Happy Valentines Day

di moni_cst
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine di un incubo ***
Capitolo 2: *** Home sweet home ***
Capitolo 3: *** San Valentino ***



Capitolo 1
*** La fine di un incubo ***






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LA FINE DI UN INCUBO

Il capitano del 12° distretto chiuse la porta a vetri del suo ufficio e andò a sedersi dietro la sua scrivania. Afferrò con entrambe le mani il bordo del tavolo e tirò lentamente verso di sé. Le rotelle della sedia scivolarono silenziosamente sul parquet della stanza. 

Si guardò intorno e osservò la libreria, il tavolo di mogano e la comoda poltrona a schienale alto.  A differenza dei suoi predecessori non c’erano oggetti personali a ornare la stanza. Aveva sempre cercato di tenere separato l’ambiente di lavoro dalla sua vita privata. Nessuna fotografia della famiglia era appoggiata sopra il mobile, solo immagini di alcuni momenti importanti della sua vita in polizia: il suo primo giorno da poliziotta, in coppia con il suo primo compianto partner, il suo team quando le assegnarono il comando di una squadra investigativa, lo stesso gruppo con l’aggiunta di Castle e Lanie ripreso durante una delle feste della polizia a cui avevano partecipato tutti. 

Aveva sempre odiato la differenza dell’arredo che vigeva nei dipartimenti. I detective disponevano nell’open space di un’ampia scrivania in multistrato laminato con la targa col nome in bella vista e sedia per ospiti accanto. Ogni gruppo investigativo aveva a disposizione una lavagna bianca dove venivano appuntati gli elementi base di ogni caso. Gli agenti condividevano una grande scrivania quadrata ed erano seduti uno di fronte l’altro in modo da poter lavorare in modo coordinato.

Nell’open space il pavimento originale era stato ricoperto da un linoleum commerciale mentre nel suo ufficio il parquet era di legno vero, seppur di bassa qualità.

Si sentiva stanca.

 Guardò con fastidio l’alta pila delle scartoffie meno urgenti che doveva firmare da diversi giorni e poi il mucchietto dei fascicoli che richiedevano la sua attenzione immediata. 

Si passò entrambe le mani nei capelli per cercare un po’ di concentrazione. 

Gli ultimi giorni erano stati molto difficili al distretto.

Era capitano da pochi mesi e già le era capitato uno di quei casi che nessun poliziotto vorrebbe mai dover affrontare. 

La tensione era molto alta ma, finalmente, tutto si era concluso nel modo migliore: la scelta azzardata di servirsi, per quel caso, dell’impiego contemporaneo delle squadre investigative del detective Esposito e quella del detective Ryan  era riuscita ad evitare che quel serial killer pazzo e furioso uccidesse anche le tre ragazze segregate da mesi nel suo nascondiglio. Questo placava leggermente la tristezza e il senso di impotenza per non essere riusciti a salvare anche la quarta ragazza, che era stata torturata troppo atrocemente per poter sopravvivere al loro arrivo. 

Finalmente quella sera sarebbe tornata a casa con il cuore più leggero. Era uno di quei giorni in cui avrebbe avuto bisogno di un bel bagno caldo per rilassarsi e per sciogliere tutta la tensione dal suo corpo affaticato e stanco. Aveva dormito tre, quattro ore a notte nell’ultima settimana. Tornava a casa e doveva occuparsi da sola dei bambini, non avendo l’aiuto del marito. In realtà la cosa che le era mancata di più era il suo modo innato e naturale di tranquillizzarla e ricaricarla di energia. Rientrava dal distretto verso le 19 stava un po’ con loro, controllava i compiti e poi dopo aver cenato, li metteva a  letto tra mille proteste. A quel punto verso le 22, si ricollegava con il distretto in call conference continua. 

Aveva bisogno di sentire almeno la voce di suo marito, prese il cellulare dalla tasca della giacca e mentre schiacciava il tasto di chiamata veloce, sentì bussare alla porta.

“Avanti” disse, mentre sospirando riattaccava il telefono che per l’ennesima volta le annunciava che il numero cercato era irraggiungibile.

“Beckett, come stai?” Esposito teneva ancora la mano sulla maniglia della porta mentre Ryan si era affacciato subito dietro di lui.

“Entrate ragazzi, chiudete la porta” rispose il capitano Beckett.

I due colleghi e amici si accomodarono e si appoggiarono al mobile basso di fronte la scrivania.

“Non vi sedete?” chiese Beckett

“No. Mi fa ancora un certo effetto…” rispose a mezza bocca Espo.

Ryan gli sferrò un amichevole pugno sulla spalla “Smettila, scemo”.

Beckett si alzò e si andò a sedere davanti a loro appoggiandosi al bordo della scrivania sorridendo alla battuta di Javier.

“Volevo ringraziarvi, non è da tutti accettare di lavorare in questo modo. Non eravate tenuti a farlo e per questo ve ne sono profondamente grata.” Kate era sincera e guardò fisso negli occhi prima uno e poi l’altro, come a voler dare maggiore peso alle sue parole. Quando ricevette un sorriso di assenso da entrambi, annuì abbassando lo sguardo.

