Maybe We Could Be

di Leopoldo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Mi concede questo ballo? ***
Capitolo 2: *** Los Angeles è il posto giusto ***
Capitolo 3: *** Super Mario? Sei serio?! ***
Capitolo 4: *** Protego ***
Capitolo 5: *** Foto ricordo ***



Capitolo 1
*** Mi concede questo ballo? ***


 

Personaggi: Noah Puckerman, Quinn Fabray, Beth (menzionata), un po’ tutti (brevissime apparizioni).
Note: what if, ambientato alla fine della terza stagione di Glee.
Rating: verde.
Genere: fluff, (appena appena) introspettivo, (credo anche leggermente) slice of life.
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di qualcuno che li odia Ryan Murphy e della Fox (credo); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per dare un po' di spazio ad una coppia mai approfondita. 

 

"Mi concede questo ballo?"

 

 

“Ho detto di no” sbotta Quinn Fabray, richiudendo con forza l’anta del suo armadietto. Un clang piuttosto secco che, complice il silenzio del corridoio, sembra ancora più potente. “Per quel che mi riguarda il discorso è ampiamente chiuso”

 

Noah Puckerman, appoggiato con la schiena sull’armadietto proprio di fianco a quella della bionda, sbuffa sonoramente, stringendosi nelle proprie spalle.

Vistosi recapitare l’ennesimo rifiuto, decide di contare mentalmente fino a dieci per riprendere il controllo sui propri nervi, un trucco piuttosto semplice che, però, gli ha già permesso molte volte di finire a dormire sul divano.

“Io capisco che tu non voglia andarci, baby” le fa, inseguendola. “Solo … spiegami almeno il perché”

 

Quinn digrigna i denti, anche lei sforzandosi di mantenere i nervi saldi. È stanca di sentirsi ripetere la stessa domanda da mesi ormai, almeno quanto lo è di rispondergli, seppur a malincuore, con un deciso no.

“Non me la sento, ok? Sarei a disagio, penserei a tutto fuorché a quello stupido Prom e rovinerei la serata a te e agli altri”

 

L’ex giocatore dei Titans afferra la mano intorno alle spalle della biondina, obbligandola a fermarsi nel bel mezzo del corridoio.

“Ascoltami un secondo” le mormora, sornione, facendo appena leva sulla presa per avvicinarla a sé e stringersela al petto.

 

“Guarda che … facciamo tardi a lezione” tenta di fare resistenza lei, molto poca a dire il vero visto quanto ci mette a trasformare il suo broncio in un sorriso. Quanto si mette d’impegno e la fissa in questo modo, con quel onnipresente desiderio e quella venerazione che ha conosciuto negli ultimi anni, Quinn fatica a mantenere connessi i propri neuroni.

 

“Oh, sì, faremo tardi alle prove del Glee per le canzoni da portare al Prom a cui nemmeno parteciperemo” ridacchia lui, alzando suggestivamente le sopracciglia. “Puoi fare di meglio, Q”

 

La biondina sospira, rassegnandosi. “E va bene, testone. Ne abbiamo parlato mille volte negli ultimi mesi ma … avanti, dimmi pure”

 

“Ok, senti questo piano geniale” gongola, evidentemente entusiasta dell’idea partorita dalla propria mente. “Non diciamo a nessuno che andiamo, così possiamo sempre rinunciare all’ultimo e rimanere a casa. Poi, solo se abbiamo voglia, andiamo un’oretta, giusto per ballare il lento e per fare la foto ricordo” spiega, scrutando il volto di Quinn per osservarne eventuali smorfie schifate. “È pur sempre il nostro ultimo anno

 

“Il nostro ultimo anno” ripete stancamente Quinn, lasciandosi andare un sospiro affranto. Chiude gli occhi nocciola, perdendosi nei suoi pensieri e a quanto veloce il tempo sia passato. “A me piacerebbe anche andarci, lo sai. Però …” riapre le palpebre, cercando di incrociare lo sguardo del ragazzo “… tra vestito, smoking e tutte le cose che saremmo costretti a comprare spenderemmo un patrimonio”

 

“Oh” mormora il ragazzo, intuendo la piega che sta prendendo il discorso. “Se è per questo abbiamo da parte dei risparmi”

 

“Risparmi che ci serviranno dopo il diploma” gli ricorda Quinn, più dura di quanto sia necessario, tanto da mordersi il labbro non appena sente Noah togliere le braccia dalla sua schiena facendole mancare l’appoggio. Può sembrare stupido ma, la sola perdita di questo semplice contatto, la fa sentire un po’ più malinconica per la situazione.

 

“Non trattarmi come un idiota” grugnisce, visibilmente irritato, ficcando le mani nella tasca dei jeans. “So che abbiamo delle spese alte da affrontare, lo so bene quanto te. Non moriremo di fame se affittiamo due vestiti”

 

Sembrerebbe un litigio tra un coppia di coniugi sulle bollette e su come arrivare a fine mese più che una discussione tra due ‘poco più che adolescenti’ alle prese con il ballo di fine anno.

In un certo senso, però, un po’ sposati Quinn e Puck lo sono visto che hanno passato gli ultimi due anni a condividere una stanza di casa Fabray, un letto e, cosa più importante, le loro vite.

 

“Noah” lo richiama, pentita, indecisa se allungare la mano verso il ragazzo o meno. “Non volevo … ecco … fare la stronza”

 

Puck solleva le spalle, il grugno di quanto è arrabbiato ben impresso sul volto.  

 

“Scusa, è che sono sotto pressione” mormora, sinceramente dispiaciuta, decidendo finalmente di allungare la mano per accarezzandogli il braccio. “È che questa storia del college e di trasferirsi a Columbus … non so, sono in ansia e anche solo nominarla mi … insomma, scusami”

 

“Siamo tutti sotto pressione” le ricorda lui, ancora scocciato. “Stiamo parlando di trasferirci in un’altra città, gestire una casa da soli, senza contare Beth” sospira, grattandosi il collo in un gesto nervoso. “Ci sei dentro tu come lo sono io”

 

“Mi dispiace” sussurra ancora, sporgendo appena il labbro inferiore e abbassando il capo. Se Brittany le ha insegnato bene, considerando che sotto certi aspetti Puck e Santana si somigliano …

 

“Ehi, n-non fa niente, ok?” le fa immediatamente lui, alzandole il mento con una mano per mostrargli il suo sorriso. “Non ha senso continuare ad insistere, mi sembra chiaro” aggiunge, visibilmente dispiaciuto. “Se la mia baby non si sente di andare al Prom, vorrà dire che rimarremo a casa”

 

Un po’ si sente in colpa, sia per il bieco trucchetto che per il non andare al ballo di fine anno. Si alza sulle punte dei piedi per incrociare le labbra di Noah con le proprie e appoggia la mano sulla sua nuca per tirarlo più vicino, staccandosi poi per scivolare tra le sue braccia sicure.

Mentre si gode il momento, però, non può fare a meno di sentirsi anche un po’ sollevata.

È vero che il suo sogno di diventare reginetta del ballo è terminato più o meno due anni fa ma si conosce troppo bene per non sapere che, in ogni caso, una parte di lei continuerà a sentirsi inadatta e a soffrire se, andando al Prom, qualcun'altra indosserà la corona al posto suo.

Non è il motivo principale della sua ansia per il ballo, è vero, di certo però ha la sua notevole importanza.

Tanto è piuttosto sicura –o, per meglio dire, se ne sta convincendo da mesi– che il Prom sarà una di quelle cose che, ripensando a ciò che ha rinunciato e a ciò che ha scelto di tenere, finirà nel dimenticatoio.

 

“Andiamo a salutare gli altri e poi a casa?”

 

La voce di Puck la riscuote dal turbinio dei suoi pensieri. Annuisce, porgendo la mano al ragazzo che l’afferra subito, quasi non stesse aspettando altro.

La trasformazione da Pucksauro a ragazzo ‘ogni tanto, quando gli va, semiquasi’ perfetto, discretamente dolce e piuttosto premuroso, è stata talmente repentina che nessuno è riuscito a crederci nei primi tempi.

Forse è stato merito di Quinn, forse di Beth, o forse Puck aveva solo bisogno di qualcuno che gli desse un po’ di fiducia e di amore, quello vero, non quello meramente fisico che ha avuto di sperimentare fino a … beh, prima di lei.

 

Quinn non saprebbe dare una risposta, perciò si limita a godersi il suo ragazzo e quella meravigliosa creatura che l’aspetta a casa. Beth.

 

--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--

 

Quando suo padre l’aveva sbattuta fuori di casa e si era ritrovata senza sapere cosa fare e dove andare, la sua fede aveva vacillato. E non si parla solo di fede religiosa, perché Quinn aveva soprattutto perso fiducia nelle persone, nel futuro e, soprattutto, in sé stessa.

 

A distanza di due anni e diversi mesi da quel giorno, però, tutto è diverso.

Senza le persone che la circondano, senza una forte speranza in un futuro per sé e per la sua famiglia e senza una rinnovata fiducia in sé stessa, Quinn Fabray non avrebbe ottenuto tutto quello che ha ora.

Se sua madre non si fosse presentata da lei in lacrime proprio pochi attimi della rottura delle acque offrendole la possibilità di tenere la bimba, se suo padre non avesse tradito sua moglie con un’altra donna, se Puck non fosse stato incredibile con lei durante tutta la gravidanza e non le avesse detto per la prima volta di amarla proprio in quel momento, e … e se Beth non l’avesse trafitta al cuore nell’esatto istante in cui l’infermiera gliela aveva messa in braccio, ora starebbe vivendo una vita completamente diversa.

E Quinn non ha nessuna vergogna ad ammettere che il modo in cui tutti questi ‘se’ si sono incatenati insieme le ha fatto riacquistare anche la fede in Dio, oltre che in tutto il resto. 

 

Pensa spesso a cosa ne sarebbe stato di lei in altre circostanze, ovvero senza l’aiuto o l’appoggio di nessuno. Sarebbe stata così sciocca da pensare di poter crescere sua figlia completamente da sola, da liceale senza lavoro e senza casa, o sarebbe riuscita ad essere abbastanza forte da lasciare andare Beth ad una vita probabilmente migliore con una famiglia vera?

Ogni volta non riesce a trovare una risposta. Preferisce prendere sua figlia, tenerla in braccio, cullarla o semplicemente guardarla dormire.

 

Oggi, però, mentre si rigira tra le lenzuola sottili del suo letto, i suoi pensieri sono concentrati su qualcos’altro: Puck.

Controlla l’ora sulla sveglia, cercando di fare due calcoli. Sono le 23.46, quindi non dovrebbe tardare ancora molto.

Già, perché ora Noah, il suo uomo, lavora. Come cameriere in un locale piuttosto nuovo nella zona nuova di Lima, certo, ma guadagna molto di più di quanto non facesse quando lavava piscine.

Aveva iniziato di sua spontanea iniziativa quando Quinn si era trasferita a casa Puckerman per non far pesare l’aggiunta di una –facciamo due, dai– bocche da sfamare su un bilancio famigliare non troppo roseo. Ovviamente, dopo la decisione di crescere la piccola, aveva continuato.

 

Uno dei tanti sacrifici che ha fatto e che continua a fare per lei, per loro. Ed è esattamente questo a cui sta pensando mentre chiude gli occhi per riposarli un attimo.  

Puck ha rinunciato a tanto, forse persino quanto lei. Ha detto addio ai Titans e al football all’inizio del suo terzo anno, alle continue serate fuori con gli amici già da molto prima; si è precluso qualsiasi possibilità di un futuro diverso da quello di semplice cameriere pur di permettere a Quinn di andare al college ad Ohio State; ha addirittura iniziato a studiare con regolarità e a frequentare tutte le lezioni per essere sicuro di essere promosso e non tenerla ancorata a Lima.

Di fronte a tutto questo, cosa può costarle andare un paio d’ore ad un stupido Prom per una foto ricordo e un lento?

 

Riapre le sue gemme verdi di scatto, guardandosi intorno stranita. Ci mette un paio di secondi a capire in quale pianeta si trovi e poi, inaspettata, una voce familiare le giunge all’orecchie.

 

“Scusa, non volevo svegliarti”

È Noah, già tornato da lavoro a quanto pare, appollaiato sul bordo del letto con l’aria di chi l’ha combinata grossa.

 

Quinn si passa una mano sugli occhi appena appena assonnati, mettendosi il dorso della mano davanti alla bocca per coprire uno sbadiglio.

“In realtà ti stavo aspettando …” si guarda intorno, cercando di vedere l’ora sulla sveglia che, effettivamente, segna le 0.29 “… qualcosa è andato storto” biascica con la bocca impastata, mettendosi a sedere e tirandosi le ginocchia vicine in modo da fargli spazio.

 

Puck ridacchia, praticamente gettandosi sul materasso per finire vicino a Quinn, la stanchezza per la serata passata a servire ai tavoli dimenticata di fronte a quel viso così bello da far male, nonostante il sonno e la poca luce proveniente dalla lampada del comodino.

“Sono andato a controllare Beth, dorme della grossa” le sorride, sapendo bene quale la domanda le stia frullando nella mentre tra i neuroni addormentati. “Tornando a noi … mi stavi aspettando per qualcosa in particolare?” farfuglia in tono lascivo, addirittura alzando le sopracciglia e pompando il bicipite del braccio.

 

“Non stasera” decreta, lapidaria, mettendolo a cuccia con un semplice sguardo. “Avevo bisogno di parlarti di una … cosa

 

“Riguarda il Prom?” chiede in un borbottio sconsolato Noah, sistemandosi meglio sul letto, intrecciando le mani sul cuscino e appoggiandovi sopra la testa. Povero, chissà che viaggi si era già fatto nella sua mente.

 

“Sì” annuisce lei, stendendosi su un fianco per stare più comoda e poterlo comunque guardare in faccia senza farsi venire un torcicollo. “È così importante andarci per te?”

 

“Per me? No, assolutamente” risponde lui, cogliendola alla sprovvista. “Lo è per te

 

“Lo era, forse. Ora non più” lo corregge, capendo comunque parzialmente il significato dei suoi gesti. “Ho altre sogni e desideri, molto più importanti di una stupida coroncina di plastica. Sono una mamma, adesso”

 

 “Ma sei … anzi, siamo, anche dei diplomandi” riprende Puck, stranamente serio. “Mi sono accorto … o meglio, mia madre me ne ha accennato … e anche gli altri, a dire il vero. Ok, mi sto perdendo. Diciamo che mi sono accorto che forse tendiamo a dimenticarci che non siamo solo genitori e … tralasciamo cose a cui non dobbiamo per forza rinunciare”

 

“Non credo di seguirti” risponde Quinn, un po’ piccata.

 

“Due settimane fa i ragazzi sono andati al lago per un weekend e noi invece siamo rimasti a casa” le spiega. “Avremmo potuto lasciare Beth alle nostri madri e andare con loro, se solo avessimo voluto. Invece non abbiamo preso nemmeno in considerazione l’idea di parlarne”

 

Sento puzza di Santana in questo discorso” sentenzia la biondina dopo un attimo di silenzio, facendo sbuffare Noah.

 

“Indipendentemente da chi l’abbia detto-”

 

“È stata lei, vero?” lo interrompe, piuttosto scura in volto.

 

“Sì, è stata lei ma-”

 

“Che razza di … di impicciona latina del … della malora” sbotta Quinn, facendo sfoggio della nobile arte del ‘non usare parolacce’, abilità che è stata costretta ad acquisire dalla nascita di Beth.

 

“Non importa chi l’abbia detto …” tenta di nuovo Puck, appoggiandosi anche lui sul fianco in modo da essere faccia a faccia con la sua baby “… perché, anche solo in parte, è vero”

 

“Non sanno cosa vuol dire mettere la propria vita, il proprio tempo, le proprie energie e i propri sogni in secondo piano rispetto a qualcun altro” sibila Quinn, furente. Avrà anche scodellato un pargolo ma, quando vuole, sa ancora tirare fuori il suo vecchio caratterino!

 

“Hai ragione” concorda lui, annuendo pure. “Perfettamente ragione. Solo che ce l’hanno anche loro. Qualche volta possiamo anche smettere per un istante di essere genitori e fare i ragazzi” aggiunge, muovendo la mano libera fino ad appoggiarla sulla guancia di Quinn, iniziando poi a sfiorarla con i polpastrelli. “Non sto dicendo di fare le cinque di mattina tutte le notti, ecco, ma uscire una volta da soli non è vietato. Per un misero paio d’ore, poi”

 

“Non so” concede solamente la ragazza, pensierosa. “Forse … forse hai ragione, non ci farebbe male staccare un po’, però … non sono ancora convinta che sia una buona idea. Senza contare che staremmo via anche per le Nazionali di canto, perciò … ci penserò

 

“Tranquilla, non c’è fretta” sorride furbescamente Noah. “Mancano ben tre giorni al Prom”

 

“Stupido” mormora trattenendo un sorriso mentre lo colpisce con uno schiaffo non troppo forte sul braccio.

Poi, vedendolo ridere di gusto per il goffo tentativo, il sorriso svanisce e ci riprova una, due, tre volte. Ne arriverebbe anche una quinta se non fosse per Noah che, rapido come una saetta, decide di porre fine al giochino catturandole la mano tra le dita della sua, molto più grande, portandola poi alle labbra con un gesto molto tenero.

 

“Ora che sei bella sveglia potremmo anche-”

 

“Ho detto non stasera, Noah” lo gela, rigirandosi poi sul fianco in modo da voltarsi dall’altra parte. “Buonanotte” aggiunge, lapidaria, senza però chiudere gli occhi.

 

Il borbottio del ragazzo è l’unica cosa che rompe il silenzio della stanza, insieme al clik del pulsante della lampada del comodino che viene spenta e al cigolio del letto che si muove sotto il peso di Noah che si sposta.

 

Quinn chiude finalmente gli occhi qualche istante dopo, quando il braccio del ragazzo le circonda la vita e il calore del suo corpo le riscalda la schiena.

“Buonanotte, baby” le sussurra, dandole un bacio tra i capelli biondi.

 

--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--Glee--Mi concede questo ballo?--Quick what if--

 

Venire al Prom, alla fine dei conti, non è stata un’idea così malvagia. Sta avendo modo di vedere tutti i loro amici e compagni di canto agghindati, felici ed eccitati ma al tempo stesso resi un po’ cupi –Tina piange a dirotto da ben prima del suo arrivo, però lei non fa testo– dalla consapevolezza di essere ormai alla fine di un viaggio bellissimi, unico ed incredibile.

“Non farai mai parola con nessuno di quello che è successo qui. Né ora, né mai. Capito, Lucy?”

 

Poi c’è questo, ovvero Santana, meravigliosa nel suo vestito rosso al tempo stesso elegante e sensuale, che ha appena fatto uno di quei gesti che riecheggeranno nei secoli, almeno per quanto la riguarda.

“Tranquilla, Lima Heights. Nessuno verrà mai a sapere che hai un cuore”

 

“Sarà meglio” le sorride, dandole poi un sonoro colpo di palmo sul sedere. “Ora vado da Figghy a dargli i due nomi. Ci vediamo dopo”

 

Quinn sorride di rimando, dirigendosi poi verso l’ingresso principale della palestra. Prima di entrare e tornare nella mischia del bellissimo ballo a tema ‘Dinosauri’ inventato da Brittany, sempre più geniale, controlla se sua madre abbia risposto al suo settimo messaggio della serata per sapere come vadano le cose a casa con Beth.

 

“Tua madre mi ha appena mandato un sms pregandomi di staccarti dal cellulare” le spunta alle spalle Noah, facendola sobbalzare per lo spavento. “Cosa mi avevi promesso?”

 

“Lo so, lo so” farfuglia Quinn, appoggiandosi una mano sul petto per cercare di regolarizzare i battiti del cuore. “Avevi detto meno di dieci ed infatti siamo ancora a sette” gli fa notare, infilando il cellulare nella borsetta.

 

“Siamo qui da un’ora a dir tanto” sbuffa, offrendole comunque il braccio che la sua ragazza accetta volentieri. “Almeno ti stai divertendo un pochino?”

 

“Certo” lo rassicura, sorridendo smagliante. Ed è la pura verità. Rimanere qualche minuto con Santana a contare le schede per l’elezione di Re e Reginetta del Prom le ha permesso di riportare a galla aneddoti di quattro anni di liceo estremamente intensi oltre che da morire dal ridere.

 

A Puck sembra bastare a giudicare dal modo in cui sorride a sua volta, conducendo la sua accompagnatrice in mezzo alla folla. 

La musica è spenta, segno che è quasi giunto il momento della premiazione, mentre gli studenti si sono radunati in gruppetti per parlare del più del meno, bere qualcosa –sempre ammesso che la Sylvester non voglia fare qualche tortura/interrogatorio– e smangiucchiare una fetta di pizza in attesa del ballo dei sovrani.

 

“Qualche anticipazione?” le chiede avvicinandosi al tavolo dove sono seduti Sam, Mercedes, Tina e Mike, intenti molto probabilmente a provare di trovare divertente una delle imitazioni di Bocca di Trota.

 

“Finn” risponde svogliata, estremamente tentata dalla voglia di afferrare il cellulare e mandare a quel paese sua madre, non tanto per aver messo in mezzo Noah quanto per non averle effettivamente risposto.

 

“Uff ... va beh, meglio lui di Rick ciuffo rosso” sospira, prendendo posto su una sedia. Se gliene fregasse qualcosa, probabilmente gli scoccerebbe vedere Hudson premiato. Invece …

“E la Reginetta?”

 

“Silenzio ragazzi, un attimo di attenzione”

 

Quinn fa spallucce, voltandosi poi verso il palco per osservare Figgins alle prese con un annuncio sui rettili, la più grande piaga mai vista nei bagni del McKinley. Dopo i vampiri, ovviamente.

 

“Perfida” le sussurra divertito, cingendole la vita con un braccio.

 

“È una sorpresa” ridacchia in risposta, cercando di far muovere Puck per farlo avvicinare il più possibile al palco.

 

Con una fretta quasi irreale, Figgins fa salire tutti i candidati sul palco, invitando poi Kurt ad unirsi a loro per incoronare i vincitori in quanto ‘Reginetta in carica’. Più passano gli anni più è difficile capire quanto il preside del McKinley sia effettivamente tonto o quanto, in realtà, si diverta a fingere di esserlo.

 

Quando Figgins fa il nome di ‘Mr. Finn Hudson’ e Kurt gli appoggia la corona sulla testa, tutta la palestra si lascia andare ad un lungo e convinto applauso. In fin dei conti è ancora il quarterback dei Titans anche se, dopo la vittoria inaspettata dell’anno scorso, la squadra di football ha avuto un crollo clamoroso.

 

L’unico a non applaudire è Noah e non per cattiveria o invidia. È infatti impegnato a scrutare il volto di Quinn per capire chi sia la Reginetta, in attesa che una smorfia o uno sguardo la tradisca.

Tra le tre candidate, Santana è quella che sulla carta dovrebbe stravincere alla grande. Ma ha parlato di sorpresa, quindi …

“Dai, avanti, dimmi chi è”

 

“Un attimo di pazienza, testone” ridacchia, prendendogli il volto con una mano e girandolo verso il palco.

 

“La Reginetta del ballo di quest’anno è …” prende tempo Figgins, aprendo la busta. Dopo aver letto il nome, però, si lascia andare ad uno sbuffo divertito. “Per il secondo anno consecutivo alle urne abbiamo avuto l’anarchia” fa, sinceramente compiaciuto, mentre Kurt alle sue spalle sembra pronto ad avere un infarto fulminante.

“Avendo ricevuto la maggioranza dei voti di preferenza, salga sul palcoscenico … Miss Rachel Berry

 

Silenzio. Roboante, incredulo, spiazzato silenzio.

Poi qualcuno applaude, timidamente. È Artie. Gli altri lo imitano, sempre più convinti, finché l’intero corpo studentesco non batte le mani, incitando una scioccata Rachel a salire sul parco.

