Promises. di dadless (/viewuser.php?uid=348453)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Avviso. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Le
urla arrivarono alle orecchie dei due bambini come coltellate allo
stomaco.
La
piccola Sophie appoggiò le sue delicate manine sul viso per
asciugare le
lacrime salate e calde, mentre suo fratello Justin si limitò
a girarsi verso il
muro, come se ciò bastasse. Non avrebbe pianto, questo era
poco ma sicuro.
-Esci
da questa casa, brutto bastardo!- ordinò Pattie a quello che
sarebbe diventato
il suo ex marito.
Aspettava
solo che uscisse finalmente da casa per andare dall'avvocato e iniziare
le
pratiche del divorzio. Era solo un momento di rabbia, e di sicuro
avrebbero
presto fatto pace, come sempre. E poi a quell'ora Pattie non avrebbe di
certo
trovato lo studio del suo avvocato aperto, essendo notte fonda.
Almeno
questo era ciò che pensavano Justin e Sophie, ormai abituati
ai litigi dei
genitori.
Ma
quella notte era diverso.
La
loro mamma era veramente troppo arrabbiata e non voleva vedere un
secondo di
più quel lurido traditore.
-No-
rispose semplicemente Jeremy, come se tutte quelle urla non lo avessero
sconvolto minimamente. E probabilmente era proprio così.
-Ho
detto che devi uscire immediatamente da questa casa- disse nuovamente
la donna,
cercando di abbassare il tono di voce.
Ma
era troppo tardi. Justin e Sophie avevano già sentito ogni
cosa.
Erano
troppo piccoli per sopportare la separazione dei genitori. Justin aveva
solo
cinque anni e la piccola Sophie appena tre. La bambina dai capelli
biondi cercò
di coprirsi maggiormente con le lenzuola, che, per lei, erano come uno
scudo
contro il mondo.
-Ah,
sì? E perché?- chiese Jeremy sfoggiando uno di
quei sorrisi che normalmente
avrebbero fatto tingere di un rosso accesso le guance di Pattie, ma
quel
momento non era normale. La giovane donna si rese conto di quanto fosse
odioso
quel sorriso così pieno di strafottenza. L'amore l'aveva
accecata per molto
tempo. Ma quei messaggi le avevano in qualche modo aperto gli occhi,
frantumando in un secondo quella patina che le aveva oscurato la vista
per
cinque anni.
Riusciva
a provare solo odio, in quel momento.
Pattie
si morse il labbro per evitare di gridare ancora.
Poi,
prese un profondo respiro.
-La
casa è il posto per una famiglia, e tu non fai
più parte della nostra, quindi
sei pregato di andartene- rispose, provando a trattenere la rabbia.
Era
una donna molto diplomatica, ma era troppo chiederle di fingere
indifferenza
davanti a quella situazione. Si sentiva distrutta e vuota.
-Come
sei drammatica, Pattie. Fai così solo per un innocuo
messaggio?- il livello di
sarcasmo era altissimo nelle sue parole. Ciò fece crescere
il disgusto da parte
di Pattie verso quell'uomo.
-Un
innocuo messaggio?!- strillò incredula.
Jeremy
alzò un sopracciglio, abbastanza annoiato, mentre Sophie,
nella cameretta con
Justin, premette le mani sulle orecchie per attenuare le grida.
Il
biondino sbuffò.
Era
stanco di tutto ciò che stava succedendo, forse
più degli altri.
La
donna afferrò il cellulare dal comodino vicino al letto,
cercando di non
guardare suo marito sdraiato tranquillamente, come se non fosse
successo
niente. Aprì la schermata dei messaggi, per poi iniziare a
leggerne alcuni
sprazzi qua e là.
-"Jennifer,
ti amo tanto" "Per me esisti solo tu, Jen" "Sei bella e
calda come il sole, Jenny, e mi illumini la vita" "Ti prometto che la
lascerò presto, Jennifer, e potremo vivere il nostro amore
senza
nasconderci"- citò Pattie, con una smorfia di disgusto
dipinta sul giovane
volto, segnato dalla stanchezza.
Justin,
nella stanza accanto, sembrò rendersi finalmente conto della
questione
e sgranò gli occhi, incredulo.
Come
poteva suo padre amare un'altra donna? La sua mamma era così
bella e dolce,
perché non voleva stare con lei?
Prese
un profondo respiro, che aveva trattenuto a lungo.
-Mi
avevi detto di odiare le cose sdolcinate- commentò Pattie
con un'espressione indecifrabile.
Jeremy
alzò semplicemente le spalle, mostrando nuovamente la sua
indifferenza.
-Bene.
Fai una bella cosa: smettila di nasconderti come un topo nella tana e
mostra il
tuo amore al mondo, su- Pattie lo incitò ad alzarsi,
afferrando il suo braccio
e strattonandolo.
Jeremy
strinse le labbra in una linea sottile e si avvicinò
all'armadio, trovandolo praticamente
vuoto. C'erano solo i pochi vestiti di Pattie, piegati accuratamente.
-Dov'è
la mia roba?- chiese voltandosi verso la madre dei suoi figli.
-Dentro
una valigia, fuori dalla porta- rispose, imitando il sorriso che pochi
minuti
prima aveva sfoggiato lui.
Jeremy
fece una smorfia, rendendosi finalmente conto di quanto risultasse
fastidioso
agli occhi degli altri quella curvatura delle labbra, più
simile ad una smorfia
o a un ghigno, che a un sorriso.
Annuì
e sporse la mano verso il salvadanaio appoggiato sul maglione preferito
di
Pattie. Ma lei appoggiò la mano sulla sua, per fermarlo e
attirare la sua attenzione.
-No,
caro. Il taxi te lo pagherà la tua Jennifer, quando
arriverai a casa sua, e non
voglio assolutamente che quella puttana metta le mani sui soldi che io
mi sono
guadagnata lavorando- sputò quelle parole come se fossero
veleno.
Adesso
la determinazione brillava nei suoi occhi.
Sembrava
la donna più sicura e viva del mondo, ma lei si sentiva
morta dentro. Tutto
quello che aveva costruito in quegli anni, le si era sgretolato fra le
mani. Ma
non poteva farci niente.
Si
diressero all'ingresso e i loro passi nella casa spaventarono la
piccola
Sophie, che si coprì completamente il viso con la
coperta.
Aveva
paura del futuro, come mai prima di quella notte.
I
singhiozzi si unirono alle sue lacrime in quel pianto silenzioso. I
suoi
genitori non si accorsero di niente, però.
Jeremy
era fermo davanti al portone, pensando ad un modo per non andarsene.
Pattie
lo fissava con disprezzo, aspettando che lui abbandonasse finalmente la
casa.
L'uomo
si girò verso la donna che cinque anni prima aveva amato
veramente tanto. Ma
quell'amore era diminuito sempre di più, fino a diventare
solo una stupida
presa in giro, che durava già da troppo tempo. Era sicuro
che lei fosse ancora
innamorata di lui e l'avrebbe trattenuto.
Be',
questo suo pensiero era vero solo in parte.
Pattie
lo amava ancora, nonostante tutto, ma non avrebbe permesso che
continuasse a
mentirle.
-Addio-
lo salutò senza nemmeno pronunciare il suo nome.
Lui
digrignò i denti e uscì definitivamente dalla
casa, dopo aver sbattuto la porta
con forza, ferito nell'orgoglio.
A
quel
rumore sordo, Sophie sobbalzò.
Spostò
piano le coperte, come per assicurarsi che nessuno la stesse guardando.
Aveva
paura di avere la reazione sbagliata a tutto quello che era successo.
Aveva la
terribile sensazione di essere la causa di tutto è di certo
nessuno stava
facendo qualcosa per scacciare quell'orribile pensiero dalla sua mente.
Alle
orecchie dei due bambini arrivarono i singhiozzi soffocati e disperati
della
giovane madre.
Justin
si morse il labbro inferiore.
Non
sapeva proprio come aiutarla.
Si
girò nuovamente sull'altro fianco, fissando lo sguardo sulla
sua sorellina.
Era
completamente terrorizzata e piangeva da quando il padre era tornato a
casa dal
"lavoro" e la loro mamma lo aveva aggredito.
Sospirò.
Suo
padre gli sarebbe mancato troppo. Avevano passato dei bei momenti
insieme. A
volte partivano solo loro due con il camper e stavano via per parecchi
giorni,
lasciando la mamma e Sophie da sole.
Sophie
non aveva passato tanti momenti con Jeremy. Anzi, non lo conosceva
quasi. E
Justin si sentì in colpa in quel momento. Jeremy aveva
passato più tempo con
lui che con la sua sorellina e tutto perché ogni fine
settimana insisteva a
lungo affinché partissero per uno dei loro viaggi.
Dopo
svariati minuti di silenzio assordante, la porta venne chiusa
violentemente
un'altra volta. Di sicuro Pattie non sarebbe andata dall'avvocato a
quell'ora,
ma aveva comunque bisogno di uscire e sfogarsi.
-Perché
piangi?- chiese Justin, con lo sguardo sempre rivolto alla sorellina.
Lei
singhiozzò ancora.
-Ho
paura del buio- rispose lei.
Justin
sorrise lievemente.
-Piangi
per il buio e non per quello che è successo?- chiese
stranito.
Sophie
si girò verso il letto del fratello.
-Se
non avessi paura del buio, scenderei dal letto e verrei da te-
spiegò con voce
tremante.
Justin
pensò a quanto bene volesse a sua sorella e a tutti i suoi
sensi di colpa.
Scivolò
via dalle coperte e infilò i piedi nelle pantofole, per poi
sdraiarsi nel letto
di Sophie, avvolgendo il suo corpo in un tenero abbraccio.
-Promettimi
di non piangere, per nessuna ragione, da oggi in poi-
sussurrò quando i loro
occhi nocciola si scontrarono.
Sophie
tirò su col naso -Tu mi prometti di volermi sempre bene e di
non abbandonarmi?-
chiese lei di rimando.
Lui
annuì -Lo prometto- mormorò.
-Lo
prometto- concluse Sophie, chiudendo gli occhi.
Ciao
a tutti!
Ci
tengo a dire che questa non è assolutamente una storia
d’amore, bensì la storia di come possa
trasformarsi nel tempo il rapporto tra
fratello e sorella.
Il
rating è arancione, ma per le tematiche di cui si
parlerà e se ci dovessero essere scene di sesso, non
sarebbero fra loro due, ci
tengo a precisarlo.
Be’,
spero vi piaccia come idea.
È
una storia molto personale e ci ho messo un bel po’ di
tempo a convincermi a pubblicarla, mi porta alla mente troppi ricordi,
ma ci
tenevo a scriverla.
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Erano
passati già tre anni da quella notte e nella casa sembrava
essere tornata la
tranquillità.
Ma,
in fondo, non sempre le cose sono esattamente come sembrano agli occhi
delle
persone.
Pattie
provava ad andare avanti, voleva rifarsi una vita, ma proprio non ci
riusciva.
Nonostante
fossero passati tre anni, ancora non accettava ciò che era
successo. Non amava
più Jeremy, ma si sentiva ferita per quei cinque anni in cui
lei lo aveva amato
con tutto il cuore, mentre lui l'aveva solo presa in giro. Non pensava
che
sarebbe stato capace di una cosa simile.
Il
Jeremy di cui si era follemente innamorata, era un uomo dolce,
simpatico e
soprattutto sincero. Non sembrava capace di mentire e invece l'aveva
fatto.
Desiderava delle spiegazioni, ma forse era troppo tardi per averle.
Sophie
non riusciva a convivere con i sensi di colpa.
Credeva
di essere lei la causa della separazione dei suoi genitori, ma non
piangeva da
quella sera. Lei e Justin avevano fatto una promessa e si sicuro non
sarebbe
stata lei la prima a infrangerla.
Ogni
volta che le lacrime premevano per uscire, lei trovava qualche
distrazione.
Non
le dispiaceva vivere senza Jeremy, in fondo nemmeno lo conosceva, ma
non
sopportava di dover assistere ai pianti sommessi della madre. Quando
tornava
dal lavoro, infatti, Pattie entrava nella sua stanza da letto e
scoppiava a
piangere, senza preoccuparsi troppo di chiudere del tutto la porta.
Sophie la
vedeva e capiva quanto amore avesse provato nei confronti dell'uomo che
l'aveva
tradita.
Justin,
invece, non voleva assolutamente vedere i pianti della madre. Riusciva
a
sentire i suoi singhiozzi e per lui era anche troppo. Lui sembrava
quello più
indifferente all'accaduto, ma in realtà era probabilmente
quello che aveva
sofferto di più. Sentiva la mancanza del padre, dei loro
viaggi e dei pomeriggi
passati insieme a vedere le partite di hockey. Non sopportava l'idea di
non
avere più una persona con cui parlare di sport. Vedeva i
suoi migliori amici
accompagnati ovunque dai loro papà, mentre lui dalla madre.
Non che gli
dispiacesse, amava sua madre, ma solo un padre può capire
certe cose.
Quell'anno
anche Sophie avrebbe frequentato la scuola elementare e sperava di
trovare
qualche amica simpatica, ma mancavano ancora un paio di settimane e non
aveva
niente da fare.
-Portami
in piscina, Justin- disse fermamente, entrando nella loro stanza.
Justin,
sdraiato sul suo letto, distolse per un attimo lo sguardo dal suo album
delle
figurine, per poi osservarlo nuovamente.
-No-
rispose semplicemente.
Sophie
sbuffò e si sdraiò sul suo letto, volgendo lo
sguardo al muro leggermente
rovinato.
Passò
le sue dita dove la vernice si era tolta, lasciando intravedere il
bianco della
base.
Non
voleva sprecare gli ultimi giorni delle sue vacanze in quel modo.
Voleva uscire
da quella casa, ma era troppo piccola per farlo da sola, doveva ancora
compiere
sei anni.
Justin
guardò di sottecchi la sorellina, ma si finse indifferente
non appena lei gli
rivolse di nuovo la sua attenzione.
-Perché?-
chiese lei. Non si sarebbe arresa così facilmente.
Il
biondo roteò gli occhi nocciola.
Alzò
lievemente l'album come per farlo notare a Sophie.
-Sto
facendo i compiti, non vedi?- chiese retorico.
La
bambina sbuffò ancora -Ho due anni in meno di te, ma non
sono stupida. Quelli
non sono compiti- commentò stizzita.
-Due
anni e mezzo- sottolineò Justin, visibilmente spazientito.
Sophie
appoggiò i piedi sul pavimento freddo. Afferrò un
elastico nero e si legò i
capelli biondo scuro.
In
quei tre anni, i capelli dei due fratelli si erano scuriti
notevolmente, ma
Justin li aveva comunque più chiari della sorella. Al
contrario, gli occhi di
Sophie erano diventati lievemente più chiari, mostrando
delle deliziose
sfumature verdi.
Si
avvicinò alla porta della camera e l'aprì.
-Due
anni, sei mesi e ventidue giorni- lo corresse e, dopo avergli rivolto
una
linguaccia, uscì dalla stanza.
-Oh,
allora sei brava a fare i conti- sentì il commento ironico
del fratello, fuori,
ma decise di non considerarlo.
Si
diresse verso la cucina, sicura che avrebbe trovato sua madre.
Pattie
era seduta al tavolo con delle carte davanti e una calcolatrice in
mano. Tra la
spalla e la guancia teneva un telefono. Stava parlando di sicuro con
l'avvocato.
Le
toccò ripetutamente il braccio, fino a quando le rivolse
un'occhiata scocciata.
-Scusami
un attimo, Claire- disse, appunto, al suo avvocato.
-Cosa
c'è, Sophie?- chiese con tono arrabbiato alla figlia.
La
bambina si morse il labbro inferiore.
-Non
andiamo in piscina?- chiese ingenuamente.
Pattie
roteò gli occhi -Ti sembra che io stia giocando? Adesso non
posso- rispose, agitando
la mano come per mandarla via.
Sospirando,
Sophie uscì dalla casa e si sedette sul marciapiede davanti
alla villa della
famiglia Bieber.
Sapeva
perfettamente che sua madre non voleva in alcun modo offenderla. Senza
dubbio
aveva molte cose da fare, ma la bambina aveva sperato che potesse
trovare un
po' di tempo da passare con lei. Era anche un po' arrabbiata per il
tono di
voce usato dalla madre, ma lo avrebbe dimenticato presto, no?
Afferrò
un pugno di sassolini e iniziò a lanciarli uno ad uno
sull'altro lato della
strada, facendo fuggire un gattino.
Sporse
involontariamente il labbro in fuori, mentre si perse fra i suoi
pensieri.
Sembrava
quasi che suo fratello avesse già infranto la promessa.
