La volontà della D.

di callas d snape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fool wish ***
Capitolo 2: *** Incontri e scontri ***
Capitolo 3: *** Io non picchio le ragazze! ***
Capitolo 4: *** Sotto il cielo in tempesta ***
Capitolo 5: *** Where the demons hide ***
Capitolo 6: *** The promise of Pirates King's son ***
Capitolo 7: *** Il ragazzo col cappello di paglia ***
Capitolo 8: *** La numero 7 ***
Capitolo 9: *** La seconda volta non si scorda mai! ***
Capitolo 10: *** Confessioni ***
Capitolo 11: *** Incubi, taglie e strategie ***
Capitolo 12: *** AVVISO! ***



Capitolo 1
*** Fool wish ***


FOOL WISH


 
FOOSHA, MARE ORIENTALE, 01 GENNAIO

Faceva maledettamente freddo. Un motivo in più per odiare il suo compleanno. Odiava l’aria gelida che si insinuava tra i vestiti,che arrossava le guance, che screpolava le mani, che faceva bruciare ancora di più i numerosi tagli che anche quel giorno aveva riportato.
Da quando suo “nonno” gli aveva rivelato chi era realmente, non era trascorso un giorno in cui lui non fosse andato in città e non avesse picchiato a sangue tutti i presenti riportando, col trascorrere degli anni, sempre meno ferite. Li picchiava per sfogare su di loro la sua frustrazione e la sua rabbia. Li picchiava perché loro riuscivano a dire la verità, quella che i suoi cari negavano, ma che lui conosceva bene: lui era un mostro. Certo da quando quel terremoto di suo fratello era entrato nella sua vita, le cose erano migliorate; ma non riusciva a guardarsi allo specchio senza provare ribrezzo nei propri confronti e in quelli del demonio che lo aveva generato.
La pioggia iniziò a cadere fastidiosa trasportata dal vento. Portuguese D. Ace si premette ancora di più il cappello sulla fronte e incominciò a correre verso la casa di Dadan. Arrivò che ormai era completamente fradicio. Entrò cercando di non fare rumore. Era notte fonda e la casa era immersa nel buio.
Sgattaiolò verso la sua camera il più silenziosamente possibile. Aprì delicatamente la porta e ciò che vide lo fece sorridere: Rufy era disteso a pancia all’aria ronfando sonoramente con la bocca sporca di crema. Accanto a lui quel che restava della sua torta di compleanno. Poco male non era un patito dei dolci.
Prese una coperta su una sedia e coprì il suo amato fratellino per evitare che si beccasse un malanno, senza pensare che anche lui rischiava di prendersi un raffreddore con quei vestiti bagnati. Uno starnuto lo convinse a togliersi almeno la camicia e ad infilarsi una sua vecchia maglietta. Poi si diresse verso la cucina per prendere del ghiaccio: il labbro spaccato iniziava a pulsare fastidiosamente.
Aprì il vecchio freezer e si trovò davanti un sacchetto di carta con su scritto il suo nome. Lo prese curioso, dimenticandosi del suo primario obbiettivo. Appoggiò delicatamente il pacchetto sul tavolo e dopo averlo fissato per qualche minuto, lo aprì con altrettanta cura.
Era una coppetta di gelato al cioccolato, il suo gusto preferito, con sopra una candelina a forma di 12: la sua età. Doveva essere un regalo di Makino: era l’unica che avrebbe potuto avere un pensiero così premuroso. Abbassò lo sguardo arrossendo al pensiero della ragazza. Fu in quel momento che si accorse del foglio appoggiato su tavolo che prima non aveva notato, troppo intento a fissare il pacchetto.
Dalla calligrafia capì subito l’autore del messaggio ancor prima di leggerne il contenuto:
“Nipote ingrato e degenere, ti abbiamo aspettato tutta la sera per festeggiare il nuovo anno e il tuo compleanno e tu non ti sei degnato di farti vivo! Aspetta che ti prenda e poi vediamo se hai ancora voglia di andartela a spassare senza dirmi niente!!!
Nonno Garp”
Ace appallottolò annoiato il messaggio: le minacce del vecchiaccio non funzionavano con lui ormai da svariati anni. Il ragazzo sbuffò sonoramente iniziando a dondolarsi sulla sedia su cui si era seduto. Non capiva perché non lo lasciassero in pace: lui non voleva festeggiare il suo compleanno, perché gli altri volevano costringerlo a farlo? Non capivano che per lui quel giorno rappresentava solo una cosa: la morte di sua madre?
Un altro sbuffo. Ace fermò la sedia e fissò la coppetta di gelato, che ormai si stava liquefacendo, e la candelina. Non seppe mai perché lo fece, ma si alzò, prese una scatola di fiammiferi e accese la candela. La guardò per lunghi istanti ipnotizzato dalla fiamma traballante, mentre la cera si andava ad unire al cioccolato. Il fuoco lo aveva sempre affascinato, chissà poi per quale motivo, ma lo sentiva come una parte di sé, gli conferiva pace e tranquillità.
Ancora perso in quella specie di trance, Ace espresse il suo desiderio: “Un giorno vorrei incontrare qualcuno che mi capisse veramente!” Chiuse gli occhi e mise fine alla magia del fuoco di quella candela. Subito si sentì uno stupido: non aveva più l’età per certi giochetti infantili. Il campanile del villaggio battè le quattro: il ragazzo decise che era ora di andare a dormire. Prese il gelato ormai immangiabile e lo buttò insieme al suo desiderio nel secchio della spazzatura. Non si accorse minimamente che il fumo della candela aleggiava ancora nell’aria e che, trovando uno spiraglio tra le imposte, si era librato nel cielo notturno pronto a compiere il suo dovere: esaudire il desiderio di Ace.

 
MARIJOA, RED LINE, 14 GENNAIO

Urla e strepiti ovunque. I marines correvano impazziti da tutte le parti nel grande giardino del lussuoso palazzo.
“Non lasciatela scappare!”
“State in guardia!”
“Non sottovalutatela. Anche se è una mocciosa è più forte di quanto pensiate!”
“Ma come può una bambina così piccola far mobilitare così tanti marines?!” pensava una giovane recluta mentre indietreggiava verso un albero. Un leggero fruscio lo fece rabbrividire: quella parte del giardino era davvero buia e quella nebbia inquietante non aiutava. Il ragazzo si girò per vedere cosa fosse stato a produrre quel rumore: troppo lentamente purtroppo. La ragazzina gli saltò sulle spalle dall’albero, gli prese la testa tra le piccole mani e gli spezzò l’osso del collo.
Un fascio di luce illuminò la piccola ricercata: aveva gli occhi sbarrati completamente neri. A tracolla aveva un arco e una faretra piena di frecce.
“Eccola lì! Presto prendetela! Ha ucciso un altro uomo!” urlò il capo delle guardie. La bambina non si lasciò impressionare dalla mezza dozzina di fucili puntati su di lei. Velocissima, estrasse un’unica freccia e prima di scoccarla sibilò: “ Shock wave.” La freccia trapassò il cranio dell’uomo di fronte a lei mandandolo in frantumi mentre la violenta onda d’urto sbalzava tutti i marines a una decina di metri di distanza.
La ragazzina non aspettò un momento in più: si voltò e si arrampicò sul muro di cinta che separava il palazzo dalla città, che l’aveva sempre tenuta lontana dal mondo.
Iniziò a correre a perdifiato per le strade deserte. Sapeva che tra poco avrebbe avuto di nuovo la marina alle calcagna. Un rumore la face girare di scatto pronta a scoccare un’altra freccia. Ma non vide ciò che si aspettava: niente marines, niente armi. Solo un bambino molto più piccolo di lei terrorizzato. La bambina abbassò l’arco e si strofinò gli occhi con forza, come a volerseli strappare. Quando li riaprì il bambino non c’era più, come il colore dei suoi occhi. Al posto del nero che riempiva completamente la cavità oculare, si erano delineate due pupille ben definite circondate da iridi color blu scuro. Anche la personalità era cambiata: la macchina da guerra che aveva ucciso a sangue freddo fino a qualche momento prima non c’era più. Adesso c’era una bambina tremante, spaventata a morte che non aveva  idea di cosa fare.
“Non può essere lontana!” Le voci dei marines la riscossero dal suo stato di trance. Doveva sbrigarsi se voleva evitare di tornare in quella prigione.
Riprese a correre finchè non iniziò a sentire il rumore del mare nelle vicinanze. Era finalmente arrivata al porto. Sfortunatamente anche i suoi inseguitori vi erano giunti e la stavano cercando. Era in trappola. Si guardò intorno disperata e notò una serie di casse che stavano per essere imbarcate su una grossa nave mercantile. Sgattaiolò furtivamente verso quelle e aprì silenziosamente il coperchio di quella più nascosta. All’interno c’erano dei pesci che guizzavano ancora vivi. Si fece coraggio ed entrò richiudendo accuratamente il coperchio pregando che anche il suo contenitore fosse destinato all’imbarcazione in partenza. Dopo pochi minuti sentì la cassa sollevarsi e muoversi per poi essere di nuovo poggiata a terra. Dagli spiragli nel legno poteva vedere bene il luogo in cui era stata portata: era sicuramente la cambusa di una nave.
La bambina non si mosse di un millimetro, quasi non respirò finchè non fu certa che la nave avesse lasciato il porto. Tirò un sospiro di sollievo ed uscì dal suo nascondiglio, rifugiandosi nell’angolo più lontano dall’entrata. Dall’isola giungevano ovattati dal mare e dalla lontananza ancora i rintocchi del campanile: mezzanotte. Era il 15 gennaio, il giorno del suo decimo compleanno, il suo primo giorno da persona libera.
Sorridendo e piangendo allo stesso tempo a causa delle innumerevoli emozioni della serata, iniziò a canticchiare:
“Tanti auguri a me,
tanti auguri a me,
tanti auguri a Maya,
tanti auguri a me.”
Poi si addormentò stremata cadendo in un sonno senza sogni.
 
 
N.d.a.
Ok, questa è la prima ff che scrivo su One Piece, siate clementi! Penso che pubblicherò alla metà di ogni mese, però non fateci troppo affidamento: sono una ritardataria nata!!! Questo più che un capitolo è una sorta di prologo: vi prometto che i prossimi saranno più lunghi. Se mi dite anche come inserire le immagini, ve ne metterò il più possibile!!!
Ci vediamo a marzo! Saluti, C.S.

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Capitolo 2
*** Incontri e scontri ***


INCONTRI E SCONTRI

 
LIURAH, MAR ORIENTALE, 5 ANNI DOPO

Era una mattinata serena e la frizzante aria di gennaio scompigliava i lunghi capelli castani della ragazza mentre i raggi solari mettevano in risalto i riflessi ramati altrimenti nascosti dal colore intenso della capigliatura. La bruna alzò la manica sinistra del suo golf color blu scuro come i suoi occhi e sfilò dal polso un elastico col quale si fece una coda molto alta.
Nonostante fossero già le 9 passate, faceva ancora parecchio freddo. La ragazza iniziò a correre per evitare di congelare nascondendo parte della faccia nel collo del maglione. Percorse un paio di kilometri prima di trovarsi alla fine della città, davanti a un piccolo ponte traballante in legno che collegava le due parti dell’isola altrimenti divisa da un profondo crepaccio, che veniva sommerso dal mare con l’alta marea.
La parte nord, quella più grande, ospitava la città e cinque piccoli villaggi  di mercanti e pescatori, persone semplici e alla buona, anche se un po’ limitate; tutto sommato un posto tranquillo dove vivere in pace se si è una persona normale. Ma Maya non era mai stata normale. Per questo preferiva la parte sud dell’isola dove si estendeva un’intricata foresta piena di animali strani e pericolosi. Pochi osavano entrarci, per questo il suo arrivo in città era stato una benedizione: tutte le mattine col suo arco fidato andava a caccia procurando carne per la locanda di suo “zio” e rivendendo il rimanente al mercato cittadino.
Ormai era arrivata ai limitari della boscaglia: incoccò una freccia nell’arco e si avventurò tra la vegetazione facendo meno rumore possibile.  Non dovette addentrarsi neanche troppo: un cervo le si parò di fronte maestoso. Sembrava aspettare solo la freccia di Maya. Lei tese la corda, assottigliò lo sguardo, trattenne il respiro e…
“Ah, eccoti qui! Meno male che non sei andata ad imboscarti, se no chi ti ritrovava!” Il cervo scappò verso il folto della foresta, mentre dalla parte opposta spuntava una ragazza dai capelli biondi corti e un vistoso cerotto sul naso. Maya sbuffò sonoramente e si voltò verso la nuova arrivata: “Lo sai che erano tre settimane che non vedevo un cervo, sorellina cara? E poi ti chiedi perché non ti porto mai con me. Fosse per te non mangeremo mai, Syri!”
La bionda sfoderò il suo miglior sorriso a trentadue denti e si avvicinò alla sorella che stava riponendo arco e freccia. Le separavano solo pochi metri quando Syri inciampò in una vistosa radice finendo faccia a terra. Maya inarcò il sopracciglio destro e disse porgendole una mano: “Possibile che tu non riesca a fare due passi senza cadere almeno una decina di volte?! Hai quasi 14 anni, dovresti aver imparato a camminare ormai! Ce l’hai un briciolo di autoconservazione?”
“Ah, ah!” rispose seccata l’altra mentre si sbatteva la terra dai vestiti e constatava l’entità dei danni: graffi sui palmi delle mani e pantaloni strappati all’altezza del ginocchio sinistro. Tutto sommato poteva andarle peggio! Solo quella mattina, alzandosi, era caduta dal letto e si era fatta male al naso: forse sua sorella aveva ragione quando diceva che lei e l’istinto di sopravvivenza non andavano d’accordo!
“Allora, che sei venuta a fare?” Syri ritornò alla realtà sentendo le parole della bruna che intanto si era seduta su di una radice enorme, ottima panchina naturale. La bionda sorrise di nuovo ed estrasse da dentro una tasca una bustina un po’ stropicciata con un fiocco verde. “Buon compleanno!!!” urlò felice. “Visto che oggi è sabato, ci sarà  il pienone al locale e non potremmo festeggiare come si deve. Quindi ti do il tuo regalo ora così lo puoi aprire in pace. Su, dimmi se ti piace!”
Maya non se lo fece ripetere due volte: aprì la busta dove c’erano tre nuovi rullini e un otturatore nuovo. Sorrise emozionata: Syri la conosceva veramente bene e sapeva quanto amasse la fotografia! Quando era scappata, l’unica cosa che aveva preso oltre all’arco era stata la sua macchina fotografica. Macchina il cui otturatore era passato a miglior vita circa una settimana prima. La bruna si ripromise di aggiustarla quella sera stessa. “Grazie… non dovevi… io non so che dire!” biascicò sapendo bene quanto la minore avesse speso per quell’ingranaggio.
“Ma scherzi? Sei mia sorella: è il minimo che io possa fare!” disse la bionda sedendole accanto.
Già… Loro due si chiamavano sorelle, ma non avevano nessun legame di sangue che le univa. Anzi fino a qualche anno prima non sapevano neanche della loro reciproca esistenza.

Quando la nave aveva attraccato sull’isola,erano trascorsi 2 mesi, 3 settimane e 5 giorni dalla sua fuga. Maya ormai era allo stremo: cercava di mangiare e bere il meno possibile per evitare di farsi scoprire dalla ciurma, ma ormai non ce la faceva più. I vestiti le andavano larghi  e poteva vedersi le costole sotto la pelle secca e disidratata. Quando fu sicura che sulla nave non ci fosse più nessuno, sgattaiolò fuori dal suo nascondiglio e scese furtivamente dall’imbarcazione, mescolandosi tra la folla. Aveva bisogno di un posto dove nascondersi, cibo, acqua, vestiti nuovi… e tutto senza spendere un centesimo, visto che non ne aveva! Il suo stomaco brontolò sonoramente tanto per rammentarle i suoi problemi.
“Se hai fame puoi venire da me. Mio zio ha una locanda e fa dei piatti buonissimi!” Una bambina più o meno della sua età l’aveva presa per una manica e la guardava sorridendo.
“Ma… ma io non ho soldi..” tentò di ribattere Maya. La bimba allargò ancora di più il sorriso: “Io sono Syri. Dai, vieni con me!
Syri l’aveva portata a casa sua, nutrita e ripulita e aveva convinto suo zio  a tenerla con loro; in cambio lei dava una mano in tutti modi possibili. Maya iniziava a pensare che la sua vita si stesse stabilizzando,  anche se non riusciva ancora a fidarsi completamente dei sui benefattori grazie alle sue esperienze passate e si ritrovava a piangere di notte in un angolino nella sua nuova camera nella mansarda del locale. Ovviamente le cose non andarono bene per molto: non passò neanche un mese che la Marina giunse sull’isola. Cercavano lei.
Era già pronta a scappare di nuovo, ma si era trovata la strada sbarrata da Syri e da Kerr, suo zio che le aveva detto: “È te che vogliono?” Non c’era stata risposta, i marines avevano fatto irruzione nella locanda. “Io li tengo occupati, voi due inventatevi qualcosa!”  riprese Kerr scendendo veloce le scale per bloccare i funzionari del governo.
“Da cosa ti possono riconoscere?” aveva continuato Syri.
“Il tatuaggio sulla schiena, appena sotto il collo.” La voce di Maya era uscita così piano che la bionda aveva paura di aver capito male. Comunque la trascinò nella sua camera in tutta fretta e la fece sedere sul letto, ancora sotto shock; Syri si arrampicò sull’armadio e tirò giù una scatola che si rivelò essere piena di tempere. “Erano di mia madre, anche a lei piaceva dipingere… Fammi vedere la schiena!”
Maya voltandosi iniziò a torturarsi le mani mentre l’altra bimba, che nel frattempo le aveva raccolto i capelli in una crocchia, iniziava stendere del colore freddo sulla sua pelle. “Perché state facendo questo per me. Non mi conoscete neanche!” disse dopo alcuni minuti di silenzio la maggiore.
“È vero, ma ci conosceremo. E per quel poco che so di te, voglio proteggerti.” rispose secca la bionda non accorgendosi delle lacrime che premevano contro gli occhi dell’amica.
Syri non impiegò molto a preparare la bruna: le aveva coperto il marchio oltre alle numerose cicatrici con del color carne e le aveva fatto indossare un top senza maniche facendolo passare con non poche difficoltà dalle gambe. A quel punto Maya, si alzò titubante, si avvicinò alla scrivania, prese un paio di forbici e le passò alla bionda tornando a sedersi sul letto. Non c’era bisogno di parlare: Syri strinse forte i capelli dell’amica e li tagliò all’attaccatura dello chignon improvvisato poco prima. Così sarebbe stata meno riconoscibile. Dal piano di sotto, intanto, erano iniziati ad arrivare i rumori di una colluttazione.
Le due bambine si fecero coraggio e scesero al pian terreno: Kerr era a terra con un labbro spaccato, in mezzo ai resti di una sedia circondato da tre marines. Tutto intorno regnava il caos. A quella vista Maya iniziò a ribollire di rabbia mentre i suoi occhi iniziavano a tingersi di nero. Siry si accorse del cambiamento dell’amica e le prese la mano cercando di rassicurarla anche se stava tremando di paura.
“Ah, ecco le nostre interessate!” disse un marine che dai gradi doveva essere un commodoro. “Abbiamo l’ordine di cercare in ogni casa bambine di età compresa tra i 9 e i 12 anni e di controllare loro la schiena. Forza angioletti, mostratici le vostre belle schiene!”
Due marines si avvicinarono alle bambine e le voltarono senza delicatezza mentre altri due tenevano a bada Kerr che tentava di rialzarsi. Maya trattenne il respiro e chiuse gli occhi. Aspettò che la trascinassero via, ma ciò non avvenne. I marines che le avevano controllate le lasciarono subito e riportarono l’esito negativo dell’indagine al commodoro.
“Bene, qui abbiamo finito” rispose quest’ultimo “Vi conviene dare una pulita a questo porcile!” e ridendo uscirono tutti dal locale. I tre rimasero immobili per qualche secondo, poi Siry si buttò tra le braccia dello zio scossa da brividi di paura per il pericolo corso: la sua maglietta era stata strappata per far mostrare a quei bastardi la sua schiena candida.
 Maya si buttò in ginocchio, attirando l’attenzione dei due: “Mi dispiace! Non faccio altro che creare problemi! Avete rischiato la vita per aiutare una sconosciuta che non merita neanche di stare al mondo! Vi prometto che vi ripagherò di tutti i danni causati e…”
“Smettila!” la interruppe Syri alzandosi e avvicinandosi a lei. “Sono tutte bugie! Tutti hanno il diritto di vivere, anche il più cattivo degli uomini e di certo non è il tuo caso! Ti toglierò dalla testa queste idee perché da oggi in poi sarai mia sorella. E non accetto un no come risposta!” concluse sorridendole.
La bruna alzò lo sguardo velato dalle lacrime, sorpresa: lei che non aveva mai conosciuto il vero significato della parola famiglia, che era abituata a sentirsi dire “sei un mostro, non meriti niente, solo odio e indifferenza”, avrebbe avuto una sorella e uno zio che l’avrebbero amata per quello che era, che l’avevano scelta, voluta.
Le parole non riuscivano a uscire dalla bocca per la felicità, la sorpresa e un altro miliardo di sentimenti contrastanti. Si limitò ad annuire violentemente col capo mentre il corpo era percosso da mille fremiti.  Syri le si precipitò tra le braccia sorridendo felice mentre Kerr sogghignava: quella peste era tutta sua madre! Non l’aveva minimamente interpellato su una questione così importante, ma tutto sommato non gli dispiaceva quella decisione: si prospettavano giorni interessanti all’orizzonte!

Da quell’episodio, Maya e Syri divennero sorelle a tutti gli effetti. Pian piano la corazza protettiva della bruna si infranse fino a raccontare tutta la sua storia alla bionda: le raccontò del dolore, della paura, del buio che avevano segnato la sua infanzia. Le parlò del suo potere distruttivo, le confidò di non essere mai stata trattata come un essere umano e che alla fine anche lei si era convinta di essere un mostro, una macchina della morte.
Dal canto suo, Syri le mostrava quanto bella fosse la vita e le provava in tutti modi possibili che lei non era un essere ignobile. Le raccontò che i suoi genitori erano morti anni prima, di quanto le mancassero, di come la facesse sentire bene avere una sorella maggiore su cui fare affidamento. La capì quando le disse che non voleva chiamare Kerr “zio”. E lo capì anche Kerr quando glielo spiegò tra mille scuse: all’uomo non importava come lo chiamasse. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, si era affezionato a quella strana bambina ed era felice di vedere sua nipote così contenta.
Gli anni erano passati in fretta: Maya andava a caccia, Syri aiutava alla locanda, poi andavano in spiaggia ad allenarsi: la bruna aveva insegnato alla più piccola a difendersi e a combattere con le spade, acquistate a poco prezzo nella bottega del ferramenta. L’aveva anche aiutata a migliorare la lotta corpo a corpo visto che la bionda andava sempre a cacciarsi in qualche guaio. Quest’ultima, invece, la aiutava a contenere il suo potere distruttivo e a non lasciarsi guidare dal dolore per la morte della madre, dall’odio nei confronti di suo padre, dal desiderio di uccidere suo nonno.
Erano una squadra perfetta: riflessiva e riservata la prima, aperta e più impulsiva la seconda. Erano agli opposti, ma era per questo che funzionavano così bene insieme!
Maya si riscosse dai suoi pensieri, scese dalla radice e si infilò il regalo in tasca: “Grazie per il pensiero, lo adoro. Però ora è meglio che torni a casa. Io devo cacciare e tu devi andare ad aiutare Kerr visto che sta notte è andato fuori a pesca. Ce la fai ad uscire da sola da qui?”
La bionda scese dalla radice a sua volta: “Ok che ho un pessimo senso dell’orientamento, ma siamo ancora vicini alla città, ce la faccio ad andarmene da sola! Ci vediamo dopo sorellina!” e salutandola ritornò sui suoi passi, mentre la bruna si addentrava ancora di più nel fitto della foresta.
 
Dovevano essere passate circa 2 ore da quando aveva iniziato la caccia e ormai Maya si poteva ritenere soddisfatta: aveva preso tre galli selvatici, cinque lepri grazie alle trappole che aveva piazzato il giorno prima e persino un fagiano variopinto; ma del cervo non aveva più trovato le tracce.
Stava per tornare a casa quando, come chiamato dalla sua mente, l’animale riapparve per scomparire subito dopo dietro a dei cespugli. Maya non ci pensò due volte: nascose il sacco con le sue prede, incoccò l’arco, spostò i cespugli e… si ritrovò sulla scogliera a picco sul mare: era arrivata alla fine dell’isola. Non c’era modo di scappare da lì se non la strada appena percorsa: possibile allora che se lo fosse immaginato?
Lo sguardo di Maya si posò sconsolato sull’ampia distesa marina e rimase sorpresa: una piccola imbarcazione a vela si stava avvicinando all’isola, ma era ancora piuttosto lontana per capire chi fosse lo sconsiderato che aveva deciso di prendere il mare in quella stagione con quella barchetta. L’unica cosa che riusciva a distinguere chiaramente era il vistoso cappello arancione del marinaio.
 
Ace guardava sconsolato la sua imbarcazione: la tempesta di due giorni prima l’aveva quasi fatta affondare insieme a lui ed ora era ridotta piuttosto male. Fortuna che era arrivato nelle prossimità di un’isola dato che anche acqua e cibo ormai scarseggiavano: ed era partito solo da due settimane!
Si voltò verso l’isola per guardare se ci fosse un punto d’approdo, ma tutto ciò che vide  furono scogliere a strapiombo e una folta vegetazione. I casi erano due: o l’isola era disabitata o il villaggio doveva trovarsi dall’altra parte. Ace pregò il cielo che fosse la seconda.
Poi si accorse di una cosa che prima non aveva notato, o meglio, di una persona. Una ragazza era ferma sul ciglio della scogliera e guardava nella sua direzione. Il moro tirò un sospiro di sollievo capendo che l’isola era abitata. Finalmente avrebbe gustato un bel pranzo abbondante e avrebbe fatto riparare la barca.
Il vento cominciò a soffiare portando con se uno strano odore che fece sgranare gli occhi al ragazzo: profumo di gelato al cioccolato e cera calda. La mente di Ace ritornò alla notte del suo dodicesimo compleanno, a quel desiderio stupido che aveva espresso a cuor leggero e poi ricacciato nei meandri oscuri della sua memoria. Un po’ agitato alzò nuovamente gli occhi dove prima stava la ragazza, ma di lei non c’era più alcuna traccia e anche il profumo se n’era andato disperso nell’aria.
 
Ace camminava per le strade della cittadina sconsolato. Aveva impiegato un po’ di tempo per trovare il porto dell’isola che per di più era molto affollato visto che quasi tutti i pescatori stavano ritornando dalla nottata di pesca. Poi aveva dovuto spendere tutti i suoi miseri risparmi per far riparare la nave in tempo di record e nonostante tutto ci sarebbe voluto come minimo tutto il giorno! Come colpo di grazia, era mezzogiorno passato, stava morendo di fame e non aveva un soldo bucato in tasca! Destino volle che si trovasse a passare davanti una locanda dalla quale veniva un profumino di carne arrosto squisito. Il suo stomaco protestò rumorosamente ed  Ace prese la sua decisione…
 
Syri guardava sconcertata il ragazzo che le si trovava davanti: era molto attraente, non c’erano dubbi su quello, ma era anche un vero e proprio maiale! Tutti i clienti lo fissavano inorriditi È vero che anche lei, quando si trattava di cibo, dava il peggio di sé, ma quel… “ragazzo” era esagerato! Era meno di un quarto d’ora che era arrivato e aveva già ingurgitato 10 scodelle di ramen, 5 porzioni di pollo arrosto e almeno una dozzina di spiedini di pesce. Per tacere de bere: quella era la terza bottiglia di birra che si scolava!
La bionda stava servendo indaffarata un tavolo, maledicendo la lentezza di sua sorella nelle consegne, quando da dietro le giunse un rumore sordo poco rassicurante. Si voltò e ciò che vide la lasciò senza parole: il “maiale” al bancone  era caduto svenuto con la faccia nell’ennesima ciotola di ramen. Agitata gli si avvicinò tra il mormorio dei clienti per controllare se stesse bene. Gli stava per scuotere la spalla muscolosa, quando il moro alzò la testa di scatto, facendole quasi prendere un infarto; poi con sguardo assonnato e la faccia ancora sporca di ramen disse: “Scusate, mi ero appisolato!” suscitando lo sconcerto di tutti.
Syri non riuscì a trattenere una risata: tutto sommato quel tizio singolare le andava a genio. Anche Kerr si era affacciato dalla cucina attirato dal rumore e aveva assistito alla scena, commentando: “Ragazzo, non è una cosa normale. Dovresti farti controllare da un medico!”
Ace si grattò la testa sopra il cappello e ridacchiò imbarazzato. Poi accettò il fazzoletto che gli offriva la cameriera: quelle persone erano proprio gentili e gli dispiaceva dover attuare il suo piano con loro, ma che altre scelte aveva?
Così, approfittando di un attimo di distrazione di Syri se la diede a gambe. Troppo lentamente, però, per non essere notato da Kerr , che gridò: “Ehi, bella addormentata, non hai pagato il conto!”                                       A quelle parole Syri scavalcò il bancone poco elegantemente rovesciando parecchi piatti e bicchieri suscitando un’ulteriore imprecazione da parte dello zio, e si mise all’inseguimento del debitore urlandogli a squarciagola: “Fermati, mi devi più di 100 berry!!!”
Ma Ace non l’ascoltava e continuava a correre sperando che prima o poi la sua inseguitrice si stancasse, ma non conosceva per niente la bionda; infatti dopo più di 5 minuti di corsa, forse per il fatto che lei non aveva mangiato fino a scoppiare, lo aveva quasi raggiunto. Decise allora di cambiare strategia: cercò di prendere la sua avversaria alla sprovvista svoltando all’ultimo secondo in vicolo stretto. Pessima mossa! Troppo concentrato a guardarsi le spalle, non si accorse della ragazza che aveva di fronte, finendo così per travolgerla e trovarsi a terra entrambi.
“Scusami tanto, non ti avevo vista! Stai… bene?” le parole gli morirono sulle labbra mentre i suoi sensi erano inebriati di nuovo da quel profumo di cera e cioccolato e i suoi occhi si perdevano nel blu della notte di quelle iridi magnetiche. Anche se l’aveva vista solo per pochi attimi la riconobbe subito come la ragazza della scogliera.
Anche Maya lo aveva riconosciuto: era il marinaio dallo strano cappello che aveva scorto quella mattina. Se prima lo aveva solo immaginato, ora lo poteva asserire con certezza: era proprio un bel ragazzo con due occhi color ossidiana davvero ipnotici che le davano un senso di sicurezza mai provato prima.
Il tempo sembrava essersi fermato per entrambi: non si ricordavano di essere sdraiati in mezzo a una strada, in una posizione alquanto equivoca. Fu Syri a riportarli alla realtà: “Grande sorellona! Hai preso il ragazzo che non ha pagato il conto!”
Sorella?! Ecco, ora sì che Ace era veramente fregato!


