Promises.

di dadless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Avviso. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Le urla arrivarono alle orecchie dei due bambini come coltellate allo stomaco.

La piccola Sophie appoggiò le sue delicate manine sul viso per asciugare le lacrime salate e calde, mentre suo fratello Justin si limitò a girarsi verso il muro, come se ciò bastasse. Non avrebbe pianto, questo era poco ma sicuro.

-Esci da questa casa, brutto bastardo!- ordinò Pattie a quello che sarebbe diventato il suo ex marito.

Aspettava solo che uscisse finalmente da casa per andare dall'avvocato e iniziare le pratiche del divorzio. Era solo un momento di rabbia, e di sicuro avrebbero presto fatto pace, come sempre. E poi a quell'ora Pattie non avrebbe di certo trovato lo studio del suo avvocato aperto, essendo notte fonda.

Almeno questo era ciò che pensavano Justin e Sophie, ormai abituati ai litigi dei genitori.

Ma quella notte era diverso.

La loro mamma era veramente troppo arrabbiata e non voleva vedere un secondo di più quel lurido traditore.

-No- rispose semplicemente Jeremy, come se tutte quelle urla non lo avessero sconvolto minimamente. E probabilmente era proprio così.

-Ho detto che devi uscire immediatamente da questa casa- disse nuovamente la donna, cercando di abbassare il tono di voce.

Ma era troppo tardi. Justin e Sophie avevano già sentito ogni cosa.

Erano troppo piccoli per sopportare la separazione dei genitori. Justin aveva solo cinque anni e la piccola Sophie appena tre. La bambina dai capelli biondi cercò di coprirsi maggiormente con le lenzuola, che, per lei, erano come uno scudo contro il mondo.

-Ah, sì? E perché?- chiese Jeremy sfoggiando uno di quei sorrisi che normalmente avrebbero fatto tingere di un rosso accesso le guance di Pattie, ma quel momento non era normale. La giovane donna si rese conto di quanto fosse odioso quel sorriso così pieno di strafottenza. L'amore l'aveva accecata per molto tempo. Ma quei messaggi le avevano in qualche modo aperto gli occhi, frantumando in un secondo quella patina che le aveva oscurato la vista per cinque anni.

Riusciva a provare solo odio, in quel momento.

Pattie si morse il labbro per evitare di gridare ancora.

Poi, prese un profondo respiro.

-La casa è il posto per una famiglia, e tu non fai più parte della nostra, quindi sei pregato di andartene- rispose, provando a trattenere la rabbia.

Era una donna molto diplomatica, ma era troppo chiederle di fingere indifferenza davanti a quella situazione. Si sentiva distrutta e vuota.

-Come sei drammatica, Pattie. Fai così solo per un innocuo messaggio?- il livello di sarcasmo era altissimo nelle sue parole. Ciò fece crescere il disgusto da parte di Pattie verso quell'uomo.

-Un innocuo messaggio?!- strillò incredula.

Jeremy alzò un sopracciglio, abbastanza annoiato, mentre Sophie, nella cameretta con Justin, premette le mani sulle orecchie per attenuare le grida.

Il biondino sbuffò.

Era stanco di tutto ciò che stava succedendo, forse più degli altri.

La donna afferrò il cellulare dal comodino vicino al letto, cercando di non guardare suo marito sdraiato tranquillamente, come se non fosse successo niente. Aprì la schermata dei messaggi, per poi iniziare a leggerne alcuni sprazzi qua e là.

-"Jennifer, ti amo tanto" "Per me esisti solo tu, Jen" "Sei bella e calda come il sole, Jenny, e mi illumini la vita" "Ti prometto che la lascerò presto, Jennifer, e potremo vivere il nostro amore senza nasconderci"- citò Pattie, con una smorfia di disgusto dipinta sul giovane volto, segnato dalla stanchezza.

Justin, nella stanza accanto, sembrò rendersi finalmente conto della questione e sgranò gli occhi, incredulo.

Come poteva suo padre amare un'altra donna? La sua mamma era così bella e dolce, perché non voleva stare con lei?

Prese un profondo respiro, che aveva trattenuto a lungo.

-Mi avevi detto di odiare le cose sdolcinate- commentò Pattie con un'espressione indecifrabile.

Jeremy alzò semplicemente le spalle, mostrando nuovamente la sua indifferenza.

-Bene. Fai una bella cosa: smettila di nasconderti come un topo nella tana e mostra il tuo amore al mondo, su- Pattie lo incitò ad alzarsi, afferrando il suo braccio e strattonandolo.

Jeremy strinse le labbra in una linea sottile e si avvicinò all'armadio, trovandolo praticamente vuoto. C'erano solo i pochi vestiti di Pattie, piegati accuratamente.

-Dov'è la mia roba?- chiese voltandosi verso la madre dei suoi figli.

-Dentro una valigia, fuori dalla porta- rispose, imitando il sorriso che pochi minuti prima aveva sfoggiato lui.

Jeremy fece una smorfia, rendendosi finalmente conto di quanto risultasse fastidioso agli occhi degli altri quella curvatura delle labbra, più simile ad una smorfia o a un ghigno, che a un sorriso.

Annuì e sporse la mano verso il salvadanaio appoggiato sul maglione preferito di Pattie. Ma lei appoggiò la mano sulla sua, per fermarlo e attirare la sua attenzione.

-No, caro. Il taxi te lo pagherà la tua Jennifer, quando arriverai a casa sua, e non voglio assolutamente che quella puttana metta le mani sui soldi che io mi sono guadagnata lavorando- sputò quelle parole come se fossero veleno.

Adesso la determinazione brillava nei suoi occhi.

Sembrava la donna più sicura e viva del mondo, ma lei si sentiva morta dentro. Tutto quello che aveva costruito in quegli anni, le si era sgretolato fra le mani. Ma non poteva farci niente.

Si diressero all'ingresso e i loro passi nella casa spaventarono la piccola Sophie, che si coprì completamente il viso con la coperta.

Aveva paura del futuro, come mai prima di quella notte.

I singhiozzi si unirono alle sue lacrime in quel pianto silenzioso. I suoi genitori non si accorsero di niente, però.

Jeremy era fermo davanti al portone, pensando ad un modo per non andarsene.

Pattie lo fissava con disprezzo, aspettando che lui abbandonasse finalmente la casa.

L'uomo si girò verso la donna che cinque anni prima aveva amato veramente tanto. Ma quell'amore era diminuito sempre di più, fino a diventare solo una stupida presa in giro, che durava già da troppo tempo. Era sicuro che lei fosse ancora innamorata di lui e l'avrebbe trattenuto.

Be', questo suo pensiero era vero solo in parte.

Pattie lo amava ancora, nonostante tutto, ma non avrebbe permesso che continuasse a mentirle.

-Addio- lo salutò senza nemmeno pronunciare il suo nome.

Lui digrignò i denti e uscì definitivamente dalla casa, dopo aver sbattuto la porta con forza, ferito nell'orgoglio.

A quel rumore sordo, Sophie sobbalzò.

Spostò piano le coperte, come per assicurarsi che nessuno la stesse guardando.

Aveva paura di avere la reazione sbagliata a tutto quello che era successo. Aveva la terribile sensazione di essere la causa di tutto è di certo nessuno stava facendo qualcosa per scacciare quell'orribile pensiero dalla sua mente.

Alle orecchie dei due bambini arrivarono i singhiozzi soffocati e disperati della giovane madre.

Justin si morse il labbro inferiore.

Non sapeva proprio come aiutarla.

Si girò nuovamente sull'altro fianco, fissando lo sguardo sulla sua sorellina.

Era completamente terrorizzata e piangeva da quando il padre era tornato a casa dal "lavoro" e la loro mamma lo aveva aggredito.

Sospirò.

Suo padre gli sarebbe mancato troppo. Avevano passato dei bei momenti insieme. A volte partivano solo loro due con il camper e stavano via per parecchi giorni, lasciando la mamma e Sophie da sole.

Sophie non aveva passato tanti momenti con Jeremy. Anzi, non lo conosceva quasi. E Justin si sentì in colpa in quel momento. Jeremy aveva passato più tempo con lui che con la sua sorellina e tutto perché ogni fine settimana insisteva a lungo affinché partissero per uno dei loro viaggi.

Dopo svariati minuti di silenzio assordante, la porta venne chiusa violentemente un'altra volta. Di sicuro Pattie non sarebbe andata dall'avvocato a quell'ora, ma aveva comunque bisogno di uscire e sfogarsi.

-Perché piangi?- chiese Justin, con lo sguardo sempre rivolto alla sorellina.

Lei singhiozzò ancora.

-Ho paura del buio- rispose lei.

Justin sorrise lievemente.

-Piangi per il buio e non per quello che è successo?- chiese stranito.

Sophie si girò verso il letto del fratello.

-Se non avessi paura del buio, scenderei dal letto e verrei da te- spiegò con voce tremante.

Justin pensò a quanto bene volesse a sua sorella e a tutti i suoi sensi di colpa.

Scivolò via dalle coperte e infilò i piedi nelle pantofole, per poi sdraiarsi nel letto di Sophie, avvolgendo il suo corpo in un tenero abbraccio.

-Promettimi di non piangere, per nessuna ragione, da oggi in poi- sussurrò quando i loro occhi nocciola si scontrarono.

Sophie tirò su col naso -Tu mi prometti di volermi sempre bene e di non abbandonarmi?- chiese lei di rimando.

Lui annuì -Lo prometto- mormorò.

-Lo prometto- concluse Sophie, chiudendo gli occhi.

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!

Ci tengo a dire che questa non è assolutamente una storia d’amore, bensì la storia di come possa trasformarsi nel tempo il rapporto tra fratello e sorella.

Il rating è arancione, ma per le tematiche di cui si parlerà e se ci dovessero essere scene di sesso, non sarebbero fra loro due, ci tengo a precisarlo.

Be’, spero vi piaccia come idea.

È una storia molto personale e ci ho messo un bel po’ di tempo a convincermi a pubblicarla, mi porta alla mente troppi ricordi, ma ci tenevo a scriverla.

Un abbraccio coccoloso,

Morena

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Erano passati già tre anni da quella notte e nella casa sembrava essere tornata la tranquillità.

Ma, in fondo, non sempre le cose sono esattamente come sembrano agli occhi delle persone.

Pattie provava ad andare avanti, voleva rifarsi una vita, ma proprio non ci riusciva.

Nonostante fossero passati tre anni, ancora non accettava ciò che era successo. Non amava più Jeremy, ma si sentiva ferita per quei cinque anni in cui lei lo aveva amato con tutto il cuore, mentre lui l'aveva solo presa in giro. Non pensava che sarebbe stato capace di una cosa simile.

Il Jeremy di cui si era follemente innamorata, era un uomo dolce, simpatico e soprattutto sincero. Non sembrava capace di mentire e invece l'aveva fatto. Desiderava delle spiegazioni, ma forse era troppo tardi per averle.

 

Sophie non riusciva a convivere con i sensi di colpa.

Credeva di essere lei la causa della separazione dei suoi genitori, ma non piangeva da quella sera. Lei e Justin avevano fatto una promessa e si sicuro non sarebbe stata lei la prima a infrangerla.

Ogni volta che le lacrime premevano per uscire, lei trovava qualche distrazione.

Non le dispiaceva vivere senza Jeremy, in fondo nemmeno lo conosceva, ma non sopportava di dover assistere ai pianti sommessi della madre. Quando tornava dal lavoro, infatti, Pattie entrava nella sua stanza da letto e scoppiava a piangere, senza preoccuparsi troppo di chiudere del tutto la porta. Sophie la vedeva e capiva quanto amore avesse provato nei confronti dell'uomo che l'aveva tradita.

 

Justin, invece, non voleva assolutamente vedere i pianti della madre. Riusciva a sentire i suoi singhiozzi e per lui era anche troppo. Lui sembrava quello più indifferente all'accaduto, ma in realtà era probabilmente quello che aveva sofferto di più. Sentiva la mancanza del padre, dei loro viaggi e dei pomeriggi passati insieme a vedere le partite di hockey. Non sopportava l'idea di non avere più una persona con cui parlare di sport. Vedeva i suoi migliori amici accompagnati ovunque dai loro papà, mentre lui dalla madre. Non che gli dispiacesse, amava sua madre, ma solo un padre può capire certe cose.

 

 

Quell'anno anche Sophie avrebbe frequentato la scuola elementare e sperava di trovare qualche amica simpatica, ma mancavano ancora un paio di settimane e non aveva niente da fare.

-Portami in piscina, Justin- disse fermamente, entrando nella loro stanza.

Justin, sdraiato sul suo letto, distolse per un attimo lo sguardo dal suo album delle figurine, per poi osservarlo nuovamente.

-No- rispose semplicemente.

Sophie sbuffò e si sdraiò sul suo letto, volgendo lo sguardo al muro leggermente rovinato.

Passò le sue dita dove la vernice si era tolta, lasciando intravedere il bianco della base.

Non voleva sprecare gli ultimi giorni delle sue vacanze in quel modo. Voleva uscire da quella casa, ma era troppo piccola per farlo da sola, doveva ancora compiere sei anni.

Justin guardò di sottecchi la sorellina, ma si finse indifferente non appena lei gli rivolse di nuovo la sua attenzione.

-Perché?- chiese lei. Non si sarebbe arresa così facilmente.

Il biondo roteò gli occhi nocciola.

Alzò lievemente l'album come per farlo notare a Sophie.

-Sto facendo i compiti, non vedi?- chiese retorico.

La bambina sbuffò ancora -Ho due anni in meno di te, ma non sono stupida. Quelli non sono compiti- commentò stizzita.

-Due anni e mezzo- sottolineò Justin, visibilmente spazientito.

Sophie appoggiò i piedi sul pavimento freddo. Afferrò un elastico nero e si legò i capelli biondo scuro.

In quei tre anni, i capelli dei due fratelli si erano scuriti notevolmente, ma Justin li aveva comunque più chiari della sorella. Al contrario, gli occhi di Sophie erano diventati lievemente più chiari, mostrando delle deliziose sfumature verdi.

Si avvicinò alla porta della camera e l'aprì.

-Due anni, sei mesi e ventidue giorni- lo corresse e, dopo avergli rivolto una linguaccia, uscì dalla stanza.

-Oh, allora sei brava a fare i conti- sentì il commento ironico del fratello, fuori, ma decise di non considerarlo.

Si diresse verso la cucina, sicura che avrebbe trovato sua madre.

Pattie era seduta al tavolo con delle carte davanti e una calcolatrice in mano. Tra la spalla e la guancia teneva un telefono. Stava parlando di sicuro con l'avvocato.

Le toccò ripetutamente il braccio, fino a quando le rivolse un'occhiata scocciata.

-Scusami un attimo, Claire- disse, appunto, al suo avvocato.

-Cosa c'è, Sophie?- chiese con tono arrabbiato alla figlia.

La bambina si morse il labbro inferiore.

-Non andiamo in piscina?- chiese ingenuamente.

Pattie roteò gli occhi -Ti sembra che io stia giocando? Adesso non posso- rispose, agitando la mano come per mandarla via.

Sospirando, Sophie uscì dalla casa e si sedette sul marciapiede davanti alla villa della famiglia Bieber.

Sapeva perfettamente che sua madre non voleva in alcun modo offenderla. Senza dubbio aveva molte cose da fare, ma la bambina aveva sperato che potesse trovare un po' di tempo da passare con lei. Era anche un po' arrabbiata per il tono di voce usato dalla madre, ma lo avrebbe dimenticato presto, no?

Afferrò un pugno di sassolini e iniziò a lanciarli uno ad uno sull'altro lato della strada, facendo fuggire un gattino.

Sporse involontariamente il labbro in fuori, mentre si perse fra i suoi pensieri.

Sembrava quasi che suo fratello avesse già infranto la promessa. Insomma, aveva detto che non l'avrebbe mai abbandonata, e invece Sophie si sentiva proprio sola.

