From a Small Seed a Mighty Trunk Shall Grow di SparklingLetters (/viewuser.php?uid=643276)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Blind Man’s Buff ***
Capitolo 2: *** A Stable Friendship ***
Capitolo 3: *** In Sickness and in Hell ***
Capitolo 4: *** A Canter is a Cure ***
Capitolo 5: *** My Fair Stable Boy ***
Capitolo 6: *** Picnic at the Firefly Hill ***
Capitolo 7: *** A Flower a Day to Keep the Blues Away ***
Capitolo 8: *** Unhealed, It Haunts ***
Capitolo 9: *** Nine Lives, Cat’s Eyes ***
Capitolo 10: *** Rumour Has It ***
Capitolo 11: *** Many Happy Returns ***
Capitolo 12: *** The Place of No Return ***
Capitolo 13: *** On the Line ***
Capitolo 14: *** Mending Fences ***
Capitolo 15: *** Twelve Days of Christmas ***
Capitolo 16: *** Two Toads Are a Knot ***
Capitolo 17: *** Of Apple Blossoms and Tufts of Grass ***
Capitolo 18: *** An Ode to Ink and Parchment ***
Capitolo 19: *** Take Me Home ***
Capitolo 20: *** Will and Won’t ***
Capitolo 21: *** One Night the Moon ***
Capitolo 22: *** Paradise Lost ***
Capitolo 1 *** Blind Man’s Buff ***
From
A Small Seed A Mighty Trunk Shall Grow
Capitolo
1
Blind
Man’s Buff
La
primavera, attesa con ansia e appena arrivata, ha rapidamente
dipinto la manciata di alberi e arbusti sparpagliati lungo la piazza
con fiori in sboccio e foglie in germoglio. Tutti gli abitanti sembrano
essersi riversati dalle porte per crogiolarsi nei primi raggi caldi
dell’anno. Un cane passa di corsa con un bottino di carne
sugosa, tra le rumorose proteste del macellaio grassoccio, il quale,
invece di sforzarsi ad acciuffare il ladro peloso, si limita ad agitare
il pugno verso di lui.
Regina
si rallegra per il cucciolo ispido. Siede appollaiata sul
suntuoso sedile di velluto della carrozza, facendo capolino da dietro
le tende di pizzo, desiderando di essere là fuori col resto
del mondo.
La
mamma le ha detto di non uscire e di aspettare dentro che lei
ritorni, così lei è bloccata
all’interno, nel ventre scuro della bestia. Almeno, questa
è la storia che lei si racconta, poiché suona
molto più eccitante della noiosa carrozza che è
in realtà. Un leviatano. O una balena, forse. Talvolta,
è un dragone.
In
un modo o nell’altro, adesso la bestia sta dormendo.
Solo
la mamma può svegliarla e comandarla, piegarla alla
propria volontà e farle fare ciò che vuole.
La
bestia non sta facendo del male a Regina, non lo fa mai. Si limita a
tenerla prigioniera.
Succederebbero
cose terribili se provasse a scappare dal suo stomaco
senza fondo, rimugina lei.
Guarda
con occhi assottigliati la porta della locanda dentro la quale
la mamma è scomparsa. Adesso è un po’
che la mamma non si fa vedere, la bestia è addormentata e il
giorno… oh, è così bello! Regina sta
iniziando a sentirsi al sicuro, o coraggiosa, o avventata. Che male
può fare una passeggiatina?
Presa
la sua decisione, Regina salta rapidamente giù dal
sedile e spalanca la porta. Si sporge, e guarda a destra e a sinistra
con occhi scintillanti.
Il
cocchiere volta la testa al suono della porta che viene spalancata,
e incontra il suo sguardo.
Sa
che ci si aspetta che lui tenga d’occhio Regina, ma
tecnicamente è solo un cocchiere, non una bambinaia.
La
bambina dai capelli scuri sorride e gli fa l’occhiolino,
ignara, fiduciosa. L’uomo non può che restituirle
il sorriso.
Chiuderà
un occhio sui progetti della piccola Regina: Lady
Cora la tiene sotto stretto controllo già a sufficienza,
decisamente troppo, pensa lui. Restituisce l’occhiolino e si
gira.
Regina
capisce. Adesso loro hanno un accordo, il cocchiere non la
denuncerà.
Scende
di un gradino, poi salta trionfante sulla piazza coperta di
sporcizia. Dovrà ricordarsi di pulirsi le scarpe prima che
la mamma torni, così non noterà niente.
Regina
se la svigna attorno alla carrozza, per timore di essere
sorpresa da un qualche potente nemico. Una delle teste del dragone
addormentato, per esempio.
Il
suo cuore sprofonda un po’ quando lei raggiunge il
davanti, anche se sapeva che i cavalli sarebbero stati condotti nelle
stelle per essere sfamati e dissetati mentre la mamma si occupa dei
suoi affari.
Questo
significa che rimarranno per un po’, il ché
è una buona notizia per Regina, adesso che ha deciso di
combattere per uscire dal ventre del dragone nel fresco giorno
primaverile.
La
piazza è piena di vita, molto più
così che da dietro le tende, sente Regina, e per Regina,
tutto è affascinante, specialmente le persone.
Loro
vanno e vengono, per lo più facendosi gli affari
propri, senza mai guardare nella direzione della carrozza lussuosa e
ben visibile posteggiata all’entrata della locanda.
In
verità, molti lanciano un’occhiata fugace, ma
si girano entro una frazione di secondo, mai abbastanza per rallentare
il loro passo o interrompere qualsiasi attività stiano
portando avanti.
Un
uomo con l’aspetto di un mercante in viaggio guarda Regina
saltare oltre una pozzanghera in mezzo alla piazza e la saluta con la
mano. Regina s’illumina e saluta di rimando, facendo
accidentalmente cadere nel fango la gonna tirata su.
Il
fabbro accanto al mercante aggrotta le sopracciglia, si china su di
lui e sussurra nel suo orecchio. Il viso del mercante
s’incupisce. Lui dà uno strano sguardo di traverso
a Regina e si gira cupamente.
La
fronte di Regina si corruga in un piccolo cipiglio, poi lei scrolla
le spalle e torna alla pozzanghera, pronta a saltarla di nuovo.
Il
suo cuore fa un balzo.
Là,
al limite opposto della piazza, vicino a un vecchio
pozzo di pietra, un gruppo di bambini sta giocando. Uno di loro ha gli
occhi coperti da uno straccio e procede a tentoni, con le braccia tese,
per prendere uno degli altri, che in cambio stanno evitando il bambino
come meglio possono, gridando e ridendo ogni volta che riescono a fare
una manovra particolarmente abile e a scivolare appena al di
là della sua portata.
Regina
è sul punto di correre da loro quando la voce di
mamma le riecheggia nelle orecchie, così nitida come se la
mamma le fosse davvero dietro, china su di lei: «Una lady non
corre scioccamente in giro. Una lady deve essere aggraziata».
A
Regina non importa molto di essere una lady, ma alla mamma sembra
importare moltissimo, così la maggior parte del tempo Regina
obbedisce solo per farla felice.
Questa
volta, tuttavia, Regina vuole solo essere come quegli altri
bambini e bambine laggiù, intenti a correre e a piegarsi e a
divertirsi.
E
la mamma non è lì a vedere.
Regina
solleva lievemente la gonna del suo vestito e corre senza sforzo
la breve distanza fino all’altro lato della piazza.
Si
ferma di colpo nel bel mezzo della massa urlante di bambini.
All’inizio
nessuno sembra notarla nella fitta confusione del
gioco. Poi una ragazzina lentigginosa con le trecce e un dente mancante
si blocca e la occhieggia con curiosità, guardandola dalla
testa ai piedi.
«Ciao»
dice Regina.
«Ciao»
replica la ragazzina, gli occhi spalancati
che fissano prima il suo abito ricamato di pervinca, e poi il suo polso.
«Ti
piace il mio braccialetto? Posso dartelo se vuoi. Il mio
nome è Regina. Posso giocare con voi, per favore?»
Al
ché, una ragazza più grande con una treccia
spessa si presenta improvvisamente e mette un braccio protettivo
attorno a quella piccola. Hanno entrambe le stesse lentiggini.
«È
la bambina della Lady Spaventosa!»
sibila la ragazza grande.
Gli
altri bambini raggelano. Il bambino che era la mosca cieca strappa
lo straccio dai suoi occhi.
Lei
li guarda, sbattendo una volta le palpebre. «Mia mamma
è Lady Cora. Ma adesso non è qui. Non
arriverà per un po’. Posso fare io la mosca
cieca» propone.
Il
bambino che regge la benda logora guarda la sorella grande con le
lentiggini.
Lei
continua a fissare intensamente Regina e adesso i suoi occhi
acquisiscono uno strano luccichio.
«Non
vogliamo nessun problema» dice alla fine.
«Ti lasceremo giocare solo perché forse Lady
Spaventosa diventerà malvagia se non lo
facciamo…»
Tutti
i bambini annuiscono vigorosamente. Apparentemente, questa Lady
Spaventosa è persino più spaventevole della
carrozza-dragone… oh.
Regina
sta completamente immobile ma indaga tutti loro con occhi acuti.
«Ma
noi non giochiamo con sciocche piccole Lady»
dichiara il bambino con lo straccio, la parola adulta bizzarra nella
sua bocca.
«Io
non la sono!» prorompe lei, appassionatamente.
«Non
ci prenderà comunque» squittisce
un’altra bambina, poi si fa ancora più audace.
«Tu non giochi come facciamo noi».
«Vi
posso battere in qualsiasi momento» dice Regina
quietamente.
La
ragazza grande con le lentiggini fa un passo avanti.
«Facciamo un accordo. Se non prendi nessuno, quella cosa sul
tuo polso è nostra» la sfida malignamente.
«Bene».
Regina
tende la mano verso lo straccio. Il bambino si sposta dietro di
lei e lo lega attorno ai suoi occhi così che lei non possa
vedere. «Ecco» dice con soddisfazione.
Il
panno ruvido le morde e graffia il viso ed è intrecciato
troppo stretto attorno alla sua fronte.
Provocatoria,
combatte l’urgenza di aggiustarlo.
«Siete
pronti? Sto arrivando» annuncia Regina
solennemente, dando loro la possibilità di disperdersi.
Inizia
a girare in un lento cerchio, decidendo quale strada prendere.
Tutto è calmo per qualche tempo. Un momento più
tardi, quando finalmente trovano il coraggio, i bambini iniziano a
canzonarla, chiamando: «Ohi, da questa parte!»,
«Prendimi se ci riesci!», e persino
«Fetente, fetente!» in una cacofonia di voci.
Regina
continua a girare cautamente, ascoltando, aspettando, cullandoli
in un falso senso di sicurezza. Improvvisamente si scaglia in avanti e
arriva a un pelo dall’afferrare la ragazza grande con le
lentiggini, che la schiva all’ultimo momento con un guaito.
Regina
perde l’equilibrio per un momento ma lo riguadagna
abbastanza velocemente. Inizia nuovamente a girare.
I
bambini tornano a farsi più cauti. Questo non è
un gioco di tutti i giorni.
«La
lady bebè di Lady Spaventosa» arriva
un grido acuto da dietro Regina.
Lei
si gira bruscamente e si lancia in avanti. Subito dopo, si ritrova
sdraiata a faccia in giù in una pozza d’acqua
fangosa, il pasticcio viscido caldo e stantio sulle sue labbra.
La
risata dei bambini risuona nelle sue orecchie. Lei sente il proprio
viso diventare rosso per l’imbarazzo. Saggia il terreno
circostante con i piedi… C’è
un’asse di legno nelle vicinanze; deve esservi inciampata.
Gli
occhi di Regina bruciano e la sua mano vola istintivamente alla
benda. Poi indugia a mezz’aria, si ritira di nuovo a terra
lentamente, e Regina si spinge in piedi. Sente l’acqua
gocciolare dalla sua faccia e inzupparle il vestito. Tiene la testa
alta, la boccuccia serrata.
La
risata si spegne e cala un completo silenzio. Regina si
può sentire respirare. Forse può sentire
respirare anche loro, se presta abbastanza ascolto. Ci prova, e sente,
non il respiro dei bambini, ma un tonfo sordo di legno sullo sterrato
da qualche parte dietro di lei. Balza in avanti al momento giusto prima
che la voce beffarda abbia il tempo di seguire. Evitando con successo
la trappola, Regina agita le braccia di fronte a sé
– e prende una manciata di capelli, una grossa treccia spessa.
«Ouch!
Lasciami!»
Con
un breve lampo di trionfo sul viso, Regina lascia la presa. Si
toglie la benda dagli occhi e sbatte le palpebre nella luce solare.
La
ragazzina la guarda in cagnesco con odio, massaggiandosi il cuoio
capelluto, dove Regina ha tirato la spessa treccia.
Regina
fa un passo esitante verso di lei ma la ragazzina indietreggia.
«Va bene, hai vinto. In ogni modo tu ottieni sempre
ciò che vuoi, non è vero? Sei comunque solo
principessa viziata e piena di sé, e la sarai sempre! Non
inganni nessuno!»
Regina
si limita a ricambiare il suo sguardo, sconcertata, incredula.
Fa un altro passo verso la ragazzina infuriata.
L’aria
si muove quando i bambini ansimano
all’unisono.
La
ragazzina impallidisce. «Vuoi farmi ferire dalla tua mamma
adesso? Sappiamo che è una strega malvagia!»
Gli
occhi di Regina luccicano. Lei porta una mano al suo polso. Fa
scivolare via il suo braccialetto e lo avvolge nella benda che sta
ancora reggendo. «Ecco» dice piano, offrendoli
entrambi alla piccola ragazzina con la treccia e le lentiggini, che
sobbalza con paura come Regina le si avvicina, ma accetta il fagotto,
ritraendosi immediatamente. Gli occhi di Regina tornano alla sorella
più grande: «…se lo volevi
così tanto». Volta loro le spalle e si mette a
correre, gridando da sopra la propria spalla: «E la mia mamma
non è malvagia!»
Sfreccia
via, i pugni serrati e i capelli che volano in tutte le
direzioni, inconsapevole di dove sta andando. Solo lontano da
lì, lontano da loro, lontano anche dal ventre della
bestia… Lontano.
Prossimo aggiornamento: giovedì
6 marzo.
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Capitolo 2 *** A Stable Friendship ***
Capitolo
2
A Stable Friendship
Incurante
di tutto, corre attraverso la sporcizia, il fango, e la
pietra, finché non viene colpita dall’odore
inconfondibile del miscuglio di fieno, sudore e letame; i suoi piedi
l’hanno automaticamente portata alle stalle. Lei si guarda
attorno e individua immediatamente Contessa e Barone, i cavalli della
carrozza della mamma, intenti a bere acqua fresca
dall’abbeveratoio.
Corre verso di loro, apre la porta tirando il
chiavistello, e
s’infila nel box. I cavalli sbuffano con apprezzamento mentre
lei li accarezza, anche se in modo distratto, ancora senza fiato per la
corsa.
Riesce a passare tra di loro e si siede su una
fresca balla di fieno
nell’angolo più lontano del box. Abbracciando le
proprie ginocchia, posa la fronte sulle proprie braccia.
C’è qualcosa di bagnato sulle
sue ciglia che lei
sa non essere né fango né acqua di pozzanghera;
una goccia solitaria le scivola lungo la guancia, disegnando un chiaro
percorso sul suo viso sporco, e dà un sapore salato alle sue
labbra.
Prima che lei ceda completamente alle lacrime,
arriva di punto in
bianco la voce di un estraneo, e il suo cuore manca un battito.
«Speravo trovassi la strada per
entrare… Ho
lasciato la porta aperta per te».
La testa di Regina si tira su allarmata. Lei si
guarda selvaggiamente
attorno, ma in un primo momento non vede nessuno. «Dove sei?
Fatti vedere!» Sente la propria voce tremante.
Il fieno sparso sul pavimento fruscia mentre nei
paraggi si spostano
dei piedi. C’è qualcun altro proprio lì
nel box con lei, realizza Regina. «Non avere paura»
dice la voce in mezzo al fruscio incessante del fieno sotto i piedi
dello sconosciuto. «Puoi nasconderti qui».
Un’ombra emerge da dietro
l’enorme posteriore di
Barone. Un ragazzino di circa la sua età, o forse appena
più grande, con capelli castano chiaro, una spazzola in una
mano e un pezzo di stoffa nell’altra, si trova davanti a lei.
«Io… io non mi sto nascondendo!»
protesta Regina, spingendo una ciocca di capelli inzaccherati via dal
proprio viso.
Il ragazzino le dà uno sguardo
indagatore. «Ecco,
puoi pulirti un po’». Le offre lo straccio.
Dopo un momento di esitazione, Regina lo prende
abbastanza cautamente,
ma ricambia comunque il suo sguardo con un pizzico di diffidenza.
«Perché sei qui? Non dovresti
aggirarti attorno ai
nostri cavalli in questo modo» chiede sospettosamente mentre
inizia a pulirsi il viso dal fango.
«Mio papà è uno
stalliere,
così in un certo senso sono cresciuto nelle stalle. Mi sto
prendendo cura dei vostri cavalli mentre lui parla di affari
là dentro».
Indica la spazzola nella sua mano mentre parla, e
accenna in direzione
della locanda.
Gli occhi di Regina si allargano. «Allora
tuo papà
sarà il nostro nuovo stalliere? Quello vecchio se
n’è andato l’altro giorno».
«Forse. Così non dovremo
essere più in
viaggio tutto il tempo. Così lui sarebbe meno
malato».
Lei è ridotta al silenzio
all’inaspettato
frammento di informazioni personali e dimentica momentaneamente la
propria pena. Una frazione di secondo più tardi, i suoi
occhi si illuminano. «Ma hai l’occasione di stare
molto coi cavalli, giusto?»
«Sì. Ti piacciono i
cavalli?»
«Li amo!» esclama lei, radiosa,
mentre continua a
sfregarsi distrattamente il viso con lo straccio. «Ma la
mamma dice che non dovrei andare molto alle stalle. Credo non le
piaccia l’odore. Però io penso sia
buono». Abbassa la voce involontariamente. «Io
vengo qui di nascosto abbastanza spesso».
Poi, come timorosa di aver rivelato troppo,
distoglie lo sguardo da lui.
Il ragazzino rimane dov’è,
esaminando Regina con
una calma curiosità.
Regina finisce di sfregarsi il viso e passa a
riordinarsi il vestito.
«Oh…» sospira piano.
«Che cosa
c’è?»
Lei si gira senza parole, distendendo la gonna del
vestito
affinché lui veda. Oltre la moltitudine di macchie sporche,
c’è anche uno strappo aperto sul davanti. Il
labbro inferiore di Regina trema quando alla fine lei dice:
«La mamma si arrabbierà molto».
Il ragazzino rimane in silenzio per un
po’. «Hai
giocato davvero bene, là fuori» dice infine in un
sincero sforzo di tirarla su di morale. «Avresti potuto
chiedere loro qualcosa, sai, dopotutto hai vinto la
scommessa».
Tuttavia, le sue parole hanno esattamente
l’effetto opposto a
quello voluto: il ricordo del pessimo gioco di mosca cieca fa
nuovamente riempire di lacrime gli occhi di Regina.
«Non piangere per colpa loro, sono
cattivi solo
perché sono spaventati».
Regina lotta per trattenere un singhiozzo.
«Io non volevo
niente. Volevo solo giocare con loro. Proprio come tutti gli altri
bambini. Non ho nessuno con cui giocare». La sua voce si
spezza.
Lei abbassa la testa per nascondere
l’inarrestabile torrente
di lacrime appena traboccate.
Il ragazzino le si avvicina e le mette una mano
sulla spalla. Lei
rivolge il proprio viso sorpreso e rigato di lacrime verso quello di
lui, gentile e solenne. «Giocherò io con
te» dice lui, semplicemente. «Mi chiamo
Daniel».
«Daniel! Sono tornata! Daniel!»
Una vocetta
vibrante risuona dall’esterno. La porta pesante si spalanca e
dentro irrompe un vivace groviglio di ondeggianti capelli corvini e uno
svolazzante cappuccio celeste. Senza fiato e ansimando un
po’, lei si volta rapidamente per chiudere con uno spintone
la porta dietro di sé prima di girarsi verso
l’interno delle stalle con l’aspettativa impressa
sul volto.
«Prendi una spazzola». Il
ragazzino dai capelli
castani, il cui viso si è illuminato al suono della sua
voce, fa un gesto ampio, la mano con la spazzola sospesa a
mezz’aria sopra il dorso della cavalla grigia.
Lei si muove rapidamente e con sicurezza
– evidentemente non
per la prima volta. Si toglie la mantella riccamente intessuta mentre
si sposta e la getta a casaccio su uno dei chiodi ruvidi sulla parete.
In breve, è al fianco di Daniel. Entrambi i bambini stanno
ora spazzolando il cavallo con movimenti esperti, sincronizzati, un
identico bagliore cospiratorio nei loro occhi e un ampio sorriso sui
loro volti.
Lui ricorda ancora come lei è venuta
alle stalle per la
prima volta dopo che suo padre è diventato il nuovo
stalliere dei Mills: allora la sua eccitazione era molto più
contenuta, come se lei si aspettasse una delusione di qualche genere.
Le sue guance erano arrossite di gioia quando lo aveva visto trascinare
un pesante secchio d’acqua appena prelevata verso uno dei
grandi abbeveratoi.
«Allora è vero!»
aveva esclamato.
«Mia mamma ha assunto tuo padre! Adesso possiamo essere
amici… non è vero?» Aveva esitato,
piena di entusiasmo ma al contempo timidamente.
Daniel aveva sorriso, contento che lei non
intendesse tirarsi indietro
dalla loro amicizia recentemente stretta.
Poi la disillusione era comparsa sul suo viso.
«Adesso non
posso giocare» aveva detto. «Devo prima finire
tutto il lavoro».
Lei avrebbe capito? O si sarebbe arrabbiata o
altrimenti abbattuta? Con
suo grande sollievo – e sorpresa – un sorriso
raggiante si era diffuso sul viso di lei.
«Perfetto» aveva respirato
Regina. Poi, quasi
incespicando sulle sue stesse desiderose parole: «Mi
insegnerai?»
E lui l’ha fatto; e lo fa ancora. Regina
è
un’apprendista zelante, il suo zelo non diminuisce di una
briciola col tempo, e Daniel è arrivato a comprendere che il
suo amore per i cavalli è genuino e il suo dono con loro
eccezionale.
Il lavoro non sembra affatto noioso e prendersi
cura dei cavalli
insieme diventa una vera usanza, una cosa loro che possono condividere
e da cui trarre diletto.
Un intero pomeriggio può facilmente
andarsene senza che loro
si dicano più di poche parole, la maggior parte legate ai
cavalli; eppure il silenzio non lascia mai nulla a desiderare.
Nessun altro ne è al corrente, certo;
questo è il
loro piccolo segreto, e a loro piace così. Regina ancora non
dovrebbe passare troppo tempo alle stalle, così evitano lo
sguardo di Lady Cora. Daniel sospetta che suo padre potrebbe averlo
notato ma è sicuro che lui non ponga alcun pericolo. Il loro
interesse comune, così come il segreto che condividono, ha
creato tra loro un genere speciale di legame, tutto a loro insaputa.
Poi un giorno, Regina non arriva.
Daniel finisce il lavoro da solo, con la mente alla
grande villa Mills
– non troppo lontano ma comunque completamente fuori dalla
portata del giovane stalliere. Lui continua a guardare furtivamente in
quella direzione ma non vede nessun segno di lei; nessun ciuffo di
capelli scuri, nessun lampo di stoffa blu, nessuna voce argentina.
Non c’è nessun segno di lei
nemmeno il giorno
seguente; né il giorno dopo quello, né il giorno
dopo quello. Poco a poco, lui smette di aspettarla.
La mattina è fredda e cupa, con nuvole
pesanti che si
raccolgono dalla direzione della Collina delle Lucciole. Entro il
pomeriggio, il giorno diventa notte troppo presto. Tutti i cavalli
vengono radunati dai pascoli e ricondotti nelle stalle, con
l’eccezione dei resistenti cavalli da carrozza, Contessa e
Barone, che sono richiesti per una delle misteriose escursioni di Lady
Cora; sembra che persino l’imminente acquazzone e la tempesta
incombente non possano far nulla per impedirle di seguire i suoi
interessi. Anche il padre di Daniel è richiesto,
così sarà Daniel a rimanere coi cavalli sino al
giorno dopo, come presenza tranquillizzante per quando alla fine
arriverà la tempesta.
Quando arriva, arriva improvvisamente, e arriva
violenta. Secchiate
d’acqua ghiacciata si riversano dal cielo scuro e grigio come
il piombo. I fulmini solcano l’orizzonte a perdita
d’occhio, e tuoni assordanti li accompagnano.
La calamità all’esterno non
disturba Daniel.
Dentro le stalle, l’aria è ancora calda e
profumata. I cavalli sono un po’ tesi, agitano le criniere e
sbuffano di tanto in tanto, ma la presenza familiare del ragazzo sembra
avere l’effetto desiderato su di loro. Daniel è
proprio sul punto di ritirarsi con una coperta spessa in un box appena
pulito, disseminato di paglia, quando una folata di vento e uno spruzzo
di gocce di pioggia si fanno strada attraverso la porta che si apre.
Una figura scura, zuppa, si infila nel varco e
chiude la porta con un
grande sforzo, soffocando una potente folata di vento. Mani emergono da
sotto il mantello – completamente zuppo così che
il suo colore è davvero indiscernibile – e
spingono via il cappuccio dal suo viso.
«Regina!»
È proprio lei, eppure è quasi
irriconoscibile, i
capelli che cadono flosci e grondano acqua, formando piccole
pozzanghere ai suoi piedi. Lei s’illumina vedendolo.
«Daniel, io volevo venire, lo volevo davvero, ma la
mamma…» dice ansimando, e un’ombra le
attraversa il viso.
Daniel la fissa per un momento finché la
realtà
della sua presenza non viene recepita. Le corre incontro e le getta la
coperta pesante attorno alle spalle. «Ti
ammalerai!» Aggrotta le sopracciglia, preoccupato.
«Non saresti dovuta venire con questo tempo!»
«Pensavo che saresti stato contento di
vedermi»
dice lei, suonando ferita.
«Certo che lo sono» replica lui
seriamente e lei
non può che credergli. «È solo che non
voglio ti accada niente. Ecco, vieni a riscaldarti qui
dentro».
Entrambi si accomodano sulla paglia morbida nel box
che lui ha
preparato così accuratamente. Per un momento, nessuno dei
due dice una parola, si limitano ad ascoltare il rumore della tempesta
che risuona all’esterno.
«La mamma non è a casa adesso,
così
sono riuscita a uscire di nascosto» offre Regina alla fine.
«Non mi è più permesso venire
qui». Deglutisce a fatica. «Ho chiesto…
Ho chiesto se potevo imparare a cavalcare. La mamma pensa
che sia troppo pericoloso e per niente proficuo per una…
giovane lady» conclude amaramente. «Non penso che
sappia cos’abbiamo combinato ma mi è comunque del
tutto proibito venire qui».
Regina abbassa la testa e le sue spalle tremano
appena. Le sopracciglia
di Daniel si corrugano. Queste sono proprio cattive notizie.
«Ehi…» mormora lui,
cercando la cosa
giusta da dire, la cosa giusta da fare. «Forse…
Forse tuo padre potrebbe aiutare?»
Regina si limita a scuotere la testa, senza alzare
lo sguardo.
«Regina… Sono sicuro che
penseremo a
qualcosa».
Di nuovo, Regina si limita a scuotere la testa.
«Tu non
conosci la mamma. Quando decide qualcosa niente può farle
cambiare idea».
Lei seppellisce il viso nelle proprie mani.
Daniel sente un piccolo singhiozzo scappare dalla
massa fradicia di
capelli e coperta che è la sua amica Regina. Le si avvicina
furtivamente e le mette un braccio rassicurante attorno alle spalle.
Senza che nessuno dei due l’abbia notata,
la tempesta si
è calmata, la pioggia che batte un ritmo regolare mentre
continua a colpire il tetto.
La pioggia picchietta confortevolmente e gli occhi
di Daniel iniziano a
chiudersi. Regina siede immobile, la testa poggiata sulle braccia
avvolte attorno alle ginocchia. Potrebbe persino essere addormentata.
Daniel muove un poco il braccio – solo un poco, non vuole
svegliarla. Una ciocca di umidi capelli scuri si incolla al suo palmo.
Lui si domanda se adesso dovrebbe lasciar chiusi i suoi occhi
– la tempesta sembra essere finita, i cavalli staranno bene,
il pericolo è passato e adesso riposarsi è
sicuro. Decide di lasciare che i suoi occhi rimangano serrati e ascolta
le gocce di pioggia battere forme irregolari mentre il vento ronza
attraverso le crepe nelle assi.
Un nuovo strumento si intromette
nell’orchestra della natura.
Un ticchettare regolare di metallo sulla pietra, un suono che si
affretta, che romba sulla strada d’accesso. Un fruscio di
frustino. Uno sbuffo. Gli occhi di Daniel si spalancano –
qualcosa è fuori posto. Incontra lo sguardo allarmato di
Regina… quindi anche lei lo ha notato. Uno sbuffo sommesso
arriva da uno dei box, e un altro segue il primo. Daniel capisce
– un saluto. Qualcuno sta arrivando, e chi potrebbe essere
con questo tempo, a questo momento del giorno, se non la padrona di
casa?
«Devo andare!» geme mestamente
Regina, incespicando
in fretta sui propri piedi. Si libera della coperta lanuginosa, lancia
a Daniel uno sguardo di allarme e disappunto e una silenziosa,
immotivata scusa, e corre verso la porta.
«Regina, aspetta… il
cappuccio!»
Vuole che lei lo abbia perché
è freddo
là fuori, e anche perché non deve essere trovato
alle stalle, dove Regina non dovrebbe mai più mettere piede.
Lei lo strappa dalla sua mano tesa, senza guardarlo di nuovo, incespica
nella notte scura, piovosa, fredda. Daniel tiene la porta socchiusa
dietro di lei, scrutando l’oscurità da cui
è presto inghiottita. Sente la carrozza fermarsi in
lontananza, dove sa che si trova l’entrata principale della
casa. Spera che Regina ce la faccia ad arrivare alla sua camera in
tempo. Lo spera per il bene di entrambi ma specialmente per quello di
lei – ha sentito della presunta severità di Lady
Cora, naturalmente. Per quanto ne sa apparentemente lei non
è così malvagia come tutti dicono ma sembra
comunque piuttosto severa. Rigida e implacabile, così dicono
gli altri servitori.
Realizza che non ci sono più suoni oltre
il ticchettare
della pioggia. Chiude la porta con un sospiro e torna al suo letto di
paglia. La coperta lanuginosa giace lì tutta spiegazzata,
proprio dove è atterrata quando Regina l’ha fatta
cadere in tutta la fretta. Lui si distende sul pavimento e tira la
coperta sopra di sé. In qualche modo il conforto della
paglia calda, asciutta, profumata, la pioggia che cade incessantemente,
e il respiro calmo dei cavalli è privo di fascino questa
volta.
Regina esce incespicando
nell’oscurità e corre,
corre più forte che può, tanto cautamente quanto
osa, perché tutto è pioggia e fango e buio.
Raggiunge il muro massiccio della casa, e ora può correre
avanti più rapidamente perché
c’è un viottolo di pietra. Il suo cappuccio, zuppo
sino all’ultima fibra, pende mollemente dalla sua mano
perché non ha avuto tempo di indossarlo, e il suo orlo
raccoglie ancor più fangosa umidità mentre
striscia dietro di lei. È quasi arrivata, è quasi
sicura di potercela fare prima che la mamma abbia abbastanza tempo per
uscire dalla carrozza, entrare in casa, e forse raggiungere la stanza
di Regina per controllarla. Quasi sicura, il ché non va
abbastanza bene. Sarà nei guai se verrà scoperta.
Anche Daniel sarà nei guai. In qualche modo, questo
è persino più spaventoso.
Regina continua a correre, lasciando ora il
viottolo di pietra
perché ha bisogno di scivolare attorno all’angolo
e verso la propria stanza attraverso una distesa d’erba.
È una via abbastanza breve ma la pioggia è stata
così abbondante che i suoi piedi continuano a impantanarsi
nel fango, rallentandola, producendo un cic-ciac che lei non
può sentire a causa del vento e della pioggia ma che
può comunque immaginare abbastanza bene. Una finestra si
materializza di fronte a lei, emergendo
dall’oscurità. Solo pochi passi ancora…
Lei fa un balzo per raggiungerla e scivola, e atterra sulla schiena
nell’erba fangosa. Non si fa male, ed è un
atterraggio molto morbido grazie all’acqua. Si spinge in
piedi e finalmente si avvicina alla finestra. Adesso deve solo spostare
il chiavistello che ha usato per chiuderla dall’esterno. Se
solo se sue dita non fossero così intorpidite dal gelo!
Fallisce per un momento o due, poi finalmente riesce ad aprire la
finestra. Le tende si gonfiano nel vento, sbattendo contro il
davanzale. Regina lancia il cappuccio all’interno, si solleva
sul davanzale e si arrampica dentro.
Atterra con un lieve tonfo – in qualche
modo è
riuscita a ricordarsi di rimuovere la moquette lussuosa da sotto la
finestra prima di andarsene, ed è stata una buona idea,
cosicché adesso sarà in grado di pulire le
eloquenti tracce di fango che gocciolano da lei. Chiude la finestra con
una spinta. Le tende tornano alla loro posizione normale, con solo
poche tracce di pioggia ad inumidirle. Regina si guarda attorno
concitatamente. Il cappuccio deve sparire o altrimenti la mamma
capirà. Lo prende dal pavimento e si asciuga con esso dal
fango in eccesso, successivamente lo usa persino per strofinare il
pavimento, e alla fine dispone della cosa inzuppata, sporca, senza vita
– non è davvero più degno di essere
chiamato un cappuccio – seppellendola in fondo ad una delle
adorne cassapanche. Le coperte del suo letto a baldacchino sono gettate
di lato proprio come lei le ha lasciate. Ripensandoci, corre indietro
alla finestra per spingere la moquette al suo posto. Guardandosi
attorno selvaggiamente e non trovando niente fuori posto –
eccetto lei stessa, naturalmente – Regina salta nel letto e
si imbacucca nelle coperte. Le tira tanto in alto quanto possono
arrivare: nasconde al di sotto i suoi piedi congelati, la camicia da
notte fradicia, le spalle tremanti, i denti che battono, persino i suoi
capelli bagnati.
Solo adesso che è tornata al sicuro nel
suo letto lei
realizza quanto freddo ha. Sta finalmente cominciando a calmarsi, a
respirare meglio. Se la mamma verrà, aprirà
silenziosamente la porta, esaminerà mutamente la sagoma
dormiente – o fintamente dormiente – di Regina, e
se ne andrà tanto silenziosamente quanto è
arrivata in primo luogo. Non vedrò i capelli bagnati di
Regina grazie alle lenzuola, e nemmeno scoprirà della sua
piccola avventura sentendo l’umidità della sua
pelle al porre una mano o un bacio sulla sua fronte –
semplicemente perché è qualcosa che non fa mai.
Lei non accarezza, non bacia, non rimbocca le coperte –
Regina lo sa, e al momento, ne è lieta. La mamma viene
sempre solo per controllare che le regole non siano state infrante.
Be’, anche se è successo, questo non è
il momento in cui mamma lo scoprirà, Regina sorride a se
stessa mentre si rannicchia sotto le lenzuola per tenersi
più calda.
Prossimo aggiornamento: giovedì
13 marzo.
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Capitolo 3 *** In Sickness and in Hell ***
Capitolo
3
In
Sickness and in Hell
È
un giorno nuovo di zecca. Il sole sta già
estraendo le sue dita da dietro le nuvole, e anche se
c’è ancora una gentile pioggerella, Daniel
può vedere che sarà una bella giornata. Si occupa
dei suoi compiti come di consueto, ma le sue azioni sono automatiche e
la sua mente sta in realtà vagando altrove.
Cos’è successo con Regina? È ritornata
sana e salva? Sta bene? Sa che lei non verrà a dirglielo;
non le è permesso.
Lui
non ha un’idea chiara di come lo scoprirà, ma
sta aspettando che accada qualcosa.
Lady Cora che si precipita nelle
stalle fumando di rabbia sarebbe una risposta sufficiente. E se
però non lo facesse? Sarebbe sicuro supporre che non sa
niente? Non proprio, si acciglia Daniel. Potrebbe semplicemente voler
dire che Regina ha scelto di mentire su dove si trovava di notte, forse
per tenerlo fuori dai guai. Non gli piace nessuna opzione.
Se
solo ci fosse qualcosa che lui può davvero fare! Sa che
non c’è niente; se lui desse un’occhiata
in giro potrebbe solo portare un disastro sulle loro teste invece di
aiutare. Così si complica la vita e non fa niente, eccetto
per quello che deve fare e quello che sempre fa. Bada ai cavalli,
doverosamente e minuziosamente come al solito; ma la sua mente continua
a indugiare sulla villa dei Mills.
Più
tardi, quella mattina, mentre Daniel sta trascinando una
fresca balla di paglia, coglie uno scorcio del padre di Regina, il
gentile, mansueto Padron Henry, che parte per la sua abituale camminata
mattutina. A volte Regina cammina con lui. Non oggi.
Intorno
a mezzogiorno, un cavallo è mandato a chiamare. Il
padre di Daniel prepara quello più veloce con la massima
urgenza. Daniel ha paura di chiedere ma non può resistere;
suo padre, in ogni modo, non ne sa più di lui riguardo a chi
sarà il cavaliere o a dove sarà diretto. Dopo che
il cavallo è pronto e condotto fuori, Daniel sbircia da
dietro la porta per vedere un uomo alto balzare sulla schiena del
cavallo e andarsene in fretta, la mantella da messaggero che ondeggia
dietro di lui.
Perché
dovrebbero inviare un messaggero urgente?
Perché
un messaggero urgente dovrebbe preoccuparlo tanto?
La
residenza dei Mills è piena di vita come al solito,
servitori impegnati vanno e vengono. È solo lui o
c’è tensione nell’aria? Non
c’è nessuno a cui chiedere perché tutti
loro lavorano attorno o dentro alla casa, lontano da lui. Lui
è confinato nelle stalle; le stalle sono il suo settore.
Più
tardi nel pomeriggio, una carrozza sferraglia lungo il
sentiero di pietra. Daniel cerca una scusa per lasciare le stalle
così da vedere il nuovo arrivato e decide che il secchio
basterà. Non che i cavalli abbiano bisogno di acqua fresca
proprio adesso, ma lui potrebbe comunque portarne un po’.
Quando riconosce la carrozza, il suo cuore sprofonda: non appartiene ad
altri che al dottore.
Nel
suo cuore, Daniel sa, anche se non ha nessun modo razionale di
saperlo con tanta certezza, che il dottore è stato chiamato
per Regina.
Regina
è sveglia. È piuttosto sicura di esserlo.
Li sente parlare, nella sua camera, con toni sommessi, poi con voci
stridenti. Solo una voce stridente, veramente.
Mamma, vuole dire. Mamma, sono stata
brava… Sarò
brava… Sono stata qui tutta la notte.
Ma
nessuna parola viene fuori, e anche le voci sembrano smorzarsi
lentamente. La sua camicia da notte è fradicia. Ma lei non
ha freddo. In realtà, sta bruciando.
Vede
la sfera luminosa del sole nel cielo incandescente. La sente
mandarle liquide frecce d’oro nel corpo accaldato. Ha la
pelle d’oca. La sua bocca è così
asciutta, e la testa le gira. Lei continua a camminare, trascinando i
piedi. Il paesaggio è arido; non ci sono alberi,
né cespugli, né vita. Lei sta bruciando.
Acqua…!
Come
è arrivata qui in primo luogo? L’ultima cosa
che ricorda è che si stava trascinando fuori dal letto per
vestirsi per la colazione – non deve arrivare tardi. Ci
sarà dell’acqua per la colazione, non è
vero? Succo di mela, ricorda. Lei prende sempre succo di mela.
Cos’è
quella cosa là,
all’orizzonte? Si sta avvicinando, non solo perché
lei sta camminando nella sua direzione ma perché si sta
muovendo a sua volta, per conto proprio. Lei conosce quella porta. Sa
cosa – e chi – vi troverà dietro. Si
rincuora. È la via d’uscita; è dove
finisce il vuoto. Spinge per aprire la porta pesante e passa attraverso
la soglia. Non è quel che pensava.
Queste
non sono le stalle, realizza Regina, confusa. Si massaggia la
fronte, pensando. Fa male. Il sole cala. Ora è tutto buio e
soffocante. I suoi piedi stanno bruciando. Lei li strascica un
po’. Il pavimento resiste ma non molto. È un
pavimento molliccio, viscido. Che strano… Non dovrebbe
essere fango? Improvvisamente, le appare chiaro. Si trova nel ventre di
un drago. Imprigionata. Invece che nel conforto delle stalle,
è confinata nella prigione del ventre del drago.
A meno che il drago non rutti,
pensa, e ridacchia. È
qualcosa che ha tirato fuori Daniel, quando lei gli ha detto di come il
dragone la inghiottiva di quando in quando, sia nei sogni che nella
veglia.
Immagina che rutti,
ha detto lui, sputandoti
di nuovo in
libertà; e l’aveva fatta ridere e
dimenticarsi
della spaventosa immagine del ventre della bestia. Lei ridacchia, e
sorprendentemente il drago dà un potente rutto, sputandola
in alto, e lei sta volando, capitombolando, cadendo…
Lì arriva la voce di mamma, tuonando attorno a lei,
ammonendola per essere stata vicino ad un rutto, poiché chi
ha mai sentito di una lady che rutta?
L’oscurità
lascia di nuovo posto alla luce.
Ehi… quello è… quello è un
pozzo, giusto? Lei si trascina sino al cerchio di pietra. Non
c’è un secchio, niente che possa aiutarla a
calmare la sua sete. Daniel ha il secchio; sta portando acqua per i
cavalli. Prima le lascerà prendere un sorso. Ma…
se queste non sono le stalle, è mai possibile che Daniel si
trovi qui? Lei seppellisce la testa nelle proprie mani per chiudere
fuori la luce del sole rovente. Può ancora vederla sul retro
delle sue palpebre ma adesso sta succedendo qualcosa di molto
più strano…
Rivoli
d’acqua iniziano a stillare dalle sue mani, facendosi
strada tra le sue dita. Strano, si meraviglia lei, non aveva realizzato
di aver iniziato a piangere. Sente le fresche goccioline raffreddarle
la fronte; qualcuna arriva persino alle sue labbra screpolate. Non sono
salate; non sono lacrime dopotutto. Quant’è bello,
pensa lei. Quant’è bello. Non sta più
bruciando. Grazie, papà, cerca di dire, perché in
qualche modo sa che è opera sua anche se non lo vede da
nessuna parte lì attorno. Anche il pozzo sta straripando
d’acqua, riversandosi, onda dopo onda che si schianta ai suoi
piedi. Lei è sulla sponda di un lago, onde tranquille che le
sfiorano le caviglie. Spruzzi d’acqua isolati le colpiscono
il viso. Freschi. Piacevoli, finché durano.
Lei
sbatte le palpebre, e quando i suoi occhi si spalancano di nuovo,
vede che il lago è cambiato; adesso è congelato,
coperto da una patina di ghiaccio lucente. I suoi piedi stanno gelando;
lei è lì nel mezzo del vasto strato di ghiaccio,
a piedi nudi. Ma… non dovrebbe essere fango? Lei guarda in
basso per controllare e fissa il proprio riflesso, perfettamente chiaro
e con contorni affilati. Uno specchio. Lei si trova su uno specchio
gelido.
Regina, in nome del cielo, potresti preoccuparti di
vestirti
più come una lady, per una volta?
Ma mamma… Ho
così freddo, sussurra
silenziosamente lei. Il freddo le impregna lentamente tutto il corpo. E
se il ghiaccio stesse per incrinarsi? Lei verrà ricoperta di
acqua gelata? O la è già? Sta tremando dal freddo.
Una
sfera ardente compare sotto i suoi piedi. Le fanno male gli occhi.
Tutta la luminosità… il ghiaccio… il
sole. Scioglie il ghiaccio e fa diventare liquido il lago; il sole
continua a brillare, forte e splendente, e il lago si solleva in un
velo di vapore finché tutta l’acqua non
è scomparsa, e torna ad essere un deserto. La porta si
materializza in lontananza. Poi scompaiono, la porta e il sole, ed ogni
cosa ghiaccia di nuovo. Fuoco. Ghiaccio. Fuoco. Ghiaccio. Una bestia
scagliosa che muggisce con il ventre vuoto. Crepe di luce di sole.
Crepe sul ghiaccio. Specchi che si crepano. Il pavimento scompare sotto
i suoi piedi.
Sta
cadendo… precipitando
nell’oscurità. Non ne ha paura, proprio il
contrario. Non è né caldo né freddo,
ma piacevolmente tiepido, e tutte le voci – mamma,
papà, Daniel, e quelle che non riconosce – sono
lontane nello spazio. Lei vuole raggiungere il più presto
possibile il cuore di questa piacevole oscurità;
là riposerà, là sognerà. E
quando ritornerà, sarà via dal deserto, libera
dal drago, libera dai frammenti di ghiaccio che le tagliano la pelle;
sarà nel suo letto, e le stalle saranno davvero
dall’altra parte della porta delle stalle, proprio dove si
collocano.
In
questi giorni, tutto ciò che Daniel può fare
è non cedere alla disperazione. Regina ha sofferto di alte
febbri per giorni e sembra non esserci una fine. Suo padre glielo dice
un pomeriggio, mentre entrambi sono impegnati nel sellare un cavallo
veloce per il messaggero, come fanno ogni volta che la febbre di Regina
diventa troppo alta e un’altra dose di medicina rara e
costosa deve essere portata dalla città. Questo accade fin
troppo spesso per i gusti di Daniel; in effetti gli sembra che loro
facciano poco altro che inviare messaggeri urgenti.
La
vita alla residenza dei Mills, impegnata come al solito, adesso vede
i servitori lavorare sempre più sodo cercando di soddisfare
ogni desiderio e capriccio della signora della casa. L’umore
di Lady Cora si fa più irascibile man mano che la malattia
di Regina si protrae. Di tanto in tanto un uomo convoca: un guaritore,
un mago, un dottore – alcuni dietro sua richiesta, altri no.
Tutti loro vengono meno alle aspettative e scompaiono senza lasciar
traccia, lasciandosi dietro una Lady Cora pericolosamente adirata.
Padron Henry sembra aver sofferto di una completa perdita
d’animo; vaga per le stanze e i corridoi della casa invece di
fare le sue usuali camminate nei campi, stando vicino a sua figlia
tutto il tempo. Lady Cora si acciglia, Padron Henry si aggira,
ciarlatani vanno e vengono; ma il vecchio e istruito dottore non ha mai
lasciato la casa della famiglia Mills dal giorno in cui è
arrivato; in effetti, ha a malapena lasciato la stanza di Regina.
Tuttavia,
nella notte calda illuminata dalla luna, mentre Daniel vaga
nelle radure attorno alla villa, lui si imbatte nella figura ricurva
del dottore che sta facendo una passeggiata notturna a propria volta.
Esita solo per una frazione di secondo prima di avvicinarsi
all’uomo. Prima che possa pensare al modo giusto di
cominciare una conversazione, il dottore si volta a fronteggiarlo,
facendolo trasalire appena.
«Ah,
ragazzo, sono io che ho finito con lo spaventarti, alla
fine? Sono molto dispiaciuto». Il dottore sorride di traverso.
Quel
sorriso non è neanche lontanamente sufficiente a
nascondere il suo sfinimento. Nella luce brillante della luna piena di
stanotte, Daniel nota le sue palpebre cascanti e le sue guance scavate,
e l’aspetto dell’uomo lo spaventa –
è il tributo per la serie di giorni e notti trascorsi a
vegliare sulla sua piccola paziente. Può quasi sentirsi
tremare per lei.
«Io…
non potevo dormire» mormora Daniel.
«Cosa state facendo qui fuori?» dice senza pensare,
realizzando solo dopo quanto suoni scortese. Tuttavia il dottore non
gli rivolge alcun rimprovero.
«Il
cielo voglia che io possa posare la testa su un cuscino.
Ma ahimè, questa è una notte degna di nota,
l’unico momento per raccogliere alcune delle erbe mediche
più efficaci». In effetti, la sua cartella di lino
è mezza piena di piante tanto delicate quanto robuste.
«Quelle
aiuteranno Regina a guarire?»
Il
dottore lo studia per un momento. Daniel sopporta il suo sguardo
scrutatore. Adesso è la sua occasione di chiedere, e a chi
è meglio chiedere se non al saggio stesso?
«Farò
tutto ciò che è in mio
potere per la piccola lady, come ho fatto finora. Ma lei deve fare la
sua parte. Deve combattere per svegliarsi, per guarire».
Gli
occhi di Daniel si dilatano per lo stupore.
«Ma…
di certo voi potete aiutarla? Dopotutto siete
un dottore!»
Il
dottore sembra più triste, e più stanco, e
più vecchio di quanto Daniel l’abbia mai visto, o
di quanto tenga a vederlo, per quel che importa.
«La
medicina guarisce solo il corpo, ragazzo, ricordalo.
Guarire anche l’anima, è questa la vera sfida
adesso».
Daniel
abbassa la testa. Trova difficile accettarlo; questa non
è la risposta che stava cercando. Lui voleva sentire che lei
stava bene, o almeno che si stava riprendendo, o stava per farlo.
Voleva che il dottore lo rassicurasse, e adesso si sente solo
più confuso e più preoccupato che mai. I suoi
occhi bruciano all’improvviso.
Disperatamente,
si lascia sfuggire: «Come può
essere aiutata, allora? Come posso aiutare?»
Il
dottore lo scruta persino più intensamente della prima
volta. Piuttosto bizzarramente, per un momento passeggero a Daniel
sembra di notare l’accenno di un sorriso sulla faccia del
vecchio. Quando alla fine parla, il dottore stesso sembra un
po’ sorpreso.
«Effettivamente,
forse c’è qualcosa che
puoi fare. Sembri più… preoccupato…
del servitore medio della famiglia, lasciamelo dire, nonostante gli
dèi sappiano come tutti detestino vedere la giovane lady
così infelice, e sua madre così…
agitata».
«Non
lasceranno che io la veda» sospira Daniel,
chinando il capo. «Non ho mai rischiato di chiederlo, ma non
lo permetterebbero di sicuro».
«Forse
no. Io, d’altra parte, trascorro molto tempo
al suo capezzale. Forse un segno di amicizia, per ricordarle cosa la
aspetta una volta sveglia, farà del bene. A quanto pare, la
povera bambina trascorre giorno e notte in compagnia di elementi
furibondi e di vili bestie. Sono certo che tu sarai in grado di pensare
a qualcosa di più allegro».
Daniel
lo esamina, chiedendosi se il dottore lo stia meramente
illudendo. Decide che non ha ragione di farlo. I suoi occhi si
illuminano in riconoscimento. «Avete detto bestie?»
«Proprio
così. Sembri in grado di capirne il
senso?»
Daniel
sorride debolmente, la mente al lavoro.
«Incontrami
domani quando il regolare messaggero va a
cavallo. Prenderò il segno per la piccola lady, qualsiasi
possa essere».
Daniel
non ha alcuna intenzione di dormire dopo che lui e il dottore si
sono separati. Se il dottore dice che la luna piena dà
potere alle erbe, questo sarà probabilmente il caso con le
piante, riflette. Avrà bisogno di tutto quel potere per
aiutare Regina a guarire, e di tutta la fortuna per trovare la pianta
che vuole – è ancora presto, non sbocciano in
tarda primavera. Tuttavia Daniel è deciso a trovarne una
prima dell’alba. Dopo ore di perlustrazione dei luoghi
più plausibili, la trova. Eccolo lì, vicino al
pozzo più lontano dei terreni dei Mills, che si crogiola
nella piena luce della luna: il primo fiore precoce di
quest’anno, fulgido di petali cremisi e di riflessi giallo
acceso.
Il
mattino seguente, come lui consegna il fiore al dottore –
avvolto nel pezzo di stoffa più fine che lui abbia trovato
per attenuare le sue qualità velenose prima che possa essere
messo in un vaso – il dottore lo riconosce immediatamente.
«Helenium»
dice pensosamente, guardando Daniel con
attenzione.
«Erba
dello starnuto» annuisce Daniel. Sa che
l’uomo non capisce, eppure rivolge un cenno del capo al
ragazzo e torna dalla sua paziente, prendendo il fiore con
sé senza ulteriori indagini.
Sulla
strada di ritorno per le stalle, Daniel invia una supplica
silenziosa nella direzione della finestra di Regina. Il pensiero del
fiore fa rilassare un poco il suo viso teso, e lui sorride. Il saggio
dottore può anche non capire il significato
dell’erba dello starnuto, né potrebbe nessun altro
– ma Regina capirà.
Forse
l’erba, se non ruttare, potrà almeno far
starnutire i draghi di Regina.
Prossimo aggiornamento (salvo imprevisti): giovedì
20 marzo. |
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Capitolo 4 *** A Canter is a Cure ***
NdT: Scusate il ritardo
(so che avrei dovuto aggiornare ieri, ma non
avevo realizzato che fosse giovedì…
Sì, sono incasinata sino a questo punto). Comunque,
ringrazio i lettori e Calime
e pepper
snixx heat, che hanno aggiunto
questa storia tra le seguite. È per voi che vado avanti :3
Capitolo 4
A Canter Is a Cure
Che sia opera dell’erba
dello starnuto o no, la malattia
lascia lentamente la presa sul corpo torturato di Regina. Quando
finalmente la febbre si abbassa, se ne va bruscamente come è
arrivata. Una mattina, mentre il sole colpisce le tende e getta un
raggio sparpagliato dal pizzo sul suo viso, Regina apre gli occhi. Le
sue ciglia sbattono per la luce improvvisa e accecante, così
intensa dopo l’oscurità a cui è
abituata. Con uno sforzo considerevole, solleva una mano tremante per
schermarsi gli occhi ed esaminare la stanza. L’ombra di un
uomo con la schiena verso di lei è impressa contro il muro
opposto della stanza, lui è chino su una ciotola in cima al
suo ornato guardaroba. Regina lo guarda strizzando gli occhi,
sconcertata.
«Chi
siete voi? Dove sono tutti? Cosa mi è
successo?» Le parole sembrano goffe nella sua bocca, la sua
lingua restia ad obbedire, quasi avesse dimenticato come formare le
parole.
L’uomo
si gira e un sorriso caldo si diffonde sul suo volto
stanco.
«Buon
giorno, bambina. Hai passato molto tempo dormendo. A
momenti chiamerò tua madre e tuo padre. Prima, dimmi come ti
senti».
Regina
pondera la domanda per un po’.
«Stanca» risponde alla fine, chiedendosi come possa
essere se ha dormito così tanto.
«La
febbre ti ha indebolita. Ci vorrà un
po’ prima che riguadagni tutta la tua forza. Ti fa male da
qualche parte?»
Lei
scuote debolmente la testa.
«Molto
bene. Ti lascerò vedere i tuoi genitori
prima che tu torni a riposare». Lui si dirige verso la porta
mentre parla.
«Aspettate!»
ansima Regina mentre i suoi occhi
indugiano sul vaso sul suo comodino. «Per favore»
aggiunge. «Chi mi ha portato questa?»
«Ah…
l’erba dello starnuto. Il tuo
giovane amico, lo stalliere, me le ha fatte portare per te».
La
mattina in cui Regina apre gli occhi, l’intera casa viene
a saperlo nel giro di momenti – Padron Henry si assicura che
lo sappiano, correndo da uno all’altro con un toast mezzo
finito nella mano come un bambino sovraeccitato, condividendo
allegramente la grande notizia. Le stalle non sono
un’eccezione.
Daniel
ha la sfortuna di star lavorando dentro le scuderie quando il
felicissimo Padron Henry le raggiunge, e così è a
suo padre che viene detta la buona nuova. O forse è una
buona cosa, davvero; la danza felice a cui lui dà inizio
quando il suo cervello processa le parole che sente di sfuggita da
dietro la porta, completa col tirar pugni all’aria e il
saltare su e giù dalle balle di fieno, porterebbe
sicuramente a sopracciglia alzate da non strane domande. Almeno Daniel
avrebbe potuto chiedere dettagli sulla salute di Regia. Eppure, avrebbe
potuto essere abbastanza stupido da lasciarsi sfuggire una richiesta di
vederla – sì, l’avrebbe definitivamente
fatto, e questo sarebbe sembrato sospetto persino al candido Padron
Henry. Ma lui deve vederla!
Il
piano sembra semplicemente saltargli in testa tutto pronto. La
pazienza, d’altra parte, è scarsa, e il giorno si
protrae e protrae spietatamente.
Quando
finalmente sopraggiunge il crepuscolo, Daniel ha finito da molto
il lavoro del giorno. Non osa aspettare l’oscurità
completa per timore che Regina possa essersi già
addormentata. È fermamente deciso a non svegliarla se la
fosse; adesso lei ha bisogno di dormire, per tornare in forze, non gli
serve essere un medico per saperlo. Tuttavia la preferirebbe sveglia,
per poterle parlare – non troppo a lungo, così da
non affaticarla; solo per un po’. Sa
dov’è la sua finestra – ha passato molti
giorni a guardare furtivamente nella sua direzione mentre lei giaceva
malata. Fa una larga curva attorno alla casa così da non
attirare troppa attenzione, fingendo di star semplicemente facendo una
passeggiata serale. Alla fine, non vedendo nessuno nei paraggi,
attraversa di corsa il tratto erboso tra lui e il muro, tentando di
farlo il più silenziosamente possibile e allo stesso tempo
di colmare la distanza il più veloce possibile.
Fortunatamente, la finestra è aperta per lasciare entrare
l’aria mite della sera. Ansimando leggermente, più
per la tensione che per lo sforzo, lui si accovaccia sotto il davanzale
e preme la schiena contro il muro, ascoltando.
«…nessun
dragone è rimasto da queste
parti, bambina. Ora starai bene, non è vero?»
«Sì,
papà. Ho molto sonno. Spero solo
di non sognare questa volta».
«Un
bacio della buonanotte per la mia piccola?» Le
lenzuola frusciano. Regina ridacchia un poco.
«Buona
notte, papà» chiama mentre la
porta si chiude con uno scatto dietro l’uomo.
Daniel
trae un respiro profondo e arrischia uno sguardo veloce oltre il
davanzale. La stanza è vuota. Lui individua il letto di
Regina, e Regina sopra di esso, la fiamma della candela sul comodino
che getta una luce dorata sui suoi capelli scuri. La vista fa crescere
una bolla di felicità nel suo stomaco.
«Regina»
chiama a bassa voce.
Le
lenzuola si muovono un po’, poi si fermano.
«Sono
io. Daniel».
Lentamente,
Regina si puntella sui gomiti, finché la sua
testa non spunta da sopra la mole delle lenzuola, il suo viso pallido
rivolto verso la finestra.
«Daniel?»
sussurra, insicura, senza poter
distinguere il suo viso contro il cielo che si scurisce
all’esterno. «Sei davvero tu?»