“Beckett, hai fatto una scelta inusuale e abbiamo salvato quelle ragazze, tanto mi basta” disse Ryan.

“E poi lavorare insieme, noi tre, come ai vecchi tempi anche se in modo così diverso… be’ è stato grandioso per me” aggiunse un emozionato Esposito.

Beckett sorrise ad entrambi.

“E’ stato bello anche per me e adesso correte a casa dalle vostre famiglie, è un ordine!” poi si alzò e andò a ricollocarsi al suo posto dietro la scrivania.

“Molte scartoffie?” chiese Ryan fermandosi sull’orlo della porta.

“Già. Una marea! “ rispose sconsolata.

“Quando torna Castle?” domandò l’ispanico “ Mi deve ancora una birra.”

Beckett alzò gli occhi e dopo una breve pausa, prese un respiro profondo. 

“Ahhh saperlo! Non riesco a sentirlo da 4 giorni. Mi aveva avvisato che forse ci sarebbero stati problemi con la rete cellulare, ma non avevo messo in conto di non avere sue notizie per così tanto tempo”.

“Sei preoccupata?” la incalzò l’irlandese con la fronte corrugata.

“No, tranquilli. Sta solo facendo il suo lavoro. Forse si è solo impersonato un po’ troppo in Jameson Rook, il reporter d’assalto dalle investigazioni pericolose” ci scherzò su.

Dopo qualche minuto, nel silenzio di un dipartimento stranamente tranquillo quel pomeriggio, venne distolta dal suo lavoro da un segnale acustico del pc. 

Alzò lo sguardo e notò una nuova mail nel monitor. Lesse il nome e il suo cuore cominciò ad accelerare. Chiuse per un istante gli occhi per calmare il suo cuore impazzito. Per lo meno non s’era fatto ammazzare.

 

From: Richard.Castle@aol.com

To: K.Beckett@NYPD.com

Object: mi manchi! 

 

Kate! Finalmente! Sono riuscito a trovare un internet point per mandarti almeno una mail. Sto bene! Ma sembra che qui il cellulare non prenda da nessuna parte. Non avrei mai pensato di trovarmi a girovagare nella giungla tenendo il cellulare in alto per vedere se da qualche parte desse un segnale di vita. Poi lo spengo sempre per risparmiare la batteria. Chissà quando ritroverò di nuovo elettricità.

Ma come cavolo m’è venuto in mente di fare ricerche per Jameson Rook? La prossima volta, ti assicuro, lascio stare a lui le inchieste sul campo e il resto lo farà la mia fervida immaginazione. Quella non mi manca, no?

Dimmi di te! Come stai? Resisti in quella banda di matti al dipartimento? E a casa? Cavolo, Kate, quando ho deciso di partire non avrei mai immaginato di lasciarti tutto il peso della gestione familiare da sola proprio quando scoppiava uno dei casi più difficili che tu abbia mai dovuto affrontare. 

Non so a che punto siete, l’ultima volta mi hai detto che stavate ancora in alto mare, spero che non abbiate trovato nel frattempo altre ragazze seviziate in quel modo straziante. Ad ogni modo Kate, ricordati: tu sei straordinaria… è solo questione di tempo. Ce la farai.

Mi manchi, tantissimo. La notte quando mi sdraio e sono rincantucciato nel mio sacco a pelo penso a come ti vorrei avere accanto a me. Mi manchi ancor più di quanto avrei pensato.

Sappi che ho visto abbastanza di questo posto. Domani confido di trovare campo per poterti chiamare (la tua voce… può mancare una voce?) o perlomeno un altro internet point. La giungla ormai è alle spalle e per quanto ancora non mi trovi in un paese semicivile, nel giro di pochi giorni dovrei concludere. Lo spero davvero.  Scrivimi dei bambini, voglio avere loro notizie. Dì loro che mi mancano infinitamente e che il loro papà non vede l’ora di poterli riabbracciare.

Kate… non vedo l’ora di avere te tra le mie braccia! 

Ti amo

Rick

 

 

Stava bene. Stava bene. Stava bene. 

Aveva avuto tutto il giorno una strana sensazione allo stomaco e non riusciva a spiegarsela. Finalmente era riuscito a farsi vivo.  E all’improvviso quella morsa al ventre si era allentata.

Appoggiò la testa allo schienale e assaporò la calma e il senso di benessere che provava in quel momento. 

Lo squillo del telefono la riportò alla realtà. 

“Beckett” rispose.

“Capitano, le devo fare i miei complimenti. Lo stato di New York è orgoglioso di lei. “ tuonò con enfasi una voce maschile.

“Governatore Cuomo, la ringrazio. Ho fatto solo il mio dovere.”

“Dovere o no, abbiamo un serial killer spietato nelle mani della giustizia e questi ci fa stare tutti più tranquilli. “  

“La ringrazio, davvero” rispose con imbarazzo Beckett.