Non per forza una persona ti abbandona quando parte per un lungo viaggio, pensò Sophie, ma quando ti è vicino e nonostante tutto ti sembra distante.

 

Justin, nello stesso momento, lanciò dall'altra parte della stanza il suo inutile album.

Non voleva trattare male sua sorella, ma aveva iniziato a credere che fosse lei la causa della separazione di Pattie e Jeremy, i suoi genitori. Non era proprio un bel pensiero, ma non poteva farci niente.

Ricordava perfettamente un pomeriggio dell'anno prima, in cui i suoi nuovi amici erano andati a casa sua per guardare una partita alla televisione.

 

-Dov'è tuo padre?- chiese Chaz, guardandosi intorno.

Era abituato a vedere i suoi genitori sempre insieme, mentre a casa di Justin c'erano solo la madre e la sorellina dagli occhi strani. Guardandoli da varie angolazioni, cambiavano colore.

-Non c'è- rispose Justin alzando le spalle con noncuranza.

-Perché?- chiese confuso Ryan.

-Mia madre l'ha cacciato di casa dopo la nascita di Sophie- rispose senza distogliere lo sguardo dalla televisione.

Christian rise -Be', allora è colpa sua- commentò senza riflettere troppo sulle sue parole. Cosa che, purtroppo, Justin fece.

Non gli interessava più la partita.

Distolse lo sguardo e lo puntò sulle due figure, sua madre e sua sorella, intente a parlare nella cucina. Avevano lasciato la porta aperta e Justin riusciva a vederle perfettamente. Sophie sorrideva, cosa che Justin non riusciva più a fare dopo quella sera.

Strinse i pugni.

Era ovvio che lei non fosse minimamente triste.

Lei non conosceva nemmeno Jeremy e, se quella notte si era sentito in colpa per non averle permesso di stare più tempo con lui, in quel momento riuscì a provare solo rabbia nei suoi confronti. Lei non lo conosceva. Come si può provare la mancanza di una persona che per te è come se non esistesse? È impossibile.

Per questo era arrabbiato. Sophie avrebbe continuato la sua vita come se niente fosse, ma lui no.

 

Sospirò.

Il suo amico era riuscito a fargli aprire gli occhi, ma avrebbe preferito che non lo avesse mai fatto. Per quella battuta, lui aveva infranto la promessa.

Be', non odiava Sophie, le voleva naturalmente ancora bene, ma stava iniziando ad abbandonarla giorno per giorno.

 

Pattie, in cucina, aveva smesso di considerare le parole di Claire.

Nella sua mente era impressa l'espressione di sua figlia Sophie.

Nell'ultimo periodo non passavano molto tempo insieme, nonostante fossero sotto lo stesso tetto.

-Hai capito, Pattie?- l'avvocato chiese la conferma.

La donna scosse lievemente la testa, come per cacciare quei pensieri.

No, non aveva capito. In realtà, non aveva proprio ascoltato la donna. Il silenzio fu la risposto alla domanda di Claire.

-Ho detto che non potete andare a Londra queste ultime due settimane di vacanza- ripeté dopo aver sospirato.

Pattie spalancò i suoi occhi celesti.

-Ma perché?- chiese incredula -Ho risparmiato abbastanza soldi e i bambini hanno i passaporti. Qual è il problema?- continuò poco dopo.

Aveva deciso già da un po' di tempo che per sarebbero partiti per l'Inghilterra. Aveva visitato Londra da ragazza e le mancava terribilmente quella città affascinante. Voleva che anche i suoi figli ci andassero e poi sapeva quanto ci tenesse Sophie a vederla.

Claire sospirò -Lo sai. Jeremy ora vive a Londra e tu dovresti comunicare comunque agli assistenti sociali ogni tua decisione, quindi anche i viaggi. Loro non perderebbero tempo per organizzare degli incontri tra i tuoi figli e Jeremy- spiegò.

Pattie sbuffò.

In fondo era anche un po' colpa sua. Vedendo lo strano comportamento di Justin nell'ultimo periodo, aveva deciso di coinvolgere gli assistenti sociali di Stratford nella faccenda. Ma, evidentemente, aveva solo peggiorato le cose.

Justin era sempre più distaccato e suscettibile, mentre la piccola Sophie odiava quelle due donne che la riempivano di domande. Inoltre, non potevano andare a Londra.

-Va bene, ho capito. Grazie comunque, Claire- disse prima di salutarla e terminare la conversazione telefonica.

Si alzò, appoggiò il telefono sul tavolo e si guardò intorno per cercare Sophie.

Con una veloce occhiata alla finestra, la vide seduta sul marciapiede, intenta a lanciare dei sassolini.

Sorrise e la raggiunse.

Si sedette vicino a lei e le circondò il corpo con il suo braccio.

Sophie, però, rimase immobile, con lo sguardo perso nel vuoto.

La giovane madre sospirò.

-Non possiamo andare a Londra- sussurrò, accarezzando la sua schiena.

La bambina annuì semplicemente, ma era delusa. Aveva creduto veramente che ci sarebbero andati, ma avrebbe aspettato ancora.

Lasciò scivolare i sassi dalle sue dita e si alzò, per poi dirigersi verso la casa.

Pattie rimase qualche altro minuto lì, seduta.

Era normale che la figlia fosse arrabbiata e delusa. Ma presto il rancore se ne sarebbe andato, no?

 

 

 

 

EHI!

Ed ecco qua il secondo capitolo, spero veramente che vi piaccia.

Ricordo a tutti che i due fratelli non si innamoreranno, questa storia parla solo ed esclusivamente del loro rapporto che, come vedete, è già cambiato.

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e I_am_just_myself per aver recensito, vi adoro.

E tu, Francy, ricorda che dedico questa storia a te, ti voglio un bene immenso.

Un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


-Ragazzi, chi ha portato l'autorizzazione e i soldi?- chiese l'insegnante alla classe.

Tutti alzarono la mano, stringendo il foglietto e le banconote fra le dita. Tutti tranne una ragazza dai capelli castani e gli occhi dalle sfumature verdi.

Sophie Bieber.

Si guardò intorno intimorita, abbassandosi sempre di più sulla sedia. In quel momento avrebbe voluto sparire dalla classe, ma si finse indifferente.

Jeremy non aveva ancora rispedito l'autorizzazione firmata insieme alla metà dei soldi, ma probabilmente non aveva mai avuto intenzione di farlo. Così lei non sarebbe andata in gita nemmeno quella volta. Oltretutto, il viaggio sarebbe stato diretto a Londra, città che sin da piccola avrebbe voluto visitare. Città in cui abitava, ironia del caso, il padre della tredicenne. Probabilmente non ci sarebbe mai andata in vita sua. Sembrava che il destino non fosse proprio a suo favore.

-Bene, portatemi tutto alla cattedra, possibilmente in ordine alfabetico- ordinò l'uomo.

I compagni di classe di Sophie si alzarono dalle loro sedie e consegnarono il necessario per la gita al docente, creando una grande confusione.

La ragazza, invece, cercò in tutti i modi di mimetizzarsi con il resto dell'aula. Cosa un po' difficile, considerando il colore sgargiante della sua enorme felpa verde fosforescente.

Tornando al posto, alcuni ragazzi le riservarono delle occhiatacce, mentre la sua amica Chloe cercò di soffocare una risata vedendo il trattamento nei confronti della ragazza.

Non sapeva se fosse giusto considerare Chloe un'amica, ma erano compagne di banco e la mora andava quasi tutti i pomeriggi a casa Bieber. Certo, passava il tempo a guardare Justin, mentre Sophie svolgeva gli esercizi per entrambe, ma lei non ci faceva caso. Pensava che quella fosse la vera amicizia, non avendo avuto molta esperienza in quel campo.

L'insegnante contò i foglietti due volte prima di sospirare.

-Manca una persona- annunciò, mentre la maggior parte dei presenti si girò a guardare Sophie con dei sorrisetti dipinti sulle facce vittime dell'acne.

La ragazza tentò di nascondere il suo viso rosso dall'imbarazzo con il cappuccio della felpa, ma era tutto inutile. Sapeva che non avrebbe scampato gli insulti e i maltrattamenti nemmeno quel giorno.

Il docente afferrò il registro di classe e lo aprì alla pagina dell'elenco.

Perfetto.

Sophie era la prima dell'appello e almeno non avrebbe perso tempo a nascondersi sempre di più, aspettando che l'uomo citasse il suo cognome.

-Bieber Sophie- scandì, per poi osservare le firme sulle autorizzazioni. La ragazza rimase a fissare il vuoto, mentre aspettava le domande alle quali avrebbe risposto come al solito.

-Sophie- attirò l'attenzione della ragazza, che finalmente lo guardò.

-Manca la tua- commentò, quasi dispiaciuto. Quasi. Alla fine non importava a nessuno che lei non andasse a Londra con gli altri. O forse dispiaceva a quelli che non avrebbero voluto aspettare due settimane per offenderla nuovamente.

-Lo so- alzò le spalle lievemente, come se non le importasse, quando in realtà voleva piangere.

-Oggi era l'ultimo giorno per portare l'autorizzazione e i soldi- continuò, sospirando.

Annuì semplicemente, stringendo le labbra in una linea sottile. Sapeva che di lì a poco sarebbe scoppiata a piangere, ma voleva almeno aspettare di entrare nel bagno per sfogarsi. Sarebbe stato imbarazzante mostrare a tutti le sue lacrime.

-Dovrai venire a scuola comunque, starai nella classe della professoressa Moore, ricordatelo- concluse freddamente.

Sophie smise in quel momento di ascoltare, ma sapeva che la loro conversazione riguardava i preparativi per la gita. Sistemò i suoi occhiali dalla montatura enorme e nera più in alto sul naso e appoggiò la testa sulle braccia incrociate sul banco. Non capiva perché al padre non importasse niente di lei. Insomma, lei lo odiava, ma lui doveva per forza volerle almeno un po' bene: era sua figlia.

Fu grata del fatto che riuscisse a estraniarsi completamente dal mondo. In quel momento era come se ci fossero solo lei e i suoi pensieri. Non sentiva tutti i discorsi dei suoi compagni di classe su ciò che avrebbero visitato il primo giorno a Londra.

Chiuse gli occhi, sicura che nessuno l'avrebbe disturbata, ma le arrivò una gomitata dritta nel fianco.

Si girò verso Chloe.

-Cosa cazzo vuoi?- sbottò arrabbiata, cercando di non alzare troppo il tono di voce.

-Devi stare attenta alla lezione- disse con un finto tono ingenuo.

Sophie si morse il labbro inferiore per non gridarle contro. Prese un respiro profondo -Perché secondo te importa a qualcuno?- chiese, retorica.

Chloe fece una smorfia e la castana si voltò dall'altro lato.

Davanti a lei era seduto un ragazzo un po' troppo alto per essere un tredicenne, quindi il professore non l'avrebbe vista di sicuro se avesse schiacciato un pisolino, ma decise di non rischiare. Il suo sguardo si perse di nuovo nel vuoto.

Nemmeno Chloe sembrava essere a suo favore, ma chi lo era in quel mondo? Nessuno.

 

La campanella suonò, riscuotendo Sophie dai suoi pensieri. Afferrò la sua cartella rossa e scattò in piedi come una molla. Non vedeva l'ora di tornarsene a casa, nonostante avrebbe trovato il suo odiato fratello ad attenderla.

Ancora non era riuscita a capire perché avesse iniziato a offenderla pure lui, così si era limitata a odiarlo di rimando.

Uscì dalla classe per prima, dirigendosi verso il portone a vetri della scuola, ma prima di uscire dall'edificio avrebbe dovuto superare l'intero corridoio. La sua classe era la più isola, lontana dall'uscita e dalla bidelleria, fattore che i suoi compagni di classe avevano sfruttato a loro favore per prendere di mira Sophie senza che qualcuno se ne potesse accorgere.

Per questo, in quel momento, la ragazza tremò.

Temeva che potessero farle qualcosa e si sentiva più al sicuro in mezzo alla strada piuttosto che in quella scuola.

Trattenne un grido di spavento quando un suo compagno di classe, David, che era andato in bagno durante la lezione, sbucò da un angolo.

Si finse indifferente e cercò di raggiungere l'uscita della scuola, ma lui si parò davanti, anticipando ogni sua mossa. Avvertì i passi accelerati del resto del gruppetto dietro di sé, fino a quando li raggiunsero.

-E così non verrai, eh?- chiese, retorico un ragazzino dietro di lei, afferrandole violentemente il polso.

Non sapeva da che parte girarsi: era circondata dai suoi compagni di classe e non poteva proteggersi. Cercò comunque di liberare il polso dalla presa ferrea, ma David le afferrò l'altro e insieme la gettarono contro il muro.

A causa dell'impatto, gli occhiali le caddero a terra, vicino a lei, e una ragazza di nome Anne avvicinò il piede, come se volesse calpestarli.

-No, ti prego!- gridò dimenandosi e cercando di afferrarli, ma loro non la ascoltarono.

Il piede della ragazzina si posizionò sopra una delle asticelle e un rumore fastidioso riempì l'aria subito dopo.

Grugnì in disapprovazione.

Sua madre non aveva abbastanza soldi per comprarle un nuovo paio di occhiali.

-Oh, che peccato...- sogghignò Anne.

-Magari potremmo fare una colletta per ricomprarti gli occhiali e pagarti la gita. O pensi che quella puttana di tua madre potrebbe offendersi?- commentò ironico David, scatenando le risate degli altri.

-Non offendere mia madre- ringhiò Sophie, cercando di alzarsi, ma un pugno allo stomaco le tolse il fiato e la forza di reagire.

Chloe osservò la scena con un sorrisetto dipinto sul volto. Non aveva assolutamente intenzione di aiutare Sophie.

Dopo un paio di calci e altri insulti, i ragazzi se ne andarono, lasciando la castana accasciata al suolo, con il respiro affannato e la pelle arrossata, pronta ad accogliere enormi lividi violacei.

Le lacrime iniziarono a bagnare il viso della ragazza, ma lei non sprecò energie ad asciugarle. Aveva infranto di nuovo la promessa, ma in fondo a chi importava? Erano solo degli stupidi giuramenti fatti dieci anni prima e, inoltre, a Justin non erano mai importati veramente. L'aveva abbandonata e non le voleva più bene. Quindi perché lei avrebbe dovuto evitare di piangere?

Prese un profondo respiro e si alzò dal pavimento. Barcollava, ma voleva solo arrivare a casa.

Passando davanti alla bidelleria, riservò un'occhiataccia alla bidella comodamente seduta con una rivista davanti.

Perché saltava fuori solo nei momenti meno opportuni? Dov'era stata mentre i suoi coetanei si erano divertiti a picchiarla?

 

Dopo mezz'ora, Sophie arrivò distrutta a casa.

Appoggiò lo zaino per terra e si avviò verso le scale, ma Pattie sbucò dalla cucina.

-Tesoro... ma che ti è successo?- chiese preoccupata, sgranando gli occhi alla vista di sua figlia conciata in quel modo.

-Niente- rispose semplicemente lei, cercando di porre subito fine a quel discorso.

La donna abbassò lo sguardo.

-Tuo padre non ha ancora mandato l'autorizzazione, Sophie- continuò poco dopo Pattie.

La ragazza le rivolse un'occhiataccia -Credi che non lo sappia?- domandò retorica, prima di dirigersi verso la sua camera.

 

Da un po' di anni Pattie aveva deciso di trasformare il vecchio studio di Jeremy in una stanza da letto e Sophie aveva spostato lì tutte le sue cose.

Si ricordava perfettamente di quel momento.

 

-Ragazzi, chi vuole dormire nella nuova stanza?- chiese dopo aver buttato quelle cartacce.

