Guardami dentro e cadi nel vuoto

di Alex Wolf
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - 3 Mesi Prima. ***
Capitolo 2: *** Pierpont Inn Hotel. ***
Capitolo 3: *** Dolls. ***



Capitolo 1
*** Prologo - 3 Mesi Prima. ***


Guardami dentro e cadi nel vuoto. 
 



Prologo.
 


“Tutte le storie sono vere.”
 
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3 mesi prima.
 



La luna si ergeva alta nel cielo buio. Quella sera d’autunno faceva più freddo del solito e la mia casa sembrava distante, molto più lontana che gli altri giorni. I capelli castani mi solleticavano il collo, intrappolati nella sciarpa mentre il vento tentava di muoverli e farli uscire. I lampioni illuminavano la strada deserta, le macchine accuratamente riposte nei vialetti e me. Il vento ululava silenzioso smuovendo le chiome brulle degli alberi; uno scenario davvero terrificante, persino per me che non avevo paura del buio.
Mi domandavo spesso però perché ogni volta che andavo a lavoro, da quando mi ero trasferita li per cacciare un gruppo di otto vampiri, nelle ultime settimane ci arrivavo a piedi e mai in macchina, e la stessa cosa si chiedevano mio padre e mia madre quando, al telefono, mi sentivano affaticata. Ogni tanto, e sapevo che era così, se lo chiedeva anche il mio datore di lavoro, che mi vedeva arrivare in hotel affaticata.
“Mi tengo in forma” rispondevo sempre. Ma, la verità è che lui non sapeva, nessuno di loro sapeva cosa mi gravava sulle spalle da qualche settimana, quanto la mia vita stesse crollando piano piano. Nessuno se ne accorgeva. Nessuno sapeva neppure che ero una cacciatrice e, a parte i mei genitori, che avevo accettato quel lavoro per scovare ogni giorno nuove tracce; avevo scoperto infatti che due di quegli esseri lavoravano nella struttura ed ero intenzionata più che mai a scovarli e ucciderli. Rabbrividii all’ennesima folata di vento e gettai le mani nelle tasche del giubbotto, nascondendo il viso gelato nella sciarpa. Un sibilo oltre un cespuglio attirò la mia attenzione, facendomi sobbalzare impaurita. Ingoiai un fiotto di saliva e mi avvicinai ad esso, attirata dalla curiosità di sapere. Il coltello che aveva nascosto sotto la cintura premeva sulla mia pelle, facendola fremere di freddo ogni volta; ero pronta a respingere ogni attacco che si sarebbe presentato da parte di quei mostri.
Non avevo paura. Non dovevo averne. Non potevo permettermelo.
Allungai una mano verso le foglie, stringendo un ramo fra le dita: la mia pelle tiepida infreddolì a contatto con esse. Trattenni il respiro e, con freddezza glaciale, scostai il ramo: due occhi mi incatenarono, poco prima che quella cosa mi saltasse sopra. Colpii l’asfalto con forza e un gemito di dolore lasciò le mie labbra, i miei capelli si sparsero sulla careggiata e la luce dei lampioni sopra di me venne oscurata dalla figura della donna che mi aveva attaccata. I suoi occhi chiari continuavano a fissarmi, sanguinari e distanti mentre io sorreggevo lo sguardo. La fissavo senza alcun timore, senza l’intenzione di porre una fine a quel contatto visivo. Se avessi lasciato i miei occhi vagare lontano, persino sopra di lei, avrebbe capito che avevo pura o qualcosa da nascondere; e io avevo realmente qualcosa da nascondere, che mi sarebbe tornato utile. Tastai con le mani le cosce, in cerca della lama e la strinsi fra le dita con cautela, estraendola piano piano: un solo passo falso e quel dannato scherzo della natura mi avrebbe uccisa più in fretta della luce. La ragazza bionda sorrise, facendo passare una sua mano sulla mia guancia e si avvicinò socchiudendo le labbra: i suoi denti si moltiplicarono e appuntirono. Allora presi a dimenarmi con tutta me stessa, incurante delle sue unghie che mi laceravano la carne come rasoi.
« O mi lasci, o mi libero da sola scegli tu. » Sibilai fra i denti, facendo sfumare le mie occasioni dell’attacco a sorpresa. Odiavo essere stesa a terra, sull’asfalto con una tizia sconosciuta sopra che si mostrava essere una brutta imitazione di un vampiro, lo ammettevo. Ingoiai un fiotto di saliva e impiantai il coltello nel suo fianco, facendola infuriare solo di più. La sue mani corsero alle mie spalle, graffiandole con ferocia finché non arrivò al cranio.
« Stronza! » Sibilò, stringendomi i capelli in una forte stretta e facendo sbattere la mia testa contro il cemento duro e freddo. Guaii, senza però dimenticare di ricambiare il favore affondando la lama nella sua schiena; non l’avrei mai decapitarla se continuavo a lasciarla prevalere su di me.
« Eh no, tesoro stasera niente cena. » Intervenne una voce alle nostre spalle; prima che una sciabola tagliasse il collo alla ragazza bionda e il sangue schizzasse ovunque. Il suo capo rotolò sull’asfalto macchiandolo di gocce rosse, mentre il corpo ricadde a peso morto su di me, inzuppandomi di sangue. Ingoiai un fiotto di saliva e lo gettai da parte, accettando la mano che mi veniva offerta da un secondo ragazzo. Le mie dita scivolose di liquido rosso avvolsero le sue e prontamente mi sollevò.  Aveva la pelle calda e un buon profumo, e da quello che la luce dei lampioni lasciava trasparire era anche carino. I capelli scuri si confondevano con le ombre della notte alle sue spalle, mentre gli occhi azzurri brillavano felini e i vestiti gli fasciavano il corpo, rendendo le spalle più larghe di quello che dovevano essere in realtà. Era alto e atletico, e il viso aveva un non-so-che di famigliare.
« Tutto ok? » Chiese alzando un sopracciglio.
« Si, grazie. » Affermai, lanciando un’occhiata alle nostre dita ancora unite, per togliere repentinamente le mie. « Ma potevo farcela da sola. » Passai un palmo sulle mie guance e, quando l’osservai sotto la luce del lampione, vidi le venature rosse lasciate dal sangue macchiarmi la pelle pallida. Alzai gli occhi al cielo, srotolando la sciarpa dal mio collo per poi gettarla a terra. « Adoravo quella sciarpa, grazie tante », borbottai lanciando uno sguardo al secondo ragazzo, davanti a me. Questo era più basso del primo, ma non meno bello: aveva le spalle larghe, un fisico ben allenato e un viso ingannatore sopra il quale poggiavano due splendidi occhi di smeraldo. I capelli avevano lo stesso colore del caramello: un biondo bruciato, ed erano corti.
« Ma un bel: grazie tante per avermi salvato la vita, no? » Rispose sarcasticamente, poggiandosi la sciabola con cui aveva tranciato la gola al vampiro su una spalla. Mi morsi l’interno delle guance e respirai a fondo, liberando i polmoni sono quando lo ritenni giusto.
« Oh, si, hai ragione scusa: rettifico allora. » Sorrisi sarcasticamente, passandomi le mani sulle guance più volte. « Grazie tante per aver ucciso l’ultimo dei vampiri a cui stavo dando la caccia da quasi tre settimane, avermi inzozzata di sangue », gli mostrai le strisce rosse sulle mie mani, « e aver rovinato la mia sciarpa nuova. Così va meglio? »  Non abbassai gli angoli della mia bocca nemmeno per un secondo, sostenendo quello sguardo di vetro per tutto il tempo. Il ragazzo tese la mascella irritato, stringendo di più la presa sull’elsa della sciabola e socchiuse le labbra pronto a ribattere, se l’altro non si fosse immerso nella nostra discussione.
« Ne possiamo discutere dopo, che ne pensate? Intanto bruciamo il corpo, in modo da non lasciare tracce e ti accompagniamo a casa, che ne pensi? » Mi voltai nella sua direzione e rimasi in silenzio per qualche secondo, soppesando le sue proposte con le mie idee. Tutta via, non era male come progetto di fine serata; infondo era colpa loro se ero ridotta così.
« Ok, ci sto, affare fatto », lanciai un’occhiata al corpo sanguinante e morto della ragazza stesa a terra, « ma io trasporto la testa e voi il corpo. » Allungai un braccio nella sua direzione, lasciandolo a mezz’aria in attesa della stretta di mano che l’avrebbe vincolato alla sua parola. Una folata di vento fece volare i miei capelli. Lui accennò un sorriso e si apprestò a stringere la presa, se non fosse che l’altro ragazzo intervenne poggiando le mani sulle nostre per allontanarle.
« Dean! » Esclamò il moro, lanciandogli un’occhiataccia sorpresa.
« Sammy, quella su “baby” non ci sale: ho appena rifatto gli interni e non intendo sporcarli di sangue. » Protestò Dean, tenendo testa all’altro. Una scintilla scattò nella mia mente, facendomi fare un passo indietro e alzare le mani in aria.
« Samuel e Dean Winchester? » Domandai.
« Si, siamo noi. » Affermò Sam, corrugando le sopracciglia. Sospirai scuotendo il capo e apprestandomi a caricarmi in spalla il corpo, più leggero del previsto, della ragazza. Il sangue che ancora colava dalla ferita scivolò sui miei jeans macchiandoli e facendomi rabbrividire.
Perfetto, ci mancavano i figli di John, imprecai. Tutti sapevano che, sebbene i Winchester fossero degli ottimi cacciatori, non portavano molta felicità e fortuna con loro. Meglio se il lavoro me lo finivo da sola e ripartivo.
« Allora posso finirlo da sola il lavoro, grazie. E’ stato un piacere conoscervi, ciao. » Mi addentrai nel parco, finché non raggiunsi il punto adibito ai giochi dei bambini dove stava un grosso rettangolo di sabbia e vi gettai il corpo.  « Ciao ciao, stronza. » Sorrisi, aprendo la scatola di fiammiferi che tenevo in tasca e gettandocene uno acceso. I suoi vestiti presero fuoco come paglia secca, e fiamme rosse scaturirono da essi. Vibravano nell’aria come note musicali, riscaldandomi.
« Ehi! » Sobbalzai quando una mano mi si poggiò sulla spalla, stringendola in una delle mie e roteando  con essa stretta fra le dita, facendo fare un volo al proprietario che si ritrovò steso a terra come me sopra.  Sam sbatté le palpebre sorpreso, trattenendo il respiro.
« Ancora tu? Ti avevo detto che finivo da sola il mio lavoro. » Lo ripresi. Lui ingoiò un fiotto di saliva e spostò la testa verso l’entrata del parco, indirizzandoci anche il mio sguardo.
« Ma tu te li mangi gli uomini, oppure li usi come pungiball? » Intervenne Dean, il fratello, raggiungendoci. Fra le mani reggeva la testa della vampira, di cui si disfece velocemente gettandola nel falò.
« Deeen. » Lo riprese Sam, allungando accuratamente la “e”, marcandola come se quella sua ironia lo infastidisse. In effetti, non lo conoscevo neppure da un’ora e già lo detestavo.
« Che c’è? » Alzò le spalle l’altro, aiutando il fratello ad alzarsi quando m’issai sulle gambe liberandolo.
« Sei sempre così… » Sam trattenne a stento le parole, rifilandomi occhiate di nascosto che però riuscivo a sentire sulla mie spalle mentre tornavo davanti al falò di vampiro; era una cosa a quanto macabra, se mi fermavo a pensarci. Insomma, quanta gente poteva affermare di essere stato ad un falò dove il combustibile era un corpo, fino a pochi minuti prima, vivo?
« Ascoltate », intervenni, stufa di sentirli battibeccare alle mie spalle. « Io qui ho finito. Tuo fratello ha ucciso la mia preda e ora non c’è più nulla a cui dare la caccia, quindi me ne vado a fare una bella doccia e poi le valigie. Godetevi il falò e fatevi una bella chiacchierata fra fratelli, eh? » Gettai le mani nel giubbotto per riscaldarle e sorrisi a Sam che, nonostante tutto, si era dimostrato il più gentile dei due mentre rivolsi un’occhiata di fuoco a Dean, che ricambiò sorridendo beffardo. « Addio ragazzi Winchester, piacere », forse, « di avervi conosciuto. » A mai più, spero.
« Aspetta », mi bloccò Sam, facendo un passo in avanti. Voltai il capo nella sua direzione, restando a metà sul sentiero che portava nella direzione di casa mia. « Almeno puoi dirci come ti chiami? »
« Shania Di Angelo », e tornai sui miei passi, lasciandomi alle spalle i due ragazzi.
 
