Il Ragazzo dell'Autobus

di LovelyLullaby
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Abitavo in Forthlin Road. Posticino carino, almeno per la working class del tempo. L’insieme delle abitazioni, tra le quali anche la mia (o meglio, la nostra…), era stato fatto recentemente, nel 1952, con materiali moderni per il tempo. Avevano una struttura particolare, in modo tale che, girando sempre a destra a partire dal salotto, si tornava al punto di partenza. Erano circa 300 costruzioni, tutte uguali, dunque poteva sembrare monotona, ma abitare in Forthlin Road mi piaceva. Avevamo un salotto piccolo, ma accogliente; sul retro la sala da pranzo e la cucina; mentre al piano superiore c’era la mia camera da letto (la più piccola, ma in fondo era quella che avevo scelto), con la finestra sopra la porta d’ingresso. La camera di mia madre era in parte, invece sul retro si trovavano un’altra stanza, un bagno e la toilette. Eravamo riuscite ad avere quella casa grazie al lavoro di mia madre: lavorava al Walton Hospital, in Rice Lane.
Proprio nella villetta di fronte alla mia abitava la mia migliore amica, Anna McLaine. C’eravamo conosciute nel 1954, quando mi sono trasferita lì. Abbiamo fatto subito amicizia: siamo differenti, di aspetto quanto di carattere (io, così timida, mentre lei così aperta e solare; io dai capelli rossi, mentre lei color cioccolato.. L’unica cosa che ci accomuna è la carnagione bianca, tipica delle ragazze di Liverpool.), ma siamo legate l’una all’altra come sorelle. Lei abitava lì da un anno ormai quando arrivai. Avevamo scelto la stessa camera, e riuscivamo a vederci anche solamente scostando le tende delle nostre finestre.
Frequentavamo lo stesso liceo femminile, e fortunatamente eravamo anche capitate nella stessa classe, così ne approfittavamo per trovarci il pomeriggio e fare i compiti insieme. Però dopo lo studio avanzava sempre un po’ di tempo per chiacchierare…
-“Hey, Angel, ma hai visto quel ragazzo in autobus, questa mattina? Vi vedrei benissimo insieme..”
Anna ridacchiò un attimo. Parlavamo sempre del principe azzurro, del ragazzo che sarebbe arrivato. Ce lo immaginavamo, ma senza sperarci tanto: solo chiacchiere spensierate tra ragazze.
-“No, sinceramente non ci ho fatto più di tanto caso, stavo pensando all’interrogazione di algebra. Sai che ogni volta ho mal di pancia; e non volevo inginocchiarmi sui sassi!”
Stavo mentendo, e un po’ forse lo sapeva anche lei: come non accorgersi di lui? Alto, magro, con capelli neri e morbidi, tirati indietro con la vaselina, come era di moda quel periodo; due occhi dolci e profondi, così scuri, tagliati verso il basso. Le sopracciglia così perfettamente disegnate ed espressive e delle ciglia che facevano invidia alle mie. Un bel naso stretto, simmetrico, e due labbra carnose, rosee, appena socchiuse, che talvolta si aprivano a formare un sorriso da togliere il fiato. Portava pantaloni e giubbotto neri, era un Teddy boy, non avevo dubbi; avrei dovuto tenermi alla larga da tipi come lui, mia madre me lo diceva sempre, ma in lui c’era qualcosa… No, lui non era come tutti gli altri.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Una delle cose che ci piaceva di più era andare a camminare al porto, specialmente a me: è il posto dove le culture di mezzo continente si incontrano e si intrecciano in un risultato a dir poco fantastico. Avevo pranzato a casa di Anna, dunque portavo una pila di libri sotto il braccio. La giornata non era né bella né brutta: il solito cielo grigio di Liverpool, la brezza marina che ti riempie i polmoni, il colore grigio-verde del mare… Era pomeriggio, un giorno come altri, solamente ricordo poche persone, meno del solito.. O probabilmente non prestai molta attenzione...
Stavamo camminando e parlando, le solite chiacchiere da ragazze, quando sentii una persona correre a passi pesanti. Sarà stato un marinaio? Non me ne curai più di tanto e continuai a passeggiare, finché proprio il proprietario di quei passi appena uditi mi venne addosso e, avendomi urtato la spalla, fece cadere i miei libri a terra, spargendoli per tutto il porto. Avevo preso paura, e stavo per girarmi per vedere chi era il maleducato, ma mentre facevo per girarmi, Anna mi diede un leggero pizzicotto sul braccio. Non feci in tempo a sentirlo che il mio stomaco si chiuse alla sua vista. Capii il motivo del gesto: lo sconosciuto che mi aveva appena urtata era il ragazzo dell’autobus.
Senza riuscire a esprimere cosa alcuna, mi chinai a testa bassa per raccogliere i libri e vari fogli sparsi. Riuscii a vedere con la coda dell’occhio che si stava abbassando a sua volta per aiutarmi a riordinare gli appunti. Sentii per la prima volta la sua voce:
-“Scusa, non volevo, è che ero di fretta e.. Non ti ho vista.”
Il cuore cominciò a battere sempre più forte; non avevo la forza di rispondere, perciò mi limitai a continuare il mio lavoro di recupero. Fin tanto che non  accadde l’inevitabile: tentammo di prendere lo stesso foglio e le nostre mani si sfiorarono. Sentii le gambe cedere. Piccoli brividi mi attraversavano la schiena: alzai lo sguardo verso di lui: mi stava guardando con due grandi occhi scuri e visibilmente imbarazzati. Grandi e bellissimi. Sentii una scarica che dallo stomaco partiva e arrivava al cuore,  per poi farlo scoppiare.
-“Tranquillo, non è niente..” riuscii finalmente a rispondere, abbassando lo sguardo, tentando di nascondere il rossore che ormai dilagava sulle mie gote risultando troppo evidente.
Ci alzammo e lui mi porse l’ultimo foglio con un sorriso sicuro e galante, che io ricambiai timidamente, e disse:-“Scusa ancora Angel, ciao!”
Prese, si girò e continuò a camminare a passo svelto per la sua strada.
Anna, appena il ragazzo fu a debita distanza, cominciò a saltellare dalla gioia e a prendermi la mano. Io a stento riuscivo a respirare.
-“Hai visto come ti ha guardata? E il tuo nome? Angel, ti ha chiamata per nome!”. Già, il mio nome… Come faceva a saperlo? Risposi molto frettolosamente e ancora con la mente al suo sguardo:-“Ma cosa dici? Mi ha fatto cadere i libri e ha solamente aiutato a raccoglierli.. Non è successo nulla!”
Anna mi guardò con un sorriso malizioso, che mi fece arrossire nuovamente e abbassare lo sguardo di conseguenza, ma non aggiunse altro, mi prese a braccetto e continuammo a passeggiare lungo il porto, come se nulla fosse accaduto.
Ridendo e scherzando arrivò il tempo di tornare a casa, per non preoccupare i nostri genitori. Ci trovavamo ormai in Forthlin Road quando il mio stomaco si chiuse nuovamente alla sua vista: cosa ci faceva lì?  Stava camminando anche lui nella mia stessa via o stavo sognando? Come era bello, con quel suo giubbotto in pelle e i capelli che ondeggiavano ad ogni suo passo… I nostri sguardi si incrociarono di nuovo, per un attimo soltanto. Lo vidi entrare in una casa e richiudere con delicatezza la porta dietro di sé.
Anna esultò:-“Ma bene! Il tuo principe azzurro abita anche nella tua stessa via, a due passi da casa tua!” mi pizzicò la guancia, che si stava colorando di un rosa intenso…:-“ Il mio principe azzurro? Ma cosa dici? Dai, andiamo a casa che è tardi!” Il discorso morì lì e raggiungemmo le nostre case, ci salutammo e ci ritirammo.
Quella sera non riuscii a mangiare, sentivo tutto lo stomaco sottosopra: una sensazione strana, che mai avevo provato. Finsi stanchezza e andai molto presto in camera mia. Lì cominciai a sistemare i libri e intanto rimuginavo su quello che era successo. Mi sentivo una totale idiota, ad essermi immobilizzata così di fronte a lui! Perché per me era sempre così difficile riuscire a parlare con qualcuno? Solamente con Anna riuscivo ad essere me stessa, mentre con il resto del mondo… Beh, preferivo essere trasparente.
Mettendo mano ai fogli che mi aveva posto questo pomeriggio il ragazzo, capii: il mio nome lo aveva letto proprio in quegli appunti! Che stupida, era talmente logico!
Ma… Il suo nome? Quale era il suo nome?
Mi misi a letto e mi addormentai con lo stomaco chiuso e il cuore che batteva troppo forte: quella giornata aveva cambiato qualcosa in me.
 