Justin non ne aveva la minima intenzione, mentre Sophie non vedeva l'ora di sistemare tutti i suoi vestiti, i suoi libri e le altre cose nella nuova camera, così si propose.

Ma non si sentiva soddisfatta.

Voleva poter dire di aver "lottato" per dormire lì, così iniziò a stuzzicare il fratello.

-Oh, così almeno arriverò per prima in bagno la mattina, visto che è la stanza più vicina- commentò, attirando l'attenzione di Justin.

Il biondo spalancò gli occhi -No, no e no. Ci vado io- disse fermamente.

Sul viso di Sophie si fece spazio un sorriso di vittoria.

-Mi dispiace, arrivi tardi- concluse, per poi rivolgergli la linguaccia e chiudersi alle spalle la porta della vecchia stanza.

Be', dal canto suo, Justin non aveva aspettato un minuto di più per appendere fuori dalla porta un cartello con la scritta "Vietato entrare".

 

-È solo una gita, Sophie- gridò Justin dal salotto.

Lei si fermò sulle scale, più furiosa che mai.

-Certo, tanto tu a Londra con la scuola ci sei andato due anni fa, no? Non c'era ancora l'affidamento condiviso- urlò di rimando lei, per poi scappare in camera e sbattere la porta dietro di sé.

Già, gli assistenti sociali avevano deciso di dare l'affidamento dei figli anche a Jeremy. Di conseguenza, ogni scelta doveva essere approvata da entrambi, e sia Pattie che Jeremy dovevano firmare le autorizzazioni per le gite e tutto il resto. Mentre due anni prima, a Justin era bastata la firma della madre per viaggiare su quell'aereo.

Sophie sospirò e si avvicinò allo specchio della camera.

Indossò i suoi occhiali rotti, prima che una smorfia di disgusto spuntasse sul suo viso.

Non si piaceva per niente. Voleva essere alta e snella come le ragazze che vedeva nei film in televisione. Voleva avere il carattere forte dei suoi compagni di classe, ma non riusciva a capire quanto in realtà fossero deboli loro. Lei era forte, più dei bulli della scuola, ma non se ne rendeva conto.

Si tolse gli occhiali e li lanciò con noncuranza sul letto. Li avrebbe sistemati con il nastro adesivo, come ogni volta.

Si avvicinò alla scrivania e, dopo aver afferrato una matita, disegnò su un foglio bianco una lacrima. Scattò una foto con il suo cellulare e la caricò su un social network.

-Se non mi amano gli altri, come potrei farlo io?- citò a bassa voce le parole che le sue dita stavano scrivendo come didascalia della foto.

Appoggiò il cellulare sulla scrivania, ma iniziò subito a vibrare, senza fermarsi, come se fosse impazzito.

Sorrise lievemente e, incuriosita, verificò a quante persone piacesse quella foto.

Quarantacinque in pochi minuti.

Guardò distrattamente i nickname di quelle persone, soffermandosi su uno in particolare: I_am_just_myself.

Be', le sarebbe piaciuto essere semplicemente se stessa, ma gli altri non l'avrebbero accettata, proprio come facevano ormai da anni.

Sospirò e notò un'altra notifica.

-I_am_just_myself ti segue- lesse ad alta voce.

Non riuscì a trattenere un sorriso sincero.

 

 

 

 

 

 

EHI!

Ecco il terzo capitolo che spero vi piaccia.

C’è stato un enorme balzo temporale, lo so, ma volevo concentrare la storia su questo periodo della loro vita. Per questo, nei prossimi capitoli, il tempo passerà più lentamente.

Per quanto riguarda il social network, immaginatevi un sito internet in cui gli iscritti possano postare foto, stati, commentare, mettere i “mi piace” e seguire le altre persone.

Sottolineo come ogni volta che Justin e Sophie non si innamoreranno l’uno dell’altra. Probabilmente anche loro avranno le cotte, il primo bacio e il resto come ogni adolescente sulla Terra, ma non è la parte principale della storia.

Questo capitolo, come tutta la storia, è dedicato a te, Francy, ti voglio un bene assurdo.

Ringrazio chi ha inserito la storia fra le preferite/seguite/ricordate, chi ha recensito e anche solo letto.

Un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


I ragazzi, seduti sul divano di casa Bieber, guardavano la partita con sguardi annoiati.

La loro squadra del cuore era in vantaggio sin dal primo minuto e gli avversari non sembrava avessero nemmeno voglia di giocare.

-Sarebbe più emozionante uno di quei film sdolcinati che guarda mia sorella- borbottò Justin, alzandosi dal divano.

-Dove vai, amico?- chiese Ryan, osservando la figura del biondo sparire dentro una delle tante stanze.

Non ricevendo alcuna risposta, si voltò nuovamente verso i due amici, Chaz e Chris.

Il primo osservava la televisione con un sopracciglio inarcato, attendendo una svolta eccitante.

Il secondo smanettava con il suo nuovissimo cellulare.

-Chi prendi in giro questa volta, Chris?- chiese poco dopo.

Il ragazzo distolse lo sguardo dal display per rispondere a Ryan.

-Samantha Gray, secondo anno- rispose prima di ricominciare a messaggiare.

Chaz sospirò.

Chris era uno dei suoi migliori amici, ma non sopportava alcuni suoi comportamenti.

-Non illuderla troppo- si raccomandò il ragazzo, provocando uno sbuffo da parte di Chris e una risata soffocata da parte di Ryan.

Sapeva che avrebbero iniziato a litigare come al solito per colpa delle loro differenti visioni del mondo.

-E tu chi sei? Mia madre?- chiese ironico il ragazzo dai capelli neri e gli occhi color cioccolato.

-Ehi, che succede? Litigate di nuovo?- chiese Justin, di ritorno dalla cucina con una ciotola di popcorn in mano.

Si buttò di peso sul divano, fra Ryan e Chris, e attese una risposta.

Chaz sospirò nuovamente -No. Dov'è Sophie?- chiese cercando di cambiare argomento.

Chaz e Sophie non erano molto amici, ma comunque non si odiavano. La ragazza si era affezionata solo a Ryan, tra i ragazzi di quel gruppetto. Era come un fratello maggiore, di sicuro più simpatico di quello vero. Mentre Chaz... Be', Chaz era carino e, spesso, fulminava con lo sguardo Justin quando rivolgeva battutine ricche di cattiveria alla ragazza.

Justin alzò lievemente le spalle.

-È andata al cinema con quella Chloe. A quanto pare domani parte per l'Inghilterra con il resto della classe e non si potranno vedere per due settimane- spiegò annoiato, per poi rivolgere nuovamente l'attenzione alla partita.

Ryan e Chaz spalancarono gli occhi, mentre Chris si limitò ad alzare un sopracciglio.

Sapevano bene tutti e quattro quanto fosse ipocrita quella ragazzina dai capelli scuri. Di certo non era una di quelle persone che si sarebbero fatte picchiare al posto della castana, ma in fondo chi lo era? Nemmeno suo fratello.

-E tu la fai andare con quell'arpia?- balbettò incredulo Chaz. Justin roteò gli occhi nocciola

-Sai quanto mi interessa?- chiese ironico, ingoiando un paio di popcorn.

-È tua sorella e dovresti proteggerla- lo rimproverò Chaz, spostandosi dalla fronte una ciocca dei suoi capelli castani e mostrando una strana sicurezza.

Il biondo dagli occhi nocciola sfoderò un sorrisetto -Scommetto che farebbe più piacere a te proteggerla, dico bene? O per caso vorresti negare che ti piaccia quella svampita di mia sorella?- chiese, prendendosi gioco dell'amico.

Il ragazzo arrossì all'istante e iniziò a balbettare qualche parola incomprensibile.

Ryan decise di porre fine a quella discussione -Siamo solo in pensiero per lei, Justin. La conosciamo da quando ancora non sapeva pronunciare il tuo nome, è comprensibile la nostra preoccupazione- disse, allungando una mano verso la ciotola sulle gambe del biondo.

Il fratello di Sophie sospirò -Va bene, ma a me non importa affatto e nemmeno voi dovreste pensare a lei- annunciò, infilando in bocca qualche altro popcorn.

Chris, rimasto in silenzio per tutto quel tempo, ascoltò attentamente la discussione, fingendo disinteresse.

Non capiva perché potesse provare tutto quell'odio nei confronti di Sophie. Non poteva di certo immaginare che il suo commento ironico di sette anni prima avesse scaturito nell'amico tutto quel rancore. Per Chris, Sophie era solo la sorella del suo migliore amico. Troppo piccola da frequentare e troppo fragile per i suoi gusti. Era, però, l'unica ragazza per cui potesse provare tenerezza, non essendo lui a farla soffrire.

-È solo... un’ingenua quattr'occhi con le cosce enormi- concluse, sputando veleno da tutti i pori.

Chaz gli rivolse un'occhiataccia, mentre Ryan strinse i pugni per evitare di spaccargli il naso. Era amico di entrambi e non voleva prendere le difese di nessuno dei due. Chris, invece, spense il cellulare e perse lo sguardo nel vuoto, pensieroso.

Non sarebbero mai riusciti a fargli comprendere quanto fosse sbagliato il suo comportamento. Justin non avrebbe ascoltato nessuno, per lui era giusto che lei soffrisse proprio come lui aveva sofferto per la separazione dei loro genitori.

 

Sophie, seduta sulla poltroncina rossa della sala, si mordicchiò il labbro inferiore.

Doveva andare in bagno, ma non voleva alzarsi. Non perché il film fosse molto interessante, ma perché aveva paura. Credeva che potesse trovare i suoi compagni di classe ovunque.

Sistemò i suoi occhiali più in alto sul naso e si preoccupò quando una delle due asticelle tremò. Doveva ancora abituarsi al fatto che fossero rotti e il nastro adesivo non era proprio stato inventato per sistemarli. Fortunatamente non erano da buttare, ma doveva comunque trattarli con molta cura e attenzione.

-Ne vuoi un po'?- chiese Chloe, porgendole i popcorn e guardandola di sottecchi.

La castana scosse semplicemente la testa.

Quel genere di schifezze le piaceva molto, ma non voleva mangiarli perché sapeva che si sarebbe sentita male dopo averli ingoiati. Avrebbe iniziato ad avere forti fitte allo stomaco e non sarebbe stato un bello spettacolo. Be', probabilmente vedere Sophie contorcersi dal mal di stomaco sarebbe stato più interessante del film, ma non era assolutamente il caso.

-Dai, lo so che li vuoi- insistette, agitando il contenitore sotto il naso di Sophie.

Sembrava quasi che lo facesse di proposito, ma la ragazza si trattenne dal gridarle contro.

Cercò di calmarsi, prendendo dei respiri profondi, ma era costretta a respirare con la bocca per non sentire il profumo dei popcorn.

Per sua fortuna, in quel momento finì il primo tempo e le luci della sala si accesero.

-Senti, io vado in bagno- annunciò alla mora che annuì in risposta.

Afferrò la borsa, ma Chloe la fermò, guadagnandosi uno sguardo interrogativo.

-Se vuoi te la tengo io- propose forzando un sorriso.

Sophie inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla, limitandosi ad uscire dalla sala.

Strinse le labbra in una linea sottile, guardandosi intorno. Sarebbe potuta sembrare paranoica, ma i lividi dell'ultimo pestaggio erano ancora ben visibili sulla sua pelle bianca ricoperta di varie cicatrici.

Solo in quel momento si chiese come mai Chloe non avesse fatto niente in sua difesa, quel giorno. Pensava che l'amicizia potesse portare le persone a sacrificarsi, ma probabilmente si sbagliava. Be', di certo non pretendeva che la mora si facesse picchiare al suo posto, ma sapeva che i suoi compagni di classe le avrebbero dato retta se lei avesse chiesto loro di evitare di continuare a picchiarla.

Si riscosse dai suoi pensieri solo davanti alla porta del bagno femminile.

Entrò in una cabina, ma cambiò i suoi piani quando si accorse di quanto fosse sporco il water. Sul suo volto si dipinse una smorfia di disgusto, mentre si avvicinò allo specchio, sopra i lavandini.

Guardando il suo riflesso non riusciva a credere di essere veramente lei la ragazza dai capelli castani, dagli occhi con le sfumature verdi e dai lividi di un colore rivoltante lungo il corpo.

Iniziava a odiarsi pure lei. Insomma, se tutti gli altri la odiavano, probabilmente era lei a sbagliare, giusto?

Sospirando, aprì il rubinetto e immerse le dita sotto l'acqua. Era gelida e sperava che potesse darle un po' di vitalità al viso.

Unì le mani a coppa e raccolse quanta più acqua fredda possibile, per poi spruzzarsela in faccia. Le lenti degli occhiali si riempirono di goccioline, ma non le importava affatto. Passò poi le dita sulla pelle, ma si fermò l'esatto istante in cui il suo pollice destro sfiorò la cicatrice sotto il mento. Rabbrividì avvertendo l'irregolarità della pelle in quel punto, quando un ricordo si fece spazio nella sua mente.

 

Era il secondo giorno del primo anno di scuola media e Sophie camminava per il corridoio con il respiro affannato.

Non si ricordava dove fosse la sua classe e il giorno prima non aveva prestato attenzione alla presentazione dei suoi compagni di classe, quindi non sapeva proprio a chi potesse chiedere delle informazioni.

Era arrivata a scuola con Justin, ma una volta entrati lui aveva fatto finta di non conoscerla. Be', anche a casa si comportava in quel modo, quindi non era per niente stupita.

Si guardò intorno un paio di volte, prima di fermarsi bruscamente per cercare di calmare l'ansia.

Poco dopo sentì una spinta alla schiena, per poi ritrovarsi con la faccia al pavimento, gli occhiali mezzo metro più avanti e un dolore acuto sotto il mento.

-Guarda dove cammini, quattr'occhi!- gridò un ragazzo, scoppiando a ridere.

Sentì le lacrime sulle guance e non le asciugò. Non le importava quell'inutile promessa.

Dopo qualche secondo, qualcuno la aiutò ad alzarsi.

-Oddio, stai bene, Sophie?- chiese Ryan preoccupato.

Riconobbe l'amico di suo fratello e si calmò leggermente.

Sophie annuì, ma il ragazzo vide del sangue scorrerle sul collo e le alzò il viso per controllare.

-Temo che ci vadano i punti qui- commentò dispiaciuto.

Lei alzò lievemente le spalle in risposta.

Perse un giorno di scuola, ma guadagnò un amico e... be', tre punti sotto il mento.

 

Sospirò a quel ricordo e uscì dal bagno per tornare da Chloe.

Trovò la ragazza intenta a smanettare con il suo telefono.

Inarcò un sopracciglio e la raggiunse velocemente.

-Che stai facendo?- le chiese, strappandole di mano il cellulare e la borsa.

Chloe non mostrò il minimo segno di vergogna.

-Dov'è il numero di Justin?- chiese con uno sguardo indecifrabile.

La castana sgranò gli occhi -Cosa?!- chiese incredula.

-Il numero di tuo fratello- ripeté l'altra.

Sophie capì tutto. Non c'era mai stata alcuna amicizia fra loro. Chloe, come altre prima di lei, voleva semplicemente arrivare a Justin.

Cercò di trattenere i singhiozzi.

-Io e Justin ci odiamo- disse, prima di lasciare il cinema con le lacrime agli occhi.

Perché non riusciva a trovare nemmeno un'amica sincera? Era così difficile?

 

Arrivò a casa in pochi minuti e, una volta entrata, sbatté la porta dietro di sé, attirando l'attenzione dei quattro ragazzi.

La osservarono curiosi.

Ryan si alzò dal divano e le andò incontro -Che succede, Sophie?- chiese preoccupato, ma riusciva già ad immaginare la risposta.

Sophie ignorò il ragazzo e guardò suo fratello.

-Ti odio! Sei la cosa peggiore che potesse capitarmi nella vita- gridò rabbiosa, prima di andare nella sua camera.