 


Ciao ragazze :3
 
Come state? Allurs, partiamo col dire che questa è in assoluto la mia prima FF su “Supernatural”, e spero che non diventi una delusione o una cosa già vista e trita.  Questo è un prologo d’inizio, l’incontro tra Shania e i Winchester. A proposito di Shania: che ne pensate di lei?
Vi do qualche informazione su di lei:
Prima di mettermi al lavoro sono stata molto combattuta fra la scelta dei nomi, infatti ero indecisa fra, appunto Shania oppure Calipso. Vi spiego anche perché:
- Shania: in realtà è un'intera frase della tribù degli Indiani d'America Ojibwa, che significa "lei è sulla sua strada".
- Calipso: Deriva dal greco kalyptein, ovvero "coprire, celare": il significato quandi sarebbe "colei che cela, che nasconde”.
Entrambi erano davvero belli e si adattavano alla protagonista, che appunto nasconde un segreto, come scritto nel testo all’inizio, ma alla fine ho scelto il primo perché m’ispirava di più.
Ci tengo a precisare che la storia inizierà nell’ambientazione della seconda stagione, durante l’episodio 11 “la casa delle bambole”.

Come presta-volto di Shania ho scelto Kate Beckinsale:


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E basta… non so che aggiungere, se non che la storia di Shania ( compreso il perché lei abbia questo nome essendo italiana) verrà spiegata man mano nei capitoli.
 
Un bacio,
 
Isil.