 
 
 
N.d.a.
E anche il secondo è andato! Volevo inserire un’immagine di Maya e Syri, ma faccio veramente schifo a disegnare! Quindi immaginatevele come meglio credete! Se poi troverò delle immagini che assomiglino alla mia idea e, soprattutto, mi insegnerete come postarle, ve le farò vedere!:)
Ringrazio chi ha messo la storia tra le preferite/seguite e tutti i lettori del primo capitolo. Purtroppo non ho ricevuto neanche una recensione!:( Pazienza lavorerò ancora più sodo!
Comunque, se volete, ditemi cosa ne pensate, così posso migliorare e rendere la storia sempre più interessante!
Ci si vede ad aprile! A presto. C.S.
P.s. Mi stavo quasi per dimenticare! Tra le richieste di inserire nuovi personaggi, ce n'è una anche mia: la coppia Killer/Penguin. Se anche a voi piace questa coppia, per favore datele il voto. Rendiamo canon  la coppia Kirachan/Penchan!     

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Capitolo 3
*** Io non picchio le ragazze! ***


IO NON PICCHIO LE RAGAZZE!


 
“Grande sorellona! Hai preso il ragazzo che non ha pagato il conto!”
A quelle parole Maya si riscosse dallo stato di trance in cui era piombata e con un gesto fulmineo ribaltò la situazione: ora era il misterioso ladro ad essere schiena a terra mentre lei si trovava cavalcioni sopra di lui.
“E quindi tu non hai pagato il conto, eh?” chiese Maya con un sorrisetto mentre con una mano teneva il ragazzo inchiodato a terra.
Ace per nulla intimorito, si alzò leggermente dalla strada facendo perno sul gomito destro mentre la mano sinistra si andava a posare delicata su quella della bruna: “ Tesoro, tu sei una ragazza così carina che mi dispiacerebbe farti male. Dai, chiudi un occhio per sta volta!” e sfoderò il suo miglior sorriso seduttore, quello che usava per abbindolare tutte le ragazze di Foosha quando voleva ottenere qualcosa.
Maya, a quel punto,  si sciolse in una risatina quasi isterica arrossendo e liberando Ace dalla sua presa. “B-bhè…  per questa volta…” disse sorridendo come una stupida.
“Grazie zuccherino!” le rispose il moro, baciandole la mano dopo averla aiutata ad alzarsi. “Certo che non mi aspettavo che cedesse così in fretta! Non mi sembrava una di quelle ochette che si trovano a Foosha!” pensò sconsolato il ragazzo mentre riprendeva a camminare per la sua strada.
Alle sue spalle, Syri guardava sconcertata la sorella: “Maya, ma che diavolo ti è preso?!” La mora, però alzò una mano come a volerle dire di stare zitta e di aspettare. Prese l’arco che aveva a tracolla, incoccò una freccia e con un ghigno divertito la scoccò.
Ace non fece in tempo a capire cosa stesse succedendo. Percepì solo un fischio acuto, sentì una forza che gli portava via il suo amato cappello e poi lo vide trafitto da una freccia conficcata in un palo di legno a pochi passi da lui. Si girò sconcertato mentre la poca gente in strada mormorava spaventata: la ragazza di poco prima lo guardava con aria di sfida, l’arco stretto ancora tra le dita d’alabastro.
“Sai, ci ho ripensato.” disse avvicinandosi al bel ladro che aveva osato darle dello zuccherino. “D’altro canto noi donne siamo così volubili, cambiamo idea da un momento all’altro! Vuoi guadagnarti il pranzo? Devi battermi in un combattimento corpo a corpo.”
Ace sorrise divertito cercando di togliere la freccia dal palo. Dovette impiegare più forza di quanto avesse immaginato, cosa che non sfuggì alla sua avversaria.
Recuperato il copricapo, il moro si voltò verso di lei e disse: “Sapevo che non poteva essere stato così facile! Si nota subito che non sei come le altre ragazze.” e dopo aver controllato l’entità dei danni riportati dal suo povero cappello ed esserselo rimesso in testa, proseguì: “Accetto la sfida. Vuoi combattere qui in mezzo alla strada o andiamo in luogo più ‘intimo’?”
Senza togliere gli occhi di dosso al suo sfidante, Maya lanciò arco e faretra a sua sorella e le disse: “Syri va a casa e dì a Kerr di iniziare a pensare a una punizione per il suo ladruncolo.” Poi ignorando le proteste della bionda, superò Ace dicendogli un semplice ‘seguimi’.
 
Non dovettero camminare a lungo. Maya portò Ace al vecchio ponte e, superatolo, svoltò a sinistra fino a giungere in un piccolo spiazzo circondato per una metà da alti alberi e per l’altra a strapiombo sul mare. La ragazza si fermò al centro della radura spalle al suo avversario, mani sui fianchi, intenta a fissare un punto imprecisato tra gli alberi. Poi, preso un lungo respiro, si voltò e disse: “Le regole sono semplici: il primo che non riesce ad alzarsi ha perso. Il vincitore potrà chiedere qualsiasi cosa al perdente. Non vale utilizzare poteri o abilità speciali, solo la propria forza. Se si finisce in acqua è come aver perso. Niente trucchi, niente tiri mancini e nessuno scrupolo. Tutto chiaro?”
Ace guardò sorridendo la sfidante che invece manteneva un’espressione seria e determinata in volto e disse: “ Tutto chiaro. Però vorrei almeno conoscere il tuo nome.”
“Maya.” rispose secca l’altra.
“Io sono Ace.” replicò sfoderando il suo più bel sorriso, sta volta sincero “Mi dispiace incontrarti in tali circostanze e mi dispiace pure aver mangiato a scrocco. Comunque, se vuoi lottare, io sono pronto, basta che poi non vai a frignare dalla mamma.” e si mise in posizione da combattimento imitato dalla sua avversaria.
Tuttavia, Ace abbandonò subito la posizione presa e ridacchiando disse: “Scusa, ma non ce la faccio a picchiare una raga…” ma non riuscì a terminare la frase che si ritrovò scaraventato contro l’albero dietro di lui con un grosso bernoccolo sulla nuca e un forte dolore alla bocca dello stomaco.
Maya fece scrocchiare le dita della mano appena usata e disse con un sorriso inquietante: “ Ciò renderà tutto più semplice… e noioso! Avevamo detto nessuno scrupolo. Smettila di trattarmi così: io non sono uno zuccherino!”
“E va bene!” disse Ace massaggiandosi un attimo gli addominali scolpiti. Poi si gettò su Maya tentando di sorprenderla , ma lei evitò il colpo con una facilità inimmaginabile. Le danze erano cominciate!
 
Lo scontro continuò per più di un’ora. Ace era esterrefatto: nonostante si stesse impegnando la ragazza riusciva a tenergli testa egregiamente, anzi ogni tanto lo aveva persino messo in difficoltà. Per di più non sembrava per niente spossata: come diavolo era possibile?!
Maya dal canto suo, invece, iniziava a sentire i morsi della fame e la stanchezza accumulata quella mattina andando a caccia, ma mai lo avrebbe fatto capire al suo avversario. Doveva darsi  una mossa e chiudere la partita ora che aveva ancora la forza per vincere. Distratta, non si accorse dell’attacco di Ace che la buttò a terra. Fortunatamente, però, reagì prontamente scaraventando il ragazzo dietro di lei utilizzando gambe e braccia e facendolo finire in mare.
La ragazza tirò un sospiro di sollievo: ce l’aveva fatta, aveva vinto. Sorridendo si sporse per vedere la faccia tutta bagnata di quello sbruffone. Ma in acqua non c’era nessuno. Eppure sarebbe dovuto già riemergere. Non c’era neanche il pericolo che avesse battuto contro gli scogli visto che quel tratto ne era sgombro. E allora perché non riemergeva?!
Maya iniziò ad avere paura e a pensare al peggio. Senza aspettare un secondo di più, si gettò in mare. L’acqua era talmente gelida che le sembrava di avere il corpo trafitto da mille aghi; il sale bruciava negli occhi, ma lei non ci badava intenta a scorgere il corpo di quello sfacciato, terrorizzata alla sola idea di non rivedere più quei due pozzi neri che l’avevano stregata all’istante, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Alla fine, quando ormai i suoi polmoni invocavano pietà, la sua mano toccò qualcosa di soffice e scompigliato: i capelli di Ace! Con le poche forze rimaste, riuscì a risalire in superficie e a far prendere una bella boccata d’aria ad entrambi.
Ace era intento a sputare fuori tutta l’acqua che aveva ingerito lasciandosi trainare da Maya verso il crepaccio che separava le due isole. Lì, tra le rocce appuntite, i due ragazzi si lasciarono cadere privi di forze e con il fiatone. Dopo qualche minuto fu la bruna a rompere il silenzio: “Potevi dirmelo che non sai nuotare!” Non ricevendo risposta si voltò verso il suo compagno, e con sua grande sorpresa lo trovò addormentato. Sbuffando si alzò in piedi esaminando la situazione: erano intrappolati lì, senza alcuna via d’uscita visto che era impossibile scalare la parete rocciosa e che lei non sarebbe riuscita a nuotare fino alla spiaggia con un peso morto sulle spalle.
“Che palle! Non dirmi che siamo bloccati qui!”
A Maya venne quasi un infarto sentendo la voce del moro a pochi centimetri dal suo orecchio destro.  Ma chi diavolo era quel ragazzo che si addormentava e si risvegliava nel giro di pochi minuti come se niente fosse dopo essere quasi morto affogato? Comunque si limitò ad annuire alla domanda del moro. L’unica cosa da fare era aspettare che qualcuno li andasse a cercare possibilmente prima che si alzasse la marea.
Maya si voltò verso Ace e lo trovò a fissarla con un sorriso allegro: “La vuoi vedere una magia?” Senza aspettare una risposta, si allontanò di qualche passo per poi prendere completamente fuoco e, sotto forma di una gigantesca colonna, arrivare in cima al dirupo. La ragazza lo guardava ammirata: ecco spiegata la sua forza, il fatto di non saper nuotare e la temperatura elevata del suo corpo. Quel ragazzo aveva mangiato un frutto del diavolo, un rogia!
La voce di Ace la riscosse dai suoi pensieri: “Vado a cercare una corda. Stai ferma lì, non che tu abbia altra scelta!”
“Ok!” gli gridò Maya vedendolo scomparire. Cosa diavolo le stava succedendo? Da quando si fidava così ciecamente degli sconosciuti? Per quanto ne sapeva, ora Ace poteva già essere lontano chilometri intento a lasciare l’isola. Eppure c’era qualcosa in lui che annullava completamente le sue difese: qualche ora prima, anche se aveva finto di essere solo un’ochetta, quando le aveva afferrato la mano, il suo cuore aveva davvero perso un battito. Scosse la testa violentemente: da quando lei si comportava come tutte le altre sciocche ragazzine? Perché quel tizio le faceva un tale effetto?
Era così presa nelle sue elucubrazioni, che non si accorse subito della corda che le penzolava a fianco: all’altro capo c’era Ace sorridente. Maya addolcì l’espressione pensierosa sul suo volto. Afferrando la corda, capì che di una cosa poteva stare certa: di Ace poteva iniziare a fidarsi.
 
Syri guardò per l’ennesima volta l’orologio nel locale ormai quasi deserto: erano le due passate e di Maya ancora nessuna traccia. Che fine aveva fatto sua sorella? Le peggiori ipotesi iniziarono a formarsi nella sua mente, ma le scacciò via violentemente. Lei era una persona positiva e sapeva che sua sorella era una tipa tosta. Aveva già fatto a botte con gente molto più grossa e pericolosa di quel ragazzo: non avrebbe mai perso contro un novellino!
In quel momento la porta sul retro si apri e Syri si precipitò ad accogliere la sorella (perché solo di lei poteva trattarsi). La scena che le si parò davanti però la lasciò a bocca aperta, indecisa se mettersi a ridere o a piangere: Maya era fradicia dalla testa ai piedi, tremante come un pulcino, con i vestiti ridotti a brandelli, ma sfoggiava il suo sorriso “anche sta volta ho vinto io”. Al suo fianco il ragazzo a dir poco imbarazzato pieno di lividi e tagli che non mancavano neanche sul volto della mora. Kerr guardava la scena contrariato, mentre Syri alla fine aveva optato per una sana risata attirando su di sé lo sguardo truce della sorella.
“Vatti a cambiare prima di prendere un accidente. E tu furbetto resta dove possa vederti: parleremo quando i clienti se ne saranno andati! Ah, Maya: buon compleanno!” disse il proprietario con tono duro per poi tornare in cucina. Maya sbuffando salì al piano superiore per cambiarsi inveendo contro il vecchio che aveva reso il suo compleanno di dominio pubblico, mentre Syri, che nel frattempo si era calmata, fece segno ad Ace di seguirla. Lo portò in cucina, gli diede un sacchetto pieno di ghiaccio e poi tornò in sala a servire i clienti lasciandolo solo con Kerr che non gli staccava mai gli occhi di dosso.
Fortunatamente i due non rimasero soli a lungo: dopo circa un quarto d’ora Maya si ripresentò in cucina con una scatola del pronto soccorso in mano. Si era fatta una doccia veloce per togliersi la salsedine soprattutto tra i capelli che poi aveva raccolto per evitare che sgocciolassero sui vestiti puliti. Aveva la mano sinistra fasciata e un cerotto sulla fronte. La bruna prese una sedia e si sedette di fronte al ragazzo: gli tolse il ghiaccio e senza dire una parola iniziò a medicargli le varie escoriazioni.
“Comunque, auguri.” disse ad un certo punto Ace.
“Grazie.” rispose la mora intenta a fasciare il braccio del suo interlocutore.
“No, grazie a te per le cure. Sei molto brava… e delicata.”
Maya sorrise divertita: “Beh, quando hai una sorella che non fa altro che cacciarsi nei guai, impari in fretta a fare la crocerossina!”
“Sai che hai proprio un bel sorriso? Meglio dei ghigni che mi hai fatto vedere finora! Mi piace!” Ace sorrise a sua volta in direzione della mora che era lievemente arrossita a quel complimento. Non era come quelle moine che le aveva rivolto prima: questo era sincero e ciò la rendeva felice… e allo stesso tempo la riempiva di paura perché aveva la strana sensazione che le sue barriere non avrebbero retto contro gli attacchi del ragazzo di fuoco.

Passò ancora una mezz’ora prima che la famiglia potesse chiudere il locale. A quel punto i quattro interessati si sedettero intorno ad uno dei tavoli della locanda ed aprirono le trattative.
“Allora” incominciò Kerr “inizia dicendoci il tuo nome.”
“Mi chiamo Ace.”
“Dunque Ace, ho fatto un veloce calcolo mentale e visto tutto quello che hai mangiato, mi devi 500 berry. Aggiungendo il fatto della fuga e che mi hai tolto Maya per più di due ore durante l’ora di punta, arriviamo a un totale di 1200 berry.” continuò l’oste.
Ace sbiancò: non aveva una cifra simile. Tutto quello che gli era rimasto dalle riparazioni alla barca erano  solo 5 berry!
“Dato che è ovvio che non puoi pagare in denaro, mi ripagherai lavorando per me per un mese.” concluse l’uomo.
“COSA?! UN MESE?!” urlò Ace. Quello doveva essere un incubo.
“Sì, un mese intero a partire da oggi.” rincarò la dose Kerr “Non puoi tirarti indietro: hai fatto un patto con Maya. Sii uomo e affronta le conseguenze delle tue azioni!” poi si alzò per andarsene, ma la voce del moro lo fermò.
“Non può farmi questo! È da 17 anni che aspetto di prendere il mare, non posso fermarmi qui per un mese!” sapeva perfettamente di essere patetico, ma era la sua ultima carta da giocare, quella che non usava mai perché la detestava: la compassione.
“Appunto, hai aspettato 17 anni puoi aspettare ancora 30 giorni. Inoltre questo è un favore che ti sto facendo: nessuno sano di mente prenderebbe il mare in questa stagione. Ti sto salvando l’osso del collo!” Detto questo Kerr se ne andò.
Ace si lasciò cadere sconsolato sulla sedia: non aveva altra scelta che accettare. Certo che il suo viaggio era iniziato proprio bene!
 
 
 


N.d.a.
Salve a tutti!!! Mi dispiace che questo cap sia risultato più corto di quanto avessi programmato all’inizio, ma mi rifarò col prossimo. Spero che vi sia piaciuto ugualmente. Ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia o l’hanno inserita tra le preferite o le ricordate. Un ringraziamento speciale va ad Axul che è stata la prima a recensirmi: ti adoro ragazza!
Approfitto dello spazio per ringraziare anche chi ha letto, recensito ed inserito tra le preferite la mia one shot che aveva come protagonista il povero Satch, “Tell me a story”. Grazie vi adoro tutti!
Beh, non ho altro da aggiungere se non: Buona Pasqua a tutti!!! E mi raccomando recensite in molti!!!
 See you soon, C.S.  

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Capitolo 4
*** Sotto il cielo in tempesta ***


SOTTO IL CIELO IN TEMPESTA


 
I giorni passavano velocemente mentre la punizione di Ace aumentava ancora. Kerr gli aveva infatti aggiunto un altro mese di servizi gratuiti per vari motivi, primo fra tutti le tre fughe tentate dal moro, sventate fortunatamente da Maya, che gli erano costate anche il privilegio di andare a caccia con la ragazza. Anche la cucina era diventata off limits per il pirata visto che non poteva trattenersi dall’assaggiare tutte le pietanze preparate dal cuoco. Inoltre non poteva neanche essere utilizzato per lavare i piatti: infatti un giorno, mentre era intento in questa mansione, era stato colto da un attacco di narcolessia e aveva rischiato di affogare in un palmo d’acqua, per tacere di tutte le stoviglie che aveva rotto con quel gesto involontario. Quindi Ace ormai era impiegato solo nei lavori pesanti e a servire ai tavoli: non era molto bravo neanche in questo, ma la sua bellezza aveva incrementato il numero delle clienti per la felicità di Kerr.
Dal canto suo, Ace stava iniziando a trovare i lati positivi di quella faccenda: Syri e Maya era molto simpatiche e si trovava bene in loro compagnia. La prima gli ricordava tantissimo suo fratello Rufy in versione femminile e meno tonta, mentre la seconda gli conferiva una sensazione di pace e comprensione che aveva provato raramente. In più coltivavano il suo stesso sogno: prendere il mare ed essere finalmente libere. Tutto sommato il ragazzo pensava che gli sarebbe potuta andare peggio!
Una mattina di fine gennaio, Maya si alzò prima del solito. Incapace di riaddormentarsi, pensò di sfruttare quel tempo andando a caccia visto che entro sera si sarebbe anche scatenata una tempesta ed era probabile che non sarebbe potuta tornare nella foresta per un po’. Si vestì in fretta facendo attenzione a non svegliare sua sorella che dormiva ancora beatamente. Stava per scendere a prendere la colazione, quando dei lamenti attirarono la sua attenzione: venivano dalla mansarda, la sua stanza dove per il momento dormiva Ace. Salì lentamente le scale ed aprì la porta di legno chiaro: a petto nudo, coperto solo da un lenzuolo c’era il moro che si agitava nel suo letto evidentemente tormentato da un incubo. Continuava a chiamare incessantemente un solo nome: mamma.
Maya non ce la faceva a vederlo in quello stato. Si avvicinò al letto e iniziò a scuotere il ragazzo con forza chiamandolo: “Ace! Ace!”
Il moro spalancò gli occhi e si tirò su di scatto ansimando: aveva tutta la fronte imperlata di sudore. Si guardò lentamente intorno per vedere chi lo avesse svegliato fino ad incrociare gli occhi della bruna: “Maya, che c’è? È successo qualcosa?”
“Stavi avendo un incubo e ti agitavi come un forsennato, così ti ho svegliato.” rispose l’interpellata.
Ace si asciugò la fronte con una mano, poi riprese il discorso: “Ah, grazie. Devo aver mangiato troppo ieri sera!” e tentò di sfoderare un sorriso che convincesse la ragazza che stava bene.
Inutile. Maya vide il turbamento in quegli occhi neri e in quel sorriso spento e si sentì in dovere di aiutarlo, lui che stava diventando, suo malgrado, una parte importante della sua vita. “Su vestiti. Già che sei sveglio renditi utile: oggi vieni a caccia con me!”
“Ma… e Kerr?” tentennò Ace.
“A lui ci penso io, non preoccuparti. Dai, sbrigati: ti aspetto di sotto!” concluse la ragazza uscendo dalla stanza e lasciando il moro con i suoi pensieri. Aveva fatto di nuovo quel sogno: sembrava gli volesse dire “puoi andare anche in capo al mondo, ma non puoi scappare dalla realtà!”. Inspirò profondamente prima di alzarsi e lavarsi il viso e sperò che un po’ di attività all’aperto lo aiutasse a schiarirsi le idee.
Maya intanto era scesa al piano terra e aveva preparato uno zainetto con la colazione per entrambi: ora che ci pensava era la prima volta che lei ed Ace restavano da soli dal giorno dello scontro. Arrossì a quel pensiero lasciandosi però sfuggire un lieve sorriso. Poi prese carta e penna e lasciò un messaggio veloce per Kerr: “Porto Ace a caccia con me. Stai tranquillo, lo tengo d’occhio io. A dopo.”
Aveva appena finito di scrivere che il soggetto del suo messaggio le comparve alle spalle, rischiando di farle prendere un colpo. “Allora, andiamo?” disse con un sorriso questa volta sincero.
Maya si limitò ad annuire e a passargli lo zaino con la colazione. Prese il suo fidato arco che aveva lasciato in un angolo nel retro bottega , si voltò verso il moro e disse: “Mi sembra superfluo chiederti se vuoi un arma. Stai solo attento a non dar fuoco a tutta la foresta!” Ace sghignazzò divertito mettendosi una mano sul cuore come se stesse per fare un giuramento solenne e strappando una risata sommessa alla sua compagna; poi uscirono nell’aria fredda del mattino chiudendo delicatamente la porta.
Impiegarono pochissimo tempo a raggiungere la foresta, ma per tutto il tragitto nessuno dei due aveva aperto bocca: Ace troppo preso dai suoi pensieri, Maya troppo imbarazzata per chiedergli spiegazioni. Alla fine fu però quest’ultima a parlare per prima.
“Ho notato che hai un tatuaggio sul braccio sinistro. È carino, ma non ho capito il significato della S sbarrata. Cos’è, quello che te lo ha fatto ha sbagliato e l’ha dovuto correggere in qualche modo?” disse con un sorriso sulle labbra.
Ace ghignò sommessamente toccandosi la scritta con la mano destra: “No, nessun errore. Visto che il mio nome si pronuncia come se ci fosse una S, ho voluta aggiungerla in ricordo di mio fratello Sabo.”
“Non sapevo avessi un fratello.” riprese la mora curiosa
“Veramente ne ho… avevo due. Sabo è morto sette anni fa.”
“Mi dispiace.” Il silenzio calò nuovamente tra i due: Maya non sapeva che dire o fare. Aveva cercato di non metterlo in imbarazzo non parlando del suo incubo e invece aveva peggiorato le cose facendogli ricordare il fratello morto.
“Ehi, guarda che non fa niente. Sono passati tanti anni e riparlarne adesso mi fa quasi bene. Stai tranquilla!” La ragazza alzò lo sguardo verso il volto del moro che le stava sorridendo amorevolmente: come aveva fatto capire cosa l’angustiava?
“Sono così trasparente o sei tu ad essere un bravo lettore dell’animo femminile?” tentò di difendersi la bruna cercando di non arrossire.
“A dir la verità, non ho mai capito le ragazze. Ma tu hai qualcosa di diverso… Non so come spiegartelo... È come se… se… ” Ace era molto imbarazzato e in difficoltà. La ragazza gli venne in aiuto non meno imbarazzata.
“È come se ci conoscessimo da sempre.”
“Già!” Si erano fermati al centro di una piccola radura. Ace guardava gli occhi blu della sua compagna: cavolo, com’erano belli, tanto quanto l’oceano! Il ragazzo pensò che non gli sarebbe dispiaciuto affogare in un mare del genere! Una ciocca di capelli castani era uscita dalla presa ferrea dell’elastico bianco andando a coprire quelle due pozze d’acqua. Istintivamente gliela spostò dietro all’orecchio, ma invece di togliere subito dopo la mano, trasformò quel contatto in una dolce carezza.
Maya si irrigidì a quel contatto, mentre il suo cuore galoppava come un forsennato. Erano troppo vicini! Ancora pochi centimetri e nessuno dei due avrebbe più risposto delle proprie azioni!
In quel momento un uccello enorme spuntò dal folto degli alberi, facendo sussultare i due ragazzi e interrompendo quell’attimo magico. I due si allontanarono e ridacchiarono imbarazzati. Poi Maya si schiarì la voce e disse: “Su, andiamo, altrimenti chi lo sente Kerr se dovessimo tornare a mani vuote!”
“Già… A chi prende più animali?” disse Ace iniziando a correre verso gli alberi seguito a ruota dalla ragazza che gli urlava: “Hai già perso in partenza, fiammella!”
 