Insomma, aveva detto
che non l'avrebbe mai abbandonata, e invece Sophie si sentiva proprio
sola.
Non
per forza una persona ti abbandona quando parte per un lungo viaggio,
pensò
Sophie, ma quando ti è vicino e nonostante tutto ti sembra
distante.
Justin,
nello stesso momento, lanciò dall'altra parte della stanza
il suo inutile
album.
Non
voleva trattare male sua sorella, ma aveva iniziato a credere che fosse
lei la causa
della separazione di Pattie e Jeremy, i suoi genitori. Non era proprio
un bel
pensiero, ma non poteva farci niente.
Ricordava
perfettamente un pomeriggio dell'anno prima, in cui i suoi nuovi amici
erano
andati a casa sua per guardare una partita alla televisione.
-Dov'è
tuo padre?- chiese Chaz, guardandosi intorno.
Era
abituato a vedere i suoi genitori sempre insieme,
mentre a casa di Justin c'erano solo la madre e la sorellina dagli
occhi
strani. Guardandoli da varie angolazioni, cambiavano colore.
-Non
c'è- rispose Justin alzando le spalle con
noncuranza.
-Perché?-
chiese confuso Ryan.
-Mia
madre l'ha cacciato di casa dopo la nascita di
Sophie- rispose senza distogliere lo sguardo dalla televisione.
Christian
rise -Be', allora è colpa sua- commentò senza
riflettere troppo sulle sue parole. Cosa che, purtroppo, Justin fece.
Non
gli interessava più la partita.
Distolse
lo sguardo e lo puntò sulle due figure, sua
madre e sua sorella, intente a parlare nella cucina. Avevano lasciato
la porta
aperta e Justin riusciva a vederle perfettamente. Sophie sorrideva,
cosa che
Justin non riusciva più a fare dopo quella sera.
Strinse
i pugni.
Era
ovvio che lei non fosse minimamente triste.
Lei
non conosceva nemmeno Jeremy e, se quella notte si
era sentito in colpa per non averle permesso di stare più
tempo con lui, in
quel momento riuscì a provare solo rabbia nei suoi
confronti. Lei non lo
conosceva. Come si può provare la mancanza di una persona
che per te è come se
non esistesse? È impossibile.
Per
questo era arrabbiato. Sophie avrebbe continuato la
sua vita come se niente fosse, ma lui no.
Sospirò.
Il
suo amico era riuscito a fargli aprire gli occhi, ma avrebbe preferito
che non
lo avesse mai fatto. Per quella battuta, lui aveva infranto la
promessa.
Be',
non odiava Sophie, le voleva naturalmente ancora bene, ma stava
iniziando ad
abbandonarla giorno per giorno.
Pattie,
in cucina, aveva smesso di considerare le parole di Claire.
Nella
sua mente era impressa l'espressione di sua figlia Sophie.
Nell'ultimo
periodo non passavano molto tempo insieme, nonostante fossero sotto lo
stesso
tetto.
-Hai
capito, Pattie?- l'avvocato chiese la conferma.
La
donna scosse lievemente la testa, come per cacciare quei pensieri.
No,
non aveva capito. In realtà, non aveva proprio ascoltato la
donna. Il silenzio
fu la risposto alla domanda di Claire.
-Ho
detto che non potete andare a Londra queste ultime due settimane di
vacanza- ripeté
dopo aver sospirato.
Pattie
spalancò i suoi occhi celesti.
-Ma
perché?- chiese incredula -Ho risparmiato abbastanza soldi e
i bambini hanno i
passaporti. Qual è il problema?- continuò poco
dopo.
Aveva
deciso già da un po' di tempo che per sarebbero partiti per
l'Inghilterra.
Aveva visitato Londra da ragazza e le mancava terribilmente quella
città
affascinante. Voleva che anche i suoi figli ci andassero e poi sapeva
quanto ci
tenesse Sophie a vederla.
Claire
sospirò -Lo sai. Jeremy ora vive a Londra e tu dovresti
comunicare comunque
agli assistenti sociali ogni tua decisione, quindi anche i viaggi. Loro
non
perderebbero tempo per organizzare degli incontri tra i tuoi figli e
Jeremy-
spiegò.
Pattie
sbuffò.
In
fondo era anche un po' colpa sua. Vedendo lo strano comportamento di
Justin
nell'ultimo periodo, aveva deciso di coinvolgere gli assistenti sociali
di
Stratford nella faccenda. Ma, evidentemente, aveva solo peggiorato le
cose.
Justin
era sempre più distaccato e suscettibile, mentre la piccola
Sophie odiava
quelle due donne che la riempivano di domande. Inoltre, non potevano
andare a
Londra.
-Va
bene, ho capito. Grazie comunque, Claire- disse prima di salutarla e
terminare
la conversazione telefonica.
Si
alzò, appoggiò il telefono sul tavolo e si
guardò intorno per cercare Sophie.
Con
una veloce occhiata alla finestra, la vide seduta sul marciapiede,
intenta a lanciare
dei sassolini.
Sorrise
e la raggiunse.
Si
sedette vicino a lei e le circondò il corpo con il suo
braccio.
Sophie,
però, rimase immobile, con lo sguardo perso nel vuoto.
La
giovane madre sospirò.
-Non
possiamo andare a Londra- sussurrò, accarezzando la sua
schiena.
La
bambina annuì semplicemente, ma era delusa. Aveva creduto
veramente che ci
sarebbero andati, ma avrebbe aspettato ancora.
Lasciò
scivolare i sassi dalle sue dita e si alzò, per poi
dirigersi verso la casa.
Pattie
rimase qualche altro minuto lì, seduta.
Era
normale che la figlia fosse arrabbiata e delusa. Ma presto il rancore
se ne
sarebbe andato, no?
EHI!
Ed
ecco qua il secondo capitolo, spero veramente che vi
piaccia.
Ricordo
a tutti che i due fratelli non si innamoreranno,
questa storia parla solo ed esclusivamente del loro rapporto che, come
vedete,
è già cambiato.
Ringrazio
chi ha inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate e I_am_just_myself per aver recensito, vi
adoro.
E
tu, Francy, ricorda che dedico questa storia a te, ti
voglio un bene immenso.
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
-Ragazzi,
chi ha portato l'autorizzazione e i soldi?- chiese l'insegnante alla
classe.
Tutti
alzarono la mano, stringendo il foglietto e le banconote fra le dita.
Tutti
tranne una ragazza dai capelli castani e gli occhi dalle sfumature
verdi.
Sophie
Bieber.
Si
guardò intorno intimorita, abbassandosi sempre di
più sulla sedia. In quel
momento avrebbe voluto sparire dalla classe, ma si finse indifferente.
Jeremy
non aveva ancora rispedito l'autorizzazione firmata insieme alla
metà dei
soldi, ma probabilmente non aveva mai avuto intenzione di farlo.
Così lei non
sarebbe andata in gita nemmeno quella volta. Oltretutto, il viaggio
sarebbe
stato diretto a Londra, città che sin da piccola avrebbe
voluto visitare. Città
in cui abitava, ironia del caso, il padre della tredicenne.
Probabilmente non
ci sarebbe mai andata in vita sua. Sembrava che il destino non fosse
proprio a
suo favore.
-Bene,
portatemi tutto alla cattedra, possibilmente in ordine alfabetico-
ordinò
l'uomo.
I
compagni di classe di Sophie si alzarono dalle loro sedie e
consegnarono il
necessario per la gita al docente, creando una grande confusione.
La
ragazza, invece, cercò in tutti i modi di mimetizzarsi con
il resto dell'aula.
Cosa un po' difficile, considerando il colore sgargiante della sua
enorme felpa
verde fosforescente.
Tornando
al posto, alcuni ragazzi le riservarono delle occhiatacce, mentre la
sua amica
Chloe cercò di soffocare una risata vedendo il trattamento
nei confronti della
ragazza.
Non
sapeva se fosse giusto considerare Chloe un'amica, ma erano compagne di
banco e
la mora andava quasi tutti i pomeriggi a casa Bieber. Certo, passava il
tempo a
guardare Justin, mentre Sophie svolgeva gli esercizi per entrambe, ma
lei non
ci faceva caso. Pensava che quella fosse la vera amicizia, non avendo
avuto
molta esperienza in quel campo.
L'insegnante
contò i foglietti due volte prima di sospirare.
-Manca
una persona- annunciò, mentre la maggior parte dei presenti
si girò a guardare
Sophie con dei sorrisetti dipinti sulle facce vittime dell'acne.
La
ragazza tentò di nascondere il suo viso rosso dall'imbarazzo
con il cappuccio
della felpa, ma era tutto inutile. Sapeva che non avrebbe scampato gli
insulti
e i maltrattamenti nemmeno quel giorno.
Il
docente afferrò il registro di classe e lo aprì
alla pagina dell'elenco.
Perfetto.
Sophie
era la prima dell'appello e almeno non avrebbe perso tempo a
nascondersi sempre
di più, aspettando che l'uomo citasse il suo cognome.
-Bieber
Sophie- scandì, per poi osservare le firme sulle
autorizzazioni. La ragazza rimase
a fissare il vuoto, mentre aspettava le domande alle quali avrebbe
risposto
come al solito.
-Sophie-
attirò l'attenzione della ragazza, che finalmente lo
guardò.
-Manca
la tua- commentò, quasi dispiaciuto. Quasi. Alla fine non
importava a nessuno
che lei non andasse a Londra con gli altri. O forse dispiaceva a quelli
che non
avrebbero voluto aspettare due settimane per offenderla nuovamente.
-Lo
so- alzò le spalle lievemente, come se non le importasse,
quando in realtà
voleva piangere.
-Oggi
era l'ultimo giorno per portare l'autorizzazione e i soldi-
continuò,
sospirando.
Annuì
semplicemente, stringendo le labbra in una linea sottile. Sapeva che di
lì a
poco sarebbe scoppiata a piangere, ma voleva almeno aspettare di
entrare nel
bagno per sfogarsi. Sarebbe stato imbarazzante mostrare a tutti le sue
lacrime.
-Dovrai
venire a scuola comunque, starai nella classe della professoressa
Moore,
ricordatelo- concluse freddamente.
Sophie
smise in quel momento di ascoltare, ma sapeva che la loro conversazione
riguardava
i preparativi per la gita. Sistemò i suoi occhiali dalla
montatura enorme e
nera più in alto sul naso e appoggiò la testa
sulle braccia incrociate sul
banco. Non capiva perché al padre non importasse niente di
lei. Insomma, lei lo
odiava, ma lui doveva per forza volerle almeno un po' bene: era sua
figlia.
Fu
grata del fatto che riuscisse a estraniarsi completamente dal mondo. In
quel
momento era come se ci fossero solo lei e i suoi pensieri. Non sentiva
tutti i
discorsi dei suoi compagni di classe su ciò che avrebbero
visitato il primo
giorno a Londra.
Chiuse
gli occhi, sicura che nessuno l'avrebbe disturbata, ma le
arrivò una gomitata
dritta nel fianco.
Si
girò verso Chloe.
-Cosa
cazzo vuoi?- sbottò arrabbiata, cercando di non alzare
troppo il tono di voce.
-Devi
stare attenta alla lezione- disse con un finto tono ingenuo.
Sophie
si morse il labbro inferiore per non gridarle contro. Prese un respiro
profondo
-Perché secondo te importa a qualcuno?- chiese, retorica.
Chloe
fece una smorfia e la castana si voltò dall'altro lato.
Davanti
a lei era seduto un ragazzo un po' troppo alto per essere un
tredicenne, quindi
il professore non l'avrebbe vista di sicuro se avesse schiacciato un
pisolino,
ma decise di non rischiare. Il suo sguardo si perse di nuovo nel vuoto.
Nemmeno
Chloe sembrava essere a suo favore, ma chi lo era in quel mondo?
Nessuno.
La
campanella suonò, riscuotendo Sophie dai suoi pensieri.
Afferrò la sua cartella
rossa e scattò in piedi come una molla. Non vedeva l'ora di
tornarsene a casa,
nonostante avrebbe trovato il suo odiato fratello ad attenderla.
Ancora
non era riuscita a capire perché avesse iniziato a
offenderla pure lui, così si
era limitata a odiarlo di rimando.
Uscì
dalla classe per prima, dirigendosi verso il portone a vetri della
scuola, ma
prima di uscire dall'edificio avrebbe dovuto superare l'intero
corridoio. La
sua classe era la più isola, lontana dall'uscita e dalla
bidelleria, fattore
che i suoi compagni di classe avevano sfruttato a loro favore per
prendere di
mira Sophie senza che qualcuno se ne potesse accorgere.
Per
questo, in quel momento, la ragazza tremò.
Temeva
che potessero farle qualcosa e si sentiva più al sicuro in
mezzo alla strada
piuttosto che in quella scuola.
Trattenne
un grido di spavento quando un suo compagno di classe, David, che era
andato in
bagno durante la lezione, sbucò da un angolo.
Si
finse indifferente e cercò di raggiungere l'uscita della
scuola, ma lui si parò
davanti, anticipando ogni sua mossa. Avvertì i passi
accelerati del resto del
gruppetto dietro di sé, fino a quando li raggiunsero.
-E
così non verrai, eh?- chiese, retorico un ragazzino dietro
di lei, afferrandole
violentemente il polso.
Non
sapeva da che parte girarsi: era circondata dai suoi compagni di classe
e non
poteva proteggersi. Cercò comunque di liberare il polso
dalla presa ferrea, ma
David le afferrò l'altro e insieme la gettarono contro il
muro.
A
causa dell'impatto, gli occhiali le caddero a terra, vicino a lei, e
una
ragazza di nome Anne avvicinò il piede, come se volesse
calpestarli.
-No,
ti prego!- gridò dimenandosi e cercando di afferrarli, ma
loro non la
ascoltarono.
Il
piede della ragazzina si posizionò sopra una delle asticelle
e un rumore
fastidioso riempì l'aria subito dopo.
Grugnì
in disapprovazione.
Sua
madre non aveva abbastanza soldi per comprarle un nuovo paio di
occhiali.
-Oh,
che peccato...- sogghignò Anne.
-Magari
potremmo fare una colletta per ricomprarti gli occhiali e pagarti la
gita. O
pensi che quella puttana di tua madre potrebbe offendersi?-
commentò ironico
David, scatenando le risate degli altri.
-Non
offendere mia madre- ringhiò Sophie, cercando di alzarsi, ma
un pugno allo
stomaco le tolse il fiato e la forza di reagire.
Chloe
osservò la scena con un sorrisetto dipinto sul volto. Non
aveva assolutamente
intenzione di aiutare Sophie.
Dopo
un paio di calci e altri insulti, i ragazzi se ne andarono, lasciando
la
castana accasciata al suolo, con il respiro affannato e la pelle
arrossata,
pronta ad accogliere enormi lividi violacei.
Le
lacrime iniziarono a bagnare il viso della ragazza, ma lei non
sprecò energie
ad asciugarle. Aveva infranto di nuovo la promessa, ma in fondo a chi
importava? Erano solo degli stupidi giuramenti fatti dieci anni prima
e,
inoltre, a Justin non erano mai importati veramente. L'aveva
abbandonata e non
le voleva più bene. Quindi perché lei avrebbe
dovuto evitare di piangere?
Prese
un profondo respiro e si alzò dal pavimento. Barcollava, ma
voleva solo
arrivare a casa.
Passando
davanti alla bidelleria, riservò un'occhiataccia alla
bidella comodamente
seduta con una rivista davanti.
Perché
saltava fuori solo nei momenti meno opportuni? Dov'era stata mentre i
suoi
coetanei si erano divertiti a picchiarla?
Dopo
mezz'ora, Sophie arrivò distrutta a casa.
Appoggiò
lo zaino per terra e si avviò verso le scale, ma Pattie
sbucò dalla cucina.
-Tesoro...
ma che ti è successo?- chiese preoccupata, sgranando gli
occhi alla vista di
sua figlia conciata in quel modo.
-Niente-
rispose semplicemente lei, cercando di porre subito fine a quel
discorso.
La
donna abbassò lo sguardo.
-Tuo
padre non ha ancora mandato l'autorizzazione, Sophie-
continuò poco dopo
Pattie.
La
ragazza le rivolse un'occhiataccia -Credi che non lo sappia?-
domandò retorica,
prima di dirigersi verso la sua camera.
Da
un po' di anni Pattie aveva deciso di trasformare il vecchio studio di
Jeremy
in una stanza da letto e Sophie aveva spostato lì tutte le
sue cose.
Si
ricordava perfettamente di quel momento.
-Ragazzi,
chi vuole dormire nella nuova stanza?- chiese
dopo aver buttato quelle cartacce.