 

“Cosa … cosa diavolo avete combinato?” farfuglia Puck, applaudendo a bocca aperta. Dire che è sbalordito sarebbe usare un eufemismo. Senza considerare che ha visto perfettamente l’occhiolino che Santana ha fatto verso di loro, più precisamente verso Quinn.

 

“Abbiamo solo pensato di chiedere scusa a Rachel per quello che le abbiamo fatto passare e di ringraziarla per il Glee” spiega lei, continuando ad applaudire l’incoronazione della Reginetta. “Avrebbe vinto Santana, ma ... tu non dirlo a nessuno, ok?”

 

“Non c’è pericolo, sono troppo sconvolto per aprire bocca”

Santana Lopez che rinuncia all’ennesimo riconoscimento celebrativo utile ad incrementare il proprio ego è di per sé una notizia clamorosa, figurarsi se lo cede ad una delle persone che, almeno in teoria, meno sopporta in tutto l’Universo. Evidentemente Noah Puckerman non sa della foto di Rachel che la sua ex tiene nell’armadietto.

 

“Studenti del McKinley, accogliete i vostri nuovi sovrani” riprende il preside Figgins, interrompendosi per permettere agli applausi di scemare. “Ed ora, il primo ballo del Re e della Regina di quest’anno”

 

“Sembra impaurita” ridacchia Quinn, voltandosi verso Puck.

 

“Si aspetterà come minimo un attentato a colpi di fango” ghigna lui, sistemandosi i risvolti della giacca dello smoking che ha affittato per la serata. “Mi concede questo ballo, Miss Fabray?” chiede offrendole la mano, mentre la coppia reale ha già preso posto in mezzo alla sala.

 

Watching every motion
In my foolish lovers game
On this endless ocean
Finally lovers know no shame

 

 

“Avete fatto una cosa bellissima” le sorride, stringendole la mano destra nella propria sinistra e sistemandole l’altro braccio sulla schiena, iniziando a muoversi lentamente. “E tu sei bellissima, te l’ho già detto?”

 

“Giusto un paio di volte, però mi piace sentirtelo dire spesso” sorride Quinn, imbarazzata, prima di appoggiare il capo sulla sua spalla. “Sono contenta di essermi fatta convincere”

 

“Anche io” risponde lui, appoggiandole la guancia sui capelli biondi raccolti ed accarezzandole lentamente la schiena da sopra il tessuto violetto.

 

Turning and returning
To some secret place inside
Watching in slow motion
As you turn around and say

 

“Sono già passati due anni, ti rendi conto?” mormora ad un certo punto Quinn, senza muoversi dalla spalla di Noah.

 

“A volte faccio fatica a crederci anche io” la rassicura, senza smettere di muovere i piedi. “Mi sembra che l’estate che abbiamo passato senza chiudere un occhio, quella dopo la sua nascita, sia appena finita”

 

“Quelli sono incubi” ride lei, stringendosi appena di più al suo corpo al solo pensiero di quei giorni brutalmente estenuanti. “La fatica che abbiamo fatto a tornare a scuola, invece? Quanto eravamo distrutti i primi mesi?”

 

“Lo siamo ancora, se è per quello” ridacchia lui questa volta. “Ci abbiamo solo fatto un po’ l’abitudine”

 

“Già” sospira Quinn, rimanendo poi in silenzio ad ascoltare la fantastica voce di Santana.

 

Take my breath away
Take my breath away

 

“Ancora un mese e saremo diplomati” fa Noah, dopo qualche attimo di silenzio. “Come pensi che sarà la vita … dopo?”

 

“Difficile” risponde lei senza giri di parole, staccandosi per guardare Puck dritto negli occhi. “Saremo solo noi e Beth, lontani da mia madre, da tua madre e dai nostri amici. Sarà molto più dura di quanto lo sia stata fin’ora”

 

“Columbus non è poi così lontana” tenta una battuta, senza però avere successo.

 

“Sai di cosa parlo” gli fa seria, incastonando lo sguardo nelle iridi chiare del suo ragazzo. Deve fargli capire cosa ne pensi ad ogni costo. “Ma … io penso che ce la faremo”

 

“Pensi?” ghigna lui, gonfiando il petto e facendo come al solito lo sbruffone quando è nervoso per qualcosa. “Volevi dire ne sono sicura

 

“Sono sicura che ce la faremo”

 

Watching I keep waiting
Still anticipating love
Never hesitating
To become the fated ones
 

 

“Mentre contavo i voti della Reginetta, ho trovato una scheda strana” farfuglia, appoggiandosi di nuovo al suo petto.

 

“Volevo solo farti sapere che per me sei tu la Reginetta del Prom, la mia Reginetta” sorride, mentre lei arrossisce. “Sono nei guai, non è vero?” ghigna poi, soddisfatto.

 

“Sì che lo sei” mormora contro la sua giacca. “Hai scritto la mia baby … sempre il solito stupido, a momenti mi commuovo davanti a Santana Lopez”

 

“Sono troppo romantico, ne sono perfettamente consapevole” ridacchia Puck, cercando di evitare di terminare la frase con una battuta sporca come suo solito.

 

“Sì, come no” sorride, muovendo ancora la testa per poterlo guardare dritto in faccia.

 

Puck si china un secondo dopo, appoggiando le labbra sulle sue, famelico e bramoso di lei come ogni volta in cui lui prende l’iniziativa. Quinn muove la testa appena indietro prima di rispondere al bacio con la stessa intensità, sorridendo quando la mano di Noah scivola dalla schiena al sedere senza però –chissà per quale miracolo– palparla. Per una volta, si limita solamente a tirarlo per la manica della giacca per farlo tornare al proprio posto.

 

“Riesci sempre a fare in modo di rovinare un bel momento, vero?” gli sorride dopo essersi separata molto lentamente dalle sue labbra e avergli lasciato un rapido bacio a stampo per non  farlo protestare.

 

“È per questo che mi ami”

 

Quinn scuote la testa e sorride, senza aggiungere altro, perché qualunque cosa le possa venire in mente di dire rovinerebbe una grande verità o, in alternativa, per non alimentare un ego già mastodontico. 

Semplicemente, come le ha detto Sam una volta, parafrasando Batman, Puck non è il ragazzo perfetto, proprio no, ma è esattamente ciò di cui ha avuto e ha ancora oggi bisogno.

 

“Ricordati che dobbiamo fare la foto prima di andare via” le ricorda Noah quando la canzone è finita, ridestandola dai suoi pensieri.

 

“Certo” concorda Quinn anche se la sua vocina interiore le sta dicendo chiaramente che, anche senza quella foto ricordo, faticherà a dimenticare questo momento, come qualsiasi passato con loro. La sua famiglia.

 

 

 

  

Note dell’autore.

 

Come promesso, ecco la prima one-shot della raccolta Quick. Il titolo, come al solito, è un po’ così. Non sono proprio capace di trovarne, peccato.

 

Passiamo ora ad un paio di spiegazioni. Innanzitutto, anche se non penso ci sia bisogno di ribadirlo, la one-shot si colloca temporalmente alla fine di una ipotetica terza stagione in cui i nostri ragazzi hanno compiuto una scelta bella tosta: tenere Beth. Lo so, sembra banalina come cosa, però ho provato a cambiare un po’ le cose.

Ho usato come ‘ispirazione’ uno dei temi di una delle Quick week –dell’anno scorso o di quello prima, non so, l’ho trovato su internet–, Prom with Beth, perché sì, è ingiusto che non siano mai andati al ballo insieme. Mi sembrava una buona idea.

 

Avrei potuto mettere l’avvertimento AU adesso che ci penso, soprattutto perché Quinn non ha avuto l’incidente e non è mai stata in carrozzina, però nella mia testa andando a modificare una cosa a monte, ovvero alla fine della prima stagione, quello che è venuto dopo si è modificato, anche solo di qualche dettaglio ……… mi sa che ho visto troppe volte ‘Butterfly effect’.

L’unica cosa che mi dispiace è aver tolto uno dei momenti più bella della terza stagione, ovvero Puck che si comporta in maniera incredibilmente dolce con Becky. E va beh, è andata così.

Spero vi sia piaciuta.

 

Ora, invece, inizierei a parlare del secondo capitolo di questa raccolta –di cui non ho ancora deciso la lunghezza, vedrò in base all’ispirazione, alla voglia e al seguito, né il tempo di aggiornamento.

Come ho scritto nell'introduzione, ci saranno one-shot praticamente di ogni tipo e di ogni rating -per ora è verde, quando cambierà lo modificherò e, comunque, lo scriverò nella mascherina che metterò in ogni capitolo. 

Pensavo di mettere, alla fine di ogni one-shot, la lista dei capitoli che sto scrivendo o che ho in mente di fare. Sarete voi a decidere quale vi ispira di più: quella con più preferenze, verrà pubblicata la volta successiva. Ovviamente, in caso di parità –poco probabile– o di mancanza di voti –molto più probabile–, lascerò decidere al caso. O metterò quelle già finite. O finirò quelle in cui sono più avanti.

 

Direi che … possiamo provare, dai.

1) Crossover con Game of Thrones, rating rosso. Per evitare spiegazioni di casate, intrighi, etc, piuttosto incomprensibili per chi non ha visto il telefilm –o letto i libri– ed evitare spoiler involontari, tratterò uno degli argomenti che mi incuriosiscono di più e al tempo stesso lasciano molto spazio all’inventiva: i Bruti. Ci saranno anche i Guardiani della Notte? Sì. Ma non Jon Snow.

 

2) AU apocalittica, con zombie, rating ovviamente rosso. Non ho molto da dire, se non che … splatter, splatter ovunque. Ma non aspettatevi eroi immortali e giustizieri con la spada che uccidono migliaia di non morti. Non ci saranno.

 

3) Futur fic, rating verde, angst. Non aggiungo altro.

 

Per il momento direi basta così, la prossima volta ne metterò altri. O magari potreste essere voi a lanciare suggerimenti o, perché no, a scriverne direttamente una –se non ho letto male, si possono fare raccolte a più autori. Sbaglio? Nel dubbio, chiedo a voi.

E … boh, grazie a chi leggerà, a chi arriverà fin qui e non proverà l’impulso di mandarmi a quel paese :)

Chiudo queste note chilometriche dicendo a chi segue ancora ‘Home’, la mia long Quick, che, se vi interessa ancora, aggiornerò giovedì/venerdì. Grazie a chi ha letto e commentato l’ultimo capitolo e mi scuso ancora per il ritardo.

Passo e chiudo, a presto!

Pace. 

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Capitolo 2
*** Los Angeles è il posto giusto ***


Personaggi: Noah Puckerman, Rachel Berry, Quinn Fabray (menzionata), Greg (nuovo personaggio, menzionato), Molly (nuovo personaggio).

Note: futurfic, ambientata diversi anni dopo la fine della terza stagione di Glee. Nota aggiuntiva: per questa one-shot non terrò assolutamente conto di tutti gli eventi della quarta stagione.

Rating: verde.

Genere: angst, introspettivo.

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di qualcuno che li odia Ryan Murphy e della Fox (credo); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per dare un po' di spazio ad una coppia mai approfondita.  

 

 

Los Angeles è il posto giusto.

 

 

Trasferirsi a Los Angeles, la città degli Angeli, è stata senza ombra di dubbio una delle decisioni migliori della sua vita, seconda solo alla scelta di farsi la vasectomia in terza liceo.

 

Se il fascino intrinseco della città, dei suoi grattacieli, delle sue spiagge, da Santa Monica a Malibù, dell’Hollywood Boulevard, dei suoi quartieri immensi sempre vivi, dopo un po’ può anche diminuire, perché prima o poi si fa l’abitudine a tutto, di una cosa non si finisce mai di rimanere sorpresi: la quantità astronomica di ragazze che superano i normali standard di bellezza.

 

E, come dice Noah Puckerman, non sono solo gnocche stratosferiche, sono anche stupide. Un mix perfetto se, proprio come lui, si è a caccia di avventure di una notte e si rifugge da relazioni serie come se fossero radioattive.

 

Los Angeles è l’equivalente de La Mecca dei Musulmani per chiunque voglia sfondare nel mondo della televisione e del cinema pur non avendone il talento: almeno una volta nella vita bisogna andarci, salvo poi tornare a casa con la faccia rossa per tutte le porte che si sono prese in faccia.

Proprio quando ragazzine un po’ oche con il fisico da pin-up si rendono conto di non sapere dove andare, di non poter mai realizzare il loro sogno … sbam, ecco che entra in gioco lui.

 

Gallinelle di ogni forma, età, colore dei capelli ed etnia, scartate da questo o quel reality, bocciate ad uno dei miliardi di provini per l’ennesima serie tv, sono passate nel suo appartamentino nello Wilshire.

 

Il lavoro poi va ben al di là di ogni sua più rosea aspettativa. Esistevano decine di aziende di lavaggio piscine ad LA quando aveva messo piede in città per la prima, ma nessuna aveva mai pensato che usare ragazzi o ragazze attraenti in costume al posto di sottopagati messicani con la pancia tonda e i baffetti potesse attrarre più clientela. O di affiliarsi ad un’agenzia che offrisse questa possibilità a tutti e tutte coloro che non ricevevano il lavoro dei loro sogni.

Noah, invece, l’ha fatto. E ha fatto anche i soldi, scongiurando definitivamente il terrore di diventare un fallito come suo padre.

 

Oh sì, Los Angeles sembra essere stata creata apposta per lui.

 

 

Rientra come al solito ben oltre le nove di sera. Non che lavori fino a quell’ora, ovvio, ma perché dopo la chiusura della ‘Puck’s Swim’Pools’, è tradizione uscire a fare aperitivo con i suoi dipendenti.

 

Lascia cadere le chiavi sul tavolo della cucina, svuotando il contenuto delle tasche su un bellissimo tavolinetto di vetro che gli è stato consigliato di mettere in mezzo al salotto da una stylist dell’arredamento che si è sbattuto anni fa.

 

Si toglie le scarpe senza nemmeno abbassarsi a slacciarle, usando la punta per abbassarle e poi lanciarle contro il divano.

 

Si sbottona lentamente la camicia –ora è obbligato ad avere un certo stile–, lasciando anche quella sul divano, aggirando il tavolo per arrivare al frigorifero.

Dopo una dura giornata di lavoro e un aperitivo a base di vinello frizzantino, una bella birra fresca non solo ci sta, ma è anche necessaria.

 

Assapora con gusto il sapore amaro della bevanda ghiacciata, imprecando rumorosamente quando il telefonino appoggiato sul vetro comincia a suonare.

Succede quando ci si dimentica di spegnerlo.

 

È costretto ad aggrottare le sopracciglia, sorpreso o confuso, difficile da dire, quando vede sullo schermo del cellulare un numero sconosciuto che comincia con 201, il prefisso di New York City.

“Pronto?”

 

Noah!”

 

Ci sono solo due persone che lo chiamano così ed è decisamente poco probabile che sua madre si sia trasferita a NYC senza avvisare. “Berry?!”

 

Ciao! Santo cielo, è da un sacco che non ci sentiamo!

 

Sorride, divertito, sedendosi sul bracciolo del divano senza nemmeno prestare attenzione alla camicia che finirà per sgualcirsi sotto al peso del suo sedere.

“Effettivamente è così. Come va?”

 

Benissimo! I registi di Off-Broadway fanno carte false per avermi nei loro spettacoli. Mi sto facendo un nome, spero che presto qualcuno mi darà un’occasione su un palco importante! Nel frattempo sto valutando progetti anche fuori NY, sai … tipo Chicago e San Francisco. Per variare un po’ il mio genere … Noah? Stai ridendo?

 

Sì che sta ridendo. Non si vedono da qualcosa come sei anni, ovvero dal matrimonio di Mike e Tina–purtroppo non è potuto andare alle riunioni per festeggiare il decimo anniversario del loro diploma e della vittoria delle Nationals–, non si sentono da almeno un paio d’anni, ma è quasi rassicurante per lui vedere che Rachel non cambierà mai. Sempre sintetica e modesta quando si tratta di parlare di sé stessa.

“Che tu ci creda o no, mi è mancata la tua parlantina logorroica. E sono felice che la tua carriera stia andando bene, te lo meriti”

 

Ooooh … grazie Noah, sei davvero carino a dirmi questo. E tu invece? Come procede la vita a LA?

 

Si passa una mano sulla testa rasata nell’esatto punto in una volta si ergeva la sua maestosa cresta –le vecchie abitudini sono dure a morire–, chiedendosi effettivamente come vada la sua vita.

“Bene. Sto pensando di trasformare la mia società in una s.p.a. perché ormai muoviamo una quantità di denaro eccessiva per una società semplice, presto acquisirò una ditta che monta le piscine in modo da ampliare il mio business e … l’altra sera sono uscito con una che è stata buttata fuori alle semifinali di American Idol”

 

Uffi, Noah! Quando ti deciderai a mettere la testa a posto?

 

“Pfff … ricordati sempre che non c’è donna che possa intimidire Puckzilla o tenergli testa” dice gonfiando il petto come un galletto, ghignando quando gli arrivo all’orecchio lo sbuffo della Berry.

 

Senti, Noah. Io ti ho chiamato per sapere come stai ma anche per un altro motivo. Non è che per caso la tua vecchia e-mail è ancora attiva?

 

“Non credo” mormora grattandosi il mento coperto da una leggera peluria –forse è ora di farsi la barba. “E anche se lo fosse non mi ricordo di certo la password. Perché lo vuoi sapere?”

 

Ecco io … non …

 

Rachel a corto di parole è un brutto segno. Un brutto, bruttissimo segno.

 

Senti, tagliamo la testa al toro. Ti ho mandato, circa un paio di mesi fa, l’invito di partecipazione alla festa di fidanzamento di Quinn. Visto che non mi hai mai risposto ho pensato di chiedere a Mercedes il tuo numero e … beh, eccoci qui

 

Ma la mente di Puck si è fermata alla prima parte, quella che parla di Quinn. Della sua vecchia ‘amica’ Cheerios. Della madre di sua figlia.

“F-fi … fidanzamento? Vuoi dire quello che si fa prima del … del matrimonio?” esala dopo un silenzio fin troppo lungo per i suoi gusti.

 

Già … tutto bene?

 

“Eh? Sì, sì, certo. Q-quando è? Non il matrimonio, dico … dico il party di fidanzamento”

La sua voce tentenna, la domanda è stupida e non vuole davvero sapere quando sarà, ma è così che dovrebbe comportarsi uno che non ha appena ricevuto una vagonata di mattoni sulla testa.

 

Tra circa un mese. Il sedici Maggio per la precisione. Qui a New York. Sai, adesso vive qui

 

“Maggio, eh? … quanto tempo ho per dirti se riesco a venire? È un periodo delicato, sai, con il caldo riaprono le piscine e il lavoro quintuplica e … sai, no?” balbetta quasi, inciampando nelle sue stesse parole. Ha così tante domande e nessuna voglia di farle ad alta voce.

 

Fino al giorno prima. Vedi, sono la testimone di Quinn quindi organizzo tutto io e posso inserirti in ogni caso. E poi è una festa tra amici, uno in più o in meno non cambia

 

“Fantastico” mormora con tono neutro, assente, perso in altri pensieri a cui non può e non vuole dare libero sfogo.

 

Quindi … bene. Se hai qualche altra domanda, questo è il mio numero di telefono di casa. Quello di cellulare è sempre lo stesso, non l’ho cambiato. E … è stato un piacere risentirti! Dovresti farti vivo più spesso!

 

“Lo farò Berry, lo farò”

 

E quando la voce di Rachel lo lascia davvero solo ad affrontare sé stesso non può non sentirsi un idiota.

Perché a trent’anni –quasi trentuno– è ancora per molti aspetti lo stesso ragazzino idiota che correva dietro a qualsiasi gonnellino mentre gli altri si stanno facendo una vita –o almeno ci provano– con qualcuno al loro fianco.

O forse, molto più semplicemente, perché c’è di mezzo Quinn.

Non dovrebbe bruciargli così, non dovrebbe dargli così fastidio. In fondo nemmeno con lei è riuscito a mantenere un rapporto decente dopo il diploma e l’ultima volta che l’ha vista è stata, come per tutti gli altri, al matrimonio di Mike e Tina.

 

Eppure fa male. Perché l’ha amata davvero, la prima e unica ragazza ad essere riuscita nell’impresa di costringerlo a crescere un po’, anche se solo per breve tempo.

 

Una valanga di rimpianti sepolti sotto la dura scorza da squalo riemergano in una volta sola, riportando alla luce sentimenti che credeva di aver scordato.

L’ha avuta accanto a sé per mesi ma non è mai riuscito a fare l’ultimo passo verso di lei, preferendo guardare Santana o altre cheerleader sculettare che provare a starci davvero insieme.

 

E ancora, nei giorni precedenti e successivi al diploma, qualcosa era successo. Però, dopo che lei l’ha baciato, dopo che lei lo è andato a cercare per salutarlo prima di partire per il Connecticut e Yale, lui non è riuscito a dirle nulla, se non ‘Fai vedere a tutti chi sei’.

Persino lui era riuscito a capire quanto lei volesse sentirsi dire altro, che pretendesse qualcosa di importante. Eppure, pur sapendolo, non l’ha fatto. Non credeva di poterle dare ciò di cui aveva bisogno, non pensava di essere l’uomo giusto per lei, non aveva intenzione di rinunciare al suo sogno per rincorrere un fantasma.

 

Sei ancora lì, non è vero?

 

Osserva il cellulare stretto tra le mani, confuso. Rachel? È ancora lì?

Una parte di lui vorrebbe chiudere la chiamata, l’altra vorrebbe prendersi a schiaffi per non aver controllato di averlo fatto e per non averlo fatto subito.

Sospira, stringendo a pugno la mano libera prima di esalare un flebile “È felice?”

 

Come?

 

“Quinn. È felice? Lui … lui la fa stare bene?” mormora a voce bassissima, piantando le unghie nel palmo. Dopo tutto questo tempo? Può essere ancora geloso di lei?

 

Quinn e Greg si amano, sono felici e innamorati. Mi … mi dispiace

 

Ride, amaro, perché non è normale che qualcuno si dispiaccia per lui e soprattutto che qualcuno possa capire uno stato d’animo che nemmeno lui che lo sta vivendo riesce a capire.

“Di cosa, Berry?”

 

Non c’è bisogno di essere sensitivi come me per capire certe cose, Noah

 

Rimane in silenzio qualche secondo, cercando di pensare a qualcosa di graffiante da dire.

“Dovresti essere contenta se la tua migliore amica è felice, no?”

 

Mi dispiace per te. So cosa stai pensando, ti conosco. Ricordi quando eravamo sulle gradinate del campo di football? Io sì, è lì che ti ho visto per la prima volta … per la prima volta davvero. Hai sempre fatto così, non ti sei mai ritenuto al suo livello e ti sei sempre limitato a guardarla da lontano speran-

 

“Rachel” sibila, rabbioso, facendo sbiancare le nocche della mano ancora stretta a pugno.

 

Scusa” mormora la ragazza dall’altro lato degli Stati Uniti. “Non so se ti può essere d’aiuto o no, però … lei ti ha aspettato, lei ha cercato di dimenticarti, lei … ti ha amato davvero, Noah

 

No, non è per niente d’aiuto.

“… grazie, Rachel”

 

Spero che ci sentiremo presto. Ciao, Noah

 

Mugugna qualcosa di incomprensibile, farfugliando tra i denti, prima di interrompere la chiamata e lasciarsi cadere inerte sul divano.

 

C’è una parte di lui, una piccola ed ingenua parte richiusa a tripla mandata in un antro nascosto del suo cuore, che ha sempre sperato di poter stare con lei davvero, da persone adulte, perché se Quinn gli avesse concesso un’altra occasione stavolta avrebbe potuto cambiare, per lei avrebbe potuto finalmente crescere.

Ogni volta che quella parte combatteva per emergere la reprimeva, dandosi dell’idiota per la sensazione di essere preso in giro dal suo stesso istinto.

 

Ripensa alla lunghissima chiacchierata che hanno avuto a quel matrimonio, a quanto fosse bellissima mentre rideva alle sue solite scemate, a come con i capelli di nuovo corti alle spalle fosse semplicemente divina.