La caccia era stata molto proficua: oltre a un cervo, sette polli e tre grosse lepri erano riusciti anche a prendere un orso! Sicuramente avrebbero guadagnato parecchio rivendendone la pelliccia anche se quell’inverno non faceva particolarmente freddo. Era quasi ora di pranzo e decisero di tornare alla locanda per consegnare il loro bottino a Kerr.
Mentre rientravano carichi di tutto quel ben di dio, discutevano amichevolmente su chi di loro avesse vinto la sfida: Maya aveva ucciso più prede, ma Ace aveva abbattuto l’orso tutto da solo. Alla fine si accordarono per un pareggio e si misero a ridere senza un motivo apparente, dimentichi della situazione imbarazzante di quella mattina.
“Ti devo ringraziare.” disse a un tratto la ragazza attirando su di se lo sguardo del moro “Cacciare con te è molto più divertente che farlo da sola. Ho provato a portarci Syri, ma è una tale casinista che ero sempre dietro a tirarla fuori dai guai!”
“Ti capisco: per me era lo stesso col mio fratellino. Siete molto unite voi due, eh?” ma il ragazzo non ottenne risposta. Si voltò verso l’amica che si era fermata qualche passo dietro a lui e guardava impietrita qualcosa alla sua destra. Ace seguì lo sguardo della bruna: al lato della strada c’era Syri che parlava con un ragazzo dai capelli rossicci.
Maya lasciò cadere il sacco con la selvaggina a  terra e si diresse verso i due che non si erano accorti della furia che incombeva su di loro. La prima a notarla fu proprio Syri: “Maya!”
“Ciao sorellina pensavo fossi al locale ad aiutare tuo zio. Ciao Shun, te ne vai da solo o vuoi una mano?” disse Maya facendosi scrocchiare le nocche.
Shun fulminò la mora con lo sguardo e poi se ne andò con un semplice ‘a sta sera Syri’ che non sfuggì alla mora.
“Che voleva dire?” riprese quest’ultima rivolta alla sorella.
“Niente, mi ha solo invitato a uscire e io ho accettato!” ribattè la bionda emozionata.
“Cosa ti è saltato in mente?! Ti devo forse ricordare che Shun è il capo della combriccola che la scorsa estate ti ha spinta giù dalla scogliera rischiando di ucciderti?! Per non parlare di tutte le prese in giro!” la bruna era furibonda.
“È acqua passata! Mi ha chiesto scusa per tutti i dispetti e ha detto che era estraneo  allo scherzo dei suoi amici la scorsa estate. Dice che si è accorto finalmente che sono una ragazza speciale e mi vuole conoscere meglio!” alla minore brillavano gli occhi dalla felicità.
“Svegliati Syri, ti sta solo prendendo in giro! Non farti fregare da un bel visetto. Come potrebbe uno come lui interessarsi a una come te?” Maya si morse la lingua troppo tardi. Lo sguardo di Syri si rabbuiò e si riempì di rabbia.
“La pensi davvero così?! Perché non puoi essere solo felice per me? Perché devi sempre vedere congiure dappertutto? Ti hanno proprio fatto il lavaggio del cervello e io mi sono rotta di essere la tua unica amica! Arrangiati!” La bionda sapeva di averla ferita, ma non gliene importava niente: d’altronde aveva iniziato lei e se l’era andata a cercare.
Lo sguardo di Maya era diventato gelido: “Hai ragione, tra me e te non ci sono legami. Fa’ quello che ti pare della tua vita!” Poi si voltò tornando verso il sacco pieno di carne, mentre Syri scappava nella direzione opposta.
Ace, che aveva assistito a tutta la scena, si avvicinò titubante alla mora chiamandola dolcemente: “Maya.”
Lei si voltò verso la sua direzione gelandogli il sangue con il suo sguardo glaciale e vuoto. Le sue parole furono altrettanto fredde: “ Che faccia quello che le pare! Non sono sua sorella, tanto meno sua madre! È ora che sperimenti quanto il mondo sia un luogo marcio e meschino. Andiamo!”
 Riprese la via per la locanda seguita da un Ace frastornato ed incredulo per quanto aveva visto e sentito.
 
La giornata passò molto lentamente e l’umore all’interno della locanda andava peggiorando come il tempo. Per tutto il pomeriggio, Syri e Maya non si erano rivolte la parola. La prima dopo l’orario di chiusura si era barricata in camera sua, mentre la seconda aveva aiutato a rimettere in ordine e poi era andata ad allenarsi alla spiaggia nonostante Kerr glielo avesse sconsigliato. Ace si era offerto di accompagnarla, ma era stato liquidato malamente. Aveva anche tentato di far uscire Syri dalla sua stanza, ma dopo essere stato scacciato anche da lei, aveva deciso di non intromettersi oltre: in fondo conosceva quelle due ragazze solo da qualche settimana, che diritto aveva di impicciarsi nelle loro questioni?
Erano quasi le sei e mezza di sera : Ace e Maya stavano preparando il locale all’apertura nel più totale silenzio, Kerr era intento a cucinare e il cielo nero come la pece era pronto a scatenare tutta la sua ira. All’improvviso Syri scese di corsa giù nel locale: aveva indossato una felpa rossa con una buffa scimmietta sul davanti e un paio di jeans infilati all’interno di un paio di stivali color cuoio.
“Io esco.” disse perentoria prendendo la borsa appesa all’attaccapanni.
“Da sola? Non viene anche tua sorella?”sbuffò Kerr affacciandosi dalla cucina.
“Non posso sempre starle appiccicata!” ribattè scocciata lanciando un’occhiataccia alla sorella. Poi uscì senza neanche aspettare l’autorizzazione dallo zio.
Ace non aveva staccato gli occhi da Maya che dal canto suo non aveva alzato neanche un momento lo sguardo dal tavolo che stava apparecchiando; ma dopo che la sorella se ne andò, non passò neanche un minuto prima che dicesse: “Esco anch’io!” Si tolse il grembiule e si mise all’inseguimento della bionda.
Kerr era finalmente uscito dalla cucina e affacciato sull’entrata del locale stava inveendo contro la ragazza. “Ehi mocciosa, non puoi piantarmi in asso anche tu poco prima dell’apertura! Torna qui! E tu non azzardarti a svignartela, Ace!” disse voltandosi verso il moro che, però, non si trovava più lì. L’unica traccia del suo passaggio era il grembiule abbandonato accanto a quello di Maya e la porta sul retro che sbatteva. Kerr sospirò rassegnato chiedendosi cosa avesse fatto di male per meritarsi quei tre casinisti!
 
Syri era seduta sul bordo della fontana nella piazza principale della città inconsapevole che da due nascondigli differenti Ace e Maya la stavano spiando. Guardò ancora una volta l’orologio: l’ora dell’appuntamento era già passata e di Shun ancora nessuna traccia. Stava cominciando a preoccuparsi quando sentì dei passi alle sue spalle. Si voltò, ma di fronte si trovò solo un gruppetto di ragazzi.
“Dov’è Shun?” chiese un po’ titubante avendo riconosciuto in loro i ragazzi che la tormentavano sempre.
“Sono qui.” rispose il diretto interessato spuntando da dietro gli altri compagni.
Syri sorrise sollevata, ma subito la sua espressione si mutò in sgomento: avvinghiata a Shun c’era una ragazza bellissima dai lunghi capelli neri, un seno prosperoso e delle gambe lunghissime accentuate dalla minigonna vertiginosa. La bionda non riusciva a capire cosa stesse succedendo.
Shun rise perfido avvicinandolesi: “ Non avrai pensato sul serio che un figo come me si interessasse a una sfigata come te? Guardati: sei sciatta, piatta come una tavola, sembri un maschio!” Poi ridendo insieme a suoi compagni, gli spaccò un uovo marcio in testa dicendo: “Forse così il tuo aspetto migliorerà!”
Syri non ce la fece più: scoppiò in lacrime e si mise a correre disperata. Maya non aspettò un momento di più e si mise all’inseguimento della sorella: a quei bastardi avrebbe pensato dopo, ora doveva occuparsi di Syri.
Il gruppo stava per andarsene ancora intento a ridere, ma si ritrovò la strada sbarrata da Ace.
“Togliti di mezzo!” gli ordinò Shun con aria da smargiasso.
“Mi spiace, non posso. Non sopporto chi si diverte a fare il bullo, specie con una ragazza, specie se quella ragazza è mia amica!” e detto questo Ace diede fuoco alle punte dei capelli del rosso. Questo si mise a urlare come una femminuccia seguito a ruota dalla sua compagna che si diede subito alla fuga. Gli altri ragazzi invece tentarono di colpire il moro, ma questi li atterrò senza troppe difficoltà.
Poi tornò a concentrarsi su Shun che nel frattempo era riuscito a spegnere le fiamme nella fontana. Ace lo sollevò da terra pronto a colpirlo, ma vedendolo piangere come un bambino avvicinò i loro volti e ringhiò: “Non ne vali neanche la pena!” e lo ributtò nella polvere dirigendosi a passo svelto verso la strada che avevano preso le sue due amiche.
 
Syri correva ignorando i richiami della sorella che diventavano sempre più fievoli: Maya poteva batterla nel combattimento, ma non era veloce come lei.
Si odiava in quel momento: come aveva fatto a cascare in una trappola così prevedibile? Si odiava perché non aveva dato ascolto a sua sorella, perché l’aveva ferita quando lei voleva solo aiutarla, perché si era lasciata abbindolare da due parole carine di uno stupido ragazzo!
Si odiava perché stava odiando i suoi genitori perché non erano lì con lei: sua madre non le aveva insegnato a diffidare dei maschi, suo padre non sarebbe corso a farla pagare a quegli idioti che avevano osato far piangere la sua bambina. Li odiava perché erano morti lasciandola sola e perché nonostante tutto, non era colpa loro.
Persa nelle sue elucubrazioni mentali, non si accorse di aver imboccato un vicolo sbarrato da tre omaccioni ubriachi e ci andò a sbattere contro finendo stesa a terra.
“Ma guarda un po’ cosa abbiamo qui! Ehi bimba ci tieni un po’ compagnia?” disse il primo tracannando un lungo sorso di rum.
Syri si rialzò spaventata: pirati, e della peggior risma a quanto sembrava! Si voltò per andarsene, ma il secondo uomo le afferrò il braccio e la fece rivolgere nuovamente verso il trio.
“No, no, no carina, non ti hanno insegnato le buone maniere? Sei andata a sbattere contro il nostro capo e ora devi farti perdonare! Su da brava vieni con noi!” disse alitandole addosso e facendole venire la nausea per la puzza di alcool.
“Preferisco di no!” ringhiò la bionda
“Su, non fare la preziosa…” ma l’uomo che la teneva bloccata non potè finire la frase che un violento calcio negli stinchi lo costrinse a mollare la presa.
“Brutta stronza!” sibilò il terzo schiaffeggiando la ragazza che ricadde a terra con un labbro sanguinante. A quel punto il capo di quel trio ordinò di immobilizzarla mentre le si avvicinava slacciandosi la cintura dei pantaloni.
Syri si divincolava come un ossesso, ma era tutto inutile. Il primo uomo le salì sopra a cavalcioni iniziando a toccarla e intimandole di stare ferma e zitta. Per tutta risposta la ragazza gli sputò in faccia.
Fuori di sè dalla rabbia, l’uomo la sollevò da terra e la sbattè contro il muro di un edificio facendole sanguinare la nuca tra le risate dei compagni. La ragazza trattenne a stento un gemito di dolore mentre la vista le si annebbiava.
“Piccola puttana!” disse l’uomo tenendola inchiodata al muro per la gola “Ti sgozzerò come la cagna che sei!” ed estrasse dalla fodera un coltellaccio ricoperto di ruggine.
Syri non riusciva a respirare. Chiuse gli occhi facendo scendere due lacrime silenziose, pronta alla morte certa che l’attendeva. Si preparò alla sensazione della lama fredda sulla sua pelle, ma al contrario senti la presa sul collo annullarsi.
Tossendo e massaggiandosi la gola, aprì gli occhi per trovarsi di fronte Maya. La guardò spaventata: quella non era sua sorella, non con quell’espressione dura, non con quegli occhi completamente neri, non con quella voce fredda che le diceva di andarsene.
I due uomini guardavano esterrefatti il loro capo sbalzato a qualche metro di distanza da un semplice pugno di quella ragazzina. L’uomo colpito intanto si era rialzato e bestemmiando a denti stretti aveva raccolto il suo coltellaccio. Poi diede l’ordine ai suoi uomini di attaccare quella mocciosa. Un lampo squarciò il cielo e la pioggia iniziò a cadere fitta sopra i quattro combattenti.
 
Ace svoltò per l’ennesima volta a destra: aveva la strana sensazione di stare girando in tondo. Appena imboccata la strada delle sue amiche aveva creduto di poterle raggiungerle, ma il suo proverbiale senso dell’orientamento tarocco lo aveva portato a perdersi nei meandri della città.
Il ragazzo si fermò al centro di un incrocio, pensieroso: era molto in ansia per le ragazze, ma continuare a girare a vuoto non avrebbe portato a niente. Come se non fosse sufficiente si era pure messo a piovere. Se solo avesse avuto una traccia da seguire! Come se il cielo lo avesse sentito in quella muta preghiera, una voce femminile proruppe nel silenzio della tempesta.
Ace iniziò a correre verso il luogo dove proveniva la voce e man mano che si avvicinava questa diventava sempre più chiara: era Syri che continuava a chiamare implorante la sorella.
Il moro accelerò ancora e finalmente giunse all’origine di quel suono. La sua attenzione si focalizzò subito sulla bionda, in ginocchio a terra, con la nuca sanguinante e scossa da brividi; guardava un punto davanti a sé e continuava a ripetere: “Basta Maya, fermati!”
Fu allora che il ragazzo scorse altre due figure tra la pioggia scrosciante: Maya, ferita in vari punti, teneva sollevato da terra un uomo che era tre volte il suo peso; gli stringeva così tanto la gola che lo stava per soffocare. Ai suoi piedi stavano altri due uomini svenuti per le numerose ferite.
Un altro lampo illuminò la notte e gli occhi neri e vuoti della ragazza. Ace era impietrito: quella era davvero Maya? La ragazza con la quale era andato a caccia, aveva riso e scherzato, che aveva quasi baciato, della quale si stava innamorando?!
La voce rotta dal pianto di Syri lo riscosse. Si avvicinò alla mora e le disse: “Maya, che stai facendo? Smettila, mettilo giù!”
La ragazza si voltò verso il ragazzo e poi di nuovo verso la sua vittima. Scosse violentemente la testa e strizzò forte gli occhi: quando li riaprì erano tornati del loro colore originale. Lasciò subito andare la presa intorno alla gola della sua vittima che cadde a terra svenuto. Strinse la mano sinistra intorno al polso tremante guardando il palmo destro con occhi sgranati ed inorriditi.
Notando il suo stato di shock e che uno degli uomini si stava muovendo, Ace prese per una spalla Maya, fece rialzare Syri e le condusse via da quel vicolo.
 
Dopo alcune svolte sbagliate, finalmente Ace riuscì a ritrovare la strada per la locanda. Kerr li aspettava sulla porta arrabbiato, ma la collera si mutò subito in apprensione quando li vide rientrare uno messo peggio dell’altro. Corse dentro a prendere la cassetta del pronto soccorso seguito a ruota da Syri che teneva gli occhi bassi ancora sotto shock per tutto quello che era successo.
Anche Ace stava per entrare nel locale, quando si accorse che Maya era rimasta ferma in mezzo alla strada e sembrava intenzionata a restarci.
“Vieni, prima che ti ammali.” Tentò di dirle il moro.
“Non ti biasimerei se volessi andartene!” disse secca la bruna. Allo sguardo interrogativo del ragazzo proseguì voltandogli le spalle: “Io non sono come te o Syri. Sono un mostro! Non mi sorprenderei se domani Syri mi cacciasse, ma è troppo buona per farlo. Ma tu sei libero di andartene! Quando la tempesta sarà passata potrai riprendere il mare. Tranquillo, parlerò io con Kerr. Comunque è stato un piacere conoscerti Portuguese D. Ace!” e si voltò nuovamente con un sorriso tirato sul volto.
Ace non ci vide più dalla rabbia: le si avvicinò, le prese le spalle e iniziò a scuoterla con forza.
“Smettila di dire cazzate! Tu non sei un mostro e io non ho intenzione di lasciarti!” gridò il moro. Poi si tolse il cappello e lo mise in testa all’amica sospirando. “In ognuno di noi coesistono luce e tenebre. Tutto sta nel decidere quale delle due far prevalere. È ovvio che a volte sfuggano al nostro controllo, siamo umani; ma c’è differenza tra una persona malvagia e una che commette degli errori!”
“Se sapessi che cosa ho fatto non la penseresti più così!” provò a ribattere la mora.
“No, ne sarei ancora più convinto; ne sono sicuro!” affermò perentorio il ragazzo.
Maya sgranò gli occhi incapace di trattenere ulteriormente il pianto. Si appoggiò sul torso del moro e lasciò che le lacrime si andassero a confondere alle gocce di pioggia.
Ace l’abbracciò protettivo, finchè non la sentì accasciarsi senza forze contro di lui. Allora la prese in braccio e la portò in casa, maledicendosi mentalmente: si stava veramente innamorando di quella ragazza misteriosa e questo era un grosso problema. Le aveva detto che non l’avrebbe lasciata, ma aveva mentito: presto o tardi avrebbe dovuto riprendere il mare e allora, con che cuore l’avrebbe guardata negli occhi e le avrebbe detto addio?
Scosse la testa per scacciare quei pensieri: aveva ancora tempo per rifletterci, per il momento decise che si sarebbe gustato quel sentimento nuovo che cresceva ogni secondo di più nel suo petto.
 


 
 
 
 
 
N.d.a.
Ciao a tutti! Sono tornata con un nuovo capitolo e questa volta di una lunghezza decente!
Allora, oggi mi sembra di aver messo abbastanza carne al fuoco, che ne dite? I nostri due protagonisti iniziano a capire che tra loro non c’è solo amicizia, o almeno Ace ci è arrivato, per Maya dovremmo attendere il prossimo capitolo. Il caro fiammifero ha gli incubi e penso che si sia già capito su cosa vertano, ma li approfondirò in seguito. Infine, a grande richiesta, è tornata dark Maya! Questa povera ragazza ha una doppia personalità abbastanza raggelante, ma per saperne di più dovrete attendere il prossimo capitolo nel quale verrà svelato il passato oscuro di Maya.
Ringrazio chi ha recensito, chi ha inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e anche chi mi segue in silenzio. Vi adoro tutti per il sostegno che mi date!
Bene, chiudiamo qui l’angolo dell’autrice (pazza) che vi da appuntamento a giugno.
Aspettando con ansia le ostre recensioni, See you soon. C.S.

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Capitolo 5
*** Where the demons hide ***


WHERE THE DEMONS HIDE


 
Passarono tre giorni prima che Maya si riprendesse dal forte raffreddore che l’aveva colpita: l’ingente spreco di energie di quella sera e la pioggia gelata avevano fatto avverare le congetture di Ace.
La malata non aveva voluto nessuno al suo ‘capezzale’ a parte Syri e solo durante i pasti e la notte.
Quest’ultima dopo una bella dormita si era ripresa subito dalle ferite fisiche ed emotive. Aveva raccontato ai due uomini cos’era successo evitando di soffermarsi troppo sui dettagli, specie su quelli avvenuti nel vicolo. Ciò nonostante non riuscì a sfuggire alla ramanzina dello zio che la mise in punizione: non sarebbe uscita di casa per due settimane a meno che non fosse stato lo stesso Kerr ad autorizzarla! Ace, dal canto suo, dopo essersi fatto raccontare nuovamente la storia senza censure, aveva semplicemente commentato: “Tsk! Avrei dovuto aiutare Maya invece di fermarla!”
Il mattino del quarto giorno la tempesta si era calmata e Maya era tornata ad aiutare alla locanda. Grazie al brutto tempo non c’erano stati molti clienti in quei giorni ed era avanzata abbastanza carne da non dover andare a caccia. Impiegarono poco tempo a preparare il locale, così a metà mattina tutte le faccende erano  già state portate a termine. Ace e Kerr, a quel punto, uscirono dal locale lasciando le ragazze sole in casa: il primo per portare le bottiglie usate del locale al centro di smistamento rifiuti, il secondo per andare a rivendere la pelle dell’orso che avevano cacciato.
Quando il moro rientrò, Maya era sparita. Chiese spiegazioni a Syri che era intenta a disegnare qualcosa su uno dei suoi quaderni per ingannare il tempo.
“Penso sia andata alla spiaggia: voleva stare un po’ sola.” disse lei senza staccare gli occhi dalla sua opera. Il ragazzo sbuffò esasperato, prese uno scialle dall’appendiabiti ed uscì senza accorgersi del sorriso dipinto sul volto della bionda.
 
Maya era seduta sulla sabbia umida e osservava in silenzio il mare che stava ritornando calmo dopo quella lunga burrasca. In quei momenti si sentiva molto simile all’oceano, perché anche lei a volte veniva scossa dalla tempesta del suo potere e non poteva fare niente, solo aspettare che passasse e che non lasciasse dietro di sé una lunga scia di distruzione.
“Penso di non aver mai conosciuto una ragazza così menefreghista nei confronti della propria salute come te!”
La bruna sorrise senza staccare gli occhi dal mare: aveva riconosciuto subito quella voce.
“Non sapevo che fossi diventato la mia nuova mamma, Ace!”
Era la prima volta che gli parlava dopo quella sera. Sentì il ragazzo sedersi sulla sabbia al suo fianco, ma non lo degnò di uno sguardo, neanche quando le posò delicatamente uno scialle di lana sulle spalle.
“Scusa, se mi preoccupo di non farti prendere una polmonite!”detto questo tra i due calò il silenzio più totale. Ace aveva un milione di domande, ma non voleva essere invadente: era una scelta di Maya se renderlo o meno partecipe della sua storia. La ragazza dal canto suo, voleva liberarsi dal peso che la opprimeva, ma aveva paura che lo avrebbe perso per sempre se avesse saputo.
I minuti passavano e l’unico rumore udibile nella piccola baia era quello delle onde dell’oceano. Ace continuava a guardare Maya che, però, non aveva il coraggio di ricambiare lo sguardo. Il ragazzo sospirò sonoramente e si rialzò in piedi: doveva rispettare la privacy della castana anche se lo faceva stare male essere tagliato fuori dal suo mondo e non poter far niente per aiutarla.
Se ne stava per andare quando sentì la voce di Maya chiamarlo. La ragazza lo stava finalmente fissando piena di ansia.
“Avevi detto che non mi avresti lasciata!” disse quasi implorante. Il moro sorrise dolcemente e tornò a sedersi al suo fianco.
Lei sapeva che era giunto il momento della verità: gli avrebbe raccontato tutto e se poi lui se ne sarebbe voluto andare, lo avrebbe lasciato libero, ma almeno non avrebbe avuto rimpianti. Chiuse gli occhi un attimo, respirò profondamente e si voltò nuovamente verso il ragazzo.
“Vuoi… vuoi sentire la mia… storia?” disse titubante.
“Mi farebbe molto piacere.” rispose lui serio. Maya deglutì sonoramente e si preparò a rivivere quell’incubo che era la sua infanzia.
“Io non sono nata qui, ci sono arrivata per caso cinque anni fa. Syri e Kerr mi hanno salvato da morte certa e mi hanno preso con loro senza sapere nulla di me. Mi hanno insegnato cos’è una vera famiglia e che ogni vita vale la pena di essere vissuta: tutte cose elementari che però io non avevo mai conosciuto prima. Ma è meglio se inizio dal principio per evitare di confonderti le idee.
Io sono nata in una piccola isola del Mare Occidentale di cui non ricordo neanche il nome. Mio padre era un pirata. Conobbe mia madre, la sedusse e poi l’abbandonò. Poco dopo lei scoprì di essere incinta di me e nonostante fossi la figlia dell’uomo che l’aveva illusa, portò a termine la gravidanza e mi diede alla luce.
Rimasi con lei per i primi tre anni della mia vita: non mi ricordo niente di quel periodo o di lei. Di suo ho solo questa collanina a forma di rosa dei venti e la memoria di una melodia che mi cantava sempre. Comunque, alla fine, le calunnie a cui era sottoposta a causa mia, la distrussero e si tolse la vita.”
Maya fece una pausa giocherellando con la catenina che aveva al collo perennemente nascosta dentro felpe, golf o magliette. Ace la guardava con il cuore già lacerato e la consapevolezza che il peggio doveva ancora arrivare. La ragazza rimise la collana al suo posto e riprese a raccontare.
“Appena mia madre morì, io fui affidata ai parenti più prossimi: i suoi genitori. Lasciai quel paesino dimenticato da Dio e mi trasferii dai miei nonni: la mia vita cambiò drasticamente. Devi sapere che mia madre se ne era andata di casa a sedici anni proprio a causa dei suoi genitori. Povera ingenua! Non poteva scappare dalla sua vera natura, dal suo nome!”
Ace guardava l’amica perplesso non riuscendo a capire cosa stesse cercando di dirgli. Lei gli sorrise con cinismo e poi riprese: “Quasi nessuno conosce il mio nome completo fortunatamente, altrimenti sarei già stata uccisa o peggio, rispedita in quell’inferno! Devi sapere che io non ho preso il cognome di mio padre, ma mi è stato dato quello di mia madre, o meglio, quello di mio nonno. Mia madre si chiamava Emi e il mio nome è Vane D. Maya. Mio nonno è Vane D. Matica.”
“E allora?” chiese perplesso Ace.
“Tu non sai chi sia mio nonno?! Ma dove hai vissuto finora?!” rispose sbalordita la bruna. Tutti, almeno una volta nella vita, avevano sentito quel nome.
“Dovrei conoscerlo?” ribattè il moro un po’ imbarazzato per la sua ignoranza.
“Sì, visto che è uno dei Cinque Astri di Saggezza!” disse con fervore la ragazza.
“Davvero?” Ace aveva allargato leggermente gli occhi.
“Già e io sono la sua unica erede!” concluse la bruna con tono sommesso.
Il silenzio piombò imponente sui due ragazzi. Maya osservava Ace alla ricerca di qualche segno di paura o ribrezzo, ma dopo lo stupore iniziale, l’espressione del ragazzo era tornata seria e concentrata sul racconto. Quindi riprese la sua storia.
“Ho passato la mia infanzia nella nebbia di Marijoa circondata solo da marines e draghi celesti: uno peggio dell’altro. Vivevo rinchiusa in quel palazzo immenso, sempre sorvegliata a vista: non mi era permesso uscire né avere contatto con altre persone. Mi tenevano nascosta per evitare lo scandalo: in fondo ero la figlia di una fuggitiva, benché nobile, e di un pirata!
All’inizio fui affidata a mia nonna, o meglio, alla sua schiava: era lei che mi accudiva. Mia nonna si limitava ad urlarmi contro che ero un mostro, che non sarei dovuta nascere, che mia madre era morta per colpa mia e altre cose del genere. Questa tortura psicologica durò circa due anni nei quali io non vidi mai mio nonno. Poi la vecchia morì e di me non sapevano che farsene. Fu allora che a mio nonno venne la brillante idea di addestrarmi per farmi entrare in marina: avevo cinque anni. Che idiota!
Alla mattina un precettore mi insegnava l’etichetta, a leggere, a scrivere e altre cose. Al pomeriggio ero diventata il giocattolo di quel vecchio pazzo: mi allenava fino a ridurmi in fin di vita quel bastardo! Mi marchiò anche, per farmi ricordare sempre che sono indissolubilmente legata a lui!”
Maya diede la schiena al suo ascoltatore, si slacciò la camicetta lasciandola scendere e scostò i capelli dal collo. Ace rimase basito: appena sotto il collo dell’amica c’era un drago blu e grigio, di profilo che con gli artigli stringeva il mondo. Sembrava un tatuaggio, ma appena il moro lo sfiorò, sentì la pelle raggrinzita come per una scottatura: quei bastardi l’avevano marchiata a fuoco! Strinse forte entrambi i pugni per evitare di esplodere e incendiare tutta l’isola.
“Carino, no?” la voce della mora lo riscosse dalla sua furia. “È il simbolo degli Astri: sembra un tatuaggio, ma è fatto a fuoco usando degli appositi strumenti per evitare che venga cancellato o anche solo modificato, perché quando diventi uno di loro, lo rimani per sempre. Credo lo avesse anche mia madre.” e detto questo tentò di risistemarsi la camicetta, ma venne fermata da Ace.
“E queste?” chiese il ragazzo passando leggero il dito sopra una delle innumerevoli cicatrici che ornavano la schiena dell’amica.
Maya rabbrividì al contatto con le dita di Ace, si riallacciò la camicetta e si voltò verso il moro: “Altri regali del mio caro nonno! Quando pensava che non mi stessi impegnando a sufficienza o quando facevo intravedere anche solo un poco di fatica o dolore, mi frustava o mi picchiava col bastone finchè non perdevo i sensi. Ma non era certo l’unico a picchiarmi.” e protese le mani verso Ace. “Anche il tutore non ci andava leggero: ogni volta che non prestavo attenzione o sbagliavo qualcosa , mi colpiva le mani con una bacchetta di giunco fino a farle sanguinare. Almeno queste cicatrici sono quasi del tutto scomparse.”
La bruna si fermò per riprendere fiato e coraggio. Sentiva la stretta del ragazzo di fuoco infonderle forza e sicurezza. Prese l’ennesimo respiro e proseguì.
“Poi avvenne il dramma. Per il mio settimo compleanno mio nonno decise di regalarmi uno schiavo personale.”
“Credevo che la tratta degli schiavi fosse stata abolita molti anni fa.” la interruppe confuso Ace.
“Teoricamente lo è. In realtà è ancora ampiamente praticata sulla Grand Line e il Governo ne è ben informato, ma fa finta di niente visto che gli schiavi fanno comodo ai Nobili Mondiali. Comunque, fui portata dal tutore in una casa d’aste scortata anche da alte cariche della Marina. È inutile che ti dica che non avevo la minima intenzione di comprare un essere umano, così tentai di oppormi. Risultato: il tutore mi iniziò a picchiare in pubblico piuttosto violentemente. Poi i ricordi si fanno un po’ confusi… probabilmente devo essere svenuta. Fu il Grande Ammiraglio in persona ad aiutarmi a rimettermi in sesto e a pregarmi di non attirare ulteriormente l’attenzione su di noi. Così fui costretta ad acquistare uno schiavo: era una ragazza di circa vent’anni, si chiamava Gaza, stavo bene con lei. Il difetto di Gaza, purtroppo, era di essere troppo bella… e troppo testarda. Visto che ero solo una bambina, era sempre il mio tutore che mi aiutava ad “addestrarla”; ma Gaza non gli dava retta.
Un giorno lui tentò di approfittarsi di lei, ma si dovette solo accontentare di un calcio nelle parti basse! Il tutore era fuori di sé dalla rabbia, disse a mio nonno che Gaza era un pericolo e che era meglio eliminarla. Mio nonno acconsentì e mi fu imposto di far esplodere il collare della mia schiava.”
“Collare?”
“Sì. Tutti gli schiavi hanno un collare con una carica esplosiva. Se tentano di scappare o si ribellano al padrone, questi lo fa saltare in aria. Io mi ero affezionata a Gaza e non sarei mai stata in grado di attivare il collare e così lo fece il mio tutore. E mentre lo faceva sorrideva divertito. Io non resistetti oltre: i miei occhi si tinsero di nero e persi completamente il controllo di me stessa; mi scagliai contro di lui e iniziai a picchiarlo senza che qualcuno riuscisse a fermarmi. Quella fu la prima volta che usai il mio potere e la prima volta che uccisi qualcuno. Paradossalmente ho ucciso una persona perchè non volevo ucciderne un’altra!
Mio nonno aveva assistito a tutta la scena impassibile. Solo alla fine, quando riuscirono ad allontanarmi dal cadavere di quel fetente, mi si avvicinò e mi disse ghignando: ‘A quanto pare non sei inutile come pensavo. Vedrai, farò di te una perfetta macchina da guerra!’”
Maya si ammutolì tentando di trattenere le lacrime. Sentiva ancora la stretta rassicurante di Ace sulle sue mani, il calore che le trasmetteva riusciva a lenirle il dolore che sentiva esplodere nel petto. Tuttavia non riusciva a guardarlo negli occhi: lui era fuoco puro e lei solo una sporca assassina. Fu lo stesso Ace a prenderle il volto tra le mani e a farle alzare lo sguardo. La bruna rimase spiazzata: nei suoi occhi c’era solo comprensione, come se il dolore di Maya si fosse riflesso in lui, come se anche lui avesse portato dentro di sé un pesante fardello. La ragazza si diede della stupida. Doveva essersi sbagliata: come poteva quel ragazzo capire cosa provava?
Questa volta fu il moro a prendere la parola: “Posso farti una domanda?”
Maya trattenne il fiato preoccupata.
“Mi spieghi esattamente in cosa consiste il tuo potere?” continuò Ace.
La bruna sgranò gli occhi: aveva pensato che dopo tutto quello che gli aveva raccontato le avrebbe fatto domande più profonde del tipo ‘ cos’hai provato ad uccidere un uomo’ o, peggio, ‘hai dei rimorsi’. Invece non aveva fatto commenti, voleva solo che gli parlasse del suo potere.
Si riscosse da quei pensieri e rispose: “ Sinceramente neanch’io so ancora bene come funzioni. Io non ho mangiato un frutto del diavolo, è una ‘dote’ che ho fin dalla nascita. Quando si attiva, io non sono più io: mi trasformo in una macchina per uccidere, non provo più pietà e non mi fermo davanti a niente. La mia forza si quadruplica, divento molto più veloce ed agile e riesco a liberare la mia energia interna attraverso micidiali onde d’urto che posso applicare ad altre armi come il mio arco.
Per quel poco che mi ha detto mio nonno è una caratteristica di tutta la mia famiglia: di solito resta latente, ma in me si è manifestata ed erano secoli che non accadeva. Per questo il vecchio pazzo era così elettrizzato all’idea di addestrarmi, ma anche lui non sapeva bene da che parte cominciare. Innanzi tutto non riuscivo ad attivare il mio potere a comando, ma quel bastardo scoprì quasi subito che bastava farmi arrabbiare o farmi odiare qualcosa per ‘azionarmi’.
Così oltre alle torture fisiche, ricominciarono anche quelle psicologiche. L’unica cosa positiva fu che riuscii a scoprire il nome di mio padre: lui era uno degli argomenti preferiti di mio nonno per farmi arrabbiare e l’unico su cui io e il vecchio siamo d’accordo. Odio mio padre e uno dei motivi per cui voglio prendere il mare è proprio quello di poterlo incontrarlo e fargliela pagare.”
“Ti capisco…” sussurrò il moro.
“Come?” chiese la ragazza, non essendo sicura di aver sentito bene.
“Ehm… Uno, hai detto? Quali sono gli altri motivi per cui vuoi diventare un pirata?”  chiese curioso Ace tentando di sviare il discorso dall’affermazione che si era fatto sfuggire.
Maya si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e abbassò gli occhi imbarazzata: non aveva mai parlato a nessuno del suo sogno segreto, neanche a  Syri.
“Beh… quando ero a Marijoa le uniche cose che mi distraevano da tutto quello schifo erano la fotografia e la lettura. La sera, quando non ero troppo stanca, sgattaiolavo di nascosto in biblioteca e leggevo fino all’alba anche se in teoria non mi era permesso entrarci da sola. Con il fatto che quella era la biblioteca personale di mio nonno e degli Astri potevo trovare di tutto e di più; così un giorno mi imbattei nelle biografie dei più grandi e pericolosi pirati della storia.
Adoravo quei personaggi e invidiavo i loro compagni perché avevano potuto assistere alla nascita di quelle leggende ed affiancarle in tutte le battaglie che li avevano resi celebri. E così decisi che un giorno avrei preso il mare, non come capitano di una ciurma, ma come compagna di un uomo che sarebbe diventato un grande pirata per poterne poi raccontare la storia. Voglio diventare la biografa del futuro Re dei Pirati, voglio poter scrivere la sua vita per poi affermare orgogliosa ‘io c’ero’!”
Maya era diventata rossa come un peperone un po’ per la vergogna e un po’ perché si era molto infervorata nell’ultima parte del discorso. Ace la stava guardando sorridendo: “Sai che sei proprio incredibile? Molti sognano di essere i protagonisti della storia, di avere tutto o niente. Tu invece vuoi solo farne parte e aiutare gli altri a raggiungere il loro obiettivo. Sei proprio unica!”
“Pensi che sia un sogno stupido?” chiese la bruna visibilmente preoccupata per il giudizio del compagno.
“No, assolutamente!” si sbrigò a spiegare Ace. “Al contrario, penso sia bellissimo!”
Maya sorrise rilassata per tornare subito seria: “Comunque per terminare il racconto, mio nonno mi continuò ad allenare fino alla vigilia del mio decimo compleanno quando mi disse che il giorno seguente sarei entrata all’accademia militare per diventare un marine. Non provai minimamente ad obbiettare: tutti quegli anni di torture mi avevano fatto perdere la voglia di combattere e di oppormi. Ero rassegnata al mio destino.
Invece il cielo mi mandò un angelo salvifico: la schiava di mia nonna, che aveva continuato ad occuparsi di me anche dopo la sua morte e che era stata anche la nutrice di mia madre. Quella notte venne nella mia stanza e mi riscosse dal mio torpore: aveva intenzione di farmi scappare come aveva aiutato mia madre anni prima. Essendo stata a lungo al servizio della nostra famiglia aveva più libertà di azione a palazzo. Purtroppo le cose non andarono come aveva pianificato: mentre scendevamo verso l’uscita di servizio  venimmo intercettate da un drappello di marines di ronda. Ci mettemmo a correre inseguite da quegli uomini ai quali presto se ne aggiunsero altri.
La notizia della mia tentata fuga venne subito riferita a mio nonno che diede l’ordine di uccidere chiunque mi volesse aiutare. E così quelli stronzi aprirono il fuoco e uccisero la mia tata. Le volevo molto bene: era l’unica in quell’inferno che mi trattasse con affetto, mi curava le ferite, mi copriva durante le mie ‘fughe’ in biblioteca, mi stava accanto la notte quando mi svegliavo in preda agli incubi. Alla vista del suo corpo privo di vita, persi il controllo e uccisi tutti i marines lì presenti. Poi mi misi a correre verso il giardino, scavalcai il muro di cinta e mi diressi verso il porto. Mi nascosi in una cassa che doveva essere imbarcata su un mercantile, giunsi qui nel Mare Orientale dopo un paio di mesi di navigazione e non mi sono più mossa da allora!”
Maya concluse il suo racconto e tornò a fissare il mare attendendo i commenti del suo amico. Le reazioni potevano essere tre: se ne sarebbe potuto andare disgustato, avrebbe potuto bombardarla di domande di carattere morale ed esistenziale alle quali non aveva voglia di rispondere oppure avrebbe potuto compatirla e dispiacersi per lei (Syri aveva scelto quella strada aggiungendoci pure lacrime e una decina di abbracci!). Ma non avvenne niente di quello che aveva previsto.
Ace le si avvicinò e le prese delicatamente la mano facendo intrecciare le loro dita. Quando lei si voltò a guardarlo stupita, le rivolse un sorriso dolce e comprensivo che le riscaldò il cuore. Poi, voltandosi a guardare l’oceano che scintillava sotto i raggi del sole, il moro disse: “Adoro il mare. Dopo la tempesta è ancora più bello, non trovi?”
Maya sgranò gli occhi tentando di trattenere le lacrime. “Sì è bellissimo!” rispose tornando a concentrarsi su quella superficie di luce e stingendo ancora di più la mano di Ace, beandosi del calore che emanava.
 
