Love has broken the rule - L'amore ha rotto la regola

di StClaire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - In medias res ***
Capitolo 2: *** The accident ***
Capitolo 3: *** The 2nd meeting ***
Capitolo 4: *** Thoughts. ***
Capitolo 5: *** Rave Party ***
Capitolo 6: *** The Girl In Holland ***
Capitolo 7: *** What's your number? ***
Capitolo 8: *** Shopping ***
Capitolo 9: *** Takin' a ride ***
Capitolo 10: *** After the ride. ***
Capitolo 11: *** Veggie ***
Capitolo 12: *** Cops! ***
Capitolo 13: *** Upside/Down ***
Capitolo 14: *** Here again - Annuncio ***
Capitolo 15: *** Lost in thought ***
Capitolo 16: *** Math&Beer ***
Capitolo 17: *** Sex On The Beach ***
Capitolo 18: *** Dinner ***
Capitolo 19: *** Revelations ***
Capitolo 20: *** Turning table ***
Capitolo 21: *** Smash Up ***
Capitolo 22: *** Pure. ***



Capitolo 1
*** Prologo - In medias res ***


Prologo

In medias res
 
La vide ballare quella musica di merda davanti alle transenne, di fronte alla consolle.
Raggiungerla sarebbe stata per lui un’epopea, già essere lì dentro da almeno 15 minuti era una gran vittoria.
Quindici minuti in uno stanzone che andava contro tutte le sue morali di lavoro.
In quel centro sociale, c’era tanta di quella gente che avrebbe potuto arrestare che quasi si sentiva impotente, pensava.
La prima da sbattere in una cella era proprio lei, che tanto si dimenava, praticamente nuda, con indosso la solita canotta extra large che tanto lasciava vedere.
Ad un certo punto, la sua attenzione fu attirata da un cartello all’entrata che recitava – Questa non è una piazza di spaccio – sbuffò, sorridendo al solo pensiero di quante persone se ne infischiavano di quelle parole.
Tornò a controllare la consolle e notò che lei stava cercando di liberarsi da un tizio che le si strusciava contro.
“E’ ora di andarla prendere” pensò buttandosi nella mischia.
Non si sentiva a disagio in quel momento. Non doveva. Il fatto di essere in borghese in una non-piazza di spaccio non gli faceva né caldo né freddo. L’unica cosa che lo preoccupava era la sua possibile reazione quando l’avrebbe visto.
Si avvicinò alla sanguisuga prendendola per la collottola e lo mandò via, poi cinse un braccio attorno alla vita della ragazza, che si girò guardandolo più che sorpresa.
- Che cazzo ci fai tu qui? – urlò più per sorpresa che per farsi sentire.
- Dobbiamo parlare – urlò lui al suo orecchio per sovrastare quel baccano – prima che uccida quel tipo. Forza – si staccò dal suo viso e si voltò trascinandosi lei per un braccio al di fuori di quel covo.
- Aspetta. La mia roba! – si voltò all’indietro e dopo due secondi era già da lui, con un espressione curiosa in volto.
- Dove andiamo? – chiese una volta fuori.
- In un posto, ma prima vestiti – fece lui fissandola.
- Che c’è? Sono vestita – rispose lei sorridendo maliziosamente.
- Oh, certo. Se per un micro pantaloncino e una canotta con scritto sopra una frase incomprensibile che più di una scollatura ha uno squarcio, intendi dei vestiti, allora rettifico e dico: copriti –
- Mmmh, come siamo suscettibili davanti ad un corpo femminile. Sicuro di essere sposato? –
- Come scusa? –
- Sicuro di essere sposato? – chiese di nuovo le indossando una felpa.
- Come fai… -
- A saperlo? Semplice. Ho chiesto in giro. A quanto pare siamo in due ad indagare qui – esclamò sorridendo.
- Io non indago sulla tua vita privata –
- No, certo che no, ma ultimamente sei costantemente presente. Allora, dimmi. Che vuoi stavolta? –

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Capitolo 2
*** The accident ***


Capitolo I
 
The accident
 
- Quell’auto sta correndo un po’ troppo, secondo me, si schianta – disse Emilio mentre eravamo fermi al semaforo.
Neanche il tempo di finire quelle parole, che l’Audi ci sorpassò andandosi a schiantare contro un palazzo, usando un palo come rampa di lancio.
- Ooooh cazzo!. Si sarà sicuramente fatto male! Scendiamo? – chiesi io alquanto scossa dall’accaduto abbassando il finestrino dell'auto.
- Ma sei pazza? Abbiamo bevuto, abbiamo tipo 10 gr di erba addosso e vuoi scendere? Che cazzo gli diciamo ai carabinieri poi? – sbottò lui.
- Vuoi che con un tipo probabilmente morto, in un Audi schiattata in un palazzo, vengano a rompere le palle a noi? – risposi acida.
- Potrebbero darci la colpa dell’incidente – fece serio lui.
Io alzai le spalle, in fondo aveva ragione, ripensandoci.
- Come non detto, andiamo –
Mettemmo in moto proprio mentre le prime persone iniziarono a scendere dal palazzo, svoltammo alla rotonda e prendemmo la direzione del "Lago” dove i nostri amici ci aspettavano.
Era tardi, notte, non avremmo dovuto avere problemi con “i guardi” in quelle zone a quell’ora, per questo eravamo tanto sicuri di noi e del percorso che avevamo sempre fatto, ma quell’incidente aveva richiamato troppa attenzione.
Infatti ad un incrocio vi era una pattuglia della polizia ferma ed una moto accanto.
C’erano tre uomini, due in divisa, poliziotti ovviamente, ed un altro accanto.
Era alto, dai capelli scuri e indossava magnificamente una giacca di pelle.
“Carino, anche io l’avrei fermato” pensai.
Invece ad essere fermati eravamo noi, il poliziotto ci fece segno di accostare e così Emilio iniziò a bestemmiare.
- Calmati – dissi io infastidita.
Lui sbuffò per risposta, mentre lo sbirro si avvicinò a noi.
- Buonasera ragazzi –
- Salve – rispondemmo noi.
- Che ci fate a quest’ora ancora per strada? –
- Torniamo a casa, eravamo da alcuni amici – mentì Emilio.
Lo sbirro annuì e poi si voltò verso il collega che continuava a discutere col tipo della moto, si avvicinò a loro e chiese qualcosa, e poi tutte e tre si voltarono verso me ed Emilio che aspettavamo in macchina.
- I pezzi li hai tu vero? – mi chiese Emilio.
- Yes, nel reggiseno, come sempre –
- Bene, non ti chiederanno nulla, sei donna, non possono perquisirti, ricordalo –
- Lo so – sorrisi.
Ad un certo punto i due sbirri si avvicinarono a noi e chiesero di scendere dalla macchina.
Noi acconsentimmo ed una volta scesi ci chiesero i documenti.
- Io non li ho – feci io.
- Davvero? –
- Si – sbuffai. Ma gli pareva che dovessi mentire?
- Non hai nessun documento che possa riconoscerti? –
- Se ho detto di non avere documenti… -
- Bhè, e se non hai documenti sai che c’è? – rispose lo sbirro – c’è che te ne vieni con noi in caserma –
- Non mi sembra il caso – fece Emilio.
- Vuoi unirti a lei… - lesse sulla sua carta d’identità -…Emilio? –
- Se devo, perché no? –
- Lascia perdere ragazzino – sbottò all’improvviso il tipo della moto – lascia fare il proprio lavoro alla gente – ci squadrò serio, per una manciata di secondi, nei quali potei capire che aveva gli occhi molto chiari.
- Io vado – disse distogliendo lo sguardo. Salì sulla sua moto e se n’andò.
- Torniamo a noi – fece il tipo con ancora i documenti di Emilio in mano – tu entra in macchina e tu – si rivolse ad Enrico – se vuoi, ci vediamo in Caserma –
 
 _


- Allora… Bianca. Raccontami un po' della tua serata – il motociclista figo mi sedeva davanti. Era il Commissario della zona, e da quanto avevo sentito dire dai miei amici che avevano avuto la “sfortuna” di incrociarlo, era lo sbirro più cattivo e violento dell’intera provincia.
Sbottai – Cosa vuole sapere? –
Lui mi guardò serio e infastidito allo stesso tempo – Della tua serata – scandì bene le parole.
Sorrisi di sbieco – E’ stata una lunga e movimentata serata, vuole che inizi da qualche evento preciso? –
Lui mi guardò fisso con i suoi occhi grigi. Erano esattamente grigi, chiarissimi. Autoritari quanto chiari.
- Da dove stavi tornando, quando la pattuglia ti ha fermata? – domandò.
Tentennai un attimo – Da casa di amici in campagna – risposi controvoglia. Speravo solo che non fosse a conoscenza della base dietro il ponte.
- Che strada avete fatto? –
Tentennai di nuovo, avevo paura di fornirgli troppe indicazioni – La casa si trova a L. alla destra del ponte. Passando il ponte, si arriva ad una rotonda. Alla rotonda si esce alla seconda e lì avanti ci siamo incontrati – sorrisi.
Lui mi guardò serio poi aggiunse – La rotonda è quella per G.? –
- Sì –
- Sai che c’è stato un incidente lì? –
Io annuì ed aggiunsi – Un Audi A1 bianca. Avevamo appena impegnato la rotonda –
- E non vi siete fermati? – chiese.
Io scossi la testa – Io volevo, ma era tardi, dovevamo tornare, non avevo soldi sul cell per avvisare i miei. E poi – aggiunsi – subito era scesa gente in strada -
- E non ti è passato per la testa che potevi chiamare aiuto? -
- Certo. Ma come potevo chiamare io potevano chiamare gli altri – sorrisi – non volevo rischiare di intasare la strada -
- Oh. Che pensiero ammirevole – sogghignò – Comunque, mi sembra che tu ti trovi a tuo agio con noi -
Ghignai a mia volta – Forse perché non ho nulla da temere – risposi.
- Ah. Quindi non ha a che fare col fatto che già sei stata qui altre volte – rise.
Io sbiancai – No. E' stato tempo fa. Tanto tempo fa -
Lui annuì e poi mi chiese – Come è andata al SeRT? -
Io alzai le spalle - E' andata – sbuffai – solite domande idiote dei soliti psicologi incapaci – sorrisi - “Perché ti fai questo?, “Perché ti rovini così?”, “Cosa ti spinge a farlo?” - sbuffai nuovamente – Le solite stronzate del SeRT. Appunto -
Lui sorrise lievemente ed annuì – Va bene... Bianca. Puoi andare – Si fermò a leggere la mia cartella – Non abiti in queste zone vedo -
- No -
- Mi sa che ci vedremo presto -
- Che gioia – sussurrai quel tanto da farmi sentire.
- Poi vedremo –
Mi alzai e lo lasciai a sorridere da solo. Anche se sentivo il suo sguardo addosso.

_


- Scendo io o scendi tu? - chiese Emilio.
- Ovviamente vado io. I pacchetti che danno a me non li danno mai a te – risi.
- Grazie al cazzo. Sei una fottuta donna -
- Lo so! - continuai a ridere.
Eravamo dietro le case popolari del comune, quasi tutte le basi del posto si trovavano in zone come questa. Oppure erano sui corsi, nelle piazzette dei quartieri, o addirittura nelle case della gente.
Noi andavamo sempre alle solite due: questa delle case popolari, perché era più vicina, i pezzi erano mediamente accettabili, ed ogni tanto si trovava anche merce “pregiata”.
La seconda, era quella dietro L., ma quello era un privato, era più lontano, e il prezzo a grammo era più alto.
Era a L. che avevamo incontrato la polizia.
Erano passate un paio di settimane dalla discussione in caserma con lo sbirro. Chiedendo in giro ero venuta a sapere che si chiamava Vittorio, aveva una trentina d'anni, e che prendeva molto a “cuore” il suo lavoro. Ma lo praticava in modo molto personale.
Emilio stesso mi aveva raccontato che un suo amico era finito in ospedale per via di Vittorio. L'aveva trovato con l’erba addosso ad un posto di blocco, se l'era caricato in macchina, l'aveva portato in un posto sperduto, e tra un cazzotto e l'altro, gli aveva fatto uscire il posto preciso e le modalità d’acquisto della base da cui stava tornando.
Una settimana dopo, c’era stata una retata e tutti erano stati arrestati.
A quanto ne aveva raccontato il tipo picchiato, era un pazzo.
Fortunatamente io da quella volta non l'avevo visto più, sperando che non dovessi più incontrarlo.
- Vado! – esclamai.
- Vai, torna vincitrice! – disse facendomi l’occhiolino.
Io risi e m’incamminai verso il palazzo dove di solito si mettevano i bravi ragazzi tanto dediti al lavoro sporco.
Girai l'angolo e vidi una strana scena, c'erano troppo persone in quel posto.
- Che vuoi? -
Una voce mi fece voltare improvvisamente. Dovevo imparare a non pensare che gli eventi non accadessero per non farli accadere.
- Due venti – dissi ironicamente.
- Due cosa? - mi chiese Vittorio ritto davanti a me, con una voce malefica.
Io sbottai – Niente. Non voglio assolutamente niente – lo guardai con astio. E lui rispondeva egregiamente al mio sguardo.
- Allora vattene se non vuoi ritornartene in Caserma con me – sbraitò.
Lo guardai male – Che palle – guardai il “palo” che vendeva, con la testa schiacciata nel muro circondato da sbirri che gli urlavano contro.
- Vattene! - tuonò lui.
- Me ne sto andando, cazzo! -
- Ragazzina! - chiamò mentre mi stavo avviando da Emilio – domani sei in zona? – disse avanzando di qualche passo.
- Per te no! – lui strinse gli occhi infastidito.
Corsi verso la macchina di Emilio entrando in tutta furia.
- Che è successo? – chiese allarmato.
- Niente, non è giornata. Metti in moto e andiamocene. Veloce. – mi guardai intorno dal finestrino. Come avevano fatto a non accorgersi quelli della zona di quello che stava succedendo là dietro?
Appena la macchina di Emilio si mosse, vidi Vittorio che ci guardava fermo sotto il porticato.
- Ma è lo birro dell'altra volta? - chiese Emilio guardandolo dallo specchietto.
- Già. Che cazzo – sbuffai. Avevo il cuore accelerato.
- Ottimo – sbuffò - stiamo a piedi ora. Torniamo al Lago? -
Io annuì, ero troppo arrabbiata e non sapevo perché.
E poi, cosa voleva quel tipo da me? Perché voleva sapere se fossi stata in zona domani?
- Ma che è successo là dietro? -
- Niente. Te lo racconto al Lago – risposi semplicemente.
Arrivati al Lago ci sedemmo alla solita panchina all'ombra di un grande cipresso.
Il Lago, nonera un vero lago. Era una fossa in un parco pubblico del comune, dove di solito si svolgevano tutte le feste, i concerti, i raduni politici ecc... Era enorme, peccato che fosse abbandonata a se stessa. Il lago era la cosa più chimica che io avessi mai visto.
- Allora, che è successo? - mi domandò nuovamente Emilio.
Sbuffai – Quando ho girato l'angolo ho visto il tipo idiota che ultimamente sta vendendo circondato da un branco di guardi in borghese. Neanche il tempo di voltarmi per tornare indietro che è spuntato quel Vittorio che mi ha chiesto che ci facessi lì – alzai le spalle – Questo è successo – conclusi sbuffando nuovamente.
- Certo, che poliziotto acuto! – rise – che ci può fare una persona con dei soldi in mano dietro ad una base! -
Io risi insieme a lui. Infatti aveva ragione, ma forse lo sbirro lo aveva detto tanto per dire.
Mi guardai intorno. Davanti a noi c’era una coppia di badanti, credo. Polacche, ucraine forse. Ai nostri lati, un gruppo di adolescenti in calore, e una coppia di anziani.
 - Il problema è che adesso non abbiamo niente – aggiunse all’improvviso Emilio.
Io annuì distrattamente. Ero troppo presa dal pensare a lui. Non era mai successo, per quanto ne sapevo, che lui fosse stato presente a qualche retata. Me lo avevano descritto come un tipo autoritario e violento sì, ma anche molto discreto.
Scossi la testa per scacciare la sua immagine e tornai ad ascoltare Emilio che parlava della ragazza dei suoi sogni.


_____________________________

Primo e vero capitolo!
Lascio a voi commenti, sempre se vi aggrada di farlo, e intanto ringrazio chi ha recenstito, chi l'ha inserite tra le segute e le ricordate!
Credo che aggiornerò abbastanza spesso visto che mi sono data questa folle regola di aggiornare ogni volta che concludo un capitolo! Visto che ne ho già una decina, o meno, pronti, sono in pace con me stessa!

Un bacione, e fatemi sapere qualsiasi cosa, bella o brutta che sia!

StClaire

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Capitolo 3
*** The 2nd meeting ***


The 2nd meeting
 
P.O.V. - Vittorio
 
Quella ragazzina idiota e scorbutica mi dava troppo sui nervi. La solita stronza a cui piaceva fare la ragazza interrotta, l'adolescente in crisi, la ragazza difficile che si fa le canne di sta ceppa.
Non li sopporto, tutti quegli idioti che spendono i soldi dei propri genitori droga e merdate varie.
E adesso quel genio del Vice Questore, con la mania della scalata sociale, aveva deciso che per meritarsi la promozione, doveva sconfiggere il crimine dell’intera provincia, e a me toccava fare il Batman dei poveri e correre dietro a quella cretina per capire dove stavano tutte le basi del mondo.
Ma poi da cosa era ispirato quel genio di Vice Questore quella sera per costringermi a cercare quella ragazzina?
Che ne poteva sapere lei? Si, tutto quello che vuoi tu. Si fa le canne, quindi acquista. Ma mica girerà la provincia per comprare un pacchetto di merda?
I miei docili pensieri furono interrotti dalla sua vista.
La prima cosa che pensai e che io non avrei mai fatto scendere mia figlia conciata a quella maniera per andare a scuola. La maglietta era extra large le lasciava scoperta gran parte della spalla destra e sotto indossava delle calze nere.
Si bloccò di botto con ancora la cannuccia della sua RedBull in bocca quando mi vide.
Sbiancò e la cosa mi procurò un certo piacere. Non era vero che non aveva niente da temere. In quel preciso momento sentì nascere un ghigno sul mio volto, mi avvicinai lentamente a lei con ancora il “sorriso” sulle labbra e la salutai.
- Ciao Bianca – dissi sorridendo, mentre i suoi amici mi squadravano.
- Ciao sbirro – disse lei molto mestamente.
- Veramente un nome ce l'ho... – esordii.
- Si, è fa anche schifo... Vittorio. Che nome anacronistico – disse lei sprezzante.
- Ti sei informata a quanto vedo... mi devo lusingare? - chiesi continuando a sorridere. “Come cazzo faceva a saperlo?” mi domandai fingendo la calma assoluta.
- Come ti fa più comodo. Anzi se ti fa venire la voglia di andartene, fai pure. Emozionati, piangi, eccitati... Ma vattene – disse passando una cartina lunga al suo amico    seduto di fronte.
- Come siamo scorbutiche oggi! Sei così anche con i tuoi professori? Forse per questo ti hanno bocciata! – la derisi. “Odiabile”.
- Mio Dio! – esclamò -  sai anche che mi hanno bocciata, ma che fai? Investighi su di me? – disse fintamente allarmata.
- Ma anche no – dissi sprezzante -  ma vedi, non ci vuole una cima d'uomo per capire che una che ha vent'anni e sta ancora in 5° liceo, è stata bocciata – ghignai.
- A parte che ne ho 19, e in ogni modo non mi hanno bocciata per il mio carattere – sbottò.
“Permalosa” pensai.
- Allora immagino che ti abbiano bocciato per le canne – dissi sprezzante.
Lei paradossalmente sorrise – Bravo, ma allora non sei completamente idiota! – disse rollando un filtro da un pacchetto di sigarette.
Io sorrisi di rimando – Vedo che ti preoccupi della mia facoltà mentale, che tenera piccina. Comunque – mi ero scocciato di quell’amabile scambio di parole e dello sguardo da lesso del suo amico -  passando alle cose serie – dissi cambiando evidentemente tono, perché lei cambiò sguardo – Possiamo parlare in privato? - dissi guardando i suoi amici che chiudevano con noncuranza una canna nel cortile della scuola, in mezzo a tutti, con i professori che uscivano dall’istituto.
- Di che vuoi parlare? - chiese incuriosita.
- Andiamo più in là e te lo dico -
Lei alzò le spalle e mi precedette verso dei porticati, la struttura era davvero immensa e antica.
- Allora, che vuoi dirmi? Vuoi chiedere di uscire? Sappi che non hai speranze! - disse maliziosamente, giocando con la cannuccia.
- E se così fosse? - stetti al gioco. “Preferirei morire!”
- Nonostante tu sia un gran pezzo d'uomo, io non esco con gli sbirri – disse maliziosamente. Credo che mi avesse lanciato uno sguardo al mio “pacco”.
- Oh, che delusione. Nonostante tu sia una bellissima ragazza, si, te lo concedo, - lei sorrise a quella frase - io non esco con i tossicodipendenti – dissi con tono fintamente dispiaciuto.
Però dovevo ammetterlo, quella ragazza era pure un idiota, ma era davvero bellissima. Aveva dei grandi occhi neri essi in risalto dal mascara e dei lunghissimi capelli raccolti in una coda castani, che mi facevano pensare al cioccolato, un fisico davvero ben messo, e un’audace parlantina. Ma era pur sempre una diciannovenne drogata. Che spreco di materiale.
Lei alzò le spalle – Si vede che non è destino. Magari forse un giorno... - scoppiò a ridere – No, forse neanche un giorno più in là – sorrise – Veramente, che cosa vuoi da me? -
Era diventata stranamente seria tutta ad un tratto. Come se avesse al momento realizzato chi fossi.
- Voglio parlare del nostro primo incontro, al bivio. Sii sincera, tanto io so tu che cosa fai, tu sai io chi sono e che faccio. Da dove stavi tornando quella sera? -  chiesi, con tutta la serietà che potevo avere. Anche se la sua scollatura mi distraeva abbastanza.
Lei mi guardò una manciata di secondi e poi sospirò – Da una base, da dove vuoi che tornassi a l'una di notte vicino L.? - disse controvoglia.
Io sorrisi appena – Appunto. Dove si trova esattamente? -
- Vuoi che “canti”? - mimò il segno delle virgolette con le mani.
- Voglio che mi aiuti, è diverso – dissi avvicinandomi al suo viso.
- Perché dovrei farlo? – chiese avvicinandosi a sua volta.
- Perché hai già due articoli, e sai al terzo cosa succede vero? – dissi guardandola dritto negli occhi.
Lei sbuffò – Lo so. Ma c'è tanta gente estremamente più nei guai che me. Perché proprio me? Ho fatto colpo? – chiese sorridendo.
- Non l'ho scelto io. – mi allontanai -  E' stato un caso. Quando te ne uscisti dal mio ufficio, subito dopo di te entrò il Questore. Mi disse che dovevo continuare la “ battaglia” - questa volta mimai io le virgolette – contro il traffico di stupefacenti. E che per essere sicuri al 100% delle basi da trovare avevo bisogno di una persona fidata per me che non fosse semplicemente qualcuno intruso alla banda. E il caso ha voluto che il tuo fascicolo stesse in bella mostra sulla mia scrivania, così ha scelto te – raccontai alzando le spalle.
- E se rifiutassi? - domandò con aria interrogativa.
- Diciamo che non io non mollo finché non ho ciò che voglio – dissi riprendendo il contatto visivo diretto.
- Hai intenzione di mandare all'ospedale anche me per convincermi a fare ciò che vuoi? - disse in tono sprezzante.
Mi passai una mano sulla bocca. “Touchè”. Questa sapeva fin troppe cose.  – Io non picchio le donne – risposi lentamente.
- Pensavo non facessi differenza tra drogati – soffiò lei.
Scossi la testa – Senti, parliamo chiaramente. Come già detto, hai due articoli, il che non ti mette in posizione di dare ordini tra noi. Sai benissimo, che posso farti avere il terzo come e quando voglio. Così saluti tutto. La vita sociale, la scuola, la famiglia, tutto per un po' di tempo. E io mi impegnerò per il fatto che questo tempo sia davvero tanto. Posso liberamente aggiungere qualche accusa su di te, nessuno protesterebbe per una cannata del cazzo. Detto questo, credo che tu abbia capito che non te lo sto chiedendo. Te lo sto ordinando – dissi tutto questo con quanta cattiveria possedevo, che di certo non era poca. E lei sembrava saperlo.
Lei mi guardò con uno sguardo che avrei definito ferito, la cosa mi diede una strana sensazione allo stomaco.
- Mi stai minacciando? -
- Dipende dai punti di vista. Se serve a farti capire che devi lavorare per me, si. Ti sto minacciando -
Lei guardò per terra, poi alzò lo sguardo furente verso di me.
- Ok. Ti aiuto. Ma non aspettarti di avere tutta la mia simpatia per te. Vuoi i luoghi delle basi? Ok. Ma spero vivamente che scoppi una sparatoria e che ti colpiscano – detto questo se n’andò a grandi passi dai suoi amici che la guardavano interrogativi.
Io rimasi a fissarla ancora per un po', poi, quando i nostri occhi s’incrociarono nuovamente, me n’andai.

“Stronza”.

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Terzo capitolo!
Mi sa che mi ero dimenticata di dire che la storia si svolge dai i due punti di vista, completamente differenti, dei protagonisti!
Questo è un po' un capitolo di passaggio, ma non vi preoccupate, aggiornerò prestissimo!
Ringrazio chi ha recensito, sarulina e moloko_vellocet, chi l'ha inserita tra le preferite, ricordate e seguite! (siete abbastanza, quindi non posso citarvi tutti!
Spero che la storia vi continui a piacere, e per qualsiasi info, chiarimenti o perchè no, spoiler (mi piace confrontarmi) potete contattarmi quando volete!

Grazie a tutti!

StClaire!

 

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Capitolo 4
*** Thoughts. ***


Her Thoughts
 
P.O.V.  - Bianca
 
Non credevo che al mondo esistesse gente così stronza. Spudoratamente stronza.
Quello sbirro del cazzo mi aveva traumatizzato. Ero praticamente senza parole. Non riuscivo a descrivere l’odio che provavo per lui. Lui che manco conoscevo. Ero così scossa che non trovavo le parole. Avevo quella perenne sensazione d'ansia che mi uccideva.
Non mi era ben chiaro cosa volesse da me.
Ok, voleva i luoghi delle basi, ma neanche io conoscevo tutte le basi o le piazze di spaccio della città.
Scossi la testa per allontanare i pensieri. Tornai a disegnare.
Era da giorni che stavo disegnando un volto femminile, con una penna 0.2 mm, la mia preferita.
Avevo sempre voluto avere il volto di quelle ragazze che disegnavo. Non per un fatto di estetica, ma per un fatto personale. Immagino che tutti abbiano almeno immaginato una volta, come avrebbero voluto essere.
Non mi lamentavo del mio aspetto, anzi, a quanto pare era pure gradevole.
Ma non era quello che mi immaginavo per me.
Continuai a disegnare per un paio d'ore e poi me ne andai a cena.
- Hai deciso per la tesina? - mi chiese mia sorella mentre eravamo a tavola.
Scossi la testa – Non ancora! Ho un paio d’idee, ma non vorrei uscire troppo fuori programma. Il problema è che il programma è veramente brutto! -
- Ma serio – concordò lei – Io mi sono diplomata per disperazione, non ce la facevo più, me ne volevo andare – rise.
- Perché non adotti la stessa politica anche per l'università? - suggerì ridendo mio padre.
- Ah, ah, ah. Simpatico. Vuoi che ti rispieghi la Basilica di Sant'Antonio a Padova? -
- Per carità no – esclamò mia madre – risparmiaci almeno a cena! -
Ridemmo tutti insieme.
Forse quella era una scena che Vittorio avrebbe dovuto vedere per cambiare idea, su di me e in generale.
Nella sua piccola mente di poliziotto probabilmente vedeva chi si faceva le canne come qualsiasi altro tipo di drogato.
Non dico che aveva torto, casi estremi ce n'erano e come. Ma non mi riguardava.
Personalmente avevo iniziato a fumare al primo anno di liceo perché il ragazzo per cui avevo perso la testa fumava. Poi avevo continuato, ma così, con gli amici, il sabato, o le sere d'estate insieme. Niente di che. Di certo adesso non ne avevo dipendenza.
Emilio sarebbe stata una persona che Vittorio avrebbe profondissimamente odiare.
Lui sì che era dipendente. Il molesto delle canne lo chiamavano.
Vittorio avrebbe dovuto vedere quella scena per comprendere che una persona che fuma, può ottimamente interagire con gli altri.
 

