E poi tutto finì

di sophie97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Traffico del lunedì mattina ***
Capitolo 2: *** A cena ***
Capitolo 3: *** Una nuova indagine ***
Capitolo 4: *** Traffico d'organi ***
Capitolo 5: *** Interrogatorio ***
Capitolo 6: *** Delusioni e Speranze ***
Capitolo 7: *** Preparativi ***
Capitolo 8: *** Intervento ***
Capitolo 9: *** L'informatore ***
Capitolo 10: *** Visite ***
Capitolo 11: *** La Talpa ***
Capitolo 12: *** Verità ***
Capitolo 13: *** Indagini e porte chiuse ***
Capitolo 14: *** Risveglio ***
Capitolo 15: *** Incontro ***
Capitolo 16: *** Fermo! ***
Capitolo 17: *** Max Schwarzer ***
Capitolo 18: *** Un sogno lunghissimo ***
Capitolo 19: *** Irruzione ***
Capitolo 20: *** Labirinto ***
Capitolo 21: *** Salvataggio ***
Capitolo 22: *** Fuga ***
Capitolo 23: *** Pioggia e racconti ***
Capitolo 24: *** Affare ***
Capitolo 25: *** Per ogni cosa c'è un prezzo da pagare ***
Capitolo 26: *** Soli ***
Capitolo 27: *** Inferno ***
Capitolo 28: *** E poi tutto finì. ***



Capitolo 1
*** Traffico del lunedì mattina ***


Traffico del lunedì mattina




Ben aprì gli occhi e rimase immobile ad osservarla. Clara dormiva beatamente accanto a lui, avvolta morbidamente nel candido lenzuolo.
Era bellissima, ed era resa ancora più splendida da quel bel pancione che le era cresciuto. Erano passati sette mesi ormai e Bianca, come il poliziotto aveva già chiamato la sua futura bambina senza nemmeno sapere che si trattasse effettivamente di una femminuccia, cresceva sempre più nel ventre della mamma.
Ben si alzò piano dal letto per non farsi sentire, uscì dalla stanza per andarsi a preparare e socchiuse la porta della camera.
Clara si era fermata dal lavoro ormai da qualche giorno per via della gravidanza.

Il cellulare squillò nell’esatto istante in cui Ben stava uscendo dalla doccia. Lesse il nome sul display infilandosi l’accappatoio: Max.
Rispose contro voglia, dirigendosi verso la cucina: «Pronto?».
«Ciao Ben, sono Max.» fece una voce sveglia dall’altro capo del telefono.
«Sì, lo so, cosa succede?» domandò l’ispettore alzando gli occhi al cielo e versandosi un po’ di caffè nero in una tazzina.
«C’è stato un incidente sull’A71 al chilometro trentadue, la Kruger vuole che ce ne occupiamo noi.».
«Fantastico.» commentò Ben ironico «Arrivo, ci vediamo lì.» concluse quindi chiudendo la comunicazione.
Posò la tazzina mezza piena sul lavandino, sì infilò un paio di jeans, una maglietta e la prima giacca che gli capitò tra le mani e uscì.
Arrivò sul pianerottolo ma, subito dopo, portandosi una mano alla fronte, rientrò in casa.
Prese carta e penna e scrisse un biglietto per Clara, lo posò sul tavolo della cucina ben in vista e di nuovo uscì, di corsa questa volta, tirandosi dietro la porta.
Cominciava una giornata come molte altre.


Arrivato sul luogo dell’incidente, Ben scese dalla sua Mercedes per controllare cosa fosse successo e Max gli venne incontro con un sorriso.
Sulla quarantina, alto e muscoloso, Max Rieder era ormai da poco più di tre mesi il nuovo collega di Ben. Era piuttosto sveglio e attento, ma tra i due ancora non si era creato un gran feeling e a detta di Ben non si sarebbe mai creato. Era troppo precisino quell’uomo, secondo lui, e soprattutto molto molto noioso.
«Ciao Ben.» esordì «Come va?».
«Bene» rispose il poliziotto stropicciandosi gli occhi «Ma a letto si stava molto meglio. Che cosa è successo?».
«Sembra che il conducente di quella macchina laggiù abbia perso il controllo dell’auto, probabilmente andava troppo veloce. Lo stanno trasportando all’ospedale, è ferito lievemente. Il problema è che ha combinato un bel guaio, ci sono due chilometri di coda.» spiegò Rieder mostrando al collega la lunga fila di macchine ferme che occupava l’autostrada.
«Lo credo, a quest’ora di lunedì c’è mezza Colonia che si sposta! Temo che dovremo metterci a dirigere il traffico…» mormorò Ben non troppo entusiasta dell’idea.
«Be’ dai, sempre meglio che stare chiusi in ufficio a compilare rapporti!» sorrise Max.
I due si misero a ridere e, paletta alla mano, cominciarono a dirigere il traffico mentre altri agenti sgomberavano l’autostrada.

 

«E te pareva!» esclamò Semir imboccando l’A71 con la sua BMW grigio metallizzata «Due chilometri di coda? Accidenti, non saremo mai lì per le otto e mezza.».
Aida si sporse dal sedile posteriore: «Te l’avevo detto che dovevamo uscire prima papà!».
L’uomo sospirò: «Lo so cucciolo mio, ma non pensavo che dovessimo passare anche ad accompagnare tua sorella all’asilo, doveva andarci la mamma!».
La bambina mostrò un’espressione poco convinta: «Comunque la maestra vuole che siamo davanti al museo alle otto e mezza e se arriviamo in ritardo si arrabbia.».
«Le parlo io alla maestra, cucciolo, stai tranquilla.» la rassicurò Semir cambiando corsia e cercando di capire perché già in prima elementare si dovessero fare così tante gite, per di più senza l’accompagnamento da parte delle insegnanti. Mai una volta che si partisse direttamente da scuola, i bambini dovevano sempre recarsi con i genitori nei luoghi della visita, dove poi trovavano le maestre ad aspettare.
«Sai che vedremo anche le mummie papà? Ci sono dei miei compagni di classe che non vedono l’ora, a me le mummie fanno un po’ paura.» confessò la piccola sempre sporgendosi dal sedile posteriore.
«Ma no, tu sei coraggiosa, cosa vuoi che siano due mummie in confronto alla grande Aida Gerkhan?».
La bambina rise divertita riappoggiandosi allo schienale.


Ben continuava a muovere la paletta avanti e indietro controllando il traffico che lentamente cominciava a sbloccarsi, quando gli sembrò di vedere tra le macchine una BMW alquanto familiare.
Sorrise ed estrasse il cellulare componendo il numero del suo ex collega, senza smettere di dirigere le vetture.


«Ecco, pure questo adesso!» fece Semir sentendo il cellulare squillare. Lo estrasse da una delle tasche del giubbotto e lo portò all’orecchio con una mano, aprendo la comunicazione.
«Buongiorno socio!» esclamò una voce conosciuta dall’altra parte.
«Ben!» rispose Semir sorpreso. Ancora l’amico non aveva perso il vizio di chiamarlo “socio”, nemmeno dopo tre mesi che non era più in polizia.
Aida da dietro rizzò le antenne sentendo nominare il suo zietto preferito.
«Come andiamo?».
«Bene… Cioè, sono imbottigliato nel traffico ma a parte questo bene.» spiegò l’ex ispettore costatando che finalmente le macchine cominciavano a muoversi.
«Dai, non è così critica la situazione, si sta sbloccando.» disse invece il ragazzo.
«Sì, hai ragione, in effetti… un attimo» Semir corrucciò la fronte «Come fai a sapere che si sta sbloccando?».
«Perché lo sto dirigendo io il traffico, Semir! Guarda alla tua destra.».
L’ex poliziotto si girò e vide Ben fermo sulla corsia d’emergenza con una paletta in mano, che gli faceva segno di fermarsi. Sorrise.
«Sono in ritardo Ben, devo portare Aida al museo egizio! Stasera ti chiamo e ci mettiamo d’accordo per vederci tutti insieme, va bene?» propose Semir al telefono superando l’amico e riprendendo a viaggiare ad una velocità ragionevole.
«Affare fatto socio. E, a proposito, non si guida al cellulare, sono 148 euro di multa più i punti, socio!».
«Spiritoso! Vai a dirigere il traffico va’! Ciao.».
Semir posò il cellulare sul sedile accanto al suo dopo aver chiuso la comunicazione. La Kruger li aveva messi a dirigere il traffico, quel pensiero lo fece sorridere. Quanto gli mancava il suo lavoro in polizia! Gli mancavano tremendamente i colleghi, i casi da risolvere, il comando, le sfuriate del commissario. Gli mancava tutto.
«Papà, invitiamo a casa zio Ben?» chiese Aida con occhi luccicanti.
«Sì tesoro, uno di questi giorni invitiamo Ben e Clara a cena.».
«Perfetto… ora accelera però papà, altrimenti la maestra Anna ci sgrida.».




Primo capitolo!
Ecco a voi l’ottava storia della serie “Dieci ritagli di Cobra 11”. Lo so, avevo detto che avrei postato entro la fine delle vacanze natalizie ma non ci sono riuscita, preferivo prima finire la storia per poi pubblicarla più velocemente (in realtà non è proprio finita, ma tralasciamo u.u).
Vi avverto, sarà lunga e ci vorrà un po’ prima di entrare nel cuore della vicenda. Tengo molto a questa storia, penso che sia il perno dell’intera serie, spero che vi piacerà. Cercherò di aggiornare al massimo una volta a settimana.
Ringrazio chi già sta seguendo e chi lascerà recensioni che, come sapete, sono sempre gradite! Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 2
*** A cena ***


A cena




«Rebecca?!» chiamò una voce nell’ombra.
«Sì, capo?» fece un’altra voce, questa volta femminile, di rimando.
«Il prossimo carico sta per arrivare, l’operazione avverrà oggi pomeriggio, va bene? Non voglio errori, ovviamente.».
«Certo…» rispose la voce femminile.
«Ehi, Rebecca, vieni qui…» fece l’uomo, sfiorando il fianco della ragazza, che si ritrasse scattosamente.
«Non mi toccare Igor.».
«Ehi ehi ehi, calmati signorina, qual è il problema?» continuò il primo che aveva parlato con tono calmo e suadente. Le sfiorò di nuovo il fianco, per poi scendere lungo la coscia.
«Basta, Igor, smettila!» esclamò lei allontanandosi nuovamente.
«Come vuoi… ma attenta a comportarti così con me ragazzina, sai cosa può accadere, non c’è bisogno che te lo ricordi. Va a prepararti ora.».
La giovane donna corse fuori dal salone trattenendo a stento le lacrime che minacciavano di rigarle il viso. Odiava quell’uomo, lo odiava con tutta se stessa.
 

A quasi duemila chilometri di distanza…

 

Il campanello suonò in casa Gerkhan alle otto in punto.
«Andrea, vai tu?» gridò Semir dalla cucina.
«Sì!» rispose la moglie andando ad aprire. Ben e Clara entrarono sorridenti: «Buonasera!» esclamarono in coro.
Andrea e i due ospiti si scambiarono baci e abbracci, poi i due entrarono e furono sommersi dai saluti affettuosi delle due bambine, che non aspettavano altro se non l’arrivo dei due “zietti”.
«Ma dov’è Semir?» chiese Clara curiosa, non vedendolo all’ingresso.
«Arrivo, scusatemi!» si sentì gridare in quel momento dall’altra parte della casa.
Andrea scoppiò a ridere: «Non fateci caso, ha deciso di cucinare lui stasera… non so cosa ci aspetti.».
Ben fece una faccia sconcertata: «Oddio, per fortuna che ho portato il dolce allora, rischiamo di mangiare solo quello!» disse posando sul tavolo un vassoietto di pasticcini ben confezionati.
«Guarda che ti ho sentito eh!» lo fulminò Semir entrando nell’ingresso. Abbracciò e baciò Clara e non degnò Ben di uno sguardo fingendo di essere offeso. D’altra parte il ragazzo non fece proprio niente per farsi perdonare. Continuò anzi a ridere senza interruzione vedendo come si era conciato l’ex collega: il grembiule rosa di Andrea che aveva infilato gli donava particolarmente, senza contare le numerose macchie di cibo presenti sulla maglietta chiara.
«Torno in cucina va, dieci minuti e dovrebbe essere pronto.» comunicò il turco passando nell’altra stanza, non prima di aver lanciato all’amico un’altra occhiata in cagnesco.
Passarono una serata serena.
Nonostante le ricette che aveva preparato Semir si rivelassero un fiasco totale, passarono una serata serena tra chiacchiere, risate e propositi per il futuro.
Parlarono di Clara, del bambino che sarebbe nato, degli ultimi casi strampalati di Ben. Le bambine raccontarono della scuola, delle gite, Beth fece vedere a Clara tutti i suoi disegni.
Erano le dieci quando riuscirono finalmente, dopo il dolce, a spedire a dormire le bambine che la mattina seguente sarebbero dovute andare a scuola.
I quattro superstiti si sedettero invece sul divano a parlare ancora un po’, davanti ad un bicchierino di digestivo, esclusa Clara che si dovette accontentare di una bella tisana fumante.
«Ben, non ci hai ancora parlato del tuo nuovo collega, Max. L’ultima volta dicevi che era troppo presto per giudicare…» disse ad un tratto Andrea, curiosa.
«Non è male,» rispose il poliziotto un po’ insicuro «è solo un po’ tanto perfezionista ma alla fine mi sembra una brava persona.».
«A me aveva fatto una buona impressione.» intervenne Clara sorseggiando la sua tisana «Semir, tu invece? Trovato niente?» domandò.
L’uomo scosse il capo. Temeva che la conversazione prima o poi sarebbe andata a parare lì.
«No, niente.» rispose semplicemente.
«Be’, basta che non ti proponi in un ristorante, rischieresti di farlo fallire!» si intromise Ben provocando una risata generale e alleggerendo un po’ la tensione che si stava venendo a creare. Notò però che Andrea aveva cambiato espressione.
«Ancora digestivo?» offrì invece Semir con un sorriso.
«No no grazie, se poi mi fanno il palloncino sono spacciato.» ribatté l’ispettore.
Continuarono a chiacchierare ancora fino alle undici, poi Clara e Ben si congedarono, promettendo di invitarli la prossima volta a cena in casa da loro.
Si diedero la buona notte, si salutarono e Andrea rimase sul pianerottolo a guardare la Mercedes che silenziosa si allontanava lungo la strada deserta.
«E anche questa è andata.» sospirò rientrando.
«Era così pessima la cena?» domandò Semir portando in cucina i bicchierini e la tazza della tisana.
La moglie alzò le spalle: «Abbastanza.» confessò con un mezzo sorriso.
«Perfetto!» ironizzò l’uomo facendo un altro viaggio dalla sala da pranzo alla cucina «Andrea, tutto bene?».
La donna era rimasta ferma in mezzo alla stanza con lo sguardo assente.
«Sì solo… Semir, quando troverai un altro lavoro?».
L’ex ispettore si fermò in mezzo al corridoio con i piatti in mano «Andrea, sai che…».
«So cosa?» lo interruppe lei «Sono passati tre mesi, Semir, tre mesi! Tre mesi e ancora tu non ci hai nemmeno provato.».
«Sai che non è vero. Ho cercato, ma non…».
«Ma non ti va bene niente!» concluse di nuovo Andrea per lui.
«Ma non…».
«La verità è che tu non hai nemmeno provato a cercare un altro lavoro.».
Semir posò i piatti sul tavolo alzando leggermente la voce «Se mi lasciassi finire di parlare forse…».
«La verità…» provò ancora la donna, ma questa volta fu lei ad essere interrotta dal marito: «La verità è che fosse per me sarei ancora in polizia!».
Si venne a creare un attimo di silenzio.
«Ah, certo, adesso è colpa mia se non sei più in polizia, vero?» domandò Andrea, offesa.
«Non ho detto questo.».
«Sai una cosa? Per quanto mi riguarda puoi anche tornarci, nel tuo adorato commissariato. Anzi vai, che aspetti?! Tanto dovesse succedere qualcosa ci sono io che penso alle bambine no?» continuò lei imperterrita.
«Andrea…» provò a fermarla lui, ma era troppo tardi: la moglie si era già chiusa in camera, sbattendo la porta.
Semir si sedette sul divano, che quella notte lo avrebbe ospitato, con un sospiro. Da quando aveva lasciato la polizia stava andando tutto storto, anche con Andrea. Si rendeva conto che fosse unicamente colpa sua ma non sapeva come rimediare. Non gli andava bene nessun altro lavoro, voleva tornare all’autostradale… ma come avrebbe potuto? Sarebbe stato come tradire Andrea e le bambine. Sarebbe stato un gesto troppo egoistico da parte sua. Egoistico e pericoloso.


 


Eccomi qui :)
Prima o poi si passa all’azione, ve lo assicuro, questo capitolo era ancora molto di introduzione. Grazie ha chi ha lasciato le recensioni e a chi mi sta seguendo silenziosamente! Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 3
*** Una nuova indagine ***


Una nuova indagine
 




Ben frenò davanti all’ospedale senza preoccuparsi di accostare bene la macchina al marciapiede. Era in ritardo, come suo solito del resto. La Kruger gli aveva chiesto di andare a parlare con il conducente dell’auto che due giorni prima aveva provocato l’incidente che aveva bloccato l’A71.
Ben chiese il numero della stanza mostrando il suo tesserino e salì di corsa le scale per raggiungere il secondo piano.
Quindi vagò nel lungo corridoio per un po’ finché non trovò il numero della stanza che cercava. Bussò e aprì, senza aspettare una risposta, notando con una punta di fastidio che il collega, come sempre, lo aveva preceduto.
«Buongiorno signor Hanser, ciao Max.» esordì l’ispettore chiudendosi la porta alle spalle.
«Il signore mi stava raccontando la dinamica dell’incidente.» spiegò Max e l’interrogato lo interruppe: «Sì ispettore, è avvenuto proprio tutto come raccontavo al suo collega. Stavo andando forse un po’ troppo veloce, è vero, ma non pensavo potesse succedere un disastro del genere. Ad un certo punto ho perso il controllo dell’auto e… potevo lasciarci le penne, lo so, mi è andata bene.» concluse l’uomo alludendo al collare che portava al collo. Sulla cinquantina, in carne, sembrava un signore distinto.
«E si può sapere dove andava così di fretta, signor Hanser?» domandò Ben sospettoso.
«Io? A… ehm… verso casa.» rispose l’uomo, insicuro «Mio figlio è molto malato, sì.».
Max corrucciò la fronte: «Suo figlio?».
L’interpellato annuì triste: «Mio figlio, sì. Mia moglie mi aveva chiamato dicendomi che aveva avuto un forte attacco cardiaco e io mi sono precipitato… mio figlio è molto malato.» ripeté abbassando il tono di voce involontariamente.
«Mi dispiace.» mormorò Ben abbassando lo sguardo, ma il collega sembrava aver ancora parecchi sospetti: «Cos’ha, se posso chiederglielo?».
Hanser sospirò «Ha una grave disfunzione bi ventricolare… insomma, ha problemi al cuore, ecco.» tagliò corto «Ora, se non avete altre domande, vorrei riposare.».
I due ispettori annuirono contemporaneamente «Certo, scusi il disturbo. Arrivederci.».
«Arrivederci.».
I due poliziotti uscirono dalla stanzetta e si avviarono verso l’uscita dell’ospedale.
«Che ne pensi?» domandò Max, perplesso.
«Mi sembra un brav’uomo infondo, no?» ribattè Ben cercando le chiavi dell’auto nella tasca del giubbotto.
«Hai visto come ha glissato sulla malattia del figlio?» domandò ancora l’altro ispettore passandosi una mano tra i folti capelli biondi.
«Penso sia normale che non abbia voglia di parlarne.».
«Non vorrei ci nascondesse qualcosa…».
Arrivati alle macchine Ben aprì il suo sportello alzando un sopracciglio «Non è che sei un po’ troppo sospettoso Max?».
«Sarà! Ci vediamo al comando.» lo salutò il collega salendo sulla propria auto, un’Audi verde scura.
Entrambi accesero il motore partendo con una sgommata.
 

~~~


Rebecca si chiuse la porta alle spalle e rimase sola nella piccola stanza.
Si sedette sulla sedia di legno e rimase immobile alcuni istanti a contemplare ciò che la circondava. Il lettino bianco della sala operatoria occupava il centro della stanza, attorniato da una serie di attrezzi e macchinari medici specifici.
Infondo alla stanza un piccolo armadietto. Nell’aria odore di disinfettante, di ospedale.
La ragazza non seppe se sorridere o scoppiare a piangere.
Certo, operare era sempre stato il suo sogno. Operare, sì, ma non così.
Rebecca rabbrividì nel ricordare i visi delle persone che erano entrate in quella stanza. Odiava le loro espressioni inconsapevoli, le detestava. Così come detestava se stessa per ciò che faceva, per le false parole di confronto che, ogni volta, pronunciava.
Detestava se stessa e non poteva farci niente, non poteva cambiare… perché lui glielo impediva.
I suoi pensieri vennero interrotti dal rumore secco della porta che si apriva. Era sua sorella, che entrò titubante: «Reb? Sono arrivati. Tra poco ti mando il primo, va bene?».
Rebecca annuì.
Si alzò, indossò il camice medico.
Era pronta.
 

~~~


«Capo, glielo dica lei che è un’ipotesi assurda!» pregò Ben sedendosi sulla poltrona.
Stavano discutendo del caso Hanser da più di un quarto d’ora nell’ufficio del commissario.
«Le dico che deve essere così!» replicò Max per l’ennesima volta «Per me quell’uomo nasconde qualcosa. Capo, le sto solo chiedendo di poter indagare un po’! 48 ore, se non scopriamo niente chiudiamo il caso.».
La Kuger lo guardò pensierosa «E va bene. Ma 36 ore, le do tempo fino a domani sera. Non possiamo stressare le persone inutilmente, non ha alcun senso.».
L’ispettore sorrise «Grazie capo.».
Ben alzò invece gli occhi al cielo e si diresse con il collega verso l’uscita dell’ufficio.
«Aspettate!» li richiamò la donna «Rieder, agisca con discrezione per favore. E Jager, si fermi un momento nell’ufficio, le devo parlare.».
I due poliziotti annuirono e quando Max si fu richiuso la porta alle spalle, Ben si appoggiò allo stipite della porta pronto a sorbirsi l’ennesima ramanzina da parte del commissario. Erano mesi ormai che non andavano più un granché d’accordo.
«Jager, io penso che dovrebbe smetterla di contraddire qualunque cosa esca dalla bocca di Rieder, non trova?».
«Ma capo…».
«Mi lasci finire.» lo interruppe dura la Kruger «Non c’è una volta, e dico una volta in cui lei e Max siate stati d’accordo su qualcosa in questi ultimi tre mesi. Lui sta facendo di tutto pur di farsi accettare e lei invece, Jager, non ne vuole sapere. Lo tratta come un bambino, non come un collega. Le chiedo semplicemente di darsi una calmata! Lo so che cambiare collega dopo tanto tempo può essere fastidioso ma…».
«Fastidioso?» ripeté Ben incredulo «Lei davvero pensa che io non condivida le idee di Max perché ho ritenuto fastidioso cambiare collega?».
«Forse lei non ha nemmeno provato a conoscerlo, magari Rieder sarebbe anche un buon amico, come lo era Gerkhan del resto, oltre che un collega.».
«O forse non mi ci trovo e basta.» controbatté l’ispettore «Non penso che lei riesca a farmi cambiare idea capo, mi dispiace. Arrivederci.» concluse quindi avviandosi verso l’uscita.




«Trovato qualcosa Einstein?» domandò poco dopo Ben varcando la soglia della scientifica.
Hartmut scosse il capo emergendo da sotto l’auto che stava analizzando «Niente di niente, nessuna manomissione, il conducente deve aver davvero perso il controllo semplicemente.».
«Meglio così.» sospirò l’ispettore aggirandosi per il laboratorio nel collega.
«Max non c’è?» chiese il ragazzo dai capelli rossi tornando sotto alla vettura su cui stava lavorando.
«No, è andato a parlare con la moglie del conducente, lui è convinto che ci sia qualcosa sotto tutta questa storia. Ora vado, devo tornare in commissariato e prima passare a fare benzina. Ciao Einstein!» salutò Ben dirigendosi verso l’uscita.
«Ciao Ben… Ah no, aspetta!» lo fermò il tecnico.
«Cosa?».
«Dimenticavo di darti questo.» l’uomo porse al poliziotto una fotocopia piegata in quattro «Non so cosa sia, l’ho trovata sul sedile posteriore ed è scritta in non so quale lingua, se vuoi portarla alla Kruger…».
L’ispettore spiegò la fotocopia e la infilò in una bustina trasparente. Le diede un’occhiata ma non ci capì assolutamente niente. Quindi ringraziò Hartmut e si diresse pensieroso verso la sua Mercedes blu.


 


Ancora niente azione, lo so. Scusate, ma ancora ci vorranno un po’ di capitoli prima di arrivare al punto… Grazie mille a chi continua a seguirmi e grazie per le recensioni, non sapete che piacere mi facciano!
Un bacio
Al prossimo
Sophie :D

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Capitolo 4
*** Traffico d'organi ***


Traffico d'organi




Ben frenò davanti al distributore e scese dalla macchina per fare benzina.
Pagò velocemente e fece per risalire in macchina quando una voce alle sue spalle lo fermò: «Ben!».
L’ispettore si voltò e richiuse lo sportello dell’auto andando incontro all’uomo che lo aveva salutato.
«Semir, che ci fai qui?».
«Quello che ci fai tu, benzina.».
«Senti Semir, già che ti incontro… mi dispiace per ieri sera.» si scusò il più giovane «Mi sembra che Andrea si sia un po’ tesa dopo la domanda di Clara.».
«Ah, no, tutto a posto. Che fai, vai al comando? Attento, ti sta cadendo un foglio!» esclamò Semir vedendo che all’ex collega era caduta una fotocopia sigillata in una busta di plastica di quelle della scientifica.
Lo raccolse e cominciò a leggerlo ma Ben glielo strappò praticamente dalle mani.
«Era in una macchina da analizzare, devo portarlo al comando.» spiegò velocemente il ragazzo.
«Posso vedere?».
«È… è un indizio Semir.» fece il poliziotto ripiegando la busta e infilandola in tasca.
Il turco annuì con un velo di delusione negli occhi.
«Sarà meglio che vada.» disse poi, entrando in macchina. Lo salutò dal finestrino e uscì dall’area di servizio, incrociando un’Audi verdone che si accingeva invece ad entrare.
 

«Max!» Ben salutò il collega che usciva dalla propria auto, sorpreso «Anche tu a fare benzina?».
Il biondo scosse il capo «No, dovevo solo dirti una cosa importante e non volevo aspettarti al comando, ho parlato con la moglie di Hanser. Vuoi sapere una cosa? Non era per niente preoccupata per il marito, anzi arrabbiata con lui se mai. Diceva in continuazione che in questo modo avrebbe mandato tutto all’aria.».
«Tutto cosa?».
«Bella domanda.» rispose Max alzando le spalle «Però non è un comportamento normale, dai!».
«No, hai ragione.» confermò Ben «Io invece ho una fotocopia che ha trovato Hartmut nella vettura di Hanser, te la faccio vedere in commissariato, andiamo?».
L’altro annuì ed entrambi salirono in macchina e si diressero al comando.
 

~~~
 

Rebecca si levò i guanti, si lavò le mani e le asciugò con cura, quindi uscì dalla sala e prese un grande respiro.
Percorse il lungo e buio corridoio fino ad arrivare nel salone dove il capo la aspettava.
«Ho concluso le operazioni.» disse quindi, infastidita dal profumo di quell’uomo che, fissandola, si era alzato dalla poltrona su cui sedeva e le si era avvicinato pericolosamente.
«Brava.» fece Igor con voce calda «Abbiamo un problema con la Germania, uno dei nostri acquirenti ha avuto un incidente e abbiamo dovuto rimandare il volo. Si terrà domani mattina, quando sarà dimesso dall’ospedale. La cassa è ben imballata giusto?».
«Quella del signor Hanser? Sì, è a posto.» rispose la ragazza cercando di evitare gli occhi dell’uomo.
«Perché non mi ami Rebecca?».
La domanda risuonò netta nell’aria chiusa della stanza.
«Ma come potrei? Come potrei dopo tutto ciò che stai facendo a me e a mia sorella?».
«Dopo cosa? Dopo che vi ho preso dalla strada per darvi una casa? Dopo che vi ho salvato la vita? Cos’altro avrei dovuto fare per voi?» continuò Igor come un fiume in piena.
Rebecca scosse il capo mentre lacrime amare le bagnavano il viso. Sarebbe dovuta essere grata a quell’uomo ma proprio non ci riusciva. Pregava ogni giorno che quella prigionia, quell’inferno finisse, ma le sue preghiere in tutti quegli anni erano state vane.
E lo sarebbero state ancora ed ancora, finché qualcuno non fosse venuto a salvarla.

 

~~~


«Non so nemmeno che lingua sia questa, Rieder.» commentò la Kruger posando sulla scrivania la fotocopia trovata da Hartmut.
«E non crede che dovremmo capire di che si tratta? Qui ci sono dei numeri… Sembrerebbero cose mediche, non so…» disse Max, entusiasta di avere sottomano almeno qualche indizio.
«Porti la fotocopia a Susanne, vediamo se lei trova qualcosa. In quanto alla moglie di Hanser, invece, il fatto che lei sia arrabbiata con il marito non è certo una prova, ma potrebbe davvero nascondere qualcosa. Domani mattina Hanser verrà dimesso, provate a seguirlo e vedremo. È tutto, direi che per ora non possiamo fare altro se non decifrare questo foglio.».
«Perfetto!» esclamò l’ispettore che, seguito da Ben, uscì dall’ufficio per mostrare la fotocopia alla segretaria e attendere un riscontro.
 


