Sorelle di sangue

di Calenzano
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ananke ***
Capitolo 3: *** Per come siamo ***
Capitolo 4: *** Una foglia d'edera scura ***
Capitolo 5: *** La città visibile ***
Capitolo 6: *** Sia nemico, o amico ***
Capitolo 7: *** In braccio a uno sconosciuto ***
Capitolo 8: *** Cosa c'è in un numero ***
Capitolo 9: *** L'applauso è la sola misura ***
Capitolo 10: *** Tutto ora tace ***
Capitolo 11: *** Niente, se non un massacro ***
Capitolo 12: *** La città degli incubi ***
Capitolo 13: *** Cercatelo nelle ore di vita ***
Capitolo 14: *** Marte e Minerva ***
Capitolo 15: *** Di automa o di demone ***
Capitolo 16: *** Pure noi giocavamo alla guerra ***
Capitolo 17: *** Davanti agli occhi del nemico ***
Capitolo 18: *** Andiamo nei campi ***
Capitolo 19: *** Chi combatte il fuoco col fuoco finisce in cenere ***
Capitolo 20: *** La notte fuori e dentro me ***
Capitolo 21: *** Fra la roccia non si può né fermarsi né pensare ***
Capitolo 22: *** La lama buona è mia ***
Capitolo 23: *** I morti non sono che immagini ***
Capitolo 24: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Lo spettacolo [..] non è un supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell'irrealismo della società reale. Nell'insieme delle sue forme particolari, informazione o propaganda, pubblicità o consumo diretto dei divertimenti, lo spettacolo costituisce il modello presente della vita. […]
Nel mondo falsamente rovesciato, il vero è un momento del falso.

(Guy Debord, “La società dello spettacolo”)






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Excusatio (non petita, sed manifesta):

Una sorella che si offre per salvarne un'altra.... Sembra una storia già vista, ma se le due non lo fossero come comunemente inteso? E, soprattutto, se nell'arena andassero insieme?


Avvertimento importante, prima che comincino a volare le pietre: per questo genere di storia ho dovuto prendere alcune licenze rispetto alla storia originale. In queste edizioni degli Hunger Games, i due tributi per distretto appartengono a due categorie: junior, tra i 12 e i 14 anni, e senior, tra i 18 e i 20, indipendentemente dal genere.
Analogie con situazioni e personaggi originali, ad eccezione di quelli ripresi dalla trilogia, sono del tutto involontarie!


E' la mia primissima fanfiction, spero non sia una cosa troppo indecente.... Grazie fin da ora a chi vorrà lasciare un commento (sassate comprese), e buona lettura! ;-)

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Capitolo 2
*** Ananke ***


Coro: Chi governa la necessità?
Prometeo: Le Moire che tessono il filo e le Erinni dalla memoria implacabile.
Coro: E Zeus è più debole di loro?
Prometeo: Anche Zeus non può sfuggire a ciò che è destinato.

(Eschilo, “Prometeo incatenato”)

 

 

Un rumore dall'esterno buca la cortina scura del sonno. Ci metto qualche secondo a connettere, la nottata passata tra sogni sconnessi e gli occhi chiusi inutilmente nel buio, ha lasciato il posto a un sonno profondo, troppo breve. Nella penombra della stanza la solita domanda mentale di ogni giorno appena sveglia: che giorno è oggi? E la risposta, in un lampo, scatena quella fitta d'ansia, stretta appena sotto il diaframma, che da settimane accompagna ogni mio pensiero: il giorno della Mietitura.

 

 

Respiro a fondo vestendomi.“ Ansia. Una manifestazione fondamentale dell'essere nel mondo.“ Come sempre, mi dà un sottile piacere trovare nella mente una citazione rispondente a quello che sento. Adoro leggere, e conservare qualcosa di ogni autore. Poeti, filosofi, mistici, ogni citazione mi provoca una piacevole vertigine, come se un soffio di vento mi sollevasse da terra come un aquilone, e, almeno per qualche momento, vedessi il distretto 5 dall'alto, lontano dal controllo opprimente del regime. Ho un quaderno, ormai consunto, in cui le raccolgo tutte.

Manca ancora un po' alla sirena che chiama in piazza, ma non mi sento di restare in casa. Mi ripeto per quella che deve essere la centesima volta che le probabilità di essere estratta sono davvero minime. Siamo centinaia dei cosiddetti “senior”, tra i diciotto e i vent'anni, non ho mai fatto inserire il mio nome più di una volta, cosa che, lo sanno tutti, è possibile fare in cambio delle tessere per razioni extra alle distribuzioni di viveri. Mio padre si è sempre opposto categoricamente; la mia famiglia, ringraziando il cielo, è sufficientemente agiata perché non ce ne sia bisogno. Perchè mai dovrebbe toccare proprio a me? “E perchè no?” La vocina maligna, subito. “D'altronde, a qualcuno dovrà pur toccare....” L'apprensione che vedo sul viso di mia madre, prima di uscire, non mi aiuta. Immagino sia un riflesso del mio. E' sempre stata un tipo chiuso ed ansioso, a volte in modo patologico. E' fragile. Parla poco, e pare sempre convinta di avere il mondo contro. Da qualcuno, del resto, dovrò pur aver preso.

 

 

Strofinandomi il dito indolenzito per la puntura della registrazione, mi incammino tra il brusio di ragazzi e ragazze accalcati nella piazza. Supero i Pacificatori schierati a breve distanza gli uni dagli altri, continuo a sentirmi addosso il loro sguardo impassibile anche una volta oltrepassati, nonostante non ci sia motivo di credere che osservino proprio me fra tanti; eppure mi è difficile camminare normalmente. Mi affretto a confondermi nella massa, faccio un paio di cenni di saluto verso quelli che riconosco. Distinguo di sfuggita alcuni miei ex compagni di scuola, e, poco più in là Baria, che parla con un'altra ragazza, e subito mi sento un po' meglio. Baria è la mia migliore amica fin da quando riesco a ricordare. Non che mi capisca sempre, specie quando attacco con quelle che lei definisce i miei “sbattimenti mentali”, ovvero il mio vizio di riflettere, rimuginare, pormi domande su tutto, e da tutto cercare risposte. E' un tipo logico, concreto, flemmatico, insomma, il mio opposto. Io sono Talete che per guardare le stelle cade nel fosso, lei il dissacrante ed essenziale Diogene. A volte mi domando come facciamo a trovarci tanto bene insieme. Eppure lei è l'unica a cui sento di poter aprire davvero una parte di quel gran caos che mi porto dentro. Baria mi vede, e io mi avvicino. In alto, nel cielo livido, un hovercraft compie lenti giri sopra la piazza.

“Possa la fortuna essere sempre a nostro favore...” Cito il motto dei giochi a mo' di saluto, sforzandomi di tenere un tono normale.

Lei sembra tranquilla, ma dietro lo sguardo fermo indovino la sua tensione. “Sì, la famosa botta di....”

“...naso.” La prevengo. E' un nostro vecchio scherzo, ma in questo momento non ho proprio voglia di fare ironia. “Almeno per te è l'ultimo anno.” Dico. Ha compiuto vent'anni due mesi fa, e dopo questa volta sarà definitivamente al sicuro.

“Andrà bene anche stavolta.” Cerca di rassicurarmi lei.

Parlare mi fa sentire un po' meglio, e vorrei aggiungere qualcosa, ma gli altoparlanti tuonano. In breve il brusio si spegne, gli sguardi di tutti si concentrano sul palco dove a passi elastici si fa strada un uomo vestito a colori sgargianti. Non distinguo bene per la distanza, ma mi sembra che abbia una specie di colletto alto, o forse è proprio la pelle colorata di blu fino al mento, che fa sembrare separato il resto del viso, di un pallore innaturale. Pare che quest'anno la pelle bianca sia di gran moda nella capitale, e molti se la fanno scolorire chimicamente. “Buongiorno distretto 5! Janus, per voi! Benvenuti alla quarantaquattresima edizione degli Hunger Games!” Esclama nel microfono con un entusiasmo piuttosto forzato. “Prima di procedere al sorteggio, il nostro sindaco ha qualcosa da dirci.”

Colgo solo qualche brandello della consueta storia di Panem letta solennemente dal sindaco, stessa retorica roboante, stesso pathos stucchevole del libro di testo unico che dovevamo utilizzare a scuola. La rivolta, la pace, il suo prezzo: il patto di sangue tra la capitale e i distretti.

“Il ricordo del passato, la speranza del futuro: resti così viva la testimonianza di ciò che è stato, possa così la nostra nazione vivere per sempre.” Conclude il sindaco, prima di tornare a sedere.

“Sì.” Annuisce Janus tutto compreso. “Ma eccoci a noi. Scopriamo chi saranno i fortunati protagonisti di questa edizione. Cominciamo con le giovani forze, vogliamo fare largo ai giovani, qui, non è vero, Michael?” Esclama in direzione del sindaco, che accenna un sorriso di circostanza. “Allora, prima i giovanissimi, i junior!” E immerge la mano nella grande urna.

Sento la stretta allo stomaco serrarsi, nonostante la selezione non mi riguardi, non più. Sto già pensando a quella che avverrà tra pochi minuti, quella dei senior. Ricordo bene il panico dei miei primi anni di Mietitura, lo sguardo fisso sulle strisce di carta danzanti dietro il vetro, gli attimi senza fine mentre una di esse viene portata alla luce, lo spietato sollievo al suono di un nome sconosciuto. E oggi ancora tutto questo si rinnova nella preghiera silenziosa, disperata, che in questo momento di certo si sta alzando muta da decine e decine di cuori in tumulto come il mio. Non io, non io. Janus estrae una strisciolina, la spiega. Il silenzio è tale che posso sentire distintamente il respiro di Baria, accanto a me.

“Codrina Wheaterson!”

Il sangue si fa ghiaccio. Lo sento improvvisamente immobile nelle vene, mentre il respiro mi si mozza. No. Non è possibile. Baria si fa scappare un'esclamazione a mezza voce, mentre intravedo Codrina nel movimento generale di teste delle sue amiche e coetanei che si voltano a guardarla. Lentamente, come in trance, lei esce dalla fila e a passi esitanti si avvicina al palco. Due Pacificatori le si mettono subito dietro per scortarla a destinazione. E' di spalle, ma posso vedere come se l'avessi di fronte il suo bel viso reso pallido dallo sgomento. Come in un brutto sogno, la vedo salire sul palco, Janus la fa presentare.

“Allora, Codrina, quanti anni hai?”

“...Dodici.”

Non vedo i suoi genitori, nella folla alle nostre spalle, ma posso immaginare senza fatica anche le loro facce, mentre assistono impotenti. “Un bell'applauso per la nostra Codrina!” Esclama giulivo il presentatore, mentre pochi e svogliati battimani si alzano qua e là. “E ora il giovane o la giovane senior che la accompagnerà nell'arena!” Fa per avvicinarsi di nuovo all'urna.

Sento il mio corpo che scatta in avanti, come se qualcuno mi spingesse con violenza, ma nessuno mi spinge, sono invece io che spingo e sgomito freneticamente per farmi largo; mentre sento qualcuno che urla “VOLONTARIO!!! Mi offro volontario!”

Avverto delle esclamazioni, tra cui, mi sembra, la voce di Baria che urla qualcosa, ma ormai sono fuori dalle file, ed è solo quando il tipo esclama sorpreso ed entusiasta, e stavolta non deve simulare, “Abbiamo una volontaria!”, che mi rendo conto che la voce che urlava era la mia.

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Per come siamo ***


Volevo urlare quello che sentivo,

ma sono rimasto zitto

per paura di non essere capito.

(C.Bukovski)

 

 

Stordita da questa imprevista, sbalorditiva scoperta, mi trovo a salire anche io le scalette del palco, finchè Janus non mi agguanta per un polso e non mi tira alla sua sinistra. Dall'altro lato faccio appena in tempo ad incrociare lo sguardo sbigottito di Codrina, prima che lui mi piazzi il microfono sotto al naso chiedendo “Sentiamo un po' la nostra volontaria: ti chiami...?”

Automaticamente rispondo “Keana Shinigam”, così piano che lui mi esorta: “Parla forte, Keana, vogliamo sentire tutti la tua bella voce! Quanti anni hai?”

Esito, riesco appena a mettere a fuoco il mare di facce che ho davanti. “Una domanda troppo difficile?” Fa lui, simpaticone, suscitando risatine.

“Ne... ne ho diciannove.” Riesco a rispondere.

“E, dimmi, Keana, tu e Codrina siete per caso parenti?” E qui ci guarda comprensibilmente dubbioso, dato che i miei grandi occhi e i miei capelli scuri hanno ben poco a che fare con quelli sottili e azzurri della bionda Codrina.

“No, noi... lei è... Cioè, io la aiuto a studiare.”

“Interessante! Dobbiamo chiamarti prof, allora?” Fa lui, ottenendo in risposta solo un verso indistinto. Insiste: “Ma dato che sei qua... Siete amiche, direi. Le vuoi bene, no?”

“Come... come a una sorella.” La mia voce suona lontana.

Saggiamente Janus taglia corto: ci solleva un braccio e proclama: “Signore e signori qui presenti e di tutta Panem, i tributi del distretto 5: Codrina Weatherson e Keana Shinigam! Possa la fortuna essere sempre in loro favore!” E mentre le fanfare squillano e gli altoparlanti sputano musica e ringraziamenti noi due veniamo spinte giù dal palco, in direzione del Palazzo di Giustizia.

 


E' stato praticamente per caso che mia madre, circa tre anni fa, è venuta a sapere che i genitori di Codrina cercavano qualcuno per “una piccola mano” nello studio. Si erano appena trasferiti nella nostra cittadina, e lei, iscritta a metà anno nella nuova scuola, si era trovata in difficoltà. “Niente di difficile, giusto andare a casa loro un paio di pomeriggi per aiutarla a fare i compiti, se te la senti...” Mi aveva detto mia madre. Io avevo accettato senza pensarci troppo, non mi dispiaceva l'idea di guadagnare qualcosa, i libri degli autori che amo, specialmente quelli iscritti all'Index, ovvero messi al bando dal regime, sono maledettamente difficili da trovare e vanno pagati bene.

Così mi ero trovata davanti quella bambina silenziosa dagli occhi color cielo.

All'inizio eravamo entrambe un po' impacciate. Lei ascoltava in silenzio le mie spiegazioni, a volte un po' arrangiate, sulla grammatica, la storia, la geografia, e annuiva. Mi ci era voluto poco per rendermi conto che le cose le capiva e le imparava alla perfezione, il difficile era far sì che le tirasse fuori. Dovevo cavarle le parole con le pinze, ma quando finalmente ci riusciva, spesso andava oltre la semplice risposta corretta, e la arricchiva di riflessioni sorprendenti. Pian piano, pomeriggio dopo pomeriggio, avevo scoperto una bambina intelligente e ricca di fantasia, tanto timida quanto sensibile, che dietro il velo dell'introversione nascondeva un mondo interiore che potevo solo intuire ricchissimo. Per parte mia, io mi ingegnavo a trovare spunti sempre nuovi per rendere lo studio divertente, fino a fare il giullare senza ritegno; e avevo la soddisfazione di sentire sempre più spesso la sua risata un po' sommessa.

In poco tempo aveva recuperato lo svantaggio, e, cosa più importante, aveva cominciato ad ambientarsi, a farsi qualche amica. Il giorno che mi aveva chiamato a casa una vocina esile, che sul momento avevo stentato a riconoscere, per annunciarmi tutta contenta di aver preso il massimo dei voti, mi era rimasto il sorriso stampato in faccia per tutto il giorno. Il suo sorriso spontaneo quando mi vedeva mi scaldava il cuore, e quando le nostre lezioni non avevano più avuto motivo di continuare, avevamo continuato a frequentarci, e a volte a noi si univa anche Baria.

Negli anni seguenti l'avevo vista trasformarsi pian piano in una ragazzina alta ed esile, di una maturità sorprendente. Le nostre chiaccherate cominciavano a virare sui grandi temi: l'amore, la vita, la morte, e già meditavo di passarle qualcuno dei miei libri meno difficili. Ma era anche sveglia e acutamente consapevole della realtà che la circondava: un giorno mentre camminavamo per strada avevamo notato un certo trambusto. Un capannello di persone ingombrava la via, tenendosi a debita distanza da un mezzo dei Pacificatori fermo di fronte a un'abitazione. Prima che potessimo avvicinarci ulteriormente, due soldati erano comparsi trascinando brutalmente un civile. L'assembramento si era rapidamente aperto per farli passare, rendendo l'uomo visibile. Sui trent'anni, era pressoché piegato in due, e incespicava bruscamente tra gli strattoni e i colpi dei Pacificatori, emettendo un verso strano e grottesco. Prima di essere spinto dentro il veicolo aveva sollevato di scatto la testa, e avevo potuto vedere la metà inferiore del volto completamente insanguinata. Rivoli densi e filamentosi gli colavano dalla bocca, scendendo su mento e collo e allargando la già ampia macchia scura sulla sua camicia. Avevo capito immediatamente. Quell'uomo era appena diventato un Avox, un Senza Voce. Come decine di altri, colpevoli veri o presunti di crimini contro il regime di Capitol City. Insieme al raccapriccio avevo sentito montare la familiare vampata di sdegno impotente, ma non avevo detto niente davanti a Codrina. Sapevo che non rientrava nei miei compiti parlare di quelle cose. Rapidamente l'avevo sospinta via, mentre il mezzo metteva in moto e partiva. Lei però dopo pochi passi, mi aveva chiesto, col suo solito modo un po' esitante: “Keana... Che succederebbe se tutti i distretti decidessero di non lavorare più per Capitol City?”

Abbassando la voce avevo risposto amaramente: “E' già successo una volta, e sappiamo come è finita. Arriverebbero i Pacificatori, ucciderebbero gli oppositori, e bombarderebbero fino a lasciare un deserto, come hanno fatto al distretto 13. E poi trasformerebbero i sopravvissuti in Senza Voce, come quell'uomo. Così tutti preferiscono girare la testa dall'altra parte, e dire che non c'è niente da fare.” E io pure, avevo pensato con rabbia.

Ma lei stava ancora riflettendo.“Ma se tutti insieme ci alzassimo e facessimo qualcosa? Forse loro contano proprio su questo... cioè, che la gente non fa niente perchè pensa che non ci sia niente che può fare... Per esempio, se nessuno guardasse gli Hunger Games, non avrebbe più senso farli, no?”

Avevo assentito in silenzio, ammirando la maturità del suo giudizio. Quel pomeriggio le avevo portato una poesia trovata tra le pagine ingiallite di uno dei miei recenti acquisti.

Non dimenticare

Che la causa del tuo presente è il tuo passato

come la causa del futuro sarà il tuo presente.

Apprendi dagli audaci

dai forti

da chi non accetta compromessi

da chi vivrà malgrado tutto...

Leggevo a bassa voce, seduta a gambe incrociate sul tappeto di camera sua, e come immaginavo le era piaciuta molto. Terzo ascoltatore Brant, il suo amato cagnolone, che però aveva alzato appena le orecchie prima di tornare ad assopirsi.

 


Io e Codrina, poche settimane fa, nel grande prato alla periferia dell'abitato. Alle nostre spalle, sulle colline, le pale eoliche che punteggiano il paesaggio del distretto girano ronzando nel vento leggero. Sulla strada principale, alle nostre spalle, passa marciando inquadrato un gruppo di tecnici di ritorno dal turno di lavoro nella centrale Otto. Stiamo giocando a carte, sedute sull'erba.

“Keana,” mi aveva fatto lei all'improvviso “tu sei figlia unica?”

“Sì, purtroppo.” Avevo risposto in tono neutro, e avevamo continuato il gioco.

“I fratelli però non sono solo quelli con gli stessi genitori, vero?” Aveva chiesto lei, guardandomi di sottecchi.

Avevo sentito il cuore sussultare per la gioia, ma mi ero limitata a rispondere: “No, secondo me no.”

 







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E. N.P. :
Non ho idea di come funzioni il sistema scolastico a Panem, né se potrebbe effettivamente darsi che un abitante di un distretto possa farsi una cultura come quella di Keana, ma parto dal presupposto che il 5 sia relativamente benestante, e dunque ci siano più possibilità in questo senso... Di certo le menti brillanti non mancano (FoxFace docet).

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Capitolo 4
*** Una foglia d'edera scura ***


Certo, il cuore, chi gli dà retta, ha sempre qualche cosa da dire su quello che sarà.

Ma che sa il cuore? Appena un poco di quello che è già accaduto.

(A.Manzoni, “I Promessi Sposi”)

 

 

Il portone blindato del palazzo si chiude con un tonfo alle nostre spalle. Io e Codrina ci guardiamo in silenzio, le parole ferme in gola. Vorrei spiegare, vorrei rassicurare, ma non riesco a dare ordine ai pensieri, e, prima che possa aprire bocca, due addetti dei Giochi, un uomo e una donna, ci sospingono in un corridoio poco illuminato. Brevemente ci spiegano che più tardi riceveremo le visite di congedo dei parenti che ne faranno richiesta, e che la partenza per Capitol City è prevista per il pomeriggio. Prima che possa dire qualcosa, l'uomo mi fa entrare in una stanza, e quando mi volto, Codrina è già sparita, condotta dalla donna verso un altro locale più avanti. La porta si richiude, e in trasparenza intravedo l'ombra di un Pacificatore che vi si piazza davanti.

Sento alcune voci in corridoio ancora per un po', poi più niente. Il silenzio mi ronza nelle orecchie, mentre resto in piedi in mezzo alla stanza. Non molto ampia, è spartanamente arredata con un ampio tavolo, tre sedie, e quello che sembra un divanetto basso. La luce del pallido sole filtra dalla finestra, che però non si può aprire.

La confusione che fino a un attimo fa mi regnava sovrana in testa lascia pian piano il posto alla consapevolezza di ciò che ho appena fatto. Mi sono offerta volontaria. Agli Hunger Games.

Devo ripetermelo più volte, perchè per ora non ha molto più senso di “dieci elefanti si dondolavano sopra il filo di una ragnatela”. Ho le vertigini. Fermate questa cosa, riavvolgete il nastro, voglio tornare indietro, indietro nel tempo. Cosa ho fatto??? Io non sono un tributo, l'arena è un macello, io non ho la minima possibilità! Forse potrò dire che è stato un errore...? Io non ho fatto niente, è stato qualcosa, qualcosa che non mi appartiene che mi ha spinto mi ha fatto parlare io non...

Mi lascio cadere su una delle sedie, perchè le gambe sembrano improvvisamente di ricotta. Riesco appena a tirare il fiato, e un altro pensiero è un altro pugno nello stomaco: i miei genitori. Io mi sono offerta, senza pensare, senza riflettere. Loro hanno visto tutto. Come si sentiranno in questo momento? Il senso di colpa va a unirsi alla paura, pungente come un ago. Mio padre è forte, ce la farà. Ma mia madre? Il suo incubo si è avverato, e l'ho fatto avverare io...

Sento gli occhi che pungono al pensiero del loro dolore, ma mi freno a fatica pensando che qualcuno potrebbe entrare, e non voglio farmi vedere in questo stato. Allora mi alzo, e mi avvicino alla finestra murata, e mi metto a fissare lo spicchio di cielo. Penso a Codrina, mi chiedo cosa starà facendo. Solo adesso mi rendo davvero conto dell'enormità del bene che sento di volere a quella ragazzina gentile, in cui rivedo me stessa alla sua età. Non l'ho certo fatto per me, no. Avrei dovuto lasciarla andare nell'arena sola e spaventata, con un senior sconosciuto, che avrebbe pensato solo a salvare la propria, di pelle? O che magari l'avrebbe venduta per un tozzo di pane? L'ho già visto fare, il sistema a due categorie mira proprio a indurre i più deboli a cercare alleanze con i più forti, a scapito della solidarietà di distretto. E lei, mite e delicata, non è certo una che possa far gola agli altri tributi, e agli sponsor. Già, perchè io, invece, sono il loro sogno segreto.... penso, e mi ritrovo a ridacchiare istericamente. Un'intellettuale introversa e impacciata, che non ha mai fatto del male a niente di più grande di un ragno. Contro i Favoriti dell'1 e del 2, che imparano a usare le armi prima che a camminare. Che si offrono volontari dopo anni di addestramento. E che ammazzano come respirano. Per la prima volta, mi trovo a corto di citazioni.

 


L'ora dei colloqui arriva fin troppo presto. Non piangere, mi ripeto, tutto ma non piangere. Niente emotività. Devo farmi vedere calma e determinata. Naturalmente i miei buoni propositi vanno in fumo già dal momento che la porta si apre ed entra mio padre. Il Pacificatore avverte, secco: “Avete tre minuti”, prima di ritirarsi in corridoio. L'espressione di mio padre è già abbastanza dolorosa, ma è l'assenza di mia madre a farmi sentire peggio che mai. Capisco al volo, non c'è bisogno di parlare. Non se l'è sentita neppure di vedermi un'ultima volta.... Scambiamo poche parole, la voce mi trema, abbasso lo sguardo sul tavolo, lo faccio vagare sulle pareti. Esiste davvero un mondo dove dei ragazzi desiderano tutto questo, e i loro genitori vengono a incontrarli solo per poche, fredde parole di incoraggiamento? Vorrei raccomandare a mio padre di stare vicino a mia madre, vorrei affidargli tutto ciò che per ombrosità o sciocca cocciutaggine di adolescente non sono mai riuscita a dire loro, vorrei che le ultime parole che porterà con sé nel ricordo fossero d'affetto, ma è come avere qualcosa incastrato in gola, e i secondi scorrono via. Il Pacificatore rientra: “Tempo scaduto.”

La porta si è appena richiusa dietro mio padre, che entra Baria. E' sconvolta come non l'avevo vista mai, lei sempre così tranquilla e sicura. “Sei impazzita?” Mi fa.

Tento con un: “Probabile.” Ma il nodo alla gola mi strozza la voce, e di fronte al suo sguardo non riesco più a reggere. In un attimo mi ritrovo ad abbracciarla convulsamente, mentre le lacrime rompono gli argini. “Ho paura, Bari.” mi sfugge, quasi incomprensibile.

Restiamo a lungo così, poi lei mi lascia, si asciuga gli occhi a propria volta, e mi guarda fisso. “Ce la fai.”

“Sì, come no.” Rido, amara.

“Ascoltami.” Parla veloce, il tempo concessoci sta per finire. “Sei molto più intelligente di quei pompati dell'1 e del 2. Sai un sacco di cose, tirale fuori da quei cavolo di libri che ti leggi mattina e sera e mettile in pratica.”

“Sì, li ammazzerò a colpi di Critica della ragion pura! Un paio di pagine, e scapperanno chiedendo pietà.”

“Veramente, Kea! Quelli là sono forti solo perchè tutti li temono. Smontali, fagli vedere che non hai paura di loro, e vedrai che strizza. Tornerete a casa tutte e due. ” La porta si apre: “Tempo.”

“Capito?” Esclama mentre viene spinta fuori. “Mettigli il fuoco al...”

“Naso”. L'anticipo con un sorriso smozzicato mentre la porta si richiude. Ma una volta sola, le lacrime riprendono il sopravvento.



 

 

Rivedo Codrina solo nel pomeriggio, sulla vettura che ci porta al treno per Capitol City. Sembra più tranquilla, ma mi accorgo del suo sollievo al vedermi. Con noi c'è anche il presentatore, Janus. Adesso, privo di un microfono e delle luci, sembra assai meno spumeggiante. Anzi, non ci rivolge quasi la parola, e tiene gli occhi chiusi per tutto il tragitto, abbandonato sul sedile. Torna a illuminarsi giusto al momento di imbarcarci, a beneficio della piccola folla raccolta sulla banchina e soprattutto delle telecamere. Io, impacciata come al solito di fronte a tanti sguardi, scorgo a fatica Baria in mezzo alla gente, tenuta a debita distanza dai Pacificatori. Fa appena in tempo a farmi un gesto di incoraggiamento, poi la perdo di vista. Codrina fa cenni a un'altra ragazzina mora, immagino sia Litia, la compagna di classe di cui a volte mi ha parlato. Le porte del treno si chiudono con uno sbuffo, e dopo pochi istanti prendiamo velocità. Guardo dal finestrino le ultime immagini del nostro distretto che sfilano. Non l'ho mai giudicato bello, con le sue file di piloni d'acciaio, incombenti sulle case, che collegano le centrali di produzione, e il cielo ingabbiato in mezzo ai cavi, ma è pur sempre il posto dove sono nata e cresciuta, e ora sento una fitta acuta quando realizzo con improvvisa lucidità che probabilmente questa è l'ultima volta che lo vedo. Penso, col cuore pesante, alle persone che ne fanno parte: i miei genitori, gli zii, Baria, il professor Willow, mio insegnante di letteratura alle superiori, che mi ha fatto innamorare della lettura, la nostra anziana e gentile vicina di casa, la fornaia del quartiere che quando ero piccola mi regalava i biscotti appena sfornati. E Codrina, che ora però è qui, e guarda anche lei fuori, silenziosa come sempre, ma con gli occhi tristi.

Tu lascerai ogne cosa diletta

più caramente...

Mi balena in mente, e anche se non riesco a ricordare come prosegue la terzina, le parole del Sommo Poeta mi fanno sentire un po' meglio.

Janus ci sospinge per i corridoi, e io rivolgo a Codrina un'occhiata che spero incoraggiante mentre ci fa entrare in un ampio scompartimento, con ampie e soffici poltroncine rosse, in pendant con la lussuosa tappezzeria, e diversi vassoi di stuzzichini. Sarebbero pure invitanti, ma ho lo stomaco chiuso, e una donna su uno dei sedili attira subito la nostra attenzione. Ha un'età indefinita, forse sui quarant'anni, corti capelli neri e mossi e ci guarda intensamente, cosa che di regola mi mette subito a disagio. Ci fa avvicinare, lei fa segno di sederci. “Bene, vi lascio fare conoscenza.” dice sbrigativo Janus, ed esce. C'è un momento di silenzio impacciato, almeno da parte nostra.

Poi la donna rompe gli indugi. “Sono Elder, la vostra mentore.” Ha una bella voce, calma e ferma. “Sapete chi è il mentore, vero?” Entrambe facciamo segno di sì. “Bene. Allora, ditemi un po' di voi. Devo conoscervi bene per sapere come dobbiamo muoverci. Cosa sai fare bene?” Si rivolge prima a Codrina, e mentre questa parla, un po' esitante come di consueto, io approfitto per guardare meglio Elder. E' vestita completamente di nero, con una giacca alla coreana e pantaloni aderenti che sottolineano le gambe lunghe e snelle. Più di tutto mi colpisce il suo modo di fare: non spreca né una parola né un gesto; mentre ascolta attentamente ho l'impressione che non le sfugga nulla di ciò che accade. Mi sento in soggezione, e mi chiedo cosa posso rispondere. Non ricordo quale edizione abbia vinto, probabilmente ero appena nata o giù di lì, ma vedendola non dubito neppure per un attimo che se dovesse gareggiare oggi, vincerebbe di nuovo.

La sua voce interrompe i miei pensieri: “E tu? Keana, giusto?” Annuisco, la bocca secca. “Cosa sai fare bene?”

Esito. Vorrei tirar fuori qualcosa che possa impressionarla favorevolmente, ma ho la mente penosamente vuota. “So declamare per intero la trilogia dell'Orestea, so dire come avviene il processo di individuazione nella psicologia analitica di Jung e cose del genere. Niente che possa essere molto utile nell'arena.” Mi limito a dire, le mani serrate. Elder non fa commenti, e sembra aspettare qualcos'altro. Ha uno sguardo incredibilmente penetrante, e fatico a pensare. Improvvisamente mi torna in mente una cosa, e ci ci aggrappo. “Anni fa” balbetto “ho frequentato una persona che conosceva le arti marziali e l'uso della spada. Mi ha dato delle lezioni, più o meno. Però è passato diverso tempo, e non.... Niente di che, insomma.”

“E' un inizio.” Commenta lei asciutta. “Sai diverse cose, mi pare. Sai anche cosa dice Debord dello spettacolo?”

“Lei sa tutto, è una specie di enciclopedia.” Interviene Codrina.

Il suo complimento mi fa ovviamente piacere, ma non capisco dove Elder voglia andare a parare. Annuisco, perplessa. “Sì, ne parla a proposito della separazione tra immagine e realtà. Lo spettacolo legittima sé stesso, presentandosi come intrinsecamente positivo, al fine di garantire la conservazione dello stato sociale.”

“Molto bene, e i principi della dinamica, li conosci? ”

Cos'è, un'interrogazione? Sempre più stranita, rispondo incerta: “La fisica non è il mio forte... Comunque sì, all'incirca.” Vedendo la sua espressione di approvazione, trovo il coraggio di chiedere: “Ma... scusi...”

Lei mi interrompe con un gesto. “Niente formalità, per favore. Non hanno senso.”

“Sì... Scusa, ma che c'entra questo?”

“C'entra. Nell'arena non basta saper maneggiare un'arma per vincere. Altrimenti vi darebbero una spada e vi metterebbero tutti dentro un recinto. Non è la mattanza pura e semplice che vogliono, ma emozione. Per questo serve strategia, serve versatilità. Serve saper pensare in tutte le direzioni. Chi conosce i principi della dinamica può tradurli in pratica, per esempio costruendo una trappola, o individuando il modo migliore di sfruttare una posizione. Tutto quello che sai ti viene in aiuto, anche in modi che ora non ti aspetteresti.”

Devo avere un'espressione abbastanza scettica, ma lei continua. “E anche Debord c'entra. Se conosci le dinamiche su cui si basa lo spettacolo, puoi capire come influenzarlo. Ma c'è un'altra cosa che ti voglio chiedere. So che ti sei offerta volontaria, e credo sia la prima volta, nel nostro distretto. Non penso che non sapessi a cosa andavi incontro. Ho sentito quello che hai detto alla Mietitura. Le vuoi davvero così bene?”

Mi sento gli occhi di Codrina fissi addosso. “Sì.” Dico, con semplicità. Anzi, ora mi è più chiaro quello che intendo fare, e voglio farlo sapere anche ad Elder. “Non so che succederà là dentro, non so cosa faranno i Favoriti e gli altri, ma una cosa la so: lei, nessuno la deve toccare. Nessuno la toccherà.” La voce è incredibilmente ferma, sono proprio io ad aver parlato?

Elder annuisce, senza smettere di fissarmi. “Perfetto.”

 

Quando Elder esce dallo scompartimento, poco prima dell'arrivo a Capitol City, io e Codrina restiamo sole per la prima volta dalla Mietitura. Evitando il suo sguardo, dico “Forte, vero?”, alludendo a Elder. Lei fa segno di sì, ma prima che possa dire qualcosa, io la anticipo: “Siamo fortunate, una così ci indirizzerà al meglio. Dovremo farci spiegare bene tutto, e metterci d'accordo sulla linea da seguire... Intanto assaggia qualcosa, già che ci siamo.“

Con la scusa di guardare dove siamo, mi alzo e vado al finestrino. La sento prendere qualcosa dai vassoi, e il resto del viaggio trascorre in silenzio.



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E.N.P.
Ok, in teoria i mentori dovrebbero essere due. Ma con il diverso sistema mi pareva non fosse necessario, e poi mi piaceva l'idea del mentore unico (stile Haymitch, per dire)....

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** La città visibile ***


Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze.

(O. Wilde, “Il ritratto di Dorian Gray”)

 

 

Capitol City è strana. Non strana curiosa, eccitante, vitale. Strana inquietante, strana grottesca. E' una città che non esiste. Esteriormente esiste, fin troppo, scintillante di acciaio e di vetro, con i suoi viali ampi e diritti, troppo simmetrici perché siano sorti spontaneamente, e i grattacieli che svettano slanciati verso il cielo. Ovunque, i led luminosi degli schermi lampeggianti di volti e di spot pubblicitari. Famiglie assurdamente felici si alternano a donne succinte e a uomini vestiti all'ultima eccentrica moda. Il brusio, sovrastato a tratti da scoppi di musica martellante, è fisso a ogni ora del giorno e della notte. E la gente. Stravagante, balzana, sgargiante, cangiante, sfavillante, vaporosa, cotonata, truccata, rifatta, tatuata, accessoriata, eccessiva. Molti sono pallidi come fantasmi nella pelle decolorata che va tanto di moda quest'anno, e il contrasto con trucco e acconciature variopinte è alienante. Mentre scendiamo dal treno intravedo cani, anch'essi artificialmente colorati, dotati di gadget tecnologici il cui valore probabilmente supera quello di un alloggio bilocale del nostro distretto. C'è qualcosa di profondamente distorto in tutto ciò. Una folla di spettatori festanti ci sta aspettando sul binario, ed esplode in applausi frenetici al momento in cui facciamo la nostra comparsa. Cori e gridolini ci accompagnano fino all'uscita.

 


Nel pomeriggio sono arrivati gli stilisti per prepararci alla parata della sera. Quella assegnata al nostro distretto, Ebes, si è fatta da me cordialmente detestare fin dal momento in cui ha fatto irruzione insieme al suo team nel nostro alloggio, erompendo in un “Ammmmmmoore!!!” acutissimo alla vista di Codrina. Lei ha sorriso, educata come sempre, e la tipa si è sdilinquita, estatica: “Ma quanto sei carinaaa!!! Sei perfetta, giusto due o tre cosine per far risaltare bene quegli occhiucci cerulei; una passatina di trucco, e sentiremo cantare gli angeli...” Poi ha visto me, e il canto degli angeli ha infilato una stecca. Le è sfuggita un'esclamazione soffocata, ha sgranato gli occhi pesantemente truccati e ha scosso la testa qua e là, contrariata, facendo ondeggiare gli orecchini, due sobrie anforette con una colata d'oro che le arrivava quasi al decolleté. “Cara, non ci siamo! Hai degli occhioni belli belli, ma quei capelli... E poi i vestiti.... Ommaaamma, no, no, non ci siamo proprio! Sembri una quei poverini dell'11 e 12, sempre così miseri e trascurati.”

Mi ero sentita arrossire mio malgrado, in un misto di imbarazzo e fastidio. Del mio aspetto esteriore mi preoccupo quanto strettamente necessario, non mi sono mai interessate queste cose. Nella vita esistono cose più importanti dello smalto per le unghie, accidenti. Qualcuno dovrebbe spiegarlo a questi disadattati di capitolini, ossessionati dal “fashion”. E non mi pare che i miei capelli castano scuro, raccolti in una semplice coda, siano così scandalosi. Idem per i vestiti. “I miei vestiti realizzano ontologicamente la loro proprietà. Semmai è l'esaltazione della loro estetica, come comunemente intesa, che crea una pericolosa deriva sociale di valori, per cui il suo rifiuto è una mia precisa scelta etica.“ Avevo affermato seria. Prevedibilmente, in risposta avevo ottenuto sguardi vacui.

“Ammore,” mi aveva fatto Ebes con l'aria di chi stia spiegando a un bambino che due più due fa quattro, e non mille e ventitré “il tuo look esprime chi sei, lancia al mondo un messaggio preciso: io esisto, e sono desideraaabile! Sono giusta!”

“Mi piace esistere per cose più importanti di due vestiti addosso.” Avevo tentato di puntualizzare, ma di colpo avevo realizzato quanto poco senso avesse un dibattito del genere. Parlare di senso della vita a gente che considerava divertente assistere all'uccisione reciproca di ragazzini sullo schermo.... Non sapevo se Ebes rientrasse appieno nella categoria, ma nel dubbio... Non discutere mai con un cretino, ti batterà con l'esperienza.

“Ebes ha ragione.” Elder, in piedi sulla soglia, assisteva ai preparativi. “I vestiti possono aiutarvi molto, invece. E' importante colpire subito il pubblico e gli sponsor, anche se la carta migliore ve la giocherete più avanti.”

Mi ero rassegnata a seguire il team nel salone allestito per l'occasione, sperando che quella svampita non tirasse fuori nulla di troppo osceno. Mi ero ricordata con panico dei costumi per la sfilata dei tributi del 5 dell'anno scorso. Entrambi erano seminudi, giusto il junior un po' più pudico, con solo dei minuscoli pannelli solari a coprire dove il sole non arriva. Se questa fa una cosa del genere, mi ero detta, la prima cannonata la sentono prima di iniziare i giochi. Passi affrontare tributi assetati di sangue, ma presentarsi di fronte alla nazione conciata come quella cantante del XXI secolo – come si chiamava? Gaga?- nei suoi momenti migliori, no. Ho una dignità. O perlomeno l'avevo, prima di essere conciata come mi ritrovo adesso.