 
SPAZIO AUTRICE:
Buona sera a tutti! Scusate se non ho scritto nulla alla fine del primo capitolo, ma sono nuova, questa è la prima storia che scrivo e sono tremendamente insicura su cosa fare o non! Ahahah, cominciamo bene! :)
Detto questo, posso dire che dal primo capitolo non emerge molto, infatti trovo giusto introdurre un po’ l’ambiente e i personaggi principali, non sono molto per gli inizi in medias res..
Che altro dire? Aspetto recensioni, negative o positive che siano! E grazie a tutti per dedicare un pezzettino del vostro  tempo alla mia PRIMA storia!! Alla prossima!:)
Chiara

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Sì, quella notte lo sognai. Era proprio come lo avevo visto poche ore prima. Bello? Bellissimo. Stavamo parlando, di cosa non ricordo; lui aveva una voce calda e gentile che mi avvolgeva il cuore e io non mi sentivo imbarazzata, anzi: ogni suo sorriso non faceva altro che aumentare la mia sicurezza. Poi improvvisamente cominciai a sentire meno la sua voce. Eravamo soli, ma il rumore di una folla di sconosciuti soffocava i nostri discorsi. Io continuavo a chiedergli disperata il nome, ma lui ormai aveva smesso di parlare e mi guardava solamente con il suo dolce sorriso. Cominciai a vederlo sempre con maggior difficoltà, fino a quando sparì. Mi svegliai di soprassalto: i palmi delle mani mi facevano male per via delle unghie che vi avevo affondato per paura di non vederlo più, mentre lo stomaco era stretto in una morsa senza scampo. Cosa significava tutto questo? Il suo nome, certo: dovevo scoprire il suo nome! Sarei andata con Anna. A casa sua.
Deciso questo, mi riaddormentai con l’immagine tranquillizzante del suo sorriso.
 
La mattina seguente mi preparai il meglio possibile e uscii con dieci minuti di anticipo: ero troppo irrequieta, o forse è meglio dire emozionata. Attraversai di corsa la strada e andai a bussare alla porta di casa McLaine. Anna era in ritardo, come al solito! Dopo averle spiegato il mio “piano” (Ma che piano! Diciamo piuttosto la mia timida intenzione), lei si velocizzò, finì di cotonarsi i capelli e in un attimo ci ritrovammo sul marciapiede. Tenevo Anna a braccetto, mi sentivo tesa. Con molta discrezione ci avvicinammo alla casa, cercando di non farci vedere… Leggemmo molto velocemente.
                    JIM McCARTNEY
                     MARY (MOHAN) McCARTNEY
Il nome femminile era stato cancellato da una grossa linea nera.
Subito dovemmo allontanarci: avevo sentito dei rumori provenienti dalla casa e l’ultima cosa che volevo era essere scoperta a curiosare le cassette della posta altrui. Sgattaiolammo lungo la strada fino ad arrivare alla fermata dell’autobus. Anna era euforica (Caspita! Lei, per qualsiasi cosa le capitasse o facesse, sembrava moltiplicare i sentimenti provati: era molto espansiva ed estroversa, cosa che io manco mi sognavo!) , mentre io avevo la testa alla cassetta della posta.. McCartney, che cognome fantastico, sembra quello di una persona importante… Jim deve essere suo padre, ma… Mary? Sua madre, ovvio, aveva un nome così dolce, ma perché era stato cancellato? Un errore casuale? O forse se n’era andata?
Anna e l’arrivo dell’autobus  interruppero i miei pensieri:
-“Hey bella, hai scoperto il suo cognome, non sei felice? Ora basta solo pensare ad un nome che suoni bene… Mmmm… Che ne dici di Edward? Edward McCartney, calza a pennello!”
Annuii con un sorriso timido e mi voltai verso il finestrino per guardare fuori.. Oh, McCartney, quale sarà il tuo nome, il tuo bellissimo nome?
 
Passavano i giorni e il desiderio di conoscerlo cresceva in me sempre più, mentre guardavo incantata il suo riflesso sul finestrino dell’autobus. Non sempre c’era, e io oramai basavo il mio umore sulla sua presenza. Ad Anna non era servito dire niente: ci eravamo capite, e questo mi tranquillizzava, perché parlare di lui mi intimidiva più di quanto non lo fossi normalmente. Di fronte al suo sorriso mi sentivo impotente. Era una sensazione magica, della quale non sapevo se esserne fiera o impaurita.
Facevamo mille corse per vederlo e Anna mi aveva regalato uno specchietto per spiarlo di nascosto. Ogni tanto sbirciavo fuori dalla finestra di casa per controllare i suoi movimenti, ma senza grandi risultati. Talvolta, verso l’ora di cena, vedevo rincasare suo padre. Avevo capito chi era: a volte salutava mia madre, quando la vedeva fuori in cortile. He was very clean.
L’unica cosa era il suo nome, ma cosa fare per saperlo? Poi, però, pensandoci meglio, di lui il nome non era l’unica cosa a me sconosciuta.. Anzi,  sapevo pochissimo! Abitava nella mia stessa via, doveva avere pochi anni più di me, di cognome faceva McCartney e frequentava il Liverpool Institute High School for Boys… Ahn, dimenticavo: era anche tremendamente bello. Ma cosa potevo fare per conoscerlo? Di andare da lui e attaccare bottone non se ne parlava! Ero troppo timida, e poi: con che scusa? No, sarebbe stato a dir poco ridicolo… Avrei aspettato il momento migliore e, prendendo il coraggio a due mani, avrei fatto qualcosa.
 
 
 
Era una mattina come tante altre: solito cielo grigio, solita stanchezza. Da quando, quella mattina, eravamo andate a sbirciare il suo cognome dalla cassetta delle lettere, ero solita alzarmi con un po’ di anticipo per prepararmi meglio. Ormai il viaggio in autobus era diventata una tappa fondamentale della mia tediosa giornata. Mi recai, alla solita ora, a bussare a casa McLaine. Venne ad aprirmi suo padre, Clark:
-“Oh, ciao Angel. Mi dispiace, ma oggi Anna non verrà a scuola: ha parecchia febbre ed è meglio se resta a casa.”
Ero dispiaciuta terribilmente per la sua salute, ma allo stesso tempo la cosa mi puzzava… Il giorno prima stava bene!
Non appena feci per allontanarmi dalla porta, cadde un biglietto dalla camera di Anna. Diceva più o meno così:
“Ho finto per saltare letteratura. Buona fortuna con il tuo Principe Azzurro! Kisses”
Guardai la finestra dei camera sua e la vidi in pigiama che mi faceva l’occhiolino. Pazza! Se solo i suoi lo avessero scoperto non ci saremmo più viste fino alla fine del semestre! Ricambiai il sorriso e le mandai un bacio.
Ero leggermente tesa: non avevo mai “affrontato” lo sguardo del ragazzo senza di lei!
Arrivata in fermata salii in autobus, appena arrivato. Era stranamente pieno. Pensai che avessero soppresso quello prima e che tutte le persone nuove che vedevo erano quelli del turno precedente. Occupai gli unici due posti liberi, sedendomi vicino al finestrino e appoggiando la borsa: quello doveva essere il posto di Anna. Sospirai e cominciai a ripassare a mente l’ultima lezione di storia, quando l’autobus, appena partito, si fermò di colpo e riaprì la porta. Sobbalzai. Stava entrando proprio lui! Cavolo, e ora? Aveva le gote rosse per la corsa e il fiatone. Stava avanzando in cerca di un posto a sedere.
Tremai.
 
 
 
SPAZIO AUTRICE:
Buona sera!
Ecco postato il terzo capitolo. Del ragazzo sappiamo solo il cognome, ma per noi è scontato ormai… Al contrario di Angel, che per la curiosità non ci dorme la notte!
Questo capitolo è più lungo degli altri, è vero, nella divisione non sono eccelsa, ma cercherò di migliorare!:)
Ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia fin’ora e spero caldamente di aver suscitato in qualcuno un briciolo di curiosità!
Inoltre vi prego di recensire, per qualsiasi cosa!:)
Grazie mille ancora, alla prossima!:)
Chiara:)

