Dreams Avslort - Sogni Svelati

di Pandizzo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PREFAZIONE ***
Capitolo 2: *** Agaic ***
Capitolo 3: *** Harìa ***



Capitolo 1
*** PREFAZIONE ***


Dreams Avslørt

Sogni Svelati

 

 

Dedico questo libro a me stessa, per la forza e il tempo trovato per riuscire a scriverlo, perché da un sogno se ne sta realizzando un altro.

Lo dedico a chi sarà preso dalla curiosità di leggerlo e lo ringrazio già in anticipo.

Ma soprattutto lo dedico a Tato, che anche senza fregarsene mai nulla, mi ha sempre ascoltato.

 

Buona lettura.

 

PREFAZIONE

La leggenda narra che in ognuna delle cinque terre che componevano il mondo esisteva una stirpe di draghi. Essi esistevano prima che nascessero tutte le forme di vita conosciute, anzi, alcuni credono che possedessero un soffio magico che poteva creare e dar vita a qualsiasi essere. Ogni stirpe era la guardiana della propria regione e in base ad essa aveva aspetto, carattere e poteri differenti. Essi mantennero una linea pura accoppiandosi sempre fra  soggetti della stessa stirpe, in quanto i frutti dell’amore tra stirpi diverse era sempre privi di poteri e avevano vita breve.

Nonostante molti non ci credano, i draghi originari erano di indole benevola e gentile. Quando anche l’uomo iniziò a diffondersi nel mondo, i draghi, impietositi dalle enormi fatiche che quest’ultimo doveva affrontare per riuscire a sopravvivere, decisero di aiutarlo. Strinsero un patto con esso, donando alcuni dei loro poteri ai loro figli, affinchè imparando a dominarli potessero aiutare la loro famiglia a vivere, riprodursi e colonizzare tutta la terra. 

Così con il passare dei secoli gli uomini si moltiplicarono in maniera esponenziale e, divenuti troppi in un solo luogo, iniziarono a  migrare da una regione all’altra e notarono che non avevano lo stesso problema dei draghi nell’accoppiarsi con stirpi diverse. Così facendo, mescolarono i propri poteri, dandone vita a nuovi e ancora più potenti.

  Purtroppo i draghi, con il passare delle generazioni, iniziarono ad invidiare l’uomo perchè, pur essendo una creatura impura, aveva creato poteri che essi non avrebbero mai scoperto. Così la loro indole divenne aggressiva, specialmente nei confronti dell’uomo; draghi e umani ingaggiarono una grande lotta che si espanse per tutte e 5 le regioni del mondo. La guerra durò molti anni, ma alla fine i draghi vennero tutti uccisi. Tutti tranne uno, Thuban: il drago dalle forze fredde. Egli si diceva che essendo l’unico ad aver mantenuto un indole buona, aveva rifiutato di unirsi alla guerra e si era recato in esilio volontario lontano da quel mondo. Quando la guerra finì egli tornò, ma non trovando più nessuno dei suoi fratelli vivo, iniziò a provare rancore e odio verso quelle creature che invece aveva sempre amato. Dopo aver pianto a lungo i suoi simili tornò in esilio da dove era venuto. Si dice che vivesse proprio nella regione di Agaic, sulle montagne di ghiaccio che segnavano la fine del mondo. Passarono anni, secoli, ma non si fece più vedere; così l’uomo dimenticò la sua esistenza. 

Alcuni dicono che sia morto e rinato sotto forma di stella nella costellazione del Dragone, dove si trovano gli altri suoi simili. Altri ancora dicono che sia ancora vivo e che stia meditando vendetta contro l’uomo.

