Insanity.

di Neverlethimgo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: the prelude. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1: I ain't gonna change. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2: their remains. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3: the distance between us. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4: memories cut deeper than a razor blade. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5: ghoulish memories ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6: the abandoned one. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7: where are your parents? ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8: I wonder if I'm allowed to ever be free. ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9: trouble sleeping. ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10: help me to escape from myself. ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11: the experts say I'm delirious. ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12: those delicate touches don’t scare me ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13: you put a spell on me and I don't want to break it. ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14: the sound of the cries when a family's loved one dies. ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15: the emptiness inside me is killing me. ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16: it would be wrong. ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17: I'm stuck in a reality without you. ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18: I want you to show me that I can trust you. ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19: don't move on, you're beautiful in that way. ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20: you gave me the love you've never got. ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21: I didn't care before you were here. ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22: You can't even imagine how many demons I'm hiding inside. ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23: I can only be a crack in your life made of glass. ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24: I've been living with blood in my eyes. ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25: Please, don't be like everyone else. ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26: I'm not lying, I couldn't be more sincere. ***



Capitolo 1
*** Prologo: the prelude. ***






Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.


Prologo: the prelude.

 
Il pavimento della cucina era, in buona parte, macchiato di rosso. Gli occhi color nocciola del ragazzo erano puntati sulla macchia più grande, accanto al tavolo e alle sedie. Era rimasta tale, non si era ridotta, o assorbita, era rimasta la stessa.
Il lieve spiraglio di luce, che filtrava dalla finestra della cucina, rifletteva su quella pozza rossastra, rendendola quasi profonda ed era raccapricciante, ma ciò non lo spaventava affatto.
Era immobile, sull’uscio di quella stanza, da ormai un’ora. Niente, se non il suono dei suoi respiri pesanti, aveva osato rompere quel silenzio tombale.
Il suo sguardo si spostava ripetutamente dalla macchia di sangue più grossa alla finestra di fronte a lui, dalla quale fino a poco tempo prima filtrava ancora il sole. Se una volta quei suoi occhi sembravano colmi di luce, in quel momento erano spenti, tristi e davano l’idea che si sentisse totalmente smarrito.
La sua carnagione era ancor più chiara del solito, fatta eccezione per i due aloni violacei che gli contornavano gli occhi.
Non aveva chiuso occhio la notte scorsa, né lui, né buona parte del vicinato.
Era calata la sera e lui nemmeno se n’era accorto. Non era l’unica cosa che aveva ignorato nelle ultime ore.
 
Improvvisamente sentì scattare la serratura della porta d’ingresso e si voltò, incrociando lo sguardo di un uomo che non aveva mai visto prima. Il suo sguardo era serio, ma non cattivo. La divisa che indossava era scura, sembrava nera, ma forse era solo perché il resto del soggiorno aleggiava nel buio più totale. Tutto, all’interno di quella casa, era avvolto dall’oscurità: le tende erano tirate, fatta eccezione per le finestre della cucina, sembrava quasi che nessuno ci abitasse da tempo, ma non era così.
Non mi aspettavo di trovarti ancora qui” mormorò l’uomo, avanzando verso di lui e lasciando la porta aperta. Il suo tono di voce sembrava sorpreso. Il ragazzo non rispose, lo fissò, studiando attentamente ogni particolare che lo caratterizzava, a cominciare dalla targhetta color oro recante la dicitura Agente Dean.
C’è qualcun altro oltre a te?” la voce di quell’uomo riecheggiò ancora nella stanza.
Il ragazzo scosse il capo e, con quel gesto, scostò dalla fronte il ciuffo di capelli color del grano. Ignorando completamente quell’estraneo che ora muoveva alcuni passi lungo il soggiorno, Jason riportò lo sguardo all’interno della cucina, fissando nuovamente la macchia di sangue. Iniziò a muovere qualche passo verso di essa, ma una mano stretta attorno al suo braccio gli impedì di andare oltre.
Non puoi più restare qui” gli disse Dean con tono duro, costringendolo a seguirlo fuori da quella stanza. “Vieni con me” questa volta, la sua voce non sembrò affatto rigida, ma più gentile.
Senza proferire una sola parola, il ragazzo lo seguì fuori da quell’abitazione e l’uomo richiuse la porta alle loro spalle. Non appena il suo sguardo si posò sulla volante della polizia, parcheggiata a pochi metri da dove si trovava lui, ebbe un lieve sussulto, ma non per questo oppose resistenza e continuò a camminare, sentendo la stretta attorno al suo polso farsi sempre più accentuata.
Non si voltò fino a che non salì in macchina, accanto al lato del guidatore, solo allora i suoi occhi si posarono sulla piccola villetta, illuminata appena dalla luce dei lampioni.
Sul suo viso aleggiava un’espressione di indifferenza, chiunque avrebbe avuto difficoltà a capire come si sentiva, persino lui avrebbe avuto difficoltà a spiegarlo.
Dentro di sé incombeva il vuoto più totale, esattamente come se fosse stato privato di ogni emozione e, forse, era esattamente così.
Nella sua mente vi era solo confusione, immagini sfocate che si contrapponevano ad altre leggermente più nitide. Ricordi confusi e lontani erano gli unici elementi alla quale si sarebbe potuto aggrappare per ricostruire il passato, ammesso e non concesso che – un giorno non lontano – avesse voluto farlo.
 
Percorsero diverse vie, alcune delle quali furono totalmente nuove per Jason, ma poco importava, non avrebbe obiettato, non lo faceva mai. All’interno di quell’abitacolo si alternavano momenti di silenzio a momenti in cui, dalla radio, provenivano voci disturbate da un paio di uomini e, solo talvolta, Dean replicava.
Preparati ad una lunga serie di domande” mormorò poi, svoltando a destra e superando l’ingresso della centrale di polizia.
Jason spostò lo sguardo su di lui per qualche istante, dopodiché lo riportò avanti a sé.
L’auto rallentò e si fermò del tutto solo quando affiancò un’altra vettura dei medesimi colori: bianco e nero.
Dean scese dall’auto e fece il giro di essa, precipitandosi ad aprire la portiera del lato passeggero. Con un cenno del capo, intimò al ragazzo di scendere e non se lo fece ripetere due volte.
Lo seguì all’interno dell’edificio, in silenzio come aveva fatto finora, attraversarono diversi corridoi, nei quali echeggiavano soltanto i rumori dei loro passi. Era estenuante, ma Jason apprezzò quel silenzio, aveva sempre detestato la confusione.
L’uomo arrestò i suoi passi solo quando fu d’innanzi ad una porta grigia apparentemente chiusa a chiave, bussò un paio di volte ed aspettò pazientemente che quella s’aprisse.
Dovrai rispondere a tutte le domande che ti verranno poste e dovrai essere sincero. Più dettagli darai e meglio sarà.
Nell’istante esatto in cui Dean terminò di parlare, la porta s’aprì, mostrando la figura di un altro uomo, apparentemente più vecchio di lui.
Il ragazzo seguì l’uomo all’interno di una stanza spoglia e fredda ed il suo sguardo si posò sul tavolo in metallo, posto al centro di essa, e sull’uomo seduto dall’altro lato.
Per essere una stanza di pochi metri quadrati, era fin troppo affollata.
Siediti” gli ordinò quest’ultimo e così fece.
Voglio che tu mi dica tutto quello che sai su ciò che è successo la scorsa notte.
Il ragazzo si sporse leggermente in avanti, posando i gomiti sul tavolo e congiungendo le mani avanti a sé. Uno strano luccichio attraversò il suo sguardo, donandogli quella luminosità che prima sembrava essere del tutto sparita.
Tutti i presenti, Dean compreso, si aspettavano un elenco confuso di fatti, persone, oggetti e ricordi, ma dalla bocca del ragazzo uscirono soltanto tre parole.
Sono stato io.
 
 

***

 
Chiunque avesse deciso la sua sorte, non era assolutamente consapevole del fatto che concedergli la libertà sarebbe stato un bene.
Durante il terzo giorno che seguì la notte della tragedia, una decisione venne presa.
Jason non venne accusato soltanto di aver ucciso i suoi genitori, ma, oltretutto, venne considerato pazzo.
Credo sia troppo presto per trarre conclusioni così affrettate” mormorò Dean, il quale si sentiva contrapposto tra l’idea di difenderlo e quella di renderlo totalmente colpevole e far in modo che l’accaduto non si ripetesse più.
Presto?” lo incalzò l’uomo seduto alla sua destra, “sono già passati tre giorni, dobbiamo prendere una decisione entro tre ore. Non possiamo tenere quel ragazzo chiuso in una cella come quella per una settimana.
Tutti i presenti nella stanza, tranne Dean, annuirono.
Dico solo che non abbiamo le prove per considerarlo pazzo. Io credo che-” Dean parlò, ma venne subito interrotto dall’uomo sulla cinquantina che aveva di fronte.
Cosa potrà avere di normale un ragazzo di sedici anni che uccide entrambi i genitori nel bel mezzo della notte?
Le labbra di Dean si schiusero, ma da esse non uscì alcun suono, al che sembrò rassegnarsi a ciò che il resto del corpo poliziesco aveva deciso.
So che dall’altro lato della città c’è un istituto per… ragazzi difficili” mormorò l’uomo seduto alla destra di Dean.
È un ospedale psichiatrico” ribatté Dean indispettito.
Chiamalo come credi, ma è lì che andrà. Tenerlo dietro le sbarre non lo salverà, né tanto meno lo cambierà. È la scelta giusta.
Eppure, secondo Dean non era affatto pazzo come gli altri credevano.
E per quanto tempo dovrà restarci?
Tre anni” rispose semplicemente l’altro. “Tre anni saranno sufficienti.







 



Spazio autrice.

Inizialmente avrei voluto aspettare di terminare l'altra storia che ho in corso prima di iniziare a postare questa, poi però ci ho riflettuto e eccomi qua.
Il fatto che io abbia scelto di utilizzare 'Jason McCann' come nome del personaggio non è casuale. Siccome le regole del sito impongono di non far apparire Justin come un assassino, mi sono dovuta adattare di conseguenza, ma questa è la parte meno importante.
Il resto dei capitoli sarà narrato per lo più dal punto di vista di Jason e credo che metterò una canzone diversa ad ogni capitolo. (Sono  fissata, lo so. lol)

Bene, non aggiungo altro e vi chiedo solo di farmi sapere che cosa ne pensate, giusto per sapere se vi incuriosisce :)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice on twittah and instagram
Se avete domande, qui c'è il mio ask.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1: I ain't gonna change. ***






Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.


Capitolo uno: I ain't gonna change.

 
 
 
Tre anni dopo…
 

Mantenni lo sguardo puntato sul muro bianco di fronte a me. Era spoglio e freddo come il resto dell’edificio.
Erano passati tre anni dall’ultima volta che misi piede fuori dall’istituto, avevo rimosso ogni cosa del mondo esterno, fatta eccezione per la luce del sole, sebbene la vedessi di rado ultimamente.
Sapevo che avrei dovuto trascorrere soltanto altri due giorni in quella prigione, sapevo che mancava così poco alla fine, eppure non percepivo il desiderio di sentirmi libero. Non ero mai stato libero davvero.
Ero appoggiato al muro di quel corridoio da ormai dieci minuti, ero arrivato in anticipo, come sempre. Mi avvicinai alla porta socchiusa solo quando fui certo che l’orologio segnasse le tre in punto. Sapevo cosa mi aspettava, ogni singolo giorno ero costretto a recarmi in quella stanza assieme ad una sottospecie di psicologa per malati mentali e, come ogni singolo giorno, le ripetevo esattamente le stesse identiche cose. Ricevevo sempre le stesse domande, pronunciate con la solita voce atona e menefreghista, ma sopportavo e rispondevo.
Chiunque mi avesse rinchiuso lì dentro era convinto che tutto ciò mi avrebbe aiutato, che parlarne mi avrebbe fatto bene; speravano addirittura che ciò potesse cambiarmi, ma non sentivo niente di nuovo dentro di me: solo un vuoto.
Aprii di poco la porta ed incrociai così lo sguardo della Dottoressa Hayes, non era cambiata – a differenza mia – nel corso di quei tre anni, era sempre rimasta uguale, persino i suoi capelli biondi venivano sempre raccolti in uno chignon sopra la testa. Non credevo nemmeno che fosse invecchiata, era rimasta uguale.
Ciao Jason, entra” mi disse, alzando per poco lo sguardo. Annuii e riportò nuovamente lo sguardo sul blocco che reggeva tra le mani. Sebbene non avessi mai visto che cosa ci fosse scritto su quei fogli, ero sempre stato convinto che vi fossero solo ghirigori senza senso, abbozzati per pura noia, e non ciò che i suoi pazienti le raccontavano.
Feci come mi aveva detto e mi chiusi la porta alle spalle.
Siediti” continuò, posando lo sguardo su di me e seguendo ogni mio movimento.
Obbedii nuovamente e mi sedetti sul divanetto in pelle nera di fronte a lei, ma senza guardarla in faccia.
Come ti senti oggi?” mi domandò, come ogni dannato giorno.
Bene.” La mia risposta non era mai cambiata da tre anni a questa parte, avevo sempre risposto allo stesso modo e a lei andava bene così, non le interessava.
Ne sei sicuro?
” risposi con più insistenza, ma non colse il fastidio che provavo.
Tra due giorni uscirai, finalmente” commentò, senza sforzarsi di mostrare entusiasmo, ma non la biasimai, nemmeno io ero solito mostrare le mie emozioni.
Che cosa farai una volta che sarai uscito da qui?” mi domandò dopo alcuni secondi di silenzio.
Non lo so.
Tornerai a scuola, vero?
Ci pensai per qualche istante, ma ricordai ciò che mi era stato detto alcuni giorni prima. Avrei dovuto tornarci, ma la cosa non m’interessava, né tanto meno spaventava.
” risposi poi, senza mai guardarla in faccia, ma sentivo i suoi occhi puntati su di me e tutto ciò m’infastidiva.
Sentii il suono della penna sfregare freneticamente contro al foglio: quel rumore divenne sempre più insistente, tanto da innervosirmi.
Potresti anche conoscere qualche ragazza nella scuola in cui andrai” mormorò, al che sbuffai.
Non m’interessa.
La vidi scuotere il capo e la ignorai, come ogni volta in cui lo faceva.
Hai già deciso dove vivrai?
Chiusi gli occhi e sospirai leggermente. Anche quella era una delle tante domande che mi porgeva ogni giorno, conosceva già la risposta, era stata l’unica cosa che mi ero preoccupato di farle sapere, ma, forse, sperava che cambiassi idea.
Sì, esattamente dove vivevo prima” ribattei, guardandola con la coda dell’occhio.
Intendi nella casa dove vivevi con i tuoi genitori?
Sì.
Un mormorio uscì dalle sue labbra, sembrava piuttosto incuriosita, ma non me ne preoccupai.
Sei sicuro che sia la scelta giusta?
Mi voltai di scatto verso di lei, i nostri sguardi s’incrociarono per diversi istanti, ma aspettai che fu lei a parlare di nuovo.
Non ti mancano i tuoi genitori?
No” risposi a denti stretti, sperando con tutto me stesso che quella seduta finisse al più presto.
Scostò lo sguardo dal mio e lo portò sul suo orologio da polso.
Bene, a meno che tu non voglia parlare di qualcos’altro, sei libero di andare. Ci vediamo domani se vorrai.
Aspettai giusto che terminasse quella frase, dopodiché mi alzai e lasciai la stanza, ripercorrendo ancora una volta quel lungo corridoio spoglio.
Passai davanti a diverse persone, alcune delle quali non troppo diverse da com’ero io, ma ero certo che loro sarebbero rimaste qui più tempo di me.
Non avevo fatto nulla per lasciar intendere che fossi cambiato, per loro ero sempre stato il pazzo criminale che aveva ucciso i suoi genitori.
Ritornai nella mia stanza, non la condividevo con nessuno a differenza di altri.
 
Quasi due anni prima avevo avuto come compagno di stanza un ragazzo poco più grande di me, era pazzo, ma pazzo davvero. Parlava per ore, faceva monologhi senza senso o, almeno, io ero convinto che fosse così. Per i primi due giorni, in cui dalla mia bocca non era uscito nemmeno un suono, credetti di aver a che fare con qualcuno che fosse semplicemente più loquace di me. Di lui non sapevo nulla, nemmeno il nome. Aveva parlato ininterrottamente per due giorni di fila, persino la notte, ed io mi ero sempre limitato ad ignorarlo.
Il terzo giorno, quando rimasi in silenzio di nuovo, m’inveì contro, alzando sempre più il tono di voce e pretendendo che rispondessi, ma non lo avevo fatto. Ero rimasto impassibile fino a che non mi colpì con un pugno sulla guancia. Non risposi a quell’attacco, rimasi a fissarlo, ma ripeté quel gesto, colpendomi di nuovo.
Mi scaraventò contro alla parete, intento a colpirmi nuovamente, ma qualcuno lo fermò.
Qualcuno, al di fuori della stanza, aveva visto tutto. L’uomo che lo allontanò da me era stato lo stesso che quella sera si era presentato a casa mia e mi aveva portato alla centrale di polizia. Dean, si chiamava Dean. I nostri sguardi rimasero intrecciati per alcuni secondi, ma nessuno dei due proferì parola, si limitò soltanto ad allontanare quel ragazzo da me.
Da quel giorno non ebbi più alcun compagno di stanza.
La maggior parte delle persone presenti nell’istituto era convinta che la colpa fosse stata mia, che avessi in qualche modo istigato quel ragazzo ad attaccarmi, ma non avevo mai fatto o detto nulla per convincerli a credere il contrario.
 

Passai i due giorni seguenti chiuso nella mia stanza, non mi recai nemmeno alla solita seduta con la psicologa, ormai era diventata più che inutile e speravo l’avesse capito.
L’ultima notte non dormii affatto, ero rimasto tutto il tempo seduto sul letto a fissare il vuoto avanti a me, avevo visto quella stanza schiarirsi e scurirsi in base alla luce del sole almeno quattro volte. Il tempo scorreva sempre più lento, sembrava lo facesse apposta, quasi come se volesse rendermi impaziente di vivere il giorno in cui finalmente avrei lasciato quella prigione, ma la verità era che non avevo alcuna intenzione di mostrare il mio entusiasmo al mondo.
Rimanere chiuso in quella stanza o ricominciare a vivere non faceva differenza.
L’orologio segnava le otto del mattino quando qualcuno fece il suo ingresso nella mia stanza. Spostai lo sguardo sui due uomini fermi sull’uscio della porta e li fissai fino a che non si decisero a parlare.
Il tuo soggiorno qui dentro è terminato” pronunciò uno dei due, abbozzando un sorriso piuttosto falso e forzato.
Mi alzai lentamente ed afferrai da terra la borsa che avevo preparato il giorno prima. Li raggiunsi e li seguii fuori dalla stanza, mantenendo un passo piuttosto lento fino a che non raggiungemmo l’uscita.
Volsi un’occhiata verso l’alto, il cielo era di un azzurro spento, il sole era pressoché inesistente ed ero certo che di lì a poco sarebbe venuto a piovere.
Li seguii all’interno di una macchina nera, accomodandomi nei sedili posteriori accanto all’uomo che poco prima mi aveva parlato, mentre l’altro prese posto alla guida. 
Prima che il motore dell’auto si accendesse, la voce dell’uomo accanto a me ruppe il silenzio.
E così hai intenzione di tornare a vivere nella casa in cui abitavi con i tuoi, dico bene?
” risposi seccato, detestavo l’insistenza con cui lo domandavano ogni volta.
D’accordo” mormorò, per poi sporgersi verso il guidatore. “L’indirizzo è Hester Street.
Durante quei tre anni avevo rimosso quasi ogni dettaglio del mondo esterno, non ricordavo quasi più nulla della cittadina in cui vivevo, ma mi era rimasta impressa nella mente l’immagine di casa mia. Tentai di immaginare come sarebbe potuta essere adesso, dopo tre anni che nessuno vi metteva più piede. Ero quasi sicuro che non l'avrei riconosciuta, ma, più di ogni altra cosa, ero certo che - nonostante tutto - sarebbe stata l’unica cosa che avrei potuto considerare mia. Non avevo più niente, da tre anni a questa parte io non avevo niente, né tanto meno qualcuno.
Non ricordavo con esattezza quando distante fosse casa mia da quel luogo infelice nella quale avevo vissuto per tre anni, ma non avevo idea che avremmo impiegato quasi un’ora per raggiungerla. Iniziavo a sentirmi in trappola dentro a quell’abitacolo, iniziavo a non sopportare l’idea di rimanerci ancora a lungo, ma improvvisamente imboccammo una strada che mi risultò familiare. Passammo davanti a diverse ville dai colori vivaci, i giardini adiacenti ad esse erano curati ed il tutto sembrava perfetto in quella via, fino a quando non raggiungemmo la fine. Casa mia era l’ultima e non aveva nulla a che fare con quelle che avevamo appena superato. I colori erano spenti, l’erba del giardino era pressoché inesistente e l’atmosfera attorno ad essa sembrava essere ancor più fredda.
Non appena la macchina si fermò, volsi lo sguardo all’uomo seduto accanto a me, sperando vivamente che non avesse più nulla da dirmi.
Sei davvero sicuro di voler restare qui?” mi domandò, volgendo un’occhiata disgustata alla casa alle mie spalle. Annuii lievemente. “Posso andare adesso?
Certo, ricordati solo di non ripetere ciò che è successo, sei schedato ormai.
Lo ignorai, sospirando sonoramente ed uscii da quella macchina, aspettando qualche istante prima che si allontanasse finalmente da lì.
Non c’era nessuno nei paraggi ed ero certo che nessuno si fosse più avvicinato a quella casa negli ultimi tre anni, tutti sapevano cos’era successo quella notte. Tutti sembravano sapere ogni minimo dettaglio meglio di me, i giornali, tempo prima, avevano raccontato la scena in modi che nemmeno io ricordavo, ma ero sicuro che nessuno sapeva che quel giorno sarei tornato.
Non volevo che lo sapessero, non volevo che la gente mi guardasse con aria spaventata. Io volevo che dimenticassero. Non avrei mai voluto dover percorrere i corridoi della scuola con tutti gli occhi puntati addosso, non volevo dare nell’occhio, volevo continuare a vivere nell’ombra.



 
 
Spazio autrice.

Eccomi qui con il primo capitolo!
E' totalmente incentrato sul pensiero di Jason, ma il motivo per cui ha fatto quel che ha fatto lo scoprirete più avanti.
Dal prossimo capitolo in poi inizierà la sua 'nuova vita' - se così la possiamo chiamare -
Molte di voi mi hanno chiesto come incontrerà la ragazza che prende il volto di Miley, portate pazienza, a breve entrerà in scena anche lei :)

Detto ciò, io, davvero, non mi aspettavo di ricevere tutte quelle recensioni al prologo e, soprattutto, non immaginavo v'incuriosisse tanto. Per cui, grazie mille davvero, lo apprezzo moltissimo e spero davvero che anche questo capitolo vi sia piaciuto ♥

Siccome che ormai son fissata, sul nome che precede l'inizio del capitolo metterò sempre una gif (questa volta consigliata da Sara ♥), quindi cliccateci sopra per vederla.

Aspetto di leggere le vostre recensioni :)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
on twittah and instagram          se avete domande, ask me.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2: their remains. ***






Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.


Capitolo due: their remains.

 
 
 
 
Trascorsi il resto del tempo chiuso in casa, nulla era mutato da quando Dean mi aveva costretto ad andarmene. Tutto era rimasto intatto nel suo disordine, sebbene si sentisse a distanza quel senso di abbandono che aveva sempre caratterizzato quelle quattro mura.
Calò la notte e non chiusi occhio, di nuovo. La luce era inesistente, erano anni, ormai, che nessuno pagava le bollette, ma mi avevano assicurato che – presto o tardi – tutto avrebbe ripreso a funzionare come un tempo.
Già, come un tempo.
Mossi qualche passo verso la cucina, soffermando il mio sguardo al centro di essa, dove tre anni prima giaceva una grande macchia di sangue. Ora quella macchia era sparita, il tavolo e le sedie erano state spostate e la finestra ora era chiusa. Trascinai quei mobili al centro della stanza e, ricordando dove fossero precedentemente posizionati, li sistemai al meglio, provocando un rumore fastidioso, ma che per fortuna durò poco, poi calò nuovamente il silenzio.
Non venivo circondato da un tale silenzio da anni, tanto che mi sembrò di non aver mai vissuto una quiete simile. Non c’era nulla che potessi fare per occupare il tempo, l’unica cosa a cui mi limitai a pensare fu concentrarmi sulla fatidica domanda che decine di persone differenti mi avevano posto nell’arco di quegli ultimi tre anni.
Perché lo hai fatto? Mi avevano chiesto subito dopo essermi dichiarato colpevole.
Perché hai ucciso i tuoi genitori?
Non avevo mai dato loro una risposta.
Mi ero ripromesso che non ci avrei più pensato, ma, ritornare in quella casa e rivivere inconsciamente il passato, non aveva aiutato a dimenticare.
Sarebbe stata solo questione di tempo, un altro po’ di tempo e li avrei dimenticati, così come avrei dimenticato la ragione per cui lo feci.
Salii le scale, scricchiolavano ad ogni passo che compivo ed era fastidioso, ma forse prima o poi qualcuno le avrebbe sostituite.
Passai davanti alla camera che un tempo era dei miei genitori: il letto era intatto, dopotutto, loro non fecero in tempo a dormirci quella notte.
La finestra era chiusa, coperta da una tenda leggera, dalla quale filtrava uno spiraglio di luce lunare che illuminava parte del pavimento in parquet.
Non rimasi per più di un paio di minuti a fissarla, proseguii fino a che non raggiunsi camera mia. Anche quella stanza era rimasta tale, se non fosse stato per lo strato di polvere che ricopriva il pavimento e buona parte delle mensole dei mobili. Lasciai la porta aperta e mi gettai a peso morto sul letto, non mi aspettavo di riuscire a dormire e, infatti, così fu.
 
Quando notai un raggio di sole fare capolino dalla finestra, mi portai istintivamente il braccio davanti agli occhi. Speravo con tutto me stesso che piovesse, che le nuvole oscurassero il cielo, ma accadde tutto il contrario. Mi sentivo più stanco di prima e non me ne stupii, ma non avrei potuto rimanere chiuso in casa e recuperare il sonno perduto. Non ci sarei riuscito e, soprattutto, avrei avuto l’obbligo di andare a scuola.
Erano anni che non ci mettevo piede, temevo quasi che avrei scordato in che modo ci si comporta in un posto del genere, ma dovevo andarci. Gettai un’occhiata alla radiosveglia sul comodino, che dopotutto quel tempo non aveva smesso di funzionare, segnava le sei del mattino e, sebbene fossi a conoscenza del fatto che fosse davvero presto, non sapevo a quale ora sarebbero iniziate le lezioni. Non sapevo niente di niente.
A fatica abbandonai il letto e mi diressi in bagno, dove un grande specchio sovrastava il lavandino. Non ebbi alcuna reazione nel vedere quelle due occhiaie violacee sotto ai miei occhi, né tanto meno nel notare che fossi leggermente scavato in viso. Ormai ero abituato a tutto ciò, ero talmente abituato persino a vivere nell’ombra, ecco perché non mi sarebbe dispiaciuto continuare a farlo. Ma non potevo.
Impiegai più tempo del dovuto a vestirmi, ma dentro me sapevo di non avere fretta, almeno fino a quando non sentii bussare incessantemente alla porta.
Scesi le scale, prestando attenzione a non farle scricchiolare più del dovuto, ma ogni tentativo fu vano, così mi limitai a raggiungere la porta d’ingresso ed aprirla, trovandomi davanti lo stesso uomo che si era presentato a casa mia, portandomi via da tutto ciò che mi apparteneva e facendo in modo che non ci ritornassi prima che fossero trascorsi tre anni.
È bello sapere che sei così mattiniero” mormorò ed intuì che quello fu il suo modo di salutare. Sarcastico, ma pur sempre meglio di ciò che avevo sentito in quella prigione per matti.
Mi feci da parte, lasciandolo entrare, ma rimasi in silenzio. Non avevo motivo di aprir bocca, a meno che non mi venisse posta qualche domanda.
Mentre sarai a scuola – e ti ricordo che dovrai andarci tra meno di mezzora – penserò io a sistemare alcune cose qui” spiegò, guardandosi attorno e rimanendo quasi intimorito da ciò che lo circondava.
Onestamente, non m’importava di ciò che avrebbe fatto, non avrebbe potuto rendere quel posto più disastrato di com’era. Lo vidi muoversi all’interno del soggiorno, seguii ogni suo movimento dal momento in cui non potei dirmi di fidarmi di lui, ma era l’unica persona che conoscessi, per tanto cercai di mettere da parte la diffidenza.
Oh, prima che tu vada, tieni” disse, porgendomi una sottospecie di tessera. “Con questa avrai libero accesso al conto in banca dei tuoi genitori e, niente, cerca solo di non abusarne.
Come se avessi avuto motivo di farlo.
L’afferrai, infilandomela in tasca ed avvicinandomi alla porta d’ingresso. Feci per varcarla quando la voce di Dean giunse nuovamente alle mie orecchie.
È possibile che, quando ritornerai, io me ne sarò già andato e onestamente non so quando ci rivedremo. Per cui, buona fortuna, Jason.
Annuii in modo quasi impercettibile e quello fu il mio modo per salutarlo.
Una volta chiusa la porta alle mie spalle, iniziai a percorrere il lungo viale che portava al centro di Norristown, una cittadina non molto lontana da Philadelphia.
Mi avevano spiegato a grandi linee come raggiungere quella scuola, non era la stessa che frequentavo tre anni prima e da una parte era meglio così.
 