Siamo nell'enorme rimessa dell'anfiteatro cittadino, la cerimonia di apertura degli Hunger Games sta per avere inizio. Gli addetti stanno finendo di mettere in posizione i carri per la parata. Là fuori avverto il brusio smorzato delle migliaia di spettatori accalcati in attesa di vedere sfilare i tributi con indosso le ultime creazioni degli stilisti, che quest'anno si sono davvero superati. In peggio. Noi portiamo una sorta di fasciante vestito di filamenti vetrosi intrecciati. “Fibre ottiche!” Spiega entusiasta Ebes a voce altissima. “Si accendono seguendo il battito cardiaco di chi le indossa, e creano giochi di luce colorata!“ Sembrerò una lucciola impazzita, allora. “Pensate a quando gli spettatori acclameranno al vostro passaggio: non sarà necessario che li ringraziate a voce, i vostri abiti lo faranno per voi istantaneamente!”

Approfittando della sua distrazione all'arrivo dei tributi dell'1, mi giro verso Codrina e accenno rapidamente al gesto grossolano che al nostro distretto vuol dire “che fortuna!”. Lei soffoca una risata, e io sono sollevata, vedendola tutto sommato serena. So che anche lei non ama essere al centro dell'attenzione, ed è chiaramente emozionata, ma per ora sembra gestire bene la situazione. “Trenta secondi all'uscita dell'1.” Ci fanno segno di salire sui carri. Poi i portelloni si aprono, e un boato fragoroso accoglie l'uscita del primo veicolo.

 

L'anfiteatro è stracolmo, un mare di folla colorata ondeggiante e acclamante nell'aria frizzante della sera. I potenti fari illuminano a giorno la pista, le tribune sfavillano di luci. Non ho mai visto nulla di simile, e mi sento un pesce fuor d'acqua. Peggio, un pesce incredibilmente goffo, e mi tengo rigidamente ai bordi della nostra biga mentre imbocchiamo la lunga pista rettilinea, i cavalli al piccolo trotto. Ovunque i maxischermi rimandano le inquadrature delle telecamere, alternando panoramiche della parata e primi piani. Gli sguardi estasiati degli spettatori delle prime file, che ora posso vedere bene mentre scorriamo loro davanti, mi fanno un effetto alienante. Chissà che cifre da capogiro avranno pagato per essere qua, penso di sfuggita, e vedere da vicino dei ragazzi che di qui a pochi giorni cesseranno di vivere. Sarà il fascino morboso di vedere la morte incarnata in un volto giovane e attraente? Un' improvvisa esplosione di acclamazioni mi distoglie da questo pensiero. Qualche tributo deve aver fatto colpo. Poi mi accorgo che i nostri abiti stanno accendendosi ritmicamente di una luce rosa vellutata, creando piccole onde luminose ad una cadenza ipnotica. Sembra che una seconda pelle fatta di luce e ombra ci si dilati addosso, poi lentamente sfumi fin quasi a sparire, e poi riprenda vita sussultando. L'effetto è affascinante, devo ammetterlo, e la scoperta mi provoca un'ondata di adrenalina, che subito si riflette nel vestito, accelerandone le metamorfosi. Ora su tutti i maxischermi ci siamo io e Codrina, pulsanti di luce, e l'entusiasmo del pubblico è alle stelle. Ci scambiamo uno sguardo eccitato, e le luci vibrano infiammandosi di un rosso acceso. Lei accenna a un saluto timido verso la folla esultante, forse dovrei farlo anch'io, anche se mi sento rigida come un palo.

Poi, improvvisamente, un guizzo colorato. Faccio appena in tempo a cogliere un movimento con la coda nell'occhio, che qualcosa urta pesantemente contro la nostra biga, dal lato di Codrina, per poi finire sotto le ruote. I cavalli scartano, il carro sobbalza e sbanda bruscamente e lei rischia di cadere sulla pista. Sento quello del 6, che ci segue, inchiodare a propria volta. Le acclamazioni degli spettatori intorno si trasformano in esclamazioni e strilli isterici, e anche io vacillo, colta di sorpresa; mentre tre o quattro Pacificatori scavalcano le barriere e si precipitano verso di noi. Recuperato l'equilibrio, mi volto per cercare di capire cosa sia successo, ma vedo solo un capannello di Pacificatori attorno a qualcosa di insanguinato per terra, che viene trascinato via. Non riesco a vedere altro, gli addetti stanno già riportando il nostro carro e quelli seguenti in carreggiata, e subito la sfilata riprende come se non fosse successo nulla. “Tutto bene?” Chiedo a Codrina, urlando per sovrastare la confusione.

Lei fa segno di sì, ma è sconvolta: “Un tizio ha cercato di saltare sul carro, ma è finito sotto...”

Perdo metà delle parole nel baccano, ma vedendola scossa, spontaneamente le metto un braccio intorno alle spalle. Curiosamente il pubblico, già dimenticato l'incidente, scoppia di nuovo in una rumorosissima ovazione, di cui non capisco il motivo, finché non ci fermiamo nello spiazzo di fronte alla tribuna delle autorità.

 


Uno dopo l'altro, i veicoli rientrano nella rimessa, e il clamore si attenua alle nostre spalle. “E' andata.” Commento sollevata scendendo giù. Cerco con gli occhi Elder, voglio chiederle cosa sia successo a metà parata.

“Adesso sono tranquilla.” Mi fa Codrina, inaspettatamente. Io la guardo interrogativa, e riesco appena a cogliere il guizzo nei suoi occhi, prima che sorrida: “Dopo aver sfilato con questi vestiti, che vuoi che sia andare nell'arena?”

Rido, non per la battuta in sé, ma perchè è la prima che le sento fare da quando siamo partite da casa. Per questo non mi accorgo che la senior del 2 mi sta fissando.

 




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E.N.P.
Lo sguardo assassino sul finale fa un po' (tanto) Cato, me ne rendo conto... ^^'

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Capitolo 6
*** Sia nemico, o amico ***


Abbiamo la tendenza a pensare che la vita quotidiana sia diversa dall'attimo decisivo;

così, quando arriva il momento di agire, non siamo mai pronti [...]

Il momento presente è adesso.

(T. Yamamoto,”Hagakure”)

 

 

“Elder, cosa è successo? Chi era quello che voleva saltare sul nostro carro?” Le chiedo non appena siamo di nuovo nel nostro alloggio, al quinto piano del Centro Addestramenti.

Janus la anticipa: “Ammiratori. Sempre più pazzi, non è la prima volta che succede. Evidentemente avete fatto colpo per davvero.” Ridacchia, ma senza vera allegria, prima di sprofondare in poltrona.

Elder assentisce. “Ebes ha fatto un buon lavoro. Non parlavano che di voi, giù. Ma non solo per i vestiti.” Ci sediamo al grande tavolo ovale al centro dell'appartamento. “Ben fatto, Keana.” Fatto cosa? La guardo senza capire. “Quel gesto verso Codrina ha avuto il suo effetto. Non hai sentito gli applausi?”

“Scusa, Elder, non ti seguo. Di che parli?”

“Di quando mi hai messo il braccio al collo. Hanno applaudito tutti.” Interviene Codrina.

Perplessa, mi rivolgo a Elder: “Si era impressionata, e volevo tranquillizzarla. Tutto qui. Che c'è di tanto particolare?”

La nostra mentore si sporge verso di me. “In condizioni normali, nulla. Ma qui siamo agli Hunger Games, qui ci si batte all'ultimo sangue finchè non rimangono uno o due vincitori. Quante volte credi sia successo che un tributo mostrasse affetto, sincero, per un altro? Non che lo proteggesse e basta, quello fa parte del gioco di alleanze. Ma mostrare pubblicamente un gesto di affetto... Credo tu sia la prima della storia, e probabilmente anche l'ultima. E la novità piace sempre.”

Sono spiazzata. Provo a obiettare: “Credevo che gli spettatori cercassero il sangue, non i gesti d'affetto.”

“Cercano lo spettacolo, Keana. Tutto ciò che i tributi fanno fa parte dello spettacolo. La vostra Mietitura ha già fatto scalpore. Ora tu hai confermato l'immagine di voi due: qualcuno vi ha già chiamato le sorelle di sangue.”

“Sì, le gemelle diverse.” Mormoro.

“Scherza....” Commenta Janus, poco più in là. Credevo si facesse gli affari suoi, invece ha seguito la conversazione, e aggiunge: “E' patetico. A quelli piace.”

Sto per ribattere, risentita, che la nostra amicizia non è uno show a beneficio di “quelli” e che non c'è proprio niente di patetico, ma Elder sembra saper leggere nel pensiero. “E per restare vivi, come vi ho già detto, occorre piacere al pubblico e agli sponsor. Puntate su questo, gli strateghi non vorranno perdere tanto presto la storia delle “sorelle”.

”Insomma,” dice Codrina, con semplicità “dobbiamo farci vedere unite?”

Elder annuisce. “Non dovrete neppure fingere, mi pare.”

Sento caldo al cuore quando Codrina fa cenno di no, sicura. Ci alziamo, è davvero tardi, e domani iniziaranno i tre giorni di allenamenti. Mentre usciamo dalla sala, Elder mi fa, a mo' di buonanotte: “Dovresti saperlo, da dove viene il termine “patetico”, no? Quindi ben venga.”

Patetico, penso, dal greco pathos: sentimento, passione.

 

 

La palestra per gli allenamenti è immensa, i neon non arrivano a illuminarla tutta. Attrezzi, strutture e postazioni di simulazione sono un po' ovunque, e qua e là luccicano armi di diverso genere, allineate ordinatamente in rastrelliere d'acciaio. Noto numerosi Pacificatori dotati di sfollagente, in piedi nella penombra lungo il perimetro. Evidentemente temono che qualche tributo si lasci prendere la mano, e i giochi comincino prima del previsto. In alto, su una sorta di terrazzino, gli Strateghi stanno prendendo posto sulle loro poltrone. Da là assisteranno alle nostre esercitazioni.

Ho lo stomaco sgradevolmente stretto per la tensione. Non sono mai stata granché nelle discipline fisiche, ed è passato diverso tempo da quei pomeriggi di primavera nel garage di Torio.

 

Lo conoscevo di sfuggita, era il fratello di una mia compagna di classe, che talvolta mi invitava a casa per studiare. Era un ragazzone alto e silenzioso, lavorava come operaio alla centrale Sei. Era per caso che avevo scoperto la sua passione per le arti marziali. Era riuscito a recuperare degli ologrammi di vecchi film sul genere, e se li guardava di nascosto su supporti artigianali, chiuso nella sua stanza. Le arti marziali, così come il possesso di armi da parte dei privati, sono assolutamente illegali, ragion per cui avevo faticato non poco a tiragli fuori del suo garage. Qui Torio aveva allestito una sorta di palestra dove si allenava con una sorta di bastone sagomato e bilanciato sul modello delle antiche spade orientali, facilmente camuffabile in caso di ispezione. Mi aveva raccontato degli antichi samurai, della loro filosofia, del loro farsi tutt'uno con la morte, e io ne ero rimasta ovviamente affascinata. Mi attirava soprattutto la possibilità di arrivare, attraverso la pratica, al dominio totale di sé e delle proprie passioni; cosa che allora a me, quindicenne insicura ed emotiva, sembrava assolutamente desiderabile. Avevo chiesto allora a Torio di poter assistere ai suoi allenamenti. Lui aveva dapprima rifiutato, “Troppo rischioso.” Poi però si era lasciato convincere. Da allora, per mesi, ogni volta che potevo andavo con mille cautele al garage, dove, dietro la porta chiusa a chiave e con i vetri oscurati, osservavo il fratello della mia amica eseguire per ore i kata, sequenze fisse di movimenti che riproducevano attacchi, difese e contrattacchi, esercizio di precisione e di ricerca della perfezione. Torio era uno spettacolo di concentrazione, le tecniche si susseguivano fluide e perfettamente controllate, sembrava una cosa sola con la sua arma. Un giorno, quasi per caso, me l'aveva messa in mano. “Prova.” Mi aveva detto. Io avevo provato, e non avevo più smesso. Quella ripetizione continua mi piaceva, e mi aiutava a svuotare la mente. Aveva cominciato a insegnarmi anche le basi del combattimento: le cadute, le prese, le leve articolari, il maneggio della spada. Era evidente che non ci fossi troppo portata, ma mi appassionava, e anche Torio sembrava averci preso gusto, tanto che aveva realizzato apposta per me un bastone simile al suo. Tuttavia la pratica, per quanto superficiale, suscitava in me anche qualcosa di non ben definito, ma che a volte mi inquietava. Un giorno, provando una tecnica, mi ero arenata su un movimento di contrattacco. Avrei dovuto attendere l'attacco di Torio, pararlo, e sfruttare la sua apertura per attaccarlo a mia volta. Ma il suo colpo mi spaventava, mi scansavo con troppo anticipo, e soprattutto la mia risposta risultava troppo poco decisa. Dopo diversi tentativi, lui mi aveva suggerito: “Prova a immaginarti di avere davanti un Pacificatore che vuole portarti via, e colpisci come se ne andasse della tua vita.”

Ci eravamo nuovamente disposti uno di fronte all'altra e lui aveva sollevato il bastone. Mi ero sforzata di seguire il suo consiglio, e all'improvviso non avevo più avuto di fronte lui, o un Pacificatore, ma il presidente Snow in persona, come l'avevo visto in tv. Avevo visto chiaramente il suo sguardo torbido e beffardo, e qualcosa mi era divampato dentro. Era come se tutta la rabbia per ciò che lui rappresentava venisse fuori di colpo senza controllo. Rabbia per la sua arroganza tronfia, rabbia per le ingiustizie e le violenze del suo regime, ma non solo. Il sentirsi intrappolati senza via d'uscita, burattini anonimi in un sistema perfettamente organizzato per calpestare ogni valore e ogni verità, dove l'unica prospettiva è subire in silenzio: questo mi faceva impazzire. Non solo avevo aspettato l'attacco senza muovere un muscolo, ma la parata si era trasformata in un contrattacco tanto violento da scheggiare il bastone di Torio, che era rimasto spiazzato. Non gli avevo detto nulla di quello che avevo provato, ma avevano continuato a tremarmi le mani per un pezzo, e il cuore a galopparmi.

Dopo l'estate, però, mia madre aveva scoperto la cosa, e mi aveva fatto una scenata, proibendomi di continuare. A malincuore avevo dovuto rinunciare agli allenamenti, anche se talvolta, in camera mia, ripetevo i kata imparati, sforzandomi di rievocare la sensazione di concentrazione totale. Tempo dopo Torio era scomparso, e la mia compagna era arrivata a scuola con gli occhi rossi e gonfi. Non avevo avuto il coraggio di farle domande, e per settimane avevo vissuto nella paura che venissero a prendere anche me. Ma non era successo, e quei pomeriggi si erano allontanati poco a poco nel ricordo.



 

Quello che avevo imparato allora oggi sembra tremendamente inconsistente, una specie di gioco da bambini, alla vista degli altri tributi. Senza parere, li osservo attentamente. Indossiamo tutti la stessa tuta grigia bordata di rosso e nero, di un tessuto leggero e traspirante, ognuno con il numero del proprio distretto in evidenza. Quelli dell'11 mi sembrano così malnutriti che basterebbe un soffio di vento a portarli via, in particolare il più giovane, un ragazzino scuro e ossuto. Il junior dell'8 invece è un quattordicenne pingue dall'aria goffa; quella del 9, che deve essere sui tredici anni, ha un'aria così impaurita da far pena. Mi costringo a pensare solo al fatto che sembrino due pericoli poco gravi per Codrina, mentre quello del 4, un tipetto sui tredici, ha la faccia ancora da bambino sotto il ciuffo spiovente, ma l'aria smaliziata. Dei senior, i più vicini a me sono la ragazzona alta e pallida del 4, e il diciannovenne dai tratti asiatici e l'aria impassibile del 9. Mi preoccupa la biondina con i capelli corti e le mèches verdi del 3, ha un fisico minuto, ma lo sguardo cattivo, oltre che un po' folle. E poi, gruppo a sé, l'élite, i Favoriti. Quelli dell'1 sono un quattordicenne tarchiato e un ventenne alto e imponente, rasato quasi a zero, con dei bicipiti impressionanti che tendono le maniche della tuta. Il junior del 2, un ragazzino slanciato dai ricci mori, ha un che di maligno nello sguardo sfuggente. Sta parlando con la senior, ma quando questa si volta, avverto come uno sgradevole pizzicore. E' una bella ragazza sui vent'anni, dai tratti leggermente affilati sotto i capelli mossi castano chiaro, raccolti in alto. Il mento appuntito potrebbe darle un'aria da folletto, ma gli occhi, azzurri come quelli di Codrina ma del tutto privi della sua dolcezza, sono taglienti come lame di ghiaccio, e il sorriso ha qualcosa di inquietante. Riesco facilmente a immaginarla mentre taglia la gola a qualcuno senza smettere di sorridere. Come se si accorgesse di essere osservata, solleva bruscamente lo sguardo. Sposto subito il mio, e mi metto a fissare l'impiantito della palestra, finché il coordinatore non prende la parola per esporci le consegne.





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E.N.P.
Capitolo un po' di panoramica.... Chiedo venia per il lungo flashback, ma è necessario per ciò che verrà dopo. Le arti marziali sono proibite a Panem? Non saprei proprio, ma quale regime concede una potenziale arma ai suoi cittadini?
A breve l'inizio degli allenamenti.... :-)

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Capitolo 7
*** In braccio a uno sconosciuto ***


Chiunque può arrabbiarsi, questo è facile;
ma arrabbiarsi con la persona giusta,
e nel grado giusto, ed al momento giusto
e per lo scopo giusto, e nel modo giusto:
questo non è nelle possibilità di chiunque e non è facile.

(Aristotele, “Etica Nicomachea”)

 

 

Il coordinatore dà il via alla prima sessione di allenamento, e seguendo gli ordini ricevuti ci mettiamo in fila davanti alla struttura per il primo degli esercizi obbligatori. E' una sorta di percorso di guerra, con ostacoli e tratti sospesi, da percorrere entro un certo tempo. Uno a uno, i tributi dei primi distretti partono di corsa come leopardi, e la senior del 2, in particolare, ha la grazia aggressiva di un felino. Io immagino la figura penosa che farò di qui a poco, mi viene male all'idea di farla davanti ai Favoriti e agli Strateghi, ma soprattutto davanti a Codrina.

E' il suo turno: le sussurro “Vai!” e la osservo arrampicarsi con un filo d'apprensione, i capelli raccolti in una coda che ondeggia dietro di lei, ma come immaginavo arriva in fondo senza problemi. Giocava nella squadra della sua scuola, è sciolta e veloce. Avrà fatto buona impressione sugli altri junior. Colpo di fischietto: sta a me. Parto di corsa verso i due primi ostacoli di mattoni. Supero il primo, ma il secondo, alto il doppio, è decisamente più ostico: scivolo, perdo tempo a cercare una presa più agevole, finalmente la trovo ma non riesco a issarmi su, e ce la faccio solo goffamente, suscitando le prime risatine. Mi lascio cadere dall'altra parte e mi trovo davanti a una vasca d'acqua, che attraverso saltando da un'isola galleggiante all'altra. L'ultima è instabile, ed evito il tuffo per un pelo. Cominciano le strutture sospese, ora sì che si ride, penso. Salgo la scala a pioli che porta alla prima piattaforma, e inizio il passaggio su una rete di corda verticale, a due-tre metri da terra. In pochi attimi mi ritrovo a procedere scomodamente obliqua, e mi assalgono le vertigini. In qualche modo riesco ad arrivare dall'altra parte, ma mi tradiscono le smorfie di disagio. Poso con sollievo i piedi sulla seconda piattaforma, ma subito mi sgomento a vedere che il passaggio successivo è costituito da una serie di pioli paralleli a cui appendersi. “Non ce la farai mai!” La vocina maligna torna a farsi sentire. Il tempo però sta scorrendo, e tiro un bel respiro. Mi lancio avventandomi sulla prima coppia di pioli. Immediatamente le braccia protestano per lo strattone, il senso di vuoto mi aggredisce dal basso e mi fa girare la testa. Staccare la mano destra per raggiungere il piolo successivo appare un'impresa da titani. Ci metto un tempo che mi sembra interminabile, e quando ce la faccio le dita sudate per poco non mancano la presa. Ora mi trovo appesa a metà strada, una mano avanti e l'altra indietro. Devo staccare anche l'altra, ma la paura mi blocca, i palmi bruciano per il peso che tira verso il basso, e sento di stare per cedere. Qualcuno mi urla qualcosa, i Favoriti si staranno scompisciando. In un tentativo disperato lancio veloce la mano alla cieca ma non trovo il piolo. Mi agito come un pesce preso all'amo, finché sono costretta a mollare la presa. Cado pesantemente al suolo, e finisco a sedere, le gambe che bruciano per l'impatto. Ma ancora di più mi sento bruciare nelle orecchie le risate, a cui si uniscono dall'alto anche quelle degli Strateghi. Mi rialzo con il viso in fiamme. Cercando di recuperare un contegno, arrivo a un tunnel stretto, lo attraverso strisciando, e copro di corsa gli ultimi metri. Ho sforato da un pezzo il tempo fissato. Oltrepasso i Favoriti, evitando i loro sogghigni divertiti, ma anche lo sguardo di Codrina. Bella figura, penso con rabbia, e io dovrei essere quella che la protegge... In una situazione del genere le sarei stata solo di impedimento. Vorrei che mi vedesse rassicurante, e ora non è stato di certo così. Continuo a ribollire per la frustrazione, mentre procedono gli altri tributi. Mi consola solo un po', meschinamente, vedere che la senior del 6 non se la cava molto meglio, e il ragazzino grassoccio dell'8 cade addirittura in acqua. “Non te la prendere.” Mi fa una voce esile, piano.

Mi giro, e Codrina mi si è avvicinata. “Lasciali pure ridere. Tu sei meglio di loro.” E mi fissa con il suo sguardo sincero. L'abbraccerei, ma mi limito a farle una carezza, commossa.

 

 

Gli allenamenti riprendono nel pomeriggio, e adesso siamo liberi di girare fra le postazioni. Ieri sera Elder ci ha suggerito come muoverci. “Codrina, concentrati sulle tecniche di sopravvivenza; anzi, fatelo entrambe, non può che farvi bene. Keana, tu tieni un profilo basso, non far vedere troppo quello che sai fare.”

“Va bene.” Avevo commentato io. “Allora il monologo di Enrico IV me lo tengo per dopo.”

“Intendo dire niente sfoggi di ciò che sai, che sia teoria o pratica. Hai detto che sai un po' maneggiare la spada, giusto?”

“Sì, ma...”

“A meno che non sia qualcosa che possa davvero terrorizzare i Favoriti e impressionare gli Strateghi, evita. Meno ti metti in evidenza, meglio è.”

Ragion per cui ora Codrina mi dice: “Io vado ai colori, ci vediamo dopo.” Sollevo il pollice, e mentre lei si avvia alla postazione dove un istruttore insegna a usare diverse sostanze per mimetizzarsi, io mi aggiro senza sapere bene cosa fare. Osservo la mechata del 3 lottare contro un istruttore: ha un modo di muoversi bizzarro, quasi a scatti, ma nel contempo fulmineo e aggressivo. I Favoriti, inutile dirlo, sono corsi subito verso il settore armi. Il senior dell'1 sta menando colpi contro un sacco imbottito e pesantemente coperto, e il rumore si sente in tutta la palestra. Intende far fuori la gente a mani nude? Potrebbe anche darsi, penso, ha dei pugni che sembrano palle di cannone. Guardando meglio, però, mi accorgo che sulle mani ha qualcosa che somiglia a degli spessi tirapugni coperti di cuoio nero. Sto ancora guardando quando sento uno scatto, e da quei congegni escono fuori dei lampi metallici. Uno strappo sinistro, e l'imbottitura del sacco volteggia nell'aria in tanti batuffoli bianchi. Il tipo, soddisfatto, spolvera velocemente le lame e torna a ritirarle dentro il meccanismo. Mi balena il mente il personaggio di un film del passato, Wolwerine, un uomo-lupo capace di sfoderare degli artigli simili dalle nocche, e cerco di non immaginare gli effetti su un eventuale malcapitato. Il ragazzino del 2 si sta dando da fare con arco e frecce, e ha una mira invidiabile. I bersagli sono crivellati un po' ovunque. Ma è la senior, che poco fa ho scoperto chiamarsi Retia, la più letale in assoluto. Sale sulla postazione per la simulazione del combattimento totale. Fa un cenno rivolta al coordinatore, e si fanno avanti tre istruttori completamente ricoperti da caschi e protezioni e dotati di armi da allenamento. Che cosa pensa di fare? Mi chiedo perplessa, e anche i tributi più vicini sospendono quello che stanno facendo per osservare la scena. Lei si prepara al centro dello spazio, calma, spaziando con lo sguardo intorno e bilanciando tra le mani una spada corta. Poi, senza preavviso, uno degli istruttori scatta in avanti e la attacca, seguito dagli altri due. Non può sopraffarne tre insieme, non esiste, penso, incredula, ma quello che succede dopo ha dell'incredibile. Retia attacca a sua volta, e ogni suo singolo movimento sembra tagliare lo spazio. L'arma pare un prolungamento del suo corpo, e si muove così rapida e precisa e fatale da far sembrare di piombo quelle degli istruttori. Passa da uno all'altro senza soluzione di continuità, con pochi, elastici passi, schivando, parando, affondando, una danza aggressiva. I kata di Torio, al confronto, sembrano incerti tentativi da principiante. Colpisce così duramente uno degli istruttori da farlo piegare in due con un grugnito, ne atterra un altro e riesce a far indietreggiare il terzo fino ai limiti dell'area. Ora si fermerà, pensiamo tutti, ma non pare averne alcuna intenzione, neppure quando l'uomo abbassa l'arma. Gli salta addosso e lo sbatte violentemente a terra, gli sferra un colpo che senza le protezioni sarebbe mortale e alza di nuovo la lama. Lo ammazza! Penso scioccata, e intravedo i Pacificatori che si apprestano a intervenire. Ma non ce n'è bisogno: la Favorita si ferma, appena ansante, si alza e si volta per andarsene, con noncuranza. Sono allibita, non ho mai visto una cosa del genere. Scendendo dalla postazione, lei intercetta il mio sguardo, e accenna un sorriso compiaciuto. Mi affretto a guardare altrove ostentando indifferenza, ma mi sa di non essere granché convincente. Mi si mozza il respiro al pensiero di trovarmi sola, nell'arena, davanti una furia del genere. Tutti gli incoraggiamenti di Elder sull'utilità di quello che so mi appaiono improvvisamente ridicoli, patetici tentativi di negare l'evidenza: nell'arena non durerò cinque minuti. Sarò morta prima ancora di rendermene conto. E Codrina pure.

Mi allontano, con il cuore pesante come piombo. Mi fermo alla prima postazione che trovo, non voglio pensare a quello che ho visto. L'istruttrice sta spiegando a quelli del 6 i segni che rivelano la presenza di acqua nascosta: mi metto in ascolto, sforzandomi di concentrarmi su quello che dice. D'un tratto sento un po' di trambusto, poco lontano. Hanno allestito una postazione con bersagli mobili, e diversi tributi si sono avvicinati incuriositi. Tra questi, anche Codrina. Ma il junior dell'1, il ragazzotto dell'aria aggressiva, evidentemente non ritiene degno di un Favorito aspettare il proprio turno, ed è passato avanti a tutti suscitando qualche timida protesta. “Levatevi di mezzo” bofonchia. Codrina non ha certamente intenzione di intralciarlo, ma premuta tra gli altri non ha modo di spostarsi, e involontariamente gli sbarra il passo. Lui, per farla scansare, le dà un violento spintone che la manda a sbattere malamente contro un palo di metallo della struttura. E' allora che succede di nuovo. Il mondo perde i suoi colori, e una fiamma mi divampa dentro, facendomi sentire violentemente consapevole del mio corpo. Di nuovo, le gambe scattano per conto loro, come alla Mietitura. In tre balzi attraverso la palestra, piombo in mezzo al gruppo, e prima che il junior abbia tempo di fare alcunchè, l'ho già agguantato per la maglietta e strattonato verso di me, le mani bianche per quanto sono serrate. “Non-la-toccare.” Mi sento sibilare, a un millimetro dalla sua faccia. Lo vedo sgranare gli occhi. Repentina come era arrivata la fiamma scompare, e torno a vedere normalmente. Lo lascio andare. Quello stranamente non reagisce, si limita a strofinarsi là dove l'ho artigliato, con aria spiazzata. Neppure il suo senior accena a muoversi, e sì che potrebbe atterrarmi senza fatica. Solo allora mi accorgo del pesante silenzio: tutti ci stanno fissando, e l'intera palestra è ammutolita. Non oso guardare verso gli Strateghi, ma anche dall'alto non viene un fiato. Io e Codrina ci allontaniamo; la accompagno verso un angolo tranquillo, e la costringo a sedersi, nonostante lei mi assicuri di non essersi fatta niente di grave. A poco a poco le attività e il rumore riprendono normalmente. Sono turbata, solo ora mi rendo davvero conto di aver agito in prima persona. Mentre agivo invece era come vedersi dall'esterno. E' stato come se la paura di questi giorni, dopo l'esibizione di quella del 2, fosse venuta a galla tutta insieme, e avessi dovuto sfogarla in qualche modo. Mi sento svuotata, respiro a fondo.

“Non credo che Elder intendesse proprio questo, con “tenere un profilo basso”. Osserva Codrina, e anche se non intende rimproverarmi ha indubbiamente ragione. Avverto una fitta di preoccupazione per le possibili ripercussioni di quanto ho fatto.

“Già, credo anch'io.” Concordo.

 

 

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Capitolo 8
*** Cosa c'è in un numero ***


Pulite lo specchio,

atteggiando lo spirito a liberarsi dal male,

eseguendo questi esercizi

come un combattimento contro il male esterno

 

e altrettanto contro il nemico invisibile

che vi ostacola.

Che essi vi aiutino

a crescere in corpo e spirito.

(J. Kano, “Sakko”)

 

 

“Meno male che avevo detto di non mettersi in mostra.” Come previsto, Elder è piuttosto seccata dal mio colpo di testa. Siamo di nuovo riuniti intorno al tavolo, dopo cena.

“Mi dispiace, Elder, non so davvero.... Mi è successa una cosa strana.” Cerco di giustificarmi spiegando a grandi linee la sensazione che mi ha spinto a intervenire.

“Lascia stare, Elder.” Di nuovo, inaspettata, la voce di Janus. Sto rivedendo il mio giudizio su di lui: quando è lontano dalle luci della ribalta sembra riprendere energia, e si sta rivelando molto più gentile e disponibile. “Le avevi detto o no che poteva fare qualcosa per spaventare i Favoriti? Se non c'è riuscita oggi....”

“Non l'avevo mai vista così, faceva davvero impressione.” Conferma Codrina. Improvvisamente ho il timore di averla spaventata. Ha evitato il mio sguardo nelle ultime ore, o me lo sto immaginando?

“Comunque, ormai è fatta.” Commenta la nostra mentore, asciutta. “Almeno ne uscirà rafforzata l'immagine della “sorella” protettiva, così magari attiriamo qualche sponsor in più. Per questo, male non fa. L'importante è che domani tu non prenda per il collo gli Strateghi.”

“Di regola non prendo la gente per il collo!” Protesto. “A meno che quella gente non faccia male a mia “sorella”.” Aggiungo in tono un po' faceto, ma non so quanto stia scherzando.

“A proposito, attenta a quella del 2.” Elder è terribilmente seria. “Quella ti ha preso di mira.”

Rivedo la sua arma che saetta, e provo una sgradevole stretta allo stomaco. “Perché, non avrà mica paura di quello che posso fare io?” Non ci crederei neppure se lo vedessi.

“Forse no, ma avete già messo in ombra lei e il suo junior alla parata, con la novità delle “sorelle”, e prima ancora con la Mietitura.”

“Le mie scuse...” Mormoro ironica. Sapessero quanto poco ne avessi intenzione...

“I Favoriti si allenano tutta la vita per trionfare agli Hunger Games, e quando si offrono volontari non intendono sprecare la loro occasione.” Spiega Elder. “E oggi tu l'hai rifatto. Ho incrociato un paio di Strateghi: il tuo exploit ha fatto assai più effetto del suo show con la spada.”

La guardo incredula, e lei spiega: “Il suo allenamento è stato spettacolare, ma in qualche modo prevedibile. Da un Favorito ci si aspetta qualcosa del genere; da un tributo del 5, tanto più con la tua aria, no. Il risultato non è già scritto, Keana, e tu sei la ragazza dalle mille sorprese. Tirale fuori, e vedi di giocarle al meglio.”

 

E' ora di ritirarsi, ma prima voglio sistemare le cose con Codrina. Prima che entri nella sua camera, la chiamo: “Codri!” Lei si volta, e aspetta. Mi appoggio al muro, faccio un po' fatica a trovare le parole. Cerco di suonare il più possibile naturale. “Senti, ma... ti sei impressionata, oggi? Voglio dire, ti ho messa a disagio con quella scena?” So bene, che, gentile com'è, non direbbe mai apertamente di sì, ma temo di leggere una conferma nel suo atteggiamento. Dopo tutto finora non mi aveva mai sentito neppure alzare la voce, figuriamoci una piazzata del genere. Non voglio andare nell'arena senza aver appianato la cosa. Lei sembra vagamente sorpresa, come se non si aspettasse una domanda del genere, e scuote la testa. Mi sembra sincera, ma non sono ancora rassicurata, e abbozzo una giustificazione: “Non l'ho mai fatto, di alzare le mani su qualcuno, ma quello ti aveva fatto male per pura prepotenza, e questo, lo sai, mi fa andare in bestia...”

“Kea,” mi interrompe. “Lo so, non mi hai fatto paura.” Esita, poi riprende abbassando ulteriormente il tono di voce, già basso normalmente. “E' bello che... Avere qualcuno che si preoccupa per te. Mi sento meglio se ci penso.” Anch'io mi sento meglio ora, e molto. “Grazie.” E' quasi un sussurro, timido, detto con gli occhi bassi, ma sento che le esce davvero dal cuore. E non penso si riferisca solo al fatto di oggi. Sento un'ondata di tenerezza, e stavolta non mi trattengo dall'abbracciarla. Penso che alla Mietitura ho fatto davvero la cosa giusta, punto. Prima lo pensavo, ora lo so. Succeda quello che deve succedere.

 

 

Il giorno dopo è l'ultimo di allenamenti, e nel pomeriggio ci aspetta la valutazione da parte degli Strateghi. Avverto un senso di panico, non ho la più pallida idea di cosa potrei mostrare loro. Alle audizioni non c'è gente da malmenare in un impeto di rabbia, né mi pare il caso di mettermi a declamare endecasillabi. Le mie sorprese, come le ha chiamate Elder, sono già finite qui. Credo che prenderò una spada, ne ho viste di lunghe, simili al bastone che usavo con Torio, e cercherò di fare qualcosa, possibilmente senza infilarmela in un occhio. Cerco freneticamente di farmi venire in mente qualcosa di meglio, mentre aspettiamo la chiamata.

Io e Codrina siamo sedute, un po' in disparte dagli altri tributi, su una gradinata presso l'entrata della palestra dove si sono tenuti gli allenamenti, in attesa del nostro turno di presentarci davanti agli Strateghi. Ci stiamo confrontando, lei confida che pensa di puntare su velocità e agilità, forse chiederà di poter rifare un percorso simile a quello che abbiamo provato all'inizio. Annuisco, mi sembra la scelta migliore per una tipetta svelta come lei. “E tu?” Mi domanda.

Viene chiamata dentro la ragazzona del 4, le prossime siamo noi. Cerco di cavarmela con una battuta, ma ho la bocca secca, e cerco di spostare il discorso su di lei. “Secondo me puoi strappare anche un sette.”

Per me, penso che sarebbe già un successo uscire con un quattro-cinque. Cerco di non pensare che ci sono stati tributi che hanno preso anche uno; da questi maledetti numeri dipende la quantità di sponsor disposti a salvarci la vita. La senior del 4 esce, e una voce impersonale chiama il nome di Codrina. “Stendili tutti!” La incito, accompagnandola all'entrata. Lei, seria per la tensione, sparisce nel buio, e io resto in attesa. Mi vengono in mente le anime dannate di fronte all'implacabile giudice Minosse, e nell'ansia si mescola una sottile rabbia. Non è giusto che una manciata di delinquenti possa disporre così della vita di ventiquattro ragazzi e ragazze, non è giusto che ventidue di loro debbano perderla in modo orrendo per il divertimento di una massa di idioti. Non è giusto. Il tempo scorre, i miei pensieri no, ed ecco ricomparire Codrina, ansante. Subito le faccio un cenno interrogativo, e lei mi risponde con un gesto come a dire “non c'è male”.

“Keana Shinigam.” Devo entrare, non c'è tempo per parlare. “Ci vediamo su.” Le sussurro. Oltrepasso la porta, e cammino nel buio, il cuore che galoppa, fino all'area illuminata. Sopra di me, sul terrazzino, intravedo un piccolo assembramento. Gente in piedi, altra sprofondata nelle poltrone, parecchi con bicchieri in mano, pare un ricevimento. Quello al centro deve essere Bramble, il primo Stratega. Credo di poter cominciare, anche se nessuno mi dice nulla. Intorno a me, nelle rastrelliere, ci sono diverse armi. Vedo una lunga katana dall'impugnatura di legno lucido, è senza elsa, ma può andare. Vado a prenderla, me la infilo alla meglio alla cintura, e torno indietro a passi lenti, sentendomi addosso diversi sguardi. La domanda mi martella ossessivamente in testa: e ora che faccio?!? Resto immobile, il panico che monta. Riesco solo a pensare che non posso restare impalata lì nel mezzo, il tempo sta passando, gli Strateghi si spazientiranno e mi congederanno. “Fai quello che vuoi, basta che fai qualcosa!” La vocina, era un pezzo che non si sentiva. Mi cadono gli occhi su dei manichini poco più in là, mi viene in mente di usare quelli. Mi dirigo verso il più vicino, mi fermo a poca distanza. Sfodero la spada, la punto incerta, quindi, velocemente, la carico e tento un fendente diretto al collo del fantoccio. Ma l'ho diretto male, troppo obliquo, per cui la lama invece di troncare la testa di netto si pianta nel materiale duro e fibroso del manichino, penetrando solo un po' e rimanendovi incastrata. Mi sento incredibilmente stupida, mentre cerco con frenesia di disincagliare l'arma, imprecando sottovoce, e ci riesco solo dopo diversi strattoni che finiscono per rovesciare il manichino. Evito di guardare in alto, mentre ne cerco un altro. All'improvviso mi tornano in mente Torio e le sue tecniche, precise, affascinanti. Ma mettersi a eseguire un kata, così, in solitaria.... Che senso può avere? Mi chiedo. Ma tanto a questo punto cosa ho da perdere?

Senza più pensare, rinfodero la spada, torno al centro, e mi metto in posizione: un ginocchio a terra, l'altro ad angolo retto. Tiro un profondo respiro, e mi pare che il brusio si sia un po' attutito. Poi cerco di tagliare fuori ogni cosa, concentrandomi solo sul gesto da compiere. Sfoderare e colpire è un'unica, fluida azione. Un breve attimo di pausa, poi carico l'arma sopra la testa, e la calo, perfettamente diritta, su un immaginario avversario davanti a me. Quindi avanzo con la gamba più arretrata e un altro fendente, con la mano sinistra a sostenere la lama. Questa resta un secondo immobile, un ponte lucente tra le mie mani, prima che guizzi a colpire di punta, rapida come un serpente. Mi alzo, lo sguardo fisso sull'orizzonte, e la katana scivola in guardia. Avanzo di un passo, due. So di dover immaginare un aggressore dietro di me, ma improvvisamente penso di avere accanto Codrina, e che l'attacco sia diretto a lei. Come un fulmine, la spada si alza a parare il colpo in arrivo; quindi si disimpegna mentre giro di 180 gradi e cala a tagliare in due l'avversario. Adesso ce ne sono molti, siamo circondate. Un attimo di sospensione; quindi lascio la presa con una mano, e con l'altra avvicino in torsione l'arma alla guancia, lentamente, fino a sentire vibrare l'energia trattenuta. Il fendente, amplissimo, esplode. Sibila tagliando l'aria, mentre giro fluidamente su me stessa, il braccio che regge la spada diritto all'altezza dei miei occhi, e si arresta sicuro nel punto esatto in cui ha avuto origine. Un ultimo sollevarsi, e la katana cala verticalmente a finire l'ultimo immaginario superstite, ripristinando la posizione iniziale col ginocchio al suolo. Resto qualche secondo immobile, ansimando, mentre torno presente a me stessa. Quindi con un gesto rapido giro la spada verso il basso, la faccio scorrere sulla spalla dalla parte opposta al filo e la rinfodero. Mi alzo, accenno un rigido inchino senza guardare direttamente in alto, ripongo l'arma dove l'ho presa, e mi avvio all'uscita.