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Sentii la sua voce:
-“Hey, è occupato?”
Oddio, e a quel punto? Mi di chiuse lo stomaco, non sapevo cosa fare. No, DOVEVO prendere coraggio e fare qualcosa. Mi girai verso di lui: come non morire all’istante? Era perfetto, in tutto. Mi concentrai sul suo sguardo: era estremamente dolce e timido. Lo sapevo, non poteva essere un Teddy boy. Stavo per perdermi nei suoi occhi, ma mi fermai giusta in tempo. Il tutto durò una frazione di secondo e, preso quel poco coraggio che cercava di fuggire dalla mia anima e avendo trovato quel filo di voce appena necessario, risposi:-“No no, libero.. Siediti pure.”
Tutto qui? Il mio sistema nervoso era apatico e il mio cuore batteva talmente forte che avrebbe potuto sentirlo. Ora riuscivo a sentire il calore della sua gamba vicino alla mia e il suo profumo inebriante… Portava con sé una chitarra, chiusa in una custodia che teneva in mezzo alle gambe. Sapeva suonare? Sì, era decisamente il mio Principe Azzurro. Sorrisi vedendo il suo disordine: almeno in quello ci somigliamo! Stava sistemando dei fogli ripiegati, dentro la custodia: il suo fare era delicato, con quelle mani magre e affusolate. Notavo che ogni tanto si girava per guardarmi. Sentivo il suo sguardo pesante scrutarmi dalla testa ai piedi, sembrava entrasse in me per svelare i miei pensieri. Mi pizzicai il polpastrello: dovevo mantenere la calma e tutto sarebbe andato per il meglio. Lo vidi con la coda dell’occhio infilarsi una mano in tasca, per poi ritrarla velocemente. Forse per la fretta, un plettro gli scivolò dalla mano e cadde sulla mia gamba. Feci per prenderlo, ma la sua mano era già appoggiata su di me.
PANICO.
Sentii una fitta al basso ventre. Lo guardai rossa in viso. Lui mi fissava con aria colpevole e tremendamente imbarazzata, ma giuro di aver scorto una punta di desiderio nei suoi occhi. Ritirò la mano lentamente, accarezzandomi la coscia, e io tremai. Quanto mi piaceva.
Si scusò:
-“Scusami, non volevo… -abbassò lo sguardo e continuò-Comunque io mi chiamo… Il mio nome è.. Paul.”
Guardai le sue labbra carnose pronunciare quel nome. PAUL, il nome migliore che fosse mai giunto alle mie orecchie. Sorrisi timidamente: sentivo che già una parte di me gli appartenesse.
Ma lui il mio nome se lo ricordava?Non volevo certo far la parte della maleducata e non rispondere o della sbruffona pretendendo che si ricordasse. Così lo guardai e comincia la frase:
-“Piacere! Io invece mi chiamo..”
Non riuscii a concludere la mia presentazione che lui si girò e disse:
-“Angel. Il tuo nome è Angel.”
Si era ricordato. Rimasi con la bocca socchiusa, come se dovessi finir la frase nonostante il suo intervento. Lo disse in un modo talmente dolce, che mi sentii leggera come una piuma. Replicai:
-“Esatto…”
L’autobus si fermò alla sua scuola e lui si alzò,mi guardò nuovamente e con un lieve sorriso disse:
-“Come dimenticarlo… Ciao, Angel.”
Incantata dalla sua bellezza, gli risposi con un filo di voce:
-“Ciao, Paul…”
Lo seguii con lo sguardo mentre si allontanava e scendeva alla fermata, avviandosi verso la scuola scherzando con degli amici appena trovati.
Sospirai. Si era ricordato il mio nome. Questo mi fece pensare a mille e più cose. Non riuscivo a dimenticare il suo sguardo e nemmeno le sue poche parole. Stava diventando qualcuno di importante nella mia testa, ma, soprattutto, nel mio cuore.
Guardai fuori dal finestrino: sarebbe stata una giornata grandiosa.
 
Appena tornai a casa, mangiai in fretta e corsi direttamente da Anna. Doveva saper tutto nei minimi dettagli. Percepivo l’accaduto come una cosa sensazionale, sebbene fossero state solo due parole. Per me, timida ragazza di Liverpool che faceva il diavolo a quattro per non essere notata da ragazzi che potessero dire qualsiasi cosa sul suo conto,era un onore che qualcuno si fosse ricordato il mio nome. Ero piena di un’energia nuova, positiva, che mi faceva brillare gli occhi e tremare le membra; ero entusiasta.
Mentre raccontavo la mia breve avventura, Anna non stava più nella pelle, saltellava sul letto, sembrava più euforica di me. Com’era strana la mia amica!
Non appena ebbi finito di parlare, mi si gettò letteralmente addosso, mi abbracciò come solo lei sapeva fare e cominciò a urlare:
-“Angy, Angy, Angy!! Oddio, ma è fantastico, sensazionale! Lui, così dolce a non scordarsi il tuo nome: è cotto di te! Tempo un mese e starete insieme, i due piccioncini!”
Ma se nemmeno lo conoscevo?! L’idea di stare insieme non aveva mai fatto capolino tra i miei pensieri, in quel momento l’immagine di noi due per mano si fece strada in me e mi sentii invasa da un sentimento ancora nuovo.
Anna mi fece l’occhiolino e con un sorrisetto malizioso dipinto sulle labbra proseguì con i suoi pensieri ad alta voce:
-“Certo che… Ti sarebbe piaciuto se il plettro fosse caduto un pelo più in là, eh?”
Arrosii tremendamente e mi coprii la pancia con le mani.
-“Dai Anna, cosa mi dici? Certo, lui ha il suo fascino, ma non si può rovinare la magia del momento con questi discorsi così materiali…”
Scoppiamo a ridere e ci sdraiammo a sul letto, così morbido, che aiutava la mia mente a viaggiare verso il mondo dei sogni…
-“Hey, Angel, cosa pensi di fare adesso? Cioè, o tu o lui farete il primo passo. Almeno per conoscervi meglio…”
Mi feci pensierosa; Anna aveva ragione: cosa avrei fatto adesso? Il suo nome lo conoscevo, sembrava che anche lui provasse almeno curiosità nei miei riguardi, ma sembrava timidi, chiuso, come perso in un altro mondo. Non sarei arrivata a questo misero punto senza gli avvenimenti che gli avevano imposto bene o male di interagire con me. Ma serviva un’altra situazione fortuita per farci incontrare di nuovo?
-“Sai Anna, non ci ho ancora pensato… Dovrebbe essere il ragazzo a fare la prima mossa. Lui mi sembra timido dunque aspetterò un po’ e se proprio non farà nulla vedrò di organizzarmi diversamente. Ma dimmi te se nel 1958 le ragazze devono fare la corte ai ragazzi!”
Ci fu un attimo di silenzio e poi ridemmo a crepapelle, speranzose nel fatto che tutto sarebbe andato bene.
 
Anche quella notte lo sognai. Passeggiavo per il porto di Liverpool con lui al mio fianco. Nessuno discorso, nessuno sguardo. Era vicino a me e questo mi bastava.
Quando mi svegliai era ancora notte fonda e mi misi a pensare…
Paul, Paul McCartney… Per me stai diventando qualcuno, ma come fartelo capire?
 
La scuola stava finendo, le giornate si facevano più tiepide e il mio interesse per lui cresceva sempre più. A volte mi capitava di vederlo, nel giardino di casa sua, a chiacchierare con un suo amico. Anna mi aveva detto che si chiamava John Lennon, e lui era un vero Teddy boy. Era più grande di Paul, ma sembrava che tra i due ci fosse grande intesa.
Controllavo che non entrassero ragazze in quella casa: pur non conoscendolo bene ero molto gelosa. Una volta mi si spezzò il cuore vedendo una ricciolina tutto pepe entrare saltellando in casa McCartney, ma poi quasi risi di sollievo vedendo un altro ragazzo, probabilmente il fratello minore, accompagnarla fuori tenendola per mano, con tanto di bacio di saluto alquanto appassionato.
Così le mie giornate passavano, a fantasticare sul suo sguardo e inventando mille scuse per scostare la tenda della cucina per controllare i suoi movimenti.
 
 
SPAZIO AUTRICE:
Buon pomeriggio! In questo, ahimè, ultimo giorno di vacanza, posto il capitolo che presenta a voi lettori il nostro amato John! Ahahah, c’è, sebbene accennato! Tempismo perfetto, penso.. Questa notte mi è pure capitato di trovarlo tra gli ospiti dei miei sogni.. !!
Ringrazio tutti quelli che hanno letto la storia fin’ora e in particolar modo chi ha recensito!
Un bacio,
Chiara:)
PS: credo posterò anche il quinto capitolo:)

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ogni tanto i nostri sguardi si incontravano in autobus, ma non avevo il coraggio di parlargli. Mi sentivo inutile, la mia timidezza limitava alla grande le mie possibilità di parlare e di vivere una vita appieno. Sentivo che tra me e il mondo ci fosse una specie di specchio, che congelava la mia intraprendenza e   bloccava la mia voce.
Certi pomeriggi lo sentivo in fondo al bus che suonava con un suo amico, a mio parer più piccolo, George, e sorridevo, perché trovavo avessero talento, erano speciali.
 
