The Hangover

di thenightsonfire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1, ovvero: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate (nel letto di Jared Leto)”. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2, ovvero: “In quel ramo del lago di Cannes (che ho appena creato io stessa rovesciando l’acqua sul blackberry di Jared Leto)”. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3, ovvero: “Come NON far conoscere Jared Leto alla propria madre.” ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4, ovvero: come NON prendere in mano la situazione con un Leto arrabbiato. In tutti i sensi. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5, ovvero: “Sarebbero state meglio le chiamate da uno sconosciuto”. ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 6, ovvero: Tra Psicosi, Skype e Mollette Dal Dubbio Utilizzo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1, ovvero: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate (nel letto di Jared Leto)”. ***


THE HANGOVER

Capitolo 1, ovvero: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate (nel letto di Jared Leto)”.

 

 

C’è qualcosa che non va.

Anche se ho il cervello praticamente in stand-by, i miei due neuroni superstiti capiscono che non tutto è come dovrebbe essere. Anzi, peggio: che proprio niente di niente è come dovrebbe essere.

Più o meno simultaneamente mi accorgo di una serie di piccoli, minuscoli particolari che in altre circostanze non avrebbero alcuna importanza. Prona e con la testa affondata in un cuscino meravigliosamente morbido – per un secondo spero ardentemente che la signora abbia deciso di punto in bianco di cambiare quei cuscini piatti e scomodi che usiamo di solito –, non oso muovermi, immobile come una statua. L’unico rumore intorno a me è il temporale che sento infuriare fuori da qui.

Cerco di mettere in ordine i particolari anomali, in modo da dare un senso a questa situazione (posso quasi vedere un neurone squittire: “me no volere questo, no, no!” per poi ritrarsi spaventato).

Osservazione numero uno, questo non è il materasso della camera mia e di Anna.

Ahi, ahi.

Osservazione numero due, ho appena allungato di qualche centimetro la mano sinistra e non ho sentito le sbarre del letto a castello in cui dormiamo io e lei.

Male, malissimo.

Osservazione numero tre – ed è quella che mi sta giusto provocando un brivido di puro terrore lungo la spina dorsale –, sono abbastanza certa che se girassi la testa dall’altro lato e aprissi gli occhi potrei vedere chiaramente (si fa per dire: sono miope) il profilo della figura di cui sento distintamente la presenza accanto a me.

Merda, merda, merda.

Okay, calma. Ora smetto di pensare (non lo faccio poi così spesso, in fondo, o adesso non sarei in questa situazione), mi riaddormento e quando mi risveglierò il sole spenderà e io salterò giù dal mio amatissimo, scomodo letto per svegliare quella poltrona della mia amica, come ogni giorno da due settimane a questa parte.

Perfetto. Andrà tutto a meraviglia.

Cazzo.

Quella presenza respira – respira, capito? Non posso nemmeno sperare che sia un fantasma, o un poltergeist. O, ancora meglio, un demone. Respira.

È il problema è che io so pure chi è quella presenza, anche se i miei due neuroni stanno cercando di negare tutto con quanta più convinzione possibile.

Ed è in questo momento che un improvviso brivido – un misto fra terrore e freddo – mi fa rendere conto di un altro non-particolare che mi fa aggrovigliare le budella: non ho i pantaloni.

Non. Ho. I. Pantaloni.

Mi irrigidisco e sbarro gli occhi, ma già il secondo dopo vorrei tanto non averlo fatto, perché tutto questo è peggio che nelle mie più nere previsioni.

Faccio vagare lo sguardo per la stanza, che è arredata in modo strano, come quelle che si vedono negli hotel, e non so se sperare che lo sia o meno. Pur senza occhiali riesco a vedere le pareti della stanza, pareti illuminate dalla luce di un’abat-jour (quella all’altro lato del letto) e che non ho mai visto in vita mia prima d’ora. Mai. Accanto a me c’è un comodino che mi è del tutto sconosciuto (su cui vedo poggiati, però, il mio cellulare e i miei occhiali) e... oh, cristo. Oh, santo Tomo. Sono abbastanza certa che quelli sulla poltrona là in fondo siano vestiti.

Fa’ che non siano maschili, se ci sei, lassù, fa’ che non siano maschili.

Non sperarci troppo”, commenta la mia Coscienza. Coscienza che, puntualmente, appare nei momenti meno opportuni, sempre – momenti che la maggior parte delle volte, almeno, non sono esattamente come questo, perché di solito non ho l’abitudine di risvegliarmi in una stanza che non conosco in un letto che non è il mio –, invece di apparire, non so, quando sto per affondare i denti in una torta sette veli per poi piangere sopra la bilancia e...

Oh. Oh. Oh.

Perché, per quale stramaledettissimo motivo, secondo quale logica quella cosa, quella massa senza una forma là per terra vicino al termosifone somiglia alla mia maglietta verde acido di ieri sera?

Non è la mia, non può essere la mia.

Quale altra persona sana di mente indosserebbe una maglietta verde acido?”

Coscienza, non è il momento.

La domanda a cui (non) voglio dare una risposta, ciò che più (non) mi preme sapere è: che-diamine-ho-addosso-in-questo-momento?

Ringrazia che almeno hai qualcosa addosso.”

Coscienza, vaffanculo.

I miei due ex neuroni sopravvissuti sono appena morti suicidi.

Non farti prendere dal panico, Elena. Niente panico.

Panico, panico, PANICO ASSOLUTO, oddio, cazzo faccio ora?, merda, cazzo, sono fregata, ammazzatemi ora, aiuto, aiuto, aiuto, ponete fine ai miei tormenti e alle mie pene!

... Pene”, ripete la mia Coscienza.

P-p-pe...

AAAAAAAHHHHHHHHHH!

Perché non ricordo nulla di ieri sera? Perché devo avere la memoria come una gruviera, piena di buchi?

... Buchi.”

AAAAAAAAAAAHHHHHH!

Perché sono in questo letto? Perché sono così idiota? Perché “sono” e basta? Voglio scomparire, voglio che la profezia del 2012 dei Maya si avveri qui, in questa stanza, in questo preciso momento.

Boom, una voragine proprio sotto i miei piedi.

... Piedi nudi, tra l’altro.”

La parte più più ignobile di me vorrebbe piangere e rotolarsi per terra urlando « perché a me? » per poi ritrarsi in un angolino buio ad autocommiserarsi. Per sempre.

Vorrei davvero, davvero piangere per l’assurdità di questa situazione, ma cerco di farmi forza e mi autoconvinco con non poche difficoltà che devo scendere da questo letto e, almeno, uscire da questa camera. L’unico problema è che se mi togliessi velocemente la coperta di dosso rischierei di svegliare la persona che dorme accanto a me, cosa che non deve assolutamente succedere.

Quindi ho quella che deve essere l’ennesima idea sbagliata nell’arco di meno di ventiquattro ore: mi infilo gli occhiali, allungo piano e con delicatezza – per quanto mi sia possibile, perché, ecco, la leggiadria non è esattamente il mio forte – verso il margine del letto, poi da lì poggio una mano e poi l’altra per terra, in modo da essere sospesa a metà fra il pavimento e il materasso.

Se cado adesso, svegliandolo, giuro che mi ammazzo.

Poi, sempre con movimenti impercettibili, esco una gamba dal letto (primo brivido di freddo), poggio il ginocchio sul parquet e subito dopo faccio lo stesso con l’altra (secondo brivido di freddo), in modo da ritrovarmi a gattoni per terra. Il più silenziosamente possibile afferro il cellulare e comincio a gattonare verso la porta aperta, che a quanto sembra dà su un salottino.

Be’, almeno non sto strisciando come un verme.

Più o meno.

Prima di uscire fuori decido di girarmi a guardare indietro, ma ormai da qui vedo soltanto un ammasso di coperte che si alza e si abbassa al ritmo del respiro della persona che ci sta sotto – e che ha appena cominciato a russare piano.

Quest’uomo ha proprio bisogno di riposare, penso ricominciando a gattonare.

Si sarà stancato stanotte.”

Scusa, Coscienza, non riesco a sentirti sopra il rumore della mia dignità che cade in pezzi.

Appena entro, decido di alzarmi in piedi e di chiudere la porta scorrevole (che ad occhio e croce, a giudicare dal legno e dalla maniglia dorata, vale da sola più di casa mia), ma non appena sto per farlo, riguardando la stanza da letto, mi ritrovo a pensare che è uguale alla scena iniziale di Hurricane, tuoni e lampi inclusi.

Peccato che più che un sogno mi stia sembrando un incubo.

Ci manca solo il pazzo con la maschera e il martello in mano che bussa da fuori e siamo a cavallo, mi tocca davvero buttarmi fuori dalla finestra come nel video. Per non sopravvivere all’impatto col suolo, ovviamente.

Chiudo la porta delicatamente, premo l’interruttore della luce e finalmente mi giro, chiudendo l’Incubo alle mie spalle.

Il salotto è esattamente quello che ci si aspetterebbe da un hotel cinque stelle: grande, col parquet per terra, tende pregiate, e al centro dell’ambiente un tavolino con un vaso di fiori e attorno tre divani chiari con qualche cuscino cuscino sopra. Di fronte ai divani, sulla parete, c’è un televisore al plasma, poi qualche quadro qua e là e in un angolo un tavolino con due sedie. Dall’altra parte, una lunga tenda, che immagino copra un’unica vetrata.

Bene, al massimo mi butto da lì.

Almeno è scenografico, non c’è che dire.

Ci sono altre due porte, quella scorrevole per il bagno, credo, e un’altra che dovrebbe portare fuori.

Stringendo forte il cellulare, un Blackberry nero che è la causa di tutto questa situazione per una serie di motivazioni che non sto qui a dire, vado a sedermi su uno dei divanetti e mi passo una mano tra i capelli. Ho la pelle d’oca, ma non importa. Forse dovrei andare in bagno, ma l’idea di lavarmi la faccia in un lavandino in marmo che probabilmente vale più di me mi fa venire la nausea.

Mi massaggio le palpebre. Devo fare mente locale, per forza.

Okay, mettiamo in ordine la situazione.

Siamo entrati perché pioveva, giusto? Piove ancora, perciò il ragionamento fila. La bottiglietta d’acqua sul tavolino laggiù mi suggerisce che mi abbia chiesto se avevo sete («già troppa acqua stasera, grazie» devo aver risposto, banale come sono), poi ci siamo messi su questo divano.

Mi strofino le mani contro le cosce. E poi?

E poi?

E poi lo so io”, sghignazza la Coscienza.

Perché ho una memoria così pessima?

Devo chiamare Anna. Prima di comporre il numero vedo che sono le quattro di mattina e che ho ben quattordici chiamate perse (prego ardentemente che non siano di mia madre, o sono cazzi - “Più di quelli che hai avuto stanotte!” - COSCIENZA, NO, NO, NO), ma la chiamo comunque sperando che senta squillare il cellulare.

Deve sentirlo squillare. Ne vale della mia salute psichica.

Primo squillo, secondo squillo, terzo squillo.

Niente.

Chiudo la chiamata e riprovo.

«Rispondi, diamine» borbotto nervosamente, guardandomi intorno.

Fa’ che lui non si svegli, fa’ che lui non si svegli.

Primo squillo, secondo squillo, terzo squillo...

«Pronto?»

È lei, la meravigliosa voce rauca e sonnolenta della mia amica / compagna di stanza.

Vorrei cominciare a saltare qua e là dalla felicità, vorrei baciare per terra e ringraziare la divinità che ha ascoltato le mie preghiere, ma mi trattengo.

«Anna?» sussurro.

«… Elena? Sei tu?»

«Oh, grazie al...»

«Elena.»

Sento qualcosa cambiare nel tono della sua voce.

«Sì?»

«DOVE CAZZO SEI?»

Salto in aria, spaventata.

«TI RENDI CONTO CHE SONO LE... » c’è una pausa, deve essersi allontanata per guardare l’ora sull’orologio da polso, «… QUATTRO DI MATTINA? LE QUATTRO! TI HO CHIAMATO DECINE DI VOLTE, HO PENSATO LA QUALUNQUE, PENSAVO TI AVESSE STUPRATA E POI UCCISA, O PRIMA UCCISA E POI STUPRATA, CRISTO SA–»

«Shh!» la supplico.

«HO PENSATO A MANETTE E LATEX E VIBRATORI E A TE BENDATA E LEGATA IN MANO SUA COME IN QUEL PORNO, HURRICANE

Vorrei ribattere che non è un porno o che l’idea di me ‘bendata e legata’ in mano sua non è che mi disturbi proprio, ma non penso sia il momento adatto per illustrarle i miei sogni erotici.

Forse pensi bene”.

«Senti, mi dispiace, ma...»

«“MA” UNA BENEAMATA MINCHIA, ELE!»

Oh. Da quando parla così?

«Lo so, lo so, ma io... io...»

Io cosa?

«Io sono un’immane imbecille» andrebbe bene, credo.”

«Tu cosa?!»

Eh. Appunto.

«Anna, ascolta, credo di essere... »

Sconsiderata?”

Idiota?”

Imbecille?”

« ... al Carlton.»

«Quel Carlton? All’hotel?»

No, il Carlton rifugio per senzatetto.

«Sì.»

«Il Carlton. L'hotel extralusso in cui si paga persino il pavimento che calpesti. Quel Carlton.»

«Sì, quel Carlton.»

Sto lanciando sguardi nervosi un po’ dappertutto, come se da qualche parte possa uscire qualche spettro malefico.

Magari il fantasma della tua verginità perduta.”

Squittisco, desiderando ardentemente di sbattere la testa contro il tavolino.

La sento sbadigliare. «Ma che ci fai al Carl...?»

Si blocca.

Ahi.

Ahi, ahi, ahi.

«Oh, no. No, no, no. Dimmi che non hai fatto quello che penso tu abbia fatto.»

«Una giocata a scacchi?»

O strip-poker, più che altro.”

«Elena. Sii seria. Dimmi che non lo hai fatto.»

«Vorrei tanto saperlo.»

«Che significa?!»

«Che non ricordo.»

«... Mi stai prendendo per il culo.»

Come lui ha fatto con te stanotte.”

Dio.

«No, Anna, vorrei davvero, ma... no» rispondo a voce bassissima. «Non lo so davvero.»

«Oh, no, no, no!» squittisce. «Non voglio diventare zia!»

Zia? ZIA?

Mi sento sbiancare e mi tocco lo stomaco, sperando sia pieno solo di cibo. Per un attimo penso pure di vedere la Madonna.

«Calma, calma, calma, qui nessuna diventerà zia di nessuno!»

O almeno lo spero.

A proposito di Madonne, i miei crderebber all'immacolata concezione, vero?

Nella mia mente si forma l'immagine mentale di mio padre versione Enigmista che incatena il padre del nascituro alias arzillo quarantenne in calore al letto e poi gli sorride, lisciando un'accetta, sotto il suo sguardo terrorizzato e valorizzato dall'eyeliner.

No, Elena. Concentrazione. Smettila di pensare negativo.

«Okay» risponde nel frattempo lei, in tono strano. «Dov’eri quando ti sei svegliata?»

Mi mordo il labbro inferiore. «Nel suo letto.»

Per qualche attimo c’è silenzio dall’altra parte della cornetta.

«Nel suo letto» ripete lei. «Okay. Non è detto,magari – uhm – era comodo e... sì, be', ecco. Non è detto. Ma eri almeno vestita, no? No?»

Quel secondo “no” ha un qualcosa di speranzoso e di disperato assieme.

«Io... non so dove siano i miei pantaloni, sono in mutande, e...» Momento. La maglietta! Me n’ero completamente scordata, mannaggia a me.

Abbasso lo sguardo.

Ah.

Uno spigolo. Datemi uno spigolo. Uno in grado di farmi molto male.

«… e ho una delle sue magliette addosso per coprirmi. Sono sicura che sia sua, Anna, gliel’ho vista ad un concerto» sussurro. «Però almeno ho il reggiseno addosso.»

«Fammi capire bene. Sei in mutande e con solo una sua maglietta addosso, però hai il reggiseno. Questa sì che è una buona notizia. Elena, non serve una conoscenza profonda dell’anatomia animale per sapere che non è dalle tette che si fanno certe cose.»

Oh, dio. Non posso aver fatto una cazzata del genere.

«Pensi che abbia fatto “quella cosa” con lui?»

«Macché. Sono sicura che abbiate discusso del debito pubblico.»

«Ti sembra il momento di far del sarcasmo?!» sbotto, dimenticando per un attimo il proprietario della stanza che dorme di là.

«Faccio dell’ironia perché se rimanessi seria mi farei prendere dalla voglia di schiaffeggiarti.»

«Benvenuta nel club » mugugno, poggiando la testa sulla mano libera.

Tanto a sculacciarmi ci avrà pensato lui.

Ugh.

Lo so che migliaia di ragazze vorrebbero essere nella mia situazione, ma almeno ricordassi qualcosa, santo cielo, tipo che mi sono goduta il momento. Niente, vuoto totale, e nemmeno il minimo indolenzimento al sedere. Eppure non può avermi drogato, in caso non ne avrebbe avuto bisogno.

Anzi, il contrario.

Ripenso alla scena di Hurricane.

Davvero, ormai spero solo che non si siano vibratori di mezzo.

O...”

Oh...

altre...”

Mio...

ragazze.”

Dio.

« Oh, NO! » esclamo scuotendo velocemente la testa e arrivando ad un acuto che potrebbero sentire solo i pipistrelli.

 

Ecco, ed è in questo momento che la situazione precipita.

La voce di Anna diventa soltanto un rumore ovattato, e io mi sento sbiancare in viso. Chiudo la chiamata senza darle spiegazioni, mi butto per terra e comincio a strisciare come un verme verso il retro del divano che sta esattamente davanti alla TV.

E questo perché ho sentito un rumore provenire dall’altra stanza, il rumore delle molle di un materasso che cigolano.

Oh, no. No, no, no, no, no.

Mi acquatto dietro il divano, ansimando per il terrore. Da fuori potrebbe anche sembrare una situazione comica (immaginatevela, una ragazza con le mutande di fuori che si nasconde dietro ad un divano e che si guarda intorno come se da un momento all’altro dovesse saltar fuori un serial killer da dietro l’angolo), ma vi assicuro che è terrificante.

Ehi, magari è davvero un pazzo mascherato, penso per un momento, speranzosa.

Sono patetica.

Deglutisco, cercando di calmarmi. Va tutto bene, ora si riaddormenta. Dai.

Ovviamente non posso essere tanto fortunata. Sento dei passi e la porta aprirsi con un rumore quasi impercettibile.

Da lì non mi vede.

Magari pensa che me ne sono andata.

Come no. Con solo le mutande sotto la pioggia. Tesoro, non sei Lady Gaga.”

Per un attimo non sento niente, poi sento dei passi proprio davanti al divano, che si fermano quando lui dovrebbe essere arrivato davanti al tavolino.

Silenzio.

Il più silenziosamente possibile, allungo la testa fino a vedere un poco oltre il divano.

Il mio cuore smette di battere. È ancora lì, si sta guardando intorno con fare assonnato, e dei del cielo, se scatena l'ormone.

Va’ in bagno, va’ in bagno, dai, penso.

Sembra quasi che mi abbia sentito, perché ricomincia a camminare in quella direzione.

Sento il petto alleggerirsi. Magari è stitico, rimane lì per un’ora e ho il tempo di cercare i vestiti o qualcosa del genere, magari riesco a rivestirmi e a prendere il primo autobus del mattino per casa, magari...

Magari, siccome questa sono io e non posso avere fortuna per troppo tempo, mi squilla il cellulare. E così è.

Guardo quell’oggetto del demonio ancora stretto nella mia mano tremante, boccheggiando pietrificata per qualche secondo. Non oso fare altro.

E il cellulare smette di squillare (posso quasi sentire Anna sbraitare a qualche chilometro da me).

Non ho il coraggio di girarmi. Non ce l’ho, no. Perché so già cosa vedrei.

 

« … Elena? »

Mi guardo indietro. Là, a un metro e qualcosa da me, c’è Jared Leto in carne, addominali e smalto azzurro che mi guarda a metà tra il confuso e il basito.

Quindi, ricapitoliamo.

Sono a quattro piedi, in una stanza che adesso conosco, in un hotel che credevo d’aver visto solo da fuori e con una persona con cui probabilmente ho passato la notte a fare Dio solo sa cosa.

E, cosa più importante, sono in mutande. Questo significa che in questo momento sto dando una globale, perfetta visione a trecentosessanta gradi del mio culo a Jared Leto.

Sempre che stanotte, del tuo culo, tu non gli abbia offerto solo la visione.”

Sotterratemi.

Mi giro di scatto, ritrovandomi seduta sul parquet ad osservarlo terrificata.

Può-andare-peggio-di-così?