-Ma che le succede?- chiese Chris, stranito dal comportamento della ragazzina.

-Probabilmente anche Chloe voleva solamente avere un appuntamento con me- ghignò il biondo -Peccato che mi faccia completamente schifo pure lei- concluse ironico.

 

Sophie buttò la borsa sul letto e si sedette alla scrivania.

Afferrò il cellulare ed entrò nel suo account di quel social network, dove poteva essere se stessa e scrivere tutti i suoi pensieri senza doverli censurare.

-Questa vita mi dà solo delusioni. Cosa c'è di sbagliato in me?- mormorò e scrisse queste parole sul suo profilo, per poi sospirare e appoggiare la testa sulla scrivania.

Avrebbe voluto accanto a sé qualcuno che la capisse, ma l'avrebbe mai trovato?

La vibrazione del telefono attirò la sua attenzione.

Un commento.

“Ti va di parlarne? –Andrea”

 O, come la conosceva Sophie, I_am_just_myself.

 

 

 

 

 

EHI!

Come potete vedere, adesso il tempo sta scorrendo più lentamente e Sophie si è resa conto di quanto fosse falsa Chloe.

Spero vi sia piaciuto il capitolo e in generale vi piaccia la storia, nonostante non sia una storia d’amore fra i due protagonisti.

Ringrazio chi ha inserito la storia fra le preferite/seguite/ricordate, chi ha recensito o anche solo letto, mi fate molto piacere!

Francy, ti dedico questo capitolo e ti prometto che dal prossimo il tuo personaggio sarà più presente ^_^

Un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La sveglia suonò alle 06.45 quel giorno, nonostante fosse sabato.

Sophie grugnì infastidita e si girò sul fianco destro, appoggiando un cuscino sull'orecchio.

Non aveva la minima intenzione di alzarsi per interrompere quel suono infernale.

Il morbido cuscino riuscì ad attutire gli squilli della sveglia, ma non le grida di suo fratello Justin.

-Spegni quell'affare, idiota!- gridò dalla sua camera, con voce roca. Sophie lanciò il cuscino dall'altra parte della stanza, per poi sospirare e alzarsi. Interruppe quel suono e si sdraiò nuovamente, ma sapeva che non si sarebbe più addormentata per quella mattina.

Fino all'ultimo aveva sperato di partire per andare a Londra, ma purtroppo non avrebbe ancora realizzato quel sogno. Gli altri sarebbero partiti, mentre lei sarebbe rimasta a casa a piangere e a litigare con suo fratello.

Roteò gli occhi, per poi alzarsi di nuovo dal letto e dirigersi verso la scrivania. Si sedette e afferrò il suo cellulare. Sbloccò il display e notò delle nuove notifiche.

-A quindici persone piace il tuo stato- mormorò, leggendo. Be’, con quelle quindici nuove persone, diventavano in tutto trentasette le persone a condividere il suo pensiero.

Sorrise.

Forse non era poi così sola nel mondo, ma non conosceva quelle persone e probabilmente mai le avrebbe conosciute. Alcuni erano italiani, altri tedeschi, brasiliani, spagnoli, statunitensi e nessun canadese. Forse qualche minima possibilità di incontrare uno degli statunitensi esisteva, ma non ci sperava più di tanto.

Sospirò, pensierosa, e fece scorrere con il pollice la schermata. Si ricordò in quel momento di dover ancora rispondere al commento di quella ragazza, Andrea. Prima di farlo, però, entrò nel suo profilo, cliccò su “Segui” e osservò le sue foto. Era una ragazza bellissima, con i capelli castani lunghi fino al collo e gli occhi più scuri dei suoi. Trovò anche delle immagini in bianco e nero. Una ritraeva l’occhio di una ragazza, bagnato da una lacrima solitaria, mentre l’altra raffigurava una ragazza di spalle, con il cappuccio in testa. Era circondata da altre persone, ma lei camminava nella direzione opposta rispetto agli altri.

Come poteva una ragazza così bella essere triste? Di certo quelle foto non si trovavano lì per caso, doveva per forza esserci un motivo.

Si affrettò ad asciugare il suo viso, di nuovo inondato dalle lacrime, e tornò alla schermata del suo profilo, pronta a rispondere ad Andrea.

“È un po' difficile parlarne così, con dei commenti su un social network”.

Dopo avere digitato quelle parole, bloccò il telefono e appoggiò la testa sul legno della scrivania.

Non era facile in qualsiasi modo. Era sicura che nessuno l'avrebbe capita o che comunque nessuno si sarebbe sforzato di farlo. Nemmeno Justin, che avrebbe dovuto proteggerla e aiutarla in tutti quegli anni, si era dimostrato disposto a farlo. Ed erano fratelli.

Singhiozzò e strinse le labbra in una linea sottile, cercando di non fare rumore.

Perché era tanto arrabbiato con lei? Sophie non riusciva a capirlo. Era già sufficiente che lei si odiasse da sola per essere... così. Non aveva bisogno di ulteriore odio.

Aspettò una risposta da parte della ragazza, ma in fondo erano solo le sette di mattina. Certo, non sapeva dove potesse vivere Andrea e che ore fossero da lei, ma non aveva fretta e non ci sperava più di tanto.

Si alzò dalla sedia per avvicinarsi alla finestra della camera. La spalancò e si appoggiò al davanzale, con lo sguardo rivolto verso il giardino. L’aria era piacevolmente calda e non troppo soffocante. Tirò su i piedi e strinse le gambe al petto, appoggiando poi la schiena al muro. Il materiale sotto di lei era duro, ma stava comoda. Chiuse gli occhi e respirò profondamente, cercando di riempire i polmoni di quell’aria pulita. Se l’avesse vista Justin, le avrebbe detto di scendere dal davanzale, ma non perché potesse essere preoccupato per lei. Piuttosto, perché altrimenti lo avrebbe sfondato con il suo peso.

Sophie singhiozzò a quel pensiero.

Lei voleva troppo bene a suo fratello e per questo soffriva maggiormente alle sue offese. Se l'avesse odiato veramente, avrebbe potuto fargli notare tutti i suoi difetti, invece si limitava a stare zitta e tranquilla.

Le lacrime inondarono il suo dolce viso.

Le sembrava strano che, nonostante il comportamento di Justin, lei potesse sentirsi distrutta al pensiero di aver infranto di nuovo la promessa.

 

Justin si svegliò dopo un'oretta e andò subito in cucina per fare colazione, non avendo più sonno. Afferrò una tazza e la riempì di latte freddo, per poi berla davanti alla televisione, sul divano.

-Sei già sveglio?- la voce di sua madre attirò la sua attenzione.

-Sì- rispose semplicemente, mentre Pattie annuì.

Restarono in silenzio per molti minuti, senza sapere cosa dirsi.

-Ehm... dov’è tua sorella?- chiese poi, sedendosi accanto al figlio.

Justin alzò lievemente le spalle -Sta ancora dormendo- rispose annoiato.

-Vai a svegliarla, per favore. Ho bisogno di parlarle- a quelle parole, il ragazzo si alzò svogliatamente dal divano. Avrebbe preferito restare seduto a guardare la televisione, sapendo che avrebbero litigato di nuovo, ma sembrava che la cosa fosse urgente.

Salì le scale e, una volta arrivato davanti alla porta della camera, non si preoccupò nemmeno si bussare. Aprì velocemente la porta, pronto a gridarle di scendere, ma non la vide. Aggrottò la fronte e vagò con lo sguardo, fino a posarlo sul corpo di Sophie, addormentata sul davanzale, con la testa appoggiata alla parete.

Sarà di sicuro scomoda, pensò Justin. Ma in fondo a lui non importava.

Si avvicinò alla castana e la osservò attentamente. Le sue labbra erano lievemente socchiuse e poteva avvertire i suoi respiri caldi e regolari. Sospirò e spostò una ciocca dei suoi capelli castani dietro l’orecchio destro. Dovette reprimere l’impulso di accarezzarle dolcemente la guancia, per quanto fosse forte.

Lei era la causa di tutta quella brutta situazione. Per colpa di sua sorella, i suoi genitori si erano separati e lui non aveva potuto ricevere l'appoggio del padre dalla tribuna durante le partite di hockey. Era cresciuto senza un padre. Certo, anche Sophie, ma per lei era diverso. Lei era felice.

Be’, di certo non poteva immaginare quanto soffrisse pure lei.

Così, allontanò velocemente la mano dal suo viso e iniziò a scuoterle il corpo, per svegliarla. Sophie mugugnò qualche parola incomprensibile, prima di voltare la testa verso il vetro della finestra. Justin roteò gli occhi e le tirò il lobo dell'orecchio destro, sicuro che si sarebbe svegliata.

La ragazza, infatti, sobbalzò, sbattendo la testa contro il muro, facendo ridere suo fratello. Lo squadrò dalla testa ai piedi, prima di chiudere nuovamente gli occhi.

-Ma cosa fai? Svegliati- gridò Justin, parecchio infastidito.

Lei finse di non sentirlo.

-La mamma deve parlarti, quindi muovi quel culo enorme e scendi- ordinò, sempre più arrabbiato.

Sophie cercò di trattenere le lacrime, ma non per la promessa. Solo per non mostrarsi debole davanti a lui. Poi coprì le sue orecchie con le mani. Sentiva le grida del fratello e non sapeva come farlo smettere.

-Vattene- disse semplicemente.

-La mamma deve parlarti- ripeté lui.

-Può parlarmi dopo. Ora voglio dormire, visto che di sicuro il mondo dei sogni è meglio di quello reale- concluse con una calma incredibile, sempre con gli occhi chiusi, ma con le mani rilassate sui fianchi.

Il ragazzo alzò gli occhi al cielo.

-Io ci rinuncio- concluse, prima di uscire dalla camera.

Dopo aver sentito la porta chiudersi, Sophie aprì i suoi occhi dalle sfumature verdi e si guardò intorno. Avrebbe preferito poter continuare a dormire. La realtà era dura da affrontare, purtroppo.

Sentì la vibrazione del suo cellulare, così si avvicinò alla scrivania e sbloccò lo schermo.

“Be', ti lascio il mio numero. Scrivimi, se ti va”.

Era la risposta di Andrea.

Si affrettò a salvare il numero della ragazza nella rubrica e poi cancellò i vari commenti, non volendo che qualcun altro potesse leggere.

Si mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa.

Avrebbe dovuto scriverle qualcosa?

Prese un respiro profondo, poi annuì a se stessa.

“Ciao, sono Sophie”.

Inviò il semplice messaggio al numero senza pensarci ulteriormente. Poi appoggiò il cellulare e si decise ad andare dalla madre per sapere cosa volesse dirle.

La trovò in cucina, intenta a preparare dei pancakes.

Le baciò la guancia -Ciao mamma- sussurrò.

Pattie sorrise -Ciao tesoro, hai dormito bene?- le chiese apprensiva, notando delle profonde occhiaie sotto gli occhi di sua figlia.

Sophie alzò lievemente le spalle -Cosa dovevi dirmi?- le chiese, cercando di non perdere tempo.

Lo sguardo di sua madre si rabbuiò immediatamente.

-Siediti- ordinò, sistemando i pancakes in un piatto.

La ragazza obbedì e, nello stesso istante, Justin entrò in cucina. Afferrò un pancakes e aprì la bocca, come per parlare, ma Pattie lo interruppe subito.

-Non farò giri di parole- iniziò, facendo deglutire Sophie. Doveva essere una cosa molto seria.

-Gli assistenti sociali vogliono fare un colloquio con te- concluse, per poi sospirare.

Sophie spalancò contemporaneamente gli occhi e la bocca, incredula.

Lei non sopportava quelle due signore. Riuscivano sempre a girare le parole di Sophie a loro favore, cosa che la ragazza odiava.

Justin, invece, cercò di soffocare una risata divertita. Senza riuscirci.

 

 

 

 

 

EHI!

Non posso crederci, finalmente internet funziona!

Vi chiedo ancora scusa per ieri, ma il tempo era pessimo e la linea non funziona mai con i temporali, per fortuna vi ho avvertite con il 3G del telefono.

Spero che questo capitolo vi piaccia e che la storia vi incuriosisca nonostante non sia d’amore.

Ringrazio come sempre tutte voi e il vostro appoggio, siete meravigliose!

Francy, anche questo capitolo è dedicato a te, be’, come tutta la storia in fondo ^__^

Un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Sophie si passò la mano destra dietro il collo. Stava sudando con la camicia bianca addosso durante quel caldo pomeriggio di fine Maggio. Slegò per la terza volta nel giro di venti minuti i suoi capelli castani, per poi legarli in una coda alta.

-Smettila di muoverti, Sophie- la rimproverò Pattie.

La ragazza sospirò -Sono agitata- spiegò, slacciando il primo bottone della camicia.

Pattie sorrise lievemente e accarezzò la guancia arrossata di sua figlia.

-Stai tranquilla. Adesso parlerete per una mezz'oretta e poi vi rivedrete fra un mese, va bene?- cercò di tranquillizzarla.

Sophie deglutì non ancora calma.

Si sistemò meglio sulla sedia -Cosa devo dire?- chiese poco dopo in un sussurro.

La madre le sistemò un ciuffo, sfuggito dall'elastico, dietro l'orecchio -Solo la verità- concluse, prima che la porta color crema di fronte a loro si aprisse.

-Vieni, Sophie- disse la donna dai capelli color mogano.

La castana prese un respiro profondo prima di alzarsi dalla sedia ed entrare nella stanza che ormai conosceva bene. Prese posto sulla poltroncina blu, senza aspettare il permesso della donna. Quel colloquio si ripeteva ogni mese da anni e non c'era bisogno di essere troppo formali. Nonostante questo, però, Pattie le aveva imposto di indossare quei vestiti eleganti. Guardò di fronte a lei e notò la poltrona, di solito occupata da una donna mora, vuota. Aggrottò la fronte e la psicologa comprese subito la sua confusione.

-Oh, oggi saremo solo io e te. Come ben sai nemmeno tuo fratello Justin è dovuto venire- disse la donna.

Sophie annuì semplicemente. Ancora non capiva il perché di quel colloquio a due, ma non voleva fare domande. Sapeva che, in quella occasione, era meglio parlare il meno possibile.

-Allora, come stai?- le chiese la psicologa Julie Parker.

La ragazzina alzò lievemente le spalle, prima di irrigidirsi. Non doveva muoversi. Ogni suo gesto, persino sfiorarsi la mano destra con la sinistra, o inumidirsi le labbra, poteva essere interpretato male. E lei lo sapeva bene.

-Bene- rispose, cercando di mantenere un tono calmo.

Come al solito, la signorina Parker prese un block-notes e una penna, pronta a scrivere qualsiasi cosa.

-Mi dispiace per la gita. So che avresti voluto visitare Londra- continuò poco dopo, interrompendo il silenzio.

-Non importa- disse Sophie. La gita a Londra era un argomento che non aveva più voluto affrontare, ma seduta su quella poltrona, lei non era padrona di niente, nemmeno dei suoi pensieri. Non poteva decidere quando parlare o quando stare zitta e questo la faceva sentire... come una marionetta nelle mani degli adulti. Avrebbero dovuto tutelare i ragazzi, invece sembrava che non volessero farlo.

Julie prese nota di ogni singola cosa succedesse dentro a quei tre metri quadrati.

-Ti va di disegnare?- le chiese poi, porgendole un foglio e una matita di grafite, perfettamente temperata. Sophie annuì, prendendo la matita e iniziando a tracciare qualche linea sulla superficie bianca e liscia del foglio. Pensò a quanto le sarebbe piaciuto stare fuori da quell'edificio, in mezzo agli alberi ricoperti di foglie verdi. Disegnò le venature della corteccia e poi aggiunse qualche fiore ai quattro rami, due robusti e due più sottili.

La penna della donna non smetteva un secondo di muoversi velocemente sul block-notes.