His Thoughts
 
P.O.V.  Vittorio

 Il Vice Questore aveva la faccia della felicità quando gli avevo riferito che Bianca aveva deciso “liberatamene” di collaborare con me.
- Mi raccomando signor Benni, faccia un lavoro preciso e diretto, come lei sa fare – mi fece l'occhiolino, la cosa mi turbò davvero tanto – ma mi si ricordi che sta trattando con una ragazzina, quindi vada piano con lei -
Io annuì appena, ci salutammo con un cenno e poi me ne tornai a casa.
Dovevo forse sentirmi in colpa per come avevo “concordato” con la ragazzina?
Ok, forse ero stato un po' bruto, ma era il mio carattere, il mio modo di lavorare.
Non le avevo di certo puntato una pistola alla tempia... e poi con quella gente bisognava subito mettere le idee in chiaro.
- Tesoro, sei tu? - entrai in casa e vidi le luci accese.
- Si! Sono di qua, mi sa che si è rotta la lavatrice! - urlò mia moglie dalla camera.
- Non dovevi essere a lavoro? - chiesi mentre mi avvicinavo lentamente.
Già sapevo che spettacolo mi si sarebbe parato davanti.
- Infatti, dovevo – disse lei sorridendomi inginocchiata in un mare di schiuma davanti la lavatrice.
- La stai pregando? - rissi appoggiandomi allo stipite della porta.
- Più o meno – sospirò lei – che maledizione abbiamo sulle lavatrici? E' disumano che si rompano tutte quelle compriamo! -
Alzai le spalle – Forse è colpa tua – dissi sorridendo.
Lei si alzò e mi venne vicino – Oppure è colpa dei tuoi vestiti! - mi baciò e se ne andò in cucina.
- Non ha senso ciò che hai detto – ribattei perplesso.
Lei alzò le spalle – Forse si, forse no! - e rise.
Io continuai a guardarla – Che vuoi per cena? – mi chiese.
- Non saprei -
- Pollo e patate? - chiese lei prendendo un volantino.
- Va benissimo. Prendi la porzione grande di patate però. Mi cambio -
Andai in camera a cambiarmi poi accesi il PC per leggere le ultime notizie.
Le solite cose, mogli ammazzate, gente che ammazzava gente, gente che imbrogliava gente, gente che drogava gente. Ottimo.
Ero ben felice quella sera di occuparmi della lavatrice.
Decisi di dare un'occhiata precisa al fascicolo di Bianca, presi la mia penna USB ed aprì il file PDF contenente le sue informazioni personali.
Tutto sommato niente d’eclatante, aveva diciannove anni, frequentava ancora la scuola, genitori in regola, sorella e fratello in regola, era stata fermata due volte per possesso di stupefacenti... Ah, anche una denuncia per comportamento violento. Ottimo, un ragazzina davvero diligente.
- Chi è? - chiese mia moglie appoggiandosi alla mia spalla.
- Una ragazza che abbiamo fermato l'altro giorno.  Me l'hanno rifilata per sguinzagliarla alla ricerca di diverse piazze di spaccio - sospirai – che gran rottura -
- E' legale farlo? - chiese lei.
- In che senso? -
- E' normale usare una ragazza per fare il lavoro sporco? Per farle fare da esca. Non avrà nemmeno vent’anni- esclamò contrariata.
Io alzai le spalle – Se me l'hanno ordinato, credo di sì. E poi abbiamo stretto un patto -
- Che patto? – chiese in modo scettico.
Io indicai sullo schermo la parte del fascicolo inerente ai suoi articoli
- Lei ha già due articoli, il che non è buona cosa. Se collabora, questi due spariscono – risposi semplicemente.
- Non mi sembra giusto. Assomiglia molto ad un ricatto – sentenziò lei.
- Io non posso farci niente – risposi bruscamente, già sapevo dove voleva arrivare.
- Sì che puoi. Lasciala in pace. Il poliziotto sei tu. Lei è una ragazzina -
- Sono gli ordini! - tuonai.
- Ti ricordi perchè non volevi fare carriera in polizia quando ci siamo sposati? E' perchè volevi cambiare lavoro! E guarda adesso cosa ti “ordinano”! Di buttare una povera ragazza nelle mani dei trafficanti! -
- A parte, che quella ci si è buttata da sola! E poi non è che abbia fatto tante storie – mentii.
- Mi avevi promesso che sarebbe stato momentaneo il tuo impiego come poliziotto. Ma mi sa che sono passati troppi anni per tornare indietro -
Bussarono alla porta, era il ragazzo del pollo. Andai ad aprire, pagai, e rientrai.
Quella sera io e mia moglie mangiammo in silenzio, parlando del più e del meno, e commentando la sua giornata di lavoro. Ci guardammo un film e poi andammo a dormire.
 
P.O.V. Bianca
 
- Allora, alle 17.00 di domani questa info line sarà reperibile. Tu chiami, mi chiedi cosa farò nella serata ed io ti risponderò che mi andrò a mangiare una pizza in un posto, ok? –
- Ok, grazie – risposi sorridendo a quel tipo osceno che credeva di rimorchiarmi solo perché andava in giro a distribuire i flyer della festa di domani sera. Squallido.
- Quindi deduco che domani ci vedremo – fece lui con un tono che doveva risultarmi seducente.
No per carità, sono qui a chiederti info per poi chiamare la polizia e farti arrestare. Che genio!
- Immagino di si – risposi, stando al gioco, mostrando uno dei miei sorrisi seducenti migliori.
- Tu pratichi? - mi chiese passandomi una canna.
Pratichi? Ma che è una religione?
- Si, ovviamente  - dissi prendendola e portandomela alla bocca con un gesto “molto” sensuale. A volte mi facevo paura da sola per quanto fossi “stupida”.
Ad un certo punto un tipo lo chiamò, io gli ripassai la canna e lui disse – Ma no, tienila pure. Mi ripaghi domani – disse con un sorriso ideologicamente per lui, sexy.
Come vuoi! - che idiota…
Ritornai da Emilio e gli altri con un sorriso ebete sulla faccia.
- Che ha detto? – chiesero.
- Niente, mi ha detto il numero ed ha aggiunto di chiamare alle 17.00 e chiedere in che posto si va a mangiare la pizza – dissi alzando le spalle.
- Che stronzata – fece Emilio.
Io annuì – Ma serio. Lui poi è ridicolo! -
- Il solito pallone gonfiato -
- Allora, domani mi passi poi a prendere tu? -
Emilio annuì.
- Io torno a casa, a domani! - dissi salutando tutti e passando la canna ad Emilio.
Si fuma sempre in compagnia.


___________________

Eccomi qui!
Un capitolo dove conosciamo qualcosa in più dei nostri protagonisti!
Vorrei ringraziare, come al solito, chi ha recensito, chi ha inserito nelle preferite, ricordate e seguite, siete tanti e mi fate emozionare!
Questo capitolo è un po' diverso dagli altri, ma solo per prepararvi ai successivi due che sono tra i miei preferiti!
Non vedo l'ora di farveli leggere, e spero che anche voi non vediate l'ora! (infatti vi lascio un anticpo!)
A prestissimo,
You make me happpy!

StClaire 
 
Nel capitolo successivo:
"A quanto pare non ci sarebbe stato bisogno di chiamare la polizia per un tipo idiota come quello dell’altro giorno.
Avevano fatto tutto da soli. Inquietante.
Io ed Emilio eravamo sotto la cassa a ballare, contro la mia volontà, ma dovevo scappare in qualche modo dal tipo dell’altro giorno e ad un certo punto alla musica si erano unite le sirene della polizia.
Adesso ci ritrovavamo, quelli che erano già stati segnalati in passato per qualche cosa, nel corridoio della mia Caserma “preferita”.
Due volte in un mese.
Ripeto, inquietante.
Ad un certo punto Emilio mi riprese dai i miei pensieri dandomi un colpo sulla gamba.
- Che c’è? – chiesi svogliatamente. M’era venuto un colpo di sonno assurdo.
- Guarda lì – disse indicandomi il fondo del corridoio.
- Oddio – dissi sbiancando. Ma viveva in Caserma? Erano le 4 del mattino di Domenica e quello stava avanzando con la testa tra le carte ignorando ciò che lo circondava."

 

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Capitolo 5
*** Rave Party ***


The Rave Party
 
P.O.V. Bianca

A quanto pare non ci sarebbe stato bisogno di chiamare la polizia per un tipo idiota come quello dell’altro giorno.
Avevano fatto tutto da soli. Inquietante.
Io ed Emilio eravamo sotto la cassa a ballare, contro la mia volontà, ma dovevo scappare in qualche modo dal tipo dell’altro giorno e ad un certo punto alla musica si erano unite le sirene della polizia.
Adesso ci ritrovavamo, quelli che erano già stati segnalati in passato per qualche cosa, nel corridoio della mia Caserma “preferita”.
Due volte in un mese.
Ripeto, inquietante.
Ad un certo punto Emilio mi riprese dai i miei pensieri dandomi un colpo sulla gamba.
- Che c’è? – chiesi svogliatamente. M’era venuto un colpo di sonno assurdo.
- Guarda lì – disse indicandomi il fondo del corridoio.
- Oddio – sussurrai sbiancando. Ma viveva in Caserma? Erano le 4 del mattino di Domenica e quello stava avanzando con la testa tra le carte ignorando ciò che lo circondava.
- Mmmh – mugugnai. Aveva un maglietta grigia che gli risaltava i muscoli.
- Che hai? – chiese Emilio ironico. Già sapeva. Già aveva capito.
- Niente – dissi sorridendo. Mi sporsi più in là con il corpo dalla sedia e lo vidi fermarsi di botto ancora preso dalle carte che stava leggendo – Ammiro il panorama. Carino il nostro sbirro, eh? – aggiunsi ritornando al mio posto.
Emilio rise – Ma è comunque uno sbirro – disse mimando una faccia disgustata.
Io sbuffai ridendo. Emilio era il tipo da A.C.A.B. – All Cops Are Bastards. Una cosa al quanto discutibile, ma credo che Vittorio risultasse in pieno in quella definizione.
- Per uno stronzo come lui, te lo concedo – dissi ricordandomi della nostra ultima chiacchierata.
L’odio mi risalì tutto di un botto e lui come se avesse una specie di “sensore” alzò gli occhi dai fogli che tanto appassionatamente leggeva e fissò la schiera di persone che sedevano nei corridoi.
- Ma che cazz… - disse sorprendendosi – Tu, Agente – si rivolse ad un tipo – che è sta gente? – domandò guardandosi attorno.
- Vengono da una festa illegale, quelli che erano già schedati sono stati portati qui –
- Un rave quindi… - disse svogliatamente – E che ci fanno ancora qui? Fateli sparire! – tuonò iniziando a percorrere il corridoio dove eravamo seduti noi a gran passi e con lo sguardo alto e infastidito.
Lo fissai per tutta la sua impeccabile sfilata e lui mi passò davanti senza accorgersi che io nel frattempo stavo ringhiando. Che odio!
Ad un certo punto si bloccò e si girò di scatto esattamente nella mia direzione.
“Oh, cazzo. Mi ha sentito veramente!”
- Bianca… - disse con uno sguardo indecifrabile. Si avvicinò con un sorriso molto sinistro per me.
- Che piacere rivederti, qui. Adesso. Di nuovo – disse con quell’espressione subdola dall’alto.
- Vorrei dire tanto la stessa cosa – borbottai.
Lui continuava a fissarmi e io lo guardavo dal basso.
- Stai aspettando che ti faccia un pompino qui davanti a tutti? – disse visto che avevo le sue parti basse in pratica di fronte.
Lui mi battete la cartellina stava leggendo in testa con molta violenza.
- Hey stronzo, come cazzo ti permetti! – disse Emilio alzandosi e sfidando Vittorio, ma gli mancavano un paio di centimetri in altezza.
- Stronzo lo dici a qualcun altro. Voglio essere clemente con te perché sono le 04.00 di Domenica mattina e io sono molto stanco. Ed anche molto irascibile. Quindi o ti siedi o ti porto in cella e t’insegno le buone maniere a suon di calci – scattò rabbioso.
- Voglio… - Emilio non finì neanche la frase che Vittorio lo aveva già colpito con un pugno.
- OOOH! MA CHE CAZZO FAI! SEI IMPAZZITO O COSA? – mi buttai addosso a Vittorio che per risposta mi prese per i capelli – CAZZO MI FAI MALE! – urlai cercando di divincolarmi.
- TU! – disse all’agente che aveva assistito immobile a tutta la scena e che adesso fissava i miei capelli tra le mani di Vittorio – Prendi sto stronzo e portalo da qualche parte – disse guardando Emilio che sanguinava tenuto a bada da due tipi che erano lì con noi – e fai qualche cazzo di cosa con gli altri! Hai capito? –
Quello balbettò un sì non molto convinto.
- Invece io e te, adesso parliamo un po’ di lavoro – mi sussurrò all’orecchio.
Poi mi lasciò andare spingendomi in avanti.
Io avevo le lacrime agli occhi, per quanto avevo visto e per la sensazione di bruciore che provavo in testa.
Ed avevo paura.
 
*
 
- Conosci “l’Olanda”? – chiese lasciandomi all’entrata del suo ufficio, come se niente fosse successo. Come se Emilio non stesse sanguinando nel corridoio. Come se non si fosse tirato ciocche intere dei miei capelli.
Io tacqui serrando i pugni. Avevo le lacrime che mi pizzicavano gli occhi.
- Allora? – chiese nuovamente.
Io distolsi gli occhi da lui. Se prima ero restia ad aiutarlo, adesso non ne avevo la minima intenzione.
- RISPONDI! – gridò sbattendo le mani sulla scrivania facendomi saltare sul posto.
Non riuscivo a far evaporare le lacrime dai miei occhi. Mi bruciavano e avevo una paura fottuta.
Lanciai un fugace sguardo nella sua direzione – Che cosa intendi? – chiesi alla fine con voce flebilissima.
Lui sospirò spazientito – Quella a G. –
- Quella a G. cosa? – dissi non capendo.
- Secondo te cosa? Devo forse ripeterti la tarantella delle basi? – sbraitò.
- Senti, coglione di uno sbirro, non sono io che ti sono venuta a cercare, ok? Quindi se non so di che cazzo parli è più che normale! Perché non ti cerchi un altro burattino? –scoppiai. Non lo sopportavo. Non sopportavo le sue manie d’onnipotenza. Fino a prova contraria era lui che si era presentato sotto scuola mia.
- Perché non ho altro tempo da perdere, ok? Fatti due conti, tu prima mi aiuti, prima mi levi da davanti alle palle. No? Ho torto? –
No, non aveva torto. Ma mi stava sulle palle lo stesso.



______

Si aprono le danze!
Mi scuso per il terribile ritardo, ma sono stata impegnatissima!
Per scusarmi vi lascio una bella anticipazione del prossimo capitolo, finalmente le cose diventeranno un po' infuocate!
Difficile resistere all'attrazione fisica...

- Adesso ce ne andiamo – dissi infilando la chiave nel dispositivo d’accensione.
- Certo, così se avevano dubbi, poi non ne avranno più – borbottò.
Mi bloccai e le chiesi – Hai idee migliori? – dissi ironicamente.
- Se non ti fai strane idee si – disse seriamente lei.
- In che sen…? – non ebbi neanche il tempo di finire la frase, che lei mi sedeva praticamente a cavalcioni addosso.
- Stai al gioco – sibillò al mio orecchio prima di iniziarmi a baciare.
Rimasi immobilizzato per una manciata di secondi. Che diamine stava facendo? Ma era impazzita? Mi stava baciando veramente?
- Oddio, spero che tu non sia immobile anche quando trombi! – 


 

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Capitolo 6
*** The Girl In Holland ***


The girl in Holland
 
POV Vittorio


Alla fine si era convinta. Dopo aver sbraitato per un intenso quarto d’ora dove mi aveva distrutto l’intero ufficio lanciandomi addosso qualsiasi cosa le passasse per mano, compresa una sedia, si era convinta. Si era accasciata a terra, dopo avermi urlato quanto mi odiasse, e si era convinta. Un prezzo che potevo sopportare di pagare.
Il problema è che il prezzo adesso era diventato insostenibile.
Eravamo seduti da tipo un’ora e mezza nella mia macchina giù al corso di G. e lei non aveva spiaccicato una sola parola. Ero passato a prenderla al quel maledetto Lago e lei era entrata in macchina senza nemmeno dire una parola e continuava il suo ansiogeno silenzio come se nulla fosse.
Guardava fisso davanti a lei sbattendo le palpebre esattamente ogni 30 secondi.
Sbuffai – Puoi anche continuare la tua filippica contro di me e l'intero corpo della Polizia di Stato, se è necessario per farti parlare – esclamai stufo di quella situazione.
Lei si limitò a guardarmi per una manciata di secondi che mi parve lunghissima e poi tornò a fissare il vuoto.
Sospirai – Che c'è? Che ti manca? - chiesi.
- Niente. A parte la mia libertà – disse atona.
- Addirittura? Mi fai sentire in colpa – dissi mentendo magistralmente.
- Come no! Sbirro del cazzo... - borbottò.
- Hey, vai piano con le parole, ricordati sempre chi sta sotto e chi sta sopra qui - 
Lei mi guardò – Non so se con te mi piacerebbe stare sopra o sotto – disse maliziosamente, girandosi verso di me.
Io scostai lo sguardo da lei e sbuffai nuovamente – Devo ripeterti la mia politica relazionale con i drogati? - 
- No, per carità, quella stronzata m'è bastata una volta -
Tornammo a fissare la strada dove eravamo parcheggiati. 
Era il corso di G. riconosciuto da tutti come l'Olanda nostrana, dove era possibile trovare l'erba migliore e soprattutto naturale.
- Quello! - disse ad un tratto lei indicando un tipo rasato che era appena spuntato da un porticato.
- Che ha fatto? – chiesi tanto per farla parlare.
- Ci ha provato – disse con tono di ribrezzo.
 “In effetti meriterebbe di meglio” pensai.
- Interessante – aggiunsi guardando il mio cellulare.
- Mi dengni un minimo di attenzione? – ribattè scontrosa.
- Certamente – sbuffai.
- Quel tipo centra qualcosa… - sussurrò. Sembrava presa da qualche cosa, aveva lo sguardo basso nel vuoto.
- Con cosa? – domandai curioso dal suo atteggiamento.
- Il giorno prima del Rave – disse alzando di botto lo sguardo – lui era quello che si occupava della Info Line, e mentre parlavamo appunto della festa, lui mi ha regalato una canna – 
- Che gesto romantico – dissi fingendo grande ammirazione.
Lei assottigliò lo sguardo e poi proseguì – Era buona – sentenziò.
- Mi fa piacere per te – dissi, non avevo capito a dove voleva arrivare.
- No, non capisci idiota. Era veramente buona. Naturale al 100%. Lui centra qualcosa. Lui ha che fare con la base, con la roba direttamente. Quel tipo d’erba costa un botto il grammo e lui mi ha regalato una canna intera. Non l’ha comprata, lui ce l’ha – disse guardandomi seriamente.
Riflettei sul suo ragionamento, e decisi che poteva essere possibile, poi la mia attenzione fu catturata da quel tipo e un altro che dovevano aver notato la mia macchina ferma lì da un po’.
- Cazzo, ci hanno notati – sbottai.
- Oddio, stanno venendo qua – disse lei.
- Adesso ce ne andiamo – dissi infilando la chiave nel dispositivo d’accensione.
- Certo, così se avevano dubbi, poi non ne avranno più – borbottò.
mi bloccai e le chiesi – Hai idee migliori? – dissi ironicamente.
- Se non ti fai strane idee si – disse seriamente lei.
- In che sen…? – non ebbi neanche il tempo di finire la frase, che lei mi sedeva praticamente a cavalcioni addosso.
- Stai al gioco – sibillò al mio orecchio prima di iniziarmi a baciare.
Rimasi immobilizzato per una manciata di secondi. Che diamine stava facendo? Ma era impazzita? Mi stava baciando veramente?
- Oddio, spero che tu non sia immobile anche quando trombi! – sbottò lei dando un’occhiata all’indietro. I due tipi si erano fermati, e guardavano verso di noi cercando di capire cosa stesse accadendo.
- Si sono fermat… - non le diedi il tempo di finire la frase che l’attirai a me ed iniziai a baciarla con tutta quanta la foga che avevo in corpo.
Lei sembrò piacevolmente stupita dal mio gesto e non ritardò a ricambiare.
Le avrei fatto vedere come fossi “immobile”.
Passai velocemente le mani sotto la sua maglietta e le slacciai il reggiseno e lei in risposta si sistemò meglio su di me, facendo pressione con il corpo sulle mie parti basse.
Presi come eravamo da quello che stavamo facendo non ci accorgemmo dei due tipi che ormai ci avevano raggiunto.
Bussarono vicino al finestrino e noi sobbalzammo.
“Che cazzo sto facendo?” mi domandai, ancora scosso.
Bianca intanto cercava di darsi un contegno e riallacciarsi il reggiseno. Anche lei sembrava scossa.
Abbassai tutti e due i finestrini permettendo ai due tipi di parlare.
- Vi sembra questo il posto per fare certe cose? – chiese uno dei due, un tipo con un ridicolo berretto di Superman.
- In effetti no – dissi giusto per dire.
- Eravamo qui per altro in realtà – esclamò Bianca.
Io la fulminai con lo sguardo.
- Per cosa allora? – chiese “l’amico” di lei.
Lei sorrise – Secondo te per cosa? – chiese candidamente.
Lui sorrise a sua volta – Non ti ho mai visto qui prima – 
- Infatti è la prima volta che vengo, eravamo indecisi. Non sapevamo dove andare precisamente - 
- Vuoi qualcosa in particolare? – le domandò Superman.
- Cercavo dell’erba naturale – disse sorridendo lei.
Sapeva di esercitare un certo fascino sugli uomini.
- Visto che sei nuova cliente – iniziò il tipo che precedentemente l’aveva “corteggiata” – e che ci conosciamo, ti faccio un regalo – cacciò una bustina di plastica, quelle ermetiche, ricolma d’erba.
- Verrebbe 50 € il grammo, ma te la regalo – mi lanciò un’occhiata – è della mia scorta personale – le fece l’occhiolino.
Cioè, mi stava sfidando, cercando di conquistarla con un pacchetto d’erba! Che tipo stupido! L’avrei picchiato per ore. Non vedevo l’ora di arrestarlo.


*


- Fermati lì – disse Bianca ad un tratto indicando un palazzo arancione con un grosso portone.
- Abiti da tutta altra parte che la provincia. Perché passi le tue giornate ad A.? – 
Lei in risposta alzò le spalle – Perché i miei amici sono di lì –
Io annuì semplicemente.
- Senti per prima… - esordii portandomi alla mente i ricordi di qualche ora prima – non è stato niente – dissi in modo brusco – non farti idee strane – 
- Sono stata prima io a dirti di non farti idee strane – rispose in modo piccato – e poi già conosco la tua ridicola politica relazionale coi drogati – continuò ironica.
Io le sorrisi appena – Va bene. Ti farò sapere per un prossimo giro. Ah, dammi il pacchettino – 
- No! – 
- Dammelo! – 
- Ma non ci penso proprio, hai idea di quanto sia buona? –
- Non mi interessa, dammi quel fottuto pacchettino – cercai di dare un tono preciso alla mia voce.
- Almeno una canna? Una piccola ceppettina, per la canna della buona notte! Ti prego! – mi stava facendo gli occhioni, ma non avrebbe funzionato.
Feci scattare la sicura della macchina.
- Hai chiuso la macchina? – chiese lei.
Io annuì – Se non mi dai quel cazzo di pacchettino di convinco io, a modo mio – 
- Credevo che non fosse sta… - 
Non le diedi il tempo di parlare che le feci dare un “leggero colpo di testa” al cruscotto.
- Oddio, ma sei idiota o cosa! – disse lei massaggiandosi la fronte.
- Dammi. Il. Pacchettino – scandii bene quelle parole.
- Eh meno male che non dovevi picchiare le donne tu, sbottò cacciando il tanto agognato pacchetto dal reggiseno.
- Questo non è picchiare – dissi in mia difesa – è far capire alla gente a che posto deve stare – dissi sorridendo.
- Che modo di merda, seriamente! – disse lei sarcastica – comunque – aggiunse – potresti aprire la macchina che vorrei tornare a casa a pisciare e a mangiare? – 
- Certo Mme. Finesse – feci riscattare la sicura – A presto –
- Ci conto – borbottò lei.
Aspettai che entrasse nel palazzo e dopo un rapido saluto presi la via di casa.
Adesso dovevo tornare da mia moglie e fare in modo che nulla fosse successo quel pomeriggio con Bianca.





Arrivato al garage del palazzo notai una borsa sotto al sedile del passeggero.
Era lo zainetto di Bianca.
- Che capa di cazzo – borbottai.
Lo rimisi dov’era e mi avviai all’ascensore. Le avrei portato lo zaino l’indomani a scuola.

 
POV Bianca


Avevo bisogno di una doccia. Una doccia bollente, dovevo farmi scivolare via la giornata.
Quello sbirro di merda. Non riuscivo a pensare ad altro che al fatto che l’odiassi a morte, ma che comunque rimaneva un gran figo.
Un piccolo brivido di piacere mi percorse ricordando quello che era successo in macchina. Non mi sembrava così inutile quell’uomo dopo oggi.
Forse, avevo trovato il modo di rendere piacevole quella collaborazione. Gli avrei fatto cambiare radicalmente la sua politica di relazione coi drogati.

_____


Eccoci qui!
Spero che vi piaccia ancora questa storia! Fatemi sapere qualcosa!!!
Ringrazio ovviamente tutti quelli che leggono e apprezzano la storia, You Make Me Happy!
Vi lascio il vostro solito e attesissimo (almeno spero!) spoiler!

Mi porse la borsa e si avvicinò a me – Ti prego, mi farebbe piacere avere una copia della tua foto in intimo, è stato un bel buongiorno vederla – 
Sgranai gli occhi – Ti sei fatto pure i cazzi miei? Non preoccuparti, me ne scatterò un’altra ancora migliore. Ciao – 
- Ciao un corno, il numero –
Sbuffai e gli recitai il numero. Lui se lo segnò e fece per andarsene.
- Hey aspetta, non mi hai dato il tuo – dissi.
- Tu non avrai mai il mio numero di cellulare – 
- Mio dio quanto ti schifo! –




Grazie a:

Chler_Smitt
cocos_nuss
gikki__
Misakixox
MisunderstoodGenius 
mont
mygirl
Noemi_74
Rossawrite_ 
sara84
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Capitolo 7
*** What's your number? ***


What’s your number?

 

POV Vittorio

 

Mi ero appena accorto che non avevo il numero di quella scellerata.

Adesso mi sarebbe toccato andare fino a quella scuola covo di cannaiuoli e cercarla. Che palle. Mi misi in macchina e non seppi resistere alla tentazione di guardare nella sua borsa.

Iniziai a frugare, c’erano libri di testo, un libro di letteratura, un pacchetto di cartine lunghe, sequestrate, e il suo diario.

Iniziai a sfogliarlo. C’era tutto tranne che i compiti assegnati. Era pieno di disegni, volti femminili, corpi femminili. Erano veramente belli. Nel mezzo delle pagine c’erano delle fotografie. Una foto era di tre bambini, lei l’avevo riconosciuta subito. Era quella più piccola con gli occhioni grandi castani. Cosa le era successo crescendo per diventare così?

Un’altra foto la ritraeva con in braccio un minuscolo gattino. Sembrava felicissima. La successiva era un suo ritratto, in bianco e nero. Era in intimo, con le gambe accavallate, la sigaretta tra due labbra carnose e i capelli sciolti. Aveva dei capelli lunghissimi. Cazzo se non era bella.

Un colpo sul finestrino mi fece sobbalzare.
Cazzo, mia moglie. Nascosi il diario nello zaino, sperando che non avesse visto la foto.

Mi fece segno di abbassare il finestrino.

- Tesoro… - non sapevo che dire – ti serve un passaggio? –

- No, sono con la mia macchina – guardò la borsa ai piedi del sediolino – di chi è quella roba? – domandò.

- Di quella ragazza di cui ti ho parlato, ieri l’ho accompagnata a casa e si è dimenticata la borsa – cercai di sembrare il più scocciato possibile.

- Che ci facevi con lei? –

Ecco. Che ci facevo con lei?

- Chiamiamolo, un giro di perlustrazione – inventai al momento – siamo andati in un posto per vedere se riconosceva qualche faccia – alzai le spalle.

Lei non mi sembrava completamente convinta.

- Va bene, a stasera – 

- A stasera –

Feci retromarcia e uscii dal garage.

 

POV  Bianca

 

La cazzo di borsa. Avevo lasciato la mia borsa nella macchina di quel cazzo di sbirro. Avevo i libri e tutto lì. Il diario pure. Mannaggia. Adesso probabilmente sarei dovuta andare in quella caserma di niente. Figurati se mr. Sono-figo-solo-io mi portava la borsa.

Mi misi le cuffie alle orecchie e mi incamminai verso scuola. L’andata era sempre meglio del ritorno.

Arrivata a scuola dovetti ricredermi. Era lì. Con la mia borsa in mano.

Aveva un paio di ray ban vecchio stile. Quanto era bono. Ma quella mattina non ero in vena di smancerie.

- Grazie, sei stato gentilissimo, ciao – feci per afferrare la mia borsa ma lui l’alzò in alto. Simpatico, era come minimo più di 1.80. Non ci sarei mai arrivata dal relativo basso del mio 1.73.

- Dammi il tuo numero – fece in tono più autoritario.

- Perché dovrei? – chiesi incrociando le braccia.

- Perché mi dilanio l’animo a venire qua ogni qualvolta che mi servi – 

- Che parole gentili, grazie. Menomale che doveva essere un rapporto equo – 

- Nessun rapporto equo, tu stai sotto – 

- Credevo che invece ti avesse fatto piacere ieri quando ero io sopra – ribattei mordendomi il labbro.