 

Scuote la testa nervosamente. Un’altra occasione persa, un’altra situazione in cui non è stato abbastanza coraggioso da osare, un altro capitolo che si aggiunge alla serie ‘Quinn e Puck, la collezione dei sentimenti e delle frasi mai dette’.

 

Si immagina Greg, sicuramente uno stupido pomposo e borioso testa d’uovo con gli occhialetti tondi, i capelli lunghi tirati indietro con il gel e un paio di lauree. E lo odia, perché non potrebbe fare a meno di farlo. E lo invidia, perché a quanto pare è riuscito a fare quelle due cose in cui lui ha sempre fallito: amarla e renderla felice.

 

 

Il cellulare suona di nuovo, ma stavolta non è Rachel o Quinn o nessuno di loro. È Molly –se lo ricorda solo perché compare sullo schermo–, una delle ragazze che ha conosciuto all’aperitivo di qualche ora prima.

 

“Pronto?”

Olà! Prima sei andato via ma la festa non è mica finita! Si è solo spostata! Quindi … che fai stasera, carino?

 

 Sì, decisamente, Los Angeles sembra essere stata creata apposta per lui. Solo qui potrebbe far finta che sia tutto ok senza che nessuno gli chieda alcunché, evitare di affrontare la propria coscienza e continuare a comportarsi come ha sempre fatto, ovvero reprimendo con ogni scintilla di energia i sentimenti all’interno senza permettere loro di uscire.

“Ti porto a cena, dolcezza”

 

 

Note dell’autore.

 

Angst avevo promesso, angst fu.

Non ho molto da aggiungere, se non che, come avrete notato, non c’è praticamente traccia di Beth. Questo perché è inserita nello stesso ‘Universo’ della serie, dove a nessuno frega nulla del fatto che abbiano avuto una bambina assieme –sarcasmo e vena polemica in una sola frase, wow.

 

Per il prossimo capitolo –che non so quando arriverà, ho davvero molto poco tempo e ho creato questa raccolta apposta per evitare le scadenze di una long– ho un’idea rossa in mente.

Visto che il giochino della volta scorsa è stato praticamente un fallimento, direi che è stato bello finché è durato e passo oltre.

Se qualcuno ha qualche idea, però, sarò felicissimo di sentirla. Per commento, messaggio, piccione viaggiatore … come volete, se volete leggere qualcosa o avete un’idea in mente, ditemela pure :)

 

Per chi segue anche ‘Home’ –sempre meno, ho notato con dispiacere–, sono ancora indietro. Ho avuto un problema con il file di Word che si chiama ‘ommioddio che cosa ho scritto, che schifo, meglio cancellare tutto prima di fare cavolate’. Spero di finirlo entro domani –difficile–, in caso contrario dovrei farcela per martedì/mercoledì.

 

Grazie per l’attenzione, per aver letto, per aver commentato lo scorso capitolo e per aver messo tra le seguite/preferite.

A presto, spero.

Pace. 

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Capitolo 3
*** Super Mario? Sei serio?! ***


Personaggi: Quinn Fabray, Judy Fabray, dottoressa Maddox (nuovo personaggio), Noah Puckerman, un po’ tutti (solo menzionati).
Note: missing moments, ambientato alla durante la terza stagione di Glee in un ipotetico intermezzo tra le puntate 14 e 15.
Rating: verde.
Genere: generale (augurandomi che significhi un po’ di tante cose), (appena appena) introspettivo, mi auguro un pochino comico ed appena fluff (solo come amici, però, per restare fedele alla serie … mah).
Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di qualcuno che li odia Ryan Murphy e della Fox (credo); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per dare un po' di spazio ad una coppia mai approfondita.  

 

 

 

Super Mario? Sei serio?!

 

 

Appoggia il sandwich sul vassoio dopo nemmeno tre morsi. Non che faccia schifo, eh. Insomma, è cibo d’ospedale e non cucina da ristorante di lusso, però non è così male.

Ha semplicemente lo stomaco chiuso in una morsa così stretta da non far passare più bocconi di così.

“Non ho molta fame” si giustifica dopo essersi accorta dello sguardo disperato di sua madre –sguardo che non l’ha abbandonata per un solo momento da quando si è svegliata in quel letto.

 

“Almeno il budino” contratta Judy, scartando l’involucro d’alluminio e porgendole il vasetto. “È cioccolata. È buona

 

Quinn ruota gli occhi al cielo, evitando di notare la dottoressa Maddox, la giovane internista che l’ha in cura, intenta a nascondere una risata dietro la sua cartella.

“Lo so che la cioccolata è buona, mamma” sbuffa, afferrando comunque il budino. “Ho avuto un incidente, non sono regredita a quando aveva cinque anni”

 

“Questa mancanza di appetito è normale?” la ignora completamente sua madre, rivolgendosi direttamente alla dottoressa.

 

“Beh, certo che sì” annuisce lei, rimettendo la cartella al suo posto. Sul volto ha un sorriso che, nonostante gli evidenti sforzi, non riesce a mascherare. “Il trauma che ha subito sua figlia può portare a ripercussioni di questo tipo. La lasci mangiare ciò che vuole per un po’ e vedrà che, non appena il corpo avrà smaltito lo stress, il metabolismo di Quinn tornerà alla normalità”

 

“Capisco” annuisce Judy, avvicinando di più al letto la sedia che non ha ancora abbandonato da quando sua figlia è stata portata lì. Cosa successa ormai tre giorni fa, per la cronaca.

 

Approfittando del momento in cui sua madre prende il cellulare dalla borsetta per rispondere ad un sms, Quinn getta uno sguardo di supplica alla dottoressa che, all’improvviso, si ricorda del loro ‘piano’.

 

“Judy” mormora la Maddox dopo aver fatto un occhiolino alla sua paziente. “Sono un po’ preoccupata per lei”

 

Per me?” sussulta la donna sulla sedia, voltandosi verso la dottoressa con una mano appoggiata drammaticamente sul petto e un’espressione addolorata stampata sul volto.

 

La giovane internista rimane spiazzata per qualche secondo dalla posa teatrale della madre di Quinn prima di annuire gravemente.

“Da quanto non dorme?”

 

“Io … beh … io dormo tutte le notti” tartaglia voltandosi almeno tre volte verso la figlia, cercando in lei un appoggio che non sa di non avere. La voce particolarmente acuta rispetto al normale, poi, renderebbe difficile a chiunque bersi una frottola del genere.

 

“Su una sedia” interviene Quinn. Sembra alto tradimento, ok, ma lo sta facendo solo ed esclusivamente per il suo bene. È pallidissima in volto e sembra invecchiata di colpo di almeno dieci anni. “Svegliandoti ogni ora per vedere se non sto soffocando nel sonno”

 

Judy fulmina la figlia con uno sguardo omicida che ricorda alla ragazza uno di quelli di Santana. Tuttavia, prima che posso dire qualcosa, la Maddox le appoggia delicatamente una mano sulla spalla.

 

“Io e sua figlia crediamo che non ci sia nulla di male se questa sera si concede un po’ di meritato riposo” le dice in tono particolarmente mieloso. “Va a casa, si fa un bagno caldo, beve un bel bicchiere di vino rosso e si riposa per almeno otto ore in un letto vero”

 

“Ma … ma … Quinnie? Non mi vuoi qui?”

 

Di nuovo la vocetta acuta, di nuovo un’avvisaglia di attacco isterico. ‘È solo stanca’ si ripete la ragazza sdraiata sul letto, spostando dietro l’orecchio una ciocca bionda particolarmente ribelle.

“Non ti reggi in piedi, mamma. Non c’è alcun motivo per cui tu rimanga anche stanotte. Sto bene”

 

“Le assicuro che chiederò ad un’infermiera di piantonare la stanza. Sarà come se fosse qui con lei” rincara la dose la Maddox, scambiandosi un cenno d’intesa con Quinn. Ormai è fatta, nessuna persona al mondo potrebbe rifiutare un’offerta del genere.

 

“D’accordo” concede alla fine Judy Fabray dopo un eterno minuto di riflessione, sistemandosi nervosamente la giacchetta ocra che indossa. “Ma-”

 

“Se succede anche la minima cosa la faccio chiamare subito” la anticipa la dottoressa, rivolgendole un sorriso smagliante.

 

“La ringrazio, dottoressa Maddox” mormora Judy con voce stranamente commossa, stringendo contemporaneamente la mano di sua figlia.

 

“Faccio solo il mio lavoro” gracchia l’internista in un tono che forse dovrebbe risultare professionale ma, come unico risultato, ha quello di far scoppiare a ridere Quinn. “Ci vediamo più tardi”

 

“Mi sembra un tantino sciocca, non trovi?” sospira Judy non appena la dottoressa è uscita dalla stanza, allungandosi su Quinn per prendere una cucchiaiata di budino dal vassoio che sta dall’altra parte del letto.

 

“A me piace”

Riesce a farla sentire a suo agio e a farla ridere, oltre al fatto che è disponibilissima. Che altro si può desiderare in un medico?

 

“Domani probabilmente arriverà Frannie da Albany” le comunica la madre dopo un paio di minuti di chiacchiere futili sul cibo e sulla temperatura delle camere ospedaliere.

 

“Non vedo l’ora di vederla” sorride, sinceramente commossa ed entusiasta. Per sua sorella il lavoro e il marito sono tutto, prendere un aereo per venirla a trovare è uno sforzo non da poco considerando il tipo.

 

“Riguardo i tuoi amici? Sei sicura di non volerli vedere? Chiedono tanto di te”

 

Quinn si rabbuia all’istante, dimenticando tutta la gioia per la notizia dell’arrivo della sorella.

Non vuole farsi vedere così, non può farsi vedere così. Ha ancora un briciolo di dignità, anche se non lo direbbe mai guardandosi allo specchio, e non si può permettersi il lusso di farsi vedere debole. Non di nuovo.

“Preferisco aspettare di essere dimessa” mormora freddamente, facendo ricadere la testa sul materasso e voltandosi verso la finestra, nella direzione opposta a sua madre. “Mi vedranno a scuola”

 

Judy è troppo stanca –o già rassegnata- per provare a convincere quella testona di sua figlia.

Da questo punto di vista ha preso decisamente da quel bastardo del suo ex marito, nessun dubbio a riguardo. Ed esattamente come faceva con lui, è molto meglio lasciar perdere.

 

--Glee--Mario Hospital--Quick missing moments--Glee--Mario Hospital--Quick missing moments--Glee-- --Mario Hospital--Glee--Quick missing moments --Mario Hospital--

 

Quando è sola in stanza, tutta la fatica di sorridere di fronte a sua mamma e di far finta di essere serena con i dottori esige il suo tributo.

Quando è sola in stanza, il peso dei suoi pensieri la schiaccia con una forza tale da impedirle di riposare o, peggio, da provocarle costanti mal di testa.

 

Ha provocato un incidente quasi mortale, ha distrutto la sua macchina e quella del signore che l’ha presa in pieno, le toglieranno la patente e molto probabilmente le faranno pure causa.

In più …

 

Appoggia le mani sulle cosce, strofinandole piano, scendendo verso il basso fino ad arrivare alle ginocchia.

Nulla.

Giacciono lì, immobili, inutilizzabili, insensibili.

 

Si passa le mani sul volto, mordendosi con forza il labbro per non piangere ed affondando con la nuca nel cuscino.

 

Paralizzata.

È come se ogni volta che provasse a rialzarsi, qualcosa di più forte di lei la ributtasse a terra per una sorta di compensazione karmica.

‘Hai ritrovato il tuo equilibrio mentale ed in più hai vinto Yale al terno dei college, eh? Bene, ci andrai su una sedia a rotelle!’

 

Qualcuno con un pessimo tempismo bussa alla porta proprio mentre sta lottando con tutta sé stessa per abbandonarsi alla sconforto più totale.

Cerca di ricomporsi il più velocemente possibile e come può, sperando ardentemente che non sia la Maddox ma una semplice infermiera di passaggio. O, peggio, sua madre che dopo mezz’ora ha deciso di ricomparire perché non riesce a starle lontana.

“Avanti” mormora simulando una voce assonnata, il viso precauzionalmente rivolto verso la finestra.

 

“Buonasera”

 

Si volta di scatto, sorpresa come poche volta in vita sua, riconoscendo immediatamente il proprietario di quel vocione.

“Puck!” esclama, sorridendo a trentadue denti.

Solo quando il ragazzo entra nella camera, un mazzolino di quelli che sembrano tanto fiori di campo in una mano e una buffa cartella rosa nell’altra, riesce a rendersi conto di cosa voglia dire vederlo. Non è pronta.

“L’orario di visita è finito almeno un’ora fa” balbetta cercando una scusa plausibile per mandarlo via. Non può vederla ridotta così.

 

“Anche io sono felice di vederti” borbotta ironico, facendo ruotare il povero mazzo in aria. La osserva a lungo, quasi sicuramente per via delle tante piccole lesioni che ha sul volto a causa dell’esplosione del finestrino e dell’apertura dell’airbag, prima di appoggiare i fiori sul comodino e schiarirsi la voce.

“A parte quei taglietti sulla guancia e la fasciatura al braccio, come stai?”

 

Per questo nessuno doveva vederla. Se persino uno come Puck si trova in difficoltà di fronte alla sua nuova condizione –dando per certo il fatto che sua madre abbia già spifferato la notizia ai quattro venti-, come reagiranno gli altri? Rachel diventerà la sua schiava personale visto che era al suo matrimonio che stava andando?

 

“Bene, sì” farfuglia frettolosamente, affrettando a parlare per non lasciare spazio a Puck. “Come hai fatto a passare lo sbarramento d’infermiere? Non le avrai mica sedotte”

 

“Beh …” inizia lui, tentando di appoggiare il piccolo mazzetto in equilibrio contro ad un vaso molto più grande “… me le sono lavorate, lo ammetto, ma non nel senso che pensi tu”

La guarda negli occhi, non riuscendo proprio a non sorridere. “Ho solo recitato la parte del fidanzato disperato

 

Quinn inarca il suo famoso sopracciglio e con le labbra disegna una smorfia fintamente sdegnata, scuotendo appena il capo di fronte allo sguardo interrogativo di Puck.

“Mi infastidisce che ci abbiano creduto”

 

Il ragazzone apre la bocca per protestare, probabilmente ricordandole i loro trascorsi e il fatto che nemmeno troppo tempo fa l’aveva pregato di fare sesso con lei, salvo poi rimanere fermo a fissarla, uno strano luccichio negli occhi. Sembra … commosso?

 

“Quanto cazzo mi è mancato quel sopracciglio?” sbuffa, tuffandosi praticamente addosso alla bionda che, sorpresa, rimane imbambolata mentre le braccia di Puck le si stringono attorno. “Ci hai fatto morire di paura, Q”

 

Ci mette qualche secondo a ricambiare l’abbraccio ma, quando lo fa, improvvisamente gran parte delle sue paure crollano. Come può dubitare del calore che solo gli amici sanno trasmettere?

 

Ci?” riesce comunque a bofonchiare cercando di non far sentire la commozione nella propria voce e facendo appena un po’ di leva sulle spalle di Puck per farlo staccare.

 

“Certo” annuisce vigorosamente, sollevando lo zainetto rosa da terra ed appoggiandolo sul bordo del letto. “Ho portato una cosa ma ho bisogno di … oh, eccola lì

 

Segue con lo sguardo il movimento di Puck che avanza deciso fino al televisore che le hanno portato da un paio di giorni –la sua camera ne era sprovvista-, cercando rapidamente una spiegazione plausibile del suo comportamento.

“La playstation?” farfuglia, inorridita, osservandolo prendere fuori dallo zainetto rosa una serie di cavetti. Poi, però, la sua mente elabora una prospettiva ancora peggiore. “No. Non puoi aver portato-”

 

Nintendo 64 con Mario kart!” esulta Puck senza ricordarsi di trovarsi in un ospedale. Si mette al lavoro con un sorrisetto genuino disegnato sulle labbra, cercando di sistemare al meglio console su una sedia per permettere ai joystick di arrivare al letto di Quinn.

 

“Super Mario? Sei serio?!”

 

“Mario kart” la corregge oltraggiato, voltandosi per scoccarle uno sguardo nervoso. “C’è una bella differenza. E non c’è niente di meglio per svagarsi un po’”

 

Quinn apre la bocca ma scopre di non avere nulla da dire. Dovrebbe arrabbiarsi con lui? Per cosa, poi? Perché ha fatto di tutto per venirla a trovare e perché ha trovato un modo tutto suo –un po’ infantile, forse, ma non importa più di tanto- per farle dimenticare per qualche minuto della sua condizione?

 

È la seconda volta in pochi mesi che Noah Puckerman la sorprende, dimostrandole di essere la persona che meglio la conosce di tutto il Glee. Non ha dimenticato le parole che le ha rivolto quella sera nella sua camera e, ancora di più, il fatto che abbia dormito abbracciato a lei tutta la notte.

 

Non è ancora a riuscita a capire quali sentimenti li leghino ancora nonostante quello che è successo ma, e di questo è certa, non le dispiace troppo averlo qui.

“Scelgo io la coppa da fare” brontola con tono fintamente lamentoso mentre Puck, piuttosto soddisfatto, si è voltato verso di lei agitando i due joystick, uno grigio e l’altro blu.

 

“Pff. Come se non la conoscessi già” ridacchia scegliendo le impostazioni. “Star Cup, quella con la pista con i pinguini”

 

Quinn ridacchia a sua volta, sentendosi quasi onorata del fatto che dopo due anni si ricordi ancora quali siano le sue piste preferite.

 

“Dai, fatti un po’ più in là, così ci sto anche io” borbotta Puck, ormai concentrato sul gioco, avvicinandosi al bordo del letto e facendole dei cenni con la testa.

 

È tentata dal ricordargli delle gambe inerti attaccate al bacino e dalfargli notare la sua mancanza di tatto ma, prima di manifestare ad alta voce la propria stizza, il pensiero che lo faccia apposta per non farglielo pesare supera tutti gli altri. Anche perché sa, non ha alcun dubbio a riguardo.

 

Cerca di spostare il sedere il più possibile, muovendo faticosamente le gambe con le mani per sistemarle sul bordo del letto.

 

Puck le si sdraia accanto un secondo dopo, confermando implicitamente le sue teorie. Stanno un po’ stretti, a dire la verità, ma Quinn non ha nemmeno il tempo di farlo notare visto che le ha già messo il joystick in mano.

 

Lui sceglie Mario, perché non ha alcuna fantasia, lei invece opta per Yoshi, il piccolo e tenero dinosauro verde. Le ha portato molta fortuna le volte in cui, quando era ospite a casa Puckerman dopo essere stata gentilmente buttata in strada da suo padre, decideva di lasciarsi convincere a giocare con lui.

 

“Prima hai parlato di ci” butta lì casualmente, dopo aver battuto Puck –piuttosto arrabbiato per la sconfitta- nel primo dei quattro circuiti.

Ci sta pensando da quando glielo ha detto poco fa e, nonostante la risposta elusiva che le ha fornito in precedenza, non è intenzionata a mollare.

“A chi ti riferivi?”

 

“A tutti noi” borbotta Puck, veramente offeso per la bruciante sconfitta, con tono ovvio. “Siamo stati strapreoccupati per te finché tua madre non è venuta a parlarci”

 

Tutto sommato, l’idea di giocatore ai videogame non è stata per niente malvagia. Anzi …

Assimila la notizia in silenzio, finendo di concentrarsi sulla partenza della seconda tappa. Sua madre non si è mossa dall’ospedale, tranne che per telefonare ai parenti. Considerando che è difficile che abbia i numeri di tutti loro, è molto più probabile che …

Si mordicchia il labbro, sentendosi appena appena in imbarazzo per la conclusione a cui è arrivata.

“Siete rimasti in sala d’attesa per un giorno intero?”

 

“Ohi” ribatte ancora Puck, facendole l’occhiolino come se fosse la cosa più scontata del mondo. E lo è, lo è davvero, ma certe volte è più facile dimenticarselo, soprattutto quando ci capitano cose brutte.

“Dovevi vedere Santana. Sembrava impazzita”

 

In altre occasione avrebbe chiesto se parlare della Lopez non implicasse parlare di follia. Ora, però, non riesce a mascherare la sua sorpresa. Sono compagne di squadra da anni, ok, ma amiche non è la definizione più corretta del loro rapporto. Cordiali nemiche lo è.

“Santana? Davvero?”

 

“Certo” ammette Puck. Poi, notando con la coda dell’occhio lo sguardo fiducioso di Quinn posato su di lui e non sullo schermo, mette in pausa il gioco e inizia a spiegare.

“Ha urlato un bel po’, sembrava ce l’avesse con il mondo intero. Impossibile da calmare. Poi si è messa a piangere con Rachel, che continuava a ripetere che era colpa sua. Anche Mercedes era una fontana. Sam e Brittany, invece, non hanno spicciato una parola finché non è arrivata tua madre”

Prende un respiro, riprendendo la corsa con i kart. Poi, illuminandosi all’improvviso, si volta completamente verso di lei con un sorrisone dipinto sulla faccia.

“E Finn! Cazzo, dovevi vederlo. Mentre ti aspettavamo per il matrimonio e non sapevamo nulla dell’incidente ha detto qualcosa del tipo … ah, lo fa apposta perché sa che così non ci sposiamo” gracchia, imitando molto male la sua voce.

“Sembrava fosse stato lui …” indugia, rendendosi conto che non c’è nulla per cui sorridere sentendosi parecchio a disagio “… insomma, a sbatterti addosso”

 

Ma Quinn è troppo occupata a sentirsi sciocca per quello che ha pensato dei suoi amici. Non dubitava certamente del fatto che si fossero preoccupati di lei, però, forse, non immaginava che il suo incidente li avesse toccati così profondamente.

“Credo che dovrei parlare con loro. A tutti loro. Anche se-”

 

“Non vuoi farti vedere così, vero?” la interrompe lui, mostrandole ancora come sia una specie di libro aperto ai suoi occhi.

E le verrebbe da chiedergli perché, visto che la conosce così bene, le è rimasto sempre così distante in questi ultimi anni.

 

“Sembra una stupidaggine messa in questo modo” mormora a voce bassa, ignorando la domanda che voleva fare per concentrasi sul problema più importante che ha al momento.   “Forse lo è”

 

“O forse no” ribatte prontamente lui, risoluto. “Se non sei pronta, non sei pronta. Lo capiamo tutti e nessuno te ne fa una colpa”

 

“Però ti sei infilato in camera mia” fa con un sorrisetto compiaciuto, inarcando prontamente un sopracciglio non appena lui si volta verso di lei.

 

“Beh, io sono io”

 

Già, lui è Noah Puckerman. Solo lui avrebbe potuto circuire le infermiere di un ospedale, fare irruzione nella camera di un paziente, attaccare il Nintendo al televisore e fare schiamazzi come se fosse ad una festa in piscina.

Si limita a sorridergli e lui sembra piuttosto soddisfatto della reazione.

 

È verso la metà dell’ultimo circuito della coppa Star di Mario kart che Noah fa la domanda che lei aspettava dall’inizio ed a cui ora, molto più a suo agio di prima, non ha alcuna difficoltà a rispondere.

“Le tue gambe …” mormora, incerto, cercando di essere più delicato possibile “… tornerai a camminare?”

 

“Non lo sanno” risponde tranquilla, con la massima onestà. “Dicono che devono aspettare che l’ematoma alla colonna si riassorba e …” la voce si incrina appena e preferisce prendersi un attimo per deglutire “… non lo sanno. Dovrò fare fisioterapia, credo”

 

Una morsa le prende la bocca dello stomaco mentre una forte sensazione di disagio accompagna di nuovo nella sua mente tutti i pensieri che fin’ora è riuscita a tenere fuori, grazie anche all’aiuto di Noah.

 

Continua a fissare lo schermo, ignorando le gocce che scendono sulle guance e le cadono sulla mani che reggono il joystick.

 

Per questo non si accorge in ritardo della mano di Puck che, dopo averle delicatamente accarezzato una guancia per ripulirla dalle lacrime, le accompagna il capo fino alla sua solida spalla.