Un giorno decisi di rispolverare quel poco coraggio che avevo in me stessa e di sedermi in fondo, dove erano soliti suonare.
Era un pomeriggio di primavera, l’autobus era praticamente vuoto. Neppure Anna c’era, era andata a casa prima, mentre io avevo fatto un salto nella biblioteca dell’istituto. Loro solitamente salivano tre fermate dopo la mia e avrei potuto ascoltarli per circa una dozzina di fermate o poco più. Salii in autobus e scelsi il posto migliore: tutto doveva assolutamente funzionare, e così fu.
Mi sistemai e cercai di prepararmi. Un respiro per tranquillizzarmi e lo vidi salire, con George a seguito. Dio, era bello da togliere il fiato: pantaloni a sigaretta, stretti, perfetti, maglia bianca e giubbotto sulla spalla destra, mentre con la mano sinistra portava la chitarra. Il suo ciuffo nero e morbido ondeggiava ad ogni suo movimento, come avrei voluto passare una mano tra quei capelli color  ebano. Notai che aveva le orecchie leggermente sporgenti, ma non era un difetto: non stonava con la sua figura.
Quando mi soffermai a guardare il suo viso, trattenni il respiro: o era l’agitazione, o i suoi occhi erano ancora più belli del solito. Mi ci sarei persa per ore. Le sue labbra, quelle bellissime labbra rosee ce si schiudevano in meravigliosi sorrisi ad ogni battuta del compagno. Lo ammiravo profondamente: per la sua sicurezza, per la sua disinvoltura a camminare tra la gente. Sembrava proprio avesse tutto ciò che a me mancava, e per questo mi sentii un po’ inadeguata a meritare la sua attenzione.
Si avvicinavano al fondo del bus e già estraevano le chitarre dalle rispettive custodie, tanto desiderosi erano di suonare. Lo stavo osservando con aria sognante, quando lui, cercando con lo sguardo il miglior posto per sedersi, andò ad incrociare con il suo sguardo i miei occhi.
Per un attimo sembrò sobbalzare e si fermò pochi istanti: la mia mano si chiuse a pungo e cominciò a sudare, mentre lui accennò con un sorriso:
-“Ciao Angel...” Lo sussurrò appena, come se non volesse farsi sentire. Mi sentii morire.
-“Ciao Paul…” fui altrettanto delicata. Il tutto sembrava così irreale; il mondo si era fermato e la nostra timidezza si manifestava.
Il tutto durò una manciata di secondi, tempo in cui George arrivò e spinse avanti il suo amico ridendo e chiacchierando come era solito fare. Si sedettero due file dietro alla mia e cominciarono subito a suonare. Entrambi adoravano Elvis, ma qualsiasi canzone rock’n’roll per loro era da provare. Si scambiavano gli accordi imparati e poi sperimentavano. Approfittai dell’atmosfera che stava creandosi per voltarmi e guardarlo suonare: quando impugnava la chitarra era davvero il ragazzo più felice della terra, lo vedevo ancora più sicuro di sé, più che con gli amici. La musica era la sua vita, il suo mondo. Suonò “Twenty Flight Rock” divinamente, tanto che altre due tre persone, le poche presenti in autobus, si girarono a guardarlo. Era nato per stare su un palco, sotto le luci della fama.
Il tempo sembrò quasi volare e casa si avvicinava sempre più, così mi girai per sistemare la borsa, e tirai fuori lo specchietto. Lo puntai e vidi i due ragazzi parlare a voce bassa; George guardò Paul sorridendo, gli fece l’occhiolino e gli tirò una gomitata di incoraggiamento. L’autobus si fermò. Eccoci arrivati alla nostra fermata. Chiusi la borsa e mi diressi verso la porta, quando sentii una mano prendermi il polso. Mi girai,
Paul.
 
 
-“Hey, ti andrebbe… Ho visto che abiti anche tu qui, faresti la strada con me?”
Mi sentii le gambe gommose, come se non avessi più forza: lui era lì davanti a me, con i suoi grandi occhi da riflessi verdi… Come rifiutare?
 
-“Certo, perché no?”. Cercavo di essere il più calma possibile, ma non mi riusciva granchè bene. Dov’era Anna quando avevo bisogno di lei?
Scendemmo insieme dall’autobus. Insieme.
Il mezzo sparì dietro la curva e rimanemmo noi due soli a camminare lungo la strada. Ci fu un minuto di silenzio tremendamente imbarazzante, nel quale pensai a tutte le disgrazie possibili (ero una pessimista convinta; l’ennesimo dei miei tanti difetti), tra le quali la possibilità che mi stesse prendendo in giro e che mi abbandonasse lì nel giro di poco.
Ma a un tratto le sue labbra si aprirono e mi fecero passare ogni preoccupazione. Altro che timidone!! Paul era un vero chiacchierone, gli bastava pochissimo per mettere a proprio agio sé stesso e le persone intorno a lui. Da come parlava e si atteggiava sembrava che avesse una certa confidenza con il mondo femminile: mi ribollì il sangue nelle vene. Doveva avere molte ammiratrici. Eppure quando mi guardava  aveva sempre uno sguardo in cerca di conferma, di una mia approvazione. Che fosse una tecnica usata per ammaliare le ragazze e farle sentire importanti?
Stavamo chiacchierando del più e del meno, quando uscirono da un vicolo due individui: li conoscevo di vista, purtroppo. Due ragazzi i cui unici scopi nella vita erano creare fastidi e far cagnara in giro. Ogni occasione era buona per provocare una rissa. Cominciarono a guardarmi e a fischiare: perché dovevano rovinare un momento così meraviglioso?
-“Uh, ma che bella ragazza! Dai pollastrella, lascia perdere quel mocciosetto e vieni a fare quattro salti al porto con noi!”
Mi vergognai come non mai: avrei voluto sparire, scavarmi una fossa e nascondermi. Arrossivo, nonostante i miei sforzi a mantenere la calma.
-“Continua a camminare, non guardarli, fa come se non ci fossero e andrà tutto liscio.”
Sentii la voce di Paul sussurrarmi all’orecchio, era così tranquillizzante. Mi accorsi poi che la sua mano stava scivolando sul mio fianco e mi teneva stretta: mi stava proteggendo e io mi sentivo a casa. Il suo profumo mi inebriava e credetti di poter camminare a mezzo metro da terra. Lo guardai e lui mi sorrise.
Fortunatamente quei due scavezzacollo avevano di meglio da fare e dopo due battutine alquanto pesanti, alle quali Paul rispose stringendomi più forte, preferirono lasciarci in pace e andarono verso il porto, probabilmente a bere come spugne.
Desideravo restare accanto a lui per tutta la serata, avrei ripercorso Forthlin Road più e più volte, solo per sentirlo parlare e guardarlo sorridere, ma arrivammo a casa sua, dove, con tempismo perfetto, c’era il suo amico Lennon fuori ad aspettarlo.
Avvicinandoci, Paul cominciò lentamente a mollare la presa, lasciando scivolare la mano lungo la mia schiena, accarezzandola. John intanto, che aveva visto tutto, cominciò a scherzare:
-“Hey, Paulie, in dolce compagnia oggi? Ti sei per caso stufato di George?” Scoppiò a ridere e questa frase fece imbarazzare leggermente Paul:
-“Smettila scemo! Abita qui vicino, e vista l’ora ho preferito accompagnarla…” si guardò un attimo intorno per accertarsi che gli individui di prima se ne fossero andati.
-“Beh, non me la presenti?La ritieni così carina che possa fregartela?”. A John piaceva scherzare, ma non avrebbe mai tradito la fiducia del suo amico.
-“Certo, è che ho parlato fin’ora… Lei è Angel, l’ho conosciuta al porto.”
O mamma, si ricordava di quel pomeriggio, come me.
-“Incantato signorina, Il mio nome è John, John Lennon, l’amico bastardo della tua nuova fiamma” Fece una specie di inchino alquanto buffo. A John piaceva scherzare, ma riuscii ad intravedere un velo di insicurezza nei suoi occhi.
-“Beh Jonny, vado un attimo ad accompagnarla a casa, tu entra intanto, sicuramente troverai Jim.”
Salutai John che ricambiò con un altro strambo inchino e cominciammo a camminare verso casa mia, quando lo sentimmo urlare dall’uscio della porta:
-“Mi raccomando, Paulie caro, portala solo a casa, che non voglio diventare zio così giovane!”
Ero tremendamente imbarazzata. John pensava come Anna, solo che non si preoccupava di esibire i suoi pensieri in pubblico. Abbassai lo sguardo, cercando di ricacciare il sorriso nato dall’imbarazzo che mi era nato in volto, mentre Paul mandava a quel paese il suo amico, che sghignazzando era entrato in casa McCartney.
-“Ti prego di perdonarlo, John è fatto così…” Mi guardò con un sorriso imbarazzato, che mi fece sciogliere.
-“Tranquillo, è un tipo simpatico.” Gli sorrisi e tutto si sistemò.
Arrivati davanti a casa mia, vidi Anna che ci guardava dalla finestra di casa sua con un mega sorriso stampato in volto: non vedevo l’ora di raccontarle tutto. Era arrivato il momento di salutarci.
Come solito, non sapevo che dire, se non pregarlo di non andarsene, ma non volevo che facesse aspettare John, magari facendogli fare strani pensieri… Fortunatamente Paul sistemò tutto, come al solito. Mi si avvicinò e disse:
-“Grazie per la bella passeggiata. Sai, Angel, mi sembra di conoscerti da una vita. Sarebbe bello ripetere questo pomeriggio…”
Ripetere questo pomeriggio? Dico, ma stava scherzando? Lo avrei ripetuto fino alla morte. Le parole mi frullarono in testa, ma non uscirono da essa. Lui probabilmente intuì qualcosa, perché notai i suoi occhi brillare, ma tentai di trattenere l’emozione:
-“Sì, volentieri Paul..” Faticavo ancora a pronunciare il suo nome.
Lui sorrise e mi fece l’occhiolino, poi si girò e mi salutò:
-“Ciao Angel, ci vediamo!”
-“Ciao Paul, a presto…”
Lui cominciò a correre verso casa sua, mentre io mi sporgevo dal muretto per osservarlo finché non fu più raggiungibile dai miei occhi.
A quel punto potevo proprio esserne certa:
PAULIE, I FALL IN LOVE WITH YOU.
 