Lui sorrise distogliendo lo sguardo. Mi sembrava quasi in imbarazzo.

Mi porse la borsa e si avvicinò a me – Ti prego, mi farebbe piacere avere una copia della tua foto in intimo, è stato un bel buongiorno vederla – 

Sgranai gli occhi – Ti sei fatto pure i cazzi miei? Non preoccuparti, me ne scatterò un’altra ancora migliore. Ciao – 

- Ciao un corno, il numero –

Sbuffai e gli recitai il numero. Lui se lo segnò e fece per andarsene.

- Hey aspetta, non mi hai dato il tuo – dissi.

- Tu non avrai mai il mio numero di cellulare – 

- Mio dio quanto ti schifo! –

- Certo, reciproco. Ciao tesoro! – salì in macchina e se ne andò sgommando.

 

_

 

La lezione di matematica mi metteva sempre una certa ansia esistenziale addosso. Mi faceva sentire stupida. Non sapevo manco le tabelline, però sapevo fare le espressioni e i sistemi. Meglio di niente.

Letteratura invece mi piaceva un sacco. Anche religione, la professoressa era in gamba. E poi pittorico! Sarei stata capace di fare sette ore consecutive solo di pittorico. Fortunatamente l’insegnate di quest’anno non era classico-accademico come quello dell’anno scorso. Preferiva i soggetti liberi alle mere copie dal vero.

Presi il mio diario e iniziai a scarabocchiarci sopra, tanto matematica stava spiegando le curve, o qualcosa del genere. 

Aprendo il diario trovai la foto di cui parlava lo sbirro. Adoravo quella foto, me l’aveva scattata un annetto fa una mia amica con la passione della fotografia, ed era bravissima.

- Bianca! Ci degni della tua attenzione gentilmente? Devo ricordarti ancora che quest’anno hai un esame che è tappa fondamentale per la tua vita? E questo vale per tutti voi! – 

La voce stridula di quella gallina in calore non riprese solo me dai miei pensieri, ma penso l’intera classe.

Che scassa palle. Come se a loro importasse qualcosa se non fare bella figura con la commissione esterna.

Fortunatamente la campanella suonò liberandoci tutti da quello stillicidio.

Non sapevo cosa avrei fatto quel giorno. Mi rompevo un po’ di andare al Lago perché c’era una giornata bruttissima. Credo che sarei rimasta a casa a disegnare. Magari sarei andata a fare shopping!

- Hey Bianca rimani al P.O.N. oggi? – una mia compagna di classe mi riprese dai miei problemi esistenziali.

- Oggi?? – la guardai sorpresa.

- Sì, non ti ricordi che la lezione era stata anticipata perché settimana prossima c’è assemblea? – 

La guardai con fare attonito.

- Oddio vabè, come non detto. Che fai vieni? – 

- Devo, c’è la presenza obbligatoria – sbuffai.

“Addio shopping”

 

P.O.V. Vittorio

 

Oggi ci mancava solo il questore in caserma.

Non bastava l’eccessiva dose di cianuro che avevo dovuto subirmi con Bianca quella mattina.

Scossi la testa. Quanto mi rompevo le palle. Ripensavo alle parole di mia moglie. Aveva ragione, quel lavoro doveva essere temporaneo. Il tempo di sistemarci e poi avrei cercato qualcos’altro. Ma cosa? 

In fondo non è che non mi piacesse il mio lavoro, il problema è che evidentemente non riuscivo a staccare.
Me ne andai verso la macchinetta del caffè. 

- Tutto a posto? –

- Hey Corrado, si, tutto ok, non mi lamento – selezionai quello che volevo e aspettavo che il distributore s’impegnasse ad erogare la mia linfa vitale.

- Come procede la battaglia contro il crimine? – mi domandò il mio collega sorridendomi.

- Che c’è? Hai parlato con il Questore? Ti esprimi come lui – 

- Più o meno, mi ha decantato l’immenso problema che pesa sulle tue spalle, la guerra che stai combattendo etc… - 

- Che cazzo fai? Sfotti pure? – dissi laconico.

- Più o meno – rise lui – Bhè almeno fai qualcosa, io vedo solo morti e feriti, due palle. Almeno lei è carina? – 

- Lei chi? – feci il finto tonto.

- La tipa che ti porti dietro – disse lui selezionando la sua bevanda.

- Ah, quella – alzai le spalle – Una gran rottura di palle – 

Bevvi tutto di un fiato il mio caffé. Uno schifo.

- Tutti abbiamo i nostri supplizi da sopportare – disse Corrado guardando nel vuoto.

Lo guardai interrogativo. Che voleva dire?

- Mi hanno messo una nuova palla al piede. Un cretino, un figlio d’arte, chiamiamolo così – buttò con violenza il bicchierino nel cestino.

- E chi sarebbe? –

- Indovina… - mi guardò in modo ironico.

- Qualche figlio di comandante? Oppure peggio, qualche figlio di Carabiniere? –

- Il figlio del Procuratore – 

- Ma che cazzo dici? Per questo sta tutto agguerrito lo stronzo! E mena me per mezzo, con una psicolabile cannata dietro? Ma che lota! – 

- A noi tocca sempre il lavoro sporco, due palle – sbuffò lui.

Ero ancora incredulo quando la vibrazione del mio cellulare mi richiamò alla realtà. Mia moglie.

- Io vado, ci prendiamo una birra uno di questi giorni – dissi a Corrado.

- Di questi tempi ce ne vorrà un cascione – rise, il solito ubriaco.

Ci salutammo con un cenno. Io richiamai mia moglie. La giornata peggiorava ancora, dovevo pure cucinare io quella sera. Che cazzo.



______

Hi there, bella gente!
Mi scuso per il ritardo, ma sono stata impegnatissima a lavoro!
Spero, come al solito, che la storia vi piaccia. Battete un colpo in igni caso!
Vi ringrazio ancora tutti e vi lascio al vostro attesissimo spoiler!

StClaire!

Gli incontri, gli incontri!

 

[ Io uscì fuori raggiante. Ma qualcosa, o meglio qualcuno gelò il sorriso sulle mie labbra.
- Non è un po’ troppo corto? – commentò mio padre.
Io non l’ascoltavo. Ero presa a fissare Vittorio. Era fuori il negozio, con un carrello e una donna bionda affianco che fissava una vetrina.
- Cazzo – sussurai. ]

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Capitolo 8
*** Shopping ***


Shopping

 

P.O.V. Bianca

 

Il centro commerciale era una delle cose che più mi piacevano. Una città nella città! Potevo trovarci di tutto.

Quella domenica era tutta per noi. I miei mi volevano premiare per gli ottimi voti presi in pittorico così eravamo andati tutti al centro. Io, mia madre, mia sorella e a sorpresa di tutti mio padre, l’uomo più orso della terra.

Mi sentivo una bambina in un parco giochi. Non che andassi pazza per lo shopping, ma farlo in famiglia era tutt’altra cosa.

Io e Sara, mia sorella, giravamo tutti i negozi di vestiti, il sabato successivo avevamo una festa di diciotto anni di una nostra cugina, che ci stava tremendamente sulle palle. La madre, moglie del fratello di mia madre, era in continua lotta per la bellezza e ovviamente la sua doveva essere quella più bella. Ma io e Sara eravamo pronte a farla sfigurare. Era una cosa cretina, niente contro nostra cugina, ma nostra zia ci stava tremendamente sulle palle.

- Io provo questo! – agguantai un vestitino nero, molto semplice, ma molto bello, come tutte le cose semplici.

- Aspetta, prendi pure queste scarpe! – mia sorella era gasatissima.

Entrammo insieme in camerino.

- Cazzo, quant è aderente – sbottai.

- Prova con una taglia più grande! – rispose mia sorella. Lei era l’emblema della finezza.

- Vabe, vediamo questo com’è. Ma uno specchio migliore? – 

- Devi provare fuori – 

Annuì.

- Aspè, aiutami con la cerniera – 

Indossai le scarpe, avevo acquisito almeno 10 centimetri.

- Non saranno troppo alte? – chiesi. Ero più di 1.80!

- Invece sembri proprio una modella! Dai, fai vedere a mamma e papà! – 

Lei mi precedette fuori dai camerini.

- Ammirate! – esclamò!

Io uscì fuori raggiante. Ma qualcosa, o meglio qualcuno gelò il sorriso sulle mie labbra.

- Non è un po’ troppo corto? – commentò mio padre.

Io non l’ascoltavo. Ero presa a fissare Vittorio. Era fuori il negozio, con un carrello e una donna bionda affianco che fissava una vetrina.

- Cazzo – sussurai.

- Papà per te pure una tunica da suora sarebbe troppo corta – commentò mia sorella.

Lui alzò le mani come a dire “fate voi”.

Quando vidi Vittorio allontanarsi ritornai in me.

- Secondo me puoi prenderlo – disse mia madre.

- Si – risposi semplicemente.

- Tutto bene? – mi chiese Sara.

Io annuì – Vado a cambiarmi, comunque lo prendo -

Una volta in camerino tirai un sospiro di sollievo. Era più di un mese che non lo vedevo e non lo sentivo. Credevo che avesse cambiato idea. Incarico. Città. N’ero quasi convinta e felice.

Ma ovviamente mi ero completamente sbagliata.

 

 

 

P.O.V. Vittorio

 

Se c’era qualcosa che odiavo, che veramente odiavo era accompagnare mia moglie a fare shopping.

Era una cosa che mi annoiava a morte. Non so quante volte avevo dovuto resistere al desiderio di lanciarle il carrello in faccia e abbandonarla in quei cazzo di negozi.

Soprattutto quando iniziava a dire – E tu non prendi niente? – 

NO! Non voglio prendere un emerito cazzo da qua dentro.

- Tesoro – esordì – Ti squilla il telefono. Non lo senti? – 

Iniziai a tastarmi il petto alla ricerca del telefono. Quando lo trovai il display indicava Corrado.

- Pronto? – risposi allontanandomi da mia moglie.

- Hey, disturbo? – chiese la voce allegra di Corrado.

- No, per niente, anzi mi salvi. Dimmi tutto – 

- Addirittura? – rise – Volevo sapere se c’eri per quella birra –

- Assolutamente sì. Tu dove stai? –

- Io sto in caserma P. Ci vediamo lì? –

Che ci faceva in quella caserma?

- Ok, dammi mezz’ora. Sistemo delle cose e ti raggiungo – 

- Ok, chiamami quando ci sei – 

Mi brillavano gli occhi.

- Tesoro – iniziai a parlare con la voce più dispiaciuta che potessi avere – purtroppo devo scappare. Un imprevisto in commissariato –

- Ma è Domenica! E siamo appena arrivati – 

- In realtà sono le 19.00, e noi siamo venuti qua alle 15.00, amore

- Ma che dici? – guardò l’orario – Oddio, com’è volato il tempo! – rise.

Volato il cazzo.

- Andiamo? Ti accompagno, prendo la moto e vado – 

Lei annuì.

 

-

 

- Dove sei? – chiesi telefonicamente a Corrado.

- Al primo bar salendo verso la piazza – 

Mi incamminai verso il bar. Arrivato là fuori vidi Corrado seduto a un tavolino con già una birra grande.

- Ci siamo dati da fare? – chiesi sedendomi.

- Che vuoi, tu ti fai desiderare – rise.

- Che ci facevi qui? – chiesi guardandomi intorno.

- Mi informavo – fece un sorso di birra.

La mia faccia lo esortò a continuare.

- Ti ho parlato no, del figlio del procuratore? –

Io annuì bevendo.

- Ecco, diciamo che non ha tutti i requisiti per essere nelle forze dell’ordine –

- Precedenti? –

- Esatto, pure pesanti –

- Hai capito il nostro procuratore… -

Continuammo a bere.

- Poi un giorno ti racconto una cosa – disse improvvisamente Corrado.

- Come vuoi… - non sapevo che dire.

Il bar era un posto tranquillo, era pieno di quarantenni. Mi sentì improvvisamente vecchio.

P.O.V. Bianca
 

Quella tipa era sua moglie? La sua compagna? Non avevo mai fatto caso al fatto se indossasse una fede, una fedina o qualcosa del genere. Non so perché ma l’idea mi disturbava. Scossi il capo. Perché diamine doveva crearmi dei problemi quel tipo?

*

- Che cazzo di freddo – a volte mi sorprendevo della mia finezza.

Emilio per tutta risposta emise un rutto. C’era qualcuno che mi superava.

- Ma cos’è che stiamo a fa qua, comunque? – 

- Aspettiamo – disse lui.

- Eh, cosa? – 

- Un mio amico – 

- E la mia presenza è necessaria? – sbottai. 

Faceva freddo e questo faceva pure il misterioso.

- Se vuoi, puoi farmi compagnia – 

- A quale scopo? Se deve venire sto amico tuo –

- Poi se ne va – disse semplicemente.

- Emilio, stiamo per caso aspettando uno spacciatore? – chiesi scetticamente.

- Lui per tutta risposta annuì.

- Oddio – sbuffai - e chi è? – 

- Mento – disse lentamente.

- Ma sei cretino. Che ti sei messo a fare la roba??? – sbraitai.

- Dai, non scassare il cazzo, una volta ogni tanto – 

- Ma vaffanculo! A te solo l’eroina ci manca e poi stai a posto! – sbottai. Ma che cazzo gli girava per testa?

- Senti, sono cazzi miei ok? – 

- Fanculo. Cazzi tuoi veramente, io me ne vado – 

- Eh ciao – mi urlò mentre già mi ero allontanata a grandi passi.

Mi incamminai verso la fermata dell’autobus. Non ci potevo pensare, ma che cazzo aveva passato quello? Continuai a scuotere la testa e a camminare. Ad un certo punto la vibrazione del mio cellulare mi riscosse dai i miei pensieri.

Guardai lo schermo del mio cellulare e sbuffai. Numero privato. Lasciai squillare.

Ripresi a camminare. Faceva freddissimo. Maledette calze, avrei dovuto iniziare a mettermene di più pesanti. 

Di nuovo il cellulare. Ancora numero privato. Magari era Emiliano col numero del tipo. O lo sbirro. Speriamo la prima.

Inspirai.

- Pronto? – 

- Bianca – 

La voce dall’altro capo del telefono mi fece sussultare.

- Sbirro? – 

- Vittorio, grazie. Dove stai? –

Tentennai qualche secondo. Avrei voluto dirgli che ero a casa.

- Allora? – 

Troppo tardi.

- Ad A. – sbuffai.

- Sei impegnata? – 

Che voce calda che aveva.

- Abbastanza – sbuffai.

- A fare? – 

- Ad aspettare il fottuto autobus che non passa – sbottai.

- Dove precisamente? – 

- A corso T. – 

- Mmh – mugugnò pensieroso – Aspettami là, ti vengo a prendere – 

- A cosa devo tutta questa gentilezza? – chiesi sarcastica.

- Devo farti vedere un fatto -

- Potrei anche emozionarmi, sai? - feci scettica.

- A dopo - disse e staccò la telefonata.

- Fanculo - pensai.




______

Scusatemi per il ritardissimo!!!
Purtroppo sono stata iper impegnata a lavoro, ma ora per la vostra immensa gioia eccoci qua!
Vorrei ringraziare ovviamente, chi legge, recensisce, aggiunge a preferiti, seguite e ricordate, siete sempre di più e io mi gaso altrettanto!
Adesso vi lascio al vostro attesissimo spoiler!
Have a good read!

STClaire

 

- Un tipo strano. Non sappiamo il suo nome, nessuno lo sa, a quanto pare. Non si sa niente. Nome, età, nazionalità. -

- Uuh, sembra un tipo grosso - 

- Eh già - prese una sigaretta da un pacchetto di Marlboro morbide. Me ne offrì una.

- No grazie, non fumo - dissi.

Lui mi guardò storto con la sigaretta ancora in bocca storta e mi disse - Cioè, ti fai le canne, ma non fumi sigarette? -

Io annuì semplicemente.

- Non mi piacciono le sigarette. Puzzano. Però tu non puzzi - notai.

- Perché mi lavo - scosse la testa.

- Dai, sai che intendo! -

 

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Capitolo 9
*** Takin' a ride ***


Takin' a ride

P.O.V. Bianca

Inspirai.
- Pronto? –
- Bianca –
La voce dall’altro capo del telefono mi fece sussultare.
- Sbirro? –
- Vittorio, grazie. Dove stai? –
Tentennai qualche secondo. Avrei voluto dirgli che ero a casa.
- Allora? –
Troppo tardi.
- Ad A. – sbuffai.
- Sei impegnata? –
Che voce calda che aveva.
- Abbastanza – sbuffai.
- A fare? –
- Ad aspettare il fottuto autobus che non passa – sbottai.
- Dove precisamente? –
- A corso T. –
- Mmh – mugugnò pensieroso – Aspettami là, ti vengo a prendere –
- A cosa devo tutta questa gentilezza? – chiesi sarcastica.
- Devo farti vedere un fatto -
- Potrei anche emozionarmi, sai? - feci scettica.
- A dopo - disse e staccò la telefonata.
"Fanculo", pensai.


Mi andai a sedere alla panchina più vicina. Non c'era un'anima in giro. Forse non era un male che lo sbirro fosse venuto a prendermi. Faceva pure troppo freddo. Chissà cosa doveva farmi vedere. Iniziai a giocare col cellulare nell'attesa. Avevo l'ansia addosso e sapevo perché. Non era per lo sbirro. Ma per Emiliano. Non riuscivo a capacitarmi delle sue scelte. Certo era sempre stato uno che nella vita aveva provato di tutto. Ma sempre così, per gioco. Per divertimento. Certo un divertimento del cazzo, ma niente di serio. Anzi, forse sapevo anche il perché.
- Che fai sali o no? - una voce spazientita mi riportò a me stessa.
Trasalii - Quando cazzo sei arrivato? - sbottai riponendo il cellulare.
- Cinque sospiri fa - disse.
Mi imbarazzai a quella frase ed entrai in macchina.
- Dove andiamo? - chiesi nuovamente nella speranza di ricevere una risposta diversa da…
- In un posto - fece lui. Come al solito.
Sbuffai.
Lui mise in moto.
Mi guardai intorno nella macchina. Ordinatissima. Sbirro del cazzo. Ma comoda. La mia attenzione fu catturata dal cavo AUX dello stereo. Almeno potevo sentire la musica!
- Perché sorridi? -
- Perché sto con te - dissi velocemente mentre cercavo il mio cellulare nella borsa.
Lui sorrise. Che carino. Non disse niente, sapeva che scherzavo.
Finalmente agguantai il cavo AUX e lo collegai al mio cellulare.
- Posso vero? - chiesi speranzosa.
- Tanto hai già fatto - disse.
Sorrisi ancora di più.
- Se! -

"What I'm searching for
to tell it straight, I'm trying to build a wall.
Walking by myself
down avenues that reek of time to kill.
If you see me keep going
be a pass by waver"

La musica mi aveva sempre tranquillizzato.
Peccato non avesse il potere anche di riscaldarmi, avevo le mani congelate. E la colpa era solo mia.
Me le misi tra le gambe, cercando di riscaldarle.
Vittorio improvvisamente accese i riscaldamenti. Aveva notato il mio gesto. Arrossii di nuovo, ma nascosi il viso nei capelli e nella sciarpa per non farmi notare.
Dopo dieci minuti di musica e silenzio arrivammo a destinazione.
- E' il luogo più squallido e buio che io abbia mai visto - dissi.
Non c'era una luce, tranne una piccola finestrina che emenava una fioca luce gialla.
- Uh! Gnonno!! - esclamai.
- Gnonno? - Vittorio mi guardava perplesso.
- Cane! C'è un cane lì! -
- E tu dici gnonno per indicare un cane? - mi chiese ancora più perplesso.
- Si! - dissi continuando a guardare il cane nero in strada. Aveva un collare, quindi probabilmente era di qualcuno in zona.
- E perché? -
- Perché sono gnonni! Sono bellissimi! - dissi. Per me era una cosa normalissima.
- Ti piacciono gli animali vero? -
- Si! -
- Quello nella foto era il tuo gatto? - chiese riferendosi alle foto nel mio diario.
Annuì.
- Mio padre l'aveva portato a casa quando io avevo due anni. E' stato con noi 18 anni, è morto poco tempo fa. Ma fa ancora male - dissi tutto in un fiato. Le lacrime mi pizzicavano gli occhi.
Abbassai ancora di più la testa nella sciarpa. Non volevo che mi vedesse piangere. Mi avrebbe preso per stupida.
- Mi dispiace - sussurrò. Mi appoggiò una mano sulla testa a mò di carezza. La cosa mi fece sorridere.
- Io invece avevo un cane da giovane - intanto cercava qualcosa nella sua giacca.
- In realtà era un incrocio. Cioè, era un lupo cecoslovacco, metà cane e metà lupo. Sono difficilissimi da tenere, ma mio padre provava un amore incondizionato verso tutto quello difficile da gestire. Tipo mia madre -
Sorrisi alle sue parole.
- E' stato con noi 16 anni - prese una foto dal suo portafoglio.
- Si chiamava Agamennone - rise - il nome ovviamente l'aveva scelto mio padre.
Mi mostrò la foto. Ritraeva un cane bellissimo ed enorme, e un uomo alto e accovacciato.
- Sono Agamennone e tuo padre? - chiesi.
Lui annuì.
Porto questa foto nel portafoglio da quando Agamennone è morto. E sono passati tredici anni. Quindi non sentirti stupida se ti viene da piangere pensando al tuo gatto -
Gli sorrisi annuendo ed asciugandomi le lacrime.
- Comunque - riprese - prima che iniziamo a piangere tutti e due - rise - ti spiego perché siamo in questo posto di merda -
Io mi sistemai meglio sul sediolino.
- Mi devi dire se riconosci un tipo - mi guardò, seriamente, coi i suoi occhi grigi.
- Ci provo, se solo si vedesse qualcosa - mi guardai intorno.
- Ma chi è sto tipo? - chiesi.
- Un tipo strano. Non sappiamo il suo nome, nessuno lo sa, a quanto pare. Non si sa niente. Nome, età, nazionalità. -
- Uuh, sembra un tipo grosso -
- Eh già - prese una sigaretta da un pacchetto di Marlboro morbide. Me ne offrì una.
- No grazie, non fumo - dissi.
Lui mi guardò storto con la sigaretta ancora in bocca storta e mi disse - Cioè, ti fai le canne, ma non fumi sigarette? -
Io annuì semplicemente.
- Non mi piacciono le sigarette. Puzzano. Però tu non puzzi - notai.
- Perché mi lavo - scosse la testa.
- Dai, sai che intendo! -
- Si ho capito. E' perché fumo poco -
Annuì.
Improvvisamente mi ricordai di quel giorno al centro commerciale. Gli guardai la mano sinistra, ma niente fede. Non sapevo se chiederglielo. Non mi sembrava il tipo da confessioni personali.
Ad un certo punto gli vibrò il cellulare sul cruscotto. Lo schermo indicava una chiamata di una certa Francesca. Guardai fuori dal finestrino per ritargliargli un minimo di privacy. Ma lui lo lasciò squillare. Una volta. Due volte. Tre volte.
- Secondo me dovresti rifondere, magari è importante -
Lui sbuffò.
- Scusami un attimo - prese il cellulare ed uscì dalla macchina.
Lo vidi allontanarsi a grandi passi e gesticolare. Ma dall'auto chiusa non si sentiva niente. Dopo vari minuti ritornò verso l'auto. Aprì la portiera, si sedette e la chiuse con violenza.
- Hai gli occhi cattivi - osservai.
Lui mi guardò storto. Sembrava veramente incazzato. Ecco, adesso sembrava lo sbirro di cui avevo sentito parlare.
Lo guardai massaggiarsi le tempie. Aveva delle belle mani. Il loro segno sul mio corpo ancora me lo ricordavo. Arrossii al pensiero! Che cazzo andavo a pensare!
Ad un certo punto una risata ci fece guardare al di fuori della macchina. Verso la casetta. Tre uomini parlavano, anzi urlavano, all'uscio della porta che fortunatamente era aperta in modo da illuminare i loro lineamenti.
Due di loro non sapevo chi fossero, e di certo non mi ispiravano. L'altro invece, lo conoscevo! Mi sentivo improvvisamente gasata.
Vittorio mi fece segno di stare zitta e aspettare che se ne andassero. Dopo cinque o dieci minuti gli uomini si allontanarono.
- Allora? - fece lui.
- Uno lo conosco. Quello con berretto di lana di traverso -
- E come si chiama? -
- Non lo so. Lo vedo sempre alle feste. Posso conoscerlo! - esclamai vedendo la sua faccia contrariata.
- Poi vediamo. Si è fatto tardi, ti accompagno - disse semplicemente. Sembrava improvvisamente molto stanco.
Io annuì semplicemente.
Ci volevano una trentina di minuti da lì a casa mia. Speravo solo di non passarli tutti in silenzio.
- Non metti la musica? - mi chiese improvvisamente.
- Devo? - chiesi incerta.
- Se vuoi, sennò almeno parla un po'. Di solito parli sempre -
- E' un pregio, mica un difetto! - dissi piccata.
- Non ho detto niente, non ho espresso pareri - disse lui sorridendo.
Certo che se continuava a sorridere così gli avrei fatto accostare la macchina alla prima piazzola di servizio e gli sarei saltata addosso! Ma mi se che era illegale fermarsi in autostrada per quel genere di cose.
- A che stai pensando? Hai gli occhi sognanti -
Mi feci improvvisamente tutta rossa.
- Niente, assolutamente niente - mentì - Stavo pensando che non ho avvisato mia madre -
- Siamo quasi arrivati tanto -
Io annuì.
Arrivati sotto casa Vittorio spense il motore della macchina e iniziò a guardarmi.
- Bhe, allora grazie del passaggio - dissi. Non sapevo che dire in realtà.
Lui annuì e non aggiunse altro.
- Quindi… - iniziai a dire - Quando ci rivediamo? -
Lui alzò le spalle.
- Ti chiamo -
- Si magari con un po' di anticipo eh - dissi.
Presi la borsa ai miei piedi.
- Baci - dissi.
Lui fece un cenno di saluto. Aspettò che aprissi il portone e se ne andò.
Avevo faticato a lasciare la macchina.


_____

Saalve!
Oggi ho aggiornato solo dopo 5 giorni, apprezzatemi!
In realtà è perchè mi sto gasando malamente, la storia a quanto pare piace! E soprattutto perchè scrivere mi tranquillizza! E anche perchè volevo farmi perdonare dei precedenti ritardi!
Quindi spero che la storia continui a piacervi!
In realtà questo è un capitolo, diciamo, di passaggio, perchè sto pensando seriamente che stia arrivando l'ora di una svolta!
Vi lascio al vostro spoiler! Ah! La canzone che ascoltano in macchina è L.E.S. Artistes di Santogold, l'ho sentita a palla mentre scrivevo!
A presto,
Grazie,
StClaire

"Avevo un mal di testa micidiale. Aspettai una mezza oretta il tempo, che lei si fosse addormentata. Non avevo intenzione di continuare quell'amorevole chiacchierata.
"Hai gli occhi cattivi"
Ero stato un libro aperto per lei.
Ripresi la foto dal portafoglio. Mi aveva fatto una tenerezza quando parlava del suo gatto.
Ma mi era parsa completamente malinconica quando la ero andata a prendere. Perché?
Scossi la testa. Avevo già i miei problemi.
Sospirai e mi avviai verso la camera da letto. Incrociai le dita prima di entrare."

 

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Capitolo 10
*** After the ride. ***


After the ride
 
POV Vittorio

"Forse faresti meglio a rispondere. Magari è importante" - disse lei.
- Si, scusami un attimo -
Uscì velocemente dalla macchina e mi allontanai.
- Pronto? Francesca che c'è? Sono a lavoro. Se non rispondo ci sarà un cazzo di motivo! -
- E non pensi cazzo di avvisarmi? Sono le 23.00 passate! E non ti sento da stamattina! Dove cazzo sei, ho chiamato anche in caserma ma mi hanno detto che non c'eri! -
- Chi cazzo ti ha detto di chiamare in caserma? Ma che cazzo ti piglia la testa? Cristo! -
- Volevo solo sapere quel coglione di mio marito che morte avesse fatto, cazzo è mio diritto saperlo! Tu non rispondi mai al cell! Dove cazzo sei? -
- Sono a lavoro. Punto. Ti chiamo io dopo -
Attaccai la telefonata. Dio, che ansia. Guardai verso la macchina. Bianca aveva lo sguardo perso nel vuoto.
Avanzai verso la macchina e quando entrai Bianca mi rivolse una specie di saluto timido. Aveva ancora gli occhi lucidi per prima.
- Hai gli occhi cattivi - disse.
L'aveva notato subito.