Rimasero così, mano nella mano, a fissare quell’immensa distesa di acqua cristallina finchè uno starnuto di Maya li riportò alla realtà.
“Accidenti! Mi ero scordato che sei ancora convalescente! Meglio rientrare prima che ti ammali di nuovo!” Ace si alzò sbattendosi via la sabbia dai pantaloni.
Anche Maya si era alzata, un po’ dispiaciuta di dover interrompere quel momento di intimità che si era creato con il moro. Il suo sguardo tornò a posarsi un’ultima volta sul mare ormai completamente calmo che sfavillava sotto i raggi del sole.
Poi si voltò verso Ace: le stava sorridendo dolcemente con la mano protesa che attendeva la sua. Maya ricambiò il sorriso, afferrò senza esitazioni la mano e finalmente capì. Si stava innamorando di Ace: aveva trovato il suo sole che la faceva sentire migliore con la sua sola presenza! Ma nello stesso momento realizzò anche un’altra cosa: il sole rimaneva immobile sempre pronto ad illuminare il mare, ma Ace era fuoco vivo che non poteva essere fermato e presto o tardi l’avrebbe di nuovo lasciata sola nel buio della tempesta.
 



 
 
 
N.d.a.
Saaaaaaaaaaalve. Ok, è vero: sono in ritardo di una settimana. Vi chiedo scusaaaaaaaaaa!!!!!!!!
Comunque alla fine ce l’ho fatta: ecco a voi la triste storia di Maya! Ho esagerato? Naaaaah!!!!!
Visto che gli Astri nel manga non hanno nome me lo sono inventato. Per intenderci, il nonno della protagonista è quello più giovane che nell’anime è biondo.
Ringrazio tutti coloro che hanno letto, recensito, inserito tra le preferite/seguite la storia o che lo faranno. Vi adoro tutti!!!
Ci vediamo a luglio! Vi consiglio di munirmi di insulina: sarà un capitolo ultra romantico… o almeno spero!
A presto. C.S.

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Capitolo 6
*** The promise of Pirates King's son ***


THE PROMISE OF PIRATES KING’S SON


 
Il sole era appena sorto quando Ace si svegliò nel suo letto con il fiatone e il corpo ricoperto di sudore freddo. Aveva di nuovo avuto quell’incubo. Ultimamente gli capitava quasi tutte le notti, da quando Maya gli aveva raccontato del suo passato. Lei si era fidata e lui invece non riusciva a metterla a parte della sua storia. Eppure le occasioni non gli erano mancate: poteva farlo quando erano a caccia o si allenavano alla spiaggia o quando rimanevano svegli la notte a giocare a carte davanti a una tazza di caffè! Non aveva scuse e per questo si faceva schifo!
Il ragazzo si alzò e si infilò la camicia appoggiata sull’unica sedia della stanza; poi si avvicinò alla piccola finestra ed aprì le imposte: la tenue luce dell’aurora inondò il piccolo ambiente riscaldandolo un poco. Era solo metà marzo, ma con la sua temperatura corporea elevata, Ace sapeva che nel giro di poco la camicia non gli sarebbe più servita.
Il volto del moro si rabbuiò: era già il 21 marzo, il primo giorno di primavera. E ciò significava solo una cosa: la sua punizione era finita e poteva riprendere il mare. La sua mente ritornò a qualche giorno prima.
 
“Festa di primavera? E cosa sarebbe?” chiese curioso Ace. Erano le tre passate  e stava aiutando Kerr e le ragazze a rimette in ordine il locale.
“Sul serio non lo sai?” Syri smise di botto di lavare per terra e guardò stupita il moro. Lasciò cadere il bastone su una sedia e si mise a sedere su un tavolino. “È la festa più importante qui a Liurah! Ci sono  un sacco di bancarelle e tanta roba da mangiare. Poi si balla tutta la notte e ci sono anche i fuochi d’artificio!” concluse sognante la bionda.
“Sì, e ci sono altrettanti lati negativi!” si intromise Maya intenta a pulire il bancone. “La signorina si è dimenticata di dirti che prima della festa, noi lavoreremo come muli perché sia tutto perfetto!”
“Oh, andiamo Maya! Perché devi fare sempre la rompiballe!” insistette la più piccola.
Le due ragazze iniziarono a battibeccare sotto lo sguardo divertito di Ace.
“Sai perché facciamo festa?” la voce di Kerr alle sue spalle fece sussultare il moro. L’uomo però non ci fece caso e continuò imperterrito: “La nostra isola è in una porzione di mare molto turbolenta. Le comunicazioni con le altre isole sono quasi del tutto interrotte da metà novembre fino a marzo. In più risulta difficile anche andare a pescare al largo. Per questo festeggiamo il ritorno della primavera: perché possiamo lasciare questo scoglio dimenticato da Dio! Mi capisci Ace?”
Il ragazzo non aveva risposto, si era limitato ad annuire ormai del tutto disinteressato alla discussione delle due ragazze.
 
Ace si passò una mano tra i capelli scompigliandoli; aveva preso la sua decisione: sarebbe partito appena passata la festa, ma non voleva andarsene senza aver prima parlato con Maya. Il suo sguardo vagò per la stanza fino a posarsi sul piccolo sacchetto appoggiato sulla scrivania. Quello sarebbe stato il suo regalo di addio per la bruna: lo aveva acquistato qualche tempo fa con i soldi ricavati dalla pelle dell’orso. Il problema era che non sapeva come darglielo, era una frana nei discorsi, senza contare che uno romantico lui non lo aveva mai fatto. Una volta Makino aveva tentato di insegnare a lui e a Rufy come si dovevano trattare le ragazze, ma era stato inutile visto che si erano addormentati tutti e due!
Lo sguardo gli scivolò a lato del suo regalo su una pila ben ordinata di fogli bianchi. Ace sospirò rumorosamente: avrebbe provato a scriverle una lettera. Non doveva essere poi così difficile e se avesse sbagliato avrebbe potuto sempre ricominciare daccapo! Purtroppo l’unico risultato ottenuto dopo due ore di duro lavoro era un cumolo di carta incenerita ai suoi piedi!
Finalmente dopo un’altra ora di sudore, lacrime ed imprecazioni, Ace riuscì a scrivere un biglietto di cui poteva considerarsi abbastanza soddisfatto. Piegò il foglio più volte e insieme al suo regalo, lo mise in una busta che nascose in tasca appena in tempo perché Maya non lo vedesse: la bruna era infatti entrata correndo nella stanza per svegliare il moro e ricordargli che avevano parecchio lavoro da fare!
 
Avevano faticato tutto il giorno per la buona riuscita della serata e finalmente alle cinque del pomeriggio i preparativi erano ultimati. Mancavano ancora un paio d’ore all’inizio della festa, così tutti i lavoratori decisero di ritornare a casa per darsi una rinfrescata e prepararsi per l’evento.
Maya era distrutta: forse era una sua impressione, ma le sembrava che ogni anno i lavori aumentassero di quantità e fatica. Si lasciò cadere esausta sul letto con lo sguardo assorto: per la verità era anche un po’ preoccupata. Da qualche giorno Ace sembrava turbato da qualcosa, evitava di stare da solo con lei troppo a lungo e adesso era sparito dicendo che doveva finire di sistemare una cosa. La bruna sospirò sonoramente cercando di scacciare quelle idee dalla sua mente: inutile. Da quando era entrato nella sua vita, tutti i suoi pensieri si focalizzavano sempre sul bel ragazzo di fuoco.
A distrarla finalmente dalle sue elucubrazioni mentali, ci pensò Syri che, entrando come una furia nella stanza, le disse: “Che cavolo ci fai sdraiata a poltrire sul letto? Forza, adesso viene il momento più importante della giornata!”
Allo sguardo interrogativo della mora, la bionda rispose con un sorrisetto malefico che non tranquillizzò per niente la maggiore. Approfittando di un suo momento di esitazione, Syri prese Maya per mano e la trascinò di corsa in bagno facendola finire nella vasca piena di schiuma ancora vestita.
“Ma sei impazzita?! Potevo rompermi l’osso del collo!” brontolò la bruna.
“Oh, quante storie! Su, svestiti e lavati, dopo penseremo a vestiti, acconciatura e trucco. Fai con calma io mi sono già fatta una doccia al volo!” ribattè la più piccola uscendo dalla stanza.
L’ennesimo sospiro della giornata uscì dalla bocca di Maya mentre si liberava dei vestiti fradici. Sua sorella era incredibile: non si curava quasi per niente del suo aspetto esteriore, ma voleva che lei fosse sempre impeccabile, specie durante feste, ricorrenze e cose simili. All’inizio aveva tentato di opporsi, visto che anche a lei certe cose non interessavano, ma vedendo come questo rendesse felice Syri, aveva deciso di diventare la sua bambola personale, sopportando in silenzio. Dopo essere stata in ammollo per mezz’ora (un record per lei), la ragazza ritornò in camera pronta a subire la parte più dolorosa della tortura/preparazione.
Syri sembrava più agitata delle altre volte: continuava a fare e disfare innumerevoli pettinature copiate da svariate riviste, aveva messo sul letto più di dieci completi diversi e continuava a muoversi per la stanza come un ossesso alla ricerca di qualche accessorio. Maya  guardò preoccupata la sorella.
“Syri, sicuro che vada tutto bene? Mi sembri un po’ agitata.” chiese titubante.
“Come? Oh… sì sì, va tutto bene. È solo che non trovo il bracciale con le pietre azzurre!”
E invece non andava tutto bene: Syri era disperata. Aveva seguito Ace e sapeva cosa aveva in programma quella sera per sua sorella e se lei non fosse riuscita a far sembrare Maya una dea, la serata sarebbe stata rovinata. No, non lo avrebbe permesso: in un modo o nell’altro l’avrebbe fatta diventare l’incarnazione della perfezione!
 
L’orologio del paese battè le sette e mezza. Ace si sedette sulla panca all’esterno della locanda sistemandosi per l’ennesima volta il cappello. Aveva impiegato parecchio tempo a preparare la sorpresa per Maya, ma ne era valsa la pena! Ora l’unica cosa che mancava era la diretta interessata.
Quando era rientrato a casa, si era diretto immediatamente in bagno per farsi una doccia ristoratrice. Nonostante amasse il getto dell’acqua che gli massaggiava le spalle indolenzite, il ragazzo non potè rimanere a lungo a bearsi di quel contatto. Si vestì in tutta fretta optando per una semplice camicia bianca e dei pantaloni neri che arrivavano appena sotto il ginocchio.
Kerr era già uscito e gli aveva lasciato il compito di aspettare le ragazze. Ace stava per bussare alla porta delle amiche, quando questa si aprì improvvisamente e il poveretto si ritrovò investito da una Syri parecchio agitata.
“Oh… Ciao Ace, non ti avevo visto!” disse la bionda appena prima di sparire nel bagno per riemergerne subito dopo con una trousse verde acqua, spazzole e vari fermagli.
“Ma che state combinando voi due?” chiese il moro visibilmente sorpreso.
“Niente che ti interessi! Perché non ci aspetti fuori? Noi arriviamo subito.” e detto ciò la ragazza gli chiuse la porta in faccia.
Ormai era passata più di mezz’ora ed Ace stava iniziando a preoccuparsi: possibile che le ragazze ci mettessero così tanto a prepararsi?!
Stava per andare a chiamarle, quando il rumore della porta che si chiudeva annunciò l’arrivo delle due ritardatarie.
Ace si voltò pronto a prenderle in giro per la loro lentezza, ma non era preparato a ciò che vide e rimase letteralmente a bocca aperta. Maya indossava un vestito azzurro che le arrivava fino al ginocchio con una gonna ampia. Sopra aveva un copri-spalle bianco che si chiudeva con un bottone appena sotto il seno. Portava delle ballerine anch’esse azzurre con dei piccoli brillantini in punta. I capelli mossi le cadevano morbidi sulla schiena: solo alcune ciocche erano state raccolte in una piccola molletta a forma di fiore. Ma la cosa che catturò di più Ace furono gli occhi incorniciati da folte ciglia nere e illuminati da un velo di ombretto.
“Sei bellissima.” fu l’unica cosa che riuscì a dire, ma che comunque fece arrossire Maya strappandole un sorriso.
Syri era rimasta in disparte ad osservare la scena con un'espressione trionfante in volto: aveva fatto proprio un ottimo lavoro!
 
La serata era trascorsa in fretta tra il cibo, le danze e le varie bancarelle multicolori. I tre amici si erano divertiti come matti, Maya aveva scattato una miriade di foto e anche Kerr si era lasciato andare esagerando un po’ con l’alcool.
Era quasi mezzanotte quando Ace prese per mano Maya e la invitò a seguirlo. La ragazza non oppose resistenza felice di poter rimane per un po’ da sola con lui. Si allontanarono presto dalle luci e dalla confusione dei festeggiamenti fino ad arrivare al ponte tra le due isole. A quel punto Ace le chiese di chiudere gli occhi dicendole di fidarsi di lui, la prese per mano e la condusse nella radura del loro primo incontro.
Azionò il suo potere e disse: “Ok, apri gli occhi!”
Fino a quel momento Maya era stata curiosa di sapere cosa avesse in mente Ace, ma mai avrebbe immaginato una cosa del genere: la radura dove avevano combattuto per la prima volta, era stata riempita di candele profumate e lampade con vetri colorati che irradiavano una luce tenue e soffusa. Per terra era stata stesa una grande coperta multicolore con una mezza dozzina di cuscini.
“Ho pensato che sarebbe stata una buona posizione per vedere i fuochi artificiali. Per gli animali non devi preoccuparti: l’odore delle candele li tiene lontani. Che ne dici, ti piace?” chiese Ace imbarazzato e leggermente titubante.
“È splendido!” riuscì a rispondere Maya con gli occhi lucidi per la commozione: nessuno aveva mai fatto una cosa simile per lei!
I due ragazzi si accomodarono sulla coperta mantenendo però una certa distanza per l’imbarazzo. Il silenzio tra loro stava diventando opprimente quando il rumore dei primi fuochi rapirono lo sguardo di Maya al cielo e la fecero sorridere come una bambina. Ace invece vide quelle esplosioni di luce solo riflesse negli occhi della castana, non riuscendo a smettere di fissarla.
Lo spettacolo pirotecnico non durò molto e presto tra i due ricadde il silenzio. Maya teneva ancora gli occhi fissi nella volta celeste come ipnotizzata; Ace invece aveva abbassato lo sguardo preoccupato per il discorso che doveva andare ad affrontare.
Alla fine prese un lungo respiro e iniziò: “Maya, devo dirti una cosa.”
La ragazza spostò la sua attenzione dal cielo al viso del moro e con un sorriso lo invitò a proseguire.
“Io non sono stato del tutto sincero con te.” continuò il ragazzo mentre si grattava imbarazzato la testa. “ O meglio, non ti ho mai mentito, ma ho omesso delle cose che ora non riesco più a nascondere. Tu sai che ogni tanto ho degli incubi. In realtà si tratta dello stesso sogno che faccio da quando ero piccolo. Nel sogno ci siamo io e una donna di spalle; io voglio vederla in faccia, ma il suo volto è vuoto: non ha occhi o bocca o naso, niente. Poi all’improvviso inizia a perdere sangue dal ventre e ad allontanarsi da me. Io cerco di fermarla chiamandola e allungo le mani e allora mi accorgo che sono sporche del sangue della donna. Quindi inizia a riecheggiare una risata perfida e una voce continua a chiamarmi ‘demonio, demonio’ e a quel punto mi sveglio.”
Ace rimase un attimo in silenzio aspettando un commento di Maya che non tardò ad arrivare.
“Perché mi hai raccontato questo? Chi è quella donna?” chiese un po’ preoccupata e, in parte, già conscia della risposta che stava per ricevere.
Ace sospirando riprese: “La donna nel sogno è mia madre. Lei è morta dandomi alla luce dopo venti mesi di gestazione.” Allo sguardo sbalordito della castana, il moro sorrise impercettibilmente. “Lo ha fatto perché non venissi catturato ed ucciso dalla marina. Non ero ancora nato e già ero un ricercato per via del sangue che scorre nelle mie vene. Come te, anch’io ho preso il cognome di mia madre, altrimenti mi sarei dovuto chiamare Gol D. Ace.”
“Gol D.?” fece Maya stupita. “Tuo padre era il re dei pirati?!”
Al segno di assenso del moro, la ragazza ribattè solamente: “Wow! Che forza!”
“COME PUOI DIRE UNA COSA SIMILE?!” urlò Ace imbestialito
Maya rimase interdetta a quello scoppio d’ira: perché Ace odiava così tanto suo padre? In fondo quell’uomo era una leggenda, che tutti avrebbero dovuto ammirare, che lei adorava. Allora perché lui lo disprezzava?
E allora la ragazza capì e si diede della stupida per quanto era stata indelicata con il suo amico. Si avvicinò di più al moro che era intento a tormentare uno sfortunato ciuffo d’erba e gli prese la mano libera costringendolo a voltarsi affinché la guardasse in faccia mentre gli parlava.
“Scusa, sono stata una scema. Io più di tutti avrei dovuto capirti visto che il peso che porti è uguale al mio. È solo che per una bambina tenuta rinchiusa in una fortezza per anni, Roger rappresentava il simbolo della libertà. Io stimo il pirata che era Roger, ma non conosco l’uomo e quindi non ho il diritto di giudicare i tuoi sentimenti verso di lui. Però penso che tua madre lo abbia amato tanto per aver dato la sua vita per suo figlio, come so anche che la mia ha amato mio padre tanto da volermi al mondo. E ringrazio dio per questo amore perché mi ha permesso di incontrare te!”
Maya si fermò di botto imbarazzata per ciò che aveva appena detto, lasciando subito la mano al moro. Ma con sua grande sorpresa lui la riprese immediatamente dicendo: “Nessuno ha mai pensato di ringraziare dio per la mia esistenza, me compreso. Ho preso il mare per capire se io meriti di vivere, se la morte di mia madre non sia stata vana. Non pensavo che avrei trovato così presto una ragione di vita! Grazie!”
Ace si chinò fino ad appoggiare la fronte sulla spalla della ragazza ed iniziò a piangere silenziosamente.
Maya lo guardava con un dolce sorriso sulle labbra accarezzandogli la testa libera dal cappello dicendo: “Sei un ragazzo speciale Ace e troverai tante altre persone che ti ameranno per quello che sei e ti daranno tanti altri motivi per vivere. Devi solo avere pazienza e cercarli!”
Dopo un po’ di tempo, il moro alzò il volto con un po’ di imbarazzo e si asciugò i residui di lacrime scusandosi per aver bagnato il copri-spalle della ragazza, che però si mise a ridere dicendo che non le importava.
Sentendo che il moro  non rispondeva alla risata si voltò verso di lui: Ace si era fatto serio e la guardava fisso negli occhi. Il ragazzo avvicinò la mano alla guancia della castana proprio come era successo più di un mese prima: soltanto che sta volta non ci sarebbero state interruzioni, pensò felice Maya. Il pirata avvicinò il viso sempre di più a quello della ragazza fino a che le loro labbra non si incrociarono.
Il primo bacio in assoluto per Maya, il primo bacio dato con amore per Ace, il bacio che entrambi sognavano dal primo istante in cui si erano visti. In quel momento il mondo sembrò fermarsi: i problemi, le preoccupazioni, le paure scomparvero lasciando solo posto all’amore dei due ragazzi.
I due scivolarono lentamente distesi sulla coperta tra i cuscini e quando dovettero staccarsi per riprendere fiato, Maya si strinse forte al petto di Ace tentando di imprimere sul suo cuore il proprio sorriso e nella propria mente il suo profumo.
Dopo qualche attimo di silenzio, la bruna si fece coraggio e mordendosi leggermente il labbro inferiore disse: “Ace… io sono innamorata di te!”
Ma non ottenne risposta. Preoccupata alzò lo sguardo verso il ragazzo e sorrise sollevata: la sua narcolessia aveva di nuovo vinto le forze del moro.
Maya soffocò una leggera risata e decise di approfittare della sua stufa personale per addormentarsi: tanto per parlare avrebbero avuto tutto il tempo domani!
 
