From a Small Seed a Mighty Trunk Shall Grow

di SparklingLetters
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blind Man’s Buff ***
Capitolo 2: *** A Stable Friendship ***
Capitolo 3: *** In Sickness and in Hell ***
Capitolo 4: *** A Canter is a Cure ***
Capitolo 5: *** My Fair Stable Boy ***
Capitolo 6: *** Picnic at the Firefly Hill ***
Capitolo 7: *** A Flower a Day to Keep the Blues Away ***
Capitolo 8: *** Unhealed, It Haunts ***
Capitolo 9: *** Nine Lives, Cat’s Eyes ***
Capitolo 10: *** Rumour Has It ***
Capitolo 11: *** Many Happy Returns ***
Capitolo 12: *** The Place of No Return ***
Capitolo 13: *** On the Line ***
Capitolo 14: *** Mending Fences ***
Capitolo 15: *** Twelve Days of Christmas ***
Capitolo 16: *** Two Toads Are a Knot ***
Capitolo 17: *** Of Apple Blossoms and Tufts of Grass ***
Capitolo 18: *** An Ode to Ink and Parchment ***
Capitolo 19: *** Take Me Home ***
Capitolo 20: *** Will and Won’t ***
Capitolo 21: *** One Night the Moon ***
Capitolo 22: *** Paradise Lost ***



Capitolo 1
*** Blind Man’s Buff ***


From A Small Seed A Mighty Trunk Shall Grow

Capitolo 1
Blind Man’s Buff


La primavera, attesa con ansia e appena arrivata, ha rapidamente dipinto la manciata di alberi e arbusti sparpagliati lungo la piazza con fiori in sboccio e foglie in germoglio. Tutti gli abitanti sembrano essersi riversati dalle porte per crogiolarsi nei primi raggi caldi dell’anno. Un cane passa di corsa con un bottino di carne sugosa, tra le rumorose proteste del macellaio grassoccio, il quale, invece di sforzarsi ad acciuffare il ladro peloso, si limita ad agitare il pugno verso di lui.
Regina si rallegra per il cucciolo ispido. Siede appollaiata sul suntuoso sedile di velluto della carrozza, facendo capolino da dietro le tende di pizzo, desiderando di essere là fuori col resto del mondo.
La mamma le ha detto di non uscire e di aspettare dentro che lei ritorni, così lei è bloccata all’interno, nel ventre scuro della bestia. Almeno, questa è la storia che lei si racconta, poiché suona molto più eccitante della noiosa carrozza che è in realtà. Un leviatano. O una balena, forse. Talvolta, è un dragone.
In un modo o nell’altro, adesso la bestia sta dormendo.
Solo la mamma può svegliarla e comandarla, piegarla alla propria volontà e farle fare ciò che vuole.
La bestia non sta facendo del male a Regina, non lo fa mai. Si limita a tenerla prigioniera.
Succederebbero cose terribili se provasse a scappare dal suo stomaco senza fondo, rimugina lei.
Guarda con occhi assottigliati la porta della locanda dentro la quale la mamma è scomparsa. Adesso è un po’ che la mamma non si fa vedere, la bestia è addormentata e il giorno… oh, è così bello! Regina sta iniziando a sentirsi al sicuro, o coraggiosa, o avventata. Che male può fare una passeggiatina?
Presa la sua decisione, Regina salta rapidamente giù dal sedile e spalanca la porta. Si sporge, e guarda a destra e a sinistra con occhi scintillanti.
Il cocchiere volta la testa al suono della porta che viene spalancata, e incontra il suo sguardo.
Sa che ci si aspetta che lui tenga d’occhio Regina, ma tecnicamente è solo un cocchiere, non una bambinaia.
La bambina dai capelli scuri sorride e gli fa l’occhiolino, ignara, fiduciosa. L’uomo non può che restituirle il sorriso.
Chiuderà un occhio sui progetti della piccola Regina: Lady Cora la tiene sotto stretto controllo già a sufficienza, decisamente troppo, pensa lui. Restituisce l’occhiolino e si gira.
Regina capisce. Adesso loro hanno un accordo, il cocchiere non la denuncerà.
Scende di un gradino, poi salta trionfante sulla piazza coperta di sporcizia. Dovrà ricordarsi di pulirsi le scarpe prima che la mamma torni, così non noterà niente.
Regina se la svigna attorno alla carrozza, per timore di essere sorpresa da un qualche potente nemico. Una delle teste del dragone addormentato, per esempio.
Il suo cuore sprofonda un po’ quando lei raggiunge il davanti, anche se sapeva che i cavalli sarebbero stati condotti nelle stelle per essere sfamati e dissetati mentre la mamma si occupa dei suoi affari.
Questo significa che rimarranno per un po’, il ché è una buona notizia per Regina, adesso che ha deciso di combattere per uscire dal ventre del dragone nel fresco giorno primaverile.
La piazza è piena di vita, molto più così che da dietro le tende, sente Regina, e per Regina, tutto è affascinante, specialmente le persone.
Loro vanno e vengono, per lo più facendosi gli affari propri, senza mai guardare nella direzione della carrozza lussuosa e ben visibile posteggiata all’entrata della locanda.
In verità, molti lanciano un’occhiata fugace, ma si girano entro una frazione di secondo, mai abbastanza per rallentare il loro passo o interrompere qualsiasi attività stiano portando avanti.
Un uomo con l’aspetto di un mercante in viaggio guarda Regina saltare oltre una pozzanghera in mezzo alla piazza e la saluta con la mano. Regina s’illumina e saluta di rimando, facendo accidentalmente cadere nel fango la gonna tirata su.
Il fabbro accanto al mercante aggrotta le sopracciglia, si china su di lui e sussurra nel suo orecchio. Il viso del mercante s’incupisce. Lui dà uno strano sguardo di traverso a Regina e si gira cupamente.
La fronte di Regina si corruga in un piccolo cipiglio, poi lei scrolla le spalle e torna alla pozzanghera, pronta a saltarla di nuovo.
Il suo cuore fa un balzo.
Là, al limite opposto della piazza, vicino a un vecchio pozzo di pietra, un gruppo di bambini sta giocando. Uno di loro ha gli occhi coperti da uno straccio e procede a tentoni, con le braccia tese, per prendere uno degli altri, che in cambio stanno evitando il bambino come meglio possono, gridando e ridendo ogni volta che riescono a fare una manovra particolarmente abile e a scivolare appena al di là della sua portata.
Regina è sul punto di correre da loro quando la voce di mamma le riecheggia nelle orecchie, così nitida come se la mamma le fosse davvero dietro, china su di lei: «Una lady non corre scioccamente in giro. Una lady deve essere aggraziata».
A Regina non importa molto di essere una lady, ma alla mamma sembra importare moltissimo, così la maggior parte del tempo Regina obbedisce solo per farla felice.
Questa volta, tuttavia, Regina vuole solo essere come quegli altri bambini e bambine laggiù, intenti a correre e a piegarsi e a divertirsi.
E la mamma non è lì a vedere.
Regina solleva lievemente la gonna del suo vestito e corre senza sforzo la breve distanza fino all’altro lato della piazza.
Si ferma di colpo nel bel mezzo della massa urlante di bambini.
All’inizio nessuno sembra notarla nella fitta confusione del gioco. Poi una ragazzina lentigginosa con le trecce e un dente mancante si blocca e la occhieggia con curiosità, guardandola dalla testa ai piedi.
«Ciao» dice Regina.
«Ciao» replica la ragazzina, gli occhi spalancati che fissano prima il suo abito ricamato di pervinca, e poi il suo polso.
«Ti piace il mio braccialetto? Posso dartelo se vuoi. Il mio nome è Regina. Posso giocare con voi, per favore?»
Al ché, una ragazza più grande con una treccia spessa si presenta improvvisamente e mette un braccio protettivo attorno a quella piccola. Hanno entrambe le stesse lentiggini.
«È la bambina della Lady Spaventosa!» sibila la ragazza grande.
Gli altri bambini raggelano. Il bambino che era la mosca cieca strappa lo straccio dai suoi occhi.
Lei li guarda, sbattendo una volta le palpebre. «Mia mamma è Lady Cora. Ma adesso non è qui. Non arriverà per un po’. Posso fare io la mosca cieca» propone.
Il bambino che regge la benda logora guarda la sorella grande con le lentiggini.
Lei continua a fissare intensamente Regina e adesso i suoi occhi acquisiscono uno strano luccichio.
«Non vogliamo nessun problema» dice alla fine. «Ti lasceremo giocare solo perché forse Lady Spaventosa diventerà malvagia se non lo facciamo…»
Tutti i bambini annuiscono vigorosamente. Apparentemente, questa Lady Spaventosa è persino più spaventevole della carrozza-dragone… oh.
Regina sta completamente immobile ma indaga tutti loro con occhi acuti.
«Ma noi non giochiamo con sciocche piccole Lady» dichiara il bambino con lo straccio, la parola adulta bizzarra nella sua bocca.
«Io non la sono!» prorompe lei, appassionatamente.
«Non ci prenderà comunque» squittisce un’altra bambina, poi si fa ancora più audace. «Tu non giochi come facciamo noi».
«Vi posso battere in qualsiasi momento» dice Regina quietamente.
La ragazza grande con le lentiggini fa un passo avanti. «Facciamo un accordo. Se non prendi nessuno, quella cosa sul tuo polso è nostra» la sfida malignamente.
«Bene».
Regina tende la mano verso lo straccio. Il bambino si sposta dietro di lei e lo lega attorno ai suoi occhi così che lei non possa vedere. «Ecco» dice con soddisfazione.
Il panno ruvido le morde e graffia il viso ed è intrecciato troppo stretto attorno alla sua fronte.
Provocatoria, combatte l’urgenza di aggiustarlo.
«Siete pronti? Sto arrivando» annuncia Regina solennemente, dando loro la possibilità di disperdersi.
Inizia a girare in un lento cerchio, decidendo quale strada prendere. Tutto è calmo per qualche tempo. Un momento più tardi, quando finalmente trovano il coraggio, i bambini iniziano a canzonarla, chiamando: «Ohi, da questa parte!», «Prendimi se ci riesci!», e persino «Fetente, fetente!» in una cacofonia di voci.
Regina continua a girare cautamente, ascoltando, aspettando, cullandoli in un falso senso di sicurezza. Improvvisamente si scaglia in avanti e arriva a un pelo dall’afferrare la ragazza grande con le lentiggini, che la schiva all’ultimo momento con un guaito.
Regina perde l’equilibrio per un momento ma lo riguadagna abbastanza velocemente. Inizia nuovamente a girare.
I bambini tornano a farsi più cauti. Questo non è un gioco di tutti i giorni.
«La lady bebè di Lady Spaventosa» arriva un grido acuto da dietro Regina.
Lei si gira bruscamente e si lancia in avanti. Subito dopo, si ritrova sdraiata a faccia in giù in una pozza d’acqua fangosa, il pasticcio viscido caldo e stantio sulle sue labbra.
La risata dei bambini risuona nelle sue orecchie. Lei sente il proprio viso diventare rosso per l’imbarazzo. Saggia il terreno circostante con i piedi… C’è un’asse di legno nelle vicinanze; deve esservi inciampata.
Gli occhi di Regina bruciano e la sua mano vola istintivamente alla benda. Poi indugia a mezz’aria, si ritira di nuovo a terra lentamente, e Regina si spinge in piedi. Sente l’acqua gocciolare dalla sua faccia e inzupparle il vestito. Tiene la testa alta, la boccuccia serrata.
La risata si spegne e cala un completo silenzio. Regina si può sentire respirare. Forse può sentire respirare anche loro, se presta abbastanza ascolto. Ci prova, e sente, non il respiro dei bambini, ma un tonfo sordo di legno sullo sterrato da qualche parte dietro di lei. Balza in avanti al momento giusto prima che la voce beffarda abbia il tempo di seguire. Evitando con successo la trappola, Regina agita le braccia di fronte a sé – e prende una manciata di capelli, una grossa treccia spessa.
«Ouch! Lasciami!»
Con un breve lampo di trionfo sul viso, Regina lascia la presa. Si toglie la benda dagli occhi e sbatte le palpebre nella luce solare.
La ragazzina la guarda in cagnesco con odio, massaggiandosi il cuoio capelluto, dove Regina ha tirato la spessa treccia.
Regina fa un passo esitante verso di lei ma la ragazzina indietreggia. «Va bene, hai vinto. In ogni modo tu ottieni sempre ciò che vuoi, non è vero? Sei comunque solo principessa viziata e piena di sé, e la sarai sempre! Non inganni nessuno!»
Regina si limita a ricambiare il suo sguardo, sconcertata, incredula. Fa un altro passo verso la ragazzina infuriata.
L’aria si muove quando i bambini ansimano all’unisono.
La ragazzina impallidisce. «Vuoi farmi ferire dalla tua mamma adesso? Sappiamo che è una strega malvagia!»
Gli occhi di Regina luccicano. Lei porta una mano al suo polso. Fa scivolare via il suo braccialetto e lo avvolge nella benda che sta ancora reggendo. «Ecco» dice piano, offrendoli entrambi alla piccola ragazzina con la treccia e le lentiggini, che sobbalza con paura come Regina le si avvicina, ma accetta il fagotto, ritraendosi immediatamente. Gli occhi di Regina tornano alla sorella più grande: «…se lo volevi così tanto». Volta loro le spalle e si mette a correre, gridando da sopra la propria spalla: «E la mia mamma non è malvagia!»
Sfreccia via, i pugni serrati e i capelli che volano in tutte le direzioni, inconsapevole di dove sta andando. Solo lontano da lì, lontano da loro, lontano anche dal ventre della bestia… Lontano.


















Prossimo aggiornamento: giovedì 6 marzo.
Qualsiasi recensione è ben accetta :)

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Capitolo 2
*** A Stable Friendship ***


Capitolo 2
A Stable Friendship

Incurante di tutto, corre attraverso la sporcizia, il fango, e la pietra, finché non viene colpita dall’odore inconfondibile del miscuglio di fieno, sudore e letame; i suoi piedi l’hanno automaticamente portata alle stalle. Lei si guarda attorno e individua immediatamente Contessa e Barone, i cavalli della carrozza della mamma, intenti a bere acqua fresca dall’abbeveratoio.
Corre verso di loro, apre la porta tirando il chiavistello, e s’infila nel box. I cavalli sbuffano con apprezzamento mentre lei li accarezza, anche se in modo distratto, ancora senza fiato per la corsa.
Riesce a passare tra di loro e si siede su una fresca balla di fieno nell’angolo più lontano del box. Abbracciando le proprie ginocchia, posa la fronte sulle proprie braccia.
C’è qualcosa di bagnato sulle sue ciglia che lei sa non essere né fango né acqua di pozzanghera; una goccia solitaria le scivola lungo la guancia, disegnando un chiaro percorso sul suo viso sporco, e dà un sapore salato alle sue labbra.
Prima che lei ceda completamente alle lacrime, arriva di punto in bianco la voce di un estraneo, e il suo cuore manca un battito.
«Speravo trovassi la strada per entrare… Ho lasciato la porta aperta per te».
La testa di Regina si tira su allarmata. Lei si guarda selvaggiamente attorno, ma in un primo momento non vede nessuno. «Dove sei? Fatti vedere!» Sente la propria voce tremante.
Il fieno sparso sul pavimento fruscia mentre nei paraggi si spostano dei piedi. C’è qualcun altro proprio lì nel box con lei, realizza Regina. «Non avere paura» dice la voce in mezzo al fruscio incessante del fieno sotto i piedi dello sconosciuto. «Puoi nasconderti qui».
Un’ombra emerge da dietro l’enorme posteriore di Barone. Un ragazzino di circa la sua età, o forse appena più grande, con capelli castano chiaro, una spazzola in una mano e un pezzo di stoffa nell’altra, si trova davanti a lei. «Io… io non mi sto nascondendo!» protesta Regina, spingendo una ciocca di capelli inzaccherati via dal proprio viso.
Il ragazzino le dà uno sguardo indagatore. «Ecco, puoi pulirti un po’». Le offre lo straccio.
Dopo un momento di esitazione, Regina lo prende abbastanza cautamente, ma ricambia comunque il suo sguardo con un pizzico di diffidenza.
«Perché sei qui? Non dovresti aggirarti attorno ai nostri cavalli in questo modo» chiede sospettosamente mentre inizia a pulirsi il viso dal fango.
«Mio papà è uno stalliere, così in un certo senso sono cresciuto nelle stalle. Mi sto prendendo cura dei vostri cavalli mentre lui parla di affari là dentro».
Indica la spazzola nella sua mano mentre parla, e accenna in direzione della locanda.
Gli occhi di Regina si allargano. «Allora tuo papà sarà il nostro nuovo stalliere? Quello vecchio se n’è andato l’altro giorno».
«Forse. Così non dovremo essere più in viaggio tutto il tempo. Così lui sarebbe meno malato».
Lei è ridotta al silenzio all’inaspettato frammento di informazioni personali e dimentica momentaneamente la propria pena. Una frazione di secondo più tardi, i suoi occhi si illuminano. «Ma hai l’occasione di stare molto coi cavalli, giusto?»
«Sì. Ti piacciono i cavalli?»
«Li amo!» esclama lei, radiosa, mentre continua a sfregarsi distrattamente il viso con lo straccio. «Ma la mamma dice che non dovrei andare molto alle stalle. Credo non le piaccia l’odore. Però io penso sia buono». Abbassa la voce involontariamente. «Io vengo qui di nascosto abbastanza spesso».
Poi, come timorosa di aver rivelato troppo, distoglie lo sguardo da lui.
Il ragazzino rimane dov’è, esaminando Regina con una calma curiosità.
Regina finisce di sfregarsi il viso e passa a riordinarsi il vestito. «Oh…» sospira piano.
«Che cosa c’è?»
Lei si gira senza parole, distendendo la gonna del vestito affinché lui veda. Oltre la moltitudine di macchie sporche, c’è anche uno strappo aperto sul davanti. Il labbro inferiore di Regina trema quando alla fine lei dice: «La mamma si arrabbierà molto».
Il ragazzino rimane in silenzio per un po’. «Hai giocato davvero bene, là fuori» dice infine in un sincero sforzo di tirarla su di morale. «Avresti potuto chiedere loro qualcosa, sai, dopotutto hai vinto la scommessa».
Tuttavia, le sue parole hanno esattamente l’effetto opposto a quello voluto: il ricordo del pessimo gioco di mosca cieca fa nuovamente riempire di lacrime gli occhi di Regina.
«Non piangere per colpa loro, sono cattivi solo perché sono spaventati».
Regina lotta per trattenere un singhiozzo. «Io non volevo niente. Volevo solo giocare con loro. Proprio come tutti gli altri bambini. Non ho nessuno con cui giocare». La sua voce si spezza.
Lei abbassa la testa per nascondere l’inarrestabile torrente di lacrime appena traboccate.
Il ragazzino le si avvicina e le mette una mano sulla spalla. Lei rivolge il proprio viso sorpreso e rigato di lacrime verso quello di lui, gentile e solenne. «Giocherò io con te» dice lui, semplicemente. «Mi chiamo Daniel».

«Daniel! Sono tornata! Daniel!» Una vocetta vibrante risuona dall’esterno. La porta pesante si spalanca e dentro irrompe un vivace groviglio di ondeggianti capelli corvini e uno svolazzante cappuccio celeste. Senza fiato e ansimando un po’, lei si volta rapidamente per chiudere con uno spintone la porta dietro di sé prima di girarsi verso l’interno delle stalle con l’aspettativa impressa sul volto.
«Prendi una spazzola». Il ragazzino dai capelli castani, il cui viso si è illuminato al suono della sua voce, fa un gesto ampio, la mano con la spazzola sospesa a mezz’aria sopra il dorso della cavalla grigia.
Lei si muove rapidamente e con sicurezza – evidentemente non per la prima volta. Si toglie la mantella riccamente intessuta mentre si sposta e la getta a casaccio su uno dei chiodi ruvidi sulla parete. In breve, è al fianco di Daniel. Entrambi i bambini stanno ora spazzolando il cavallo con movimenti esperti, sincronizzati, un identico bagliore cospiratorio nei loro occhi e un ampio sorriso sui loro volti.
Lui ricorda ancora come lei è venuta alle stalle per la prima volta dopo che suo padre è diventato il nuovo stalliere dei Mills: allora la sua eccitazione era molto più contenuta, come se lei si aspettasse una delusione di qualche genere. Le sue guance erano arrossite di gioia quando lo aveva visto trascinare un pesante secchio d’acqua appena prelevata verso uno dei grandi abbeveratoi.
«Allora è vero!» aveva esclamato. «Mia mamma ha assunto tuo padre! Adesso possiamo essere amici… non è vero?» Aveva esitato, piena di entusiasmo ma al contempo timidamente.
Daniel aveva sorriso, contento che lei non intendesse tirarsi indietro dalla loro amicizia recentemente stretta.
Poi la disillusione era comparsa sul suo viso. «Adesso non posso giocare» aveva detto. «Devo prima finire tutto il lavoro».
Lei avrebbe capito? O si sarebbe arrabbiata o altrimenti abbattuta? Con suo grande sollievo – e sorpresa – un sorriso raggiante si era diffuso sul viso di lei.
«Perfetto» aveva respirato Regina. Poi, quasi incespicando sulle sue stesse desiderose parole: «Mi insegnerai?»
E lui l’ha fatto; e lo fa ancora. Regina è un’apprendista zelante, il suo zelo non diminuisce di una briciola col tempo, e Daniel è arrivato a comprendere che il suo amore per i cavalli è genuino e il suo dono con loro eccezionale.
Il lavoro non sembra affatto noioso e prendersi cura dei cavalli insieme diventa una vera usanza, una cosa loro che possono condividere e da cui trarre diletto.
Un intero pomeriggio può facilmente andarsene senza che loro si dicano più di poche parole, la maggior parte legate ai cavalli; eppure il silenzio non lascia mai nulla a desiderare.
Nessun altro ne è al corrente, certo; questo è il loro piccolo segreto, e a loro piace così. Regina ancora non dovrebbe passare troppo tempo alle stalle, così evitano lo sguardo di Lady Cora. Daniel sospetta che suo padre potrebbe averlo notato ma è sicuro che lui non ponga alcun pericolo. Il loro interesse comune, così come il segreto che condividono, ha creato tra loro un genere speciale di legame, tutto a loro insaputa.
Poi un giorno, Regina non arriva.
Daniel finisce il lavoro da solo, con la mente alla grande villa Mills – non troppo lontano ma comunque completamente fuori dalla portata del giovane stalliere. Lui continua a guardare furtivamente in quella direzione ma non vede nessun segno di lei; nessun ciuffo di capelli scuri, nessun lampo di stoffa blu, nessuna voce argentina.
Non c’è nessun segno di lei nemmeno il giorno seguente; né il giorno dopo quello, né il giorno dopo quello. Poco a poco, lui smette di aspettarla.

La mattina è fredda e cupa, con nuvole pesanti che si raccolgono dalla direzione della Collina delle Lucciole. Entro il pomeriggio, il giorno diventa notte troppo presto. Tutti i cavalli vengono radunati dai pascoli e ricondotti nelle stalle, con l’eccezione dei resistenti cavalli da carrozza, Contessa e Barone, che sono richiesti per una delle misteriose escursioni di Lady Cora; sembra che persino l’imminente acquazzone e la tempesta incombente non possano far nulla per impedirle di seguire i suoi interessi. Anche il padre di Daniel è richiesto, così sarà Daniel a rimanere coi cavalli sino al giorno dopo, come presenza tranquillizzante per quando alla fine arriverà la tempesta.
Quando arriva, arriva improvvisamente, e arriva violenta. Secchiate d’acqua ghiacciata si riversano dal cielo scuro e grigio come il piombo. I fulmini solcano l’orizzonte a perdita d’occhio, e tuoni assordanti li accompagnano.
La calamità all’esterno non disturba Daniel. Dentro le stalle, l’aria è ancora calda e profumata. I cavalli sono un po’ tesi, agitano le criniere e sbuffano di tanto in tanto, ma la presenza familiare del ragazzo sembra avere l’effetto desiderato su di loro. Daniel è proprio sul punto di ritirarsi con una coperta spessa in un box appena pulito, disseminato di paglia, quando una folata di vento e uno spruzzo di gocce di pioggia si fanno strada attraverso la porta che si apre.
Una figura scura, zuppa, si infila nel varco e chiude la porta con un grande sforzo, soffocando una potente folata di vento. Mani emergono da sotto il mantello – completamente zuppo così che il suo colore è davvero indiscernibile – e spingono via il cappuccio dal suo viso.
«Regina!»
È proprio lei, eppure è quasi irriconoscibile, i capelli che cadono flosci e grondano acqua, formando piccole pozzanghere ai suoi piedi. Lei s’illumina vedendolo. «Daniel, io volevo venire, lo volevo davvero, ma la mamma…» dice ansimando, e un’ombra le attraversa il viso.
Daniel la fissa per un momento finché la realtà della sua presenza non viene recepita. Le corre incontro e le getta la coperta pesante attorno alle spalle. «Ti ammalerai!» Aggrotta le sopracciglia, preoccupato. «Non saresti dovuta venire con questo tempo!»
«Pensavo che saresti stato contento di vedermi» dice lei, suonando ferita.
«Certo che lo sono» replica lui seriamente e lei non può che credergli. «È solo che non voglio ti accada niente. Ecco, vieni a riscaldarti qui dentro».
Entrambi si accomodano sulla paglia morbida nel box che lui ha preparato così accuratamente. Per un momento, nessuno dei due dice una parola, si limitano ad ascoltare il rumore della tempesta che risuona all’esterno.
«La mamma non è a casa adesso, così sono riuscita a uscire di nascosto» offre Regina alla fine. «Non mi è più permesso venire qui». Deglutisce a fatica. «Ho chiesto… Ho chiesto se potevo imparare a cavalcare. La mamma pensa che sia troppo pericoloso e per niente proficuo per una… giovane lady» conclude amaramente. «Non penso che sappia cos’abbiamo combinato ma mi è comunque del tutto proibito venire qui».
Regina abbassa la testa e le sue spalle tremano appena. Le sopracciglia di Daniel si corrugano. Queste sono proprio cattive notizie.
«Ehi…» mormora lui, cercando la cosa giusta da dire, la cosa giusta da fare. «Forse… Forse tuo padre potrebbe aiutare?»
Regina si limita a scuotere la testa, senza alzare lo sguardo.
«Regina… Sono sicuro che penseremo a qualcosa».
Di nuovo, Regina si limita a scuotere la testa. «Tu non conosci la mamma. Quando decide qualcosa niente può farle cambiare idea».
Lei seppellisce il viso nelle proprie mani.
Daniel sente un piccolo singhiozzo scappare dalla massa fradicia di capelli e coperta che è la sua amica Regina. Le si avvicina furtivamente e le mette un braccio rassicurante attorno alle spalle.
Senza che nessuno dei due l’abbia notata, la tempesta si è calmata, la pioggia che batte un ritmo regolare mentre continua a colpire il tetto.
La pioggia picchietta confortevolmente e gli occhi di Daniel iniziano a chiudersi. Regina siede immobile, la testa poggiata sulle braccia avvolte attorno alle ginocchia. Potrebbe persino essere addormentata. Daniel muove un poco il braccio – solo un poco, non vuole svegliarla. Una ciocca di umidi capelli scuri si incolla al suo palmo. Lui si domanda se adesso dovrebbe lasciar chiusi i suoi occhi – la tempesta sembra essere finita, i cavalli staranno bene, il pericolo è passato e adesso riposarsi è sicuro. Decide di lasciare che i suoi occhi rimangano serrati e ascolta le gocce di pioggia battere forme irregolari mentre il vento ronza attraverso le crepe nelle assi.
Un nuovo strumento si intromette nell’orchestra della natura. Un ticchettare regolare di metallo sulla pietra, un suono che si affretta, che romba sulla strada d’accesso. Un fruscio di frustino. Uno sbuffo. Gli occhi di Daniel si spalancano – qualcosa è fuori posto. Incontra lo sguardo allarmato di Regina… quindi anche lei lo ha notato. Uno sbuffo sommesso arriva da uno dei box, e un altro segue il primo. Daniel capisce – un saluto. Qualcuno sta arrivando, e chi potrebbe essere con questo tempo, a questo momento del giorno, se non la padrona di casa?
«Devo andare!» geme mestamente Regina, incespicando in fretta sui propri piedi. Si libera della coperta lanuginosa, lancia a Daniel uno sguardo di allarme e disappunto e una silenziosa, immotivata scusa, e corre verso la porta.
«Regina, aspetta… il cappuccio!»
Vuole che lei lo abbia perché è freddo là fuori, e anche perché non deve essere trovato alle stalle, dove Regina non dovrebbe mai più mettere piede. Lei lo strappa dalla sua mano tesa, senza guardarlo di nuovo, incespica nella notte scura, piovosa, fredda. Daniel tiene la porta socchiusa dietro di lei, scrutando l’oscurità da cui è presto inghiottita. Sente la carrozza fermarsi in lontananza, dove sa che si trova l’entrata principale della casa. Spera che Regina ce la faccia ad arrivare alla sua camera in tempo. Lo spera per il bene di entrambi ma specialmente per quello di lei – ha sentito della presunta severità di Lady Cora, naturalmente. Per quanto ne sa apparentemente lei non è così malvagia come tutti dicono ma sembra comunque piuttosto severa. Rigida e implacabile, così dicono gli altri servitori.
Realizza che non ci sono più suoni oltre il ticchettare della pioggia. Chiude la porta con un sospiro e torna al suo letto di paglia. La coperta lanuginosa giace lì tutta spiegazzata, proprio dove è atterrata quando Regina l’ha fatta cadere in tutta la fretta. Lui si distende sul pavimento e tira la coperta sopra di sé. In qualche modo il conforto della paglia calda, asciutta, profumata, la pioggia che cade incessantemente, e il respiro calmo dei cavalli è privo di fascino questa volta.

Regina esce incespicando nell’oscurità e corre, corre più forte che può, tanto cautamente quanto osa, perché tutto è pioggia e fango e buio. Raggiunge il muro massiccio della casa, e ora può correre avanti più rapidamente perché c’è un viottolo di pietra. Il suo cappuccio, zuppo sino all’ultima fibra, pende mollemente dalla sua mano perché non ha avuto tempo di indossarlo, e il suo orlo raccoglie ancor più fangosa umidità mentre striscia dietro di lei. È quasi arrivata, è quasi sicura di potercela fare prima che la mamma abbia abbastanza tempo per uscire dalla carrozza, entrare in casa, e forse raggiungere la stanza di Regina per controllarla. Quasi sicura, il ché non va abbastanza bene. Sarà nei guai se verrà scoperta. Anche Daniel sarà nei guai. In qualche modo, questo è persino più spaventoso.
Regina continua a correre, lasciando ora il viottolo di pietra perché ha bisogno di scivolare attorno all’angolo e verso la propria stanza attraverso una distesa d’erba. È una via abbastanza breve ma la pioggia è stata così abbondante che i suoi piedi continuano a impantanarsi nel fango, rallentandola, producendo un cic-ciac che lei non può sentire a causa del vento e della pioggia ma che può comunque immaginare abbastanza bene. Una finestra si materializza di fronte a lei, emergendo dall’oscurità. Solo pochi passi ancora… Lei fa un balzo per raggiungerla e scivola, e atterra sulla schiena nell’erba fangosa. Non si fa male, ed è un atterraggio molto morbido grazie all’acqua. Si spinge in piedi e finalmente si avvicina alla finestra. Adesso deve solo spostare il chiavistello che ha usato per chiuderla dall’esterno. Se solo se sue dita non fossero così intorpidite dal gelo! Fallisce per un momento o due, poi finalmente riesce ad aprire la finestra. Le tende si gonfiano nel vento, sbattendo contro il davanzale. Regina lancia il cappuccio all’interno, si solleva sul davanzale e si arrampica dentro.
Atterra con un lieve tonfo – in qualche modo è riuscita a ricordarsi di rimuovere la moquette lussuosa da sotto la finestra prima di andarsene, ed è stata una buona idea, cosicché adesso sarà in grado di pulire le eloquenti tracce di fango che gocciolano da lei. Chiude la finestra con una spinta. Le tende tornano alla loro posizione normale, con solo poche tracce di pioggia ad inumidirle. Regina si guarda attorno concitatamente. Il cappuccio deve sparire o altrimenti la mamma capirà. Lo prende dal pavimento e si asciuga con esso dal fango in eccesso, successivamente lo usa persino per strofinare il pavimento, e alla fine dispone della cosa inzuppata, sporca, senza vita – non è davvero più degno di essere chiamato un cappuccio – seppellendola in fondo ad una delle adorne cassapanche. Le coperte del suo letto a baldacchino sono gettate di lato proprio come lei le ha lasciate. Ripensandoci, corre indietro alla finestra per spingere la moquette al suo posto. Guardandosi attorno selvaggiamente e non trovando niente fuori posto – eccetto lei stessa, naturalmente – Regina salta nel letto e si imbacucca nelle coperte. Le tira tanto in alto quanto possono arrivare: nasconde al di sotto i suoi piedi congelati, la camicia da notte fradicia, le spalle tremanti, i denti che battono, persino i suoi capelli bagnati.
Solo adesso che è tornata al sicuro nel suo letto lei realizza quanto freddo ha. Sta finalmente cominciando a calmarsi, a respirare meglio. Se la mamma verrà, aprirà silenziosamente la porta, esaminerà mutamente la sagoma dormiente – o fintamente dormiente – di Regina, e se ne andrà tanto silenziosamente quanto è arrivata in primo luogo. Non vedrò i capelli bagnati di Regina grazie alle lenzuola, e nemmeno scoprirà della sua piccola avventura sentendo l’umidità della sua pelle al porre una mano o un bacio sulla sua fronte – semplicemente perché è qualcosa che non fa mai. Lei non accarezza, non bacia, non rimbocca le coperte – Regina lo sa, e al momento, ne è lieta. La mamma viene sempre solo per controllare che le regole non siano state infrante. Be’, anche se è successo, questo non è il momento in cui mamma lo scoprirà, Regina sorride a se stessa mentre si rannicchia sotto le lenzuola per tenersi più calda.
















Prossimo aggiornamento: giovedì 13 marzo.

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Capitolo 3
*** In Sickness and in Hell ***


Capitolo 3
In Sickness and in Hell

È un giorno nuovo di zecca. Il sole sta già estraendo le sue dita da dietro le nuvole, e anche se c’è ancora una gentile pioggerella, Daniel può vedere che sarà una bella giornata. Si occupa dei suoi compiti come di consueto, ma le sue azioni sono automatiche e la sua mente sta in realtà vagando altrove. Cos’è successo con Regina? È ritornata sana e salva? Sta bene? Sa che lei non verrà a dirglielo; non le è permesso.
Lui non ha un’idea chiara di come lo scoprirà, ma sta aspettando che accada qualcosa. Lady Cora che si precipita nelle stalle fumando di rabbia sarebbe una risposta sufficiente. E se però non lo facesse? Sarebbe sicuro supporre che non sa niente? Non proprio, si acciglia Daniel. Potrebbe semplicemente voler dire che Regina ha scelto di mentire su dove si trovava di notte, forse per tenerlo fuori dai guai. Non gli piace nessuna opzione.
Se solo ci fosse qualcosa che lui può davvero fare! Sa che non c’è niente; se lui desse un’occhiata in giro potrebbe solo portare un disastro sulle loro teste invece di aiutare. Così si complica la vita e non fa niente, eccetto per quello che deve fare e quello che sempre fa. Bada ai cavalli, doverosamente e minuziosamente come al solito; ma la sua mente continua a indugiare sulla villa dei Mills.
Più tardi, quella mattina, mentre Daniel sta trascinando una fresca balla di paglia, coglie uno scorcio del padre di Regina, il gentile, mansueto Padron Henry, che parte per la sua abituale camminata mattutina. A volte Regina cammina con lui. Non oggi.
Intorno a mezzogiorno, un cavallo è mandato a chiamare. Il padre di Daniel prepara quello più veloce con la massima urgenza. Daniel ha paura di chiedere ma non può resistere; suo padre, in ogni modo, non ne sa più di lui riguardo a chi sarà il cavaliere o a dove sarà diretto. Dopo che il cavallo è pronto e condotto fuori, Daniel sbircia da dietro la porta per vedere un uomo alto balzare sulla schiena del cavallo e andarsene in fretta, la mantella da messaggero che ondeggia dietro di lui.
Perché dovrebbero inviare un messaggero urgente?
Perché un messaggero urgente dovrebbe preoccuparlo tanto?
La residenza dei Mills è piena di vita come al solito, servitori impegnati vanno e vengono. È solo lui o c’è tensione nell’aria? Non c’è nessuno a cui chiedere perché tutti loro lavorano attorno o dentro alla casa, lontano da lui. Lui è confinato nelle stalle; le stalle sono il suo settore.
Più tardi nel pomeriggio, una carrozza sferraglia lungo il sentiero di pietra. Daniel cerca una scusa per lasciare le stalle così da vedere il nuovo arrivato e decide che il secchio basterà. Non che i cavalli abbiano bisogno di acqua fresca proprio adesso, ma lui potrebbe comunque portarne un po’. Quando riconosce la carrozza, il suo cuore sprofonda: non appartiene ad altri che al dottore.
Nel suo cuore, Daniel sa, anche se non ha nessun modo razionale di saperlo con tanta certezza, che il dottore è stato chiamato per Regina.

Regina è sveglia. È piuttosto sicura di esserlo. Li sente parlare, nella sua camera, con toni sommessi, poi con voci stridenti. Solo una voce stridente, veramente.
Mamma, vuole dire. Mamma, sono stata brava… Sarò brava… Sono stata qui tutta la notte.
Ma nessuna parola viene fuori, e anche le voci sembrano smorzarsi lentamente. La sua camicia da notte è fradicia. Ma lei non ha freddo. In realtà, sta bruciando.
Vede la sfera luminosa del sole nel cielo incandescente. La sente mandarle liquide frecce d’oro nel corpo accaldato. Ha la pelle d’oca. La sua bocca è così asciutta, e la testa le gira. Lei continua a camminare, trascinando i piedi. Il paesaggio è arido; non ci sono alberi, né cespugli, né vita. Lei sta bruciando. Acqua…!
Come è arrivata qui in primo luogo? L’ultima cosa che ricorda è che si stava trascinando fuori dal letto per vestirsi per la colazione – non deve arrivare tardi. Ci sarà dell’acqua per la colazione, non è vero? Succo di mela, ricorda. Lei prende sempre succo di mela.
Cos’è quella cosa là, all’orizzonte? Si sta avvicinando, non solo perché lei sta camminando nella sua direzione ma perché si sta muovendo a sua volta, per conto proprio. Lei conosce quella porta. Sa cosa – e chi – vi troverà dietro. Si rincuora. È la via d’uscita; è dove finisce il vuoto. Spinge per aprire la porta pesante e passa attraverso la soglia. Non è quel che pensava.
Queste non sono le stalle, realizza Regina, confusa. Si massaggia la fronte, pensando. Fa male. Il sole cala. Ora è tutto buio e soffocante. I suoi piedi stanno bruciando. Lei li strascica un po’. Il pavimento resiste ma non molto. È un pavimento molliccio, viscido. Che strano… Non dovrebbe essere fango? Improvvisamente, le appare chiaro. Si trova nel ventre di un drago. Imprigionata. Invece che nel conforto delle stalle, è confinata nella prigione del ventre del drago.
A meno che il drago non rutti, pensa, e ridacchia. È qualcosa che ha tirato fuori Daniel, quando lei gli ha detto di come il dragone la inghiottiva di quando in quando, sia nei sogni che nella veglia.
Immagina che rutti, ha detto lui, sputandoti di nuovo in libertà; e l’aveva fatta ridere e dimenticarsi della spaventosa immagine del ventre della bestia. Lei ridacchia, e sorprendentemente il drago dà un potente rutto, sputandola in alto, e lei sta volando, capitombolando, cadendo… Lì arriva la voce di mamma, tuonando attorno a lei, ammonendola per essere stata vicino ad un rutto, poiché chi ha mai sentito di una lady che rutta?

L’oscurità lascia di nuovo posto alla luce. Ehi… quello è… quello è un pozzo, giusto? Lei si trascina sino al cerchio di pietra. Non c’è un secchio, niente che possa aiutarla a calmare la sua sete. Daniel ha il secchio; sta portando acqua per i cavalli. Prima le lascerà prendere un sorso. Ma… se queste non sono le stalle, è mai possibile che Daniel si trovi qui? Lei seppellisce la testa nelle proprie mani per chiudere fuori la luce del sole rovente. Può ancora vederla sul retro delle sue palpebre ma adesso sta succedendo qualcosa di molto più strano…
Rivoli d’acqua iniziano a stillare dalle sue mani, facendosi strada tra le sue dita. Strano, si meraviglia lei, non aveva realizzato di aver iniziato a piangere. Sente le fresche goccioline raffreddarle la fronte; qualcuna arriva persino alle sue labbra screpolate. Non sono salate; non sono lacrime dopotutto. Quant’è bello, pensa lei. Quant’è bello. Non sta più bruciando. Grazie, papà, cerca di dire, perché in qualche modo sa che è opera sua anche se non lo vede da nessuna parte lì attorno. Anche il pozzo sta straripando d’acqua, riversandosi, onda dopo onda che si schianta ai suoi piedi. Lei è sulla sponda di un lago, onde tranquille che le sfiorano le caviglie. Spruzzi d’acqua isolati le colpiscono il viso. Freschi. Piacevoli, finché durano.
Lei sbatte le palpebre, e quando i suoi occhi si spalancano di nuovo, vede che il lago è cambiato; adesso è congelato, coperto da una patina di ghiaccio lucente. I suoi piedi stanno gelando; lei è lì nel mezzo del vasto strato di ghiaccio, a piedi nudi. Ma… non dovrebbe essere fango? Lei guarda in basso per controllare e fissa il proprio riflesso, perfettamente chiaro e con contorni affilati. Uno specchio. Lei si trova su uno specchio gelido.
Regina, in nome del cielo, potresti preoccuparti di vestirti più come una lady, per una volta?
Ma mamma… Ho così freddo, sussurra silenziosamente lei. Il freddo le impregna lentamente tutto il corpo. E se il ghiaccio stesse per incrinarsi? Lei verrà ricoperta di acqua gelata? O la è già? Sta tremando dal freddo.
Una sfera ardente compare sotto i suoi piedi. Le fanno male gli occhi. Tutta la luminosità… il ghiaccio… il sole. Scioglie il ghiaccio e fa diventare liquido il lago; il sole continua a brillare, forte e splendente, e il lago si solleva in un velo di vapore finché tutta l’acqua non è scomparsa, e torna ad essere un deserto. La porta si materializza in lontananza. Poi scompaiono, la porta e il sole, ed ogni cosa ghiaccia di nuovo. Fuoco. Ghiaccio. Fuoco. Ghiaccio. Una bestia scagliosa che muggisce con il ventre vuoto. Crepe di luce di sole. Crepe sul ghiaccio. Specchi che si crepano. Il pavimento scompare sotto i suoi piedi.
Sta cadendo… precipitando nell’oscurità. Non ne ha paura, proprio il contrario. Non è né caldo né freddo, ma piacevolmente tiepido, e tutte le voci – mamma, papà, Daniel, e quelle che non riconosce – sono lontane nello spazio. Lei vuole raggiungere il più presto possibile il cuore di questa piacevole oscurità; là riposerà, là sognerà. E quando ritornerà, sarà via dal deserto, libera dal drago, libera dai frammenti di ghiaccio che le tagliano la pelle; sarà nel suo letto, e le stalle saranno davvero dall’altra parte della porta delle stalle, proprio dove si collocano.

In questi giorni, tutto ciò che Daniel può fare è non cedere alla disperazione. Regina ha sofferto di alte febbri per giorni e sembra non esserci una fine. Suo padre glielo dice un pomeriggio, mentre entrambi sono impegnati nel sellare un cavallo veloce per il messaggero, come fanno ogni volta che la febbre di Regina diventa troppo alta e un’altra dose di medicina rara e costosa deve essere portata dalla città. Questo accade fin troppo spesso per i gusti di Daniel; in effetti gli sembra che loro facciano poco altro che inviare messaggeri urgenti.
La vita alla residenza dei Mills, impegnata come al solito, adesso vede i servitori lavorare sempre più sodo cercando di soddisfare ogni desiderio e capriccio della signora della casa. L’umore di Lady Cora si fa più irascibile man mano che la malattia di Regina si protrae. Di tanto in tanto un uomo convoca: un guaritore, un mago, un dottore – alcuni dietro sua richiesta, altri no. Tutti loro vengono meno alle aspettative e scompaiono senza lasciar traccia, lasciandosi dietro una Lady Cora pericolosamente adirata. Padron Henry sembra aver sofferto di una completa perdita d’animo; vaga per le stanze e i corridoi della casa invece di fare le sue usuali camminate nei campi, stando vicino a sua figlia tutto il tempo. Lady Cora si acciglia, Padron Henry si aggira, ciarlatani vanno e vengono; ma il vecchio e istruito dottore non ha mai lasciato la casa della famiglia Mills dal giorno in cui è arrivato; in effetti, ha a malapena lasciato la stanza di Regina.
Tuttavia, nella notte calda illuminata dalla luna, mentre Daniel vaga nelle radure attorno alla villa, lui si imbatte nella figura ricurva del dottore che sta facendo una passeggiata notturna a propria volta. Esita solo per una frazione di secondo prima di avvicinarsi all’uomo. Prima che possa pensare al modo giusto di cominciare una conversazione, il dottore si volta a fronteggiarlo, facendolo trasalire appena.
«Ah, ragazzo, sono io che ho finito con lo spaventarti, alla fine? Sono molto dispiaciuto». Il dottore sorride di traverso.
Quel sorriso non è neanche lontanamente sufficiente a nascondere il suo sfinimento. Nella luce brillante della luna piena di stanotte, Daniel nota le sue palpebre cascanti e le sue guance scavate, e l’aspetto dell’uomo lo spaventa – è il tributo per la serie di giorni e notti trascorsi a vegliare sulla sua piccola paziente. Può quasi sentirsi tremare per lei.
«Io… non potevo dormire» mormora Daniel. «Cosa state facendo qui fuori?» dice senza pensare, realizzando solo dopo quanto suoni scortese. Tuttavia il dottore non gli rivolge alcun rimprovero.
«Il cielo voglia che io possa posare la testa su un cuscino. Ma ahimè, questa è una notte degna di nota, l’unico momento per raccogliere alcune delle erbe mediche più efficaci». In effetti, la sua cartella di lino è mezza piena di piante tanto delicate quanto robuste.
«Quelle aiuteranno Regina a guarire?»
Il dottore lo studia per un momento. Daniel sopporta il suo sguardo scrutatore. Adesso è la sua occasione di chiedere, e a chi è meglio chiedere se non al saggio stesso?
«Farò tutto ciò che è in mio potere per la piccola lady, come ho fatto finora. Ma lei deve fare la sua parte. Deve combattere per svegliarsi, per guarire».
Gli occhi di Daniel si dilatano per lo stupore.
«Ma… di certo voi potete aiutarla? Dopotutto siete un dottore!»
Il dottore sembra più triste, e più stanco, e più vecchio di quanto Daniel l’abbia mai visto, o di quanto tenga a vederlo, per quel che importa.
«La medicina guarisce solo il corpo, ragazzo, ricordalo. Guarire anche l’anima, è questa la vera sfida adesso».
Daniel abbassa la testa. Trova difficile accettarlo; questa non è la risposta che stava cercando. Lui voleva sentire che lei stava bene, o almeno che si stava riprendendo, o stava per farlo. Voleva che il dottore lo rassicurasse, e adesso si sente solo più confuso e più preoccupato che mai. I suoi occhi bruciano all’improvviso.
Disperatamente, si lascia sfuggire: «Come può essere aiutata, allora? Come posso aiutare?»
Il dottore lo scruta persino più intensamente della prima volta. Piuttosto bizzarramente, per un momento passeggero a Daniel sembra di notare l’accenno di un sorriso sulla faccia del vecchio. Quando alla fine parla, il dottore stesso sembra un po’ sorpreso.
«Effettivamente, forse c’è qualcosa che puoi fare. Sembri più… preoccupato… del servitore medio della famiglia, lasciamelo dire, nonostante gli dèi sappiano come tutti detestino vedere la giovane lady così infelice, e sua madre così… agitata».
«Non lasceranno che io la veda» sospira Daniel, chinando il capo. «Non ho mai rischiato di chiederlo, ma non lo permetterebbero di sicuro».
«Forse no. Io, d’altra parte, trascorro molto tempo al suo capezzale. Forse un segno di amicizia, per ricordarle cosa la aspetta una volta sveglia, farà del bene. A quanto pare, la povera bambina trascorre giorno e notte in compagnia di elementi furibondi e di vili bestie. Sono certo che tu sarai in grado di pensare a qualcosa di più allegro».
Daniel lo esamina, chiedendosi se il dottore lo stia meramente illudendo. Decide che non ha ragione di farlo. I suoi occhi si illuminano in riconoscimento. «Avete detto bestie?»
«Proprio così. Sembri in grado di capirne il senso?»
Daniel sorride debolmente, la mente al lavoro.
«Incontrami domani quando il regolare messaggero va a cavallo. Prenderò il segno per la piccola lady, qualsiasi possa essere».

Daniel non ha alcuna intenzione di dormire dopo che lui e il dottore si sono separati. Se il dottore dice che la luna piena dà potere alle erbe, questo sarà probabilmente il caso con le piante, riflette. Avrà bisogno di tutto quel potere per aiutare Regina a guarire, e di tutta la fortuna per trovare la pianta che vuole – è ancora presto, non sbocciano in tarda primavera. Tuttavia Daniel è deciso a trovarne una prima dell’alba. Dopo ore di perlustrazione dei luoghi più plausibili, la trova. Eccolo lì, vicino al pozzo più lontano dei terreni dei Mills, che si crogiola nella piena luce della luna: il primo fiore precoce di quest’anno, fulgido di petali cremisi e di riflessi giallo acceso.
Il mattino seguente, come lui consegna il fiore al dottore – avvolto nel pezzo di stoffa più fine che lui abbia trovato per attenuare le sue qualità velenose prima che possa essere messo in un vaso – il dottore lo riconosce immediatamente.
«Helenium» dice pensosamente, guardando Daniel con attenzione.
«Erba dello starnuto» annuisce Daniel. Sa che l’uomo non capisce, eppure rivolge un cenno del capo al ragazzo e torna dalla sua paziente, prendendo il fiore con sé senza ulteriori indagini.
Sulla strada di ritorno per le stalle, Daniel invia una supplica silenziosa nella direzione della finestra di Regina. Il pensiero del fiore fa rilassare un poco il suo viso teso, e lui sorride. Il saggio dottore può anche non capire il significato dell’erba dello starnuto, né potrebbe nessun altro – ma Regina capirà.
Forse l’erba, se non ruttare, potrà almeno far starnutire i draghi di Regina.
















Prossimo aggiornamento (salvo imprevisti): giovedì 20 marzo.

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Capitolo 4
*** A Canter is a Cure ***


NdT: Scusate il ritardo (so che avrei dovuto aggiornare ieri, ma non avevo realizzato che fosse giovedì… Sì, sono incasinata sino a questo punto). Comunque, ringrazio i lettori e Calime e pepper snixx heat, che hanno aggiunto questa storia tra le seguite. È per voi che vado avanti :3

Capitolo 4
A Canter Is a Cure

Che sia opera dell’erba dello starnuto o no, la malattia lascia lentamente la presa sul corpo torturato di Regina. Quando finalmente la febbre si abbassa, se ne va bruscamente come è arrivata. Una mattina, mentre il sole colpisce le tende e getta un raggio sparpagliato dal pizzo sul suo viso, Regina apre gli occhi. Le sue ciglia sbattono per la luce improvvisa e accecante, così intensa dopo l’oscurità a cui è abituata. Con uno sforzo considerevole, solleva una mano tremante per schermarsi gli occhi ed esaminare la stanza. L’ombra di un uomo con la schiena verso di lei è impressa contro il muro opposto della stanza, lui è chino su una ciotola in cima al suo ornato guardaroba. Regina lo guarda strizzando gli occhi, sconcertata.
«Chi siete voi? Dove sono tutti? Cosa mi è successo?» Le parole sembrano goffe nella sua bocca, la sua lingua restia ad obbedire, quasi avesse dimenticato come formare le parole.
L’uomo si gira e un sorriso caldo si diffonde sul suo volto stanco.
«Buon giorno, bambina. Hai passato molto tempo dormendo. A momenti chiamerò tua madre e tuo padre. Prima, dimmi come ti senti».
Regina pondera la domanda per un po’. «Stanca» risponde alla fine, chiedendosi come possa essere se ha dormito così tanto.
«La febbre ti ha indebolita. Ci vorrà un po’ prima che riguadagni tutta la tua forza. Ti fa male da qualche parte?»
Lei scuote debolmente la testa.
«Molto bene. Ti lascerò vedere i tuoi genitori prima che tu torni a riposare». Lui si dirige verso la porta mentre parla.
«Aspettate!» ansima Regina mentre i suoi occhi indugiano sul vaso sul suo comodino. «Per favore» aggiunge. «Chi mi ha portato questa?»
«Ah… l’erba dello starnuto. Il tuo giovane amico, lo stalliere, me le ha fatte portare per te».

La mattina in cui Regina apre gli occhi, l’intera casa viene a saperlo nel giro di momenti – Padron Henry si assicura che lo sappiano, correndo da uno all’altro con un toast mezzo finito nella mano come un bambino sovraeccitato, condividendo allegramente la grande notizia. Le stalle non sono un’eccezione.
Daniel ha la sfortuna di star lavorando dentro le scuderie quando il felicissimo Padron Henry le raggiunge, e così è a suo padre che viene detta la buona nuova. O forse è una buona cosa, davvero; la danza felice a cui lui dà inizio quando il suo cervello processa le parole che sente di sfuggita da dietro la porta, completa col tirar pugni all’aria e il saltare su e giù dalle balle di fieno, porterebbe sicuramente a sopracciglia alzate da non strane domande. Almeno Daniel avrebbe potuto chiedere dettagli sulla salute di Regia. Eppure, avrebbe potuto essere abbastanza stupido da lasciarsi sfuggire una richiesta di vederla – sì, l’avrebbe definitivamente fatto, e questo sarebbe sembrato sospetto persino al candido Padron Henry. Ma lui deve vederla!
Il piano sembra semplicemente saltargli in testa tutto pronto. La pazienza, d’altra parte, è scarsa, e il giorno si protrae e protrae spietatamente.
Quando finalmente sopraggiunge il crepuscolo, Daniel ha finito da molto il lavoro del giorno. Non osa aspettare l’oscurità completa per timore che Regina possa essersi già addormentata. È fermamente deciso a non svegliarla se la fosse; adesso lei ha bisogno di dormire, per tornare in forze, non gli serve essere un medico per saperlo. Tuttavia la preferirebbe sveglia, per poterle parlare – non troppo a lungo, così da non affaticarla; solo per un po’. Sa dov’è la sua finestra – ha passato molti giorni a guardare furtivamente nella sua direzione mentre lei giaceva malata. Fa una larga curva attorno alla casa così da non attirare troppa attenzione, fingendo di star semplicemente facendo una passeggiata serale. Alla fine, non vedendo nessuno nei paraggi, attraversa di corsa il tratto erboso tra lui e il muro, tentando di farlo il più silenziosamente possibile e allo stesso tempo di colmare la distanza il più veloce possibile. Fortunatamente, la finestra è aperta per lasciare entrare l’aria mite della sera. Ansimando leggermente, più per la tensione che per lo sforzo, lui si accovaccia sotto il davanzale e preme la schiena contro il muro, ascoltando.
«…nessun dragone è rimasto da queste parti, bambina. Ora starai bene, non è vero?»
«Sì, papà. Ho molto sonno. Spero solo di non sognare questa volta».
«Un bacio della buonanotte per la mia piccola?» Le lenzuola frusciano. Regina ridacchia un poco.
«Buona notte, papà» chiama mentre la porta si chiude con uno scatto dietro l’uomo.
Daniel trae un respiro profondo e arrischia uno sguardo veloce oltre il davanzale. La stanza è vuota. Lui individua il letto di Regina, e Regina sopra di esso, la fiamma della candela sul comodino che getta una luce dorata sui suoi capelli scuri. La vista fa crescere una bolla di felicità nel suo stomaco.
«Regina» chiama a bassa voce.
Le lenzuola si muovono un po’, poi si fermano.
«Sono io. Daniel».
Lentamente, Regina si puntella sui gomiti, finché la sua testa non spunta da sopra la mole delle lenzuola, il suo viso pallido rivolto verso la finestra.
«Daniel?» sussurra, insicura, senza poter distinguere il suo viso contro il cielo che si scurisce all’esterno. «Sei davvero tu?»
«Sei sveglia! Sei davvero sveglia! Finalmente! Ero così preoccupato!» Le sue parole arrivano in un sussurro urgente, poiché non osa alzare la voce.
«Sono così contenta che tu sia venuto» sussurra lei di rimando, e in qualche modo lui può sentire il sorriso nella sua voce oltre che vederlo. «Grazie mille per il fiore».
«Ha aiutato? Ha cacciato via il dragone?»
«Come sapevi che c’era un dragone?»
«Non so… Ho solo pensato che potesse esserci». Lui scrolla le spalle, sorridendo tutto il tempo –semplicemente non riesce a trattenersi.
«Sono sicura che abbia aiutato» mormora lei seriamente. «Perché c’era un dragone, e ora se n’è andato, e il fiore è qui, quindi deve essere stato quello».
«Sono contento» respira lui. «Mi sentivo malissimo, e non potevo fare niente, e continuavo a pensare a come sei corsa fuori in quella tempesta e ti sei ammalata tanto, e non potevo nemmeno venire a vederti, e… Mi dispiace» conclude miseramente.
Gli occhi di Regina si allargarono per la sorpresa.
«Ma… niente di tutto questo è colpa tua!» esclama, quasi mancando di tenere giù la voce. Vedendo che lui continua a tenere la testa abbassata, un’idea le attraversa la mente e la fa sorridere. «Di fatto mi hai salvata da un dragone, sai».
Lui ride. «Credo di sì, in un certo senso». Poi, di nuovo serio: «Adesso starai bene?»
«Sono stanca tutto il tempo. Ma il dottore mi ha detto che è normale, perciò credo che passerà».
«È un bravo dottore. Ha aiutato anche papà. E ti ha portato l’erba dello starnuto, persino, quando io…»
Si interrompe bruscamente. Lo sente anche Regina – qualche rumore dal corridoio.
«Ora è meglio che vada» sussurra lui, e rovista nella propria tasca mentre parla.
«Tornerai?» chiede lei con una traccia di tristezza nella voce.
«Quando sarà sicuro» annuisce lui e allunga una mano, mettendo qualcosa dentro la stanza. «Dormi bene – niente dragoni» aggiunge, e prima che lei possa rispondere, se n’è andato.
Troppo debole per rimanere seduta un momento di più, Regina ricade sui cuscini, e prima di chiudere gli occhi si gira a guardare l’erba dello starnuto che si sta seccando, vista che le mette un sorriso sulle labbra. Solo quando si sveglia la mattina successiva alla piena luce del sole nota effettivamente il millefoglio giallo appoggiato accanto alla finestra.