 
SPAZIO AUTRICE:
Buonasera!! Ebbene, sono riuscita a postare il quinto capitolo.
Che dire, qui John viene presentato davvero e anche George si fa vedere.. Che bello!
Per questa settimana non posterò altri capitoli credo, causa scuola.. Oh mamma, al sol pensiero delle ore noiose del mio prof di algebra mi viene la nausea!
Che dire, spero vi piaccia, sono gradite recensioni :)
Io ora mi metto sotto le coperte a guardare Nowhere Boy! Ah, meraviglia!
Buona notte,
Chiara:)

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


L’estate era ormai alle porte, e il mio rapporto con Paul migliorava di giorno in giorno: da quel pomeriggio ci trovavamo insieme circa due volte alla settimana per tornare a casa a piedi. Mi sembrava così strano: era come se lo conoscessi da una vita, c’era una specie di filo che mi collegava a lui, riuscivamo a comprenderci al volo. A volte mi chiedevo come fosse possibile… Cosa lo attirava di me? Ero una ragazza nella norma, se così si può dire, solamente..La mia timidezza, la mia insicurezza, quella mi bloccava in tutto: a scuola con le compagne, fuori con il mondo. Quando lo guardavo negli occhi mi interrogavo cercando di trovare la causa di quei sorrisi, di quelle parole. Temevo di non meritare una persona come lui.
Legai molto con lui, diventammo amici, anche se a volte avrei voluto di più, anzi, forse ogni volta che stavo con lui…
 
Un giorno io e Anna ci trovammo per studiare insieme, ma come al solito finimmo per parlare in camera…
-“Allora, come procede la tua storia d’amore?” Anna mi domandò in tono malizioso.
-“Ma che storia d’amore, siamo amici, tutto qui! Anche se sento una certa sintonia tra noi, non so come spiegartelo, con lui mi sento subito tranquilla, come se non avessi paura di un suo giudizio; mi sento a mio agio!”
-“Secondo me ancora poco e succederà l’inevitabile… Attenta, Cupido incombe su di voi!”
Scoppiammo a ridere come delle sceme.
-“Ma dimmi, Angy, com’è quel suo amico, quel.. Quel John Lennon? Dicono che sia un vero Teddy boy, con tutto quel carisma…”
Bastava guardarla: seduta accanto a me con le gambe accavallate, il gomito che poggiava sul ginocchio e la testa sostenuta dal braccio, un mezzo sorriso e gli occhi verso l’alto, intenti a scrutare qualcosa, qualcosa che non si trovava lì, ma era nascosto nei suoi pensieri.. Era interessata! Feci finta di niente e le raccontai quello che sapevo, anche se quel ragazzo restava un mistero anche per me…
 
Finalmente era arrivata l’estate! Niente più mattinate interminabili di scuola, niente pomeriggi sui libri, ma, sopra ogni cosa… Free Paul! Ebbene sì, Paul era un ragazzo di cui si parlava tra ragazze, era desiderato e ambito. Mi ero guadagnata, con la sua amicizia, anche con alcuni sguardi di invidia da parte di certe ragazzine della Liverpool bene, che se solo avessero saputo: Paul non poteva proprio sopportarle!
 