«Sei
sveglia! Sei davvero sveglia! Finalmente! Ero
così preoccupato!» Le sue parole arrivano in un
sussurro urgente, poiché non osa alzare la voce.
«Sono
così contenta che tu sia venuto»
sussurra lei di rimando, e in qualche modo lui può sentire
il sorriso nella sua voce oltre che vederlo. «Grazie mille
per il fiore».
«Ha
aiutato? Ha cacciato via il dragone?»
«Come
sapevi che c’era un dragone?»
«Non
so… Ho solo pensato che potesse
esserci». Lui scrolla le spalle, sorridendo tutto il tempo
–semplicemente non riesce a trattenersi.
«Sono
sicura che abbia aiutato» mormora lei
seriamente. «Perché c’era un dragone, e
ora se n’è andato, e il fiore è qui,
quindi deve essere stato quello».
«Sono
contento» respira lui. «Mi sentivo
malissimo, e non potevo fare niente, e continuavo a pensare a come sei
corsa fuori in quella tempesta e ti sei ammalata tanto, e non potevo
nemmeno venire a vederti, e… Mi dispiace» conclude
miseramente.
Gli
occhi di Regina si allargarono per la sorpresa.
«Ma…
niente di tutto questo è colpa
tua!» esclama, quasi mancando di tenere giù la
voce. Vedendo che lui continua a tenere la testa abbassata,
un’idea le attraversa la mente e la fa sorridere.
«Di fatto mi hai salvata da un dragone, sai».
Lui
ride. «Credo di sì, in un certo
senso». Poi, di nuovo serio: «Adesso starai
bene?»
«Sono
stanca tutto il tempo. Ma il dottore mi ha detto che
è normale, perciò credo che
passerà».
«È
un bravo dottore. Ha aiutato anche
papà. E ti ha portato l’erba dello starnuto,
persino, quando io…»
Si
interrompe bruscamente. Lo sente anche Regina – qualche
rumore dal corridoio.
«Ora
è meglio che vada» sussurra lui, e
rovista nella propria tasca mentre parla.
«Tornerai?»
chiede lei con una traccia di tristezza
nella voce.
«Quando
sarà sicuro» annuisce lui e
allunga una mano, mettendo qualcosa dentro la stanza. «Dormi
bene – niente dragoni» aggiunge, e prima che lei
possa rispondere, se n’è andato.
Troppo
debole per rimanere seduta un momento di più, Regina
ricade sui cuscini, e prima di chiudere gli occhi si gira a guardare
l’erba dello starnuto che si sta seccando, vista che le mette
un sorriso sulle labbra. Solo quando si sveglia la mattina successiva
alla piena luce del sole nota effettivamente il millefoglio giallo
appoggiato accanto alla finestra.
Passano
giorni senza che la voce di Daniel risuoni di nuovo al di
là della finestra. Lei capisce perché,
benché lui le manchi – oggigiorno, sembra sempre
esserci qualcuno nella stanza con lei in ogni momento, come se avesse
bisogno che le tenessero compagnia. In effetti, le piace dormire
più di ogni altra cosa, e ha poca energia di riserva per
socializzare. Papà viene spesso, lei lo sa, sovente
è consapevole della sua presenza ma troppo assonnata per
rispondere quando lui le parla. Viene anche la mamma, e tempesta i
servitori di nuovi e nuovi ordini prima di andarsene nuovamente, mai
abbastanza contenta di come Regina viene accudita. Il vecchio e gentile
dottore adesso è via, e ha lasciato istruzioni, e medicine.
La maggior parte di esse sono disgustose.
Eppure
non sono le medicine a darle i problemi maggiori; stranamente
sembra che lei non riesca a mandar giù altro nella propria
gola. L’altro giorno, la cuoca se n’è
andata in lacrime, poiché Regina non è riuscita a
toccare lo stufato che le era stato portato; Regina sospetta che la
mamma riprenda la povera donna quando lei riporta indietro il piatto di
Regina quasi intatto. Così tenta e ritenta, spesso soltanto
per amor della povera cuoca, ma in questi giorni il cibo sembra proprio
un compito al di là del suo potere. Forse è la
mancanza di cibo nella sua pancia che la fa sentire così
debole; in effetti, lei pensa di non essere diventata più
forte dal giorno in cui si è svegliata. Presto, la sua
scarsa salute suscita rinnovata preoccupazione nella famiglia Mills. Un
urgente messaggero parte la mattina successiva, e il vecchio dottore
arriva per mezzogiorno.
«…circondata
da idioti», Regina si
sveglia con un sobbalzo al suono della voce di mamma. «Le
teorie che si inventano… Le idee brillanti che tirano
fuori!» La porta si spalanca ed ecco la mamma, che appare
tanto arrabbiata quanto la sembra dal tono della voce. Regina
deglutisce ansiosamente, domandandosi cosa stia per succedere.
«Ah, sei sveglia, cara». La mamma tenta di fare un
sorriso, lei può vederlo, ma la rabbia rimane incisa sul suo
volto. Ma almeno sa di non esserne la causa. Respira un po’
più facilmente.
«Dottore,
siate così gentile, esaminatela e datemi
il vostro parere. Spero davvero che sarà più
utile di quello che ho ricevuto. Deve esserlo, certamente. Sapete qual
è stato l’ultimo? Di lasciare che la bambina
cavalchi! Rafforza il corpo, costruisce il carattere, ha detto lui. Il
mio stalliere riconosce a quei cavalli più meriti di quanto
si possa giustificare».
Mentre
la mamma fa la sua tirata, il dottore esamina silenziosamente
Regina, guardandole il viso tutto il tempo. Quando la mamma parla dei
cavalli e di come qualcuno ha suggerito che cavalcare potrebbe
aiutarla, le sue guance si arrossano e i suoi occhi si illuminano. Lei
apre la bocca, poi la chiude di nuovo, e china il capo; ricorda il
rifiuto prima della malattia, e sa che è meglio non
insistere sull’argomento. La mamma non cede mai. Il dottore
continua a guardarla silenziosamente, aspettando che la mamma finisca
di sfogare la rabbia.
«Dunque?»
domanda la mamma.
«Cos’ha che non va?»
«Niente»
dice semplicemente lui.
«Cosa
intendete, niente? Allora perché non mangia?
O cammina? Questa è follia; la bambina dorme tutto il
tempo!»
«Ciò
che voglio dire» replica con calma
il dottore, «è che fisicamente non ha niente che
non vada. Deve diventare più forte, e questo non
avverrà da sé. Deve anche stimolare
l’anima – è rimasta isolata troppo a
lungo». Poi, girandosi verso Regina: «Dimmi,
bambina, ti piacerebbe uscire a cavallo?»
«Scusatemi,
dottore, che cos’è questa
assurdità dei cavalli? Posso capire uno stalliere, ma dalla
bocca di un uomo istruito?»
«Milady»
dice francamente il dottore, con un lieve
accenno di sorriso – l’uomo è pazzo, si
chiede Regina, a provocare così la mamma? «Capisco
la vostra preoccupazione. Ho parlato io stesso col vostro stalliere, e
lui mi ha spiegato i benefici dell’equitazione, che sembrano
essere abbondanti e gratificanti. In ogni caso, è un maestro
nella sua professione. Raccomando vivamente di considerare questa
opzione, se la giovane lady è disposta a tentare».
«Assurdità!»
sibila lei. «Non
tollererò oltre questa follia». Gira i tacchi ed
esce furibonda prima che Regina possa anche solo aprire la bocca per
protestare.
Se
solo osasse protestare, cioè, o avesse
l’energia per farlo.
Quella
notte, Regina non dorme né molto né bene.
Dal corridoio, può sentire i suoi genitori litigare.
Spaventata e intenta a lottare contro le lacrime, si rannicchia sotto
le coperte, tirando il cuscino sopra la propria testa per coprire le
urla e sforzandosi a turno di distinguere le parole.
«…circondata
da idioti, e sposata col
più grande di tutti loro!» tuona la voce della
mamma.
«Dobbiamo
tenere a mente l’interesse della
bambina» ribatte papà stancamente, eppure con
forza. Lui alza raramente la voce, in ogni caso mai con Regina. Per lo
più, sembra pensare sia meglio non opporsi alla mamma.
Eppure adesso lo sta facendo, e Regina sa di doversi aspettare una
tempesta peggiore di quella che l’ha fatta ammalare, una
tempesta rara e potente, perché se c’è
qualcosa che la mamma odia di più di qualcuno che le si
oppone, è il papà che le si oppone.
«E
cosa pensi che io stia facendo? Pensi che non veda cosa
stai cercando di fare? Lei voleva cavalcare, e io l’ho
proibito! Non cambierò idea perché tu hai messo
in scena una sorta di spettacolo di mimi, pensando che io avrei capito
di cosa si trattava!»
«Non
c’è niente da capire! Voglio solo
che nostra figlia torni alla normalità, che corra e rida di
nuovo, come una bambina normale!»
«Ma
lei non è una bambina normale! Dovrebbe essere
di più! Come osi immischiarti nella mia
educazione?»
«Cora,
per l’amor del cielo, io non mi immischio!
Tu fai come vuoi, e io lascio che sia così, ed entrambi
proviamo disprezzo nei miei confronti per questo» conclude
quietamente, rendendo a Regina difficile sentire.
«…ma questa volta, non lascerò che il
tuo orgoglio ostacoli la guarigione di nostra figlia. Lei vuole
cavalcare, e il dottore stesso lo raccomanda. Adesso proviamoci e
basta».
C’è
un rumore improvviso, poi…
silenzio. Regina respira a malapena. Niente si muove. È
successo qualcosa al papà? Se la mamma si è
davvero infuriata, le cose potrebbero farsi pericolose… Il
silenzio aleggia nell’aria, pesante ed oppressivo. Regina si
obbliga a trarre dei respiri profondi, sforzandosi di udire qualcosa,
ma non arriva nessun suono, per lungo tempo. Alla fine, lei si
addormenta pesantemente, rannicchiata e abbracciata
all’angolo della sua coperta.
Si
sveglia alle tende che vengono tirate, e sbatte le palpebre per
vedere la mamma in piedi vicino al suo letto. «Ti vestirai e
farai colazione» le dice lei con voce tesa.
«Dopodiché, tuo padre ti porterà fuori
e ti terrà compagnia mentre riceverai la tua prima lezione
di equitazione».
Regina
annuisce serenamente, senza osare rischiare un sorriso,
stentando a credere alla propria fortuna. Dentro di sé,
tuttavia, sta ridendo, saltando, volando.
L’aria
non è mai stata più dolce,
l’erba più verde, il cielo più
immacolato, che nel momento in cui finalmente Regina lascia la casa
dopo la sua lunga reclusione, tenendo la mano di papà e
appoggiandosi a lui per sostegno – persino la breve camminata
si sta dimostrando una sfida. Il padre di Daniel li sta già
aspettando poco lontano, masticando un lungo stelo d’erba che
getta via non appena li individua. Va loro incontro, un sorriso
generoso che gli ammorbidisce i tratti sferzati dal vento. Regina
l’ha sempre visto solo da lontano sinora ma non si sono mai
incontrati come si deve. I suoi capelli sono proprio come quelli di
Daniel, nota lei adesso; dello stesso identico colore, solo striati di
grigio qua e là. Peccato che Daniel non sia qui, pensa
mentre si avvicinano.
«Buon
giorno, signore» sorride, la trepidazione ben
visibile sul suo volto, e saltella un poco, tirando il papà
per la mano.
«Buon
giorno, Miss Mills, è un piacere vedervi, e
per di più di nuovo in salute. Possiamo lasciar perdere il
signore, se non vi dispiace, il mio nome è Edric».
«Io
sono Regina». Lei si allunga a stringergli la
mano. «Lasciamo perdere il miss» aggiunge con un
sorriso ampio e innocente.
«Regina
sia, allora» concorda Edric, stringendo
seriamente la sua piccola mano nella propria più grande, il
divertimento rinchiuso unicamente nei suoi occhi.
«Cominciamo».
Regina
annuisce vigorosamente, vibrando per l’eccitazione.
Segue Edric dietro l’angolo, ora quasi trascinando il
papà dietro di sé, la stanchezza del tutto
dimenticata. Eccolo lì, il cavallo, scuro e lucido, con una
macchia di bianco qua e là: una calza bianca sulla zampa
sinistra anteriore e una grande stella lattea sul muso; porta la sella
di pelle con la massima disinvoltura. Un vero cavallo, non il pony che
lei si aspettava – un vero cavallo!
«Ti
piace?» domanda il papà.
«Edric e il giovane Daniel l’hanno scelto con
particolare cura».
«Lo
amo! Guarda quanto è liscio il suo manto, non
è bellissimo? È il cavallo più bello
di sempre!» esclama lei, accarezzando il cavallo nel modo in
cui sa che gli piacerà.
«Allora
è deciso. È tuo» dice
papà con il largo sorriso che lei ama tanto, quello che gli
fa brillare gli occhi e li fa raggrinzire in piccoli ventagli orlati da
un cespuglioso insieme di sopracciglia. Lei gli corre incontro e gli si
avvinghia al collo, baciandolo sulla guancia.
«Papà, papà –
grazie!» sussurra, senza fiato – sta succedendo
così tanto dopo settimane di attività, le fa
realizzare di nuovo quant’è diventata fragile.
Questa volta, tuttavia, lei decide fermamente di porvi una fine.
Il
papà siede su una panchina e guarda mentre Edric guida il
cavallo nel recinto, Regina alle sue calcagna.
«Prima
che tu sieda su un cavallo, devi sapere almeno un paio
di cose su di loro» le si rivolge Edric.
Regina
lo guarda con aria trionfante. «Ne so già
qualcuna» dice fieramente, e inizia a dirgli tutte le cose
che ha imparato dal papà, dal suo vecchio stalliere, e
soprattutto da Daniel – anche se ovviamente questo non lo
dice: lei sa cose sullo spazzolare, sul nutrire, sul ferrare, e sul
sellare; al perplesso stalliere dice persino come ha sempre amato
guardare i cavalli parlare con le proprie orecchie, girandole e
inclinandole a piacere. La sorpresa lascia spazio a una silenziosa
attenzione, e infine ad un sorriso ben contento sulle labbra di Edric.
«Ora
vedo che le nostre lezioni saranno una gioia per
entrambi» le dice quando lei conclude la propria tirata
entusiasta. «Non molte persone apprezzano il vero valore dei
cavalli. Ma tuo padre», fa un gesto verso Henry,
«lo capisce, e anche tu, a quanto sembra».
«Papà
era un grande cavallerizzo» dice
Regina con riverenza. «Ma questo era prima che si ferisse la
gamba».
Edric
annuisce seriamente.
«Ecco,
adesso guidalo, cammina con lui». Le mette
la corda nella mano. Regina esegue e, più per la sorpresa di
Edric che per la sua, il cavallo obbedisce all’istante. Ogni
tanto Regina gli dà un colpetto affettuoso mentre continuano
a girare intorno al recinto.
«Tu
sai molto dei cavalli, e imparerai molto di
più, ma sai anche che hanno la capacità di
guarire?»
«Vuoi
dire… come una magia?» chiede
Regina con incredulità. La mamma ha la magia, ma Regina non
ne va per niente pazza.
«No,
non magia… anche se potresti chiamarlo
magico. Se sei in grado di stabilire una connessione, loro ti
rafforzano il corpo e risollevano lo spirito. Anche se alcune persone
non se ne rendono conto».
«Come
la mamma. Lei non crede che possano farlo, vero? Lei
non voleva lasciarmi cavalcare, nemmeno quando il dottore le ha detto
che avrebbe dovuto permettermelo».
Edric
le dà un’occhiata di traverso, senza mai
cambiare passo. Rimane in silenzio per un poco, soppesando le proprie
parole.
«Forse
tua madre non ha fiducia nei cavalli come me, ma vuole
il meglio per te, o alla fine non avrebbe accettato come ha fatto. I
tuoi genitori sono entrambi molto preoccupati per te».
«Tutti
e due?» chiede lei piano. Il padre di Daniel
la esamina curiosamente.
«A
loro modo» annuisce.
C’è
un silenzio interrotto soltanto dal ritmico
thump-thump dei ferri di cavallo che colpiscono l’erba.
Alla
fine, Edric si gira verso Regina. «E adesso saliamo su
quel cavallo, Regina».
La
aiuta a montare, tenendo strettamente la corda nella mano, mettendo
le redini nella sua… E una volta che lei è sulla
sella, il mondo è cambiato, e lei lo possiede! I suoi
capelli turbinano appena nella calda brezza, le sue guance sono
arrossate, i suoi occhi ridenti, un ampio sorriso è
incollato al suo volto. Non c’è mai stato un
sentimento più esaltante; in sella niente ha importanza;
sono solo lei e il cavallo, alti sopra il mondo e fuori dalla portata
dei guai.
Finisce
sin troppo presto, ma Regina continua ad essere radiosa mentre
Edric la aiuta scivolare nuovamente giù dal cavallo.
«Grazie» gli bisbiglia lei, come se lo scintillio
nei suoi occhi non parlasse da sé. Preme una guancia contro
il cavallo: «Ci vediamo domani» sussurra.
Abbastanza
presto, quando sarà più forte,
sarà in grado non solo di cavalcare, ma anche di prendersi
cura del suo destriero, e può a malapena aspettare.
Regina
occhieggia Edric pensosamente, apre la bocca come per parlare,
poi la richiude. Il papà le fa allegramente cenno dalla
panchina. Regina si avvia nella sua direzione. Ma, dopo pochi passi, si
gira di colpo e la domanda capitombola dalla sua bocca: «Come
sta Daniel?»
«Ma
sì, sta bene, grazie per averlo
chiesto» dice lui un po’ meccanicamente. Poi, con
una lieve contrazione dell’angolo della bocca, aggiunge:
«Più avanti lo vedrai di più al mio
posto, quando diventerai più brava a cavalcare».
Con
un largo sorriso sul volto, Regina annuisce e a dispetto del suo
esaurimento rompe in una breve corsa verso dove la sta aspettando il
papà. «Papà! È stato
meraviglioso! Davvero meraviglioso! Non vedo l’ora di farlo
di nuovo!» Continua a chiacchierare animatamente tutto il
tempo mentre trascina il papà verso la villa. «Il
pranzo ci metterà molto? Ho una fame da lupi!»
Prossimo aggiornamento: giovedì
28 marzo (la data della mia interrogazione su letteratura
inglese :S Ouch). |
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Capitolo 5 *** My Fair Stable Boy ***
Capitolo 5
My Fair Stable Boy
È un giorno caldo e
soffocante. L’aria
è ferma, fuori dalla finestra non si muove una foglia.
Un’ape ronza nell’orecchio di Regina e si allontana
pigramente; a quanto pare, persino lei è troppo sopraffatta
dal calore per lavorare. Eppure vogliono che lei stia seduta con le
mani in mano e ascolti il tono monocorde della voce del suo avvizzito
precettore, intento a ripetere all’infinito goffe formule
grammaticali.
Lo
sguardo di Regina vaga verso la finestra. Lontana, può
vedere la stalla. Lui è lì: Daniel, che sembra
minuscolo per la distanza, e la sagoma scura di un cavallo accanto a
lui. Anche da lontano, Regina sa che lui lo sta rigovernando. Sospira
piano. Se solo anche lei potesse andare a cavallo nei prati riccamente
verdi e in crespi campi di grano; muovere un po’
d’aria, assorbire un po’ di sole. In un lungo
giorno di scuola come questo, tuttavia, non c’è
tempo per le passeggiate; solo per la grammatica, la matematica, la
retorica, la logica, la musica e il cucito più tardi nel
pomeriggio. Daniel, d’altra parte, è
libero…
«Signorina
Mills, per favore». Il precettore
s’intromette nei suoi sogni ad occhi aperti con una traccia
di impazienza nella voce. «Il paradigma della coniugazione
verbale, se non vi dispiace».
«Oh…
sì… Scusate la mia
lentezza, vi prego». Lei abbassa la testa. Lui è
esigente ma giusto, e riferisce regolarmente alla mamma i suoi
progressi. Difficilmente ha motivo di lamentarsi – Regina
è una studentessa diligente, coscienziosa, benché
un po’ sdegnosa verso certe materie che considera indegne del
suo tempo, o del tempo di chiunque altro, in quanto a ciò.
Preferisce la letteratura alle aride regole grammaticali,
perciò il tutore ha cominciato ad utilizzare la cosa a loro
vantaggio illustrando la grammatica e il suo uso pratico, e le fa
leggere libri grandi e piccoli. Consapevole di quella concessione, lei
si sente imbarazzata e vergognosa per la propria negligenza, e inizia a
declamare immediatamente le regole della coniugazione, recitandole in
modo impeccabile.
«Molto
bene, signorina Mills. Per oggi abbiamo finito.
Ritengo che abbiate iniziate il libro, ora continuatelo, e finitelo
entro questa settimana. Non dimenticate di esercitarvi quotidianamente
negli esercizi di retorica. Ricordate di completare il compito di
algebra, e…»
La
porta si spalanca.
«Lady
Cora». Il precettore s’inchina
mentre la mamma entra maestosamente.
«Ritengo
abbiate appena concluso?»
«Certo».
«Come
va mia figlia? Lavora sodo, spero?»
Regina
si morde ansiosamente il labbro. La mamma lo sa? Come
può saperlo?
Prima
che il tutore abbia l’opportunità di
rispondere, la mamma lo fa uscire: «Vi aspettiamo la prossima
settimana al solito orario».
«Arrivederci,
Lady Cora. Signorina Mills». Lui
raccoglie le proprie cose e se ne va senza ulteriori indugi, chiudendo
la porta dietro di sé.
«Regina,
cara, guardami».
Regina
guarda.
«Non
c’è niente che devi
dirmi?»
Regina
inghiottisce. Lo sa,
pensa disperatamente.
«Io… Oggi fa così caldo, mamma, era
solo difficile concentrarsi».
«Presumo
che preferiresti girovagare per la campagna a
cavallo, non è vero?»
Lei
tenta di rimanere impassibile ma sa che la mamma può
leggerle la verità negli occhi.
«Quante
volte devo dirtelo? Tu hai il privilegio di poter
ricevere questa istruzione. Ho cercato in lungo e in largo un
precettore adeguato. Avrai un’istruzione degna di una lady,
un’istruzione che in effetti supera quella di molti. Non
vorrei altrimenti; non voglio niente di meno per te. Ma devi
collaborare».
«Ma
io collaboro» si lascia sfuggire Regina alla
pura ingiustizia di quel rimprovero. «Sono una brava allieva;
oggi tutti i miei esercizi erano senza errori! Ho anche letto
più di quanto dovevo!»
«Lo
so, cara» replica la mamma e le accarezza una
guancia. «Tuttavia, non possiamo permetterci una scarsa
concentrazione. Tu devi sempre, sempre fare del tuo meglio, lo
capisci?»
Regina
annuisce con aria scoraggiata.
«Oggi
ti eserciterai al pianoforte per un’ora
extra. L’istitutrice è malata e non
verrà, quindi sarò io ad accertarmi che tu lo
faccia come si deve. Successivamente dovrai anche lavorare sul tuo
ricamo. Mi è stato detto che i tuoi punti sono ancora
deludenti».
Regina
rimane in silenzio. Lei odia il cucito, specialmente
ultimamente; trova difficile sedere immobile, chinata sulle tele con
l’ago in mano per lunghe ore, quando la prospettiva di
godersi i grandi spazi aperti ha di gran lunga più fascino.
Sa che è meglio non dirlo a voce alta, certo. Ringrazia la
sua buona stella per non dover imparare anche a filare come fa la
maggior parte delle ragazze; la mamma sembra avere
un’inesplicabile avversione per la filatura e l’ha
proibita fermamente.
La
mamma la valuta per un po’. Questa volta, non nota niente
di sospetto sul suo viso, per il sollievo di Regina. «Se
farai bene, più tardi questa sera predisporrò del
tempo supplementare con quel tuo cavallo».
Questo
è quasi troppo bello per essere vero, da parte dalla
mamma, specialmente dopo una sgridata – gentile, certo, ma
pur sempre una sgridata.
«Oh,
Regina, perché
quest’incredulità? Non sono un mostro».
Inesplicabilmente,
in qualche modo Regina si sente improvvisamente male
per lei. «Grazie, mamma!»
Si
china in avanti e stampa un bacio veloce sulla guancia della mamma,
cosa che porta un sorriso compiaciuto sul volto di Cora.
La
musica e il ricamo sembrano interminabili, ancor di più
sotto l’occhio attento della mamma; ma finalmente finisce, e
Regina si riversa nel prato e si dirige verso le stalle nella luce
accecante del sole prossimo a tramontare. Daniel la sta già
aspettando. «La mamma ti ha detto che stavo
arrivando?»
«Sì,
mi ha chiesto di preparare il tuo cavallo.
Possiamo partire subito».
Così
lo fanno; Regina sul suo sauro, Daniel su un baio,
cavalcando con calma nel tramonto.
Eppure
c’è qualcosa che non va. Regina gli getta
molte occhiate di traverso prima di rompere finalmente il silenzio, che
sente non essere del solito genere confortante: «Daniel? Va
tutto bene?»
Gli
occhi di Daniel incontrano i suoi per una frazione di secondo, ma
poi lui torna a fissare dritto davanti a sé.
«Ho
cercato di finire il ricamo il più in fretta
possibile ma avevo paura che i punti sarebbero stati troppo malfatti se
avessi lavorato troppo velocemente, e che non sarei stata autorizzata a
venire per niente» offre lei in modo incerto.
L’intera cosa sembra sciocca mentre la pronuncia.
«Odio il ricamo» aggiunge amaramente.
«L’altra roba va bene per lo più ma
posso comunque pensare a cose più divertenti da fare,
specialmente in giorni splendidi come questo. Sei così
fortunato ad esserti liberato della scuola».
Invece
di rallegrarsi, Daniel sorride un sorriso mesto.
«Vorrei che mi insegnassero ancora» sospira.
«Ma…
perché? E…
perché non succede? Pensavo fossi andato a scuola
– dopotutto sai leggere e scrivere».
«Sì,
visto che eravamo sempre in movimento ho
imparato per lo più da mio papà. Mi ha insegnato
le lettere. Non tutti gli stallieri sanno come leggere e scrivere
– in effetti, molti non lo sanno. Ma mio papà
voleva che io imparassi tanto quanto potevo; aiuta, se si vuole
ottenere un lavoro da una buona famiglia. Quando siamo venuti qui, il
Padron Henry ha promesso che mi sarebbe stato permesso di andare alla
scuola del villaggio». Lo sguardo sconcertato di lei lo porta
a fermarsi. «Sai, quando qualcuno del popolino vuole che i
suoi figli vengano istruiti, deve avere il permesso del signore del
maniero».
«Non
lo sapevo» ammette lei. «Quindi
siccome papà è d’accordo, tu puoi
andare, non è vero?»
«Non
più. C’è sempre il
lavoro a tenermi occupato. Non posso evitare il lavoro».
Regina
fissa dritto nel sole. «Ma… questo non va
bene» mormora. «Se vuoi imparare, dovrebbe esserti
permesso. Anche la mamma lo dice. È per questo che
è così severa a questo riguardo, dice
papà. Per lo più le ragazze prendono solo la
parte sul ricamo e la musica e le lettere. Non mi piace sempre tutto il
lavoro o tutte le cose – alcune di esse sono semplicemente
ridicole» dice pensosamente, «ma non mi
importerebbe se qualcuno cercasse di impedirmi di imparare».
Daniel
annuisce solennemente. «Ma non è tutto.
Lady Cora non approva che tu trascorra del tempo con qualcuno di
così… rozzo».
Regina
aggrotta la fronte. «Sembra una parola che la mamma
userebbe. Le stanno molto a cuore le buone maniere – ma le
tue vanno bene! E come hai detto tu, sei molto più istruito
di molti stallieri!»
La
sua indignazione è così chiara che Daniel non
può evitare di sorridere. «Non penso che sia con
questo che ha un problema» spiega pazientemente.
«Va bene che io stia attorno ai cavalli. È solo
che non dovrei stare troppo attorno a te. Credo che lei pensi che
dovresti trovare degli amici in cerchie più alte.
Più… Acculturate» conclude Daniel
amaramente. Apparentemente seguita a fissare davanti a sé,
mentre in realtà continua a lanciare occhiate al viso di
Regina, aspettando la sua reazione.
Le
guance di lei si arrossano alle sue parole. «Comunque
nessuno è mai abbastanza buono per lei», Regina
fuma di rabbia, «oltretutto, io non voglio altri amici! A me
piace trascorrere il tempo con te!»
Daniel
si rincuora alle sue parole, e alla sincerità con cui
lei le pronuncia. Legge l’angoscia scritta sul suo volto
più chiaramente delle lettere in un qualsiasi libro
– angoscia di perdere il suo amico, capisce.
«Anch’io» replica. «Credo
dovremo solo sperare che lei non ci veda insieme troppo spesso.
Chiederò a papà se alla sera dopo il lavoro
può darmi qualche altra lezione. O procurarmi un libro. Non
è molto, ma vale la pena di tentare».
«Io
ho dei libri» replica lei con
un’espressione curiosa sul volto. «Ho anche un
precettore. Puoi imparare tutto quello che imparo io. Almeno le cose
importanti. La mamma non deve sapere che ti insegnerò
– è meglio che nessuno lo sappia. Possiamo
imparare insieme – sarò io ad
insegnarti!»
Raggiante,
Regina lo occhieggia con una certa aspettativa. Un largo
sorriso gioca sul volto di Daniel, rivelando un entusiasmo che uguaglia
il suo. «Facciamo a gara sino a quella collina?»
Regina accetta la sfida; e così il loro patto è
sigillato.
«P-p-p-p-p-p-p-p-p-p-p-p-p!»
scandisce Regina con
un sorriso da diavoletto sul volto falsamente serio. Daniel si stringe
lo stomaco, piegato in due dalle risate sulla sella. «Non
ridere, giovanotto, aspirare le tue P correttamente è una
questione di grave importanza!» Lei lo rimprovera agitando un
dito, combattendo per mantenere serio il proprio viso, poi crolla lei
stessa in un attacco di risa.
Quando
le loro risate si calmano, il viso di Regina emerge dalla
criniera del sauro, le lacrime nei suoi occhi. «Regola
cardinale numero due: pronuncia bene le r! Ripeti dopo di me: una rara
rana nera sull’arena errò una sera»
pronuncia pomposamente.
Daniel
ridacchia. «Qual è il problema con le rane?
Rane sull’arena e rane in campagna?»
«Oh,
ce ne sono anche altri. Più divertenti, pure,
possono essere questi scioglilingua. Come… È
passato lo stracciatoppe e non m’ha stracciatoppato. Quando
ripasserà mi stracciatopperà».
«Sono
piuttosto sicuro che
“stracciatoppare” non sia una parola adatta a una
lady. In effetti, non è nemmeno una vera parola»
la prende in giro Daniel, la lingua nelle guance.
Il
più piccolo, il più fugace dei cipigli
attraversa il viso di Regina, poi viene rimpiazzato dal sollievo quando
lo scherzo è recepito. «Oh davvero? Allora che ne
dici di questo?» Solleva maestosamente il mento,
interpretando il ruolo: «Sa chi sa che non sa, non sa chi non
sa che non sa. È considerato un discorso abbastanza
signorile?»
«Penso
che andrà bene» concede lui con
un sorriso compiaciuto. Dopo la pausa di un momento, la guarda in
faccia e aggiunge, scherzi a parte: «Così come
quello dello stracciatoppare, per me, signorile o no. Va bene ogni cosa
finché tu rimani, be’…
Regina».
Nel
riparo delle stalle, nascosto in un box recentemente pulito, Daniel
siede guardando di traverso i diagrammi scritti sul pezzo giallo di
pergamena. Regina giace sulla pancia lì vicino,
scarabocchiando su un altro foglio spiegazzato con una penna appuntita
piumata di rosso. Daniel scuote la testa e sospira, alzando lo sguardo
dalle sue annotazioni.
Regina
solleva gli occhi dai suoi compiti. «Cosa
c’è?»
«Be’…
scusami, ma questo è un
po’ sciocco. Tutti questi diagrammi per dirti come sono fatte
le piante, come si riproducono… Perché non
uscire, e impararlo osservandole?»
Sconcertata,
Regina morde la fine piumata della penna.
«Capisco la tua opinione, ma non sarebbe un po’
poco pratico? Ci vogliono anni perché una pianta faccia
tutto, e alcune fasi che non puoi nemmeno vedere. Non saprai mai tutto
solo guardando, e neanche di così tante piante ed animali
diverse».
«Forse»
replica lui, senza essere convinto.
«Così sai più di teoria. Ma di come le
cose funzionano per davvero? Regina, hai mai provato a piantare
qualcosa tu stessa? Sai cosa occorre per farla crescere, o la gioia che
porta quando lo fa perché te ne sei presa cura nel modo
giusto?»
Lei
appoggia pensierosamente la penna sgualcita. Lentamente, scuote la
testa, sconcertata dalla validità del suo ragionamento.
«Ti
piacerebbe provare?»
Quando
la piantina è pronta, loro hanno scelto un bel posto,
soleggiato e fertile, sulla cima di una collinetta. Daniel fatica con
la pala finché non ha scavato un buco sufficientemente largo
e profondo, libero da erba ed erbacce. Regina trasporta cautamente la
piccola pianta, tenendola delicatamente come se fosse il più
prezioso dei tesori, e Daniel la aiuta a collocarla cautamente nel
terreno smosso.
«Assicurati
che le radici siano distese come si
deve» spiega. Lei si sporge più vicino, il suo
viso concentrato, la sua fronte leggermente corrugata, le sue dita
agili intente a separare e raddrizzare le radici meglio che possono. Le
loro mani si incrociano intorno al fragile stelo mentre loro procedono
a coprire le radici, schiacciando per far uscire l’aria.
Daniel vi rovescia un sacchetto di paglia come pacciame, che Regina
sparpaglia uniformemente in un largo cerchio attorno alla pianta.
«Va
bene così?» chiede ansiosamente.
Lui
occhieggia il risultato e annuisce. «Adesso puoi portare
l’annaffiatoio».
Regina
inclina lievemente il contenitore e versa un piccolo getto
d’acqua così da non danneggiare la giovane
pianticella. La irriga abbondantemente, poi appoggia a terra il
contenitore vuoto. Entrambi si tirano indietro per ammirare il loro
lavoro.
«Crescerò
le mie mele» dice Regina
incredulamente. «Una volta era solo un minuscolo seme, e col
tempo diventerà un albero alto; potremo sederci nella sua
ombra e mangiare i frutti dei suoi rami». Sorride con fare
sognante mentre Daniel le circonda le spalle con un braccio.
Il
canto degli uccelli entra attraverso la finestra aperta, col suono
sfuggente di zoccoli e ruote sulla pietra. Lei mette da parte il
calamaio, sorridendo tra sé e sé, e spinge il
rotolo di pergamena verso il precettore perché lo controlli.
Lui si sporge sulla scrivania e studia in silenzio gli esercizi di
algebra. Il precettore si gira verso di lei. «Che approccio
interessante, Miss Mills, non quello che vi ho insegnato, ma a quanto
pare sembra più adatto a voi. Posso chiedere da dove
l’avete raccolto?»
L’erba
e i cespugli frusciano fuori dalla finestra
– forse un uccello, o un cane, pensa Regina. Dei passi si
spostano lungo il corridoio.
«Ho
studiato con un…», lei esita,
«…un amico».
«Oh,
capisco che avete preso lezioni supplementari?»
Regina
si sposta sulla sua sedia a disagio. È sicuro
parlare, e se lo è, quanto può dire?
«In
realtà, gli ho insegnato. L’algebra
va più d’accordo con lui che con me».
«Quindi
entrambi ne avete tratto profitto. Capisco. Confido
allora che prenda lezioni da qualcun altro, questo vostro
amico?»
Stavolta
la pausa nel discorso non rivela altri suoni
dall’esterno della stanza.
«No…
non le prende». Adesso è
su un terreno pericoloso, sente, e inizia a desiderare un cambio di
argomento, frugandosi disperatamente la mente per cercarne uno adatto.
«Per
niente? È un tale peccato, sembra avere una
buona testa sulle spalle, forse…»
La
porta si apre di scatto, facendo fermare il cuore di Regina. E se
è la mamma? Ha sentito? Ma, la carrozza…
sicuramente se n’è andata. Ma se ha sentito?
«Mi
dispiace disturbarvi. Potrei parlare con mia figlia per
un momento?»
Il
precettore china la testa e si allontana.
«Papà»
sospira Regina con sollievo.
«Ti
aspettavi tua madre, non è
così?» chiede lui con un sorriso consapevole,
forse un po’ amaro. Presto il suo volto assume
un’espressione esausta, stanca. «Dunque hai
insegnato a Daniel, non è vero?»
Lei
non mentirebbe mai al papà; non c’è
niente da temere, lo sa, lui non farebbe mai la spia. Lei si limita ad
annuire in silenzio, guardandolo con occhi ansiosi e speranzosi.
«Suppongo
di sapere perché… Hai paura
che Cora lo mandi via?»
Un’ombra
attraversa il viso di Regina. Che eviti che si
vedano l’un l’altra più che
occasionalmente, questo è tutto ciò che teme; ma
l’idea che lui venga mandato via le è
completamente nuova, e più sgradita. «Mandarlo
via? Non lo farebbe, giusto, papà? Lui è mio
amico!» supplica lei, più con gli occhi che con le
parole, una preghiera sincera alla quale lui non può
rimanere indifferente.
«Spero
di no. Ma non farle sentire che lo definisci tuo
amico; capisci che lei preferirebbe che tu frequenti persone
diverse».
«Ma
tu…?»
Lui
sposta una sedia e si siede accanto a lei, guardandola seriamente
negli occhi. «Io non ho niente al mondo contro di lui, o
contro di te che gli insegni, finché tua madre non viene a
saperlo. Sii prudente».
Regina
inghiottisce. Il peso del segreto ha gravato su di lei tutto il
tempo ma non è mai sembrato così greve. I suoi
pensieri indugiano ancora una volta sul precettore.
«Aldaric
lo dirà?»
«Gli
parlerò, farò in modo che non lo
faccia».
Regina
si rianima un poco, ma rimane dubbiosa:
«Come?» Il papà non è il tipo
da minacciare, e la mamma, be’, ha un suo metodo per scoprire
le cose; quindi perché il precettore non dovrebbe dire
niente? Per la sua sorpresa, il papà sorride.
«L’hai
sentito, no? Qui c’è un
ragazzo, senza istruzione, che aiuta la sua eccellente studentessa coi
compiti di algebra». Regina sorride un breve sorriso
all’implicito complimento. «Un ragazzo con una
buona testa, col suo potenziale che viene sprecato. È
curioso, ed è un insegnante fino al midollo; forse gli
piacerebbe incontrarlo, forse persino insegnargli…
naturalmente solo quando Cora è via. Potrei andare a
scoprirlo adesso». Si alza e le scompiglia affettuosamente i
capelli.
Regina
siede pensosamente mentre lui si avvicina alla porta per
andarsene. Quando la sua mano si allunga verso la maniglia, lei salta
su, corre da lui e schiocca un bacio veloce sulla sua guancia.
«Grazie, papà».
«Ancora
tè, cara?» La mamma offre il
bollitore fumante.
«No,
grazie. Posso essere scusata?» Regina ha una
sessione di lettura pianificata con Daniel, molto più
invitante di questa faccenda giornaliera di tè e biscotti.
«Puoi,
ma assicurati di finire il tuo ricamo,
stasera».
Regina
se la svigna dalla stanza, desiderosa di essere
all’aperto; il ricamo dovrà aspettare sino a
più tardi quel giorno. A mezza strada lungo il corridoio,
realizza di aver lasciato il libro nella propria stanza. Gira sui
tacchi e comincia a tornare indietro. Passando davanti alla sala del
tè, coglie la voce della mamma, e le parole la fanno
bloccare, premere un orecchio contro la porta, e origliare
spudoratamente.
«…sentito
lo stalliere recitare un passaggio da un
classico. Non me lo sarei mai aspettato. Il ragazzo ha delle maniere
decenti, lo ammetto. Sono un po’ tranquillizzata; potrebbe
non avere su Regina l’influenza corruttiva che temevo.
Probabilmente saremmo poco in grado di trovarne uno più
decente, per come vanno gli stallieri. Suppongo che abbiamo il migliore
che si possa avere. Eppure, per quanto riguarda quel nuovo
giardiniere…»
Ma
quello è tutto ciò che a Regina importa di
sentire. Euforica, saltella allegramente lungo il corridoio. Per ora,
sembra che siano salvi.
NdT: Ehilà :)
A proposito del titolo di questo capitolo, se avete un po’ di
tempo libero vi invidio da morire vi
consiglio il film My Fair Lady (in
originale, però... okay, non l’ho mai visto in
italiano, ma credo perda un po’ visto che gioca molto sulla pronuncia)… Sempre che non l’abbiate già visto. A me piace
tantissimo :’) Tanto che, quando ho visto per la prima volta
il titolo “My Fair Stable Boy”, ci ho quasi
cacciato un urlo.
Divagazioni a parte, spero di non aver rovinato questo capitolo –
il prossimo aggiornamento arriverà giovedì
prossimo, il 3 aprile!
|
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Capitolo 6 *** Picnic at the Firefly Hill ***
NdT: Okay, chiedo scusa
per aver rimandato l’aggiornamento
ancora una volta (la puntata 3x15 mi aveva davvero scombussolata, e non
riuscivo a pensare ad altro che a quella cosa).
Buona lettura!
Capitolo
6
Picnic
at the Firefly Hill
Si sono
messi d’accordo di incontrarsi vicino al melo. Quando
Daniel arriva con i cavalli, Regina è già
lì, intenta a strappare diligentemente i ciuffi
d’erbacce sbarazzine dal terreno attorno alla pianta.
«Hai bisogno d’aiuto?»
«Ho fatto» replica lei dopo
aver controllato di
nuovo il cerchio che ha liberato, così da vedere che non ci
siano erbacce rimanenti. «Andiamo».
Regina armeggia col cesto di vimini pesante di
cibo; Daniel lo solleva
e lo sistema dietro di sé, assicurandolo alla sella. Regina
fa lo stesso con l’innaffiatoio, monta rapidamente sul
proprio cavallo, e sono partiti.
Il cielo è una confusione nuvolosa sopra
le loro teste, il
campo verde di fianco a loro ondeggia alle raffiche di vento, e gli
zoccoli dei cavalli ticchettano regolarmente sul sentiero di terra
asciugato dal sole. «Ci sarà pioggia?»
chiede Regina col viso volto verso il cielo.
«Forse. Ti spiacerebbe, nel
caso?» Daniel aggrotta
lievemente la fronte. Forse dovrebbero tornare indietro prima di essere
troppo lontani. Forse Regina lo preferirebbe. Forse dovrebbe evitare la
pioggia – e se si ammalasse di nuovo? Ma adesso
c’è caldo, a differenza di quella notte,
dibatte
lui nella propria testa, anche
se piove non sarà pericoloso.
Progettano questo giorno da secoli; un cambiamento di piani sarebbe
molto sgradito…
«Non voglio tornare a casa»
divampa Regina in
risposta alla sua domanda implicita. «Ho aspettato con
impazienza questo giorno! E la mamma è via;
chissà quando avremo di nuovo un’occasione come
questa. Inoltre, c’è caldo. E alla fine potrebbe
anche non piovere per niente», lei gli dà
un’occhiata e lancia il cavallo al trotto.
«Andiamo, Ronzinante! Fai in fretta!» grida a
Daniel, che la segue immediatamente, e partono al trotto verso i boschi.
È tardo pomeriggio quando salgono sulla
collina e
raggiungono un’area abbastanza aperta che dà sulla
valle sottostante. Gruppi di alberi e cespugli crescono sparpagliati
qua e là. Regina cavalca proprio sino al margine e rimane
senza fiato alla vista. Un lungo pezzo della valle cosparso di piccole
onde di collinette, di pozze d’acqua, e delle macchie delle
cime degli alberi si allunga nella distanza al di sotto. Le nuvole
sembrano più vicine che mai mentre gareggiano
l’uno contro l’altra.
«Attenta» ammonisce Daniel con
un lieve cipiglio,
eppure non può evitare di sorridere alla sua fascinazione.
Smonta e lega il proprio cavallo ad un faggio lì vicino.
Dopo un momento, Regina segue il suo esempio, nonostante le sue mani
sembrino tremare un poco per l’eccitazione.
«Non riesco a credere che siamo
qui» esala.
«Riesci a credere a quant’è meraviglioso
questo posto? Guarda che vista!»
Lei saltella allegramente qua e là.
Sorridendo
più ampiamente che mai, Daniel toglie il cestino dalla sella
e lo posa vicino al tronco di un acero. Guardando Regina sorridere
radiosamente di fronte alla valle che si estende a perdita
d’occhio davanti a loro, lui recupera una coperta dalla
propria bisaccia e la distende all’ombra
dell’acero, bloccandola col cestino coperto da una tovaglia.
Regina sembra ancora completamente indifferente al picnic, la sua piena
attenzione solo alla splendida vista. Come un uccello,
pensa lui,
finalmente libero dalla
sua gabbia dorata.
Quando finalmente Regina lo raggiunge sulla
coperta, il pensiero
indugia dentro di lui. «Tra quanto tornerà tua
madre?»
Lei si sposta, cercando una posizione comoda sul
terreno accidentato.
«Non prima di sera» replica, contemplando la valle
con aria sognante – la coperta è tanto vicina al
dirupo quanto Daniel ha osato metterla.
«Il papà non ha nulla contro
il fatto che io stia
fuori a cavalcare tutto il giorno, e i compiti aspetteranno sino a
domani» conclude lei con soddisfazione. «Oh, ma
abbiamo il cibo. Non sei affamato? Io sto morendo di fame»,
è solo ora che se ne ricorda, apparentemente.
Scioglie il nodo sulla tovaglia per rivelare il
contenuto del cestino.
La cuoca è stata generosa: il cestino è pieno
sino a scoppiare di cibo e bevande. È solo alla vista
dell’appetitoso banchetto che Daniel realizza quanto
è veramente affamato. Una pagnotta saporita e una caraffa di
succo, un croccante pollo arrosto, tortine di carne, un dolce di mele
cotte, così come mele rosse fresche e lucide, pere gialle e
prugne blu si materializzano mentre Regina le tira fuori una dopo
l’altra, allestendo per un banchetto l’improvvisato
tavolo da picnic.
«Dacci dentro» sorride,
prendendo lei stessa una
coscia di pollo.
Mangiano volentieri, il loro appetito è
piuttosto vorace
dopo la lunga cavalcata. Le nuvole corrono, le cime degli alberi si
piegano al vento rapido, ma la grande corona dell’acero e il
gruppo di cespugli circostante li ripara bene. Quando finiscono, il
più del cibo è praticamente scomparso,
inghiottito da quei due.
Regina si distende sulla schiena, le mani dietro la
testa, e fissa
verso l’alto. Daniel raccoglie le briciole meglio che
può e le offre alle formiche poco lontano dal loro piccolo
campeggio, poi si sdraia su un fianco e sostiene la propria testa col
gomito, così da assicurarsi una tripla vista: verso
l’alto, al cielo; dritto davanti a sé, verso la
valle; e lateralmente, verso Regina.
«Guarda, Daniel» indica lei.
«Lassù c’è un
Ronzinante».
Lui guarda, e pensa di poterlo distinguere a
propria volta: una nuvola
a forma di cavallo, color acciaio, che s’impenna.
«Ha persino la sua calza» conferma, notando una
macchia più chiara sulla gamba della nuvola-cavallo.
Regina ridacchia. «Sono contenta che
adesso abbia un
nome» confessa. «Gli sta bene, non pensi?»
«Non ho ancora finito il
libro». Regina glielo ha
prestato non molto tempo fa, e le sere lui è stato piuttosto
occupato a leggerlo. «Ma sono sicuro che sia
così».
«Cosa vedi?» chiede lei.
Daniel si gira per giacere sulla schiena e valuta
il cielo per un
po’. «Là, sulla sinistra,
vedi?» indica alla fine. «C’è
un altro cavallo, e questo può volare».
«Non lo vedo» dice lei con aria
imbronciata.
«Ma… quello mi sembra un dragone. Vedi? Ali, e
artigli, e tutto? Sputa fuoco».
«Lo stai guardando nel modo
sbagliato» spiega
pazientemente lui. «Vieni, guardalo da qui. Quello non
è fuoco, è la criniera del cavallo, e anche le
ali sono del cavallo. Gli artigli sono semplicemente le sue
zampe».
«Adesso lo vedo!» esclama lei.
«E
c’è anche un corno, proprio
lì… è un unicorno!»
Continuano per un bel po’ la
contemplazione delle nuvole,
mostrandosi l’un l’altra bestie e piante e oggetti,
talvolta discutendo se è meglio guardare una certa nuvola da
questa o da quella parte, la direzione che fa tutta la differenza tra
drago e unicorno, tra castello e casa di campagna, tra ferro di cavallo
e arcobaleno.
«Che ne dici di una lucciola?»
suggerisce Daniel.
«Dove?» chiede Regina,
esaminando fervidamente il
cielo.
«Non lassù» lo sente
dire.
«Quaggiù».
Lei si mette seduta bruscamente, e si china sul
pugno chiuso di Daniel.
Quando lui lo apre, lei vede un insetto nero e piuttosto lungo che
striscia sul palmo di Daniel, le antenne sporgenti dalla sua testa
rossastra. Prima che loro abbiamo il tempo di guardarlo più
attentamente, l’insetto apre le ali e vola via.
«Ah» sospira lei, perplessa.
«Pensavo
fossero delle mosche».
Daniel scuote la testa. «Sono di forme e
dimensioni diverse,
ma sono tutti insetti».
«Non dovrebbero brillare? Penso di averle
viste dalla mia
finestra, a volte, ma ce n’erano poche, potrei anche
sbagliarmi».
«Brillano, solo non tutte e non tutto il
tempo. Brillano
anche di diversi colori. Si dice che qui ne compaiano a migliaia ogni
notte».
«Lo hai mai visto?» chiede
avidamente lei.
«Sì, una volta»
annuisce lui.
Per un breve momento lei non può fare a
meno di invidiarlo:
è qui da poco, e ha visto così tanto; lei ha
vissuto qui tutta la vita e non ha mai visto molto oltre le terre dei
Mills. Decide di esplorare di più – devono
cavalcare sempre sugli stessi sentieri, dopotutto? Decide anche
qualcos’altro, e glielo dice: «Voglio vederle.
Quando verranno fuori stanotte».
Daniel la occhieggia prudentemente, lacerato tra
due pensieri
contrastanti: il dovere di vederla a casa al sicuro e in tempo
perché non venga sentita la sua mancanza, e il proprio
desiderio di rimanere. I suoi occhi pieni di speranza lo spingono a
conformarsi. «Anch’io» annuisce
finalmente. «Anch’io voglio vederle».
Il crepuscolo arriva di lì a poco,
seguito da un tramonto
fiammeggiante. Quando non è più possibile
distinguere le nuvole, loro si tirano a sedere e si appoggiano contro
il tronco dell’acero. Daniel sa che Regina è sulle
spine, gli occhi che perforano avidamente
l’oscurità, aspettando che le lucciole sciamino
fuori. Una manciata di stelle si accendono, e molte altre restano
nascoste dietro le nuvole.
Poi, come se qualcuno avesse acceso una luce, la
collina è
improvvisamente ardente. Regina si lascia sfuggire un ansito
silenzioso. I fianchi della collina, le cime degli alberi,
l’acqua scintillante… tutto è inondato
d’oro. Punti gialli, accompagnati da punti verdi e punti
rosso pallido, fluttuano delicatamente nell’aria. Alcuni
brillano incessantemente; alcuni lampeggiano, accendendosi e
spegnendosi di nuovo, balenando a ritmi differenti. Gruppi scompagnati
qua e là iniziano a turbinare in una danza aggraziata. I
puntini sono raddoppiati dalle acque della valle, luccicanti
nell’oscurità. Le luci pattinano sulla sua
superficie, scomparendo solo per riapparire pochi passi più
avanti.
Una nuvola tremolante si alza in volo da dietro il
margine del
precipizio e si estende sullo spiazzo erboso, coprendoli, trasformando
l’oscurità in crepuscolo. A portata di mano e in
lontananza, il turbinio e la spira dei luminosi insetti traccia sagome
infuocate sul mantello nero della notte. Affascinata, Regina agita un
braccio nel tentativo di catturare una delle portatrici di luce ma
dimentica di chiudervi sopra il pugno. Continua a seguire lo spettacolo
senza essere minimamente turbata, a bocca aperta per la meraviglia.
Alla fine, la frotta di punti danzanti diminuisce, e i restanti
scendono più giù nella valle. Regina sorride
mentre li guarda fluttuare via. I suoi occhi si spostano sulla sua mano
ancora aperta. «Sono delle cosine veloci» dice
pensosamente.
Daniel allunga la mano e mette il pugno chiuso
sopra il suo palmo.
«Attenta» dice sommessamente mentre le lascia
cadere in mano una creaturina che si dibatte.
Regina chiuse le dita sopra di essa. Attraverso i
minuscoli spazi tra
le sue dita, il ventre della lucciola scintilla di un rosso pallido. Il
frullio delle sue ali mentre lotta per la libertà le
solletica la pelle. Lei apre lentamente le proprie dita, una ad una.
L’insetto prende il volo quasi immediatamente, e sia Regina
che Daniel lo guardano diventare un punto brillante, sinché
la sua luce non viene inghiottita dalla notte.
«Penso che adesso dovremmo
rientrare» sussurra
Regina, ancora sotto l’incanto della danza delle luci. Sente
Daniel muoversi accanto a lei, vede un’ombra sollevarsi dalla
coperta, sente Ronzinante nitrire sommessamente
all’avvicinarsi del ragazzino. È questo suono che
la richiama al presente.
Si alza rapidamente e arrotola la coperta. Trova
Daniel e i cavalli
più con l’udito e la memoria che con la vista,
porge la coperta a Daniel perché la metta via, e salta in
sella.
«Faccio strada», la voce di lui
arriva
dall’oscurità.
Lei lo sente montare e parte dietro di lui,
dirigendo Ronzinante vicino
ai suoi talloni.
Si fanno strada giù per il sentiero
tortuoso in silenzio,
concentrati sul trovare la via nel bel mezzo della notte. Mentre
oltrepassano il gruppo di alberi e cespugli, da dietro proviene un
insieme di voci, e un’occasionale risatina. Una volta, odono
persino una serie di suoni sdolcinati, striduli e schioccanti.
Regina si schiarisce significativamente la gola.
Daniel sopprime una
risata, o un «ewww», lui stesso insicuro di quale
uscirebbe per primo dalla sua bocca se si permettesse quella
libertà.
Regina si schiarisce di nuovo la gola, piuttosto
volutamente.
«Le coppie vengono qui a…
guardare»
commenta gravemente lui, cercando di mantenere una faccia seria.
È più la forzata moderazione,
la
serietà e la dignità nella sua voce, che le
parole che dice… Lei scoppia a ridere, facendo nel mezzo il
più disgustato dei suoni. Ciò rompe la
determinazione di Daniel.
Continuano a ridere di cuore mentre trottano
giù dal fianco
della collina in mezzo agli alberi, e trascorrono una considerevole
parte del tempo sulla strada di casa imitando quei suoni disgustosi,
con loro grande ilarità.
NdT2: Il prossimo
aggiornamento arriverà martedì
15 :) Spero di rispettare la data senza problemi, stavolta.
(Ah, se non sbaglio in questo capitolo c’è un riferimento
al Don Chisciotte di Cervantes. Ronzinante è
proprio il nome del cavallo del protagonista...) |
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Capitolo 7 *** A Flower a Day to Keep the Blues Away ***
Capitolo 7
A
Flower a Day to Keep the Blues Away
La luminosa sfera rossa del sole che
tramonta è giusto nel
mezzo del telaio della finestra, posta contro la tela purpurea del
cielo. Le fa bruciare gli occhi mentre la guarda da sopra il libro che
sta leggendo… che sta cercando di leggere.
Un’ondata di irritazione la pervade mentre si strofina
vigorosamente gli occhi. Solleva la testa e fissa il pittoresco
tramonto, intenta e insolente, come se cercasse di dimostrare qualcosa.
Oggi persino il sole mi prende in giro, sospira
miseramente e chiude di
botto il libro, senza realizzare di averlo tenuto al contrario per
l’ultima ora circa.
Getta
da parte il lavoro di cucito con cui dovrebbe essere impegnata
mentre scivola giù dal letto. Se solo questa fosse la mia
unica punizione. Non la è, ovviamente, e
nemmeno il tempismo
poteva essere peggiore. Si reca alla finestra e si appoggia contro il
davanzale, posando il mento sulle sue mani strette.
«Non
puoi vedere il ragazzo a causa del tramonto»,
una voce familiare, piena di divertimento, arriva dal basso e la fa
sobbalzare appena.
«Daniel!»
Lei lo riconosce prima di rivolgere lo
sguardo su di lui, nonostante sia ancora una mera ombra per i suoi
occhi disabituati al buio.
«È
quasi come se non mi stessi
aspettando».
Ma
naturalmente lo stava aspettando; come avrebbe potuto non farlo? Non
osa, a volte, sapendo quanto il lavoro lo tiene occupato in questi
giorni, specialmente con suo padre che non sta bene; sapendo quanto
difficile e rischioso sia aggirarsi furtivamente proprio sotto il naso
della mamma; ma soprattutto, ancora incredula che a qualcuno importi
abbastanza da correre tali rischi per lei. Eppure eccolo lì,
accovacciato sotto la sua finestra, gli occhi alzati su di lei.
Regina
sorride un triste sorriso. «L’hai saputo,
non è vero?»
«Sì…
Tuo padre mi ha portato proprio
come speravamo. Salvo che tu non c’eri, così la
fiera non è stata tanto divertente».
«Almeno
tu sei riuscito ad andarci. Io… io sono
bloccata nella mia stanza per una settimana intera. Proprio quando la
fiera è arrivata!» Tutto d’un tratto gli
occhi le bruciano di nuovo, come se miriadi di piccoli aghi li stessero
trafiggendo, anche se sta guardando più Daniel che il sole.
Si asciuga rapidamente le poche lacrime traditrici.
«In
realtà non era nulla di eccezionale»
prorompe Daniel in modo poco convincente.
«Oh,
non farlo». Lei respinge subito il suo zoppo
tentativo, piuttosto bruscamente. Non
è colpa sua se non sei
riuscita ad andare, si alza una piccola voce nella sua
testa. La
prossima volta non farti sorprendere fuori dai tuoi obblighi e non ti
sarà proibito di uscire. Deglutisce e prende un
respiro
calmante prima di parlare di nuovo, il rimprovero che si trasforma in
una scusa, e in una supplica. «Solo…
parlamene».
E
Daniel lo fa; le parla delle strade brulicanti di signori e mercanti
e paesani, tutti che si riversano verso la città; delle vie
stracolme di persone sino a scoppiare, persone che gridano i loro
saluti e si fanno strada a gomitate attraverso la folla; delle dozzine
di bancarelle e baracconi di varie forme e dimensioni e colori,
incurvati sotto il peso della mercanzia: frutta e verdura, galline e
pecore, lampi di stoffa e seta dipinta, terracotta e buona ceramica,
pagnotte e forme di formaggio, pezzi di carne e vassoi di dolci,
boccali di birra e barili di idromele, giocattoli e armi e molto altro.