La ragazza allungò la mano verso l'astuccio della psicologa, per prendere i pennarelli a punta fine, ma lei non glielo permise.

-Va bene così- disse, prima di prendere il disegno e infilarlo in una cartellina viola.

Sophie aggrottò la fronte.

Che cosa andava bene? Che cosa aveva scritto su quel foglio?

La ragazza iniziò ad agitarsi per la paura di aver fatto qualcosa di sbagliato e si asciugò velocemente le mani sudate sui pantaloni scuri.

Il silenzio tornò a regnare nella stanza per alcuni minuti, prima che la Parker si alzasse dalla sua poltrona per dirigersi verso la parete di fronte alla porta.

-Vieni qui- le disse, osservando una casetta di legno, riempita di pupazzetti di plastica.

Deglutendo, Sophie si alzò con cautela e si avvicinò alla donna.

Julie afferrò la casetta e la sistemò sul pavimento, facendo cenno alla ragazza di disporre i pupazzi secondo i suoi gusti.

-Perché devo farlo?- chiese, non riuscendo a capire quale fosse la motivazione di quella richiesta.

La donna dai capelli color mogano sorrise forzatamente -Oh, io amavo giocare con le bambole alla tua età... ma, se non vuoi, possiamo parlare- disse in tono ingenuo.

-No!- rispose velocemente Sophie, prima di mordersi violentemente il labbro inferiore -Cioè, volevo dire che mi va bene giocare con le bambole- cercò di rimediare alla sua precedente reazione impulsiva. Di sicuro, qualsiasi cosa era meglio di parlare con la psicologa.

Julie sorrise soddisfatta, prima di tornare a sedersi sulla poltrona, sempre con il taccuino in mano.

La castana osservò perplessa quelle bamboline.

Che cosa avrebbe dovuto farci? E se avesse fatto qualcosa di sbagliato?

Scosse lievemente la testa, prima di afferrare un tavolino di plastica dall'interno della casetta e sistemandolo sul pavimento. Poi prese tre pupazzetti e li dispose intorno al tavolino. Solo dopo si accorse di aver scelto un neonato, una donna e un uomo, ma li lasciò così, senza pensare alle conseguenze.

-Perché proprio quelli?- chiese la Parker, che nel frattempo aveva preso nota di ogni singola cosa.

-Non lo so- balbettò Sophie, sperando che la donna non le chiedesse maggiori informazioni, come era solita fare.

Julie annuì.

La ragazza non si era mai sentita così terrorizzata. Be', escludendo le volte in cui veniva picchiata. Anche se in quei momenti la sua paura era diversa. Sapeva che dopo i pestaggi sarebbe tornata a casa e per qualche ora sarebbe tutto finito. Si sarebbe medicata le ferite e poi avrebbe passato il tempo a piangere, sfogando tutta la sua tristezza. Ma lì, di fronte a quella donna, sapeva che la questione era seria. Lei avrebbe potuto cambiare la sua vita, anche drasticamente. Lei non la picchiava, non la offendeva, ma con quella sua penna incuteva un grande terrore.

Sophie guardò di sfuggita l'orologio, costatando che mancassero solo pochi minuti alla fine del colloquio. Trattenne un sospiro di sollievo e si sedette nuovamente sulla poltroncina blu.

La psicologa posò finalmente la penna e guardò intensamente la ragazza negli occhi.

-Come va a scuola?- le chiese sorridendo. Sapeva che le avrebbe rivolto quella domanda, prima o poi, proprio come durante ogni colloquio.

-I miei voti sono... abbastanza buoni- decretò, senza ammettere di essere la più brava della classe.

-No, intendevo con i compagni- si corresse la donna.

Sophie rimase spiazzata da quella domanda, ma cercò in tutti i modi di non mostrarsi nervosa -Oh, benissimo. Siamo molto amici- mentì lei, nonostante Pattie le avesse detto di essere sincera. Ma Sophie aveva paura che, se gli assistenti sociali avessero scoperto tutto il suo dolore, l'avrebbero allontanata da Stratford per mandarla in una casa-famiglia o, peggio ancora, da Jeremy.

Julie studiò nei particolari la sua espressione, prima di scrivere nuovamente sul suo block-notes.

-Puoi andare, Sophie- disse poi, senza distogliere lo sguardo dal foglio.

La ragazza annuì, per poi alzarsi e uscire dalla stanza, trovando sua madre seduta nella stessa posizione di mezz'ora prima.

Pattie si alzò -Com'è andata?- chiese curiosa.

La ragazza alzò lievemente le spalle in risposta. Non lo sapeva. Julie Parker avrebbe parlato con l'avvocato Claire, che poi avrebbe riferito tutto a Pattie. Fino a quel momento, ogni cosa era incerta.

 

Tornarono a casa nel silenzio totale. Erano entrambe impaurite, ma anche impazienti di sapere cosa avesse riferito la Parker a Claire.

Proprio quando entrarono in casa Bieber, il telefono squillò e Pattie si precipitò a rispondere, mentre Sophie si diresse in salotto, pronta a guardarsi qualche programma televisivo. Ma trovò i quattro ragazzi sdraiati comodamente sul divano e per terra. Sbuffò, attirando la loro attenzione.

Ryan curvò le labbra in un sorriso radioso, proprio come Chaz. Erano entrambi felici di vederla. Chris si limitò a guardarla di sottecchi, mentre Justin non distolse lo sguardo dalla televisione.

-Vieni qui- disse Ryan, appoggiando la mano sul pavimento.

Sophie sorrise e si avvicinò al ragazzo, che le cinse il corpo con il braccio.

 

Justin strinse le labbra in una linea sottile per evitare di sbuffare.

Perché Ryan trattava in quel modo Sophie? Lei non se lo meritava. Da quando era nata, non aveva fatto altro che causare problemi alla famiglia Bieber.

Roteò gli occhi e finse interesse verso quell'inutile programma televisivo.

Lui aveva sofferto molto in tutti quegli anni, quindi perché avrebbe dovuto sopportare che la vita di Sophie fosse così semplice?

Aprì la bocca, pronto a fare qualche battuta di pessimo gusto, ma lo squillo di un cellulare lo interruppe. Non era il suo.

 

-Scusate- disse Sophie, afferrando il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

Era arrivato un nuovo messaggio.

Sbloccò il display e lesse il testo.

“Allora, com'è andata dagli strizzacervelli?”.

Era Andrea.

In quell'ultimo periodo non avevano fatto altro che scriversi messaggi e conoscersi, scoprendo di avere molte cose in comune.

Andrea aveva un fratello di nome Lucas, i loro genitori erano separati e vivevano con la madre a San Francisco. Inoltre, non aveva dei veri amici. Anzi, sosteneva che Sophie lo fosse più di chiunque altro.

“Oggi c'era solo la psicologa”.

Controllò di non avere scritto errori e poi inviò il messaggio. Attese qualche secondo prima di ricevere una risposta.

“Oh, allora mi correggo: com'è andata dalla strizzacervelli?”.

Sophie ridacchiò leggendo quel messaggio.

“Be', conosci la procedura: io parlo e lei scrive, poi scrive e poi... oh, sì, scrive”.

Sorrise lievemente scrivendo quelle parole.

Con Andrea poteva essere se stessa, senza il terrore di essere giudicata.

“Almeno non bisogna stare sdraiati sopra un lettino di pelle come nei telefilm”.

La castana scosse la testa, divertita. Anche lei l'aveva sempre pensato.

“Se sei sdraiato, come potresti giocare con le bambole?”.

Inviò il messaggio, contenta di poter confidare a qualcuno cosa succedesse in quella stanza durante i colloqui. Di certo non l'avrebbe mai detto a Chloe.

Alzò di sfuggita il viso.

Gli occhi dei ragazzi erano puntati su di lei, persino quelli color nocciola di suo fratello. Alzò un sopracciglio, confusa, quando se ne rese conto.

-Chi ti ha scritto?- chiese Ryan, senza nascondere la sua eccitazione.

Sophie arrossì lievemente. Non aveva mai avuto una vera amica e le sembrava quasi
impossibile poter finalmente dire di aver conosciuto una ragazza meravigliosa.

Aprì la bocca, per rispondere, ma Justin la anticipò.

-Oh, di sicuro l'operatore telefonico- disse, prima di scoppiare a ridere.

La ragazza si morse il labbro inferiore, per non singhiozzare.

Si alzò velocemente dal pavimento e corse in camera sua. Sbatté la porta e si rannicchiò contro il muro, prima di scoppiare a piangere.

Perché era così cattivo con lei? Era la sua sorellina, la stessa bambina di dieci anni prima. La bambina delle promesse.

Ma lui no. Lui non lo era più.

 

 

 

 

 

 

 

EHI!

Ecco un altro capitolo, dove finalmente capiamo qualcosa di più su Andrea.

Spero vi piaccia e vi ringrazio come sempre tutte, ora rispondo alle recensioni,

un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Pattie afferrò il cordless e si appoggiò alla parete della cucina, pronta ad ascoltare le parole di Claire.

-Ho appena parlato con la Parker- esordì l’avvocato. Pattie annuì, pur consapevole che lei non potesse vederla. Claire sospirò, facendo preoccupare la mamma di Sophie e Justin. -A quanto pare, Sophie ha fatto un disegno che la Parker ha interpretato... a modo suo, diciamo- continuò poco dopo, cautamente.

-E... cosa ha disegnato?- Pattie parlò, finalmente. Già dall’atteggiamento dell’avvocato aveva capito che qualcosa non andasse, ma ancora doveva capire se fosse più grave di quanto già poteva immaginare.

-Ha disegnato un albero con due rami robusti e due più sottili- spiegò Claire, lasciando Pattie parecchio perplessa.

Cosa poteva significare dell’albero?

Rimasero entrambe in silenzio.

Pattie cercava di capire, senza però riuscirci. Claire sperava di non dover aggiungere altro, sapendo che parlando avrebbe sconvolto la donna.

-Io non riesco a comprendere, Claire- sussurrò poco dopo.

L’avvocato sospirò nuovamente -Secondo Julie Parker, l’albero rappresenta la famiglia e i rami i tuoi figli, te e...- spiegò, interrompendosi sull’ultima parola.

-Jeremy- concluse Pattie, pronunciando il nome del suo ex marito come se fosse un insulto.

-Esattamente- concordò l’avvocato.

La donna dagli occhi celeste rifletté qualche secondo su quelle parole, prima di comprendere appieno la faccenda.

-Oh, ma è assurdo!- esclamò indignata -Come cazzo può sostenere che Sophie abbia disegnato quell’albero perché le manca quel bastardo?- chiese, totalmente scioccata. Non si era nemmeno resa conto di aver alzato la voce, attirando così l’attenzione del figlio.

 

Justin deglutì, sentendo la voce della madre dal salotto.

-Devi capire che Sophie è troppo sensibile e ci resta molto male se fai queste battute a dir poco squallide- sentì a malapena la voce dell’amico Ryan, che stava cercando di fargli
capire quanto fosse sbagliato il suo comportamento.

Be’, naturalmente Justin non stava prestando attenzione, soprattutto dopo aver sentito la madre parlare al telefono.

Si alzò di scatto dal divano, pronto a dirigersi verso la cucina, ma Ryan lo fermò.

-Ehi, mi stavi ascoltando?- chiese, nonostante sapesse già la risposta.

Il biondo lo guardò -Oh, certo. Qualcosa riguardo al surriscaldamento globale, giusto?- chiese Justin di rimando, con un sorrisetto di sfida.

Ryan roteò gli occhi, proprio come Chaz, mente Chris ridacchiò, ricevendo un’occhiata di approvazione da parte di Justin.

Non ricevendo risposta dall’amico, Justin si diresse nuovamente verso la cucina. La porta era socchiusa, ma riusciva comunque a vedere sua madre appoggiata alla parete, con il cordless all’orecchio.

-Justin, cosa...?- Chris si avvicinò all’improvviso, cercando di chiedere al biondo cosa stesse facendo, ma Justin lo zittì subito.

-Non farti sentire- sussurrò, tornando a guardare la madre.

-Solo perché Sophie ha preso quei pupazzi, non vuol dire che le manchi Jeremy commentò Pattie, stizzita.

Justin aggrottò la fronte, sentendo quelle parole.

Di cosa stava parlando sua madre? Non riusciva a capirlo.

-È ovvio che tu lo sappia, ma mi sembra che la Parker stia cercando di... non lo so. Sta facendo di tutto per allontanarci- concluse, affondando le dita fra i suoi capelli.

Justin alzò entrambe le sopracciglia, perplesso, quando sua madre spalancò gli occhi.

-Che cosa succede?- chiese Chris, non capendo come mai Pattie sembrasse allo stesso tempo arrabbiata, impaurita e sconvolta.

-Non lo so, cazzo- rispose Justin.

In che modo la Parker aveva intenzione di allontanarli?

-Dici davvero?- chiese Pattie, mentre una lacrima rigò il suo viso.

-Che cazzo sta succedendo?- sussurrò il biondo. Odiava il fatto di non sapere cosa l’avvocato avesse detto da sconvolgere così tanto la madre.

-No, certo. So di non poter fare niente per impedirlo- Pattie annuì, asciugandosi le guance, ormai ricoperte di lacrime.

Justin strinse le labbra in una linea sottile e si allontanò dalla porta, seguito da Chris, capendo che ormai la conversazione fosse giunta al termine.

 

Pattie sospirò e cercò di impedire alle lacrime di bagnare maggiormente il suo volto.

Non avrebbe potuto fare niente per evitare che la Parker facesse ciò che aveva deciso. Nessuno poteva farle cambiare idea o non rispettare la sua decisione. Certo, la situazione era ancora un po’ incerta per il momento, ma di sicuro Pattie non avrebbe detto niente a Sophie fino alla fine.

 

La ragazza si alzò dal pavimento per sdraiarsi sul suo letto. Poco dopo, il cellulare vibrò.

“Posso chiamarti?”.

Sophie sospirò leggendo il messaggio di Andrea.

“Scusami, ma in questo momento è meglio di no”.

Sperò vivamente che Andrea non si offendesse, ma non era il caso di parlare durante una crisi di pianto. Si asciugò velocemente le guance e cercò di non pensare a tutti i commenti del fratello.

Ormai non c’erano dubbi sul fatto che Justin la odiasse, doveva solo capire il perché. Lei, nonostante venisse maltrattata da chiunque, non si permetteva di provare odio verso qualcuno. Forse solo verso suo padre, ma per gli altri provava solo compassione. Sophie era una vittima di bullismo perché chi la picchiava o insultava aveva bisogno di fare del male a lei, per sentirsi bene. Non c’era niente di più patetico al mondo.

Il cellulare vibrò nuovamente.

“Cos’ha fatto questa volta?”.

Leggendo, Sophie non poté fare a meno di sorridere.

Andrea aveva già capito da sola quale fosse il problema e la castana l’adorava per questo. Con lei, non aveva bisogno di dilungarsi in spiegazioni inutili che l’avrebbero solo fatta sentire peggio. Andrea capiva subito.

“È sempre... cattivo con me e, sinceramente, non ne capisco il motivo”.

Altre lacrime bagnarono il suo dolce viso.

Magari, se l’avesse saputo, avrebbe cercato di sistemare le cose. Ma sembrava che Justin non volesse. A lui bastava far soffrire Sophie.

“E così ha infranto di nuovo la promessa... e di conseguenza pure tu, dico bene?”.

Andrea sapeva della promessa di dieci anni prima. Era una delle prime cose di cui avevano parlato e sosteneva che Sophie dovesse rispettarla. Non per Justin, ma per se stessa. Non doveva piangere, doveva solo sorridere, così da non dare al biondo la soddisfazione di vederla soffrire per lui.

“Perché me lo chiedi, se lo sai?”.