Impiegai quasi mezzora prima di scorgere quell’edificio, credendo di essere in ritardo, ma dovetti ricredermi quando vidi diversi ragazzi nel piazzale davanti ad esso. Li ignorai ed entrai: anche i corridoi erano gremiti di persone, passare inosservato sarebbe stato difficile e tutta quella confusione iniziava a darmi fastidio.
Estrassi dalla tasca posteriore dei jeans un foglio che mi diede Dean un paio di giorni prima, sulla quale erano segnati i corsi che avrei dovuto seguire durante il prossimo anno.
Ero talmente concentrato a leggere quanto scritto su quel pezzo di carta, che non potei evitare di scontrarmi con qualcuno. Prima che potessi sollevare lo sguardo, vidi i libri che reggeva finire al suolo, assieme ad un astuccio e qualche penna.
Era una ragazza. Incrociai il suo sguardo solo per pochi istanti, gli occhi erano di un azzurro limpido e dei lunghi capelli castani le ricadevano davanti al petto.
M- mi dispiace” mormorò con voce flebile, “ero distratta e non ti ho visto.
Non fa nulla” le dissi, abbassandomi a raccogliere ciò che le era caduto e porgendoglielo.
Durante il breve tempo che impiegai a chinarmi e recuperare i suoi oggetti, aveva ripetuto almeno una decina di volte ‘scusa´ e ‘mi dispiace’ e probabilmente avrebbe continuato a ripeterlo all’infinito.
Grazie” mi sorrise infine, smettendo finalmente di scusarsi, prima di superarmi e continuare il suo cammino. Riportai nuovamente lo sguardo sul foglio e, quando feci per leggere in quale classe sarei dovuto andare per seguire la lezione di biologia, qualcun altro – questa volta un ragazzo – mi si parò davanti. Sollevai lo sguardo, incrociando il suo a dir poco furente.
Deduco che tu sia nuovo di qui” pronunciò con tono fermo.
Sì e allora?” ribattei, distogliendo subito dopo lo sguardo dal suo per riportarlo su quel foglio.
Avevo appena fatto in tempo a leggere il numero dell'aula quando lui, con un rapido gesto, me lo strappò di mano, accartocciandolo, per poi gettarlo a terra, e costringendomi così a riportare la mia attenzione su di lui.
Ti do un avvertimento, amico” mormorò, abbassando notevolmente il tono di voce, “quella era la mia ragazza e per il tuo quieto vivere ti consiglierei di starle alla larga.
Spostai momentaneamente lo sguardo sulla ragazza che poco prima avevo urtato, era a pochi metri da noi, impegnata in una conversazione con altre due ragazze. Non feci in tempo a riportare lo sguardo su quel tipo, perché mi spinse violentemente contro agli armadietti alle mie spalle, attirando così su di me l'attenzione dei presenti.
Sei stato avvisato” mi diede un'ultima spinta, per poi allontanarsi. Nell'istante in cui quel ragazzo sparì dalla mia visuale, vidi il corridoio svuotarsi. Recuperai da terra ciò che ne rimaneva di quel foglio e raggiunsi la classe.
 
 
 
Nell'istante in cui quel rumore era giunto alle mie orecchie, smisi di ascoltare ciò che le ragazze attorno a me stavano dicendo. Inquadrai la figura di quel ragazzo, lo stesso che poco prima avevo urtato, non l’avevo mai visto in città. La sua schiena era premuta contro gli armadietti, il suo sguardo era freddo, ma non cattivo e non reagì alle provocazioni di Kayden. Non sopportavo il suo comportamento, non sopportavo più niente di lui, a cominciare dal fatto che non avesse ancora accettato la nostra rottura, e, in generale, m'infastidiva vederlo ogni giorno tra le mura di quella scuola.
Non ero riuscita a scorgere neppure una parola della loro conversazione, ma ero più che certa che l'argomento principale fossi io. Era sempre così.
Mi allontanai prima che potesse incrociare il mio sguardo, seguendo Marie in caffetteria. Gettai un'occhiata all'orologio appeso alla parete, le lezioni sarebbero iniziate nell'arco di un paio di minuti ed avrei tardato un'altra volta.
Marie, è tardi” mormorai, arrestando i miei passi. Si voltò, sbuffando e, afferrandomi per il polso, mi disse: “Ci metterò soltanto un minuto.
Dici sempre così, poi però finisco sempre col far tardi.
E allora? Qual è il problema, che lezione hai?” mi domandò, come se arrivare in ritardo alle lezioni fosse stata una cosa normale.
Biologia” risposi riluttante.
Tu odi biologia” ribatté, accelerando il passo. Sì, odiavo biologia e quest'anno avrei ripetuto lo stesso corso per la seconda volta, non ero mai riuscita a prendere nemmeno una sufficienza.
Sì, ma se mi bocciano anche quest'anno, questo sarà l'ultimo caffé che prenderò con te.
Come sei drastica. Non ti preoccupare, ce la farai, capita a tutti di perdere un anno.
Alzai gli occhi al cielo, avvicinandomi al bancone del bar ed appoggiandomici sopra. “Alludi a qualcuno in particolare?” domandai retorica, facendola ridere.
Sbaglio o il tuo ragazzo è messo peggio di te?
Sai benissimo che non è più il mio ragazzo, non credo sia necessario che te lo ripeta ogni volta.
Alzò le mani in segno di resa, bevendo l'ultimo sorso di caffé e fui finalmente libera di lasciare la caffetteria.
Ci vediamo dopo!” le urlai, iniziando a correre verso l'aula di biologia ed aspettandomi di ricevere, come sempre, le lamentele del professore.
Abbassai lentamente la maniglia, sporgendo di poco il capo all’interno della stanza e ritrovandomi addosso lo sguardo arrabbiato di quell’uomo.
Signorina Wayner, è in ritardo, che novità!” esclamò con tono beffardo e  mossi qualche passo all’interno dell’aula. Mi guardai attorno, ma, come immaginavo, tutti i posti in fondo erano occupati e, prima ancora che potessi passare in rassegna tutto il perimetro della classe, la voce irritante del professor Layton giunse nuovamente alle mie orecchie. “Se fossi arrivata prima, avresti sicuramente trovato il tuo solito posto, quello in fondo all’aula che non ti permette mai di restare attenta alla lezione.
Sbuffai sonoramente, era evidente che mi odiasse, ma prima ancora che potesse far in modo che il resto della classe ridesse di me, incrociai lo sguardo di quel ragazzo. Di lui non sapevo assolutamente nulla, nemmeno il nome, eppure aveva qualcosa di diverso, forse speciale. Notai un banco vuoto accanto al suo e non esitai un solo istante di più prima di raggiungerlo, permettendo così al professore di continuare la sua noiosa lezione. Sistemai al meglio i miei libri sul banco e mi voltai quasi completamente verso di lui, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata alla lavagna già colma di scritte.
Ciao, io sono Ivy” mormorai a bassa voce. Lentamente si voltò verso di me, incrociando per pochi istanti il mio sguardo, per poi riportarlo sul professore.
Jason” rispose con tono flebile. Arricciai le labbra, indecisa se continuare quella conversazione oppure no. A giudicare dal suo modo di fare mi sembrava leggermente freddo, o forse mi riteneva in qualche modo responsabile per ciò che era successo prima nei corridoi.
Ho visto quello che è successo prima in corridoio.” Si voltò ancora a guardarmi, ma questa volta i suoi occhi rimasero posati su di me per più tempo. “Mi dispiace che Kayden se la sia presa con te per il fatto che ci siamo scontrati. È convinto che io sia ancora di sua proprietà, quando invece non è così. Ormai è una storia finita, ma evidentemente la cosa non gli va a genio e se la prende con qualsiasi ragazzo che tenti di avvicinarsi a me. Per cui ti chiedo scusa da parte sua.” Sputai fuori tutte quelle parole, senza nemmeno accorgermi di aver iniziato a gesticolare come se stessi raccontando qualcosa di eclatante alla mia migliore amica. Non mi era sembrato nemmeno così strano rivelargli tutti quei dettagli del mio passato, eppure l’avevo fatto, sebbene fosse evidente che non gliene importasse poi molto.
Non ha importanza” rispose infine, riportando lo sguardo avanti a sé.
E invece sì, mi dispiace davvero” ribattei poi, non contenta della misera quantità di parole che aveva pronunciato. Mi sembrava alquanto strano che parlasse così poco, ma non avevo alcuna intenzione di lasciar cadere quella conversazione.
Ma sei nuovo di qui, vero? Perché non ti ho mai prima.
Lo vidi sospirare e, senza distogliere lo sguardo dalla lavagna, disse: “sì, questo è il mio primo giorno.
Oh, ecco, mi sembrava. Di dove sei? Io vengo dal Tennessee, ma mi sono trasferita qui circa quattro anni fa.
La mano posata sul banco si chiuse in un pugno e le labbra si strinsero in una linea dura. Non mi rispose, continuò a mantenere lo sguardo fisso nel vuoto; nei suoi occhi mi sembrò di notare qualcosa di diverso, come se di punto in bianco si fosse arrabbiato. Rimasi intimidita dalla sua reazione, tanto che iniziai pentirmi di avergli posto quella domanda.
Abiti in città?” domandai infine. Sospirò di nuovo e strinse maggiormente il pugno, tanto che le nocche divennero bianche. “” rispose infine e da quel momento in poi non mi azzardai più a porgli domande.
 
Il tempo trascorreva lento ed iniziai a sentirmi a disagio, non ero abituata a restare in silenzio per tutta l’ora, in più mi ritrovai a pensare per quale assurda ragione fosse così freddo e distaccato nei miei confronti. Non ci conoscevamo – il che poteva essere un ottimo motivo – ma nessun nuovo studente si era mai comportato così, eppure non me la sentivo di ignorarlo.
Mi dispiace davvero dovervi affidare un compito già alla prima lezione, ma sono costretto a farlo” mormorò il professore, assumendo un tono divertito. No, non gli dispiaceva per niente torturarci, tutt’altro, la cosa lo divertiva ed ecco che il suo sguardo si posò su di me. “Per venerdì mi porterete una relazione di almeno millecinquecento parole su uno di questi argomenti” spiegò, indicando la lavagna ed istintivamente una smorfia si dipinse sul mio viso.
Non fare quella faccia, Wayner” disse, poi, guardandomi, “lavorerete in coppia, per cui mi auguro che il tuo nuovo compagno ne sappia qualcosa in più di te.
Spostai lo sguardo su Jason, il quale non sembrava per nulla preoccupato del fatto che avremmo dovuto scrivere una stupidissima relazione in soli due giorni.
I casi erano due: o era un genio in biologia, oppure del suo rendimento scolastico se ne fregava altamente. Ed io pregai vivamente che l’ipotesi numero uno fosse quella più azzeccata.
Dimmi che sei bravo in biologia, ti prego” gli sussurrai, iniziando a raccogliere libri ed astuccio. “Me la cavo” mormorò, stringendosi nelle spalle. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo e sorrisi. “Perfetto” dissi poi, “ti va se dopo scuola ci vediamo ed iniziamo il compito?
Ehm… d’accordo” mormorò con tono flebile, “dove?
Il suo sguardo mutò totalmente, ora non era più freddo, mi sembrò leggermente spaesato, ma evitai di darci peso.
A casa mia, o a casa tua. Per me non fa differenza.
Abbassò il capo, stringendo nuovamente le labbra in quella linea dura che tanto non sopportavo. “Non c’è una… una biblioteca qui?
S- sì, qui a scuola ce n’è una, se vuoi possiamo trovarci lì una volta finite le lezioni e-
Sì, va benissimo.” Mi liquidò senza darmi il tempo di terminare la frase, lasciandomi ancora più spiazzata.




 

Spazio autrice.

Prima di dire qualsiasi cosa: grazie.
Grazie per tutto quello che mi avete scritto nelle recensioni, su ask e su twitter, lo apprezzo davvero tantissimo e spero davvero di non deludervi perché ho in mente un sacco di cose per questa storia e voglio portarla avanti al meglio.

Parlando del capitolo, ho deciso di inserire anche un 'piccolo' pov di Ivy, in modo da farvi capire com'è lei e visto che eravate tutte impazienti di sapere come si sarebbero incontrati. Sì, è totalmente diversa da Jason, a differenza sua sembra totalmente loquace e aperta, ma probabilmente cambierà e io non vi dico nulla al riguardo.
Vi dico solo di non soffermarvi a questo primo incontro 'pacifico e normale', con uno come Jason nulla potrà essere normale, soprattutto contando il fatto che lei non sa chi è realmente Jason.
Per vedere le gif dei personaggi, cliccate sui loro nomi, le cambio praticamente sempre. Questa volta, la gif di Jason me l'ha consigliata jileyheart (♥♥)

Un'ultima cosa, poi me ne vado, se voleste sapere come immagino Kayden (non che ex ragazzo di Ivy) qui c'è una sua foto :) 


Direi che ho parlato troppo, per cui mi dileguo e spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto.
Ci tengo davvero molto a sapere che cosa ne pensate, per cui aspetto di leggere le vostre recensioni :)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
 on twittah and instagram          se avete domande, ask me.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3: the distance between us. ***





 

Capitolo tre: the distance between us.

 

 

Ivy


Dopo la lezione di biologia, non lo vidi più. Era evidente che frequentassimo corsi diversi, ma mi sembrò alquanto strano il fatto di non vederlo nemmeno per i corridoi.
Ivy, mi stai ascoltando?” la voce di Marie, accompagnata da una leggera gomitata tra le mie costole, mi costrinse a riportare l’attenzione su di lei.
Scusa, no” mormorai, stringendo ancor più saldamente i libri contro al petto. L’ultima lezione che pose fine a quella giornata fu quella di storia ed era una delle poche che frequentavo con lei.
Posso sapere cos’hai? Sei stata fin troppo zitta a lezione e non è da te.
Sto bene, non preoccuparti” la rassicurai, sorridendole e rallentando la mia andatura quando passammo davanti al corridoio che conduceva alla biblioteca.
D’accordo, mi fido. Andiamo da te o da me?” mi domandò, fermandosi a sua volta. Arricciai le labbra e scossi il capo. “Oggi pomeriggio non posso, mi fermo in biblioteca.” La vidi sgranare gli occhi, totalmente incredula a ciò che aveva appena sentito.
Tu in biblioteca?
Sbuffai ed annuii, ma non la biasimavo: in quattro anni di liceo non mi ero mai fermata una sola volta a scuola dopo le lezioni, né tanto meno spendevo molto tempo a studiare.
Ho un compito di biologia da preparare per venerdì, è da fare in coppia per cui-
Aspetta” m’interruppe bruscamente, “in coppia con chi?
Alzai lo sguardo, inquadrando così l’orologio appeso alla parete. Stavo già perdendo troppo tempo e non mi allettava l’idea di farlo aspettare.
Si chiama Jason, è nuovo di qui” risposi semplicemente, ma l’occhiata che mi dedicò subito dopo mi lasciò intendere che non avrebbe lasciato cadere il discorso tanto presto, così decisi di liquidarla. “Devo andare adesso, a domani!” e senza nemmeno aspettare una sua risposta, iniziai a correre verso l’ingresso della biblioteca dove, però, non vidi nessuno.

 

Rimasi alcuni minuti ad aspettare, appoggiata al muro accanto alla porta, mi guardai ripetutamente attorno, ma non c’era anima viva. Sospirai e decisi di entrare ugualmente. Anche all’interno di quella piccola biblioteca sembrava non esserci nessuno, ma le mie supposizioni vennero stravolte quando, seduto ad un tavolo in fondo alla stanza, incrociai la figura di qualcuno. Il capo era chino su di un libro ed il silenzio avvolgeva totalmente quelle quattro mura. Ancor prima che realizzassi di aver già visto quella sua cresta scombinata, capii che si trattava di Jason. Mi avvicinai a passo veloce, rompendo così la quiete e nell’arco di una manciata di secondi fui davanti a lui.
Hey!” esclamai sorridendo, lui sollevò lentamente il capo e rimase serio. “Ciao” disse semplicemente, al che arricciai le labbra ed evitai di domandarmi nuovamente perché fosse così freddo e distaccato.
E se gli avesse dato fastidio il fatto che l’abbia praticamente costretto a rimanere a scuola dopo l’orario delle lezioni?
Ci pensai su, probabilmente io mi sarei arrabbiata se qualcuno l’avesse fatto con me.
Non pensavo che fossi già qui, ti ho aspettato fuori per qualche minuto, però, non vedendoti arrivare, ho deciso di entrare e…” lasciai cadere il discorso nell’istante in cui il suo sguardo incrociò il mio. Mi soffermai più del dovuto a fissare i suoi occhi, uno strano color nocciola, erano belli, quello sì, ma spenti. Era impassibile, non lasciava trapelare alcuna emozione, per tanto non riuscii nemmeno a capire come se si sentisse e tutto ciò m’intimorì leggermente.
Scossi il capo, scacciando quei pensieri, e mi sedetti di fronte a lui ed aprendo il libro di biologia.
Premetto che non so davvero quale argomento potremmo scegliere” mormorai, iniziando a sfogliare le pagine del libro e tentando di ricordare quanto ci fosse scritto su quella lavagna.
D.N.A.; atomi e molecole; bio… bio- Avrei dovuto annotarmeli da qualche parte.
Senza rispondermi, spinse un foglio – già scritto per metà – verso di me.
Oh, hai già cominciato” biascicai, facendo scorrere lo sguardo su quelle righe, ma mi concentrai per lo più sulla sua calligrafia e non su ciò che vi era realmente scritto. Per essere un ragazzo, scriveva davvero bene e, nell’istante in cui feci per leggere davvero quelle righe, la sua voce giunse alle mie orecchie. “Ho pensato di scrivere qualcosa sul D.N.A., mi sembrava l’argomento più semplice.
Annuii e rimasi in silenzio. Effettivamente, forse quello era l’unico argomento di cui conoscessi qualcosa.
Cercai l'argomento sul libro di testo e, prendendo un altro foglio, iniziai a scrivere qualche frase al riguardo.

 

Passò il tempo e nessuno dei due si azzardò a proferire parola; io l'avrei fatto, soprattutto perché difficilmente riuscivo a mantenere la bocca chiusa, e, dal momento in cui mi sembrò di aver scritto davvero troppo, controllai l'ora sul display del cellulare. Segnava quasi le sei e non mi ero accorta che fosse trascorso così tanto tempo.
Che ore sono?” mi domandò, quasi come se mi avesse letto nel pensiero. “Quasi le sei” risposi, “però siamo a buon punto, magari possiamo fermarci anche domani dopo le lezioni e continuare.
Come vuoi” mormorò, stringendosi nelle spalle, per poi porgermi il foglio con ciò che aveva scritto lui.
Non appena lo vidi alzarsi, raccolsi le mie cose e lo seguii fuori dalla biblioteca.
Raggiungemmo l'uscita in perfetto silenzio, ormai non c'era più nessuno a scuola e sentire soltanto il suono dei nostri passi era snervante.
Non appena fummo fuori, lo salutai e lo vidi iniziare a percorrere la strada che solitamente seguivo io per raggiungere casa.
Aspetta” lo fermai, “dove abiti? Se vuoi posso darti un passaggio, sono in macchina.
Non fa nulla, vado a piedi” rispose semplicemente e, nell'istante in cui fece per riprendere a camminare, lo raggiunsi.
Oh andiamo, non mi costa nulla darti un passaggio” insistetti e, sebbene sbuffò, riuscii a convincerlo.
Mi seguì all'interno dell'abitacolo e, nell'istante in cui accesi il motore, disse: “comunque abito in Hester Street.
Davvero? Anche io!” ribattei, iniziando a guidare.
Da quel momento in poi, tornò a regnare il silenzio tra noi e non mi azzardai nemmeno ad accendere la radio per paura che potesse dargli fastidio. Non avevo ancora capito che tipo di ragazzo forse, non pensavo che fosse strano, solo un po' troppo taciturno e freddo.
Quando raggiunsi casa mia, rallentai. “Io abito qui” dissi, indicando la villetta alla mia sinistra, “tu?
Fermati qui.
Feci come mi aveva detto e lo guardai senza capire. “Se abiti più avanti, basta dirlo, non è un problema per me” mormorai.
Va bene qui” disse a denti stretti e non mi azzardai più ad insistere.
Come vuoi.
Aprì la portiera e, dopo aver biascicato un misero 'ciao', si allontanò. Parcheggiai la macchina nel vialetto di casa mia e lo guardai allontanarsi. C'erano soltanto tre case dopo la mia, per cui, quando lo vidi proseguire il cammino oltre quelle abitazioni, non capii dove si stesse dirigendo. Che io sapessi, non c'erano altre villette in quella via.
A distogliermi dai miei pensieri fu la voce di mia sorella, fin troppo pimpante e stridula. “Ivy, ma che fine avevi fatto? È da un'ora che ti aspetto, mi serve la macchina.
Quella era, sostanzialmente, la sua unica preoccupazione.
Mi sono fermata a scuola” dissi semplicemente, continuando a guardare la figura di Jason allontanarsi sempre più.
Capisco. Ci vediamo più tardi” esclamò, strappandomi le chiavi di mano per avvicinarsi alla macchina.
C'è qualche altra casa in fondo a questa via?” le domandai, forse lei ne sapeva più di me.
Sembrò pensarci su, ma poi si strinse nelle spalle e scosse il capo. “Non che io sappia.
Sospirai ed entrai in casa e, notando che fosse completamente deserta, salii le scale e mi chiusi in camera mia.
Avevo intenzione di scoprire dove abitasse quel ragazzo e, soprattutto, per quale assurda ragione non avesse voluto che l'accompagnassi fino in fondo alla via.
Evitai di pensarci e posai sulla scrivania l'astuccio e i due fogli: il lavoro più grande l'aveva fatto lui, così mi sembrò giusto prendermi la briga di ricopiare i suoi appunti e i suoi su un altro foglio e renderlo un po' più ordinato.

 

Jason

 

Raggiunsi casa mia quasi dieci minuti dopo, non volevo che vedesse dove abitavo, non volevo che iniziasse a capire qualcosa di me. Non avevo nemmeno capito per quale assurda ragione fosse così insistente, ma forse ero io ad essere troppo chiuso.
Quando mi richiusi la porta alle spalle, notai che qualcosa era cambiato. Avevo quasi scordato ciò che mi aveva detto Dean qualche ora prima. Mi guardai attorno, notando come fosse diventato leggermente più accogliente quell'ambiente. Non che m'importasse, ma d'ora in poi avrei dovuto viverci e avevo già trascorso troppo tempo in una stanza vuota e priva di qualsiasi cosa che mi ricordasse casa.
Posai a terra lo zaino e, dopo aver acceso la televisione, mi lasciai cadere a peso morto sul divano.
Non seguii realmente ciò che stessero trasmettendo, a stento mi accorsi di esser caduto in un sonno profondo.

Jason! Jason, coraggio, vieni qui!” la voce allegra e dolce di mia madre giunse alle mie orecchie, smorzando la quiete di quella calda mattinata estiva. Sollevai il capo e le sorrisi, lasciando cadere a terra la macchinina con la quale stavo giocando. Le corsi incontro, facendo comparire un sorriso sulle mie labbra, ed aumentai il passo quando ci distanziarono pochi metri. Allargò le braccia, pronta per stringermi tra di esse in un altro caldo abbraccio.
Sai che giorno è oggi?” mi domandò e scossi il capo, facendola ridere. “Davvero non lo sai?”
No, non lo so” risposi, sorridendo appena. Sciolse quell'abbraccio, posando poi le mani sulle mie spalle, ma rimanendo comunque chinata. “È il tuo compleanno. Oggi compi sette anni, tesoro.”
Sorrisi e mi abbracciò di nuovo. “Ho una bella sorpresa per te!”
E qual è?”
Socchiuse le labbra, stava per dirmelo, ma la sua voce divenne improvvisamente ovattata e non riuscii a sentire la risposta.
Qual è la sorpresa? Mamma?” ripetei, aumentando il tono di voce.
Mamma?”
La chiamai nuovamente, ma, a poco a poco, vidi la sua immagine svanire e tutto tornò ad essere buio.




 



Spazio autrice.

Sto aggiornando a tempo record, amatemi!
No, scherzo, sono io che amo voi per tutto quello che mi avete scritto, son davvero troppo contenta che questa storia vi stia piacendo, non immaginate quanto ♥

Avrei tanto voluto inserire una canzone per questo capitolo (mi piace metterne una diversa ogni volta) ma non trovavo quella giusta, per cui niente.
Il pov di Jason è un po' corto, ma nel prossimo capitolo partirò con quello, così si capirà anche perché il suo sogno è stato interrotto così. Non sarà l'unico sogno che racconterò, quindi,  se fossi in voi presterei attenzione a quei sogni, saranno abbastanza importanti per l'intera storia :)

Non aggiungo altro, aspetto di leggere le vostre recensioni, sono curiosa di sapere che cosa ne pensate.

Alla prossima!
Much Love,
Giulia


@Belieber4choice
on twittah and istagram.               se avete domande, ask me.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4: memories cut deeper than a razor blade. ***






Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.



Capitolo quattro: memories cut deeper than a razor blade.

 

 
Mi svegliai di soprassalto, con gli occhi sbarrati ed il respiro affannoso. Passai il dorso della mano sulla fronte, era imperlata di sudore, eppure non avevo caldo. Sentivo il cuore battere all’impazzata al centro del petto e non sembrava aver intenzione di riprendere un ritmo regolare. Mi guardai ripetutamente a destra e a sinistra, cercando di capire cosa mi avesse costretto a svegliarmi così di soprassalto, ma non c’era nulla se non la televisione accesa.
Cercai di ricostruire le immagini di quello strano sogno, ma più cercavo di rivivere la scena, più il ricordo sfocava e pian piano svaniva.
Era già successo che, durante il sonno, mi capitasse di rivedere certe immagini e non c’era mai stata una sola volta in cui quei sogni terminassero. S’interrompevano sempre a metà oppure poco prima di rivelarmi qualcosa che aspettavo davvero di conoscere, ma non vedevo mai la fine.
Non mi ero mai soffermato troppo a pensare cosa significassero, avevo soltanto compreso che quelli, più che sogni, erano ricordi. Non semplici frammenti del passato, ma ciò che, nel profondo, avrei voluto che accadesse.
Durante una delle prime sedute che ebbi con la psicologa, all’interno di quell’istituto, gliene parlai. Probabilmente quella fu l’unica volta che non mi limitai a rispondere a monosillabi alle solite domande statiche che mi poneva. Secondo lei quelli erano solo i desideri del mio subconscio, qualcosa che mi era terribilmente mancato, ma che mai si era avverato.
Non volevo crederle, avevo sempre lottato per evitare di dar peso alle sue parole. Diffidavo di lei, inizialmente aveva cercato di capirmi, ma non ho mai voluto che andasse a fondo.
Come poteva capirmi se lei era la prima a credere che fossi pazzo?
Non ero pazzo. Un pazzo avrebbe agito senza motivo, mentre io una ragione l’avevo.
Scossi il capo, scacciando quei pensieri e spensi la televisione. Rimasi interi secondi a fissare il vuoto avanti a me senza reagire, sentendo il silenzio e l’oscurità che a poco a poco m’inghiottivano.
Avrei tanto voluto trovare una via d’uscita, scappare dal ricordo ancora vivo dentro me, dove le urla ed i pianti di mia madre mi risuonavano ancora nelle orecchie mentre uccidevo mio padre.
Erano passati tre anni, ma non avevo ancora trascorso un solo giorno senza rivivere quella scena.
Durante quella fredda notte, quando posi fine alla vita dei miei genitori, capii che tutto sarebbe cambiato. La gente mi avrebbe guardato con occhi diversi, colmi di paura e non di pietà, perché solo chi capiva avrebbe provato compassione.
Sapevo che la mia vita non sarebbe stata più la stessa, sapevo che l’avrebbero scoperto. Sapevo tutto e non m’importava.
Avevo sempre pensato al peggio e non mi spaventava.
Non provavo risentimento, né rancore per ciò che avevo fatto.
I giorni che precedettero la loro morte furono i peggiori. Il pensiero e la paura di sbagliare si contrapponevano con il mio desiderio di veder morire mio padre.
Mia madre non doveva morire, non era lei il mio obiettivo, ma lui. L’avrei lasciata vivere se solo avessi saputo che non mi avrebbe guardato con gli occhi colmi di terrore, ma ero certo che ciò non sarebbe mai successo. Avrebbe avuto paura di me, esattamente come tutti gli altri e non avrei retto.
Compii quel gesto perché non ce la facevo più.
 
Scossi il capo, cercando di scacciare quei pensieri. Sebbene non volessi soffermarmi su quei ricordi – taglienti come lame – lo facevo spesso.
Dovevo uscire, restare chiuso tra quelle quattro mura iniziava a diventare fastidioso.
Sebbene amassi restare in solitudine, quella sera mi sentii oppresso persino in casa mia.
Afferrai la felpa posata sul divano e la infilai. Non appena aprii la porta, una ventata di aria fresca mi schiaffeggiò il viso e fu piacevole.
Iniziai a camminare senza una meta precisa, ripercorrendo la strada principale e passando davanti a tutte quelle villette dalle finestre illuminate. Il cielo non era buio, il sole era tramontato da poco, per cui la luce, seppur scarsa, non mancava.
I miei passi erano lenti e stavo attento a non provocare troppo rumore, non volevo che si accorgessero di me. Incontrai soltanto un paio di persone sul lato opposto della strada, mi dedicarono una semplice occhiata e ripresero a parlare tra loro. Non mi avrebbero riconosciuto o, se lo avessero fatto, avrebbero comunque distolto lo sguardo appena possibile.
 