Il mercanteggiare sembrava iniziare all’alba e potrebbe non
cessare sino al tramonto, per quel che ne sa Daniel.
Regina
ascolta ad occhi spalancati, eppure Daniel sa che questa non
è la parte di cui le importa di più.
«In piazza è stato allestito un
palcoscenico» dice, guardando la sua reazione. «Nel
pomeriggio, le panchine si sono riempite di gente. Padron Henry aveva
ancora degli affari di cui occuparsi, ma è stato abbastanza
gentile da lasciarmi guardare».
«E?»
Lei si agita e sussurra urgentemente.
«Sono
arrivati i giocolieri e gli acrobati. Alcuni
respiravano fuoco, e alcuni inghiottivano spade. Alcuni facevano volare
in aria pugnali affilati e torce fiammeggianti, e alcuni sembravano
loro stessi capaci di volare. C’erano anche dei buffoni, e
canti e danze. Indossavano tutti i costumi più strani e
stravaganti e insieme hanno recitato una storia».
«Che
storia?» lo sprona lei, completamente rapita
dal semplice racconto.
«Era
su una vecchia coppia che è visitata da due
uomini che girovagano travestiti per il mondo e si imbattono in questa
modesta casetta. Anche se loro stessi avevano molto poco, hanno offerto
ospitalità ed erano persino andati ad uccidere la loro
ultima oca per poter pascere i loro ospiti. Proprio mentre stavano per
uccidere l’oca, gli uomini si sono rivelati essere dei
potenti maghi e volevano ricompensare la coppia per la loro gentilezza
e ospitalità. Promisero di esaudire qualsiasi desiderio
della coppia. Tutto ciò che il marito e la moglie
desideravano era che nessuno di loro vedesse l’altro morire.
I maghi acconsentirono al loro desiderio. Dopo che molti altri anni
furono trascorsi, il loro momento arrivò. Erano seduti
insieme sul portico quando entrambi notarono delle foglie germogliare
sull’altro e della corteccia crescere sulla loro pelle. Si
trasformarono in alberi e rimasero lì per sempre coi rami
intrecciati… Vorrei che avessi potuto vederlo anche
tu» sgorga Daniel ma finisce la frase con aria più
infelice che mai.
Regina
annuisce; affascinata dalla narrazione di Daniel, aveva proprio
dimenticato l’amarezza della propria delusione, ma adesso la
sente tornare lentamente. «Be’… sono
contenta che tu ti sia divertito». È vero,
pensa.
Sono contenta. Vorrei
solo che ci fossimo stati insieme, e il
papà avrebbe potuto rimanere per la recita se gli avessi
chiesto di farlo…
«Ti
ho tenuta in mente, sai». Daniel interrompe i
suoi ragionamenti. «Anche con lo spettacolo e
tutto». Fruga nella propria maglia per qualche momento, poi
solleva un piccolo e fragile qualcosa perché lei lo prenda.
Regina lo guarda di traverso nella luce rimanente del giorno, tenendo
delicatamente il fiorellino viola tra le dita.
«Non
è molto». Daniel scrolla le spalle,
suonando ansioso tutto d’un tratto. Voleva prenderle un dolce
aromatizzato allo zenzero a forma di cavallo che aveva visto esposto in
una bancarella… ma non aveva i soldi per comprarlo.
«Io… l’ho raccolto lungo la strada. In
questo modo hai avuto almeno una piccola parte nella
passeggiata… giusto?»
«Una
viola del pensiero». Lei percepisce il suo
disagio così come i suoi dubbi, e ne indovina la ragione.
«È splendida, Daniel, ti ringrazio». Sa
che lui è sollevato dalle sue parole anche se è
già così buio da rendere impossibile riconoscerlo.
Una
distrazione da lontano gli fa girare la testa. «Devo
andare» dice lui. «Devo ancora occuparmi dei
cavalli».
Lei
annuisce e rimane in silenzio ma la domanda inespressa rimane
ugualmente sospesa nell’aria.
«Tornerò
domani. E anche ogni altro giorno della
tua punizione».
Il
sole è immobile e arancione nel cielo blu scuro quando
lui si fa vivo il giorno seguente. Regina lascia cadere il noioso
ricamo non appena sente un debole scalpiccio all’esterno, e
si precipita alla finestra.
«Sei
appena tornato?» domanda ancor prima di
sporgersi e individuarlo.
«Sì.
Oggi ho cavalcato sino alla Valle di
Smeraldo, per guardare il nuovo pezzo di terra che tua madre vuole
comprare. Padron Henry dice che deve essere adatto per far pascolare i
cavalli».
«Lo
è? Com’è la Valle di
Smeraldo? Diventerà nostra? Se sì, forse a volte
potremo cavalcare là fuori insieme. Ho sentito che
lì è bellissimo, fresco e verde durante tutto
l’anno».
Il
flusso di parole genera un certo sospetto in Daniel, vale a dire che
Regina abbia trascorso la gran parte del pomeriggio aspettando che
venisse la sera. Quanto
annoiata deve sentirsi, rimugina lui, e quanto
sola. È parte della sua punizione –
l’unica persona che può vederla durante la
settimana deve essere Cora; lei porta tutto il cibo e le bevande e
qualsiasi altra cosa che Regina possa richiedere – di cui
ovviamente la stessa Cora è il giudice.
«È
veramente come dicono» conferma lui.
«Meglio, in effetti. Ancor più bella; ma forse non
sempre tutta verde. L’erba è morbida e verde a
estate inoltrata grazie ai tanti fiumi freschi che corrono attraverso
la valle, e gli alberi…» Daniel si lancia in una
descrizione dei tanti alberi e cespugli della valle, delineando
un’immagine quasi viva. Regina sente i muri dissolversi
attorno a lei mentre alberi alti e bassi cespugli prendono il loro
posto: gli aceri circondano il fianco della collina così
come i fiumi, i loro tronchi luccicanti di linfa dolce; olmi aggrappati
a rocce ombreggiate così come alla terra umida; faggi dal
corpo argenteo che sfoggiano mantelli verde scuro. Cammina sotto
l’ombra di castagni dalle foglie larghe e dai rametti pelosi;
oltrepassa betulle dai tronchi bianco-brunastri, abeti sempreverdi con
gli aghi appuntiti; antichi, torreggianti pini bianchi e rossi con gli
aghi fragili ma inflessibili al vento o al freddo; resistenti pioppi
balsamici che crescono in fretta; pioppi tremuli con le foglie che
tremano; ciliegi selvatici; cespugli di frassino e alberi con perfetti
cespi di fiori bianchi; querce nere a due facce con foglie di un lucido
verde intenso nella parte superiore e marrone-giallastro in quella
inferiore; longeve querce bianche con le braccia coperte di foglie che
si protendono alte e larghe; e querce scarlatte con le foglie verde
brillante.
L’illusione
scompare non appena Daniel conclude: gli alberi
si ritirano nella terra e al loro posto i muri si alzano attorno a lei
– e Regina si trova ancora una volta confinata nella propria
camera.
«Vorrei
averle potute vedere come te!»
Daniel
sorride un sorriso trionfante che sembra alquanto fuori posto
alla costernata Regina, ma le sue riserve quasi svaniscono quando lui
fa uscire qualcosa di verde e bianco da entrambe le tasche e glielo
offre. Per la sorpresa di Daniel, a quella vista lei corre via ma
ritorna in un momento, e colloca un libro pesante sul davanzale. Tiene
aperto per lui il suo da poco nominato erbario a una pagina con una
singola viola del pensiero. Solo allora si allunga verso il fascio di
erica bianca nella sua mano destra e verso il cespo verde nella sua
sinistra.
«Attenta
con questo» la avverte lui.
«Ah»
esala lei. «È un
quadrifoglio! Un trifoglio fortunato! Gli sceglierò un posto
speciale».
L’astro
d’oro fuso è ancora alto nel
cielo azzurro e luminoso quando Daniel la saluta da sotto il davanzale,
premuto contro il muro fresco per attenuare un poco la calura. Regina
appare a breve dall’altra parte. Lui capisce immediatamente
che oggi lo stare in casa grava su di lei con un peso particolare. Lei
lo guarda in modo ansioso, aspettando di ascoltare una nuova avventura,
una nuova storia da rendere propria per un momento.
«Oggi
non ho nessuna storia da raccontare» ammette
lui. «Ho lavorato alle stalle tutto il giorno, pulendo per lo
più».
Regina
inclina leggermente la testa.
«…Ronzinante?»
«Sta
bene. Mi sto prendendo cura di lui per te. Non devi
preoccuparti. Ogni giorno usciamo per una cavalcata, te l’ho
detto». L’ha fatto il primo giorno, effettivamente.
Eppure dovrei essere io; io
dovrei portare fuori Ronzinante ogni
giorno. Poi un cipiglio si annida sulla sua fronte
– un nuovo
compito per lui, decide Daniel, e accetta la sfida.
«Solo
perché non ho una nuova storia non vuol dire
che non ti possa far sorridere. Una volta ho strigliato il cavallo di
un giullare e lui mi ha mostrato una cosa o due».
«Il
giullare? O il cavallo?» Lei offre uno scherzo
poco convinto.
Daniel
scrolla le spalle e fa una faccia pomposamente misteriosa. Passa
una mano di fronte al proprio viso e diventa serio dietro di essa; per
un momento la sua espressione è di pietra. Si fa di nuovo
passare la mano di fronte al viso e fa una smorfia orribile. Prima che
Regina abbia il tempo di aprire la bocca per protestare, lui pesta i
piedi e dà inizio ad una sciocca danza, accompagnandosi con
una performance musicale non meno comica: «Sono scomparso,
Miss», si lancia a terra con occhi sporgenti e si nasconde
dietro un cespuglio immaginario e le sue stesse mani, giacendo sul
proprio ventre. «E presto, Miss», salta di nuovo in
piedi e la saluta agitando in aria un cappello immaginario,
«sarò di nuovo con voi» sorride
stizzosamente. «In tr-tre volte», alza quattro
dita, poi cinque, poi inizia a contare febbrilmente sulle dita con un
cipiglio di falsa concentrazione e di falsa ottusità, solo
per cambiare idea un momento più tardi e agitare una mano
con aria sbrigativa. «Come il vecchio Vizio»,
sorride un sorriso innocente, disarmante, «il vostro bisogno
di sopportare». Conclude con una ruota apparentemente
perfetta prima di ruzzolare a terra a metà strada e
ritrovarsi in un ammasso aggrovigliato sull’erba.
Quando
la sua piccola performance arriva ad una conclusione, Regina
è in preda ad attacchi di risate e quasi ridotta in lacrime.
Avendo di nuovo messo su la propria faccia invece di quella del
giullare, Daniel sorride un sorriso ampio e contento –
missione compiuta. La sua mano fruga nella tasca e si allunga verso il
davanzale. Lei sente un solletico sulla guancia mentre le foglie e i
petali la sfiorano, e gli prende di mano la margherita cremisi,
ridacchiando.
Oggi
non c’è un vero e proprio tramonto; il sole
dietro le vaporose nuvole grigio-piombo si può sospettare
soltanto, mentre lui fa spuntare da dietro un lungo dito pallido.
Daniel è ridotto solo ad un’ombra quando Regina lo
vede emergere da dietro l’angolo. I suoi stivali producono un
debole cic-ciac nell’erba.
«Non
ha ancora piovuto, vero?»
Daniel
scuote la testa. «Questo viene dagli acquitrini dietro
la collina, i miei stivali sembrano avere una perdita».
Scrolla le spalle.
«Gli
acquitrini?» Le misteriose paludi dietro la
collina sono sulla sua lista di cose da fare prima di morire, malgrado
la mamma sembri avercela con loro, specialmente quando deve immaginare
lo sporco acquitrino e la melma infida vicino a sua figlia. A Regina
sembra di essere rinchiusa nella sua stanza da anni e anni; come se
tutta la vita le stesse scorrendo accanto in una macchia indistinta di
colori, odori, e avventure, mentre lei è sola in una sorta
di bolla incantata in cui il tempo è fermo.
Daniel
inclina pensosamente la testa mentre guarda il viso di lei farsi
corrucciato e i suoi occhi sognanti. Agita una mano davanti alla sua
faccia. Il gesto fa comparire come per magia un sorriso davvero
minuscolo sulle sue labbra e fa tornare la concentrazione sui suoi
lineamenti.
«Ci
sono fiori nelle paludi?» chiede lei
intenzionalmente; è giunta ad aspettare con impazienza le
piccole sorprese che lui le dona ogni giorno. Lui fa un mezzo sorriso.
«Tutto
a suo tempo. Prima ho qualcos’altro da
mostrarti». Regina si sporge con curiosità dalla
finestra mentre Daniel tira un piccolo oggetto fuori dalla propria
tasca; nella luce serale che si attenua lei non riesce a distinguere di
cosa si tratti. Lui se lo porta alle labbra e soffia. Una nota alta e
acuta fende l’aria.
«Mi
hai portato un fischietto?»
«Te
ne ho fatto
uno» la corregge lui.
«È un fischietto di legno di salice. Ho anche
attaccato una cordicina. Ecco», glielo porge con cautela.
Regina
se lo rigira nelle mani. «Ne ho sempre voluto
uno». La corteccia è fredda al tocco e conservava
la memoria dell’acqua; il bocchino e il buco per
l’aria sono stati evidentemente intagliati con cura e
precisione. Devono
esserci voluti secoli per farlo.
«Provalo»
suggerisce lui.
«Non
oso» è riluttante a dire lei.
«Nel caso che qualcuno senta e venga a
vedere…»
«Giusto…»
ammette lui, ugualmente
scontento dalla pura ingiustizia della cosa. «Devo
andare…» aggiunse con aria reclutante. Prima di
farlo, tira fuori un fiorellino e lo mette sul davanzale.
«Come promesso» dice al di sopra della propria
spalla, si gira, e corre per seguire la voce che lo sta chiamando dalle
stalle. Mentre lui scompare nell’oscurità, lei
solleva la pervinca azzurra e dà un’annusata.
Una
mezzaluna argentea è annidata tra le nuvole ombrose nel
cielo disseminato di stelle. Regina è a letto con una
singola candela a penetrare l’oscurità della
stanza. Il libro che stava cercando di leggere giace aperto nel suo
grembo, eppure potrebbe anche essere chiuso per tutto il bene che le
sta facendo. Dov’è?
Possibile che non venga? Lei
si sposta e getta via la coperta dalle sue gambe distese. Non ha
importanza, si dice mentre attraversa la stanza diretta
alla finestra.
Domani sarò
di nuovo libera, e non dovrò solo
stare ad aspettare, andrò dove mi pare.
«Regina»
arriva un sussurro urgente
dall’esterno proprio mentre lei appoggia i gomiti sul
davanzale, e lei trasale.
«Eccoti
qua» sussurra di rimando in tono di
biasimo, riprendendosi in un momento. «Pensavo ti fossi
dimenticato di me». Le parole sorprendono persino lei, e
ancor di più la sorprende il fastidio che la spinge a
pronunciarle. In parte
è vero, si rende conto solo allora.
«Certo
che no. Sai che ho da lavorare. Ma ero qui ogni sera.
Sono qui adesso». È così buio che lei
non vede niente del suo volto, eppure la ferita risuona forte e chiara.
Le
guance di Regina bruciano di vergogna. Certo che lo sa.
Perché all’improvviso si sta comportando
così scioccamente?
È il ventre del dragone.
Sono stata rinchiusa per troppo
tempo.
Il
silenzio si tende, lungo e imbarazzante.
«I-io
volevo solo dire…» farfuglia lei a
bassa voce, poi conclude: «Sono contenta che sei
venuto».
«Anch’io»
replica lui. «Sono
ancor più contento che domani lascerai il
dragone». Questo la fa sorridere.
È
un sorriso che ha vita breve, però; il suo viso
si fa nuovamente serio. «Parlami di Ronzinante».
Lui
le parla di Ronzinante ogni giorno: se mangia bene, in quale
pascolo trascorre la giornata, quale strada prendono durante le loro
cavalcate. Oggi non verrà soddisfatta da quel genere di
informazione, capisce lui.
«Abbiamo
girato per i campi, oggi» comincia.
«Ci siamo imbattuti in un riccio sul terrapieno erboso; stava
per attraversare il sentiero. Lo abbiamo quasi calpestato, ma ci aveva
sentiti arrivare e si è raggomitolato proprio davanti a noi
– sotto di noi, dovrei dire, perché era proprio
lì tra le zampe anteriori di Ronzinante. A quanto pare
Ronzinante non ha mai avuto molta esperienza coi ricci – lo
ha pungolato una volta con lo zoccolo, e l’ha esaminato a
fondo prima di lasciarsi persuadere a proseguire».
Regina
tira su col naso. «Mi manca. Pensi che
anch’io gli manchi?»
«Lo
so per certo». Lui sembra alquanto categorico,
per il sollievo di Regina. «Domani sarai con lui».
«Sì»
si riprende d’animo lei.
«E potremo uscire a cavallo insieme, e mi mostrerai tutti i
posti in cui sei stato questa settimana. Forse anche il riccio
sarà lì». Le piacerebbe molto vederlo
coi propri occhi.
«Non
dimenticarti del melo, dovresti far visita anche a
quello» replica lui vivacemente.
«Spero
non si sia tutto inaridito dopo tutto questo
caldo» medita lei, l’apprensione che disegna linee
di preoccupazione sul suo viso in ombra.
«Ha
avuto una secchiata proprio questa sera, prima che io
venissi qui».
«È
cresciuto molto?»
All’inizio gli avrebbe chiesto costantemente se aveva
già dato frutti, sorride nel ricordarlo. Non è
più così; ne sa di più. Potrebbero
benissimo volerci anni prima che l’albero maturi e dia la
prima mela. Ne varrà l’attesa.
«Vedrai».
Lui ride sommessamente. Tra loro
c’è un po’ di quel burlare a cui sono
abituati, un po’ di presa in giro, ma una di quelle calorose
ed amichevoli.
«Non
abbastanza da aver dato questo» aggiunge lui
più seriamente. Se c’è un movimento
nell’oscurità, come lei presume debba esserci,
rimane nascosto sotto il manto della notte. «Questo viene da
un altro albero… ma presto anche il tuo ne avrà
di suoi».
Un
delicato fiore di melo rosa e bianco compare sul davanzale sbucando
dall’aria leggera. Lei lo sta ancora stringendo dopo che lui
se n’è andato, mentre spegne la candela e scivola
sotto la coperta. Stanotte farà sogni d’oro,
poiché domani sarà rimessa in libertà
dal ventre del dragone.
NdT: Incredibile ma
vero, niente ritardi questa settimana.
La filastrocca di Daniel è una citazione della Twelfth Night
di Shakespeare, anche se con alcune modifiche…
A martedì 22 aprile!
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Capitolo 8 *** Unhealed, It Haunts ***
Nota dell’Autrice:
D’accordo, ci siamo. È arrivato il tempo di un
po’ di angst e di hurt/comfort, con Daniel che rivela un
po’ della sua storia, e Regina che affronta
l’argomento del suo complicato rapporto con Cora. Buona
fortuna ai vostri feels, e grazie mille per essere rimasti per la
storia che sto raccontando.
Trigger Warning: maltrattamento implicito.
Capitolo 8
Unhealed,
It Haunts
La porta cigola lievemente mentre lei
entra furtivamente; ormai lo sa,
ha imparato ad aprirla e chiuderla con la massima cura, facendo a
malapena un rumore. La soffocante mancanza d’aria fresca
nella stanza pesa immediatamente su di lei. Una dozzina di odori si
mescolano e si mischiano. Ormai lei li conosce tutti: il pavimento
sporco e compatto ed un tappeto di paglia fresca, le lenzuola bagnate
di sudore, la cera di candela sciolta, il vapore afoso e la legna da
ardere che brucia, il tè e gli sciroppi e le tinture e gli
impacchi e le erbe per farli. Può descrivere ogni odore
separatamente, tanto sono divenuti familiari: l’odore di
menta delle foglie di puleggio, fresco e dolce; la radice per la cura
dei cavalli, stranamente pungente e allo stesso tempo deliziosamente
profumata; il distintivo e sciropposo odore d’acero dei semi
color ambra della trigonella; l’issopo con le sue foglie di
menta, e l’odore amaro del tè d’issopo.
C’è angelica muschiata, fragranti semi di anice, e
la dolce radice a fittone della liquirizia. C’è
l’odore pepato delle foglie di cumino, sottile e leggero; le
foglie di farfaro a forma di cuore che odorano di miele; e
l’inconfondibile e ripugnante tanfo di impacco di consolida.
Eppure il prepotente odore di aglio li sopraffa tutti. Sono cattivi
odori, odori tristi. Ultimamente persino i bastoncini di cannella,
sempre fra i suoi preferiti, per lei sono arrivati ad odorare di letto
di malato.
Senza
far rumore, per paura di disturbare il dormiente, si muove lungo
la stanza disseminata di paglia per recuperare una brocca dalla piccola
dispensa, e prezzemolo da una mensola. Si guarda attorno per cercare
una scodella solo per non trovarne nessuna vuota, così
annusa la più vicina e getta il suo contenuto nel fuoco.
Dentro ci va il prezzemolo, seguito dal vino. La brocca è
quasi vuota; lei riesce a far uscire quanto rimane capovolgendo la
caraffa. Il sottile filo di ciò che resta del liquido rosso
e aspro è appena sufficiente per affogare il prezzemolo.
Solo l’odore di alcol è abbastanza per far girare
la testa di Regina. Bollirlo farà andar via questo effetto,
lei lo sa, e appende la ciotola sul fuoco con la catena assicurata al
muro posteriore del camino.
La
paglia fruscia e le gambe della sedia raschiano contro il pavimento
mentre lei si siede accanto al letto. Niente è cambiato
dalla mattina presto. Allora Daniel aveva infilato suo padre a letto,
sistemato un asciugamano fradicio d’acqua, e si era recato
alle stalle, mentre Regina si affrettava a tornare a prendere le sue
lezioni alla villa – che non avrebbe dovuto lasciare in primo
luogo. Non allora, e non adesso, pensa. Non per questa casa. Non quando
Edric è malato.
Sembra
che lui si sia mosso a stento tutto il giorno. Lei allunga una
mano verso la sua fronte. Persino prima di entrare in contatto con
l’asciugamano o con la pelle, lei sa grazie al calore che
emana dalla pelle che la febbre non è passata.
L’asciugamano è caldo al tocco, e quasi
completamente asciutto. Regina va in fretta a bagnarlo nuovamente in un
catino sul bancone. Allungandosi sul letto con l’asciugamano
recente raffreddato in mano, non sente neanche la porta aprirsi.
Daniel
entra in silenzio nonostante la fretta, proprio mentre Regina
sta risistemando attentamente l’asciugamano al suo posto. A
quella vista l’accenno di un sorriso guizza sul suo volto, ma
viene di nuovo sostituito da un cipiglio.
«Sta
ancora dormendo, allora» dice sommessamente.
Regina si gira con una contrazione involontaria. Deglutisce e annuisce,
e lo guarda più attentamente. Daniel si dirige verso il
focolare a passo svelto, agita una mano per allontanare il vapore che
si alza dalla ciotola, e scruta all’interno.
«È pronto».
«Non
proprio» replica Regina e cammina sino al
focolare. Daniel la guarda con aria interrogativa mentre lei armeggia
con la propria manica. Lei tira fuori un mucchietto di stoffa, lo
svolge, e alza la mano per fargli vedere. Daniel guarda il mucchietto
nel suo palmo, poi lei, poi di nuovo la sua mano. Sa
cos’è anche se non l’ha mai visto
così da vicino, né ne ha mai visto tanto. Un
nuovo accesso di speranza si propaga nel suo stomaco e lo scalda
dall’interno. Ci vuole un po’ prima che
un’altra realizzazione lo colpisca. Lui torna ad alzare lo
sguardo su Regina, sconcertato. C’è il conflitto
sul suo volto: in parte orgogliosa, in parte imbarazzata, lei sorride
un sorriso che è sia pieno di rimpianto che gioioso. Questa
per lui è una prova più che sufficiente.
«Non
te l’hanno dato, vero?» Non
è davvero una domanda, lo sanno entrambi.
«No»
ammette lei e fa ciondolare la testa, ma solo
per una frazione di secondo; poi la rialza, provocatoria e risoluta.
«L’ho preso io».
Daniel
è senza parole, preso tra la preoccupazione per lei e
la preoccupazione per suo padre. Lo zafferano è considerato
una cura potente per numerose malattie tra i suoi altri usi, ma
è anche raro e costoso. Daniel non potrebbe mai permettersi
di comprarlo, non importa quanti dottori abbiano piena fiducia nei suoi
effetti. Una piccola quantità è conservata nelle
cucine dei Mills per condimento, ed un astuccio ne è
immagazzinato nella famosa credenza di misteriosi ingredienti di Lady
Cora, gli aveva detto Regina. Era fuori questione chiederne un
po’, però. Eppure adesso, eccolo, consegnatogli
direttamente da Regina – rubato.
«Non
avresti dovuto… e se ti avessero sorpresa? E
se lo scoprissero?»
«Non
l’hanno fatto. Non lo faranno. Non mi
è piaciuto…» Questo è
chiaro, pensa Daniel. Neanch’io
me lo sarei aspettato, da te.
«…ma dovevo» spiega lei urgentemente.
Alla vista del senso di colpa che s’insedia sul volto di lui,
si corregge rapidamente. «Volevo.
Se aiuta tuo
papà, ne sarà valsa la pena, giusto? Il minimo
che possiamo fare è tentare».
Lui
la fissa a lungo e con intensità mentre lei getta
qualche filo di luminoso rosso e giallo nella ciotola per lasciar
cuocere il tutto. Ancora sorpreso, Daniel le stringe una mano per
ringraziarla. Lei capisce.
C’è
più di quanto Regina stia dando a
vedere riguardo la pizzicata dello zafferano, nonostante le sue
assicurazioni del contrario. Il giorno seguente il suo stomaco
è annodato, e lo sarà per i giorni a venire,
finché lei non sarà sicura che la mamma abbia
usato quello a cui Regina pensa come il suo kit di pozioni e non abbia
menzionato nulla al riguardo di un ingrediente mancante. Lei ha avuto
abbastanza da fare con l’incontrare Daniel ogni momento che
poteva contro il desiderio della mamma, l’istruire Daniel a
sua insaputa, e recandosi quotidianamente al capezzale di Edric
nonostante il rischio di prendere qualunque cosa di cui lui sta
soffrendo a dispetto della cautela di Daniel e dell’esplicito
divieto della mamma.
La
paura della collera materna la tiene lontana dalla casa di Daniel
per un giorno intero e per gran parte della sera. Regina si tiene
occupata col tedioso cucito e con esercizi al pianoforte per placare la
mamma, almeno nella propria anima dubbiosa.
Arrivata
la sera tarda, però, Regina si trova a scivolare
attraverso la porta appena cigolante. L’odore familiare di
malattia e medicina la avvolge immediatamente. Niente si muove nella
stanza ad eccezione della fiamma scemante di una candela sul comodino e
delle lingue lunghe e ardenti del focolare. Edric respira pesantemente,
sibilando, lottando ad ogni respiro. Per un momento, lei pensa che
siano entrambi addormentati. Poi sente il proprio nome sussurrato da un
angolo buio.
Trova
Daniel seduto a gambe incrociate su un materasso. Dorme
lì da quando suo papà è stato
costretto a letto, ricorda lei. Quando lo vede da vicino dubita che
Daniel abbia dormito anche solo una volta nelle ultime notti. Lo
raggiunge cautamente, combattendo un improvviso inizio di apprensione.
Dopo il nome sussurrato, Daniel non parla più. Per un
po’ non lo fa neanche lei, ma si limita a guardarlo con la
coda dell’occhio mentre lui fissa nelle fiamme.
Edric
si muove e trae un respiro laborioso, solo per essere sopraffatto
da un attacco di tosse così violento da mandargli spasmi
lungo il corpo. Abituata a vederlo per lo più giacere in un
sonno febbrile, Regina è scioccata dalla scena, ma Daniel
salta su e si precipita in suo aiuto. Regina vede presto, comunque, che
non c’è molto che lui posso fare, a parte reggere
una ciotola dove Edric sputi il denso catarro verde. Con un disperato
bisogno di far qualcosa a sua volta, Regina prende il vasetto col
cataplasma molto puzzolente ed inizia a spalmarne uno strato spesso un
asciugamano pulito. Poco a poco, alla fine lo spasmo della tosse si
calma. Daniel schiaccia il cataplasma sul petto di Edric, mentre Regina
riesce a fargli inghiottire una cucchiaiata di sciroppo di angelica.
È sollevata di sentire il suo respiro tornare di nuovo
regolare, anche se ci sono ancora suoni rauchi ad ogni respiro. Presto
lui ricade in un sonno pesante ed agitato. Regina e Daniel rimangono
entrambi in piedi accanto al suo letto, lei col cucchiaio vuoto in mano
e lui che regge goffamente la ciotola dello sputo.
«Non
possiamo fare nient’altro,» alla
fine Daniel rompe il silenzio. Svuota la ciotola e la sistema sul
comodino, poi torna al materasso. Regina lo segue. Il silenzio cade di
nuovo, cupo e pesante. Alla fine, Daniel si gira verso di lei.
«È già successo» dice
miseramente. «Ma non è mai stato così
brutto, né è durato così a
lungo».
Regina
annuisce, ricordando che lui aveva menzionato i ricorrenti
problemi di salute di suo padre quando si erano incontrati per la prima
volta. Posa una mano sulla sua spalla.
«Passerà» sussurra, e prega che la
parola si riveli vera. Si sono impegnati così
tanto… deve finire bene. È l’unica cosa
giusta! In fondo tutte quelle erbe e intrugli non possono non essere
serviti a niente!
È
il turno di Daniel di annuire. «È
solo…» Deglutisce. «Ogni volta che
papà è costretto a letto… mi ricorda
la mamma. Come è morta».
Regina
si lascia sfuggire un ansito. Daniel ha menzionato sua madre una
o due volte ma mai in dettaglio, ed ogni volta è sembrato
così difficile per lui che Regina ha sempre deciso di non
fare domande. «Vuoi… vuoi parlarne?»
propone timidamente.
Daniel
rimane in silenzio per un po’; abbastanza a lungo
perché Regina lo consideri un rifiuto. Poi lui si schiarisce
la gola e inizia a parlare – all’inizio lentamente,
e tristemente.
«Si
chiamava Elaine. Lavorava nei giardini di un certo
Signore di cui allora papà era lo stalliere; è
così che si sono incontrati. La mamma amava le piante. Tutti
concordavano sul fatto che avesse il pollice verde. Quand’ero
piccolo avevo un pezzo di giardino tutto per me, sai. Volevo far
crescere insieme le piante più assurde, così era
un pezzo di terra di frutti e verdure, fiori ed erbe. Apparentemente
c’era un’erba a cui ero particolarmente
affezionato, non so quale». Il ricordo dipinge un sorriso sul
suo volto – un sorriso genuino, uno di quelli che lei non
vede da quando Edric si è messo a letto.
Regina
sorride di rimando. «Il mio melo» rammenta.
«E le erbe, le conosci tutte». Ricorda la sua
esasperazione all’arida teoria degli appunti di biologia, i
fiori che le portava come premio di consolazione durante la sua
reclusione, e anche i dettagli vividi e colorati con cui aveva
descritto la natura della Valle di Smeraldo. Ora tutto ha senso.
Lui
annuisce come in sogno, lontano con la mente, sia nello spazio che
nel tempo. Regina sceglie di non disturbarlo, di lasciargli assaporare
il ricordo. Alla fine lui riprende a parlare.
«Eravamo
felici – me lo ricordo anche se ero molto
giovane. Un giorno mi hanno detto che sarei diventato un fratello
maggiore. Ero così eccitato! Ho fatto dei piani
per… ogni genere di cose, davvero, ma specialmente erbe da
far crescere e cavalli da cavalcare e scherzi da fare al
papà».
Questa
è alquanto nuova per Regina, che non ha mai sentito
prima di fratelli o sorelle di Daniel. Deve essere un fratello maggiore
fantastico, anche, pensa, e per poco non glielo dice, quando
all’ultimo ricorda che Daniel non ha fratelli o sorelle.
Può voler dire una cosa sola… Lei richiude la
bocca e si morde il labbro, pendendo dalle sue labbra e allo stesso
tempo temendo ciò che sta per arrivare.
«Il
ventre della mamma è diventato così
grande… Ero completamente sbalordito. Quando è
arrivato il momento una famiglia mi ha preso perché stessi
da loro durante la nascita. Nessuno me ne ha parlato molto prima o
dopo. Quando sono tornato a casa ho trovato la mia sorellina in una
culla, rosa e urlante. Papà mi disse di solleticarle il
palmo col dito, e lei me l’ha stretto con quel suo piccolo
pugnetto. Per un momento smise persino di piangere. Ma qualcosa non
andava… Poteva capirlo dall’espressione tesa di
papà. Non capivo – avrebbero dovuto essere felici.
Un dottore venne e se ne andò e papà mi disse che
potevo andare a vedere la mamma – lei era ancora a letto
nell’altra stanza. Il modo in cui lui mi parlava…
mi fece venire voglia di piangere – era così
triste, così turbato. Mi sono detto che mi stavo comportando
da sciocco. Sono andato dalla mamma. Me lo ricordo ancora come se fosse
ieri. Mi ricordo ancora tutto di lei…» La voce di
Daniel si affievolisce e lui si strofina gli occhi con aria assente.
Regina lo fissa, paralizzata.
«Sembrava
se stessa e allo stesso tempo non sembrava se
stessa per niente. Aveva gli stessi capelli castani; ma erano attaccati
alla sua fronte sudata e giacevano piatti e flosci sul cuscino. I suoi
occhi erano dello stesso verde con pagliuzze dorate; ma lo scintillio
era scomparso. Erano ancora calorosi però… ma a
volte vacanti, come se lei si trovasse da qualche altra parte. Le sue
guance erano scavate e il suo viso pallido come cera… E
mentre mi attirava vicino, la sua mano tremava così tanto.
C’era un fuoco rovente, eppure lei continuava a rabbrividire
per il freddo… E quando ha iniziato a parlare… la
sua voce era debole e parlare sembrava stancarla molto. Mi ha
detto…» Le parole gli si bloccano in gola.
Regina
gli afferra la mano prima che lui possa asciugarsi la lacrima
che gli riga la guancia. Non piangerà da solo.
«Non devi… se non…» farfuglia
lei.
Daniel
scuote la testa mentre un’altra lacrima rotola dal suo
occhio. Tenendo stretta la sua mano nella propria, lui continua.
«Mi ha detto che mi voleva bene, e di mantenere il mio pezzo
di terra con le verdure e di aiutare il papà con quello di
lei, e anche con tutto il resto… Che lui si sarebbe sempre
preso cura di me. E che la mia sorellina avrebbe contato che il suo
fratellone badasse a lei. Ero pietrificato. Le ho chiesto dove stava
andando – ci stava lasciando? Avevo solo cinque anni. Questo
è stato il momento in cui si è più
avvicinata al mettersi a piangere. Ma non ha mai pianto veramente;
sembrava tranquilla, anche se triste. Mi ha baciato e abbracciato
così forte… Sono scoppiato in lacrime non appena
lasciai la stanza. Quella fu l’ultima volta che mi
abbracciò. Papà entrò dopo di me, e
quando tornò fuori… Seppi che se n’era
andata».
Singhiozzando,
Regina fa per attirarlo in un abbraccio, ma Daniel
resiste, rifiutando di arrendersi alle lacrime proprio ora.
«La
mia sorellina… È rimasta con noi
due giorni di più. Papà era con lei notte e
giorno ma non ci fu modo di salvarla. Se ne andò ovunque se
ne fosse andata la mamma. Non ci fu nemmeno il tempo di darle un
nome…»
Questa
volta Daniel non combatte più le lacrime. Si appoggia
contro la spalla di Regina e lei gli avvolge attorno le braccia.
Rimangono così per un bel po’, la testa di lui
appoggiata contro la spalla di lei, la guancia di lei premuta contro la
sua testa.
«Ce
ne siamo andati il giorno successivo» borbotta
Daniel nella sua spalla, la sua voce densa di emozioni ma di nuovo
ferma. «Ci siamo mossi da un posto al’altro per
anni, senza mai rimanere in un luogo molto a lungo. Papà
sembrava preferire così, e a me non importava. Solo poco
dopo la nostra partenza la sua malattia è iniziata, e ha
continuato a peggiorare. Poi ci siamo stabiliti qui. Speravo non
tornasse» conclude con una nota di disperazione.
Regina
sopprime un singhiozzo. Adesso deve essere qui per Daniel. Cerca
febbrilmente parole di incoraggiamento. «Starà
bene» si lascia sfuggire. Deve stare bene.
Sente della
fiducia rinnovata fluirle dentro – un segno benvenuto.
«Migliorerà, come è successo tutte le
altre volte. Come io sono migliorata, ricordi?» È
solo giusto.
Daniel
si districa dall’abbraccio e la guarda in faccia. Gli
occhi di lui sono arrossati ma asciutti, la sua mascella e serrata, il
suo mento alzato. Annuisce lentamente, con determinazione.
«Hai ragione. Non devo… farmi assalire dai dubbi.
Il papà è forte. Questo posto è meglio
per lui di qualunque altro, e ha tutte le medicazioni e tutte le cure.
Dovrei fare un uso migliore del mio tempo – preparare un
po’ di tè, e anche un po’ di cibo, per
rinforzarlo».
«Ti
aiuterò» dice lei immediatamente,
ancora una volta col cuore più leggero, lieta della
determinazione sul suo volto, della calma che è tornata in
lui.
Lo
guarda scegliere le erbe di cui ha bisogno, mescolare il vino
speziato, aggiungere lo zafferano – lo conserva nella
cartellina sulla mensola più alta, nascosto e conservato
come un tesoro. Lo guarda affettare le mele e porle sopra il fuoco a
cuocere mentre lei lavora col mortaio e il pestello, tritando le foglie
di puleggio in una polvere fine da mescolare col miele.
Un
raggio di luna si insinua attraverso la finestra e colpisce le
lenzuola proprio mentre le mele vengono cucinate, il vino scaldato, e
il rimedio di miele per la tosse preparato. Daniel cammina verso il
letto e si siede sul bordo. Regina ha l’impressione che lui
esiti per un frammento di secondo prima di mettere una mano sulla
spalla di Edric e scuoterlo gentilmente. Lui non si muove. Daniel lo
scuote ancora, con più forza.
«Papà» mormora.
«Papà, devi svegliarti, devi mangiare qualcosa e
prendere la tua medicina. Papà»
ripete con una
punta di frustrazione.
È
quest’ultima parola che alla fine sembra
funzionare – gli occhi di Edric sbattono e poi si aprono. Lui
fissa dritto verso Daniel ma sembra non vederlo per un momento, tanto
confuso e sfocato è il suo sguardo.
«Papà» dice Daniel con sollievo.
«Sono io – Daniel?» La bocca di Edric si
contrae molto lievemente in un tentativo di sorriso. In piedi di fianco
al letto con lo sguardo abbassato su di loro, lei sospira un sospiro
potente e grato. Edric solleva gli occhi per incontrare i suoi, e uno
sguardo sconcertato si sistema sul suo viso.
«Papà, anche Regina è qui. Mi ha
aiutato a prendermi cura di te». Ci vuole un po’
prima che Edric sembri averlo compreso; dà il più
piccolo, il più lento dei cenni. «Abbiamo delle
mele» dice Daniel, incoraggiato dalla ricettività
di suo padre, «e del tè, e del vino aromatizzato.
E miele con puleggio per la tua tosse. Quale vorresti per
primo?»
Edric
apre la bocca e cerca di parlare. Le parole arrivano lentamente e
con molto sforzo, formate goffamente. «Non riesco…
a magiare. Solo… bere?»
Daniel
aggrotta la fronte. «Ma devi mangiare
qualcosa» insiste miseramente.
«E
se facessimo così?» dice Regina
alzando la voce, pone il misto di miele e puleggio sul comodino accanto
alla candela tremolante, e si serve di uno spicchio di mela. Lo intinge
abilmente nel miele e lo porta alle labbra screpolate di Edric. Per il
sollievo di entrambi, Edric accetta il cibo, lo fa rotolare una o due
volte nella propria bocca, e inghiottisce.
Lentamente,
accuratamente, riescono a fargli mangiare circa un terzo
della mela, e la maggior parte del miele. Edric increspa il naso
all’amaro tè di issopo che gli viene offerto, ma
accetta il vino aromatizzato con un pizzico di zafferano, e, sorso dopo
sorso, finisce di bere tutta la coppa. Mentre Daniel rimuove la coppa
dalla sua bocca, Edric muove la mano sul lenzuolo ma non riesce ad
alzarla, così Daniel la raggiunge. Edric gli dà
una lieve stretta alla mano. Sostiene lo sguardo di Regina per un
momento; poi, esausto dallo sforzo, si appisola di nuovo, il suo
respiro un po’ più calmo, un po’
più regolare di prima.
Niente
si muove per un po’: non Regina, appoggiata contro il
comodino con la ciotola di miele quasi vuota in mano; non Daniel, con
la ciotola mezza piena di mele nel suo grembo e la mano posata su
quella di suo padre; non la nuvola dietro la finestra che sta
schermando la luna dalla loro vista. L’aria è
forte come sempre e ferma, eppure sembra esserci un lieve respiro di
aria fresca che si muove fuori e che trova la strada per entrare
attraverso la finestra, e il silenzio è più
pacifico che oppressivo.
Un
potente brontolio sferza l’immobilità, forte e
nitido, proveniente dallo stomaco di Daniel. Regina ridacchia.
«Ho saltato la cena» ricorda Daniel con un sorriso
storto. «Tu non hai fame?» Lo stomaco di Regina
gorgoglia in risposta, e li fa sorridere entrambi. «Possiamo
finire le mele» suggerisce lui, «e prendere
qualcos’altro in secondo luogo».
«Il
miele» annuisce lei. «E una stecca di
cannella per accompagnarli?»
Si
sistemano nel loro angolo di materasso, con le mele mielate tra
loro. All’inizio le mangiano tutte in silenzio, realizzando
coi primi bocconi quanto erano realmente affamati. Dopo che le mele
sono finite, loro raccolgono ogni goccia di miele con le dita, pulendo
la ciotola. A mo’ di dessert, Daniel mastica una radice di
liquerizia, e Regina sgranocchia una stecca di cannella. La nuvola
pesante si è spostata e la loro vista è sul
sereno cielo notturno, la luna fuori dalla vista per il tempo. Daniel
aggrotta la fronte.
«È
tardi. Non sentiranno la tua
mancanza?»
Regina
scrolla le spalle; Daniel pensa di aver scorto una traccia di
paura nei suoi occhi ma scompare prima che lui possa esserne sicuro.
«Non
voglio farti finire nei guai».
«Tu?
Tu non hai fatto niente. Non sapranno di dovermi cercare
qui comunque. Tornerò subito indietro se ci sarà
del trambusto. Ma non penso che succederà. È solo
questa volta, comunque».
È
lui o se stessa che sta cercando di convincere, si domanda
Daniel? L’educazione di Regina è eccezionalmente
severa, lui l’ha notato; chiunque con occhi per vedere lo
avrebbe notato. Troppo severa, ha sentito in molti sussurri. In
effetti, ha sentito sussurri peggiori di quello a proposito di Lady
Cora, ma non ne ha mai visto le prove. Sa anche che è meglio
non condividere quel genere di pettegolezzi.
Qualche
traccia dei suoi pensieri deve essersi fatta vedere, giudicando
dallo sguardo curioso che Regina gli scocca: «Cosa
c’è?»
«Niente»
replica lui automaticamente, imbarazzato.
Regina aggrotta la fronte. È una tale spudorata bugia, e non
è qualcosa che facciano tra loro. Sa che avrebbe dovuto
venir fuori con una risposta migliore, non importa quanto odi andare
lì. «Mi stavo solo chiedendo…
be’, dei tuoi genitori» ammette, guardandola
attentamente.
Regina
abbassa gli occhi.
«Dimenticalo»
si lascia sfuggire lui.
Lei
scuote la testa, evitando ancora il suo sguardo, prendendo tempo.
Lui
allungò la mano e le toccò una spalla.
«Regina, non volevo» dice ansiosamente, senza
sapere esattamente cos’ha fatto.
«No,
va tutto bene» mormora lei, e finalmente
incontra i suoi occhi. «È solo che… la
storia della tua famiglia… è così
diversa dalla mia».
Sua
madre è morta; quella di lei è viva. Lui
viene dai servitori; lei vale quanto una principessa. Questo
è quanto può essere diversa, ma Daniel
è sicuro che lei non intenda né l’una
né l’altra cosa. Alla fine, hanno entrambi la
stessa cosa in mente: finora inespressa ma a cui si è
alluso, eppure sempre presente. Il ricordo del loro primo incontro sale
in superficie nella sua mente: l’orrore sul viso di lei
mentre scopriva il suo vestito rovinato («La mamma si
arrabbierà molto»); il modo in cui gli altri
bambini avevano fatto i prepotenti con lei e l’avevano presa
in giro a proposito di Lady Cora, e la sua confessione lacrimosa sul
non avere amici. Le parole di lei risuonano nelle sue orecchie, incise
nel suo cervello con chiarezza sorprendente: «Volevo solo
giocare con loro. Proprio come tutti gli altri bambini. Non ho nessuno
con cui giocare». Per una frazione di secondo, potrebbe
giurare che lei abbia appena detto quelle parole, così
vivide nella sua memoria. Ma a dire il vero Regina è solo
seduta quietamente con le mani in grembo, che lo guarda mestamente.
«Non
avrei dovuto sollevare il discorso» offre lui
in fretta – lei può ancora ritirarsi se non vuole
avere questa conversazione.
«So
che ci sono delle dicerie» dice lei.
«Sulla mamma».
Uno
strano avvenimento, pensa Daniel, poiché lei come
può rispondere così precisamente ai suoi pensieri
senza che lui li abbia espressi? «Come lo sai?»
chiede lui, cercando di guadagnare tempo.
«Tengo
le orecchie aperte» risponde lei un
po’ irritabilmente. «I servitori parlano. I paesani
parlano, anche se mi fanno stare nella carrozza sento delle cose. E se
avessi voluto ignorare le chiacchiere, quei bambini sono stati molto
chiari in proposito».
Se
mai Daniel si è sentito più a disagio, di
sicuro non se ne ricorda.
«Hanno
paura di lei. Dicono che la mamma è
malvagia. Come possono dirlo? Penso sia perché lei ha poteri
che le altre persone non hanno. Magia» riflette amaramente.
«La
magia non ti piace» nota Daniel.
«Io
odio la magia» dice semplicemente lei.
«La magia fa cose strane alle persone. Lo dice anche il
papà. Dice che la mamma non è stata sempre
così. Quindi penso che la magia l’abbia
cambiata».
«Certa
magia è buona, non è vero? Che
ne dici della magia delle fate?»
«Non
lo so, non l’ho mai vista. È solo
che vorrei che la magia non esistesse neanche. Puoi farci delle cose
orribili… ferire delle persone» conclude piano.
Adesso nella sua voce c’è della paura, Daniel ne
è sicuro.
«Ferire
delle persone?» Sicuramente
no,
rabbrividisce al pensiero che gli attraversa la mente. Lei deglutisce,
gli occhi spalancati. «Regina?»
«A
volte, quando mi comporto male…»
sussurra, lasciando la frase sospesa nell’aria. Il cuore di
Daniel manca un battito. Vedendo l’espressione inorridita sul
volto di lui, Regina sembra improvvisamente allarmata. «Ma
tutti i genitori puniscono i loro figli quando loro si comportano male,
quindi non c’è davvero niente di sbagliato in
questo!»
«Li
puniscono con la detenzione, magari. O con qualche lavoro
extra. Non facendo loro del male!» Be’, alcuni
genitori lo fanno, lo sa, ma quelli non sono un genere di punizione che
lui o la sua famiglia abbiano mai utilizzato.
«Non
è come se lei volesse farmi del male! Non
voglio che tu lo pensi!» esclama lei con lacrime di furia
negli occhi. «Lei ha delle buone intenzioni, mi vuole bene,
lo so!» Ma i suoi occhi dicono una storia diversa, una di
dubbi e di bisogni disperati, e sotto lo sguardo penetrante di lui, lei
seppellisce il volto nelle proprie mani, tremando violentemente.
Ammutolito
dall’orrore, Daniel fa per toccarla, poi ritira la
mano. «Regina» dice implorante, aggrottando al
contempo la fronte. Non gli piace ciò che ha sentito, ma
capisce istintivamente che è meglio che questo venga taciuto.
Regina
alza il volto rigato di lacrime per guardare dritto nel suo.
«Tu non ci credi, vero? Alle voci? Non pensi che lei sia
malvagia?»
«No,
certo che no» dice lui in modo mansueto.
«È tua madre. Certo che ti vuole bene. Certo che
tu le vuoi bene. Lo capisco».
Regina
tira su col naso. Il sollievo sul suo volto è
evidente. «Io le voglio bene davvero. È solo
che… la mamma è così difficile da
accontentare» borbotta lei. «È
solo… Io vorrei solo che lei fosse orgogliosa di me.
È difficile essere all’altezza delle sue
aspettative… e qualche volta non sono nemmeno sicura di
volerlo. Voglio solo fare alcune cose a modo mio, essere me stessa,
sai? E poi mi sento in colpa perché l’ho delusa.
È orribile da parte mia? Sono terribilmente
egoista?»
«Certo
che no! Non sei niente del genere! Guardati adesso,
che aiuti me e mio padre. Come potresti essere egoista, o
orribile?»
Regina
sorride di traverso alle sue parole, e per un momento sembra che
le sue lacrime possano aver suonato una ritirata. Alla fine,
però, tutto è troppo per lei. Parole taciute per
così tanto tempo, pensieri che ha spinto nel fondo della
mente, emozioni che ha seppellito nel più profondo del suo
cuore – sono stati finalmente espressi, e ascoltati con
pazienza, e accolti senza il giudizio che lei ha sempre temuto, con
l’affetto e la comprensione che ha sempre desiderato e di cui
sempre ha avuto bisogno. E lei scoppia in lacrime più
abbondanti di prima, ma con un sollievo che non ha mai conosciuto. La
sua guancia è premuta contro la spalla bagnata di lacrime di
Daniel mentre lui la stringe, cullandola avanti e indietro come una
bambina.
Poco
a poco, i singhiozzi di Regina si calmano, le lacrime si seccano,
e dopo un po’, Daniel realizza che Regina si è
addormentata. Lui si appoggia al muro, attento a non muoversi troppo
così da non svegliarla. I suoi occhi scivolano sul bicchiere
intatto di vino aromatizzato con puntini scarlatti e dorati che
galleggiano in superficie. Guarda fisso fuori dalla finestra
pensosamente, desiderando che le lacrime di Regina siano ancor
più rare dello zafferano.
NdT: Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto… Il prossimo
aggiornamento arriverà martedì 29 Aprile!
|
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Capitolo 9 *** Nine Lives, Cat’s Eyes ***
Nota dell’Autrice:
Spero che il capitolo vi piaccia.
È un’ipotesi su come Regina potrebbe essersi
guadagnata la cicatrice sul labbro – ispirata alla storia di
Lana, come vedrete.
Capitolo
9
Nine
Lives, Cat’s Eyes
Le cucine
dei Mills sono sempre piene di vita, ma Regina non le trova
mai tanto intriganti quanto appena dopo cena. Ti aspetteresti una pausa
dall’attività dopo che l’ultimo pasto
del giorno è servito, ma lei ne sa di più. Il
cucinare potrà anche essere finita, ma
c’è ancora più che abbastanza da fare
prima che i cuochi e le domestiche possano ritirarsi per il riposo:
piatti da lavare, pentolame da sfregare, bicchieri da lucidare,
argenteria da pulire, pavimenti e banchi da sfregare. Ci sono anche
avanzi da raccogliere, la maggior parte delle volte – una
fetta di torta in più che non le è stata permessa
dopo cena, ad esempio. I cuochi chiudono un occhio, e lei crede persino
di aver visto un sorriso o due quando pensavano che nessuno stesse
guardando.
Alla
sera, un buffo gruppo si raccoglie alle porte della cucina e sotto
le finestre – cani e gatti di tutte le forme e dimensioni:
denutriti e paffuti, sfacciati e timidi, coccoloni e scaltri. Non sono
inquilini del canile dei Mills, ma randagi senza casa che arrivano da
vicino e da lontano. È una vera prova assistere ai furti e
alle suppliche, ed un occhio è prono a piangere per le
povere bestie; l’altro, comunque, si rallegra nel vederli
trovare un qualche genere di sollievo ad opera della casa.
Lei
non può evitare di avere dei prediletti tra quelle palle
di pelo, non importa quanto ingiusto a volte Regina si dica che
è. Recentemente, un cagnolino furbo dagli occhi grandi e un
gatto intelligente dalla coda cespugliosa sono stati in testa. Oggi,
tuttavia, tutta la sua attenzione è all’ultimo
arrivato: un gatto smilzo dall’aspetto particolarmente
miserabile. Originariamente deve essere stato fulvo, da quel che
può vedere, che in realtà non è molto,
dato che ci sono così tante pelate sul suo dorso che
lì il pelo cresce solo a tratti, e persino quello
è coperto da qualcosa di non identificabile di una sfumatura
grigiastra. Le zampe del gatto sono stranamente storte, come se fossero
state spezzate numerose volte, eppure l’animale si muove con
una strana grazia. Gli manca un occhio, e l’altro orecchio,
il ché crea un bizzarro tipo di equilibrio sul suo muso
altrimenti sfigurato. La sua coda è corta per un gatto, come
se ne avesse lasciato indietro un pezzo da qualche parte, ed
effettivamente deve averlo fatto, anche se non di propria
volontà – la coda finisce in un moncone. E in
tutto ciò, il nuovo membro della gang è una
cosetta brutta e sfortunata che si nutre solo grazie alla
pietà dei cuochi.
Il
gatto è diffidente e non accetta il cibo dalla sua mano,
come Regina ha scoperto da sé, anche se tutte le sue costole
sono visibili. Soffia e incurva la schiena e rizza il pelo ogni volta
che Regina, o chiunque altro, gli si avvicina. Gli altri gatti gli
stanno lontani, anche se Regina non ha mai visto il rosso attaccare gli
altri – nemmeno come parte degli usuali bisticci per
il cibo. Arriva dal nulla, attende per la sua porzione, la mangia in
disparte, e se ne va – dove, nessuno lo sa o se ne cura.
Regina
non riesce davvero a capire perché sia attratta da
questo gatto in particolare, ma la silenziosa fascinazione rimane. Un
giorno la menziona a Daniel; ovviamente la mamma è fuori
questione, non presterebbe ascolto ad un tale argomento e a questi
interessi inappropriati; e sembra stranamente imbarazzante parlarne al
papà – non è sicura del
perché, ma forse è qualcosa che ha a che fare con
la sua gamba malandata.
«Gli
manca un occhio e un orecchio e la maggior parte della
coda, Daniel. È abbastanza spaventoso, davvero… o
triste, non so quale dei due. Entrambi, credo».
«Le
mancano anche i baffi» replica cupamente
Daniel. «Ci sono segni di bruciature dove i suoi baffi
dovrebbero crescere».
Regina
è colta piuttosto di sorpresa dalla sua conoscenza
minuziosa della gatta fulva – lei non è mai
riuscita ad avvicinarsi abbastanza da notarlo. Per di più,
proprio come lei, anche lui sembra più che casualmente
interessato a quell’animale.
«Gli
altri animali lo temono. Non si avvicinano se possono
evitarlo, non cercano nemmeno di rubargli il cibo, cosa che per il
resto fanno tutto il tempo».
«Mi
chiedo il perché, non l’ho mai vista
arrabbiata o aggressiva».
«Drizza
il pelo e snuda i denti quando cerco di
avvicinarmi».
«Questo
è perché ha paura. Le
è già stato fatto del male, ricordi?»
Regina
aggrotta la fronte. I baffi, l’occhio,
l’orecchio, le zampe e la coda – lei ha
semplicemente pensato che fossero le conseguenze della vita avventurosa
che si dice conducano i gatti. Questo potrebbe essere semplicemente
più temerario degli altri. L’alternativa di Daniel
non le piace minimamente.
«Chi
lo farebbe?» chiede con genuina
incredulità.
Daniel
la guarda sorpreso, poi sorride mestamente. «Le
persone» dice piano.
Regina
lo accetta in silenzio e presto deviano su argomenti
più casuali, ma lei rimane stranamente quieta per il resto
della sera, e più distante del solito.
Il
giorno seguente, lei si aggira intorno alla cucina in anticipo,
sperando di svelare il mistero della provenienza del gatto. Eppure non
lo vede mai arrivare, ma lo coglie improvvisamente a trascinare un
pezzo di carne bruciata dietro l’angolo per masticarlo in
pace. Decide di seguirlo quando se ne andrà, ma ne perde le
tracce quando scompare in un cespuglio e non sembra più
venir fuori dall’altra parte. Regina prende
l’abitudine di spiare il gatto, ma senza maggior successo i
giorni successivi rispetto al primo.
Una
sera, il gatto non arriva. Regina scruta i dintorni, girandosi da
randagio affamato a randagio affamato, solo per scoprire che il rosso
è effettivamente assente. Non riappare il giorno successivo,
né quello dopo ancora.
«Il
rosso è scomparso» dice a Daniel.
«Forse viene di mattina».
«Non
è così» risponde lui, la
faccia nascosta dietro il cavallo a cui sta togliendo la sella. La sua
voce suona stranamente forzata. Sorprende Regina, ma lei non dice
niente e decide di non menzionare più il gatto, a meno che
non ritorni.
Quando
non c’è nemmeno la sera successiva,
comunque, Regina sente l’improvvisa urgenza di andare a
cercarlo. Senza mai fermarsi a pensare quanto sia una missione senza
speranza – non è mai stata in grado di
rintracciare i suoi spostamenti neanche quando era lì
attorno – lei vaga per la gran parte della tenuta. Quando
oltrepassa il cespuglio dove una volta ha perso di vista il fulvo, nota
un ciuffo di peli rossicci e ruvidi impigliati ad uno dei rami.
Senza
la minima esitazione, Regina si mette in cammino di puro istinto.
Alla fine, raggiunge il recinto che separa il grande giardino dai
campi, e si arrampica dall’altra parte. Il boschetto
adiacente è un recente acquisto alle terre dei Mills ed
è ancora fuori dai confini – la vegetazione
selvaggia ed eccessiva deve essere domata prima che sia sicuro
vagabondarvi. Regina calpesta erbacce ed arbusti, schermandosi il viso
dai rami sempre presenti di alberi selvatici e cespugli nodosi. Una
fitta di paura le guizza nella mente – come
nasconderà i graffi agli occhi attenti della mamma? Ma lei
scaccia velocemente quel pensiero e si spinge avanti sinché
non raggiunge una sorta di radura dominata da una grande ed antica
quercia, secca e nodosa, che sembra più morta che viva, ma
che ha ancora delle foglie che crescono qua e là. Cammina
sino ad essa, posa una mano sulla corteccia ruvida, e si guarda
attorno. Questo
è tutto, pensa. Qualsiasi cosa pensassi mi
stesse guidando qui, è scomparsa. Che assurdità,
da parte mia, si rimprovera, e aggrotta la fonte per la
propria
inspiegabile follia.