Dopo pochi altri convenevoli, la telefonata si concluse e Kate rilesse velocemente la mail di suo marito. 

Guardò l’ora. 

Non aveva molto tempo prima di andare a casa.

Subito dopo rivolse lo sguardo ai fascicoli pieni della documentazione da sottoscrivere.

Passò lentamente le dita sul quadrante del suo orologio quasi ad accarezzarlo e poi guardò la tastiera.

La prese velocemente e cominciò a battere sui tasti senza fermarsi un secondo: forse Castle era ancora collegato, in fin dei conti aveva scritto la mail solo 5 minuti prima.

 

From: K.Beckett@NYPD.com 

To: Richard.Castle@aol.com

Object: Re: mi manchi! 

 

Rick!!! Iniziavo a preoccuparmi. Meno male che hai trovato un internet point per farti vivo. Non sparire più per così tanti giorni! Lo so, lo so. Non hai avuto proprio possibilità… Accidenti! La prossima volta che parti, investo un paio di stipendi e ti regalo un cellullare satellitare così ti raggiungo ovunque.

Oggi l’abbiamo preso! Abbiamo preso quel bastardo. Espo e Ryan hanno trovato tre ragazze nel suo covo, in pessime condizioni ma vive. La quarta non ce l’ha fatta, è morta in ambulanza mentre la portavano in ospedale. Aveva iniziato con lei. Non mi abituerò mai a simili barbarie.

Ma parliamo di noi, basta lavoro. IO sto bene, ma mi manchi tanto. Sono un po’ stanca perché da casa mi sono sempre collegata al distretto fino a notte fonda. I bambini stanno risentendo un po’ della tua assenza e di una mamma un po’ zombie in questo periodo ma ci abbiamo scherzato su. Mi addormento ovunque quando sono a casa. Mi si chiudono gli occhi.

Ah, questa te la devo proprio raccontare. Tommy ha fatto il suo primo pensierino, no aspetta- ora lo chiamano testo libero – guai a sbagliarsi. Ha raccontato del suo papà che quando va a fare la colazione al mattino ha i capelli dritti e arruffati e… Rick..  ha scritto che fai colazione in mutande!!! Qui tocca stare attenti a quello che facciamo che ci ritroviamo la nostra vita casalinga spiattellata sui quaderni dei nostri figli! Voglio dire: se Tommy ha scritto questo, ti puoi immaginare cosa accadrà quando arriverà alla scuola elementare la piccola Julia??

Meglio non pensarci.

Non vedo l’ora di riabbracciarti e spero che non ti farai attendere troppo. Posso accontentarmi della tua voce – almeno la tua voce!!! - per qualche giorno ma poi ti voglio qui in carne e ossa!!! Hai dei doveri coniugali da rispettare, ricordatelo! Io ti aspetto…. Ma non esagerare con i tempi di attesa ;-)

Fatti sentire appena puoi e Rick… sta’ attento. Mi raccomando.

Mi manchi alla follia. Ti amo.

Kate

 

 

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Spazio di Monica:

Un infortunio domestico e la giornata di San Valentino mi hanno fatto scrivere questa nuova breve storia.

E con questa storia festeggio un anno esatto di scrittrice su EFP 

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Capitolo 2
*** Home sweet home ***