Passano giorni senza che la voce di Daniel risuoni di nuovo al di là della finestra. Lei capisce perché, benché lui le manchi – oggigiorno, sembra sempre esserci qualcuno nella stanza con lei in ogni momento, come se avesse bisogno che le tenessero compagnia. In effetti, le piace dormire più di ogni altra cosa, e ha poca energia di riserva per socializzare. Papà viene spesso, lei lo sa, sovente è consapevole della sua presenza ma troppo assonnata per rispondere quando lui le parla. Viene anche la mamma, e tempesta i servitori di nuovi e nuovi ordini prima di andarsene nuovamente, mai abbastanza contenta di come Regina viene accudita. Il vecchio e gentile dottore adesso è via, e ha lasciato istruzioni, e medicine. La maggior parte di esse sono disgustose.
Eppure non sono le medicine a darle i problemi maggiori; stranamente sembra che lei non riesca a mandar giù altro nella propria gola. L’altro giorno, la cuoca se n’è andata in lacrime, poiché Regina non è riuscita a toccare lo stufato che le era stato portato; Regina sospetta che la mamma riprenda la povera donna quando lei riporta indietro il piatto di Regina quasi intatto. Così tenta e ritenta, spesso soltanto per amor della povera cuoca, ma in questi giorni il cibo sembra proprio un compito al di là del suo potere. Forse è la mancanza di cibo nella sua pancia che la fa sentire così debole; in effetti, lei pensa di non essere diventata più forte dal giorno in cui si è svegliata. Presto, la sua scarsa salute suscita rinnovata preoccupazione nella famiglia Mills. Un urgente messaggero parte la mattina successiva, e il vecchio dottore arriva per mezzogiorno.
«…circondata da idioti», Regina si sveglia con un sobbalzo al suono della voce di mamma. «Le teorie che si inventano… Le idee brillanti che tirano fuori!» La porta si spalanca ed ecco la mamma, che appare tanto arrabbiata quanto la sembra dal tono della voce. Regina deglutisce ansiosamente, domandandosi cosa stia per succedere. «Ah, sei sveglia, cara». La mamma tenta di fare un sorriso, lei può vederlo, ma la rabbia rimane incisa sul suo volto. Ma almeno sa di non esserne la causa. Respira un po’ più facilmente.
«Dottore, siate così gentile, esaminatela e datemi il vostro parere. Spero davvero che sarà più utile di quello che ho ricevuto. Deve esserlo, certamente. Sapete qual è stato l’ultimo? Di lasciare che la bambina cavalchi! Rafforza il corpo, costruisce il carattere, ha detto lui. Il mio stalliere riconosce a quei cavalli più meriti di quanto si possa giustificare».
Mentre la mamma fa la sua tirata, il dottore esamina silenziosamente Regina, guardandole il viso tutto il tempo. Quando la mamma parla dei cavalli e di come qualcuno ha suggerito che cavalcare potrebbe aiutarla, le sue guance si arrossano e i suoi occhi si illuminano. Lei apre la bocca, poi la chiude di nuovo, e china il capo; ricorda il rifiuto prima della malattia, e sa che è meglio non insistere sull’argomento. La mamma non cede mai. Il dottore continua a guardarla silenziosamente, aspettando che la mamma finisca di sfogare la rabbia.
«Dunque?» domanda la mamma. «Cos’ha che non va?»
«Niente» dice semplicemente lui.
«Cosa intendete, niente? Allora perché non mangia? O cammina? Questa è follia; la bambina dorme tutto il tempo!»
«Ciò che voglio dire» replica con calma il dottore, «è che fisicamente non ha niente che non vada. Deve diventare più forte, e questo non avverrà da sé. Deve anche stimolare l’anima – è rimasta isolata troppo a lungo». Poi, girandosi verso Regina: «Dimmi, bambina, ti piacerebbe uscire a cavallo?»
«Scusatemi, dottore, che cos’è questa assurdità dei cavalli? Posso capire uno stalliere, ma dalla bocca di un uomo istruito?»
«Milady» dice francamente il dottore, con un lieve accenno di sorriso – l’uomo è pazzo, si chiede Regina, a provocare così la mamma? «Capisco la vostra preoccupazione. Ho parlato io stesso col vostro stalliere, e lui mi ha spiegato i benefici dell’equitazione, che sembrano essere abbondanti e gratificanti. In ogni caso, è un maestro nella sua professione. Raccomando vivamente di considerare questa opzione, se la giovane lady è disposta a tentare».
«Assurdità!» sibila lei. «Non tollererò oltre questa follia». Gira i tacchi ed esce furibonda prima che Regina possa anche solo aprire la bocca per protestare.
Se solo osasse protestare, cioè, o avesse l’energia per farlo.

Quella notte, Regina non dorme né molto né bene. Dal corridoio, può sentire i suoi genitori litigare. Spaventata e intenta a lottare contro le lacrime, si rannicchia sotto le coperte, tirando il cuscino sopra la propria testa per coprire le urla e sforzandosi a turno di distinguere le parole.
«…circondata da idioti, e sposata col più grande di tutti loro!» tuona la voce della mamma.
«Dobbiamo tenere a mente l’interesse della bambina» ribatte papà stancamente, eppure con forza. Lui alza raramente la voce, in ogni caso mai con Regina. Per lo più, sembra pensare sia meglio non opporsi alla mamma. Eppure adesso lo sta facendo, e Regina sa di doversi aspettare una tempesta peggiore di quella che l’ha fatta ammalare, una tempesta rara e potente, perché se c’è qualcosa che la mamma odia di più di qualcuno che le si oppone, è il papà che le si oppone.
«E cosa pensi che io stia facendo? Pensi che non veda cosa stai cercando di fare? Lei voleva cavalcare, e io l’ho proibito! Non cambierò idea perché tu hai messo in scena una sorta di spettacolo di mimi, pensando che io avrei capito di cosa si trattava!»
«Non c’è niente da capire! Voglio solo che nostra figlia torni alla normalità, che corra e rida di nuovo, come una bambina normale!»
«Ma lei non è una bambina normale! Dovrebbe essere di più! Come osi immischiarti nella mia educazione?»
«Cora, per l’amor del cielo, io non mi immischio! Tu fai come vuoi, e io lascio che sia così, ed entrambi proviamo disprezzo nei miei confronti per questo» conclude quietamente, rendendo a Regina difficile sentire. «…ma questa volta, non lascerò che il tuo orgoglio ostacoli la guarigione di nostra figlia. Lei vuole cavalcare, e il dottore stesso lo raccomanda. Adesso proviamoci e basta».
C’è un rumore improvviso, poi… silenzio. Regina respira a malapena. Niente si muove. È successo qualcosa al papà? Se la mamma si è davvero infuriata, le cose potrebbero farsi pericolose… Il silenzio aleggia nell’aria, pesante ed oppressivo. Regina si obbliga a trarre dei respiri profondi, sforzandosi di udire qualcosa, ma non arriva nessun suono, per lungo tempo. Alla fine, lei si addormenta pesantemente, rannicchiata e abbracciata all’angolo della sua coperta.
Si sveglia alle tende che vengono tirate, e sbatte le palpebre per vedere la mamma in piedi vicino al suo letto. «Ti vestirai e farai colazione» le dice lei con voce tesa. «Dopodiché, tuo padre ti porterà fuori e ti terrà compagnia mentre riceverai la tua prima lezione di equitazione».
Regina annuisce serenamente, senza osare rischiare un sorriso, stentando a credere alla propria fortuna. Dentro di sé, tuttavia, sta ridendo, saltando, volando.

L’aria non è mai stata più dolce, l’erba più verde, il cielo più immacolato, che nel momento in cui finalmente Regina lascia la casa dopo la sua lunga reclusione, tenendo la mano di papà e appoggiandosi a lui per sostegno – persino la breve camminata si sta dimostrando una sfida. Il padre di Daniel li sta già aspettando poco lontano, masticando un lungo stelo d’erba che getta via non appena li individua. Va loro incontro, un sorriso generoso che gli ammorbidisce i tratti sferzati dal vento. Regina l’ha sempre visto solo da lontano sinora ma non si sono mai incontrati come si deve. I suoi capelli sono proprio come quelli di Daniel, nota lei adesso; dello stesso identico colore, solo striati di grigio qua e là. Peccato che Daniel non sia qui, pensa mentre si avvicinano.
«Buon giorno, signore» sorride, la trepidazione ben visibile sul suo volto, e saltella un poco, tirando il papà per la mano.
«Buon giorno, Miss Mills, è un piacere vedervi, e per di più di nuovo in salute. Possiamo lasciar perdere il signore, se non vi dispiace, il mio nome è Edric».
«Io sono Regina». Lei si allunga a stringergli la mano. «Lasciamo perdere il miss» aggiunge con un sorriso ampio e innocente.
«Regina sia, allora» concorda Edric, stringendo seriamente la sua piccola mano nella propria più grande, il divertimento rinchiuso unicamente nei suoi occhi. «Cominciamo».
Regina annuisce vigorosamente, vibrando per l’eccitazione. Segue Edric dietro l’angolo, ora quasi trascinando il papà dietro di sé, la stanchezza del tutto dimenticata. Eccolo lì, il cavallo, scuro e lucido, con una macchia di bianco qua e là: una calza bianca sulla zampa sinistra anteriore e una grande stella lattea sul muso; porta la sella di pelle con la massima disinvoltura. Un vero cavallo, non il pony che lei si aspettava – un vero cavallo!
«Ti piace?» domanda il papà. «Edric e il giovane Daniel l’hanno scelto con particolare cura».
«Lo amo! Guarda quanto è liscio il suo manto, non è bellissimo? È il cavallo più bello di sempre!» esclama lei, accarezzando il cavallo nel modo in cui sa che gli piacerà.
«Allora è deciso. È tuo» dice papà con il largo sorriso che lei ama tanto, quello che gli fa brillare gli occhi e li fa raggrinzire in piccoli ventagli orlati da un cespuglioso insieme di sopracciglia. Lei gli corre incontro e gli si avvinghia al collo, baciandolo sulla guancia. «Papà, papà – grazie!» sussurra, senza fiato – sta succedendo così tanto dopo settimane di attività, le fa realizzare di nuovo quant’è diventata fragile. Questa volta, tuttavia, lei decide fermamente di porvi una fine.

Il papà siede su una panchina e guarda mentre Edric guida il cavallo nel recinto, Regina alle sue calcagna.
«Prima che tu sieda su un cavallo, devi sapere almeno un paio di cose su di loro» le si rivolge Edric.
Regina lo guarda con aria trionfante. «Ne so già qualcuna» dice fieramente, e inizia a dirgli tutte le cose che ha imparato dal papà, dal suo vecchio stalliere, e soprattutto da Daniel – anche se ovviamente questo non lo dice: lei sa cose sullo spazzolare, sul nutrire, sul ferrare, e sul sellare; al perplesso stalliere dice persino come ha sempre amato guardare i cavalli parlare con le proprie orecchie, girandole e inclinandole a piacere. La sorpresa lascia spazio a una silenziosa attenzione, e infine ad un sorriso ben contento sulle labbra di Edric.
«Ora vedo che le nostre lezioni saranno una gioia per entrambi» le dice quando lei conclude la propria tirata entusiasta. «Non molte persone apprezzano il vero valore dei cavalli. Ma tuo padre», fa un gesto verso Henry, «lo capisce, e anche tu, a quanto sembra».
«Papà era un grande cavallerizzo» dice Regina con riverenza. «Ma questo era prima che si ferisse la gamba».
Edric annuisce seriamente.
«Ecco, adesso guidalo, cammina con lui». Le mette la corda nella mano. Regina esegue e, più per la sorpresa di Edric che per la sua, il cavallo obbedisce all’istante. Ogni tanto Regina gli dà un colpetto affettuoso mentre continuano a girare intorno al recinto.
«Tu sai molto dei cavalli, e imparerai molto di più, ma sai anche che hanno la capacità di guarire?»
«Vuoi dire… come una magia?» chiede Regina con incredulità. La mamma ha la magia, ma Regina non ne va per niente pazza.
«No, non magia… anche se potresti chiamarlo magico. Se sei in grado di stabilire una connessione, loro ti rafforzano il corpo e risollevano lo spirito. Anche se alcune persone non se ne rendono conto».
«Come la mamma. Lei non crede che possano farlo, vero? Lei non voleva lasciarmi cavalcare, nemmeno quando il dottore le ha detto che avrebbe dovuto permettermelo».
Edric le dà un’occhiata di traverso, senza mai cambiare passo. Rimane in silenzio per un poco, soppesando le proprie parole.
«Forse tua madre non ha fiducia nei cavalli come me, ma vuole il meglio per te, o alla fine non avrebbe accettato come ha fatto. I tuoi genitori sono entrambi molto preoccupati per te».
«Tutti e due?» chiede lei piano. Il padre di Daniel la esamina curiosamente.
«A loro modo» annuisce.
C’è un silenzio interrotto soltanto dal ritmico thump-thump dei ferri di cavallo che colpiscono l’erba.
Alla fine, Edric si gira verso Regina. «E adesso saliamo su quel cavallo, Regina».
La aiuta a montare, tenendo strettamente la corda nella mano, mettendo le redini nella sua… E una volta che lei è sulla sella, il mondo è cambiato, e lei lo possiede! I suoi capelli turbinano appena nella calda brezza, le sue guance sono arrossate, i suoi occhi ridenti, un ampio sorriso è incollato al suo volto. Non c’è mai stato un sentimento più esaltante; in sella niente ha importanza; sono solo lei e il cavallo, alti sopra il mondo e fuori dalla portata dei guai.
Finisce sin troppo presto, ma Regina continua ad essere radiosa mentre Edric la aiuta scivolare nuovamente giù dal cavallo. «Grazie» gli bisbiglia lei, come se lo scintillio nei suoi occhi non parlasse da sé. Preme una guancia contro il cavallo: «Ci vediamo domani» sussurra.
Abbastanza presto, quando sarà più forte, sarà in grado non solo di cavalcare, ma anche di prendersi cura del suo destriero, e può a malapena aspettare.
Regina occhieggia Edric pensosamente, apre la bocca come per parlare, poi la richiude. Il papà le fa allegramente cenno dalla panchina. Regina si avvia nella sua direzione. Ma, dopo pochi passi, si gira di colpo e la domanda capitombola dalla sua bocca: «Come sta Daniel?»
«Ma sì, sta bene, grazie per averlo chiesto» dice lui un po’ meccanicamente. Poi, con una lieve contrazione dell’angolo della bocca, aggiunge: «Più avanti lo vedrai di più al mio posto, quando diventerai più brava a cavalcare».
Con un largo sorriso sul volto, Regina annuisce e a dispetto del suo esaurimento rompe in una breve corsa verso dove la sta aspettando il papà. «Papà! È stato meraviglioso! Davvero meraviglioso! Non vedo l’ora di farlo di nuovo!» Continua a chiacchierare animatamente tutto il tempo mentre trascina il papà verso la villa. «Il pranzo ci metterà molto? Ho una fame da lupi!»












Prossimo aggiornamento: giovedì 28 marzo (la data della mia interrogazione su letteratura inglese :S Ouch).

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Capitolo 5
*** My Fair Stable Boy ***


Capitolo 5
My Fair Stable Boy

È un giorno caldo e soffocante. L’aria è ferma, fuori dalla finestra non si muove una foglia. Un’ape ronza nell’orecchio di Regina e si allontana pigramente; a quanto pare, persino lei è troppo sopraffatta dal calore per lavorare. Eppure vogliono che lei stia seduta con le mani in mano e ascolti il tono monocorde della voce del suo avvizzito precettore, intento a ripetere all’infinito goffe formule grammaticali.
Lo sguardo di Regina vaga verso la finestra. Lontana, può vedere la stalla. Lui è lì: Daniel, che sembra minuscolo per la distanza, e la sagoma scura di un cavallo accanto a lui. Anche da lontano, Regina sa che lui lo sta rigovernando. Sospira piano. Se solo anche lei potesse andare a cavallo nei prati riccamente verdi e in crespi campi di grano; muovere un po’ d’aria, assorbire un po’ di sole. In un lungo giorno di scuola come questo, tuttavia, non c’è tempo per le passeggiate; solo per la grammatica, la matematica, la retorica, la logica, la musica e il cucito più tardi nel pomeriggio. Daniel, d’altra parte, è libero…
«Signorina Mills, per favore». Il precettore s’intromette nei suoi sogni ad occhi aperti con una traccia di impazienza nella voce. «Il paradigma della coniugazione verbale, se non vi dispiace».
«Oh… sì… Scusate la mia lentezza, vi prego». Lei abbassa la testa. Lui è esigente ma giusto, e riferisce regolarmente alla mamma i suoi progressi. Difficilmente ha motivo di lamentarsi – Regina è una studentessa diligente, coscienziosa, benché un po’ sdegnosa verso certe materie che considera indegne del suo tempo, o del tempo di chiunque altro, in quanto a ciò. Preferisce la letteratura alle aride regole grammaticali, perciò il tutore ha cominciato ad utilizzare la cosa a loro vantaggio illustrando la grammatica e il suo uso pratico, e le fa leggere libri grandi e piccoli. Consapevole di quella concessione, lei si sente imbarazzata e vergognosa per la propria negligenza, e inizia a declamare immediatamente le regole della coniugazione, recitandole in modo impeccabile.
«Molto bene, signorina Mills. Per oggi abbiamo finito. Ritengo che abbiate iniziate il libro, ora continuatelo, e finitelo entro questa settimana. Non dimenticate di esercitarvi quotidianamente negli esercizi di retorica. Ricordate di completare il compito di algebra, e…»
La porta si spalanca.
«Lady Cora». Il precettore s’inchina mentre la mamma entra maestosamente.
«Ritengo abbiate appena concluso?»
«Certo».
«Come va mia figlia? Lavora sodo, spero?»
Regina si morde ansiosamente il labbro. La mamma lo sa? Come può saperlo?
Prima che il tutore abbia l’opportunità di rispondere, la mamma lo fa uscire: «Vi aspettiamo la prossima settimana al solito orario».
«Arrivederci, Lady Cora. Signorina Mills». Lui raccoglie le proprie cose e se ne va senza ulteriori indugi, chiudendo la porta dietro di sé.
«Regina, cara, guardami».
Regina guarda.
«Non c’è niente che devi dirmi?»
Regina inghiottisce. Lo sa, pensa disperatamente. «Io… Oggi fa così caldo, mamma, era solo difficile concentrarsi».
«Presumo che preferiresti girovagare per la campagna a cavallo, non è vero?»
Lei tenta di rimanere impassibile ma sa che la mamma può leggerle la verità negli occhi.
«Quante volte devo dirtelo? Tu hai il privilegio di poter ricevere questa istruzione. Ho cercato in lungo e in largo un precettore adeguato. Avrai un’istruzione degna di una lady, un’istruzione che in effetti supera quella di molti. Non vorrei altrimenti; non voglio niente di meno per te. Ma devi collaborare».
«Ma io collaboro» si lascia sfuggire Regina alla pura ingiustizia di quel rimprovero. «Sono una brava allieva; oggi tutti i miei esercizi erano senza errori! Ho anche letto più di quanto dovevo!»
«Lo so, cara» replica la mamma e le accarezza una guancia. «Tuttavia, non possiamo permetterci una scarsa concentrazione. Tu devi sempre, sempre fare del tuo meglio, lo capisci?»
Regina annuisce con aria scoraggiata.
«Oggi ti eserciterai al pianoforte per un’ora extra. L’istitutrice è malata e non verrà, quindi sarò io ad accertarmi che tu lo faccia come si deve. Successivamente dovrai anche lavorare sul tuo ricamo. Mi è stato detto che i tuoi punti sono ancora deludenti».
Regina rimane in silenzio. Lei odia il cucito, specialmente ultimamente; trova difficile sedere immobile, chinata sulle tele con l’ago in mano per lunghe ore, quando la prospettiva di godersi i grandi spazi aperti ha di gran lunga più fascino. Sa che è meglio non dirlo a voce alta, certo. Ringrazia la sua buona stella per non dover imparare anche a filare come fa la maggior parte delle ragazze; la mamma sembra avere un’inesplicabile avversione per la filatura e l’ha proibita fermamente.
La mamma la valuta per un po’. Questa volta, non nota niente di sospetto sul suo viso, per il sollievo di Regina. «Se farai bene, più tardi questa sera predisporrò del tempo supplementare con quel tuo cavallo».
Questo è quasi troppo bello per essere vero, da parte dalla mamma, specialmente dopo una sgridata – gentile, certo, ma pur sempre una sgridata.
«Oh, Regina, perché quest’incredulità? Non sono un mostro».
Inesplicabilmente, in qualche modo Regina si sente improvvisamente male per lei. «Grazie, mamma!»
Si china in avanti e stampa un bacio veloce sulla guancia della mamma, cosa che porta un sorriso compiaciuto sul volto di Cora.

La musica e il ricamo sembrano interminabili, ancor di più sotto l’occhio attento della mamma; ma finalmente finisce, e Regina si riversa nel prato e si dirige verso le stalle nella luce accecante del sole prossimo a tramontare. Daniel la sta già aspettando. «La mamma ti ha detto che stavo arrivando?»
«Sì, mi ha chiesto di preparare il tuo cavallo. Possiamo partire subito».
Così lo fanno; Regina sul suo sauro, Daniel su un baio, cavalcando con calma nel tramonto.
Eppure c’è qualcosa che non va. Regina gli getta molte occhiate di traverso prima di rompere finalmente il silenzio, che sente non essere del solito genere confortante: «Daniel? Va tutto bene?»
Gli occhi di Daniel incontrano i suoi per una frazione di secondo, ma poi lui torna a fissare dritto davanti a sé.
«Ho cercato di finire il ricamo il più in fretta possibile ma avevo paura che i punti sarebbero stati troppo malfatti se avessi lavorato troppo velocemente, e che non sarei stata autorizzata a venire per niente» offre lei in modo incerto. L’intera cosa sembra sciocca mentre la pronuncia. «Odio il ricamo» aggiunge amaramente. «L’altra roba va bene per lo più ma posso comunque pensare a cose più divertenti da fare, specialmente in giorni splendidi come questo. Sei così fortunato ad esserti liberato della scuola».
Invece di rallegrarsi, Daniel sorride un sorriso mesto. «Vorrei che mi insegnassero ancora» sospira.
«Ma… perché? E… perché non succede? Pensavo fossi andato a scuola – dopotutto sai leggere e scrivere».
«Sì, visto che eravamo sempre in movimento ho imparato per lo più da mio papà. Mi ha insegnato le lettere. Non tutti gli stallieri sanno come leggere e scrivere – in effetti, molti non lo sanno. Ma mio papà voleva che io imparassi tanto quanto potevo; aiuta, se si vuole ottenere un lavoro da una buona famiglia. Quando siamo venuti qui, il Padron Henry ha promesso che mi sarebbe stato permesso di andare alla scuola del villaggio». Lo sguardo sconcertato di lei lo porta a fermarsi. «Sai, quando qualcuno del popolino vuole che i suoi figli vengano istruiti, deve avere il permesso del signore del maniero».
«Non lo sapevo» ammette lei. «Quindi siccome papà è d’accordo, tu puoi andare, non è vero?»
«Non più. C’è sempre il lavoro a tenermi occupato. Non posso evitare il lavoro».
Regina fissa dritto nel sole. «Ma… questo non va bene» mormora. «Se vuoi imparare, dovrebbe esserti permesso. Anche la mamma lo dice. È per questo che è così severa a questo riguardo, dice papà. Per lo più le ragazze prendono solo la parte sul ricamo e la musica e le lettere. Non mi piace sempre tutto il lavoro o tutte le cose – alcune di esse sono semplicemente ridicole» dice pensosamente, «ma non mi importerebbe se qualcuno cercasse di impedirmi di imparare».
Daniel annuisce solennemente. «Ma non è tutto. Lady Cora non approva che tu trascorra del tempo con qualcuno di così… rozzo».
Regina aggrotta la fronte. «Sembra una parola che la mamma userebbe. Le stanno molto a cuore le buone maniere – ma le tue vanno bene! E come hai detto tu, sei molto più istruito di molti stallieri!»
La sua indignazione è così chiara che Daniel non può evitare di sorridere. «Non penso che sia con questo che ha un problema» spiega pazientemente. «Va bene che io stia attorno ai cavalli. È solo che non dovrei stare troppo attorno a te. Credo che lei pensi che dovresti trovare degli amici in cerchie più alte. Più… Acculturate» conclude Daniel amaramente. Apparentemente seguita a fissare davanti a sé, mentre in realtà continua a lanciare occhiate al viso di Regina, aspettando la sua reazione.
Le guance di lei si arrossano alle sue parole. «Comunque nessuno è mai abbastanza buono per lei», Regina fuma di rabbia, «oltretutto, io non voglio altri amici! A me piace trascorrere il tempo con te!»
Daniel si rincuora alle sue parole, e alla sincerità con cui lei le pronuncia. Legge l’angoscia scritta sul suo volto più chiaramente delle lettere in un qualsiasi libro – angoscia di perdere il suo amico, capisce. «Anch’io» replica. «Credo dovremo solo sperare che lei non ci veda insieme troppo spesso. Chiederò a papà se alla sera dopo il lavoro può darmi qualche altra lezione. O procurarmi un libro. Non è molto, ma vale la pena di tentare».
«Io ho dei libri» replica lei con un’espressione curiosa sul volto. «Ho anche un precettore. Puoi imparare tutto quello che imparo io. Almeno le cose importanti. La mamma non deve sapere che ti insegnerò – è meglio che nessuno lo sappia. Possiamo imparare insieme – sarò io ad insegnarti!»
Raggiante, Regina lo occhieggia con una certa aspettativa. Un largo sorriso gioca sul volto di Daniel, rivelando un entusiasmo che uguaglia il suo. «Facciamo a gara sino a quella collina?» Regina accetta la sfida; e così il loro patto è sigillato.

«P-p-p-p-p-p-p-p-p-p-p-p-p!» scandisce Regina con un sorriso da diavoletto sul volto falsamente serio. Daniel si stringe lo stomaco, piegato in due dalle risate sulla sella. «Non ridere, giovanotto, aspirare le tue P correttamente è una questione di grave importanza!» Lei lo rimprovera agitando un dito, combattendo per mantenere serio il proprio viso, poi crolla lei stessa in un attacco di risa.
Quando le loro risate si calmano, il viso di Regina emerge dalla criniera del sauro, le lacrime nei suoi occhi. «Regola cardinale numero due: pronuncia bene le r! Ripeti dopo di me: una rara rana nera sull’arena errò una sera» pronuncia pomposamente.
Daniel ridacchia. «Qual è il problema con le rane? Rane sull’arena e rane in campagna?»
«Oh, ce ne sono anche altri. Più divertenti, pure, possono essere questi scioglilingua. Come… È passato lo stracciatoppe e non m’ha stracciatoppato. Quando ripasserà mi stracciatopperà».
«Sono piuttosto sicuro che “stracciatoppare” non sia una parola adatta a una lady. In effetti, non è nemmeno una vera parola» la prende in giro Daniel, la lingua nelle guance.
Il più piccolo, il più fugace dei cipigli attraversa il viso di Regina, poi viene rimpiazzato dal sollievo quando lo scherzo è recepito. «Oh davvero? Allora che ne dici di questo?» Solleva maestosamente il mento, interpretando il ruolo: «Sa chi sa che non sa, non sa chi non sa che non sa. È considerato un discorso abbastanza signorile?»
«Penso che andrà bene» concede lui con un sorriso compiaciuto. Dopo la pausa di un momento, la guarda in faccia e aggiunge, scherzi a parte: «Così come quello dello stracciatoppare, per me, signorile o no. Va bene ogni cosa finché tu rimani, be’… Regina».
Nel riparo delle stalle, nascosto in un box recentemente pulito, Daniel siede guardando di traverso i diagrammi scritti sul pezzo giallo di pergamena. Regina giace sulla pancia lì vicino, scarabocchiando su un altro foglio spiegazzato con una penna appuntita piumata di rosso. Daniel scuote la testa e sospira, alzando lo sguardo dalle sue annotazioni.
Regina solleva gli occhi dai suoi compiti. «Cosa c’è?»
«Be’… scusami, ma questo è un po’ sciocco. Tutti questi diagrammi per dirti come sono fatte le piante, come si riproducono… Perché non uscire, e impararlo osservandole?»
Sconcertata, Regina morde la fine piumata della penna. «Capisco la tua opinione, ma non sarebbe un po’ poco pratico? Ci vogliono anni perché una pianta faccia tutto, e alcune fasi che non puoi nemmeno vedere. Non saprai mai tutto solo guardando, e neanche di così tante piante ed animali diverse».
«Forse» replica lui, senza essere convinto. «Così sai più di teoria. Ma di come le cose funzionano per davvero? Regina, hai mai provato a piantare qualcosa tu stessa? Sai cosa occorre per farla crescere, o la gioia che porta quando lo fa perché te ne sei presa cura nel modo giusto?»
Lei appoggia pensierosamente la penna sgualcita. Lentamente, scuote la testa, sconcertata dalla validità del suo ragionamento.
«Ti piacerebbe provare?»
Quando la piantina è pronta, loro hanno scelto un bel posto, soleggiato e fertile, sulla cima di una collinetta. Daniel fatica con la pala finché non ha scavato un buco sufficientemente largo e profondo, libero da erba ed erbacce. Regina trasporta cautamente la piccola pianta, tenendola delicatamente come se fosse il più prezioso dei tesori, e Daniel la aiuta a collocarla cautamente nel terreno smosso.
«Assicurati che le radici siano distese come si deve» spiega. Lei si sporge più vicino, il suo viso concentrato, la sua fronte leggermente corrugata, le sue dita agili intente a separare e raddrizzare le radici meglio che possono. Le loro mani si incrociano intorno al fragile stelo mentre loro procedono a coprire le radici, schiacciando per far uscire l’aria. Daniel vi rovescia un sacchetto di paglia come pacciame, che Regina sparpaglia uniformemente in un largo cerchio attorno alla pianta.
«Va bene così?» chiede ansiosamente.
Lui occhieggia il risultato e annuisce. «Adesso puoi portare l’annaffiatoio».
Regina inclina lievemente il contenitore e versa un piccolo getto d’acqua così da non danneggiare la giovane pianticella. La irriga abbondantemente, poi appoggia a terra il contenitore vuoto. Entrambi si tirano indietro per ammirare il loro lavoro.
«Crescerò le mie mele» dice Regina incredulamente. «Una volta era solo un minuscolo seme, e col tempo diventerà un albero alto; potremo sederci nella sua ombra e mangiare i frutti dei suoi rami». Sorride con fare sognante mentre Daniel le circonda le spalle con un braccio.

Il canto degli uccelli entra attraverso la finestra aperta, col suono sfuggente di zoccoli e ruote sulla pietra. Lei mette da parte il calamaio, sorridendo tra sé e sé, e spinge il rotolo di pergamena verso il precettore perché lo controlli. Lui si sporge sulla scrivania e studia in silenzio gli esercizi di algebra. Il precettore si gira verso di lei. «Che approccio interessante, Miss Mills, non quello che vi ho insegnato, ma a quanto pare sembra più adatto a voi. Posso chiedere da dove l’avete raccolto?»
L’erba e i cespugli frusciano fuori dalla finestra – forse un uccello, o un cane, pensa Regina. Dei passi si spostano lungo il corridoio.
«Ho studiato con un…», lei esita, «…un amico».
«Oh, capisco che avete preso lezioni supplementari?»
Regina si sposta sulla sua sedia a disagio. È sicuro parlare, e se lo è, quanto può dire?
«In realtà, gli ho insegnato. L’algebra va più d’accordo con lui che con me».
«Quindi entrambi ne avete tratto profitto. Capisco. Confido allora che prenda lezioni da qualcun altro, questo vostro amico?»
Stavolta la pausa nel discorso non rivela altri suoni dall’esterno della stanza.
«No… non le prende». Adesso è su un terreno pericoloso, sente, e inizia a desiderare un cambio di argomento, frugandosi disperatamente la mente per cercarne uno adatto.
«Per niente? È un tale peccato, sembra avere una buona testa sulle spalle, forse…»
La porta si apre di scatto, facendo fermare il cuore di Regina. E se è la mamma? Ha sentito? Ma, la carrozza… sicuramente se n’è andata. Ma se ha sentito?
«Mi dispiace disturbarvi. Potrei parlare con mia figlia per un momento?»
Il precettore china la testa e si allontana.
«Papà» sospira Regina con sollievo.
«Ti aspettavi tua madre, non è così?» chiede lui con un sorriso consapevole, forse un po’ amaro. Presto il suo volto assume un’espressione esausta, stanca. «Dunque hai insegnato a Daniel, non è vero?»
Lei non mentirebbe mai al papà; non c’è niente da temere, lo sa, lui non farebbe mai la spia. Lei si limita ad annuire in silenzio, guardandolo con occhi ansiosi e speranzosi.
«Suppongo di sapere perché… Hai paura che Cora lo mandi via?»
Un’ombra attraversa il viso di Regina. Che eviti che si vedano l’un l’altra più che occasionalmente, questo è tutto ciò che teme; ma l’idea che lui venga mandato via le è completamente nuova, e più sgradita. «Mandarlo via? Non lo farebbe, giusto, papà? Lui è mio amico!» supplica lei, più con gli occhi che con le parole, una preghiera sincera alla quale lui non può rimanere indifferente.
«Spero di no. Ma non farle sentire che lo definisci tuo amico; capisci che lei preferirebbe che tu frequenti persone diverse».
«Ma tu…?»
Lui sposta una sedia e si siede accanto a lei, guardandola seriamente negli occhi. «Io non ho niente al mondo contro di lui, o contro di te che gli insegni, finché tua madre non viene a saperlo. Sii prudente».
Regina inghiottisce. Il peso del segreto ha gravato su di lei tutto il tempo ma non è mai sembrato così greve. I suoi pensieri indugiano ancora una volta sul precettore.
«Aldaric lo dirà?»
«Gli parlerò, farò in modo che non lo faccia».
Regina si rianima un poco, ma rimane dubbiosa: «Come?» Il papà non è il tipo da minacciare, e la mamma, be’, ha un suo metodo per scoprire le cose; quindi perché il precettore non dovrebbe dire niente? Per la sua sorpresa, il papà sorride.
«L’hai sentito, no? Qui c’è un ragazzo, senza istruzione, che aiuta la sua eccellente studentessa coi compiti di algebra». Regina sorride un breve sorriso all’implicito complimento. «Un ragazzo con una buona testa, col suo potenziale che viene sprecato. È curioso, ed è un insegnante fino al midollo; forse gli piacerebbe incontrarlo, forse persino insegnargli… naturalmente solo quando Cora è via. Potrei andare a scoprirlo adesso». Si alza e le scompiglia affettuosamente i capelli.
Regina siede pensosamente mentre lui si avvicina alla porta per andarsene. Quando la sua mano si allunga verso la maniglia, lei salta su, corre da lui e schiocca un bacio veloce sulla sua guancia. «Grazie, papà».

«Ancora tè, cara?» La mamma offre il bollitore fumante.
«No, grazie. Posso essere scusata?» Regina ha una sessione di lettura pianificata con Daniel, molto più invitante di questa faccenda giornaliera di tè e biscotti.
«Puoi, ma assicurati di finire il tuo ricamo, stasera».
Regina se la svigna dalla stanza, desiderosa di essere all’aperto; il ricamo dovrà aspettare sino a più tardi quel giorno. A mezza strada lungo il corridoio, realizza di aver lasciato il libro nella propria stanza. Gira sui tacchi e comincia a tornare indietro. Passando davanti alla sala del tè, coglie la voce della mamma, e le parole la fanno bloccare, premere un orecchio contro la porta, e origliare spudoratamente.
«…sentito lo stalliere recitare un passaggio da un classico. Non me lo sarei mai aspettato. Il ragazzo ha delle maniere decenti, lo ammetto. Sono un po’ tranquillizzata; potrebbe non avere su Regina l’influenza corruttiva che temevo. Probabilmente saremmo poco in grado di trovarne uno più decente, per come vanno gli stallieri. Suppongo che abbiamo il migliore che si possa avere. Eppure, per quanto riguarda quel nuovo giardiniere…»
Ma quello è tutto ciò che a Regina importa di sentire. Euforica, saltella allegramente lungo il corridoio. Per ora, sembra che siano salvi.





















NdT: Ehilà :)
A proposito del titolo di questo capitolo, se avete un po’ di tempo libero vi invidio da morire vi consiglio il film My Fair Lady (in originale, però... okay, non l’ho mai visto in italiano, ma credo perda un po’ visto che gioca molto sulla pronuncia)… Sempre che non l’abbiate già visto. A me piace tantissimo :’) Tanto che, quando ho visto per la prima volta il titolo “My Fair Stable Boy”, ci ho quasi cacciato un urlo.
Divagazioni a parte, spero di non aver rovinato questo capitolo – il prossimo aggiornamento arriverà giovedì prossimo, il 3 aprile!

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Capitolo 6
*** Picnic at the Firefly Hill ***


NdT: Okay, chiedo scusa per aver rimandato l’aggiornamento ancora una volta (la puntata 3x15 mi aveva davvero scombussolata, e non riuscivo a pensare ad altro che a quella cosa). Buona lettura!

Capitolo 6
Picnic at the Firefly Hill

Si sono messi d’accordo di incontrarsi vicino al melo. Quando Daniel arriva con i cavalli, Regina è già lì, intenta a strappare diligentemente i ciuffi d’erbacce sbarazzine dal terreno attorno alla pianta.
«Hai bisogno d’aiuto?»
«Ho fatto» replica lei dopo aver controllato di nuovo il cerchio che ha liberato, così da vedere che non ci siano erbacce rimanenti. «Andiamo».
Regina armeggia col cesto di vimini pesante di cibo; Daniel lo solleva e lo sistema dietro di sé, assicurandolo alla sella. Regina fa lo stesso con l’innaffiatoio, monta rapidamente sul proprio cavallo, e sono partiti.
Il cielo è una confusione nuvolosa sopra le loro teste, il campo verde di fianco a loro ondeggia alle raffiche di vento, e gli zoccoli dei cavalli ticchettano regolarmente sul sentiero di terra asciugato dal sole. «Ci sarà pioggia?» chiede Regina col viso volto verso il cielo.
«Forse. Ti spiacerebbe, nel caso?» Daniel aggrotta lievemente la fronte. Forse dovrebbero tornare indietro prima di essere troppo lontani. Forse Regina lo preferirebbe. Forse dovrebbe evitare la pioggia – e se si ammalasse di nuovo? Ma adesso c’è caldo, a differenza di quella notte, dibatte lui nella propria testa, anche se piove non sarà pericoloso. Progettano questo giorno da secoli; un cambiamento di piani sarebbe molto sgradito…
«Non voglio tornare a casa» divampa Regina in risposta alla sua domanda implicita. «Ho aspettato con impazienza questo giorno! E la mamma è via; chissà quando avremo di nuovo un’occasione come questa. Inoltre, c’è caldo. E alla fine potrebbe anche non piovere per niente», lei gli dà un’occhiata e lancia il cavallo al trotto. «Andiamo, Ronzinante! Fai in fretta!» grida a Daniel, che la segue immediatamente, e partono al trotto verso i boschi.

È tardo pomeriggio quando salgono sulla collina e raggiungono un’area abbastanza aperta che dà sulla valle sottostante. Gruppi di alberi e cespugli crescono sparpagliati qua e là. Regina cavalca proprio sino al margine e rimane senza fiato alla vista. Un lungo pezzo della valle cosparso di piccole onde di collinette, di pozze d’acqua, e delle macchie delle cime degli alberi si allunga nella distanza al di sotto. Le nuvole sembrano più vicine che mai mentre gareggiano l’uno contro l’altra.
«Attenta» ammonisce Daniel con un lieve cipiglio, eppure non può evitare di sorridere alla sua fascinazione. Smonta e lega il proprio cavallo ad un faggio lì vicino. Dopo un momento, Regina segue il suo esempio, nonostante le sue mani sembrino tremare un poco per l’eccitazione.
«Non riesco a credere che siamo qui» esala. «Riesci a credere a quant’è meraviglioso questo posto? Guarda che vista!»
Lei saltella allegramente qua e là. Sorridendo più ampiamente che mai, Daniel toglie il cestino dalla sella e lo posa vicino al tronco di un acero. Guardando Regina sorridere radiosamente di fronte alla valle che si estende a perdita d’occhio davanti a loro, lui recupera una coperta dalla propria bisaccia e la distende all’ombra dell’acero, bloccandola col cestino coperto da una tovaglia. Regina sembra ancora completamente indifferente al picnic, la sua piena attenzione solo alla splendida vista. Come un uccello, pensa lui, finalmente libero dalla sua gabbia dorata.
Quando finalmente Regina lo raggiunge sulla coperta, il pensiero indugia dentro di lui. «Tra quanto tornerà tua madre?»
Lei si sposta, cercando una posizione comoda sul terreno accidentato. «Non prima di sera» replica, contemplando la valle con aria sognante – la coperta è tanto vicina al dirupo quanto Daniel ha osato metterla.
«Il papà non ha nulla contro il fatto che io stia fuori a cavalcare tutto il giorno, e i compiti aspetteranno sino a domani» conclude lei con soddisfazione. «Oh, ma abbiamo il cibo. Non sei affamato? Io sto morendo di fame», è solo ora che se ne ricorda, apparentemente.
Scioglie il nodo sulla tovaglia per rivelare il contenuto del cestino. La cuoca è stata generosa: il cestino è pieno sino a scoppiare di cibo e bevande. È solo alla vista dell’appetitoso banchetto che Daniel realizza quanto è veramente affamato. Una pagnotta saporita e una caraffa di succo, un croccante pollo arrosto, tortine di carne, un dolce di mele cotte, così come mele rosse fresche e lucide, pere gialle e prugne blu si materializzano mentre Regina le tira fuori una dopo l’altra, allestendo per un banchetto l’improvvisato tavolo da picnic.
«Dacci dentro» sorride, prendendo lei stessa una coscia di pollo.
Mangiano volentieri, il loro appetito è piuttosto vorace dopo la lunga cavalcata. Le nuvole corrono, le cime degli alberi si piegano al vento rapido, ma la grande corona dell’acero e il gruppo di cespugli circostante li ripara bene. Quando finiscono, il più del cibo è praticamente scomparso, inghiottito da quei due.
Regina si distende sulla schiena, le mani dietro la testa, e fissa verso l’alto. Daniel raccoglie le briciole meglio che può e le offre alle formiche poco lontano dal loro piccolo campeggio, poi si sdraia su un fianco e sostiene la propria testa col gomito, così da assicurarsi una tripla vista: verso l’alto, al cielo; dritto davanti a sé, verso la valle; e lateralmente, verso Regina.
«Guarda, Daniel» indica lei. «Lassù c’è un Ronzinante».
Lui guarda, e pensa di poterlo distinguere a propria volta: una nuvola a forma di cavallo, color acciaio, che s’impenna. «Ha persino la sua calza» conferma, notando una macchia più chiara sulla gamba della nuvola-cavallo.
Regina ridacchia. «Sono contenta che adesso abbia un nome» confessa. «Gli sta bene, non pensi?»
«Non ho ancora finito il libro». Regina glielo ha prestato non molto tempo fa, e le sere lui è stato piuttosto occupato a leggerlo. «Ma sono sicuro che sia così».
«Cosa vedi?» chiede lei.
Daniel si gira per giacere sulla schiena e valuta il cielo per un po’. «Là, sulla sinistra, vedi?» indica alla fine. «C’è un altro cavallo, e questo può volare».
«Non lo vedo» dice lei con aria imbronciata. «Ma… quello mi sembra un dragone. Vedi? Ali, e artigli, e tutto? Sputa fuoco».
«Lo stai guardando nel modo sbagliato» spiega pazientemente lui. «Vieni, guardalo da qui. Quello non è fuoco, è la criniera del cavallo, e anche le ali sono del cavallo. Gli artigli sono semplicemente le sue zampe».
«Adesso lo vedo!» esclama lei. «E c’è anche un corno, proprio lì… è un unicorno!»
Continuano per un bel po’ la contemplazione delle nuvole, mostrandosi l’un l’altra bestie e piante e oggetti, talvolta discutendo se è meglio guardare una certa nuvola da questa o da quella parte, la direzione che fa tutta la differenza tra drago e unicorno, tra castello e casa di campagna, tra ferro di cavallo e arcobaleno.
«Che ne dici di una lucciola?» suggerisce Daniel.
«Dove?» chiede Regina, esaminando fervidamente il cielo.
«Non lassù» lo sente dire. «Quaggiù».
Lei si mette seduta bruscamente, e si china sul pugno chiuso di Daniel. Quando lui lo apre, lei vede un insetto nero e piuttosto lungo che striscia sul palmo di Daniel, le antenne sporgenti dalla sua testa rossastra. Prima che loro abbiamo il tempo di guardarlo più attentamente, l’insetto apre le ali e vola via.
«Ah» sospira lei, perplessa. «Pensavo fossero delle mosche».
Daniel scuote la testa. «Sono di forme e dimensioni diverse, ma sono tutti insetti».
«Non dovrebbero brillare? Penso di averle viste dalla mia finestra, a volte, ma ce n’erano poche, potrei anche sbagliarmi».
«Brillano, solo non tutte e non tutto il tempo. Brillano anche di diversi colori. Si dice che qui ne compaiano a migliaia ogni notte».
«Lo hai mai visto?» chiede avidamente lei.
«Sì, una volta» annuisce lui.
Per un breve momento lei non può fare a meno di invidiarlo: è qui da poco, e ha visto così tanto; lei ha vissuto qui tutta la vita e non ha mai visto molto oltre le terre dei Mills. Decide di esplorare di più – devono cavalcare sempre sugli stessi sentieri, dopotutto? Decide anche qualcos’altro, e glielo dice: «Voglio vederle. Quando verranno fuori stanotte».
Daniel la occhieggia prudentemente, lacerato tra due pensieri contrastanti: il dovere di vederla a casa al sicuro e in tempo perché non venga sentita la sua mancanza, e il proprio desiderio di rimanere. I suoi occhi pieni di speranza lo spingono a conformarsi. «Anch’io» annuisce finalmente. «Anch’io voglio vederle».
Il crepuscolo arriva di lì a poco, seguito da un tramonto fiammeggiante. Quando non è più possibile distinguere le nuvole, loro si tirano a sedere e si appoggiano contro il tronco dell’acero. Daniel sa che Regina è sulle spine, gli occhi che perforano avidamente l’oscurità, aspettando che le lucciole sciamino fuori. Una manciata di stelle si accendono, e molte altre restano nascoste dietro le nuvole.
Poi, come se qualcuno avesse acceso una luce, la collina è improvvisamente ardente. Regina si lascia sfuggire un ansito silenzioso. I fianchi della collina, le cime degli alberi, l’acqua scintillante… tutto è inondato d’oro. Punti gialli, accompagnati da punti verdi e punti rosso pallido, fluttuano delicatamente nell’aria. Alcuni brillano incessantemente; alcuni lampeggiano, accendendosi e spegnendosi di nuovo, balenando a ritmi differenti. Gruppi scompagnati qua e là iniziano a turbinare in una danza aggraziata. I puntini sono raddoppiati dalle acque della valle, luccicanti nell’oscurità. Le luci pattinano sulla sua superficie, scomparendo solo per riapparire pochi passi più avanti.
Una nuvola tremolante si alza in volo da dietro il margine del precipizio e si estende sullo spiazzo erboso, coprendoli, trasformando l’oscurità in crepuscolo. A portata di mano e in lontananza, il turbinio e la spira dei luminosi insetti traccia sagome infuocate sul mantello nero della notte. Affascinata, Regina agita un braccio nel tentativo di catturare una delle portatrici di luce ma dimentica di chiudervi sopra il pugno. Continua a seguire lo spettacolo senza essere minimamente turbata, a bocca aperta per la meraviglia. Alla fine, la frotta di punti danzanti diminuisce, e i restanti scendono più giù nella valle. Regina sorride mentre li guarda fluttuare via. I suoi occhi si spostano sulla sua mano ancora aperta. «Sono delle cosine veloci» dice pensosamente.
Daniel allunga la mano e mette il pugno chiuso sopra il suo palmo. «Attenta» dice sommessamente mentre le lascia cadere in mano una creaturina che si dibatte.
Regina chiuse le dita sopra di essa. Attraverso i minuscoli spazi tra le sue dita, il ventre della lucciola scintilla di un rosso pallido. Il frullio delle sue ali mentre lotta per la libertà le solletica la pelle. Lei apre lentamente le proprie dita, una ad una. L’insetto prende il volo quasi immediatamente, e sia Regina che Daniel lo guardano diventare un punto brillante, sinché la sua luce non viene inghiottita dalla notte.
«Penso che adesso dovremmo rientrare» sussurra Regina, ancora sotto l’incanto della danza delle luci. Sente Daniel muoversi accanto a lei, vede un’ombra sollevarsi dalla coperta, sente Ronzinante nitrire sommessamente all’avvicinarsi del ragazzino. È questo suono che la richiama al presente.
Si alza rapidamente e arrotola la coperta. Trova Daniel e i cavalli più con l’udito e la memoria che con la vista, porge la coperta a Daniel perché la metta via, e salta in sella.
«Faccio strada», la voce di lui arriva dall’oscurità.
Lei lo sente montare e parte dietro di lui, dirigendo Ronzinante vicino ai suoi talloni.
Si fanno strada giù per il sentiero tortuoso in silenzio, concentrati sul trovare la via nel bel mezzo della notte. Mentre oltrepassano il gruppo di alberi e cespugli, da dietro proviene un insieme di voci, e un’occasionale risatina. Una volta, odono persino una serie di suoni sdolcinati, striduli e schioccanti.
Regina si schiarisce significativamente la gola. Daniel sopprime una risata, o un «ewww», lui stesso insicuro di quale uscirebbe per primo dalla sua bocca se si permettesse quella libertà.
Regina si schiarisce di nuovo la gola, piuttosto volutamente.
«Le coppie vengono qui a… guardare» commenta gravemente lui, cercando di mantenere una faccia seria.
È più la forzata moderazione, la serietà e la dignità nella sua voce, che le parole che dice… Lei scoppia a ridere, facendo nel mezzo il più disgustato dei suoni. Ciò rompe la determinazione di Daniel.
Continuano a ridere di cuore mentre trottano giù dal fianco della collina in mezzo agli alberi, e trascorrono una considerevole parte del tempo sulla strada di casa imitando quei suoni disgustosi, con loro grande ilarità.
























NdT2: Il prossimo aggiornamento arriverà martedì 15 :) Spero di rispettare la data senza problemi, stavolta.
(Ah, se non sbaglio in questo capitolo c’è un riferimento al Don Chisciotte di Cervantes. Ronzinante è proprio il nome del cavallo del protagonista...)