Poi,
sente un piccolo grido lamentoso. È senza dubbio un
grido, per quanto sia piccolo e cauto, troppo orgoglioso per
supplicare, o troppo sospettoso. Regina non si muove. Ascolta. Poi
eccolo di nuovo, leggermente più prolungato – un
gemito. Aiuuuto…
ha l’impressione di sentire.
Guarda in su, ma non vede niente oltre il groviglio di rami che si
intrecciano e di foglie che sussurrano. Drizza le orecchie e ascolta
per una conferma. Finalmente, arriva: un miaaao strascicato,
non un
urlo, ma abbastanza pronunciato da essere identificabile come un grido
di aiuto.
Regina
afferra il ramo più basso con entrambe le mani e si
solleva dal terreno; si tira su, mandando le gambe verso il cielo
sinché le sue caviglie non colpiscono il tronco rugoso e lei
è appesa lì come una scimmia. Il terreno sembra
già molto lontano quando lei lo intravede a testa in
giù. Il miagolio è cessato – forse
adesso è il turno della gatta di ascoltare.
Regina
si arrampica e si arrampica. La salita è lenta e
scomoda. Con sempre più imprudenza, lei cerca ramo dopo
ramo, cerca punto d’appoggio dopo punto d’appoggio.
Va sempre più in alto, finché non riesce
più a vedere il terreno, ma soltanto il mosaico scuro di
legno bruno-grigio e di figlie verde ammuffito. Si issa su un ramo
abbastanza largo e si riposa per prendere fiato – non aveva
notato di star ansimando da un bel po’. Sente il dolore
infiammarle i muscoli.
«Dove
sei?» chiama piano, scrutando la corona
dell’albero.
Silenzio.
«Allora
come faccio a trovarti?» La frustrazione si
insinua nella sua voce.
«Miao…»
arriva una risposta debolissima.
Ma anche quel poco è abbastanza.
Regina
striscia cautamente lungo il grosso ramo, il ventre premuto
contro di esso. Allunga una mano, sostenendosi con l’altra e
con entrambe le gambe, e scosta le foglie davanti a lei.
Eccola
lì – la rossa perduta, rannicchiata su un
ramo, che sembra più spaventosa che mai.
«Ehi,
salve tu» mormora Regina. La gatta non
dà alcuna risposta. Ancora sul proprio ventre, Regina si
spinge appena più avanti. Adesso è abbastanza
vicina da notare che una delle zampe della gatta sporge con uno strano
angolo. «Oh…» emette un respiro.
«Quindi è per questo che non puoi tornare
giù».
Improvvisamente,
le sembra di rendersi conto del rischio di cui
è stata sinora inconsapevole. Abbassa lo sguardo in modo
esitante. Il terreno non si vede; tutto è verde e smorto e
marrone. Trattenendo il fiato, Regina si spinge più avanti,
tenendosi aggrappata con tutte le forze. Il movimento lento e cauto
è comunque troppo perché la rossa possa
tollerarlo: lei rizza il pelo e soffia in modo discontinuo.
«Non
mi piace più di quanto piaccia a
te» le assicura Regina. «Ma potrei anche portarti
giù, adesso che sono arrivata sin qui».
La
gatta appoggia la testa su un gruppo di foglie ma continua a
guardare Regina con le orecchie drizzate.
«Non
avere paura» mormora Regina mentre procede
lungo il ramo che si restringe. «Voglio aiutarti».
E, quasi là, allunga una mano verso l’animale
tremante. La rossa colpisce rapida come un fulmine; Regina ritrae di
scatto la mano all’ultimo momento, evitando appena i suoi
artigli.
«Smettila!
Sono qui per aiutare!» grida Regina con
voce stridula e si tira indietro per lo spavento, riuscendo a malapena
a reggersi al ramo. Nessuna di loro si muove. Dopo un po’ di
calmanti respiri profondi, Regina inizia a sentirsi leggermente sciocca
e vergognosa.
«Sei
solo spaventata» dice in tono di scusa.
«Avrei dovuto saperlo. Ma come ti porto giù? Non
c’è tempo…» La gatta guarda,
questo è quanto lei può vedere.
Colpirà di nuovo, realizza Regina. Così sia.
Si
tiene al ramo con le gambe e lascia la presa con entrambe le mani,
le braccia che scattano in avanti, le dita che si piegano sulla rossa
così minuscola e fragile al tocco. Regina sente un dolore
lancinante attraversarle l’avambraccio ma non si tira
indietro. Afferra la gatta in aria e si gira in modo concitato,
atterrando fortunatamente sul proprio posteriore tra il tronco e il
ramo enorme su cui ha riposato prima dell’ultima scalata. La
gatta sembra essere tramortita dallo shock. Per un momento, Regina si
preoccupa veramente per lei. Solleva il proprio braccio contuso e
ferito e si porta la gatta faccia a faccia. L’unico occhio
buono le restituisce lo sguardo. Regina emette un lieve respiro.
Quant’è curioso…
Artigli
affilati come rasoi lampeggiano davanti agli occhi di Regina.
Il dolore le frusta il viso e per un momento le mozza il fiato. Lei
scoppia in lacrime che bruciano quasi tanto calde quanto la ferita che
la fa gridare di dolore. Miracolosamente, le sue dita rimangono serrate
sulla rossa, che si dibatte per un po’ ma alla fine reputa
vano il proprio attacco migliore. Sembra abbandonarsi al destino, e
pende inerte dalle mani di Regina.
Per
liberare almeno una mano, Regina fa in modo di infilarsi la gatta
sotto un braccio e comincia la discesa, sinora ancora più
laboriosa e difficile dall’ascesa.
Più
di una volta, è solo per un pelo che evita
una brutta caduta, ma alla fine, Regina e la rossa raggiungono illese
il terreno. Non appena la gatta lo sente, si rianima. Esausta e
dolorante dappertutto, Regina la appoggia a terra non appena ritrova
l’equilibrio. La gatta, troppo ferita per fare la scalata, se
la cava perfettamente sul terreno piatto – schizza via su tre
gambe, e si ferma solo dopo che una distanza di qualche piede giace tra
lei e la sua salvatrice.
Cautamente,
Regina allunga una mano verso il proprio viso, cercando il
punto esatto in cui l’attacco ha colpito. Le sue dita
sfiorano qualcosa di caldo e appiccicoso appena sopra la sua bocca. Un
filo di sangue inizia sotto il suo labbro, e le lascia un sapore
metallico sulla lingua.
Il
pericolo a cui si è sottoposta, lo sforzo, lo shock, e il
dolore la pervadono tutti in una volta, e Regina crolla in lacrime ai
piedi dell’albero. Mentre riposa lì, le lacrime
che si asciugano lentamente, un leggero fruscio si fa sentire nelle
vicinanze, e qualcosa di morbido eppure ispido le sfiora la caviglia
ammaccata.
«Tu»
esala lei. La rossa la guarda negli occhi e si
struscia contro la sua gamba ancora una volta. Ammaliata, Regina
allunga una mano per accarezzarla. La gatta si immobilizza. Adesso non
mi ferirà, sa Regina. Ma è ancora
terrorizzata.
Regina si ferma per un momento, pensierosa. Poi ritrae la mano.
«Come vuoi» dice all’attenta gatta.
«Niente coccole. È ora di andare».
Regina
si alza – un atto che sembra costarle le sue ultime
riserve – e fa pochi passi attraverso il boschetto. Si gira
per incontrare l’occhio dell’attenta gatta.
«Cosa aspetti? Non vieni?»
La
rossa la raggiunge. Perfettamente a suo agio sulle sue tre gambe
funzionanti, cammina sino al recinto ed oltre.
«Tua
madre si poteva sentire sin qui alle stalle»
dice Daniel la sera seguente.
Regina
fa dondolare le gambe dalla balla di fieno su cui si
è accomodata e scrolla le spalle. Non inganna Daniel,
però, che nota l’ombra che le attraversa il viso.
C’è anche qualcos’altro. Sfida? Orgoglio?
«Rimarrà
una cicatrice» sonda cautamente
lui.
«Penso
di sì» replica Regina.
«È tanto orribile? Sembra abbastanza
piccola». Arrossisce al ricordo delle lacrime versate per una
tale bazzecola.
«No,
penso di no» replica Daniel con un sorriso.
«Per niente. Intanto, uno dei figli della cuoca ha ospitato
la gatta e le ha anche applicato una specie di stecca alla gamba, lo
sapevi?»
«Scommetto
che a breve sarà di nuovo su
quell’albero». Lei sembra abbastanza felice
all’idea. «Con quelle vite che le sono
rimaste» ridacchia.
«Be’,
tu ne hai di certo salvata una»
dice Daniel con un ampio sorriso.
«C’è
stato un momento» dice
Regina, guardando attentamente Daniel con il sorriso di chi la sa lunga
sul volto, «in cui l’ho guardata dritta
nell’occhio».
Daniel
si fa nuovamente serio. Forse lui ha svelato per primo il
segreto del misterioso tocco sul volto di Regina.
«Un
occhio verde» dice lei. «Chiazzato
d’oro».
Lui
annuisce lentamente e ricambia il sorriso, gli occhi luminosi.
Gli
occhi di Daniel sono azzurri, come quelli di suo padre. Avesse
preso da sua madre, sarebbero stati verdi, con pagliuzze
d’oro.
NdT: Scusate il ritardo,
tradurre questo capitolo mi ha preso un bel
po’ di tempo (e okay, sono stata rallentata anche dal fatto
che dal 24 al 27 sono stata a Nizza)…
Spero vi sia piaciuto!
Data del prossimo aggiornamento: giovedì 8 maggio
=)
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Capitolo 10 *** Rumour Has It ***
Nota dell’autrice:
Un capitolo corto stavolta –
prometto che il prossimo sarà più lungo! Questo
è anche più leggero in interazioni Stable Queen,
e ha un po’ di Cora e Rumple, con un Daniel che
s’imbatte incidentalmente in una conversazione di cui non
capirà nulla – ma voi sì…
Prevedo delle complicazioni per Regina e Daniel nei capitoli seguenti.
;)
Capitolo
10
Rumour
Has It
Corre
voce che Lady Cora sia piena di mistero. Spesso, le persone
concordano sul fatto che possegga alcuni poteri inusuali. Di quando in
quando si avventura in misteriose escursioni e nemmeno i cocchieri che
la accompagnano sanno di cosa si sia occupata; talvolta al momento del
loro ritorno dimenticano persino la destinazione del viaggio. Il suo
mobiletto è pieno sia di erbe comuni che di pericolosi
veleni, dicono; le storie più assurde parlano di sostanze
empie come occhi di lucertola o come il cuore di un unicorno appena
nato.
Daniel
non è mai stato neanche remotamente interessato ai
pettegolezzi. Se solo sapesse che sta per assistere ad un simile
avvenimento…
Inizia
come una cavalcata occasionale al borgo vicino per recapitare un
sacco di farina al più vecchio affittuario delle terre dei
Mills – un vecchio avvizzito che vive da solo nel profondo
della foresta. Il viaggio è privo di eventi, animato solo da
una breve e giocosa corsa contro un giovane cervo. Daniel parte
più tardi di quanto avesse pianificato e gli squarci di
cielo che intravede oltre la volta frondosa sopra la sua testa sono
più scuri di quanto avesse previsto. I giorni si stanno
accorciando, poiché l’autunno è
arrivato. La foresta sembra diventare persino più buia
mentre il cavallo si fa strada sul sentiero ventoso della foresta, i
rametti che si spezzano e le foglie che frusciano sotto i suoi zoccoli.
Corre
voce che, nella notte e durante le tempeste, strani, oscuri
poteri si riuniscano nelle radure abbandonate della foresta.
L’aria della sera predice un arrivo tempestivo di entrambe.
Ogni rumore sembra essere scomparso mentre Daniel si avvicina ad una
piccola radura che intende attraversare mediante una scorciatoia,
quando improvvisamente il suo cavallo si arresta di colpo, rifiutando
di procedere. Un momento più tardi, Daniel sente una voce,
strana e perversa.
«…gira
voce che tu stia cercando un nobile
pretendente per tua figlia».
Per
una frazione di secondo, Daniel si chiede se dovrebbe dare una
sbirciata al proprietario di quella strana voce, o se farebbe meglio a
farsi gli affari suoi e a fare una deviazione per evitare la radura, e
andare a casa. Il suo dilemma è presto risolto: una risata
disinvolta, lievemente beffarda, risuona attraverso la radura e, per la
sorpresa di Daniel, una voce familiare la segue.
«Mio
caro Tremotino, l’intero regno mi ha sentito
dire che mia figlia diventerà regina lo stesso giorno in cui
è nata – ritengo che al tempo tu fossi
lì, celato nella folla? Puoi biasimare una madre
perché cerca di mantenere la sua promessa?»
Completamente
sconcertato, Daniel salta giù dal cavallo e si
avvicina furtivamente al limite della radura, ben nascosto da un gran
cespuglio di spincervino e dai rami sporgenti di un salice piangente.
Gli alberi e i cespugli hanno iniziato a perdere il loro abbigliamento
frondoso ma non sono ancora nudi. Daniel può solo sbirciare
tra il fogliame l’uomo e la donna dall’altra parte.
La donna la conosce bene, anche se gli dà la schiena
– Lady Cora è inconfondibile. L’uomo con
cui lei sta parlando, però… è un uomo?
Se non lo è, cos’è? Di sicuro
è vestito come tale, indossa stivali alti, pantaloni di
pelle marrone e un farsetto di velluto rosso; ma il suo viso sembra
scaglioso, come quello di una lucertola o di un serpente. È
solo un gioco delle ombre, si dice Daniel, è troppo buio, e
io sono troppo lontano. La creatura, qualsiasi cosa sia,
parla di nuovo.
«Un
uccellino mi ha detto che hai già
l’occhio su un ragazzo specifico. Mi aspetto che tu abbia
tutto pianificato, ho ragione?»
«Presto
sarà il compleanno di Regina. Una scusa
perfetta per un grande evento sociale, non è vero? E che
momento migliore per fare delle presentazioni?»
«Affascinante»
dice lui con un sorrisetto.
«Ma sii cauta, cara, poiché gli ostacoli possono
emergere dove meno te li aspetti».
«Gli
ostacoli sono fatti per essere superati».
«Temo
che uno di essi potrà rivelarsi
eccezionalmente difficile. Una tenerezza di cuore, diciamo.
È questo il problema coi cuori, capisci: spesso sospirano
quando non dovrebbero farlo. Ah, ma tu lo sai meglio di chiunque altro,
non è vero?»
«Già,
lo so. Come tu sai meglio di chiunque altro
che sono pronta ad impiegare tutti i mezzi necessari per sradicare ogni
pazzia a cui possa condurre un cuore sdolcinato».
«Questo
si applica solo al tuo cuore, o sei pronta a fare lo
stesso con quello della tua cara figlia?»
«Non
lo stesso. Non col suo
cuore. Ma tu non devi
preoccuparti dei miei piani. Te lo assicuro, ho pianificato tutto con
anticipo. Ti assicuro anche nuovamente che non ti farò
avvicinare a mia figlia – il patto è annullato,
ricordi? Il nostro
primogenito… ma non il mio».
Daniel
ha l’impressione di notare uno sguardo sgradevole e
velenoso attraversare il viso dello spiritello, ma è svanito
in un lampo, e Cora va avanti, inconsapevole di esso.
«Mi
dispiace di ricordarti questo sfortunato incidente di
formulazione; naturalmente capirai che lo sto facendo come una mera
precauzione – solo in caso che tu sia tentato di…
instillare…
strane nozioni nella testa di mia
figlia… o nel suo cuore».
«Oh,
non temere. Il suo cuore non avrà bisogno di
intromissioni… nel prossimo futuro».
«Molto
bene, allora, sono lieta che abbiamo un intesa. Ho
paura che dovrei andarmene adesso, sto facendo tardi. È
stato un piacere fare un patto con te».
Da
qualche parte sembra esserci una burla che Daniel non capisce. Lo
spiritello fa un inchino elaborato.
«Eppure
sono così dispiaciuto di venir privato
così presto della tua compagnia. Dimmi, tuo marito sente
terribilmente la tua mancanza quando sei via? Forse dovresti portarlo
la prossima volta. Ah… dimenticavo – sembra
esserci qualcosa che non va con la sua gamba, non è vero?
Sì, lo rammento, un incidente estremamente
spiacevole…» dice con un largo sorriso, unendo le
punte delle dita delle mani – e ride.
«Certo.
Un incidente. A quel tempo tu sembravi sapere molto
di quella disgrazia a quella caccia. Puramente casuale, ne sono sicura,
altrimenti non potrei mai perdonarti per aver menomato il mio caro
marito, come potrei?»
Lady
Cora gli si avvicina e gli offre una mano da baciare, cosa che il
folletto fa con galanteria più elaborata.
Ipnotizzato
dalla scena di fronte a lui, gli istinti di Daniel sembrano
spegnersi momentaneamente – non gli viene in mente di correre
per timore che Lady Cora possa imbattersi in lui. Lei prende la logica
via di casa, comunque, fortunatamente per lui, e scompare lungo il
sentiero dall’altra parte della radura. Un momento
più tardi, il folletto gira sui tacchi e…
svanisce nel nulla.
La
foresta attorno a lui è tranquilla. La testa di Daniel
ronza e brulica di pensieri. Più duramente cerca di tenersi
stretto alla scia di un pensiero tra la dozzina che gli corre in testa,
più prontamente il pensiero lo elude. Cos’ha a che
fare Lady Cora con quella strana creatura? Lo strano incidente di
Padron Henry… Nonostante le parole dette, gli è
sembrato che il folletto possa avere molto a che fare con esso, e che
Cora lo sappia perfettamente. Dove può aver conosciuto
Regina? E – scuote la testa – Regina deve sposarsi?
È troppo giovane per quel genere di cose! Certamente lui sa
che non sarà vero per molto tempo ancora; si sa di ragazze
più giovani che si sposano, le povere come le ricche. Lui
aggrotta la fronte a quel pensiero. In qualche modo, è
sicuro che neanche a Regina piacerà l’idea. In un
senso, quel pensiero lo fa tornare stranamente calmo.
Il
cinguettio vivace di un tordo bottaccio lo riporta alla
realtà. La radura sembra rianimarsi dopo che il misterioso
incontro è bell’e finito. Daniel torna in sella ed
esita per un momento – è più che
tentato di evitare la radura e di prendere la strada più
lunga. Prende un respiro profondo e la attraversa e si dirige verso
casa, trascorrendo l’intero viaggio perso nei pensieri.
«Regina»
inizia Daniel quella sera mentre siedono
su una balla di fieno dopo aver dato da mangiare ai cavalli. Si
è chiesto per un bel po’ di tempo come dirle di
ciò che ha visto, e poi se dirglielo o non farlo per niente.
Esita, al ché lei gli indirizza uno sguardo interrogativo.
«Tu sai cos’è successo alla gamba di tuo
padre?»
Regina
si acciglia lievemente e scrolla le spalle. Corre voce che sia
stato un brutto incidente, e il papà non si è mai
ripreso completamente dal dover rinunciare ad uno dei suoi passatempi
più cari. «Ad una battuta di caccia è
caduto da cavallo così malamente che non sono mai riusciti a
far tornare la sua gamba com’era prima. Lui dice che qualcosa
ha spaventato il cavallo. Un cinghiale o qualcosa del genere, non lo
so. È stato scaraventato a terra e si è ferito
gravemente. Non mi piace parlarne con lui perché lo rende
triste. Quindi questo è tutto ciò che
so».
Daniel
annuisce pensierosamente. «Oggi ho visto un
uomo» dice senza riflettere. «Be’, penso
fosse un uomo. Un uomo strano, con la pelle scagliosa…
e…» Esita, la parola “magia”
trattenuta all’ultimo momento, e guarda il viso curioso e
ignaro di Regina. «Penso di essermelo solo
immaginato» dice risolutamente.
Forse
sta facendo troppe storie per questo; non
c’è bisogno di creare un mostro quando non ce
n’è nessuno. Si mette comodo sulla balla e inizia,
proprio come Regina, a intrecciare gli steli di fieno in una sorta di
ghirlanda – qualcosa che ha tirato fuori Regina, e una
squisitezza che i cavalli trovano sorprendentemente vivificante.
Presto,
gli eventi del giorno gli sfuggono di mente. Ciò che
succede in una solitaria radura nella foresta non sono affari suoi, e
un incontro casuale come quello cosa potrebbe avere a che fare con loro
due?
Note della traduttrice:
E sono riuscita a tradurre anche questo :)
Ringrazio di cuore tutti quelli che seguono questa storia, in
particolare Calime,
che oltre ad averla aggiunta alle preferite e alle
seguite, mi lascia delle recensioni stupende, Alekatycat_98,
che
l’ha aggiunta alle preferite, nonché lulubellula
e
pepper
snixx heat che l’hanno aggiunta alle
seguite… Siete meravigliosi :’)
Ciò detto, fisso la data del prossimo aggiornamento a
giovedì 29 maggio, ma è
possibile che
sarà rimandata (in tal caso, inserirò poi la
nuova data nell’introduzione).
Au revoir!
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Capitolo 11 *** Many Happy Returns ***
Note dell’Autrice:
Yippee, questa volta un capitolo
più lungo come ho promesso! Preparatevi per un po’
di mamma Cora, un po’ di papà Henry, per un Daniel
confuso e una Regina delusa. TW: maltrattamento (pensate alla 1x18).
Capitolo
11
Many Happy Returns
«Girati…
No, non così» dice
Cora impazientemente. Agitata, Regina si volta e si mette di nuovo in
posa sullo sgabello per quella che sembra la milionesima volta. Non
un’altra prova d’abito, pensa ormai ogni
volta
che vede arrivare la sarta.
Malinconicamente, ripensa alla prima volta. Allora
era piena di
anticipazione, e di meraviglia: la sarta aveva portato pezze di tessuto
di una dozzina di colori e trame, pizzi e lavori
all’uncinetto e fiocchi, sciarpe, guanti, e scarpette. Lei
aveva selezionato e scelto e indicato, e tutti correvano per esaudire
ogni suo capriccio.
Ciò che era iniziato come divertente ed
eccitante, tuttavia,
presto si era trasformato in una prova. Il vestito dei suoi sogni non
è destinato ad essere realizzato: la mamma se ne
occuperà. Gradualmente, Cora ha preso il controllo di tutte
le decisioni, o abbastanza perché non faccia differenza. A
volte Regina è obbligata a stare sullo sgabello per ore
mentre Cora esamina ogni centimetro di stoffa e fa notare difetto dopo
difetto. Spille appuntite la pizzicano e la trafiggono senza
pietà mentre la mamma la gira e la volta rudemente,
abbaiando ordini alla sarta.
«Dovremmo fare lo strascico
più lungo»
dichiara. Questo riporta Regina alla realtà.
«Ma mamma» protesta lei,
«non
è abbastanza lungo? Sarà solo
d’intralcio».
«Sarà d’intralcio
per cosa, mia cara?
Terrai un ballo, non una qualche selvaggia gara di cavalli».
Lo scherno punge.
«Regina, per una volta nella tua vita,
comportati come una
lady. Suppongo che sarebbe troppo chiederti anche di pensare come tale.
Inoltre, è solo una lieve modifica che ho fatto. Un piccolo
miglioramento per il tuo modello».
Regina si morde la lingua. Un lieve miglioramento.
Tutti quelli sono
stati chiamati lievi miglioramenti dalla mamma. Eppure in qualche modo,
ad un certo punto, è diventato un vestito completamente
diverso. Non molto è rimasto delle idee di Regina.
«Dovremo cambiare anche il
collo» continua Cora,
facendo cenno alla sarta di avvicinarsi. «Un grande colletto,
direi. Ornato, cucito a mano».
«Un colletto?» prorompe Regina
incredula.
«Eravamo d’accordo per nessun colletto,
ricordi?» Questo è uno dei compromessi che Cora ha
fatto, una piccola vittoria che Regina è riuscita a
strappare dopo che sua madre ha praticamente ridisegnato
l’intero vestito che Regina aveva assemblato su carta.
Cora supera la sua pena con un gesto casuale della
mano. «Un
colletto darà al vestito un aspetto molto più
impressivo, vedrai. Tua madre sa quel che fa, cara».
«Non mi interessa se è
impressivo!»
grida Regina mentre lacrime di frustrazione le salgono agli occhi.
«Avrebbe dovuto essere mio.
Perché non ne indossi
tu uno col colletto e non mi lasci avere un vestito che piaccia a
me?»
Regina salta giù dallo sgabello e scappa
verso la porta. Prima che arrivi a metà della stanza,
però, uno scoppio di energia la colpisce, la avvolge, e le
fa perdere l’equilibrio. Lei si sente sollevare in aria. Le
sue mani si piegano in pugni di rabbia e, mentre si ferma a
mezz’aria, un colpo invisibile la fa girare e lei si ritrova
faccia a faccia con sua madre. Le sarte, registra, si sono ormai tutte
disperse.
«Non osare parlarmi così! Ti
comporti come una
bambina ostinata ed ingrata! Non sopporterò questa
insolenza! Tu avrai un vestito come si addice ad una regina, hai
capito?»
Regina lotta, sebbene nella propria mente sappia
che tutti i suoi
sforzi non servono a niente. «Madre» supplica.
«Io…»
«Non rispondermi» dice Cora
morbidamente, calma e
composta adesso, sorridendo – è al suo peggio.
Regina guarda, a rallentatore, le dita di sua madre contrarsi; un
momento di riconoscimento la colpisce prima che un paio di catene
appaiano dal nulla e si chiudano strettamente attorno a lei, facendola
respirare a stento. Lei sente la stoffa dell’abito finito a
metà tirarsi mentre la pelle cigolante la stringe
dolorosamente, e sente numerosi spilli perforarle la pelle.
«Mamma…!» ansima. Tutta
l’energia sembra colare fuori da lei. Non è
possibile resistere, lo sa, non è possibile combattere.
Abbassa lo sguardo sul volto di sua madre, sconfitta, rassegnata, e
amareggiata all’indescrivibile.
Cora le rivolge un sorriso con aria di sufficienza,
con aria
incoraggiante, attendendo. Regina sa che cosa si aspetta da lei.
Regina singhiozza. «Farò la
brava»
sussurra.
«Ecco la mia bambina», Cora le
concede un sorriso
radioso e la rilascia lentamente dalla sua presa magica.
Regina si strofina il braccio dolorante e
inghiottisce un altro
singhiozzo, pregando di venir congedata, senza osare dire una parola.
«Adesso puoi andare nella tua stanza.
Verrò a
prendere il vestito tra un momento e mi prenderò cura del
resto per te. Fa’ i tuoi compiti e non essere in ritardo per
il tè. Ricorda – una signora non perde mai il
tè».
Regina annuisce precipitosamente, e fugge con tutta
la
dignità che ha, che è molto poca. Adesso persino
il disprezzato cucito sarà una distrazione
benvenuta…
Daniel solleva del concime col forcone e lo lancia
sulla pila che
cresce. Le stalle devono essere abbastanza pulite da potervi mangiare,
secondo gli ordini di Lady Cora. Nobili ospiti arriveranno presto. Un
numero di box sono già stati approntati per ospitare una
manciata di cavalli dei pochi selezionati. Con la quantità
di lavoro extra che ha avuto nelle ultime settimane, ha a stento visto
Regina. In effetti, nessuno sembra averla vista molto, nemmeno nei
dintorni della casa. Probabilmente è impegnata a prepararsi
per la sua grande notte, riflette Daniel. Eppure, lei gli manca.
Pensa di sentire un fantasma di fastidio insinuarsi
nei suoi pensieri,
e lo respinge prima di avere la possibilità di capirne la
natura esatta. Preferisce non capirlo, è risoluto. Di sicuro
non è un buon pensiero. Potrebbe essere invidioso, o persino
pericoloso, in cui si coglie a desiderare, come normalmente non fa, di
essere di uno stato sociale più vicino a quello di Regina,
per essere parte di questo grande evento nella sua vita da cui un
giovane stalliere deve invece essere escluso. Potrebbe essere un
pensiero arrabbiato, un pensiero risentito perché lei lo sta
trascurando così facilmente. Perciò, è
meglio non permettersi di pensare simili pensieri. La sa più
lunga, dopotutto.
L’aria è fredda e grigia
più che calda
e colorata, nota lui mentre spinge fuori la carriola traboccante di
letame; un inizio uggioso d’inverno piuttosto che una
tavolozza calda d’autunno. Può l’autunno
essere stato tanto breve? Ci sono chiazze frondose di sparpagliati
tappeti oro e cremisi attraverso l’erba che si dirada, ma gli
alberi non hanno ancora perso metà dei loro mantelli
– alcuni infatti sono ancora vestiti prevalentemente di verde.
«Daniel», la voce di suo padre
arriva da dietro
l’angolo con una forte raffica di vento. «Pulisci i
finimenti dorati. Ma prima vieni ad aiutarmi con
l’aratro». I finimenti scintillanti e delicati
vengono fuori, il vecchio aratro rovinato dev’essere rimosso
dalla vista. Lady Cora
allestisce uno spettacolo, pensa Daniel mentre
tira e fatica fianco a fianco con suo padre. Edric ha riguadagnato
molta della sua forza dalla sua recente malattia, per il sollievo di
Daniel. La tosse non se n’è ancora andata del
tutto, ma gli attacchi sono cessati da molto tempo.
«Chi verrà al ballo, lo
sai?» chiede
Daniel casualmente, quasi volesse solo iniziare una conversazione.
Edric sbuffa ed ansima. «La
crème de la
crème, suppongo. Nessuno che abbiamo buone
probabilità di conoscere, in ogni caso».
«Sarò felice quando tutto
questo chiasso
sarà finito», Daniel si acciglia e si asciuga la
fronte su una manica.
«Ce ne saranno altri a seguire. La
stagione dei balli
è appena iniziata, figlio mio. Ne dai uno, presenzi ad una
dozzina di altri. Sospetto che Lady Cora vorrà partecipare e
fare da chaperon a sua figlia, ora che lei è abbastanza
grande. Adesso mettilo giù, posso occuparmene io.
Va’ a prenderti cura dei finimenti».
«Sei sicuro?» Daniel esita.
«Potresti
occuparti tu dei finimenti, ed io dell’aratro».
Edric gli rivolge uno sguardo strano, ed annuisce
con una punta di
tristezza. «Me la caverò. Ora vai».
I finimenti sono sottile oro lavorato,
così delicati che lui
teme di poterli rompere accidentalmente tra le proprie dita; una cosa
più di bellezza che pratica. Oro come le pagliuzze della
gatta randagia, che a loro volta gli ricordano gli occhi di sua madre.
È passato davanti alla randagia proprio questa mattina; gli
sembra leggermente meno scheletrica ogni giorno che passa da quando
Regina l’ha soccorsa dall’albero. Lei ha passato un
sacco di guai con Lady Cora a causa della cicatrice sul labbro che ha
guadagnato dagli artigli affilati della gatta terrorizzata. Daniel
sorride involontariamente. Cicatrici
di battaglia, riflette. Deve
ricordarsi di dirlo a Regina la prossima volta che la vedrà.
Regina guarda, il mento poggiato sul gomito sul
davanzale, la prima
carrozza avanzare e fermarsi all’ingresso principale
– gli ospiti stanno cominciando ad arrivare.
Un’ondata di eccitazione che aveva quasi dimenticato le
infiamma lo stomaco. Forse
non è ancora tutto perduto, pensa
sorpresa. Forse alla
fine posso ancora godermelo – il mio
primo vero ballo. Il papà esce dalla soglia con
la mamma
sottobraccio per accogliere gli arrivi. La fronte di Regina si corruga
molto lievemente – una parte di lei gioisce nel vedere i suoi
genitori andare d’accordo tanto per cambiare; una parte di
lei protesta contro la falsità di uno spettacolo che
allestiscono per amor degli ospiti. Daniel appare rapidamente e inizia
a staccare i cavalli per guidarli nei loro box temporanei. Una fitta di
desiderio la assale per il calore ed il conforto delle stalle, per il
nitrito familiare dei cavalli, e per la compagnia di Daniel. In
quell’esatto momento, comunque, il viso della mamma si volta
proprio verso la finestra da cui Regina sta sbirciando, e Regina
sussulta: dovrebbe essere impegnata a prepararsi.
Il vestito è disteso sul suo letto
– un grazioso
azzurro pervinca. È
del colore che volevo, si dice lei
mentre chiude la porta dietro di sé, ansimando lievemente
per lo scatto. Avrà bisogno di qualcuno che la aiuti ad
entrarci, ma può comodamente iniziare per conto proprio.
Anche le scarpe giacciono in attesa ai piedi del letto, dello stesso
azzurro del vestito, e ricamate d’oro. Regina sospira mentre
si passa cautamente il vestito sopra la testa. Il tessuto prude e
pizzica all’interno a causa dell’inamidatura usata
per il desiderio di sua madre di far sì che il vestito
mantenga meglio la sua forma. Il colletto, riccamente ricamato con
gemme e fili d’oro, grava pesantemente sul suo collo e sulle
sue spalle. Anche le scarpe sembrano troppo strette – e sono
state fatte su misura. Posso
farcela, si dice lei, sono
solo un paio
d’ore. E la prossima volta, avrò il vestito che
voglio io,
se questa sera mi comporto bene – la mamma lo ha
promesso. E domani, potrò finalmente andare a cavalcare di
nuovo, con dei vestiti normali, e parlare di molto più che
di gonne e gioielli e balli.
L’acconciatrice arriva, scortata da una
mamma impaziente ed
infuriata. Salta fuori che i cavalli degli ospiti non sono esattamente
tolleranti verso gli stranieri e alle stalle i guai erano in vista
prima che Edric e Daniel li spostassero negli ultimi box e mettessero
una distanza tra loro e gli altri cavalli. Regina siede pazientemente e
lascia che la donna faccia qualsiasi cosa voglia coi suoi capelli;
è meglio non versare olio sul fuoco. La pettinatura, come
avrebbe potuto aspettarsi, è elaborata e dotata di dozzine
di spilli, molti dei quali tirano e la pizzicano fastidiosamente, ma
lei continua a non dire una parola.
La mamma congeda l’acconciatrice e si
assume lei stessa la
responsabilità del corsetto di Regina. Lo lega stretto,
così stretto che a Regina l’aria viene strappata.
Lei trattiene un ansito e si costringe invece a prendere respiri veloci
e poco profondi.
«Rimani ferma» ordina la mamma
mentre lega il
fiocco e aggiusta le pieghe della gonna. «Fa’ una
piroetta per me». Regina fa una piroetta. «E
sorridi, per amor del cielo. È il tuo gran giorno!»
Regina riesce a fare un sorriso forzato.
È più
vicina alle lacrime di quanto non la sia mai stata negli ultimi giorni
e non è nemmeno sicura del perché.
«È sufficiente. Immagino che
tu sia solo un
po’ nervosa. Be’, questo è normale.
Passerà. Non devo rammentarti di ricordare le buone maniere
adesso, vero?»
Lei scuote la testa con veemenza. «No,
mamma».
«Molto bene. Il giovane principe James e
suo padre dovrebbero
arrivare a momenti. Ti farò chiamare e farò le
presentazioni. Il principe James ti terrà compagnia per la
maggior parte della serata. Mi aspetto che tu ti comporti come una
signora e non mandi tutto all’aria».
Regina annuisce docilmente.
«Sì, mamma».
Forse questo principe James si rivelerà essere una compagnia
piacevole, chi lo sa? Di certo lei lo spera.
Quando la mamma se ne va, Regina si siede sul bordo
del letto con la
massima attenzione, così da non rovinare la gonna. Un
momento più tardi, qualcuno bussa alla porta, e il
papà entra. L’espressione sfinita sul suo viso
viene sostituita da un sorriso quando lui la vede, ma è
troppo tardi – lei lo ha già notato.
«Papà» sorride
timidamente.
«Guarda… non sembro affatto io, vero?»
Fa segno al proprio aspetto.
«Sei bellissima in qualsiasi modo, cara.
Quanto sei cresciuta
velocemente» dice lui e lei ha l’impressione che i
suoi occhi luccichino d’umidità.
«Volevo darti qualcosa. Per il tuo
compleanno».
«Ma… avrò un ballo.
Pensavo non ci
sarebbe stato nient’altro».
«Tua madre ti dà il ballo. Io
ti do
questo». Le porge una vellutata scatolina per gioielli.
«Avanti, aprila. Spero ti piaccia».
Curiosa e di nuovo positivamente eccitata, Regina
la prende e solleva
il coperchio. L’interno è di seta azzurro chiaro,
è c’è un piccolo medaglione dorato
poggiato lì sopra, dalla forma di un albero. «Un
melo» esala lei. Gli occhi del papà brillano.
«Grazie, papà!» Si abbracciano
goffamente, intralciati dal vestito pesante.
«Mettimela» lo esorta lei.
«Hai già una
collana» le ricorda lui; e
infatti, è un pesante gioiello di zaffiro che la mamma ha
fatto fare appositamente per accompagnare il vestito.
«Non importa» dice lei.
«Terrò
questa».
Dopo un momento di esitazione, il papà
si arrende, e i
fastidiosi zaffiri vengono sostituiti dalla semplice catenella dorata.
«Molto meglio» sorride lei.
La porta si spalanca e una servitrice sconvolta
entra con passo
malfermo per informare Regina che adesso è attesa nella sala
ballo.
L’aria è pesante di profumo e
vino, chiacchiere e
pettegolezzi, danze e festeggiamenti. La testa di Regina gira
– una macchia di colore continua a lampeggiare dentro e fuori
dalla sua vista mentre lei piroetta per la pista da ballo. La sua mano
è sudata attorno al pugno dello strascico che sta stringendo
per evitare che lei o chiunque altro ci inciampi. Lei realizza con
imbarazzo che l’altra mano, posata su quella del principe,
deve essere nelle stesse condizioni, e si domanda se questo
sarà considerata cattiva etichetta. Lei coglie uno scorcio
di cremisi e distoglie rapidamente lo sguardo. Il sorriso che si
costringe a rivolgere al suo ballerino porta uno sguardo molto
compiaciuto sul volto di lui, malgrado ciò che in
realtà si trova alla radice.
Il principe James è abbastanza bello. Le
sue maniere sono
impeccabili, proprio come la mamma le ha sussurrato
nell’orecchio in un momento rubato dopo che sono stati
presentati. Lui è probabilmente una persona da fiabe, il
tipo che le ragazzine sognano. E chiaramente lo sa. La confidenza con
cui cammina impettito rende Regina imbarazzata e un po’
invidiosa allo stesso tempo. Mentre la notte continua, però,
la quieta invidia svanisce, e un lieve fastidio prende il suo posto.
«Milady», il principe le
rivolge un inchino quando
la musica cessa. Regina ricambia l’inchino con la massima
grazia; in effetti è piuttosto felice della propria
performance questa sera. Se non fosse per il tradimento dei suoi palmi
appiccicaticci, tutto starebbe filando liscio. «Posso
accompagnarvi al tavolo?» James le offre il braccio coperto
di seta.
«Sì, vi ringrazio»
concede lei. Tutti
gli ospiti liberano la strada per loro mentre lui la guida al capo del
tavolo.
«Vino per milady!» grida lui ad
una domestica
quando loro si sono a stento seduti.
Regina copre il suo calice per fermare il flusso
del liquido rosso.
«Basta per me, grazie» dice.
Il principe sembra sconcertato per un momento ma il
suo sorriso a denti
bianchi riappare quasi immediatamente. «La mia signora
preferirebbe un po’ di torta?»
«N…» inizia lei, ma
la torta le si
materializza davanti prima che possa finire. A lei piace la
crostata, non la torta… Rassegnata, prende la forchetta.
«Ho sentito che suonate il piano
meravigliosamente, milady.
Forse più tardi mi concederete il piacere di sentirvi
suonare?»
Lo stomaco di Regina sprofonda. La prospettiva di
suonare di fronte a
così tante persone non la attrae nemmeno un po’.
Una singola nota mancante le farebbe guadagnare vergogna agli occhi
della mamma…
Quasi si soffoca con la torta quando la voce della
mamma interviene da
dietro: «Lo farà con piacere, caro principe. Non
è vero, Regina cara?»
«Sì, mamma» replica
Regina,
intrappolata, a testa bassa. «Lo farò».
«Splendido» dice James con un
sorriso vincente. La
forchetta di Regina sbatte contro il piatto di porcellana. La torta non
finita scompare prontamente.
I musicisti iniziano a suonare di nuovo. James si
guarda attorno in
modo indagatore. Qualche coppia si raccoglie sulla pista da ballo e
molte altre stanno lanciando loro delle occhiate – Regina
può sentire gli occhi su se stessa. James li ripaga con uno
sguardo condiscendente. «Tutta la stanza attende vossignoria.
Credo che la pista manchi di fascino senza di voi, milady. Posso avere
l’onore?»
Sono solo parole vuote, le manda la sua mente senza
preavviso.
È tutto solo uno spettacolo. Lui sta facendo il principe,
allo stesso modo in cui lei sta interpretando la giovane lady perfetta.
Sarebbe uguale con
chiunque altro, non gli importa di me. Non sa niente
di me e non gli importa. Non significa niente.
«Preferirei restare seduta durante
questa, vostra altezza. Se
non vi dispiace» aggiunge, eseguendo il rifiuto
più educato a cui riesce a pensare.
«Regina!» butta fuori la mamma,
scandalizzata.
«Sicuramente non intendevi rifiutare questo onore?»
Il principe sbuffa alle sue parole.
«Nessuna offesa, Lady
Cora. Sono sicuro che milady intendesse dire che è un
po’ stanca per tutto il danzare», agita una mano
benevolente. Regina fissa dalla mamma al principe. Tutti sembrano avere
più peso di lei in ciò che vuole e sente e di cui
ha bisogno. «Forse una piccola camminata nel giardino farebbe
più al caso vostro». Lui si alza e le offre il
braccio. «Il piacere sarà mio».
Regina non vede via d’uscita se non vuole
attirare la rabbia
della mamma e il risentimento del principe su di sé.
«Il piacere è mio» recita.
«Siete gentilissimo». Senza guardare la mamma
neanche una volta, si lascia guidare all’esterno.
«I miei complimenti per lo splendido
ballo che avete
organizzato» dice il principe mentre camminano fuori sul
terrazzo.
«A mia madre farà piacere
sentirlo, Vostra
Altezza» replica Regina. Dovresti
dirlo a lei, non a me. Non
significa niente per me, realizza con una lieve sorpresa. È
la mamma che desidera ardentemente la tua approvazione.
Lei cerca febbrilmente un argomento più
di suo gradimento.
Dopotutto deve esserci di sicuro una persona sotto quella maschera
principesca, se solo lei cercasse di conoscerlo meglio. «Ho
sentito che le stalle reali contengano più di una centinaia
di cavalli» osserva lei.
«Più di questo»
replica James
vanitosamente mentre oltrepassano la fontana mormorante. «E
sono i migliori di tutta la terra. Ma non voglio annoiarvi con
chiacchiere da uomini. Sicuramente ci sono argomenti più
appropriati».
«Oh no» esclama Regina.
«Io amo i
cavalli!»
Il principe inclina la testa curiosamente.
«Davvero?
Be’, credo che i cavalli debbano sembrare abbastanza carini
da guardare».
Qualcosa nel suo tono la irrita lievemente ma il
rapimento è
ancora più forte. «L’aspetto non
è la loro parte migliore. Sono animali nobili, indipendenti,
ma leali se prendi il tempo di stabilire un legame. Cavalcare rafforza
il corpo e risolleva lo spirito», si trova a ripetere le
parole che una volta ha sentito dal padre di Daniel.
«Be’… penso sia
vero. Per noi possono essere un
passatempo bello a sufficienza, specialmente quando si caccia.
Ma neanche questo è un argomento appropriato per una lady.
Non annoiamo milady con questo. È il vostro compleanno;
siete voi che dovete essere adulata e lusingata con argomenti che vi
siano cari. Dimenticate gli interessi principeschi, milady».
Ma i
cavalli mi sono cari, grida lei nel profondo. Non dice
niente,
comunque.
«Vi piacerebbe sedervi vicino alla
fontana per un
po’, milady?»
«Per favore, chiamatemi
Regina», lei alza
speranzosamente lo sguardo su di lui. Solo questa notte è
stata chiamata “milady” più volte di
quante ne vorrebbe sentire in una vita intera.
«Ho paura di non aver ancora guadagnato
questo privilegio,
milady» risponde lui e la guarda quasi pietosamente
– come se stesse cercando di coprire un passo falso che lei
ha commesso nella sua ignoranza. Lei deglutisce ed emette un piccolo
sospiro. Questo non porterà da nessuna parte. Siedono in
silenzio finché Regina non può più
sopportarlo e chiede se può essere scortata di nuovo al
salone da ballo.
Almeno danzare richiede da scarsa a nulla
conversazione. Adesso lei vi
trova una certa consolazione, cede ai propri pensieri erranti, e si
permette di essere guidata in un turbinio di colore e al ritmo della
musica, dimentica di tutto.
Arriva il tempo perché i regali vengano
consegnati. Molti di
loro dovranno essere scartati più tardi in privato, e tanti
saranno collane, orecchini, ventagli, eccetera. Il principe, comunque,
l’ospite d’onore, è una questione
diversa. Tutti gli occhi sono su di lei mentre lui le porge
cerimoniosamente un grosso pacco rotondo. Regina sa quello che deve
fare. Accetta il pacco con parole di ringraziamento adornate con le
più eleganti cortesie, e si prepara per quello che deve
arrivare.
Non le rimangono illusioni dopo quel guaio di
conversazione nel
giardino; senza dubbio questo non sarà un regalo di suo
gusto. O il principe non si è preso il disturbo di scoprire
niente su di lei, o la mamma lo ha male informato come considerava
appropriato. Le sue paure vengono confermate quando i contenuti del
pacco sono rivelati: una tiara ornata, bella oltre ogni dubbio deve
concederlo… ed un set da cucito di lussuose decorazioni,
cornici dorate, fine tessuto setoso, fili d’oro e
d’argento e di seta, aghi dorati con delle perline in cima.
Gli occhi di Regina traboccano di lacrime. Lei farfuglia qualche altra
parola di ringraziamento e fa appello ad un sorriso a metà
prima di scusarsi e fuggire dalla stanza.
La discussione che segue quando l’ultimo
ospite se
n’è andato è uno delle peggiori che
ricorda – se non la peggiore.
«Cosa pensavi di fare? Non hai
autocontrollo? Tu sciocca,
sciocca bambina!»
«Ma mamma!» Lei emette un
singhiozzo strozzato.
«Ho fatto tutto quello che hai chiesto. Tutto quello che
voleva il principe. Ho persino suonato il pianoforte! Ho finto di
essere la lady perfetta che tu volevi che io fossi, sono
stata… brava» finisce con la voce che si spezza.
«Hai finto di essere una lady?
Perché non puoi
semplicemente esserne una? Perché dovresti rifiutare una
danza al principe? Ogni altra ragazza avrebbe dato metà
della sua vita per danzare con lui!»
«Be’ allora lascia che lo
facciano!»
sbotta Regina. «Comunque non gli importa con chi danza. Non
gli importa niente di me. Non gli importa chi sono, come sono,
lui…»
«Perché dovrebbe importargli?
Importa chi sei
adesso? Potresti essere regina! Non capisci cosa significa
questo?»
«Se significa vivere la mia vita intera
in una mascherata
come stanotte, non voglio niente di tutto ciò. Io voglio
essere me stessa, voglio essere libera, e avere persone a cui piaccio
perché sono io, non perché sono una lady o una
regina. Odio quanto pretenziosi erano tutti, stanotte. Facendo oh e
sospirando per il mio vestito, i miei capelli, le mie scarpe
– persino per il pezzo al piano che ho fatto male. Ho odiato
tutto, non voglio niente di questo!»
«Tu stupida ragazza! Non osare dirlo
un’altra
volta, mai, mi hai sentito? E non osare piangere, mai di fronte al
principe! Grazie al cielo ha preso la tua stupidità per
adorabile emotività davanti alla preziosità del
suo regalo. Ma la prossima volta potresti non essere così
fortunata. Quindi sii più furba!»
«La prossima
volta…?» dice Regina
raucamente mentre le lacrime le rigano le guance e il davanti
dell’abito da sera.
«Pensavi fosse tutto qui? Certo che ci
sarà altro,
sarebbe considerato inappropriato per il principe farti una proposta di
matrimonio dopo il vostro primo incontro. Anche se avevo delle
speranze… se tu fossi stata affascinante a sufficienza. Ma
questo ovviamente non era caso».
«P-proposta?» sussurra Regina,
ad occhi spalancati.
«Oh, Regina. Accettalo. Ho sempre avuto
intenzione di farti
sposare un principe. È così che nascono le
regine. Adesso svestiti e va’ a letto. Riprenderemo la
conversazione domani mattina. Puoi andare nella tua stanza».
Tutto ciò che Regina può fare
è
controllarsi sulla via per la sua stanza. Le lacrime impregnano le sue
ciglia e deve essere solo per miracolo che non straripano. Le sue
falcate sono veloci e lunghe, la sua testa è tenuta alta; ma
lei sa che la sua faccia non ingannerebbe nessuno. Lotta per reprimere
un singhiozzo ma alla fine le sfugge comunque dalla gola. Ora fuori
portata d’orecchio, lei inizia a correre.
Solo quando la porta le sbatte dietro lei si
arrende alle lacrime: la
rabbia e il dolore sanno d’amaro e di sale insieme. Prima che
lei sappia cosa sta facendo, un pugno serrato atterra sulla porta con
un colpo sonoro. Segue l’altro, e ancora il primo, e ancora,
e ancora. Nessuno sente, nessuno arriva. Regina continua a picchiare
contro la porta in un attacco di rabbia, finché le sue
lacrime sembrano esaurirsi e nelle sue braccia non
c’è più forza rimasta. Allora si lancia
sul letto, completamente vestita, e fissa il soffitto.
Non è il disegno bluastro che vede
però; invece,
immagini della serata si inseguono nello sfondo della sua mente. Il
principe e suo padre il re, intento a guardarla dall’alto al
basso e ad annuire la sua approvazione verso la mamma dopo che Regina
era entrata nella stanza. Tutti gli occhi su di lei mentre pronuncia il
preparato discorso di benvenuto ed apre le danze. Il primo ballo, un
po’ goffo all’inizio ma appropriatamente aggraziato
dopo che la prima tensione è stata scrollata via. La mamma
che la rimprovera in privato per aver rimpiazzato gli splendidi zaffiri
con un semplice medaglione. Il sapore dolciastro della torta e i tasti
freddi del pianoforte sotto le sue dita. Le chiacchiere, le vuote
cortesie che non cambiano mai, i complimenti per il suo aspetto e per
la fortuna di avere il principe in persona come partner. Il principe,
una persona da fiaba, eppure un contenitore vuoto simile al resto di
questa farsa chiamata la sua festa di compleanno, galante ma senza
empatia, cortese ma senza emozione, volto a compiacere ma senza un
grano di reale interesse per lei.
Mi
piacciono le crostate, non le torte. I cavalli, non il cucito. La
vita, non la prigione della mascherata sociale. Gli stallieri, non i
principi. Perché non capiscono? Voglio essere me stessa, ma
sembra che a loro importi solo di Regina la recita, Regina la lady.
Regina la figlia obbediente, che non è mai abbastanza brava.
Eppure tutto ciò che io voglio essere
è… Regina.
Si obbliga ad alzarsi con un sospiro e inizia a
rimuovere le tante
parti del proprio vestito elaborato. Respira più liberamente
non appena il corsetto è sparito, e una parte considerevole
del suo mal di testa sembra ritirarsi mentre lei si scioglie i capelli.
Lascia il medaglione per ultimo. Si ferma col gancio aperto. Prendendo
una decisione dopo un momento, ci vuole un altro po’
perché lei riesca a chiuderlo di nuovo – il
medaglione resta. La sua camicia da notte, ampia e morbida contro la
sua pelle, non è mai stata più confortevole di
adesso. Lei tira indietro le coperte con sollievo e si ferma a
metà dell’azione.
Un libro giace appena sotto il suo cuscino a faccia
in giù.
Quando lei lo raccoglie, un biglietto piegato cade dalle pagine. Lei lo
apre impazientemente. Dice: Un
trotto leggero è una cura
– molto di più. Godilo. Buon compleanno dal tuo
amico. Sorridendo per quella che sembra la prima volta in
quel giorno,
Regina gira il libro per leggere il titolo: Sull’equitazione,
dice. Lei si trascina nel letto, si tira le coperte sopra la testa, e
si appisola con le braccia piegate attorno al libro e un lieve sorriso
sulle labbra.
NdT:
Capitolo più lungo davvero! Spero che vi sia piaciuto =)
Fare distinzione tra torta e crostata è l’unico modo che ho trovato per rendere la
differenza tra cake e pie... Oh, be’.
Se riesco, vedrò di finire il
prossimo capitolo per
martedì 17, ma è probabile che
dovrò
rimandare di nuovo l’aggiornamento…
Comunque sia, alla prossima!
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Capitolo 12 *** The Place of No Return ***
Note dell’Autrice:
A tutti voi che seguite
dall’inizio o che vi siete aggiunti solo recentemente
– grazie per leggere! Abbiamo raggiunto una svolta
più cupa della storia.
TRIGGER WARNING: morte.
Capitolo 12
The
Place of No Return
Il giorno seguente, il fiasco del
ballo grava pesantemente sul cuore di
Regina. Lei si sveglia alle prime luci ma tiene gli occhi saldamente
serrati nella speranza di evitare questo nuovo giorno il più
a lungo possibile; non è pronta per un altro sfogo
dell’ira della mamma. Mentre rotola sul fianco per nascondere
il viso dalla luce del sole che sorge, urta il libro che le
è caduto dalle mani durante la notte.
Sull’equitazione.
Senza dubbio la cosa migliore del giorno
precedente, ed è tutto grazie a Daniel. Regina lo guarda di
traverso, ancora riluttante a svegliarsi completamente ma comunque
sorridendo alla vista dell’enorme tomo. Che il principe James
si tenga i suoi aghi ingioiellati e i suoi telai da cucito, e gli
ospiti tutti i loro abbigliamenti costosamente sfarzosi; Daniel le ha
dato qualcosa che è veramente suo, perché lui la
conosce, e ci tiene. Cosa importano tutti i doni dispendiosi se sono
solo fredde cortesie?
Solo
allora lei realizza un’altra cosa riguardo il regalo di
Daniel. I libri sono costosi. Forse non per i principi, che dilapidano
denaro in tiare lussuose e non sentono mai la mancanza di un soldo, ma
per uno stalliere, un libro come quello che lei sta sbirciando
è un’impresa stravagante. Lui deve aver
risparmiato per secoli. Tutt’a un tratto lei non ha
più voglia di ritardare il giorno.
Regina
scalcia via le coperte ed esce in fretta dal suo letto caldo.
Spalanca la finestra, come si è abituata a fare
d’estate. Una folata di vento freddo la colpisce forte in
faccia, e lei fa forza sulla finestra per chiuderla di nuovo. Afferra
d’impulso un mantello da un gancio e lo getta sul letto
così da non dimenticarlo più avanti, e rovista in
un cesto alla ricerca di un paio di calze e di un abito caldo.
Daniel
sarà già alzato, riflette mentre esce
furtivamente dalla porta sul retro. I domestici sono già
impegnati, certo, ma i suoi genitori sono sicuramente profondamente
addormentati. Lei va dritta alle stalle.
«Daniel?»
chiama dalla porta.
«Edric?» Non c’è risposta
all’infuori del nitrito di una coppia di cavalli. Lei
riconosce il proprio in un battito di cuore. «Buon giorno,
Ronzinante» dice e corre avanti per dargli un abbraccio
affettuoso. Guardandosi attorno, nota un’altra cosa strana
– non solo Daniel non è lì ma tutto il
lavoro del mattino sembra essere già stato fatto.
«Persino Daniel non si sveglia così
presto» si rivolge a Ronzinante. «Mi chiedo quando
fosse qui, e perché la fretta?» Ronzinante la
guarda seriamente e strofina il muso contro le sue mani. «Non
importa». Lei gli sorride. «Lo scoprirò
per conto mio».
La
casetta è ad una distanza abbastanza breve da essere
attraversata rapidamente. Il sole è appena sbucato
dall’orizzonte quando lei bussa alla porta. Aspetta una
risposta ma non ne arriva nessuna, così spinge la porta
cautamente, chiedendosi se questa volta può aprirla senza
che cigoli. Salta fuori che può, e lei si congratula con se
stessa per la propria impresa. La stanza sembra vuota. Il letto enorme
che una volta è stato sistemato temporaneamente
lì nel corso della malattia di Edric è stato
ovviamente fatto tornare nell’altra stanza, e al suo posto
c’è un tavolo grossolanamente inciso e tre sedie.
«Ehi?»
sussurra lei istintivamente.
«Regina».
La voce, poco più di un
gracidio, viene da un angolo accanto alla finestra. La sorprende per
una frazione di secondo. È lo stesso angolo in cui lei e
Daniel sono stati seduti in una notte cruciale, dando medicine a suo
padre e parlandosi l’un l’altra dei propri
genitori. Una figura scura è seduta su una sedia vicino alla
finestra, intenta a fissare in lontananza.
«Daniel!»
Lui non si muove, non gira nemmeno la
testa per guardarla. «Non mi hai vista arrivare?»
«Sì…
sì, ti ho
vista». La risposta arriva dopo un po’ e
apparentemente da una grande e spaventosa profondità.
Allora
perché non ha risposto quando lei ha bussato? Non
sembra neanche volerla vedere. Quella fredda accoglienza taglia
profondamente. «Volevo ringraziarti per il libro»
dice comunque lei alla schiena di Daniel. «È senza
dubbio la cosa migliore di ieri. Daniel, ho avuto una giornata
orribile, non puoi neanche immaginare che scocciatura è
stata questo ballo… Perché non dici
niente?» Non c’è proprio risposta;
è come se Daniel non avesse neanche sentito. La faccia di
Regina brucia. «Vuoi che me ne vada?»
«No.
Non andare. Per favore».
Finalmente
Daniel si gira. Un raggio di luce cade proprio sul suo viso,
tracciando i suoi lineamenti affilati e chiari; gli occhi vuoti, le
labbra morsicate, le guance incavate. C’è una
floscezza nelle sue spalle che Regina non ha mai visto, e i suoi
capelli sono spettinati. Un brivido corre lungo la spina dorsale di
Regina. Lei si precipita su Daniel, lo afferra per le spalle, e lo
guarda dritto in faccia.
«Daniel,
cosa c’è che non va?
Cos’è successo? Sei malato?»
Le
labbra di Daniel si piegano in una smorfia contorta,
poiché niente è mai stato più diverso
da un sorriso. «No, Regina, non si tratta di me»
dice lui quietamente, e finalmente i suoi occhi recuperano un
po’ di concentrazione mentre ricambia seriamente il suo
sguardo. «Si tratta di mio padre».