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Capitolo 2
*** Agaic ***


CAPITOLO 1: AGAIC

Come ogni anno ad Agaic stava per ricominciare la scuola. Tutti i ragazzi della regione veniva convocato nel comune, dove il capo-villaggio consegnava in persona il rotolo dove era stato scritto il loro destino, in base a quanto avevano dimostrato l’anno precedente. La scuola non era tra le cose più importanti per gli abitanti dell’Agaic. Questa era una regione immensa, la più grande tra le cinque del mondo, ma non era ricca; essa comprendeva il nord, diviso tra piccoli villaggi, boschi e ghiacci. I giovani potevano continuare gli studi solo se dimostravano grande impegno l’anno precedente. La gran parte di loro riusciva ma spesso erano le famiglie che impedivano comunque la carriera scolastica: servivano braccia forti per sorreggere tronchi d’alberi da spaccare e per andare a caccia, non certo una mente piena di idee. Vi erano sempre casi eccezionali, in cui era il capo-villaggio stesso a far visita alle famiglie per convincerle. E raramente ci riusciva. Quei ragazzi poi erano destinati a ricoprire ruoli importanti all’interno della società. Addirittura, circa cinquant’anni fa, uno di loro era stavo eletto capo-villaggio. Ma tutto ciò interessava a pochi, e di quei pochi uno o due credevano che sarebbe successo sul serio.

In ogni villaggio poi, circa ogni mille abitanti, nascevano dei ragazzi con poteri particolari, dei doni. Essi potevano nascere sia da famiglie normali, che da genitori come loro, potevano avere sia doni già conosciuti che doni mai scoperti, ma non tutti si rivelavano sin dalla nascita. C’era chi durante l’infanzia, facendo uno starnuto, iniziava a cacciare fuoco, chi durante la vecchiaia, dopo una vita tranquilla, scopriva di poter passare attraverso i muri.  Non era il caso a scegliere. Era lo spirito dell’uomo che risvegliava il dono in un momento di emozioni intensa.  Per tutti loro esisteva una scuola speciale, un collegio che si trovavi poco fuori la capitale, in mezzo ai boschi, ma di solito iniziavano gli studi solo se i loro poteri si risvegliavano entro la maggiore età. All’interno di questa scuola i possessori venivano accolti e istruiti, fino al completo padroneggiamento delle loro abilità. Alla fine del percorso essi tornavano al villaggio di origine e si mettevano al servizio della comunità.Questa scuola si chiamava Skolskeji e i ragazzi che si addestravano lì erano conosciuti come “Dragoitte” ovvero “portatori del drago”. 

Era fine agosto, una giornata assolata ma pur sempre breve, Harìa stava seduta sull’altalena attaccata al grande abete bianco piantato di fianco a casa. Quell’altalena l’avevano costruita suo padre e suo fratello, quando lei aveva 5 anni, come regalo di compleanno. Ricordava ancora la gioia di quando suo fratello le aveva chiuso gli occhi per poi farle quella sorpresa. Seduta su quella panchina pensava proprio a lui. Domani sarebbe partito per Skolskeji, era il suo ultimo anno. Era contento perchè era certo che finalmente quest’anno avrebbe ricoperto una carica importante all’interno della comunità studentesca e perchè stava per rivedere la sua fidanzata dopo un mese di vacanza. Quanto la odiava! Eppure suo fratello era perso, un giorno le aveva persino confidato che alla fine degli studi le avrebbe chiesto di sposarla. Idiozie! Se solo ci fosse anche lei in quella scuola, le cose andrebbero diversamente. Ma purtroppo i draghi avevano deciso che non avrebbe ricevuto doni. Certo, sperava sempre che si trattasse solo di un ritardo, che con il passare degli anni si sarebbero rivelati, ma ormai aveva perso le speranze. Aveva 18 anni, i suoi coetanei “dotati” si trovavano già a studi quasi completati. Lei non era destinata a grandi cose come suo fratello, a lei toccava cucinare, lavare i panni, pulire casa e aspettare altri tre anni per la maggiore età e il matrimonio.Che prospettiva orrenda!

Mentre pensava a tutto questo qualcuno le mise le mani sugli occhi, sentì un respiro caldo sul collo e una voce che conosceva bene:

- Non sei un po’ cresciuta per andare sull’altalena?-

Era suo fratello, appena le aveva messo le mani sugli occhi Harìa aveva sentito il battito accelerare e le sue guance farsi rosse.

