio.»puntualizza lui.
Cerco di sorridere amabilmente.
«Giorno Tom.»preannuncia Cecilia postandosi accanto me.
L'uomo ricambia sorridendo.
«Hai dormito,Helena?»mi chiede poi lei.
Roteo gli occhi al cielo.
«Ma questa è la domanda del giorno?»chiedo un poco stressata.
«Si,ha dormito.»risponde Tom al posto mio.
«Sinceramente,sento aria di sesso.»bofonchia lei sorridendo.
Arrossisco ma tento di non farlo vedere.Sul viso di lei compare un ghigno divertito mentre Tommy inclina la testa scioccato.
«Lo sapevo!»urla quasi al mio orecchio«Con l'uomo di ieri sera,vero?Quello in giacca e cravatta,giusto?»chiede poi.
Tommy si incuriosisce.
«Cecilia,non qui.»la ammonisco indicandole il mio ex.
«Siamo buoni amici,vorrei sapere almeno il nome di questo uomo.»dice lui?
«Tommy,non credo ti piacerebbe sapere il suo nome.Ne saresti un poco,come dire,contrariato.»borbotto abbassando il capo.
Come siamo finiti in questa conversazione?
Dopo essermi fatta la doccia,me ne sono andata senza nemmeno salutarlo.Probabilmente mi aspettava in cucina.
«Perciò lasciamo perdere questa questione e parliamo di altro.»continuo poi,sbadigliando nuovamente.
Sento,nello stesso momento,il cellulare vibrare.
Lo prendo dalla tasca del camice e clicco sulla posta.Un messaggio.
Grent?

“Ti hanno incastrata.
Stanno venendo a prenderti,ora.In ospedale.
Non muoverti,non te ne andare.Fatti prendere.
Al resto ci penso io.Se scappi,se nei casini.”
Grent Stilson.
Orario:14.33

«Incastrata?»ripeto a voce alta.
«Per cosa?»chiedono i due incuriositi.
Alzo la testa,rivolgendo lo sguardo verso l'ascensore.Seguito da un tintinnio,le porte metalliche si aprono in lontananza lasciando intravedere cinque uomini.Tre in uniforme,mentre due in giacca e cravatta.Si avvicinarono lentamente verso di me.
«Helena Caffrey?»chiese uno degli uomini in giacca e cravatta.
«Si,sono io.»risposi automaticamente,sapendo ciò che stava per succedere.
«Clark?Che ci fai qui?»chiese Tommy alzandosi.Lui lo conosceva.
Anche io ne avevo sentito parlare.
«Polizia di Los Angeles,la prego di seguirci Miss Caffrey.»
«Di cosa sono incriminata?»chiedo inclinando la testa e facendo un passo indietro.
Scapperei,ma Grent mi ha espressamente detto di non farlo.Ha un piano.Tanto vale affidarsi nuovamente a lui,dopotutto mi ha salvato la vita,come io l'ho salvata a lui.
«Credo sia meglio non parlarne qui,Miss Caffrey.»puntualizza l'altro uomo in giacca e cravatta.
Uno degli uomini in uniforme tenta di avvicinarsi a me con in mano delle manette,mi allontano istintivamente.
«Osi solo mettermi quelle manette e giuro sul mio nome che butterò tutti e cinque in lastrico.»li minaccio.
L'uomo si retrae davvero spaventato,guarda il capo.
«Non è nei panni di chi può fare minacce Miss Caffrey,ci segui per favore.»borbotta il signor Clark.
«Ma avete un mandato?»chiedo innervosita.
«Si,Miss Caffrey.»risponde l'altro uomo in giacca e cravatta.
E mi mostra il foglio.
Mi hanno incastrata.
Ma in cosa?
Vengo trasportata su una macchina della polizia nella centrale.
Un grande edificio in vetro,molto moderno.
Non mancano gli occhi dei poliziotti puntati sotto di me,prima che mi portino dentro una stanza d'interrogatorio.
E' molto comoda,sinceramente.Il sole entra dentro la stanza da tutte le pareti in vetro.Mi siedo su una rigida sedia di metallo,accavallo le gambe.Stringo il cellulare in mano.L'unico oggetto che ho.Non sono sola nella stanza.Ma gli occhi sono tutti puntati su di me.Mi volto verso una parete,notando numerose persone che tengono lo sguardo fisso su questa stanza.Dietro di me,vi sono due uomini in uniforme.Rigidi,non dicono una parola.
Mi ricorda quegli anni in prigionia.Solo che quelle erano stanze umide e sudicie,al buio e con i russi ai posto degli americani.Mentre qui è tutto piuttosto comodo e lussuoso.Potrei viverci,se volessi.Il cellulare vibra nuovamente,Grent.

“Ricorda i russi,Helena.
Ti hanno incastrata per omicidio,
non so come ma ci sono riusciti.
Il caso è nelle mani di Clark Raynolds e 
non è semplice.C'è il tenente Dan Brown.
La cosa è complicata,molto complicata.
Ma entro un'ora sei fuori,ci penso io.
Tu fai la tua parte. ”
Grent Stilson.
Orario:14.53