Per
un po’, Regina rimane senza parole. Vuole obiettare,
vuole dirgli che è solo un’altra ricaduta come
quelle di prima, che lei prenderà più zafferano o
qualsiasi altra cosa di cui Edric possa aver bisogno per ristabilirsi
velocemente. Ma proprio allora, guardando dritto in quegli occhi, sa
che niente di questo ha più importanza.
«È…»
inizia con voce tremula
e lascia la domanda ad aleggiare nell’aria.
«Non
ancora». Lui scuote la testa.
«Ma… potrebbe succedere da un momento
all’altro».
«Daniel…»
Lei esala un respiro. I suoi
occhi pizzicano molto. Sii
forte per lui adesso, le dice una voce
interiore, nel modo in
cui lui è sempre stato forte per te.
Lei caccia indietro le lacrime e inghiottisce l’amarezza che
le si sta raccogliendo in gola.
«Il
dottore… è dentro con lui
– per togliere il peggio del dolore. Mi lascerà
parlare di nuovo con lui più tardi se il
papà… se se la sente». Lui la fissa
negli occhi come se stesse cercando una risposta a una qualche domanda
misteriosa conosciuta soltanto – o forse nemmeno –
da lui. I suoi occhi sono asciutti; lei può vedere che sta
cercando di essere forte. Forse non dovrebbe.
«Io
rimango qui» gli dice, senza mai rompere il
contatto visivo, come se stesse parlando ad un bambino piccolo.
«Starò qui tutto il tempo, va bene?»
Daniel
appoggia le mani su quelle di lei mentre ancora giacciono sulle
sue spalle, e le stringe leggermente.
«Va
bene» mormora. Per la sorpresa di lei, si alza
e prende una sedia per lei, sistemandola direttamente di fianco alla
sua accanto alla finestra. Sembra un po’ più calmo
quando torna a sedersi vicino a lei.
«Mi
dispiace per il ballo» dice dopo un momento di
silenzio. Regina si sente incredibilmente sciocca.
«Non
è importante» dice miseramente.
«Non avrei dovuto dire niente, sono stata stupida ad essermi
lamentata di uno sciocco ballo quando tu…»
«Non
lo sapevi» la interrompe lui, «e non
sei stupida. Inoltre, penso… preferirei comunque parlare di
qualcos’altro invece che di papà per un
momento».
Quella
sembra una buona idea. Eppure lei non può
semplicemente spingersi a preoccuparsi di qualcosa di blasé
come un ballo in un momento come questo. Fortunatamente, non deve
cercare a lungo un argomento più adeguato.
«Non
del ballo» gli dice. «Ma parliamo
del libro. Ho solo guardato la copertina» ammette,
«ma sembra proprio meraviglioso. Proprio il genere di regalo
per me. Quindi… grazie». Sorride cautamente
– un sorriso sembra inappropriato nel presente contesto
eppure necessario in relazione al libro,
Sorprendentemente,
Daniel sorride di rimando – solo un
sorriso piccolo, certo, ma comunque un vero sorriso. «Sapevo
che lo avresti amato. Aspetta di iniziare a leggerlo veramente
– le immagini sono bellissime, e chiunque lo abbia scritto
era un maestro nel suo mestiere. Vedrai».
Lei
annuisce, e una debole eco di felicità volteggia nel suo
stomaco a dispetto della tetra situazione. Eppure – osa
chiederglielo, o lui lo troverà insultante?
«Daniel,
è il regalo più meraviglioso
in assoluto, ma voglio che tu capisca… Non ha importanza
quello che mi dai, lo apprezzerò sempre. Non deve essere
nulla di grosso». Lo guarda nervosamente in attesa della sua
reazione.
Il
suo viso si oscura un po’ e all’inizio lui non
dice nulla. Poi, per il sollievo di Regina, il cipiglio si solleva
dalla sua fronte, anche se la sua replica rimane solenne. «So
che sei benintenzionata. Ma non preoccuparti per me; mi
prenderò cura di me stesso».
Lei
lo scruta ansiosamente. Daniel continua con maggior urgenza:
«Tu sei mia amica e te lo meriti. Tutto quel che voglio
sapere è che ti porta gioia».
Il
cuore di lei manca un battito alle sue parole. Nessuno mi ha mai
detto niente di simile finora. Come in replica al pensiero
inespresso,
Daniel le prende la mano e la stringe. Lei combatte di nuovo le
lacrime, e alla fine riesce a dire: «È
così. Sarà così. Io… ti
ringrazio».
Per
un po’ questo è tutto ciò che deve
essere detto.
È
Daniel che alla fine spezza di nuovo il silenzio:
«Andremo presto a cavalcare, non è
vero?» La tristezza è tornata ad insinuarsi nella
sua voce.
«Certo»
concorda lei, chiedendosi perché
lui debba anche solo porre una simile domanda, e decidendo che
è probabilmente per spingere i pensieri più cupi
fuori dalla sua mente. Così lei si sforza di continuare la
conversazione, o almeno l’illusione di essa.
«Ronzinante ti saluta. L’ho visto alle stalle prima
di venire».
Daniel
è proprio sul punto di parlare quando un rumore forte
e sordo lo interruppe dalla stanza vicina – come se qualcosa
fosse caduto sul pavimento. Gli occhi di entrambi schizzano
automaticamente alla porta ma essa rimane chiusa. Regina guarda Daniel
furtivamente. Lui fissa immobile la porta con un’espressione
vacante sul volto – la stessa che indossava quando lei
è arrivata. Lei non pensa che ci saranno altre conversazioni
casuali, non ce ne sarà nemmeno l’illusione.
«Daniel?»
Almeno adesso la sua voce viene
registrata e lui si gira per guardarla. Scuote la testa miseramente e
mima una parola silenziosa che lei legge come
“scusa”. «Va bene. Starò
semplicemente seduta con te, d’accordo?»
Il
tempo procede lentamente con insopportabile immobilità.
Daniel fissa fuori dalla finestra senza batter ciglio per il resto
della mattina. Non potrebbe dire cosa c’è
all’esterno nemmeno se la sua vita dipendesse da questo.
Regina siede vicino a lui proprio come ha promesso, tenendolo per mano.
Nessuno di loro due cerca di forzare una conversazione. Dopo quel primo
rumore, niente sembra muoversi nella stanza accanto a loro.
Regina
passa dallo sbirciare fuori dalla finestra al contemplare il
contenuto della stanza. Per lo più, però,
continua a lanciare occhiate al viso di Daniel, cercando
un’emozione, un mutamento d’espressione, o persino
un cambiamento di posizione. Ogni volta che guarda, la stanza sembra
esattamente la stessa di prima: gli scaffali con la scorta di cibo ed
erbe e utensili di cucina, il tavolo grezzo e le sedie, il caminetto
con il fuoco quasi spento. Ogni volta che guarda, il viso di Daniel
sembra lo stesso di prima: vacante, distante, e torturato. Le sembra
che il tempo debba essersi congelato nella casetta. Solo fuori scorre e
porta cambiamento: il cielo è diventato scuro, per esempio,
e l’erba è costantemente arruffata dal vento.
Regina rabbrividisce. Ci vuole un po’ prima che si renda
conto che è una risposta al caminetto che si raffredda
più che la memoria del vento mattutino che si alza. Si
chiede se anche Daniel abbia freddo, e se sarebbe imbarazzante alzarsi
per fare un fuoco appropriato. In qualche modo sembra triviale, e lei
rimane seduta, lievemente vergognosa.
Il padre di Daniel sta morendo,
pensa. Edric sta morendo.
Rigira
timorosamente quell’idea ancora e ancora, esaminandola da
ogni lato, e lentamente la lascia penetrare. Sembra così
assurdo, così incredibile. Eppure incombe sopra di loro
proprio ora, e Daniel dice che è una cosa certa, e non solo
lei gli crede ma ne sente anche la verità nello stomaco. Era
così gentile con me, sempre, e mi ha aiutata quando volevo
cavalcare, e mi ha aiutata a guarire dopo la mia malattia. Vorrei
poterlo aiutare, ora. Vorrei poter aiutare Daniel. Cosa farà
quando suo padre non ci sarà più?
Nonostante
tutti i loro difetti e i loro problemi, Regina non riesce a immaginare
cosa farebbe senza i suoi genitori – entrambi. E Daniel ha
già perso sua madre e la sua sorellina, gli è
rimasto solo suo padre. Gli occhi di lei si riempiono di lacrime al
pensiero. Non devo,
si dice. Non devo
piangere, devo essere qui per
Daniel. Non piangerò. E di sicuro non ho freddo.
«Regina…?»
Lei trasale lievemente, tanto
inaspettato arriva il sussurro di lui.
«Sì?»
«Faresti
qualcosa per me?» Lui si ferma bruscamente.
«Sì,
naturalmente, è per questo che
sono qui. Dimmi solo cosa devo fare».
«No,
dimenticalo. Non posso, non è
giusto».
«Cosa
non è giusto? Daniel, per favore, dimmelo.
Cosa vorresti che io facessi?»
«È
solo… i cavalli. Sono a posto per
quanto riguarda il cibo ma l’acqua deve essere cambiata, io
ho…»
«Lo
farò io» lo interrompe lei.
«È
il mio lavoro» dice lui miseramente.
«Lo
farò io» ripete semplicemente lei
mentre indossa il proprio mantello.
«È
pesante, non dovresti…»
Regina
pesta un piede in modo impaziente. «Daniel, smettila
adesso. Ho detto che l’avrei fatto, e lo farò. Tu
rimani qui, tornerò subito».
«Ho
solo pensato, perché…
be’, non voglio lasciarlo qui nel caso che lui…
nel caso succeda qualcosa mentre sono via».
«Lo
so» risponde lei piano. «Va bene,
davvero, posso occuparmene. Tornerò presto».
Corre
lungo tutta la strada per le stalle per essere più
veloce possibile. Per la sua esasperazione, il secchio non è
accanto al pozzo. Lei si precipita dentro per cercarlo, o trovarne un
altro da usare, e per la sua sorpresa, va letteralmente a sbattere
contro il papà.
«Papà!
Cosa ci fai qui?»
«Io?
Cosa ci fai tu qui? Non dovresti essere a casa del tuo
amico?» Sconcertata, Regina alza lo sguardo su di lui in modo
inquisitorio. C’è un brillio divertito negli occhi
del papà, ma per il resto il suo volto è desolato.
«Quindi
sai di Edric?»
«Certo,
tesoro. Ho mandato a chiamare il dottore questa
notte. Mi ha detto che non c’era più niente che si
potesse fare. Il giovane Daniel era già qui al lavoro
stamattina prima che potessi sollevarlo dai suoi incarichi. Almeno il
cambio dell’acqua è un compito di cui ho pensato
di potermi occupare da solo».
«Lo
dirò a Daniel» dice Regina con
gratitudine e gli dà un rapido abbraccio. Aggrotta la fronte
quando lo lascia. «Ma per quanto riguarda la mamma?»
Il
papà sospira. «Non lo sa. Fin quando tutto
sembra curato all’apparenza non ha ragione di interessarsene
o, effettivamente, di venire e guardare. Daniel dovrà
comunque riprendersi fin troppo velocemente perché non
sarò in grado di nascondere la sua assenza per
più di un giorno o due al massimo».
È tremendamente poco,
protesta interiormente lei. Ma il
papà ha già fatto più di quanto ci si
sarebbe potuto aspettare da lui. La gentilezza è nella sua
natura, lei lo sa, ma così è la paura della
mamma. Lui dovrà coprire anche lei come Daniel una volta che
la mamma avrà notato la sua assenza, cosa che deve
già esser successa.
Lei
ricorda di avere un posto dove essere. «Ora vado. Daniel
ha bisogno di me. Grazie, papà».
Quando
Regina spalanca in fretta la porta della casetta, tutto sembra
uguale a prima che lei se ne andasse. Solo ad una seconda occhiata lei
nota le fiamme che scoppiettano allegramente nel caminetto. Dunque
Daniel lo ha notato, e si è preso il disturbo di rimediare.
È un buon segno, giusto? Ansimando leggermente, lei chiude
la porta dietro di sé.
«Grazie,
Regina» mormora Daniel dal suo posto
vicino alla finestra.
«È
tutto a posto» replica lei mentre si
tira via il mantello e lo lancia sullo schienale della sedia.
«Mio padre era già lì, ha detto che hai
il giorno libero, non devi preoccuparti dei cavalli».
«È
gentile da parte sua. E tua. Lo
apprezzo».
«Quindi…
non c’è stato niente
di nuovo, vero?» domanda lei cautamente, sedendosi accanto a
lui.
«Niente
di niente».
Proprio
mentre lei cerca la mano di Daniel, la porta
dell’altra stanza si apre. Regina salta in piedi, e Daniel si
svincola dalla sedia così bruscamente da farla cadere con
fracasso.
Il
dottore sembra familiare, e Regina realizza che è lo
stesso che si è preso cura di lei tanto tempo fa
quand’era malata. Sembra persino più vecchio e
più avvizzito di allora, i suoi capelli più
lunghi ma più radi, e il suo viso una ruga su ruga. Le sue
mani sono sorprendentemente ferma però, nota lei –
la candela che regge brilla di un arancione fermo, brillante.
«Ah, signorina Mills», lui inclina curiosamente la
testa, quindi annuisce lentamente. «Molto bene». Si
gira verso Daniel. Entrambi pendono dalle sue labbra, pieni di ansia.
«Daniel. Sai che oggi porto solo cattive notizie. Il momento
è arrivato. L’effetto del papavero sta svanendo, e
tuo padre si sta svegliando. Adesso puoi parlare con lui».
Daniel
si lecca le labbra e annuisce, ma le sue gambe rifiutano di
muoversi. Fa per parlare, ma le parole lo abbandonano numerose volte.
Alla fine ottiene un rauco: «È
così?»
Il
dottore annuisce. «Sì. È
così».
Regina
allunga la mano per la spalla di Daniel ma dura poco; Daniel
è finalmente riuscito a far sì che le sue gambe
muovano il primo passo verso la stanza, e il secondo dopo questo, e non
si ferma né esita mai prima di scomparire oltre la porta. Il
dottore la chiude quietamente e si muove verso il tavolo. Mette
giù la candela e prende una sedia con difficoltà
– la sua altra mano è occupata a stringere un
bastone per supportarlo.
«Perché
non ti unisci a me, signorina Mills.
Potrebbe essere una lunga attesa, o una molto breve – ma
ahimè, sembrerà interminabile in entrambi i
casi».
Solo
allora lei realizza di avere ancora il braccio teso e la bocca
aperta. Lo abbassa con un sospiro pesante. Le sue gambe sembrano
traballanti lungo la strada verso il tavolo, e lei si lascia cadere
sulla sedia come un sacco di patate.
«È
bello vedere che siete stata bene, signorina
Mills, anche se l’occasione è ovviamente la
più sfortunata».
Regina
annuisce, ma le parole sembrano averle a stento raggiunto il
cervello. Per qualche ragione tutto sembra indistinto, come se il mondo
fosse racchiuso in una nuvola scura e pesante di una catastrofe
materializzata. Lei fissa gli occhi sul vecchio di fronte a lei e
sussurra: «Lui… lui sta davvero per
morire?»
L’uomo
la indaga curiosamente prima di replicare gentilmente
ma con franchezza. «Sì, bambina».
La
sua rassegnazione la costerna ancor più delle sue parole,
e la riempie di un genere di rabbia: «Non
c’è niente che potete fare? Proprio niente?
Com’è possibile?» I suoi occhi
concludono ciò che le sue parole non hanno espresso:
un’accusa silenziosa, una protesta contro
l’inevitabile.
«Possiamo
fare solo così tanto. Questa
è la maledizione della nostra professione. Alcuni si possono
guarire, sì, e questa è una meraviglia oltre ogni
meraviglia… Eppure aver visto tanti
morire…»
La
mitezza della sua risposta la sorprende. Lo guarda attentamente, e
non vede più un saggio, ma un uomo ordinario, indebolito
dall’età e dal peso della sua professione. La sua
rabbia evapora, e l’empatia prende il suo posto, e poi
un’improvvisa ondata di paura.
«La
morte è un mostro» sussurra,
«un mostro che gioisce nel lasciar soffrire le persone quando
i loro amati svaniscono lentamente, quando forse sarebbe più
gentile prenderli in un colpo senza avvertimento. È
l’unico mostro che dovremmo temere, peggiore di tutti i
draghi del mondo».
Il
dottore sorride mestamente. «È sia vero che
falso. La morte è una dea a due facce, che offre dolore con
una mano e sollievo con l’altra».
Regina
scuote la testa vigorosamente. Non ha senso, semplicemente. Si
asciuga il viso con una manica – quando è iniziato
il fiume di lacrime?
«Piangi,
bambina» dice l’uomo con una
voce asciutta ed esausta, «per i morti. Ma poi ricorda i
vivi».
Il
tempo passa in silenzio. Né il dottore né
Regina dicono una parola. Il giorno si è trasformato in
notte attorno a loro, senza che l’abbiano notato. Un gufo
chiurla. La porta si apre. Daniel esce vacillando, pallido come un
fantasma. Sia Regina che il dottore lo fissano intensamente.
«Se
n’è… andato».
Regina
scoppia di nuovo in lacrime. Si alza e corre verso Daniel. Gli
occhi di lui non sono a fuoco e lui cammina come se fosse in un sogno.
Piangendo quietamente, lei mette un braccio attorno alle sue spalle e
lo guida gentilmente ma risolutamente verso la sedia che ha appena
lasciato libera. Per allora il dottore si è alzato in piedi,
anche se con molta più difficoltà. Dà
una pacca a Daniel sulla spalla.
«Me
ne occuperò io da qui. Piangilo,
ragazzo». Rivolge un ultimo sguardo a Regina e si trascina
oltre la porta.
Sono
di nuovo soli.
Daniel
siede al tavolo proprio come è atterrato, come se la
sua anima se ne fosse andata col defunto. Sentendosi perfettamente
inutile, Regina si siede accanto a lui e prende le sue mani nelle
proprie. Lui emette un piccolo sospiro al tocco ma rimane distante. Lei
cerca febbrilmente delle parole di incoraggiamento, ma le poche che le
vengono in mente sembrano vuote e prive di significato ancor prima che
lei le esprima.
«Daniel…»
sussurra. Niente di
più. Continua a strofinare le sue mani nelle proprie, come
se potesse trasmettere un po’ di vita nel suo essere esamine.
Il vuoto nei suoi occhi la spaventa.
«Daniel»
implora.
Non
c’è assolutamente alcuna reazione. Lui non
sembra nemmeno batter ciglio. La gola di Regina si stringe alla vista
di lui – così completamente perso, così
desolato. È ancora lui?
«Daniel,
ti prego!» grida e lo scuote.
Finalmente,
lui la guarda. Anche se i suoi occhi gridano di dolore, lei
sospira di sollievo – lui è ancora lì,
c’è della vita dietro tutto quel dolore e quella
tristezza. Lui apre la bocca… poi la richiude, scuotendo la
testa.
«Non
puoi…» dice lei. «Lo
capisco. Sarò qui quando ci riuscirai. Solo, per
favore… non tornare di nuovo in quel posto».
Per
un momento lui sembra sorpreso. Un lampo di riconoscimento appare
momentaneamente sul suo viso, e lui le rivolge il più
piccolo dei cenni del capo. Mentre i suoi occhi seguono il movimento,
si fermano sulle loro mani, entrambe le sue strette in quelle di lei, e
prima che uno di loro sappia come, si ritrovano in un saldo abbraccio,
con le teste che poggiano sulla spalla dell’altro.
Un
bel po’ di tempo più tardi, la mezzanotte nera
li trova proprio così, con Regina che disegna motivi
confortanti sulla schiena di Daniel con la propria mano, e lui che
respira persino in modo più calmo il lieve aroma dei suoi
capelli.
«Se
n’è andato» sussurra nella
spalla di lei. «Scomparso, e non scomparso. Sarà
ancora con me tutti i giorni. I cavalli erano la sua vita, ed io.
Be’, sentirò la sua presenza ogni
giorno». La sua voce è rauca ma di nuovo piana.
Regina
tira su col naso ed annuisce. «La sentirai. E
anch’io lo ricorderò. Mi ha dato la mia prima
lezione di equitazione, e mi ha insegnato delle anime dei cavalli, e
come le nostre possano connettersi con loro; come potrei
dimenticarmene? Gli somigli molto. Era orgoglioso di te, ne sono
sicura».
Lui
si ritrae da lei e la guarda negli occhi, e… sorride.
NdT:
Se necessitate coccole e/o fazzoletti, sono pronta a fornirveli.
Incredibile ma vero, sono riuscita a tradurre questo capitolo in
tempo… Vedremo se riuscirò ad essere puntuale
anche la prossima settimana (ne dubito molto, però, visti
gli esami ODDIO CHE ANSIA).
A martedì prossimo (se tutto va bene), bellissimi!
|
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Capitolo 13 *** On the Line ***
Nota dell’Autrice:
In questo le cose si stanno facendo
complicate per Regina e Daniel – soprattutto per Daniel.
Capitolo
13
On the Line
«Sono
passati tre giorni» rimugina Cora mentre
aggiunge un pizzico di zucchero in più al proprio
tè. «Mi sarei aspettata che le stalle finissero
completamente in rovina, ormai».
«Perché?» Regina
appare da dietro la
tenda di vapore che si alza dalla tazza.
«A causa del brutto affare del decesso
dello stalliere,
naturalmente».
«Ora Daniel non ha preso il controllo dei
doveri di
Edric?» chiede Regina. La verità è che
ha visto Daniel solo per poco tempo ultimamente, quando è
uscita di nascosto per il funerale di Edric l’altro ieri; e
quello non era il momento di parlare di simili argomenti.
«Daniel non è abbastanza
qualificato per occuparsi
delle responsabilità di suo padre, mia cara. Lavorare fianco
a fianco col padre è una cosa, e riuscire
nell’intero mestiere è davvero
un’altra».
«Può farlo» dice
Regina con convinzione.
«Sarò io il giudice di questo.
Tutto
ciò di cui devi preoccuparti è il tuo nuovo
vestito. Io farò delle sistemazioni per
l’appropriata direzione delle stalle».
Lei riesce ad uscire furtivamente quella sera tra
la cena e
un’altra delle tante prove d’abito.
Prevedibilmente, Daniel è alle stalle quando lei fa
irruzione, ansimando. Lui si gira bruscamente al suono del suo arrivo.
«Regina! È da un po’
che…»
«Sono venuta ad avvertirti»
esala lei.
«La mamma sta considerando di assumere un nuovo stalliere se
trovasse ragioni per cui tu non possa svolgere il lavoro da solo.
Assicurati di non dargliene nessuna».
«Troppo tardi» sospira lui.
«So del
colloquio. Il cocchiere me lo ha detto».
«Il colloquio?»
«Sì, non lo sai? Lady Cora
incontrerà
potenziali stallieri al villaggio tra qualche giorno».
«Ma allora non avrebbe dovuto dirtelo lei
stessa?
Perché ti ha mandato il messaggio tramite il
cocchiere?»
«Regina. Non c’era nessun
messaggio. Non dovrei
saperlo. Lei non mi sta considerando per niente. Vuole qualcun
altro».
«Ma… perché? E
questo dove ti
lascia?»
«Non lo so. Da nessuna parte, davvero.
Forse intende tenermi
da parte. Più probabilmente vuole solo un sostituto,
però. Credo che vorrà che io me ne
vada».
«No! Cosa stai dicendo? Non puoi
andartene! Tu dovresti
essere il nuovo stalliere, l’unico!»
«Non so perché tua madre abbia
problemi con me.
È difficile convincerla quando non conosco le sue
motivazioni. Non è mai stata vista molto alle stalle, ma
adesso le sta definitivamente evitando».
«Le parlerò» offre
lei
d’impulso, eppure il suo stomaco si rivolta quando
un’immagine mentale della scena le attraversa la mente.
«No» rifiuta lui con
franchezza. «Questa
è la mia battaglia. Devo convincerla io, altrimenti restare
non è il mio posto».
«Ma hai appena detto che lei non ti sta
considerando per
niente».
«Ho anche detto che so una cosa o due che
non dovrei sapere.
Lo userò a mio vantaggio. Posso fare questo lavoro. Mio
padre mi ha cresciuto per questo. È quel che amo e che sono
bravo a fare. Non mi arrenderò senza combattere».
La porta sbatacchia mentre una folata di vento la
colpisce. Regina
trasale. «Oh… devo andare. La cena» dice
in tono di scuse. Contro se stessa, si gira alla porta:
«Daniel, se…»
«Va’» dice lui.
«Me ne
occuperò io».
Con tanto lavoro nelle proprie mani, Daniel ha a
stento il tempo di
abbandonarsi al dolore durante il giorno. È vero, ogni
momento che trascorre nella vicinanza dei cavalli è in un
certo senso un ricordo di suo padre; eppure questo genere di memorie le
trova benaccette, persino confortanti. Ormai è un
po’ che Daniel assolve la maggior parte dei compiti di suo
padre, specialmente quando ultimamente Edric era malato e costretto a
letto. Ogni aspetto del lavoro gli è familiare.
Ciò che ho
detto è vero, riflette mentre pulisce
i ferri di Ronzinante, questo
è quel che so fare meglio.
Papà sapeva di poter contare su di me. Mi ha detto che ero
pronto un po’ di tempo fa. È vero, allora era
già malato… Daniel respinge
velocemente quel
pensiero: Edric non glielo avrebbe mai rassicurato falsamente se non
fosse stata una sua onesta convinzione, nemmeno alle soglie della morte.
Eppure senza di lui, ogni cosa sembra in qualche
modo molto
più schiacciante. Anche se Daniel era abituato a prendere
decisioni per conto proprio, c’era sempre suo padre dal quale
andare per un consiglio o una guida nel caso ne avesse avuto bisogno, o
anche solo per discutere qualunque questione potesse esserci, come un
muscolo infiammato o un ferro di cavallo scheggiato, o la dieta
migliore per un cavallo malato – e poi c’era anche
il resto del mondo al di là della conoscenza dei cavalli. La
sola idea che lui fosse lì era più confortante di
quanto Daniel avesse mai realizzato finora. Ora dovrà
contare interamente su se stesso, senza nessuna rete di sicurezza sulla
quale rimbalzare.
Per quanto i giorni siano schiaccianti, le notti
sono molto peggio.
Daniel desidera di poter cadere sul letto dopo un giorno di duro lavoro
ed assopirsi immediatamente come sempre, ma questo non sembra
più possibile. È
solo una fase, si dice mentre
fissa il soffitto scuro nella casa egualmente scura, di cui ora lui
è il solo occupante. Anche questo sembra strano. Tutto
è in qualche modo cambiato; le cose possono sembrare quasi
le stesse, ma non sono più nulla del genere.
Quando finalmente riesce a cadere in un sonno
inquieto, sogna giorni da
tempo finiti: sua madre che lo aiuta pazientemente a togliere le
erbacce dalla sua pezza di vegetali; suo padre che con calma lo guarda
imbrigliare una giumenta particolarmente eccitabile; e le notti in cui
entrambi sono morti lasciandolo solo, e le parole che hanno detto e
come ci si sente. Quando i primi raggi della luce solare lo svegliano,
è solo felice di immergersi di nuovo nel lavoro per scacciar
via quelle memorie.
Mentre i giorni passano, si trova ad aspettare con
impazienza
l’alba e a temere ancor di più il
crepuscolo. Le ore che trascorre al lavoro si protraggono sino a tarda
notte, in gran parte per posticipare il tempo in cui è
confinato in quello che dovrebbe essere un momento di riposo e ricarica
ma che di fatto prosciuga tutta la sua energia mentale. Lui giustifica
le proprie azioni assicurandosi che almeno il lavoro è fatto
senza difetto. L’esaurimento fisico e mentale che infligge a
se stesso, però, inizia presto ad esigere il suo tributo, e
lui si sente diventare più testardamente, avventatamente
determinato. Non passa un giorno senza che si scervelli riguardo ad un
modo per far sì che Lady Cora riconosca le sue
qualità come stalliere, e la sua risolutezza di portarlo a
compimento cresce ogni giorno.
Cercando qualcosa da fare nel tardo pomeriggio,
Daniel si guarda
attorno e trova le stalle impeccabilmente pulite e i cavalli
perfettamente curati. Con un disperato bisogno di tenersi occupato per
quanto tempo è possibile, si mette a spazzolare Ronzinante
un’altra volta, anche se probabilmente il suo mantello non
è mai stato più lucido. Perso nei pensieri,
registra a malapena il cocchiere che lo chiama, finché
l’uomo non entra zoppicando con un’espressione
esasperata in volto.
«Daniel» sbuffa,
«Contessa e Barone
dovrebbero essere pronti per andare tra un attimo. Non hai ancora
neanche cominciato?»
Per quanto in questi giorni Daniel sia riluttante a
connettersi con la
realtà, questa volta vi atterra immediatamente.
«La carrozza» si lascia sfuggire,
«è stasera, giusto?» Si maledice in
silenzio e mette da parte la spazzola. Ronzinante protesta per
l’interruzione della piacevole strigliata ma non ottiene
più attenzione.
«Vuoi una mano?» chiede il
cocchiere nervosamente.
È una sorta di responsabilità condivisa: le
ripercussioni sarebbero più dure per Daniel ma in una certa
misura coinvolgerebbero anche lui.
«Ce la faccio» replica Daniel
da sopra la propria
spalla. Contessa sta già venendo bardata. «Saranno
puntuali».
«Bene», il cocchiere si fa da
parte e si gira per
andarsene.
«Aspetta» chiama Daniel come
per un ripensamento.
«Sai dove andrà Lady Cora?» Di certo i
colloqui non sono stati anticipati?
«Al palazzo» grugnisce
l’uomo.
«Scorterà la signorina Regina al ballo reale.
Figliolo, hai bisogno di ricominciare a vivere nel presente, sei fuori
dalla carreggiata».
Lui non vede Regina da giorni – forse da
settimane? Come ha
fatto a non notare prima la sua assenza?
Se ne rende improvvisamente conto: è
più nei guai
di quanto abbia immaginato sinora. Ha passato il tempo a soffermarsi
sugli aspetti malsani del passato e deviando per evitare il confronto
col presente. Il cocchiere ha ragione; deve tornare in pista, per
continuare a vivere. A questo punto non sa nemmeno più dire
quanti giorni siano passati dalla morte di suo padre.
Finisce con i cavalli in tempo record, alimentato
da una nuova
determinazione. Il ballo reale. Aggrotta la fronte mentre conduce
Contessa e Barone alla carrozza. Regina andrà al ballo
reale, al palazzo, da quel principe che era venuto per la sua festa di
compleanno. Lei ha
detto che quel ballo era orribile, ricorda.
L’ha odiato.
Stranamente, il pensiero lo fa sentire vagamente
sollevato, e un mezzo sorriso compare sulle sue labbra.
Quella notte, per la prima volta da tempo, non
sogna i suoi genitori.
Invece è Regina a visitarlo nel suo sogno. No, questo non
sembra esatto – va bene, lei compare nel suo sogno, ma
effettivamente non gli dedica un singolo pensiero.
Daniel guarda dai confini delle stalle mentre
Regina emerge in
lontananza. Lei cammina sotto braccio con uno sconosciuto alto e
dall’armatura splendente che in qualche modo lui sa essere il
principe. La coppia è immersa in una conversazione,
dimentica dell’ambiente che li circonda. Daniel sente
l’irrefrenabile impulso di salutare e si dirige verso la
porta – solo per scoprire che non ce n’è
nessuna. Così torna di corsa alla finestra. Regina inclina
la testa mentre il principe le parla, e quando lui conclude, lei lancia
indietro la testa con una risata cristallina. Quella risata,
è come un migliaio di campanelli d’argento che
suonino all’alba, e Daniel la sente forte e chiara nonostante
la distanza – la sente forte e chiara come se lei gli stesse
ridendo nell’orecchio. Questo
non è giusto, si
ribella il cervello di Daniel mentre lei prende di nuovo il braccio del
principe. Semplicemente
non è giusto… Si
precipita verso la porta e questa volta è lì, ma
quando prova ad aprirla la maniglia si rompe. Fuori di sé
per la frustrazione, ci si scaglia contro con la forza del suo intero
corpo. La porta cede; lui è libero di andare. Solo che non
c’è nessun posto dove andare. Oltre la porta, lo
aspetta solo una distesa erbosa di terreno arido; nessuna tenuta dei
Mills, nessuna casa, e nessuna Regina nell’arco
dell’orizzonte.
Daniel si sveglia con un sussulto. Si guarda
freneticamente attorno,
disorientato da quel sogno vivido e bizzarro. Un sogno. Si getta
di
nuovo sul cuscino con un sospiro. «Che
cos’era?» si rivolge alla stanza vuota. La
confusione e la disperazione che ha sentito nel sogno sono reali e
continuano ad aleggiare, questo lo sa. Si sente anche stranamente
impotente, e bizzarramente irritato. Le importava solo del giovane
principe. Si dà una scossa mentale. Da dove
è
arrivato quel pensiero? «Be’, non è
venuta a trovarti da quel rapido avvertimento, che avevi comunque
già ricevuto da un’altra fonte» dice con
cattiveria una vocina dentro la sua testa. «Non si
è fatta vedere da allora; questo cosa ti dice?»
È solo uno
stupido sogno, nient’altro.
Perché dovrei anche solo dedicarvi un unico pensiero?
Determinato a non dare importanza a quelle emozioni preoccupanti, si
gira su un fianco e serra gli occhi per tornare a dormire. Occorrono un
po’ di movimenti e cambi di posizione prima che lui riesca
nell’impresa.
Il nuovo giorno segna il primo tempo da un
po’ che Daniel
trascorre senza isolarsi. Dorme fino a tardi – stavolta senza
sogni – e sente di essersi dato la carica per la giornata.
Parla con qualche domestica in cucina, dove non si è fatto
vedere dalla morte di suo padre, mentre prende lì la sua
colazione. Chiede notizie degli ultimi pettegolezzi con aria
indifferente, accattonando con successo il fatto che per lo
più spera soltanto di sentire di Regina. E, naturalmente,
è quello che sente: il ballo reale è al momento
la chiacchiera della città. Il ballo è stato un
sommo successo, dicono, e il principe è una persona da
favola. Lady Regina era stupenda nel suo abito da sera –
più graziosa di qualsiasi principessa. Stanno già
facendo piani per il prossimo ballo, a casa di un qualche nobile, tanto
per cambiare. A questo punto, l’attenzione di Daniel vacilla.
Quanto ha sentito è abbastanza. Mette giù il
pezzo di pane che non ha finito e lascia il bicchiere del latte mezzo
pieno quando se ne va all’improvviso.
Così è questo che sta tenendo
Regina occupata
– balli e principi da favola. Dovrebbe essere mia amica,
fuma
di rabbia. Dovrebbe
farsi vedere una volta ogni tanto, altrimenti qual
è il senso di un amico al quale non importa di esserci
quando…? Il suo volto si arrossa di vergogna.
Ma a lei
importa. Lei era lì. Cosa
diavolo mi prende?
Imbarazzato e completamente confuso, Daniel
è ancora una
volta lieto di avere del lavoro che lo aspetta. Non può che
continuare a darsi un rimprovero mentale per la reazione inappropriata
di prima. Il suo imbarazzo non fa che crescere quando un respiro
d’aria fresca entra nelle stalle attraverso la porta
temporaneamente aperta, e dei passi familiari battono sul pavimento
cosparso di paglia.
«Buongiorno, Daniel!» La sua
voce risuona
nell’aria.
Daniel inizia a rispondere ma si ritrova a
balbettare per
l’imbarazzo. Come
ho potuto pensare male di lei solo
perché non è riuscita a venire per qualche
giorno, quando chiaramente lei non è da incolpare? Non
è mai stata in torto.
«Daniel? Ci sei?» Adesso lei
suona incerta.
«Sì» riesce
finalmente a dire lui,
spuntando da uno dei box. «Mi dispiace,
ero…» Esita, cercando le parole giuste. Non gliene
viene nessuna.
«Perso nei tuoi pensieri?»
suggerisce lei. Lui
afferra la possibilità ed annuisce, grato di esserne uscito.
Lui la studia mentre lei gli sta lì di
fronte. I suoi occhi
sembrano un po’ stanchi; non ha ancora dormito molto da
quando è tornata dal ballo. Il minuscolo cipiglio che il
pensiero porta scompare in un attimo: È venuta qui a
vedermi
come prima cosa. I suoi capelli sono arruffati e il suo
mantello sembra
essere stato indossato sopra una camicia da notte.
«Pensano che sia addormentata,
così finalmente
abbiamo un po’ di tempo». Lei gli fa
l’occhiolino e si accomoda su una balla di fieno. Daniel si
unisce a lei, decidendo che il lavoro aspetterà per un
momento o due.
«Sei stata fuori sino a tardi?»
chiede,
più per il puro piacere di sentire la sua voce che per altro.
«Piuttosto tardi. Onestamente, vorrei che
avessimo potuto
andarcene prima, ma il principe ha insistito a voler ballare tutte le
danze con me, quindi ce ne siamo andati solo quando il ballo era
finito».
«Oh… allora è stato
un bel
ballo?»
«Tutto era molto carino. Tutti hanno
lodato il mio abito da
sera, il ché almeno ha tenuto a bada la mamma –
questo me l’ha lasciato disegnare quasi interamente da me,
riesci a immaginarlo? Anche se era per un evento importante come un
ballo reale». I suoi occhi splendono al pensiero, e le sue
guance arrossiscono un poco. Un’amarezza che lui non
riconosce gli riempie la bocca.
«Be’, finché anche
il principe
l’ha gradito…»
«Penso di
sì…» dice
lentamente lei, dandogli uno sguardo attento, «ma questo cosa
c’entra?»
La rabbia di Daniel divampa – la mancanza
di sonno, il
dolore, lo stress di prendere il posto di suo padre, e
l’incertezza della sua situazione combinati tornano a
tormentarlo. «Be’, allora questo è un
bene. Suppongo che lo rivedrai presto? Dovrei preparare subito i
cavalli?»
«Cosa… perché
dovrei vederlo adesso?
Non capisco – perché all’improvviso sei
così interessato a parlare di lui? Non è nemmeno
importante. Per di più, l’intero ballo
è stato terri…»
«Bene, mi fa piacere che tu non ti sia
divertita.
Naturalmente sarebbe carino vederti una volta ogni
tanto…» Anche se ormai la sua mente cerca di
tenere sotto controllo le sue emozioni, Daniel non riesce a reprimere
il tono di biasimo delle proprie parole.
«Adesso sono qui!» esclama lei.
«Cos’hai che non va?» Lo contempla
brevemente e continua molto più calma: «So che
è stato difficile per te, con la scomparsa di tuo padre. Ho
cercato di venire, ma non potevo… con tutti questi balli a
cui la mamma vuole che io partecipi…»
L’empatia lo raggiunge, e lui riesce a
capire che la sua
preoccupazione è reale. Tutta la rabbia cola via
magicamente. Nel suo stato attuale, però, Daniel manca di
notare il tono infelice che s’insinua nella voce di Regina
ogni volta che lei menziona un ballo.
«Sì, il ballo» nota
tristemente.
«Vedi, ora hai degli amici». Riesce a mostrare un
sorriso storto. Te lo
meriti.
«No, non direi che sono miei
amici» nega lei
categoricamente. «Anche se probabilmente la mamma vorrebbe
che lo fossero. Indossano bei vestiti e dicono belle cose, e questo la
fa felice. Parlando della mamma – volevo chiederti dei
colloqui. Sei pronto ad impressionarla come hai detto che avresti
fatto, giusto?»
Una qualche strana, sconosciuta emozione
s’insinua nel suo
cuore e lo stringe con dita ossute, rendendogli impossibile pensare con
lucidità. Daniel sente tornare l’amarezza e
l’irritazione e parla con la bocca senza che il suo cervello
la autorizzi. «Impressionarla? Devi avermi confuso con un
certo principe».
Regina lo fissa ad occhi spalancati. Il suo labbro
trema lievemente.
Lei inghiottisce e si alza, torreggiando ora su di lui.
L’espressione morbida è svanita, e il suo volto
è più duro di quanto lui l’abbia mai
visto. Gli occhi di lui cadono sui pugni serrati di lei prima di
incontrare di nuovo i suoi occhi. La serie di parole con cui lei lo
tempesta è diversa da qualsiasi cosa abbia mai sentito da
lei.
«Non so cosa ti abbia preso, Daniel, e
francamente non ho
idea di cosa fare al riguardo. Volevo parlare con te – ho
aspettato di parlarti per giorni, specialmente dopo il funerale, e dopo
quello stupido ballo – ma non stai ascoltando e basta, e
sembri sentire qualcosa di completamente diverso da quello che sto
effettivamente dicendo. Tu mi hai sempre capita, ma adesso…
non lo so. Forse questo non è un buon momento. Forse
dovremmo solo lasciar perdere. Sembra che tu sia arrabbiato con me, e
non ho idea del perché. Ma sai cosa? Non è
giusto. Non ho fatto niente di male, non hai motivo di avercela con
me».
Ogni parola che lei pronuncia gli svela che
è ferita e
confusa, ma c’è un margine arrabbiato nel suo
discorso che risuona con l’irritazione che lui sente
attualmente.
«Non so più cosa pensare,
Regina. Forse mi sto
comportando da stupido. Non lo so. È solo che non mi piace
il principe, è tutto». Regina apre la bocca in un
tentativo di intervenire, ma Daniel continua. «Non chiedermi
perché, so che non l’ho mai visto e non so niente
di lui, quindi capisco che è completamente irrazionale, non
devi difenderlo. Sono d’accordo con te, però
– in fondo questo non sembra un buon momento per
parlare».
Regina richiude la bocca, e i suoi occhi
lampeggiano pericolosamente.
«Come desideri» sbotta. «Comunque ho cose
migliori da fare». E si precipita fuori, sbattendo la porta
con tutta la propria forza.
Daniel rimane seduto, gli occhi fissi sulla porta.
Frammenti della
conversazione continuano a riecheggiargli nelle orecchie, ed il volto
arrossato per la frustrazione di Regina ondeggia davanti ai suoi occhi.
Cos’è appena successo? «Non so cosa ti
abbia preso» ha detto lei. Be’,
neanch’io
ne ho la minima idea. Che diavolo ho che non va? Mi sento
così arrabbiato e amareggiato, e per cosa? Perché
Regina ha una vita sociale che si confà al suo stato, e io
non ne faccio parte? Lo sapeva già –
l’ho sempre saputo. Sfila filo dopo filo di
paglia dalla
balla su cui è seduto e la sua mente corre. Se
l’ha saputo per tutto il tempo, esattamente perché
lo disturba adesso? Cos’è esattamente che lo
disturba così tanto? Il principe? Cosa può mai
avere contro di lui?
Dovrei essere
felice per lei. Che razza di amico sono?
Il suo cuore sprofonda al pensiero. Il suo
comportamento l’ha
ferita, questo è chiaro, e per la prima volta, lui non
l’ha potuto evitare. Non
deve accadere mai più,
giura a se stesso. Lui è suo amico e dovrebbe essere qui per
lei, non contro di lei, qualunque sia la ragione di questa strana
tempesta interiore di emozioni, e non importa quanti balli ci siano, o
quanti principi. Vorrei
che avesse trascorso quel tempo con me,
però… Adesso le sue dita smettono di
attorcigliare la paglia. Si
tratta di questo? Sono geloso
perché ultimamente lui riesce a stare con lei
così tanto e io no? Sconvolto, soppesa e misura
tutto
ciò contro la propria mente e il proprio cuore. Il pezzo del
puzzle combacia. Oh,
Regina… ho fatto un casino. Daniel
sospira pesantemente. Tutto questo non è altro che
allarmante.
Vorrei
poter parlare con te, papà. Mi farebbe comodo qualche
consiglio.
NdT:
Oh, Danny, Danny, Danny…
Il prossimo aggiornamento arriverà mercoledì
2 o
giovedì 3 luglio :)
Au revoir!
|
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Capitolo 14 *** Mending Fences ***
Nota dell’Autrice:
Tutto ciò che posso dire
è che le cose tornano a migliorare per Regina e Daniel. E il
prossimo capitolo includerà alcuni doni. ;)
Capitolo
14
Mending Fences
«Ce
n’è ancora uno, Lady
Cora». Il locandiere combatte l’urgenza di farsi
piccolo sotto il suo sguardo penetrante.
«Cosa vuoi dire, ancora uno? So
perfettamente di aver
invitato qui soltanto tre uomini».
«Con tutto il dovuto rispetto, Lady, ce
n’è ancora uno che aspetta. Un ragazzo».
«Un ragazzo?» Questo sembra
aver suscitato il suo
interesse, e il locandiere torna a respirare più liberamente
– forse dopotutto lei non s’infurierà.
Almeno non con lui – il ragazzo è
un’altra faccenda, ma di nuovo, chi lo ha invitato qui?
«Fallo entrare, allora». Qualche strano capriccio
sembra averla afferrata – tanto meglio. L’uomo fa
segno al giovane di entrare e scompare frettolosamente fuori dalla
porta.
«Ah. Il giovane Daniel». Cora
sorride –
è un sorriso stranamente agghiacciante, uno che lo rende
ancor più nervoso, persino più guardingo. Non ha
niente della luminosità o del calore del sorriso di Regina.
«Lady Cora».
S’inchina.
C’è una macchiolina di sporco su una delle sue
scarpe, e lui maledice silenziosamente la propria distrazione. Il resto
di lui è impeccabile, o così lui spera. Non ha
senso perdere tempo a preoccuparsi di cose che non può
più cambiare. Concentrati,
Daniel. Concentrati.
«Hai preso un cavallo dalle stalle senza
permesso?»
La domanda arriva ancor prima che lui abbia tempo di riprendersi, e non
è quella che si aspettava – ma si collega ad una
questione che è sollevato di aver previsto.
«No, Lady Cora. Sono stato mandato a fare
una commissione al
villaggio. Il cavallo mi è stato affidato a questo
scopo». L’ha programmato in questo modo, certo
– la commissione e il colloquio nello stesso giorno
– ma non deve condividere con lei questo pezzo di
informazione, anche se probabilmente è abbastanza
intelligente da riuscire comunque a capire i dettagli.
«Confido che questa commissione,
qualunque fosse, sia ora
svolta?»
«Sì, certamente. I miei doveri
non ne soffrono
mentre io sono occupato qui».
«Molto bene, dunque. Non
fingerò di non essere
sorpresa dalla tua presenza. Avevo indubbiamente pianificato che tu non
ne facessi parte, ragion per cui ho mancato di informarti.
Probabilmente dovrei saperne di più, ormai – i
pettegolezzi viaggiano veloci. Andiamo dritti alla questione. Intuisco
che tu ti credi capace di assumere l’intera
responsabilità delle nostre stalle; persino ad
un’età tanto giovane, senza tuo padre che ti guidi
– è questo il tuo punto di vista?» lo
sfida direttamente con aria di scherno.
Daniel mantiene la calma, anche se sente una fitta
d’indignazione. «Sono stato cresciuto per questa
occupazione sin dalla mia infanzia. Con la scomparsa di mio padre, sono
pronto ad assumere la piena responsabilità e a superare la
prova».
Sembra che la derisione le venga naturale, tanto ne
è
generosa. «Dunque credi di sapere tutto ciò che
c’è da sapere? Di essere più
intelligente degli uomini con cui ho avuto un colloquio prima di te? Di
poter uguagliare decadi di esperienza?»
«Nessun uomo sa mai tutto ciò
che
c’è da sapere su un qualsiasi argomento,
né l’apprendimento ha mai una fine».
Forse sta esagerando un po’ col linguaggio. Sembro un libro
di testo. Si impone di concentrarsi di nuovo.
«Dove altri mi
superano in esperienza, terrò loro testa con la
passione».
La sua calma ha finalmente cancellato il sorrisetto
dalle labbra di
lei, solo per rimpiazzarlo con un cipiglio. «Comprenderai che
non posso permettermi di rischiare un periodo di prova e di veder forse
collassare l’intero edificio, nel caso tu dovessi
fallire?»
«Non intendo mancare di rispetto, ma mio
padre
è… morto… da un po’,
ormai». Ha detto e ridetto questa parte ripetutamente,
imponendosi di passare sulla parola senza difficoltà, ma
s’impiglia ancora nella sua gola. L’esitazione,
comunque, è minima, e Daniel continua. «Le stalle
sono in perfetto stato e i cavalli in buona salute. E li sono sempre
stati anche nei momenti della malattia di mio padre. Non ho fallito
prima, e non intendo iniziare adesso».
Cora lo esamina minuziosamente mentre parla.
«Ci vuole
coraggio a venire davanti a me con un tale programma, specialmente
sapendo che non eri affatto preso in considerazione – questo
te lo concedo. Ammetto anche che trovo questa tua testardaggine
– o passione, come la chiami tu – un po’
affascinante. Le ambizioni sono lodevoli –
fintantoché uno non fa il passo più lungo della
gamba, certo».
«Tutto ciò che chiedo
è di essere
considerato al pari degli altri stallieri». A questo punto un
momento d’ansia si insidia nel suo stomaco – questo
potrebbe perfettamente essere il momento chiave. «A parte gli
ovvi difetti di età ed esperienza, ci sono anche aspetti
positivi nel continuare ad impiegare me».
A questo, Cora dà una piccola risata.
«Oh,
davvero? Te ne prego, quali sarebbero?»
Non deve permettersi di venire distratto
– nemmeno dal fatto
che lei lo sta chiaramente trovando divertente. O forse non
è così – non davvero; forse lei sta
solo cercando di scuoterlo. L’idea lo rassicura stranamente,
e le parole attentamente ripetute escono facilmente dalla sua bocca.
«Una transizione tranquilla. Io conosco i
cavalli e loro sono
abituati a me, e conosco il modo in cui le stalle vanno dirette. So
già come vanno le cose nelle campagne, tra i servi e i
contadini. Riconosco gli affari urgenti e so quali cavalli preparare
per quale proposito e quando – quali cavalli sopporteranno il
giogo e quali no, e quali non vanno d’accordo tra loro. Da
ultimo ma non meno importante, sono leale alla vostra famiglia, e non
sarò attirato da un’opportunità
migliore, nel caso dovesse presentarsene una».
Mentre lui parla, il viso di Cora acquisisce
un’espressione
solenne disturbata solo da un piccolo sogghigno – ma i suoi
occhi assottigliati tradiscono attenzione. «Quale
impressionante caso ti stai rivelando. Chi avrebbe pensato che un
semplice stalliere potesse essere così eloquente?»
Daniel reprime un sorriso. Sa che dovrebbe essere
offeso o ferito per
l’implicazione che lui sia in qualche modo inferiore e da
trattare con condiscendenza; eppure tutto ciò a cui
può pensare è Regina che gli passa di nascosto i
propri libri per anni senza che Cora ne abbia la minima idea. Se lei si
aspettava un ignorante contadino alla propria mercé, ha
tutte le ragioni di essere colta di sorpresa dalla persona che invece
si trova davanti.
«Miro a soddisfare, Lady Cora»
dice Daniel con aria
seria. Osa dirlo…? «Dopotutto, i servitori sono un
riflesso dei padroni, quindi è solo appropriato che
manteniamo un’immagine positivo». Ecco…
adesso è fuori. Cosa dirà Lady Cora? La bocca di
lei si tende in una linea dura alle sue parole, e un cipiglio si forma
sulla sua fronte.
Lo studia con attenzione; tutto ciò che
Daniel
può fare è non torcere il naso, non fare altro
che sbattere le palpebre. Forse questo è il momento in cui
tutto verrà deciso. Lui rimane ritto, guardandola dritto
negli occhi con quella che spera sia una cortesia confidente, o
un’educata sicurezza, con deferenza sufficiente per non
essere considerato rude. Finalmente, la bocca di lei si tira in un
ampio sorriso.
«Ragazzo intelligente. Molto bene.
Ammetto che non
c’era nulla del genere tra gli altri candidati, e fa piacere
non essere circondati da idioti per una volta. Rimarrai».
Adesso, Daniel deve combattere perché il suo viso non
diventi una maschera di puro trionfo. Cora continua, comunque, e Daniel
ascolta in un mezzo inchino: «Ma ricorda le mie parole,
stalliere – ti tengo d’occhio. Non deludere la mia
fiducia».
Sia una minaccia o un semplice avvertimento, abbia
o meno un
significato nascosto, lui non lo sa, né gli importa: ce
l’ha fatta! Resterà! Il suo cuore sembra aver
duplicato la propria grandezza nel suo petto. Hai sentito, Regina?
Resterò!
L’inizio dell’inverno non offre
molto in quanto a
fiori. Una foglia di edera è quel che sceglie alla fine,
dopodiché è solo una questione di resistere
all’impulso di controllare ogni ora o quasi se è
ancora o meno appoggiata al davanzale dove l’ha lasciata. Una
coperta extra per resistere al freddo, e poi la migliore che possiede;
un’ora extra nelle stalle piene di spifferi, e poi solo
un’altra ancora – lei può sempre
arrivare. Non succede.
Con la testa china, Daniel si stravacca su
Ronzinante e gli
dà qualche pacca sul collo. «Capisci
cos’è successo, Ronzinante? Perché io
ancora non lo so. Una cosa è certa, però: Regina
è arrabbiata con me, e giustamente. Mi domando come
potrò mai sistemare le cose se continua ad
evitarmi…» Ronzinante sbuffa e colpisce la mano di
Daniel col naso. «Giusto. Be’, meglio dormire un
poco. Ci vediamo domani mattina».
Nessun’oscurità gli
è mai sembrata
così completa come la conca vuota del cottage quando torna
alla sera: non una candela accesa, niente più di una
scheggia di luna a sbirciare attraverso la finestra. Il papà
usava avere un fuoco acceso entro il momento in cui Daniel finiva con i
cavalli, ma ovviamente questo non è più il caso.
Daniel tasta la sua via sino al bancone per accendere una candela
quando una fiammella luminosa guizza davanti a lui, ed
un’ombra snella accanto al banco si volta per fronteggiarlo.
«C’è freddo fuori.
Pensavo che fossi
già rientrato a quest’ora». La luce
lancia ombre lugubri sul viso di lei. Daniel si sposta appena,
tendendosi per cogliere la sua espressione. È infastidita?
Distaccata? Triste? «Cosa c’è che non
va? Di certo vedi che sono io?»
Daniel si dà una scrollata mentale.
«Sì, naturalmente. Mi stavo
solo…»
«Ebbene?»
«Mi stavo solo domandando quale sia il
tuo stato
d’animo».
«Co…?
Perché?» I suoi occhi
si ingrandiscono e la sua presa sulla candela si stringe.
«C’è qualche problema?»
Lui si affretta a cancellare la sua pena.
«No, no, non
allarmarti, va tutto bene. Più che bene, in
verità».
«Oh…» Il sospiro
arriva dal profondo, e
quasi dipinge l’immagine mentale del considerevole macigno
che le cade dal petto. «Pensavo… pensavo avessi
chiamato perché… be’… a
proposito della posizione di stalliere» ammette lei con una
punta di ansietà rimasta nel suo sguardo intenso.
«Rimarrò» dice in
fretta lui.
«Tua madre terrà me».
Il volto di lei si illumina alla notizia.
«È
meraviglioso!» Si muove verso di lui con l’impulso
di abbracciarlo, ma si trattiene dopo una frazione di secondo,
sembrando lievemente imbarazzata alla manifestazione traditrice di
sentimenti. Combatte per comporre il proprio volto, e riesce a
mantenere un’espressione seria mentre parla, anche se i suoi
occhi sembrano brillare alla luce della candela.
«Sono… sono felice di sentirlo, Daniel».
Lui sposta il proprio peso da un piede
all’altro.
«Regina…»
«Sì?» replica lei
speranzosamente.
«Non è per questo che volevo
vederti. Volevo
scusarmi. Per l’ultima volta. Non so cosa mi avesse preso. Mi
dispiace».
Le scappa un sospiro profondo; la fiamma della
candela trema
pericolosamente. «Mi sono chiesta se avevo fatto qualcosa di
male, ma non sapevo cosa potesse essere. Ho continuato a cercare di
dirti quanto irritanti fossero quei balli, ognuno più del
precedente, e che il principe è un idiota a cui importa solo
di se stesso – ma tu non mi ascoltavi» si lascia
sfuggire con aria infelice.
«Perché eri via tutto il tempo
e io ho pensato che
ti piacesse più di m… più che spendere
tempo insieme». Le parole gli sfuggono dalla bocca prima che
lui possa fermarsi – e forse è bene che sia
così, poiché la risposta non era mai sembrata
arrivare quando la cercava consapevolmente, ma adesso emerge
semplicemente alla superficie della sua mente.
«Perché l’avresti
pensato? Io
non…»
È quando lei inizia a difendersi che lui
realizza che non ha
bisogno di sentirlo. «Non importa. È stato
comunque stupido da parte mia. La ragione per cui sono tanto arrabbiato
con me stesso è che, anche se ti fosse piaciuto, non sarebbe
stata affatto una buona ragione per innervosirmi. Solo
perché non ne faccio parte non vuol dire che io non voglia
che tu ti diverta».
«Potrei. Ma non mi diverto»
sospira lei.
«Lui non ascolta mai quello che ho da dire. Per lo
più balliamo e mangiamo e beviamo e ci scambiamo vuote
cortesie. Questo è tutto ciò che la corte sembra
essere, comunque. Non è ciò che viene elogiata
per essere. Vorrei che le cose tornassero com’erano
prima».
Daniel sorride debolmente. Ironicamente, questo tra
tutti è
il momento in cui la realizzazione gli appare chiara: le cose non
potranno mai tornare com’erano prima.
«Non succederà. Ma va bene. Ce
la caveremo
comunque. Giusto?»
«Giusto» annuisce lei.
«Ma non voglio che
le cose cambino per noi». Il respiro le si blocca in gola
mentre fa un passo verso di lui. «Ho paura, Daniel».
«Paura?»
Lei china la testa, e la scuote lentamente. Daniel
le si avvicina,
prende la candela dalla sua mano, e la guida al tavolo. Appoggia la
candela e prende una sedia per lei, poi una per sé. Regina
seppellisce il volto nelle proprie mani. Quando lo rialza dopo un
po’, è tirato ma asciutto, e piuttosto grave.
«Io non voglio questa vita,
Daniel».
«Regina…
Cos’è
successo?»
«Niente. Almeno non ancora. E spero che
rimanga
così per tanto tempo – per sempre. Ma…
la mamma vuole… Be’, il principe,
dicono…» La sua mascella si stringe, e lei lo
guarda quasi timorosamente. «Dicono delle cose su di noi.
Come che bella coppia siamo, o saremo. O quanto bene mi starebbe una
corona. E all’ultimo ballo… Ho sentito qualcuno
parlare di che aspetto avranno i nostri figli!» grida Regina
con esasperazione, lanciando in aria le mani.
Lo stomaco di Daniel ha un sussulto potente.
«Regina» farfuglia lui,
«ma…» Le parole gli muoiono sulle
labbra, non essendosi mai formate nel suo cervello in primo luogo.