 
 
Posai la penna sul foglio, massaggiandomi lievemente la mano ormai indolenzita. Avevo ricopiato tutti quegli appunti senza mai distogliere la punta della penna dalla carta e, sebbene non avessi ancora finito, ero stanca e non avevo alcuna intenzione di continuare. Sollevai lo sguardo, posandolo sulla strada dal di fuori della finestra. Non c’era anima viva e la flebile luce azzurra, tipica di quelle sere di fine estate, rendeva il tutto più tranquillo. Feci per distogliere lo sguardo, quando la presenza di qualcuno m’impedì di farlo. Assottigliai lo sguardo, facendo appena in tempo a scorgere i lineamenti – seppur lontani – della persona che in quel momento stava passando davanti a casa mia. Il capo era coperto dal cappuccio della felpa, ma lo riconobbi. Camminava a passo lento e mantenendo la testa bassa, mi domandai dove stesse andando. Feci strisciare all’indietro la sedia e, afferrando la felpa appesa dietro la porta, uscii dalla stanza.
Corsi giù per le scale, attirando su di me l’attenzione di mia madre che, nel frattempo, era impegnata a sistemare la cucina.
Dove stai andando?” domandò con tono quasi allarmato, raggiungendomi.
Esco, ma torno presto” la liquidai velocemente, aprendo la porta d’ingresso e sparendo così dalla sua vista.
Accelerai sin da subito il passo e, quando fui a pochi metri da lui, si voltò, guardandomi con aria quasi stranita.
Sorrisi, cercando di non farmi condizionare da quel suo essere sempre così distaccato ed arrabbiato con il mondo intero.
Ciao” esclamai.
Che ci fai qui?” domandò atono ed il mio sorriso si spense.
Possibile che questo ragazzo sia sempre di cattivo umore?
Stavo ricopiando quello che abbiamo scritto oggi in biblioteca e poi, quando ti ho visto passare davanti a casa mia, ho pensato di uscire e seguirti” spiegai, ma non sembrò convincerlo affatto.
Perché?” chiese di nuovo, al che sospirai.
Non lo so, non avevo molta voglia di restare chiusa in casa. Tu dove stai andando?” domandai, riprendendo a camminargli accanto.
Da nessuna parte, facevo un giro.” Dalla sua esile risposta capii che quella conversazione sarebbe morta all’istante se non avessi detto o fatto qualcosa.
Ma per caso ce l’hai con me?” con quella domanda, attirai nuovamente su di me il suo sguardo, apparentemente confuso.
No” rispose con un tono che mi sembrò di scuse, quasi come se fosse stato colto in flagrante a commettere qualche gesto sbagliato. “Perché dovrei?
Mi strinsi nelle spalle ed abbassai lo sguardo. “Non lo so. Sembra quasi che ti dia fastidio quando ti parlo, sei sempre così freddo e distaccato. Non vorrei che fosse per colpa di ciò che è successo stamattina a scuola, anche se avresti ragione ad essertela presa, ma-
Lo sentii sospirare, per cui lasciai cadere la frase a metà.
Sono fatto così, è il mio carattere. Non ce l’ho con te.
Oh” dissi semplicemente, “capisco.
Dopo aver pronunciato quelle parole, non dissi altro e nemmeno dalle sue labbra uscì alcun suono.
Continuammo a camminare lungo quella strada, mentre il cielo man mano s’incupiva.
Come mai non ti ho mai visto prima?” domandai, ero stanca di dover sentire soltanto il suono dei nostri passi e poi volevo davvero sapere qualcosa in più di lui.
Dal momento in cui non sentii alcuna risposta, posai lo sguardo su di lui. La sua mano destra era chiusa a pugno e, sebbene quella felpa gli coprisse il braccio, intuii che i muscoli fossero contratti.
Lo vidi dischiudere di poco le labbra, ma continuò a mantenere il silenzio.
Oh, andiamo, dimmi qualcosa di te. Non so assolutamente niente e vorrei che diventassimo amici.” Non seppi con esattezza dove trovai il coraggio di istigarlo così tanto, ma una cosa fu certa: avrei fatto meglio a rimanere zitta.
Non c’è assolutamente nulla da sapere su di me o sul mio passato!” sbottò. Il suo sguardo era puntato su di me e non c’era nulla di rassicurante in tutto ciò.
Deglutii sonoramente, rimanendo intimorita dalla sua reazione.
Non ebbi il coraggio di abbassare lo sguardo, i suoi occhi mi costringevano a rimanere immobile. Le sue labbra si strinsero in una linea dura e mi guardava con tale freddezza che riuscii persino a sentire un brivido percorrermi la schiena.
Avevo paura e mi pentii all’istante di essere uscita di casa ed averlo seguito. Era evidente che non sopportasse la mia presenza e fui tentata di correre a casa.
Dopo una manciata di secondi, la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie.
Scusa” mormorò, distogliendo lo sguardo dal mio e riprendendo a camminare.
Rimasi ferma, mi limitai a seguire i suoi movimenti con gli occhi, ma non mi mossi.
Ne sei sicuro?” domandai con voce flebile, ma mi sentì ugualmente ed i suoi occhi incrociarono i miei.
Ci furono altri istanti in cui il silenzio regnò sovrano, poi finalmente parlò.
Non volevo urlarti contro, mi dispiace.
Scossi il capo e dissi: “non mi riferivo a quello.
Prese un respiro profondo e ne approfittai per muovere qualche passo verso di lui.
Non volevo essere invadente, volevo solo sapere qualcosa di te, ma se non vuoi parlarne non ha importanza. Come ti ho detto, vorrei solo che fossimo amici, ma se non vuoi non-
D’accordo” disse semplicemente, impedendomi di continuare a parlare.
‘D’accordo.’  Aveva detto soltanto quello ed io mi sentii confusa. Era difficile capire cosa sentisse e non potei negare di essere rimasta basita dalla sua reazione di poco prima.
Sebbene non lo conoscessi affatto, capii che sarebbe stato difficile far nascere qualcosa, seppur banale, ma non mi sarei arresa.




 
 
Spazio Autrice

Perdonatemi l'orario, so che è tardi, ma volevo aggiornare prima che la settimana finisse, per cui eccomi qui.

Okay, Jason non è esattamente il ragazzo più simpatico e loquace di questo mondo e Ivy finalmente l'ha capito, ma non per questo lo lascerà perdere.
Avrei mille spoiler da farvi, ma poi mi sentirei in colpa e questo non va bene. Vi dico soltanto che il 'segreto' di Jason (chiamiamolo così) non resterà all'oscuro ancora per molto.

Prima di salutarvi, ci tengo davvero tanto a ringraziarvi per quello che mi avete scritto. Non sapete quanto lo apprezzi, dico davvero.
Grazie ♥


Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
 on twittah and instagram          se avete domande, ask me.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5: ghoulish memories ***




 






Capitolo 5: ghoulish memories.

 

Ivy

 

Portai una mano sulla tasca anteriore dei pantaloncini, ma, sentendola vuota, sbuffai. Avevo dimenticato il cellulare a casa e non avevo idea di che ore fossero.
Sai che ore sono?” gli domandai. Da poco avevamo ripreso a camminare, comportandoci come se nulla fosse successo. Non mi sembrava realmente il caso di prendermela per come mi aveva risposto poco prima, dopotutto mi aveva chiesto scusa e questo era più che sufficiente.
Lo vidi sollevarsi di poco la manica della felpa e poi scosse il capo. “No, non ho l’orologio con me.
Mi strinsi nelle spalle e, quando feci per aprir bocca, la sua voce risuonò nuovamente nell’aria. “Credo che si sia fatto tardi, dovresti andare adesso.
Non capii il perché di quella sua preoccupazione, quando uscivo con Kayden, lui insisteva sempre per restare fuori il più a lungo possibile, ma non potei dar torto a Jason. Il giorno dopo saremmo dovuti tornare a scuola e, per quanto assurdo potesse sembrare, dovevo ancora terminare alcuni compiti estivi.
Proseguimmo il nostro cammino e calò nuovamente il silenzio tra noi, cosa che non sopportavo, ma non seppi nemmeno cosa dire.
Vederlo sbottare in quel modo mi aveva intimorito e non ebbi il coraggio di porgli altre domande. Sarebbe stato semplicemente più difficile del previsto, ma volevo essergli amica, il suo strano modo di essere m’incuriosiva e non solo quello.
Quasi dieci minuti più tardi raggiungemmo casa mia e lui si scompose appena per salutarmi: un ‘ciao’ biascicato a fatica accompagnato da un lieve cenno del capo.
Facciamo progressi. Pensai.

 

Jason

 

Dopo aver superato la villa di quella ragazza, ed essere rimasto completamente solo, mi passai una mano tra i capelli e tirai un sospiro di sollievo. Avevo sbagliato a reagire in quel modo. Il mio obiettivo era quello di passare inosservato, non di far ricadere anche i più piccoli sospetti su di me. Avrei dovuto prestare attenzione ad ogni cosa, anche alla più insignificante, e sarebbe stato difficile.
Lei non sapeva nulla di me, ma se avesse continuato a seguirmi dovunque andassi, la verità sarebbe saltata fuori e non volevo. Non volevo che qualcuno, all’interno di quella scuola, sapesse chi ero. Non mi fidavo di nessuno e con nessuno ne avrei parlato.
Non ero in cerca di amici, volevo solo dimenticare e mi sembrava impossibile.

Finalmente raggiunsi casa mia e, chiudendomi la porta alle spalle, lasciai tutto il mondo fuori. Non che mi sentissi meglio, ma se non altro sapevo di essere al sicuro.
Mi avvicinai al mobile accanto alla rampa di scale, contenente decine e decine di libri, forse mai letti o forse sfogliati appena. Nel ripiano all’altezza del mio sguardo, notai uno strano libro dalla copertina scura. Nera. Lo sfiorai e lentamente lo feci scivolare verso di me. Non mi era nuovo, tutt’altro, sapevo cosa conteneva. Non era un libro in realtà.
Lo aprii, facendo scorrere velocemente le pagine fino a che non raggiunsi la metà, solo allora mi fermai.
Riconobbi la mia vecchia calligrafia, risaliva a quasi quattro anni fa, ero certo solo di questo. Era disordinata, ma le parole erano scritte in modo comprensibile. Lessi la data in alto a destra di quel piccolo foglio, citava il due dicembre.
Non mi fu affatto nuova quella data, senza nemmeno iniziare a leggere ciò che avevo scritto, mi ritornò nuovamente vivo quel ricordo.
Fu la sera che precedette la loro morte, esattamente poche ore prima che accadesse. Scrissi quelle parole verso le nove di sera, mentre loro morirono intorno all’una di notte, quando fui certo che tutto tacesse.
Feci scorrere le pagine precedenti e trovai per lo più quei miei contorti pensieri. Certi erano macabri, altri fin troppo malinconici e tristi, ma sempre costanti. Avevo avuto le idee chiare sin da quando pianificai di compiere quel gesto. Non era stato un atto colpevolizzabile dall’istinto, era stato programmato, era ciò che volevo.
Se qualcuno avesse letto quel diario, mi avrebbe guardato inorridito e poi sarebbe scappato a gambe levate.
Scossi il capo, richiudendo con un movimento secco quella sottospecie di diario, per poi riporlo esattamente dov’era. Accanto agli altri libri sembrava esattamente uno di loro, ma celava segreti che nessuno, nemmeno lontanamente, conosceva. Un po’ come me.
Mi stupii del fatto che nessuno l’avesse toccato, ero certo che diversi agenti di polizia avessero fatto irruzione in quella casa per scoprire qualcosa che io avevo omesso di raccontare.
Ma, fortunatamente, lui era passato in osservato.
Mi passò per la mente l’idea di farlo sparire, di buttarlo via, o addirittura di bruciarlo, eliminando così ogni resto. Ma non volevo realmente farlo, in cuor mio sentii che mi sarebbe tornato utile. Forse avrei riempito quelle pagine bianche con lo scopo di racchiudere al loro interno i miei ricordi, sperando che in quel modo abbandonassero la parte più recondita della mia mente.
Forse un giorno lo avrei fatto.

La mattina seguente, quando il chiarore del sole fece capolino all’interno della mia stanza, mi stupii del fatto che fossi riuscito a dormire. Non mi sentivo più così stanco come il giorno precedente, ma non mi soffermai a pensare che fosse un elemento positivo di quella nuova giornata. Era da troppo tempo che non consideravo buone le giornate.
Lanciai un’occhiata alla radiosveglia, questa volta fui in ritardo rispetto al giorno precedente, ma non mi preoccupai di accelerare i movimenti.
Quello sarebbe stato il penultimo giorno di scuola prima del weekend, avrei dovuto resistere soltanto due giorni prima di richiudermi nuovamente in casa ed evitare così gli sguardi della gente.

Uscii di casa, il sole era già alto nel cielo ed era fastidioso, così calai sulla testa il cappuccio della felpa. Non sarei passato inosservato data la calda giornata, ma non importava.
Superai la casa di quella ragazza, Ivy, ormai era diventata il mio punto di riferimento, si trovava esattamente a metà tra la scuola e casa mia.
Dal momento in cui il suono dei miei passi fu l’unico a riempire l’aria – fatta eccezione per quelle due macchine che sfrecciarono sulla strada pochi istanti fa – non mi fu difficile percepire alcuni suoni lontani.
Dei passi veloci – appartenenti sicuramente a qualcuno che correva – giunsero alle mie orecchie poco dopo aver superato quella casa. Si fecero sempre più vicini e, solo quando fui certo che ci separavano pochi metri, mi voltai. Sussultai lievemente trovandomi davanti la figura di quella ragazza. Era leggermente rossa in viso ed il suo respiro era affannoso.
Ciao!” esclamò, apparentemente… felice.
Come faceva ad essere sempre di buon umore?

Ciao” risposi con meno enfasi. Per quanto mi sforzassi, non riuscii a mostrare entusiasmo. Sebbene fossi all’aria aperta e non oppresso tra quelle quattro mura, non riuscii a soffocare quel fastidioso peso che da tre anni a questa parte mi opprimeva, schiacciandomi al centro del petto.
Sai, ieri sera stavo pensando ad una cosa” mormorò ed istintivamente sollevai lo sguardo, incrociando i suoi occhi azzurri come il cielo. Non dissi nulla e la lasciai continuare.
Dovremmo uscire più spesso.” La guardai con aria stranita, ma non sembrò preoccuparsene e continuò a parlare. So davvero troppo poco di te e, se vogliamo essere amici, dobbiamo conoscerci” concluse, curvando gli angoli della bocca verso l’alto.
Mi soffermai a guardarla più del dovuto, soppesandomi su quanto fossimo diversi: lei era solare, loquace e piena di vitalità, io ero esattamente l'opposto e lo detestavo.
Se avessi continuato ad adottare quell'atteggiamento, non avrei mai dimenticato.
Se vuoi” dissi semplicemente, però ero sincero.
Perfetto” esclamò lei, continuando a sorridere.
Nell'arco di una manciata di minuti, raggiungemmo il piazzale della scuola, già parecchio affollato. Continuò a camminarmi accanto, mentre di tanto in tanto salutava qualcuno, ma non ci badai. Non appena iniziammo a percorrere il corridoio principale, il mio sguardo incontrò quello di qualcuno che avrei preferito non vedere.
Il giorno precedente, quel ragazzo, aveva inscenato un dramma solo perché – per errore – avevo urtato Ivy e, nell'istante in cui i nostri sguardi si erano incrociati, capii che la sua rabbia doveva essere decisamente superiore.
Ivy, vieni qui!” le gridò una ragazza e, salutandomi velocemente, si allontanò da me. Probabilmente non si era nemmeno accorta della presenza di quel ragazzo.
Man mano che proseguivo il mio cammino, il suo sguardo di faceva più truce ed iniziò a sua volta a muovere qualche passo verso di me.
Per caso sei sordo, o semplicemente stupido?” mi domandò retorico non appena ci separarono un paio di metri.
Continuai a guardarlo senza ribattere, sapevo che non avrebbe esitato più di tanto prima di proseguire.
Ti ho detto che devi stare lontano da lei. È così difficile da capire?
Sospirai appena, scuotendo il capo. “Se può farti star meglio, non m'importa nulla di lei” mormorai, superandolo ed incrociando poi lo sguardo di Ivy. I suoi occhi, ora, sembravano più cupi ed il sorriso, che poco prima aveva disegnato sulle labbra, era scomparso.




 


 

Spazio autrice.

Ce la sto mettendo tutta per non tardare negli aggiornamenti: amatemi ♥
Questa volta non avevo canzoni da consigliare, ne ho cambiate troppe e non sapevo quale mettere, nel prossimo mi rifarò, promesso.

By the way, se Ivy (che per chi non lo sapesse si pronuncia 'aivy'.) pensava che i rapporti con Jason stessero migliorando, quest'ultimo le ha fatto credere il contrario verso la fine.
Ma non temete, i bei momenti arriveranno e non passerà nemmeno troppo tempo. Dovrete aspettare poco :)
Invece, per quanto riguarda quel diarietto scritto da Jason, più avanti scoprirete che contiene (niente spoiler by now ^^)

Come sempre vi ringrazio per le recensioni e aspetto di sapere che cosa ne pensate di questo capitolo.

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
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Capitolo 7
*** Capitolo 6: the abandoned one. ***




 


 

Capitolo 6: the abandoned one.

 

Ivy

 

Dopo aver sentito quelle parole uscire dalla sua bocca, smisi di sentire tutto ciò che mi circondava. I nostri sguardi erano rimasti incrociati più del dovuto e questa volta non lo considerai un bene. Senza volerlo, ero rimasta delusa dalle sue parole, non mi aspettavo che pensasse una cosa del genere.
Non sapevo praticamente nulla di Jason, non potevo nemmeno dire che fossimo amici, ma io stavo facendo del mio meglio per cercare di abbattere quel muro che lo circondava e, proprio quando pensavo di esserci quasi riuscita, ecco che le mie supposizioni vennero stravolte.
Non avrei dovuto prendermela così tanto, probabilmente c’era una ragione per la quale lo aveva detto. Probabilmente aveva reagito male alle provocazioni di Kayden, il quale era bravo a mettere in soggezione le persone, lo faceva spesso anche con me ed era una cosa che non sopportavo.
Distolsi lo sguardo da quello di Jason solo quando sentii una stretta attorno al mio polso.
Ivy, andiamo” m'incitò Marie, per poi trascinarmi verso la caffetteria, non l'avevo nemmeno vista arrivare.
La seguii senza più voltarmi, mantenni lo sguardo abbassato mentre la sua voce mi faceva da sottofondo, ma non stavo realmente ascoltando le sue parole.

Si può sapere che ti prende?” mi domandò, avvolgendo entrambe le mani attorno alla tazza di cappuccino, mentre io continuavo a girare senza sosta il cucchiaio tra il nero del caffé.
Scossi il capo, sollevando lo sguardo. “Nulla” mormorai, sperando vivamente che la sua solita curiosità non si facesse sentire.
Non ti credo” ribatté, sorseggiando lentamente il suo cappuccino. Sbuffai e la vidi dare un'occhiata all'orologio da polso. “Ma ora non abbiamo tempo per parlare, per cui, oggi dopo scuola, andiamo a farci un giro al centro commerciale e mi racconti tutto.
Stavo quasi per accettare, ma avevo un compito di biologia da terminare e – per quanto avessi preferito distrarmi tra i negozi – dovetti declinare. “Oggi non posso, ho una relazione da finire.
Questa volta fu lei a sbuffare ed istintivamente sorrisi. “Mi hai stancato con questa storia dello studio, forse ti preferivo prima.
Finsi un'espressione delusa e sconcertata e le lanciai un pezzetto della brioche al cioccolato che non avevo intenzione di finire.
Scoppiò a ridere e, dopo aver finito caffé e cappuccino, abbandonammo la caffetteria.

Percorremmo a passo lento il corridoio ormai deserto, fortunatamente quel giorno non avrei avuto biologia, per cui nessuno – o così speravo – avrebbe avuto da ridire sui miei soliti ritardi. Niente biologia significava nessuna lezione in comune con Jason, così pensavo, anche se non ero poi così sicura che non avessimo altri corsi da seguire assieme.
Marie ed io entrammo nell'aula di storia – l'unica lezione insieme ad algebra e geografia che seguivamo entrambe – mi guardai attorno e non lo vidi. Onestamente, non sapevo se esserne felice o meno, ma evitai di pensarci e la seguii in fondo all'aula, dove trovammo due banchi vicini.
La lezione non è nemmeno iniziata e so già che non riuscirò a sopportare per due ore quel tipo che parla” borbottò Marie, aprendo un quaderno ed iniziando a scarabocchiarci sopra alcuni ghirigori. Sogghignai, lanciando un'occhiataccia al professore, che fortunatamente non mi vide, e m'immersi nuovamente nei miei pensieri.

Sopportare la prima ora fu un trauma e la cosa ancor più strana fu che non persi tempo a parlare con Marie come mio solito, continuai a ripensare a quanto avvenuto poco fa in quel corridoio. Quelle parole non mi davano pace.
Trascorsero altri venti minuti e quella stanza iniziò a sembrarmi sempre più piccola. Non ne potevo più, al che mi alzai, e con la banale scusa di dover andare in bagno, uscii.
Percorsi a passo lento il corridoio, non c'era anima viva e di questo ne fui grata. Mi avvicinai al mio armadietto e, dalla borsa posata al suo interno, recuperai l'iPod e le cuffie. Richiusi l'anta e per poco non feci cadere tutto a terra. Mi posai una mano al centro del petto ed indietreggiai.
M- mi hai spaventata” balbettai, rimanendo delusa dalla persona che mi ritrovai davanti.
Scusa” mormorò Kayden, sorridendo apertamente.
Che cosa vuoi?” sbottai acida, infilandomi l'iPod in tasca ed incrociando le braccia al petto.
Perché sei tanto scontrosa? Voglio solo parlare.
Non ho voglia di parlare con te, anche perché so già quello che vuoi dirmi e la risposta è sempre la stessa.
Scosse il capo divertito e si appoggiò con la spalla contro ad un armadietto.
Ivy, tu sei troppo suscettibile e anche un po' strana.
Aggrottai le sopracciglia, sorpresa. “Perché sarei strana?
Chi è quel tipo con cui sei arrivata a scuola stamattina?
Che t'importa?” ribattei sbuffando, “Ti da fastidio?
Annuì energicamente, quasi come se ne andasse fiero.
Mi strinsi nelle spalle ed abbozzai un sorriso bastardo. “È un problema tuo. Come già sai, non sono più la tua ragazza, non hai più il diritto di avere il controllo su di me” dissi apparentemente calma, ma dentro di me sentivo crescere una fastidiosa rabbia, che ben presto mi avrebbe mandato sull'orlo di una crisi isterica.
Contrariamente a quanto pensai, se ne andò senza ribattere e rimasi immobile fino a quando non sentii il cellulare nella tasca vibrare.

Un messaggio, ricevuto da Marie.
«Ma che fine hai fatto? Devo mandare qualcuno a cercarti?
Il vecchio mi ha già chiesto due volte di te.»

Digitai velocemente una risposta e, riponendo poi il telefono in tasca, ritornai in classe.

Una volta lasciata la lezione di storia, le ore successive trascorsero rapidamente. Altrettanto veloce fu il pranzo e la lezione di algebra del pomeriggio. Algebra era la lezione che preferivo, la professoressa White era meravigliosa e mi stupivo sempre di come riuscisse a mantenere la calma anche con un'allieva senza speranza come me. Era stata l'unica ad avermi graziato alla fine dell'anno scorso, mi aveva dato una possibilità in più per passare il test e non l'avrei mai ringraziata abbastanza.
Vi avviso che lunedì ci sarà il compito in classe, per cui, per favore, studiate!
Detto ciò, fummo liberi di andare, ma prima che varcassi la soglia dell'aula, mi fermò.
Ivy, aspetta” disse e mi avvicinai alla cattedra. “Il compito di lunedì sarà difficile e non voglio che tu resti indietro già da adesso. Per cui tieni” mi porse un foglio e, prima che potessi leggerne in contenuto, riprese a parlare. “Non dovrei dartelo, ma... oh, non importa, preparati su queste cose e andrai bene.
Davvero?” sbottai sgranando gli occhi. “Grazie mille!” feci per abbracciarla, ma l'occhiata che mi lanciò bloccò i miei movimenti. “Non farne parola con nessuno, o la mia permanenza qui finirà in un batter d'occhio.
Scossi il capo velocemente. “Sarò una tomba, giuro.
Riposi quel foglio nel quaderno di algebra e lasciai l'aula, ripercorrendo il corridoio. Sorpassai la biblioteca e, nell'istante in cui feci per arrestare i miei passi, intravidi poco più avanti la figura di Jason.
Non solo aveva detto che non gli importava di me, ma aveva persino dimenticato che dovevamo fermarci a finire il compito.
Sbuffai sonoramente e a grandi falcate raggiunsi l'armadietto, recuperando la mia borsa.
Non appena Marie mi affiancò, le raccontai della breve conversazione avvenuta con Kayden, ma evitai volutamente di parlarle di Jason – che ora si trovava a pochi metri avanti a noi.
Non ti viene in mente che, se si comporta così, è solo perché ti vorrebbe di nuovo?” mi domandò, costringendomi a riportare l'attenzione su di lei.
Marie, ma da che parte stai?
Alzò le mani in segno di resa. “Sto solo dicendo che ti eviterebbe se così non fosse.
Sono io a voler evitare lui. È finita.
D'accordo, non parlo più” mormorò ridacchiando, “ci vediamo domani!
La salutai e, rimanendo a parecchi metri di distanza da Jason, lo seguii.
Superammo casa mia e rallentai notevolmente il passo, non volevo che si accorgesse di me.
Man mano che proseguii, mi lasciai alle spalle sempre più abitazioni ed iniziai a pensare che mi avesse mentito sulla via in cui viveva. Non cessava di camminare e di case, ormai, non ne vedevo più.
Tutto d'un tratto lo vidi spostarsi sulla destra e fu in quel momento che il mio sguardo si posò su di una villetta tutt'altro che viva e fiorente. Sembrava quasi una casa abbandonata da tempo, il giardino era privo d'erba e i vetri delle finestre del piano superiore erano opachi. Rimasi interdetta a fissarla, incredula del fatto che potesse davvero vivere lì.
Fortunatamente non si accorse di me, ma quello fu l'ultimo dei miei pensieri.
L'immagine di quella casa non mi era nuova eppure non riuscii a capire in quale circostanza l'avessi già vista.


 


 

Spazio Autrice

Capitolo di passaggio in cui non succede un granché, ma era davvero necessario per precedere quello che verrà dopo. Per cui, non sparite, dobbiamo ancora entrare nel vivo della storia.
Ivy ha finalmente scoperto dove vive quel simpaticone di Jason, per cui, a rigor di logica, nel prossimo capitolo potrebbe anche venirle la brillante idea di presentarsi alla sua porta, chi lo sa :)

Per quanto la scusa del 'capitolo di passaggio' dovrebbe reggere, non sono a pieno soddisfatta del capitolo, ma sto conservando il meglio di me per i prossimi, giuro.
Alcune di voi mi hanno chiesto di lasciare alcuni spoiler, per cui quando posso cercherò di accontentarvi e vi lascerò qualche frase qui sotto :)

Come sempre, ringrazio davvero tantissimo per chi  legge e dedica un po'  del suo tempo a lasciarmi una recensione, lo apprezzo moltissimo, credetemi.

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

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Spoiler:

Non ci sono i tuoi?” domandò.
No” risposi semplicemente.
E perché, dove sono?
Sono morti.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7: where are your parents? ***




 


 

Capitolo 7: where are your parents?
 


Ivy

 
Rimasi diverso tempo a decidere sul da farsi, ero davvero combattuta tra l’idea di avvicinarmi alla porta d’ingresso e bussare, oppure voltarmi e tornare a casa.
Trovarmi lì mi faceva uno strano effetto: tutto era spoglio e la via sembrava essere terminata qualche metro prima, mentre, invece, era quella casa a segnare la sua fine effettiva. Mi domandai che cosa ci fosse oltre quell’abitazione, ma era tutto troppo tetro per permettermi di saziare la mia curiosità. Non ero mai stata coraggiosa.
Posai lo sguardo al suolo, dove prima, se non altro, c’era la mia ombra a farmi compagnia, mentre ora non c’era più nemmeno quella. Sollevai il capo e vidi diverse nuvole grigie, del sole non c’era quasi più traccia e la cosa non mi piaceva per niente.
Abbandonai l’idea di bussare alla sua porta e tornai a casa, con l’intenzione di terminare da sola quella dannata relazione.
 
La mattina seguente feci ritardo come al solito, ero rimasta sveglia fino a tardi per finire quel compito e, nonostante mi fossi impegnata a pieno, non ero sicura che avrebbe potuto soddisfare uno puntiglioso come il professor Layton.
Raggiunsi la scuola quasi correndo, rallentando solo quando iniziai a percorrere il corridoio principale. Mi guardai disperatamente attorno alla ricerca di Jason, ma non lo vidi. Iniziai a pensare che non si sarebbe nemmeno presentato a scuola, ma i miei dubbi vennero chiariti quando, non appena entrai in classe, lo vidi seduto allo stesso posto di due giorni prima. Mi avvicinai a passo lento e, accorgendosi della mia presenza, sollevò lo sguardo. “Ciao” mormorò.
Deglutii e mi sedetti accanto a lui. “Ciao” lo salutai a mia volta, rimanendo stupita del fatto che fosse stato lui a salutarmi per primo.
Scusami se ieri non mi sono fermato in biblioteca.
Mi voltai quasi completamente verso di lui e scossi il capo. “Non importa” mormorai, “Ieri sera ho cercato di finire la relazione, ma non sono sicura che vada bene.” Detto ciò gli porsi ciò che avevo scritto e, pochi istanti dopo, il professore fece il suo ingresso in classe. Lo sguardo dell’uomo si posò immediatamente su di me e rimase alquanto sorpreso nel vedermi in classe prima del suo arrivo.
Prima che qualcuno inventi una banale scusa, alla quale io ovviamente non crederò, per giustificare il fatto che non avete svolto la relazione, vi informo che oggi ritirerò soltanto cinque compiti.” Detto ciò si sedette dietro la cattedra ed istintivamente sbuffai.
Ci scommetto la testa che ritirerà la nostra” mormorai, voltandomi per poco verso Jason, il quale rimase impassibile.
Il professore iniziò ad elencare i vari cognomi e, quando arrivò al quarto, evitai d’incrociare le dita come al mio solito. Prevedevo già che pronunciasse il mio e chiusi gli occhi, aspettando con ansia l’arrivo del giudizio, ma ciò non avvenne. Riaprii gli occhi e vidi un ragazzo avvicinarsi alla cattedra, intento a porgergli il foglio. Distolsi all’istante il mio sguardo, forse per paura che cambiasse idea e chiamasse anche me.
Forse dovresti pensarci due volte prima di scommettere la tua vita solo per un compito di biologia” mormorò Jason, pronunciando quella che doveva essere… una battuta? Mi voltai a guardarlo e si strinse nelle spalle, comportandosi come se non avesse nemmeno parlato, mentre io rimasi parecchio perplessa.
 