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Capitolo 2
*** Pierpont Inn Hotel. ***


Guardami dentro e cadi nel vuoto. 
 

“- Hai mai pensato di farla finita?
- Oh, no. Non vorrei mai che qualcuno sia felice a causa del mio suicidio. Rimarrò in vita, solo per far loro dispetto.”
 
— American Horror Story.
 


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I rimpianti si radunano come vecchi amici,
qui per riportare in vita i tuoi momenti più bui.
Non vedo un modo, non vedo un modo.
E tutti i demoni vengono fuori a giocare,
e ogni demone vuole la sua libbra di carne.
Ma mi piace tenere alcune cose per me stessa,
ma mi piace tenere i miei problemi a bada.

(Shake it out- Florence + The Machine)

 
 
 
 
Connecticut.
 
Pierpont Inn.

 

 
Il vecchio hotel che avevo di fronte non era così brutto come mi aspettavo: una costruzione semplice a due piani, dai muri bianchi e le rifiniture in legno. Aveva un bel giardino all’esterno, proprio ai lati della scalinata d’entrata e un’atmosfera molto inglese che gli dava un non-so-che di intrigante. Ancora non riuscivo a credere che l’avrebbero demolito; dopo tutto non mi sembrava così messo male. Parcheggiai la mia adorata macchina, una Chevrolet Camaro ss del 2010, completamente nera, proprio davanti all’entrata del palazzo e mi caricai in spalla l’unico bagaglio che mi sarebbe servito per quella settimana di caccia. Ellen, la proprietaria di una RoadHause, conoscente di mio padre gli aveva parlato con di alcuni strani incidenti avvenuti all’interno dell’albergo “Pierpont Inn” e così lui mi aveva chiamata e spedita a lavoro li. Si fidava di me, ed essendo che nessun’altro era parso interessato a questo caso avevano riposto le loro speranze sulla sottoscritta; che non si sarebbe fatta spaventare da uno scricciolo di fantasma.
Strinsi con forza il manico del borsone e lo sistemai meglio sulla spalla, iniziando a salire i gradini con calma per lasciarmi il tempo di esaminare al meglio l’ambiente circostante: sembrava tutto così normale. Il vento tirava leggero, facendo frusciare gli alberi, il cielo era solcato da qualche nuvola e un piccolo strato di nebbia stava per scendere e inghiottire tutto nel silenzio, tutto normale insomma. Quando poggiai il mio peso sulle tavole di legno della veranda queste scricchiolarono, provocandomi una pelle d’oca inaspettata. Non ero una che si spaventava per poco, però c’erano momenti in cui mi distraevo oppure mi allontanavo dal mondo a causa dei miei pensieri e il mio lato più fragile prendeva il sopravvento ed ogni cosa sembrava ingigantirsi a tal punto da farmi paura. Con velocità poggiai la mano sulla maniglia della porta e l’abbassai, entrando nell’hotel. Una piccola hall mi accolse con il calore tipico degli alberghi: tutto era illuminato di luci soffuse, visto l’orario e le voci che correvano in giro su quel posto stentavo a credere che aspettassero visitatori. Un bancone di mogano si ergeva alla mia sinistra e su di esso stava un campanello; poggiando il borsone a terra allungai il braccio e suonai, ripetutamente. Il suono si espanse per i corridoio vuoti e rimbombò più volte, finché non fu sovrastato dal frastuono di una porta che si chiudeva e il rumore di passi veloci. Da sopra le scale apparve una donna in camicia da notte, i capelli castani le arrivavano alle spalle e gli occhi azzurri erano assonnati. Appena mi scorse, però, sembrò risvegliarsi all’improvviso e illuminarsi, tese le labbra in un sorriso e corse dietro al bancone.
« Mi scusi per l’orario, non volevo disturbarla », dissi immediatamente, appoggiandomi al bancone, « ma ho notato il vostro hotel e ho pensato foste aperti. » Era una scusa idiota ma sembrò bastare per far si che la donna annuisse convinta.
« Siamo aperti, certo. Mi scusi lei per il mio abbigliamento poco consono, non aspettavamo clienti. » Si giustificò la donna, piegandosi sotto il bancone per poi riemergerne con svariate carte in mano; dovevano essere i registri delle presenze e le varie fatture fatte nel corso dell’ultimo mese. Le sorrisi tranquillamente e, tentando di non sentirmi a disagio, mi passai una mano fra i capelli. « Una camera singola, per quante notti? »
« Mh, cinque. Ho intenzione di fermarmi per una sosta. Sa, un po’ di tranquillità. »
« E’ in vacanza? » Chiese lei, mentre iniziava a compilare i vari moduli. Respirai a fondo, guardandomi attorno per imprimere a foco ogni aspetto, anche il più piccolo e poi risposi.
« Si, diciamo. Ho appena rotto con il mio ragazzo, ormai dovrei dire ex in realtà, e mi serviva un po’ di libertà. » Beh, non si poteva dire che me la cavavo male con le storie create su due piedi. Avrei potuto scriverci un libro, già mi immaginavo il titolo: “come mentire e non essere sospettati.”
« Deve essere dura », mormorò dispiaciuta per me; come poteva essere dispiaciuta se nemmeno mi conosceva? Corrugai le sopracciglia e scrocchiai le nocche, per poi iniziare a martellare le dita sul legno.
« In realtà no, non ne potevo più di lui. » Mi stavo calando nella parte con vera maestria; mi sarei dovuta regalare dei cioccolatini per la buona riuscita dell’impresa poi.
« Già. Mi servirebbero il suo nome e la carta d’identità?  »
« Certo. » Estrassi il portafoglio dalla tasca dei jeans e frugai fra le varie carte d’identità senza farmi vedere, finché non trovai quella di Anna Cox: una studentessa newyorkese di 24 anni. Gliela porsi.
« Il mio nome è Susan, benvenuta al “Pierpont Inn”. » Mi ridiede i documenti e mi consegnò la chiave della stanza numero “236”. « L’accompagno alla sua camera. » Uscì da dietro il bancone e mi guidò per le scale che portavano al primo piano; le pareti erano colme di quadri con vecchie foto e mobili mi mettevano in soggezione.
« Eccoci arrivati, buona notte. » Con gentilezza Susan si congedò ed io entrai nella mia stanza, richiudendomi la porta alle spalle e lanciando il borsone dove capitava; giusto in tempo prima che, una forte nausea mi attanagliasse lo stomaco e fossi costretta a correre in bagno e vomitare. Era la malattia, lo sapevo; stava degenerando ed io non potevo fare niente, mi rifiutavo di fare qualcosa per curarmi. Ci avevo già provato mesi prima e quando tutto era sembrato andare per il verso giusto, la malattia sconfitta – per quel che si può dire - e il tempo perso riguadagnato: eccola che si era ripresentata. La verità era che, sebbene i medici mi avevano proposto più volte la stessa alternativa, io non volevo combatterla. Avrei accettato il mio destino senza ribattere, andandomene quando sarebbe arrivato il mio momento; intanto ero reduce delle mie scelte, piegata sulla tazza di un water d’hotel apparentemente infestato a vomitare.
 