Justin
non ne aveva la minima intenzione, mentre Sophie
non vedeva l'ora di sistemare tutti i suoi vestiti, i suoi libri e le
altre
cose nella nuova camera, così si propose.
Ma
non si sentiva soddisfatta.
Voleva
poter dire di aver "lottato" per dormire
lì, così iniziò a stuzzicare il
fratello.
-Oh,
così almeno arriverò per prima in bagno la
mattina,
visto che è la stanza più vicina-
commentò, attirando l'attenzione di Justin.
Il
biondo spalancò gli occhi -No, no e no. Ci vado io-
disse fermamente.
Sul
viso di Sophie si fece spazio un sorriso di vittoria.
-Mi
dispiace, arrivi tardi- concluse, per poi rivolgergli
la linguaccia e chiudersi alle spalle la porta della vecchia stanza.
Be',
dal canto suo, Justin non aveva aspettato un minuto
di più per appendere fuori dalla porta un cartello con la
scritta "Vietato
entrare".
-È
solo una gita, Sophie- gridò Justin dal salotto.
Lei
si fermò sulle scale, più furiosa che mai.
-Certo,
tanto tu a Londra con la scuola ci sei andato due anni fa, no? Non
c'era ancora
l'affidamento condiviso- urlò di rimando lei, per poi
scappare in camera e
sbattere la porta dietro di sé.
Già,
gli assistenti sociali avevano deciso di dare l'affidamento dei figli
anche a
Jeremy. Di conseguenza, ogni scelta doveva essere approvata da
entrambi, e sia
Pattie che Jeremy dovevano firmare le autorizzazioni per le gite e
tutto il
resto. Mentre due anni prima, a Justin era bastata la firma della madre
per
viaggiare su quell'aereo.
Sophie
sospirò e si avvicinò allo specchio della camera.
Indossò
i suoi occhiali rotti, prima che una smorfia di disgusto spuntasse sul
suo
viso.
Non
si piaceva per niente. Voleva essere alta e snella come le ragazze che
vedeva
nei film in televisione. Voleva avere il carattere forte dei suoi
compagni di
classe, ma non riusciva a capire quanto in realtà fossero
deboli loro. Lei era
forte, più dei bulli della scuola, ma non se ne rendeva
conto.
Si
tolse gli occhiali e li lanciò con noncuranza sul letto. Li
avrebbe sistemati
con il nastro adesivo, come ogni volta.
Si
avvicinò alla scrivania e, dopo aver afferrato una matita,
disegnò su un foglio
bianco una lacrima. Scattò una foto con il suo cellulare e
la caricò su un
social network.
-Se
non mi amano gli altri, come potrei farlo io?- citò a bassa
voce le parole che
le sue dita stavano scrivendo come didascalia della foto.
Appoggiò
il cellulare sulla scrivania, ma iniziò subito a vibrare,
senza fermarsi, come
se fosse impazzito.
Sorrise
lievemente e, incuriosita, verificò a quante persone
piacesse quella foto.
Quarantacinque
in pochi minuti.
Guardò
distrattamente i nickname di quelle persone, soffermandosi su uno in
particolare: I_am_just_myself.
Be',
le sarebbe piaciuto essere semplicemente se stessa, ma gli altri non
l'avrebbero accettata, proprio come facevano ormai da anni.
Sospirò
e notò un'altra notifica.
-I_am_just_myself ti segue- lesse ad alta voce.
Non
riuscì a trattenere un sorriso sincero.
EHI!
Ecco
il terzo capitolo che spero vi piaccia.
C’è
stato un enorme balzo temporale, lo so, ma volevo
concentrare la storia su questo periodo della loro vita. Per questo,
nei
prossimi capitoli, il tempo passerà più
lentamente.
Per
quanto riguarda il social network, immaginatevi un
sito internet in cui gli iscritti possano postare foto, stati,
commentare,
mettere i “mi piace” e seguire le altre persone.
Sottolineo
come ogni volta che Justin e Sophie non si
innamoreranno l’uno dell’altra. Probabilmente anche
loro avranno le cotte, il
primo bacio e il resto come ogni adolescente sulla Terra, ma non
è la parte
principale della storia.
Questo
capitolo, come tutta la storia, è dedicato a te,
Francy, ti voglio un bene assurdo.
Ringrazio
chi ha inserito la storia fra le
preferite/seguite/ricordate, chi ha recensito e anche solo letto.
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
I
ragazzi, seduti sul divano di casa Bieber, guardavano la partita con
sguardi
annoiati.
La
loro squadra del cuore era in vantaggio sin dal primo minuto e gli
avversari
non sembrava avessero nemmeno voglia di giocare.
-Sarebbe
più emozionante uno di quei film sdolcinati che guarda mia
sorella- borbottò
Justin, alzandosi dal divano.
-Dove
vai, amico?- chiese Ryan, osservando la figura del biondo sparire
dentro una
delle tante stanze.
Non
ricevendo alcuna risposta, si voltò nuovamente verso i due
amici, Chaz e Chris.
Il
primo osservava la televisione con un sopracciglio inarcato, attendendo
una
svolta eccitante.
Il
secondo smanettava con il suo nuovissimo cellulare.
-Chi
prendi in giro questa volta, Chris?- chiese poco dopo.
Il
ragazzo distolse lo sguardo dal display per rispondere a Ryan.
-Samantha
Gray, secondo anno- rispose prima di ricominciare a messaggiare.
Chaz
sospirò.
Chris
era uno dei suoi migliori amici, ma non sopportava alcuni suoi
comportamenti.
-Non
illuderla troppo- si raccomandò il ragazzo, provocando uno
sbuffo da parte di
Chris e una risata soffocata da parte di Ryan.
Sapeva
che avrebbero iniziato a litigare come al solito per colpa delle loro
differenti visioni del mondo.
-E
tu
chi sei? Mia madre?- chiese ironico il ragazzo dai capelli neri e gli
occhi
color cioccolato.
-Ehi,
che succede? Litigate di nuovo?- chiese Justin, di ritorno dalla cucina
con una
ciotola di popcorn in mano.
Si
buttò di peso sul divano, fra Ryan e Chris, e attese una
risposta.
Chaz
sospirò nuovamente -No. Dov'è Sophie?- chiese
cercando di cambiare argomento.
Chaz
e Sophie non erano molto amici, ma comunque non si odiavano. La ragazza
si era
affezionata solo a Ryan, tra i ragazzi di quel gruppetto. Era come un
fratello
maggiore, di sicuro più simpatico di quello vero. Mentre
Chaz... Be', Chaz era
carino e, spesso, fulminava con lo sguardo Justin quando rivolgeva
battutine
ricche di cattiveria alla ragazza.
Justin
alzò lievemente le spalle.
-È
andata al cinema con quella Chloe. A quanto pare domani parte per
l'Inghilterra
con il resto della classe e non si potranno vedere per due settimane-
spiegò
annoiato, per poi rivolgere nuovamente l'attenzione alla partita.
Ryan
e Chaz spalancarono gli occhi, mentre Chris si limitò ad
alzare un
sopracciglio.
Sapevano
bene tutti e quattro quanto fosse ipocrita quella ragazzina dai capelli
scuri.
Di certo non era una di quelle persone che si sarebbero fatte picchiare
al
posto della castana, ma in fondo chi lo era? Nemmeno suo fratello.
-E
tu la fai andare con quell'arpia?- balbettò incredulo Chaz.
Justin roteò gli
occhi nocciola
-Sai
quanto mi interessa?- chiese ironico, ingoiando un paio di popcorn.
-È
tua sorella e dovresti proteggerla- lo rimproverò Chaz,
spostandosi dalla
fronte una ciocca dei suoi capelli castani e mostrando una strana
sicurezza.
Il
biondo dagli occhi nocciola sfoderò un sorrisetto -Scommetto
che farebbe più
piacere a te proteggerla, dico bene? O per caso vorresti negare che ti
piaccia
quella svampita di mia sorella?- chiese, prendendosi gioco dell'amico.
Il
ragazzo arrossì all'istante e iniziò a balbettare
qualche parola
incomprensibile.
Ryan
decise di porre fine a quella discussione -Siamo solo in pensiero per
lei,
Justin. La conosciamo da quando ancora non sapeva pronunciare il tuo
nome, è
comprensibile la nostra preoccupazione- disse, allungando una mano
verso la
ciotola sulle gambe del biondo.
Il
fratello di Sophie sospirò -Va bene, ma a me non importa
affatto e nemmeno voi
dovreste pensare a lei- annunciò, infilando in bocca qualche
altro popcorn.
Chris,
rimasto in silenzio per tutto quel tempo, ascoltò
attentamente la discussione, fingendo
disinteresse.
Non
capiva perché potesse provare tutto quell'odio nei confronti
di Sophie. Non
poteva di certo immaginare che il suo commento ironico di sette anni
prima
avesse scaturito nell'amico tutto quel rancore. Per Chris, Sophie era
solo la
sorella del suo migliore amico. Troppo piccola da frequentare e troppo
fragile
per i suoi gusti. Era, però, l'unica ragazza per cui potesse
provare tenerezza,
non essendo lui a farla soffrire.
-È
solo... un’ingenua quattr'occhi con le cosce enormi-
concluse, sputando veleno
da tutti i pori.
Chaz
gli rivolse un'occhiataccia, mentre Ryan strinse i pugni per evitare di
spaccargli
il naso. Era amico di entrambi e non voleva prendere le difese di
nessuno dei
due. Chris, invece, spense il cellulare e perse lo sguardo nel vuoto,
pensieroso.
Non
sarebbero mai riusciti a fargli comprendere quanto fosse sbagliato il
suo comportamento.
Justin non avrebbe ascoltato nessuno, per lui era giusto che lei
soffrisse
proprio come lui aveva sofferto per la separazione dei loro genitori.
Sophie,
seduta sulla poltroncina rossa della sala, si mordicchiò il
labbro inferiore.
Doveva
andare in bagno, ma non voleva alzarsi. Non perché il film
fosse molto
interessante, ma perché aveva paura. Credeva che potesse
trovare i suoi
compagni di classe ovunque.
Sistemò
i suoi occhiali più in alto sul naso e si
preoccupò quando una delle due
asticelle tremò. Doveva ancora abituarsi al fatto che
fossero rotti e il nastro
adesivo non era proprio stato inventato per sistemarli. Fortunatamente
non
erano da buttare, ma doveva comunque trattarli con molta cura e
attenzione.
-Ne
vuoi un po'?- chiese Chloe, porgendole i popcorn e guardandola di
sottecchi.
La
castana scosse semplicemente la testa.
Quel
genere di schifezze le piaceva molto, ma non voleva mangiarli
perché sapeva che
si sarebbe sentita male dopo averli ingoiati. Avrebbe iniziato ad avere
forti
fitte allo stomaco e non sarebbe stato un bello spettacolo. Be',
probabilmente
vedere Sophie contorcersi dal mal di stomaco sarebbe stato
più interessante del
film, ma non era assolutamente il caso.
-Dai,
lo so che li vuoi- insistette, agitando il contenitore sotto il naso di
Sophie.
Sembrava
quasi che lo facesse di proposito, ma la ragazza si trattenne dal
gridarle
contro.
Cercò
di calmarsi, prendendo dei respiri profondi, ma era costretta a
respirare con
la bocca per non sentire il profumo dei popcorn.
Per
sua fortuna, in quel momento finì il primo tempo e le luci
della sala si
accesero.
-Senti,
io vado in bagno- annunciò alla mora che annuì in
risposta.
Afferrò
la borsa, ma Chloe la fermò, guadagnandosi uno sguardo
interrogativo.
-Se
vuoi te la tengo io- propose forzando un sorriso.
Sophie
inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla, limitandosi ad
uscire dalla sala.
Strinse
le labbra in una linea sottile, guardandosi intorno. Sarebbe potuta
sembrare paranoica,
ma i lividi dell'ultimo pestaggio erano ancora ben visibili sulla sua
pelle
bianca ricoperta di varie cicatrici.
Solo
in quel momento si chiese come mai Chloe non avesse fatto niente in sua
difesa,
quel giorno. Pensava che l'amicizia potesse portare le persone a
sacrificarsi,
ma probabilmente si sbagliava. Be', di certo non pretendeva che la mora
si
facesse picchiare al suo posto, ma sapeva che i suoi compagni di classe
le
avrebbero dato retta se lei avesse chiesto loro di evitare di
continuare a
picchiarla.
Si
riscosse dai suoi pensieri solo davanti alla porta del bagno femminile.
Entrò
in una cabina, ma cambiò i suoi piani quando si accorse di
quanto fosse sporco
il water. Sul suo volto si dipinse una smorfia di disgusto, mentre si
avvicinò
allo specchio, sopra i lavandini.
Guardando
il suo riflesso non riusciva a credere di essere veramente lei la
ragazza dai
capelli castani, dagli occhi con le sfumature verdi e dai lividi di un
colore
rivoltante lungo il corpo.
Iniziava
a odiarsi pure lei. Insomma, se tutti gli altri la odiavano,
probabilmente era
lei a sbagliare, giusto?
Sospirando,
aprì il rubinetto e immerse le dita sotto l'acqua. Era
gelida e sperava che
potesse darle un po' di vitalità al viso.
Unì
le mani a coppa e raccolse quanta più acqua fredda
possibile, per poi
spruzzarsela in faccia. Le lenti degli occhiali si riempirono di
goccioline, ma
non le importava affatto. Passò poi le dita sulla pelle, ma
si fermò l'esatto
istante in cui il suo pollice destro sfiorò la cicatrice
sotto il mento.
Rabbrividì avvertendo l'irregolarità della pelle
in quel punto, quando un
ricordo si fece spazio nella sua mente.
Era
il secondo giorno del primo anno di scuola media e
Sophie camminava per il corridoio con il respiro affannato.
Non
si ricordava dove fosse la sua classe e il giorno
prima non aveva prestato attenzione alla presentazione dei suoi
compagni di
classe, quindi non sapeva proprio a chi potesse chiedere delle
informazioni.
Era
arrivata a scuola con Justin, ma una volta entrati
lui aveva fatto finta di non conoscerla. Be', anche a casa si
comportava in
quel modo, quindi non era per niente stupita.
Si
guardò intorno un paio di volte, prima di fermarsi
bruscamente per cercare di calmare l'ansia.
Poco
dopo sentì una spinta alla schiena, per poi
ritrovarsi con la faccia al pavimento, gli occhiali mezzo metro
più avanti e un
dolore acuto sotto il mento.
-Guarda
dove cammini, quattr'occhi!- gridò un ragazzo,
scoppiando a ridere.
Sentì
le lacrime sulle guance e non le asciugò. Non le
importava quell'inutile promessa.
Dopo
qualche secondo, qualcuno la aiutò ad alzarsi.
-Oddio,
stai bene, Sophie?- chiese Ryan preoccupato.
Riconobbe
l'amico di suo fratello e si calmò leggermente.
Sophie
annuì, ma il ragazzo vide del sangue scorrerle sul
collo e le alzò il viso per controllare.
-Temo
che ci vadano i punti qui- commentò dispiaciuto.
Lei
alzò lievemente le spalle in risposta.
Perse
un giorno di scuola, ma guadagnò un amico e... be',
tre punti sotto il mento.
Sospirò
a quel ricordo e uscì dal bagno per tornare da Chloe.
Trovò
la ragazza intenta a smanettare con il suo telefono.
Inarcò
un sopracciglio e la raggiunse velocemente.
-Che
stai facendo?- le chiese, strappandole di mano il cellulare e la borsa.
Chloe
non mostrò il minimo segno di vergogna.
-Dov'è
il numero di Justin?- chiese con uno sguardo indecifrabile.
La
castana sgranò gli occhi -Cosa?!- chiese incredula.
-Il
numero di tuo fratello- ripeté l'altra.
Sophie
capì tutto. Non c'era mai stata alcuna amicizia fra loro.
Chloe, come altre
prima di lei, voleva semplicemente arrivare a Justin.
Cercò
di trattenere i singhiozzi.
-Io
e Justin ci odiamo- disse, prima di lasciare il cinema con le lacrime
agli
occhi.
Perché
non riusciva a trovare nemmeno un'amica sincera? Era così
difficile?
Arrivò
a casa in pochi minuti e, una volta entrata, sbatté la porta
dietro di sé,
attirando l'attenzione dei quattro ragazzi.
La
osservarono curiosi.
Ryan
si alzò dal divano e le andò incontro -Che
succede, Sophie?- chiese
preoccupato, ma riusciva già ad immaginare la risposta.
Sophie
ignorò il ragazzo e guardò suo fratello.
-Ti
odio! Sei la cosa peggiore che potesse capitarmi nella vita-
gridò rabbiosa,
prima di andare nella sua camera.