Ace si sveglio che il sole era appena sorto. La sera prima era stato colto dall’ennesimo attacco di narcolessia e quando si era ripreso aveva visto che Maya si era già addormentata. Era rimasta ad osservarla per un po’ alla tenue luce delle candele per poi sprofondare nel mondo dei sogni a sua volta.
Il moro si riposizionò il cappello in testa storcendo un po’ la bocca: non voleva lasciare Maya, ma il richiamo del mare era troppo forte per resistergli. Così si alzò dalla coperta e si diresse verso il porto. Una volta arrivato iniziò  a sistemare le ultime cose prima della partenza finchè una voce gli fece alzare lo sguardo dal suo lavoro.
“Avevi intenzione di partire senza salutare?!”
“Scusa, ma sono una frana con gli addii Syri!”
La bionda si avvicinò e si calò sulla barca dell’amico mentre lui continuava a lavorare.
“Presumo che tu non abbia neanche salutato Maya.”
A quelle parole il ragazzo si fermò, estrasse una busta da una tasca dei pantaloni e la porse alla bionda dicendo: “No, non ci riesco. Ti prego, potresti dargliela?”
Poi alzando la testa verso il cielo aggiunse: “È  il momento di andare.”
Syri annuì con un sorriso triste dicendo: “Allora ti serviranno questi! Con tanti saluti da parte di mio zio.” e gli lanciò un sacchetto pieno di soldi. Allo sguardo interrogativo  del ragazzo rispose semplicemente: “Il tuo stipendio di questi mesi. Te lo sei meritato.”
“Ma io ero in debito con voi, dovevo lavorare gratis!” cercò di obbiettare il moro.
“Lo so, ma il debito è stato annullato: ormai sei uno di famiglia, ‘fratellone’!” disse sorridendo la bionda.
Ace le si avvicinò e la abbracciò stretta dicendo: “Mi mancherai ‘sorellina’! Vedi di non cacciarti troppo nei guai!”
Syri annuì contro la spalla del ragazzo non riuscendo più a trattenere le lacrime. Alla fine i due si separarono, la ragazza scese dalla barca e il moro spiegò le vele verso l’ignoto.
 
Maya si svegliò con un brutto presentimento, aumentato dal fatto che Ace non si trovava di fianco a lei. Il suo posto era ancora caldo, quindi tentò di convincersi che magari fosse solo andato alla locanda a prendere la colazione. Si incamminò quindi verso casa, ma l’unica persona che trovò ad aspettarla fu Syri, con una lettera in mano e una faccia triste.
“Ehi, che hai? Hai visto per caso Ace?” disse la mora un po’ agitata.
“Maya… Non so come dirtelo… Ace è partito, poco fa. Mi ha detto di darti questa.” e le mise in mano la lettera del ragazzo.
Maya non voleva crederci; senza pensarci un minuto in più iniziò a correre in direzione del porto, ma, quando arrivò, l’unica cosa che vide fu la vela della barca ormai lontana.
La ragazza si sedette sul pontile sconcertata: fino a un attimo fa era addormentata accanto al ragazzo che amava e ora lui se ne era andato per sempre. E lei non gli aveva neanche detto ciò che provava per lui!
Quando le lacrime iniziarono a scendere e a bagnare la carta, si ricordò della lettera datale da Siry che stringeva convulsamente ancora tra le mani. Se la rigirò un attimo tra le dita e poi l’aprì con molto riguardo. La calligrafia ordinata e sottile di Ace le fece uscire altre due lacrime salate.

Mia cara Maya,
ti scrivo questa lettera perché so che se dovessi parlarti di persona non riuscirei più a partire, e alla fine arriverei ad odiarti per questo.
E non riuscirei a sopportarlo perché tu sei una delle cose più belle che mi siano capitate nella vita. Tu mi comprendi e illumini le mie giornate, non so come ho fatto a vivere fino ad ora senza di te.
Per questo mi è così difficile lasciarti, ma devo seguire la mia strada. Tu mi capisci, vero? Tuttavia non voglio andarmene senza prima averti fatto una promessa.
Nella busta troverai un anello, io ne ho uno uguale. Non provare neanche a metterlo all’anulare, non ti entrerebbe: non voglio legarti con una promessa così impegnativa di cui poi potresti pentirti.
Quell’anello ha un altro significato: un giorno, quando prenderai il mare, se il destino lo vorrà, noi ci rincontreremo e allora, se entrambi avremmo ancora gli anelli, riprenderemo da dove ci siamo interrotti oggi.
Maya, non piangere. Sorridi, sorridi sempre e pensa che io ti attendo impaziente nella Grand Line.
Aspettando il giorno in cui ci rivedremo,
tuo Ace

 
Maya fece scivolare fuori dalla busta il piccolo anello: era d’oro, senza decorazioni, una semplice fedina. Se lo infilò subito al mignolo della mano sinistra, alzando poi quest’ultima contro il sole mattutino, facendo risplendere il metallo lucido per ammirarlo meglio.
La ragazza sorrise, ormai dimentica delle lacrime, e guardando il mare disse: “Sì, fra due anni ti verrò a cercare e riprenderemo da dove ci siamo interrotti. Perciò aspettami Ace, perché io non ti dimenticherò mai: questa è la mia promessa!”
 
 
 
 
 
 
 
N.d.a
Buonpomeriggio a tutti!!!
Chiedo scusa peril ritardo, ma non è stata colpa mia, bensì della mia connessio internet che ha fatto i capricci!
Comunque, siamo arrivatia l sesto capitolo e non mi sembra vero. In questo mi sono lasciata andare abbastanza alla zuccherosità (non esiste neanche questa parola!). Ace ha iniziato il suo viaggio, finalmente e nel prossimo capitolo vedremo la nostra protagonista prendere il mare a sua volta e incontrare... sorpresa (anche se è abbastanza palese!)!
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito, inserito la storia tra le preferite/seguite/ricordate e che lo farannò. E ovviamente tutti quelli che mi seguono in silenzio, anche se mi piacerebbe sentirli: non mordo mica, tranquilli!
Ci sentiamo a Ferragosto! Saluti, C.S.
P.s. Volevo dirvi che grazie hai vostri voti, la coppia Ace/Marco, che avevo proposto, è entrata nella lista personaggi. Sinceramente, Ace è solo mio, ma se dovessi cederlo a qualcuno, il primo a cui penserei sarebbe Marco! A me non ne viene in tasca niente, ma vi ringrazio comunque per i voti! E ora, me ne vado. A presto!!!
 
 

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Capitolo 7
*** Il ragazzo col cappello di paglia ***


IL RAGAZZO COL CAPPELLO DI PAGLIA


 
LIURAH, MARE ORIENTALE, 2 ANNI DOPO
Era una mattina serena, perfetta per prendere il mare. Maya era già in piedi da ore nonostante fosse ancora presto e dal resto della casa non provenisse alcun rumore. La ragazza tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un foglietto tutto stropicciato e iniziò a rileggere ad alta voce la lista.
“Macchina fotografica, c’è. Rullini extra, ci sono. Quaderni e penne, presi. Foto ricordo, immancabili. Beni di prima necessità, ovviamente. Infine il mio arco, sempre a portata di mano. Perfetto, ho tutto.”
La bruna accartocciò il foglietto e lo gettò nel cestino prima di guardarsi intorno compiaciuta: la sua stanza in mansarda era spoglia di tutto, l’armadio era stato svuotato e lasciato aperto, le mensole liberate dalle varie fotografie. L’unica cosa rimasta era un quaderno piuttosto voluminoso appoggiato sulla scrivania sgombra dalle altre cianfrusaglie.
Maya si sedette sulla sedia e prese l’oggetto tra le mani: aveva pensato molto se portarlo con sé oppure lasciarlo a casa e alla fine aveva preferito scegliere la seconda opzione.
Lo aprì con estrema lentezza e lasciò scivolare delicatamente le dita sulla ruvida carta del volantino: sulla prima pagina del quaderno troneggiava la faccia seria e determinata di Ace con una taglia di 40.000.000 di berry. Una notevole somma per essere solo la prima. Se si continuava a sfogliare, la foto si ripeteva più volte e la taglia aumentava sempre di più: l’ultima che aveva trovato superava i 500.000.000 di berry.
Maya sorrise: su quel quaderno aveva raccolto tutte le notizie che era riuscita a trovare su Ace in quei due anni di lontananza. Lo aveva visto crearsi la sua ciurma, rifiutare un posto all’interno della Flotta dei Sette; era rimasta sorpresa quando era entrato tra i pirati di Barbabianca, ma sembrava essere felice con loro e che venisse rispettato ed amato vista la rapida carriera che aveva fatto. Tutto questo era un modo per sentirlo più vicino e sentirsi parte della sua vita perché, anche se era lontano, lui faceva ancora parte della sua.
Ecco perché le era così difficile separarsene, ma adesso stava per prendere il mare e, anche se ci sarebbe voluta un’eternità, lo avrebbe rivisto di persona. Con il pollice mosse circolarmente l’anello al dito mignolo: un gesto che ormai era diventato meccanico, ma che riusciva a tranquillizzarla sempre  nei momenti di sconforto.
Due colpi leggeri alla porta la distolsero dai suoi pensieri.
“Avanti” disse la bruna.
Syri entrò con un ampio sorriso stampato in volto non del tutto sincero.
 “Ehi! La colazione è pronta, ti stiamo aspettando.”
Maya annuì impercettibilmente senza staccare lo sguardo dal quaderno che aveva ancora aperto in mano.
“Alla fine hai deciso di non portarlo...” disse la bionda andando a sedersi sul letto di fronte alla schiena della sorella.
Quest’ultima sentendo il cigolio delle molle si voltò in direzione della minore, dicendo: “Sì, preferisco così. Ora è il momento di vivere la mia avventura: se lo portassi con me, andrei subito a cercarlo dimenticandomi del mio sogno. E questo non me lo perdonerei ed Ace sarebbe d’accordo con me. Questo è il mio momento!”
“Già… sei emozionata?”
“Direi più terrorizzata! Ho paura di fallire su tutta la linea: di non realizzare il mio sogno, di non ritrovare Ace e anche se lo ritrovassi, ho paura che mi guardi negli occhi e mi dica: ‘Maya chi?’. Penso che non riuscirei a sopportarlo.”
“La solita ottimista, eh? Vedrai che andrà tutto bene!”
“E tu? Te la caverai da sola?” Maya guardava la sorella divertita.
“Certo! Non sono mica più una mocciosa!” rispose piccata Syri; e la sorella non potè darle torto. In quei due anni la bionda era diventata una vera e propria ragazza: si era addirittura decisa ad indossare anche qualche gonna! Comunque rimaneva sempre la sua sorellina ed era normale che si preoccupasse per lei; ma le diede comunque corda.
“Hai ragione. E poi fra un anno anche tu prenderai il mare!” disse la mora, ma a quell’affermazione, Syri si incupì di colpo.
“Io… non credo che me ne andrò così presto…” Allo sguardo interrogativo della bruna, la minore proseguì: “Lo hai visto anche tu, no? Negli ultimi tempi mio zio è invecchiato parecchio. È sempre stanco, stressato, la sua salute si fa sempre più cagionevole e non penso che andrà migliorando. Quindi io rimarrò qui ad aiutarlo finchè ce ne sarà bisogno.”
“E il tuo sogno? Vivere mille avventure per mare con la tua ciurma?” disse la bruna alzandosi dalla sedia per andarsi a sedere vicino alla sorella.
“Per quello ci sarà tempo. Kerr è  tutta la mia famiglia, si è preso cura di me quando i miei sono morti, non posso lasciarlo solo adesso. E poi io non ho qualcuno che mi aspetta come te, non ho un obiettivo ben definito come il tuo per cui voglio spendere tutte le mie energia e tutta la mia vita. Io cerco solo l’avventura e magari non servirà neanche che prenda il mare per trovarla. Si vedrà col tempo.” concluse la bionda.
Maya avrebbe voluto ribattere, ma non sapeva bene cosa dire: capiva la decisione di Syri e la rispettava, ma allo stesso tempo era dispiaciuta per la sorella che stava sacrificando il suo sogno per il bene  della famiglia. Si limitò a prenderle la mano con un’espressione triste sul volto
Fu la bionda a parlare nuovamente: “ Su non fare quella faccia! Non è la fine del mondo!” ma si notava che anche lei non credeva pienamente a quello che diceva. Il suo sorriso era sempre più tirato e una ruga in mezzo agli occhi lasciava intuire che la sua maschera stava per cadere a pezzi.
“Mi raccomando, fai tante foto, così quando tornerai… me le farai vedere… e mi racconterai… tutto quello che hai fatto e…” ma non riuscì a finire il discorso perché calde lacrime iniziarono a scenderle lungo il volto roseo.
A quella vista neanche Maya riuscì più a trattenersi e scoppiò in lacrime andando ad abbracciare la sorella minore. “Mi mancherai Syri!”
“Anche tu sorellona. Da morire!”
 
Era già mattina inoltrata quando Maya finì di sistemare tutte le sue cose e finalmente fu pronta a partire. Stava finendo di preparare la piccola barca aiutata da Syri quando Kerr raggiunse le due ragazze al porto con una scorta di cibo che avrebbe potuto sfamare un esercito.
“Hai paura che muoia di fame?” ironizzò Maya caricando però tutto sull’imbarcazione.
“Hai deciso dove andrai?” chiese il vecchio oste.
“Sì: per il momento rimarrò nel Mare Orientale a cercare un bravo capitano e come prima tappa ho scelto Rogue Town, la città dove tutto ha avuto inizio. Poi si vedrà!” rispose determinata la bruna.
Kerr annuì serio grattandosi la folta barba ispida e continuando a guardare la sua figlioccia prepararsi per la partenza. Anche se non lo avrebbe mai ammesso, gli sarebbe mancata da matti!
Dopo qualche minuto, Maya scese dalla barca: era ora degli addii.
“Beh… io non so cosa dire…” cominciò la bruna un po’ a disagio “Non vi ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che avete fatto per me: mi avete salvato la vita e accolto nella vostra famiglia. Grazie infinite!” e si profuse in un profondo  inchino.
Syri a quel punto le saltò al collo scoppiando di nuovo a piangere. Poi fu il turno di Kerr. “Sentiti libera di tornare quando vuoi. Questa sarà sempre casa tua… figliola.” disse semplicemente prima di abbracciarla a sua volta. Maya a quelle parole lasciò uscire libere le sue lacrime continuando a ripetere ‘grazie’ contro il petto dell’uomo che stava tentando di reprimere il pianto.
Dopo un tempo che parve a tutti troppo breve, la bruna salì sulla sua barca e partì verso la sua avventura, gli occhi ormai asciutti, puntati sulla linea dell’orizzonte, fissi sul suo obiettivo.
 
SHELTZ TOWN, MARE ORIENTALE, UN ANNO DOPO
Monkey D. Rufy camminava massaggiandosi la pancia gonfia per il troppo cibo e sorrideva soddisfatto. Il motivo di tanta felicità non era solo lo stomaco che aveva smesso di brontolare, ma soprattutto il ragazzo che camminava al suo fianco: Roronoa Zoro, il cacciatore di pirati.
Quando era arrivato su quell’isoletta insieme a Kobi, il ragazzo di gomma era subito rimasto impressionato da quel prigioniero esposto alla pubblica umiliazione eppure così fiero e risoluto. Lo aveva preso subito in simpatia nonostante Kobi continuasse a dirgli che era un essere pericoloso e spietato. Ma Rufy non gli aveva dato retta perché negli occhi di quel ragazzo poco più grande di lui, aveva visto riflesso il suo stesso sguardo: lo sguardo di chi è disposto a morire per il proprio sogno. Dopo aver saputo, poi, l’intera storia e aver scoperto che lo spadaccino sarebbe stato giustiziato il giorno seguente, il ragazzo aveva deciso di volerlo assolutamente nella sua ciurma e così aveva reclutato il suo primo nakama.
Zoro, dal canto suo, guardava di sottecchi il capitano che aveva deciso di seguire fino ai confini del mondo. Non che avesse avuto molta scelta: o diventava un pirata sotto la guida di quel folle o restava a farsi fucilare dalla marina e visto che ci teneva alla pelle, aveva optato per il male minore. Ma era stato molto chiaro col suo nuovo compagno: se lo avesse costretto a rinunciare al suo sogno, lo avrebbe ucciso. Certo la risposta del ragazzo con quello strano cappello di paglia lo aveva lasciato un po’ basito: “Perché dovrei ostacolarti? È un sogno così bello!” Ma da uno che voleva diventare il Re dei Pirati cos’altro poteva aspettarsi?!
I due amici erano quasi arrivati al porto dove era attraccata la “nave” del grande pirata, quando un lampo li accecò e li costrinse a voltarsi verso destra. Rufy era rimasto al quanto abbagliato da quella luce improvvisa, al contrario Zoro, più reattivo del suo nuovo capitano, si era subito ripreso e aveva estratto una delle sue tre spade pronto a dare battaglia.
“Scusate, non volevo accecarvi! È solo che il sole vi colpiva in maniera perfetta ed era un peccato sprecare un’occasione del genere!”
Zoro rinfoderò la spada appena dall’ombra di un vicolo comparve la proprietaria di quella voce: era una ragazza  mora, magra e slanciata. Indossava delle scarpe da tennis, un paio di shorts di tela con risvolti, un gilet di jeans chiaro e un foulard al collo. Non portava molti gioielli: solo due cerchi d’oro al polso destro e un anello al mignolo sinistro. A tracolla aveva un vecchio arco rinforzato con l’acciaio e una faretra piena di frecce metalliche mentre in mano teneva ancora l’oggetto incriminato, una macchina fotografica.
La ragazza si avvicinò al duo con incedere sicuro e quando si trovò a pochi passi da loro, si girò verso Rufy e disse: “È da tanto che ti cerco!” lasciando entrambi perplessi.
I due giovani pirati stavano per sommergere la nuova arrivata con mille domande, ma prima che potessero aprire bocca, lei li precedette: “ Potremmo rimandare le domande a più tardi? Sembra che i marines ci abbiano ripensato e stiano venendo da questa parte!” In lontananza si sentiva, infatti, i passi affrettati, ma allo stesso tempo ben cadenzati di un cospicuo manipolo di uomini.
La ragazza si stava dirigendo verso il molo quando si accorse di non essere seguita dagli altri due.
“Beh? Venite o no?”
“Perché dovremmo seguirti?” chiese schietto Zoro, una mano sulle else delle sue spade e l’altra a bloccare la spalla del suo capitano che incoscientemente stava per andare con quella sconosciuta.
“Vedo che siete senza viveri. Io ho provviste per una settimana: acqua, liquori, frutta, pane, carne…”
“CARNE?!” esclamò Rufy interrompendo improvvisamente l’elenco della bruna. “Bene, è deciso: per ora vieni con noi!”
 
“Dunque… tu chi saresti?” biascicò Rufy sputacchiando briciole addosso alla ragazza di fronte a lui. Avevano appena preso il mare aperto e Sheltz Town stava sparendo velocemente alla loro vista.
Sulla piccola imbarcazione stavano seduti un po’ stretti, Rufy con il sacco di provviste aperto davanti a sé, la sconosciuta che era rannicchiata a prua e Zoro che si era sdraiato a poppa, le tre katane appoggiate alla spalla sinistra e gli occhi fissi sulla mora.
“Io mi chiamo Maya e il tuo nome qual è?” rispose la ragazza sorridendo nella direzione del capitano.
“Scusa: come mai non conosci il suo nome nonostante tu abbia detto che lo stavi cercando?” Zoro si intromise nella conversazione facendo focalizzare quegli occhi color del mare su di lui. Doveva ammettere che era una bella ragazza quella, ma ci voleva ben altro per fargli abbassare la guardia.
“È vero, ma per rispondere alla tua domanda Roronoa Zoro devo fare una piccola premessa. Io non stavo cercando esattamente questo ragazzo.” disse Maya indicando Rufy che continuava a mangiare e non sembrava neanche stesse a sentire.
“Stavo cercando quello che lui vuole diventare.” All’espressione confusa dello spadaccino la mora si sbrigò a spiegarsi: “Sono andata via di casa per inseguire il mio sogno: scrivere la biografia sul più grande pirata della nostra era. Per vari mesi ho viaggiato per molte isole in tutto il mare orientale cercando la persona adatta, ma dopo un anno di ricerche non avevo ancora trovato neanche un candidato. Poi ho sentito parlare del grande demone, Roronoa Zoro e ho pensato che seguendo un cacciatore di pirati così famoso e temibile avrei raggiunto prima il mio obbiettivo. Così sono venuta a cercarti e avevo ragione: ho trovato il tuo capitano!”
Zoro la guardava ancora un po’ sospettoso, poi disse: “Tu che ne pensi Rufy?” I due si voltarono verso Cappello di Paglia e rimasero scioccati: il sacco delle provviste era stato completamente svuotato.
 “RAZZA DI BABBEO! C’ERA CIBO PER UNA SETTIMANA PER TUTTI IN QUEL SACCO, COME HAI FATTO A FINIRLO DA SOLO IN POCHI MINUTI?!” Lo spadaccino gridava come un ossesso mentre il suo comandante aveva abbassato  il capo dispiaciuto con lo sguardo da cane bastonato. A far aumentare la rabbia del samurai si intromise anche lo stomaco del povero ragazzo di gomma, brontolando sonoramente.“E OSI PURE AVERE ANCORA FAME?!”
Maya si era messa a ridere come una forsennata alla vista di quel siparietto comico: quei due erano davvero spassosi, si sarebbe divertita molto in loro compagnia. Uno stridio fece alzare gli occhi al cielo alla ragazza che individuò subito il gabbiano in volo sopra di loro.
“Ehi, che ne dite di prendere quell’uccello? Se non per mangiarlo, almeno potremmo usarlo come esca per i pesci.” disse interrompendo l’ennesima scusa di Rufy.
I due ragazzi si zittirono di colpo, si voltarono verso la mora, poi verso il bersaglio indicato loro e poi di nuovo verso la ragazza.
“Ma è troppo in alto! Neanche allungandomi riuscirei ad afferrarlo!” rispose sconsolato il pirata vedendo sfumare la possibilità di una cena a base di sushi.
“Lascia fare a me, lo prendo io.” lo rassicurò Maya incoccando l’arco e ignorando il sogghigno derisorio di Zoro. Tese la corda al massimo, prese la mira e prima di scoccare la freccia, sussurrò un impercettibile ‘shock wave’ per dare maggiore velocità al dardo, che non mancò il bersaglio. La bruna sorrise soddisfatta mentre un enorme gabbiano precipitava sulla piccola imbarcazione rischiando di farla affondare: la freccia aveva trapassato perfettamente l’occhio senza rovinare così la carne dell’animale. Zoro alzò lo sguardo sconcertato verso la ragazza: possibile che non fosse stato un colpo di fortuna?
 
Qualche ora più tardi, i tre naviganti si stavano gustando un buon sushi di re del mare (alla fine il povero gabbiano era servito come esca), quando Rufy prese la parola volgendosi verso Maya: “Bene ho deciso: anche tu entrerai a far parte della mia ciurma come bio… bio… biocrapa! Sei d’accordo Zoro?”
“Scemo! Si dice biografa! E comunque sei tu il comandante!” rispose secco l’altro, ma sotto sotto era felice di quella decisione: così avrebbe avuto ancora occasione di vedere la bruna all’opera e tempo per capire quanto fosse brava.
“Grazie, non ve ne pentirete!” rispose semplicemente Maya piena di gioia.
“Bene! Allora facciamo un brindisi.” riprese Rufy passando una bottiglia di sakè avanzato dalla sua prima razzia a ciascuno dei suoi nuovi compagni. “All’inizio del nostro viaggio verso la Grand Line!”
“Sìììì!!!” urlarono tutti insieme facendo cozzare le tre bottiglie tra loro.
L’avventura poteva avere inizio.




 
 
 
N.d.a.
Salve a tutti! Aggiornamento lampo e stranamente in tempo!
Ecco che finalmente entrano in scena i nostri amati Mugiwara (o almeno una piccola parte). Ora, visto che sono entrata nella storia originale e non potendola riscrivere tutta, ricostruirò solo alcune parti del manga ovvero: Rogue Town, Alabasta (non tutta), la partenza da Water Seven, Sabaondy, Marineford e Dressrosa. Inoltre ci saranno accenni alla vicenda del Baratie, alla saga di Thriller Barck e a quella di Punk Hazard.
Basta spoiler! Ringrazio ancora chi ha messo la storia tra le preferite/seguite, chi recensite e chi legge in silenzio. Invito quest'ultimi, che sono numerosissimi, a farsi sentire anche con commenti negativi: tranquilli non mordo mica!
Bene, ora scappo.
Buon Ferragosto a tutti! Ci si sente a settembre! C.S.

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Capitolo 8
*** La numero 7 ***


LA NUMERO 7


 
Il sole di giugno picchiava forte sul ponte dell’imbarcazione togliendo ai suoi abitanti la voglia di applicarsi a qualsiasi attività troppo impegnativa.
Maya se ne stava rannicchiata nella postazione di vedetta osservando svogliatamente il cielo. Da quando lei, Zoro e Rufy erano partiti da Sheltz Town le cose erano cambiate drasticamente. La ciurma si era subito allargata e così, tra una disavventura e l’altra, si erano aggiunti Nami, la navigatrice ladra, Usop, il cecchino bugiardo e fifone, Sanji, il cuoco farfallone e la Going Merry, la loro nave. I nuovi componenti si erano subito inseriti bene e la loro strana famiglia continuava spensierata il viaggio verso la Grand Line.
Spensierata o quasi. Maya, dal canto suo, da quando aveva lasciato il Baratie, aveva la testa altrove, concentrata su pensieri per nulla rilassanti. Fortunatamente la spedizione di salvataggio di Nami ad Arlong Parck l’aveva assorbita completamente e sul momento la sua mente si era svuotata di tutti i suoi problemi. Problemi che, però, erano ritornati opprimenti appena avevano lasciato l’isola natale della navigatrice.
La mora sospirò tornando per l’ennesima volta con la mente a quel giorno non troppo lontano.
 
Lo aveva visto cadere a peso morto nell’acqua senza più riemergere. Il suo cuore aveva perso un battito. Senza starci troppo a pensare, si era buttata anche lei in mare per raggiungere il corpo di colui che ormai considerava un prezioso amico.
Quando Mihawk era giunto durante il combattimento tra Rufy, il Baratie e i pirati di Creek, si era subito voltata verso Zoro per vedere la sua reazione: un misto di terrore ed eccitazione si era dipinto sul volto del compagno. Quando poi lo aveva sfidato, Maya si era irrigidita, ma il sorriso sghembo dello spadaccino l’aveva leggermente rincuorata: forse lo scontro poteva essere vinto dall’amico.
Quanto si sbagliava: Mihawk gli aveva spezzato due spade con una facilità assurda e lo aveva ferito gravemente senza il minimo sforzo. Quel tizio non era umano, era un demone!
 Maya nuotava veloce nelle acque fredde del mare per recuperare il corpo martoriato del suo amico (non riusciva a pensare che fosse morto!). Alla fine riuscì a scorgerlo tra i flutti e iniziò a riportarlo a galla facendo attenzione ad evitare il più possibile le ferite, cosa tutt’altro che facile. A metà strada la vennero ad aiutare i due cacciatori di taglie amici di Zoro di cui, in quel momento, non ricordava il nome.
Giunti in superficie, la mora lasciò lo spadaccino nelle loro mani e si diresse verso Occhi di Falco per aiutare il suo capitano che lo stava attaccando senza risultati. Aveva appena toccato terra e stava per scagliarsi contro quell’essere inquietante, quando i suoi amici dissero che Zoro era vivo, facendo tirare un sospiro di sollievo a lei e a Rufy.
Dopo aver spronato Roronoa a migliorarsi ancora per poi andarlo a sfidare nuovamente, Mihawk iniziò ad avviarsi verso la sua imbarcazione con l’intenzione di andarsene, ma quando passò di fronte a Maya si fermò un attimo incredulo. La osservò attentamente: i suoi occhi erano identici ai ‘suoi’, in pochi li avevano di quel blu scuro come il mare di notte. E poi l’espressione seria identica alla ‘sua’ prima di ogni scontro. Troppe coincidenze per l’attento Occhi di Falco. Improvvisamente si ricordò che ‘lui’  una volta gli aveva confidato di aver perso una figlia. Che fosse lei?
“Chi è tuo padre?” le disse piano, in modo che soltanto lei potesse sentirlo. Maya si irrigidì di colpo, soprattutto perché il tono che aveva usato il pirata lasciava intuire che conoscesse già la risposta. Era possibile che lui fosse al corrente della sua vera identità?
“E a te che ti frega?” rispose la bruna fulminandolo con lo sguardo.
Mihawk si allontanò dalla ragazza con una smorfia di soddisfazione dipinta sul volto: quella risposta per lui equivaleva a un nome proprio. Dal canto suo, Maya sbuffò irrequieta: lui sapeva e lei sapeva che lui sapeva e lui sapeva che lei sapeva che lui sapeva! Pregò solamente che avesse abbastanza buon senso da non andarlo a dire in giro: ma cosa poteva sperare da un pirata pazzoide, cane del governo mondiale?!
Eppure anche lo spadaccino non aveva alcuna intenzione di spifferare tutto, primo perché non era una comare pettegola e secondo perché aveva intuito che esisteva un valido motivo per il quale la mocciosa non andava a sbandierare ai quattro venti quel legame di sangue. No, si sarebbe tenuto quell’informazione per sé aspettando l’evolversi degli eventi: era certo che ci sarebbe stato da divertirsi!
 