*

Era mezzanotte passata. Cercai di entrare in casa senza fare il minimo rumore.
Quando chiusi la porta una luce si accese.
Mia moglie.
- Allora? Si può sapere dove eri? -
Aveva le braccia incrociate, brutto segno. Ma non avevo voglia di fare questioni adesso.
- A lavoro, quante altre volte devo ripeterlo? - ero veramente irritato.
- Dove? Se in caserma non c'eri? -
- Cazzo sono 10 anni che faccio sto lavoro e manco hai capito che mi sposto? - ma era improvvisamente diventata scema?
- Oddio, senti basta. Vado a dormire -
- Potevi benissimo andarlo a fare prima - risposi.
- Infatti, scusami tanto se mi sono preoccupata - sbottò lei.
La guardai allontanarsi in camera da letto.
Avevo un mal di testa micidiale. Aspettai una mezza oretta il tempo, che lei si fosse addormentata. Non avevo intenzione di continuare quell'amorevole chiacchierata.
"Hai gli occhi cattivi"
Ero stato un libro aperto per lei.
Ripresi la foto dal portafoglio. Mi aveva fatto una tenerezza quando parlava del suo gatto.
Ma mi era parsa completamente malinconica quando la ero andata a prendere. Perché?
Scossi la testa. Avevo già i miei problemi.
Sospirai e mi avviai verso la camera da letto. Incrociai le dita prima di entrare.

*
 
Di nuovo il procuratore. Erano le nove. Questo si presentava ad ogni morte di papa, agli orari più insani e rompeva pure le palle. Aveva pure le pretese che io mentre me ne andavo a casa mi mettevo ad “aggiornarlo sui fatti” che odio.
E così eccomi all’ufficio. Ancora.
- Erano in tre. Sempre al solito posto. Non si vedeva granché. La ragazza ha riconosciuto solo uno di quelli. In realtà non lo conosce, ma dice che lo vede spesso alle feste.
Ha detto che potrebbe fare conoscenza… -
- Ah, è diventata più docile? -
- Abbastanza, diciamo che si gasa facilmente. Comunque, non credo bisogni metterla in pericolo facendole interagire con questa gente -
Il procuratore alzò le spalle.
- Non ci vedo niente di male. Se la fa con quella gente ogni giorno no? -
- Non proprio - mi stizzai.
- Vedremo cosa fare. Qualche volta vorrei parlare alla ragazza. Chiederemo a lei -
Lo guardai fisso.
- Allora? - chiese ancora il procuratore.
- Va bene -
Con un cenno mi congedò.
Andai a passi veloci verso il mio ufficio. Chiusi la porta e presi il cellulare.
Avrei dovuto chiamarla?
Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti! - riposi il cellulare.
- Hey - Corrado entrò nella stanza - Com'è andata col procuratore? -
Sprofondai nella mia poltrona sbuffando.
- E' andata - alzai le spalle - Mi sono rotto il cazzo di questa situazione -
- La ragazzina rompe? -
- La ragazzina è l'ultimo dei miei problemi al momento -
- Comunque, dobbiamo andare in un posto –
Lo guardai con fare interrogativo.
- Dove? –
- Poi vedi, riguarda ieri sera –
Sospirai.
- Andiamo –
Andammo.
 
POV Bianca
 
Le giornate a scuola erano sempre più noiose.
Mi ritrovavo da sola come un cretina al corridoio del quinto piano ad andare avanti e indietro. Oggi la prof. Di pittorico non c’era. Il che significava caos assoluto in classe. Sospirai. Mi appoggiai al muro e mi lasciai scivolare. Misi le cuffiette e lasciai la musica intasarmi la testa.
A un certo punto la riproduzione fu interrotta da una chiamata. Guardai lo schermo del telefono.
Emilio.
Staccai le cuffiette e risposi.
- Pronto? –
- We Bianca, dove sei? –
- Sono le undici di giovedì mattina, dove posso stare? –
- Sei a scuola? –
- Eh già – sbuffai.
- Ah ok, scusa, mi dimentico sempre –
- Non fa niente, che volevi? -
- Un po’ di compagnia –
- Per cosa? –
- Un giro, così –
- Ah ok – perché non me la contava giusta?
- Ah senti Emilio! Ma per caso conosci un tipo che viene sempre alle feste che porta un cappellino di lana sempre di traverso? –
- No, una descrizione più dettagliata no? –
- Eh, non me lo ricordo bene –
- Ma perché? –
- Niente, mi ricordo che era bono! – inventai al momento.
- Sei sempre la solita, ti piacciono tutti ma non la dai a nessuno poi! –
- Ma che finezza! – sbottai. Saranno pure fatti miei a chi la do!
Lo sentì ridere a telefono.
- Emi – incominciai –scusa per la altra sera. Solo fai attenzione – quelle parole mi pesavano tantissimo. Avrei voluto dirgli di smetterla, ma non mi avrebbe mai ascoltato.
- Si, te lo prometto, ok? –
- Ok –
- Dai ti lascio, bacio –
- Bacio –
 
*
 
Ormai avevo una fissa. Tutte le sere in piazza cercavo con gli occhi quel tipo. Ma niente, non lo vedevo. Forse non era della zona.
Non che la cosa mi dispiacesse eh. Niente tizio, niente problemi per me. Niente sbirro. Non che l’ultima volta fosse stata male, ma aveva una cattiva influenza su di me. Il suo discorso sulla droga e il suo lavoro mi aveva fatto avere qualche senso di colpa.
Erano passati, visto che avevo un pacchetto d’erba tutto per me nel giubbino.
Ormai era quasi arrivato l’inverno. Mi stavo congelando mentre aspettavo Emilio. Quella sera finalmente c’era una festa! Una di quelle tranquille al chiuso, con la musica che piaceva a me. Non vedevo l’ora!

_
POV Vittorio

La vide ballare quella musica di merda davanti alle transenne, di fronte alla consolle. 
Raggiungerla sarebbe stata per lui un’epopea, già essere lì dentro da almeno 15 minuti era una gran vittoria. 
Quindici minuti in uno stanzone che andava contro tutte le sue morali di lavoro. 
In quel centro sociale, c’era tanta di quella gente che avrebbe potuto arrestare che quasi si sentiva impotente, pensava. 
La prima da sbattere in una cella era proprio lei, che tanto si dimenava, praticamente nuda, con indosso la solita canotta extra large che tanto lasciava vedere. 
Ad un certo punto, la sua attenzione fu attirata da un cartello all’entrata che recitava – Questa non è una piazza di spaccio – sbuffò, sorridendo al solo pensiero di quante persone se ne infischiavano di quelle parole. 
Tornò a controllare la consolle e notò che lei stava cercando di liberarsi da un tizio che le si strusciava contro. 
“E’ ora di andarla prendere” pensò buttandosi nella mischia. 
Non si sentiva a disagio in quel momento. Non doveva. Il fatto di essere in borghese in una non-piazza di spaccio non gli faceva né caldo né freddo. L’unica cosa che lo preoccupava era la sua possibile reazione quando l’avrebbe visto.  
Si avvicinò alla sanguisuga prendendola per la collottola e lo mandò via, poi cinse un braccio attorno alla vita della ragazza, che si girò guardandolo più che sorpresa. 
- Che cazzo ci fai tu qui? – urlò più per sorpresa che per farsi sentire. 
- Dobbiamo parlare – urlò lui al suo orecchio per sovrastare quel baccano – prima che uccida quel tipo. Forza – si staccò dal suo viso e si voltò trascinandosi lei per un braccio al di fuori di quel covo. 
- Aspetta. La mia roba! – si voltò all’indietro e dopo due secondi era già da lui, con un espressione curiosa in volto. 
- Dove andiamo? – chiese una volta fuori. 
- In un posto, ma prima vestiti – fece lui fissandola. 
- Che c’è? Sono vestita – rispose lei sorridendo maliziosamente. 
- Oh, certo. Se per un micro pantaloncino e una canotta con scritto sopra una frase incomprensibile che più di una scollatura ha uno squarcio, intendi dei vestiti, allora rettifico e dico: copriti – 
- Mmmh, come siamo suscettibili davanti ad un corpo femminile. Sicuro di essere sposato? – 
- Come scusa? –  
- Sicuro di essere sposato? – chiese di nuovo le indossando una felpa. 
- Come fai… - 
- A saperlo? Semplice. Ho chiesto in giro. A quanto pare siamo in due ad indagare qui – esclamò sorridendo. 
- Io non indago sulla tua vita privata –  
- No, certo che no, ma ultimamente sei costantemente presente. Allora, dimmi. Che vuoi stavolta? – 


_


- Allora? Dove andiamo? –
- In un posto – risposi allontanandomi da quel baccano.
- Dici sempre in un posto. E comunque c’era quel tipo dentro. Quello con il berretto –
- Davvero? – Mi fermai di botto – Perché non me lo hai detto prima? –
- In realtà ti avevo detto che sto tipo è sempre alle feste. Poi come ti avvisavo che non il tuo numero e manco ti fai sentire da due settimane? -
Più la guardavo e più mi chiedevo come facesse a non sentire freddo.
- La smetti di guardarmi le gambe? Sembri un maniaco – disse ridendo.
- Stavo pensando – “Sgamatissimo
- Al fatto che sei uno sbirro maniaco? –
- No. Al fatto che ci andiamo a fare un giro dentro ora –
La sua faccia allibita era un spettacolo.
- Vuoi andare davvero là dentro? E io che fine faccio? –
- Vieni con me, no? E mi fai vedere dov’è sta gente – Mi stava fissando.
- Perché mi guardi in quel modo? – Mi metteva soggezione. Poteva mai quella ragazzina mettermi in soggezione?
- Perché sei uno sbirro! – esclamò.
- Non vedo la connessione – allargai le braccia.
Sbuffò – Fa niente. Andiamo – 


Hola bella gente!
Mi scuso per il ritardo, ma come al solito, il lavoro mi distrugge!
Questo capitolo non è un granchè, ma vi giuro che i prossimi saranno veramente interessanti!!!
Spero che la storia vi piaccia e ringrazio come al solito chi spende un po' del proprio tempo per leggerla, recensirla e a chi mi scrive!
Grazie!

Alla prossima,

StClaire

"​Attaccai la chiamata.
- Che dici andiamo? –
Io annuì.
- Ma ce la fai a guidare dopo la birra che ti sei tracannato? –
- Ho i miei anni di esperienza per sopportarla non ti preoccupare – mi rispose.
- Ma quanto sei vecchio? – chiesi. Non gli avevo mai chiesto l’età. Sapevo che ne aveva un trentina, ma non quanti precisamente.
- Scoprilo da sola, visto che ti sei messa ad indagare su di me. A proposito, chi ti ha detto che sono sposato? – si fermò di botto.
Alzai le spalle.
- Scoprilo tu visto che sei tu lo sbirro! – lo risposi canzonatorio.
- Simpatica. Davvero. Rido –"

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Capitolo 11
*** Veggie ***


Veggie
 
- Vuoi andare davvero là dentro? E io che fine faccio? –
- Vieni con me, no? E mi fai vedere dov’è sta gente – Mi stava fissando.
- Perché mi guardi in quel modo? – Mi metteva soggezione. Poteva mai quella ragazzina mettermi in soggezione?
- Perché sei uno sbirro! – esclamò.
- Non vedo la connessione – allargai le braccia.
Sbuffò – Fa niente. Andiamo –
P.O.V. Vittorio


Ci incamminammo verso la struttura che ospitava quella specie di festa. La musica era assordante anche da fuori. Povero me.
Una volta dentro Bianca salutava a destra e manca gente che mi chiedevo come facessero a riconoscersi in quel buio e quella confusione.
A un certo punto sentì Bianca prendermi per mano. Si voltò e mi sorrise.
- Sennò ci perdiamo! –
La gente là dentro era tantissima.  Non capivo niente. Come aveva fatto Bianca a riconoscere quel tipo in quella confusione?
Mi accorsi che Bianca si stava dirigendo vero il muro di casse.
Che intenzioni aveva?
Arrivati tra le prime file Bianca si voltò indietro.
- Balliamo –
Mi prese il braccio e se lo portò intorno alla vita. Poi con una mano mi attirò al suo viso.
- E’ il tipo dietro la consolle, vicino al tipo con il cappello mimetico, lo riconosci? –
Sentivo le sue labbra vicino al mio orecchio. Ma non era quello il momento per pensarci.
Alzai un po’ lo sguardo. Eh, si, era proprio lui. Ma non potevo fare niente al momento. Soprattutto non con Bianca che mi si strusciava addosso.
Avrei dovuto far ricorso a tutto il mio self control. Continuai a guardarmi intorno. La musica si era un po’ calmata. Cose era, la ballads di quel genere?
A un certo punto un urlo catturò l’attenzione di tutti.
Dall’altra parte della sala era scoppiata una rissa. Ottimo. Manco il tempo di girarmi che il tipo era sparito. Imprecai.
Mi sciolsi dall’abbraccio con Bianca.
- Andiamo fuori – le dissi all’orecchio. Aveva un bellissimo odore.
La presi per mano, e lei sembrò arrossire a quel gesto, ma era buio per esserne certi. Andammo velocemente verso l’uscita.
Una volta fuori, mi chiese l’ora.
- Sono le tre – risposi.
- Ma che ci fai a quest’ora in giro tu? – mi chiese.
- Lavoro? – Eravamo ancora vicino alla struttura. Magari usciva il tipo.
- Ci andiamo a mangiare qualcosa? Ho fame –
- Mi hai preso per il tuo amichetto? – continuai a fissare l’uscita.
- Se ti fa schifo il tuo lavoro non prendertela con chi ti trascini dietro – rispose piccata.
- Come scusa? – la mia attenzione si spostò su di lei.
- Appena si parla di lavoro, il tuo lavoro, fai la faccia incazzata e diventi sprucido e antipatico. Che cazzo lo fai a fare se non ti piace. E se non lo puoi cambiare, bhè, non prendertela con gente che non ha implicazioni con esso! Si vede lontano un miglio che sei stato costretto a sceglierlo. Non so perché, quando e come, ma io non centro niente. Quindi non arrabbiarti con me! –
Continuai a fissarla. Aveva le braccia incrociate sul petto ed era rossa in visto. Sembrava una bambina a cui non volevano dare il giocattolo.
- Scusami. Hai ragione tu. – “In tutto” pensai.
- Andiamo, ti porto a mangiare qualcosa e poi a casa –
Lei tornò a sorridere.
- Voglio qualcosa di salato – disse lei allontanandosi a grandi passi verso la macchina.
- Pure i vizi c’hai! – le urlai dietro.
Diedi un ultimo sguardo all’edificio e la raggiunsi.
 
P.O.V Bianca
 
- Non sapevo fossi vegetariana – disse Vittorio.
- Non me lo hai chiesto – dissi addentando il mio panino. A livello di mangiare facevo paura. Ero una porca.
- Ma poi mi spieghi che cazzo di panino è friarielli, sottiletta e patatine? –
- Il miglior panino del mondo, ecco cosa è! – rivolsi un sorriso alla signora della paninoteca. Che mitica donna. Aveva una settantina d’anni, ma faceva le sei del mattino tutte le notti.
- E comunque, alla fine hai mangiato pure tu – dissi.
- Mi hai fatto venire fame – rispose, dopo aver fatto un sorso di birra.
- Solo quella? – gli chiesi sorridendo.
- Si, solo quella – rispose lui nascondendo un sorriso.
- Peccato – aggiunsi continuando a mangiare.
Il cellulare inziò a squillare. Il display indicava Emiliano.
- Cazzo – sbottai. Me ne ero completamente dimenticata.
Vittorio mi guardò interrogativo.
Scossi il capo.
- Non ho avvisato Emiliano che me ne andavo –
- Ma è il tuo fidanzato? – chiese lui continuando a bere. Complimenti.
- Che c’è geloso? – chiesi ridendo e guardando il cellulare che continuava a squillare.
- Rispondi, che è meglio – scosse la testa divertito.
“Quanto cazzo è bono” pensai.
Mi ripresi dai miei pensieri.
- Pronto? –
- Ma dove cazzo sei? Sei sparita, è un’ora che ti cerco! – La finezza di Emiliano mi stordì i timpani.
- Calmati, ho incontrato un’amica e me ne sono andata con lei! Ti ho cercato, ma chissà dove eri appartato! – inventai là sul momento.
- Va bene, stai a casa? –
- Si. Tu? –
- Si, ma da Alessandra –
- Ok – dissi semplicemente.
- Notte –
- Notte –
Attaccai la chiamata.
- Che dici andiamo? –
Io annuì.
- Ma ce la fai a guidare dopo la birra che ti sei tracannato? –
- Ho i miei anni di esperienza per sopportarla non ti preoccupare – mi rispose.
- Ma quanto sei vecchio? – chiesi. Non gli avevo mai chiesto l’età. Sapevo che ne aveva un trentina, ma non quanti precisamente.
- Scoprilo da sola, visto che ti sei messa ad indagare su di me. A proposito, chi ti ha detto che sono sposato? – si fermò di botto.
Alzai le spalle.
- Scoprilo tu visto che sei tu lo sbirro! – lo risposi canzonatorio.
- Simpatica. Davvero. Rido –
Per tutta risposta gli feci una linguaccia. Ma un brivido di freddo mi percorse tutta la schiena. Lui lo notò.
- Che hai? – mi chiese.
- Freddo – risposi cercando di riscaldarmi le braccia.
- Così impari ad uscire nuda – commentò.
- Non sono nuda! – dissi aprendo la felpa.
Lui distolse lo sguardo.
- Potrei offendermi per questo gesto! – dissi piccata continuando a camminare.
- L’ho fatto per gentilezza, ti si vede il reggiseno. Non sono un maniaco come vuoi pensare! –
- Capirai! E come se stessi in costume no? Anzi, i costumi sono ancora più succinti! –
Lo vidi scuotere la testa e alzare le mani. Vittoria!
 Continuai a camminare. Cazzo poteva parcheggiare più vicino.
A un certo punto un peso sulle mie spalle mi fece voltare. Vittorio mi aveva appoggiato addosso il suo giubbino.
- Non vorrei averti sulla coscienza. Alla tua età un colpo di freddo può essere pericoloso, ma grazie! –
- Madonna che simpatia. Veramente! –
Arrivammo finalmente alla macchina. Da lì casa mia non distava tantissimo. Dieci minuti. Entrammo in macchina.
- A proposito. Dov’è che mi volevi portare? – chiesi ricordandomi.
- Ah, in un posto simile a quello dell’altra volta. Vicino a G. –
- Mica la base dietro le palazzine –
Lui si girò verso di me – Si, esatto. Sei informata –
- Ci vado spesso –
- Sai che preferisco non parlare dei tuoi hobby –
- Vedi, diventi acido quando si tratta di lavoro. Sei più amabile quando bevi, dovresti bere di più – gli dissi.
- Certo, magari in tua compagnia – disse guardandomi in modo ironico.
Io allargai le braccia – E che male c’è? Dai ammettilo, non siamo stati male questa sera! E poi io non ti farei parlare di lavoro sicuro, non mi andrebbe di sentire stronzate! Io non ci vedo niente, ma proprio niente, di male – esclamai.
- Non sto dicendo questo, è solo che… sarebbe… come dire… - gli si illuminarono gli occhi – poco professionale. Ecco – accompagnò quella frase con un gesto del capo.
- E’ questo il tuo problema - dissi incrociando le gambe sul sediolino e girandomi verso di lui.
- “E’ poco professionale, è poco professionale”- lo imitai mimando le virgolette – Sei sempre teso, sempre preoccupato all’immagine che trasmetti, sempre pronto a menare la gente, non c’è bisogno di essere un’altra persona per fare il tuo lavoro. Ho capito che non ti piace, ma non deve limitarti anche al di fuori di esso! Ho capito che non condividi le mie, chiamiamole, opinioni, ma non mi sembra che in questo momento, o alla paninoteca o in macchina l’altra sera, ti abbia dato fastidio la mia presenza. Ma mica vi fanno il lavaggio del cervello in Polizia?
Sai quanti ce ne sono là in mezzo più lote di me e dei miei amici? E poi è scientificamente provato, all’estero almeno, che la cannabis non crea dipendenza! –
- Guarda che le azioni di Polizia non mirano a voi, ma a chi la vende. E non solo per la cannabis. Ma per tutte le altre sostanze. Voi siete solo vittime. Diciamo così –
- Vedi? – lo indicai.
- Cosa? –
- Hai il cipiglio da sbirro di nuovo! –
Si mise a ridere.
- Va bene, va bene. Giuro, ci penserò, seriamente. Un giorno di questo ti chiamo per una birra, contenta? –
Sorrisi.
- Si, ma se la prossima chiamata che mi fai è “per andare in un posto” – lo imitai di nuovo – ti attacco il telefono in faccia –
- Correrò il rischio. Dai, adesso ti accompagno – Guardò l’ora, erano quasi le 5.00 – Ma i tuoi non dicono niente che fai così tardi? – mi domandò mentre metteva in moto.
- No, perché dovrebbero? – chiesi di rimando.
- Bhè, fai tardi, frequenti gente poco raccomandabile, posti poco raccomandabili, roba così –
- I miei genitori sono persone intelligenti, sanno che ho una testa mia e che non mi lascio trascinare, e comunque io mi sono sempre comportata bene, non hanno mai dovuto dubitare di me –
Lui annuì. La luce fioca dei lampioni gli illuminava il volto. Stava guardando il semaforo aspettando che si facesse verde. Era proprio bello.
- Perché mi fissi? – mi chiese continuando a guardare il semaforo.
“Cazzo”, mi ha sgamata!
- Niente, mi chiedevo come mai hai deciso di fare lo sbirro – inventai al momento e distolsi lo sguardo.
- Non avevi detto che non mi avresti fatto parlare di lavoro? – chiese accelerando. Finalmente era verde.
- Infatti stiamo parlando di te, non di lavoro –
Sembrò pensarci un attimo.
- Non hai tutti i torti – sussurrò.
- Lo so –
Raggiungemmo casa mia, raccolsi la mia poca roba dai sediolini posteriori e gli riconsegnai la giacca.
- Oook – sbadigliai – grazie di tutto, del passaggio, del panino e della birra! –
- Non preoccuparti, andava anche a me – disse.
Mi sbilanciai un po’ verso di lui, per salutarlo. Gli schioccai un bacio volutamente vicino la sua bocca e uscì dalla macchina. Mi voltai di nuovo verso di lui per un ultimo saluto.
Una volta dentro al palazzo sentì il motore della macchina ripartire.
Mi fermai a pensare un attimo. Avevo il cuore a mille per quel piccolo gesto di follia. Avevo visto un sorriso nascere sulle sue labbra.

___

Eccoci di nuovo qua! Per la vostra gioia, ammettetelo!
Spero vivamente che questo capitolo, un po' lunghetto forse, vi piaccia!
Fatemi sapere, non siate timidi!
Love you all!

StClaire

- Ma si può sapere che cazzo ti prende? – sbraitò sottovoce, ma non troppo.
- Che mi prende? Niente, rispondo a tuo padre. Che dovrei fare? Fissarlo? Comportarmi come un imbecille come tutte le volte che mi porti su sta cazzo di casa, solo per farti contenta? E per fare contenti quei due coglioni? – sbraitai io e di certo non sottovoce.
- Vittorio! – aveva gli occhi sgranati – Vattene! Vattene adesso! – urlava anche lei ora – Gesù Cristo quando fai così hanno ragione loro! Sei un poliziotto del cazzo! – 

 

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Capitolo 12
*** Cops! ***


Cops!

POV Vittorio
 
- Stasera non hai impegni vero? –
Mi girai verso mia moglie che stava lavando i piatti. Ero steso sul divano ancora morente. Quella nottata con Bianca mi aveva distrutto. Avevo una certa età per fare le 6 del mattino.
Fortunatamente lei, mia moglie, non aveva fatto domande. Magari anche lei si scocciava di litigare ogni santissimo giorno.
- Perché? –
- Perché è il compleanno di mio padre, te ne sei già dimenticato? –
Sgranai gli occhi. Il panico.
- No – risposi di getto – solo che andiamo lì a cena o pranzo? –
Non sapevo che fare. Mi ero completamente dimenticato del suocero. Grazie al cazzo. Lo odiavo.
- A cena, Vittorio –
Ah, che dolore. Brutto segno quando finiva le frasi con il mio nome.
- Mmh.. va bene. Che gli vogliamo regalare? –
- Risparmiati la paraculata, già ho fatto io – chiuse il rubinetto, si asciugò le mani con un panno e se ne andò in camera. Che simpatia.
 
*
 
La sera arrivò improvvisamente presto. Odiavo mio suocero. Era uno di quei tipi saccenti del cazzo. Professore universitario del cazzo.
La suocera era pure peggio. Ma almeno dimostrava il duo disprezzo con il silenzio. Molto meglio.
 
*
 
- E dimmi come va il lavoro, Vittorio? –
Eccoci arrivati al momento cruciale della serata. Per tutta la cena avevo cercato di passare inosservato. Mangiavo, ascoltavo, non facevo domande, bevevo regolarmente. Non guardavo nessuno negli occhi. Sorridevo. Io non sorrido mai, o meglio non a loro.
Eccolo lì, col ghigno già pronto a nascere. Quasi non si manteneva.
- Va, al solito. C’è sempre da fare in polizia – dissi semplicemente.
- Già, la polizia – sospirò – mi sono sempre chiesto perché tu non abbia scelto l’arma dei Carabinieri, almeno –
- Se avessi scelto l’Arma dei Carabinieri la domanda sarebbe stata: perché non la Polizia? – risposi cercando di mantenere la calma più assoluta. Mia moglie mi gelò con lo sguardo.
Feci un altro sorso di vino. Almeno quello era buono.
Il suocero intrecciò le mani sotto al viso e aggiunse – Sai, mai avrei pensato che mia figlia avrebbe sposato un poliziotto –
- Neanche lei probabilmente – dissi sorridendole in modo canzonatorio.
Lei posò le posate e abbassò ancora i gradi del suo gelido sguardo.
- Vittorio, andiamo un attimo di là – disse.
- Tesoro, stiamo cenando! Dovessi perdere altri punti? – dissi indicando il padre.
Il suocero scosse la testa.
- Vittorio! Andiamo! – esclamò lei.
Si alzò da tavola e si diresse in cucina. I tacchi sbattevano sul pavimento.
Sorrisi, o almeno ci tentai, ai suoceri che mi guardavano schifati, e mi avviai anche io verso la cucina.
- Ma si può sapere che cazzo ti prende? – sbraitò sottovoce, ma non troppo.
- Che mi prende? Niente, rispondo a tuo padre. Che dovrei fare? Fissarlo? Comportarmi come un imbecille come tutte le volte che mi porti su sta cazzo di casa, solo per farti contenta? E per fare contenti quei due coglioni? – sbraitai e di certo non sottovoce.
- Vittorio! – aveva gli occhi sgranati – Vattene! Vattene adesso! – urlava anche lei ora – Gesù Cristo quando fai così hanno ragione loro! Sei un poliziotto del cazzo! –
- Ma si può sapere che cazzo centra? Cazzo, se avessi fatto il medico come quel coglione del tuo ragazzo, come quel piscione che si, che avresti dovuto veramente sposare, non saremmo a discutere! E tu, più idiota dei tuoi che mi giudichi perché faccio il poliziotto? Non mi sembra che tu spenda in modo migliore il tuo cazzo di tempo. L’unica cosa su cui hanno ragione è che è vero, MAI avremmo dovuto sposarci! Ma cazzo, ti dovevo acchiappare proprio nel momento in cui volevi fare la ragazza difficile! –
Aveva gli occhi lucidissimi e le guance rosse.
- Vattene, sei ubriaco – sussurrò.
- Da ubriachi si dice la verità – sibillai.
Mi avviai verso l’uscita. Mi fermai a prendere la mia giacca e poi
mi voltai un’ultima volta verso mio suocero.
- Apri pure lo champagne che non hai aperto al matrimonio –
Mi congedai.
Scesi le scale di corsa. Forse era vero, avevo bevuto. Ma meglio così, mi ero tolto un peso. Ci eravamo tolti un peso. Ormai erano anni che andavamo avanti a fatica.
Mi misi in macchina. Andai spedito verso casa. Il tragitto non era lungo, fortunatamente. Mi sentivo strano. Tra l’incazzato e il felice. Era finita un’era della mia vita. Non so che intenzioni avesse lei, ma io non sarei di certo tornato. Non lì.
Mi concentrai alla guida.
Arrivato a casa presi il primo borsone dallo stanzino e ci ficcai più cose possibili. Sarei ritornato poi a prendere il resto.
Feci un attimo punto della situazione.
Dove cazzo sarei andato adesso?
Scrollai le spalle. Avevo bisogno di dormire. Sarei andato in qualche cazzo di albergo il cesso da qualche parte. Non era neanche mezzanotte. Tutto ok.
 
POV Bianca
 
- Ma quanti cugini abbiamo? – esclamò mia sorella a cena.
I miei ci avevano appena riferito che il venerdì successivo saremmo dovuti andare ad un’ennesima festa di compleanno.
Sbuffai.
Mi scocciavo di tutto ultimamente. Niente suscitava il mio interesse.
La voce della mia famiglia faceva da sottofondo ai miei pensieri. Sbuffai nuovamente.
Finì di cenare e me ne andai in camera.
Diedi uno sguardo veloce al cellulare, nella speranza di trovare qualsiasi segno di vita. Niente.
Era ormai quasi un mese che non sentivo Vittorio. La cosa avrebbe dovuto rallegrarmi. Mi buttai sul letto. Sospirai. Invece avevo una certa sensazione di mancanza. Scossi la testa.
Bastardo di uno sbirro! Mi creava problemi a prescindere!
La vibrazione del mio cellulare mi riportò alla realtà. Scattai all’in piedi maledicendo contemporaneamente la sensazione di speranza che si impossessò di me.
Guardai il cellulare. Lo schermo indicava Alessandra, la mia compagna di classe.
- Hey – risposi.
- Bianca! – gracchiò la voce al telefono – dove sei? –
- A casa, perché? –
- Io e Laura ci andiamo a prendere un caffè al bar in piazza G. Vieni? Tentennai un attimo. In fondo che mi costava?
- Va bene, ci vediamo alle scale? –
- Si! A dopo! –
- A dopo –
Attaccai la telefonata.
 