-Ma
che le succede?- chiese Chris, stranito dal comportamento della
ragazzina.
-Probabilmente
anche Chloe voleva solamente avere un appuntamento con me-
ghignò il biondo
-Peccato che mi faccia completamente schifo pure lei- concluse ironico.
Sophie
buttò la borsa sul letto e si sedette alla scrivania.
Afferrò
il cellulare ed entrò nel suo account di quel social
network, dove poteva
essere se stessa e scrivere tutti i suoi pensieri senza doverli
censurare.
-Questa
vita mi dà solo delusioni. Cosa c'è di sbagliato
in me?- mormorò e scrisse
queste parole sul suo profilo, per poi sospirare e appoggiare la testa
sulla
scrivania.
Avrebbe
voluto accanto a sé qualcuno che la capisse, ma l'avrebbe
mai trovato?
La
vibrazione del telefono attirò la sua attenzione.
Un
commento.
“Ti
va di parlarne? –Andrea”
O, come la conosceva Sophie,
I_am_just_myself.
EHI!
Come
potete vedere, adesso il tempo sta scorrendo più
lentamente e Sophie si è resa conto di quanto fosse falsa
Chloe.
Spero
vi sia piaciuto il capitolo e in generale vi
piaccia la storia, nonostante non sia una storia d’amore fra
i due
protagonisti.
Ringrazio
chi ha inserito la storia fra le
preferite/seguite/ricordate, chi ha recensito o anche solo letto, mi
fate molto
piacere!
Francy,
ti dedico questo capitolo e ti prometto che dal
prossimo il tuo personaggio sarà più presente ^_^
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
La
sveglia suonò alle 06.45 quel giorno, nonostante fosse
sabato.
Sophie
grugnì infastidita e si girò sul fianco destro,
appoggiando un cuscino
sull'orecchio.
Non
aveva la minima intenzione di alzarsi per interrompere quel suono
infernale.
Il
morbido cuscino riuscì ad attutire gli squilli della
sveglia, ma non le grida
di suo fratello Justin.
-Spegni
quell'affare, idiota!- gridò dalla sua camera, con voce
roca. Sophie lanciò il
cuscino dall'altra parte della stanza, per poi sospirare e alzarsi.
Interruppe
quel suono e si sdraiò nuovamente, ma sapeva che non si
sarebbe più
addormentata per quella mattina.
Fino
all'ultimo aveva sperato di partire per andare a Londra, ma purtroppo
non
avrebbe ancora realizzato quel sogno. Gli altri sarebbero partiti,
mentre lei
sarebbe rimasta a casa a piangere e a litigare con suo fratello.
Roteò
gli occhi, per poi alzarsi di nuovo dal letto e dirigersi verso la
scrivania.
Si sedette e afferrò il suo cellulare. Sbloccò il
display e notò delle nuove
notifiche.
-A
quindici persone piace il tuo stato- mormorò, leggendo.
Be’, con quelle
quindici nuove persone, diventavano in tutto trentasette le persone a
condividere il suo pensiero.
Sorrise.
Forse
non era poi così sola nel mondo, ma non conosceva quelle
persone e probabilmente
mai le avrebbe conosciute. Alcuni erano italiani, altri tedeschi,
brasiliani,
spagnoli, statunitensi e nessun canadese. Forse qualche minima
possibilità di
incontrare uno degli statunitensi esisteva, ma non ci sperava
più di tanto.
Sospirò,
pensierosa, e fece scorrere con il pollice la schermata. Si
ricordò in quel momento
di dover ancora rispondere al commento di quella ragazza, Andrea. Prima
di
farlo, però, entrò nel suo profilo,
cliccò su “Segui” e osservò le sue foto. Era una ragazza
bellissima, con i capelli castani lunghi fino al collo e gli occhi
più scuri
dei suoi. Trovò anche delle immagini in bianco e nero. Una
ritraeva l’occhio di
una ragazza, bagnato da una lacrima solitaria, mentre l’altra
raffigurava una
ragazza di spalle, con il cappuccio in testa. Era circondata da altre
persone,
ma lei camminava nella direzione opposta rispetto agli altri.
Come
poteva una ragazza così bella essere triste? Di certo quelle
foto non si trovavano
lì per caso, doveva per forza esserci un motivo.
Si
affrettò ad asciugare il suo viso, di nuovo inondato dalle
lacrime, e tornò
alla schermata del suo profilo, pronta a rispondere ad Andrea.
“È
un po' difficile parlarne così, con dei commenti su un
social network”.
Dopo
avere digitato quelle parole, bloccò il telefono e
appoggiò la testa sul legno
della scrivania.
Non
era facile in qualsiasi modo. Era sicura che nessuno l'avrebbe capita o
che
comunque nessuno si sarebbe sforzato di farlo. Nemmeno Justin, che
avrebbe
dovuto proteggerla e aiutarla in tutti quegli anni, si era dimostrato
disposto
a farlo. Ed erano fratelli.
Singhiozzò
e strinse le labbra in una linea sottile, cercando di non fare rumore.
Perché
era tanto arrabbiato con lei? Sophie non riusciva a capirlo. Era
già
sufficiente che lei si odiasse da sola per essere... così.
Non aveva bisogno di
ulteriore odio.
Aspettò
una risposta da parte della ragazza, ma in fondo erano solo le sette di
mattina. Certo, non sapeva dove potesse vivere Andrea e che ore fossero
da lei,
ma non aveva fretta e non ci sperava più di tanto.
Si
alzò dalla sedia per avvicinarsi alla finestra della camera.
La spalancò e si
appoggiò al davanzale, con lo sguardo rivolto verso il
giardino. L’aria era
piacevolmente calda e non troppo soffocante. Tirò su i piedi
e strinse le gambe
al petto, appoggiando poi la schiena al muro. Il materiale sotto di lei
era
duro, ma stava comoda. Chiuse gli occhi e respirò
profondamente, cercando di
riempire i polmoni di quell’aria pulita. Se
l’avesse vista Justin, le avrebbe
detto di scendere dal davanzale, ma non perché potesse
essere preoccupato per
lei. Piuttosto, perché altrimenti lo avrebbe sfondato con il
suo peso.
Sophie
singhiozzò a quel pensiero.
Lei
voleva troppo bene a suo fratello e per questo soffriva maggiormente
alle sue
offese. Se l'avesse odiato veramente, avrebbe potuto fargli notare
tutti i suoi
difetti, invece si limitava a stare zitta e tranquilla.
Le
lacrime inondarono il suo dolce viso.
Le
sembrava strano che, nonostante il comportamento di Justin, lei potesse
sentirsi distrutta al pensiero di aver infranto di nuovo la promessa.
Justin
si svegliò dopo un'oretta e andò subito in cucina
per fare colazione, non
avendo più sonno. Afferrò una tazza e la
riempì di latte freddo, per poi berla
davanti alla televisione, sul divano.
-Sei
già sveglio?- la voce di sua madre attirò la sua
attenzione.
-Sì-
rispose semplicemente, mentre Pattie annuì.
Restarono
in silenzio per molti minuti, senza sapere cosa dirsi.
-Ehm...
dov’è tua sorella?- chiese poi, sedendosi accanto
al figlio.
Justin
alzò lievemente le spalle -Sta ancora dormendo- rispose
annoiato.
-Vai
a svegliarla, per favore. Ho bisogno di parlarle- a quelle parole, il
ragazzo
si alzò svogliatamente dal divano. Avrebbe preferito restare
seduto a guardare
la televisione, sapendo che avrebbero litigato di nuovo, ma sembrava
che la
cosa fosse urgente.
Salì
le scale e, una volta arrivato davanti alla porta della camera, non si
preoccupò nemmeno si bussare. Aprì velocemente la
porta, pronto a gridarle di
scendere, ma non la vide. Aggrottò la fronte e
vagò con lo sguardo, fino a
posarlo sul corpo di Sophie, addormentata sul davanzale, con la testa
appoggiata alla parete.
Sarà
di sicuro scomoda, pensò Justin. Ma in fondo a lui non
importava.
Si
avvicinò alla castana e la osservò attentamente.
Le sue labbra erano lievemente
socchiuse e poteva avvertire i suoi respiri caldi e regolari.
Sospirò e spostò
una ciocca dei suoi capelli castani dietro l’orecchio destro.
Dovette reprimere
l’impulso di accarezzarle dolcemente la guancia, per quanto
fosse forte.
Lei
era la causa di tutta quella brutta situazione. Per colpa di sua
sorella, i
suoi genitori si erano separati e lui non aveva potuto ricevere
l'appoggio del
padre dalla tribuna durante le partite di hockey. Era cresciuto senza
un padre.
Certo, anche Sophie, ma per lei era diverso. Lei era felice.
Be’,
di certo non poteva immaginare quanto soffrisse pure lei.
Così,
allontanò velocemente la mano dal suo viso e
iniziò a scuoterle il corpo, per svegliarla.
Sophie mugugnò qualche parola incomprensibile, prima di
voltare la testa verso
il vetro della finestra. Justin roteò gli occhi e le
tirò il lobo dell'orecchio
destro, sicuro che si sarebbe svegliata.
La
ragazza, infatti, sobbalzò, sbattendo la testa contro il
muro, facendo ridere
suo fratello. Lo squadrò dalla testa ai piedi, prima di
chiudere nuovamente gli
occhi.
-Ma
cosa fai? Svegliati- gridò Justin, parecchio infastidito.
Lei
finse di non sentirlo.
-La
mamma deve parlarti, quindi muovi quel culo enorme e scendi-
ordinò, sempre più
arrabbiato.
Sophie
cercò di trattenere le lacrime, ma non per la promessa. Solo
per non mostrarsi
debole davanti a lui. Poi coprì le sue orecchie con le mani.
Sentiva le grida
del fratello e non sapeva come farlo smettere.
-Vattene-
disse semplicemente.
-La
mamma deve parlarti- ripeté lui.
-Può
parlarmi dopo. Ora voglio dormire, visto che di sicuro il mondo dei
sogni è
meglio di quello reale- concluse con una calma incredibile, sempre con
gli
occhi chiusi, ma con le mani rilassate sui fianchi.
Il
ragazzo alzò gli occhi al cielo.
-Io
ci rinuncio- concluse, prima di uscire dalla camera.
Dopo
aver sentito la porta chiudersi, Sophie aprì i suoi occhi
dalle sfumature verdi
e si guardò intorno. Avrebbe preferito poter continuare a
dormire. La realtà
era dura da affrontare, purtroppo.
Sentì
la vibrazione del suo cellulare, così si avvicinò
alla scrivania e sbloccò lo
schermo.
“Be',
ti lascio il mio numero. Scrivimi, se ti va”.
Era
la risposta di Andrea.
Si
affrettò a salvare il numero della ragazza nella rubrica e
poi cancellò i vari
commenti, non volendo che qualcun altro potesse leggere.
Si
mordicchiò il labbro inferiore, pensierosa.
Avrebbe
dovuto scriverle qualcosa?
Prese
un respiro profondo, poi annuì a se stessa.
“Ciao,
sono Sophie”.
Inviò
il semplice messaggio al numero senza pensarci ulteriormente. Poi
appoggiò il
cellulare e si decise ad andare dalla madre per sapere cosa volesse
dirle.
La
trovò in cucina, intenta a preparare dei pancakes.
Le
baciò la guancia -Ciao mamma- sussurrò.
Pattie
sorrise -Ciao tesoro, hai dormito bene?- le chiese apprensiva, notando
delle
profonde occhiaie sotto gli occhi di sua figlia.
Sophie
alzò lievemente le spalle -Cosa dovevi dirmi?- le chiese,
cercando di non
perdere tempo.
Lo
sguardo di sua madre si rabbuiò immediatamente.
-Siediti-
ordinò, sistemando i pancakes in un piatto.
La
ragazza obbedì e, nello stesso istante, Justin
entrò in cucina. Afferrò un
pancakes e aprì la bocca, come per parlare, ma Pattie lo
interruppe subito.
-Non
farò giri di parole- iniziò, facendo deglutire
Sophie. Doveva essere una cosa
molto seria.
-Gli
assistenti sociali vogliono fare un colloquio con te- concluse, per poi
sospirare.
Sophie
spalancò contemporaneamente gli occhi e la bocca, incredula.
Lei
non sopportava quelle due signore. Riuscivano sempre a girare le parole
di
Sophie a loro favore, cosa che la ragazza odiava.
Justin,
invece, cercò di soffocare una risata divertita. Senza
riuscirci.
EHI!
Non
posso crederci, finalmente internet funziona!
Vi
chiedo ancora scusa per ieri, ma il tempo era pessimo
e la linea non funziona mai con i temporali, per fortuna vi ho
avvertite con il
3G del telefono.
Spero
che questo capitolo vi piaccia e che la storia vi
incuriosisca nonostante non sia d’amore.
Ringrazio
come sempre tutte voi e il vostro appoggio,
siete meravigliose!
Francy,
anche questo capitolo è dedicato a te, be’, come
tutta la storia in fondo ^__^
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Sophie
si passò la mano destra dietro il collo. Stava sudando con
la camicia bianca
addosso durante quel caldo pomeriggio di fine Maggio. Slegò
per la terza volta
nel giro di venti minuti i suoi capelli castani, per poi legarli in una
coda
alta.
-Smettila
di muoverti, Sophie- la rimproverò Pattie.
La
ragazza sospirò -Sono agitata- spiegò, slacciando
il primo bottone della
camicia.
Pattie
sorrise lievemente e accarezzò la guancia arrossata di sua
figlia.
-Stai
tranquilla. Adesso parlerete per una mezz'oretta e poi vi rivedrete fra
un
mese, va bene?- cercò di tranquillizzarla.
Sophie
deglutì non ancora calma.
Si
sistemò meglio sulla sedia -Cosa devo dire?- chiese poco
dopo in un sussurro.
La
madre le sistemò un ciuffo, sfuggito dall'elastico, dietro
l'orecchio -Solo la
verità- concluse, prima che la porta color crema di fronte a
loro si aprisse.
-Vieni,
Sophie- disse la donna dai capelli color mogano.
La
castana prese un respiro profondo prima di alzarsi dalla sedia ed
entrare nella
stanza che ormai conosceva bene. Prese posto sulla poltroncina blu,
senza
aspettare il permesso della donna. Quel colloquio si ripeteva ogni mese
da anni
e non c'era bisogno di essere troppo formali. Nonostante questo,
però, Pattie le
aveva imposto di indossare quei vestiti eleganti. Guardò di
fronte a lei e notò
la poltrona, di solito occupata da una donna mora, vuota.
Aggrottò la fronte e
la psicologa comprese subito la sua confusione.
-Oh,
oggi saremo solo io e te. Come ben sai nemmeno tuo fratello Justin
è dovuto
venire- disse la donna.
Sophie
annuì semplicemente. Ancora non capiva il perché
di quel colloquio a due, ma
non voleva fare domande. Sapeva che, in quella occasione, era meglio
parlare il
meno possibile.
-Allora,
come stai?- le chiese la psicologa Julie Parker.
La
ragazzina alzò lievemente le spalle, prima di irrigidirsi.
Non doveva muoversi.
Ogni suo gesto, persino sfiorarsi la mano destra con la sinistra, o
inumidirsi
le labbra, poteva essere interpretato male. E lei lo sapeva bene.
-Bene-
rispose, cercando di mantenere un tono calmo.
Come
al solito, la signorina Parker prese un block-notes e una penna, pronta
a
scrivere qualsiasi cosa.
-Mi
dispiace per la gita. So che avresti voluto visitare Londra-
continuò poco
dopo, interrompendo il silenzio.
-Non
importa- disse Sophie. La gita a Londra era un argomento che non aveva
più
voluto affrontare, ma seduta su quella poltrona, lei non era padrona di
niente,
nemmeno dei suoi pensieri. Non poteva decidere quando parlare o quando
stare
zitta e questo la faceva sentire... come una marionetta nelle mani
degli
adulti. Avrebbero dovuto tutelare i ragazzi, invece sembrava che non
volessero
farlo.
Julie
prese nota di ogni singola cosa succedesse dentro a quei tre metri
quadrati.
-Ti
va di disegnare?- le chiese poi, porgendole un foglio e una matita di
grafite,
perfettamente temperata. Sophie annuì, prendendo la matita e
iniziando a
tracciare qualche linea sulla superficie bianca e liscia del foglio.
Pensò a
quanto le sarebbe piaciuto stare fuori da quell'edificio, in mezzo agli
alberi
ricoperti di foglie verdi. Disegnò le venature della
corteccia e poi aggiunse
qualche fiore ai quattro rami, due robusti e due più
sottili.
La
penna della donna non smetteva un secondo di muoversi velocemente sul
block-notes.