 
 



°     °
 
 





Il mattino dopo il cielo era coperto, ma osservarlo mi faceva male agli occhi come se ci fosse stato qualche raggio di sole che riusciva a superare la coltre grigia di nubi. Scostai le coperte dal mio corpo con un calcio e mi alzai per andare ad aprire la finestra:  un ventata d’aria gelida mi sferzò i capelli, accarezzandomi il collo e facendomi venire la pelle d’oca. Rabbrividendo mi strofinai le braccia con le mani e gettai un’occhiata verso il parcheggio: la mia macchina era ancora li, coperta da uno strato di gocce d’acqua e con i finestrini appannati d’umidità. Lanciandole un ultimo sguardo, richiusi la finestra e mi diressi in bagno per fare una doccia calda, vestirmi e truccarmi. Non ci mettevo mai molto a prepararmi, sebbene tenessi al mio aspetto esteriore: era con quello che mi guadagnavo il lavoro. Con l’aspetto, il talento e la furbizia. I cacciatori tendevano spesso a giocare a poker e ogni volta che mi presentavo ai loro gruppi, in città diverse, e mi facevano giocare trattandomi da pivella sbancavo sempre. Non avevo mai perso una partita contro qualcuno che non fosse stato mio padre o Bobby, un suo caro amico; erano gli unici due che riuscivano a battermi. In ogni modo, mi asciugai di fretta i capelli  con il phon e l piastrai – la piastra era una delle cose di cui non potevo privarmi, altrimenti sarei potuta sembrare un leone visto i capelli che mi ritrovavo -, indossai un paio di jeans, una maglia a felpa nera e i miei Dr.Martines e poi uscii in corridoio. Era tutto silenzioso finché, una bambina mi passò affianco correndo e ridendo, con un adorabile vestitino rosso e i lunghi capelli castani che schioccavano nel vento.
« Eehi! » Esclamai ridendo a mia volta, tentando di non farmi colpire dalla sua euforia. Lei si voltò a guardarmi per un secondo e sorrise, prima di riprendere a correre. Scossi il capo e iniziai a scendere i gradini con velocità, godendomi quegli attimi di pace. Era strano però, non mi sembrava quel posto fosse infestato, assolutamente. Poi, una cosa attirò la mia attenzione: una vecchia foto che ritraeva una donna di colore vestita da cameriera e una bambina. Al collo la donna indossava uno strano ciondolo a cinque punte.
E se… I miei pensieri furono deviati da delle voci non molto distanti da me; le avevo già sentite da qualche parte, sebbene non ricordassi dove. Così, lasciai perdere la fotografia e mi diressi verso la hall.
« Oh, cusatemi tanto », era la risata sommessa di Susan quella che mi arrivò alle orecchie. Aumentando il passo arrivai all’arco che dava direttamente sull’entrata, dove, davanti al bancone, stavano in piedi due ragazzi. I cacciatori Winchester. Sam teneva stretta la sacca da viaggio nella sua presa, mentre Dean era intento a corrugare le sopracciglia e rispondere all’affermazione di Susan.
« Abbiamo tutta l’aria di che cosa? » Domandò stupito, lanciando uno sguardo al fratello. Leccandomi il labbro superiore, poggiai la spalla sinistra alla volta di legno e incrociai le braccia al petto.
« Di due fidanzati gay. » M’intromisi io, facendo voltare tutti nella mia direzione. La donna ingoiò un fiotto di saliva, mentre Dean irrigidì la mascella pronto a rispondermi a tono. Sam, invece mi sorrise cordiale, come sempre e fece un passo avanti.
« Cosa ci fai tu qui? » Chiese brusco il maggiore dei due, spostando leggermente il viso verso destra.
« Ehi, questa domanda dovrei fartela io», sputai fuori acidamente incenerendolo con un’occhiata.
« Vi conoscete? » Sussurrò la proprietaria dell’hotel, probabilmente messa in imbarazzo dal nostro comportamento. Mi voltai nella sua direzione e le analizzai gli occhi azzurri: erano grandi, in quel momento, e trasudavano imbarazzo da tutti i pori. Socchiusi le labbra pronta a rispondere ma Sam, e il suo buon senso, furono più veloci di me.
« Beh, allora, a proposito di merce d’antiquariato ho visto che lei ha un’urna molto interessante all’entrata, dove l’ha presa? » Assottigliai lo sguardo, rizzando la schiena incuriosita.
« Non ne ho idea, è sempre stata li. » Rispose prontamente la donna, tornando a compilare i moduli. Con tranquillità mi avvicinai a Sam e lui mi sorrise, al contrario di Dean che m’incenerì. Era da un mese che non li vedevo, lo stesso mese in cui aveva ucciso la mia ultima preda e ora si rifacevano vivi con l’intenzione di rubarmi il caso? Non gliel’avrei permesso.
« Avete intenzione di rubarmi il caso? » Mormorai al moro fra i denti, come un serpente che sibila. Lui diede le spalle a Susan e si abbassò sopra di me; mi ero dimenticata quanto fosse alto. I suoi occhi azzurri mi scrutarono per qualche secondo, curiosi e pieni di domande.
« Ne parleremo in camera, ok? » Tornò retto e poggiò una mano sulla mia spalla, quando un anziano signore comparve dietro di me. Ingoiai un fiotto di saliva e mi passai una mano fra i capelli: ieri sera non c’era, mi dissi. Bah.
« Shervyn, accompagna i signori alla 237. » Gli ordinò gentilmente Susan, tornando alle sue carte.
« Fatemi indovinare: siete antiquari? » Chiese immediatamente l’anziano, inarcando le folte sopracciglia sulla fronte rugosa. Sospirai, poggiandomi distrattamente a Sam.
« Esatto, vedo che qui sapete riconoscere subito le persone, eh? » Il petto del ragazzo sobbalzò ad ogni parola, ed io con esso; imbarazzata silenziosamente, mi staccai da lui e seguii il facchino verso il piano superiore. L’uomo trascinava la borsa come se al posto della stoffa ci fosse stato un guinzaglio e alla fine un cane, morto. Quando iniziammo a salire le scale la sacca da viaggio dei ragazzi sbatteva su di esse con il classico frastuono che fa un martello sul legno, e questo rimbombava fra le pareti silenziose.
« Non vuole una mano con la borsa? » Chiese gentilmente Dean, davanti a me, mentre osservava la sua sacca sbattere continuamente contro ogni cosa.
« C’è la faccio. » Lo rassicurò Shervyn, continuando imperterrito a trascinarla. Una piccola risata sommessa proruppe dalle mie labbra, e si amplificò quando Dean mi rivolse una strana occhiata. Il maggiore dei Winchester si fermò ad aspettare me e il fratello e continuò assieme a noi.