«Omicidio?»farfuglio cercando di non farmi sentire delle due sentinelle dietro.
In quell'istante,i due uomini in giacca e cravatta giungono nella stanza.
«Metta via il cellulare,Helena.O saremo costretti a sequestrarlo.»mi ordina con tono rude l'altro uomo,quello da Las Vegas.
Dan Brown.
«Avete bisogno di un mandato per prendere i miei oggetti personali giusto,Mr Brown?»rispondo sfacciata e sorridendo.
I due uomini si guardano un poco sconvolti e poi tornano a me.Sono davanti a me,dall'altra parte del tavolo di metallo.
«Sa di che cosa è incriminata?»mi chiede stavolta Clark Raynolds.
«No,Mr Raynolds.Me lo dica lei.»lo incito sorridendo.
«Omicidio.»risponde roco quello di Las Vegas.
«Non so di cosa stata parlando.»rispondo immediatamente,cercando di accomodarmi meglio sulla sedia.
Accavallo nuovamente le gambe.
Come sono finita dal letto di un bel uomo ad una centrale di polizia?
«E' stata ritrovata una donna morta in una stanza d'albergo a Las Vegas.»spiega il signor Brown.
«Ed io cosa centro,prego?»
«La stanza è addebitata a suo nome.»puntualizza Raynlods.
«Quando?»chiedo interessandomi alla questione.
Ovviamente non sono stata io.Non sono così stupida da lasciare tracce,per lo meno.
«Due mesi fa.»spiega Brown.
«Albergo?Casinò?»
«The Miragé.Stanza 231»risponde Raynolds.
«Non so di cosa stiate parlando,signori.»mi limito a rispondere sorridendo.
«La stanza è addebitata a suo nome Miss Caffrey.Ci sono abbastanza prove per incriminarla e portarla in tribunale.Dna,impronte.Il suo sangue.»puntualizza Raynolds.
Devono davvero desiderarmi avidamente per incriminarmi di omicidio.
«Chiunque abbia inscenato questo omicidio è stato molto bravo.Ha pensato a tutto.»dico loro con tono consapevole.
Mi alzo indicando una delle foto.
Mi avevano presentato davanti,le foto di quella donna,morta.
Di certo,non era una donna qualunque.Aveva tentato di disertare,e l'hanno uccisa ovviamente,servendosi poi del loro cadavere.
Bravo,il russo.
«E' una mente contorta.»rispondo loro indicando le condizioni della donna.«L'ha uccisa perché l'ha contraddetto.»
«E cosa le fa credere che sia un uomo?E non lei.»
«Io non posso essere.»
«Perché?»chiedono entrambi in cerca di risposte.
«Perché ero all'estero.»rispondo con tono ovvio.
«Non ci sono prove,Miss.Le telecamere l'hanno registrata nel casinò.»risponde Ryan.
Eppure,cambia tono.Lui mi crede,al contrario di Dan Brown.
In quel momento irrompono due uomini.
«Andiamocene,sorellina.»mi ordina,Damon.
Non mi sarei aspettata Grent lo avvisasse di tutto ciò.
«Non può andarsene.E' sotto interrogatorio.Abbiamo il mandato.»ringhia quasi quello di Las Vegas.
Damon sospira e si avvicina a me.
«Avvocato,Damon Caffrey.»si presenta lui verso i due uomini,tendendo la mano a Clark.L'uomo l'accetta.
Poi si siede accanto a me.
«Posso vedere le prove?»chiede poi con professionalità mio fratello.Lo guardo.Ancora non ci credo,che lui sia qui,accanto a me.
I due gli passano la cartella e lui l'esamina.Per un attimo si volta verso di me guardandomi,poi torna ai fogli.
«La mia cliente è stata incastrata.»su limita a rispondere.
«Le telecamere dimostrano che lei si trovasse in quel casinò,quella sera.»
«Scusate,ma perché venite a cercarmi solo ora?»chiedo curiosa.
Dopotutto,questa donna è morta due mesi fa,e mi arrestano solo ora?
«Bisognava trovare prove.»risponde con tono rude Dan.
«Non credo sia possibile la presenza di mia sorella a Las Vegas,due mesi fa,giusto?»si rivolge poi a me.
Anche lui non sa se credermi o no.
«Ero all'estero,cazzo!»sbotto alzandomi dalla sedia e spingendola di quasi tre metri lontana da me,finisce sulla parete di vetro sfiorando appena le due sentinelle.Batto i pugni sul tavolo arrabbiata.Gli uomini nella stanza sobbalzano.
«Sapete che significa essere all'estero?Parlo russo?Arabo?Cinese?Bulgaro?Non credo proprio.Sono in America da meno di un mese,va bene?»alzo la voce.
«Helena,calmati.»mi ammonisce Damon guardandomi dal basso verso l'alto.
Abbasso la testa e mi calmo,massaggiandomi poi le meningi esausta.
«Damon,voglio tornare a casa.Per favore.»lo supplico tenendo chiuse le palpebre.
E' la prima volta che mi mostro esausta e debole davanti mio fratello.L'uomo mi accarezza un braccio e mi fa sedere al posto suo.
«Vi sono testimoni che provano la sua presenza fuori dal paese?»chiede poi Clark.
«Io.»risponde Grent.«Helena Caffrey è stata fuori dal paese per otto mesi.Due mesi fa,se non mi sbaglio,eravamo ancora in Brasile.»
«A fare cosa?»
«Beneficenza.»rispondo io,continuando a massaggiarmi le tempie«ho vissuto per un paio di mesi nelle favellas di San Paolo.Ho anche organizzato un paio di raccolte di beneficenza per le comunità locali e ho anche trovato il tempo per esplorare la foresta amazzonica.Molto bella.»continuo poi alzando lo sguardo verso i due uomini dinanzi a me.
Li fulmino con lo sguardo.
Grent,intanto,si avvicina al tavolo e dalla giacca prende un fascicolo.Non so come faccia a tenere dei fogli,dentro la giacca,ma okey.
«Miss Caffrey,in Brasile.Due mesi fa.»foto,documenti,prove.
Tutto.
I due tenenti si guardarono sconvolti,le accuse ormai cadevano.
«Potete anche mandare qualcuno in Brasile,se non vi fidate delle prove qui.Forse le testimonianze saranno migliori.»continua poi Grent.
Mio fratello ed i due poliziotto escono.
«Si sistemerà tutto.»mi dice rassicurante Grent.
«Hanno tentato di incastrarmi con un omicidio?Ci pensi?»sussurro ricordandomi della presenza di due poliziotti dietro.
Poco dopo torna Damon.
«Puoi andare.»mi dice lui.
Mi alzo e,seguita da Damon e Grent,esco dall'edificio.
«Grent,per favore riportami in albergo.»
«Helena,vieni con me.»si oppone Damon.
«Damon,ho bisogno di stare sola.In questo momento,non mi sento bene.»farfuglio mentre i miei occhi incominciano a pizzicare.Lui lo nota.«Portami a casa,Grent.Ti prego.»e così fa.
Sale in camera con me.
«No,tu non puoi entrare.»gli ordino dall'altra parte della porta.
«Helena.»mi richiama lui.
«No,Grent.Ho bisogno di stare sola.»ripeto nuovamente per poi buttarmi a terra dall'altra parte della porta chiusa.
Lui continua a bussare insistentemente ma poi abbandona l'idea di entrare dentro la camera e se ne va.
Sento le guance bagnarsi delle mie lacrime.I singhiozzi iniziano ad occupare l'enorme stanza.
«Tentare il suicidio non avrebbe senso,preferisco procurarmi doloro fisico.Forse raggiungerà e supererà quello sentimentale.»
Ho bisogno di aiuto.Del miglior aiuto che ci sia.