Semir entrò in casa e fu accolto da Mirtillo, che gli andò incontro festoso. In quei mesi il cane era cresciuto molto e aveva assunto ormai la fisionomia di un cane adulto. Era impressionante quanto sembrasse intelligente quel bovaro bernese!
«Ciao cucciolone!» esclamò Semir chiudendosi la porta dietro le spalle.
Andrea sbucò quindi dalla porta dell’altra stanza: «Ciao.».
«Ciao. Ancora tanto arrabbiata?».
La donna scosse il capo con un sorriso e i due si abbracciarono con affetto.
«Andrea, ascolta, ma non arrabbiarti. Penso che l’autostradale abbia per le mani un caso grosso…».
Andrea sospirò esasperata.
«No, ascolta, non è che voglia mettermi in mezzo» la rassicurò il marito velocemente «Ma penso che Ben ancora non abbia capito con cosa ha a che fare.».
«E come fai a saperlo tu che non metti piede in commissariato da più di tre mesi?» domandò la donna scettica.
«Oggi ho incontrato Ben che aveva una fotocopia in mano che sicuramente gli ha dato Hartmut, deve averla trovata in qualche macchina. Solo che Ben non l’aveva letta la fotocopia, anzi, non aveva nemmeno idea di che si trattasse e probabilmente sta ancora cercando di tradurla.».
«E come fai a saperlo tu?».
«Era scritta in turco.» rivelò Semir «Ne ho letto solo qualche riga e vorrei sbagliarmi ma temo si tratti di…».
«Di?» lo incitò Andrea, ormai curiosa di sapere cosa contenesse quella misteriosa fotocopia.
«Traffico d'organi.».


 

Ancora niente azione, ancora calma prima della tempesta…
Mi scuso per il ritardo ma ho veramente una marea di impegni ultimamente. Grazie a chi segue  e soprattutto grazie ai recensori, non sapete che piacere mi facciano i vostri commenti!
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 5
*** Interrogatorio ***


Interrogatorio

 

Hanser uscì dall’ospedale guardandosi intorno e, sempre con aria circospetta, salì in macchina e partì sgommando. Non si accorse che una Mercedes blu lo seguiva a debita distanza.

Ben e Max infatti, poco dietro di lui, non lo perdevano di vista. Ormai persino Ben era persuaso dal fatto che quell’uomo potesse nascondere qualcosa e la faccenda non gli piaceva nemmeno un po’.

Dal poco che erano riusciti a capire dalla fotocopia il giorno prima, dovevano c’entrare affari medici. La prima idea che era venuta in mente agli ispettori aveva fatto rabbrividire entrambi: avevano pensato al traffico d’organi.

«Pensi davvero che ci sia di mezzo un traffico d’organi in questa storia?» domandò Ben preoccupato.

«Be’, secondo me è possibile, facendo due più due» cominciò Max con la sua logica irritante «Termini medici in quella fotocopia straniera, un figlio gravemente malato a cui sono stati diagnosticati circa tre mesi di vita, mi sembrerebbe plausibile.».

Ben sorrise al “plausibile” del collega e tornò a fissare l’asfalto grigio che correva sotto di loro. Non aveva idea di dove quell’Hanser li avrebbe portati, ma sentiva che qualcosa non andava.

 

Dopo una mezz’oretta, la macchina che stavano seguendo si fermò in un piccolo campo di volo parallelo all’autostrada.

I poliziotti si appostarono con la loro vettura dietro alla piccola torre di controllo e osservarono da distanza ciò che stava accadendo.

Hanser, all’inizio della pista, scese dalla macchina sempre guardandosi intorno circospetto e si avviò lentamente verso un piccolo aereo privato che sostava lì a pochi metri. Da questo scesero due uomini vestiti rigorosamente di nero, che salutarono Hanser con freddezza.

Quindi i due mostrarono all’uomo dei fogli e poi lo portarono verso la stiva dell’aereo. Ne estrassero una scatola grande, imballata in modo fin troppo premuroso, con attaccati alcuni apparecchi metallici ingombranti, che da lontano non si distinguevano bene.

«Interveniamo?» chiese Ben in un sussurro.

L’altro scosse il capo «È presto.» disse senza togliere gli occhi da quei due uomini, che ora discutevano più animatamente con Hanser. Quest’ultimo si diresse ad un tratto verso la propria berlina, aprì il bagagliaio e ne estrasse una piccola valigetta nera, che consegnò ai suoi due interlocutori.

«Ora interveniamo.» affermò Ben, pronto ad aprire lo sportello dell’auto.

Max scosse ancora il capo «Sono in due e sicuramente sono armati.».

«Cosa c’entra, anche noi siamo armati e siamo in due!» ribatté seccato l’altro ispettore.

Max fu irremovibile. Ben odiava quel fare del collega, che sembrava dovesse essere esperto in tutto e sempre in grado di mantenere la calma, di pensare razionalmente in ogni situazione. Lui era esattamente l’opposto, impulsivo e disordinato.

I due uomini vestiti di nero, nel frattempo, avevano controllato il contenuto della valigetta e, annuendo soddisfatti, si erano allontanati, mentre Hanser, scuro in volto, era tornato alla propria automobile.

I poliziotti aspettarono che i due uomini non fossero più visibili per scendere dalla macchina e fermare Hanser prima che ripartisse.

«Buongiorno signor Hanser.» salutò Ben, e all’uomo per poco non venne un colpo. Si voltò di scatto con aria terrorizzata «Non vi avevo visto, buongiorno.».

«Che ne dice di spiegarci cosa ci fa qui appena uscito dall’ospedale? Dovrebbe riguardarsi.» gli domandò Max posizionandosi strategicamente davanti alla portiera della  macchina, in modo che l’uomo non potesse scappare.

«Io… io avevo un incontro importante.» balbettò Hanser.

«E con chi, se si può sapere?».

L’uomo si guardò intorno, probabilmente alla ricerca di una via di fuga, mentre il suo cervello cercava freneticamente di trovare una risposta che non lo mettesse in ulteriore difficoltà.

Ma non la trovò.

«Erano… ehm… colleghi, sì, colleghi di lavoro. Cioè…».

«Ci segua al comando, per favore.» lo interruppe Ben mentre Max faceva entrare l’uomo nella Mercedes.

Uno dei due uomini vestiti di nero intanto, che non li aveva persi di vista nemmeno un momento, compose un numero e portò il cellulare all’orecchio, in attesa di una risposta.

 

Il cellulare di Ben squillò a metà del tragitto verso il commissariato. L’ispettore rispose mentre il collega, alla guida, gli lanciava un’occhiata interrogativa.

«Jager.».

«Ben!» esclamò la voce conosciuta dall’altro capo del telefono.

«Semir? Buongiorno.» fece il poliziotto sorpreso.

«Ascoltami Ben, penso di poterti aiutare per il caso a cui stai lavorando.».

«Ma tu non sai nemmeno a che caso sto lavorando!».

«Sì invece.» controbatté Semir «Traffico d’organi. Ho letto un pezzo di fotocopia ieri, prima che tu me la strappassi dalle mani, era in turco. Poi ho fatto qualche telefonata e ho scoperto che…».

«No, no, no, aspetta un attimo.» lo interruppe Ben confuso «Non dirmi che stai indagando anche tu da casa.».

«Indagare è una parola grossa, volevo solo aiutarti.».

«Semir, lascia stare, non vorrei che ti mettessi di nuovo nei guai, lascia perdere.» gli intimò il poliziotto, preoccupato.

«Non vuoi sapere nemmeno cosa ho da dirti?» fece la voce, testarda, dall’altro capo del telefono.

Ben sospirò appoggiandosi allo schienale: «Vai, spara.».

 

 

~~~

 

 

«Accidenti.» sibilò tra i denti Igor chiudendo la comunicazione e mettendo via il cellulare.

«Cosa succede?» domandò con falso interesse Rebecca.

«Quel tedesco, Hanser, si è fatto beccare. Ma porca miseria, ma si può essere più imbecilli?» sbraitò l’uomo vagando per la stanza, nervoso «Se la polizia arriva fino a me giuro che io lo faccio fuori quell’idiota, lo disintegro.».

«Sarà difficile.» commentò la ragazza scostando le tende per scrutare il cielo grigio dietro alla finestra.

«Cosa?».

«Sarà difficile che tu lo possa disintegrare, una volta che qui arriverà la polizia avrai altro a cui pensare.» Rebecca ebbe a malapena il tempo di finire la frase che sentì una forte stretta stringerle il polso destro fino a farle male.

«Smettila di fare la strafottente con me o faccio fuori te, chiaro?» mormorò l’uomo, a pochi centimetri dal suo viso.

«Mi fai male.» gemette lei divincolandosi dalla stretta «Bastardo.» aggiunse in un sussurro. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedersi se l’uomo avesse sentito: un violento schiaffo le colpì la guancia sinistra con una potenza inaspettata.

«Io ti ho avvertito. Abbassa la cresta, ragazzina.».

L’uomo le diede le spalle e uscì.

 

Quando poco dopo rimase sola nel salone, crollò a terra, tremante, una mano ad accarezzarsi la guancia colpita. Si fingeva forte davanti a quell’uomo, ma da sola non riusciva a portare avanti quella commedia. Pregò, come faceva tutti i giorni. Pregò che qualcuno giungesse a salvare sia lei sia sua sorella.

 

 

~~~

 

 

 

Semir sbuffò appoggiandosi al cofano della sua BMW. Ben non aveva ancora perso il vizio di arrivare in ritardo.

Certo, gli faceva un po’ effetto doverlo aspettare sotto il commissariato, gli sembrò per un attimo di essere ripiombato indietro nel tempo, almeno di qualche mese. Ma la realtà tornò ben chiara davanti ai suoi occhi quando dalla Mercedes blu che nel frattempo aveva parcheggiato lì davanti ne uscì Ben accompagnato da quello che probabilmente era il suo nuovo collega.

«Ciao!» salutò vedendo l’amico scendere dalla macchina.

Ben tirò fuori dai sedili posteriori un uomo ammanettato e lo affidò ad un agente che stava per dirigersi in commissariato prima di avvicinarsi e di salutare a sua volta.

«Ciao Semir. Questo è Max, il mio nuovo collega. Max, questo è Semir.».

I due si strinsero la mano.

«Quindi tu sei il famoso Semir Gerkhan? Ben mi ha parlato bene di te.».

Semir sorrise osservando il poliziotto che aveva davanti. Sulla quarantina, alto, biondo, sembrava avere un viso simpatico.

I tre salirono le scale del comando lentamente. Ben e Semir si erano dati appuntamento lì per la questione di Hanser, a quanto pareva il secondo sapeva un bel po’ di cose a riguardo.

«Un momento, ma la Kruger sa che sono qui?» domandò il turco appena prima di oltrepassare la soglia dell’entrata.

«Veramente nessuno sa che sei qui. Pazienza, farai una sorpresa a tutti!» rispose l’ex collega alzando le spalle.

Entrarono, e tante coppie di occhi stupiti si diressero rapidamente verso di loro.

 

 

«Quindi lei pensa che si tratti di un traffico d’organi internazionale, la cui sede principale sarebbe in Turchia, giusto?» domandò la Kruger, riepilogando.

Dopo una serie di saluti da parte di tutti gli ex colleghi, Semir era riuscito, con gli altri due ispettori, ad entrare nell’ufficio del commissario, con cui ormai stavano parlando da quasi mezz’ora.

«Esatto.» confermò Semir annuendo «Gliel’ho detto, ho questo contatto che è molto affidabile.».

«Così si spiegherebbero molte cose.» intervenne Max girando per la piccola stanza «La circospezione del signor Hanser per esempio, così come la fotocopia scritta in turco e come la cassa che quei due uomini hanno mostrato ad Hanser al campo di aviazione.».

«Esatto.» convenne Ben, stranamente dello stesso parere del collega «Combacia anche il fatto che il figlio di Hanser sia molto malato e che abbia bisogno di un trapianto di cuore per sopravvivere, il che richiederebbe però, se fatto in maniera legale, una lunga attesa…».

«Che il piccolo non si può permettere.» concluse Semir al suo posto.

La Kruger annuì «Bene, vorrei che interrogaste questo Hanser, è già nella sala degli interrogatori. Gerkhan, mi faccia avere il numero del suo “contatto”. Dobbiamo indagare con prudenza, questa è una faccenda piuttosto delicata, non dobbiamo commettere errori.».

«Bene, andiamo a sentire cos’ha da dire il nostro Hanser allora.» esclamò Max dirigendosi verso l’uscita dell’ufficio.

«Capo… cioè, commissario» si corresse Semir «Non è che potrei... assistere all’interrogatorio?».

«Non se ne parla proprio.» rispose la donna con fermezza.

L’uomo la guardò supplichevole e lei sospirò rumorosamente.

«Che sia la prima e l’ultima volta. Segua Rieder e Jager di là, mentre io faccio una telefonata.» acconsentì infine la Kruger con un sorriso, aspettando che i tre uscissero dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.

 

«Dunque» fece Ben entrando nella stanza seguito dal suo collega «Signor Hanser, che ne dice di raccontarci un po’ cosa doveva fare una volta uscito dall’ospedale?».

L’interrogato scosse il capo incrociando le braccia «Nulla, ispettore.».

«Nulla?».

«Nulla. Come le ho detto quelli erano colleghi di lavoro.» ribadì l’uomo, improvvisamente sicuro di sé.

«Colleghi.» intervenne Max con falsa indifferenza «Lei lavora in banca, non è vero signor Hanser? Di cosa dovevate discutere, un prestito troppo grande da concedere? Un cliente troppo esigente? O forse un nuovo sistema di allarme per le cassette di sicurezza? Certo, strano un campo di aviazione come luogo d’incontro per trattare di questi argomenti… soprattutto strano sapendo che circa tre ore dopo l’appuntamento sarebbe entrato al lavoro, incontrando quindi direttamente tutti i colleghi…».

Semir sorrise da dietro i vetri della stanza. Seguiva perfettamente tutto l’interrogatorio; il nuovo collega di Ben sembrava piuttosto furbo e intelligente, gli piaceva.

La sicurezza dell’uomo cominciò nuovamente a vacillare «Io… io non vi dirò chi erano quegli uomini, per nulla al mondo.».

«Ed ecco confermato che non si trattava di colleghi.» constatò Max far sé e sé con un mezzo sorriso.

«Suo figlio è molto malato, signor Hanser, lo sappiamo. Avrebbe bisogno urgente di un trapianto di cuore ma le liste d’attesa negli ospedali sono infinite.» disse Ben avvicinandosi all’uomo «Traffico d’organi, è di questo che si tratta, non è vero?».

L’interrogato scosse il capo risoluto, mentre una goccia di sudore gli scivolava lentamente lungo la fronte.

«Non dirò niente.».

«Molto bene.» fece Max alzando le spalle «Tanto non ci serve a molto la sua confessione, vero Ben?».

L’ispettore più giovane corrucciò un attimo la fronte prima di capire dove il collega volesse arrivare e annuire.

Max continuò «Sa signor Hanser, noi sappiamo perfettamente di che si tratta in realtà. Quella che vorremmo da lei in fondo è solamente una conferma, abbiamo già parlato con sua moglie che ci ha raccontato tutto.».

Il terrore passò rapido negli occhi di Hanser, che si vide con le spalle al muro «Mia… mia moglie?».

«Già, sua moglie. Ci ha raccontato tutto nei minimi particolari, dall’inizio alla fine. Sappiamo chi erano quei due uomini che ha incontrato e sappiamo anche cosa conteneva quella scatola imballata, così come la sua valigetta. A questo punto non importa se decide di non collaborare, sarà solo peggio per lei.» concluse il poliziotto facendo per uscire dalla stanza.

«No, aspetti!» lo fermò Hanser, ormai grondante di sudore «Ma… ma se io confermassi quanto ha detto mia moglie… avrei delle attenuanti? Il giudice ne terrebbe conto?».

«Sicuramente.» rispose Max voltandosi.

«Va bene… va bene, vi spiegherò tutto.» mormorò l’uomo tentando di farsi coraggio da solo.

Ben guardò il collega che aveva condotto l’interrogatorio con un pizzico di stizza prima di tornare ad ascoltare l’interrogato e a Semir, dall’altra parte del vetro, non sfuggì quello sguardo.

«Mio figlio, come avete detto, è malato. Soffre di una grave disfunzione bi ventricolare e ha bisogno urgente di un trapianto di cuore, i medici gli hanno diagnosticato altrimenti poco meno di tre mesi di vita… ho fatto domanda ma la lista d’attesa è veramente infinita e gli organi tra l’altro compatibili con il corpo di mio figlio, che ha undici anni, sarebbero veramente pochi… così ho deciso i rivolgermi a loro.» confessò Hanser con le lacrime agli occhi «So che è sbagliato, lo so. Ma voi non potete capire. Avete mai avuto davanti a voi gli occhi imploranti di vostro figlio malato? Avete mai vissuto con la consapevolezza di essere sul momento di perdere la cosa che più amate al mondo?».

Max abbassò lo sguardo, sperando che il collega non lo notasse.

«È una sensazione orribile. Io non ce la facevo più e mi sono rivolto a loro. La loro organizzazione ha sede in Turchia, in una piccola cittadina lontano dalla capitale, ma non posso dirvi molto altro. Non ho mai parlato direttamente con il loro capo, né conosco il suo nome. L’intervento dovrebbe avvenire domani mattina all’alba in un loro centro specializzato qui a Colonia, io oggi ho consegnato i soldi e quegli uomini mi hanno fatto vedere il contenitore isotermico dell’organo, lì può restare fino a 24 ore senza alterarsi. Lo so, ho sbagliato… mi dispiace.» concluse l’uomo senza riuscire questa volta a trattenere le lacrime.

Ben annuì comprensivo «Dovrebbe dirci come è riuscito a mettersi in contatto con questa organizzazione.» mormorò titubante.

Hanser porse all’ispettore un biglietto da visita «È di un mio collega, ha le mani ovunque, chiedete a lui.».

«Grazie.».

Max uscì dalla stanza scusandosi mentre Ben finiva di parlare con l’interrogato.

«Complimenti.» gli disse Semir non appena lo vide «Bel bluff.».

«Grazie.» fece lui sfuggente, oltrepassandolo.

«Tutto bene?» chiese ancora Semir corrucciando appena la fronte.

«Come? Ah sì… sì, un po’ di emicrania.» rispose elusivo Max uscendo quindi quasi di corsa dall’ufficio.

Poco dopo anche Ben uscì dalla sala degli interrogatori raggiungendo l’ex collega nel corridoio.

«Max?».

«Non lo so, è uscito, penso che non si sentisse molto bene.» rispose Semir «È in gamba però.».

Il ragazzo in risposta mostrò una smorfia di disapprovazione.

«Non lo sopporti eh?».

«Non è che non lo sopporto, è che è troppo… razionale.» spiegò il poliziotto con un sospiro.

Semir alzò le spalle poco convinto «Va be’, io vado, devo prendere Beth all’asilo, passo prima a salutare la Kruger. Tienimi informato.».

«Semir, sai che non posso.».

«E dai Ben! Che cosa pensi che faccia, che ti rubi il caso? Ciao.» salutò il turco dirigendosi verso l’uscita senza dare tempo al più giovane di replicare.

 

 

E cominciamo un po’ ad entrare nel vivo. Grazie a tutti coloro che mi seguono e in particolare a maty, Reb, Furia e Chiara per le recensioni!

Un bacio

Sophie :D

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Capitolo 6
*** Delusioni e Speranze ***


Delusioni e Speranze

Beth uscì di corsa dalla porta dell’asilo correndo incontro a Mirtillo, che la aspettava ansioso seduto accanto al suo padrone.
«Ciao Lillo!» esclamò non appena gli fu vicino e il cane non aspettò un attimo a saltare intorno alla bambina abbaiando e scodinzolando per salutarla.
«E il papà non si saluta?» si intromise Semir prendendo per mano la piccola.
«Ciao papino.» fece lei con un enorme sorriso.
«Com’è andata all’asilo, cucciolo?» le domandò l’uomo dirigendosi con lei verso la macchina e assicurandosi di tanto in tanto che Mirtillo li stesse seguendo.
«Bene.» rispose Beth entusiasta «La maestra ci ha fatto disegnare le persone più importanti della nostra famiglia e mi ha detto che sono stata brava.».
«Brava la mia disegnatrice preferita!» fece Semir aprendole lo sportello perché salisse col cane sul sedile posteriore.
«Ho il disegno nello zainetto, a casa te lo faccio vedere.» continuò la bambina.
«Certo cucciolo, non vedo l’ora di vederlo.». Semir inserì la chiave nel cruscotto e partì, diretto verso casa.
 

 
Ben entrò chiudendosi piano la porta alle spalle e si diresse lentamente verso la cucina, dove trovò Clara intenta a lavorare al computer.
«Ciao mia principessa.» la sorprese raggiungendola alle spalle.
«Ben! Fece lei con un sorriso «Mi hai spaventata! Ma cosa ci fai qui a quest’ora?».
Il ragazzo lanciò una rapida occhiata all’orologio: le 12.33.
«Avevo un minuto di pausa e ho deciso di passare. Che cosa fai?».
Clara sorrise misteriosa, mettendo il computer in stand-by «Non posso dirtelo, è una sorpresa.». Si alzò dalla sedia e gli si avvicinò, accarezzandosi il pancione: «Cosa succede Ben? Sembri preoccupato.»
«No.» rispose il poliziotto evitando però di guardarla negli occhi «È che stiamo lavorando ad un caso un po’ strano, tutto qui.».
Lei annuì comprensiva e poi, semplicemente, lo baciò.

 

~~~

 

Rebecca guardò l’orologio: 13.33.
Eve ormai sarebbe dovuta essere di ritorno.
E, infatti, dopo qualche istante la ragazza bussò alla porta e Rebecca corse ad aprire: «Eve, stavo cominciando a preoccuparmi.».
«Tu sei troppo apprensiva, sorellona.». La giovane si tolse il cappotto e si diresse decisa verso la loro stanza «Igor?».
«È uscito, ha dei problemi con la consegna in Germania.».
«Bene.» fece Eve estraendo con fare furtivo qualcosa dalla tasca della minigonna che portava «Sono centocinquanta Reb, sempre meglio che niente. Se andiamo avanti così ancora un mesetto e siamo fuori.» disse posando i soldi nelle mani della sorella.
«Eve, sei sicura di voler continuare?» le domandò Rebecca sperando in un “no” che non sarebbe mai arrivato.
«Certo che voglio continuare. E non ricominciare con la questione del rischio. È rischioso, lo so e non me ne frega niente: voglio solo che io e te usciamo da questo schifo.» affermò Eve, decisa come sempre.
«E va bene. Vorrei aiutarti, ma sai che devo stare qui.».
«Tranquilla, lo so. E poi sai una cosa, sorellona? Tu come prostituta non saresti proprio credibile!» rise la ragazza più giovane.
Poi entrambe si ammutolirono, udendo rumore di chiavi. Igor stava sicuramente rientrando.

 

~~~

 
Non appena fu entrata in casa, Beth corse a salutare la mamma e, posato lo zainetto sul divano, ne estrasse il disegno di cui era tanto orgogliosa.
«Che brava, hai fatto un disegno?» la accolse Andrea sorridente.
«Sì.» confermò la bambina «Ora ve lo faccio vedere.» aggiunse portando al papà la sua opera d’arte. Semir lo osservò per qualche secondo e il sorriso che aveva sul viso si spense velocemente.
«Cosa c’è papà? Non ti piace?» domandò la piccola, dispiaciuta.
«No... no cucciolo, è bellissimo, brava.» disse restituendo il disegno alla figlia, che lo consegnò entusiasta ad Andrea.
«Mamma, intanto che lo guardi posso andare in camera a giocare finché non è pronto?».
«Vai, poi ti chiamo io Beth.».
La bambina sorrise felice correndo su per le scale, ancora con la giacca addosso.
Andrea aspettò che Beth si fosse allontanata: «Cosa c’è? Ti sorprende che non ti abbia disegnato?».
Semir si tolse il giubbotto «Considerando che la maestra aveva chiesto di disegnare le persone più importanti della famiglia... sì, mi sorprende.».
Andrea alzò le spalle posando il disegno accanto allo zainetto di Beth «Non ci sei mai.».
Semir, che stava per andare verso il bagno a lavarsi le mani, si fermò alle parole della moglie «Che cosa?».
«Non ci sei mai.» ripeté la donna senza battere ciglio.
«Ma se sono tre mesi che sono sempre qui! Sto sempre con le bambine, le porto a scuola, le vado a prendere...».
«Sì ma per loro non basta questo, Semir!» lo interruppe la moglie «Mi stupisco che tu non lo capisca. È di testa che non ci sei mai. Sei assente, forse non te ne rendi nemmeno conto...».
Semir scosse il capo. Se ne rendeva conto invece, e per questo si sentiva ancora più in colpa. Si sedette sul divano con lo sguardo fisso sul pavimento. Non aveva voglia di litigare con Andrea, non di nuovo.
«Hai ragione. Hai ragione Andrea, non so cosa mi stia succedendo.».
 

 

«Sì... ne è sicuro? Molto bene. No, mi metto direttamente in contatto con la polizia del luogo, grazie.» la Kruger posò la cornetta del telefono sospirando soddisfatta. Chiamò Rieder e Ben, che nel frattempo erano rientrati, nel suo ufficio e li fece sedere davanti a lei.
«Ho novità. Ho scoperto da quale città sembra che parta il traffico d’organi, o almeno penso. È nella Turchia asiatica, ora contatto la polizia del luogo. Avrei bisogno di due miei agenti sul posto, però.».
Max scattò in piedi senza nemmeno lasciarla finire di parlare «Per me va bene, commissario.» esclamò.
La Kruger sorrise, sollevata «E lei Jager? Ovviamente non posso obbligarla, viste le condizioni di sua moglie, poi.».
Ben non ci pensò un attimo. Avrebbe potuto chiederle di pensarci almeno fino al giorno seguente ma non lo fece, diede subito una risposta.
E questa risposta gli uscì spontanea, senza nemmeno lasciargli il tempo di valutare seriamente la richiesta.
«No.» disse «Mi dispiace capo, ma se è possibile preferirei rimanere accanto a Clara in questo periodo.».
La Kruger annuì, sforzandosi di nascondere il suo stupore davanti a quella risposta, che chissà perché non si sarebbe mai aspettata dall’ispettore Jager «Capisco.».
«Rieder» fece poi rivolta a Max «Il suo aereo parte domani alle 18.00, le comunicherò in giornata il nome del collega che verrà con lei.».
«Perfetto commissario.» concluse il poliziotto con un sorriso mentre il collega, a testa bassa, usciva dall’ufficio.

 

«Che cosa?» quasi urlò Semir al telefono, fermandosi in mezzo al marciapiede.
«Semir, non mi sembra tanto grave la cosa. Mia moglie è incinta e quella è un’operazione pericolosa, ma porca miseria, tu cosa avresti fatto al mio posto?» rispose Ben sullo stesso tono.

«Non so cosa avrei fatto al tuo posto, semplicemente mi hai stupito, conoscendoti non pensavo che...».
«Ecco, pensavi male allora.» sbottò Ben sedendosi rumorosamente su una sedia in cucina.
Clara stava ferma ad osservarlo appoggiata allo stipite della porta con la fronte corrucciata, tentando di capire perché i due interlocutori stessero gridando tanto. Infondo Ben aveva semplicemente scelto di non prendere parte ad un’operazione di polizia, la cosa non le sembrava poi tanto assurda.
Semir rimase senza parole dall’altro lato del telefono. Perché ultimamente aveva la straordinaria capacità di litigare con chiunque provasse a parlare?

«Ben, ascoltami, questo è un caso importante, si tratta di traffico d’organi. Persone innocenti in questo momento probabilmente stanno per essere uccise e non ne conoscono nemmeno il motivo, te ne rendi conto?».
«Ma mi spieghi perché ti sei tanto attaccato a questo caso, Semir? Non sei più in polizia, cosa cambia a te se io me ne occupo o no?» esclamò il ragazzo stringendo forte il telefono in mano.
Ancora una volta l’ex poliziotto rimase senza parole. Sospirò e chiuse un attimo gli occhi provando a rispondere senza creare ulteriori danni. Infondo il più giovane poteva avere ragione: perché si stava attaccando così tanto ad un caso qualsiasi? Non era più in polizia… non era più in polizia, doveva ricordarselo.

«Hai ragione, Ben.» ammise passandosi una mano sugli occhi «Hai ragione, non so cosa mi stia succedendo. Non faccio altro che litigare con tutti, con te, con Andrea, non riesco nemmeno a seguire le bambine, scusa.».
«So io cosa ti sta succedendo» riprese Ben con voce decisamente più calma «Hai bisogno di trovarti un lavoro, Semir, altrimenti darai di matto.».
L’uomo dall’altro capo del telefono non rispose. Aveva ricominciato a camminare per le strade di Colonia e solo in quel momento si accorse di trovarsi solo a pochi metri dal Commissariato dell’Autostradale.
Respirò profondamente.

«Ben, io non ce la faccio. Devo tornare in polizia…».
«Ma Semir, è stato il medico a dirti…».
«Non me ne frega assolutamente niente di cosa ha detto il medico! Non ce la faccio più, voglio tornare in polizia. Sto bene, il medico non ha capito proprio niente. Non ha capito che rischio di star male proprio perché non svolgo il mio lavoro!».
«E Andrea? Le bambine?» provò ancora Ben sotto lo sguardo preoccupato di Clara, che continuava a seguire la conversazione.
«Sono passati anni e anni e nonostante Andrea e le bambine sono rimasto all’autostradale. Cosa è cambiato? Il rischio che corro è sempre lo stesso, o sbaglio?».
Il più giovane sospirò «Sì, è vero. Andrea però non è d’accordo, vero?».
«Non lo so. Ne possiamo parlare, ma tanto mi conosce benissimo, sa perfettamente come mi sento. La sua è solo paura...» puntualizzò Semir, avvicinandosi un passo alla volta al comando.
«E ti pare poco? È rischioso Semir, lo sai. Ed è normale che lei abbia paura.».
Il turco annuì come se Ben potesse vedere la sua reazione dall’altro capo del telefono.

«Va bene. Vado Ben, scusa se sono saltato su prima, non volevo. Ci sentiamo.».
«Tranquillo, ciao.».

Ben chiuse la comunicazione, posò il cellulare sul tavolo e rispose con un mezzo sorriso all’espressione interrogativa di Clara. Lei si avvicinò e gli si sedette sulle ginocchia, senza smettere di guardarlo negli occhi.
«Ben, io penso che tu ed io dovremmo parlare un po’… perché non mi racconti bene a che caso stai lavorando?» domandò sorridendo.
E Ben le spiegò tutto.
«E quindi io ho detto alla Krüger che preferisco non prendere parte all’operazione.» concluse il ragazzo con un velo di indecisione nella voce.
«Vai, Ben. Se preferisci andare, vai. Io sto bene e non ti devi preoccupare assolutamente. E poi ci sono i miei, tuo padre, Andrea e Semir... non sono sola, puoi andare.» fece lei dolcemente.
«Ma è rischioso, non è un’operazione qualsiasi. E sono sicuro che Bianca vorrebbe che suo papà non andasse.» ribatté l’ispettore.
Clara sorrise scuotendo appena il capo «Bianca dovrà abituarsi ad un papà sempre in movimento. Vai, dammi retta, altrimenti stai qui di cattivo umore perché saresti voluto andare.».
Ben sospirò. Non voleva lasciare Clara da sola, era al settimo mese di gravidanza, aveva bisogno di lui! Eppure sentiva che sarebbe dovuto partire, non sapeva come mai... lo sentiva.
«Sei proprio sicura?».
La donna annuì, anche se sperando segretamente che il marito decidesse di restare. Ma non accadde, come previsto. Il poliziotto prese il cellulare e compose il numero della Krüger.