La
ragazza allungò la mano verso l'astuccio della psicologa,
per prendere i
pennarelli a punta fine, ma lei non glielo permise.
-Va
bene così- disse, prima di prendere il disegno e infilarlo
in una cartellina
viola.
Sophie
aggrottò la fronte.
Che
cosa andava bene? Che cosa aveva scritto su quel foglio?
La
ragazza iniziò ad agitarsi per la paura di aver fatto
qualcosa di sbagliato e
si asciugò velocemente le mani sudate sui pantaloni scuri.
Il
silenzio tornò a regnare nella stanza per alcuni minuti,
prima che la Parker si
alzasse dalla sua poltrona per dirigersi verso la parete di fronte alla
porta.
-Vieni
qui- le disse, osservando una casetta di legno, riempita di pupazzetti
di
plastica.
Deglutendo,
Sophie si alzò con cautela e si avvicinò alla
donna.
Julie
afferrò la casetta e la sistemò sul pavimento,
facendo cenno alla ragazza di
disporre i pupazzi secondo i suoi gusti.
-Perché
devo farlo?- chiese, non riuscendo a capire quale fosse la motivazione
di
quella richiesta.
La
donna dai capelli color mogano sorrise forzatamente -Oh, io amavo
giocare con
le bambole alla tua età... ma, se non vuoi, possiamo
parlare- disse in tono
ingenuo.
-No!-
rispose velocemente Sophie, prima di mordersi violentemente il labbro
inferiore
-Cioè, volevo dire che mi va bene giocare con le bambole-
cercò di rimediare
alla sua precedente reazione impulsiva. Di sicuro, qualsiasi cosa era
meglio di
parlare con la psicologa.
Julie
sorrise soddisfatta, prima di tornare a sedersi sulla poltrona, sempre
con il
taccuino in mano.
La
castana osservò perplessa quelle bamboline.
Che
cosa avrebbe dovuto farci? E se avesse fatto qualcosa di sbagliato?
Scosse
lievemente la testa, prima di afferrare un tavolino di plastica
dall'interno
della casetta e sistemandolo sul pavimento. Poi prese tre pupazzetti e
li
dispose intorno al tavolino. Solo dopo si accorse di aver scelto un
neonato,
una donna e un uomo, ma li lasciò così, senza
pensare alle conseguenze.
-Perché
proprio quelli?- chiese la Parker, che nel frattempo aveva preso nota
di ogni
singola cosa.
-Non
lo so- balbettò Sophie, sperando che la donna non le
chiedesse maggiori
informazioni, come era solita fare.
Julie
annuì.
La
ragazza non si era mai sentita così terrorizzata. Be',
escludendo le volte in
cui veniva picchiata. Anche se in quei momenti la sua paura era
diversa. Sapeva
che dopo i pestaggi sarebbe tornata a casa e per qualche ora sarebbe
tutto
finito. Si sarebbe medicata le ferite e poi avrebbe passato il tempo a
piangere, sfogando tutta la sua tristezza. Ma lì, di fronte
a quella donna,
sapeva che la questione era seria. Lei avrebbe potuto cambiare la sua
vita,
anche drasticamente. Lei non la picchiava, non la offendeva, ma con
quella sua
penna incuteva un grande terrore.
Sophie
guardò di sfuggita l'orologio, costatando che mancassero
solo pochi minuti alla
fine del colloquio. Trattenne un sospiro di sollievo e si sedette
nuovamente
sulla poltroncina blu.
La
psicologa posò finalmente la penna e guardò
intensamente la ragazza negli
occhi.
-Come
va a scuola?- le chiese sorridendo. Sapeva che le avrebbe rivolto
quella
domanda, prima o poi, proprio come durante ogni colloquio.
-I
miei voti sono... abbastanza buoni- decretò, senza ammettere
di essere la più
brava della classe.
-No,
intendevo con i compagni- si corresse la donna.
Sophie
rimase spiazzata da quella domanda, ma cercò in tutti i modi
di non mostrarsi
nervosa -Oh, benissimo. Siamo molto amici- mentì lei,
nonostante Pattie le
avesse detto di essere sincera. Ma Sophie aveva paura che, se gli
assistenti
sociali avessero scoperto tutto il suo dolore, l'avrebbero allontanata
da
Stratford per mandarla in una casa-famiglia o, peggio ancora, da
Jeremy.
Julie
studiò nei particolari la sua espressione, prima di scrivere
nuovamente sul suo
block-notes.
-Puoi
andare, Sophie- disse poi, senza distogliere lo sguardo dal foglio.
La
ragazza annuì, per poi alzarsi e uscire dalla stanza,
trovando sua madre seduta
nella stessa posizione di mezz'ora prima.
Pattie
si alzò -Com'è andata?- chiese curiosa.
La
ragazza alzò lievemente le spalle in risposta. Non lo
sapeva. Julie Parker
avrebbe parlato con l'avvocato Claire, che poi avrebbe riferito tutto a
Pattie.
Fino a quel momento, ogni cosa era incerta.
Tornarono
a casa nel silenzio totale. Erano entrambe impaurite, ma anche
impazienti di
sapere cosa avesse riferito la Parker a Claire.
Proprio
quando entrarono in casa Bieber, il telefono squillò e
Pattie si precipitò a
rispondere, mentre Sophie si diresse in salotto, pronta a guardarsi
qualche
programma televisivo. Ma trovò i quattro ragazzi sdraiati
comodamente sul
divano e per terra. Sbuffò, attirando la loro attenzione.
Ryan
curvò le labbra in un sorriso radioso, proprio come Chaz.
Erano entrambi felici
di vederla. Chris si limitò a guardarla di sottecchi, mentre
Justin non
distolse lo sguardo dalla televisione.
-Vieni
qui- disse Ryan, appoggiando la mano sul pavimento.
Sophie
sorrise e si avvicinò al ragazzo, che le cinse il corpo con
il braccio.
Justin
strinse le labbra in una linea sottile per evitare di sbuffare.
Perché
Ryan trattava in quel modo Sophie? Lei non se lo meritava. Da quando
era nata,
non aveva fatto altro che causare problemi alla famiglia Bieber.
Roteò
gli occhi e finse interesse verso quell'inutile programma televisivo.
Lui
aveva sofferto molto in tutti quegli anni, quindi perché
avrebbe dovuto
sopportare che la vita di Sophie fosse così semplice?
Aprì
la bocca, pronto a fare qualche battuta di pessimo gusto, ma lo squillo
di un
cellulare lo interruppe. Non era il suo.
-Scusate-
disse Sophie, afferrando il cellulare dalla tasca dei pantaloni.
Era
arrivato un nuovo messaggio.
Sbloccò
il display e lesse il testo.
“Allora,
com'è andata dagli strizzacervelli?”.
Era
Andrea.
In
quell'ultimo periodo non avevano fatto altro che scriversi messaggi e
conoscersi, scoprendo di avere molte cose in comune.
Andrea
aveva un fratello di nome Lucas, i loro genitori erano separati e
vivevano con
la madre a San Francisco. Inoltre, non aveva dei veri amici. Anzi,
sosteneva
che Sophie lo fosse più di chiunque altro.
“Oggi
c'era solo la psicologa”.
Controllò
di non avere scritto errori e poi inviò il messaggio. Attese
qualche secondo
prima di ricevere una risposta.
“Oh,
allora mi correggo: com'è andata dalla
strizzacervelli?”.
Sophie
ridacchiò leggendo quel messaggio.
“Be',
conosci la procedura: io parlo e lei scrive, poi
scrive e poi... oh, sì, scrive”.
Sorrise
lievemente scrivendo quelle parole.
Con
Andrea poteva essere se stessa, senza il terrore di essere giudicata.
“Almeno
non bisogna stare sdraiati sopra un lettino di
pelle come nei telefilm”.
La
castana scosse la testa, divertita. Anche lei l'aveva sempre pensato.
“Se
sei sdraiato, come potresti giocare con le bambole?”.
Inviò
il messaggio, contenta di poter confidare a qualcuno cosa succedesse in
quella
stanza durante i colloqui. Di certo non l'avrebbe mai detto a Chloe.
Alzò
di sfuggita il viso.
Gli
occhi dei ragazzi erano puntati su di lei, persino quelli color
nocciola di suo
fratello. Alzò un sopracciglio, confusa, quando se ne rese
conto.
-Chi
ti ha scritto?- chiese Ryan, senza nascondere la sua eccitazione.
Sophie
arrossì lievemente. Non aveva mai avuto una vera amica e le
sembrava quasi
impossibile poter finalmente dire di aver conosciuto una ragazza
meravigliosa.
Aprì
la bocca, per rispondere, ma Justin la anticipò.
-Oh,
di sicuro l'operatore telefonico- disse, prima di scoppiare a ridere.
La
ragazza si morse il labbro inferiore, per non singhiozzare.
Si
alzò velocemente dal pavimento e corse in camera sua.
Sbatté la porta e si
rannicchiò contro il muro, prima di scoppiare a piangere.
Perché
era così cattivo con lei? Era la sua sorellina, la stessa
bambina di dieci anni
prima. La bambina delle promesse.
Ma
lui no. Lui non lo era più.
EHI!
Ecco
un altro capitolo, dove
finalmente capiamo qualcosa di più su Andrea.
Spero
vi piaccia e vi
ringrazio come sempre tutte, ora rispondo alle recensioni,
un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Pattie
afferrò il cordless e si appoggiò alla parete
della cucina, pronta ad ascoltare
le parole di Claire.
-Ho
appena parlato con la Parker- esordì l’avvocato.
Pattie annuì, pur consapevole
che lei non potesse vederla. Claire sospirò, facendo
preoccupare la mamma di
Sophie e Justin. -A quanto pare, Sophie ha fatto un disegno che la
Parker ha
interpretato... a modo suo, diciamo- continuò poco dopo,
cautamente.
-E...
cosa ha disegnato?- Pattie parlò, finalmente. Già
dall’atteggiamento dell’avvocato
aveva capito che qualcosa non andasse, ma ancora doveva capire se fosse
più
grave di quanto già poteva immaginare.
-Ha
disegnato un albero con due rami robusti e due più sottili-
spiegò Claire,
lasciando Pattie parecchio perplessa.
Cosa
poteva significare dell’albero?
Rimasero
entrambe in silenzio.
Pattie
cercava di capire, senza però riuscirci. Claire sperava di
non dover aggiungere
altro, sapendo che parlando avrebbe sconvolto la donna.
-Io
non riesco a comprendere, Claire- sussurrò poco dopo.
L’avvocato
sospirò nuovamente -Secondo Julie Parker, l’albero
rappresenta la famiglia e i
rami i tuoi figli, te e...- spiegò, interrompendosi
sull’ultima parola.
-Jeremy-
concluse Pattie, pronunciando il nome del suo ex marito come se fosse
un
insulto.
-Esattamente-
concordò l’avvocato.
La
donna dagli occhi celeste rifletté qualche secondo su quelle
parole, prima di
comprendere appieno la faccenda.
-Oh,
ma è assurdo!- esclamò indignata -Come cazzo
può sostenere che Sophie abbia
disegnato quell’albero perché le manca quel
bastardo?- chiese, totalmente
scioccata. Non si era nemmeno resa conto di aver alzato la voce,
attirando così
l’attenzione del figlio.
Justin
deglutì, sentendo la voce della madre dal salotto.
-Devi
capire che Sophie è troppo sensibile e ci resta molto male
se fai queste
battute a dir poco squallide- sentì a malapena la voce
dell’amico Ryan, che
stava cercando di fargli
capire quanto fosse sbagliato il suo comportamento.
Be’,
naturalmente Justin non stava prestando attenzione, soprattutto dopo
aver
sentito la madre parlare al telefono.
Si
alzò di scatto dal divano, pronto a dirigersi verso la
cucina, ma Ryan lo
fermò.
-Ehi,
mi stavi ascoltando?- chiese, nonostante sapesse già la
risposta.
Il
biondo lo guardò -Oh, certo. Qualcosa riguardo al
surriscaldamento globale,
giusto?- chiese Justin di rimando, con un sorrisetto di sfida.
Ryan
roteò gli occhi, proprio come Chaz, mente Chris
ridacchiò, ricevendo un’occhiata
di approvazione da parte di Justin.
Non
ricevendo risposta dall’amico, Justin si diresse nuovamente
verso la cucina. La
porta era socchiusa, ma riusciva comunque a vedere sua madre appoggiata
alla
parete, con il cordless all’orecchio.
-Justin,
cosa...?- Chris si avvicinò all’improvviso,
cercando di chiedere al biondo cosa
stesse facendo, ma Justin lo zittì subito.
-Non
farti sentire- sussurrò, tornando a guardare la madre.
-Solo
perché Sophie ha preso quei pupazzi, non vuol dire che le
manchi Jeremy commentò
Pattie, stizzita.
Justin
aggrottò la fronte, sentendo quelle parole.
Di
cosa stava parlando sua madre? Non riusciva a capirlo.
-È
ovvio che tu lo sappia, ma mi sembra che la Parker stia cercando di...
non lo
so. Sta facendo di tutto per allontanarci- concluse, affondando le dita
fra i
suoi capelli.
Justin
alzò entrambe le sopracciglia, perplesso, quando sua madre
spalancò gli occhi.
-Che
cosa succede?- chiese Chris, non capendo come mai Pattie sembrasse allo
stesso
tempo arrabbiata, impaurita e sconvolta.
-Non
lo so, cazzo- rispose Justin.
In
che modo la Parker aveva intenzione di allontanarli?
-Dici
davvero?- chiese Pattie, mentre una lacrima rigò il suo
viso.
-Che
cazzo sta succedendo?- sussurrò il biondo. Odiava il fatto
di non sapere cosa l’avvocato
avesse detto da sconvolgere così tanto la madre.
-No,
certo. So di non poter fare niente per impedirlo- Pattie
annuì, asciugandosi le
guance, ormai ricoperte di lacrime.
Justin
strinse le labbra in una linea sottile e si allontanò dalla
porta, seguito da
Chris, capendo che ormai la conversazione fosse giunta al termine.
Pattie
sospirò e cercò di impedire alle lacrime di
bagnare maggiormente il suo volto.
Non
avrebbe potuto fare niente per evitare che la Parker facesse
ciò che aveva
deciso. Nessuno poteva farle cambiare idea o non rispettare la sua
decisione.
Certo, la situazione era ancora un po’ incerta per il
momento, ma di sicuro
Pattie non avrebbe detto niente a Sophie fino alla fine.
La
ragazza si alzò dal pavimento per sdraiarsi sul suo letto.
Poco dopo, il
cellulare vibrò.
“Posso
chiamarti?”.
Sophie
sospirò leggendo il messaggio di Andrea.
“Scusami,
ma in questo momento è meglio di no”.
Sperò
vivamente che Andrea non si offendesse, ma non era il caso di parlare
durante
una crisi di pianto. Si asciugò velocemente le guance e
cercò di non pensare a
tutti i commenti del fratello.
Ormai
non c’erano dubbi sul fatto che Justin la odiasse, doveva
solo capire il
perché. Lei, nonostante venisse maltrattata da chiunque, non
si permetteva di
provare odio verso qualcuno. Forse solo verso suo padre, ma per gli
altri
provava solo compassione. Sophie era una vittima di bullismo
perché chi la
picchiava o insultava aveva bisogno di fare del male a lei, per
sentirsi bene.
Non c’era niente di più patetico al mondo.
Il
cellulare vibrò nuovamente.
“Cos’ha
fatto questa volta?”.
Leggendo,
Sophie non poté fare a meno di sorridere.
Andrea
aveva già capito da sola quale fosse il problema e la
castana l’adorava per
questo. Con lei, non aveva bisogno di dilungarsi in spiegazioni inutili
che l’avrebbero
solo fatta sentire peggio. Andrea capiva subito.
“È
sempre... cattivo
con me e, sinceramente, non ne capisco il motivo”.
Altre
lacrime bagnarono il suo dolce viso.
Magari,
se l’avesse saputo, avrebbe cercato di sistemare le cose. Ma
sembrava che
Justin non volesse. A lui bastava far soffrire Sophie.
“E
così ha infranto di nuovo la promessa... e di conseguenza
pure tu, dico bene?”.
Andrea
sapeva della promessa di dieci anni prima. Era una delle prime cose di
cui
avevano parlato e sosteneva che Sophie dovesse rispettarla. Non per
Justin, ma
per se stessa. Non doveva piangere, doveva solo sorridere,
così da non dare al
biondo la soddisfazione di vederla soffrire per lui.
“Perché
me lo chiedi, se lo sai?”.
Dopo
aver inviato il messaggio, Sophie si alzò dal letto, decisa
a farsi una doccia.