Dopo aver inviato il messaggio, Sophie si alzò dal letto, decisa a farsi una doccia. Afferrò da un cassetto l’intimo, una maglietta larga e dei pantaloni lunghi.

Con quel caldo le sarebbe piaciuto indossare dei pantaloncini, ma sapeva che Justin non avrebbe perso tempo e le avrebbe fatto notare quanto fossero enormi le sue cosce. Pattie le diceva sempre di non credere alle parole di Justin, ma lei non capiva quanto facessero male. Sembravano delle coltellate dritte allo stomaco, per la cattiveria con cui le diceva. Avrebbe potuto far credere alla ragazza più bella del mondo di essere orribile e alla persona più intelligente di essere ignorante. A lui, però, non interessava farlo. L’unico suo obiettivo era quello di distruggere Sophie psicologicamente e, purtroppo, ci riusciva fin troppo bene.

Sospirando, la ragazza uscì dalla stanza e si diresse verso il bagno, trovandolo occupato. Si appoggiò alla parete e aspettò qualche minuto prima che uscisse Chris.

Sophie abbassò lo sguardo verso i suoi piedi, impaurita. Temeva che lui potesse iniziare a offenderla come il fratello, anche solo perché si trovava lì, fuori dal bagno.

-Sophie...- sussurrò dolcemente il ragazzo, cercando di dire qualcosa, ma lei entrò velocemente nel bagno, chiudendo la porta a chiave.

Sospirò, sentendosi al sicuro, e appoggio il cambio e gli occhiali vicino al box doccia. Lentamente si sfilò i vestiti e li infilò nel cesto dei panni sporchi. Poco dopo si sciolse la coda e si avvicinò allo specchio del bagno.

Deglutendo, osservò il riflesso del suo corpo e si morse il labbro inferiore quando arrivò alle cosce. Le vedeva enormi, così come la pancia.

Chiuse gli occhi, per evitare di guardare ancora il suo corpo, e non li aprì fino a quando sentì il vetro del box doccia. Si infilò dentro e aprì il getto dell’acqua tiepida.

Le gocce d’acqua scorrevano sul suo corpo, ma lei non le sentiva nemmeno. Era troppo impegnata a ripensare al suo riflesso sgradevole. Odiava tremendamente il suo corpo e Justin aveva ragione a farle notare tutti i suoi difetti.

Lei era brutta e bassa. Era una quattr’occhi con i denti storti, le cosce e la pancia enormi e il seno piccolo.

Singhiozzò quando altre lacrime rigarono il suo viso, confondendosi con il getto della doccia.

Si insaponò cercando di non guardare il suo corpo e provò un forte senso di ribrezzo
anche solo sfiorandolo.

Dopo essersi sciacquata, girò il regolatore dell’acqua fino a sentire il liquido scorrerle gelido sulla schiena.

Rabbrividì a quella bassa temperatura, ma strinse violentemente gli occhi, come per avere sollievo.

Il labbro cominciò a tremarle, ma lei non se ne importò.

La pelle delle dita iniziava a raggrinzirsi, ma fece finta di non accorgersene.

Non sentiva più la doccia sotto i suoi piedi, anzi, le sembrava di avere dei mattoni subito dopo le caviglie, ma chi se ne preoccupava?

La testa le scoppiava per quel freddo, non riusciva più a ragionare e non si rese nemmeno conto di essersi appoggiata alla manovella dell’acqua, per evitare di cadere, e di aver fermato il getto.

Uscì dalla doccia con lo sguardo basso, come se si vergognasse di aver terminato quella tortura. Le sembrava quasi di vedere l’espressione di disapprovazione sul volto di Justin.

Si strinse nel suo accappatoio blu e si asciugò velocemente, per poi vestirsi.

Uscì
dal bagno con i capelli bagnati, senza alcuna intenzione di asciugarli.

 

Tra i quattro ragazzi regnava il silenzio. Ognuno era impegnato a farsi gli affari suoi, seppure in compagnia.

Chris ripensò ai singhiozzi di Sophie che aveva sentito provenire dal bagno subito dopo esserne uscito. Non capiva il motivo del suo pianto, ma non lo avrebbe chiesto a Justin, che di sicuro sarebbe stato solo felice di sapere che sua sorella avesse pianto.

-Inizio ad avere fame- sussurrò Justin, con un ambiguo sorriso sul volto -Sarà divertente abbuffarsi mentre Sophie tenterà in tutti i modi di toccare meno cibo possibile- concluse sogghignando.

Chris rimase sconvolto, cercando di non darlo a vedere.

Come poteva un fratello provare tutto quell’odio verso la propria sorella? Era impensabile.

Certo, tutti i fratelli litigano fra loro, pensò Chris, ma Justin sembrava divertirsi veramente a maltrattare Sophie. Senza capire, che già altre persone lo facessero, considerando tutti i lividi che poteva scorgere sul viso della piccola Sophie.

 

 

 

 

 

 

EHI!

Ecco qui un altro capitolo, giusto per deprimere maggiormente questo pomeriggio di fine Agosto…

Vi chiedo perdono per il ritardo, ma stavo cercando di finire l’altra storia, “Do you remember our kiss?” per poi dedicarmi solo a questa.

Spero vi sia piaciuto il capitolo e mi dispiace se è un po’ corto, ma dovevo per forza interrompere qui, era inutile allungare il brodo con frasi senza senso.

Vi ringrazio come sempre tutte, ora vado a rispondere alle vostre recensioni,

un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quella mattina Sophie si svegliò di soprassalto. Afferrò svelta la sveglia e notò con dispiacere di essersi svegliata con trenta minuti di anticipo. Sospirò e appoggiò di nuovo la testa sul cuscino, provando a dormire ancora qualche minuto, ma rinunciò all'impresa quando aprì automaticamente gli occhi dopo averli chiusi. Ormai era sveglia. Si alzò dal morbido letto e si diresse all'armadio, con passo strascicato. Aprì lentamente le due ante e cominciò a fissare i suoi vestiti, cercando qualcosa di largo, comodo e fresco.

I suoi vestiti non le piacevano affatto. Le coprivano il corpo, certo, ma erano ugualmente... brutti.

Sospirò affranta e afferrò le prime cose che le capitarono fra le mani. Indossò l'enorme maglietta grigia e i pantaloni blu, prima di legarsi i capelli castani e indossare gli occhiali rotti.

Sfiorando le asticelle nere dei suoi occhiali da vista, Sophie non poté fare a meno di ricordare quell'orribile momento in cui Anne li aveva calpestati con la suola della sua scarpa, producendo un suono insopportabile. Ma Sophie, in quell'istante, aveva solo pensato a come fosse difficile la sua vita, senza dare troppa importanza a quel rumore. Aveva pensato a quei pomeriggi passati ad attorcigliare il nastro adesivo sui suoi occhiali, sperando che qualcuno potesse usare lo stesso identico amore per aggiustare il suo cuore ormai infranto. Probabilmente, però, lei avrebbe continuato a soffrire.

Sussultò a quel pensiero e prese un respiro profondo per calmarsi.

-No- sussurrò, afferrando l'orlo della maglietta e tirandolo più in basso possibile. -Le cose cambieranno- continuò, chiudendo gli occhi per cercare di pensare a qualcosa di positivo, mentre una lacrima solitaria rigava il suo viso.

Solo in quel momento, si ricordò che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di scuola. Spalancò gli occhi e si guardò freneticamente intorno, alla ricerca della sua cartella. Una
volta trovata, si affrettò ad aprirla e a tirarne fuori il suo diario scolastico. Sfogliò le pagine fino ad arrivare alla pagina di quel giorno, la pagina bianca di un venerdì, attraversata da due parole scritte a caratteri cubitali.

-Ultimo giorno- mormorò, lasciando che un lieve sorriso si facesse spazio sul suo viso.

Quel giorno avrebbe visto per l'ultima volta tutte le persone di quella scuola che le avevano reso la vita un inferno. Avrebbe avuto tre mesi di vacanza per lasciare che tutti i lividi violacei sulla sua pelle bianca diventassero solo un brutto ricordo.

Ma quei giorni le avrebbero veramente riportato la tranquillità? Sarebbe bastato questo per fare in modo che i vari pezzi del suo cuore si ricongiungessero da soli?

 

Pattie apri il frigorifero e afferrò il succo d'arancia che i suoi figli bevevano ogni mattina.

Quella notte non aveva chiuso occhio al pensiero di ciò che sarebbe successo.

Come avrebbe reagito Sophie? Non riusciva nemmeno a pensarlo. Di sicuro le si sarebbe spezzato il cuore vedendo le sue lacrime.

E Justin? La donna si morse il labbro inferiore cercando di capire come si sarebbe comportato suo figlio.

Afferrò due bicchieri di vetro, li riempì con il succo e cercò di sorridere, sentendo dei passi avvicinarsi alla cucina.

-Ciao mamma- salutò Justin, con la sua solita aria annoiata.

Pattie aggrottò la fronte -Dovresti essere felice oggi: è l'ultimo giorno di scuola- commentò, prima di porgere il bicchiere e una mela al ragazzo.

-Non lo sarò fino al suono dell'ultima campanella- replicò, sorseggiando il succo aspro.

La donna alzò scherzosamente gli occhi al cielo, mentre in quel momento Sophie entrò nella stanza.

-Buongiorno- sussurrò con l'ombra di un sorriso sulle labbra.

Pattie deglutì.

Ogni mattina Sophie si svegliava triste e sconfortata al pensiero di ciò che avrebbe dovuto passare durante la giornata, ma quel giorno no. Sorrideva. E questo fece sentire ancora più in colpa la madre.

-Ciao tesoro- balbettò, ricevendo un'occhiata incuriosita da parte dei figli.

Lei, però, uscì velocemente dalla cucina, per dirigersi nella sua stanza da letto.

Sophie alzò entrambe le sopracciglia, per poi sedersi di fronte al fratello.

-Ehi, palla di grasso!- esclamò lui con un ghigno.

La ragazza osservò attentamente gli occhi di Justin, senza battere ciglio.

Perché si divertiva così tanto ad offenderla?

Sophie assunse involontariamente un'espressione di disgusto nei confronti di suo fratello. Si alzò dalla sedia e afferrò la sua cartella.

Justin scoppiò a ridere -Così non c'è divertimento!- commentò ironico -Come mai non mi ricordi il tuo odio nei miei confronti?- domandò con le lacrime agli occhi per le risate.

-Spero tu possa soffrire per la mia mancanza, un giorno- mormorò lei.

Il ragazzo, sentendo quelle parole, interruppe bruscamente la sua risata, ma Sophie era già uscita da quella casa. Perse lo sguardo nel vuoto, mentre l'eco di quelle parole rimbombava nella sua mente. Scosse velocemente la testa e morse la sua mela.

 

Justin chiuse il suo armadietto, svegliando Chris dal suo sonnellino improvvisato in mezzo al corridoio.

-Sono sveglio!- esclamò automaticamente, prima di sbadigliare.

Ryan inarcò un sopracciglio, mentre Chaz roteò gli occhi.

-In realtà non mi interessa più di tanto se continui a dormire o meno- il solito commento acido di Justin non tardò ad arrivare, seguito da un suo ghigno.

-Ragazzi, sto cercando di organizzare il programma di questo pomeriggio, ma voi non mi state ascoltando- disse Ryan scocciato.

Chris si strofinò le mani sugli occhi, cercando di svegliarsi completamente, e rivolse la sua attenzione all'amico.

-Ryan, abbiamo il pomeriggio libero, possiamo fare quello che ci pare- concluse Justin, allontanandosi dal gruppetto.

Chaz lo osservò fino a quando entrò in una classe con la sua tipica aria arrogante.

-È capace di spegnere l'entusiasmo a chiunque- commentò Ryan, sconfortato.

-Già- concordò Chaz, afferrando un libro dal suo armadietto -Povera Sophie- continuò poi, guadagnandosi un'occhiata indecifrabile da parte di Chris.

Il ragazzo aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma in quel preciso istante suonò la campanella, seguita da lamenti di disapprovazione degli alunni.

 

-Allora, ragazzi, che programmi avete per quest'estate?- domandò la professoressa Stewart, osservando la sua classe.

Tra gli alunni si sparse un fastidioso brusio, mentre Sophie guardava un punto imprecisato della stanza. Alcune risposte arrivarono ovattate alle orecchie della ragazza: c'era chi desiderava passare tutta l'estate sulla spiaggia e chi sperava di innamorarsi in quei tre mesi, per poi dimenticarsi tutto a Settembre.

La professoressa risse di gusto, probabilmente ripensando a quanto i sogni di quei ragazzi fossero simili a quelli che lei stessa aveva avuto alla loro età.

-E tu, Sophie?- chiese poi, provocando un assordante silenzio.

La ragazza si riscosse finalmente dai suoi pensieri e guardò confusa la donna -Cosa?- fu la risposta che provocò molte risate.

La Stewart sorrise -Cosa vorresti fare quest'estate?- riformulò meglio la domanda.

Le labbra di Sophie si incurvarono lievemente. Era contenta di poter rispondere a quella domanda -Be', mi piacerebbe guadagnare un po' di soldi in questi tre mesi, così tra qualche anno potrei trasferirmi in Europa per gli studi. Pensavo di trovare lavoro in un bar o...- tentò di spiegare i suoi piani, ma tutti i suoi compagni iniziarono a ridere rumorosamente.

-Secondo me con quei soldi si comprerà un nuovo paio di occhiali, visto che sua madre non può permetterseli- disse David con cattiveria.

Sophie sussultò sentendo quelle parole e appoggiò le braccia e la testa sul banco, cercando di non piangere davanti a tutti.

Era così tanto importante che sua madre non avesse abbastanza soldi per comprarle un nuovo paio di occhiali? Davvero la simpatia di una persona dipendeva dalla quantità di soldi nel portafoglio?

 

Il dolce suono dell'ultima campanella arrivò con un minuto di ritardo, scatenando le urla di gioia di tutti gli studenti del Canada.

Probabilmente, Sophie era la ragazza più felice del mondo, in quel momento. Afferrò la sua cartella e con una corsa uscì dell'edificio, felice di non doverci più entrare da quel momento in poi. Si sentì finalmente libera e, con un gesto veloce, prese tutte le cartacce dalla sua cartella e le lanciò per aria, lasciando che il debole vento le facesse svolazzare nel cielo. Corse verso casa fino a sentirsi mancare il fiato e, a un paio di isolati di distanza dalla destinazione, si fermò per poi piegarsi sulle ginocchia e riposarsi qualche secondo. Poi si guardò velocemente intorno e... rise. Rise per la prima volta dopo troppo tempo e, sentendo lo sconosciuto suono della sua risata, rise con ancora più gusto. Ricominciò a correre verso casa e nel giro di pochi minuti si ritrovò di fronte al portone. Prese le chiavi e lo aprì.

-Sono a casa!- urlò allegra.

Attese qualche istante, senza ricevere risposta. Corrugò la fronte e andò in cucina per cercare sua madre, ma non la trovò.

-Mamma?- la chiamò, avviandosi verso la sua camera.

-Mamma?- ripeté, aprendo la porta.

Sussultò vedendola davanti al suo armadio con una valigia rossa accanto e dei vestiti sparsi per la stanza.

-Che stai facendo?- chiese, preoccupata.

Pattie distolse lo sguardo dai vestiti e lo rivolse alla figlia, mostrandole i segni del suo pianto.

-Non lo vedi?- domandò retorica -Ti preparo la valigia, Sophie- disse poi con un'espressione indecifrabile.

Sophie, in quel momento, sentì un vuoto nel petto, all'altezza del cuore.

Come mai sua madre stava infilando tutti i suoi vestiti in quell'enorme valigia? Alcune lacrime iniziarono a rigare il suo viso, mentre la sua precedente spensieratezza sparì completamente, senza lasciare alcuna traccia.