L’urlo di Nami la fece tornare alla realtà e abbassare lo sguardo sul ponte sottostante. La navigatrice sventolò un volantino davanti al volto di Rufy che non faceva altro che ridere felice. Incuriosita da tutto quel trambusto, Maya decise di andare a vedere cosa stesse succedendo calandosi lungo una sartia della nave.
Giunta sul ponte, fu investita da una concitata cartografa che le disse al colmo dell’esasperazione: “ Maya, almeno tu mi capisci vero? È vero che non è una cosa di cui essere felici avere una taglia sulle testa?” e le passò il volantino che teneva in mano poco prima.
La ragazza osservò attentamente l’immagine: la foto del suo capitano sorridente riempiva quasi completamente il foglio. Sotto il nome di Rufy e la sua prima taglia: 30.000.000 di berry.
“Ehi Rufy, complimenti per la taglia: è un buon punto di partenza! Questa va subito a finire nel mio diario di avventure!” rispose entusiasta la bruna facendo cadere la rossa nel più totale sconforto: possibile che a nessuno importasse un pochino della loro incolumità?
A interrompere la discussione sull’argomento ci pensò Usop che sportosi leggermente dal parapetto col cannocchiale in mano si mise a gridare: “TERRAAAAAA!!!”
Tutti gli altri lo imitarono notando il contorni ben delineati dell’isola, mentre emergeva pian piano alla vista anche la sagoma di una città.
“Quella è Rogue Town, la città dell’inizio e della fine, dove nacque e morì Gold Roger. È l’ultima isola prima dell’entrata nella Grand Line!” disse Maya ai suoi compagni.
“Com’è che ne sei così sicura?” chiese Zoro dubbioso.
“Ci ho vissuto un paio di mesi appena intrapreso il mio viaggio. Bisogna stare attenti: il capitano dei Marines qui è un uomo furbo ed estremamente forte. Vedete di non attirare troppo l’attenzione!” continuò la mora.
“Non vedo l’ora di vedere il patibolo su cui è morto il Re dei Pirati!” trillò entusiasta Rufy facendo capire a tutti che non era stato minimamente ad ascoltare i consigli della biografa. “Bene ragazzi, prossima tappa Rogue Town. Prepariamoci a sbarcare!!!”
 
Maya si stava dirigendo a passo spedito verso il centro della città dopo i suoi numerosi acquisti: aveva comprato una scorta di rullini, delle ricariche d’inchiostro, un nuovo quaderno e si era concessa anche il lusso di qualche abito nuovo. In oltre, ora che finalmente avevano una nave che si poteva definire tale, poteva anche sviluppare da sola le varie pellicole: quindi aveva preso tutto l’occorrente per lo sviluppo delle fotografie.
Era arrivata all’incrocio principale della città e si ritrovò di fronte tutti i suoi compagni. Tutti, eccetto il loro capitano.
“Ehi, qualcuno ha visto Rufy? Non è che si è andato a cacciare in qualche guaio?” chiese Sanji esprimendo ad alta voce il pensiero di ogni singolo membro della compagnia.
A conferma dei loro sospetti, un vociare concitato iniziò a provenire dalla piazza del patibolo, a pochi metri da loro. A quanto si diceva, un pazzo stava per essere ammazzato da un pirata col nasone a pomodoro sullo stesso patibolo sul quale era morto Gold Roger.
“Vi prego, non ditemi che il cretino in questione è il Nostro!” disse sconsolata Nami, sapendo bene, però, che era proprio lui, purtroppo. “Accidenti, proprio ora che sta per cambiare il tempo, quell’idiota doveva farsi prendere!”
“Voi andate alla Merry; io, Sanji e Maya recuperiamo Rufy e vi raggiungiamo.” disse perentorio Zoro.
“Mi raccomando, fate attenzione!” replicò Usop prima che il gruppo si dividesse.
 
Nami e Usop correvano in direzione del porto, mentre il cielo si faceva sempre più buio.
Erano quasi arrivati alla nave quando una visione li fermò di  colpo: un enorme leone e un uomo con una strana capigliatura erano svenuti e pieni di ferite vicino alla Going Merry. Sopra il corpo della belva stava seduta una figura a gambe leggermente divaricate, un kunai ancora in mano e il volto coperto dal cappuccio del mantello che indossava.
“E… e… q-quella p-p-persona ch-chi è?” balbetto terrorizzato il cecchino.
Un lampo illuminò il volto dello sconosciuto mettendo in luce un sorrisetto per niente rassicurante.
 
I quattro pirati stavano correndo verso il promontorio sotto la pioggia scrosciante. Maya guardava stupita il suo comandante: se prima lo pensava solamente, adesso ne era certa, stava seguendo la persona giusta. Quando aveva visto sorridere Rufy, impavido davanti a morte certa, si era ricordata delle foto dell’esecuzione di Gold Roger: quei due avevano lo stesso sorriso, quello di chi sa di essere arrivato alla fine della propria vita e di accettare la cosa a testa alta. Non c’erano dubbi, Rufy era sicuramente il successore di Roger.
Erano arrivati ormai sulla nave e il ragazzo di gomma stava impartendo gli ordini per salpare. Nami e Usop avevano tentato di dirgli qualcosa, ma li aveva liquidati con un ‘non adesso’.
Quando finalmente si furono allontanati a sufficienza dalla costa e rientrarono tutti sotto coperta, li attese una sorpresa inaspettata: una figura incappucciata stava comodamente seduta su uno degli sgabelli della sala da pranzo sorseggiando tranquillamente un the caldo.
“Salve. Spero non vi dispiaccia se ho approfittato dei vostri utensili!” dissi il misterioso individuo con voce vellutata indicando l’enorme bollitore fumante.
“Tu chi sei?!” chiese curioso Rufy dando voce ai pensieri di tutti i suoi compagni, molto più allarmati di lui.
“È quello che tentavamo di dirti io e Usop!” cominciò Nami scocciata. “Abbiamo trovato questo tizio fuori dalla Merry dopo che l’aveva appena salvata da un attacco dei pirati di Bagy. Dice di conoscere Maya.”
Tutti si voltarono verso la biografa che non aveva smesso per un secondo di fissare il misterioso salvatore della loro nave: quella voce assomigliava proprio a quella di… ma non poteva essere!
Fu quella stessa persona a sciogliere i suoi dubbi abbassandosi il cappuccio del mantello e a farla esclamare: “SYRI?!”
La bionda le fece un sorriso a trentadue denti e poi le si buttò felice tra le braccia. La bruna la osservò attentamente: in quell’anno la minore era cambiata parecchio, i capelli le erano cresciuti e ora le incorniciavano il viso in un ordinato caschetto, il volto aveva perso parte dei suoi tratti fanciulleschi, il suo corpo stava prendendo le forme di quello di una vera donna e la voce era maturata a tal punto che quasi non l’aveva riconosciuta!
“Maya tu conosci questa tipa?!” domandò Zoro interrompendo il momento tra le due ragazze.
“Oh, scusate. Lei è Syri, è mia sorella minore.” rispose la castana lasciando tutti con un palmo di naso.
“Certo che sei proprio un bel tipo! Non ci vediamo da appena un anno e già faticavi a riconoscermi!” disse la bionda con un finto cipiglio arrabbiato.
“Che ci fai qui? Come hai fatto a trovarmi?” chiese Maya ancora sotto shock. Tutti gli altri stavano in religioso silenzio interessati alla storia della nuova arrivata.
“Beh trovarti non  è stato poi così difficile. Sono arrivata in città circa una settimana fa. Mi ricordavo che come prima tappa del tuo viaggio avevi scelto Rogue Town. Ho iniziato a fare domande in giro, anche se non potevo espormi troppo a causa di quel mastino di Smoker. Comunque dopo giorni di ricerca infruttuosa, oggi ho comprato il giornale e c’era questo.”
Syri posò sul tavolo il volantino della taglia di Rufy ed indicò una mano che tirava l’orecchio destro del ricercato. “Avrei riconosciuto quell’anello tra mille!” disse la bionda facendo l’occhiolino alla sorella che arrossì impercettibilmente.
“L’articolo allegato diceva che la vostra ciurma aveva appena lasciato il villaggio di Coco e quindi sapevo che presto sareste arrivati qui. Il problema è che non sapevo su che nave viaggiavate. Poi, poco fa, ho incontrato un tizio bizzarro, con degli strani tatuaggi sul volto che mi ha indicato la vostra caravella. E sono arrivata appena in tempo: quella sottospecie di pagliaccio col leone stava cercando di darle fuoco!”
“Continuo a non capire però come mai sei qui.” chiese perplessa Maya.
“Il perché è leggermente più complicato.” disse incupendosi Syri.
“Che è successo?” continuò la mora, sapendo bene che ciò che stava per sentire non le sarebbe piaciuto.
La minore sospirò pesantemente e con la voce incrinata dal dolore disse: “Zio Kerr è morto.”
Il cuore di Maya scricchiolò pericolosamente come se fosse stato di vetro. Sentiva dietro di sé i suoi compagni mormorare chiedendosi spiegazioni tra loro. Solo Zoro restava in silenzio aspettando una qualsiasi reazione della bruna.
“Come.” sussurrò flebilmente questa alla fine.
“L’hanno ucciso quelli del governo.” ringhiò con astio l’altra. Allo sguardo stralunato della sorella, si affrettò a chiarire la faccenda: “Tu non centri, il problema ero io. È iniziato tutto più di un mese fa, per il mio diciassettesimo compleanno. Avevo notato che mio zio si comportava in maniera strana già da qualche tempo, ma la cosa stava peggiorando. Era come se avesse un peso sulla coscienza. Poi, qualche giorno dopo una nave del governo attraccò a Liurah: Kerr era teso coma una corda di violino. Ho cominciato a fargli mille domande e alla fine sono riuscita a farlo parlare.”
Il gelo era calato nella sala. La minore tornò a sedersi al suo posto mentre Maya si accovacciava ai suoi piedi stringendole forte le mani per invitarla a proseguire.
“Mi ha raccontato la verità sulla mia nascita. Mi ha detto che i miei genitori non sono morti in un incidente, anzi non sono proprio morti! Mia madre mi affidò a lui quando ero ancora in fasce perché era una ricercata facendogli promettere che non mi avrebbe detto niente fino ai miei diciassette anni. Mio zio ha fatto di tutto per proteggermi dal nome di mia madre, ma a quanto sembra non è stato sufficiente: il governo aveva scoperto in qualche modo la mia esistenza ed era venuto per arrestarmi. Sono riuscita a scappare, ma  Kerr è rimasto indietro per ostacolarli e…” Syri non riuscì a finire la frase che scoppiò i lacrime.
La mora la strinse forte a sé accarezzandole piano i capelli per farla calmare: non riusciva a credere che Kerr fosse morto. La voce spezzata della bionda affiorò flebile dal suo petto: “Hanno bruciato la nostra casa, tutti i nostri ricordi. Non sapevo cosa fare, così sono venuta a cercarti. Avevo… Ho bisogno di te!”
Maya continuò a carezzare la sorella e a sussurrarle parole rassicuranti, incurante del fatto che i suoi compagni erano ancora tutti lì impalati ad assistere impotenti a quello sfogo.
Alla fine la biografa prese la parola: “Ora cosa pensi di fare? Vuoi cercare i tuoi genitori? Hai qualche indizio?”
“Sì, li voglio cercare; dopo tutto sono la mia famiglia! Ma non ho idea di come fare. L‘unica cosa che mi ha detto mio zio su sua sorella è stata ‘Tua madre è il Fiore della rivoluzione’, ma non ho la minima idea di cosa significhi. Di mio padre invece non sapeva niente, neanche se sia ancora vivo.” concluse afflitta la bionda asciugandosi le lacrime.
“Beh, non ti preoccupare lo scopriremo insieme!” Syri sgranò gli occhi stupita visto che a parlare non era stata la sorella, ma quel buffo ragazzo col cappello di paglia che aveva capito essere il comandante.
“Non che non mi faccia piacere la tua offerta, ma tu recluti la gente così senza indagare? Insomma, non mi conosci neanche!” la ragazza era sempre più stralunata.
“È vero, però mi sei simpatica! E poi hai già salvato la Merry da quei tirapiedi di Naso-rosso e sei anche la sorella di Maya. Allora vuoi unirti alla nostra ciurma?” Rufy la guardava con un sorriso smagliante.
“Sì, sempre che non dispiaccia agli altri!” rispose un po’ insicura l’interpellata, subito rincuorata da una serie di pacche e abbracci di benvenuto in quella pazza famiglia.
“Dunque… che cosa sai fare?” chiese innocentemente il ragazzo di gomma facendo cadere tutti a gambe all’aria. La bionda sorrise serena e tranquilla, ritornando la solita ragazza di sempre , prima di rispondere al suo nuovo capitano.
“Beh, me la cavo nei combattimenti ravvicinati. So cucinare,” e a quell’affermazione Nami e Maya colpirono poderosamente la testa di Sanji che si stava per buttare tra le braccia della sua nuova ‘assistente personale’, facendolo svenire “ disegno e non faccio schifo come nocchiere.”
“Non fai schifo? Rufy credi a me: in quanto a senso dell’orientamento questa mocciosa è anche peggio di Zoro, specie sulla terra ferma, ma con un timone in mano e un bravo navigatore ti saprà riportare a casa anche con la più cruenta delle tempeste!” la corresse Maya, facendo arrossire Syri e imbestialire Zoro per averlo usato come esempio in maniera negativa.
“Bene! Da ora in poi sarai il nostro timoniere!” dichiarò Rufy facendo esultare tutti, tranne Sanji che vedeva sfumata la possibilità di avere una bellissima ragazza accanto a lui mentre cucinava.
Il cuoco, però, si riprese subito e preparò una cioccolata calda per tutti per festeggiare il nuovo membro della loro famiglia. Zoro si lamentò che avrebbe preferito un buon bicchiere di sakè e Rufy una bella fetta di carne, ma ingurgitarono comunque vogliosi quella dolce bevanda visto che la temperatura era calata e avevano tutti le ossa congelate per la pioggia fredda di poco prima.
Dopo un quarto d’ora di presentazioni e discorsi vari, Usop richiamò l’attenzione generale  puntando un dito contro l’oblò, in direzione di una luce all’orizzonte: “Ragazzi venite a vedere!”
La ciurma uscì sul ponte principale incurante dell’acquazzone che sferzava nuovamente i loro corpi e guardò fisso d’innanzi a sé: una luce intermittente si stagliava nel buio della tempesta.
“Quello è il faro che indica l’entrata nella Rotta Maggiore! Dobbiamo essere vicini alla Linea Rossa” spiegò Nami sovrastando il fragore delle onde e del vento.
“Allora propongo di fare un brindisi!” disse Sanji posizionando una botte piena d’acqua in mezzo al ponte. Poi  alzò una gamba e poggiando il piede sul contenitore disse: “Troverò l’All Blue.”
“Disegnerò la cartina di tutto il mondo.” Un secondo piede si aggiunse.
“Diventerò un coraggioso guerriero dei mari.” Ed ecco il terzo.
“Troverò le mie origini.” E il quarto.
“Diventerò lo spadaccino più forte del mondo.” Il quinto.
“Scriverò la biografia del Re dei Pirati.” Sesto piede.
“Diventerò il Re dei Pirati!” E l’ultimo a chiudere il cerchio.
Sette gambe si alzarono in sincronia e fecero a pezzi la botte su cui poggiavano poco prima.
“Andiamo a conquistare i nostri sogni!”
 
 
 
 
N.d.a.
Hello everyone!
Finalmente si entra nella Grand Line! Devo dire che questo capitolo mi ha fatto penare non poco essendo uno di passaggio, ma non potevo lasciare Syri fuori dalla nostra avventura! Kerr è morto e mi è dispiaciuto un sacco (vox populi: “E a noi che ce frega?!”), ma serviva per far scoprire qualcosa di più sulla nostra coprotagonista. Comunque nel prossimo capitolo tornerà a farci visita un nostro caro amico…
Ringrazio sempre tutti quelli che recensiscono, inseriscono la storia tra le preferite/seguite/ricordate, leggo in silenzio.
Lasciate un commentino se vi va! Ci sentiamo a ottobre. C.S.
 P.s. Penso che sia palese chi sia il padre di Maya, ma non lo nominerò per ancora molti capitoli per lasciare un po’ di suspance (vox populi: “Ma dov’è la suspance!” -_-). Quindi fatemi sapere se avete capito!
 
 
 

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Capitolo 9
*** La seconda volta non si scorda mai! ***


LA SECONDA VOLTA NON SI SCORDA MAI!


 
Stava letteralmente morendo di caldo!
Per la centesima volta nel giro di pochi minuti, Maya si deterse il volto con un asciugamano di tela offertole gentilmente da Sanji. Aveva provato per tutta la mattina a sviluppare le ultime foto scattate, ma nel piccolo sgabuzzino che usava come camera oscura, non si riusciva a respirare e aveva quindi abbandonato l’impresa.
La ragazza spostò lo sguardo intorno a sé esasperata: sembrava che a nessuno dessero poi così fastidio i quasi trentacinque gradi che c’erano. Zoro si stava addirittura allenando e per questo lo odiava profondamente!
Beh, forse qualcuno messo peggio di lei c’era: il piccolo Chopper, l’ultimo compagno che avevano reclutato. Era un dottore proveniente dall’isola invernale di Drum dove si erano dovuti fermare a causa di una malattia improvvisa che aveva quasi ucciso Nami. All’inizio la piccola renna non voleva saperne di unirsi ad un gruppo di umani, ma Rufy non è un tipo a cui piace sentirsi dire no.
Così ora la ciurma era arrivata a otto elementi, più due ospiti speciali: la principessa Bibi di Alabasta e la sua papera Karl. A Maya non piaceva particolarmente Bibi: non le aveva mai fatto alcunché, ma il suo regno era sotto la protezione del Governo Mondiale e troppi brutti ricordi affioravano nella mente della bruna al sentire quelle due parole. Quindi si comportava in maniera educata con la loro ospite, ma nulla di più.
Syri al contrario andava d’accordo con tutti. Si era inserita subito bene all’interno del gruppo e aveva legato in maniera particolare con Rufy. A volte sembrava che i due avessero le medesime idee nello stesso preciso istante e capitava che l’uno si ritrovasse a finire il discorso dell’altra: la cosa era alquanto bizzarra, anche se almeno Syri, era un po’ meno avventata rispetto al capitano, grazie anche a Maya che riusciva a tenerla in riga il più delle volte!
La bruna si alzò dal suo nascondiglio in mezzo ai mandarini di Nami, l’unico posto dove aveva trovato un po’ d’ombra, e si diresse verso la cucina per prendersi una bibita fresca. Syri stava lì in piedi in mezzo alla sala: stava leggendo un libro mentre ogni tanto dava fugaci occhiate al timone per verificare che la navigazione procedesse bene.
“Come se ci fosse il rischio che scoppi una tempesta! Non tira un alito di vento da giorni!” pensò Maya aprendo il frigo che risultò essere praticamente vuoto. Avevano esaurito le scorte alimentari e non riuscivano a pescare niente da tre giorni. Se non avessero avvistato terra in breve tempo, sarebbero morti di fame!
Come se il cielo avesse ascoltato le sue preghiere, in quel momento Usop gridò: “Vedo un’isola proprio davanti a noi!”
Syri si affrettò a chiudere il libro per dedicarsi completamente alle manovre di approdo. La bruna si avvicinò al tavolo e prese il tomo tra le mani: da quando Chopper si era unito alla ciurma sua sorella aveva iniziato a leggere tutti i suoi testi di medicina. All’inizio tanto per ingannare una notte di guardia solitaria, poi la materia l’aveva del tutto conquistata e ormai aveva quasi concluso tutta la raccolta del dottore! Ma di questo non c’era da stupirsi: la bionda, infatti, aveva una velocità di lettura molto superiore alla media, più di 5.000 parole al minuto. Maya ricordava quando erano piccole e le prestava libri di narrativa o storia per tenerla impegnata e fuori dai guai: li finiva nel giro di poche ore e subito correva fuori a giocare dicendo che quei racconti erano una noia mortale! Per questo la maggiore era rimasta colpita quando l’aveva vista con quei tomi in mano e quando aveva chiesto spiegazioni, la sorella aveva replicato: “L’anatomia è così affascinante e misteriosa! Questa si che è roba forte, non quelle storielle che mi costringevi a leggere da bambina!”
“Maya, vieni a darci una mano con le vele!” La voce di Rufy la riscossi dai suoi pensieri: riposizionò il libro sul tavolo e si sbrigò ad ubbidire agli ordini del suo comandante.
 
Maya passeggiava tranquilla per le strade affollate della città portuale di Nanohana. Appena avevano attraccato, Rufy si era catapultato fuori dalla nave alla ricerca di cibo senza prima ascoltare quale sarebbe stato il piano d’azione per non farsi scoprire. Sarebbe stato comunque inutile, visto che il ragazzo faceva sempre di testa sua.
Era stata Nami a prendere in mano la situazione e a dividere i compiti tra i restanti membri della ciurma: Sanji si sarebbe occupato delle provviste e di recuperare qualche abito del luogo insieme a Chopper e Usop; Zoro sarebbe rimasto a guardia della nave con Bibi e Karl per evitare che venissero scoperti prima del tempo; infine Nami, Syri e Maya avrebbero raccolto informazioni e sarebbero andate alla ricerca di Rufy prima che finisse in qualche guaio.
La bruna aveva già raccolto parecchie informazioni e aveva anche acquistato un abito sobrio e comodo per la permanenza ad Alabasta: conoscendo Sanji, non poteva fidarsi di cosa avrebbe comprato come vestiario. Non voleva ritrovarsi costretta ad indossare abiti succinti e provocanti e in più, non poteva permettersi il lusso di far vedere ai suoi compagni la schiena: nessuno di loro sapeva del suo passato e per il momento, preferiva così.
Stava chiedendo ad un mendicante se sapesse di una qualche locanda nelle vicinanze, quando una voce ben nota le fece alzare di scatto la testa. Si voltò in tutte le direzioni, ma della persona in questione non c’era traccia. Maya scosse il capo dandosi della stupida: probabilmente se lo era immaginato, anche perché non c’era alcun motivo per cui lui si trovasse in quella parte della Grand Line in quel momento.
Riprese il suo percorso sperando vivamente che sua sorella non si fosse persa.
 
Doveva ammetterlo: si era persa!
Syri sbuffò scocciata in direzione del chiosco di spezie davanti al quale era già passata quattro volte. Perché aveva un senso dell’orientamento così scarso?!
L’ennesimo sospiro uscì dalle labbra sconsolate della bionda: era stanca, accaldata e stava morendo di fame! All’improvviso un profumino di carne arrosto giunse alle narici della piratessa. Inalando avidamente quell’odore così invitante, iniziò a camminare verso di esso fino a trovarsi di fronte una grande locanda.
La ragazza aveva le lacrime agli occhi. Stava per dirigersi verso l’entrata quando da essa uscì un turbine in jeans e canotta rossa.
“Rufy?!”
“Syri!” esclamò il ragazzo prendendola per un braccio e trascinandola con sé nella sua folle corsa.
“Rufy che cavolo sta succedendo?” La bionda correva più confusa che mai.
“C’è quel marine fumoso di Rogue Town che mi vuole catturare!” rispose il capitano prendendola per la vita e saltando su un tetto per evitare un fendente della sottoposta di Smoker.
I due compagni sfrecciavano per i vicoli della città mentre un numero sempre maggiore di marines stava loro alle costole. Eppure la ragazza aveva come la sensazione che ci fosse qualcun altro sulle loro tracce, qualcuno che non fosse un marine e che sicuramente non sarebbe rimasto in disparte ancora a lungo.
 
Maya guardava un po’ dispiaciuta Sanji rannicchiato in un angolino, il morale sotto i tacchi e il vestito respinto ancora tra le mani. Come aveva previsto l’abito era veramente troppo scollato per i suoi standard, così lo aveva rifiutato gentilmente, non abbastanza però, dato lo stato in cui si era ridotto il cuoco.
Prima che potesse dire qualsiasi cosa per risollevargli il morale, ci pensò Zoro a riscuotere il biondo dal suo stato catatonico con una delle sue solite provocazioni. I due iniziarono a discutere animatamente, finché un violento pugno di Nami si abbattè sulle loro teste facendo concludere il litigio.
“Basta! Abbiamo altro a cui pensare: non solo non abbiamo ritrovato Rufy, ma adesso abbiamo perso anche Syri! Quei due saranno la mia rovina, lo so!”
In quel preciso momento, come se fossero stati richiamati dalle imprecazioni della navigatrice, le due piaghe sopracitate comparvero da una strettoia sulla destra con uno stuolo di marines alle calcagna.
Appena si accorsero dei loro compagni, i due iniziarono a correre verso di loro portandosi dietro l’intero plotone militare e costringendo, così, tutto il gruppo alla fuga.
Ad un tratto dalla schiera di soldati emerse l’imponente figura di Smoker che caricato il suo famigerato pugno, era pronto a colpire Rufy e finalmente ad arrestarlo.
Ma il colpo non andò a segno. Una parete infuocata si era frapposta tra i Mugiwara e la marina bloccandole così il passaggio.
Dalle fiamme emerse un ragazzo alto, moro, a petto nudo e con un particolare cappello arancione da cowboy. I pirati osservavano il nuovo arrivato con sguardo indagatore; solo tre di loro avevano il volto pervaso da stupore misto ad incredulità.
“Ace?!”
 
Maya era rannicchiata in disparte su un angolo della Merry mentre Rufy stava spiegando alla ciurma che quel ragazzo misterioso altri non era che suo fratello maggiore. Appena lo aveva saputo, la bruna aveva sgranato gli occhi per la sorpresa: si era inconsapevolmente imbarcata col fratello del ragazzo che amava. Possibile che fosse stata solo una coincidenza?! Ma c’erano comunque alcune cose che non le tornavano: Ace le aveva detto che sua madre era morta di parto e Gold Roger era stato giustiziato cinque anni prima della nascita di Rufy. Come potevano essere fratelli di sangue?!
Tuttavia per il momento aveva problemi più urgenti da affrontare: per esempio l’incontro con il fiammifero che le aveva illuminato i pensieri negli ultimi tre anni. Era solo questione di minuti prima che Ace li raggiungesse sulla nave come aveva preannunciato prima di ingaggiare uno scontro con quei poveri marines. Fortunatamente il ragazzo non l’aveva notata allora, essendo nascosta dall’ampia schiena di Zoro, ma non poteva sperare di sfuggirgli una volta che fosse giunto sulla barca!
Era terrorizzata. Aveva aspettato quel momento per tutto quel tempo e ora che era finalmente arrivato si accorgeva di non essere pronta. Lo stomaco le faceva male da morire, non riusciva a respirare regolarmente e un milione di idee le vorticavano nella testa, una peggio dell’altra.
Stava sentendo distrattamente Rufy vantarsi del fatto che nonostante non fosse mai riuscito a battere il fratello in passato, ora ne sarebbe stato perfettamente in grado, quando un’altra voce si aggiunse alla risata sguaiata del capitano; una voce calda, profonda, dolce che ricoprì la schiena di Maya di brividi.
“Sei proprio sicuro di potermi battere?”
“Ace!” strillò il comandante per poi abbracciare stretto il fratello.
“È bello rivederti Rufy! Ed è un piacere conoscere i tuoi compagni. Vi ringrazio per esservi presi cura del mio fratellino!” Il moro si profuse in un inchino rispettoso lasciando tutti basati per la differenza di carattere e comportamento tra i due ragazzi.
“Ace!” L’interpellato volse lo sguardo verso la voce che lo aveva chiamato e sgranò gli occhi stupito.
“Syri?!” riuscì a dire prima che la bionda gli saltasse al collo. La sollevò in aria e fece un giro su se stesso, per poi allontanarla per osservarla meglio. “Ma guardati! Come sei cambiata, quasi non ti riconoscevo! Sei diventata proprio una bella ragazza e ti sei fatta crescere anche un po’ i capelli: non l’avrei mai detto!”
“Ma voi vi conoscete?” Rufy era un po’ sorpreso da quella scena.
“Sì, quando ho iniziato il mio viaggio sono stato ospite per un periodo di Syri e della sua famiglia.” rispose prontamente Ace. Poi si rivolse nuovamente alla bionda: “A proposito, come sta Maya?”
“Potresti chiederlo direttamente a me!”
Il ragazzo si voltò verso la proprietaria di quella voce: Maya si era avvicinata al resto del gruppo, rimanendo però un po’ arretrata rispetto agli altri. Ace le si avvicinò fino a trovarsi occhi negli occhi con la bruna.
“Ehi.” disse lui.
“Ehi.”riuscì solo a rispondergli lei.
Poi accadde. Fu talmente veloce da cogliere tutti impreparati: Ace prese il volto di Maya tra le mani e la baciò incurante dello sguardo stralunato dei presenti e di nove mascelle che toccarono terra contemporaneamente (quella di Rufy toccò davvero il pavimento!). La ragazza dopo un iniziale shock decise di rispondere, ma non nel modo che tutti si sarebbero aspettati: infatti caricato un pugno, scaraventò il povero Ace contro l’albero maestro, facendolo scricchiolare pericolosamente e facendo venire un infarto ad Usop. Poi biascicando un ‘coglione’ a denti stretti, si ritirò nella sua cabina lasciando tutti di stucco.
Ace dopo un attimo di smarrimento, si alzò in piedi massaggiandosi gli addominali e calandosi il cappello sul volto, sorrise: non era cambiata per niente in quei tre anni!
 