« Che diamine ci fai qui, Di Angelo? » Sibilò silenziosamente, lanciando occhiate verso il nostro facchino.
« Secondo te cosa faccio? Lavoro », risposi, «  e evaporati. » Poggiai una mano sulla sua spalla allontanandolo, « Stammi lontano Winchester detesto il tuo profumo e, soprattutto, te. »
« Nemmeno tu sei una buona compagnia, stronza.  »
« Senti chi parla! Io sono stronza ma tu sei proprio un… »
« E così l’hotel sta per chiudere, eh? » Sam si frappose fra noi, interrompendo la nostra litigata. Odiavo ammetterlo, ma forse era meglio così; avevamo dato spettacolo giù di sotto e anche adesso stavamo facendo la nostra figura, meglio darci un taglio. Ma non era colpa mia, quel Dean riusciva a tirar fuori il peggio di me sebbene questa fosse la seconda volta che c’incontravamo.
« La signora Susan ha provato a tenere duro ma purtroppo la gente non viene più come una volta. » Affermò con rammarico l’uomo, la borsa che ancora strusciava a terra e Dean che l’osservava con gli occhi agognanti. « Certo che è veramente un peccato. » Sospirò.
« Eh si, è così bello qui. » M’intromisi, accarezzando di sfuggita un antico mobile di legno.
« Anche se adesso non sembra questo era un hotel di lusso: due vicepresidenti hanno dormito nelle nostre camere. I miei lavoravano qui e praticamente ci sono cresciuto. Mi mancherà. » Shervyn si bloccò a metà corridoio e infilò la chiave nella toppa dell’uscio. « Eccoci alla vostra stanza », aprì la porta e consegnò la chiave a Sam che, esitante, la prese dalle sue mani prima di entrare.
Sorpassai Dean e mi ritrovai nella loro camera prima di lui, che sicuramente sbuffò alzando gli occhi al cielo.
« Non vuole fare lo spilorcio con me, spero. » Lo riprese il facchino, con la mano ancora a mezz’aria in attesa dei soldi. Mi portai una mano alle labbra e sorrisi di nascosto, trattenendo una risatina divertita nel vedere Dean sospirare e tirare fuori il portafogli. Quando l’uomo se ne andò e la porta si chiuse, tutto divenne come glaciale. L’atmosfera si fece rigida, la tensione si tagliava con il coltello. Incontrai gli occhi verdi di Dean e sostenni il suo sguardo, senza paura e senza ripensamenti. La sua mascella era tesa, come i muscoli e il respiro regolare.
« Se ora non mi dici perché sei qui, giuro, ti lego ad una sedia e ti estorco la verità a forza. » Mi minacciò il ragazzo, gettando la sacca a casaccio sul pavimento. Questa atterò con un tonfo che fece vibrare le assi del pavimento.
« Te l’ho già detto il motivo per cui sono qui, Winchester: lavoro. E ti giuro », mi avvicinai a lui con tenacia, puntandogli un dito al petto, « che se solo provi a rubarmi nuovamente la preda ti legherò io alla sedia e poi… »
« Ok, adesso basta. Finitela voi due. » Per l’ennesima volta quel giorno, intervenne Sam. Le sue mani si poggiarono sulle nostre spalle allontanandoci, con gentilezza, e i suoi occhi chiari ci imprigionarono severi. « Non ha senso litigare per delle sciocchezze. Ormai siamo tutti qui e, se non ricordo male, il motto dice “uniti si è più forti”, no? Se, magari, collaboriamo potremmo riuscire a terminare il caso più in fretta e poi tornarcene ognuno sulla propria strada. Basterebbe solo sotterrare le vostre discordie per qualche giorno. » Il moro ci guardò attentamente per svariati minuti, con milioni di preghiere negli occhi. Incrociai le braccia al petto e inarcai un sopracciglio, mentre picchiettavo il piede a terra. Dopo tutto quel ragazzino non aveva  torto: “insieme si è più forti” e io volevo finire quel caso presto; sebbene, questo, avrebbe voluto dire lavorare coni Winchester.
« La puoi smettere? » Chiese fra i denti Dean.
« Che c’è: ti da fastidio ogni mio movimento? » Saltai subito su, scrocchiandomi le nocche per non sferrargli un pugno in pieno viso. Al diavolo il mio ragionamento, non potevo lavorare con un tizio che mi urtava i nervi.
« E’ la tua presenza che m’infastidisce. Sei proprio una stronza acida, lo sai? Credi di poter fare tutto solo perché hai un cognome importante fra i cacciatori, ma non sai nemmeno uccidere un vampiro! » Sbraitò, gettando da parte il braccio del fratello, che però si affrettò a rimetterlo a posto.
« Taci Winchester ho più palle di te quando si tratta di caccia, e non ho ucciso quella vampira perché tu non me l’hai permesso. Ti sei intromesso nella mia caccia senza ripensamenti! » Risposi a tono, sentendomi ferita e accusata di inettitudine.
« Gente, è di questo che parlavo: non potete semplicemente evitarvi? Per favore, sono solo sei giorni, forse di meno. Solo qualche giorno, vi prego. » Gli occhi chiari di Sam si soffermarono su di me, lucidi e brillanti sebbene il tempo fuori dalla finestra fosse plumbeo. Esitai per qualche istante, prima di abbassargli la mano che teneva sulla mia spalla e fare un passo indietro, passandomi una mano fra i capelli.
« Non ho intenzione di andarmene da qui finché non concludo questo caso. » Affermai, diretta verso Sam. Il ragazzo lasciò andare Dean e si diresse verso di me, allungando una mano nella mia direzione. « Stai per firmare il contratto di morte di tuo fratello ,lo sai questo si? » Sborbottai, allungando il collo oltre la sua figura per scrutare il fratello che ancora se ne stava fermo con la mascella e i muscoli tesi.
« Dean dovrà adattarsi. Ha trovato pane per i suoi denti, sarà divertente. » Commentò Sam, gettando un’occhiata alla sua mano ancora testa a mezz’aria. Respirando profondamente, feci congiungere i nostri palmi e strinsi le mie dita sulla sua pelle calda. Lui fece lo stesso, sorridendo.
« Vi lascio il tempo di sistemarvi, allora. Se mi cercate sono nella camera affianco », dissi avvicinandomi al muro dove erano poggiati i letti e ticchettandoci sopra con le nocche. Poi, mi allontanai dirigendomi verso la porta, scontrando volontariamente Dean con la spalla. « Chiamatemi quando avrete finito, va bene? Ho alcune teorie interessanti sul caso. »
 