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Capitolo 7
*** A Flower a Day to Keep the Blues Away ***


Capitolo 7
A Flower a Day to Keep the Blues Away

La luminosa sfera rossa del sole che tramonta è giusto nel mezzo del telaio della finestra, posta contro la tela purpurea del cielo. Le fa bruciare gli occhi mentre la guarda da sopra il libro che sta leggendo… che sta cercando di leggere. Un’ondata di irritazione la pervade mentre si strofina vigorosamente gli occhi. Solleva la testa e fissa il pittoresco tramonto, intenta e insolente, come se cercasse di dimostrare qualcosa. Oggi persino il sole mi prende in giro, sospira miseramente e chiude di botto il libro, senza realizzare di averlo tenuto al contrario per l’ultima ora circa.
Getta da parte il lavoro di cucito con cui dovrebbe essere impegnata mentre scivola giù dal letto. Se solo questa fosse la mia unica punizione. Non la è, ovviamente, e nemmeno il tempismo poteva essere peggiore. Si reca alla finestra e si appoggia contro il davanzale, posando il mento sulle sue mani strette.
«Non puoi vedere il ragazzo a causa del tramonto», una voce familiare, piena di divertimento, arriva dal basso e la fa sobbalzare appena.
«Daniel!» Lei lo riconosce prima di rivolgere lo sguardo su di lui, nonostante sia ancora una mera ombra per i suoi occhi disabituati al buio.
«È quasi come se non mi stessi aspettando».
Ma naturalmente lo stava aspettando; come avrebbe potuto non farlo? Non osa, a volte, sapendo quanto il lavoro lo tiene occupato in questi giorni, specialmente con suo padre che non sta bene; sapendo quanto difficile e rischioso sia aggirarsi furtivamente proprio sotto il naso della mamma; ma soprattutto, ancora incredula che a qualcuno importi abbastanza da correre tali rischi per lei. Eppure eccolo lì, accovacciato sotto la sua finestra, gli occhi alzati su di lei.
Regina sorride un triste sorriso. «L’hai saputo, non è vero?»
«Sì… Tuo padre mi ha portato proprio come speravamo. Salvo che tu non c’eri, così la fiera non è stata tanto divertente».
«Almeno tu sei riuscito ad andarci. Io… io sono bloccata nella mia stanza per una settimana intera. Proprio quando la fiera è arrivata!» Tutto d’un tratto gli occhi le bruciano di nuovo, come se miriadi di piccoli aghi li stessero trafiggendo, anche se sta guardando più Daniel che il sole. Si asciuga rapidamente le poche lacrime traditrici.
«In realtà non era nulla di eccezionale» prorompe Daniel in modo poco convincente.
«Oh, non farlo». Lei respinge subito il suo zoppo tentativo, piuttosto bruscamente. Non è colpa sua se non sei riuscita ad andare, si alza una piccola voce nella sua testa. La prossima volta non farti sorprendere fuori dai tuoi obblighi e non ti sarà proibito di uscire. Deglutisce e prende un respiro calmante prima di parlare di nuovo, il rimprovero che si trasforma in una scusa, e in una supplica. «Solo… parlamene».
E Daniel lo fa; le parla delle strade brulicanti di signori e mercanti e paesani, tutti che si riversano verso la città; delle vie stracolme di persone sino a scoppiare, persone che gridano i loro saluti e si fanno strada a gomitate attraverso la folla; delle dozzine di bancarelle e baracconi di varie forme e dimensioni e colori, incurvati sotto il peso della mercanzia: frutta e verdura, galline e pecore, lampi di stoffa e seta dipinta, terracotta e buona ceramica, pagnotte e forme di formaggio, pezzi di carne e vassoi di dolci, boccali di birra e barili di idromele, giocattoli e armi e molto altro. Il mercanteggiare sembrava iniziare all’alba e potrebbe non cessare sino al tramonto, per quel che ne sa Daniel.
Regina ascolta ad occhi spalancati, eppure Daniel sa che questa non è la parte di cui le importa di più. «In piazza è stato allestito un palcoscenico» dice, guardando la sua reazione. «Nel pomeriggio, le panchine si sono riempite di gente. Padron Henry aveva ancora degli affari di cui occuparsi, ma è stato abbastanza gentile da lasciarmi guardare».
«E?» Lei si agita e sussurra urgentemente.
«Sono arrivati i giocolieri e gli acrobati. Alcuni respiravano fuoco, e alcuni inghiottivano spade. Alcuni facevano volare in aria pugnali affilati e torce fiammeggianti, e alcuni sembravano loro stessi capaci di volare. C’erano anche dei buffoni, e canti e danze. Indossavano tutti i costumi più strani e stravaganti e insieme hanno recitato una storia».
«Che storia?» lo sprona lei, completamente rapita dal semplice racconto.
«Era su una vecchia coppia che è visitata da due uomini che girovagano travestiti per il mondo e si imbattono in questa modesta casetta. Anche se loro stessi avevano molto poco, hanno offerto ospitalità ed erano persino andati ad uccidere la loro ultima oca per poter pascere i loro ospiti. Proprio mentre stavano per uccidere l’oca, gli uomini si sono rivelati essere dei potenti maghi e volevano ricompensare la coppia per la loro gentilezza e ospitalità. Promisero di esaudire qualsiasi desiderio della coppia. Tutto ciò che il marito e la moglie desideravano era che nessuno di loro vedesse l’altro morire. I maghi acconsentirono al loro desiderio. Dopo che molti altri anni furono trascorsi, il loro momento arrivò. Erano seduti insieme sul portico quando entrambi notarono delle foglie germogliare sull’altro e della corteccia crescere sulla loro pelle. Si trasformarono in alberi e rimasero lì per sempre coi rami intrecciati… Vorrei che avessi potuto vederlo anche tu» sgorga Daniel ma finisce la frase con aria più infelice che mai.
Regina annuisce; affascinata dalla narrazione di Daniel, aveva proprio dimenticato l’amarezza della propria delusione, ma adesso la sente tornare lentamente. «Be’… sono contenta che tu ti sia divertito». È vero, pensa. Sono contenta. Vorrei solo che ci fossimo stati insieme, e il papà avrebbe potuto rimanere per la recita se gli avessi chiesto di farlo…
«Ti ho tenuta in mente, sai». Daniel interrompe i suoi ragionamenti. «Anche con lo spettacolo e tutto». Fruga nella propria maglia per qualche momento, poi solleva un piccolo e fragile qualcosa perché lei lo prenda. Regina lo guarda di traverso nella luce rimanente del giorno, tenendo delicatamente il fiorellino viola tra le dita.
«Non è molto». Daniel scrolla le spalle, suonando ansioso tutto d’un tratto. Voleva prenderle un dolce aromatizzato allo zenzero a forma di cavallo che aveva visto esposto in una bancarella… ma non aveva i soldi per comprarlo. «Io… l’ho raccolto lungo la strada. In questo modo hai avuto almeno una piccola parte nella passeggiata… giusto?»
«Una viola del pensiero». Lei percepisce il suo disagio così come i suoi dubbi, e ne indovina la ragione. «È splendida, Daniel, ti ringrazio». Sa che lui è sollevato dalle sue parole anche se è già così buio da rendere impossibile riconoscerlo.
Una distrazione da lontano gli fa girare la testa. «Devo andare» dice lui. «Devo ancora occuparmi dei cavalli».
Lei annuisce e rimane in silenzio ma la domanda inespressa rimane ugualmente sospesa nell’aria.
«Tornerò domani. E anche ogni altro giorno della tua punizione».

Il sole è immobile e arancione nel cielo blu scuro quando lui si fa vivo il giorno seguente. Regina lascia cadere il noioso ricamo non appena sente un debole scalpiccio all’esterno, e si precipita alla finestra.
«Sei appena tornato?» domanda ancor prima di sporgersi e individuarlo.
«Sì. Oggi ho cavalcato sino alla Valle di Smeraldo, per guardare il nuovo pezzo di terra che tua madre vuole comprare. Padron Henry dice che deve essere adatto per far pascolare i cavalli».
«Lo è? Com’è la Valle di Smeraldo? Diventerà nostra? Se sì, forse a volte potremo cavalcare là fuori insieme. Ho sentito che lì è bellissimo, fresco e verde durante tutto l’anno».
Il flusso di parole genera un certo sospetto in Daniel, vale a dire che Regina abbia trascorso la gran parte del pomeriggio aspettando che venisse la sera. Quanto annoiata deve sentirsi, rimugina lui, e quanto sola. È parte della sua punizione – l’unica persona che può vederla durante la settimana deve essere Cora; lei porta tutto il cibo e le bevande e qualsiasi altra cosa che Regina possa richiedere – di cui ovviamente la stessa Cora è il giudice.
«È veramente come dicono» conferma lui. «Meglio, in effetti. Ancor più bella; ma forse non sempre tutta verde. L’erba è morbida e verde a estate inoltrata grazie ai tanti fiumi freschi che corrono attraverso la valle, e gli alberi…» Daniel si lancia in una descrizione dei tanti alberi e cespugli della valle, delineando un’immagine quasi viva. Regina sente i muri dissolversi attorno a lei mentre alberi alti e bassi cespugli prendono il loro posto: gli aceri circondano il fianco della collina così come i fiumi, i loro tronchi luccicanti di linfa dolce; olmi aggrappati a rocce ombreggiate così come alla terra umida; faggi dal corpo argenteo che sfoggiano mantelli verde scuro. Cammina sotto l’ombra di castagni dalle foglie larghe e dai rametti pelosi; oltrepassa betulle dai tronchi bianco-brunastri, abeti sempreverdi con gli aghi appuntiti; antichi, torreggianti pini bianchi e rossi con gli aghi fragili ma inflessibili al vento o al freddo; resistenti pioppi balsamici che crescono in fretta; pioppi tremuli con le foglie che tremano; ciliegi selvatici; cespugli di frassino e alberi con perfetti cespi di fiori bianchi; querce nere a due facce con foglie di un lucido verde intenso nella parte superiore e marrone-giallastro in quella inferiore; longeve querce bianche con le braccia coperte di foglie che si protendono alte e larghe; e querce scarlatte con le foglie verde brillante.
L’illusione scompare non appena Daniel conclude: gli alberi si ritirano nella terra e al loro posto i muri si alzano attorno a lei – e Regina si trova ancora una volta confinata nella propria camera.
«Vorrei averle potute vedere come te!»
Daniel sorride un sorriso trionfante che sembra alquanto fuori posto alla costernata Regina, ma le sue riserve quasi svaniscono quando lui fa uscire qualcosa di verde e bianco da entrambe le tasche e glielo offre. Per la sorpresa di Daniel, a quella vista lei corre via ma ritorna in un momento, e colloca un libro pesante sul davanzale. Tiene aperto per lui il suo da poco nominato erbario a una pagina con una singola viola del pensiero. Solo allora si allunga verso il fascio di erica bianca nella sua mano destra e verso il cespo verde nella sua sinistra.
«Attenta con questo» la avverte lui.
«Ah» esala lei. «È un quadrifoglio! Un trifoglio fortunato! Gli sceglierò un posto speciale».

L’astro d’oro fuso è ancora alto nel cielo azzurro e luminoso quando Daniel la saluta da sotto il davanzale, premuto contro il muro fresco per attenuare un poco la calura. Regina appare a breve dall’altra parte. Lui capisce immediatamente che oggi lo stare in casa grava su di lei con un peso particolare. Lei lo guarda in modo ansioso, aspettando di ascoltare una nuova avventura, una nuova storia da rendere propria per un momento.
«Oggi non ho nessuna storia da raccontare» ammette lui. «Ho lavorato alle stalle tutto il giorno, pulendo per lo più».
Regina inclina leggermente la testa. «…Ronzinante?»
«Sta bene. Mi sto prendendo cura di lui per te. Non devi preoccuparti. Ogni giorno usciamo per una cavalcata, te l’ho detto». L’ha fatto il primo giorno, effettivamente.
Eppure dovrei essere io; io dovrei portare fuori Ronzinante ogni giorno. Poi un cipiglio si annida sulla sua fronte – un nuovo compito per lui, decide Daniel, e accetta la sfida.
«Solo perché non ho una nuova storia non vuol dire che non ti possa far sorridere. Una volta ho strigliato il cavallo di un giullare e lui mi ha mostrato una cosa o due».
«Il giullare? O il cavallo?» Lei offre uno scherzo poco convinto.
Daniel scrolla le spalle e fa una faccia pomposamente misteriosa. Passa una mano di fronte al proprio viso e diventa serio dietro di essa; per un momento la sua espressione è di pietra. Si fa di nuovo passare la mano di fronte al viso e fa una smorfia orribile. Prima che Regina abbia il tempo di aprire la bocca per protestare, lui pesta i piedi e dà inizio ad una sciocca danza, accompagnandosi con una performance musicale non meno comica: «Sono scomparso, Miss», si lancia a terra con occhi sporgenti e si nasconde dietro un cespuglio immaginario e le sue stesse mani, giacendo sul proprio ventre. «E presto, Miss», salta di nuovo in piedi e la saluta agitando in aria un cappello immaginario, «sarò di nuovo con voi» sorride stizzosamente. «In tr-tre volte», alza quattro dita, poi cinque, poi inizia a contare febbrilmente sulle dita con un cipiglio di falsa concentrazione e di falsa ottusità, solo per cambiare idea un momento più tardi e agitare una mano con aria sbrigativa. «Come il vecchio Vizio», sorride un sorriso innocente, disarmante, «il vostro bisogno di sopportare». Conclude con una ruota apparentemente perfetta prima di ruzzolare a terra a metà strada e ritrovarsi in un ammasso aggrovigliato sull’erba.
Quando la sua piccola performance arriva ad una conclusione, Regina è in preda ad attacchi di risate e quasi ridotta in lacrime. Avendo di nuovo messo su la propria faccia invece di quella del giullare, Daniel sorride un sorriso ampio e contento – missione compiuta. La sua mano fruga nella tasca e si allunga verso il davanzale. Lei sente un solletico sulla guancia mentre le foglie e i petali la sfiorano, e gli prende di mano la margherita cremisi, ridacchiando.

Oggi non c’è un vero e proprio tramonto; il sole dietro le vaporose nuvole grigio-piombo si può sospettare soltanto, mentre lui fa spuntare da dietro un lungo dito pallido. Daniel è ridotto solo ad un’ombra quando Regina lo vede emergere da dietro l’angolo. I suoi stivali producono un debole cic-ciac nell’erba.
«Non ha ancora piovuto, vero?»
Daniel scuote la testa. «Questo viene dagli acquitrini dietro la collina, i miei stivali sembrano avere una perdita». Scrolla le spalle.
«Gli acquitrini?» Le misteriose paludi dietro la collina sono sulla sua lista di cose da fare prima di morire, malgrado la mamma sembri avercela con loro, specialmente quando deve immaginare lo sporco acquitrino e la melma infida vicino a sua figlia. A Regina sembra di essere rinchiusa nella sua stanza da anni e anni; come se tutta la vita le stesse scorrendo accanto in una macchia indistinta di colori, odori, e avventure, mentre lei è sola in una sorta di bolla incantata in cui il tempo è fermo.
Daniel inclina pensosamente la testa mentre guarda il viso di lei farsi corrucciato e i suoi occhi sognanti. Agita una mano davanti alla sua faccia. Il gesto fa comparire come per magia un sorriso davvero minuscolo sulle sue labbra e fa tornare la concentrazione sui suoi lineamenti.
«Ci sono fiori nelle paludi?» chiede lei intenzionalmente; è giunta ad aspettare con impazienza le piccole sorprese che lui le dona ogni giorno. Lui fa un mezzo sorriso.
«Tutto a suo tempo. Prima ho qualcos’altro da mostrarti». Regina si sporge con curiosità dalla finestra mentre Daniel tira un piccolo oggetto fuori dalla propria tasca; nella luce serale che si attenua lei non riesce a distinguere di cosa si tratti. Lui se lo porta alle labbra e soffia. Una nota alta e acuta fende l’aria.
«Mi hai portato un fischietto?»
«Te ne ho fatto uno» la corregge lui. «È un fischietto di legno di salice. Ho anche attaccato una cordicina. Ecco», glielo porge con cautela.
Regina se lo rigira nelle mani. «Ne ho sempre voluto uno». La corteccia è fredda al tocco e conservava la memoria dell’acqua; il bocchino e il buco per l’aria sono stati evidentemente intagliati con cura e precisione. Devono esserci voluti secoli per farlo.
«Provalo» suggerisce lui.
«Non oso» è riluttante a dire lei. «Nel caso che qualcuno senta e venga a vedere…»
«Giusto…» ammette lui, ugualmente scontento dalla pura ingiustizia della cosa. «Devo andare…» aggiunse con aria reclutante. Prima di farlo, tira fuori un fiorellino e lo mette sul davanzale. «Come promesso» dice al di sopra della propria spalla, si gira, e corre per seguire la voce che lo sta chiamando dalle stalle. Mentre lui scompare nell’oscurità, lei solleva la pervinca azzurra e dà un’annusata.

Una mezzaluna argentea è annidata tra le nuvole ombrose nel cielo disseminato di stelle. Regina è a letto con una singola candela a penetrare l’oscurità della stanza. Il libro che stava cercando di leggere giace aperto nel suo grembo, eppure potrebbe anche essere chiuso per tutto il bene che le sta facendo. Dov’è? Possibile che non venga? Lei si sposta e getta via la coperta dalle sue gambe distese. Non ha importanza, si dice mentre attraversa la stanza diretta alla finestra. Domani sarò di nuovo libera, e non dovrò solo stare ad aspettare, andrò dove mi pare.
«Regina» arriva un sussurro urgente dall’esterno proprio mentre lei appoggia i gomiti sul davanzale, e lei trasale.
«Eccoti qua» sussurra di rimando in tono di biasimo, riprendendosi in un momento. «Pensavo ti fossi dimenticato di me». Le parole sorprendono persino lei, e ancor di più la sorprende il fastidio che la spinge a pronunciarle. In parte è vero, si rende conto solo allora.
«Certo che no. Sai che ho da lavorare. Ma ero qui ogni sera. Sono qui adesso». È così buio che lei non vede niente del suo volto, eppure la ferita risuona forte e chiara.
Le guance di Regina bruciano di vergogna. Certo che lo sa. Perché all’improvviso si sta comportando così scioccamente?
È il ventre del dragone. Sono stata rinchiusa per troppo tempo.
Il silenzio si tende, lungo e imbarazzante.
«I-io volevo solo dire…» farfuglia lei a bassa voce, poi conclude: «Sono contenta che sei venuto».
«Anch’io» replica lui. «Sono ancor più contento che domani lascerai il dragone». Questo la fa sorridere.
È un sorriso che ha vita breve, però; il suo viso si fa nuovamente serio. «Parlami di Ronzinante».
Lui le parla di Ronzinante ogni giorno: se mangia bene, in quale pascolo trascorre la giornata, quale strada prendono durante le loro cavalcate. Oggi non verrà soddisfatta da quel genere di informazione, capisce lui.
«Abbiamo girato per i campi, oggi» comincia. «Ci siamo imbattuti in un riccio sul terrapieno erboso; stava per attraversare il sentiero. Lo abbiamo quasi calpestato, ma ci aveva sentiti arrivare e si è raggomitolato proprio davanti a noi – sotto di noi, dovrei dire, perché era proprio lì tra le zampe anteriori di Ronzinante. A quanto pare Ronzinante non ha mai avuto molta esperienza coi ricci – lo ha pungolato una volta con lo zoccolo, e l’ha esaminato a fondo prima di lasciarsi persuadere a proseguire».
Regina tira su col naso. «Mi manca. Pensi che anch’io gli manchi?»
«Lo so per certo». Lui sembra alquanto categorico, per il sollievo di Regina. «Domani sarai con lui».
«Sì» si riprende d’animo lei. «E potremo uscire a cavallo insieme, e mi mostrerai tutti i posti in cui sei stato questa settimana. Forse anche il riccio sarà lì». Le piacerebbe molto vederlo coi propri occhi.
«Non dimenticarti del melo, dovresti far visita anche a quello» replica lui vivacemente.
«Spero non si sia tutto inaridito dopo tutto questo caldo» medita lei, l’apprensione che disegna linee di preoccupazione sul suo viso in ombra.
«Ha avuto una secchiata proprio questa sera, prima che io venissi qui».
«È cresciuto molto?» All’inizio gli avrebbe chiesto costantemente se aveva già dato frutti, sorride nel ricordarlo. Non è più così; ne sa di più. Potrebbero benissimo volerci anni prima che l’albero maturi e dia la prima mela. Ne varrà l’attesa.
«Vedrai». Lui ride sommessamente. Tra loro c’è un po’ di quel burlare a cui sono abituati, un po’ di presa in giro, ma una di quelle calorose ed amichevoli.
«Non abbastanza da aver dato questo» aggiunge lui più seriamente. Se c’è un movimento nell’oscurità, come lei presume debba esserci, rimane nascosto sotto il manto della notte. «Questo viene da un altro albero… ma presto anche il tuo ne avrà di suoi».
Un delicato fiore di melo rosa e bianco compare sul davanzale sbucando dall’aria leggera. Lei lo sta ancora stringendo dopo che lui se n’è andato, mentre spegne la candela e scivola sotto la coperta. Stanotte farà sogni d’oro, poiché domani sarà rimessa in libertà dal ventre del dragone.


















NdT: Incredibile ma vero, niente ritardi questa settimana.
La filastrocca di Daniel è una citazione della Twelfth Night di Shakespeare, anche se con alcune modifiche…
A martedì 22 aprile!

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Capitolo 8
*** Unhealed, It Haunts ***


Nota dell’Autrice: D’accordo, ci siamo. È arrivato il tempo di un po’ di angst e di hurt/comfort, con Daniel che rivela un po’ della sua storia, e Regina che affronta l’argomento del suo complicato rapporto con Cora. Buona fortuna ai vostri feels, e grazie mille per essere rimasti per la storia che sto raccontando.

Trigger Warning: maltrattamento implicito.





Capitolo 8
Unhealed, It Haunts

La porta cigola lievemente mentre lei entra furtivamente; ormai lo sa, ha imparato ad aprirla e chiuderla con la massima cura, facendo a malapena un rumore. La soffocante mancanza d’aria fresca nella stanza pesa immediatamente su di lei. Una dozzina di odori si mescolano e si mischiano. Ormai lei li conosce tutti: il pavimento sporco e compatto ed un tappeto di paglia fresca, le lenzuola bagnate di sudore, la cera di candela sciolta, il vapore afoso e la legna da ardere che brucia, il tè e gli sciroppi e le tinture e gli impacchi e le erbe per farli. Può descrivere ogni odore separatamente, tanto sono divenuti familiari: l’odore di menta delle foglie di puleggio, fresco e dolce; la radice per la cura dei cavalli, stranamente pungente e allo stesso tempo deliziosamente profumata; il distintivo e sciropposo odore d’acero dei semi color ambra della trigonella; l’issopo con le sue foglie di menta, e l’odore amaro del tè d’issopo. C’è angelica muschiata, fragranti semi di anice, e la dolce radice a fittone della liquirizia. C’è l’odore pepato delle foglie di cumino, sottile e leggero; le foglie di farfaro a forma di cuore che odorano di miele; e l’inconfondibile e ripugnante tanfo di impacco di consolida. Eppure il prepotente odore di aglio li sopraffa tutti. Sono cattivi odori, odori tristi. Ultimamente persino i bastoncini di cannella, sempre fra i suoi preferiti, per lei sono arrivati ad odorare di letto di malato.
Senza far rumore, per paura di disturbare il dormiente, si muove lungo la stanza disseminata di paglia per recuperare una brocca dalla piccola dispensa, e prezzemolo da una mensola. Si guarda attorno per cercare una scodella solo per non trovarne nessuna vuota, così annusa la più vicina e getta il suo contenuto nel fuoco. Dentro ci va il prezzemolo, seguito dal vino. La brocca è quasi vuota; lei riesce a far uscire quanto rimane capovolgendo la caraffa. Il sottile filo di ciò che resta del liquido rosso e aspro è appena sufficiente per affogare il prezzemolo. Solo l’odore di alcol è abbastanza per far girare la testa di Regina. Bollirlo farà andar via questo effetto, lei lo sa, e appende la ciotola sul fuoco con la catena assicurata al muro posteriore del camino.
La paglia fruscia e le gambe della sedia raschiano contro il pavimento mentre lei si siede accanto al letto. Niente è cambiato dalla mattina presto. Allora Daniel aveva infilato suo padre a letto, sistemato un asciugamano fradicio d’acqua, e si era recato alle stalle, mentre Regina si affrettava a tornare a prendere le sue lezioni alla villa – che non avrebbe dovuto lasciare in primo luogo. Non allora, e non adesso, pensa. Non per questa casa. Non quando Edric è malato.
Sembra che lui si sia mosso a stento tutto il giorno. Lei allunga una mano verso la sua fronte. Persino prima di entrare in contatto con l’asciugamano o con la pelle, lei sa grazie al calore che emana dalla pelle che la febbre non è passata. L’asciugamano è caldo al tocco, e quasi completamente asciutto. Regina va in fretta a bagnarlo nuovamente in un catino sul bancone. Allungandosi sul letto con l’asciugamano recente raffreddato in mano, non sente neanche la porta aprirsi.
Daniel entra in silenzio nonostante la fretta, proprio mentre Regina sta risistemando attentamente l’asciugamano al suo posto. A quella vista l’accenno di un sorriso guizza sul suo volto, ma viene di nuovo sostituito da un cipiglio.
«Sta ancora dormendo, allora» dice sommessamente. Regina si gira con una contrazione involontaria. Deglutisce e annuisce, e lo guarda più attentamente. Daniel si dirige verso il focolare a passo svelto, agita una mano per allontanare il vapore che si alza dalla ciotola, e scruta all’interno. «È pronto».
«Non proprio» replica Regina e cammina sino al focolare. Daniel la guarda con aria interrogativa mentre lei armeggia con la propria manica. Lei tira fuori un mucchietto di stoffa, lo svolge, e alza la mano per fargli vedere. Daniel guarda il mucchietto nel suo palmo, poi lei, poi di nuovo la sua mano. Sa cos’è anche se non l’ha mai visto così da vicino, né ne ha mai visto tanto. Un nuovo accesso di speranza si propaga nel suo stomaco e lo scalda dall’interno. Ci vuole un po’ prima che un’altra realizzazione lo colpisca. Lui torna ad alzare lo sguardo su Regina, sconcertato. C’è il conflitto sul suo volto: in parte orgogliosa, in parte imbarazzata, lei sorride un sorriso che è sia pieno di rimpianto che gioioso. Questa per lui è una prova più che sufficiente.
«Non te l’hanno dato, vero?» Non è davvero una domanda, lo sanno entrambi.
«No» ammette lei e fa ciondolare la testa, ma solo per una frazione di secondo; poi la rialza, provocatoria e risoluta. «L’ho preso io».
Daniel è senza parole, preso tra la preoccupazione per lei e la preoccupazione per suo padre. Lo zafferano è considerato una cura potente per numerose malattie tra i suoi altri usi, ma è anche raro e costoso. Daniel non potrebbe mai permettersi di comprarlo, non importa quanti dottori abbiano piena fiducia nei suoi effetti. Una piccola quantità è conservata nelle cucine dei Mills per condimento, ed un astuccio ne è immagazzinato nella famosa credenza di misteriosi ingredienti di Lady Cora, gli aveva detto Regina. Era fuori questione chiederne un po’, però. Eppure adesso, eccolo, consegnatogli direttamente da Regina – rubato.
«Non avresti dovuto… e se ti avessero sorpresa? E se lo scoprissero?»
«Non l’hanno fatto. Non lo faranno. Non mi è piaciuto…» Questo è chiaro, pensa Daniel. Neanch’io me lo sarei aspettato, da te. «…ma dovevo» spiega lei urgentemente. Alla vista del senso di colpa che s’insedia sul volto di lui, si corregge rapidamente. «Volevo. Se aiuta tuo papà, ne sarà valsa la pena, giusto? Il minimo che possiamo fare è tentare».
Lui la fissa a lungo e con intensità mentre lei getta qualche filo di luminoso rosso e giallo nella ciotola per lasciar cuocere il tutto. Ancora sorpreso, Daniel le stringe una mano per ringraziarla. Lei capisce.

C’è più di quanto Regina stia dando a vedere riguardo la pizzicata dello zafferano, nonostante le sue assicurazioni del contrario. Il giorno seguente il suo stomaco è annodato, e lo sarà per i giorni a venire, finché lei non sarà sicura che la mamma abbia usato quello a cui Regina pensa come il suo kit di pozioni e non abbia menzionato nulla al riguardo di un ingrediente mancante. Lei ha avuto abbastanza da fare con l’incontrare Daniel ogni momento che poteva contro il desiderio della mamma, l’istruire Daniel a sua insaputa, e recandosi quotidianamente al capezzale di Edric nonostante il rischio di prendere qualunque cosa di cui lui sta soffrendo a dispetto della cautela di Daniel e dell’esplicito divieto della mamma.
La paura della collera materna la tiene lontana dalla casa di Daniel per un giorno intero e per gran parte della sera. Regina si tiene occupata col tedioso cucito e con esercizi al pianoforte per placare la mamma, almeno nella propria anima dubbiosa.
Arrivata la sera tarda, però, Regina si trova a scivolare attraverso la porta appena cigolante. L’odore familiare di malattia e medicina la avvolge immediatamente. Niente si muove nella stanza ad eccezione della fiamma scemante di una candela sul comodino e delle lingue lunghe e ardenti del focolare. Edric respira pesantemente, sibilando, lottando ad ogni respiro. Per un momento, lei pensa che siano entrambi addormentati. Poi sente il proprio nome sussurrato da un angolo buio.
Trova Daniel seduto a gambe incrociate su un materasso. Dorme lì da quando suo papà è stato costretto a letto, ricorda lei. Quando lo vede da vicino dubita che Daniel abbia dormito anche solo una volta nelle ultime notti. Lo raggiunge cautamente, combattendo un improvviso inizio di apprensione. Dopo il nome sussurrato, Daniel non parla più. Per un po’ non lo fa neanche lei, ma si limita a guardarlo con la coda dell’occhio mentre lui fissa nelle fiamme.
Edric si muove e trae un respiro laborioso, solo per essere sopraffatto da un attacco di tosse così violento da mandargli spasmi lungo il corpo. Abituata a vederlo per lo più giacere in un sonno febbrile, Regina è scioccata dalla scena, ma Daniel salta su e si precipita in suo aiuto. Regina vede presto, comunque, che non c’è molto che lui posso fare, a parte reggere una ciotola dove Edric sputi il denso catarro verde. Con un disperato bisogno di far qualcosa a sua volta, Regina prende il vasetto col cataplasma molto puzzolente ed inizia a spalmarne uno strato spesso un asciugamano pulito. Poco a poco, alla fine lo spasmo della tosse si calma. Daniel schiaccia il cataplasma sul petto di Edric, mentre Regina riesce a fargli inghiottire una cucchiaiata di sciroppo di angelica. È sollevata di sentire il suo respiro tornare di nuovo regolare, anche se ci sono ancora suoni rauchi ad ogni respiro. Presto lui ricade in un sonno pesante ed agitato. Regina e Daniel rimangono entrambi in piedi accanto al suo letto, lei col cucchiaio vuoto in mano e lui che regge goffamente la ciotola dello sputo.
«Non possiamo fare nient’altro,» alla fine Daniel rompe il silenzio. Svuota la ciotola e la sistema sul comodino, poi torna al materasso. Regina lo segue. Il silenzio cade di nuovo, cupo e pesante. Alla fine, Daniel si gira verso di lei. «È già successo» dice miseramente. «Ma non è mai stato così brutto, né è durato così a lungo».
Regina annuisce, ricordando che lui aveva menzionato i ricorrenti problemi di salute di suo padre quando si erano incontrati per la prima volta. Posa una mano sulla sua spalla. «Passerà» sussurra, e prega che la parola si riveli vera. Si sono impegnati così tanto… deve finire bene. È l’unica cosa giusta! In fondo tutte quelle erbe e intrugli non possono non essere serviti a niente!
È il turno di Daniel di annuire. «È solo…» Deglutisce. «Ogni volta che papà è costretto a letto… mi ricorda la mamma. Come è morta».
Regina si lascia sfuggire un ansito. Daniel ha menzionato sua madre una o due volte ma mai in dettaglio, ed ogni volta è sembrato così difficile per lui che Regina ha sempre deciso di non fare domande. «Vuoi… vuoi parlarne?» propone timidamente.
Daniel rimane in silenzio per un po’; abbastanza a lungo perché Regina lo consideri un rifiuto. Poi lui si schiarisce la gola e inizia a parlare – all’inizio lentamente, e tristemente.
«Si chiamava Elaine. Lavorava nei giardini di un certo Signore di cui allora papà era lo stalliere; è così che si sono incontrati. La mamma amava le piante. Tutti concordavano sul fatto che avesse il pollice verde. Quand’ero piccolo avevo un pezzo di giardino tutto per me, sai. Volevo far crescere insieme le piante più assurde, così era un pezzo di terra di frutti e verdure, fiori ed erbe. Apparentemente c’era un’erba a cui ero particolarmente affezionato, non so quale». Il ricordo dipinge un sorriso sul suo volto – un sorriso genuino, uno di quelli che lei non vede da quando Edric si è messo a letto.
Regina sorride di rimando. «Il mio melo» rammenta. «E le erbe, le conosci tutte». Ricorda la sua esasperazione all’arida teoria degli appunti di biologia, i fiori che le portava come premio di consolazione durante la sua reclusione, e anche i dettagli vividi e colorati con cui aveva descritto la natura della Valle di Smeraldo. Ora tutto ha senso.
Lui annuisce come in sogno, lontano con la mente, sia nello spazio che nel tempo. Regina sceglie di non disturbarlo, di lasciargli assaporare il ricordo. Alla fine lui riprende a parlare.
«Eravamo felici – me lo ricordo anche se ero molto giovane. Un giorno mi hanno detto che sarei diventato un fratello maggiore. Ero così eccitato! Ho fatto dei piani per… ogni genere di cose, davvero, ma specialmente erbe da far crescere e cavalli da cavalcare e scherzi da fare al papà».
Questa è alquanto nuova per Regina, che non ha mai sentito prima di fratelli o sorelle di Daniel. Deve essere un fratello maggiore fantastico, anche, pensa, e per poco non glielo dice, quando all’ultimo ricorda che Daniel non ha fratelli o sorelle. Può voler dire una cosa sola… Lei richiude la bocca e si morde il labbro, pendendo dalle sue labbra e allo stesso tempo temendo ciò che sta per arrivare.
«Il ventre della mamma è diventato così grande… Ero completamente sbalordito. Quando è arrivato il momento una famiglia mi ha preso perché stessi da loro durante la nascita. Nessuno me ne ha parlato molto prima o dopo. Quando sono tornato a casa ho trovato la mia sorellina in una culla, rosa e urlante. Papà mi disse di solleticarle il palmo col dito, e lei me l’ha stretto con quel suo piccolo pugnetto. Per un momento smise persino di piangere. Ma qualcosa non andava… Poteva capirlo dall’espressione tesa di papà. Non capivo – avrebbero dovuto essere felici. Un dottore venne e se ne andò e papà mi disse che potevo andare a vedere la mamma – lei era ancora a letto nell’altra stanza. Il modo in cui lui mi parlava… mi fece venire voglia di piangere – era così triste, così turbato. Mi sono detto che mi stavo comportando da sciocco. Sono andato dalla mamma. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri. Mi ricordo ancora tutto di lei…» La voce di Daniel si affievolisce e lui si strofina gli occhi con aria assente. Regina lo fissa, paralizzata.
«Sembrava se stessa e allo stesso tempo non sembrava se stessa per niente. Aveva gli stessi capelli castani; ma erano attaccati alla sua fronte sudata e giacevano piatti e flosci sul cuscino. I suoi occhi erano dello stesso verde con pagliuzze dorate; ma lo scintillio era scomparso. Erano ancora calorosi però… ma a volte vacanti, come se lei si trovasse da qualche altra parte. Le sue guance erano scavate e il suo viso pallido come cera… E mentre mi attirava vicino, la sua mano tremava così tanto. C’era un fuoco rovente, eppure lei continuava a rabbrividire per il freddo… E quando ha iniziato a parlare… la sua voce era debole e parlare sembrava stancarla molto. Mi ha detto…» Le parole gli si bloccano in gola.
Regina gli afferra la mano prima che lui possa asciugarsi la lacrima che gli riga la guancia. Non piangerà da solo. «Non devi… se non…» farfuglia lei.
Daniel scuote la testa mentre un’altra lacrima rotola dal suo occhio. Tenendo stretta la sua mano nella propria, lui continua. «Mi ha detto che mi voleva bene, e di mantenere il mio pezzo di terra con le verdure e di aiutare il papà con quello di lei, e anche con tutto il resto… Che lui si sarebbe sempre preso cura di me. E che la mia sorellina avrebbe contato che il suo fratellone badasse a lei. Ero pietrificato. Le ho chiesto dove stava andando – ci stava lasciando? Avevo solo cinque anni. Questo è stato il momento in cui si è più avvicinata al mettersi a piangere. Ma non ha mai pianto veramente; sembrava tranquilla, anche se triste. Mi ha baciato e abbracciato così forte… Sono scoppiato in lacrime non appena lasciai la stanza. Quella fu l’ultima volta che mi abbracciò. Papà entrò dopo di me, e quando tornò fuori… Seppi che se n’era andata».
Singhiozzando, Regina fa per attirarlo in un abbraccio, ma Daniel resiste, rifiutando di arrendersi alle lacrime proprio ora.
«La mia sorellina… È rimasta con noi due giorni di più. Papà era con lei notte e giorno ma non ci fu modo di salvarla. Se ne andò ovunque se ne fosse andata la mamma. Non ci fu nemmeno il tempo di darle un nome…»
Questa volta Daniel non combatte più le lacrime. Si appoggia contro la spalla di Regina e lei gli avvolge attorno le braccia. Rimangono così per un bel po’, la testa di lui appoggiata contro la spalla di lei, la guancia di lei premuta contro la sua testa.
«Ce ne siamo andati il giorno successivo» borbotta Daniel nella sua spalla, la sua voce densa di emozioni ma di nuovo ferma. «Ci siamo mossi da un posto al’altro per anni, senza mai rimanere in un luogo molto a lungo. Papà sembrava preferire così, e a me non importava. Solo poco dopo la nostra partenza la sua malattia è iniziata, e ha continuato a peggiorare. Poi ci siamo stabiliti qui. Speravo non tornasse» conclude con una nota di disperazione.
Regina sopprime un singhiozzo. Adesso deve essere qui per Daniel. Cerca febbrilmente parole di incoraggiamento. «Starà bene» si lascia sfuggire. Deve stare bene. Sente della fiducia rinnovata fluirle dentro – un segno benvenuto. «Migliorerà, come è successo tutte le altre volte. Come io sono migliorata, ricordi?» È solo giusto.
Daniel si districa dall’abbraccio e la guarda in faccia. Gli occhi di lui sono arrossati ma asciutti, la sua mascella e serrata, il suo mento alzato. Annuisce lentamente, con determinazione. «Hai ragione. Non devo… farmi assalire dai dubbi. Il papà è forte. Questo posto è meglio per lui di qualunque altro, e ha tutte le medicazioni e tutte le cure. Dovrei fare un uso migliore del mio tempo – preparare un po’ di tè, e anche un po’ di cibo, per rinforzarlo».
«Ti aiuterò» dice lei immediatamente, ancora una volta col cuore più leggero, lieta della determinazione sul suo volto, della calma che è tornata in lui.
Lo guarda scegliere le erbe di cui ha bisogno, mescolare il vino speziato, aggiungere lo zafferano – lo conserva nella cartellina sulla mensola più alta, nascosto e conservato come un tesoro. Lo guarda affettare le mele e porle sopra il fuoco a cuocere mentre lei lavora col mortaio e il pestello, tritando le foglie di puleggio in una polvere fine da mescolare col miele.
Un raggio di luna si insinua attraverso la finestra e colpisce le lenzuola proprio mentre le mele vengono cucinate, il vino scaldato, e il rimedio di miele per la tosse preparato. Daniel cammina verso il letto e si siede sul bordo. Regina ha l’impressione che lui esiti per un frammento di secondo prima di mettere una mano sulla spalla di Edric e scuoterlo gentilmente. Lui non si muove. Daniel lo scuote ancora, con più forza. «Papà» mormora. «Papà, devi svegliarti, devi mangiare qualcosa e prendere la tua medicina. Papà» ripete con una punta di frustrazione.
È quest’ultima parola che alla fine sembra funzionare – gli occhi di Edric sbattono e poi si aprono. Lui fissa dritto verso Daniel ma sembra non vederlo per un momento, tanto confuso e sfocato è il suo sguardo. «Papà» dice Daniel con sollievo. «Sono io – Daniel?» La bocca di Edric si contrae molto lievemente in un tentativo di sorriso. In piedi di fianco al letto con lo sguardo abbassato su di loro, lei sospira un sospiro potente e grato. Edric solleva gli occhi per incontrare i suoi, e uno sguardo sconcertato si sistema sul suo viso. «Papà, anche Regina è qui. Mi ha aiutato a prendermi cura di te». Ci vuole un po’ prima che Edric sembri averlo compreso; dà il più piccolo, il più lento dei cenni. «Abbiamo delle mele» dice Daniel, incoraggiato dalla ricettività di suo padre, «e del tè, e del vino aromatizzato. E miele con puleggio per la tua tosse. Quale vorresti per primo?»
Edric apre la bocca e cerca di parlare. Le parole arrivano lentamente e con molto sforzo, formate goffamente. «Non riesco… a magiare. Solo… bere?»
Daniel aggrotta la fronte. «Ma devi mangiare qualcosa» insiste miseramente.
«E se facessimo così?» dice Regina alzando la voce, pone il misto di miele e puleggio sul comodino accanto alla candela tremolante, e si serve di uno spicchio di mela. Lo intinge abilmente nel miele e lo porta alle labbra screpolate di Edric. Per il sollievo di entrambi, Edric accetta il cibo, lo fa rotolare una o due volte nella propria bocca, e inghiottisce.
Lentamente, accuratamente, riescono a fargli mangiare circa un terzo della mela, e la maggior parte del miele. Edric increspa il naso all’amaro tè di issopo che gli viene offerto, ma accetta il vino aromatizzato con un pizzico di zafferano, e, sorso dopo sorso, finisce di bere tutta la coppa. Mentre Daniel rimuove la coppa dalla sua bocca, Edric muove la mano sul lenzuolo ma non riesce ad alzarla, così Daniel la raggiunge. Edric gli dà una lieve stretta alla mano. Sostiene lo sguardo di Regina per un momento; poi, esausto dallo sforzo, si appisola di nuovo, il suo respiro un po’ più calmo, un po’ più regolare di prima.
Niente si muove per un po’: non Regina, appoggiata contro il comodino con la ciotola di miele quasi vuota in mano; non Daniel, con la ciotola mezza piena di mele nel suo grembo e la mano posata su quella di suo padre; non la nuvola dietro la finestra che sta schermando la luna dalla loro vista. L’aria è forte come sempre e ferma, eppure sembra esserci un lieve respiro di aria fresca che si muove fuori e che trova la strada per entrare attraverso la finestra, e il silenzio è più pacifico che oppressivo.
Un potente brontolio sferza l’immobilità, forte e nitido, proveniente dallo stomaco di Daniel. Regina ridacchia. «Ho saltato la cena» ricorda Daniel con un sorriso storto. «Tu non hai fame?» Lo stomaco di Regina gorgoglia in risposta, e li fa sorridere entrambi. «Possiamo finire le mele» suggerisce lui, «e prendere qualcos’altro in secondo luogo».
«Il miele» annuisce lei. «E una stecca di cannella per accompagnarli?»
Si sistemano nel loro angolo di materasso, con le mele mielate tra loro. All’inizio le mangiano tutte in silenzio, realizzando coi primi bocconi quanto erano realmente affamati. Dopo che le mele sono finite, loro raccolgono ogni goccia di miele con le dita, pulendo la ciotola. A mo’ di dessert, Daniel mastica una radice di liquerizia, e Regina sgranocchia una stecca di cannella. La nuvola pesante si è spostata e la loro vista è sul sereno cielo notturno, la luna fuori dalla vista per il tempo. Daniel aggrotta la fronte.
«È tardi. Non sentiranno la tua mancanza?»
Regina scrolla le spalle; Daniel pensa di aver scorto una traccia di paura nei suoi occhi ma scompare prima che lui possa esserne sicuro.
«Non voglio farti finire nei guai».
«Tu? Tu non hai fatto niente. Non sapranno di dovermi cercare qui comunque. Tornerò subito indietro se ci sarà del trambusto. Ma non penso che succederà. È solo questa volta, comunque».
È lui o se stessa che sta cercando di convincere, si domanda Daniel? L’educazione di Regina è eccezionalmente severa, lui l’ha notato; chiunque con occhi per vedere lo avrebbe notato. Troppo severa, ha sentito in molti sussurri. In effetti, ha sentito sussurri peggiori di quello a proposito di Lady Cora, ma non ne ha mai visto le prove. Sa anche che è meglio non condividere quel genere di pettegolezzi.
Qualche traccia dei suoi pensieri deve essersi fatta vedere, giudicando dallo sguardo curioso che Regina gli scocca: «Cosa c’è?»
«Niente» replica lui automaticamente, imbarazzato. Regina aggrotta la fronte. È una tale spudorata bugia, e non è qualcosa che facciano tra loro. Sa che avrebbe dovuto venir fuori con una risposta migliore, non importa quanto odi andare lì. «Mi stavo solo chiedendo… be’, dei tuoi genitori» ammette, guardandola attentamente.
Regina abbassa gli occhi.
«Dimenticalo» si lascia sfuggire lui.
Lei scuote la testa, evitando ancora il suo sguardo, prendendo tempo.
Lui allungò la mano e le toccò una spalla. «Regina, non volevo» dice ansiosamente, senza sapere esattamente cos’ha fatto.
«No, va tutto bene» mormora lei, e finalmente incontra i suoi occhi. «È solo che… la storia della tua famiglia… è così diversa dalla mia».
Sua madre è morta; quella di lei è viva. Lui viene dai servitori; lei vale quanto una principessa. Questo è quanto può essere diversa, ma Daniel è sicuro che lei non intenda né l’una né l’altra cosa. Alla fine, hanno entrambi la stessa cosa in mente: finora inespressa ma a cui si è alluso, eppure sempre presente. Il ricordo del loro primo incontro sale in superficie nella sua mente: l’orrore sul viso di lei mentre scopriva il suo vestito rovinato («La mamma si arrabbierà molto»); il modo in cui gli altri bambini avevano fatto i prepotenti con lei e l’avevano presa in giro a proposito di Lady Cora, e la sua confessione lacrimosa sul non avere amici. Le parole di lei risuonano nelle sue orecchie, incise nel suo cervello con chiarezza sorprendente: «Volevo solo giocare con loro. Proprio come tutti gli altri bambini. Non ho nessuno con cui giocare». Per una frazione di secondo, potrebbe giurare che lei abbia appena detto quelle parole, così vivide nella sua memoria. Ma a dire il vero Regina è solo seduta quietamente con le mani in grembo, che lo guarda mestamente.
«Non avrei dovuto sollevare il discorso» offre lui in fretta – lei può ancora ritirarsi se non vuole avere questa conversazione.
«So che ci sono delle dicerie» dice lei. «Sulla mamma».
Uno strano avvenimento, pensa Daniel, poiché lei come può rispondere così precisamente ai suoi pensieri senza che lui li abbia espressi? «Come lo sai?» chiede lui, cercando di guadagnare tempo.
«Tengo le orecchie aperte» risponde lei un po’ irritabilmente. «I servitori parlano. I paesani parlano, anche se mi fanno stare nella carrozza sento delle cose. E se avessi voluto ignorare le chiacchiere, quei bambini sono stati molto chiari in proposito».
Se mai Daniel si è sentito più a disagio, di sicuro non se ne ricorda.
«Hanno paura di lei. Dicono che la mamma è malvagia. Come possono dirlo? Penso sia perché lei ha poteri che le altre persone non hanno. Magia» riflette amaramente.
«La magia non ti piace» nota Daniel.
«Io odio la magia» dice semplicemente lei. «La magia fa cose strane alle persone. Lo dice anche il papà. Dice che la mamma non è stata sempre così. Quindi penso che la magia l’abbia cambiata».
«Certa magia è buona, non è vero? Che ne dici della magia delle fate?»
«Non lo so, non l’ho mai vista. È solo che vorrei che la magia non esistesse neanche. Puoi farci delle cose orribili… ferire delle persone» conclude piano. Adesso nella sua voce c’è della paura, Daniel ne è sicuro.
«Ferire delle persone?» Sicuramente no, rabbrividisce al pensiero che gli attraversa la mente. Lei deglutisce, gli occhi spalancati. «Regina?»
«A volte, quando mi comporto male…» sussurra, lasciando la frase sospesa nell’aria. Il cuore di Daniel manca un battito. Vedendo l’espressione inorridita sul volto di lui, Regina sembra improvvisamente allarmata. «Ma tutti i genitori puniscono i loro figli quando loro si comportano male, quindi non c’è davvero niente di sbagliato in questo!»
«Li puniscono con la detenzione, magari. O con qualche lavoro extra. Non facendo loro del male!» Be’, alcuni genitori lo fanno, lo sa, ma quelli non sono un genere di punizione che lui o la sua famiglia abbiano mai utilizzato.
«Non è come se lei volesse farmi del male! Non voglio che tu lo pensi!» esclama lei con lacrime di furia negli occhi. «Lei ha delle buone intenzioni, mi vuole bene, lo so!» Ma i suoi occhi dicono una storia diversa, una di dubbi e di bisogni disperati, e sotto lo sguardo penetrante di lui, lei seppellisce il volto nelle proprie mani, tremando violentemente.
Ammutolito dall’orrore, Daniel fa per toccarla, poi ritira la mano. «Regina» dice implorante, aggrottando al contempo la fronte. Non gli piace ciò che ha sentito, ma capisce istintivamente che è meglio che questo venga taciuto.
Regina alza il volto rigato di lacrime per guardare dritto nel suo. «Tu non ci credi, vero? Alle voci? Non pensi che lei sia malvagia?»
«No, certo che no» dice lui in modo mansueto. «È tua madre. Certo che ti vuole bene. Certo che tu le vuoi bene. Lo capisco».
Regina tira su col naso. Il sollievo sul suo volto è evidente. «Io le voglio bene davvero. È solo che… la mamma è così difficile da accontentare» borbotta lei. «È solo… Io vorrei solo che lei fosse orgogliosa di me. È difficile essere all’altezza delle sue aspettative… e qualche volta non sono nemmeno sicura di volerlo. Voglio solo fare alcune cose a modo mio, essere me stessa, sai? E poi mi sento in colpa perché l’ho delusa. È orribile da parte mia? Sono terribilmente egoista?»
«Certo che no! Non sei niente del genere! Guardati adesso, che aiuti me e mio padre. Come potresti essere egoista, o orribile?»
Regina sorride di traverso alle sue parole, e per un momento sembra che le sue lacrime possano aver suonato una ritirata. Alla fine, però, tutto è troppo per lei. Parole taciute per così tanto tempo, pensieri che ha spinto nel fondo della mente, emozioni che ha seppellito nel più profondo del suo cuore – sono stati finalmente espressi, e ascoltati con pazienza, e accolti senza il giudizio che lei ha sempre temuto, con l’affetto e la comprensione che ha sempre desiderato e di cui sempre ha avuto bisogno. E lei scoppia in lacrime più abbondanti di prima, ma con un sollievo che non ha mai conosciuto. La sua guancia è premuta contro la spalla bagnata di lacrime di Daniel mentre lui la stringe, cullandola avanti e indietro come una bambina.
Poco a poco, i singhiozzi di Regina si calmano, le lacrime si seccano, e dopo un po’, Daniel realizza che Regina si è addormentata. Lui si appoggia al muro, attento a non muoversi troppo così da non svegliarla. I suoi occhi scivolano sul bicchiere intatto di vino aromatizzato con puntini scarlatti e dorati che galleggiano in superficie. Guarda fisso fuori dalla finestra pensosamente, desiderando che le lacrime di Regina siano ancor più rare dello zafferano.
















NdT: Spero che questo capitolo vi sia piaciuto… Il prossimo aggiornamento arriverà martedì 29 Aprile!

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Capitolo 9
*** Nine Lives, Cat’s Eyes ***


Nota dell’Autrice: Spero che il capitolo vi piaccia. È un’ipotesi su come Regina potrebbe essersi guadagnata la cicatrice sul labbro – ispirata alla storia di Lana, come vedrete.