Afferrò da un cassetto l’intimo, una maglietta
larga e dei pantaloni lunghi.
Con
quel caldo le sarebbe piaciuto indossare dei pantaloncini, ma sapeva
che Justin
non avrebbe perso tempo e le avrebbe fatto notare quanto fossero enormi
le sue
cosce. Pattie le diceva sempre di non credere alle parole di Justin, ma
lei non
capiva quanto facessero male. Sembravano delle coltellate dritte allo
stomaco,
per la cattiveria con cui le diceva. Avrebbe potuto far credere alla
ragazza
più bella del mondo di essere orribile e alla persona
più intelligente di
essere ignorante. A lui, però, non interessava farlo.
L’unico suo obiettivo era
quello di distruggere Sophie psicologicamente e, purtroppo, ci riusciva
fin
troppo bene.
Sospirando,
la ragazza uscì dalla stanza e si diresse verso il bagno,
trovandolo occupato.
Si appoggiò alla parete e aspettò qualche minuto
prima che uscisse Chris.
Sophie
abbassò lo sguardo verso i suoi piedi, impaurita. Temeva che
lui potesse
iniziare a offenderla come il fratello, anche solo perché si
trovava lì, fuori
dal bagno.
-Sophie...-
sussurrò dolcemente il ragazzo, cercando di dire qualcosa,
ma lei entrò
velocemente nel bagno, chiudendo la porta a chiave.
Sospirò,
sentendosi al sicuro, e appoggio il cambio e gli occhiali vicino al box
doccia.
Lentamente si sfilò i vestiti e li infilò nel
cesto dei panni sporchi. Poco
dopo si sciolse la coda e si avvicinò allo specchio del
bagno.
Deglutendo,
osservò il riflesso del suo corpo e si morse il labbro
inferiore quando arrivò
alle cosce. Le vedeva enormi, così come la pancia.
Chiuse
gli occhi, per evitare di guardare ancora il suo corpo, e non li
aprì fino a
quando sentì il vetro del box doccia. Si infilò
dentro e aprì il getto dell’acqua
tiepida.
Le
gocce d’acqua scorrevano sul suo corpo, ma lei non le sentiva
nemmeno. Era
troppo impegnata a ripensare al suo riflesso sgradevole. Odiava
tremendamente
il suo corpo e Justin aveva ragione a farle notare tutti i suoi
difetti.
Lei
era brutta e bassa. Era una quattr’occhi con i denti storti,
le cosce e la
pancia enormi e il seno piccolo.
Singhiozzò
quando altre lacrime rigarono il suo viso, confondendosi con il getto
della
doccia.
Si
insaponò cercando di non guardare il suo corpo e
provò un forte senso di
ribrezzo
anche solo sfiorandolo.
Dopo
essersi sciacquata, girò il regolatore dell’acqua
fino a sentire il liquido
scorrerle gelido sulla schiena.
Rabbrividì
a quella bassa temperatura, ma strinse violentemente gli occhi, come
per avere
sollievo.
Il
labbro cominciò a tremarle, ma lei non se ne
importò.
La
pelle delle dita iniziava a raggrinzirsi, ma fece finta di non
accorgersene.
Non
sentiva più la doccia sotto i suoi piedi, anzi, le sembrava
di avere dei
mattoni subito dopo le caviglie, ma chi se ne preoccupava?
La
testa le scoppiava per quel freddo, non riusciva più a
ragionare e non si rese
nemmeno conto di essersi appoggiata alla manovella
dell’acqua, per evitare di
cadere, e di aver fermato il getto.
Uscì
dalla doccia con lo sguardo basso, come se si vergognasse di aver
terminato
quella tortura. Le sembrava quasi di vedere l’espressione di
disapprovazione
sul volto di Justin.
Si
strinse nel suo accappatoio blu e si asciugò velocemente,
per poi vestirsi.
Uscì
dal bagno con i capelli bagnati, senza alcuna intenzione di asciugarli.
Tra
i quattro ragazzi regnava il silenzio. Ognuno era impegnato a farsi gli
affari
suoi, seppure in compagnia.
Chris
ripensò ai singhiozzi di Sophie che aveva sentito provenire
dal bagno subito
dopo esserne uscito. Non capiva il motivo del suo pianto, ma non lo
avrebbe
chiesto a Justin, che di sicuro sarebbe stato solo felice di
sapere che
sua sorella avesse pianto.
-Inizio
ad avere fame- sussurrò Justin, con un ambiguo sorriso sul
volto -Sarà
divertente abbuffarsi mentre Sophie tenterà in tutti i modi
di toccare meno
cibo possibile- concluse sogghignando.
Chris
rimase sconvolto, cercando di non darlo a vedere.
Come
poteva un fratello provare tutto quell’odio verso la propria
sorella? Era
impensabile.
Certo,
tutti i fratelli litigano fra loro, pensò Chris, ma Justin
sembrava divertirsi
veramente a maltrattare Sophie. Senza capire, che già altre
persone lo facessero,
considerando tutti i lividi che poteva scorgere sul viso della piccola
Sophie.
EHI!
Ecco
qui un altro capitolo, giusto per deprimere
maggiormente questo pomeriggio di fine Agosto…
Vi
chiedo perdono per il ritardo, ma stavo cercando di
finire l’altra storia, “Do you remember our
kiss?” per poi dedicarmi solo a
questa.
Spero
vi sia piaciuto il capitolo e mi dispiace se è un
po’ corto, ma dovevo per forza interrompere qui, era inutile
allungare il brodo
con frasi senza senso.
Vi
ringrazio come sempre tutte, ora vado a rispondere
alle vostre recensioni,
un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Quella
mattina Sophie si svegliò di soprassalto. Afferrò
svelta la sveglia e notò con
dispiacere di essersi svegliata con trenta minuti di anticipo.
Sospirò e
appoggiò di nuovo la testa sul cuscino, provando a dormire
ancora qualche
minuto, ma rinunciò all'impresa quando aprì
automaticamente gli occhi dopo
averli chiusi. Ormai era sveglia. Si alzò dal morbido letto
e si diresse
all'armadio, con passo strascicato. Aprì lentamente le due
ante e cominciò a
fissare i suoi vestiti, cercando qualcosa di largo, comodo e fresco.
I
suoi vestiti non le piacevano affatto. Le coprivano il corpo, certo, ma
erano
ugualmente... brutti.
Sospirò
affranta e afferrò le prime cose che le capitarono fra le
mani. Indossò
l'enorme maglietta grigia e i pantaloni blu, prima di legarsi i capelli
castani
e indossare gli occhiali rotti.
Sfiorando
le asticelle nere dei suoi occhiali da vista, Sophie non
poté fare a meno di
ricordare quell'orribile momento in cui Anne li aveva calpestati con la
suola
della sua scarpa, producendo un suono insopportabile. Ma Sophie, in
quell'istante, aveva solo pensato a come fosse difficile la sua vita,
senza
dare troppa importanza a quel rumore. Aveva pensato a quei pomeriggi
passati ad
attorcigliare il nastro adesivo sui suoi occhiali, sperando che
qualcuno
potesse usare lo stesso identico amore per aggiustare il suo cuore
ormai
infranto. Probabilmente, però, lei avrebbe continuato a
soffrire.
Sussultò
a quel pensiero e prese un respiro profondo per calmarsi.
-No-
sussurrò, afferrando l'orlo della maglietta e tirandolo
più in basso possibile.
-Le cose cambieranno- continuò, chiudendo gli occhi per
cercare di pensare a
qualcosa di positivo, mentre una lacrima solitaria rigava il suo viso.
Solo
in quel momento, si ricordò che quello sarebbe stato il suo
ultimo giorno di scuola.
Spalancò gli occhi e si guardò freneticamente
intorno, alla ricerca della sua
cartella. Una
volta trovata, si affrettò ad aprirla e a tirarne fuori il
suo diario
scolastico. Sfogliò le pagine fino ad arrivare alla pagina
di quel giorno, la
pagina bianca di un venerdì, attraversata da due parole
scritte a caratteri
cubitali.
-Ultimo
giorno- mormorò, lasciando che un lieve sorriso si facesse
spazio sul suo viso.
Quel
giorno avrebbe visto per l'ultima volta tutte le persone di quella
scuola che
le avevano reso la vita un inferno. Avrebbe avuto tre mesi di vacanza
per
lasciare che tutti i lividi violacei sulla sua pelle bianca
diventassero solo
un brutto ricordo.
Ma
quei giorni le avrebbero veramente riportato la
tranquillità? Sarebbe bastato
questo per fare in modo che i vari pezzi del suo cuore si
ricongiungessero da
soli?
Pattie
apri il frigorifero e afferrò il succo d'arancia che i suoi
figli bevevano ogni
mattina.
Quella
notte non aveva chiuso occhio al pensiero di ciò che sarebbe
successo.
Come
avrebbe reagito Sophie? Non riusciva nemmeno a pensarlo. Di sicuro le
si
sarebbe spezzato il cuore vedendo le sue lacrime.
E
Justin? La donna si morse il labbro inferiore cercando di capire come
si
sarebbe comportato suo figlio.
Afferrò
due bicchieri di vetro, li riempì con il succo e
cercò di sorridere, sentendo
dei passi avvicinarsi alla cucina.
-Ciao
mamma- salutò Justin, con la sua solita aria annoiata.
Pattie
aggrottò la fronte -Dovresti essere felice oggi:
è l'ultimo giorno di scuola-
commentò, prima di porgere il bicchiere e una mela al
ragazzo.
-Non
lo sarò fino al suono dell'ultima campanella-
replicò, sorseggiando il succo
aspro.
La
donna alzò scherzosamente gli occhi al cielo, mentre in quel
momento Sophie
entrò nella stanza.
-Buongiorno-
sussurrò con l'ombra di un sorriso sulle labbra.
Pattie
deglutì.
Ogni
mattina Sophie si svegliava triste e sconfortata al pensiero di
ciò che avrebbe
dovuto passare durante la giornata, ma quel giorno no. Sorrideva. E
questo fece
sentire ancora più in colpa la madre.
-Ciao
tesoro- balbettò, ricevendo un'occhiata incuriosita da parte
dei figli.
Lei,
però, uscì velocemente dalla cucina, per
dirigersi nella sua stanza da letto.
Sophie
alzò entrambe le sopracciglia, per poi sedersi di fronte al
fratello.
-Ehi,
palla di grasso!- esclamò lui con un ghigno.
La
ragazza osservò attentamente gli occhi di Justin, senza
battere ciglio.
Perché
si divertiva così tanto ad offenderla?
Sophie
assunse involontariamente un'espressione di disgusto nei confronti di
suo
fratello. Si alzò dalla sedia e afferrò la sua
cartella.
Justin
scoppiò a ridere -Così non c'è
divertimento!- commentò ironico -Come mai non mi
ricordi il tuo odio nei miei confronti?- domandò con le
lacrime agli occhi per
le risate.
-Spero
tu possa soffrire per la mia mancanza, un giorno- mormorò
lei.
Il
ragazzo, sentendo quelle parole, interruppe bruscamente la sua risata,
ma
Sophie era già uscita da quella casa. Perse lo sguardo
nel vuoto, mentre
l'eco di quelle parole rimbombava nella sua mente. Scosse velocemente
la testa
e morse la sua mela.
Justin
chiuse il suo armadietto, svegliando Chris dal suo sonnellino
improvvisato in
mezzo al corridoio.
-Sono
sveglio!- esclamò automaticamente, prima di sbadigliare.
Ryan
inarcò un sopracciglio, mentre Chaz roteò gli
occhi.
-In
realtà non mi interessa più di tanto se continui
a dormire o meno- il solito
commento acido di Justin non tardò ad arrivare, seguito da
un suo ghigno.
-Ragazzi,
sto cercando di organizzare il programma di questo pomeriggio, ma voi
non mi
state ascoltando- disse Ryan scocciato.
Chris
si strofinò le mani sugli occhi, cercando di svegliarsi
completamente, e
rivolse la sua attenzione all'amico.
-Ryan,
abbiamo il pomeriggio libero, possiamo fare quello che ci pare-
concluse
Justin, allontanandosi dal gruppetto.
Chaz
lo osservò fino a quando entrò in una classe con
la sua tipica aria arrogante.
-È
capace di spegnere l'entusiasmo a chiunque- commentò Ryan,
sconfortato.
-Già-
concordò Chaz, afferrando un libro dal suo armadietto
-Povera Sophie- continuò
poi, guadagnandosi un'occhiata indecifrabile da parte di Chris.
Il
ragazzo aprì la bocca, come per dire qualcosa, ma in quel
preciso istante suonò
la campanella, seguita da lamenti di disapprovazione degli alunni.
-Allora,
ragazzi, che programmi avete per quest'estate?- domandò la
professoressa
Stewart, osservando la sua classe.
Tra
gli alunni si sparse un fastidioso brusio, mentre Sophie guardava un
punto
imprecisato della stanza. Alcune risposte arrivarono ovattate alle
orecchie
della ragazza: c'era chi desiderava passare tutta l'estate sulla
spiaggia e chi
sperava di innamorarsi in quei tre mesi, per poi dimenticarsi tutto a
Settembre.
La
professoressa risse di gusto, probabilmente ripensando a quanto i sogni
di quei
ragazzi fossero simili a quelli che lei stessa aveva avuto alla loro
età.
-E
tu, Sophie?- chiese poi, provocando un assordante silenzio.
La
ragazza si riscosse finalmente dai suoi pensieri e guardò
confusa la donna
-Cosa?- fu la risposta che provocò molte risate.
La
Stewart sorrise -Cosa vorresti fare quest'estate?- riformulò
meglio la domanda.
Le
labbra di Sophie si incurvarono lievemente. Era contenta di poter
rispondere a
quella domanda -Be', mi piacerebbe guadagnare un po' di soldi in questi
tre
mesi, così tra qualche anno potrei trasferirmi in Europa per
gli studi. Pensavo
di trovare lavoro in un bar o...- tentò di spiegare i suoi
piani, ma tutti i suoi
compagni iniziarono a ridere rumorosamente.
-Secondo
me con quei soldi si comprerà un nuovo paio di occhiali,
visto che sua madre
non può permetterseli- disse David con cattiveria.
Sophie
sussultò sentendo quelle parole e appoggiò le
braccia e la testa sul banco,
cercando di non piangere davanti a tutti.
Era
così tanto importante che sua madre non avesse abbastanza
soldi per comprarle
un nuovo paio di occhiali? Davvero la simpatia di una persona dipendeva
dalla
quantità di soldi nel portafoglio?
Il
dolce suono dell'ultima campanella arrivò con un minuto di
ritardo, scatenando
le urla di gioia di tutti gli studenti del Canada.
Probabilmente,
Sophie era la ragazza più felice del mondo, in quel momento.
Afferrò la sua
cartella e con una corsa uscì dell'edificio, felice di non
doverci più entrare
da quel momento in poi. Si sentì finalmente libera e, con un
gesto veloce,
prese tutte le cartacce dalla sua cartella e le lanciò per
aria, lasciando che
il debole vento le facesse svolazzare nel cielo. Corse verso casa fino
a
sentirsi mancare il fiato e, a un paio di isolati di distanza dalla
destinazione, si fermò per poi piegarsi sulle ginocchia e
riposarsi qualche
secondo. Poi si guardò velocemente intorno e... rise. Rise
per la prima volta
dopo troppo tempo e, sentendo lo sconosciuto suono della sua risata,
rise con
ancora più gusto. Ricominciò a correre verso casa
e nel giro di pochi minuti si
ritrovò di fronte al portone. Prese le chiavi e lo
aprì.
-Sono
a casa!- urlò allegra.
Attese
qualche istante, senza ricevere risposta. Corrugò la fronte
e andò in cucina
per cercare sua madre, ma non la trovò.
-Mamma?-
la chiamò, avviandosi verso la sua camera.
-Mamma?-
ripeté, aprendo la porta.
Sussultò
vedendola davanti al suo armadio con una valigia rossa accanto e dei
vestiti
sparsi per la stanza.
-Che
stai facendo?- chiese, preoccupata.
Pattie
distolse lo sguardo dai vestiti e lo rivolse alla figlia, mostrandole i
segni
del suo pianto.
-Non
lo vedi?- domandò retorica -Ti preparo la valigia, Sophie-
disse poi con un'espressione
indecifrabile.
Sophie,
in quel momento, sentì un vuoto nel petto, all'altezza del
cuore.
Come
mai sua madre stava infilando tutti i suoi vestiti in quell'enorme
valigia?
Alcune lacrime iniziarono a rigare il suo viso, mentre la sua
precedente
spensieratezza sparì completamente, senza lasciare alcuna
traccia.