Non appena la lezione terminò, Jason lasciò il suo posto e, salutandomi con un lieve cenno del capo, uscì dall’aula. Feci per seguirlo, ma il professore mi trattenne. Alzai gli occhi al cielo prima di voltarmi verso di lui e finsi un sorriso.
Per quanto riguarda la relazione” iniziò e fu in quel momento che maledii l’istante in cui decisi di seguire il corso di biologia. Quell’uomo mi odiava a morte e mi era sembrato parecchio strano il fatto che non mi avesse chiesto il compito assieme a tutti gli altri. “Tu e il tuo compagno…” con un movimento irregolare della mano, intesi che aveva già scordato il suo nome. “Jason” intervenni e lui annuì. “La esporrete lunedì mattina davanti al resto della classe.
Il falso sorriso che avevo dipinto sulle labbra si distrusse, tramutandosi in una smorfia delusa.
Ci avrei giurato che non me l’avrebbe fatta passare liscia!
D’accordo” dissi semplicemente, prima di lasciare definitivamente l’aula.
Cos’altro avrei potuto dire?
Dal momento in cui solo io ero in possesso della relazione completa, decisi che nel pomeriggio sarei andata a casa di Jason per portargliela e, magari, avremmo potuto studiare insieme. L’idea di recarmi nuovamente in fondo alla nostra via non mi entusiasmava, tutt’altro, ma l’avrei fatto ugualmente.
 
Qualche ora più tardi…
 
 

Jason

 
Uscii da scuola quasi un’ora prima della fine delle lezioni. Qualcuno aveva fatto girare la voce che il professore di studi sociali non ci sarebbe stato, per cui seguii la massa fuori dall’edificio.
Percorsi la solita strada che mi avrebbe portato a casa, nessuno mi seguii, anche perché il quartiere abitato terminava parecchi metri prima rispetto a dove vivevo io.
Una volta dentro casa mi lasciai cadere a peso morto sul divano, questa volta non accesi la televisione e, dal momento in cui non avevo chiuso occhio la notte precedente, caddi in un sonno profondo non appena posai il capo sul bracciolo di esso.
 
C’era qualcosa che avevo sempre desiderato vedere. Qualcosa di così consueto per molte persone, ma totalmente nuovo per me.
Ho sempre pensato che si trattasse di un’immensa piscina, nulla più, ma dovetti ricredermi quando la vidi con i miei occhi. In quel momento pensai che non esistesse nulla di più bello dell’oceano, così grande, blu e libero. Sì, dava un senso di libertà.
Quella libertà che, per me, sembrava così assurda, impossibile, lontana.
Fissavo quell’immensa distesa d’acqua e sembrava che nulla, nemmeno le chiacchiere della gente che avevo attorno, potesse distrarmi. Distolsi l’attenzione solo quando sentii due mani posarsi sulle mie spalle. Mi voltai di poco, trovandomi faccia a faccia con il viso di mia madre, la quale si era inginocchiata per raggiungere la mia altezza.
“Ti piace stare qui?” mi aveva chiesto ed io avevo annuito. “Tanto.”
Era da parecchio tempo che desideravo venire qui, lontano da casa, lontano dai litigi e dalle urla che, giorno dopo giorno, affollavano la mia mente, mentre io pregavo che cessassero. Quel giorno c’eravamo solo io e lei. Lui non c’era, nemmeno nei miei pensieri.
“Spero che presto potremmo tornarci anche con papà” mormorò, stringendomi in un abbraccio, mentre io scossi lievemente il capo. Non se ne accorse, fortunatamente.
Non volevo che ci fosse anche lui, lui non c’entrava con noi. Lui non doveva esserci.
“Io vorrei tanto che lui…”
 
Mi svegliai di soprassalto, abbandonando all’istante quel divano. Il mio sguardo era perso nel vuoto ed il respiro pesante. Un rumore insistente, proveniente dall’ingresso, giunse alle mie orecchie nell’esatto istante in cui tentai di ricostruire quel sogno.
Mi avvicinai a passo lento verso la porta e quel rumore si ripeté. Abbassai la maniglia ed aprii la porta, passandomi una mano sul viso accaldato, con l’intenzione di svegliarmi del tutto.
Non appena sollevai lo sguardo mi ritrovai davanti la figura di Ivy, le labbra erano leggermente dischiuse ed i suoi occhi fissi nei miei.
Ciao” mormorò a bassa voce, stringendo ancor più saldamente al petto il quaderno che reggeva tra le braccia.
Che ci fai qui?” le domandai schietto e la vidi boccheggiare.
I- io…” balbettò e poi un tuono ruppe il silenzio. Sobbalzò e si voltò a guardare il cielo, per poi riportare lo sguardo su di me. “Prima che uscissi dall’aula di biologia, il professore mi ha detto che lunedì dovremo esporre la nostra relazione, per cui ho pensato che, se ne hai voglia, potremmo studiare insieme.
Prima ancora che riuscissi a rielaborare le sue parole, il suono di un altro tuono giunse alle nostre orecchie.
P- posso entrare?” mi domandò, “sta per piovere e, per quanto stupido possa sembrare, ho una paura folle dei temporali.
Senza rispondere, mi scostai dall’ingresso ed annuii, permettendole così di passare.
La seguii con lo sguardo mentre richiusi la porta. La vidi guardarsi attorno con aria circospetta e non seppi per quale assurda ragione avevo accolto la sua richiesta. Non volevo che qualcun altro oltre a me mettesse piede in quella casa.
La sentii deglutire mentre il suo sguardo andò ad incontrare l’oscurità che avvolgeva l’angolo accanto alla libreria.
Ma non c’è nessun altro oltre a te?” domandò dopo diversi istanti di silenzio. Scossi il capo non appena si voltò verso di me.
Non ci sono i tuoi?” domandò nuovamente, al che mi venne istintivo stringere i pugni lungo i fianchi.
No” risposi semplicemente, esalando un sospiro.
E perché, dove sono?
Aumentai la stretta e serrai le labbra. Non volevo risponderle, non volevo arrivare al punto di dirglielo, ma il suo sguardo era insistente tanto quanto lo erano state le sue domande e mi sentii quasi costretto a parlare.
Sono morti.
Sbarrò gli occhi e dischiuse le labbra, guardandomi con un’espressione colma di tristezza e senso di colpa.
M- mi dispiace” mormorò semplicemente, ma mi limitai a stringermi nelle spalle. Da quando era successo, nessuno mi aveva mai detto di sentirsi dispiaciuto, forse perché nessuno di quelli con cui avevo avuto a che fare era ignaro del fatto che io fossi il colpevole.
Lei non ne sapeva niente e avrebbe dovuto continuare a non sapere.
Com’è successo?” si azzardò a chiedere. Questo era troppo. Quelle domande erano troppe.
Non mi va di parlarne” risposi, cercando di non apparire scontroso come l’ultima volta.
Annuì semplicemente, abbassando poi lo sguardo e restando in silenzio.
Non distolsi la mia attenzione dalla sua figura nemmeno per un istante. Feci scorrere lo sguardo sul suo viso, soffermandomi più a lungo sui suoi occhi – e, solo quando si accorse che la stavo fissando, mi permise di studiarli più a fondo – erano di un azzurro acceso, quasi quanto quello del cielo e, contrariamente ai miei, lasciavano trapelare qualunque cosa provasse.
Giurai che in quel momento fosse spaventata e quel sentimento si accentuò quando un lampo squarciò il cielo, proiettando all’interno del soggiorno un breve tratto di luce ad intermittenza. Spostò rapidamente lo sguardo verso la finestra, guardando la pioggia che aveva iniziato a battere sull’asfalto con gli occhi sbarrati.
Iniziai a muovere qualche passo verso il divano ed attirai nuovamente la sua attenzione su di me.
Posso leggere quello che hai scritto alla fine?” le domandai ed annuì prontamente, sedendosi poi accanto a me sul divano. Non appena la vidi aprire il quaderno, mi spostai di poco, aumentando così la distanza che ci separava.
Se per caso non dovesse andare bene, abbiamo tempo per sistemarlo” mi disse, porgendomi il foglio.
Lo lessi rapidamente e, solo quando arrivai alla fine, aggiunsi qualche parola.
Può andare” dissi semplicemente e la vidi sorridere, ma durò poco.
Se ti chiedessi di esporla al posto mio, sarebbe troppo?” domandò poi, mordendosi il labbro inferiore e, prima che potessi ribattere, continuò. “Nel caso in cui non fosse evidente, quell’uomo mi odia e so già che entrerò nel panico.
Sospirai ed annuii appena. “D’accordo, lo farò io, ma tu non risolveresti nulla così.
Mi dedicò un’occhiata interrogativa. “Che vuoi dire?
Continuerà ad avercela con te se non t’impegni nella sua materia.
Sì, probabilmente hai ragione, ma-
Non fece in tempo a finire quella frase, perché una strana canzone la interruppe, riempiendo così anche la stanza.
Scattò in piedi ed infilò la mano nella tasca anteriore dei jeans, estraendone poi un cellulare.
 
 

Ivy

 
Lessi sul display il numero di cellulare di mia madre e, sospirando, risposi.
Hey” mormorai. Sentivo addosso lo sguardo di Jason e la cosa non fece altro che mettermi in soggezione, ma probabilmente era normale.
Ivy, dove sei? Sta piovendo a dirotto.
Sono con Marie” mentii, non mi andava di farle sapere dove fossi realmente. Con la coda dell’occhio inquadrai Jason, il quale, ora, aveva una strana espressione dipinta in viso.
La sentii sospirare e poco dopo mi domandò: ma resterai lì a dormire?
Prima di risponderle, volsi lo sguardo fuori dalla finestra. Il fatto che stesse diluviando rendeva il cielo ancor più scuro e, per di più, non avevo la più pallida idea di che ore fossero. Non vedevo orologi in quel soggiorno.
” le dissi infine, mordendomi il labbro.
D’accordo, ci vediamo domani. Detto ciò riattaccò e, una volta riposto il cellulare in tasca, mi voltai verso Jason, il quale continuava a guardarmi con cipiglio.
Per quel poco che sapevo di lui, ebbi l’idea che avrebbe rifiutato la mia richiesta senza nemmeno pensarci due volte, ma ci avrei provato.

 
 


 
Spazio Autrice

Eccomi qua, in anticipo di un giorno sulla tabella di marcia.
Ho spezzato il capitolo a metà, chiedo perdono, ma sarebbe venuto troppo lungo e ho preferito concluderlo prima che lei gli chiedesse di restare a dormire.
Chissà che cosa le dirà Jason. La farà restare oppure no? Voi che dite?
Voglio sapere che cosa dire voi :)

Come sempre vi ringrazio tantissimo per le recensioni, apprezzo un sacco chi spende qualche minuto per scrivermi che cosa ne pensa ♥
Vi chiedo di passare a leggere questa fanfiction, io l'adoro e merita davvero:
Dark Paradise
Alla prossima!
Much love,
Giulia

@Belieber4choice
on twittah and instagram                  Se avete domande, ask me.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8: I wonder if I'm allowed to ever be free. ***




 

Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.
 

Capitolo 8: I wonder if I'm allowed to ever be free.
 

 

Jason

 
Non avevo distolto lo sguardo dalla sua figura nemmeno per un attimo. Avevo ascoltato ogni parola uscita dalle sue labbra e, anche ora che si era voltata verso di me - dopo aver concluso quella conversazione telefonica - continuavo a fissarla.
Si morse il labbro inferiore ed abbassò il capo, congiungendo poi le mani.
Ti dovrei chiedere un grande favore” mormorò, riportando per un istante lo sguardo nei miei occhi. Non risposi, mi limitai a farle un lieve cenno con il capo per intimarla a continuare.
Forse oggi ti sto chiedendo davvero troppe cose, e probabilmente inizierai ad odiarmi sul serio, ma-
Ed ecco che riprese a parlare a raffica. Seguii con lo sguardo ogni singolo gesto che compirono le sue mani, si spostò i capelli dietro alle orecchie almeno quattro volte e non restò ferma sul posto nemmeno per un istante.
Dopo aver rilasciato un profondo sospiro, continuò, dicendo: “posso restare qui per questa notte?
Sbarrai gli occhi, guardandola con aria interrogativa. Nessuno mi aveva mai fatto una richiesta del genere. Solitamente la gente girava al largo da casa mia, non insisteva di certo per passarci la notte.
Chiedo troppo, non è vero?” domandò di nuovo, dal momento in cui non le avevo ancora risposto. Il suo tono di voce si era abbassato, riuscii a percepire le sue parole solo perché eravamo relativamente vicini e non c’era nessun altro rumore oltre al suono della pioggia.
Mi risultò spontanea una domanda: perché?
Feci per aprir bocca e togliermi definitivamente quel dubbio, quando mi precedette.
Se mi dirai di no, capirò. Il punto è che, come già ti ho detto, detesto i temporali. Mi spaventa parecchio l’idea di camminare sotto la pioggia e, tra le tante cose, non voglio passare il resto della serata chiusa in camera mia, da sola. Mia sorella avrà già sicuramente pensato a cosa fare e la capisco, ormai sono anni che la vedo soltanto a cena e-
D’accordo” dissi, interrompendola. Continuavo a non capire perché parlasse così tanto. Ogni occasione era buona per intavolare un discorso e portarlo avanti fino all’infinito. Non capivo tutta questa sua volta di dare aria alla bocca, ma forse era solo perché io proferivo parola raramente.
Dici davvero?” domandò sorpresa, facendo comparire un ampio sorriso sulle sue labbra.
Annuii appena e la vidi congiungere le mani davanti al viso, mentre gli occhi  le si illuminarono. Mosse qualche passo verso di me, allargando le braccia, ed istintivamente indietreggiai, fino a che non incontrai lo schienale del divano.
Deduco che non ti piacciono gli abbracci, fa lo stesso” mormorò, stringendo lievemente le labbra, per poi ritornare a sedersi sul divano.
Non sopporto il contatto fisico, tutto qui” commentai a voce bassa, perdendomi a fissare il vuoto che, man mano, diveniva sempre più scuro.
Ci furono attimi di silenzio, in cui evitai completamente di posare lo sguardo su di lei ed iniziai quasi ad abituarmi a quella quiete quando, all’improvviso, la sua voce giunse alle mie orecchie.
Non so a te, ma io inizio ad avere fame” mormorò, voltandosi completamente verso di me ed attirando le ginocchia al petto.
Potremmo farci portare una pizza” aggiunse poi.
A me non piace la pizza” ribattei freddo. Onestamente non ricordavo nemmeno da quanto tempo non ne mangiassi una, ma l’idea che qualcun altro venisse a sapere dove vivevo mi angosciava.
Sei serio?” mi chiese stranita, “sei probabilmente l’unica persona al mondo a cui non piace la pizza.
Ero anche stato l’unico sedicenne ad uccidere i propri genitori senza poi aver avuto ripensamenti, se per questo.
Non importa, ci arrangeremo con quello che hai” esclamò, alzandosi dal divano e poggiando le mani sui fianchi.
La imitai e, con un’alzata di spalle, mi diressi in cucina.
Puoi- puoi fare quello che vuoi” le dissi, dopo aver aperto diversi sportelli, tra cui il frigorifero. Si guardò attorno e, prima di afferrare qualsiasi cosa, disse: “D’accordo, vedrò che posso fare. Ora puoi andare
La guardai perplesso per qualche istante, dopodiché indietreggiai di qualche passo, fino a che non raggiunsi nuovamente il divano.
Con la coda dell’occhio osservai la sua figura muoversi avanti e indietro per la cucina e tutt’ora mi domandai per quale assurda ragione le permettessi di fare ciò che voleva.
La sua presenza non mi dava fastidio, da tre anni a questa parte era stata l’unica persona che – almeno per ora – non sembrava avere paura di me. Non l’avevo ancora inquadrata, di lei sapevo davvero poco, ero solo consapevole che fosse l’opposto di me e non sapevo se fosse un bene oppure no.
Temevo soltanto che scoprisse cose di cui avrebbe dovuto restare all’oscuro. Visto e considerato che parlava a raffica, temevo che – se mai l’avesse saputo – non avrebbe esitato a raccontarlo e non potevo permettere che ciò capitasse.
 
A distrarmi dai miei pensieri fu la sua voce e voltai di scatto il capo verso la cucina.
Premetto che non ho idea di cosa ne sia uscito, ma, non farmene una colpa, non cucino quasi mai” disse ridendo. Era appoggiata allo stipite della porta e mi guardava con aria divertita, totalmente ignara di cosa nascondessi.
Mi alzai dal divano e la raggiunsi a passo lento. Più mi avvicinavo a lei, più sentivo quel peso sul petto farsi sempre più opprimente.
Era totalmente diverso, ora, rispetto a quando la vedevo a scuola; era in casa mia, più precisamente nella stanza in cui uccisi i miei genitori e, vederla camminare sul pavimento che solo tre anni prima fu macchiato del loro sangue, mi fece rabbrividire.
Scossi il capo e scacciai quei pensieri, non dovevo dare a vedere come mi sentissi davvero. Se il mio intento era quello di dimenticare, superare e poi cancellare il passato, avrei dovuto farlo sin da subito.
Non appena posai lo sguardo sul tavolo, già apparecchiato e con quella che mi sembrava pasta adagiata nei piatti, posò entrambe le mani sulle mie spalle, spingendomi lievemente. Sobbalzai, divincolandomi dal suo tocco e sbattei contro la parete del frigorifero, facendo così cadere dalla cima di esso un vecchio vaso. Si frantumò in cocci non appena entrò a contatto con il pavimento. Per poco mi mancò.
 
“Che cosa stai facendo?” domandai, irrompendo in cucina, dove mia madre mi dava le spalle, seduta davanti al tavolo. Si voltò e mi sorrise. La guancia destra era sporca di blu e non esitai un solo istante di più prima di avvicinarmi e capire di cosa si trattasse.
Scoppiò a ridere e feci il giro del tavolo, arrampicandomi poi sulla sedia di fronte a lei.
“Ho trovato questo vecchio vaso in giardino e ho pensato di disegnarci sopra qualcosa” spiegò. Annuii distrattamente e mi concentrai a guardare ciò che aveva disegnato sopra la superficie bianca.
“Vuoi provarci anche tu?” mi chiese, porgendomi un pennello, già intinto di tempera blu.
“Certo” risposi, afferrandolo. Iniziai a far scorrere la punta del pennello sulla superficie del vaso, tracciando linee irregolari.
Tutto d’un tratto sentii la porta d’ingresso sbattere ed il pennello mi cadde dalle mani.
 
Mi dispiace” mormorò, abbassandosi ed iniziando a raccogliere i cocci. La bloccai con un gesto brusco della mano e scossi il capo. “Non è stata colpa tua.
Credevo di non aver usato un tono poi così freddo, ma dalla sua espressione capii che non era così.
Una volta raccolti tutti i cocci, ci sedemmo al tavolo e, senza proferire ulteriore parola, mangiammo.
 
Da come si comportò nelle due ore successive, capii di averla intimorita. Ora non si prendeva più la possibilità di intavolare un discorso con me, ma prestava più attenzione a quando parlare e, soprattutto, a cosa dire. Sembrava aver perso la voglia di dare fiato alla bocca e, per quanto amassi il silenzio, non mi piacque per niente.
Gettai un’occhiata all’orologio da polso, segnava quasi mezzanotte e, a giudicare dai diversi sbadigli che fece, non ero l’unico a sentirsi stanco. Posai sul tavolino di fronte al divano il libro di biologia e lei fece lo stesso con il suo quaderno.
Non aveva ancora smesso di piovere e di tanto in tanto posava lo sguardo verso la finestra, fissando la pioggia con aria spaventata. Non sapevo per quale assurdo motivo avesse così paura, a me la pioggia piaceva. Le strade si svuotavano quando pioveva, la gente si chiudeva in casa ed era in quel momento che iniziava ad essere tutto più tranquillo.
Vieni” le dissi, alzandomi dal divano ed attirando così la sua attenzione su di me. Avvicinandomi alle scale, sentii i suoi passi subito dietro di me ed iniziai a percorrere gli scalini scricchiolanti. Quel rumore era fastidioso, rendeva quella casa più tetra di quanto in realtà non fosse.
Con la coda dell’occhio la vidi guardarsi attorno non appena raggiungemmo il secondo piano. La pioggia batteva incessantemente contro al tetto ed Ivy non aveva esitato un istante di più prima di volgere lo sguardo verso il soffitto. Si strinse nelle spalle e riprese a camminare, raggiungendomi. Mi ero fermato d’innanzi all’ingresso della camera dei miei genitori. Senza che me ne accorgessi, mi persi a scrutarne l’interno. Tutto era rimasto intatto ed avvertii un brivido percorrermi la schiena.
Potrai dormire qui” mormorai, evitando di guardarla. Si avvicinò maggiormente e sporse il capo all’interno della stanza. “Sei sicuro che non ti dia fastidio?
Non mi da fastidio.
Perché altrimenti potremmo dormire in camera tua” disse poi, facendo un cenno con il capo verso la fine del corridoio, esattamente dove si trovava la mia stanza.
Potremmo?
Quel letto è troppo piccolo per dormirci in due” mormorai, sollevando il capo ed incrociando il suo sguardo.
Allora dormiamo entrambi qui.
Spostai lo sguardo sul letto matrimoniale e sul copriletto bianco che lo avvolgeva.
Dischiusi le labbra, intento a risponderle negativamente ma, anche questa volta, mi precedette.
Non voglio dormire da sola” spiegò, stringendosi nelle spalle e mordendosi il labbro inferiore.
Detestava la pioggia, detestava rimanere da sola e, da quel che avevo capito, detestava anche il silenzio: era l’esatto opposto di me.
Sospirai sonoramente, giungendo alla conclusione che – in ogni caso – l’avrebbe avuta vinta lei.
Annuii lievemente e feci qualche passo all’interno della stanza, raggiungendo poi il lato del letto che un tempo occupava mia madre. Accesi l’abat-jour mentre lei fece il giro e, quasi come se stesse aspettando il mio consenso, rimase in piedi a fissarmi fino a che non presi l’iniziativa di scostare le coperte.
La vidi posare il telefono sul comodino di mio padre, per poi sfilarsi il cardigan grigio che indossava ed appoggiandolo sul comò accanto all’armadio.
Avrei dovuto svuotarlo prima o poi quell’armadio.
La vidi portare entrambe le mani sull’orlo dei jeans, ma fermò i suoi movimenti quando si accorse che la stavo fissando. “Forse è il caso che questi li tenga” mormorò poco dopo, ma la ignorai.
Il top che indossava era veramente corto, le lasciava scoperta parte della pancia ed i fori per le braccia erano più larghi del normale, tanto che lasciavano intravedere senza fatica la stoffa del reggiseno.
Nel frattempo che io mi tolsi la felpa – rimanendo così solo in maglietta – Ivy si sfilò le scarpe e si sedette a gambe incrociate sul letto.
Grazie davvero per avermi fatta restare” disse poi e, quando mi voltai per guardarla, stava sorridendo.
Prego” risposi atono, sdraiandomi dalla mia parte e stando ben attento a mantenere una certa distanza da lei. Spensi la luce e la stanza calò nuovamente nel buio più totale.
Sospirai profondamente e chiusi gli occhi, sebbene nessuno dei due proferì parola, mi sentii a disagio nel percepire il suono dei suoi respiri.
Il fatto di non essere solo, di vivere quel lasso di tempo con l’angoscia che avrebbe potuto scoprire chi fossi realmente, mi spaventava. Detestavo essere costretto a vivere la mia vita intrappolato in quell’incubo.
Se non avessi avuto quel tremendo pregresso, non sarei stato così freddo con lei e con chiunque cercasse di avere un contatto con me.
Ma non ero libero. Non mi sentivo libero di permettere a qualcuno di scavarmi dentro e cercare di capire che cosa provassi.
Erano anni che mi chiedevo se sarei mai stato libero da tutto questo.




 


 

Spazio Autrice

Non sono in ritardo, vero?
Ho fatto del mio meglio per cercare di finire il capitolo ad un orario decente perché - cosa che mi fa strapiacere - vedo che la storia v'interessa, per cui lo apprezzo e cerco di fare il possibile per aggiornare costantemente.
Detto questo e parlando del capitolo, non iniziate a pensare che Jason stia cambiando, che stia anche solo pensando di condividere qualcosa con lei, perché è davvero troppo presto e - visti i capitoli precedenti - sappiamo che tipo è.
Non sapete ancora molto di Ivy, né tanto meno perché abbia questa strana ossessione per i temporali, ma a breve saprete anche questo. Dico solo che è una cosa legata al suo passato.

Non aggiungo altro e aspetto di leggere le vostre recensioni, sono curiosa di sapere che cosa pensate del capitolo, voglio sapere come vi aspettate che sia il prossimo e... insomma, tutto. :)

Ogni volta che posso, scriverò qualche piccolo spoiler alla fine delle note, quindi controllate sempre in basso ;) 
(Federica, tu non leggere.)


Alla prossima!
Much love,
Giulia 

@Belieber4choice
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Spoiler:

È un tatuaggio quello?” mi domandò.
” le dissi, abbassando lo sguardo verso il punto che stava fissando.
Posso vederlo?

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Capitolo 10
*** Capitolo 9: trouble sleeping. ***




 

Vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.
 

Capitolo 9: trouble sleeping.
 

Jason

 
Ero abbastanza sicuro del fatto che Ivy dormisse. Era già trascorsa un’ora, o forse due, dall’ultima volta che la sentii parlare. Spostai lievemente il capo verso di lei: era sdraiata su un fianco, rivolta verso di me, il viso era rilassato e di poco illuminato dalla luce esterna, ciò mi permise di studiarne meglio i lineamenti. Era bella, non potevo negarlo, sembrava davvero innocente – e sicuramente lo era davvero – al contrario di me. Era ignara di chi avesse accanto ed era certamente per questo che stava provando a fidarsi di me. Ogni gesto che aveva compiuto fino a poco fa, mi era sembrato così naturale, spontaneo, non aveva paura di sbagliare, solo la mia reazione l’aveva fermata.
Pioveva ancora e, quando improvvisamente tuonò, la vidi sobbalzare leggermente, per poi stringere attorno a sé le lenzuola. Scossi il capo e le diedi le spalle, sprofondando poco dopo in un sonno profondo.
 
Il vento fischiava così forte quella sera e pioveva. Pioveva tanto.
Era quasi mezzanotte quando rientrai a casa. Aprii lentamente la porta di casa, l’interno era buio, fatta eccezione per uno spiraglio di luce proveniente dalla cucina, la cui porta era socchiusa. Sapevo che non sarei dovuto tornare così tardi, ma non me n’ero preoccupato.
Nell’istante in cui mossi qualche passo, con l’intenzione di raggiungere le scale e chiudermi in camera mia, quella porta si aprì ed incrociai lo sguardo severo di  mio padre.
Deglutii sonoramente ed indietreggiai, ma quando parlò mi bloccai.
“Dove sei stato?”
Esitai qualche istante prima di rispondere. “Fuori” dissi infine, non riuscendo a distogliere lo sguardo dal suo.
“Hai idea di che ore siano?”
Non risposi, spostai momentaneamente lo sguardo verso la rampa di scale, dove accanto ad esse vi era appeso un orologio e colsi l’occasione per cercare di capire se mia madre fosse in casa oppure no.
“Ovviamente no” mi precedette. “Ti avevo detto di rientrare due ore fa.”
A lui non importava davvero il fatto che rientrassi all’orario prestabilito, quella sarebbe stata solo l’ennesima scusa per mettermi le mani addosso.
“Credi davvero che, solo per il fatto che ora hai quindici anni, tu possa fare quello che vuoi?” gridò e chiusi gli occhi non appena lo vidi avvicinarsi velocemente a me.
Sentii la sua stretta attorno al mio collo e, man mano che i secondi passavano, si faceva sempre più forte.
 