 

Lo vedo accigliarsi, poi inarcare un sopracciglio. E infine indica le mie mutande.

«Quelle sono... mucche?» boccheggia in inglese, inarcando le sopracciglia.

Abbasso lo sguardo, rendendomi conto che la sera prima mi ero infilata delle mutandine che andrebbero vietate per legge.

Per la precisione, quelle con le mucche che mi ha messo in valigia mamma.

Oh, no.

Sono di fronte – sì, be', di retro – a Jared Leto, mezzo nudo, anche io mezza nuda, e ciò che indosso è incluso in qualunque manuale che indichi come cancellare ogni traccia di testosterone dal corpo di un uomo: delle mutande bianche e larghe con le mucche. Non “muccate”. Con le mucche.

E mi ritrovo a ripensare a come è iniziato tutto questo, meno di due settimane fa, quando ancora avevo un minimo di cervello e avrei mai pensato di potermi trovare in questa situazione.


Note dell'autrice pazza e scriteriata.
Non è da prendere sul serio. Davvero. Prendete questa fanfiction come un vaneggiamento della sottoscritta il cui unico scopo è divertire, okay? A questo proposito, spero abbia fatto "il suo dovere". Sarebbe carino sapere cosa ne pensate. 
Un bacio,
Carme.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2, ovvero: “In quel ramo del lago di Cannes (che ho appena creato io stessa rovesciando l’acqua sul blackberry di Jared Leto)”. ***


Capitolo 2, ovvero: “In quel ramo del lago di Cannes (che ho appena creato io stessa rovesciando l’acqua sul blackberry di Jared Leto)”.

 

Io mi chiedo come faccia ad essere costantemente e perennemente in ritardo: davvero, ne ho conosciute di persone ritardatarie – io stessa sono una di queste –, ma come lei mai. È capace di arrivare in ritardo ad un appuntamento anche se comincia a prepararsi due ore prima, e sembra realmente che lo faccia apposta, persino quando arriva ansimando per la corsa e con i capelli in disordine dicendoti: « scusa, ho fatto tardi ».

Controllo nuovamente il display del mio cellulare, un Blackberry nero che mia madre mi ha comprato dopo mesi e mesi di preghiere. In cui “preghiere” è il nome in codice per continui ed estenuanti richieste di avere il cellulare come “quello di Jared Leto”. Anna l'ha soprannominato Jared, a proposito.

Ogni volta che mi chiede se può utilizzare il mio telefono mi chiede se le “posso prestare Jared”, per dire, con ovvie occhiate stranite dei presenti.

Mi chiedo dove sia finita la mia amica Anna, che è anche la mia compagna di stanza – o meglio, di famiglia –, poi mi siedo in una delle fermate del bus, qua davanti al porto di Cannes.

Un leggero venticello mi scompiglia i capelli, ma il sole scotta e quindi non sento nemmeno freddo. Hanno avuto ragione a chiamarla ‘Costa Azzurra’, perché siamo già a fine Settembre, eppure c’è caldo come se fossimo ad Agosto: il cielo è azzurro, e oltre alla già citata brezza marina non c’è niente di cui potersi lamentare.

Se non fossi me.

Perché io odio il caldo, odio il sole e soprattutto, dico soprattutto, odio il mare. Voglio il freddo, la neve, le metropoli, le sciarpe calde, il cappuccino...

Il professore poteva scegliere Parigi, e invece...

Sospiro, desiderando solo di tornare a casa – o meglio, alla casa della famiglia che ci ospita. Staremo con loro per quattro settimane per uno stage lavorativo, e sembrano delle persone apposto – a parte forse la figlia adolescente che piazza musica dance alle sei di mattina come sveglia. Scusatemi, ma, il primo giorno di questa tortura psicologica da stampa sicuramente cinese,svegliarmi con Kesha che mi urlava di lavarmi i denti con una bottiglia di Jack Daniel's ha messo a dura prova il mio precario equilibrio psichico.

Stanca di aspettare la mia compagna di stanza, decido di bighellonare un po', e magari prendermi qualcosa in un caffè.

Per dovere di cronaca, le tre vie principali e parallele di Cannes, in ordine di spocchiosità, sono la Croisette (quella in cui, per intenderci, io posso permettermi mezza pallina di gelato e un'occhiata altezzosa della cameriera), Rue d'Antibes (in cui posso ragionevolmente aspirare ad una pallina intera e un po' di sana indifferenza) e la stretta Rue Maynadier (dove i poveracci come me si scambiano occhiate di reciproco compatimento per non poter andare a fare shopping nelle prime due vie, mangiando però un cono gelato intero).

Quest'ultima, ribattezza dalla mia amica Rue MeQuelloCheÈ, viene descritta dalle guide turistiche come una viuzza gioiosa e caratteristica.

La realtà è che i turisti cominciano a gravitare da queste parti quando capiscono che probabilmente le vetrine Yves Saint-Laurent sulla Croisette sono provviste di mortali vetri riflettenti anti-burini tipo le barriere d'energia di Dragon Ball. Lì, quindi, non possono comprarci nemmeno uno spillo. Ho anche la sensazione che le star hollywoodiane tendano a rifugiarsi qui quando, nei giorni del Festival, sono stanche dei flash dei paparazzi, ma non ho modo di argomentare la mia tesi.

Mi allontano dal porto e dalla Croisette e passo in perpendicolare rue d'Antibes, mentre persino l'aria che respiro smette di rilucere di una particolare sfumatura dorata che urla 'soldi, soldi, soldi'. Tutto, alla Croisette, urla 'soldi', a partire dalle decine di yacht ormeggiati lì a prendere sole e caldo. Mi stupisco che non esista una tassa sulla respirazione dell'ossigeno di Cannes.

Faccio passare un paio di negozi di vestiti hippie e un negozio di scarpe a basso prezzo prima di entrare in un caffè minuscolo, con giusto un paio di tavolini piazzati fuori all'ombra, di cui soltanto uno occupato. Il locale un'aria un po' – ecco – abbandonata, ma non faccio la schizzinosa. Alla fine, è quasi come se questa sensazione di trascuratezza doni un aspetto intimo all'ambiente. Decido di prendere un tè freddo alla menta, faccio lo scontrino e quello dietro al banco, un ragazzo coi capelli color topo, mi dice di andare a sedermi, ché provvederà lui a portarmi il tè. Non me lo faccio ripetere due volte e vado a sedermi fuori, lasciandomi cadere stancamente sulla sedia. La tracolla Eastpack, piena di souvenirs, comincia seriamente a pesare, ma sono talmente pigra da lasciarmela attaccata al collo. Stiro le braccia, caccio uno sbadiglio che forse dà a qualche sfortunato passante una visuale completa del mio apparato digerente, e mi guardo intorno. Al tavolino accanto a me, proprio di fianco alla mia sedia, c'è seduto un uomo che prima ho completamente ignorato e che sembra totalmente immerso in un incontro a due col suo cellulare. Da qui, guardandolo di sottecchi, riesco a vedere solo il profilo di un naso francese, un grosso cappello che nasconde buona parte del volto, e una folta barba da Soldato Indipendentista. O da amish. O da qualcuno che ha una seria fobia per i rasoi o una curiosa affinità col cugino IT della famiglia Addams.

Per amore di Thor, noto orripilata qualche attimo dopo. Indossa un impermeabile. Con trenta gradi al sole.

Chissà che razza di camera a gas deve nascondere sotto i vestiti.

Un brivido di disgusto mi scuote da capo a piedi.

L'andropausa è una cosa brutta.

Dev'essere anche la causa del bizzarro stile a metà tra l'Ispettore Gadget e i barboni che dormono sotto gli archi della marina a Catania (brutto spettacolo, ve lo assicuro). Magari è così che in certi individui si manifesta la crisi di mezza età: squittiscono agghiacciati davanti ad un rasoio e si rifugiano in un angolo buio in compagnia della versione impermeabile della copertina di Linus.

Con la barba che si ritrova, tra impermeabile alto e cappello formato pareo è difficile persino dire quanti anni ha.

Secondo me è un maniaco”, decreta la mia Coscienza. “Ed è nudo sotto l'impermeabile.”

Non appena arriva l'ordinazione ringrazio a bassa voce il il ragazzo del bancone e torno a osservare di sottecchi lo strambo individuo accanto a me, però adesso sorseggiando il mio amato tè. Ha davanti a sé solo un bicchiere d'acqua, e ora sta allungando il braccio per posare il suo cellulare. Oh, ha un Blackberry identico al mio, registra una parte remota del mio cervello. Sospira, tirando il collo all'indietro.

Eppure, qualcosa scatta in un angolo nascosto e impolverato della mia coscienza, una specie di strano campanello d'allarme. È a metà tra la sveglia della mia psicolabile ospite francese e la colonna sonora de Lo Squalo, e mi fa rizzare ciò che resta della mia peluria superflua dopo l'ultimo olocausto pilifero.

Cioè, ceretta.

Dio, se sto dando segni di squilibrio.

Però, mentre stira le braccia in alto, non posso fare a meno di notare le sue mani. Ha delle belle mani. La parte feticista delle mie orde barbariche ormonali ulula di piacere come Remus Lupin nelle notti di luna piena.

Dannazione.

Non posso diventare un'ameba sbavante ogni volta che vedo delle belle mani.

Oh, sì che puoi, orgasmano i miei due neuroni in sincrono.

Poi l'Amish in trasferta francese decide che c'è troppo caldo per mantenere il look da ispettore privato, così si toglie l'impermeabile color panna, poggiandolo sullo schienale della sedia. Sotto ha una maglietta bianca a maniche lunghe.

Ma si è visto allo specchio, prima di uscire di casa?

Impermeabile e maniche lunghe con questo caldo?

Allungo lo sguardo, sentendomi una guardona. È come se l'insieme della sua figura mi suggerisse, persino quasi di spalle così com'è, che è una persona che conosco o che ho già visto. È una sensazione strana.

Uh, che gambine sottili fasciate in una tuta nera. Le zappe che ha al posto dei piedi creano un contrasto quasi comico con i due ramoscelli che ha attaccati al busto, soprattutto con le gambe accavallate e la posa femminile che sta assumendo in questo momento.

Ho Malgioglio in trasferta francese.

Eppure, la parte più profonda di me (e la mia Coscienza ridacchia, sapendo bene qual è) percepisce una specie di aura sessuale attorno a lui. Prendete Dragon Ball e immaginate che al posto dell'aura da Super Sayan ci sia un alone pieno di piccole scritte, sessosessosessosessosesso, che balugina ondeggiando intorno al suo corpo. Come se quest'ultimo – che nemmeno riesco a vedere tanto bene – mi stesse dicendo: “nascondimi in un angolo buio e consumami fino alle ossa”. Ma io nemmeno lo conosco, questo, santo Odino.

Ho bisogno di un fidanzato.

Che è la metonimia per “sesso”.

Poi, l'Amish si stiracchia ancora un po' e le maniche bianche della maglietta si abbassano, rivelando gli avambracci.

Ma come cazzo fa a non suda––

E improvvisamente mi accorgo che ha dei tatuaggi, sugli avambracci. Dei tatuaggi perfettamente simmetrici, neri, raffiguranti quelli che a prima vista sembrano semplici triangoli. Solo a prima vista, però, perché chi li conosce sa cosa sono.

Triad.

E in un solo secondo, realizzo.

Le mani.

« Cazzo. »

Le gambe da modella.

« Cazzo! »

I peli pubici in faccia.

« CAZZO. »

Davvero, mi ci vuole solo un secondo.

Il tempo necessario per realizzare che quello davanti a me è Jared Leto.

« OH, CAZZO! »

 

Non può essere.

Non ho davvero urlato “cazzo” in mezzo a Rue de Meynadier, vero?

Non mi sono appena alzata in piedi spingendo quasi il tavolino a terra, giusto?

Jared Leto in barba e impermeabile non mi sta davvero guardando con gli occhi sbarrati, sì?

« PUTTANA MISERIA! »

Mi alzo di scatto, mandando la sedia a terra con un fracasso terrificante, e qualche francese si ferma a guardarmi, inquieto.

Inquieto? Inquieto? Ho Jared TerzaGambaLunga Leto di fronte, porca puttana santissima, io ho il diritto di essere inquieta!

Apro e chiudo la bocca un paio di volte. Da sopra la folta barba, gli occhietti sospettosi di Jared mi fissano, mentre vedo la sua mano allungarsi lentamente verso la giacca. Che voglia scappare? Fuggire via dalla sconosciuta in iperventilazione?

E no, eh. A costo di saltargli addosso e placcarlo, lui non mi scappa!

Oh, sì, ululano i miei ormoni strappandosi i vestiti di dosso come Hulk durante una trasformazione, placcalo, placcalo, PLACCALO!

Oh, buon Dio. Devo stare calma, devo stare calma, devo stare...

« No, no, no, no! » squittisco, allungando la mano. « Io... tu...»

Argh. Il mio inglese non mi può abbandonare ora. Non può.

« Tu... tu... io... »

« Be' » Jared inarca un sopracciglio, « i pronomi personali vedo che li sappiamo. Ora passiamo alle frasi intere. »

Boccheggio un paio di volte, fissandolo inebetita.

Ma... stronzo!, pensa la parte razionale del mio cervello. La parte non-razionale del mio essere, d'altro canto, sta già gemendo, contorta di piacere.

Ma noi non vogliamo parlare”, freme all'unisono l'orda barbarica dei miei ormoni.

« Sei Jared Leto » sussurro, in inglese. Prego ardentemente Dio, Gesù Cristo, Buddha e Tomo di non avere gli occhi troppo lucidi o l'espressione da maniaca sessuale o, che il cielo me ne scampi, la bava alla bocca.

« L'ultima volta che mi sono specchiato era così » risponde lui, con palese sarcasmo.

« Oh, dio. » Chissà, vola il mio cervello, magari era nudo. Nei miei pensieri, balbetto sconclusionatamente. Non pensare a lui nudo, non pensare a lui nudo, non pensare a lui nudo! « Io... ehm, sono una Echelon. Giuro che non voglio farti del male. »

Eh? “Giuro che non voglio farti del male”? Che cazzo è, un extraterrestre?

Mi sto schiaffeggiando mentalmente.

Ma lui sorride, malizioso. « Non è detto che non mi piacerebbe. »

Oh, mio dio.

Secondo voi lo sta sentendo che sono bagnata come Londra in autunno?

Spina dorsale,” ordina la mia Coscienza.

Non devo fare come una qualunque ragazzina arrapata, mi dico, (anche se, be', onestamente lo sono), ma devo respirare normalmente e fare finta che la sua presenza non mi metta in soggezione.

Forse una parte del mio cervello deve ancora realizzare di avere Jared Leto davanti – al contrario di un'altra parte del mio corpo, che se n'è accorta fin troppo bene –, perché non sto avendo le reazione che nella mia fantasia avevo sempre pensato avrei avuto. Non so, scoppi di pianto, di risa, urla indefinibili, tentativi di stupro. Niente. Probabilmente sto attraversando una qualche fase di shock che non mi permette di comportarmi come dovrei.

O forse non dovrei cercare di trovare scuse patetiche per saltargli addosso.

« Ahm » tossisco. « Sì, ehm. Ahm. Okay, quindi. »

Vai, Elena, continua così. Sta' sicura che è affascinato dalla tua eloquenza.

Inclina la testa di lato, fissandomi intensamente. In un momento di confusione penso che l'Arcangelo Gabriele deve aver fatto esattamente così con la Madonna. Uno sguardo alla Jared Leto e boom, era incinta.

Faccio per parlare – e magari partorire una frase che somigli più ad una proposizione di senso compiuto che al grugnito di un Homo Sapiens –, quando il ragazzo del bancone torna con una bottiglia d'acqua minerale di vetro e gliela pone sul tavolo. Jared si volta a guardarlo e, gonfiando il petto, sforna il meglio del suo frasario francese in un moto d'orgoglio per la natura palesemente poliglotta del suo essere: « Merci ». Il cameriere freme, estasiato.

« Excusez-moi » non posso fare a meno di intromettermi, « pouvrez-vous me porter un peu d'eau aussi, s'il vouz plait? »

L'ego ferito che traspare dallo sguardo di Jared è quasi divertente. Mi guarda male e si volta, sprezzante. Il cameriere mormora un « mais oui », vagamente contrariato, ma fa come gli ho chiesto. In nemmeno un minuto va e torna con un bicchiere d'acqua che quasi scaraventa sul mio tavolino. Nel frattempo, Jared si è versato dell'acqua nel bicchiere, lasciando la bottiglia senza tappo, ha ripreso il cellulare in mano e mi sta ignorando, messaggiando con chissà chi. Penso in un moto di disprezzo che probabilmente è una bionda francese che pesa quaranta chili, di cui dieci solo in tette in silicone.

Per dire, io ne peso trenta solo in cosce.

Faccio un respiro profondo. Mi inginocchio per terra, agguanto la borsa e all'interno cerco qualcosa che assomigli ad un pezzo di carta e ad una penna, fino a quando, in una tasca seminascosta, ah!, un quadernetto che credevo d'aver dimenticato a casa dalla Psicolabile. E c'è pure una penna, grazie a Tomo. Ancora a terra, tiro fuori anche il cellulare e mi faccio coraggio.

« Jared? Ehm, Mr. Leto? »

Quando sente “Mr. Leto” si gira lentamente, stavolta senza alcun sentimento negativo nel suo sguardo. Anzi, sembra piuttosto divertito. Mi alzo in piedi anche io, ma prima che possa parlare lo vedo sospirare teatralmente.

« Peccato » dice. « Siete bellissime quando inginocchiate davanti a me. »

La cosa più sensata che il mio cervello riesce a formulare in risposta è: “jdfkasjdkasjdkajsd”.

Poi: Sapessi allora come “vengo” bene messa a novanta.

« Sapessi allora come vengo bene messa a novanta. »

Spalanca gli occhi e la bocca, momentaneamente scioccato.

Oh, cazzo.

Non l'ho detto ad alta voce, vero?

E invece.

Voglio sotterrarmi. Come in The Kill, bury me, bury me. Voglio che un pazzo psicopatico arrivi da dietro e mi accoltelli a morte. Ora. In questo preciso istante. La mia esistenza è deplorevole.

« Oh, you little naugthy girl » sorride maliziosamente. « Un'altra parola così e sarò costretto a punirti. »

« Promessa? »

Mi tappo la bocca, orripilata.

L'ho RIFATTO! Ma come? Cosa mi sta succedendo? Dov'è finita la connessione tra bocca e cervello? Dove?

Scoppia a ridere. « Fossi in te non lo chiederei. »

Dai, Elena, elabora una risposta spiritosa. « Fossi in me, avresti l'istinto di chiedere di tutto. » Male. Riprova. « Cioè, ehm, al momento vorrei una cosa sola. » MALISSIMO, ELENA, MAY-DAY, MAY-DAY. « Voglio dire, una foto e un autografo. Ovviamente volevo dire quello. »

« Ovviamente, certo. Dammi qua, su » mi ordina, allungando la mano per prendere il quadernetto e la penna.

Vorrei dirgli che può prendere tutto di me, ma forse è meglio che sto zitta.

E lui segna l'autografo. Poi mi torna il quaderno e allarga le braccia, come a dire: “e la foto?”, e non mi lascio sfuggire l'invito. Smetto di pensare (tanto mi riesce facile, non so se l'avete intuito) e mi avvicino a lui, abbassandomi e accostandomi al suo corpo abbastanza vicino da far rientrare entrambi nell'obiettivo della fotocamera del blackberry.

Sento il suo profumo e il suo calore del suo corpo e per un paio di attimi mi dimentico persino chi sono.

Poi mi dice: « Bel cellulare. È uguale al mio, che coincidenza ».

Già.

Coincidenza”.

E scatto. Non appena la foto è fatta, lui si allontana da me. Cerco di non sentirmi delusa e di convincermi che dopo tutto l'ho disturbato durante una vacanza, solo che... be', anni a sognare questo momento e quello che ho racimolato sono un paio di figure di merda e un paio di prese per il culo.

Fosse almeno fisica, la “presa per il culo”.

La mia Coscienza si sbatte una mano sulla fronte.

Sbattere.

Sdlkfjlsdkfslf.

Devo smetterla con queste associazioni mentali.

Ma mentre cerco di aprire la galleria per vedere il risultato il quaderno mi scappa di meno e, dopo aver fatto un paio di mosse che somigliano a degli spasmi muscolari per cercare di prenderlo al volo, sento la sua risata soffocata.

Benissimo.

Sospiro, sentendomi avvampare. Il quaderno ovviamente è finito vicino ai suoi piedi, sotto il tavolino, come volevasi dimostrare. Non poteva finire in un posto più imbarazzante. E ovviamente lui non si abbasserà a raccoglierlo. Sta già ghignando, lo vedo con la coda dell'occhio.