 


“O bene bene, o male male.” Avevo annunciato rientrando al nostro quartier generale, all'assalto di domande di Codrina, Elder, Janus, e persino Ebes. A dir la verità non avevo potuto evitare un sottile divertimento alla vista delle loro espressioni mentre descrivevo la mia audizione, ora però sento netta la preoccupazione per il responso imminente. “Quindi, o sono rimasti folgorati.... O si sono sentiti presi per i fondelli.” Avevo detto.

“Probabilità dell'una e dell'altra?” Aveva chiesto Elder, con la consueta calma.

“Cinquanta e cinquanta, direi.”

“Cara, ma non hai visto com'erano, cosa facevano???” Ebes. Mi ero limitata a fare cenno di no. In effetti, mentre risalivo in ascensore verso il quinto piano avevo rimpianto di non aver avuto il coraggio di guardare le reazioni degli Strateghi, ma ormai era andata e il risultato l'avrei visto in diretta. Janus accende la televisione, e dopo un'interminabile serie di pubblicità appare il volto tirato a lucido di Claudius Templesmith, il conduttore ufficiale dei giochi, che presenta i voti. Dapprima sfilano sullo schermo i volti dei Favoriti, ed è una pioggia di nove e dieci. Il junior dell'1, quello con cui ho avuto lo scontro in palestra: nove. Wolwerine, il senior dai pugni artigliati, che in realtà si chiama Tourmaline: dieci. Poi Hebi, il tredicenne maligno del 2: dieci. E poi uno sguardo di ghiaccio che ormai conosco. “Retia Webelmann, distretto 2, categoria senior: undici.”

A Janus sfugge un lieve fischio, Elder è impassibile. Anche la mechata dallo sguardo folle è andata assai bene: “Absinth Mophetes, distretto 3, categoria senior: nove.” Poi i tributi del 4: non superano il cinque. “Codrina Wheaterson, distretto 5, categoria junior.” Tratteniamo il respiro. “Sei.”

Lei sorride, e noi scoppiamo in un applauso. E' un punteggio niente male, la media del nostro distretto di solito è sul cinque. “E brava la nostra biondina!" Esclama Janus.

“Grande!” Sorrido io, e le porgo la mano aperta per un cinque. Sullo schermo però appare un altro volto noto, e ci zittiamo. “Keana Shinigam, distretto 5, categoria senior.”

Ho lo stomaco serrato, e se davvero gli Strateghi hanno pensato che li prendessi in giro? E anche se così non fosse, anche se fossero rimasti colpiti dallo sfoggio di concentrazione e precisione, quanto peserà la la falsa partenza che ho fatto? Tutti fissiamo il monitor, in attesa. In sovraimpressione si disegna un numero. “Otto.”

Ebes lancia un gridolino eccitato, gli altri esultano, Elder si apre in un raro sorriso, e io espiro rumorosamente, sentendomi come se mi avessero tolto un peso di dosso. Probabilmente è il voto più alto del nostro distretto da diversi anni a questa parte. E' andata bene.


 

 

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E.N.P.
Spero che la descrizione della prova si capisca e non sia troppo tecnica.... E che non ci siano insegnanti di spada tra i lettori che hanno avuto la pazienza di arrivare fin qui! A seguire l'intervista tv, e poi faremo sul serio...

 

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Capitolo 9
*** L'applauso è la sola misura ***


Nossignori. Per me, io sono colei che mi si crede!”

(Pirandello, "Così è (se vi pare)")

 

 

 

Siamo giunti all'atto finale, l'intervista con Caesar Flickerman, il più celebre giornalista di Capitol City. Tutta Panem ci vedrà; se non altro, stavolta in abiti normali. Ebes ha avuto comunque di che sbizzarrirsi anche qui, è da stamattina che è in fibrillazione, e trilla acutissima imperversando qua e là tra il suo staff. Con mio grande gaudio, si fa per dire, abbiamo dovuto sottoporci a una seduta estetica completa: parrucchiere, manicure e trucco, e ora siamo pronte per le telecamere. Codrina è davvero graziosa. Questo inverno si è fatta crescere i capelli, che adesso sono lunghi fin quasi a metà schiena, sciolti in morbide onde color grano sulle spalle e trattenuti da una treccia a cerchietto. Indossa un abito di stile greco color turchese, che le fa risaltare gli occhi, e sandali alla schiava bassi. Per me invece è tutta un'altra musica. Mi sento terribilmente a disagio, persino peggio che con il vestito luminoso della parata. Questa roba è leziosa, bislacca, pacchiana, insomma, non c'entra proprio nulla con me. Oltretutto, mi sta da cani. Sulla gruccia poteva ancora essere sfiziosa, anche se non è il mio genere, ma addosso a me fa davvero pietà. Si tratta di un vestito di organza con spalline arricciate, corpetto aderente e gonna al ginocchio con orlo anch'esso arricciato. A completare l'obbrobrio, è di un improbabile rosa peonia, così come le tacco 10 abbinate. Mi vedo già distesa a pelle di leone sul palco davanti a Flickerman. Non sono capace di muovermi su questi trampoli, tanto più a passi ampi come sono abituata.
“Ebes, io detesto il rosa, non ci sarebbe qualcosa di nero...?” Avevo provato a chiedere, ben sapendo che era inutile.

Infatti avevo rimediato uno scandalizzatissimo “Ma cara!!! Nero, che cosa maaaacabraa! Nella vita ci vogliono i colori! Quel rosa è delizioso con i tuoi capelli scuri, e ti ravviva un po' quel visuccio pallido....”

“Pallido per lo studio. E il nero invece è serio, sobrio, e sfina.” Avevo ribattuto, più per puntiglio che altro.

“Come se ne avessi bisogno....” Aveva commentato Janus, alludendo alla mia magrezza. Insomma, non c'era stato verso.

 

Prima di uscire, fermiamo Elder. “Come ci comportiamo?” Le domanda Codrina. Io annuisco, agitata.

“Siate naturali.” Risponde lei con calma.

“Elder...” Dico a disagio. “Te ne sarai accorta, io non do il meglio a prima vista. E non so arruffianarmi la gente.”

“E neppure devi cercare di farlo. Semmai suscitate curiosità, fate intuire che avete risorse nascoste. Non avrai certo problemi. Nemmeno tu, Codrina. Va bene l'aria timida ed educata, ma non farti tirar fuori le parole con le pinze. Soprattutto, puntate sulle “sorelle”, fate vedere quanto siete legate. Insomma, dite la verità, senza esagerare.”

 

 

Ora mi trovo, agghindata come una bomboniera, nella grande sala dietro le quinte degli studi TV di Capitol City. Come per la valutazione, saremo chiamati uno ad uno per essere intervistati, tre minuti ciascuno. Lo studio è ovviamente strapieno, e quando Caesar Flickerman, giacca splendente di lustrini e sorriso ancor più abbagliante, ha fatto il suo ingresso, l'applauso è arrivato perfettamente udibile fin qui. Devo dire che Caesar ha un savoir faire tutto particolare: sa entusiasmare il suo pubblico, tenerlo in sospeso, farlo sentire complice, tutt'altra cosa rispetto a Janus. Già, Janus. Poco prima di andare a prendere posto in platea, mi ha preso in disparte. “Lo vuoi un consiglio?” Mi ha fatto a bruciapelo.

Sorpresa da questo inaspettato interessamento, ho fatto segno di sì, certo che lo voglio. “Qui la gente vive di finzione. Respira il niente dal momento in cui si alza fino a quando va a dormire, e forse pure nei sogni. Non c'è niente di più rivoluzionario a Capitol City della verità. E voi due avete in mano qualcosa di dannatamente vero. Forse non immagini neanche l'effetto che può avere un'amicizia come la vostra. Usalo, ma con attenzione.”

Ha fatto un cenno di intesa, e per un momento il suo volto mezzo blu non mi è parso più tanto stravagante. Mi ha dato una pacca sulla spalla, ed è sparito tra gli spettatori.

La voce di Flickerman sta esclamando: “Li avete visti sfilare alla parata, ora è arrivato il momento di conoscerli personalmente da vicino. Signore e signori, i tributi della quarantaquattresima edizione degli Hunger Games!” Parte la musica, e viene chiamato il junior del distretto 1. Mi viene in mente quanto sia fuori luogo il termine “personalmente”. Adesso siamo delle persone? Non si mandano delle persone a morire per divertimento, i tributi non sono persone. Mi riscuoto, meglio prestare attenzione. C'è un ampio schermo sulla parete della nostra sala per permetterci di seguire le interviste, in attesa del nostro turno. Il ragazzotto fa lo spaccone, come immaginavo. Dei quattro Favoriti è quello che mi spaventa di meno, è indubbiamente abile con le armi e aggressivo, ma a ben guardare non è che sembri troppo sveglio. A meno che non sia una tattica, ma ne dubito. Il suo compare di distretto Wolwerine, strizzato in uno smoking scuro, non si atteggia molto diversamente, ma all'esibizione dei muscoli sa unire presenza di spirito e una fredda intelligenza. Caesar gli chiede una dimostrazione con un punching ball che viene subito portato in scena. Lui non si fa pregare, suscitando urletti e applausi ammirati dal pubblico.

Quindi tocca al junior del 2. E' del tutto diverso dai primi due, il papillon gli dona un'aria sbarazzina, e recita la parte del bravo ragazzo. Quando Flickerman gli chiede chi occupi un posto speciale nel suo cuore, forse qualche bella ragazzina? lui lascia tutti di stucco.

“In realtà, la persona a cui sono più affezionato... E' qui con me. Io voglio molto bene a Retia, e le ho promesso che vinceremo insieme.”

Il pubblico applaude, in sala c'è un certo moto di sorpresa, e io salto su, incredula, trattenendomi a fatica dall'urlare: ma che bugiardo! Questa l'hanno creata a tavolino, chiaro come il sole, in risposta alla nostra immagine delle “sorelle”.

“Ma se fino a ieri lei lo guardava a malapena!“ Mi bisbiglia Codrina, indignata. Sarà stata un'idea loro? Che facce di bronzo... Guardo di traverso la sua senior, che però ha un'espressione strana. Anzi, stringe le labbra, anche se per il resto rimane impassibile. Il tempo di Hebi sta per scadere, e lei si alza. E' splendida in un elegantissimo abito stile impero, con una raffinata cintura a ricami d'argento e turchesi, che drappeggia esaltandole le forme slanciate. Ha già recuperato tutta la sua arroganza, e incrociando il mio sguardo mi lancia un'occhiata sprezzante. D'impulso, prima che esca dalla stanza le sbarro la strada, e le faccio, a muso duro: “Ma chi pensate di prendere in giro?!? Non siete poi tanto Favoriti se dovete ricorrere a questi mezzucci...”

Il suo sguardo omicida mi gela e mi toglie ogni ardire. D'istinto mi verrebbe da indietreggiare e scansarmi, ma mi impongo di non muovermi.

“Non so di che parli.” Sibila, e mi urta intenzionalmente passandomi accanto. Sento le guance infiammarsi. Per un attimo la stizza è più forte della paura, vorrei trovare qualcosa di sarcastico che le faccia abbassare la cresta. Ma chi diamine crede di essere? “La Favorita con il punteggio più alto, seducente come una pantera e letale come un cobra. E lo è.” Grazie, vocina. La verità è che riesce a farmi sentire una povera sciocca imbranata e insignificante, una nullità con la ridicolissima pretesa di competere con una tanto superiore come lei. Sullo schermo Flickerman le sta domandando se si sente pronta.

“Assolutamente sì, fin dal momento in cui mi sono offerta volontaria.” La voce è tranquilla e sicura, la voce di una vincitrice.

“Hebi ha detto che vincerete insieme, anche tu prevedi un ritorno trionfale al distretto?”

“Non ho dubbi che sarà così.”

Mi viene in mente la vecchia battuta: solo i cretini non hanno dubbi. Ne sei sicuro? Senza dubbio; e la sussurro all'orecchio di Codrina, suscitando una sua risatina. I tributi scorrono, e arriva il suo momento.

“Molti di voi ne hanno già sentito parlare come le “sorelle di sangue” del distretto 5: queste due ragazze, una giovanissima e una giovane, sono arrivate insieme legate dall'affetto, e insieme scenderanno nell'arena, per tornare insieme a casa.... Signori, dal 5, Codrina!” La vedo entrare timida in un turbinio di applausi, aspetta persino il permesso del conduttore per sedersi. Il suo sorriso dolce, le sue risposte un po' esitanti e persino un tentativo di spiritosaggine conquistano subito il pubblico, e anche Caesar. Ma è quando le chiede del nostro rapporto che dice qualcosa che non scorderò facilmente. “Keana mi ha insegnato tante cose... Non solo a scuola, ma anche nella vita.... E so che se ho un dubbio – o paura di qualcosa- posso sempre chiedere a lei. Di lei mi posso fidare, sempre.”

Per un attimo mi viene la sgradevole paura che l'abbia detto tanto per dare retta alle raccomandazioni di Elder. Ma dentro di me so che non è così, e devo guardare altrove per dominare l'emozione. Caesar la ringrazia, e nel congedarla le accarezza le testa come una bambina. Ci siamo, sento le mani sudate per la tensione, e non so come tenerle. Un addetto mi sospinge fino ad arrivare alla quinta di entrata sul palco, sento annunciare:“E adesso la maggiore delle due “sorelle”: Keana!” Camminando con cautela sui tacchi traballanti, le spalle rigide, entro. Le luci, fortissime, mi abbagliano, mentre esplode una fragorosa acclamazione. Lo studio è incredibilmente ampio, molto più di quanto non sembrasse sullo schermo, e un mare di facce e look variopinti si estende a perdita d'occhio. Caesar, seduto a gambe accavallate sulla sua poltrona mi rivolge un largo sorriso, e mi invita a sedergli di fronte. Lo faccio, ma mi rendo conto di essere rigida come un palo, e cerco di rilassare un po' la postura. “Allora, Keana, parlaci un po' di te. Sei la prima volontaria del distretto 5. Come è stato prendere questa decisione?”

Ho un attimo di spaesamento, e stupidamente domando: “Chi, io?”, suscitando un'ondata di ilarità nel pubblico. Mi sento arrossire, e tento di recuperare: “E' stato un po' come se qualcosa mi spingesse... Non è stata una decisione meditata, voglio dire. Ho immaginato Codrina nell'arena.... E l'ho fatto.”

Caesar annuisce. “Una decisione del cuore, dunque... Sei una che segue il cuore, Keana?

Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce.” Mi esce senza pensare.

“Certo, naturalmente...” Se è spiazzato, si riprende subito. “Devi volere davvero un gran bene a Codrina.” Avverto una punta di irritazione. Perchè tutti continuano a dirlo? Non è abbastanza ovvio? Non qui, rifletto, ricordandomi delle parole di Janus, e decido di cogliere il momento.

“Sì, ecco...” Devo farmi violenza per tirare fuori cose così personali di fronte a un estraneo, figuriamoci poi di fronte a mezza Capitol City. Ma so che mi devo sforzare, è troppo importante. “Io non ho fratelli, e ne ho sempre desiderato uno. Poi ho conosciuto lei, l'ho vista crescere, e diventare quella ragazzina meravigliosa che è ora. Non avrei potuto sopportare di perderla.” Il pubblico si scioglie in sospiri di struggimento. “Quindi ho intenzione di fare in modo che nessuno le faccia del male.” Soggiungo, che sia chiaro anche ai Favoriti.

“E in modo pensi di proteggerla, vuoi rivelarcelo?” Chiede Caesar in tono confidenziale. In effetti vorrei saperlo anch'io, ma non mi pare esattamente la cosa migliore da dire.

“Preferirei mostrarlo sul campo.” Rispondo, sperando di apparire enigmatica. Cercando di non farmi notare, tiro verso il basso l'orlo della gonna, tentando di guadagnare qualche centimetro di copertura in più.

“E i tuoi? Cosa hanno detto?”

Ahia, argomento pericoloso. Mi sforzo di mantenere un tono neutro, e per non rischiare fisso un punto dietro al conduttore. “Credo non sia stato facile.” L'eufemismo dell'anno. “Ma sono stati loro a trasmettermi una visione del mondo fondata su valori precisi, tra cui quello di pensare agli altri prima che a sé stessi. Io non ho fatto altro che andare fino in fondo. Quindi spero che capiranno.” Lo spero, davvero. Mi sento spossata, quanto manca alla fine dell'intervista?

Caesar annuisce grave. “Capisco.” Poi riprende un tono brioso. “Bene, per concludere dicci un po' come hai trovato Capitol City! Che ne pensi, risponde alla tua visione del mondo?”

Non posso crederci, davvero me lo sta chiedendo? Non ci penso due volte. “Una splendida, perfetta confutazione dell'”Apologia” socratica, che si dipana all'interno di una scenografia beckettiana impazzita. Davvero interessante.”

Stavolta Flickerman è davvero spiazzato. Il suo sorriso si congela leggermente, lo vedo inumidirsi le labbra più di una volta. “Interessante, quindi...” Mormora suscitando applausi.

“Assolutamente.” Affermo sicura. “Chi non vorrebbe vivere in un limerick carrolliano anetico appena sortito dalla porta d'avorio? Decisamente affascinante...”

Il pubblico, che non deve aver capito una parola al di fuori di “affascinante”, strilla entusiasta tra i battimani. Caesar, da parte sua, è in crisi acuta, ridacchia nervosamente guardando smarrito qua e là, e per un attimo mi fa compassione. Per sua fortuna il tempo è scaduto, e posso quasi vedere il suo sollievo mentre mi congeda, augurandomi buona fortuna.

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Capitolo 10
*** Tutto ora tace ***


..”e morrai sapendo

che nulla è più bello, più vero della vita.“

(N. Hikmet, “La vita non è uno scherzo”)

 

 

Rientriamo esausti al quartier generale, è quasi l'una di notte, e domani.... Non voglio a pensare a domani. Finora c'era sempre qualche distrazione, qualcosa di più urgente a cui pensare, ma adesso solo poche ore ci separano dall'arena.
“Non avevo mai visto Flickerman così in difficoltà.” Commenta Janus divertito, ma io non ho voglia di parlare, e ben presto la mia oppressione contagia tutti, ed è in silenzio che ci ritiriamo per la notte. Entro nell'ampio locale che mi fa da camera e socchiudo la porta dentro di me. Nonostante la stanchezza, rimando il momento di andare a letto. Accendo le immagini virtuali che, sparse per tutta la stanza, simulano in 3D diversi ambienti naturali con tanto di suoni, e sto un po' a guardarle, cercando di non pensare a niente. Visto che è inutile, apro la grande vetrata scorrevole ed esco sul balcone. L'aria fresca della notte mi accarezza il viso, e mi sento disperatamente viva. Voglio rivedere la grande piana tra le colline dove sorge la mia cittadina, risentire il ronzio costante delle centrali al lavoro, tornare a leggere i miei libri seduta nella veranda di casa, ridere con Baria e Codrina. E invece tra poche ore potrebbe essere già tutto finito. Almeno avesse un senso. Se fosse per una buona causa... sarebbe già più facile da accettare. Ma non c'è nessun senso, nessuna buona causa per quello che andrò a fare.

Ci penso ossessivamente, e mi sento come un passero in trappola, che sbatte qua e là cercando una via di fuga che non c'è. Siamo solo pedine nella strategia del terrore del regime, carne da macello per il divertimento di pochi ed esempi per l'ammonimento di molti. Non apparteniamo più a noi stessi. Neppure dopo. Chi ha mai visto tornare i corpi dei tributi morti? Troppo rischio di fomentare rivolte. Spariscono, e non se ne sa più nulla. Lo stomaco si torce violentemente all'idea del mio corpo gettato in una fossa in qualche periferia sperduta. Cerco scampo in quella citazione che dice che non c'è motivo di temere la morte, perchè “quando noi ci siamo, la morte non c'è; e quando c'è lei non ci siamo più noi.” Ma è il momento intermedio che mi terrorizza. Penso al dolore della lama che squarcia la carne, alle forze che scorrono via insieme al sangue, e il panico mi blocca il respiro. Spero almeno sia una cosa rapida. Anche se dopotutto, da un punto di vista metafisico, vivere vent'anni o cento non fa molta differenza, no? Certo, ci sono di mezzo solo alcune sciocche, bellissime cose: una notte passata a dibattere con la tua migliore amica sul senso dell'esistenza, i colori di un tramonto, il cuore che batte forte alla vista di qualcuno di speciale, il primo pianto di tuo figlio nell'affacciarsi alla vita... Quante cose che non conosco, e non conoscerò mai. E che mi stringono la gola in un groppo ben poco metafisico. Sotto di me, le mille luci della capitale, e il via vai di gente spensierata, gente che parla con i propri cari, ride, vive, e non sa quanto è prezioso tutto questo.

Improvvisamente, qualcosa mi distoglie da questi pensieri. Dal basso mi arrivano delle voci alterate, non devo essere l'unica fuori in terrazza. Con sorpresa mi pare di riconoscere quelle della mia rivale del 2 e del suo junior, più un'altra, maschile, che non identifico, ma che immagino essere quella del loro mentore. Purtroppo la distanza non mi permette di capire le parole, ma è soprattutto Retia a prevalere, e sembra piuttosto arrabbiata. Vorrei affacciarmi, ma temo che possano vedermi. Qualche altro scambio, poi cala il silenzio. La voce sconosciuta dice qualcosa, e pochi istanti dopo sento lo sbattere della porta a vetri che si richiude. Inutile cercare di captare altro, devono essere rientrati. Sono di nuovo sola con i miei pensieri. Rientro anche io, col cuore pesante, pensando che è meglio cercare di dormire almeno un po'. Mi cambio, spengo tutto e mi infilo nell'enorme letto. Ma ovviamente, l'angoscia è troppo forte, e la mente continua a vagare senza sosta. Penso ai miei genitori, mi chiedo cosa staranno facendo ora. E poi penso ai ragazzi e ragazze che mi hanno preceduto, e che in questo letto hanno passato l'ultima notte della loro vita. E' un pensiero insopportabilmente penoso, e cerco di cacciarlo. Mi sembra quasi di sentire la loro presenza nel buio. Ed è per questo che mi sento rizzare i capelli, quando mi rendo conto che nella stanza c'è effettivamente qualcuno. “Chi è?” Chiedo in un soffio. Cercando di non fare rumore, tasto qua e là cercando l'interruttore della luce, ma una voce sommessa mi fa fermare: “Kea.... Sono io.”

Tiro un sospiro di sollievo. “Codri. Dimmi.” Il silenzio che segue mi fa allarmare. “Stai bene?” Le chiedo tirandomi a sedere.

“Posso stare con te?” La voce le trema talmente che avverto una fitta allo stomaco. Mi sento davvero una stupida per non aver pensato ad andare io da lei e starle vicino in questo momento, è ovvio che anche lei sia spaventata a morte al pensiero di domani. Mi alzo e le vado incontro a tentoni, e quando la trovo lei mi salta letteralmente al collo. Sta piangendo, ha le guance bagnate e roventi. La stringo forte e le accarezzo la schiena, vorrei dire qualcosa per calmarla, ma ho la gola stretta, e so che se parlassi scoppierei a piangere anch'io. Restiamo così, in silenzio, per non so quanto tempo, finché non la sento un po' più tranquilla. Solo allora la porto a sedere sul letto.
Vorrei incoraggiarla a parlare, a gettare fuori paura e angoscia, ma aspetto, non voglio forzarla. Mi asciugo gli occhi, ringraziando il buio. Finalmente le esce un “ho paura” ancora rotto dal pianto. E poi, pian piano, racconta che non riusciva a dormire, e le sono venuti in mente casa, papà e mamma, le sue amiche, e Brant; e tante altre cose. La ascolto in silenzio, tenendole le mani fra le mie.

“Va meglio?” Le chiedo alla fine. La avverto annuire in quel suo modo così tipico. “Anch'io ho paura. Tanta.” Le confesso sottovoce. Un altro lungo silenzio.

“Ucciderai, nell'arena?” Mi domanda all'improvviso. Avverto una violenta fitta dentro di me, me lo sono chiesto anch'io tante volte in questi giorni. Non so davvero cosa rispondere, per fortuna lei continua, quasi fra sé: “Io non penso che ne sarò capace.”

E io, invece, lo sarò? Mi si rivolta lo stomaco alla sola idea. Checchè tentino di inculcarci, è male. Va contro ogni legge di natura. Non c'è uno dei miei libri che affermi il contrario. E al di là dei libri, è la legge del cuore che parla, e non può essere messa a tacere.

“Vorrei poterlo evitare, lo vorrei con tutte le forze. Tu non ti devi preoccupare di questo, però. Ci inventeremo qualcosa.” Provo a dire. In ogni caso, sono dolorosamente consapevole che il compito che mi sono assunta potrebbe richiedermi qualcosa di anche più impegnativo della vita. Ma ho detto che l'avrei protetta, e non intendevo solo fisicamente. E' già orribile che una dodicenne debba trovarsi a confrontarsi con la morte, senza che ne rimanga segnata a vita. Non posso permetterlo.

“Secondo te possiamo farcela? A tornare a casa.” Mi chiede ancora a bruciapelo. Di nuovo la fitta allo stomaco, vorrei tanto risponderle sì, certo che torneremo, che domande. Ma non voglio fingere assurde certezze consolatorie, Codrina è troppo intelligente.

“Ascolta, Codri.” Mi schiarisco la voce, voglio che suoni il più possibile ferma, e sapendo che non può vedermi in viso le poso le mani sulle spalle esili. “Per quello che può valere, ti prometto una cosa. L'ho già detto, ma lo ripeto ancora. Te lo prometto sulla testa dei miei genitori, anzi, di tutti quelli che conosco: tutto quello che posso fare io per riportarti a casa, lo faccio, lo farò. D'accordo?”

Lei bisbiglia un “grazie” che mi allarga il cuore. E' una certezza rassicurante anche per me. Non ha nessuna importanza quello che mi succederà, quanto potrà costare. Non me ne importa proprio niente. Può darsi che per me non sia così. Ma farò in modo che lei torni a casa, punto. Vengano i Favoriti, vengano gli Strateghi, venga chi vuole. Ora mi sento forte come non mi sono sentita mai.

 

 

La mattina dopo è una bella giornata di cielo limpido. Ho due profonde occhiaie, che Ebes si affretta a mascherare con il trucco. Tento di scacciare ogni residuo di sonno, devo essere lucida al massimo. Sia io che Codrina ci siamo legate i capelli in una pratica coda di cavallo. Indossiamo già le uniformi di quest'anno, una maglietta scura e una giacca leggera grigia non impermeabile, sopra semplici pantaloni di tela e anfibi neri. Nessun indizio particolare sul tipo di ambiente in cui ci troveremo. “Selva comune, o forse macchia di stile mediterraneo. Niente di freddo né di umido, per lo meno.” Ha ipotizzato Elder vedendole.

Ci riuniamo con lei, sono gli ultimi minuti a nostra disposizione. Dal momento che usciremo dagli alloggi per recarci all'imbarco dell'hovercraft che ci porterà all'arena, non sarà più permesso alcun contatto con il mentore. “Non appena potrete scendere dalle postazioni, individuate la direzione più sicura e datevela a gambe. Attorno alla Cornucopia ci sarà il solito bagno di sangue, voi non fatevi assolutamente coinvolgere. Piuttosto cercate un posto dove ci sia acqua, e tenetelo sempre presente. Non accendete fuochi, e state attente a ciò che sembra troppo accessibile. E soprattutto tenete presente questo: se vi sentite vittime, lo diventerete. Quindi, Keana,” mi fissa negli occhi, intensamente “fai quello che devi.”

“E se non riuscissi...?” Mi sfugge piano. Lei sa com'è, uccidere.Vorrei farle la domanda, ma ancora una volta mi anticipa.

“Non è difficile, Keana. Non quando c'è di mezzo la tua vita. Meno ancora quella di qualcuno a cui vuoi bene. Per gli scrupoli avrai tempo, dopo.” I suoi occhi scuri per un attimo mi sembrano un cielo notturno senza stelle. E' quello che temevo di sentire. Con un ronzio, la porta dell'appartamento si apre. Entra un funzionario dei giochi, scortato da quattro Pacificatori. E' l'ora. “Ci vediamo all'uscita.”
Ci incoraggia Janus, mentre Ebes accenna a un incerto saluto con la mano.

“Buona fortuna.” Dice Elder, semplicemente, e ci stringe il braccio accompagnandoci alla porta.

 

Il viaggio verso l'arena scorre come in un sogno. L'hangar illuminato al neon, il portellone dell'hovercraft che si apre con un ronzio, i sedili ruvidi al suo interno. Con gli altri ventidue tributi siamo disposti su due file parallele alle pareti, un tecnico passa dall'uno all'altro per l'inserimento dei microchips che permetteranno agli Strateghi di localizzarci in ogni momento. Alla secca richiesta, porgo il braccio sinistro, e l'addetto mi spara il congegno sotto la pelle con una sorta di siringa, facendomi sobbalzare per la fitta. In volo, guardo Codrina, accanto a me, e le sfioro la mano che stringe il bracciolo. Lei è pallida, come devo esserlo io, ma risponde al mio gesto, e stringe la mia con le dita sudate, insolitamente forte. Cerco di mettere tutta la forza di stanotte nella stretta, e siamo ancora così quando atterriamo.



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E.N.P:
Mi farò detestare da chi è in attesa dell'azione, ma non potevo spedire queste due nell'arena senza un po' di pensieri angosciati. E, per dirla con i Peanuts, "quando sta per succedere qualcosa di brutto non dovrebbe mai esserci una notte prima"...

P.s. A proposito dei corpi dei tributi che non fanno ritorno: so che non è così nel libro. Ma mi pareva appropriato, un ulteriore sopruso per i familiari delle vittime dei Giochi e tutti i distretti.


 

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Capitolo 11
*** Niente, se non un massacro ***


Si dia l'ordine di strage! E si scatenino i mastini della guerra!

(Shakespeare, “Giulio Cesare”)

 

 

L'unica luce è quella fredda del neon, sono sottoterra, in un piccolo ambiente spoglio, la cosiddetta camera di lancio. Di fronte a me, il tubo di salita nell'arena: una piattaforma ad ascensore dentro pareti di vetro oscurato. Ora so come dovevano sentirsi i gladiatori dell'antichità, nei minuti prima di essere issati nell'anfiteatro su congegni analoghi a questo. O i condannati ad bestias. Sono sola. Un tecnico ci ha impartito le ultime istruzioni. “Quando vi verrà data disposizione, salirete nei dispositivi di lancio. Dal momento che tutti vi troverete nell'arena, avrete un minuto di tempo prima del segnale di via. Quando una delle due categorie avrà un vincitore, questi deve recarsi alla Cornucopia, e là attendere l'hovercraft che verrà a prelevarlo. Da quel momento è tassativamente proibita ogni ulteriore interferenza nell'altra categoria.”

Quindi siamo stati accompagnati dai Pacificatori nei rispettivi cubicoli, saliremo separatamente. Ma prima di essere divisa da Codrina, l'ho fermata. “Codri, aspetta!”

Velocemente, prima che il soldato dietro di me potesse interrompermi, le ho bisbigliato: “Quando inizierà, scappa come abbiamo detto, trova un posto con l'acqua, e nasconditi lì. Io verrò a cercarti, prima devo fare una cosa.”

Lei era perplessa e titubante: “Ma Elder...”

“Lo so, non ti preoccupare. Tu fai così, va bene?” Ha annuito. Le ho mandato un bacio mentre il Pacificatore mi spingeva via.

 

Ora però sento il terrore che sale come un'onda gelida. In viso devo essere bianca come un cencio, e ho il respiro corto. Ho la mente vuota, mi sembra di aver dimenticato tutto quel poco appreso nell'allenamento. Mi sforzo freneticamente di richiamare alla memoria qualcosa, anche solo per sentirmi meglio, ma emerge solo una reminescenza sbiadita:

Lo so che sei forte, ed io di te molto più debole.

Ma, certo, tutto riposa in grembo agli dei...

Niente è scritto, niente è già scritto... Ma posso solo sperare in un Dio particolarmente benevolo, per non fare la fine di Ettore davanti alla furia di Achille.
“Trenta secondi.” La voce metallica dell'altoparlante mi fa trasalire. “I tributi nei dispositivi.” Mi avvicino alla struttura di risalita. Forse questi sono i miei ultimi passi su questa terra... Entro all'interno, e la porta a vetri oscurati scorre rapida chiudendosi. La stanza squallida scompare, sostituita dal riflesso del mio viso spettrale. “Dieci secondi.” La voce arriva attutita. Il montacarichi si mette in moto con un ronzio, e inizio a salire, il cuore che batte all'impazzata. La luce aumenta man mano che mi avvicino alla superficie, finché non mi acceca, e avverto un soffio d'aria. Sono fuori.

 

Sbattendo le palpebre, recupero poco a poco la visibilità. E quello che vedo mi disorienta. Siamo in una sorta di vastissima piazza lastricata, cui fanno da sfondo case e palazzi fatiscenti, alcuni parzialmente distrutti. E' un'arena urbana! Penso sorpresa. Non me l'aspettavo proprio, mi immaginavo la classica foresta con radure e torrenti. Ma questo mi fa sentire meglio, per noi che veniamo da un distretto assai urbanizzato sarà un vantaggio.

Al centro della piazza troneggia la Cornucopia, tutt'intorno in un ampio cerchio ci siamo noi, su pedane rialzate. Cerco subito Codrina, e la individuo tre postazioni alla mia sinistra. Lei mi fa un cenno quando mi vede, e io le rispondo. “Signore e signori, la quarantaquattresima edizione degli Hunger Games ha ufficialmente inizio!” La voce amplificata di Claudius Templesmith risuona nella piazza. “Via al conto alla rovescia!”

Su un grande schermo sulla facciata annerita di un palazzo compare il sigillo di Panem, subito sostituito dai sessanta secondi che scorrono all'indietro. So che fino allo scadere del tempo è attivo il campo minato attorno a noi, per cui se qualcuno provasse a balzare giù dalla sua pedana troppo presto salterebbe in aria all'istante. “Quarantasei. Quarantacinque. Quarantaquattro. Quarantatré.” Scandisce la voce.
Osservo la Cornucopia, cercando di distinguere il suo contenuto. Ci sono appena pochi oggetti sparsi fuori sul lastricato; il grosso, armi, munizioni, provviste, kit di sopravvivenza, è ovviamente all'interno. Il cuore mi balza quando intravedo una katana nel suo fodero nero. In un lampo mi vedo impugnarla, immagino quanto mi sentirei più sicura con quella tra le mani. Ma mi impongo di scacciare la pericolosa tentazione, so benissimo che è stata messa là per attirarmi in una zona da cui non uscirei mai viva. “Trentuno. Trenta. Ventinove. Ventotto.” Sulla pedana alla mia destra c'è il ragazzino scheletrico dell'11. Su quella successiva Wolwerine, tutto teso in avanti, in spasmodica attesa di potersi lanciare all'attacco. Sicuramente ci sarà anche la sua arma, là dentro. Il suo compagno di distretto è poco più in là, e anche lui freme impaziente, digrignando i denti. Non vedo Retia, per fortuna, deve restare dietro la Cornucopia. “Diciotto. Diciassette. Sedici. Quindici.” Guardo di nuovo Codrina, anche lei si è messa in posizione per scattare, il viso pallido e tirato. Le lancio un'occhiata interrogativa, e lei accenna un gesto di intesa. “Dieci. Nove. Otto. Sette.” I secondi scorrono insieme ai battiti del cuore. “Sei. Cinque. Quattro.” Questi insieme al respiro. “Tre. Due. Uno.” Lo schermo lampeggia, e si spegne. E' il segnale.

 

Da tutte le parti si scatena la corsa verso il centro, alcuni invece schizzano in direzione opposta. Io resto immobile dove sono, guardando Codrina saltare giù dalla pedana e correre leggera attraverso la piazza, puntando verso una delle vie di uscita. La vedo infilarsi rapida in un vicolo buio, e sparire dalla vista. Solo allora torno a rivolgere l'attenzione a quello che sta succedendo al centro, ma quello che vedo mi gela. Il bagno di sangue è cominciato. Il junior dell'1 si è appropriato di una spessa spada, e sta infierendo su quello dell'8, il ragazzo paffuto, che non è riuscito neppure ad allontanarsi dal suo posto. Poco più in là, in mezzo alla baraonda, intravedo il senior del 7 chinarsi e afferrare uno zaino, ma mentre si sta ancora raddirizzando dal nulla sbuca un lampo di meches verdi, e il ragazzo del 7 si abbatte fulminato, lo zaino ancora in mano. Il caos di urla è agghiacciante. Alla Cornucopia, i due senior Favoriti stanno scatenando l'inferno. Retia è una furia inarrestabile. Afferra la junior del 12 per i capelli e la pugnala più e più volte, mentre quella grida e tenta inutilmente di ripararsi, le mani rosse di sangue. Quindi la lascia cadere e si volta, intercettando il senior asiatico del 9. Questi si blocca a metà della sua azione, e cerca in qualche modo di disporsi alla lotta, ma la sua nemica con una rapidità fulminea gli è addosso e non gli lascia scampo. La sua arma, un pugnale seghettato con l'impugnatura di corda, gli squarcia la gola, e continua a farne scempio con selvaggio compiacimento anche quando il ragazzo è ormai a terra inerte. Anche dentro la Cornucopia deve essere un massacro, vedo qualcuno che ne esce carponi e tenta di fuggire. Ma subito dietro spunta Wolwerine, che lo raggiunge facilmente, lo fa rotolare con un calcio e solleva i suoi artigli metallici. La parabola di gocce scure che vedo schizzare in aria non lascia dubbi sulla sorte del malcapitato.

Sono impietrita, nemmeno nei miei peggiori incubi ho mai visto un macello del genere, e ringrazio che Codrina non sia qui ad assistere. Mi riscuoto con violenza, ricordandomi cosa volevo fare; devo agire finché i Favoriti sono impegnati nel bagno di sangue. Intravedo uno spiraglio in mezzo al caos, e mi ci lancio. Salto giù dalla pedana e sfreccio zigzagando tra vittime e aggressori, il cuore in gola. Arrivo sullo zaino che ho puntato, lo agguanto, e mi rialzo pronta alla fuga. Ma ho fatto appena pochi passi, che qualcosa mi arriva addosso da dietro, facendomi incespicare. Mi volto terrorizzata, ma non è un Favorito. E' la junior del 6, una dodicenne poco più che bambina, che ora è per terra, e geme piegata in due. Sollevo lo sguardo, e incontro quello maligno di Hebi, il junior del 2. E' a qualche metro di distanza, e sta abbassando una balestra in carbonio. La ragazzina evidentemente era il suo bersaglio, ma non è stata colpita in modo mortale. Forse dovrei aiutarla? Ma la paura mi blocca, ed esito un secondo di troppo. Percepisco un movimento, giro lo sguardo, e mi ritrovo a incrociare quello di Retia, poco lontana, alla ricerca spasmodica di un'altra vittima. All'istante le appare un'espressione di feroce soddisfazione. Il terrore mi dà una scarica di adrenalina, mi giro inciampando per la fretta e parto quasi volando verso una delle vie che escono dalla piazza. Mi sembra incredibilmente lontana, mentre sfreccio sul selciato con l'incubo di sentire da un momento all'altro nella schiena il pugnale di Retia, o una delle frecce del suo junior. Finalmente raggiungo l'imbocco della strada e corro, senza osare voltarmi.



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E.N.P.
Rating alzato ad arancione, per sicurezza (niente di splatter, ma per ogni evenienza...)
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Capitolo 12
*** La città degli incubi ***


Nel meriggio arrivarono a una terra

Dove eterno sembrava il meriggio

L'aria stessa era languida e pareva

Palpitar come chi è in preda a un brutto sogno.

(Tennyson, “I Lotofagi”)

 

 

Rallento solo quando sento il cuore che scoppia, e mi fermo ansimando. Non mi inseguono, la strada è deserta. Ancora stento a credere di essere sopravvissuta al bagno di sangue, ma è dura scrollarsi di dosso la paura provata e l'orrore vivido delle immagini della mattanza.