Jason?
Jason, è tutto okay?” sentii per la seconda volta una voce dolce, sottile. Una mano era poggiata sulla mia spalla e tutt’ora la scuoteva energicamente.
Riaprii gli occhi e di scatto mi misi a sedere. Mi passai una mano sul viso, la fronte era madida di sudore ed il respiro era più affannoso che mai. Mi voltai di scatto a sinistra e poi a destra, incrociando così lo sguardo preoccupato di Ivy.
Va tutto bene?” domandò nuovamente, cercando di mantenere un contatto visivo con i miei occhi. La stanza era avvolta dal buio ed era difficile delineare il profilo degli oggetti o, in quel caso, delle persone. Annuii appena e mi lasciai cadere nuovamente contro il cuscino, cercando di regolarizzare il mio respiro.
Come mai sei sveglia?” le chiesi e si sdraiò poi accanto a me.
Inizialmente mi ero svegliata per via della pioggia, non ha ancora smesso e ha iniziato a sbattere violentemente contro i vetri. Poi ho visto che continuavi a muoverti e ti ho svegliato” spiegò, distogliendo momentaneamente lo sguardo dal mio.
Feci per aprir bocca, quando la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie, così rimasi in silenzio.
Stavi sognando qualcosa di brutto?
Sospirai sonoramente, rivivendo per un istante le immagini che poco prima affollavano la mia mente.
Credo di sì, ma non me lo ricordo già più” mentii, eppure ero certo che quello non fosse stato solo un sogno. Tempo fa avevo vissuto una scena del genere, ma era tutto talmente offuscato che lo dimenticai.
Posso sapere perché la pioggia ti spaventa tanto?” le domandai subito dopo, evitandole così qualsiasi tentativo di pormi domande.
Questa volta fu lei a sospirare ed esitò diversi istanti prima di rispondermi. Probabilmente ciò le avrebbe riportato alla mente un brutto ricordo e non avrei insistito qualora decidesse di lasciarmi all’oscuro di tutto.
È successo tutto molti anni fa, ero piccola, ma me lo ricordo bene” mormorò, sospirando di nuovo. Il suo viso era solo un profilo scuro nel chiarore di quella flebile luce lunare, ma potei facilmente intuire che non le faceva piacere raccontarlo. Avrebbe anche potuto mantenere il silenzio, d’altronde lo facevo spesso anche io.
I miei genitori, come ogni domenica pomeriggio, accompagnarono me e mia sorella al parco. Avevamo iniziato a giocare e ci stavamo rincorrendo, quando di punto in bianco il cielo si annuvolò ed iniziò a piovere” spiegò, voltandosi verso la finestra e concentrandosi a fissare le gocce d’acqua che sbattevano incessantemente contro al vetro. “Nonostante mia madre continuasse a chiamarci, la ignorammo e mia sorella mi strappò di mano il coniglietto di pezza dalla quale non mi separavo mai. Per cui la rincorsi e non mi fermai nemmeno quando la pioggia divenne più incessante. Improvvisamente mia sorella si avvicinò ad un albero, le cui foglie erano già appassite in quanto era autunno inoltrato, e così la seguii.
Per tutto il tempo non aveva distolto lo sguardo dalla finestra e poco dopo si mise a sedere, appoggiando la schiena alla testiera del letto. La imitai, senza mai toglierle gli occhi di dosso.
Piovve sempre più forte, nell’arco di una decina di minuti il terreno divenne fangoso e diversi tuoni ruppero l’aria. Entrambe ci avvicinammo sempre più al tronco dell’albero, con l’intento di ripararci. Ma non andò esattamente così.
Il suo tono di voce andò via via abbassandosi e volse lo sguardo nel vuoto avanti a sé.
Alcuni lampi squarciarono il cielo e uno di essi colpì la cima dell’albero sotto alla quale ci trovavamo noi. Non era un albero molto alto ed impiegò ben poco prima d’incendiarsi. Ci voltammo di scatto dopo aver visto di striscio quella scintilla: il tronco era in fiamme, così come parte del pupazzo che mia sorella teneva in mano. Gridò, lasciandolo cadere a terra, e mi prese per mano, trascinandomi lontano da lì” concluse, voltandosi poi verso di me.
Ecco perché non sopporto l’idea di dover stare sotto alla pioggia. So che ormai sono passati tanti anni, ma quel ricordo è ancora vivo dentro di me e mi spaventa.
Capisco” dissi semplicemente e la capivo davvero. Nemmeno io ero mai stato bravo a dimenticare o a lasciarmi scivolare addosso certi ricordi.
Seguirono diversi istanti di silenzio in cui i nostri sguardi rimasero intrecciati. Sebbene fosse difficile poter scorgere quelle sue iridi azzurre, notai un lieve luccichio nei suoi occhi. Scosse il capo e capii che stava sorridendo. “Basta, non parliamone più” disse semplicemente e così accadde.
 
 
La mattina seguente, quando riaprii gli occhi, c’era veramente troppo poco spazio a dividerci. Quando spostai lo sguardo verso di lei, notai il suo viso sfiorarmi la spalla, alcune ciocche di capelli le coprivano gli occhi ed il suo respiro mi solleticava la pelle.
Scostai le coperte e mi allontanai di poco, in modo da annullare del tutto quel contatto, e, esattamente come temevo, si svegliò.
Ora che aveva smesso di piovere e che la luce del sole invadeva del tutto quella stanza, sembrava decisamente più felice.
Se solo fosse stato così semplice anche per me.
Mi sorrise ed i nostri sguardi s’incrociarono.
Quel contatto visivo durò poco, nell’istante successivo abbassò lo sguardo e cercai di capire cosa stesse guardando.
È un tatuaggio quello?” mi domandò.
La maglietta bianca che indossavo si era sollevata di poco, lasciando scoperta una piccola parte del tatuaggio che avevo sul lato sinistro della vita.
” le dissi, abbassando lo sguardo verso il punto che stava fissando.
Posso vederlo?
Sospirai ed infine annuii, scoprendo buona parte della pancia.
Fissò per diversi secondi il piccolo disegno inciso sulla sua pelle, probabilmente senza capire a fondo di che cosa si trattasse.
Che significato ha?” domandò.
È un gabbiano e significa libertà” spiegai. Non era il solo tatuaggio che avevo, ma era quello che per me aveva più valore. Era stato il primo e tutt’ora quello a cui tenevo di più. Non ero mai stato realmente libero, ma ero certo che prima o poi lo sarei stato.
Ero così assorto nei miei pensieri che quasi non mi accorsi che il suo indice stava per tracciare il contorno di quel disegno. Sobbalzai involontariamente quando mi sfiorò e sollevò il capo. Il suo sguardo sembrava quasi spaventato e non volevo che si ripetesse l’accaduto della sera prima.
Hai le mani fredde” mormorai, quasi a voler trovare una spiegazione,  e poco dopo abbozzò un sorriso, ritirando la mano.
Scusa” disse poi.
 
 
 

Ivy

 
C’erano così tante domande che avrei voluto porgli, così tante cose che avrei voluto sapere su di lui, ma non ebbi il coraggio di chiedere altro.
Probabilmente ci sarebbe voluto molto più tempo di quel che immaginai. Volevo davvero diventare sua amica, m’ispirava fiducia – e non accadeva con tutte le persone – ma, evidentemente, la cosa non era reciproca.
Non avrei voluto andarmene quella mattina, non avrei voluto ritornare a casa, stranamente stavo bene lì con lui.
Nonostante stessi quasi per spogliarmi davanti a lui, non aveva cercato di mettermi le mani addosso come, invece, aveva fatto Kayden. Jason era tutto l’opposto di Kayden e questa cosa mi piaceva.
Kayden era sempre stato facile da capire, Jason no.
Jason era… diverso.
Sebbene non parlasse molto, capii che era profondo e non superficiale, per questo non avevo alcuna intenzione di lasciarlo andare.





 


 

Spazio autrice.

Sono in ritardo, lo so.
Chiedo perdono, soprattutto perché alla fine non succede un granché, ma preferivo concentrarlo solo su 'quella notte', ecco.
Il prossimo, molto probabilmente (dico così solo per non spoilerare), sarà più movimentato, ritornerà in scena l'ex di Ivy e...
No, nulla, non continuo :)

Vi ringrazio veramente tanto per le recensioni e per i complimenti, siete davvero tutte dolcissime.
Ci tengo molto a sapere che cosa ne pensate del capitolo e della storia in generale, per cui non vedo l'ora di leggere i vostri pareri ♥

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
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Capitolo 11
*** Capitolo 10: help me to escape from myself. ***




 

 

Capitolo 10: help me to escape from myself.
 

Jason

 

Durante i due giorni successivi non uscii di casa e commisi un errore. Avevo permesso alla solitudine, al buio della notte e soprattutto ai ricordi d’insidiarsi negli spazi più reconditi della mente, senza lasciarmi tregua. Mi ero ritagliato solo un piccolo lasso di tempo per inquadrare finalmente la figura di quella ragazza. Non ero riuscito ad allontanare ogni cosa – d’altronde ero certo che non ce l’avrei mai fatta – ma, in piccola parte, qualcosa era cambiato. La sua presenza aveva in qualche modo fatto sì che quei frammenti del passato si ammorbidissero, facendo così meno male.

Ma ora tutto era piombato nell’oblio, quasi come se nulla fosse successo, quasi come se fossi sempre stato chiuso tra quelle quattro mura, quasi come se non avessi vissuto.

Mi avvicinai alla libreria e sfilai quel diario dalla copertina nera, lo rigirai tra le mani senza aprirlo e tornai a sedermi sul divano. Solo allora lo sfogliai, fino a raggiungere l’ultima pagina, scritta poco più di tre anni fa. Presi la penna ed iniziai a sporcare nuovamente d’inchiostro quelle pagine giallastre. In alto a destra scrissi la data del primo giorno che trascorsi dentro a quell’istituto per malati mentali: la ricordavo alla perfezione, ricordavo tutto alla perfezione.

 

6 dicembre 2010

 

Percorsi gli spogli ed immensi corridoi di quell’edificio privo di vita, spoglio, bianco, scortato da due persone che rispecchiavano a pieno il posto in cui si trovavano. Scappare sarebbe stato impossibile e non l’avrei comunque fatto. Non avevo paura, non provavo più paura da quando colpii mio padre alle spalle e sentii in seguito il tonfo sordo del suo corpo accasciarsi al suolo. Da quel momento in poi, la paura che provavo per lui era svanita, per cui decisi che non avrei più avuto paura di nient’altro. Non avrei avuto paura d’incrociare lo sguardo terrorizzato di mia madre, perché oramai era morta anche lei. Non avevo paura di niente. Non provavo niente.

Mi sentivo vuoto, privo di vita come il colore bianco che ricopriva quelle pareti, insensato come la pioggia che, imperterrita, continua a riempire un vaso di terracotta già stracolmo.

Camminai fino a che non mi ordinarono di entrare in una stanza che, all’apparenza, assomigliava tanto a quelle di un ospedale, ma che in realtà racchiudeva una prigione. La mia prigione. Anzi, la nostra, perché non sarei stato solo. Di due letti, uno era occupato da un ragazzo che avrà avuto circa la mia età, o forse più grande di poco. Solo a guardarlo mi metteva soggezione, ma non m’importava.

Quando la porta si chiuse, provocando così un suono metallico, sollevò lo sguardo e mi studiò per poco, poi iniziò a parlare. Parlò di tante cose, ma nessuna di esse aveva un senso. Parlò così tanto che imparai a memoria il suono della voce, ma volevo ignorarlo, non avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Non avevo bisogno di nessuno e così finsi di non ascoltarlo.

 

9 dicembre 2010

 

Quel pazzo doveva essersi stancato di venire ignorato, così decise d’inveirmi contro. Alzò sempre più la voce, forse pensando che fossi sordo o che avessi un paio di cuffie nelle orecchie e che stessi ascoltando musica a tutto volume.

No, avevo smesso di ascoltare la musica da tempo.

Quando capì che lo stavo semplicemente ignorando, se fosse stato possibile, si arrabbiò ancora di più e mi spinse contro il muro, premendo la sua mano contro al mio collo e bloccandomi quasi il respiro. Chiusi gli occhi, ma tutto ciò che riuscii a vedere fu lo stesso gesto compiuto da mio padre quasi un anno prima. Li riaprii, focalizzando nuovamente la figura di quel ragazzo, ma non mi mossi. Non seppi perché non mi mossi, mi ero sempre limitato a subire senza mai reagire e, quando l’avevo fatto, avevo posto fine alla vita di coloro che mi avevano messo al mondo.

Nell’istante in cui temetti di perdere coscienza, qualcuno irruppe nella stanza e allontanò il pazzo da me. Credevo gli inveissero contro, credevo lo punissero, invece tutto questo capitò a me.

La sera stessa mi ritrovai a dover percorrere altri lunghi corridoi, i quali portavano sicuramente ad un’ala molto più recondita dell’edificio, tanto che a stento potei sentire le voci del resto delle persone. Mi ritrovai in una stanza da solo, completamente isolato, dove a stento si udivano rumori.

 

 

Posai la pena accanto al diario e sospirai. Ad ogni parola che scrivevo, rivivevo un ricordo legato a quei giorni rinchiuso in quella stanza. Più ripensavo a tutto ciò, più mi sentii soffocare, ma il bisogno di scrivere su carta tutti quei ricordi era impellente, vitale. Mi passai una mano sul viso e sbadigliai, non avevo idea di che ore fossero, ma nell’istante in cui posai nuovamente la penna sul foglio, un lieve spiraglio di luce attraversò la stanza. Realizzai solo allora di aver trascorso tutta la notte sveglio, ma per me non era una novità, ero abituato.

 

Raggiunsi la scuola appena prima che la campanella suonasse l’inizio delle lezioni, incrociai gli sguardi di decine e decine di ragazzi e ragazze, ma non il suo.

 

 

Ivy

 

Avrei tanto voluto trovare un pretesto per ripresentarmi a casa sua durante il weekend, ma non trovai nemmeno la scusa più banale e, per di più, avrei dovuto studiare quella dannata relazione di biologia. Mi pentii di non essermi ricordata prima di chiedergli il numero di cellulare, ma mi ripromisi di farlo a scuola, non appena l’avrei rivisto.

 

Il lunedì seguente fui come sempre in ritardo, ma non per causa mia. Ero talmente assorta nei pensieri da non essermi accorta della presenza di qualcuno alle mie spalle. Il mio passo non era veloce, per cui non gli fu difficile raggiungermi.

Hey” esclamò Kayden, piombandomi accanto, e sobbalzai. “Ciao” mormorai atona, notevolmente delusa nel trovarmelo lì.

Fingerò che il tuo essere così scontrosa sia dovuto al fatto che oggi è lunedì e la tua voglia di andare a scuola è pari a zero” disse poi, sforzandosi di sorridere.

Oh, fidati, questa volta non c’entra il fatto che io detesti andare a scuola” ribattei beffarda.

Lo sentii sospirare e si fermò, ma io non lo imitai.

Ivy, aspetta.

Alzai gli occhi al cielo e mi voltai. “Che altro vuoi?” sbottai scocciata.

Tralasciando il fatto che non ho ancora capito per quale assurda ragione tu mi abbia mollato, a differenza tua voglio cercare di sistemare le cose tra di noi, per cui-

Lo interruppi, alzandogli la mano davanti al viso, e dissi: “Kayden, non c’è davvero nulla da sistemare e, per quanto riguarda i motivi che mi hanno spinto a farla finita con te, credo di averteli già elencati tempo fa.

Si rabbuiò di colpo, ma non avevo alcuna intenzione di cedere e mantenni la mia espressione seria.

Scosse il capo, probabilmente cercando di dimenticare quanto avevo appena detto e sicuramente era così: ignorava qualsiasi cosa dicessi che non andasse a genio a lui. Non mi ascoltava, non l’aveva mai fatto, il suo unico interesse era quello di sovrastare la mia voce con la sua, rendendomi così invisibile ed insignificante.

Probabilmente te ne sarai dimenticata, ma tra due settimane ci sarà il ballo d’inizio anno e vorrei andarci con te.

Sbarrai gli occhi, sia perché me n’ero completamente dimenticata, sia per la sua assurda richiesta.

Mi dispiace smontarti l’entusiasmo,” mentii, “ma non verrò con te a quel ballo.

Questa volta fu lui a rimanere stupito dalle mie parole e poco dopo strinse le labbra in una linea dura, quasi fulminandomi con lo sguardo.

Ci andrai con qualcun altro?” domandò con tono pungente. Incrociai le braccia al petto ed annuii energicamente. “” mentii di nuovo, assumendo quanta più sicurezza potei.

Con chi?

La cosa non ti riguarda” lo zittii, voltandomi e riprendendo a camminare.

Ignorai le imprecazioni che man mano uscirono dalle sue labbra, solo le ultime parole mi fecero sobbalzare.

Ci vai con quel tipo, non è vero?” Arrestai i miei passi, ma non mi voltai.

Se fossi in te starei attenta, non sembra troppo raccomandabile.

Nemmeno tu lo sei, ma ti ho dato comunque una possibilità” conclusi, riprendendo a camminare con passo affrettato e lasciandolo più perplesso ed arrabbiato di prima.

Non diedi peso alle sue parole, sapevo che il suo unico interesse era quello di spaventarmi e di fare in modo che non mi fidassi di nessuno se non di lui. Ma le cose erano cambiate e se c’era una persona di cui non mi fidavo affatto era proprio Kayden.

Quando raggiunsi il corridoio principale, non c’era più anima viva e, come se non bastasse, alla prima ora avrei avuto la lezione di biologia.

Spalancai la porta dell’aula, attirando immediatamente tutti gli sguardi su di me, compreso quello di Jason e quello irato del professore.

Abbassai il capo in segno di scuse e, dopo aver biascicato un flebile ‘buongiorno, scusi per il ritardo’, mi sedetti accanto a Jason.

Tirai fuori dalla borsa il foglio della relazione e tentai di stenderlo al meglio, in modo da eliminare le pieghe. Nel frattempo sentivo lo sguardo di Jason addosso ed istintivamente sorrisi.

Sarei davvero tentato di continuare con il programma, ma prima…” il professore fece una pausa, fingendo di scorrere sul registro l’elenco degli studenti presenti in quell’aula, ma sapevo che lo faceva solo per mettermi angoscia.

Volevo giusto interrogare qualcuno sulla relazione che vi ho assegnato la scorsa settimana” continuò poi.

Un nome a caso…” mormorai io a bassa voce, lanciando un’occhiata disperata verso Jason.

Ivyann Wayner, vuoi iniziare tu?” domandò, assumendo un’espressione decisamente divertita.

Ho altra scelta?” ribattei, ma lui divenne improvvisamente serio e scosse il capo, intimandomi di non perdere altro tempo.

Andrai bene,” mi sussurrò Jason prima che mi alzassi ed abbozzai un sorriso.

 

Temetti il peggio, le domande più assurde e bastarde che solitamente riservava per me, ma non accadde niente di tutto questo. Mi lasciò la possibilità di esporre quella relazione senza interrompermi e probabilmente si stupì persino lui del voto che mi assegnò.

Com’è andata?” mi domandò Jason non appena lasciammo l’aula di biologia.

B. Mi ha dato una B!” risposi, con tono di voce notevolmente elevato. Per la prima volta in due anni ero riuscita a prendere una sufficienza in quella dannata materia e ancora non mi sembrava vero. “Questo giorno è da segnare sul calendario, forse questa è la volta buona che non mi boccia.

Sei stata brava” ribatté lui, distogliendo momentaneamente lo sguardo dal mio.

Grazie, ma è stato merito tuo. Non avrei mai scritto la relazione senza di te.

Lo vidi dischiudere le labbra, intento a dire qualcosa, ma, quando mi accorsi dell’orario, imprecai. “Cazzo, sono in ritardo!

Mi guardò torvo senza capire. “Ho un compito di matematica tra… esattamente un minuto e mezzo. Ci vediamo dopo le lezioni!” lo salutai velocemente ed iniziai a correre lungo il corridoio, evitando a malapena il resto dei ragazzi che camminava nella direzione opposta alla mia.

 

 

Jason

 

Quel giorno avevamo in comune soltanto la lezione di biologia, dopodiché non la vidi più.

Quando le lezioni terminarono, percorsi il grande corridoio che portava all'uscita, ma prima che potessi lasciare definitivamente l'edificio, venni bloccato da qualcuno. Mi posò una mano sulla spalla, ma non assomigliò per niente al tocco delicato di Ivy qualche sera prima, tutt'altro. Sussultai e mi voltai, incrociando lo sguardo arrabbiato di quel ragazzo, lo stesso che mi odiava a morte solo perché mi aveva visto un paio di volte assieme a lei: Kayden.

Credo che con te le parole siano superflue,” mi disse, assottigliando lo sguardo a due fessure. “Ti avevo detto di stare lontano da Ivy, ma non mi hai ascoltato.

Rimasi impassibile ed incrociai le braccia al petto. “Quindi?” mi limitai a dire, facendolo innervosire ancora di più.

Mi aspettavo una sua risposta, mi aspettavo – onestamente – una minaccia o qualcosa del genere, ma tutto ciò che ricevetti fu un pugno sulla gota sinistra. Voltai di scatto il capo, attirando su di noi gli sguardi dei presenti.

Quindi mi costringi ad usare le maniere forti, sfigato.

Non ho paura” ribattei atono. Non avevo paura di lui e, nonostante avvertissi dolore alla parte sinistra del viso, non ebbi il timore di essere colpito di nuovo.

Lo vidi stringere i pugni lungo i fianchi e si avvicinò maggiormente a me. Fece per colpirmi di nuovo ed istintivamente chiusi gli occhi.

Poco dopo sentii una stretta alla mia mano ed inquadrai di sfuggita la figura di Ivy. Senza pensarci, la seguii ed iniziammo a correre per il corridoio, urtando la maggior parte dei ragazzi che, invece, camminavano nel senso opposto al nostro.

Si voltò, ma il suo sguardo andò oltre la mia figura, così la imitai ed intravidi Kayden seguirci.

Aumentammo il passo e svoltammo a sinistra, imboccando un altro corridoio, questa volta più deserto.

Corremmo fino a che non s'intrufolò in un piccolo spazio tra il bordo dell'ultimo armadietto ed il muro. Ci appoggiammo alla parete in metallo e tentammo di riprendere un respiro regolare, facendo attenzione ad emettere il più lieve suono possibile.

Mi dispiace che ti abbia colpito” mormorò, posando lo sguardo su di me. Fece per sfiorarmi la gota, ma ritrasse la mano subito dopo.

Non è nulla” le dissi, ma mi zittii nell'istante in cui udii un suono di passi avvicinarsi sempre più a noi. Mi superò e ci scambiammo così le posizioni, si sporse di poco, ma si ritrasse quasi subito. “Non lo sopporto” sbuffò, ma non prestai attenzione alle sue parole, mi limitai a fissarla e subito dopo lei fece lo stesso, permettendomi così d'incrociare il suo sguardo.

Il suono di passi sembrò svanire e la vidi sorridere. Sentivo il suo respiro addosso, eravamo così vicini che fu impossibile non sfiorarla, ma questa volta non mi diede fastidio.

Involontariamente irrigidii il braccio che era a contatto con il suo e se ne accorse.

Lo so che non sopporti il contatto fisico, ma se indietreggio un altro po' ci scoprirà” mormorò con un tono di scuse, ma scossi il capo, sperando di allontanare quel suo pensiero.

Mi dispiace davvero che Kayden ti abbia preso di mira, la colpa è solo mia, ma non so che cosa potrei fare.

Vuole solo che io ti stia lontano” le dissi riluttante.

È quello che hai intenzione di fare?” mi domandò, prendendomi alla sprovvista.

Dai suoi occhi trapelava tristezza, mista ad un piccolo accenno di speranza che lo negassi. Conoscevo quel tipo di sguardo e non si addiceva per niente ai suoi occhi. Volevo smetterla di guardarli, ma non c'era altro su cui potessi posare lo sguardo.

Senza pensarci troppo, la strinsi a me e poggiai il mento sulla sua spalla, chiudendo immediatamente gli occhi.

Esitò qualche istante prima di allacciare le braccia attorno alla mia vita e, quando lo fece, il suo tocco fu appena percettibile.

Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e mi allontanai di poco, sciogliendo quell'abbraccio. Curvò gli angoli della bocca verso l'alto, ma non riuscii a fare lo stesso.

Avevo smesso di avere paura da tempo ormai, ma non avevo mai considerato l'ipotesi di essere quasi terrorizzato all'idea che qualcuno sapesse ciò che avevo fatto. Non volevo che Ivy lo scoprisse, perché ero certo che avrebbe avuto paura di me. Esattamente come tutti gli altri.




 


 

Spazio Autrice

Temevo di non riuscire ad aggiornare stasera, ma sto facendo una corsa contro il tempo per non tardare ancora (infatti, purtroppo, potrò rispondere alle recensioni soltanto domani.)
By the way, ho notato (con piacere) che preferite i capitoli lunghi, per cui mi sono lasciata andare e ho fatto un capitolo un po' più corposo e d'ora in poi farò in modo che sia così :)
Ah, non ho sbagliato a scrivere il modo in cui il professore chiama Ivy, quello è il suo nome per intero, Ivy è soltanto l'abbreviativo.

Okay, rullo di tamburi: Jason ha finalmente mostrato un segno che non fosse freddezza nei confronti di quella ragazza e, nonostante non possa spoilerare, nel prossimo capitolo ci sarà qualcosina di più ;)

Come sempre ringrazio e apprezzo moltissimo chi ha lasciato una recensione, non sapete quando mi rende felice vedere che la storia vi piaccia, sul serio. Noto che anche i preferiti stanno aumentando, per cui vi ringrazio col cuore. 


Alla prossima!
Much love,
Giulia 

@Belieber4choice
 on twittah and instagram                  Se avete domande, ask me.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11: the experts say I'm delirious. ***




 

 

Capitolo 11: the experts say I'm delirious.
 

Jason

 

Distolsi lo sguardo dal suo solo quando udii nuovamente un suono di passi. M’irrigidii all’istante ed Ivy si sporse di poco oltre il profilo degli armadietti, ritraendosi quasi immediatamente. “Merda” imprecò sottovoce, “sta venendo qui.
Sbarrai gli occhi e si voltò nuovamente verso di me, ma il suo sguardo non sembrava affatto preoccupato, tanto che qualche istante dopo scoppiò a ridere.
Sto scherzando, era solo il bidello. La via è libera” mi rassicurò subito dopo, mantenendo viva sul volto quell’espressione divertita.
Emisi un sospiro di sollievo e la seguii poi lungo il corridoio.
Comunque non sono sicura del fatto che se ne sia andato. Potrebbe essere ancora fuori da scuola, dovremo correre probabilmente.
Acconsentii, ma rimasi in silenzio. Poco dopo raggiungemmo l’uscita e, esattamente come aveva dubitato lei, a pochi metri da noi, nel bel mezzo del piazzale, vi era un gruppo di ragazzi, intenti a fumare una sigaretta e a parlare tra di loro. Notai Kayden, il quale, non appena si accorse della nostra presenza, sollevò il capo verso la nostra direzione. Ivy, la quale era leggermente più avanti di me, s’irrigidii e Kayden la guardò con un ghigno dipinto sulle labbra. Iniziò a muovere qualche passo verso di noi, ma, prima che potessi pensare sul da farsi, sentii la stretta della sua mano attorno alla mia, seguita da una rapida occhiata da parte sua. Avvertii un brivido lungo il braccio, ma fui costretto ad accantonare quella sensazione quando iniziò a trascinarmi giù per la scalinata, per poi velocizzare sin da subito il passo, sino a che non ci ritrovammo a correre come dei forsennati.
Inquadrai lo sguardo di Kayden non appena lo superammo, era vivo di rabbia e, molto probabilmente, di gelosia. Ivy lo ignorò, preoccupandosi solo di correre.
Non hai la macchina?” domandai speranzoso, cercando di sprecare meno fiato possibile.
No,” ansimò, “dovremo farcela a piedi fino a casa tua.
A casa mia?
Corrugai la fronte e rallentai, lei fece lo stesso e si voltò a guardarmi, ma l’attenzione le cadde oltre la mia figura. Capii di avere qualcuno alle spalle dalla sua espressione leggermente più preoccupaata. Riprese a correre e fui costretto a seguirla, la sua mano era ancora stretta attorno alla mia e, a mia volta, gliela strinsi, aumentando il contatto.
Dobbiamo correre più forte. Lui non sa dove abiti e deve continuare a restarne all’oscuro.
Annuii alle sue parole, sebbene non potesse vedermi, ed aumentammo la velocità.
Ero intenzionato quanto lei – se non di più – a fare in modo che nessun altro sapesse dove abitavo.
 
Non appena mi accorsi di aver superato la casa di Ivy, mi voltai, ma non vidi nessuno alle nostre spalle.
Non ci sta più seguendo” dissi, sperando così di far cessare quella corsa. Ivy rallentò il passo e si voltò, respirando affannosamente.
Invece sì” ribatté qualche secondo dopo, indicando un punto indefinito avanti a sé. Dal fondo della strada comparve una macchina color argento e non esitammo un solo secondo di più prima di riprendere la fuga.
Corremmo a perdifiato per quelle poche centinaia di metri che ci separavano da casa mia, ad ogni passo sentivo le forze venir meno ed il respiro si faceva sempre più pesante, ma entrambi resistemmo.
Estrassi dalla tasca dei jeans le chiavi di casa e, non appena raggiunsi la porta d’ingresso, cercai di aprirla nel minor tempo possibile, ma la mia mano era tutt’altro che ferma.
Dai, veloce!” sbottò lei impaziente, continuando a guardare la strada ed apparendo visibilmente agitata.
Inserii finalmente la chiave giusta nella serratura e spalancai la porta, permettendole di entrare per prima, per poi seguirla e porre di nuovo una barriera tra noi ed il mondo esterno.
Mi appoggiai al dorso della porta, chiusi gli occhi e cercai di riprendere un respiro regolare. Quelle quattro mura si riempirono immediatamente dei nostri respiri spezzati, seguiti da una sua breve risata.
Quando riaprii gli occhi, era a pochi centimetri da me ed inconsciamente sussultai, urtando con il capo il dorso della porta.
Spero solo di non dover passare il resto dell’anno scolastico a scappare da lui, perché probabilmente morirei di crepacuore” commentò ironica. Mi concentrai qualche istante di troppo a guardarla: gli occhi azzurri le brillavano – probabilmente a causa dell’adrenalina che scorreva nelle vene anche a me – le gote erano arrossate e più piene per via del largo sorriso che sembrava non avere alcuna intenzione di abbandonare le sue labbra, la fronte era leggermente imperlata di sudore ed alcune ciocche di capelli erano a stretto contatto con la pelle del suo collo. Poco dopo raccolse i capelli e li spostò da un lato, in modo che ricadessero sulla sua spalla sinistra.
Abbassai lo sguardo, distogliendo la mia attenzione dal suo viso e cercando di scacciare dalla mente le parole che aveva pronunciato poco prima. Mi sembrava assurdo non riuscire ad accettare che avesse associato – per la seconda volta – sé stessa alla morte. Entrambe le volte era stata ironica, ma a me sembrava impossibile ritenere divertente una cosa del genere.
 