Maya stava stesa a pancia in su sul proprio letto guardando distrattamente il soffitto, quando la porta cigolò annunciando l’entrata di qualcuno. Non servì neanche che guardasse per capire chi fosse il nuovo arrivato: solo una persona era tanto folle da avvicinarla quando era in quello stato.
“Va’ via Syri, non ho voglia di parlare adesso.” disse voltandosi di lato. Nonostante la minaccia, sentì alle sue spalle il materasso inarcarsi sotto il peso di una seconda persona. Rimasero in silenzio per quelle che a Maya parvero ore, ma che, forse, non erano che una manciata di minuti.
“Preparati ad una bella lavata di capo da Usop!” disse alla fine la minore. “Gli hai fatto davvero temere per l’incolumità della Going Merry! Si è attaccato all’albero maestro come una cozza e lo accarezza spasmodicamente sussurrando frasi rassicuranti: non sta per niente bene! Quello messo peggio, però, è Sanji: gli è venuto sul serio un colpo! Pensa che Chopper ha dovuto…”
“Piantala con questa farsa Syri, è inutile! Tanto so che l’hai notato anche tu.” la interruppe la bruna. “Non aveva l’anello.”
“Ci possono essere una miriade di motivi per cui non lo portava. Insomma, ti ha baciata davanti a tutti: qualcosa vorrà pur dire!”
La maggiore si mise seduta per guardare la sorella negli occhi. “Te lo dico io cosa significa: lui ha visto che io portavo ancora questa stupida fedina e ha deciso di approfittarne prima che tirassi in ballo il discorso!” Si tolse l’oggetto incriminato e lo lanciò dall’altra parte della cabina.
“Adesso stai esagerando: Ace non è una persona così meschina!” la redarguì la bionda.
Maya sospirò affranta: “Lo so.” Detto questo si rimise sdraiata dando le spalle alla sorella.
“Senti, a quanto pare Ace ha una faccenda da sbrigare qui ad Alabasta: quindi rimarrà con noi per un po’. Cerca di riprendere il tuo proverbiale autocontrollo. Capisco che non sarà facile, ma…”
“Non preoccuparti: so che tu e, in special modo, Rufy, siete al settimo cielo per la sua improvvisata e anche agli altri sembra stare simpatico. Non ho intenzione di fare la guastafeste, mi comporterò civilmente. Ora lasciami un po’ sola, per favore.”
La bionda annuì in silenzio ed uscì dalla stanza lasciando la sorella nel panico più totale: per lei si prospettavano delle giornate infernali all’orizzonte.
Si alzò dal letto e si affacciò all’oblò: in lontananza vide una persona su di una strana imbarcazione fronteggiare contemporaneamente cinque navi col simbolo della Baroque Works. Riconobbe la figura di Ace, ancora prima che si cimentasse nella sua tecnica più famosa, quella che gli dava il soprannome: il Pugno di Fuoco.
Si ritrovò a sorridere involontariamente: era bello sapere che certe cose non erano cambiate nonostante il trascorrere del tempo.
Si allontanò dall’oblò decisa a ritornare tra i suoi compagni per essere sommersa da mille domande, ma non prima di aver dato un ultima occhiata al ragazzo là fuori ed aver sussurrato: “Il solito esibizionista!”






N.d.a.
Saaaaaaaaaaalve. Lo so sono in ritardo, chiedo umilmente scusa!
Allora che dire? Ace è tornato e sembra che per lui non valga più la promessa. Ma sarà veramente così? Come avrete capito, dal prossimo capitolo dovrò abbandonare la linea temporale del manga e seguire gli episodi filler dell'anime.
Ringrazio come sempre, chi segue/preferisce/ricorda questa storia, chi la recensisce e chi la legge solamente (siete tantissimi, fatevi sentire please!).
Ci sentiamo a novembre, si spera puntualmente sta volta.
Baci e saluti. C.S.
P.s. Mi stavo quasi per dimenticare! Ringrazio tutti quelli che hanno letto/recensito/preferito/ricordato la mia flash su Trafalgar Law, "Broken Boy". Siete stati fantastici grazie! Ciao a tutti!

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Capitolo 10
*** Confessioni ***


CONFESSIONI



 
Stavano risalendo il corso del fiume in cerca di un’ansa riparata dove poter lasciare la nave al sicuro; da lì avrebbero puntato a nord verso l’oasi di Yuba, sede dell’Armata dei Ribelli.
In quel momento tutta la ciurma si trovava in sala comune insieme al loro ospite: Syri era al timone e guardava l’orizzonte dalla porta aperta della mensa, Sanji stava lavando le tazze del caffè appena bevuto, Zoro sonnecchiava, Nami discuteva con Bibi del percorso da seguire per arrivare nel minor tempo possibile a Yuba ed Ace incantava Rufy, Usop e Chopper con le sue avventure.
“Capitano, c’è un’insenatura a poco più di una lega da qui, sulla riva sinistra. È ben protetta dagli scogli: che dici, attracchiamo?” Maya si affacciò dalla porta dopo essere calata dalla sua postazione di vedetta.
Un silenzio imbarazzante cadde sulla stanza: gli sguardi di tutti i pirati iniziarono a sfrecciare da Ace, che sorrideva malandrino alla biografa di bordo, a Maya, che improvvisamente aveva iniziato a trovare molto interessanti le assi del pavimento, e poi di nuovo ad Ace, come se stessero assistendo a una partita di tennis.
“Capitano, allora che devo fare?” La voce di Syri catalizzò l’attenzione di tutti sulla ragazza atterrendoli: le pupille si erano fatte sottili, gli occhi neri avevano preso delle striature color ghiaccio e il suo volto sembrava voler dire ‘Fate commenti fuori luogo o continuate solo con queste occhiate e vi polverizzo!’
“Sì, va bene attracchiamo lì.” disse alla fine Rufy, l’unico del gruppo che non aveva capito niente di quello che stava succedendo, ricevendo un sorriso soddisfatto dalla bionda e disperdendo la tensione che si era creata.
Maya guardò grata la sorella che le fece l’occhiolino. Le scappò un accenno di risata: Syri poteva essere brava, dolce e gentile quanto voleva, ma se si toccava la sua famiglia diventava anche peggio di un mostro marino imbestialito!
 
Le stelle sfavillavano come diamanti purissimi nella più totale oscurità della notte. Maya non riusciva a staccare gli occhi da quella meraviglia: non ricordava di aver mai visto un cielo così terso e luminoso. Ironicamente, mentre lei non avrebbe voluto che un tale spettacolo venisse coperto, tutti gli abitanti di Alabasta stavano pregando perché nuvole cariche di pioggia oscurassero la volta celeste.
Avevano camminato per tutto il giorno, avevano attraversato Elumalù e avevano visto la desolazione che affliggeva quel paese. Si erano accampati appena fuori dalle rovine della città: non avrebbero potuto dormire in quel posto che odorava di morte e disperazione.
A Maya era toccato il primo turno di guardia, anche se dubitava fortemente che qualcuno li avrebbe attaccati: il problema, caso mai, potevano essere gli animali selvatici, ma dopo che i ragazzi avevano abbattuto quel varano gigante per poi mangiarselo, era altamente improbabile che qualche altra creatura li venisse ad importunare.
Stava attizzando il fuoco con un bastoncino, quando dei passi la fecero voltare verso destra.
“Vuoi un po’ di compagnia?”
Ace le si sedette accanto senza nemmeno aspettare una risposta.
“Non saprei. Forse sei tu che vorresti avere una diversa compagnia. Magari di una bella principessa!” rispose piccata l’interpellata. Aveva notato che per tutto il giorno il ragazzo si era comportato in maniera molto cortese nei confronti di Bibi. Troppo cortese!
Il moro soffocò malamente una risata. “Che c’è? Sei gelosa?”
“Ma per favore! La mia era solo una constatazione: puoi fare quello che vuoi. E poi perché dovrei essere gelosa? Non stiamo mica insieme. Siamo solo amici!” e detto questo, Maya mostrò il mignolo libero dall’anello mentre il rossore andava lentamente ad abbandonare le sue guancie.
“Giusto.”
Alla ragazza sembrò che il viso di Ace venisse solcato da una vena di dispiacere, ma si convinse che la luce fioca e la stanchezza le avessero giocato un brutto scherzo.
Si strinse maggiormente nel mantello per proteggersi dal freddo notturno. Questa era un’altra cosa che non sopportava del deserto: di giorno potevi morire arrostito dal caldo, mentre la notte rischiavi quasi l’assideramento!
Improvvisamente sentì un leggero tepore invaderla. Guardò il suo corpo e lo vide tutto ricoperto di piccole luci verdi fosforescenti. Spostò lo sguardo su Ace e lo trovò intento a manovrare quei lumicini ipnotici.
“Cerca di non muoverti troppo o troppo bruscamente: non vorrei che me ne scoppiasse uno e ti bruciassi!” specificò il ragazzo.
“Grazie.” sussurrò la mora arrossendo nuovamente. Si stava comportando come una stupida: Ace cercava in tutti i modi di appianare i rapporti tra loro due e lei invece mandava alle ortiche tutti i suoi tentativi. Decise che avrebbe provato a reprimere i suoi sentimenti, come aveva promesso a Syri, e avrebbe tentato di recuperare il rapporto che un tempo aveva avuto con il corvino. Non era stata proprio lei a dirgli che erano amici?!
“Allora: chi è esattamente l’uomo che stai inseguendo?” chiese per avviare una conversazione.
“Si chiama Marshall D. Teach, soprannominato Barbanera. Era un mio subordinato. Ha ucciso un suo compagno e tocca a me sistemare la faccenda.” Gli occhi di Ace fiammeggiarono di collera.
“Era un tuo caro amico? La persona che Teach ha ucciso.”
“Sì.” Il ragazzo abbassò lo sguardo triste, perso nei ricordi. “Si chiamava Satch. È stato il primo ad accogliermi come un compagno quando sono salito a bordo della Moby Dick. Aveva sempre il sorriso sulle labbra e riusciva a tirare su di morale una persona solo con la sua presenza. Quante risate ci siamo fatti insieme! Se ho deciso di unirmi a Barbabianca è stato grazie a lui e a Marco. Oltre al babbo, solo loro due sapevano chi sono realmente… Tu l’hai detto a qualcuno dei tuoi compagni?”
La castana scosse il capo in segno di diniego e lui non insistette oltre sull’argomento: era una questione delicata quella di Maya, tanto quanto la sua, se non di più. Anche lui non aveva voluto rivelare la verità a tutta la ciurma di Newgate, quindi non la biasimava né la rimproverava: quando sarebbe stata pronta, avrebbe avuto dei buoni amici su cui appoggiarsi, che non l’avrebbero abbandonata. Tutto stava nell’avere il coraggio di affrontare i propri demoni.
Si riscosse dai suoi pensieri e concluse il discorso: “Comunque, tu sai bene quanto me che il peggior reato che un pirata possa commettere è quello di uccidere un proprio compagno. Teach lo ha fatto e ha sputato sopra il nome di colui che l’ha sempre considerato come un figlio. Non avrò pace finché non sarò riuscito a vendicare l’anima di Satch e il nome di Barbabianca!”
Maya ascoltò in silenzio lo sfogo del moro, per poi parlare a sua volta dopo alcuni attimi: “Non so se Syri te l’abbia detto, ma anche Kerr è morto.”
Vide gli occhi di Ace spalancarsi per lo stupore e lo shock: era incredibile come quel ragazzo riuscisse a comunicare i suoi sentimenti solo con lo sguardo. La bruna si affrettò a concludere il discorso prima che lui dicesse alcunché: “È successo qualche mese fa. È opera del governo.”
“Ti hanno trovata?” chiese il pirata allarmato.
“No, non cercavano me, ma Syri. A quanto pare i suoi genitori sono vivi e vegeti e sono dei ricercati a livello mondiale. Kerr è riuscito a farla scappare e lei è venuta a cercarmi… Non avrei mai pensato che ci saremmo imbarcate sulla stessa nave, né tanto meno che il nostro capitano sarebbe stato tuo fratello!”
Come se avesse sentito di essere stato chiamato in causa, il russare di Rufy si fece per un attimo più intenso. I due ragazzi scoppiarono a ridere rischiando di svegliare tutta la ciurma.
Continuarono a chiacchierare per tutta la notte: Ace raccontò a Maya com’era entrato a far parte della flotta di uno dei quattro imperatori, come in Barbabianca avesse trovato quella figura paterna che sempre gli era mancata e rispose alle sue domande sul vero legame che c’era tra lui e Rufy. Lei gli parlò di come aveva incontrato suo fratello e di tutti i casini che avevano già dovuto affrontare, la maggior parte dei quali erano stati causati dallo stesso capitano.
Parlarono di tutto e di niente, di cose importanti e di inezie.
Parlarono fino ad avere la bocca secca, le braccia stanche per il troppo agitarsi, le gambe indolenzite e gli occhi lacrimanti per il troppo ridere.
Parlarono come quando erano ancora a Liurah, quando giocavano a carte davanti un buon caffè, quando si sdraiavano sulla spiaggia dopo essersi allenati, quando andavano a caccia insieme.
 Parlarono finché il fuoco si spense, le lucciole di Ace si dileguarono e si addormentarono stanchi l’uno abbracciato all’altra.
Quando la mattina dopo Maya aprì gli occhi e si trovò il volto di Ace a pochi millimetri dal suo e quest’ultimo che tentava di baciarla ancora mezzo addormentato, non potè far altro che agire d’istinto.
Una volta svegli, non ci fu nessuno della ciurma che non notò due cose: il rossore e il tic all’occhio destro di Maya e l’enorme bernoccolo che troneggiava sulla fronte di Ace.
Nessuno, tuttavia, provò ad indagare: ci tenevano troppo alle loro vite!
 
Dopo tre giorni di marcia nel deserto  sotto il sole cocente, Maya si trovò a pensare che in quel momento avrebbe preferito di gran lunga farsi un bagno in un lago ghiacciato di Drum. Dal freddo almeno poteva difendersi, ma cosa poteva fare contro il caldo se non spogliarsi fino al limite della decenza?!
Come se non bastasse il gruppo si era pure diviso. Nami e Bibi erano sfrecciate avanti in groppa a Ciglione, un cammello che Rufy aveva salvato e che, secondo lei, era la reincarnazione animale di Sanji. Ace e Syri erano dispersi da qualche parte tra le dune grazie alla loro sempre proverbiale bussola interna. Lei con i restanti ragazzi, infine, erano rimasti indietro per calmare il loro capitano (quella fogna aveva ingurgitato una bacca allucinogena dando così di matto!) e ora non sapevano che fare, visto che il vento aveva cancellato le impronte del cammello e Bibi era l’unica a sapersi orientale in quel gigantesco nulla.
La ragazza guardò con disappunto Sanji, Usop e Rufy, in testa al comitiva, litigare per la distribuzione dell’acqua: da dove diavolo tiravano fuori tutta quella iperattività? Il cuoco stava tentando di far capire agli altri due che non potevano bere quanto pareva loro e non aveva tutti i torti: non solo, infatti,  si trovavano nel luogo più arido e asciutto sulla faccia della terra, ma avevano anche perso gran parte delle provviste ad opera degli aironi ladroni. Rufy si era fatto fregare come un allocco!
Maya riprese a camminare: direzione, sempre dritto di fronte a sé, sperando che fosse quella giusta. Al suo fianco procedeva Zoro in religioso silenzio trainando la barella con sopra il piccolo Chopper, ormai messo K.O. dall’afa.
“Sei preoccupata per Syri?” chiese alla fine lo spadaccino.
“No, è con Ace e finché starà con lui, sarà al sicuro. Però, temo che col loro senso dell’orientamento non ci raggiungeranno mai… non che noi siamo messi meglio!”
Detto questo, il silenzio ricadde tra i due. Maya dava fugaci occhiate all’amico cercando di capire che cosa avesse: era da quando erano arrivati ad Alabasta che si comportava in maniera strana.
“È lui vero? La persona che ti ha dato l’anello e che volevi rincontrare.” La ragazza si voltò stupita verso il compagno che continuava a tenere lo sguardo fisso davanti a sé. Gli aveva raccontato dell’anello e di ciò che rappresentava per lei durante i festeggiamenti a Coco Village, quando erano entrambi parecchi alticci: non pensava che se ne ricordasse.
“Sì.” rispose perentoria.
“Come mai, allora, gli hai tirato un pugno sulla nave? E gli hai procurato un bernoccolo gigante in testa l’altro giorno? Perché lo sappiamo tutti che sei stata tu!”
La ragazza era sempre più sbalordita: da quando Zoro era diventato una comare impicciona?
“Non mi va di parlarne. Comunque ormai è una storia chiusa.” sbuffò un po’ indispettita e imbarazzata.
Il verde si fermò di colpo con i pugni serrati e lo sguardo basso, facendo arrestare anche la bruna che lo guardò interrogativa e gli chiese cosa avesse.
Prese un profondo respiro e alzò gli occhi fissandoli intensamente sula mora facendola sussultare, per poi risponderle: “Vuoi sapere cosa penso? Penso che tu meriti di meglio. Penso che meriti una persona che ti stia sempre accanto, che mantenga le promesse fatte, che non ti faccia mai piangere.”
“Zoro, che stai dicendo?”
“Sto dicendo che tu mi piaci Maya e che vorrei che voltassi pagina insieme a me.”
La ragazza rimase impietrita: la bocca semi aperta per lo stupore, gli occhi sgranati, il cuore che aveva smesso di battere. Si riprese solo quando la voce di Zoro la richiamò: “Scusa, dovevo stare zitto.”
“No, sono contenta che tu me lo abbia detto. Ma non posso ricambiarti.” Maya inspirò profondamente prima di proseguire: “In questi ultimi mesi  tu sei diventato una persona veramente speciale per me: sei il mio migliore amico e ti voglio bene. Ma quello che c’è tra me ed Ace… quello che io provo per Ace è così profondo e intenso che non posso eliminarlo. Perciò, anche se per lui la nostra promessa non è più valida, per me continuerà ad esistere. Mi capisci? Io non posso e non potrò mai voltare pagina perché la mia mente e il mio cuore torneranno sempre a lui. Non chiedermi come posso esserne così certa, lo so e basta: io non potrò mai amare nessun’altro che Ace.”
In quel momento Usop si affacciò da dietro una duna avvisando i due ragazzi che avevano finalmente raggiunto Nami e Bibi. Lo spadaccino si incamminò verso il cecchino superando in silenzio la ragazza.
Fu quest’ultima a richiamarlo: lo guardava con due occhi pieni di terrore, come quelli di una persona che avesse appena perso qualcosa di molto prezioso.
Zoro non ce la faceva a vederla così fragile e spaurita, così diversa dalla solita Maya. Bruciava più di tutte le sue ferite, sapere che lei non lo avrebbe mai ricambiato, ma il pensiero di poterla perdere anche come amica era ancora più doloroso. Le si avvicinò, la strinse tra le braccia e le diede un leggero bacio sulla tempia sinistra, spiazzandola per l’ennesima volta.
“Su andiamo.” disse lo spadaccino asciugandole con il pollice una furtiva lacrima e sorridendole sereno. Sarebbe stato difficile, all’inizio, ignorare i suoi sentimenti, ma sapeva che col tempo tutto si sarebbe sistemato. Si ripromise, però, di fare un discorsetto ad Ace il prima possibile: poteva anche essere un fratello modello, ma se si azzardava a fare ancora del male a Maya, lo avrebbe affettato come un prosciutto!
 
Il sole stava ormai tramontando facendo sfavillare le rocce desertiche come tante pietre preziose. Ace si infilò il cappello da cowboy e si sistemò meglio la zaino sulla spalla: ora che aveva scoperto che Barbanera non si trovava ad Alabasta, non aveva più senso trattenersi oltre. Era stato felice di rivedere il suo fratellino combina guai e sollevato nell’aver costatato di persona che fantastici compagni si fosse trovato: d’altra parte era quasi impossibile non voler bene a Rufy! Si mise a salutare ciascun membro della ciurma affidando loro nuovamente il suo caro fratello. A quest’ultimo consegnò un foglio di carta raccomandandogli di tenerlo sempre con sé per potersi incontrare nuovamente: il loro prossimo incontro sarebbe stato “da veri pirati”!
Maya osservava in disparte lo scambio di saluti tra Ace e gli altri ragazzi: non poteva crederci che il momento degli addii fosse già arrivato. Aveva sprecato tutti quei giorni a evitare il moro, troppo arrabbiata e amareggiata anche solo per permettergli di spiegare la sua versione dei fatti. Era stata un’idiota: avrebbe potuto utilizzare questo breve periodo per tentare di riconquistarlo o almeno per solidificare la loro amicizia. E invece, se si escludeva quella notte, si era comportata come una stronza nei confronti del ragazzo che sosteneva di amare immensamente.
Si morse il labbro fino a sentire il sapore ferroso del sangue solleticarle la lingua. Vide Ace pronto per partire. Se voleva fare qualcosa, se voleva dirgli quello che provava per lui, se voleva che quello non fosse un addio definitivo, era l’ultima occasione per Maya per sistemare le cose.
Ricacciò indietro l’orgoglio, la vergogna, l’imbarazzo, la rabbia e qualsiasi altro sentimento che avrebbe potuto ostacolarla e si buttò a capofitto nell’ignoto.
“Ace, aspetta!” gridò avvicinandosi al moro che si stava già incamminando e attirando su di sé lo sguardo stupito di tutti.
“Se vuoi picchiarmi ancora come regalo di arrivederci, ne faccio volentieri a meno!” disse il ragazzo sorridendo canzonatorio.
“No… ecco… io… ti dovrei parlare.”
Ace sgranò ancora di più gli occhi per la sorpresa.
“Ok, dimmi.”
Maya però non accennava a proseguire il discorso e la causa era più che palese: tutta la ciurma aveva spalancato gli occhi e drizzato le orecchie per non perdersi neanche un secondo di quella scena che, ne erano certi, sarebbe stata epica.
Il ragazzo sorrise dolcemente alla bruna per poi innalzare un alto muro di fiamme regalando a entrambi un po’ di privacy.
“Allora che volevi dirmi?”
Maya abbassò lo sguardo imbarazzata e prese a torturarsi le mani. Era l’ora della verità.
“Veramente è una cosa che volevo dirti già tre anni fa, ma quella mattina te ne sei andato senza darmi il tempo di parlarti. Ho tentato più volte di formulare un bel discorso articolato, ma ho capito che in questi casi, è meglio essere diretti. Ace… io ti amo.
Penso di essermi innamorata di te dal primo momento che ti ho visto e so che può sembrare un cliché o una frase fatta, ma è la verità, e più ti conoscevo, più mi innamoravo. Ho sognato per anni il momento in cui ti avrei incontrato di nuovo e finalmente ti avrei confessato i miei sentimenti. Poi ci siamo rivisti, tu non avevi l’anello e io mi sono sentita così stupida e ti ho evitato perché ero arrabbiata, con te, con me, con quella promessa. Ma non è servito a niente: non posso e non voglio reprimere i miei sentimenti. Anche se tu non provi lo stesso per me, volevo che sapessi che io ti amo e continuerò ad amarti  per sempre.”
Il silenzio cadde fra i due finché Ace non si mise a ridere facendo irritare non poco Maya. Dopo qualche secondo, notando l’espressione della bruna, ritornò serio, ma senza perdere il suo solito sorriso, si tolse il cappello e iniziò a parlare senza degnare di uno sguardo la ragazza: “ Sai, la prima volta che combattei usando i poteri del frutto foco foco, ci mancò poco che l’anello non mi si liquefacesse in mano.”
Adesso Maya lo guardava interdetta: dove voleva andare a parare?
“Così ho dovuto cambiargli posto. Prima l’ho messo in tasca, ma ho rischiato di perderlo in mare un sacco di volte. Poi l’ho inserito tra le perle della collana, ma anche questa mi si è sfilata in un’infinità di occasioni. Così ho pensato: dove potrei nascondere una cosa così piccola senza rischiare di perderla nonostante la voglia portare sempre con me?”
Maya spalancò gli occhi blu mentre Ace scuciva lentamente un angolo del copricapo e ne estraeva una piccola fedina d’oro.
“È stato Satch a consigliarmi di cucire l’anello all’interno della tesa  del cappello: sai quanto ne sia geloso ed era l’unico indumento che sapevo che non avrei mai perso in giro o che non avrei mai rovinato.”
La ragazza si portò entrambe le mani a coprirsi la bocca tentando di trattenere le lacrime, mentre il moro le si avvicinava continuando il suo discorso.
“Sei proprio una stupida, Maya! Potevi chiedermelo direttamente se avevo o no buttato l’anello, invece di roderti il fegato per tutti questi giorni! E poi, perché ti avrei baciata sulla nave se non fossi interessato a te?! Beh, in parte è colpa mia: sono stato un po’ precipitoso e impulsivo. Il fatto è che appena ti ho visto, dopo tutto quel tempo, non sono riuscito a trattenermi. Tu hai su di me lo stesso effetto che ha la fiamma sulla falena: nonostante gli anni, la distanza, i litigi, le difficoltà, sarò sempre attratto da te!”
Ace allungò la mano e asciugò una lacrima dal volto della bruna: alla fine si era messa a frignare come una bambina!
“Su, Maya, non piangere. Se Zoro lo scopre mi taglia a fette come un prosciutto e lui mi sembra il tipo che mantiene sempre le sue promesse… o minacce!”
Alla ragazza scappò un leggera risata per la confessione del ragazzo, mentre le lacrime smettevano a poco a poco di sgorgarle dagli occhi. Si asciugò in fretta le rimanenti tracce del pianto e fissò lo sguardo in quello del moro.
E non ci fu più bisogno delle parole.
Le labbra di Ace erano ancora più calde, morbide, vellutate di quanto si ricordasse: Maya non lo aveva notato dal loro bacio frettoloso sulla nave. Portò le braccia dietro il suo collo facendo scivolare le mani lungo la schiena del moro e collidere maggiormente i loro corpi. Si beò delle sensazioni che quel contatto le provocava dentro di sé: mille fremiti la invasero mentre lasciava vagare i suoi polpastrelli lungo quella pelle calda e liscia e il suo naso si impregnava di quel profumo ardente che la faceva sentire a casa. Dio, quanto le era mancato tutto quello!
A un certo punto sentì una leggera pressione sulle labbra e qualcosa di umido sfiorarle: Ace le stava chiedendo il permesso di approfondire quel bacio. Rimase per un momento stupita, ma si riprese subito e schiuse la bocca per far incontrare la lingua del ragazzo con la sua gemella.
Iniziò tra le due una specie di danza che a tratti degenerava in una lotta per la supremazia, ma che si concludeva subito tra una carezza e l’altra.
Maya fu inebriata dal sapore di Ace: una fragranza che sapeva di spezie e di mare, una fragranza che sapeva di felicità.
Furono costretti a separarsi controvoglia quando i loro polmoni ormai chiedevano disperatamente ossigeno, ma rimasero comunque abbracciati stretti, come a voler lasciare tutto il mondo al di fuori. Perché lì, in qual momento, non esistevano più Crocodille e Barbanera, la salvezza di un regno e la vendetta di un amico. C’erano solamente loro, Maya ed Ace; c’erano solamente due ragazzi e il loro amore.
Fu la bruna a dissolvere l’incanto parlando per prima: “Devi andare, vero?”
Sentì la testa del moro annuire contro la sua tempia e sorrise mestamente.
“Mi raccomando, non fare cazzate!”
La risata genuina di Ace le fece vibrare il timpano e il cuore.
“Sta tranquilla, non mi succederà niente! Sarò prudente, ma anche tu non fare stupidaggini e non sottovalutare la Flotta dei Sette. Avrei dovuto dirlo anche a Rufy, ma figurati se mi avrebbe dato retta quell’incosciente! Almeno tu dammi ascolto!”
“Sì, papà!” lo sfottè bonariamente Maya prima di dargli un altro bacio e un piccolo morso sul labbro inferiore.
La ragazza fissò intensamente il moro per poi rabbuiarsi di colpo e far storcere il naso al pirata.
“Che c’è?”
La bruna si affrettò a rispondere tristemente: “Pensavo che non averti visto a Liurah prima della tua partenza fosse tremendo, ma mi sbagliavo: vederti andartene è mille volte peggio!”
Ace rimase un attimo in silenzio pensieroso; poi le prese le mani tra le sue e le disse: “Chiudi gli occhi e conta fino a cinque.”
Maya fece come le era stato detto e iniziò a contare.
“Uno.”
Un dito leggero percorse la lunghezza del suo volto.
“Due.”
Un leggero bacio si posò delicatamente sulla sua bocca.
“Tre.”
Un ‘Ti amo’ sussurrato a fior di labbra la fece tremare.
“Quattro.”
Sentì l’altra mano lasciare la propria.
“Cinque.”
Aprì gli occhi, ma non c’era più nessuno di fronte a lei. Ace era sparito, come pure la barriera di fiamme che la divideva dai suoi compagni.
Le ci volle un attimo per accorgersi che nel palmo della mano destra, il ragazzo le aveva lasciato qualcosa. Dischiuse le dita e per poco non gridò dalla sorpresa: il suo anello, che credeva di aver lasciato in qualche pertugio della Merry, si trovava tra le sue mani.
Ridacchiò felice, sospettando che in tutto quello centrasse sicuramente Syri. Si infilò nuovamente la fedina e si voltò verso i suoi nakama che la guardavano interrogativi e curiosi.
“Beh? Che avete da fissarmi? Non andavamo di fretta? Forza, abbiamo una rivolta da sedare!”
I ragazzi si rimisero in viaggio cambiando argomento di conversazione per evitare la collera della ragazza. Maya si voltò un’ultima volta verso il sole che stava tramontando e sorrise felice: non vedeva l’ora di poter abbracciare di nuovo il suo Ace e qualcosa le diceva che non avrebbe dovuto aspettare altri tre anni!