Poco più in là c'è un muretto che doveva essere una recinzione, anche se dell'edificio che racchiudeva è rimasto ben poco. Lo scavalco, e ci mi siedo dietro, in modo da non essere visibile dalla strada.

Mentre riprendo fiato e mi calmo cerco di fare il punto della situazione. Ora la priorità è trovare Codrina. Secondo gli accordi doveva andare in cerca di un luogo con l'acqua, ma mi ero immaginata un fiume. Dove si può trovare acqua in una città in rovina? Dovrà pur esserci una fontana, una centrale di acquedotto, un silo, o qualcosa del genere. Ma come faccio per individuarlo? L'arena potrebbe essere immensa. La cosa migliore è salire su un luogo alto, così posso farmi un'idea della città. Non ho idea di dove trovare cibo, invece.
Un tuono improvviso mi fa sobbalzare, poi un altro. Sono iniziati i colpi di cannone che annunciano i tributi caduti. Li conto con attenzione: nove. Nove ragazzi che fino a un'ora fa c'erano, pieni di vita, e ora non più. Nove famiglie che non saranno più le stesse. Potevano essere la mia. Mi sforzo di pensare piuttosto alla strategia.

Ieri notte, mentre Codrina dormiva esausta dopo lo sfogo, avevo riflettuto a lungo. Fagli vedere che non hai paura di loro, mi aveva detto Baria. Se vi sentite vittime, lo diventerete, ha ribadito Elder stamattina. E allora ho deciso di crederci. I Favoriti si sentono cacciatori alla ricerca delle prede, mi dico. E se invece riuscissi a far sentire loro le prede?
Per un momento mi sembra una follia, la pretesa assurda di un bambino che vuole fermare il mare con le mani. Ma poi ho un impeto di rivolta, e perchè no? Perchè non potrebbe essere possibile? Posso farlo, ci devo almeno provare, se voglio tornare a casa con Codrina. Ovviamente non sul loro terreno. In uno scontro frontale non durerei cinque minuti. E qui ritorno con la mente ad alcune letture che ho fatto nei mesi scorsi, e che ora vorrei poter ricordare punto per punto, perchè mi saranno vitali. Qual è l'unico modo di sconfiggere un avversario più numeroso e di forze schiaccianti? “Bisogna mordere e fuggire, attendere, spiare, tornare a mordere e fuggire, e così di seguito, senza dar tregua.” I Favoriti di certo non si aspettano di essere attaccati. Dovrò farlo là dove meno se lo aspettano, insidiarli, confonderli. Colpirli e poi sparire. E poi spostarsi in continuazione. Due persone si muovono più rapidamente rispetto a quattro, bisogna approfittarne. La guerra è inganno, scriveva Sun Tsu migliaia di anni fa, e la storia lo conferma. Avranno una bella sorpresa, i Quattro dell'Apocalisse, mi dico.

Faccio per alzarmi, e mi ricordo dello zaino. Anche per questo ho voluto provare a prenderlo. Avevo troppo bisogno di provare, a me stessa prima che a loro e al pubblico, di non essere disposta a interpretare la parte della vittima che pensa solo a scappare, terrorizzata. Lo apro, e tiro fuori il contenuto. Un succo di frutta in lattina, una lucida bomboletta di vernice spray, e uno strano attrezzo di metallo, a metà tra un coltellino e un punteruolo. Tutto qui?!? Penso con grande disappunto. Rivolto la tela da cima a fondo, ma non c'è altro. Ottimo. Dopo tutto il rischio per prenderlo... Lo spray poi è il massimo. Cosa dovrei farci, imbrattare a morte i Favoriti? Mi viene quasi voglia di gettarlo a far compagnia ai calcinacci della casa. Ma poi rimetto tutto dentro lo zaino, me lo carico in spalla, e mi metto in cammino.

 


Il silenzio è opprimente, mentre attraverso le vie deserte. Unico suono, lo scricchiolìo secco di resti carbonizzati di materiali, frammenti di vetro e asfalto dissestato sotto le suole dei miei anfibi. Sopra ogni superficie, un velo di polvere chiara e fine. Mi tengo rasente ai muri, le orecchie tese a ogni rumore sospetto.
Al di sopra dei palazzi ho intravisto in lontananza un'alta torre metallica irta di antenne, simile a un ripetitore. Ignoro a cosa possa servire, ma è abbastanza elevata perché da là sopra si veda tutto. Devo camminare a lungo prima di arrivarci, devo essere quasi al limitare della cittadina. Giunta ai piedi della struttura, posta al centro di un piazzale asfaltato, inizio la scalata, su per le rampe di scale che salgono a zig zag, e quando queste finiscono, per una scaletta a pioli di ferro. E' arrugginita in più punti, devo fare attenzione. Arrivata a una certa quota, a tradimento, il senso del vuoto sotto di me mi afferra e mi fa girare la testa, e devo tirare un bel respiro prima di continuare. Finalmente approdo in cima, e muovo qualche passo su su una piattaforma a grata.

Sono a una discreta altezza, posso vedere la distesa di palazzi e macerie disseminati un po' ovunque sotto di me. Sembra una città bombardata col napalm, ci sono segni di bruciature ovunque. Si saranno ispirati al distretto 13? Mi tengo bene alla ringhiera mentre cerco di disegnarmi mentalmente una mappa. Nella direzione da cui sono venuta vi è un dedalo di strade e viuzze, punteggiate ogni tanto da una carcassa di veicolo o da detriti vari. Un po' più in là vedo il tetto piatto di un lungo edificio a L carico di insegne al neon, sembra una sorta di centro commerciale. Prendo nota di andare a vedere, potrebbe esserci qualcosa di utile. Una specie di galleria coperta da una volta a vetri, infranta in più punti, lo collega a un cavalcavia. Questo passa sopra a un ampio viale alberato, mi rendo conto di averlo attraversato nella fuga. Mi ricorda molto quelle immagini viste sui libri delle Ramblas, grandi corsi pedonali di una città europea scomparsa da secoli. Deve essere una sorta di arteria, attraversa tutto l'abitato e non ne vedo la fine. Dall'altra parte la città prosegue. Al centro immagino ci sia la piazza della Cornucopia. Sulla destra si intravede un'ampia area verde, e più in là ancora un agglomerato di palazzoni, così fitti da sembrare un alveare fatto di finestre, terrazze e scale. Sembrano sgomitare, addossati gli uni agli altri, per conquistare un po' di luce e di aria. Al contrario del panorama generale, questi appaiono in buone condizioni.
Sposto lo sguardo dalla parte opposta, sembra una specie di zona industriale. Si intravedono ciminiere corrose, lunghi capannoni ed edifici bassi, probabilmente magazzini. E nel mezzo... Ho un guizzo quando individuo una bassa struttura cilindrica, pare proprio un silo per liquidi. Codrina sarà là? Sto squadrandolo alla ricerca di segni di vita, quando nell'aria immobile mi arriva una debole eco. Cerco di capire da dove sia venuta. Intravedo un rapido movimento in una via non molto lontana da dove mi trovo, ma quando guardo meglio non vedo già più nulla. Il rumore si ripete, confuso. Sposto lo sguardo, e all'improvviso, in mezzo alle case, li vedo. Quattro figurette, di cui una imponente e un'altra bassina: sono loro, non c'è dubbio.

I Favoriti sono già in caccia, penso con sgomento; speravo si trattenessero di più alla Cornucopia. E hanno già scovato qualcuno, vedo il ragazzotto dell'1 immobilizzarlo, mentre quello si agita come un pazzo. Potrebbe essere uno dei senior sfuggiti al bagno di sangue, ma la distanza non mi permette di riconoscerlo, o riconoscerla. In ogni caso non ha via di scampo, anche se scalcia disperatamente. Vedo Retia farsi avanti, l'arma sguainata. Ma Wolwerine le entra nel mezzo, sguainando gli artigli, e la anticipa. Un lampo riflesso dal sole, e la faccia del tributo diventa una maschera di sangue. Inorridita, lo vedo tendersi nella stretta del junior dell'1, mentre il suo compare gli si accanisce contro con violenza, un colpo d'artigli dopo l'altro. Ringrazio di essere così distante e di non poter vedere bene i particolari. Finalmente quello resta inerte, e viene lasciato cadere sull'asfalto come un pupazzo. Retia, privata della sua vittima, deve essere piuttosto irritata: la vedo tradire la frustrazione mentre protesta con l'altro senior. Mi chiedo quanto potrà durare l'alleanza fra quei due. Mentre stanno ancora discutendo, il ragazzino del 2 si volta nella mia direzione. Con spavento mi rendo conto di quanto devo essere visibile, così stagliata contro il cielo azzurro. Mi affretto ad addossarmi all'antenna, e a tornare sulla scaletta. Là, riparata dalle barre metalliche della struttura, vedo con sollievo i Favoriti sparire tra le case. Mentre scendo, il cannone tuona per la decima vittima.

 

Fa davvero caldo. Ho la gola secca mentre cammino in direzione della zona industriale, ma non voglio consumare il succo di frutta che ho nello zaino, berrò quando arriverò all'acqua. Passando vedo il centro commerciale, e mi ripropongo di esplorarlo appena possibile.
Sbaglio strada diverse volte, imbocco un vicolo cieco, mi accorgo di avere fatto un giro inutile, ma alla fine sbuco in quella giusta. Il silo è davanti a me, addossato a una baracca e circondato da una rete metallica. Questa è intatta, ovvio, mi toccherà scavalcarla. Mi guardo a lungo intorno, e non vedendo nessuno mi avvio a farlo. Ci sono punte di acciaio acuminate e taglienti che sbucano dalle maglie della rete, e ci metto un pezzo prima di riuscire a lasciarmi cadere dall'altra parte. Ma immagino sia un buon segno, se non è facile accedervi. Con cautela mi avvicino, e provo a chiamare piano Codrina, ma non ottengo risposta. Mi accosto alla baracca e provo di nuovo: “Codri!”

Non oso alzare troppo la voce, qualcun altro potrebbe aver avuto la nostra idea. Mi affaccio alla porta spalancata, dentro non c'è nessuno. E' evidente che Codrina non è qui. Mi maledico per l'idea di separarci, chissà dov'è ora. Mi viene male a immaginarla vagare per la città fantasma, sola e presumibilmente spaventata, con i Favoriti in giro. Mi avvicino al silo e cerco di capire come fare per raggiungere l'acqua. Provo con un paio di leve, poi con un pulsante, ma non accade nulla. Noto una manopola, un po' in disparte. Devo prenderla a due mani per ruotarla, oppone parecchia resistenza. Finalmente un gorgoglio in un tubo sporgente annuncia un fiotto di liquido dapprima scuro, poi più limpido. Assaggio, mi sembra buona.
Dopo essermi dissetata richiudo tutto e faccio per avviarmi alla rete. Di botto però mi fermo, colta dal timore: e se Codrina arrivasse dopo che me ne sono andata a cercarla? Finiremmo per rincorrerci senza mai raggiungerci. Forse dovrei provare ad aspettarla qui? E se la trovano prima i Favoriti? O se qualche altro tributo venisse qui? Solo quelli dell'1 e del 2, che controllano la Cornucopia, hanno le loro scorte, gli altri prima o poi dovranno cercare da bere. Se non ci sono altre fonti d'acqua nell'arena, questo sarà un punto di passaggio obbligato. Mi sto arrovellando, quando mi viene un'idea. Prendo dallo zaino lo spray. Mi accosto a una delle grosse zampe di sostegno del silo e traccio su un lato “BRANT” a caratteri sinuosi, in stile writer. Penso con nostalgia al Golden Retriever di Codrina, a tutte le volte che ci ha accompagnate in giro. Se lei dovesse arrivare, capirebbe subito che sono passata di qui. Ripongo la bomboletta in tasca, e mi avvio soddisfatta.

 

 

 


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E.N.P.
Ebbene sì, Keana, tra i milioni di interessi, ha pure la tattica e la strategia, oltre alla storia; per questo conosce gli scritti del Che. Può ispirare, questa arena? Non troppo originale, forse, ma ho un debole per le città fantasma....

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Capitolo 13
*** Cercatelo nelle ore di vita ***


La mia sorella sì ratto camina,
che venne a Montalbano anco quel giorno.
Noi suoi fratelli e la madre meschina
tutti le siamo festeggiando intorno;
che di lei non sentendo, avuto forte
dubbio e tema avevàn de la sua morte.

(L. Ariosto “Orlando furioso”)

 

 

Mentre cammino cerco di ricordare la viuzza che Codrina ha infilato nella sua fuga dalla piazza e di ricostruire il percorso che può avere fatto da là. Purtroppo la planimetria vicino al centro dell'arena è piuttosto intricata, le strade si somigliano tutte nel loro grigiore squallido, e poi non voglio avvicinarmici troppo. Già è difficile procedere così, con i nervi tesi che mi fanno sussultare a ogni rumore insolito. Almeno due volte mi immobilizzo, pronta a scattare. Ogni tanto mi soffermo e ripeto sui muri, in angoli non troppo visibili, la scritta che ho tracciato al silo, così da creare una scia che la mia amica possa seguire. Il sole sta tramontando, ma il caldo non accenna a stemperarsi. Voglio cercare di trovarla prima che scenda la notte, non sopporto l'idea di lasciarla sola ad affrontare il buio. Improvvisamente il cannone tuona di nuovo, gelandomi. Non può, non deve essere per lei. Affretto il passo, sentendomi sommergere da un'ondata di senso di colpa. Elder aveva detto di non separarci, io invece no, ho voluto fare di testa mia. Immagino la nostra mentore a guardarci in questo momento, insieme a tutti gli altri, la fronte aggrottata di fronte alla mia testardaggine.

Le note dell'inno nazionale risuonano nell'arena. Faccio una sosta, e guardo apparire contro il cielo ormai scuro i volti dei tributi morti. Scorrono i junior del 3, del 10 e del 12, entrambi i tributi del 6 e del 9, il senior del 7, il ragazzino grasso dell'8, tutti uccisi nel bagno di sangue. E poi il senior dell'8, immagino sia quello che ho visto massacrare oggi pomeriggio. Appare un altro volto e io trattengo il respiro, stringendo i pugni. Ma è una ragazza bruna, è la senior del 10. Espiro rumorosamente, con sollievo, salvo poi avvertire una punta di disagio per quella disgraziata. Il cielo torna nero, e io mi rimetto in cammino. Il primo giorno, sempre il più sanguinoso, volge al termine; siamo rimasti in tredici, e i tributi dei distretti bassi sono stati decimati, come al solito. Chissà se anche loro si erano concessi di sognare, anche solo per un momento, di poter tornare a casa...

Sto attraversando una via particolarmente dissestata, quando mi blocco. Stavolta un rumore l'ho sentito davvero, non mi sbaglio. Rapidamente, troppo rumorosa, mi rifugio in un portone mezzo aperto. Aspetto, nel buio, un tempo infinito, ma non sento più nulla. Dovrei uscire di nuovo, ma il coraggio mi viene meno. Sento le gambe come piombo, oltre che per la paura, per la stanchezza e la tensione della giornata. Penso che Codrina non è certo così stupida da andare in giro col buio; avrà cercato rifugio da qualche parte, almeno lo spero. Mi appoggio alla parete e mi lascio scivolare. Per terra ci sono vetri rotti e detriti, ma mi ci siedo ugualmente. Solo per poco, il tempo di riprendermi, mi dico poggiando lo zaino.

 


Mi riscuoto che manca poco all'alba. Sono scivolata senza accorgermene in un sonno inquieto, popolato di ombre minacciose e rumori immaginari. Mi alzo indolenzita, ma almeno ho recuperato un po' di energie. Mi affaccio sulla strada. Nella luce scarsa mi sembra che sia sgombra. Cerco di fare mente locale, mentre il cielo va schiarendosi ad est. Durante la notte è leggermente rinfrescato, ma avverto lo stesso una sensazione di arsura; e insieme a questa anche l'appetito, che comincia a farsi sentire forte e sgradevole. Sono diverse ore di fila che non mangio nulla. Penso al succo di frutta, ma cerco di resistere, anche Codrina sarà affamata.
La via si apre all'improvviso su quello che pare un cantiere di un palazzo in costruzione, che si confonde nello sfacelo generale. Mi sembra un buon punto d'osservazione, e decido di entrarci. Mi addentro tra muri di mattoni e cumuli di sabbia per terra. Ormai l'oscurità si è in buona parte dissolta, e mi accorgo che la rena è stata calpestata in più punti. Qualcuno è già passato di qui, chissà quando. I sensi all'erta, salgo le scale, prive di ringhiera, che portano al piano superiore. Un telo di plastica pende polveroso sulla porta di una stanza interna buia, il resto è tutto aperto sull'esterno, e si vedono le impalcature che coprono la facciata. Guardo fuori, cercando di farmi un'idea dei dintorni, quando qualcosa mi fa voltare di scatto. Un leggero scalpiccìo. Il piano a cui mi trovo è deserto, non può essere venuto che dalla stanza accanto. Il silenzio è già tornato a regnare sovrano, ma il cuore mi martella mentre guardo il telo. Me lo sono immaginato, o si è mosso leggermente? Per diversi secondi non oso spostarmi. Mi sforzo di essere razionale. Non possono essere i Favoriti, o sarei già morta. Sarà qualcuno dei superstiti? O una trappola dell'arena? Ricordo quello che ha detto Elder, possono essercene ovunque. Poi, dopo infiniti minuti di immobilità, mi decido a muovermi, non posso restare qui impalata per sempre. Mi tiro di lato, avvicinandomi il più silenziosamente possibile. Con lentezza estrema, cerco di sbirciare tra l'incerata e lo stipite, pronta a tirarmi via al primo accenno di movimento, ma la penombra all'interno mi rende difficile vedere qualcosa. Aspetto che gli occhi si abituino. C'è davvero qualcuno? Poi una sagoma esile, inconfondibile, immobile in un angolo.

“Codri!!!” Esclamo, tirando il telo e facendo penetrare un po' di chiarore. La vedo sussultare, poi mi riconosce, e il viso le si illumina come il sole che sta spuntando in questo momento. Le tendo le braccia, lei copre in un attimo la distanza che ci separa e mi balza addosso, facendomi barcollare per lo slancio. Mi viene da ridere per il sollievo. “Stai bene?” Le chiedo, e la sento far cenno di sì. Escludo il pensiero delle telecamere che ci stanno riprendendo e mi godo quella bellissima, meravigliosa spontaneità.

 

 

“Ho visto la torre dell'acqua, e ho provato a raggiungerla, ma a un certo punto la strada era completamente bloccata da una casa crollata.” Siamo sedute sulle scale, e Codrina mi sta raccontando cosa le è successo dopo la fuga dalla Cornucopia. “Allora ho dovuto cercarne un'altra, e ci ho messo parecchio ad arrivare. Tu non c'eri, ti ho aspettato un po', poi ho preferito andarmene. Avevo paura ti fosse successo qualcosa...” Ammette, e mi sento commossa.

“Dobbiamo esserci mancate di poco.” Dico.

Lei fa segno di sì e riprende: “Ho girato un po', poi ho visto le scritte sui muri.” Sgrana gli occhi mimando la sorpresa. “Non sapevo che gli Strateghi conoscessero il nome del mio cane...” Sorride, e io di rimando. “Le ho seguite, poi però quando sono arrivata qui vicino ho visto quella con i capelli verdi, del 3.”

“Absinth, quella schizzata?”

Lei annuisce, e i suoi occhi si incupiscono al ricordo. “Ha ucciso quella grande del 10. L'ha colpita da lontano con... della specie di stelle di metallo.” Shaken, penso. La tipa è decisamente pericolosa.

“Ho avuto paura che mi vedesse, e ho cambiato di nuovo strada.” Mi sforzo di visualizzare la disposizione della rete viaria, e mi rendo conto che dobbiamo aver tracciato praticamente due parallele. “ Allora ho pensato di nascondermi qui. Ho trovato un posto perfetto, vieni a vedere.” Conclude alzandosi.

La seguo fino a un ballatoio interno, privo di scale. “Come....?” Chiedo, ma lei mi indica una scala a pioli arrugginita, in un angolo.

“Basta salire con quella, e poi tirarla su, e nessuno ti può raggiungere.” La guardo ammirata, ma lei non ha finito. “E poi ho trovato questa, in una specie di scorta nascosta qui vicino.” E con un sorriso furbo estrae una confezione di pane dolce in scatola.

“Hai capito! Insomma, io là fuori a farmi il mazzo, e questa qua comoda al riparo a mangiare!” Esclamo, fingendo indignazione. Lei ridacchia, e quando ci sediamo a mangiare mi sento davvero bene, per la prima volta da quando tutto questo è cominciato.

 

E' il mio turno di ragguagliarla sull'accaduto. Il pane è delizioso, e lo stomaco ringrazia. Mentre mangiamo le descrivo ciò che ho visto dall'antenna, e con la bomboletta schizzo anche una mappa stilizzata dell'arena sul pavimento. Poi le parlo della strategia a cui ho pensato. Lei ascolta attenta. “Allora, la prima cosa da fare è andare al deposito di cibo che hai trovato, e fare scorta. Quindi cominciamo a preparare un po' di sorprese per i Favoriti. Ho già in mente qualcosa, ma ci serve del materiale, vedremo dove trovarlo. Vediamo quando si muovono loro, e noi ci regoleremo di conseguenza.”

“Ma non sarebbe meglio nasconderci,” obietta lei un po' esitante “e lasciare che i Favoriti inseguano gli altri? Potremmo restare qui al sicuro; da mangiare ce n'è tanto, là dove ti ho detto...”

Ci avevo pensato anch'io, ma non può funzionare a lungo. Le spiego il motivo. “Non possiamo nasconderci all'infinito, Codri. Prima o poi i viveri terminerebbero, magari proprio quando tutti gli altri sarebbero morti e noi saremmo l'unico obiettivo dell'allegra brigata.” Le strappo un mezzo sorriso. “Lo scontro, a un certo punto, sarà inevitabile. Se invece giochiamo d'anticipo, prendendo un'iniziativa che loro di certo non si aspettano, abbiamo più probabilità di successo. Ci stai?”
Le porgo il pugno chiuso, e lei lo scontra leggermente con il suo, come facevamo in vista di una sua interrogazione. Prima di uscire la guardo. “Scusa se ti ho lasciata sola. Non succederà più.” Lei fa un cenno come a dire che non importa, ma invece importa eccome.


Il sole si è appena alzato, ma fa già caldo come ieri, se non di più. I nostri passi sono l'unico suono mentre Codrina mi guida verso l'abitazione dove ha trovato le scorte. L'edificio è diroccato come gli altri, ma l'interno è accuratamente arredato, ancorché danneggiato, creando un effetto surreale. Superiamo un salotto con un tappeto carbonizzato e due poltrone nere per le bruciature, con l'imbottitura ingrigita che fuoriesce a ciuffi, ed entriamo in una grande cucina. Una porzione di muro è crollata spandendo polvere ovunque, dal tavolo collassato ai fornelli inutilizzabili. In un angolo spunta un congelatore, semisommerso dai calcinacci. Codrina li spazza via e apre lo sportello. Non c'è freddo all'interno, ma ci sono diverse scatole di pane come quello che abbiamo mangiato, carne in scatola, barrette, e altri alimenti a lunga conservazione. Sollevo le sopracciglia, piacevolmente sorpresa. “Forse ho visto qualcosa anche di là, vado a controllare.” Dice Codrina, ed esce dalla stanza.

Comincio ad estrarre i viveri, soddisfatta. Con tutta questa roba siamo al sicuro per un pezzo, penso. Forse quest'anno, incredibilmente, la fortuna è davvero a favore del nostro distretto. Se non altro per l'ambientazione, non so davvero cosa avrei fatto se avessimo dovuto cacciare per procurarci il cibo. Sento camminare in corridoio, sta tornando. Poggio a terra il bottino per avere le mani libere e le vado incontro. “Codri,” domando affacciandomi “sai mica...?”

E mi ritrovo faccia a faccia con due occhi spiritati, sotto un ciuffo di meches verdi.





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E.N.P.
Chiedo scusa per il ritmo un po' lento, ma volevo rendere l'atmosfera dell'arena a regola d'arte. Ora che le due sono di nuovo insieme e pronte a far danni, nel prossimo capitolo un po' più di movimento, promesso.

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Capitolo 14
*** Marte e Minerva ***


La strategia è la via del paradosso.

Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile.

(Sun Tsu, “L'arte della guerra”)

 

 

Caccio un urlo, con un salto indietro che mi manda a urtare contro lo stipite della porta, e per un attimo la inquadro nel corridoio in sfacelo, ha una serie di aggeggi metallici pendenti a mo' di collana, e appesa dietro le spalle la katana che ho visto ieri alla Cornucopia. Poi la mia mano parte da sola, e mi sento afferrare la bomboletta spray, strapparla dalla tasca, e far partire un ampio spruzzo ad arco, in direzione del suo viso. Senza esitare per vederne l'effetto, urlo: “Codrina! Fuori!!!”
Lei arriva di gran carriera, scarta per evitare una furiosa Absinth che si dimena con le dita ad artiglio sul viso, e io la seguo. Mentre ci precipitiamo rumorosamente giù per le scale avverto quasi in contemporanea un tonfo sordo contro lo zaino, e un ronzìo simile a quello di una vespa irritata, di qualcosa che mi passa a poca distanza e va a scomparire della penombra con un tintinnìo. Infiliamo la porta e corriamo a perdifiato. Ci fermiamo solo dopo diversi isolati, e mi lascio scivolare giù la sacca. Nella tela è rimasto conficcato un lucido shaken a stella, grande come una mano e con le quattro punte affilate come rasoi. Codrina sgrana gli occhi: “Meno male che avevi lo zaino...”

Già, meno male. Il sollievo per lo scampato pericolo però lascia il posto alle mie imprecazioni quando mi rendo conto che tutto il cibo è rimasto dove l'ho posato, in cucina. Con quella psicopatica nei paraggi non c'è proprio da pensare a tornare a prenderlo, probabilmente quella casa è proprio il suo rifugio.
Siamo di nuovo senza viveri, avrei dovuto stare più all'erta, mi dico con stizza. Nonostante Codrina cerchi di minimizzare, facendo notare il lato comico dell'accaduto, mi trovo a pensare che finora lei se l'è cavata benissimo anche senza di me, forse pure meglio. La promessa che le ho fatto prima mi appare improvvisamente presuntuosa, e mi sento inutile.
La verità è che mi sono costruita un'immagine perfetta ma inesistente. Codrina non ha più bisogno della tutor che la aiuti a studiare, e probabilmente neppure della “sorella maggiore” che la difenda contro tutto e tutti. Tanto più se mediocre come me. Mi sento davvero patetica, e non può mancare la vocina malefica a suggerire che, forse, ha ragione Retia a guardarmi con commiserazione... Rientriamo lentamente al cantiere e ci mettiamo a cercare il materiale che ho in mente.

 


Lavoriamo per gran parte della giornata cercando tra le macerie e preparando il materiale con l'aiuto del coltellino e dei lati affilati dello shaken. Tutto l'ottimismo di stamattina è evaporato come una goccia d'acqua sotto il sole rovente dell'arena. I penseri negativi non danno segno di volermi lasciare in pace. Inutile, di troppo, incapace.... Patetica. Fa male. Sento l'amaro in bocca. Parlo solo per spiegare a Codrina cosa fare. Nemmeno lei è molto loquace, e ho il sottile timore che in realtà la perdita del cibo le pesi, e che stia cercando di non mostrare risentimento.
Finiamo il pane avanzato, già indurito, e beviamo il succo di frutta, ormai tiepido. Adesso siamo davvero a secco. Ripenso con desiderio a tutto il ben di Dio nella dispensa di Absinth, e mi gingillo con l'idea di tentare un contatto, ma l'abbandono ben presto. Anche ammettendo di riuscire a parlarci senza finire infilate come polli allo spiedo, per quale motivo dovrebbe volerci come alleate? Non abbiamo nulla da offrirle. E poi io, da senior, dovrei dormire con un occhio solo e guardarmi le spalle in continuazione, è troppo imprevedibile.

In attesa della notte mi stillo il cervello per trovare una soluzione almeno al problema acqua, e finalmente ho un'illuminazione. Ricordo di avere visto un piccolo sacchetto di plastica tra le macerie di una casa sulla Rambla. Ci andiamo, e dobbiamo cercare a lungo prima di rintracciarlo, ma alla fine lo scoviamo. Durante la strada del ritorno taglio un pezzo di tubo sempre in plastica, e ci faccio scorrere dentro un'estremità del sacchetto, così da creare una rudimentale borraccia. Finalmente cala il buio, e non si vedono volti nuovi in cielo. I Favoriti oggi non hanno avuto fortuna, spero che si siano ritirati nella loro piazza.

Andiamo a dormire un po' sul ballatoio, dobbiamo essere riposate in vista del nostro blitz. Guardo Codrina sonnecchiare raggomitolata, le raccolgo delicatamente i capelli e glieli scosto dal collo, perché stia più fresca. Sento di volerle un bene dell'anima. Immagini, ruoli, pure i miei limiti... Se non altro, questo posso darglielo. E se non posso essere sua “sorella” sarò semplicemente io, a fare quello che posso, con la mia goffaggine fisica ed emotiva. Gliel'ho promesso.

 

Mi sveglio in un bagno di sudore, nonostante sia ancora buio il caldo è già soffocante. Cerco di capire quanto manchi all'alba, ma in assenza di punti di riferimento è difficile. Raccolgo la roba, arrotolo le giacche, decisamente superflue, infilandole nello zaino, e scuoto gentilmente Codrina. Presumo che i Favoriti si siano attardati ieri sera, ergo ora staranno dormendo della grossa, almeno lo spero. Adesso vediamo a favore di chi è la fortuna, e spero che anche gli sponsor stiano guardando: stasera si recita a soggetto.

 


Finiamo che ormai il sole è alto, è il terzo giorno nell'arena. Mi chiedo se non sia una mia impressione, ma mi pare che la temperatura si stia alzando sempre più da quando abbiamo cominciato. Ci troviamo ai piedi del grande complesso di palazzoni, e ci sediamo un momento in un angolo riparato, per riposarci e raccogliere le energie. Il pane di ieri è già un lontano ricordo, e avverto uno sgradevole buco allo stomaco, oltre alla sete. Ripassiamo il piano per l'ennesima volta. Occorreranno rapidità e sincronizzazione, ma possiamo farcela. Favorites delendi sunt.

“Dunque, adesso dobbiamo vedere dove sono i Favoriti, giusto?” Chiede Codrina.

“Esatto. Poi una di noi li aggancia in qualche modo, e li attira verso l'altra.” Rispondo.

“Ok, accendiamo un fuoco, per attirarli?”

“E con cosa?” Obietto.

“Possiamo guardare se tra questi appartamenti c'è qualcosa di utile.” Suggerisce lei.

Assentisco, dobbiamo comunque salire per individuare i Nostri. Diamo la scalata al casermone. Nel passare accanto alla porta aperta di un appartamento qualcosa richiama la mia attenzione. Sul pavimento di una stanza scorgo una coperta spiegazzata, e resti di cibo. Evidentemente qualcuno deve aver trovato rifugio qui, e faccio cenno a Codrina di fare attenzione. Dobbiamo fermarci più volte a riprendere fiato, le rampe non finiscono più, l'aria soffocante della tromba delle scale e lo stomaco vuoto non aiutano. Infine sbuchiamo sull'ampio tetto piatto, a terrazza. Siamo davvero in alto, devono esserci almeno una dozzina di piani. Mi avvicino al bordo, e do un'occhiata alle case sotto. Le strade tremolano per il calore, ma sembrano deserte. Ci mettiamo in osservazione, ma ogni tanto siamo costrette ad andare a riposarci all'ombra, il sole picchia in modo allucinante. Scambiamo qualche parola, ma poi finiamo per tacere, vinte dalla noia dell'attesa. Le ore passano senza che nessuno si faccia vivo. Mi chiedo dove siano finiti. Scrutare l'orizzonte è faticoso, devo tenere gli occhi socchiusi per la luce abbagliante.

D'un tratto Codrina rompe il silenzio: “Sai perchè le tende sono tristi?” La guardo senza capire. “Perchè sono da sole!” Esclama con un sorriso.

Sarà la tensione, sarà l'assurdità di un'uscita del genere in questo contesto, ma scoppio a ridere fragorosamente, e rispondo subito: “A Capitol City vanno di moda i colpi di sole: dieci ustionati di terzo grado”, dando il via a una surreale gara di freddure. Scopro divertita che ne sa davvero un sacco.
Siamo al tramonto, quando all'improvviso li avvistiamo, stanno camminando lungo una strada a poca distanza, ma vanno in direzione opposta alla nostra. Mi allarmo, se svoltano li perderemo di vista, e con loro anche la possibilità di attirarli senza rischi. Non c'è tempo di cercare qualcosa da bruciare, e non so cosa fare. Mi viene in mente di cacciare un urlo, ma non mi sentirebbero certo da quassù. Mi guardo intorno, in cerca di aiuto.

“Buttiamo giù quello!” Codrina mi è accanto, e ha già afferrato il problema; sta indicando una sorta di grosso apparecchio metallico, forse un vecchio condizionatore. Accolgo al volo la proposta, corriamo verso l'oggetto e cominciamo a trascinarlo verso la rampa delle scale esterne. E' pesantissimo, ed entrambe tiriamo e spingiamo sudando, sempre più urgentemente. I Nostri, laggiù, stanno per girare l'angolo. Finalmente arriviamo sul bordo della scala, e con un ultimo sforzo, spingiamo giù il bestione. Questo precipita fino al primo pianerottolo, dove si schianta con un frastuono assordante, quindi rimbalza giù tra le rampe con una serie di tonfi fragorosi, ulteriormente amplificati dall'eco tra le muraglie di cemento dei palazzi. E' impossibile che i Favoriti non abbiano sentito, e infatti li vedo girarsi di scatto nella nostra direzione, gesticolare, e poi mettersi a correre verso il nostro caseggiato. E' fatta, mi dico con un brivido di eccitazione. Ora dobbiamo solo attirarli verso la trappola che abbiamo allestito. Solo, speriamo di riuscire ad arrivarci prima di loro. Ci lanciamo a nostra volta giù per le scale, e quando arriviamo in fondo ansimo a Codrina: “Vai al telo, e quando ti faccio il segnale, molla.”

“Io sono più veloce, posso farmi inseguire io.” Ribatte lei.

“No, vado io.” Taglio corto con un tono che non ammette discussioni, e parto di corsa.

Avverto le gambe pesanti per lo sforzo, e non posso fare a meno di pensare che ha ragione lei, sarebbe stato più saggio fare il contrario; ma voglio risparmiarle ogni rischio possibile. E farsi inseguire da quei quattro non è certo una passeggiata di piacere. Arrivo a un angolo, e attendo. Dopo pochi minuti sento delle voci concitate, e i Favoriti sbucano da dietro il palazzo vicino. Per un brutto attimo, le gambe non sembrano volermi rispondere, poi mi costringo ad abbandonare il riparo, e a muovere qualche passo allo scoperto, simulando un'aria circospetta. Dopotutto, se sono così poco furbi da accorrere a un rumore di origine ignota, lo saranno anche abbastanza per farsi pilotare in trappola. Troppo sicuri di sé: si sentono invulnerabili, e non immaginano neppure che qualcuno possa non accontentarsi del ruolo di vittima. Mi notano immediatamente, e il junior dell'1 esclama eccitato: “Là!”

Scattano in sincronia e vengono verso di me come falchi in picchiata. Hebi sta già caricando la sua balestra. Con energie rinnovate dalla paura mi getto tra vicoli e androni bui, pregando di non sbagliare strada, di non farmi raggiungere, che Codrina si faccia trovare pronta, che non sbagli il momento, e non so quante altre cose. Sento delle urla maschili elettrizzate, ma quando getto un'occhiata indietro intravedo Retia in testa al gruppo. Per fortuna con lei davanti il suo junior non può scoccare la freccia. Sbuco in un cortile, e mi dirigo a razzo verso l'imboccatura di un passaggio buio tra due parti del caseggiato. Raccolgo il fiato rimasto, e urlo: “Codri, vai!!!”

Entro nel vicolo proprio mentre dietro di me rimbombano i passi dei Favoriti. Una serie di schianti, e le urla cambiano tono. Codrina ha lasciato andare l'estremità del telo teso tra i due palazzi, e riempito di mattoni e blocchetti di cemento raccolti nel nostro cantiere. Non ho tempo di vederne bene l'effetto, ma quando mi volto nella luce morente ho un'istantanea di Retia, in controluce all'entrata del vicolo, che si stringe una spalla. Intravedo la sua espressione appena per una frazione di secondo, ma basta per farmi venire i brividi. Esco dal vicolo correndo ancora per qualche metro, poi rallento fino a camminare, respirando affannosamente, e mi dirigo verso la strada. Cerco di immaginare l'entità dei danni che possono aver subìto, minore di quanto avrei sperato, ma dal punto di vista psicologico è stato indubbiamente un successo.

Proprio quando sto indugiando nella soddisfazione, però, qualcuno appare correndo da dietro l'angolo, e balza sulla mia mia traettoria, sbarrandomi la strada. Con spavento mi rendo conto che Wolwerine non ha seguito gli altri verso il vicolo, ma deve essersi separato per fare il giro dell'edificio, prevedendo la mia intenzione di raggiungere la strada. Lo vedo azionare il meccanismo d'uscita delle lame sulla mano destra, scuotendo seccamente la testa per scrollare via il sudore prima di avventarsi, silenzioso, risoluto, preciso. Devo scattare nuovamente, e le gambe protestano. Bruscamente devio, e d'impulso imbocco una rampa che sale a spirale. Scelta infelice, non ce la faccio più a correre e sto perdendo terreno, il mio inseguitore mi è ormai dietro. Sento il suo sbuffare pericolosamente vicino, ho la pelle d'oca nell'immaginare i suoi artigli che mi si abbattono sulla schiena. Finalmente il pavimento sotto i miei piedi torna a farsi piano, la rampa è terminata in una terrazza simile a un lungo corridoio aperto sull'esterno. A sorpresa qualcuno fa capolino da dietro uno dei pilastri di cemento, balzando in piedi. Ho appena il tempo di vedere di sfuggita la faccia attonita di una ragazza, prima di passarle accanto. Sento un suo grido soffocato, e dei passi rapidi, ma non ho né il coraggio né il fiato per voltarmi, e quando in fondo al colonnato vedo un'altra rampa di scale che scende nel buio mi ci butto scompostamente. Dietro di me un urlo prolungato, che si interrompe bruscamente. Arrivo in fondo al pozzo delle scale immerso nell'oscurità totale, tranne una lama di luce livida che penetra da una fessura rasoterra. Brancolo cercando a tentoni la maniglia, le dita che scorrono il ferro freddo e liscio dell'uscio in lungo e in largo. Trovatala, la abbasso, ma con mio orrore, la porta gira sui cardini appena di qualche centimetro, prima di impuntarsi con un sonoro gemito. Abbandonando ogni ritegno, le tiro una spallata, poi un'altra, e riesco ad smuoverla quel tanto che basta per insinuarmi nell'apertura. Giungo sulla strada che sto per collassare, Codrina mi sta aspettando là, visibilmente sulle spine.



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E.N.P.
Keana, la bomboletta più veloce di Panem. Pessima, ma proprio per questo ci stava. Favoriti e psicopatiche però non sono l'unico pericolo in vista...


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Capitolo 15
*** Di automa o di demone ***


E mentre marciavi con l'anima in spalle

vedesti un uomo in fondo alla valle

che aveva il tuo stesso identico umore,

ma la divisa di un altro colore.”

(F. de Andrè, “La guerra di Piero”)

 

 

Prevengo le sue domande con un gesto, devo assolutamente riprendere fiato. Una volta al sicuro qualche strada più in là, mi getto a sedere per terra, finchè riprendo a respirare normalmente. Il cannone tuona improvviso. Quando sono di nuovo in grado di parlare, le dico, con un tentativo di sorriso: “Sei stata bravissima.” Codrina mi ringrazia, ma vuole sapere cosa sia successo. Le racconto tutto mentre torniamo verso il cantiere, nel buio ormai fitto.

“Era la senior del 12.” Dice lei, quando le riferisco della ragazza incrociata.

“Credo sia caduta dalla terrazza, nel tentativo di scappare da Wolwerine.” Commento a mezza voce. O forse, realizzo, si è gettata giù, vistasi spacciata. Sto cercando di non pensare al fatto che le ho tirato addosso io il suo assassino. Codrina invece è assorta nei calcoli. “Siamo la metà, adesso. Dodici.”