Mi sentivo in dovere di aiutare Anna, dopotutto lei per me c’era sempre stata, ed io ero l’unico aggancio che aveva per raggiungere John. Ma come fare? Anna mi aveva fatto una confidenza, non avrei mai potuto rivelarla a Paul perché, ammettiamolo, era sì un bravo ragazzo, ma a volte sembrava più pettegolo di alcune mie compagne di classe! Mi misi a rimuginare sul letto, cercando di combinare un incontro tra i due facendolo sembrare il più “non-programmato” possibile… E in un certo senso lo sarebbe stato, dal momento che solamente una delle quattro persone coinvolte, ossia io, sapeva quello che doveva succedere.
“Ecco, ci sono! Che idea fantastica! Come prendere due piccioni con una fava!”, saltai giù dal letto con un’idea geniale, che sarebbe servita ad Anna per conoscere John, quanto a me per restare sola con Paul. Il sol pensiero mi fece arrossire… Avrei potuto attivare quel piano anche il giorno stesso? Sì, era giovedì: John si trovava da Paul per suonare. E ovviamente io e Anna dovevamo trovarci. Sentii bussare alla porta: era arrivato il momento!
Poteva sembrare un pomeriggio normale, almeno per Anna; un po’ di chiacchiere, un po’ di musica in salotto, una tazza di tè con mia mamma (avevamo poco, ma mia mamma non avrebbe mai rinunciato alla sua tazza delle cinque), per poi salire in camera e aspettare il momento migliore.
Mentre Anna leggeva i temi che dovevamo eseguire durante le vacanze divertendosi a leggerli con le voci storpiate dei nostri professori, io sbirciavo fuori dalla finestra, nell’attesa di veder arrivare John. Paul era solito uscire per accoglierlo e noi avremmo avuto tutto il tempo a disposizione per arrivare. Anna finì giusto in tempo di leggere il tema e posarlo che vidi passare Johnny davanti casa mia, chitarra in spalla e sigaretta.
Quasi saltai e finsi di aver visto un ragno per rispondere alla curiosità di Anna, per poi tirar fuori una scusa balenata improvvisamente nella mia testa:
-“Hey, qui fa veramente caldo, andiamo a fare un giro lungo la via, ti va?”
Temevo rifiutasse, conoscendo la sua pigrizia, ma accettò, probabilmente perché anche lei conosceva la mia di pigrizia…
-“Ma certo, e fammi indovinare, verso la casa di Paul?”
Rise e uscì dalla stanza. Non sapeva cosa le sarebbe capitato di lì a poco.
Uscimmo di casa e cominciammo a camminare a braccetto, nonostante il caldo, dal lato della casa di Paul. Il tempo sembrava anche tenere, caso più unico che raro in una città come Liverpool! Al solito, Paul era uscito a salutare John e per il caldo si erano fermati un po’ fuori… Tutto secondo i piani.
Davanti casa feci finta di nulla e parlai con Anna, aspettando ciò che sapevo sarebbe succ…
-“Hey, ciao Angel!” Grande Paul, sei fantastico!
Mi girai mentre Anna mi pizzicava e ricambiai il saluto fermandomi.
-“Che coincidenza! Ciao anche a te, John!” mi avvicinai, cercando di mettere in luce Anna, che non stava capendo nulla. Quando entrai nel giardino, notai che John stava guardando con occhi curiosi Anna da testa a piedi.
-“Ciao Angel, posso dirti una cosa? Sei proprio perfetta per Paulie perché nessuno dei due si ricorda di presentare le facce nuove!- rivolto ad Anna baciandole la mano-“Piacere, signorina, sono John Lennon.”
Come non sorridere: era sempre fuori dagli schemi.
-“Incantata, Lennon, il mio nome è Anna:”
Sapevo che Anna era come lui, e speravo nascesse tra loro una qualche intesa…
Chiacchierammo per una decina di minuti, giusto per capire che interessa aveva John per Anna e viceversa, poi mi avvicinai un pochino a Paul e gli pizzicai la mano: lui capì e annuì quasi impercettibilmente.
-“Caspita, che sbadata! Mamma è uscita e mi sono scordata di chiudere la finestra!- in fatto di scuse facevo proprio pena- corro un attimo a chiuderla, aspettate qui!”
Feci per partire, che Paul mi seguì:
-“Ehm… Io l’accompagno, con questo… Con questo caldo non si sa mai! Torniamo subito!”
Si affiancò a me e cominciammo a camminare a passo svelto. Ovviamente il commento di John arrivò puntuale:
-“Mi raccomando principessa, non scappare, perché lui ti seguirebbe in capo al mondo, ma io ho bisogno di lui!”- poi fischiò e Paul, arrossendo, gli mostrò il dito medio, senza neppure voltarsi. Scherzavano, erano come fratelli in realtà.
Appena fummo a debita distanza, ci guardammo con aria complice: senza neppure metterci d’accordo avevamo trovato un modo per lasciarli soli, o forse era una scusa per trovare un po’ di tempo per noi?
-“Sembrano simili nel carattere… Non so se andranno d’accordo o se si tireranno i capelli. Speriamo bene!”
-“Sì dai, John sembra curioso. Sicuramente se non lo fosse stato sarebbe scappato con la scusa di Mimi.”
-“Mimi?”-“Sì, è sua zia.. Storia lunga, un giorno sarà lui a raccontartela…”
Arrivammo davanti casa mia: ecco, e ora?
-“Beh, sono interessanti insieme, così a prima vista. Sembra quasi che si conoscano già, sì, si capiscono, sono in sintonia” Sorrisi.
-“Già… Aren’t they a bit like you and me?”
Mi si chiuse lo stomaco. Lui era lì, appena prima delle scale, che mi guardava con i suoi grandi occhi dai riflessi verdi, le mani in tasca come era solito fare nei momenti delicati e le labbra socchiuse, come se avesse voluto rimangiarsi la frase appena detta. Avrei voluto baciarlo, come una fantastica scena degna solo dei libri di favole, ma no, non era il momento giusto, non lo avrebbe voluto.
-“… Sì, Paul… Un po’ sì.” Gli sorrisi timidamente e lui si avvicinò:
-“Beh, posso vedere casa tua?” Il suo sorriso riusciva sempre a spiazzarmi.
-“La prego, mi segua!” Con le guance che pizzicavano e il cuore che rimbombava dentro di me gli porsi la mano e ridemmo insieme. Gli feci fare il giro della casa, che apprezzò, nonostante la sua semplicità. Gli piacque particolarmente la stanza che utilizzavo per disegnare, la trovava molto famigliare.
Entrammo in camera mia. Cominciò a guardare con attenzione i miei libri, i miei fogli, le mie tende. Mi stava studiando attraverso i miei effetti più personali. Io ero lì incantata a guardare i suoi movimenti dolci e delicati. Solo qualche mese prima non avevo nemmeno il coraggio di guardarlo negli occhi e ora era in casa mia, nella mia camera, che si divertiva a studiare la trama della coperta sistemata sopra il mio letto.
Mi sentii pervadere da una strana sensazione, avrei voluto trovare un briciolo in più di coraggio per cercare di attirare una sua ‘particolare attenzione’, ma qualcosa mi bloccava le gambe e scioglieva le mie parole in gola…
-“Oh, Angel, tu hai una chitarra e non mi dici nulla?”
No. Quella non era mia. Era la chitarra di mio padre, ed era lì per ricordarmi ogni giorno che se n’era andato, aveva abbandonato me e mia madre per andare a suonare in America. Quello strumento risvegliava in me solo brutti ricordi. I pensieri si susseguirono veloci nella mia mente, ma non li espressi.
-“Oh, sì Paul… Non te l’ho detto perché… Perché non è ben vista a casa mia, ecco.”
-“Come mai?”. La sua curiosità era così innocente, non sapeva di risvegliare in me una rabbia repressa per troppo tempo.
-“Perché non ci appartiene, ma sarebbe una storia lunga da spiegare ora… Per questo la vedi lì piena di polvere e inutilizzata.”
-“Beh, cerchiamo di migliorarla, no?”
-“E come Paul?”
Lui mi sorrise, prese la chitarra e si sedette sul mio letto. Cominciò a tirar via la polvere in eccesso e a sistemare le corde, stando attento a non romperle. Infine sì schiarì la voce e cominciò a strimpellare. Era mancino, teneva la chitarra dalla parte opposto, e aveva un metodo tutto suo per suonare. Poteva sembrare ridicolo ai tanti, ma ai miei occhi appariva solamente più talentuoso del resto del mondo. E quando cominciò a cantare Blue Moon Of Kentucky, sentii i brividi pervadere il mio corpo e tutto quello che riuscii a fare fu sedermi accanto a lui e desiderare che quel momento durasse tutta la vita. La sua voce era calda come il camino d’inverno e avvolgente e lui… Lui era fantastico: era nato per quello.
In così poco tempo era riuscito a portare uno spiraglio di luce nel ricordo di quell’oggetto, rendendolo prezioso.
-“Grazie Paul, sei stato fantastico…”Sorrisi timidamente, cercando di dimostrargli con lo sguardo tutta la mia ammirazione e gratitudine nei suoi confronti; mentre lui sistemava la chitarra, che ora risplendeva colpita dal raggio di luce che entrava dalla tenda appena scostata.
-“Ma figurati, per così poco? Ora però sarà meglio andare, non vorrei mai trovarmeli davanti alla porta a cercarci… Anzi no, non vorrei essere costretto a cercare io loro!”
Una breve risata ci accompagnò scendendo le scale. Ad attenderci giù mia madre. Come mai tutti così puntuali quel giorno?
-“Oh, ciao Angy, tesoro! Buonasera…?”
-“Paul, signora, Paul McCartney. Sono un amico di Angel.”
Mia madre mi sorrise.
-“Piacere Paul. Angel, tra poco a casa che si cena!”
-“Certo mamma, vado a prendere Anna e la riporto a casa.”
-“Arrivederci signora.”
Uscimmo di casa. Quella conversazione era stata troppo tranquilla, sicuramente sospettava qualcosa, ma aveva preferito tacere in presenza di Paul, ma sicuramente dopo sarebbe arrivato il momento delle spiegazioni. Preferivo non parlare dell’accaduto e Paul lo capì, così facemmo finta di nulla, curiosi com’eravamo di vedere il risultato della coppia Lennon-McLaine.
Non avremmo potuto sperare di meglio: li trovammo sotto l’albero di casa McCartney a scherzare, proprio come se fossero cugini o amici d’infanzia! Va bene che Lennon sarebbe riuscito a mettere a proprio agio anche un pesce fuor d’acqua, ma insieme mi davano l’idea di qualcosa di… Elettrizzante.
-“Hey, Paulie, bentornato finalmente! Per fortuna che Angel abita qui vicino, altrimenti non vi avrei mai più rivisto!” Paul si passò una mano tra i capelli e alzò gli occhi al cielo. Ops!
Anna mi guardava con due occhi scintillanti, mi stava ringraziando… Piano riuscito!
-“Ahn Paul, prima Jim è uscito, ha detto che l’hanno chiamato da lavoro e che tornerà solamente domani.”
-“Va bene Johnny, grazie. A voi com’è andata qui sotto l’albero? Avrai dovuto tenere a bada i tuoi istinti…”
Tirai una gomitata a Paul: cavolo, non davanti alle signore!
-“Ecco, brava Angel, punisci il piccolo ribelle!”Non potei non scoppiare a ridere.
-“Beh, signore e signori, mi dispiace ma il vostro Cappellaio Matto deve ritirarsi, altrimenti chi la sente Mimi! Grazie per le prove Paul, le migliori di sempre!”-facendo di nuovo il baciamano ad Anna -“è stato un vero piacere, alla prossima!”, le sfoderò un sorriso a trentadue denti.
-“Ciao Johnny, ci si vede!”
Era arrivato il momento di tornare a casa e io e Anna ci avviammo. Scoprii che John sveva invitato Anna ad uscire il pomeriggio seguente e che lei aveva accettato. Ora ero io a vederli già insieme.
Ci lasciammo con la promessa di trovarci la mattina dopo.
E solamente aprendo la porta di casa mi ricordai che dentro mi aspettava mia madre, con tutte le sue domande.
 
 
 
 
 
SPAZIO AUTRICE:
Buongiorno a tutti!
Chiedo umilmente perdono per l’estremo ritardo con cui posto il capitolo, ma ho subito una piccola operazione e tra studio per non restare indietro con il programma, degenza e dolori non ho preso in mano il computer che ora! Potrete mai perdonarmi?
Ho scritto un capitolo un po’ più lungo, spero vi piaccia!
Sono gradite recensioni, intanto spero di cominciare a trascrivere il prossimo capitolo per postarlo il prima possibile, tanto io sono a casa e mi annoio parecchio!
Buona giornata, di nuovo:)
Peace and Love
 
Chiara:)