Dite che potrei utilizzarla come storia? “Sono finita con la testa sotto il tavolino di Jared Leto, eheh, è stato fantastico ed eravamo pure in un luogo pubblico!” “Hai avuto un orgasmo?” “No, ho avuto un autografo, però ero a trenta centimetri da Satan!”.

Bah. Sono mediocre pure per le storie fittizie su internet.

E così poggio il mio cellulare accanto al suo, mi abbasso fino a mettermi quattro piedi, e agguanto il quaderno, praticamente con metà corpo sotto l'ombra del tavolino. Ho i piedi di Jared davanti, e in un lampo di pura demenza mista ad una lussuria inspiegabile mi chiedo come sarebbe leccargli le scarpe.

Oh, mio dio. Cosa. Ho. Appena. Pensato.

Dal modo in cui soffoca una risata, però, capisco che è decisamente nella cosa dell'umiliazione. Sta godendo, nel vedermi così.

Non poteva, che so, essere per la carità? E farmi una proposta sessuale? E farmi qualunque cosa di sessuale?

« Avevi ragione » lo sento dire ad un certo punto, proprio quando penso che l'incontro non poteva finire peggio di così, « a novanta sei decisamente meglio. »

E mentre una scarica di adrenalina mi attraversa e non posso fare a meno di pensare le cose più porche che la mia mente abbia mai partorito, in un secondo, in un solo secondo, è il disastro.

 

Sobbalzo per lo shock e sbatto dolorosamente la testa contro il tavolino, che si alza di conseguenza, e in rumore di vetro che rotola e di acqua versata – la bottiglia non aveva il tappo, mi rendo conto con orrore – mi fa raggelare il sangue nelle vene. Jared tira fuori una sfilza di imprecazioni che farebbero impallidire Satana in persona mentre, e, al ralenti, vedo i due blackberry – bagnati – cadere per terra. Atterrano ad un metro da me.

Sono agghiacciata. Totalmente. I miei due neuroni si mettono nella posa dell'Urlo di Munch e il primo impulso che mandano ai miei arti è quello di correre via.

Cazzo.

Ho appena bagnato il BlackBerry di Jared Leto.

Ho appena ucciso l'unico amore della sua vita.

Mi ucciderà.

« Oddio » soffio, senza fiato. « Sono nella merda. »

Alzo lo sguardo su di lui. Ha la faccia che deve avere Shannon davanti ad un libro di grammatica inglese.

L'orrore più nero, mentre guarda i due cellulari, immobile. Poi lo vedo sillabare, senza voce: « Il mio BlackBerry », e abbassare lo sguardo su di me.

Ora è incazzato.

« Ehm » dico, mortificata. « Scusa? »

« Tu! »

 

Non gli do il tempo di parlare. So che potrebbe uccidermi. So che vorrà uccidermi. So che se disgraziatamente ho rotto il suo cellulare, vorrà il mio sangue.

L'apocalisse.

Le campane di San Pietro.

Il fuoco e le fiamme dell'inferno.

Mi lancio all'indietro, squittisco e agguanto il cellulare che scommetto sia il mio; contemporaneamente, prendo la borsa e in uno scatto felino mi rimetto in piedi.

Urlo un: « grazie per la foto! » e scappo via.

 

Ansimo, appoggiandomi al muro di una viuzza secondaria. Devo ancora rendermi conto dell'immenso casino che ho combinato, ma sono troppo occupata a pensare una sfilza di imprecazioni che vanno da pallidi « cazzo » a eleganti « porca puttana la merda ».

Guardo il BlackBerry, gemendo, e lo strofino contro la mia maglia. Se è rotto mia madre mi ammazza.

Sempre se non mi ammazzo prima io, ovvio.

Sbatto la testa contro il muro.

Ho conosciuto Jared Leto.

Ho fatto una foto con lui.

Ho fatto diverse figure di merda davanti a lui.

Gli ho quasi messo la testa fra le gambe (questa è la parte buona dell'incontro), ma nel raccontarlo in giro potrei pure togliere il “quasi”.

Mi squilla il cellulare. Sono così certa che sia mia madre (chiama sempre a quest'ora per essere sicura che io sia viva, e purtroppo giusto oggi lo sono) che apro la chiamata senza guardare lo schermo.

« Pronto » brontolo, brillando palesemente di voglia di vivere.

Silenzio.

« Ma' » ritento. « Mamma? »

Una vaga consapevolezza comincia ad annidarsi in un angolo del mio cervello. Sento del sudore freddo cominciare a spuntarmi sulle tempie.

« Holy fuck » dice la voce scocciata all'altro capo della cornetta, « Jared? »

Smetto di respirare, allontano il cellulare dall'orecchio e sguardo lo schermo.

No.

Non è vero.

Non può essere vero.

Dice chiaramente: “Shannon”. E io non ho alcuno Shannon salvato nella rubrica del mio cellulare, nessuno. Questo che ho in mano, capisco in un terrificante attimo, è il cellulare di Jared. L'ho scambiato.

Oh.

Porca.

Puttana.

« Jared? Are you there? »

No, non so qui.

Sono nella merda.

 

 

 

Non ho alcuna scusa. Se vi dicessi che vi voglio bene?

Vi fate vivi, anche solo per insultarmi, sì? Per favore. *piange in un angolo*

Carme.

 

P.S. Spero che vi siate – almeno un po' – divertiti quanto io mi sono divertita a scriverlo. Ovviamente Jared e Shannon parlano in inglese.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3, ovvero: “Come NON far conoscere Jared Leto alla propria madre.” ***


Note dell'autrice: per esigenze di “trama” (capirete leggendo), alcune battute di Jared dovranno essere scritte in Inglese. In ogni caso riporterò subito sotto la traduzione, okay? Enjoy!

 

Capitolo 3, ovvero: “Come NON dovresti presentare Jared Leto a tua madre”

 

 

Be', penso allora in un minimo di ottimismo: se proprio va male, e Jared mi fa causa per avergli rubato il cellulare, posso ancora andare a fare la coltivatrice di pomodori in Argentina per cercare di ripagarlo. Oppure darmi alla macchia in Patagonia. Oppure mimetizzarmi tra i pinguini in Antartide.

Prendo un respiro profondo mentre Shannon, dall'altra parte della cornetta, continua imperterrito a imprecare perché il fratello (cioè quello che crede essere alla cornetta, ma che in realtà – surprise! – sarei io) non risponde, e avvicino il BlackBerry all'orecchio.

« Jared, cazzo, vuoi deciderti a parlare? » sbraita Shannon in inglese.

Decido di esordire brillantemente, almeno per non veder sfumare subito tutte le mie speranze di riuscire a spiegarmi e di non dover indossare le vesti di agricoltore argentino prima che abbia compiuto diciotto anni.

« Ahm. Io... ahm. Eh. Ciao. »

Mi sbatto una mano sulla fronte. Pasqualina, il mio neurone femmina, strilla in preda ad una crisi nevrotica e sbatte la testa contro le pareti della mia scatola cranica. Ermenegildo, il suo unico compagno, piange in un angolino le sorti della sua amara vita.

Segue un momento di silenzio.

« Tu non sei Jared » esclama Shannon.

Bravo, Shannon. Chapeau.

Sempre detto che quest'uomo brilla per acume.

« E il cavallo bianco di Napoleone è bianco » rispondo, alzando gli occhi al cielo. « No, non sono – ehm – Jared. »

« E lui ti ha lasciato toccare Berry? » domanda in tono stranito.

Berry? L'ha sul serio chiamato Berry?

Commentò quella che ha chiamato Jared il suo BlackBerry,” osserva la mia Coscienza.

Sospiro, lanciando un'occhiata sospettosa in giro. Da qui – una via secondaria di Rue de Meynadier larga a stento per due persone messe di fianco – non mi sembra di vedere Jared coi suoi peli pubici facciali e il giubbotto da Ispettore Gadget nei paraggi. O l'interpol. O l'esercito. O i Men in Black. O qualsiasi organismo internazionale abbia intenzione di chiamare per riottenere indietro il suo cellulare e dopo avere il mio sangue o un risarcimento per cui i miei dovranno fare un mutuo.

Quanto dite che pagano per un rene al mercato nero?

« Sei Colette? » chiede Shannon, sospettoso.

Eh? « No! »

« Annabelle? »

« Ma che–no! »

« Chloe? »

« Eh, ma porca puttana » esclamo, esasperata. « Tuo fratello un cantante o un magnaccia?! »

Suo malgrado, Shannon scoppia a ridere, e mi ritrovo a pensare che abbia una bella risata. La apprezzerei di più, se solo non stessi sudando freddo nascosta in un vicolo come i peggio pusher del Bronx.

« Allora mi dici il tuo nome? Credo di non conoscerti » ridacchia.

« Elena. Sono Elena. »

Sento il rumore di qualcuno che sta soffocando, o qualcosa del genere. « ALENA? »

« No, non Alena! Elena! » esclama, indignata. « Shannon, ricomincia a respirare, non sono la Gerber! Io ho un cervello e i capelli castani! »

Sento un sospiro di sollievo. « Mi stavo quasi per sentire male. »

Me ne sono accorta.

Ci manca solo che faccio venire un infarto a Shannon e voilà, nemmeno Giove sarà abbastanza lontano per salvarmi la pelle. In un momento di apocalittica lucidità, vedo sfilarmi davanti agli occhi le immagini mandrie di Echelon inferocite che mi inseguono con martelli e mazze come il tipo mascherato di Hurricane. Vedo lupare e pistole e coltelli ben affilati puntati alla mia gola.

Deglutisco. « Tutto apposto, sicuro? Battito cardiaco regolare? Pressione sanguigna? Temperatura corporea? »

Volto la testa. Appena fuori da questa traversina, a qualche metro da me, una turista biondo platino, probabilmente tedesca, col figlio affianco, mi guarda di sottecchi. Stringe le labbra, mi scocca un'occhiata di rimprovero, stringe il bambino a sé e sgattaiola lontano da me il più velocemente possibile.

Non male,” dice la mia Coscienza. “In meno di due ore ti sei aggiudicata molestie, furto e sospetto possesso di droga. Ora fatti venire un attacco di isteria, ammazza un passante e abbiamo passato tutti i gradi penali della giustizia italiana.”

Coscienza. Sta zitta. Sta zitta.

Shannon ridacchia ancora. « Sicuro. » Poi aggiunge (e giuro che posso immaginarlo mentre se la ride alla grande, lì dov'è): « Allora, dimmi, Elena, che ci fai col cellulare di mio fratello? Dov'è quel vecchio marpione? »

Mi mordo il labbro. « È una storia molto, molto lunga. »

« Con mio fratello, non c'erano dubbi che fosse una storia lunga. »

Eh. Ti pareva.

« Shannon, in tutta serietà, è più complicato di così » dico. « Ti spiego. Ehm. Eravamo in un bar, lui aveva un giubbotto pesantissimo e ha cominciato a spogliarsi, perché sembrava l'ispettore Gadget, sai?, poi ha firmato, però il quaderno con l'autografo è finito sul pavimento, così niente, per riprenderlo mi sono dovuta mettere a quattro zampe e con la testa sotto il tavolino di tuo fratello, poi ho alzato la testa di botto quando non dovevo ed ho combinato un disastro, perché è finito tutto bagnato a terra! Ho cercato di spiegarmi, ma non so proprio usare la bocca! »

Dall'altra parte della cornetta sento il ronzio tipico di quando l'interlocutore rimane in silenzio assoluto per più secondi.

« Credo di stare per rivedere le uova e la pancetta di stamattina » sbotta alla fine, nauseato.

Che è? Che ho detto?

Riavvolgo mentalmente. Quattro piedi sotto il tavolino. Testa alzata di botto. Tutto per terra. Bagnato. Bocca usata male.

MA DANNATA EVA!

« CHE CAZZO, SHANNON! » strillo, disgustata. « MA CHE HAI CAPITO? »

« Sei tu che hai parlato di testa sotto il tavolino, fluidi per terra e bocca usata male! »
Ho il feroce istinto di sbattere la testa contro il muro. Forte. Fino a tramortirmi. « Ma potresti pure provare a interpretare, porco Tomo! »

« E va bene, okay, scusa! Non hai fatto un po... »

« … POMPAGGIO, POMPAGGIO! »

« … a mio fratello, ti credo! » si arrende. « Perdonami, ma lo conosco, e non mi sembrava tanto impossibile come scenario! »

« Ugh » biascico, massaggiandomi le tempie. « Non voglio sapere nient'altro sulla condotta sessuale di tuo fratello, va bene? E se gli dici di questo equivoco, gli racconto che hai mangiato dei pulcini a colazione. »

« Per favore, no, sarebbe capace di inseguirmi a colpi di rapa per punizione » risponde lui in tono lamentoso. Allora aggiunge: « Mi vuoi dire o no che ci fai col cellulare di Jared? O dov'è Jared, piuttosto? ».

Prendo un respiro profondo. Dovrò fare ricorso a tutte le mie capacità dialettiche e linguistiche, ricercare una calma zen che non possiedo e fare finta che a qualche chilometro da me non ci sia un quarantenne in piena crisi di mezza età che quasi certamente sta piangendo il proprio BlackBerry come se fosse il figlio perduto.

Ermenegildo continua a piangere disperato in un angolino del mio cervello.

Pasqualina, dal canto suo, si sta legando un cappio al collo dettando le sue ultime volontà.

E comincio: « C'erano una volta, in un paese lontano lontano nel sud della Francia, un BlackBerry e una BlackBerry femmina che si incontrarono per caso in un caffè... ».

 

All'incirca due chilometri più in là, in Rue d'Antibes, un uomo all'incirca di quarant'anni sta camminando a passo di marcia giù per la strada, sbraitando in una lingua che qualche bestemmia fa somigliava all'inglese – al momento, invece, sembra più un'ammucchiata di parolacce e imprecazioni varie buttate lì a caso. Si passa una mano fra i capelli, nervoso, poi va a sfiorare la tasca dei pantaloni, dove il suo cucciolo, l'amore della sua vita, il motivo unico della sua esistenza ora è al sicuro. Fino a questo momento, non si è nemmeno rischiato a provare ad illuminare lo schermo. Dopo che la Pazza Omicida (l'ha appena rinominata così) se l'è data a gambe levate, lui ha soccorso il suo Berry, asciugandolo millimetro per millimetro con fare materno.

Se Berry fosse un uomo, Jared avrebbe la stessa espressione di Colin Farrell nei panni di Alessandro Magno al capezzale di Efestione.

Fortunatamente c'è caldo, si dice il nostro eroe, così Berry si rimette in sesto più in fretta. Speriamo. O, si dice, setaccerà ogni angolo della terra per trovare l'Attentatrice Scriteriata e farle pagare fino all'ultimo centesimo di danni morali.

Una vita senza Berry.

Il nostro eroe si sente quasi svenire.

Lui non può vivere senza Berry.

Berry è la luce.

Berry è la vita.

Berry è dove tiene ancora le foto delle tette di Scarlett.

Non può perdere le foto delle tette di Scarlett. L'umanità intera ne andrebbe danneggiata. Lui ne andrebbe danneggiato. Le tette di Scarlett Johansson sono la versione a forma geoidale del forziere di Davy Jones.

Non potrebbe nemmeno mandarlo a riparare, il bistrattato Berry, perché dentro ci troverebbero ancora qualche video compromettente e no, no, no, non può rischiare. Lì dentro ha il vero dietro le quinte di Hurricane.

Jared tossisce fra sé e sé.

Quando tornerà a L.A., la prima cosa da fare sarà trasferire certi file da Berry al computer.

Non si sa mai.

È quasi sulla Croisette, ancora sotto il sole cocente di una giornata che non intende volgere al termine, che il BlackBerry squilla. Non riflette nemmeno sulla suoneria, non riflette sul fatto che non è la sua suoneria, perché lui nemmeno ce l'ha la sigla di Pollon nel cellulare. Non riflette. In un balzo di giubilo, tira fuori il cellulare dalla tasca dei pantaloni, legge il nome di chi lo sta chiamando e aggrotta le sopracciglia.

Sul display c'è scritto: “Mom!”. E uno smile.

Non ricorda di averla registrata così.

Poco importa, si dice. Berry è vivo! È vivo! Può sentire i cori degli angeli, le campane di una chiesa, le risate dei bambini. BERRY È VIVO!

E risponde.

 

« … QUANTE VOLTE TI DEVO DIRE DI TOGLIERE LA DANNATA VIBRAZIONE AL CELLULARE?! »

Jared allontana il BlackBerry dall'orecchio, sobbalzando.

« What the fuck...? Mom? » esclama, confuso.

Ma che cazzo...? Mamma?

« ELENA! ELENA, RISPONDI, ADESSO! »

Inutile dire che, per quello che ne sta capendo Jared, quello potrebbe essere Serpentese, cirillico o l'antica lingua di Atlantide. Sa solo che l'ennesima pazza squinternata sta strillando al suo delicatissimo apparato auditivo in una lingua che non cono...

Jared si blocca in mezzo al marciapiede. Un pedone dietro di lui, preso alla sprovvista, lo urta. Poi lo guarda male, gli borbotta qualcosa in francese e se ne va col naso all'insù, indignato per tanta sfrontata maleducazione.

Jared è raggelato. Una statua di sale. Non riesce nemmeno a respirare. Perché non può essere, giusto? Non può essere. È impossibile. Non può essere successo come in quel dannato film di quell'altra psicolabile (a proposito), la Lohan – Quel pazzo venerdì.

Ma se quelle si scambiavano di corpo, lui e quella... quella Elena si sono scambiati i BlackBerry. Che è peggio.

Merda.

Jared Leto sente che ucciderà qualcuno.

A mani nude.

Si guarda le dita.

E fanculo la manicure e lo smalto fresco.

« You better be fucking kidding me » sibila, a denti stretti.

Spero che mi stiate prendendo per il culo.

La scimmia urlatrice che ha al telefono, nel frattempo, deve aver raggiunto gli ultrasuoni. Può quasi immaginarla mentre, urlante, si dibatte di qua e di là come un pesce morente o qualcuno in preda ad una crisi epilettica. Nel marasma di suoni che sta emettendo – alcuni intuitivamente molto poco carini, a primo acchito – riesce a comprendere solo nome: “Elena”.

La scimmia urlatrice è la madre della ragazza.

Evidentemente la sanità mentale non è compresa tra i geni di famiglia.

« Okay, you fucking listen to me now » ordina ad alta voce, per coprire le strilla della donna. « Shut the bloody fuck up already! »

Okay, cazzo, tu ora mi ascolti. Stai zitta, porca puttana!

« ELENA, DOVE SEI, CHI DIAMINE È AL TELEFONO? CON CHI SEI? ELENA! »

« SHUT YOUR MOTHERFUCKING MOUTH UP! » urla Jared.

CHIUDI LA TUA CAZZO DI BOCCA!

Non ne può più. Sente il bisogno di stringere le mani al collo di qualcuno. E, per una volta, non c'è alcuna connotazione sessuale in questa frase.

Per due paradisiaci secondi la donna rimane in silenzio, poi fa: « Ma... » Pausa, e probabilmente sta controllando il display del cellulare. « Ho sbagliato numero? Elena? »

Ovviamente Jared non sta capendo un benemerito nulla di quello che la donna sta dicendo, a parte il nome della figlia. Mentalmente, sta solo cercando il modo di mettere in fila quattro parole in croce in inglese semplice per spiegare la situazione. Si impone allora di mantenere la calma e di non far innervosire la psicolabile all'altro capo del telefono. D'altronde lui è Jared Leto. Lui è riuscito a rendere un video musicale la ricostruzione della sua avventura sessuale tipo. Lui è riuscito a far dubitare Colin Farrell del suo orientamento sessuale.

Lui può.

Avendo conosciuto la figlia, però, decide di agire tentando di arginare i danni e le possibili conseguenze sulla psiche della Pazza.

« I am not your daughter » dice, lentamente, scandendo ogni parola.

Non sono tua figlia.

« Oddio, ecco, ho sbagliato numero. Eppure mi sembrava giusto... »

« I hope you understand what I'm saying. »

Spero tu capisca cosa sto dicendo.

« Dove cazzo ho chiamato? »

« I've got your daughter's mobile phone right now. It was a mistake. That's why it's me talking. »

Ho il cellulare di tua figlia in questo momento. È stato uno sbaglio. Ecco perché sono io che parlo.

« Ma che cazzo sta dicendo questo? » fa la donna, in quello che Jared crede sia italiano. « Se mi arriva una bolletta del telefono da duemila euro la ammazzo. La ammazzo. Farà meglio a rimanere in Francia »

Jared pensa che forse, forse sta finalmente stabilendo una connessione.

« I don't know where your daughter is. »

Non so dove sia tua figlia.