-Perché
lo stai facendo? Non mi vuoi più?- chiese disperata, ma sua
madre cercò di non
guardare le sue lacrime e di non sentire tutto il dolore nella sua voce
flebile.
Pattie
le rivolse un'occhiata vuota, come se preparare quella valigia le
avesse
prosciugato ogni sentimento.
Quella
freddezza fece rabbrividire la ragazza.
Sua
madre la odiava? Non le voleva più bene, proprio come
Justin? Perché
tutti, prima o poi, finivano per odiarla?
A
quei pensieri, Sophie sentì la rabbia invaderle le vene e si
asciugò
bruscamente le lacrime.
-Per
quanto tempo?- chiese freddamente, senza bisogno di chiedere altre
spiegazioni:
ormai aveva capito.
-Fino
a Settembre- rispose Pattie, infilando una maglietta verde nella
valigia.
Sophie
annuì -Bene- concluse, uscendo dalla stanza.
Justin
rise, dando una pacca sulla spalla al suo amico Chris.
-Ci
vediamo domani, ragazzi- salutò il suo gruppo di amici ed
entrò nella sua casa.
-Ciao-
salutò, senza rivolgersi a qualcuno in particolare.
Appoggiò la cartella per
terra e si guardò intorno. -Ehi cicciona, dove sei?-
domandò con un ghigno,
senza ricevere risposta come ogni volta. A preoccuparlo,
però, fu la mancanza
di un rimprovero da parte della madre.
Corrugò
la fronte e si diresse in cucina, aspettandosi di trovare Sophie
intenta a
mangiare qualcosa e sua madre di fronte ai fornelli. Ma non fu
così. Sua madre
era seduta davanti al tavolo, con la testa fra le mani e le lacrime
agli occhi.
Nessuna traccia di Sophie.
-Mamma,
che succede? Dov'è Sophie?- chiese agitato, vedendola in
quello stato.
Pattie
alzò il viso e guardò il figlio negli occhi -Sul
primo aereo per Londra, e io
non ho fatto nulla per impedirlo- rispose singhiozzando.
ODDIO,
SONO PASSATI DUE MESI O_o
Sono
una vera stronza e vi chiedo scusa, ma la scuola non
mi lascia un minuto libero ed è fin troppo strano che io sia
riuscita a finire
il capitolo che sto scrivendo da Settembre. Infatti vi chiedo scusa se
alcuni
punti sono scritti con una stile diverso dall’altro, ma ho
scritto alcune parti
del capitolo a fine Agosto, altre a Settembre e altre ieri. Vi chiedo
scusa
anche per dei possibili errori, ma per scrivere uso il tablet e
c’è il t9…
Avete
tutta la mia comprensione se non volete più leggere
la mia storia, davvero, e ringrazio tutte le ragazze che mi hanno
inviato dei
messaggi per chiedermi che fine avessi fatto hahaha :’)
Passando
al capitolo, finalmente Sophie non dovrà più
avere a che fare con quegli stronzi, maaa… i problemi non
sono ancora finiti e
viene spedita a Londra dal padre (per chi non l’avesse
capito).
Vi
ringrazio tutte come sempre, grazie per la pazienza e
per tutto il resto, grazie.
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
-Dopo
queste stressanti ore di viaggio, se fossi in te spererei che la nuova
casa
possa piacermi- sbuffò la ragazza uscendo dall'aeroporto. Si
guardò intorno
prima di storcere il naso.
Diana
finse di non sentire le lamentele della figlia e trascinò la
valigia fino a un
taxi libero.
-Sei
veramente stressante, Andrea- commentò Lucas, arrotolando le
maniche della
maglietta blu più su.
-Credi
che mi interessi?- domandò retorica la ragazza, ricevendo
un'occhiataccia dal
fratello maggiore.
-Smettetela!
Quando saremo arrivati nella nuova casa potrete anche attaccarvi le
gomme da
masticare sui capelli a vicenda, ma ora state zitti, per l'amor del
cielo!-
disse Diana esasperata.
Andrea
la guardò con lo stupore dipinto sul viso. La madre
inarcò un sopracciglio in
attesa che dicesse qualcosa.
-Gomme
da masticare- ripeté la figlia -Ma è fantastico!
Non ci avevo mai pensato-
continuò poco dopo, fissando i capelli scuri del fratello.
-Non
ci pensare nemmeno, nanetta- la voce di Lucas arrivò
minacciosa alle orecchie
di Andrea, ma lei sapeva che in realtà non l'avrebbe mai
nemmeno sfiorata.
Diana
alzò gli occhi al cielo, per poi infilare la valigia nel
bagagliaio, aprire la
portiera e dire la destinazione, facendo annuire l'uomo che durante
tutta la
discussione era rimasto ad ascoltare con il sorriso sulle labbra.
Andrea
salì sull'auto, seguita dal fratello, prima di afferrare il
cellulare e fissare
il display.
Da
alcuni giorni non sentiva Sophie ed era abbastanza preoccupata. Era
sicura che
l'ultimo giorno di scuola le avrebbe finalmente mandato un messaggio in
cui
dicesse di essere felice, invece proprio da quel giorno non riceveva
più
notizie dalla ragazza. Sospirò, sperando che finalmente il
display si
illuminasse, ma il tempo continuò a scorrere, i secondi e i
minuti passarono e
la macchina giunse di fronte ad una villetta abbastanza graziosa,
circondata da
un giardinetto verde e divisa da un'altra fila di ville da una strada
seminata
di sassolini e vetri rotti.
Scese
dalla macchina e si guardo intorno, provando a memorizzare
più dettagli
possibili. C'erano molti alberi ricoperti di foglie verdi luccicanti,
il recinto
della villetta era bianco come lo immaginava e la cassetta della posta
rossa.
Certamente quel quartiere era molto più bello del palazzo in
cui era abituata a
vivere a San Francisco, era molto più simile a quello che
tutto il mondo vede
nei telefilm americani e... le piaceva, ma era tutto troppo tranquillo
per i
suoi gusti. Era affezionata al traffico della città, ai
ritardi la mattina e a
tutto il resto.
Si
avvicinò al cancelletto e lo apri con la chiave che sua
madre le aveva dato
pochi minuti prima in macchina. Lo spalancò lentamente
producendo un fastidioso
cigolio e percorse il suo breve sentiero di ghiaia, su cui altri piedi
stavano
camminando, ma non ebbe bisogno di girarsi per capire di chi fossero.
Aprì
anche il portone della casa ed entrò, per poi essere invasa
dalla tristezza.
Quella casa era bella, sì, ma vuota e gelida, come se fosse
stata disabitata
per decenni.
-Ti
piace?- chiese Lucas, appoggiandole le mani sulle spalle.
Andrea
non rispose, perché in fondo sapeva che era solo una di
quelle domande che si
pone per interrompere il silenzio, una delle domande a cui non rispondi
perché
in verità non c'è niente da dire.
Si
girò verso il fratello e lo abbracciò, stringendo
il suo corpo con tutto
l'affetto possibile.
-Supereremo
anche questo, Andrea, te lo prometto- sussurrò Lucas
nell'orecchio della
sorella.
La
ragazza si asciugò una lacrima -Sono stanca di tutte queste
promesse che non
vengono mai mantenute- rispose, prima di affondare il viso nell'incavo
del suo
collo.
Lucas
sospirò, stringendo maggiormente la sorella.
-Ora
sorridi, ti prego. Fallo per la mamma- mormorò, asciugandole
le guance
arrossate e umide. La ragazza annuì e sciolse l'abbraccio
proprio quando la
madre entrò nella casa.
-Allora?
Che ne pensate?- chiese speranzosa.
Andrea
forzò un sorriso -Bellissima- rispose semplicemente, prima
di sparire
velocemente dalla visuale di sua madre, intrufolandosi in una stanza a
caso.
Entrò
e si sedette con la schiena appoggiata al muro, senza nemmeno stare ad
analizzare la stanza vuota e dalle pareti grigie. Le lacrime
ricominciarono a
scorrere sul suo viso, ma non tentò di fermarle. Aveva un
incredibile bisogno
di sfogarsi con qualcuno, di sciogliere quel nodo che le stringeva lo
stomaco
togliendole il fiato, ma non l'avrebbe mai fatto con suo fratello. Era
dolce e
comprensivo, ma non sopportava di vederla piangere. Sapeva di renderlo
triste
con le sue lacrime e non voleva assolutamente farlo.
Afferrò
il cellulare e compose il numero che ormai aveva imparato a memoria.
Attese,
singhiozzando, ma dopo vari squilli scattò la segreteria
telefonica -Il numero
da lei
chiamato non è al momento raggiungibile, lasci un messaggio
dopo il segnale
acustico- Andrea sospirò a quelle parole. Si
asciugò una lacrima vicino alle
labbra e prese un respiro profondo -Sophie, sono Andrea. È
da alcuni giorni che
non ci sentiamo e sono preoccupata, ma...- un singhiozzo scosse il suo
petto
-ho anche bisogno di te, di parlarti.- deglutì -In questo
momento sono in un
paesino sperduto del Canada e...- il segnale acustico interruppe le sue
parole.
-Oh, fanculo- borbottò, per poi sdraiarsi sul pavimento e
avvicinare le gambe
al suo petto.
Chiuse
gli occhi e sospirò.
Avrebbe
superato anche quello prima o poi, era ovvio, ma sperava che quel
momento
arrivasse molto presto.
Si
alzò dal pavimento per avvicinarsi alla finestra della
stanza, che si
affacciava sulla stradina dove il taxi li aveva lasciati.
Osservò la cassetta
della posta dall'alto, per poi rivolgere lo sguardo dritto davanti a
sé. C'era
una graziosa villetta, simile alla sua.
Aprì
la finestra, lasciando che una leggera brezza le scompigliasse i
capelli e
osservò meglio.
Da
una finestra di quella casa riuscì a vedere due persone
nella stanza di fronte
alla sua, ma subito dopo le tapparelle furono abbassate, impedendole di
scrutare
ulteriormente.
Guardò
altrove, soffermando lo sguardo sul cielo azzurro e limpido.
Be',
non era poi così male il Canada, ma come sarebbe stato
passarci i prossimi
anni?
Finì
l'acqua con un ultimo sorso, per poi appoggiare il bicchiere nel
lavandino.
La
cucina era l'unica stanza della casa, insieme al salotto, che avesse un
minimo di arredo:
lavandino,
fornelli, credenza, un tavolo e quattro sedie. Quel pomeriggio, invece,
sarebbe
arrivato il camion da San Francisco, con tutti i mobili della vecchia
casa.
Si
sedette, appoggiò le braccia sul legno del tavolo e
sospirò rumorosamente.
Diana
smise di mescolare il sugo nella pentola, che aveva trovato in uno
sportello
della credenza, e rivolse lo sguardo al figlio.
-Che
succede, Lucas?- chiese, apprensiva.
-Sono
preoccupato per Andrea- confessò -ho paura che non riesca ad
ambientarsi qui in
Canada e non potrei sopportare una sua possibile sofferenza- concluse,
appoggiando la testa sulle mani.
La
madre sorrise lievemente alle parole del figlio: era felice che fossero
così
uniti e che si volessero bene.
-Qui
potete avere tutto ciò che vi serve, tesoro. Sono sicura che
cambiare aria vi
farà bene- disse rassicurante.
Sapeva
bene che in realtà il trasloco in Canada era anche un modo
per lei di
ricominciare la sua vita dopo la separazione dall'ex marito, ma
evitò di
iniziare quell’argomento.
-E
poi Andrea è una ragazza forte, nonostante abbia solo
tredici anni- sussurrò,
facendo sorridere Lucas.
-Già-
concordò lui.
Diana,
contenta di essere riuscita a tranquillizzare il figlio,
tornò a preparare il
sugo per la pasta che avrebbero mangiato a pranzo.
Lucas
prese il suo cellulare dalla tasca dei bermuda grigi e
sbloccò il display,
pronto a rispondere ai messaggi dei suoi amici di San Francisco.
Sentiva
già la loro mancanza, nonostante li avesse sentiti prima di
salire sull'aereo,
ma comunque sapeva che avrebbe fatto presto nuove amicizie anche nella
nuova
città. Infatti, non aveva mai avuto difficoltà a
socializzare con i suoi
coetanei, a differenza di Andrea.
A
quel pensiero strinse la mano in un pugno. Non poteva sopportare che la
sua
sorellina avesse avuto solo amicizie false in tutti quegli anni. Da un
certo
punto di vista, era felice che si fossero trasferiti: almeno Andrea
avrebbe
avuto la possibilità di conoscere nuove persone.
-Sono
sicura che anche tu ti ambienterai presto- commentò Diana
con un tono
malizioso, distogliendo Lucas dai suoi pensieri.
Lui
inarcò un sopracciglio alla voce della madre -Come mai?-
chiese, senza riuscire
a capire cosa intendesse davvero la donna con le sue parole.
-Sai,
si dice che in Canada ci siano bellissime ragazze- disse vagamente,
facendo
arrossire il figlio.
Lucas
non aveva mai avuto una ragazza, escludendo la fidanzatina delle
elementari, ma
non perché lui non piacesse all'altro sesso. Anzi, era un
bel ragazzo dal
carattere dolce ed era corteggiato da molte ragazze a San Francisco.
-Hai
compiuto da alcuni mesi sedici anni, ma ancora non mi hai mai
presentato una
ragazza- commentò Diana, girandosi verso il figlio e
tendendo le labbra in un
lieve sorriso.
Lucas
ricambiò incerto, ma anche un po' impaurito.
Non
aveva ancora detto niente alla sua famiglia e di certo non aveva ancora
intenzione di farlo. Non sapeva come avrebbero reagito a una notizia
del
genere.
-Non
ti fidi di tua madre?- chiese pochi minuti dopo la donna, con un tono
sconsolato.
Il
ragazzo alzò entrambe le sopracciglia, dispiaciuto dal fatto
che sua mamma
potesse pensare una cosa simile. -Oh no, mamma, assolutamente no!-
esclamò
velocemente -È solo che...- disse, prima di interrompersi.
Non era ancora pronto.
-Che...?-
lo incoraggiò a continuare.
Le
mani iniziarono a sudargli e la maglietta blu iniziava a procurargli
una
fastidiosa sensazione di soffocamento. Che cosa avrebbe detto? Non ne
aveva
idea.
Dei
passi veloci giunsero da fuori la porta della cucina e, pochi secondi
dopo,
spuntò la faccia di Andrea.
-Che
buon profumo...- commentò, annusando la stanza -Che stai
preparando?- chiese
alla madre, che sorrise nel vederla così serena.
Forse
non era proprio gioiosa di essersi trasferita dalla città in
cui aveva passato
l'infanzia, ma era già fantastico che non stesse piangendo.
Il
ragazzo sospirò di sollievo e socchiuse gli occhi, per poi
appoggiare una mano
sul suo petto. Il cuore batteva all'impazzata e temeva che persino sua
madre e
sua sorella potessero sentirlo.
-Ti
devo un favore, Andrea- sussurrò con voce tremante.
La
ragazza si girò di scatto verso di lui con sguardo
interrogativo, ma Lucas
sorrise e scosse la testa.
Si
alzò dalla sedia e si avvicinò a madre e figlia,
intente a cucinare il pranzo.
-È
pronto?- chiese, affamato.
-Non
ancora- ridacchiò Andrea quando lo stomaco del fratello si
fece sentire.
-Comunque-
iniziò, attirando l'attenzione della sua famiglia -qui non
è poi così male-
commentò, facendo sorridere la madre.
-Come
hai detto che si chiama questo paesino?- chiese poi, rendendosi conto
di non
ricordare il nome.
Diana
assaggiò il sugo e sorrise soddisfatta del sapore, per poi
rispondere
-Stratford- concluse.
Sono
completamente pessima, e lo so bene, davvero.
È
stato un periodo terribile, lo è ancora, ma ho visto
tutte le vostre recensioni, i messaggi… come avrei potuto
far finta di niente? Era
impensabile, sul serio.
Passando
ad altro, spero stiate passando delle belle feste,
io no, ma sono solo dettagli :c
Finalmente
abbiamo un capitolo dal punto di vista di
Andrea e Lucas, spero davvero che vi piaccia.
Allora,
ci sarebbero tante cose da dire, ma preferisco
che siate voi a commentare, sempre se riusciate a perdonare il mio
pazzesco
ritardo. Sappiate comunque che nel prossimo capitolo si passa di nuovo
da
Sophie, Justin e Pattie.
Okay,
ho detto abbastanza, adesso rispondo alle recensioni
che mi avete lasciato e che mi hanno fatto parecchio piacere, vi voglio
davvero
bene e siete fantastiche con la vostra preoccupazione per Sophie, per
che fine
avessi fatto hahahah e per la storia :’)
Grazie
a tutte,
un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Justin
afferrò la manovella, per poi tirare giù la
tapparella di quella finestra dove
giorni prima Sophie si era addormentata e lui aveva provato un briciolo
di
tenerezza per quella ragazza che da molti anni maltrattava.