Capitolo 9
Nine Lives, Cat’s Eyes

Le cucine dei Mills sono sempre piene di vita, ma Regina non le trova mai tanto intriganti quanto appena dopo cena. Ti aspetteresti una pausa dall’attività dopo che l’ultimo pasto del giorno è servito, ma lei ne sa di più. Il cucinare potrà anche essere finita, ma c’è ancora più che abbastanza da fare prima che i cuochi e le domestiche possano ritirarsi per il riposo: piatti da lavare, pentolame da sfregare, bicchieri da lucidare, argenteria da pulire, pavimenti e banchi da sfregare. Ci sono anche avanzi da raccogliere, la maggior parte delle volte – una fetta di torta in più che non le è stata permessa dopo cena, ad esempio. I cuochi chiudono un occhio, e lei crede persino di aver visto un sorriso o due quando pensavano che nessuno stesse guardando.
Alla sera, un buffo gruppo si raccoglie alle porte della cucina e sotto le finestre – cani e gatti di tutte le forme e dimensioni: denutriti e paffuti, sfacciati e timidi, coccoloni e scaltri. Non sono inquilini del canile dei Mills, ma randagi senza casa che arrivano da vicino e da lontano. È una vera prova assistere ai furti e alle suppliche, ed un occhio è prono a piangere per le povere bestie; l’altro, comunque, si rallegra nel vederli trovare un qualche genere di sollievo ad opera della casa.
Lei non può evitare di avere dei prediletti tra quelle palle di pelo, non importa quanto ingiusto a volte Regina si dica che è. Recentemente, un cagnolino furbo dagli occhi grandi e un gatto intelligente dalla coda cespugliosa sono stati in testa. Oggi, tuttavia, tutta la sua attenzione è all’ultimo arrivato: un gatto smilzo dall’aspetto particolarmente miserabile. Originariamente deve essere stato fulvo, da quel che può vedere, che in realtà non è molto, dato che ci sono così tante pelate sul suo dorso che lì il pelo cresce solo a tratti, e persino quello è coperto da qualcosa di non identificabile di una sfumatura grigiastra. Le zampe del gatto sono stranamente storte, come se fossero state spezzate numerose volte, eppure l’animale si muove con una strana grazia. Gli manca un occhio, e l’altro orecchio, il ché crea un bizzarro tipo di equilibrio sul suo muso altrimenti sfigurato. La sua coda è corta per un gatto, come se ne avesse lasciato indietro un pezzo da qualche parte, ed effettivamente deve averlo fatto, anche se non di propria volontà – la coda finisce in un moncone. E in tutto ciò, il nuovo membro della gang è una cosetta brutta e sfortunata che si nutre solo grazie alla pietà dei cuochi.
Il gatto è diffidente e non accetta il cibo dalla sua mano, come Regina ha scoperto da sé, anche se tutte le sue costole sono visibili. Soffia e incurva la schiena e rizza il pelo ogni volta che Regina, o chiunque altro, gli si avvicina. Gli altri gatti gli stanno lontani, anche se Regina non ha mai visto il rosso attaccare gli altri ‏– nemmeno come parte degli usuali bisticci per il cibo. Arriva dal nulla, attende per la sua porzione, la mangia in disparte, e se ne va – dove, nessuno lo sa o se ne cura.
Regina non riesce davvero a capire perché sia attratta da questo gatto in particolare, ma la silenziosa fascinazione rimane. Un giorno la menziona a Daniel; ovviamente la mamma è fuori questione, non presterebbe ascolto ad un tale argomento e a questi interessi inappropriati; e sembra stranamente imbarazzante parlarne al papà – non è sicura del perché, ma forse è qualcosa che ha a che fare con la sua gamba malandata.
«Gli manca un occhio e un orecchio e la maggior parte della coda, Daniel. È abbastanza spaventoso, davvero… o triste, non so quale dei due. Entrambi, credo».
«Le mancano anche i baffi» replica cupamente Daniel. «Ci sono segni di bruciature dove i suoi baffi dovrebbero crescere».
Regina è colta piuttosto di sorpresa dalla sua conoscenza minuziosa della gatta fulva – lei non è mai riuscita ad avvicinarsi abbastanza da notarlo. Per di più, proprio come lei, anche lui sembra più che casualmente interessato a quell’animale.
«Gli altri animali lo temono. Non si avvicinano se possono evitarlo, non cercano nemmeno di rubargli il cibo, cosa che per il resto fanno tutto il tempo».
«Mi chiedo il perché, non l’ho mai vista arrabbiata o aggressiva».
«Drizza il pelo e snuda i denti quando cerco di avvicinarmi».
«Questo è perché ha paura. Le è già stato fatto del male, ricordi?»
Regina aggrotta la fronte. I baffi, l’occhio, l’orecchio, le zampe e la coda – lei ha semplicemente pensato che fossero le conseguenze della vita avventurosa che si dice conducano i gatti. Questo potrebbe essere semplicemente più temerario degli altri. L’alternativa di Daniel non le piace minimamente.
«Chi lo farebbe?» chiede con genuina incredulità.
Daniel la guarda sorpreso, poi sorride mestamente. «Le persone» dice piano.
Regina lo accetta in silenzio e presto deviano su argomenti più casuali, ma lei rimane stranamente quieta per il resto della sera, e più distante del solito.
Il giorno seguente, lei si aggira intorno alla cucina in anticipo, sperando di svelare il mistero della provenienza del gatto. Eppure non lo vede mai arrivare, ma lo coglie improvvisamente a trascinare un pezzo di carne bruciata dietro l’angolo per masticarlo in pace. Decide di seguirlo quando se ne andrà, ma ne perde le tracce quando scompare in un cespuglio e non sembra più venir fuori dall’altra parte. Regina prende l’abitudine di spiare il gatto, ma senza maggior successo i giorni successivi rispetto al primo.
Una sera, il gatto non arriva. Regina scruta i dintorni, girandosi da randagio affamato a randagio affamato, solo per scoprire che il rosso è effettivamente assente. Non riappare il giorno successivo, né quello dopo ancora.
«Il rosso è scomparso» dice a Daniel. «Forse viene di mattina».
«Non è così» risponde lui, la faccia nascosta dietro il cavallo a cui sta togliendo la sella. La sua voce suona stranamente forzata. Sorprende Regina, ma lei non dice niente e decide di non menzionare più il gatto, a meno che non ritorni.
Quando non c’è nemmeno la sera successiva, comunque, Regina sente l’improvvisa urgenza di andare a cercarlo. Senza mai fermarsi a pensare quanto sia una missione senza speranza – non è mai stata in grado di rintracciare i suoi spostamenti neanche quando era lì attorno – lei vaga per la gran parte della tenuta. Quando oltrepassa il cespuglio dove una volta ha perso di vista il fulvo, nota un ciuffo di peli rossicci e ruvidi impigliati ad uno dei rami.
Senza la minima esitazione, Regina si mette in cammino di puro istinto. Alla fine, raggiunge il recinto che separa il grande giardino dai campi, e si arrampica dall’altra parte. Il boschetto adiacente è un recente acquisto alle terre dei Mills ed è ancora fuori dai confini – la vegetazione selvaggia ed eccessiva deve essere domata prima che sia sicuro vagabondarvi. Regina calpesta erbacce ed arbusti, schermandosi il viso dai rami sempre presenti di alberi selvatici e cespugli nodosi. Una fitta di paura le guizza nella mente – come nasconderà i graffi agli occhi attenti della mamma? Ma lei scaccia velocemente quel pensiero e si spinge avanti sinché non raggiunge una sorta di radura dominata da una grande ed antica quercia, secca e nodosa, che sembra più morta che viva, ma che ha ancora delle foglie che crescono qua e là. Cammina sino ad essa, posa una mano sulla corteccia ruvida, e si guarda attorno. Questo è tutto, pensa. Qualsiasi cosa pensassi mi stesse guidando qui, è scomparsa. Che assurdità, da parte mia, si rimprovera, e aggrotta la fonte per la propria inspiegabile follia.
Poi, sente un piccolo grido lamentoso. È senza dubbio un grido, per quanto sia piccolo e cauto, troppo orgoglioso per supplicare, o troppo sospettoso. Regina non si muove. Ascolta. Poi eccolo di nuovo, leggermente più prolungato – un gemito. Aiuuuto… ha l’impressione di sentire. Guarda in su, ma non vede niente oltre il groviglio di rami che si intrecciano e di foglie che sussurrano. Drizza le orecchie e ascolta per una conferma. Finalmente, arriva: un miaaao strascicato, non un urlo, ma abbastanza pronunciato da essere identificabile come un grido di aiuto.
Regina afferra il ramo più basso con entrambe le mani e si solleva dal terreno; si tira su, mandando le gambe verso il cielo sinché le sue caviglie non colpiscono il tronco rugoso e lei è appesa lì come una scimmia. Il terreno sembra già molto lontano quando lei lo intravede a testa in giù. Il miagolio è cessato – forse adesso è il turno della gatta di ascoltare.
Regina si arrampica e si arrampica. La salita è lenta e scomoda. Con sempre più imprudenza, lei cerca ramo dopo ramo, cerca punto d’appoggio dopo punto d’appoggio. Va sempre più in alto, finché non riesce più a vedere il terreno, ma soltanto il mosaico scuro di legno bruno-grigio e di figlie verde ammuffito. Si issa su un ramo abbastanza largo e si riposa per prendere fiato – non aveva notato di star ansimando da un bel po’. Sente il dolore infiammarle i muscoli.
«Dove sei?» chiama piano, scrutando la corona dell’albero.
Silenzio.
«Allora come faccio a trovarti?» La frustrazione si insinua nella sua voce.
«Miao…» arriva una risposta debolissima. Ma anche quel poco è abbastanza.
Regina striscia cautamente lungo il grosso ramo, il ventre premuto contro di esso. Allunga una mano, sostenendosi con l’altra e con entrambe le gambe, e scosta le foglie davanti a lei.
Eccola lì – la rossa perduta, rannicchiata su un ramo, che sembra più spaventosa che mai.
«Ehi, salve tu» mormora Regina. La gatta non dà alcuna risposta. Ancora sul proprio ventre, Regina si spinge appena più avanti. Adesso è abbastanza vicina da notare che una delle zampe della gatta sporge con uno strano angolo. «Oh…» emette un respiro. «Quindi è per questo che non puoi tornare giù».
Improvvisamente, le sembra di rendersi conto del rischio di cui è stata sinora inconsapevole. Abbassa lo sguardo in modo esitante. Il terreno non si vede; tutto è verde e smorto e marrone. Trattenendo il fiato, Regina si spinge più avanti, tenendosi aggrappata con tutte le forze. Il movimento lento e cauto è comunque troppo perché la rossa possa tollerarlo: lei rizza il pelo e soffia in modo discontinuo.
«Non mi piace più di quanto piaccia a te» le assicura Regina. «Ma potrei anche portarti giù, adesso che sono arrivata sin qui».
La gatta appoggia la testa su un gruppo di foglie ma continua a guardare Regina con le orecchie drizzate.
«Non avere paura» mormora Regina mentre procede lungo il ramo che si restringe. «Voglio aiutarti». E, quasi là, allunga una mano verso l’animale tremante. La rossa colpisce rapida come un fulmine; Regina ritrae di scatto la mano all’ultimo momento, evitando appena i suoi artigli.
«Smettila! Sono qui per aiutare!» grida Regina con voce stridula e si tira indietro per lo spavento, riuscendo a malapena a reggersi al ramo. Nessuna di loro si muove. Dopo un po’ di calmanti respiri profondi, Regina inizia a sentirsi leggermente sciocca e vergognosa.
«Sei solo spaventata» dice in tono di scusa. «Avrei dovuto saperlo. Ma come ti porto giù? Non c’è tempo…» La gatta guarda, questo è quanto lei può vedere. Colpirà di nuovo, realizza Regina. Così sia.
Si tiene al ramo con le gambe e lascia la presa con entrambe le mani, le braccia che scattano in avanti, le dita che si piegano sulla rossa così minuscola e fragile al tocco. Regina sente un dolore lancinante attraversarle l’avambraccio ma non si tira indietro. Afferra la gatta in aria e si gira in modo concitato, atterrando fortunatamente sul proprio posteriore tra il tronco e il ramo enorme su cui ha riposato prima dell’ultima scalata. La gatta sembra essere tramortita dallo shock. Per un momento, Regina si preoccupa veramente per lei. Solleva il proprio braccio contuso e ferito e si porta la gatta faccia a faccia. L’unico occhio buono le restituisce lo sguardo. Regina emette un lieve respiro. Quant’è curioso…
Artigli affilati come rasoi lampeggiano davanti agli occhi di Regina. Il dolore le frusta il viso e per un momento le mozza il fiato. Lei scoppia in lacrime che bruciano quasi tanto calde quanto la ferita che la fa gridare di dolore. Miracolosamente, le sue dita rimangono serrate sulla rossa, che si dibatte per un po’ ma alla fine reputa vano il proprio attacco migliore. Sembra abbandonarsi al destino, e pende inerte dalle mani di Regina.
Per liberare almeno una mano, Regina fa in modo di infilarsi la gatta sotto un braccio e comincia la discesa, sinora ancora più laboriosa e difficile dall’ascesa.
Più di una volta, è solo per un pelo che evita una brutta caduta, ma alla fine, Regina e la rossa raggiungono illese il terreno. Non appena la gatta lo sente, si rianima. Esausta e dolorante dappertutto, Regina la appoggia a terra non appena ritrova l’equilibrio. La gatta, troppo ferita per fare la scalata, se la cava perfettamente sul terreno piatto – schizza via su tre gambe, e si ferma solo dopo che una distanza di qualche piede giace tra lei e la sua salvatrice.
Cautamente, Regina allunga una mano verso il proprio viso, cercando il punto esatto in cui l’attacco ha colpito. Le sue dita sfiorano qualcosa di caldo e appiccicoso appena sopra la sua bocca. Un filo di sangue inizia sotto il suo labbro, e le lascia un sapore metallico sulla lingua.
Il pericolo a cui si è sottoposta, lo sforzo, lo shock, e il dolore la pervadono tutti in una volta, e Regina crolla in lacrime ai piedi dell’albero. Mentre riposa lì, le lacrime che si asciugano lentamente, un leggero fruscio si fa sentire nelle vicinanze, e qualcosa di morbido eppure ispido le sfiora la caviglia ammaccata.
«Tu» esala lei. La rossa la guarda negli occhi e si struscia contro la sua gamba ancora una volta. Ammaliata, Regina allunga una mano per accarezzarla. La gatta si immobilizza. Adesso non mi ferirà, sa Regina. Ma è ancora terrorizzata. Regina si ferma per un momento, pensierosa. Poi ritrae la mano. «Come vuoi» dice all’attenta gatta. «Niente coccole. È ora di andare».
Regina si alza – un atto che sembra costarle le sue ultime riserve – e fa pochi passi attraverso il boschetto. Si gira per incontrare l’occhio dell’attenta gatta. «Cosa aspetti? Non vieni?»
La rossa la raggiunge. Perfettamente a suo agio sulle sue tre gambe funzionanti, cammina sino al recinto ed oltre.

«Tua madre si poteva sentire sin qui alle stalle» dice Daniel la sera seguente.
Regina fa dondolare le gambe dalla balla di fieno su cui si è accomodata e scrolla le spalle. Non inganna Daniel, però, che nota l’ombra che le attraversa il viso. C’è anche qualcos’altro. Sfida? Orgoglio?
«Rimarrà una cicatrice» sonda cautamente lui.
«Penso di sì» replica Regina. «È tanto orribile? Sembra abbastanza piccola». Arrossisce al ricordo delle lacrime versate per una tale bazzecola.
«No, penso di no» replica Daniel con un sorriso. «Per niente. Intanto, uno dei figli della cuoca ha ospitato la gatta e le ha anche applicato una specie di stecca alla gamba, lo sapevi?»
«Scommetto che a breve sarà di nuovo su quell’albero». Lei sembra abbastanza felice all’idea. «Con quelle vite che le sono rimaste» ridacchia.
«Be’, tu ne hai di certo salvata una» dice Daniel con un ampio sorriso.
«C’è stato un momento» dice Regina, guardando attentamente Daniel con il sorriso di chi la sa lunga sul volto, «in cui l’ho guardata dritta nell’occhio».
Daniel si fa nuovamente serio. Forse lui ha svelato per primo il segreto del misterioso tocco sul volto di Regina.
«Un occhio verde» dice lei. «Chiazzato d’oro».
Lui annuisce lentamente e ricambia il sorriso, gli occhi luminosi.
Gli occhi di Daniel sono azzurri, come quelli di suo padre. Avesse preso da sua madre, sarebbero stati verdi, con pagliuzze d’oro.











NdT: Scusate il ritardo, tradurre questo capitolo mi ha preso un bel po’ di tempo (e okay, sono stata rallentata anche dal fatto che dal 24 al 27 sono stata a Nizza)…
Spero vi sia piaciuto!
Data del prossimo aggiornamento: giovedì 8 maggio =)

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Capitolo 10
*** Rumour Has It ***


Nota dell’autrice: Un capitolo corto stavolta – prometto che il prossimo sarà più lungo! Questo è anche più leggero in interazioni Stable Queen, e ha un po’ di Cora e Rumple, con un Daniel che s’imbatte incidentalmente in una conversazione di cui non capirà nulla – ma voi sì… Prevedo delle complicazioni per Regina e Daniel nei capitoli seguenti. ;)




Capitolo 10
Rumour Has It

Corre voce che Lady Cora sia piena di mistero. Spesso, le persone concordano sul fatto che possegga alcuni poteri inusuali. Di quando in quando si avventura in misteriose escursioni e nemmeno i cocchieri che la accompagnano sanno di cosa si sia occupata; talvolta al momento del loro ritorno dimenticano persino la destinazione del viaggio. Il suo mobiletto è pieno sia di erbe comuni che di pericolosi veleni, dicono; le storie più assurde parlano di sostanze empie come occhi di lucertola o come il cuore di un unicorno appena nato.
Daniel non è mai stato neanche remotamente interessato ai pettegolezzi. Se solo sapesse che sta per assistere ad un simile avvenimento…
Inizia come una cavalcata occasionale al borgo vicino per recapitare un sacco di farina al più vecchio affittuario delle terre dei Mills – un vecchio avvizzito che vive da solo nel profondo della foresta. Il viaggio è privo di eventi, animato solo da una breve e giocosa corsa contro un giovane cervo. Daniel parte più tardi di quanto avesse pianificato e gli squarci di cielo che intravede oltre la volta frondosa sopra la sua testa sono più scuri di quanto avesse previsto. I giorni si stanno accorciando, poiché l’autunno è arrivato. La foresta sembra diventare persino più buia mentre il cavallo si fa strada sul sentiero ventoso della foresta, i rametti che si spezzano e le foglie che frusciano sotto i suoi zoccoli.
Corre voce che, nella notte e durante le tempeste, strani, oscuri poteri si riuniscano nelle radure abbandonate della foresta. L’aria della sera predice un arrivo tempestivo di entrambe. Ogni rumore sembra essere scomparso mentre Daniel si avvicina ad una piccola radura che intende attraversare mediante una scorciatoia, quando improvvisamente il suo cavallo si arresta di colpo, rifiutando di procedere. Un momento più tardi, Daniel sente una voce, strana e perversa.
«…gira voce che tu stia cercando un nobile pretendente per tua figlia».
Per una frazione di secondo, Daniel si chiede se dovrebbe dare una sbirciata al proprietario di quella strana voce, o se farebbe meglio a farsi gli affari suoi e a fare una deviazione per evitare la radura, e andare a casa. Il suo dilemma è presto risolto: una risata disinvolta, lievemente beffarda, risuona attraverso la radura e, per la sorpresa di Daniel, una voce familiare la segue.
«Mio caro Tremotino, l’intero regno mi ha sentito dire che mia figlia diventerà regina lo stesso giorno in cui è nata – ritengo che al tempo tu fossi lì, celato nella folla? Puoi biasimare una madre perché cerca di mantenere la sua promessa?»
Completamente sconcertato, Daniel salta giù dal cavallo e si avvicina furtivamente al limite della radura, ben nascosto da un gran cespuglio di spincervino e dai rami sporgenti di un salice piangente. Gli alberi e i cespugli hanno iniziato a perdere il loro abbigliamento frondoso ma non sono ancora nudi. Daniel può solo sbirciare tra il fogliame l’uomo e la donna dall’altra parte. La donna la conosce bene, anche se gli dà la schiena – Lady Cora è inconfondibile. L’uomo con cui lei sta parlando, però… è un uomo? Se non lo è, cos’è? Di sicuro è vestito come tale, indossa stivali alti, pantaloni di pelle marrone e un farsetto di velluto rosso; ma il suo viso sembra scaglioso, come quello di una lucertola o di un serpente. È solo un gioco delle ombre, si dice Daniel, è troppo buio, e io sono troppo lontano. La creatura, qualsiasi cosa sia, parla di nuovo.
«Un uccellino mi ha detto che hai già l’occhio su un ragazzo specifico. Mi aspetto che tu abbia tutto pianificato, ho ragione?»
«Presto sarà il compleanno di Regina. Una scusa perfetta per un grande evento sociale, non è vero? E che momento migliore per fare delle presentazioni?»
«Affascinante» dice lui con un sorrisetto. «Ma sii cauta, cara, poiché gli ostacoli possono emergere dove meno te li aspetti».
«Gli ostacoli sono fatti per essere superati».
«Temo che uno di essi potrà rivelarsi eccezionalmente difficile. Una tenerezza di cuore, diciamo. È questo il problema coi cuori, capisci: spesso sospirano quando non dovrebbero farlo. Ah, ma tu lo sai meglio di chiunque altro, non è vero?»
«Già, lo so. Come tu sai meglio di chiunque altro che sono pronta ad impiegare tutti i mezzi necessari per sradicare ogni pazzia a cui possa condurre un cuore sdolcinato».
«Questo si applica solo al tuo cuore, o sei pronta a fare lo stesso con quello della tua cara figlia?»
«Non lo stesso. Non col suo cuore. Ma tu non devi preoccuparti dei miei piani. Te lo assicuro, ho pianificato tutto con anticipo. Ti assicuro anche nuovamente che non ti farò avvicinare a mia figlia – il patto è annullato, ricordi? Il nostro primogenito… ma non il mio».
Daniel ha l’impressione di notare uno sguardo sgradevole e velenoso attraversare il viso dello spiritello, ma è svanito in un lampo, e Cora va avanti, inconsapevole di esso.
«Mi dispiace di ricordarti questo sfortunato incidente di formulazione; naturalmente capirai che lo sto facendo come una mera precauzione – solo in caso che tu sia tentato di… instillare… strane nozioni nella testa di mia figlia… o nel suo cuore».
«Oh, non temere. Il suo cuore non avrà bisogno di intromissioni… nel prossimo futuro».
«Molto bene, allora, sono lieta che abbiamo un intesa. Ho paura che dovrei andarmene adesso, sto facendo tardi. È stato un piacere fare un patto con te».
Da qualche parte sembra esserci una burla che Daniel non capisce. Lo spiritello fa un inchino elaborato.
«Eppure sono così dispiaciuto di venir privato così presto della tua compagnia. Dimmi, tuo marito sente terribilmente la tua mancanza quando sei via? Forse dovresti portarlo la prossima volta. Ah… dimenticavo – sembra esserci qualcosa che non va con la sua gamba, non è vero? Sì, lo rammento, un incidente estremamente spiacevole…» dice con un largo sorriso, unendo le punte delle dita delle mani – e ride.
«Certo. Un incidente. A quel tempo tu sembravi sapere molto di quella disgrazia a quella caccia. Puramente casuale, ne sono sicura, altrimenti non potrei mai perdonarti per aver menomato il mio caro marito, come potrei?»
Lady Cora gli si avvicina e gli offre una mano da baciare, cosa che il folletto fa con galanteria più elaborata.
Ipnotizzato dalla scena di fronte a lui, gli istinti di Daniel sembrano spegnersi momentaneamente – non gli viene in mente di correre per timore che Lady Cora possa imbattersi in lui. Lei prende la logica via di casa, comunque, fortunatamente per lui, e scompare lungo il sentiero dall’altra parte della radura. Un momento più tardi, il folletto gira sui tacchi e… svanisce nel nulla.
La foresta attorno a lui è tranquilla. La testa di Daniel ronza e brulica di pensieri. Più duramente cerca di tenersi stretto alla scia di un pensiero tra la dozzina che gli corre in testa, più prontamente il pensiero lo elude. Cos’ha a che fare Lady Cora con quella strana creatura? Lo strano incidente di Padron Henry… Nonostante le parole dette, gli è sembrato che il folletto possa avere molto a che fare con esso, e che Cora lo sappia perfettamente. Dove può aver conosciuto Regina? E – scuote la testa – Regina deve sposarsi? È troppo giovane per quel genere di cose! Certamente lui sa che non sarà vero per molto tempo ancora; si sa di ragazze più giovani che si sposano, le povere come le ricche. Lui aggrotta la fronte a quel pensiero. In qualche modo, è sicuro che neanche a Regina piacerà l’idea. In un senso, quel pensiero lo fa tornare stranamente calmo.
Il cinguettio vivace di un tordo bottaccio lo riporta alla realtà. La radura sembra rianimarsi dopo che il misterioso incontro è bell’e finito. Daniel torna in sella ed esita per un momento – è più che tentato di evitare la radura e di prendere la strada più lunga. Prende un respiro profondo e la attraversa e si dirige verso casa, trascorrendo l’intero viaggio perso nei pensieri.

«Regina» inizia Daniel quella sera mentre siedono su una balla di fieno dopo aver dato da mangiare ai cavalli. Si è chiesto per un bel po’ di tempo come dirle di ciò che ha visto, e poi se dirglielo o non farlo per niente. Esita, al ché lei gli indirizza uno sguardo interrogativo. «Tu sai cos’è successo alla gamba di tuo padre?»
Regina si acciglia lievemente e scrolla le spalle. Corre voce che sia stato un brutto incidente, e il papà non si è mai ripreso completamente dal dover rinunciare ad uno dei suoi passatempi più cari. «Ad una battuta di caccia è caduto da cavallo così malamente che non sono mai riusciti a far tornare la sua gamba com’era prima. Lui dice che qualcosa ha spaventato il cavallo. Un cinghiale o qualcosa del genere, non lo so. È stato scaraventato a terra e si è ferito gravemente. Non mi piace parlarne con lui perché lo rende triste. Quindi questo è tutto ciò che so».
Daniel annuisce pensierosamente. «Oggi ho visto un uomo» dice senza riflettere. «Be’, penso fosse un uomo. Un uomo strano, con la pelle scagliosa… e…» Esita, la parola “magia” trattenuta all’ultimo momento, e guarda il viso curioso e ignaro di Regina. «Penso di essermelo solo immaginato» dice risolutamente.
Forse sta facendo troppe storie per questo; non c’è bisogno di creare un mostro quando non ce n’è nessuno. Si mette comodo sulla balla e inizia, proprio come Regina, a intrecciare gli steli di fieno in una sorta di ghirlanda – qualcosa che ha tirato fuori Regina, e una squisitezza che i cavalli trovano sorprendentemente vivificante.
Presto, gli eventi del giorno gli sfuggono di mente. Ciò che succede in una solitaria radura nella foresta non sono affari suoi, e un incontro casuale come quello cosa potrebbe avere a che fare con loro due?












Note della traduttrice:
E sono riuscita a tradurre anche questo :)
Ringrazio di cuore tutti quelli che seguono questa storia, in particolare Calime, che oltre ad averla aggiunta alle preferite e alle seguite, mi lascia delle recensioni stupende, Alekatycat_98, che l’ha aggiunta alle preferite, nonché lulubellula e pepper snixx heat che l’hanno aggiunta alle seguite… Siete meravigliosi :’)
Ciò detto, fisso la data del prossimo aggiornamento a giovedì 29 maggio, ma è possibile che sarà rimandata (in tal caso, inserirò poi la nuova data nell’introduzione).
Au revoir!

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Capitolo 11
*** Many Happy Returns ***


Note dell’Autrice: Yippee, questa volta un capitolo più lungo come ho promesso! Preparatevi per un po’ di mamma Cora, un po’ di papà Henry, per un Daniel confuso e una Regina delusa. TW: maltrattamento (pensate alla 1x18).



Capitolo 11
Many Happy Returns

«Girati… No, non così» dice Cora impazientemente. Agitata, Regina si volta e si mette di nuovo in posa sullo sgabello per quella che sembra la milionesima volta. Non un’altra prova d’abito, pensa ormai ogni volta che vede arrivare la sarta.
Malinconicamente, ripensa alla prima volta. Allora era piena di anticipazione, e di meraviglia: la sarta aveva portato pezze di tessuto di una dozzina di colori e trame, pizzi e lavori all’uncinetto e fiocchi, sciarpe, guanti, e scarpette. Lei aveva selezionato e scelto e indicato, e tutti correvano per esaudire ogni suo capriccio.
Ciò che era iniziato come divertente ed eccitante, tuttavia, presto si era trasformato in una prova. Il vestito dei suoi sogni non è destinato ad essere realizzato: la mamma se ne occuperà. Gradualmente, Cora ha preso il controllo di tutte le decisioni, o abbastanza perché non faccia differenza. A volte Regina è obbligata a stare sullo sgabello per ore mentre Cora esamina ogni centimetro di stoffa e fa notare difetto dopo difetto. Spille appuntite la pizzicano e la trafiggono senza pietà mentre la mamma la gira e la volta rudemente, abbaiando ordini alla sarta.
«Dovremmo fare lo strascico più lungo» dichiara. Questo riporta Regina alla realtà.
«Ma mamma» protesta lei, «non è abbastanza lungo? Sarà solo d’intralcio».
«Sarà d’intralcio per cosa, mia cara? Terrai un ballo, non una qualche selvaggia gara di cavalli».
Lo scherno punge.
«Regina, per una volta nella tua vita, comportati come una lady. Suppongo che sarebbe troppo chiederti anche di pensare come tale. Inoltre, è solo una lieve modifica che ho fatto. Un piccolo miglioramento per il tuo modello».
Regina si morde la lingua. Un lieve miglioramento. Tutti quelli sono stati chiamati lievi miglioramenti dalla mamma. Eppure in qualche modo, ad un certo punto, è diventato un vestito completamente diverso. Non molto è rimasto delle idee di Regina.
«Dovremo cambiare anche il collo» continua Cora, facendo cenno alla sarta di avvicinarsi. «Un grande colletto, direi. Ornato, cucito a mano».
«Un colletto?» prorompe Regina incredula. «Eravamo d’accordo per nessun colletto, ricordi?» Questo è uno dei compromessi che Cora ha fatto, una piccola vittoria che Regina è riuscita a strappare dopo che sua madre ha praticamente ridisegnato l’intero vestito che Regina aveva assemblato su carta.
Cora supera la sua pena con un gesto casuale della mano. «Un colletto darà al vestito un aspetto molto più impressivo, vedrai. Tua madre sa quel che fa, cara».
«Non mi interessa se è impressivo!» grida Regina mentre lacrime di frustrazione le salgono agli occhi. «Avrebbe dovuto essere mio. Perché non ne indossi tu uno col colletto e non mi lasci avere un vestito che piaccia a me?» Regina salta giù dallo sgabello e scappa verso la porta. Prima che arrivi a metà della stanza, però, uno scoppio di energia la colpisce, la avvolge, e le fa perdere l’equilibrio. Lei si sente sollevare in aria. Le sue mani si piegano in pugni di rabbia e, mentre si ferma a mezz’aria, un colpo invisibile la fa girare e lei si ritrova faccia a faccia con sua madre. Le sarte, registra, si sono ormai tutte disperse.
«Non osare parlarmi così! Ti comporti come una bambina ostinata ed ingrata! Non sopporterò questa insolenza! Tu avrai un vestito come si addice ad una regina, hai capito?»
Regina lotta, sebbene nella propria mente sappia che tutti i suoi sforzi non servono a niente. «Madre» supplica. «Io…»
«Non rispondermi» dice Cora morbidamente, calma e composta adesso, sorridendo – è al suo peggio. Regina guarda, a rallentatore, le dita di sua madre contrarsi; un momento di riconoscimento la colpisce prima che un paio di catene appaiano dal nulla e si chiudano strettamente attorno a lei, facendola respirare a stento. Lei sente la stoffa dell’abito finito a metà tirarsi mentre la pelle cigolante la stringe dolorosamente, e sente numerosi spilli perforarle la pelle. «Mamma…!» ansima. Tutta l’energia sembra colare fuori da lei. Non è possibile resistere, lo sa, non è possibile combattere. Abbassa lo sguardo sul volto di sua madre, sconfitta, rassegnata, e amareggiata all’indescrivibile.
Cora le rivolge un sorriso con aria di sufficienza, con aria incoraggiante, attendendo. Regina sa che cosa si aspetta da lei.
Regina singhiozza. «Farò la brava» sussurra.
«Ecco la mia bambina», Cora le concede un sorriso radioso e la rilascia lentamente dalla sua presa magica.
Regina si strofina il braccio dolorante e inghiottisce un altro singhiozzo, pregando di venir congedata, senza osare dire una parola.
«Adesso puoi andare nella tua stanza. Verrò a prendere il vestito tra un momento e mi prenderò cura del resto per te. Fa’ i tuoi compiti e non essere in ritardo per il tè. Ricorda – una signora non perde mai il tè».
Regina annuisce precipitosamente, e fugge con tutta la dignità che ha, che è molto poca. Adesso persino il disprezzato cucito sarà una distrazione benvenuta…

Daniel solleva del concime col forcone e lo lancia sulla pila che cresce. Le stalle devono essere abbastanza pulite da potervi mangiare, secondo gli ordini di Lady Cora. Nobili ospiti arriveranno presto. Un numero di box sono già stati approntati per ospitare una manciata di cavalli dei pochi selezionati. Con la quantità di lavoro extra che ha avuto nelle ultime settimane, ha a stento visto Regina. In effetti, nessuno sembra averla vista molto, nemmeno nei dintorni della casa. Probabilmente è impegnata a prepararsi per la sua grande notte, riflette Daniel. Eppure, lei gli manca.
Pensa di sentire un fantasma di fastidio insinuarsi nei suoi pensieri, e lo respinge prima di avere la possibilità di capirne la natura esatta. Preferisce non capirlo, è risoluto. Di sicuro non è un buon pensiero. Potrebbe essere invidioso, o persino pericoloso, in cui si coglie a desiderare, come normalmente non fa, di essere di uno stato sociale più vicino a quello di Regina, per essere parte di questo grande evento nella sua vita da cui un giovane stalliere deve invece essere escluso. Potrebbe essere un pensiero arrabbiato, un pensiero risentito perché lei lo sta trascurando così facilmente. Perciò, è meglio non permettersi di pensare simili pensieri. La sa più lunga, dopotutto.
L’aria è fredda e grigia più che calda e colorata, nota lui mentre spinge fuori la carriola traboccante di letame; un inizio uggioso d’inverno piuttosto che una tavolozza calda d’autunno. Può l’autunno essere stato tanto breve? Ci sono chiazze frondose di sparpagliati tappeti oro e cremisi attraverso l’erba che si dirada, ma gli alberi non hanno ancora perso metà dei loro mantelli – alcuni infatti sono ancora vestiti prevalentemente di verde.
«Daniel», la voce di suo padre arriva da dietro l’angolo con una forte raffica di vento. «Pulisci i finimenti dorati. Ma prima vieni ad aiutarmi con l’aratro». I finimenti scintillanti e delicati vengono fuori, il vecchio aratro rovinato dev’essere rimosso dalla vista. Lady Cora allestisce uno spettacolo, pensa Daniel mentre tira e fatica fianco a fianco con suo padre. Edric ha riguadagnato molta della sua forza dalla sua recente malattia, per il sollievo di Daniel. La tosse non se n’è ancora andata del tutto, ma gli attacchi sono cessati da molto tempo.
«Chi verrà al ballo, lo sai?» chiede Daniel casualmente, quasi volesse solo iniziare una conversazione.
Edric sbuffa ed ansima. «La crème de la crème, suppongo. Nessuno che abbiamo buone probabilità di conoscere, in ogni caso».
«Sarò felice quando tutto questo chiasso sarà finito», Daniel si acciglia e si asciuga la fronte su una manica.
«Ce ne saranno altri a seguire. La stagione dei balli è appena iniziata, figlio mio. Ne dai uno, presenzi ad una dozzina di altri. Sospetto che Lady Cora vorrà partecipare e fare da chaperon a sua figlia, ora che lei è abbastanza grande. Adesso mettilo giù, posso occuparmene io. Va’ a prenderti cura dei finimenti».
«Sei sicuro?» Daniel esita. «Potresti occuparti tu dei finimenti, ed io dell’aratro».
Edric gli rivolge uno sguardo strano, ed annuisce con una punta di tristezza. «Me la caverò. Ora vai».
I finimenti sono sottile oro lavorato, così delicati che lui teme di poterli rompere accidentalmente tra le proprie dita; una cosa più di bellezza che pratica. Oro come le pagliuzze della gatta randagia, che a loro volta gli ricordano gli occhi di sua madre. È passato davanti alla randagia proprio questa mattina; gli sembra leggermente meno scheletrica ogni giorno che passa da quando Regina l’ha soccorsa dall’albero. Lei ha passato un sacco di guai con Lady Cora a causa della cicatrice sul labbro che ha guadagnato dagli artigli affilati della gatta terrorizzata. Daniel sorride involontariamente. Cicatrici di battaglia, riflette. Deve ricordarsi di dirlo a Regina la prossima volta che la vedrà.

Regina guarda, il mento poggiato sul gomito sul davanzale, la prima carrozza avanzare e fermarsi all’ingresso principale – gli ospiti stanno cominciando ad arrivare. Un’ondata di eccitazione che aveva quasi dimenticato le infiamma lo stomaco. Forse non è ancora tutto perduto, pensa sorpresa. Forse alla fine posso ancora godermelo – il mio primo vero ballo. Il papà esce dalla soglia con la mamma sottobraccio per accogliere gli arrivi. La fronte di Regina si corruga molto lievemente – una parte di lei gioisce nel vedere i suoi genitori andare d’accordo tanto per cambiare; una parte di lei protesta contro la falsità di uno spettacolo che allestiscono per amor degli ospiti. Daniel appare rapidamente e inizia a staccare i cavalli per guidarli nei loro box temporanei. Una fitta di desiderio la assale per il calore ed il conforto delle stalle, per il nitrito familiare dei cavalli, e per la compagnia di Daniel. In quell’esatto momento, comunque, il viso della mamma si volta proprio verso la finestra da cui Regina sta sbirciando, e Regina sussulta: dovrebbe essere impegnata a prepararsi.
Il vestito è disteso sul suo letto – un grazioso azzurro pervinca. È del colore che volevo, si dice lei mentre chiude la porta dietro di sé, ansimando lievemente per lo scatto. Avrà bisogno di qualcuno che la aiuti ad entrarci, ma può comodamente iniziare per conto proprio. Anche le scarpe giacciono in attesa ai piedi del letto, dello stesso azzurro del vestito, e ricamate d’oro. Regina sospira mentre si passa cautamente il vestito sopra la testa. Il tessuto prude e pizzica all’interno a causa dell’inamidatura usata per il desiderio di sua madre di far sì che il vestito mantenga meglio la sua forma. Il colletto, riccamente ricamato con gemme e fili d’oro, grava pesantemente sul suo collo e sulle sue spalle. Anche le scarpe sembrano troppo strette – e sono state fatte su misura. Posso farcela, si dice lei, sono solo un paio d’ore. E la prossima volta, avrò il vestito che voglio io, se questa sera mi comporto bene – la mamma lo ha promesso. E domani, potrò finalmente andare a cavalcare di nuovo, con dei vestiti normali, e parlare di molto più che di gonne e gioielli e balli.
L’acconciatrice arriva, scortata da una mamma impaziente ed infuriata. Salta fuori che i cavalli degli ospiti non sono esattamente tolleranti verso gli stranieri e alle stalle i guai erano in vista prima che Edric e Daniel li spostassero negli ultimi box e mettessero una distanza tra loro e gli altri cavalli. Regina siede pazientemente e lascia che la donna faccia qualsiasi cosa voglia coi suoi capelli; è meglio non versare olio sul fuoco. La pettinatura, come avrebbe potuto aspettarsi, è elaborata e dotata di dozzine di spilli, molti dei quali tirano e la pizzicano fastidiosamente, ma lei continua a non dire una parola.
La mamma congeda l’acconciatrice e si assume lei stessa la responsabilità del corsetto di Regina. Lo lega stretto, così stretto che a Regina l’aria viene strappata. Lei trattiene un ansito e si costringe invece a prendere respiri veloci e poco profondi.
«Rimani ferma» ordina la mamma mentre lega il fiocco e aggiusta le pieghe della gonna. «Fa’ una piroetta per me». Regina fa una piroetta. «E sorridi, per amor del cielo. È il tuo gran giorno!»
Regina riesce a fare un sorriso forzato. È più vicina alle lacrime di quanto non la sia mai stata negli ultimi giorni e non è nemmeno sicura del perché.
«È sufficiente. Immagino che tu sia solo un po’ nervosa. Be’, questo è normale. Passerà. Non devo rammentarti di ricordare le buone maniere adesso, vero?»
Lei scuote la testa con veemenza. «No, mamma».
«Molto bene. Il giovane principe James e suo padre dovrebbero arrivare a momenti. Ti farò chiamare e farò le presentazioni. Il principe James ti terrà compagnia per la maggior parte della serata. Mi aspetto che tu ti comporti come una signora e non mandi tutto all’aria».
Regina annuisce docilmente. «Sì, mamma». Forse questo principe James si rivelerà essere una compagnia piacevole, chi lo sa? Di certo lei lo spera.
Quando la mamma se ne va, Regina si siede sul bordo del letto con la massima attenzione, così da non rovinare la gonna. Un momento più tardi, qualcuno bussa alla porta, e il papà entra. L’espressione sfinita sul suo viso viene sostituita da un sorriso quando lui la vede, ma è troppo tardi – lei lo ha già notato.
«Papà» sorride timidamente. «Guarda… non sembro affatto io, vero?» Fa segno al proprio aspetto.
«Sei bellissima in qualsiasi modo, cara. Quanto sei cresciuta velocemente» dice lui e lei ha l’impressione che i suoi occhi luccichino d’umidità.
«Volevo darti qualcosa. Per il tuo compleanno».
«Ma… avrò un ballo. Pensavo non ci sarebbe stato nient’altro».
«Tua madre ti dà il ballo. Io ti do questo». Le porge una vellutata scatolina per gioielli. «Avanti, aprila. Spero ti piaccia».
Curiosa e di nuovo positivamente eccitata, Regina la prende e solleva il coperchio. L’interno è di seta azzurro chiaro, è c’è un piccolo medaglione dorato poggiato lì sopra, dalla forma di un albero. «Un melo» esala lei. Gli occhi del papà brillano. «Grazie, papà!» Si abbracciano goffamente, intralciati dal vestito pesante. «Mettimela» lo esorta lei.
«Hai già una collana» le ricorda lui; e infatti, è un pesante gioiello di zaffiro che la mamma ha fatto fare appositamente per accompagnare il vestito.
«Non importa» dice lei. «Terrò questa».
Dopo un momento di esitazione, il papà si arrende, e i fastidiosi zaffiri vengono sostituiti dalla semplice catenella dorata. «Molto meglio» sorride lei.
La porta si spalanca e una servitrice sconvolta entra con passo malfermo per informare Regina che adesso è attesa nella sala ballo.

L’aria è pesante di profumo e vino, chiacchiere e pettegolezzi, danze e festeggiamenti. La testa di Regina gira – una macchia di colore continua a lampeggiare dentro e fuori dalla sua vista mentre lei piroetta per la pista da ballo. La sua mano è sudata attorno al pugno dello strascico che sta stringendo per evitare che lei o chiunque altro ci inciampi. Lei realizza con imbarazzo che l’altra mano, posata su quella del principe, deve essere nelle stesse condizioni, e si domanda se questo sarà considerata cattiva etichetta. Lei coglie uno scorcio di cremisi e distoglie rapidamente lo sguardo. Il sorriso che si costringe a rivolgere al suo ballerino porta uno sguardo molto compiaciuto sul volto di lui, malgrado ciò che in realtà si trova alla radice.
Il principe James è abbastanza bello. Le sue maniere sono impeccabili, proprio come la mamma le ha sussurrato nell’orecchio in un momento rubato dopo che sono stati presentati. Lui è probabilmente una persona da fiabe, il tipo che le ragazzine sognano. E chiaramente lo sa. La confidenza con cui cammina impettito rende Regina imbarazzata e un po’ invidiosa allo stesso tempo. Mentre la notte continua, però, la quieta invidia svanisce, e un lieve fastidio prende il suo posto.
«Milady», il principe le rivolge un inchino quando la musica cessa. Regina ricambia l’inchino con la massima grazia; in effetti è piuttosto felice della propria performance questa sera. Se non fosse per il tradimento dei suoi palmi appiccicaticci, tutto starebbe filando liscio. «Posso accompagnarvi al tavolo?» James le offre il braccio coperto di seta.
«Sì, vi ringrazio» concede lei. Tutti gli ospiti liberano la strada per loro mentre lui la guida al capo del tavolo.
«Vino per milady!» grida lui ad una domestica quando loro si sono a stento seduti.
Regina copre il suo calice per fermare il flusso del liquido rosso. «Basta per me, grazie» dice.
Il principe sembra sconcertato per un momento ma il suo sorriso a denti bianchi riappare quasi immediatamente. «La mia signora preferirebbe un po’ di torta?»
«N…» inizia lei, ma la torta le si materializza davanti prima che possa finire. A lei piace la crostata, non la torta… Rassegnata, prende la forchetta.
«Ho sentito che suonate il piano meravigliosamente, milady. Forse più tardi mi concederete il piacere di sentirvi suonare?»
Lo stomaco di Regina sprofonda. La prospettiva di suonare di fronte a così tante persone non la attrae nemmeno un po’. Una singola nota mancante le farebbe guadagnare vergogna agli occhi della mamma…
Quasi si soffoca con la torta quando la voce della mamma interviene da dietro: «Lo farà con piacere, caro principe. Non è vero, Regina cara?»
«Sì, mamma» replica Regina, intrappolata, a testa bassa. «Lo farò».
«Splendido» dice James con un sorriso vincente. La forchetta di Regina sbatte contro il piatto di porcellana. La torta non finita scompare prontamente.
I musicisti iniziano a suonare di nuovo. James si guarda attorno in modo indagatore. Qualche coppia si raccoglie sulla pista da ballo e molte altre stanno lanciando loro delle occhiate – Regina può sentire gli occhi su se stessa. James li ripaga con uno sguardo condiscendente. «Tutta la stanza attende vossignoria. Credo che la pista manchi di fascino senza di voi, milady. Posso avere l’onore?»
Sono solo parole vuote, le manda la sua mente senza preavviso. È tutto solo uno spettacolo. Lui sta facendo il principe, allo stesso modo in cui lei sta interpretando la giovane lady perfetta. Sarebbe uguale con chiunque altro, non gli importa di me. Non sa niente di me e non gli importa. Non significa niente.
«Preferirei restare seduta durante questa, vostra altezza. Se non vi dispiace» aggiunge, eseguendo il rifiuto più educato a cui riesce a pensare.
«Regina!» butta fuori la mamma, scandalizzata. «Sicuramente non intendevi rifiutare questo onore?»
Il principe sbuffa alle sue parole. «Nessuna offesa, Lady Cora. Sono sicuro che milady intendesse dire che è un po’ stanca per tutto il danzare», agita una mano benevolente. Regina fissa dalla mamma al principe. Tutti sembrano avere più peso di lei in ciò che vuole e sente e di cui ha bisogno. «Forse una piccola camminata nel giardino farebbe più al caso vostro». Lui si alza e le offre il braccio. «Il piacere sarà mio».
Regina non vede via d’uscita se non vuole attirare la rabbia della mamma e il risentimento del principe su di sé. «Il piacere è mio» recita. «Siete gentilissimo». Senza guardare la mamma neanche una volta, si lascia guidare all’esterno.
«I miei complimenti per lo splendido ballo che avete organizzato» dice il principe mentre camminano fuori sul terrazzo.
«A mia madre farà piacere sentirlo, Vostra Altezza» replica Regina. Dovresti dirlo a lei, non a me. Non significa niente per me, realizza con una lieve sorpresa. È la mamma che desidera ardentemente la tua approvazione.
Lei cerca febbrilmente un argomento più di suo gradimento. Dopotutto deve esserci di sicuro una persona sotto quella maschera principesca, se solo lei cercasse di conoscerlo meglio. «Ho sentito che le stalle reali contengano più di una centinaia di cavalli» osserva lei.
«Più di questo» replica James vanitosamente mentre oltrepassano la fontana mormorante. «E sono i migliori di tutta la terra. Ma non voglio annoiarvi con chiacchiere da uomini. Sicuramente ci sono argomenti più appropriati».
«Oh no» esclama Regina. «Io amo i cavalli!»
Il principe inclina la testa curiosamente. «Davvero? Be’, credo che i cavalli debbano sembrare abbastanza carini da guardare».
Qualcosa nel suo tono la irrita lievemente ma il rapimento è ancora più forte. «L’aspetto non è la loro parte migliore. Sono animali nobili, indipendenti, ma leali se prendi il tempo di stabilire un legame. Cavalcare rafforza il corpo e risolleva lo spirito», si trova a ripetere le parole che una volta ha sentito dal padre di Daniel.
«Be’… penso sia vero. Per noi possono essere un passatempo bello a sufficienza, specialmente quando si caccia. Ma neanche questo è un argomento appropriato per una lady. Non annoiamo milady con questo. È il vostro compleanno; siete voi che dovete essere adulata e lusingata con argomenti che vi siano cari. Dimenticate gli interessi principeschi, milady».
Ma i cavalli mi sono cari, grida lei nel profondo. Non dice niente, comunque.
«Vi piacerebbe sedervi vicino alla fontana per un po’, milady?»
«Per favore, chiamatemi Regina», lei alza speranzosamente lo sguardo su di lui. Solo questa notte è stata chiamata “milady” più volte di quante ne vorrebbe sentire in una vita intera.
«Ho paura di non aver ancora guadagnato questo privilegio, milady» risponde lui e la guarda quasi pietosamente – come se stesse cercando di coprire un passo falso che lei ha commesso nella sua ignoranza. Lei deglutisce ed emette un piccolo sospiro. Questo non porterà da nessuna parte. Siedono in silenzio finché Regina non può più sopportarlo e chiede se può essere scortata di nuovo al salone da ballo.
Almeno danzare richiede da scarsa a nulla conversazione. Adesso lei vi trova una certa consolazione, cede ai propri pensieri erranti, e si permette di essere guidata in un turbinio di colore e al ritmo della musica, dimentica di tutto.
Arriva il tempo perché i regali vengano consegnati. Molti di loro dovranno essere scartati più tardi in privato, e tanti saranno collane, orecchini, ventagli, eccetera. Il principe, comunque, l’ospite d’onore, è una questione diversa. Tutti gli occhi sono su di lei mentre lui le porge cerimoniosamente un grosso pacco rotondo. Regina sa quello che deve fare. Accetta il pacco con parole di ringraziamento adornate con le più eleganti cortesie, e si prepara per quello che deve arrivare.
Non le rimangono illusioni dopo quel guaio di conversazione nel giardino; senza dubbio questo non sarà un regalo di suo gusto. O il principe non si è preso il disturbo di scoprire niente su di lei, o la mamma lo ha male informato come considerava appropriato. Le sue paure vengono confermate quando i contenuti del pacco sono rivelati: una tiara ornata, bella oltre ogni dubbio deve concederlo… ed un set da cucito di lussuose decorazioni, cornici dorate, fine tessuto setoso, fili d’oro e d’argento e di seta, aghi dorati con delle perline in cima. Gli occhi di Regina traboccano di lacrime. Lei farfuglia qualche altra parola di ringraziamento e fa appello ad un sorriso a metà prima di scusarsi e fuggire dalla stanza.

La discussione che segue quando l’ultimo ospite se n’è andato è uno delle peggiori che ricorda – se non la peggiore.
«Cosa pensavi di fare? Non hai autocontrollo? Tu sciocca, sciocca bambina!»
«Ma mamma!» Lei emette un singhiozzo strozzato. «Ho fatto tutto quello che hai chiesto. Tutto quello che voleva il principe. Ho persino suonato il pianoforte! Ho finto di essere la lady perfetta che tu volevi che io fossi, sono stata… brava» finisce con la voce che si spezza.
«Hai finto di essere una lady? Perché non puoi semplicemente esserne una? Perché dovresti rifiutare una danza al principe? Ogni altra ragazza avrebbe dato metà della sua vita per danzare con lui!»
«Be’ allora lascia che lo facciano!» sbotta Regina. «Comunque non gli importa con chi danza. Non gli importa niente di me. Non gli importa chi sono, come sono, lui…»
«Perché dovrebbe importargli? Importa chi sei adesso? Potresti essere regina! Non capisci cosa significa questo?»
«Se significa vivere la mia vita intera in una mascherata come stanotte, non voglio niente di tutto ciò. Io voglio essere me stessa, voglio essere libera, e avere persone a cui piaccio perché sono io, non perché sono una lady o una regina. Odio quanto pretenziosi erano tutti, stanotte. Facendo oh e sospirando per il mio vestito, i miei capelli, le mie scarpe – persino per il pezzo al piano che ho fatto male. Ho odiato tutto, non voglio niente di questo!»
«Tu stupida ragazza! Non osare dirlo un’altra volta, mai, mi hai sentito? E non osare piangere, mai di fronte al principe! Grazie al cielo ha preso la tua stupidità per adorabile emotività davanti alla preziosità del suo regalo. Ma la prossima volta potresti non essere così fortunata. Quindi sii più furba!»
«La prossima volta…?» dice Regina raucamente mentre le lacrime le rigano le guance e il davanti dell’abito da sera.
«Pensavi fosse tutto qui? Certo che ci sarà altro, sarebbe considerato inappropriato per il principe farti una proposta di matrimonio dopo il vostro primo incontro. Anche se avevo delle speranze… se tu fossi stata affascinante a sufficienza. Ma questo ovviamente non era caso».
«P-proposta?» sussurra Regina, ad occhi spalancati.
«Oh, Regina. Accettalo. Ho sempre avuto intenzione di farti sposare un principe. È così che nascono le regine. Adesso svestiti e va’ a letto. Riprenderemo la conversazione domani mattina. Puoi andare nella tua stanza».
Tutto ciò che Regina può fare è controllarsi sulla via per la sua stanza. Le lacrime impregnano le sue ciglia e deve essere solo per miracolo che non straripano. Le sue falcate sono veloci e lunghe, la sua testa è tenuta alta; ma lei sa che la sua faccia non ingannerebbe nessuno. Lotta per reprimere un singhiozzo ma alla fine le sfugge comunque dalla gola. Ora fuori portata d’orecchio, lei inizia a correre.
Solo quando la porta le sbatte dietro lei si arrende alle lacrime: la rabbia e il dolore sanno d’amaro e di sale insieme. Prima che lei sappia cosa sta facendo, un pugno serrato atterra sulla porta con un colpo sonoro. Segue l’altro, e ancora il primo, e ancora, e ancora. Nessuno sente, nessuno arriva. Regina continua a picchiare contro la porta in un attacco di rabbia, finché le sue lacrime sembrano esaurirsi e nelle sue braccia non c’è più forza rimasta. Allora si lancia sul letto, completamente vestita, e fissa il soffitto.
Non è il disegno bluastro che vede però; invece, immagini della serata si inseguono nello sfondo della sua mente. Il principe e suo padre il re, intento a guardarla dall’alto al basso e ad annuire la sua approvazione verso la mamma dopo che Regina era entrata nella stanza. Tutti gli occhi su di lei mentre pronuncia il preparato discorso di benvenuto ed apre le danze. Il primo ballo, un po’ goffo all’inizio ma appropriatamente aggraziato dopo che la prima tensione è stata scrollata via. La mamma che la rimprovera in privato per aver rimpiazzato gli splendidi zaffiri con un semplice medaglione. Il sapore dolciastro della torta e i tasti freddi del pianoforte sotto le sue dita. Le chiacchiere, le vuote cortesie che non cambiano mai, i complimenti per il suo aspetto e per la fortuna di avere il principe in persona come partner. Il principe, una persona da fiaba, eppure un contenitore vuoto simile al resto di questa farsa chiamata la sua festa di compleanno, galante ma senza empatia, cortese ma senza emozione, volto a compiacere ma senza un grano di reale interesse per lei.
Mi piacciono le crostate, non le torte. I cavalli, non il cucito. La vita, non la prigione della mascherata sociale. Gli stallieri, non i principi. Perché non capiscono? Voglio essere me stessa, ma sembra che a loro importi solo di Regina la recita, Regina la lady. Regina la figlia obbediente, che non è mai abbastanza brava. Eppure tutto ciò che io voglio essere è… Regina.
Si obbliga ad alzarsi con un sospiro e inizia a rimuovere le tante parti del proprio vestito elaborato. Respira più liberamente non appena il corsetto è sparito, e una parte considerevole del suo mal di testa sembra ritirarsi mentre lei si scioglie i capelli. Lascia il medaglione per ultimo. Si ferma col gancio aperto. Prendendo una decisione dopo un momento, ci vuole un altro po’ perché lei riesca a chiuderlo di nuovo – il medaglione resta. La sua camicia da notte, ampia e morbida contro la sua pelle, non è mai stata più confortevole di adesso. Lei tira indietro le coperte con sollievo e si ferma a metà dell’azione.
Un libro giace appena sotto il suo cuscino a faccia in giù. Quando lei lo raccoglie, un biglietto piegato cade dalle pagine. Lei lo apre impazientemente. Dice: Un trotto leggero è una cura – molto di più. Godilo. Buon compleanno dal tuo amico. Sorridendo per quella che sembra la prima volta in quel giorno, Regina gira il libro per leggere il titolo: Sull’equitazione, dice. Lei si trascina nel letto, si tira le coperte sopra la testa, e si appisola con le braccia piegate attorno al libro e un lieve sorriso sulle labbra.
















NdT:
Capitolo più lungo davvero! Spero che vi sia piaciuto =)
Fare distinzione tra torta e crostata è l
’unico modo che ho trovato per rendere la differenza tra cake e pie... Oh, be’.
Se riesco, vedrò di finire il prossimo capitolo per martedì 17, ma è probabile che dovrò rimandare di nuovo l’aggiornamento…
Comunque sia, alla prossima!

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Capitolo 12
*** The Place of No Return ***


Note dell’Autrice: A tutti voi che seguite dall’inizio o che vi siete aggiunti solo recentemente – grazie per leggere! Abbiamo raggiunto una svolta più cupa della storia.
TRIGGER WARNING: morte.