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HOME SWEET HOME

Le luci di New York erano sfavillanti più che mai. Il neo eletto sindaco Weldon, al suo secondo mandato,  aveva voluto festeggiare in grande e aveva indetto una settimana di controausterity eliminando i turni e gli orari imposti dall’amministrazione nell’ultimo anno. Aveva anche ribadito che dopo una settimana sarebbero tornati a rispettare la turnazione prevista decidendo di destinare quanto risparmiato ad un fondo speciale di assistenza sanitaria per i sempre più numerosi homeless presenti in città.  
La luce arancione del semaforo la indusse a rallentare e a fermarsi. Beckett non poté fare a meno di guardare quell’esplosione di luci e colori e si appuntò mentalmente che l’indomani avrebbe dovuto chiamare Bob Weldon per congratularsi per la sua rielezione. Castle non era in città e lei avrebbe già dovuto chiamarlo da giorni ma tra il caso e i bambini non aveva proprio avuto tempo.
Ripartì seguendo il flusso di macchine e si preparò a svoltare. Era quasi arrivata, finalmente.
Era distrutta.
Entrò nel garage e spense il motore.
Prese un grande respiro appoggiando il capo sul poggiatesta e chiuse per un momento gli occhi, nel tentativo di ricaricare le energie.  Era stata così poco tempo a casa nelle ultime due settimane che Tommy e Julia non le avrebbero dato tregua.
Giustamente.
Sorrise.
Un pensiero arrivò veloce e improvviso e sentì il suo cuore accelerare. Prese in mano il cellulare e cercò le note dove si appuntava separatamente cose professionali e personali. Controllò la nota aperta e corrugò la fronte. Il cuore le martellava forte in petto.
Respirò lentamente un paio di volte in modo volutamente lento e ritmato, riappoggiò la testa indietro e chiuse nuovamente gli occhi. Assaporò quella nuova consapevolezza lentamente, apprezzando quella sensazione di tranquillità che le aveva invaso l’anima. Le mancava Castle più che mai, avrebbe voluto averlo accanto a lei quella sera e non disperso chissà dove. Sospirò e dopo pochi secondi si riscosse, sussurrando a se stessa un “forza e coraggio” e si diresse verso l’ascensore.
All’interno del loft regnava una discreta confusione. Tommy stava rincorrendo la sorella per tutto il salone e cercava di colpirla con la spada laser. Castle aveva iniziato a giocare con i bambini, allo stesso gioco che per anni aveva condiviso con Alexis, molto presto.  Si ricordava ancora quando era rientrato con quell’armatura taglia 2/4 anni. Beckett ne era stata molto felice perché quella era l’ennesima dimostrazione che Rick sarebbe stato non solo un padre premuroso e attento, ma anche giocherellone, esattamente come lo era stato con la sua primogenita. Si ricordava ancora quando, incinta di Tommy, si domandava tra sé e sé che genitore sarebbe stato Castle per il loro figlio. Aveva cresciuto Alexis da solo sin dall’inizio, ancor prima della separazione da Meredith, che di fatto non aveva mai realmente svolto il suo ruolo di madre. Ma con lei sarebbe stato diverso, lei ci sarebbe stata eccome. All’improvviso, dal primo momento in cui era rimasta incinta si era sentita assolutamente sicura di sé. Certo, aveva mille dubbi e mille domande su aspetti pratici e concreti ma era sicura che il suo istinto materno sarebbe uscito fuori in maniera prorompente. E così era stato.
Una giovane donna sui venticinque anni, bionda e sorridente le si avvicinò.
“Bentornata Kate”
“Ciao Sally”
“Oggi prima del solito?”
“Sì, l’abbiamo preso finalmente. “
Poi rivolta ai bambini “Hey, nessuno mi viene a salutare?” disse allargando le braccia.
“MAMMAAA” disse Julia andandole subito incontro saltellando.
“COLPITA!” gridò di rimando Tommy mentre il corpetto della sorella si era illuminato di rosso. Aveva subito approfittato della distrazione della piccola.
“NON E’ GIUSTOOO, NON VALEEE, MAMMAAA!” cominciò ad urlare Julia dimenticandosi di salutare la mamma ma andando da lei in cerca di giustizia.
“BUGIARDA! Sì che è giusto. Non hai detto toppa!” rispose sulla difensiva Tommy.
“Non conta è arrivata mamma. MAMMAAA diglielo tu che non ha vinto”
“BASTA! Sono rientrata e vi ho chiamato io, quindi il time out l’ho chiesto io, ok?”
“Toppa, mamma, si dice toppa” disse uno scocciatissimo Tommy “non impari mai!” detto questo scosse la testa teatralmente: i geni della nonna avevano saltato una generazione evidentemente.
Sally si avvicinò a Tommy per intervenire ma Kate la fermò con un gesto della mano.
“Ok ragazzi. Ricominciamo. La mamma è tornata e ha per voi una notizia buona, una buonissima e una cattiva. Quale volete sapere per prima?”
I due piccoli di casa risposero contemporaneamente.
“La buonissima!” urlò un’entusiasta Julia.
“La cattiva” fu invece la risposta di Tommy.
“Ok! Decido io, iniziamo dalla buona: la mamma stasera è tutta per voi e domani vi accompagnerò a scuola e sarò io a venirvi a riprendere. Contenti?”
Mentre dei siiiii riecheggiavano nel salone, Beckett si rivolse a Sally
“Ho pensato che puoi prenderti un giorno libero, considerando gli orari che ti ho chiesto di fare nelle ultime settimane avrai sicuramente delle cose da fare”.
“Oh Grazie. Effettivamente mi fa molto comodo un giorno libero. Ho un esame all’università ma mi mancano delle dispense e il tutor le consegna solo di persona… tanto per semplificarci la vita”.  disse storcendo la bocca
“E la buonissima?” chiese impaziente Julia.
“Papà mi ha scritto una mail e dice che tornerà presto. Mi ha chiesto di salutarvi e di abbracciarvi. Gli mancate tantissimo”.
“Wooow! EVVIVA!!! “disse Julia con un sorriso aperto, che ricordava tanto quello della mamma, mentre batteva le manine per la gioia.
“E la cattiva?” chiese Tommy
“La cattiva è che stasera ceniamo insieme ma dopo andiamo tutti a letto presto perché sono distrutta.”
“Ce lo avevi PROMESSO! ” gridò Tommy allontanandosi arrabbiato.
Kate fece scendere dalle gambe Julia e si alzò per andargli dietro.
“Tommy vieni qui!” esclamò avvicinandosi a lui.
“NO!”
“Ok, come vuoi, ma ascoltami. Mamma è stanca e so che vi avevo promesso che appena finito il caso avremmo giocato tutti e tre a laser game, ma credimi non ce la faccio, ho dormito pochissimo negli ultimi giorni e non riuscirei a giocare bene. Non ti divertiresti.” provò a convincerlo.
“LO AVEVI PROMESSO” urlò ancora Tommy cercando di ricacciare indietro le lacrime.
“Lo so. E le promesse sono promesse. Ma ti divertiresti a giocare se poi mamma è così stanca che riesci a prendermi subito? Non ci sarebbe storia stasera, Tommy!” cercò di convincerlo.
“Dovevi farci lezione di mira e insegnarci le strategie di alleanze per battere papà” disse in tono un po’ più conciliante ma non celando tutta la sua delusione.
A Kate si strinse il cuore.  Aveva sempre mantenuto le promesse fatte ma quella sera si sentiva esausta a dir poco.
“Tommy non sto scherzando: sono davvero stanca e non riuscirei stasera a combinare nulla di buono. Tu non ti divertiresti e se ti conosco un po’, ti arrabbieresti anche molto, perché non mi riuscirei ad impegnare a sufficienza!” gli cinse un braccio intorno alle spalle e provò a ricondurlo al divano dove Sally aveva preso Julia in braccio per non farla intervenire.
“Non è possibile mamma, tu sei sempre la più forte. Papà non ti ha mai battuto e avevi promesso che ci avresti aiutato!” disse con un filo di voce.
Kate gli accarezzò la testa e si inchinò per guardarlo negli occhi. Fu sufficiente.
“Ok, ok, ma stanotte dormi perché domani sera giochiamo, d’accordo?” chiese Tommy con gli occhi ancora lucidi tirando su col naso.
“Intesi. Promesso. E ora venite qui e datemi un abbraccio coccoloso” allargò le braccia e fece sedere i due figli uno su una gamba e una  sull’altra.  Strinse forte pensando con nostalgia all’anello mancante di quell’abbraccio.
“Kate, se vuoi riposarti penso io a dar da mangiare ai bambini” disse Sally che aveva assistito con discrezione a tutta la scena.
“No, grazie Sally, me ne occupo io. Puoi andare. Ci vediamo dopodomani” rispose gentilmente.
“Ok come preferisci. La cena è già pronta nel forno” disse mentre si infilava il giaccone.
“Tu sei un angelo” fu la sincera risposta.
“Ah dimenticavo: ha chiamato la signora Rodgers, ha lasciato detto che sta bene e che adesso si trova a Roma. Domani il tour si sposta in Polonia, a  Cracovia. Mi ha detto che se hai bisogno di contattarla puoi chiamarla al numero che ho scritto nel blocchetto accanto al telefono in cucina” fece un cenno di saluto con la mano e richiuse piano la porta.