_
 
Sbuffai seduta alle scale della piazza. Già erano in ritardo, avrei dovuto aspettarmelo! Guardai ancora il cellulare. Vuoto assoluto.
- Bianca! – una voce gracchiante la chiamò.
Lei si alzò e le raggiunse. Si diressero verso il bar. Già dopo 10 minuti Bianca si odiò per aver scelto di andare al bar con loro. Neanche il tempo di ordinare che già avevano iniziato a sparlare.
- Bianca, tu che dici? –
Sgranai gli occhi. Di che cazzo parlavano?
- Boh – fu l’unica risposta sensata che le uscì.
- Dai! Secondo te, Marco e Simona vanno a letto insieme? –
- Quelli di classe nostra? – chiesi.
Loro annuirono all’unisono.
Ci pensai un attimo. Beh, in effetti sembravano molto intimi. Ma anche lei ed Emiliano erano intimi a volte.
- Probabile, non saprei dire –
- Ma… - esordì Alessandra – tu ed Emiliano? –
Per poco non mi affogavo.
- Cosa? –
- Dai! Non fare la finta tonta –
- La finta tonta che? Vuoi sapere se scopiamo? –
- Beh, si! Non ci sarebbe da meravigliarsi! E’ bono proprio! –
Scoppiai a ridere!
- Oddio, ti prego! Comunque no, non scopiamo. Oddio, non l’ho mai guardato sotto quell’aspetto! Poi a dire la verità non è proprio il mio tipo – dissi.
Emiliano era davvero un bel ragazzo oggettivamente, ma non mi diceva niente su quel punto.
- E può essere il tuo tipo quello laggiù? –
- Chi? – domandai seguendo il suo sguardo.
- Quello con la camicia bianca all’ultimo tavolino –
Alessandra che era seduta alla mia sinistra aveva una visuale migliore.
- Perché dovrebbe essere il mio tipo? –
- Perché ti sta fissando da quando ci siamo sedute –
Incrociai i suoi occhi. Gli vidi accennare un sorriso. Come se mi conoscesse.
- Beh, brutto non è – dissi.
- E’ vecchio! – esclamò Alessandra.
- Dai, vecchio. Avrà una trentina d’anni! –
Il suo pensiero andò a Vittorio. S’incupì in un istante. Sbirro del cazzo.
Improvvisamente il tipo si alzò, entro dentro il bar e ne usci pochi minuti dopo. Si accese una sigaretta, la guardò un’altra volta, le accennò un saluto e se ne andò.
Che tipo strano.
 
POV Vittorio
 
Qualcuno bussò alla porta.
- Avanti – dissi laconico.
- Hey, come va la vita da single? – Corrado si affacciò nell’ufficio.
- In teoria non sono single, non definitivamente – esclamai.
- Hai per caso un’amante e io non ne so nulla? –
- No! Non ho l’amante, parlo di mia moglie, genio! E poi anche se avessi l’amante perché mai dovresti saperlo? –
- Beh, perché se fosse la ragazzina vorrei saperlo a tutti costi! –
Alzai gli occhi di scatto.
- Che c’entra Bianca, scusa? –
- L’ho vista l’altro giorno al bar, con le amiche. Cazzo se non è bella. Con quegli occhi da cerbiatta. Come fai a non vederlo? –
- A vedere cosa? – la discussione iniziava a infastidirmi.
- A quanto è bella! –
- Lo so che è bella, ma mica implica il fatto che ci debba provare! –
- Beh, sei un uomo single e lei è maggiorenne – sembrò pensarci su – E’ maggiorenne vero? –
Annuì.
- Va beh, scappo. Ciao uomo libero! –
Sussurrai un leggero “vaffanculo” e tornai a sprofondare nella poltrona.
Non vedevo Bianca da forse più di un mese. Le avevo promesso una birra insieme, ma non mi andava di riversarle i miei sfoghi personali. E lei era fottutamente brava a leggermi dentro. E bella.
 
*
 
- Pronto? –
- Pronto? - la sua voce era cristallina al telefono.
- Bianca, sono Vittorio – dissi semplicemente.
- Hey there, Cop!
- Eh? –
- Scusa, sto al P.O.N d’inglese. Che mi dici? Sei sparito!
- Ho avuto, come dire, dei problemi – buttai lì.
- Ok
- Che fai stasera? – le chiesi.
- Medito il suicidio. Ho una festa di compleanno, diciott’anni di mio cugino
- Ah, ok. Sarà per la prossima volta –
- No! No! Ti prego, salvami, mi rompo le palle!
- Certo non vengo con te alla festa! –
- Non dico questo, ma potresti venirmi a prendere!
Ci pensai un attimo.
- E che dici ai tuoi? Sarai con i tuoi no? –
- Beh, dico che ho un’altra festa, e partecipo a tutte e due, e che tu mi sei venuto a prendere! Semplice no?
- Semplicissimo. Ok. Dov’è sta festa? – 


_____

Hey there!!!
Come al slito, vorrei ringraziarvi, immensamente, per tutto questo! 
Intendo la storia, le recensioni, i messaggi in casella! Il vostro interesse e apprezzamento mi gasano e mi emozionano!!
Non vedo l'ora di andare avanti, e spero anche voi!
Vi anticipo, che il prossimo capitolo sarà un po' audace (e probabilmente lungo) , ma ho deciso di non cambiare il rating, per rispetto alle persone che non possono leggere storie rosse! Ma vi emozionerò lo stesso, giuro! (spero!)
Vi lascio al vostro, attesissimo, spoiler!
Un bacio,
e sinceramente grazie,
StClaire.

_

"Lei stava per controbattere ma la zittì con una carezza. In realtà la mia intenzione era spostarle sempre quella ciocca che a lei sembrava non infastidire. Ma il tutto si era trasformato in una carezza.
Andai a pagare. Mi voltai un attimo per vederla intenta a indossare il cappottino e spostare i capelli di lato. Sorrideva.
Uscii fuori e ci sorridemmo. Di nuovo. Non ero un tipo che sorrideva molto io. Ma Bianca mi metteva a mio agio."

 

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Capitolo 13
*** Upside/Down ***


UPSIDE/DOWN


POV Vittorio

Dio, Bianca con le indicazioni faceva schifo. Aveva sbagliato, strada, civico e nome del locale, come cazzo aveva fatto! Mi ero dovuto fermare a chiedere tre volte prima di trovare il posto.
Le mandai un sms per dire che ero arrivato.
Dopo neanche cinque minuti eccola lì.
Alta, anzi altissima, con i capelli luminosi e un trucco perfetto ad incorniciarle il viso. E un vestito così attillato che lasciava poco all’immaginazione. Ma non era volgare. Era solo ancora più dannatamente bella.
Si affacciò al finestrino.
- Bel trucco – dissi. Dovevo riprendermi.
- Grazie! –
Fece il giro della macchina ed entrò.
- Mia sorella è una make-up artist! Brava vero? –
Io annuì.
- Se ne avrai bisogno, fammi sapere –
Sbattei le palpebre.
- Se mai dovrò intrufolarmi in un gruppo di Drag Queen ti avviso –
- Mi stai dicendo che sembro un travestito? – mi fulminò con gli occhi.
- No, ti sto dicendo, che difficilmente potrei aver bisogno di una make up artist per la mia persona –
Lei socchiuse gli occhi, poi sorrise.
- Birra? – domandò.
- Birra – e misi in moto.
 
*
 
- Quindi, che problemi hai avuto, per sparire così? – mi chiese sorseggiando il suo Martini.
- Chiamiamoli, problemi coniugali – dissi guardando altrove.
Riportai il mio sguardo su di lei. Mi stava scrutando con l’oliva del suo martini tra le labbra.
Prima che iniziasse a farmi a pezzi come al solito, le porsi un’altra domanda.
- Credevo prendessi la birra – dissi indicando la bottiglia sul tavolo.
Lei sorrise.
- In quel posto fighettino non c’era la birra! C’era il Martini, non credo sarebbe stata buona idea mischiare le due cose –
Mi sorrise.
- No, infatti –
- Poi il Martini mi dona! – esclamò prendendo il bicchiere ed accavallando le gambe.
Notai il gesto.
E notai anche che gli uomini al bar con noi se la mangiavano con gli occhi.
- Che hai? – mi chiese.
- Che ho? – le feci eco senza capire.
- Hai il cipiglio cattivo! –
Alzai gli occhi al cielo, la storia del “cipiglio” non la capivo.
- Niente. Mi da fastidio quando gli altri ti guardano –
Realizzai solo al momento ciò che avevo detto. Che cazzo avevo detto?
La vidi guardarsi intorno e poi arrossire.
Mi sorrise e mi guardò con quegli occhi scuri resi ancora più intensi dal trucco.
Aveva quel fascino strano. Quello dato dallo strano coesistere di sensualità e innocenza. Si comportava come se nessuno le avesse mai detto niente sulla sua bellezza. Come se lei non sapesse di essere bella.
Continuammo a bere. Parlando del più del meno. Mi raccontò della sua vita scolastica, di come aveva perso un anno a scuola. Non per le canne, come mi aveva fatto credere la prima volta che toccammo l’argomento. Dio, sembrava essere passata un’eternità da quando c’eravamo incontrati.
- Tu perché non porti la fede? – domandò a un tratto.
Mi guardai la mano. Bella domanda.
Sospirai.
- Perché non volevo sposarmi –
Lei mi guardò interrogativa. Inclinò la testa di lato per esortarmi a continuare. Una ciocca di capelli le scivolò sul viso. Fui ardentemente tentato di spostargliela.
- Non perché non amassi mia moglie – feci un sorso di birra. Ultimamente bevevo troppo - Solo che non sono mai stato uno che crede al matrimonio. Non parlo a livello religioso. Proprio a livello “contrattuale”. Per me è una cagata. Solo che mia moglie lo desiderava tanto, e così – sbuffai - Ho ceduto –
Alzai le spalle.
- Lei è di sei anni più giovane di me, quando ci siamo sposati era praticamente una ragazzina. Ma neanche anagraficamente – ormai ero a ruota libera. Non so perché, ma Bianca mi metteva a mio agio, quando era in silenzio – Mentalmente una ragazzina – ripresi – sempre vissuta nel bene, nel lusso. Con due genitori scassacazzo proprio – sbottai.
Lei sorrise. Era bello poter essere sboccati ogni tanto senza sentirsi in difetto. Bianca non era certo l’emblema della finezza.
Mi guardai nuovamente la mano. Ormai c’era un motivo in più per non portare la fede. Non tutto era definitivo però.
Il mio sguardo si spostò sul quadrante chiaro dell’orologio. Dio, le 2.00 di notte? Quanto avevamo parlato?
- Che c’è? – chiese Bianca.
Le mostrai l’orologio.
Sbiancò.
- Le due??? – esclamò.
- E’ volato il tempo! – rise.
Mi guardai intorno, e notai che eravamo gli ultimi rimasti al bar.
- Ti accompagno a casa –
Lei annuì e mise mano alla borsa.
- Ah. Ah – l’ammonì – Stai ferma, pago io –
Lei stava per controbattere ma la zittì con una carezza. In realtà la mia intenzione era spostarle sempre quella ciocca che a lei sembrava non infastidire. Ma il tutto si era trasformato in una carezza.
Andai a pagare. Mi voltai un attimo per vederla intenta a indossare il cappottino e spostare i capelli di lato. Sorrideva.
Uscii fuori e ci sorridemmo. Non ero un tipo che sorrideva molto io. Ma Bianca mi metteva a mio agio.
Ci incamminammo stranamente in silenzio. La ZTL mi aveva costretto a parcheggiare abbastanza lontano.
- Ma scusa – domandò a un tratto lei – se non abiti con tua moglie, dove stai? –
- In un casa di proprietà dei miei. Oddio, casa è un parolone. E’ un monolocale, ma meglio di niente –
- Bello! Ho sempre voluto un monolocale! – esclamò.
- Perché mai? –
- Perché ne farei un atelier! –
- Ah vero, la storia dei disegni –
Lei mi guardò un po’ storto.
- Non fraintendermi, sono bellissimi. Ma non so quanto conti il mio parere! –
- Già se dici che ti piacciono, mi fai un complimento! –
- Mi piacciono –
Lei sorrise, come non aveva mai fatto prima. Sorrise con quegli occhi scuri e i capelli morbidi che le ricadevano lungo il corpo.
Improvvisamente sentì Bianca imprecare.
- Che c’è? – le chiesi fermandomi a guardarla.
- Diciamo che tacchi e sanpietrini non vanno d’accordo – sorrise.
Mi avvicinai e le porsi il braccio.
Lei sorrise ancora, ma accettò l’invito.
- Così non cadi, contenta? –
- O magari cadiamo insieme, ne sarei più contenta! –
Scoppiò a ridere. Io alzai lo sguardo al cielo. Che tipo.
La sentì stringersi al mio braccio e appoggiare la testa alla mia spalla. Con i tacchi era altissima.
Il suo profumo m’inebriò.
Le presi il volto tra le mani e la baciai. Non so perché di quel gesto.
O forse lo sapevo benissimo.
Ero stato tentato tutto il tempo dalle sue labbra. Da lei.
Lei mi mise le braccia intorno al collo, e ricambiò il bacio. Eravamo lì, in mezzo un vicolo a baciarci. E mi sembrava tutto giusto. Indietreggiamo verso il muro. Passai le mie mani sotto il cappottino di lei. Il vestitino era così aderente che mi sembrava di toccare la sua pelle. Ci incastrammo tra due macchine. Non mi importava che qualcuno ci potesse vedere. Continuammo a baciarci con foga. Cominciai a baciarle il collo. Il suo profumo mi stordiva. O forse era l’eccitazione. Mi passò una mano tra i capelli. La sentivo ansimare, e la cosa mi faceva impazzire. Lei mi attirò di nuovo a sé. Le mie labbra non chiedevano che le sue, carnose. Non resistetti. Gliele morsi manco fossero state fragole. Ma mi ricordavano proprio quelle.
Le sbottonai la giacchetta che rivelò il suo decolleté. Lei mi strinse ancora di più a sé. Le mie mani non si lasciavano scappare un centimetro della sua pelle. Avrei voluto strapparle i vestiti da dosso.
Sentì la sua mano scivolare verso la mia cintura.
Una risata ci fermò di botto. Un gruppo di ragazzi stava passando per il vicolo. Mi voltai a guardare Bianca. Aveva il rossetto un po’ sbavato, i capelli in disordine e le guance rosse. Il suo petto si alzava e si abbassava velocemente.
Quando il gruppetto di ragazzi fu passato abbracciai Bianca. Lei mi strinse forte.
- Devi tornare a casa? – le chiesi.
Lei fece cenno di no con la testa ancora appoggiata alla mia spalla.
- Vuoi venire da me? – le sussurrai.
Lei fece cenno di sì.
Mi sembrava improvvisamente timida.
Lei alzò finalmente il viso verso di me e io le baciai la fronte.
Lei invece mi attirò a sé e mi baciò. Dolcemente. Con quelle labbra di fragola.
 
**

Entrarono in camera da letto sbattendo la porta. Come avevano sbattuto già quella d’ingresso.
Non si erano degnati neanche di accendere la luce. La casa era piccola e Vittorio sapeva bene dove dirigersi. I primi indumenti a cadere furono le rispettive giacche.  Vittorio non si lasciava scappare neanche un centimetro del corpo di Bianca, e Bianca aveva ben poca voglia di rivoltarsi.
Avanzarono verso il letto, sempre avvinghiati. Le spalline del vestitino di Bianca erano scivolate giù. La cerniera del suo vestito le seguì subito dopo.  Vittorio si prese un paio di secondi per appagarsi la vista del corpo di Bianca, ma non resistette di più. L’agguantò con passione  e la prese in braccio. Bianca accavallò le gambe intorno i fianchi di Vittorio e velocemente si ritrovo con la schiena al muro, vicino la porta. Bianca sentiva l’eccitazione di Vittorio tra le sue gambe e la cosa la faceva eccitare incredibilmente. Inarcò la schiena dall'impulso e Vittorio lo prese come un invito a tuffarsi tra i suoi seni. Lasciò una scia di baci infuocati dal petto al collo di Bianca. Bianca si lasciò scappare un mugolio di piacere.
Bianca si sciolse da quella stretta erotica e lo prese per mano, dirigendosi lentamente verso il letto. Sorridendogli. Si baciarono ancora, ancora e ancora. Bianca passò le mani sotto la maglietta di Vittorio.  Ne strinse i lembi ed esortò l’uomo a toglierla. Finalmente vedeva ciò che i suoi occhi avevano immaginato per tanto tempo. Il petto e l’addome di Vittorio erano scolpiti. Asciutto e scolpito. Ma le spalle erano muscolose e ben definite.  Lo attirò a sé e lo baciò ancora. Poi passò al collo. Poi al petto.  Continuò a scendere con piccoli baci per tutto l’addome di Vittorio. Contemporaneamente iniziò a slacciare la cintura di lui. Vittorio sentì la pelle d’oca formarsi su di lui. A un certo punto Bianca risalì. Bianca sentì le mani di Vittorio sulla pelle nuda. Lui le slacciò con abilità il reggiseno. Vittorio la riprese in braccio e insieme a lei si buttò sul letto. Risero e ricominciarono a baciarsi. Vittorio le immobilizzò i polsi con le mani e poi iniziò il suo tour di baci sul ventre di Bianca. Sentire Bianca gemere lo faceva impazzire. Con una mano abbassò le mutandine di Bianca e nello stesso momento sentì la risata cristallina e un po’ imbarazzata di lei.
Bianca lo attirò a sé e lo baciò dolcemente.
- Comunque adesso possiamo constatare una cosa – esclamò sorridendo lei.
- Che cosa? – chiese curioso Vittorio.
- Chi deve stare sopra e chi deve stare sotto! – 

______

Mio Dio, spero che non vi sembri un romanzo Harmony! Ho fatto del mio meglio per scrivere una scena sensuale, spero che apprezzerete il tentativo almeno!
Mi scuso comunque per il ritardo, ma questo periodo, e soprattutto per il mese di Luglio, è un casino! Ma spero di riuscire ad aggiornare regolarmente.
Comunque, spero veramente che vi piaccia ancora la storia dopo questo!!!
Vi lascio all'attesissimo, solito, spoiler!
Battete un colpo per qualsiasi cosa!

un bacio,

StClaire
 

"- Mi sento osservato - 

Lei rise - E' bello guardarti - disse.

- Contenta tu. Mi trovi bello? - dissi voltandomi verso di lei. Io ero seduto vicino la finestra a fumare. Lei era raggomitolata sul mio letto. Ed era bellissima da guardare.

- Ti trovo interessante -  disse continuando a guardarmi - E' interessante guardarti. E' interessante il tuo profilo, il modo in cui fumi. Sono interessanti le tue mani. Mi piacciono - 

Mentre lo diceva seguiva il profilo del mio corpo con un dito. Potevo quasi sentirla."

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Capitolo 14
*** Here again - Annuncio ***


Salve!
La "stagggione" è finita, almeno per me, quindi eccomi qui!
Mi dispiace veramente essere scomparsa e di conseguenza di non aver aggiornato la storia, ma purtroppo il lavoro e le vacanze annesse mi hanno tenuta lontana dal mio caro file word!
Ma adesso, per la gioia di tutti sono e tornata e sono felice di annunciarvi che la settimana prossima riprenderò ad aggiornare regolarmente la storia.
Colgo l'occasione per ringraziare ogni singola persone che ha letto la mia storia!
Vi voglio bene e spero che abbiate passato una bella vacanza!
(Anche se so che avete sofferto per la mia assenza!)
Un abbraccio,
StClaire!

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Capitolo 15
*** Lost in thought ***


Lost in thought.

- Mi sento osservato -
Lei rise - E' bello guardarti - disse.
- Contenta tu. Mi trovi bello? - dissi voltandomi verso di lei. Io ero seduto vicino la finestra a fumare. Lei era raggomitolata sul mio letto. Ed era bellissima da guardare.
- Ti trovo interessante - disse continuando a guardarmi - E' interessante guardarti. E' interessante il tuo profilo, il modo in cui fumi. Sono interessanti le tue mani. Mi piacciono -
Mentre lo diceva, seguiva il profilo del mio corpo con un dito. Potevo quasi sentirla.
I suoi capelli erano dispersi per tutto il letto, tra le lenzuola e i cuscini, sembravano radici.
Il lenzuolo era un velo che mi lasciava immaginare il suo corpo.
Ciccai la sigaretta e la posai nel posacenere. Mi alzai e nello stesso momento Bianca riaprì gli occhi. Mi avvicinai al letto. Lei sorrise.
- Che intenzione hai? – mi domandò ancora con il suo malizioso sorrisetto sulle labbra.
Salì sul letto e mi avvicinai a lei.
- Non saprei, sai, pensavo a questa notte – mi appoggiai di fianco a lei.
- A qualche cosa in particolare? – chiese inarcando un sopracciglio.
Ci pensai effettivamente un attimo.
- No. Niente di particolare – sentì la mia voce tremare un attimo.
La baciai per nascondere quell’attimo inspiegabile che era successo.
La suoneria del suo cellulare ci divise.
- Cazzo! – esclamò Bianca - Pronto? – rispose - No, non me lo sono dimenticata mamma. No, sono da Alessandra! – si voltò a guardarmi con un sorrisetto imbarazzato. Io mimai il nome Alessandra con la bocca in modo interrogativo.
- Si, ho studiato mamma – sbuffò – abbiamo solo fatto tardi! Ci vado a scuola, ovvio che ci vado – la vidi sbuffare. Bella anche con tutto il trucco sbavato, che ora era tipo sindone su uno dei miei cuscini. Ottimo.
- Ok, ciao mamma. Si, ciao. Ok. Ciao. Ciao mamma, ciao –
Chiuse la chiamata e sprofondò nel letto, guardando ancora il display del cellulare. Sbuffò nuovamente e si alzò di scatto.
- Ok, dove sono i miei vestiti? –
 
*
 
Quella mattina la mia mente non carburava. Il mio pensiero fisso era Bianca. Il mio pensiero fisso era che io fossi andato a letto con Bianca.
Ero nel mio ufficio con lo sguardo perso nel vuoto. Non riuscivo a smettere di pensare a lei.
Che cosa avrei dovuto fare? Chiamarla? O aspettare? Dio, mi sentivo come un adolescente del cazzo.
Qualcuno bussò alla mia porta.
- Avanti –
Corrado mi si parò davanti.
- Vieni, il procuratore ci vuole vedere -
POV Bianca
 
Dio! Mi sentivo una chiavica! Che cosa avevo fatto? Diodiodiodiodiodio! Dio! Con chi ero finita a scopare! Oddio, non che mi fosse dispiaciuto! Però oddio. Quando ci eravamo lasciati stamattina anche lui mi sembrava un po'… scosso? Cosa ne aveva fatto della sua politica relazionale con i drogati? Mi scoppiava la testa! Però il ricordo di ieri ancora mi faceva rabbrividire di piacere. Le sue mani, Dio, le sua mani!
- Bianca, ma sei tutta rossa in viso! Ti senti bene? -
La voce della mia compagna di banco mi fece trasalire. Mi voltai di scatto e feci cenno di si con la testa. Tutto ad un tratto notai che mi mordevo ancora il labbro inferiore. Lo sentivo più gonfio. Come se i baci di Vittorio, famelici quali erano stati, faticassero ancora a scivolare via dalla mia bocca.
Scossi la testa per scacciare di nuovo il ricordo di me e lui.
- Bianca, sicura di stare bene? -
Mi voltai di nuovo.
- Si certo, ero solo soprappensiero - le accennai un sorriso imbarazzato.
E adesso cosa sarebbe successo? Come si sarebbe comportato lui? Come avrei dovuto comportarmi io?
Un'idea terribile mi fulminò la testa. Si sarebbe fatto sentire? Avrebbe richiamato? Io ancora non avevo il suo numero. Ieri era ubriaco. Sicuro. Io non ero da meno. Però… se si fosse pentito? Non volevo neanche pensare a una possibilità simile. Che cosa avrei fatto se lui mi avesse detto che era stato solo uno sbaglio?
La campanella mi distrasse dai miei pensieri.
Non avrei fatto nulla, mica c’eravamo scambiati promesse a riguardo. Sarebbe rimasta una scopata. Una bellissima scopata.
 

_
 
 
 
POV Vittorio
 
Era come se il cellulare mi bruciasse tra le mani. Che cazzo dovevo fare? Chiamare? Aspettare? E poi, per dirle cosa?
A stento stamattina c’eravamo scambiati qualche parola mentre l'accompagnavo a scuola.
Scuola.
Bianca andava ancora a scuola.
Era una ragazzina. Una bambina in confronto a me. Una bellissima bambina, certo.
Ma io in realtà ero sposato. Più o meno. E gli uomini sposati di solito non fanno certe cose.
O almeno non dovrebbero.
- Se sgrani ancora un po' di più gli occhi, ti usciranno dalle orbite -
La voce di Corrado mi riportò in me.
- Stavo pensando - buttai lì, a mo' di scusa.
Lui prese una sedia di fronte la mia scrivania e ci si sedette stiracchiandosi.
- Cosa ne pensi della riunione di questa mattina? -
Lo guardai prendendomi un attimo per pensare.
- Che il procuratore mi sta sempre di più sulle palle - dissi.
- E del fatto di parlare con la ragazzina? -
Quella domanda buttata lì a caso mi fece scivolare il cellulare dalle mani. Ultimamente ero sensibile alla parola "ragazzina".
- Che c'entra lei? -
- Mi sembra sia iniziata da lei tutta sta storia -  mi guardò confuso.
Mi risistemai.
- Volevo dire - tossì per darmi un contegno - come fai a sapere che il procuratore vuole parlarle? Ne ha parlato oggi per caso? - Possibile che mi fossi perso un pezzo della riunione?
- Ma hai iniziato a drogarti appresso alla tipetta? - mi chiese Corrado avvicinandosi con la testa verso di me.
Lo guardai stralunato.
Mi sa che mi ero perso una parte del discorso.
- No, è che ho un casino di problemi ultimamente, come potrai ben immaginare - buttai lì.
- E' successo qualcosa con Francesca. Intendo, qualcos'altro? -
Per un millesimo di attimo mi balenò un'idea malsana e folle.
- Si - dissi - Siamo andati a letto insieme - aggiunsi.
Vidi Corrado alzare un sopracciglio.
- Siete sposati, è normale. Lo sai vero? -
Feci finta di ridere.
- Certo che lo so, solo che diciamo le cose non si sono chiarite del tutto. Neanche dopo ieri. Cioè, sì, siamo finiti a letto, ma avevamo bevuto - questo particolare sembrò interessare molto Corrado - e stamattina, non è che abbiamo parlato molto - Corrado mi sembrava abbastanza confuso e io mi sentivo un perfetto idiota - cioè, non abbiamo risolto. Non abbiamo fatto "pace", non abbiamo litigato, non ne abbiamo parlato - dissi con un'alzata di spalle. Avevo fatto una grande strozzata a cercare un consiglio da Corrado alterando i protagonisti della storia.
- Scusa - chiese - come vi siete lasciati? -
- Un bacio sulla guancia e lei che scendeva dalla macchina -
- L'hai accompagnata? -
- Si -
- Dove? -
"A scuola" pensai.
- A casa -
- A casa? Scusa non eravate già a casa? -
- No - oddio le cose iniziavano a farsi difficili - Eravamo a casa mia, il monolocale dei miei -
- Ah. Ok. Bene -
Non lo vedevo molto convinto, in effetti la storia non reggeva molto.
- E senti… - esordì improvvisamente – scusa se te lo chiedo – lo guardai incuriosito mentre si appoggiava completamente alla scrivania e io continuavo a rigirarmi il cellulare
tra le mani – Tu cosa hai provato? Cioè – mise le mani avanti – è stato solo “sesso” o hai provato, come dire, amore – finì la frase grattandosi la testa.
Ok la situazione era diventata abbastanza imbarazzante. Lo guardai un attimo. Amore certo non poteva essere stato. Per forza di cose! Certo era stato bello, anzi bellissimo. Per un attimo immaginai di nuovo le labbra carnose e rosee di Bianca. Il suo corpo stamattina tra le lenzuola. Lo ammetto, avevo pensato che un risveglio del genere era una cosa bellissima, e che mi sarebbe piaciuto averlo tutti i giorni. Bianca mi aveva fatto stare bene.
- C’è stato sicuramente del sentimento – ammisi dopo un po’ – però la situazione è ancora complicata – aggiunsi subito dopo. Mi massaggiai le tempie. Era veramente complicata.
- Allora ti lascio ai tuoi problemi esistenziali – mi sorrise e mi fece un segno di saluto, andandosene.
Sbuffai e guardai l’ora. Presi la mia giacca e il casco e mi avviai al garage del commissariato.
Il mio turno era finito da un pezzo e non me ne ero neanche accorto, preso com’ero.
Salì sul mezzo e misi in moto, salutai un paio di persone che se ne tornavano o altre che arrivavano.
Nel tragitto verso casa ripensai un po’ a quello che era successo ieri. C’erano degli sprazzi di immagini che non riuscivo proprio a togliermi dalla testa. La sua voce, i suoi sospiri, il suo profumo.
Forse era meglio concentrarsi sulla guida. Sì, assolutamente.
 