“Forse lo ha fatto per vendetta o, molto probabilmente, la sua mente sadica lo ha fatto agire per divertimento.”
 
Ripensai per un attimo alle parole che udii qualche anno fa, prima che venissi rinchiuso in quel manicomio – perché, in fondo, era di questo che si trattava – non sapevo chi aveva pronunciato quelle parole, ma c’era stata serietà nella sua voce e ciò mi fece rabbrividire ancora adesso. A strapparmi dai miei pensieri fu un gesto inaspettato, qualcosa che, mio malgrado, mi fece reagire nel modo sbagliato. Sussultai non appena il dito indice di Ivy mi sfiorò lo zigomo sinistro – più precisamente sul punto che il suo ex ragazzo aveva colpito. Non ebbi quella reazione a causa del dolore, a quello non ci badai, ma perché, ancora una volta, non riuscivo a sopportare che qualcuno mi toccasse, per di più in maniera così inaspettata.
Scusa” mormorò, ritraendo all’istante la mano, “ti fa ancora male?
Scossi il capo e la mia attenzione venne catturata da qualcosa posato sopra al tavolino, davanti al divano. Sbarrai gli occhi non appena notai il mio diario. Quella mattina non mi ero nemmeno preoccupato di chiuderlo e riporlo al suo posto, era rimasto aperto sull’ultima pagina scritta, con la penna posata al centro.
Ingoiai faticosamente il groppo che mi si era formato in gola, ma ciò non servì a dissolvere la mia preoccupazione. Se solo Ivy l’avesse visto, se avesse letto anche solo una frase di quanto avevo scritto, sarebbe scappata a gambe levate.
Che cosa c’è?” domandò, aggrottando le sopracciglia. Dal momento in cui non le risposi, fece per voltarsi a guardare ciò che stavo fissando io, ma non potevo permettermi che lo scoprisse. Così, senza nemmeno pensarci, agii d’istinto, compiendo un’azione di cui probabilmente me ne sarei pentito.
Le presi il viso tra le mani, costringendola a non guardare altro se non me, e mi avvicinai maggiormente a lei. Chiusi gli occhi e premetti le labbra con le sue, senza dischiuderle, senza andare oltre.
Mi allontanai quasi subito, rimanendo forse più stupito di lei di quanto era appena successo. Non si poteva nemmeno definire un bacio, non avrei saputo nemmeno come definirlo. Quando ritornai a guardarla stava sorridendo e colsi una strana felicità nel suo sguardo, qualcosa che sicuramente dal mio non trapelava affatto.
Non disse niente, eppure mi aspettavo che fosse lei a parlare, io non l’avrei fatto.
Detestavo sentirmi così, come se nulla potesse più sconvolgermi o colpirmi, detestavo sentirmi come un pezzo di ghiaccio, immune alle piccole gioie che probabilmente lei provava quotidianamente.
M’incamminai velocemente verso il centro del soggiorno, lasciandola sicuramente perplessa. Non appena raggiunsi il tavolino, afferrai velocemente il diario, chiudendolo e nascondendolo sotto al cuscino del divano, per poi sedermici sopra e fare finta di nulla.
Nell’arco di una manciata di secondi si sedette accanto a me, il sorriso era scomparso dalle sue labbra e con la coda nell’occhio notai uno strano guizzo nel suo sguardo.
Va tutto bene?” domandò, poggiandomi una mano sulla spalla. Nonostante mi fossi imposto di mantenere la calma, non potei fare a meno di sottrarmi al suo tocco. Ero certo che difficilmente mi sarei liberato di quell’ossessione.
Sì, va tutto bene” mormorai con un filo di voce e spostai lo sguardo alla mia sinistra, guardando oltre la finestra.
Onestamente, non ti capisco” disse e mi voltai di scatto verso di lei: aveva sollevato le gambe e le ginocchia erano strette al petto, circondate da entrambe le braccia. Il suo sguardo era posato su di me, la testa leggermente inclinata da un lato e le labbra arricciate.
Non sei la prima che non capisce.
Corrugai la fronte, non sapendo realmente a cosa si riferisse.
Ti comporti in modo strano a volte” continuò, stringendosi nelle spalle, ma senza dar troppo peso alle parole.
A volte?” quella domanda mi sfuggì dalle labbra, ma mi pentii all’istante.
Sì, per esempio ora.
La guardai senza voler capire cos’avesse appena detto, ma mi risultava così difficile restare impassibile alle sue parole. Non volevo fare in modo che m’importasse ciò che pensava, volevo esserle indifferente e una parte di me desiderava farla uscire da casa mia. E tutto questo solo per farla restare all’oscuro di ciò che nascondevo.
Quello che voglio dire” la sua voce mi strappò ancora una volta dai miei pensieri e sussultai appena, affondando lo sguardo nei suoi occhi azzurri, “è che non capisco perché ti sei allontanato da me poco fa. Sei stato tu a baciarmi, qual è il problema?
Non appena rielaborai le sue parole, ritornai con la mente a qualche istante fa, a quando le mie labbra toccarono le sue. Mi sentii avvampare ed abbassai il capo. Non che volessi mantenere il silenzio, ma non sapevo che cosa dire.
Era stato uno sbaglio, non volevo farlo.
Mi strinsi nelle spalle e la sentii sbuffare. Ritornò a sedersi composta e si avvicinò a me, tanto che le nostre gambe si sfiorarono, ma non potei spostarmi. Avevo già raggiunto la fine del divano e a separarmi da una caduta sul pavimento c’era solo il bracciolo contro la quale ero accostato.
Posò il braccio sullo schienale e si voltò quasi completamente verso di me, scrutandomi con quei suoi occhi azzurri, come se avesse voluto scoprire a cosa stavo pensando, ma avrebbe perso solo del gran tempo.
Forse pensi di aver commesso un errore” mormorò e dovetti trattenermi dall’impulso di annuire e dirle che non era stato altro che un malinteso.
Ma io non lo considero un errore,” il suo tono di voce si era abbassato e ora aveva distolto lo sguardo dal mio. Cercai d’incrociare nuovamente i suoi occhi ed abbassai di poco il capo, diminuendo inconsciamente la distanza che separava i nostri volti.
Durante un lasso di tempo che mi parve minimo, sollevò la testa e si sporse quanto bastò per far in modo che potesse posare le labbra sulle mie. Sbarrai gli occhi e lasciai che le sue labbra si muovessero sopra le mie, cercando disperatamente di approfondire quel bacio.
Ero terribilmente combattuto all’idea di scostarmi ed allontanarmi da lei, ma non lo feci. Chiusi gli occhi e l’assecondai in quel bacio, dischiudendo di poco le labbra e facendo in modo che la mia lingua incontrasse la sua.
Non seppi con esattezza quanto tempo durò, ero solo certo del fatto che la mia mente si fosse completamente svuotata e, ancora una volta, mi ritrovai a pensare che fosse merito suo.





 


 

Spazio Autrice

Avrei dovuto aggiornare qualche ora fa, infatti mi scuso per chi su ask mi ha chiesto l'orario in cui postavo e ho miseramente fallito il mio obiettivo di 'aggiornare entro sabato sera.'
By the way, non credo ci sia qualcuno sveglio alle due del mattino, ma volevo comunque postare adesso.

Ebbene sì, Jason ha baciato Ivy e Ivy ha baciato Jason, festeggiamo? 
Io direi non troppo. Dopo tutto Jason l'ha baciata solo per far sì che lei non notasse il suo diario aka contenitore di tutti i suoi pensieri più macabri e reconditi (e nei prossimi capitoli leggerete altre pagine di questo diario.)
Non andate a pensare che dal prossimo capitolo si fidanzeranno allegramente, perché non sarà così.
Vi lascerei uno spoiler, ma sto veramente dormendo in piedi, per cui non credo di avere la testa per pensare a qualcosa di sensato da dirvi.
Ma visto che mi odiate perché praticamente non spoilero mai nulla, mi sento quasi in dovere di dirvi ci sarà uno pseudo momento tenero, ma... 
Sì, c'è un 'ma' e quel 'ma' racchiude il motivo per cui vi ho detto 'non festeggiate troppo.'

D'accordo, me ne vado, rischio di scrivere più in questo spazietto che nell'intero capitolo.

Vi ringrazio davvero moltissimo per le recensioni che mi avete lasciato e spero davvero di leggerne altre sotto a questo capitolo, ci tengo davero :)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia


@Belieber4choice
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Capitolo 13
*** Capitolo 12: those delicate touches don’t scare me ***




 

 

Capitolo 12: those delicate touches don't scare me.


 

Jason

 
Il viso di Ivy era a pochi centimetri dal mio, le sue labbra erano socchiuse ed il suo sguardo era immerso nel mio. Il suo respiro si mescolava al mio e ciò mi fece rabbrividire. Tesi i muscoli delle braccia e chiusi le mani a pugno, essere così pericolosamente vicino a lei mi rendeva nervoso, ma non riuscii ad indietreggiare.
C’era qualcosa nel suo sguardo, uno strano luccichio - che da tempo non avevo più visto negli occhi di nessuno - che m’impedì di compiere qualsiasi movimento.
Avevo visto solo paura negli occhi di chi mi guardava ed avrei dato qualsiasi cosa per far sì che, almeno lei, evitasse di essere terrorizzata da me.
Feci scorrere la mano sino all’orlo del cuscino del divano e sfiorai il dorso del diario, ebbi un lieve sussulto, ma non ero certo che l’avesse notato. Avvertii una fastidiosa stretta allo stomaco al solo pensiero che Ivy scoprisse l’oscurità del mio passato.
Il battito del mio cuore accelerò ed abbassai lievemente lo sguardo, posandolo sulle sue labbra. Prima che potessi fare qualsiasi cosa, che fosse compiere un movimento, o concentrarmi nuovamente su quei pensieri deliranti, mi ritrovai le labbra di Ivy premute contro le mie. Posò momentaneamente la mano sul mio collo e mi attirò a sé, sempre più, costringendomi a seguire i suoi movimenti, e ritrovai sdraiato sopra di lei. Mi scostai all’istante e lei indietreggiò di poco, permettendomi di sdraiarmi accanto a lei. Esitai diversi istanti prima di avvicinare il mio viso al suo e, quando finalmente mi decisi a farlo, impiegai più tempo possibile, quasi come se il mondo si fosse fermato ed io stessi lottando con tutte le mie forze per compiere anche il più stupido ed insignificante movimento.
Non appena le mie labbra sfiorarono le sue, chiusi gli occhi, lasciandomi andare completamente in quel bacio. Le sue labbra si muovevano lentamente sulle mie, le nostre lingue si sfioravano ed istintivamente posai la mano sul suo viso. Sentii entrambe le sue mani appoggiate contro al mio petto, ma fu una sensazione a malapena percettibile, mentre invece le sue gambe erano quasi intrecciate alle mie. Non appena sentii la stoffa della maglietta tirare – segno che l’aveva afferrata tra le dita – sobbalzai.
 
 
Sapevo che quella giornata sarebbe stata più brutta rispetto alle altre.
E non sarebbe dovuta andare così.
Di domenica tutto era più tranquillo, di solito. Di domenica lui non c’era, di solito.
Ma quella mattina qualcosa era successo.
Mi ero svegliato più presto del solito, ma non per volontà mia.
 
La voce di mio padre sovrastava quella solitamente dolce e pacata di mia madre; le parole con cui si rivolgeva a lei non erano altrettanto dolci e pacate.
Saltai giù dal letto e mi diressi a passo lento verso le scale, dove il tono di voce di quell’uomo sembrava ancor più alto. Cercai di provocare il minor rumore possibile man mano che scendevo ogni scalino, così come cercai di essere silenzioso mentre mi dirigevo in cucina. Mi sporsi di poco oltre lo stipite della porta: la figura minuta di mia madre sembrava invisibile in confronto a quella di lui, delle lacrime le rigavano il viso ed il suo sguardo celava solo paura. Lui le stringeva saldamente entrambi i polsi, impedendole così di compiere qualsiasi movimento. Deglutii sonoramente, stringendo la mano attorno allo stipite in legno. Il rumore che provocai fu minimo, ma mia madre se ne accorse e voltò il capo verso la mia direzione.
Purtroppo non fu l’unica.
Un attimo dopo anche lo sguardo di mio padre si posò su di me e, se fosse stato possibile, s’infuriò maggiormente. Lasciò andare i polsi di mia madre e si avvicinò a passo deciso a me. Indietreggiai, nascondendomi dietro alla parete, ma non servì a nulla.
 
Non avevo fatto niente, non avevo detto niente. Quella volta non capii davvero perché s’infuriò con me. Afferrò il colletto della mia maglietta e lo strinse con così tanta forza che sentii il respiro mancare. Mi attirò a sé, quasi sollevandomi da terra, ed il colletto sfregò sempre più contro la mia pelle. Tentai di deglutire, ma era diventato difficile…
 
Mi allontanai all’istante da Ivy, interrompendo bruscamente quel bacio e sentendo il suo sguardo interrogativo addosso. Con un rapido movimento mi misi a sedere ed istintivamente mi portai una mano attorno al collo, sfregandola vigorosamente contro la pelle.
Che succede?” mi domandò, sedendosi a sua volta e raggiungendo così la mia altezza.
Scossi il capo, mantenendo lo sguardo fisso nel vuoto. Aveva gli occhi puntati su di me e poco dopo sentii la sua mano posarsi sulla spalla. M’irrigidii, ma restai immobile.
Prima o poi mi dirai perché ti da fastidio che qualcuno ti tocchi” nello stesso istante in cui la sua voce giunse alla mia orecchie, ritrasse la mano e sospirai. Cercai d’ignorare le sue parole, ma – da quel poco che avevo potuto constatare – era una ragazza abbastanza insistente.
D’accordo, non dirmelo” sembrò finalmente arrendersi e mi azzardai a voltare il capo verso di lei. Il suo sguardo era perso nel vuoto, sembrava pensierosa.
Probabilmente avrai i tuoi buoni motivi,” riprese a parlare poco dopo, sollevando la testa ed incrociando così il mio sguardo, “ma non voglio che tu abbia paura di me. Non sono un’assassina, non ho ancora ucciso nessuno e non ho intenzione di farti del male” ridacchiò ed io sbarrai gli occhi. Sebbene nel suo tono di voce vi fosse ironia, non potei evitare di rimanere sbigottito.
Sentii nuovamente il cuore battere all’impazzata e cercai di posare lo sguardo dovunque, tranne che su di lei. Posò nuovamente la mano sulla mia spalla e mi costrinse a sdraiarmi nuovamente. Lei fece lo stesso e, ancora una volta, i nostri volti si trovarono ad una distanza davvero troppo ravvicinata.
Chiudi gli occhi” mi sussurrò e le dedicai un’occhiata interrogativa. “Coraggio, chiudi gli occhi” ripeté, alzando di poco il tono di voce, e così feci.
Avvertii le sue dita sfiorarmi la pelle del viso ed ebbi un sussulto. “Stai calmo, non ti faccio niente.” Il suo tono di voce era talmente dolce da farmi quasi credere che nulla sarebbe andato per il verso sbagliato. Annuii e sentii nuovamente le sue dita sfiorare il mio viso, passò sopra al punto che il suo ex ragazzo aveva colpito solo qualche ora prima, per poi continuare a tracciare linee immaginarie sul contorno delle labbra.
Ti fa ancora male?” mi domandò e scossi il capo, riaprendo gli occhi. Mi lanciò un’occhiata fulminea e li richiusi, sbuffando appena.
La sua mano abbandonò il mio viso e s’insidiò tra i miei capelli, regalandomi una sensazione di pace e tranquillità che non sentivo da anni. Non potei dire di essermi abituato ad averla così vicino, né tanto meno da sentirmi completamente a mio agio nel sentire il suo tocco su di me, però, nel complesso, era piacevole.
 
 

Ivy

 
Non riuscivo davvero a capirlo. Jason era il ragazzo più problematico con cui avevo avuto a che fare. Non capivo se volesse respingermi oppure no.
Mi aveva baciato. Era stato lui a posare le labbra sulle mie per primo, eppure non capivo per quale assurda ragione non voleva che lo toccassi.
Avevo sbagliato qualcosa?
In quel momento detestai Kayden come mai avevo fatto prima. Era chiaro che l’avesse intimorito e la colpa era mia. Non volevo che Jason si allontanasse da me solo perché al mio ex non andasse a genio il fatto che uscissi con qualcun altro.
Scossi il capo, cercando di allontanare quei pensieri; se mi fossi concentrata su Kayden, mi sarei innervosita e non volevo.
Ora che il viso di Jason era così dannatamente vicino al mio, ne approfittai per scrutarlo a fondo: la sua pelle era perfettamente liscia, le labbra erano di un rosa vivo e ancora leggermente umide per via del bacio. Apparentemente non vi erano imperfezioni, fatta eccezione per una piccola, quasi impercettibile cicatrice sulla guancia destra, appena sopra le labbra e, chiaramente, il livido sullo zigomo sinistro. Quello che mi stupì, furono i segni violacei sotto agli occhi; ci avevo già fatto caso, ma non mi ero mai andata a fondo alla cosa, eppure m’incuriosiva.
Non hai dormito stanotte?” gli domandai e poco dopo scosse il capo.
Come mai?
Avevo… avevo troppi pensieri per la testa” mormorò ed io rimasi con ancor più domande di prima. Non pretendevo che parlassimo di tutto, ci conoscevamo da poco ed era comprensibile, però io mi ero aperta con Jason.
Perché lui non poteva fare lo stesso?
Tipo?” insistetti e lo sentii sbuffare. Riaprì gli occhi, ma mantenne lo sguardo abbassato.
Se ti va di parlarmene, puoi farlo. Se si tratta di qualcosa che ti ha costretto a restare sveglio tutta la notte, è perché probabilmente è difficile da sopportare. Ma puoi parlarmene se vuoi, sono sicura che ti farà bene, ti toglierai un peso.
Scosse il capo e questa volta fui io a sbuffare. “Non voglio obbligarti, dico solo che, se credi che sia qualcosa che nessuno potrebbe capire, io lo farei. Ti capirei, non ho mai giudicato nessuno e non mi permetterei mai di farlo.
Va tutto bene, davvero, non è nulla d’importante” tagliò corto e mi sembrò di scorgere un piccolo, lieve sorriso sulle sue labbra.
Sicuro?
Annuì nuovamente e gli credetti, non che avessi altra scelta.
 
 

Jason

 
Non era mai successo prima, quel pensiero non aveva mai attraversato la mia mente, né tanto meno mi ero mai preoccupato di pormi il problema. Ma mi sentii in colpa, quasi come se stessi nascondendo un segreto al mio migliore amico.
Le parole che mi aveva detto mi fecero riflettere, ma non potevo dirglielo. Non avrei potuto confessarle di aver ucciso qualcuno – soprattutto se si trattava dei miei genitori – sarebbe scappata a gambe levate ed io non volevo questo. Non volevo avere nessuno attorno, però la sua presenza non m’infastidiva, tutt’altro, mi faceva sentire bene.
Da quel momento in poi calò il silenzio, snervante e fastidioso come non mai. Il suono dei nostri respiri era tutto ciò che riuscii a sentire. Niente o nessuno provocò rumore, nemmeno per sbaglio e, se in passato credevo che il silenzio fosse una delle cose più belle e tranquille in cui potessi immergermi, in quel momento avrei tanto voluto che continuasse a parlare, smorzando così la quiete e distraendomi dai miei pensieri.
 
Posso dirti una cosa?” mi domandò dopo diversi minuti. Annuii, felice che avesse accolto la mia implicita richiesta.
Mi piaci” disse semplicemente, ma distolse quasi subito lo sguardo dal mio.
Sbarrai gli occhi e dischiusi le labbra, avevo intenzione di dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola e temetti davvero di aver immaginato tutto.
Poco dopo sollevò lo sguardo ed era evidente che si aspettasse una risposta, ma io non sapevo che cosa dire.
Tra tutte le domande che in quel momento mi attraversarono la mente, solo ad una riuscii a trovare un senso: perché? Come accidenti faceva a piacerle uno come me?
Dici sul serio?” le domandai infine e la vidi annuire.
Sì, non stavo scherzando, mi piaci sul serio. Sembri davvero diverso dai ragazzi con cui sono uscita, a cominciare da quello stronzo di Kayden. Hai qualcosa di… non lo so, speciale.
Dipende che concezione hai di speciale” ribattei, rimettendomi a sedere, ma mi pentii all’istante di aver aperto bocca.
La sentii ridacchiare e si sedette accanto a me. “Speciale per me significa qualcosa di positivo, non so esattamente cosa, ma si tratta di una particolarità che nessun altro ha.
Già, dubito che tu sia uscita con qualche assassino.
Spostai lo sguardo su di lei ed inclinai la testa da un lato. Cercai di risultare il più indifferente possibile, ma una confessione del genere manderebbe fuori di testa chiunque.
Con questo voglio dire che non so quanto potremmo essere amici” mormorò, abbozzando uno strano sorriso. Sorrisi a mia volta, ma fui comunque incapace di parlare.
Mi soffermai più del dovuto a guardarla negli occhi ed era evidente che si aspettasse una frase del tipo “mi piaci anche tu”, ma ogni parola scemò ancor prima di arrivare alle mie labbra e così rimasi in silenzio. Tutto ciò che riuscii a fare fu avvicinare nuovamente il mio viso al suo e la baciai.
Non era stato un errore, non l’avevo fatto per nasconderle qualcos’altro, l’avevo fatto perché era l’unica cosa che mi sentissi di fare.





 


 
Spazio Autrice

Chiedo perdono per il ritardo, ho avuto un contrattempo con il computer e sono riuscita ad aggiornare solo ora.
Bene, Ivy ha fatto la sua piccola, grande confessione. Jason è rimasto muto, ma ciò non significa che non ricambi ;)

Non ho molto da dire su questo capitolo, ogni tanto troverete le parti in corsivo, che non sono altro che flashback della vita passata di Jason, oppure dei sogni che lui fa. Tutti si ricollegano al suo modo di essere e del perché si comporta in determinati modi.

Vi ringrazio infinitamente tanto per le recensioni, non sapete quanto le apprezzo, sul serio.
Sono curiosa di sapere che cosa ne pensate di questo capitolo :)


Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
  on twittah and instagram                        se avete domande, ask me.
 

Spoiler:
«Ho bisogno di te, più di quanto tu possa immaginare.»
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13: you put a spell on me and I don't want to break it. ***




 

 

Capitolo 13: you put a spell on me and I don't want to break it.


 

Jason

 Quel giorno era cambiato qualcosa in me, ne ero certo. Nell’esatto istante in cui le mie labbra sfiorarono le sue, sentii una parte staccarsi da me, come se avessi finalmente abbandonato il mio rapporto con il passato.
Ma, tuttavia, avrei dovuto sapere che quella sarebbe stata solo una sensazione temporanea.
Quando la mattina seguente ritornammo a scuola, incrociammo Kayden nel corridoio principale: non aveva mosso un solo muscolo, non aveva proferito nemmeno una parola, ma il suo sguardo di ghiaccio era puntato nel mio. Non avevo intenzione di distoglierlo, volevo davvero sapere cosa si celasse al suo interno, volevo capire chi fosse veramente e che cosa volesse da me.
Quando lo superai, sulle sue labbra si dipinse uno strano ghigno, ma non ne colsi il significato, dato che era solito mostrarmi uno sguardo di fuoco, colmo d’ira.
Con un rapido gesto della mano, Ivy mi salutò, iniziando poi a correre lungo il corridoio e sparendo all’interno di un’aula, seguita dalla sua amica Marie.
Vidi il corridoio svuotarsi poco dopo e mi affrettai a raggiungere la prima lezione del mattino.
 
Quel giorno non ebbi lezioni in comune con Ivy, la incrociai solo di sfuggita durante la pausa pranzo. Come ultima lezione ebbi matematica e, senza pensarci due volte, mi presi la libertà di lasciare l’aula quasi mezz’ora prima della sua fine effettiva. Ciò che il professore spiegava non era affatto nuovo per me, per cui evitai di rimanere chiuso tra quelle quattro mura ancora a lungo.
Ritornai in corridoio: era deserto come immaginavo. Mi avvicinai all’armadietto, riponendo all’interno di esso il libro della lezione che avevo saltato, e non appena lo chiusi, avvertii un rumore alle mie spalle. Rimasi immobile senza voltarmi, cercando di espandere al massimo il mio campo visivo con la coda dell’occhio. Ogni possibile rumore cessò e, non appena fui prossimo a voltarmi, qualcuno posò la mano sulla mia spalla, facendomi sussultare. La stretta si fece sin da subito molto forte, al che realizzai che non potesse essere Ivy. E, infatti, non era lei.
Mi voltai di scatto, colpendo con l’avambraccio il collo di Kayden, abbastanza forte da costringerlo a sbattere contro alla fila di armadietti.
I nostri sguardi s’incrociarono: il suo era divertito e sulle sue labbra era ancora disegnato quel ghigno bastardo.
Sei un tantino violento, amico” sbottò, sforzando una risata, ed indietreggiai.
Ma la cosa non mi stupisce affatto” continuò poi, accentuando quel suo strano sorriso. Lo guardai torvo, non capendo a cosa si riferisse.
Ti ho sorpreso, vero? Non ti aspettavi che qualcuno si ricordasse di te e di quello che hai fatto, McCann.
Le sue parole mi trafissero come una lama affilata. Impallidii e fui incapace di muovere qualsiasi muscolo. Non dissi una parola, mi limitai a fissarlo, mentre sul suo viso si accentuava sempre più quell’espressione divertita.
Tutto quello che temevo di più si stava verificando e, se Kayden ne era al corrente, ero certo che la voce si sarebbe sparsa in tutta la scuola a breve.
Non osare-
Cosa?” m’interruppe con tono beffardo. “Non osare dirlo a Ivy, intendevi?
Strinsi le labbra in una linea dura e chiusi entrambe le mani a pugno. M’irrigidii a tal punto da sentire le maniche della felpa diventare improvvisamente troppo strette.
Non sarò io a farlo” aggiunse poi, “non ci sarebbe gusto se glielo dicessi io. Non aspetto altro che godermi il momento quando sarai tu a dirglielo. Dovrai farlo prima o poi, lo sai?
Continuai a restare in silenzio, sentendo una voragine crescere a dismisura dentro di me. Deglutii a fatica e la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie.
Ti do un piccolo avvertimento, amico,” – il modo con cui pronunciò quell’ultima parola lasciò trasparire visibilmente tutto il disprezzo che provava per me – “non sopporta quando le viene nascosto qualcosa, per cui…” lasciò la frase in sospeso e scoppiò a ridere.
Nel frattempo, il vociare del resto degli studenti iniziò a riempire l’aria e, guardandomi attorno, realizzai che di lì a poco non saremmo più stati soli.
Nel caso in cui non dovesse più parlarti, non ucciderla. Sono poche le ragazze carine in questa scuola e non vorrei mai che sparisse proprio lei.” Incrociai nuovamente il suo sguardo e mi sentii come se avessi potuto scoppiare da un momento all’altro. Era appoggiato ad un armadietto alle sue spalle, le braccia incrociate al petto ed un’espressione piuttosto seria dipinta in volto.
Strinsi maggiormente i pugni lungo i fianchi e mossi qualche passo verso di lui, ignorando il fatto che il corridoio si stava lentamente riempiendo di gente.
L’unico che farei sparire sei tu” replicai in un sussurro e si lasciò andare in una risata nervosa. “Se quel manicomio ti è mancato così tanto da volerci ritornare, sarebbe stato sufficiente fare una richiesta scritta.
Senza pensarci due volte, sferrai un pugno contro la sua gota sinistra, costringendolo a voltare di scatto il capo. Improvvisamente non sentii più alcun suono attorno a me: né un rumore di passi, né una singola parola. Con la coda dell’occhio notai un gruppo numeroso di ragazzi intenti a spostare ripetutamente lo sguardo da Kayden a me.
Non appena i suoi occhi incrociarono nuovamente i miei, lo colpii una seconda volta, mirando alla bocca dello stomaco in modo da farlo piegare in due. Con una ginocchiata, lo colpii sul mento e, barcollando, sbatté la schiena contro gli armadietti alle sue spalle.
Con mia grande sorpresa, non tentò nemmeno di reagire e ne approfittai, colpendolo ancora una volta in viso.
Jason, basta!” gridò una voce alle mie spalle e poco dopo avvertii una stretta attorno alle mie spalle. Riconobbi la voce di Ivy e lasciai che mi trascinasse lontano da Kayden.
Mi costrinse a voltarmi e a guardarla negli occhi, ma scostai lo sguardo, posandolo sulla figura di quel ragazzo. Era a terra, il viso era sporco di sangue e diverse persone l’avevano accerchiato, eppure riuscii ad incrociare il suo sguardo: non era impaurito, né tanto meno intimorito, sembrava quasi divertito e non ne compresi il motivo.
Tuttavia, non ebbi tempo di cercar di capire, perché Ivy mi afferrò per il polso e mi costrinse a seguirla fuori dall’edificio. Non disse una parola fino a che non raggiungemmo la sua auto parcheggiata nel piazzale.
Posso sapere che cos’è successo?” mi domandò, ma la ignorai, aprendo la portiera e salendo dal lato passeggero. La sentii sbuffare e poco dopo si sedette accanto a me.
Ti ho fatto una domanda, Jason” insistette.
Metti in moto, per favore” le dissi con tono freddo, voltandomi quanto bastò per incrociare il suo sguardo. Rassegnata, annuì e fece ciò che le avevo chiesto.
 