 
N.d.a.
Buonsalve a tutti!
Per prima cosa vi chiedo scusa per aver saltato l’appuntamento di novembre e vi annuncio già che molto probabilmente salterà anche quello di gennaio: non mi sento ancora troppo bene e la pressione per gli ultimi esami e la tesi non aiuta.
Comunque, tornando alla storia, Ace e Maya si sono finalmente riuniti e vivranno per sempre felici e contenti… Sì, credeteci! Ho ancora moooooolte disavventure da far passare ai nostri protagonisti!!!
Zoro ha ricevuto un due di picche, ma niente paura, presto troverà anche lui l’amore!
Spero di risentirci a gennaio, nel frattempo auguro a tutti quelli che mi seguono un felice Natale!
Aspetto con ansia le vostre recensioni. See you soon. C.S.
 
 

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Capitolo 11
*** Incubi, taglie e strategie ***


INCUBI, TAGLIE E STRATEGIE



 
La polvere si alzava lenta dall’ennesimo edificio distrutto, scintillando alla luce del sole. Dalle macerie di quella che una volta doveva essere stata un’osteria emerse la figura malconcia di Ace. Il ragazzo si portò la mano destra a massaggiarsi il collo mentre con l’altra andava a rimuovere il rivolo di sangue che colava agli angoli della bocca.
“Merda!” imprecò piano. Non si trovava in una situazione così sfavorevole da quando aveva combattuto contro Jinbe e subito dopo con Barbabianca. Guardò attentamente il suo avversario: l’aveva colpito più volte, ma grazie a quello strano potere, era come se non lo avesse quasi sfiorato. Lui, invece, era pieno di lividi ed escoriazioni, per non parlare del fatto che con l’ultimo attacco aveva quasi rischiato di farsi rompere l’osso del collo.
Maledizione! Finalmente aveva raggiunto Teach e non riusciva neanche a dargli la lezione che quel bastardo meritava. Ma non avrebbe ceduto: lo doveva a Satch e a suo padre. Ma soprattutto, ora lo faceva per proteggere Rufy e Maya; perché quel panzone non solo, appena lo aveva visto, aveva avuto la faccia tosta di invitarlo a far parte della sua ciurma, ma gli aveva anche detto di voler andare a prendersi la testa di Cappello di Paglia, del suo caro fratellino!
Ace si rimise in piedi ed evocò la sua tecnica più potente: l’imperatore di fuoco. Non avrebbe mai permesso a quella feccia di avvicinarci a Rufy o alla ragazza che amava.
Sorrise per un attimo. “Scusa Maya, non sono stato prudente come ti avevo promesso!” pensò dolcemente.
Poi si gettò contro il suo nemico pronto ad andare all’inferno, se questo avrebbe significato anche la morte di quell’essere.
L’esplosione che derivò da quello scontro titanico fece tremare tutta l’isola e spazzò via le poche costruzioni che ancora esistevano nei dintorni del campo di battaglia. Quando il fumo andò diradandosi l’unica cosa che si riuscì a scorgere fu un cappello arancione abbandonato nella più totale desolazione.
 
“ACE!!!”
Syri si svegliò di soprassalto grondante di sudore. Si passò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi per regolarizzare il respiro e il battito cardiaco. Aveva fatto un sogno orribile: Ace stava combattendo contro un tizio che di umano aveva ben poco, ma il suo fuoco non poteva niente contro la totale oscurità sprigionata da quel mostro.
La ragazza continuava a ripetersi come una litania che era stato solo un incubo, che Ace stava bene e non correva alcun pericolo, ma non riusciva a convincersene. Le era già capitato di sognare cose che poi si avveravano nell’immediato futuro; l’ultima volta era successo ad Alabasta quando Rufy era rimasto indietro ad affrontare Crocodille e lei, mentre si riposava sulla corazza di Chelotto, il granchio gigante, aveva “visto” il suo capitano grondante di sangue sprofondare nella sabbia. Maya era tornata indietro con Ciglione per farla stare tranquilla, ma quando si erano riviste, la bruna le aveva detto che effettivamente Rufy era stato ferito e aveva perso una notevole quantità di sangue.
La bionda, però, non poteva credere che stesse capitando nuovamente la stessa cosa, anche perché questa volta non avrebbe potuto fare niente per aiutare Ace: sarebbe stata una semplice spettatrice impotente.
Si alzò dal letto sapendo bene che non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi. L’ampio dormitorio della Galley-la Company era deserto fatta eccezione per lei e Rufy che continuava a ronfare imperterrito. Syri non potè biasimarlo, la battaglia che avevano combattuto a Enies Lobby era stata dura per tutti loro, ma per il capitano lo era stata molto di più: mai si era trovato in tale difficoltà con un nemico, mai lo aveva visto così vicino alla sconfitta.
Decise di andare a fare due passi per schiarirsi la mente e lasciare riposare in pace il compagno. Sentì l’invitante odore di cibo provenire da una stanza adiacente: Sanji stava preparando la colazione, ma in quel momento lei non sarebbe riuscita neanche a bere un bicchier d’acqua. Si sarebbe rifatta a pranzo.
Si incamminò per una viuzza che sperava l’avrebbe portata verso la costa. Non aveva voglia di perdersi in mezzo alla folla cittadina e così, magari, avrebbe potuto andare a dare una sbirciatina alla nave che Franky stava costruendo per loro.
Camminò per quelle che le parvero ore e finalmente arrivò in prossimità della scogliera e lì si trovò davanti l’ultima persona che si sarebbe immaginata di vedere.
“Zoro?! Che ci fai qui?”
Il ragazzo si voltò verso la voce femminile che l’aveva distolto dai suoi pensieri: teneva ancora in mano l’elsa di quella che  una volta era Yubashiri ed ora nient’altro che ruggine.
“Riflettevo. Tu piuttosto, come mai sei qui? Ti sei persa? Vuoi che ti riaccompagni in città?”
Syri scoppiò a ridere: “Il giorno in cui chiederò indicazioni a te, sarà l’ultimo della mia vita!”
La bionda ignoro l’occhiata di fuoco che l’amico le stava rivolgendo e gli si sedette al fianco mettendosi ad osservare il mare cristallino.
Zoro la guardava pensieroso: sapeva che c’era qualcosa che tormentava la ragazza, lo leggeva nei suoi occhi assenti e nel suo sorriso spento.
“È successo qualcosa?” si azzardò a chiedere lo spadaccino.
La piratessa si morse l’interno delle guance ponderando l’idea di mettere l’altro a parte delle sue ansie rischiando così di essere presa per pazza. Di solito si sarebbe confidata con Maya, ma non le sembrava il caso di far preoccupare la sorella per qualcosa che sarebbe potuto o no accadere e su cui, tra l’altro, non avrebbero avuto neanche potere di intervenire.
Sospirò e decise di vuotare il sacco. “Ti è mai capitato di sognare qualcosa che poi si avvererà o che è così realistico da sembrare vero?”
Zoro ci pensò un secondo e poi scosse la testa in segno di diniego.
“A me, invece, a volte capita e oggi ho sognato che Ace era nei guai.” Syri tacque in attesa di un segno da parte del verde.
“Era solo un sogno, Syri.” Disse semplicemente e prima che la bionda potesse protestare, si affrettò a precisare: “Abbiamo appena concluso una battaglia difficile, per poco non abbiamo perso una compagna, siamo stati costretti a dire addio alla Going Merry senza neanche essere pronti psicologicamente e non sappiamo se e come si risolveranno le cose con Usop. Sono tutte fattori di stress che si accumulano e che una volta smaltita l’adrenalina del duello, si devono liberare in qualche modo, come un incubo. Non c’è niente di cui preoccuparsi; in più Ace è una delle persone più forti che abbia mai incontrato, non sarebbe facile batterlo. Rilassati, lui non corre alcun pericolo e non è il caso neanche che tu lo vada a dire a Maya o a Rufy. Li metteresti in agitazione per niente. Che dici?”
Lo spadaccino si voltò verso l’amica e la trovò con la bocca aperta e una faccia sconvolta.
“Che c’è?” chiese  accigliato.
“Chi sei tu e che ne hai fatto di Roronoa Zoro?!”
Allo sguardo stralunato del ragazzo, Syri proseguì con la spiegazione: “Roronoa Zoro è un marimo che si è evoluto fino a raggiungere la forma umana, ma che ha mantenuto il suo cervello di alga. Non sarebbe mai capace di articolare un discorso così complesso e di argomentare una tesi a sostegno della sua teoria!”
Il verde iniziò a sbraitare rosso di rabbia, imprecando contro l’ingratitudine delle mocciose complessate e irriverenti che passavano troppo tempo in compagnia di maligni e influenti cuochi da strapazzo, quando un delicato bacio sulla guancia lo fece bloccare di colpo e arrossire per tutt’altro motivo.
“Grazie mille, Marimo!” disse sorridendo la bionda. La chiacchierata con lo spadaccino le aveva fatto bene liberandole la menti dai bui pensieri: troppo spesso dimenticava quanto Zoro potesse essere empatico. La ragazza si ripromise che da quel momento non l’avrebbe più fatto!
 
Maya chiuse la cerniera del suo zaino e diede un’occhiata in giro onde evitare di dimenticarsi qualcosa. Circa mezz’ora prima, Chimney e le due gemelle della Franky Family erano andate a chiamarli per dire loro che la nuova nave era finalmente ultimata.
La ragazza si sedette sul letto stanca mentre guardava i suoi amici ultimare i preparativi per la partenza. Non era passata neanche una settimana dai fatti di Enies Lobby eppure non avevano avuto un attimo di pace dal loro ritorno a Water Seven. Tra lo scappare dai paparazzi e dalla gente in visibilio, i grandi banchetti per festeggiare l’impresa riuscita e la costruzione della nuova nave e l’incertezza sul lieto fine della “faccenda Usop”, non erano riusciti a riprendersi completamente dalla fatica dello scontro, o almeno per lei era così. Ma l’evento che l’aveva spossata maggiormente era stato l’incontro con il nonno di Rufy: il vice ammiraglio Monkey D. Garp.
Maya non aveva mai pensato che il suo capitano potesse essere imparentato con quella leggenda vivente della Marina, pensava solamente che i due avessero lo stesso cognome. Come se non bastasse, il vecchio aveva rivelato tranquillamente davanti a uno stuolo di marines e numerosi altri spettatori che suo figlio e, quindi il padre di Rufy, altri non era che Dragon il Rivoluzionario! Fortuna che i paparazzi non erano nei paraggi in quel momento!
La mora posò lo sguardo su Syri. Da qualche giorno la vedeva strana, sempre persa nei suoi pensieri e si chiedeva se fosse il caso di metterla subito a parte di ciò che aveva scoperto su sua madre. Sì, perché quando Garp aveva menzionato Dragon e i Rivoluzionari, a Maya si era accesa una lampadina in testa. Così si era armata di coraggio e audacia (e una non piccola dose di pazzia) e aveva teso una specie di imboscata al vice ammiraglio per chiedergli se conoscesse una donna che veniva chiamata il “Fiore della Rivoluzione”.
Garp l’aveva fissata per minuti con cipiglio severo per poi scoppiarle a ridere in faccia dicendole: “Hai fegato, ragazzina!”
A quel punto la mora si sarebbe aspettata di essere liquidata malamente con tanto di minacce e magari una pedata nel sedere e, invece, l’uomo gli aveva detto tutto quel che sapeva senza neanche chiederle il motivo della sua domanda: in quella famiglia erano tutti pazzi!
Aveva così scoperto che la madre di Syri altri non era che il braccio destro di Dragon e il vice comandante dell’Armata Rivoluzionaria. In poche parole era la donna più ricercata del mondo e il secondo criminale più pericoloso, dopo ovviamente il suo capo.
No, erano notizie molto preziose e delicate per parlarne in quel momento e in quel posto: Maya decise che avrebbe affrontato il discorso quando sarebbero stati al largo sulla nuova nave. La voce di Nami la riscosse dai suoi pensieri: era ora di andare.
La ciurma si diresse all’uscita del dormitorio, ma la porta non si era ancora chiusa alle loro spalle che i ragazzi vennero investiti da una concitata Franky Family. Banzai, il capogruppo, sparse per terra alcuni volantini e disse che i fatti avvenuti sull’Isola Giudiziaria erano stati finalmente resi pubblici sui quotidiani e che a tutto l’equipaggio era stata appioppata una taglia.
Maya si sporse da sopra la spalla di Zoro per dare un’occhiata ai risultati della loro impresa: la testa di Rufy ora valeva 300.000.000, mentre quella dello spadaccino 120.000.000. Tentò di soffocare una risata nel vedere il disegno che avevano allegato al nome di Sanji in mancanza, a quanto sembrava, di una sua foto. Syri e Chopper si stavano lamentando per le loro taglie e se il medico ne aveva ben donde (che razza di ricompensa era 50 berry?!), la bionda poteva andare abbastanza fiera dei suoi 28.000.000! Se c’era una cosa di cui poteva lagnarsi, semmai, era il soprannome: “Iron Fingers Syri”! Che stupidaggine: solo perché quando usava le sue lame della trincea, le sue dita erano rivestite di ferro!
Alla fine Maya si decise a guardare anche al suo avviso: l’avevano soprannominata “the Bloody Arrow”, un nomignolo davvero ridicolo e privo di fantasia che faceva concorrenza a quello della sorella (sul serio, pagavano davvero qualcuno per dare de soprannomi così redicoli?!), ma almeno dimostrava che la sua identità era ancora al sicuro. Sotto svettava il valore della sua vita: 65.000.000. Non male, visto che stava tentando di mantenere un profilo basso! Si concentrò sulla fotografia: non era sfuocata o sgranata, doveva essere stata scattata mentre combatteva sul Ponte dell’Esitazione a giudicare delle ferite, lo sporco e i capelli disordinati. Non era una delle sue foto migliori, ma poteva andare peggio… Poteva avere un disegno orripilante come quello di Sanji!
Non riuscì neanche a finire di formulare il pensiero, che un particolare le fece gelare il sorriso e il sangue: nell’aria fosca della battaglia, sventolava nettamente la sua collana; doveva esserle uscita da sotto il vestito nella foga dello scontro.
“Cazzo!” si ritrovò a pensare in preda al terrore.
Lui conosceva bene quel ciondolo a rosa dei venti e se avesse visto il volantino, non avrebbe faticato molto a mettere insieme i pezzi del puzzle e a smascherarla. Maya si rimangiò le ultime costatazioni: la sua copertura era andata a farsi fottere. L’unica speranza era che lui non vedesse mai quella foto, ma si trattava di una possibilità su un milione e lei e la fortuna erano nemiche giurate. Sospirò affranta: forse era giunto il momento di dire la verità sul suo conto ai suoi amici.
 
La nave sfrecciava veloce verso sud incalzata dal vento favorevole. Si erano allontanata parecchio dall’imbarcazione del vecchio e dalla conseguente ira della Marina. Non che lui o la sua ciurma temessero quelle mezze calzette, ma non aveva voglia di mettersi a combattere contro  i marines: era stanco, quella rimpatriata lo aveva sfiancato e le antiche cicatrici pulsavano tremendamente.
Il capitano si sdraiò sul suo letto, deciso a dormire un paio d’ore prima del pranzo. Sentiva i suoi uomini scattare agli ordini del suo vice, il mare infrangersi contro i fianchi della nave e lo stridio dei gabbiani in cielo.
Stava per addormentarsi cullato da tutti quei suoni, quando la porta della sua cabina si spalancò di colpo.
“Capo! Guarda qua!”
Il primo ufficiale gli mise in grembo il giornale appena arrivato e una pila di volantini: l’articolo in prima pagina riportava l’episodio di Enies Lobby che aveva visto protagonisti i Mugiwara contro il Governo Mondiale.
L’uomo scoppiò a ridere: quel moccioso non sarebbe mai cambiato! Iniziò a studiare attentamente le taglie per vedere che razza di persone avevano deciso di seguire uno scalmanato come lui! Sicuramente non dovevano essere meno avventate del loro capitano.
Mentre sfogliava i vari fogli, il suo sguardo fu catturato dal nome su uno dei manifesti, un nome che faceva male più di tutte le sue ferite corporali.
Osservò la foto con attenzione: quella ragazza assomigliava tremendamente a lei. Ma il pirata sapeva bene che entrambe erano morte tanti anni addietro, non doveva illudersi.
Eppure quel volto… quei tratti… quello sguardo… quel particolare… saltò in piedi come una molla e  uscì sopracoperta per vedere meglio l’immagine alla luce del sole.
Il vice comandante stava controllando che la rotta fosse giusta, quando sentì un urlo provenire da prua. Corse verso il luogo da cui giungeva quel lamento e lì trovò il suo capitano in ginocchio, tremante e piangente che stringeva convulsamente nella mano destra un volantino stropicciato.
L’uomo si chinò vicino al suo amico chiedendogli che fosse capitato e per tutta risposta l’altro pirata gli porse il volantino per poi abbracciarlo convulsamente sotto gli occhi atterriti del resto dell’equipaggio che era accorso a vedere cosa fosse successo.
Il pirata dispiegò il foglio raggrinzito e gli diede un occhiata, rimanendo sbalordito, mentre nelle orecchie gli rimbombava la voce del suo capitano che, come un mantra, continuava a ripetere: “È lei, è viva. Mia figlia è ancora viva!”
 
La brezza leggera gli solleticò il volto scoperto facendolo volgere a est. Iva glielo aveva detto un sacco di volte: quando soffiava il vento, in qualsiasi posto si trovasse, lui si volgeva sempre verso il Mare Orientale. Lo aveva sempre negato spudoratamente, ma in fondo al suo cuore sapeva che l’amico/a aveva ragione. Tuttavia ora non era più necessario: la ragione per cui guardava sempre verso la sua terra natale, stava navigando nella Rotta Maggiore. E si stava dando anche parecchio daffare a giudicare dalle ultime notizie.
Dei passi ben cadenzati lo riscossero dalle sue riflessioni, ma non lo fecero voltare: conosceva quella camminata alla perfezione e l’avrebbe riconosciuta anche nel fragore di una battaglia.
Il misterioso individuo gli si affiancò poggiando i gomiti sulla balaustra della terrazza e allungandogli un paio di volantini.
“Sì, ho visto.” rispose monocorde mantenendo il suo cipiglio severo.
L’altra figura si limitò ad annuire. “Ti somigliano parecchio!” disse.
“Davvero? Io credo invece che abbiano preso molto più dalla madre, specie nell’avventatezza!” ribattè l’altro facendo ridere l’ascoltatore.
Dopo qualche minuto di silenzio, questo riprese la parola: “È quasi giunto il momento. Non è lontano il giorno del nostro incontro.”
L’altro si limitò ad annuire mentre una lacrima solitaria si andava a posare sulle labbra sorridenti.
“Sì, Dragon.” disse solo in un sussurro che si perse nelle trame del vento autunnale. 
 
La prima cosa che Portuguese D. Ace percepì quando riemerse dal baratro oscuro che l’aveva inghiottito, furono delle voci. Due, per l’esattezza. La prima non l’aveva mai sentita; la seconda, invece, l’avrebbe riconosciuta tra mille: Teach.
Il ragazzo provò ad aprire gli occhi, ma il mondo iniziò a vorticare paurosamente e fu costretto a richiuderli. Tentò di portarsi la mano al volto, ma si accorse di averle legate. Ecco spiegato il motivo della sua eccessiva spossatezza: ai polsi aveva catene di agalmatolite.
Provò ad aprire nuovamente gli occhi e questa volta ebbe maggiore successo: dopo qualche secondo riuscì a mettere a fuoco il luogo dove si trovava. Era in una cella, ma non in una prigione: la stanza, infatti, era grande, chiara, ordinata e pulita, con due scrittoi posti uno di fronte all’altro e sul fondo un’enorme scrivania.
Al centro del locale c’erano i due uomini di cui aveva sentito le voci: uno era Barbanera, l’altro niente di meno che il Grand Ammiraglio Sengoku in persona.
Ace capì di trovarsi in una base della Marina, forse proprio nel Quartier Generale!
Imprecò sottovoce per essersi fatto battere da quel traditore panzone, poi si concentrò sulla conversazione, piuttosto animata, degli altri due. A quanto sembrava Teach lo voleva vendere per un posto nella Flotta dei Sette: che verme schifoso! Quello che però Ace non riusciva a capire era perché Sengoku non avesse accettato subito l’accordo del pirata, ma ci stesse ancora meditando sopra. Da quando Rufy aveva sconfitto Crocodille, c’era un posto vacante tra gli Shichibukai e allora perché tentennava? Forse temeva l’ira di Barbabianca e una sua pericolosa offensiva? La Marina era diventata così debole da avere paura di un’ipotetica rappresaglia da parte di un Imperatore, anche se si parlava dell’uomo considerato il più forte del mondo?
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dall’entrata plateale di un terzo individuo nella stanza. Non era un marine, non portava l’uniforme e il mantello. Aveva un passo deciso e un’espressione autoritaria in volto.
“Sengoku, che diamine stai combinando?!” urlò quest’ultimo facendo zittire gli altri due uomini.
“Signore… cosa ci fa lei qui?”
Ace notò che nella voce del Grande Ammiraglio c’era una vena di stupore e… paura?!
“Chi diavolo è questo tizio?” disse l’ultimo arrivato lanciando uno sguardo disgustato a Teach.
Sengoku si affrettò a spiegare la situazione.
“Beh, che stai aspettando? Accontentalo, hai la mia approvazione: parlerò io col consiglio.” L’uomo concluse la faccenda in maniera molto spiccia. Il Grand Ammiraglio tentò di ribattere, ma un cenno dell’altro lo fece tacere. Barbanera ridacchiò divertito e soddisfatto.
L’uomo si voltò verso il pirata e sibilò: “Sparisci, feccia!”
Ace guardò Teach dirigersi in silenzio e in fretta verso la porta, la fronte leggermente imperlata da sudore freddo: Pugno di Fuoco mai lo aveva visto così atterrito. Chi diavolo era quell’individuo?
“Signore, mi farebbe la cortesia di spiegarmi il motivo della sua improvvisa visita? Se mi avesse informato, sarei potuto venire io senza che lei si scomodasse!”
Ace tornò a concentrarsi sulla voce del marine.
“Cosa ci faccio qui, chiedi? Sarebbe meglio domandarsi perché tu non sia venuto da me non appena hai visto questa foto!” tuonò l’uomo sbattendo su una scrivania un foglio spiegazzato.
Sengoku lo prese in mano osservandolo e capendo dove l’altro volesse andare a parare.
“Signor Vane, io non credo che questa sia vostra nipote!”
A quelle parole Ace sussultò. Vane? Quello era il nonno di Maya, Vane D. Matica? E sembrava proprio che avesse trovato la sua “cara” nipotina!
“Mi prendi per il culo?! Ha lo stesso nome, porta la sua maledetta collana e assomiglia come una goccia d’acqua a sua madre! È mia nipote!”
Il Grand Ammiraglio non sapeva come controbattere, sopraffatto dall’evidenza.
“Prendetela. Subito. Catturatela e portatela a Marijoa. Ma non osate torcerle un capello: sarò io ad ammazzarla con queste mie mani!”
“No!” Ace si morse la lingua troppo tardi.
L’Astro si voltò verso il prigioniero come se si fosse accorto solo un quel momento della sua presenza nella stanza. Si avvicinò lentamente alla sua cella e si chinò sulle ginocchia per guardarlo direttamente negli occhi. Il pirata tremò capendo il disagio che aveva provato prima Teach: quell’uomo aveva due iridi di un verde talmente acceso da sembrare veleno puro. Non era difficile credere che potesse uccidere solo con lo sguardo.
“ Tu sai di chi parlavamo. Tu la conosci.”
Ace rimase in silenzio di fronte a quelle domande che assomigliavano più a dure constatazioni.
Vane assottigliò lo sguardo: “Ci tieni a lei.”
Il ragazzo sussultò impercettibilmente. Non abbastanza.
“Tu la ami.”
Ace sgranò gli occhi facendo sorridere l’altro.
L’uomo si alzò in piedi e si voltò verso Sengoku: “Mi è venuta un’idea grandiosa. Useremo questo ragazzino per attirare allo scoperto sia Barbabianca che quella mocciosa ingrata. Così prenderemo due piccioni con una fava: metteremo fine all’era di Newgate e io farò quello che avrei dovuto fare quindici anni fa’, uccidere quella sudicia bastarda. Libereremo il mondo dai due più grandi mali esistenti dalla morte di Gold Roger!”
Sia il marine che il pirata ascoltarono shoccati il piano di Matica ed entrambe le loro menti vennero sfiorate dal pensiero che quel tizio fosse completamente pazzo.
“Sengoku.” proseguì l’uomo esaltato: “Fa portare via questo verme. Spero che si godrà il soggiorno ad Impel Down mentre noi organizziamo il suo funerale!”
Il Grand Ammiraglio si riscosse dal suo torpore e premette un bottone sulla scrivania per chiamare un paio di marines.
Ace uscì dal suo stato di trans solo quando sentì la porta della sua cella aprirsi. Non gli importava tanto di morire, ma sapeva che la sua condanna a morte avrebbe fatto intervenire suo padre con i suoi compagni e Maya, e con lei, suo fratello Rufy. Non riusciva a sopportare il fatto che tutte le persone che amava fossero messe in pericolo per causa sua. Lui aveva sbagliato, si era fatto catturare e ora non poteva permettere che fossero gli altri a pagare per i suoi errori.
Mentre le guardie lo trascinavano fuori da quella gabbia iniziò ad urlare verso l’Astro di Saggezza: “No, aspettate, non potete farlo! Lei non ha colpe! Lasciatela stare! MAYA!!!”
Vide quegli occhi velenosi fissarlo con scherno, poi percepì un forte dolore alla nuca e precipitò nuovamente nelle tenebre.
 
 
 
N.d.a.
Saaaaaaaaalve.
Sono in ritardo lo so, ma ho sono stata impegnata con un esame  fino a quattro giorni fa’ e guardando il calendario ho deciso di aspettare ad aggiornare. Perché oggi è un anno dal primo capitolo de “La volontà dellaD.”!!!! Non mi sembra vero che sia già passato un anno e tanto meno che la storia avesse così tanto successo. Siete tantissimi a leggerla (meno a recensirla, timidoni!) ed è solo grazie al vostro affetto che sono riuscita ad andare avanti. Grazie di cuore!
Devo dire che questo è il mio capitolo preferito finora: sono comparsi nuovi personaggi e le cose iniziano a complicarsi. Dal prossimo si metteranno da parte i sentimentalismi e si passerà all’azione e all’avventura!!!
Arrivando alle note dolenti, come avevo già detto sto preparando la tesi di laurea, quindi non ho molto tempo per scrivere e gli aggiornamenti saranno discontinui al massimo fino a settembre.
Tenterò comunque di pubblicare almeno una volta ogni due mesi.
Quindi vi do appuntamento a fine aprile, massimo i primi di maggio e vi ringrazio anticipatamente per la pazienza!
Ho scritto più note che di storia, quindi la chiudo qui. Ci si sente presto! Bye bye!!! C.S.
P.s. Il soprannome di Syri non mi convince molto, se avete delle idee migliori, comunicatemele e potrei cambiarlo per voi!
 
 
 
 

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Capitolo 12
*** AVVISO! ***


AVVISO!

Ragazzi, ho una brutta notizia. Purtroppo per problemi di salute e scolastici, non potrò aggiornare per un po'. Per favore abbiate pazienza!
Spero di tornare il prima possibile, state pur tranquilli che non abbandonerò mai questa storia, mi è troppo cara.
Sperando di rivederci presto, Saluti cari. C.S.

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