- E tu non sei un po’ cresciuto farmi questi scherzzetti?-

Aveva risposto lei, togliendogli le mani dal viso e voltandosi sorridente verso di lui. 

La stava guardando sorridendo. Lo aveva visto così, illuminato dal sole che tramontava, con i capelli biondi che avevano preso un riflesso ramato, con gli occhi chiusi e con le labbra distese e il suo cuore aveva perso un battito.

- Ha detto la mamma di entrare a mangiare, sta sera dovrò andare a letto presto, voglio passare più tempo possibile con la mia famiglia.-

Ma perché doveva sempre ricordarglielo?! Lo sguardo di Harìa si fece di una tristezza assoluta.

- Ehi, ehi! Non farmi il broncio! Dai entriamo che vi devo dare una bella notizia. -

Aveva sorriso di nuovo; non riusciva a resistergli quando sorrideva! Lo prese per mano ed entrarono in casa.

Lui si sedette vicino a suo padre, mentre lei si avviva in cucina per aiutare sua madre a servire la cena. Coniglio, blea! Ma era abbastanza scontato che avrebbe cucinato il piatto preferito di suo fratello.

Una volta portato tutto a tavola lei si sedette accanto a sua fratello e sua madre accanto a lei, di fronte a suo padre.

Iniziarono a mangiare. - Ci tenevo tanto a questa cena tutti insieme perché vi devo dare una grande notizia- Iniziò Amos - Sapete che quest’anno proverò a candidarmi come Coordinatore degli studenti dell’ultimo anno. Se mi eleggeranno non solo avrò i soliti compiti da coordinatore, ma, essendo dell’ultimo anno, avrò l’ultima parola sulle decisioni dei coordinatori degli altri anni, affiancherò i professori nelle lezioni, farò il discorso finale l’ultimo giorno, a conclusione degli studi. Poiché è un ruolo molto importante quest’anno è stato deciso che una volta avvenute le votazioni ci sarà una cerimonia di premiazione, dove potrà partecipare anche la famiglia del ragazzo eletto. - Poi si volse verso sua sorella sfoggiando un enorme sorriso - Capito? Se mi eleggeranno tra un mese potrai venire a trovarmi a scuola!- 

Il cuore di Harìa era scoppiato. I suoi occhi si illuminarono e senza nemmeno pensarci si buttò sul fratello abbracciandolo e ridendo, poi gli prese le mani e su una musica allegra che esisteva solo nella sua testa iniziò a danzare con lui, che ogni due giravolte la prendeva dai fianchi e la sollevava. 

- Sei può leggera dell’aria.- le disse, mentre la riappoggiava a terra e metteva fine a quella danza. Lei di rimando sorrise, glielo diceva sempre.

Dopo quell’attimo di follia Amos tornò serio e si rivolse ai genitori:

- Tutte le spese sono pagate dalla scuola, il viaggio dovrete farlo voi, ma potrete rimanere con me una settimana dal giorno della premiazione, per vedere cosa significa davvero ricoprire il mio ruolo.- I suoi occhi si infiammarono. - Ce la metterò tutta, sarete orgogliosi di me!-

Suo padre gli diede una pacca sulla spalla :

- Noi siamo già orgogliosi di te. Ora và a preparare la valigia e poi dormi, dovrai partire all’alba.-

Amos annuì e si diresse verso la sua stanza, mentre Harìa rimase ad aiutare sua madre.

Una volta finito di lavare si diresse in camera, si accorse che suo fratello stava già dormendo.  Lo guardò un attimo e poi gli diede un bacio sulla fronte sussurrando:

- So che ce la farai, tu puoi fare tutto. Buonanotte e buon viaggio. -

Poi si mise anche lei a dormire.