«Daniel, non so cosa fare! Il principe
non mi piace nemmeno.
Posso a stento sopportare la sua presenza in una sala da ballo, come
potrei mai…» Lei esita per un breve momento,
incapace di trovare la parola o forse semplicemente di indursi a dirlo,
«…vivere
con lui? Io… Lui…
Questa è una follia!»
Lui si limita a fissare il suo volto arrossato
dalla rabbia,
completamente sbalordito. Be’, cosa si aspettava? Non questo;
mai questo.
«Daniel? Perché non dici
niente?» dice
lei dopo un momento di silenzio.
«Io… Scusa. Sono
solo… Questo
è tutto così inaspettato. Anche se non
veramente… Ma… Oh, Regina. Mi dispiace tanto.
Eccoti, con questo e altro da affrontare, e io – il tuo amico
– vado a renderti le cose persino peggiori col mio stupido
comportamento». Potrebbe schiaffeggiarsi da solo.
«No. Tuo padre era appena morto. Il tuo
lavoro, la tua intera
esistenza, era a repentaglio. E io – la tua amica –
ero via tutto il tempo. Anch’io devo scusarmi».
«No, no, non
è…»
«Sì, è
così.
Io…»
Si guardano l’un l’altra,
fermandosi a
metà della frase, e si limitano a fissarsi per un
po’. Poi gli occhi di Regina brillano, e gli angoli delle
labbra di Daniel si contraggono, ed entrambi cominciano a ridere.
«Facciamo un patto» suggerisce
lui.
«Sembra una buona idea»
ridacchia lei.
«Evitiamo di essere di nuovo acidi
l’un con
l’altra».
«E parliamo sempre dei nostri
problemi» annuisce
vigorosamente lei, prendendogli la mano.
Daniel abbassa lo sguardo con un lieve sussulto: la
mano piccola e
morbida di lei che stringe la sua più grande e
più ruvida. Deglutisce e incontra di nuovo i suoi occhi,
dando una lieve stretta alla sua mano. «Regina… a
proposito del principe, e tutto quel…»
«Non devi dire niente. So che non sei tu
a dover risolvere la
questione. Avevo solo bisogno di dirtelo, sai? Tu mi ascolti
– voglio dire che mi ascolti davvero. E ti
importa».
«È così.
M’importa veramente.
Vieni…» Si allunga verso di lei, e lei si lascia
attirare in un abbraccio. Con la testa di lei appoggiata
nell’incavo del suo collo, lui le accarezza i capelli.
Profumano di mele e cannella, e non gli sono mai sembrati
così morbidi.
NdT: (♥)
Il prossimo aggiornamento arriverà lunedì 7
luglio!
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Capitolo 15 *** Twelve Days of Christmas ***
Nota dell’Autrice:
Questo capitolo è una
compilation di scene col motivo comune dell’inverno e del
tempo natalizio. La stagione festiva si fa pesante quando Regina prende
una decisione a proposito del principe e deve sopportarne le
conseguenze. Aspettatevi problemi parentali, piaceri invernali, e verso
la fine un momento cruciale per la relazione tra Regina e Daniel.
Capitolo 15
Twelve
Days of Christmas
Il fuoco crepita nel focolare.
È l’unica cosa che
alleggerisca le sue orecchie dal silenzio teso e pieno di disagio della
tavola natalizia. L’intera
casa ne sta pagando il prezzo.
L’odore di pino che arriva da dietro di lei porta con
sé la visione dell’albero di Natale come lo ha
visto quella mattina – riccamente decorato, con la stella
dorata sulla sua cima che tocca l’alto soffitto, i suoi rami
più bassi segati via per far spazio al mucchio di regali che
non c’era. Non
che abbia importanza. Lei si è data
il regalo migliore, e nonostante il prezzo, non può evitare
di sentire che è il meglio che avrebbe potuto ottenere.
Regina
punzecchia svogliatamente la sua cialda con la forchetta. Cora
sibila pericolosamente. Regina si mette in bocca un pezzettino della
pasta e si obbliga a masticare e ad inghiottire, attenta ad eludere gli
occhi di entrambi i suoi genitori. Il sentimento è fuori
luogo, specialmente in quello che dovrebbe essere un momento di amore e
gioia, ma non può evitarlo – vorrebbe che entrambi
sparissero; sua madre per ciò che ha fatto, suo padre per
ciò che ha mancato di fare.
«Mangia»
dice Cora seccamente. Regina accoltella la
sua cialda con più vigore del necessario.
«Marmocchia ingrata». Questo non è
affatto il peggio che lei abbia sentito dalla notte prima,
così si limita ad abbassare ulteriormente la testa sul
piatto per nascondere un sorrisetto che la coglie di sorpresa. La mamma
si arrabbierà con se stessa per questo – per aver
perso la calma, dimenticando le buone maniere davanti al proprio
oltraggio; un linguaggio simile, dopotutto, non si addice ad una
signora. «Non incurvarti su quel piatto!» soffia
tra i denti. Regina avverte un movimento debole e pieno di disagio al
capo opposto del tavolo. Nessun suono ulteriore arriva da quella
direzione, però. Lei si dà una scrollata mentale.
Cosa mi aspettavo?
Regina
posa la propria forchetta e spinge via il piatto in un movimento
composto ma deciso.
«Regina».
C’è un margine
pericoloso e minaccioso nella voce di Cora.
«Ho
finito la mia colazione, madre. Posso essere
scusata?» Da dove vengono quell’audacia, quella
fermezza sia nel suo sguardo che nella sua voce? Regina sente un breve
momento di sorpresa mista ad orgoglio ed una sensazione di compimento.
«No,
non sarai certamente scusata!»
Così
Regina rimane seduta, avvertendo in qualche modo che
sua madre, questa volta, non può resistere a lungo. Avendo
pronunciato la battuta con perfetta neutralità e cortesia,
Regina è consapevole che Cora non ha niente da rimproverare,
nessun modo di bollare il suo comportamento come insolente.
Sostanzialmente, è caduta in una trappola che si
è creata da sola – dopotutto
c’è, sembra, un certo potere nelle vuote cortesie,
e lei potrebbe averlo appena scoperto. Le cerchie di corte hanno
mostrato a Regina quanto veleno, ridicolo, o semplicemente disinteresse
si possa trasmettere emettendo qualche frase socialmente accettabile e
apparentemente educata. Ironicamente, la detestabile vita sociale a cui
Cora ha sottoposto sua figlia ha dato un’arma a Regina.
I
suoi sospetti sono presto confermati. «Vai nella tua
stanza» sibila Cora. «Non dimenticare
ciò che hai la fortuna di avere» continua mentre
Regina inizia ad alzarsi senza una parola. «Devo ancora
ideare una punizione adeguata al tuo crimine. Ma arriverà.
Come arriveranno altre misure preventive».
Crimine.
Perché è ancora sorpresa che le sue
azioni vi equivalgano agli occhi di sua madre? La punizione
sarà spaventosa, questo è certo.
Regina
non rimpiange niente.
Regina si guarda al braccio del
principe, condotta lungo il sentiero
vividamente illuminato che zigzaga tra gli arbusti modellati
artificialmente, e riconosce a stento la persona che sta osservando.
Chi è quella creatura sottomessa intrappolata in strati di
tessuto lussuoso, che perde tempo prezioso ripetendo meccanicamente
frasi che ormai sono radicate così profondamente nel suo
cervello che lei non è più nemmeno consapevole di
star pronunciando quelle parole? Non io, rabbrividisce interiormente,
lei mi assomiglia a stento ormai. Con
riluttanza, d’istinto,
i suoi occhi vacanti seguono il braccio del principe mentre lui le
indica un cespuglio di rose. La piccola gemma rosa che lui le porge non
è ancora sbocciata – ed ora non lo farà
mai. Lei l’annusa distrattamente, e non sente il
più debole soffio di profumo. Bello alla vista,
ma questo
è tutto ciò che ha da offrire.
«Come cresce una
rosa?»
«Milady…?»
Il viso lievemente accigliato
di lui le fluttua davanti. Lei ripete la domanda, risoluta, e lo guarda
attentamente. Il principe riguadagna presto la sua calma, come sempre.
«Da un seme piantato nel terreno» replica
pazientemente, come se stesse spiegando la più semplice
delle cose ad una bambina piccola.
«Chi deve piantare il seme,
in che momento
dell’anno, e in quale terreno? Quanto spesso deve essere
annaffiato, e potato? Quando fiorisce?»
«Forse a milady farebbe
piacere parlare di fiori col
giardiniere reale? Sono belli, non è vero?» Lui fa
lampeggiare i suoi denti perfetti in un ampio sorriso.
E, per la prima volta da secoli,
Regina non si sente né
frustrata né rassegnata in sua presenza. Per la prima volta,
ricambia il suo sorriso con uno dei propri – uno genuino.
«Penso di no, Vostra
Altezza, vi ringrazio. In effetti, temo
che non dovremo più vederci».
«Scusatemi? Vi ho
offeso?»
«Di certo voi, come me,
siete consapevole di dove
è diretto questo corteggiamento». Chiaramente, il
principe non è abituato ad una tale franchezza, ma a Regina
non importa. «Credo non sia che giusto dirvi prima e non poi
che questa situazione non è più
sostenibile».
«Milady… La
vostra impazienza mi lusinga. Io
stesso sono ugualmente impaziente di compiere il prossimo passo, ma mi
dicono che è necessario un certo decoro». Regina
scuote la testa – com’è riuscita anche
solo a mantenere questa mascherata tanto a lungo? Come di consueto, il
principe la fraintende. «Molto bene, milady.
Parlerò con mio padre. Credo che i tempi siano maturi
–porteremo avanti il fidanzamento».
«No. Non possiamo
sposarci». Lo shock è
chiaramente impresso sul volto di lui: alcuno è mai stato
tanto audace quanto questa sciocca ragazza col sangue di una comune
nelle vene? «Non capite? Non abbiamo niente in comune. Dovete
anche essere consapevole del fatto che non c’è
nessuna reale affinità tra noi. Voi non sapete nulla di me,
persino dopo settimane, e non sembrate curarvene molto. Vedete? Non
obbiettate – niente del vostro viso suggerisce che questo sia
falso, anche se le vostre labbra potrebbero essere adesso sul punto di
formare parole melense che sostengano il contrario». Colto
sul fatto, lui abbassa gli occhi per un breve momento, e chiude la
bocca. «È meglio per entrambi farla finita prima.
Come potremmo, in simili circostanze, formare una famiglia, tanto meno
governare un intero regno in prosperità?»
La voce
della ragione è qualcosa che non avevi mai pensato di
sentire da me – o da alcuna ragazza, apparentemente. Da
qualche parte in fondo alla sua mente altrimenti perfettamente chiara,
si registra un senso di apprensione, il cui vestito ha un orlo
frusciante che striscia sul pavimento piastrellato della stanza di sua
madre. «Addio, Vostra Altezza». Regina si guarda
girare sui tacchi, e affrettarsi verso il palazzo con un passo svelto e
leggero. Sì, questa ragazza la riconosce. Rompe in una corsa
lieve e gioiosa e, incontrando la figura, si fonde con lei senza
difficoltà. Un pensiero finale la induce a voltarsi indietro
e dirgli: «Vi prego, non serbate rancore verso la mia
famiglia».
L’angolo
sembra vuoto senza l’usuale abete, e il
focolare sembra abbandonato senza il piatto dei tradizionali biscotti
di Natale sulla sua mensola. Forse avrebbe dovuto almeno provare a
portare un’immagine di gioia festiva nella casa.
L’albero
soleva significare che lui e suo padre avevano
trascorso il pomeriggio nei boschi, parlando in toni sommessi, e
portando a casa con loro un po’ del fresco odore silvestre e
del vivido fogliame per competere con la monotonia dei colori della
stagione. Gli ornamenti avrebbero significato che erano stati al lavoro
per molte sere nell’angolo del focolare, intagliando legno ed
intrecciando della paglia. Lo strano pacchetto che ognuno di loro
avrebbe trovato sotto l’albero avrebbero contenuto qualcosa
di mondano, come posate recentemente intagliate per sostituire il
vecchio set rovinato, o persino un paio di calze calde di pura lana se
erano riusciti a mettere da parte qualche soldo.
Non
solo non ci sono biscotti da sistemare su un piatto
quest’anno, ma comunque non c’è
più ragione di metterli sulla mensola del camino. Daniel
è cresciuto un bel po’, e sua madre, fosse stata
ancora viva, avrebbe dovuto pensare ad un nascondiglio differente per
trattenerlo dal rubarne uno in un momento di debolezza. La zuppa di
funghi di lei sarebbe stata più cremosa e saporita di quella
che è riuscito a preparare per la sua solitaria cena di
Natale.
La
candela tremola mentre lui mette giù il suo cucchiaio, e
Daniel va ad assicurarsi che la finestra sia chiusa come si deve. Il
suo sguardo viaggia sino alla villa che gli ammicca con le sue finestre
illuminate. Può quasi distinguere l’albero nella
sala da pranzo – alto e rigoglioso, riccamente decorato,
pensa. Lei sarà seduta accanto ad esso proprio ora, con i
rami più bassi che le sfiorano la guancia mentre comincia ad
aprire i propri regali? Forse più tardi riuscirà
a uscire di nascosto e a venire a dargli un rapido saluto…
Più probabilmente no.
«Buon
Natale, mamma, papà. Buon Natale,
Regina». Il suo sussurro appanna brevemente la finestra, e
lui la strofina con una manica per pulirla e riuscire a vedere il
profilo sfocato dell’albero. Adesso sei tutta la famiglia che
ho.
Le
campanelle della slitta suonano. Un sonoro scricchiolio risuona
quando la frusta disegna un arco aggraziato attraverso
l’aria. Le labbra di Regina si contraggono alla vista di uno
dei cani che danza tra le gambe dei cavalli, mandando pezzi di neve a
volare in aria. Mucchi di pelliccia morbida sono impilati sui sedili,
pronti ad offrire riparo dal freddo pungente. Uno scroscio di risate
accompagna lo scintillio accecante della neve calciata verso
l’alto da piedi in corsa. Una piccola folla di cuochi e
valletti si raduna lì attorno, nascondendo la slitta dalla
vista, poi si disperdono rapidamente – i muscoli dei cavalli
si tendono per un momento, e la slitta sbalza in avanti. Un paio di
tracce chiaramente marcate appaiono impresse sul biancore immacolato
dietro la slitta, poco a poco.
Il
vetro della finestra è freddo contro la sua fronte, e lei
lascia andare le tende per premere i palmi contro il vetro liscio. Le
tende si chiudono dentro di lei, accarezzandole la schiena mentre lo
fanno. Le punte delle sue dita pizzicano al retrogusto del gelo
esterno. È quasi come se ora lei fosse fuori
nell’aria gelata dell’inverno, tormentando la neve
con dita nude, non inguantate. Quasi.
Le
campanelle di una slitta suonano. Regina appoggia la guancia contro
il telaio della finestra e le sue dita iniziano a tracciare disegni
distratti sulla finestra appannata.
Il
bussare alla porta la meraviglia – la mamma non bussa mai,
e nessun altro è autorizzato ad entrare. Forse è
una domestica? O…? No, lui non oserebbe.
«Posso
entrare?»
«Papà?
Sei
tu…»
…dopotutto. «La mamma si
arrabbierà». Perché ha detto questo?
Sembra
aver colpito; lui evita i suoi occhi per un momento.
«Ti ho portato un libro nuovo per trascorrere il
tempo» offre quietamente e lo mette sopra al cassettone.
«Grazie».
Quel che vuole più di ogni
altra cosa è che lui lo faccia smettere, che ponga una fine
a questa sofferenza – ma non è così
ingenua.
«Tesoro…
non guardi? Per favore?» La sua
voce trema appena. «Cora,
per favore…»
Lei
cede, per il suo bene, ed esamina la copertina con occhi assenti.
«Ma mamma,
io…» Questo è
troppo crudele, le parole della mamma troppo dolorose. Il disprezzo, la
delusione e la rabbia nelle sue parole tagliano più
profondamente dei coltelli.
«Ho
pensato potesse piacerti, bambina – mentre sei
tenuta lontana dagli animali veri e vivi» prova di nuovo lui,
flebilmente.
Non
è il libro ciò di cui lei ha bisogno. Ma
è questo che fa il papà; offre piccoli conforti
in momenti duri. Momenti che richiedono mezzi molto più
radicali – se solo lui… «Cora, ti prego,
lasciala stare…»
Perché
il papà sembra sempre occupare
così poco spazio? Potrà non essere un uomo
grosso, ma anche così, sembra cercare costantemente di
ridursi alla minor taglia possibile. La mamma, d’altra parte,
sembra torreggiare su uomini molto più alti di lei.
«Stanne fuori, folle!» E lui si fa piccolo
nell’ombra della mamma, mentre Regina rimane esposta alla sua
ira che consuma tutto.
«Tesoro…
Mi dispiace». Lui non fa nessun
movimento verso di lei ma si limita a restare inchiodato sul posto,
curvo come sempre. «Avrei dovuto sostenerti… Avrei
dovuto tener testa a tua madre. Temo di non essere il padre che meriti,
o di cui hai bisogno».
«Papà!»
esclama Regina. Le sue parole
l’hanno colpita profondamente, e lei realizza che darebbe
qualsiasi cosa per non averlo sentito pronunciarle. «Non dire
questo!»
«Ma
è vero» obietta lui col triste
fantasma di un sorriso, inconsapevole della sua angoscia.
«Non
dirlo mai!» protesta lei ad alta voce. Forse
fa così male perché è quello che stava
pensando segretamente prima che lui lo esprimesse? Forse se lo merita
per aver pensato male di lui – lui tra tutti, che
è sempre stato nient’altro che gentile con lei.
«Papà, io ti voglio bene. La mamma
è… una persona difficile a cui tenere
testa». E prima che lui possa dire alto, lei gli avvolge
attorno le proprie braccia.
Solo
quando sente le lacrime di lui inzupparle la spalla realizza di
essere, in effetti, quella che lo sta confortando. Un vuoto divorante
prende posto nel suo cuore – un sentimento che conosce bene
– e anche mentre abbraccia la cosa più vicina ad
un alleato che abbia, la solitudine si abbatte su di lei come
l’onda di una marea.
Quando
apre la finestra, è già lì, che
disturba lo strato liscio di neve sul suo davanzale. Scintilla con un
tocco chiaro, nitido, diverso da quello del luccichio sparso e smorzato
della neve. L’estremità che si allunga e che punta
in alto proietta una lunga ombra scura.
Regina
si sporge, allungando il collo, e fissa la faccia di una curiosa
bestia dentosa che scopre le sue zanne ghiacciate da sotto il tetto
incappucciato di neve.
Una
volta era un dolce, quando lei era piccola.
Combattendo
l’inquietante apatia, lei s’impone di
allungare la mano verso il ghiaccio isolato caduto sulla sua finestra.
Brilla ancor più splendente quando lei spazza via la neve, e
manda sprazzi accecanti; Regina chiude gli occhi davanti alla sua
indomita nitidezza. È freddo e spiacevole al tocco, e lei
non riesce a capire come una volta poteva fingere che fosse una
squisitezza – ma se lo porta comunque alla bocca e lo sonda
cautamente con la lingua.
*
Quando
lui apre la porta ed esce, una goccia agghiacciante gli si
schianta sul naso. Un’altra lo colpisce dritto
nell’occhio mentre lui si ferma per meravigliarsi della linea
a zigzag che pende da sopra. Il modo in cui la luce del sole passa
obliquamente attraverso i ghiaccioli abbondantemente schierati lo
incanta.
Una
volta era un dolce. Potrebbe esserlo ancora.
Incapace
di resistere, Daniel tende una mano, ma è di gran
lunga troppo alto; dovrà saltare. Occorre qualche tentativo,
ma alla fine riesce a staccare un lungo frammento.
Ronzinante
nitrisce dentro le stalle.
Il
cono lucente è freddo e rinfrescante nelle sue mani, e
lui non riesce ad afferrare come la pura meraviglia dei ghiaccioli
possa mai perdere il suo fascino. Devono essercene tonnellate fuori
dalla finestra di Regina, che fanno capolino da sotto il tetto
innevato. Il sole deve lanciare raggi dorati, e in cambio la foresta
ghiacciata di punte deve lanciare scintille dorate.
L’acqua
gocciola nei suoi palmi mentre si scioglie sotto il
calore delle sue mani, ed ha un gusto dolce e puro.
È
difficile credere che la sua detenzione stia giungendo ad
una fine, ed ancora più difficile immaginare che avrebbe
provato così poca gioia alla prospettiva.
«…niente
più sciocchezze,
Regina!» La mamma ha davvero pestato i piedi? «Mi
stai ascoltando? Non tollero questo comportamento!»
Regina
annuisce una volta e tiene la testa china. Con la mamma che la
tempesta di regole recentemente forgiate e misure punitive, potrebbe
essere o un pessimo o un ottimo momento per questi pensieri; in ogni
modo, non c’è nulla che lei possa fare a proposito.
Uscita
furtivamente dalla propria stanza il giorno di Natale con due
pacchetti confezionati con cura, Regina aveva sentito una fitta di
senso di colpa nel trovare vuoto l’albero sontuosamente
addobbato. Ciononostante, era andata a posare i due pacchetti sotto di
esso: Per la mamma,
e Per il papà,
dicevano le etichette.
Sta
dritta con il viso distolto, fissandosi i piedi, mentre la mamma
continua instancabilmente la sua scenata. Come vorrebbe che avesse
detto qualcosa allora! Ma no – come adesso il rimprovero
è parte della punizione, così lo era il silenzio
appuntito mentre scartava il regalo. Regina si domanda
perché la mamma non l’abbia semplicemente lasciato
impacchettato – anche quella sarebbe stata una chiara
asserzione. Forse era curiosa. In ogni modo, Regina non ha mai saputo
come la mamma abbia trovato il dono che lei ha scelto con tanta cura.
«…la
tua detenzione è finita. Come ho
detto, però, terrò un occhio su di te –
giorno e notte, Regina, finché non vedrò almeno
una qualche intenzione di miglioramento. È
chiaro?» Il vestito della mamma fruscia, e il suo profumo le
punge le narici – si è avvicinata, imponendo la
propria presenza su di lei in modo ancor più pressante.
Regina
annuisce.
«Guardami».
Lei obbedisce. L’espressione
sul viso della mamma è la stessa che ha indossato per giorni
– un’espressione distaccata di rabbia fredda.
«La cena sarà servita tra un momento.
Vestiti». Senza ulteriori parole, si gira per andarsene.
Disperatamente,
Regina prorompe: «Mamma? L’hai mai
usato – almeno una volta?»
Lei
non si gira nemmeno a guardarla mentre risponde. «Usato
cosa?»
La
crosta sottile e ghiacciata in cima alla coperta di neve risplende
alla luce ricca del sole d’inverno, e scricchiola
deliziosamente sotto i loro piedi. Per un po’, Regina cammina
in silenzio, curiosando la campagna con occhi larghi e brillanti. Poi,
di punto in bianco, scoppia in una risata argentina tanto contagiosa
che presto Daniel si ritrova piegato in due per
l’ilarità.
«Sono
tornata» ansima alla fine lei in risposta ad
una domanda mai posta. È di nuovo libera di uscire, libera
da balli e principe, e per qualche giorno persino dalla mamma
– come può non ridere?
Daniel
ricambia un largo sorriso; in qualche modo si sente incapace di
parlare, il suo petto pieno sino ad esplodere di un calore che il sole
non può eguagliare. Si limita a puntare verso la loro
destra, nella sfera d’ottone nel chiaro cielo biancastro.
In
mezzo al paesaggio nevoso giace il lago orlato da un boschetto di
alberi incappucciati di neve. La sua superficie è uno
specchio lucente grigio-azzurro cosparso di pezze casualmente
distanziate di morbidezza bianca. Regina rimane senza fiato alla vista.
«Facciamo
a gara sino a quella roccia» dice
d’impulso subito dopo, e sfreccia oltre a lui con una risata
spensierata che risuonano dietro di lei. Assicurando le due paia di
pattini sulle sue spalle con un ampio sorriso, Daniel inizia a correre.
Il
ghiaccio è tanto spesso quanto sperava, e lui ritira il
proprio piede con soddisfazione sapendo che saranno al sicuro. Regina
lo oltrepassa sui propri pattini ed atterra sulla propria schiena nel
momento in cui i suoi pattini toccano il ghiaccio. Un Daniel
pietrificato si precipita ad aiutarla, e lei ammette tra le risate di
non aver mai pattinato prima. Lui inizia a spiegare, ma Regina gli
afferra impazientemente le mani con uno scintillio allegro negli occhi,
e le gambe di Daniel si muovono al momento opportuno, mostrandole come
fare e guidandola.
«Più
veloce!» grida lei. Lui le stringe
le mani più forte.
«Allora
aiutami!» replica, ed è
impressionato da quanto velocemente capisce come si fa.
I
loro dintorni diventano una macchia indistinta mentre guadagnano
velocità, lui che la traina dalle mani in un movimento
all’indietro, lei che spinge in avanti con
un’espressione gioiosa che s’intona a quella di
lui. Le lame dei loro pattini disegnano archi e zigzag sul ghiaccio.
Quando Daniel grida di tenersi forte e li fa roteare in un cerchio,
Regina perde l’equilibrio. In uno sforzo disperato di
proteggerla, Daniel la attira a sé con uno strattone e
atterra duramente sulla propria schiena, ammortizzando la caduta di
Regina col proprio corpo. L’aria viene sbalzata fuori da lui
per qualche battito cardiaco.
«Stai
bene?» farfuglia freneticamente. Un terribile
momento di shock lo invade mentre sente le spalle di lei alzarsi ed
abbassarsi rapidamente. «Regina? Regina!» La spinge
in su con cura, ansioso di vedere il suo viso – un viso, nota
con perplessità, contorto da risate silenziose.
L’equivalente reale della pietra che gli cade dal petto
sarebbe più che sufficiente per spaccare il più
solido strato di ghiaccio.
Ci
vuole un momento prima che Regina si riprenda abbastanza da sedersi
sul ghiaccio accanto a lui, continuando a stringergli le mani. Abbassa
lo sguardo su di lui, poi lo alza sul cielo, sugli alberi,
sull’argine innevato, e di nuovo su di lui, con
nient’altro che esultanza. «Sono viva, Daniel. Sono
viva».
«Buon
tardo Natale, Regina».
Gli
occhi di lei si aprono con un colpetto alle sue parole.
«Daniel…» dice ansimando, ed i suoi
occhi si riempiono di lacrime. Niente poteva prepararla per questo,
eppure capisce immediatamente. «Per me?»
«Certo
che è per te» replica Daniel.
«Ricordo che mi hai detto che non ti è mai stato
permesso di decorare il tuo albero perché è un
lavoro da servitori – e ho pensato che dovresti
farlo». Una bolla di felicità si dilata nel suo
stomaco alla vista della sua gioia.
«Dovremmo
farlo insieme». Lei gli fa un cenno,
già dentro sino al gomito alla scatola degli ornamenti
natalizi sotto l’alberello.
Stelle,
fiocchi di neve e cuori di diverse forme e dimensioni trovano
la loro strada dalla scatola alla mano ai rami; ghirlande e renne ed
angeli si uniscono a loro. Quando l’albero è
appropriatamente adornato, Regina lo guarda di traverso e torna a
rovistare nella scatola. Daniel stende il palmo con un sorriso.
«Va’
avanti» annuisce, e Regina mette
l’elaborata cometa in cima all’albero. Entrambi
stanno indietro per ammirare il risultato. È piccolo e
semplice, le pagliuzze gialle degli ornamenti graziosamente contrastate
contro gli aghi verdi.
«Il
mio primo albero di Natale» dice quietamente
lei. Poi aggiunge con una stretta alla sua mano:
«Grazie».
«Assomiglia
anche solo remotamente ad un angelo?»
Mentre
lei si rialza aiutandosi con braccia e gambe, procedendo
cautamente così da non rovinare il proprio lavoro, il
cappuccio le scivola via. I suoi capelli sono bagnati e pesanti di
grappoli di neve che si scioglie rapidamente aggrovigliati qua e
là. Essendo arrivata ad una distanza sicura
dall’impronta nella neve attentamente scolpita, Regina inizia
a scrollarsi e a spazzare via i rimanenti gruppi di neve dai lunghi,
scuri sipari dei suoi capelli tirati sopra la sua spalla.
«Sì»
annuisce Daniel con un sorriso
inconsapevole; ma non è l’angelo di neve che sta
guardando. Tu
sì.
È
il dodicesimo giorno di Natale. Rami di alloro coprono i
pavimenti, aspettando di essere portati via, così come le
corone, le ghirlande e le candele. Il grande pino piove aghi asciutti e
sbiaditi mentre numerosi servitori lottano per farlo passare attraverso
la porta. I cuochi portano in giro piatti di avanzi di biscotti e
torte, che ora saranno dati loro poiché possano dividerli
con le loro famiglie.
Regina
guarda l’ultimo ramo di agrifoglio decorato che viene
raccolto da un valletto. La sala sembra già squallida e
inutile spogliata di tutte le decorazioni festive. Quando
l’uomo propone di lasciarle un ricordo, comunque, lei rifiuta
– queste vacanze non hanno esattamente creato le memorie
più piacevoli.
Quando
l’ultimo cuoco se ne va, la casa torna nuovamente
silenziosa – la mamma è ancora via e il
papà non si è fatto vedere molto negli ultimi
giorni. Regina è proprio sul punto di girarsi e dirigersi
verso la propria stanza quando dei passi affrettati entrano nella sala.
«Daniel?»
esclama sorpresa. «Non vieni
mai dentro casa».
«Sono
nei guai?» domanda lui con un gran sorriso.
Sperava di essere abbastanza fortunato da imbattersi in lei mentre era
lì.
«Non
lo so… lo sei?» dice lei con un
cipiglio. «Oh…» Fa un mezzo sorriso
quando capisce. «Cosa stai facendo?»
«Sto
aiutando con le pulizie. Mi è stato promesso
qualcuno di quei biscotti zuccherati in cambio». Lui le fa
l’occhiolino. «La cucina è
vicina».
Questa
volta lei sta al gioco. «Un pagamento? E io che
pensavo fossi caritatevole».
«Mi
dispiace deluderti». Daniel struscia un
po’ i piedi prima di continuare. «Oltretutto
ammetto che avevo un altro motivo».
«Oh?»
Lei alza un sopracciglio.
«Volevo
chiederti se t’interesserebbe venire a
tirare giù l’albero di Natale con me. È
una tradizione proprio come decorarlo, capisci».
«Verrò
dopo cena» sorride lei.
«Così
e basta?»
«Cosa
vuoi dire?»
«È
solo… Di solito dobbiamo stare
così attenti a fare tutto di nascosto. È strano
avere tanta libertà». Proprio mentre dice queste
parole realizza quanto più intensamente lei debba provarlo.
«Lo
so. È per questo che sono così
felice che riusciamo a stare insieme di più in questi giorni
– voglio sfruttarlo al meglio. Mi sei mancato,
Daniel».
«Anche
tu mi sei mancata».
Per
un momento si limitano a stare lì, guardandosi,
sorridendo. Daniel è quello che distoglie gli occhi, anche
se non lo fa perché lo vuole.
«Cosa
c’è?» chiede lei con una
nota di preoccupazione, toccandogli lievemente il braccio mentre lo fa.
«Farei
meglio ad andare» replica lui, senza
incontrare il suo sguardo.
«No,
aspetta. Stai bene?»
«Certo»
dice casualmente lui. Poi, notando
l’espressione confusa sul suo volto, sente una fitta di senso
di colpa. «Va tutto bene. Sono solo davvero felice di poterti
vedere più spesso». È la
verità, discute con l’altra voce
nella sua testa,
adesso è
più vero che mai. E questo, per
così dire, capita essere la cosa esatta che gli causa
preoccupazione. Perché non è l’intera
verità, sospetta – e il sospetto cresce con ogni
giorno che passa.
«Ti
credo» dice lei dopo averlo guardato per un
po’ negli occhi, e gli stringe le braccia.
«Anch’io. Dovresti sapere che hai salvato il mio
Natale quest’anno. E, be’, forse non solo il
Natale…»
Smette
di parlare, arrossendo lievemente.
Il
suo sorriso illumina la stanza, e tutti i guai sembrano svanire.
Daniel
si inclina verso Regina e, magicamente, lei fa lo stesso, e
nessuno dei due sembra ricordarsi di girare la guancia, o forse
scelgono di non farlo, o forse è solo più grande
di loro – le loro labbra si toccano leggermente per il
più breve dei momenti.
Lo
stomaco di lui sembra essere scomparso, ma il cuore gli martella con
un’intensità inaudita. Quando si separano, si
fissano l’un l’altra ad occhi spalancati. Nessuno
dei due parla. Il momento sembra interminabile. Il colore sale alle
guance di lei, un cremisi scuro, e lui sente a propria volta
un’ondata di calore. Cos’ha fatto? Non ha nemmeno
mai osato pensare pensieri simili prima, e adesso ha oltrepassato tutti
i limiti! Ora cosa succederà alla loro amicizia?
«Ci
vediamo dopo, Regina» dice Daniel con voce
roca, e fugge.
Regina
rimane immobile anche dopo che lui se n’è
andato, anche se le sue mani scattano alle sue labbra. È
davvero successo? Cosa significa? I baci sulle labbra sono abituali tra
amici? Non avendone altri all’infuori di Daniel, Regina non
lo sa.
Il
suo sguardo assente vaga verso il soffitto; hanno dimenticato il
vischio.
Ci
vuole un po’ prima che Regina realizzi di star sorridendo
scioccamente. È ancora ferma nella sala, inchiodata sul
posto, e il suo cuore sembra ancora mettere a dura prova la sua gabbia
toracica, anche se ora in una maniera più calma e regolare.
In una maniera felice.
NdT:
Per restare in tema natalizio (anche se sì, lo so, non
è proprio il periodo giusto), spero che questo capitolo
possa considerarsi un bel regalo.
Grazie mille a robydesy
per aver aggiunto questa storia alle preferite!
Il prossimo aggiornamento arriverà venerdì 11,
se
ce la faccio :)
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Capitolo 16 *** Two Toads Are a Knot ***
Nota dell’Autrice:
Be’, questo non è
proprio il momento migliore, ma mentre la storia procede mi vengono
dubbi sulla mia capacità di scrivere qualcosa di romantico.
Questo potrebbe probabilmente avere molto a che fare con quanto
disperatamente voglio rendere loro giustizia. Per farla breve, spero
che vi piaccia quanto sta per arrivare: sentitevi liberi di scacciare i
miei dubbi o di confermarli, sarei felice di sentire la vostra opinione.
Capitolo 16
Two
Toads Are a Knot
Daniel sta già aspettando,
adagiato comodamente sotto
l’albero, quando lei scivola giù dal dorso di
Ronzinante.
«Scusa,
sono in ritardo» ansima, e si siede
comodamente sull’erba accanto a lui. «Guarda
cos’ho!» Una gemma marrone-rosacea è nel
suo palmo, adornata da una fogliolina verde. «Sta fiorendo!
Riesci a crederci? L’albero che abbiamo piantato
insieme… finalmente quest’anno darà
frutto!» Può a stento contenere la propria
eccitazione mentre gli spinge la cosina sotto il naso.
Il
suo è un genere contagioso di gioia che immediatamente
coinvolge anche lui. Il modo in cui lei gli sorride radiosamente supera
le sue aspettative per questo momento – un momento che
aspettava da quando lui stesso se n’è accorto
questa mattina.
«Sembra
che sia stato spezzato – da un qualche
uccello goffo, credo» rimugina lei.
Questo
riempie il collegamento mancante che stava aleggiando
confusamente nella mente di Daniel – l’idea che
Regina avesse colto la cosa preziosa dall’albero non quadrava.
«Ma
ce ne sono altri» continua lei allegramente.
«Ce
ne saranno ancora di più la prossima volta, e
quella dopo» dice Daniel.
Lei
gli rivolge un sorriso di scusa. «È solo che
non riesco a capacitarmene».
«Lo
capisco molto bene» dice lui con un ampio
sorriso.
«È
buffo, però, non è vero?
Quest’albero sotto il quale siamo seduti ha dozzine di fiori,
ma per me questo qui è più prezioso di tutti
quelli messi insieme».
«È
tuo» dice semplicemente lui.
«In
ogni modo… così tanti semi di mela
nel mondo, e il nostro albero li supera tutti».
Siedono
in un silenzio amichevole per un po’.
«Hai
portato un libro diverso» nota Daniel.
«Sei così arrabbiata con quello di
prima?»
«Sì»
dice lei in modo molto pratico.
«Mi piaceva, sai». Una nota di abbattimento
s’insinua nella sua voce. «Ma questo era prima che
i personaggi che pensavo mi piacessero iniziassero a prendere decisioni
orribili e pretenziose».
«Qualcosa
in particolare?» In realtà,
sospetta di saperlo.
Per
un po’ lei sembra cercare le parole giuste, poi prorompe:
«Perché uno dovrebbe scegliere la
società anziché l’amore?»
C’è una perplessità genuina nella sua
domanda ed anche pizzico di ribellione.
Lui
si sposta un po’ per sedersi guardandola in faccia. Per
quanto odi ammetterlo, le sue parole sono un balsamo per la sua anima.
Regina può anche esserne inconsapevole la maggior parte
delle volte, ma recentemente l’abisso sociale tra loro
è gravato su di lui con particolare intensità
– specialmente dal famigerato incidente del principe. Il
principe fa parte del passato, ricorda a se stesso. Per
quanto ci provi, però, non riesce ad ignorare
l’inevitabile fatto che, anche se questo può
essere passato, presto o tardi ne arriverà un altro.
La
sua mente vacilla, portando in superficie pensieri su cui ha
rimuginato per giorni.
«Non
lo so… Dev’essere stato
imbarazzante». L’ha detto ad alta voce?
«Non lo status sociale», scuote la testa davanti
allo sguardo confuso di Regina. «Voglio dire la loro
relazione…» Ma le parole giuste sono difficili da
trovare, e Daniel inizia a desiderare di non aver cominciato questo
discorso in primo luogo. «Erano amici, giusto? E poi qualcosa
è cambiato. Quando la loro amicizia ha iniziato a
trasformarsi in qualcos’altro… Credo solo che
debba essere stato imbarazzato, ecco tutto» conclude
bruscamente, adesso desiderando definitivamente di essere stato zitto a
questo proposito, e domandandosi se ha detto troppo.
«Forse
è semplicemente successo in modo naturale
– forse è così che va questo genere di
cose». Lei guarda Daniel, poi il libro, poi torna a guardare
di nuovo Daniel. Un’espressione curiosa prende posto sul suo
volto. Lo stomaco di Daniel è annodato – non sa se
questo sia naturale, ma di sicuro è estremamente
imbarazzante.
«Daniel?»
Lei posa una mano sul suo braccio.
«Stai bene?»
La
sua preoccupazione lo tocca profondamente, e lui si obbliga a
sorridere.
«Ricordo
una filastrocca» dice. Gli tormenta la
mente da giorni ormai. «Uno scioglilingua che avevamo
l’abitudine di ripetere».
«Quale?»
«Un
ranocchio degli alberi amava una ranocchia che abitava su
un albero». Cercando i suoi occhi per un segno di
riconoscimento, lo trova. Quindi anche lei lo ricorda. «Era
un ranocchio con due dita ma una ranocchia con tre dita era
lei». Regina inclina la testa ed un piccolo cipiglio le
corruga la fronte. Daniel vorrebbe che lei non avesse tolto la mano dal
suo braccio mentre continua con pesantezza crescente. «Il
ranocchio degli alberi con due dita provò a conquistare il
cuore della ranocchia con tre dita…» Si deve
costringere a proseguire, e maledice la propria mancanza di
autocontrollo. «Poiché il ranocchio degli alberi
con due dita amava il terreno che la ranocchia con tre dita calpestava.
Ma il ranocchio con due dita provò invano. Non poteva
soddisfare il suo capriccio. Dal suo pergolato da ranocchia degli
alberi col suo potere di ranocchia con tre dita la ranocchia gli pose
il proprio veto».
Desidera
di poter evitare l’acuto sguardo indagatore di lei
ma teme che potrebbe essere proprio quello a tradirlo.
«Va
bene, questo è uno scioglilingua
detestabile» dichiara lei. Daniel non può evitare
di sorridere alla sua indignazione. «Be’,
è vero! Le loro differenze non li avrebbero fermati se si
piacevano».
«No,
credo che non avrebbero dovuto. Ma effettivamente nella
filastrocca lei lo rifiuta».
«Forse
è solo che lui non le piaceva»
suggerisce lei. «Forse non ha niente a che fare col suo
status».
Daniel
si sente come se un gran pugno lo avesse appena colpito nello
stomaco. Lei ha ragione, certo: le differenze si possono superare, ma i
sentimenti non corrisposti? In quel caso non c’è
speranza.
«Giusto.
Be’, allora lui dovrà solo
conviverci, non è vero?» Di nuovo, maledice il
sussulto nella propria voce, e desidera con tutta la propria forza che
lei non abbia notato niente – stanno semplicemente discutendo
di una filastrocca, dopotutto.
La
mano di Regina si muove istintivamente per offrire conforto. Lei si
ferma a metà strada, comunque, si copre brevemente la bocca,
e torna lentamente ad abbassare la mano.
«Ma…» inizia flebilmente, e il cuore di
Daniel sembra essersi fermato per la paura. Ha appena rovinato tutto?
«Ma se lei provasse
dei sentimenti per lui?»
Una
scintilla di speranza è tutto ciò che serve
per accendere un fuoco; il suo cuore si alza in volo brevemente ma lui
si sforza immediatamente di spingerlo di nuovo a terra. Non essere uno
stupido, si rimprovera, non significa niente. Lei non
vuol dire nulla
– è solo la filastrocca. Sta parlando della
filastrocca. «Pensavo avessimo appena concordato
che non
è così» riesce a dire cautamente.
Gli
occhi di Regina saettano rapidamente da oggetto a oggetto come a
cercare un appiglio metaforico prima di tornare a guardarlo.
«Forse in un’altra versione lo
è».
«C’è
un’altra
versione?» Le parole vengono da sole mentre lui cerca di
guadagnare tempo per riprendersi.
Le
scappa un sospiro brusco. Lei cerca di parlare e cambia idea
numerose volte prima di alzare le braccia in modo esasperato.
«Importa che non ci sia? Possiamo sempre crearne
una».
«Crearne
una?» Ora lui si sente abbastanza
smarrito, la sua mente completamente intorpidita.
«È
semplice, davvero. Vuoi che ci
provi?» Fissandolo col proprio sguardo, lei parla senza
aspettare risposta. «“Così il ranocchio
degli alberi con due dita cerca e cerca di soddisfare ogni suo
capriccio». Si ferma, pensando, e gli angoli della sua bocca
si contraggono mentre una scintilla vittoriosa le balena negli occhi.
«Nel loro pergolato da ranocchi degli alberi… col
suo compagno ranocchio con due dita… la ranocchia vive il
loro sogno”. Vedi?» Lei sorride un mezzo sorriso.
«Potevo farlo in un momento». Deglutisce prima di
aggiungere solennemente: «Tutto ciò che dovevi
fare era chiedere».
Pensieri
frammentari gli corrono attraverso la mente in una frenesia
selvaggia. Lui si obbliga a pensare chiaramente anche se ciò
minaccia di ucciderlo. «Ma se tu non avessi potuto farlo, o
voluto? Potrebbe rovinare la nostra… Voglio dire, la
filastrocca esistente» sottolinea quietamente a dispetto del
proprio caos interiore. «Anche quella mi piace
davvero».
«Di
cosa stai parlan…? Ah…»
Le guance di lei bruciano di un fucsia profondo. Daniel sente il panico
ergersi dentro di lui. Lei ha capito? Ora come fa a rimangiarselo?
Regina
non dice niente; in effetti, non fa niente. Continua a sedere
immobile, il suo sguardo impassibile, il suo petto che si alza e si
abbassa rapidamente ad ogni brusca inspirazione.
«Regina…»
La disperazione minaccia di
avvolgerlo mentre cerca febbrilmente un qualsiasi mezzo di salvataggio.
Non riesce a farsene venire in mente nessuno.
E
poi alla fine la sua espressione cambia; lei si morde il labbro. Si
sposta lentamente più vicina a lui, e lui si limita a
guardarla, pietrificato eppure colmo di trepidazione. Lei si fa sempre
più vicina, finché le loro spalle quasi si
toccano, e solo allora rompe il contatto visivo. Il cuore di Daniel
manca un battito mentre lei appoggia la testa sulla sua spalla, e gli
avvolge cautamente le braccia attorno alla vita.
Dura
solo un momento: il canto degli uccelli e il sussurro del vento
tra le foglie, il rumore giocoso del torrente e tutti gli altri suoni
sembrano farsi muti, e i loro dintorni diventano una macchia.
È
finito prima che lui abbia anche solo la
possibilità di comprendere cos’è
successo. Regina si ritira e il pessimo presentimento torna peggiore di
prima. Daniel si sforza di incontrare il suo sguardo, sperando in una
spiegazione, ma tutto ciò che trova è paura.
Potrebbe anche star guardando in uno specchio. Ma non proprio.
È
allora che lo realizza. Per Regina, non è lo
stesso. Mentre a lui non è mai mancata la sensazione di
essere amato dalla sua famiglia, tutto ciò che Regina ha
sempre dovuto sopportare sono dubbi e dubbiose rassicurazioni di un
amore che manca di mostrarsi. Nonostante i suoi migliori sforzi
– sforzi a cui nessuno dovrebbe essere condotto in primo
luogo – il rifiuto è stato un compagno costante
per Regina.
C’è
più della paura a ricambiare il suo
sguardo; c’è una vita di rifiuto che aleggia.
L’ansia di Daniel scompare sotto lo sguardo supplice di
Regina. Deve essere lui. Deve correre il rischio.
Perso
anche dopo aver preso la propria decisione, Daniel alza una mano
e fa scorrere gentilmente il pollice lungo la guancia di Regina. Lei si
abbandona al suo tocco con gli occhi chiusi.
«Regina…?»
domanda lui, confuso,
ansioso, colpevole – ma soprattutto, speranzoso. Gli occhi di
lei si aprono. E se lui si sbagliasse? «Sei…?
Siamo…? Tu…?» Questo non sta portando
da nessuna parte. «Non voglio fare qualcosa che non
vuoi». Lei sembra sul punto di parlare ma si limita a
deglutire e lo guarda ansiosamente. Lui ha bisogno di essere sicuro.
Come può farlo? «Io sono il ranocchio con due
dita» dice disperatamente, sentendosi un folle completo,
«e tu la ranocchia con tre dita. Se io cercassi
di… “soddisfare ogni tuo
capriccio”…» Nonostante la
gravità della situazione, non riesce a trattenersi dal
sorridere, mentre lei dà una risatina. Il resto delle parole
si riversa fuori dalla sua bocca: «In che modo finirebbe la
filastrocca?»
«Nel
modo nuovo» sussurra lei senza esitazione con
una lacrima che le riga la guancia e il sorriso più
luminoso. «Non è per questo che
l’abbiamo riscritta?»
Daniel
le mette attorno un braccio e la trae vicina, e Regina
seppellisce il viso nella sua maglia.
«Sai,
è proprio una novità corteggiare
qualcuno chiamandolo ranocchio» arriva dopo un po’
la sua voce soffocata e divertita.
«Non
un ranocchio qualunque – una ranocchia degli
alberi, bellissima e a tre dita» replica Daniel col cuore che
si alza vertiginosamente.
Lei
solleva il volto per guardarlo con gli occhi che scintillano.
«Penso che dovresti baciare dei ranocchi, non è
così?»
Il
sorriso di lui si allarga da orecchio ad orecchio. Nonostante il
sussulto incontenibile del suo stomaco riesce a ricambiare lo scherzo.
«Dove è scritto? Inoltre, non voglio cambiarti in
nulla – mi piaci così come sei».
Sente
un impeto d’affetto mentre lei lotta visibilmente per
elaborare la propria pura delizia alle sue parole ma allo stesso tempo
mantiene la leggera canzonatura che hanno instaurato. «Ma
volevi compiacere ogni mio capriccio, ricordi?»
«Questo
non è esattamente un gran
sacrificio» sussurra rocamente lui appena prima che le loro
labbra si incontrino.
NdT:
Alias il capitolo che ha reso incontenibile la mia voglia di
abbracciare Daniel (e Regina).
Scusate il rinvio dell’aggiornamento, ma ieri –
incredibile ma vero – sono stata un po’ in giro, e
anche se tecnicamente avevo già tradotto il capitolo dovevo
ancora rileggerlo e correggere eventuali errori.
Riguardo lo scioglilingua, io ne ho fatto una traduzione piuttosto
letterale, ma magari in futuro ci tornerò sopra e
cercherò di rendere almeno qualche rima.
Per finire, cercherò di aver pronto il nuovo capitolo per
mercoledì 16 luglio (ma è
abbastanza lungo,
quindi non so se ce la farò). Alla prossima!
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Capitolo 17 *** Of Apple Blossoms and Tufts of Grass ***
Nota dell’Autrice:
Fluff! Nient’altro da dire.
Capitolo
17
Of
Apple Blossoms and Tufts of Grass
«Di
qualsiasi cosa siano fatte le nostre anime, la sua e la
mia sono le stesse, e…» La brezza che si alza
arruffa le pagine ingiallite del libro nelle mani di Daniel, e lui si
ferma a metà frase per ritrovare il passaggio. Le foglie
sussurrano sulle cime degli alberi, toccandosi e separandosi ancora
mentre il vento fa oscillare i rami. Daniel fa scorrere il pollice
lungo le pagine cercando il punto familiare e, dopo averlo individuato,
riprende a leggere. Di tanto in tanto inciampa su una parola o perde
completamente la riga – come potrebbe non farlo, quando i
suoi occhi vagano a più riprese dalle pagine squallide alla
mano morbida posata sulla sua spalla. Neanche la sensazione di
solletico causata da ciocche di capelli corvini aiuta la concentrazione.
La
fonte della sua distrazione si allontana lievemente e gli
dà un lieve schiaffo sulla guancia.
«Concentrati» lo rimprovera Regina.
L’aspirante severità del suo tono è
cancellata dal calore dei suoi occhi e del sorriso che non riesce a
trattenere.
Be’,
a questo gioco si può giocare in due.
«Sono
demotivato» si lamenta Daniel. «Che
ne dici di un bacio per i miei sforzi?»
«Dopo
che avrai finito il capitolo» insiste lei con
un sorriso malizioso.
A
dirla tutta, lui fa un tentativo, e lei impone la propria regola
– entrambi lo fanno piuttosto flebilmente, però.
Alla fine Regina gli prende il libro dalle mani e lo mette da parte.
Lui rivendica il bacio che gli è stato promesso, e poi lei
ne richiede uno in cambio. Si separano senza fiato nell’aria
dolce della primavera.
Gli
occhi che schizzano via da lei, Daniel allunga rapidamente la mano
verso il libro. «Continuiamo?»
Regina
si agita un po’ prima di mettersi comoda con le gambe
distese e la schiena poggiata contro il tronco nodoso di un melo
selvatico. Ronzinante nitrisce nelle vicinanze in risposta al cavallo
di Daniel. Regina contempla gli squarci di cielo tra i rami del vecchio
melo, rigirandosi distrattamente un piccolo bocciolo marrone rosastro
tra le dita.
«Che
ne dici di guardare un po’ le
nuvole?» suggerisce.
Quando
Daniel si sistema sulla propria schiena con le mani dietro al
collo, lei si sposta al suo fianco. Una mano stringe ancora il piccolo
bocciolo del melo, che è stato ormai attentamente seccato ma
non è per questo meno bello o prezioso; l’altra
mano le giace di fianco, spostandosi appena di tanto in tanto. Soffici
ciuffi di erba giovane le carezzano i palmi mentre lei fa scorrere le
dita attraverso i fili teneri. Lei avverte un movimento accanto a
sé e si immobilizza per un secondo, addirittura trattiene
lievemente il fiato senza nemmeno realizzarlo. Poi la mano di Daniel
trova la sua e, mentre le loro dita si allacciato, Regina sospira di
soddisfazione.
«Non
vedo niente, sai» dice dopo un po’.
«Lassù, voglio dire».
«Nelle
nuvole?» Lui aggrotta la fronte –
è strano detto da lei. L’hanno già
fatto, naturalmente, e scoprire sagome e forme in quella massa
ininterrottamente in movimento e in cambiamento è sempre
stato un piacevole passatempo.
«Credo
di non averne bisogno» replica lei.
«Sono nuvole. Sono bianche e morbide o grigie e dense. Mi
piace il modo in cui si sollevano lungo il cielo pigramente,
arricciandosi e dispiegandosi di nuovo – ma oggi non cerco
sagome fantastiche».
«E
come mai?» Sicuramente lei deve star arrivando
da qualche parte.
«Perché
adesso mi piace quaggiù. Mi
piace ogni cosa che c’è
quaggiù».
Una
stretta di mano è tutta la risposta di lui. È
abbastanza. Lei si fa scivolare più vicino e chiude gli
occhi, inspirando la terra fragrante, l’erba, e i petali
bianchi disseminati qua e là sotto i rami.
Regina…
Il
vento fischia il suo nome mentre lei corre lungo la radura, i
capelli che volano e le mani tese a pettinare l’erba alta.
«Regina…»
Oh,
è lui.
«Guarda
là, vicino al ruscello» dice
Daniel sommessamente quando lei apre gli occhi.
«Mi
sono addormentata?»
«Sì.
È stata una strada lunga sino a
qui, quindi nessuna sorpresa. Ora guarda» sorride e indica il
brillante nastro argenteo a metà del pendio.
Dapprima
sembrano nuvole che si siano perse, avendo scambiato il
terreno per il cielo. Solo dopo che lei si stropiccia velocemente gli
occhi realizza cosa sono davvero, e che le sagome morbide che si
muovono lentamente sul fresco tappeto verde sono molto più
solide delle volute sopra la sua testa. Un pastore cammina in mezzo a
loro con un cappello di paglia posato sulla testa e un alto bastone
ricurvo in cima nella mano. Mentre il gregge si muove per bere al
ruscello immacolato, un lieve tintinnio raggiunge le loro orecchie. Un
raggio di sole rivelatore svela una campanella di ottone al collo di
una delle palle di pelo morbido. Qualche belato occasionale sale lungo
il pendio, più forte del brusio complessivo, e uno
– particolarmente pronunciato – fa ridacchiare
Regina.
«Vuoi
andare laggiù?»
Lacerata
tra il desiderio di mantenere la scena idillica indisturbata e
la voglia di vederla da vicino e forse di diventarne parte per un
momento, Regina si limita a fissare il gregge che si muove pigramente.
«Andiamo».
Daniel si alza e le offre una mano.
«Possiamo avvicinarci un po’ di più e
poi vedremo se vogliamo raggiungerlo».
Il
pastore è effettivamente colui che fa loro cenno di
avvicinarsi una volta che loro si sono approssimati. È un
tipo silenzioso, come se avesse poche opportunità di parlare
con delle persone, ma il suo volto segnato dalle intemperie
è gentile. Per un momento scompare nella massa brulicante di
bianco e riemerge con un agnellino e con la guardinga mamma pecora che
segue il suo piccolo.
Regina
si illumina ed immediatamente si lascia cadere sulle proprie
ginocchia e allunga le braccia verso il curioso, imperturbato agnello.
All’ultimo momento, si ferma e guarda prima Daniel e poi il
pastore. L’uomo le fa un segno incoraggiante proprio mentre
l’agnellino urta il proprio piccolo naso contro la spalla di
Regina.
«Guarda
le sue orecchie» ride lei mentre accarezza
la creatura che bela felicemente. «Bellissimo».
Lo
è, per Daniel, una scena persino più bella di
quella indisturbata di prima sul pendio.
«Ne
voglio uno» annuncia più tardi
Regina mentre risalgono il pendio.
«Una
pecora?» chiede Daniel. Poi aggiunge con una
piccola risata: «Perché non ne sono
sorpreso?»
«Be’,
erano meravigliose. Potremmo averne
qualcuna».
«Immagino
che tuo padre non si opporrebbe».
«Mia
madre, d’altra parte…»
Regina si ferma a metà della frase, anche a metà
del pensiero; l’ultima cosa che vuole è rovinare
questo momento speciale indugiando sulla realtà alla quale
dovrà comunque tornare fin troppo presto.
La
casa del guardiano della foresta si trova in cima ad una bassa
collinetta sulla sponda opposta del lago. Il sentiero sterrato verso la
casa li conduce sulle rive del lago. La superficie è blu
scuro con chiazze dorate mentre il sole getta i suoi raggi su di essa,
e le increspature del vento sembrano trasformarla in vetro fuso. Una
famiglia di anatre sguazza lungo la sponda, una madre con cinque
anatroccoli ad una lezione di nuoto.
«Mi
piacerebbe fare una nuotata, domani» dice
Regina quando si lasciano dietro la famiglia di anatre mentre il
sentiero devia dal lago.
Daniel
si gira per guardarla, poi guarda il lago al di sopra della
propria spalla. «È troppo presto.
L’acqua sarà fredda».
«Non
m’importa». Lei scrolla le spalle.
«Controlla
tu stessa» suggerisce Daniel, ed
effettivamente fa per tornare sui propri passi verso la sponda.
Regina
strappa la mano da quella di lui. «Sei
iper-protettivo» sbuffa. «Posso sopportare
dell’acqua un po’ freddina».
«Sarà
più che freddina».
Daniel si strofina la fronte. «Sto solo cercando di essere
ragionevole».
«Io
non voglio essere ragionevole! Io voglio…
voglio…» Ma le parole la abbandonano proprio
mentre la sua frustrazione raggiunge il culmine. Perché lui
non vuole capire?
Lui
le rivolge una lunga occhiata e alla fine alza le mani.
«D’accordo. Lungi da me essere un
guastafeste».
A
questo la tensione si solleva, e i lineamenti di Regina si
ammorbidiscono. Lei si avvicina a Daniel con aria imbarazzata e allunga
una mano verso la sua guancia. «So che hai delle buone
intenzioni» dice seriamente. «È
solo… Voglio ottenere il meglio da questo
finché dura».
Mantiene
gli occhi scuri fissi su di lui così intensamente
che deve voler che la dicano lunga dove le parole non possono; ed
effettivamente, Daniel trova quegli occhi eloquenti come sempre.
È sicuramente vero che questa uscita le dà
libertà come non ne ha mai goduta prima. Lui le prende una
mano e le bacia le punte delle dita.
«D’accordo.
Che nuotata sia». Decide di
avere un fuoco acceso per quando torneranno, ed anche una pila di
coperte pronte per l’uso.
La
casa è piccola e modesta ma pulita. Sono solo loro due
– il guardiano vaga per i boschi per la maggior parte
dell’anno, alloggiando alternativamente in una delle case
similmente equipaggiate distribuite lungo la sua circoscrizione,
ospitando i viaggiatori occasionali.
Mentre
Daniel accende un fuoco nel caminetto sporco di fuliggine,
Regina si mette a fare i letti.
«Cena?»
offre lui, rovistando in una delle loro
borse.
«Non
ho fame». Lei scivola sul suo grembo e gli
avvolge le braccia attorno al collo. «Possiamo metterci a
sedere e parlare prima di andare a dormire?»