 

 
°      °
 





« Siamo sicuri che sia umana e non una specie di demone che dobbiamo uccidere? » Sibilò Dean quando la porta alle sue spalle si chiuse. Sam l’osservò con uno strano ghigno in faccia e poi si avviò a sfare le valige, con gli angoli delle labbra ancora piegati verso l’alto. Il maggiore dei Winchester recuperò il proprio borsone da terra e lo gettò su quello che sarebbe stato il suo letto, per poi levarsi il pesante giubbotto di pelle che indossava. « Mi farebbe piacere levarle quel ghigno divertito dalla faccia. » Aggiunse poi, aprendo la zip del borsone e iniziando a sistemare la sua roba negli armadi.
« Invece, io credo ti faccia bene un po’ di sana competizione. Infondo, Dean, non ha mai trovato una ragazza che ti tenesse testa così, senza contare Jo, che a quanto pare è scomparsa dalla circolazione. » Affermò Sam, accarezzandosi i capelli scuri.
« Non dirai mica sul serio, Sammy. » Dean gli rivolse uno sguardo indagatore e, quando si accorse che il fratello era serio, rimase muto per qualche secondo. Davvero Sammy pensava quelle cose su di lui? “Sana competizione” l’aveva chiamata, ma di “sano” quella rivalità non avrebbe avuto nulla e Dean questo lo sapeva bene. Insomma, lui la odiava e lei ricambiava questo sentimento, come avrebbero potuto risolvere un caso in soli sei giorni, se non di meno? Scuotendo la testa, Dean si sedette sul suo materasso, che si piegò sotto il suo peso, e si gettò all’indietro con le mani sul ventre. « Io la detesto e sempre la detesterò. »
« Però un po’ ti piace, non è così? Infondo, infondo… »
« Oh, sta zitto Sammy. » Lo zittì lui, rialzandosi a sedere per guardare meglio il fratello. « A me piacciono tutte, basta che respirino. L’unica che non riesco a farmi piacere è lei, perché.. è più selvatica delle altre, credo.»
« “Perché è più selvatica delle altre, credo”, oh andiamo Dean: ti fermerai davvero davanti a questo particolare? Nah, la verità è che sai già di aver perso in partenza. » Lo derise il più piccolo, chiudendo le ante dell’armadio e caricandosi il laptop sotto il braccio. Sam non punzecchiava spesso Dean, era il contrario al massimo, ma quando si metteva in testa qualcosa era irrecuperabile e questo il fratello lo sapeva bene. « Ammettilo Dean: per la prima volta una ragazza non cade ai tuoi piedi e questo fa si che tu ti arrenda immediatamente. »
« Ripeto; sta zitto Sammy. » Lo riprese Dean, tirandogli addosso il primo cuscino che si ritrovò fra le mani.
 
 
 


Ciao ragazze :3
Allurs come state? Non uccidetemi per questo orrendo capitolo, chiedo venia.
Che ne dite di questo inizio “arido” fra Shania e Dean? E le due frasi ad inizio capitolo? Ho deciso che d’ora in poi ne metterò una prima della foto d’inizio, che probabilmente sarà presa da qualche telefilm/libro/film/citazione ecc… mentre la seconda sarà di una canzone, e racchiuderà i pensieri generali di Shania.
Anyway: che ne dite di lei? Vi piace il suo carattere?

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Capitolo 3
*** Dolls. ***


Guardami dentro e cadi nel vuoto
 
 

Non ero così. Non lo ero affatto. Avevo "L'abitudine" di fidarmi sin da subito delle persone. Perché io partivo dal presupposto che, se fai del bene devi ricevere altrettanto bene. Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo alla grande. Il mio lato buono, disponibile, dolce, è stato la mia condanna. Le stesse persone alle quali l'ho mostrato lo hanno usato per farmi male. Mi si è rivoltato contro. Oggi sono così, acido, freddo, scostante e a tratti anche strafottente. Dalle persone mi aspetto solo il peggio. Preferisco pensar male e magari sbagliarmi, che vedere del buono in tutti e rimanere deluso. E credetemi, sarei disposto a dare ancora il meglio di me, se non fosse per il fatto che è stato distrutto.
 
— unincantevoleacida
 


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E’ sempre più buio prima dell’alba.
E sono stata sciocca e sono stata cieca; non potrò mai lasciarmi il passato alle spalle.
Non vedo alcun modo, non vedo alcun modo.
 Florence + The Machine – Shake it out
 
 