 

“Stavolta non sarai sola” mormora Noah, lasciandole un bacio sulla tempia.

 

Quinn si abbandona ad un paio di singhiozzi prima di cedere al peso che la logora da quando si è svegliata dopo l’incidente.

Si aggrappa disperata alla maglietta del ragazzo, permettendogli di stingerla in un abbraccio piuttosto stretto.

 

Si stacca dopo diversi minuti, incrociando il suo sguardo ugualmente umido.

Vorrebbe dire qualcosa ma, finalmente, sa che lui ha già capito.

 

Resterò qui stanotte, non ti preoccupare”

 

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

E invece arrivò Teen Jesus completamente a caso con le sue erezioni sconvenienti! Sbam!

 

Ok, è un pessimo modo per tornare dopo anni con questa raccolta ma … beh, rieccomi qui!

 

Che dire? Era da un po’ che cercavo di scrivere un missing moments e, dopo aver trovato questo prompt “Mario Hospital” per caso googlando, ho buttato giù questa one-shot.

 

Che ve ne pare? Vi sembra plausibile? In fondo dalla scena 3x07 e la scena del bacio della 3x22 ci deve essere stato qualcosa. Niente di troppo intimo perché non volevo andare OOC, però … boh, moderatamente soddisfatto. Spero che vi sia piaciuta come è piaciuto a me scriverla.

 

Come sono soddisfatto di dire a chiunque segua questa raccolta che per la prossima one-shot non dovrete aspettare troppo. Probabilmente verso la fine di Agosto, visto che il 21 parto per andare a Parigi qualche giorno.

L’ho già quasi finita e devo solo limare i dettagli. Qualcuno ha detto crossover con Harry Potter? Chissà …

 

Concludo queste note insensate ringraziando chiunque abbia letto i precedenti capitoli e chi leggerà questo.

 

A presto!

 

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Capitolo 4
*** Protego ***


Personaggi: Quinn Fabray, Noah Puckerman, ‘Bill’ William Arthur Weasley, Fleur Delacour in Weasley, altri personaggi minori.

Note: AU/Crossover con il mondo di Harry Potter.

Avvertimenti: (temo) OOC.

Rating: verde.

Genere: fantasy, (appena appena) introspettivo, leggermente fluff.

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di qualcuno che li odia Ryan Murphy e della Fox (credo); inoltre, l’ambientazione ed alcuni personaggi sono presi in prestito alla serie di romanzi ‘Harry Potter’, quindi appartengono a J.K. Rowling (a cui auguro di vivere per sempre).

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per dare un po' di spazio ad una coppia mai approfondita. 

 

 

 

Protego

 

 

In pochi erano in grado di apprezzare l’ironia del destino meglio William ‘Bill’ Weasley, primogenito dell’enorme stirpe Weasley ed eroico membro dell’Ordine della Fenice.

 

Perché?

Esiste forse qualcosa di più ironico di una persona che aveva sempre indossato un orecchino a forma di zanna, finita poi con l’essere morsa davvero dalle zanne –di un lupo mannaro, per la precisione-?

 

Forse il fatto che, dopo aver preferito ad una brillante carriera al Ministero della Magia –molto più che probabile dopo essere stato Prefetto e Caposcuola durante i suoi anni ad Hogwarts- quella molto più avventurosa e spericolata da spezzaincantesimi per evitare di passare la vita seduto dietro ad una scrivania, alla fine ci fosse finito comunque.

 

L’aveva fatto per combattere Lord Voldemort insieme all’Ordine della Fenice, e, cosa più importante, se non avesse accettato un lavoro sedentario non avrebbe mai conosciuto Fleur, sua moglie nonché madre dei suoi tre bellissimi bambini.

 

Però … beh, una volta abbattuto il muro dei quarant’anni qualsiasi uomo si trova a riflettere su certi argomenti, soprattutto lavorando più di otto ore immerso in una montagna di carte burocratiche come faceva lui.

 

 

“Mi scusi, signor Weasley, avrei bisogno di un’informazione”

 

Bill chiuse gli occhi, tenendosi le tempie con la mano destra per sentire meglio l’emicrania prendere possesso della sua testa.

Il signor Weasley era suo padre, dannazione, non di certo lui.

 

“Se disturbo posso tornare più tardi” disse timidamente il ragazzo –non aveva più di vent’anni- che si era affacciato alla porta del suo ufficio.

 

“No, no, sono solo tante … scartoffie” mentì brillantemente, invitandolo ad entrare con un gesto della mano. “Dimmi pure”

 

Era diventato quello, il suo compito. Trovare candidati adatti, addestrare le nuove generazioni di Spezzaincantesimi, gestire i delicati rapporti con i Goblin della Gringott e, come in quel caso, fare da mentore offrendo consigli ai più bisognosi.

 

“Io e Carter pensiamo di aver trovato qualche indizio su-”

 

“Un tesoro dei Goblin di inestimabile valore e di cui nessuno ha mai sentito parlare. Sì, bravo Alan, siamo tutti fieri di te”

 

Bill scosse appena il capo, osservando con un cipiglio di rimprovero il ragazzo che, dopo essere entrato nell’ufficio senza bussare ed averlo interrotto, aveva letteralmente preso Alan per il mantello e lo aveva trascinato verso la porta.

“Ti sembra il modo, Noah?” mormorò più per abitudine che altro, consapevole di aver sprecato fiato inutilmente.

 

Noah Puckerman era uno dei suoi ragazzi, come amava chiamarli, uno degli spezzaincantesimi più talentuosi, che lui stesso aveva scelto e successivamente addestrato.

Aveva problemi nel rapportarsi con gli altri, sì, e una leggera forma di ribellione nei confronti dell’autorità, però Bill confidava che fosse solo una questione di età che, con il passare degli anni, sarebbe diminuita fino a scemare completamente.

 

“Mi hanno detto che mi stavi cercando”

 

“Sì, è così” annuì Bill, rivolgendosi poi ad Alan. “Noi due ne parliamo dopo. Ti vengo a cercare io, tranquillo”

 

“Non vorrai davvero perdere tempo dietro alle sue cavolate, vero?” ridacchiò Noah, convinto di avere a che fare con una burla. “È palesemente un falso. Quelle pergamene si pongono volontariamente all’interpretazione che chi le legge vuole dare loro”

 

“Sai bene che solo dopo essere stati fregati da un falso fatto a regola d’arte si può iniziare la vera carriera da spezzaincantesimi” gli sorrise conciliante, mentre l’altro evocava una sedia con un movimento rapido di bacchetta. “In questo lavoro, sbatterci il muso contro aiuta più del consiglio di un esperto. Ed è proprio per questo che volevo vederti”

 

“So già cosa stai per dirmi, allora” fece Noah con una smorfia. “E lo so, lo so benissimo, che io ho delle colpe in quello che è successo. Ma se ci pensi bene, converrai con me che l’unico responsabile è il mezzoleprecauno

 

“Quindi mi stai dicendo che è colpa di Rory se lui è finito al San Mungo?” aspettò di vederlo annuire, prima di riprendere a parlare. “Mi prendi in giro?”

 

“Io gli avevo detto di aspettare fuori, che non era sicuro” replicò Noah con fare ovvio. “Se è così stupido da venirmi dietro cosa posso farci?”

 

“Sei uno dei più esperti, qui dentro” sospirò Bill, optando per la strada dell’adulazione. Leggera, visto che di fronte a lui aveva una persona che, nonostante la testardaggine ed altri brutti difetti, poteva affermare essere intelligente.

Inoltre, pur avendo un ego esagerato, Noah Puckerman sapeva di essere ancora un pivello a confronto di molti altri spezzaincantesimi sparpagliati per il mondo.

“E in molti, soprattutto quelli giovani come Rory, ti vedono come un esempio da seguire. Sei responsabile anche per loro”

 

“Infatti gli avevo detto responsabilmente di aspettare fuori dalla grotta” ribatté con ironia, usando un tono decisamente sprezzante. “Dovresti rimproverare lui, non me”

 

Bill sospirò per quella che gli sembrava la centesima volta negli ultimi cinque minuti, usando la sedia come sostegno per allungare schiena e gambe.

 

Quell’ostentata arroganza, frutto della consapevolezza delle sue notevoli capacità, gli ricordava una persona che conosceva fin troppo tempo, da sempre addirittura: sé stesso. O, almeno, il vecchio sé stesso.

Ma stranamente avere a che fare con una persona così simile a lui non era più facile, no, al contrario, lo metteva ogni volta in difficoltà. 

 

“Sei un bravo spezzaincantesimi, Noah. Il migliore della nuova generazione, se posso parlare sinceramente” mormorò a bassa voce, assicurandosi in questo modo di avere tutta l’attenzione dell suo allievo su di sé.

“Hai dei difetti, però. Devi capire che la prudenza è pregio, in molti casi. Devi imparare il rispetto per chi non è bravo come te. Se avessi spiegato a Rory il perché delle tue mosse, avrebbe sicuramente evitato due settimane di ricovero”

 

“Mi dispiace” annuì sommessamente Noah, evitando accuratamente lo sguardo del suo mentore. Si agitò per qualche secondo sulla sedia, evidentemente combattuto dal parlare o dal tacere.

Alla fine, tanto per cambiare, non riuscì a trattenersi.

“È il mio modo di agire, dannazione” sbottò, senza alzare il tono di voce. Sembrava solo … stanco di essere criticato, ecco. “Sapevo già con che tipo di fattura mi stavo per confrontare ed ero assolutamente preparato alle conseguenze”

 

“A volte non basta”

 

“Andiamo” sorrise Noah, alzando le mani verso l’alto per sottolineare ancor di più l’ovvietà della sua affermazione. “È un mestiere pericoloso. Il rischio fa parte del gioco”

 

“Il rischio non prevedibile, sì” convenne Bill, non particolarmente contento della piega della conversazione. “Quello che si potrebbe evitare con un attimo più di attenzione, invece, no

 

“I Goblin non la pensano così: per loro, il tempo è denaro. Mi hanno fatto addirittura i complimenti per la rapidità, prima, mentre mi riempivano le tasche di galeoni”

 

“Se permetti, tu lavori per me. Sono io a dirti se quello che fai è giusto o sbagliato” decretò autoritario Bill, nonostante la brutta sensazione di essersi spinto oltre il punto di non ritorno della situazione.

 

“Con tutto il dovuto rispetto, io lavoro per la Gringott, non per te” replicò Noah, duro, esattamente come il suo mentore si aspettava.

Lui, se fosse stato al suo posto, avrebbe risposto nella stessa identica maniera.

 

“Sono creature avide a cui interessa solo il profitto. A loro non importa di quante persone debbano rimanere ferite o peggio, a loro interessa solo dei tesori” puntò il dito verso di lui, sperando in un miracolo accorresse in suo aiuto per aiutarlo a far presa su una testa più dura delle squame di drago.

“Non commettere l’errore di continuare a fare questo lavoro solo per avidità”

 

Avidità” rise, ironico, Noah, masticando qualche parola tra i denti.

“Esplorare terre esotiche e lontane, essere divorati dall’ansia della ricerca del luogo esatto in cui si trova il tesoro, ricevere una scarica immensa di adrenalina dritta nelle vene mentre si appoggia la mano sulla Runa di protezione” ripeté come una cantilena, contando ogni punto sulle dita della mano e rivolgendo a Bill uno sguardo di fuoco.

“Se non avessi passato gli ultimi dodici anni seduto dietro quella scrivania ti ricorderesti bene cosa vuol dire essere uno spezzaincantesimi, signor Weasley

 

Bill non cercò di fermarlo con la forza o di dissuaderlo a parole.

Lo lasciò libero di fare quello che riteneva giusto e, di conseguenza, non disse nulla mentre Noah faceva evanescere la sedia con un gesto rabbioso, poco prima di uscire dall’ufficio a passi pesanti senza nemmeno voltarsi verso il suo capo.

 

Era semplicemente troppo assorto nei suoi pensieri per fare qualsiasi cosa. Perché aveva pronunciato un discorso molto simile a quello di Noah parecchi anni fa, proprio a sua madre che non capiva i perché della sua scelta.

 

Già poteva sentire nelle orecchie la dolce risatina di Fleur quando, una volta tornato a casa, glielo avrebbe raccontato.

Perché sì, anche quello che gli era appena successo era parecchio ironico.

 

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Una lettera di raccomandazione.

Firmata da Ronald B. Weasley, Dipartimento Auror. Da Ron, il suo fratellino.

 

“Devo ammettere di essere impressionato” disse Bill, sorridendo alle due donne sedute di fronte alla scrivania del suo ufficio. Non certo per quella lettera che sicuramente non era stato Ron a scrivere visto l’uso di termini ricercati –Hermione, forse?-, quanto per il resto del materiale che gli era stato consegnato su di lei.

 

“La ringrazio, signor Weasley” disse educatamente la più giovane, Quinn Fabray, il soggetto tra l’altro della lettera di raccomandazione di Ron.

 

“Preferisce Bill” le fece Fleur, venuta dal Ministero appositamente per accompagnarla, rivolgendole un sorriso quasi materno. “Non è vero, marito?”

 

“È come dice lei, non potrei mai contraddirla” sorrise ancora Bill, facendo l’occhiolino alla moglie. Merlino, quanto gli mancava averla con lui alla Gringott, scambiarsi quei gesti di semplice quotidiana intimità. Meglio evitare  di pensarci.

“Allora, Quinn, cosa vorresti fare nel tempo che passerai qui con noi?”

 

“Se possibile, vorrei imparare le nozioni base per poter diventare una spezzaincantesimi”

 

“Beh” fece una smorfia Bill, sorpreso dalle sue parole ed al tempo stesso piuttosto seccato dal tono leggero con cui erano state pronunciate e dal sorrisetto di cortesia stampato sulla faccia, come se la ragazza stesse insinuando che fare il suo lavoro fosse tanto semplice.

 

Poi si ricordò di quello che aveva letto e della parole di Fleur quindi, cercando di sorridere, si rivolse di nuovo a Quinn.

“Perché no? Posso farlo io, se non ti dispiace” disse, cercando di sembrare più allegro di quanto fosse in realtà. “In questo modo gli altri potranno continuare a dedicarsi alle loro attività. In tutta onestà, non mi dispiacerebbe lasciare questa scrivania per qualche tempo”

 

Le palpebre di Fleur si socchiusero fin troppo rapidamente mentre Quinn lo ringraziava, entusiasta.

Bill deglutì terrorizzato un paio di volte, chiedendosi cosa ci fosse di sbagliato nella sua proposta. Lo capì immediatamente quando, approfittando di un momento di distrazione della ragazza, la moglie usò le mani per mimare –piuttosto efficacemente- un’evirazione.

Era gelosa.

 

A salvarlo, almeno momentaneamente visto che il povero Bill sospettava che il discorso sarebbe ripreso presto, ci pensò l’irruzione totalmente imprevista di Noah.

 

“Ehi, Bill! Alan è ancora a caccia di …” si fermò, dopo essere entrato in ufficio, rivolgendo un sorriso quasi ferino a Fleur “… oh, signora Weasley. Che piacere vederla da queste parti. Visita di cortesia o di lavoro?”

 

Fleur si voltò prima verso di lui e poi di nuovo verso Bill, lanciandogli un’occhiata talmente eloquente da non far dubitare il marito nemmeno un istante circa le sue intenzioni: vendetta.

 

“Mio caro” ridacchiò come un’adolescente con gli ormoni impazziti, alzandosi per andare incontro allo spezzaincantesimi e per lasciargli tre baci sulle guance, cosa che non aveva mai fatto fino a quel momento.

“Sono venuta ad accompagnare una delle ragasse che partecipano ai programmi di scambi tra il Ministero inglese e quello francese” gli spiegò, indicando la giovane ancora seduta, intenta ad osservare la scena con un’espressione neutrale. “Questa è Quinn Fabray”

 

Mademoiselle. Enchanté” mormorò lui in un francese stentato, di nuovo il ghigno da predatore stampato sul viso, afferrando la mano che Quinn gli aveva porto per baciarle educatamente le nocche.

“Sono Noah Puckerman, voi però potete chiamarmi Puck”

 

“Sei quantomeno inopportuno, Noah” disse sbrigativo Bill, abbastanza alterato dalla mano di Fleur ancora appoggiata sulla spalla.

“Stavamo parlando di cose importanti. Puoi ripassare più tardi, per favore?”

 

“Devo per forza?” ridacchiò Noah, strappando una risatina –forzata, ma comunque d’effetto- a Fleur, dopo aver guardando alternativamente le due donne. La giovane Quinn, invece, gli rivolse sono un sorriso di cortesia.

 

Bill l’avrebbe ucciso, ormai ne era certo. Sentiva addirittura il sangue ribollirgli nelle vene e, se si fosse giocato bene le sue carte, avrebbe anche potuto evitare Azkaban simulando un improvviso effetto collaterale del morso di Greyback.

 

“Marito …” mormorò Fleur, costringendolo ad abbandonare per un istante i suoi piani omicidi “… perché non lasci che sia Puck ad aiutare Quinn? Dici sempre che è bravo e competente”

 

Fondamentalmente c’erano un mucchio di ragioni per qui non poteva nemmeno prendere in considerazione una proposta del genere.

Tanto per cominciare, era dettata da ragioni esclusivamente personali, gelosia per essere precisi.

In secondo luogo, Noah Puckerman era tanto bravo come spezzaincantesimi quanto poco portato per l’insegnamento e, dopo aver mandato uno dei suoi al San Mungo, Bill non era così sicuro di voler riprovare l’esperienza.

Terzo, avrebbe potuto richiamare qualcuno di più preparato per …

 

“Aiutare in cosa?” s’intromise Puck, alzando suggestivamente le sopracciglia. “Sono un uomo dai molti talenti”

 

“Ne sono sicuro, Noah” farfugliò Bill, lanciando un’occhiata da ‘davvero questo è il tuo piano?’ a Fleur che, tanto per cambiare, aveva riso all’allusione del ragazzo.  

“Quinn è qui per svolgere un periodo di apprendistato” altro sguardo a sua moglie, che annuì con un sorriso e gettò un altro sguardo eloquente a Noah.  

L’aveva fregato con un maledetto ricatto. Chinò il capo, rassegnandosi.

“Ti sarà affiancata per il prossimo mese, la istruirai sui compiti di uno spezzaincantesimi e la porterai con te ovunque andrai”

 

“Cosa?” gemette Noah, strabuzzando gli occhi. “No, no, no! Assolutamente no! Non posso lavorare con …” si umettò le labbra, cercando le parole giuste che, evidentemente, non riuscì a trovare “… una così

 

“Così?” chiesero all’unisono Bill e Fleur, mentre Quinn continuava a fissarlo, solo un sopracciglio alzato a tradire la sua maschera di fredda cortesia.

 

“Andiamo. Il nostro lavoro non è adatto ad una di … senza offesa signora Weasley …” si preoccupò di precisare, nonostante fosse evidentemente tutt’altro che un complimento “… Beauxbatons. Si vede benissimo che non resisterebbe a, che so, una notte accampata all’addiaccio, per esempio. Ci sono anche problemi di comunicazione. In che lingua le posso parlare?”

 

“Scusa se mi intrometto” parlò alla fine Quinn, in un perfetto inglese, dopo aver alzato una mano verso Bill per fargli segno di non intervenire.

“Questo è un finto problema: sono bilingue. Puoi parlare tranquillamente in inglese, anche se mi era parso di capire che con il francese non te la cavassi affatto male” concluse con un sorrisetto ironico, gustandosi la faccia sorpresa di Puck.

 

“I-io … n-non … uhm … maledizione” grugnì Noah, non potendo fare a meno di sentirsi un idiota. Si aspettava addirittura delle scuse? Cos’era quel tono superiore da rincarnazione di Cosetta Corvonero?

 

“Perché non cominci subito con le lezioni?” chiese Fleur, battendo le mani. “Un mese passa molto in fretta” aggiunse, afferrando sia Quinn che Noah per un polso e praticamente sbattendoli fuori dall’ufficio.

 

“Per qualsiasi cosa, Quinn, non aver timore di chiedere a me o alla signora Weasley” riuscì a dire Bill priva che la moglie chiudesse la porta dietro di loro, lasciandoli in balia di loro stessi.

 

“C’è un motivo, gelosia a parte, per cui tu hai appena scavalcato la mia autorità e fondamentalmente messo la vita di una tua protetta in pericolo mortale? Uno qualsiasi” disse Bill, osservando la moglie fare spallucce.

 

“Quinn mi ricorda un poco me. Sta ancora cercando di capire cosa fare nella vita e sono convinta che questa esperiensa la potrebbe aiutare a capire meglio chi è” spiegò, sorridente, ignorando le sopracciglia sollevate del marito.

 

“Sarà” farfugliò Bill, per nulla convinto. “Li terrò d’occhio, comunque, e se per caso dovesse succedere qualcosa che non mi piace sarò io ad occuparmi di lei”

 

“Vedremo” sorrise melliflua Fleur, prima di estrarre la bacchetta. “Colloportus” mormorò, suadente addirittura, puntandola contro la porta dell’ufficio.

“Per ora facciamo che sono io ad occuparmi di te, sì?”

 

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Bill Weasley e Fleur Delacour erano due leggende a Beauxbatons, quasi quanto il Trio d’Oro. La loro storia d’amore, più forte di lupi mannari e Mangiamorte, aveva riscaldato i cuori di moltissime generazioni di giovani signorine ed ispirato altrettanti ragazzi.

 

In ogni caso, per Quinn Fabray la delusione di non avere a che fare con Bill era pari, se non inferiore, all’essere capitata tra le mani di qualcuno che non solo non sembrava così competente ma che non nascondeva affatto il suo disagio nell’avere a che fare con lei.

 

 

“In questa stanza i novellini imparano a leggere ed interpretare correttamente le Antiche Rune, mentre noi spezzaincantesimi studiamo mappe, pergamene e iscrizioni alla ricerca di indizi” le spiegò con lo stesso tono annoiato che aveva adottato dall’inizio del breve tour. “Domande?”

 

“Una, in effetti” si fermò un istante, mordendosi la lingua per evitare di chiederli se fosse davvero qualificato per essere il suo insegnante. “Cosa intendevi esattamente con ‘il nostro lavoro non è adatto ad una Beauxbatons’?”

 

Non che la seconda domanda fosse più gentile, ecco, ma doveva comunque farlo. Su cose come l’onore della propria famiglia o della proprio scuola, a Quinn era fondamentalmente una persona orgogliosa.

 

“Che bisogna sporcarsi le mani, rinunciare ad ogni comunità e mettere in conto di poter rimanere feriti nel caso si commettano errori” elencò Noah iniziando a trafficare in uno degli scaffali appoggiati al muro della stanza.

 

“E allora?” chiese, riuscendo comunque a mantenersi cortese nonostante un forte senso di fastidio. Sembrava ormai certo che quell’uomo fosse deluso ed offeso dalla sua presenza, cosa che ai suoi occhi non poteva che risultare ridicola: avrebbe dovuto essere lei ad essere delusa di non avere Bill Weasley come insegnante.

 

“Ho già avuto a che fare con ragazze e ragazzi di Beauxbatons quando ero ad Hogwarts. Siete troppo delicati per tutto questo” disse sbrigativo lo spezzaincantesimi, senza smettere di cercare tra i documenti appoggiati sui vari ripiani.

 

Per la seconda volta in poco più che un minuto, Quinn fu costretta a mordersi la lingua.

“Sei prevenuto” disse calma, seppure con un notevole sforzo, quando nella sua testa si aggiravano epiteti molto meno amichevoli e molto più diretti.

 

Noah smise di trafficare con le pergamene per un secondo, voltandosi finalmente per guardarla. Fece un paio di passi verso di lei, mantenendosi comunque ad una certa distanza, e sorrise, anche se quello dipinto sulle sue labbra sembrava decisamente più un ghigno.

“Pensi che non abbia visto la tua faccia? Mi sono accorto di quella smorfia che hai fatto quando hai saputo che sarei stato io a farti da tutor” ridacchiò, prendendosi qualche istante per osservare eventuali reazioni nella ragazza.