William's Chapter.


«Mr Johnson.»mi richiama Natalia,la segretaria.
Mi innervosisco ancora di più ed alzo lo sguardo verso la donna,agghiacciandola.
Noto la donna ingoiare un soffio di saliva.
«Sono occupato con una riunione Natalia,ci sono problemi?»chiedo alzandomi dalla poltrona.
Intanto gli altri soci sfruttano il tempo per continuare a parlare di affari.
«Il signor Caffrey la sta chiamando.»risponde lei titubante.
Drizzo le orecchie.
«Manda la chiamata in ufficio.»le ordino.
La donna annuisce e scompare dalla sala riunioni.
«Signori,se non ci sono altre questioni da chiarire possiamo ritenere questa riunione conclusa.»gli uomini annuiscono e stringo loro la mano come di consuetudine.
Mi dirigo nel mio ufficio ed alzo la cornetta.
«Ero impegnato,Damon.Cosa è successo?»gli chiedo con tono rude.
«Mia sorella.E' stata arrestata.»mi risponde dall'altra parte.
Mi accomodo sulla poltrona nera in pelle,accavallo una gamba e poso le dita sotto il mento.
«Cos'ha fatto?»chiedo curioso.
«Omicidio.»risponde lui,quasi disgustato.
La cosa non mi colpisce molto.
«Ha davvero ucciso?»
«No,non è possibile.»risponde lui dall'altra parte.
«Guarda in faccia la realtà Damon,è su questo che stiamo indagando.Il passato di tua sorella.E se lo avesse fatto davvero?»chiedo io realista.
Certo,però,mi spiacerebbe.Poi dovrei farle del male e sarei costretto a non rispettare quella promessa.
«Ora ci sono io.Nessuno ti farà più del male.»le avevo promesso la scorsa notte dopo aver visto le sue cicatrici.
La famiglia,per me,è una cosa sacra.
E lei,ne è stata privata da bambina,purtroppo.
Scuoto la testa cacciando via questo pensiero dalla mente,lei è il mio lavoro,non ci si affeziona mai ad un compito.
«No,William.Lei è innocente.E' stata incastrata.»
«Come fai a saperlo?»
«Grent,la sua guardia del corpo,ha mostrato delle prove schiaccianti.Due mesi fa era in Brasile,non poteva aver ucciso quella donna a Las Vegas.»
«Allora qualcuno vuole incastrare tua sorella,Damon.»realizzo più a me stesso,che a lui.«Dov'è tua sorella?»continuo poi alzandomi dalla poltrona.
«Se ne è appena andata dalla centrale,sta tornando in albergo.»
«Ci penso io al resto.»rispondo allora.
Riattacco ed esco dall'ufficio.
«Mr Johnson?Dove sta andando?»
«Non sono affari tuoi Natalia.»rispondo rude e fulminandola nuovamente con lo sguardo.
E pensare che me la sono pure portata al letto.Ora me ne pento.
Lei resta interdetta dalle mie parole.
«Nel caso di altre riunioni,annullale tutte.Devo andare.»continuo poi.
Esco dall'enorme edificio moderno,in vetro.
Johnson Enterprises Holdings Inc.
Prendo l'auto e guido sino parcheggiare davanti l'albergo di Helena.
«Posso sapere dove alloggia Helena Caffrey.Sono un suo amico.»chiedo alla receptionist.
Stanza 145.
Prendo l'ascensore e raggiungo il piano della sua stanza.Mi apposto davanti la sua camera.
«Helena.»la chiamo bussando alla porta.
La porta è socchiusa.
Assottiglio lo sguardo ed entro nella camera.
Una bella stanza,il piccolo corridoio porta subito al salotto,adiacente la cucina moderna.
Seguendo il corridoio vi sono poi tre stanze da letto,con bagno proprio.
Sento un piccolo lamento,seguito da un singhiozzo provenire dalla camera da letto più grande.
«Helena?»la richiamo.
Nuovamente un lamento.Proviene dal bagno della stanza.
Lentamente entro nella camera da letto.Il matrimoniale è ben fatto,la stanza è molto ordinata.
Altri gemiti provengono dal bagno.Sempre con cautela entro nel bagno.
«Helena.»pronuncio il suo nome.
Mi accuccio a terra e poso una mano sulla sua testa alzandogliela.
Come può una donna ridursi da sola in queste condizioni?
Ricordo una volta.
Mio padre mi raccontò di come mia madre fosse fragile da giovane,facilmente suscettibile e con tendenze al suicidio.Tutto per un bastardo che l'aveva violentata.
Si erano conosciuti in una manifestazione della musica,o qualcosa del genere.Non mi sono mai interessato al mondo dello spettacolo.
Mentre mio padre è un cantante famoso,solista,ora.
Ricordo mi disse che mamma si tagliava,spesso.La prima volta ci pensò lui ad accudirla.
Ed oggi,ci penso io ad accudire Helena.
Le sue palpebre sono socchiuse,respira a fatica.
«W-William.»ripete a fatica il mio nome,mentre le lacrime continuano a scendere incessantemente sul suo viso.
«Cos'è successo Helena?Cosa ti sei fatta?»le chiedo,quasi ammonendola,ma poi capisco che non è il momento.
Cautamente la prendo di peso,la ragazza avvolge il mio collo tra le sue braccia,affondando il viso nell'incavatura di esso.
Ciò mi lascia perplesso.Non so come reagire a certe cose.
Non sono un uomo sdolcinato,non so come comportarmi.
Dopo vari secondi decido di stenderla sul letto.
Tento di tornare in bagno per capire cos'è successo,ma lei,istintivamente,mi blocca il polso.
«Non te ne andare.»supplica quasi,con lo sguardo colmo di lacrime.
«Resto,Helena.»le rispondo.
Mi chino togliendo le scarpe e mi stendo sul letto accanto a lei.Mi levo la giacca.La donna stringe con prepotenza la mia camicia,con l'intenzione di non staccarsene.
L'attiro sempre più al mio corpo e le accarezzo delicatamente i capelli.Lei crolla all'istante.
Qualcosa in lei mi attira.
Sarà il suo carattere,o forse il suo passato.Ma una cosa è certa.
Tutto ciò mi eccita.