Mettendo
da parte la borsa, Daniel le accarezza la guancia e con
l’altro braccio le cinge i fianchi.
«Certo».
Dei
raggi di sole passano obliqui attraverso le cime degli alberi e
scaldano le sue guance già arrossate mentre sta in piedi
sulla soglia ad ammirare la vista. Piccole increspature sono impegnate
a giocare sul lago, lavando gentilmente la riva erbosa o inseguendo le
pagliuzze dorate del sole. La famiglia di anatre non si vede ma un
doppio tonfo annuncia la presenza di un paio di rane che vanno a fare
una nuotata. Potrebbero anche essere rospi. Regina sorride
radiosamente. Il suo spirito sembra danzare con le increspature alle
melodie del vento e del sole.
«Sbrigati!»
chiama rivolta a Daniel, senza mai
distogliere gli occhi dalla massa d’acqua che l’ha
tentata tanto.
«Sto
arrivando» arriva la sua risposta.
Come
per un segnale, Regina si dirige dritta verso il lago, ignorando
il sentiero e preferendo farsi strada attraverso l’erba
giovane e morbida e giù per il pendio. Ha a stento raggiunto
la riva e si sta già scrollando di dosso la mantella e
gettandola da parte. Una pietra infida o un grumo di fango le finisce
sotto i piedi e lei atterra sul terreno, scivolando sul proprio
fondoschiena per il resto del percorso finché non arriva ad
un arresto giusto ad un pelo dal lago.
Con
una risata argentina, si toglie gli stivali con un calcio
– la rapidità suggerisce che siano stati slacciati
per tutta la via – e inizia a slegare il retro del proprio
vestito.
«Avrei
accettato volentieri un piccolo aiuto»
chiama vivacemente quando Daniel finalmente emerge a qualche passo
dietro di lei, muovendosi cautamente e tentando al contempo di
bilanciare un mucchio di coperte piegate nelle proprie braccia.
Daniel
raggela per un breve momento alla vista della schiena nuda di
lei; poi distoglie rapidamente lo sguardo. Regina scivola fuori dal
proprio vestito e si alza a piedi nudi in una leggera sottoveste.
Daniel esala lentamente. «Sembra che tu ti sia arrangiata
bene» tira fuori alla fine.
Mette
giù le coperte a metà strada del pendio
erboso, dove saranno a portata di mano ma non abbastanza vicine da
venire inzuppate, e inizia a svestirsi per rimanere in indumenti
intimi. Ogni tanto guarda furtivamente Regina, che, a dispetto della
fretta precedente, è ancora sulla riva, intenta a strofinare
i piedi contro i soffici ciuffi d’erba.
È
fresca e solleticante, e così è la
sensazione portata dalla brezza leggera che soffia facilmente
attraverso la sua sottoveste. Un caldo giorno di primavera dopotutto
non equivale all’estate, e Regina cerca di combattere un
brivido. Come per dimostrare la propria volontà di ferro,
sonda l’acqua con un piede e lo ritira velocemente. Daniel
l’ha notato? Se è così, potrebbe
cercare di nuovo di dissuaderla dal fare un bagno.
Azzarda
un’occhiata verso di lui al di sopra della propria
spalla. Lui non la sta guardando, scopre con sollievo, ma si sta
sfilando la maglia dalla testa. Il capo di lei scatta indietro per dare
un’occhiata furtiva al giovane, adesso senza maglia e intento
a togliersi gli stivali. Regina trasale quando si scopre a guardare
imbambolata la sua schiena muscolosa e si gira. Un secondo
più tardi scuote la testa con un gran sorriso. Anche lui
l’ha guardata? A quel pensiero sorride tra sé e
sé.
Con
una forte folata di vento e una nuova serie di increspature
sull’acqua, la sua mente torna al lago. È
così bello, così pacifico e vivace e,
be’, perfetto – può farci qualcosa se
non è ancora estate? Dovrebbe permettere ad una tale
bazzecola di rovinare il giorno che ha sognato? Stringendo i denti, fa
un passo in avanti, e un altro, e si trova immersa sino al polpaccio
nell’acqua fredda.
«Diventerà
solo più fredda mentre
avanzi», lei sente Daniel da dietro. Nonostante lei si
prepari ad obiettare, lui non aggiunge altro. Forse pensa che lei
cambierà idea, che sarà ragionevole.
Ma
adesso non è il momento per la ragionevolezza;
è il momento per la pazzia, il divertimento, la
libertà.
Le
battono i denti ma lei si avventura comunque più a fondo,
sino alle proprie ginocchia, a metà coscia, sino alle
proprie natiche, e con ogni passo diventa più dolorosamente
consapevole dell’onnipresente pelle d’oca che si
propaga su tutto il suo corpo. Un brivido violento corre attraverso di
lei proprio mentre il sole viene completamente fuori da dietro una
nuvola vaporosa e dipinge il lago di un argento splendente. Il sorriso
di Regina si allarga da un orecchio all’altro mentre lei si
tuffa di testa in profondità.
Per
un momento l’aria le viene tolta dai polmoni. La puntura
del freddo dura solo un po’, comunque, e mentre lei inizia a
nuotare con larghe, energiche bracciate, il calore torna a diffondersi
nei suoi muscoli. Dopo un po’ lei si gira sulla schiena solo
per venire accecata dalla sfera luminosa del sole che è
sospeso proprio sopra di lei.
«Non
è meraviglioso?» grida mentre
galleggia nell’acqua sguazzando con tranquillità,
e battendo le ciglia osserva l’azzurro del cielo e il verde
calmante e vellutato degli alberi. «Daniel?»
Ma
non arriva nessuna risposta, e Regina si gira da questa e
quest’altra parte, schermandosi gli occhi con una mano,
esaminando il lago alla ricerca di braccia o gambe che nuotano, o
almeno di uno sciabordio d’acqua che le riveli dove si trova.
Non c’è niente; solo le piccole increspature mosse
dal vento e da lei, ma nessun Daniel.
«Daniel!»
chiama, facendo a stento uscire il suono
dalla gola che si stringe. «Daniel, do…
aaah!»
Qualcosa
le tira il piede da sotto, gentilmente ma spaventandola
comunque a morte, e lei scalcia istintivamente ma colpisce solo acqua.
Un paio di mani la afferrano dalla vita e la tirano indietro ma non
sott’acqua, e mentre è stretta in un saldo
abbraccio, sdraiata su di lui, lei inizia finalmente a rilassarsi, e i
suoi strilli si trasformano in risate.
«Demonio,
tu!» grida, scivola fuori dalle sue
braccia, si gira velocemente, e gli getta uno spruzzo
d’acqua. Colpito in piena faccia, Daniel sputacchia ma si
riprende abbastanza rapidamente, ed è il turno di lei di
schivare la doccia che lui manda nella sua direzione. Mani si dimenano;
corpi si lanciano fuori portata; spruzzi d’acqua si sollevano
nell’aria, si disperdono in un milione di goccioline e cadono
di nuovo, riunificati. Quando lui le spedisce uno spruzzo
particolarmente ben mirato, lei si tuffa e fugge verso la riva
più vicina, tutto mentre lotta per contenere le proprie
risate in un tentativo di respirare effettivamente. Daniel le
dà la caccia, ovviamente, e risulta essere il nuotatore
migliore, poiché si sta avvicinando; quando è
quasi sopra di lei, lei si immerge ancora e sbatte i piedi
furiosamente, diretta verso il fondo.
Sopraffatta
da un improvviso inizio di curiosità, apre gli
occhi sulla fredda massa che preme su di lei con forza crescente.
È solo buio, e lei non può evitare di desiderare
una vista più chiara delle misteriose profondità.
Il respiro le manca, e lei si guarda attorno urgentemente –
dov’è l’alto?
L’oscurità sembra più chiara in una
direzione, così lei sbatte i piedi energicamente da quella
parte. Quando infrange la superficie, inspira un respiro profondo e
ansante. Stordita dalla luce brillante, impiega un momento per
ritrovare il proprio senso di direzione. Dopo un po’
individua Daniel, più in là, evidentemente
intento a cercarla. Lei si tuffa ancora, stavolta non così
in profondità, e riemerge dietro di lui. Sorridendo di
gioia, adesso è il suo turno di lanciare le proprie braccia
attorno a lui, cogliendolo alla sprovvista, e il suo piccolo guaito la
fa scoppiare in uno scroscio di risate.
Ancora
premuta contro di lui, appoggia la testa sulle sue spalle. Il
riso soffocato di Daniel si spegne; lei è così
vicina, ed anche se lui si rammenta che stanno entrambi indossando dei
vestiti, sembra quasi che non ci sia nulla tra la pelle di lei e la sua.
«Nuota
con me» dice lei, e lui obbedisce.
Sente
i piedi di lei battere in ritmo con i suoi, le braccia di lei che
si spostano da attorno al suo collo ad attorno il suo petto
così che le sue braccia siano libere di fare bracciate lente
ed ampie. L’acqua si increspa a stento mentre scivolano in
avanti lungo il lago, tranquillo e silenzioso.
«Perfetto»
sussurra lei, più a se stessa
che a lui. Daniel sorride e continua a nuotare, anche se ormai le sue
braccia dolgono.
Poi,
sfuggente come un’anguilla, Daniel si gira verso di lei
e in un istante stanno galleggiando in mezzo al lago in un abbraccio,
pedalando lentamente nell’acqua e osservando
nient’altro che il viso l’uno dell’altra.
«Ho
freddo» ammette lei di punto in bianco, e
ridacchia.
«Regina!»
grugnisce lui.
«Sto
bene! Sono solo un po’ infreddolita, tutto
qui».
«Faremmo
meglio ad andare. Adesso» dice severamente
lui.
«Non
ancora» implora lei, e lui si ritrova ad
intenerirsi quando messo di fronte al suo sorriso disarmante.
«Non prima di…» Lei alza un sopracciglio
ed annulla la poca distanza che c’era ancora tra di loro.
«Prima
di…?» chiede lui scherzosamente.
Il suo cuore lo sa, però, e batte più forte in
anticipazione.
«Prova
a capirlo» mormora lei, allungandosi di poco
più vicino ma fermandosi ad un pelo dalle sue labbra.
«Mi…
mi sa che ho un sospetto» riesce a
dire lui rocamente.
Gli
occhi di Regina si chiudono alla sensazione del respiro di lui che
si mescola col suo.
Le
loro labbra si sfiorano leggermente, toccandosi a stento. Poi
sembrano non volersi più separare.
È
una lunga strada sino alla riva – o meglio una
strada lenta, inframmezzata da tante pause, nessuna di loro spiacevole.
«Lasciami
andare per primo, ti prendo una coperta».
Regina
non fa obiezioni. C’è stato così
freddo per tutto il tempo? O si è appena fatto
più freddo perché lui non è
più vicino?
Guarda
Daniel emergere dal lago e correre per la breve distanza sino
alla pila di coperte. Gocce d’acqua gli rigano la schiena e
vengono inghiottite dall’asciugamano che si getta attorno.
Peccato…
Woah, l’ha appena pensato per davvero?
Fissare non è cosa da signora. Un ampio sorriso le si
sistema sul volto. Non c’è alcun male in quello
che prova, giusto? Giusto.
Così
Regina non distoglie gli occhi – nemmeno
quando Daniel raccoglie non meno di tre coperte e si affretta a tornare
verso di lei, immerso nell’acqua sino alle ginocchia prima
ancora che lei si muova. Lei lo incontra a metà strada,
tremando mentre la luce del sole e l’aria fresca non fanno
nulla per annullare il brivido che le si insinua nelle ossa.
Prima
di lasciarsi coprire dalle coltri, però, lei stringe
l’asciugamano cadente più stretto attorno alle
spalle di Daniel: dopotutto deve star congelando anche lui.
Daniel
è lontano dal congelare; in effetti, cerca di
combattere il calore crescente che inizia da qualche parte nella
cavità del suo stomaco e sulle sue guance. Quando le dita di
lei gli sfiorano il collo, questo brucia decisamente, e lui arrossisce
furiosamente. Per pietà, perché deve continuare a
sentirsi così distratto dalla pelle lucida di lei e
dall’indumento aderente che cerca tanto di non guardare? Lei
se ne rende conto? Controllati,
Daniel.
Prova
un doppio sollievo mentre le avvolge le coperte attorno. La
inghiottiscono interamente, e lei le tiene su per non inzupparle
nell’acqua.
«Corri
sino alla casa» dice lui e suona molto meno
fermo di quanto intendesse; ma per una volta lei non discute.
Quando
lui la raggiunge dentro con i vestiti di lei tra le braccia e la
coperta rimanente sulle proprie spalle, la trova seduta accanto al
fuoco che ha acceso prima della loro partenza. Che idea benedetta,
poiché lei sembra apprezzare davvero il calore generoso
fornito dalle fiamme crepitanti.
«Ti
sei vestito molto velocemente» nota lei.
«Non sapevo che avessi acceso un fuoco».
«Dovresti
cambiarti anche tu» dice lui sopra la
propria spalla mentre posiziona una scodella d’acqua sul
fuoco.
«L’ho
già fatto. Ho preso in prestito
una tua maglia». Sinceramente, trova che indossare i vestiti
di lui sia intrigante e anche confortevole. «Ho immaginato
che non ti avrebbe dato fastidio». Poi, come per un
ripensamento, con un’inclinazione del capo: «Ti
dà fastidio?»
«No,
affatto» mormora lui, senza incontrare il suo
sguardo. Per davvero adesso, ha bisogno di controllarsi.
La
fronte di Regina si corruga. «Vieni a sederti vicino al
fuoco anche tu» dice, guardandolo con attenzione. I denti di
lei battono ancora nonostante il calore del fuoco.
«Guardati,
stai gelando!» esclama Daniel con
orrore, fermandosi nell’atto di sedersi al suo fianco. In
effetti, le labbra di lei sono sfumati di un blu pallido, e le sue mani
sono fredde. «Avrei dovuto protestare con più
passione contro tutto questo. Anche se significava farti arrabbiare.
Santo cielo, Regina, e se ti ammalassi?»
È
praticamente inarrestabile e, se lei vuole essere onesta
con se stessa, deve ammettere che lo trova tenero.
«Daniel».
Allunga una mano a toccargli la spalla.
«Starò bene. C’è del
tè ed un fuoco e delle coperte. Inoltre, non sono un fiore
delicato che appassisce solo perché soffia una
brezza». Si adira a quella presunta insinuazione.
Daniel
sospira. «Lo so, e non è questo il punto.
Il punto è che fa freddo, anche per un…
un…» Può diventare ancor più
frustante?
«Un
fiore non così delicato?» dice lei
con un ampio sorriso. Poi torna seria – lui è
genuinamente preoccupato. «Starò bene. Adesso sto
al caldo, e non farò più nulla di
folle».
«Promesso?»
«Promesso».
«Sono
felice che tu ti sia divertita». Per una
volta, non c’era nessuno a porle limiti costrittivi, non
c’erano le aspettative contorte di nessuno secondo le quali
vivere, e chiaramente quella libertà fa una gran differenza.
«Lo
so» annuisce lei. «Tu ti sei
divertito? O hai speso tutto il tempo a preoccuparti per me?»
«Un
po’ di entrambi» ammette lui.
«Sarà molto divertente – in
estate».
«La
vuoi smettere!» esclama lei con una traccia di
esasperazione ma con un sorriso nonostante ciò.
«Lo
farò se lo farai tu».
Lei
è ridicolmente bella con i capelli bagnati appiccicati
al viso; il petalo rosa e bianco intrappolato in una ciocca
semplicemente… ci sta. E quegli occhi…
Le
coperte, di lei e di lui, scivolano via e colpiscono il pavimento
con un fruscio mentre le braccia di lei si tendono di colpo al suo
collo e lo attirano in un bacio.
Non
fanno differenza, le coperte mancanti; nessuno di loro nemmeno nota
la loro assenza nell’abbraccio condiviso. Le dita di Daniel
vagano gentilmente lungo la sua guancia e il suo collo, giocando coi
suoi capelli. Con un piccolo sospiro, Regina gli si appoggia contro,
premendosi contro il suo petto, al ché lui si lascia
lentamente cadere all’indietro. Lei si agita appena, pronta a
mettersi comoda nel suo abbraccio, ma proprio allora Daniel li ribalta
e si allontana lievemente; lei emette un lamento scontento alla perdita
del suo tocco ed allaccia le dita attorno alla sua collottola per
approfondire il bacio. Ostinato, lui si allontana ulteriormente, e lei
si siede dritta come un fuso.
«Co…
Cosa?» grugnisce e lo lascia
andare. Il rosa delle sue guance è tanto un segno
d’irritazione quanto del caldo del fuoco o del calore del
momento.
Senza
parole, lui allunga la mano verso una coperta e la avvolge
accuratamente in essa.
«Seriamente?»
respira lei. «Per
questo…?»
Daniel
la esamina cautamente, ancora stringendo le estremità
unite della coperta attorno a lei. C’è la
possibilità che lei si faccia acida per questo, gli dicono i
suoi occhi. Forse c’è ancora tempo per suscitare
una reazione più favorevole.
Senza
rompere il contatto visivo, lui porta le sue braccia attorno a
lei, non incontrando nessuna resistenza. Qualche goffo tocco
è tutto ciò che le riesce, come se ogni altra
cosa fosse ostacolata dallo scomodo tessuto in cui è
intrappolata. Eppure lui non le permette di scrollarlo via ma invece la
preme contro di sé e una volta ancora porta entrambi ad un
morbido atterraggio sul tappeto spesso di fronte al fuoco.
«Ecco»
le sussurra nell’orecchio.
«Meglio?»
Lei
si rannicchia contro il suo petto senza ulteriori indugi. Il
battito del suo cuore è palpabile anche attraverso gli
strati di stoffa, e le dita di lei formicolano a quella sensazione
– che meraviglia giacere proprio sopra il suo cuore.
«Regina?
Va tutto bene?» È questo che
lei vuole, o si è perso qualcosa?
«Più
che bene» dice lei sommessamente.
C’è un momento di esitazione prima che confidi:
«Vorrei che potesse sempre essere così».
Daniel
si muove nel sonno. Una mano vaga sul suo braccio. Uno sbuffo
della fresca aria notturna gli raffredda il torso per un breve momento.
Qualcosa di morbido e caldo gli preme sulle gambe. Lui si strofina il
volto – qualcosa pizzica. Ciocche scure di capelli. Che sogno
incantevole. Può sognarlo, oh sì, non
c’è niente di male nei sogni, non in quelli dove
lei giace rannicchiata contro di lui e lui le tiene attorno un braccio
protettivo.
Il
letto cigola e Daniel si sposta.
Il
volto di lei è nascosto nell’ombra dietro la
tenda dei suoi capelli scuri e lei rimane immobile per un momento.
«Regina»
farfuglia lui e si tira su puntellandosi
col gomito, tirandosi appena indietro. «Qual è il
problema?»
Regina
si infila distrattamente i capelli dietro le orecchie. Senza una
parola, si fa appena più vicina; il suo pugno gli stringe
una manciata della maglietta, impedendogli di muoversi ulteriormente
verso il muro. Lui si fa correre una mano attraverso i capelli
– cosa sta succedendo?
«Regina?»
dice con voce rauca mentre le gambe di
lei premono appena per intrecciarsi alle sue.
Silenziosa
come sempre, lei si aggrappa a lui e lo bacia con
un’urgenza che gli toglie il fiato. Va benissimo avere
determinazione ma come la mantiene davanti alla tempesta emotiva che
infuria dentro di lui? Si trova a ricambiare il bacio con passione
senza precedenti che sconfina nella disperazione, una fame che aveva
previsto ma che sta davvero fronteggiando solo adesso – e la
sua intensità lo terrorizza, poiché è
una forza potente a cui resistere. Ma se dovrebbe combatterla,
perché sta lasciando che lo avvolga, e perché
sente un tale desiderio di limitarsi ad arrendersi completamente?
Quando
lei si stacca bruscamente, il mondo di lui si profila minaccioso
nonostante tutta la lotta interiore – vuole questo, lo vuole
più di quanto possa comprendere; oh, come l’ha
sottovalutato! È una cosa positiva che lei si sia fermata,
poiché ora lui dubita che avrebbe potuto farlo. Avrebbe
dovuto? L’avrebbe fatto? Cos’è giusto
comunque, e cos’è sbagliato?
«Daniel»
sussurra lei, «posso stare con
te stanotte?»
Il
suo letto è giusto dall’altra parte della
stanza, tre passi al massimo, certo, ma non è questo il
punto e lo sanno entrambi.
Ma
lui la vorrà? Rifiuterà, manterrà
la distanza come ha fatto nei giorni passati? Non è mai
stato altro che caloroso e amorevole, ed è difficile per lei
individuarlo con precisione ma a volte lo sente farsi forza, come se
lei costituisse un qualche genere di minaccia a lei sconosciuta, e poi
quell’orribile braccio metaforico fa una comparsa e la tiene
a distanza decente.
Per
la sua costernazione, lui esita. Lei sente formarsi un groppo nella
sua gola e i suoi occhi bruciare ed una parte di lei vuole scappare
– un centimetro lontano da lui, o dall’intera
stanza, per nascondere il proprio volto e non doverlo più
vedere. Poi c’è la parte di lei che non odia
niente di più del pensiero di mettere distanza tra loro
adesso – o in qualsiasi altro momento.
Finalmente,
alla fine, lui parla. «Certamente» dice.
Le
lacrime affiorano dietro le sue palpebre chiuse. È tutto
sbagliato. Le sue parole sono giuste ma il suo tono è tutto
sbagliato.
«Me
ne vado» mormora lei ed effettivamente si
sposta da lui.
Lui
la afferra dalle spalle, gentilmente ma con fermezza, e la tira
indietro.
Nonostante
il singhiozzo che lei non riesce a sopprimere,
c’è un raggio di speranza che si apre un varco.
«Resta»
dice semplicemente lui.
«Non
voglio essere un disturbo» obbietta lei; non
dovrebbe dire cose simili, è ingiusto – lui la ama
e lei lo sa, ma ultimamente lui è stato comunque un mistero
per lei. Nel peggiore momento immaginabile, anche, poiché
lei aveva sperato che questa sarebbe stata la loro occasione di stare
insieme – stare insieme davvero, senza dover concentrare
parte dell’attenzione su esche e travestimenti e potenziali
disastri in caso fossero stati scoperti. Intimità
– questa è la parola. Ma tutto d’un
colpo lui sembra così ansioso, così teso
– può aver cambiato idea su questo? Su di loro?
«Regina,
per favore, ti voglio qui».
«Allora
perché suoni così poco
convincente?» si lascia sfuggire lei.
«Perché… perché sei
così… così… Be’,
ogni volta che ci avviciniamo troppo tu ti allontani!
Pensavo… Ho pensato che avremmo usato questo per essere
più vicini di quanto mai potremmo essere ma invece tu sei
diventato più distante!»
«No,
io…» Lui si blocca, e lei sussulta
– probabilmente finire con un “non l’ho
fatto” sarebbe stata una bugia. «Mi
dispiace» dice lui, suonando sconfitto.
«Ma…
tu mi ami». Questo è
vero. Nonostante tutti i dubbi e le domande questa ferma convinzione
– no, consapevolezza – proviene dalle
profondità della sua anima ed è semplicemente
inconfondibile.
«Sì!»
Lui si siede per essere al suo
livello e la sua presa sulle braccia di lei si rafforza lievemente.
Un
piccolo singhiozzo finalmente riesce a sfuggire, se per disperazione
o sollievo lei non sa dirlo.
«Regina,
mi dispiace – sono un idiota! Non avevo
realizzato che ti avrebbe fatto sentire così».
«Allora
è vero». Lei lo inchioda con uno
sguardo. Stranamente, i nodi nel suo stomaco sembrano essere scomparsi
quasi del tutto. Lui la ama. Non voleva questo. Ma allora cosa voleva?
«Sì,
ma non per quello che credi. Non ho mai avuto
intenzione di ferirti – pensavo di star facendo la cosa
giusta. Ho solo pensato…» Sembra essere perso,
eppure così chiaramente ansioso di far capire cosa vuol
dire; Regina condivide la sua pena.
«Va
tutto bene» gli dice, «dimmelo e
basta. Dimmelo così com’è».
«Avevo
paura che le cose stessero andando troppo in fretta
per te. Non voglio precipitare niente. Ma quando siamo vicini in questo
modo, e quando ci baciamo come abbiamo appena
fatto…»
«Non
ti è piaciuto?»
«Oh,
mi è piaciuto. Forse mi è piaciuto
un po’ troppo».
«Sono
abbastanza sicura che non ci sia una cosa
simile».
«Regina,
a volte quando ti guardo, come oggi vicino al
lago… ho cercato di non farlo» dice velocemente,
arrossendo, «ma eri così bella,
e…»
Gli
occhi di lei si offuscano di lacrime alla sua parola.
«Quindi è vero. Va tutto bene, ho guardato
anch’io». Non lascia che lui la interrompa
perché finalmente pensa di aver capito. «Daniel,
sono una ragazza cresciuta. Credo che tu l’abbia
notato», fa un ampio sorriso. «Sento
anch’io queste cose. È un male? Non
penso».
«No»
concorda lui. «Ma… me lo
diresti se le cose si stessero muovendo troppo velocemente, o in una
direzione che ti mette a disagio, giusto? Regina, devi
dirmelo».
«Te
lo direi» dice lei e lo bacia lievemente.
«Ma non sarà necessario».
Lei
respira il suo odore con la faccia sepolta nell’incavo
del suo collo mentre lui le fa scorrere pigramente la mano su e
giù lungo la schiena. Senza preavviso, una lacrima le riga
la guancia. Com’è stata così fortunata?
Lui la conosce così bene, meglio di chiunque altro, e la
vuole ancora – no, la vuole per questo, non
nonostante
questo. Ed è così premuroso, così
cauto, così attento a non farle del male. Lei ha sognato
così tante volte di addormentarsi così, e
svegliarsi al mattino tra le sue braccia – e adesso sta
succedendo davvero.
«Ti
amo» arriva la sua voce morbida
dall’oscurità, il suo respiro caldo che le
solletica l’orecchio e il collo.
«Ti
amo» sorride lei dentro la sua maglia e si
sposta per poggiare la testa sul suo cuore.
Daniel
avvolge con forza le proprie braccia attorno a lei.
«Buonanotte, Regina» sussurra accarezzandole i
capelli. Mentre lei chiude gli occhi, un sorriso contento le si sistema
sulle labbra.
Quindi
è così che ci si sente.
NdT:
Okay. A quanto pare avevo sopravvalutato le mie capacità di
tradurre in fretta questo capitolo.
Tra la lunghezza e il caldo (non sono brava a sopportare il caldo, e
davanti al pc muoio XD), sono riuscita a finire solo adesso.
Comunque! Domani parto per la Germania e torno il 30… Spero
di riuscire ad aggiornare per il 3 agosto :)
Alla prossima!
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Capitolo 18 *** An Ode to Ink and Parchment ***
Nota dell’Autrice:
Era un po’ che giocavo con
l’idea di sperimentare lo stile epistolare ed ho approfittato
dell’occasione in questo capitolo – Regina
è in viaggio con Cora e tiene una corrispondenza segreta con
Daniel. Buona lettura!
Capitolo
18
An
Ode to Ink and Parchment
Castello
del Re Xavier, lunedì
Caro
Daniel,
se
stai leggendo questa, significa che il papà mi ha fatto
un favore e te l’ha data. Ti ho detto che avrei trovato un
modo per tenerci in contatto – ed eccolo qui.
Qualcosa
di strano e bello è successo mentre stavo
preparando la valigia per il viaggio, e non ho avuto
l’occasione di dirtelo prima di partire. Stavo dando una
curiosata allo scaffale dei libri per trovare qualche lettura da
portarmi dietro quando un tomo vecchio e impolverato ha catturato i
miei occhi. A giudicare dal suo aspetto non lo tiravo fuori da anni,
eppure mi ha suscitato un ricordo. Ho soffiato via lo strato di polvere
dalla copertina e l’ho aperto sulla scrivania.
C’era una margherita rossa, appiattita e asciutta, che mi
fissava da in mezzo alle pagine.
Ti
ricordi? Io sì. Ho sfogliato in fretta il libro e li ho
localizzati tutti con facilità: una viola del pensiero,
erica bianca, un quadrifoglio, ed un bocciolo di melo raggrinzito rosa
e bianco. Sono corsa al mio guardaroba – ricordavo che era
lì che avevo tenuto il fischietto in legno di salice, appeso
alla sua cordicella, nascosto da occhi predatori dietro ai miei molti
vestiti.
Daniel,
allora non ti ho mai detto quanto significava per me; quanto
disperatamente aspettavo quei momenti in cui tu saresti apparso alla
mia finestra; quanto conforto trovavo nelle storie e nei piccoli doni
che avevi pensato così attentamente. Soprattutto, ero
semplicemente felice che tu fossi lì.
Ha
significato molto allora, e significa ugualmente adesso –
e molto di più. Mi manchi, Daniel. In modi vecchi e nuovi.
Ho
portato il fischietto con me. Mi ricorda di te – non che
abbia bisogno di un promemoria, certo… Quando lo stringo
nella tasca del mio mantello, mi sento quasi come se tu fossi qui con
me.
Inutile
dirlo, quel conforto può certamente tornarmi utile.
Il nonno è proprio come lo ricordavo, forse persino peggio.
Ho deciso di non farne parola col papà per paura di ferirlo
ma rimane il fatto che abbiamo ricevuto un freddo benvenuto e lui
è molto sgradevole sia con me che con mia madre. Questo non
fa nulla per migliorare l’umore già cattivo di
lei. Spero che qualsiasi cosa per cui siamo venute qui venga conclusa
in fretta e che noi potremo lasciare il castello ed il regno; a
giudicare dall’apparenza, trovo che lei sia poco incline a
star qui e, se possibile, abbia persino più voglia di
andarsene di quanta ne ho io.
Dato
che sia lei che il nonno sono occupati in altri modi e nessuno
è particolarmente interessato a me o a come passo il tempo,
godo di ben più libertà qui che a casa. Vedi
l’ironia, non è vero? Avremmo ogni occasione di
spendere tutto questo tempo insieme se non fossimo separati da leghe e
leghe di terra.
Forse
domani mi avventurerò fuori a cavallo – qui
le stalle sono in uno stato piuttosto rovinoso ma ci sono un cavallo o
due abbastanza decenti.
Amerei
ricevere una tua risposta, anche se comprendo che è
rischioso. Sono sicura che il papà non avrà
obiezioni ad accludere la tua lettera alla propria, solo forse non
firmare la risposta col tuo nome nel caso venga intercettata.
Ora
mi piacerebbe molto abbracciarti, ed essere stretta da te per un
po’. Fingiamo che io l’abbia fatto,
d’accordo? Il più stretto degli abbracci e un
bacio sulla fronte, come hai già fatto così tante
volte?
Con
amore,
Regina
le
stalle, mercoledì
Mia
amata ranocchia silvestre con tre dita,
non
ci saranno nomi quando ti scrivo, per essere più al
sicuro possibile.
Quando
tuo padre è comparso alle stalle con la tua lettera
per me, ammetto che ero come sotto shock. Ha fatto più che
concordare col tuo suggerimento, però, e si è
immediatamente offerto di fare da intermediario tra di noi. Sino ad
adesso non avevo idea che avessimo un alleato. Comunque, che mossa
audace da parte tua! Be’, credo che non dovrei essere
sorpreso. Ma ti prego, sii prudente.
Mi
dispiace che tu venga trattata così scortesemente. Almeno
puoi fare le tue scelte quando si tratta di passare il tempo. Spero per
amor tuo che rimanga così. Hai sempre desiderato
più libertà, e ora è la tua occasione.
Usala. Anche se non possiamo trascorrere il tempo insieme, tu puoi
sempre ottenerne il meglio. Che ne dici di dare a quegli inutili
stallieri pane per i loro denti? Sei riuscita ad andare a cavalcare
come avevi pianificato?
Certo
che mi ricordo: i fiori, il fischietto, il tuo viso ogni volta
che comparivo con loro e la volta che sono arrivato tardi. Potevo
vedere la tua tristezza scomparire per un po’ e quello era
tutto ciò che volevo. È tutto ciò che
voglio, in effetti – che tu sia più felice
possibile. E poter far parte della tua felicità, non potrei
chiedere di più.
Le
cose sono monotone alla casa e alle stalle con te via. Ho aiutato
nel giardino perché sembra che anch’io abbia un
po’ di tempo tra le mani, e sai che ho una sorta di debole
per il giardinaggio.
Sto
iniziando a realizzare che questo sarà molto
più difficile di quanto pensassi. Parlare con te
è sempre semplice e molto piacevole ma questa è
un’altra faccenda. Sento di avere così tanto da
dire, solo che non so veramente come metterlo per iscritto. Niente
sembra abbastanza buono; semplicemente le mie parole non soddisfano
ciò che sento.
Sì,
abbracciamoci, e depositerò una dozzina di
baci sulla tua fronte. E sui tuoi occhi, e sulle tue guance,
e…
Ti
amo.
Il
tuo ranocchio silvestre con due dita.
il
mulino abbandonato, venerdì
Caro
Daniel,
grazie
al cielo ti è venuto in mente di usare un alibi. La
lettera del papà è arrivata a colazione ed il
nonno ha strappato la busta proprio davanti a me, anche se diceva
chiaramente il mio nome. Ero pietrificata che saremmo stati scoperti ma
dopo aver visto “Quotidiano Equestre”
scarabocchiato sulla busta del tuo messaggio, si è limitato
a lanciarmela dall’altra parte del tavolo – ci
siamo salvati.
Non
c’è davvero nessun interesse per
l’equitazione in questo posto. Lo stalliere è un
pigro e vecchio ubriacone che è anche il macellaio locale.
Qualcuno avrebbe decisamente dovuto dargli pane per i suoi denti molto
tempo fa. Penso che le stalle debbano essere state in condizioni molto
più idonee quando il papà era ancora un principe
qui ma sembra che, senza di lui, nessuno si sia più curato
di quel che succedeva, così si è lasciato che
andasse tutto il rovina. Che atroce vergogna!
Quel
giorno, comunque, sono andata a cavalcare, e anche gli altri
giorni. Devo cambiare cavallo perché nessuno è
abbastanza in forma per più di un’uscita di
seguito.
Ieri
ho scoperto questo posto.
È
un vecchio mulino abbandonato nel mezzo del nulla, senza
nessun’altra costruzione attorno. Deve essere così
da decadi ormai. L’edera ed il muschio hanno preso il
controllo, e penso di aver sentito dei ratti fuggire dalla luce del
sole quando ho spinto la porta scardinata e ammuffita via dalla mia
strada. Non era rimasto molto. Il mobilio è minimo, rotto e
in parte mangiato dal marcio e dalle formiche. Non sembrano esserci
state lenzuola ma solo sacchi di farina usati come tali –
anche questi sono stati mangiati da un qualche parassita o altro.
Più triste di tutto il resto, ho trovato una bambola di
pezza accasciata in un angolo, con una gamba mancante. È una
vista triste, ed un triste posto.
A
volte mi domando se questo possa essere lo stesso mulino in cui
è cresciuta mia madre. Non mi sognerei di chiedere,
ovviamente, perché i ricordi odiosi la farebbero senza
dubbio adirare – non le è mai piaciuto parlare del
suo tempo qui. Eppure, non sembro riuscire a spingere il pensiero fuori
dalla mia testa. Che vita miserabile deve essere stata.
Neanche
adesso qui è una meraviglia. Il nonno è
leggermente meno ostile ma mentre il suo umore migliora, quello della
mamma sembra peggiorare. La vedo a malapena, dal momento che trascorre
giorni interi chiusa in una grande stanza. A quanto pare nessuno, me
inclusa, può sapere quanto vi succede. Un giorno ho visto
balle di paglia che vi venivano trascinate dentro. Nel frattempo, sento
ridicole voci su quanto lei potrebbe star facendo lì
– preparare pozioni ripugnanti, covare una straordinaria
bestia nutrita a paglia, e trasformare la paglia in oro sono alcune
delle meno fantasiose. Devo ammette che mi fa sentire sia ansiosa che
offesa.
È
un po’ che non entravo in contatto con persone
fuori dal cerchio familiare, ed avevo quasi dimenticato la brutta fama
di mia madre e di come pungono simili voci. Forse è
così perché non sono più la bambina
che trovava così semplice accattonarle e negarle, sapendo
troppo bene che non sono per niente abbastanza lontane dalla
verità; in questi giorni il dolce oblio è molto
più difficile da raggiungere.
Ma
basta con questo.
Raccontami
di ogni cosa, Daniel. Come sta Ronzinante? E il melo
– è fiorito completamente ormai? E tu? Cosa hai
fatto senza di me?
La
parte su come lo scrivere ti dia problemi – non potrei
concordare di più. È frustrante, non è
vero – scoppiare di emozioni represse? Le parole sembrano
fredde e piatte in confronto a come mi sento. Ma queste parole su carta
sono molto meglio che niente!
Sono
lieta che ricordi che le ranocchie devono essere baciate. Vogliono
essere baciate, anche, ogni giorno per il resto delle loro vite, dal
ranocchio che amano.
Ti
amo, Daniel.
Scrivi
presto.
Con
amore,
Regina
Collina
delle Lucciole, domenica
Mia
amata ranocchia silvestre con tre dita,
non
sono in grado di dirti quanto terribilmente mi manchi. Continuo a
cercare il piccione così tanto che tuo padre deve essere
ormai stanco di me che giro attorno alla stia dei piccioni.
Eccomi,
sulla Collina delle Lucciole, che guardo verso la valle da
esattamente lo stesso posto dove abbiamo fatto un picnic insieme quella
volta. Se solo tu fossi qui con me! Ho deciso di cavalcare sin
quassù perché ho bisogno di qualcosa da fare, e
specialmente perché sentivo che forse qui, in qualche modo,
mi sarei sentito più vicino a te. Suona molto folle?
Comunque,
è ancora mattina presto e c’è
una foschia che aleggia sulla valle. È affascinante ed un
po’ triste, e s’intona sorprendentemente bene al
mio umore. Non penso che rimarrò a lungo, decisamente non
sino al calare della notte. Non potrei guardare le lucciole venir fuori
tutte da solo.
Sono
lieto che tu sia riuscita a goderti un po’
d’equitazione, anche se la situazione che descrivi alle
stalle locali è allarmante. Il Re non viaggia in carrozza?
Anche senza cavallerizzi a corte, non riesco davvero a immaginare come
faccia senza nessun cavallo decente.
Il
posto che hai scoperto sembra ugualmente desolato e deprimente, e
capisco perché tu continui a farti domande sul passato di
tua madre e se i due possano essere collegati. Se lei non vuole
parlarne, forse qualcuno tra la gente del luogo potrebbe ricordare
qualcosa? Se davvero non riesci a lasciarlo andare, forse chiedere in
giro sarebbe un’opzione. Significherebbe anche correre il
rischio che lei ne abbia il sentore però, e ciò
potrebbe essere addirittura più adirante che se tu glielo
chiedessi direttamente. Temo di non averti aiutata molto a questo
proposito, vero?
Ronzinante
è quassù con me. Sembra godersi
l’erba e non gli interessa minimamente questa vista
spettacolare. Prometto che non gli mancherà niente mentre
sei via, fatta eccezione per te ovviamente, cosa che non posso evitare.
Ma questo lo sai già, non è così?
È
difficile dire se il tuo melo sia già in piena
fioritura. Ogni giorno penso che deve esserlo, ed ogni giorno lui
procede e si supera. Il tempo gli si addice, e lui cresce rigoglioso.
Lo
stesso non può essere detto di me, ma vedrò di
non lamentarmi troppo. Hai ragione: finché abbiamo un mezzo
per tenerci in contatto, non dovremmo compiangerci. Lavoro alle stalle
e nel giardino per la maggior parte del tempo, e a volte passo persino
dalla cucina per aiutare con cose come la legna da ardere, o qualsiasi
altra cosa serva. Mi tiene occupato ma la mia mente vaga comunque, sai?
Non
mi sognerei mai di negare alla mia dolce ranocchia i baci che
desidera ardentemente, specialmente dato che voglio elargirglieli
così tanto. Ogni singolo giorno.
Il
sole sta venendo fuori da dietro una nuvola e, mentre la luce filtra
attraverso la foschia, è una vista sorprendente. La ameresti.
Spero
che tu sia in un bel posto, amor mio.
Abbi
cura.
Il
tuo ranocchio silvestre con due dita
da
qualche parte nella Foresta Incantata, mercoledì
Caro
Daniel,
non
posso sopportare di dover aspettare così tanto tra le
risposte. La parte peggiore è che, con ogni miglio percorso,
questo non farà che peggiorare. Mia madre rifiuta di dirmi
dove siamo dirette e per quanto tempo. Non so se il piccione
sarà in grado di trovarci mentre proseguiamo ma tu tenta,
per favore…
Il
mio cuore deve aver mancato qualche battito quando ho letto
l’inizio della tua lettera. Sono passati secoli
dall’ultima volta che ho pensato a quel giorno sulla Collina
delle Lucciole ma adesso mi sta tornando tutto alla mente. Il mio cuore
desidera tanto da far male di essere lì con te. Non devi
guardare le lucciole da solo, Daniel; andiamo alla Collina delle
Lucciole insieme quando tornerò a casa.
Questo
posto non è per niente come la Collina delle
Lucciole, poco ma sicuro. La Foresta Incantata è vasta ed il
paesaggio in continuo cambiamento, eppure sempre lo stesso da queste
parti. Deve essere un angolo poco frequentato quello che stiamo
attraversando perché il fogliame è fitto e il
sentiero invaso dalla vegetazione. È quasi completamente
buio sotto gli alberi, e delle erbacce continuano ad infastidire i
cavalli e le ruote della carrozza – oggi il cocchiere ha
dovuto fermarsi e smontare diverse volte per sbrogliare il
pestilenziale sottobosco. Adesso sono persino lieta che Ronzinante sia
dovuto rimanere a casa perché questo paesaggio lo
disturberebbe. Suppongo abbia una sorta di bellezza selvaggia
nonostante tutto ma è difficile apprezzarla quando ho un
disperato bisogno di luce solare e cieli azzurri.
Non
ho mai avuto occasione di chiedere del mulino. Ieri la mamma e il
nonno hanno avuto una lite terribile prima della partenza, parte della
quale ho origliato. Lei può essere condiscendente al suo
meglio e crudele al proprio peggio quando si tratta di quelli che
ritiene inferiori, ma è niente in confronto al completo
disprezzo che le ha mostrato il nonno. Le sue origini sono state
trattate come qualcosa di vergognoso e che la marchierà per
sempre come persona di basso livello – qualcosa che, ne sono
sicura, deve essere stato un commento molto offensivo e pungente per
lei.
Devi
sapere, Daniel, che quando chiedo di tutte quelle cose –
l’albero o Ronzinante – non è
perché non mi fidi di te. Lo sai, vero? Ho solo bisogno di
sentirne parlare perché, be’, mi manca ogni cosa.
C’è molto di casa di cui sono scontenta ma adesso
voglio solo tornare a tutto ciò che lì mi rende
felice.
Ciò
includerebbe anche un certo ranocchio; il ranocchio
sopra tutto il resto. La mia mente torna spesso a questo ranocchio.
Vorrei
dire molto di più, Daniel, fare molto di
più, ma c’è un limite a ciò
che la mia penna e l’inchiostro su carta possono realizzare.
Il futuro ci riserva qualche momento in compenso, e io posso a stento
aspettare.
Fino
ad allora, pensa molto alla tua ranocchia, come lei pensa molto a
te.
Con
amore,
Regina
il
melo, sabato
Mia
amata ranocchia silvestre con tre dita,
spero
che questa lettera ti raggiunga. Temo che sarà
più corta di quanto mi piacerebbe, e ti spiego il
perché.
Abbiamo
sentito dei lupi ululare per diverse notti di seguito ormai.
Questa mattina un maniero vicino a mandato un messaggero per farci
sapere che la scorsa notte un lupo solitario ha attaccato il loro
bestiame ed ha ucciso due pecore ed un vitello. Stanno riunendo un
gruppo per cacciare in questo stesso momento, e tuo padre ha offerto un
paio di cavalli per aiutare. Non preoccuparti, terrò il tuo
al sicuro per te. Devo preparare questi due per andare immediatamente
ma voglio prima spedire questa lettera sulla sua strada –
prima lo faccio, più è probabile che il piccione
ti trovi ancora.
Non
preoccuparti delle cose qui, amor mio, tutto viene curato.
Non
vedo l’ora di rivederti.
Il
tuo ranocchio silvestre con due dita
un
castello oscuro, giovedì
Caro
Daniel,
non
fingerò nemmeno che la tua lettera non mi preoccupi. Per
favore, fammi sapere il prima possibile se il lupo è stato
preso e le nostre terre sono di nuovo sicure. Non fare niente di
pericoloso!
Sembra
che abbiamo finalmente raggiunto la nostra destinazione. Siamo
ad un castello, anche se quale castello o a chi appartenga non lo so.
È vuoto a parte noi ma qualcuno deve chiaramente vivere qui.
Mi domando dove sia andato e perché. Mia madre, come
potrebbe essere altrimenti?, mi dice di non preoccuparmi di cose che
non mi riguardano.
Sembra
sapere come muoversi in questo posto, in effetti. Non posso
essere sicura se è stata qui prima ma decisamente non
è persa. A volte sembra che stia cercando qualcosa, ma
c’è anche una cassa il cui contenuto mi
è, ancora una volta, sconosciuto – lei
l’ha portata qui e probabilmente intende lasciarla al
castello. Forse è un qualche genere di affare –
lei prende qualcosa e lascia qualcosa in cambio. Semplicemente non
capisco perché la segretezza e, soprattutto,
perché l’altra parte deve essere via dalla propria
casa.
Daniel,
per favore, stai al sicuro. Per favore.
A
volte i ranocchi passano notti da un amico? Penso che dovrebbero.
Sto
spedendo questa lettera adesso perché ho bisogno di
avere tue notizie il più presto possibile.
Con
amore,
Regina
da
qualche parte nella Foresta Incantata, domenica
Daniel,
prego
che il tuo messaggio sia semplicemente andato perso! Non ho
ricevuto nessuna risposta ed è passata più di una
settimana! Niente nemmeno dal papà. Stiamo tornando a casa,
ora – finalmente la mamma mi ha detto così. Ho
bisogno di sapere che stai bene. Mandami una risposta, anche se
è solo una parola. Il piccione mi troverà
– stiamo tornando dalla stessa strada. Daniel…
Prego che tu stia bene…
Regina
Note della traduttrice:
Dopo aver letto le lettere tra Daniel e Regina posso morire felice.
Scherzi (scherzi?) a parte, scusate il ritardo, e spero che il capitolo
vi sia piaciuto. Vedrò di avere il prossimo pronto per
martedì 12 o giovedì
14 se non riesco :)
(In questo capitolo si trova la ragione per cui ho tradotto toad come
ranocchio e non come rospo... Perché è un
ranocchio quello che viene baciato, giusto?!)
Grazie mille a ErZa_chan che ha aggiunto la storia tra le seguite :')
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Capitolo 19 *** Take Me Home ***
Nota dell’Autrice:
Credo che questo capitolo abbia un
po’ di tutto: sia angst che fluff. I miei feels erano
iper-attivi mentre scrivevo, quindi sentitevi liberi di venire da me se
avete bisogno di fazzoletti o cioccolato o di un abbraccio. ;)
Capitolo
19
Take
Me Home
Non
è Daniel che corre a staccare i cavalli quando la
carrozza si arresta di fronte alla casa. Lo stomaco di Regina si
contrae dolorosamente. Daniel non perderebbe mai un’occasione
di vederla, di darle il benvenuto a casa, anche se solo con un breve
sguardo in tralice sotto l’occhio attento di Cora mentre
procede a fare il proprio lavoro. Eppure questa volta è uno
dei valletti, e tutto ciò che lei può fare
è fermare le lacrime che le premono contro le palpebre.
Qualcosa non va. L’ha sentito nelle proprie ossa, ne ha avuto
il terrore per giorni, vi ha perso il sonno le notti – e
adesso le sue paure sono state confermate.
«Vado
a controllare Ronzinante. Mi è mancato
così tanto» dice d’impulso, senza fiato,
ed è sparita prima che qualcuno possa fermarla.
La
porta delle stalle si spalanca mentre lei si scaglia contro di essa
e si guarda attorno freneticamente. «Daniel!»
Silenzio.
«Daniel…»
La sua voce si rompe in un
singhiozzo.
Un
nitrito.
«Ronzinante»
sussurra lei e va automaticamente
verso di lui. La sua criniera le solletica il viso rigato di lacrime
mentre lei sfrega la guancia contro la sua testa. Ci vuole un
po’ prima che lo strano odore venga registrato, ed un altro
po’ prima che il suo cervello in attività
frenetica lo collochi: aceto. «Ronzinante!» ansima
lei e lo guarda da capo a piedi. Tutto sembra normale; deve essersi
sbagliata. Facendo correre la mano attraverso la sua criniera, lei sta
iniziando a rilassarsi appena quando gli occhi le cadono sul petto
bendato del cavallo. Le sfugge un lieve gemito. «Cosa ti
è successo? Dov’è Daniel?»
Quando
realizza che lì dentro non otterrà alcuna
risposta, scappa fuori tutta agitata, solo per andare a sbattere contro
il papà che si avvicina.
«Dov’è
Daniel?» singhiozza
istericamente. Non le importa se qualcuno la vedrà, non le
importa cosa potrebbero pensare – il suo mondo intero
minaccia di crollarle attorno e di spingerla in un abisso oscuro. Le
sue nocche sbiancano per la forza con cui sta stringendo i risvolti del
mantello di lui e la sua voce diventa aspra per l’angoscia.
«Dov’è, papà?»
«Calmati,
bambina…» Lui allunga una mano
verso di lei. Non sa niente. Non capisce? Lei non vuole conforto; non
da lui, non da nessun altro – nessuno a parte Daniel, che,
per quel che sa, potrebbe essere… No! No, non può
pensarlo, non lo penserà!
«Dimmelo!»
grida, spingendo via le sue braccia con
un fervore che gli porta un’espressione scioccata sul volto.
«È stato il lupo, non è
vero?» farfuglia. I lineamenti del papà si
ammorbidiscono di nuovo, le sue spalle si afflosciano, e i suoi occhi
parlano di dolore, compassione, ed impotenza. No… Questo non
può essere. Lui non può essere…
«È…?»
Si ferma, il suo cuore,
quando la sua voce si blocca sulla parola indicibile, e per un breve
momento che sembra un’eternità lei sente che
è una buona cosa, una cosa deliziosa, una cosa liberatoria.
«È
vivo» si affretta a dire lui.
Un
brivido strano le corre lungo la spina dorsale. Ci vuole un
po’ perché le parole vengano recepite, e solo
allora lei sente finalmente il sollievo – e crolla sotto il
suo peso.
«Cosa
c’è che non va?»
sussurra. È vivo. Starà bene. È vivo.
«Il
lupo è arrivato, ma non era solo. Il gruppo
dei cacciatori era alla ricerca del branco ma quelle maledette bestie
erano intelligenti – una di loro si è separata dal
resto ed è riuscita a avvicinarsi furtivamente. È
venuta per i cavalli».
Regina
non ha bisogno che lui dica altro. Daniel proteggerebbe gli
animali affidati alle sue cure a qualsiasi costo, persino con la sua
stessa vita, anche se Ronzinante non fosse stato in pericolo
– ed ancora più accanitamente dato che lo era.
«Dov’è?»
«Potrebbe
essere meglio non vederlo…»
tenta lui flebilmente.
«Papà!»
Come può dirlo? Come
può anche solo essere in grado di pensare che lei potrebbe
fare qualcos’altro, sopportare di essere in qualunque altro
posto che al suo fianco?
«È
nella stanza degli ospiti sotto la libreria. Ho
chiamato il dottore; ora viene ogni giorno. Se Cora dirà
qualcosa le dirò che le sue azioni gli hanno fatto
guadagnare il trattamento migliore che possiamo fornirgli».
Forse
in un altro momento lei sarebbe lieta, persino impressionata da
lui per aver preso il coraggio a due mani per fare una simile cosa.
Adesso le sue parole sembrano ridondanti, la sua preoccupazione verso
la mamma triviale. Tutto sembra triviale.
Cora
non si vede da nessuna parte mentre Regina si precipita attraverso
la casa ma comunque lei non si ferma neanche a pensarci. A un pelo
dalla bramata – e temuta – porta, si ferma
bruscamente. Non andrebbe bene irrompere con passione selvaggia quando
lui ha bisogno di riposare, si dice mentre trae un respiro calmante. Un
brivido tradisce la sua ansia. Tende la mano verso la maniglia. Cosa
troverà dall’altra parte?
È
buio dietro le tende tirate, e tutto è
silenzioso. La figura curva del dottore che Regina si aspettava di
vedere piegata sul letto non è lì. Con le
ginocchia deboli, lei si avvicina silenziosamente al letto, respirando
a stento.
«Daniel»
sospira sommessamente, e le lacrime le
rigano il viso alla vista del volto pallido contro il cuscino
– un volto bianco come il gesso con la fronte imperlata di
sudore e un infiammato squarcio rosso che va da dietro il suo orecchio
al lato del suo collo. Una crosta di sangue macchia il lino bianco
delle bende avvolte strettamente attorno al suo braccio. La sua mano
brucia al tocco delle dita tremanti di lei.
«Sono
tornata» sussurra lei con un sorriso a
metà. «Adesso non andrò da nessuna
parte. Starò con te, Daniel. Lo prometto».
Il
dottore viene a mezzogiorno per pulire la ferita e cambiare le
bende. Non è il vecchio dottore che Regina conosce e di cui
si fida.
«Non
potete fare niente di più?» domanda
mentre lui si gira per andarsene. «Posso fare qualcosa
io?»
Lui
le dà uno sguardo strano. «Bagnategli la testa
con acqua tiepida per lenire la febbre. Ci sono delle erbe sul
caminetto, se conoscete il loro uso. E se potete sopportare le
circostanze, certo».
«Quali
circostanze?»
«Vedrete.
Le notti sono sempre il peggio».
La
stanchezza è a malapena subentrata quando succede.
Rannicchiata sulla poltrona accanto al letto, Regina si raddrizza.
È stato lui, o stava semplicemente sognando?
Si
tende su di lui e si tira appena indietro, sorpresa: i suoi occhi
sono aperti, larghi e febbricitanti, e gli sfugge un lieve gemito,
simile a quello che lei ha sentito prima.
«Daniel»
dice sommessamente lei. «Puoi
vedermi?» Poiché il suo sguardo è
sfocato e vitreo e, francamente, l’effetto è
piuttosto spaventoso. Regina non sente alcuna paura, alcun disagio. Lui
la riconoscerà col tempo.
«Sono
io… Regina». Appoggia la mano sul
suo collo e fa scorrere il pollice lungo la sua guancia.
«Ricordi?»
Lui
trasale al suo tocco ma lei non si ritrae. Poi i suoi occhi la
colgono. Tutto il sentimento che si può esprimere con uno
sguardo lei glielo elargisce. Lui ammicca lentamente.
«La
tua ranocchia degli alberi…
ricordi?» sorride lei mentre una lacrima cade sul cuscino.
Le
labbra di Daniel si muovono. Se stia effettivamente dicendo qualcosa
lei non può esserne sicura. Forse è
qualcos’altro.
«Hai
sete?» Il fazzoletto sulla sua fronte
è di nuovo caldo. Occorrono solo pochi e brevi minuti
perché lo sia. Regina combatte la preoccupazione crescente a
quel pensiero. Ne prende uno pulito dalla pila e lo inzuppa nella
bacinella. Goccia dopo goccia l’acqua stilla mentre lei lo
strizza sulle sue labbra.
Il
movimento improvviso la prende alla sprovvista, ma solo per una
frazione di secondo; poi sente le sue dita chiudersi attorno al suo
polso. Subito dopo il fazzoletto giace in pieghe sul lenzuolo mentre
Daniel deposita un bacio tremante sulle sue dita.
«Sei
a casa. Sapevo saresti venuta» dice rocamente.
«Certo
che sì. Oh, Daniel…»
La sua voce si spezza. Questo sembra svegliare qualcosa in lui,
poiché fa per spingersi in su sopra il cuscino
sinché il suo braccio ferito lo tradisce e lui geme di
dolore. «No, ti prego, non farlo! Rimettiti giù,
hai bisogno di riposare. Non vado da nessuna parte, va bene?»
«Fa
male» confessa lui con la mano di lei premuta
sul proprio cuore. «Ma ne vale la pena».
«Cos’hai
fatto?» chiede lei in lacrime.
«Ho
protetto la mia famiglia». Subito lei non nota
niente di strano a proposito della sua affermazione. Dopo un momento un
piccolo cipiglio le si sistema sulla fronte, e lei cerca i suoi occhi
coi propri. Il calore emana dalla sua pelle, bruciando quando le loro
mani si toccano. Allora le appare chiaro.
«Hai
protetto i cavalli dal lupo, non è
così?» Se lui la riconosce, forse lei
può anche tirarlo fuori dalla trappola della sua mente
febbricitante, e riportarlo alla realtà.
Daniel
scuote la testa. «Le bambine. Avrebbe potuto arrivare
alle bambine. Dovevo fermarlo».
«Le
bambine?» Forse è lei che dopotutto
non ha chiari i fatti.
«Bambine
con gli occhi marroni. Le nostre bambine con gli
occhi marroni, che cavalcano col vento». Parla con tale
affetto che strattona il cuore di Regina. «Stanno bene? Le ho
tenute al sicuro».
La
mente di Regina lavora freneticamente mentre lei si sforza di
ignorare la stretta crescente in fondo al suo stomaco.
«Sono
proprio come te», Daniel fa uscire le parole
lentamente, con difficoltà, ma anche con una nota di
orgoglio nella voce, «solo Lainie ha i miei capelli e il mio
naso». Ride sommessamente e le stringe la mano. Gli occhi di
lei si allargano.
«Daniel,
chi sono io?» Lo guarda attentamente
adesso, a metà con preoccupazione, a metà con
aspettativa.
«Sei
Regina». Un sorriso beato si posa sul suo
viso. «Mia moglie».
Regina
lascia andare il respiro che stava trattenendo e con esso arriva
un piccolo singhiozzo.
«Non
piangere» dice lui con fervore, sollevando la
mano per accarezzarla; non può, tuttavia, poiché
la ferita lo priva di quel piacere. Vedendo il disappunto
attraversargli il viso, Regina si china su di lui e preme il suo palmo
contro le proprie labbra.
«Sono
così stanco» si lamenta lui,
eppure continua a cospargere le sue dita di piccoli baci.
«Dovresti
riposare, Daniel, dormi un po’»
riesce a dire lei con le spalle che si sollevano. È
difficile non piangere. Perché ha voglia di piangere?
«Resta
con me».
Regina
capisce. Quando scivola sotto la coperta e si rannicchia
cautamente contro di lui, lui sorride felicemente e chiude gli occhi.