 
POV Bianca
 
Questa doccia ci voleva proprio, pensai.
Era stata una giornata pesantissima, avevo i nervi a pezzi. E la mia amica non faceva che chiedermi se stavo bene. Si cazzo! Ognuno avrà pure i cazzi suoi per testa ogni tanto, no?
Appoggiai la testa al muro della doccia e lascia l’acqua scovolarmi addosso.  Avevo ancora quella sensazione alle labbra. In realtà l’avevo in tutto il corpo. Ero stata bene. Mi ero sentita così femminile, così donna. Non so da cosa dipendeva quella sensazione. Forse perché lui era più grande, forse perché mi ero lasciata completamente andare con lui, come non avevo fatto con nessuno. Con lui mi ero sentita bene. Al sicuro. Tra quelle sue braccia. Scossi la testa lanciando goccioline ovunque.
Uscì dalla doccia e m’infilai il pigiama. Presi il cellulare e controllai un po’ le notifiche. Stronzate scritte nel gruppo della scuola su Facebook, eliminate, chiamata persa da mamma, eliminata, messaggi vari di Whatsapp di Emiliano e un messaggio di un numero sconosciuto.
Il mio cuore perse un battito. Non anonimo, semplicemente un numero che non avevo salvato.
Lo aprì.
 
Ciao Bianca, come va?
Vittorio
 
Un urlò usci fuori dal mio petto. Panico. Panico!
- SARAAAAAA! – urlai correndo fuori dalla mia stanza e sfondando la porta della sua.
- SARA! – urlai nuovamente – Aiutami!! –
- Che c’è? Sto studiando! Che vuoi? – mi chiese esasperata.
Io per tutta risposta mi buttai sul suo letto aggiungendo – Non studi mai, aiutami! –
- Che c’è? – ripeté lei di nuovo piccata dalla mia affermazione.
- Aiutami a rispondere a questo messaggio! –
Glielo lessi e lei mi guardò un po’ male.
- Ma veramente fai? – esclamò.
- Perché? – le chiesi con tutta l’innocenza del mondo, ero troppo su di giri.
- Scusa scrivigli “Ciao Vittorio, tutto bene grazie, a te? Che fai di bello?” – accompagnò la frase con un gridolino isterico.
- Sicura? Non sembro troppo azzardata? O azzeccata? –
- No! Ma scusa, chi è questo Vittorio –
- Ah – giusto, chi era Vittorio? – Un tipo – buttai lì.
- Comunque, dai, rispondi –
Io annuì e scrissi il messaggio. Nonostante fosse così corto e semplice lo rilessi 20 volte per essere sicura che tutto fosse scritto bene.
Poi sotto incalzante spinta di mia sorella, lo inviai.
Ora non mi rimaneva che aspettare risposta.


*

Saaaalve!
Sono tornata!

So che avevo promesso che avrei aggiornato presto, tipo due settimane fa, ma il lavoro mi ha tenuto più che impegnata!
Spero che questo capitolo, via piaccia e vi soddisfi.
Vi anticipo che sto pensando ad una svolta della storia che me la renderà veramente difficile da scrivere, sperando che non mi porti il vostro odio!
Un piccolo anticipo: per quanto poco sia apparsa, chi odia la moglie di Vittorio?
Con questo spoiler, diverso dagli altri (si, sono sadica!) vi lascio, e vi auguro un buon proseguimento!
A presto (giuro, non saprirò di nuovo)
StClaire

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Capitolo 16
*** Math&Beer ***


MATH & BEER




"Ciao Vittorio, tutto bene grazie. A te? Che fai di bello?"
 
"Niente di che, bevo birra buttato su letto. Tu?”
 
"Ah! Il solito ubriacone! Comunque niente di che, faccio compagnia a mia sorella che studia!"
 
"Non sono un ubriacone, tu caso mai vai pesante. Comunque, invece di fare solo compagnia, non dovresti studiare pure tu?"
 
"Ma è sabato! E' giorno di riposo!"
 
"Non era la domenica il giorno di riposo? E comunque com'è andato il compito, oggi?"
 
"Non me ne parlare! Io e la matematica non andiamo tanto d'accordo!"
 
*
 
P.o.v. Bianca
 
Ogni messaggio era un colpo al cuore. Avevo paura sempre di scrivere in modo sbagliato o di scrivere una stupidaggine. Odiavo i messaggi! Non capivo mai lo stato d'animo del mio interlocutore.
 
Di nuovo la suoneria del mio cellulare.
 
- Puoi andare a civettare con Vittorio da qualche altra parte? La suoneria del tuo cellulare mi disturba! - esclamò a un tratto mia sorella - Per non parlare dei tuoi gridolini isterici! -
 
Le scoccai un'occhiata di puro astio.
 
- Potresti essere più gentile! Non sono gridolini isterici! -
 
Lei mi guardò inarcando un sopracciglio.
 
- Sto studiando – ripetè.
 
- Uff – sbuffai – gelosa! – le feci la linguaccia e me ne andai.
 
Forse aveva ragione. Una volta tanto che studiava avrei dovuto lasciarla in pace.
Corsi di nuovo verso camera mia e lessi il messaggio.
 
“Come me e te?”
 
Sentì nascere un sorriso sulle mie labbra. Certo all’inizio non andavamo molto d’accordo. Anzi, io l’odiavo. Però adesso le cose erano cambiate. E di parecchio, dopo quello che era successo. Però questo “me e te” mi mandava in estasi!
Tentai una pazzia.
 
“Come me e te all’inizio. Adesso ti paragonerei alla Religione”
 
Già ridevo al solo pensiero della sua faccia perplessa! Chissà cosa avrebbe risposto!
Il cellulare riprese a suonare.
Sgranai gli occhi, mi stava chiamando! Oddio! Oddio!
Feci un bel respiro profondo.
 
- Pronto – cazzo, mi tremava la voce!
 
- Mi spieghi questo fatto della religione? Per poco non mi strozzavo con la birra –
 
Scoppiai a ridere.
 
- Dai, non vorrei mai averti sulla coscienza, per così poco poi! E poi la smetti di bere? –
 
- Shh, ragazzina. Posso capire la matematica, anche se modestamente io sono un genio in quella materia, ma la religione? Scusa lo devo prendere come un complimento o come una delle subdole offese incomprensibili? –
 
- Ma quando mai io ti ho offeso? Subdole offese poi! E comunque, tu ci hai paragonato alla matematica, io ci ho paragonato alla religione, semplicemente perché non è una di quelle materie che mi fanno salire gli istinti omicidi! –
 
Neanche il tempo di finire la frase che un colpo al cuore per poco non mi provocò un collasso. Ecco! Avevo fatto il passo più lungo della gamba, avevo parlato di “noi”, cioè, come una coppia!
Il panico.
La sua risata fortunatamente mi calmò.
 
- Meno male, sennò dovevo pure preoccuparmi! A questo punto, io ci avrei paragonato al greco, io odiavo il greco. Una delle materie più inutili che io abbia mai studiato, visto quello che sono finito a fare poi -
 
- Ah! – lo ammonì – niente lavoro quando parli con me, già te l’avevo detto! E poi, il greco comunque ti sarebbe servito solo se avessi deciso di fare il prete, o roba del genere –
 
Lui rise – Sei in fissa con sti preti!
 
- Quindi hai fatto il classico. Ti facevo più tipo da Istituto Tecnico, senza offesa, eh –
 
- No, nessuna offesa, non preoccuparti – rise di nuovo.
 
- Quanti secoli sono passati dal tuo diploma? – chiesi con la speranza di sapere qualcosa. La sua età rimaneva un’incognita per me.
 
- Mhh – lo sentì mugugnare – fai conto che mi sono diplomato a 17 anni – si prese un secondo per pensare – madò, sono passati 18 anni -
 
Praticamente la mia vita. Feci un calcolo veloce.
 
- Quindi hai 35 anni – dissi. Mi sentivo un po’ spiazzata.
 
- Mi facevi più vecchio?
 
- In realtà più giovane. Anche se in realtà hai quasi il doppio della mia età! –
 
- Lo prendo come un complimento, almeno la prima parte della tua subdola frase
 
- Non sono subdola, è la verità! – Cazzo, aveva 16 anni di più! – Almeno adesso so qualcosa in più di te! –
 
- Perché, vorresti sapere altro? –
 
- Bhè, tu sai più cose. Sai come mi chiamo, cosa faccio… -
 
- Cosa non dovresti fare – m’interruppe.
 
- Lasciami continuare! Dicevo, tu hai quella simpatica scheda del Sert, dove ci sono un sacco di cose su di me, mentre io so solo che sei un poliziotto, che sei vecchio e che odi il greco! –
 
Omisi quella piccola parte sul suo matrimonio, non mi sembrava il caso di parlarne.
 
Lo sentì sospirare – Bhè, è sempre qualcosa a cui si può rimediare
 
Mi sembrava tutto ad un tratto serio. Avevo il cuore in gola.
 
- E come? – chiesi con un filo di voce.
 
- Bhe, se accetti di venire a prenderti una birra con me quando puoi e se vuoi, ne possiamo parlare
 
Avevo il cuore che mi scoppiava.
 
- Ok – dissi semplicemente. Forse troppo semplicemente.
 
- Ok – ripetè lui ridacchiando – ci sei ancora?
 
- Si, ci sono ancora – dissi ridendo. Rischiavo l’infarto, ma potevo resistere.
 
- Non esci stasera? – mi domandò dopo una manciata di secondi.
 
- No, ho una specie di cena in famiglia. Tu? –
 
- Mmh, no. Sono troppo stanco, dopo oggi
 
- Forse sei vecchio, è diverso! – ridacchiai sentendo i suoi lamenti – Sei andato da qualche parte oggi? – chiesi riferendomi alle basi.
 
- No, ma avrei preferito. Ho avuto una riunione con il procuratore, il che è più snervante e stancante di girare per le basi con una peste come te – disse ridendo.

- Addirittura? Allora è ciò che ti meriti! – dissi fintamente piccata.
 
Lui rise. Aveva una risata bellissima. – Almeno tu non mi rompi dicendomi ti tagliare la barba!
 
Ci pensai un attimo – Non mi sembra che tu abbia un barbone infinito –
 
- Appunto, ma oggi mi ha chiamato Homme Savage
 
Scoppiai a ridere.
 
- A me piace la barba. Sai come si diche? –
 
- Come si dice? – mi chiese in modo curioso.
 
- Ogni volta che un uomo si toglie la barba, in una donna muore un ormone! –
 
- Ma che detto del cazzo è?
 
- E’ un detto serissimo! Ed è la realtà! –
 
Pensai un attimo al suo viso. Si, mi piaceva la barba. Se chiudevo gli occhi potevo sentire ancora la sensazione della sua pelle ruvida vicino il mio viso.
La voce di mia madre mi ridestò dai miei pensieri.
 
- Mi sa che devi andare – disse a bassa voce.
 
- Già –
 
- Va bene, allora ci sentiamo. Buona serata
 
- Anche a te. Bevi una birra anche per me –
 
Rise – Lo farò senz’altro. A presto
 
- A presto – azzardai – Un bacio –
 
- Anche a te
 
*
 
Mentre eravamo a cena, cercai di parlare a mia sorella senza dare nell’occhio. Non volevo che gli altri sentissero. Soprattutto mia zia.
Le spiegai velocemente la chiacchierata, senza esprimere particolari su chi fosse e come avessi conosciuto Vittorio.
- Mo che faccio? Aspetto lui che chiami? –
- Mmmh, non saprei! Magari si aspetta che lo chiami tu! Chi ha fatto il primo passo? –
Ci pensai un attimo.
- Bhe, lui è stato il primo a mandare il messaggio – u
- Bhe allora la prossima volta fatti sentire tu! – esclamò – Ma non subito –
- No certo che no – Poi pensai – E quando devo farmi sentire? –
- Ma di che state chiacchierando voi due laggiù? –
La voce di mia zia suscitò un brivido di terrore in me.
Era la fine.

_

Come promesso, ecco qui il nuovo capitolo!
Un po' breve lo so, ma io mi sono divertita tantissimo a scriverlo, e poi comunque, è breve ma non per questo meno intenso!
Tanto vi assicuro che la prossima settimana aggiornerò di sicuro! Mi sto portando avanti di molto con la storia! Non dimenticatevi del tipo con il berretto!
Vi lascio uno spoiler, ma prima vi ringrazio tutt* per le recensioni e l'interesse che dimostrate per la storia!
GRAZIE!!!!


La presi e ci baciammo di nuovo. Non ce la facevo, non resistevo. E neanche lei a quanto pare.
- Biancarella, vacci piano, che questi sono atti osceni in luoghi pubblici! – gridò una delle sue amiche.
- Tu ne sai qualcosa più di tutte eh? – rispose lei facendole una linguaccia.
Io mi voltai per nascondere una risata.
Bel posto il liceo, non c’è che dire.

 

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Capitolo 17
*** Sex On The Beach ***


Sex On The Beach

P.O.V Vittorio
 
 
Il procuratore si era messo in testa l’idea di parlare con Bianca. E non voleva togliersela.
Guardai l’orologio. Le 12.40.
Sarebbe apparsa alla mia vista tra pochi minuti speravo. Che orario strano per una giornata scolastica. Va bene che era sabato, ma perché finire una giornata alle 12.40?
Mi guardai intorno. Era pieno di ragazzini urlanti. Ok, la verità è che mi soffermavo su stronzate varie per non pensare alla sua reazione. Non glielo avevo detto che mi sarei presentato alla sua scuola. Il perché? Non lo sapevo. Era una settimana che non ci vedevamo, e c’eravamo sentiti saltuariamente.
Improvvisamente la vidi. Era uscita da una porta secondaria che neanche avevo notato. Era circondata da un gruppo di amiche ridacchianti. Sembrava una dea seguita dalle ninfee. Ok, vabbè, stavo degenerando. Scostai un attimo lo sguardo per riprendermi.
Loro continuavano a ridere come matte. Oddio, speravo solo non stessero parlando di me.
Quel dubbio s’insinuò nella mia testa. No, impossibile, Bianca non era così civettuola.
Aveva i capelli sciolti nascosti in parte in una sciarpa. Ero talmente preso a guardarla che non mi resi conto che mi stava guardando con un sorriso a mo’ di saluto.
Avanzai qualche passo nel cortile che fu scenario di uno dei nostri primi poco amichevoli incontri.
Lei mi venne incontro. La guardai per un attimo.
- Ti ricordavo più alta – esclamai.
Lei per tutta risposta mi diede uno schiaffo sul braccio.
- Avevo i tacchi l’ultima volta –
- Aaah, giusto – dissi ridendo del suo sguardo fintamente offeso.
Dopo alcuni secondi le scostai una ciocca di capelli dal viso.
- Non ce la fai proprio a metterli in ordine, eh? –
Lei sorrise ed io non resistetti un minuto di più. Mi abbassai e la baciai.
Così, semplicemente.
Lei rimase un attimo stupita. Poi la sentì sorridere e avvicinare le sue mani alla mia giacca. Io le passai una mano dietro la nuca, e l’attirai ancora di più a me. Non mi importava di chi potesse vederci, delle sue amiche ridacchianti o del resto. Approfondì ancora il bacio. Quella bocca carnosa mi era mancata troppo. E adesso assaporavo tutto il suo sapore.
- RedBull eh? –
- Come scusa? – disse lei confusa dal mio essermi staccato.
- Sai di RedBull – dissi leccandomi le labbra.
Lei scoppiò a ridere e nascose la faccia tra le mani. Quando mi odiava non era così timida.
- L’ho bevuta prima – ammise - A cosa devo l’onore della tua visita? – chiese dopo aver salutato le amiche.
- Pensavo di andare a fare un giro – dissi.
- Uff, e quale base stavolta? – chiese mimando un broncio.
Io risi – Nessuna base, tranquilla – mentre ci dirigevamo all’uscita della scuola – Volevo sapere se ti andava di andare a pranzo fuori visto che io attacco il turno alle 15.00 –
Il suo viso s’illuminò in un sorriso – Questa idea mi piace – acconsentì.
La presi e ci baciammo di nuovo. Non ce la facevo, non resistevo. E neanche lei a quanto pare.
- Biancarella, vacci piano, che questi sono atti osceni in luoghi pubblici! – gridò una delle sue amiche.
- Tu ne sai qualcosa più di tutte eh? – rispose lei facendole una linguaccia.
Io mi voltai per nascondere una risata.
Bel posto il liceo, non c’è che dire.
 
*
 
- Assolutamente no! – sbraitò Bianca con la forchetta ancora a mezz’aria – Non ci torno in caserma! –
- Non è un arresto Bianca! – mi difesi.
- Hai idea della fatica che faccio solo ad aiutare te, ma perché sei tu! No, non esiste, non verrò a parlare con il tuo sociopatico procuratore! –
Almeno su una cosa eravamo d’accordo.
Mi massaggiai le tempie.
- Non ti costringerò – alzai le mani – Anzi, sono d’accordo con te –
Lei mi guardò in modo interrogativo.
- Potrebbe voler chiedere cose troppo al di sopra della tua portata –
- Del tipo? – mi chiese inclinando la testa di lato.
Alzai le spalle.
- Del tipo nomi, su nomi. O i nomi dei tuoi amici –
- I miei amici? – gridò scandalizzata.
Io annuì.
- Per questo accetto la tua scelta. E per favore non gridare! –
- Non sto gridando! – all’improvviso, le si illuminarono gli occhi – E poi l’ultima volta non ti dispiaceva mica farmi gridare! –
Saltai sulla sedia.
- Gesù Cristo, hai un’abilità innata a imbarazzarmi! –

 
P.O.V Bianca

 
Certe cose cambiano così velocemente! Assurdo!
Era stato così bello pranzare con lui!  Non vedevo l’ora che venisse domenica sera per rivederlo!
- Ma stai pensando ancora a quel Vittorio? –
La voce di mia sorella dalla porta bloccò i miei pensieri amorosi.
La guardai per una manciata di secondi.
- Si nota tanto? – chiesi.
- Se non fosse per le mani in faccia, le guance rosse e gli occhi a cuoricino, letteralmente, direi di no – scoppiò a ridere.
Le lanciai un cuscino.
- Non ho gli occhi a cuoricino! – esclamai!
- No per carità… -
- Sara, mi raccomando, non dirlo a nessuno! Neanche a mamma e papà! –
- Non sono solita appendere manifesti sulle tue relazioni amorose, ma comunque non lo dirò a nessuno, ma perché? –
- Così, porta sfortuna parlare delle cose belle! –
- Cose belle? – mia sorella mi guardò con un sopracciglio alzato.
Io feci cenno di sì con la testa.
- Sembri una tredicenne – affermò.
Io sorrisi.
- Io mi sento una tredicenne! Te lo giuro! Dio, quanto è bello! – mi strinsi al cuscino.
- Uh Gesù, sei impazzita! –
- Naaah! – sospirai.
- Pure i sospiri d’amore –
- Ma che sospiri d’amore! – risi.
- Vabè, comunque, che fai stasera? – mi domandò per cambiare discorso.
- E’ il compleanno di una mia compagna di classe, ci vediamo tutti al centro, finiremo in qualche locale, già so! –
- Verrà anche Emiliano? – chiese mia sorella.
- Credo di si, se non si è di nuovo lasciato con Alessandra – la guardai un attimo – perché me lo chiedi? –
Lei alzò le spalle – Sai com’è, non mi piace molto quel tizio, per un po’ ho pensato che voi due stavate insieme, rabbrividisco al solo pensiero! –
- Dai, non è male! –
- Non parlo di un fatto estetico, quel tipo è un drogato! – esclamò lei.
- Anche noi ci facciamo le canne, Sara, siamo drogate? – la guardai seria.
- No, ma per il solo motivo che noi due non siamo mai andate oltre le canne, quello sì! –
Alzai le spalle.
- Ma qualche volta, mica sempre, capita. Ma mi ha promesso che starà attento! –
- Si spera – disse mia sorella – Tu promettimi che se lui non ti ascolta, tu taglierai i ponti con lui –
“Taglierai i ponti con lui”, mazza, mia sorella imparava ogni giorno espressioni nuove.
- Assolutamente – le sorrisi.
- Ma questo Vittorio, sarà mica n’altro drogato? –
Scoppiai a ridere.
- Te lo giuro, no! Anzi, lui le odia queste cose! –
- Meglio, magari ti rimette sulla retta via! –
- E a te chi ti rimette sulla retta via, eh? – ammiccai.
- Nessuno, stronza! Io non ho bisogno di essere messa sulla retta via, già ci sono! –
E se ne andò. Avevo toccato un punto dolente! C’era qualcuno! Avrei indagato per scoprirlo!
 
*
 
- Ma perché non andiamo in qualche locale a ballare? – una delle mie compagne aveva fatto la fatidica proposta – qui per strada fa freddo! –
In effetti faceva abbastanza freddo. Le calze doppie e le parigine non riscaldavano granché.
- Io ci sto – alzai la mano.
Dopo dieci minuti eravamo in cammino verso l’HGC, uno dei locali più grandi del centro, che di solito erano tutti piccoli e sotterranei.
Una volta dentro, come al solito, la musica era assordante e buona. Ottimo, almeno mi sarei riscaldata ballando!
-Ale! – urlai quando vidi la mia compagna di classe – ma Emiliano? –
- Arriva dopo con degli amici – mi urlò all’orecchio.
Le feci ok con la mano.
- Andiamo a ballare? – mi chiese.
- Si! – risposi.
Ci scatenammo come pazze. Ogni tanto qualche ragazzo provava ad avvicinarsi, ma fortunatamente dopo due minuti di totale ignoranza, mollavano la presa.
Improvvisamente ad avvicinarsi fu Emiliano.
- A chi devo uccidere? – ci chiese, riferendosi ai ragazzi nel locale.
- Di che parli? – fece con tono falso innocente Alessandra.
Io scoppiai a ridere, e poi li lasciai soli ad amoreggiare raggiungendo altri miei compagni di classe seduti a un tavolino.
- Fatemi spazio! – dissi buttandomi tra loro.
-Ah, Bianca! Ma chi era quel tipo a scuola? – mi chiese una mia compagna di classe.
Io arrossì all’istante, meno male che era buio.
- Un tipo! – risposi semplicemente.
- Siii, mo si dice così! – rise la mia compagna.
Continuarono a cercare di estorcermi informazioni, fino a quando uno dei camerieri del locale non si avvicinò al nostro tavolino.
- Scusate ragazzi, ma un signore ha offerto un drink, a… Bianca? Se ricordo bene – disse quasi imbarazzato dal non ricordarsi il nome.
Io lo guardai.
- Sono io Bianca, ma chi me lo manda? – dissi prendendo il drink.
- Non mi ha detto il suo nome, è un Sex On The Beach, comunque – disse, come se il nome del drink mi esplicasse qualcosa!
Chi poteva essere?
- Potresti farmi almeno una descrizione? –
Il cameriere alzò le spalle – Un tipo sulla trentina, gli occhi scuri e i capelli scuri –
“ ‘mazza che descrizione!” pensai.
Chi poteva mai essere? Certo non Vittorio, me lo avrebbe detto, e poi lui gli occhi li aveva chiari.
- E’ ancora al bar? – chiesi mentre il cameriere se ne stava andando.
- Possibile, quando ho preso il drink era seduto al bancone –
Mi alzai con ancora il cocktail in mano e andai a farmi un giro. Una mia amica mi seguì.
- Non hai idea di chi potrebbe essere? –
Io scossi la testa.
- Il fatto strano è che conosce il mio nome, quindi devo conoscerlo in qualche modo! Mi avesse mandato solo il drink, ok, ci può stare, ma sapere addirittura come mi chiamo! – dissi incuriosita.
- Che drink poi – rise la mia amica.
- In che senso? – chiesi guardandomi in giro.
- Bhè non dirmi che il tuo inglese fa così schifo da non sapere cosa significa Sex on The Beach! – disse continuando a ridere.
- Il mio inglese è eccezionale – dissi piccata – solo che non stavo seguendo. Bah – feci un sorso – torniamo a ballare? – chiesi alla mia amica.
- Of course! – rispose ridendo ancora.
- Oh, cielo! –
Ci buttammo ancora a ballare, insieme ai nostri compagni. Sembravamo una cricca di scatenati.
Io, Emiliano e Alessandra iniziammo un ballo a tre, che dire scalmanato era poco.
Poi passammo ad un ballo alquanto sensuale che lasciò Emiliano alquanto scosso, mentre io e Alessandra ridevamo della sua faccia sconvolta!
- Ah proposito donzelle! – esclamò improvvisamente – devo presentarvi della gentaglia, seguitemi –
Un po’ con il broncio lo seguimmo verso un angolo del locale, dove su alcuni divanetti c’erano seduti 4 o 5 ragazzi.
Ci furono le dovute presentazioni, ma fu l’ultimo ragazzo a lasciarmi senza fiato.
- Marco, questa è Bianca, Bianca lui è Marco, forse vi conoscete già – disse Emiliano mentre mi presentava praticamente uno dei tre uomini che avevo visto con Vittorio quella notte in quel posto dimenticato da Dio.
- Piacere Bianca – disse “Marco” – Non credo ci siamo mai conosciuti – disse socchiudendo gli occhi scurissimi.
Io gli strinsi la mano dopo una manciata di secondi, paralizzata dall’imbarazzo e da qualche altra emozione che non riconoscevo.
- Non mi sembra, forse a qualche festa – feci finta di pensare un po’, invece me lo ricordavo benissimo – per caso di solito indossi un berretto? – dissi nel tono più normale possibile.
Lui mi guardò qualche secondo poi sorrise. Aveva un sorriso strano. Tra l’attraente e il cattivo.
- Sì, di solito sì. Devo dedurre di aver fatto colpo? – chiese a bassa voce avvicinandosi al mio viso.
Ok, adesso ero parecchio imbarazzata. Ci stava provando?
- Diciamo che ti ho visto più spesso di quello che ho ammesso – dissi sorridendo e cercando una scusa per spezzare quel contatto visivo che lui aveva creato.
Cazzo che situazione.
- Ma la festeggiata? – chiesi tanto per cambiare discorso e guardare Alessandra.
- Si sarà chiusa nel bagno con qualche ragazzo – disse ridendo lei.
- Ottimo, buon per lei –
Anche questa scusa era andata.
Mi sentivo estremamente in imbarazzo seduta su quei divanetti, con quel Marco, che mi guardava insistitamene.
- Che bevi? – chiese Emiliano.
Guardai il drink ancora a metà che avevo in mano.
- Un Sex On The Beach – dissi alzando le spalle.
- Non mi ricordavo ti piacesse – mi guardò lui.
- Infatti glielo hanno offerto! – intervenne Alessandra – Bianca ha fatto colpo su qualche sconosciuto qui al locale – disse ridendo.
- Che gioia – dissi mestamente – Manco mi piace ‘sto coso! –
- Balliamo ancora? – mi chiese Alessandra sporgendosi dal divanetto.
- Assolutamente si – una buona scusa per lasciare quel posto!
Lascia il drink su uno dei tavolini e mi buttai in pista con Alessandra che era già andata con la testa.
Ogni tanto mi giravo verso Emiliano per controllarlo. Ma ogni volta sorprendevo quel Marco a guardarmi. Una delle volte che mi girai, mi sorrise addirittura. Io ricambiai il sorriso velocemente, e poi voltai di nuovo lo sguardo.
- Ma chi è sta gente che è con Emiliano? – domandai ad Alessandra ad alta voce per farmi sentire.
- Boh, amici suoi! Però quel Marco ti mangia con gli occhi! Assurdo! – e rise.
- E fallo mangiare pure! – risposi semplicemente.
- Perché non ti interessa? E’ un bel tipo –
- Sarà pure un bel tipo – e lo era – ma sono già impegnata! – più o meno, pensai.
- Il tipo di oggi a scuola? –
Io feci segno di si con la testa.
- Ma chi è? – chiese lei.
- Un tipo! –
- Grazie al cazzo! Anche Marco è un tipo! –
Già, anche Marco era un tipo. Ma un tipo strano. Che ancora guardava.

____

Hello, bella gente!
Mi scuso ancora per il ritardo, ma è stato un mese di arduo lavoro!
Chi sarà mai il misterioso offritore (esiste come parola?) di Sex On The Beach?
Dai, che l'avete capito!
Spero che abbiate capito anche chi è Marco!
Comunque, vi volevo anticpare una cosa.
Visto che la storia è a rating arancione, pensavo, visto che nel prossimo capitolo ci sarà un'altro attesissimo incontro a casa Vittorio, di scrivere a parte, una specie di One-shot, sul futuro capitolo bollente, ovviamente a rating rosso!
Qualcuno si chiederà, ma non fai prima ad alzare il rating? No! Poichè alcuneie lettrici/lettori, non possono leggere le storie a rating rosso. E vogliamo privarli di Vittorio e Bianca?
Spero che questo capitolo vi piaccia!
Vi lascio al vostro spoiler,
a presto!