Dopo cena Beckett lasciò che i figli guardassero un po’ di cartoni animati in tv fino alle nove così lei avrebbe avuto il tempo di sistemare la cucina e di andare a controllare se Rick avesse mandato una nuova mail.
In quel momento il telefono di casa squillò.
“Pronto?” rispose al terzo trillo dopo essersi asciugata le mani sul canovaccio appoggiato sul bancone.
“Quant’è bella la tua voce!” poco più di un sussurro si sentì dall’altro capo del telefono.
“Rick? Sei tu?”
“SIIIIIII’, ho trovato campo. Come stai Kate? E i bambini?”
Kate si appoggiò ad uno sgabello e poi ci salì sopra. Era emozionata. Si sentiva come una ragazzina ma era giustificata, non lo sentiva da giorni.
“Rick, dove sei? Noi, noi … stiamo bene. I bambini stanno guardando un po’ la tv mentre io sistemo qui in cucina… ma dimmi di te. Dove sei? Stai bene? Hai avuto problemi con i ribelli?” chiese ansiosa di sapere che fosse tutto veramente a posto.
“Guarda, i ribelli della FARC li ho incontrati una sola volta, sono nel sud est della Colombia anche se non so di preciso dove. So solo che il territorio ora è meno selvaggio e siamo arrivati in un insediamento rurale abitato. Sto bene, ho sempre mangiato e sono solo distrutto fisicamente: non sono abituato a camminare per così tanti giorni di seguito”.
 “Castle quante volte te l’ho detto che dovresti fare un po’ di movimento in più?” Una risata cristallina risuonò nell’etere mentre Castle cercava di farsi rispettare cercando di trasmettere con qualche verso il suo temutissimo e considerato  sguardo da tenerone.