« Cosa cazzo vuole questo? » borbotta la donna. « Bah, io chiudo. La chiamata dev'essere stata deviata di nuovo in un altro Paese, come l'altro giorno. »

« Do you understand? » chiede ancora Jared, speranzoso.

Mi stai capendo?

« Understand? » fa la donna, incerta. « Cosa dovrei “understand”? »

« Yes, yes! » replica Jared, quasi con le lacrime agli occhi dalla felicità. « Oh, finally. Now please, could you help me and contact her somehow? »

Sì, sì! Oh, finalmente. Ora, per favore, potresti aiutarmi e contattarla in qualche modo?

« Oddio. Che vuole questo da me? Ahm. Aim sorri. Ai dont anderstend. »

« You don't... you don't understand? » boccheggia Jared. « But you just told me...! »

Non... non capisci? Ma mi hai appena detto...!

« E che parlo, arabo? » sbuffa la donna. « Ai no spìk inglisc. Sorri. Bai bai. I foned tu mai doughte. »

« YES, YOUR DAUGHTER! » tenta ancora Jared. « Please, please listen. I know her. I know her! She's got my goddammit BlackBerry! »

SI, TUA FIGLIA! Per favore, per favore, ascolta. La conosco. La conosco! Ha il mio dannato BlackBerry!

« Ah! » fa la madre della Pazza. « Ecco, ti pareva, ho beccato un agente di compagnie telefoniche. Sorri. Ce l'ha già mia figlia Elena il Blackberry, non sono interessa. Gudbai! »

« JUST WAIT! » esclama Jared. « Just fucking wait, you... »

ASPETTA! Aspetta, cazzo, razza di...

Tu-tu-tu-tu...

La donna ha chiuso.

Jared sbatte le palpebre, come paralizzato dallo shock. Nella sua testa c'è un vortice di pensieri che non rende ad alta voce perché, se lo facesse, non servirebbe sapere l'inglese per capire con quanta volgarità sta bestemmiando esattamente.

Si porta le mani tra i capelli, e se il suo ultimo parrucchiere lì a Cannes non fosse costato all'incirca centocinquanta euro – nemmeno avesse i crini di Raperonzolo – se li strapperebbe ad uno ad uno per la rabbia.

Mai, mai nella sua vita è stato così incazzato. Comincia a camminare avanti e indietro sotto lo sguardo guardingo di qualche passante, mormorando qualche sporadico “cazzo” ogni tanto.

Okay, deve fare il punto della situazione. Fa una scaletta mentale.

  1. Non si è portato alcun dannato portatile dietro, visto che voleva “scappare dal mondo” per un po'. Coglione, si dice. E se sta arrivando a biasimarsi, vuol dire che o il mondo sta per finire o che si trova davvero nei fottuti guai.

  2. Prima o poi, qualcuno chiamerà al suo numero, che sia Shannon o Emma o la biondina di due giorni fa di cui non ricorda il nome e che ha cacciato dal suo letto la mattina dopo aver passato una notte per niente memorabile (anzi, onestamente avrebbe una gran voglia di dimenticarla). Biondina che, per inciso, ha dimenticato le sue mutandine nella sua camera d'albergo – e non è nemmeno la prima, eh. Proprio non capiscono che al massimo accetta il latex, non il pizzo. Il pizzo, detto papale papale, gli prude. Non ha voglia di riportare alla mente come fa a sapere che il pizzo prude. Lo sa e basta. Che sia valutata come verità assoluta, okay?

  3. Se dovessero chiamare a vuoto, qualcuno prima o poi si preoccuperà. A meno che non chiami la biondina del punto 2). È abbastanza certo che lei vorrebbe volerlo morto. O peggio, evirato.

    3b. A tal proposito, almeno in tutto ciò Satan è salvo. Non c'entra molto, ma sapere di avere comunque ancora un paio di palle lo rincuora sempre. È un maschio, che ci può fare? Il trauma dell'Attentatrice durante un vecchio live di Buddha for Mary, con tanto di microfonata finale per salvare i suoi Regali Gioielli di Famiglia ed evitare di diventare una voce bianca, lo ha traumatizzato a vita.

  4. Se invece lei dovesse rispondere, nutre la speranza che spiegherà loro la situazione. E lo contatterà. Ovviamente non sarà certo lui a contattarla, visto che è stata lei a combinare tutto il disastro.

  5. Il punto 4), ripensa Jared, vale solo se non si fa viva entro – diciamo – mezzora. In tal caso, considererà il suo Berry come disperso e trarrà la conclusione che non ha intenzione di ridarglielo.

  6. Conseguenza del punto 5): scorrerà del sangue.

  7. Non pensare a ciò che contiene la memoria, non pensare a ciò che contiene la memoria, non pensare a ciò che contiene la memoria.

  8. A proposito della memoria del cellulare. Jared ha un ulteriore brivido al pensiero delle foto delle tette – e non solo – di Scarlett che vengono divulgate su internet. Rapidi flash di manette, pinze per i capezzoli, fruste e bende gli guizzano davanti agli occhi.

  9. Immediata conseguenza del punto 8): la ragazza dovrà entrare nel mercato nero del sesso per pagare le spese legali che dovrà sostenere in questo caso, perché le farà causa. Una causa che farebbe sembrare quella della EMI una tranquilla partitina a bocce.

  10. Immediata conseguenza del punto 9): indipendentemente dal risultato della causa, che comunque vincerebbe perché è Jared Leto e in quanto tale lui può tutto (un coro gospel di “amen” risuona dal basso della sua coscienza), se quella Pazza Imbranata dovesse diffondere i suoi messaggi o le sue foto private, nessun posto sulla Terra o nell'intero fottuto universo sarà abbastanza lontano dalle sue mani smaltate.

Il suo flusso di coscienza viene interrotto da un nuovo squillo del suo cellulare. Di nuovo furioso, guardò lo schermo, sperando fosse il suo numero.

Ovviamente no.

Sullo schermo c'è scritto: “Anna”.

Risponde e avvicina il cellulare all'orecchio, ma prima che possa parlare l'ennesima voce femminile urlante in una lingua non ben definita – quello non è italiano – lo tramortisce.

« EmmaporcaputtanaElena! » strilla la voce. « Dove straminchia sei? Ti aspettavo ore fa, non so se ti rendi conto del numero di marocchini ammiccanti che mi è passato davanti! Porcalammerda, oh, facessi colpo almeno su qualche francese figo! »

Jared comincia seriamente a rivalutare la sua vita. Non è possibile che finisca sempre col conoscere delle pazze psicopatiche al posto di donne normali.

Con alcune si è addirittura fidanzato.

Rabbrividisce.

Mai, mai più.

« Well shit » risponde Jared a denti stretti, « hello there you damn psychopath. Nice to hear you, too, even though I don't have a fucking clue of who you are. »

Be', cazzo, ciao a te, dannata psicopatica. È carino sentirti, anche se non ho una fottuta idea di chi tu sia.

C'è un momento di silenzio.

Poi la voce prorompe, in un canto idilliaco: « E tu cu spacchiu sii? ».

No, si dice Jared. Quello non ha affatto l'aria di essere italiano. La cadenza gli ricorda vagamente alcuni dei personaggi del Padrino, in realtà. Aggrotta le sopracciglia.

« Are you Sicilian or something? »

Sei siciliana o qualcosa del genere?

La ragazza sembra capire che lui non comprende la sua lingua – o qualunque tipo di linguaggio sia quell'associazione di acuti e grugniti incomprensibili, quindi, finalmente, prende la decisione migliore della giornata: parlare in inglese. « Yes. Where's Elena? Who are you? Where is she? »

Sembra davvero una del Padrino. Ha quasi la tentazione di dirle che le farà un offerta che non potrà rifiutare.

« She's got my BlackBerry by accident » spiega Jared, sollevato che finalmente qualcuno lo capisca. « I've got hers, too, as you can see. I dunno where she is right now – but I want my BB back. As soon as possible, or all of this could get much worse that it already is. »

Ha preso il mio BB per sbaglio. Io ho il suo, pure, come puoi vedere. Non so dove sia – ma voglio indietro il mio BB il prima possibile, o tutto questo potrebbe diventare peggio di quanto già non sia.

C'è un secondo di silenzio.

Poi un altro.

Poi un altro ancora.

Jared comincia ad essere preoccupato, detto onestamente. Controlla che la chiamata sia ancora attiva, poi fa: « You there? ».

Ci sei?

« E la porca puttana di tua madre. Non c'ho capito un cazzo. Voi americani, manco se aveste una fiamma ossidrica sul culo. »

« What? »

« Eh, uòt uòt. La mannaggia miseria di tua sorella, ecco che uòt. Siete peggio dei francesi. »

Jared continua a non capire ciò che sta dicendo, ovviamente. Le prese per il culo, però, volenti o nolenti sono internazionali. E lui non è scemo.

Non così tanto, perlomeno.

« Now you fucking listen to me » dice ancora, con voce ferma.

Adesso tu mi ascolti, cazzo.

« Eh. Yes. Tell me, signoria sua illustrissima » fa la ragazza, sensibilmente seccata. « Fucking freacking fuck fuck, come dite voi americani. T'ascolto. »

« Fine » dice ancora Jared, e si decide a svelarsi. « I'm Jared Leto. »

« Jared Leto? The singer? »

« Yeah. That's me. »

Sì, sono io.

Sente il suono di una mano che viene schiaffata violentemente sa qualche parte – probabilmente la faccia della sua interlocutrice. « Minchia, pure mitomane. »

« Could you please just speak English? »

Potresti per favore parlare inglese?

« Could you please just imparare l'italiano, razza di rincoglionito? » fa quella, urlando. Jared non ne è sicuro, ma “reenkoyonitoh” non gli pare proprio un fior fiore di complimento. « If you're Jared Leto, then I'm Scarlett Johansson. »

« What a funny choice of metaphors » commenta Jared, alzando gli occhi al cielo. « You could easily be tho. Last time we were together she was screaming the shit out of her. It must be a curse or something. »

Che divertente scelta di metafore. Comunque potresti facilmente esserlo. L'ultima volta che siamo stati insieme lei stata urlando da far schifo. Dev'essere una maledizione o qualcosa del genere.

In effetti, lui le ragazze le fa urlare tutte.

In un modo o nell'altro.

« Minchia, e di nuovo » fa la ragazza. « Ma quando voi americani parlate tra di voi vi capite davvero o vi esprimete a gesti? »

« Oh. Fuck it. I'm not doing this. »

Oh, vaffanculo. Non ho intenzione di continuare.

« Where is Elena? What are you doing with her phone? » dice lei con un forte accento italiano.

Adesso Jared non ci vede più. E boom, scoppia. Dov'è lei? Cosa sta facendo lui con il suo cellulare?

« I DON'T FUCKING KNOW! » urla. Un paio di passanti sobbalzano, spaventati, e sgambettano via dopo avergli lanciato occhiate atterrite. « Argh, bloody hell – Not only did I get my beloved Berry soaking wet – which is a motherfucking outrage against God and the whole Earth and against myself in particular – my dear, beloved, precious BlackBerry, I'm the one who's blamed, too. Can you fucking believe it? I just wanted a damned vacation on my own, and then BANG, that vile excuse for a girl just messed everything up. This is even much worse than a bad blow... »

NON LO SO, CAZZO! Argh, dannazione – non solo il mio amato BlackBerry viene inzuppato d'acqua – cosa che è un fottuto attentato contro Dio e contro la terra tutta e contro di me in particolare – il mio caro, amato, prezioso BlackBerry, ma io sono pure quello che viene incolpato! Ci puoi credere, cazzo? Volevo solo una fottuta vacanza da solo, e poi BANG, quella vile imitazione di una ragazza ha rovinato tutto. Tutto questo è molto peggio persino di un cattivo pomp...

Continua così per altri trenta secondi, poi si rende conto di una cosa.

Il tu-tu-tu-tu di una chiamata chiusa.

 

Jared Leto questo giorno prende tre decisioni.

Decisione numero uno. Dovesse riuscire a riprendere il suo BlackBerry, prenderà delle lezioni di lingua straniera e smetterà di fingere di sapere il francese.

Decisione numero due. La sua prossima ragazza sarà una sordomuta.

Decisione numero tre. Deve cancellare le dannate tette della Johansson dal suo cellulare.

Però prima le riguarderà un'altra volta.

Certe cose sono difficili da cancellare.

 

 

Note dell'autrice: sto male mentalmente. Si vede?

Ah, “cu spacchiu sii?” significa “chi cazzo sei?” in siciliano. Spacchiu, ho scoperto, sarebbe il liquido seminale maschile. Ehm.

Spero che abbiate apprezzato un Jared un tantino schizzato. Le domande sono: riuscirò il poveraccio a cancellare le foto della Johansson? A riottenere il cellulare? Com'è che finisce a letto con la nostra protagonista? E Shannon, come la prenderà questa storia? E la mamma e l'amica della nostra Elena? E quand'è che l'autrice se ne va a quel paese?

To be continued.

Un bacio sul naso,

Carme.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4, ovvero: come NON prendere in mano la situazione con un Leto arrabbiato. In tutti i sensi. ***


CAPITOLO 4, ovvero:

“Come (non) prendere in mano la situazione con un Leto arrabbiato.

In tutti i sensi.”

 

« Quindi, se ho capito, sei scappata via col cellulare di mio fratello che non sapevi fosse il cellulare di mio fratello per poi scoprire che è effettivamente il cellulare di mio fratello mentre lui è rimasto lì col tuo cellulare che in realtà lui credeva fosse il suo perché tu avevi preso l'altro ma che in realtà è tuo? »

« Eh? »

La conversazione al telefono tra me e Shannon procede come la sottoscritta durante i mille metri a Educazione Fisica.

Okay, forse un po' meglio di me durante i mille metri.

Io non procedo proprio, ecco. Piuttosto, “corro” (cioè mi trascino in avanti come lo zombie di un B-movie) incespicando qua e là, arrivando a metà del primo giro col fiatone e gli occhi arrossati allucinati d'un drogato in crisi d'astinenza d'eroina e finisco gloriosamente il percorso crollando a terra e chiedendo dello zucchero.

In endovena.

Invece no. La conversazione tra me e Shannon procede. A rilento, sì, ma procede. Certo, il suo inglese un po' – ehm – tanto – ahm – personalizzato mi rende difficile la comprensione piena di alcuni passaggi delle sue frasi, e ad un certo punto anziché “e per l'autografo gli hai dato un po' di carta?” ho capito “e per l'autografo gli hai dato un po' di merda?” e c'è stato in imbarazzante minuto di silenzio denso di significati (ovvero denso di “mi sa che hai frainteso” e “ma cosa cazzo blateri” e “mi dovrebbero pagare per questo”) dopo che gli ho chiesto perché avrei dovuto dare un pezzo di merda a Jared per l'autografo. Poi Shannon ha scandito: “I said sheet, not shit”e ho pensato al modo più veloce per suicidarmi con la biro.

La mia Coscienza dice che puntare alla giugulare funziona.

Penso che lo scoprirò a breve.

« Ho detto... »

« Shannon, no. No. Un altro di quei periodi infiniti e mi lancio in mare. Ti basti sapere che a conto i fatti io ho il suo cellulare e lui il mio. »

Shannon rimane in un silenzio cogitabondo un paio di secondi, poi replica, un po' preoccupato: « È ancora integro? ».

Sussurro: « Aspetta ».

Allontano il cellulare dall'orecchio, lo squadro, lo rigiro, controllo ogni millimetro della superficie scura. Ha qualche graffio qua e là, in effetti.

Più o meno come me quando cadrò nelle mani smaltate di Jared.

Una parte di me (quella a Sud dell'equatore) ulula: “Dov'è che si mette la firma?”.

Mi sbatto una mano sulla fronte.

E io che avrei sempre voluto finire sotto le mani di Jared (un brivido mi scorre lungo la spina dorsale, dalla cervicale alla zona lombare, e poi a luoghi che è educato non menzionare in questo preciso istante).

« Tutto apposto, Shannon. Voglio dire. Non mi ucciderà per dei graffietti sullo schermo, no? »

« Sul necrologio vuoi “la nostra adorata Elena” o “la nostra amata Elena”? »

« Non fare il melodrammatico... »

« Finché non conosci Jared tu non conosci il melodramma, ragazza mia. L'ultima volta che qualcuno ha scherzato di lanciargli Berry in piscina ha urlato una bestemmia impronunciabile e ha buttato quella persona in piscina. Tenendole la testa sott'acqua. Povero Babu. »

Ho l'immagine mentale di Jared che, di fronte al suo cellulare in pericolo, lancia un urlo ad ultrasuoni da Maria Callas d'America, sbraita qualche bestemmia in aramaico antico e per difendere il suo tesoro si lancia a pesce sul povero Robert tentando d'ammazzarlo.

Devo allontanarmi dalla spiaggia.

« Be', oddio. Basta correre veloce. »

« Jared correrà più veloce, ti acciufferà e ti farà passare il quarto d'ora peggiore della tua esistenza. »

Ora, non per lamentarmi, ma non è esattamente così che avevo immaginato il mio “quarto d'ora con Jared”. Punto primo, non era un quarto d'ora: diciamo quarantotto ore. A porte chiuse. Sprangate. Sigillate dall'interno e insonorizzate. Poi, io era nuda. E lui pure. Oppure no. Non completamente. Diciamo che non era vitale.

Dicevamo?

« Ugh » faccio, stringendo le gambe in uno spasmo.

« Quello era un gemito o un lamento? »

« Entrambi » piagnucolo.

« Hai capito la filosofia di mio fratello. »

Mi massaggio le tempie. « Non credi che si farà spiegare la situazione? »

« Certo, ma solo dopo aver attentato alla tua sicurezza. »

Ugh.

E io che volevo che l'unica cosa a cui potesse attentare fosse la mia verginità.

Ehm.

Mi schiarisco la voce, sentendomi arrossire. « Non potresti parlargli tu? »

« … Ti ricordo che sei tu ad avere il suo cellulare, Elena. »

« Ah. Giusto. »

« Ma perché tutte voi che incontrate mio fratello vi rincoglionite? »

« Se parli di quelle con cui va a letto, mi dispiace dirlo, ma credo che la loro totale assenza di cervello sia un fattore indipendente a tuo fratello » rispondo, acida. « Per quanto mi riguarda, anche se ho solo due neuroni in croce, l'unica differenza è che non sono nemmeno andata a letto con lui. »

O non avresti nemmeno più le ovaie, oltre che i neuroni.”

« Però » fa Shannon (ma sembra divertito), « tu sì che hai autostima. »

« Come no » ribatto alzando gli occhi al cielo. « Così tanta che potrei benissimo sdraiarmi a terra e farmi calpestare. »

« Non ti assicuro che non gli piacerebbe. »

« E io non ti assicuro che mi dispiacerebbe. »

C'è un momento di silenzio dall'altra parte della cornetta, e mi porto una mano sulla bocca.

Fermi tutti.

Alt.

Zitti.

L'ho sul serio detto ad alta voce? Ho davvero partorito quelle parole? Non è l'effetto allucinogeno dell'aria glitterata di Cannes? Pulviscoli di cocaina dall'ultimo party dei VIP? No, eh?

« Cosa? » chiede Shannon, a metà fa l'incredulo e il divertito.

« Eh? Niente. »

« Mi pareva... »

« Non pare niente. Nein. Niet. Tutto quello che ha sentito è frutto della tua fantasia e io non ho mai asserito che mi farei calpestare da Jared. » Tossisco un paio di volte, poi, a mezza voce, aggiungo: « Sbattere, magari... ».

« … Hai appena detto che ti faresti sbattere o sbaglio? »

Porca merda.

E per l'ennesima volta in questa giornata mi sbatto la mano libera sulla faccia e mi mordo la lingua. Di questo passo non ci arriverò comunque integra sotto le mani di Jared. Mi ammazzerò prima, se non imparo a tenere questa dannata lingua a posto (o ad aspettare di utilizzarla al momento opportuno, per esempio con Jared, in ginocchio, in una stanza da letto).

Mimo i rumori di una linea danneggiata con la gola, a costo di raschiarmi le corde vocali. « Sbattere? Sbattere? Ho detto... » Altra serie di rumori. « Eh? Scusa – non – Shannon? Non ti sento bene. »

« Elena? Elena? »

« La linea dev'essere... » Ennesima serie di rumori molesti prodotti dalla mia gola. Tossisco, sputacchio, rievoco la voce del prozio ultracentenario attaccato alla pensione che mia madre mi ha fatto conoscere il Febbraio scorso (spera che mi lasci la sua villa in eredità, per intenderci. Quell'uomo è sopravvissuto a due infarti, un ictus e un'ulcera, e mi sembra intenzionato a lasciare questa terra quanto Jared lo sarebbe d'organizzare una cena a base di carne di maiale). Mi sento un genio del male. « ... dev'essere danneggiata. »

« Ah, sì? »

E in un momento di gloriosa soddisfazione, penso: “l'ho convinto”. Ah. Ah! Ermenegildo Pasqualina stappano una bottiglia di champagne e brindano al primo successo della mia giornata.