 

 «Non se ne parla assolutamente.» esclamò il commissario.
Semir, seduto davanti a lei, sospirò «Le dico che potrei essere utile alle indagini.».
«Gerkhan, si vuole mettere in testa che lei non è più un poliziotto? E poi questa non è un’operazione da niente, c’è dietro un traffico d’organi, potremmo avere a che fare con criminali organizzati e senza scrupoli.» gridò esasperata la donna.
«Appunto per questo un aiuto in più non sarebbe male. Conosco anche il posto, in quella città vive un mio amico, che poi è quello di cui le ho dato il numero. E poi conosco la lingua e...».
«Il nostro problema principale non è certo la lingua, Gerkhan, parleranno ben inglese, se non tedesco, i poliziotti del luogo.» ribatté la Krüger tentando di far desistere l’uomo che però, ormai lo sapeva per esperienza, era incredibilmente testardo.
«Ma cap... commissario, non stiamo parlando di Instanbul, stiamo parlando di El Fahim*, è una città nemmeno segnata sulla carta geografica!» spiegò Semir, con tono più convincente possibile.
«Gerkhan, lei non è più in polizia, discorso chiuso.» replicò la donna, ferma.
Semir si alzò dalla sedia scattosamente e si diresse verso l’uscita.
«Aspetti.» lo fermò Kim alzandosi a sua volta «Io capisco perfettamente come si sente.».
«Io non credo proprio.» la contraddisse l’uomo tornando a guardarla.
«Non può prendere parte alle indagini Gerkhan, su questo sarò irremovibile. Certo, se poi lei per conto suo salisse sull’aereo delle 18.00 di domani per scopi personali... be’, in tal caso io non potrei interferire...».
Semir vinse a stento l’impulso di abbracciarla e un sorriso a trentadue denti gli si dipinse in viso «Grazie, commissario, grazie!» esclamò felice uscendo dall’ufficio, pronto a preparare i bagagli.
Kim, rimasta sola, scosse il capo e sorrise.


Non che sia pianamente soddisfatta di questo capitolo (di passaggio), ma pazienza, ditemi voi cosa ne pensate. A questo punto la partenza è vicina...
Grazie a chi continua a seguirmi e a chi recensisce!
Un bacio
Sophie :D

*El Fahim: il nome, così come la città stessa, è inventato. Ho preferito così piuttosto che scrivere di una città realmente esistente su cui però non sarei stata abbastanza informata.

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Capitolo 7
*** Preparativi ***


Preparativi

 

Mirtillo piegò la testa su un lato osservando il padrone che velocemente preparava la roba per il viaggio. Fosse stato per lui lo avrebbe seguito ovunque in qualunque modo ma percepiva che questa volta non sarebbe stato possibile.
Semir ogni tanto gli lanciava un’occhiata divertita, mentre provava a non dimenticarsi niente. Se pensava a quando aveva comunicato a Ben che sarebbe partito non poteva fare altro che sorridere. L’amico aveva provato a convincerlo del fatto che non sarebbe stata una buona idea ma in fondo sapevano entrambi benissimo quanto gli facesse piacere poter lavorare ancora fianco a fianco con il suo socio.
«Papino...» la voce sottile di Aida lo sorprese alle spalle mentre chiudeva la borsa.
«Cucciolo!» la apostrofò Semir con un sorriso.
«Te ne vai?» domandò la piccola con un velo di malinconia nella voce.
Semir le si avvicinò e si abbassò per guardarla negli occhi «Vado a fare una cosa di lavoro per qualche giorno e poi torno, cucciolo, non preoccuparti.».
«Ma è pericoloso quello che devi fare? Perché la mamma non sembrava contenta quando glielo hai detto e ora a me sembra preoccupata.».
L’uomo sorrise. Era impressionante come le sue bambine fossero cresciute, soprattutto Aida. Ormai non le sfuggiva più nulla da qualunque punto di vista.
«No, non è pericoloso, stai tranquilla.» spiegò prendendola in braccio e sedendosi con lei ai piedi del letto.
«Ma è vero che torni a lavorare con zio Ben?» domandò la bambina senza riuscire a nascondere un lieve moto di entusiasmo.
«No Aida, lo aiuto solo per qualche giorno… ma io e zio Ben siamo comunque amici e tu lo vedrai tutte le volte che vuoi.».
«Però non l’ho visto tanto da quando non lavori più con lui.».
Questo era vero: si erano visti spesso comunque, ma sicuramente non tanto come quando lavoravano insieme. Semir sorrise constatando per l’ennesima volta il legame che univa la figlia e l’amico. Erano impressionanti, si cercavano reciprocamente e si volevano un bene dell’anima. Anche Beth era legata a Ben, ma si era avvicinata più a Clara che al ragazzo, a differenza della sorella.
«Forse perché ha avuto tanto da fare» lo giustificò l’uomo «ma lo vedremo spesso, promesso.».
La bambina annuì scendendo dal letto e avviandosi lentamente verso l’uscita della stanza. Prima di varcare la soglia si voltò e guardò il padre fisso negli occhi: «Papi... ho un brutto presentimento. Sicuro che non è pericoloso quello che devi fare?».
Semir aprì la bocca e per un attimo non seppe cosa rispondere. Aida che aveva un brutto presentimento, la cosa non gli piacque nemmeno un po’, considerando il fatto che la piccola avesse lo stesso ottimo intuito del padre. Il suo sesto senso a quanto pare le era stato trasmesso geneticamente.
«Sicuro, cucciolo, non preoccuparti... vuoi aiutarmi a preparare la borsa?» aggiunse con un sorriso.

 
 

Max inserì il computer portatile nello zaino e si assicurò che fosse ben chiuso. Quindi si sedette sul divano e rimase un po’ lì, solo, a pensare cosa lo avrebbe aspettato.
Non aveva avuto dubbi quando il commissario gli aveva proposto di seguire il caso: doveva per forza, doveva porre fine a quell’assurda storia del traffico d’organi. Perché sapeva perfettamente come funzionasse e la cosa non faceva altro che tormentarlo.
Non sapeva se ci sarebbe riuscito, ma sicuramente avrebbe tentato. Lo doveva a lui.

 
 

«Sono in ritardo! Decisamente in ritardo!» esclamò Ben uscendo dalla doccia e vestendosi alla velocità della luce.
«Strano.» ironizzò Clara versandogli un po’ di caffè in una tazzina.
«Se perdo l’aereo la Kruger mi disintegra e Max mi fa a pezzetti. Preciso com’è...».
«Non perdi l’aereo, dovresti solo accelerarti un po’. Dai, bevi il caffè e muoviti.».
Ben prese la tazza, ingurgitò la bevanda bollente e si infilò la giacca, non prima di essersi allacciato la scarpa sinistra dimenticandosi completamente della destra. Prese la borsa, le chiavi della macchina e si diresse verso l’ingresso, seguito a ruota da Clara.
«Sto dimenticando qualcosa?» domandò agitato.
Clara sospirò con aria rassegnata e gli porse il biglietto aereo, da lui abbandonato sul tavolo della cucina «Ma come faresti senza di me?».
«Sarei perso, amore mio.» rispose il poliziotto afferrando il biglietto e infilandolo in tasca «Ora vado... Se tu e Bianca avete bisogno di qualcosa, qualunque cosa... io affitto un elicottero e volo qui.».
La donna rise scuotendo il capo «Sei incredibile. Ben... fai attenzione, per favore.».
«Sarò attentissimo. Ti amo.».
«Anche io ti amo.».
Si scambiarono un bacio prima che Ben retrocedesse fino a trovarsi davanti allo sportello della propria macchina. Salì sulla vettura senza staccare gli occhi nemmeno per un attimo dalla figura di sua moglie: quanto era bella? Quel pomeriggio gli sembrava ancora più meravigliosa del solito.
La salutò dal finestrino prima di partire, senza accorgersi della preoccupazione che aleggiava sul viso di lei.

 
 

«Questo ce l’ho... le chiavi le ho prese, il biglietto anche...» Semir ricapitolava velocemente tutto ciò che poteva essersi dimenticato «Direi che ci siamo.».
«Guarda che devi sbrigarti, l’appuntamento è tra un quarto d’ora.» lo avvisò Andrea accompagnandolo verso la porta.
«Lo so, saluto le bambine e vado.» corse nella camera delle piccole, le salutò affettuosamente promettendo loro di tornare presto e tornò nell’ingresso, pronto a partire.
Stava per salutare anche la moglie, quando si accorse che i suoi occhi erano diventati lucidi.
«Andrea, che succede?» domandò, e la donna gli scoppiò a piangere tra le braccia.
«Ehi...» tentò di consolarla «non piangere, è questione solo di qualche giorno, incastriamo quei criminali e torniamo.».
«Non... non è questo...» singhiozzò Andrea asciugandosi gli occhi «Semir, c’è un motivo per cui non volevo che tu andassi, lo sai. Io... io ho paura! Ho paura che ti succeda qualcosa...».
«Ma non accadrà niente, perché mai dovrebbe succedermi qualcosa?» la rassicurò l’uomo con voce calma.
«Perché... perché ho un presentimento terribile.» confessò la moglie in un sussurro.
Semir sospirò, cominciando a preoccuparsi. Aida, Andrea... perché tutti con questo maledetto brutto presentimento? Scosse la testa tentando di scacciare quel pensiero e prese ancora la donna tra le braccia «Non accadrà niente, te lo prometto... non piangere.».
Andrea si asciugò definitivamente le lacrime.
Aspettò che il marito non fosse più visibile con la macchina per chiudere la porta di casa. Qualcosa sarebbe andato storto, ne era matematicamente certa.

 

~~~

 

«Quindi gli sbirri stanno venendo qui.» ripetè Igor al telefono, con voce che non lasciava intendere nulla di buono.
«Esatto, capo, l’aereo partirà tra poco, sono tre dell’autostradale e avranno l'appoggio della polizia del luogo...».
«Va bene. Forse Hanser non ha detto ancora tutto alla polizia, è troppo codardo, quell’uomo. Scoprilo, e se può crearci ancora problemi eliminalo. Tienimi informato sul proseguimento delle indagini a Colonia.».
«Certo, capo. Ci sentiamo.».
Igor chiuse la comunicazione senza salutare e scorse al computer le informazioni che il suo uomo gli aveva inviato riguardo i poliziotti che stavano arrivando: Ben Jager, un giovane figlio di papà nato e cresciuto in Germania; Semir Gerkhan, un turco residente a Colonia con moglie e due figlie, attualmente non in servizio; Max Rieder, da poco inserito nell’autostradale, prima lavorava alla criminale di Berlino. Max Rieder... scorse la pagina con il cursore fino a che sullo schermo non gli apparve la foto del nuovo arrivato. Sgranò gli occhi incredulo: lui.
Afferrò il cellulare e compose un numero in fretta, quindi aprì la comunicazione e portò impaziente il telefono all’orecchio.


~~~

 
“Ultima chiamata volo Asian International Airlines AA372 diretto a Istanbul, gate 9...”.
«Bene, direi che potete andare.» sentenziò la Kruger lanciando un’ultima occhiata ai tre uomini. Chissà perché era sicura che Max e Semir avrebbero legato facilmente e in cuor suo sperava che questo avrebbe aggiustato anche il rapporto tra il nuovo arrivato e Ben.
«Troverete alcuni agenti del posto ad aspettarvi all’aeroporto, da lì vi porteranno nella cittadina di El Fahim e vi sistemerete nell’hotel che abbiamo prenotato. Avrete sempre l’appoggio della squadra del luogo, lasciatevi aiutare, per favore.».
«Capo, stia tranquilla... a suon di raccomandazioni ci farà perdere l’aereo!» scherzò Ben, mentre il commissario gli lanciava un’occhiata di fuoco.
«Bene signori, buon viaggio allora.».
«La terremo informata, commissario!» ribadì Max avviandosi verso il gate.
«Grazie commissario... per tutto.» mormorò invece Semir. Tutti e tre salutarono e si allontanarono piuttosto velocemente. Non si voltarono più...
Almeno fino a che non sentirono una voce apostrofarli alle spalle.

 

Chi c’è all’aeroporto che li sta chiamando? Be’, pensateci un po’, chi ha letto le mie storie precedenti dovrebbe sapere che all’appello manca una sola persona...
Grazie mille a chi continua a seguirmi, un bacio.
Sophie :D

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Capitolo 8
*** Intervento ***


Intervento

«Jager, Gerkhan... felice di incontrarvi.» fece una voce sarcastica alle loro spalle.
Gli ispettori si voltarono, già alzando gli occhi al cielo dopo aver riconosciuto quel timbro di voce: Alex Bronte stava avanzando verso di loro a grandi falcate, con il suo solito sorrisetto beffardo stampato sulle labbra insieme a quell’aria di superiorità da cui proprio non riusciva a staccarsi.
«Bronte, anche per noi è un piacere.» ironizzò Ben quando il commissario dell’LKA fu abbastanza vicino da sentirlo facilmente.
«Immagino.» mormorò il nuovo arrivato tra sé e sé, poi continuò ad alta voce «Sono lieto di comunicarvi che risolveremo insieme questo caso, signori. Io e la Krüger ci siamo messi d’accordo, sì, non ve l’ha detto?».
Ben sospirò tentando di mantenere la calma, mentre Semir reprimeva a stento quell’istinto omicida che gli si presentava ogni volta che aveva davanti quell’uomo.
Serpente viscido, era così che ormai lo avevano soprannominato. Avevano svolto un bel po’ di indagini insieme a lui, nonostante egli avesse sempre cercato di escluderli.
Era antipatico, presuntuoso, stupido e menefreghista. Lo odiavano, in poche parole.
«Be’, il vostro commissario potrebbe anche tenervi un minimo più al corrente delle sue decisioni.» costatò con un falso sorriso mentre li superava dirigendosi verso la sala partenze dell’aeroporto, seguito a ruota da un agente in divisa.
Ben, Semir e Max rimasero a guardarsi tra loro interdetti e l’ultimo guardò Ben con aria interrogativa: «E questo chi sarebbe?».
«Alex Bronte» spiegò l’ispettore senza riuscire a mascherare una smorfia di disgusto «È il commissario dell’LKA, è insopportabile. E a quanto pare ci tocca sopportarlo anche in Turchia... poteva anche dircelo la Kruger che sarebbe venuto.».
Max alzò le spalle e tutti e tre si diressero verso l’imbarco, biglietti alla mano «Magari aveva paura che dicendolo non saremmo venuti volentieri.» commentò il biondo.
La porta scorrevole si chiuse alle loro spalle.
Non avrebbero più visto la Germania per un po’.

 

«Quindi prima lavoravi a Berlino!» esclamò Semir, interessato.
Lui e Max avevano cominciato a parlare appena saliti sull’aereo e non avevano più smesso, mentre Ben si limitava ad ascoltare passando il tempo a guardare il paesaggio che cambiava fuori dal finestrino.
«Già. Ma tu invece? Come mai hai mollato?» domandò il biondo.
«Oh, è una storia lunga, diciamo per motivi medici. È che più di tre anni fa mi era stata iniettata una sostanza che... bah, lascia perdere, è una storia lunga e noiosa.».
«A me sembrava interessante. Ehi, guardate, siamo quasi arrivati, l’aereo sta perdendo quota.» osservò Max «Ben, tutto a posto?».
«Come? Ah sì, sì.» fece l’interpellato riscuotendosi. Allacciò la cintura preparandosi all’atterraggio. Già si era pentito di essere partito, ma ormai era troppo tardi per pensarci: si limitò a sperare che l’operazione durasse pochi giorni.

 

~~~

 

«Quindi l’appuntamento sarebbe alle 4.30 di domani mattina nel casolare abbandonato in Fretrer Strasse, giusto?» riepilogò la Kruger girando irrequieta per la stanza.
«Esatto.» confermò Hanser «Commissario... come intendete agire?».
La donna sospirò fermandosi davanti al tavolo a cui sedeva l’interrogato «Andrà all’appuntamento. Noi la seguiremo e al momento opportuno interverremo arrestando quei criminali. Non deve preoccuparsi.».
«Ma... ma commissario, mio figlio? Domani mattina mio figlio dovrebbe essere operato...».
«Li fermeremo prima che avvenga l’operazione.» gli assicurò la poliziotta.
«Ma... ma non si potrebbe... aspettare che avvenga l’operazione e subito dopo intervenire? Commissario, mio figlio ha bisogno di quel trapianto, e ne ha bisogno subito! La prego...» la supplicò l’uomo agitandosi sulla sedia.
«Questo non è possibile, signor Hanser, mi dispiace. A parte l’illegalità dell’operazione, nel centro dove avverrebbe l’intervento non ci sarebbero certo le stesse misure di precauzione e attrezzature che si trovano in un ospedale, sarebbe troppo rischioso.» spiegò con fermezza la Kruger.
Hanser scosse il capo con le lacrime agli occhi «La prego... commissario, non servono le misure di precauzione dell’ospedale se mio figlio non resiste fino al giorno dell’intervento. Ha undici anni commissario... la prego!».
«Signor Hanser, io...».
«Cosa farebbe lei al mio posto? Cosa farebbe se avesse un figlio in quelle condizioni? Non mi importa di rischiare o di finire in galera, commissario... voglio solo che mio figlio viva.».
La donna lo guardò negli occhi e non seppe cosa rispondere. Capiva il dolore di quell’uomo, e non sapeva come comportarsi.

 

~~~

 

Quattro agenti in divisa aspettavano in piedi appena fuori dalla sala arrivi dell’aeroporto di Istanbul. Quando videro i cinque uomini avvicinarsi non ebbero dubbi: quelli dovevano essere i poliziotti tedeschi. Li chiamarono con un gesto della mano e accolsero i colleghi con educazione.
Il primo a parlare, naturalmente, fu Bronte, che, un passo avanti a tutti, aveva già cominciato a salutare e a presentare gli altri in un inglese quasi perfetto. Solo a metà del suo bel discorso si rese conto del fatto che i turchi stessero capendo poco o niente delle sue parole.
Gli agenti del luogo parlottarono un poco tra di loro e il loro superiore spiegò in un inglese stentato al commissario dell’LKA di avere qualche problema con la lingua, giustificandosi con fatto che non svolgessero spesso indagini internazionali; d’altra parte non si trattava del corpo di polizia di Istanbul ma di quello di una cittadina piccola e sconosciuta.
Sia Ben che Max sospirarono lanciando agli agenti sconosciuti uno sguardo di disapprovazione.
Semir invece  sorrise tra sé e sé seguendo la buffa conversazione e solo dopo un po’ si decise ad intervenire parlando con i turchi, per loro fortuna, nella loro lunga.
Dopo qualche spiegazione e traduzione, il gruppo di poliziotti si avviò velocemente verso l’esterno dell’aeroporto, dove due macchine con i lampeggianti accesi stavano aspettando.

 

~~~

 

«Intervenite solo al mio segnale.» esclamò la Kruger controllando che gli uomini delle forze speciali fossero in posizione.
Si trovavano appena fuori dall’edificio dove sarebbe avvenuta l’operazione del bambino e il commissario non riusciva a darci pace: avrebbe dovuto impedire che avvenisse l’intervento ma questo sarebbe stato equivalente a condannare a morte il figlio del signor Hanser.
Undici anni...
La donna sospirò tenendo d’occhio la situazione all’interno del capannone da una fessura vicino alla finestra dell’edificio. L’interno era perfettamente attrezzato, somigliava incredibilmente ad una grande stanza ospedaliera. Il piccolo era steso sul lettino bianco, attorniato da vari macchinari, due uomini in camice bianco gli giravano intorno mentre Hanser sedeva in disparte con uno dei criminali vestiti di nero.
Alla Kruger mancò il respiro quando vide l’ago dell’anestesia infilarsi delicatamente nella pelle del bambino... ma non diede l’ordine di intervenire. Quel bambino aveva bisogno di un trapianto, se non l’avesse avuto a causa sua non se lo sarebbe mai perdonato.
Lasciò che avvenisse l'intervento.
Non seppe mai quanto tempo trascorsero dietro alle mura di quel capannone, attenti a non essere scoperti dai criminali all’interno. Sicuramente ore e ore, perché quando intervennero il sole era già alto nel cielo.
Quando si accorse che l’operazione medica era terminata si risvegliò da una specie di trance nella quale ormai era caduta da un po' e osservò i medici che, sollevati, si spogliavano del camice.
Vide Hanser alzarsi dalla sedia e raggiungere il proprio figlio, steso sul letto.
Vide il criminale fare un cenno verso i due medici, intimando loro di muoversi.
Fu allora che si decise a parlare nella radiolina, in modo che gli uomini della squadra speciale la sentissero: «Interveniamo.» affermò con voce chiara.
E un grido squarciò il silenzio.

I poliziotti irruppero all’interno del capannone con una violenza inaudita.
«Fermi tutti, polizia, tenete le mani bene in vista.».
Con enorme sorpresa della Kruger i criminali sembravano quasi aspettare quel momento: come avevano fatto a sapere che la polizia era sulle loro tracce?
Ci fu uno scontro a fuoco, alcuni poliziotti caddero a terra feriti e Hanser rischiò più volte di essere colpito.
La Kruger schivò i colpi avvicinandosi al letto del bambino ancora sotto anestesia per proteggerlo.
Non si era nemmeno accorta del criminale che, alle sue spalle, le puntava contro la pistola.
Era troppo preoccupata per quel bambino.
Non udì uno dei suoi colleghi gridarle di voltarsi e stare attenta.
Sentì solo il colpo.
Un colpo d’arma da fuoco e poi più nulla.

 

Ops...
Ecco chi era la persona che mancava all’appello, Alex Bronte, il commissario dell’LKA da me creato per le mie storie (qualcuno di voi lo conoscerà, era già comparso in quelle precedenti).
Come faranno i nostri eroi in quella terra sconosciuta? E come se la caveranno nel frattempo gli altri in Germania? Come facevano i criminali a sapere dell’arrivo dei poliziotti?
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio e buona Pasqua!
Sophie :D

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Capitolo 9
*** L'informatore ***


L'Informatore

La porta della camera si chiuse con un rumore sordo e i tre poliziotti posarono le borse guardandosi intorno. Erano appena arrivati nell’hotel, avevano salutato i colleghi turchi che li avevano accompagnati fin lì e avevano scoperto di dover soggiornare nello stesso albergo di Bronte e del suo sottoposto, un certo Sebastian Füdger.
La stanza non era male, molto essenziale ma pulita ed accogliente. D’altra parte sarebbe servita solo come base nei giorni successivi.
«Sapete una cosa? Vi capisco perfettamente quando dite che Bronte è insopportabile.» fece Max scostando la tendina per dare un’occhiata fuori dalla finestra.
Ben fece spallucce «Spero che non ci intralci troppo. Semir, a che ora dobbiamo vedere il tuo amico?».
L’interpellato guardò l’orologio «Tra un quarto d’ora, viene sotto l’hotel. Spero sappia dirci qualcosa...».
Il “contatto” di Semir aveva accettato di incontrarli per riferire loro ciò che sapeva riguardo il traffico d’organi.
«In realtà non è che sia proprio affidabile al 100%.» aggiunse l’ex poliziotto, titubante.
«L’importante è che sappia qualcosa, dobbiamo risolvere questo caso.» affermò Max, deciso.

~~~

Bip... bip... bip...
Suoni ovattati... luci soffuse... suoni intermittenti... qualcuno parlava.
Kim Kruger sembrò per un attimo uscire dal torpore che la circondava e la sensazione fu tutt’altro che piacevole: subito la donna percepì un forte dolore alla parte destra del corpo.
Ma non ebbe il tempo di capire dove si trovasse o cosa fosse successo: ripiombò di nuovo nel buio.

~~~

«Capo, siamo riusciti a portare a termine l’intervento. Gli sbirri hanno preso Hans e Ian, ma non penso che parleranno.».
«Bene, per fortuna siete stati avvisati dell’arrivo degli sbirri.» commentò Igor al telefono «Vi hanno visto in faccia?».
«No, portavamo il passamontagna. Ho ferito il commissario dell’autostradale, forse l’ho ammazzata, non so.».
«Va bene Michael, ci riaggiorniamo.».
L’uomo chiuse la chiamata e compose un altro numero.

 

«Come in ospedale?» quasi gridò Ben nel cellulare.
Max e Semir si voltarono verso di lui, preoccupati.
«No... quindi due li avete presi! Ma il capo come sta?».
Ci fu un attimo di silenzio prima che arrivasse una risposta dall’altro capo del telefono. Il ragazzo sospirò guardando i colleghi «È grave? Ma cosa... Ho capito, sì.».
Semir si avvicinò lentamente all’amico, cominciando a capire.
«Come? Una talpa?» e Ben spostò meccanicamente lo sguardo su Max, che abbassò il capo.
«Va bene, fammi sapere allora, ciao.» il più giovane chiuse la conversazione e gettò il cellulare sul letto.
«Quei bastardi sapevano dell’intervento della polizia, c’è una talpa.» spiegò.
«Cosa è successo?» domandò Semir, intuendo che ci fosse dell’altro.
«Hanno ferito la Kruger, è molto grave.».
Il silenzio calò nella piccola stanza.

~~~

Otto e Dieter si sedettero rassegnati nel corridoio del reparto di chirurgia dell’ospedale. Si alzarono solamente quando un uomo in camice bianco andò loro incontro con un’espressione che non prometteva nulla di buono: «Per la signorina Kruger posso dire a voi?».
«Certo!» esclamò Otto, preoccupato.
Il dottore prese un breve respiro prima di cominciare: «Abbiamo dovuto operare per estrarre il proiettile e l’intervento, anche se con qualche complicazione, è riuscito. La paziente ha perso però molto sangue e la pallottola ha perforato il polmone destro, le sue condizioni non sono affatto buone. La teniamo per un po’ in osservazione, non è escluso che occorra un nuovo intervento.».
Dieter si decise quindi a porre quella domanda che entrambi non facevano che temere: «Ce la farà, dottore?».
Il medico scosse il capo: «Non posso assicurarglielo, la situazione è piuttosto complicata. Noi stiamo facendo il possibile, se passa la notte potrebbe essere fuori pericolo.».
I due ispettori annuirono preoccupati.
«E il bambino?» domandò ancora il più alto.
Il figlio del signor Hanser dopo l’operazione era stato portato nello stesso ospedale, per precauzione.
«Sta bene, l’intervento è riuscito, nonostante da quanto ho capito non sia avvenuto nelle condizioni migliori...» spiegò il medico facendo intendere di essere al corrente dell’intera situazione.
«Va bene, ci tenga informati dottore, noi rimaniamo qui.».
L’uomo in camice bianco annuì con comprensione e si allontanò a passo svelto.

~~~

Semir guardò per l’ennesima volta l’orologio: «Dovrebbe essere già qui da un pezzo, maledizione!».
Stavano aspettando ormai da un bel po’ Ahmet Sahin, l’amico turco dell’ex ispettore, che però ancora non si era fatto vivo.
«Arriverà, vedrai.» disse Max avvicinandosi a lui, mentre anche Ben guardava l’orologio: «Semir, sei sicuro che ti abbia detto a quest’ora? È in ritardo di venti minuti.».
«Ma sì che sono sicuro... ah, eccolo lì!».
Semir andò incontro al nuovo arrivato e i due si abbracciarono affettuosamente, scambiandosi qualche parola in turco, che ovviamente né Ben né Max compresero.
«Semir, quanto tempo! Dovresti venire più spesso qui, sai?».
«Sarà difficile con lavoro e famiglia a Colonia! Come stai Ahmet?».
«Bene, non c’è male, qui è sempre tutto uguale. Quelli sono i tuoi amici?».
«Già.» Semir fece le presentazioni velocemente, per poi giungere dritto al punto senza troppi rigiri di parole. Ahmet parlava tedesco abbastanza scorrevolmente, quindi non ci furono problemi.
«Allora, cosa sai di questo traffico d’organi?».
«Tutto e niente amico mio, come tutti in questo paese, d’altra parte. Sono personaggi potenti, tutti qui li temono e fingono di non sapere nulla.».
«Come avviene il traffico?» chiese Ben, vedendo che lo sconosciuto non si decideva a fornire informazioni precise.
«È complicato.» rispose l’uomo «Sequestrano bambini o giovani ragazzi in buona salute per prelevarne gli organi e ricevono ordinazioni da ogni Paese, dalla stessa Turchia, all’Italia, l’Austria e soprattutto la Germania. Sono ben organizzati e eseguono interventi sia in sede sia in altri punti di riferimento, tutti dotati di macchinari specifici alla pari di quelli ospedalieri. La sede principale, qui ad El Fahim, si trova qualche isolato più in là, è un palazzo enorme, ha un sacco di stanze.».
«E la polizia non ha mai effettuato controlli?» domandò Max, sospettoso.
«Qualcuno, sì, ma sono riusciti sempre a nascondere tutto abilmente. E come vi ho detto qui tutti sanno e nessuno sa. Se volete vi porto alla base, ho la macchina qui.» propose Ahmet indicando un’auto sportiva rossa fiammante, ultimo modello.
Semir alzò un sopracciglio e fulminò l’amico con lo sguardo: «Non voglio sapere come te la sei procurata quella macchina, Ahmet.».
L’uomo sorrise, furbo: «Ehm... diciamo... amici.».
L’ex poliziotto scosse il capo constatando come quell’uomo non fosse cambiato per niente, già in passato aveva avuto problemi con la polizia a causa di furti d’auto di cui non era mai stato definitivamente accusato ma che entrambi sapevano benissimo si fossero realmente verificati.
I quattro si diressero a passo spedito verso la macchina.
«Sono crudeli, quegli uomini, basta che uno solo di quelli che sanno parli, e potete starne certi che è un uomo morto.» spiegò Ahmet, leggermente preoccupato.
E fece appena in tempo a concludere la frase che il rumore nitido di uno sparo risuonò nell’aria.
Per un attimo regnò la confusione più totale.
Ben, Max e Semir si abbassarono ma il loro informatore non fu altrettanto rapido.
I poliziotti lo videro cadere affianco a loro in un lago di sangue, senza poter fare nulla per impedirlo.
Semir si precipitò verso di lui, sollevandogli la testa: «Ahmet! Ahmet, rispondi! Ma porca miseria, Ahmet!».
Due uomini intanto miravano verso di loro, pronti a colpire.
Ci fu una sparatoria veloce, uno dei criminali cadde a terra senza vita, mentre l’altro sparì dalla loro vista.
Ben e Max si avvicinarono all’amico che ancora tentava di tenere sveglio Sahin.
«Dai, Ahmet, resisti... resisti...» gridava «Ben, chiama un’ambulanza!».
Il ragazzo fece come gli era stato ordinato. Il ferito, intanto, boccheggiava tentando di dire qualcosa.
«Car... Carl...» tossì violentemente mentre i sensi lentamente lo abbandonavano.
«Cosa?» Semir si avvicinò a lui tentando di capire cosa l’amico stesse dicendo.
«Sch... Schwarz...».
«Carl Schwarz?».
Ahmet scosse leggermente il capo, strinse la mano intorno al colletto del giubbotto di Semir per tirarlo a sé e ripetere il nome, ma non ne ebbe il tempo.
Gli occhi gli si chiusero e l’uomo mollò la presa, per sempre, lasciando solo un'impronta insanguinata sulla giacca dell'ex ispettore.
«Ahmet! Ahmet, maledizione, svegliati! Ahmet!» gridò ancora Semir, ma fu tutto inutile.
Sentì le lacrime salirgli violentemente agli occhi mentre Ben, da dietro, lo allontanava con forza dal corpo inerte dell’amico.

 

Capitolo un po’ di passaggio forse, ma adesso riprende la storia. Anche perché non mi sono dimenticata della nostra misteriosa Rebecca. Chi sarà invece la talpa nella polizia?
Grazie a chi continua a seguirmi e a chi recensisce, un bacio.
Sophie :D

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Capitolo 10
*** Visite ***


Ed eccomi di nuovo qui, sono sparita per quasi due mesi, scusate, ma adesso sono tornata! Il problema è che ho avuto parecchi impegni e nonostante abbia scritto la fine della storia già da mesi e mesi, mi mancano ancora da elaborare alcuni capitoli centrali. Comunque, bando alle ciance, dove ci eravamo lasciati?

[Dal capitolo 9] «Ahmet! Ahmet, maledizione, svegliati! Ahmet!» gridò ancora Semir, ma fu tutto inutile. L’ex poliziotto sentì le lacrime salirgli violentemente agli occhi mentre Ben, da dietro, lo allontanava con forza dal corpo inerte dell’amico.

 Visite

Successe tutto troppo in fretta.
Il secondo criminale ricomparve da dietro una macchina puntando contro di loro la pistola.
Ben si abbassò cercando protezione e sparò, colpendo l’uomo che però aveva ormai a sua volta premuto il grilletto in un’altra direzione.
Semir non si accorse di nulla: udì un colpo e si sentì trascinare a terra con violenza.
Vide Max cadere a pochissimi centimetri da lui e solo allora realizzò che il nuovo collega di Ben lo aveva appena gettato a terra venendo colpito al suo posto.
«Max!» gridò spaventato. Tirò però un sospiro di sollievo quando vide il biondo rialzarsi tutto intero.
«È... è solo un graffio.» commentò Max stringendo con una smorfia il braccio ferito.
Entrambi rivolsero quindi lo sguardo su Ben, che stava andando verso di loro, e poi sui due criminali che li avevano attaccati, ormai stesi inermi tra la polvere.