Helena's Chapter.



L'uomo,esce dalla mia cella.
Mi stendo immediatamente nel letto.
Stanca,delusa,affamata,assetata.
Decido di placare tutto ciò con del sonno,se solo me lo permettessero.
Un'altra tortura.Non ci permettono di dormire,qui.
Ad una certa ora,incominciano a fracassarci i timpani con suoni acuti,acutissimi.Ultrasuoni,forse.
Sento le mie orecchie pulsare,il sangue.Prima o poi sgorgherà via dalle mie orecchie.
Cerco di attutire il rumore con il cuscino,e ci riesco.
Lentamente distendo i muscoli rilassandomi,sono stanca.Tanto stanca.
Ho freddo.
Solo poche ore fa sono uscita dalla stanza del freddo.
Un'altra tortura che non funziona con me,a quanto pare.
Sempre lentamente incomincio a prendere sonno.
D'un tratto sento la porta della mia cella spalancarsi.
Non mi alzo.Due uomini in uniforme portano via il mio cuscino e richiudono la porta della mia cella.
Resto seduta sul letto cercando di assimilare l'accaduto.
Pochi secondi dopo,i rumori aumentano,si intensificano.
Tappo le orecchie con le mani,ma non serve a niente.
Le lacrime prendono il sopravvento ed i singhiozzi riecheggiano nella stanza buia e sudicia.
«Qualcuno mi aiuti.Per favore.»ripeto supplicando a me stessa.


Mi alzo di scatto,espirando rumorosamente.
«Ehi,calmati.»mi impone una voce maschile.
Mi volto.
«W-William?Che ci fai qui?»chiedo perplessa.
«Mi hai chiesto tu di rimanere steso al letto,con te.»spiega lui con tono dolce«stenditi,forza.»mi ordina poi.
Lo faccio.Lui si puntella su un gomito guardandomi,sorride.
Quasi estasiato.
«Come ti senti?»mi chiede poco dopo.
Intanto,mi accarezza dolcemente i capelli.
«Bene,credo.»rispondo,ma né lui né io ci crediamo.
«Ho sentito che ti hanno arrestato.»continua poi.
«Preferirei non parlarne.»puntualizzo acida alzandomi.
«Allora parliamo di pochi minuti fa.Perché ti sei svegliata agitata?Cos'hai sognato?»
E' un altro interrogatorio,per caso?
«Non sono tenuta a risponderti,lo sai?»gli chiedo io retorica.
Mi siedo sul bordo del letto dandogli le spalle.
«Che ore sono?»
«Le otto di sera.»risponde spontaneo.
Lo sento alzarsi dal letto,pochi secondi dopo lo trovo eretto dinanzi a me.
Stringe i palmi sulle mie braccia facendomi indietreggiare.
Mi distende con prepotenza sul letto,facendomi ritrovare sotto di lui.
«Allora?»
«Cosa vuoi sapere?»
«Intanto,come stai?»
«Ci sono stati giorni migliori.»


Spazio Autrice.
Ehi,è un piacere per me scrivere.
Ho visto che molte persone visualizzano,il che mi fa piacere.
Però,avrei bisogno di vedere qualche recensione per sapere cosa ne pensate.
Continuerò la storia,appena vedrò almeno un paio di recensioni.
Grazie,a presto.


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Capitolo 9
*** Would you like to meet my parents? ***


Libro O2,Parte 4.