« Eh » dico convinta, annuendo pure. « Dannate compagnie telefoniche. »

C'è un attimo di elettrico silenzio. Riesco a sentire, di sottofondo, la tipica musica al cardiopalma tipica dei film thriller, quella del momento prima dello spuntare improvviso dell'assassino, del serial killer, del demone assettato di vergini (Shannon, in questo caso), quella che ti fa imperlare la fronte di sudore e ti fa irrigidire sul divano.

« E mi spieghi come fa ad essere danneggiata se ho chiamato il numero con Viber? »

E che cazzo.

Posso, per un solo, misero giorno, non fare una figura di merda ogni dieci minuti? Tu che sei lassù, Re Kaioh, Gesù, Buddha, Tomo o chi per voi, non potete essere un tantinello più – ecco – compassionevoli?

Pensa velocemente, Elena, pensa velocemente.

« È un mistero. Hai presente Lourdes? »

“Lourdes?” esclama la mia Coscienza, allargando le braccia.

« Cosa c'entra Lourdes? »

Appunto. Cosa c'entra Lourdes?

Posso chiedere l'aiuto del pubblico?

Perché mi vado a impelagare sempre in queste situazioni?

« È la religione. Se fossi cattolica ti direi che c'entra sempre. »

« Sei cattolica? » domanda Shannon, scettico.

« No. »

« E allora? »

« Parlavo per ipotesi. »

« Io... credo di aver perso il filo » borbotta Shannon. « Cielo, tu sì che sei strana. »

« Io sono strana? » sbotto, sbuffando. « Shannon, hai comprato una scimmia e l'hai chiamata Rippley! »

« Non mettere in mezzo la mia scimmia! » risponde quello, oltraggiato.

E la tua anaconda?

Quella possiamo?

« Io non ho un'anacon... » comincia a rispondere Shannon. Poi la voce si affievolisce, rimane in silenzio e fa: « … Oh ».

Perché mi sento come se l'intera Cannes mi stesse osservando? Oh, be', poco male. Certo, le sopracciglia di quella vecchietta lì in fondo alla strada, noto con la coda dell'occhio, sono così inarcate che probabilmente tra poco raggiungeranno l'attaccatura dei capelli. Poco male. Forse non le capita di vedere tutti i giorni qualcuno sbattere ripetutamente la fronte contro un muro. O sì?

Quanto ci colpi ci vogliono per avere una commozione cerebrale?

Se è Jared che te li sta dando, ne basta uno.

Per un attimo ridacchio, rincoglionita dalle testate al muro e persa nel languore delle mie fantasie sessuali.

Se non gli torni il cellulare, una botta te la dà in testa. Con una mazza.”

Sto per pensare “basta che sia la sua”, ma blocco il pensiero e per sicurezza do un'altra testata al muro. Piano, questa volta. Per promemoria. La vecchietta di prima, il viso che è una maschera a metà tra Moira Orfei e Marilyn Manson, mi guarda strano, a metà fra l'allibito e il preoccupato, scuote la testa e si allontana velocemente, ciabattando.

Devo smetterla di avere conversazioni interne tra me, la mia Gina e la mia Coscienza.

Non va bene.

« Shannon, per favore, quando sparo queste cazzate ignorami, va bene? »

Lui ridacchia. « Va bene. Giuro, se potessi metterei una buona parola per te e chiederei a mio fratello di risparmiarti. Sei la ragazza più assurda con cui abbia mai parlato, però non sei male. »

Eh. Peccato che suo fratello mi farà fuori entro la giornata.

A proposito...

Mi rendo conto che il sole sta tramontando. Da qui non riesco a vedere il mare, ma solamente case che si aggiungono ad altre case che si aggiungono ad altre case e poi a negozi in cui vengono cose che potrei pagare solo facendo un mutuo o prostituendomi. Dopo aver perso all'incirca venti chili, ovviamente. Sospiro e mi massaggio la testa (l'effetto delle testate continua a farsi sentire), cominciando a sentire un lieve senso di disperazione pervadermi il petto.

Avrà già chiamato mia madre?

Mi irrigidisco, agghiacciata. E se ha chiamato, ha risposto Jared?

Non posso cominciare a fasciarmi la testa fin da ora. Magari è andata bene. Magari mia madre non ha già allertato polizia, esercito, protezione civile, NAS, CIA e Scotland Yard perché un individuo losco dagli acuti facili e dall'inglese volgare ha risposto al cellulare di sua figlia al posto di sua figlia. Magari non ha dato di matto.

E mio padre. Se ha chiamato mio padre?

Prendo un respiro profondo, cercando di non farmi prendere dal panico. Calma: non può aver chiamato mio padre. Mio padre è quello che, quando il cellulare o qualsiasi altro apparecchio elettronico è scarico, lo sbatte contro qualsiasi superficie rigida credendo che così funzioni per ricaricarlo. Mio padre non scrive messaggi, compone messaggi criptati perché non ha ben capito il funzionamento del T9. Mio padre non sa usare la tecnologia.

Devo riavere il mio cellulare. Ora.

« … Elena? Elena? »

« Sì, ehm, scusa » rispondo, balbettando. « Ascolta, chiudo. Devo chiamare tuo fratello. Cioè, devo chiamare al mio cellulare. »

« Meglio » conviene lui. « Allora ci salutiamo. »

O meglio, io saluto questa terra.

« È stato bello parlare con te » dico, sincera. Poi aggiungo, con una smorfia: « Se non dovessi sopravvivere, fa sapere al mondo che almeno ho tenuto in mano il vero amore di tuo fratello Jared ».

Shannon sghignazza. « L'unico vero amore di mio fratello abita i suoi pantaloni. »

Come l'eroina di un film d'azione, volgo lo sguardo al cielo e stringo le labbra in un'espressione decisa (sono sicura che se non avessi lo charme di un'anatra obesa potrei quasi sembrare affascinante, in questo momento), penso: Un giorno, Shannon. Un giorno.

 

*

 

All'incirca quattordici minuti e ventidue secondi fa (all'incirca, eh, perché ovviamente Jared non sta contando i secondi e i minuti con sguardo allucinato, insomma, è un valore abbastanza approssimativo), Jared ha poggiato il Blackberry dell'Indemoniata sopra il tavolino della sua suite presidenziale della modica cifra di cinquemila virgola novantanove centesimi a notte. Si è seduto sul pregiatissimo divano in pelle (valore commerciale: all'incirca millenovecentonovantanove virgola novanta centesimi), ha poggiato i gomiti sulle ginocchia e il volto sulle sue mani chiuse a pugno. E ha cominciato ad aspettare. Il primo minuto, tutto okay. Il secondo, il primo pelo vicino all'incavo del gomito del braccio sinistro ha cominciato a rizzarsi. Il terzo, ha cominciato a battere i secondi col piede.

Adesso, quattordici minuti dopo, Jared sta oscillando avanti a indietro fissando il cellulare come se da un momento all'altro possa trasformarsi in una delle sue ex. Fissa il cellulare come farebbe con Colin Farrell se lui fosse a gattoni e l'irlandese dietro di lui. Terrorizzato.

E preparato al dolore.

Dolore perché non sente Berry nelle sue mani da troppo tempo. Non ha nemmeno, tragedia!, Emma da maltrattare chiedendole cazzi a destra e a manca per sfogarsi o una sottomessa qualsiasi da prendere a cinghiate per scaricare la tensione. O quella ragazzina da prendere a cinghiate, per quel che gliene importa.

Dev'essere successo qualcosa a Berry.

Jared può sentirlo.

Non vuole nemmeno andare a controllare su internet se le foto delle tette di Scarlett stanno già facendo il giro del web, senza contare quelle dell'amica dei Paesi Bassi di Annabelle, il sedere di Chloé, i piedi di Katiusha e il collare di pelle di Tanya.

Mannaggia.

Nell'arco di questi – ormai quindici – minuti, quel dannato cellulare ha ricevuto altre tre chiamate. Jared, per il sì e per il no, ha risposto a tutte, col risultato che ovviamente né lui né i suoi interlocutori all'altro capo del telefono hanno saputo portare avanti una conversazione che andasse oltre i due minuti e il vaffanculo finale di Mr Non C'Ho La Pazienza Leto.

La prima era di nuovo l'Amica Pazza dell'Indemoniata. Jared ormai sospetta che siano in realtà scappate da una cosa di cura, e mira a denunciare a Sarkozy il problema della sicurezza degli ospedali psichiatrici.

La seconda chiamata era sicuramente un'altra amica della pazza. Jared non ne è sicuro, ma teme che questa abbia frainteso la situazione. Oltre ad aver afferrato, tra gli urletti orgasmici, il nome dell'Indemoniata Assassina di Blackberry, tutto quello che è riuscito a carpire è stato uno stridulo: “Oh deeow! Quee thee stay skoopando, Elena? Spowrkacchona! Eh ingleaseh?”, poi si è egregiamente scartavetrato l'apparato genitale e con l'udito quasi andato a causa degli ultrasuoni emessi dalla Scimmia Urlatrice, ha sibilato un: “Non mi avrete, razza di pazze sfuggite a un manicomio!” e ha chiuso la chiamata. Punto.

La terza telefonata, invece, era da parte di un uomo. Però sembrava fosse troppo divertito che avesse risposto lui per essere il padre della ragazzina. Insomma, se lui chiamasse sua figlia (se avesse una figlia, e a quanto ne sa non ne ha) e rispondesse un uomo straniero al telefono, ecco, entrerebbe un filino nel panico. O comunque la sua voce suonerebbe come quella di un serial killer davanti alla sua vittima. O di lui davanti alla fila infinita dall'estetista. E invece no, quello ridacchiava. Boh. Ha chiuso la chiamata perché a forza di sentire il tono sornione e le risate dello Sconosciuto cominciava, a dirla tutta, a sentirsi un po' a disagio.

E insomma. Il cellulare sul tavolino adesso ha un'aria vagamente inquietante. Guardando fuori dalla finestra, vede che è già praticamente quasi buio. Gli si stringe il cuore a sapere Berry lì da solo, spaventato, preso in ostaggio, le tette di Scarlett con lui. Si mangerebbe le unghie, se solo non ci avesse speso trentacinque euro e quattordici centesimi + la visione gratis della procace procace scollatura dell'estetista.

Poi, sente un ronzio familiare.

Il cellulare della Pazza ha ricominciato a vibrare. Il nostro eroe espira seccamente dal naso, assottiglia gli occhi e allunga il collo, domandandosi, tra sé e sé, se il caso di prepararsi all'ennesimo esemplare di italiano impazzito della serata.

Ma quello che vede, quella serie di numeretti, quella splendida, perfetta sequenza di cifre... è il suo numero.

Jared praticamente se ne viene nei pantaloni.

Ululando un euforico “Berry è viiiiiiivo!”, scatta in piedi, quasi si lancia sul tavolino, prende il cellulare e accetta la chiamata. Si ripropone di essere diplomatico e calmo e di non suonare troppo intimidatorio.

« Ti consiglio di scappare in Cambogia. »

Forse è stato troppo intimidatorio – sente la ragazza squittire. Ma a lui questo piace.

Srride coome il Cristo Redentore, si lascia cadere sul divano con la delicatezza di una ballerina di danza classica (tanto il peso è più o meno quello), accavalla le gambe e modula la voce: « Non voglio spaventarti » sussurra, tutto uno zucchero. « Ma se non vieni immediatamente a ridarmi il mio cellulare, ti faccio una causa che manderà la tua famiglia in bancarotta per almeno due generazioni dopo di te. »

 

*

 

Ma no. Perché mai dovrei essere spaventata? Insomma, ho Jared Leto al telefono, che è in teoria è praticamente il sogno di tre quarti delle Echelon di questo mondo, e mi sta solo minacciando di far partire una denuncia tale che per pagare le spese legali dovrò andare a fare la battona nella Salerno Reggio Calabria da qui all'età della pensione. Se mi va bene e non dovrò immettermi nel mercato nero degli organi.

Ugh.

Prendo un respiro profondo. « Dove sei? »

« Al Carlton. »

Spalanco la bocca. « Al... al.. al Carlton? »

« È un hotel. Sai, nei paesi civilizzati gli hotel sono dei posti in cui la gente alloggia in modo temporaneo magari quando sono in vacanza. »

Jared modalità Alberto Angela.

Se non mi stesse facendo incazzare come una bestia lo troverei pure arrapante, sapete.

La novità sarà il giorno in cui non troverai in lui qualcosa di arrapante.”

« Io vengo da un paese civilizzato. »

« Quindi tu sei l'unica siciliana incapace di relazionarsi in modo sano col prossimo e che sembra scappata da un circo? »

« Sì! » Alzo gli occhi al cielo. « Cioè, insomma, voglio dire – io sono civilizzata! »

« Ma dai? »

« E poi parli tu! Hai preso a microfonate una ragazza durante un live di Buddha for Mary, lanci occhiate di fuoco ad ogni essere femminile con dei pelucchi biondi in testa basta che respiri e mi vieni a parlare di relazionarsi in modo sano col prossimo? »

Così non va. Così non va proprio. In mezza giornata sono riuscita a incontrare il mio idolo e a passare da “chissà se ci finisco a letto” a “chissà se ci finisco in tribunale”. E non sono nemmeno passate due ore.

Datemi ventiquattro ore e se continuo con l'andamento surreale di questa giornata finirò col riuscire a rendere Jareda addirittura virile.

« Per tua informazione, ragazzina, io non sono fan della politica “basta che respiri” » risponde, secco. « Io trovo anche altre qualità in una donna. »

« La taglia di reggiseno non conta » sbotto, acida.

« Intendevo il cervello. »

« E di solito il cervello lo cerchi nella cervice? Col pene? »

Oh, mio dio. Oh. Mio. Dio. Non ho appena detto la parola pene in una conversazione, non ad alta voce, vero? Non l'ho fatto, giusto?

« Non nominare il nome di dio invano » risponde.

Certo che se riesce a fare dello spirito forse non è così infuriato, penso mio malgrado, speranzosa. La parte più bassa e profonda di me, di nuovo, ha un movimento inconsulto al pensiero delle parti inferiori di Mr Leto e io, senza volerlo, stringo le gambe.

Non pensare che hai Sesso Leto al telefono, non pensare che hai Sesso Leto al telefono.

E che vorresti averlo da tutt'altra parte.”

Coscienza, no.

« Divertente » commento, con aria di sufficienza.

Jared fa un verso esasperato. « Tu hai il mio cellulare ormai da mezzo pomeriggio, io rischio che le mie foto private vengano sbandierate al mondo intero, io sono l'evidente vittima di un palese problema di malasanità francese e di mancanza di fondi ai reparti psichiatrici degli ospedali, e tu hai il coraggio di incazzarti? »

« Be', sì, se tu mi insulti! »

« Nemmeno ti avessi dato della troia » lo sento borbottare.

« Quello dipende dal contesto. »

Oh dio.

Dio.

Dio.

Cos'ho appena detto?

« Che hai detto? » chiede Jared, in tono vagamente stupito.

Eh, appunto, che cazzo ho detto?

« Niente » rispondo velocemente. « Adesso torniamo al punto in cui eri incazzato con me e dimentichiamo la mia uscita infelice? »

E poi qualcuno mi presta gentilmente una vanga, così posso finalmente scavarmi la fossa?

Comincio a camminare velocemente, in direzione del punto in cui – per quanto mi ricordo – c'è il Carlton, ma ormai è buio e mi ritrovo a pensare che non ci arriverò mai, per quanto veloce possa camminare – che nel mio caso, purtroppo, significa “spaventosamente lento”. Ormai la gente sta tornando a casa e a me sta venendo un attacco di panico perché non ho modo di contattare nessuno e avvertire che arriverò in ritardo.

O, se finisco sotto le mani di Jared, che non arriverò proprio.

« Guarda guarda » sghignazza. « Abbiamo una sporcacciona, qui. »

« Smettila » sibilo.

« Non mi piace ricevere ordini, ragazzina. Mi piace darli. »

E allora penso che, se tanto mi dà tanto, tanto vale finirla in bellezza.

« Fammi riformulare: per favore, smettila, Master. »

Sento Jared trattenere il respiro, poi ridere piano.

Ridere?

Sta ridendo?

Vuol dire che non mi ucciderà?

« Ehi, stai ridendo. Vuol dire che mi perdoni per aver rovesciato l'acqua sul tuo cellulare, averlo scambiato col mio e averlo tenuto involontariamente in ostaggio? » domando, speranzosa, accelerando il passo.

Sbuco nella Croisette, ormai illuminata a sera. Cammino più veloce, alla mia destra il mare placido che bagna le spiagge private degli hotel che si affacciano qui, davanti a questo panorama da cartolina, alla mia sinistra le macchine che sfrecciano su una delle strade più costose di Francia.

« Certo che no » risponde lui, smontandomi subito. « Se ti avessi qui in questo momento, giuro che ti legherei con lo scotch e te ne darei fino a renderti incapace di camminare diritta. »

Mi blocco un secondo.

Dannazione.

Ho le gambe molli.

Non credo che potrei essere più bagnata di così anche se mi buttassi in acqua con tutti i vestiti.

« Ah, sì? » chiedo, in un pigolio.

« Ovviamente. Adesso non stare lì a gingillarti e vieni immediatamente. »

Ugh.

« Già fatto » ansimo, senza voce.

 

Ma mentre Jared risponde qualcosa di spaventosamente osceno e che suona come una minaccia – qualcosa a proposito del mio sedere e di quello che ne farà se non mi sbrigo a raggiungerlo al Carlton – mi sento tirare da dietro.

In un momento di panico, penso solo: “un maniaco sessuale”.

La mia vita è finita.

Lancio un urlo acutissimo, comincio a dibattermi, mi giro di scatto, smollo una sberla in faccia all'Aggressore Anonimo e senza nemmeno guardarlo faccio per scappare via, quando mi sento chiamare a gran voce e la stessa mano di prima riacciuffarmi.

E ovviamente inciampo.

Perché non sono nemmeno capace di salvarmi la vita.

« ELENA! ELENA, DANNAZIONE, FERMA! Oddio, stai bene? »

Ansimante, il telefono di Jared per terra (però intero, grazie a Dio), quello lì che ancora mi chiama e in un inglese inframmezzato da “fucking” vari, mi metto seduta e... e...

E scopro che l'Aggressore Anonimo è la mia migliore amica.

Dietro di lei, a qualche metro da noi, c'è tutto quanto il mio gruppo.

E il mio professore. Che mi osserva, sospettoso, assottigliando lo sguardo e occhieggiando al cellulare come se fosse una pistola carica.

Come quella che avrà Jared in mano,” commenta mia Coscienza, “quando non ti vedrà arrivare stasera.”

« Tu devi spiegarmi un paio di cose » dice Anna, incrociando le braccia.

La voce di Jared si spegne nella notte.

« Ehm » faccio, tentando un sorriso. « Ti ho mai raccontato della storia del Blackberry Maschio e del Blackberry femmina che si incontrano in un bar? »

 

 

  1. Ritardo terribile.

  2. Il capitolo fa schifo.

  3. Bleah.

Non ho nemmeno il coraggio di chiedervi un commento, non mi piace per niente. Niente niente. Va be'. Spero che a voi non faccia troppo schifo (ci spero poco).

Un bacio grande.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5, ovvero: “Sarebbero state meglio le chiamate da uno sconosciuto”. ***


CAPITOLO 5, ovvero:

“Sarebbero state meglio le chiamate da uno sconosciuto”

 

Be', pensandoci bene, andando proprio a fondo della questione, tutte le più belle storie d'amore non sono iniziate sotto i migliori auspici: Rose stava per suicidarsi, Harry per uccidere Draco, Edward considerava Bella come un dessert e a me una volta non piaceva la Nutella.

Peccato, certo, che poi Jack sia morto, la Drarry non sia diventata canon, Twilight faccia schifo e che io a dodici anni avessi già raggiunto la massa corporea di Plutone.

(La Drarry non è diventata canon, capito? J.K. Rowling, questa me la legherò al dito per la vita.)

(Sempre che Jared Leto non mi faccia fuori nelle prossime ventiquattro ore, s'intende. In questo caso, “per la vita” è sinonimo di “per le ore che mi rimangono”; ma sarà comunque un risentimento molto, molto, molto acceso, Rowling, te lo assicuro.)

Posso sempre sperare che questa sia la tradizionale eccezione che conferma la regola e che la “nostra storia” – immaginate una risata sarcastica di sottofondo condita con un «ti piacerebbe», grazie – non finisca con un corpo (il mio) ritrovato a pezzi (ovviamente piccolissimi e sporchi di smalto azzurro) in un bagno pubblico di Cannes. Che, devo ammetterlo, sarebbe comunque un dignitoso posto per lasciare questa terra, dato che profumano meglio dei bagni della mia scuola e luccicano come fossero rivestiti di diamanti. Se non fosse che io non vorrei lasciare questa terra entro i prossimi settant'anni.