StClaire!


- Scusa, hai incontrato Bianca? Dove, quando e perché? –
Lui mi guardò un po’ stranito.
- In un locale del centro, ieri notte verso l’una e perché stavo lavorando! –
Lo guardai –Scusa, lavori nei bar del centro mo? –
- Magari stavo seguendo qualcuno? – mi chiese scettico mentre buttava il bicchierino di carta nel cestino adiacente alla macchinetta.
- E che stava facendo Bianca? –
- Ballava – disse semplicemente.
- Con chi? – chiesi io guardandolo.
- Cazzo ne so, un’amica e un amico – 


 

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Capitolo 18
*** Dinner ***


Dinner
 
P.O.V. Bianca
 
- SARAAAAAAA! – urlai per richiamare l’attenzione di mia sorella.
- Che c’è? – chiese dopo una manciata di secondi affacciandosi alla mia porta.
Lo spettacolo che le si parava davanti era pietoso. Avevo cacciato di tutto dal mio armadio, ogni cosa potesse definirsi abito, vestito, maglia o roba del genere.
- Ma che hai combinato? – chiese scavalcando una montagna di felpe. Io amavo le felpe.
- Non ho niente da mettermi! – urlai isterica sprofondando in quel che rimaneva del letto.
- Stai scherzando, vero? –
- No! Ho tutti vestiti poco adatti a questo momento! –
- Al momento di stare in camera tua? Hai bisogno di un outfit preciso?  - chiese sarcastica.
- No, il momento è una cena! Una cena fuori! Una vera cena, una cena tipo appuntamento! – continuai a sprofondare – Non sono adatta a certe cose! –
- Una cena? Una cena-appuntamento? – sembrò pensarci su – Questo Vittorio sembra un tipo normale, non è da te! – esclamò.
- Chi ti dice che sia Vittorio? – risposi piccata.
- Perché sicuro un tipo come Emiliano il massimo della cena che potrebbe offrirti sarebbe Burger King! –
- Ma io sono vegetariana! –
- Appunto! – esclamò lei – Ti presto qualcosa io, e poi ti trucco pure, ah, e sistemati i capelli! –
 
*
- E’ una gonnellina a pieghe quella che indossi? – mi chiese Vittorio con la testa inclinata di lato.
Incrociai le braccia.
- Sbirro, iniziavo ad apprezzarti, non perdere punti inutilmente – sibilai avvicinandomi a lui.
Lui sorrise e aggiunse – Su, che sotto, sotto mi hai sempre apprezzato – disse avvicinandosi e stringendomi in vita.
- Potrei dire la stessa cosa di te – dissi mantenendo il mio sguardo nel suo.
- Potresti, sì – sorrise.
Gli schioccai un bacio a timbro.
- Allora? Dove mi porti? –
- In un posto! –
 
*

- Quindi, dimmi un po’, com’è andata ieri? – mi chiese mentre aspettavamo il dolce. Anzi, mentre io aspettavo il dolce.
- Cosa vuoi sapere in particolare? – chiesi a mo’ di scherno.
Lui alzò le spalle.
- Non saprei, io ho passato la sera a lavorare, tu ti sarai divertita sicuramente più di me –
Sembrava davvero interessato.
- Niente di che, era il compleanno della mia compagna di classe, quella dell’altro giorno – cercai di ricordargli chi fosse Federica tra il gruppo gracchiante delle mie compagne – ed eravamo sempre i soliti, nel solito locale al centro –
Non so, ma non mi andava di parlargli di Marco. Non volevo che tra “noi” ci fosse il suo lavoro.
E non mi andava di ricordarmi lo sguardo di quel tipo. I suoi occhi, non mi andava.
- C’era anche Emiliano? – chiese riprendendomi dai i miei pensieri.
- Si, è fidanzato con Alessandra, se c’è lei c’è lui e viceversa – sorrisi – E’ davvero una coppia strana, sai, litigano sempre, ma non possono fare uno a meno dell’altro. Sono carini –
Arrivò il mio dolce.
- Ed Emiliano che fa nella vita? –
Tamburellava le dita sul tavolo.
- Come mai tutto questo interesse nei suoi confronti? Devo ingelosirmi? – buttai lì per scherzo, ma giusto per non sembrare accusatoria.
- Beh, cerco di conoscere lui, per conoscere te – disse appoggiando i gomiti su tavolo.
- Ma io sono qui, e credimi, non c’è bisogno di Emiliano per conoscermi – dissi sorridendo.
- Anzi – esclamai ad un tratto – se proprio vuoi sapere qualcosa di interessante, ieri mi hanno offerto un Sex On The Beach, non so chi fosse. Il cameriere ha detto che il tipo che me l’ha offerto era seduto al bar, che aveva una trentina d’anni e che sapeva il mio nome. All’inizio avevo pensato a te, ma poi mi ha detto che aveva gli occhi scuri! Che strano, c’ho pensato tutta la serata! –
Alla parola “Sex On The Beach” a Vittorio era andato di traverso il vino che stava bevendo.
- Come scusa? Come hai detto che era sto tipo? –
Alzai le spalle – Una trentina d’anni con gli occhi scuri, a quanto pare –
Vittorio fece un’espressione strana che non avrei saputo definire. Un misto di rabbia, rassegnazione e incredulità.
- E ti piaceva? – chiese.
- Cosa? Il drink? No, l’ho lasciato su un tavolino dopo qualche sorso –
Mi sorrise. Mi sarei potuta sciogliere lì, seduta stante.

*
 
- E’ stato carino da parte tua ricordarti che sono vegetariana – gli dissi mentre tornavamo alla macchina.
La serata era stata favolosa. Lui era stato carino, gentile, simpatico. Dio, se non mi piaceva.
Mia sorella aveva ragione. Cose così, le persone come Emiliano non te le avrebbero mai potute dare. La tranquillità, la spensieratezza. L’attrazione. Avrei voluto strappargli quella camicia subito! A mani nude!
- E’ una cosa particolare – disse.
- Sì? E perché? – chiesi.
- Così, perché fa parte di te – semplice.
Mi strinse un braccio intorno alle spalle. Non era neanche tardissimo. Chiusi gli occhi e mi appoggiai completamente a lui. Camminammo così, in silenzio ma insieme.
- Comunque la gonna mi piace, non lo dicevo per prenderti in giro – disse improvvisamente – Ti ho visto spesso con le gonne, ma mai così femminili – ridacchiò.
- Infatti è di mia sorella –
- Ti somiglia? –
- Per niente – risi – Ha cinque anni più di me, è biondissima con gli occhi verdissimi, è molto femminile, come hai già capito dalla gonna, ed è ordinata –
- Bionda con gli occhi verdi? Da chi ha preso? – mi chiese appoggiandosi a un muretto.
- Credo dalla parte maschile della famiglia di mia madre. Tutti i miei zii sono biondi con gli occhi chiari. Però ha lo stesso verde degli occhi di mio padre. Mentre io sono identica ad una zia di mia nonna. Fatto strano la genetica –
- Strano si – sorrise – E il nome da dove esce? Carino come ossimoro il nome Bianca, per una ragazza che è tutta scura –
Alzai le spalle.
- In realtà non saprei. Credo piacesse a mia madre -
- Piace anche a me - disse.
Io arrossì tantissimo. Era bravo a farmi arrossire, lo sapeva e ne approfittava!
Presi coraggio, mi avvicinai al suo viso e lo baciai.
Le cose prendevano una strana piega. Più la cosa sembrava farsi reale, più avevo paura di sbagliare.
Però quando lui rispondeva ai miei baci, tutti i dubbi si distoglievano.
- Non vorrei fare la parte del maniaco, ma se domani mattina ti accompagno a casa presto, vieni a dormire da me, stanotte? - disse staccandosi.
Annuì sorridendo.
 
*
 
- Sai che ti ho pensato un sacco ieri sera? – gli sussurrò Bianca all’orecchio.
- Mmmh, quando, tra un ballo e l’altro nel locale? – rispose lui.
Lei sbuffò.
- Ancora con questa storia? Manco fosse successo chissà che! E poi chi ti dice che io abbia passato la serata a ballare? – disse lei incrociando le braccia.
- Beh, me lo immagino e basta – disse portandole una ciocca di capelli dietro all’orecchio – Sono sicuro che qualcosa da farti perdonare le hai – disse sorridendo.
- Oh, se per questo ho un sacco di cose da farmi perdonare – disse lei nel modo più malizioso possibile. Non che le riuscisse difficile d’altronde.
Lui la strinse ancora più a sé. Le sfiorò le labbra con le proprie e le chiese – E sai anche come farti perdonare? – mentre continuava ad accarezzarle la gamba nuda, arrivando fino all’inizio della stoffa della gonnellina.
- Una mezza idea l’avrei – rispose lei soffocando una risatina dietro al collo di lui.
Iniziò a baciargli quello che sapeva essere un punto sensibile di lui. Infatti lo sentì irrigidirsi un po’ per la sorpresa.
- Bhè, siamo ancora lontani dal perdono – esclamò lui.
- Che c’è? Vai di fretta? – chiese lei, fintamente piccata.
- Se tu mi intrattieni, non vado da nessuna parte –
- Allora mettiti comodo – gli sussurrò lei.
Lui ridendo si sistemò meglio sul divano mentre lei si sedeva a cavalcioni su di lui.
- Questa è sempre stata una delle mie posizioni preferite – disse lei.
- Anche la mia – aggiunse lui ridendo e abbandonandosi completamente sul divano.
Lei riprese a baciarlo, e lui continuò ad accarezzarle le gambe.
Improvvisamente lei si staccò da lui, ma non gli diede il tempo di parlare che gli appoggiò un dito sulla bocca, intimandogli di stare zitto, mentre si liberava della magliettina nera, scoprendo il seno racchiuso in un intrigante reggiseno di pizzo nero.
Lui si morse un labbro.
- Indossi sempre qualcosa del genere? –
- Solo quando devo vedermi con un certo sbirro – rispose lei.
- Ottimo, me lo devo segnare –

*
P.O.V.  Vittorio
 
Quando mi svegliai Bianca era ancora lì che dormiva beata e bellissima come sempre.
Ma il mio pensiero fisso era un solo. Presi il cellulare e digitai velocemente un messaggio:

 
Ti ammazzo.
La prossima volta te lo offro io un Sex On Sto Cazzo, che ne dici?

 
Mittente? Corrado ovviamente.
 
 ______

Hola bella gente!
Scusate il ritardo! Ma ho avuto un problema che mi ha fatto disperare! Praticamente non si era salvato il file. Non vi dico, il panico, ho dovuto riscrivere tutto.
Ma non temete, come vedete, più o meno ce l'ho fatta!
Vi dico solo che la parte in corsivo, è una specie di spoiler del capitolo rosso, che spero di riuscire a pubblicare prima della pubblicazione del continuo della storia.
Non mi odiate, ma non vi dirò niente sul prossimo capitolo vero e proprio!
Spero che riuscirete a perdonarmi e che il capitolo vi piaccia. So che non è il massimo, ma ricordate che vi voglio bene!
Un bacio,
alla prossima,

StClaire.

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Capitolo 19
*** Revelations ***


Revelations.

P.O.V. Vittorio
 
- Hai scoperto qualcosa su questo Emiliano? - chiesi a Corrado una volta sedutomi nel suo ufficio.
Lui sbuffò.
- Nada. A parte un paio, anzi qualcosina in più, di articoli e di fermi per possesso di stupefacenti, nada. Rien. Niente -
- Ok, ho afferrato il concetto -
- Almeno le è piaciuto? - mi chiese sornione.
- Come scusa? - dissi distratto.
- Il drink! - disse lui buttandosi all’indietro sulla sua sedia.
- Madonna, ti avrei ucciso! Ma sei scemo o cosa? Si è fissata tutta la serata! A un certo punto pensava fossi io! - dissi cercando di nascondere la mia vera rabbia.
Mandargli quel messaggio al mattino presto non era stata una grande idea.
Ovviamente lui aveva voluto sapere come mai l’avevo scoperto. E come mai la mattina alle 7.00.
Genio Vittorio, sei un genio.
- E come hai fatto a negarlo? - mi chiese.
- Ha chiesto al cameriere come eri fatto. Il colore dei tuoi occhi ti ha smascherato - dissi ciccando nel suo bicchiere di caffè.
- Oh, i miei profondi occhi scuri sono indimenticabili. Giusto, avrei dovuto pensarci prima - disse ridendo.
- Dio, quanto sei scemo… - sbottai.
- Nah, sono dolce e simpatico. C’è sempre uno sbirro buono e uno cattivo no? - chiese ammiccando.
- E io sarei quello cattivo? - chiesi sollevando un sopracciglio.
- L’hai detto tu, ma magari potremmo chiedere a Emiliano, che ne dici? Credo che la sua mascella si ricordi molto bene delle tue nocche -
- Ancora con questa storia? Era domenica, erano le cinque del mattino, quello psicopatico mi era saltato addosso perché stavo parlando con Bianca! Si chiama legittima difesa, dovresti saperlo, sei uno sbirro no? -
- Vabè, consolati che non sei il primo a essere attaccato dal nostro caro Emiliano - disse estraendo da un faldone un paio di fogli.
- In che senso scusa? Avevi detto niente d’interessante - dissi buttando la sigaretta.
- A livello di roba di droga, che è quello che interessa a me. Ma si è fatto sicuro un bel po’ di tempo in cella per offesa a pubblico ufficiale, cosa che detto tra noi, rischiamo ogni volta, visto che elargiamo commenti poco ortodossi verso il procuratore. Anzi, secondo te, tra gli sbirri, c’è il reato di offesa a pubblico ufficiale? - me lo chiedeva seriamente con ancora il faldone in mano.
- Sei serio? Possiamo andare avanti? -
Lui sbuffò.
- Vabbè, comunque, sicuro in questo buio periodo della vita del nostro carissimo amico Emiliano, ha incontrato uno dei suoi attuali simpaticissimi amici. Un certo Marco M* - mi passò la scheda - Come puoi ben vedere, 29 anni, molti precedenti, una tentata rapina addirittura, molta roba di droga, e qualche altra stronzata o meno, dipende dai punti di vista -
Guardai la foto. Guardai molto bene la foto.
- Cazzo -
- Esatto, la parola esatta è “cazzo”. Cinquanta punti a Corvonero, anche se ti vedrei meglio nei Serpeverde a te -
- Ma che cazzo stai dicendo? - quasi sbraitai. Cioè, avevo la faccia, il nome e l’indirizzo di uno dei tre coglioni, e lui parlava di corvi e serpenti?
- Lascia perdere, roba di mio figlio… -
- Ma hai capito chi è questo tipo? - non lo lascia finire di spiegare.
- Ovvio che ho capito, sennò non te ne avrei parlato - era improvvisamente serio.
- Indagine parallela - aggiunse.
- Cosa? - ero senza parole.
- E’ un’indagine parallela alla tua. L’idea era questa. Tu stani le basi, ti metti in mostra e io vago nel buio del dietro le quinte -
Scossi la testa. Un’indagine parallela?
- Perché non me lo hai detto prima? - chiesi.
- Perché poteva essere anche un grande buco nell’acqua. Ma abbiamo avuto un problema. E quel problema è Biancarella -
- Che cazzo c’entra Bianca? - iniziavo seriamente a irritarmi.
- Cosa c’entra? C’entra tutto! E’ la migliore amichetta di Emiliano, se sgama qualcosa e glielo dice? Se sgama che indaghiamo sul suo amichetto, secondo te cosa farà? Non correrà da lui e dire tutto? Non so in che stato sia il vostro rapporto, ma immagino che preferirebbe salvare il culo a un suo amico che a uno sbirro. Ed Emiliano non è l’unico punto. L’altra notte, in quel locale al centro, non c’ero andato per Emiliano, ma per quel Marco… -
- Cosa? - sgranai gli occhi.
- C’era questo Marco là, è sembrava davvero interessato a Bianca. L’ha fissata per tutta la serata, hanno parlato, hanno scherzato. Ho visto che venivano presentati, quindi escludo che si conoscessero già da prima. Ma capisci qual è il problema? Bianca doveva essere un aiuto per noi, adesso è solo un pericolo -
- No, impossibile, Bianca me l’avrebbe detto che c’era quel tipo - non riuscivo a crederci - E’ stata lei a riconoscerlo, a dirmi chi era. Mi ha portato lei da lui! Perché nascondermelo? -
- Perché è un amico di Emiliano! Già ti ho detto, parerebbe il culo al suo amico mille volte, più che aiutare una volta noi! -
Mi pulsavano le tempie.
Bussarono alla porta. Qualcuno cercava Corrado. Mi alzai e lasciai il suo ufficio per il mio.
Avevo ancora la scheda di quel tipo in mano. La guardai e la rilessi più volte, se avesse potuto parlare mi avrebbe dato del coglione sicuro.
Perché cazzo Bianca non mi avrebbe parlato di quel tipo?
Dio, stavo impazzendo.
Che cazzo avrei dovuto fare adesso? Che cazzo avrei dovuto dirle?
Dopo un po’ mi alzai e raggiunsi Corrado.
Gli feci segno di avvicinarsi.
- Facciamo così, lascio correre, io non so niente. Vedo lei come si comporta, se dice o fa qualcosa -
Corrado mi guardò per quella che mi sembrava un’eternità.
Poi annuì - Va bene, ma guardala sempre in un’ottica precisa, ok? -
- Ok -
Mi congedò con una pacca sulle spalle.
Che cazzo di situazione.
Raccattai le mie poche cose dall’ufficio e raggiunsi il parcheggio.
Salì in macchina e misi in moto. Controllai il cellulare e resistetti alla voglia di chiamare Bianca e urlarle contro.
Sarebbe stata una pessima idea.
 
*
 
Le belle notizie non arrivano mai da sole.
Arrivai a casa e aprì la porta. La mia attenzione fu richiamata da un foglietto piegato e infilato sotto la porta.
Lo aprì, poche parole che mi scombussolarono ancora di più.
 
Ciao Vittorio,
sono passata ma non ti ho trovato, come al solito.
Appena puoi fatti sentire.
Dobbiamo parlare.
 
Francesca.
 
Pure lei ci voleva. Solo lei, è la giornata era andata completamente a puttane.
 
 
 
*
 
P.O.V. Bianca
 
- Pronto? -
- Ciao Bianca -
- Pronto? Chi è? - chiesi.
Dall’altra parte una risata.
- Non mi riconosci? Sono Marco -
Oh cazzo.
- Marco chi? - come se non avessi perfettamente.
- Marco, l’amico di Emiliano. Ci siamo conosciuti sabato -
-Ah - oddio, oddio - Quel Marco! - mannaggia!
- Quel Marco? Lo prendo come un complimento -
Forzai una risata.
- Beh, ehm, scusa se te lo chiedo, ma come hai avuto il mio numero? -
- L’ho avuto da Alessandra -
Dio, l’avrei ammazzata.
- Ah - dissi semplicemente.
- Beh, come va? Che fai di bello? - chiese, con una disinvoltura che mi lasciò ancora di più spiazzata.
- Studio - risposi velocemente. Grande balla. Ero sul letto a pensare.
- Che studi? -
- Matematica, non che mi entusiasmi più di tanto -
Ancora una risata, cristallina.
- Immagino. Stasera fai qualcosa? -
Oh, cazzo. Oddio. Panico.
- Ho una cena di famiglia, un’altra cosa che non mi entusiasma al massimo -
- Ah, quindi non hai possibilità di fuga, immagino - disse con un tono che mi sembrava dispiaciuto.
- Eh già - cerca di sembrare dispiaciuta anche io - come mai me lo chiedi? -
“Chissà perché mai!”. A volte ero davvero idiota.
- Beh, speravo in una birra insieme, così, in amicizia eh. Alessandra mi ha detto che frequenti un tipo, e non voglio creare casini! Capì, ci saranno anche Emiliano e il resto dei ragazzi, quindi, era un invito senza secondi fini! -
- Ah - cazzo, veramente? - No ma figurati, non avevo pensato a nessun secondo fine! -
- Allora sarà per la prossima volta, Bianca -
- Va bene, certo - ero senza parole.
- A meno che tu non riesca a scappare dopo! -
- Guarda, quasi quasi ci provo! - dissi tanto per dire. Col cazzo.
- Ciao Bianca -
- Ciao… -
Sentii la linea chiudersi.
Ma che cazzo! Ma cosa saltava in mente ad Alessandra! Cazzo! E poi niente secondi fini? Prima fa lo splendido, e poi dice che non ha secondi fini? Ma che cazzo!
Mi buttai sul letto.
Mi sentivo particolarmente irritata.
Secondi fini.
Ma vaffanculo.
 
-
 
- Fede, ma dove cazzo è Alessandra? - sbottai nel cortile della scuola.
Faceva un cazzo di freddo, dovevo essere in classe da dieci minuti già, e quella troia di Alessandra manco si faceva vivo.
- Boh, o non viene o entra alla seconda ora -
- Che palle - sbuffai - Io entro, a dopo -
Un cenno e ci salutammo.
Iniziai a salire faticosamente le scale. Ogni respiro era una fitta al petto, Dio che freddo.
La vibrazione del mio cellulare mi concesse un pausa.
 
- Ohi, io non vengo, ho la febbre. Avvisi tu i prof? Un bacio -
 
Ottimo, l’oggetto della mia ira non sarebbe venuta. Speravo solo che la febbre l’avesse davvero. Almeno le mie bestemmie sarebbero servite a qualcosa.
 
*
 
La giornata trascorse come ogni altra giornata scolastica. Fu l’uscita che riservò qualche sorpresa.
- Emiliano? Che ci fai qui? Ale è a casa con la febbre! - dissi sorpresa dalla sua presenza.
- Lo so, infatti sono venuto a prendere te! - disse sorridendomi.
- E perché mai? - chiesi con un certo scetticismo. Da quando conoscevo il suo amichevole gruppo di psicolesi-pseudo-eroinomani, non è che passare il minimo del mio tempo libero con loro fosse diventata una priorità nella mia vita.
- Dai, andiamo a mangiare una cosa insieme, non parliamo da tantissimo! -
- Ok - risposi semplicemente.
Non è che avessi gran voglia, ma almeno eravamo soli. Come una volta.
 
*
 
- Sai chi ho intravisto l’altra volta? - disse mentre addentava il suo triplo cheese-burger.
Avrei dovuto dare ragione a mia sorella. Emiliano non era manco il tipo da pranzi decenti, altro che romantici.
- Chi? - chiesi addentando le mie patatine più chimiche che italiane, come esplicava lo slogan.
- Lo sbirra del cazzo della questura -
Sputai la mia aranciata.
- Oh cazzo, scusa - cercai di sembrare normale.
Oddio, aveva visto Vittorio? E perché me lo diceva?
- Stava a rompere le palle a qualcun altro? - chiesi fingendo assoluto disinteresse.
- Più o meno. Non capisco più che altro ci faccia in ogni cazzo di base possibile -
- In che senso? - chiesi, intingendo una patatina nella salsa barbecue.
- Hanno chiuso un sacco di basi ultimamente, e lui era sempre lì. Se continua lo faranno fuori! -
Chiusi gli occhi al solo pensiero. Non avevo mai pensato seriamente quanto fosse arduo il suo lavoro. Quanto fosse pericoloso. Non volevo pensarci.
Alzai le spalle, per riprendermi.
- Uno sbirro in meno - dissi cercando di nascondere il tremolio della mia voce.
- Già, uno sbirro in meno - replicò Emiliano - Comunque, hai fatto colpo eh? -
- Come scusa? -
- Marco! - disse lui, come se questo mi dicesse tutto. Poi vedendo la mia faccia aggiunse - Ha chiesto il tuo numero ad Ale -
- Ah, si, Marco. Simpatico - Se! Simpaticissimo.
- Credo che lui sperasse in qualche commento più esplicito di simpatico! - rise.
Alzai le spalle.
- Ma lo conosco appena, poi lui ha detto di non avere - mimai le virgolette - secondi fini! -
Dio quanto mi faceva incazzare sta frase!
Emiliano scoppiò a ridere.
- Dio, che frase del cazzo -
Almeno su una cosa eravamo d’accordo.
 
-
 
P.O.V. Vittorio
 
- Devo farlo proprio? - chiesi a Corrado una volta fuori dall’ufficio del procuratore.
- Direi di si - rispose laconico lui.
- Mi mette a disagio questa situazione - dissi.
- Cosa precisamente? - chiese Corrado entrando nel suo ufficio.
- Cosa, cosa? -
- Cosa ti mette a disagio? -
- Beh, il fatto di Bianca -
- Uh Gesù, ci risiamo. Non la stai mandando al cappio, le stai solo chiedendo di fraternizzare con il nemico, cosa che tra l’altro, lei ha già fatto - disse alzando le braccia.
- “Fraternizzare con il nemico?” Sei serio? - chiesi - E non mi ricordare quel fatto, che mi incazzo. E passata quasi una settimana, e ancora non mi ha detto un cazzo! -
- Perché vi sentite spesso? Credevo vi vedeste una volta al mese tipo, per le basi -
- Diciamo che ci teniamo in contatto - dissi buttandola lì e cercando di sembrare il non curante possibile.
Corrado inclinò la testa.
- Non mi stai nascondendo niente vero? -
- In che senso? - chiesi. Avrei potuto iniziare a sudare.
- Non so, una relazione, una scopa-relazione, vi drogate assieme, roba del genere! -
- Ma sei impazzito? - chiesi sgranando gli e cercando di sembrare il più offeso possibile. Dalla seconda parte della frase, ovvio.
- E’ che scusa, mi sembri un po’ troppo apprensivo nei confronti della ragazzina! - disse scrollando la testa.
- Perché è appunto una ragazzina! L’ho conosciuta, ed è una brava ragazza, dopotutto. Si può ancora salvare, almeno lei -
Corrado mi guardò a lungo.
- Diciamo che ti sei affezionato allora -
Tentennai un secondo.
- Si, affezionato è il termine giusto, sì -
Avrei potuto scrivere un libro e intitolarlo: “Vittorio e l’arte di farsi sgamare”.
Dopo qualche attimo di silenzio qualcuno bussò alla porta.
- Si? - disse Corrado.
Un’agente qualsiasi entrò nell’ufficio.
- Ispettore, c’è sua moglie che l’aspetta nel suo ufficio -
Guardai Corrado e poi l’agente, poi di nuovo Corrado.
- Come scusa? - chiesi allibito.
L’agente sembrò non capire. Eppure era stato chiaro. Ripeté esattamente la stessa frase.
- Oh cazzo - sussurrai.

______

IMPLORO IL VOSTRO PERDONO!
E' passatto tantissimo tempo, lo so, e me ne dispiaccio! Ma adesso sono qui, con un capitolo bello carico direi. Non proprio quello giusto per farmi perdonare!
Mi dispiace di avervi fatto attendere tanto, ma come al solito il lavoro mi ha tenuta impegnatissima!
E in più, ammetto che questo capitolo è stato molto difficile da scrivere. Soprattutto la prima parte di Corrado e Vittorio. E' stata una batosta. Perchè mette in carta molte cose, che vedrete, si intreccieranno nel futuro!
Vi lascio con ancora le mie scuse, e un mini-mini spoiler!
Vi abbraccio,

StClaire.


P.O.V. Vittorio
"Che cos'è quella?"


 

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Capitolo 20
*** Turning table ***


 

Turning table


P.O.V. Vittorio
 
- L’aspetta nel suo ufficio… -
Già non ascoltavo più le parole dell’agente.
Cazzo, mi ero completamente dimenticato del suo biglietto. Giuro, mi ero ripromesso di richiamare. Dopotutto sarebbe stato davvero poco gentile da parte mia non farmi neanche sentire. Dopotutto era ancora mia moglie.
Arrivai a grandi passi al mio ufficio. Inspirai profondamente, preparandomi al peggio.
- Scusa l’attes… -
Sgranai gli occhi. E mi bloccai.
Era lì, come sempre, con lo sguardo irritato, come sempre, incazzata. Come sempre. Ma c’era qualcosa di diverso.
- Che cazzo è quella? - dissi indicando la rotondità appena pronunciata del suo ventre.
Manco la guardavo. Il mio sguardo era come catalizzato su quel rigonfiamento.
Avevo ancora il braccio a mezz’aria con l’indice puntato e la bocca aperta quando finalmente lei prese parola.
- Alla buon’ora - disse con il tono spazientito.
Io non cambiavo posa, espressione, pensiero.
- Sono incinta Vittorio, non è una cazzo di cosa, è tuo figlio! - sibilò a denti stretti, ma con una tale rabbia che quasi mi ferì.
- Cosa? - non ci credevo. Chiusi la porta e mi avvicinai - Non per dire, non facciamo sesso da tipo tre mesi, e sei incinta? -
Era la prima cosa che pensai.
Lo schiaffò arrivò fortissimo.
- NON SO COSA CAZZO TU ABBIA FATTO IN QUESTI MESI! MA IO DI CERTO NON SONO ANDATA A SCOPARE IN GIRO E A RIMANERE INCINTA! -
Le bloccai i polsi con la guancia che ancora mi bruciava.
- Non volevo dire questo! -
Cercai di calmarla. Era scoppiata a piangere e ora singhiozzava tra le mie braccia.
Sentivo il ventre gonfio contro il mio corpo e non riuscivo a realizzare.
- Torna a casa ti prego - sussurrò piano.
Appoggiai il mento sulla sua testa e continuai a cullarla. Non l’avevo mai vista così disperata.
- Adesso andiamo a casa, non preoccuparti -
Inspirai.
 