Capitolo 12
The Place of No Return

Il giorno seguente, il fiasco del ballo grava pesantemente sul cuore di Regina. Lei si sveglia alle prime luci ma tiene gli occhi saldamente serrati nella speranza di evitare questo nuovo giorno il più a lungo possibile; non è pronta per un altro sfogo dell’ira della mamma. Mentre rotola sul fianco per nascondere il viso dalla luce del sole che sorge, urta il libro che le è caduto dalle mani durante la notte. Sull’equitazione. Senza dubbio la cosa migliore del giorno precedente, ed è tutto grazie a Daniel. Regina lo guarda di traverso, ancora riluttante a svegliarsi completamente ma comunque sorridendo alla vista dell’enorme tomo. Che il principe James si tenga i suoi aghi ingioiellati e i suoi telai da cucito, e gli ospiti tutti i loro abbigliamenti costosamente sfarzosi; Daniel le ha dato qualcosa che è veramente suo, perché lui la conosce, e ci tiene. Cosa importano tutti i doni dispendiosi se sono solo fredde cortesie?
Solo allora lei realizza un’altra cosa riguardo il regalo di Daniel. I libri sono costosi. Forse non per i principi, che dilapidano denaro in tiare lussuose e non sentono mai la mancanza di un soldo, ma per uno stalliere, un libro come quello che lei sta sbirciando è un’impresa stravagante. Lui deve aver risparmiato per secoli. Tutt’a un tratto lei non ha più voglia di ritardare il giorno.
Regina scalcia via le coperte ed esce in fretta dal suo letto caldo. Spalanca la finestra, come si è abituata a fare d’estate. Una folata di vento freddo la colpisce forte in faccia, e lei fa forza sulla finestra per chiuderla di nuovo. Afferra d’impulso un mantello da un gancio e lo getta sul letto così da non dimenticarlo più avanti, e rovista in un cesto alla ricerca di un paio di calze e di un abito caldo.
Daniel sarà già alzato, riflette mentre esce furtivamente dalla porta sul retro. I domestici sono già impegnati, certo, ma i suoi genitori sono sicuramente profondamente addormentati. Lei va dritta alle stalle.
«Daniel?» chiama dalla porta. «Edric?» Non c’è risposta all’infuori del nitrito di una coppia di cavalli. Lei riconosce il proprio in un battito di cuore. «Buon giorno, Ronzinante» dice e corre avanti per dargli un abbraccio affettuoso. Guardandosi attorno, nota un’altra cosa strana – non solo Daniel non è lì ma tutto il lavoro del mattino sembra essere già stato fatto. «Persino Daniel non si sveglia così presto» si rivolge a Ronzinante. «Mi chiedo quando fosse qui, e perché la fretta?» Ronzinante la guarda seriamente e strofina il muso contro le sue mani. «Non importa». Lei gli sorride. «Lo scoprirò per conto mio».
La casetta è ad una distanza abbastanza breve da essere attraversata rapidamente. Il sole è appena sbucato dall’orizzonte quando lei bussa alla porta. Aspetta una risposta ma non ne arriva nessuna, così spinge la porta cautamente, chiedendosi se questa volta può aprirla senza che cigoli. Salta fuori che può, e lei si congratula con se stessa per la propria impresa. La stanza sembra vuota. Il letto enorme che una volta è stato sistemato temporaneamente lì nel corso della malattia di Edric è stato ovviamente fatto tornare nell’altra stanza, e al suo posto c’è un tavolo grossolanamente inciso e tre sedie.
«Ehi?» sussurra lei istintivamente.
«Regina». La voce, poco più di un gracidio, viene da un angolo accanto alla finestra. La sorprende per una frazione di secondo. È lo stesso angolo in cui lei e Daniel sono stati seduti in una notte cruciale, dando medicine a suo padre e parlandosi l’un l’altra dei propri genitori. Una figura scura è seduta su una sedia vicino alla finestra, intenta a fissare in lontananza.
«Daniel!» Lui non si muove, non gira nemmeno la testa per guardarla. «Non mi hai vista arrivare?»
«Sì… sì, ti ho vista». La risposta arriva dopo un po’ e apparentemente da una grande e spaventosa profondità.
Allora perché non ha risposto quando lei ha bussato? Non sembra neanche volerla vedere. Quella fredda accoglienza taglia profondamente. «Volevo ringraziarti per il libro» dice comunque lei alla schiena di Daniel. «È senza dubbio la cosa migliore di ieri. Daniel, ho avuto una giornata orribile, non puoi neanche immaginare che scocciatura è stata questo ballo… Perché non dici niente?» Non c’è proprio risposta; è come se Daniel non avesse neanche sentito. La faccia di Regina brucia. «Vuoi che me ne vada?»
«No. Non andare. Per favore».
Finalmente Daniel si gira. Un raggio di luce cade proprio sul suo viso, tracciando i suoi lineamenti affilati e chiari; gli occhi vuoti, le labbra morsicate, le guance incavate. C’è una floscezza nelle sue spalle che Regina non ha mai visto, e i suoi capelli sono spettinati. Un brivido corre lungo la spina dorsale di Regina. Lei si precipita su Daniel, lo afferra per le spalle, e lo guarda dritto in faccia.
«Daniel, cosa c’è che non va? Cos’è successo? Sei malato?»
Le labbra di Daniel si piegano in una smorfia contorta, poiché niente è mai stato più diverso da un sorriso. «No, Regina, non si tratta di me» dice lui quietamente, e finalmente i suoi occhi recuperano un po’ di concentrazione mentre ricambia seriamente il suo sguardo. «Si tratta di mio padre».
Per un po’, Regina rimane senza parole. Vuole obiettare, vuole dirgli che è solo un’altra ricaduta come quelle di prima, che lei prenderà più zafferano o qualsiasi altra cosa di cui Edric possa aver bisogno per ristabilirsi velocemente. Ma proprio allora, guardando dritto in quegli occhi, sa che niente di questo ha più importanza.
«È…» inizia con voce tremula e lascia la domanda ad aleggiare nell’aria.
«Non ancora». Lui scuote la testa. «Ma… potrebbe succedere da un momento all’altro».
«Daniel…» Lei esala un respiro. I suoi occhi pizzicano molto. Sii forte per lui adesso, le dice una voce interiore, nel modo in cui lui è sempre stato forte per te. Lei caccia indietro le lacrime e inghiottisce l’amarezza che le si sta raccogliendo in gola.
«Il dottore… è dentro con lui – per togliere il peggio del dolore. Mi lascerà parlare di nuovo con lui più tardi se il papà… se se la sente». Lui la fissa negli occhi come se stesse cercando una risposta a una qualche domanda misteriosa conosciuta soltanto – o forse nemmeno – da lui. I suoi occhi sono asciutti; lei può vedere che sta cercando di essere forte. Forse non dovrebbe.
«Io rimango qui» gli dice, senza mai rompere il contatto visivo, come se stesse parlando ad un bambino piccolo. «Starò qui tutto il tempo, va bene?»
Daniel appoggia le mani su quelle di lei mentre ancora giacciono sulle sue spalle, e le stringe leggermente.
«Va bene» mormora. Per la sorpresa di lei, si alza e prende una sedia per lei, sistemandola direttamente di fianco alla sua accanto alla finestra. Sembra un po’ più calmo quando torna a sedersi vicino a lei.
«Mi dispiace per il ballo» dice dopo un momento di silenzio. Regina si sente incredibilmente sciocca.
«Non è importante» dice miseramente. «Non avrei dovuto dire niente, sono stata stupida ad essermi lamentata di uno sciocco ballo quando tu…»
«Non lo sapevi» la interrompe lui, «e non sei stupida. Inoltre, penso… preferirei comunque parlare di qualcos’altro invece che di papà per un momento».
Quella sembra una buona idea. Eppure lei non può semplicemente spingersi a preoccuparsi di qualcosa di blasé come un ballo in un momento come questo. Fortunatamente, non deve cercare a lungo un argomento più adeguato.
«Non del ballo» gli dice. «Ma parliamo del libro. Ho solo guardato la copertina» ammette, «ma sembra proprio meraviglioso. Proprio il genere di regalo per me. Quindi… grazie». Sorride cautamente – un sorriso sembra inappropriato nel presente contesto eppure necessario in relazione al libro,
Sorprendentemente, Daniel sorride di rimando – solo un sorriso piccolo, certo, ma comunque un vero sorriso. «Sapevo che lo avresti amato. Aspetta di iniziare a leggerlo veramente – le immagini sono bellissime, e chiunque lo abbia scritto era un maestro nel suo mestiere. Vedrai».
Lei annuisce, e una debole eco di felicità volteggia nel suo stomaco a dispetto della tetra situazione. Eppure – osa chiederglielo, o lui lo troverà insultante?
«Daniel, è il regalo più meraviglioso in assoluto, ma voglio che tu capisca… Non ha importanza quello che mi dai, lo apprezzerò sempre. Non deve essere nulla di grosso». Lo guarda nervosamente in attesa della sua reazione.
Il suo viso si oscura un po’ e all’inizio lui non dice nulla. Poi, per il sollievo di Regina, il cipiglio si solleva dalla sua fronte, anche se la sua replica rimane solenne. «So che sei benintenzionata. Ma non preoccuparti per me; mi prenderò cura di me stesso».
Lei lo scruta ansiosamente. Daniel continua con maggior urgenza: «Tu sei mia amica e te lo meriti. Tutto quel che voglio sapere è che ti porta gioia».
Il cuore di lei manca un battito alle sue parole. Nessuno mi ha mai detto niente di simile finora. Come in replica al pensiero inespresso, Daniel le prende la mano e la stringe. Lei combatte di nuovo le lacrime, e alla fine riesce a dire: «È così. Sarà così. Io… ti ringrazio».
Per un po’ questo è tutto ciò che deve essere detto.
È Daniel che alla fine spezza di nuovo il silenzio: «Andremo presto a cavalcare, non è vero?» La tristezza è tornata ad insinuarsi nella sua voce.
«Certo» concorda lei, chiedendosi perché lui debba anche solo porre una simile domanda, e decidendo che è probabilmente per spingere i pensieri più cupi fuori dalla sua mente. Così lei si sforza di continuare la conversazione, o almeno l’illusione di essa. «Ronzinante ti saluta. L’ho visto alle stalle prima di venire».
Daniel è proprio sul punto di parlare quando un rumore forte e sordo lo interruppe dalla stanza vicina – come se qualcosa fosse caduto sul pavimento. Gli occhi di entrambi schizzano automaticamente alla porta ma essa rimane chiusa. Regina guarda Daniel furtivamente. Lui fissa immobile la porta con un’espressione vacante sul volto – la stessa che indossava quando lei è arrivata. Lei non pensa che ci saranno altre conversazioni casuali, non ce ne sarà nemmeno l’illusione.
«Daniel?» Almeno adesso la sua voce viene registrata e lui si gira per guardarla. Scuote la testa miseramente e mima una parola silenziosa che lei legge come “scusa”. «Va bene. Starò semplicemente seduta con te, d’accordo?»

Il tempo procede lentamente con insopportabile immobilità. Daniel fissa fuori dalla finestra senza batter ciglio per il resto della mattina. Non potrebbe dire cosa c’è all’esterno nemmeno se la sua vita dipendesse da questo. Regina siede vicino a lui proprio come ha promesso, tenendolo per mano. Nessuno di loro due cerca di forzare una conversazione. Dopo quel primo rumore, niente sembra muoversi nella stanza accanto a loro.
Regina passa dallo sbirciare fuori dalla finestra al contemplare il contenuto della stanza. Per lo più, però, continua a lanciare occhiate al viso di Daniel, cercando un’emozione, un mutamento d’espressione, o persino un cambiamento di posizione. Ogni volta che guarda, la stanza sembra esattamente la stessa di prima: gli scaffali con la scorta di cibo ed erbe e utensili di cucina, il tavolo grezzo e le sedie, il caminetto con il fuoco quasi spento. Ogni volta che guarda, il viso di Daniel sembra lo stesso di prima: vacante, distante, e torturato. Le sembra che il tempo debba essersi congelato nella casetta. Solo fuori scorre e porta cambiamento: il cielo è diventato scuro, per esempio, e l’erba è costantemente arruffata dal vento. Regina rabbrividisce. Ci vuole un po’ prima che si renda conto che è una risposta al caminetto che si raffredda più che la memoria del vento mattutino che si alza. Si chiede se anche Daniel abbia freddo, e se sarebbe imbarazzante alzarsi per fare un fuoco appropriato. In qualche modo sembra triviale, e lei rimane seduta, lievemente vergognosa.
Il padre di Daniel sta morendo, pensa. Edric sta morendo. Rigira timorosamente quell’idea ancora e ancora, esaminandola da ogni lato, e lentamente la lascia penetrare. Sembra così assurdo, così incredibile. Eppure incombe sopra di loro proprio ora, e Daniel dice che è una cosa certa, e non solo lei gli crede ma ne sente anche la verità nello stomaco. Era così gentile con me, sempre, e mi ha aiutata quando volevo cavalcare, e mi ha aiutata a guarire dopo la mia malattia. Vorrei poterlo aiutare, ora. Vorrei poter aiutare Daniel. Cosa farà quando suo padre non ci sarà più? Nonostante tutti i loro difetti e i loro problemi, Regina non riesce a immaginare cosa farebbe senza i suoi genitori – entrambi. E Daniel ha già perso sua madre e la sua sorellina, gli è rimasto solo suo padre. Gli occhi di lei si riempiono di lacrime al pensiero. Non devo, si dice. Non devo piangere, devo essere qui per Daniel. Non piangerò. E di sicuro non ho freddo.
«Regina…?» Lei trasale lievemente, tanto inaspettato arriva il sussurro di lui.
«Sì?»
«Faresti qualcosa per me?» Lui si ferma bruscamente.
«Sì, naturalmente, è per questo che sono qui. Dimmi solo cosa devo fare».
«No, dimenticalo. Non posso, non è giusto».
«Cosa non è giusto? Daniel, per favore, dimmelo. Cosa vorresti che io facessi?»
«È solo… i cavalli. Sono a posto per quanto riguarda il cibo ma l’acqua deve essere cambiata, io ho…»
«Lo farò io» lo interrompe lei.
«È il mio lavoro» dice lui miseramente.
«Lo farò io» ripete semplicemente lei mentre indossa il proprio mantello.
«È pesante, non dovresti…»
Regina pesta un piede in modo impaziente. «Daniel, smettila adesso. Ho detto che l’avrei fatto, e lo farò. Tu rimani qui, tornerò subito».
«Ho solo pensato, perché… be’, non voglio lasciarlo qui nel caso che lui… nel caso succeda qualcosa mentre sono via».
«Lo so» risponde lei piano. «Va bene, davvero, posso occuparmene. Tornerò presto».

Corre lungo tutta la strada per le stalle per essere più veloce possibile. Per la sua esasperazione, il secchio non è accanto al pozzo. Lei si precipita dentro per cercarlo, o trovarne un altro da usare, e per la sua sorpresa, va letteralmente a sbattere contro il papà.
«Papà! Cosa ci fai qui?»
«Io? Cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere a casa del tuo amico?» Sconcertata, Regina alza lo sguardo su di lui in modo inquisitorio. C’è un brillio divertito negli occhi del papà, ma per il resto il suo volto è desolato.
«Quindi sai di Edric?»
«Certo, tesoro. Ho mandato a chiamare il dottore questa notte. Mi ha detto che non c’era più niente che si potesse fare. Il giovane Daniel era già qui al lavoro stamattina prima che potessi sollevarlo dai suoi incarichi. Almeno il cambio dell’acqua è un compito di cui ho pensato di potermi occupare da solo».
«Lo dirò a Daniel» dice Regina con gratitudine e gli dà un rapido abbraccio. Aggrotta la fronte quando lo lascia. «Ma per quanto riguarda la mamma?»
Il papà sospira. «Non lo sa. Fin quando tutto sembra curato all’apparenza non ha ragione di interessarsene o, effettivamente, di venire e guardare. Daniel dovrà comunque riprendersi fin troppo velocemente perché non sarò in grado di nascondere la sua assenza per più di un giorno o due al massimo».
È tremendamente poco, protesta interiormente lei. Ma il papà ha già fatto più di quanto ci si sarebbe potuto aspettare da lui. La gentilezza è nella sua natura, lei lo sa, ma così è la paura della mamma. Lui dovrà coprire anche lei come Daniel una volta che la mamma avrà notato la sua assenza, cosa che deve già esser successa.
Lei ricorda di avere un posto dove essere. «Ora vado. Daniel ha bisogno di me. Grazie, papà».

Quando Regina spalanca in fretta la porta della casetta, tutto sembra uguale a prima che lei se ne andasse. Solo ad una seconda occhiata lei nota le fiamme che scoppiettano allegramente nel caminetto. Dunque Daniel lo ha notato, e si è preso il disturbo di rimediare. È un buon segno, giusto? Ansimando leggermente, lei chiude la porta dietro di sé.
«Grazie, Regina» mormora Daniel dal suo posto vicino alla finestra.
«È tutto a posto» replica lei mentre si tira via il mantello e lo lancia sullo schienale della sedia. «Mio padre era già lì, ha detto che hai il giorno libero, non devi preoccuparti dei cavalli».
«È gentile da parte sua. E tua. Lo apprezzo».
«Quindi… non c’è stato niente di nuovo, vero?» domanda lei cautamente, sedendosi accanto a lui.
«Niente di niente».
Proprio mentre lei cerca la mano di Daniel, la porta dell’altra stanza si apre. Regina salta in piedi, e Daniel si svincola dalla sedia così bruscamente da farla cadere con fracasso.
Il dottore sembra familiare, e Regina realizza che è lo stesso che si è preso cura di lei tanto tempo fa quand’era malata. Sembra persino più vecchio e più avvizzito di allora, i suoi capelli più lunghi ma più radi, e il suo viso una ruga su ruga. Le sue mani sono sorprendentemente ferma però, nota lei – la candela che regge brilla di un arancione fermo, brillante. «Ah, signorina Mills», lui inclina curiosamente la testa, quindi annuisce lentamente. «Molto bene». Si gira verso Daniel. Entrambi pendono dalle sue labbra, pieni di ansia. «Daniel. Sai che oggi porto solo cattive notizie. Il momento è arrivato. L’effetto del papavero sta svanendo, e tuo padre si sta svegliando. Adesso puoi parlare con lui».
Daniel si lecca le labbra e annuisce, ma le sue gambe rifiutano di muoversi. Fa per parlare, ma le parole lo abbandonano numerose volte. Alla fine ottiene un rauco: «È così?»
Il dottore annuisce. «Sì. È così».
Regina allunga la mano per la spalla di Daniel ma dura poco; Daniel è finalmente riuscito a far sì che le sue gambe muovano il primo passo verso la stanza, e il secondo dopo questo, e non si ferma né esita mai prima di scomparire oltre la porta. Il dottore la chiude quietamente e si muove verso il tavolo. Mette giù la candela e prende una sedia con difficoltà – la sua altra mano è occupata a stringere un bastone per supportarlo.
«Perché non ti unisci a me, signorina Mills. Potrebbe essere una lunga attesa, o una molto breve – ma ahimè, sembrerà interminabile in entrambi i casi».
Solo allora lei realizza di avere ancora il braccio teso e la bocca aperta. Lo abbassa con un sospiro pesante. Le sue gambe sembrano traballanti lungo la strada verso il tavolo, e lei si lascia cadere sulla sedia come un sacco di patate.
«È bello vedere che siete stata bene, signorina Mills, anche se l’occasione è ovviamente la più sfortunata».
Regina annuisce, ma le parole sembrano averle a stento raggiunto il cervello. Per qualche ragione tutto sembra indistinto, come se il mondo fosse racchiuso in una nuvola scura e pesante di una catastrofe materializzata. Lei fissa gli occhi sul vecchio di fronte a lei e sussurra: «Lui… lui sta davvero per morire?»
L’uomo la indaga curiosamente prima di replicare gentilmente ma con franchezza. «Sì, bambina».
La sua rassegnazione la costerna ancor più delle sue parole, e la riempie di un genere di rabbia: «Non c’è niente che potete fare? Proprio niente? Com’è possibile?» I suoi occhi concludono ciò che le sue parole non hanno espresso: un’accusa silenziosa, una protesta contro l’inevitabile.
«Possiamo fare solo così tanto. Questa è la maledizione della nostra professione. Alcuni si possono guarire, sì, e questa è una meraviglia oltre ogni meraviglia… Eppure aver visto tanti morire…»
La mitezza della sua risposta la sorprende. Lo guarda attentamente, e non vede più un saggio, ma un uomo ordinario, indebolito dall’età e dal peso della sua professione. La sua rabbia evapora, e l’empatia prende il suo posto, e poi un’improvvisa ondata di paura.
«La morte è un mostro» sussurra, «un mostro che gioisce nel lasciar soffrire le persone quando i loro amati svaniscono lentamente, quando forse sarebbe più gentile prenderli in un colpo senza avvertimento. È l’unico mostro che dovremmo temere, peggiore di tutti i draghi del mondo».
Il dottore sorride mestamente. «È sia vero che falso. La morte è una dea a due facce, che offre dolore con una mano e sollievo con l’altra».
Regina scuote la testa vigorosamente. Non ha senso, semplicemente. Si asciuga il viso con una manica – quando è iniziato il fiume di lacrime?
«Piangi, bambina» dice l’uomo con una voce asciutta ed esausta, «per i morti. Ma poi ricorda i vivi».

Il tempo passa in silenzio. Né il dottore né Regina dicono una parola. Il giorno si è trasformato in notte attorno a loro, senza che l’abbiano notato. Un gufo chiurla. La porta si apre. Daniel esce vacillando, pallido come un fantasma. Sia Regina che il dottore lo fissano intensamente.
«Se n’è… andato».
Regina scoppia di nuovo in lacrime. Si alza e corre verso Daniel. Gli occhi di lui non sono a fuoco e lui cammina come se fosse in un sogno. Piangendo quietamente, lei mette un braccio attorno alle sue spalle e lo guida gentilmente ma risolutamente verso la sedia che ha appena lasciato libera. Per allora il dottore si è alzato in piedi, anche se con molta più difficoltà. Dà una pacca a Daniel sulla spalla.
«Me ne occuperò io da qui. Piangilo, ragazzo». Rivolge un ultimo sguardo a Regina e si trascina oltre la porta.
Sono di nuovo soli.
Daniel siede al tavolo proprio come è atterrato, come se la sua anima se ne fosse andata col defunto. Sentendosi perfettamente inutile, Regina si siede accanto a lui e prende le sue mani nelle proprie. Lui emette un piccolo sospiro al tocco ma rimane distante. Lei cerca febbrilmente delle parole di incoraggiamento, ma le poche che le vengono in mente sembrano vuote e prive di significato ancor prima che lei le esprima.
«Daniel…» sussurra. Niente di più. Continua a strofinare le sue mani nelle proprie, come se potesse trasmettere un po’ di vita nel suo essere esamine. Il vuoto nei suoi occhi la spaventa.
«Daniel» implora.
Non c’è assolutamente alcuna reazione. Lui non sembra nemmeno batter ciglio. La gola di Regina si stringe alla vista di lui – così completamente perso, così desolato. È ancora lui?
«Daniel, ti prego!» grida e lo scuote.
Finalmente, lui la guarda. Anche se i suoi occhi gridano di dolore, lei sospira di sollievo – lui è ancora lì, c’è della vita dietro tutto quel dolore e quella tristezza. Lui apre la bocca… poi la richiude, scuotendo la testa.
«Non puoi…» dice lei. «Lo capisco. Sarò qui quando ci riuscirai. Solo, per favore… non tornare di nuovo in quel posto».
Per un momento lui sembra sorpreso. Un lampo di riconoscimento appare momentaneamente sul suo viso, e lui le rivolge il più piccolo dei cenni del capo. Mentre i suoi occhi seguono il movimento, si fermano sulle loro mani, entrambe le sue strette in quelle di lei, e prima che uno di loro sappia come, si ritrovano in un saldo abbraccio, con le teste che poggiano sulla spalla dell’altro.
Un bel po’ di tempo più tardi, la mezzanotte nera li trova proprio così, con Regina che disegna motivi confortanti sulla schiena di Daniel con la propria mano, e lui che respira persino in modo più calmo il lieve aroma dei suoi capelli.
«Se n’è andato» sussurra nella spalla di lei. «Scomparso, e non scomparso. Sarà ancora con me tutti i giorni. I cavalli erano la sua vita, ed io. Be’, sentirò la sua presenza ogni giorno». La sua voce è rauca ma di nuovo piana.
Regina tira su col naso ed annuisce. «La sentirai. E anch’io lo ricorderò. Mi ha dato la mia prima lezione di equitazione, e mi ha insegnato delle anime dei cavalli, e come le nostre possano connettersi con loro; come potrei dimenticarmene? Gli somigli molto. Era orgoglioso di te, ne sono sicura».
Lui si ritrae da lei e la guarda negli occhi, e… sorride.












NdT:
Se necessitate coccole e/o fazzoletti, sono pronta a fornirveli.
Incredibile ma vero, sono riuscita a tradurre questo capitolo in tempo… Vedremo se riuscirò ad essere puntuale anche la prossima settimana (ne dubito molto, però, visti gli esami ODDIO CHE ANSIA).
A martedì prossimo (se tutto va bene), bellissimi!

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Capitolo 13
*** On the Line ***


Nota dell’Autrice: In questo le cose si stanno facendo complicate per Regina e Daniel – soprattutto per Daniel.


Capitolo 13
On the Line

«Sono passati tre giorni» rimugina Cora mentre aggiunge un pizzico di zucchero in più al proprio tè. «Mi sarei aspettata che le stalle finissero completamente in rovina, ormai».
«Perché?» Regina appare da dietro la tenda di vapore che si alza dalla tazza.
«A causa del brutto affare del decesso dello stalliere, naturalmente».
«Ora Daniel non ha preso il controllo dei doveri di Edric?» chiede Regina. La verità è che ha visto Daniel solo per poco tempo ultimamente, quando è uscita di nascosto per il funerale di Edric l’altro ieri; e quello non era il momento di parlare di simili argomenti.
«Daniel non è abbastanza qualificato per occuparsi delle responsabilità di suo padre, mia cara. Lavorare fianco a fianco col padre è una cosa, e riuscire nell’intero mestiere è davvero un’altra».
«Può farlo» dice Regina con convinzione.
«Sarò io il giudice di questo. Tutto ciò di cui devi preoccuparti è il tuo nuovo vestito. Io farò delle sistemazioni per l’appropriata direzione delle stalle».

Lei riesce ad uscire furtivamente quella sera tra la cena e un’altra delle tante prove d’abito. Prevedibilmente, Daniel è alle stalle quando lei fa irruzione, ansimando. Lui si gira bruscamente al suono del suo arrivo.
«Regina! È da un po’ che…»
«Sono venuta ad avvertirti» esala lei. «La mamma sta considerando di assumere un nuovo stalliere se trovasse ragioni per cui tu non possa svolgere il lavoro da solo. Assicurati di non dargliene nessuna».
«Troppo tardi» sospira lui. «So del colloquio. Il cocchiere me lo ha detto».
«Il colloquio?»
«Sì, non lo sai? Lady Cora incontrerà potenziali stallieri al villaggio tra qualche giorno».
«Ma allora non avrebbe dovuto dirtelo lei stessa? Perché ti ha mandato il messaggio tramite il cocchiere?»
«Regina. Non c’era nessun messaggio. Non dovrei saperlo. Lei non mi sta considerando per niente. Vuole qualcun altro».
«Ma… perché? E questo dove ti lascia?»
«Non lo so. Da nessuna parte, davvero. Forse intende tenermi da parte. Più probabilmente vuole solo un sostituto, però. Credo che vorrà che io me ne vada».
«No! Cosa stai dicendo? Non puoi andartene! Tu dovresti essere il nuovo stalliere, l’unico!»
«Non so perché tua madre abbia problemi con me. È difficile convincerla quando non conosco le sue motivazioni. Non è mai stata vista molto alle stalle, ma adesso le sta definitivamente evitando».
«Le parlerò» offre lei d’impulso, eppure il suo stomaco si rivolta quando un’immagine mentale della scena le attraversa la mente.
«No» rifiuta lui con franchezza. «Questa è la mia battaglia. Devo convincerla io, altrimenti restare non è il mio posto».
«Ma hai appena detto che lei non ti sta considerando per niente».
«Ho anche detto che so una cosa o due che non dovrei sapere. Lo userò a mio vantaggio. Posso fare questo lavoro. Mio padre mi ha cresciuto per questo. È quel che amo e che sono bravo a fare. Non mi arrenderò senza combattere».
La porta sbatacchia mentre una folata di vento la colpisce. Regina trasale. «Oh… devo andare. La cena» dice in tono di scuse. Contro se stessa, si gira alla porta: «Daniel, se…»
«Va’» dice lui. «Me ne occuperò io».

Con tanto lavoro nelle proprie mani, Daniel ha a stento il tempo di abbandonarsi al dolore durante il giorno. È vero, ogni momento che trascorre nella vicinanza dei cavalli è in un certo senso un ricordo di suo padre; eppure questo genere di memorie le trova benaccette, persino confortanti. Ormai è un po’ che Daniel assolve la maggior parte dei compiti di suo padre, specialmente quando ultimamente Edric era malato e costretto a letto. Ogni aspetto del lavoro gli è familiare. Ciò che ho detto è vero, riflette mentre pulisce i ferri di Ronzinante, questo è quel che so fare meglio. Papà sapeva di poter contare su di me. Mi ha detto che ero pronto un po’ di tempo fa. È vero, allora era già malato… Daniel respinge velocemente quel pensiero: Edric non glielo avrebbe mai rassicurato falsamente se non fosse stata una sua onesta convinzione, nemmeno alle soglie della morte.
Eppure senza di lui, ogni cosa sembra in qualche modo molto più schiacciante. Anche se Daniel era abituato a prendere decisioni per conto proprio, c’era sempre suo padre dal quale andare per un consiglio o una guida nel caso ne avesse avuto bisogno, o anche solo per discutere qualunque questione potesse esserci, come un muscolo infiammato o un ferro di cavallo scheggiato, o la dieta migliore per un cavallo malato – e poi c’era anche il resto del mondo al di là della conoscenza dei cavalli. La sola idea che lui fosse lì era più confortante di quanto Daniel avesse mai realizzato finora. Ora dovrà contare interamente su se stesso, senza nessuna rete di sicurezza sulla quale rimbalzare.
Per quanto i giorni siano schiaccianti, le notti sono molto peggio. Daniel desidera di poter cadere sul letto dopo un giorno di duro lavoro ed assopirsi immediatamente come sempre, ma questo non sembra più possibile. È solo una fase, si dice mentre fissa il soffitto scuro nella casa egualmente scura, di cui ora lui è il solo occupante. Anche questo sembra strano. Tutto è in qualche modo cambiato; le cose possono sembrare quasi le stesse, ma non sono più nulla del genere.
Quando finalmente riesce a cadere in un sonno inquieto, sogna giorni da tempo finiti: sua madre che lo aiuta pazientemente a togliere le erbacce dalla sua pezza di vegetali; suo padre che con calma lo guarda imbrigliare una giumenta particolarmente eccitabile; e le notti in cui entrambi sono morti lasciandolo solo, e le parole che hanno detto e come ci si sente. Quando i primi raggi della luce solare lo svegliano, è solo felice di immergersi di nuovo nel lavoro per scacciar via quelle memorie.
Mentre i giorni passano, si trova ad aspettare con impazienza l’alba e a temere ancor di più il  crepuscolo. Le ore che trascorre al lavoro si protraggono sino a tarda notte, in gran parte per posticipare il tempo in cui è confinato in quello che dovrebbe essere un momento di riposo e ricarica ma che di fatto prosciuga tutta la sua energia mentale. Lui giustifica le proprie azioni assicurandosi che almeno il lavoro è fatto senza difetto. L’esaurimento fisico e mentale che infligge a se stesso, però, inizia presto ad esigere il suo tributo, e lui si sente diventare più testardamente, avventatamente determinato. Non passa un giorno senza che si scervelli riguardo ad un modo per far sì che Lady Cora riconosca le sue qualità come stalliere, e la sua risolutezza di portarlo a compimento cresce ogni giorno.
Cercando qualcosa da fare nel tardo pomeriggio, Daniel si guarda attorno e trova le stalle impeccabilmente pulite e i cavalli perfettamente curati. Con un disperato bisogno di tenersi occupato per quanto tempo è possibile, si mette a spazzolare Ronzinante un’altra volta, anche se probabilmente il suo mantello non è mai stato più lucido. Perso nei pensieri, registra a malapena il cocchiere che lo chiama, finché l’uomo non entra zoppicando con un’espressione esasperata in volto.
«Daniel» sbuffa, «Contessa e Barone dovrebbero essere pronti per andare tra un attimo. Non hai ancora neanche cominciato?»
Per quanto in questi giorni Daniel sia riluttante a connettersi con la realtà, questa volta vi atterra immediatamente. «La carrozza» si lascia sfuggire, «è stasera, giusto?» Si maledice in silenzio e mette da parte la spazzola. Ronzinante protesta per l’interruzione della piacevole strigliata ma non ottiene più attenzione.
«Vuoi una mano?» chiede il cocchiere nervosamente. È una sorta di responsabilità condivisa: le ripercussioni sarebbero più dure per Daniel ma in una certa misura coinvolgerebbero anche lui.
«Ce la faccio» replica Daniel da sopra la propria spalla. Contessa sta già venendo bardata. «Saranno puntuali».
«Bene», il cocchiere si fa da parte e si gira per andarsene.
«Aspetta» chiama Daniel come per un ripensamento. «Sai dove andrà Lady Cora?» Di certo i colloqui non sono stati anticipati?
«Al palazzo» grugnisce l’uomo. «Scorterà la signorina Regina al ballo reale. Figliolo, hai bisogno di ricominciare a vivere nel presente, sei fuori dalla carreggiata».
Lui non vede Regina da giorni – forse da settimane? Come ha fatto a non notare prima la sua assenza?
Se ne rende improvvisamente conto: è più nei guai di quanto abbia immaginato sinora. Ha passato il tempo a soffermarsi sugli aspetti malsani del passato e deviando per evitare il confronto col presente. Il cocchiere ha ragione; deve tornare in pista, per continuare a vivere. A questo punto non sa nemmeno più dire quanti giorni siano passati dalla morte di suo padre.
Finisce con i cavalli in tempo record, alimentato da una nuova determinazione. Il ballo reale. Aggrotta la fronte mentre conduce Contessa e Barone alla carrozza. Regina andrà al ballo reale, al palazzo, da quel principe che era venuto per la sua festa di compleanno. Lei ha detto che quel ballo era orribile, ricorda. L’ha odiato. Stranamente, il pensiero lo fa sentire vagamente sollevato, e un mezzo sorriso compare sulle sue labbra.

Quella notte, per la prima volta da tempo, non sogna i suoi genitori. Invece è Regina a visitarlo nel suo sogno. No, questo non sembra esatto – va bene, lei compare nel suo sogno, ma effettivamente non gli dedica un singolo pensiero.
Daniel guarda dai confini delle stalle mentre Regina emerge in lontananza. Lei cammina sotto braccio con uno sconosciuto alto e dall’armatura splendente che in qualche modo lui sa essere il principe. La coppia è immersa in una conversazione, dimentica dell’ambiente che li circonda. Daniel sente l’irrefrenabile impulso di salutare e si dirige verso la porta – solo per scoprire che non ce n’è nessuna. Così torna di corsa alla finestra. Regina inclina la testa mentre il principe le parla, e quando lui conclude, lei lancia indietro la testa con una risata cristallina. Quella risata, è come un migliaio di campanelli d’argento che suonino all’alba, e Daniel la sente forte e chiara nonostante la distanza – la sente forte e chiara come se lei gli stesse ridendo nell’orecchio. Questo non è giusto, si ribella il cervello di Daniel mentre lei prende di nuovo il braccio del principe. Semplicemente non è giusto… Si precipita verso la porta e questa volta è lì, ma quando prova ad aprirla la maniglia si rompe. Fuori di sé per la frustrazione, ci si scaglia contro con la forza del suo intero corpo. La porta cede; lui è libero di andare. Solo che non c’è nessun posto dove andare. Oltre la porta, lo aspetta solo una distesa erbosa di terreno arido; nessuna tenuta dei Mills, nessuna casa, e nessuna Regina nell’arco dell’orizzonte.
Daniel si sveglia con un sussulto. Si guarda freneticamente attorno, disorientato da quel sogno vivido e bizzarro. Un sogno. Si getta di nuovo sul cuscino con un sospiro. «Che cos’era?» si rivolge alla stanza vuota. La confusione e la disperazione che ha sentito nel sogno sono reali e continuano ad aleggiare, questo lo sa. Si sente anche stranamente impotente, e bizzarramente irritato. Le importava solo del giovane principe. Si dà una scossa mentale. Da dove è arrivato quel pensiero? «Be’, non è venuta a trovarti da quel rapido avvertimento, che avevi comunque già ricevuto da un’altra fonte» dice con cattiveria una vocina dentro la sua testa. «Non si è fatta vedere da allora; questo cosa ti dice?» È solo uno stupido sogno, nient’altro. Perché dovrei anche solo dedicarvi un unico pensiero? Determinato a non dare importanza a quelle emozioni preoccupanti, si gira su un fianco e serra gli occhi per tornare a dormire. Occorrono un po’ di movimenti e cambi di posizione prima che lui riesca nell’impresa.

Il nuovo giorno segna il primo tempo da un po’ che Daniel trascorre senza isolarsi. Dorme fino a tardi – stavolta senza sogni – e sente di essersi dato la carica per la giornata. Parla con qualche domestica in cucina, dove non si è fatto vedere dalla morte di suo padre, mentre prende lì la sua colazione. Chiede notizie degli ultimi pettegolezzi con aria indifferente, accattonando con successo il fatto che per lo più spera soltanto di sentire di Regina. E, naturalmente, è quello che sente: il ballo reale è al momento la chiacchiera della città. Il ballo è stato un sommo successo, dicono, e il principe è una persona da favola. Lady Regina era stupenda nel suo abito da sera – più graziosa di qualsiasi principessa. Stanno già facendo piani per il prossimo ballo, a casa di un qualche nobile, tanto per cambiare. A questo punto, l’attenzione di Daniel vacilla. Quanto ha sentito è abbastanza. Mette giù il pezzo di pane che non ha finito e lascia il bicchiere del latte mezzo pieno quando se ne va all’improvviso.
Così è questo che sta tenendo Regina occupata – balli e principi da favola. Dovrebbe essere mia amica, fuma di rabbia. Dovrebbe farsi vedere una volta ogni tanto, altrimenti qual è il senso di un amico al quale non importa di esserci quando…? Il suo volto si arrossa di vergogna. Ma a lei importa. Lei era lì. Cosa diavolo mi prende?
Imbarazzato e completamente confuso, Daniel è ancora una volta lieto di avere del lavoro che lo aspetta. Non può che continuare a darsi un rimprovero mentale per la reazione inappropriata di prima. Il suo imbarazzo non fa che crescere quando un respiro d’aria fresca entra nelle stalle attraverso la porta temporaneamente aperta, e dei passi familiari battono sul pavimento cosparso di paglia.
«Buongiorno, Daniel!» La sua voce risuona nell’aria.
Daniel inizia a rispondere ma si ritrova a balbettare per l’imbarazzo. Come ho potuto pensare male di lei solo perché non è riuscita a venire per qualche giorno, quando chiaramente lei non è da incolpare? Non è mai stata in torto.
«Daniel? Ci sei?» Adesso lei suona incerta.
«Sì» riesce finalmente a dire lui, spuntando da uno dei box. «Mi dispiace, ero…» Esita, cercando le parole giuste. Non gliene viene nessuna.
«Perso nei tuoi pensieri?» suggerisce lei. Lui afferra la possibilità ed annuisce, grato di esserne uscito.
Lui la studia mentre lei gli sta lì di fronte. I suoi occhi sembrano un po’ stanchi; non ha ancora dormito molto da quando è tornata dal ballo. Il minuscolo cipiglio che il pensiero porta scompare in un attimo: È venuta qui a vedermi come prima cosa. I suoi capelli sono arruffati e il suo mantello sembra essere stato indossato sopra una camicia da notte.
«Pensano che sia addormentata, così finalmente abbiamo un po’ di tempo». Lei gli fa l’occhiolino e si accomoda su una balla di fieno. Daniel si unisce a lei, decidendo che il lavoro aspetterà per un momento o due.
«Sei stata fuori sino a tardi?» chiede, più per il puro piacere di sentire la sua voce che per altro.
«Piuttosto tardi. Onestamente, vorrei che avessimo potuto andarcene prima, ma il principe ha insistito a voler ballare tutte le danze con me, quindi ce ne siamo andati solo quando il ballo era finito».
«Oh… allora è stato un bel ballo?»
«Tutto era molto carino. Tutti hanno lodato il mio abito da sera, il ché almeno ha tenuto a bada la mamma – questo me l’ha lasciato disegnare quasi interamente da me, riesci a immaginarlo? Anche se era per un evento importante come un ballo reale». I suoi occhi splendono al pensiero, e le sue guance arrossiscono un poco. Un’amarezza che lui non riconosce gli riempie la bocca.
«Be’, finché anche il principe l’ha gradito…»
«Penso di sì…» dice lentamente lei, dandogli uno sguardo attento, «ma questo cosa c’entra?»
La rabbia di Daniel divampa – la mancanza di sonno, il dolore, lo stress di prendere il posto di suo padre, e l’incertezza della sua situazione combinati tornano a tormentarlo. «Be’, allora questo è un bene. Suppongo che lo rivedrai presto? Dovrei preparare subito i cavalli?»
«Cosa… perché dovrei vederlo adesso? Non capisco – perché all’improvviso sei così interessato a parlare di lui? Non è nemmeno importante. Per di più, l’intero ballo è stato terri…»
«Bene, mi fa piacere che tu non ti sia divertita. Naturalmente sarebbe carino vederti una volta ogni tanto…» Anche se ormai la sua mente cerca di tenere sotto controllo le sue emozioni, Daniel non riesce a reprimere il tono di biasimo delle proprie parole.
«Adesso sono qui!» esclama lei. «Cos’hai che non va?» Lo contempla brevemente e continua molto più calma: «So che è stato difficile per te, con la scomparsa di tuo padre. Ho cercato di venire, ma non potevo… con tutti questi balli a cui la mamma vuole che io partecipi…»
L’empatia lo raggiunge, e lui riesce a capire che la sua preoccupazione è reale. Tutta la rabbia cola via magicamente. Nel suo stato attuale, però, Daniel manca di notare il tono infelice che s’insinua nella voce di Regina ogni volta che lei menziona un ballo.
«Sì, il ballo» nota tristemente. «Vedi, ora hai degli amici». Riesce a mostrare un sorriso storto. Te lo meriti.
«No, non direi che sono miei amici» nega lei categoricamente. «Anche se probabilmente la mamma vorrebbe che lo fossero. Indossano bei vestiti e dicono belle cose, e questo la fa felice. Parlando della mamma – volevo chiederti dei colloqui. Sei pronto ad impressionarla come hai detto che avresti fatto, giusto?»
Una qualche strana, sconosciuta emozione s’insinua nel suo cuore e lo stringe con dita ossute, rendendogli impossibile pensare con lucidità. Daniel sente tornare l’amarezza e l’irritazione e parla con la bocca senza che il suo cervello la autorizzi. «Impressionarla? Devi avermi confuso con un certo principe».
Regina lo fissa ad occhi spalancati. Il suo labbro trema lievemente. Lei inghiottisce e si alza, torreggiando ora su di lui. L’espressione morbida è svanita, e il suo volto è più duro di quanto lui l’abbia mai visto. Gli occhi di lui cadono sui pugni serrati di lei prima di incontrare di nuovo i suoi occhi. La serie di parole con cui lei lo tempesta è diversa da qualsiasi cosa abbia mai sentito da lei.
«Non so cosa ti abbia preso, Daniel, e francamente non ho idea di cosa fare al riguardo. Volevo parlare con te – ho aspettato di parlarti per giorni, specialmente dopo il funerale, e dopo quello stupido ballo – ma non stai ascoltando e basta, e sembri sentire qualcosa di completamente diverso da quello che sto effettivamente dicendo. Tu mi hai sempre capita, ma adesso… non lo so. Forse questo non è un buon momento. Forse dovremmo solo lasciar perdere. Sembra che tu sia arrabbiato con me, e non ho idea del perché. Ma sai cosa? Non è giusto. Non ho fatto niente di male, non hai motivo di avercela con me».
Ogni parola che lei pronuncia gli svela che è ferita e confusa, ma c’è un margine arrabbiato nel suo discorso che risuona con l’irritazione che lui sente attualmente.
«Non so più cosa pensare, Regina. Forse mi sto comportando da stupido. Non lo so. È solo che non mi piace il principe, è tutto». Regina apre la bocca in un tentativo di intervenire, ma Daniel continua. «Non chiedermi perché, so che non l’ho mai visto e non so niente di lui, quindi capisco che è completamente irrazionale, non devi difenderlo. Sono d’accordo con te, però – in fondo questo non sembra un buon momento per parlare».
Regina richiude la bocca, e i suoi occhi lampeggiano pericolosamente. «Come desideri» sbotta. «Comunque ho cose migliori da fare». E si precipita fuori, sbattendo la porta con tutta la propria forza.
Daniel rimane seduto, gli occhi fissi sulla porta. Frammenti della conversazione continuano a riecheggiargli nelle orecchie, ed il volto arrossato per la frustrazione di Regina ondeggia davanti ai suoi occhi. Cos’è appena successo? «Non so cosa ti abbia preso» ha detto lei. Be’, neanch’io ne ho la minima idea. Che diavolo ho che non va? Mi sento così arrabbiato e amareggiato, e per cosa? Perché Regina ha una vita sociale che si confà al suo stato, e io non ne faccio parte? Lo sapeva già – l’ho sempre saputo. Sfila filo dopo filo di paglia dalla balla su cui è seduto e la sua mente corre. Se l’ha saputo per tutto il tempo, esattamente perché lo disturba adesso? Cos’è esattamente che lo disturba così tanto? Il principe? Cosa può mai avere contro di lui?
Dovrei essere felice per lei. Che razza di amico sono?
Il suo cuore sprofonda al pensiero. Il suo comportamento l’ha ferita, questo è chiaro, e per la prima volta, lui non l’ha potuto evitare. Non deve accadere mai più, giura a se stesso. Lui è suo amico e dovrebbe essere qui per lei, non contro di lei, qualunque sia la ragione di questa strana tempesta interiore di emozioni, e non importa quanti balli ci siano, o quanti principi. Vorrei che avesse trascorso quel tempo con me, però… Adesso le sue dita smettono di attorcigliare la paglia. Si tratta di questo? Sono geloso perché ultimamente lui riesce a stare con lei così tanto e io no? Sconvolto, soppesa e misura tutto ciò contro la propria mente e il proprio cuore. Il pezzo del puzzle combacia. Oh, Regina… ho fatto un casino. Daniel sospira pesantemente. Tutto questo non è altro che allarmante.
Vorrei poter parlare con te, papà. Mi farebbe comodo qualche consiglio.






NdT:
Oh, Danny, Danny, Danny…
Il prossimo aggiornamento arriverà mercoledì 2 o giovedì 3 luglio :)
Au revoir!

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Capitolo 14
*** Mending Fences ***


Nota dell’Autrice: Tutto ciò che posso dire è che le cose tornano a migliorare per Regina e Daniel. E il prossimo capitolo includerà alcuni doni. ;)

Capitolo 14
Mending Fences

«Ce n’è ancora uno, Lady Cora». Il locandiere combatte l’urgenza di farsi piccolo sotto il suo sguardo penetrante.
«Cosa vuoi dire, ancora uno? So perfettamente di aver invitato qui soltanto tre uomini».
«Con tutto il dovuto rispetto, Lady, ce n’è ancora uno che aspetta. Un ragazzo».
«Un ragazzo?» Questo sembra aver suscitato il suo interesse, e il locandiere torna a respirare più liberamente – forse dopotutto lei non s’infurierà. Almeno non con lui – il ragazzo è un’altra faccenda, ma di nuovo, chi lo ha invitato qui? «Fallo entrare, allora». Qualche strano capriccio sembra averla afferrata – tanto meglio. L’uomo fa segno al giovane di entrare e scompare frettolosamente fuori dalla porta.
«Ah. Il giovane Daniel». Cora sorride – è un sorriso stranamente agghiacciante, uno che lo rende ancor più nervoso, persino più guardingo. Non ha niente della luminosità o del calore del sorriso di Regina.
«Lady Cora». S’inchina. C’è una macchiolina di sporco su una delle sue scarpe, e lui maledice silenziosamente la propria distrazione. Il resto di lui è impeccabile, o così lui spera. Non ha senso perdere tempo a preoccuparsi di cose che non può più cambiare. Concentrati, Daniel. Concentrati.
«Hai preso un cavallo dalle stalle senza permesso?» La domanda arriva ancor prima che lui abbia tempo di riprendersi, e non è quella che si aspettava – ma si collega ad una questione che è sollevato di aver previsto.
«No, Lady Cora. Sono stato mandato a fare una commissione al villaggio. Il cavallo mi è stato affidato a questo scopo». L’ha programmato in questo modo, certo – la commissione e il colloquio nello stesso giorno – ma non deve condividere con lei questo pezzo di informazione, anche se probabilmente è abbastanza intelligente da riuscire comunque a capire i dettagli.
«Confido che questa commissione, qualunque fosse, sia ora svolta?»
«Sì, certamente. I miei doveri non ne soffrono mentre io sono occupato qui».
«Molto bene, dunque. Non fingerò di non essere sorpresa dalla tua presenza. Avevo indubbiamente pianificato che tu non ne facessi parte, ragion per cui ho mancato di informarti. Probabilmente dovrei saperne di più, ormai – i pettegolezzi viaggiano veloci. Andiamo dritti alla questione. Intuisco che tu ti credi capace di assumere l’intera responsabilità delle nostre stalle; persino ad un’età tanto giovane, senza tuo padre che ti guidi – è questo il tuo punto di vista?» lo sfida direttamente con aria di scherno.
Daniel mantiene la calma, anche se sente una fitta d’indignazione. «Sono stato cresciuto per questa occupazione sin dalla mia infanzia. Con la scomparsa di mio padre, sono pronto ad assumere la piena responsabilità e a superare la prova».
Sembra che la derisione le venga naturale, tanto ne è generosa. «Dunque credi di sapere tutto ciò che c’è da sapere? Di essere più intelligente degli uomini con cui ho avuto un colloquio prima di te? Di poter uguagliare decadi di esperienza?»
«Nessun uomo sa mai tutto ciò che c’è da sapere su un qualsiasi argomento, né l’apprendimento ha mai una fine». Forse sta esagerando un po’ col linguaggio. Sembro un libro di testo. Si impone di concentrarsi di nuovo. «Dove altri mi superano in esperienza, terrò loro testa con la passione».
La sua calma ha finalmente cancellato il sorrisetto dalle labbra di lei, solo per rimpiazzarlo con un cipiglio. «Comprenderai che non posso permettermi di rischiare un periodo di prova e di veder forse collassare l’intero edificio, nel caso tu dovessi fallire?»
«Non intendo mancare di rispetto, ma mio padre è… morto… da un po’, ormai». Ha detto e ridetto questa parte ripetutamente, imponendosi di passare sulla parola senza difficoltà, ma s’impiglia ancora nella sua gola. L’esitazione, comunque, è minima, e Daniel continua. «Le stalle sono in perfetto stato e i cavalli in buona salute. E li sono sempre stati anche nei momenti della malattia di mio padre. Non ho fallito prima, e non intendo iniziare adesso».
Cora lo esamina minuziosamente mentre parla. «Ci vuole coraggio a venire davanti a me con un tale programma, specialmente sapendo che non eri affatto preso in considerazione – questo te lo concedo. Ammetto anche che trovo questa tua testardaggine – o passione, come la chiami tu – un po’ affascinante. Le ambizioni sono lodevoli – fintantoché uno non fa il passo più lungo della gamba, certo».
«Tutto ciò che chiedo è di essere considerato al pari degli altri stallieri». A questo punto un momento d’ansia si insidia nel suo stomaco – questo potrebbe perfettamente essere il momento chiave. «A parte gli ovvi difetti di età ed esperienza, ci sono anche aspetti positivi nel continuare ad impiegare me».
A questo, Cora dà una piccola risata. «Oh, davvero? Te ne prego, quali sarebbero?»
Non deve permettersi di venire distratto – nemmeno dal fatto che lei lo sta chiaramente trovando divertente. O forse non è così – non davvero; forse lei sta solo cercando di scuoterlo. L’idea lo rassicura stranamente, e le parole attentamente ripetute escono facilmente dalla sua bocca.
«Una transizione tranquilla. Io conosco i cavalli e loro sono abituati a me, e conosco il modo in cui le stalle vanno dirette. So già come vanno le cose nelle campagne, tra i servi e i contadini. Riconosco gli affari urgenti e so quali cavalli preparare per quale proposito e quando – quali cavalli sopporteranno il giogo e quali no, e quali non vanno d’accordo tra loro. Da ultimo ma non meno importante, sono leale alla vostra famiglia, e non sarò attirato da un’opportunità migliore, nel caso dovesse presentarsene una».
Mentre lui parla, il viso di Cora acquisisce un’espressione solenne disturbata solo da un piccolo sogghigno – ma i suoi occhi assottigliati tradiscono attenzione. «Quale impressionante caso ti stai rivelando. Chi avrebbe pensato che un semplice stalliere potesse essere così eloquente?»
Daniel reprime un sorriso. Sa che dovrebbe essere offeso o ferito per l’implicazione che lui sia in qualche modo inferiore e da trattare con condiscendenza; eppure tutto ciò a cui può pensare è Regina che gli passa di nascosto i propri libri per anni senza che Cora ne abbia la minima idea. Se lei si aspettava un ignorante contadino alla propria mercé, ha tutte le ragioni di essere colta di sorpresa dalla persona che invece si trova davanti.
«Miro a soddisfare, Lady Cora» dice Daniel con aria seria. Osa dirlo…? «Dopotutto, i servitori sono un riflesso dei padroni, quindi è solo appropriato che manteniamo un’immagine positivo». Ecco… adesso è fuori. Cosa dirà Lady Cora? La bocca di lei si tende in una linea dura alle sue parole, e un cipiglio si forma sulla sua fronte.
Lo studia con attenzione; tutto ciò che Daniel può fare è non torcere il naso, non fare altro che sbattere le palpebre. Forse questo è il momento in cui tutto verrà deciso. Lui rimane ritto, guardandola dritto negli occhi con quella che spera sia una cortesia confidente, o un’educata sicurezza, con deferenza sufficiente per non essere considerato rude. Finalmente, la bocca di lei si tira in un ampio sorriso.
«Ragazzo intelligente. Molto bene. Ammetto che non c’era nulla del genere tra gli altri candidati, e fa piacere non essere circondati da idioti per una volta. Rimarrai». Adesso, Daniel deve combattere perché il suo viso non diventi una maschera di puro trionfo. Cora continua, comunque, e Daniel ascolta in un mezzo inchino: «Ma ricorda le mie parole, stalliere – ti tengo d’occhio. Non deludere la mia fiducia».
Sia una minaccia o un semplice avvertimento, abbia o meno un significato nascosto, lui non lo sa, né gli importa: ce l’ha fatta! Resterà! Il suo cuore sembra aver duplicato la propria grandezza nel suo petto. Hai sentito, Regina? Resterò!

L’inizio dell’inverno non offre molto in quanto a fiori. Una foglia di edera è quel che sceglie alla fine, dopodiché è solo una questione di resistere all’impulso di controllare ogni ora o quasi se è ancora o meno appoggiata al davanzale dove l’ha lasciata. Una coperta extra per resistere al freddo, e poi la migliore che possiede; un’ora extra nelle stalle piene di spifferi, e poi solo un’altra ancora – lei può sempre arrivare. Non succede.
Con la testa china, Daniel si stravacca su Ronzinante e gli dà qualche pacca sul collo. «Capisci cos’è successo, Ronzinante? Perché io ancora non lo so. Una cosa è certa, però: Regina è arrabbiata con me, e giustamente. Mi domando come potrò mai sistemare le cose se continua ad evitarmi…» Ronzinante sbuffa e colpisce la mano di Daniel col naso. «Giusto. Be’, meglio dormire un poco. Ci vediamo domani mattina».
Nessun’oscurità gli è mai sembrata così completa come la conca vuota del cottage quando torna alla sera: non una candela accesa, niente più di una scheggia di luna a sbirciare attraverso la finestra. Il papà usava avere un fuoco acceso entro il momento in cui Daniel finiva con i cavalli, ma ovviamente questo non è più il caso. Daniel tasta la sua via sino al bancone per accendere una candela quando una fiammella luminosa guizza davanti a lui, ed un’ombra snella accanto al banco si volta per fronteggiarlo.
«C’è freddo fuori. Pensavo che fossi già rientrato a quest’ora». La luce lancia ombre lugubri sul viso di lei. Daniel si sposta appena, tendendosi per cogliere la sua espressione. È infastidita? Distaccata? Triste? «Cosa c’è che non va? Di certo vedi che sono io?»
Daniel si dà una scrollata mentale. «Sì, naturalmente. Mi stavo solo…»
«Ebbene?»
«Mi stavo solo domandando quale sia il tuo stato d’animo».
«Co…? Perché?» I suoi occhi si ingrandiscono e la sua presa sulla candela si stringe. «C’è qualche problema?»
Lui si affretta a cancellare la sua pena. «No, no, non allarmarti, va tutto bene. Più che bene, in verità».
«Oh…» Il sospiro arriva dal profondo, e quasi dipinge l’immagine mentale del considerevole macigno che le cade dal petto. «Pensavo… pensavo avessi chiamato perché… be’… a proposito della posizione di stalliere» ammette lei con una punta di ansietà rimasta nel suo sguardo intenso.
«Rimarrò» dice in fretta lui. «Tua madre terrà me».
Il volto di lei si illumina alla notizia. «È meraviglioso!» Si muove verso di lui con l’impulso di abbracciarlo, ma si trattiene dopo una frazione di secondo, sembrando lievemente imbarazzata alla manifestazione traditrice di sentimenti. Combatte per comporre il proprio volto, e riesce a mantenere un’espressione seria mentre parla, anche se i suoi occhi sembrano brillare alla luce della candela. «Sono… sono felice di sentirlo, Daniel».
Lui sposta il proprio peso da un piede all’altro. «Regina…»
«Sì?» replica lei speranzosamente.
«Non è per questo che volevo vederti. Volevo scusarmi. Per l’ultima volta. Non so cosa mi avesse preso. Mi dispiace».
Le scappa un sospiro profondo; la fiamma della candela trema pericolosamente. «Mi sono chiesta se avevo fatto qualcosa di male, ma non sapevo cosa potesse essere. Ho continuato a cercare di dirti quanto irritanti fossero quei balli, ognuno più del precedente, e che il principe è un idiota a cui importa solo di se stesso – ma tu non mi ascoltavi» si lascia sfuggire con aria infelice.
«Perché eri via tutto il tempo e io ho pensato che ti piacesse più di m… più che spendere tempo insieme». Le parole gli sfuggono dalla bocca prima che lui possa fermarsi – e forse è bene che sia così, poiché la risposta non era mai sembrata arrivare quando la cercava consapevolmente, ma adesso emerge semplicemente alla superficie della sua mente.
«Perché l’avresti pensato? Io non…»
È quando lei inizia a difendersi che lui realizza che non ha bisogno di sentirlo. «Non importa. È stato comunque stupido da parte mia. La ragione per cui sono tanto arrabbiato con me stesso è che, anche se ti fosse piaciuto, non sarebbe stata affatto una buona ragione per innervosirmi. Solo perché non ne faccio parte non vuol dire che io non voglia che tu ti diverta».
«Potrei. Ma non mi diverto» sospira lei. «Lui non ascolta mai quello che ho da dire. Per lo più balliamo e mangiamo e beviamo e ci scambiamo vuote cortesie. Questo è tutto ciò che la corte sembra essere, comunque. Non è ciò che viene elogiata per essere. Vorrei che le cose tornassero com’erano prima».
Daniel sorride debolmente. Ironicamente, questo tra tutti è il momento in cui la realizzazione gli appare chiara: le cose non potranno mai tornare com’erano prima.
«Non succederà. Ma va bene. Ce la caveremo comunque. Giusto?»
«Giusto» annuisce lei. «Ma non voglio che le cose cambino per noi». Il respiro le si blocca in gola mentre fa un passo verso di lui. «Ho paura, Daniel».
«Paura?»
Lei china la testa, e la scuote lentamente. Daniel le si avvicina, prende la candela dalla sua mano, e la guida al tavolo. Appoggia la candela e prende una sedia per lei, poi una per sé. Regina seppellisce il volto nelle proprie mani. Quando lo rialza dopo un po’, è tirato ma asciutto, e piuttosto grave.
«Io non voglio questa vita, Daniel».
«Regina… Cos’è successo?»
«Niente. Almeno non ancora. E spero che rimanga così per tanto tempo – per sempre. Ma… la mamma vuole… Be’, il principe, dicono…» La sua mascella si stringe, e lei lo guarda quasi timorosamente. «Dicono delle cose su di noi. Come che bella coppia siamo, o saremo. O quanto bene mi starebbe una corona. E all’ultimo ballo… Ho sentito qualcuno parlare di che aspetto avranno i nostri figli!» grida Regina con esasperazione, lanciando in aria le mani.
Lo stomaco di Daniel ha un sussulto potente.
«Regina» farfuglia lui, «ma…» Le parole gli muoiono sulle labbra, non essendosi mai formate nel suo cervello in primo luogo.
«Daniel, non so cosa fare! Il principe non mi piace nemmeno. Posso a stento sopportare la sua presenza in una sala da ballo, come potrei mai…» Lei esita per un breve momento, incapace di trovare la parola o forse semplicemente di indursi a dirlo, «…vivere con lui? Io… Lui… Questa è una follia!»
Lui si limita a fissare il suo volto arrossato dalla rabbia, completamente sbalordito. Be’, cosa si aspettava? Non questo; mai questo.
«Daniel? Perché non dici niente?» dice lei dopo un momento di silenzio.
«Io… Scusa. Sono solo… Questo è tutto così inaspettato. Anche se non veramente… Ma… Oh, Regina. Mi dispiace tanto. Eccoti, con questo e altro da affrontare, e io – il tuo amico – vado a renderti le cose persino peggiori col mio stupido comportamento». Potrebbe schiaffeggiarsi da solo.
«No. Tuo padre era appena morto. Il tuo lavoro, la tua intera esistenza, era a repentaglio. E io – la tua amica – ero via tutto il tempo. Anch’io devo scusarmi».
«No, no, non è…»
«Sì, è così. Io…»
Si guardano l’un l’altra, fermandosi a metà della frase, e si limitano a fissarsi per un po’. Poi gli occhi di Regina brillano, e gli angoli delle labbra di Daniel si contraggono, ed entrambi cominciano a ridere.
«Facciamo un patto» suggerisce lui.
«Sembra una buona idea» ridacchia lei.
«Evitiamo di essere di nuovo acidi l’un con l’altra».
«E parliamo sempre dei nostri problemi» annuisce vigorosamente lei, prendendogli la mano.
Daniel abbassa lo sguardo con un lieve sussulto: la mano piccola e morbida di lei che stringe la sua più grande e più ruvida. Deglutisce e incontra di nuovo i suoi occhi, dando una lieve stretta alla sua mano. «Regina… a proposito del principe, e tutto quel…»
«Non devi dire niente. So che non sei tu a dover risolvere la questione. Avevo solo bisogno di dirtelo, sai? Tu mi ascolti – voglio dire che mi ascolti davvero. E ti importa».
«È così. M’importa veramente. Vieni…» Si allunga verso di lei, e lei si lascia attirare in un abbraccio. Con la testa di lei appoggiata nell’incavo del suo collo, lui le accarezza i capelli. Profumano di mele e cannella, e non gli sono mai sembrati così morbidi.