Sì, be'. Come dicevo, c'è una piccolissima, remota possibilità che tutto si risolva per il meglio, che magari Jared decida che non devo morire e che io non debba andare a fare la coltivatrice di banane in Sudamerica cambiando il mio nome il Julio Ricardo Montoya de la Rosa Ramirez per salvarmi il culo.

Ma devo anche considerare la verità universale che, nella vita, non si può avere sempre ciò che si vuole, giusto? Giusto.

Con fare volutamente drammatico, dunque, sospiro e comincio a scrivere:

 

Ultime Volontà di Elena C.

È con immenso rammarico che, prima di lasciare questa terra, e non di mia volontà, lascio così i miei pochi averi ed esprimo, con le seguenti parole, le mie ultime volontà (professoressa di italiano, se legge, perdoni l'anafora).

  1. Il mio gatto nero, Tristo Mietitore detto Tristo o Mieti, alla mia zia gattara di Romagna, cosicché mia madre non lo avveleni nel sonno per non trovare più palle di pelo nel lavabo.

  1. Il mio cartellone pubblicitario di Orlando Bloom alla mia migliore amica, Anna, per allietare le sue altrimenti notti solitarie in compagna di una vaschetta di gelato e, spero, il mio ricordo.

  1. Il mio cartellone di Jared Leto... no, fermi. Questo lo voglio con me.

  1. I miei cofanetti di Elisa di Rivombrosa dovranno essere bruciati all'aria aperta perché di certe cose è meglio non avere le prove.

  1. Le mie adorate mutande con le mucche dovranno invece essere oggetto di una messa nera per vedere così se, come dice la già citata Anna, è vero che sarebbero capaci di spaventare pure Satana...

 

« Elena » dice Anna dietro di me, « che minchia stai facendo? »

« Non è ovvio? » rispondo, puntando il naso all'insù. « io impiego bene il mio tempo. »

Anna si siede accanto a me, appoggia il gomito sul tavolo in legno, la testa sul pugno chiuso e mi fissa a metà tra l'impietosito e il demoralizzato. Sembra Maddalena Penitente. « Quindi mi spieghi perché stai scrivendo le tue ultime volontà? Ah » aggiunge, facendo un impercettibile cenno al foglio col mento, « io voglio Jared, non Orlando. »

« Jared me lo porto io nella tomba, okay? » sbotto, seccata.

E che cazzo. Se non posso averlo nella vita, lo voglio nell'aldilà. E almeno un cartellone non può strangolarmi.

« Secondo me il cartellone te lo bloccano alla dogana. »

Aggrotto la fronte, perplessa. « Il Paradiso ha una dogana? »

« Ah-ah-ah » esclama lei, facendo un gesto di noncuranza con la mano. « Perché, tu pensi di finire in Paradiso? »

Fisso in silenzio le mie ultime volontà per qualche attimo. Forse avrei dovuto imprecare un po' di meno, in vita mia. E non fare sconcerie con Pipino e Pipina, il mio indice e il mio medio della mano destra. La gola è mica uno dei sette peccati capitali? Assieme all'accidia? Mi gratto la nuca con la penna. Considerando che d'estate mi alzo dal letto per inabissarmi sul divano...

Chissà se il pentimento funziona.

Quindi, per il sì e per il no, aggiungo velocemente un altro punto:

 

6. Seppellite un ventilatore con me.

 

« No, okay. Mi spieghi l'utilità di questa cosa? »

« Sai, a meno che Satana, Lucifero e Belzebù non abbiano deciso di installare un impianto di condizionamento dell'aria, laggù continua a fare un pelino di caldo » ribatto, sicura. « Quindi, se devo passare l'eternità tra le fiamme dell'inferno, preferisco avere qualcosa che mi faccia aria. »

« E la presa dove la attaccheresti? » mi domanda lei, con una logica ineccepibile.

Le lancio un'occhiataccia. « Lo vuoi davvero sapere o preferisci rimanere nell'ignoranza? Perché mi è appena venuta in un mente un'opzione concernente il tuo retto e la trasmissione di energia elettric— »

Lei alza entrambe le mani con fare difensivo, mostrandomene i palmi. « Okay, okay. Comunque intendevo il tuo testamento. Anche se secondo me tendi un attimino al melodramma barocco, solo senza coro e orchestra » commenta poi. « Solo un tantino, eh. »

« Tu non capisci » borbotto, lagnosa, lasciandomi cadere sul tavolo a braccia conserte. Per un attimo, però, la mia mente mi dipinge vestita con una specie di tendone color rosso porpora addosso e tre chili di stucco in faccia al posto del trucco che canto un'operetta tragica. Stonata come sono, gli spettatori si suiciderebbero nei primi dieci minuti. « Morirò. La mia vita è finita. »

Lei rotea gli occhi, come a dire “appunto”.

« Da quando ti abbiamo trovata a vagare come un beduino nel deserto per la Croisette non hai fatto che blaterare di Blackberry maschio, Blackberry femmina, morte violenta e sogni infranti. Siamo tornate a casa e ti sei infilata sotto la doccia a bocca aperta sperando così di affogare. Elena, per quanto ti voglia bene » conclude, « nell'ultima mezzora ho pensato di chiamare un ospedale psichiatrico almeno sei volta, lo sai? »

Non ha tutti i torti. Ho fatto il tragitto Cannes-casa borbottando solo di Blackberry, morte e apocalisse smaltata d'azzurro e, una volta arrivata, mi sono infilata sotto la doccia a bocca aperta sperando di affogare col getto dell'acqua. Ovviamente, non ha funzionato. Però mi è finito dello shampoo negli occhi, imprecando ovviamente in cinque lingue diverse, e quindi ho vagato per la casa con gli occhietti semichiusi e rossi degni del peggiore alcolizzato alle sei di mattina per dieci minuti, prima di sbattere la testa contro una parete, assicurare a Madame Verve che stavo bene e fustigarmi con la cintura di Hello Kitty della figlia piccola di casa. Giusto due colpi, però. Non capisco perché non la vendano nel reparto dirty birdie dei sexy shop. Quelle cazzo di orecchie pungolano forte, eh.

BDHK. Bondage, discipline, hello, kitty. Se solo avessi più di qualche ora di vita, proverei a brevettarlo.

Comunque.

« Anche se te lo dicessi, non mi crederesti. »

« Prova » fa lei.

Agguanta un biscotto che la signora ci ha lasciato prima di uscire di casa con la bambina-di-Hello-Kitty-Sadomaso e se lo porta alle labbra, mordendone un bel pezzo. Mi guarda attenta, gli occhi socchiusi. Lo sono anche i miei, ma per lo shampoo.

Alla fine sospiro e decido di sganciare la bomba. « Ho incontrato Jared Leto. »

Anna mi fissa. Continua a fissarmi. Si porta il pugno alla bocca con fare pensieroso e persiste nel fissarmi. Continua. A fissarmi. Ancora.

Non.

Sta.

Smettendo.

E non dice una parola.

Sta cominciando a diventare inquietante. Pare la Mona Lisa, però in versione scettica. Una Mona Lisa Giudice. Sento che mi sta giudicando.

Chiedo aiuto a Dio, Superman, Buddha e Morgan Freeman affinché almeno finga di credermi e non mi dichiari pronta per il reparto psichiatrico dell'ospedale più vicino.

« Hai incontrato Jared Leto »

Per fare scena, annuisco energicamente.

Ermenegildo e Pasqualina, i miei due neuroni, stanno solo aspettando lo scoppio di ilarità.

« Hai incontrato Jared Leto e sei di fronte a me adesso » risponde, cauta. Per poco, risponde la mia Coscienza limandosi le unghie. « Quindi devo supporre che lui non abbia più vestiti nella parte inferiore del suo corpo, o direttamente la parte inferiore del suo corpo. »

« Perché pensano tutti che lo stuprerei? » sbotto, rimettendomi dritta, incrociando le braccia al tetto.

« Perché basta dire il suo nome perché tu ti ritrovi con le mutandine bagnate come se fossero state lanciate contro una pompa d'acqua lasciata aperta. »

Okay, uno a zero per lei.

« Non mi credi » deduco, inarcando un sopracciglio. « Lo sapevo. »

Com'era prevedibile, nessuno lassù presta ascolto alle mie preghiere. Ehi, lì, ai piani alti? Lo so che io sarò relegata ai piani sotterranei per l'eternità, ma sarebbe carino se qualche volta riattaccaste i fili del telefono. Chiamate un elettricista, che ne so. Hai scagliato le dieci piaghe d'Egitto e non riesci a rispondere ad una chiamata?

“Probabilmente,” commenta la mia Coscienza, “ti ha inserito tra i contatti bloccati. Pronta per diventare la versione umana di un girarrosto nella tua prossima vita?”

Vorrei alzarmi buttando la sedia a terra, afferrare i biscotti in uno scatto altezzoso e andarmene con un fare superiore da Grande Nobildonna Decaduta, cioè naso all'insù e un sottile «pezzente» soffiato denti stretti dopo essermi passata stizzosamente un foulard attorno al collo, però ciò presupporrebbe :

a) il dovermi alzare e camminare invece di lasciarmi morire qui, su questo tavolo, dove tra dieci anni ritroveranno il mio scheletro in questa stessa identica posizione di oggi,

b) un passo leggiadro e regalo che non possiedo, perché conoscendomi è probabile che finirei con lo stramazzare a terra prima di essere uscita dalla stanza,

c) in generale, trovare la voglia di fare qualunque cosa che non sia autocommiserarmi perché ho incontrato il soggetto attivo – in tutti i sensi – di qualunque mia fantasia erotica e invece di trovarmi con le sue mani al collo in una fantastica dinamica serva-Padrone l'ho fatto incazzare così tanto che le mani al collo me le metterà per uccidermi.

Lo vedete anche voi, l'umorismo distorto di questo mondo?

« Vorrei crederti, sai » replica, « se non fosse che hai gli occhi arrossati di chi si è fatto un cannone e, be', se non fosse che mi hai appena detto che hai incontrato Jared Leto. Jared. Leto. Jared Ho I Capelli Rosa Ma Posso Fartelo Nero Leto. Jared Leto. »

« Senti, credimi o no, io ho incontrato Jared Leto... »

« I tuoi sogni erotici non valgono » risponde Anna, « perché se no io avrei già un harem formato, tra gli altri, da Zac Efron, Aaron Johnson e Frank Iero, inaugurando così un nuovo, felice mondo prestato alla poligamia e al sesso liber— »

Comincia ad apparirmi chiaro, forse per la prima volta in vita mia, perché siamo così amiche. Pasqualina ha l'acquolina in bocca al pensiero di un mondo in cui prosperi la poligamia e io possa avere un harem personale in cui passare da fiore in fiore. O da zucchina a zucchina che dir si voglia.

Sì, insomma.

Devo smettere di distrarmi.

Dov'ero rimasta? Ah, sì, autocommiserazione e dannazione eterna.

« Te l'avevo detto che non mi avresti creduto » mi lamento, sbattendomi entrambe le mani in faccia. « Visto che ci siamo, comunque sappi pure che ci siamo scambiati i cellulari. »

« Vi siete scambiati i numeri di cellulare? Tu e Jared Leto? AH! » esclama, fingendo di asciugarsi le lacrime per le risate. « Già, come quando io e Johnny Depp abbiamo cominciato a mandarci lettere d'amore intinte di profumo alle rose la settimana scorsa... »

Mi sento leggermente presa per il culo. Ma leggermente, eh. Giusto un pungolamento fievole che si estende per tutta l'area di quei luoghi che generalmente non espongo al grande pubblico.

(SPOILER: ricordatevi di queste parole, tra qualche capitolo.)

« Non ci siamo scambiati i numeri di cellulare » la correggo. « Ci siamo scambiati i BlackBerry. Lui ha il mio, io ho il suo. »

« Ah, certo! » fa lei. « Allora è come quando io ed Emma Watson ci siamo scambiate i reggiseni per sbaglio dopo il pigiama party a casa mia... »

« Va bene » esclamo alla fine, stufa. Prendo il Sacro Cellulare di Marylin Leto dalla tasca, ci soffio sopra per levare ogni traccia di polvere che possa essersi poggiata sopra, gli do un bacio per non farlo spaventare, gli faccio il segno della croce per togliergli ogni possibile male e lo poggio sul tavolo ignorando l'espressione a metà tra l'incredulità e la pietà di Anna, scoccandole un'occhiata scocciata. « Oggi hai provato a chiamarmi? »

Lei risponde, visibilmente di controvoglia: « Sì ».

« E chi ti ha risposto? »

Increspa le labbra. « Un tizio straniero. »

« Ah-ah. »

« Succede a tutti che le chiamate vengano trasferite all'estero, questo non significa che... »

« Chiamami adesso » la sfido. « Forza. »

Con gesti che fanno trasparire scocciatura da ogni poro, prende il suo cellulare e compone il mio numero. Umettandosi le labbra, si porta il cellulare all'orecchio e comincia ad aspettare.

Aspettiamo. Tanto, non dovevo comunque far altro che lasciarmi morire di sete, no?

Lo sento squillare pure io da qui. Tu, tu, tu.

Lei guarda il mio cellulare (il cellulare di Jared che lei crede il mio).

Il BlackBerry, come volevasi dimostrare, non accenna ad un solo segno di vita.

Guarda me.

Guarda di nuovo il mio cellulare.

Allontana il suo dall'orecchio, chiude la chiamata e rimane a fissare il vuoto per qualche secondo. Per molti secondi, a dirla tutta. Dopo un po' comincio a spaventarmi, a credere che sia morta e che questa sia solo la proiezione tridimensionale della sua anima e che il suo corpo sia già a terra.

Do una controllatina.

Eppure a terra non c'è niente.

La mia Coscienza mi sta suggerendo di suicidarmi per far finire prima le mie pene.

Pene.

Jared Leto.

Satan.

Eh-eh-eh. Lo dicevo, io che, in un modo o nell'altro eravamo destinati. Che poi il nostro “modo” sia un'eternità a rosolare sul fuoco come un involtino di carne, questo è solo un dettaglio.

“Dai un senso alla tua esistenza: infila la testa nel water e tira lo sciacquone,” borbotta la mia Coscienza. Mio dio, che Coscienza molesta che ho. Non poteva essere una Coscienza simpatica, una di quelle alla mano... gentili... pronte a dare consigli? No.

Anna non ha ancora parlato, ma mi sa se spalanca la bocca un po' più di così finisce che le si disloca la mascella. Probabilmente avevo le stessa faccia quando ho visto Jared, oggi. Prima di bagnargli il blackberry e fargli scattare un istinto omicida degno di Charles Manson, certo. Poi probabilmente ho cominciato ad assomigliare all'omino dell'urlo di Munch.

Poi, di colpo, Anna scatta in piedi, punta il dito contro il cellulare, muove le labbra come a formare una frase – anche se dalla sua bocca non esce alcun suono. Ha gli occhi spalancati, spiritati; poi si porta le mani alla faccia e comincia a saltellare di qua e di là e con un acuto da ultrasuoni esclama solo: « AAAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHH! OH MIO DIO! OH MIO DIO! ».

Be', suppongo si sia convinta, no? Questo, oppure ha la sindrome di Tourette.

« HAI-IL-CELLULARE-DI-JARED-LETO! » strilla, continuando a saltellare come un coniglio in calore. « ODDIO! IO HO PARLATO CON JARED LETO! TU HAI INCONTRATO JARED LETO! »

Forse si è fatta di anfetamine e stanno facendo effetto solo ora. Non riesco a credere che una persona possa saltellare così tanto, così veloce e non cadere a terra stremata e in un lago di sudore dopo un minuto.

O meglio, questo è quello che mi dico per giustificare il fatto che non riesco nemmeno a correre cinque minuti senza avere la tachicardia. A diciassette anni.

Praticamente sono un tipo sportivo solo nel senso che ho il gomito del tennista e i polpacci da calciatore.

« No, aspetta, fammi articolare la questione » rispondo, sorridendo candidamente. « Oggi incontro Jared Leto, Jared Leto, faccio più o meno un migliaio di figure di merda davanti a lui, incluse innumerabili gaffe verbali dal contenuto più che esplicitamente sessuale, faccio cadere il suo BlackBerry a terra, bagnandolo, e... oh, giusto, lo prendo al posto del mio. Poi, non contenta, me ne accorgo in ritardo e gli faccio pensare di averlo fatto apposta – gli faccio credere involontariamente che gliel'ho rubato. E, quasi dimenticavo: probabilmente a quest'ora sta progettando il mio omicidio e l'occultamento del mio cadavere. »

« Tu hai fatto cosa? » boccheggia, smettendo di fare su e giù come un canguro fatto di LSD.

Sarà una lunga serata.

 

Anna deve seriamente perdere l'abitudine di fissarmi in questo modo. Come se avesse un cagnolino investito da un auto davanti a sé e lo stesse vedendo esalare i suoi ultimi guaiti. No, davvero, comincia a mettermi a disagio. Come se non fossi già abbastanza giù di morale per conto mio, poi.

Tra poco Pasqualina dovrà andare in terapia. È lì, accucciata in un angolo, a dondolarsi avanti e indietro per la disgrazia d'essere il neurone sano di una demente come me. Va tutto bene, Pasqualina, va tutto ben—

« Stai di nuovo parlando con i tuoi neuroni. »

Non è una domanda.

Maledizione.

Mi conosce troppo bene.

Arriccio il naso. « Certo che no. Io non parlo con i miei neuroni. »

« Sai » fa lei, « non che io sia esattamente Miss Popolarità 2013, ma se parlassi un po' di meno con i tuoi amici immaginari forse saresti in grado di incontrare la fantasia erotica della tua vita senza trasformare l'evento in una barzelletta di seconda categoria. »

Mi trattengo dal rispondere che Pasqualina, Ermenegildo e Coscienza esistono davvero e mi limito a gemere, ficcandomi in bocca l'ennesimo biscotto. Se devo morire, morirò grassa e sazia. Poi, poggiando la testa sulla mano chiusa a pugno, fisso sconfortata il BlackBerry di Jared. Non fa cenni di vita da un po', ora che ci penso. A proposito...

« Per caso mia madre ha chiamato te? »

Anna sembra improvvisamente in una posizione molto, molto scomoda: si agita sulla sedia e fa una smorfia, passandosi una mano sul collo.

Oh, mio dio.

Oh, porca puttana.

Ahi, ahi, ahi,” fa la mia coscienza.

« Oh, no » esclamo, mettendomi le mani nei capelli. « Ti stai muovendo come se avessi una supposta di dieci centimetri nel sedere. Non è mai un buon segno quando ti muovi come se avessi un corpo estraneo dalle dimensioni considerevoli nel didietro. » Gemo e mi lascio andare ad un lieve piagnucolio. « Mia madre ha chiamato al mio cellulare e ha risposto Jared, non è vero? E poi ha chiamato te e io ero irrintracciabile, giusto? »

Il silenzio di Anna non ha bisogno di spiegazioni.

Non so se il pensiero di una conversazione tra mia madre o Jared dovrebbe scatenarmi un attacco di risa o un attacco di panico, visto e considerato che lei parla inglese come io parlo austro-ungarico. Aggiungiamoci che lui è una checca isterica e lei è isterica e basta ed otteniamo la ciliegina sulla torta.

Sono fottuta. Mi ucciderà. Sono finita. Come mi ha fatto, mi disfa. Lo so, come so di chiamarmi Elena e di avere appena mandato la mia vita in una direzione che punta dritta a metà tra “a puttane” e “nella merda”, so che farò meglio a non tornare a casa e a darmi alla macchia come cacciatore di anaconde in Africa Nera. Sperando di venire mangiata, magari.

E dire che l'unica anaconda che avrei voluto conoscere era quella di Jared.

Ora, il problema con i genitori è che, se sei lontano da solo o con la scuola, l'unica cosa che riusciranno a pensare per tutto il tempo del viaggio è che stai rischiando la vita. Non importa che tu ti trovi a Francoforte o Barcellona Pozzo di Gotto in provincia di Messina, e non in mezzo ai proiettili e agli spacciatori di cocaina in Colombia: sei in pericolo di vita. Nella loro mente, le chance che un serial killer ti carichi in macchina per stuprarti, fare un rito satanico col tuo sangue e poi ucciderti passano dall'essere meno di quelle che l'Inter ha di arrivare a fine campionato senza metà dei giocatori infortunata, in panchina, o morta, al diventare una certezza universale. Sei lontano da casa, ergo dovrai morire in modo lento e atroce. O comunque beccarti una febbre da cavallo o una malattia infettiva che nemmeno i missionari nel Burundi, anche se è da sette anni che non hai nemmeno un raffreddore. E ovviamente succede. Succede. Io non lo so come fanno. Non ti ammali da sette anni e ti ammali quando sei lontano, e, cornuto e bastonato, devi sorbirti pure il vecchio “te l'avevo detto di coprirti bene” – anche se indossavi già la canottiera della salute del nonno, due maglioni, un cappotto, dei calzettoni antistupro e una sciarpa in lana perché lei ti aveva precedentemente minacciato di catapultarsi da te se non l'avessi fatto. E il peggio è che tu sai che ne sarebbe capace. Poi si avvera la peggiore delle possibilità: non rispondi al cellulare. Perché non lo senti, è scarico, l'hai dimenticato a casa.