«Guardami negli occhi e ripetilo.»
Mi scaraventa sotto di lui.
Le sue gambe si trovano ai lati del mio corpo,si regge sui bracci che posa ai lati della mia testa.
I capelli con sfumature ramate ricadono un poco disordinatamente sulla sua fronte,mentre il suo viso si trova ad una minima distanza dal mio.
«Oh,cazzo.Come ci sono arrivata qui?»penso tra me e me.
Decido di guardarlo negli occhi.
«Sto.Bene.»scandì per bene le parole.
Stavo mentendo,e ciò era certo.
Avevo imparato a mentire,me lo avevano insegnato.
Solo che,con lui,mi sentì in colpa per aver mentito.
E ciò non mi è mai capitato.Lo lasciai stranamente perplesso.
Non sapeva se credermi o no.
Decisi di prendere in mano la situazione.
Posai i palmi sul suo petto e,con quella poco forza che avevo in quel momento,e lo rivoltai contro.
Ora lui era sotto di me.Gli occhi sgranati.
Lentamente mi accostai su un suo orecchio.
«Nessuna donna ti ha mai trattato così,giusto?»lo stuzzicai.
Morsi un lobo dell'orecchio.Non rispose.
«Non rispondi?Per caso il gatto di ha tagliato la lingua?»ironizzo per poi iniziare a lasciare una scia di piccoli ed umidi baci sul suo collo.
Con la coda dell'occhio notai le sue dita fremere dalla voglia di toccarmi,ma non si azzardava a farlo.
«Siamo sicuri sia William Johnson questo?Non assomiglia affatto al padre.»penso tra me e me.
«Come sta tuo padre?»azzardai poi stendendomi sopra di lui.
La mia testa poggiava sul suo petto.Non staccavo gli occhi dai suoi.
Lui aprì la bocca,incerto.Poi richiuse.Riaprì nuovamente.
«Conosci mio padre?»mi chiede perplesso.
Si alza,ed io con lui.
«Sì,certo.»rispondo poi alzandomi dal letto.
Mi passo le dita tra i capelli,cercando di sistemarli il meglio possibile.
Solo ora noto di indossare solo una camicia da uomo.Ma non è di William,no.Lui la stava indossando ora.Era di un'altra persona.
Il suo ricordo è ancora impresso nel tessuto.E ciò mi crea un gran senso di malinconia,tristezza,nostalgia.
«E come lo conosci?»mi chiede davvero incuriosito.
Si siete sul bordo del letto,dalla mia parte.
Alza di poco la camicia,quel che basta per intravedere le mutandine e posa le mani sui miei fianchi attirandomi a lui.
Mi ritrovo tra le sue gambe,eretta in confronto a lui,che mi guarda dal basso verso l'alto.Io il contrario.
«Chiediglielo.Credo non si sia ancora dimenticato di me.»rispondo con un tocco di malizia,lasciandogli credere male probabilmente.«Non ho fatto niente di sconcio con lui,non ti preoccupare.»puntualizzo poi sorridendo.
«Potresti venire con me,domani.»
«Dove?»
«A casa dei miei genitori.»risponde sospirando.
«E perché?»
«Compleanno di mia madre.»
«Ed io cosa centro?»
«Beh,hai detto di conoscere mio padre.Voglio vedere la sua reazione quando ti rivede.E poi,mi piace la tua compagnia.»sussurra quasi l'ultima parte.Imbarazzato?
«In un letto.»puntualizzo,un poco acida.
Lui mi fulmina con lo sguardo.
«Se fosse solo in un letto,ora non ti starei chiedendo di venire con me,domani.»puntualizza ora lui acido.
Su questo non ha torto.
«Va bene,verrò.»rispondo allora sorridendo.«Ma solo per rivedere tuo padre.»puntualizzo poi.
Lui sorride,un poco amareggiato.
«Sei così diversa,Helena.»borbotta tra sé e sé.
«Non sei il primo uomo che mi dice una cosa del genere,oggi.»
«C'è qualcun altro oltre a me,quindi?»chiede un poco alterato.
«Sei un gran coglione,Johnson.»penso tra me e me.
«Se per qualcun altro intendi mio fratello,allora si.C'è qualcun altro oltre a te.»
«Vengo a prenderti domani verso le sei.»
«Elegante o casual?»chiedo mentre mi allontano da lui.
Si passa una mano tra i capelli,quasi frustrato,e si alza.
«Se lasciassi stare camicie e jeans,sarebbe meglio.»ironizza lui,ma non è divertente.
«Non puoi chiedere di cambiare.Solo il tempo può cambiarmi.»e non in meglio.
«Non ti sto chiedendo di cambiare,ti sto chiedendo di sperimentare.»quella frase mi innervosì.
Sperimentare?Ho sperimentato molte cose nella mia vita e,certamente,non sono in vena di nuove avventure.
«Vieni a prendermi domani al lavoro.Ora vattene.»rispondo secca,ma concisa.
Lascio la stanza con lui che mi segue un paio di minuti dopo.Si era appena infilato le scarpe e reggeva su un braccio la giacca.
«Non hai voglia di cenare con me?»
«No,ho voglia di tornare a dormire.»rispondo sempre acida.
«Come desideri,principessa.»azzarda lui.
Spalanco la porta di casa e gli faccio cenno di uscire.
«Notte,principessa.Fai sogni d'oro.»e mi bacia sulla fronte.
Esce dalla casa e lo vedo prendere l'ascensore,per poi scomparire.
«Oh,bene.»pensai.
Pillole,pillole.
Ho bisogno delle mie pillole.
Velocemente mi dirigo in bagno ed apro il cassetto dei medicinali.
Frugo,ma niente.
«Dove cazzo sono le mie pillole?»azzardo,la mia voce riecheggia nel bagno.
Rivolto l'intero appartamento,prima di arrivare alla soluzione.
«William.»ed ora era davvero finito nella mia lista nera.
Non doveva azzardarsi.