 

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Capitolo 3
*** Harìa ***


CAPITOLO 2: HARìA

Harìa si svegliò di soprassalto, era già mattina, questo voleva dire che suo fratello era partito. Come ogni anno iniziava la solita routine: casa, bosco, casa, villaggio, casa. Era un susseguirsi degli stessi eventi per un tempo che sembrava infinito, nell’attesa del ritorno di suo fratello o del risveglio dei suoi doni (sempre se ne avesse posseduti).

Si alzò dal letto e si guardò allo specchio. Gli anni passavano ma lei si vedeva sempre uguale. Il corpo gracile e snello, la vita sottilissima e le sue curve appena pronunciate erano coperte dalla vestaglia da notte. Si guardò il viso. Tondo come sempre, fosse nell’ultimo anno si era leggermente allungato, ma il suo naso all’insù e le sue lentiggini erano sempre le stesse. La pelle bianca e gli occhi azzurri erano tipici del nord, ma i suoi capelli! Erano arancioni. Ma non quell’arancione quasi rosso tipico del sud, di Chamagua, erano come se qualcuno avesse deciso di usare dei capelli biondi per pulire un pennello sporco di pittura arancione. Le ciocche più intense si mescolavano a quelle più sbiadite e a quelle bionde, per poi finire tutte in quel biondo platino tipico del nord, uguale ai capelli di suo fratello.

Da bambina tutti la prendevano in giro e lei si era sempre chiesta il perché, i suoi genitori si erano resi conto subito che non si poteva nascondere una cosa del genere e a circa 8 anni le avevano detto tutta la verità. L’avevano trovata abbandonata in un bosco quando era appena nata, pensavano fosse morta, invece era sanissima. Era stato Amos a convencerli ad accoglierla come una figlia e loro non si erano mi pentiti di quella scelta, l’avevano amata incondizionatamente. All’inizio fu una sensazione strana, ma poi non ci pensò più di tanto, l’avevano cresciuta da quando ne aveva memoria ed era questo ciò che importava. Poco tempo dopo Amos le raccontò del suo nome. Una volta trovata, lungo la via del ritorno i suoi genitori stavano litigando sul nome da darle e lei aveva iniziato a piangere e non riusciva a calmarsi. Amos a quel tempo aveva solo quattro anni, ma chiese lo stesso di prenderla in braccio per provare a calmarla. I suoi genitori erano indecisi perché era molto piccolo, ma lei era così leggera che gli diedero fiducia, seppur controllando con attenzione. Appena lui la prese in braccio lei si calmò e lui rimase sorpreso del suo peso e gridò - è più leggera dell’aria! -  E così, come un temporale estivo che arriva a l’improvviso era arrivato anche il suo nome.

Harìa non avrebbe più dimenticato quel giorno perché se non ostante tutto non aveva cambiato idea sui suoi genitori, con suo fratello qualcosa era cambiato, era diventato qualcosa di più. Prese quel sentimento, lo mise in un cassetto del suo cuore e lo chiuse a chiave, dove lo custodì per dieci anni.

Subito dopo si riprese, si stava ancora guardando allo specchio, si tirò su e uscì dalla camera, doveva smetterla di rimanere bloccata come una stupida mentre la sua mente vagava! 

Andò in cucina e riprese la solita vita.

Era pomeriggio, sua madre le aveva detto di scendere in paese a fare la spesa e da brava figliola lei aveva obbedito, tanto non aveva molto da fare. 