Se un figlio non risponde al cellulare, non è che non l'ha sentito, no. È morto. Non c'è via di mezzo. Se poi non si risponde per un periodo di tempo che supera la mezza giornata, si è peggio che morti. Ti hanno fatto a pezzi. Hanno venduto i tuoi reni al mercato degli organi. Ti hanno rapito e adesso stai facendo la prostituta in India o giù di lì. Possibilmente senza una gamba. Nel tempo che impieghi per chiamare a casa e avvertire tua madre che 1) respiri, 2) non ti hanno amputato niente, 3) non hai preso la malaria, lei ha già avvertito polizia, carabinieri, CIA, Scotland Yard e i servizi segreti per ritrovarti. Te, o ciò che ne è rimasto. Tuo padre, povera anima pia, si è già nascosto sotto il letto quando ha cominciato a urlare che sei uno sciagurato insensibile che non pensa al povero cuore di mammà.

Quando poi, finalmente, la ricontatti, sai che la tua vita è finita. Sai cosa ti aspetta. Tempo due minuti e tua madre ha già promesso che, una volta tornato a casa, non rivedrai mai più la luce del sole né il tuo cellulare, perché non le hai risposto e quindi “TANTO NON LO USI SE NON PER MESSAGGIARE”, ha girato il collo di trecentosessanta gradi e ha vomitato roba verde per poi ricominciare a sbraitare. Nel frattempo hai già perso buona parte del tuo udito, ovviamente, ma tanto non ti servirà. Non in isolamento. Nella tua stanza. “Per sempre”, sottolinea tua madre, chiudendo la chiamata.

Ora riportiamo questa situazione tipo nel mio caso specifico. Mamma ha chiamato. Mamma si è sentita rispondere al telefono da uno che avrebbe potuto fare presumibilmente parte di una o più delle categoria ivi citate (spacciatore/commerciante d'organi/magnaccia – soprattutto magnaccia – il serial killer è una professione?) e poi dalla mia migliore amica, che non sapeva dove fossi. Questo significa che nelle migliori delle ipotesi mia madre è la seconda persona, stasera, che vuole ammazzarmi. Ammesso, nella sua mente, che mi ritrovi viva.

Insomma, mamma, probabilmente, al momento somiglia a Satana. Però peggio. Più incazzata.

E il telefono di Anna squilla. Come nei peggiori film horror, il telefono squilla. Io salto su in piedi, sbattendo il ginocchio sinistro contro il tavolo e facendomi scappare un ululato di dolore mentre Anna tiene il cellulare lontano da sé come se fosse una bomba ad orologeria.

« Stai lontana da me! » strillo tra le lacrime di dolore, « io non rispondo a quell'aggeggio malefico! »

« È TUA MADRE! »

« È SATANA! »

« È PUR SEMPRE TUA MADRE! »

« MIA MADRE È SATANA?! »

« NON CAMBIARE ARGOMENTO! DEVI RISPONDERE TU! »

« HO PAURA— »

« È SOLO TUA MADRE! »

« È PROPRIO PER QUESTO CHE HO PAURA! »

Allora Anna fa una cosa orribile. Mi acchiappa per la collottola, risponde alla chiamata, mi mette il cellulare in mano e me lo sbatte sull'orecchio. Dall'altro capo della cornetta, si sente solo un ronzio leggero e il respiro di qualcuno.

Di mamma.

Questo è un film horror.

I miei due neuroni si fanno il segno della croce.

« Elena? » fa lei.

« Ciao, mamma » pigolo, con un filo di voce. « Fammi indovinare: morirò tra sette giorni. »

E poi, come avevo previsto, si scatena la Bestia. « HAI IDEA DI QUANTE VOLTE TI HO CHIAMATO? DI COME MI SONO SENTITA QUANDO HA RISPOSTO PRIMA QUELL'INGLESE E POI ANNA? QUANDO MI HA DETTO CHE NON SAPEVA DOVE FOSSI? COSA LO USI A FARE IL CELLULARE SE POI LO TIENI SCARICO? SEI IN FRANCIA, POTREBBE SUCCEDERTI QUALUNQUE COSA E IO NON POTREI MAI SAPERLO, NON SE NON RISPONDI ALLE MIE CHIAMATE! SAI QUANTO ERO PREOCCUPATA? EH?OVVIAMENTE NO, NON CI HAI PENSATO! » Ecco. Secondo me le madri seguono un corso specifico su come instillare i sensi di colpa nei figli. Per forza, perché non posso credere che sia tutto talento naturale. « Si può sapere che stavi facendo DI TANTO IMPORTANTE PER NON AVERE TEMPO DI RISPONDERMI?! » Mamma, non lo vuoi sapere, credimi. « ANCHE LA NONNA ERA SPAVENTATA? » Ovviamente. « E anche papà! » Poteva essere diversamente?

« Mamma... » provo a dire.

« NIENTE MAMMA! »

« Madre... »

« NON FARE LA SPIRITOSA! IO TI TOLGO TUTTO! »

Che vi avevo detto?

 

Sono le tre del mattino. Mamma, nel caso che lo steste chiedendo, ha sbraitato e presumibilmente vomitato robaccia verdastra come la bambina de L'Esorcista per un altro quarto d'ora, prima che le promettessi che domani l'indomani l'avrei chiamata io, e poi, finalmente, chiudere la chiamata.

Ovviamente, devo ancora trovare il modo di chiamarla se il mio cellulare è fra le mani di Jared Leto. Sottigliezze.

Dicevo.

Sono le tre del mattino e tutto tace.

Tranne il dannato BlackBerry di Jared.

Ho pensato di tenerlo acceso, attaccato al caricabatteria, nel caso decidesse di telefonare (io ho troppa fifa di fare il primo passo). Peccato che sia da più o meno sei ore che il cellulare non-smette-di-vibrare. Mi sono svegliata cinque volte. Alla quarta, gli occhi chiusi e palle delle dimensioni di un asteroide, ho quasi lanciato l'Aggeggio Demoniaco contro il muro. Ed è superfluo dire che nessuna delle chiamate, nessuno dei messaggi è da parte di Jared.

I primi due messaggi erano di Chloe. Poi c'è stata Josephine. Poi, Charlotte. Pausa. E fin qui mi sono detta: “okay, posso capire, ha quarant'anni, è single e dovrà sfogare i suoi impulsi sessuali su qualcuno”.

Però poi ci sono state, in ordine: Elise, Natasha, Eleonor, Violinista Rossa n°1, Violoncellista Bionda (giuro, erano salvate tra i contatti così), Katiusha, Mary, Penny, Lily e Hugo. Sì, Hugo. Seguiti da un altro paio di nomi che parevano usciti da un porno slovacco scadente e da una vaga, misteriosa M♥ con tanto di cuoricino stilizzato accanto. Mi sono interrogata su chi sia la fortunata che si è meritata il cuoricino, visto che Mom è salvato normalmente, per all'incirca due secondi e mezzo, prima di tornare in coma con la bava alla bocca e risvegliarmi adesso. Ho ancora un occhio aperto e uno semichiuso, praticamente.

La nuova chiamata persa è di una certa Camila.

Comincio a chiedermi se fa il cantante per copertura, per nascondere la sua fiorente carriera da magnaccia. O se gestisce una casa di appuntamenti. O un love hotel.

Coscienza dice che è la mia gelosia che sta parlando.

Anna si rigira nel letto sopra il mio, che cigola sinistramente. La sua mano penzola al lato del letto. Dopo qualche secondo, giunge la sua voce cavernosa che sembra tanto un'eco dell'inferno.

« Se non spegni immediatamente quel cellulare, ti giuro che ti strozzo con il filo del caricabatterie e alla polizia dico che è stato un gioco erotico finito male. »

Gemo. « Ma se chiama lui... »

« Non ci stiamo capendo » ringhia, « se non spegni quel dannato coso molesto scendo e te lo infilo dove non batte il sole mentre ancora vibra. »

E sospirando vado per spegnere il BlackBerry.

Se non fosse che ricomincia a vibrare e leggo il nome sul display.

Mom.

Oh, merda.

Merda.

Merda.

È Constance.

 

 

 

Sono imperdonabile, lo so. Ho ricevuto un bel po' di messaggi che mi chiedevano di continuare questa fanfiction, e mi dispiace di averlo fatto così in ritardo e con un capitolo orrido dove Jared manca pure. Sono seriamente mortificata. Comunque, ci ho provato, sono qui e mi scuso del ritardo. Fra esami di maturità e altre cose non ho potuto continuarla, e tra qualche giorno dovrò pure trasferirmi, quindi... prometto di continuarla, anche se, magari, con molti ritardi.

Se ci siete ancora, grazie di aver letto.

Vedo se riesco a rispondere alle recensioni.

Un bacio,

 

Carme.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** CAPITOLO 6, ovvero: Tra Psicosi, Skype e Mollette Dal Dubbio Utilizzo. ***


Riassunto delle puntate precedenti: Elena, la protagonista, si sveglia nella suite di Jared con addosso solo una maglietta di lui e delle mutandine che dovrebbero essere bandite in tutti i continenti della terra, non ricordandosi come sia finita lì. Salto indietro a due settimane prima per capire come si è arrivati a questa situazione: dopo un imbarazzante incontro con Leto Jr., Elena scambia i loro BlackBerry. Impossibilitata a restituirglielo quello stesso pomeriggio, è costretta a tornare a casa con il cellulare di lui. Durante la notte, riceve la telefonata di Constance.

 

 

CAPITOLO 6, ovvero:

Tra Psicosi, Skype e Mollette Dal Dubbio Utilizzo

 

 

 

« Che aspetti? » fa Anna, spingendo il telefonino contro il mio petto. « Rispondi! »

« È sua madre! » squittisco, spingendo a mia volta il cellulare contro il suo petto.

« Ma andiamo, se fino a ieri la chiamavi tua suocera! »

 

È da tipo trentacinque secondi che facciamo così, per la cronaca, dopo che è scesa dal letto e ha praticamente saltato la scaletta per scendere da me con l'inaspettata e sorprendente agilità di un giovane giaguaro.

Non che stia tenendo il conto, eh. Ma il cellulare continua a squillare e ho, tipo, questa voglia irrefrenabile di lanciarlo fuori dalla finestra della stanza. O dentro il water. Mi ferma soltanto la consapevolezza che Jared mi farebbe setacciare le fogne di Cannes nuda, con l'inespressa speranza di farmi beccare qualche malattia mortale, pur di ritrovarlo.

« Che cazzo, Elena! » urla alla fine, afferrandomi per le spalle e strattonandomi. « Deriviamo da generazioni di donne sicule che per secoli e secoli hanno coltivato i campi fino a spezzarsi la schiena e partorito almeno dodici figli nell'arco di vent'anni! Se loro avevano due palle così, credimi, ce le hai anche tu, quindi tirale fuori e rispondi alla dannata madre di Jared Leto, che a quanto sembra dagli squilli è assillante quasi quanto la tua quando il frutto dei suoi lombi non risponde alle chiamate! »

Detto questo, mi strappa il telefono dalle mani, apre la chiamata e, anche se, in un ultimo, disperato tentativo di evitare l'inevitabile mi tiro indietro in una mossa alla Matrix che come minimo di causerà il colpo della strega, mi sbatte il telefono sull'orecchio.

Cazzo merda. Merda cazzo. Porca puttana. Puttana porc—

« Jared! » sta esclamando Constance, sensibilmente nervosa. « Avresti dovuto chiamarmi ore fa! Non mi importa che fossi impegnato a maltrattare Emma o che so io, non mi importa che hai quarant'anni, non mi importa quanto sei impegnato a limarti le unghie con una lima placcata d'oro o a parlare col tuo amico immaginario Bart—sei arrivato due giorni fa, ho aspettato che trovassi un momento ma niente, come morto—se ti dico che devi chiamarmi quando atterri, devi ricordarti di chiamarmi quando atterri! »

Ah, bene. Se persino Constance fa così con un figlio di quarant'anni, io posso scordarmi che mia madre smetta di pensare che il mio corpo senza vita si trovi in un canale di scolo se non rispondo per due volte di seguito alle sue chiamate.

« Pronto? » pigolo, strizzando gli occhi.

C'è silenzio, per qualche secondo. Qualche lungo secondo. Lunghissimo secondo. Finché non controllo lo schermo del cellulare per controllare che non sia, che so, solo caduta la linea; ma niente, il cellulare continua a contare i secondi.

« Allora? » inquisisce Anna, perplessa.

« Non risponde » spiego velocemente, in un fil di voce. « Forse è morta » mormoro poi, impallidendo, e piagnucolo, a voce più alta: « Mio dio, ho ucciso la mamma di Jared Leto. Oh, mio Dio. Finirò in prigione per sempre e quando uscirò nessuno vorrà assumermi e finirò a chiedere elemosina accanto ai bagni pubblici e a parlare con i piccioni. E io odio i piccioni! »

Anna sembra essere nel bel mezzo di una lotta interiore sul darmi o meno un pugno in faccia. « Smettila di delirare e metti il vivavoce! » mi ordina, cercando poi, di nuovo, di agguantare il BlackBerry quando io non reagisco alle due parole.

« Dici che c'è linea dall'aldilà? » replico invece, con voce strozzata.

La linea cadrà presto sulla mia vita.

Pasqualina sta legando un cappio attorno al suo collo.

« La linea te la faccio io, sul collo, soffocandoti con un laccio delle scarpe se non metti il viva—» risponde lei

« Forse ho chiamato in un momento sbagliato » sento alla fine dall'altra parte della cornetta proprio mentre sto mettendo il vivavoce. « Va bene, uhm, è... imbarazzante. Credo di capire perché non mi ha chiamato prima, ma... uhm... posso sapere dov'è Jared? »

Mi ci vuole qualche secondo per ricordare come si parla decentemente in inglese. « Constance? » dico, stridula, avvicinando il telefono alla bocca. « Ciao. Sono Elena. Io... uhm... uh... eh... uhm. »

Uhn, uhm, eh, uh. Bene così: non sta pensando di parlare con una ritardata mentale, sta pensando di essere al telefono con un gorilla.

« Okay, Elena » fa lei, cauta. Sta sicuramente pensando di essere al telefono con una ritardata mentale. « Dov'è Jared? »

« Non è qui » rispondo, nervosa. « Non... non può rispondere adesso. Diciamo per tutta la notte. È una lunga, lunga storia, e... mi dispiace? »

Seguono altri secondi di silenzio. « Per tutta la notte? »

Mi stringo nelle spalle, non sapendo come spiegarle la situazione. « Abbiamo le mani legate » dico alla fine, a mo' di spiegazione.

« Avete le mani legate » ripete lei, in tono monocorde. « O—okay. Oh, mio Dio, io—ho decisamente chiamato nel momento sbagliato... »

Non capisco. Non capisco sul serio. Che ho detto stavolta? Che ho fatto?

Mentre io sono qui con la fronte aggrottata e quella che, potrei scommetterci un organo vitale, è un'espressione sveglia e intelligente a metà tra quella di un bradipo morto e Totti dopo che gli hanno chiesto di parlare del PIL italiano in diretta nazionale, Anna si è sbattuta una mano contro la fronte, si è girata e ha dato una testata ad una delle gambe del letto a castello.

Mimo, con le labbra: che ho detto? prima che l'effettiva realtà di quelo che ho appena pronunciata affondi veramente nella mia coscienza.

Jared non può rispondere.

Per tutta la notte.

Abbiamo le mani legate.

Porca troia!

« NONONONONO! » strillo, raggiungendo un acuto che, un paio di note più su, avrebbe fatto tremare i vetri e reso sordi i pipistrelli. Il genere di acuto che ci si aspetterebbe da un ragazza a causa di Jared Leto, sì, ma mentre lui le sta “dietro e col fiato sul collo” nel senso più sessuale del termine, e non in quello metaforico per cui, avendo 1) bagnato il suo Blackberry, 2) accidentalmente rubato il suo Blackberry, 3) informato sua madre di un incontro sessuale che non è mai avvenuto, a questo punto lui sarà così pronto a mettermela dove non batte il sole così a fondo, ma così a fondo, che il mio altrettanto metaforico didietro rimarrà indolenzito per tutta la vita. Ehi, lassù, gente!, non è questo il genere di “Mannaggia, sono fottuta” che chiedevo quando immaginavo un nostro ipotetico incontro! « No, Constance, insomma—ho diciassette anni! »

« Hai diciassette anni?! » esclama Constance. « Oh, buon Dio... »

“Giuro,” commenta Coscienza, “se ti pagassero un euro per ogni volta che hai straparlato, il Carlton potresti comprarlo.”

« No, non hai capito! » esclamo di nuovo, nel panico. « Cioè, ho diciassette anni, è ovvio che io e Jared non... non... insomma, hai capito—quando dico che abbiamo le mani legate intendo che non possiamo farci niente perché io ho il suo cellulare e lui non è con me! »

« Jared ti ha volontariamente dato il suo cellulare? » domanda lei, chiaramente stupita. « Ma chi sei? »

Vorrei svicolare dalla discussione. « Non proprio volontariamente... » faccio, schiarendomi la gola. « Diciamo che la serie d'avvenimenti che hanno portato al possesso del suo cellulare sono complicati, quasi impossibili da spiegare senza che sembri che mi stia inventando tutto o che sia patologicamente scema, anche se in molti concorderebbero su quest'ultima affermazione, e includono un bicchiere d'acqua, un autografo e un impermeabile beige. Ma tuo figlio è vivo, tranquilla » concludo, annuendo al nulla. « Sarà troppo impegnato a progettare il mio omicidio per morire. »

« Va bene » dice Constance, « sono confusa, ma... va bene. Aspetta, Jared ha lasciato che tu toccassi il suo cellulare? »

Cerco di trovare una risposta che non mi faccia sembrare una scippatrice. Io shippo, non scippo. Dovrei scrivermelo in una t-shirt. « Non che me l'abbia esattamente lasciato fare... » rispondo, tentennando.

L'angolo di curvatura del sopracciglio destro di Anna sta raggiungendo l'impossibile. « Tra tutti i tuoi problemi » mi informa, « la diarrea verbale è tra i peggiori. Tu non parli con le persone, le stordisci oralmente e le ammazzi di cazzate. »

Le faccio segno di non parlare con una mano, mentre con l'altra mi massaggio una tempia. « Ascolta, Constance, io... ho il cellulare di Jared, e non voglio far altro che ridarglielo, ma è complicato e mi dispiace di questa conversazione imbarazzante, perché credimi, faccio fatica anche solo a realizzare che sto parlando con Constance Leto. Devi scusarmi. Senza che tu mi abbia mai vista in faccia, sono certa che mi ricorderai come quella che ti ha bombardato di cazzate e fatto credere che tuo figlio fosse impegnato in pratiche sadomaso con una minorenne, quindi pensa un po' come sono dal vivo. »

E, per la prima volta, sento Constance soffocare una risata. « Tesoro, Jared una volta mi ha chiamato solo per lamentarsi che Shannon gli aveva finito i biscotti » dice. « A trentotto anni. »

« Lo so » rispondo subito, per poi chiarire: « Twitter. »

« Uhm, okay » riprende. « Io, uhm, devi solo dire a Jared che la ragazza per la manicure, quella di cui non ricordo mai il nome, mi ha chiamato perché non è riuscita a raggiungerlo. Abbiamo un appuntamento insieme tra tre settimane. »

Non so se sciogliermi perché Jared Come Ce L'ho Io Nessun Altro Leto va dall'estetista con sua madre o sentirmi profondamente a disagio per lo stesso motivo.

« Com'è salvata? » faccio, controllando il registro chiamate del BlackBerry. « Annabelle? »

« No. »

« Natasha? »

« No. »

« Katiusha? »

« Elena, n— »

« Hugo? »

« Sono abbastanza certa che sia ancora una donna » risponde Constance, « e che non abbia un nome da spogliarellista. »

Questo praticamente elimina il 90% dei contatti direttamente dalla vita di Jared, non solo dal suo BlackBerry. Alla fine, scartando tutte le altre possibilità, mi rimane soltanto una chiamata persa. Se è lei, giuro, riderò per sempre.