Sono quasi le cinque del pomeriggio.
Il mio stomaco brontola,ma non ci faccio caso.
Ieri non ho cenato,non ho dormito.
Ho solo pensato a lui,a come si fosse azzardato a prendere qualcosa di cui ho bisogno per sopravvivere.
Oggi,al lavoro,ho cercato di non parlare con nessuno.
Stare alla larga da tutti.
Senza quelle pillole,prima divengo scontrosa,poi mi deprimo.
Due ogni sera.
Sempre.Da quando sono stata riportata nella civiltà mi hanno prescritto questi antidepressivi.
Fanno un buon lavoro,se ne prendi più della dose giornaliera.
Non c'è nessuno nel bancone.Decido di sedermici e riposarmi.
Non ho indossato i jeans.
Fa parte della mia vendetta nei suoi confronti.
Vuole che sperimenti,sperimenterò.Ma ne pagherà amaramente le conseguenze.
«Helena.»annuncia gioiosa come sempre Cecilia.Mi fa rinvenire di malo modo,non doveva proprio farlo.
«Cecilia.»rispondo secca.
«Com'è andata ieri?»mi chiede curiosa.
Ma so che ha letto i giornali.
Stamattina,persino in telegiornale,si è sparsa la voce del mio arresto.Fortunatamente,non sanno ancora per cosa.
Però mi ritrovo sulla prima pagina di quasi tutti i giornali.
«Hai letto i giornali scommetto.Quindi perché farmi questa domanda?»rispondo acida.
«Scusami,non volevo.»si pentì lei.
Ero io quella che doveva pentirsi però.
«No,scusami tu Cecilia.Non sto bene,oggi.Non è colpa tua,ho solo bisogno di stare sola.E' tutto il giorno che non parlo con nessuno per rispondergli male,mi spiace davvero.Non è colpa tua.»continuo a ripetere.
Quasi sull'orlo della lacrime.
«Ma tu stai piangendo?»
«No,no.Mi è entrata della polvere negli occhi.»rispondo strofinandomi gli occhi arrossati.
«Sei sicura di star bene,oggi?»mi chiede davvero preoccupata.
Annuisco poggiandomi poi sul bancone,esausta.
Avvolgo la testa tra le braccia per un tempo indeterminato durante il quale rifletto su che cosa fare.
Sto impazzendo.
Senza quelle pillole non vado avanti e non posso andare a comprarne altre.Sennò verrei segnalata e dovrei fare un altro controllo.Non sono in vena di essere visitata da un gruppo di medici,non voglio rivedano le cicatrici.
Ma dopotutto,le cicatrici sulla schiena,oggi,le sfrutterò a mio favore.
Rialzo la testa scontrandomi con gli occhi ancora preoccupati di Cecilia.
«Sto bene,davvero.Sono solo stanca.»le rispondo.
«Allora torna a casa.Esci.
Tom oggi è uscito un'ora prima per un futile motivo.»ironizza lei.
«Ovvero?»le chiedo incuriosita.
«Se non mi sbaglio ha parlato di un compleanno di un suo familiare.»risponde un poco confusa.
«Cristal Johnson.»puntualizzo un poco acida.
«Giusto!Oggi compie gli anni.»
«Ed io sono stata invitata.»mi massaggio una tempia.
«Conosci altri Johnson,oltre a Tom?»
«Si,purtroppo.»bofonchio,prima di alzarmi.
«Beh,comunque rimettiti in sesto.Posso pensare io ai tuoi orari. »
«No.Tu già hai un lunghissimo turno che ti aspetta.Non vorrei rimanessi chiusa in questo edificio per più di ventiquattro ore.»io non ce la farei.
Controllai sul cellulare,il tempo passa così velocemente.
Salutai Cecilia e mi scusai nuovamente con lei,andai nello spogliatoio e lasciai il camice,indossando invece la giacca in pelle nera,stretta sulle spalle ma molto casual.
Sono riuscita a trovare un equilibro tra casual ed elegante con l'abito che indosso oggi.
Esco dall'edificio e lui è già lì.Poggiato su una portiera dell'auto con un abbigliamento piuttosto casual.
Camicia,con i primi tre bottoni sbottonati,jeans scuri ed un paio di scarpe sportive.Questo abbigliamento si intona con i suoi occhi
«Questo abbigliamento si intona con i suoi occhi.»penso tra me e me.Scaccio subito quel pensiero raggiungendolo.
Teneva le mani in tasca,il che gli dava un'aria piuttosto intrigante,misteriosa.Semplicemente,attraente.
Nessuna donna non si sarebbe incuriosita o invaghita di lui,in quel momento.
«Helena.»sussurra felice di vedermi,appena mi avvicino.
Sorrido,nonostante abbia una gran voglia di investirlo con l'auto in quel momento.
«William.»rispondo anch'io in un sussurro prima di non tenergli conto e salire in auto.
Lui ci mette qualche secondo prima di assimilare ciò che era successo,poi fa il giro e sale in auto.
«Stai bene?»mi chiede prima di mettere in moto.
Quest'auto davvero non la sopporto,nonostante abbia una voglia matta di guidarla.Amo la velocità,anche se preferisco nasconderlo a tutti.Apparirei troppo strana,e ciò comporterebbe a troppe domande.Perciò preferisco guidare normalmente e con cautela,anche perché ci sono due bambini di cui devo occuparmi.
Ora che ci penso.Oliver?
«Come sta Oliver?»gli chiedo davvero interessata nel saperlo,nonostante non mi sia nemmeno accorta di aver sviato la sua domanda.
«Bene,è dai nonni ora.»
«Quindi anche un bambino di sette anni sarà costretto a stare con persone più grandi di lui?»azzardo sorridendo.
Scommetto mi avrebbe voluto guardare male,in quel momento.Però non staccava gli occhi dalla strada.Accelerò.
Forse era un modo per non scaricarsi su di me.
«No,ci sono altri bambini.»questo mi fa stare meglio.
Mi piace stare con i bambini.
«Hai sviato la mia domanda.»puntualizza poi.
«Quale domanda?»non me lo ricordavo.
«Stai bene?»mi chiede nuovamente.
«Oh,si.Sto bene.»rispondo sorridendo nuovamente.
«No,coglione.Sto di merda,senza quelle cazzo di pillole.»penso però tra me e me.
«Mi fa piacere.»si limita a rispondere.