A fine settembre il paesaggio di Agaic si tingeva di rosso e Harìa si ritenne fortunata ad abitare in montagna perché per scendere al paese a Valle doveva attraversare un sentiero nel bosco e in quel periodo era uno spettacolo della natura. Mentre scendeva con il corpo leggermente spinto all’indietro a causa della ripidità della discesa si guardava intorno e ammirava le querce, i facci e le betulle con le foglie dello stesso colore dei suoi capelli. Vedeva per terra le ghiande, le volpi che si aggiravano tra i cespugli e qualche lepre che ancora gironzolava per il bosco, una volta arrivato l’inverno non le avrebbe viste più. In quel periodo dell’anno si sentiva un tutt’uno con i boschi in cui era cresciuta, era un a sensazione strana: non quel semplice contatto con la natura che provavano tutte le persone che vivevano in montagna, ma era come se fosse parte di essa, come se riuscisse a sentire l’ultimo respiro che ogni foglia esala prima di staccarsi dal ramo e cadere al suolo. Mentre camminava qualcosa ricordò ad Harìa che doveva sbrigarsi: il freddo. Si rese conto che doveva sbrigarsi se non voleva ritornare a casa a sera inoltrata, quando la temperatura sarebbe scesa intorno ai cinque gradi. Si accorse che era quasi arrivata camminando incontrava sempre più persone. La sua presenza al villaggio non era molto gradita. Da piccola non se ne accorgeva perché scendeva solo con la presenza dei genitori, che invece erano molto amati e rispettati, ma quando si era fatta abbastanza grande per andarci da sola si era accorta degli sguardi incessanti e dubbiosi della gente; non che lei avesse mai fatto niente di male, la sua vita era così tranquilla che se avessero deciso di rapirla non avrebbero avuto molte difficoltà, ma sapeva che i suoi capelli per la popolazione del luogo non erano un buono auspicio.

Arrivata al negozio fece un resoconto di cosa doveva comprare: uno stoccafisso, carne di anatra e formaggio di capra.

-Harìa!- Si girò di scatto, era Algot. -Ci Risiamo!- pensò e poi gli volse un sorriso.

Algot era un suo vecchio compagno di scuola. Era il figlio del medico del paese, quindi una persona molto ricca. Mentre aria dovette lasciare la scuola a 16 anni lui continuò, gli piaceva molto studiare. Era un ragazzo alto, biondissimo, dagli occhi verde-azzurro, una persona molto solare e vivace e il primo vero amico di Haria, mentre tutti i suoi compagni criticavano i suoi capelli, lui non si era fatto molti problemi. L’unica cosa che la infastidiva di lui era la sua cotta. Harìa lo aveva capito, anche se lui non lo aveva mai ammesso, ma solo perché sapeva dei suoi sentimenti verso Amos.

Quanto tempo che non scendevi al villaggio! Sono così felice di vederti!- E l’abbracciò. - Va tutto bene? I tuoi genitori come stanno? E tuo fratello è già partito? A me va tutto benissimo, quest’anno finirò la scuola e poi lavorerò con mio padre, quindi se avrai qualche problema sarò io a curarti. Eheh!- Tipico di Algot, logorroico come sempre, ma almeno riusciva a farla ridere.  - Ciao Algot, sono felice di vederti e sono contenta che ti vada tutto bene. Io sto bene, lo sai che durante l’estate non scendiamo mai al villaggio. I miei genitori stanno come al solito e mio fratello è appena partito. La solita storia. Però quest’anno potrebbero eleggerlo come Coordinatore e forse andrò a trovarlo e finalmente vedrò la scuola! - Rispose Harìa con un sorriso smagliante. 

- Sono felicissimo per te! Sta per avverarsi il tuo sogno. - 

- è qui che ti sbagli, perché se ti sei dimenticato, io voglio frequentare quella scuola per dominare i miei inesistenti doni, non per fare un giro turistico.-  Rispose lei facendo la finta offesa.

Ricordo, ricordo; come potrei dimenticarlo! Dai, sai che ho una memoria infallibile! Comunque sono davvero felice per te. Ora devo tornare a casa perché mio padre mi sta aspettando, ero qui solo di passaggio. Ti farebbe bene scendere più spesso al villaggio. - 

E a te farebbe bene salire più spesso in montagna! Comunque tranquillo, vai, tanto anche io devo tornare, tra poco sarà sera e non amo attraversare il bosco quando e buio. -

Detto questo si abbracciarono e Harìa tornò alle sue commissioni. 

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