NdT: ()
Il prossimo aggiornamento arriverà lunedì 7 luglio!

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Capitolo 15
*** Twelve Days of Christmas ***


Nota dell’Autrice: Questo capitolo è una compilation di scene col motivo comune dell’inverno e del tempo natalizio. La stagione festiva si fa pesante quando Regina prende una decisione a proposito del principe e deve sopportarne le conseguenze. Aspettatevi problemi parentali, piaceri invernali, e verso la fine un momento cruciale per la relazione tra Regina e Daniel.

Capitolo 15
Twelve Days of Christmas

Il fuoco crepita nel focolare. È l’unica cosa che alleggerisca le sue orecchie dal silenzio teso e pieno di disagio della tavola natalizia. L’intera casa ne sta pagando il prezzo. L’odore di pino che arriva da dietro di lei porta con sé la visione dell’albero di Natale come lo ha visto quella mattina – riccamente decorato, con la stella dorata sulla sua cima che tocca l’alto soffitto, i suoi rami più bassi segati via per far spazio al mucchio di regali che non c’era. Non che abbia importanza. Lei si è data il regalo migliore, e nonostante il prezzo, non può evitare di sentire che è il meglio che avrebbe potuto ottenere.
Regina punzecchia svogliatamente la sua cialda con la forchetta. Cora sibila pericolosamente. Regina si mette in bocca un pezzettino della pasta e si obbliga a masticare e ad inghiottire, attenta ad eludere gli occhi di entrambi i suoi genitori. Il sentimento è fuori luogo, specialmente in quello che dovrebbe essere un momento di amore e gioia, ma non può evitarlo – vorrebbe che entrambi sparissero; sua madre per ciò che ha fatto, suo padre per ciò che ha mancato di fare.
«Mangia» dice Cora seccamente. Regina accoltella la sua cialda con più vigore del necessario. «Marmocchia ingrata». Questo non è affatto il peggio che lei abbia sentito dalla notte prima, così si limita ad abbassare ulteriormente la testa sul piatto per nascondere un sorrisetto che la coglie di sorpresa. La mamma si arrabbierà con se stessa per questo – per aver perso la calma, dimenticando le buone maniere davanti al proprio oltraggio; un linguaggio simile, dopotutto, non si addice ad una signora. «Non incurvarti su quel piatto!» soffia tra i denti. Regina avverte un movimento debole e pieno di disagio al capo opposto del tavolo. Nessun suono ulteriore arriva da quella direzione, però. Lei si dà una scrollata mentale. Cosa mi aspettavo?
Regina posa la propria forchetta e spinge via il piatto in un movimento composto ma deciso.
«Regina». C’è un margine pericoloso e minaccioso nella voce di Cora.
«Ho finito la mia colazione, madre. Posso essere scusata?» Da dove vengono quell’audacia, quella fermezza sia nel suo sguardo che nella sua voce? Regina sente un breve momento di sorpresa mista ad orgoglio ed una sensazione di compimento.
«No, non sarai certamente scusata!»
Così Regina rimane seduta, avvertendo in qualche modo che sua madre, questa volta, non può resistere a lungo. Avendo pronunciato la battuta con perfetta neutralità e cortesia, Regina è consapevole che Cora non ha niente da rimproverare, nessun modo di bollare il suo comportamento come insolente. Sostanzialmente, è caduta in una trappola che si è creata da sola – dopotutto c’è, sembra, un certo potere nelle vuote cortesie, e lei potrebbe averlo appena scoperto. Le cerchie di corte hanno mostrato a Regina quanto veleno, ridicolo, o semplicemente disinteresse si possa trasmettere emettendo qualche frase socialmente accettabile e apparentemente educata. Ironicamente, la detestabile vita sociale a cui Cora ha sottoposto sua figlia ha dato un’arma a Regina.
I suoi sospetti sono presto confermati. «Vai nella tua stanza» sibila Cora. «Non dimenticare ciò che hai la fortuna di avere» continua mentre Regina inizia ad alzarsi senza una parola. «Devo ancora ideare una punizione adeguata al tuo crimine. Ma arriverà. Come arriveranno altre misure preventive».
Crimine. Perché è ancora sorpresa che le sue azioni vi equivalgano agli occhi di sua madre? La punizione sarà spaventosa, questo è certo.
Regina non rimpiange niente.

Regina si guarda al braccio del principe, condotta lungo il sentiero vividamente illuminato che zigzaga tra gli arbusti modellati artificialmente, e riconosce a stento la persona che sta osservando. Chi è quella creatura sottomessa intrappolata in strati di tessuto lussuoso, che perde tempo prezioso ripetendo meccanicamente frasi che ormai sono radicate così profondamente nel suo cervello che lei non è più nemmeno consapevole di star pronunciando quelle parole? Non io, rabbrividisce interiormente, lei mi assomiglia a stento ormai. Con riluttanza, d’istinto, i suoi occhi vacanti seguono il braccio del principe mentre lui le indica un cespuglio di rose. La piccola gemma rosa che lui le porge non è ancora sbocciata – ed ora non lo farà mai. Lei l’annusa distrattamente, e non sente il più debole soffio di profumo. Bello alla vista, ma questo è tutto ciò che ha da offrire.
«Come cresce una rosa?»
«Milady…?» Il viso lievemente accigliato di lui le fluttua davanti. Lei ripete la domanda, risoluta, e lo guarda attentamente. Il principe riguadagna presto la sua calma, come sempre. «Da un seme piantato nel terreno» replica pazientemente, come se stesse spiegando la più semplice delle cose ad una bambina piccola.
«Chi deve piantare il seme, in che momento dell’anno, e in quale terreno? Quanto spesso deve essere annaffiato, e potato? Quando fiorisce?»
«Forse a milady farebbe piacere parlare di fiori col giardiniere reale? Sono belli, non è vero?» Lui fa lampeggiare i suoi denti perfetti in un ampio sorriso.
E, per la prima volta da secoli, Regina non si sente né frustrata né rassegnata in sua presenza. Per la prima volta, ricambia il suo sorriso con uno dei propri – uno genuino.
«Penso di no, Vostra Altezza, vi ringrazio. In effetti, temo che non dovremo più vederci».
«Scusatemi? Vi ho offeso?»
«Di certo voi, come me, siete consapevole di dove è diretto questo corteggiamento». Chiaramente, il principe non è abituato ad una tale franchezza, ma a Regina non importa. «Credo non sia che giusto dirvi prima e non poi che questa situazione non è più sostenibile».
«Milady… La vostra impazienza mi lusinga. Io stesso sono ugualmente impaziente di compiere il prossimo passo, ma mi dicono che è necessario un certo decoro». Regina scuote la testa – com’è riuscita anche solo a mantenere questa mascherata tanto a lungo? Come di consueto, il principe la fraintende. «Molto bene, milady. Parlerò con mio padre. Credo che i tempi siano maturi –porteremo avanti il fidanzamento».
«No. Non possiamo sposarci». Lo shock è chiaramente impresso sul volto di lui: alcuno è mai stato tanto audace quanto questa sciocca ragazza col sangue di una comune nelle vene? «Non capite? Non abbiamo niente in comune. Dovete anche essere consapevole del fatto che non c’è nessuna reale affinità tra noi. Voi non sapete nulla di me, persino dopo settimane, e non sembrate curarvene molto. Vedete? Non obbiettate – niente del vostro viso suggerisce che questo sia falso, anche se le vostre labbra potrebbero essere adesso sul punto di formare parole melense che sostengano il contrario». Colto sul fatto, lui abbassa gli occhi per un breve momento, e chiude la bocca. «È meglio per entrambi farla finita prima. Come potremmo, in simili circostanze, formare una famiglia, tanto meno governare un intero regno in prosperità?» La voce della ragione è qualcosa che non avevi mai pensato di sentire da me – o da alcuna ragazza, apparentemente. Da qualche parte in fondo alla sua mente altrimenti perfettamente chiara, si registra un senso di apprensione, il cui vestito ha un orlo frusciante che striscia sul pavimento piastrellato della stanza di sua madre. «Addio, Vostra Altezza». Regina si guarda girare sui tacchi, e affrettarsi verso il palazzo con un passo svelto e leggero. Sì, questa ragazza la riconosce. Rompe in una corsa lieve e gioiosa e, incontrando la figura, si fonde con lei senza difficoltà. Un pensiero finale la induce a voltarsi indietro e dirgli: «Vi prego, non serbate rancore verso la mia famiglia».

L’angolo sembra vuoto senza l’usuale abete, e il focolare sembra abbandonato senza il piatto dei tradizionali biscotti di Natale sulla sua mensola. Forse avrebbe dovuto almeno provare a portare un’immagine di gioia festiva nella casa.
L’albero soleva significare che lui e suo padre avevano trascorso il pomeriggio nei boschi, parlando in toni sommessi, e portando a casa con loro un po’ del fresco odore silvestre e del vivido fogliame per competere con la monotonia dei colori della stagione. Gli ornamenti avrebbero significato che erano stati al lavoro per molte sere nell’angolo del focolare, intagliando legno ed intrecciando della paglia. Lo strano pacchetto che ognuno di loro avrebbe trovato sotto l’albero avrebbero contenuto qualcosa di mondano, come posate recentemente intagliate per sostituire il vecchio set rovinato, o persino un paio di calze calde di pura lana se erano riusciti a mettere da parte qualche soldo.
Non solo non ci sono biscotti da sistemare su un piatto quest’anno, ma comunque non c’è più ragione di metterli sulla mensola del camino. Daniel è cresciuto un bel po’, e sua madre, fosse stata ancora viva, avrebbe dovuto pensare ad un nascondiglio differente per trattenerlo dal rubarne uno in un momento di debolezza. La zuppa di funghi di lei sarebbe stata più cremosa e saporita di quella che è riuscito a preparare per la sua solitaria cena di Natale.
La candela tremola mentre lui mette giù il suo cucchiaio, e Daniel va ad assicurarsi che la finestra sia chiusa come si deve. Il suo sguardo viaggia sino alla villa che gli ammicca con le sue finestre illuminate. Può quasi distinguere l’albero nella sala da pranzo – alto e rigoglioso, riccamente decorato, pensa. Lei sarà seduta accanto ad esso proprio ora, con i rami più bassi che le sfiorano la guancia mentre comincia ad aprire i propri regali? Forse più tardi riuscirà a uscire di nascosto e a venire a dargli un rapido saluto… Più probabilmente no.
«Buon Natale, mamma, papà. Buon Natale, Regina». Il suo sussurro appanna brevemente la finestra, e lui la strofina con una manica per pulirla e riuscire a vedere il profilo sfocato dell’albero. Adesso sei tutta la famiglia che ho.

Le campanelle della slitta suonano. Un sonoro scricchiolio risuona quando la frusta disegna un arco aggraziato attraverso l’aria. Le labbra di Regina si contraggono alla vista di uno dei cani che danza tra le gambe dei cavalli, mandando pezzi di neve a volare in aria. Mucchi di pelliccia morbida sono impilati sui sedili, pronti ad offrire riparo dal freddo pungente. Uno scroscio di risate accompagna lo scintillio accecante della neve calciata verso l’alto da piedi in corsa. Una piccola folla di cuochi e valletti si raduna lì attorno, nascondendo la slitta dalla vista, poi si disperdono rapidamente – i muscoli dei cavalli si tendono per un momento, e la slitta sbalza in avanti. Un paio di tracce chiaramente marcate appaiono impresse sul biancore immacolato dietro la slitta, poco a poco.
Il vetro della finestra è freddo contro la sua fronte, e lei lascia andare le tende per premere i palmi contro il vetro liscio. Le tende si chiudono dentro di lei, accarezzandole la schiena mentre lo fanno. Le punte delle sue dita pizzicano al retrogusto del gelo esterno. È quasi come se ora lei fosse fuori nell’aria gelata dell’inverno, tormentando la neve con dita nude, non inguantate. Quasi.
Le campanelle di una slitta suonano. Regina appoggia la guancia contro il telaio della finestra e le sue dita iniziano a tracciare disegni distratti sulla finestra appannata.

Il bussare alla porta la meraviglia – la mamma non bussa mai, e nessun altro è autorizzato ad entrare. Forse è una domestica? O…? No, lui non oserebbe.
«Posso entrare?»
«Papà? Sei tu…» …dopotutto. «La mamma si arrabbierà». Perché ha detto questo?
Sembra aver colpito; lui evita i suoi occhi per un momento. «Ti ho portato un libro nuovo per trascorrere il tempo» offre quietamente e lo mette sopra al cassettone.
«Grazie». Quel che vuole più di ogni altra cosa è che lui lo faccia smettere, che ponga una fine a questa sofferenza – ma non è così ingenua.
«Tesoro… non guardi? Per favore?» La sua voce trema appena. «Cora, per favore…»
Lei cede, per il suo bene, ed esamina la copertina con occhi assenti. «Ma mamma, io…» Questo è troppo crudele, le parole della mamma troppo dolorose. Il disprezzo, la delusione e la rabbia nelle sue parole tagliano più profondamente dei coltelli.
«Ho pensato potesse piacerti, bambina – mentre sei tenuta lontana dagli animali veri e vivi» prova di nuovo lui, flebilmente.
Non è il libro ciò di cui lei ha bisogno. Ma è questo che fa il papà; offre piccoli conforti in momenti duri. Momenti che richiedono mezzi molto più radicali – se solo lui… «Cora, ti prego, lasciala stare…»
Perché il papà sembra sempre occupare così poco spazio? Potrà non essere un uomo grosso, ma anche così, sembra cercare costantemente di ridursi alla minor taglia possibile. La mamma, d’altra parte, sembra torreggiare su uomini molto più alti di lei. «Stanne fuori, folle!» E lui si fa piccolo nell’ombra della mamma, mentre Regina rimane esposta alla sua ira che consuma tutto.
«Tesoro… Mi dispiace». Lui non fa nessun movimento verso di lei ma si limita a restare inchiodato sul posto, curvo come sempre. «Avrei dovuto sostenerti… Avrei dovuto tener testa a tua madre. Temo di non essere il padre che meriti, o di cui hai bisogno».
«Papà!» esclama Regina. Le sue parole l’hanno colpita profondamente, e lei realizza che darebbe qualsiasi cosa per non averlo sentito pronunciarle. «Non dire questo!»
«Ma è vero» obietta lui col triste fantasma di un sorriso, inconsapevole della sua angoscia.
«Non dirlo mai!» protesta lei ad alta voce. Forse fa così male perché è quello che stava pensando segretamente prima che lui lo esprimesse? Forse se lo merita per aver pensato male di lui – lui tra tutti, che è sempre stato nient’altro che gentile con lei. «Papà, io ti voglio bene. La mamma è… una persona difficile a cui tenere testa». E prima che lui possa dire alto, lei gli avvolge attorno le proprie braccia.
Solo quando sente le lacrime di lui inzupparle la spalla realizza di essere, in effetti, quella che lo sta confortando. Un vuoto divorante prende posto nel suo cuore – un sentimento che conosce bene – e anche mentre abbraccia la cosa più vicina ad un alleato che abbia, la solitudine si abbatte su di lei come l’onda di una marea.

Quando apre la finestra, è già lì, che disturba lo strato liscio di neve sul suo davanzale. Scintilla con un tocco chiaro, nitido, diverso da quello del luccichio sparso e smorzato della neve. L’estremità che si allunga e che punta in alto proietta una lunga ombra scura.
Regina si sporge, allungando il collo, e fissa la faccia di una curiosa bestia dentosa che scopre le sue zanne ghiacciate da sotto il tetto incappucciato di neve.
Una volta era un dolce, quando lei era piccola.
Combattendo l’inquietante apatia, lei s’impone di allungare la mano verso il ghiaccio isolato caduto sulla sua finestra. Brilla ancor più splendente quando lei spazza via la neve, e manda sprazzi accecanti; Regina chiude gli occhi davanti alla sua indomita nitidezza. È freddo e spiacevole al tocco, e lei non riesce a capire come una volta poteva fingere che fosse una squisitezza – ma se lo porta comunque alla bocca e lo sonda cautamente con la lingua.

*
Quando lui apre la porta ed esce, una goccia agghiacciante gli si schianta sul naso. Un’altra lo colpisce dritto nell’occhio mentre lui si ferma per meravigliarsi della linea a zigzag che pende da sopra. Il modo in cui la luce del sole passa obliquamente attraverso i ghiaccioli abbondantemente schierati lo incanta.
Una volta era un dolce. Potrebbe esserlo ancora.
Incapace di resistere, Daniel tende una mano, ma è di gran lunga troppo alto; dovrà saltare. Occorre qualche tentativo, ma alla fine riesce a staccare un lungo frammento.
Ronzinante nitrisce dentro le stalle.
Il cono lucente è freddo e rinfrescante nelle sue mani, e lui non riesce ad afferrare come la pura meraviglia dei ghiaccioli possa mai perdere il suo fascino. Devono essercene tonnellate fuori dalla finestra di Regina, che fanno capolino da sotto il tetto innevato. Il sole deve lanciare raggi dorati, e in cambio la foresta ghiacciata di punte deve lanciare scintille dorate.
L’acqua gocciola nei suoi palmi mentre si scioglie sotto il calore delle sue mani, ed ha un gusto dolce e puro.

È difficile credere che la sua detenzione stia giungendo ad una fine, ed ancora più difficile immaginare che avrebbe provato così poca gioia alla prospettiva.
«…niente più sciocchezze, Regina!» La mamma ha davvero pestato i piedi? «Mi stai ascoltando? Non tollero questo comportamento!»
Regina annuisce una volta e tiene la testa china. Con la mamma che la tempesta di regole recentemente forgiate e misure punitive, potrebbe essere o un pessimo o un ottimo momento per questi pensieri; in ogni modo, non c’è nulla che lei possa fare a proposito.
Uscita furtivamente dalla propria stanza il giorno di Natale con due pacchetti confezionati con cura, Regina aveva sentito una fitta di senso di colpa nel trovare vuoto l’albero sontuosamente addobbato. Ciononostante, era andata a posare i due pacchetti sotto di esso: Per la mamma, e Per il papà, dicevano le etichette.
Sta dritta con il viso distolto, fissandosi i piedi, mentre la mamma continua instancabilmente la sua scenata. Come vorrebbe che avesse detto qualcosa allora! Ma no – come adesso il rimprovero è parte della punizione, così lo era il silenzio appuntito mentre scartava il regalo. Regina si domanda perché la mamma non l’abbia semplicemente lasciato impacchettato – anche quella sarebbe stata una chiara asserzione. Forse era curiosa. In ogni modo, Regina non ha mai saputo come la mamma abbia trovato il dono che lei ha scelto con tanta cura.
«…la tua detenzione è finita. Come ho detto, però, terrò un occhio su di te – giorno e notte, Regina, finché non vedrò almeno una qualche intenzione di miglioramento. È chiaro?» Il vestito della mamma fruscia, e il suo profumo le punge le narici – si è avvicinata, imponendo la propria presenza su di lei in modo ancor più pressante.
Regina annuisce.
«Guardami». Lei obbedisce. L’espressione sul viso della mamma è la stessa che ha indossato per giorni – un’espressione distaccata di rabbia fredda. «La cena sarà servita tra un momento. Vestiti». Senza ulteriori parole, si gira per andarsene.
Disperatamente, Regina prorompe: «Mamma? L’hai mai usato – almeno una volta?»
Lei non si gira nemmeno a guardarla mentre risponde. «Usato cosa?»

La crosta sottile e ghiacciata in cima alla coperta di neve risplende alla luce ricca del sole d’inverno, e scricchiola deliziosamente sotto i loro piedi. Per un po’, Regina cammina in silenzio, curiosando la campagna con occhi larghi e brillanti. Poi, di punto in bianco, scoppia in una risata argentina tanto contagiosa che presto Daniel si ritrova piegato in due per l’ilarità.
«Sono tornata» ansima alla fine lei in risposta ad una domanda mai posta. È di nuovo libera di uscire, libera da balli e principe, e per qualche giorno persino dalla mamma – come può non ridere?
Daniel ricambia un largo sorriso; in qualche modo si sente incapace di parlare, il suo petto pieno sino ad esplodere di un calore che il sole non può eguagliare. Si limita a puntare verso la loro destra, nella sfera d’ottone nel chiaro cielo biancastro.
In mezzo al paesaggio nevoso giace il lago orlato da un boschetto di alberi incappucciati di neve. La sua superficie è uno specchio lucente grigio-azzurro cosparso di pezze casualmente distanziate di morbidezza bianca. Regina rimane senza fiato alla vista.
«Facciamo a gara sino a quella roccia» dice d’impulso subito dopo, e sfreccia oltre a lui con una risata spensierata che risuonano dietro di lei. Assicurando le due paia di pattini sulle sue spalle con un ampio sorriso, Daniel inizia a correre.
Il ghiaccio è tanto spesso quanto sperava, e lui ritira il proprio piede con soddisfazione sapendo che saranno al sicuro. Regina lo oltrepassa sui propri pattini ed atterra sulla propria schiena nel momento in cui i suoi pattini toccano il ghiaccio. Un Daniel pietrificato si precipita ad aiutarla, e lei ammette tra le risate di non aver mai pattinato prima. Lui inizia a spiegare, ma Regina gli afferra impazientemente le mani con uno scintillio allegro negli occhi, e le gambe di Daniel si muovono al momento opportuno, mostrandole come fare e guidandola.
«Più veloce!» grida lei. Lui le stringe le mani più forte.
«Allora aiutami!» replica, ed è impressionato da quanto velocemente capisce come si fa.
I loro dintorni diventano una macchia indistinta mentre guadagnano velocità, lui che la traina dalle mani in un movimento all’indietro, lei che spinge in avanti con un’espressione gioiosa che s’intona a quella di lui. Le lame dei loro pattini disegnano archi e zigzag sul ghiaccio. Quando Daniel grida di tenersi forte e li fa roteare in un cerchio, Regina perde l’equilibrio. In uno sforzo disperato di proteggerla, Daniel la attira a sé con uno strattone e atterra duramente sulla propria schiena, ammortizzando la caduta di Regina col proprio corpo. L’aria viene sbalzata fuori da lui per qualche battito cardiaco.
«Stai bene?» farfuglia freneticamente. Un terribile momento di shock lo invade mentre sente le spalle di lei alzarsi ed abbassarsi rapidamente. «Regina? Regina!» La spinge in su con cura, ansioso di vedere il suo viso – un viso, nota con perplessità, contorto da risate silenziose. L’equivalente reale della pietra che gli cade dal petto sarebbe più che sufficiente per spaccare il più solido strato di ghiaccio.
Ci vuole un momento prima che Regina si riprenda abbastanza da sedersi sul ghiaccio accanto a lui, continuando a stringergli le mani. Abbassa lo sguardo su di lui, poi lo alza sul cielo, sugli alberi, sull’argine innevato, e di nuovo su di lui, con nient’altro che esultanza. «Sono viva, Daniel. Sono viva».

«Buon tardo Natale, Regina».
Gli occhi di lei si aprono con un colpetto alle sue parole. «Daniel…» dice ansimando, ed i suoi occhi si riempiono di lacrime. Niente poteva prepararla per questo, eppure capisce immediatamente. «Per me?»
«Certo che è per te» replica Daniel. «Ricordo che mi hai detto che non ti è mai stato permesso di decorare il tuo albero perché è un lavoro da servitori – e ho pensato che dovresti farlo». Una bolla di felicità si dilata nel suo stomaco alla vista della sua gioia.
«Dovremmo farlo insieme». Lei gli fa un cenno, già dentro sino al gomito alla scatola degli ornamenti natalizi sotto l’alberello.
Stelle, fiocchi di neve e cuori di diverse forme e dimensioni trovano la loro strada dalla scatola alla mano ai rami; ghirlande e renne ed angeli si uniscono a loro. Quando l’albero è appropriatamente adornato, Regina lo guarda di traverso e torna a rovistare nella scatola. Daniel stende il palmo con un sorriso.
«Va’ avanti» annuisce, e Regina mette l’elaborata cometa in cima all’albero. Entrambi stanno indietro per ammirare il risultato. È piccolo e semplice, le pagliuzze gialle degli ornamenti graziosamente contrastate contro gli aghi verdi.
«Il mio primo albero di Natale» dice quietamente lei. Poi aggiunge con una stretta alla sua mano: «Grazie».

«Assomiglia anche solo remotamente ad un angelo?»
Mentre lei si rialza aiutandosi con braccia e gambe, procedendo cautamente così da non rovinare il proprio lavoro, il cappuccio le scivola via. I suoi capelli sono bagnati e pesanti di grappoli di neve che si scioglie rapidamente aggrovigliati qua e là. Essendo arrivata ad una distanza sicura dall’impronta nella neve attentamente scolpita, Regina inizia a scrollarsi e a spazzare via i rimanenti gruppi di neve dai lunghi, scuri sipari dei suoi capelli tirati sopra la sua spalla.
«Sì» annuisce Daniel con un sorriso inconsapevole; ma non è l’angelo di neve che sta guardando. Tu sì.

È il dodicesimo giorno di Natale. Rami di alloro coprono i pavimenti, aspettando di essere portati via, così come le corone, le ghirlande e le candele. Il grande pino piove aghi asciutti e sbiaditi mentre numerosi servitori lottano per farlo passare attraverso la porta. I cuochi portano in giro piatti di avanzi di biscotti e torte, che ora saranno dati loro poiché possano dividerli con le loro famiglie.
Regina guarda l’ultimo ramo di agrifoglio decorato che viene raccolto da un valletto. La sala sembra già squallida e inutile spogliata di tutte le decorazioni festive. Quando l’uomo propone di lasciarle un ricordo, comunque, lei rifiuta – queste vacanze non hanno esattamente creato le memorie più piacevoli.
Quando l’ultimo cuoco se ne va, la casa torna nuovamente silenziosa – la mamma è ancora via e il papà non si è fatto vedere molto negli ultimi giorni. Regina è proprio sul punto di girarsi e dirigersi verso la propria stanza quando dei passi affrettati entrano nella sala.
«Daniel?» esclama sorpresa. «Non vieni mai dentro casa».
«Sono nei guai?» domanda lui con un gran sorriso. Sperava di essere abbastanza fortunato da imbattersi in lei mentre era lì.
«Non lo so… lo sei?» dice lei con un cipiglio. «Oh…» Fa un mezzo sorriso quando capisce. «Cosa stai facendo?»
«Sto aiutando con le pulizie. Mi è stato promesso qualcuno di quei biscotti zuccherati in cambio». Lui le fa l’occhiolino. «La cucina è vicina».
Questa volta lei sta al gioco. «Un pagamento? E io che pensavo fossi caritatevole».
«Mi dispiace deluderti». Daniel struscia un po’ i piedi prima di continuare. «Oltretutto ammetto che avevo un altro motivo».
«Oh?» Lei alza un sopracciglio.
«Volevo chiederti se t’interesserebbe venire a tirare giù l’albero di Natale con me. È una tradizione proprio come decorarlo, capisci».
«Verrò dopo cena» sorride lei.
«Così e basta?»
«Cosa vuoi dire?»
«È solo… Di solito dobbiamo stare così attenti a fare tutto di nascosto. È strano avere tanta libertà». Proprio mentre dice queste parole realizza quanto più intensamente lei debba provarlo.
«Lo so. È per questo che sono così felice che riusciamo a stare insieme di più in questi giorni – voglio sfruttarlo al meglio. Mi sei mancato, Daniel».
«Anche tu mi sei mancata».
Per un momento si limitano a stare lì, guardandosi, sorridendo. Daniel è quello che distoglie gli occhi, anche se non lo fa perché lo vuole.
«Cosa c’è?» chiede lei con una nota di preoccupazione, toccandogli lievemente il braccio mentre lo fa.
«Farei meglio ad andare» replica lui, senza incontrare il suo sguardo.
«No, aspetta. Stai bene?»
«Certo» dice casualmente lui. Poi, notando l’espressione confusa sul suo volto, sente una fitta di senso di colpa. «Va tutto bene. Sono solo davvero felice di poterti vedere più spesso». È la verità, discute con l’altra voce nella sua testa, adesso è più vero che mai. E questo, per così dire, capita essere la cosa esatta che gli causa preoccupazione. Perché non è l’intera verità, sospetta – e il sospetto cresce con ogni giorno che passa.
«Ti credo» dice lei dopo averlo guardato per un po’ negli occhi, e gli stringe le braccia. «Anch’io. Dovresti sapere che hai salvato il mio Natale quest’anno. E, be’, forse non solo il Natale…»
Smette di parlare, arrossendo lievemente.
Il suo sorriso illumina la stanza, e tutti i guai sembrano svanire.
Daniel si inclina verso Regina e, magicamente, lei fa lo stesso, e nessuno dei due sembra ricordarsi di girare la guancia, o forse scelgono di non farlo, o forse è solo più grande di loro – le loro labbra si toccano leggermente per il più breve dei momenti.
Lo stomaco di lui sembra essere scomparso, ma il cuore gli martella con un’intensità inaudita. Quando si separano, si fissano l’un l’altra ad occhi spalancati. Nessuno dei due parla. Il momento sembra interminabile. Il colore sale alle guance di lei, un cremisi scuro, e lui sente a propria volta un’ondata di calore. Cos’ha fatto? Non ha nemmeno mai osato pensare pensieri simili prima, e adesso ha oltrepassato tutti i limiti! Ora cosa succederà alla loro amicizia?
«Ci vediamo dopo, Regina» dice Daniel con voce roca, e fugge.
Regina rimane immobile anche dopo che lui se n’è andato, anche se le sue mani scattano alle sue labbra. È davvero successo? Cosa significa? I baci sulle labbra sono abituali tra amici? Non avendone altri all’infuori di Daniel, Regina non lo sa.
Il suo sguardo assente vaga verso il soffitto; hanno dimenticato il vischio.
Ci vuole un po’ prima che Regina realizzi di star sorridendo scioccamente. È ancora ferma nella sala, inchiodata sul posto, e il suo cuore sembra ancora mettere a dura prova la sua gabbia toracica, anche se ora in una maniera più calma e regolare. In una maniera felice.











NdT:
Per restare in tema natalizio (anche se sì, lo so, non è proprio il periodo giusto), spero che questo capitolo possa considerarsi un bel regalo.
Grazie mille a robydesy per aver aggiunto questa storia alle preferite!
Il prossimo aggiornamento arriverà venerdì 11, se ce la faccio :)

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Capitolo 16
*** Two Toads Are a Knot ***


Nota dell’Autrice: Be’, questo non è proprio il momento migliore, ma mentre la storia procede mi vengono dubbi sulla mia capacità di scrivere qualcosa di romantico. Questo potrebbe probabilmente avere molto a che fare con quanto disperatamente voglio rendere loro giustizia. Per farla breve, spero che vi piaccia quanto sta per arrivare: sentitevi liberi di scacciare i miei dubbi o di confermarli, sarei felice di sentire la vostra opinione.

Capitolo 16
Two Toads Are a Knot

Daniel sta già aspettando, adagiato comodamente sotto l’albero, quando lei scivola giù dal dorso di Ronzinante.
«Scusa, sono in ritardo» ansima, e si siede comodamente sull’erba accanto a lui. «Guarda cos’ho!» Una gemma marrone-rosacea è nel suo palmo, adornata da una fogliolina verde. «Sta fiorendo! Riesci a crederci? L’albero che abbiamo piantato insieme… finalmente quest’anno darà frutto!» Può a stento contenere la propria eccitazione mentre gli spinge la cosina sotto il naso.
Il suo è un genere contagioso di gioia che immediatamente coinvolge anche lui. Il modo in cui lei gli sorride radiosamente supera le sue aspettative per questo momento – un momento che aspettava da quando lui stesso se n’è accorto questa mattina.
«Sembra che sia stato spezzato – da un qualche uccello goffo, credo» rimugina lei.
Questo riempie il collegamento mancante che stava aleggiando confusamente nella mente di Daniel – l’idea che Regina avesse colto la cosa preziosa dall’albero non quadrava.
«Ma ce ne sono altri» continua lei allegramente.
«Ce ne saranno ancora di più la prossima volta, e quella dopo» dice Daniel.
Lei gli rivolge un sorriso di scusa. «È solo che non riesco a capacitarmene».
«Lo capisco molto bene» dice lui con un ampio sorriso.
«È buffo, però, non è vero? Quest’albero sotto il quale siamo seduti ha dozzine di fiori, ma per me questo qui è più prezioso di tutti quelli messi insieme».
«È tuo» dice semplicemente lui.
«In ogni modo… così tanti semi di mela nel mondo, e il nostro albero li supera tutti».
Siedono in un silenzio amichevole per un po’.
«Hai portato un libro diverso» nota Daniel. «Sei così arrabbiata con quello di prima?»
«Sì» dice lei in modo molto pratico. «Mi piaceva, sai». Una nota di abbattimento s’insinua nella sua voce. «Ma questo era prima che i personaggi che pensavo mi piacessero iniziassero a prendere decisioni orribili e pretenziose».
«Qualcosa in particolare?» In realtà, sospetta di saperlo.
Per un po’ lei sembra cercare le parole giuste, poi prorompe: «Perché uno dovrebbe scegliere la società anziché l’amore?» C’è una perplessità genuina nella sua domanda ed anche pizzico di ribellione.
Lui si sposta un po’ per sedersi guardandola in faccia. Per quanto odi ammetterlo, le sue parole sono un balsamo per la sua anima. Regina può anche esserne inconsapevole la maggior parte delle volte, ma recentemente l’abisso sociale tra loro è gravato su di lui con particolare intensità – specialmente dal famigerato incidente del principe. Il principe fa parte del passato, ricorda a se stesso. Per quanto ci provi, però, non riesce ad ignorare l’inevitabile fatto che, anche se questo può essere passato, presto o tardi ne arriverà un altro.
La sua mente vacilla, portando in superficie pensieri su cui ha rimuginato per giorni.
«Non lo so… Dev’essere stato imbarazzante». L’ha detto ad alta voce? «Non lo status sociale», scuote la testa davanti allo sguardo confuso di Regina. «Voglio dire la loro relazione…» Ma le parole giuste sono difficili da trovare, e Daniel inizia a desiderare di non aver cominciato questo discorso in primo luogo. «Erano amici, giusto? E poi qualcosa è cambiato. Quando la loro amicizia ha iniziato a trasformarsi in qualcos’altro… Credo solo che debba essere stato imbarazzato, ecco tutto» conclude bruscamente, adesso desiderando definitivamente di essere stato zitto a questo proposito, e domandandosi se ha detto troppo.
«Forse è semplicemente successo in modo naturale – forse è così che va questo genere di cose». Lei guarda Daniel, poi il libro, poi torna a guardare di nuovo Daniel. Un’espressione curiosa prende posto sul suo volto. Lo stomaco di Daniel è annodato – non sa se questo sia naturale, ma di sicuro è estremamente imbarazzante.
«Daniel?» Lei posa una mano sul suo braccio. «Stai bene?»
La sua preoccupazione lo tocca profondamente, e lui si obbliga a sorridere.
«Ricordo una filastrocca» dice. Gli tormenta la mente da giorni ormai. «Uno scioglilingua che avevamo l’abitudine di ripetere».
«Quale?»
«Un ranocchio degli alberi amava una ranocchia che abitava su un albero». Cercando i suoi occhi per un segno di riconoscimento, lo trova. Quindi anche lei lo ricorda. «Era un ranocchio con due dita ma una ranocchia con tre dita era lei». Regina inclina la testa ed un piccolo cipiglio le corruga la fronte. Daniel vorrebbe che lei non avesse tolto la mano dal suo braccio mentre continua con pesantezza crescente. «Il ranocchio degli alberi con due dita provò a conquistare il cuore della ranocchia con tre dita…» Si deve costringere a proseguire, e maledice la propria mancanza di autocontrollo. «Poiché il ranocchio degli alberi con due dita amava il terreno che la ranocchia con tre dita calpestava. Ma il ranocchio con due dita provò invano. Non poteva soddisfare il suo capriccio. Dal suo pergolato da ranocchia degli alberi col suo potere di ranocchia con tre dita la ranocchia gli pose il proprio veto».
Desidera di poter evitare l’acuto sguardo indagatore di lei ma teme che potrebbe essere proprio quello a tradirlo.
«Va bene, questo è uno scioglilingua detestabile» dichiara lei. Daniel non può evitare di sorridere alla sua indignazione. «Be’, è vero! Le loro differenze non li avrebbero fermati se si piacevano».
«No, credo che non avrebbero dovuto. Ma effettivamente nella filastrocca lei lo rifiuta».
«Forse è solo che lui non le piaceva» suggerisce lei. «Forse non ha niente a che fare col suo status».
Daniel si sente come se un gran pugno lo avesse appena colpito nello stomaco. Lei ha ragione, certo: le differenze si possono superare, ma i sentimenti non corrisposti? In quel caso non c’è speranza.
«Giusto. Be’, allora lui dovrà solo conviverci, non è vero?» Di nuovo, maledice il sussulto nella propria voce, e desidera con tutta la propria forza che lei non abbia notato niente – stanno semplicemente discutendo di una filastrocca, dopotutto.
La mano di Regina si muove istintivamente per offrire conforto. Lei si ferma a metà strada, comunque, si copre brevemente la bocca, e torna lentamente ad abbassare la mano. «Ma…» inizia flebilmente, e il cuore di Daniel sembra essersi fermato per la paura. Ha appena rovinato tutto? «Ma se lei provasse dei sentimenti per lui?»
Una scintilla di speranza è tutto ciò che serve per accendere un fuoco; il suo cuore si alza in volo brevemente ma lui si sforza immediatamente di spingerlo di nuovo a terra. Non essere uno stupido, si rimprovera, non significa niente. Lei non vuol dire nulla – è solo la filastrocca. Sta parlando della filastrocca. «Pensavo avessimo appena concordato che non è così» riesce a dire cautamente.
Gli occhi di Regina saettano rapidamente da oggetto a oggetto come a cercare un appiglio metaforico prima di tornare a guardarlo. «Forse in un’altra versione lo è».
«C’è un’altra versione?» Le parole vengono da sole mentre lui cerca di guadagnare tempo per riprendersi.
Le scappa un sospiro brusco. Lei cerca di parlare e cambia idea numerose volte prima di alzare le braccia in modo esasperato. «Importa che non ci sia? Possiamo sempre crearne una».
«Crearne una?» Ora lui si sente abbastanza smarrito, la sua mente completamente intorpidita.
«È semplice, davvero. Vuoi che ci provi?» Fissandolo col proprio sguardo, lei parla senza aspettare risposta. «“Così il ranocchio degli alberi con due dita cerca e cerca di soddisfare ogni suo capriccio». Si ferma, pensando, e gli angoli della sua bocca si contraggono mentre una scintilla vittoriosa le balena negli occhi. «Nel loro pergolato da ranocchi degli alberi… col suo compagno ranocchio con due dita… la ranocchia vive il loro sogno”. Vedi?» Lei sorride un mezzo sorriso. «Potevo farlo in un momento». Deglutisce prima di aggiungere solennemente: «Tutto ciò che dovevi fare era chiedere».
Pensieri frammentari gli corrono attraverso la mente in una frenesia selvaggia. Lui si obbliga a pensare chiaramente anche se ciò minaccia di ucciderlo. «Ma se tu non avessi potuto farlo, o voluto? Potrebbe rovinare la nostra… Voglio dire, la filastrocca esistente» sottolinea quietamente a dispetto del proprio caos interiore. «Anche quella mi piace davvero».
«Di cosa stai parlan…? Ah…» Le guance di lei bruciano di un fucsia profondo. Daniel sente il panico ergersi dentro di lui. Lei ha capito? Ora come fa a rimangiarselo?
Regina non dice niente; in effetti, non fa niente. Continua a sedere immobile, il suo sguardo impassibile, il suo petto che si alza e si abbassa rapidamente ad ogni brusca inspirazione.
«Regina…» La disperazione minaccia di avvolgerlo mentre cerca febbrilmente un qualsiasi mezzo di salvataggio. Non riesce a farsene venire in mente nessuno.
E poi alla fine la sua espressione cambia; lei si morde il labbro. Si sposta lentamente più vicina a lui, e lui si limita a guardarla, pietrificato eppure colmo di trepidazione. Lei si fa sempre più vicina, finché le loro spalle quasi si toccano, e solo allora rompe il contatto visivo. Il cuore di Daniel manca un battito mentre lei appoggia la testa sulla sua spalla, e gli avvolge cautamente le braccia attorno alla vita.
Dura solo un momento: il canto degli uccelli e il sussurro del vento tra le foglie, il rumore giocoso del torrente e tutti gli altri suoni sembrano farsi muti, e i loro dintorni diventano una macchia.
È finito prima che lui abbia anche solo la possibilità di comprendere cos’è successo. Regina si ritira e il pessimo presentimento torna peggiore di prima. Daniel si sforza di incontrare il suo sguardo, sperando in una spiegazione, ma tutto ciò che trova è paura. Potrebbe anche star guardando in uno specchio. Ma non proprio.
È allora che lo realizza. Per Regina, non è lo stesso. Mentre a lui non è mai mancata la sensazione di essere amato dalla sua famiglia, tutto ciò che Regina ha sempre dovuto sopportare sono dubbi e dubbiose rassicurazioni di un amore che manca di mostrarsi. Nonostante i suoi migliori sforzi – sforzi a cui nessuno dovrebbe essere condotto in primo luogo – il rifiuto è stato un compagno costante per Regina.
C’è più della paura a ricambiare il suo sguardo; c’è una vita di rifiuto che aleggia. L’ansia di Daniel scompare sotto lo sguardo supplice di Regina. Deve essere lui. Deve correre il rischio.
Perso anche dopo aver preso la propria decisione, Daniel alza una mano e fa scorrere gentilmente il pollice lungo la guancia di Regina. Lei si abbandona al suo tocco con gli occhi chiusi.
«Regina…?» domanda lui, confuso, ansioso, colpevole – ma soprattutto, speranzoso. Gli occhi di lei si aprono. E se lui si sbagliasse? «Sei…? Siamo…? Tu…?» Questo non sta portando da nessuna parte. «Non voglio fare qualcosa che non vuoi». Lei sembra sul punto di parlare ma si limita a deglutire e lo guarda ansiosamente. Lui ha bisogno di essere sicuro. Come può farlo? «Io sono il ranocchio con due dita» dice disperatamente, sentendosi un folle completo, «e tu la ranocchia con tre dita. Se io cercassi di… “soddisfare ogni tuo capriccio”…» Nonostante la gravità della situazione, non riesce a trattenersi dal sorridere, mentre lei dà una risatina. Il resto delle parole si riversa fuori dalla sua bocca: «In che modo finirebbe la filastrocca?»
«Nel modo nuovo» sussurra lei senza esitazione con una lacrima che le riga la guancia e il sorriso più luminoso. «Non è per questo che l’abbiamo riscritta?»
Daniel le mette attorno un braccio e la trae vicina, e Regina seppellisce il viso nella sua maglia.
«Sai, è proprio una novità corteggiare qualcuno chiamandolo ranocchio» arriva dopo un po’ la sua voce soffocata e divertita.
«Non un ranocchio qualunque – una ranocchia degli alberi, bellissima e a tre dita» replica Daniel col cuore che si alza vertiginosamente.
Lei solleva il volto per guardarlo con gli occhi che scintillano. «Penso che dovresti baciare dei ranocchi, non è così?»
Il sorriso di lui si allarga da orecchio ad orecchio. Nonostante il sussulto incontenibile del suo stomaco riesce a ricambiare lo scherzo. «Dove è scritto? Inoltre, non voglio cambiarti in nulla – mi piaci così come sei».
Sente un impeto d’affetto mentre lei lotta visibilmente per elaborare la propria pura delizia alle sue parole ma allo stesso tempo mantiene la leggera canzonatura che hanno instaurato. «Ma volevi compiacere ogni mio capriccio, ricordi?»
«Questo non è esattamente un gran sacrificio» sussurra rocamente lui appena prima che le loro labbra si incontrino.









NdT:
Alias il capitolo che ha reso incontenibile la mia voglia di abbracciare Daniel (e Regina).
Scusate il rinvio dell’aggiornamento, ma ieri – incredibile ma vero – sono stata un po’ in giro, e anche se tecnicamente avevo già tradotto il capitolo dovevo ancora rileggerlo e correggere eventuali errori.
Riguardo lo scioglilingua, io ne ho fatto una traduzione piuttosto letterale, ma magari in futuro ci tornerò sopra e cercherò di rendere almeno qualche rima.
Per finire, cercherò di aver pronto il nuovo capitolo per mercoledì 16 luglio (ma è abbastanza lungo, quindi non so se ce la farò). Alla prossima!

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Capitolo 17
*** Of Apple Blossoms and Tufts of Grass ***


Nota dell’Autrice: Fluff! Nient’altro da dire.

Capitolo 17
Of Apple Blossoms and Tufts of Grass

«Di qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la sua e la mia sono le stesse, e…» La brezza che si alza arruffa le pagine ingiallite del libro nelle mani di Daniel, e lui si ferma a metà frase per ritrovare il passaggio. Le foglie sussurrano sulle cime degli alberi, toccandosi e separandosi ancora mentre il vento fa oscillare i rami. Daniel fa scorrere il pollice lungo le pagine cercando il punto familiare e, dopo averlo individuato, riprende a leggere. Di tanto in tanto inciampa su una parola o perde completamente la riga – come potrebbe non farlo, quando i suoi occhi vagano a più riprese dalle pagine squallide alla mano morbida posata sulla sua spalla. Neanche la sensazione di solletico causata da ciocche di capelli corvini aiuta la concentrazione.
La fonte della sua distrazione si allontana lievemente e gli dà un lieve schiaffo sulla guancia. «Concentrati» lo rimprovera Regina. L’aspirante severità del suo tono è cancellata dal calore dei suoi occhi e del sorriso che non riesce a trattenere.
Be’, a questo gioco si può giocare in due.
«Sono demotivato» si lamenta Daniel. «Che ne dici di un bacio per i miei sforzi?»
«Dopo che avrai finito il capitolo» insiste lei con un sorriso malizioso.
A dirla tutta, lui fa un tentativo, e lei impone la propria regola – entrambi lo fanno piuttosto flebilmente, però. Alla fine Regina gli prende il libro dalle mani e lo mette da parte. Lui rivendica il bacio che gli è stato promesso, e poi lei ne richiede uno in cambio. Si separano senza fiato nell’aria dolce della primavera.
Gli occhi che schizzano via da lei, Daniel allunga rapidamente la mano verso il libro. «Continuiamo?»
Regina si agita un po’ prima di mettersi comoda con le gambe distese e la schiena poggiata contro il tronco nodoso di un melo selvatico. Ronzinante nitrisce nelle vicinanze in risposta al cavallo di Daniel. Regina contempla gli squarci di cielo tra i rami del vecchio melo, rigirandosi distrattamente un piccolo bocciolo marrone rosastro tra le dita.
«Che ne dici di guardare un po’ le nuvole?» suggerisce.
Quando Daniel si sistema sulla propria schiena con le mani dietro al collo, lei si sposta al suo fianco. Una mano stringe ancora il piccolo bocciolo del melo, che è stato ormai attentamente seccato ma non è per questo meno bello o prezioso; l’altra mano le giace di fianco, spostandosi appena di tanto in tanto. Soffici ciuffi di erba giovane le carezzano i palmi mentre lei fa scorrere le dita attraverso i fili teneri. Lei avverte un movimento accanto a sé e si immobilizza per un secondo, addirittura trattiene lievemente il fiato senza nemmeno realizzarlo. Poi la mano di Daniel trova la sua e, mentre le loro dita si allacciato, Regina sospira di soddisfazione.
«Non vedo niente, sai» dice dopo un po’. «Lassù, voglio dire».
«Nelle nuvole?» Lui aggrotta la fronte – è strano detto da lei. L’hanno già fatto, naturalmente, e scoprire sagome e forme in quella massa ininterrottamente in movimento e in cambiamento è sempre stato un piacevole passatempo.
«Credo di non averne bisogno» replica lei. «Sono nuvole. Sono bianche e morbide o grigie e dense. Mi piace il modo in cui si sollevano lungo il cielo pigramente, arricciandosi e dispiegandosi di nuovo – ma oggi non cerco sagome fantastiche».
«E come mai?» Sicuramente lei deve star arrivando da qualche parte.
«Perché adesso mi piace quaggiù. Mi piace ogni cosa che c’è quaggiù».
Una stretta di mano è tutta la risposta di lui. È abbastanza. Lei si fa scivolare più vicino e chiude gli occhi, inspirando la terra fragrante, l’erba, e i petali bianchi disseminati qua e là sotto i rami.

Regina…
Il vento fischia il suo nome mentre lei corre lungo la radura, i capelli che volano e le mani tese a pettinare l’erba alta.
«Regina…»
Oh, è lui.
«Guarda là, vicino al ruscello» dice Daniel sommessamente quando lei apre gli occhi.
«Mi sono addormentata?»
«Sì. È stata una strada lunga sino a qui, quindi nessuna sorpresa. Ora guarda» sorride e indica il brillante nastro argenteo a metà del pendio.
Dapprima sembrano nuvole che si siano perse, avendo scambiato il terreno per il cielo. Solo dopo che lei si stropiccia velocemente gli occhi realizza cosa sono davvero, e che le sagome morbide che si muovono lentamente sul fresco tappeto verde sono molto più solide delle volute sopra la sua testa. Un pastore cammina in mezzo a loro con un cappello di paglia posato sulla testa e un alto bastone ricurvo in cima nella mano. Mentre il gregge si muove per bere al ruscello immacolato, un lieve tintinnio raggiunge le loro orecchie. Un raggio di sole rivelatore svela una campanella di ottone al collo di una delle palle di pelo morbido. Qualche belato occasionale sale lungo il pendio, più forte del brusio complessivo, e uno – particolarmente pronunciato – fa ridacchiare Regina.
«Vuoi andare laggiù?»
Lacerata tra il desiderio di mantenere la scena idillica indisturbata e la voglia di vederla da vicino e forse di diventarne parte per un momento, Regina si limita a fissare il gregge che si muove pigramente.
«Andiamo». Daniel si alza e le offre una mano. «Possiamo avvicinarci un po’ di più e poi vedremo se vogliamo raggiungerlo».
Il pastore è effettivamente colui che fa loro cenno di avvicinarsi una volta che loro si sono approssimati. È un tipo silenzioso, come se avesse poche opportunità di parlare con delle persone, ma il suo volto segnato dalle intemperie è gentile. Per un momento scompare nella massa brulicante di bianco e riemerge con un agnellino e con la guardinga mamma pecora che segue il suo piccolo.
Regina si illumina ed immediatamente si lascia cadere sulle proprie ginocchia e allunga le braccia verso il curioso, imperturbato agnello. All’ultimo momento, si ferma e guarda prima Daniel e poi il pastore. L’uomo le fa un segno incoraggiante proprio mentre l’agnellino urta il proprio piccolo naso contro la spalla di Regina.
«Guarda le sue orecchie» ride lei mentre accarezza la creatura che bela felicemente. «Bellissimo».
Lo è, per Daniel, una scena persino più bella di quella indisturbata di prima sul pendio.
«Ne voglio uno» annuncia più tardi Regina mentre risalgono il pendio.
«Una pecora?» chiede Daniel. Poi aggiunge con una piccola risata: «Perché non ne sono sorpreso?»
«Be’, erano meravigliose. Potremmo averne qualcuna».
«Immagino che tuo padre non si opporrebbe».
«Mia madre, d’altra parte…» Regina si ferma a metà della frase, anche a metà del pensiero; l’ultima cosa che vuole è rovinare questo momento speciale indugiando sulla realtà alla quale dovrà comunque tornare fin troppo presto.
La casa del guardiano della foresta si trova in cima ad una bassa collinetta sulla sponda opposta del lago. Il sentiero sterrato verso la casa li conduce sulle rive del lago. La superficie è blu scuro con chiazze dorate mentre il sole getta i suoi raggi su di essa, e le increspature del vento sembrano trasformarla in vetro fuso. Una famiglia di anatre sguazza lungo la sponda, una madre con cinque anatroccoli ad una lezione di nuoto.
«Mi piacerebbe fare una nuotata, domani» dice Regina quando si lasciano dietro la famiglia di anatre mentre il sentiero devia dal lago.
Daniel si gira per guardarla, poi guarda il lago al di sopra della propria spalla. «È troppo presto. L’acqua sarà fredda».
«Non m’importa». Lei scrolla le spalle.
«Controlla tu stessa» suggerisce Daniel, ed effettivamente fa per tornare sui propri passi verso la sponda.
Regina strappa la mano da quella di lui. «Sei iper-protettivo» sbuffa. «Posso sopportare dell’acqua un po’ freddina».
«Sarà più che freddina». Daniel si strofina la fronte. «Sto solo cercando di essere ragionevole».
«Io non voglio essere ragionevole! Io voglio… voglio…» Ma le parole la abbandonano proprio mentre la sua frustrazione raggiunge il culmine. Perché lui non vuole capire?
Lui le rivolge una lunga occhiata e alla fine alza le mani. «D’accordo. Lungi da me essere un guastafeste».
A questo la tensione si solleva, e i lineamenti di Regina si ammorbidiscono. Lei si avvicina a Daniel con aria imbarazzata e allunga una mano verso la sua guancia. «So che hai delle buone intenzioni» dice seriamente. «È solo… Voglio  ottenere il meglio da questo finché dura».
Mantiene gli occhi scuri fissi su di lui così intensamente che deve voler che la dicano lunga dove le parole non possono; ed effettivamente, Daniel trova quegli occhi eloquenti come sempre. È sicuramente vero che questa uscita le dà libertà come non ne ha mai goduta prima. Lui le prende una mano e le bacia le punte delle dita.
«D’accordo. Che nuotata sia». Decide di avere un fuoco acceso per quando torneranno, ed anche una pila di coperte pronte per l’uso.
La casa è piccola e modesta ma pulita. Sono solo loro due – il guardiano vaga per i boschi per la maggior parte dell’anno, alloggiando alternativamente in una delle case similmente equipaggiate distribuite lungo la sua circoscrizione, ospitando i viaggiatori occasionali.
Mentre Daniel accende un fuoco nel caminetto sporco di fuliggine, Regina si mette a fare i letti.
«Cena?» offre lui, rovistando in una delle loro borse.
«Non ho fame». Lei scivola sul suo grembo e gli avvolge le braccia attorno al collo. «Possiamo metterci a sedere e parlare prima di andare a dormire?»
Mettendo da parte la borsa, Daniel le accarezza la guancia e con l’altro braccio le cinge i fianchi. «Certo».