-Perché lo stai facendo? Non mi vuoi più?- chiese disperata, ma sua madre cercò di non guardare le sue lacrime e di non sentire tutto il dolore nella sua voce flebile.

Pattie le rivolse un'occhiata vuota, come se preparare quella valigia le avesse prosciugato ogni sentimento.

Quella freddezza fece rabbrividire la ragazza.

Sua madre la odiava? Non le voleva più bene, proprio come Justin? Perché tutti, prima o poi, finivano per odiarla?

A quei pensieri, Sophie sentì la rabbia invaderle le vene e si asciugò bruscamente le lacrime.

-Per quanto tempo?- chiese freddamente, senza bisogno di chiedere altre spiegazioni: ormai aveva capito.

-Fino a Settembre- rispose Pattie, infilando una maglietta verde nella valigia.

Sophie annuì -Bene- concluse, uscendo dalla stanza.

 

Justin rise, dando una pacca sulla spalla al suo amico Chris.

-Ci vediamo domani, ragazzi- salutò il suo gruppo di amici ed entrò nella sua casa.

-Ciao- salutò, senza rivolgersi a qualcuno in particolare. Appoggiò la cartella per terra e si guardò intorno. -Ehi cicciona, dove sei?- domandò con un ghigno, senza ricevere risposta come ogni volta. A preoccuparlo, però, fu la mancanza di un rimprovero da parte della madre.

Corrugò la fronte e si diresse in cucina, aspettandosi di trovare Sophie intenta a mangiare qualcosa e sua madre di fronte ai fornelli. Ma non fu così. Sua madre era seduta davanti al tavolo, con la testa fra le mani e le lacrime agli occhi. Nessuna traccia di Sophie.

-Mamma, che succede? Dov'è Sophie?- chiese agitato, vedendola in quello stato.

Pattie alzò il viso e guardò il figlio negli occhi -Sul primo aereo per Londra, e io non ho fatto nulla per impedirlo- rispose singhiozzando.

 

 

 

 

 

 

ODDIO, SONO PASSATI DUE MESI O_o

Sono una vera stronza e vi chiedo scusa, ma la scuola non mi lascia un minuto libero ed è fin troppo strano che io sia riuscita a finire il capitolo che sto scrivendo da Settembre. Infatti vi chiedo scusa se alcuni punti sono scritti con una stile diverso dall’altro, ma ho scritto alcune parti del capitolo a fine Agosto, altre a Settembre e altre ieri. Vi chiedo scusa anche per dei possibili errori, ma per scrivere uso il tablet e c’è il t9…

Avete tutta la mia comprensione se non volete più leggere la mia storia, davvero, e ringrazio tutte le ragazze che mi hanno inviato dei messaggi per chiedermi che fine avessi fatto hahaha :’)

Passando al capitolo, finalmente Sophie non dovrà più avere a che fare con quegli stronzi, maaa… i problemi non sono ancora finiti e viene spedita a Londra dal padre (per chi non l’avesse capito).

Vi ringrazio tutte come sempre, grazie per la pazienza e per tutto il resto, grazie.

Un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


-Dopo queste stressanti ore di viaggio, se fossi in te spererei che la nuova casa possa piacermi- sbuffò la ragazza uscendo dall'aeroporto. Si guardò intorno prima di storcere il naso.

Diana finse di non sentire le lamentele della figlia e trascinò la valigia fino a un taxi libero.

-Sei veramente stressante, Andrea- commentò Lucas, arrotolando le maniche della maglietta blu più su.

-Credi che mi interessi?- domandò retorica la ragazza, ricevendo un'occhiataccia dal fratello maggiore.

-Smettetela! Quando saremo arrivati nella nuova casa potrete anche attaccarvi le gomme da masticare sui capelli a vicenda, ma ora state zitti, per l'amor del cielo!- disse Diana esasperata.

Andrea la guardò con lo stupore dipinto sul viso. La madre inarcò un sopracciglio in attesa che dicesse qualcosa.

-Gomme da masticare- ripeté la figlia -Ma è fantastico! Non ci avevo mai pensato- continuò poco dopo, fissando i capelli scuri del fratello.

-Non ci pensare nemmeno, nanetta- la voce di Lucas arrivò minacciosa alle orecchie di Andrea, ma lei sapeva che in realtà non l'avrebbe mai nemmeno sfiorata.

Diana alzò gli occhi al cielo, per poi infilare la valigia nel bagagliaio, aprire la portiera e dire la destinazione, facendo annuire l'uomo che durante tutta la discussione era rimasto ad ascoltare con il sorriso sulle labbra.

Andrea salì sull'auto, seguita dal fratello, prima di afferrare il cellulare e fissare il display.

Da alcuni giorni non sentiva Sophie ed era abbastanza preoccupata. Era sicura che l'ultimo giorno di scuola le avrebbe finalmente mandato un messaggio in cui dicesse di essere felice, invece proprio da quel giorno non riceveva più notizie dalla ragazza. Sospirò, sperando che finalmente il display si illuminasse, ma il tempo continuò a scorrere, i secondi e i minuti passarono e la macchina giunse di fronte ad una villetta abbastanza graziosa, circondata da un giardinetto verde e divisa da un'altra fila di ville da una strada seminata di sassolini e vetri rotti.

Scese dalla macchina e si guardo intorno, provando a memorizzare più dettagli possibili. C'erano molti alberi ricoperti di foglie verdi luccicanti, il recinto della villetta era bianco come lo immaginava e la cassetta della posta rossa. Certamente quel quartiere era molto più bello del palazzo in cui era abituata a vivere a San Francisco, era molto più simile a quello che tutto il mondo vede nei telefilm americani e... le piaceva, ma era tutto troppo tranquillo per i suoi gusti. Era affezionata al traffico della città, ai ritardi la mattina e a tutto il resto.

Si avvicinò al cancelletto e lo apri con la chiave che sua madre le aveva dato pochi minuti prima in macchina. Lo spalancò lentamente producendo un fastidioso cigolio e percorse il suo breve sentiero di ghiaia, su cui altri piedi stavano camminando, ma non ebbe bisogno di girarsi per capire di chi fossero. Aprì anche il portone della casa ed entrò, per poi essere invasa dalla tristezza. Quella casa era bella, sì, ma vuota e gelida, come se fosse stata disabitata per decenni.

-Ti piace?- chiese Lucas, appoggiandole le mani sulle spalle.

Andrea non rispose, perché in fondo sapeva che era solo una di quelle domande che si pone per interrompere il silenzio, una delle domande a cui non rispondi perché in verità non c'è niente da dire.

Si girò verso il fratello e lo abbracciò, stringendo il suo corpo con tutto l'affetto possibile.

-Supereremo anche questo, Andrea, te lo prometto- sussurrò Lucas nell'orecchio della sorella.

La ragazza si asciugò una lacrima -Sono stanca di tutte queste promesse che non vengono mai mantenute- rispose, prima di affondare il viso nell'incavo del suo collo.

Lucas sospirò, stringendo maggiormente la sorella.

-Ora sorridi, ti prego. Fallo per la mamma- mormorò, asciugandole le guance arrossate e umide. La ragazza annuì e sciolse l'abbraccio proprio quando la madre entrò nella casa.

-Allora? Che ne pensate?- chiese speranzosa.

Andrea forzò un sorriso -Bellissima- rispose semplicemente, prima di sparire velocemente dalla visuale di sua madre, intrufolandosi in una stanza a caso.

Entrò e si sedette con la schiena appoggiata al muro, senza nemmeno stare ad analizzare la stanza vuota e dalle pareti grigie. Le lacrime ricominciarono a scorrere sul suo viso, ma non tentò di fermarle. Aveva un incredibile bisogno di sfogarsi con qualcuno, di sciogliere quel nodo che le stringeva lo stomaco togliendole il fiato, ma non l'avrebbe mai fatto con suo fratello. Era dolce e comprensivo, ma non sopportava di vederla piangere. Sapeva di renderlo triste con le sue lacrime e non voleva assolutamente farlo.

Afferrò il cellulare e compose il numero che ormai aveva imparato a memoria. Attese, singhiozzando, ma dopo vari squilli scattò la segreteria telefonica -Il numero da lei
chiamato non è al momento raggiungibile, lasci un messaggio dopo il segnale acustico- Andrea sospirò a quelle parole. Si asciugò una lacrima vicino alle labbra e prese un respiro profondo -Sophie, sono Andrea. È da alcuni giorni che non ci sentiamo e sono preoccupata, ma...- un singhiozzo scosse il suo petto -ho anche bisogno di te, di parlarti.- deglutì -In questo momento sono in un paesino sperduto del Canada e...- il segnale acustico interruppe le sue parole. -Oh, fanculo- borbottò, per poi sdraiarsi sul pavimento e avvicinare le gambe al suo petto.

Chiuse gli occhi e sospirò.

Avrebbe superato anche quello prima o poi, era ovvio, ma sperava che quel momento arrivasse molto presto.

Si alzò dal pavimento per avvicinarsi alla finestra della stanza, che si affacciava sulla stradina dove il taxi li aveva lasciati. Osservò la cassetta della posta dall'alto, per poi rivolgere lo sguardo dritto davanti a sé. C'era una graziosa villetta, simile alla sua.

Aprì la finestra, lasciando che una leggera brezza le scompigliasse i capelli e osservò meglio.

Da una finestra di quella casa riuscì a vedere due persone nella stanza di fronte alla sua, ma subito dopo le tapparelle furono abbassate, impedendole di scrutare ulteriormente.

Guardò altrove, soffermando lo sguardo sul cielo azzurro e limpido.

Be', non era poi così male il Canada, ma come sarebbe stato passarci i prossimi anni?

Finì l'acqua con un ultimo sorso, per poi appoggiare il bicchiere nel lavandino.

La cucina era l'unica stanza della casa, insieme al salotto, che avesse un minimo di arredo: lavandino, fornelli, credenza, un tavolo e quattro sedie. Quel pomeriggio, invece, sarebbe arrivato il camion da San Francisco, con tutti i mobili della vecchia casa.

Si sedette, appoggiò le braccia sul legno del tavolo e sospirò rumorosamente.

Diana smise di mescolare il sugo nella pentola, che aveva trovato in uno sportello della credenza, e rivolse lo sguardo al figlio.

-Che succede, Lucas?- chiese, apprensiva.

-Sono preoccupato per Andrea- confessò -ho paura che non riesca ad ambientarsi qui in Canada e non potrei sopportare una sua possibile sofferenza- concluse, appoggiando la testa sulle mani.

La madre sorrise lievemente alle parole del figlio: era felice che fossero così uniti e che si volessero bene.

-Qui potete avere tutto ciò che vi serve, tesoro. Sono sicura che cambiare aria vi farà bene- disse rassicurante.

Sapeva bene che in realtà il trasloco in Canada era anche un modo per lei di ricominciare la sua vita dopo la separazione dall'ex marito, ma evitò di iniziare quell’argomento.

-E poi Andrea è una ragazza forte, nonostante abbia solo tredici anni- sussurrò, facendo sorridere Lucas.

-Già- concordò lui.

Diana, contenta di essere riuscita a tranquillizzare il figlio, tornò a preparare il sugo per la pasta che avrebbero mangiato a pranzo.

Lucas prese il suo cellulare dalla tasca dei bermuda grigi e sbloccò il display, pronto a rispondere ai messaggi dei suoi amici di San Francisco.

Sentiva già la loro mancanza, nonostante li avesse sentiti prima di salire sull'aereo, ma comunque sapeva che avrebbe fatto presto nuove amicizie anche nella nuova città. Infatti, non aveva mai avuto difficoltà a socializzare con i suoi coetanei, a differenza di Andrea.

A quel pensiero strinse la mano in un pugno. Non poteva sopportare che la sua sorellina avesse avuto solo amicizie false in tutti quegli anni. Da un certo punto di vista, era felice che si fossero trasferiti: almeno Andrea avrebbe avuto la possibilità di conoscere nuove persone.

-Sono sicura che anche tu ti ambienterai presto- commentò Diana con un tono malizioso, distogliendo Lucas dai suoi pensieri.

Lui inarcò un sopracciglio alla voce della madre -Come mai?- chiese, senza riuscire a capire cosa intendesse davvero la donna con le sue parole.

-Sai, si dice che in Canada ci siano bellissime ragazze- disse vagamente, facendo arrossire il figlio.

Lucas non aveva mai avuto una ragazza, escludendo la fidanzatina delle elementari, ma non perché lui non piacesse all'altro sesso. Anzi, era un bel ragazzo dal carattere dolce ed era corteggiato da molte ragazze a San Francisco.

-Hai compiuto da alcuni mesi sedici anni, ma ancora non mi hai mai presentato una ragazza- commentò Diana, girandosi verso il figlio e tendendo le labbra in un lieve sorriso.

Lucas ricambiò incerto, ma anche un po' impaurito.

Non aveva ancora detto niente alla sua famiglia e di certo non aveva ancora intenzione di farlo. Non sapeva come avrebbero reagito a una notizia del genere.

-Non ti fidi di tua madre?- chiese pochi minuti dopo la donna, con un tono sconsolato.

Il ragazzo alzò entrambe le sopracciglia, dispiaciuto dal fatto che sua mamma potesse pensare una cosa simile. -Oh no, mamma, assolutamente no!- esclamò velocemente -È solo che...- disse, prima di interrompersi. Non era ancora pronto.

-Che...?- lo incoraggiò a continuare.

Le mani iniziarono a sudargli e la maglietta blu iniziava a procurargli una fastidiosa sensazione di soffocamento. Che cosa avrebbe detto? Non ne aveva idea.

Dei passi veloci giunsero da fuori la porta della cucina e, pochi secondi dopo, spuntò la faccia di Andrea.

-Che buon profumo...- commentò, annusando la stanza -Che stai preparando?- chiese alla madre, che sorrise nel vederla così serena.

Forse non era proprio gioiosa di essersi trasferita dalla città in cui aveva passato l'infanzia, ma era già fantastico che non stesse piangendo.

Il ragazzo sospirò di sollievo e socchiuse gli occhi, per poi appoggiare una mano sul suo petto. Il cuore batteva all'impazzata e temeva che persino sua madre e sua sorella potessero sentirlo.

-Ti devo un favore, Andrea- sussurrò con voce tremante.

La ragazza si girò di scatto verso di lui con sguardo interrogativo, ma Lucas sorrise e scosse la testa.

Si alzò dalla sedia e si avvicinò a madre e figlia, intente a cucinare il pranzo.

-È pronto?- chiese, affamato.

-Non ancora- ridacchiò Andrea quando lo stomaco del fratello si fece sentire.

-Comunque- iniziò, attirando l'attenzione della sua famiglia -qui non è poi così male- commentò, facendo sorridere la madre.

-Come hai detto che si chiama questo paesino?- chiese poi, rendendosi conto di non ricordare il nome.

Diana assaggiò il sugo e sorrise soddisfatta del sapore, per poi rispondere -Stratford- concluse.

Sono completamente pessima, e lo so bene, davvero.

È stato un periodo terribile, lo è ancora, ma ho visto tutte le vostre recensioni, i messaggi… come avrei potuto far finta di niente? Era impensabile, sul serio.

Passando ad altro, spero stiate passando delle belle feste, io no, ma sono solo dettagli :c

Finalmente abbiamo un capitolo dal punto di vista di Andrea e Lucas, spero davvero che vi piaccia.

Allora, ci sarebbero tante cose da dire, ma preferisco che siate voi a commentare, sempre se riusciate a perdonare il mio pazzesco ritardo. Sappiate comunque che nel prossimo capitolo si passa di nuovo da Sophie, Justin e Pattie.

Okay, ho detto abbastanza, adesso rispondo alle recensioni che mi avete lasciato e che mi hanno fatto parecchio piacere, vi voglio davvero bene e siete fantastiche con la vostra preoccupazione per Sophie, per che fine avessi fatto hahahah e per la storia :’)

Grazie a tutte,

un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Justin afferrò la manovella, per poi tirare giù la tapparella di quella finestra dove giorni prima Sophie si era addormentata e lui aveva provato un briciolo di tenerezza per quella ragazza che da molti anni maltrattava.