*
 
Entrammo in casa in silenzio. Mi faceva una sensazione strana. Essere di nuovo lì.
Lei tirò dritta verso il divano e ci si accasciò sopra. La vidi sospirare e passarsi la mano tra i capelli biondi.
Mi sentivo come se le braccia fossero una parte in più del mio corpo. Non sapevo che farmene.
- Cosa ne pensi? - chiese improvvisamente lei.
Mi sedetti anch’io sul divano.
- Non penso niente… credo - sospirai - Cioè… - non sapevo che dire. Veramente, non sapevo che pensare - Da quanto tempo… - non ce la facevo neanche a finire la frase. Non riuscivo a realizzare che fosse incinta!
- Sono verso la fine del quarto mese - disse lei. Un lampo di dolcezza negli occhi.
- Wow -
Quasi metà gravidanza. Dio.
- Perché non me l’hai detto prima? -
Lei scosse il capo.
- Non lo so. Non ne ho idea. Avevo paura. Tu te ne eri andato. E non ti biasimo per questo. Ma poi ho deciso che avresti comunque dovuto saperlo. Indifferentemente dalla tua decisione -
- Quale decisione? - mi sentivo la gola secca e la testa bombardata.
Lei alzò le spalle.
- Se rimanere o no. O qualsiasi altra cosa. Mi è sembrato di capire che tu ti veda con qualcun altro -
- Cosa? -
- Quando hai detto che noi non… -
La interruppi.
- Non era per dire quello. Non mi vedo con nessuno -
Lei mi sorrise con un velo di speranza.
- Quindi rimarrai? -
Ci misi qualche secondo a rispondere.
- Si, rimango. -
 
_
 
P.O.V. Bianca
 
Mi piaceva viaggiare in macchina. E mi dispiaceva che il ritorno fosse sempre più breve dell’andata.
Io e Alessandra eravamo nei sedili posteriori dell’auto di Emiliano. E tornavamo da una festa.
Ormai Marco era diventata una presenza fissa. Forse nasconderlo a Vittorio non era stata una buona idea, ma adesso non sapevo come avrei potuto rimediare.
Come se sapesse che stavo pensando a lui, si voltò dal sedile anteriore.
- Tutto bene Biancarella? -
Io annuì con un mezzo sorriso.
Poi lui guardò Alessandra.
- Wow, completamente crollata! -
-Beh, sono le 5 del mattino, è anche normale - disse Emiliano - Già è resistita tanto per i suoi standard -
Si sentì un biascicato “vaffanculo” provenire dalla bocca di Alessandra schiacciata contro il finestrino.
Dopo un po’ notai che Marco mi fissava dallo specchietto retrovisore, mi sorrise attraverso e io non potei fare altro che ricambiare.
Non so, ma mi ero messa in testa che fosse una persona cattiva. Ma non lo sembrava affatto.
Ma tra il sembrare e l’essere c’è una bella differenza.
Per essere bello, come diceva Alessandra, lo era.
Aveva gli occhi così profondi da sembrare due pozzi neri. I suoi occhi erano neri.
Scossi la testa per riprendermi. Fanculo. Aveva una brutta influenza su di me.
O forse era perché non sentivo Vittorio da più di una settimana.
Avevo provato a chiamarlo, ma il cellulare risultava sempre staccato.
Appoggiai la testa al finestrino. Di andare al suo appartamento non se ne parlava proprio. Però cazzo. Perché non chiamava?
Sbuffai, e l’alone si formò sul vetro del finestrino. Chiusi gli occhi e mi feci cullare dall’andazzo della macchina.
 
*
 
- Documenti, prego -
Una voce a me sconosciuta mi svegliò dal mio stato di dormi-veglia. Sbattei un paio di volte le palpebre e mi guardai intorno.
Eravamo fermi a una rotonda e le luci blu della Polizia erano veramente fastidiose.
- Ma che succede? - chiese sbadigliando Alessandra.
Emiliano era sceso dalla macchina per eseguire il test del livello alcolico. Cazzo.
Mentre guardavo Emiliano, cercai velocemente il mio portafoglio nello zaino. Marco aveva già dato tranquillamente i suoi. La cosa mi sbalordì, forse non era a conoscenza che era tra le persone alle quali la polizia era “interessata”.
Il poliziotto si allontanò verso la macchina e passò i nostri documenti a un altro tipo. Non indossava la divisa, ed era palesemente più grande dei ragazzi che ci avevano fermato. Aveva un volto familiare, ma non ricordavo di preciso dove l’avessi già visto.
Sentì Marco sbottare, mentre guardava in direzione di Emiliano. Probabilmente il test dell’alcol non aveva avuto buon esito.
All’improvviso il terzo tipo, quello vecchio, si avvicinò alla nostra macchina, fece segno a Marco di abbassare il finestrino e si piegò per guardare all’interno.
- Allora - esordì - devo dire che a parte - lesse il nome su uno dei documenti, per essere certo di non sbagliare - Alessandra, siete tutto volti noti. Adesso - fece una pausa guardando verso Emiliano - Il vostro amico viene con noi, è risultato positivo al test dell’alcol, quindi, mi sa che tu, Marco - dovrai guidare e scortare queste due donzelle al Commissariato P. -
Ebbi un tuffo al cuore. Era il commissariato di Vittorio, chissà se era lì.
Scesi dalla macchina per passare al sediolino anteriore, mentre Marco passava al posto del guidatore.
- Bianca, prego -
Lo sbirro mi porse la mia carta d’identità. E si congedò sorridendomi. Aveva troppo un viso noto. Ma proprio non riuscivo a ricordarmi di lui.
 
*
Arrivammo al commissariato, e improvvisamente mi ritrovai a sperare che Vittorio non fosse lì. Ero combattuta. Da un lato desideravo rivederlo, dall’altro speravo che non mi vedesse mai in compagnia di Marco. E che soprattutto Alessandra non capisse che Vittorio era uno sbirro. L’avrebbe detto a Emiliano, ed Emiliano si sarebbe incazzato sicuramente.
Iniziavo a sentire una certa ansia addosso.
Ci fecero sedere mentre lo sbirro dall’aspetto familiare si chiudeva in un ufficio con Emiliano, insieme agli altri due poliziotti.
Improvvisamente una mano mi distrasse dai miei catastrofici pensieri.
- Hey, tutto bene? - Marco mi guardava in modo curioso. Dovevo avere proprio una bella faccia.
Annuì cercando di sorridere - Non mi piacciono i commissariati. Soprattutto questo. Non mi è nuovo - disse cercando di sembrare tranquilla.
Lui annuì e si alzò, chiedendo a me e ad Alessandra se volevamo qualcosa da bere. Io dissi di no, mentre Ale chiese un caffè, così guardai Marco allontanarsi mentre un poliziotto  venne a chiamarmi.
Guardai Alessandra, poi mi alzai raccogliendo la mia borsa da terra.
Aveva il battito del cuore accelerato.
- Vieni con me - disse semplicemente il ragazzo in divisa.
Oltrepassammo la porta dove era chiuso Emiliano. Non si sentiva niente.
Avanzammo ancora, sorpassammo varie porte e stanze. In una di quelle intravidi lo sbirro dalla faccia familiare. Cosa avesse da sorridere ogni volta che mi guardava non lo sapevo. Anzi, era abbastanza irritante.
Finalmente lo sbirro si fermò e m’indicò la stanza in cui entrare. Fui assalita da un forte senso di ansia.
Entrai e mi disse che mi sarei potuta accomodare su una delle sedia di fronte a un tavolo di ferro, semplice e brutto. Ci appoggiai la roba e me ne stetti in piedi. Con le braccia incrociate.
E rimasi lì. Cinque, dieci minuti. Non saprei. Iniziai a passeggiare avanti e indietro per ammazzare il tempo. Perché farmi aspettare tutto questo tempo? In quella stanza faceva anche freddo. Forse avrei dovuto rimettermi il cappotto. Invece presi il cellulare e composi il numero di Vittorio. Non fa niente che era l’alba, forse era in commissariato.
Aspettai, ma niente. Staccato come al solito. Lasciai cadere le braccia. C’era qualcosa che non mi convinceva. Perché sparire così?
Improvvisamente sentì la porta aprirsi. Mi voltai di scatto e il mio cuore fece un balzò all’indietro.
- Vittorio! - dissi, sentendo nascere un sorriso sulle mie labbra. Mi avvicinai e l’abbracciai.
Lui chiuse la porta dietro si sé, ci si appoggiò e ricambio l’abbraccio. Dio, quanto ne avevo bisogno. Quanto avevo sentito la sua mancanza. Mi alzai sulle punte e lo baciai, mi aggrappai al suo maglione come se mi aggrappassi all’ultimo appiglio della mia vita. Lo sentì ricambiare il bacio con passione. Sentì le sue mani nei miei capelli, dietro la nuca. Arretrammo di qualche passo, verso il tavolo al centro della stanza. Mi ci appoggiai sopra e attirai Vittorio a me, ancora più vicino. Sentì le sue mani percorre le mie gambe. Passai una mano tra i suoi capelli. Poi improvvisamente si staccò. Quel distacco mi fece male.
Respirava affannosamente, e mi sembrava improvvisamente molto stanco. Alzò le mani e poi chiuse gli occhi.
- Scusa Bianca, ma dobbiamo parlare -
Fece qualche passo indietro.
- Vittorio giuro te l’avrei… - iniziai, ma lui m’interruppe subito.
- No Bianca. Lasciami parlare, non rendermi le cose più difficili -
Lo guardai. Mi sentivo malissimo. Mi appoggiai al tavolo.
Lui teneva gli occhi bassi e si massaggiava le tempie.
- Perché non mi guardi? - chiesi con un filo di voce.
Ero io quella che si sarebbe dovuta sentire in colpa. Ma mi sembrava di avvertire il contrario.
Lui alzò gli occhi molto lentamente.
- Perché non ci riesco - disse, e voltò di nuovo lo sguardo verso il muro.
Adesso abbassai io lo sguardo. Non credevo che le mie azioni avessero potuto avere certe conseguenze.
- Io non cre… - esordii.
- Mia moglie è incinta - disse. Lapidario.
Accusai quelle parole come un colpo. Strinsi talmente forte le mie mani al bordo del tavolo che le nocche sbiancarono. Sentivo la ruggine di quel vecchio tavolo sotto le dita.
- Io… io… - non sapevo che dire. Cercai di ricacciare indietro le lacrime. Lo vidi avanzare di qualche passo e allungare le mani verso di me. Ma mi ritrassi di colpo, spostandomi di lato.
- Non mi toccare. Per favore non toccarmi -
Lo guardai a malapena. Sentivo la nausea. Sentivo la rabbia crescermi addosso. Mi ripassarono davanti agli occhi i nostri momenti insieme. Le lacrime mi bruciavano gli occhi. Mi portai una mano alla bocca per cercare di nascondergli i miei singhiozzi. Non volevo che mi vedesse piangere per lui.
- Bianca, ti prego, ascoltami… -
Alzai una mano per interromperlo.
- Non voglio sentire niente, non ti avvicinare - soffiai.
- Senti… -
- SENTI UN CAZZO! Da quanto tempo lo sai?  - lo guardai, ormai ero fuori di me, sentivo le lacrime scivolare sulle mie guance - Anzi, no, non voglio saperlo. Preferisco non saperlo. Mi farei schifo di più così -
- Cosa? No senti, Bianca, non capisci… -
- NON TRATTARMI DA STUPIDA! - urlai - Cosa? Cosa non capisco? Sai cosa capisco? Adesso? Il perché eri sparito. Il perché il tuo cellulare risultava perennemente staccato. Se io non fossi capitata qui, con la mia sfiga madornale, non l’avrei mai saputo! E sai cos’altro non capisco? Come cazzo io abbia fatto a fidarmi di uno sbirro di merda come te! E sai un’altra cosa? Io mi preoccupavo del fatto di averti nascosto di conoscere Marco. E sai perché? Perché nella mia testa di merda non volevo che il tuo lavoro, quello che odi tanto, non s’intromettesse tra noi.
Che stupida! C’era già qualcos’altro tra noi. Anzi, non c’era nessun noi. Dio che idiota! -
Mi faceva male la gola. Raccattai la mia roba e lo superai verso la porta, l’aprì con forza e m’incamminai verso il corridoio.
- Bianca! - sentì la sua voce chiamarmi.
Mi voltai di scatto.
- Sai un’altra cosa? Visto che hai sempre voluto saperlo. Nessuno mi ha mai detto che sei sposato. Vi ho visto semplicemente. Al centro commerciale - alzai le spalle - che dire. Bella donna. Auguri -
Continuai a camminare. Quanto cazzo era lungo quel corridoio? Cercai di fermare le lacrime che ormai scendevano copiose sul mio viso. Più mi chiamava e più avevo voglia di piangere.
Mi voltai un’ultima volta per vedere l’altro sbirro del cazzo che lo fermava.
Almeno una cosa buona l’aveva fatta.

 


Ho quasi paura di dire qualcosa!
Vi prego, non odiatemi! E' stato difficilissimo scrivere questo capitolo!!! In realtà, questa in origine era una prima parte. Cioè, scrivendo mi è uscito un papiello lunghissimo, ma poi ho pensato che erano troppe emozioni tutte insieme!
Oddio, non so cos'altro dire! A parte il fatto, che dividendo questo capitolo in due, il prossimo è già pronto! Quindi, non vi farò attendere tantissimo, sempre che dopo questo abbiate voglia smepre di leggere! (Spero vivamente di si!)
Vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate!
Vi voglio bene,
StClaire!

 

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Capitolo 21
*** Smash Up ***


Smash up

- Vittorio, cazzo fermati, hai dato già abbastanza spettacolo! -
Sentivo il braccio di Corrado fermarmi, ma il mio sguardo era fisso dove era sparita Bianca.
- Cazzo! - strattonai la presa da Corrado e tirai una manta alla porta.
- Vieni - Corrado mi fece entrare nella stanza dove un secondo prima c’era Bianca.
Mi portai le mani al viso. Avevo delle fitte dolorosissime alla tempia. Dio che casino.
- Allora? - la voce di Corrado mi incalzava.
- Allora cosa? - dissi continuando a guardare nel vuoto.
- Sei davvero così stupido Vittorio? -
Lo guardai continuando a non capire.
- Sei davvero uno stronzo. Uno, sei uno stronzo verso tua moglie, due, sei uno stronzo verso Bianca, tre, sei un coglione perché ti sei dimenticato che in queste cazzo di stanze ci sono le telecamere -
Alzai di scatto gli occhi verso l’angolo della stanza. Vero, c’erano le telecamere.
- Non m’interessa delle telecamere - risposi accasciandomi sulla sedia.
Corrado mi guardò con fare incazzato.
- Ok, vada per le telecamere, tanto a parte qualche cretino di agente nessuno ha visto altro. Ma di Bianca? T’importa qualcosa? Dio, sei uno stronzo! È una ragazzina! Cazzo, quello non è semplice affetto! Non ti facevo un tipo del genere - finì la frase in modo sprezzante.
Lo guardai.
- Che genere? - domandai. Strinsi forte i braccioli della sedia. Al suo mutismo risposi io per lui.
 
*
 
Vittorio lasciò il suo ufficio e si preparò a uscire. Quelle settimane erano state tremende. Problemi a lavoro, che poi si portava a casa, che si aggiungevano a quelli che erano già lì ad attenderlo.
“Che periodo di merda” si ritrovò a pensare, mentre selezionava il garage sui pulsanti dell’ascensore. Scosse il capo. A lavoro doveva fare i conti con tutto ciò che era successo con Bianca e con il fermo di Emiliano e di quell’altro stronzo di spacciatore. A casa, doveva fare i conti con la moglie. Che ogni qualvolta che tornava a casa, lo guardava speranzosa toccandosi la pancia. E con sé stesso, doveva fare i conti con i suoi sentimenti per Bianca. Chiuse gli occhi e si appoggiò alla parete fredda e metallica. Aveva un gran mal di testa. Quando finalmente l’ascensore annunciò l’arrivo a -1, Vittorio inspirò profondamente e uscì. Si recò a grandi passi verso la sua macchina. Oltrepassò un paio di autopattuglie, salutò qualche agente di cui non vedeva nemmeno il volto, e poi si fermò di blocco innanzi allo spettacolo della sua macchina sfasciata.
- Ma che cazz… - non poté finire la frase, perché un forte dolore, lo colpì dietro la nuca. Si piegò, lasciando cadere ciò che aveva in mano. Si girò di scatto, proprio nel momento in cui vide l’aggressore caricare un altro colpo con una mazza. Si scansò velocemente di lato, per evitarlo.
L’aggressore si sbilanciò, per la forza del colpo andato a vuoto, e Vittorio lo prese per le spalle, prendendosi una bella gomitata. Sentì il sangue arrivargli in bocca. Intanto degli agenti erano arrivati sul posto, attirati dal trambusto. Vittorio colpì lo sconosciuto con un pugno, che per risposta indietreggiò barcollando. Quando finalmente gli agenti riuscirono a bloccarlo, Vittorio si avvicinò al tipo e gli scoprì il viso dallo scalda collo tirato su, fino sotto gli occhi.
Rimase impietrito.
- Emiliano? -
 
*
 
- Non ti ringrazierò per avermi lasciato andare senza che mi facessero niente - esclamò Emilio.
- Non me ne fotte un cazzo del tuo ringraziamento - dissi buttando la sigaretta a terra - Dio, come cazzo ti è venuto in mente di fare una cosa del genere? - gli chiesi.
Eravamo fuori la questura. Avevo chiesto a Corrado di non punire Emiliano in nessun modo. Quello non era un attacco a uno sbirro. Ma alla mia persona e me la sarei vista io.
- E a te com’è venuto in mente di scoparti la mia amica e poi lasciarla per tua moglie? Cioè, cazzo, sei uno stronzo, è pure incinta! Fai schifo al cazzo, sbirro! -
Dovetti trattenermi da dargli un altro pugno. Magari avrei potuto conciare quello destro, come quello sinistro.
- Senti Emiliano, io non sapevo che mia moglie fosse incinta! Non stavamo neanche insieme quando è successo quello che è successo con Bianca! - esclamai.
- “Quello che è successo con Bianca”? Ma ti senti? Sbirro del cazzo! - fece per andarsene, ma lo trattenni.
- Non fraintendermi cazzo! - urlai, ero veramente stanco. Più cercavo di mettere le cose apposto più quelle mi scoppiavano in faccia.
Lo guardai.
- Come sta lei? -
Lui mi guardò, forse vedeva la mia stanchezza, perché mi concesse una risposta. Sincera.
- Male, come vuoi che stia? Le hai spezzato il cuore. Non so cosa fosse lei per te, ma io credo, anzi, ne sono scuro, che lei di te fosse innamorata. La conosco da quando era piccola, e credimi, non l’ho mai vista stare male per un ragazzo… o un uomo -
Detto questo, mi lasciò da solo fuori la questura. Con un vuoto dentro, ancora più grande di prima.
 
P.O.V. Bianca
 
- Che cazzo hai fatto? - esclamai guardando l’occhio nero di Emiliano.
- Niente, mazzate in un bar - rispose lui.
Lo guardai per qualche secondo. Si, era possibile.
- Te? Che mi racconti? -
Io alzai le spalle. Era un periodo che mi sentivo abbastanza vuota e idiota. Per quanto avessi odiato la moglie di Vittorio, adesso mi sentivo in colpa. Che stronzo.
- Non dirmi che stai pensando a quel cazzo di sbirro - disse Emiliano con un tono veramente scocciato.
Lo guardai sgranando gli occhi. Era così palese.
- Hai gli occhi lucidi. Senti, è uno stronzo, basta. Lascia perdere. Lo dimenticherai -
Quel pensiero mi fece star ancor più male. L’idea di dimenticarlo mi torceva lo stomaco.
- Senti, che ne dici stasera ce ne andiamo a bere qualcosa, io, te, Ale e qualcun altro? -
Annuì.
- Si, magari mi terrà la testa occupata -
Lui mi baciò la fronte con una dolcezza che non aveva mai avuto prima. Sorrisi.
- Ti voglio bene -
- Anche io -

 

Chiedo perdono come mio solito!
Non sono riuscita neanche a rispondere alle recensioni, e mi dispiace tantissimo!
Purtroppo è stato un periodo incasinatissimo, un po' per le feste, un po' per il lavoro. Spero di riuscire a ritrovare il ritmo giusto per le pubblicazioni!
Intanto vi auguro buon anno!
Spero abbiate passato delle belle feste!
Alla prossima (prima di un mese, giuro!)

Un bacio
StClaire

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Capitolo 22
*** Pure. ***


Pure

*

 

P.O.V. Vittorio
 
Tutto mi era così difficile. Mi sentivo in colpa, terribilmente in colpa. E non mi sentivo a mio agio. Non mi sentivo a mio agio ogni volta che la notte dormivo, ogni volta che dividevo il letto con Francesca. Non ero a mio agio. Non era il mio posto. Era difficile ammetterlo, è comunque non mi avrebbe portato a niente il contrario. Ogni tanto pensavo a come sarebbe stato se tutta questa situazione non fosse mai iniziata, ma nello stesso momento realizzavo che avrebbe significato niente Bianca, niente sorrisi. Cazzo, non ricordavo di aver sorriso tanto negli ultimi anni. Ma Bianca era giovane e bella.
“Incontrerà sicuramente qualcuno che la farà innamorare, davvero, con cui essere felice.” Mi mettevo a pensare. Mi avrebbe dimenticato. Doveva farlo. Io invece no, non l’avrei dimenticata. Non volevo. 
 
 
P.O.V. Bianca
 
La serata si era rivelata abbastanza coinvolgente. Per un attimo mi ero ritrovata addirittura a cantare a squarciagola "ON MY WAY". Forse era un segno. Forse davvero avrei dovuto continuare veramente per la mia strada e lasciarmi tutto alle spalle. Ma a volte avevo la sensazione che non volessi dimenticarmi tutto. Non volevo dimenticare lui. Non volevo dimenticare il calore che provavo tra le sue braccia. I suoi baci.
- Hey cucciola - Marco mi attirò a sé abbracciandomi da dietro. Accennai un sorriso. Non erano le braccia di Vittorio. Per quanto Marco fosse un ragazzo gentile e carino, nonostante tutto quello che fosse al di fuori, non riuscivo a lasciarmi andare. Non riuscivo a dimenticare Vittorio. Chiodo scaccia chiodo nella mia situazione non funzionava. Rimanemmo così per un po' di tempo. Marco continuava a parlare con gente che conosceva. E ne conosceva davvero tanta. Io rimanevo in silenzio, appoggiandomi a lui. Mi guardavo intorno. La musica mi arrivava alle orecchie, ma non risaliva alla testa. Guardavo la gente ballare fra gli alberi e muri di casse che facevano rimbalzare anche la mia di cassa toracica. La musica diventava sempre più forte e il cielo sempre più buio.
- Bianca vado un attimo da un paio di amici - disse improvvisamente Marco sciogliendo l'abbraccio.
Feci cenno di assenso con la testa e mi voltai in giro alla ricerca di qualche viso noto. Volevo staccarmi un po' da quel casino impossibile. Mi avviai verso la pineta da sola. Ultimamente mi ritrovavo spesso da sola. Anche a scuola. Troppe voci insieme mi mettevano a disagio. Tutto ciò che volevo era stare in pace con i miei pensieri. Ma una presenza alle mie spalle non me lo permetteva.
 
P.O.V. Vittorio
 
- Bianca - dissi.
Vidi la sua esile figura sobbalzare. Si voltò di scatto verso di me, con i suoi grandi occhi sgranati.
- Tutto ok? - solo nell'attimo dopo in cui chiusi la bocca mi accorsi di aver fatto una domanda completamente stupida.
- C-che ci fai qui? - mi chiese con un filo di voce. Anche nel buio potevo veder il riflesso dei suoi occhi lucidi.
Avanzai di qualche passo, ma al suo ritirarsi mi fermai.
- C'è una retata - accennai alla festa - hai scelto un ottimo momento per allontanarti - portai le braccia dietro la schiena. Ero imbarazzato. Improvvisamente sentimmo la musica cessare. Vidi Bianca stringersi ancora di più nella sua felpa oversize.
- Speravo di trovarti qui - aggiunsi e prima che lei potesse dire qualcosa - ma non credevo di vederti con lui -
Li avevo visti prima. Abbracciati. Lui le aveva dato un bacio. Avevo sentito una fitta al petto.
- NON HAI DIRITTO DI DIRLO! - urlò lei con le lacrime agli occhi - Non hai diritto di stare qui, di parlarmi, di farmi la ramanzina!  Di criticare! Sarà anche un cretino, uno spacciatore, un poco di buono. Ma almeno lui non mi ha sfruttato! - sibilò queste ultime parole.
Mi facevano male. Il suo dolore mi faceva male.
Cercai di avvicinarmi.
- Io non ti ho sfruttato! - urlai. Era vero! - Io ti ho veramente voluta, e ti voglio ancora! -
Vedere il suo viso rigato dalle lacrime era un colpo al cuore.
- Ti prego - singhiozzò - risparmiati queste belle parole per la tua famiglia - disse per subito dopo voltarsi verso la pineta correndo.
Mi sentivo svuotato e la testa pesante. Eppure la musica era cessata da un pezzo. Rimasi a guardare il punto dov’era sparita e poi ritornai indietro. Avrei voluto vomitare tutto fuori.
L’avevo cercata, l’avevo trovata, ma non ero stato capace di dichiararle la verità. Io l’amavo. Me ne rendevo conto ormai. Era un pensiero fisso nella testa. Ci pensavo sempre. Ogni momento della giornata. Ogni qualvolta che tornavo a casa e mi si stringeva lo stomaco. Non ero a mio agio. Non era il mio posto. Al mio fianco non c’era la donna che amavo.
Ritornai in me nel momento giusto. In tempo per vedere Marco in manette spinto contro la volante.
Feci un cenno di assenso agli agenti.
- Portatelo in questura - dissi, e salì in macchina.
 
*
 
- Allora - dissi cercando di dare un tono autoritario alla mia voce - Hai proprio una bella fedina penale -
Sputai le parole in modo sprezzante. Erano solo due minuti che quello stronzo di Marco era nel mio ufficio e già avrei voluto staccargli la testa.
- Addirittura una retata per me - ghignò - mi sento importante -
Lo guardai diritto negli occhi.
- Non sei importante. Sei solo un coglioncello che gioca a fare il furbo. - sbottai. Solo le manie di grandezza mancavano a questo deficiente.
- Dici? - rise - Io credevo di essere semplicemente un ragazzo come tanti, con una passione poco accettabile dalle menti bigotte e… - fece una pausa - una bellissima ragazza al mio fianco - concluse ghignando.
Io alzai gli occhi di scatto.
- Sai, quando l’ho conosciuta, neanche mi degnava di uno sguardo. Ero sicuro che una ragazza bella come lei avesse già qualcuno nel cuore, e di fatti, non mi sbagliavo. Poi, qualcosa è cambiato all’improvviso. L’ho vista sempre più triste, sempre più svogliata, sempre più bella. Improvvisamente un amico mi racconta una storia - il suo sorriso era sinistro e cattivo - Una bella storia, non c’è che dire. Questa storia parla di una bellissima e ingenua ragazza, che s’innamora del bello e bastardo di turno, che la usa per i suoi scopi e poi la lascia per ritornare fedele al suo focolare domestico.  Sembra una di quelle storie da romanzo rosa che vendono nelle edicole - sospirò - Povera Bianca -
- Uscite fuori - ordinai agli agenti in stanza che avevano dipinto in faccia un punto interrgoativo dopo le parole di Marco.
Lui sghignazzò. Era veramente subdolo e io stavo facendo perfettamente il suo gioco.
Dovetti farmi forza per non ucciderlo lì sul posto. Sentivo i miei muscoli irrigidirsi.
- All’inizio non volevo crederci. Ero convinto che il mio amico avesse sbagliato. Ma poi stanotte mi giro in lungo e largo la pineta per passare un po’ di tempo con lei, e che trovo? Uno sbirro in piena crisi da sensi di colpa? - rise sprezzante - Povera Bianca! - ripeté. Poi avvicinandosi verso la scrivania disse a voce bassa guardandomi negli occhi - Che poi tu ed io lo sappiamo… non è poi così Bianca - sentenziò con malizia.
Fu per sua fortuna che nella stanza c’erano le telecamere. Ma quando riuscirono a staccarmi da lui, non gli erano rimasti abbastanza denti per sorridere. Lo guardai un’ultima e mi lasciai trascinare fuori con le mani che mi dolevano. Ormai avevo deciso cosa fare.

 

Ciao a tutt*!!
So che è passato tantissimo tempo, ma ci ho pensato tanto, e infatti oggi mi sono dedicata a un capitolo un po' breve, di passaggio diciamo!
Spero che il vostro affetto verso Bianca e Vittorio non sia scemato nel frattempo!
Spero che la storia continui a paicervi, visto che stiamo arrivando al momento clou!
Un abbraccio!!
StClaire

p.s. Ho iniziato anche una nuova storia "What kind of man" se vi va, passate a dare un'occhiata!

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