~~~

Un uomo sulla quarantina percorse il corridoio del reparto terapia intensiva dell’ospedale di Colonia a passo spedito, catturando l’attenzione di Otto e Dieter, seduti lì di guardia ormai da un bel pezzo.
L’uomo fece per entrare, dopo aver letto il numero sulla porta, nella stanza del commissario, ma venne fermato dai due poliziotti.
«Scusi, lei, dove crede di andare?».
Lo sconosciuto si voltò corrucciando la fronte: «Chi, io? Ho chiesto al piano di sotto, mi hanno detto che Kim Kruger è ricoverata qui, in questa stanza, sbaglio? L’orario di visita è appena iniziato, quindi io pensavo...»
«Pensava male.» borbottò Otto facendo cenno al collega di cominciare a perquisire il nuovo arrivato.
«Ehi ma che... ma che fate? Io voglio solo... solo...».
«Già, ma la prudenza non è mai troppa, come si suol dire. Chi è lei per il commissario Kruger?» domandò Otto, sospettoso.
«Io sono il... ehm... cugino.» rispose l’uomo, scocciato.
«È pulito.» costatò nel frattempo Dieter, finita la perquisizione.
«Posso entrare ora?».
«Sì... ma non per molto e lasci la porta aperta.» gli concesse Otto.
L’uomo si voltò stizzito ed entrò nella stanza, mentre i due agenti si collocavano guardinghi sulla soglia.
Si avvicinò e si sedette accanto al letto della donna. Poi cominciò a sussurrare in modo che i poliziotti non potessero sentirlo, prendendole la mano.
«Ciao Kim. Mi hanno informato di quello che è successo, sai? Sei stata coraggiosa, come sempre. Ma ora riprenditi Kim, ti prego... riprenditi! Io ho... ho bisogno di te.».
Gli parve di percepire una leggera stretta alla mano sinistra ma non vi fece troppo caso, non voleva illudersi.
I suoi profondi occhi scuri divennero lucidi: «Ti prego Kim... fallo per me...».
L’uomo sentì su di se gli sguardi sempre più insistenti dei due agenti di guardia e si alzò dalla sedia. Accarezzò la fronte della donna con delicatezza e poi si allontanò, uscendo in fretta dalla stanza. Questo solo dopo aver sussurrato tre impercettibili parole: «Ti amo... Kim.».

Dieter e Otto aspettarono che l’uomo se ne fosse andato e controllarono accuratamente la stanza del commissario, senza trovarvi nulla di sospetto.
«Sapevi che la Kruger avesse un cugino?» domandò il primo, un po’ confuso.
«No, mai saputo, pensavo non avesse parenti stretti oltre al padre... ma si scoprono sempre cose nuove da un momento all’altro sui propri superiori.» rispose Otto uscendo dalla stanza stringendosi nelle spalle.

~~~

«Aspetti, un minuto e sarà a posto.» disse il paramedico finendo di fasciare la ferita di Max. Per fortuna era molto superficiale e non aveva riportato danni.
Il biondo annuì impaziente sostando vicino all’ambulanza ancora con i lampeggianti accesi.

Semir, appoggiato al cofano di un auto poco distante, seguiva con lo sguardo le operazioni che si stavano svolgendo sul piazzale. I tecnici sembravano uno più indaffarato dell’altro.
«Semir!» fece Ben avvicinandosi «I proiettili verranno esaminati appena possibile, magari ne ricaveremo qualcosa.».
Il turco si limitò ad annuire senza distogliere lo sguardo dal corpo immobile di Ahmet steso davanti a loro e il collega si appoggiò alla macchina accanto a lui.
«Mi dispiace per quello che è successo» mormorò, mentre il corpo dell’informatore veniva coperto con un freddo e ampio lenzuolo bianco.
Semir annuì nuovamente «Non ci vedevamo praticamente mai ma era comunque un amico. Pensa,» sorrise brevemente «l’ho conosciuto durante un’indagine, era stato accusato di furto d’auto, non era proprio un santerellino.».
«Li incastreremo, lo sai questo...» commentò Ben.
«Certo, tre cadaveri di cui un ipotetico informatore mi sembra proprio il modo migliore per cominciare le indagini.».
Il più giovane sospirò «Abbiamo i proiettili e sappiamo dove si trova la sede dell’organizzazione.».
«E abbiamo un capo a Colonia in fin di vita, un collega ferito, una talpa nella polizia e un commissario dell’LKA tra i piedi.».
Ben scosse il capo: il positivismo solito dell’amico sembrava totalmente scomparso.
«Per quanto riguarda la talpa io avrei un’idea...».
Semir alzò un sopracciglio «Sarebbe?».
Ben non rispose, semplicemente spostò lo sguardo su Max che, terminata la fasciatura, parlava al telefono a qualche metro di distanza.
«Max?» domandò il turco, perplesso «Ma no, non può essere lui, perché mai? A me sembra un buon poliziotto e poi...».
«E poi, Semir? Come fai a fidarti di lui? Non lo conosci, non lo conosciamo!» esclamò il ragazzo, convinto.
«Lo so, ma a me sembra...».
«Dammi retta, è lui.».
«Non puoi accusare qualcuno di una colpa così grave senza nemmeno avere un motivo per farlo!».
«Ma io sento che c’è qualcosa che non quadra, può essere solo lui.».
«Ben, non è che se ti sta antipatico debba per forza essere un criminale!» quasi gridò Semir, e ricevette una risposta altrettanto carica.
«E allora non è che se ti ha salvato la vita debba per forza essere perfetto!».
Tra i due calò il silenzio.
«Mi sembri un bambino, Ben.».
Il ragazzo fece per ribattere ma si fermò non appena vide Max avvicinarsi.
«Eccomi, io qui ho finito.» esclamò. Quindi fissò prima Ben, poi Semir, capendo all’istante che dovesse essere successo qualcosa.
«Tutto bene ragazzi?» domandò.
Gli altri due annuirono e Ben si voltò, dirigendosi a passo spedito verso la propria macchina «Andiamo a vedere la sede e non perdiamo altro tempo.».
Semir sospirò seguendo l’amico, non prima di aver ringraziato Max per prima in un sussurro.

 

«Capo? No, stanno venendo lì.».
«Perfetto... perfetto, non troveranno nulla per incastrarmi.».

 

«Bisogna seguire quei tre, stanno andando da qualche parte e non ho intenzione di farmi nuovamente fregare la risoluzione del caso da quegli incompetenti.» urlò Bronte chiudendo la finestra da cui li stava tenendo d’occhio.
Il suo sottostante annuì mettendosi la giacca e assicurandosi che la pistola fosse carica «Andiamo.».

 

Furono due isolati, cinque minuti di macchina.
Ma furono interminabili, nessuno dei tre fiatò per tutto il tempo.
Quando Ben scese dall’auto per primo sbattè la portiera e Semir trattenne a stento l’impulso di ritornare alla loro conversazione precedente.
Max, ignaro almeno ufficialmente della discussione di poco prima, alzò le spalle e suonò al portone del grande edificio davanti al quale si erano fermati. Era bello e antico, stonava tra le piccole case che costellavano lo spoglio paesino di El Fahim.
Suonò una seconda volta e una donna venne finalmente ad aprire.

 

Stava finendo di firmare a nome del capo alcune autorizzazioni quando sentì il campanello e corse ad aprire. Igor l’aveva avvisata che da un momento all’altro sarebbero arrivati gli sbirri, aveva un informatore affidabilissimo nella polizia. Informatore che lei, Rebecca, non aveva mai visto.
Si raccolse i capelli in una coda di cavallo velocemente e aprì il portone preparandosi mentalmente il discorso che avrebbe pronunciato. Non era certo la prima visita della polizia che ricevevano e molto spesso l’“accoglienza” spettava a lei.
Ma quando si trovò davanti tre uomini e posò lo sguardo sul primo di questi, le mancò il respiro.
Era identico a lui.

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Capitolo 11
*** La Talpa ***


La  Talpa

 

La ragazza era bellissima. I lunghi capelli corvini erano raccolti in un’ordinata coda di cavallo e gli occhi scuri riflettevano il cielo grigio sopra di loro.
Il suo sguardo si soffermò su Max, che percependolo abbassò gli occhi a terra.
«Buongiorno.» esordì lei «Come posso esservi utili?».
«Polizia autostradale, buongiorno.» si presentò Ben.
«Autostradale?».
«Esatto. Senta, dovremmo eseguire un controllo.».
Rebecca sorrise «Un controllo? E per cosa? Avete un mandato?».
Parlava perfettamente in tedesco.
«Chi abita in questo edificio?» continuò Ben ignorando le domande della ragazza.
«A quanto pare non l’avete, il mandato. E io non sono tenuta a rispondere, o sbaglio?».
Semir intervenne cominciando a spazientirsi «Come vuole. Ma sappia che ci è giunta voce di un certo traffico d’organi che avrebbe sede in questo palazzo e che presto avremo il mandato di perquisizione.».
Rebecca sorrise ancora «Traffico d’organi. Importante come accusa, spero che la polizia tedesca non si debba ritrovare a compiere un così grande errore, risentirebbe delle conseguenze.».
«Non ci conti.» rispose Ben «Ci rivedremo presto.».
I tre si allontanarono ma Max non perse l’occasione per lanciare una rapida occhiata alla donna sull’uscio.
E i loro sguardi si incontrarono ancora.

 

«Capo, hanno fatto un buco nell’acqua, come volevasi dimostrare.» annunciò il suo sottoposto al commissario dell’LKA.
«Molto bene. Dobbiamo ottenere il mandato prima di loro, manda subito la richiesta in Germania, Füdger.» rispose Bronte, agitato.
«Subito. Vado dalla polizia turca, vedo se la scientifica ha trovato qualcosa, magari li precedessimo anche in questo!» esclamò Sebastian.
«Già, magari.».

~~~

Commissario? Commissario, mi sente?
Non è ancora cosciente, vi chiamerò non appena ci saranno novità.
Commissario? Commissario...

Buio, buio, buio, solo e sempre buio. Ma come poteva Kim Kruger liberarsi da questo buio che la opprimeva? Perché non riusciva ad aprire gli occhi?
Si è mossa, dottore!
Sono riflessi incondizionati... riflessi incondizionati...
Un’eco lontana... eppure lei sentiva!
Ancora uno sforzo...
… ma ricadde di nuovo nel buio.
Commissario... ?


 
~~~

Rebecca chiuse la portiera della macchina e si avviò a passo spedito verso il furgoncino parcheggiato lì accanto. Ne scese un uomo che la salutò con un cenno della mano per poi raggiungere il retro del mezzo e aprire le porte del grande bagagliaio.
La donna gli si collocò accanto e non si stupì affatto del carico che avrebbe impressionato mille altre persone, ormai vi era abituata, arrivava periodicamente.
Aiutò l’uomo a scaricare, facendo scendere i bambini legati dal furgone e prendendo in braccio per fare prima quelli più piccoli. Insieme li portarono nell’edificio al piano di sopra, dove questi dopo poco si sarebbero svegliati, passato l’effetto del sonnifero utilizzato per la loro cattura.
«Sono sette, tra i cinque e i tredici anni, tutti in perfetta salute.» spiegò l’uomo «Qui ci sono i fogli con tutte le informazioni, aspetto il pagamento da parte di Igor.».
«Va bene.» la ragazza annuì sistemando con delicatezza l’ultimo bambino.
«Va bene?» continuò il criminale «Solo “va bene”? Non mi ricompensi mai in altro modo, vero bellezza?».
«Non fai certo un favore a me portandomi i bambini, Eric, spetta a Igor ricompensarti.».
«Eppure io una ricompensa da te la vorrei...» fece l’uomo con voce invadente, avvicinandosi a Rebecca e cingendole il fianco con un braccio.
«Sta lontano da me.» gli intimò lei.
L’uomo le fece il verso, prendendola in giro davanti all’ennesimo suo rifiuto, ma la ragazza si era già chiusa la porta alle spalle.



La serata passò in modo strano per i tre uomini. La tensione era tangibile e nessuno osava parlare se non per necessità.
Quando Max uscì con la scusa di fare una telefonata, la discussione riprese animata tra i due superstiti.
«Ecco, vedi? Sarà andato a chiamare l’uomo per cui lavora, ci metterei la mano sul fuoco.» ribadì Ben girando nervoso per la stanza.
Semir lo fulminò con lo sguardo «Attento a non bruciarti.».

«Semir, ragiona, quell’uomo non mi piace nemmeno un po’, un motivo ci sarà!».
«E cosa sei diventato, un mago? Ma come fai ad accusare una persona di una colpa così grave senza nemmeno conoscerla?».
«Io non capisco proprio come questo Max possa piacerti tanto.» affermò Ben, finalmente fermandosi e guardando l’amico negli occhi.
«È professionale, educato, ordinato e...».
«Già, certo, esattamente il mio opposto!» lo interruppe il più giovane in quello che risultò poco più di un sussurro.
«Dai Ben, non ho detto questo, ma si può sapere che diavolo ti prende?» domandò Semir prima di essere interrotto nuovamente, questa volta dallo squillo del suo cellulare.
Era Andrea.
«Pronto? Ciao Andrea... si, tutto bene. No, stai tranquilla, sta bene anche Ben. Le bambine? Ah va bene, allora le saluto domani mattina. Sì, tranquilla, ciao.».
La telefonata fu breve e Ben se ne sorprese. Da un po’ di tempo si era accorto che tra l’amico e la moglie qualcosa non andava, che il loro rapporto stava lentamente cambiando. Tuttavia non gli domandò nulla, non era assolutamente dell’umore giusto quella sera.
Ancora una volta la questione sulla talpa venne bruscamente troncata a metà.

 

Era buio pesto quando Rebecca uscì nuovamente su richiesta di Igor, per assicurarsi che gli sbirri non stessero controllando l’edificio.
Si voltò dopo un rapido giro del palazzo per rientrare, quando venne sorpresa da qualcuno alle spalle.

«Shh!» le intimò Max, tappandole prontamente la bocca per impedirle di urlare.
«Lei? Vada via, le ho già detto che senza un mandato io non...».
«Non sono qui per questo, ma per proporti un affare.».
Rebecca lo guardò con odio «Non faccio affari con gli sbirri.».
Max scosse il capo «Non sono uno di loro. Sono una talpa nella polizia tedesca, non sono uno di loro.».


Ed ecco che stiamo risolvendo il mistero della talpa...
Grazie a chi continua a seguirmi, al prossimo ;)
Sophie :D

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Capitolo 12
*** Verità ***


Verità

«Una talpa nella polizia? Ma che diamine...» Rebecca smise di lottare per liberarsi dalla stretta dell’uomo e lo guardò con sospetto.
«Credimi, non sono un poliziotto. E ho bisogno di parlare con il tuo capo.».
«Chi, Igor? Ma sei matto, se vede uno sbirro in casa sua quello ci ammazza, tutti e due!».
Max sospirò esasperato «Non sono uno sbirro, dannazione! Sono un ladro, va bene? Ho commesso dei furti in Germania ma poi un uomo potente mi ha proposto un affare: avrei dovuto infiltrarmi nella polizia autostradale per aiutarlo a portare a termine un assalto sull’A4, a Colonia. Poi l’assalto è riuscito e io non sono più riuscito a staccarmi dall’autostradale. Ma questa è una storia lunga... Sono diventato l’informatore di Igor e lui non lo sa nemmeno, non mi ha mai visto né sentito direttamente, ho sempre parlato con Marcus, un suo scagnozzo in Germania. Non potrà non credermi, chi pensa che lo abbia avvisato dell’irruzione della polizia nel capannone a Colonia altrimenti? Chi gli avrebbe detto quanti e quali agenti sarebbero arrivati dalla Germania alla Turchia? O ancora che Jager e Gerkhan sarebbero stati informati dell’organizzazione da quel turco amico di Gerkhan?».
La ragazza lo guardò negli occhi, cominciando a convincersi. E non potè fare altro che ritrovarsi di nuovo immersa negli occhi di lui. Di quell’altra persona. Erano identici.
«Non vedo perché dovrei fidarmi di te.».
«Non ho bisogno della tua fiducia. Portami semplicemente dal tuo capo.» rispose freddo il falso poliziotto.

~~~

Il signor Hanser aspettava.
Durante gli ultimi giorni aspettare era stata una delle sue più frequenti attività. Aveva aspettato di essere interrogato, come aveva aspettato che i poliziotti dell’autostradale gli credessero; e poi aveva aspettato che il commissario gli promettesse di far avvenire l’operazione di suo figlio in modo non legale, aveva aspettato il momento dell’intervento, aveva aspettato di conoscere l’esito positivo dell’operazione.
E stava tutt’ora aspettando, chiuso nella stanza degli interrogatori del comando dell’autostradale. Cosa? Neppure lui lo sapeva.
Era passata la segretaria bionda a chiedergli se avesse bisogno di qualcosa dicendogli che a momenti sarebbe passato un agente dell’LKA a fargli ancora qualche domanda e lui aveva annuito senza farvi troppo caso.
Suo figlio stava bene e questo era tutto ciò che gli importava. Suo figlio stava bene...

Susanne fece entrare l’agente dell’LKA nella stanza degli interrogatori senza troppi convenevoli e tornò alla propria postazione al computer, lasciando il poliziotto e il signor Hanser soli.
Non tornò dall’uomo nella stanza quando vide uscire pochi minuti dopo dal commissariato l’agente dell’LKA, non ritenne necessario andare a controllare.
Lo fece solo dopo mezzoretta, per andare a chiedere al loro ospite se avesse bisogno di qualcosa.
Ma quando entrò nella piccola stanza non potè trattenersi dal gridare.
Non c’era più il signor Hanser: era rimasto solo il suo cadavere.