Lei,
d’altra parte, tiene gli occhi aperti, guardandogli il
petto che si alza e si abbassa, e sentendolo, anche. La sua vicinanza
la calma proprio come calma lui; le lacrime non minacciano
più di traboccare. Forse è questo che il dottore
intendeva – la febbre di Daniel gli causa delle
allucinazioni. Questo avrebbe dovuto spaventarla? Be’, non
è spaventata affatto. Cosa prova, però? Non
riesce a dirlo. Lui la sta stringendo, e questo è bello
– sembra giusto, come sempre. C’è caldo
nel suo abbraccio – più caldo di quanto dovrebbe,
e nuvole di preoccupazione minacciano di coprire il sole. E poi ci sono
le cose che ha detto…
Lei
lo crede addormentato, ed ha un piccolo sussulto quando lui parla
nell’oscurità.
«Pensi
che dovremmo permettere loro di prendere il
cane?»
Regina
rimane in silenzio per un po’. Adesso Daniel sembra
rilassato. Forse sarebbe meglio assecondarlo. Forse non le dispiace.
Forse dovrebbe solo ammettere che c’è una bella
dose di felicità mescolata al caos in cui si ritrova.
La
sua voce è piana quando alla fine lei parla, calma come
quella di lui, e risponde in tutta serietà. «Penso
che prima dovremmo fare un’altra chiacchierata con loro, su
quali sarebbero le loro responsabilità».
«Mi
piace. Ammetto di essere parziale all’idea,
però».
Regina
ride sommessamente – lui lo sarebbe.
«Daniel?»
«Mmm?»
Non
dovrebbe farlo, non dovrebbe incoraggiare il suo delirio. E se lo
facesse agitare di nuovo? Ma adesso lui sembra così
tranquillo, e semplicemente lei non riesce a trattenersi.
«Parlami della nostra vita.
Com’è?»
«Quieta
e caotica – dipende se le bambine stanno
avendo una buona o una cattiva giornata. Sempre piena
d’amore. A volte ci uniamo e ci facciamo scherzi a vicenda,
ma per la maggior parte delle volte loro fanno scherzi a noi. Amo come
i loro occhi brillano quando partiamo per una passeggiata a cavallo, ed
amo come brillano i tuoi quando poi sediamo tutti insieme vicino al
fuoco e ci raccontiamo delle storie».
Allora
gli occhi di Regina brillano davvero, ma di lacrime. Lei tira su
col naso mentre Daniel continua a dipingere un’immagine della
propria realtà.
«La
nostra casa è al limitare di un bosco, domina
la vallata, e vicino c’è una radura ed un ruscello
dove i cavalli hanno un bel pascolo. Ci occupiamo di loro insieme, solo
noi quattro. Lainie ha il suo pezzo di terra per le verdure e la sua
pianta preferita è un’erbaccia». Regina
ride sommessamente e si rannicchia più vicina nel suo
abbraccio.
«A
volte tu perdi la pazienza con me – quel tuo
adorabile carattere – ma non mi dispiace perché
alla fine ne vale sempre la pena quando cerchi di riaggiustare le
cose». È possibile sentire un sorriso invece di
vederlo? In ogni modo, è sicura che lui stia sorridendo
anche prima di guardarlo. «Amo il tuo
sorriso…» sussurra lui con soddisfazione, e lei
realizza che deve essere effettivamente intenta a sorridere.
«E tu ami quando faccio questo». Le sue mani
scivolano sino al collo di lei senza fretta, e lui le prende
gentilmente il volto tra le mani e fa scorrere lentamente il pollice
lungo la sua mascella e sulle sue guance.
Un
gemito a lungo represso le sfugge alla fine. Non potrebbe aver
sognato di meglio.
La
stanza sotto alla libreria è la camera per gli ospiti
più piccola, ed anche la più remota. Regina si
domanda per la prima volta se il papà avesse
qualcos’altro in mente oltre al passare inosservati quando
l’ha scelta.
La
febbre di Daniel inizia a scendere dopo quella notte persa nei
sogni. Regina si sveglia tenendogli la mano, e questa non è
più calda e sudata. Lui dorme per così tanto,
così profondamente, che lei sta iniziando ad andare nel
panico, quando finalmente, la sera successiva, lui si sveglia, la
guarda rannicchiata sulla poltrona con
Sull’equitazione
in grembo, e semplicemente dice:
«Buonasera».
«Come
ti senti?» prova a chiedere cautamente lei.
È ancora febbricitante?
«Molto
meglio. Regina…»
Lei
si sposta per sedersi sul letto, e lui le afferra la mano senza
esitazione.
«Mi
sei mancata». Continua con urgenza disperata:
«Mi dispiace di non essere riuscito a mandarti una risposta,
e mi dispiace che tu abbia dovuto vedermi così. So come devi
esserti sentita».
«Per
favore, smettila» protesta immediatamente lei.
Il pensiero di lui che si affligge per lei persino in una simile
situazione è quasi insopportabile. «Non hai fatto
niente di male. E adesso starai bene». È chiaro
mentre lo guarda come si deve, allora, fissandolo col proprio sguardo.
«Sei davvero tu» sospira in modo contento.
«Quando
non lo ero?»
«Non
ti ricordi? Più tardi ti dirò
tutto. Ora dovresti mangiare qualcosa. C’è del
brodo in cucina, lascia che te ne porti un po’».
Scivola via dal letto ma lui non fa altro che stringere la presa sulle
sue mani.
«Non
può farlo qualcun altro? Ti voglio con
me». Le parole arrivano così sinceramente,
così senza pensiero, che il cuore di Regina si scioglie.
«Mi dispiace» offre lui con un ripensamento.
«Sono un disturbo?»
«Come
potresti mai esserlo?»
Dopo
tutto lei fa un viaggio sino alla cucina – un viaggio
breve e frettoloso – e ritorna senza fiato e con una scodella
di brodo fumante con pezzi di carne.
«Riesci
a sederti?»
Lui
ci prova. Ci vuole qualche aiuto, che lei fornisce più
che volentieri, prima che sieda sostenuto dal cuscino attentamente
sprimacciato. Nessuno dei due parla mentre lei gli serve cucchiaiata
dopo cucchiaiata, e si fa radiosa mentre lui finisce per mangiare
tutto. Non può andare troppo male se il suo appetito
è tornato.
Lo
sforzo di mettersi seduto e mangiare sembra avere la meglio su di
lui, però, e nonostante i suoi migliori sforzi, la sua testa
inizia a ciondolare.
«Puoi
chiudere gli occhi» dice lei. «Non
vado da nessuna parte».
Per
un momento si limita a star seduta lì a guardarlo,
ancora debole ma di nuovo se stesso, e si permette semplicemente di
assaporare la consapevolezza che il peggio è passato.
Semplicemente, è grata.
Allo
stesso tempo, vuole di più. Quando si fa strada
strisciando sotto la coperta e gli avvolge attorno le braccia, tutto
con rapidità sorprendente, Daniel si muove. Lei pensa di
vedere un cipiglio sul suo volto ma c’è anche il
suo braccio attorno alle spalle di lei, che la attira più
vicina.
«Regina,
questo è sicuro?»
Quindi
è preoccupato, dopotutto.
«Sì». Pensare è
così scomodo, così fastidioso; lei vuole solo
appoggiare la testa contro di lui e non pensare a niente per un
po’. Poi il volto di sua madre le fluttua davanti, severo e
spietato. «Credo». Si tira indietro per guardarlo.
«Daniel, io voglio stare qui. Rischierò e
basta».
Discutere
non servirebbe a niente ma lei è comunque lieta
che lui non cerchi nemmeno di farlo. Invece, si limita ad annuire e le
accarezza la guancia col pollice.
Poi
si lascia sfuggire una risata quieta e sommessa.
«Ranocchi che trascorrono notti da amici» dice a
mo’ di spiegazione, ed una frase da una delle sue lettere a
lui arriva alla mente. Eccoli, rannicchiati insieme, e beandosi della
sua felicità il lato malizioso di lei parla senza reticenze.
«Ricordi
l’altra cosa a proposito dei
ranocchi?» dice lei con perfetta innocenza ma gli occhi le
brillano con malizia.
Daniel
finge di lambiccarsi il cervello. «No, non posso dire
che sia così. A parte forse… gracidare? Nuotare
in acquitrini puzzolenti? Tirare sfacciatamente fuori la
lingua?»
«Ci
sei quasi» dice lei con un ampio sorriso. Il
cuore le batte più velocemente mentre gira leggermente la
testa e strofina il naso contro il suo collo. Daniel sussulta appena al
contatto. Le sue dita le scorrono attraverso i capelli e le mandano
brividi lungo la spina dorsale.
«Ancora
nessun ricordo?» chiede lei a bassa voce.
«La
mia memoria è penosa» grugnisce lui.
«Dovrai rinfrescarmela».
Regina
è più che felice di farlo: le sue braccia
si chiudono dietro il collo di lui e i loro volti sono ad un mero
centimetro l’uno dall’altro – e quando
annullano anche quella piccola distanza, è chiaro che la
memoria di lui è subito ristabilita perché il
modo in cui risponde al suo bacio le fa girare la testa.
«Pensavi
che io fossi tua moglie» borbotta
più tardi lei contro il suo collo.
«Davvero?»
Fa un po’ il solletico mentre
lui le accarezza i capelli.
Regina
annuisce. «Era la febbre. Hai detto… delle
cose. Su di noi. Sulla nostra vita». E scopre di poter a
stento portarsi a dirlo, anche se da allora ha a malapena pensato ad
altro. «Avevamo due figlie, ed una casa vicino ad un bosco, e
le nostre stalle». Cosa dirà lui? Cosa potrebbe
dire? Era solo un sogno, un’illusione, portata dalla
febbre… o no?
Quando
lui non parla affatto, lei azzarda un’occhiata.
«Non sembri sorpreso» nota.
«No,
suppongo di no». Lo sbigottimento di lei deve
mostrarsi, poiché lui aggiunge quietamente: «Non
mi è nuova».
«Ma
hai detto che non ricordavi di cosa avevi
parlato». Di certo non l’avrebbe negato.
«Non
lo ricordo». C’è una
pausa prima che lui parli di nuovo. «Questo non significa che
io non abbia mai pensato simili pensieri».
Regina
gli afferra la maglia senza realizzarlo davvero.
«Daniel… io… tu davvero…
davvero pensi a quelle cose? Con me?»
«Regina…»
Lui le copre gentilmente le
mani con le proprie. «Sì, è
così. Ci penso tutto il tempo. È da un
po’ che ce l’ho fisso nella mente, è
solo che non sono sicuro se è troppo presto, quindi forse tu
non vuoi ancora parlare di cose simili».
«Ma
io lo voglio!»
«Lo
vuoi?»
Lei
si gira sulla pancia e appoggia il mento sul petto di lui,
guardandolo negli occhi. «Io voglio avere una famiglia con
te. Bambine con gli occhi marroni, o bambini con gli occhi azzurri, o
qualsiasi variante di questi – non ha importanza. Io ti
amo».
«Ti
amo, Regina».
È
soffice e caldo e sicuro, e se rimanesse così
per sempre lei sarebbe per sempre felice.
«Non
possiamo tenere questo – noi – un
segreto per sempre. Lo sai, non è vero?» Lo
stomaco di lei si annoda spiacevolmente alle sue parole. La sua voce
è sommessa e le sue parole gentili ma lui non cede come lei
spera che gli farà fare il suo silenzio. «Regina.
Dovrai dirlo ai tuoi genitori».
«Non
ancora. Daniel… Abbracciami».
Il
suono del battito di lui la culla lentamente verso il sonno. Appena
prima che si addormentino, il suo sussurro insonnolito la raggiunge.
«Bambine
con gli occhi marroni sia. Proprio come
te».
Nota della traduttrice:
Okay, mentre traducevo ho avuto la brillante idea di ascoltare
questo
fanmix dedicato a Neal. Vi lascio quindi intuire in che stato mi
sono ritrovata, considerato anche che ero scossa per conto mio ed
avevo
gli ormoni in attività extra. Resta comunque
uno dei miei capitoli preferiti :')
In quanto al prossimo… Cercherò di
averlo pronto per sabato 16, va bene?
Alla prossima, bellissimi!
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Capitolo 20 *** Will and Won’t ***
Note dell’Autrice:
Non riesco a credere che abbiamo veramente
raggiunto questo punto. La trascrizione de “Lo
stalliere” è stata la mia migliore amica per
questo capitolo e i miei feels il mio peggior nemico – e
forse anche un amico? Hanno offuscato il mio giudizio o mi hanno
aiutato a scrivere? Non ne sono sicura. In ogni modo, questo capitolo
fa male. Scusate.
Capitolo
20
Will and Won’t
Gli
stivali da equitazione di Regina ticchettano rapidamente sul
pavimento di pietra del corridoio.
Il tè le è sembrato
interminabile ma meno odioso
del solito. La sua mente è occasionalmente vagata verso
Daniel, certo, anche se l’entusiastico chiacchiericcio della
piccola Biancaneve l’ha tenuta ancorata al presente in modo
abbastanza saldo. La bambina è chiaramente presa da Regina e
sembra persino ammirarla – lei non ha mai sperimentato
qualcosa di simile prima. Oggi Regina potrebbe essersi appena fatta una
nuova amica.
Contorcendosi e girandosi, lei si controlla nello
specchio.
Le parole di Daniel le echeggiano nella mente
un’altra volta:
dillo a tua madre. Lui gliel’ha detto in più di
un’occasione, e le fa chiudere lo stomaco ogni singola volta.
Nascondere il loro amore è fastidioso e in qualche modo
degradante – non è forse vero, non è
puro, non è prezioso? Daniel ha ragione, naturalmente,
dovranno dirlo presto o tardi se pianificano un futuro insieme, cosa
che ovviamente stanno facendo. Eppure solo la mera idea della reazione
di sua madre ad una simile notizia è abbastanza per portare
Regina sull’orlo delle lacrime.
Questa mattina, per esempio: era stato solo un
piccolo divertimento, un
po’ di tempo trascorso cavalcando, una risata col
papà, e poi… Un tocco di magia, quella sua arma
maledetta – ed ecco Regina, in aria, impotente,
dolorante… Lei scaccia quel pensiero agghiacciante.
Sì, ha provato e riprovato, ha desiderato ardentemente
l’accettazione che crede di meritare da sua madre eppure non
l’ha mai ricevuta.
È vero, sua madre sembrava decisamente
allegra quando
è fluttuata brevemente attraverso la stanza
all’ora del tè, scegliendo la sua tazza abituale e
– in una maniera nient’affatto da lei –
scomparendo con essa immediatamente come se per intraprendere una
missione della massima importanza. In effetti, sembrava essere talmente
di buonumore che per un momento Regina considera veramente di
dirglielo. Forse ormai potrebbe farlo. Dovrà essere fatto,
presto o tardi.
Tardi suona meglio. Suona sempre meglio. Regina
sospira: il suo dilemma
finisce sempre esattamente così.
Comunque, non c’è stata
abbastanza agitazione per
un giorno? Adesso tutto ciò che vuole è tornare
da lui.
Esamina con occhio critico la propria immagine
nello specchio. La sua
giacca ha bisogno di essere raddrizzata lì, e anche
laggiù. Ecco, così va meglio.
Il sorriso è cancellato dal volto di
Regina
dall’arrivo di sua madre. C’è a malapena
tempo per registrare la sensazione angosciante sul fondo del suo
stomaco al brusco rifiuto dell’abbigliamento di Regina prima
che una nuvola di magia la avvolga. Il fumo viola sa di frustrazione,
l’abito da sera azzurro è un intruso contro la sua
pelle ed un carceriere per il suo corpo. Un grido represso le riempie i
polmoni e lo stomaco e il cuore davanti al sorriso estremamente
compiaciuto di sua madre – lei vuole solo andare alla
sua… “lezione di equitazione”. Cosa
intende sua madre, comunque, cancellata? No, non può essere,
si sono già persi la Collina delle Lucciole a causa delle
impossibili norme dalle quali Regina è limitata, ed ora
questo?
Non c’è modo che lei venga
scusata con il Re in
persona come loro ospite. Regina ammette la propria sconfitta.
Certamente questa non sarà
più di una breve
visita formale perché il Re presenti i propri
ringraziamenti. Lei potrebbe ancora raggiungere le stalle come
pianificato.
Il diamante brilla alla luce ma tutto
ciò che lei vede
è un’oscurità intralciante che le
annebbia la vista.
Questo non può star succedendo.
È assurdo. Non
può essere vero.
Le ginocchia ossute del Re raschiano il freddo
pavimento di pietra,
eppure Regina non ha un solo pensiero per il suo malessere. Il corsetto
minaccia di soffocarla, come se un paio di mani invisibili stesse
tirando i lacci sempre più strettamente con forza bruta e
crudeltà – potrebbe anche essere intrappolata di
nuovo dall’incantesimo vincolante di sua madre.
Effettivamente, il terreno sembra essere scomparso sotto i suoi piedi
– sta galleggiando o sprofondando? Un brusco rantolo irrompe
in superficie a sua completa insaputa. Non allieva il dolore, comunque.
Un pugnale seghettato si contorce dentro al suo stomaco,
accoltellandola, spingendosi più a fondo, facendo riversare
le sue budella in un crudo disordine. Eppure, fortunatamente, non
c’è niente da gettare fuori dal suo ventre
– in un battito di ciglia le sue interiora si trasformano in
serpenti che si contorcono, si sciolgono in una sostanza nera
ed appiccicosa, ed infine si dissolvono in fumo grigio piombo.
«Sì».
La testa le gira – questo non
può essere. Cosa sta
dicendo sua madre? Regina non vuole questo, non ha chiesto questo.
Tutto grida di no, il suo intero essere si rivolta
contro
quest’idea. Di certo loro possono sentire! Non le sue parole,
poiché le parole la abbandonano. Ma il rimbombo sordo del
sangue che le corre alla testa; la sua anima che grida di terrore; il
suo cuore che inizia a palpitarle dolorosamente contro il petto dopo il
grave silenzio durante il quale ha mancato un bel po’ di
battiti. E se non possono sentire, di certo possono vedere: le lacrime
che bruciano e spingono senza pietà contro le sue palpebre,
che si raggruppano nei suoi occhi, che restano attaccate alle sue
ciglia e minacciano di cadere; le sue mani, fredde come ghiaccio, che
giocherellano con le pieghe del vestito; le ginocchia che sopportano a
stento il suo peso.
«Sì».
Un brivido violento la scuote. Dita fredde ed
ossute scavano dritte nel
suo cuore. No. Madre, non puoi! No, no, no, no, no!
Ma sembra che possa, e lo fa. Nessuno la ferma;
nessuno ferma
questa… questa… follia. Non il papà,
quel padre affettuoso ma impotente; non il Re, quell’uomo
conosciuto per la sua gentilezza e rettitudine. Nessuno.
Lei è sola e, in quel momento, sconfitta.
Non è qualcosa che abbia pianificato
eppure non le
è nemmeno interamente nuovo. Pietre e fango e erba e cielo
sono solo una sbavatura di colore di una sfumatura altrettanto pallida
e priva di vita. Il mondo si allarga attorno a lei come un papavero
consumato dall’essenza sbiadita. Non ha importanza
finché i piedi possono portarla, e la portano, colpendo il
terreno con negligenza selvaggia e facendo volare zolle
d’erba. Respirare fa male ma lei continua a correre
stringendosi il petto, con la vista puntata su quell’unico
mezzo di salvezza.
Lui sarà lì, come
è sempre stato, e
affronteranno questo insieme, come hanno sempre fatto.
Cosa dirà? Cosa faranno? Cosa possono fare?
Lei non riesce a pensare chiaramente; non
può pensare
affatto, non ad un passo più lontano delle stalle. Una volta
che sarà arrivata lì, da lui, il resto
arriverà. Deve.
Ciò che giace dietro di lei non
è
un’opzione. Ciò che giace dietro di lei la
distruggerebbe. Deve essere lasciato indietro.
Nel momento in cui fa irruzione attraverso la porta
e non lo vede, il
suo stomaco si contorce con improvvisa disperazione. Ma naturalmente
lui è lì, naturalmente esce incespicando dal box
al suono della sua voce che lo chiama; naturalmente i suoi occhi sono
vigili e la sua voce tinta d’ansia –avverte
immediatamente dei guai.
Cadere nelle sue braccia è un sollievo
immediato, come se il
peso che ha trasportato fosse già stato sollevato persino
dalla sua mera presenza. Voglio
questo, grida il suo cuore. Voglio
questo, sempre. E le parole sgorgano dalla sua bocca
pesanti per
l’urgenza: sposami.
Sorprende persino lei, eppure
nell’istante in cui ha parlato sa di dire sul serio. Quindi
anche se la norma sociale dice che è la lady che deve
ricevere la proposta – che bene le ha mai fatto quella
spazzatura?
Daniel aggrotta la fronte: non capisce, lotta per
capire, mentre lei
vuole solo allontanarsi da tutto – ed in fretta. Cerca di
spiegare ma è quasi impossibile concentrarsi, superare il
panico che sta tornando, e raccogliere un po’ di senno. Ma
lei ci prova, in lacrime e rendendosene conto a stento, lamentandosi
dell’ascendenza di Biancaneve e della reazione assurda del Re
e della risposta oltraggiosamente inadeguata e presuntuosa dei suoi
genitori.
Allora lui capisce. Il suo cipiglio si
approfondisce e
c’è qualcos’altro che si mostra
velocemente attraverso i suoi occhi. Shock? Solidarietà?
Rabbia?
Non lascerà che questo accada, non
lascerà che
loro la obblighino se lei non lo vuole – lui, e solo lui di
tutti quelli che le sono cari e vicini, non lo tollererà. Se
soltanto lui dicesse le parole che lei aspetta di sentire – o
no, se si limitasse ad afferrarla per la mano, metterla sul dorso di un
cavallo e precipitarsi via da qui mentre il sole che tramonta getta un
benvenuto velo d’oscurità sulla loro fuga.
Sì, questo è ciò
che devono fare,
è l’unica via d’uscita: andarsene e non
tornare mai più. Cosa sta aspettando?
Il suono del suo nome detto nel modo in cui solo
lui lo pronuncia
– come un caro tesoro, prezioso oltre ogni parola –
la calma miracolosamente, e le nuvole della rovina e del caos
travolgente sembrano dissolversi. Lei diviene consapevole delle sue
braccia attorno a sé, della stretta gentile ma ferma che lui
le dà mentre parla, con una voce che è calma e
misurata.
Anche in momenti simili rimane fermo e ragionevole.
Lei sa cosa
significherebbe? Oh, Daniel, sempre così altruista, sempre
così premuroso, superfluamente questa volta. Certo che lei
lo sa. Certo che sa cosa significherebbe: possono avere la vita che
hanno voluto per tanto tempo. O forse non proprio così; ma
il punto è, saranno insieme. Questo è tutto
ciò che importa.
Lei allunga le mani per carezzare quel volto
prezioso, e una luce calda
sembra ardere da qualche parte – se fuori o dentro di lei non
lo sa esattamente né le importa – quando lui
deposita un bacio delicato sul suo pollice.
La sposerà. Non importa quanto lei abbia
sognato del loro
futuro e gli abbia persino fatto una proposta di matrimonio solo un
momento fa, la vera conferma la stordisce momentaneamente.
Così come il movimento brusco di lui, che va ad armeggiare
brevemente con la sella. Cosa sta facendo?
La semplice banda dorata scintilla nel crepuscolo e
tutto
ciò che lei vede sono le proprie lacrime – lacrime
di felicità condivisa e promessa.
Nessun’altra domanda viene posta
– è
stato detto tutto. Daniel fa scivolare l’anello al suo dito.
Calza perfettamente.
Per un momento, ci sono solo loro due. Gli eventi
dei minuti passati da
poco potrebbero non essere esistiti affatto: il Re, il suo anello, sua
madre che ruba la sua volontà, sigillando il patto e il
destino di Regina con esso sono tutti svaniti. Un momento di perfetta
felicità cancella ogni altra cosa. Lei gli rivolge un
sorriso radioso e lui ricambia il suo sguardo con uno suo, solenne ed
amorevole. Quando si baciano, la forza e la speranza le fluiscono
attraverso il corpo, guarendo tutti i lividi e le cicatrici nella loro
strada.
La porta si spalanca. Loro si separano di scatto,
anche se continuano
ad aggrapparsi l’uno all’altra.
Per un folle momento, Regina vede se stessa bambina
in piedi sulla
soglia, dopo averla spalancata con una gioia gloriosa nel vedere il suo
nuovo amico – il suo primo amico in assoluto, il giovane
stalliere.
Quando la realtà le appare chiara, la
colpisce duramente:
questa è un’altra ragazzina, qualcuno il cui
arrivo in un simile momento potrebbe facilmente portare tutto questo
– il suo amico, il suo amore, il suo fidanzato – di
nuovo via da lei. Questo non può succedere, mai. Lei deve
fermare Biancaneve, spiegare, supplicare.
Regina corre fuori dietro alla ragazzina, il cuore
in
attività frenetica. Corre per la propria vita.
Note della traduttrice:
Okay, niente panico. Niente panico. (Non capisco se lo sto dicendo a
voi o sto cercando di dirlo a me stessa.)
Il prossimo capitolo arriverà martedì 19,
sempre
se ce la faccio. Alla prossima!
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Capitolo 21 *** One Night the Moon ***
Note dell’autrice:
Ho sempre voluto scrivere una scena
mancante per mostrare cosa potrebbe essere successo tra la scena con la
conversazione di Regina e Biancaneve nei boschi e la scena con Regina e
Daniel pronti a partire prima che Cora li fermi –
be’, ora eccola qui. È un casino. Penso che lo
stato emotivo di Daniel e Regina sia stato incasinato a questo punto,
quindi credo che sia okay che questo capitolo sia un casino a propria
volta… giusto? Vi ringrazio per sopportare con me!
Capitolo
21
One
Night the Moon
«Daniel»
ansima Regina, incespicando attraverso la
porta.
«Va
tutto bene?» chiede lui mentre emerge dal
deposito. «Le hai parlato?»
«Ha
promesso di mantenere il nostro segreto». Lei
gli si rannicchia contro quando lui allunga una mano per accarezzarle
la guancia, e lui la bacia sulla testa. Le sfugge un piccolo sospiro.
Ci sono andati vicini, così vicini; avrebbero potuto perdere
ogni cosa. «Daniel, andiamocene da qui, ora».
«Vai
a prendere quello che ti serve ed incontriamoci
qui».
«Torno
subito».
Non
è che quando arriva a metà strada dalla
propria stanza che lei obbliga le proprie gambe a muoversi ad un passo
regolare e vagamente tranquillo. Affrettarsi potrebbe essere la causa
della loro rovina; le persone potrebbero iniziare a fare domande. Lei
potrebbe iniziare a fare domande.
Alla
fine raggiunge la propria stanza, chiude la porta con la massima
cura così da non fare un rumore che potrebbe attirare
l’attenzione di qualcuno, e si dirige dritta al cesto
nell’angolo. Non ci sarà più di una
borsa – non hanno bisogno di molto, dopotutto. Un vestito di
ricambio sarà sufficiente, e la mantella che già
indossa.
La
testa di Regina gira per i flashback degli eventi del giorno. Le
emozioni turbinano in un vortice tempestoso: l’assalto
furibondo di terrore freddo come il ghiaccio misto al desiderio
disperato di scomparire; l’angoscia frenetica mentre si
aggrappava a lui e le parole sincere e fiduciose che erano
semplicemente sgorgate in un momento in cui era completamente persa e
profondamente vulnerabile; la felicità agli occhi di lui che
la accarezzavano mentre le sue dita le sfioravano la pelle e facevano
scivolare l’anello al dito. Lasciando cadere la borsa sul
letto, lei solleva la mano per controllare che l’anello sia
davvero lì. C’è. È reale.
Sta accadendo veramente. Ridendo silenziosamente, si rigira
l’anello attorno al dito solo perché le piace
sentirlo.
Com’è
che lui aveva un anello? Perché
non le è venuto in mente prima? È semplicemente
andato da quella sella ed ha tirato fuori l’anello. Per
quanto tempo è stato lì, e perché?
Daniel potrebbe essere stato intento a pianificare la proposta di
matrimonio? Potrebbe? Oh Dio… deve essere così.
Non sembra esserci altra spiegazione. Be’, è quel
che hanno pianificato entrambi… Ma lei non aveva idea che
lui fosse già davvero sul punto di farlo.
Arrendendosi
ad un impulso improvviso, Regina fa una piroetta lungo la
stanza. Può essere felice! Poche ore prima sembrava che non
le rimanesse niente. Ora ha tutto.
Potrei ancora perderlo se non
sono abbastanza prudente.
A
quel pensiero torna a fare il bagaglio ma il sorriso le rimane in
volto. È vero, non è ancora tutto vinto. Con ogni
miglio che percorrano il pericolo sarà minore, ma
è ancora molto presente mentre sono qui. Biancaneve avrebbe
potuto rovinare tutto ma fortunatamente è una bambina dolce
e benintenzionata. Crede nell’amore, e nel bene, e nella
felicità, e nella libertà di scegliere queste
cose. In un certo senso ricorda a Regina di se stessa, a parte il fatto
che a volte lei ha dovuto lottare per mantenere la fede in queste cose,
mentre Biancaneve sembra non aver mai avuto ragione di dubitare di
nessuna di loro.
Il vero amore è magico,
ha detto Regina alla bambina, crea
la felicità.
Regina
lo crede – no, lo sa. Lo ha sentito.
Il
libro è pesante come sempre ma non
c’è uno strato di polvere, poiché essa
non ha avuto l’occasione di depositarsi tra i viaggi
frequenti dallo scaffale alla scrivania e di nuovo indietro.
È folle da parte sua volerselo portare dietro? Forse
sì… ma non può lasciarlo. I fiori
secchi tra le sue pagine diventerebbero polvere senza la protezione
offerta dal libro. Glieli ha dati Daniel, anni prima che venisse anche
solo loro in mente che avrebbero mai potuto innamorarsi. Regina ha
continuato ad aggiungerne di più ogni giorno: fiori
selvatici e il prezioso bocciolo di melo – il primo dal loro
albero – e almeno una dozzina di gigli. Non si possono mai
avere abbastanza gigli.
I
suoi occhi scivolano sul comodino e lei sorride vittoriosamente.
Proprio così, questo è ciò che
farà. Velocemente ma cautamente, inizia a togliere i fiori
dal vecchio tomo e li mette tra le pagine di
Sull’equitazione.
Ecco, in questo modo ha tutto: i fiori ed
il libro che le ha dato Daniel. Regina avvolge attentamente il vestito
attorno al libro e fa scivolare l’intero pacchetto nella
borsa. È pesante ma quasi vuota –
cos’altro dovrebbe mettere in valigia? Qui sembra davvero non
esserci nulla di cui lei abbia bisogno.
Una
voce remota – potrebbe essere la voce della ragione?
– sembra competere per attirare la sua attenzione. Non si sta
comportando in modo pratico? È sognante? Accecata dalla
visione della felicità?
Si
costringe a pensare chiaro per un momento, e attraversa la stanza
per frugare nel proprio guardaroba. Una borsa di denaro atterra sul
letto con un tintinnio sommesso. Questo dovrebbe aiutarli a cominciare,
dovunque andranno.
Dove,
già? Il viso di Daniel le fluttua davanti mentre lei
chiude la borsa. Qualsiasi posto andrà bene.
Granellini
di polvere turbinano nella luce lunare che filtra dalle
tende di pizzo. Regina sposta le tende. Sì, questa sembra
una buona idea – è improbabile che qualcuno sia
fuori a quest’ora, e le sue possibilità di
raggiungere le stalle senza incidenti sono molto più alte in
questo modo che dovendo di nuovo camminare lungo la casa in punta di
piedi spaventata a morte.
Più
luce si riversa dentro mentre lei fa leva per aprire la
finestra. Regina getta fuori la borsa per prima, poi lancia la gamba
oltre al davanzale. La luna splende, argentea ed insolitamente grande,
chiamando tutti i sognatori per un’avventura.
Potrebbero
semplicemente seguire la luna.
Daniel
non si dà tempo per riposare o riprendersi dagli
eventi rapidi del pomeriggio. Con Regina andata, lui torna al piccolo
deposito e alla borsa mezza preparata che giace aperta su uno sgabello.
Una maglia di ricambio, due coperte, così come un sacco di
mele, una pagnotta e un blocco di formaggio hanno già
trovato la strada per entrarvi mentre Regina è corsa dietro
a Biancaneve ed ha ragionato con lei.
Non
c’è molto altro che possiede, di certo non
cose che potrebbe facilmente portare con sé per aiutarli a
costruirsi un futuro insieme. La piccola pila di monete nascoste in una
scatola di creta frastagliata non durerà a lungo ma
è tutto ciò che ha; la svuota in una tasca della
borsa con un piccolo cipiglio.
A
Regina non importa molto delle ricchezze, ma una vita di
povertà è qualcosa che non ha mai dovuto
affrontare. Daniel potrebbe mantenersi ma adesso ha anche lei a cui
pensare. L’ansia scaturisce dentro di lui – saranno
in grado di condurre una vita decente? Dove andranno, cosa faranno? Un
bravo stalliere è una buona merce dovunque ci siano stalle,
ma devi essere fortunato per trovare un posto vacante. Be’,
non ha importanza se non è un lavoro con dei cavalli;
accetterebbe qualsiasi cosa per fare i soldi che serviranno loro per
ricominciare. Anche Regina vorrà aiutare… ma
come? Dopotutto, lei non ha mai lavorato prima.
Un
ampio sorriso si posa sul suo volto – Regina
può essere coriacea in un modo tutto suo. Quando si mette in
testa di fare qualcosa, persevera, e chiaramente si è messa
in testa loro, la loro vita – e se vuol dire cominciare da
zero, così sia. In un certo senso, lei ha sempre voluto solo
questo – nessuna obbligazione che pesi su di lei, nessun muro
che la rinchiuda, ma piuttosto fare le regole secondo le quali vivere.
Ce la faranno. Lui si assicurerà che sia così,
comunque, e non si limiteranno a farcela: saranno felici.
Abbassando
lo sguardo sulle monete sparse, non può che
sorridere: è saltato fuori che è valsa la pena di
spendere il resto dei suoi risparmi – come se ci fosse mai
stato un dubbio in proposito. Nelle ultime settimane ci sono stati
molti scenari che si formavano nella sua testa su come e quando avrebbe
potuto chiederglielo, finché alla fine ha deciso di
limitarsi a cogliere il momento quando fosse arrivato quello giusto,
affidando tutto alle emozioni invece che ai piani.
Be’,
certamente il momento è arrivato in un modo
che non si era affatto aspettato. Regina che si precipitava verso di
lui e le parole dette con tanta diretta urgenza l’avevano
colto completamente alla sprovvista. Inizialmente non voleva crederci,
non voleva lasciarsi trasportare. Lei poteva davvero intendere
ciò che stava dicendo o era solo la sua immensa pena a
parlare? Doveva esserne certo. E poi, quando lei lo aveva guardato
negli occhi con quella sua loquacità marrone scuro, il suo
stomaco aveva dato un sobbalzo e il suo cuore aveva palpitato; le
parole che lei aveva detto e il modo in cui gli aveva accarezzato la
guancia era una rassicurazione sufficiente. Far scivolare
l’anello al suo dito guardando il riflesso delle proprie
emozioni sul volto di lei aveva fatto bruciare i suoi occhi e dolere
d’amore il suo intero essere.
Ogni
osso nel suo corpo agogna a creare una bolla protettiva attorno a
lei ora più che mai, perché non venga
più ferita, mai. Lui si assicurerà che quel
sorriso radioso le rimanga in viso giorno dopo giorno.
Daniel
costringe la propria mente a tornare dalle vette celestiali di
felicità al terreno – non è ancora
fatto tutto, hanno ancora una fuga d’amore da portare a
compimento. A questo punto lui dovrebbe avere un piano –
quale strada prendere, e per quale destinazione. I boschi potrebbero
essere più sicuri della strada principale, più
difficili da seguire nel caso i genitori di Regina si organizzino per
rintracciarli. Una piccola città, forse… O prima
una grande, poiché lì sarebbe più
facile trovare lavoro, e degli sconosciuti sarebbero meno vistosi.
Dovunque saranno, saranno insieme, sostenendosi a vicenda durante gli
inizi difficoltosi. Dovunque si ritroveranno, ne trarranno il meglio.
Ma
un giorno quella casa vicino ad un bosco con un ruscello ed una
radura e le loro stalle di cavalli sarebbe perfetta. E – oh
sì – le loro bambine con gli occhi marroni.
Fuori
dalla finestra la notte è scura con la nebbia sospesa
in macchie sparse, ma da qualche parte, la luna illumina la strada.
Passi
frettolosi, respiro affannato, ed una zazzera di capelli corvini:
Regina vola attraverso la porta tenendo stretta una borsa ed indossando
un’espressione di gioia mischiata ad ansia ed eccitazione. Le
loro mani si trovano con impazienza. Daniel sente l’energia
diffondersi dentro di sé al suo tocco e risponde con una
stretta gentile. Mano nella mano, corrono verso la porta.
Seguiranno
la luna verso la libertà.
Note della traduttrice:
FINE. E VISSERO PER SEMPRE FELICI E CONTENTI.
…
No, okay, la storia non è ancora finita (ovviamente?),
perciò vi do appuntamento a venerdì 22
o a sabato
23.
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Capitolo 22 *** Paradise Lost ***
Nota dell’Autrice:
Dunque eccolo. Questo è
l’ultimo capitolo. Il trigger warning dice tutto, davvero, ma
ho qualche (si spera) buona notizia per voi in basso alla fine della
storia. Vi ringrazio per ogni singola recensione, a chi ha messo questa
storia tra le preferite e le seguite – sono felice per ogni
visita che questa storia riceve e spero che vi sia piaciuta. Buona
fortuna ai vostri feels – so che i miei sono pesantemente
danneggiati.
Trigger warning: morte.
Capitolo 22
Paradise
Lost
La luna li ha traditi.
Aveva
promesso di condurli a casa, e invece ha condotto lei da loro.
Quando
la porta si spalanca per rivelare Cora contro lo sfondo di
nebbia ed oscurità, il mondo si ferma e così
fanno loro, raggelati e immobili come un quadro in una cornice. Il
respiro di Regina si blocca nel suo petto e tutti i sensi e il coraggio
la lasciano mentre il fiato le viene spinto fuori senza cerimonie
dall’orrore. Daniel!
Il grido inespresso è
trasmesso dalla sua presa convulsa sulla mano di lui – lui
è la sua ancora di salvezza. Poi, proprio mentre sente
Daniel rispondere stringendole la mano a propria volta, Cora solleva
una mano, e Regina guarda al rallentatore mentre lo scintillio della
magia cresce in un velo vibrante e subito dopo, arriva verso di loro,
correndo, sibilando, più vicino, più
vicino… L’impatto manda onde d’urto
attraverso di lei e, quel che è peggio, la mano di Daniel
viene strappata crudelmente dalla sua, scaraventandoli entrambi
all’indietro.
Tutto
è perduto. È di nuovo la magia, la sua
magia, e proprio come ogni altra volta prima d’ora, Regina
è impotente contro di essa, poiché non
c’è alcuna arma che possa brandire per
fronteggiare i poteri di Cora. Se solo il terreno freddo la
inghiottisse e basta, ponesse fine a tutto… forse, se lei
non si muove, alla fine succederà. Perché
alzarsi, comunque, solo per essere abbattuta di nuovo – o
peggio, rinchiusa nella gabbia dorata di una vita che detesta?
Poi
sente le sue braccia attorno a sé – Daniel
è già tornato sui propri piedi, e la aiuta ad
alzarsi. Il suo tocco fa circolare dentro di lei una nuova forza,
sfida, e persino – forse – un pizzico di speranza.
Dovrebbe vergognarsi per aver voluto arrendersi così
facilmente! No – no, quei tempi sono finiti. Adesso sono loro
due contro Cora, e se lei non le tiene testa adesso, come
potrà mai prendere in mano il proprio destino?
Regina
parla solo per essere zittita. Chiede – esige
– di essere ascoltata da una madre che sembra non voler mai
sentire. Reclama la vita che è sua e sua soltanto solo per
essere derisa e vedersi negare quel diritto essenziale.
Qualcosa
crolla dentro di lei nel sentirsi chiamare una folle, non
autorizzata ad avere i propri desideri e obiettivi indipendenti dai
desideri di sua madre, e la cruda verità la ferisce
profondamente: Cora non ha mai avuto intenzione di rilasciare le redini
strette di Regina, non ha mai pensato di cessare di stabilire il corso
della vita di Regina.
Ancora
una volta, lui allunga la mano proprio nel momento giusto,
offrendole di essere la sua roccia, la sua forza, il suo supporto
– e, ancora una volta, funziona come un incantesimo.
La
dichiarazione del suo amore per Daniel gettata a Cora dà
a Regina un rinnovato senso di determinazione; il ricambio di lui
diffonde calore dentro di lei; la ripetuta professione
d’amore di Cora, d’altro canto, manda dei brividi
lungo la sua spina dorsale. C’è poco a cui Regina
vorrebbe credere di più che all’amore di sua madre
per lei; eppure sa che la verità delle azioni parla davvero
più forte delle parole, e l’amore auto-dichiarato
di Cora manca di compiere ciò che Regina ha imparato che
l’amore è e fa.
Nessuna
delle parole di Regina sembra portare sua madre a vedere
l’errore nei propri modi. È tempo di andare.
La
mano di Cora, pizzicante di magia, incombe di loro ancora una volta.
E se colpisse di nuovo? Così sia. Può fermarli
una volta, può sbarrare la loro strada due volte, ma
è impossibile che possa tenerli qui per sempre.
La
ragionevole argomentazione di Regina –
com’è che improvvisamente si sente così
rafforzata, così autorizzata, così energica?
– cambia effettivamente qualcosa. Sua madre esita.
È anche solo possibile? Per un momento, sembra quasi che
possa finalmente essersi resa conto della capacità di Regina
di prendere le proprie decisioni – per di più,
sembrerebbe quasi che stia considerando di riconoscere le decisioni di
Regina. C’è ancora speranza che lei possa non solo
essere felice con Daniel ma persino guarire il rapporto con sua madre?
Può
essere? Sua madre che si fa da parte perché
lei sia felice alle proprie condizioni? È…
è vero! In questo stesso momento lo dice la stessa Cora
– capisce, o almeno accetta la decisione di Regina di stare
con l’uomo che ama, anche se non è quanto Cora
aveva pianificato per lei.
Poi,
dopo secoli, madre e figlia si abbracciano. Regina sente la
tensione sollevarsi e una gioia cauta, beata, filtra attraverso di lei.
Eccoli
lì, davanti ai suoi stessi occhi pieni di lacrime, in
un modo che Regina non ha mai osato sognare li avrebbe visti: la madre
che pensava di aver perso per sempre e l’amore che non
potrebbe mai e poi mai perdere. Che parlano. Regina non sente le parole
che dicono, non perché siano troppo lontani o troppo quieti
ma perché non ha importanza. Questo è tutto
ciò che lei ha sempre voluto: amore ed accettazione. Il
pensiero la scuote sin nel profondo. Posso essere felice.
Poi
tutto va male.
Succede
in una frazione di secondo; ha a stento il tempo di fare presa:
lei vede l’espressione di Cora cambiare, e la paura la
sopraffa; vede il volto di Daniel contorcersi di sorpresa e poi di
agonia, e il terrore la paralizza. Solo quando il suo sguardo ad occhi
spalancati si abbassa lei capisce: la mano di Cora che affonda nel
petto di Daniel, e riemerge di nuovo in un movimento rapido, esperto.
Regina
sa, nel profondo, cosa Cora sta reggendo prima di vederlo. Non
ha mai visto farlo prima ma ha sentito delle voci – voci che
ha spinto nel retro della propria mente – e ha visto Cora
scomparire attraverso un passaggio segreto dietro un camino una o due
volte con una scatolina pulsante un baluginio rosso. Così
lei sa, nel profondo, cosa sta succedendo.
Il
corpo senza vita di Daniel crolla a terra, e il suo mondo si sfoca
in un battito del cuore.
«Nooooo!»
Finalmente
le sue gambe obbediscono e lei corre la breve distanza tra
sé e quella scena raccapricciante, e si lancia su di lui.
Non ha un piano, agisce per puro istinto – deve fermare tutto
questo, deve proteggerlo, col suo stesso corpo se è
necessario, poiché non conosce altri mezzi di protezione.
Lui non si muove.
«Nooo!»
Non
può essere morto, non può! Deve esserci un
modo per invertire tutto questo; lei sostituirà il suo cuore
con le proprie mani. Deve essere possibile, e in qualche modo
l’amore che nutre per lui sembra una guida per una tale
impresa.
Come
se le avesse letto la mente, Cora chiude il pugno sul cuore
palpitante. Quello di Regina si ferma. Della cenere piove tra le dita
chiuse di Cora.
L’oscurità
la circonda.
Il
Dottore chiede il cuore, e lei gli porge la scatola.
L’uomo
dovrebbe essere la sua salvezza, con poteri
più potenti della magia, capace di quanto va oltre le
abilità di Tremotino. Eppure cosa sa di lui? Uno straniero
da un altro reame che non ha mai avuto successo prima e non
permetterà a nessuno di assistere alle sue misteriose
procedure sono tutte le informazioni che ha. Eppure il suo destino
giace nelle sue mani.
Tremotino
l’ha disprezzata quando lei ha rivelato la sua vera
motivazione per studiare la magia. La magia ha preso Daniel, quindi
sarebbe solo sensato se la magia potesse riportarlo in vita. O il suo
insegnante stava mentendo o non aveva intenzione di aiutarla
– in ogni modo, la fragile traccia di speranza che lei aveva
coltivato nella propria anima ha iniziato ad avvizzire rapidamente al
suo rifiuto deciso, poiché chi altri se non il Signore
Oscuro poteva aiutarla nella sua ricerca? Poi Jefferson è
accorso in suo aiuto e lo strano Dottore, e proprio malgrado, lei si
è ritrovata a nutrire la speranza e a riportarla in vita.
Il
dolore e la nostalgia sono stati il suo compagno costante sin dalla
morte di Daniel. Nonostante il detto, il tempo non ha fatto nulla per
guarire le ferite. Un vuoto tale come lei non ne ha mai conosciuti si
è insinuato nel suo cuore frantumato. Grazie
all’incantesimo di preservazione che lei ha lanciato, almeno
il suo corpo – benché un guscio vuoto ed un povero
sostituto del suo essere passato – era ancora lì;
lo visitava ad ogni occasione che aveva, lo guardava, versava lacrime
amare su di lui.
Delle
ombre si muovono dietro la tela della tenda. Regina è
perplessa, respira a stento. Non può permettersi troppa
speranza o la delusione sarebbe troppo devastante da sopportare.
È troppo tardi, però. Non può
evitarlo. Non può evitare di sperare nel successo, non
può evitare di immaginarsi di nuovo con lui: gli occhi di
lui che perforano i suoi, il suo sorriso, le sue mani che le
accarezzano il volto, il sapore del suo bacio, e la sensazione delle
sue braccia attorno a sé. Potrebbe sentirsi veramente felice
e amata di nuovo.
Basta, cerca di
comandare al proprio cuore che palpita follemente.
Basta o farai ancora
più male. Ma il suo cuore non ascolta.
Lui
cosa sta facendo là dentro?
Se
fallisce, non può essere fatto. L’idea
è insopportabile. Lei non può pensare simile
pensieri, deve credere – ha bisogno di questo miracolo, se
sia magia o qualcos’altro non le importa. Deve funzionare e
basta.
Ipnotizzata,
Regina si sforza di respirare in modo regolare.
L’ombra di un braccio va a tentoni per un momento e si alza
nell’aria, reggendo qualcosa di piccolo e rosso e pulsante
– lei non può vederlo ma è quello che
deve essere. Regina trattiene il fiato.
Il
braccio si abbassa, veloce e ferreo, affondando nell’amato
corpo che Regina vede nella propria mente sul tavolo operatorio
nascosto dalla tenda. Un fulmine colpisce e strappa il cielo in due.
Regina si accorge a stento di essersi aggrappata a Jefferson.
L’intensità del suo sguardo ad occhi spalancati
sarebbe abbastanza da bruciare un buco attraverso la tenda. Ma
può veramente sopportarlo? E se il risultato fosse
sfavorevole? Cosa farà allora?
Ma
se avesse funzionato? Se, quando guarderà attentamente,
vedrà Daniel alzarsi e camminare fuori dalla tenda verso di
lei?
Lacerata
tra emozioni contrastanti, Regina si limita ad aspettare,
inchiodata sul posto.
Il
Dottore emerge – da solo. Questo non vuole necessariamente
dire qualcosa. Daniel potrebbe essere esausto, o addormentato,
o… be’, certamente c’è una
spiegazione oltre alla… oltre a quella orrida e ovvia che
lei s’impone di allontanare. È vero, il Dottore ha
un’espressione che è tutto men che gioiosa, ma
forse è solo che la procedura l’ha segnato.
Dopotutto, non le aveva forse detto di essere ottimista riguardo al
risultato?
Quando
lui parla, quelle parole le tagliano l’anima, torcendo
la vita dal piangente stelo di speranza e poi lasciandolo indietro,
strangolato, a marcire.
Non
ricorda di aver camminato sino alla tenda, solo di scivolare
attraverso il lembo in un incubo orribile. Lui sembra sempre lo stesso
– l’incantesimo di preservazione è
rimasto effettivo. È lì, eppure se
n’è andato. Per sempre.
Dentro
non le rimane alcuna forza. Con la prima lacrima che trabocca,
lei appoggia la testa sul suo petto e le lascia sgorgare.
Sono perduta.
L’oscurità
cala.
La
vuota bara di vetro nel freddo ventre della sua cripta la fa
precipitare vertiginosamente in un abisso di panico. Nessun altro
può saperne qualcosa. Dev’essere di nuovo lui
– ma perché?
Il
braccio reciso sul tavolo di Whale sconcerterebbe la maggior parte
delle persone ma lei ha cose più grandi per la testa. Non
c’è spazio per compassione o preoccupazione per
l’uomo mutilato sul pavimento, solo per la domanda bruciante
per la quale lei cerca risposta. Quel che le dice Whale scuote le
stesse fondamenta della sua esistenza.
Può
essere? Può Daniel essere davvero vivo?
Può Whale aver avuto successo dopo tutto questo tempo? Lei
aveva pensato che tutta la speranza fosse svanita dopo il fiasco nella
Foresta Incantata ma adesso sembra essere resuscitata –
proprio come Daniel, se deve credere a Whale. Ma osa credergli? E lui
cosa intende dicendo che Daniel non è davvero Daniel ma un
mostro? I due concetti semplicemente non funzionano insieme. Whale ha
giudicato male la situazione, chiaramente.
Questa
brillante sfera di speranza nella sua anima non se ne
andrà, mai. Non ha la benché minima scelta in
proposito.
Adesso
ogni oncia del suo corpo appartiene alle scuderie di
Storybrooke. David è un intralcio e normalmente si
guadagnerebbe una replica tagliente o due, ma lei non ha pensieri da
dedicare ad altri se non all’amore perduto che dopotutto
potrebbe riavere indietro.
Ad
eccezione di Henry, naturalmente. Un brivido oscuro la sopraffa al
pensiero di suo figlio e del suo fidanzato nello stesso posto allo
stesso momento. Il suo primo istinto è di amorevole affetto.
Quindi da dove viene l’ansia? Dalle parole di Whale? Dalla
sua ferita? Dalla reazione di David?
Lo
spettacolo al quale arrivano non è per niente come
ciò che aveva immaginato; anzi, è materia da
incubo: le dita di Daniel che stringono il collo di Henry, il viso di
suo figlio contorto in agonia. Per un momento delirante, è
trasportata indietro nel tempo in un’altra stalla dove sua
madre ha strappato la vita dal suo fidanzato. No! Non è
così che dovrebbe essere!
La
sua voce è molto più difficile da controllare
del solito, e lei quasi si strozza sul suo nome. Ma Daniel la ascolta,
come lei sapeva avrebbe fatto, ed Henry è di nuovo in salvo.
Grazie al cielo, suo figlio è in salvo.
È
vero. Lui è davvero tornato.
Andrà
tutto bene, ciò che è successo
è stato solo una reazione secondaria, era solo confusione
– Daniel è autorizzato a provarne, sicuramente,
dopo decadi di, be’, esser stato morto. Andrà
bene, lui ha solo bisogno di tempo per riambientarsi, e lei
può aiutarlo a farlo – lei è quella che
può aiutarlo a farlo.
Lui
le si muove incontro in un movimento improvviso e selvaggio e lei
viene scagliata via dal box prima che possa reagire in alcun modo.
David non capisce – non sa niente. Daniel non la ferirebbe
mai, e certamente è fuori discussione che lei usi la magia
su di lui. Eppure l’uomo continua a sbarrarle la strada
quando dopo tutti quegli anni di separazione Daniel è solo
ad una porta di distanza! Disperata ed impotente, lei si lancia contro
di lui, appioppando pugni dove capita, ma David è molto
più forte di lei. È troppo, più di
quanto lei possa sopportare – lui deve capire! Lei non
permetterebbe mai, mai, che a Daniel venga fatto altro male –
non c’è bisogno di metodi come quelli che David ha
in mente per pacificarlo quando tutto ciò di cui entrambi
hanno bisogno è di un’occasione per parlare. Lui
la ascolterà.
Non
appena David si è allontanato, Regina allunga la mano
per aprire il box. Il cuore minaccia di scapparle dalla gabbia
toracica. Ecco. Questo è il momento. Finalmente, sono di
nuovo insieme.
Daniel
è lì, intento a strizzare gli occhi nella
luce che entra a fiotti attraverso la porta aperta. È lui.
Sembra confuso ma è lui. E puoi biasimarlo se è
confuso? Andrà tutto bene, la vedrà e
ricorderà ed ogni cosa sarà com’era
prima. Un sorriso e una o due o una dozzina di lacrime combattono per
avere il predominio sul suo viso raggiante e già rigato di
lacrime. È così vicina al lieto fine perso tanti
anni fa. Daniel continua a guardarla strizzando gli occhi e alla fine
si muove verso di lei, e tutto si blocca ad eccezione del cuore di lei
che batte forte e della mano di lui che si avvicina lentamente al suo
volto. Quanto le sono mancate le sue carezze leggere, le sue dita che
le sfiorano la guancia! Solo un altro centimetro…
Ma
il tenero tocco non arriva mai; invece, cerchi scuri le compaiono
davanti agli occhi quando lui la afferra dal collo senza avvertimento e
la sbatte contro un muro con una forza che le mozza il fiato. La
pressione spietata delle sue dita contro il suo collo aumenta con ogni
momento che passa, e tutto ciò che lei sente è
dolore – dentro. Come può non riconoscerla? Che
stregoneria è questa?
Daniel,
torna da me. Ti prego.
La
sua mente è vuota, e le parole vengono fuori di propria
spontanea volontà.
Io
ti amo.
«Regina».
I
suoi occhi si ammorbidiscono, e la sua voce, roca e gracchiante,
è puro paradiso. Il modo in cui dice il suo nome non
è cambiato – la sua lingua lo avvolge come se
fosse un prezioso tesoro. Il suo abbraccio è giusto,
è sicuro – lei è a casa, alla fine.
All’improvviso è quasi troppo: lei vuole ridere,
vuole piangere, vuole bloccare il tempo e crogiolarsi in questo momento
benedetto.
Ma,
come tutta la felicità nella sua vita, non è
destinato a durare.
Daniel
si ritrae, ansimando, e si stringe il petto. No. Cosa sta
succedendo? Cos’ha che non va? Lei non vede niente
– potrebbe essere ferito? Non può perderlo. Non di
nuovo. La vista di quell’amato volto contorto da un dolore
per il quale lei non trova spiegazione le lacera il cuore. Farebbe
qualsiasi cosa per aiutarlo. Ciò che lui le chiede,
però, minaccia di spezzarla. Deve esserci un qualche altro
modo. Deve esserci un modo di aiutarlo, di guarirlo… Senza
di lui, è perduta. Lui combatte il demone invisibile che lo
infesta, riguadagnando il controllo su di lui.
Per
favore, per favore, torna da me.
Un’ombra
gli attraversa gli occhi e qualcosa di malvagio si
annida nel suo sguardo febbricitante e squilibrato.
Il
suono impetuoso della tragedia imminente le echeggia nelle orecchie,
le riempie il cuore e si estende come un veleno letale per tutto il suo
corpo. Non sa come combattere questo nemico, qualsiasi cosa sia. La
morte. Ma lei lo ama… E il vero amore? Non dovrebbe spezzare
ogni maledizione, essere la magia più potente di tutte?
La
magia può tanto ma non questo. La morte è
morte.
Quando
il mostro rivendica il corpo di Daniel e la sembianza del suo io
passato si erge per attaccare, Regina solleva la mano in
un’opera di magia semplice ed essenziale, congelandolo con il
suo palmo contro il proprio. Eppure l’atto è tutto
fuorché privo di sforzo. Il suo cuore rifiuta la
realtà che sanguina nel dover affrontare. Lui se
n’è andato. Se n’è
già andato. Questo non è lui. Lei non
può lasciarlo soffrire; non lo lascerà soffrire.
La
prima volta le ha strappato il cuore e lo stomaco.
La
seconda volta l’ha derubata di speranza e luce.
La
terza volta sarà l’ultima.
Non
c’è speranza per loro. Dita scheletriche
continuano a dilaniarla all’interno, cavando sangue e
prosciugando la vita e distruggendo quella piccola e misera lama di
speranza sulla pila di vecchi resti. Ansimante per i singhiozzi, Regina
agita la mano tra loro in un arco. Mentre i resti terreni di Daniel
svaniscono di fronte a lei, l’ultima delle sue speranze viene
annientata.
Allora
ama di nuovo.
Forse
si è sbagliata per tutti questi anni. Forse non
è solo Daniel che non può essere aiutato. Forse
anche lei è morta.
Tutto
fa male.
Nota dell’Autrice:
Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace, mi
dispiace. È stato davvero difficile scrivere di nuovo questo
tragico finale (dico “di nuovo” in riferimento al
telefilm) ma dopo averci pensato molto su, alla fine ho deciso di
seguire il canon a questo punto della storia. Comunque, voglio ancora
dare a Regina e a Daniel la possibilità di avere un lieto
fine, e anche esplorare come potrebbe essere la loro relazione se fosse
stato possibile riportare indietro Daniel in qualche modo dopo la 2x05
– tra il passato di Regina e la lunga assenza di Daniel, ci
sarebbero sicuramente degli ostacoli da superare. Per farla breve, sto
scrivendo un sequel (Dark Enough to See the Stars).
Sarei felice se
decideste di venire a darvi un’occhiata. Di nuovo, un grazie
enorme per il vostro supporto!
Nota della traduttrice:
*voce scontrosa* Non sto piangendo, voi state
piangendo.
…
Su una nota meno tetra, il sequel è in corso, secondo me
è geniale, e se interessa a qualcuno sarei più
che felice di tradurlo (devo solo chiedere il permesso
dell’autrice). Intanto da me ho scritto una OS abbastanza
fluffosa su di loro (non lo so, gente, non lo so, se può
esservi d’aiuto è qui).
Alla prossima!
(ODDIO HO FINITO DI TRADURRE LA MIA PRIMA LONG-FIC, WOW.)
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