Giunti al nostro riparo crollo addormentata appena toccata terra, e mi sveglio che è mattina inoltrata. Svuoto quanto resta della nostra borraccia di fortuna, sento la bocca più arida di un coccio, e le labbra screpolate. E' inevitabile un'altra pericolosa gita al silo, per rifornirla. Per fortuna tutto fila liscio, e la bevuta è così paradisiaca che vale tutto il rischio.

 

Nel pomeriggio siamo d'accordo: dobbiamo cercare qualcosa da mangiare. Riempirsi lo stomaco d'acqua non può funzionare a lungo. Io in particolare, dopo la folle corsa di ieri, mi sento uno straccio. Prossimo obiettivo, dunque, il centro commerciale. Con circospezione ormai familiare sbuchiamo sulla Rambla, il grande viale. Dall'altro lato si intravedono le torri in vetro del nostro obiettivo. Una vigile e provvida paura è la madre della sicurezza. Speriamo, per il momento la mia sicurezza latita alquanto. Attraversiamo velocemente e in breve ci troviamo in un grande spiazzo, che in condizioni normali verrebbe usato come parcheggio, ma qui è desolatamente vuoto. Tiro un bel respiro e dico a Codrina di aspettare. Tesa al massimo, mi approssimo all'entrata, e getto un'occhiata dentro con cautela. Detriti e cartacce penetrati attraverso la porta automatica spalancata giacciono nella galleria interna, che però sembra sgombra. Faccio un cenno di via libera a Codrina, che mi raggiunge di corsa. Entriamo.

I nostri passi sembrano rimbombare amplificati dal grande spazio. I vani dei negozi, infatti, sono desolatamente vuoti, o ingombri di macerie. Dei manichini spuntano assurdamente qua e là. Sento lo sconforto salire man mano che avanziamo, qua non c'è proprio niente da mangiare, e neppure di utile. Due occhi femminili contornati di rimmel, tutto ciò che resta di un cartellone pubblicitario sbiadito e lacerato, ci fissano languidi al di sopra di uno slogan ormai illeggibile. Arriviamo a un grande arco metallico, che introduce in una corte. Dall'altra parte vengono dei riflessi strani, ed entriamo. Quello che ci troviamo davanti è così irreale da farmi dubitare dei miei occhi. Un grande acquario rettangolare, alto più di me e di vetro brunito, occupa il centro della corte. L'acqua manda barbagli danzanti riflettendo i raggi del sole che penetrano dalla cupola di cristallo in alto, e numerosi pesci, grandi e piccoli, vi nuotano dentro guizzando. Non mancano neppure le alghe, che ondeggiano placide. L'effetto è da fiaba, ed è incredibilmente fuori posto in mezzo a tutta questa desolazione.

“I pesci...” La voce entusiasta di Codrina mi fa riscuotere. E' vero, abbiamo il cibo, e abbiamo pure l'acqua. Mi metto subito alla ricerca di qualcosa su cui poter salire, e lo trovo in un rottame poco fuori la corte. Con questo arriviamo agevolmente a pelo d'acqua, e beviamo a lunghe sorsate, prima di riempire la borraccia. Quindi Codrina scende per lasciarmi posto, e io provo a catturare uno dei pesci più grossi, ma quello ovviamente mi sguscia tra le mani. Tento ancora più volte, ma riesco solo a provocare ondate di spruzzi, peraltro piacevoli.

“Serve una mano?” Fa Codrina, gentile come sempre, ma con un malcelato sorriso divertito.

“Tutto sotto controllo.” Sbuffo.

“Eppure mi pareva ci fosse il sole, qui invece piove...” Insiste lei. Fingendomi offesa, le lancio uno schizzo d'acqua, e lei si schermisce ridendo.

Di buonumore, torno a concentrarmi sui pesci. Medito di cercare un bastone e di legarvi il coltellino creando una sorta di arpione, ma poi ho un'idea migliore. Recupero la giacca, e non appena l'ombra di un pesce passa sotto di me la affondo in acqua come se fosse una rete. Tirandola su grondante la sento agitarsi: è fatta! Lancio la preda sul pavimento, è un bel pesciolino blu tropicale, che sbatte la coda ancora un po' prima di immobilizzarsi definitivamente. Con questo sistema riesco a catturarne altri tre. Strappo anche qualche alga. Mentre li sto riponendo nello zaino, dico a Codrina di cominciare a cercare qualcosa per fare scorta d'acqua. “Meglio se grande, ci deve bastare...”

“Keana.” Mi interrompe. Alzo gli occhi, la vedo che fissa l'arco dell'entrata, e seguo il suo sguardo fino al junior del 7, fermo sulla soglia.

 

Ha in mano qualcosa che sembra un coccio, triangolare e dai bordi taglienti, e sta fissando Codrina in maniera sinistra. In questo momento lei, così dolce e inoffensiva, è un nemico, è un ostacolo alla sua uscita di qua. Senza riflettere, senza esitare, salto giù, e in un attimo mi paro tra lei e lui. Non ho altro che il mio coltellino in tasca, ma devo avere un'espressione così minacciosa che quello arretra di qualche passo. “Vattene.” Mi esce in un ringhio irriconoscibile.

Lui esita, e per un lunghissimo istante mi trovo a fissare i suoi occhi nocciola, disperati, poi accenna a voltarsi. Ho un'ispirazione improvvisa, e senza perderlo di vista apro lo zaino, prendo uno dei pesci, e glielo getto ai piedi. Quello mi fissa sbigottito, e io gli faccio un brusco cenno col mento, prendilo e sparisci. Poi, mentre lui si china per raccogliere il pesce, qualcosa si muove ai margini del nostro campo visivo. Uno dei manichini è emerso dall'ombra e sta avanzando verso di noi, lentamente, beccheggiando come se sotto i piedi avesse piccole ruote. Restiamo interdetti a guardare, mentre raddirizza braccia e testa con scatti meccanici. Solo allora mi rendo conto che dove dovrebbero trovarsi le mani ci sono due lame circolari, sporgenti. Come in una sequenza dell'orrore, le vedo attivarsi con un rumore ronzante e iniziare a ruotare vorticosamente, il junior del 7 che si rialza di colpo, fa un passo indietro, e l'automa, come reagendo al suo movimento, che gira improvvisamente la testa senza volto nella sua direzione, scatta in avanti e sfreccia a una velocità spaventosa contro di lui. Non so di chi sia l'urlo di terrore che risuona nella corte, se suo, mio o di Codrina, ma la sto già cercando freneticamente con gli occhi per dirle di scappare. Incitamento superfluo, sta già lanciandosi fuori in una corsa folle, a cui mi unisco all'istante. Attraversiamo il corridoio quasi volando, facendolo riecheggiare dei nostri passi, mentre alle nostre spalle le urla riempiono la volta a vetri. L'orrore mi mozza il fiato in gola, ma quando percepisco un movimento con la coda nell'occhio rischio di dare di matto. Tutti i manichini del centro commerciale si sono animati, e stanno attivandosi al nostro passaggio. Qualcuno si è già lanciato all'inseguimento, e il ronzio sempre più forte è da incubo. L'uscita sembra spaventosamente lontana, quasi un miraggio. Forse urlo qualcosa a Codrina, o forse è il colpo di cannone; ma è solo quando usciamo nella luce abbagliante che le dico di girare verso la galleria sopraelevata. L'ho fatto senza riflettere, ma per quanto correre sulle scale in salita sia faticoso, l'imboccatura stretta ostacola il gran numero di manichini che cercano di entrarvi dietro di noi, che si urtano e si ostacolano ammassandosi, e qualcuno si rovescia a terra. Passiamo a razzo sopra le chiome degli alberi della Rambla, calpestando i vetri rotti, e scendiamo dall'altra parte. Solo allora mi accorgo che il rumore ronzante è cessato, e che i manichini assassini non sono più in vista. Ma mi ci vuole parecchio prima di riuscire a togliermelo dalle orecchie.

 


Quella sera festeggiamo lo scampato pericolo con pesce arrostito. Non c'è stato bisogno di accendere pericolosi fuochi: è bastato poggiarlo su una lamiera lasciata al sole. Mangio di gusto, nonostante il sapore stopposo e insipido, e Codrina pure. Pensare che a casa avrei storto la bocca di fronte a un piatto del genere. D'un tratto, mentre mastichiamo in silenzio, lei mi fa: “Kea... posso chiederti una cosa?”

“L'hai già fatto.” Scherzo. “Comunque dimmi.”

Lei però è seria. “Perchè gli hai dato il pesce?” Non c'è polemica nella sua voce.

Capisco al volo che si riferisce al tributo del 7. Sono disorientata, e rispondo di getto: “Perchè se ne andasse. Probabilmente anche lui era in cerca di cibo.”

“Se ne stava andando comunque, l'avevi spaventato a sufficienza.”

Non so cosa dire. Ripenso al suo sguardo angosciato, e le parole mi escono da sole. “Anche quello è un figlio di madre. Aveva fame. Cosa c'era da riflettere?

Codrina mi guarda perplessa. “Un racconto. Magari quando torniamo te lo faccio leggere.” Dopo una pausa, riprendo: “Non so come andrà a finire, te l'ho detto la sera prima di venire qui. Ma so che se permettiamo a quello che succede qua dentro di cambiarci, non so se riusciremmo più a essere come prima. E se cambiamo tanto da perdere di vista ciò che c'è di più vero, di più bello e giusto, avremmo perso in ogni caso.” Ho parlato seguendo il filo dei miei pensieri, ma credo che lei abbia capito ugualmente. Di più non posso dire, non devo scordare che Strateghi e sponsor sono in ascolto. “Vorrei che lo ricordassi, se mi dovesse succedere qualcosa.” Aggiungo a mezza voce. Lei annuisce, seria.

Siamo ormai coricate per la notte, quando nel buio mi fa: “Grazie per tutto quello che fai. E' proprio così che immaginavo, insomma, avere una sorella.”

Eccomi basita. In poche parole ha risposto a tutti i miei dubbi, le mie paure, le mie pene. I tuoi sbattimenti mentali! Direbbe Baria, fine come sempre. Sento il cuore che si allarga incredibilmente, ho l'impulso di prendere questa ragazzina dolcissima e strapazzarla di baci. “Vale anche per me, sai?” Sorrido, sporgendomi a farle una carezza. La sua mano scivola a prendere la mia, e la lascio solo quando la sento allentarsi, poco a poco, nel sonno.



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E.N.P.
Chiusura col tenerometro (e filosofometro) a mille, ma serviva per allentare un po' dopo l'allegra scena al centro commerciale.

Nel caso non fosse chiaro, detesto i manichini. Hanno un che di inquietante. A proposito, ne approfitto (ruffianamente) per un omaggio al mio fido recensore Ser Balzo e alla sua eccelsa storia "Dopo la chiusura", che raccomando a tutti, automofili o meno!


P.s. Mi scuso per le ripetute morti fuori scena, per evidenti motivi di regia. Nel prossimo capitolo, un po' di sangue in diretta (ride sinistramente).

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Capitolo 16
*** Pure noi giocavamo alla guerra ***


Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sì ch'a te fia bello
averti fatta parte per te stesso.

(Dante, XVII Paradiso)

 

 

Un nuovo giorno si alza sull'arena, più rovente che mai. Ormai ne sono sicura, ogni giorno la temperatura sale, trasformando la città in un forno. Eliminata la senior del 12, Absinth è rimasta l'unico tributo singolo, poi restano in gara solo coppie dello stesso distretto. Facciamo il conto. Oltre ai Favoriti e noi ci sono i distretti 4 e 11. Ma non è detto che le alleanze siano queste...

“E' il momento di una nuova visita ai Favoriti. Stesso obiettivo, stessa tattica. La truppa è pronta?” Chiedo con aria marziale a Codrina, che accenna il saluto militare. Anche io sono serena, quello che mi ha detto ieri sera mi ha spazzato via ogni peso dal cuore, e mi ha fatto pensare che forse possiamo farcela per davvero. E, anche se non oso ammetterlo, l'essere riuscita a ferire Retia, anche se lievemente, mi infonde un nuovo coraggio.

 

Prendiamo la Rambla, in direzione della seconda trappola che abbiamo piazzato l'altro giorno, camminando lentamente. Quando vi arriviamo, però, abbiamo una spiacevole sorpresa. La trappola è già scattata, e sembrerebbe a vuoto. Il bastone che avevo preparato giace a terra, tagliato in due, e lo shaken che vi avevo legato è scomparso. L'avevo caricato in un passaggio stretto tra un muro e la carcassa carbonizzata di un pullman, legandolo con uno straccio e torcendolo fino a costituire una rudimentale molla trattenuta da un fermo, a sua volta collegato a un'asta sottile posta di traverso nel passaggio. Urtando l'asticella, il fermo sarebbe stato strappato via e il bastone sarebbe scattato, lo shaken tagliente di traverso. Un corpo mantiene il proprio stato di quiete o di moto, finché una forza non agisce su di esso. E' stata proprio la domanda di Elder sul treno a ispirarmi l'idea. Raccolgo un moncone e lo esamino: nessuna traccia di sangue. Lo getto via con disappunto, e cerco di consolarci: “Almeno si saranno presi uno spavento.”

Ma ora saranno anche più sul chi vive. Ormai avranno capito cosa aspettarsi, e sarà tutto più difficile. Non resta che andare verso la terza e ultima trappola. La Rambla è piacevolmente ombrosa, grazie agli alberi, ma non mi piace troppo. Vi sono lunghi isolati compatti e privi di riparo, e pochi incroci. E' larga, ma in caso di una fuga improvvisa sarebbe facile restare senza via di uscita. La percorriamo con cautela, ma dei Favoriti nessuna traccia, neppure nelle strade intorno. Anche quando arriviamo nei dintorni dell'ultima trappola tutto tace. Saliamo un paio di volte su un tetto per guardarci intorno, senza esito, prima di concerderci una pausa nelle ore più roventi. Il pomeriggio trascorre così, tra nervi tesi e lunghe attese, proprio come ieri. Il sole sta tramontando, quando ci arrendiamo, e iniziamo il rietro alla base. Mi sembra che la giornata sia durata meno del solito, comunque. Questa inerzia prolungata mi preoccupa. Se continua a non accadere nulla gli Strateghi si inventeranno qualcosa per vivacizzare la situazione.... E saranno guai per tutti.

Siamo all'altezza degli ingombranti resti del pullmann, grosso e accartocciato scheletro di metallo, di traverso nella strada. Lo costeggio, ma quando arrivo all'altezza del muso e mi volto per cedere il passo a Codrina nello stretto passaggio, lei non c'è. Non faccio in tempo a inquietarmi, però, che un rumore sommesso sopra la mia testa mi fa sollevare lo sguardo. Senza che me ne accorgessi, la mia amica si è arrampicata sulla ferraglia annerita, e ora sta camminando in bilico su una sbarra sporgente, allargando le braccia per mantenere l'equilibrio. Sorride con aria complice quando si accorge che la sto guardando, e rende ancora più difficile il suo saggio di bravura puntando al tettuccio sfondato del veicolo. Sto per richiamarla giù, ma all'ultimo mi trattengo. E' il primo momento giocoso che le vedo concedersi nell'arena, dopo ore di tensione, perchè impedirglielo? Dopotutto, è poco più di una bambina... Per un breve attimo, avrei pure voglia di imitarla, scordando la continua, opprimente paura che ci circonda. La osservo divertita ondeggiare sullo stretto passaggio, piccola aggraziata funambola contro il cielo rossastro, e raggiungere il suo obiettivo, un passo dietro l'altro. Appena messo piede sul tetto, però, la vedo fissare qualcosa in lontananza, e irrigidirsi. In men che non si dica è di nuovo sulla sbarra, su cui si siede per lasciarsi scivolare agilmente giù. Dai suoi silenziosi gesti concitati capisco subito che deve aver visto qualcosa. La raggiungo, cercando di non far rumore, e insieme saliamo sull'autobus, approfittando delle lamiere ancora in sesto. Tenendo giù la testa, ci approssimiamo a ciò che resta di un finestrino, appena sopra a un sedile consumato dal fuoco.

Davanti a noi, nella strada sempre più buia, due figure si muovono, rasenti ai palazzi. Una è davvero troppo piccola perchè siano i Nostri, e infatti sono il ragazzino nero del distretto 11, e la sua senior, una diciottenne tozza, che avanzano guardinghi. Anche loro hanno deciso di fare squadra, a quanto pare. Sono arrivati quasi alla nostra altezza, quando in un androne qualcosa si muove. Un guizzo, e la senior cade a terra con un grido, una freccia piantata nel fianco. Il junior fa per scappare, ma dai loro nascondigli spuntano ululando i Favoriti, che indossano degli strani dispositivi simili a occhiali, e agitano potenti torce con puntatori laser. Convergono sui due dell'11, che sono presi inesorabilmente nel mezzo. Vediamo il ragazzino catturato da Wolwerine senza sforzo, mentre Retia preme a terra la ragazza ferita. Impotenti, ci prepariamo ad un altro scannamento, speriamo almeno che tutto finisca alla svelta. Non riesco però a impedirmi di ringraziare la sorte all'idea che, se fossimo passate di là appena un po' prima, adesso al loro posto ci saremmo io e Codrina. Il ragazzotto dell'1 si fa avanti smanioso, ma la sua alleata del 2 ha altri progetti. “Fermo.” Gli intima. “Dammi la tua spada.”

Lui esita, poi gliela consegna. Lei posa a terra una torcia in modo da illuminare bene la scena, poi annuncia: “Oggi offriamo a Capitol City un diversivo.” Si avvicina al ragazzino dell'11, che si divincola inutilmente nella stretta di Wolwerine, sfiorando appena il suolo con le punte dei piedi. “Vediamo cosa sei capace di fare.” E gli porge l'arma, indicando la sua compagna a terra.

Scopro i denti per l'orrore, non possono fare una cosa del genere. Wolwerine lascia con malagrazia il suo minuto prigioniero, e quello barcolla, poi prova fulmineo a infilarsi nel cerchio dei nemici per fuggire, ma viene intercettato immediatamente dal junior dell'1, che lo prende a pugni, prima di gettarlo nuovamente nel mezzo. Nella luce artificiale intravedo i suoi occhioni terrorizzati, si guarda intorno come un animale braccato, piegato in due per il dolore. Sussurra qualcosa che non capisco, ma che provoca l'ilarità dei Favoriti. “Non farci ridere, piccoletto.” Lo canzona il ragazzotto dell'1.

Il ragazzino guarda ancora l'arma, poi scuote la testa, frenetico. Un attimo, e si sta tenendo la guancia. Retia ritira il suo pugnale, e con una tranquillità agghiacciante chiede: “Allora? Devo convincerti io?” Immagino non aspetti altro.

Quello prende la spada, e con andatura incerta si avvicina alla sua compagna di distretto. Anche da qua lo vedo tremare come una foglia. Lei lo vede avvicinarsi, e annaspa, gemendo di paura e e di dolore. Sento Codrina aggrapparsi convulsamente al mio braccio. Il junior alza a fatica la spada, troppo pesante per lui; poi però la lascia ricadere. Basta un cenno di Retia, e il suo junior scatta in avanti e lo ferisce di nuovo con la punta di una delle sue frecce. Il ragazzino sussulta, geme, esita, poi strillando affonda la spada nel ventre della ragazza.

Il suo grido acuto, di bambino, mi riscuote brutalmente da quella sorta di trance inorridito, afferro Codrina e la tiro a me in modo che non veda, troppo tardi. Lei mi stringe, sgomenta, e per lo meno si risparmia il seguito. Il junior dell'11 lascia andare l'arma, che resta conficcata nel corpo, grottescamente oscillante, e scoppia in singhiozzi. In quel momento sembra davvero un bambino atterrito, e mi vengono le lacrime agli occhi. Con un gesto fulmineo Retia lo afferra per i capelli ricci, gli tira indietro la testa, e fa balenare il pugnale. Un gorgoglio strozzato, e anche il ragazzino si accascia, vicino al cadavere della sua senior. “Due al prezzo di uno!” Esclama Hebi, allegro.

Non guardo il sorriso soddisfatto dei Favoriti mentre se ne vanno, nel doppio sparo del cannone, lasciando i corpi inerti nel buio. Ho il respiro mozzo e le mani doloranti, mi accorgo di aver stretto talmente i pugni da conficcarmi le unghie nei palmi. Accarezzo la testa di Codrina, cercando di calmarmi insieme a lei, ma è dura. Ora sappiamo cosa ci succederà, dal momento che cadremo in mano a quelli.

 


Anche una volta rientrate al cantiere fatichiamo a prendere sonno, e non per il caldo. Siamo ancora scosse, quello che abbiamo visto ci ha tolto ogni velleità combattiva. Retia in particolare è il mio incubo, la rivedo guardare compiaciuta il tributo sanguinante. A giudicare dalla rapidità con cui l'ha sgozzato, la contusione alla spalla non deve averla impedita granché. Cercando una posizione comoda sul pavimento polveroso del ballatoio, medito un cambio di strategia. Le trappole non funzionano come avevo sperato, troppo incerte e troppo pericolo per attivarle. In uno scenario come questo sarebbe ideale il cecchinaggio, approfittando dei mille nascondigli e posizioni sopraelevate offerte dai palazzi. Ma un'imboscata del genere sarebbe possibile solo con un'arma da lancio. Che comunque non saprei usare... Non mi illudo davvero di potermi improvvisare tiratrice micidiale dalla sera alla mattina. E allora? Mi sforzo di pensare in tutte le direzioni, come ha detto Elder, ma mi pare di girare a vuoto. Improvvisamente, poco prima dell'alba, ho un'idea. Ma non dico nulla a Codrina. Faccio per alzarmi, cercando di non fare rumore. La sua voce nel buio però me lo impedisce. “Kea...”

Mi blocco a metà. Accidenti, mi ha sentito. “Tu hai detto che ci sono cose che non possiamo perdere di vista. Ma quelli fanno... L'hai visto. E poi anche noi siamo andate a tendere loro trappole per ucciderli. E dovremo farlo, prima o poi...”

Sta parlando nel dormiveglia, ma capisco subito cosa intende dire. Resto zitta per un po', pensando a cosa rispondere. E' un dubbio che serpeggia anche in me, in effetti. Che senso può avere parlare di vero, di giusto, qui nell'arena? Qui esistono solo la vita e la morte, e sono separate da un nulla. Davanti a questo tutto il resto sembra parole vuote sulle pagine dei libri, e nient'altro. E qui non siamo in un libro. Non sarebbe meglio abbandonare ogni scrupolo, e guardare in faccia la realtà?

“Noi facciamo quello che siamo costrette a fare qui dentro. Ma questo non vuol dire che ci debba piacere, né che debba essere l'unica strada percorribile. Un grande poeta, tanti secoli fa, ha scritto che non siamo stati fatti per vivere come bruti, cioè come bestie, ma per cercare la virtù e la conoscenza. Qui siamo costretti a comportarci da bruti, ma il ricordarci chi siamo, e fin dove possiamo spingerci, sono le uniche cose che possono salvarci dal diventarlo. Se c'è un modo per combattere per la vita, mantenendosi fedeli a questi valori, allora va trovato, costi quel che costi. Adesso dormi, c'è ancora tempo all'alba.”

Mi impongo di aspettare a lungo, dopo che abbiamo smesso di parlare. Solo quando avvicinandomi sento il suo respiro lento e regolare mi decido a muovermi. Vorrei farle una carezza, ma mi trattengo per paura di svegliarla. Muovendomi al rallentatore per non fare rumore, prendo la bomboletta di vernice e a tentoni spruzzo sul muro un grande “TORNO SUBITO”. Poi prendo lo zaino, mi avvicino al bordo del ballatoio, e mi lascio pendere nel vuoto. Non voglio calare la scala, se arrivasse qualcuno potrebbe salire. Prendo coraggio e mi lascio andare, atterrando un paio di metri più sotto. Il tonfo mi sembra una cannonata, Codrina si sarà svegliata di certo. Ma da sopra, con mio sollievo, non arrivano movimenti. Non appena il formicolio alle gambe è passato, esco in strada e mi avvio.

 

 

 



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E.N.P.

Se la Banda dei Quattro non è odiosa dopo questa....  Ma queste due si stavano allargando un po' troppo. Occorreva che ricordassero dove sono. E per farlo dovevo andarci giù pesante, specie dal punto di vista psicologico: spero di non aver urtato nessuno. Nel caso, non esitate a segnalarmi se è il caso di alzare il rating.

A seguire, Keana's Mission Impossible. Non cambiate canale, mi raccomando. (Che poi uno trova Segreto e non torna più.)

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Capitolo 17
*** Davanti agli occhi del nemico ***


Non precisamente nel mezzo della tana, ben calcolata per il caso di estremo pericolo,

non proprio di un inseguimento, ma di un assedio, si trova la piazza principale.

(F. Kafka, “La Tana”)

 

 


Il chiarore lattiginoso del cielo è appena sufficiente per distinguere dove sto andando, anche se la luce sta cominciando ad aumentare. Mi viene male all'idea, ma non so davvero che altro fare. Ho riflettuto sul fatto che, finché hanno a disposizione una “base”, come la loro piazza, con una montagna di scorte, i Favoriti sono pressochè imbattibili. Possono andare avanti a oltranza, mentre noi dobbiamo cercare cibo e acqua in continuazione. Occorre lasciarli senza, solo allora avremo davvero qualche chance. E l'unico modo per distruggere le loro scorte tutte insieme sarebbe farle saltare. Oppure bruciarle con una bomba Molotov.

So come farla, ho letto gli scritti di Guevara; di straforo, ovviamente. Il problema è che, non avendo benzina, posso usare solo dell'alcol come combustibile. E l'unico disponibile è quello delle bottiglie che ho visto proprio alla Cornucopia. In pratica, nella tana del lupo. Per questo non ho detto niente a Codrina. “Non le avevi promesso di non lasciarla più sola?” Non so se sia la vocina disfattista, o semplicemente quella della coscienza, ma non importa. E' troppo pericoloso. Dopo la scena di qualche ora fa, lei quei quattro non deve vederli neppure di lontano. E poi non se ne accorgerà nemmeno, con un po' di fortuna sarò di ritorno prima che si svegli. La sua presenza silenziosa però mi manca. Mi sono ormai abituata ad averla a fianco mentre cammino, e un paio di volte giro d'istinto lo sguardo per cercarla. La mancanza di riposo si fa sentire, obbligandomi a rallentare il passo. Ho l'affanno quando arrivo alle stradine retrostanti la piazza.

 

La Cornucopia è al solito posto, sul selciato là accanto delle tracce di accampamento, e ancora poco più in là una montagna indistinta di armi, sacchi, oggetti. Nessuno in vista. Questo conferma l'ipotesi che avevo in mente dopo le apparizioni dei Favoriti degli ultimi due giorni, sempre verso il calare del sole: hanno deciso di evitare l'afa riposando di giorno e cacciando di notte, grazie alle torce e ai visori notturni.
Ragion per cui adesso non ci sono, ma saranno già probabilmente sulla via del ritorno. Per qualche attimo penso di lasciar perdere e di andarmene, escogiterò qualcos'altro. Ma poi mi costringo a fare quello per cui sono venuta, non c'è un'altra cosa a cui pensare. E ormai gli spettatori saranno in attesa, e deluderli rischierebbe di farci perdere sponsor.
Dopotutto, cerco di sdrammatizzare, cos'è che temo, davvero? I Favoriti, o la loro idea? Ma se adesso loro non sono qua, così che io possa percepirli empiricamente, altro non rappresentano che un'idea della mia mente, almeno per il momento; e secondo Hume il concetto di idea non presuppone l'esistenza. Cosa mi garantisce che continuino ad esistere anche se io non li vedo? Non è razionalistico, né empirico. Evitando di pensare che potrei ben presto trovarmi ad avere una dimostrazione tremendamente empirica delle loro armi, mi lancio attraverso la piazza, verso il cumulo delle scorte. Mi devo spicciare, manca davvero poco allo spuntare del sole, quelli potrebbero tornare da un momento all'altro
.

Inizio a frugare, alla ricerca delle preziose bottiglie. C'è di tutto, medicine, fasci di frecce, armi di ogni tipo, e cibo. Non resisto alla tentazione, e prendo qualcosa delle confezioni più piccole, quelle che posso mettermi in tasca. Ci sono anche bevande, ma nessuna alcolica. Comincia a prendermi il tremendo dubbio di essermi ingannata, e se quello che ho visto il primo giorno non fosse stato alcol? Finalmente, rovistando in profondità in un cumulo di viveri, sento sotto le dita qualcosa di vetro. Ma è incastrato sotto una serie di pesanti casse. Comincio a spostare e a far scivolare a terra oggetti e scatole, quando qualcosa in lontananza mi gela il sangue.
Mi butto a lavorare con ancor più frenesia, sollevando di continuo lo sguardo per sorvegliare le vie d'accesso alla piazza. Vorrei scaraventare tutto a terra, ma non oso, potrebbero sentirmi. Non appena il collo della bottiglia è libero, la agguanto e tiro finché non si sfila. Nella luce ormai nitida appare l'etichetta di un liquore. Proprio in quel momento i Favoriti fanno la loro comparsa all'entrata della piazza.

Mi getto a terra tra le scatole, il cuore che batte all'impazzata, e mi appiattisco al massimo. Sento le loro voci avvicinarsi, e nel panico mi rendo conto di quanto il mio nascondiglio sia precario. Basterebbe che uno di loro volesse prendere qualcosa da mangiare... Con infinito sollievo li sento dirigersi verso i giacigli, a qualche metro di distanza. Scomodamente rannicchiata, un millimetro per volta, sollevo la testa. Il junior dell'1 si è gettato sul suo materassino e ora riposa scomposto a occhi chiusi, Hebi è ancora in piedi ma di spalle, Wolwerine sta trafficando con i suoi tirapugni, solo Retia è rivolta dalla mia parte. Ad un certo punto si gira per dire agli altri qualcosa. Subito, senza perdere neanche un secondo, scatto tuffandomi letteralmente dietro la Cornucopia. Rotolo per terra, e mi preparo a sentire un'esclamazione. Ma non succede. Per qualche miracolo nessuno mi ha vista. Osando appena respirare, mi rilasso un po'. Ora non mi resta che aspettare che tutti si addormentino. Mi addosso alla parete metallica della Cornucopia, e attendo.

Sento scartocciare, rumori di una borraccia che si apre e si chiude, tintinnii metallici, si stanno rifocillando. E ripulendo le armi dalla loro ultima impresa. Li sento rievocarla divertiti, facendo il verso al ragazzino dell'11. Poi le voci pian piano si diradano. Con estrema cautela mi affaccio. Wolwerine e il suo junior sono coricati, gli altri due seduti all'ombra. Speriamo si sentano abbastanza sicuri da non fare turni di guardia. Il calo della tensione mi fa sentire di colpo le palpebre pesanti. Mi strofino forte gli occhi.

“Credi sia stupida?” La voce di Retia, anche se bassa, mi arriva abbastanza chiara nell'aria immobile. “Stai attento a quello che fai, ragazzino.”

“Gli ho solo fatto un favore... Che male c'è? Siamo alleati.” Questo è Hebi.

“Per ora. Ma se tu e lui provate a fare i furbi...”

Posso immaginare lo sguardo gelido puntato sul junior. Questi continua a protestare la sua innocenza, apparentemente non preoccupato per la velata minaccia. Il guaio di essere in quattro a contendersi la palma dei Favoriti: non possono mai fidarsi gli uni degli altri, penso. Può vincere solo uno per categoria, non importa il distretto. E questo lascia aperta la porta ad alleanze alternative. Retia deve aver sorpreso Hebi a fare gli occhi dolci a Wolwerine. Alla faccia del volersi bene. Penso contenta al legame tra me e Codrina, noi non dovremo mai guardarci le spalle l'una dall'altra.

“Io sono con te, lo sai.” Afferma Hebi. Retia non risponde, e mi balena in mente il ricordo del loro diverbio, la sera prima dell'inizio dei giochi. Non è stupida, lo ha inquadrato subito; ma è costretta a collaborarci. Almeno per ora. Segue una lunga pausa, e mi arrischio a gettare un'altra occhiata. Ma mi ritiro delusa, sono ancora nella stessa posizione. Dopo un po' lo sento bisbigliare qualcosa che non capisco, ma mi sembra abbia nominato il distretto 3. “Te l'avevo detto che non ci stava.”

“Peggio per lei.” Risponde sprezzante Retia. “Se ne pentirà.”

“Non era meglio con quelle del 5?” Drizzo le orecchie.

“Ma neanche per idea. Non saranno certo una mocciosa e una secchiona a crearci problemi, con quelle trappole ridicole.” Saranno pure ridicole, penso, intanto in una ci sei cascata. “Tanto quelle basta prenderne una che hai anche l'altra, visto che sono così legate. La piccola ce la cuciniamo come ci pare, non è certo pericolosa.”

“Facciamo come con quelli dell'11? O posso pensarci io?” Chiede Hebi.

La sento fare un borbottio d'assenso. “E' tutta tua... Basta che mi lasciate l'altra. Le insegno io a tirare mattoni... Offrirò al pubblico uno spettacolo che resterà nella storia degli Hunger Games.”

Un brivido ghiacciato mi corre per la schiena, nonostante il caldo torrido. D'un tratto comprendo la ragazza del 12, che si è gettata nel vuoto pur di sfuggire alla cattura. Mi conviene davvero sperare di non capitare tra le mani di Retia. Lo smacco della trappola deve bruciarle parecchio.... Se non altro per quello ne è valsa la pena.

Il silenzio cala nella piazza. Aspetto a lungo, poi, visto che continua, mi affaccio nuovamente. Ora sono tutti coricati. E' il momento. La Cornucopia mi appare improvvisamente il più sicuro dei rifugi, ed esito ad abbandonarlo. Ma non posso restare qui per sempre. Comincio il mio lento aggirare i Favoriti, in direzione della via da cui sono venuta. Un passo, poi un altro, piano, cercando di tenere d'occhio contemporaneamente loro ed il terreno. Come diceva quel libro sul ninjutsu che mi aveva prestato Torio? Le ginocchia devono essere tenute leggermente piegate e lontane l'una dall'altra, e il baricentro e le anche devono muoversi durante la marcia solo in senso orizzontale. Provo a farlo, la bottiglia stretta al petto, e penso a come dovrò apparire bizzarra alle telecamere. Me ne infischio, basta che funzioni. A terra ci sono detriti un po' ovunque e devo fare la massima attenzione a non calpestarli. Ogni fruscio, ogni scricchiolio dei miei anfibi mi sembra assordante, e almeno tre volte sobbalzo per un movimento vero o immaginario di uno dei Favoriti. Un passo dopo l'altro, la salvezza è ormai a portata di mano, e devo dominare l'impazienza di mettermi a correre. Ancora un paio di metri, decido. E' allora che succede. Inizio il passo regolarmente, ma non appena poso il piede sento qualcosa che si schiaccia, e un movimento rapido, serpentino, che si dipana come una scossa tendendo un sottilissimo cavo mimetizzato tra gli interstizi della pavimentazione. Subito il dispositivo che ho calpestato si illumina tra la polvere, attivandone diversi altri sparsi a grappolo tutto intorno, e con mio orrore inizia a emettere una sorta di fischio penetrante. Retia solleva la testa di scatto, e così pure Wolwerine. Ma è Hebi a voltarsi e a individuarmi per primo, e lancia un grido acuto come il suono dell'allarme. Per un attimo resto impietrita, poi impreco e schizzo via come un proiettile. Immediatamente sento alle mie spalle le esclamazioni e le imprecazioni dei due senior, che stanno saltando in piedi e afferrando le armi, mentre Hebi scuote bruscamente l'alleato dell'1, ancora ottuso dal sonno.

Imbocco la prima strada che trovo, e via, la bottiglia serrata come un amuleto, senza pensare a dove sto andando, unico pensiero quello di mettermi in salvo. Ma quando commetto l'errore di voltarmi indietro, quasi mi sfugge un urlo di spavento. Retia ha staccato gli altri di parecchio, e ora è terribilmente vicina, con un'espressione di furiosa determinazione. Sento la disperazione assalirmi. E' troppo veloce, mi ammazza! Proprio mentre lo sto pensando intravedo con la coda nell'occhio una traversa laterale. Sollevando una pioggia di polvere e detriti inchiodo gettandomi di lato, e la mia inseguitrice, trascinata dall'impeto, non riesce a fare subito lo stesso. Avverto lo spostamento d'aria quando mi sfiora passandomi accanto, il braccio già teso in avanti. Alla prima prima svolta possibile giro nuovamente, poi, approfittando del fatto di essere fuori dalla vista, salto dietro un cumulo di macerie. Pochi attimi, e i Favoriti spuntano nella via, e mi superano imprecando tra i denti. Aspetto che siano scomparsi, quindi esco con cautela dal riparo improvvisato e torno sui miei passi.

Riconosco la zona, siamo in prossimità dei palazzoni. Di fronte a questi, il giardino pubblico. Mi dirigo da quella parte, sperando di trovare un modo di tagliare l'isolato e sapendo che lo stratagemma mi farà guadagnare solo un breve vantaggio. I Favoriti si renderanno ben presto conto che non posso essere fuggita così avanti, e torneranno indietro. Entro sul sentiero di terra battuta del giardino, rallentando progressivamente. Gli alberi tutto intorno mi danno un senso di sicurezza, e mi fermo appoggiandomi a uno di essi. Ansimo, e le gambe mi tremano per lo sforzo e per la paura, tanto che faccio fatica a restare in piedi. Sforzandomi di ignorare i crampi lancinanti, mi incammino zoppicando attraverso il parco. Che ingenua a pensare che non avessero preso precauzioni, i Favoriti non sono poi così imprudenti. Se non altro, con tutte queste fughe precipitose, se riesco a tornare a casa potrò correre la maratona. Un' eco di richiami, più vicina, mi spinge ad accelerare. Se non che, passando poco lontano da uno spiazzo con uno scivolo sbreccato e un'altalena, mi immobilizzo dove sono.
Qualcosa è apparso sul sentiero, letteralmente dal nulla. Una massa scura, fremente. Un cane, un cane enorme, penso. Poi la creatura si volta e zampetta, e rimango di sasso. Ha le dimensioni di un leone, ma è indubbiamente una pantegana. Sta annusando l'aria, le orecchie ritte, i lunghi baffi che si agitano, appuntiti come coltelli. Ma più impressionanti ancora sono le zanne giallastre e sbreccate che spuntano dalla bocca. Niente del genere esiste in natura, questo è un Ibrido creato ad hoc, penso con un brivido. Gli Strateghi evidentemente si sono stufati di vedermi giocare ad acchiappino con i Favoriti, e hanno pensato bene di introdurre una novità.

L'Ibrido deve avermi fiutato, vedo per un attimo i suoi occhietti brillare sinistri nella luce del primo mattino. Emette uno stridio perforante, poi si lancia in avanti, balzando sulle zampe glabre, più grandi delle mie mani. Le energie rinnovate dal pericolo, faccio un brusco dietrofront, ma mi viene in mente che tornando sui miei passi finirò diritta in bocca ai Favoriti. Probabilmente è proprio quello che vogliono gli Strateghi. Mi viene il dubbio che non abbiano gradito il mio discorso sui valori. Cosa faccio??? Sono presa nel mezzo, ma non c'è tempo di pensare. Corro verso lo scivolo, mi ci arrampico sopra, ma è un rifugio piuttosto precario. Me ne rendo conto all'istante quando la pantegana ci si avventa contro, facendolo tremare. I suoi denti si piantano nella lamiera e stridono, tracciandovi profondi solchi. Si alza sulle zampe posteriori e diventa spaventosamente alta, per poco non mi raggiunge. Paradossalmente sono a sperare nell'arrivo dei Favoriti, così da dirottare la bestia verso prede più accessibili. Ma oggi la fortuna non sembra essere dalla mia parte. L'Ibrido si scaraventa nuovamente contro la debole struttura dello scivolo, che stavolta cede di schianto, spaccandosi in due monconi e restando un breve attimo in precario equilibrio, prima di collassare. Mi aggrappo d'istinto al parapetto, ma mi sento mancare la terra sotto, e rovino a terra tra i resti dell'impalcatura.