Il signor Hanser aveva aspettato, fino alla fine.
Questa volta aveva aspettato la sua fine.
La sua fine ad opera di un uomo che non aveva mai visto prima, uno scagnozzo del capo dell’organizzazione del traffico d’organi a cui lui stesso si era affidato.
Aveva ottenuto la vita di suo figlio al prezzo della sua stessa vita.

~~~

Max uscì dalla stanza nella quale aveva avuto il colloquio con Igor piuttosto soddisfatto. Aveva convito il criminale della sua non appartenenza alla polizia, senza nemmeno troppa difficoltà.
L’uomo ovviamente aveva detto che avrebbe controllato ma gli aveva chiesto di continuare a svolgere il doppio gioco per lui.
Nell’ampio corridoio appena fuori dalla sala, Rebecca lo aspettava appoggiata allo stipite della porta, come se fosse in attesa di spiegazioni.
«Come vedi ho parlato con il tuo capo e sono ancora vivo e vegeto.» esordì lui con voce arrogante.
«Un colpo di fortuna.» ribattè lei sullo stesso tono.
«Be’, adesso che faccio ufficialmente parte dell’organizzazione potresti anche raccontarmi un po’ la tua storia, non trovi? Io ti ho raccontato in breve la mia, prima, mi devi il favore.» continuò Max, curioso.
«E io non te l’ho mai chiesta, mio caro “falso ispettore”.».
«Non sei ancora convinta che io non sia uno dell’autostradale?».
«Ho imparato a non fidarmi troppo facilmente delle persone e a seguire il mio istinto, che in questo momento mi dice di girare alla larga da te.» rispose Rebecca allontanandosi di qualche passo con fare deciso.
«Bel caratterino, vedo.» commentò l’uomo.
«Lo prendo per un complimento.».
«Dai, come sei arrivata qui?» domandò ancora.
La ragazza sospirò. Infondo sentiva di potersi fidare di quello sconosciuto, nonostante assomigliasse così tanto a lui. E gli raccontò tutto.
Gli raccontò della sua infanzia spezzata, di sua madre e di ciò che le accadde.
Gli raccontò dell’adolescenza sua e di sua sorella, passata tra le mura di quell’edificio, nella paura e nel terrore di essere abbandonate per sempre anche dall’unica persona che potesse prendersi cura di loro, Igor Kallman.
Gli raccontò della sua giovinezza, passata a studiare di nascosto medicina, occupandosi della sorella minore e cominciando a lavorare per l’uomo con cui vivevano; e infine del suo presente, del suo mestiere che tanto odiava, che era costretta a continuare a svolgere perché non avrebbe avuto altra via d’uscita.
Era lei la chirurga, era lei quella che rassicurava i bambini e i giovani che raggiungevano la sala operatoria dicendo loro che non avrebbero sentito assolutamente niente, e che poi li uccideva. Era lei che estraeva gli organi dai loro corpi innocenti e che li riponeva nelle scatole isotermiche scrivendo su ciascuna di esse, su ordine di Igor, il nome del destinatario e il luogo in cui sarebbe avvenuta la consegna.
Gli raccontò tutto, del suo odio per se stessa e del suo desiderio di cambiare vita.
Gli raccontò tutto e poi se ne pentì: aveva appena svelato i suoi segreti ad un criminale, ad uno sconosciuto che avrebbe potuto rivelare i suoi veri pensieri a Igor, distruggendo così sia lei sia sua sorella.

 

Ben lanciò un’occhiata veloce all’orologio che aveva al polso.
«È quasi mezzanotte e il tuo amico non è ancora tornato, alla faccia della telefonata.».
«Ben, non ricominciare ti prego, non ce la posso fare.» commentò Semir sperando di evitare l’ennesima discussione sullo stesso argomento.
«Non ricomincio, noto solo che Max non è ancora tornato e la cosa insospettirebbe anche te, in condizioni normali.».
Semir scosse il capo con un sospiro e Ben continuò, sicuro di sé «La verità è che in questo momento sarà a raccontare tutto quello che sappiamo di loro a quei criminali, credimi.».

 

E Ben quindi aveva ragione. Ben e anche maty, che sosteneva la tesi di Ben ;)
Hanser è morto e le indagini non vanno avanti ma sappiamo qualcosa in più su Rebecca...
Grazie mille per le recensioni, un bacio.
Sophie :D

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Capitolo 13
*** Indagini e porte chiuse ***


Indagini e porte chiuse

Quando, la mattina successiva, il sole sorse timidamente su El Fahim, Semir dovette suo malgrado cominciare a prendere in considerazione le ipotesi di Ben: Max era uscito la notte precedente e non era più tornato, avevano provato a chiamarlo e non aveva mai risposto.
Affacciatosi alla finestra, l’ispettore l’aveva poi scorto nel piazzale, mentre si allontanava velocemente in compagnia di quella che gli sembrò la stessa donna che avevano conosciuto sulla soglia della sede dell’organizzazione del traffico d’organi.
Era lui la talpa, d’altra parte era stato piuttosto chiaro fin dall’inizio.
A quanto pareva Max Rieder si era liberamente preso gioco di loro e ci era riuscito anche fin troppo bene.

 

Sebastian uscì soddisfatto dal comando della polizia criminale di El Fahim, con un pezzo di carta in mano che non smise di contemplare fino a quando non raggiunse il capo, Alex Bronte, nella hall dell’albergo.
Il commissario dell’LKA, non appena seppe del mandato, esultò felice come non mai, almeno in questo era riuscito a precedere quegli incompetenti dell’autostradale. Era servito tempestare di chiamate il capo della polizia, Bronte aveva ottenuto esattamente ciò che voleva, un mandato di perquisizione.
A questo punto doveva semplicemente passare all’azione, ma prima si sarebbe dovuto ben organizzare: lui e il suo sottoposto erano soltanto in due, il che era un po’ rischioso. Tuttavia mai sarebbe andato a chiedere all’autostradale di unirsi a lui, anche semplicemente per una questione di orgoglio, e nemmeno avrebbe chiesto aiuto alla polizia del luogo.
Non si fidava di quei turchi, nemmeno un po’. Gli avevano detto che l’analisi dei proiettili non era ancora terminata, quando il giorno prima avevano garantito che sarebbe stata pronta per la mattina seguente.
Alzò le spalle disinteressato, si sedette sul comodo divanetto beige dell’ingresso dell’albergo con il suo sottoposto e pensò.
Lui e Sebastian Fudger dovevano assolutamente organizzarsi per l’irruzione alla base del traffico d’organi e dovevano farlo in fretta.

 

 

Il telefono di Ben squillò per l’ennesima volta in quella piccola stanzetta d’albergo che quella mattina sembrava somigliare più ad un centralino.
«Sì, Jager.».
«Ben? Ciao Ben, sono Hartmut...».
«Hartmut!» esclamò il ragazzo corrucciando la fronte e attirando l’attenzione del collega accanto a lui «Ciao, cosa succede?».
«Ragazzi, ditelo che vi manca la mia presenza nelle indagini!» esclamò il rosso con orgoglio.
«Da morire Einstein, se qui va tutto a rotoli d’altra parte un motivo ci sarà!».
«E io ovviamente ho la soluzione ai vostri problemi.».
Ben attivò il vivavoce e posò il cellulare sul comodino, sempre più stupito dalla telefonata del collega della scientifica.
«So che avete avuto qualche contrasto con Bronte, il commissario dell’LKA, è così?».
«Sì.» annuì l’ispettore continuando a non capire dove l’altro volesse arrivare.
«Ecco, io ho per voi una notizia buona e una cattiva, da dove parto?».
«Da quella cattiva.» propose Semir, incuriosito.
«Bronte ha ottenuto il mandato di perquisizione per la base del traffico d’organi, ma questo l’avreste comunque scoperto da soli più tardi.» spiegò Hartmut «La notizia buona è che mi sono messo in contatto con la polizia locale di El Fahim, mi sono fatto spiegare per filo e per segno cosa fosse successo e loro mi hanno accennato di alcuni proiettili che probabilmente sarebbero risultati utili alle indagini. Allora io ho cominciato a porre pressione su questi poliziotti per saperne qualcosa di più e alla fine sono arrivato addirittura a “contrattare”: pensate un po’ che solo ieri sera ho fatto...».
«Einstein, ti prego, taglia, non abbiamo tutto il giorno!» lo redarguì Semir come accadeva sempre quando il collega si dilungava troppo in infiniti ed inutili discorsi.
«In due parole, ho la copia delle analisi dei proiettili che i colleghi turchi mi hanno mandato via mail e non hanno ancora consegnato a Bronte e al suo ispettore.».
«Ma bene, fantastico! E?».
«E l’arma apparteneva ad un carico sequestrato dalla polizia anni e anni fa, non si sa come sia potuta tornare in circolazione... della polizia tedesca tra l’altro. Inoltre ho un’altra cosa importante da dirvi: sui proiettili e sulla pistola c’erano delle impronte digitali di un uomo ancora da identificare, ma anche le impronte di un altro uomo... le impronte di Max.».
Silenzio.
«Magari aveva toccato l’arma per sbaglio, oppure...» continuò Hartmut tentando di dare una valida spiegazione alla sua scoperta.
«No Einstein...» lo interruppe Semir «La spiegazione c’è ed è una sola, questa ne è l’ennesima conferma: Max è la talpa nella polizia, Ben aveva ragione.».
«Mi dispiace...».
«Non importa, almeno adesso sappiamo di chi poterci fidare e di chi no. Non ho ancora capito come tu sia riuscito ad ottenere queste analisi ma grazie Einstein, ci sei stato di enorme aiuto!».
«Prego ragazzi, figuratevi!».
«Sai come sta la Kruger, Hartmut?» domandò Ben, preoccupato.
«Non è ancora fuori pericolo anche se ha passato la notte senza ulteriori problemi... speriamo che si rimetta presto.» spiegò il rosso.
«Ma sì, manico di scopa è forte, ce la farà... Ciao Einstein, ci sentiamo!».
«Va bene, vi aggiorno appena ho novità!» e il tecnico chiuse la chiamata, ritornando al suo fedele computer.


 

Rebecca aprì la porta della stanza senza fare rumore e aspettò che anche Max, dietro di lei, entrasse prima di richiudersi la porta alle spalle.
La stanza era buia e la ragazza aprì un po’ le persiane, mostrando al nuovo arrivato uno spettacolo orribile. Una decina di bambini dormivano uno vicino all’altro sul pavimento, con le mani legate e le espressioni beate, ignare.
La chirurga posò sul pavimento poco distante da loro il vassoio con i viveri e l’acqua che sarebbero serviti ai bambini non appena si fossero svegliati, quindi rimase immobile a guardarli per qualche istante.
«Loro non sanno niente?» domandò Max in un sussurro. Rebecca scorse in quella voce curiosità, interesse, ma non dolore. Il tono con cui quella semplice domanda era stata pronunciata era freddo, distante.
«No, non sanno niente. Vengono rapiti in giro per tutto lo Stato, solitamente prima è stata fatta una ricerca sulle condizioni di salute di ciascuno di loro. A volte ci capita di dover trattare anche con adulti ma la maggior parte delle richieste sono di organi molto giovani.» spiegò la ragazza.
«Capisco.».
L’uomo fece per uscire dalla stanza quando si sentì tirare per la giacca da qualcuno. Si voltò, abbassò lo sguardo e notò una bambina che lo chiamava. Aveva le mani slegate.
«Marie, cosa ci fai sveglia a quest’ora? È mattina, torna a dormire.» le sussurrò Rebecca abbassandosi per guardarla negli occhi.
Era bella, gli occhi blu sul viso incorniciato da folti capelli rossi, avrà avuto più  meno cinque anni.
«Reb, non ho più sonno, posso venire di là con te? Chi è questo signore, un tuo amico?».
«Sì piccola, è un mio amico. Ora non posso, e sai che Igor non deve vederti. Torno più tardi.» si scusò la ragazza guardando la bambina negli occhi. A guardarla bene gli assomigliava un po’... come faceva Marie ad assomigliare ad uno sconosciuto, ad un criminale come Max Rieder? Rebecca si rialzò e uscì dalla stanza seguita da Max, senza dare alla piccola occasione per replicare.
La bambina rimase immobile in piedi a fissare la porta che si chiudeva davanti ai suoi occhi.

 

 

Altro mistero: chi è questa Marie?
Grazie sempre a chi continua a seguirmi, a presto!
Sophie :D

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Capitolo 14
*** Risveglio ***


Risveglio

 

«Ge... Gerard...».
Il sussurro e la debole stretta di mano risvegliarono l’uomo dal torpore in cui era caduto. Impiegò qualche attimo prima di capire dove si trovasse, e finalmente si ricordò di essere in una stanza di ospedale, seduto accanto al letto di Kim... Kim? Kim aveva parlato o lui aveva semplicemente sognato?
Aprì gli occhi e non appena scorse quelli della sua amata che lo guardavano, il cuore gli si riempì di gioia fino quasi a scoppiare.
«Kim... Kim, stai bene?» le domandò, agitato.
Il commissario annuì debolmente abbozzando un sorriso.
«Ho avuto paura, sai? Ho avuto tanta paura di perderti!» continuò l’uomo.
«Anche io... anche io ho avuto paura.» rispose lei.
Parlava a fatica e aveva un dolore terribile al fianco destro ma era felice... era viva! Provò a dire qualcos’altro ma dalla sua bocca non uscì alcun suono.
«Non sforzarti Kim... ora chiamo un medico, va bene?».
Il commissario annuì ancora.
Amava quell’uomo, e si chiedeva cosa avrebbero pensato i colleghi, una volta saputo.
Aveva avuto più volte sentore del fatto che qualcuno fosse fermamente convinto della sua incapacità di amare. Grazie a Gerard questa volta avrebbe mostrato a tutti che non era vero.
Avrebbe fatto capire al mondo che anche lei, Kim Kruger, manico di scopa, sarebbe stata in grado di dare e ricevere amore.
Quando il medico entrò nella stanza ed eseguì tutti i controlli, Gerard non potè trattenersi dall’esultare ancora: Kim era in netto miglioramento, sotto ogni punto di vista.
I valori stavano lentamente tornando nella norma, ci sarebbe ancora voluto del tempo per regolarizzare la respirazione a causa del danno riportato dal proiettile al polmone destro.
Il dottore dichiarò però la donna fuori pericolo e la notizia giunse anche ai due poliziotti di guardia appena fuori dalla stanza, che si alzarono gridando felici, tanto che un’infermiera di passaggio dovette redarguirli.
Otto e Dieter entrarono nella stanza del commissario appena poterono per salutarla e augurarle una veloce guarigione. Fu allora che entrambi si resero conto che forse questo Gerard non era esattamente il cugino del loro capo...
Ma non dissero niente per delicatezza e si limitarono a farle i complimenti per la sua tenacia e a chiamare subito al comando per avvisare del risveglio della donna.
La quale, ovviamente, non perse neppure un minuto e passò subito a pensare alle questioni lavorative che aveva lasciato in sospeso.
«Jager... Jager, Rieder e Gerkhan, come stanno?» domandò con un filo di voce.
«Bene capo, ma ora deve riposarsi...» le rispose Otto con fare protettivo.
«Sto... sto bene, voglio solo sapere come stanno i miei uomini...».
«Stia tranquilla.» si intromise Dieter «Va tutto bene, continuano ad indagare laggiù in Turchia ma ora lei non si preoccupi.».
Il commissario annuì anche se poco convinta.
I due poliziotti avevano volontariamente omesso sia l’omicidio dell’informatore, sia la vera identità di Max per non agitarla ma entrambi sapevano che lei avesse intuito che qualcosa non andava fin dal primo istante.
Sapevano anche che sarebbe tornata in piedi per indagare, sicuramente prima di quanto previsto dalle sue condizioni mediche.

 

«Pronto? Ben, finalmente, ma che fine avevi fatto?» lo redarguì Clara, preoccupata «Ti provo a chiamare da un pezzo, non rispondevi mai!».
«Scusami, non avevo sentito!» si scusò l’uomo dall’altro capo del telefono.
La ragazza si sedette sul divano con un sospiro di sollievo «Avevo paura che ti fosse successo qualcosa...».
«No, sto bene, davvero, stai tranquilla. Bianca?».
«Bianca sente già la mancanza di suo papà.» scherzò Clara ritrovata la tranquillità dopo aver sentito la voce del marito.
«Mancate tanto anche a me... e non ci sono da solo due giorni!» rise Ben, desiderando ardentemente di avere la moglie e la futura figlia accanto a sé in ogni momento.
«Allora torna presto... come vanno le indagini?».
«Mah, insomma, non è che abbiamo scoperto molto in realtà, a parte che Max...».
«Max?».
«Niente, stiamo andando avanti nelle ricerche ma mi sa che ci vorrà un po’ prima di capire qualcosa in questo caso.».
«Tanto lo risolverete alla fine, come sempre. Ben, la Kruger si è svegliata, me lo ha appena detto Otto. E sembra che si sia svegliata anche con un certo principe azzurro accanto...» raccontò Clara maliziosamente.
«Ma chi, manico di scopa? Un principe azzurro?» domandò il giovane poliziotto senza credere alle proprie orecchie.
«Così sembrerebbe.» rise la donna, divertita.
«Allora dobbiamo preoccuparci, quel proiettile deve averle dato alla testa!».
«Sei un insensibile, Ben!».
Entrambi scoppiarono a ridere.
«L’importante è che sia fuori pericolo comunque... ora vado, che il dovere ci chiama. Ti amo, Clara.».
«Anche io ti amo Ben... fai attenzione, promettilo.».
«E tu promettimi che starai tranquilla invece.».
«Va bene...» rispose la ragazza con poca convinzione.
I due si salutarono e poi lei chiuse la chiamata, posando il telefono sul divano affianco a sé.
Si accarezzò il pancione e pregò... pregò che non accadesse niente al futuro padre di sua figlia.

 

«Semir? Ciao... sì, sono di nuovo io.» fece Hartmut non appena il collega gli rispose al telefono «No, ma ho novità, so di chi sono le altre impronte sull’arma, di un certo Marcus Fisher. È un tedesco, ha una fedina penale decisamente non immacolata, ma si è trovato a dover fare i conti con la legge per affari piccoli, furti o aggressioni a pubblici ufficiali... no, non è questo il punto... sì, va bene, va bene, faccio in fretta. Io e Susanne abbiamo scoperto che suo zio, anch’esso tedesco, era un grande uomo d’affari qui in Germania, e lo è stato fino al 2009. Da quell’anno in poi di lui non si hanno più notizie, come se fosse scomparso, l’unica certezza che abbiamo è che si deve essere trasferito in Turchia... dovrebbe essere sulla cinquantina, abbiamo fatto due più due, potrebbe anche essere il capo dell’organizzazione. No... aspetta che ti do il nome... sì, Igor Kallman. Va bene, ci sentiamo, ciao Semir.».
Il tecnico della scientifica posò il telefono con aria soddisfatta.
Amava essere in qualche modo utile nelle indagini e a distanza era ancora meglio: almeno in questo modo, per telefono, gli ispettori avevano addirittura il tempo per ringraziarlo anzi che scappare via sgommando come facevano solitamente quando parlava con loro di persona.
Sorrise compiaciuto e si rimise al lavoro, intenzionato a scoprire chi fosse davvero questo Kallman.

 

Le indagini vanno avanti e la Kruger si è risvegliata, accanto al suo principe azzurro...
Ditemi se sto aggiornando troppo in fretta, un bacio e grazie per le recensioni!
Sophie :D

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Capitolo 15
*** Incontro ***


Incontro

«Dici che ci sbraiterà contro oppure che riusciremo a parlare civilmente?» domandò Ben schiacciando il pulsante che indicava il quarto piano all’interno dello spazioso ascensore di alluminio.
«Magari si rende conto che se lavoriamo insieme concludiamo qualcosa più in fretta.» rispose Semir alzando le spalle.
Il loro umore era decisamente migliorato da quando avevano saputo che la Kruger si era svegliata, nonostante entrambi fossero a dir poco amareggiati da ciò che avevano scoperto su Max. In quel momento stavano raggiungendo la stanza di Bronte nell’albergo per provare a parlare insieme a lui del caso: si erano resi conto che da soli e senza contare più di tanto sull’aiuto della polizia del luogo non ce l’avrebbero mai fatta.
Bussarono e il commissario dell’LKA ci mise un po’ ad aprire la porta.
«Buongiorno» li accolse l’uomo con un mezzo sorriso, decisamente forzato.
«Buongiorno.» esordì Ben, andando dritto al punto senza troppi convenevoli «Penso che dovremmo collaborare, commissario Bronte.».
«Lei dice?».
«Io dico, già.».
«E cosa la porterebbe a pensare che...».
«Il fatto, commissario,» si intromise Semir «è che sono passati due giorni e mezzo e ancora non abbiamo cavato un ragno dal buco.».
L’uomo sospirò facendo cenno ai nuovi arrivati di sedersi su un piccolo divano di pelle presente nella stanza. Anche lui e il suo sottoposto, Sebastian Füdger, si sedettero.
«Va bene. D’altra parte avremmo dovuto collaborare fin dall’inizio, ma come ho già detto e ripetuto, penso che abbiamo cominciato con il piede sbagliato, e intendo già dalle prime indagini svolte insieme a Colonia. Tuttavia ritengo che sarebbe il caso di unire le forze, almeno per quanto necessario a risolvere questo caso. Dopodiché, ognuno per conto suo in Germania, che ne dite?».
«Perfetto. Da dove cominciamo?» chiese Semir senza perdere tempo.
«Noi abbiamo il rapporto sull’analisi dei proiettili e dell’arma di uno dei criminali che hanno sparato ieri mattina nel piazzale. L’arma sembra essere di proprietà di un ragazzo tedesco, le cui tracce hanno portato poi a Igor Kallman, che potrebbe essere il capo dell’organizzazione.» spiegò Ben tralasciando i dettagli meno rilevanti.
«Bene. Quindi abbiamo un nome, è già qualcosa.».
«E sappiamo anche che probabilmente Max Rieder, il nostro nuovo collega, era in realtà la talpa che cercavamo...».
«Davvero?» fece Sebastian con un interesse fin troppo marcato.
«Già.» annuì Ben.
«Noi invece abbiamo un mandato di perquisizione per la presunta sede dell’organizzazione.» disse Bronte facendo cenno a Füdger di andare a prendere il documento nell’altra stanza.
«Io penso che potremmo organizzare l’irruzione per oggi stesso. Ci vediamo qui per le due per organizzare e poi entriamo in azione, a voi andrebbe bene?» propose il commissario.
Non che gli andasse dover lavorare fianco a fianco con l’autostradale, la sua mira principale era quella di tornare in Germania il prima possibile, semplicemente.
«Va bene, allora andiamo.».
«Perfetto, vi accompagno.».
I due poliziotti uscirono, né loro né Bronte si accorsero della segreta telefonata di Sebastian Füdger.
«No capo, oggi pomeriggio vogliono fare irruzione... sì... sì va bene, la tengo informata. Sì, ci proverò.».



Igor entrò nella stanza dove si trovava Max e lo sorprese alle spalle, avvicinandosi con passo felino.
«È interessante» cominciò «come la razza umana possa apparire stupida, a volte, non pensa anche lei signor Rieder?».
Max si voltò di scatto «Non l’avevo sentita entrare.».
 L’uomo sembrò non far caso a lui, continuando il proprio discorso, girando per la stanza lentamente, a passi cadenzati.
«È strano, certo. Persone che si credono intelligenti, superiori... in realtà così piccole, così ottuse...».
«Signor Kallman...?» provò ad interromperlo il più giovane senza ottenere risposta.
«Assassini che lasciano le proprie impronte sull’arma del delitto, ladri che si lasciano cogliere con le mani nel sacco, talpe scoperte dalla polizia e sbattute in prigione... e poi infiltrati in organizzazioni criminali, che magari credono di poterla farla franca e in realtà camminano lentamente verso il suicidio...» continuò Igor avvicinandosi sempre più all’altro uomo.
A Max balzò il cuore in gola mentre la fronte cominciava ad imperlarsi di sudore freddo. Dove voleva arrivare quel criminale? Il discorso che stava portando avanti così abilmente non gli piaceva nemmeno un po’.
«Ho avuto a che fare più volte con la stupidità della razza umana, soprattutto quella di quest’ultimo genere...».
Max non sentì la mano arrivare.
Ad un tratto si sentì semplicemente preso stretto per il bavero e sbattuto contro il muro di quella stanza grigia con una forza quasi sovraumana.
Cadde a terra dopo il colpo, stordito.
«Il suicidio, già. Polizia autostradale, non è così? Altro che informatore! Sappia che lei, Max Rieder, ha appena prenotato un biglietto di sola andata verso l’Inferno, e sappia anche che io sarò lieto di accompagnarcela per poi tornarne indietro assolutamente illeso.».
Le note di una risata cattiva si diffusero ovattate per tutto l’ambiente.

 

Ben respirò a pieni polmoni non appena fu uscito dall’albergo.
Aveva lasciato Semir nella stanza a parlare al telefono con le bambine ed era uscito a prendere un po’ d’aria, in vista dell’operazione che sarebbe avvenuta nel pomeriggio.
Si guardò attorno incuriosito, avviandosi su per una stradina secondaria. Da quando erano arrivati non avevano avuto nemmeno il tempo di dare un’occhiata alla città e il poliziotto ne avrebbe approfittato in quella mezz’oretta di pausa. Il paesino era piccolo e poco affollato, ma l’aria era ovunque carica di tensione, si percepiva la paura dei passanti, si capiva che lì nessuno poteva fidarsi di nessuno.
Si lasciò trasportare dalla massa e finì presto nella piazzetta principale, dove si stava svolgendo un piccolo mercato.
Gli abitanti sicuramente non erano molti, ma in quel momento dovevano essere praticamente tutti concentrati nella piazzetta, attorno alle bancarelle coperte di vestiti, tappeti e biancheria per la casa.
Donne e bambini si aggiravano parlando tra le stoffe, mentre qualche uomo chiacchierava animatamente intorno ad una fontana.
In quella confusione di gente sentì qualcuno salirgli sul piede pesantemente e subito dopo una ragazza gli cadde praticamente tra le braccia.
«Ma cosa...?»
«Scusi!» esclamò la giovane donna in un inglese un po’ stentato «Scusi, sono inciampata, le ho fatto male?».
«Ma no no, si figuri!» Ben l’aiutò a rimettersi in sesto e colse l’occasione per osservarla: capelli e occhi scuri, era molto giovane, avrà avuto circa venticinque anni, se non di meno. Era poco più bassa di lui ma aveva un fisico snello e slanciato.
«Comunque io sono Eve, piacere.» si presentò lei porgendogli la mano.
«Ben... piacere mio.» rispose il poliziotto rimanendo per un attimo incollato a quelle iridi così profonde.
Si ritrovò a parlare ancora prima di rendersene conto «Vuole che la accompagni... per aiutarla a portare le borse, intendo.» propose alludendo ai due sacchetti che la ragazza portava.
«Oh no, grazie.» rispose lei prontamente. Non poteva portare uno sconosciuto alla base, non le sembrava certo il caso «Ora devo proprio andare, scusi ancora... arrivederci.».
«Arrivederci.» salutò Ben con un sorriso.
Ma non si seppe trattenere e la seguì di nascosto, corrucciando la fronte scoprendo che si dirigeva proprio verso l’edificio in cui loro avrebbero dovuto fare irruzione qualche ora dopo.
Si chiese cosa ci facesse lì una ragazza carina e gentile come quella e si allontanò verso l’albergo senza riuscire a distogliere i pensieri da quel nome.
Eve...
Improvvisamente scosse il capo.
“Ben, che ti prende?”.
Alzò la mano sinistra e si guardò la fede.
«Ben, sei un uomo sposato ora, tu ami e amerai solo Clara. Dimenticala.”.
Ma non riuscì a smettere di pensare a quell’incontro.

 

Guai in vista!
Chi è veramente questo Max? E cosa sta succedendo a Ben? Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio,
Sophie :D

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Capitolo 16
*** Fermo! ***


Fermo!

Nel pomeriggio i poliziotti dell’autostradale si erano recati come previsto da Bronte per definire i piani e dopo un’oretta pensavano di essere più o meno pronti. Speravano che gli abitanti dell’edificio non avrebbero posto resistenza ma tutti sapevano che ciò sarebbe stato piuttosto improbabile.
Tutto sembrava quindi andare liscio, fino a che Ben non chiese al commissario di poter usare il bagno della stanza e avviandosi verso di esso non sentì uno strano borbottio giungere dalla piccola cucina. Fece capolino dalla stanza e quello che vide e udì lo paralizzò.

«Certo... no capo, penso che tra un’ora al massimo saremo lì davanti, abbiamo già concordato come intervenire anche con Jager e Gerkhan. No, arriveremo dal portone principale e poi...» Sebastian Fudger si interruppe notando la presenza del poliziotto.
Rimasero a fissarsi per alcuni istanti.
«Ha bisogno di qualcosa, Jager?» domandò Sebastian, chiudendo la comunicazione e riponendo in tasca il telefono.
«Lei... lei è...» balbettò Ben senza riuscire a formulare una frase con senso logico.
«Sì Jager... io sono.».
Poi estrasse la pistola e sparò.

«Ha sentito?» fece Semir rivolto a Bronte e entrambi si diressero di corsa verso la cucina.
Quando entrando Semir vide Ben a terra e Fudger con la pistola in mano sentì un brivido di paura corrergli lungo tutta la schiena.
«Fudger? Ma che diamine...?» fece Bronte, senza capire.
«Sì commissario, è vero quello che vede. Pensi un po’, la talpa sono io. Non ci eravate arrivati eh? Chi era secondo voi? Max Rieder?» l’ispettore rise malvagiamente «Idioti. Ora vedete di farmi passare o lo ammazzo.» intimò facendo alzare Ben e ponendoselo davanti come scudo.
Semir poté costatare che il suo collega fosse tutto intero e si tranquillizzò visibilmente.
«Non faccia sciocchezze Fudger, dove crede di andare?».
Intanto il falso poliziotto avanzava puntando la pistola alla tempia di Ben, aveva già raggiunto l’ingresso.
«Spara Semir, che aspetti?» gridò Ben con decisione.
Ma il collega non sembrò nemmeno sentirlo.
«Mettete giù quelle armi all’istante o lo ammazzo.».
Bronte e Semir gettarono a terra le pistole e Fudger arrivò alla porta facilmente.
«Au revoir.» mormorò prima di mollare Ben e lanciarsi in fuga giù dalle scale dell’hotel.


«Ben, stai bene?» domandò Semir preoccupato.
«Sì, prendiamo quel bastardo.».
Uscirono di corsa lasciando Bronte nella stanza, interdetto, a guardare.
Lo seguirono per un bel pezzo, tra piazze, stradine affollate e mercato... poi lo persero di vista, semplicemente.
Tornarono in albergo a testa bassa e a Ben per la strada sembrò di scorgere ancora una volta quello sguardo, lo sguardo bellissimo di Eve, ma cercò di non pensarci.
I discorsi possibili a quel punto erano due: o Kallman aveva due informatori nella polizia, oppure Max era innocente e molto probabilmente in pericolo.

 

 

«Io non... non capisco...» mormorò Max, ansimante.
«Cosa non capisci Rieder? Illuminami, ti aiuterò volentieri a comprendere.» fece Igor assestando un calcio al poliziotto, adesso legato mani e piedi ad una sedia di legno.
«Sai Rieder, non sono mai stato uno stupido e detesto coloro che mi trattano da stupido. Ma ora ti spiegherò bene i miei pensieri, che dici?» continuò con voce beffarda.
«Analizza un po’ la situazione, sbirro: un uomo arriva da me dicendomi di esser l’informatore e portandomi tesi valide perché io gli possa credere. Dopo un po’ ricevo la telefonata di un altro uomo che mi assicura che gli sbirri arriveranno nel pomeriggio, un altro informatore. Peccato che io non abbia assoldato due informatori ma solamente uno. Chiamo Marcus, in Germania, per controllare e lui mi spiega di aver parlato sempre e solo con un certo Sebastian Fudger, mai con Max Rieder. Ora fai due più due, sbirro. C’è ancora qualcosa che non comprendi?».
Max strinse i pugni adirato più che mai con se stesso.
Sarebbe stato ucciso, non avrebbe risolto il caso e sarebbe stato considerato un traditore dai colleghi per il resto dei suoi giorni. Niente male come prospettiva futura.
«Senta io... io posso...».
«Lei può cosa, Rieder? Rimediare? Che cosa vuole fare, diventare veramente un informatore per me? Ma certo, perché no, un nuovo informatore. Peccato che io non abbia troppa fiducia negli sbirri.».
Un calcio.
Un altro.
Max non aveva alcuna intenzione di perdere lucidità e si sforzava di rimanere attento. Doveva pensare, pensare, pensare, non poteva lasciare che tutto finisse così, non poteva! Doveva risolvere il caso, doveva farlo perché lo aveva promesso a se stesso e a sua moglie tanti anni prima. E adesso che era ad un passo dalla risoluzione si trovava anche ad un passo dalla morte.
«Mi ascolti...» provò ancora, ma venne interrotto da un destro in pieno viso che gli fece sanguinare il naso.
«Forse non sono stato chiaro.» proseguì Kallman «Io non voglio ascoltarti ma disintegrarti. E in fretta anche, non ho una giornata intera da perdere.».
Estrasse la pistola, si allontanò di qualche passo dalla sedia e tolse la sicura.
Max tentò di liberarsi dalle corde ma inutilmente.
«Mi dispiace di non avere il tempo di farti soffrire ancora un po’, sei fortunato. Addio sbirro.».
Posò le dita sul grilletto.
Applicò una leggera pressione.
La porta della stanza si aprì con violenza.

«No, fermo!».

 

E quindi Semir aveva ragione, Max non è la talpa! La talpa è Sebastian Fudger, che ovviamente è fuggito senza problemi.
Scusate per il capitolo più breve del solito.
Grazie a chi continua a seguirmi, al prossimo.
Sophie :D

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Capitolo 17
*** Max Schwarzer ***


Max Shwarzer

«Fermo, ho bisogno di lui.» esclamò Rebecca entrando violentemente nella stanza un istante prima che Igor sparasse.
«Bisogno?».
«Mi serve. In serata devo operare un bambino e mia sorella non ci sarà, deve firmare le carte per la consegna in Italia. Ho bisogno di un assistente, da sola non ce la faccio, è un’operazione complicata, uccidilo domani.» spiegò la ragazza con disinvoltura.
Kallman abbassò la pistola e la ripose nella fondina, annuendo.
«Va bene, ma domattina lo voglio morto. Sigilla le porte e slegalo, usalo come vuoi e riportalo qui, me ne voglio occupare personalmente domani mattina.».
Rebecca annuì e l’uomo uscì dalla stanza sbattendo la porta, lanciando prima uno sguardo crudele verso Max.

 

«Bene, a questo punto un grazie sarebbe anche gradito.».
Max guardò la ragazza ancora sconvolto, mentre lei gli slegava le mani dalla sedia.
«Ma perché... perché mi hai salvato?» balbettò.
«Perché sono curiosa e perché mi servi per l’operazione, non illuderti che ci sia dell’altro. Ho visto uccidere tante persone qui, la prima quando avevo sei anni e mezzo, per me saresti stato semplicemente uno dei tanti.» spiegò finendo di slegarlo e riponendo le corde in un angolo buio della stanza «Non ho ancora sentito il “grazie”.».
«Grazie.» mormorò il poliziotto, alzandosi.
«E ora voglio conoscere la tua storia.» affermò Rebecca, con un tono che non ammetteva repliche.
«E va bene.» si rassegnò Max «È cominciato tutto sette anni fa. Io ero sposato e da poco io e mia moglie avevamo avuto un figlio, Thomas, che quando aveva due anni si ammalò gravemente: avrebbe avuto bisogno di un urgente trapianto di cuore altrimenti i medici gli avevano diagnosticato meno di due mesi di vita. Provammo a rivolgerci alla banca degli organi ma il primo organo compatibile disponibile sarebbe stato dopo tre mesi e tra l’altro sarebbe costato una fortuna, noi non eravamo certo ricchi. Lei, Angela, non aveva più i suoi, morti in un incidente d’auto quando era ancora bambina. Io avevo mio padre, ma si disinteressò totalmente al problema... non l’ho mai più rivisto da quel giorno in cui...» l’uomo fece una pausa, scuotendo appena il capo.
Immagini di quella notte lontana gli scorrevano veloci nella sua mente, lo confondevano, lo ferivano.
Rebecca lo ascoltava immobile.
«Fatto sta che Angela volle rivolgersi a questa organizzazione, di cui le aveva parlato un amico. Io non volevo, non volevo assolutamente. Ma poi il tempo passava, il piccolo stava sempre peggio... ci rivolgemmo a voi, alla fine. Andò tutto bene fino alla fine, fino a pochi secondi prima dell’intervento, fino a quando l’uomo che doveva eseguire l’operazione non ricevette una telefonata dal suo capo, il capo di tutta l’organizzazione. Non so perché e non so chi fosse il capo ma disse qualcosa a quell’uomo... E quell’uomo, anzi che salvarlo, lo uccise sotto i miei occhi.».
Max si fermò. Non si era reso contò di avere gli occhi lucidi.
«Vai avanti.» disse la ragazza in un sussurro.
«Mia moglie si suicidò un mese dopo, lasciandomi un biglietto di scuse, e io non potei fare nulla per salvarla. Entrai in polizia con l’obiettivo di disintegrare questa organizzazione e il resto lo sai. Sono arrivato qui con la polizia autostradale e poi mi sono infiltrato senza nemmeno dirlo ai colleghi. E non ho risolto nulla, come vedi.».
Rebecca lo fissò a lungo «Mi dispiace, mi dispiace tanto.».
«E, a proposito, il mio vero nome non è Max Rieder... mi chiamo Max
Schwarzer.».
Rebecca strabuzzò gli occhi e per poco non smise di respirare.
Schwarzer...
Non poteva crederci.

 

«Sì, Jager.».
Ben rispose al telefono sperando in una buona notizia da chiunque stesse chiamando. Ed in effetti la buona notizia arrivò direttamente con la voce del mittente.
«Jager, sono il commissario Kruger, buongiorno.» salutò una voce debole dall’altro capo del telefono.
Ben quasi non credette alle proprie orecchie «Capo? Sta bene?».
«Sì, meglio, grazie. Come... come vanno le indagini?».
«Bene, ma capo, lei deve pensare a riposarsi adesso, non si preoccupi per le indagini!».
«Jager, ascolti, il fatto che io sia ferma in un letto di ospedale non deve per forza significare che non possa seguire le indagini. So che è successo qualcosa e Bonrath ed Hetzberger non vogliono dirmi niente quindi le ordino di parlare.».
«Ma capo, non...».
«Jager, per favore, mi spieghi.» disse la Kruger assertiva. La ferita stava ricominciando a farle male a causa della posizione in cui si trovava e dello sforzo che stava facendo per parlare. Faceva fatica a respirare e tutt’a un tratto cominciò a mancarle l’aria.
«Sembrava che Max fosse la talpa nella polizia, capo, ma non ne siamo più sicuri, perché abbiamo scoperto che Fudger, il sottoposto di Bronte, era anche lui un informatore di Kallman. Dobbiamo ancora verificare che... ma capo, si sente bene?».
La donna aveva cominciato a tossire senza tregua «Sì... sì... devo andare ora, ci... ci sentiamo più tardi.» balbettò per poi chiudere la comunicazione e chiamare un medico, in preda ad una crisi respiratoria.

 

«L’hanno presa per i capelli, ha avuto una forte crisi.» spiegò Ben al collega subito dopo aver sentito Otto per informarsi sulle condizioni della Kruger «Ma ora sta meglio, deve solo riposare, cosa che non farà mai, conoscendola.».
«Almeno adesso è fuori pericolo.» costatò Semir, speranzoso.
«Già... vado qui giù a telefonare a Clara, in stanza prende malissimo.» annunciò il ragazzo uscendo dalla camera. Ma quando arrivò nel piazzale ciò che vide lo catturò, di nuovo.
Eve stava andando verso di lui con un enorme sorriso stampato sul volto.
«E così sei uno sbirro.» esordì.
Ben non seppe cosa rispondere e rimase semplicemente a guardarla.
Come faceva a saperlo? Aveva fatto delle ricerche su di lui? Ma chi era quella donna?
Si fissarono per alcuni attimi e poi accadde l’imprevedibile.
Eve si avvicinò sempre più, fino a sfiorare con le sue le labbra del poliziotto in un timido bacio, che ben presto si trasformò in un bacio vero e proprio.
E la cosa incredibile fu che Ben non si spostò.
Rimase lì, immobile, così.
Non si mosse nemmeno quando la giovane sconosciuta lo lasciò e si allontanò di corsa, salutandolo con la mano prima di imboccare una stretta stradina.
Si risvegliò da quello stato di trance in cui si trovava solo dopo pochi secondi, grazie allo squillo del proprio cellulare: era Clara.
Improvvisamente realizzò ciò che era appena accaduto e non seppe cosa fare.
Non rispose e lasciò il telefono nella tasca della giacca.
Non si accorse nemmeno che Semir, per caso alla finestra, aveva assistito dalla camera dell’albergo a tutta la scena.

 

Ad ogni capitolo un guaio in più... Ben adesso dovrà delle spiegazioni a Semir, ma soprattutto a se stesso. Finalmente invece conosciamo la storia di Max! Ma il mistero intorno a lui non è ancora totalmente svelto... vi ricorda qualcosa il nome “Shwarzer”?
Un bacio e grazie mille ai recensori, le vostre opinioni mi fanno sempre piacere!
Sophie :D

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Capitolo 18
*** Un sogno lunghissimo ***


Un sogno lunghissimo

 

Semir rimase imbambolato davanti alla finestra per qualche attimo infinito.
Ben che stava baciando una ragazza? Si chiese se avesse visto bene o meno. Magari si era sbagliato, magari la stanchezza cominciava a giocargli brutti scherzi.
Aspettò che il collega tornasse nella camera e gli bastò lanciare uno sguardo verso di lui per capire che ci aveva visto benissimo.
Rimasero entrambi in silenzio per un po’.
Ben non riusciva a capacitarsi di ciò che era appena accaduto e Semir ancora meno di lui.
«Semir...».
«Ben, cos’è questa storia?» domandò a bruciapelo.
Il ragazzo rimase un attimo spiazzato: come faceva l’amico a sapere? Lo aveva visto? In effetti era più che plausibile, era accanto alla finestra e lui ed Eve si erano incontrati proprio sotto la loro camera.
«Ma come...?».
«Ben, ti prego rispondi, cos’è questa storia?».
«Niente è... è... non è nessuna storia è che...» balbettò il più giovane camminando nervosamente per la stanza.
«Chi è quella ragazza?».
«Non è nessuno io... io l’ho conosciuta al mercato e... Semir, aiutami, credo di essermi appena cacciato in un grosso guaio.» mormorò Ben, agitato.
«Già, l’ho notato. Chi è?» ripeté il collega.
«Non lo so, non lo so, so solo che si chiama Eve e che l’ho conosciuta al mercato perché mi ha pestato un piede. Ho pensato tutto il giorno a lei Semir, non ho fatto altro che pensare a lei, perché?» Ben era agitatissimo, sembrava completamente sconvolto.
«Ma scusami, avevate un appuntamento qui sotto?».
«Ma quale appuntamento, no! Lei è arrivata semplicemente e io...» l’ispettore si sedette sul letto con un sospiro, prendendosi la testa tra le mani.
«Ben, ascolta...» fece Semir con tono decisamente addolcito rispetto a quello inquisitorio di pochi secondi prima «Se è stato un episodio così e sai che non accadrà più, stai tranquillo... tu ami Clara, no?».
L’attimo di esitazione che ne seguì fece vacillare la sicurezza con cui l’ispettore aveva posto quella domanda. Domanda la cui risposta sarebbe dovuta risultare ovvia.
Ben sollevò la testa, mostrando al collega un paio di occhi rossi e lucidi.
«Non lo so, Semir... non lo so più!».

 

Nella stanza si era creata un’atmosfera decisamente strana, atmosfera che non si disintegrò a causa dello squillo del cellulare di Semir, ma rimase tale.
«Sì, Semir.».
«Ciao Semir, sono Susanne! Ascolta, ho delle novità.» esclamò la segretaria dall’altra parte del telefono.
«Dimmi tutto.».
«Ho cercato, cercato e cercato e ho scoperto che in effetti in rete c’è qualcosina riguardo l’organizzazione, anche se è tutto impreciso. Intanto pare che abbia un nome, “The Death For The Life”.» la donna fece un attimo di pausa «Poi, sai che Hartmut vi aveva detto che Kallman si è trasferito in Turchia nel 2009? L’organizzazione esiste però da molto prima, dalla fine del ‘900, quindi o Kallman prima dirigeva il tutto dalla Germania, oppure non è lui il capo vero e proprio.».
«Ho capito.» Semir seguiva sia la segretaria cercando di concentrarsi, sia Ben che, seduto sul letto, sembrava completamente a pezzi.
«Non ho trovato altri nomi però, quindi non saprei chi potrebbe essere... voi lì avete trovato qualcosa?».
«No» rispose l’ispettore «Però... aspetta un attimo... che stupido, ma come ho fatto a non pensarci prima? Ahmet, prima di morire, aveva provato a dirmi un nome! Che stupido, l’avevo completamente rimosso... Era Carl... Carl Shwarz, mi sembra.».
«Aspetta che lo cerco subito... no, non trova niente... però aspetta, ho un risultato nel database ma... il suo nome è Shwarzer, non Shwarz.» disse la segretaria scorrendo con velocità le pagine virtuali sul computer.
«Potrebbe essere, era ferito, magari non è riuscito a pronunciarlo o magari io ho capito male.» Semir cercò di distogliere la mente dall’immagine dell’amico turco disteso tra la polvere in un lago di sangue, cosa che gli riusciva piuttosto difficile in quel momento.
«Anche lui tedesco e trasferitosi in Turchia nel 1997, quando aveva quarantaquattro anni... Ora ne ha sessantuno e di lui si sa poco o niente. Però pare abbia dei precedenti, per questo è già nel nostro database... Potrebbe essere lui, sì. Ora vedo se trovo qualcos’altro sul suo conto e ve lo mando per mail. Ciao Semir.»
«Ciao Susanne, grazie mille!» esclamò il poliziotto prima di chiudere la comunicazione e tornare ad occuparsi di Ben.
Doveva capire cosa stesse succedendo all’amico al più presto.

 

 

Max entrò nella stanza avendo cura di non fare troppo rumore e scorgendo ancora una volta i bambini, tutti seduti vicini. Era la mattina successiva rispetto alla sua “liberazione” ed era molto presto, per cui i piccoli prigionieri erano tutti profondamente addormentati, questa volta anche Marie. Per fortuna, perché quella bambina a Max dava uno strano senso di fastidio: gli ricordava qualcosa, qualcuno, e nemmeno riusciva a capire come e perché.
Rebecca gli aveva ordinato di prelevare dalla stanza il bambino legato all’estremità destra del muro e di portarlo nella stanza adibita a sala operatoria per l’intervento, che non era avvenuto la sera prima per un disguido sui materiali da utilizzare.
Max slegò il bambino e lo prese in braccio con delicatezza, uscendo dalla stanza e avviandosi al piano di sopra.
Quando entrò nella sala operatoria, trovò Rebecca che stava finendo di prepararsi gli attrezzi per l’intervento e la cosa gli fece venire i brividi.  Come poteva una ragazza così giovane, così bella, riuscire a fare tutto ciò? Lui si sarebbe lasciato uccidere, piuttosto.
«Grazie.» disse lei «Normalmente è mia sorella ad aiutarmi ma in questi giorni è sempre fuori casa.». Tralasciò il fatto che sua sorella vendesse praticamente ogni notte il proprio corpo tentando di racimolare i soldi necessari a scappare, non le sembrò il caso di raccontarlo ad un poliziotto, e soprattutto non dopo aver scoperto chi fosse davvero...
L’unico a non saperlo probabilmente era Max stesso.
«Ha nove anni, devo togliergli... il cuore e un rene.» spiegò cominciando a spogliare il bambino, sempre profondamente addormentato.
«E poi dove... dove li mettete? I corpi, intendo.» domandò Max con il cuore in gola.
«Passa un uomo a ritirarli ogni giorno.» rispose lei, incredibilmente fredda.
Il bambino si mosse appena mentre lei gli sfilava la maglietta e aprì un occhio. Guardò entrambi con aria stranita «Che cosa devo fare, perché sono qui?».
«Buongiorno piccolo, ben svegliato.» lo accolse lei con un sorriso.
Max rabbrividì ancora. Quella ragazza stava parlando in modo così materno ad un bambino che da lì  a poco avrebbe ucciso con le sue mani. Era una situazione assurda, paradossale!
«Che cosa devo fare?» ripeté il piccolo, più incuriosito che impaurito.
«Un gioco.» spiegò Rebecca «Ti piace sognare?».
Il bambino annuì e la ragazza sorrise.
«Perfetto. Ora potrai fare un sogno lunghissimo, ti va?».
Il piccolo annuì ancora «E cosa posso sognare?».
«Tutto quello che vuoi, vedrai che sarà bellissimo.» continuò lei prendendo in mano l’ago dell’anestesia.
«Va bene, ma a cosa serve quello? A me non piacciono le cose appuntite.».
«Ma non sentirai niente piccolo... serve a prolungare il tuo sogno.».
Lo fece distendere, senza dare tempo al bimbo per altre eventuali domande che l’avrebbero messa in difficoltà. Gli iniettò l’anestesia e aspettò che il paziente si fosse addormentato, quindi passò all’opera.

Max la osservò mentre lavorava e non poté fare nulla per fermarla. Aveva provato a parlarle ma ovviamente era stato tutto inutile e non riusciva a fare altro che guardare. Sapeva che avrebbe dovuto impedirglielo ma si sentiva bloccato, non riusciva a pensare razionalmente, non era per niente lucido.
Le passava gli attrezzi, impallidendo alla vista del corpo del bambino aperto sotto i suoi occhi.
La osservò mentre estraeva il rene e poi passava all’organo più delicato, il cuore.
La osservò mentre privava un bambino della vita in un modo così innaturale, così crudele.
Un’altra vittima innocente, un'altra vita spezzata, un altro omicidio inutile.
Lei sembrava tranquilla, a suo agio nell’ambiente in cui operava ormai da molti anni. Eseguiva ogni movimento con mano ferma, con sicurezza, freddamente.
L’intervento durò molto, e né Max né Rebecca proferirono parola durante quel tempo interminabile.
Max aspettò che fosse tutto finito per uscire dalla stanza e lasciarsi scivolare contro il muro, sudato, pallido, sconvolto.
Le lacrime gli salivano agli occhi mentre pensava a quel bambino, che come suo figlio era stato portato via dai propri familiari troppo in fretta.
E lui non l’aveva fermata.

Continuo a ringraziare chi mi sa seguendo e in particolare gli autori delle recensioni, grazie!
Starò via per una settimana, quindi il prossimo capitolo non arriverà prima di lunedì prossimo ma vi assicuro che posterò non appena tornata.
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 19
*** Irruzione ***


Irruzione

 

Ben chiuse la tenda, svogliato.
Aveva cominciato a diluviare, come se l’atmosfera non fosse stata già abbastanza cupa di suo.
Doveva mettersi in testa di non aver alcun interesse per quella ragazza, doveva dimenticarla e basta. Tanto più che sua moglie era incinta di sette mesi a più di duemila chilometri di distanza e che quella sconosciuta probabilmente faceva anche parte della banda di criminali che stavano cercando.
Si sedette su una sedia, mentre il collega girava inquieto per la stanza.
«Abbiamo rimandato la perquisizione di ieri per via di questo Fudger, ma non possiamo rimandare all’infinito, dobbiamo incastrare quei criminali e salvare Max, che secondo me è con loro ed è in pericolo.» disse senza fermarsi un attimo.
Ben lo guardò scuotendo appena il capo «Siamo in due, come facciamo contro tutti loro?».
«A parte che se conti Bronte siamo in tre, come facciamo a sapere quanti sono loro là dentro? Magari ci sono due persone e basta.» fece Semir speranzoso.
«In un’organizzazione del genere? Impossibile.».
Ad un tratto Ben ebbe però un’illuminazione «Aspetta un attimo... e se chiedessi a Eve di aiutarci ad entrare?».
«Chi? La ragazza di ieri?» domandò l’altro, scettico.
«Sì! E non è un pretesto per rivederla, non pensare male. Quello di ieri è stato un grosso sbaglio e ne sono pienamente cosciente, amo Clara e non mi distrarrò più. Però pensaci, potrebbe venirci utile.» spiegò il più giovane ritrovando un minimo di entusiasmo a questa idea.
«E come pensi di contattarla?».
Ben sospirò e riabbassò lo sguardo: non ci aveva pensato.
Quando però circa un’ora dopo, tornando alla finestra, la scorse correre nella piazza tentando di ripararsi dalla pioggia con un giornale, pensò che la fortuna per una volta fosse dalla loro parte. Senza avere il tempo di dare spiegazioni al collega, si precipitò fuori dalla stanza e uscì di corsa dall’hotel, prendendo la ragazza per un braccio dopo averla raggiunta per trascinarla, bagnata com’era, nella hall dell’albergo.
«Ma che cosa...?» fece lei liberandosi impaurita dalla presa dell’uomo, che riconobbe solo dopo aver avuto il tempo di guardarlo negli occhi «Ah, sei tu!» esclamò con un sorriso.
«Ascoltami.» le spiegò conducendola verso la propria stanza «Non ti ho chiamato per quello che è successo ieri, di quello parleremo dopo. Ascolta, tu vivi nella sede dell’organizzazione del traffico d’organi giusto? Tranquilla, non devi negare, sappiamo già tutto dell’organizzazione. Devi portarci dentro all’edificio, oggi.».
La ragazza divenne seria all’istante «Non posso.».
«Per Kallman? Lo arresteremo, non potrà farti niente.».
Eve scosse il capo «No, non posso, non voglio.».
«Eve... ti prego. Un nostro amico è là dentro e decine di bambini innocenti vengono uccisi proprio lì... aiutaci a porre fine a questo inferno!».
«Non posso! E poi scusami, come potresti fidarti di me? Potrei essere una criminale come tutti là dentro, potrei portarti a morte certa.».
«Ma io so che non lo farai! Ti prego...».