« Constance, è possibile che l'abbia salvata con una emme e un cuoricino? »

« È possibile » risponde lei. « Gli fa lo sconto sullo smalto semi-permanente. »

 

*

 

Jared ha avuto un sacco di brutte nottate. Un sacco, davvero. Tutte quelle della preparazione di This Is War, per esempio, o quella in cui ruppe con Lindsay Lohan e divenne bravo nell'evitare bicchieri volanti per puro spirito di sopravvivenza. (Non scherza quando dice di saper fare delle ottime mosse ninja. È vivo solo per quelle.) Ma questa, questa senza il suo Berry, senza l'unica sua ragione di vita, senza ciò che lo sveglia al mattino e gli dà la buonanotte meglio di tutte le sue amanti—questa è la peggiore.

Fino alle due, la mancanza di qualsiasi apparecchio tecnologico a parte il televisore a parete poteva anche essere sopportabile. Più o meno. Con un notevole sforzo di volontà. Poi, non sa bene come, è finito a guardare un film presumibilmente polacco degli anni settanta con i sottotitoli in francese con addosso un plaid e delle ciabatte a forma di orso, e gli è venuto il dubbio che non fosse esattamente così che da ragazzino aveva immaginato i suoi quarant'anni (ma all'epoca uno dei tanti scenari prevedeva lo spaccio di droga, ed è tutto dire), e ha deciso di spegnere la tv per provare a dormire. Berry non era con lui, ma forse poteva sopravvivere.

Alle due e mezza, fissava una delle pareti della sua camera con gli occhi iniettati di sangue e aveva elaborato all'incirca otto possibili scenari che prevedevano, in alternativa o tutti assieme:

  • Il suo BlackBerry finito in qualche modo in un canale di scolo;

  • Il contenuto del suo BlackBerry reso pubblico su internet e almeno dieci scandali scoppiati i America, Europa e Asia

  • Le tette di Scarlett su Twitter.

 

Alle tre, è sceso nella hall dell'albergo e ha ordinato di dargli un mac. Un mac qualunque. Più precisamente, il nostro Uomo Dal Pigiama a Righe si è messo a tamburellare sul bancone della reception finché chi di dovere non è arrivato e ha deciso di dare una mano all'Amish vestito da deportato all'ingresso dell'albergo. Solo a questo punto Jared ha gentilmente chiesto un Mac.

“Non abbiamo Mac in più,” ha risposto Chi Di Dovere, perplesso.

“Ho bisogno di un Mac,” ha ripetuto Jared.

“Signor Leto,” ha fatto per rispondere l'altro, “mi dispiace, ma...”

“Non ci siamo capiti,” ha detto Jared. Si è indicato il volto e gli occhi azzurri infossati e circondati da due brutte occhiaie violacee. “Questo non è il volto di qualcuno che accetta un no.”

 

Venti minuti dopo, Jared è nella sua suite da unnumeroindefinitodieuro a notte a tamburellare sul Mac del direttore dell'albergo. Dietro di sé, ha lasciato solo polvere, due Tizi della Reception in lacrime, il Direttore del Carlton con i capelli più bianchi di quanti ne aveva quando ha cominciato la giornata e, forse, pure una possibile denuncia per minacce e intimidazioni.

« Ehilà, fratellino » esclama Shannon rispondendo alla sua chiamata Skype. Jared riesce a vedere, alle sue spalle, il sole accecante di Los Angeles. Stringe gli occhi, ormai abituati al buio della sua suite. Lo odia profondamente. « Passata una bella giornata? »

« Tu non hai idea » sibila, lanciando un'occhiata al BlackBerry della pazza. « Non hai idea di ciò che mi è capitato oggi. »

« Ce l'ho, in realtà » ridacchia Shannon. « Come sta il cellulare di Elena? »

Passa qualche secondo.

Jared fissa Shannon.

Shannon ridacchia.

Jared continua a fissare Shannon.

Alla fine sibila: « Tu cosa? »

« Ti stai godendo la tua prima notte da BlackBerry-dipendente in riabilitazione? » gli domanda Shannon. « Oggi ti ho chiamato, per la cronaca. Quando ha risposto una ragazza sono rimasto un po' confuso, sai, visto che tratti il tuo cellulare meglio di come tratti la maggior parte della gente e non permetti a nessun altro di toccarlo... »

« Questo non è vero » ribatte Jared Dal Pigiama a Righe.

« Jared, gli hai dato un nome, l'hai assicurato e la sera gli auguri la buonanotte. È verissimo. Se il matrimonio fra uomini e oggetti inanimati si potesse legalizzare, tu saresti il primo della lista per Los Angeles. »

E tu con il caffè, dovrebbe rispondere Jared. Ma uno dei suoi ultimi neuroni ancora in vita, quello di solito addetto alle risposte pronte e al sarcasmo, si è appena suicidato per la stanchezza. « È successo una volta e stavo scherzando » sottolinea solo, blandamente.

« Sarà » concede Shannon. « Comunque sia, mi ha raccontato una storia che aveva dell'assurdo con protagonista te, un tavolino del bar, del sesso orale e uno scambio di BlackBerry. Tu sì che sai come scegliertele, le psicopatiche. »

« Non dirmelo » replica Jared. Si prende la base del naso tra il pollice e l'indice, prendendo un respiro profondo.

« Perché non la stai chiamando tu? »

« Forse perché, mio illuminato fratello, questo telefono ha il blocco? » borbotta Jared.

« Fratellino » risponde Shannon, « è una Echelon, non un esponente della CIA. Prova con la tua data di nascita. »

Seppur di controvoglia, Jared fa come gli dice il fratello e digita “1971”.

Ovviamente il dannato BlackBerry si apre a lui come la caverna ad Alì e i quaranta ladroni. Come ha fatto a non pensarci prima? Arriccia il naso e lancia un'occhiata altezzosa degna di una diva della vecchia Holywood a Shannon, che sta sghignazzando allegramente, e fa per comporre il suo numero.

« Sai, Jared, non credo che dovresti chiamarla adesso » fa Shannon. « Non tutti sono come te. Esiste anche chi dorme »

« Stai zitto o ti licenzio » replica Jared, gelido. « Questa ragazza ha il mio BlackBerry in ostaggio. Non merita di dormire. Non merita di vivere. Il mio piccolo, brillante, tenero BlackBerry è nelle mani di una sconosciuta da quasi un giorno e io non so nemmeno dove abita. »

« Non puoi licenziarmi, sono tuo fratello! » dice Shannon, oltraggiato.

« Mi stai sfidando? »

« E io ti finisco i biscotti. »

Jared assottiglia gli occhi fino a farli diventare due fessure. Nessuno tocca i suoi biscotti. « Non oseresti. »

Shannon incrocia le braccia al petto. « Tu non minacciare di prendere un altro batterista. »

« E sia » concede Jared. « Comunque, se non posso chiamarla, posso comunque farmi un giretto nel suo cellulare. Nei suoi messaggi... »

« Non parli italiano. »

« Nelle sue foto... »

« La cosa più interessante sarà una fiera di paese. »

Jared considera seriamente di chiudere a chiamata Skype e mandargli un fax con scritto soltanto, a lettere cubitali, un enorme: “BLOW ME”. Tuttavia, fa soltanto un gesto che dovrebbe dimostrare disinteresse con la mano e si mette a curiosare tra le app della ragazza. Viber, zero messaggi. Whatsapp, zero messaggi non letti. Twitter, nessuna notifica. Praticamente, considerando che questa ragazza non sembra avere particolare attenzione dal mondo esterno, o è l'emblema della classica ragazza che non si caga nessuno a meno che non inciampi davanti a scuola alle otto di mattina, o è sociopatica sul serio.

L'opzione della sociopatia, perlomeno, spiegherebbe i suoi comportamenti da psicopatica.

Potrebbe entrare su Tumblr.

Oppure no.

Una parte di lui ha paura di quel sito, onestamente. Sembra essere popolato solo da vergini perverse, vergini psicopatiche e fanboys.

Non entra su Tumblr da quando ha digitato il suo nome nelle tag e tra quelle suggerite c'era “farelleto”. Piccola parentesi: non riesce proprio a capire perché, tra i due, secondo l'opinione comune, fosse lui la passiva. Solo perché ha una piccola passione per le gonne da uomo, l'eyeliner e gli smalti.

E insomma.

« Jared... » continua Shannon. « Ti stai comportando come un bambino. Non le farà piacere. »

« Rapitrice di BlackBerry, ergo non merita rispetto » sottolinea Jared. « A proposito, perché mi hai chiamato al cellulare? »

« Emma mi aveva detto che non l'avevi ancora contattata. »

« Già » mormora Jared. Alla fine abbandona l'idea di Tumblr, blocca di nuovo il cellulare e si ripromette che dopo farà un bel giretto nella gallery. « Era preoccupata? »

« Si stava ubriacando » risponde Shannon, sogghignando. « Per festeggiare. »

Jared chiude la chiamata.

 

*

 

Quando apro gli occhi, ci metto un po' a capire chi sono, dove sono e come mai mi trovo qui. Nella luce straordinariamente accecante della mattina, mi rendo conto che c'è un altro corpo accanto a me.

Uh?

Mi muovo piano, cercando di districarmi dall'ammasso di coperte e arti del letto, allungando una mano alla cieca per prendere il mio BlackBerry.

Mentre la luce del sole rischia di bruciarmi gli occhi cancellandomi gli ultimi gradi di vista che mi sono rimasti, mi appiccico il cellulare il faccia per leggere l'ora, e una parte del mio cervello – l'unica porzione di cervello in funzione che non sta soffrendo di un terribile mal di testa – registra che sono le sotto meno un quarto.

Accanto a me, il corpo morto che mi sta infilzando un fianco con un gomito grugnisce e si gira un po'.

Mi stropiccio gli occhi.

Sono in quella fase dei primi minuti di veglia in cui Emenegildo e Pasqualina stanno ancora dormendo con la bava alla bocca. Quella in cui la cosa più coerente che riesco a pensare è: “devo andare in bagno” e la mia massima aspirazione è raggiungere la cucina strisciando per bere un po' di caffè. Quel momento della mattina.

Con uno sforzo sovrumano, inforco gli occhiali, mi tolgo le coperte di dosso e arranco fino al bagno con la voglia di vivere di una gazzella con il collo già tra le fauci di un leone e la delicatezza di un orso bruno in un negozio di ceramica cinese. Una volta lì, il riflesso che mi accoglie davanti allo specchio è quello di un essere umano distrutto: non ho due borse sotto gli occhi, ho due valigie. Un trasloco. I miei capelli sembrano la criniera di un leone dopo una permanente malriuscita. Praticamente potrei sterminare qualsiasi accenno di testosterone nel raggio di dieci chilometri.

Dio mio. Passandomi le mani sulla faccia, mi rendo conto che non è qualcosa che sciacquarsi la faccia possa sistemare. Un lifting sarebbe meglio.

« Anna » la chiamo, allungando il collo oltre la porta del bagno. « Sei sveglia? »

Lei grugnisce di nuovo, si toglie la coperta da sopra la testa e si volta verso di me ancora con gli occhi chiusi. « Muori » sussurra soltanto, prima di tornare a tuffarsi sotto il piumone.

È sveglia. Appoggio la fronte allo stipite della porta e gemo per il dolore pulsante alle tempie. « Siamo in ritardo per scuola. »

La sua voce è così sepolcrale che sembra provenire dall'inferno. « Ricordati che devi morire. »

È bello sapere di essere circondata da persone ottimiste come me.

« Mi fa male la testa » mormoro. « Mi sembra di star dimenticando qualcosa. Perché non è suonata la sveglia? »

Finalmente Anna riappare dall'ammasso di lenzuola e apre gli occhi per lanciarmi uno sguardo che avrebbe solo Hannibal Lecter dopo essere stato costretto ad una dieta vegetariana per due settimane. I suoi corti capelli neri sono sparati da tutte le parti in una capigliatura che è un incrocio tra un porcospino, un truzzo e un Super Sayan.

« Forse » risponde, a denti stretti, « perché quello è il cellulare di Jared Leto? »

Ci metto un paio di secondi per metabolizzare la sua risposta.

Forse un po' di più.

Forse anche dieci.

Alla fine gemo, mi porto le mani alla faccia e mi lascio cadere contro il muro, gemendo, per poi cominciare a sbatterci piano la nuca. « Allora non era un sogno » dico, con voce lamentosa. « Voglio morire. »

« Sto per accontentarti io » dice lei, la voce attutita dal contatto col cuscini.

« Uccidimi. Poni fine ai miei tormenti. »

« Ti sto per lanciare una scarpa in faccia. »

Considerata la mia faccia di prima mattina, al massimo me la può sistemare.

Mi sdraio per terra a pancia su. « Perché a me? »

Anna geme un'altra volta e si mette seduta sul letto, i gomiti poggiati sulle ginocchia divaricate e il volto tra le mani. « Ti odio » borbotta. « Per colpa tua siamo andate a dormire alle tre. Ti. Odio. »

Non quanto io odi me stessa, secondo me. No di certo. Lei non ha rubato per sbaglio il cellulare di Jared Leto, aka l'unico amore della sua vita, aka l'unica cosa che riesce a mantenerlo sano di mente, no, lei non l'ha fatto. Sono stata io.

Ma.

Porca.

Troia.

Mi sembra di essere in una di quelle fanfiction in cui le protagoniste incontrano i loro idoli durante un viaggio. Solo che in quelle storie solitamente finiscono per farci sesso. Io no. L'unica cosa che Jared infilerà in me sarà un coltello a serramanico nella mia gola quando mi avrà a portata di mano.

« Di' un po' » mi fa Anna. Volto un po' il collo per guardarla e vedo che ha in mano il BlackBerry. « Hai idea di quale sia il codice di sblocco? »

« Come no » le rispondo in un borbottio. « Me l'ha sussurrato soavemente tra una minaccia di morte e l'altra, giusto poco prima di farmi capire che l'unica ragione al mondo per cui mi metterebbe le mani al collo è per farmi fuori. Per farci cosa, poi?

« Giocarmeli al lotto » replica, acida. « Secondo te per cosa? »

Tamburella con le dita sulla sua gamba. « Qual era lo pseudonimo che usa per i suoi video? »

« Bart Cubbins » rispondo, tornando a guardare il soffitto. « Perché? »

Passa qualche attimo in cui rimane in silenzio, prima che la senta esclamare: « AH! Sono un genio. »

Mi tiro su sui gomiti, confusa. « Che hai fatto? »

« Il codice numerico corrispondente alle lettere di Bart è il codice di sblocco. Dio mio, sono un genio » sospira. « Che ci faccio ancora qui in mezzo a voi plebei? »

Spalanco la bocca, scioccata. Non è vero. Non può essere vero. La mia migliore amica non sta per infilare il naso negli affari privati di Jared. Sebbene una buona parte di me – quella spiccatamente femminile e che collega impulsi tipici del gentil sesso quali la curiosità, lo spirito di gossip e il fangirleggiamento – stia fremendo all'idea di poter sul serio sapere cose private della vita di Jared, un'altra – quella un po' più razionale, non completamente controllata dai feromoni – storce il naso. « Non credo sia una buona idea... » sussurro, mordendomi il labbro.

« Sì, sì, sì, be', guardo solo io. » La vedo smanettare col cellulare per qualche altro attimo, poi corrucciarsi visibilmente. « Uh » fa, inclinando la testa di lato. « Questo è un braccio o...? Oh. Non è un braccio » esclama, sbarrando gli occhi. « Certo che se è quello di Jared c'è da rimanere impressionati. Per forza che lo chiamano Satan. Lo provi una volta e ti brucia talmente tanto che sembrano le fiamme dell'inferno. »

« Cosa? » esclamo, mettendomi seduta. « Stai fingendo. Non hai appena visto il pene di Jared in foto. »

Vero? Vero?!

Cambia foto. « Oddio, che dolore. »

« Cosa?! »

« Credo che questo sia il backstage di Hurricane. »

« Smettila. »

Cambia di nuovo foto. « Oddio, che schifo. »

« Anna! »

Cambia ancora foto. « Oddio e basta. »

« ANNA! »

Avvicina il volto al display, assottigliando gli occhi. « Questa foto è confusa. Non capisco se queste sono davvero mollette per gli abiti o... sì, sono mollette per gli abiti. Ma non sono attaccate agli abiti. E... questa è Britney Spears? Difficile da dirsi, visto che le si vedono solo i capezzoli... »

Deglutisco. « Le mollette erano attaccate ai capezzoli? »

Mi lancia uno sguardo indecifrabile. « Non solo ai capezzoli. »

Oh, mio Dio. Credo di stare per rivedere il cenone di Capodanno del '98. Per empatia, sento un improvviso dolore immaginario in mezzo alle gambe all'immagine mentale di Jared che gioca all'allegra lavandaia con il mio clitoride.

Finalmente mi decido a raccogliere l'ultimo pizzico di dignità che mi è rimasto e mi rimetto in piedi, raggiungendo Anna e strappandole il BB dalle mani.

« Questa » le dico, « è invasione di privacy. »

« Non proprio » mi risponde. « Credo che quella fosse una vagin— »

E il telefono squilla.

In un attacco isterico, strillo e mi spiaccico contro il muro, terrorizzata. È Jared. È Jared. Oddio, l'ha avvertito. Sa che stavamo sbirciando tra le sue cose. Ha una specie di contatto mentale col suo cellulare e l'ha avvertito, lo sa. Sono fottuta, stavolta sono veramente fottuta, più fottuta di Sasha Grey—

Apro la chiamata urlando, isterica: « NON SONO STATA IO, LO GIURO! NON VOLEVO! È STATA LEI! »

C'è un momento di silenzio. Poi Jared esala: « Perché, che hai fatto? »

Anna si sta sbattendo una mano in faccia per l'ennesima volta in ventiquattro ore. Nella mia testa, Ermenegildo prende a schiaffi Pasqualina e la mia Coscienza ha assunto l'aspetto e l'espressione del mio professore di matematica durante una mia una interrogazione alla lavagna: la quintessenza della disperazione.

(In tutto ciò: un angolo della mia mente – quello direttamente collegato ai miei genitali – non può fare a meno di avere le convulsioni ogni volta che sento la sua voce. Soprattutto quella arrabbiata. Si susseguono scenari simili a quelli di Hurricane in cui io sono talmente legata da poter essere appesa a testa in giù in una macelleria.)

Sono una deficiente.

È ovvio che Jared non può sapere che Anna stava sbirciando le foto del suo cellulare.

« Nulla » pigolo velocemente. « Sindrome di Tourette. »

« Quando questa storia sarà finita » mormora Jared, « avrò bisogno di un analista. »

« Anche io » non posso fare a meno di replicare.

« No » ribatte lui, « tu avrai bisogno di un legale. »

Gemo, presa in contropiede. « Scusa. »

« Senti, voglio farla breve. Oggi ci incontriamo e mi ridai il cellulare. »

Sbianco visibilmente. « Non posso » rispondo, chiudendo gli occhi. « Oggi devo lavorare. »

E anche domani. E dopodomani ho una visita guidata in un Museo.

Mi sono appena resa conto che non avrò un solo secondo libero fino alla prossima settimana. Che una volta finiti i turni, il professore ci vorrà con lui per una passeggiata o che so io. Che dovrò essere o con lui o con i miei compagni. Che non c'è alcun modo che io possa incontrare Jared senza che lo venga a sapere l'universo.

Sento Jared trarre un respiro profondo. « Dove lavori? »

« In un'edicola in Rue d'Antibes » rispondo. « Perché? »

« Perché ti vengo a cercare io. »

Sento un rombo improvviso. No, non un temporale fuori.

Erano le mie ovaie.

 

 

 

Non ho giustificazioni. Vi chiederete: che ci vuole a scrivere un capitolo di sette pagine? Non lo so. Solo che questa storia dovrebbe far ridere, e non è facile farsi venire battute pronte e cose del genere, e mi sono un po' persa. Mi sono trasferita a Londra, e l'università—la vita mi stanno risucchiando.

Non so nemmeno se vi ricordate di questa fanfiction, onestamente. Questo capitolo fa pure schifo – non so quanto faccia ridere: credo faccia più schifo che altro. Comunque, una cosa positiva in tutto questo c'è: Jared l'ho incontrato davvero. Qui a Londra, qualche settimana fa, davanti al suo hotel. Le circostanze del nostro incontro sono ancora più irreali di quelle della fanfiction, ma rimangono un mio segreto.

Lo so che ho una bella faccia tosta a chiedervelo, ma... vi fareste sentire? Anche solo per dirmi che ci siete ancora, o che il capitolo fa schifo, o che mi odiate?

Un bacino sul naso,

Carme.

(P.S. Nel mio profilo di EFP c'è il link al mio account FB. Siete liberissimi/e di aggiungermi!)

 

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