Nell’arco di pochi minuti, raggiungemmo casa mia, spense il motore e lasciò l’abitacolo, avvicinandosi alla porta d’ingresso. La seguii ed aprii la porta, permettendole di entrare prima di me.
Regnò il silenzio per diverso tempo, sapevo che avrei dovuto spiegarle il motivo di tale sfuriata e non feci altro che ripensare a ciò che mi aveva detto Kayden. Se era vero che detestava rimanere all’oscuro di determinate cose, come avrebbe reagito?
Scossi il capo, cercando di scacciare quei pensieri e rimanendo dell’idea di non farle parola del mio passato.
Non poteva saperlo. Come mi avrebbe guardato una volta saputo chi ero?
Il solo pensiero di vedere paura nei suoi occhi mi fece rabbrividire.
Mi ha provocato” dissi all’improvviso, attirando su di me la sua attenzione.
Tende a farlo spesso con le persone che non gli vanno a genio, e non solo. Tutt’ora lo fa anche con me. Ignoralo” ribatté, stringendosi nelle spalle e sedendosi accanto a me sul divano.
D’accordo” mormorai, consapevole che non sarei riuscito a mantenere la parola data.
 
 

vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete
 

Ivy

 
Quella sera non tornai a casa e, questa volta, le condizioni meteorologiche non avevano nulla a che vedere con la mia scelta. Aver visto Jason scagliarsi con così tanta ira verso Kayden mi aveva spaventato, ma non potei fargliene una colpa. Kayden, di per sé, era un ragazzo violento, amava provocare il prossimo e costringerlo così a scatenare la propria rabbia su di sé, facendolo cadere dalla parte del torto.
Detestavo quella situazione, Jason non meritava di essere trattato in quel modo, sapevo che non era violento, la sua era stata solo una reazione istintiva, che chiunque avrebbe adottato.
 
Spostai la mia attenzione su di lui, inquadrando meglio che potei il suo profilo. Gli occhi erano aperti, lo sguardo perso nel vuoto e puntato contro il soffitto della camera da letto, le labbra socchiuse ed il petto che si alzava e si abbassava, seguendo il ritmo dei suoi respiri. Mi voltai completamente e feci scorrere l’indice sul suo braccio destro, percorrendo tutta la lunghezza lasciata scoperta dalla maglietta. Non appena lo sfiorai, si voltò di scatto verso di me, sussultando in modo quasi impercettibile, ma capii che fece del suo meglio per addolcire il suo sguardo quando i suoi occhi incrociarono i miei.
Morivo dalla voglia di capire per quale assurda ragione non sopportasse che lo toccassi, specialmente se lo facevo all’improvviso. Avrei voluto porgli così tante domande sul suo conto, ma ero certa che non mi avrebbe mai dato una risposta. Nonostante trascorressimo molto tempo insieme, sentivo di conoscerlo ancora così poco, avevo il sentore che avesse tralasciato una parte importante di sé. Non aveva voluto dirmi cosa fosse successo ai suoi genitori, ma non avevo insistito. Al solo pensiero di dovermi ritrovare da sola, senza più una famiglia, rabbrividivo e cercavo di focalizzare la mia mente su qualcosa che non fosse così tragico, per cui provai a capire come si sentisse.
Mi spostai di poco, diminuendo quasi del tutto la distanza che ci separava. Il suo braccio sfiorava il mio corpo ed il suo sguardo era intrecciato al mio. Poco dopo si voltò completamente verso di me e sentii il suo respiro sulle mie labbra.
Mi dispiace che tra te e Kayden ci sia tutta questa rivalità” mormorai, abbassando lo sguardo.
Non importa,” disse, sebbene non sembrava molto sicuro di sé. “Ormai è passato, non voglio parlarne.
E di cosa vorresti parlare?” gli domandai, avvicinando maggiormente il mio viso al suo.
Non voglio parlare” rispose, annullando del tutto la distanza che ci separava. Posò una mano sul mio viso e le sue labbra sfiorarono le mie, con una delicatezza che mai avevo sentito prima. In un primo momento lo presi come un segno d’insicurezza, ma lasciai comunque che fosse lui a guidarmi in quel bacio. Le sue labbra si muovevano in modo lento e dolce sopra le mie e, istintivamente, portai una mano tra i suoi capelli, infilando le dita tra di essi ed avvicinandomi più che potei a lui. Fece scorrere la mano dal mio viso alla mia schiena, attirandomi a sé fino a che il mio petto non fu completamente premuto contro il suo. Dischiuse le labbra, sfiorando le mie con la punta della lingua, ed io feci lo stesso, permettendogli di approfondire quel bacio.
Per tutta la durata di quel bacio non pensai a nulla, tutto attorno a me sembrava essere svanito e provavo un’emozione che da tempo non avevo più sentito.
 
 

Jason
 

Quel bacio mi sembrò interminabile, come se niente e nessuno avrebbe potuto intromettersi per interromperlo. Ancora una volta riuscii a rilassarmi sotto al suo tocco delicato, senza aver paura di rivivere quei fastidiosi flashback. Per quel breve lasso di tempo, tutto sembrò andare per il verso giusto e riuscii ad ammettere, almeno a me stesso, che stavo bene. Non appena mi allontanai dal suo viso, mi persi a guardarla negli occhi ed abbozzai un sorriso, che lei non tardò a ricambiare.
La strinsi a me, nascondendo il viso nell’incavo della sua spalla ed inspirando a pieni polmoni il suo profumo. Ero certo che non l’avrei dimenticato tanto presto.
Non sciolsi quell’abbraccio e nemmeno lei lo fece, sentii la sua mano accarezzarmi la schiena, mentre l’altra era posata sul mio collo, trasmettendomi un calore che non sentivo da tempo.
Caddi in un sonno profondo, senza cambiare posizione e senza allontanarmi da lei.
 
 
Nessuno dei due si era preoccupato d’impostare la sveglia, nonostante avessimo dovuto andare a scuola, ma non fu necessario. A svegliarmi fu un rumore proveniente dal piano inferiore, ma lo ignorai, cercando di continuare a dormire.
Jason, qualcuno sta bussando alla porta” mi sussurrò Ivy ad un orecchio, per poi scuotermi lievemente la spalla. Aprii lentamente gli occhi, trovandomi il suo viso a pochi centimetri dal mio.
Cosa?” domandai, passandomi una mano sul viso.
Hanno bussato alla porta,” ripeté e, di scatto, mi alzai.
Aspettami qui” le dissi, prima di uscire dalla stanza e di scendere in seguito le scale.
 
Aprii la porta e mi trovai davanti la figura di Dean.
Perché sei qui?” domandai indietreggiando e, nonostante non volessi che entrasse, mosse qualche passo verso il soggiorno.
Credimi, non avrei voluto presentarmi qui così presto, ma, come sai, sei sotto libertà vigilata e ci è giunta voce che tu ieri abbia picchiato un ragazzo.
Deglutii e strinsi i pugni lungo i fianchi. L’unica ragione per cui Kayden non aveva reagito, era perché aveva intenzione d’incastrarmi e c’era riuscito.
Perché lo hai fatto?” mi domandò, allargando le braccia, “credevo avessi intenzione di cambiare e di cercare di vivere una vita normale.” Il suo tono di voce non era alto, ma fui certo che Ivy avesse potuto sentirlo e non potevo permettermelo.
Come credi che possa vivere normalmente adesso?” replicai, quasi sussurrando.
Sospirò e scosse il capo, rassegnato.
Purtroppo devi venire con me alla centrale” disse e sbarrai gli occhi.
Cosa? Adesso?
Sì, Jason, adesso” rimarcò con voce ferma.
Nel frattempo, sentii dei passi alle mie spalle e mi voltai, incrociando la figura di Ivy intenta a scendere le scale. Guardò prima Dean e poi me.
Che succede?” domandò.
Nulla” mormorai, “aspettami in camera, arrivo tra poco.
Annuì, sebbene per nulla convinta e sparì nuovamente al piano superiore.
Presumo sia a causa sua che tu non voglia venire” mormorò, lanciando un’occhiata verso il punto in cui poco fa c’era lei.
E suppongo anche che lei non sappia niente di-
No” lo interruppi bruscamente, “non ne sa niente e deve continuare a non sapere niente.
Nonostante Dean fosse un poliziotto ed il suo lavoro comprendeva anche la tutela delle persone che circondavano qualcuno come me, si dimostrò comprensivo.
D’accordo, ma devi comunque salire in macchina e venire con me in centrale. E ti avverto, non sarà una cosa breve.
Sbuffai, ma annuii rassegnato.
Lo vidi avviarsi verso la porta d’ingresso, mentre io salii a grandi falcate le scale, ritornando in camera.
Perché c’è un poliziotto in casa tua?” mi domandò, inclinando lievemente la testa di lato.
Boccheggiai, non sapendo che cosa dire e cercando di pensare alla scusa più banale da usare.
È un vecchio amico di mio padre,” mentii, “devo- devo sbrigare alcune commissioni oggi, per cui non verrò a scuola.
Inarcò entrambe le sopracciglia, guardandomi con aria stupita. “Capisco,” disse infine, abbassando il capo, “ci vediamo dopo allora.
Certo,” le dissi, cercando di sembrare il più convincente possibile.
 
Mi seguii lungo le scale e, una volta chiusa la porta d’ingresso alle mie spalle, la salutai velocemente e salii in macchina.
Dean non si azzardò a proferire parola, si limitò a mettere in moto ed a sfrecciare lungo la via principale. Iniziai ad avvertire nuovamente quel senso di sconforto che mi aveva accompagnato per anni e chiusi gli occhi, cercando di scacciare quei pensieri, ma, con quel gesto, non feci altro che rivivere le immagini del passato ed un lampo mi attraversò la mente.
Li riaprii di scatto, respirando irregolarmente e sentendo il battito del cuore accelerare all’improvviso.
Va tutto bene?” mi domandò Dean e voltai il capo verso di lui, quasi fulminandolo con lo sguardo.
No, non va tutto bene!” sbottai, “perché devo venire con te alla centrale? Solo perché ho picchiato un ragazzo? Non l’ho ucciso! Non gli ho fatto praticamente niente!” aumentai man mano il tono di voce, sovrastando di molto il suono della radio della polizia agganciata al cruscotto.
Vogliono farti delle domande e, questa volta, ti chiedo il favore di collaborare. Non rimanere in silenzio come hai fatto tre anni fa, dagli le risposte che vogliono e ti prometto che cercherò di non farti più mettere piede là dentro.
Certo, avevi detto così anche l’ultima volta e mi sono ritrovato un compagno di stanza che per poco non mi uccideva.
Spostai lo sguardo oltre il finestrino, inquadrando il lieve riflesso del mio viso. Puntai gli occhi in quelli riflessi, ma non percepii altro che freddezza, così distolsi la mia attenzione da lì.
Tu non mi hai dato la possibilità di aiutarti. Non posso fare molto se tu continui ad essere così ostile. Non decido solo io.
Che cosa dovrei dire? Che cosa mi chiederanno? Ormai sanno già tutto, non c’è altro ch’io possa dire.
Lo sentii sospirare e poco dopo fermò la macchina, parcheggiandola accanto all’entrata della centrale di polizia.
Sì, invece, e se vuoi che io ti aiuti, digli esattamente ciò che vogliono sentirsi dire. Trova il modo di scagionarti, Jason!
 
Le ultime parole di Dean continuarono a risuonarmi nella mente come un disco rotto, ma non riuscivo a venirne a capo. Qualsiasi cosa avessi detto, sarebbe stata usata contro di me, avevo il sentore che nulla sarebbe andato per il verso giusto.
Ero seduto ormai da due ore di fronte a sei persone, vestite tutte allo stesso modo: la stessa divisa, la stessa camicia e lo stesso giubbotto. Persino le loro facce mi sembravano tutte uguali.
Mi avevano posto domande riguardo al mio scontro con Kayden e non feci altro che ripetergli quanto avevo detto ad Ivy, per il resto non proferii parola.
 
Te lo chiederò un’ultima volta, Jason, dopo di che prenderemo provvedimenti di conseguenza” mi disse l’uomo più anziano, quello seduto esattamente di fronte a me.
Spostai lo sguardo verso Dean, il quale strinse le labbra e quasi mi pregò di aprir bocca.
Perché hai ucciso i tuoi genitori?
Rimasi in silenzio, ma questa volta mi decisi a dare una risposta. Dopotutto, ero stanco di rimanere chiuso tra quelle quattro mura opprimenti e, sebbene non riuscissi a fidarmi di nessuno, Dean era l’unico a volermi davvero aiutare, per cui accolsi la sua implicita richiesta e parlai.
Non avevo un buon rapporto con loro” risposi a bassa voce.
Né con tuo padre, né con tua madre?” mi domandò sempre lo stesso agente.
Esatto.
Che cosa ti facevano?
Sospirai ed abbassai lo sguardo. “Mio padre mi maltrattava.” Non appena quelle parole uscirono dalla bocca, realizzai di aver commesso un errore.
Ti picchiava?
Sì.
E tua madre?
Sbarrai gli occhi, ma probabilmente lui non se ne accorse.
Anche lei” dissi, mentendo. Se avessi detto la verità, non avrebbero mai giustificato l’omicidio su di lei e non potevo permettermi di venir rinchiuso in prigione o, peggio, nuovamente in quell’ospedale psichiatrico.
Li sentii parlottare tra loro, ma non percepii le esatte parole. Alzai lo sguardo, incrociando quello di Dean, ma non riuscii a decifrarlo, lo distolse subito dopo ritornando a parlare con i suoi colleghi.
Ho un’ultima domanda” pronunciò un altro uomo e gli feci un cenno, intimandogli a continuare.
È stato un omicidio premeditato, o hai agito d’istinto?
Ho agito d’istinto” mentii di nuovo, ma risuonai convincente.
Trascorsi altre ore in loro compagnia, di tanto in tanto mi ponevano qualche strana domanda ed io, puntualmente, cercavo di trovare la risposta adatta per evitare di venir messo in croce ancora una volta.
 
Sai, vero, che non sei scagionato del tutto?” mi domandò Dean, rompendo il silenzio all’interno dell’abitacolo. Mi stava finalmente riaccompagnando a casa e ringraziai il cielo che, per il momento, tutto ciò fosse finito.
Non era necessario che me lo dicessi, so che dovrò conviverci per tutto il resto della mia vita.” Lo zittii e, fortunatamente, non pronunciò più alcuna parola.
Non appena raggiunse casa mia, scesi dall’auto senza nemmeno salutarlo, sbattendo violentemente la portiera.
Feci per aprire la porta d’ingresso, quando qualcuno alle mie spalle pronunciò il mio nome, costringendomi a voltarmi.
Inquadrai la figura di Ivy a pochi metri da me, sul suo viso aleggiava un’espressione cupa ed i suoi occhi erano spenti.
Sei qui da molto?” le domandai, senza sapere realmente che ore fossero. Si strinse nelle spalle e disse: “da un po’, ero preoccupata per te.
Non devi preoccuparti per me” ribattei, risuonando più duro di quanto in realtà avessi voluto.
Abbassò il capo ed arricciò le labbra.
Se preferisci restare da solo, me ne vado e ci vediamo domani a scuola” disse e percepii una punta di delusione nel suo tono di voce.
No” sbottai, quasi a voler cancellare ciò che aveva appena detto, “non andare via.
Ne sei sicuro? Non mi sembri dell’umore adatto.
Voglio che rimani. Ho bisogno che tu rimanga.
Si accigliò, ma scorsi un lieve sorriso sulle sue labbra.
Hai- hai bisogno di me?” mi domandò sorpresa e, a quel punto, non riuscii più a rimanere in silenzio.
Ho bisogno di te, più di quanto tu possa immaginare.” Le mie parole furono sincere, ma non le avrei mai svelato il motivo. Ritornare in quella centrale di polizia, non aveva fatto altro che riportarmi alla mente i ricordi di quella notte ed erano ore, ormai, che quel fastidioso senso di vuoto mi avvolgeva lo stomaco. Era diventato insopportabile, come una stretta al collo che diveniva man mano più opprimente, fino ad impedirmi di respirare. Sollevai lo sguardo, il cielo era grigio, tetro e colmo di nuvole, l’aria gelida che mi schiaffeggiava il viso sembrava voler essere un segno del destino, paragonato ad una punizione lanciata da qualcuno da lassù. E non vidi altro che il volto arrabbiato di mio padre e lo sguardo terrorizzato di mia madre poco prima che mettessi definitivamente fine alla loro vita. Mi sembrava di vederli dovunque posassi lo sguardo, mi sentivo in trappola, come se fossi rimasto chiuso in una stanza assieme alle loro figure, con la sola intenzione di torturarmi fino a che non fossi impazzito.
D’accordo, se è ciò che vuoi, rimango.” La sua voce giunse alle mie orecchie, distraendomi da qualsiasi pensiero, ed annuii, seguendola poi dentro casa mia.




 


 

Spazio Autrice

Sono in ritardissimo, me ne rendo conto e vi chiedo scusa. Avrei dovuto e voluto aggiornare ieri, anzi l'altro ieri, ma ultimamente sta diventando difficile gestire tutto, per cui perdonatemi. Spero di organizzarmi meglio da settimana prossima.
By the way, io vi ringrazio davvero moltissimo, non sapete quanto, per tutti i complimenti e le recensioni che mi avete scritto. Per di più i preferiti aumentano a dismisura ed io spero che questa storia venga conosciuta sul sito, ci terrei davvero moltissimo ♥


Parlando del capitolo, mi rendo conto che sia venuto più lungo del solito, ma non potevo/volevo spezzarlo. Dopo tutto qui si capisce  un po' meglio come Jason stia lentamente cedendo a lasciar trasparire i suoi sentimenti per Ivy.
Detto ciò, spero davvero che vi sia piaciuto e sono curiosissima di sapere che cosa ne pensate.

Ci rivediamo nel prossimo capitolo con una rivelazione importante ;)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia


@Belieber4choice
on twittah and instagram                   Se avete domande, ask me

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Capitolo 15
*** Capitolo 14: the sound of the cries when a family's loved one dies. ***






vi consiglio di ascoltare questa canzone mentre leggete.

 

Capitolo 14: the sound of the cries when a family's loved one dies.


 

Ivy
 


“Ho bisogno di te, più di quanto tu possa immaginare.”
Continuai a ripensare alle sue parole e sorrisi. Nonostante non sembrasse affatto di buon umore, aveva voluto che restassi, che non lo lasciassi solo.
Non sapevo quali assurdi pensieri gli attraversassero la mente, non sapevo perché era salito su una macchina della polizia e, soprattutto, non sapevo perché avesse quell’espressione cupa dipinta in volto quando lo rividi.
Cercai di accantonare quelle immagini, non volevo vederlo triste o arrabbiato.
 
Non appena entrammo in casa, un tuono ruppe il silenzio e rabbrividii. Cercai disperatamente la mano di Jason e la strinsi, lui si voltò a guardarmi ed intrecciò le sue dita con le mie. “Va tutto bene” mi disse, “non ti succederà nulla finché sarai qui.
Annuii in modo quasi impercettibile e lasciai che mi conducesse sino al divano.
Detestavo avere così tanta paura dei temporali, detestavo dover associare ogni scroscio d’acqua a quel giorno maledetto, ma superarlo mi sembrava impossibile.
Provai a scacciare la paura, Jason aveva ragione, non poteva succedermi nulla finché sarei rimasta lì. Mi persi più del dovuto a guardarlo negli occhi e, quasi senza accorgermene, mi ritrovai sempre più vicina al suo viso. Abbassai lo sguardo sulle sue labbra e poi chiusi gli occhi, lasciando che la distanza tra noi si estinguesse del tutto. Riversai in quel bacio ogni mio pensiero, ogni mia attenzione, ogni cosa. Lasciai fuori da tutto ciò il mondo che mi circondava, persino il rombo dei tuoni sembrava un suono lontano.
 

________________________________ 

 
Mi ero sdraiata accanto a lui sul divano, il suo braccio circondava la mia vita e la schiena era premuta contro il suo petto. Mi sfregai gli occhi, mettendo a fuoco gli oggetti che mi circondavano, e mi voltai lentamente verso di lui. Aveva gli occhi chiusi ed il respiro pesante, segno che stava dormendo, e – sebbene non avessi idea di che cos’avrei potuto fare – non volli svegliarlo. Mi alzai e mossi qualche passo verso la cucina, soffermando la mia attenzione su una piccola foto appesa al dorso della porta del frigorifero. Non l’avevo notata l’ultima volta che avevo messo piede in quella stanza. Mi avvicinai maggiormente, inquadrando il volto di una donna dai lunghi capelli scuri e dagli occhi cerulei: era giovane ed era bellissima. I lineamenti del suo viso avevano qualcosa di famigliare ed istintivamente sorrisi quando, poco dopo, posai lo sguardo sul bambino che abbracciava. Non doveva aver avuto più di sei o sette anni, ma non mi fu difficile riconoscere che si trattava di Jason. Il colore degli occhi era lo stesso, così come gli accenni dei lineamenti – sebbene ora fossero più marcati – ma aveva qualcosa che al Jason che conoscevo io mancava. Quel bambino sorrideva e sembrava davvero felice in quella fotografia, al contrario del ragazzo che ora dormiva nell’altra stanza. Mi rabbuiai e sfiorai con l’indice il volto di quel bambino, sentendomi improvvisamente triste.
Nonostante non la conoscessi, mi era dispiaciuto veramente tanto sapere che quella donna fosse morta. Era così bella e sembrava una persona tanto dolce, perché Dio aveva voluto portarsela via?
Scossi il capo e mi accorsi di avere gli occhi velati di lacrime, così tornai in soggiorno, cercando di provocare meno rumore possibile. Con lo sguardo cercai altre foto, ma non ne trovai e posai la mia attenzione sulla libreria alla mia sinistra, accanto alla rampa di scale. Mi avvicinai ad essa ed iniziai a leggere i titoli riportati sul dorso di ogni libro. La maggior parte di essi non li conoscevo, ma dai titoli sembravano interessanti, così pensai che avrei potuto sceglierne uno da sfogliare mentre aspettavo che Jason si svegliasse.
Ne sfilai uno, ma non mi accorsi di averne erroneamente trascinato un altro. Cadde al suolo, provocando un tonfo sordo e voltai velocemente il capo verso Jason. Non si era mosso minimamente e tirai un sospiro di sollievo, pronta per raccogliere il libro finito al suolo.
Si era aperto circa a metà e, quando mi chinai, notai che le parole impregnate sulla carta erano state scritte a mano e non stampate a macchina. Corrugai la fronte e, mettendo da parte il libro che avevo scelto, presi tra le mani quello caduto. Guardandolo meglio, non sembrava affatto un libro, ma un diario. Lo chiusi momentaneamente ed osservai la copertina: era nera, con delle striature imprecise marcate su di essa. Vi passai sopra il dito, sembravano graffi recati appositamente da qualcuno, visto che dall’altro lato era liscia.
Lo sfogliai velocemente, tralasciando le pagine iniziali – le quali apparvero lievemente sbiadite -  e soffermandomi sulle ultime dieci, decisamente più marcate.
 
 

1 marzo 2010

 
Non mi aspettavo una festa a sorpresa, o decine di regali da scartare. Non mi aspettavo nemmeno una torta o il mio piatto preferito per cena. Non mi aspettavo niente di tutto ciò. Avrei solo voluto che almeno lei si ricordasse del mio compleanno, ma non è successo.
Non è mai successo.
L’ultima volta che se n’è ricordata, è stato nove anni fa, quando compii sette anni.
Non mi aspettavo che mio padre se ne ricordasse, di lui non m’importava, ma speravo che lei non fosse come lui.
Sono cambiate così tante cose in questi ultimi anni, ho iniziato ad essere invisibile ai loro occhi per la maggior parte della giornata. Lui si ricordava di me solo quando, di tanto in tanto, non rispettavo le sue regole o smettevo di essere invisibile nei momenti meno opportuni, ovvero quando le sue mani colpivano il viso di mamma per motivi a me sconosciuti.
 
Voglio che se ne vada. Voglio che smetta di rendermi la vita un inferno.
Voglio vederlo morire.
 
 
Sbarrai gli occhi nel leggere quell’ultima frase. Deglutii rumorosamente e ritornai alla prima pagina, sperando di trovare una risposta alla mia domanda, che non fosse quella a cui stavo pensando.
Dovetti ricredermi ed abbandonare l’idea che quello potesse trattarsi di un diario scritto da qualche scrittore pazzo.
Quel diario apparteneva a Jason ed il suo nome scritto appena dietro alla copertina mi fece trasalire.
Voltai il capo verso il divano e dischiusi le labbra; avrei tanto voluto dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola e sperai vivamente che quella frase fosse solo uno sfogo di rabbia momentaneo. Tentai di dare la colpa al fatto che entrambi i suoi genitori si fossero dimenticati del suo compleanno, volli credere che quella fosse solo una frase fatta.
Così continuai a leggere, sfogliando alcune pagine e sperando di rimarcare la mia teoria.
 
 

1 novembre 2010

 
Ogni volta che ritorno da scuola e percorro la strada che conduce a casa mia, sento un peso opprimente schiacciarmi il centro del petto. Una scia di devastazione che mi logora ad ogni passo che compio.
Ha iniziato a piovere questa mattina e non ha ancora smesso.
Le gocce di pioggia mi hanno accompagnato fino a casa, il rombo dei tuoni ed il fruscio del vento sembrava volermi sussurrare pensieri inespressi che cercavo di mantenere nascosti in un angolo recondito della mia mente.
Più che pensieri, i miei erano desideri, preghiere, richieste di aiuto che nessuno sembrava sentire.
Mi sento perso in una disperazione che va ben oltre il bagno di tristezza e frustrazione che sopportavo ogni giorno.
Sento di aver raggiunto il limite. Non ce la faccio più.
Detesto vivere una vita come questa. Odio il fatto che ogni giorno papà trovi una scusa per farmi del male e per urlarmi contro, mentre mamma rimane immobile, a guardarmi con gli occhi velati.
Trattengo le lacrime più che posso, perché non voglio che mi veda piangere. Si arrabbierebbe ancora di più ed incrementerebbe l’ira con cui si sfoga su di me.
 
Ho cercato di restare fuori casa più tempo possibile, mi sono seduto davanti alla porta d’ingresso e ho aspettato che finisse di piovere. Dopo poco è uscito il sole, ma non era per niente caldo, anche se speravo che fosse sufficiente per asciugarmi i vestiti che avevo addosso.
Entrai in casa solo quando non fui più bagnato fradicio e lo vidi seduto sul divano, intento a guardare la televisione. Non appena chiusi la porta alle mie spalle, si voltò a guardarmi e spense l’apparecchio.
Chiusi gli occhi non appena lo vidi muovere qualche passo verso di me.
E poi è successo di nuovo.
 
 
Sentii le mani tremare e temetti che da un momento all’altro le mie gambe avrebbero ceduto. Fissai quelle parole con gli occhi sbarrati, senza nemmeno sapere dove soffermare maggiormente la mia attenzione. Iniziavo a capire la ragione per cui avesse espresso quel pensiero solo qualche mese prima, ma più mi soffermai a pensare, più mi si presentavano nella mente ipotesi che avrei preferito non pormi.
Sfogliai altre pagine e ripresi a leggere.
 
 

18 novembre 2010

 
Lo ha fatto di nuovo.
Nonostante siano trascorse già quattro ore, riesco tutt’ora a sentire la stretta della sua mano attorno al mio collo e fa male.
Il mio riflesso nello specchio del bagno mi fa quasi paura. I segni violacei che contornano i miei occhi sono un segno evidente che non dormo da giorni. Ogni notte vivo con la costante paura di doverlo affrontare e temo sempre più di non farcela. Vivo con la costante paura che l’ultimo respiro che esalerò sia in sua presenza.
Ma voglio porre fine a tutto questo.
Poco fa i suoi occhi hanno incrociato i miei e sono rimasto impassibile, non ho mosso un solo muscolo, né battuto ciglio. Più guardavo il suo viso, più riuscivo ad immaginarmelo coperto di sangue, schiacciato contro il pavimento gelido, mentre diveniva man mano più pallido e freddo.
Se lo avessi ucciso non mi avrebbe più fatto del male. Tutto sarebbe finito e avrei ricominciato a vivere.
Ho paura solo di una cosa: temo che sarò l’unico ad apprezzare la vista del suo corpo privo di vita.
Mamma non approverebbe, avrebbe paura di me, così come ha paura tutte le volte che mi picchia.
Se dovessi continuare a vivere con il suo sguardo terrorizzato, puntato addosso per il resto dei miei giorni, impazzirei.
Mi odierebbe, non mi parlerebbe più e le attenzioni che mi rivolge ora non sono molte.
Anche lei deve morire.
 
Fui incapace di batter ciglio, ebbi l’impressione che il mio cuore si fosse fermato e, improvvisamente, non sentii più alcun rumore, nemmeno il rombo dei tuoni. Scossi il capo, quasi a voler scacciare le immagini da lui descritte in quella pagina, ma fu più forte di me, non riuscii a cancellarle.
Deglutii sonoramente e feci scorrere altre pagine, timorosa di quel che avrei potuto trovar scritto di lì a poco.
 
 

2 dicembre 2010

 
È diventato tutto troppo difficile da sopportare e sono stanco di provare dolore al posto suo. Nonostante la porta di camera mia sia chiusa, riesco a sentirli litigare distintamente. Ho provato a tapparmi le orecchie, ma non è servito a niente, le parole pronunciate da quel bastardo sono più taglienti della lama di un coltello e, forse, mi feriscono più di quanto facciano i suoi schiaffi.
Non riesco a sopportare il fatto che inveisca contro alla mamma in quel modo, soprattutto se l’argomento principale sono io.
Non posso più aspettare, voglio mettere in atto quello a cui penso da mesi.
 
 
Continuai a scuotere il capo ed avvertii nuovamente gli occhi pizzicare. Mi morsi il labbro inferiore per evitare di singhiozzare. Le mani continuavano a tremare ed ero certa che, se non avessi retto saldamente quel diario, sarebbe finito a terra.