~~~

Andrea versò il tè nelle due tazze di ceramica e si sedette sul divano vicino all’amica.
Era andata a trovare Clara, come faceva spesso ultimamente. Le due donne erano diventate molto amiche, soprattutto dopo il matrimonio di Ben, e si vedevano spesso anche per una semplice chiacchierata.
Quel pomeriggio però nessuna delle due era di ottimo umore.
Il cielo fuori era grigio e minacciava pioggia, e il pensiero di avere i mariti così distanti e probabilmente in pericolo le schiacciava inevitabilmente.
Non facevano che parlare di loro e delle loro preoccupazioni.
Sì, perché i primi tre giorni erano passati bene o male tranquilli, ma adesso la situazione cominciava a peggiorare, entrambe avevano presentimenti terribili.
Terribili e soprattutto terribilmente reali.

~~~


«Al mio tre entriamo, pronti?» sussurrò Eve, accovacciata vicino ad una piccola porta in legno e i tre poliziotti intorno a lei annuirono, decisi.
Ben era riuscito a convincere la ragazza ad aiutarli e adesso si trovavano sul retro dell’edificio, davanti ad un’antica porta che secondo lei portava ai sotterranei del palazzo, che sfociavano poi direttamente in una dispensa interna a quest’ultimo.
Bronte aveva deciso di prendere parte con loro all’operazione e si erano tutti e tre muniti di pistole e giubbotto antiproiettili.
La ragazza non lo aveva voluto, sostenendo che se qualcosa fosse andato storto Kallman non avrebbe dovuto capire che fosse stata lei ad aiutarli, altrimenti non ne sarebbe uscita più viva.
«Tre.».
I poliziotti sfondarono la vecchia porta e per farlo bastò un calcio ben assestato. Entrarono nel lungo corridoio dai muri ammuffiti a cui essa conduceva e poi camminarono e camminarono, sempre guidati dalla ragazza, per minuti che sembrarono ore.
Impiegarono quasi un quarto d’ora a raggiungere la porta di comunicazione con le stanze del palazzo e quando entrarono lo fecero discretamente, attenti a non produrre il benché minimo rumore per non essere scoperti.
Il loro scopo principale era quello di trovare Max e liberarlo, dato che Eve aveva confermato loro che l’uomo fosse tenuto prigioniero da Igor dentro al palazzo.
«Il vostro collega dovrebbe trovarsi qui, o almeno era in questa stanza fino a ieri sera.» sussurrò la ragazza aprendo piano una porta.
Ma ciò che trovarono furono solo delle corde, una sedia e un pesante odore di chiuso.
«Deve averlo spostato. State vicino a me, questo palazzo è peggio di un labirinto.».
Ed era vero: decine e decine di corridoio tutti uguali, resi ancora più inquietanti dai soffitti alti e dai lugubri ritratti appesi alle pareti.
«Questo sembra mio nonno in preda ad un attacco di pressione.» ironizzò Ben fermandosi davanti ad uno di essi tentando di render l’atmosfera un po’ meno tesa, ma la sua battuta fu accolta solo da sguardi di disapprovazione.
«Va bene, ho capito, sto zitto.».
Camminarono ancora per un po’, prima di doversi appiattire contro il muro sentendo dei passi nel corridoio vicino. Proseguirono lasciando sempre avanti Eve, che si fermò ad un incrocio tra due lunghi e identici corridoi.
«Il palazzo è grande, se andiamo avanti così non finiamo più e diamo troppo nell’occhio, rischiamo di farci scoprire. Dividiamoci, ognuno segue una direzione diversa.».
«Ma ci perderemo!» esclamò Bronte, alterato.
«Non se ascoltate quello che vi dico: in ogni corridoio ci sono quadri con la cornice dorata da un lato e con la cornice di legno dall’altro. Se tenete quelle dorate alla vostra destra andate verso l’uscita, se alla vostra sinistra andate sempre più verso l’interno. Datevi mezz’ora, e vi ritroverete poi tutti fuori dal palazzo, io rimarrò qui, così Igor non sospetterà niente. Tornerete un’altra volta con dei rinforzi ad arrestarlo, è già tanto se in tre riuscite a recuperare Max e ad uscirne vivi.».
«Va bene, muoviamoci allora.» disse Semir cominciando ad imboccare una delle due strade.
«Okay... grazie Eve.» salutò Ben, avvicinandosi alla ragazza.
Eve ricambiò il saluto, per poi farsi sempre più vicina «Non so se ci vedremo più Ben. Permettimi solo questo.».
Lo baciò delicatamente e fuggì di corsa lungo uno dei corridoi, lasciando il poliziotto solo in mezzo all’incrocio.

 

Niente di che e di passaggio, ma era necessario.
Grazie a chi continua a seguirmi e a presto!
Sophie :D

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Capitolo 20
*** Labirinto ***


Labirinto

Ben rimase immobile in mezzo al corridoio ancora per alcuni istanti.
Eve se ne era andata e lo aveva lasciato completamente solo, dicendogli che non si sarebbero più visti... forse era meglio così, almeno nemmeno volendo avrebbe più avuto distrazioni. L’avrebbe dimenticata e a caso concluso sarebbe tornato da Clara, più innamorato di prima. Eppure quella previsione lo aveva turbato, sperò ardentemente che alla ragazza non succedesse nulla di male, o forse non se lo sarebbe mai perdonato.
Si guardò intorno, Semir e Bronte erano già spariti. Si avviò verso sinistra alla ricerca di Max, appiattendosi contro il muro ad ogni minimo rumore, osservato dagli occhi attenti di quelle persone dipinte immobili sulle alte pareti.

 

Semir non staccò la mano dalla parete nemmeno per un istante, assicurandosi attraverso le cornici di stare andando dalla parte giusta, verso l’interno del palazzo. Aveva sempre saputo che Max non era la talpa, ora non restava che trovarlo e rimetterlo in salvo, sperando che non se ne fosse già occupato Kallman.
Il buio era soffocante e una strana paura si stava lentamente facendo strada nel cuore del piccolo ispettore.
Troppo calmo quell’ambiente... come potevano esserci così pochi uomini di guardia? Probabilmente nessuno si aspettava un’irruzione da parte della polizia.
Proseguì accelerando il passo, sperando di trovarsi il prima possibile fuori di lì.

 

Un rumore lo fece sussultare.
Alex Bronte si voltò di scatto con la pistola pronta alla mano, costatando però di essere completamente solo. Riprese a camminare con prudenza, rallentando non appena sentiva voci provenire da stanze o corridoi vicini.
Si chiese più volte per quale motivo si fosse lasciato coinvolgere e maledisse ancora una volta i colleghi dell’autostradale: prima o poi quei due ispettori lo avrebbero avuto sulla coscienza, poco ma sicuro.
Continuò a camminare con circospezione ed entrò di soppiatto in una stanza per controllare ma non vi trovò nessuno. Proseguì, accompagnato da un’angoscia sempre maggiore.

 

~~~

Dieter accostò la macchina proprio sotto al palazzo di Marcus Fisher.
L’assassino di Hanser non era stato così scaltro, aveva lasciato delle impronte al comando e Susanne, con l’aiuto di Hartmut, era riuscita a rintracciarlo.
Lui e Otto salirono le scale del palazzo con circospezione e tolsero la sicura dalle pistole, i rinforzi erano appena dietro di loro.
Arrivati sul pianerottolo dell’appartamento che cercavano, sfondarono la porta con un calcio e per una volta furono fortunati: non avrebbero dovuto fare fatica ad arrestare il criminale, era steso sul divano, ubriaco fradicio.
Sia loro sia i rinforzi riposero le pistole e prelevarono Fisher, semi cosciente, per portarlo al comando.

~~~

 

Ben si fermò un attimo per riprendere fiato. Senza nemmeno accorgersene si era messo a correre e ad aprire tutte le porte delle stanze che incontrava ma di Max non c’era neppure l’ombra. Improvvisamente si accorse che mancava veramente poco all’appuntamento fuori dall’edificio, avrebbe dovuto sbrigarsi. Ma soprattutto si accorse di aver totalmente perso l’orientamento: quei corridoi erano tutti uguali e lui aveva dimenticato completamente la storia delle cornici. Doveva seguire quelle dorate o le altre per raggiungere l’uscita? Sentì dei passi farsi sempre più vicini e si nascose dentro ad una stanza vuota. Si era cacciato in un guaio, come avrebbe fatto ad uscire di lì?

 

Semir cominciò a perdere le speranze costatando che anche quell’ultima stanza era vuota. Ma dove potevano averlo nascosto? Perché non lo trovava? Vide passare a pochi metri da lui una ragazza, era quella che il giorno prima aveva aperto loro la porta. Pensò di seguirla e la vide entrare in un’altra stanza per controllare qualcosa e poi uscirne subito, in fretta. Semir aprì quella porta con un po’ di timore, ma finalmente una parte di angoscia svanì quando intravide nella penombra una massa scura appoggiata al muro: lo aveva trovato.

«Semir!» quasi gridò Max alzandosi e andandogli incontro.
Non era legato.
«Max, stai bene?».
L’uomo annuì «Come sei arrivato qui?».
«È una storia un po’ lunga.» spiegò il turco «Dai, vieni, dobbiamo uscire di qui, abbiamo appuntamento fuori dal palazzo tra... due minuti. Con Ben e Bronte, dai andiamo!».
«Sai come uscire di qui?» domandò Max, scettico.
«Sì, bisogna seguire i quadri, dai vieni.».
Uscirono dalla stanza e si avviarono di corsa verso l’uscita.

Quando riuscirono ad uscire da una porta sul retro senza essere visti da nessuno, entrambi emisero un sospiro di sollievo.
«Ce l’abbiamo fatta! Grazie Semir.» fece il biondo con un gran sorriso.
«Ti dovevo un favore.» rispose Semir, cercando però con gli occhi l’altro collega. Vide Bronte, sano e salvo, avvicinarsi a loro... ma Ben? Dov’era Ben?
«Commissario, Ben è con lei?» domandò, mentre il cuore cominciava a battergli all’impazzata.
Il capo dell’LKA fece cenno di no, corrucciando la fronte «Pensavo fosse già fuori.».
«Mapporca...» imprecò Semir mentre l’agitazione e la paura si facevano strada in lui a velocità impressionante «Torno dentro a cercarlo.».
Fece per rientrare ma un rumore lo bloccò sulla soglia.
Colpi di pistola.
Ben.

 

Ben si protesse dietro una colonna. Lo avevano scoperto, uno dei criminali gli stava già sparando addosso e prima o poi sarebbero arrivati i rinforzi ad aiutarlo. E lui aveva solo una pistola e un giubbotto antiproiettili, gli altri erano sicuramente già fuori dall’edificio.
«Vieni fuori sbirro, che ti ammazzo con le mie mani...» diceva in continuazione il criminale, ora girando con passo felpato per la stanza.
Ma non continuò per molto. Sentì che qualcuno lo stava chiamando e uscì dalla stanza piuttosto in fretta, non prima però di aver lanciato sul pavimento due cose: un fumogeno... e un piccolo fiammifero acceso.
Solo allora il poliziotto si accorse che nella stanza si trovavano alcune taniche dal contenuto infiammabile e che una di esse perdeva un liquido trasparente troppo vicino alla fiamma di quel piccolo pezzetto di legno.
«Non ho il tempo di cercarti e non posso lasciarti vivo, mi dispiace.» fece l’uomo per poi scomparire di corsa tra il fumo che già cominciava a diffondersi nell’aria.
Ben cominciò a tossire e nel giro di pochi attimi non riuscì più a respirare. Non vedeva niente e sentiva che le forze lo stavano lentamente abbandonando.
Si accasciò sul pavimento.
L’ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi fu qualcuno che lo trascinava per le braccia fuori da tutto quel fumo.

 

Semir prese Ben per le braccia e cominciò a trascinarlo verso l’uscita con tutta la forza di cui era capace. Gli bruciavano gli occhi e aveva cominciato a tossire anche lui violentemente, ma non poteva permettersi di fermarsi.
Continuò a trascinare l’amico, arrivando quasi fino all’uscita, fortunatamente vicina alla stanza.
Poi un rumore lo sorprese alle spalle, ed entrambi vennero scaraventati in aria, fuori dall’edificio.

Esplosione! Almeno Max è salvo e sicuramente dovrà delle spiegazioni ai colleghi.
Ben ha un brutto presentimento su Eve...
Grazie a chi continua a seguirmi, un bacio
Sophie :D

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Capitolo 21
*** Salvataggio ***


Salvataggio

 

I poliziotti atterrarono contemporaneamente sulla schiena con un colpo violento in seguito all’esplosione.
Bronte e Max dovettero spostarsi velocemente per non essere gettati a terra.
Semir si rialzò quasi subito e si preoccupò vedendo che il collega non faceva altrettanto, ma rimaneva disteso ad occhi chiusi.
«Ben? Maledizione Ben, svegliati!» urlò con il cuore che gli batteva all’impazzata. Scosse con forza il corpo immobile dell’amico, chiamandolo ancora, ma non accadde assolutamente niente.
«Ben!» gridò ancora, terrorizzato. Si voltò verso gli altri due colleghi in cerca di aiuto ma trovò in risposta solo espressioni assenti.
Provò a chiamarlo e a scuoterlo ancora e ancora, per un tempo che a lui parve interminabile, in preda alla disperazione.

E poi, finalmente, il giovane cominciò a tossire, aprendo gli occhi.
«Ben? Grazie a Dio Ben, mi hai fatto prendere un colpo!».
L’ispettore sorrise «E che divertimento ci sarebbe altrimenti?» scherzò, continuando però a tossire.
«Stupido.» lo apostrofò Semir assestandogli una forte pacca sulla spalla.
Non ebbero il tempo di dirsi altro, sentirono un vociare confuso all’interno del palazzo, segno che i criminali all’interno erano stati avvisati dell’intrusione dei poliziotti e magari adesso li stavano cercando, attirati dal rumore dell’esplosione.
I quattro uomini si alzarono e si diressero di corsa verso l’albergo.