Sospiro e volgo lo sguardo verso i finestrini.
Los Angeles.
Mi viene in mente una canzone.
City of Angels,di un gruppo famoso.
La città degli angeli,chissà se lui è un angelo?
Beh,certo.I suoi modi non lo danno a vedere,ma ho notato che,dopotutto,le azioni che fa sono tutte per il mio bene.
Ma io sono troppo ottusa per capirlo,sono troppo ottusa.
So che mi sto rovinando,ma cosa posso farci.
«Ancora non mi hai detto come conosci mio padre.»borbotta William riportandomi alla realtà.
Mi volto sorridendo.Non so dove trovo tutta questa positività in questo momento.Meno di venti minuti fa,avevo appena aggredito verbalmente Cecilia e poi stavo quasi per piangere.
Con lui,è tutto diverso.
«Non l'hai chiesto a tuo padre?»chiedo con un tocco di malizia.
«Ancora non ho avuto il tempo di chiederglielo.Sono tornati da poco da Londra.»
«Allora tra poco glielo chiederai.»rispondo vaga.
«I tuoi figli invece?»
«Come il tuo.Sono dai nonni.»rispondo secca.
Dal finestrino noto che siamo sul mare.
Una casa vicino il mare?Stupendo.
Ho sempre amato quel tipo di ville davanti il mare.
La brezza marina che ti sveglia.
Dalla terrazza la visuale del Sole che sorge.
Spettacolo unico.
«Vivono in una villa sul mare?»
«Si,ma non so se ti piaceranno gli interni.»mi risponde ora vago.
«Che intendi?»chiedo assottigliando lo sguardo.
«Dico che se a te non piace quest'auto,ho paura a vedere la tua reazione di fronte l'ascensore.»
Ascensore?
Tentai di ricollegare le cose.
«Ti prego,non dirmi che in quella casa,invece o oltre alle scale,c'è anche un'ascensore.»chiedo quasi in una supplica.
«Allora non te lo dico.»mi risponde con un sorriso da bastardo sul volto.
Ritiro ciò che pensavo.Lo odio.
Con lui non si può stare.Non ha preso quasi niente dal padre,se non il fascino ed il fare il donnaiolo.
Ma almeno suo padre ha smesso da giovane,molto giovane.
Al contrario di suo figlio.
«Quanti anni hai?»chiedo di punto in bianco.
«Trenta.Tu?»
«Lu sai quanti anni ho.»rispondo sarcastica.
«Lo so,ma volevo essere galante.»
«Dovresti sapere che non si deve mai chiedere l'età ad una donna.»
«Touche.»risponde.«Siamo quasi arrivati.»risponde poi.
La casa si trova su un altura,un promontorio dinanzi il mare.
Di certo,il paesaggio da qui sarà sublime.
Il grande cancello bianco laccato si apre e noi entriamo.
Sia all'entrata,sia fuori,sono parcheggiate molte auto.
«Molti invitati.»penso tra me e me.
E parcheggia.
«Eccoci qua.»dice voltandosi finalmente da me.
Ora posso rivedere i suoi occhi,grigi intensi.
«Eccoci qua.»ripeto io,quasi con un tono dolce.
«I miei genitori sono persone molto,come dire,libere.Mia madre soprattutto,è molto sfacciata.Ti assomiglia in questo.»mi avvisa.
«Ho conosciuto tuo padre,ho visto quanto è,come dire,libero a modo suo.»
«Si comportano ancora come ventenni.»puntualizza lui,quasi seccato.
«Sono seri,però.Quando vogliono.»penso ad alta voce.
«Si,quando vogliono.»
«E tu,allora,da chi hai preso?»gli chiedo.
Slaccio le cinture di entrambi e mi avvicino a lui.
«Nessuno.»
«Il solo ed unico.»rispondo allora a spregio.
Uscì dall'auto senza preavviso e lui fece lo stesso un paio di secondi più tardi.
«Ah,comunque c'è anche tuo fratello.»mi avvisa,per poi chiudere l'auto.
«Riportami a casa.»dico guardandolo male.
«Ormai sei qui.»mi risponde,stavolta lui a spregio.
«Questa me la pagherai.»lo minaccio quasi,ma dopotutto,è una minaccia senza senso.
Mi sorride facendo il giro ed attirandomi a lui,mi trascina con sé sino l'uscio.
«Aspetterò con ansia quel giorno.»mi sussurra all'orecchio,mordicchia il lobo.
Poi bussa alla porta.
La porta pochi secondi dopo si apre,lasciando trasparire l'unica persona che non avrebbe dovuto aprire la porta in quel momento.
«Helena?William?»chiede lui,confuso.Tommy.
«Ciao Tommy.»rispondiamo entrambi all'unisolo,senza averlo deciso.Così,a caso.
Entrai con William,mentre Tom chiuse la porta confuso.
«Helena,che ci fai qui?»mi chiede poi lui,affiancandosi a me.
Ciò credo abbia innervosito William,che mi strinse ancora più a se.
«Mi ha invitata lui,ed ho accettato.»rispondo,quasi riassumendo la scorsa sera.
«Ciò ti crea problemi?»chiede poi inacidito a Tom.
Lui scuote la testa stranamente infastidito e ci precede.
Fermo William prima che possiamo raggiungere il salotto.
Dall'esterno sento un brusio indistinto e grida di bambini.
«Forse non sarei dovuto venire,qui.»farfuglio imbarazzata.
Abbasso lo sguardo.Lui me lo rialza,sorride.
«Non preoccuparti,hai fatto benissimo a venire.Probabilmente,se non fosse per te non mi sarei presentato qui.Mia madre non sa che sarei venuto.»accenna quasi amareggiato,l'ultima parte.
Sospiro annuendo.
Lui mi stinge nuovamente a se e lentamente ci avviamo verso l'esterno.Esito ad uscire,fuori è così,così pieno.
Bambini che giocano ed urlano da una parte,giovani che,a poca distanza dagli adulti,giocano a pallavolo in un vero campo di beachvolley e chi più ne ha più ne metta.
«Non mi piacciono i posti affollati.»sussurro quasi spaventata.
Ora si,che avrei bisogno di quelle pillole.
«Nemmeno a me,per questo siamo insieme.»mi risponde prima di aprire la porta a vetro.
Usciamo e richiudo la porta a vetro dietro di noi.Voltandomi però,noto di aver i riflettori puntato addosso.
«Giusto,sono una Caffrey.»mi ripeto tra me e me.
Delle volte dimentico il mio cognome,una persona normale.