Stordita dal colpo, non ho modo di difendermi quando il ratto gigante mi arriva addosso. La luce si oscura, mentre affondo le mani in una massa fremente di pelo ispido sopra di me. Poi una trafittura lacerante al fianco, appena sopra l'anca. Per un momento non c'è spazio altro che per il lampo abbagliante del dolore, poi urlo e scalcio, cercando di respingere l'Ibrido. Scanso la testa, più per riflesso che per altro, evitando un altro attacco. Ho il suo muso a pochi centimetri, quello ringhia e sbuffa e mi arriva un soffio di aria fetida. Poi, non so come, nell'agitarmi mi scivolano di tasca alcune delle confezioni di cibo raccolte alla Cornucopia. Forse la pantegana ne percepisce l'odore, o forse è semplice curiosità, ma pare esserne attratta. Il muso le trema per l'indecisione, poi mi lascia momentaneamente perdere, e ci si accosta per annusarli. Devo approfittarne, mi districo e mi alzo. Appena in piedi il fianco mi lancia un'altra fitta da restare senza fiato, ma mi sforzo di lanciarmi verso il sentiero ora sgombro. Zoppico attraverso il giardino, la bottiglia di liquore ancora assurdamente stretta, verso quella che posso solo sperare essere la direzione giusta.




 

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E.N.P.
E il topos degli Ibridi è stato rispettato... Proprio! (Tremenda battuta letterata da Keana). Funziona? Avrei preferito un Ibrido insetto, le pantegane in fondo sono simpatiche.... Ma arena oblige.
P.S. Sempre pensato che l'empirismo la steccasse in partenza... (maledetto Hume).

 

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Capitolo 18
*** Andiamo nei campi ***


Infatti, quanto alla forza corporea,
il più debole ne ha a sufficienza per uccidere il più forte,
sia ricorrendo a una macchinazione segreta,
sia alleandosi con altri che corrono il suo stesso pericolo.

(T. Hobbes, “Leviatano”)

 

 

Sto vagando per le strade dell'arena come uno zombie. Uno zombie alcolizzato, visto la presenza della bottiglia di liquore. E in effetti in certi momenti barcollo come un'ubriaca, e mi devo appoggiare ai muri per non cadere. Dal fianco si irradiano in tutto il corpo ondate brucianti. Stringo forte nell'illusione di sentire meno male, come facevo da piccola dopo una caduta. Non ho il coraggio di guardare, mi costringo a pensare solo ad andare avanti. Il sole è alto, Codrina si sarà svegliata. Avrà visto il messaggio? Sarà arrabbiata? In ogni caso mi devo sbrigare.

Al malessere si aggiunge l'arsura, ho più volte la tentazione di stappare la bottiglia e mandar giù qualche sorso, ma me lo proibisco, questo alcol ci serve tutto. Al massimo potrò usarne un poco per disinfettare. Lentamente, costeggio il centro città, fino a lasciarmelo alle spalle.
Dài che manca poco. Ma mi devo fermare a riprendere fiato, e lo sguardo mi cade sulla ferita. La maglietta è strappata, e sebbene sul nero non si veda, i pantaloni grigi sono chiazzati di scuro. La pelle è slabbrata, e il sangue sembra inchiostro, lucido e pulsante. Mi gira la testa, e distolgo subito lo sguardo. Cerco di distrarmi riflettendo su quanto sia curiosamente ampio il divario tra il concetto di dolore e la sua sperimentazione tramite i sensi. Potrei scriverci su qualcosa di interessante, penso. Ma ben presto ogni elucubrazione mentale perde consistenza davanti alla sgradevole realtà: fa un male del diavolo. Mi sento sudare freddo per la paura, e se non si fermasse? Se continuasse a scorrere, portandosi via poco a poco le forze, fino a farmi spegnere come un cero? Cerco di scacciare questi pensieri, tamponando alla meglio la ferita. Oggettivamente non è profonda, anche se sanguina un bel po'. Rivedo le zanne luccicanti di saliva dell'Ibrido, e tiro su l'aria tra i denti per lo schifo. Un'altra paura mi assale, quella dell'infezione, della febbre, della morte lenta col sangue avvelenato. La curerò, mi dico confusamente, ora arrivo al cantiere e mi riposo, manca davvero poco.
Ma a un certo punto mi arrendo. Sento di non poter proseguire davvero oltre. Vedo un angolo di una casa crollata un po' riparato, e arranco fin là. Mi riposo un po', e poi proseguo, mi propongo. Più che sedermi frano bruscamente per terra, poi poso la bottiglia e mi lascio scivolare finché non vedo solo il cielo. Va un po' meglio, così distesa, anche se i detriti sotto di me pungono spigolosi. Spero che mio padre abbia avuto il buonsenso di tenere mia madre lontana dalla tv. Poco a poco le fitte si placano, e sfumano in un' invincibile spossatezza.

 

 

La luce è smorzata, sarà sera? Lotto contro il torpore, la testa pesante. Poi mi accorgo di non trovarmi più all'aperto. Sbatto gli occhi, ho la bocca impastata e una gran confusione in mente, e sul momento fatico a capire dove mi trovo. Poi riconosco i muri, con il mio “torno subito” che spicca ormai secco, e capisco di essere nel nostro riparo. “Codri!” Esclamo, la voce rauca, vedendola entrare. “Stai bene?” Mi chiede, in tono neutro.

Mi muovo e ho un sussulto, la pelle tira sgradevolmente sulla ferita. Scosto la maglietta, e, con mia grande sorpresa, lo squarcio è stato pulito e suturato anche se in modo un po' approssimativo, e ha un aspetto molto migliore. “Sì, ma come...?”

“Ti ho aiutato io a venire qui. Quando non ti ho visto sono uscita per cercarti, e ti ho trovata per la strada.” Ora che me lo dice, mi riaffiora qualche flash confuso, credevo fosse stato un sogno. “Ci hanno mandato una medicina.” Aggiunge, indicando una sorta di pomata rigenerante a effetto antibiotico, posata sopra lo zaino. Sul momento non capisco, chi ce l'ha mandata? Poi vedo in un angolo una scatola metallica collegata a un piccolo paracadute floscio, e capisco che Elder deve essersi data da fare con gli sponsor. “Ma i punti? Li hai messi tu?”

“Sì, mia mamma mi ha insegnato come fare.”

Ricordo che la madre di Codrina lavora come paramedico presso l'ospedale della nostra cittadina. E indovino che i genitori della mia amica non devono essere stati estranei a questo invio. “Grazie....” Le dico di cuore, con un vago senso di rimorso al pensiero che non siano benestanti come i miei. Lei annuisce, ma non sorride come al solito. “Quanto tempo è passato?” Le domando.

“Quasi due giorni.”

Accidenti, ho dormito un sacco, penso bevendo un po' d'acqua per scacciare il saporaccio. Per forza mi sento così frastornata. Poi noto delle confezioni di cibo. “E quelle?”

“Le ho prese nell'appartamento di Absinth. Tanto lei è un sacco che non si vede più.”

Ho un soprassalto, e non posso impedirmi di sbottare: “Cavolo, Codrina, ma sei matta?!? Dopo tutto quello che abbiamo detto, mi vai a correre un rischio così?” E, anche se non lo aggiungo, lo penso: per cosa diamine mi sono fatta fare questo sbrano, allora?

Lei si incupisce, e risponde, evitando il mio sguardo: “Anche tu avevi detto che non mi avresti più lasciata da sola, però l'hai fatto. Io avevo paura, non sapevo che fare, e avevo fame. Qualcosa dovevo pur fare, no?” E' la prima volta che la vedo arrabbiata, anche se lo mostra poco, e non posso fare a meno di pensare che ci risentiamo persino allo stesso modo. Pure io di regola trattengo la rabbia finché non esplode, lasciando trapelare solo una sorda irritazione.

Mi tiro su. “Senti, hai ragione. Ma devi capire che non l'ho fatto per il gusto dell'avventura in solitaria.” Mi avvicino, e la guardo diritta negli occhi. “Prima di quella promessa te ne ho fatta un'altra, ricordi? Di fare tutto il possibile per riportarti a casa. Per questo non ti ho detto niente. E perché ti voglio bene con tutto il cuore, e non riesco a sopportare di saperti in pericolo. Scusa.”

Lei rimane zitta, poi solleva gli occhi e annuisce. Ci metto un secondo a capire che mi ha già perdonata, è così dolce e gentile che non credo sappia serbare rancore. La abbraccio dalla parte del fianco sano, e aggiungo con affetto: “Mi butterei nel fuoco per risparmiarti un rischio, Codri.”
Lo dico a beneficio delle telecamere, ma so che è vero, e sento rimorso all'idea di averla lasciata nell'incertezza. Ha comunque dimostrato un sangue freddo invidiabile, penso.

“Allora, è morto qualcun altro in questi due giorni?” Chiedo invitandola a sedersi.

Lei scuote la testa, e così sfuma la speranza che i miei inseguitori siano incappati nell'Ibrido. ”Però è successa una cosa. Quel ragazzo del 4, il junior: l'ho visto andare dai Favoriti.”

Sbigottisco. “Non l'hanno fatto fuori?”

“No, anzi, li ho visti che parlavano.”

Mi si rizzano i capelli all'idea che sia andata così vicina ai Favoriti, ma taccio, e cerco di concentrarmi sulla notizia. “Quindi lui è dalla loro parte. Se l'accordo non comprende anche la sua senior...” Una in meno contro di me, ma uno in più contro Codrina.

Poi le racconto del mio blitz alla Cornucopia, e del piano Molotov. Gli occhi le si dilatano per lo stupore quando arrivo alla pantegana gigante.
“Bisognerà trovare il modo di arrivare a portata delle scorte. Dovremo aspettare che siano in giro per l'arena, sperando di non avere brutte sorprese.” Concludo. Ma quando mi alzo di nuovo e cammino, mi gira la testa. Sono ancora piuttosto debole, e mi chiedo come farò ad affrontare una nuova incursione. Tanto più che fuori il sole picchia come non mai, dobbiamo essere nelle ore più calde. E' giocoforza aspettare che la calura si smorzi. Per fortuna i viveri non ci mancano. Inizio a ripescare dalle tasche le confezioni ammaccate.

 

 

Più tardi, stiamo finendo di mangiare. “Fragole?” Offro, allungandole una vaschetta di quella che sembra una specie di gelatina di frutta, e sorrido al guizzo goloso nel suo sguardo. “Ti piacciono?” Domando incuriosita.

“Sì, un sacco!” Esclama contenta. “Sono il mio frutto preferito.”

Non lo sapevo. Mi fa piacere scoprire qualcosa di più di lei. Una sensazione improvvisa però mi disturba. Mi rendo conto di aver percepito qualcosa dall'esterno. Guardo Codrina, sembra non aver sentito niente. Ma poi il suono si ripete, e stavolta anche lei solleva lo sguardo. Qualunque cosa fosse, pareva piuttosto vicina.
Rapida, afferro lo zaino, e lei raccoglie il cibo e la bottiglia, quindi fa per muoversi verso il ballatoio. Ma io faccio immediatamente segno di no, lassù saremmo pure al sicuro, ma rischieremmo di restare intrappolate, e ci prenderebbero per fame. Ci approssimiamo alle scale, pronte a fuggire. La strada, nella luce abbacinante, pare vuota. Anche gli steli delle erbacce giallastre, cresciute nelle crepe dell'asfalto, sono perfettamente immobili. Poi però una figura arriva veloce, ansante, e riconosco la senior alta del 4. Si guarda intorno frenetica, sembra non sapere dove andare. Da dietro l'angolo uno scalpitìo annuncia la comparsa di Wolwerine, controllato come sempre, ed Hebi, che invece è su di giri come se ciò che sta accadendo non fosse altro che un grande, elettrizzante gioco. La ragazzona scatta e viene diritta verso di noi, ma dall'altra parte stanno sopraggiungendo Retia e il junior dell'1, insieme al loro nuovo alleato. Come immaginavamo, lui l'ha venduta ai Favoriti, in cambio di protezione. Deve essere orribile vedersi traditi così dal proprio compagno di distretto, e per un attimo mi balena il dilemma se aiutarla o meno. Il cuore mi spingerebbe a farlo, ma non posso ignorare che è una senior, e non possiamo uscire entrambe vive di qua. “Non puoi adottare tutti gli sfortunati dell'arena....” Mi sussurra la voce interiore, senza pietà. Sento lo stesso egoistico impulso di sopravvivenza che porta i miei concittadini a guardare altrove di fronte ai soprusi del regime, e anche se mi disgusta non riesco a vincerlo.

Non farei comunque in tempo, dato che la ragazza riesce ad entrare nel cantiere, ma viene rapidamente raggiunta e atterrata, poco sotto di noi. La sento supplicare terrorizzata i Favoriti, ma soprattutto il suo junior, che assiste immobile poco più in là. Retia si fa avanti determinata: “Vi siete divertiti abbastanza, stavolta tocca a me.” Fa cenno agli altri che la tengano ferma, ed estrae il pugnale.

Rapida, faccio cenno a Codrina, e ci allontaniamo dalla rampa di scale. Il nostro rifugio ormai non è più sicuro, dobbiamo allontanarci prima che finiscano, e venga loro in mente di guardarsi intorno. Ci dirigiamo silenziosamente verso la facciata opposta dell'edificio, per fortuna siamo solo al primo piano. Purtroppo non ci sono altre scale, e dobbiamo cercare un modo alternativo di scendere giù. Mentre scavalchiamo il davanzale di una finestra, dietro di noi si alzano le urla agghiaccianti della senior del 4. Non sembrano neppure qualcosa di umano. Cerco con tutte le forze di non pensare a cosa le stia facendo la mia avversaria, e seguo Codrina sul cornicione che corre lungo la facciata esterna. Rischio un nuovo capogiro, e devo stringermi al muro. Con cautela, un piede davanti all'altro, cerchiamo di raggiungere un ponteggio a qualche metro di distanza. Dall'altra parte, le grida arrivano sconnesse, sempre più deboli, ma non cessano, Retia non deve avere fretta. Con la pelle accapponata, arriviamo all'impalcatura dopo diversi minuti, e Codrina comincia a calarsi, quindi salta agilmente a terra. La imito, ma l'impatto con il terreno è una scarica elettrica al fianco dolorante, e mi sfugge un'esclamazione. Per fortuna il colpo di cannone la copre. Da una delle finestre del piano terra intravedo il tributo del 4, sempre fermo nello stesso punto, che distoglie lo sguardo dalla sagoma informe a terra, tra la rena insanguinata. Almeno ha il buon gusto di vergognarsi. Mi impongo di voltarmi, e raggiungo Codrina.
Insieme ci inoltriamo tra le macerie, e rallentiamo il passo solo una volta lontane. Di punto in bianco, Codrina si volge verso di me e mi si stringe, senza parlare né smettere di camminare. “Tranquilla.... E' passata.” Mormoro cingendole le spalle, ma lei si è già ripresa, almeno un po'. “Chissà come lo riaccoglieranno, quello del 4, se torna a casa.” Commento disgustata. Poi mi rendo conto di cosa ho detto, e mi affretto a correggermi. “Bene, adesso li sistemiamo noi. Visto che sono là, noi abbiamo il campo libero. Andiamo a preparargli il bentornato, dai." Esclamo agitando la bottiglia di liquore.




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E.N.P.
Con questa mi farò infamare dai fan del distretto 4. Nessun Odair è stato però sacrificato per realizzare questo capitolo.

Prego? Far fuori tributi va bene, ma questa arena è troppo tranquilla? Provvedo.



 

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Capitolo 19
*** Chi combatte il fuoco col fuoco finisce in cenere ***


Vennero dense tenebre su tutta la terra d'Egitto, per tre giorni.

Non si vedevano più l'un l'altro, e per tre giorni nessuno poté muoversi dal suo posto.

(Es 10,22)

 

 

Ci avviamo alla volta della Cornucopia, dobbiamo approfittare della loro assenza. Camminiamo in silenzio, immerse ognuna nei propri pensieri. Scuoto di nuovo la testa, alludendo al tributo traditore. Codrina non fa commenti, ma immagino sia d'accordo con me. Eppure, sotto sotto, mi ritrovo a cercare di immaginare cosa potrei fare io. Se invece di Codrina, come junior, avessi un perfetto sconosciuto. E se dalla sua morte dipendesse la mia sopravvivenza. Mi ripugnerebbe lo stesso così tanto...? Non riesco a darmi risposta. Ne ho troppa paura. Un abisso è il cuore dell'uomo...

 

Deviamo dal percorso che ho fatto io due notti fa nel mio blitz, voglio arrivare il prima possibile a destinazione, colpire e sparire, così che al loro ritorno trovino solo una montagna di ceneri fumanti.

Svolto in una strada, ma Codrina mi richiama: “No, qua è chiuso. E' dove ho cercato di passare il primo giorno.”

In effetti la via è completamente ostruita dalle macerie di un palazzo crollato. “Però possiamo cercare un modo per tagliare.” Suggerisco, restìa alla prospettiva di perdere tempo. Scorro con lo sguardo gli edifici circostanti, e una palazzina pare praticabile. L'interno rivela un'ampia sala occupata da quanto resta di un bancone, e una superficie rettangolare di vetro e compensato, sembrerebbe una bacheca in frantumi.

Senza preavviso, tutto diventa rapidamente buio, e i contorni degli oggetti si offuscano. Sul momento temo di avere un malore, ma l'espressione sbigottita della mia compagna mi conferma che la luce è davvero calata all'improvviso, come se qualcuno avesse girato un interruttore. Mi volto verso l'entrata che abbiamo appena oltrepassato, distinguendola a fatica. Non può essere già sera, un attimo fa splendeva il sole accecante del pomeriggio. Eppure ora ci vediamo a malapena. E non è l'oscurità pulita della notte, è una tenebra fitta, opprimente, viscosa come inchiostro. La cosa non promette nulla di buono, e restiamo ferme dove siamo, all'erta.
“Che significa?” Bisbiglio, d'istinto ho abbassato la voce, ma suona comunque forte nella stanza semivuota. Codrina non può che stringersi nelle spalle. Per quanto rovente, la luce del sole era rassicurante, e trovarmi immersa nel buio mi fa sentire estremamente vulnerabile. Anche la grande massa del bancone sembra improvvisamente lugubre, come un grande animale arenatosi, morente.

I minuti passano senza che accada nulla, e poco a poco riprendiamo a muoverci. Cerco la spalla della mia amica per non perdere il contatto, mentre ci inoltriamo a tentoni nell'edificio, i muri coperti di piastrelle quadrate. Nelle stanze che si aprono simmetriche ai lati delle corsie si intravedono reti di ferro da letto, qualcuna con ancora il suo materasso lurido sopra, e armadietti con le ante che penzolano, scassate. Dovrebbe forse essere una specie di struttura sanitaria, di certo è alquanto labirintica.
Giriamo diversi angoli, attraversiamo sale e camere, percorriamo lunghi corridoi ingombri di bidoni rovesciati e tappeti scivolosi di carta straccia, con la mia risolutezza che si fa sempre più labile, finché mi rendo conto di aver perso del tutto l'orientamento. Credevo di stare muovendoci in direzione della facciata opposta a quella dell'entrata, ma abbiamo svoltato talmente tante volte che non so più dove dovrebbe restare rispetto alla nostra posizione attuale. Mi soffermo titubante all'ennesimo incrocio tra due passaggi, e tento di fare mente locale, rapidamente perché Codrina non si accorga del mio smarrimento. Magari è il caso di tornare indietro, le dico, almeno fino a una sala dove ricordo di aver visto una sorta di poltrona odontoiatrica cui mancava buona parte dello schienale, da là sono abbastanza sicura di saper ritrovare la strada. Quando giungiamo al punto che ho in mente, però, non c'è proprio niente del genere. Forse mi sono sbagliata, era più avanti? Continuiamo a camminare, ma più procediamo e meno sono sicura di stare andando dalla parte giusta. Infine nel buio individuo qualcosa di chiaro, e il cuore quasi si impenna per il sollievo. Ma non è la poltrona, bensì un'antiquata vasca da bagno, riversa sul pavimento, che non rammento assolutamente di avere visto. Ergo, di qua non ci siamo mai passate. Mi arresto di botto, ormai in agitazione. Nell'oscurità, senza punti di riferimento, senza alcuna differenza tra interno ed esterno, la palazzina sembra diventata un unico, tenebroso budello tutto uguale, con le pareti chilometriche che si stringono inesorabili a stritolarci. Per un bruttissimo momento, ho l'impressione che sia davvero così, e fatico a respirare l'aria immobile, calda e viziata.

“Forse è meglio restare qui finché non torna la luce...” Suggerisce Codrina, anche lei a bassa voce, e non mi resta che arrendermi al buon senso della sua proposta.

 

Mortificata per la figuraccia, mi accosto alla parete, con l'intento di farmi scivolare a sedere. Lo strato di rifiuti unticci e maleodoranti, e, chissà, forse pure tossici, che copre l'impiantito mi dissuade però subito, e mi limito a puntellarmi contro le piastrelle lisce. Forse non mi sono ancora ripresa del tutto dalla ferita e dagli effetti del farmaco, cerco di giustificarmi tra me; in effetti avverto un sottile ma persistente senso di stordimento, come la nebbia sottile che talvolta, nelle sere d'autunno, striscia per le strade del nostro distretto, e mi irrita il fatto di non riuscire a liberarmene. Seguono lunghi minuti di silenzio, che percepisco pesante. Cerco un modo di romperlo, magari buttando là qualche osservazione autoironica, ma proprio mentre sto cercando qualcosa che non suoni patetico, mi rendo conto di vederci assai meglio. Dalla finestra più vicina, infatti, sta filtrando un chiarore che getta un alone irreale nella stanza. Ci avviciniamo, e sbirciamo attraverso i vetri polverosi per individuarne la fonte.

Un grande fascio luminoso, proveniente dall'antenna su cui sono salita il primo giorno per osservare l'arena, sta spostandosi lentamente tra le facciate degli edifici, disegnandole nette per qualche attimo prima di farle ripiombare nel buio. Sembra un enorme proiettore, e mi chiedo a che diamine serva. “Ci manca solo che li aiutino” borbotto, riferendomi ai Favoriti alla ricerca di vittime.

Poi però la luminescenza si arresta in un punto, e la luce cambia progressivamente diventando rossastra. In pochi secondi la struttura metallica puntata dal raggio passa dal suo colore scuro al rosso acceso, al bianco incandescente, e fonde collassando. Il calore deve essere tale che anche gli edifici vicini sviluppano dei principi d'incendio. Ci vuole poco a capire di cosa si tratta, non per nulla siamo del distretto 5. Con la scuola abbiamo visto più volte dei laser del genere, potenziati con l'uso di raggi X, usati in laboratorio per la ricerca sugli alti livelli di energia. Ma mai avrei potuto immaginarli usati per una trappola del genere. Il raggio torna del suo colore neutro, e ricomincia a spostarsi, cercando nuovi bersagli. Con compiacimento cattivo lo vedo dirigersi nella direzione dove abbiamo lasciato i Favoriti con il loro nuovo alleato, e là incenerire una serie di edifici, ma la soddisfazione dura poco. Il laser, una volta toccato il limitare della città, effettua un'ampia virata, e inizia a venire inesorabile dalla nostra parte, seminando una scia di incendi. I muri che ci circondano sembrano all'improvviso più inconsistenti della carta velina, visto il potenziale distruttivo. Anzi, davanti agli occhi mi balena la scena da incubo delle pareti in fiamme che crollano, intrappolandoci.

“Fuori, fuori!” Esclamo con voce strozzata, ma mi trovo subito impotente, e da dove? Se avessimo saputo come uscire di qua, saremmo già fuori. Abbranco il pannello della finestra e cerco di farlo scorrere, invano. Tiro con tutta la forza che ho, e il fianco mi lancia fitte di protesta, ma i massicci infissi metallici non si smuovono di un millimetro. Inveisco mille volte contro la mia idea di infilarci qua dentro, ci faremo una fine orrenda.

Nella confusione, quasi non sento che Codrina mi sta chiamando dalla porta. “Kea, guarda, di là!”

La raggiungo, sta indicando una porta a vetri, in fondo al corridoio, ora visibile grazie alla luce. Meno male che almeno una di noi due ha conservato la lucidità. Ma quando ci arriviamo la maledetta non si apre, e non me ne sorprendo. Ho il netto sospetto che tutte le porte di tutti gli edifici dell'arena in questo momento siano state ermeticamente sbarrate. Se sei dentro, resti dentro. Mi assale lo sconforto. Poi però, guardandomi attorno, mi cade l'occhio su un carrello d'acciaio opaco, abbandonato di traverso, poco distante. Non c'è bisogno di dire nulla, Codrina lo prende da una parte, io dall'altra, e lo trasciniamo davanti alla porta, nel cigolìo stridulo delle ruote. Lo afferriamo saldamente, preparandoci ad usarlo come ariete. “Pronta?” La sollecito, e al suo assenso inizio a spingere con vigore. Pochi passi in cui prendiamo velocità, quindi il carrello si schianta contro la porta con un gran botto, riecheggiando in tutto il corridoio. Il rinculo violento rischia di farci cadere entrambe, senza tuttavia che siano stati provocati grandi danni ai pannelli di vetro. Dobbiamo ripetere l'impatto più volte, finché non compare la prima incrinatura, che grazie alla nostra insistenza si allarga gradualmente in una ragnatela sempre più estesa, anche se la luce proveniente dall'esterno va minacciosamente aumentando. Carichiamo il carrello un'ultima volta, lasciandolo andare un attimo prima che sfondi la vetrata, facendo schizzare schegge ovunque. A calci allargo l'apertura, e Codrina ci si infila. Finalmente siamo fuori, su un lato dell'edificio. Appena il tempo di fare qualche metro, però, che la scena si illumina a giorno.

 

Il cerchio luminoso è sbucato al di sopra dei tetti e adesso è fermo sul palazzo di fronte. Sta cominciando a cambiare colore, tra poco farà partire la micidiale raffica di radiazioni. Non c'è tempo di fare niente, c'è solo una breve scalinata che porta a un casotto seminterrato, forse un magazzino della clinica, e là corriamo. Non provo neppure ad aprire la porta della baracca, ci limitiamo ad acquattarci sulle scale al di sotto del livello del suolo, sperando che basti. Con movimenti febbrili, strappo la giacca dallo zaino e la bagno con l'acqua della borraccia, e ce la getto addosso. Tento di riparare Codrina alla meglio, prima di nascondere viso e mani tra le pieghe dell'indumento. Dapprima è solo uno sfrigolio penetrante, poi la vampa infernale esplode, irradiando centinaia di gradi di calore. La luce è tale che la vedo anche con le palpebre chiuse, mentre il terreno attorno a noi si fa rovente. Benedico il dislivello che ci ripara, ma il caldo è così intollerabile che ho paura di perdere i sensi. Anche respirare all'interno della giacca è quasi impossibile, manca l'aria, mi sento soffocare. Poi, grazie al cielo, il raggio si placa, e dopo una pausa riparte per spazzare l'arena. Sul momento rabbrividisco, tanto repentino è il calo della temperatura. Sollevo la testa con cautela, e anche Codrina si districa dalla protezione improvvisata.

L'edificio di fronte a noi è ridotto a un moncone annerito e avvolto dal fumo nerastro, e anche quello in cui ci trovavamo poco fa sta bruciando. Persino l'asfalto della strada si è fuso, e ora sta solidificandosi in grandi bolle che scoppiano qua e là. Improvvisamente, così come era calata, l'oscurità si disperde, e il sole torna a brillare. Mi tiro su e risalgo le scale, ma fatico a pensare coerentemente. Fisso la devastazione attorno a noi, tossendo per le esalazioni bituminose, e stringo i pugni fino a sentire male. I nervi mi stanno cedendo, quanti altri orrori ci rovesceranno addosso prima che riusciamo a uscire di qua??? Anche stavolta l'abbiamo scampata per miracolo, ma per quanto ancora la fortuna potrà salvarci? Mi ritrovo a lanciare i peggiori insulti agli Strateghi e a tutta Capitol City a voce sempre più alta, fino ad urlare. Pensino quello che vogliono, me ne frego. “Vi siete divertiti abbastanza??? O volete spedirci contro qualcos'altro, già che ci siamo? Prego, non fate complimenti, siamo qui per questo!” Grido, fino a farmi dolere la gola riarsa.

Penso che i Capitolini si staranno davvero divertendo come matti davanti al mio sfogo, e questo mi fa imbestialire ancora di più. Poi mi costringo a darmi una calmata, gli Strateghi invece potrebbero prendermi in parola. Oltretutto, in un lampo di lucidità, realizzo che il nostro piano di incursione è andato letteralmente in fumo. Figuriamoci se la Cornucopia, centro vitale dell'arena, sarà stata toccata dal laser. I Favoriti quindi saranno tornati di nuovo da quella parte, anche solo per cercare riparo. Non basta che siano già tremendamente forti di loro, devono pure avvantaggiarli in maniera spudorata. Avverto lacrime di rabbia prudere agli angoli degli occhi, devo lottare per non cadere nello scoraggiamento.

Mentre sto ancora fremendo, mi sento toccare. Mi ero quasi scordata di Codrina, penso rimproverandomi, e mi volto pronta a rassicurarla, per quanto posso esserne capace in questo momento. Ma incontro uno sguardo sorprendentemente fermo. “Kea, stai tranquilla, è passata... No? Va tutto bene, possiamo andare.” Solo un tremito nella voce denuncia lo spavento provato.
Tiro un profondo respiro, grata, e mi sforzo di sorridere, anche se deve venir fuori più che altro una smorfia. “Che fai, mi rubi la parte?”

Il suo sorriso è un'ombra di quello che conosco, e pare non rispondere, ma dopo qualche attimo conferma: “Un po' per uno, no?”

Provo un'immensa ammirazione per il suo coraggio umile e silenzioso, e vorrei dirglielo; le folate soffocanti che salgono dal terreno devastato impongono però di rimandare le effusioni. Anche gli occhi bruciano fastidiosamente per il fumo acre degli incendi. Solo una volta lontane, sedute all'ombra, ci concediamo di tirare il fiato. Controllo se è ferita. Ha un paio di ustioni dove una caviglia le è rimasta scoperta, ma gli anfibi le hanno evitato danni peggiori. Io, per parte mia, ho diversi arrossamenti e qualche vescica, anche se nulla di grave. Cerchiamo di strofinarci via un po' di sporco e di fumo incrostati addosso, ma non possiamo permetterci di sprecare acqua per questo, ne abbiamo già bevuta in abbondanza.

Quantomeno, l'imprevisto ci permette di prenderci un po' di respiro, ma non troppo. Non abbiamo nessuna garanzia che il raggio non possa riattivarsi. Decidiamo di concerderci un riposo di un'oretta, e mi appoggio al muro in modo che Codrina possa distendersi comodamente, usando le mie ginocchia come cuscino. Poi torneremo alla carica. La vita è nel movimento, diceva Aristotele. Sono troppo stanca, il gesto del “che fortuna!” lo faccio solo col pensiero.

 

 

In realtà il nostro riposo dura ben di più. Mi sono accorta di avere adottato fin da quando sono qua dentro un sonno leggero, capace di lasciare il posto quasi all'istante alla piena lucidità al primo segnale di pericolo, ma adesso entro ed esco da un dormiveglia opaco, greve, strascicato, da cui emergo solo a prezzo di grossi sforzi.

Fortuna che ci siamo entrambe riprese. Ho l'impressione di essere nell'arena da sempre, mi sento logorata dai disagi e dalla tensione continua. Pare di camminare in un forno. Qua e là si alzano ancora i fumi degli incendi causati dal laser, che ristagnano rendendo l'aria ancora più irrespirabile. Questo, insieme al progressivo alterarsi del ciclo giorno-notte, mi fa pensare che gli Strateghi vogliano accelerare i tempi di chiusura. Sapessero noi. Anche Codrina è esausta. Ha gli occhi cerchiati, e il viso, striato dalla polvere e dalla sporcizia, smunto. Ma non un lamento le sfugge di bocca, e si sforza di non dare a vedere la stanchezza. Quando giungiamo in prossimità della piazza, lei mi sussurra: “Vado a vedere”, e prima che possa fermarla parte rapida verso l'angolo della via che sbocca nel piazzale. Come immaginavo, questa zona sembra essere stata abbastanza risparmiata dal raggio. La vedo farmi un cenno, ma ha l'aria inquieta. Quando la raggiungo, capisco il perché: la strada è ostruita con una barricata di macerie, e sopra vi è una sorta di rete metallica. Ci avviciniamo, e scopriamo che si tratta di un complesso intrico di filo spinato, legato con una miriade di piccoli nodi.

“Qui c'entra quello del 4.” Dico, e Codrina annuisce, cupa. Facciamo il giro dell'isolato per imboccare la parallela, ma ci troviamo di fronte uno sbarramento analogo. Per entrare nella piazza non c'è che una sola strada agibile.

“Non mi piace...” Bisbiglia la mia amica scuotendo la testa, e non posso che essere d'accordo. Sa di agguato lontano un chilometro, ma che alternative abbiamo? La piazza d'altronde sembra deserta, e potremmo non avere un'altra occasione. Stappo la bottiglia e metto a punto la Molotov con un brandello della mia maglietta, ormai cenciosa e sfilacciata, inserito per metà dentro il collo del recipiente. “Coraggio, tu sali sulle macerie e stai di guardia. Io vado, lancio e torno.” Dico.

“Per favore, Kea, lascia che vada io. Tu non stai bene, non puoi correre forte.” Mi prega quasi e, forse inconsapevolmente, fa quegli occhi dolci a cui sa che non posso resistere.

“Non funziona, non ti guardo. Aiutami piuttosto ad accendere la miccia.” Le rispondo soffocando mio malgrado un sorriso. Non è certo difficile trovare, sotto le ceneri degli incendi, dei tizzoni ancora accesi, su cui premo lo straccio penzolante. Dopo qualche secondo, questo inizia a fumare e si infiamma. Partiamo al trotto, Codrina verso il cumulo di macerie, io verso quello di provviste. Quasi subito il fianco protesta, ma lo ignoro. Sto digrignando i denti, tutta la paura e la rabbia represse nelle ultime ore premono per uscire. Non vedo l'ora di lanciare, e veder divampare le fiamme. E in più cancellare il ricordo vergognoso della debolezza e dall'indecisione dimostrate alla clinica.

Il grido d'allarme di Codrina però mi fa tornare coi piedi per terra: giro la testa e li vedo. Hebi presidia l'unica via d'uscita, mentre gli altri, sbucati dal nulla, stanno correndo verso di me seguiti dal ragazzo del 4. Sento un'ondata di panico attraversarmi. Urlo: “Vai via, Codri!” e raddoppio gli sforzi. Ma sono troppo più veloci di me, e mi tagliano la strada. Devo fermarmi, la bottiglia in mano che continua a bruciare, le provviste lontane, troppo, per tentare il lancio, e Retia che si fa di fronte a me spingendo bruscamente da parte gli alleati.

Un'ultima carta balzana, disperata: aprirmi un varco accecandola con lo spray, e tentare di arrivare a portata dei viveri, prima che gli altri possano fermarmi. Per questo abbozzo un gesto che spero ingannevole. Ma quando estraggo la bomboletta e premo il pulsante, non ne esce che un sibilo smorzato, e un odore chimico. Il caldo ha fatto seccare la vernice all'interno. Resto con il barattolo a mezz'aria, e la mia faccia evidentemente sconcertata fa sbuffare uno sghignazzo nel junior dell'1. Per reazione, la scaravento contro il viso della Favorita, che però evita il colpo con un guizzo felino. Quando torna in posizione, mi sento davvero persa.

“Cosa pensavi di fare?” Ringhia, avanzando lentamente, il pugnale già sguainato. “Ora non mi scappi più.”

E' decisa a pareggiare i conti per la trappola dei mattoni, oltre che per tutte le figure da stupida che le ho fatto fare davanti a tutta Panem. E forse è proprio questo ricordo a provocarmi un'uscita assurda: “Perché, non sei buona a correre?”

Le vedo un lampo omicida negli occhi. Prima che possa saltarmi addosso, però, qualcosa ci distrae tutti. Una specie di tornado è uscito dall'imbocco della piazza, passando accanto a un impreparato Hebi, e sta venendo a balzi verso di noi. Vedo un ciuffo verde, e realizzo che si tratta di Absinth, carica di armi, con la katana nera a tracolla che ondeggia qua e là. Ma solo quando è vicina mi accorgo che dalla giacca le spuntano protuberanze e cavi, e lo sguardo le brilla di follia. Capisco al volo di cosa si tratti. Distretto 3: tecnologie, ed esplosivi. Mollo la bottiglia, faccio dietrofront, e mi do alla fuga. Sento i Favoriti gridare, e sparpagliarsi precipitosamente in tutte le direzioni. Corro serrando i denti, mi sembra di procedere al rallentatore, quando il mondo esplode. Lo spostamento d'aria è tale che mi scaraventa in avanti come un'onda d'urto, e mi manda a ruzzolare sul selciato assieme ai detriti. Mi rialzo barcollando stordita, le orecchie che fischiano, mani e braccia scorticate nella caduta. Dove prima c'era la montagna delle scorte, ora c'è un grande cratere fumante. Pezzi della pavimentazione giacciono a diversi metri di distanza, divelti. Anche la Cornucopia è collassata su sé stessa. Non perdo tempo a guardare altro, e raggiungo Codrina, illesa grazie alla distanza, e insieme ci allontaniamo. Abbiamo guadagnato una certa distanza, quando il cannone spara due volte. Chi è morto, oltre Absinth?

 


“Se è uno dei Favoriti, tutto il sistema di alleanze torna in discussione.” Sto riflettendo ad alta voce. “A ogni modo, ora sono senza cibo, questo però li rende anche più svincolati dal tenere una posizione. Noi dobbiamo andare a riempire borraccia con l'acqua, siamo rimaste quasi a secco.” Codrina mi sta medicando le escoriazioni con la pomata. Potrei fare anche da sola, ma la lascio fare, le piace fare l'infermiera. “E poi?” Mi chiede.

“Poi... Qualcosa faremo.”

Non so bene cosa, ormai le idee scarseggiano, ma Codrina ha fiducia nelle mie tattiche e non voglio assolutamente deluderla. Ma quando ci avviamo in direzione del silo, abbiamo l'ennesima, sgradevolissima sorpresa.

L'aria nel mezzo della strada che stiamo percorrendo è come tremolante, e ciò che si trova più in là appare sfuocato e indistinto, quasi fosse dietro a un muro trasparente. Anche l'antenna del raggio laser è una sagoma confusa in lontananza. Dapprima temo che l'esplosione mi abbia causato qualche danno alla vista, poi penso a un effetto del caldo. Ci avviciniamo, e sentiamo i capelli sollevarsi, come se l'aria fosse satura di elettricità. Ci fermiamo a poca distanza da quello strano fenomeno, perplesse e diffidenti. La mia amica prova a raccogliere un pezzetto di asfalto da terra, e a lanciarlo contro il tremolio. Non appena il frammento lo urta, rimbalza indietro provocando una fiammata azzurra crepitante. Sembra proprio un muro di elettricità ad alto voltaggio, che gira tutt'intorno al centro città, passando attraverso case e macerie. Ma che senso può avere? Ci arrivo all'improvviso: siamo rimaste solo noi due, e i Favoriti. E gli Strateghi stringono il cerchio per spingerci al finale. Il guaio è che così il silo dell'acqua è rimasto all'esterno. Dentro di me sto augurando loro di fare le peggiori fini, insieme a tutti i parenti almeno fino alla quarta generazione, ma mi sforzo di restare calma. Codrina però non ha certo bisogno di spiegazioni, e vedo la consapevolezza angosciata nel suo sguardo. Le stringo una spalla, mentre ci guardiamo in silenzio, e ci avviamo per tornare indietro.

 


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E.N.P.
Premetto che questo capitolo è nato torto, e non mi convince granché. Ma non è che potessi cavarmela con due manichini trinciatori, qui siamo gente seria.


Il cerchio si è stretto, e restano in scena solo i Vip: non manca molto (tranquilli)....
 

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Capitolo 20
*** La notte fuori e dentro me ***


Notte in cui tutti si erano perduti, avevano vissuto, avevano amato,

avevano lottato, si erano feriti, si erano adagiati nel sonno.

Avevano gridato. E avevano taciuto.

(S. Germain, “Il libro delle notti”)

 

 

Mentre camminiamo la mente continua a lavorare a ritmo febbrile. La spossatezza per gli eventi della giornata pesa addosso come piombo, e ora siamo costrette a razionare la poca acqua rimastaci. Quanti maledetti gradi ci saranno? Anche Codrina è più silenziosa del solito e trascina il passo. Le mie supposizioni trovano conferma quando irrompe l'inno nazionale, e nel cielo appaiono i volti di Absinth, e del tributo del 4. Non ci hanno pensato due volte, i suoi alleati, a mollarlo nel momento del pericolo. Non posso certo dispiacermene, dopo quello che ha fatto alla sua compagna di distretto. Le immagini scompaiono, e l'arena ripiomba nel silenzio. E va bene, cerchiamo di fare di necessità virtù. Respiro a fondo, e mi volto verso Codrina. “Codri, in questo momento i nostri quattro saranno ancora disorientati per la perdita delle scorte. Forse qualcuno è pure ferito. Lo so, siamo entrambe stanche e assetate, ma te la sentiresti di stringere i denti e tornare all'attacco ora, prima che si riorganizzino?”