“Segnati una delle regole più importanti di un buon spezzaincantesimi: essere attento ad ogni dettaglio in ogni situazione”

 

“Avrei preferito Bill Weasley come maestro, sì. Problemi?” fece Quinn, senza scomporsi più di tanto. Molto meglio mettere in chiaro le cose fin da subito.

 

“Affatto” sorrise Noah, ancora, anche se sembrava molto più sincero di prima.

“Apprezzo sempre la sincerità. Per questo ti dico fin da subito che non avrai alcun privilegio. Non da me, almeno” la pungolò, evidentemente con il solo scopo di irritarla, facendole immediatamente capire come non gli fosse sfuggita l’eccezionalità del favore che le era stato concesso.

“Ora, se vuoi accomodarti, possiamo anche cominciare”

 

Quinn prese posto al grande tavolo posizionato in mezzo alla stanza, certa di poter zittire quella sottospecie di Troll facendogli vedere di che livello fossero le sue abilità.

In effetti non era la prima volta che qualcuno ne metteva in dubbio le capacità, sottolineandone invece le ‘raccomandazioni’, spesso in modo più diretto. Li aveva zittiti tutti e Noah Puckerman non avrebbe fatto eccezione.

 

Quando si ritrovò davanti agli occhi una pergamena dall’aspetto piuttosto antico, non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto.

“Ho studiato Antiche Rune. Ho preso anche quello che voi di Hogwarts chiamate … M.A.G.O., con il massimo dei voti” soffiò, parecchio tronfia, iniziando ad esaminare da vicino il documento.

“Ed è noto a tutti che Beauxbatons è un’Accademia magica molto più complessa della vostra” aggiunse, tanto per essere pari.

 

“Sì? Quindi per te leggermelo sarà uno scherzo”

 

Il ‘Certamente’ con cui intendeva rispondere le morì in gola nell’esatto momento in cui si rese conto che qualcosa non andava in quella pergamena: le rune era disposte una in fila all’altra e formavano un’unica parola grande quanto l’intero foglio.

 

Deglutì, strizzando appena gli occhi. Doveva solo calmarsi.

 

“Qualche problema?”

 

Non rispose alla provocazione. Prese invece un foglio di pergamena pulito da una pila poco distante, una piuma ed una boccetta d’inchiostro.

Aveva letto in uno dei suoi libri scolastici che era facile trovare, soprattutto nei testi più antichi, la mancanza di spazi tra rune. Doveva solo trascriverle e staccarle per dare un senso alle diverse parole.

 

Il panico l’assalì presto quando, dopo aver riempito la pergamena di combinazioni, capì di non avere la minima idea di come fare a leggere quel dannato testo.

 

Prese il fruscio del mantello di Noah alle sue spalle come un avvertimento ad un’imminente presa in giro ma, con sua somma sorpresa, lo spezzaincantesimi le si mise semplicemente a sedere vicino.

 

“La difficoltà maggiore quando si ha a che fare con questi testi, è capire il filo logico che lega le rune” disse con voce stranamente pacata, togliendole la pergamena su cui aveva scritto da sotto il naso e sostituendolo con il documento originale da leggere.

“Di solito, all’interno del testo stesso è nascosta la chiave giusta. Esaminarlo nella sua interezza è la prima regola che devi imparare”

 

Quinn annuì, sorpresa e perplessa allo stesso tempo, facendo quello che le era stato appena detto.

Purtroppo, esattamente come poco prima, non riuscì a trovare un senso alle rune.

Spostò lo sguardo verso Noah, incerta, ed ottenne un gesto di incoraggiamento con la testa.

 

Nella sua interezza’, le aveva detto.

Si mise a controllare più attentamente la forma di ogni runa, il tipo di scrittura e, finalmente, i bordi della pergamena.

“Qui ci sono delle rune numeriche” disse ad alta voce, più a sé stessa che a Noah, indicando un punto piccolissimo in fondo alla pergamena.

Quintaped, Runespoor, Unicorno, cioè cinque, tre ed uno. C’è anche una freccia che punta verso sinistra”

 

“Non ti resta che interpretarlo correttamente” le sorrise Noah, incoraggiante.

 

Ormai era fatta. Doveva prendere in considerazione solo le rune dispari, leggendo da destra a sinistra.

Soddisfatta di sé, prese una nuova pergamena ed iniziò a trascrivere.

“Caro studente …” lesse una volta finito “… sei riuscito a scoprire il  tranello. Ora sei al livello di un bambino di otto anni. Con affetto, W.A.W.”

Quinn fece una smorfia, rileggendo di nuovo cosa aveva scritto. Non riuscì a non sentirsi stupida, stupita e beffata. “Era un test per novellini, vero?”

 

“Non te la sei cavata così male” le disse Noah, stavolta evidentemente in tono canzonatorio. “Passiamo a qualcosa di più complicato, dai”

 

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Una volta capita la logica, Quinn aveva imparato in quattro giorni quello che un normale spezzaincantesimi impiegava due/tre settimane ad assimilare. 

 

Noah avrebbe sicuramente trovato la cosa fantastica se non si fosse messo a chiedere a qualche amico del Ministero come mai fosse concesso a qualcuno uno strappo alle regole troppo clamoroso per essere ignorato.

 

Per diventare Auror, spezzaincantesimi o qualunque altro mestiere era categorico aver superato un concorso di ammissione ai corsi di preparazione che, anche per venire incontro ai diplomati delle scuole di magia, iniziavano dopo l’estate.  Non si facevano eccezioni.

 

Indagando nemmeno troppo a fondo, qualcuno gli aveva che, prima di arrivare da lui, Quinn si era addestrata con gli Auror ed aveva provato a lavorare al Ministero, in entrambi i casi senza partecipare ai concorsi.

 

Nonostante l’avesse vista alle prese con le rune, aveva deciso di ignorare il suo merito e concentrarsi sulle evidenti spinte ricevute.

E la cosa difficile diventava a quel punto cercare di non farsi condizionare durante le ‘lezioni’.

 

 

Osservando l’ennesimo incantesimo di identificazione espandersi per la stanza senza avere effetto, Noah scosse la testa.

“Ancora”

 

Quinn, praticamente svuotata di ogni energia, si voltò verso di lui, cercando in qualche modo di fargli capire di essere al limite.

Intuendo di non poter far altro che continuare questo massacrante allenamento, si girò verso la parete, alzò la bacchetta e scandì con voce alta e calma l’incantesimo che gli era stato insegnato.

Specialis Revelio

 

Si piegò in avanti per lo sforzo, appoggiando le mani sulle ginocchia e respirando con la bocca.

Aveva già usato un incantesimo di questo tipo ma non con un tale livello di concentrazione e non per due giorni di fila.

 

“Ancora un volta” disse di nuovo Noah, senza nemmeno tentare di mascherare la propria delusione. A che scopo farlo, poi?

“Devi visualizzare l’intera area nella tua mente per tutta la durata dell’incantesimo”

 

Ad ogni tentativo sentiva di essere sempre meno vicina al compiere l’incantesimo, sia per la fatica accumulata che il senso di irritazione dovuto all’insuccesso, ma non avrebbe di certo mollato.

Quinn annuì e, semplicemente, riprovò.

Specialis Revelio!”

 

“Ancora, Quinn. Finché non raggiungerai la perfezione non potrò portarti con me sul campo”

 

“Puoi farmelo rivedere, per favore?” mormorò la ragazza, sperando di approfittarne per tirare il fiato per qualche secondo.

 

“Va bene” concesse dopo qualche istante di riflessione, raggiungendo in due passi la propria allieva.

 

Prese la bacchetta dal mantello, inspirò ed espirò profondamente, chiuse gli occhi e …

Specialis Revelio!”

Dopo qualche secondo di calma piatta, un puntino in fondo alla stanza si illuminò di un giallo piuttosto acceso, vivo e vibrante, facilmente individuabile da lunghissima distanza.

“Visualizza tutta l’area, ci penserà l’incantesimo ad indicarti dove è stata applicata la magia difensiva”

 

“Ok, la teoria … l’ho capita” ansimò Quinn, facendo un po’ di teatro per accentuare la fatica comunque ben presente in ogni muscolo del suo corpo.

“Però sono troppo stanca … per riuscire a metterla in … pratica” disse, abbassando appena il tono di voce, convinta a cedere dall’ormai convinzione che Noah non avrebbe colto i suoi segnali e l’avrebbe spinta oltre il proprio limite fisico e mentale.

 

“Non sono io che mi credo così bravo da poter completare in un mese un addestramento che ne richiede almeno due, se non di più” gracchiò in tono denigratorio, gettandole un’occhiata sprezzante prima di allontanarsi a qualche metro da lei e riprendendo così la posizione iniziale.

“Avanti, ripeti di nuovo l’incantesimo”

 

Scordatelo

 

“Come prego?” mormorò Noah, incredulo, osservando Quinn voltarsi inferocita verso di lui.

 

“Ho detto scordatelo!” ripeté la ragazza, a scanso di equivoci. Per la prima volta da quando le era stata presentata, poteva leggere un’espressione vera sul suo volto. Un po’ la cosa gli diede soddisfazione.

“Che problema hai? Si può sapere? Mentre mi insegnavi a leggere le rune eri gentile e disponibile! Perché adesso sei così … così … stronzo?!”

 

Noah, impassibile nonostante l’insulto, la raggiunge in pochi passi, fronteggiandola.

“Sto perdendo un mese del mio lavoro per insegnarti qualcosa che non ti interessa nemmeno” ringhiò, quasi, a denti stretti, squadrando il volto turbato di Quinn.

“Potrei essere da qualsiasi altra parte, magari ad addestrare qualcuno a cui diventare spezzaincantesimi importa davvero. Invece sono bloccato qui, con te, che ottieni meriti solo grazie alle tue conoscenze. Sei amica di famiglia dei Delacour? Conosci il Ministro della Magia francese?”

 

“Con che diritto-” tentò di controbattere Quinn, venendo però immediatamente interrotta da uno sguardo particolarmente affilato di Puck.

 

“Sei una raccomandata, la razza peggiore che esista al mondo” sibilò Noah, senza smettere un secondo di fissarla negli occhi. “Io ho chiuso, con te. Vai da Bill Weasley, sono sicuro che a lui farà piacere comparire nel tuo curriculum”

 

Rimase fermo, lo sguardo dritto nel suo, finché Quinn non decise di averne abbastanza e scappò via, lasciandosi scappare appena un singhiozzo.

Si odiò per quello che aveva fatto, ma solo in parte. Il ricordo dell’umiliazione subita per mano di un individuo uguale in tutto e per tutto a Quinn Fabray era ancora troppo vivido per permettergli di rendersi conto di essere stato, tanto per cambiare, precipitoso ed ingiusto.

 

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Le lezioni con Bill Weasley erano migliori sotto ogni punto di vista.

Lui capiva meglio quali fossero i suoi limiti, sapeva motivarla e, soprattutto, aveva molto più esperienza nell’insegnamento di quel faccia da Troll.

 

A dar fastidio a Quinn, comunque, era il fatto che, nonostante avrebbe rifiutato di confessarlo addirittura sotto maledizione Cruciatus, Puck non fosse stato così pessimo come maestro. Anzi …

 

 

Meglio evitare di pensarci, si disse, onde evitare un attacco di ira isterica ed incontrollata.

Avrebbe di gran lunga preferito concentrarsi sull’ultima parte del suo addestramento, quella sulla rottura degli incantesimi e delle maledizioni di protezione, se solo Bill non fosse stato in ritardo.

 

Ipotizzò, non riuscendo a non ruotare gli occhi al cielo, che fosse tra le grinfie di Fleur. Merlino, quella donna era decisamente molto più gelosa e lagnosa di come appariva nelle storie! Con ogni probabilità la odiava, solo per il fatto di essere un’allieva di suo marito. Incredibile come anche i cosiddetti eroi alla fine non siano altro che persone, con gli stessi pregi e difetti di tutti gli altri.

 

Quando udì lo schiocco di una materializzazione era sul punto di fare una battuta, convinta da quanta confidenza le avesse dato Bill di non essere inappropriata, ma si fermò subito non appena si voltò verso la direzione del rumore.

 

“Ti devo delle scuse” disse rapido l’uomo che si era materializzato, anticipando le sue intenzioni –aveva già messo mano alla bacchetta.

 

“Sai cosa me ne faccio delle tue scuse?” sbuffò, rabbiosa, senza togliere comunque la mano dalla posizione strategica. Qualcuno si sarebbe arrabbiato se lo avesse schiantato?

 

“Immagino non molto, ma credo di dovertele fare comunque” disse abbassando appena il capo, visibilmente dispiaciuto.

“Ti ho detto delle cose davvero orribili e ti ho giudicata senza sapere nulla di te o della tua storia” mormorò, grattandosi la testa rasata con fare imbarazzato. “Soprattutto, ho fatto finta di non vedere il tuo enorme talento. Mi dispiace molto, Quinn”

 

“Prendo atto delle tue scuse” disse la ragazza dopo un minuto abbondante di sospettoso silenzio passato a scrutare il volto di Noah. Sul suo volto, grazie ad una ritrovata calma, comparve l’espressione di freddo distacco di sempre. “Tuttavia, non posso accettarle. Ho smesso anni fa di perdonare persone che mi giudicano nel modo in cui hai fatto tu”

 

“Capisco” annuì Puck, prima di sparire nelle stesso modo in cui era apparso.

 

Quinn rimase a fissare il punto in cui si era appena smaterializzato Noah per qualche secondo, prima di scrollare le spalle con un gesto indifferente e rimettersi ad aspettare pazientemente l’arrivo di Bill.

 

Apprezzava davvero la sincerità delle sue parole ma di certo non era la prima persona che si scusava con lei dopo averla umiliata come aveva fatto lui.

 

“Eccomi, eccomi”

 

Quinn sorrise educatamente, osservando l’aspetto decisamente scompigliato di Bill mentre questi appariva alle sue spalle.

“Eri con Fleur, per caso?” gli fece, lasciandosi andare ad una risatina quando lo vide distogliere lo sguardo e fingere un colpo di tosse.

 

“Dicevamo …” mugugnò, sollevandosi le maniche della camicia piuttosto stropicciata e tirando fuori la bacchetta “… incantesimi di rottura, sì”

 

“Poco fa è venuto qui Puck, sai?” buttò lì, prima di rendersi conto di non avere la minima idea del perché lo aveva fatto. Ne sentiva forse il bisogno? Oppure voleva solo dimostrare di aver avuto ragione ancora una volta?

 

“Sì? L’hai schiantato?” ridacchiò Bill, affrettandosi ad applicare una Runa difensiva base vicino alla porta della stanza.

 

“L’intenzione c’era” ammise Quinn, rispondendo al sorriso dell’uomo per pura cortesia. “Però alla fine non l’ho fatto. Mi ha chiesto scusa”

 

“Oh, beh, sì, è fatto un po’ a modo suo” rise ancora il responsabile degli spezzaincantesimi della Gringott, prima di pietrificarsi nella sua posizione e, dopo qualche secondo, voltarsi con lentezza esasperante verso di lei.

“Come, prego? Ti ha chiesto scusa? Senza giri di parole? Senza doppi sensi strani?”

 

“Sì, perché?” mormorò, non riuscendo a nascondere la propria confusione. “Cosa c’è di strano?”

 

“Noah Puckerman non chiede scusa” pronunciò in tono terribilmente serio, quasi stesse parlando di un potente mago oscuro. “Mai, soprattutto se ha torto”

 

La cosa la turbò più di quanto le facesse piacere ammettere. E non fu l’unica cosa che le diede da pensare perché, dopo aver applicato la magia ed averla attivata, Bill le parlò ancora.

“Avete in comune qualcosa, sai?”

 

“Ah sì?” chiese Quinn, inarcando un sopracciglio come ogni volta in cui si trovava di fronte a qualcosa di assurdamente stupido e non riusciva a trattenersi.

 

“Sì. Entrambi siete sempre sulla difensiva. Solo che lui si nasconde dietro la sua arroganza, tu invece dietro la tua educazione”

 

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Andare a scusarsi con Quinn non era stata propriamente una sua idea.

Qualcuno –sua sorella, una Tassorosso del quinto anno piuttosto petulante, con la sindrome di convinzione di onniscienza e che dispensava consigli di vita-, analizzando lucidamente gli eventi che l’avevano visto protagonista, gli aveva fatto recapitare la seguente lettera via gufo:

 

Sei un idiota. Hai passato anni ad essere giudicato dagli altri per quanto fossero consumate le tue divise e di seconda mano i tuoi libri, senza che nessuno prendesse sul serio le tue capacità, per poi diventare uno di loro?

Vergognati, Puckdeficiente. Chiedile scusa e, se non riesci ad essere sincero, almeno sii convincente nel fare finta di esserlo.

Non costringermi a scriverti una strillettera.

 

La tua amata ed amabile Debs.

P.S.: non è che questa Quinn un po’ ti piace? Perché è la prima volta che ti preoccupi di aver fatto cattiva impressione. Tienimi aggiornata.

 

Certo, poi Quinn le sue scuse non le aveva accettate e, visto che ormai il suo apprendistato era terminato, non l’avrebbe probabilmente mai fatto, ma comunque sua sorella si era detta molto fiera di lui.

In tutta onesta, anche lui si sentiva fiero di sé stesso.

 

Il Post Scriptum, ovviamente, non l’aveva nemmeno preso in considerazione. Era difficile non trovare Quinn Fabray oggettivamente attraente, affascinante ed anche leggermente misteriosa, ma del resto lo erano molte altre donne al mondo, no?

Non le –usando quella parolina sciocca che gli aveva scritto sua sorella- piaceva meno di Fleur Weasley, tanto per citarne una a caso. Che stupidaggini.

 

 

Ripiegò con cura la pergamena su cui aveva lavorato per quasi due settimane e l’infilò in una delle tasche dei pantaloni babbani –troppo comodi per non approfittare della libertà di vestirsi secondo il proprio gusto di cui, ad esempio, gli Auror erano sprovvisti.

 

Aveva trovato qualcosa. Se la sua traduzione si fosse rivelata corretta –purtroppo in alcuni punti la pergamena era strappata ed il testo era quindi incompleto-, poteva mettere le mani diversi manufatti Goblin risalenti addirittura agli anni della fondazione di Hogwarts.

 

Non doveva fare altro che trovare Bill, chiedergli l’autorizzazione, correre all’ufficio del Trasporto Magico del Ministero e, con un po’ di fortuna ed una passaporta già funzionante, avrebbe potuto raggiungere le Highlands scozzesi in un baleno.

Una robetta da niente, insomma.

 

Respirò a fondo un paio di volte, l’ansia e l’eccitazione che già cominciavano a fargli tremare i polsi come ogni volta, appoggiando poi le mani sul tavolo per issarsi in piedi.

 

“Noah! Ti stavo cercando”

 

Trovare Bill: fatto.

“Anche io” gli disse. Il suo sorriso, però, si fece più incerto quando, dietro la figura del suo mentore, vide apparire quella decisamente più delicata e meno menomata di Quinn.

 

“Eccomi qui” lo invitò allora Bill, sorridente.

 

“Ho … uhm … credo di aver decifrato questo” spiegò, titubante, gettando una rapida occhiata alla ragazza che, però, stava fissando con un certo interesse una delle mappe appese alle pareti della stanza.

 

“Ok, perfetto. Ti concedo l’autorizzazione a procedere” decretò un millisecondo dopo, senza nemmeno chiedergli di visionare la pergamena originale insieme.

Strano.

“Devi solo portare con te Quinn”

 

Ok. Ora era decisamente più logico.

“Non credo che Quinn voglia, insomma … dopo quella cosa-”  balbettò in difficoltà, prima di venire interrotto proprio da lei. 

 

“Accetto le tue scuse, Puck” annuì in tono deciso ma, dipinto sulle labbra, un sorriso che, tanto per cambiare, sapeva solo di artificiosa cortesia.

 

Noah la guardò confuso, chiedendosi se per caso questo repentino cambiamento di idee non fosse dovuto più alla volontà di partecipare ad una missione che a quella di perdonarlo davvero.

L’espressione di Quinn, attenta ed imperturbabile come al solito, non lasciava comunque alcuna possibilità di capirlo senza chiederglielo direttamente.

 

“Problema risolto” esultò Bill, sfregandosi le mani con l’aria di chi ha appena vinto alla lotteria dei maghi.

“Ora su, su, al Ministero. Dovete sbrigarti, il periodo di apprendistato di Quinn termina tra pochi giorni”

 

Noah annuì incerto, limitandosi a gettare un’altra occhiata alla ragazza in piedi a pochi metri da lui.

 

“E mi raccomando” fece una pausa, assicurandosi di avere l’attenzione di entrambi prima di parlare in tono serio. “Siate cauti, siate scaltri e siate professionali. Mi auguro di essere stato chiaro”

 

Eccolo lì, il solito Bill. Almeno poteva dire che fosse lui visto che, ultimamente, stava davvero cominciando seriamente a chiedersi se non fosse semplicemente qualcun altro con le sue sembianze.

 

In quel momento, mentre il signor Weasley usciva dall’ufficio, Noah si accorse di essere solo con Quinn. E non riuscì a tenere a freno la lingua.

“Davvero accetti le mie scuse?”

 

La giovane inarcò un sopracciglio ed appoggiò una mano sul fianco, squadrandolo con un cipiglio seccato, abbandonando momentaneamente la sua solita maschera.

“Mi sei sembrato sincero e mi è stato fatto notare che non sei il genere di persona che chiede scusa spesso”

 

“Se mai leggerai di un giovane ed affascinante spezzaincantesimi portato ad Azkaban per aver avvelenato la bistecca al sangue del suo superiore, non chiederti perché”

 

Una risata sincera. Noah si compiacque moltissimo nel vedere che, almeno per una volta, una delle sue battute idiote aveva avuto successo.

 

“Non ti piace che si parli di te, eh?” gli chiese Quinn, piuttosto divertita.

 

“Non molto, in effetti” ammise Noah dopo aver notato che, nel suo tono di voce, non c’era altro che semplice curiosità. E si stupì nel rendersi conto che, sfuriata a parte, quella era la prima volta in cui parlavano di qualcosa che riguardasse ‘loro’ e non il lavoro o altro di superficiale.

“Andiamo al Ministero, dai, preferirei evitare di stare in fila ore. Una volta fatto quello, potremmo ricontrollare insieme le mie carte” propose, chiedendosi di non aver osato troppo. O di non essere stato frainteso, visto che spesso la sua fama aveva trasformato le sue parole in ‘molestie di natura sessuale’. Tsk.

 

“Perché no?”

 

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Le Highlans scozzesi –o, almeno, la parte dove con buona probabilità dovevano trovarsi i manufatti indicati dalle pergamene- offrivano davvero uno spettacolo magnifico.

Le montagne ricoperte di un soffice manto di neve, le valli ondulate, lunghe e strette, e, soprattutto, quel silenzio speciale che solo i posti mozzafiato possono dare …

 

Se non fosse stato per i Troll, il freddo pungente e, come avevano detto loro all’ufficio del Trasporto Magico, i Babbani alla ricerca di avventura, sarebbe stato un luogo perfetto in cui vivere. 

 

 

Dopo aver camminato parecchio -una volta arrivati con una passaporta gentilmente offerta dal Ministero, avevano preferito evitare le scope per motivi di natura metereologica- per arrivare nelle vicinanze del luogo indicato dalla pergamena, la piccola comitiva si fermò.

 

Finalmente, Noah sembrò soddisfatto del punto –un piccolo anfratto di una delle colline basse, riparato dal vento- che aveva trovato per piantare la tenda.

“Stanca?” chiese alla sua compagna di viaggio, avvolta completamente in un mantello pesante.

 

“Abbastanza. Ho freddo, più che altro” batté i denti Quinn che, nonostante l’evidente difficoltà, aveva stoicamente evitato di protestare. Aveva nevicato abbondantemente per quasi tutta la loro camminata ed i vestiti bagnati, oltre che amplificare la sensazione di freddo, avevano costituito un carico di peso aggiuntivo.  