Da quando non avevano fatto niente per impedire che partisse per Londra, iniziava a sentirsi in colpa per tutto. Perché solo in quel momento si rendeva conto di tutti i suoi stupidi errori?

Chiuse la finestra, rimanendo di fronte ad essa con lo sguardo perso nel vuoto.

Di sicuro Sophie lo stava odiando in quel momento, e come darle torto?

-Allora non possiamo proprio fare nulla?- chiese per l'ennesima volta alla madre, che sospirò in risposta, per poi asciugarsi le lacrime che da quel giorno continuavano a percorrere il suo viso.

-No, Justin. Perderei completamente l'affidamento- rispose rattristata. Il ragazzo strinse i pugni per poi uscire dalla camera della sorella e rinchiudersi nella sua sbattendo la porta.

Quel giorno di cui parlava Sophie era arrivato: stava soffrendo per la sua mancanza.

Grugnì, per poi sferrare un pugno contro il muro. Sospirò affranto e si sdraiò sul suo letto con una palla da basket in mano e i piedi contro il muro. Iniziò a palleggiare contro la parete e, a ogni rimbalzo, sentiva i singhiozzi della piccola Sophie. In quel momento era arrabbiato con se stesso, ma anche confuso. Poteva davvero soffrire per la causa della separazione dei suoi genitori? Bloccò la palla e chiuse gli occhi, cercando di capire quale sentimento fosse dominante. Li riaprì di scatto per poi ricominciare a lanciare il pallone arancione con rabbia.

 

Immerse il cucchiaio nel brodo, per poi portarlo lentamente alle labbra screpolate.

-Ci metti ancora tanto a finire quella dannata minestra?- chiese la donna, scocciata. Fissò le sue unghie perfettamente curate e laccate di rosso, attendendo una risposta.

Per vari minuti continuò a regnare un silenzio assordante, interrotto solamente dal suono del metallo del cucchiaio a contatto con il vetro del piatto.

Sbuffò -Inutile ragazzina- sputò quelle parole con odio e si alzò dalla sedia per poi allontanarsi velocemente dalla cucina e raggiungere il figlio di nove anni e il padre della ragazza sul balcone dell'appartamento.

-Troia- disse lei, sicura che ormai la donna non potesse più sentirla.

Subito dopo, Sophie si alzò di scatto e buttò tutta la minestra nel lavandino, così come ogni sera da quando era arrivata lì a Londra dal padre, da quella sgualdrina di Jennifer e il suo fastidioso e capriccioso figlio.

Erano passati vari giorni e nessuno era venuto a prenderla, ma lei nemmeno lo voleva, considerando che sua madre l'aveva praticamente cacciata di casa e suo fratello la odiava, ma proprio non riusciva a stare in quella casa con Jeremy, Jennifer e Gabe.

Si diresse verso quella che era diventata la sua camera e sbatté violentemente la porta, come se quel gesto potesse aiutarla a sentirsi meglio. Lei, però, scoppiò a piangere e si sedette sul pavimento freddo, infrangendo nuovamente la promessa.

Era incredibile come, nonostante tutto, lei sentisse un vuoto allo stomaco a ogni lacrima versata, pensando di aver fatto un torto a Justin. Magari non al sedicenne arrogante e cattivo che la ricopriva d’insulti, ma a quel bambino di cinque anni. Quel bambino con i capelli biondi che l'aveva tenuta stretta fra le sue braccia quella notte di quasi undici anni prima. Di quel bambino non era rimasto altro che il ricordo impresso nella mente di Sophie e ormai non c'era nulla per cui valesse la pena di continuare a vivere, niente.

Aveva sperato di passare una magnifica estate, e invece si ritrovava nella città dei suoi sogni a vivere un incubo.

Per la seconda volta nella sua vita, aveva paura del futuro.

Che cosa avrebbe fatto dopo quegli infernali tre mesi? Come avrebbe potuto ritornare in quella casa e vivere con sua madre e Justin come se niente fosse successo? Ma il problema non era solo quello. Il problema era tutta la sua vita, perché avrebbe iniziato il liceo e sapeva che le offese e i pestaggi da parte dei suoi compagni non sarebbero finiti. Quel ciclo evidentemente non era destinato a concludersi.

Si alzò lentamente dalle piastrelle e si diresse verso la finestra. Scostò le tende chiare e soffermò lo sguardo sul cielo scuro di Londra.

Quello che le faceva più male, era che sua madre non avesse fatto niente per evitare che lei partisse per andare dal padre. Sophie, infatti, ormai aveva capito che era successo tutto a causa della Parker, ma perché nessuno si era opposto alla sua decisione?

Non avrebbe mai perdonato Pattie per questo.

Una lacrima percorse il suo viso al pensiero che anche l'unica persona che sembrava tenere a lei, l'aveva delusa. L'asciugò in fretta per poi afferrare il cellulare che non considerava dall'ultimo giorno di scuola. Sospirò e lo accese, dopo averlo attaccato al caricatore. In pochi istanti il display s’illuminò e Sophie digitò il codice, così da sbloccare il cellulare, che subito iniziò a vibrare come se fosse impazzito.

La maggior parte dei messaggi e delle chiamate era da parte di sua mamma e, senza pensarci due volte, li cancellò. Anche Andrea l'aveva cercata, ma non voleva richiamarla. Le avrebbe solo rovinato la giornata con i suoi problemi e non era assolutamente il caso.

Così spense nuovamente il cellulare, per poi lanciarlo sul letto, decisa a non usarlo più in quei tre lunghi mesi. Voleva stare sola il più possibile, senza contatti con altre persone, nemmeno con Andrea. Magari le sarebbe stato d'aiuto isolarsi e, in fondo, non le costava niente provarci.

 

Pattie bussò varie volte alla porta del figlio, senza ricevere alcuna risposta.

-Justin, per favore, non puoi stare tutto il tempo chiuso in camera tua- disse la donna, disperata.

Il ragazzo afferrò le cuffiette e iniziò ad ascoltare la musica, per isolarsi dal resto del mondo. Non aveva alcuna intenzione di alzarsi da quel letto, per il momento. Voleva continuare a palleggiare e a pensare.

La madre sospirò, pensando a un modo per entrare nella camera e subito si ricordò del doppione della chiave che teneva riposto in un cassetto del suo comodino.

Pattie entrò in fretta nella sua camera per prendere la chiave, ma il suo sguardo cadde su una foto racchiusa in una cornice dorata.

Una lacrima percorse il suo viso alla vista di quella bambina, distesa su un prato verde, con il sorriso sulle labbra.

Sophie era davvero piccola in quella foto ed erano anni che non la vedeva sorridere in quella maniera. Aveva un luccichio nei suoi occhi dalle sfumature verdi che avrebbe fatto invidia alla stella più luminosa del cielo.

Le mancava troppo e si sentiva maledettamente in colpa per non aver evitato che partisse per Londra, ma che cosa avrebbe potuto fare? Niente. Avrebbe solo rischiato di perdere la sua metà dell'affidamento dei ragazzi e non era assolutamente il caso.

In fondo i tre mesi sarebbero passati in fretta e Sophie non avrebbe provato troppo rancore, giusto?

Scosse la testa per scacciare quei pensieri e, dopo aver afferrato la chiave, tornò davanti alla camera di Justin. Girò la chiave nella serratura, aprendo la porta.

Suo figlio si girò verso di lei e si tolse le cuffie, scocciato.

-Cosa c'è?- chiese, visibilmente infastidito dal fatto che la madre fosse riuscita ad aprire la porta.

Pattie lo afferrò per il braccio per farlo alzare dal letto e il ragazzo non oppose troppa resistenza.

-Adesso ti vesti decentemente- iniziò, riservando un'occhiataccia alla vecchia tuta indossata da Justin -anzi, prima ti fai una doccia- si corresse storcendo il naso -e ti prepari psicologicamente perché dopo pranzo mi accompagni a dare il benvenuto ai nuovi vicini, chiaro?- concluse autoritaria.

Justin sbuffò, non avendo alcuna intenzione di uscire di casa per i vicini, ma qualcosa negli occhi di sua madre lo convinse. Erano occhi stanchi e umidi, ormai spenti dalla tristezza. Non voleva darle altre preoccupazioni, di sicuro non le avrebbe sopportate.

Annuì lievemente e Pattie uscì dalla camera dopo avergli rivolto un lieve sorriso di ringraziamento.

Justin sospirò, prese biancheria e vestiti puliti ed entrò in bagno. Si avvicinò al lavandino e guardò il suo riflesso allo specchio. Anche lavandosi e preparandosi non sarebbe mai stato abbastanza presentabile. Delle profonde occhiaie segnavano i suoi occhi nocciola e il suo sguardo era spento come quello della madre.

Scosse la testa ed entrò nel box doccia dopo essersi tolto i vestiti. Il getto fresco dell'acqua gli trasmise una sensazione di sollievo, ma bastò uscire dalla doccia per avere di nuovo quella confusione in testa.

Forse stare con i suoi amici gli sarebbe stato d'aiuto, in fondo aveva bisogno della simpatia di Chris, della responsabilità di Chaz e delle battute di Ryan, ma non avrebbe mai permesso che qualcuno potesse vederlo in quello stato pietoso, nemmeno i suoi migliori amici.

Indossò in fretta i vestiti puliti e si asciugò in pochi istanti i capelli, sistemando il ciuffo lievemente all'insù. Non erano poi così male in quel modo.

Uscì dal bagno dopo aver sistemato tutto e raggiunse sua madre in cucina.

La donna dagli occhi celesti sorrise al figlio -Stai bene così- sussurrò con dolcezza.

Justin sfiorò lievemente il ciuffo biondo e si avvicinò alla donna, per poi stringerla in un abbraccio.

Il silenzio regnava intorno ai loro corpi, ma non avevano bisogno di parole per capire le proprie emozioni. Sophie aveva lasciato un vuoto e loro avrebbero dovuto sostenersi a vicenda.

 

Dopo pranzo, Justin e Pattie uscirono dalla loro villa, attraversarono la strada e si ritrovarono davanti al cancelletto aperto dei nuovi vicini. Justin alzò lievemente le spalle e attraversò il breve spazio fra il cancello e il portone, seguito dalla madre, che suonò il campanello.

Attesero alcuni secondi prima che una donna non molto alta aprisse la porta, mostrando degli occhi color cioccolato e un'aria incuriosita.

-Benvenuta a Stratford, signora... Wilcox, giusto?- la voce di Pattie giunse cordiale alle orecchie di Justin, che si limitò a sorridere.

-Oh, non sono più la signora Wilcox da due anni ormai- rispose lei ridacchiando e il biondo capì che sua madre e la nuova vicina di casa sarebbero andate presto d'accordo.

-Sono Pattie- si presentò, allungando la mano verso la donna dopo che li aveva invitati a entrare.

-Diana Brooks- rispose lei, stringendole la mano.

-Lui invece è mio figlio Justin, che adesso fa il timido- le parole di Pattie provocarono la risata di Diana, mentre il ragazzo fece una smorfia di disapprovazione.

-Mamma...- mormorò con un lieve tono di rimprovero.

Il sedicenne, successivamente, si guardò intorno e notò che ancora la casa non era stata arredata.

-Justin, di sicuro ti stai annoiando. Nel salone ci sono i miei figli, magari puoi stare con loro per ora- propose la padrona di casa e il biondo annuì, nonostante non avesse molta voglia di fare amicizia. -Lo trovi facilmente perché è l'unica stanza, insieme alla cucina, in cui ci fosse un minimo di arredamento- commentò, mentre Justin cercò di orientarsi nella casa fino a trovare il salone.

Un ragazzo era davanti ad una televisione abbastanza vecchia a schiacciare alcuni tasti a caso, mentre una ragazza era sul divano con le gambe appoggiate sullo schienale, così da trovarsi a testa in giù.

Justin inarcò le sopracciglia, estremamente divertito.

-Sì sì, lascia su questo canale- esclamò lei con un tono di voce strano, probabilmente dovuto alla sua posizione.

-Ma non ci penso minimamente- replicò il fratello, non intenzionato a guardarsi un cartone animato.

Justin scoppiò a ridere, attirando l'attenzione dei due.

-E tu chi cazzo sei?- chiese la ragazza, ricevendo un'occhiataccia da parte del fratello.

-Sono il vostro vicino di casa, ho accompagnato mia madre a darvi il benvenuto qui a Stratford- rispose lui, fra una risata e l'altra.

-Oh, io sono Lucas- si presentò il ragazzo, con un sorriso.

-Io Justin- rispose il biondo, per poi rivolgere l'attenzione alla sorella di Lucas, che si sedette decentemente sul divano, per poi abbassare lo sguardo, in imbarazzo -E tu?- chiese con un sorrisetto.

-Andrea- rispose lei, fissando i suoi occhi in quelli di Justin.

Il ragazzo dischiuse lievemente le labbra sentendo la voce della ragazza e osservando i suoi capelli rasati da una parte e lunghi fino al collo dall'altra.

 

 

 

 

 

 

Tadaaaaaaaan!

Non ve lo sareste aspettate che avrei aggiornato dopo “solo” cinque giorni, vero? Eh, invece ce l’ho fatta, anche se non potrò più essere così puntuale dal prossimo dato che la scuola ricomincia tomorrow *si salvi chi può*

Passando al capitolo, che spero vi piaccia, che sta succedendo al nostro Justin? :O Si sente in colpa, anche se è ancora convinto che Sophie sia la causa di tutto… e, sorpresa sorpresa (per modo di dire) incontra Andrea e Lucas, i suoi nuovi vicini di casa…

Sinceramente amo il rapporto che ho creato fra Sophie e Jennifer, spero che anche voi lo apprezziate, e soprattutto quello fra Lucas e Andrea, che sono una coppia così diversa da Justin e Sophie!

Ringrazio come sempre tutte quelle che, nonostante i miei ritardi e i vari sfoghi, continuano a sostenermi e a farmi complimenti che apprezzo molto, davvero.

Prima che mi dimentichi, vorrei dirvi che ho in corso anche un’altra fan fiction sul mio amore, la mia Alison Swift *-* se vi va di passare a darle un’occhiata, questo è il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1959316&i=1

Un abbraccio coccoloso,

Morena

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Capitolo 11
*** Avviso. ***


Prima di tutto scusatemi per tutto quanto. So che mi state odiando: non aggiorno da mesi e questo è solo uno stupido avviso probabilmente anche proibito dal regolamento, sinceramente non so se lo sia, ma ho bisogno di spiegarmi, vi DEVO delle spiegazioni. Mi sono sentita così... vuota quando ho scritto nelle informazioni che questa storia è sospesa, ma non avrei potuto fare altrimenti. Questa storia, la mia "Promises." è nata per rendere omaggio a quella che era un'amicizia a cui tenevo immensamente, ma così come quest'amicizia è nata, così è finita, in un attimo. Non me la sento di continuare questa storia per questo e per altri motivi: la scuola che mi toglie interi pomeriggi, il vuoto che sento dentro che non mi permette di scrivere ciò che avevo progettato in estate quando ho iniziato la storia e tutti i miei motivi personali che non sto nemmeno a raccontarvi perché vi deprimerei e basta. Vi chiedo scusa per tutto quanto, perché ho deluso di sicuro molte persone e anche me stessa, ma davvero non ce la faccio, soprattutto per tutti i ricordi legati a questa fan fiction che non mi permettono di dimenticare. Vi dico anche GRAZIE, perché siete state fantastiche con me e non riuscirò mai a sdebitarmi con voi. L'abbraccio più coccoloso che ci sia, Morena. P.s. perdonatemi per l'assenza di html, ma vi sto scrivendo dal telefono.

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