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


La cena fu molto silenziosa: io, che ero solita parlare (stranamente con le persone ben conosciute riuscivo ad essere persino logorroica), non avevo il coraggio di aprir bocca. Mi limitai ad osservare mia madre mentre mangiava: una donna sulla quarantina, che però dimostrava meno della vera età, con il volto leggermente ovale, ma magro. Una fronte spaziosa che si rigava ogni volta le sorgeva un dubbio (adoravo guardarla la sera, mentre lavorava a uncinetto, seduta sulla poltrona del salotto); due occhi color nocciola che avevano visto la guerra, e portavano con loro tutti i ricordi di una vita passata non tra poche difficoltà. Un nasino aggraziato, il contrario del mio, per il quale mi lamentavo sempre; e due labbra sottili, colorate di rosso, come esigeva la tendenza dell’epoca, che si erano aperte milioni di volte per donare un sorriso, una parola di conforto, una preghiera per il prossimo. Ammiravo mia madre: aveva avuto una vita difficile, ma era sempre riuscita a rialzarsi, ad affrontare i problemi a testa alta, soffermandosi sulle piccole felicità quotidiane, come i primi passi o le prime parole della propria figlia, a cui donava tutto il suo amore e tutto il suo sudore. A volte dedicava pure troppo tempo alle altre persone, e mi infastidiva il fatto che non si amasse quanto la amavo io.
Avevo un buon rapporto con mia madre, però con lei non avevo mai  parlato di ragazzi, e tantomeno di Paul, perché sapevo. Sapevo che mia madre, pur ammettendo e trovando in lui un ragazzo fantastico, non lo avrebbe mai accettato, per un semplice motivo.
-“Allora, come è andata oggi?”- stavamo spreparando la tavola e lei mi interrogò mentre ripiegava i tovaglioli.
-“Bene dai, le solite chiacchiere con Anna e poi una passeggiata lungo la via. Nulla di straordinario…”
Non avevo il coraggio di alzare gli occhi e incrociare il suo sguardo curioso: sapevo che voleva arrivare a lui.
-“Oggi era proprio una giornata ideale per camminare. Anche io che sono andata a Blackpool ho trovato il pomeriggio piacevole. Ma, Angel…”
-“Sì…?”- le risposi con un filo di voce. Era arrivato il momento e mi tremavano le mani.
-“Che mi racconti di quel ragazzo, Paul?”
Paul, aveva detto Paul. Sapendo come sarebbero andate le cose in bocca sua quel nome non suonava affatto bene.
-“Oh, giusto, Paul. Ragazzo tranquillo, ci siamo conosciuti in autobus andando a scuola. Figlio di Jim McCartney, quello che vedi passare davanti casa ogni tanto…”
Mia madre si fermò un attimo a pensare piegando la testa d’un lato e corrugando la fronte, come era solita fare, poi capì.
-“Oh, sì, ora ho presente… Prima, Angel, entrando in casa, non ho potuto non sentire che stava suonando…”
Eccola. Lo sapevo. Questo era quello che non le andava bene: non voleva che io avessi amici musicisti. Dalla brutta esperienza con mio padre non si era mai ripresa e guardava male ogni persona si portasse appresso uno strumento. Per questo di Paul non le avevo detto nulla, non lo avrebbe sopportato.
-“Sì, a suonato una canzone in camera… Ha solo accordato la chitarra.”- cominciavano a pizzicarmi gli occhi, così tenni la testa china. Sapevo di averle dato una pugnalata al cuore con quella frase.
-“Angel, quante volte te l’ho detto? Lo sai che i ragazzi che suonano non sono affidabili. Ti ho avvisata un sacco di volte, ero convinta che tu avessi capito, e poi mi trovo un chitarrista dilettante in casa!- si sedette di fronte a me –Possibile che tu non capisca che ti stai facendo male da sola? Lui non è come credi…”
A quella frase sentii un buco allo stomaco e calde lacrime cominciarono a rigarmi il viso, per poi cadere sulla tovaglia, stretta dalle mie mani che nervosamente tiravano alcuni fili alle estremità.
-“Lui, Paul è diverso, tu non lo conosci, non puoi etichettarlo.”. Ormai parlavo a singhiozzi.
-“Oh, Angel. Potrà sembrare anche la persona più dolce del mondo, ma in realtà non è così. Ho visto come lo guardi: tu già ti sei affezionato a lui- mi sentii mancare –ma lui ti lascerà sola, come già ha fatto tuo padre.”
Ecco: la frase che aspettavo uscisse dalle sue labbra, la goccia che fece traboccare il vaso. Non ce la facevo più, sentivo di odiarla per quello: come poteva essere così paurosa? Come poteva basare i suoi pensieri su una storia andata male? Come poteva pensare questo di Paul? Scoppiai:
-“Solo perché a te è successo quello che è successo, non significa che il mondo stia andando al diavolo. Paul mi vuole bene, e io voglio bene a lui: non smetterò di frequentarlo per una tua stupida paura.”
Glielo urlai. Non l’avevo mai fatto prima, e lei si spaventò. Forse avrei dovuto dirglielo prima, forse erano anni che lo pensavo, perché non sopportavo il fatto che non si fosse lasciata alle spalle la questione e che soffrisse ancora, ma non avevo avuto l’occasione. Non avevo il coraggio, non volevo ferirla, sebbene lo facessi per il suo bene. Probabilmente in un momento differente sarei stata più discreta, ma quella serata sentivo il sangue ribollirmi dentro. Aveva veramente superato il limite, toccato il tasto sbagliato.
-“Me ne vado da Anna, lei mi capisce più di te. Non cercarmi almeno fino a domani.”
La piantai così, aprii la porta e me ne andai, lasciandomi alle spalle un mondo che non mi apparteneva.
Feci un respiro profondo, ma le lacrime continuavano a scendere, lacerandomi il cuore. Uscii dal cancelletto e voltai a destra. Quella notte non l’avrei passata da Anna, lo sapevo. Le avevo detto una bugia, la prima.
Ma non mi importava, volevo vederlo. Sarei stata da lui. Con lui.
 
 
 
SPAZIO AUTRICE:
Buon pomeriggio!
Vi avevo detto di non aver nulla da fare, dunque dovrete sorbirmi per queste giornate, forse…
Eccoci qui: Angel ha avuto una brutta lite con sua madre, che alla fine le dice quello solo per un semplice motivo: non vuole che soffra. Ma a quest’età è difficile capire le paure dei genitori, ci si sente così forti…
Ho inserito la sua figura perchè ritengo che ogni figlio veda nella propria madre un punto fermo della propria esistenza. Elogio alle mamme:)
Buona lettura, recensioni gradite:)
 
Chiara:)