Dei raggi di sole passano obliqui attraverso le cime degli alberi e scaldano le sue guance già arrossate mentre sta in piedi sulla soglia ad ammirare la vista. Piccole increspature sono impegnate a giocare sul lago, lavando gentilmente la riva erbosa o inseguendo le pagliuzze dorate del sole. La famiglia di anatre non si vede ma un doppio tonfo annuncia la presenza di un paio di rane che vanno a fare una nuotata. Potrebbero anche essere rospi. Regina sorride radiosamente. Il suo spirito sembra danzare con le increspature alle melodie del vento e del sole.
«Sbrigati!» chiama rivolta a Daniel, senza mai distogliere gli occhi dalla massa d’acqua che l’ha tentata tanto.
«Sto arrivando» arriva la sua risposta.
Come per un segnale, Regina si dirige dritta verso il lago, ignorando il sentiero e preferendo farsi strada attraverso l’erba giovane e morbida e giù per il pendio. Ha a stento raggiunto la riva e si sta già scrollando di dosso la mantella e gettandola da parte. Una pietra infida o un grumo di fango le finisce sotto i piedi e lei atterra sul terreno, scivolando sul proprio fondoschiena per il resto del percorso finché non arriva ad un arresto giusto ad un pelo dal lago.
Con una risata argentina, si toglie gli stivali con un calcio – la rapidità suggerisce che siano stati slacciati per tutta la via – e inizia a slegare il retro del proprio vestito.
«Avrei accettato volentieri un piccolo aiuto» chiama vivacemente quando Daniel finalmente emerge a qualche passo dietro di lei, muovendosi cautamente e tentando al contempo di bilanciare un mucchio di coperte piegate nelle proprie braccia.
Daniel raggela per un breve momento alla vista della schiena nuda di lei; poi distoglie rapidamente lo sguardo. Regina scivola fuori dal proprio vestito e si alza a piedi nudi in una leggera sottoveste. Daniel esala lentamente. «Sembra che tu ti sia arrangiata bene» tira fuori alla fine.
Mette giù le coperte a metà strada del pendio erboso, dove saranno a portata di mano ma non abbastanza vicine da venire inzuppate, e inizia a svestirsi per rimanere in indumenti intimi. Ogni tanto guarda furtivamente Regina, che, a dispetto della fretta precedente, è ancora sulla riva, intenta a strofinare i piedi contro i soffici ciuffi d’erba.
È fresca e solleticante, e così è la sensazione portata dalla brezza leggera che soffia facilmente attraverso la sua sottoveste. Un caldo giorno di primavera dopotutto non equivale all’estate, e Regina cerca di combattere un brivido. Come per dimostrare la propria volontà di ferro, sonda l’acqua con un piede e lo ritira velocemente. Daniel l’ha notato? Se è così, potrebbe cercare di nuovo di dissuaderla dal fare un bagno.
Azzarda un’occhiata verso di lui al di sopra della propria spalla. Lui non la sta guardando, scopre con sollievo, ma si sta sfilando la maglia dalla testa. Il capo di lei scatta indietro per dare un’occhiata furtiva al giovane, adesso senza maglia e intento a togliersi gli stivali. Regina trasale quando si scopre a guardare imbambolata la sua schiena muscolosa e si gira. Un secondo più tardi scuote la testa con un gran sorriso. Anche lui l’ha guardata? A quel pensiero sorride tra sé e sé.
Con una forte folata di vento e una nuova serie di increspature sull’acqua, la sua mente torna al lago. È così bello, così pacifico e vivace e, be’, perfetto – può farci qualcosa se non è ancora estate? Dovrebbe permettere ad una tale bazzecola di rovinare il giorno che ha sognato? Stringendo i denti, fa un passo in avanti, e un altro, e si trova immersa sino al polpaccio nell’acqua fredda.
«Diventerà solo più fredda mentre avanzi», lei sente Daniel da dietro. Nonostante lei si prepari ad obiettare, lui non aggiunge altro. Forse pensa che lei cambierà idea, che sarà ragionevole.
Ma adesso non è il momento per la ragionevolezza; è il momento per la pazzia, il divertimento, la libertà.
Le battono i denti ma lei si avventura comunque più a fondo, sino alle proprie ginocchia, a metà coscia, sino alle proprie natiche, e con ogni passo diventa più dolorosamente consapevole dell’onnipresente pelle d’oca che si propaga su tutto il suo corpo. Un brivido violento corre attraverso di lei proprio mentre il sole viene completamente fuori da dietro una nuvola vaporosa e dipinge il lago di un argento splendente. Il sorriso di Regina si allarga da un orecchio all’altro mentre lei si tuffa di testa in profondità.
Per un momento l’aria le viene tolta dai polmoni. La puntura del freddo dura solo un po’, comunque, e mentre lei inizia a nuotare con larghe, energiche bracciate, il calore torna a diffondersi nei suoi muscoli. Dopo un po’ lei si gira sulla schiena solo per venire accecata dalla sfera luminosa del sole che è sospeso proprio sopra di lei.
«Non è meraviglioso?» grida mentre galleggia nell’acqua sguazzando con tranquillità, e battendo le ciglia osserva l’azzurro del cielo e il verde calmante e vellutato degli alberi. «Daniel?»
Ma non arriva nessuna risposta, e Regina si gira da questa e quest’altra parte, schermandosi gli occhi con una mano, esaminando il lago alla ricerca di braccia o gambe che nuotano, o almeno di uno sciabordio d’acqua che le riveli dove si trova. Non c’è niente; solo le piccole increspature mosse dal vento e da lei, ma nessun Daniel.
«Daniel!» chiama, facendo a stento uscire il suono dalla gola che si stringe. «Daniel, do… aaah!»
Qualcosa le tira il piede da sotto, gentilmente ma spaventandola comunque a morte, e lei scalcia istintivamente ma colpisce solo acqua. Un paio di mani la afferrano dalla vita e la tirano indietro ma non sott’acqua, e mentre è stretta in un saldo abbraccio, sdraiata su di lui, lei inizia finalmente a rilassarsi, e i suoi strilli si trasformano in risate.
«Demonio, tu!» grida, scivola fuori dalle sue braccia, si gira velocemente, e gli getta uno spruzzo d’acqua. Colpito in piena faccia, Daniel sputacchia ma si riprende abbastanza rapidamente, ed è il turno di lei di schivare la doccia che lui manda nella sua direzione. Mani si dimenano; corpi si lanciano fuori portata; spruzzi d’acqua si sollevano nell’aria, si disperdono in un milione di goccioline e cadono di nuovo, riunificati. Quando lui le spedisce uno spruzzo particolarmente ben mirato, lei si tuffa e fugge verso la riva più vicina, tutto mentre lotta per contenere le proprie risate in un tentativo di respirare effettivamente. Daniel le dà la caccia, ovviamente, e risulta essere il nuotatore migliore, poiché si sta avvicinando; quando è quasi sopra di lei, lei si immerge ancora e sbatte i piedi furiosamente, diretta verso il fondo.
Sopraffatta da un improvviso inizio di curiosità, apre gli occhi sulla fredda massa che preme su di lei con forza crescente. È solo buio, e lei non può evitare di desiderare una vista più chiara delle misteriose profondità. Il respiro le manca, e lei si guarda attorno urgentemente – dov’è l’alto? L’oscurità sembra più chiara in una direzione, così lei sbatte i piedi energicamente da quella parte. Quando infrange la superficie, inspira un respiro profondo e ansante. Stordita dalla luce brillante, impiega un momento per ritrovare il proprio senso di direzione. Dopo un po’ individua Daniel, più in là, evidentemente intento a cercarla. Lei si tuffa ancora, stavolta non così in profondità, e riemerge dietro di lui. Sorridendo di gioia, adesso è il suo turno di lanciare le proprie braccia attorno a lui, cogliendolo alla sprovvista, e il suo piccolo guaito la fa scoppiare in uno scroscio di risate.
Ancora premuta contro di lui, appoggia la testa sulle sue spalle. Il riso soffocato di Daniel si spegne; lei è così vicina, ed anche se lui si rammenta che stanno entrambi indossando dei vestiti, sembra quasi che non ci sia nulla tra la pelle di lei e la sua.
«Nuota con me» dice lei, e lui obbedisce.
Sente i piedi di lei battere in ritmo con i suoi, le braccia di lei che si spostano da attorno al suo collo ad attorno il suo petto così che le sue braccia siano libere di fare bracciate lente ed ampie. L’acqua si increspa a stento mentre scivolano in avanti lungo il lago, tranquillo e silenzioso.
«Perfetto» sussurra lei, più a se stessa che a lui. Daniel sorride e continua a nuotare, anche se ormai le sue braccia dolgono.
Poi, sfuggente come un’anguilla, Daniel si gira verso di lei e in un istante stanno galleggiando in mezzo al lago in un abbraccio, pedalando lentamente nell’acqua e osservando nient’altro che il viso l’uno dell’altra.
«Ho freddo» ammette lei di punto in bianco, e ridacchia.
«Regina!» grugnisce lui.
«Sto bene! Sono solo un po’ infreddolita, tutto qui».
«Faremmo meglio ad andare. Adesso» dice severamente lui.
«Non ancora» implora lei, e lui si ritrova ad intenerirsi quando messo di fronte al suo sorriso disarmante. «Non prima di…» Lei alza un sopracciglio ed annulla la poca distanza che c’era ancora tra di loro.
«Prima di…?» chiede lui scherzosamente. Il suo cuore lo sa, però, e batte più forte in anticipazione.
«Prova a capirlo» mormora lei, allungandosi di poco più vicino ma fermandosi ad un pelo dalle sue labbra.
«Mi… mi sa che ho un sospetto» riesce a dire lui rocamente.
Gli occhi di Regina si chiudono alla sensazione del respiro di lui che si mescola col suo.
Le loro labbra si sfiorano leggermente, toccandosi a stento. Poi sembrano non volersi più separare.
È una lunga strada sino alla riva – o meglio una strada lenta, inframmezzata da tante pause, nessuna di loro spiacevole.
«Lasciami andare per primo, ti prendo una coperta».
Regina non fa obiezioni. C’è stato così freddo per tutto il tempo? O si è appena fatto più freddo perché lui non è più vicino?
Guarda Daniel emergere dal lago e correre per la breve distanza sino alla pila di coperte. Gocce d’acqua gli rigano la schiena e vengono inghiottite dall’asciugamano che si getta attorno. Peccato… Woah, l’ha appena pensato per davvero? Fissare non è cosa da signora. Un ampio sorriso le si sistema sul volto. Non c’è alcun male in quello che prova, giusto? Giusto.
Così Regina non distoglie gli occhi – nemmeno quando Daniel raccoglie non meno di tre coperte e si affretta a tornare verso di lei, immerso nell’acqua sino alle ginocchia prima ancora che lei si muova. Lei lo incontra a metà strada, tremando mentre la luce del sole e l’aria fresca non fanno nulla per annullare il brivido che le si insinua nelle ossa.
Prima di lasciarsi coprire dalle coltri, però, lei stringe l’asciugamano cadente più stretto attorno alle spalle di Daniel: dopotutto deve star congelando anche lui.
Daniel è lontano dal congelare; in effetti, cerca di combattere il calore crescente che inizia da qualche parte nella cavità del suo stomaco e sulle sue guance. Quando le dita di lei gli sfiorano il collo, questo brucia decisamente, e lui arrossisce furiosamente. Per pietà, perché deve continuare a sentirsi così distratto dalla pelle lucida di lei e dall’indumento aderente che cerca tanto di non guardare? Lei se ne rende conto? Controllati, Daniel.
Prova un doppio sollievo mentre le avvolge le coperte attorno. La inghiottiscono interamente, e lei le tiene su per non inzupparle nell’acqua.
«Corri sino alla casa» dice lui e suona molto meno fermo di quanto intendesse; ma per una volta lei non discute.
Quando lui la raggiunge dentro con i vestiti di lei tra le braccia e la coperta rimanente sulle proprie spalle, la trova seduta accanto al fuoco che ha acceso prima della loro partenza. Che idea benedetta, poiché lei sembra apprezzare davvero il calore generoso fornito dalle fiamme crepitanti.
«Ti sei vestito molto velocemente» nota lei. «Non sapevo che avessi acceso un fuoco».
«Dovresti cambiarti anche tu» dice lui sopra la propria spalla mentre posiziona una scodella d’acqua sul fuoco.
«L’ho già fatto. Ho preso in prestito una tua maglia». Sinceramente, trova che indossare i vestiti di lui sia intrigante e anche confortevole. «Ho immaginato che non ti avrebbe dato fastidio». Poi, come per un ripensamento, con un’inclinazione del capo: «Ti dà fastidio?»
«No, affatto» mormora lui, senza incontrare il suo sguardo. Per davvero adesso, ha bisogno di controllarsi.
La fronte di Regina si corruga. «Vieni a sederti vicino al fuoco anche tu» dice, guardandolo con attenzione. I denti di lei battono ancora nonostante il calore del fuoco.
«Guardati, stai gelando!» esclama Daniel con orrore, fermandosi nell’atto di sedersi al suo fianco. In effetti, le labbra di lei sono sfumati di un blu pallido, e le sue mani sono fredde. «Avrei dovuto protestare con più passione contro tutto questo. Anche se significava farti arrabbiare. Santo cielo, Regina, e se ti ammalassi?»
È praticamente inarrestabile e, se lei vuole essere onesta con se stessa, deve ammettere che lo trova tenero.
«Daniel». Allunga una mano a toccargli la spalla. «Starò bene. C’è del tè ed un fuoco e delle coperte. Inoltre, non sono un fiore delicato che appassisce solo perché soffia una brezza». Si adira a quella presunta insinuazione.
Daniel sospira. «Lo so, e non è questo il punto. Il punto è che fa freddo, anche per un… un…» Può diventare ancor più frustante?
«Un fiore non così delicato?» dice lei con un ampio sorriso. Poi torna seria – lui è genuinamente preoccupato. «Starò bene. Adesso sto al caldo, e non farò più nulla di folle».
«Promesso?»
«Promesso».
«Sono felice che tu ti sia divertita». Per una volta, non c’era nessuno a porle limiti costrittivi, non c’erano le aspettative contorte di nessuno secondo le quali vivere, e chiaramente quella libertà fa una gran differenza.
«Lo so» annuisce lei. «Tu ti sei divertito? O hai speso tutto il tempo a preoccuparti per me?»
«Un po’ di entrambi» ammette lui. «Sarà molto divertente – in estate».
«La vuoi smettere!» esclama lei con una traccia di esasperazione ma con un sorriso nonostante ciò.
«Lo farò se lo farai tu».
Lei è ridicolmente bella con i capelli bagnati appiccicati al viso; il petalo rosa e bianco intrappolato in una ciocca semplicemente… ci sta. E quegli occhi…
Le coperte, di lei e di lui, scivolano via e colpiscono il pavimento con un fruscio mentre le braccia di lei si tendono di colpo al suo collo e lo attirano in un bacio.
Non fanno differenza, le coperte mancanti; nessuno di loro nemmeno nota la loro assenza nell’abbraccio condiviso. Le dita di Daniel vagano gentilmente lungo la sua guancia e il suo collo, giocando coi suoi capelli. Con un piccolo sospiro, Regina gli si appoggia contro, premendosi contro il suo petto, al ché lui si lascia lentamente cadere all’indietro. Lei si agita appena, pronta a mettersi comoda nel suo abbraccio, ma proprio allora Daniel li ribalta e si allontana lievemente; lei emette un lamento scontento alla perdita del suo tocco ed allaccia le dita attorno alla sua collottola per approfondire il bacio. Ostinato, lui si allontana ulteriormente, e lei si siede dritta come un fuso.
«Co… Cosa?» grugnisce e lo lascia andare. Il rosa delle sue guance è tanto un segno d’irritazione quanto del caldo del fuoco o del calore del momento.
Senza parole, lui allunga la mano verso una coperta e la avvolge accuratamente in essa.
«Seriamente?» respira lei. «Per questo…?»
Daniel la esamina cautamente, ancora stringendo le estremità unite della coperta attorno a lei. C’è la possibilità che lei si faccia acida per questo, gli dicono i suoi occhi. Forse c’è ancora tempo per suscitare una reazione più favorevole.
Senza rompere il contatto visivo, lui porta le sue braccia attorno a lei, non incontrando nessuna resistenza. Qualche goffo tocco è tutto ciò che le riesce, come se ogni altra cosa fosse ostacolata dallo scomodo tessuto in cui è intrappolata. Eppure lui non le permette di scrollarlo via ma invece la preme contro di sé e una volta ancora porta entrambi ad un morbido atterraggio sul tappeto spesso di fronte al fuoco.
«Ecco» le sussurra nell’orecchio. «Meglio?»
Lei si rannicchia contro il suo petto senza ulteriori indugi. Il battito del suo cuore è palpabile anche attraverso gli strati di stoffa, e le dita di lei formicolano a quella sensazione – che meraviglia giacere proprio sopra il suo cuore.
«Regina? Va tutto bene?» È questo che lei vuole, o si è perso qualcosa?
«Più che bene» dice lei sommessamente. C’è un momento di esitazione prima che confidi: «Vorrei che potesse sempre essere così».

Daniel si muove nel sonno. Una mano vaga sul suo braccio. Uno sbuffo della fresca aria notturna gli raffredda il torso per un breve momento. Qualcosa di morbido e caldo gli preme sulle gambe. Lui si strofina il volto – qualcosa pizzica. Ciocche scure di capelli. Che sogno incantevole. Può sognarlo, oh sì, non c’è niente di male nei sogni, non in quelli dove lei giace rannicchiata contro di lui e lui le tiene attorno un braccio protettivo.
Il letto cigola e Daniel si sposta.
Il volto di lei è nascosto nell’ombra dietro la tenda dei suoi capelli scuri e lei rimane immobile per un momento.
«Regina» farfuglia lui e si tira su puntellandosi col gomito, tirandosi appena indietro. «Qual è il problema?»
Regina si infila distrattamente i capelli dietro le orecchie. Senza una parola, si fa appena più vicina; il suo pugno gli stringe una manciata della maglietta, impedendogli di muoversi ulteriormente verso il muro. Lui si fa correre una mano attraverso i capelli – cosa sta succedendo?
«Regina?» dice con voce rauca mentre le gambe di lei premono appena per intrecciarsi alle sue.
Silenziosa come sempre, lei si aggrappa a lui e lo bacia con un’urgenza che gli toglie il fiato. Va benissimo avere determinazione ma come la mantiene davanti alla tempesta emotiva che infuria dentro di lui? Si trova a ricambiare il bacio con passione senza precedenti che sconfina nella disperazione, una fame che aveva previsto ma che sta davvero fronteggiando solo adesso – e la sua intensità lo terrorizza, poiché è una forza potente a cui resistere. Ma se dovrebbe combatterla, perché sta lasciando che lo avvolga, e perché sente un tale desiderio di limitarsi ad arrendersi completamente?
Quando lei si stacca bruscamente, il mondo di lui si profila minaccioso nonostante tutta la lotta interiore – vuole questo, lo vuole più di quanto possa comprendere; oh, come l’ha sottovalutato! È una cosa positiva che lei si sia fermata, poiché ora lui dubita che avrebbe potuto farlo. Avrebbe dovuto? L’avrebbe fatto? Cos’è giusto comunque, e cos’è sbagliato?
«Daniel» sussurra lei, «posso stare con te stanotte?»
Il suo letto è giusto dall’altra parte della stanza, tre passi al massimo, certo, ma non è questo il punto e lo sanno entrambi.
Ma lui la vorrà? Rifiuterà, manterrà la distanza come ha fatto nei giorni passati? Non è mai stato altro che caloroso e amorevole, ed è difficile per lei individuarlo con precisione ma a volte lo sente farsi forza, come se lei costituisse un qualche genere di minaccia a lei sconosciuta, e poi quell’orribile braccio metaforico fa una comparsa e la tiene a distanza decente.
Per la sua costernazione, lui esita. Lei sente formarsi un groppo nella sua gola e i suoi occhi bruciare ed una parte di lei vuole scappare – un centimetro lontano da lui, o dall’intera stanza, per nascondere il proprio volto e non doverlo più vedere. Poi c’è la parte di lei che non odia niente di più del pensiero di mettere distanza tra loro adesso – o in qualsiasi altro momento.
Finalmente, alla fine, lui parla. «Certamente» dice.
Le lacrime affiorano dietro le sue palpebre chiuse. È tutto sbagliato. Le sue parole sono giuste ma il suo tono è tutto sbagliato.
«Me ne vado» mormora lei ed effettivamente si sposta da lui.
Lui la afferra dalle spalle, gentilmente ma con fermezza, e la tira indietro.
Nonostante il singhiozzo che lei non riesce a sopprimere, c’è un raggio di speranza che si apre un varco.
«Resta» dice semplicemente lui.
«Non voglio essere un disturbo» obbietta lei; non dovrebbe dire cose simili, è ingiusto – lui la ama e lei lo sa, ma ultimamente lui è stato comunque un mistero per lei. Nel peggiore momento immaginabile, anche, poiché lei aveva sperato che questa sarebbe stata la loro occasione di stare insieme – stare insieme davvero, senza dover concentrare parte dell’attenzione su esche e travestimenti e potenziali disastri in caso fossero stati scoperti. Intimità – questa è la parola. Ma tutto d’un colpo lui sembra così ansioso, così teso – può aver cambiato idea su questo? Su di loro?
«Regina, per favore, ti voglio qui».
«Allora perché suoni così poco convincente?» si lascia sfuggire lei. «Perché… perché sei così… così… Be’, ogni volta che ci avviciniamo troppo tu ti allontani! Pensavo… Ho pensato che avremmo usato questo per essere più vicini di quanto mai potremmo essere ma invece tu sei diventato più distante!»
«No, io…» Lui si blocca, e lei sussulta – probabilmente finire con un “non l’ho fatto” sarebbe stata una bugia. «Mi dispiace» dice lui, suonando sconfitto.
«Ma… tu mi ami». Questo è vero. Nonostante tutti i dubbi e le domande questa ferma convinzione – no, consapevolezza – proviene dalle profondità della sua anima ed è semplicemente inconfondibile.
«Sì!» Lui si siede per essere al suo livello e la sua presa sulle braccia di lei si rafforza lievemente.
Un piccolo singhiozzo finalmente riesce a sfuggire, se per disperazione o sollievo lei non sa dirlo.
«Regina, mi dispiace – sono un idiota! Non avevo realizzato che ti avrebbe fatto sentire così».
«Allora è vero». Lei lo inchioda con uno sguardo. Stranamente, i nodi nel suo stomaco sembrano essere scomparsi quasi del tutto. Lui la ama. Non voleva questo. Ma allora cosa voleva?
«Sì, ma non per quello che credi. Non ho mai avuto intenzione di ferirti – pensavo di star facendo la cosa giusta. Ho solo pensato…» Sembra essere perso, eppure così chiaramente ansioso di far capire cosa vuol dire; Regina condivide la sua pena.
«Va tutto bene» gli dice, «dimmelo e basta. Dimmelo così com’è».
«Avevo paura che le cose stessero andando troppo in fretta per te. Non voglio precipitare niente. Ma quando siamo vicini in questo modo, e quando ci baciamo come abbiamo appena fatto…»
«Non ti è piaciuto?»
«Oh, mi è piaciuto. Forse mi è piaciuto un po’ troppo».
«Sono abbastanza sicura che non ci sia una cosa simile».
«Regina, a volte quando ti guardo, come oggi vicino al lago… ho cercato di non farlo» dice velocemente, arrossendo, «ma eri così bella, e…»
Gli occhi di lei si offuscano di lacrime alla sua parola. «Quindi è vero. Va tutto bene, ho guardato anch’io». Non lascia che lui la interrompa perché finalmente pensa di aver capito. «Daniel, sono una ragazza cresciuta. Credo che tu l’abbia notato», fa un ampio sorriso. «Sento anch’io queste cose. È un male? Non penso».
«No» concorda lui. «Ma… me lo diresti se le cose si stessero muovendo troppo velocemente, o in una direzione che ti mette a disagio, giusto? Regina, devi dirmelo».
«Te lo direi» dice lei e lo bacia lievemente. «Ma non sarà necessario».

Lei respira il suo odore con la faccia sepolta nell’incavo del suo collo mentre lui le fa scorrere pigramente la mano su e giù lungo la schiena. Senza preavviso, una lacrima le riga la guancia. Com’è stata così fortunata? Lui la conosce così bene, meglio di chiunque altro, e la vuole ancora – no, la vuole per questo, non nonostante questo. Ed è così premuroso, così cauto, così attento a non farle del male. Lei ha sognato così tante volte di addormentarsi così, e svegliarsi al mattino tra le sue braccia – e adesso sta succedendo davvero.
«Ti amo» arriva la sua voce morbida dall’oscurità, il suo respiro caldo che le solletica l’orecchio e il collo.
«Ti amo» sorride lei dentro la sua maglia e si sposta per poggiare la testa sul suo cuore.
Daniel avvolge con forza le proprie braccia attorno a lei. «Buonanotte, Regina» sussurra accarezzandole i capelli. Mentre lei chiude gli occhi, un sorriso contento le si sistema sulle labbra.
Quindi è così che ci si sente.












NdT:
Okay. A quanto pare avevo sopravvalutato le mie capacità di tradurre in fretta questo capitolo.
Tra la lunghezza e il caldo (non sono brava a sopportare il caldo, e davanti al pc muoio XD), sono riuscita a finire solo adesso.
Comunque! Domani parto per la Germania e torno il 30… Spero di riuscire ad aggiornare per il 3 agosto :)
Alla prossima!

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Capitolo 18
*** An Ode to Ink and Parchment ***


Nota dell’Autrice: Era un po’ che giocavo con l’idea di sperimentare lo stile epistolare ed ho approfittato dell’occasione in questo capitolo – Regina è in viaggio con Cora e tiene una corrispondenza segreta con Daniel. Buona lettura!

Capitolo 18
An Ode to Ink and Parchment

Castello del Re Xavier, lunedì
Caro Daniel,
se stai leggendo questa, significa che il papà mi ha fatto un favore e te l’ha data. Ti ho detto che avrei trovato un modo per tenerci in contatto – ed eccolo qui.
Qualcosa di strano e bello è successo mentre stavo preparando la valigia per il viaggio, e non ho avuto l’occasione di dirtelo prima di partire. Stavo dando una curiosata allo scaffale dei libri per trovare qualche lettura da portarmi dietro quando un tomo vecchio e impolverato ha catturato i miei occhi. A giudicare dal suo aspetto non lo tiravo fuori da anni, eppure mi ha suscitato un ricordo. Ho soffiato via lo strato di polvere dalla copertina e l’ho aperto sulla scrivania. C’era una margherita rossa, appiattita e asciutta, che mi fissava da in mezzo alle pagine.
Ti ricordi? Io sì. Ho sfogliato in fretta il libro e li ho localizzati tutti con facilità: una viola del pensiero, erica bianca, un quadrifoglio, ed un bocciolo di melo raggrinzito rosa e bianco. Sono corsa al mio guardaroba – ricordavo che era lì che avevo tenuto il fischietto in legno di salice, appeso alla sua cordicella, nascosto da occhi predatori dietro ai miei molti vestiti.
Daniel, allora non ti ho mai detto quanto significava per me; quanto disperatamente aspettavo quei momenti in cui tu saresti apparso alla mia finestra; quanto conforto trovavo nelle storie e nei piccoli doni che avevi pensato così attentamente. Soprattutto, ero semplicemente felice che tu fossi lì.
Ha significato molto allora, e significa ugualmente adesso – e molto di più. Mi manchi, Daniel. In modi vecchi e nuovi.
Ho portato il fischietto con me. Mi ricorda di te – non che abbia bisogno di un promemoria, certo… Quando lo stringo nella tasca del mio mantello, mi sento quasi come se tu fossi qui con me.
Inutile dirlo, quel conforto può certamente tornarmi utile. Il nonno è proprio come lo ricordavo, forse persino peggio. Ho deciso di non farne parola col papà per paura di ferirlo ma rimane il fatto che abbiamo ricevuto un freddo benvenuto e lui è molto sgradevole sia con me che con mia madre. Questo non fa nulla per migliorare l’umore già cattivo di lei. Spero che qualsiasi cosa per cui siamo venute qui venga conclusa in fretta e che noi potremo lasciare il castello ed il regno; a giudicare dall’apparenza, trovo che lei sia poco incline a star qui e, se possibile, abbia persino più voglia di andarsene di quanta ne ho io.
Dato che sia lei che il nonno sono occupati in altri modi e nessuno è particolarmente interessato a me o a come passo il tempo, godo di ben più libertà qui che a casa. Vedi l’ironia, non è vero? Avremmo ogni occasione di spendere tutto questo tempo insieme se non fossimo separati da leghe e leghe di terra.
Forse domani mi avventurerò fuori a cavallo – qui le stalle sono in uno stato piuttosto rovinoso ma ci sono un cavallo o due abbastanza decenti.
Amerei ricevere una tua risposta, anche se comprendo che è rischioso. Sono sicura che il papà non avrà obiezioni ad accludere la tua lettera alla propria, solo forse non firmare la risposta col tuo nome nel caso venga intercettata.
Ora mi piacerebbe molto abbracciarti, ed essere stretta da te per un po’. Fingiamo che io l’abbia fatto, d’accordo? Il più stretto degli abbracci e un bacio sulla fronte, come hai già fatto così tante volte?
Con amore,
Regina

le stalle, mercoledì
Mia amata ranocchia silvestre con tre dita,
non ci saranno nomi quando ti scrivo, per essere più al sicuro possibile.
Quando tuo padre è comparso alle stalle con la tua lettera per me, ammetto che ero come sotto shock. Ha fatto più che concordare col tuo suggerimento, però, e si è immediatamente offerto di fare da intermediario tra di noi. Sino ad adesso non avevo idea che avessimo un alleato. Comunque, che mossa audace da parte tua! Be’, credo che non dovrei essere sorpreso. Ma ti prego, sii prudente.
Mi dispiace che tu venga trattata così scortesemente. Almeno puoi fare le tue scelte quando si tratta di passare il tempo. Spero per amor tuo che rimanga così. Hai sempre desiderato più libertà, e ora è la tua occasione. Usala. Anche se non possiamo trascorrere il tempo insieme, tu puoi sempre ottenerne il meglio. Che ne dici di dare a quegli inutili stallieri pane per i loro denti? Sei riuscita ad andare a cavalcare come avevi pianificato?
Certo che mi ricordo: i fiori, il fischietto, il tuo viso ogni volta che comparivo con loro e la volta che sono arrivato tardi. Potevo vedere la tua tristezza scomparire per un po’ e quello era tutto ciò che volevo. È tutto ciò che voglio, in effetti – che tu sia più felice possibile. E poter far parte della tua felicità, non potrei chiedere di più.
Le cose sono monotone alla casa e alle stalle con te via. Ho aiutato nel giardino perché sembra che anch’io abbia un po’ di tempo tra le mani, e sai che ho una sorta di debole per il giardinaggio.
Sto iniziando a realizzare che questo sarà molto più difficile di quanto pensassi. Parlare con te è sempre semplice e molto piacevole ma questa è un’altra faccenda. Sento di avere così tanto da dire, solo che non so veramente come metterlo per iscritto. Niente sembra abbastanza buono; semplicemente le mie parole non soddisfano ciò che sento.
Sì, abbracciamoci, e depositerò una dozzina di baci sulla tua fronte. E sui tuoi occhi, e sulle tue guance, e…
Ti amo.
Il tuo ranocchio silvestre con due dita.

il mulino abbandonato, venerdì
Caro Daniel,
grazie al cielo ti è venuto in mente di usare un alibi. La lettera del papà è arrivata a colazione ed il nonno ha strappato la busta proprio davanti a me, anche se diceva chiaramente il mio nome. Ero pietrificata che saremmo stati scoperti ma dopo aver visto “Quotidiano Equestre” scarabocchiato sulla busta del tuo messaggio, si è limitato a lanciarmela dall’altra parte del tavolo – ci siamo salvati.
Non c’è davvero nessun interesse per l’equitazione in questo posto. Lo stalliere è un pigro e vecchio ubriacone che è anche il macellaio locale. Qualcuno avrebbe decisamente dovuto dargli pane per i suoi denti molto tempo fa. Penso che le stalle debbano essere state in condizioni molto più idonee quando il papà era ancora un principe qui ma sembra che, senza di lui, nessuno si sia più curato di quel che succedeva, così si è lasciato che andasse tutto il rovina. Che atroce vergogna!
Quel giorno, comunque, sono andata a cavalcare, e anche gli altri giorni. Devo cambiare cavallo perché nessuno è abbastanza in forma per più di un’uscita di seguito.
Ieri ho scoperto questo posto.
È un vecchio mulino abbandonato nel mezzo del nulla, senza nessun’altra costruzione attorno. Deve essere così da decadi ormai. L’edera ed il muschio hanno preso il controllo, e penso di aver sentito dei ratti fuggire dalla luce del sole quando ho spinto la porta scardinata e ammuffita via dalla mia strada. Non era rimasto molto. Il mobilio è minimo, rotto e in parte mangiato dal marcio e dalle formiche. Non sembrano esserci state lenzuola ma solo sacchi di farina usati come tali – anche questi sono stati mangiati da un qualche parassita o altro. Più triste di tutto il resto, ho trovato una bambola di pezza accasciata in un angolo, con una gamba mancante. È una vista triste, ed un triste posto.
A volte mi domando se questo possa essere lo stesso mulino in cui è cresciuta mia madre. Non mi sognerei di chiedere, ovviamente, perché i ricordi odiosi la farebbero senza dubbio adirare – non le è mai piaciuto parlare del suo tempo qui. Eppure, non sembro riuscire a spingere il pensiero fuori dalla mia testa. Che vita miserabile deve essere stata.
Neanche adesso qui è una meraviglia. Il nonno è leggermente meno ostile ma mentre il suo umore migliora, quello della mamma sembra peggiorare. La vedo a malapena, dal momento che trascorre giorni interi chiusa in una grande stanza. A quanto pare nessuno, me inclusa, può sapere quanto vi succede. Un giorno ho visto balle di paglia che vi venivano trascinate dentro. Nel frattempo, sento ridicole voci su quanto lei potrebbe star facendo lì – preparare pozioni ripugnanti, covare una straordinaria bestia nutrita a paglia, e trasformare la paglia in oro sono alcune delle meno fantasiose. Devo ammette che mi fa sentire sia ansiosa che offesa.
È un po’ che non entravo in contatto con persone fuori dal cerchio familiare, ed avevo quasi dimenticato la brutta fama di mia madre e di come pungono simili voci. Forse è così perché non sono più la bambina che trovava così semplice accattonarle e negarle, sapendo troppo bene che non sono per niente abbastanza lontane dalla verità; in questi giorni il dolce oblio è molto più difficile da raggiungere.
Ma basta con questo.
Raccontami di ogni cosa, Daniel. Come sta Ronzinante? E il melo – è fiorito completamente ormai? E tu? Cosa hai fatto senza di me?
La parte su come lo scrivere ti dia problemi – non potrei concordare di più. È frustrante, non è vero – scoppiare di emozioni represse? Le parole sembrano fredde e piatte in confronto a come mi sento. Ma queste parole su carta sono molto meglio che niente!
Sono lieta che ricordi che le ranocchie devono essere baciate. Vogliono essere baciate, anche, ogni giorno per il resto delle loro vite, dal ranocchio che amano.
Ti amo, Daniel.
Scrivi presto.
Con amore,
Regina

Collina delle Lucciole, domenica
Mia amata ranocchia silvestre con tre dita,
non sono in grado di dirti quanto terribilmente mi manchi. Continuo a cercare il piccione così tanto che tuo padre deve essere ormai stanco di me che giro attorno alla stia dei piccioni.
Eccomi, sulla Collina delle Lucciole, che guardo verso la valle da esattamente lo stesso posto dove abbiamo fatto un picnic insieme quella volta. Se solo tu fossi qui con me! Ho deciso di cavalcare sin quassù perché ho bisogno di qualcosa da fare, e specialmente perché sentivo che forse qui, in qualche modo, mi sarei sentito più vicino a te. Suona molto folle?
Comunque, è ancora mattina presto e c’è una foschia che aleggia sulla valle. È affascinante ed un po’ triste, e s’intona sorprendentemente bene al mio umore. Non penso che rimarrò a lungo, decisamente non sino al calare della notte. Non potrei guardare le lucciole venir fuori tutte da solo.
Sono lieto che tu sia riuscita a goderti un po’ d’equitazione, anche se la situazione che descrivi alle stalle locali è allarmante. Il Re non viaggia in carrozza? Anche senza cavallerizzi a corte, non riesco davvero a immaginare come faccia senza nessun cavallo decente.
Il posto che hai scoperto sembra ugualmente desolato e deprimente, e capisco perché tu continui a farti domande sul passato di tua madre e se i due possano essere collegati. Se lei non vuole parlarne, forse qualcuno tra la gente del luogo potrebbe ricordare qualcosa? Se davvero non riesci a lasciarlo andare, forse chiedere in giro sarebbe un’opzione. Significherebbe anche correre il rischio che lei ne abbia il sentore però, e ciò potrebbe essere addirittura più adirante che se tu glielo chiedessi direttamente. Temo di non averti aiutata molto a questo proposito, vero?
Ronzinante è quassù con me. Sembra godersi l’erba e non gli interessa minimamente questa vista spettacolare. Prometto che non gli mancherà niente mentre sei via, fatta eccezione per te ovviamente, cosa che non posso evitare. Ma questo lo sai già, non è così?
È difficile dire se il tuo melo sia già in piena fioritura. Ogni giorno penso che deve esserlo, ed ogni giorno lui procede e si supera. Il tempo gli si addice, e lui cresce rigoglioso.
Lo stesso non può essere detto di me, ma vedrò di non lamentarmi troppo. Hai ragione: finché abbiamo un mezzo per tenerci in contatto, non dovremmo compiangerci. Lavoro alle stalle e nel giardino per la maggior parte del tempo, e a volte passo persino dalla cucina per aiutare con cose come la legna da ardere, o qualsiasi altra cosa serva. Mi tiene occupato ma la mia mente vaga comunque, sai?
Non mi sognerei mai di negare alla mia dolce ranocchia i baci che desidera ardentemente, specialmente dato che voglio elargirglieli così tanto. Ogni singolo giorno.
Il sole sta venendo fuori da dietro una nuvola e, mentre la luce filtra attraverso la foschia, è una vista sorprendente. La ameresti.
Spero che tu sia in un bel posto, amor mio.
Abbi cura.
Il tuo ranocchio silvestre con due dita

da qualche parte nella Foresta Incantata, mercoledì
Caro Daniel,
non posso sopportare di dover aspettare così tanto tra le risposte. La parte peggiore è che, con ogni miglio percorso, questo non farà che peggiorare. Mia madre rifiuta di dirmi dove siamo dirette e per quanto tempo. Non so se il piccione sarà in grado di trovarci mentre proseguiamo ma tu tenta, per favore…
Il mio cuore deve aver mancato qualche battito quando ho letto l’inizio della tua lettera. Sono passati secoli dall’ultima volta che ho pensato a quel giorno sulla Collina delle Lucciole ma adesso mi sta tornando tutto alla mente. Il mio cuore desidera tanto da far male di essere lì con te. Non devi guardare le lucciole da solo, Daniel; andiamo alla Collina delle Lucciole insieme quando tornerò a casa.
Questo posto non è per niente come la Collina delle Lucciole, poco ma sicuro. La Foresta Incantata è vasta ed il paesaggio in continuo cambiamento, eppure sempre lo stesso da queste parti. Deve essere un angolo poco frequentato quello che stiamo attraversando perché il fogliame è fitto e il sentiero invaso dalla vegetazione. È quasi completamente buio sotto gli alberi, e delle erbacce continuano ad infastidire i cavalli e le ruote della carrozza – oggi il cocchiere ha dovuto fermarsi e smontare diverse volte per sbrogliare il pestilenziale sottobosco. Adesso sono persino lieta che Ronzinante sia dovuto rimanere a casa perché questo paesaggio lo disturberebbe. Suppongo abbia una sorta di bellezza selvaggia nonostante tutto ma è difficile apprezzarla quando ho un disperato bisogno di luce solare e cieli azzurri.
Non ho mai avuto occasione di chiedere del mulino. Ieri la mamma e il nonno hanno avuto una lite terribile prima della partenza, parte della quale ho origliato. Lei può essere condiscendente al suo meglio e crudele al proprio peggio quando si tratta di quelli che ritiene inferiori, ma è niente in confronto al completo disprezzo che le ha mostrato il nonno. Le sue origini sono state trattate come qualcosa di vergognoso e che la marchierà per sempre come persona di basso livello – qualcosa che, ne sono sicura, deve essere stato un commento molto offensivo e pungente per lei.
Devi sapere, Daniel, che quando chiedo di tutte quelle cose – l’albero o Ronzinante – non è perché non mi fidi di te. Lo sai, vero? Ho solo bisogno di sentirne parlare perché, be’, mi manca ogni cosa. C’è molto di casa di cui sono scontenta ma adesso voglio solo tornare a tutto ciò che lì mi rende felice.
Ciò includerebbe anche un certo ranocchio; il ranocchio sopra tutto il resto. La mia mente torna spesso a questo ranocchio.
Vorrei dire molto di più, Daniel, fare molto di più, ma c’è un limite a ciò che la mia penna e l’inchiostro su carta possono realizzare. Il futuro ci riserva qualche momento in compenso, e io posso a stento aspettare.
Fino ad allora, pensa molto alla tua ranocchia, come lei pensa molto a te.
Con amore,
Regina

il melo, sabato
Mia amata ranocchia silvestre con tre dita,
spero che questa lettera ti raggiunga. Temo che sarà più corta di quanto mi piacerebbe, e ti spiego il perché.
Abbiamo sentito dei lupi ululare per diverse notti di seguito ormai. Questa mattina un maniero vicino a mandato un messaggero per farci sapere che la scorsa notte un lupo solitario ha attaccato il loro bestiame ed ha ucciso due pecore ed un vitello. Stanno riunendo un gruppo per cacciare in questo stesso momento, e tuo padre ha offerto un paio di cavalli per aiutare. Non preoccuparti, terrò il tuo al sicuro per te. Devo preparare questi due per andare immediatamente ma voglio prima spedire questa lettera sulla sua strada – prima lo faccio, più è probabile che il piccione ti trovi ancora.
Non preoccuparti delle cose qui, amor mio, tutto viene curato.
Non vedo l’ora di rivederti.
Il tuo ranocchio silvestre con due dita

un castello oscuro, giovedì
Caro Daniel,
non fingerò nemmeno che la tua lettera non mi preoccupi. Per favore, fammi sapere il prima possibile se il lupo è stato preso e le nostre terre sono di nuovo sicure. Non fare niente di pericoloso!
Sembra che abbiamo finalmente raggiunto la nostra destinazione. Siamo ad un castello, anche se quale castello o a chi appartenga non lo so. È vuoto a parte noi ma qualcuno deve chiaramente vivere qui. Mi domando dove sia andato e perché. Mia madre, come potrebbe essere altrimenti?, mi dice di non preoccuparmi di cose che non mi riguardano.
Sembra sapere come muoversi in questo posto, in effetti. Non posso essere sicura se è stata qui prima ma decisamente non è persa. A volte sembra che stia cercando qualcosa, ma c’è anche una cassa il cui contenuto mi è, ancora una volta, sconosciuto – lei l’ha portata qui e probabilmente intende lasciarla al castello. Forse è un qualche genere di affare – lei prende qualcosa e lascia qualcosa in cambio. Semplicemente non capisco perché la segretezza e, soprattutto, perché l’altra parte deve essere via dalla propria casa.
Daniel, per favore, stai al sicuro. Per favore.
A volte i ranocchi passano notti da un amico? Penso che dovrebbero.
Sto spedendo questa lettera adesso perché ho bisogno di avere tue notizie il più presto possibile.
Con amore,
Regina

da qualche parte nella Foresta Incantata, domenica
Daniel,
prego che il tuo messaggio sia semplicemente andato perso! Non ho ricevuto nessuna risposta ed è passata più di una settimana! Niente nemmeno dal papà. Stiamo tornando a casa, ora – finalmente la mamma mi ha detto così. Ho bisogno di sapere che stai bene. Mandami una risposta, anche se è solo una parola. Il piccione mi troverà – stiamo tornando dalla stessa strada. Daniel… Prego che tu stia bene…
Regina










Note della traduttrice:
Dopo aver letto le lettere tra Daniel e Regina posso morire felice.
Scherzi (scherzi?) a parte, scusate il ritardo, e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vedrò di avere il prossimo pronto per martedì 12 o giovedì 14 se non riesco :)
(In questo capitolo si trova la ragione per cui ho tradotto toad come ranocchio e non come rospo... Perché è un ranocchio quello che viene baciato, giusto?!)
Grazie mille a ErZa_chan che ha aggiunto la storia tra le seguite :')

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Capitolo 19
*** Take Me Home ***


Nota dell’Autrice: Credo che questo capitolo abbia un po’ di tutto: sia angst che fluff. I miei feels erano iper-attivi mentre scrivevo, quindi sentitevi liberi di venire da me se avete bisogno di fazzoletti o cioccolato o di un abbraccio. ;)

Capitolo 19
Take Me Home

Non è Daniel che corre a staccare i cavalli quando la carrozza si arresta di fronte alla casa. Lo stomaco di Regina si contrae dolorosamente. Daniel non perderebbe mai un’occasione di vederla, di darle il benvenuto a casa, anche se solo con un breve sguardo in tralice sotto l’occhio attento di Cora mentre procede a fare il proprio lavoro. Eppure questa volta è uno dei valletti, e tutto ciò che lei può fare è fermare le lacrime che le premono contro le palpebre. Qualcosa non va. L’ha sentito nelle proprie ossa, ne ha avuto il terrore per giorni, vi ha perso il sonno le notti – e adesso le sue paure sono state confermate.
«Vado a controllare Ronzinante. Mi è mancato così tanto» dice d’impulso, senza fiato, ed è sparita prima che qualcuno possa fermarla.
La porta delle stalle si spalanca mentre lei si scaglia contro di essa e si guarda attorno freneticamente. «Daniel!»
Silenzio.
«Daniel…» La sua voce si rompe in un singhiozzo.
Un nitrito.
«Ronzinante» sussurra lei e va automaticamente verso di lui. La sua criniera le solletica il viso rigato di lacrime mentre lei sfrega la guancia contro la sua testa. Ci vuole un po’ prima che lo strano odore venga registrato, ed un altro po’ prima che il suo cervello in attività frenetica lo collochi: aceto. «Ronzinante!» ansima lei e lo guarda da capo a piedi. Tutto sembra normale; deve essersi sbagliata. Facendo correre la mano attraverso la sua criniera, lei sta iniziando a rilassarsi appena quando gli occhi le cadono sul petto bendato del cavallo. Le sfugge un lieve gemito. «Cosa ti è successo? Dov’è Daniel?»
Quando realizza che lì dentro non otterrà alcuna risposta, scappa fuori tutta agitata, solo per andare a sbattere contro il papà che si avvicina.
«Dov’è Daniel?» singhiozza istericamente. Non le importa se qualcuno la vedrà, non le importa cosa potrebbero pensare – il suo mondo intero minaccia di crollarle attorno e di spingerla in un abisso oscuro. Le sue nocche sbiancano per la forza con cui sta stringendo i risvolti del mantello di lui e la sua voce diventa aspra per l’angoscia. «Dov’è, papà?»
«Calmati, bambina…» Lui allunga una mano verso di lei. Non sa niente. Non capisce? Lei non vuole conforto; non da lui, non da nessun altro – nessuno a parte Daniel, che, per quel che sa, potrebbe essere… No! No, non può pensarlo, non lo penserà!
«Dimmelo!» grida, spingendo via le sue braccia con un fervore che gli porta un’espressione scioccata sul volto. «È stato il lupo, non è vero?» farfuglia. I lineamenti del papà si ammorbidiscono di nuovo, le sue spalle si afflosciano, e i suoi occhi parlano di dolore, compassione, ed impotenza. No… Questo non può essere. Lui non può essere…
«È…?» Si ferma, il suo cuore, quando la sua voce si blocca sulla parola indicibile, e per un breve momento che sembra un’eternità lei sente che è una buona cosa, una cosa deliziosa, una cosa liberatoria.
«È vivo» si affretta a dire lui.
Un brivido strano le corre lungo la spina dorsale. Ci vuole un po’ perché le parole vengano recepite, e solo allora lei sente finalmente il sollievo – e crolla sotto il suo peso.
«Cosa c’è che non va?» sussurra. È vivo. Starà bene. È vivo.
«Il lupo è arrivato, ma non era solo. Il gruppo dei cacciatori era alla ricerca del branco ma quelle maledette bestie erano intelligenti – una di loro si è separata dal resto ed è riuscita a avvicinarsi furtivamente. È venuta per i cavalli».
Regina non ha bisogno che lui dica altro. Daniel proteggerebbe gli animali affidati alle sue cure a qualsiasi costo, persino con la sua stessa vita, anche se Ronzinante non fosse stato in pericolo – ed ancora più accanitamente dato che lo era.
«Dov’è?»
«Potrebbe essere meglio non vederlo…» tenta lui flebilmente.
«Papà!» Come può dirlo? Come può anche solo essere in grado di pensare che lei potrebbe fare qualcos’altro, sopportare di essere in qualunque altro posto che al suo fianco?
«È nella stanza degli ospiti sotto la libreria. Ho chiamato il dottore; ora viene ogni giorno. Se Cora dirà qualcosa le dirò che le sue azioni gli hanno fatto guadagnare il trattamento migliore che possiamo fornirgli».
Forse in un altro momento lei sarebbe lieta, persino impressionata da lui per aver preso il coraggio a due mani per fare una simile cosa. Adesso le sue parole sembrano ridondanti, la sua preoccupazione verso la mamma triviale. Tutto sembra triviale.
Cora non si vede da nessuna parte mentre Regina si precipita attraverso la casa ma comunque lei non si ferma neanche a pensarci. A un pelo dalla bramata – e temuta – porta, si ferma bruscamente. Non andrebbe bene irrompere con passione selvaggia quando lui ha bisogno di riposare, si dice mentre trae un respiro calmante. Un brivido tradisce la sua ansia. Tende la mano verso la maniglia. Cosa troverà dall’altra parte?
È buio dietro le tende tirate, e tutto è silenzioso. La figura curva del dottore che Regina si aspettava di vedere piegata sul letto non è lì. Con le ginocchia deboli, lei si avvicina silenziosamente al letto, respirando a stento.
«Daniel» sospira sommessamente, e le lacrime le rigano il viso alla vista del volto pallido contro il cuscino – un volto bianco come il gesso con la fronte imperlata di sudore e un infiammato squarcio rosso che va da dietro il suo orecchio al lato del suo collo. Una crosta di sangue macchia il lino bianco delle bende avvolte strettamente attorno al suo braccio. La sua mano brucia al tocco delle dita tremanti di lei.
«Sono tornata» sussurra lei con un sorriso a metà. «Adesso non andrò da nessuna parte. Starò con te, Daniel. Lo prometto».

Il dottore viene a mezzogiorno per pulire la ferita e cambiare le bende. Non è il vecchio dottore che Regina conosce e di cui si fida.
«Non potete fare niente di più?» domanda mentre lui si gira per andarsene. «Posso fare qualcosa io
Lui le dà uno sguardo strano. «Bagnategli la testa con acqua tiepida per lenire la febbre. Ci sono delle erbe sul caminetto, se conoscete il loro uso. E se potete sopportare le circostanze, certo».
«Quali circostanze?»
«Vedrete. Le notti sono sempre il peggio».

La stanchezza è a malapena subentrata quando succede. Rannicchiata sulla poltrona accanto al letto, Regina si raddrizza. È stato lui, o stava semplicemente sognando?
Si tende su di lui e si tira appena indietro, sorpresa: i suoi occhi sono aperti, larghi e febbricitanti, e gli sfugge un lieve gemito, simile a quello che lei ha sentito prima.
«Daniel» dice sommessamente lei. «Puoi vedermi?» Poiché il suo sguardo è sfocato e vitreo e, francamente, l’effetto è piuttosto spaventoso. Regina non sente alcuna paura, alcun disagio. Lui la riconoscerà col tempo.
«Sono io… Regina». Appoggia la mano sul suo collo e fa scorrere il pollice lungo la sua guancia. «Ricordi?»
Lui trasale al suo tocco ma lei non si ritrae. Poi i suoi occhi la colgono. Tutto il sentimento che si può esprimere con uno sguardo lei glielo elargisce. Lui ammicca lentamente.
«La tua ranocchia degli alberi… ricordi?» sorride lei mentre una lacrima cade sul cuscino.
Le labbra di Daniel si muovono. Se stia effettivamente dicendo qualcosa lei non può esserne sicura. Forse è qualcos’altro.
«Hai sete?» Il fazzoletto sulla sua fronte è di nuovo caldo. Occorrono solo pochi e brevi minuti perché lo sia. Regina combatte la preoccupazione crescente a quel pensiero. Ne prende uno pulito dalla pila e lo inzuppa nella bacinella. Goccia dopo goccia l’acqua stilla mentre lei lo strizza sulle sue labbra.
Il movimento improvviso la prende alla sprovvista, ma solo per una frazione di secondo; poi sente le sue dita chiudersi attorno al suo polso. Subito dopo il fazzoletto giace in pieghe sul lenzuolo mentre Daniel deposita un bacio tremante sulle sue dita.
«Sei a casa. Sapevo saresti venuta» dice rocamente.
«Certo che sì. Oh, Daniel…» La sua voce si spezza. Questo sembra svegliare qualcosa in lui, poiché fa per spingersi in su sopra il cuscino sinché il suo braccio ferito lo tradisce e lui geme di dolore. «No, ti prego, non farlo! Rimettiti giù, hai bisogno di riposare. Non vado da nessuna parte, va bene?»
«Fa male» confessa lui con la mano di lei premuta sul proprio cuore. «Ma ne vale la pena».
«Cos’hai fatto?» chiede lei in lacrime.
«Ho protetto la mia famiglia». Subito lei non nota niente di strano a proposito della sua affermazione. Dopo un momento un piccolo cipiglio le si sistema sulla fronte, e lei cerca i suoi occhi coi propri. Il calore emana dalla sua pelle, bruciando quando le loro mani si toccano. Allora le appare chiaro.
«Hai protetto i cavalli dal lupo, non è così?» Se lui la riconosce, forse lei può anche tirarlo fuori dalla trappola della sua mente febbricitante, e riportarlo alla realtà.
Daniel scuote la testa. «Le bambine. Avrebbe potuto arrivare alle bambine. Dovevo fermarlo».
«Le bambine?» Forse è lei che dopotutto non ha chiari i fatti.
«Bambine con gli occhi marroni. Le nostre bambine con gli occhi marroni, che cavalcano col vento». Parla con tale affetto che strattona il cuore di Regina. «Stanno bene? Le ho tenute al sicuro».
La mente di Regina lavora freneticamente mentre lei si sforza di ignorare la stretta crescente in fondo al suo stomaco.
«Sono proprio come te», Daniel fa uscire le parole lentamente, con difficoltà, ma anche con una nota di orgoglio nella voce, «solo Lainie ha i miei capelli e il mio naso». Ride sommessamente e le stringe la mano. Gli occhi di lei si allargano.
«Daniel, chi sono io?» Lo guarda attentamente adesso, a metà con preoccupazione, a metà con aspettativa.
«Sei Regina». Un sorriso beato si posa sul suo viso. «Mia moglie».
Regina lascia andare il respiro che stava trattenendo e con esso arriva un piccolo singhiozzo.
«Non piangere» dice lui con fervore, sollevando la mano per accarezzarla; non può, tuttavia, poiché la ferita lo priva di quel piacere. Vedendo il disappunto attraversargli il viso, Regina si china su di lui e preme il suo palmo contro le proprie labbra.
«Sono così stanco» si lamenta lui, eppure continua a cospargere le sue dita di piccoli baci.
«Dovresti riposare, Daniel, dormi un po’» riesce a dire lei con le spalle che si sollevano. È difficile non piangere. Perché ha voglia di piangere?
«Resta con me».
Regina capisce. Quando scivola sotto la coperta e si rannicchia cautamente contro di lui, lui sorride felicemente e chiude gli occhi.
Lei, d’altra parte, tiene gli occhi aperti, guardandogli il petto che si alza e si abbassa, e sentendolo, anche. La sua vicinanza la calma proprio come calma lui; le lacrime non minacciano più di traboccare. Forse è questo che il dottore intendeva – la febbre di Daniel gli causa delle allucinazioni. Questo avrebbe dovuto spaventarla? Be’, non è spaventata affatto. Cosa prova, però? Non riesce a dirlo. Lui la sta stringendo, e questo è bello – sembra giusto, come sempre. C’è caldo nel suo abbraccio – più caldo di quanto dovrebbe, e nuvole di preoccupazione minacciano di coprire il sole. E poi ci sono le cose che ha detto…
Lei lo crede addormentato, ed ha un piccolo sussulto quando lui parla nell’oscurità.
«Pensi che dovremmo permettere loro di prendere il cane?»
Regina rimane in silenzio per un po’. Adesso Daniel sembra rilassato. Forse sarebbe meglio assecondarlo. Forse non le dispiace. Forse dovrebbe solo ammettere che c’è una bella dose di felicità mescolata al caos in cui si ritrova.
La sua voce è piana quando alla fine lei parla, calma come quella di lui, e risponde in tutta serietà. «Penso che prima dovremmo fare un’altra chiacchierata con loro, su quali sarebbero le loro responsabilità».
«Mi piace. Ammetto di essere parziale all’idea, però».
Regina ride sommessamente – lui lo sarebbe.
«Daniel?»
«Mmm?»
Non dovrebbe farlo, non dovrebbe incoraggiare il suo delirio. E se lo facesse agitare di nuovo? Ma adesso lui sembra così tranquillo, e semplicemente lei non riesce a trattenersi. «Parlami della nostra vita. Com’è?»
«Quieta e caotica – dipende se le bambine stanno avendo una buona o una cattiva giornata. Sempre piena d’amore. A volte ci uniamo e ci facciamo scherzi a vicenda, ma per la maggior parte delle volte loro fanno scherzi a noi. Amo come i loro occhi brillano quando partiamo per una passeggiata a cavallo, ed amo come brillano i tuoi quando poi sediamo tutti insieme vicino al fuoco e ci raccontiamo delle storie».
Allora gli occhi di Regina brillano davvero, ma di lacrime. Lei tira su col naso mentre Daniel continua a dipingere un’immagine della propria realtà.
«La nostra casa è al limitare di un bosco, domina la vallata, e vicino c’è una radura ed un ruscello dove i cavalli hanno un bel pascolo. Ci occupiamo di loro insieme, solo noi quattro. Lainie ha il suo pezzo di terra per le verdure e la sua pianta preferita è un’erbaccia». Regina ride sommessamente e si rannicchia più vicina nel suo abbraccio.
«A volte tu perdi la pazienza con me – quel tuo adorabile carattere – ma non mi dispiace perché alla fine ne vale sempre la pena quando cerchi di riaggiustare le cose». È possibile sentire un sorriso invece di vederlo? In ogni modo, è sicura che lui stia sorridendo anche prima di guardarlo. «Amo il tuo sorriso…» sussurra lui con soddisfazione, e lei realizza che deve essere effettivamente intenta a sorridere. «E tu ami quando faccio questo». Le sue mani scivolano sino al collo di lei senza fretta, e lui le prende gentilmente il volto tra le mani e fa scorrere lentamente il pollice lungo la sua mascella e sulle sue guance.
Un gemito a lungo represso le sfugge alla fine. Non potrebbe aver sognato di meglio.