 

Altrettanto infreddolito, Noah appoggiò a terra lo zaino ed estrasse una tenda piuttosto piccola, appoggiandola poco lontano. Studiò per qualche secondo la posizione, controllando che fosse abbastanza riparata, prima di estrarre la bacchetta.

 

Erecto!” scandì ad alta voce, facendo animare di vita propria la tenda che, dopo aver librato in aria per qualche secondo, si aprì da sola e si piantò a terra in uno schiocco di dita.

 

Quinn non aspettò che Noah le facesse segno di entrare. Si chinò e scomparve all’interno rapidamente, strappando allo spezzaincantesimi uno sbuffo divertito.

 

“Donne” mormorò a voce bassa giusto per evitare di farsi sentire. Poi, dopo essersi guardato intorno per qualche altro secondo, decise di applicare qualche incantesimo di protezione. Così, per sicurezza.

Salvio hexia! Repello Babbanum!” mormorò agitando la bacchetta e, soddisfatto, seguì Quinn.

 

La tenda, evidentemente grazia ad un incantesimo Estensivo Impercettibile, era enorme.

Due camere separate, un bella stufa, due bagni, una grande cucina, una sottospecie di salotto con tavolo e sedie … di solito non usufruiva di queste comodità ma, almeno nella scelta della tenda, Noah aveva cercato di andare incontro a Quinn.

 

Dopo un lungo bagno caldo ed una deliziosa cenetta –stufato bollente, gnam-, i due si ritrovarono al tavolo del ‘salottino’, il calore della stufa a conciliare lo svago di un po’ di meritato riposo.

 

“Posso farti una domanda?” chiese Quinn a voce bassissima, abbassando appena il libro ‘Manufatti Goblin: guida per evitare gli imbrogli’ per poter osservare meglio Noah.

 

“Spara” rispose con lo stesso volume Puck, ripiegando con cura la pergamena che aveva ripreso a controllare per essere sicuro di non aver fatto errori stupidi.

 

“Pensi che io sia una brava spezzaincantesimi?”

 

La domanda lo colse davvero impreparato. Non se l’aspettava, proprio no, come non si aspettava tanta incertezza in una persona che, sia nell’apparenza che nei modi, sembrava poter rimanere impassibile persino di fronte alla resurrezione di Lord Voldemort.

 

Si chiese se fosse il caso di rispondere sinceramente e come avrebbe preso una sua parola di troppo, quindi, per non sbagliare, disse quello che aveva pensato all’inizio.

“Da quel poco che ho visto, sì. Non mentivo quando dicevo che hai talento”

 

“Grazie” le disse con un sorriso stirato ma più rilassato e sincero, riprendendo a leggere.

 

Tanto per cambiare, però, Noah non riuscì a tenersi a freno.

“Credo tu abbia il talento per fare qualsiasi cosa tu voglia, in effetti, ma non riuscirai mai a trovare quello che cerchi se nemmeno tu sai cosa vuoi

 

Se le sue parole aveva avuto un qualche genere di effetto su di lei, Quinn non lo diede a vedere. Con il controllo che aveva sempre sfoggiato –tranne durante la loro ormai celebre discussione-, riappoggiò il libro sul tavolo e parlò.

“Come fai a sapere che non so quello che voglio?”

 

“Perché, se lo sapessi, non avresti provato tutte le possibilità di lavoro che offre il mondo magico. Se sapessi chi sei, non avresti passato le ultime sei ore a gelare in un posto che hai odiato dal primo istante in cui la passaporta ci ha condotti qui” elencò, sentendosi sempre meno sicuro di aver avuto una buona idea. “Cosa farai, dopo? Andrai alla Gazzetta del Profeta? Cercherai di strappare un contratto ad una squadra di Quidditch?”

 

Lo sguardo di Quinn scivolò immediatamente verso la propria camera, situata dall’altra parte della tenda. Poteva leggervi dentro tante di quelle cose che, per un istante, Noah si chiese come facesse a tenere per sé tutto: paura, rabbia, indignazione …

 

Era certo di aver esagerato e che la ragazza si sarebbe presto alzata, magari dicendogli prima qualcosa di caustico o gettandogli semplicemente un’occhiata degna di una maledizione senza perdono.

 

Invece, con sorpresa di entrambi, rimase ferma al suo posto.

“Posso fartene un’altra?” disse, dopo aver riacquistato il tono calmo e misurato.

 

“Immagino di sì” sospirò Noah, sapendo bene che sarebbe stato qualcosa di personale, qualcosa che le avrebbe dato la possibilità di ferirlo come evidentemente lui stesso aveva fatto pochi istanti prima.

 

“Cosa volevi diventare prima di fare lo spezzaincantesimi? Chi ha rubato il tuo sogno?”

 

Noah sbiancò. Spalancò gli occhi, come un animale stretto all’angolo, socchiuse leggermente la bocca e strinse con foga i bordi del tavolo. Chi glielo aveva detto? Possibile che … che Bill o Fleur si fossero lasciati sfuggire qualcosa?

 

Quinn, dal canto suo, era impassibile, in attesa della risposta. L’unica reazione al volto pallido dello spezzaincantesimi fu il solito sopracciglio scettico alzato quasi fino all’attaccatura dei capelli.

 

Anche Puck valutò a lungo l’ipotesi di interrompere quella discussione improvvisamente troppo personale. Alla fine, però, nemmeno lui lo fece. 

“Avevo più o meno tre anni quando Lord Voldemort fu sconfitto. Mia madre era una Babbana e … come puoi immaginare … avevamo vissuto nascosti per molto tempo” sorrise amaramente, ripensando a quanto la parola ‘vissuto’ suonasse ridicolmente vuota ed inadatta per descrivere quegli anni di paura.

“Mi puoi ben capire se ti dico che avevo una vera venerazione per Harry Potter, Hermione Granger e Ron Weasley. Li sentivo miei eroi personali

 

Un sorriso tradì la maschera di fredda neutralità di Quinn. Il libro era ormai stato accantonato ed i suoi occhi nocciola erano completamente concentrati su di lui.

 

“Sai come funziona lo smistamento ad Hogwarts? … ok. Quando il Cappello Parlante disse che ero perfetto per Grifondoro, fu senza dubbio il giorno più felice della mia vita. Avrei portato addosso gli stessi colori del mitico trio”

 

Quinn appoggiò il mento su una mano, approfittandone per nascondere un altro sorriso. L’immagine di quel ragazzone grande e grosso –non riusciva ad immaginarlo bambino- che saltellava felice per essere stato smistato nella Casa dei suoi sogni era semplicemente troppo divertente.

 

“A quel punto, dovevo diventare un Auror, proprio come Harry Potter. A Pozioni ed Erbologia ero negato, completamente, eppure erano materie necessarie per poter realizzare il mio sogno”

 

“Se ho imparato un po’ a conoscerti …” disse Quinn, parlando per la prima volta da quando Noah aveva cominciato il suo racconto “… ti sei distrutto sui libri. E ce l’hai fatta

 

“Presi tutti i voti giusti nei G.U.F.O. che mi servivano, e così feci anche con i M.A.G.O..” ammise con un pizzico di orgoglio, sorridendo al solo ricordo di quanto fosse stato bello stringere tra le dita una lettera della Preside McGranitt che si diceva incredibilmente sorpresa ed altrettanto orgogliosa per il suo successo.

“Una volta uscito da Hogwarts, feci domanda per partecipare alle prove preliminari di ammissione al corso di Auror ed aspettai”

 

“Sei stato scartato per colpa di un raccomandato” intervenne ancora Quinn. Sembrava –ed era- molto dispiaciuta per lui. Forse addirittura poteva capire quanto male gli avesse fatto.

 

“Rimasi fuori per colpa di un tale di Durmstrang, un coglione il cui unico merito era quello di avere uno zio nel Ministero bulgaro” soffiò Noah, stringendo il tavolo fino a sbiancarsi le nocche. Quanta rabbia provava ancora, al solo pensiero, lo sapeva solo lui.

 

“Non potevi presentarti l’anno dopo?”

 

“Rinunciai. Quando … uhm … seppi di essere stato scartato, mandai tre lettere per chiedere spiegazioni” mormorò, in evidente imbarazzo, senza aggiungere i destinatari. Non ce n’era comunque bisogno. “Solo Hermione Granger mi rispose. Il suo ufficio, per essere precisi. Tre righe, anonime ed impersonali, in cui mi si diceva di ritentare l’anno successivo e mi si augurava buona fortuna”

 

Quinn stavolta non disse nulla, pur avendo più o meno intuito cosa fosse successo dopo.

 

“Giurai a me stesso che non sarei mai diventato Auror. Mi sentivo …” si accarezzò la testa rasata, in evidente difficoltà “… abbandonato dalle uniche persone che non l’avevano fatto” spiegò e, per un attimo, si pentì della scelta infelice di parole.

 

“Così sei diventato uno spezzaincantesimi” concluse per lui Quinn, soccorrendolo nel momento di imbarazzo.

 

“Non fraintendermi, amo quello che faccio, sono contento di aver trovato Bill e-”

 

“Si vede” lo interruppe la giovane, sorridendogli come lui stesso aveva fatto quel giorno nella stanza di decifrazione.

“Solo chi ama il proprio lavoro può essere davvero un ottimo insegnante. E tu, esattamente come Bill, lo sei”

 

Noah aprì la bocca e la richiuse, sentendosi un perfetto idiota. Gli era stato appena fatto un bellissimo complimento e lui, famoso in tutta Diagon Alley ed oltre per l’ego smisurato, non riusciva nemmeno a mettere insieme una parola di senso compiuto.

“Oh” fu l’unica sillaba che uscì dalle sue labbra ancora dischiuse in una specie di ‘O’.

 

Quinn ridacchiò e lo fissò dritto negli occhi, forse in attesa che riuscisse a spiccicare qualcosa di un poco più intelligente. Un grugnito, tanto per dire, sarebbe andato benissimo. Quello che le disse dopo, però, riuscì ad essere sorprendente al tempo stesso positivamente e negativamente

 

“Sei incredibilemente bella quando sorridi. E quando ridi”

 

Era abituata a ricevere dei complimenti, sì, eppure quelle parole le avevano riscaldato le gote come poche altre volte le era capitato in vita sua.

Abbassò il capo, sfiorandosi una ciocca bionda con la punta dei polpastrelli per attirare l’attenzione di Noah da qualcos’altro che non fosse il suo volto arrossato.

 

Sollevò lo sguardo verso di lui per qualche secondo e, notando il ghigno soddisfatto di quel maledetto Troll, non riuscì a non ruotare gli occhi al cielo.

 

“Posso farti una domanda io, ora?” farfugliò Puck dopo qualche altro istante.

 

“Domani sera” gli sorrise Quinn, alzandosi e portandosi il libro al petto. Evidentemente la situazione cominciava davvero a farsi troppo ‘intima’. “Tanto saremo ancora tra questi monti a cercare il tuo tesoro, no?”

 

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No.

Purtroppo, una volta identificato il potere magico della Runa e trovato quello che doveva essere il nascondiglio, a Quinn toccò sperimentare una dolorosa realtà del mondo degli spezzaincantesimi: spesso, i tesori non c’erano perché già presi o rubati.

 

Era stato un duro colpo anche per Noah, in realtà. Talmente difficile da digerire da non rendersi nemmeno conto di quanto in realtà il trasferimento definitivo di Quinn al Ministero fosse parte del problema.

 

 

E quando Noah Puckerman aveva un problema e non voleva farsi fare la paternale da sua sorella –di otto anni più piccola di lui, bisogna sempre ricordarlo, di solito andava al Paiolo Magico.

 

Continuava a girarsi il bicchiere di vetro tra le mani, ammirando con vuoto interesse il contenuto smeraldino e i suoi riflessi. Quella roba Babbana aveva una gradazione alcolica tale che bastavano appena due bicchieri per stenderlo ma, ovviamente, non avrebbe potuto ubriacarsi al Paiolo.

 

Non con la proprietaria, Hannah Paciock, che lo scrutava da dietro il bancone come un avvoltoio, pronta a cacciarlo fuori al primo segno di scarsa lucidità e poi a fare la spia a chiunque fosse in grado di fargli una ramanzina.

Se avesse voluto esagerare, comunque, non sarebbe andato al Paiolo. Voleva solo … non pensare per un po’.

 

“Buonasera” disse una voce che ormai aveva imparato a conoscere. Non si girò verso la fonte, comunque, preferendo prendere un altro sorso.

“Posso avere un bicchiere di quello che ha preso lui?”

 

“No”

Alzò lo sguardo per osservare l’espressione indignata della signora Paciok e sorrise.

“Non potrei mai farti una cosa del genere. Ti porto qualcosa io”

 

“Cosa stai bevendo?”

 

“Roba Babbana. Meglio non fare domande” rispose voltandosi con lentezza esasperata.

 

Quinn Fabray era in piedi alla sua destra e, tanto per cambiare, aveva quel dannato sopracciglio alzato. Per il resto, invece, sembrava un’altra persona.

I capelli, di solito leggermente ondulati e lasciati liberi di cadere sulle spalle, erano raccolti in una coda bassa che, come poté vedere mentre quella prendeva posto al bancone, le arrivava circa alle scapole.

In più, la solita divisa azzurra da studentessa di Beauxbatons era stata sostituita da un completo raffinato camicia/gonna. Sembrava una vera impiegata del Ministero. Cosa che era. E per cui non si era ancora complimentato.

 

“Ho saputo che alla fine hai accettato di lavorare per la signora Weasley nell’ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale” disse, alzando il bicchiere a mo’ di saluto. “Congratulazioni”

 

“Grazie. Quando anche io avrò il mio … qualunque cosa decida per me la signora Paciock … proporrei un brindisi”

 

Noah non rispose. Era contento di rivederla, per certi aspetti, ma per altri, invece, la sua presenza e la totale nonchalance con cui gli si rivolgeva dopo quasi un mese in cui non si vedevano gli dava fastidio.

 

“Ti devo una risposta” 

 

Nemmeno quella volta Noah rispose, anche se per motivi diversi. L’affermazione di Quinn l’aveva decisamente preso in contropiede.

Si voltò di tre quarti per poterla osservare meglio e, con suo stupore, notò sul suo viso di nuovo quel sorriso.

 

“Quella sera, in tenda, mi hai chiesto se potevi farmi una domanda. Ho avuto un po’ di problemi ad abituarmi al nuovo lavoro, però ora sono qui. Avanti, dunque”

 

Il lampo di determinazione nei suoi occhi nocciola fece sorridere Noah. Sembrava quasi che fosse una specie di sfida, oppure di un gioco. Voleva sapere qualcosa in più su di lei, i perché delle sue scelte che non riusciva a capire, magari, però non era poi così certo di voler conoscere quelle cose di lei.

“Avevo una domanda, sì …” mormorò, giocherellando con il bicchiere “… però non voglio fartela. Fondamentalmente non mi interessa più sapere la risposta”

 

Si pentì subito della scelta di parole, osservando la smorfia dispiaciuta comparsa sul volto di Quinn che, nonostante un momento di iniziale difficoltà, annuì e sorrise. Lo fece nel solito modo, però, quello di pura e semplice cortesia.

“Chiedimela lo stesso. Avanti, al massimo non ti rispondo”

 

Noah attese che la signora Paciock avesse appoggiato davanti a Quinn qualcosa che sembrava tanto –e sicuramente era anche- whiskey incendiario e che ne avesse preso un sorso generoso prima di parlare.

“Volevo sapere da quale passato stavi fuggendo. Volevo sapere quanto possa essere diversa la Francia dalla Gran Bretagna visto che, filiale della Gringott compresa, i lavori per cui sei venuta fin qui sono gli stessi sia là che di qua”

 

“A volte credo che tu mi conosca meglio di chiunque altro” farfugliò Quinn, per una volta senza nascondere la propria inquietudine riguardo quegli argomenti. “Non ti interessa più? Perché se vuoi, posso risponderti”  

 

“Vorrei che fossi tu a farlo di tua spontanea volontà” replicò Noah, massaggiandosi il collo indolenzito dall’essere stato piegato sul bancone più o meno un’ora. “Vorrei che non ti sentissi obbligata da un gioco stupido e che prima ti fosse chiaro che non ti giudicherei”

 

“Grazie” esalò semplicemente Quinn, sentendosi con il fiato stranamente corto. Tirò anche un sospiro di sollievo, cosa che fece sentire Noah quasi sollevato quanto lei.   

 

“Credi che esista …” esitò, chiedendosi come mai fosse così nervoso nel fare una cosa che faceva parte del suo modo di essere da quando aveva quattordici anni “… la possibilità che tu mi conceda di conoscerti davvero? Di sapere cosa ti piace e non solo cosa odi?”

 

Quinn appoggiò il volto sul palmo di una mano, osservandolo incuriosita per qualche secondo. Sembrava addirittura estremamente divertita dalle sue parole.

“Mi piacciono le Sorelle Stravagarie” sorrise in tono casuale, facendo scorrere l’indice della mano libera sul bordo del bicchiere. “Tengono un concerto a Manchester, la prossima settimana. Potresti portarmici”

 

 “Mi sembra un’ottima”

 

Odiava –sì, parola un po’ forte quando si parla di temi leggeri come la musica, ma era un sentimento di disprezzo molto intenso- quel gruppo, fondamentalmente perché sua sorella gli aveva riempito la testa con le loro canzoni per anni. Ma non lo disse.

Come poi, nei mesi successivi, non disse che preferiva i luoghi tipo le Highlands al mare, la carne al pesce, le serate di festa a quella passate sul divano davanti ad un camino accesso.

 

Semplicemente, amava vederle sulle labbra quel sorriso vero che solo lui era in grado di farle fare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

Avevo promesso Harry Potter, ed Harry Potter è stato. Sono abbastanza terrorizzato, perché toccare qualcosa di sacro come i libri della zia Row è impossibile senza fare figuracce, però spero di aver fatto un buon lavoro.

 

Un pochino diverso da come ve lo sareste immaginato, suppongo. Niente Hogwarts, niente smistamento … beh, spero solo che vi sia piaciuto.

Ho sempre trovato interessate il post Hogwarts, quello che segue il diploma, e studiando storia all’università non ho potuto che apprezzare maggiormente il lavoro di spezzaincantesimi.

Purtroppo, visto che la zia Row non ha mai approfondito la cosa, sono dovuto andare a tentoni. Spero che sia tutto plausibile e corretto :)

 

Ho aggiunto la nota OOC sia per Quinn e Puck, che per Fleur e Bill. Giusto per sicurezza visto che si tratta pur sempre di un AU e non ho mai scritto di HP in vita mia.

 

Gli incantesimi, sempre scritti in corsivo, li ho presi da qui:

http://www.radiopotter.com/wiki/Incantesimi#R

 

Questa, comunque, era la shot ‘di riserva’. Nel senso che la prima idea che mi era venuta era un’altra, solo che, arrivato a qualcosa come diecimila parole, ho capito che forse non era il caso.

Sono molto tentato dal trasformare l’altra shot –quindi la mia prima idea, non questa, che è finita e completa così- in una long. Al momento sono oberato di cose da fare, ho pochissimo tempo, ma più avanti … chissà, ditemi la vostra se volete.

 

E ricordo ancora una volta che, se avete richieste particolari, potete tranquillamente farmelo sapere e, nei limiti delle mie scarse capacità, proverò ad accontentarvi :)

 

Ringrazio le due persone che hanno commentato la scorsa shot, chi ha letto ed apprezzato.

 

La raccolta verrà messa momentaneamente da parte, sigh, perché voglio dare precedenza alle altre storie.

Perciò alla prossima, qualunque giorno, mese o anno sarà!

Pace.  

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Capitolo 5
*** Foto ricordo ***


Personaggi: Quinn Fabray, Noah Puckerman, Beth Corcoran, Noah Puckerman, altri (solo menzionati).

Note: futur fic ambientata una quindicina d’anni dopo il diploma, missing moments sparpagliati durante un ipotetico terzo anno che è diverso da quello televisivo perché ho inserito un bel what if. Di che tipo? Beh, ok che è Glee, ma dare fuoco alle cose in un edificio statale tende ad essere un crimine. E qualcuno deve pagare, no? Funziona così? Rating: verde.

Genere: generale (augurandomi che significhi un po’ di tante cose), (appena appena) introspettivo, mi auguro un pochino comico, con una spolverata di ricordi e di malinconia.

Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di qualcuno che li odia Ryan Murphy e della Fox (credo); questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro ma solo per dare un po' di spazio ad una coppia mai approfondita.  

 

 

Foto ricordo

 

Ci sono dei momenti, come questo ad esempio, in cui il profilo o il comportamento di Beth è così simile a quello di Quinn che è costretto a prendersi un attimo di riflessione per riordinare i propri pensieri.

È da quando la sua bambina è venuta al mondo che chiunque conosca Quinn blatera di quanto effettivamente siano due gocce d’acqua e persino lui, almeno inizialmente, ha fatto parte di questo gruppo di persone.

Per lui, però, è solo con il passare degli anni che questa somiglianza ha cominciato a diventare sempre più evidente, andando ben oltre la semplice associazione biondo-biondo occhi nocciola-occhi nocciola.

Ha la stessa forma del viso, le stesse guance, lo stesso modo di stringere le labbra quando è arrabbiata, lo stesso uso caratteristico delle sopracciglia per esprimere qualsiasi emozione e …

“Papà! Ti sei incantato di nuovo? Questo scatolone non si porterà di certo giù per le scale da solo”

… la stessa propensione al comando, certamente.

Puck sbuffa in direzione della figlia, scoccandole uno sguardo eloquente prima di piegarsi verso il basso per raccogliere il suddetto scatolone.

Beth annuisce soddisfatta, facendogli un cenno con la testa in direzione delle scale e tornando immediatamente in mezzo alle ultime cose rimaste nella soffitta.

Sbuffa di nuovo, dandole le spalle in maniera esageratamente sdegnata, per poi dirigersi verso la scaletta che lo porterà al secondo piano di casa Corcoran.

La sua intenzione era quella di approfittare di uno dei giorni di permesso per volare a New York, passare a Hoboken per salutare Beth -e Shelby- e lasciarle il suo regalo di Natale. Essere usato come mulo da soma ovviamente non faceva certo del piano originale.

Eppure, strano a dirsi, non è riuscito a dire di no a sua figlia quando le ha chiesto una mano per ripulire la soffitta e prepararla ad ospitare le sue compagne di scuola.

Sospira, sorridendo tra sé e sé mentre appoggia lo scatolone vicino agli altri. Prende il pennarello dalla tasca dei jeans ma, la momento di scriverci sopra la destinazione, si rende conto di non saperla.

“Beth! Non mi hai detto dove va questo! Discarica?”

Attende pazientemente una risposta che, però, non arriva.

“Beth!” urla di nuovo, stavolta più forte, senza comunque ottenere alcun risultato. “Beth” la chiama per la terza volta, leggermente preoccupato, risalendo rapidamente la scaletta ritraibile. “Si può sapere perché non rispondi?”

È seduta a gambe incrociate nel punto esatto in cui l’ha lasciata ed ha la testa leggermente piegata di lato, come se si trovi in piena contemplazione.

Solo una volta a pochi passi da lei capisce il perché di quella posizione. Tiene tra le mani una foto e … no. No, assolutamente no, impossibile.

“D-dove l’hai presa?” balbetta, spaventato, tentando di prepararsi alle migliaia di domande che le arriveranno da Beth non appena avrà superato lo stato di shock.

“Ma chissene frega!” esplode infatti la ragazza, ormai sedicenne, dopo qualche ulteriore secondo, sventolando la foto sotto il naso del padre. “L’hai vista? Perché mamma ha i capelli rosa? Perché ha un piercing al naso? E perché io invece non posso farmelo?”

Ci sono lui e Quinn in quella vecchia foto risalente al loro ultimo anno. Indossano entrambi il tipico cappello rosso e bianco di Natale e si stanno guardando in cagnesco. O, meglio, Quinn lo sta guardando come se lo volesse trapassare con una lancia, mentre lui è solo molto molto molto preoccupato.

“Dammela prima che qualcuno si faccia male” mormora allungando la mano per afferrare la foto che, ovviamente, Beth toglie dalla sua portata scattando in piedi ed allontanandosi di qualche passo.