Da
quando non avevano fatto niente per impedire che partisse per Londra,
iniziava
a sentirsi in colpa per tutto. Perché solo in quel momento
si rendeva conto di
tutti i suoi stupidi errori?
Chiuse
la finestra, rimanendo di fronte ad essa con lo sguardo perso nel
vuoto.
Di
sicuro Sophie lo stava odiando in quel momento, e come darle torto?
-Allora
non possiamo proprio fare nulla?- chiese per l'ennesima volta alla
madre, che sospirò in risposta, per poi asciugarsi
le lacrime che da quel
giorno continuavano a percorrere il suo viso.
-No,
Justin. Perderei completamente l'affidamento- rispose rattristata. Il
ragazzo
strinse i pugni per poi uscire dalla camera della sorella e
rinchiudersi nella
sua sbattendo la porta.
Quel
giorno di cui parlava Sophie era arrivato: stava
soffrendo per
la sua mancanza.
Grugnì,
per poi sferrare un pugno contro il muro. Sospirò affranto e
si sdraiò sul suo
letto con una palla da basket in mano e i piedi contro il muro.
Iniziò a
palleggiare contro la parete e, a ogni rimbalzo, sentiva i singhiozzi
della
piccola Sophie. In quel momento era arrabbiato con se stesso, ma anche
confuso.
Poteva davvero soffrire per la causa della separazione dei suoi
genitori?
Bloccò la palla e chiuse gli occhi, cercando di capire quale
sentimento fosse
dominante. Li riaprì di scatto per poi ricominciare a
lanciare il pallone
arancione con rabbia.
Immerse
il cucchiaio nel brodo, per poi portarlo lentamente alle labbra
screpolate.
-Ci
metti ancora tanto a finire quella dannata minestra?- chiese la donna,
scocciata. Fissò le sue unghie perfettamente curate e
laccate di rosso,
attendendo una risposta.
Per
vari minuti continuò a regnare un silenzio assordante,
interrotto solamente dal
suono del metallo del cucchiaio a contatto con il vetro del piatto.
Sbuffò
-Inutile ragazzina- sputò quelle parole con odio e si
alzò dalla sedia per poi
allontanarsi velocemente dalla cucina e raggiungere il figlio di nove
anni e il
padre della ragazza sul balcone dell'appartamento.
-Troia-
disse lei, sicura che ormai la donna non potesse più
sentirla.
Subito
dopo, Sophie si alzò di scatto e buttò tutta la
minestra nel lavandino, così
come ogni sera da quando era arrivata lì a Londra dal padre,
da quella
sgualdrina di Jennifer e il suo fastidioso e capriccioso figlio.
Erano
passati vari giorni e nessuno era venuto a prenderla, ma lei nemmeno lo
voleva,
considerando che sua madre l'aveva praticamente cacciata di casa e suo
fratello
la odiava, ma proprio non riusciva a stare in quella casa con Jeremy,
Jennifer
e Gabe.
Si
diresse verso quella che era diventata la sua camera e
sbatté violentemente la
porta, come se quel gesto potesse aiutarla a sentirsi meglio. Lei,
però,
scoppiò a piangere e si sedette sul pavimento freddo,
infrangendo nuovamente la
promessa.
Era
incredibile come, nonostante tutto, lei sentisse un vuoto allo stomaco
a ogni
lacrima versata, pensando di aver fatto un torto a Justin. Magari non
al
sedicenne arrogante e cattivo che la ricopriva d’insulti, ma
a quel bambino di
cinque anni. Quel bambino con i capelli biondi che l'aveva tenuta
stretta fra
le sue braccia quella notte di quasi undici anni prima. Di quel bambino
non era
rimasto altro che il ricordo impresso nella mente di Sophie e ormai non
c'era
nulla per cui valesse la pena di continuare a vivere, niente.
Aveva
sperato di passare una magnifica estate, e invece si ritrovava nella
città dei
suoi sogni a vivere un incubo.
Per
la seconda volta nella sua vita, aveva paura del futuro.
Che
cosa avrebbe fatto dopo quegli infernali tre mesi? Come avrebbe potuto
ritornare
in quella casa e vivere con sua madre e Justin come se niente fosse
successo?
Ma il problema non era solo quello. Il problema era tutta la sua vita,
perché
avrebbe iniziato il liceo e sapeva che le offese e i pestaggi da parte
dei suoi
compagni non sarebbero finiti. Quel ciclo evidentemente non era
destinato a
concludersi.
Si
alzò lentamente dalle piastrelle e si diresse verso la
finestra. Scostò le
tende chiare e soffermò lo sguardo sul cielo scuro di
Londra.
Quello
che le faceva più male, era che sua madre non avesse fatto
niente per evitare
che lei partisse per andare dal padre. Sophie, infatti, ormai aveva
capito che
era successo tutto a causa della Parker, ma perché nessuno
si era opposto alla
sua decisione?
Non
avrebbe mai perdonato Pattie per questo.
Una
lacrima percorse il suo viso al pensiero che anche l'unica persona che
sembrava
tenere a lei, l'aveva delusa. L'asciugò in fretta per poi
afferrare il
cellulare che non considerava dall'ultimo giorno di scuola.
Sospirò e lo
accese, dopo averlo attaccato al caricatore. In pochi istanti il
display s’illuminò
e Sophie digitò il codice, così da sbloccare il
cellulare, che subito iniziò a
vibrare come se fosse impazzito.
La
maggior parte dei messaggi e delle chiamate era da parte di sua mamma
e, senza
pensarci due volte, li cancellò. Anche Andrea l'aveva
cercata, ma non voleva
richiamarla. Le avrebbe solo rovinato la giornata con i suoi problemi e
non era
assolutamente il caso.
Così
spense nuovamente il cellulare, per poi lanciarlo sul letto, decisa a
non
usarlo più in quei tre lunghi mesi. Voleva stare sola il
più possibile, senza
contatti con altre persone, nemmeno con Andrea. Magari le sarebbe stato
d'aiuto
isolarsi e, in fondo, non le costava niente provarci.
Pattie
bussò varie volte alla porta del figlio, senza ricevere
alcuna risposta.
-Justin,
per favore, non puoi stare tutto il tempo chiuso in camera tua- disse
la donna,
disperata.
Il
ragazzo afferrò le cuffiette e iniziò ad
ascoltare la musica, per isolarsi dal
resto del mondo. Non aveva alcuna intenzione di alzarsi da quel letto,
per il
momento. Voleva continuare a palleggiare e a pensare.
La
madre sospirò, pensando a un modo per entrare nella camera e
subito si ricordò
del doppione della chiave che teneva riposto in un cassetto del suo
comodino.
Pattie
entrò in fretta nella sua camera per prendere la chiave, ma
il suo sguardo
cadde su una foto racchiusa in una cornice dorata.
Una
lacrima percorse il suo viso alla vista di quella bambina, distesa su
un prato
verde, con il sorriso sulle labbra.
Sophie
era davvero piccola in quella foto ed erano anni che non la vedeva
sorridere in
quella maniera. Aveva un luccichio nei suoi occhi dalle sfumature verdi
che
avrebbe fatto invidia alla stella più luminosa del cielo.
Le
mancava troppo e si sentiva maledettamente in colpa per non aver
evitato che
partisse per Londra, ma che cosa avrebbe potuto fare? Niente. Avrebbe
solo
rischiato di perdere la sua metà dell'affidamento dei
ragazzi e non era
assolutamente il caso.
In
fondo i tre mesi sarebbero passati in fretta e Sophie non avrebbe
provato
troppo rancore, giusto?
Scosse
la testa per scacciare quei pensieri e, dopo aver afferrato la chiave,
tornò
davanti alla camera di Justin. Girò la chiave nella
serratura, aprendo la
porta.
Suo
figlio si girò verso di lei e si tolse le cuffie, scocciato.
-Cosa
c'è?- chiese, visibilmente infastidito dal fatto che la
madre fosse riuscita ad
aprire la porta.
Pattie
lo afferrò per il braccio per farlo alzare dal letto e il
ragazzo non oppose
troppa resistenza.
-Adesso
ti vesti decentemente- iniziò, riservando un'occhiataccia
alla vecchia tuta indossata
da Justin -anzi, prima ti fai una doccia- si corresse storcendo il naso
-e ti
prepari psicologicamente perché dopo pranzo mi accompagni a
dare il benvenuto
ai nuovi vicini, chiaro?- concluse autoritaria.
Justin
sbuffò, non avendo alcuna intenzione di uscire di casa per i
vicini, ma
qualcosa negli occhi di sua madre lo convinse. Erano occhi stanchi e
umidi,
ormai spenti dalla tristezza. Non voleva darle altre preoccupazioni, di
sicuro
non le avrebbe sopportate.
Annuì
lievemente e Pattie uscì dalla camera dopo avergli rivolto
un lieve sorriso di
ringraziamento.
Justin
sospirò, prese biancheria e vestiti puliti ed
entrò in bagno. Si avvicinò al
lavandino e guardò il suo riflesso allo specchio. Anche
lavandosi e
preparandosi non sarebbe mai stato abbastanza presentabile. Delle
profonde
occhiaie segnavano i suoi occhi nocciola e il suo sguardo era spento
come
quello della madre.
Scosse
la testa ed entrò nel box doccia dopo essersi tolto i
vestiti. Il getto fresco
dell'acqua gli trasmise una sensazione di sollievo, ma bastò
uscire dalla
doccia per avere di nuovo quella confusione in testa.
Forse
stare con i suoi amici gli sarebbe stato d'aiuto, in fondo aveva
bisogno della
simpatia di Chris, della responsabilità di Chaz e delle
battute di Ryan, ma non
avrebbe mai permesso che qualcuno potesse vederlo in quello stato
pietoso,
nemmeno i suoi migliori amici.
Indossò
in fretta i vestiti puliti e si asciugò in pochi istanti i
capelli, sistemando
il ciuffo lievemente all'insù. Non erano poi così
male in quel modo.
Uscì
dal bagno dopo aver sistemato tutto e raggiunse sua madre in cucina.
La
donna dagli occhi celesti sorrise al figlio -Stai bene così-
sussurrò con
dolcezza.
Justin
sfiorò lievemente il ciuffo biondo e si avvicinò
alla donna, per poi stringerla
in un abbraccio.
Il
silenzio regnava intorno ai loro corpi, ma non avevano bisogno di
parole per
capire le proprie emozioni. Sophie aveva lasciato un vuoto e loro
avrebbero
dovuto sostenersi a vicenda.
Dopo
pranzo, Justin e Pattie uscirono dalla loro villa, attraversarono la
strada e
si ritrovarono davanti al cancelletto aperto dei nuovi vicini. Justin
alzò
lievemente le spalle e attraversò il breve spazio fra il
cancello e il portone,
seguito dalla madre, che suonò il campanello.
Attesero
alcuni secondi prima che una donna non molto alta aprisse la porta,
mostrando
degli occhi color cioccolato e un'aria incuriosita.
-Benvenuta
a Stratford, signora... Wilcox, giusto?- la voce di Pattie giunse
cordiale alle
orecchie di Justin, che si limitò a sorridere.
-Oh,
non sono più la signora Wilcox da due anni ormai- rispose
lei ridacchiando e il
biondo capì che sua madre e la nuova vicina di casa
sarebbero andate presto
d'accordo.
-Sono
Pattie- si presentò, allungando la mano verso la donna dopo
che li aveva
invitati a entrare.
-Diana
Brooks- rispose lei, stringendole la mano.
-Lui
invece è mio figlio Justin, che adesso fa il timido- le
parole di Pattie
provocarono la risata di Diana, mentre il ragazzo fece una smorfia di
disapprovazione.
-Mamma...-
mormorò con un lieve tono di rimprovero.
Il
sedicenne, successivamente, si guardò intorno e
notò che ancora la casa non era
stata arredata.
-Justin,
di sicuro ti stai annoiando. Nel salone ci sono i miei figli, magari
puoi stare
con loro per ora- propose la padrona di casa e il biondo
annuì, nonostante non
avesse molta voglia di fare amicizia. -Lo trovi facilmente
perché è l'unica
stanza, insieme alla cucina, in cui ci fosse un minimo di arredamento-
commentò,
mentre Justin cercò di orientarsi nella casa fino a trovare
il salone.
Un
ragazzo era davanti ad una televisione abbastanza vecchia a schiacciare
alcuni
tasti a caso, mentre una ragazza era sul divano con le gambe appoggiate
sullo
schienale, così da trovarsi a testa in giù.
Justin
inarcò le sopracciglia, estremamente divertito.
-Sì
sì, lascia su questo canale- esclamò lei con un
tono di voce strano,
probabilmente dovuto alla sua posizione.
-Ma
non ci penso minimamente- replicò il fratello, non
intenzionato a guardarsi un
cartone animato.
Justin
scoppiò a ridere, attirando l'attenzione dei due.
-E
tu chi cazzo sei?- chiese la ragazza, ricevendo un'occhiataccia da
parte del
fratello.
-Sono
il vostro vicino di casa, ho accompagnato mia madre a darvi il
benvenuto qui a
Stratford- rispose lui, fra una risata e l'altra.
-Oh,
io sono Lucas- si presentò il ragazzo, con un sorriso.
-Io
Justin- rispose il biondo, per poi rivolgere l'attenzione alla sorella
di
Lucas, che si sedette decentemente sul divano, per poi abbassare lo
sguardo, in
imbarazzo -E tu?- chiese con un sorrisetto.
-Andrea-
rispose lei, fissando i suoi occhi in quelli di Justin.
Il
ragazzo dischiuse lievemente le labbra sentendo la voce della ragazza e
osservando i suoi capelli rasati da una parte e lunghi fino al collo
dall'altra.
Tadaaaaaaaan!
Non
ve lo sareste aspettate che avrei
aggiornato dopo “solo” cinque giorni, vero? Eh,
invece ce l’ho fatta, anche se
non potrò più essere così puntuale dal
prossimo dato che la scuola ricomincia
tomorrow *si salvi chi può*
Passando
al capitolo, che spero vi piaccia,
che sta succedendo al nostro Justin? :O Si sente in colpa, anche se
è ancora
convinto che Sophie sia la causa di tutto… e, sorpresa
sorpresa (per modo di
dire) incontra Andrea e Lucas, i suoi nuovi vicini di casa…
Sinceramente
amo il rapporto che ho creato
fra Sophie e Jennifer, spero che anche voi lo apprezziate, e
soprattutto quello
fra Lucas e Andrea, che sono una coppia così diversa da
Justin e Sophie!
Ringrazio
come sempre tutte quelle che, nonostante
i miei ritardi e i vari sfoghi, continuano a sostenermi e a farmi
complimenti
che apprezzo molto, davvero.
Prima
che mi dimentichi, vorrei dirvi che
ho in corso anche un’altra fan fiction sul mio amore, la mia
Alison Swift *-*
se vi va di passare a darle un’occhiata, questo è
il link http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1959316&i=1
Un
abbraccio coccoloso,
Morena
|
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Capitolo 11 *** Avviso. ***
Prima di tutto scusatemi per tutto quanto.
So che mi state odiando: non aggiorno da mesi e questo è solo uno stupido avviso probabilmente anche proibito dal regolamento, sinceramente non so se lo sia, ma ho bisogno di spiegarmi, vi DEVO delle spiegazioni.
Mi sono sentita così... vuota quando ho scritto nelle informazioni che questa storia è sospesa, ma non avrei potuto fare altrimenti.
Questa storia, la mia "Promises." è nata per rendere omaggio a quella che era un'amicizia a cui tenevo immensamente, ma così come quest'amicizia è nata, così è finita, in un attimo.
Non me la sento di continuare questa storia per questo e per altri motivi: la scuola che mi toglie interi pomeriggi, il vuoto che sento dentro che non mi permette di scrivere ciò che avevo progettato in estate quando ho iniziato la storia e tutti i miei motivi personali che non sto nemmeno a raccontarvi perché vi deprimerei e basta.
Vi chiedo scusa per tutto quanto, perché ho deluso di sicuro molte persone e anche me stessa, ma davvero non ce la faccio, soprattutto per tutti i ricordi legati a questa fan fiction che non mi permettono di dimenticare.
Vi dico anche GRAZIE, perché siete state fantastiche con me e non riuscirò mai a sdebitarmi con voi.
L'abbraccio più coccoloso che ci sia,
Morena.
P.s. perdonatemi per l'assenza di html, ma vi sto scrivendo dal telefono. |
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