In quel momento il campanello della porta suonò due volte.
“Uh, Rick, aspetta. Suonano alla porta.  A quest’ora? Strano?”
Tommy era già sceso dal divano e si era precipitato a spalancare la porta.
“PAPAAAAAA’ sei tornato!!!!”. L’entusiasmo del piccolo era incontenibile. Lo abbracciò con la faccia immersa nella pancia mentre la piccola Julia era riuscita già ad afferrare e stringersi forte ad una gamba.
Castle portò istintivamente le braccia sulle spalle dei figli per ricambiare quell’affetto. Un’accoglienza così gli faceva dimenticare tutta la stanchezza e la fatica delle ultime giornate.
Kate, a pochi passi da quella scena, rimase senza parole, vedendo Castle che abbracciava i figli tenendo ancora il cellulare in mano.
Abbracciava i bambini ma lo sguardo era fisso su di lei.
Lacrime di commozione e felicità le inumidirono appena gli occhi mentre un sorriso enorme le illuminò tutto il viso. In pochi istanti l’abbraccio familiare fu completo anche dell’anello mancante.

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Spazio di Monica:
Capitolo con tanto spazio a mamma Kate e con la sorpresa del finale: Castle è tornato!
Mancava un po’ a tutte, me lo avete fatto capire a gran voce ;-)

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Capitolo 3
*** San Valentino ***






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San Valentino

Con l’arrivo di Castle i programmi della serata erano stati completamente sconvolti. I bambini avevano preteso di giocare con il loro papà e fino alle 23 non erano riusciti a metterli a letto.

La stanchezza di Beckett si era volatilizzata per qualche ora, l’eccitazione aveva preso il sopravvento sulla mancanza di sonno. Ancora non credeva allo scherzo che le aveva fatto il marito, la mail, la telefonata e invece lui stava già rientrando a New York. 

Le aveva detto che voleva farle una sorpresa per il giorno di San Valentino rientrando anticipatamente. Effettivamente Kate non poteva negare di aver apprezzato molto questa improvvisata. Non le sarebbe piaciuto passare il suo primo San Valentino da sola da quando stava con Rick, ma ormai si era rassegnata a farlo e invece…

Castle si era offerto di mettere a letto i bambini così lei aveva avuto il tempo di farsi una doccia con tutta calma. Da quando era rientrata in casa non si era fermata un momento. Prese il suo morbido accappatoio, quello che Rick le aveva regalato a Natale, quello del nuovo marchio della ATP Style, con i trenini e le biciclette. Cominciò a frizionarsi la testa con un telo di spugna.  Si abbassò per prendere il phon riposto nel mobiletto sotto il bancone dei due lavandini gemelli e iniziò ad asciugarsi i capelli.

Lo specchio rifletteva le profonde occhiaie per il mancato sonno dell’ultimo periodo e Kate notò con un po’ di fastidio le rughe intorno agli occhi che le sembravano più accentuate. Sorrise e distese le labbra più e più volte cambiando espressione per vedere se per caso fossero evidenziate da un gioco di luci e ombre. Dovette suo malgrado constatare che gli anni passavano per tutti. Era una bella donna, ne era consapevole: suo marito non faceva che dimostrarglielo in tutti i modi. Non solo glielo diceva, lo dimostrava ogni giorno con i fatti. Lo sguardo con cui la squadrava nei loro momenti d’intimità diceva a Kate molto di più di quello che avrebbero potuto esprimere mille parole. Le frasi dette nell’euforia di un amplesso possono essere molto più false di uno sguardo silenzioso ma intenso. Nessuno è capace di far brillare gli occhi a comando… tranne gli attori, si ritrovò a pensare. Ma nel pomeriggio aveva definitivamente deciso che i geni della recitazione della nonna avevano saltato una generazione, quindi poteva stare tranquilla: gli sguardi di Rick erano sinceri. Sorrise per quei pensieri buffi che le erano venuti in mente, e si ritrovò a riflettere a tutte le cose che avrebbe voluto dirgli e condividere al più presto con lui, compreso quel pensiero fugace che aveva avuto in macchina rientrando a casa e che non l’aveva più abbandonata per un solo istante.  Si passò di nuovo le mani intorno agli occhi e scosse leggermente la testa, forse stava davvero invecchiando. Aver passato la quarantina era una condanna per tutte le donne da un punto di vista fisico eppure lei si sentiva in forze, bella e attraente come non mai.  

Sorrise abbassando gli occhi e spegnendo il phon.

“Si può sapere a cosa stai pensando?” disse d’un tratto Castle appoggiato allo stipite della porta, in un punto che non era coperto dalla visuale dello specchio.

Beckett si girò di scatto, sorpresa di non essere sola e colta in fragrante nel pieno della sua distrazione.

“Penso…”

“A quanto sei bella?”

“Alle rughe” rispose lei indicando gli occhi con il dito indice e facendogli una linguaccia.  Poi proseguì “ Da quanto sei lì?”

“Da abbastanza per sapere che i tuoi pensieri andavano ben oltre le rughe… che tra parentesi ti rendono ancora più affascinante e interessante” si avvicinò e la baciò sulle labbra.

“Bentornato a casa” gli sussurrò con dolcezza a pochi centimetri dalla sua bocca..

“I bambini mi hanno detto che sei stanchissima e che ti sei rifiutata di giocare con loro, nonostante l’avevi loro promesso…” 

Kate storse il naso e si limitò ad annuire.