“Qualcuno tipo te?” risponde lei, sorridendo sorniona –e sì, quello è decisamente il suo sorriso, aveva ragione Shelby.

“Certo che sì, ragazzina” sbotta, rabbrividendo al solo pensiero di quali potrebbero essere le conseguenze –riguardo al suo desiderio di avere altri figli, un giorno- del ritrovamento di quello scatto. “Avanti. Sono tuo padre. Obbedisci”

“Pfff” gli ride in faccia Beth senza nemmeno provare a nasconderlo. È che vedendola così poco rispetto a Quinn, è finito con il diventare quello buono dei due, quello che non dice mai no e che di conseguenza ha l’autorità di un cucchiaino da tè.  

“Se mi dici perché mamma sembra una punk forse potrei anche-”

“Si vestiva così, ok?” sbuffa Puck dopo aver riflettuto qualche secondo ad occhi chiusi, interrompendola ed allargando le braccia in segno di resa incondizionata. “All’inizio del suo anno da senior mamma si conciava in quel modo. E ora, se non ti dispiace …” farfuglia, allungando la mano per ricevere il suo premio “… rispetta la tua parte del patto”

Cosa che ovviamente Beth non ha alcuna intenzione di fare. Invece infila la foto nella tasca della tuta ed incrocia le braccia al petto, mugugnando tra sé e sé.

“Non me l’ha mai detto”

Quinn non ha avuto alcuna remora a raccontare a sua figlia, una volta concordato con Shelby che fosse arrivato il momento giusto, il suo passato. Beth sa tutto riguardo il rapporto della sua madre biologica con i genitori, l’ossessione per la popolarità, il suo concepimento, l’incidente d’auto, la storia con il professore di Yale e molte altre cose.

Questo, per qualche strano motivo, non è mai saltato fuori. E onestamente persino Puck fatica a capirne i perché e i per come.

“Forse non pensava fosse importante per … dove stai andando?” mormora aggrottando la fronte, confuso, mentre la figlia scende rapidamente la scaletta e sparisce alla sua vista in un lampo. “Beth!” sbraita realizzando i suoi scopi. “Non ci provare!”

Quando arriva nella sua camera, la prima cosa che nota è il volto di Quinn nello schermo del computer. Dannata ragazzina.

… Puck?

“Eheh” ridacchia nervosamente, sorpreso dalla sua voce. Come accidenti ha fatto in meno di venti secondi a chiamare sua madre?

Si avvicina al computer lentamente, accarezzandosi la nuca con l’aria colpevole di chi sa già di essere ad un passo da una sgridata. “Ciao, Quinn. Ti trovo bene”

Quindi sei a New York. Bene. Fa sempre piacere sapere queste cose direttamente da te” commenta pungente la donna, inarcando il suo famoso sopracciglio.

“Sì, beh, è stata un’improvvisata” farfuglia, non sapendo bene come giustificarsi, distratto anche dai movimenti di Beth che sta trafficando con il computer. “Sono in permesso fino al 28 e ne ho approfittato per passare-”

“I convenevoli li facciamo dopo, ok?” lo interrompe la figlia, risoluta, rivolgendosi poi a Quinn. “Mamma, c’è una cosa che devi vedere. Te l’ho appena mandata per mail”

Dannata ragazzina e dannata tecnologia.

L’espressione concentrata e incuriosita del volto di Quinn si tramuta prima in una di pura sorpresa poi, con rapidità, in una di quelle che nemmeno lui che la conosce da anni riesce a decifrare.

Puck” sibila in tono piatto. Non sembra arrabbiata.

“Non ho la minima idea di come questa sia potuta sopravvivere”

Sente il bisogno di giustificarsi comunque, anche se la sua paura è irrazionale più che reale, dovuta infatti alla promessa che la stessa Quinn gli fece nel momento in cui fu scattata la foto. Qualcosa come quindici anni fa.

Quinn apre la bocca ma non dice nulla. Forse, esattamente come per lui, tutti i ricordi legati a quello scatto sono talmente vividi nella memoria che le sembra impossibile di non averne mai parlato con Beth.

“Chi dei due inizia a raccontare? Dai, su, sapete entrambi che non smetterò di rompere finché non ne saprò ogni dettaglio per filo e per segno”

Quinn lo guarda per qualche secondo prima di umettarsi le labbra e rivolgersi direttamente a Beth.

Ok” concede, passandosi una mano sul collo fino ad arrivare con la punta delle dita alla catenina d’oro che porta con sé da sempre. “Prima però vorrei farti una premessa. Non c’è un vero motivo per cui io e tuo padre non ti abbiamo raccontato di quella parte della nostra vita. È importante, anche se potrebbe non sembrarlo

Puck annuisce, perché è esattamente la stessa cosa che ha pensato lui –dopo essere riuscito a mettere da parte la minaccia di evirazione subita quel giorno di tanti anni fa.

“Vergogna?” tenta Beth, per cui cercare di capire la sua madre biologica è davvero importante. Non è un segreto che sia lei il suo modello e il suo punto di riferimento.

Ci sono delle cose di cui non vado particolarmente fiera ma, e sai bene come la pensi io a riguardo, nel complesso non mi vergogno di nulla” spiega Quinn, ripetendo un concetto che ha spiegato alla figlia diverse volte. “Se adesso sono felice è merito di ognuno dei passi che mi hanno condotta fin qui

Detto questo, però, si ferma e si volta verso Puck. Anche Beth la imita e, ben presto, è chiaro come procederà la cosa.

“Ok” farfuglia, afferrando un puff e sistemandosi di fianco alla figlia. “La storia inizia con tua mamma che dà fuoco ad un pianoforte”

Beth ride. Di gusto. O, almeno, lo fa finché non incrocia il volto serio della madre. “State scherzando, vero?”

 

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Dopo il brutto incontro avvenuto nel bagno, riuscire a trovare Quinn era diventata un’impresa per lui. Lo stava palesemente evitando e, in tutta onestà, poteva capirla benissimo. E avrebbe rispettato il suo desiderio di pace se non fosse per una notizia che Santana –era durato un sacco il suo esilio per infedeltà, sì sì- gli aveva comunicato in anteprima alla riunione del Glee.

Dopo quasi due ore di ricerca –ore in cui avrebbe dovuto avere lezione, così, tanto per dire-, finalmente riuscì a trovarla. Nell’auditorium, seduta contro la ringhiera di in una parte della platea che non pensava nemmeno esistesse.

“Certo che quando decidi di nasconderti e non farti trovare sei imbattibile. Sotto le gradinate come le altre Skank no, vero?”

“Cosa vuoi?” sputò Quinn, per nulla intenzionata a far finta di non essere arrabbiata con lui, dedicandogli uno sguardo che era tutto un programma.

“Santana mi ha detto che è scoppiato un gran casino per la storia del pianoforte” spiegò Puck, avvicinandosi cautamente e spostando lo sguardo dalla ragazza al panorama. Il palco sembrava così piccolo da lassù. “E che tu ti sei presa la colpa”

Quinn scrollò le spalle, indifferente, continuando a giocherellare con una specie di forchetta di plastica da mensa.“Arriva al punto”

“Perché? Perché tutto questo? Non sei stata tu a cospargere quell’affare di benzina. E mi hai detto che non sapevi nemmeno che quella fosse davvero benzina”

Gli dedicò un lungo sguardo prima di rispondere. Il tono, volutamente neutro, doveva sicuramente essere una dimostrazione di assoluta sicurezza. A Puck, invece, ricordava tanto una persona allucinata, non in possesso delle proprie facoltà. 

“La Sylvester è in campagna elettorale, mi ha chiesto di aiutarla a lasciare fuori lei e le Cheerios e io ho accettato. In fondo, ho solo buttato la cicca per sbaglio senza sapere cosa avrei provocato” concluse, gli angoli della bocca piegati in un sorrisetto tronfio. “Cosa c’è di così strano?” 

"Mi prendi per il culo?!” sbottò Puck, scioccato dal comportamento di una persona che pensava di conoscere. Sembrava davvero fuori dal mondo, esattamente come le avevano detto sia Rachel che Santana. “ Sei completamente e definitivamente impazzita?”

“È stato un incidente, un tragico sbaglio” alzò ancora le spalle Quinn, agitando la mano come a scacciare una mosca fastidiosa. “Ammesso che il signor Motta mi denunci davvero, al massimo mi obbligheranno a ripagare quel rottame viola”

“E se invece non andasse così, uh? Ci hai pensato a questo nel tuo brillante piano di auto-sabotaggio?” si inginocchiò al suo livello, costringendola a guardarlo in faccia prendendole il viso tra le mani. Possibile che non riuscisse davvero a capire la gravità della situazione?

“Credi che Shelby ti farà vedere Beth una volta che verrà a sapere che dai fuoco alle cose?”

Lo sguardo di Quinn era sempre stato intenso eppure prima di quell’occasione non gli era mai stato difficile sostenerlo. Si sentiva colpevole, responsabile di tutto quello che le era successo. Forse lo era davvero.

I loro sguardi rimasero fissi l’uno in quello dell’altra finché Quinn, con un sorriso amaro, si divincolò dalla presa della mani di Puck e riprese a guardare il palco dell’auditorium sotto di loro.

“Sei così ingenuo. Ora vuole che torni com’ero prima, poi quando mi sarò ritinta i capelli di biondo e avrò ricominciato a far finta di essere una ragazzina perfettina cambierà idea e vorrà qualcosa di ancora diverso. Shelby …” lo guardò dritto negli occhi, di nuovo, mentre calcava su quel nome con tutto il fastidio che provava “… non me la farà mai vedere. Ha troppa paura che me la riprenda

“Non è vero” rispose d’istinto Puck, scuotendo il capo. “Non la conosci. Lei vuole solo il meglio per Beth. E sa che sarà importante per lei averci vicino” aggiunse, provando ad insistere sull’unica cosa che sembrava scuotere la madre di sua figlia. “Non buttarti via così, Quinn”

La reazione che ottenne lo colse talmente di sorpresa che gli fece perdere il precario equilibrio e cadere all’indietro, cozzando il sedere a terra con un tonfo.

Quinn era in piedi, quella specie di forchetta puntata verso di lui, e, se prima l’aveva solo infastidita, le ultime parole pronunciate l’avevano decisamente fatta arrabbiare.

“Smettila. Smettila di fare l’ipocrita. Smettila di ripetere a pappagallo quello che ti ha detto lei” ringhiò, a voce bassa ma comunque perfettamente udibile, ponendosi esattamente sopra di lui. “Smettila di fare finta che te ne freghi qualcosa. Non ti importa di me, ricordi?” 

“Io … non volevo. S-stavamo parlando di altro” balbettò Puck, non riuscendo a trovare nient’altro da dire di fronte alla propria colpa. 

“No, no, avevi perfettamente ragione. A te non importa, a mia madre non importa e forse non è mai importato … a nessuno importa. Soprattutto, a me non importa di quello che succederà. Non mi è rimasto più nulla da perdere

 

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Riportare a galla quel momento non è stato difficile, per Puck. Tuttavia non ha mai capito il perché, come per tutte le altre occasioni in cui ha ferito Quinn, riesca a ricordare perfettamente ogni parola pronunciata ed ogni gesto compiuto.

Osserva Beth con la coda dell’occhio e non si sorprende di trovarla con le labbra strette, intenta a fissare lo schermo ed il volto di sua madre che sta cercando di abbozzare un sorriso. Non è la prima volta che le raccontano dei loro momenti bui ma, ovviamente, metabolizzare certe cose dette dai propri genitori non è mai un processo immediato.

“Mamma” mormora in tono sommesso, quasi dispiaciuto. Puck le appoggia una mano sulla schiena, accarezzandola piano.

Ci sono stati dei periodi dopo la tua nascita in cui mi sono sentita davvero sola. L’anno successivo al parto particolarmente. Quella fase è stata … il culmine, se così si può dire” spiega Quinn, senza smettere per un secondo di sorridere alla figlia. Una maschera che, per quanto perfetta e collaudata dall’uso prolungato nel tempo, agli occhi di Puck si sgretola in mille pezzi.

Perché nel breve momento di silenzio, Puck osserva il volto di Quinn. Ed il tempo ha acuito la raffinata bellezza dei suoi lineamenti, incorniciati in un elegante taglio corto, questo è vero, eppure, per qualche istante, gli sembra di intravedere di nuovo la vecchia Quinn, quella insicura che è stata ai tempi del liceo.

“E tu dove cavolo eri?!” sbotta Beth all’improvviso, schiaffeggiando il braccio del padre e cogliendolo, tanto per cambiare, completamente alla sprovvista.

“Ehi, piano con le accuse. È stato doloroso anche per me, eh” sbuffa, ringraziando con lo sguardo Quinn che sta annuendo. “Poi, anche se ci ho messo un po’, sono arrivato. Meglio tardi che mai, no?”

Tuo padre ha ragione” riprende Quinn subito dopo. “Sono stata molto ingiusta durante quel periodo. Tua nonna stava facendo il massimo, semplicemente non riusciva a capire. Rachel mi venne a cercare, Artie mi mandò degli sms, Shelby tentò di parlarmi, tuo padre praticamente mi inseguiva per la scuola. Avevo loro, avevo il Glee, avevo Mr. Shue e … anche se nel suo modo un po’ contorto e manipolatore … avevo Sue. Non ero completamente sola ma, nonostante avessi tanta gente intorno, mi sentivo trasparente

Beth si morde il labbro, incerta, guardando alternativamente i genitori. Sanno bene –e forse sarebbe evidente persino per uno sconosciuto- come la sua avidità nel sapere tutto ciò che li riguarda si stia scontrando con la sua innata sensibilità.

“Non sapevo che stessi così male” dice infatti sorridendo un po’ forzatamente alla madre. “Non mi importa più di sapere la storia di questa foto”

Tesoro mio, non c’è bisogno che ti preoccupi per me. È passato. E poi c’eri anche tu quando è stata scattata

“Ed entro in scena io al massimo del mio splendore” aggiunge Puck, cogliendo al balzo il significato dello sguardo –per la verità piuttosto eloquente- che gli ha rivolto Quinn.

Nonostante sembri ancora piuttosto incerta, le rassicurazioni dei genitori fanno effetto visto che, dopo qualche secondo di riflessivo silenzio, Beth fa una domanda che non lascia dubbi su cosa voglia fare.

“Quel tipo ti ha denunciata?”

Eccome se l’ha fatto” ride Quinn, genuinamente, probabilmente di sé stessa e di come per una volta l’ingenua tra i due sia stata lei. “Non ha voluto sentire nessuna spiegazione. Ed era abbastanza influente da-

“E ricco” la interrompe Puck, facendo il gesto dei contanti con il pollice e l’indice per rafforzare il concetto.

Molto ricco, sì. Non so se è per questo o altro, comunque mi ha portata di fronte al tribunale dei minori” sospira Quinn, ravvivandosi i capeli con un movimento nervoso. “Due mesi di riformatorio … fu una brutta sorpresa

“Sei stata in riformatorio?” sgrana gli occhi Beth, guardando il padre per la conferma.

“Ehi, cos’è questa faccia?” protesta Puck, fingendosi offeso nel tentativo di smorzare la tensione. “Quando ti raccontai del mio periodo in riformatorio non mi eri sembrata per nulla sorpresa ”

“Beh … tu sei tu. E mamma e mamma” alza le spalle Beth, come se stesse dicendo un’ovvietà. “Hai la faccia da criminale, papà, fattene una ragione”

“Sono un ufficiale dell’aviazione americana, io” borbotta Puck, offeso per davvero questa volta, picchiandosi il petto con il pollice per darsi un minimo di autorità. Nessuna delle sue donne comunque sembra prestargli troppa attenzione.  

Rimasi in quel posto un mese prima che il giudice concesse la condizionale” prosegue Quinn, ignorandolo bellamente. “Ore di servizi sociali in cambio del mese rimasto. Rifiutai diverse volte

“Non capisco. Papà mi disse che il riformatorio faceva paura” mormora Beth, facendo annuire convinto Puck.

Quello femminile era diverso, forse, non lo so. C’era solo una ragazza che riusciva a terrorizzarmi semplicemente camminandomi vicina ma, per fortuna, se ne stava praticamente sempre in disparte” spiega, abbozzando un sorriso a Puck. “Molte erano lì perché non avevano un posto dove andare e nessuno che potesse prendersi cura di loro. Alcune di loro erano ragazze madri abbandonate dalle famiglie costrette a rubare, ad esempio, o peggio. Pensa che scema … pensavo davvero di essere come loro

“Sbaglio o fu Judie a chiedere la condizionale su sua iniziativa personale visto che tu ti ostinavi a volerci rimare?”

Fu mia madre, è vero. Se non sbaglio, però … uhm, credo che sia stata Sue a procurarsi tutta la modulistica necessaria. O no? Non ricordo bene” mormora Quinn, sfiorandosi il labbro inferiore con le dita, lo sguardo momentaneamente perso nel vuoto.

"E dopo che ti sei rifiutata cosa è successo?” fa Beth, cercando di riportare la discussione su quello che le interessa davvero, non su qualche inutile dettaglio che nessuno riesce a ricordare. “Sei tornata in riformatorio?”

Per quasi una settimana la responsabile dei servizi sociali che seguiva il mio caso venne a scuola e, visto che riuscivo sempre a non farmi trovare, anche a casa” sospira ancora Quinn, massaggiandosi lentamente il collo. “Quando ricevetti l’ultimatum, ricordo di aver esultato

“Nonna, papà e gli altri cosa dicevano? Cercavano di aiutarti e tu gli ignoravi?”

Qualcosa del genere” mormora Quinn, sinceramente in imbarazzo. “Pensavo che non stessero cercando di farlo davvero. Credevo che tua nonna cercasse solo di ridare un minimo di rispettabilità alla nostra famiglia distrutta e che gli altri del Glee volessero solo riportarmi perché, senza di me, non avrebbero avuto il numero minimo richiesto per competere. Sue invece … beh, già a ridosso del diploma capii di essere in errore, ma in quel momento ero certa che i suoi consigli e le sue proposte di aiuto fossero solo una manovra per accaparrare voti e consensi

“Non avevi fiducia in nessuno, è normale che pensassi alle persone in questo modo” annuisce Beth una volta che Quinn ha finito di parlare, riuscendo a farla sorridere nonostante durante il racconto si sia incupita. E Puck non può che essere orgoglioso di lei. Cavolo, è più molto più matura di quanto fossero entrambi alla sua età.

“Cosa ti ha fatto cambiare idea?”

Puck tossisce teatralmente, alzandosi dal puff per fare un profondo inchino.

“Cavaliere dalla scintillante armatura al vostro servizio, madame”

Un bruto, più che altro” lo corregge Quinn, il sopracciglio alzato. Beth non può fare altro che ridere per l’espressione sconcertata del padre. “Visto che con lui non volevo parlare, un giorno decise di rapirmi. Avevo paura che mi avrebbe preso a schiaffi finché non avessi accettato di fare il servizio civile

 

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“E lasciami, stupido gorilla” ringhiò Quinn senza smettere per un secondo di picchiargli la schiena con le mani aperte. “Guarda che mi metto ad urlare”

“Ah sì? E quale degli amici a cui non parli e a cui tiri solo insulti e palate di merda addosso arriverà in tuo soccorso?” grugnì Puck, rispondendole a tono. Era riuscito ad acchiapparla braccandola come un animale e per nessun motivo al mondo l’avrebbe lasciata andare prima di dirle ciò che lei si ostinava a non voler ascoltare.

“Fottiti” si arrese Quinn dopo essersi resa conto di quanto avesse ragione. Gli diede un altro paio di pugni, per sicurezza, e smise di fiatare.

Si lasciò portare in un’aula dell’ultimo piano, sicuramente uno dei posti in cui Puck era solito portare le sue ‘prede’, e non disse una parola finché non si ritrovò praticamente sbattuta su una sedia.

“Stai seduta qui e ascolta quello che le persone cercano di dirti” le intimò Puck.

Stava per mandarlo a quel paese, ricordandogli di non star parlando con una bambina o con una troglodita come lui, quando vide Shelby.

Istintivamente si alzò in piedi per andarsene ma le mani ferme de ‘l’ultimo dei Moicani dei poveri’ –come l’aveva ribattezzato più volte- la mantennero al suo posto. “Ferma, Quinn. Per favore”

Odiava quella donna più di chiunque altro. Quello sguardo di malcelata superbia, quell’aria di persona vissuta che aveva già visto e sapeva sempre tutto … digrignò i denti e strinse i pugni non appena iniziò a blaterare le sue ‘stronzate’.

"Quando sono tornata a Lima, l’ho fatto nella speranza che voi due avreste potuto aiutarmi nel crescere mia figlia” 

“Con Rachel hai fatto un lavoro fantastico, avresti potuto proseguire su quella strada” sorrise Quinn, affilata come una lama di un rasoio. Forse Puck la poteva costringere a rimanere lì ma nessuno avrebbe fatto lo stesso con Shelby.

“Quinn, cazzo”

“No, lasciala parlare” gli fece la professoressa, appoggiandosi su uno dei banchi ed incrociando le braccia al petto.

Quinn si umettò le labbra per la soddisfazione, inspirando a lungo per immagazzinare aria sufficiente.

“Ti sei approfittata di me e della mia disperazione, perché sapevi quanto fossi spaventata e vulnerabile in quel momento. Ma io so la verità” sibilò, rabbiosa, vomitando tutto la sua rabbia addosso ad una –se non la principale, almeno secondo il suo giudizio- responsabile della sua misera vita.

“La verità è che non sai come si cresce una bambina. Eri spaventata, per questo hai dato via Rachel, e lo sei ancora, per questo sei tornata da noi. Perché non sai cosa fare”

Puck doveva essere sconvolto a giudicare dalla pressione che le stava facendo sulle spalle. Shelby invece, e Dio quanto le dava fastidio, sembrava tranquillissima.

“I signori Berry sono persone fantastiche” disse dopo aver camminato per l’aula qualche istante. “Mi hanno aiutato molto durante la gravidanza e fino all’ultimo hanno precisato che, nel caso avessi voluto tenere Rachel o darla ad un’altra coppia, avrebbero capito. Lo sai perché ho scelto comunque loro?”

Quinn non sapeva cosa fare. O cosa dire. Non si aspettava un discorso del genere. Pensava che le avrebbe parlato di Beth, non di Rachel.

“Perché sapevo che avrebbero fatto per lei ogni cosa” riprese Shelby, aprendo le braccia e sorridendo. “Non era ancora nata, ma i signori Berry erano già disposti a sacrificare la propria felicità per la sua. Questo vuol dire essere genitori, Quinn: essere disposti a sacrificare ogni molecola di sé stessi per un bene superiore”

Aprì la bocca, la richiuse subito dopo. Voleva dirle che lo sapeva, che non aveva bisogno di sentirselo dire da lei, eppure non lo fece. Non ci riuscì.

“Ciononostante, due ore dopo essere tornata a casa dall’ospedale ed aver detto addio a Rachel, avrei mandato al diavolo i Berry pur di riaverla” ammise Shelby, guardandola dritta negli occhi. “Ho iniziato a provare odio verso chiunque avessi vicino a me, ho fatto un taglio assurdo ed un tatuaggio orribile” sorrise, indicandola con un cenno del capo. “Ti ricorda qualcosa?”

“N-non siamo uguali io e te” balbettò orgogliosamente, mordendosi con foga il labbro per aver tremato nel dirlo. Questo era troppo da accettare, nonostante per la prima volta da tempo si trovasse a che fare con qualcuno in grado –almeno potenzialmente- di capire cosa stesse provando.

“No” concordò Shelby. “Però siamo entrambe mamme ed entrambe lo siamo diventate nell’esatto momento in cui abbiamo deciso di rinunciare a parte di noi stesse pur di offrire a nostra figlia una vita migliore”

“Io non … non …” strinse di nuovo le labbra, rifiutandosi di darle soddisfazione.