La stanza sotto alla libreria è la camera per gli ospiti più piccola, ed anche la più remota. Regina si domanda per la prima volta se il papà avesse qualcos’altro in mente oltre al passare inosservati quando l’ha scelta.
La febbre di Daniel inizia a scendere dopo quella notte persa nei sogni. Regina si sveglia tenendogli la mano, e questa non è più calda e sudata. Lui dorme per così tanto, così profondamente, che lei sta iniziando ad andare nel panico, quando finalmente, la sera successiva, lui si sveglia, la guarda  rannicchiata sulla poltrona con Sull’equitazione in grembo, e semplicemente dice: «Buonasera».
«Come ti senti?» prova a chiedere cautamente lei. È ancora febbricitante?
«Molto meglio. Regina…»
Lei si sposta per sedersi sul letto, e lui le afferra la mano senza esitazione.
«Mi sei mancata». Continua con urgenza disperata: «Mi dispiace di non essere riuscito a mandarti una risposta, e mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi così. So come devi esserti sentita».
«Per favore, smettila» protesta immediatamente lei. Il pensiero di lui che si affligge per lei persino in una simile situazione è quasi insopportabile. «Non hai fatto niente di male. E adesso starai bene». È chiaro mentre lo guarda come si deve, allora, fissandolo col proprio sguardo. «Sei davvero tu» sospira in modo contento.
«Quando non lo ero?»
«Non ti ricordi? Più tardi ti dirò tutto. Ora dovresti mangiare qualcosa. C’è del brodo in cucina, lascia che te ne porti un po’». Scivola via dal letto ma lui non fa altro che stringere la presa sulle sue mani.
«Non può farlo qualcun altro? Ti voglio con me». Le parole arrivano così sinceramente, così senza pensiero, che il cuore di Regina si scioglie. «Mi dispiace» offre lui con un ripensamento. «Sono un disturbo?»
«Come potresti mai esserlo?»
Dopo tutto lei fa un viaggio sino alla cucina – un viaggio breve e frettoloso – e ritorna senza fiato e con una scodella di brodo fumante con pezzi di carne.
«Riesci a sederti?»
Lui ci prova. Ci vuole qualche aiuto, che lei fornisce più che volentieri, prima che sieda sostenuto dal cuscino attentamente sprimacciato. Nessuno dei due parla mentre lei gli serve cucchiaiata dopo cucchiaiata, e si fa radiosa mentre lui finisce per mangiare tutto. Non può andare troppo male se il suo appetito è tornato.
Lo sforzo di mettersi seduto e mangiare sembra avere la meglio su di lui, però, e nonostante i suoi migliori sforzi, la sua testa inizia a ciondolare.
«Puoi chiudere gli occhi» dice lei. «Non vado da nessuna parte».
Per un momento si limita a star seduta lì a guardarlo, ancora debole ma di nuovo se stesso, e si permette semplicemente di assaporare la consapevolezza che il peggio è passato. Semplicemente, è grata.
Allo stesso tempo, vuole di più. Quando si fa strada strisciando sotto la coperta e gli avvolge attorno le braccia, tutto con rapidità sorprendente, Daniel si muove. Lei pensa di vedere un cipiglio sul suo volto ma c’è anche il suo braccio attorno alle spalle di lei, che la attira più vicina.
«Regina, questo è sicuro?»
Quindi è preoccupato, dopotutto. «Sì». Pensare è così scomodo, così fastidioso; lei vuole solo appoggiare la testa contro di lui e non pensare a niente per un po’. Poi il volto di sua madre le fluttua davanti, severo e spietato. «Credo». Si tira indietro per guardarlo. «Daniel, io voglio stare qui. Rischierò e basta».
Discutere non servirebbe a niente ma lei è comunque lieta che lui non cerchi nemmeno di farlo. Invece, si limita ad annuire e le accarezza la guancia col pollice.
Poi si lascia sfuggire una risata quieta e sommessa. «Ranocchi che trascorrono notti da amici» dice a mo’ di spiegazione, ed una frase da una delle sue lettere a lui arriva alla mente. Eccoli, rannicchiati insieme, e beandosi della sua felicità il lato malizioso di lei parla senza reticenze.
«Ricordi l’altra cosa a proposito dei ranocchi?» dice lei con perfetta innocenza ma gli occhi le brillano con malizia.
Daniel finge di lambiccarsi il cervello. «No, non posso dire che sia così. A parte forse… gracidare? Nuotare in acquitrini puzzolenti? Tirare sfacciatamente fuori la lingua?»
«Ci sei quasi» dice lei con un ampio sorriso. Il cuore le batte più velocemente mentre gira leggermente la testa e strofina il naso contro il suo collo. Daniel sussulta appena al contatto. Le sue dita le scorrono attraverso i capelli e le mandano brividi lungo la spina dorsale.
«Ancora nessun ricordo?» chiede lei a bassa voce.
«La mia memoria è penosa» grugnisce lui. «Dovrai rinfrescarmela».
Regina è più che felice di farlo: le sue braccia si chiudono dietro il collo di lui e i loro volti sono ad un mero centimetro l’uno dall’altro – e quando annullano anche quella piccola distanza, è chiaro che la memoria di lui è subito ristabilita perché il modo in cui risponde al suo bacio le fa girare la testa.

«Pensavi che io fossi tua moglie» borbotta più tardi lei contro il suo collo.
«Davvero?» Fa un po’ il solletico mentre lui le accarezza i capelli.
Regina annuisce. «Era la febbre. Hai detto… delle cose. Su di noi. Sulla nostra vita». E scopre di poter a stento portarsi a dirlo, anche se da allora ha a malapena pensato ad altro. «Avevamo due figlie, ed una casa vicino ad un bosco, e le nostre stalle». Cosa dirà lui? Cosa potrebbe dire? Era solo un sogno, un’illusione, portata dalla febbre… o no?
Quando lui non parla affatto, lei azzarda un’occhiata. «Non sembri sorpreso» nota.
«No, suppongo di no». Lo sbigottimento di lei deve mostrarsi, poiché lui aggiunge quietamente: «Non mi è nuova».
«Ma hai detto che non ricordavi di cosa avevi parlato». Di certo non l’avrebbe negato.
«Non lo ricordo». C’è una pausa prima che lui parli di nuovo. «Questo non significa che io non abbia mai pensato simili pensieri».
Regina gli afferra la maglia senza realizzarlo davvero. «Daniel… io… tu davvero… davvero pensi a quelle cose? Con me?»
«Regina…» Lui le copre gentilmente le mani con le proprie. «Sì, è così. Ci penso tutto il tempo. È da un po’ che ce l’ho fisso nella mente, è solo che non sono sicuro se è troppo presto, quindi forse tu non vuoi ancora parlare di cose simili».
«Ma io lo voglio!»
«Lo vuoi?»
Lei si gira sulla pancia e appoggia il mento sul petto di lui, guardandolo negli occhi. «Io voglio avere una famiglia con te. Bambine con gli occhi marroni, o bambini con gli occhi azzurri, o qualsiasi variante di questi – non ha importanza. Io ti amo».
«Ti amo, Regina».
È soffice e caldo e sicuro, e se rimanesse così per sempre lei sarebbe per sempre felice.
«Non possiamo tenere questo – noi – un segreto per sempre. Lo sai, non è vero?» Lo stomaco di lei si annoda spiacevolmente alle sue parole. La sua voce è sommessa e le sue parole gentili ma lui non cede come lei spera che gli farà fare il suo silenzio. «Regina. Dovrai dirlo ai tuoi genitori».
«Non ancora. Daniel… Abbracciami».
Il suono del battito di lui la culla lentamente verso il sonno. Appena prima che si addormentino, il suo sussurro insonnolito la raggiunge.
«Bambine con gli occhi marroni sia. Proprio come te».











Nota della traduttrice:
Okay, mentre traducevo ho avuto la brillante idea di ascoltare questo fanmix dedicato a Neal. Vi lascio quindi intuire in che stato mi sono ritrovata, considerato anche che ero scossa per conto mio ed avevo gli ormoni in attività extra. Resta comunque uno dei miei capitoli preferiti :')
In quanto al prossimo… Cercherò di averlo pronto per sabato 16, va bene?
Alla prossima, bellissimi!

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Capitolo 20
*** Will and Won’t ***


Note dell’Autrice: Non riesco a credere che abbiamo veramente raggiunto questo punto. La trascrizione de “Lo stalliere” è stata la mia migliore amica per questo capitolo e i miei feels il mio peggior nemico – e forse anche un amico? Hanno offuscato il mio giudizio o mi hanno aiutato a scrivere? Non ne sono sicura. In ogni modo, questo capitolo fa male. Scusate.


Capitolo 20
Will and Won’t

Gli stivali da equitazione di Regina ticchettano rapidamente sul pavimento di pietra del corridoio.
Il tè le è sembrato interminabile ma meno odioso del solito. La sua mente è occasionalmente vagata verso Daniel, certo, anche se l’entusiastico chiacchiericcio della piccola Biancaneve l’ha tenuta ancorata al presente in modo abbastanza saldo. La bambina è chiaramente presa da Regina e sembra persino ammirarla – lei non ha mai sperimentato qualcosa di simile prima. Oggi Regina potrebbe essersi appena fatta una nuova amica.
Contorcendosi e girandosi, lei si controlla nello specchio.
Le parole di Daniel le echeggiano nella mente un’altra volta: dillo a tua madre. Lui gliel’ha detto in più di un’occasione, e le fa chiudere lo stomaco ogni singola volta. Nascondere il loro amore è fastidioso e in qualche modo degradante – non è forse vero, non è puro, non è prezioso? Daniel ha ragione, naturalmente, dovranno dirlo presto o tardi se pianificano un futuro insieme, cosa che ovviamente stanno facendo. Eppure solo la mera idea della reazione di sua madre ad una simile notizia è abbastanza per portare Regina sull’orlo delle lacrime.
Questa mattina, per esempio: era stato solo un piccolo divertimento, un po’ di tempo trascorso cavalcando, una risata col papà, e poi… Un tocco di magia, quella sua arma maledetta – ed ecco Regina, in aria, impotente, dolorante… Lei scaccia quel pensiero agghiacciante. Sì, ha provato e riprovato, ha desiderato ardentemente l’accettazione che crede di meritare da sua madre eppure non l’ha mai ricevuta.
È vero, sua madre sembrava decisamente allegra quando è fluttuata brevemente attraverso la stanza all’ora del tè, scegliendo la sua tazza abituale e – in una maniera nient’affatto da lei – scomparendo con essa immediatamente come se per intraprendere una missione della massima importanza. In effetti, sembrava essere talmente di buonumore che per un momento Regina considera veramente di dirglielo. Forse ormai potrebbe farlo. Dovrà essere fatto, presto o tardi.
Tardi suona meglio. Suona sempre meglio. Regina sospira: il suo dilemma finisce sempre esattamente così.
Comunque, non c’è stata abbastanza agitazione per un giorno? Adesso tutto ciò che vuole è tornare da lui.
Esamina con occhio critico la propria immagine nello specchio. La sua giacca ha bisogno di essere raddrizzata lì, e anche laggiù. Ecco, così va meglio.
Il sorriso è cancellato dal volto di Regina dall’arrivo di sua madre. C’è a malapena tempo per registrare la sensazione angosciante sul fondo del suo stomaco al brusco rifiuto dell’abbigliamento di Regina prima che una nuvola di magia la avvolga. Il fumo viola sa di frustrazione, l’abito da sera azzurro è un intruso contro la sua pelle ed un carceriere per il suo corpo. Un grido represso le riempie i polmoni e lo stomaco e il cuore davanti al sorriso estremamente compiaciuto di sua madre – lei vuole solo andare alla sua… “lezione di equitazione”. Cosa intende sua madre, comunque, cancellata? No, non può essere, si sono già persi la Collina delle Lucciole a causa delle impossibili norme dalle quali Regina è limitata, ed ora questo?
Non c’è modo che lei venga scusata con il Re in persona come loro ospite. Regina ammette la propria sconfitta.
Certamente questa non sarà più di una breve visita formale perché il Re presenti i propri ringraziamenti. Lei potrebbe ancora raggiungere le stalle come pianificato.

Il diamante brilla alla luce ma tutto ciò che lei vede è un’oscurità intralciante che le annebbia la vista.
Questo non può star succedendo. È assurdo. Non può essere vero.
Le ginocchia ossute del Re raschiano il freddo pavimento di pietra, eppure Regina non ha un solo pensiero per il suo malessere. Il corsetto minaccia di soffocarla, come se un paio di mani invisibili stesse tirando i lacci sempre più strettamente con forza bruta e crudeltà – potrebbe anche essere intrappolata di nuovo dall’incantesimo vincolante di sua madre. Effettivamente, il terreno sembra essere scomparso sotto i suoi piedi – sta galleggiando o sprofondando? Un brusco rantolo irrompe in superficie a sua completa insaputa. Non allieva il dolore, comunque. Un pugnale seghettato si contorce dentro al suo stomaco, accoltellandola, spingendosi più a fondo, facendo riversare le sue budella in un crudo disordine. Eppure, fortunatamente, non c’è niente da gettare fuori dal suo ventre – in un battito di ciglia le sue interiora si trasformano in serpenti che si contorcono, si sciolgono  in una sostanza nera ed appiccicosa, ed infine si dissolvono in fumo grigio piombo.
«Sì».
La testa le gira – questo non può essere. Cosa sta dicendo sua madre? Regina non vuole questo, non ha chiesto questo.
Tutto grida di no, il suo intero essere si rivolta contro quest’idea. Di certo loro possono sentire! Non le sue parole, poiché le parole la abbandonano. Ma il rimbombo sordo del sangue che le corre alla testa; la sua anima che grida di terrore; il suo cuore che inizia a palpitarle dolorosamente contro il petto dopo il grave silenzio durante il quale ha mancato un bel po’ di battiti. E se non possono sentire, di certo possono vedere: le lacrime che bruciano e spingono senza pietà contro le sue palpebre, che si raggruppano nei suoi occhi, che restano attaccate alle sue ciglia e minacciano di cadere; le sue mani, fredde come ghiaccio, che giocherellano con le pieghe del vestito; le ginocchia che sopportano a stento il suo peso.
«Sì».
Un brivido violento la scuote. Dita fredde ed ossute scavano dritte nel suo cuore. No. Madre, non puoi! No, no, no, no, no!
Ma sembra che possa, e lo fa. Nessuno la ferma; nessuno ferma questa… questa… follia. Non il papà, quel padre affettuoso ma impotente; non il Re, quell’uomo conosciuto per la sua gentilezza e rettitudine. Nessuno.
Lei è sola e, in quel momento, sconfitta.

Non è qualcosa che abbia pianificato eppure non le è nemmeno interamente nuovo. Pietre e fango e erba e cielo sono solo una sbavatura di colore di una sfumatura altrettanto pallida e priva di vita. Il mondo si allarga attorno a lei come un papavero consumato dall’essenza sbiadita. Non ha importanza finché i piedi possono portarla, e la portano, colpendo il terreno con negligenza selvaggia e facendo volare zolle d’erba. Respirare fa male ma lei continua a correre stringendosi il petto, con la vista puntata su quell’unico mezzo di salvezza.
Lui sarà lì, come è sempre stato, e affronteranno questo insieme, come hanno sempre fatto.
Cosa dirà? Cosa faranno? Cosa possono fare?
Lei non riesce a pensare chiaramente; non può pensare affatto, non ad un passo più lontano delle stalle. Una volta che sarà arrivata lì, da lui, il resto arriverà. Deve.
Ciò che giace dietro di lei non è un’opzione. Ciò che giace dietro di lei la distruggerebbe. Deve essere lasciato indietro.

Nel momento in cui fa irruzione attraverso la porta e non lo vede, il suo stomaco si contorce con improvvisa disperazione. Ma naturalmente lui è lì, naturalmente esce incespicando dal box al suono della sua voce che lo chiama; naturalmente i suoi occhi sono vigili e la sua voce tinta d’ansia –avverte immediatamente dei guai.
Cadere nelle sue braccia è un sollievo immediato, come se il peso che ha trasportato fosse già stato sollevato persino dalla sua mera presenza. Voglio questo, grida il suo cuore. Voglio questo, sempre. E le parole sgorgano dalla sua bocca pesanti per l’urgenza: sposami. Sorprende persino lei, eppure nell’istante in cui ha parlato sa di dire sul serio. Quindi anche se la norma sociale dice che è la lady che deve ricevere la proposta – che bene le ha mai fatto quella spazzatura?
Daniel aggrotta la fronte: non capisce, lotta per capire, mentre lei vuole solo allontanarsi da tutto – ed in fretta. Cerca di spiegare ma è quasi impossibile concentrarsi, superare il panico che sta tornando, e raccogliere un po’ di senno. Ma lei ci prova, in lacrime e rendendosene conto a stento, lamentandosi dell’ascendenza di Biancaneve e della reazione assurda del Re e della risposta oltraggiosamente inadeguata e presuntuosa dei suoi genitori.
Allora lui capisce. Il suo cipiglio si approfondisce e c’è qualcos’altro che si mostra velocemente attraverso i suoi occhi. Shock? Solidarietà? Rabbia?
Non lascerà che questo accada, non lascerà che loro la obblighino se lei non lo vuole – lui, e solo lui di tutti quelli che le sono cari e vicini, non lo tollererà. Se soltanto lui dicesse le parole che lei aspetta di sentire – o no, se si limitasse ad afferrarla per la mano, metterla sul dorso di un cavallo e precipitarsi via da qui mentre il sole che tramonta getta un benvenuto velo d’oscurità sulla loro fuga.
Sì, questo è ciò che devono fare, è l’unica via d’uscita: andarsene e non tornare mai più. Cosa sta aspettando?
Il suono del suo nome detto nel modo in cui solo lui lo pronuncia – come un caro tesoro, prezioso oltre ogni parola – la calma miracolosamente, e le nuvole della rovina e del caos travolgente sembrano dissolversi. Lei diviene consapevole delle sue braccia attorno a sé, della stretta gentile ma ferma che lui le dà mentre parla, con una voce che è calma e misurata.
Anche in momenti simili rimane fermo e ragionevole. Lei sa cosa significherebbe? Oh, Daniel, sempre così altruista, sempre così premuroso, superfluamente questa volta. Certo che lei lo sa. Certo che sa cosa significherebbe: possono avere la vita che hanno voluto per tanto tempo. O forse non proprio così; ma il punto è, saranno insieme. Questo è tutto ciò che importa.
Lei allunga le mani per carezzare quel volto prezioso, e una luce calda sembra ardere da qualche parte – se fuori o dentro di lei non lo sa esattamente né le importa – quando lui deposita un bacio delicato sul suo pollice.
La sposerà. Non importa quanto lei abbia sognato del loro futuro e gli abbia persino fatto una proposta di matrimonio solo un momento fa, la vera conferma la stordisce momentaneamente. Così come il movimento brusco di lui, che va ad armeggiare brevemente con la sella. Cosa sta facendo?
La semplice banda dorata scintilla nel crepuscolo e tutto ciò che lei vede sono le proprie lacrime – lacrime di felicità condivisa e promessa.
Nessun’altra domanda viene posta – è stato detto tutto. Daniel fa scivolare l’anello al suo dito. Calza perfettamente.
Per un momento, ci sono solo loro due. Gli eventi dei minuti passati da poco potrebbero non essere esistiti affatto: il Re, il suo anello, sua madre che ruba la sua volontà, sigillando il patto e il destino di Regina con esso sono tutti svaniti. Un momento di perfetta felicità cancella ogni altra cosa. Lei gli rivolge un sorriso radioso e lui ricambia il suo sguardo con uno suo, solenne ed amorevole. Quando si baciano, la forza e la speranza le fluiscono attraverso il corpo, guarendo tutti i lividi e le cicatrici nella loro strada.
La porta si spalanca. Loro si separano di scatto, anche se continuano ad aggrapparsi l’uno all’altra.
Per un folle momento, Regina vede se stessa bambina in piedi sulla soglia, dopo averla spalancata con una gioia gloriosa nel vedere il suo nuovo amico – il suo primo amico in assoluto, il giovane stalliere.
Quando la realtà le appare chiara, la colpisce duramente: questa è un’altra ragazzina, qualcuno il cui arrivo in un simile momento potrebbe facilmente portare tutto questo – il suo amico, il suo amore, il suo fidanzato – di nuovo via da lei. Questo non può succedere, mai. Lei deve fermare Biancaneve, spiegare, supplicare.
Regina corre fuori dietro alla ragazzina, il cuore in attività frenetica. Corre per la propria vita.












Note della traduttrice:
Okay, niente panico. Niente panico. (Non capisco se lo sto dicendo a voi o sto cercando di dirlo a me stessa.)
Il prossimo capitolo arriverà martedì 19, sempre se ce la faccio. Alla prossima!

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Capitolo 21
*** One Night the Moon ***


Note dell’autrice: Ho sempre voluto scrivere una scena mancante per mostrare cosa potrebbe essere successo tra la scena con la conversazione di Regina e Biancaneve nei boschi e la scena con Regina e Daniel pronti a partire prima che Cora li fermi – be’, ora eccola qui. È un casino. Penso che lo stato emotivo di Daniel e Regina sia stato incasinato a questo punto, quindi credo che sia okay che questo capitolo sia un casino a propria volta… giusto? Vi ringrazio per sopportare con me!


Capitolo 21
One Night the Moon

«Daniel» ansima Regina, incespicando attraverso la porta.
«Va tutto bene?» chiede lui mentre emerge dal deposito. «Le hai parlato?»
«Ha promesso di mantenere il nostro segreto». Lei gli si rannicchia contro quando lui allunga una mano per accarezzarle la guancia, e lui la bacia sulla testa. Le sfugge un piccolo sospiro. Ci sono andati vicini, così vicini; avrebbero potuto perdere ogni cosa. «Daniel, andiamocene da qui, ora».
«Vai a prendere quello che ti serve ed incontriamoci qui».
«Torno subito».

Non è che quando arriva a metà strada dalla propria stanza che lei obbliga le proprie gambe a muoversi ad un passo regolare e vagamente tranquillo. Affrettarsi potrebbe essere la causa della loro rovina; le persone potrebbero iniziare a fare domande. Lei potrebbe iniziare a fare domande.
Alla fine raggiunge la propria stanza, chiude la porta con la massima cura così da non fare un rumore che potrebbe attirare l’attenzione di qualcuno, e si dirige dritta al cesto nell’angolo. Non ci sarà più di una borsa – non hanno bisogno di molto, dopotutto. Un vestito di ricambio sarà sufficiente, e la mantella che già indossa.
La testa di Regina gira per i flashback degli eventi del giorno. Le emozioni turbinano in un vortice tempestoso: l’assalto furibondo di terrore freddo come il ghiaccio misto al desiderio disperato di scomparire; l’angoscia frenetica mentre si aggrappava a lui e le parole sincere e fiduciose che erano semplicemente sgorgate in un momento in cui era completamente persa e profondamente vulnerabile; la felicità agli occhi di lui che la accarezzavano mentre le sue dita le sfioravano la pelle e facevano scivolare l’anello al dito. Lasciando cadere la borsa sul letto, lei solleva la mano per controllare che l’anello sia davvero lì. C’è. È reale. Sta accadendo veramente. Ridendo silenziosamente, si rigira l’anello attorno al dito solo perché le piace sentirlo.
Com’è che lui aveva un anello? Perché non le è venuto in mente prima? È semplicemente andato da quella sella ed ha tirato fuori l’anello. Per quanto tempo è stato lì, e perché? Daniel potrebbe essere stato intento a pianificare la proposta di matrimonio? Potrebbe? Oh Dio… deve essere così. Non sembra esserci altra spiegazione. Be’, è quel che hanno pianificato entrambi… Ma lei non aveva idea che lui fosse già davvero sul punto di farlo.
Arrendendosi ad un impulso improvviso, Regina fa una piroetta lungo la stanza. Può essere felice! Poche ore prima sembrava che non le rimanesse niente. Ora ha tutto.
Potrei ancora perderlo se non sono abbastanza prudente.
A quel pensiero torna a fare il bagaglio ma il sorriso le rimane in volto. È vero, non è ancora tutto vinto. Con ogni miglio che percorrano il pericolo sarà minore, ma è ancora molto presente mentre sono qui. Biancaneve avrebbe potuto rovinare tutto ma fortunatamente è una bambina dolce e benintenzionata. Crede nell’amore, e nel bene, e nella felicità, e nella libertà di scegliere queste cose. In un certo senso ricorda a Regina di se stessa, a parte il fatto che a volte lei ha dovuto lottare per mantenere la fede in queste cose, mentre Biancaneve sembra non aver mai avuto ragione di dubitare di nessuna di loro.
Il vero amore è magico, ha detto Regina alla bambina, crea la felicità.
Regina lo crede – no, lo sa. Lo ha sentito.
Il libro è pesante come sempre ma non c’è uno strato di polvere, poiché essa non ha avuto l’occasione di depositarsi tra i viaggi frequenti dallo scaffale alla scrivania e di nuovo indietro. È folle da parte sua volerselo portare dietro? Forse sì… ma non può lasciarlo. I fiori secchi tra le sue pagine diventerebbero polvere senza la protezione offerta dal libro. Glieli ha dati Daniel, anni prima che venisse anche solo loro in mente che avrebbero mai potuto innamorarsi. Regina ha continuato ad aggiungerne di più ogni giorno: fiori selvatici e il prezioso bocciolo di melo – il primo dal loro albero – e almeno una dozzina di gigli. Non si possono mai avere abbastanza gigli.
I suoi occhi scivolano sul comodino e lei sorride vittoriosamente. Proprio così, questo è ciò che farà. Velocemente ma cautamente, inizia a togliere i fiori dal vecchio tomo e li mette tra le pagine di Sull’equitazione. Ecco, in questo modo ha tutto: i fiori ed il libro che le ha dato Daniel. Regina avvolge attentamente il vestito attorno al libro e fa scivolare l’intero pacchetto nella borsa. È pesante ma quasi vuota – cos’altro dovrebbe mettere in valigia? Qui sembra davvero non esserci nulla di cui lei abbia bisogno.
Una voce remota – potrebbe essere la voce della ragione? – sembra competere per attirare la sua attenzione. Non si sta comportando in modo pratico? È sognante? Accecata dalla visione della felicità?
Si costringe a pensare chiaro per un momento, e attraversa la stanza per frugare nel proprio guardaroba. Una borsa di denaro atterra sul letto con un tintinnio sommesso. Questo dovrebbe aiutarli a cominciare, dovunque andranno.
Dove, già? Il viso di Daniel le fluttua davanti mentre lei chiude la borsa. Qualsiasi posto andrà bene.
Granellini di polvere turbinano nella luce lunare che filtra dalle tende di pizzo. Regina sposta le tende. Sì, questa sembra una buona idea – è improbabile che qualcuno sia fuori a quest’ora, e le sue possibilità di raggiungere le stalle senza incidenti sono molto più alte in questo modo che dovendo di nuovo camminare lungo la casa in punta di piedi spaventata a morte.
Più luce si riversa dentro mentre lei fa leva per aprire la finestra. Regina getta fuori la borsa per prima, poi lancia la gamba oltre al davanzale. La luna splende, argentea ed insolitamente grande, chiamando tutti i sognatori per un’avventura.
Potrebbero semplicemente seguire la luna.

Daniel non si dà tempo per riposare o riprendersi dagli eventi rapidi del pomeriggio. Con Regina andata, lui torna al piccolo deposito e alla borsa mezza preparata che giace aperta su uno sgabello. Una maglia di ricambio, due coperte, così come un sacco di mele, una pagnotta e un blocco di formaggio hanno già trovato la strada per entrarvi mentre Regina è corsa dietro a Biancaneve ed ha ragionato con lei.
Non c’è molto altro che possiede, di certo non cose che potrebbe facilmente portare con sé per aiutarli a costruirsi un futuro insieme. La piccola pila di monete nascoste in una scatola di creta frastagliata non durerà a lungo ma è tutto ciò che ha; la svuota in una tasca della borsa con un piccolo cipiglio.
A Regina non importa molto delle ricchezze, ma una vita di povertà è qualcosa che non ha mai dovuto affrontare. Daniel potrebbe mantenersi ma adesso ha anche lei a cui pensare. L’ansia scaturisce dentro di lui – saranno in grado di condurre una vita decente? Dove andranno, cosa faranno? Un bravo stalliere è una buona merce dovunque ci siano stalle, ma devi essere fortunato per trovare un posto vacante. Be’, non ha importanza se non è un lavoro con dei cavalli; accetterebbe qualsiasi cosa per fare i soldi che serviranno loro per ricominciare. Anche Regina vorrà aiutare… ma come? Dopotutto, lei non ha mai lavorato prima.
Un ampio sorriso si posa sul suo volto – Regina può essere coriacea in un modo tutto suo. Quando si mette in testa di fare qualcosa, persevera, e chiaramente si è messa in testa loro, la loro vita – e se vuol dire cominciare da zero, così sia. In un certo senso, lei ha sempre voluto solo questo – nessuna obbligazione che pesi su di lei, nessun muro che la rinchiuda, ma piuttosto fare le regole secondo le quali vivere. Ce la faranno. Lui si assicurerà che sia così, comunque, e non si limiteranno a farcela: saranno felici.
Abbassando lo sguardo sulle monete sparse, non può che sorridere: è saltato fuori che è valsa la pena di spendere il resto dei suoi risparmi – come se ci fosse mai stato un dubbio in proposito. Nelle ultime settimane ci sono stati molti scenari che si formavano nella sua testa su come e quando avrebbe potuto chiederglielo, finché alla fine ha deciso di limitarsi a cogliere il momento quando fosse arrivato quello giusto, affidando tutto alle emozioni invece che ai piani.
Be’, certamente il momento è arrivato in un modo che non si era affatto aspettato. Regina che si precipitava verso di lui e le parole dette con tanta diretta urgenza l’avevano colto completamente alla sprovvista. Inizialmente non voleva crederci, non voleva lasciarsi trasportare. Lei poteva davvero intendere ciò che stava dicendo o era solo la sua immensa pena a parlare? Doveva esserne certo. E poi, quando lei lo aveva guardato negli occhi con quella sua loquacità marrone scuro, il suo stomaco aveva dato un sobbalzo e il suo cuore aveva palpitato; le parole che lei aveva detto e il modo in cui gli aveva accarezzato la guancia era una rassicurazione sufficiente. Far scivolare l’anello al suo dito guardando il riflesso delle proprie emozioni sul volto di lei aveva fatto bruciare i suoi occhi e dolere d’amore il suo intero essere.
Ogni osso nel suo corpo agogna a creare una bolla protettiva attorno a lei ora più che mai, perché non venga più ferita, mai. Lui si assicurerà che quel sorriso radioso le rimanga in viso giorno dopo giorno.
Daniel costringe la propria mente a tornare dalle vette celestiali di felicità al terreno – non è ancora fatto tutto, hanno ancora una fuga d’amore da portare a compimento. A questo punto lui dovrebbe avere un piano – quale strada prendere, e per quale destinazione. I boschi potrebbero essere più sicuri della strada principale, più difficili da seguire nel caso i genitori di Regina si organizzino per rintracciarli. Una piccola città, forse… O prima una grande, poiché lì sarebbe più facile trovare lavoro, e degli sconosciuti sarebbero meno vistosi. Dovunque saranno, saranno insieme, sostenendosi a vicenda durante gli inizi difficoltosi. Dovunque si ritroveranno, ne trarranno il meglio.
Ma un giorno quella casa vicino ad un bosco con un ruscello ed una radura e le loro stalle di cavalli sarebbe perfetta. E – oh sì – le loro bambine con gli occhi marroni.
Fuori dalla finestra la notte è scura con la nebbia sospesa in macchie sparse, ma da qualche parte, la luna illumina la strada.
Passi frettolosi, respiro affannato, ed una zazzera di capelli corvini: Regina vola attraverso la porta tenendo stretta una borsa ed indossando un’espressione di gioia mischiata ad ansia ed eccitazione. Le loro mani si trovano con impazienza. Daniel sente l’energia diffondersi dentro di sé al suo tocco e risponde con una stretta gentile. Mano nella mano, corrono verso la porta.
Seguiranno la luna verso la libertà.











Note della traduttrice:
FINE. E VISSERO PER SEMPRE FELICI E CONTENTI.

No, okay, la storia non è ancora finita (ovviamente?), perciò vi do appuntamento a venerdì 22 o a sabato 23.

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Capitolo 22
*** Paradise Lost ***


Nota dell’Autrice: Dunque eccolo. Questo è l’ultimo capitolo. Il trigger warning dice tutto, davvero, ma ho qualche (si spera) buona notizia per voi in basso alla fine della storia. Vi ringrazio per ogni singola recensione, a chi ha messo questa storia tra le preferite e le seguite – sono felice per ogni visita che questa storia riceve e spero che vi sia piaciuta. Buona fortuna ai vostri feels – so che i miei sono pesantemente danneggiati.

Trigger warning: morte.




Capitolo 22
Paradise Lost

La luna li ha traditi.
Aveva promesso di condurli a casa, e invece ha condotto lei da loro.
Quando la porta si spalanca per rivelare Cora contro lo sfondo di nebbia ed oscurità, il mondo si ferma e così fanno loro, raggelati e immobili come un quadro in una cornice. Il respiro di Regina si blocca nel suo petto e tutti i sensi e il coraggio la lasciano mentre il fiato le viene spinto fuori senza cerimonie dall’orrore. Daniel! Il grido inespresso è trasmesso dalla sua presa convulsa sulla mano di lui – lui è la sua ancora di salvezza. Poi, proprio mentre sente Daniel rispondere stringendole la mano a propria volta, Cora solleva una mano, e Regina guarda al rallentatore mentre lo scintillio della magia cresce in un velo vibrante e subito dopo, arriva verso di loro, correndo, sibilando, più vicino, più vicino… L’impatto manda onde d’urto attraverso di lei e, quel che è peggio, la mano di Daniel viene strappata crudelmente dalla sua, scaraventandoli entrambi all’indietro.
Tutto è perduto. È di nuovo la magia, la sua magia, e proprio come ogni altra volta prima d’ora, Regina è impotente contro di essa, poiché non c’è alcuna arma che possa brandire per fronteggiare i poteri di Cora. Se solo il terreno freddo la inghiottisse e basta, ponesse fine a tutto… forse, se lei non si muove, alla fine succederà. Perché alzarsi, comunque, solo per essere abbattuta di nuovo – o peggio, rinchiusa nella gabbia dorata di una vita che detesta?
Poi sente le sue braccia attorno a sé – Daniel è già tornato sui propri piedi, e la aiuta ad alzarsi. Il suo tocco fa circolare dentro di lei una nuova forza, sfida, e persino – forse – un pizzico di speranza. Dovrebbe vergognarsi per aver voluto arrendersi così facilmente! No – no, quei tempi sono finiti. Adesso sono loro due contro Cora, e se lei non le tiene testa adesso, come potrà mai prendere in mano il proprio destino?
Regina parla solo per essere zittita. Chiede – esige – di essere ascoltata da una madre che sembra non voler mai sentire. Reclama la vita che è sua e sua soltanto solo per essere derisa e vedersi negare quel diritto essenziale.
Qualcosa crolla dentro di lei nel sentirsi chiamare una folle, non autorizzata ad avere i propri desideri e obiettivi indipendenti dai desideri di sua madre, e la cruda verità la ferisce profondamente: Cora non ha mai avuto intenzione di rilasciare le redini strette di Regina, non ha mai pensato di cessare di stabilire il corso della vita di Regina.
Ancora una volta, lui allunga la mano proprio nel momento giusto, offrendole di essere la sua roccia, la sua forza, il suo supporto – e, ancora una volta, funziona come un incantesimo.
La dichiarazione del suo amore per Daniel gettata a Cora dà a Regina un rinnovato senso di determinazione; il ricambio di lui diffonde calore dentro di lei; la ripetuta professione d’amore di Cora, d’altro canto, manda dei brividi lungo la sua spina dorsale. C’è poco a cui Regina vorrebbe credere di più che all’amore di sua madre per lei; eppure sa che la verità delle azioni parla davvero più forte delle parole, e l’amore auto-dichiarato di Cora manca di compiere ciò che Regina ha imparato che l’amore è e fa.
Nessuna delle parole di Regina sembra portare sua madre a vedere l’errore nei propri modi. È tempo di andare.
La mano di Cora, pizzicante di magia, incombe di loro ancora una volta. E se colpisse di nuovo? Così sia. Può fermarli una volta, può sbarrare la loro strada due volte, ma è impossibile che possa tenerli qui per sempre.
La ragionevole argomentazione di Regina – com’è che improvvisamente si sente così rafforzata, così autorizzata, così energica? – cambia effettivamente qualcosa. Sua madre esita. È anche solo possibile? Per un momento, sembra quasi che possa finalmente essersi resa conto della capacità di Regina di prendere le proprie decisioni – per di più, sembrerebbe quasi che stia considerando di riconoscere le decisioni di Regina. C’è ancora speranza che lei possa non solo essere felice con Daniel ma persino guarire il rapporto con sua madre?
Può essere? Sua madre che si fa da parte perché lei sia felice alle proprie condizioni? È… è vero! In questo stesso momento lo dice la stessa Cora – capisce, o almeno accetta la decisione di Regina di stare con l’uomo che ama, anche se non è quanto Cora aveva pianificato per lei.
Poi, dopo secoli, madre e figlia si abbracciano. Regina sente la tensione sollevarsi e una gioia cauta, beata, filtra attraverso di lei.
Eccoli lì, davanti ai suoi stessi occhi pieni di lacrime, in un modo che Regina non ha mai osato sognare li avrebbe visti: la madre che pensava di aver perso per sempre e l’amore che non potrebbe mai e poi mai perdere. Che parlano. Regina non sente le parole che dicono, non perché siano troppo lontani o troppo quieti ma perché non ha importanza. Questo è tutto ciò che lei ha sempre voluto: amore ed accettazione. Il pensiero la scuote sin nel profondo. Posso essere felice.
Poi tutto va male.
Succede in una frazione di secondo; ha a stento il tempo di fare presa: lei vede l’espressione di Cora cambiare, e la paura la sopraffa; vede il volto di Daniel contorcersi di sorpresa e poi di agonia, e il terrore la paralizza. Solo quando il suo sguardo ad occhi spalancati si abbassa lei capisce: la mano di Cora che affonda nel petto di Daniel, e riemerge di nuovo in un movimento rapido, esperto.
Regina sa, nel profondo, cosa Cora sta reggendo prima di vederlo. Non ha mai visto farlo prima ma ha sentito delle voci – voci che ha spinto nel retro della propria mente – e ha visto Cora scomparire attraverso un passaggio segreto dietro un camino una o due volte con una scatolina pulsante un baluginio rosso. Così lei sa, nel profondo, cosa sta succedendo.
Il corpo senza vita di Daniel crolla a terra, e il suo mondo si sfoca in un battito del cuore.
«Nooooo!»
Finalmente le sue gambe obbediscono e lei corre la breve distanza tra sé e quella scena raccapricciante, e si lancia su di lui. Non ha un piano, agisce per puro istinto – deve fermare tutto questo, deve proteggerlo, col suo stesso corpo se è necessario, poiché non conosce altri mezzi di protezione. Lui non si muove.
«Nooo!»
Non può essere morto, non può! Deve esserci un modo per invertire tutto questo; lei sostituirà il suo cuore con le proprie mani. Deve essere possibile, e in qualche modo l’amore che nutre per lui sembra una guida per una tale impresa.
Come se le avesse letto la mente, Cora chiude il pugno sul cuore palpitante. Quello di Regina si ferma. Della cenere piove tra le dita chiuse di Cora.
L’oscurità la circonda.

Il Dottore chiede il cuore, e lei gli porge la scatola.
L’uomo dovrebbe essere la sua salvezza, con poteri più potenti della magia, capace di quanto va oltre le abilità di Tremotino. Eppure cosa sa di lui? Uno straniero da un altro reame che non ha mai avuto successo prima e non permetterà a nessuno di assistere alle sue misteriose procedure sono tutte le informazioni che ha. Eppure il suo destino giace nelle sue mani.
Tremotino l’ha disprezzata quando lei ha rivelato la sua vera motivazione per studiare la magia. La magia ha preso Daniel, quindi sarebbe solo sensato se la magia potesse riportarlo in vita. O il suo insegnante stava mentendo o non aveva intenzione di aiutarla – in ogni modo, la fragile traccia di speranza che lei aveva coltivato nella propria anima ha iniziato ad avvizzire rapidamente al suo rifiuto deciso, poiché chi altri se non il Signore Oscuro poteva aiutarla nella sua ricerca? Poi Jefferson è accorso in suo aiuto e lo strano Dottore, e proprio malgrado, lei si è ritrovata a nutrire la speranza e a riportarla in vita.
Il dolore e la nostalgia sono stati il suo compagno costante sin dalla morte di Daniel. Nonostante il detto, il tempo non ha fatto nulla per guarire le ferite. Un vuoto tale come lei non ne ha mai conosciuti si è insinuato nel suo cuore frantumato. Grazie all’incantesimo di preservazione che lei ha lanciato, almeno il suo corpo – benché un guscio vuoto ed un povero sostituto del suo essere passato – era ancora lì; lo visitava ad ogni occasione che aveva, lo guardava, versava lacrime amare su di lui.
Delle ombre si muovono dietro la tela della tenda. Regina è perplessa, respira a stento. Non può permettersi troppa speranza o la delusione sarebbe troppo devastante da sopportare. È troppo tardi, però. Non può evitarlo. Non può evitare di sperare nel successo, non può evitare di immaginarsi di nuovo con lui: gli occhi di lui che perforano i suoi, il suo sorriso, le sue mani che le accarezzano il volto, il sapore del suo bacio, e la sensazione delle sue braccia attorno a sé. Potrebbe sentirsi veramente felice e amata di nuovo.
Basta, cerca di comandare al proprio cuore che palpita follemente. Basta o farai ancora più male. Ma il suo cuore non ascolta.
Lui cosa sta facendo là dentro?
Se fallisce, non può essere fatto. L’idea è insopportabile. Lei non può pensare simile pensieri, deve credere – ha bisogno di questo miracolo, se sia magia o qualcos’altro non le importa. Deve funzionare e basta.
Ipnotizzata, Regina si sforza di respirare in modo regolare. L’ombra di un braccio va a tentoni per un momento e si alza nell’aria, reggendo qualcosa di piccolo e rosso e pulsante – lei non può vederlo ma è quello che deve essere. Regina trattiene il fiato.
Il braccio si abbassa, veloce e ferreo, affondando nell’amato corpo che Regina vede nella propria mente sul tavolo operatorio nascosto dalla tenda. Un fulmine colpisce e strappa il cielo in due. Regina si accorge a stento di essersi aggrappata a Jefferson. L’intensità del suo sguardo ad occhi spalancati sarebbe abbastanza da bruciare un buco attraverso la tenda. Ma può veramente sopportarlo? E se il risultato fosse sfavorevole? Cosa farà allora?
Ma se avesse funzionato? Se, quando guarderà attentamente, vedrà Daniel alzarsi e camminare fuori dalla tenda verso di lei?
Lacerata tra emozioni contrastanti, Regina si limita ad aspettare, inchiodata sul posto.
Il Dottore emerge – da solo. Questo non vuole necessariamente dire qualcosa. Daniel potrebbe essere esausto, o addormentato, o… be’, certamente c’è una spiegazione oltre alla… oltre a quella orrida e ovvia che lei s’impone di allontanare. È vero, il Dottore ha un’espressione che è tutto men che gioiosa, ma forse è solo che la procedura l’ha segnato. Dopotutto, non le aveva forse detto di essere ottimista riguardo al risultato?
Quando lui parla, quelle parole le tagliano l’anima, torcendo la vita dal piangente stelo di speranza e poi lasciandolo indietro, strangolato, a marcire.
Non ricorda di aver camminato sino alla tenda, solo di scivolare attraverso il lembo in un incubo orribile. Lui sembra sempre lo stesso – l’incantesimo di preservazione è rimasto effettivo. È lì, eppure se n’è andato. Per sempre.
Dentro non le rimane alcuna forza. Con la prima lacrima che trabocca, lei appoggia la testa sul suo petto e le lascia sgorgare.
Sono perduta.
L’oscurità cala.

La vuota bara di vetro nel freddo ventre della sua cripta la fa precipitare vertiginosamente in un abisso di panico. Nessun altro può saperne qualcosa. Dev’essere di nuovo lui – ma perché?
Il braccio reciso sul tavolo di Whale sconcerterebbe la maggior parte delle persone ma lei ha cose più grandi per la testa. Non c’è spazio per compassione o preoccupazione per l’uomo mutilato sul pavimento, solo per la domanda bruciante per la quale lei cerca risposta. Quel che le dice Whale scuote le stesse fondamenta della sua esistenza.
Può essere? Può Daniel essere davvero vivo? Può Whale aver avuto successo dopo tutto questo tempo? Lei aveva pensato che tutta la speranza fosse svanita dopo il fiasco nella Foresta Incantata ma adesso sembra essere resuscitata – proprio come Daniel, se deve credere a Whale. Ma osa credergli? E lui cosa intende dicendo che Daniel non è davvero Daniel ma un mostro? I due concetti semplicemente non funzionano insieme. Whale ha giudicato male la situazione, chiaramente.
Questa brillante sfera di speranza nella sua anima non se ne andrà, mai. Non ha la benché minima scelta in proposito.
Adesso ogni oncia del suo corpo appartiene alle scuderie di Storybrooke. David è un intralcio e normalmente si guadagnerebbe una replica tagliente o due, ma lei non ha pensieri da dedicare ad altri se non all’amore perduto che dopotutto potrebbe riavere indietro.
Ad eccezione di Henry, naturalmente. Un brivido oscuro la sopraffa al pensiero di suo figlio e del suo fidanzato nello stesso posto allo stesso momento. Il suo primo istinto è di amorevole affetto. Quindi da dove viene l’ansia? Dalle parole di Whale? Dalla sua ferita? Dalla reazione di David?
Lo spettacolo al quale arrivano non è per niente come ciò che aveva immaginato; anzi, è materia da incubo: le dita di Daniel che stringono il collo di Henry, il viso di suo figlio contorto in agonia. Per un momento delirante, è trasportata indietro nel tempo in un’altra stalla dove sua madre ha strappato la vita dal suo fidanzato. No! Non è così che dovrebbe essere!
La sua voce è molto più difficile da controllare del solito, e lei quasi si strozza sul suo nome. Ma Daniel la ascolta, come lei sapeva avrebbe fatto, ed Henry è di nuovo in salvo. Grazie al cielo, suo figlio è in salvo.
È vero. Lui è davvero tornato.
Andrà tutto bene, ciò che è successo è stato solo una reazione secondaria, era solo confusione – Daniel è autorizzato a provarne, sicuramente, dopo decadi di, be’, esser stato morto. Andrà bene, lui ha solo bisogno di tempo per riambientarsi, e lei può aiutarlo a farlo – lei è quella che può aiutarlo a farlo.
Lui le si muove incontro in un movimento improvviso e selvaggio e lei viene scagliata via dal box prima che possa reagire in alcun modo. David non capisce – non sa niente. Daniel non la ferirebbe mai, e certamente è fuori discussione che lei usi la magia su di lui. Eppure l’uomo continua a sbarrarle la strada quando dopo tutti quegli anni di separazione Daniel è solo ad una porta di distanza! Disperata ed impotente, lei si lancia contro di lui, appioppando pugni dove capita, ma David è molto più forte di lei. È troppo, più di quanto lei possa sopportare – lui deve capire! Lei non permetterebbe mai, mai, che a Daniel venga fatto altro male – non c’è bisogno di metodi come quelli che David ha in mente per pacificarlo quando tutto ciò di cui entrambi hanno bisogno è di un’occasione per parlare. Lui la ascolterà.
Non appena David si è allontanato, Regina allunga la mano per aprire il box. Il cuore minaccia di scapparle dalla gabbia toracica. Ecco. Questo è il momento. Finalmente, sono di nuovo insieme.
Daniel è lì, intento a strizzare gli occhi nella luce che entra a fiotti attraverso la porta aperta. È lui. Sembra confuso ma è lui. E puoi biasimarlo se è confuso? Andrà tutto bene, la vedrà e ricorderà ed ogni cosa sarà com’era prima. Un sorriso e una o due o una dozzina di lacrime combattono per avere il predominio sul suo viso raggiante e già rigato di lacrime. È così vicina al lieto fine perso tanti anni fa. Daniel continua a guardarla strizzando gli occhi e alla fine si muove verso di lei, e tutto si blocca ad eccezione del cuore di lei che batte forte e della mano di lui che si avvicina lentamente al suo volto. Quanto le sono mancate le sue carezze leggere, le sue dita che le sfiorano la guancia! Solo un altro centimetro…
Ma il tenero tocco non arriva mai; invece, cerchi scuri le compaiono davanti agli occhi quando lui la afferra dal collo senza avvertimento e la sbatte contro un muro con una forza che le mozza il fiato. La pressione spietata delle sue dita contro il suo collo aumenta con ogni momento che passa, e tutto ciò che lei sente è dolore – dentro. Come può non riconoscerla? Che stregoneria è questa?
Daniel, torna da me. Ti prego.
La sua mente è vuota, e le parole vengono fuori di propria spontanea volontà.
Io ti amo.
«Regina».
I suoi occhi si ammorbidiscono, e la sua voce, roca e gracchiante, è puro paradiso. Il modo in cui dice il suo nome non è cambiato – la sua lingua lo avvolge come se fosse un prezioso tesoro. Il suo abbraccio è giusto, è sicuro – lei è a casa, alla fine. All’improvviso è quasi troppo: lei vuole ridere, vuole piangere, vuole bloccare il tempo e crogiolarsi in questo momento benedetto.
Ma, come tutta la felicità nella sua vita, non è destinato a durare.
Daniel si ritrae, ansimando, e si stringe il petto. No. Cosa sta succedendo? Cos’ha che non va? Lei non vede niente – potrebbe essere ferito? Non può perderlo. Non di nuovo. La vista di quell’amato volto contorto da un dolore per il quale lei non trova spiegazione le lacera il cuore. Farebbe qualsiasi cosa per aiutarlo. Ciò che lui le chiede, però, minaccia di spezzarla. Deve esserci un qualche altro modo. Deve esserci un modo di aiutarlo, di guarirlo… Senza di lui, è perduta. Lui combatte il demone invisibile che lo infesta, riguadagnando il controllo su di lui.
Per favore, per favore, torna da me.
Un’ombra gli attraversa gli occhi e qualcosa di malvagio si annida nel suo sguardo febbricitante e squilibrato.
Il suono impetuoso della tragedia imminente le echeggia nelle orecchie, le riempie il cuore e si estende come un veleno letale per tutto il suo corpo. Non sa come combattere questo nemico, qualsiasi cosa sia. La morte. Ma lei lo ama… E il vero amore? Non dovrebbe spezzare ogni maledizione, essere la magia più potente di tutte?
La magia può tanto ma non questo. La morte è morte.
Quando il mostro rivendica il corpo di Daniel e la sembianza del suo io passato si erge per attaccare, Regina solleva la mano in un’opera di magia semplice ed essenziale, congelandolo con il suo palmo contro il proprio. Eppure l’atto è tutto fuorché privo di sforzo. Il suo cuore rifiuta la realtà che sanguina nel dover affrontare. Lui se n’è andato. Se n’è già andato. Questo non è lui. Lei non può lasciarlo soffrire; non lo lascerà soffrire.
La prima volta le ha strappato il cuore e lo stomaco.
La seconda volta l’ha derubata di speranza e luce.
La terza volta sarà l’ultima.
Non c’è speranza per loro. Dita scheletriche continuano a dilaniarla all’interno, cavando sangue e prosciugando la vita e distruggendo quella piccola e misera lama di speranza sulla pila di vecchi resti. Ansimante per i singhiozzi, Regina agita la mano tra loro in un arco. Mentre i resti terreni di Daniel svaniscono di fronte a lei, l’ultima delle sue speranze viene annientata.
Allora ama di nuovo.
Forse si è sbagliata per tutti questi anni. Forse non è solo Daniel che non può essere aiutato. Forse anche lei è morta.
Tutto fa male.














Nota dell’Autrice: Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. È stato davvero difficile scrivere di nuovo questo tragico finale (dico “di nuovo” in riferimento al telefilm) ma dopo averci pensato molto su, alla fine ho deciso di seguire il canon a questo punto della storia. Comunque, voglio ancora dare a Regina e a Daniel la possibilità di avere un lieto fine, e anche esplorare come potrebbe essere la loro relazione se fosse stato possibile riportare indietro Daniel in qualche modo dopo la 2x05 – tra il passato di Regina e la lunga assenza di Daniel, ci sarebbero sicuramente degli ostacoli da superare. Per farla breve, sto scrivendo un sequel (Dark Enough to See the Stars). Sarei felice se decideste di venire a darvi un’occhiata. Di nuovo, un grazie enorme per il vostro supporto!




Nota della traduttrice:
*voce scontrosa* Non sto piangendo, voi state piangendo.

Su una nota meno tetra, il sequel è in corso, secondo me è geniale, e se interessa a qualcuno sarei più che felice di tradurlo (devo solo chiedere il permesso dell’autrice). Intanto da me ho scritto una OS abbastanza fluffosa su di loro (non lo so, gente, non lo so, se può esservi d’aiuto è qui).
Alla prossima!
(ODDIO HO FINITO DI TRADURRE LA MIA PRIMA LONG-FIC, WOW.)

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