« Chi diavolo verrebbe a stare qui? Mi meraviglio che siano stati aperti per così tanto », esclamò Dean, dirigendosi verso il suo letto. Lo studiai attentamente mentre camminava, con quell’andatura un po’ dondolante e le braccia rilassate; dopo tutto visto che avrei dovuto lavorarci, dovevo capire con chi avevo a che fare, no? Studiare i movimenti del suo corpo e il suo carattere mi sembrava un buon modo per iniziare. Sam non era stato difficile da inquadrare: un bravo ragazzo, con un passato non troppo degno di essere definito “felice” e un presente molto vago, dipinto in svariate sfumature di grigio. Gli occhi azzurri e brillanti, che però dentro avevano le tempeste per qualcosa che neppure io avrei saputo capire. Mentre Dean, beh, lui era molto più difficile da inquadrare: aveva gli occhi verdi di un felino, che non lasciavano spazio ad alcuna domanda da tanto erano freddi e taglienti, i muscoli quasi sempre tesi e il sarcasmo sempre sulla punta della lingua. Che fosse tutta una messa in scena non potevo ancora saperlo, sebbene lo sospettavo, però potevo provare a scoprirlo. Dovevo riuscire a scoprirlo. Lanciandogli un’altra occhiata mi dissi che assomigliava molto a John nei movimenti, nell’andatura e nel carattere ostile; avevo avuto il “piacere” di lavorare con loro padre un anno prima, ed era una fortuna che fossi ancora viva: per poco non ci rimettevo una mano a causa del suo scarso tempismo d’attacco e di quello troppo preciso di uno stupido licantropo. Per fortuna ero viva e intatta e non grazie a John. In ogni modo, mi passai una mano fra i capelli e lanciai uno sguardo all’abito di pizzo bianco che era appeso contro una parete: in effetti era inquietante, non potevo dare torto a quel citrullo di Dean, non questa volta almeno.
« Guarda che quel coso è brutto quanto te », risposi dopo essermi seduta accanto a Sam. Dean mi folgorò con un’occhiataccia, per poi portarsi le mani davanti al volto tentando non rispondermi male. Adoravo stuzzicare la gente e visto che Sam non abboccava ai miei trucchetti, ed era troppo buono perché solo provassi a farglieli, non mi rimaneva altro che ripiegare su Dean.
« Perché non ti cuci la bocca? » Farfugliò a denti stretti il più grande dei Winchester, passandosi una mano fra i capelli. Mi morsi un labbro dopo aver rivolto uno sguardo a Sam, che alzando gli occhi al cielo mi aveva pregato di non rispondere e stare buona e così feci.
« Va bene, passiamo al caso che ne dite? Allora, vittima numero uno…» Sospirò Sam, iniziando ad armeggiare con dei fogli pieni d’appunti. Le sue mani correvano veloci fra le pagine scarabocchiate e gli occhi leggevano con facilità ogni cosa.
« Johan Edison, quarantatré anni, agente immobiliare incaricata della vendita dell’hotel » intervenni io, allungandomi verso il centro del tavolo dove si trovavano le birre pronta ad afferrarne una, portandola alle labbra. Gli occhi dei due fratelli si posarono su di me, mentre il liquido amarognolo e chiaro colava giù per la mia gola infiammandola. Lo sguardo di Sam era stupito quasi non si aspettasse che non avessi fatto ricerche, dimenticandosi che io già mi ero documentata sul caso prima ancora che loro due arrivassero. « Vittima numero due: Larry Williams, doveva ritirare merce di beneficenza. Sono collegati entrambi alla chiusura dell’hotel », e giù un altro sorso amaro.
« Già, forse è qualcuno che non vuole andarsene e usa il vudù per resistere. » Propose Sam, accarezzandosi la guancia con una mano. Pensandoci bene, forse non aveva tutti i torti il ragazzo: entrando in hotel avevo notato un simbolo a cinque punte, ritratto in una vecchia fotografia poggiata sopra la rampa di scale, ma non avevo collegato quella cosa ad un quincunx; i fratelli stavano acquistando punti ai miei occhi, almeno il più piccolo.
« Lo dici perché hai notato la foto sulle scale? » Domandai curiosa, girandomi la birra fra le mani. Dean voltò velocemente il capo nella mia direzione e scrocchiò le nocche, tendendo al massimo le orecchie.
« Quale foto? » Chiese freddamente.
« Una sulla rampa di scale, ritrae una bambina e una domestica di colore. In ogni modo, se si tratta di vudù chi mai in questo hotel potrebbe praticarlo? Insomma, la bambina non credo sappia nemmeno cos’è,  Susan non mi apre il tipo e Shervyn è troppo… Shevyn. »
« Si, beh, le apparenze ingannano. » Obbiettò inesorabilmente Dean, facendo leva sulle proprie braccia per alzarsi in piedi. La sua ombra si proiettò su di me come una coperta, facendomi sentire oppressa e sotto scacco; sebbene sapessi che non era sua intenzione farmi provare quelle sensazioni, poggiai le mani ai lati della sedia e mi spostai leggermente più di lato per riuscire a vedere la finestra dalla quale entrava la poca luce del cielo uggioso. Il cielo non tendeva a migliore da quella mattina e, a mio parere, non si sarebbe rasserenato nemmeno per il giorno successivo. Non che non mi piacessero le variazioni temporali, in effetti sembravano andare di pari passo col mio umore, ma non sopportavo il freddo; specialmente quando il vento tirava troppo forte e s’insinuava dentro i vestiti.
« Lo dici perché tutti vi credono gay? » Chiesi divertita, accavallando le gambe e poggiando un gomito alla tavola. Adoravo mettere in difficoltà Dean, era esilarante notare le sue smorfie facciali.
« Non ci credono tutti gay… » Protestò il ragazzo, avvicinandosi nuovamente al lungo abito di pizzo bianco appeso alla parete. Sam l’osservò per qualche minuto prima di tornare alla proprie carte e sospirare, con un mezzo sorriso sulle labbra.
« Tu fai un po’ troppo il macho, penseranno che lo fai apposta. » Ammise successivamente, trovandosi osservato da me e il fratello maggiore. Senza volerlo scoppiai a ridere, ma non una risata piena più una di quelle che durano un secondo; giusto il tempo di sorridere e ritornare oppresso dalle situazioni che ti gravano sulle spalle.
« Mh, giusto. » Winchester si passò una mano fra i capelli corti e biondicci, scuotendo il capo come per non ammettere che il fratello minore aveva ragione.
« Ok ragazzi, io vado. » Facendo leva sulle braccia m’issai in piedi, fremendo quando i miei capelli scuri mi solleticarono il collo. Scrocchiai le notte e mi stiracchiai, prima di riporre la sedia al proprio posto e riprendere la mia birra fra le mani.
« Così presto? » Domandò sorpreso Sam, poggiando con cura i propri appunti sul tavolino accanto alla propria bevanda. Gli sorrisi leggermente, mentre il mio cervello elaborava dati su dati e informazioni su informazioni. Avevo deciso che era ora di indagare per conto mio e sapevo già da dove iniziare: la sera prima, mentre salivamo le scale, avevo per caso poggiato l’occhio su la porta aperta di una camera e vi avevo visto dentro un mucchio di bambole di porcellana; probabilmente il fantasma artefice degli omicidi risiedeva in una di quelle.
« Si, beh, ho bisogno di fare una doccia e poi torno da voi, lo giuro. » Il ragazzo moro socchiuse le labbra pronto a ribattere, ma il fratello si frappose fra noi attirando la mia attenzione. Aveva le braccia incorociate al petto e i muscoli sotto la maglia tesi e gonfi; non potevo dire che non era bello, sebbene l’odiassi.
« Non serve che torni, però, se vuoi Sam potrebbe darti una mano a… » Dean aveva un bel sorrisetto stampato in bocca, mentre poggiava la mano sulla spalla del fratello.
« Non preoccuparti per me, so cavarmela da sola sotto un getto d’acqua. » Ammiccai e mi voltai, dirigendomi verso la porta d’uscita per la seconda volta in quella giornata. « E poi, scommetto che lui avrebbe tutta l'atrezzatura per aiutarmi, a contrario tuo », continuai lanciandogli un’occhiata furtiva. Sam trattenne una risata, voltandosi dall’altra parte mentre io uscii tranquillamente dalla stanza richiudendomi l’uscio alle spalle con un sonoro “stronza” come sottofondo.
 