“Quello che nessuno ti dice è che il prendere una decisione giusta e l’accettare di averlo fatto non coincidono sempre” riprese Shelby, avvicinandosi di qualche passo. “Avrei voluto esserci per le fasi importanti della crescita di Rachel. Non sono sicura che tu ne sia consapevole, ma so per certo che almeno inconsciamente è ciò che vorresti per te e Beth”

“Sì” esalò Quinn senza osare sollevare lo sguardo dalle proprie calze a rete.

“Non importa come ti vesti o di che colore hai i capelli o se ti vuoi riempire di piercing la faccia. Fai le ore di servizio civile e ti permetterò di entrare nella famiglia” concluse, fermandosi davanti a Quinn per diversi secondi. “A te la scelta” aggiunse prima di salutare Puck e lasciarli soli nell’aula.

Non riusciva a pensare nulla, solo ad un modo per non piangere. Aveva promesso a sé stessa che non avrebbe mai più permesso a nessuno di avvicinarla tanto da farle del male e, nel caso non ci fosse riuscita, che non avrebbe dato a nessuno la soddisfazione di vederla soffrire.

Evidentemente non aveva fatto i conti con Puck.

“Questo è il tuo cellulare, l’ho trovato nel tuo armadietto di riserva quando l’ho scassinato” le disse, appoggiandole l’apparecchio in grembo.

C’era sua figlia sullo schermo di quel cellulare. Una creaturina con un musetto adorabile, dei ciuffetti biondi in testa e un vestitino bianco a tema floreale.

Sentiva gli occhi pizzicare e non aveva la minima idea del perché non fosse ancora scoppiata a piangere. Riusciva solo a pensare a quanto fosse bella.  Era lì, era a Lima, era a portata di abbraccio. Vederla in foto rendeva così tutto fottutamente reale.

“Mi sento in colpa nei tuoi confronti per quello che è successo sia prima che dopo la nascita di Beth” le disse Puck, con tono quasi casuale. Era in piedi di fronte a lei e teneva le mani in tasca, la testa leggermente insaccata tra le spalle.

“Ho pensato parecchio a cosa avrei potuto fare per te e questa è l’unica soluzione abbastanza buona che mi è venuta in mente. Finché non finirai le tue ore di servizio civile, neanche io vedrò Beth. Se non farai quelle ore, io non la vedrò mai più. Sarà tipo come dividere il peso, giusto?”

Si portò una mano sulla bocca ma, nonostante la rapidità del gesto, un tremolante singhiozzo le uscì comunque dalla gola. Puck, che aveva imparato a conoscerla almeno un po’, decise di fare finta di niente.

Avrebbe voluto rispondergli, dirgli di sì, pregarlo di dividere questo peso con lei, ma continuava a sembrarle impossibile.

Senza mai spostare lo sguardo dalla foto, lo vide avvicinarsi e rimanere immobile qualche secondo, quasi volesse fare qualcosa ma stesse indugiando.

Avrebbe alzato gli occhi per verificarlo se, in maniera quasi infantile visto che ormai due grossi lacrimoni le stavano solcando le guance, non si fosse imputata nel non far vedere a Puck cosa stesse passando.

“Siamo d’accordo” le disse semplicemente. Rimase fermo ancora un istante, prima di passare oltre e dirigersi verso la porta.

Quinn passò i lineamenti di Beth con l’indice cautamente, sorridendo nonostante le lacrime.

“Avevi ragione” disse ad alta voce, sapendo perfettamente come Puck si trovasse ancora nell’aula, da qualche parte alle sue spalle. Non l’avrebbe lasciata sola. Non stavolta. “È bellissima”

“Dal vivo è ancora meglio, Quinn. Lo vedrai presto”

 

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Puck ha passato l’intera durata del racconto a fissare Beth, in attesa solo di questo momento. Assume una posa tronfia, pronto a ricevere lodi ed amore incondizionato, ed infatti …

“Non le hai chiesto scusa” lo sgrida Beth, girandosi verso di lui con entrambe le sopracciglia alzate. “Sei davvero incredibile, sai?”

“Come, scusa? Si capiva lo stesso che il senso era …” si ricompone, puntandole il dito con aria terribilmente seria “… tanto per chiarirci, Puckzilla non chiede scusa”

“In-cre-di-bi-le” scuote il capo Beth, lasciandosi andare ad uno sbuffo rassegnato mentre torna a rivolgersi alla mamma. “Comunque ho capito tutto, non c’è bisogno che continuiate a raccontarmi la storia. Questa foto è stata scattata alla cena di Natale a casa di mamma Shelby, che hai ringraziato con un regalo speciale per ciò che ha fatto per te” si ferma, osservando con cura lo scatto. C’è un nodo importante da scogliere: le loro facce funeree.

All’improvviso schiocca le dita, illuminata da un’idea geniale. “Sei arrabbiata con papà perché ha fatto qualcosa di molto stupido o imbarazzante o inopportuno o tutte e tre le cose … tipo palparti il sedere” si prende un secondo per ridere della spinta di suo padre che quasi la fa cadere dalla sedia. “Lui invece ce l’ha con te perché gli hai mollato un ceffone. Quanto ci sono andata vicina?”

Quinn scuote il capo divertita mentre Puck mugugna “Non avresti potuto essere più fuoristrada di così, Sherlock” prima di ridacchiare nemmeno troppo sommessamente.

“Ma … come? Cosa vuol dire?”

Capii molto più tardi l’importanza di quello che Shelby aveva fatto per me” spiega Quinn, sorridendole ancora. “Accettai il servizio civile, sì, ma solo perché volevo te. Ed intendo dire che volevo fisicamente riaverti con me. Solo per me

“Che mesi da incubo” ricorda Puck, passandosi una mano sul volto.

Passavo ogni ora di servizio civile nella casa di riposo di Lima o alla ‘casa dei poveri’ a progettare un modo per ottenere di nuovo il tuo affidamento” mormora Quinn, facendo una smorfia dispiaciuta quando Beth commenta con un “Wow” scioccato le sue parole.

Lo so, mi chiedo cosa mi passasse per la testa a quei tempi ogni volta che ci ripenso

“Per fortuna c’ero io a rimediare ai suoi casini. E non ridere, ragazzina. Lo so anche io che è strano, ma in quei mesi andava così”

Tuo padre ha ragione, tesoro” interviene Quinn visto che Beth non sembra davvero poterci credere, nonostante tutto quello che le è stato raccontato. “Se non fosse stato per lui, probabilmente i rapporti tra me e tua madre sarebbero andati in malora prima ancora di cominciare. Comunque, a questo punto, possiamo passare direttamente alla foto

“25 Dicembre 2012, baby. Località: casa dei poveri di Lima, Ohio”

La casa dei poveri …” spiega Quinn, notando l’espressione vagamente confusa della figlia “… era un edificio gestito da volontari che si occupava di aiutare persone bisognose, offrendo loro un pasto caldo e un letto

“Cosa ci facevate lì per Natale? Non capisco”

Volevo finire le mie ore il prima possibile per poterti rivedere” fa in tono dolce, riversando in una solo frase tutto l’amore che può provare per lei.

“In più …” le fa l’occhiolino Puck, avvolgendo un braccio intorno alle spalle della figlia con fare complice “… io avevo organizzato il più grande evento a sorpresa che Lima avesse mai visto”

 

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“La tua presenza qui non fa altro che aumentare il mio mal di testa” sbuffò Quinn, gettandogli da oltre la spalla un lungo sguardo indagatore. Con sua madre in crociera ed il Glee intento a girare uno stupido recital, sperava di godersi queste ore di fatica in santa pace. Ovviamente non aveva fatto i conti con il re di tutti gli scocciatori. “Non festeggi nemmeno Natale, tu. Che sei venuto a fare?”

Puck deglutì, sperando ardentemente di non tradirsi proprio sul più bello. Tenerla lontana dalla ‘casa dei poveri’ per il tempo necessario e convincerla a farsi accompagnare da lui era stata una fatica troppo grande per mandare settimane di pianificazione all’aria.

“Compagnia, ad esempio?” mugugnò, forse troppo sulla difensiva. Poi, con la coda dell’occhio, vide la macchina di Mike parcheggiata dall’altro lato della strada. Si morse la lingua, lanciandogli diverse maledizione, frapponendosi al meglio delle sue possibilità tra l’utilitaria e il campo visivo di Quinn.

Per sua fortuna, era troppo impegnata ad ignorarlo per prestare attenzione a tutto il resto e, appena scesa dal suo furgoncino, si era già diretta verso l’ingresso dell’edificio.

“Cavolo …” sorrise vittorioso seguendola, diverse gocce fredde intente a scivolargli lungo la schiena per lo spavento appena provato “… se fossi leggermente più acida potresti scogliere le cose alitandoci sopra”

In silenzio la imitò, togliendosi guanti e sciarpa per riporli con cura in un vecchio sgabuzzino pieno dei vestiti degli altri volontari. Prima di uscire, però, afferrò due cuffie rosse con il pompon bianco dallo scatolone che aveva portato precedentemente, durante le prove generali.

“Aspetta” ridacchiò, facendo fermare Quinn. “Dimentichi qualcosa”

Lo osservò per quasi un minuto, muta ed incredula, probabilmente per trovare le parole adatte ad esprimere il suo risentimento nei suoi confronti. 

“Non c’è alcun pericolo che io indossi una cosa del genere” disse alla fine, anche se Puck avrebbe potuto giurare di aver intravisto l’ombra di un sorriso. “Non in pubblico. Preferisco centomila volte la retina per capelli”

“Certo che per una che si veste con una tovaglia scozzese al posto della gonna sei piuttosto schizzinosa” l’apostrofò, agitando una cuffia a mezz’aria. “Che fine ha fatto il tuo spirito natalizio?”

“Sepolto da qualche parte” mormorò, massaggiandosi la tempia con il palmo della mano. Sembrava stanca e rassegnata. “Insieme a ciò che rimane della mia dignità” concesse alla fine, strappando la cuffia dalle mani di Puck per infilarsela.

“È solo una cuffia di Natale, Quinn” le fece notare indossando la sua con un tono decisamente scettico. “Non fare la Rachel

“Oh, ragazzi!”

Entrambi si voltarono e, con genuina sorpresa, videro Jacob Ben Israel avanzare verso di loro con una macchina fotografica piuttosto professionale.

“Ehi, non mi aspettavo di vedervi qui” disse meccanicamente, recitando malissimo il copione che, a giudicare dallo sguardo sconvolto di Puck, non era previsto nel piano. “Racimolo qualche dollaro facendo foto. Ai barboni” aggiunse stupidamente il blogger del McKinley, quasi certamente notando le loro espressioni sconcertate. “Uhm … foto ricordo?”

“Assolutamente no” scosse ripetutamente il capo Quinn, mentre Puck si era coperto il viso con entrambe le mani per la vergogna del fallimento che sarebbe arrivato inevitabilmente da lì ad un paio di secondi. “Sparisci, Jacob”

“Potrebbe essere …” tentò Puck, notando il volto pallido di Jacob. Lo sguardo di Quinn, voltatasi verso di lui, non aiutava per niente ad inventare una balla dal nulla “… la prova che hai effettivamente lavorato il giorno di Natale. Nel … uhm … caso in cui …” indugiò, agitando le mani in aria “… il giudice venga a contestare il numero di ore?” Sembrava plausibile.  “Può succedere, vero Jacob?”

“Cosa?” farfugliò, mentre Puck provava disperatamente di fargli capire di tenere il gioco e continuare su questa strada.

Jacob ancora non poteva saperlo ma tutto questo gli sarebbe costato un mese ininterrotto di viaggi nel bidone dei rifiuti.

“Oh, sì, sì sì. A mia zia è capitato” annuì, risultando quasi convincente. “Dai, su, mettetevi in posa. Dite ‘cheese’!”

I due ragazzi rimasero con il fiato sospeso finché Quinn non sospirò, ancora una volta per manifestare la sua rassegnazione, e si allontanò di qualche passo per mettersi in posa.

“Ti odio tantissimo, Puck”

Nonostante lo sguardo di puro odio di Quinn puntato dritto in faccia –cosa che lo faceva sentire al pari di un cane bastonato-, c’era qualcosa dentro di lui lo rassicurava sulla riuscita del piano. Potevano ancora farcela.

“Se qualcuno a parte noi tre la vede, vi castro con un coltello arrugginito”

… o magari no.

 

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Dio … Jacob, è vero!” ride sua mamma, prendendosi il volto tra le mani. “L’avevo completamente rimosso!

“Io no. Alla fine scoprii che era stata Judie a mandarlo, su consiglio di Santana”

Questo me lo ricordo” ride ancora, scuotendo appena il capo. “Ero furiosa con te

“Sì, beh …” si intromette Beth. Non è la prima volta durante questa conversazione che è costretta ad interrompere i due durante il loro flusso di ricordi. Un po’ le dispiace, perché le piace vedere i suoi genitori così, ma la curiosità è troppo forte “ … non è per niente natalizia. O celebrativa. Non ha senso”

Infatti. Ed è esattamente per questo che non volevo che quella foto finisse in circolo. Fino a quel momento, quel giorno presentava tutte le caratteristiche per diventare il peggior Natale di sempre

“È qui che arriva il bello” ammicca suo padre, lanciandosi in una concitata spiegazione. “La Sorpresa con la s maiuscola. Ero terrorizzato dall’idea che avesse già capito tutto ma poi …  sbam, si è pietrifica sul posto”

Dopo aver aperto la porta della mensa mi sono ritrovata davanti tutti. C’era tua nonna, c’era il Glee al completo, Schuester, la signorina Pillsbury, Sue e, ovviamente, Shelby con te in braccio” le sorride, mormorando le ultime parole dolcemente, la voce appena appena incrinata dall’emozione del ricordo. “Eri così bella con il tuo cappellino di Natale in testa e un vestitino bianco con la cometa gialla sul petto. Quando mi hai vista hai iniziato ad agitare i pugnetti e a gorgogliare

“Passammo tutta la sera con te. E ci scattarono questa”

Il suo papà infila la mano nella tasca posteriore dei jeans e ne estrae il portafoglio. Rovista qualche secondo in una delle tasche laterali prima di porgerle un foglietto di carta plastificata piegato in due parti.

È un’altra foto. Stesso giorno, stesso luogo. C’è sua mamma, ma stavolta sorride. C’è suo papà, ha lo stesso sguardo che le rivolge ogni tanto quando la viene a trovare e la fissa, credendo che non la noti. C’è lei in braccio ai due, esattamente in mezzo e, tra le manine, tiene il cappello rosso del suo papà.

Capisci adesso perché ti ho detto che non capisco come abbiamo potuto non raccontartelo?

La voce di Quinn la riscuote dai suoi pensieri.

Il nostro primo Natale insieme. La prima volta in cui ho potuto rivederti ed abbracciarti. Sono cose fondamentali

Beth annuisce, tornando a guardare la foto. Da quando ha raggiunto l’età per appropriarsi del concetto di amore e di coppia, una parte di lei ha sperato ardentemente di vedere i suoi genitori assieme. Sono così … intimi e legati tra loro da riuscire, come oggi, ad affrontare un discorso del genere pur non vedendosi da diversi mesi –o addirittura un anno. E i loro rapporto durante l’ultimo anno di liceo era così …

Si blocca, sollevando lo sguardo verso suo padre. “E poi?”

“Poi cosa? La storia è finita” mormora Puck, genuinamente perplesso. “Quello che successe dopo lo sai già, te lo abbiamo raccontato altre volte”

“Intendo quella sera” spiega, inizialmente seria, non riuscendo però a trattenere un sorriso. “Vi siete baciati?”

Ci mette un secondo, guardando prima sua madre –arrossita anche se solo leggermente- e suo padre –che ha fatto sul suo ghigno vittorioso-, a capire che ha centrato il bersaglio grosso.

“Siete così palesi” ridacchia, alzandosi in piedi per stiracchiarsi in maniera piuttosto teatrale. Sorride soddisfatta perché, pur avendo accettato il matrimonio di sua mamma con Greg e –anche se un po’ meno- le storie di suo papà, le fa sempre piacere vedere quanto tutto sommato si siano voluti –e si vogliono ancora- bene.

“Ora, se volete scusarmi, vado a raccontare la storia ad Ashley. Questa …” prende la foto piegata, quella che suo padre ha preso dal portafoglio “… è mia. Potete tornare ai vostri convenevoli, se volete”

Puck è il primo a parlare dopo che la loro figlia adorata è uscita saltellando dalla sua camera.

“Beth ti bombarderà di richieste di piercing nei prossimi … beh, direi anni”

Quinn sorride mentre dice “Lo so, lo immaginavo. Shelby mi ucciderà per questo

“Come sta Tommy?” chiede Puck, prima che un velo d’imbarazzi cada sulla conversazione, più per vedere il sorriso che è in grado di fare quando Q parla del suo maschietto di ben due anni che per vera curiosità. “Dov’è? Mi sembra strano che quel terremoto con le gambe non si sia ancora fatto vedere”

In centro con Greg per lo shopping natalizio. Tornerà a casa con un paio di giocattoli che non userà ma, a parte questo, sta bene. Non vede l’ora di andare in montagna con i nonni” spiega, sorridendo esattamente come ha previsto Puck. “Andiamo con i genitori di Greg nello Utah per capodanno. Stiamo lì un paio di settimane

“Si divertirà un sacco”

Quinn annuisce. Sembra incerta mentre gli chiede “E con Trina come va?

“Eh … insomma” mormora, passandosi la mano sulla nuca. Hanno litigato, come hanno fatto troppo spesso per i suoi gusti negli ultimi mesi, ed è evidente come ormai la loro storia sia agli sgoccioli. Almeno per le feste, però, preferisce tenersi alcune cose per sé. “È incazzata con me perché il permesso per le vacanze scade il 27”

Vedrai che riuscirete a fare pace. Sei o non sei un cavaliere dalla scintillante armatura?

“Devo solo ricordarmi dove l’ho messa l’ultima volta che l’ho usata” le fa l’occhiolino, strappandole una risata.

Non è mai un peso passare da New York per salutare Beth. Lo è informare anche Quinn, perché poi pretende che la vada a trovare.

Non è mai un peso raccontare a Beth di come i suoi genitori abbiamo affrontato sé stessi ed il loro rapporto per cercare di dare alla propria bambina un equilibrio familiare. Lo è fare i conti con il ricordo di tutte le volte in cui avrebbe potuto fare di più e ha lasciato andare Quinn.

Non sarebbe difficile andare da Trina e prometterle di dedicarle più tempo, rinunciando a qualche ora alla base o ad un’uscita con i ragazzi. L’unico problema è che , per quanto siano stati mesi importanti, non sente che ne valga la pena. Forse, molto semplicemente, Trina non è Quinn. Nessuna lo è mai stata.

“Prima di salutarti, volevo chiederti una cosa” le fa, mascherando un leggero nervosismo dietro un ghigno spavaldo. “Anche tu sent-”

Mamma! Mamma!

La vocetta acuta del piccolo Tom arriva talmente forte che Puck è costretto ad interrompersi e, esattamente come è venuto, quel piccolo lampo di stupida follia che gli ha attraversato il cervello svanisce.

Hai chiamato il terremoto?” ridacchia Quinn, scomparendo qualche istante dallo schermo del computer di Beth. “Arrivo tesoro! Solo un momento! Che volevi chiedermi?

Non lo ricorda davvero ma, anche se non così non fosse, mentirebbe comunque.

“Hai ancora la foto che tua figlia mi ha rubato? Potresti mandarmela per posta elettronica al solito indirizzo? Sai, ci tengo”

Certo. Grazie per questo pomeriggio … alternativo

Puck fa un cenno con le dita a mo’ di saluto militare, il suo solito ghigno stampato in faccia. Allunga l’indice verso lo schermo touch per chiudere l’icona della conversazione.

“Nel caso non dovessimo sentirci il 25 … Buon Natale, Quinn”

"Buon Natale, Noah

Rimane seduto un po’, rimuginando tra sé e sé. Forse, come si ripete sempre quando cerca di consolarsi, non sono fatti per stare insieme. Sono semplicemente legati per la vita, ma non sono stati fatti per essere uniti.

Dopo essersi alzato, infila le mani in tasca e si avvia verso la soffitta per terminare ciò che ha iniziato con Beth. Il senso di frustrazione scaturito dal ricordo di ciò che, come ha detto sua figlia, è successo dopo non tarda nemmeno troppo ad arrivare.

 

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Non l’aveva vista piangere così nemmeno quando avevano lasciato Beth a Shelby ed erano tornati a casa dall’ospedale.

Aveva cominciato all’improvviso, pochi secondi dopo essere entrata nel suo furgoncino, ed aveva continuato durante il tragitto fino a casa. Era riuscita a smettere, balbettando qualcosa circa l’andare a letto, ma aveva ricominciato subito dopo.

Portarla nei sedili posteriori ed abbracciarla come se non ci fosse un domani gli era sembrata l’unica cosa intelligente da fare. Così forte, eppure così fragile …

“Sai …” le sussurrò, giocherellando con una ciocca rosa mentre il suo respiro si faceva sempre più regolare “… non so perché l’ho fatto. Dirti che non mi importa di te. Non era vero, non lo pensavo”

“Lo so, l’hai dimostrato tante volte in questi mesi ed io … scusami” gli disse, alzando la testa dal suo petto per poterlo guardare negli occhi. “E grazie. Di tutto”

“Ne avevo bisogno anche io. Non pensare che … uhm … non abbia sofferto l’anno scorso per quello che … lo sai, no? Mi dispiace”

Un’intesa fisica fatta di sguardi e gesti, senza la necessità di parlare. Funzionava così per loro. L’aveva –anche se forse sarebbe più giusto dire avevano- dato per scontato a tal punto da finire in quel modo: distanti ed estranei, come se non fossero due persone legate da un destino comune.

Se solo fossero riusciti a comunicare meglio, a resistere insieme …

Le dita di Quinn salirono a sfiorargli la guancia, la linea del mento, poi il collo. Sentì il suo peso spostarsi sopra di lui. Non chiuse gli occhi mentre le labbra di Quinn si poggiarono sulle sue. La strinse forte, facendosi violenza per trattenersi dal trasformare quel contatto delicato in qualcosa di più intenso. Aveva troppa paura di romperla di nuovo.

“Buon Natale, Noah” gli disse, staccandosi appena di qualche millimetro.

“Buon Natale, Quinn” le disse, il solito ghigno dipinto sul viso. Avrebbe voluto chiederle il perché, sapere cosa sarebbe successo la mattina dopo. C’era tempo, si disse, mentre appoggiava di nuovo le labbra sulle sue.

 

 

 

 

N.B.: le parti al presente sono ambientate circa quindici anni dopo il diploma, le parti al passato in un’ipotetica terza stagione rifatta dal principio.  

 

 

 

Note dell’autore.

 

Buona Natale! … ah, mi dicono dalla regia che siamo quasi al 1 Marzo. Eh va beh.

 

Dunque: cosa dire? Niente di particolare. Ho passato gli ultimi mesi a rimettere insieme i pezzi di ciò che è rimasto dopo un paio di scelte piuttosto radicali. Ergo, zero tempo per scrivere e totale assenza di voglia di buttare su carta anche solo la lista della spesa. Ora sto trovando qualche ora qua e là, quindi spero in bene.

 

Entrando nel merito della one-shot, spero di non aver fatto dei danni con l’html perché sono davvero stanco morto.

L’ispirazione mi è stata fornita da un’immagine realizzata da una ragazza gentilissima che mi ha concesso di scrivere questa cosa.

La ringrazio e colgo l’occasione per invitarvi a leggere la ff Quick che sta traducendo su Efp: “Quinn nel Paese delle Meraviglie”. Merita un sacco, la traduzione rende molto bene, è scritto in un modo dettagliato che mi piace da morire e probabilmente è la storia Quick più bella che abbia mai letto. Se fossi capace metterei il link, invece è già tanto se il computer non esplode quando l’accendo.

 

Per la prossima shot non ho nulla da dire. Dalla regia mi suggeriscono di dire che al novanta percento sarà un crossover con Game of Thrones. Chissà.

Grazie a chiunque leggerà e a chiunque abbia letto le altre shot di questa raccolta.

Alla prossima!

Pace. 

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