Per un attimo ho l'impressione che stia per dire di no. Non potrei darle torto. Anzi, sotto sotto lo spererei, così potremmo riposarci un po'. Ma poi lei annuisce, ferma.

“Qual è il piano?”

“Te lo spiego subito.” Dico, facendo cenno di seguirmi.




Quando passiamo accanto al parco, il sole che si avvia al tramonto proietta lunghe le ombre degli alberi, tentazione seducente di fronte alle vampate roventi che salgono dall'asfalto. Anche Codrina le guarda con desiderio, ma il ricordo della pantegana gigante è ancora troppo vivido, e faccio finta di nulla. Anzi, passo dal lato opposto della strada.

D' un tratto noto qualcosa. A poca distanza dai resti dello scivolo su cui ho cercato invano riparo, c'è una massa per terra con una lunga coda glabra. Trasalisco, l'Ibrido è ancora là. Poi però mi accorgo che è in posizione riversa, e non accenna a muoversi. Solo il suo pelo si agita quasi formicolando. Faccio cenno a Codrina di non muoversi, e con la massima cautela mi avvicino, pronta alla fuga al primo segno di vita. Ma non ce n'è bisogno. La bestia è indubbiamente morta, gli occhietti infossati nella peluria sono fissi e opachi. Ciò che si muove, noto con repulsione, è un gran numero di mosche che le brulicano addosso ronzando. Ci sono tracce ematiche a terra, anche quelle coperte di insetti, e dal collo dell'ibrido spunta, in un grumo di sangue coagulato, la coda piumata di una freccia. A quanto pare i Favoriti l'hanno incontrato dopo la mia fuga, ma sono riusciti ad averne ragione. Bene, un pericolo in meno. Sto per andarmene, quando mi viene un'idea. Faccio cenno a Codrina, che mi raggiunga.

 

 

Preparare l'occorrente ci ha portato via un sacco di tempo. Ma tanto per ciò che ho in mente l'oscurità è l'ideale. Cerco di sgranchirmi le gambe irrigidite dalla posizione accovacciata, allungandole alternativamente senza alzarmi. Faccio una smorfia, il fianco ha ricominciato a dolere. Da dietro il muro mi arrivano le voci dei Favoriti. Sono a leccarsi le ferite tra le macerie del perimetro di uno dei palazzoni ai limiti della piazza. Nemmeno loro devono sentirsi più tanto al sicuro all'aperto. Tra poco poi, vedranno. Non mi illudo di riuscire a provocare loro grossi danni, ma intendo sfruttare fino in fondo il senso di vulnerabilità che deve avere infuso in loro l'attentato dinamitardo e la conseguente perdita delle scorte, e se possibile ingigantirlo fino all'esasperazione. Forse dopo questo non saremo più solo noi a sussultare a ogni pié sospinto.

Mentre la luce va scemando poco a poco alzo lo sguardo verso la postazione di Codrina, lassù nello scheletro del fabbricato cadente. Il crollo di metà dell'edificio che i Favoriti hanno eletto a loro riparo crea una sorta di finestra al piano superiore, esattamente sopra ai Nostri. E' da là che lei sgancerà la “bomba”. In realtà quel poco di soluzione di formaldeide e sostanze varie che ho potuto ricavare cercando in giro non è nemmeno lontanamente sufficiente per un vero ordigno chimico, ma l'effetto è garantito. Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria, penso mentre attendo il buio, che cala penosamente lento. La sete, ormai familiare, sta già tornando a farsi sentire nella bocca fastidiosamente secca. Prima di separarci io e Codrina ci siamo divise l'ultima acqua, calda, rimasta nel nostro sacchetto, aprendolo per suggere fino all'ultima goccia.

Il sole finalmente scompare, mi ritrovo a fissare il cielo scuro e opaco, privo di stelle. Forse per questo, forse per la sensazione di oppressione che provoca, mi torna in mente quel vecchio canto dell'antica rivolta:

E le costellazioni fanno il loro giro lentamente

Cosa nuova per me.

La nostra casa in fiamme,

E la città laggiù che crolla

Sotto un'altra guerra.... E io qui.

Mi coglie un'estemporanea voglia di intonarlo ad alta voce, di sentirlo riempire il silenzio con tutta la sua dolente malinconia.

Un bagliore caldo e tremolante attira la mia attenzione, facendomi tornare al presente. Hanno acceso un fuoco con questa temperatura infernale? Gongolo, quando ne intuisco il motivo: non vogliono rinunciare a vederci bene, ma senza consumare le batterie delle torce. Com'è, Favoriti, non avere più la vostra scorta illimitata di rifornimenti?

Faccio segno verso l'alto agitando un braccio. Intravedo appena una sagoma scura rispondermi, prima di sparire dalla vista. Incrocio le dita, sperando che funzioni. Dalle finestre del palazzo fuoriesce il chiarore scoppiettante. Per questo riesco a vedere un oggetto che dall'alto precipita giù, prima di scomparire all'interno e schiantarsi proprio sul falò con un rumore secco. Immagino le gocce di acido schizzare tutto intorno, liberando nell'aria una vampata di miasmi tossici.

Mi arriva un'esclamazione allarmata di non so chi, e vedo la luce oscurarsi per un attimo quando balzano su. Tra imprecazioni e colpi di tosse i quattro escono a precipizio dall'abitazione, e proprio come speravo si disperdono in direzioni diverse. Il junior dell'1, in particolare, va diritto verso il vicolo dove con Codrina ho piazzato la nostra sorpresa. Far rotolare la carcassa della pantegana fin qui è stata un'impresa quasi proibitiva, e abbiamo dovuto fermarci a riposare parecchie volte. Ho avuto cura di sistemarla in una posizione che sembrasse d'attacco, puntellandola con detriti raccolti qua e là, e vincendo il disgusto le ho scoperto i denti acuminati. Il junior scompare nel buio, e immagino l'effetto del faccia a faccia con l'Ibrido redivivo. Che infatti non si fa attendere. Un urlo strozzato, e il ragazzotto ricompare correndo alla velocità della luce in direzione opposta. Faccio appena in tempo a ferirlo superficialmente, quando mi passa davanti. Pensando di avere il mostro addosso si sbraccia e inciampa, rovinando per terra. Annaspa e gattona frenetico, prima di riuscire a rialzarsi e a sfrecciare via.
Lo lascio andare, altri passi stanno venendo dalla parte opposta. Una testa riccia appare alla luce della luna. Hebi. Rallenta la sua corsa, fino a fermarsi a poca distanza da me, mimetizzata tra le macerie, e si ferma a tossire. Mi dà le spalle, e ha addirittura lasciato scivolare la balestra. Perfetto, non potrei avere occasione migliore. Aggredirlo così, alle spalle, mentre è piegato in due per cercare aria, e accoltellarlo... Potrei farlo davvero? Mi dico che non è il momento dei dubbi, i suoi compari verranno presto a cercarlo. Non ho scelta. Se voglio uscire di qua con Codrina devo farlo. Lui lo farebbe, e senza troppi scrupoli. E allora forza. Trattengo il respiro. Il piccolo coltello mi trema nella mano. Poi però nel vicolo vicino risuonano i passi e le voci degli altri tre. Hebi, sollevato, raccoglie l'arma e va loro incontro. Dovrei essere seccata, ma provo solo sollievo. Allento la presa sul manico, anche se so che lo scontro è soltanto rimandato.

“Era là, è vivo.... Mi ha morso!” Sento dire al junior dell'1, concitato.

“Non dire idiozie, l'abbiamo ammazzato due giorni fa.” Questa è Retia.

“Forse ce n'è un altro.” Wolwerine.

“Va bene, ma muoviamoci.” Di nuovo lei. Ha fretta di venirci a cercare. Spariscono in direzione dell'Ibrido, e io mi affretto a tirarmi su. Non ci metteranno molto a scoprire la messinscena.

Prima di tornare da Codrina, però, mi resta il secondo obiettivo del nostro blitz. Il più velocemente possibile mi dirigo verso il riparo dei Favoriti, e vi penetro scavalcando un muretto. Tirandomi lo scollo della maglietta sul viso per proteggermi dalle particelle tossiche che ancora aleggiano nell'aria, mi avvicino ai loro oggetti superstiti, rovesciati per terra nella fuga e illuminati dal fuoco che va languendo. Mi accoscio e do un'occhiata. Ci sono un paio di barrette energetiche, che intasco. Poi vedo qualcosa di interessante. Sono le tozze frecce della balestra, raccolte in un piccolo fascio. Le prendo subito. Ora che sono rimasti a mani vuote, il junior del 2 senza munizioni sarà fregato. E non ci sarà bisogno di spargere sangue, almeno non nell'immediato.

Soddisfatta, mi risollevo, ed esco dal lato opposto. Mi affretto a fare il giro dell'edificio, per tornare dove io e Codrina ci siamo lasciate, ma quando giro l'angolo mi si gela il sangue. Wolwerine è salito al piano dove si trova lei. Di certo hanno scoperto il trucco, e stanno cercandoci. Si trova di fronte un sottile pannello in cartongesso, possibile nascondiglio, e lo ispeziona trafiggendolo con gli artigli della mano destra, e squartandolo come carta velina. E' a torso nudo, la luce della luna mostra brutte ustioni sulla schiena muscolosa, fasciate alla meglio con brandelli di stoffa forse ricavati dalla sua maglietta, non deve essere riuscito a sfuggire del tutto all'esplosione. Per un secondo mi fa balenare in mente la bellezza armonica di certe statue policletee, di cui ho visto le immagini sui libri d'arte classica.

Codrina non si vede, immagino sia nascosta in qualche anfratto, ma lui ci metterà ben poco a scovarla. Senza esitare corro verso la casa gridando, per attirare la sua attenzione. Lo vedo precipitarsi al bordo del pavimento crollato e affacciarsi, ma con mio grande orrore dalle macerie del piano terreno emergono gli altri, e pure nel buio sembrano localizzarmi in un attimo. Urlo alla mia amica di scappare dall'altra parte. Avverto dei rumori sordi, e la individuo mentre corre lungo l'aggetto, un paio di metri sopra la mia testa. C'è un fabbricato più basso in prossimità dell'edificio, abbastanza sotto perché lei possa calarcisi tramite il tubo della gronda, e poi saltare giù. Punto da quella parte e corro, le frecce ancora strette in mano. Un tonfo leggero e me la ritrovo accanto. Non ho la minima idea di dove andare, ora siamo in una serie di cortili interni in mezzo alle case dietro la piazza. Faccio per dirigermi verso la strada, ma Codrina piega bruscamente a sinistra, e sono costretta a tornare indietro per seguirla. “La buca!” Mi grida.

Sul momento non comprendo, quale buca? Poi afferro: sta dicendo di attirarli nell'ultima trappola che abbiamo preparato giorni fa, e a cui non pensavo neppure più. Fortuna che è rimasta dentro l'area delimitata dalla barriera elettrica. I passi dei nostri inseguitori rimbombano come mazzate su un tamburo, possiamo solo sperare che anche loro siano provati dalla scarsità di acqua. Dietro di noi il primo è il junior dell'1, deve bruciargli particolarmente la beffa della pantegana. Siamo al punto. Codrina salta, e io arrivata alla stessa altezza la imito, sperando di aver preso bene le misure. Pochi secondi dopo, alle nostre spalle si sente un forte rumore frusciante, in cui si confonde un urlo di sorpresa. Ci voltiamo giusto in tempo per vedere scomparire nel terreno il junior, che precipita nella buca coperta da un telo e mimetizzata con la polvere, cercando inutilmente un appiglio. L'urlo si spezza in tanti più acuti, e ripenso con una smorfia ai pali appuntiti che ho piantato sul fondo di quel pozzetto dopo aver sollevato insieme a Codrina il pesante tombino che lo copriva. “Non ti fermare!” Ansimo, vedendo che lei si è girata a guardare, e solo quando ha svoltato mi soffermo voltandomi indietro.

Gli altri tre sono fermi intorno alla fossa, mentre dal fondo salgono dei versi strozzati. Deve essersi ferito piuttosto seriamente, e, prima che possa impedirmelo, avverto una feroce soddisfazione. Hebi si fa avanti, imbracciando la balestra. Evidentemente non sono riuscita a prendergli tutte le frecce, doveva averne una scorta con sé. Senza una parola si affaccia sul pozzetto, e, prima che il senior dell'1 possa impediglielo, scocca. Un sibilo, che riesco a sentire anche a questa distanza, e i lamenti sul fondo si interrompono. Wolwerine resta interdetto per un attimo, e gli è fatale. Privata del suo potenziale alleato, Retia non ha più ragione di continuare la collaborazione con lui, senior e suo diretto concorrente. Un gesto fulmineo, e Wolwerine si ritrova a guardare il pugnale conficcato fino all'elsa nel suo addome. Cionondimeno tenta una reazione, serrando le labbra allo spasimo nel tentativo, inutile, di trattenere un mugolìo gutturale. Alza scompostamente una mano, ma le lame non escono. Retia torce l'arma, e la estrae con violenza. Il sangue, bluastro nella luce lunare, semina di gocce il terreno. Lentamente, il ragazzo dagli artigli di lupo si accascia, stringendosi lo stomaco dilaniato. Cade in un segmento di terreno illuminato, e vedo bene il suo volto. Ho visto abbastanza, e mi volto per raggiungere Codrina, negli occhi ancora il suo sguardo, privato per la prima e ultima volta della sua freddezza. Due al prezzo di uno.

 

 

Codrina sembra parlare fra sé, lo sguardo fisso sui muri scrostati. “Siamo rimaste solo noi, e loro del due....”

Annuisco distrattamente. Questo seminterrato sotto un edificio cadente è stato una vera benedizione. Non sarà del tutto sicuro, ma almeno qua sotto la temperatura è leggermente più clemente, e nel buio possiamo quasi illuderci di stare al fresco. Mi sforzo di mandare giù qualcosa da mangiare, a secco, la bocca impastata, prima di crollare accanto a lei.

“Secondo te ce la possiamo fare davvero?” Il suo è poco più di un mormorio, ma ha lo sguardo animato da una luce nuova, pur attraverso il velo di stanchezza.

“Sai? Forse sì.” Rispondo. Pazzesco. Ma chissà che non sia vero.



 

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E.N.P.
Ovvìa. Mica sarà così semplice, però. Per il prossimo giro, si consiglia (caldamente...) di prendere da bere.

 

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Capitolo 21
*** Fra la roccia non si può né fermarsi né pensare ***


Pareva che andassero a sud. Il sud è dove il sole

all’ora di mezzogiorno proprio ti sta davanti. [..]

(B. Brecht, “Poesie e canzoni”)


 

 

 

Ci piombano addosso all'improvviso, silenziosi, letali. Non ho sentito nulla, la stanchezza mi ha ottuso i sensi. E ora mi ritrovo il pugnale di Retia a un millimetro dagli occhi. Ma quello che mi paralizza è vedere Codrina immobile, pietrificata dalla paura, con Hebi che la sovrasta soddisfatto. Il terrore mi corre nelle vene come neve di ghiacciaio sciolta, vorrei supplicare che la lascino andare, pur sapendo benissimo che è inutile, ma la voce non esce. Hebi, che stranamente non ha in mano la sua balestra, bensì gli shaken di Absinth, ne solleva uno. Poi lo scaglia contro Codrina con tutta la forza che ha. Non vedo sangue uscire dalla ferita, ma so che è profonda, e lei si raggomitola cercando istintivamente di ripararsi. I suoi occhi terrorizzati mi cercano, ma sono terribilmente impotente, e non posso fare altro che assistere in preda all'orrore. E' stato tutto inutile, ho fallito. E ora non mi resta che guardarla morire. Mentre Retia la finisce a pugnalate mi sento come se mi stessero strappando via il cuore. Finalmente qualcosa dentro me si spezza per sempre, e mi sento urlare da squarciare la gola, pazza di dolore. Poi tutto si fa incerto.

“Kea...!” La sua voce mi arriva da lontano. Sbatto gli occhi confusa. Il locale desolato attorno a noi riprende consistenza nella luce rosata dell'alba che penetra dalle finestre in alto, e così il duro pavimento sotto di me. Codrina è qui accanto a me, che mi fissa spaventata, ma indubbiamente viva. Mi tiro su ansimando, e per poco non ricado subito giù per la debolezza, ma pure per il sollievo. Le immagini dell'incubo però sono ancora vivide, e il cuore mi galoppa nel petto. “Niente, niente, tutto ok...” La rassicuro, mentre mi tranquilizzo poco a poco. Non mi chiede cosa ho sognato, non c'è bisogno di fantasia per immaginarlo.

La notte non può essere durata più di un paio d'ore. Fatico a raccogliere le idee e mi sento indolenzita ovunque dopo il volo di ieri. Anche Codrina ha gli occhi spenti, e rimane seduta sull'impiantito polveroso, le ginocchia al petto. L'urgenza improcrastinabile di trovare acqua si ripresenta prepotente. Avverto la lingua gonfia, e le labbra spaccate rendono fastidioso anche parlare. Mi alzo mentre il sole spunta all'orizzonte e spezzo le frecce rubate a Hebi, una ad una, con forza, in una sorta di rito liberatorio, ma continuo a sentirmi insopportabilmente spiazzata. Finora sono sempre riuscita a tirare fuori una soluzione ad ogni ostacolo, stavolta però non so davvero che pesci pigliare. Sbircio il cielo già bianco e arroventato come metallo al punto di fusione, sperando vagamente di vedervi una nuvola. Che spettacolo pensano che possiamo offrire gli Strateghi, se moriamo tutti di sete? L'unico posto con l'acqua, che io sapessi, era il centro commerciale, ma anche quello è rimasto tagliato fuori dal muro elettrico. Possibile che ci sia dell'acqua nascosta da qualche altra parte? Ripasso per l'ennesima volta tutti i posti che conosco dell'arena, ma da nessuna parte mi sembra di aver notato indizi. Siamo in un vicolo cieco. Forse potremmo provare comunque a dare un'occhiata in giro. Di certo, più aspettiamo e più la temperatura sale, e la sete con lei.

 

Il guerrigliero […] deve poter compiere sempre ancora un gesto, traendolo dalla convinzione che potrà poi compierne ancora un altro, fino a raggiungere la meta. In realtà avrei solo voglia di gettarmi a terra in qualche scampolo d'ombra che ripari almeno la testa e restare così, dando riposo agli occhi abbacinati dalla luce e indifferente a tutto il resto. Camminiamo a passo di lumaca tra i palazzoni diroccati e anneriti, rigirandoci in bocca un sassolino: un espediente per attenuare il senso di sete producendo saliva, che ricordo di aver letto in un libro scritto da un montanaro del distretto 7.
Ho scarsa fiducia in questa perlustrazione, ma non so davvero che altro fare. La responsabilità mi grava addosso più della cappa di caldo. La cosa peggiore della sete, scopro, è l'ossessione che provoca per l'acqua. E' anche peggio della fame. Per quanto ci si sforzi di escluderne il pensiero, questo ritorna continuo, assillante, insopportabile. Sembra in continuazione di sentirne la sensazione liquida e fresca nella bocca riarsa, lo sciacquìo morbido nelle orecchie, persino l'odore umido e invitante. Credo che in questo momento mi getterei senza ritegno anche sull'acqua proveniente da una fogna. Individuiamo una tubatura semisepolta tra le macerie, ma dopo un lungo e tedioso lavoro per forzarla dentro troviamo solo polvere. Il sole è allo zenit, e l'arena intera, priva di ombre, sembra un miraggio tremolante sotto i suoi raggi.

“Dovremo per forza tornare verso il centro commerciale,” borbotto “magari c'è un modo per aggirare la recinzione... Ci deve essere.” E se non c'è, lo creeremo. Non mi interessa la presenza dei manichini killer. Non possono essere peggio di questo tormento. Sto ancora parlando, quando mi rendo conto che Codrina non mi è accanto. Mi volto, e il cuore salta un battito. E' poggiata al muro di una casa, e si stringe una gamba con entrambe le mani. La raggiungo di corsa. “Codri, cos'hai?”

E' rossa in viso, gli occhi sottili ridotti a fessure. “Le gambe... Ho dei crampi fortissimi...” Le sfugge un gemito. “Non riesco a camminare.”

La faccio sedere per terra, lo stomaco stretto nel vederla contorcersi per il dolore. “Stai tranquilla, ora passano.” Provo a dire, accosciandomi accanto a lei, ma il rossore del volto mi fa venire un brutto sospetto. Le poggio una mano sulla fronte, la pelle è caldissima. Ricordo perfettamente la pagina dell'enciclopedia medica alla voce “colpo di calore”, i sintomi corrispondono. “Dobbiamo andare in un posto più fresco, ce la fai a tornare al seminterrato?”

Lei annuisce, e io la aiuto a rialzarsi. Cerca di mostrarsi forte, ma dopo pochi metri è di nuovo ferma, piegata in avanti. Non c'è tempo da perdere, la devo portare all'ombra. Mi metto di spalle davanti a lei, mi faccio mettere le braccia intorno al collo e me la carico sulla schiena. Ma quando cerco di raddirizzarmi le gambe mi vengono meno, barcollo e a momenti cado in avanti sull'asfalto bollente. Andiamo bene, penso. Ma non posso permettermi di essere debole, non posso e basta. Serrando i denti mi costringo a tirarmi su, e muovo i primi passi, attenta a non sbilanciarmi. Fortuna che non è troppo lontano.

Strada facendo parlo a vanvera, cercando di tranquillizzare me stessa prima ancora che Codrina. Il suo respiro affannoso moltiplica le mie forze, ma quando finalmente arriviamo al nostro rifugio vedo danzare ombre nere davanti agli occhi e devo aspettare un attimo, prima di far stendere la mia amica sul pavimento di cemento. Non sarà fresco, ma almeno, sottoterra, il calore infernale è un po' smorzato. Le sistemo lo zaino sotto la testa, l'aiuto a togliere le scarpe e tento di farle vento alla meglio.

“Come ti senti?” Le chiedo dopo qualche minuto.

“Un po' debole... Ho la nausea.” Mormora.

Un po' debole, minimizza persino ora, penso con tenerezza. Poi mi però mi nasce un sospetto. “Quando abbiamo finito la borraccia, ieri... Hai bevuto veramente?” Le chiedo, fissandola. Sul momento non ci ho fatto caso, ma ora mi torna in mente la solerzia con cui mi restituito il contenitore, un po' troppa.

“Solo un poco...” Confessa. Di fronte alla mia espressione, si affretta ad aggiungere: “Tu ne avevi più bisogno, fai sempre tutte le cose più rischiose... Volevo fare qualcosa io per te.”

Vorrei dirgliene quattro e anche otto, ma come potrei? Tutta l'arrabbiatura svanisce come acqua al sole di fronte a un gesto del genere. “Codri...” Scuoto la testa, non trovo le parole. Ci rinuncio. “Non ci riprovare, o la prossima volta ti strozzo. Ora non parlare, non ti devi sforzare.”

Le faccio una carezza con la scusa di sentirle di nuovo la fronte: scotta. So cosa ci vorrebbe. Ma non ne abbiamo neppure una goccia. Mi sento terribilmente impotente. Penso agli sponsor, sono gli unici che ci possono soccorrere.

“Elder... “ Invoco “Ci serve un po' d'acqua.” Alzo gli occhi verso l'esterno, e nella voce mi sento tutta l'urgenza. “Per favore... Non per me, per lei! Faccio quello che volete, tutto. Ma tu mandaci un po' d'acqua!”

Attendo, ma non accade nulla. Sto sprofondando nello sconforto, quando percepisco un suono elettronico a intermittenza. Poi qualcosa atterra con un fruscio fuori dalla finestrella del seminterrato. Euforica, corro fuori.“Codri, abbiamo l'acqua!” Esulto, ma quando tiro su il piccolo paracadute mi ritrovo in mano qualcosa di pesante, lungo e stretto. Sfilo il rivestimento di stoffa, e fisso la katana nera, del tutto simile a quella che aveva con sé Absinth alla sua irruzione. Lo sconcerto si trasforma rapidamente in rabbia. Mi prende in giro?
“Avevo chiesto acqua!” Mimo con veemenza il gesto di bere. “Codrina sta male! Cosa me ne faccio di questa?!? Ci scavo per terra finché non trovo l'acqua? O è un suggerimento ad ammazzarsi tutte e due???” Sto praticamente urlando, e la voce mi si è fatta stridula. Aspetto, ma naturalmente non c'è risposta. Rientro furibonda, e più disperata di prima. Getto in un angolo la spada, che rotola con un rumore metallico. Deve essere costata una cifra astronomica, ma in questo momento non me ne può fregare di meno. Cerco il coraggio per dire a Codrina cosa abbiamo ricevuto, e soprattutto che di acqua non ce n'è nemmeno l'ombra.

“Attenzione, tributi.” La voce amplificata di Templesmith rompe il silenzio, facendomi sobbalzare. “Sappiamo che vi trovate, come dire... Un po' a secco. Quindi vogliamo offrirvi un'opportunità di rinfrescarvi. Alla Cornucopia è già pronto un brindisi alla vostra salute. Ma dovete affrettarvi, le bevande non basteranno per tutti... Non tardate, e possa la fortuna essere sempre a vostro favore.” La voce tace. Ora è chiaro a cosa mi servirà la spada.

 

“Kea, non andare. Adesso mi passa.” Codrina ha la voce impastata, ma ha capito perfettamente la situazione. Mi inginocchio accanto a lei e le stringo delicatamente una mano tra le mie. La pelle è secca in modo allarmante, quasi rugosa in certi punti, deve essere più disidratata di quanto non credessi. Come ho fatto a non accorgermene prima?

“Codri...” Tiro un respiro profondo. “Abbiamo bisogno di quell'acqua. Senza, moriremo tutte e due. E non siamo arrivate fin qui per fare questa fine. Mi tocca lasciarti sola un'altra volta, ma solo per poco. Tu intanto stai tranquilla, e cerca di dormire un po', d'accordo?” Lei non risponde, e le leggo l'angoscia negli occhi. “Ci saranno gli altri due...”

Sento un'ondata travolgente di affetto, e penso che non c'è Favorito che in questo momento non affronterei. “Non ti preoccupare: Elder ci ha mandato questa,”e faccio segno verso la katana “per cui quei due faranno bene a girare al largo. E poi, ho promesso o no di fare di tutto per riportarti a casa? E allora mi tocca tornare per forza.”

Mi chino per abbracciarla, le do un bacio sulla guancia e le sussurro all'orecchio “ti voglio bene”. Quindi mi sciolgo a malincuore, raccolgo la spada e infilo rapida le scale.

 


Camminando il più velocemente possibile arrivo in prossimità dell'ormai familiare piazza. Vorrei correre, ma le gambe sembrano pesare più del piombo, e non voglio consumare tutte le energie residue, soprattutto in vista di uno scontro. In realtà la sicurezza che ho ostentato con Codrina è piuttosto labile, ma mi basta pensare al suo viso provato per avvertire un senso di feroce determinazione. Ho detto che le porterò quell'acqua, e se “quei due” si metteranno nel mezzo, peggio per loro. Aggirate le strade sbarrate, mi affaccio con cautela all'angolo.
A sei o sette metri della Cornucopia semidistrutta è comparso un grande cubo di granito scuro, coronato da una tettoia metallica. Sul cubo, riparata dall'ombra, troneggia un'enorme borraccia. Nella piazza nulla si muove, ma posso ben immaginarmi cosa succederà non appena uscirò allo scoperto. Di certo i due compari stanno aspettandomi in agguato dietro a ciò che resta della Cornucopia, come prima. Ma non posso permettermi di indugiare. Tenendomi pronta a sfoderare la spada, mi approssimo alla struttura. Mi addosso alle pareti di metallo bollente. Lentamente, la mano serrata fino a sbiancare sull'impugnatura della katana, guardo dietro alla Cornucopia. Nessuno. E se stessero facendo il giro per prendermi alle spalle? Mi volto, pronta a scattare. Ma tutto tace, e mi rendo conto di essere sola nella piazza. A meno che....
Con circospezione, mi avvicino al grande cratere creato dall'esplosione di Absinth, e sbircio dentro ingobbendomi per timore che da là possa partire una freccia. Ma non vedo altro che polvere e detriti. Dove sono finiti quei due? Forse sono stati trattenuti da qualcosa. Ottimo, tanto meglio. Corro al cubo e afferro la borraccia. Lo sciaguattìo che viene da dentro mi rende impossibile resistere, ne svito il tappo e bevo a lunghi sorsi. La sensazione è paradisiaca, l'impressione di benessere indescrivibile, e devo obbligarmi a smettere. Non resisto però al desiderio di passarmi la mano sul viso e tra i capelli impiastrati di polvere e sudore, dopo averla bagnata premendola contro l'imboccatura, in modo da disperdere meno acqua possibile. Ne rimane comunque una grande quantità, e richiudo bene il recipiente. Mi sento rinata, e mi rimetto in marcia con un senso di euforia. Forse possiamo davvero farcela. Finora mi ero proibita di confidarci davvero, ma adesso sento la speranza che mi scorre nelle vene, fresca e meravigliosa come l'acqua di un attimo fa. Ora di corsa da Codrina.

Attraverso la piazza e imbocco la via del ritorno. Sto immaginando già la gioia della mia amica nel ritrovarci, il suo piacere nel potersi finalmente dissetare. Per l'impazienza accelero il passo fino a un piccolo trotto. Ora mi sto approssimando alla barriera elettrica. Di là, basterà piegare a sinistra, e percorrere poche altre strade. Sento l'elettricità permeare l'aria, mentre svolto l'angolo, tenendo sotto controllo il tremolio dell'aria. Ma quando torno a voltare la testa in avanti, qualcosa riempie completamente il mio campo visivo. Poi tutto esplode in una dolorosa miriade di lampi colorati.

 

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Capitolo 22
*** La lama buona è mia ***


...sarà la compagnia malvagia e scempia
con la qual tu cadrai in questa valle

che tutta ingrata, tutta matta ed empia
si farà contr' a te; ma, poco appresso,
ella, non tu, n'avrà rossa la tempia.

(Dante, XVII Paradiso)

 

 

Boccheggiando, mi tengo una mano sulla faccia dolorante, mentre recupero poco a poco la vista. Vedo solo il cielo sopra di me, e realizzo di essere a terra, tra la polvere della strada. Sento in bocca uno sgradevole sapore metallico, e le labbra mi pulsano dolorosamente. Poi contro il cielo si staglia un volto ben noto. “Che c'è, non sei buona a correre?” Mi fa il verso, beffarda, Retia.

Un'ondata di adrenalina mi invade, mentre mi tiro indietro strisciando sulle mani, per poi girarmi di lato, cercando a tentoni la spada che ho lasciato andare nella caduta. E' poco più in là, e mi ci tuffo veloce, tentando di non barcollare mentre mi rimetto in piedi. Retia non si è mossa dal suo posto, e mi fissa con il suo sorriso di scherno, palleggiandosi il pugnale da una mano all'altra. Sfodero la katana e la punto verso di lei, ma le mani mi tremano. All'improvviso ogni baldanza è scomparsa, lasciando il posto a una paura gelida, schiacciante, paralizzante. La spada, così rassicurante fino a poco fa, sembra diventata inutilmente ridicola, come un giocattolo in mano a un bambino, e non riesco a formulare un solo pensiero coerente. Retia impugna la sua arma, senza fretta. Pare divertita dal mio tentativo di reazione. Fa un passo in avanti, e io automaticamente due indietro, ma l'aria pungente che promana dalla barriera elettrica mi sbarra la strada. La Favorita abbozza una risatina. “Qualcuno è un po' nervoso, pare...”

Cosa farebbe Torio in una situazione del genere? Non ne ho la più pallida idea. Poi una reminescenza confusa. “Occorre sfruttare la lunghezza della propria arma contro quella dell'avversario. Avvicinarsi se si ha l'arma corta, tenere le distanze se si ha una lunga.” Devo tenerla lontana, evitare in ogni modo che mi entri nella guardia.

Ma non ho neppure finito di pensarlo, che lei scatta. Tento di togliermi dalla sua traettoria, e contemporaneamente di portare il colpo riguadagnando la distanza, ma i riflessi rallentati dalla stanchezza non mi permettono la rapidità necessaria, e la mia lama fende il vuoto fischiando. Non così la sua, che non riesco nemmeno a vedere, tanto è fulminea. Ma sento l'arma saltarmi letteralmente via dalle mani, e la spada inviatami dalla mia mentore finisce con un clangore a un paio di metri di distanza. Non ho neppure il tempo di sentirmi sgomenta, perchè Retia mi arriva contro come un uragano, travolgendomi, e roviniamo entrambe a terra. Nel panico più totale cerco di reagire, colpendo alla cieca, ma la mia avversaria mi sovrasta, e nella caduta ho gettato d'istinto una mano indietro, col risultato che ora ho la destra bloccata sotto di me. Con la sinistra le afferro la mano armata, ma lei si libera con uno strattone, e mi inchioda il polso a terra. In pochi attimi mi ritrovo immobilizzata, come nell'incubo. Stavolta però è tutto vero. Mi dibatto freneticamente, ma Retia è davvero forte, troppo.

“Penoso...” Sussurra. Il suo viso è arrossato per il caldo e lo sforzo, e la voce appena affannata, ma sorride compiaciuta, e mi appare invulnerabile. “Pensavi davvero di vincere? Che sciocca...” Scuote la testa.

Il suo scherno, con mia grande stizza, mi fa sentire davvero stupida. Tutte le mie teorie sulla guerriglia, sul vincere con la strategia e l'inganno, mi sembrano improvvisamente chiacchere vuote, pietose illusioni per nascondere la fine inevitabile che sto per fare, e che era scritta fin dall'inizio. Mi preparo a veder calare il colpo fatale, ma Retia non ha nessuna fretta, ha tutte le intenzioni di godersi il suo trionfo.

“E la tua “sorellina”? Dov'è?”

“Lo vengo a dire a te, dov'è!” Ansimo rabbiosa, ma lei fa un cenno di noncuranza, e prosegue sogghignando. “Tanto è solo questione di tempo. Il mio junior sta andando a prendere qualcosa da mangiare; poi, con il cibo e la tua acqua, avremo tutto il tempo che vogliamo per cercarla. Non può certo essere lontana. Dopo aver fatto fuori te, la scoveremo, e le taglieremo la gola. Oppure la useremo come bersaglio per il tiro a segno, che ne dici?”

Cerco dentro di me le forze che una simile agghiacciante prospettiva dovrebbe darmi, ma la magia della fiamma stavolta non sembra funzionare. Tento furiosamente di divincolarmi, ma Retia mi pianta un ginocchio sul fianco non ancora guarito, mozzandomi il respiro.

“Intanto pensiamo a te. Hai sentito cosa ho promesso alla Cornucopia, vero? Che avrei offerto ai nostri spettatori qualcosa di indimenticabile.” Sorride ancora, mostrando i denti perfetti. Gira il pugnale, traendone un barbaglio argenteo. “Hai qualche preferenza su dove cominciare?”

La rabbia impotente lascia il posto al terrore, e mi agito ancor più disperatamente nel tentativo di togliermela di dosso. Nel farlo avverto qualcosa di duro contro la gamba, e all'improvviso realizzo di avere ancora il coltellino in tasca. Un barlume di speranza. Se solo riuscissi a liberare una mano....

“Intanto però non siete mai riusciti a prenderci. E nella trappola ci sei caduta.” Non ho idea di cosa stia dicendo, ma devo farla parlare in tutti i modi, e non trovo di meglio che punzecchiarla. “Allora, chi sono gli sciocchi?”

Lei accenna una smorfia di stizza. “Avremmo dovuto togliervi di mezzo subito, è vero.” Sibila. Mentre parliamo, io sto lavorando per disincagliare il braccio schiacciato sotto di me. Il guaio è che Retia mi preme addosso con tutto il suo peso, e poi non posso muovermi troppo perchè non si accorga di ciò che sto cercando di fare. “Siete state anche troppo fastidiose per due nullità come voi. Ma non importa. Rimedio adesso.” Un movimento improvviso, sottile, e la guancia mi brucia come il fuoco.

“Potresti non vederlo mai quel cibo!” Esclamo alla disperata.

Lei si blocca, aggrottando le sopracciglia. “Che vuoi dire?”

Raddoppio gli sforzi, ci sono quasi. “Ti fidi del tuo compare? Io farei attenzione, visti i precedenti. Quando ci ho parlato non era granchè contento di farti da schiavetto, altro che amico...” Vedo un lampo di sospetto nei suoi occhi, e proprio in quell'istante sento l'aria sulle dita sudate della mano destra. “E' andato a prendere il cibo, dici: che ne sai che in questo momento invece non sta prendendo la mira?”

Lei solleva di scatto la testa, e per un attimo sembra volersi voltare. Poi però recupera il sorriso, sprezzante più che mai. “E tu avresti tradito così la tua amichetta adorata per allearti con lui? Ma figuriamoci...”

Abbandondando ogni cautela, tuffo la mano nella tasca. Avverto sotto le dita il metallo, ma per un orrendo momento il coltello sembra impigliato. “E' inutile che ci provi.” Retia avvicina il pugnale, lenta, inesorabile. E non resiste a un'ultima frecciata. “Qui i tuoi paroloni non servono proprio a nulla, vero?”

“VAI, CODRI, ORA!” Urlo con tutta la voce che ho, rivolta al nulla dietro di lei. Si volta di scatto, e io tiro fuori la mia arma con uno strattone. Non ho tempo di aprire la lama del coltellino, per cui mi limito a piantarle il punteruolo nella gamba, con tutta la forza che mi è consentita dal poco slancio. Retia ruggisce di rabbia, prima ancora che di dolore, e lascia la presa sul mio polso. Con un veloce movimento deciso riesco a sfilarmi da sotto di lei, e spingerla via. Sono libera, e il terrore provato ora è di nuovo rabbia, e furente determinazione, come mai ho sperimentato nella mia vita. Mi rialzo, e quello che succede dopo è estremamente confuso. So solo che mi lancio contro Retia per colpirla disordinatamente in ogni modo possibile, senza badare al dolore provocato delle sue reazioni, e al suo “Ti ammazzo!” che mi suona distante e quasi irreale. A un certo punto ci troviamo di fronte, entrambe ansanti. Avverto i capelli muoversi leggermente per la vicinanza al muro di elettricità. Lei raccoglie la sua arma, e mi scaglia contro di me ringhiando. Non so come accade, ma so che un attimo dopo l'ho scaraventata con tutte le mie forze verso la barriera, sfruttando il suo slancio, e bloccandole la gamba più avanzata così da costringerla a cadere. Lei compie un'ampia capriola fermandosi a pochissima distanza dall'ostacolo, e si rialza agilmente. Ma per farlo deve portare una mano in avanti, ed è quella con cui tiene il pugnale. Basta un attimo. Un lungo, violentissimo lampo azzurro che sembra partire dal muro invisibile verso la punta della lama, una pioggia di scintille, e Retia resta assurdamente eretta tra le convulsioni per qualche secondo, per poi crollare a terra. Un sottile, penetrante fumo si diffonde nell'aria, ma ancor più un orribile odore di bruciato. Qualche altro spasmo, prima che la senior del 2 resti immobile, un lembo della maglietta che brucia lentamente. Neppure io riesco a muovermi, anche se sto tremando come una foglia. E resto stordita a fissare il cadavere della mia avversaria, il respiro che va pian piano normalizzandosi, combattuta tra una selvaggia euforia e il disgusto per ciò che ho appena fatto; finchè lo sparo del cannone non mi riscuote. Solo allora mi volto, e camminando lenta torno a raccogliere la borraccia e la spada, che rinfodero prima di avviarmi.

 

 

Sono salva. Sono salva, mi ripeto, ma questo non mi dà alcuna gioia. Perchè mi ci è voluto poco per rendermi conto dell'errore madornale che ho commesso. Io sono in salvo, ora che Retia, l'ultima senior oltre a me, è morta; ma Codrina no. E adesso mi allontaneranno dall'arena, e lei resterà sola, contro quel serpente velenoso del junior del 2. Strano che ancora non si sia sentito nulla. Ma non posso preoccuparmene ora, Codrina sta aspettando l'acqua. Scendo le scale del seminterrato. Il cuore mi dà un tuffo quando la vedo sdraiata nello stesso luogo dove l'ho lasciata, con gli occhi chiusi. Ma quando mi avvicino percepisco il suo respiro sommesso, sta semplicemente dormendo. Con i tratti rilassati sembra più piccola di quel che è, ma già si intravede la bella ragazza che diventerà. La sveglio con delicatezza. Sbatte le palpebre e sembra confusa, ma poi gli occhi le brillano di gioia. Le mostro la borraccia sollevandola, trionfante. “Brindisi?” Cerco di sorridere, ma le labbra tirano sgradevolmente.