« Susan, dove gliele poggio queste? » Domandai sventolando in aria un paio di bambole di porcellana. La proprietaria dell’hotel si voltò nella mia direzione e indicò con un cenno del capo uno scatolone mezzo pieno sorridendomi, mentre si accingeva a prendere altri giocattoli dalle mensole per poi poggiarli su una poltrona; i capelli scuri le si fermarono sul viso quando si piegò per raccoglierne una caduta a terra.
« Dammi del tu, ti prego. » Mi disse, passandomi un altro balocco. Mi fermai ad osservarla e mi chiesi come, nonostante tutto quello che stava passando, potesse ancora riuscire a sorridere cos’ sinceramente. Era una bella sfida quella, lei sorrideva nonostante tutte le disavventure che le capitavano e io non riuscivo neanche a piegare gli angoli della bocca di qualche grado, realmente. Ci avevo provato più volte a scacciare quei pensieri dalla mia testa per provare a dimenticare ogni cosa e tornare a sorridere, ma troppe cose mi gravavano sulle spalle; ed erano pesanti. « E ancora grazie, piuttosto, sei stata molto gentile a offrirmi il tuo aiuto… stai tremando? » Si accigliò perplessa, osservando le mie mani. Spaventata abbassai lo sguardo e notai che la bambola oscillava fra le mie dita e io non riuscivo a fermarmi. Ingoiai un fiotto di saliva a vuoto, spaventata e cosciente di quello che stava accadendo.
« Non preoccuparti », la tranquillizzai avvicinandomi nuovamente al cartone, « è stress. Colpa della rottura col mio ex, il mio medico ha detto che è una cosa normale. Passerà presto. »
« Oh, capisco. Sei sicura, perché sembra davv… » dei colpi alla porta ci fecero distrarre, e io ringraziai il cielo per questo. Odiavo quando la gente insisteva con le domande sebbene io avessi garantito loro il mio buon stato di salute, anche se non era esattamene quello reale; era una cosa che mi dava sui nervi. Mentre Susan si apprestava ad aprire, io rivolsi un altro sguardo alle mie lunghe dita pallide, che ancora remavano senza dar segno di voler smettere. Le strinsi attorno al materiale bruno, piegando il cartone sotto la mia presa; se fossi andata avanti così l’avrei distrutto, perciò strizzai le palpebre e trassi un profondo respiro tentando di calmarmi, incurante del dialogo che Susan stava portando avanti. Rilasciai uscire l’aria dai miei polmoni e staccai le dita dalla scatola, rizzando la schiena e passandomi una mano fra i capelli mi voltai sorridente. Chissà se la mia maschera avrebbe funzionato anche quella volta, chissà se i due ragazzi che stavano entrando nella camera avrebbero creduto al mio sorriso e alla mia acidità.
« Ehi ragazzi », alzai leggermente una mano in segno di saluto, e poi tornai alle bambole da mettere a posto.
« Cosa ci fai qui? » Sussurrò Dean perplesso al mio orecchio, dopo che Susan ebbe chiuso la porta e lui si fu avvicinato. Voltai la testa nella sua direzione e gli piantai una bambola sul petto, arricciando il naso.
« Tentavo di scoprire cose, informazioni… e intanto aiutavo Susan.  » Spiegai, tornando a dargli le spalle. Fortunatamente, lui parve capire il mio gesto repentino e si voltò; sentii il calore del suo corpo allontanarsi e un sottile strato d’aria fredda frapporsi fra noi.
Rabbrividii.
« Accidenti, ci sono un mucchio di bambole. Sono belle e non hanno per niente l’aria inquietante. » Esclamò il maggiore dei due fratelli per stabilire l’inizio di un dialogo con Susan, che rise divertita.
« Secondo me sono un po’ inquietanti, ma appartengono alla famiglia da sempre, hanno un grande valore affettivo. » Spiegò la donna, congiungendo le braccia al petto. Alzai gli occhi al cielo e riposi l’ultima bambola, poggiata da Susans sulla poltrona, nello scatolone, richiudendolo. Con uno sbuffo, lanciato ad un ciuffo finitomi in viso, mi poggiai col fondoschiena al bracciolo della seggiola imbottita e mi accasciai contro il profilo di essa, chiudendo leggermente gli occhi.
« E questo cos’è? L’hotel? » Chiese incuriosito Sam.
« Si, proprio così: è la copia esatta. » Replicò la proprietaria, con un accenno di fierezza nelle proprie parole. Che poi, mi domandavo io, cosa aveva da essere così fiera di quell’hotel non riuscivo a capirlo. Non ispirava molto la mia gioia, sebbene per lei doveva essere tutt’altro: c’era cresciuta, aveva vissuto li.  Quel posto aveva un valore affettivo per lei, a contrario mio.
« Ha la testa completamente girata, che gli è successo? » Al suono di quelle parole, sbarrai gli occhi e rizzai la schiena indirizzando il mio sguardo verso Sam. Quando fra le sue mani scorsi una semplice bambola di ceramica sospirai rasserenata, calmando il battito del mio cuore.
« E’ stata Tyler, forse. » Gli occhi chiari della donna sembravano scocciati; probabilmente noi la scocciavamo ed era una cosa plausibile. Chi vorrebbe mai che tre sconosciuti entrassero in casa tua a ficcanasare fra i giocattoli di tua figlia?
« Mamma, Maggie si comporta male. » E come per magia, quando si parla del diavolo, comparve la bambina. Indossava un vestitino blu notte con sotto una camicetta bianca, e un piccolo cerchietto le tirava indietro i capelli; i lunghi capelli bruni le scendevano lungo le spalle, risaltandole sulla pelle chiara.
« Tyler, dille di fare la brava, ok? » Tutta quella situazione iniziava ad infastidirmi: come potevamo scoprire cose se restavamo a parlare di bambole rotte? Con l’intenzione di congedarmi da tutti e scendere da Shervyn per un drink, e informazioni sulla domestica che avevo visto nella foto, mi alzai in piedi e raggiunsi il fianco di Dean; ma prima che potessi continuare Sam fece svariati passi verso la bambina, tenendo la bambola nella mano buona e non quella ingessata.
« Ciao Tyler, hai rotto la tua bambola: vuoi che te l’aggiusti? » Sorrise.
Oh Signore, ci mancava solo “Sammy l’aggiusta tutto”, pensai scocciata. Mossi un passo in avanti, ma una mano si strinse sul mio braccio e mi fece restare immobile al mio posto; Dean si abbassò verso il mio orecchio e vi soffiò dentro, con freddezza, poche parole:
« Aspetta un secondo, ascolta Sam. Ha qualcosa che gli gira per la mente », poi mi lasciò allontanandosi.  Avevo avuto come la sensazione che il suo fiato si fosse fermato sul mio collo più a lungo del dovuto, che vi risiedesse anche ora che lui era lontano; sperai vivamente di sbagliarmi.
« Non è colpa mia, non sono stata io l’ho trovata così. » Si giustificò Tyler, avvicinandosi a Sam senza alcun timore. Inarcai un sopracciglio sorpresa e attesi, magari, dopo tutto, valeva la pensa aspettare un altro po’.
« Beh, forse è stata Maggie. » Tentò ancora il ragazzo, senza risultati visto che la bambina gli rispose immediatamente: « No, nessuna di noi. La nonna si arrabbierebbe se le rompessimo. »
D’istinto, i miei occhi incontrarono quelli azzurri di Sam: una strana luce brillo al loro interno, quasi entrambi avessimo avuto la stessa idea.
« No, non è vero. » La tranquillizzò la madre, ‘carezzandole la schiena con dolcezza.
« La nonna? » Chiesi con voce lieve, al contrario di Dean che pareva un missile in procinto di lancio.
« Nonna Rose, erano suoi i giocattoli », ci informò la bambina. Chiudendo gli occhi riformai mentalmente la fotografia delle scale davanti a me: la bambina in quella foto non poteva essere Susan, perché il materiale usato per scattarla era molto vecchio. Poteva trattarsi solo della nonna di cui parlava Tyler, allora. Riprendendomi, rizzai le spalle e superai Dean arrivando a fianco di Susan, alla quale sorrisi.
« Vogliate scusarmi, ma sono alquanto stanca e credo che andrò a riposarmi. » Sussurrai sentendo una strana nausea crescere fino a fermarsi in gola; poggiai la mano sulla maniglia della porta e l’aprii il più in fretta possibile. « A più tardi », augurai frettolosamente. Avevo bisogno di andarmene da li prima di vomitare persino l’anima.
« A più tardi » Sussurrò Sam confuso, lasciandomi lo spazio per uscire e andarmene. Varcai la soglia della stanza e corsi velocemente verso la mia camera, rinchiudendomici dentro a chiave; prima di correre in bagno e piegarmi sulla tazza. 




Heilaaa!
Chiedo scuca per lo spaventoso ritardo e la breve lunghezza del capitolo, ma ho molto da fare e, comequalcunaavrà notato, un pò di FF da mandare avanti. In ogni modo volevo avvertirvi che taglierò dei pezzi di episodio, magari ricordandoli con brevi flashback di Shania e tenterò di passare velocemente alla parte della piccola Maggie "il fantasma".
Anyway: che ne pensate di questo capitolo?
Baci,

Isil.

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