~~~

Marcus Fisher stava seduto nella scomoda sedia della stanza degli interrogatori nel comando dell’autostradale, a Colonia.
Si era ripreso dalla condizione in cui gli sbirri lo avevano trovato, in fondo non aveva bevuto così tanto. Lo aveva fatto solo perché sconvolto dalla paura: temeva che presto gli uomini di Schwarzer sarebbero venuti a cercarlo per toglierlo di mezzo e nonostante tutto era felice che a raccattarlo prima di loro fossero stati gli sbirri. I quali però, da più di un’ora non facevano altro che tempestarlo di domande.
«Forse non mi sono spiegato.» ripeté Dieter per l’ennesima volta «Voglio conoscere tutti i dettagli dell’organizzazione per cui lavori, tutti.».
L’uomo sbuffò, impertinente.
«Devo farla direttamente sbattere in una cella?» provò ancora l’ispettore.
«E va bene, va bene. Ma sappia che lo faccio solo perché non ne posso più di stare qui dentro e perché voglio vendicarmi di Schwarzer... vi racconterò tutto.» concluse il criminale in un sussurro.

~~~

I quattro poliziotti arrivarono ansimanti nel piazzale davanti al loro albergo, scoprendo con sorpresa che i criminali non li avevano seguiti.
Si fermarono tirando un sospiro di sollievo ma Ben ricominciò a tossire.
«Ben, tutto a posto?» domandò Semir, preoccupato.
Il più giovane sorrise «Semir, rilassati, sembri una corda di violino, è solo un po’ di tosse.».
«Rilassati, certo, già che ci sono mi metto anche un po’ a prendere il sole.» fece ironico l’ispettore, facendo spuntare un timido sorriso sulle labbra degli altri tre uomini.
«Max, tutto bene?» chiese quindi Ben rivolto al biondo poliziotto.
«Sì sì, solo... penso di dovervi delle spiegazioni.».
«Già, penso anche io.» convenne Semir in un sussurro.
«Che ne direste di parlare in albergo, signori? Sta ricominciando a piovere.» osservò Bronte, e il gruppetto si diresse a passo lento verso l’entrata dell’hotel.
Non sentirono l’uomo arrivare alle loro spalle.
Udirono solo il colpo di pistola e si bloccarono spaventati.

Si controllarono a vicenda, nessuno di loro era stato colpito. Ma non ebbero nemmeno il tempo di capire chi ci fosse alle loro spalle che sentirono un grido soffocato. Solo allora videro Bronte tra le braccia di Sebastian Fudger, che se ne faceva scudo puntandogli la pistola alla tempia.
«Fudger!» esclamò Ben «Lurido schifoso, eri tu la vera talpa, Max è innocente!».
«Già e peccato che sia ancora vivo.» commentò il criminale «Come siete stati carini a venire a salvarlo, un gesto veramente coraggioso... che non servirà a niente.».
«Ti conviene arrenderti, Fudger, lascia il commissario. Siamo in tre contro uno, non puoi fare niente.» intervenne Semir estraendo come gli altri la pistola.
«Provate a sparare e io uccido il mio adorato superiore.» intimò l’uomo.
«Tu... tu mi hai ingannato per tutti questi anni? Io mi sono sempre fidato di te, maledizione, sei sempre stato il mio braccio destro nelle indagini!» sbottò Bronte, ricevendo come risposta una maggiore pressione della canna della pistola sulla tempia.
«Già, per tutti questi anni... per tutti questi anni trattato come una pezza da piedi da un commissario incompetente come lei! Il troppo stroppia commissario, non l’aveva mai sentito dire?» fece Sebastian con continua aria di sfida. Era evidente che fosse fin troppo sicuro di sé, bisognava fare qualcosa, salvare il commissario dell’LKA in qualche modo.
«Lo lasci andare!» provò ancora Ben, ma non ottenne reazioni.
«Sparate, che aspettate?» gridò Bronte invece, sempre tra le grinfie del suo ex sottoposto.
Max non fece nulla, sembrava come incantato. Aveva la pistola in mano ma tutti sapevano che non avrebbe sparato.
«Sparate, e avrete un commissario ridotto a colabrodo.» intimò ancora Fudger.
Ben e Semir si scambiarono una rapida occhiata d’intesa.
Poi aprirono il fuoco.

Successe tutto piuttosto in fretta e nessuno ebbe il tempo di realizzare fino a che non fu tutto finito.
Spari, grida, poi la calma assoluta.
E Fudger, fortunatamente, era a terra ferito superficialmente.
Bronte era riuscito a divincolarsi dalla sua presa appena prima che si aprisse il fuoco e si era salvato, tutto sembrava andato bene.
I poliziotti, prima di tornare in albergo, andarono al comando della polizia criminale di El Fahim a consegnare Sebastian in manette.
Poi uscirono sollevati, non fecero caso alla frase che l’uomo gridò loro dietro prima che sparissero dalla sua vista, inizialmente non sembrò importante.
«Ve ne pentirete. Se il capo subisce un torto non si dimentica di chi glielo ha fatto. Si vendicheranno, vi uccideranno, siete solo all’inizio dell’inferno. Avete capito? Per voi sta per iniziare un incubo fine.».

 

Grazie mille per le recensioni, davvero!
A presto
Sophie :D

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Capitolo 22
*** Fuga ***


Fuga

I poliziotti rientrarono in albergo sollevati sapendo il traditore in prigione e si sistemarono tutti e quattro nella stessa stanza per ascoltare la vera storia di Max.
Non sapevano cosa stesse succedendo nel frattempo alla base dell’organizzazione criminale, non potevano saperlo...

 

Rebecca si aggirava sola per i lunghi corridoi dell’edificio, contemplando ancora i segni dell’irruzione della polizia. Si erano portati via Max, per fortuna: in questo modo lui non sarebbe stato ucciso e lei non sarebbe dovuta stare troppo a contatto con il proprio passato.
Sobbalzò quando sua sorella la sorprese alle spalle e si voltò di scatto, con aria dura.
«Li hai aiutati ad entrare?» domandò a bruciapelo senza nemmeno salutarla.
Eve abbassò lo sguardo «Io non volevo... io ho provato a dire di no ma...».
«Ma ti rendi conto di che rischio hai corso? Se Igor lo fosse venuto  a sapere...» non concluse la frase per paura delle sue stesse parole «Ma perchè?».
«Perché me l’ha chiesto Ben e io non ho saputo dire di no.» mormorò la sorella più piccola, con un tono tanto sottile che l’altra dovette sforzarsi per cogliere la frase.
«Ben?».
«È uno dei poliziotti... l’ho conosciuto al mercato e... Reb, mi sono cacciata in un bel guaio, vero?».
Rebecca scosse il capo con un sospiro «Ti prego Eve, non abbiamo tempo per flirtare con dei poliziotti! Non ora, soprattutto...».
«Lo so sorellona, hai ragione è che... non lo so, quel ragazzo ha qualcosa di speciale...».
La maggiore alzò gli occhi al cielo «Anche io ho una notizia speciale da darti... abbiamo i soldi per partire. Eve, possiamo fuggire!».
Eve quasi gridò rischiando di farsi sentire per la felicità. Non poteva crederci! Avrebbero potuto fuggire, potevano scappare da quella prigionia maledetta. Avrebbero cambiato stato, magari anche continente, si sarebbero costruite un’altra vita, lontane da tutto quell’orrore. Era tanto entusiasta che si dimenticò completamente persino di Ben.
«Davvero? Possiamo davvero?».
«Sì, abbiamo racimolato abbastanza soldi e c’è un volo che parte stasera per Berlino.» spiegò Rebecca con entusiasmo. Aveva appena finito di fare i conti e quando aveva scoperto che finalmente se lo sarebbero potute permettere non ci aveva creduto nemmeno lei.
«Allora prendiamolo! Partiamo Reb, meno stiamo qui meglio è.».
«Sì ma prima devo liberare i bambini... ne ho già troppi sulla coscienza, non voglio lasciare anche questi tra le grinfie di Igor. Devo lasciarli andare... ci penseremo appena prima di lasciare l’edificio, ti va?».
«Ma certo!» esclamò Eve. Non vedeva l’ora, non le sembrava vero. Ma poi improvvisamente si rabbuiò «Reb... ma cosa hai intenzione di fare con Marie?».
La chirurga fissò la sorella minore negli occhi, spiazzata da quella domanda.
Marie, non ci aveva pensato. Aveva sognato per anni e anni che giungesse il momento della fuga ma a Marie non aveva mai pensato. Cosa doveva fare? Liberarla in strada come gli altri bambini?
«Dobbiamo portarla con noi.» affermò Eve, sicura «È solo una bambina...».
«Anche gli altri sono solo dei bambini.» sbottò Reb, cambiando completamente tono.
«Certo ma Reb... Marie è tua figlia!».
Rebecca annuì, reprimendo le lacrime che minacciavano di scendere sul suo viso. Era vero, era sua figlia... ma era anche il suo legame più stretto con l’orribile vita passata.
Era il legame più stretto che aveva con lui.

 

Erano le 16.03 quando le due sorelle decisero definitivamente di entrare in azione. Avrebbero liberato in fretta i bambini e sarebbero fuggite a piedi, di corsa, verso l’aeroporto, sperando che Igor notasse la loro assenza solo una volta lontane. Era una follia, ed entrambe lo sapevano benissimo: il capo di Igor aveva contatti ovunque e magari le avrebbero cercate... ma dovevano provare, era in gioco, finalmente, la loro libertà.
Entrarono di soppiatto nella stanza dei bambini e intimarono loro di alzarsi senza proferire parola. Quindi percorsero il lungo corridoio buio che li separava dall’uscita e aprirono la porta senza produrre nemmeno un minimo cigolio. Uscirono, Rebecca in testa con la piccola Marie per mano, dietro una decina di bambini stupiti e spaventati e a chiudere la fila un’attentissima Eve.
Rebecca sapeva perfettamente cosa fare: avrebbe portato i bambini davanti al commissariato della polizia criminale della cittadina, che tra l’altro era vicino all’albergo dove la sorella le aveva detto che alloggiavano i poliziotti di Colonia, in modo che gli ispettori del luogo li trovassero e capissero la loro provenienza per poi riportarli ognuno dalla propria famiglia.
Arrivarono davanti all’hotel e tutte e due tirarono un sospiro di sollievo: ancora nessuno sembrava averle scoperte.
Riuscirono a raggiungere il commissariato senza problemi e, dopo essersi assicurate che in giro non vi fosse nessuno, raggrupparono i bambini a pochi passi dall’entrata per dare loro le informazioni necessarie: dopo che le ragazze se ne fossero andate, i piccoli avrebbero semplicemente dovuto chiamare aiuto e gli agenti si sarebbero sicuramente presi cura di loro. Non che Rebecca si fidasse ciecamente della polizia locale, ma era pur sempre la polizia e aveva il dovere di occuparsi di situazioni del genere.
Entrambe fecero una marea di raccomandazioni ai piccoli, salutandoli poi e allontanandosi in fretta dal piazzale, portandosi dietro solo Marie.
L’aeroporto era a una mezzoretta di distanza a piedi, dovevano muoversi se volevano riuscire ad eseguire il check-in per poi partire con l’aereo delle 18.00.
«No!» esclamò Eve ad un tratto.
Rebecca si bloccò di colpo. Erano appena uscite dal piazzale, riavvicinandosi alla base, da cui adesso distavano solo una ventina di metri per poi prendere la strada che le avrebbe portate all’aeroporto.
«Cosa c’è?».
«Il medaglione! Reb, l’ho lasciato in camera mia, alla base, devo andare a prenderlo!».
«Ma non se ne parla nemmeno Eve, dobbiamo andare, non c’è tempo.» esclamò la maggiore.
«Io non me ne vado senza il medaglione, è l’unico ricordo della mamma che mi rimane.» affermò Eve. Era testarda, lo era sempre stata.
«Ti prego Reb, ci metto un attimo.».
«Se Igor ti vede...».
«Igor non mi vedrà, stai tranquilla una buona volta!».
Rebecca annuì «E va bene, io ti aspetto qui fuori dalla porta ma sbrigati e stai attenta, ti prego.».
La più giovane sorrise e si avviò di corsa verso la porticina laterale dell’edificio.
Solo poco più tardi la chirurga si sarebbe accorta di aver fatto il peggiore errore della propria vita.
Bastò un rumore.
Il suono di uno sparo che si diffuse nell’aria, ed il cuore le si fermò nel petto.

Ops. Chi ha sparato e a chi?
Un bacio e grazie mille per le recensioni!
Sophie :D

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Capitolo 23
*** Pioggia e racconti ***


Pioggia e racconti

«E questo è tutto.» fece Max con aria sconsolata.
Aveva appena terminato di raccontare tutta la sua storia agli altri tre poliziotti, esattamente come l’aveva raccontata prima a Rebecca.
«E perché hai deciso di infiltrarti da solo, così?» domandò Ben ancora leggermente scettico.
«Non lo so, volevo risolvere il caso, volevo fare da solo... e ho fatto solo un disastro, se non fosse stato per voi a quest’ora sarei morto. Ah, dimenticavo di dirvi una cosa: il mio cognome non è Rieder, quello me lo avevano affibbiato in seguito alla storia del traffico d’organi per paura che i criminali mi venissero a cercare. Il mio vero nome è Max Schwarzer.».
A Semir andò per traverso il caffè che stava sorseggiando.
«Semir? Semir, tutto bene?» si preoccupò Ben dandogli una forte pacca sulla schiena.
«Sì ma... Schwarzer?» domandò il turco cercando di non pensare all’idea che gli era appena venuta in mente.
«Sì... perché?» chiese Max, senza capire.
Semir non rispose, prese un foglio che aveva sulla scrivania e lo osservò attentamente: era la foto del capo dell’organizzazione che Susanne gli aveva mandato per mail. Come aveva fatto a non pensarci prima? Erano identici, incredibilmente simili...
«Max... lo conosci?» chiese all’ispettore porgendogli il foglio «È Carl Schwarzer, il capo dell’organizzazione.».
Max sbiancò e rimase immobile con la foto sotto agli occhi.
«Papà...».

 

«Come si sente?» domandò Bronte con preoccupazione.
Avevano fatto sedere Max sul letto e gli avevano portato un po’ di acqua e zucchero.
«Meglio, grazie. Che bastardo... che bastardo! Ecco perché si era completamente disinteressato alla faccenda di mio figlio, lui ci avrebbe solo che guadagnato! Ecco perché poi era sparito! Criminale, odioso, lurido...».
«Max, calmati magari è solo un caso di omonimia, magari non...» provò Ben, ma ormai il biondo sembrava inarrestabile.
«Ben, ho visto la foto, so riconoscere mio padre... nonostante non lo veda da sette anni. Non posso crederci... non posso crederci! Tutti quei bambini, li ha tutti lui sulla coscienza! Scommetto che è stato lui... sì, è stato lui a dare l’ordine di uccidere mio figlio invece che operarlo. È colpa sua se Angela e morta ed è colpa sua se...».
«Max, aspetta un attimo! Non è che stai correndo un po’ troppo?» lo interruppe ancora Semir, ma ogni loro sforzo di farlo calmare sembrava inutile.
«Non sto correndo affatto! A che serve negare l’evidenza? Ora voglio trovarlo. Perché appena lo trovo io... io...».
Lo interruppe il campanello della porta della camera d’albergo, che suonò con insistenza.

 

Rebecca suonò ancora e poi bussò freneticamente, gridando aiuto.
Non si calmò nemmeno quando sentì un certo movimento provenire dall’interno della stanza, continuò a sbattere i pugni sulla porta di legno fino a che un bel ragazzo alto non le venne ad aprire. Quindi si gettò nella stanza e raggiunse Max, lasciandosi andare tra le sue braccia ad un pianto disperato.

 

«Rebecca? Rebecca, che succede? Cosa ci fai qui?» fece il poliziotto sconvolto, mentre i colleghi lo guardavano straniti.
«Mia sorella...» singhiozzò la ragazza «L’ha uccisa! L’ha uccisa!» gridò tra le lacrime. Il suo corpo era scosso dai forti singulti, la giovane era agitatissima, il viso rosso, gli occhi gonfi di lacrime.
«Rebecca... calmati, cosa è successo? Chi ha ucciso chi?» fece il biondo sempre più preoccupato.
«Igor!» gridò la ragazza, e non riuscì a dire nient’altro.
Continuava a piangere, non riusciva a calmarsi.
Bronte le toccò una spalla e lei si voltò, mostrando al commissario due occhi straziati dal dolore... due occhi che a Ben non poterono che ricordare quelli di Eve.
Un pensiero orribile gli attraversò la mente: che quella ragazza fosse proprio la sorella di Eve? Ma in quel caso...
«Kallman ha ucciso sua sorella?» domandò Ben corrucciando la fronte e Rebecca annuì, tornando quindi tra le braccia di Max «Noi volevamo scappare... noi...».
Scoppiò di nuovo in pianto disperato.

 

«Erano anni che mettevamo da parte i soldi per fuggire, e ci eravamo riuscite. Avremmo avuto un volo oggi alle diciotto per Berlino, abbiamo liberato i bambini ma poi lei è tornata indietro a prendere il medaglione di nostra madre e Igor l’ha sorpresa... io sono fuggita, avrebbe ucciso anche me!» spiegò Rebecca.
I quattro poliziotti erano riusciti a farla calmare almeno un minimo, il necessario perché la ragazza riuscisse a raccontare cosa fosse successo. Ora stava lì, seduta su una sedia, gli occhi segnati dal pianto e le mani tremanti.
Ben non avrebbe resistito ancora a lungo. Voleva capire...
«Eve?» domandò semplicemente.
E lo sguardo affermativo che gli lanciò la chirurga fu più che sufficiente a mandarlo in confusione.
Si portò una mano alla fronte e sospirò, tentando di mantenere il controllo, tentando di paragonare il dolore che poteva sentire lui a quello che invece doveva provare Rebecca.
«Mia mamma me l’aveva affidata... era piccola quando è morta, mi ha detto che mi sarei dovuta prendere cura di lei e io non ne sono stata in grado.» mormorò ricominciando a piangere silenziosamente.
«Tu non hai nessuna colpa.» sussurrò Max cingendole la vita con un braccio.
L’atmosfera all’interno di quella piccola stanza d’albergo era diventata pesante e la pioggia che batteva contro i vetri non faceva che rendere gli animi ancora più tristi.
Improvvisamente Max sembrò ricordarsi di qualcosa e corrucciò la fronte.
«E Marie?».
«Ce l’ha lui.» disse Rebecca.
Ma non sembrava addolorata per questo. I suoi pensieri erano rivolti tutti verso sua sorella... e la bambina? Max era sicuro che fosse sua figlia anche se lei non gliene aveva mai parlato. Come faceva a non preoccuparsi di sua figlia nelle mani di un criminale?
«Mi ha detto che così non sarei andata tanto lontano.» spiegò lei, poi un sorriso amaro le si dipinse sulle labbra «Ma tanto non la ucciderebbe mai. Non potrebbe mai uccidere la figlia del suo capo perché verrebbe ucciso a sua volta in quattro e quattr’otto.».
«La figlia del suo capo?» domandò Semir. Continuava a non capire, come Ben e il commissario Bronte, d’altra parte.
«La figlia di mio... padre? Quella bambina?» domandò Max ancora più incredulo.
Era palese che nessuno in quella stanza stesse capendo più nulla. Nessuno tranne Rebecca, che ebbe la conferma di ciò che aveva intuito.
«Carl Schwarzer è tuo padre?» chiese la ragazza recuperando lucidità e mettendo per un attimo da parte il dolore che provava per la sorella. Aveva pronunciato quel nome per la prima volta dopo cinque anni e mezzo e lo aveva fatto con disgusto.
Alla tacita risposta di Max, Rebecca continuò «Lo sapevo, l’ho immaginato non appena ti ho visto. Mi sa che è ora che tutti voi sappiate delle cose. La mia storia Max già la conosce e ve la racconterà. Ma forse non sapete che Carl è effettivamente il capo dell’organizzazione: è una delle persone più spietate e cattive che abbia mai conosciuto. È stato lui ad uccidere mia madre dopo averla violentata anni fa ed è stato lui ad aprire la sede, per fare soldi. Ha cominciato ventidue anni fa con il chiaro obiettivo di espandersi e diventare capo di un’organizzazione internazionale e ci è riuscito. Io vivo lì da quando avevo sei anni e ho visto morire prima mia madre, poi tanti uomini anche prima dell’apertura vera e propria della sede e soprattutto tanti bambini. Lui uccideva perché gli faceva comodo, uccideva se una persona non gli serviva più, uccideva se una persona gli stava anche solo semplicemente antipatica. Poi sei anni fa l’ha fatto anche con me... mi ha violentata e io sono rimasta incinta.» fece una pausa asciugandosi una lacrima che piano le scorreva sulla guancia.
«Nove mesi dopo è nata Marie e io ho partorito da sola in una stanza buia, una di quelle della sede. Poi non l’ho più rivisto. Continua a dirigere l’organizzazione ma viene a far visita alla struttura solo ogni tanto, la sede ora è in mano a Igor Kallman. Io ho accettato di fare da chirurga perché non avevo altro posto dove stare, perché lì avevo mia figlia e mia sorella e perché mia mamma mi aveva affidata a Igor prima di morire, quando ancora lui non era immerso in questo traffico criminale. Ora è diventato come loro... e anche io sono diventata come loro.» concluse in un sussurro.
Nessuno ebbe il coraggio di replicare per qualche attimo.
«Tu non sei come loro.» affermò quindi Max «Altrimenti adesso non saresti qui a raccontarci tutto questo.».
Lei scosse il capo sorridendo amaramente «Se mia sorella non fosse morta io non sarei qui. E se sono qui adesso è perché voglio Igor e Carl in galera, perché li voglio spacciati per sempre. È chiaro poi che io andrò con loro. Ma voglio prima vedere loro in prigione e mia figlia viva. E voglio poter piangere sul cadavere di mia sorella prima che loro si sbarazzino del suo corpo come di quello di un’estranea qualunque che hanno ucciso perché era diventata troppo ingombrante, come lo era diventata mia madre.».
Silenzio.
Era calato di nuovo nella stanza velocemente.
Solo lo scrosciare della pioggia ormai lo rovinava.

 

Adesso sappiamo che è Max, chi è Marie e chi è Rebecca. Forza che non restano ancora tanti capitoli!
Un bacio e grazie mille a tutti coloro che mi stanno seguendo.
Sophie :D

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Capitolo 24
*** Affare ***


Affare

 

«Ha detto che è molto vendicativo, giusto?» riepilogò Bronte, seduto a braccia conserte su una sedia. Era l’unico che ancora dava del lei a Rebecca.
«Esatto.  E adesso, se lo conosco almeno un po’, vorrà farvela pagare per aver portato scompiglio nella loro sede e per aver liberato Max. probabilmente Carl ormai sa che si trattava di suo figlio ma non penso che questo lo possa fermare.» spiegò la ragazza.
«Ma figuriamoci!» intervenne Max, con voce dura e distante «Quel bastardo ha ordinato di far uccidere suo nipote, come potrebbe preoccuparsi per me?».
«Va bene, ma come dovrebbe farcela pagare? Insomma, abbiamo la polizia turca dalla nostra parte, non potrà certo ammazzare tutti gli agenti uno per uno, è assurdo!» obiettò Semir girando per la stanza senza mai fermarsi.
«Ma tu credi davvero di poter contare sulla polizia locale? Quelli sono corrotti, Carl tiene in pugno l’intera città... ma non avete visto che clima regna in paese anche nelle più normali giornate? La gente ha paura e ha paura perché c’è lui.» disse la ragazza.
«In pratica siamo cinque contro mille.» costatò Ben con un sorriso amaro.
«In pratica.» convenne Rebecca.
«Va bene, ma allora come facciamo a sbatterli dentro?» domandò Semir, scettico.
«Io penso che prima dovremmo pensare a salvarci, poi a sbatterli dentro.» continuò la giovane chirurga «E a salvare Marie che però vi ripeto, non corre nessun rischio fino a che è in mano a Carl. Lui la vuole viva, semplicemente perché spera possa essere la sua “erede”, non si fida abbastanza di Igor.».
«Allora ci servono rinforzi.» affermò Bronte «Possiamo chiamare dei colleghi dalla Germania.».
«Già ma prima di domani in giornata non arriverebbero.» notò Ben «E quei criminali potrebbero anche decidere di agire questa notte, sono solo le sette.».
«Chiamate i colleghi, se riescono a venire è comunque meglio, io non mi fiderei né della polizia di El Fahim, né di quella delle località qua vicino.» disse Rebecca e il commissario dell’LKA si alzò di scatto estraendo il cellulare e componendo il numero del comando. Si allontanò per parlare con i colleghi in Germania lasciando gli altri alla loro discussione, che venne però interrotta dallo squillo del cellulare di Ben.
«Jager? Buonasera. Senta, la blocco in anticipo, non mi faccia la ramanzina sul fatto che dovrei starmene a letto e mi spieghi cosa sta succedendo laggiù.» fece una voce femminile dall’altro capo del telefono.
«Capo! Sta bene?» domandò invece Ben, felice di sentirla.
«Jager, giunga al dunque.» lo redarguì subito il commissario e all’ispettore venne da sorridere.
«Capo, abbiamo liberato Max e sappiamo per certo che il capo dell’organizzazione è Carl Schwarzer. Ora temiamo si voglia vendicare per la nostra irruzione alla sede... Bronte sta chiamando i suoi perché vengano rinforzi il prima possibile, la polizia turca potrebbe essere corrotta.».
«Mi sa che abbiamo a che fare con un pezzo grosso. Mi creda che se potessi sarei già lì.».
«Ma non stento a crederlo commissario! Però è meglio se si riposa...».
«Jager, cosa le ho detto? Nessuna ramanzina. Mando anche qualcuno dei miei uomini. Noi abbiamo arrestato uno dell’organizzazione che ha sputato il rospo e Susanne sta continuando a cercare informazioni. Io spero di uscire presto dall’ospedale. State attenti per favore. Gerkhan e Rieder tutto bene?» domandò la donna.
«Sì capo, stia tranquilla.».
«Molto bene, allora ci sentiamo, ditemi se avete novità.».
«Perfetto, buona serata.» salutò Ben prima di riattaccare.

 

«Signor Schwarzer, cosa devo fare con gli sbirri?».
«Li voglio morti.» fece una voce decisa.
Carl Schwarzer era appena entrato alla base. Era passato un po’ da quando vi aveva fatto visita l’ultima volta ma era accorso subito quando aveva capito che le cose si stavano mettendo male.
Gli occhi blu puntati in quelli del suo interlocutore, rifletteva.
«Hai tu la bambina, Kallman?».
Igor annuì.
«Allora usala. Attirali qui con la scusa di restituire loro la bambina e poi falli fuori. Ma non fare del male a Marie, mi servirà. È ancora abbastanza piccola, avrò il tempo di inculcarle in testa le mie idee, sarà la mia erede perfetta.».
«E suo figlio?» domandò Kallman con un impercettibile tremore nella voce.
«Quello non è mio figlio, è prima di tutto uno sbirro.» replicò l’uomo passandosi una mano tra gli ormai sbiaditi capelli rossicci.
Poi si sedette su una poltrona, e aspettò.

 

«Allora, come stai?» domandò Semir in un sussurro.
Aveva trascinato Ben per un attimo nell’altra stanza, era da quando era arrivata Rebecca che voleva parlargli e non ci era ancora riuscito. Ma non gli erano sfuggiti gli sguardi dell’amico quando aveva appreso della morte di Eve.
«Bene.» mormorò il più giovane con un sospiro.
«Ben... sai che a me puoi dire qualsiasi cosa, no? Quanti anni sono che lavoriamo insieme? Non vorrai che io mi beva il fatto che tu ora stai bene.» cominciò Semir fissando l’altro negli occhi «Dai, parla.».
«Ma niente Semir, sto bene, davvero. La notizia di Eve mi ha sconvolto un po’, è vero, ma poi ho pensato al dolore di Rebecca rispetto al mio... io non la conoscevo Semir, e non ero innamorato di lei. Io amo Clara e ne sono sicuro, adesso più che mai. Non so cosa mi sia preso quando l’ho baciata, davvero, ma io amo mia moglie più di ogni altra cosa, così come amo il bambino che arriverà tra poco.».
Semir sorrise e annuì «Lo so socio... sei un maritino modello.».
I due risero e fecero per tornare dagli altri ma lo squillo del cellulare di Semir li fermò.
«Sì, Semir.».
«Signor Gerkhan? Buongiorno... Buonasera, anzi. Penso che io e lei dovremmo parlare.».
«Signor Schwarzer?» domandò Semir immobilizzandosi in mezzo al corridoio e attirando così l’attenzione del collega.
«Perspicace Gerkhan, bravo. Vedo che il mio adorato figlioletto le ha già parlato di me. Mi ascolti, vi propongo un affare.».

 

E finalmente Schwarzer entra in gioco attivamente... cosa avrà in mente?
Grazie mille a chi continua a seguirmi,
un bacio.
Sophie :D

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Capitolo 25
*** Per ogni cosa c'è un prezzo da pagare ***


Per ogni cosa c’è un prezzo da pagare

Ben indossò il giubbotto antiproiettili e se lo sistemò addosso con cura. Poco distante, Semir faceva altrettanto. Dopo lunghe discussioni si era deciso che sarebbero andati solo loro due all’appuntamento con Schwarzer, che per telefono aveva proposto ai poliziotti di andarsi a prendere la bambina, senza volere nulla in cambio: poteva essere una trappola e non era prudente cadervi tutti insieme.
Max ne sarebbe rimasto fuori perché troppo coinvolto e Bronte avrebbe trattenuto Rebecca insieme a lui in albergo.
«Pensi davvero che voglia consegnarci la bambina?» domandò Semir scettico mentre entrambi si dirigevano a piedi verso il luogo dell’appuntamento.
Ben scosse il capo «Penso che la piccola sia l’ultimo dei suoi pensieri, quello vuole vendicarsi e basta. Anzi, sai cosa ti dico Semir? Forse sarebbe meglio se andassi solo io.».
«Spero tu stia scherzando.» fece l’ispettore continuando a camminare nonostante il collega si fosse fermato un attimo in mezzo alla strada.
«Non sto affatto scherzando, tu hai Andrea e le bambine e questa storia non mi piace nemmeno un po’.» replicò il più giovane con aria preoccupata.
«Ben, non vale più questa scusa, adesso anche tu hai famiglia.» rispose il turco con tono che non ammetteva repliche.
Continuarono a camminare diretti sul luogo dell’appuntamento e quando arrivarono si fermarono, guardandosi intorno circospetti, temendo il peggio.
Eppure non accadeva niente, assolutamente niente. Nella piccola piazzola ai margini del paesino di El Fahim regnava un silenzio assoluto, interrotto solamente dal cinguettio di qualche uccellino.
«Semir... sicuro che il posto fosse questo?» bisbigliò Ben con la mano destra pronta sulla pistola.
Il collega annuì toccando con lo sguardo ogni angolo alla ricerca di qualcosa, di un segnale. Fu allora che notò qualcosa: qualcosa che si muoveva spuntando da dietro l’angolo di un palazzo color mattone. Indicò il punto al più giovane ed entrambi si avvicinarono lentamente.
Voltarono l’angolo, e ciò che videro li lasciò per qualche attimo senza parole.

La piccola Marie era seduta per terra, legata mani e piedi e imbavagliata e si dibatteva continuamente nel tentativo di chiamare aiuto.
Ben e Semir si lanciarono un rapido sguardo interrogativo e il primo slegò la piccola con un piccolo coltellino svizzero che portava dietro.
«Ehi piccola...» le disse togliendole il bavaglio «Tutto bene? Sei ferita?».
La bambina scosse il capo corrucciando la fronte, guardando i due uomini con espressione spaesata, ma non impaurita.
Non ottenendo risposta, il più giovane ripose la domanda, ottenendo però il medesimo risultato.
«Ben, ha cinque anni, non penso sappia il tedesco se è sempre vissuta qui.» osservò Semir e cominciò a parlarle dolcemente in turco. Allora Marie rispose e i due dialogarono per qualche minuto, sotto gli occhi stupiti di Ben, che non capiva una parola.
Assistette alla scena totalmente muto, osservando la piccola che consegnava  un foglio al collega, poi l’ispettore che la faceva alzare tenendola per mano e dicendole qualcosa.
Semir cominciò quindi a camminare per il piazzale con il foglio tra le mani, leggendo le fitte righe che esso conteneva.
«Posso sapere cosa mi sono perso?» domandò Ben curioso.
«Portiamo la bambina in albergo, qui non c’è nessuno, non è una trappola, volevano solo consegnarci questo foglio e la storia non mi piace nemmeno un po’.» spiegò Semir mentre tutti e tre si allontanavano dal piazzale e Ben prendeva in braccio Marie assicurandosi che nessuno le avesse fatto del male.
«Ma cosa c’è scritto?».
«Ora te lo leggo...».

“Carissimi ispettori Jager e Gerkhan,
perché lo so, sarete venuti solamente voi due...
Sorpresi di non aver trovato i miei uomini ad accogliervi? Io ho mantenuto la mia parola, ho liberato la bambina.
In cambio però voglio la vendetta. Per voi è appena cominciato l’Inferno, ispettori, con adesso inizia un incubo da cui mai più vi risveglierete.
In questi giorni avete gravemente compromesso la mia organizzazione e adesso pagherete, perché per ogni cosa c’è un prezzo da pagare.
Ah, la vendetta, solo il pensiero mi allieta l’animo.
Mi vendicherò Gerkhan, Jager, riferitelo pure anche ai vostri colleghi, anche a mio figlio già che ci siete: mi vendicherò di voi quattro il prima possibile... e vi assicuro che vi pentirete di essere nati.
Vi auguro una buona giornata.
Carl Schwarzer”.

 


Pochi minuti dopo Ben, Semir e la piccola Marie si trovavano nella solita camera d’albergo. Madre e figlia si erano riabbracciate ed era seguito un momento di serenità che però non era durato a  lungo. Gli ispettori avevano letto la lettera ai colleghi e l’atmosfera era tornata cupa come poco prima alla velocità della luce.
«Quel bastardo... se lo vedo giuro che lo strozzo con le mie mani.» mormorò Max. Non era arrabbiato, era furioso, fuori di sé. Non aveva mai avuto un buon rapporto con suo padre, ma mai avrebbe creduto che quell’uomo potesse essere il capo di una delle più importanti organizzazioni criminali in ambito addirittura internazionale. E se prima per Carl aveva solo provato indifferenza, adesso la sfera dei sentimenti che provava per lui ruotava solo ed esclusivamente intorno all’odio: odio per un padre che non c’era mai stato e che ricompariva dopo tanti anni nei panni di un mostro, di un criminale in cerca di vendetta anche nei confronti del proprio figlio poliziotto.
Il telefono di Ben squillò interrompendo bruscamente quel silenzio inquieto che si era venuto a creare e il giovane ispettore rispose in attesa di buone notizie: «Sì, Jager.».
«Ben, sono Hartmut!».
«Einstein!» Ben attivò il vivavoce in modo che tutti potessero ascoltare e raccontò tutto ciò che era successo al tecnico della scientifica, che in quel momento si trovava al comando accanto a Dieter e Susanne.
«Questo è tutto. Il problema è che adesso questo Schwarzer si vuole vendicare e noi non abbiamo idea del “come”.».
«Forse io una mezza idea l’avrei.» commentò quindi lo scienziato.
«Davvero? Illuminaci Einstein, che ne abbiamo bisogno.» implorò Semir, sconfortato.
«Dunque, voi siete quattro poliziotti tedeschi in terra straniera e alloggiate in un piccolo paesino sperduto in Turchia, luogo che non conoscete, e non potete nemmeno contare sull’aiuto della polizia del posto. Siete totalmente soli...».
«Signor Freund, potrebbe essere più conciso per favore?» domandò Bronte cominciando a spazientirsi.
«Commissario, fa sempre così, ci dovrà prendere l’abitudine.» gli sussurrò Ben alzando le spalle.
«Sì sì, agli ordini.» esclamò invece il rosso dall’altro capo del telefono «In poche parole, se io fossi un criminale in cerca di vendetta, vorrei per prima cosa che voi foste soli e completamente isolati. Vorrei che non poteste contare su nessuno, assolutamente nessuno, nemmeno sui mezzi di comunicazione che vi legano a noi qui in Germania. Infondo è grazie a questi se avete scoperto tutto ciò che sapete sul conto dell’organizzazione.».
«Bene, sono d’accordo, ma questo è possibile?» domandò Ben corrugando la fronte.
«Sì, possibilissimo. Ho giusto dato un’occhiata via internet alla città, ho un programma particolare che mi permette di guardare come dal vivo il paese angolo per angolo e...».
«Hartmut!!».
«Va bene, va bene.» si scusò il tecnico «In breve: i cavi che servono alle comunicazioni telefoniche fra i cellulari sono tutti raggruppati in un unico contenitore appena fuori dal paesino, al confine opposto rispetto a quello in cui si trova il vostro albergo. Basterebbe tagliare quei fili per provocare un, chiamiamolo così, “blackout” totale nel campo delle comunicazioni. In tal caso i cellulari sarebbero totalmente inutili e voi sareste ancora più isolati. Anche perché in paese non esistono cabine telefoniche funzionanti a quanto so.».
«Fantastico, allora dovremmo muoverci ed evitare che... Hartmut? Hartmut, mi senti?» quasi urlò Ben nel cellulare ottenendo però in risposta solo un fastidioso fruscio.
Chiuse la comunicazione e guardò i colleghi.
«Il mio cellulare non prende.» esclamò Max.
«Nemmeno il mio.» costatò Semir «Mi sa che Schwarzer ha avuto quest’idea ancora prima del nostro Einstein.».
«Già... ci ha fregati di nuovo.».

Aggiornamento un po’ tanto veloce... Grazie a Maty, Furia, Chiara, Reb e Miki per le recensioni! Ancora tre capitoli e abbiamo finito.
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 26
*** Soli ***


Soli

«Come sarebbe a dire “isolati”?» sbottò Kim Kruger, seduta sul letto della sua stanza in ospedale.
«Già.» confermò Hartmut facendo su e giù inquieto.
«Proviamo a contattare la polizia del luogo.».

«Già provato, non rispondono.».
«Stia un po’ fermo, maledizione! Mi fa venire il mal di mare.» gridò il commissario e il tecnico della scientifica si fermò di colpo in mezzo alla stanza.
«Mi scusi, ma sono preoccupato. Al comando Dieter ha interrogato Fisher, che non ha fatto altro che parlare delle vendette che mette in atto il suo capo e adesso che Ben, Semir e Max sono isolati io ho paura che...».
«Ha ragione.» commentò la donna «Ma è necessario che manteniamo il sangue freddo se vogliamo aiutarli in qualche modo. Intanto avvisi la moglie di Jager e quella di Gerkhan, devono essere al corrente.».
Il ragazzo dai capelli rossi annuì e fece per uscire della stanza, ma si fermò sulla porta: «Però commissario, lei dovrebbe riposarsi... ha subito un intervento complicato e...».
«I miei uomini migliori sono a duemila chilometri di distanza, isolati e forse ad un passo dalla morte, non ho nessuna intenzione di riposarmi senza prima aver trovato un modo per aiutarli.» affermò decisa la Kruger.
Hartmut annuì ancora ed uscì in corridoio senza più replicare.