Semplicemente una persona normale vorrei essere,non mi piace essere associata al mio cognome.
Che poi è quello dei miei genitori adottivi,e forse quello che avevo prima mi avrebbe solo fatto apparire in un modo orribile agli occhi degli altri.
La gente parla,scherza,ma non toglie gli occhi di dosso da noi.
«Ripeto.Non sopporto i luoghi affollati.»sibilo tra i denti mentre ci avviamo verso la folla.
«Resisterai.»mi risponde prima di sorridere amichevolmente ed incominciare a salutare amici,parenti.
Io mi limito a sorridere.
«William.»una voce femminile lo richiama da dietro.
Lui si volta,ed io con lui.
Lascia la presa per abbracciare poi la donna.
«Ciao,mamma.»risponde lui dolcemente.
Lascia l'abbraccio per poi tornare ad avvolgermi tra le sue braccia.
«Tu sei Helena Caffrey,giusto?»si rivolge la donna a me.
«E lei Cristal Johnson.»rispondo sorridendo.
Mi tende la mano,l'accetto.
«Puoi darmi del tu,sei la nuova compagna di mio figlio.»mi acconsente lei con voce dolce.
«Compagna?»ripeto incredula.«Credo si sia fatta un'idea sbagliata.»continuo poi slegandomi dalla sua presa.
Cosa siamo io e William?Amici,no.
Fidanzati,tanto meno.
Conoscenti,non credo.
Mi voltai verso William,mi stava guardando male,malissimo.Mi fulminava con lo sguardo.Avevo detto qualcosa di sbagliato,per lui.Lui non la pensava allo stesso modo?
«Helena.»una voce roca e maschile interrompe quel momento di silenzio che si era creato tra noi tre.
Ci voltiamo.
«Harry.»rispondo sorridendo.
L'uomo si affianca alla donna.
«E' un piacere rivederti.»mi dice sorridente,fossette sul viso.
«Anche per me,mi sono mancate le tue fossette.»rispondo anch'io sorridendo.
«Champagne?»mi chiede immediatamente.
«Champagne.»rispondo e lasciamo gli altri due confusi per poi dirigerci nel banchetto e prendere un bicchiere.
«Sei tornata a Los Angeles,alla fine.»dice lui,quasi amareggiato.
«Lei come sta?»gli chiedo immediatamente.
Sorseggiamo la bevanda,fingendo di parlare allegramente.
In realtà qui sono in ballo cose serie,molto serie.
«Sta bene,ha chiesto di te.»
«E tu che le hai detto.»
«Ciò che sapevo.In giro per il mondo,dopo l'incidente.E' stato impossibile rintracciarti per mesi.»
«Non volevo contatti.La solitudine mi ha fatto bene.»
«E mio figlio?»mi chiede poi prendendo intanto uno stuzzichino.
Sorride ad un paio di invitati e torna a me.
«E' lui che mi cerca,non sono io quella che vuole una relazione.»
«Se ti cerca,ci sarà un motivo.»
«Chiediglielo,Harry.Lui non giova alla mia situazione.»
«Allora rompi subito questa relazione,qualsiasi cosa ci sia fra voi.»
«Cambiamo argomento Harry,non sono qui per discutere di affari.»
«Come vuoi.Suoni ancora?»mi chiede allora cambiando tono.
Ora va meglio.
«Non tocco un piano da mesi,anzi tre anni.»puntualizzo.
«La tua scomparsa l'ha distrutta.»
«La mia scomparsa ha distrutto molte persone.Il mio ritorno potrebbe distruggerne altrettante.»
«Vuoi provare a suonare qualcosa?»
«Si,poi mi vendicherò di tuo figlio.Da chi l'ha presa la stronzaggine?»
«Entrambi.»mi risponde.«Tu intanto entra,io vado a chiamare un paio di persone.»
Mi indica l'interno,rientro e vado in salotto.
Moderno,molto.Un pianoforte nero laccato è posizionato poco distante da poltrone e divani.
Mi siedo sullo sgabello e,con cautela,sfioro i tasti dello strumento.
Così elegante.Così prezioso.
«Eccoti qua.»la voce dell'uomo riecheggia nella stanza.
Con sé vi sono anche la moglie,William ed un'altra ragazza.
L'avevo notata prima quando stava giocando a pallavolo con altri amici.L'unica ragazza in bikini.
«Lei è l'altra mia figlia,Jennifer.»ci presenta lui.
«Ehi.»si limita a dire lei sorridendo.
E' piuttosto nervosa,come se aspettasse qualcuno.
Alla sua età manifestavo questo nervosismo solo quando pensavo a qualcuno in particolare.
«Puoi iniziare.»fosse facile.
William continuava a guardarmi intensamente con i suoi occhi di ghiaccio,ora.
Prendo un respiro profondo e cerco di ricordare tutti gli accordi.
Poi,cercando di lasciarmi andare,incomincio a pigiare tasti l'uno dopo l'altra,creando una melodia.
Suonai e cantai,What Goes Around,Comes Around.
Una volta terminata la canzone,mi voltai,notando che le persone in salotto erano aumentate,e di molto.
Una serie di applausi seguirono al termine della canzone,William era piuttosto sorpreso,ma non so da cosa.
«In tre anni,non mi sembra tu sia cambiata Helena.»lo prendo come complimento,arrossendo.
Mi alzo facendo un inchino imbarazzata.
Scappo fuori respirando un pò d'aria fresca.
Decido di stendermi su una delle sedie a sdraio che accerchiano la grande piscina.
Volgo la testa verso i ragazzi che continuano a giocare a Beachvolley,ho voglia di giocare ora.
«Vuoi giocare?»mi chiede William sdraiandosi accanto a me su un fianco.
«Due squadre diverse.Una scommessa.»lo sfido sorridendo maliziosamente.
«Va bene.»ci sediamo sui due lati opposti della sdraio e ci stringiamo la mano.
«Cosa succede se vinci tu?»gli chiedo.
«Se vinco io mi regali un bacio,una cena domani sera e parleremo.»disse con fare seducente.
«Parlare di cosa?»gli chiedo sorridendo maliziosamente.
«Di te.»dice e si avvicina al mio viso.
«Vabene.»sorrido con fare inquietante.
«E tu cosa desideri?»
«Lo vedrai presto.»mi limito a rispondere.
E ci stringiamo le mani,che la sfida abbia inizio.

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