“Ce l'hai fatta!” Mormora contenta.

“Perchè, ne dubitavi?” Chiedo con tono finto risentito, svitando il tappo, e porgendole il recipiente.

Ma lei mi sta fissando in volto. “Che ti è successo?”

Mi rendo conto che devo assomigliare a un punching ball dopo un allenamento di Wolwerine. “Niente di grave. Bevi. Stavolta sul serio, eh!”

Si tira su, e la aiuto a sorreggersi mentre beve avidamente. Le faccio fare delle pause perchè non rischi una congestione, ma alla fine ha un aspetto decisamente migliore. “Ma quindi quel colpo di cannone....? Credevo di stare sognando...” Chiede tornando a distendersi.

“Retia.” Mi limito a dire. Lei non chiede, e io non aggiungo altro.

“Avrei voluto aiutarti...” Dice quasi fra sé, e io la rassicuro.

“L'hai fatto, anche se non c'eri.”

Ma Codrina viene colta da un altro pensiero. Si puntella sui gomiti, ed esclama: “Ma allora... Tu hai vinto! Devi andare alla Cornucopia.”

Io però scuoto la testa. “Io non ho vinto. Avrò vinto solo quando anche tu potrai uscire di qua.”

Lei fa per dire qualcosa, quando dall'esterno arriva un cupo ronzio, seguito da una forte folata di vento che smuove l'aria bollente. Ho un sobbalzo, come temevo gli Strateghi non ammettono cambiamenti di programma. Ma io neppure. Balzo su e mi metto a raccogliere rapidamente le nostre cose. “Forza, andiamo via di qua.”

Poi però un pensiero mi fa esitare. Finché ho questo dannato localizzatore inserito nel braccio, mi rintracceranno ovunque vada. Mi viene la nausea al pensiero, ma bisogna che me ne liberi. “Codri,” dico “ho di nuovo bisogno di te.”

 


------
E.N.P.

Tutto questo rumore per avere la spada, e poi.... Il Ser mi verrà a cercare, se non spiego il perchè di questa figura cacina della Nostra. Keana, ormai si è capito, è una secchiona sostanzialmente imbranata nelle cose pratiche. E soprattutto normale. Potrebbe essere la vicina di pianerottolo di uno dei lettori (?). Per quanto mi stuzzicasse, trasformarla nella Sposa di Kill Bill avrebbe mandato in vaccata l'intera faccenda. E allora tocca fare quel che si può. Comunque gli amanti del crudité si rassicurino: prossimo capitolo (e gran finale) in arrivo...



 

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Capitolo 23
*** I morti non sono che immagini ***


L'orrore del reale è nulla contro l'idea dell'orrore.

I miei pensieri, solo virtuali omicidi, scuotono la mia natura di uomo;

funzione e immaginazione si mescolano;

e nulla è, se non ciò che non è.

(W. Shakespeare, “Macbeth”)

 

 

Le spiego cosa deve fare, e lei impallidisce. “Ma non l'ho mai fatto....”

“Non è vero. Ti ricordi quando c'è stato quell'incidente alla centrale Tre, e tua mamma è stata chiamata per il soccorso agli operai feriti? C'eri anche tu, e so che l'hai aiutata a togliere diverse schegge. E' la stessa cosa. Io taglio, e tu cerchi di estrarre il chip. Abbiamo ancora un po' della pomata, vero? Ce la faremo bastare.” Ribatto.

Ci mettiamo in un angolo del seminterrato non visibile dall'esterno, le do il coltellino e preparo un po' d'acqua nel tappo della borraccia. Devo essere pallida come un morto, e ho il respiro corto all'idea di cosa stiamo per fare, ma non c'è tempo di indugiare. Recupero il rivestimento di stoffa della katana, lo arrotolo, facendomi aiutare a legarlo stretto attorno al braccio, in un improvvisato laccio emostatico; e stringo tra i denti un brandello della maglietta. Estraggo la spada, la spolvero velocemente con l'acqua, mentre Codrina fa lo stesso con il coltellino, e mi metto in modo che lei, mancina, possa operare senza impedimento. Poi mi costringo ad avvicinare l'arma all'avambraccio sinistro. Il reticolo di vene e capillari è visibile sotto la pelle pallida, attorno alla piccola massa scura del chip, e per un momento credo di non farcela. Ma poi vedo quanto la mia amica sia concentrata e fiduciosa, anche se tesa, e penso che esitare non mi aiuterà.

Rapidamente, faccio scorrere la lama sulla pelle. E' affilata come un rasoio, e dopo un attimo il taglio si colora di rosso scuro. La fitta è lancinante, e devo poggiarmi alla parete. Lascio cadere la spada, e mi afferro il braccio, mentre Codrina si appresta con il coltello. Credevo che il dolore fosse già micidiale, ma quando affonda la punta nella carne e inizia a cercare di mettere allo scoperto il chip ho davvero paura di non riuscire a reggere. Serro i denti sulla stoffa, ma mi sfugge lo stesso un urlo soffocato. Vedo Codrina sbiancare, per fortuna l'esperienza acquisita accanto alla madre non le viene meno, e continua con fermezza nel suo compito. Purtroppo non ho inciso abbastanza, e lei deve approfondire il taglio, mozzandomi il respiro. Stringo con tutte le mie forze la presa sull'avambraccio, cercando di tenerlo fermo, quando invece vorrei solo strappare via tutto. Cerco di distrarmi pensando confusamente alle citazioni che so sul dolore, poi contando in tutte le lingue che conosco, ma il pensiero che non posso farcela oltre prevale martellante su tutto il resto. Codrina deve ricorrere più volte all'acqua per pulire la ferita e renderla visibile, e spero che faccia finire presto questo supplizio. Tra le lacrime intravedo un raggio di luce abbagliante vagare sulle pareti, l'hovercraft mi sta cercando. Finalmente lei esclama: “Eccolo!” e combinando la lama del coltellino con il punteruolo forma una rudimentale pinza per estrarre il localizzatore. Getto un'occhiata sullo squarcio, ma lo distolgo subito con raccapriccio, e fisso la piccola pozza di acqua rosata che si è formata ai nostri piedi. La mia amica, dopo diversi tentativi, riesce alla fine ad afferrare il chip, stringendolo tra lo strumento e le dita sottili, e con fatica lo strappa via. Temo di svenire, e mordo il lembo fino a bucarlo, ma Codrina bagna abbondantemente la ferita, poi strappa un po' di stoffa dai propri abiti e la fascia stretta. “Appena il sangue si ferma, te la cucio.”

Io mi limito a fare un segno di assenso, boccheggiando. Pian piano il dolore più lancinante si smorza in una serie di fitte a intervalli regolari. “Grazie.” Le sussurro appena ho ripreso fiato a sufficienza. Sono fradicia di sudore, e la mano sinistra mi trema incontrollabilmente. Ora dobbiamo andarcene di qui. Codrina individua una finestra un po' più larga delle altre. Issarmi fuori dal seminterrato con un braccio solo e con la testa che mi gira è quasi proibitivo, e mi devo praticamente far tirare da lei. Ma l'hovercraft è ormai alle nostre spalle, e possiamo allontanarci di soppiatto.

 


Non abbiamo fatto neppure cento metri, però, che mi devo fermare. I capogiri non accennano a smettere, e più di una volta barcollo. Codrina allora assume il controllo della situazione. Praticamente mi obbliga a sedermi al riparo di un cumulo, e a bere a lungo. “Un'altro po'.” Mi ingiunge, quando faccio per smettere.

“Obbedisco.” Dico con un sorriso stiracchiato. Anche se non vorrei, devo ammettere che ha ragione: è bello avere qualcuno che si prende cura di te. Toglie la fasciatura improvvisata e inizia a suturare la ferita, per poi spalmare i resti della pomata. Il sollievo è quasi immediato.

“Devi andare alla Cornucopia, sei ancora in tempo.... Non ti preoccupare per me, davvero.” Dice piano, ma ormai la conosco troppo bene per non immaginare cosa stia pensando.

“Lo so che non vedi l'ora di liberarti di me, ma mi dovrai sopportare ancora un po'. Spiacente.” Rispondo in un debole tentativo di ironia. Ma lei è seria.

“Keana, davvero. Hai infranto le regole... Finirai nei guai.”

“Conosci la storia di Antigone?” Le chiedo alzandomi con cautela. Lei scuote la testa. “Magari te la racconto mentre andiamo da Hebi. A ogni modo, dice che le regole del cuore vincono sempre su quelle ingiuste. Quindi tranquilla. Ora andiamo.”

Ma lei non si muove, e mi fissa con un'intensità che non le ho mai visto. “Non è questo. E' che.... Non voglio che finisci nei guai, ancora di più, per... colpa mia.”

Vorrebbe forse suonare decisa, ma nella sua voce sommessa c'è un mare di emozioni, tutta la sua dolcissima, meravigliosa fragilità. Si è portata dentro questo peso fino ad ora? Mi avvicino e la prendo tra le braccia. Lei risponde quasi convulsamente, e nel giro di poco sta singhiozzando come mai l'avevo sentita fare, lei, sempre così timida e controllata.

“Ehi, ehi. Tranquilla.” Le ripeto, ma anch'io mi sento travolgere dall'emozione. Solo quando intravedo l'hovercraft in lontananza mi costringo a lasciarla. Mi asciugo le lacrime. “Accidenti a te! Ero riuscita a trattenermi finora...” Esclamo scherzosamente, strappandole un sorriso a metà con un singulto. Dobbiamo andare, ma prima la guardo diritta negli occhi arrossati. “Codri... Sei un angelo a preoccupartene. Ma quella di finire nei guai è stata una mia scelta precisa, fin dall'inizio, e tu non devi in nessun modo sentirti responsabile. Hai capito?” Annuisce. “E ho intenzione di andare fino in fondo. Ora andiamo a fare quel che dobbiamo. Dopo, vedremo. Ma intanto saremo fuori di qua. Ok?”

Le porgo il pugno chiuso e lei lo scontra col suo. Le do un bacio tra i capelli, ormai appiccicosi e arruffati, e ci avviamo tra i vicoli. Devo tenermi più nascosta possibile, le telecamere sono ovunque, ma lo sfondo monotono dell'arena non rende semplice individuare la mia posizione. Ad ogni modo, devo sbrigarmi. “Allora, il nostro amico penserà che siate rimasti solo voi due. Visto che lui è armato e tu no, tu cosa faresti al suo posto?”

“Penso... Che verrei a cercarmi.” Risponde Codrina.

“Infatti. Per questo io non devo farmi in nessun modo vedere, fin quando non sarete davanti. A quel punto....” Ma mi turba l'idea di cosa dovrà accadere a quel punto. Per cui ometto il seguito, e mi concentro sui dettagli. “A quel punto si renderà conto di essere in svantaggio, e non gli resterebbe che fuggire per andare ad asserragliarsi da qualche parte, tenendoci sotto tiro. Ormai non dovrebbero restargli che poche frecce, ma non possiamo rischiare. Quindi faremo in modo di attirarlo in un posto dove non possa scappare.” Rifletto su quale potrebbe essere.

Codrina ha un'esclamazione, e al mio sguardo interrogativo si avvicina e mi sussurra all'orecchio: “La galleria! Quella al centro commerciale, da dove siamo fuggite dai manichini.” Intelligentemente ha parlato coprendosi la bocca, per non dare agli Strateghi indicazioni su dove trovarmi.

“Bravissima!” Esclamo con ammirazione. Ma quando cerco un modo per tradurre il piano in pratica, ho un moto di disappunto. E' evidente che stavolta dovrà essere Codrina a fare da esca, e l'idea non mi piace per niente.

 

 

Sto sudando a più non posso sotto il telo grigio che abbiamo trovato semisepolto fra le macerie. Ma almeno così riesco a confondermi con il paesaggio desolato che ci circonda. Ho lo stomaco in subbuglio all'idea di cosa sto per fare. Stiamo per braccare il tributo del 2 come finora lui ha fatto con noi. Ingannarlo, attirarlo in trappola, e poi finirlo. Così, lucidamente, senza pietà. E allora? Qualcosa dentro me si ribella. Lui non lo farebbe, forse? Certo che sì, anzi, lo farà. Ucciderà Codrina come ha ucciso il suo alleato dell'1, se io non lo fermo prima. Sto solo difendendo me stessa e lei. Dopotutto, non l'ho già fatto con Retia? Quando l'ho scaraventata contro il muro elettrico avevo tutte le intenzioni di eliminarla, di annientarla, di farle pagare quel terrore che fino a un attimo prima mi aveva fatto provare. Se ne sono stata capace con lei, perchè con lui no? E' la guerra. Siamo in guerra. O è come se lo fossimo, e allora non c'è posto per la pietà. Bisogna fare quello che è necessario, punto e basta. E poi, mica gliel'ho chiesto io di venire qua. I Favoriti sono tutti volontari, loro sì che lo sono, quindi se la cercano. E non possono lamentarsi, se la trovano.

Respiro a fondo. La verità è che sto per aggredire un ragazzino tredicenne, e che forse già sta immaginando di poter tornare a casa. Hebi è subdolo e pericoloso. Ma chi lo ha reso tale? Chi inculca ai ragazzi dei due distretti privilegiati che è un onore battersi agli Hunger Games? Chi li spinge ad allenarsi fin da piccoli per questo? Chi li rende giovanissimi killer assetati di sangue? Loro. Snow, e il suo odioso regime. L'unica guerra giusta e benedetta sarebbe quella contro di loro. Questa non è guerra, è un gioco al massacro tra disperati. E' per questo che non riesco a odiare i miei avversari come vorrei.

Sono assorta in questi pensieri, quando mi arriva un'eco in lontananza. Ci siamo, mi dico con una stretta allo stomaco. Devo calcolare i tempi al millimetro. Non posso uscire troppo presto, o gli Strateghi avranno modo di capire dove mi trovo. Una volta inquadrata, la galleria è perfettamente riconoscibile. Ma anche ad attendere troppo rischio di non fare in tempo a raggiungere il luogo dell'agguato. Sento il rumore convenuto come segnale, non posso più aspettare. Gettando via il telo, mi appresto alla galleria e inizio a salire le scale. Una volta arrivata in cima, col fiatone, mi infilo nello stretto spazio tra la parete di vetro e la struttura metallica dell'architettura, e inizio con cautela a spostarmi, aderente al cristallo. Cerco di non guardare il vuoto alle mie spalle, e la Rambla diversi metri più sotto, ma la testa mi gira ugualmente. Il raggio laser ha devastato diversi edifici, e gli alberi, laggiù, sono ridotti a scheletri anneriti. Raggingo con sollievo il punto dove la copertura di vetro è infranta. Ora inizia la parte più delicata. Sposto la katana dietro le spalle, e inizio ad arrampicarmi, afferrando una barra dello scheletro d'acciaio, cercando di ridurre al minimo il contatto con il metallo arroventato dal sole. Il braccio sinistro duole ferocemente, e più volte rischio di scivolare, via via che la curvatura aumenta. A un certo punto mi trovo a dovermi letteralmente issare e temo di non farcela, cadrò come ho fatto in allenamento. In lontananza, sopra i tetti degli edifici, appare l'hovercraft. Come temevo, hanno capito dove sono. Con la forza della disperazione, riesco a trovare un punto di appoggio, e annaspando mi ritrovo sopra la copertura di vetro. Dov'è Codrina? Prima di separarci l'ho praticamente supplicata di fare attenzione. So che sarà prudente, ma sono lo stesso sulle spine. “Anche io ti voglio bene.” Mi ha bisbigliato prima di sparire.

E se non fosse riuscita a evitare le frecce? Ma poi lei appare laggiù in basso, correndo a perdifiato verso la rampa di scale. Con cautela mi avvicino al buco nella volta, preparando la spada. Il junior del 2 sbuca dietro di lei, brandendo la balestra. La mia amica inizia a salire la rampa di scale, ne intravedo la sagoma attraverso il vetro. Lui però si ferma in fondo, e con mio grande orrore, lo vedo prendere la mira. Sto per gridare per avvertirla, a costo di mandare all'aria la sorpresa, quando lei si abbassa su un pianerottolo, mandando a vuoto il tiro, e riprendendo la corsa un attimo dopo. Trattenendo il respiro, la seguo con lo sguardo mentre si avvicina. Anche l'hovercraft però si sta inesorabilmente avvicinando. Dai Codri, dai! La incito mentalmente, fremendo di impazienza. E' visibilmente stanca, e lo zaino che porta, come se gliel'avessi lasciato abbandonando l'arena, le sbatte sulle spalle, ma non molla. Finalmente la vedo passare nella galleria sotto di me, e la sua figura torna a confondersi sotto il vetro. Mi arriva una ventata d'aria smossa, il velivolo è ormai a pochissima distanza, posso distinguerne tutti i particolari. Uno scalpiccìo, e finalmente vedo il junior entrare nella visuale. Non penso, semplicemente stringo la katana, e mi lascio cadere nell'apertura.

Non riesco a travolgerlo come avrei voluto, ma lo urto comunque pesantemente, facendolo barcollare e cadere in avanti. La sua espressione quando si volta e mi vede è di totale, sincera incredulità.

“Cosa fai ancora qui...?” Mormora, poi vede l'arma che ho in mano, e la voce gli si fa acuta di spavento. “Non puoi! Non puoi più intervenire, ora sei fuori!”

“Non mi pare.” Rispondo, cercando di suonare fredda, ma la voce mi tradisce, tremando. Mi impongo con tutte le mie forze di non pensare a nulla, devo solo sfoderare e colpire, ora che è ancora carponi e disarmato, dato che la balestra gli è finita per terra nella caduta. Estraggo la spada lasciando cadere il fodero, e mi avvicino al junior, che mi sta ancora fissando attonito. Di certo è l'ultima cosa che si aspettava, è la prima volta nella storia degli Hunger Games che qualcuno osa violare le regole così clamorosamente. Ho i denti serrati fino a far male, e lo stomaco che si contrae con violenza. Muoviti, maledizione! Lo sto urlando? A me stessa o a lui? Non posso farcela, non così. Non con lui che mi fissa immobile, non con Codrina che ci guarda, impietrita. Voglio gridarle di andare via, di non guardare, sarà già abbastanza brutto senza che lei assista. Di fronte a lei, così sensibile, così pura, semplicemente non posso. Dall'alto, improvvisamente, la luce si fa accecante. L'hovercraft è ormai sopra la galleria, e sta proiettando il suo faro diritto su di noi. Gli occhi mi lacrimano, l'urgenza mi martella in testa, ma ancora non riesco ad agire. Qualcosa, dentro di me, percepisce l'abisso che mi si apre davanti, e mi trattiene con tutte le forze dal fare il passo per sprofondarvici. Purtroppo, o per fortuna, l'intromissione riscuote il junior del 2, che ne approfitta per passare all'azione. Si solleva, e si rende conto della situazione. Di fronte a lui ci siamo io e la mia spada; alle sue spalle la galleria finisce nell'invalicabile barriera elettrica. Tutt'intorno a noi solo il vuoto. Ma dietro di lui c'è anche Codrina, immobile, disarmata. Il suo unico ostacolo verso la vittoria, e il ritorno a casa. La fissa cattivo. E con uno scatto felino si lancia sulla balestra. Questo mi provoca un soprassalto, e anch'io mi lancio in avanti, sollevando la katana. Lui, vedendomi attaccare, è costretto a cambiare obiettivo. Si volta repentino e punta l'arma contro di me. In un lampo, quasi per riflesso, ho la consapevolezza che non farò mai in tempo a calare il colpo prima che scocchi, e con una fulmineità che mai ho avuto in mesi di allenamento con Torio, gli scaglio contro la spada. La fretta rende il mio tiro maldestro, ferendolo solo lievemente, ma lo impedisce il tempo necessario perchè possa arrivargli addosso. Agguanto la balestra e cerco di strappargliela di mano. Lui si oppone tenacemente, e si scatena una lotta furibonda. Ci strattoniamo qua e là, avvicinandoci pericolosamente alle pareti di vetro della galleria, e ai punti dove queste sono state infrante, e nessuna protezione separa dal salto nel vuoto. Quanto meno, così vicini, l'hovercraft non può azionare il campo di forza che mi risucchierebbe, o rischierebbe di prelevare anche il mio avversario. Stringo la presa fino a farmi sbiancare le nocche e dolere il braccio ferito, ma lui non è da meno, anzi. E' alto poco meno di me, e ci troviamo praticamente faccia a faccia. Lo sento mugugnare tra i denti per lo sforzo, ma d'un tratto prorompe in un: “Tu hai ucciso la mia amica!” troppo alto perchè voglia farsi sentire da me e basta. “Io le volevo bene...!” Continua producendosi in una smorfia sofferente.

Avverto mio malgrado una fitta al cuore sapendo che non ha torto su ciò che ho fatto, ma anche la rabbia al vedere che neppure adesso rinuncia alla sua commedia. “Falla finita, non ci crede nessuno.” Ringhio, sfruttando l'ira per imprimere uno strattone violento verso il basso. Lui si piega come se stesse per cedere, quando all'improvviso lascia andare una mano cogliendomi di sorpresa e mi colpisce in pieno viso. Ci ha messo tutta la forza possibile, mirando alle labbra gonfie, e io vedo le stelle. Per un attimo rischio di lasciarmi andare, slittando verso il bordo della sopraelevata. Intuisco il vuoto alle mie spalle, e rischio di essere costretta a lasciare la stretta per salvarmi.

Ma prima di riuscire a sfruttare il vantaggio lui lancia un gemito, scostando la testa, e la sua morsa si allenta. Ne approfitto immediatamente, temendo un'altra finta, e torco la balestra finchè non è puntata contro di lui. Un'ultima freccia solitaria è ancora inserita, la punta d'acciaio quasi bianca sotto la luce intensa. Le mie dita sudate si intrecciano con le sue, e non so chi sia a premere effettivamente il grilletto. Ma sento uno scatto, e una vibrazione. Il junior impallidisce, e lascia la presa sull'arma. Me la ritrovo libera tra le mani, e la scaravento giù nella Rambla attraverso l'apertura nel vetro. Quando torno a girarmi, ansante, lui è piegato in due, e si tiene lo stomaco. Resto immobile a guardarlo, finchè vedo qualche millimetro di carbonio, ciò che resta dell'impennaggio della freccia, spuntargli fra le dita sporche di rosso scuro. Cade in ginocchio, poi, lentamente, si affloscia. Il dardo l'ha praticamente trapassato da parte a parte. Dietro di lui appare Codrina, pallida come un morto. Ha in mano qualcosa, ci metto un po' prima di capire che è uno dei pezzi di vetro che coprono il pavimento della galleria. Ora comprendo cosa ha fatto lasciare la presa al tributo del 2. Vorrei ringraziarla, ma i suoi occhi sgomenti sono lo specchio dei miei, e non riusciamo a fare altro che guardarci in silenzio. Perchè Templesmith non dice nulla? Penso confusamente. Poi un lamento mi risponde. Non è ancora finita, mi rendo conto con orrore. Il cannone non ha sparato. Lentamente, come un automa, vado a raccogliere la spada. Quindi tiro un profondo respiro, e torno indietro. I rantoli del junior sono appena udibili sopra il forte ronzare del velivolo sopra di noi, ma a me suonano assordanti. Mi fermo davanti a lui.

“Codrina, non guardare.” La voce mi esce rauca e sgraziata. Ma Hebi invece alza gli occhi e mi fissa, i lineamenti deformati dal dolore. Non credevo di riuscire ancora a provare qualcosa, eppure mi ritrovo a considerare questo ragazzino morente. Ha solo un anno più di Codrina, e ora più che mai sembra un bambino dallo sguardo inquieto. “Non è difficile, Keana.” La voce di Elder pare un'eco distorta. In questo momento, invece, è la cosa più difficile del mondo. Non c'è proprio nulla che in questo momento mi possa soccorrere, nessun pensiero, nessuna filosofia. Solo la promessa che ho fatto, di proteggere Codrina a tutti i costi, e non solo fisicamente. Se qualcuno deve sporcarsi le mani e l'anima, quella sono io. E' l'ultimo prezzo da pagare. Ma la spada sembra più pesante di una montagna. No, non posso farlo. Tanto non è necessario, basta attendere. Tra pochi minuti se ne andrà da solo. Ma proprio per questo, non sarebbe più pietoso intervenire, e porre fine alla sua agonia? Cambio idea almeno tre o quattro volte. Tanto, nel profondo, so che sono state le mie mani a chiudersi sul grilletto. E allora perchè non andare fino in fondo? Chiudo gli occhi, ben sapendo che è inutile. Con uno strattone, sollevo l'arma, lascio che la punta scivoli verso il basso. Ma quest'ultima abiezione mi viene risparmiata. Un sospiro strozzato, il boato del cannone, e quello dell'hovercraft resta l'unico rumore. Apro gli occhi, e incrocio quelli spenti di Hebi. E' finita.

Lascio andare la spada, che rotola a terra rumorosamente. Mi muovo verso Codrina, e ci fissiamo senza una parola, prima di scivolare in un abbraccio incerto. E' curioso, penso stringendola. Fin da quando mi sono concessa di sperare nella vittoria mi immaginavo questo momento come incredibilmente liberatorio. E invece non provo nulla. Né sollievo, né tantomeno gioia. Niente. Solo uno sfinito vuoto, mentre la testa pulsa. La voce di Templesmith, che dopo una lieve esitazione, ci proclama vincitrici della quarantaquattresima edizione degli Hunger Games, mi arriva lontana. Fisso il nulla, e lascio che l'hovercraft cali, scompigliandoci i capelli con lo spostamento d'aria.

 



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E.N.P.


Ma che razza di conclusione...? Banale? Scontato? Datti all'ippica, cialtrona? Boni! Posate quei pomodori. Ancora un momento di pazienza. Nessuno ha detto che sia finita qua, e, come ben sanno i nostri eroi, a Capitol City non apprezzano granché i colpi di testa....

 

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Capitolo 24
*** Epilogo ***


Beati quelli il cui atteggiamento verso la realtà è dettato da immutabili ragioni interiori! 
(I. Calvino, “Un'amara serenità”)

 



“Sei consapevole del guaio in cui ti trovi?” Elder mi aveva fissato diritta negli occhi, in quei pochi minuti che ci avevano concesso.

“Sì.” Avevo risposto, semplicemente. Ed era vero. Il cuore mi batteva forte per la paura. Ma ormai era fatta. E non me ne pentivo. “Non volevano sorprese? Bene, ne hanno appena avuta una.” Avevo aggiunto.

Lei aveva scosso la testa, e io avevo potuto leggere un inedito turbamento nei suoi lineamenti tirati.

“Keana, c'è poco da scherzare. La tua non è stata solo un'infrazione alle regole, ma ha assunto il senso di una sfida aperta agli Strateghi, e, per estensione, al governo di Capitol City. Non credere che non l'abbiano capito. E ora non possono certo fartela passare liscia. Anche per evitare che la cosa possa creare un precedente, prenderanno provvedimenti esemplari.”

Mi era salito in bocca un sapore amaro di bile, ma mi ero limitata ad annuire. Era seguito un breve, pesante silenzio.

“Grazie per la spada.” Avevo mormorato.

Elder aveva fatto un cenno reciso. Non era sorpresa che l'avessi indovinato. Il costo di un dono del genere, a quel punto dei giochi, era tale che neppure gli sponsor avrebbero potuto coprirlo per intero. E chi altri, dal pur benestante distretto 5, poteva aver contribuito così generosamente?

Le avevano intimato di uscire.

“Tu approvi, però.” Avevo sussurrato prima che la mentore fosse costretta a farlo. Lei aveva annuito impercettibilmente, prima di recuperare l'espressione grave.

“Cercherò di intercedere per evitarti il peggio, ma non posso prometterti niente.”

“Mi basta una cosa...”

 

 

Sto fissando la porta chiusa a chiave, come il pomeriggio dopo la Mietitura. Fuori, ben cinque Pacificatori piantonano il corridoio, e altri sono all'esterno. Penso che lo status di vincitore comporta dei privilegi non indifferenti, e che forse Elder riuscirà ad influire sul verdetto, ma preferisco non farmi troppe illusioni su ciò che mi aspetta. Almeno mi avessero dato da bere, prima di separarmi da Codrina e rinchiudermi qua dentro. Davanti a lei ho cercato di mostrarmi più tranquilla possibile. Sono addirittura riuscita a dire: “Ci vediamo dopo.” Ma prima essere condotta via, lei si è voltata, accennando come se volesse venire verso di me. Non le hanno dato modo, e i suoi occhi attraversati dall'angoscia sono stati dolorosi come una coltellata. Aveva già capito tutto, come sempre.

Una chiave che gira nella serratura mi riscuote dall'apatia in cui sono scivolata. La porta si apre, ed entrano due uomini. Riconosco subito il primo: Tiberius Bramble, Stratega capo in carica, lo ricordo sul terrazzino ad assistere ai nostri allenamenti. L'altro è alto, i capelli grigio ferro a spazzola, labbra sottili e occhi gelidi e penetranti. E' in abiti borghesi, ma porta all'occhiello il distintivo del Corpo dei Pacificatori. Resta in piedi immobile, le braccia incrociate dietro la schiena, mentre Bramble si fa avanti, e si siede al tavolo di fronte a me.

“Allora, signorina Shinigam. Abbiamo combinato un bel pasticcio, non è vero?”

In effetti il vostro raggio laser era un discreto pasticcio, così come il resto delle vostre trappole infernali, vorrei dire. Ma resto in silenzio.

“Lei ha consapevolmente infranto la disposizione di non interferenza a seguito della vittoria nella sua categoria. Capisce bene che una tale violazione del regolamento degli Hunger Games è un fatto inaudito, e siamo costretti ad adottare sanzioni adeguate. Inoltre,” e qui getta un'occhiata verso l'altro uomo “mi è stato riferito che una recente perquisizione presso il suo domicilio familiare ha rinvenuto numerosi libri iscritti nella lista dell'Index." Ho un tuffo al cuore, sono stati a casa mia?!? “Come saprà, il possesso di uno solo di tali libri è assolutamente illegale, e per alcuni di essi,” e mi sciorina la lista dei titoli, che so perfettamente di possedere “è prevista la pena massima. Quella capitale.”

Sebbene me lo aspettassi, è come ricevere un pugno in pieno petto. Stringo forte le mani sulla sedia per impedire che tremino, e cerco di ostentare un'espressione neutra.

“Tuttavia, la sua brillante vittoria ci impone di usare un occhio di riguardo. Io stesso sono rimasto colpito da certe sue trovate, sa? Il diversivo dell'Ibrido, e poi l'agguato alla galleria... Davvero notevole. Ragion per cui possiamo trovare un accomodamento.”

Come pensavo. Non possono mettermi direttamente a morte, e lasciare la categoria senior priva di vincitori. Gli allibratori perderebbero un sacco di soldi del loro vertiginoso giro di scommesse; e neppure il pubblico la prenderebbe bene. Anche se Bramble non lo dice, so che la storia delle “sorelle” ha fatto presa, ed Elder me l'ha confermato.

Il mio interlocutore assume ora un'aria indulgente. “Possiamo trovare una scappatoia nel regolamento dei giochi, qualche clausola, vero? E persino chiudere un occhio sul possesso di libri iscritti.”

Veniamo al dunque. Al prezzo da pagare. Lo guardo, in attesa. “Naturalmente le verrà richiesto un atto di riconoscenza per la clemenza e la fiducia dimostratale dal governo.”

L'uomo dagli occhi di ghiaccio si fa avanti, e posa sul tavolo un foglio e una penna, che Bramble sospinge verso di me. Lo prendo, e lo scorro rapidamente. Vedo il sigillo di Capitol City che domina l'intestazione, poi gli occhi mi cadono su alcune parole. CORPO DI SICUREZZA NAZIONALE DELLA GUARDIA PACIFICATRICE. Reparto direttivo Strategia e Tattica. E più sotto: Domanda di arruolamento. Alzo gli occhi, e incrocio quelli sornioni di Bramble, poco sotto a quelli impenetrabili dell'uomo alle sue spalle.

“Sarebbe uno spreco imperdonabile che una mente acuta come la sua andasse persa per questo, non è vero? La Guardia ha sempre bisogno di giovani che mettano la loro intelligenza, oltre che le loro forze, al servizio di Panem. Per cui il comandante Kriteas, qui, ha avanzato la proposta, di comune accordo con il presidente Snow. Una firma, e tutto sarà sistemato. Il suo futuro sarà garantito, e potrà persino fare carriera. Il reparto strategico è uno dei più importanti, praticamente la mente e l'élite della Guardia.”

Senza dubbio. La repressione dell'antica rivolta fu coordinata proprio da questo settore. E sono sempre i suoi comandanti che rendono possibile soffocare nel sangue ogni segnale di dissenso nei distretti. Nonostante la paura, sento una vampata di sdegno furibondo salire dal profondo. Per un attimo vedo rosso, e devo impiegare tutte le mie forze per restare impassibile. Ma qualcosa deve trapelare, perchè Bramble aggiunge subito, a voce più bassa: “Lei ha dimostrato di tenere moltissimo ai suoi cari, mi pare. Non vorrà certo che accada qualcosa di spiacevole ai suoi genitori, non è vero?" Si appoggia allo schienale. "Oppure che la sua giovane amica resti, per così dire, senza parole?”

Mi balena davanti l'agghiacciante immagine di Codrina trasformata in Avox e costretta a passare il resto della sua vita, da schiava, a Capitol City. Il capo Stratega tace, e mi fissa, gli occhi acquosi. Deve essere più vecchio di quanto sembri. Io aspetto, per essere sicura di aver recuperato un tono normale. Poi parlo per la prima volta.

“Vorrei un po' di tempo per pensarci...”

“Ma certo, tutto il tempo che desidera.” Sorride Bramble, alzandosi. Il comandante Kriteas, senza aver mai detto una parola, si volta e si avvia alla porta. Il capo Stratega lo segue, e sulla soglia ribadisce: “Non getti l'occasione... Una firma, e sarà in una botte di ferro!”

Come dissero ad Attilio Regolo. La porta si richiude, e sento le mandate metalliche.

Il silenzio torna nella stanza. Mi alzo, vado alla finestra munita di sbarre, ed attendo. Fuori una sottile pioggia cade su Capitol City. Dopo i giorni di sole rovente dell'arena, mi pare di scoprirla per la prima volta. Non so quanto tempo passa, prima che veda un uomo vestito di scuro, laggiù in strada. Appare sobrio e anonimo, fuori posto nella massa variopinta dei capitolini che gli passano attorno. E' fermo, e sta guardando su, diritto dalla mia parte. Poi accenna un gesto, come se volesse mettersi qualcosa in tasca. Indugia ancora un attimo, prima di svoltare l'angolo e sparire.

E' il segnale concordato con Elder. Ora so che i miei genitori, assieme a Codrina e ai suoi, Brant compreso, sono in viaggio verso un luogo sicuro. La mia mentore non ha voluto rivelarmi troppo, saggiamente, ma da quanto ho capito devono esserci dei focolai di resistenza da qualche parte di Panem, forse proprio in quel distretto 13 che tutti dicevano raso al suolo. L'importante è che possano garantire una vita sicura alle nostre famiglie, ancorché in clandestinità.

La cosa più dura è stato scrivere loro. Ma non posso andarmene così, senza una parola. Penso ai miei genitori e a quando riceveranno quei fogli di fortuna che ho affidato ad Elder. Più difficile è stato quello per Codrina. Immagino il momento in cui le arriverà il messaggio, allegato alla mia copia dell'Antigone di Sofocle.


“Probabilmente mi verrà data la possibilità di conservare la vita, ma so già che ciò avverrebbe a prezzo della dignità e della coerenza agli ideali in cui ho scelto di credere. E come potrei allora guardarti ancora negli occhi, e parlarti di amore, di giustizia, di virtù e conoscenza? Con quale faccia potrei guardare tutti noi e me stessa allo specchio, senza sprofondare nella vergogna e morire dentro ogni giorno? Morire una sola volta non può essere peggiore, Codri.

Avevo la tua età quando ho letto per la prima volta questo libro. Mi sono subito innamorata di Antigone, questa giovane che ha il coraggio di violare la legge disumana del tiranno per seguire quella del cuore, pur sapendo che questo le costerà la vita.

Ti auguro allora di poter crescere, lottare ed amare restando sempre fedele al tuo cuore, e di poterti trovare un giorno, giovane e splendida donna, in un mondo diverso, più libero e giusto. Quel mondo allora avrà bisogno di tutte quelle ricchezze che hai dentro. Non averne paura, non nasconderle, come invece ho fatto io, e fanne un dono per tutti quelli che ti circondano. Fai una carezza a Brant da parte mia. Ti voglio bene, sorellina.

Tua sorella Keana"



Sento il cuore stretto in una morsa d'acciaio al pensiero di non vederla più su questa terra, e ancor più all'idea di quanto starà male. E' un dolore così intenso da diventare quasi fisico.

Ho il cuore a pezzi adesso

Solo se ci penso ma

Non posso abbandonare

La mia città.

Guardo i miei, dormono accanto a me.

Domani andranno lontano.

Loro non lo sanno

Che un'altra strada seguirò.

Il finale del canto che ho ricordato nell'arena mi sale alle labbra, e stavolta non mi trattengo dall'intonarlo piano, finchè il nodo alla gola non mi strozza la voce. Mi concedo ancora qualche minuto finché non so più se a sfumare la vista della città siano la pioggia o le lacrime, poi respiro a fondo. Alla fine, anche questo l'ho fatto per lei. E sono certa che potrà capirlo. Lascio la finestra, e torno al tavolo. Afferro il foglio, e faccio andare la penna, grattando. Quindi vado alla porta, e busso. Dopo qualche attimo, la chiave gira e un Pacificatore compare nello spiraglio. Gli consegno il foglio, e torno a sedermi, mentre la porta si richiude. Penso a quando Kriteas leggerà la citazione che ho scritto, proprio al centro dello spazio per la firma.

 

 

La ricerca porta alla verità. Un'ingiustizia non va commessa mai, neppure quando la si riceve. Ad una persona buona non può capitare nulla di male: né in vita né in morte le cose che la riguardano vengono trascurate dalla divinità.

Ma è giunta l'ora di andare: io a morire, voi a vivere.

Chi vada incontro alla sorte migliore, è oscuro a tutti, tranne che al Dio....”

(Platone, “Apologia di Socrate”)
 








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E.N.P.


 

Ed eccoci qua.

Non volevo che finisse così, giuro. Ho sputato l'anima per cercare un modo di salvare la povera Keana. Avevo già in mente una serie infinita di scenette pucciocicciococcolose (S.B.) per il ritorno a casa e il futuro delle due sorelle. Non sarebbe stato semplice, almeno all'inizio, ma credo che ce l'avrebbero fatta. Keana avrebbe dovuto fare i conti con i sensi di colpa e diverse cose poco luminose di sé, si sarebbe innamorata - e avevo pure idea con chi - (ci sarebbe stato da divertirsi), e chissà cos'altro.
Codrina sarebbe cresciuta, avrebbe svelato aspetti nuovi e un po' (giusto un pochino) meno angelici, e chissà, forse anche lei avrebbe incontrato qualcuno di speciale (con Keana gelosa fradicia, da brava sorella maggiore). Una vita normale, insomma.

Purtroppo non credo troppo nel “vissero felici e contenti”; e qui non siamo in un mondo normale. Siamo a Panem, dove una vita normale è un'utopia. La rivolta della Ghiandaia, che abbatterà il regime e cambierà le cose, deve attendere ancora trent'anni. E allora, per quanto mi abbia fatto male (chi scrive potrà capire...), non poteva che finire così. Qualsiasi altra conclusione mi sarebbe sembrata forzata, banale, da favola.

Personalmente mi consolo pensando che almeno una di loro due è al sicuro, e non potrà dimenticare. E magari potrà dare il suo contributo al momento della rivoluzione, dopo che un'altra sorella avrà perso la propria....

Spero di aver concluso ammodino, e magari di ricominciare a fare danni da qualche altra parte. Un grazie enorme a Ser Balzo (che poveraccio ha fatto gli straordinari a recensire), ShinigamiGirl, mosca26, la ladra di libri, e a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere e seguire!!!


 

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