~~~

L’atmosfera all’interno di quella piccola stanza d’albergo era sempre più lugubre.
Era sera inoltrata ormai e i quattro poliziotti erano tesissimi. Rebecca e la bambina si erano entrambe addormentate in un angolo, vinte dalla stanchezza e dalla tensione.
Bronte girava per la stanza nervoso, senza fermarsi un attimo, in cerca di una qualche illuminazione che potesse essere loro d’aiuto.
Semir era dietro ai vetri della finestra, in costante allerta in caso gli uomini di Schwarzer fossero andati a cercarli.
Ben si rigirava la fede tra le dita, seduto su una sedia con lo sguardo perso nel vuoto e Max controllava ogni dieci secondi di avere la propria pistola a portata di mano.
Nessuno di loro osava parlare.
Fu Ben a rompere il silenzio, finalmente.
«Forse dovremmo spostarci e raggiungere un altro paese per riuscire a comunicare con il comando. Nemmeno il fisso dell’albergo funziona.».
«Il paesino più vicino è a dieci chilometri di distanza, ci hanno messo in disuso la macchina, è notte e abbiamo anche una bambina di cinque anni dietro.» osservò Semir allontanandosi per la prima volta da quella finestra.
«E comunque non servirebbe, ci bloccherebbero la strada.» costatò Max in preda allo sconforto.
«Comunque sia non dobbiamo perdere le speranze.» esclamò ad un tratto Alex Bronte «Insomma, siamo pur sempre poliziotti, no? E non ci dobbiamo arrendere, dobbiamo solo stare uniti e lavorare insieme... chiaro?».
Ben e Semir lo fissarono e poi si scambiarono un’occhiata ironica: quello che avevano davanti non sembrava nemmeno lo stesso odioso ed impertinente commissario con cui avevano collaborato negli anni passati, in quel momento si dimostrava addirittura una persona ragionevole. Se poi era lui a parlare di lavoro di squadra!
Max annuì e il silenzio ripiombò nella stanza.
Dovevano farsi venire in mente qualcosa.

~~~

«Io non ce la faccio.» esclamò Clara lasciandosi cadere di peso sul divano «Io ho paura, non ce la faccio!».
«Clara, vedrai che andrà tutto per il meglio.» tentò di tranquillizzarla Andrea. Non che lei non avesse paura, ma l’amica era quasi sull’orlo delle lacrime e in quel momento aveva più bisogno di appoggio di lei.
«Ma sono soli, Andrea! Soli e in mano a quel pazzo di un criminale.».
«Sì ma sanno cavarsela, dammi retta. Si sono trovati in situazioni ben peggiori.».
La giovane donna scosse il capo, accarezzandosi il pancione «Ho paura...».
Andrea si sedette di fronte a lei.
La verità era che anche lei aveva paura, una paura folle e il presentimento che l’aveva assalita ancora prima che il marito partisse per la Turchia si faceva ogni attimo più forte e reale.
Non sapeva per quanto ancora sarebbe potuta restare lì con le mani in mano. Il suo pensiero volò veloce alla ricerca che aveva compiuto al computer quel pomeriggio sui voli in programma per El Fahim, ancora prima di sapere in che guaio si fossero cacciati Semir e gli altri.
No... non poteva aspettare...
«Senti Clara, io li raggiungo domani mattina.».

~~~

«Agiremo domani mattina. Ma non uccideteli subito, fate in modo che riescano a scappare, ci divertiremo di più, li inseguiremo e poi li faremo fuori. Tutti a parte la bambina e mio figlio, con lui voglio parlare prima faccia a faccia.».
Schwarzer sogghignò, assaporando in anticipo la sua dolce vendetta. Una vendetta rivolta verso gli sbirri che gli avevano creato problemi ma anche e soprattutto verso suo figlio, che era diventato uno di loro.
«Per la prima volta domani uscirò allo scoperto anche io.» aggiunse.
E le note di una risata malvagia si diffusero nell’aria chiusa della stanza.

 

Altro capitolo di calma prima della tempesta, dal prossimo si torna all’azione e ci avviciniamo al finale... Andrea che vuole raggiungere Semir, secondo voi promette bene?
Grazie per le recensioni e al prossimo
Sophie :D

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Capitolo 27
*** Inferno ***


sdc

Inferno

Il suono di uno sparo riecheggiò forte nell’aria e il vetro della finestra andò in pezzi.

«Mapporca...!» imprecò Semir scansando il proiettile giusto di qualche millimetro «Giù, state giù!».
Tutti si abbassarono impauriti e Marie cominciò a singhiozzare silenziosamente, tenendo stretta la mano della mamma.
Ben e Semir si scambiarono un’occhiata veloce: i criminali avevano deciso di attaccare. La notte era passata tranquilla nonostante nessuno in quella stanza avesse effettivamente chiuso occhio ma a quanto pareva Schwarzer non si era affatto dimenticato di attuare la sua vendetta.
Max guardò l’orologio: le undici e venti, anche la prima parte della mattinata non aveva riservato sorprese, ma tutti sapevano che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.
«Dobbiamo uscire dall’albergo!» esclamò Ben.
Bronte annuì e sollevò appena la testa per controllare la situazione fuori dalla finestra quando un altro sparò risuonò nell’aria.
«Commissario, si vuole far ammazzare?!» lo rimproverò Semir estraendo la pistola.
Ben prese per mano Rebecca, che aveva in braccio la bambina, e tutta la comitiva raggiunse piano la porta per correre poi velocemente giù per le scale e raggiungere la hall dell’albergo.
Fu allora che li videro: erano sette, vestiti di nero e armati di mitragliette, stavano entrando dall’ingresso principale dell’hotel e presto se ne sarebbero aggiunti altri.
Max si guardò attorno, interdetto: dove era finito tutto il personale dell’albergo?
«Bastardi, erano d’accordo anche con loro.» commentò mentre la rabbia gli montava dentro a dismisura. Ogni attimo che passava si rendeva sempre più conto di che razza di persona fosse quell’uomo che lui da piccolo aveva chiamato “papà”.
«Svelti, usciamo dalla porta sul retro!» esclamò Ben e tutti lo seguirono fuori dall’hotel, mentre i criminali entravano e si guardavano attorno. Ma non ci volle molto perché capissero che gli sbirri erano fuggiti dall’altro ingresso.
Cominciò un vero e proprio inseguimento, dove però erano gli uomini di Schwarzer a seguire i poliziotti e non viceversa come sarebbe dovuto essere.
Corsero, corsero, corsero a perdifiato per le stradine strette di El Fahim, incuranti della pioggia, incuranti degli sguardi dei pochi passanti che assistevano attoniti ma non intervenivano.
Corsero per un tempo che a loro sembrò interminabile, uno dietro all’altro, girandosi di tanto in tanto a sparare ai loro inseguitori.
Fino a che all’orizzonte non scorsero una struttura rettangolare.
«L’aeroporto.» mormorò Max, allo stremo delle forze.
Non avrebbero dovuto dirigersi lì, rischiavano di mettere a rischio la vita di persone innocenti, ma d’altra parte non avevano molta scelta con i criminali che li tallonavano a pochi metri di distanza. Almeno forse lì ci sarebbero stati degli agenti di sicurezza disposti ad aiutarli...

 

Andrea atterrò in perfetto orario e si diresse in fretta verso la sala principale dell’aeroporto, ma venne sommersa da una marea di persone. Cosa stava succedendo? Come poteva esserci così tanta gente in un aeroporto così piccolo e secondario?
Udì dei rumori che riconobbe come colpi d’arma da fuoco e si sentì gelare il sangue nelle vene: temette di essere arrivata troppo tardi.

~~~

Hartmut si precipitò nella stanza trovando Kim Kruger intenta in un fitto colloquio con suo cugino. Aveva un’espressione dolorante sul volto e il viso era particolarmente pallido, segno che ancora la donna sentiva le conseguenze dell’intervento subìto.
Ma il tecnico non fece caso a tutte queste cose, agitato com’era.
«Commissario, abbiamo ripreso le comunicazioni. Ci ha contattato l’aeroporto di El Fahim, non può capire cosa sta succedendo!».

~~~

Il delirio.
Era esattamente questo che si stava consumando nel piccolo ma affollato aeroporto di El Fahim: il delirio.

Mentre alcuni agenti di sicurezza dell’edificio tentavano di tenere sotto protezione la folla, che confusa gridava e scappava, gli uomini di Schwarzer si avviavano sempre più verso l’interno, ormai facendosi strada solo a colpi di pistola.
Ben, Semir, Max e Bronte correvano, gridando di tanto in tanto alla folla di allontanarsi, mentre Rebecca e Marie erano riuscite a trovare riparo dietro uno dei banconi dove si effettuavano i check-in. Quando i quattro fuggitivi furono raggiunti, quello che era stato fino ad allora un delirio si trasformò in un vero e proprio inferno.
Il gruppo si fermò davanti alla sala di attesa dell’aeroporto, che venne sgombrata ad una velocità incredibile, e i criminali diedero inizio ad un vero e proprio conflitto a fuoco, che durò un’infinità di tempo.
Ben si riparò dietro una fila di sedie cercando di riprendere fiato e da lì controllò la situazione: alcuni dei pochi agenti della polizia turca che erano intervenuti in loro aiuto, forse i pochi non ancora corrotti da Schwarzer, erano a terra, feriti. Fuori dal grande cerchio immaginario che si era costruito autonomamente attorno a loro, una valanga di gente assisteva gridando spaventata alla scena a distanza di sicurezza. In lontananza già si udivano le sirene delle ambulanze che accorrevano, probabilmente chiamate dal personale dell’aeroporto.

Max, Semir e Bronte erano ancora in piedi e sparavano schivando i colpi dei criminali.
Quella in cui erano coinvolti sembrava una gara a chi avrebbe ammazzato prima l’avversario, una scena orribile.

Ben rimase immobile al sicuro ancora qualche secondo: aveva bisogno di riprendere fiato e capire come e quando agire.

 

Quando un agente addetto alla sicurezza spiegò ad Andrea il motivo per cui non si poteva passare, la donna si sentì mancare. Una sparatoria... Semir doveva essere coinvolto. Il terrore si impadronì di lei e nel giro di pochi secondi si ritrovò a dover supplicare la guardia perché la lasciasse passare.
«Signora, è troppo pericoloso, è in corso un conflitto a fuoco, rischia di essere colpita.» spiegò l’uomo per l’ennesima volta, in inglese.
«La prego... lei non sa... voglio solo sapere se mio marito è vivo, la prego!» gridò Andrea ormai con le lacrime agli occhi.
«Suo marito preferirebbe che lei stesse al sicuro, ne sono certo. Stia qui, tra poco sarà tutto finito.» la rassicurò l’uomo addetto alla sicurezza.
La donna scosse in capo piangendo disperata.
Poi successe l’imprevedibile.

 

Ben tentò di capire quale fosse il momento ideale per entrare in campo. Molti erano a terra, feriti, ma forse la polizia stava finalmente cominciando ad avere la meglio.
Fu allora che vide. Vide Semir che, distratto dal grido di un agente turco appena colpito, si voltò leggermente per guardare. Vide Carl Schwarzer, che aveva notato solo ora essere tra gli inseguitori, approfittare della situazione e colpire... sì, Schwarzer in persona.
Semir si voltò nuovamente giusto in tempo per notare le dita dell’uomo che premevano il grilletto, ma non ebbe il tempo di reagire.
Sentì un forte dolore al braccio destro e la pistola gli cadde di mano.

 

Andrea riuscì finalmente a sfuggire al controllo della guardia e si fece strada tra la folla impaurita. Doveva raggiungerlo, doveva a tutti i costi, aveva un presentimento orribile. Spinse le persone che la ostacolavano, superò uomini e donne urlanti e piangenti, mentre sentiva gli spari sempre più vicini.
Qualche metro dietro di lei l’agente cercava di seguirla.

 

Semir strinse i denti portando la mano sinistra sul braccio sanguinante: era stato colpito solamente di striscio. Vide Carl Schwarzer sorridere beffardo.
«Lurido bastardo...» sibilò osservando come il criminale si metteva nuovamente in posizione per sparare, per finirlo.
Ben nel frattempo uscì dal suo nascondiglio per fermare Carl ma un altro dell’organizzazione gli tagliò la strada. Un combattimento corpo a corpo, rapido, violento, e il criminale fu a terra.

 

Finalmente Andrea riuscì a superare la marea di gente che aveva davanti e arrivò a quella che un tempo era stata la sala di attesa e che adesso sembrava essere diventata un semplice campo di morte. Numerosi agenti tentarono di fermarla, ma lei riuscì ad avanzare, in preda al panico: alcuni poliziotti e alcuni criminali giacevano inerti a terra, altri erano feriti. In piedi ormai rimanevano quattro o cinque persone.
Si fermò ed esattamente davanti a lei, che le dava le spalle, vide il marito, ferito e disarmato, nel mirino di un uomo.

 

Ben corse verso Carl Schwarzer, ma questo già stava premendo il grilletto.
«Semir, sta’ giù!» gridò con quanto fiato aveva in gola. Ma non riuscì a fermare il criminale prima che il colpo partisse dalla canna di quell’arma maledetta.
Il suono sordo rimbombò nell’aria chiusa dell’aeroporto.
Semir si gettò a terra appena in tempo.
Mentre Andrea non ebbe il tempo di accorgersi di nulla: sentì il suono dello sparo, vide il marito davanti a lei accasciarsi e temette che l’avessero colpito.
Ma nel giro di un attimo sentì un dolore lancinante in pieno petto.
E cadde a terra.

 

Ben gridò mentre Carl Schwarzer se la dava a gambe aiutato da Igor Kallman e da un altro criminale rimasto in piedi. Non provò a fermarli, era sconvolto. Andrea... perché Andrea era lì? Perché? La pistola gli cadde di mano mentre la donna davanti a lui, a qualche metro di distanza, cadeva a terra.
Semir non vide la scena. Si rialzò dolorante tenendosi il braccio e guardò Ben per ringraziarlo. Ma il ragazzo aveva gli occhi fissi su un punto alle sue spalle e il terrore dipinto sul volto. Il turco si voltò seguendo lo sguardo del collega.
E un intero mondo gli crollò addosso.
Rimase per un attimo come paralizzato prima di correre verso la moglie stesa a terra e inginocchiarsi accanto a lei, sollevandole la testa e tenendola tra le sue braccia.
«Andrea...» mormorò «Andrea, rispondimi...».
La donna mosse appena il capo e provò a dire qualcosa ma dalla sua bocca uscì solo un sussurro confuso.
Semir rimase immobile, non capiva. Non capiva come tutto ciò potesse essere vero, non capiva come sua moglie potesse trovarsi lì, a duemila chilometri da casa, non capiva. Era nel panico più totale, non capiva cosa stesse succedendo, dove si trovasse, cosa dovesse fare.
Fu Ben a togliersi la maglietta usandola come un fazzoletto per tentare di fermare l’emorragia mentre Max si avvicinava di corsa, senza curarsi del padre ormai lontano.
Ben tamponò la ferita cercando di rimanere freddo e lucido, cosa che in quel momento non riusciva a fare Semir, che osservava la scena come incantato.
«L’ambulanza sta arrivando.» esclamò Max tentando di tenere a bada con l’aiuto di Bronte e di alcune guardie la folla di curiosi e giornalisti che si era avvicinata.
Il commissario dell’LKA prese un giornalista per la manica del giubbotto e lo spinse violentemente indietro: «Allontanatevi, non c’è nulla da vedere, andate via.».
«S-Semir» chiamò Andrea mentre i sensi lentamente la abbandonavano. L’uomo si chinò per sentire.
«Semir... volevo... io volevo vedere se... se stavi bene.» tossì e ricominciò a parlare «io... io volevo...».
«Shhh» sussurrò Ben al posto del collega, continuando a tamponare la ferita «Andrea, non parlare... non ti sforzare... l’ambulanza sta arrivando. Andrà tutto bene, vedrai.».
Semir invece non disse niente, non fece niente. Era troppo sconvolto, non capiva, non riusciva a capire. Si limitò ad accarezzarle piano la testa sperando che tutto ciò non fosse vero.
Non proferì parola quando Andrea venne messa su una barella e caricata sull’ambulanza, niente quando Ben lo aiutò ad alzarsi. Non sentì le parole dell’amico, tutto gli appariva sfocato, i suoni erano ovattati e distanti.
«Semir... Semir, dobbiamo andare.» gli disse ancora Ben, trascinandolo letteralmente sulla prima macchina disponibile presente là fuori, chiesta in prestito dalla polizia locale.
Fu il viaggio peggiore della loro vita.
Ben, alla guida, seguiva l’ambulanza senza perderla d’occhio un istante, sfrecciando per le vie della città ad una velocità folle. Max, sul sedile posteriore, controllava Semir che invece, accanto a Ben, sembrava ancora completamente in trance. Era pallido come non lo avevano mai visto, gli occhi lucidi da cui però non sgorgava nemmeno una lacrima.
«Semir...» fece Max toccandogli una spalla e l’ispettore sembrò svegliarsi per qualche istante. Aprì la bocca per dire qualcosa ma non ne uscì alcun suono. Tornò a guardare fuori dal finestrino e poi chiuse gli occhi.
Non poteva essere vero: Andrea non aveva mai lasciato Colonia, non poteva essere vero.

 

Ed ecco a voi la tempesta prevista.
Grazie davvero a chi mi ha seguito fino a qui, ancora un capitolo e potremo mettere la parola “fine” a questa storia. Chi mi legge da tempo sa già che normalmente scrivo due finali per le mie storie e solo all’ultimo decido quale dei due pubblicare... quindi vedremo!
Un bacio
Sophie :D

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Capitolo 28
*** E poi tutto finì. ***


E poi tutto finì.








«Semir... guardami, ascoltami, andrà tutto bene.» ripeteva Ben ormai quasi automaticamente, lanciando un’occhiata alla strada ed una al collega.
L’uomo annuì leggermente controllando la velocità a cui stavano viaggiando: 180 km/h.
«Ben ha ragione, tranquillo.» continuò Max dal sedile posteriore.
Bronte era rimasto all’aeroporto.
L’ambulanza davanti a loro sfrecciava sicura a sirene spiegate verso l’ospedale della città accanto perché quello di El Fahim non era sufficientemente attrezzato.
Ma quanto distava ancora questo ospedale?

~~~

Clara si sedette sul divano dopo aver cacciato un urlo, piegata in due dal dolore, di nuovo.
Aveva appena avuto una contrazione, sì, la seconda contrazione, ne era sicura.
Ma perché così presto? Ancora mancavano più di due mesi alla data stabilita per il termine della gravidanza.
Fece un respiro profondo, tentò di tranquillizzarsi.
Afferrò il cellulare e compose in fretta il numero di suo padre.

~~~

Semir intravide solo per un attimo il viso della moglie, appena prima che le porte della sala operatoria gli si chiudessero in faccia. Ma quell’attimo fu più che sufficiente a mandarlo ancora più nel panico: era immobile e pallidissima, non sembrava nemmeno respirare.
Si lasciò cadere su una sedia del bianco corridoio e, finalmente, pianse.

~~~

Clara tremava.
Seduta su quel letto in una stanza del freddo ospedale di Colonia, la mano nella mano del padre, tremava come una foglia e non per il freddo ma per la paura.
«Stai tranquilla, andrà tutto bene, sono qui con te.» disse il signor Offback con voce calda, accarezzandole delicatamente i capelli.
«Papà, ho paura.».
Ben non c’era. Lei stava per partorire in anticipo di due mesi e Ben non era con lei. Non sapeva nemmeno se fosse vivo o meno.
Un’altra contrazione, ormai erano molto ravvicinate.
Calde lacrime cominciarono a scorrere lungo le guance della ragazza, nel giorno che sarebbe dovuto essere il più felice della sua vita.

~~~

Ben si sedette accanto all’amico «Ehi... Semir, calmati, andrà tutto bene...».
L’ispettore scosse il capo, tra le lacrime «No... non andrà tutto bene... il medico... prima di entrare ha detto che...».
«Lo so, che sarebbe stato un intervento difficile. Ma questo non vuol dire che non riesca!».
«Ben... dovevo essere colpito io! Ero io il bersaglio, maledizione!».
Il più giovane sospirò, senza sapere come poter tentare di tranquillizzare l’amico «Semir, ascoltami, Andrea ce la farà!».
Ma il turco non sembrava nemmeno ascoltarlo, era disperato, completamente.
«Io non ce la faccio se... se...» e riprese a piangere, scosso da violenti singhiozzi.
In cinque anni di lavoro fianco a fianco Ben non ricordava di averlo mai visto così disperato prima di quel momento.

~~~

Clara urlò ancora una volta mentre una serie di persone in camice bianco si disponevano attentamente attorno a lei pronte ad aiutarla a partorire.
«Signora, adesso però deve tranquillizzarsi.» le disse il medico con voce delicata ma ferma «Deve concentrarsi, va bene?».
La ragazza scosse il capo terrorizzata.
Ben, dov’era il suo Ben? Perché non era accanto a lei, perché non c’era?
«Mi ascolti... deve stare tranquilla e tra poco sarà tutto finito.».

~~~

Max misurava il corridoio a grandi falcate senza fermarsi un momento. Il senso di colpa lo stava divorando letteralmente dall’interno.
Suo padre aveva appena sparato alla moglie di Semir, non riusciva a crederci! Se prima lo odiava e basta, adesso si vergognava di avere nel sangue il sangue di quell’uomo orribile. Sperava che quella donna che nemmeno conosceva si riprendesse, o non se lo sarebbe mai perdonato.
Ben, poco distante, aveva un nodo in gola che non voleva saperne di sparire. Era terrorizzato dall’idea di ciò che potesse accadere ad Andrea, a quella donna che gli aveva sempre voluto bene come se fosse stato suo figlio.
E allo stesso tempo aveva un altro strano presentimento... Clara...

~~~

«Forza, dai, ancora un piccolo sforzo!» quasi gridò il medico «Forza, spinga che ci siamo quasi!».
Ancora uno sforzo, un dolore mai provato e poi a Clara sembrò per qualche breve istante di non sentire più nulla.
Chiuse gli occhi e quando li riaprì un’infermiera le stava già porgendo un piccolo fagotto bianco.
La ragazza lo prese e lo osservò per un attimo senza parole.
Era una femmina.
Bianca... era così piccola...
Clara scoppiò a piangere, di nuovo, ma questa volta le sue lacrime esprimevano una gioia incontenibile.
Rideva e piangeva insieme, non riusciva a crederci...
Bianca!

~~~

Quando le porte scorrevoli si aprirono, Semir non ebbe il coraggio di alzare immediatamente lo sguardo.
Sentì il medico avvicinarsi e vide il collega seduto accanto a sé scattare in piedi e andare incontro all’uomo che avanzava in camice bianco.
Poi alzò gli occhi e lo vide.
Vide Ben chiedere al dottore e questi rispondergli in un sussurro.
Vide Max da distanza fare altrettanto e in risposta ricevere da parte di Ben un’unica, eloquente occhiata.
Quindi diresse lo sguardo direttamente negli occhi del medico e lo interrogò senza parlare.
Anche lui rispose senza bisogno di parole.
Bastò un rapido movimento del capo per comprendere.
Bastò quel “no” appena accennato.
... E poi tutto finì.

 

THE END

 

Eh già, questa volta niente lieto fine. O meglio, dipende dai punti di vista, almeno Clara è riuscita a partorire e Ben è diventato papà anche se ancora non lo sa. Ma Andrea...
Grazie, grazie davvero a tutti coloro che hanno seguito questa storia e un grazie ancora più grande a chi ha recensito. Grazie a Maty, Furia, Chiara, Rebecca, Miki, BlackFire per i consigli e per le vostre opinioni capitolo per capitolo, mi hanno fatto davvero molto piacere.
Per concludere la serie mancano ancora due storie, la prima delle quali arriverà presto, spero che vorrete seguire anche quella.
Grazie mille ancora e alla prossima, sperando di non avervi annoiato.
Un bacio
Sophie :D

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