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Cominciai a camminare, mi sentivo i piedi pesanti, gli occhi mi bruciavano, nelle orecchie il cuore pulsava rimbombando, ma dovevo arrivare da lui. Quando riuscii a vedere la luce del soggiorno accesa, sentii un colpo allo stomaco. Era forse sollievo?
Arrivai di fronte a casa sua e cercai di sistemarmi un attimo, smisi di singhiozzare e mi asciugai le lacrime. Non sapevo quanto sarei resistita, ma bussai alla porta. Venne ad aprirmi proprio lui.
-"Angel, che ci fai qui a quest'ora?". Appena vidi i suoi occhi così grandi e preoccupati, scoppiai in pianto, alla faccia della mia forza di resistenza.
-"Oh, Paul...". Gli gettai le braccia al collo, senza quasi rendermene conto. Avrei preferito il suo primo abbraccio in un momento diverso, ma ne sentivo il bisogno. Lui ricambiò stringendomi forte. Non sapeva cosa fosse successo, ma era già pronto a consolarmi.
-"Stai tranquilla, dai, entra che ti metti tranquilla e mi dici cos'é successo."
Entrai così per la prima volta in casa McCartney, e Paul richiuse la porta con delicatezza. Mi guardai intorno e mi accorsi che la struttura era proprio uguale a quella della mia casa e di Anna. Era ordinata, ma sembrava che non ci abitasse una donna, mancava quel tocco femminile, o forse era solamente velato dal passare del tempo...
Suo fratello era sceso sentendoci parlare. Rimasi sorpresa vadendolo: non avevo mai visto due fratelli tanto differenti in tutta la mia vita!
-"Paul, è successo qualcosa? Uh... Chi è?"
-"Angel, è una mia amica..." Paul si passò una mano tra i capelli imbarazzato.
Feci un lieve sorriso, che il più piccolo ricambiò gentilmente.
-"Resterà qui questa sera, va bene?"
-"Sì, ho capito Paul, era logico. Ora salgo, tranquillo! Ciao Angel," ricambiai e lo lasciai ritornare in camera.
-"Vieni, preparo un po' di latte caldo e poi saliamo e mi racconti tutto." Cercò di fare il sorriso più tranquillizzante possibile e in dieci minuti fummo in camera.
-Grazie Paul, avrei preferito un momento migliore per vedere casa tua; come dirti poi che mia madre non ti vedrà mai bene? Oh, te così dolce, come può pensare questo di te?-.
Pensavo, mentre continuavo a disegnare il bordo della tazza a testa bassa.
-"Avanti, cos'è successo? Hai litigato con Anna?"
Scossi la testa, non avevo il coraggio di dirglielo.-Stupida, stupida! Perchè sei venuta da lui? Andavi da Anna, un pianto e via, la situazione non sarebbe stata così penosa per entrambi!-
-"Su, Angel, non riesco a leggerti nel pensiero..."
-Prendi coraggio e assumiti le tue responsabilità!-
-"No, Paul...-riuscii finalmente a parlare- Ho avuto una discussione a cena con mia madre"
-"Per quale motivo?"
-"Per te."
-"Per me?" Paul mi guardò con aria perplessa: mia madre con lui si era mostrata gentile, non aveva lasciato trasparire nessuno dei suoi mille pensieri, ma io la conoscevo.
Così gli raccontai tutto, gli raccontai di mio padre, della paura che mia madre aveva da quel giorno e di tutta la discussione avuta poco prima in cucina. Gli dissi tutto d'un fiato, come se avessi avuto in gola un boccone amaro che non mi faceva vivere da anni. Quando finii mi sentii sollevata: alcune cose non le avevo mai dette neppure ad Anna e mai avrei pensato di dirle a qualcuno. Ma con lui le parole uscirono come un fiume in piena, presa com'era dalla rabbia, dalla tristezza. Ora riprendevo fiato e una paura cominciò a pervadermi: Paul guardava per terra e non diceva una parola.Non sapevo cosa stesse pensando, ma avrebbe potuto veramente essere come mio padre? Mia madre avrebbe potuto veramente aver ragione? Trattenni il fiato.
-"Non succederà mai."
-"Come?" -In quel momento non mi resi conto del significato di quella frase.
-"Non potrà mai succedere, Angel, io non ti lascerei mai."
Mi fermai e lo guardai: era lì, in parte a me, che mi sorrideva, seduto con le gambe incrociate e le mani intrecciate a tenergli le caviglie.Mi scappò un sorriso: di gioia e di sollievo.
-"Oh Paul, so che non mi deluderai mai.- ormai gli parlavo a singhiozzi, in lui avevo veramente trovato una persona fantastica, meravigliosa. Temevo continuamente di non essere accettata dal mondo, mi sentivo molto insicura, ma no, con lui era diverso, mi trovavo a casa quando ero con lui.
E in quel momento mi sentivo decisa, credevo davvero che uno spiraglio di coraggio si stesse facendo vivo in me. Credevo di avere una possibilità anche io, sì, ormai non avevo dubbi, dovevo dirglielo. Dovevo parlargli e confessargli tutto quello che sentivo da mesi quando stavamo insieme. Tremavo di paura, però pregustavo già il bel finale. Aprii ls bocca, presi fiato e...
-"Non devi pensarlo neppure un attimo Angel, d'accordo?- mi abbracciò- Sei troppo importante per me. Sei un'amica speciale, ti voglio bene..."
Tremai. Aveva appena detto che per lui ero un'amica. Sentii nuovamente le lacrime rigarmi il volto. 
Io mi ero illusa, mi ero illusa per tutto quel tempo, mentre lui di me non si era mai interessato. Probabilmente gli facevo pena, per questo mi sopportava quasi ogni gorno. I singhiozzi mi bloccarono il respiro e non resistetti più: scoppiai in un pianto amaro, quelli da cuore spezzato, che ti corrodono il fegato e ti fanno bruciare l'anima; e lo abbracciai ancora più forte, temendo fosse l'ultimo. Lui probabilmente intese quel pianto come una specie di ringraziamento e soddisfatto cominciò ad accarezzarmi dolcemente i capelli, cullandomi nel suo dolce profumo. 
Quando mi calmai decisi di alzarmi. 
-"Sarebbe meglio avvisare Anna, non si sa mai, mia madre pensa sia lì..."
-"Non preoccuparti, tu resta qui, io intanto vado a chiamare Anna. Se ti serve il bagno fai pure, è di là.Torno subito!"
Dicendo così uscì dalla camera e mi lasciò da sola con la mia tristezza e il suo profumo, così avvolgente, che in quel momento mi faceva soffocare. Mi alzai a fatica e andai verso il bagno. Cercai di sciacquarmi il viso e sistemarmi un pochino, anche se ciò che dovevo sistemare era dentro di me. Mi guardai velocemente allo specchio; vidi due occhi gonfi, pieni di delusione. Distolsi subito lo sguardo, mi facevano paura. No, Paul non doveva vedermi così.
Andai in camera sua e e mi sdraiai sul letto. Subito fui pervasa dal suo profumo, così buono, indescrivibile, che ti abbracciava come un maglione la notte di Natale. Mi girai dalla parte opposta alla porta e finsi di dormire. Dopo poco lo sentii tornare: i suoi passi sulle scale erano come lame che tagliavano il silenzio della stanza.
-"Hey, ho chiamato, fortunatamente mi ha risposto Anna..."
Si avvicinò cautamente al letto: aveva capito che stavo dormendo. Ma lui non sapeva. Non sapeva che stavo morendo dentro. Si sedette dall'altra parte del letto e stette lì un po'; lo sentii sospirare, ma non riuscii ad indovinare i suoi pensieri. Forse stava solamente guardandosi intorno. Dopo poco si alzò e andò a chiudere la porta. La stanza si fece buia. Tremai.
Sentii i suoi passi avvicinarsi nuovamente al letto. Come prima si sedette, ma poi continuò ad avvicinarsi, fino a sdraiarsi completamente.
Il suo corpo era così vicino al mio, riuscivo a sentirne il calore. Si sistemò meglio, appoggiò il gomito sul cuscino e cominciò ad accarezzarmi, dalla spalla fino al fianco; e continuava, continuava, continuava...
Volevo piangere, parlargli, ma non potevo: un'altra scenata? Che figura avrei fatto? Mi limitai a seguire con il pensiero le sue carezze, con la sua mano fredda, che mi provocava brividi lungo la spina dorsale, i quali sparivano subito dopo, non appena percepivo il suo caldo respiro sul collo.
Aspettai con infinito dolore che si addormentasse, e non appena ne fui certa, mi voltai.
Ormai mi ero abituata al buio e la tenda scostata mi permetteva di intravedere le sagome dell'arredo della camera, facendo entrare la flebile luce della luna. Cristo, era perfetto: i suoi capelli non erano più sistemati con il ciuffo all'insù, ma gli ricadevano dolcemente sulla fronte, imperlata da alcune goccioline di sudore, così morbidi e lisci; gli coprivano un sopracciglio che, messo a riposo, donava al suo viso una tenerezza unica. Gli occhi chiusi facevano risaltare le sue ciglia mostrandole ancora più lunghe, nere come la pece, ventaglio per i suoi occhi. Le gote erano leggermente rosate, probabilmente per il caldo estivo che nonostante tutto si faceva sentire; mentre le labbra erano socchiuse e da esse usciva il suo respiro profondo. Quelle sue meravigliose labbra, così rosee, così piene, solo Dio sa quanto avrei dato per posarci sopra le mie e sentirne il sapore. La sua mano sinistra era appoggiata al petto, che saliva e sendeva lentamente, costantemente, come le onde che mi perdevo ad osservare al porto. La sua mano destra invece... Cercava la mia. Sapevo stesse dormendo, ne ero certa, dunque feci scivolare la mia mano lungo il suo braccio e intrecciai le mie dita alle sue, mentre calde lacrime bagnavano il cuscino dell'amara paura che quella fosse la prima ed ultima volta. Stropicciai gli occhi, cercando di convincermi che così non avrei migliorato la situazione. Mi avvicinai maggiormente a lui, poggiai la testa alla sua spalla e cercai di addormentarmi..

Un debole raggio di luce mi fece svegliare illuminandomi il viso. Per un attimo pensai di essere a casa, che tutto quello che era accaduto fosse stato solamente un brutto sogno, ma il suo profumo mi aggrovigliò l'anima quasi violentemente, riportandomi bruscamente alla realtà. Mi girai: vuoto, freddo. Ormai il calore di Paul ea solo un ricordo. Mi venne un nodo alla gola, ma feci un respiro profondo per trattenermi. Mi concentrai sulla luce: doveva essere mattina presto. Intanto in casa McCartney ci si era già svegliati...
-"Allora Paul, com'è andata con Angel, la tua amica?" ridacchiò Mike mimando con le mani le virgolette alla parola amica.
-"Oh, smettila! Non è successo niente, almeno non quello che pensi! Angel è mia amica e aveva bisogno di aiuto... Tutto qui!"
Ascoltando quelle parole provenire dal piano inferiore mi portai una mano al cuore. Pensai: '-'ennesima pugnalata. Basta, non riesco a rimanere qui ancora, devo andarmene.-
Mi alzai velocemente dal letto, sistemai alla meno peggio i vestiti e mi guardai fugacemente intorno: sarebbe stata l'ultima volta in quella stanza, non volevo scordare nulla.Poi mi diressi velocemente in bagno, mi lavai il viso e mi pettinai i capelli come meglio potei: allo specchio apparivo distrutta. Scesi con cautela le scale, come se volessi diventare invisibile: in realtà era quello che desideravo. Non feci in tempo a poggiare il piede sull'ultimo gradino che sentii il suo sguardo pesante schiacciarmi.
-"Oh, buongiorno Angel, come stai? Va meglio?"
Alzai lo sguardo e incrociai il suo: non poteva farmi questo. I suoi occhi mi uccidevano e dovetti appoggiarmi al corrimano.
-"Sì, grazie, va meglio... Ora però devo scappare da Anna, altrimenti con mia mamma sono guai.", dissi svelta e mi avvicinai alla porta cercando di non sfiorarlo passandogli accanto.
-"Ma non vuoi fare nemmeno un po' di colazione? Bere qualcosa..."
-"No, avete... Hai già fatto tanto, e ti ringrazio, ma devo andare.", aprii la porta. Lui si avvicinò e io mi scostai.
-"Lascia almeno che ti accompagni" sembrò supplicarmi e mi tremarono le mani. Quanto lo avrei desiderato.
-"Meglio di no, mia madre potrebbe vederci."
-"Va bene, come preferisci- disse deluso, abbassando lo sguardo -ci vediamo Angel, ti voglio bene."
-"Ciao Paul" dissi con il nodo alla gola e quasi le lacrime agli occhi, poi chiusi la porta dietro di me.
Feci un respiro profondo, cercai di trattenere le lacrime e con la maggior calma possibile cominciai ad avviarmi verso casa McLaine, dove avrei dovuto passare la notte, piena di afflizione e pensieri.



SPAZIO AUTRICE:
Buonasera:)
Vacanze, vacanze, vacanze! Finalmenteee:)
Grazie a chi ha messo la storia fra le seguite e/o preferite
Buona lettura e Buona Pasqua:)

Chiara:)

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