“Potevi andare a dormire. C’ero io con loro. Almeno avresti potuto recuperare qualche ora di sonno.”

“Castle sei stato via quattro settimane e ora che sei tornato, pensi davvero che me ne sarei andata a letto così, senza scartare il mio regalo di San Valentino?” disse con tono seducente iniziando lentamente a sbottonargli la camicia.

“Io… io non ti ho fatto un regalo, in effetti.” rispose molto imbarazzato. Preso dall’euforia del rientro anticipato aveva lottato con coincidenze aeree  e non aveva avuto un solo attimo per fermarsi a comprarle  qualcosa.

“Ah no?” domandò mordicchiandogli un labbro che poi prontamente andò a lambire con la lingua “ e questo? Non è il mio regalo?”

Sfilò la cinta dell’accappatoio e la passò intorno alla vita di Castle per poi apprestarsi a fare un fiocco molto accurato.

Castle la baciò sorridendo mentre le mani scivolarono all’interno del tessuto e le cinsero i fianchi, accarezzandoli con desiderio.

A quel punto Kate continuò con determinazione la sua opera di spacchettamento, canticchiando di tanto in tanto il tormentone di ogni festa di bambini “Scartalacarta! Scartalacarta!”. Cercava di rimanere seria e di non farsi distrarre dalle manovre di disturbo del marito. 

In pochi istanti sentì le calde mani di Castle che le accarezzarono tutto il corpo e un brivido la percorse propagandosi lungo i lombi. Quanto aveva aspettato quel momento! Quattro settimane ormai erano un’eternità. Erano anni che era abituata ad un contatto fisico quotidiano e ogni tocco, ogni carezza parevano fuoco che si accendeva dall’interno. Alzò una gamba per avvolgerla intorno alla vita di Rick, ormai rimasto solo in boxer, e subito una stretta decisa e focosa le afferrò il gluteo per poi spaziare all’interno della coscia.

Kate si lasciò sfuggire un sospiro di apprezzamento, inclinò la testa sulla sua spalla e lui le avvicinò contro il bacino con forza facendole sentire tutto il suo ardore.

Con voce roca le sussurrò “I’m on fire” citando Bruce Springsteen.

Per un momento tutto sembrò fermarsi, percepirono ad ondate il calore della pelle dell’altro e si guardarono con intensità. Due zaffiri splendenti rilucevano di amore e desiderio penetrando nelle iridi di sua moglie scurite dall’eccitazione e umide per la commozione. Le mani s’intrecciarono lentamente in un gesto conosciuto e ripetuto migliaia di volte.

Kate con i capelli ancora un po’ umidi, si spostò mantenendo il contatto visivo e lo condusse in camera.

Piano si adagiarono sul letto, con lentezza, come se volessero assaporare ogni momento di quel preludio amoroso fatto di sguardi, carezze e lievi baci. L’intensità della passione ritrovata li travolse poco dopo all’improvviso, innalzandoli verso vette che rimangono impresse nella memoria per tempo indefinito.

 

La penombra rischiarava l’ambiente con luce proveniente dalla città, attraverso le tende lasciate parzialmente aperte.  

Accovacciati, stretti su un fianco continuavano a raccontarsi gli eventi delle settimane trascorse in lontananza. 

Castle raccontò della sua esperienza accanto ai ribelli della FARC e di tanti comici eventi in cui era stato suo malgrado vittima a causa della sua poca consuetudine alla vita rude e senza confort. 

Beckett gli raccontò della sua decisione di creare un team congiunto con le squadre investigative di Esposito e Ryan e di quanto le fosse piaciuto ritrovare quella complicità di squadra che in parte avevano perso. 

Gli descrisse tutta la sua frustrazione per quel caso complicato e per non esser potuta rimanere giorno e notte al distretto mentre i suoi uomini erano lì senza risparmiarsi. 

Gli raccontò di come sua madre fosse partita per quel tour in Europa, un revival di attori provenienti da tutto il mondo e che erano stati protagonisti assoluti del mondo dello spettacolo negli anni ‘70 e ‘80. 

Gli parlò dei bambini e di quello che avevano combinato in sua assenza, di come avessero manifestato apertamente la sua mancanza. 

Gli disse di quanto era stata cara Alexis che un paio di volte si era presentata a cena da loro e di come avesse giocato con i fratelli, permettendole di lavorare qualche ora in più. 

Gli riferì di come Sally fosse stata fantastica con i bambini e di come fosse stata disponibile a coprire ogni emergenza in queste settimane di assoluta criticità. 

Gli rivelò della sua mancanza nel non aver ancora telefonato al suo amico Bob Weldon per le congratulazioni e di come avesse ricevuto una chiamata inaspettata dal governatore Cuomo in persona.

“Insomma Kate, io sono partito per un viaggio d’avventura ma la tua vita di queste settimane è stata più movimentata e piena della mia!” esclamò Castle fingendosi scocciato.

“Ma che dici?”

Risero, felici di essere di nuovo insieme.

Ad un certo punto, Beckett si girò per guardare Castle negli occhi. Con una mano lo accarezzò gentilmente seguendo le linee del viso.

“Che c’è?” le chiese.

“Niente. Solo una cosa… ti devo dire una cosa.”

Con l’altra mano cercò un contatto con quella di Rick.

Lui la strinse a sé, la baciò sulla fronte e poi sulle labbra e le sorrise. Un sorriso meraviglioso.

“Lo so quello che vuoi dirmi” e le sistemò i capelli dietro l’orecchio per poi lasciarle piccoli baci sulle labbra.

Incuriosita e indispettita da quell’aria da so-tutto-io, Beckett lo stuzzicò “Questa volta non puoi saperlo perché in realtà non lo so nemmeno io, è solo un’idea, un pensiero…”

“Sei incinta. Lo so.” le disse come se fosse la notizia più scontata e ovvia.

Kate lo guardò ammirata. 

Ancora una volta era entrata in connessione con la sua mente e l’aveva anticipata ma questa volta era troppo. Lei aveva solo formulato un pensiero ipotetico.

“Ma che dici? Come fai a dirlo? Non ne sono sicura neanche io! Solo stasera mi sono resa conto di avere un ritardo di una settimana e visto il periodo che ho passato potrebbe essere stato benissimo lo stress.” disse poco convinta.

“Kate. Tu sei incinta. Ne sono sicuro.”  continuava ad accarezzarle il viso.

Kate rimase con la bocca aperta. Non riusciva a capacitarsi di ciò che stava succedendo e da dove arrivasse tutta quella sicurezza e spavalderia. Non che fosse una cosa nuova per lui, ma da quando in qua un uomo viene a sapere prima della donna di aspettare un bambino?

“Non mi venire a tirare fuori le strambe teorie dell’uomo venuto dal futuro. Come vedi non sono una senatrice…” replicò con decisione.

“No. Non ancora, in effetti.” precisò Rick indispettendola.

“Kate. Lo so perché…” appoggiò una mano sul suo seno e lo accarezzò con un movimento circolare per poi fermarsi, piegare la mano a coppa per contenerlo e sorriderle di nuovo “lo so, Kate, perché me lo dice il tuo decolté . Hai lo stesso seno che hai avuto quando sei rimasta incinta di Tommy e poi di Julia e io non l’ho mai dimenticato. Perché è bellissimo. Tu sei bellissima. ”

Questa volta l’aveva proprio sorpresa. Kate si guardò il petto e si accarezzò, sentendo lei stessa il turgore che non aveva ancora notato. Come faceva Castle ad essere sempre così attento? Possibile che avesse ragione? Possibile che fosse davvero incinta? 

Rick la stava accarezzando e poi stringendola a sé e non smetteva di osservarla. Corrugò la fronte.

“Non sei contenta? Sei spaventata? Ne avevamo parlato, non puoi esserne così sorpresa. Sai bene che negli ultimi tempi non stavamo prendendo precauzioni. Kate. Guardami!” Rick era preoccupato. Per un attimo ebbe timore che ci avesse ripensato, che non lo volesse davvero un altro figlio ora che era diventata il più giovane capitano della storia della polizia di New York.

Lentamente Kate alzò lo sguardò e incrociò il blu dei suoi occhi. 

“Sei così sicuro…” disse con un filo di voce  “io… io sono felice.“ poi un po’ più forte “sì sono felice. Tu sei tornato da me e siamo incinti” teneva lo sguardo inchiodato al suo e un sorriso splendido le illuminò tutto il volto. Poi, con un tono quasi accusatorio, allontanandolo un po’ da sé, proseguì “ma … ma tu mi hai tolto anche il gusto di fare il test domani mattina!!!” 

Castle tese le braccia verso di lei e la riattirò a sé. Era tornato a casa, aveva avuto un’accoglienza fantastica da parte dei bambini e sua moglie le aveva fatto il regalo di San Valentino più bello che si ricordasse. Eppure Kate Beckett era una maga nello scegliere i regali per la festa degli innamorati, sin dal primo anno che stavano insieme. Dal cassetto in poi, ogni anno era riuscita a rendergli veramente speciale quel giorno, sempre con regali non materiali ma con pensieri, lettere e vere dimostrazioni di amore.

Si addormentarono poco dopo, abbracciati nella stessa posizione in cui si svegliarono il mattino dopo.

La famiglia Castle stava per allargarsi di nuovo e un’altra splendida giornata di San Valentino era giunta al termine.

 

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Spazio di Monica

 E siamo giunti anche alla fine di questa storia. So che per molti c’è troppo miele ma ogni tanto non guasta.

Ringrazio tutte le persone che hanno dedicato parte del loro tempo a leggermi e a recensirmi e ringrazio soprattutto chi, con affetto palese, mi scrive lo stesso bellissime mail e c’è sempre, anche quando so che ha pochissimo tempo in questo periodo. <3

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