 

3 dicembre 2010

 
Sono rimasto quasi un’ora a fissare la chiazza di sangue che contorna ancora adesso i loro corpi. Gli occhi di mio padre sono spalancati ed un’espressione di terrore gli fascia tutt’ora il viso. Vorrei sorridere, mostrare almeno a me stesso un segno di gratitudine, ma sento il vuoto dentro di me.
Sarebbe stato diverso se non avessi ucciso anche lei. Avevo evitato di guardarla negli occhi, non avrei retto. Alcune ciocche di capelli le ricadono davanti al viso, coprendolo in buona parte ed evito di sfiorarle le gote, saranno sicuramente fredde.
Sento riecheggiare ancora nella testa le sue grida e non riesco a farle smettere. Si ripetono come un disco mal funzionante e mi fanno rabbrividire.
Prima di allontanarmi da lì, ho dato un ultimo calcio nel fianco a quel bastardo che, a differenza di ciò che ha fatto lui, avrebbe dovuto comportarsi da padre.
 
Non mi pento di quello che ho fatto, so già che non sentirò la loro mancanza.
So già che riuscirò a vivere da solo, sebbene dovessi farlo in completa solitudine, ma starò bene.
Non ho idea di che cosa ne sarà di me, ma non m’importa.
Non ho paura, non più.
Ho smesso di provare terrore nell’istante in cui il cuore di mio padre ha smesso di battere. Ora non c’è più nessuno che può farmi del male.
 
 
Lasciai cadere a terra quel diario, senza preoccuparmi del fatto che avessi potuto provocare rumore, e corsi fuori da quella casa più velocemente che potei.
Non aveva ancora smesso di piovere, ma la paura che mi scorreva dentro andava ben oltre la mia stupida fobia. Salii in macchina e misi velocemente in moto, sfrecciando sulla strada che mi avrebbe portato a casa.
Abbassai lo sguardo sulle mani: a stento riuscivo a mantenerle salde attorno al volante, erano più pallide del solito e, quando inquadrai la mia immagine riflessa nello specchietto retrovisore, realizzai di esser diventata bianca come un lenzuolo. Avevo le gote rigate di lacrime e persino il labbro inferiore tremava. Non mi riconobbi nemmeno.
 
Va tutto bene” mi disse, “non ti succederà nulla finché sarai qui.
Ma non riuscii più a credere alle sue parole.
Come potevo essere certa che non mi sarebbe capitato niente, se aveva ucciso entrambi i suoi genitori senza nemmeno provare rancore?
 
 
 
 

Jason

 
“Perché non possiamo andare via da qui?” domandai alla mamma, pregandola con lo sguardo di darmi una risposta sensata.
“Ci sono tante cose che ancora non sai, ma, per il momento, posso solo dirti che dobbiamo rimanere qui. E poi, perché vorresti andare via?” mi chiese a sua volta.
“Perché voglio vivere lontano da lui, è cattivo!” quasi gridai, volendo esser certo che una volta per tutte mi capisse.
Dal suo sguardo comprensivo capii che non avrebbe potuto darmi torto. Si chinò, raggiungendo così la mia altezza, e, posando entrambe le mani sulle mie spalle, mi disse: “ti prometto che un giorno ce ne andremo da qui. Ti prometto che tutto si risolverà, ma, per adesso, il nostro posto è qui. Lo sai che papà non è così cattivo come può sembrare, sta passando un brutto periodo, ma passerà.”
Sospirai rassegnato, non ero molto convinto nelle sue parole, ma cercai di annuire.
“Me lo prometti?”
“Te lo prometto.”
 
 
Riaprii gli occhi diverso tempo dopo, a giudicare dall’oscurità del cielo dovevo aver dormito parecchio. Mi alzai di scatto quando non vidi Ivy accanto a me, ero certo che fosse proprio qui. Non avevo sognato, ricordo di averla baciata e di averle stretto la vita in modo che mi rimanesse accanto.
Mi passai una mano sul viso, cercando di svegliarmi del tutto, e la mia attenzione venne catturata da una borsa accasciata accanto al tavolino di fronte al divano.
Ivy, dove sei?” domandai, ma non ricevetti alcuna risposta nemmeno quando pronunciai ripetutamente il suo nome ad alta voce. Salii al piano superiore, ma non la trovai in nessuna delle stanze. Tornai nuovamente in soggiorno e, quando feci per entrare in cucina, posai lo sguardo sulla libreria accanto alla porta. Mi avvicinai e notai un libro chiuso e, poco distante da esso, il mio diario aperto. Entrambi giacevano al suolo.
Impallidii all’istante ed iniziai sudare freddo. Lentamente lo afferrai e mi bastò leggere la data in alto a destra della pagina per capire tutto.
Mi voltai ripetutamente a destra e a sinistra, sperando davvero che non se ne fosse andata, ma quando vidi la porta d’ingresso socchiusa, dovetti realizzare il contrario.
Appoggiai la schiena contro la parete, provocando un rumore sordo, e feci scivolare dalla mano quel diario. In quell’istante mi pentii di non averlo distrutto, o di non avergli trovato un nascondiglio migliore.
Iniziai a credere che, d’ora in poi, anche lei mi avrebbe guardato con il terrore dipinto negli occhi e non avrei potuto sopportarlo.
 
Se ti va di parlarmene, puoi farlo. Se si tratta di qualcosa che ti ha costretto a restare sveglio tutta la notte, è perché probabilmente è difficile da sopportare. Ma puoi parlarmene se vuoi, sono sicura che ti farà bene, ti toglierai un peso. Non voglio obbligarti, dico solo che, se credi che sia qualcosa che nessuno potrebbe capire, io lo farei. Ti capirei, non ho mai giudicato nessuno e non mi permetterei mai di farlo.
Mi ritornò alla mente quanto mi aveva detto e scossi il capo, realizzando ancora una volta che quelle non furono altro che parole gettate al vento.
Sarebbe cambiato qualcosa se gliel’avessi raccontato di mia spontanea volontà?
Avrei tanto voluto che potesse capirmi, ma era evidente che non potesse farlo. Quello era un peso troppo opprimente da annullare con una semplice chiacchierata. Era troppo persino per me che l’avevo vissuto in prima persona.
Ripensai a Kayden ed a ciò che mi aveva detto solo poche ore prima. Iniziai temere che quel ragazzo sapesse troppe cose sul mio conto e ciò non avrebbe fatto altro che peggiorare la mia situazione.
 
Iniziai ad immaginare lo sguardo terrorizzato di Ivy, puntato su di me ogniqualvolta mi avrebbe incontrato per i corridoi e realizzai di non poterlo sopportare. Avrei sopportato quella reazione da parte di chiunque, ma non da lei. Sul suo viso non avrei voluto vedere altro che un sorriso ed ebbi paura che, presto o tardi, sarei finito col dimenticare il modo in cui le sue labbra si curvavano verso l’alto.
Lo accetterei da chiunque, ma non da te.
Riuscirei a sopportare l’odio di centinaia di persone, ma non il tuo.
 
Continuavo a domandarmi se un giorno avrei avuto il diritto di sentirmi libero, di smetterla di vivere con quel peso sul petto. Speravo e pregavo che il mio passato si dissolvesse come fumo al vento, dandomi la possibilità di restare vicino ad una come lei. Lei che era passata oltre l’apparenza e aveva fatto di tutto pur di avvicinarsi a me e cercare di capirmi.
Ma, una volta scoperta la verità, era scappata, facendomi crollare nuovamente in quell’oblio che mi opprimeva da anni.




 



Spazio Autrice

Tralasciando il fatto che sono super mega agitata per il concerto di Miley e ancora non so quando realizzerò il tutto, ho fatto del mio meglio per aggiornare in settimana, in modo da non far passare ancora una vita e mezza.
Ho finito il capitolo ieri all'una e mezza di notte e oggi ho una voglia di vivere sotto terra, ma andiamo avanti.

Insulti tra 3,2,1...
Merito insulti?
Oh, andiamo, era ovvio che prima o poi Ivy avrebbe scoperto il segreto di Jason. 
Che poi le cose possano andare male, peggio, in modo catastrofico, questo è un altro discorso, ma io ovviamente non dico nulla.
Vi lascio un mini mini spoiler qui sotto (Federica, tu ovviamente non leggere.)
Detto ciò, vi ringrazio davvero moltissimo per le recensioni, i complimenti su ask, twitter, eccetera, sono davvero importantissimi per me!

Un'ultima cosa, vi chiedo un favore: passereste a leggere questa storia? Secondo me merita davvero moltissimo e ci terrei che lasciaste una recensione :)
Triangles

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

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Spoiler

Perché non me lo hai detto prima?
Sarebbe cambiato qualcosa?” ribattei in mia difesa e scosse il capo.
No, probabilmente non sarebbe cambiato niente, ma non mi fido di te, Jason. Ho paura di te.




 

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Capitolo 16
*** Capitolo 15: the emptiness inside me is killing me. ***




 

 

Capitolo 15: the emptiness inside me is killing me.


 

Jason


Avevo passato la notte in bianco, senza riuscire a prendere sonno nemmeno per poco e non volli nemmeno guardarmi allo specchio, per paura di rivedere la stessa immagine che mi portavo dietro quotidianamente solo tre anni prima. Prima di uscire per andare a scuola, mi assicurai di aver infilato nello zaino la borsa di Ivy. Avrei dovuto fargliela avere in qualche modo e, più pensavo ad una nostra ipotetica conversazione, più sentii il battito del cuore accelerare. Ero certo che non avrei potuto reggere il suo sguardo, non avrei potuto sopportare il fatto di essere guardato con terrore da lei.
 
Raggiunsi la scuola con largo ritardo, ne ero consapevole, ma non me ne preoccupai. Inconsciamente tentavo di rimandare il più possibile il nostro incontro, sperando così di trovare il coraggio di affrontarla.
Detestavo essere così vulnerabile per via di qualcuno che non fossi io. Lei non aveva alcun diritto di scombussolarmi la vita; se non avesse mai tentato di avvicinarsi a me tutto questo non sarebbe successo. Se non fosse stata così diversa dalla miriade di persone colma di pregiudizi, avrebbe mantenuto una discreta distanza da me.
Eppure era successo tutto l’opposto, e forse anche più di quel che avrei potuto immaginare.
Ero finito col basare ogni mia singola reazione su di lei, ero terrorizzato dal fatto che si allontanasse da me e non era una cosa che potevo permettermi di provare.
 
Il corridoio era deserto, come immaginavo, ma non entrai nell’aula di biologia: ero certo che ci sarebbe stata anche lei e non volevo che l’attenzione di tutti quei ragazzi – compresa la sua – ricadesse su di me. Prima che potessi muovere anche solo un passo verso la caffetteria, sentii un suono di passi avvicinarsi a me e, istintivamente, mi ritrassi dietro all’ultimo armadietto. Mi sporsi di poco ed inquadrai la figura di una ragazza, coperta per metà dallo sportello dell’armadietto. La sua mano era appoggiata ad essa e notai sul suo braccio alcuni braccialetti a me famigliari. Capii che si trattava di Ivy, così mi affrettai a raggiungerla, cercando di provocare meno rumore possibile.
Quando le fui accanto, mi schiarii la voce, incapace di pronunciare il suo nome, e la vidi sobbalzare. Chiuse di scatto l’armadietto e si voltò verso di me, senza nemmeno sapere che fossi proprio io.
Sobbalzò di nuovo ed indietreggiò nell’istante in cui il suo sguardo si posò su di me e poi lo vidi. Sgranò gli occhi e dischiuse le labbra, dedicandomi un’occhiata esageratamente terrorizzata. Nel suo sguardo aleggiava paura ed io ne ero la causa. Sentii lo stomaco chiudersi in una morsa ed ebbi l’istinto di scappare, ma rimasi immobile.
Continuò ad indietreggiare, ma non scostò lo sguardo da me nemmeno per un istante.
Dal momento in cui realizzai che non avesse alcuna intenzione di rivolgermi la parola, aprii lo zaino e ne estrassi la sua borsa.
Hai dimenticato questa ieri” le dissi, mantenendo un tono di voce piuttosto basso.
Impiegò alcuni istanti prima di allungare la mano verso la sua borsa ed afferrarla. Lasciai la presa solo quando fui sicuro che la sua mano la stesse stringendo e poi indietreggiò ancor di più.
Cercai di riportare lo sguardo sul suo viso, ma non appena incrociai i suoi occhi, abbassai il capo all’istante. Non volevo e non potevo permettermi di vedere che fosse terrorizzata da me.
Prima che potessi accorgermene, si era voltata ed aveva iniziato a correre verso l’aula dalla quale era uscita.
Non aveva detto nulla, non una parola, un sussurro: niente di niente. I suoi occhi avevano parlato per lei ed avrei tanto voluto che fossero rimasti in silenzio.
Ma cos’avrei potuto pretendere? Mi domandai.
Ho ucciso i miei genitori senza provare il minimo risentimento. Sono un mostro!
Ho avuto la faccia tosta di ritornare nella casa in cui vivevo con loro, spesso rivivo in sogno i momenti passati con mia madre, i desideri repressi che non sono mai riuscito ad esternare.
Non potrei mai stare con qualcuno, questo doveva averlo capito anche lei.
Nonostante abbia tremendamente bisogno di qualcosa di più oltre al silenzio e alla tristezza che mi porto dentro, so che il mio animo rimarrà cattivo perché non ho mai provato null’altro oltre a questo.
So che allontanerò – inconsciamente oppure no – chiunque tenti di avvicinarsi.
E questa volta, sebbene non avessi voluto, l’avevo fatto con lei.
 
La mia presenza all’interno delle aule in cui dovetti seguire le varie lezioni, fu soltanto fisica. Non ascoltai una sola parola di ciò che quei professori dicevano. Aspettavo semplicemente che la campanella suonasse per poter finalmente uscire. Avrei preferito non presentarmi affatto a scuola, ma avevo sperato sino all’ultimo che si trattasse solo di un brutto sogno e che Ivy non avesse realmente letto il mio diario. Mi ero semplicemente illuso.
Quando uscii da scuola, m’incamminai verso casa, senza mai voltarmi o aspettare che anche lei uscisse. Non avrei ottenuto nulla se l’avessi fatto.
Mantenni un passo lento, vedendo decine e decine di persone che mi superarono con facilità e, tra quelle persone, ci fu anche lei. Ero certo del fatto che mi avesse notato, perché il suo passo accelerò notevolmente e, anziché proseguire dritta, svoltò a destra, iniziando a camminare all’interno di un parco. Lo stesso che qualche giorno prima ci aveva permesso di scappare da Kayden.
Rimasi immobile e la vidi allontanarsi sempre più, ma più speravo che la sua immagine si dissolvesse in modo da potermi concentrare su altro, più fremevo dalla voglia di raggiungerla. Non si voltò, me l’aspettavo.
Poco dopo mi sorpresi a volerla rincorrere e, quasi come se fosse stato un gesto incondizionato, non riuscii a fermarmi. Non c’era nessun altro oltre a noi su quel piccolo sentiero e ne fui grato di questo.
Non appena sentì i miei passi si voltò, dedicandomi ancora una volta quel suo sguardo colmo di paura.
Fu l’ennesima pugnalata al petto.
Che cosa vuoi?” mi domandò con tono freddo non appena la raggiunsi, ma continuò ad indietreggiare. “Perché mi stai seguendo?
So che hai letto quel diario” dissi semplicemente, abbassando di poco lo sguardo.
Sì e ora realizzo che non avrei dovuto farlo.” Il suo tono di voce continuava ad essere freddo e distaccato ed era spiacevole da sentire.
No, decisamente non avresti dovuto.” Mi sentii quasi costretto a risponderle in quel modo.
Non l’ho fatto di proposito.” Questa volta fu lei ad abbassare lo sguardo, sembrava quasi dispiaciuta.
Ah, davvero?” senza volerlo alzai leggermente il tono di voce e me ne pentii. Ero intenzionato a far in modo che ritornasse da me, non che si allontanasse più di prima.
Non l’avrei letto se non me lo fossi ritrovata davanti. Mi è caduto mentre sfilavo un libro dallo scaffale” ribatté a tono ed annuii in modo quasi impercettibile.
E comunque questo non giustifica niente. Come hai potuto fare una cosa del genere?” questa volta fu lei ad alzare la voce e rimasi in silenzio. Sapevo che non si aspettava realmente una risposta, era già a conoscenza di quanto successo e risentirlo una seconda volta sarebbe stato difficile da reggere.
Strinsi i pugni lungo i fianchi, ma probabilmente non se ne accorse. Cercai di restare immobile, non volevo spaventarla, ma evidentemente era troppo tardi.
Perché non me lo hai detto prima?” domandò di nuovo, sollevando lo sguardo e costringendomi a guardarla negli occhi.
Sarebbe cambiato qualcosa?” ribattei in mia difesa e scosse il capo.
No, probabilmente non sarebbe cambiato niente, ma non mi fido di te, Jason. Ho paura di te.
Lo sapevo. Le ultime parole che pronunciò mi fecero quasi mancare il respiro.
Me n’ero accorto” mormorai, il mio tono di voce fu così basso che dubitai potesse avermi sentito.
Indietreggiò ulteriormente, mentre io la guardai pregandola che rimanesse immobile.
Credo sia meglio che d’ora in poi tu mi stia lontano.” Ancora una volta avvertii quella fastidiosa morsa avvolgermi lo stomaco.
Scossi ripetutamente il capo con l’intenzione di cancellare quanto avevo appena sentito.
Per favore, no.
Non so davvero come tu abbia potuto farlo, senza nemmeno pentirtene. Hai ucciso i tuoi genitori!” sbottò e sentii la sua voce spezzarsi. I suoi occhi iniziarono a riempirsi di lacrime e, questa volta, fui io ad indietreggiare.
Come puoi continuare a vivere come se nulla fosse successo?” gridò di nuovo e sbarrai gli occhi.
Che cosa ti fa pensare che questa, per me, possa chiamarsi vita? Credi davvero che per me sia facile?” ribattei, stringendo maggiormente i pugni e sentendo un’ondata di rabbia crescermi dentro. L’ultima cosa che volevo era inveirle contro, ma non riuscivo a sopportare il fatto che lei la pensasse in quel modo.
Lei, come tutti gli altri, non sapeva e non capiva cosa fossi costretto a sopportare giorno dopo giorno. Credeva che tutto fosse diventato più facile, che riuscissi a condurre una vita normale, ma non era affatto così.
Tu non sai niente, Ivy” continuai, “avrai anche letto ciò che ho fatto, ma evidentemente non hai capito il motivo.
Ti sbagli, Jason” disse quasi interrompendomi. “Ho letto diverse pagine di quel diario, ho letto quello che hai passato e, credimi, mi dispiace davvero, ma uccidere qualcuno va oltre ogni limite. Io credo che avresti potuto trovare una soluzione diversa e-
Non c’erano altre soluzioni.” Questa volta fui io ad interromperla.
La vidi scuotere il capo ed alcune lacrime le rigarono il viso. Non aveva più alcun senso continuare quella conversazione. Non mi avrebbe capito, aveva detto che l’avrebbe fatto, ma, ora che sapeva la verità, tentava di mantenere quanta più distanza poté nei miei confronti.
Tutto questo è assurdo.” Si passò entrambe le mani sul viso, coprendosi gli occhi per qualche istante. “Non credo che potrei mai capirti e, onestamente, non so nemmeno se voglio farlo.
Non ti chiedo di capirmi, nessuno lo ha mai fatto, ma non avere paura di me, non ti farei mai del male” fu tutto ciò che riuscii a dire, ma le mie parole parvero sconvolgerla ancora di più.
Come faccio a crederti?” gridò.
Non lo so, come hai fatto fino adesso.
No, Jason, non ci riesco. Stai lontano da me!
Dopo aver pronunciato quelle parole, si voltò ed iniziò a correre a perdifiato, aumentando sempre più la distanza che ci separava.
Ivy, per favore, no” quelle parole uscirono dalle mie labbra tramutandosi in un sussurro che però solo io sentii.
La guardai andar via, incapace di muovere un solo muscolo, fino a che la sua figura non sparì completamente dalla mia vista.
 
 
Quella notte fu più lunga di quanto in realtà mi aspettassi. Il tempo a disposizione per pensare fu molto, troppo. Nell’arco di ventiquattrore quelle scene mi si ripresentarono nella mente come diapositive e non c’era alcun modo di cancellarle.
Ricordai ogni cosa.
Ricordai ogni dettaglio inerente alla sera in cui uccisi i miei genitori, riuscii persino a percepire nuovamente le sensazioni che provai.
Ogni cosa che avevo amato e che avevo odiato, e tra quelle c’era lui: mio padre.
Ricordai persino le parole che continuai a ripetere quando la situazione iniziò a peggiorare.
“Posso farcela. Sarà difficile, ma sono disposto a lottare con il coltello tra i denti per sopravvivere. Posso farcela.”
Di punto in bianco quelle parole avevano perso valore ed io mi ero arreso all’idea di poter sopportare tutto quello che stavo passando.
Da quando i nostri scontri divennero più violenti, il mio mantra era cambiato.
“Non c’è abbastanza posto qui per tutti e due. Se me ne andrò io, mia madre soffrirà, ma se sarà lui ad andarsene, staremo bene entrambi. Deve morire, perché io non posso più sopportare tutto questo.”
 
Un brivido mi percorse la schiena e riaprii di scatto gli occhi. Ero sdraiato sul mio letto ormai da ore, avevo smesso di fissare il soffitto ed ero finito col ripercorrere, immagine dopo immagine, ogni frammento di quel 3 dicembre.
Il mio unico scopo era sempre stato quello di dimenticare, di voltare pagina ed iniziare così una nuova vita, ma non ci sarei mai realmente riuscito.
Nell’istante in cui mi passò davanti agli occhi l’immagine dei loro corpi privi di vita sul pavimento della cucina, sussultai e mi alzai dal letto.
A grandi falcate raggiunsi la camera dei miei genitori e rimasi immobile a fissare il vuoto avvolto dall’oscurità.
Un’ipotetica immagine di Ivy mentre leggeva il mio diario mi attraversò la mente, potei quasi riuscire a vederla scappar via, mentre giurava a sé stessa che non si sarebbe mai più avvicinata a me.
Mi lasciai scivolare contro il muro, sedendomi poi sul pavimento in legno. Avvertii il respiro divenire sempre più pesante e mi passai le mani tra i capelli, tirandone vigorosamente le punte. Un’ondata di rabbia mi travolse completamente, facendomi perdere lucidità, e sbattei un pugno contro il pavimento.
La rabbia, poco dopo, si tramutò in un fastidioso senso di vuoto. Un vuoto che mi attanagliò lo stomaco ed iniziai a sudare freddo.
Mi sentivo perso in una morsa di uno strano dolore, non avrei mai pensato che la sua assenza potesse farmi sentire così, ma non si trattava solo di quello.
Inizialmente Ivy era stata solo una distrazione da ciò che mi opprimeva, ma ora ero certo che non si trattava più solo di quello.
Mi sentivo in trappola, come se quelle quattro mura si facessero via via sempre più strette ed io non riuscivo a fare assolutamente nulla per scappare.
Erano anni che non mi sentivo così impotente.
 
Avrei voluto bruciare quel diario, avrei dovuto prendere in considerazione l’idea di farlo sparire sin da subito, ma me n’ero sempre rifiutato. E ora me ne pentivo.
Sapevo che tutto ciò era frutto di un mio errore e lei non aveva sbagliato a reagire in quel modo. Chiunque l’avrebbe fatto, mi sarei stupito del contrario.
Perdonami, ti prego.
Ma quella mia richiesta morì nel silenzio della notte, perché non sapevo realmente a chi la stavo rivolgendo. Non era ad Ivy che avrei dovuto chiedere perdono, non avrei potuto cambiare il mio passato nemmeno se l’avessi voluto.
Non chiedevo perdono a mio padre, lui non si meritava nemmeno la mia compassione.
Forse l’unica che avrei potuto compiangere sarebbe stata mia madre. Oltre alla codardia, lei non aveva commesso colpe.
 
Possiamo ricominciare?
Potresti fingere di non aver mai letto quel diario?
Potresti semplicemente ritornare?



 


Spazio autrice

Evidentemente questa è l'unica storia che riesco ad aggiornare senza far passare gli anni, amatemi.
Sì, diciamo che mi viene molto più semplice scriverla rispetto ad altre.
Bene, bando alle ciance e posate i forconi.
Lo so che mi state odiando, so perfettamente che non avreste mai voluto che Ivy scoprisse in quel modo il segreto di Jason, ma, casualmente, è successo e ora ha paura di lui.
Brutta storia, decisamente, qui le cose andranno a complicarsi, potrebbe anche esserci un ritorno di fiamma da qualcuno ben poco sopportabile, ma, hey, io non dico niente che poi vi agitate (Federica, tu sta buona.)

Oltre a ciò, spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e ci tengo davvero moltissimo a sapere che cosa ne pensate.
Ormai sapete che apprezzo da morire quello che mi scrivete nelle recensioni, siete tutte assolutamente dolcissime e vi ringrazio!

Alla prossima!
Much Love,
Giulia


@Belieber4choice
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Capitolo 17
*** Capitolo 16: it would be wrong. ***




 

 

Capitolo 16: it would be wrong.


 

Ivy


Ivy, stai bene?” mi domandò Marie, camminandomi accanto lungo il corridoio già affollato di studenti. Sbuffai ed annuii, stringendo saldamente i libri al petto. Avrei dato qualsiasi cosa pur di non andare a scuola quel giorno, pur di evitare le domande di Marie e, molto probabilmente, anche lo sguardo di Jason.
Ne sei sicura? A me non sembra proprio.
Alzai gli occhi al cielo, ma probabilmente non lo notò. “Sì, sto bene, davvero. Non è necessario che ti comporti come una psicologa, o come una madre apprensiva” sbottai, forse in modo troppo brusco, e a notare dall’espressione dipinta sul suo viso, dovevo esser stata davvero acida.
Sono la tua migliore amica, credo sia normale che mi preoccupi per te. Hai un aspetto orribile, sembra che tu non dorma da giorni.
Sì, in effetti sono stanca, ma non è nulla di grave.” Mi sforzai di abbozzare un sorriso, ma ero più che certa che fosse paragonabile ad una smorfia. Non avevo alcuna intenzione di raccontarle quanto avevo scoperto su Jason. Non sapevo se fosse giusto o sbagliato, ma non volevo che tutta la scuola reagisse nel mio stesso modo, se non peggio.
Per tutto il tragitto non avevo fatto altro che voltarmi ripetutamente a destra e a sinistra, ma non lo vidi ed ero convinta che fosse un bene. Temevo di avere il suo sguardo puntato addosso e, visto quanto successo il giorno prima, non avevo intenzione di replicare i nostri incontri.
Avrei voluto restare lontano da lui il più possibile, ero terrorizzata da quanto avevo fatto e le parole scritte da lui su quel diario erano state così precise, le scene dannatamente dettagliate e non potei evitare d’immaginarmi ogni cosa. Un brivido mi percorse la schiena al solo ricordo.
Scossi il capo, scacciando quei pensieri e realizzando di aver raggiunto la mia meta.
Feci per salutare Marie ed entrare così nell’aula di storia, quando mi trattenne per un braccio.
Aspetta,” disse, “questo pomeriggio sei libera? Potremmo-
Non ho intenzione di uscire, scusami” la interruppi, volgendole uno sguardo di scuse.
Stavo per dire studiare insieme, ma se non vuoi…
Non  è il caso” sorrisi appena, tagliando corto. “Ci vediamo più tardi a pranzo,” la liquidai velocemente e sparii all’interno dell’aula.
 

Jason

 
Il fastidioso trillo della sveglia posata sul comodino mi fece sobbalzare. Aprii un occhio per controllare l’ora e la spensi, voltandomi dalla parte opposta.
Erano solo le sette del mattino ed io non dovevo aver dormito per più di un’ora. Mi sentivo stanco come non mai, ma non fu quello il motivo per cui non mi alzai.
Puntai lo sguardo nel vuoto e mi sembrò di rivedere l’espressione terrorizzata di Ivy per l’ennesima volta. Serrai gli occhi ed affondai il viso nel cuscino, sperando di scacciare una volta per tutte quell’immagine e ciò che vi nascondeva.
Ripercorsi con la mente gli ultimi momenti insieme ad Ivy, quando ancora non sapeva nulla del mio passato, e caddi nuovamente in un sonno profondo.
 
 
Un suono incessante, paragonabile ad un fastidioso sbattere di nocche contro il dorso di una porta, mi costrinse a svegliarmi di soprassalto. Per un attimo fui certo di averlo sognato, ma quando lo stesso suono si ripeté, realizzai che ci fosse veramente qualcuno intento a picchiettare il pugno contro la mia porta d’ingresso.
Balzai giù dal letto e scesi di corsa le scale, desiderando ardentemente che si trattasse di Ivy.
Aprii la porta, ma quando notai chi ebbi davanti, ne rimasi deluso.
Ah, sei tu,” mormorai, facendo un lieve cenno del capo a Dean, “perché sei qui?
Mi feci da parte, in modo da permettergli di entrare, sebbene non era ciò che volessi.
Aspettavi qualcun altro?” chiese, mentre mi chiudevo la porta alle spalle. Colsi uno strano guizzo divertito nel suo sguardo, ma lo ignorai, stringendomi nelle spalle.
No,” risposi semplicemente, mentendo. “Non mi hai ancora detto perché sei qui” ripetei, sembrando leggermente scortese.
Ho una buona notizia” esclamò, curvando poi le labbra verso l’alto, formando un sorriso.
Sarebbe?” domandai atono. Avrei dovuto, forse, mostrare un minimo d’entusiasmo, ma non c’era nulla che m’interessasse al momento. Quasi nulla.
Ti hanno creduto, sei stato scagionato per quanto riguarda l’omicidio di tuo padre” rispose, riferendosi probabilmente ai suoi colleghi della centrale di polizia. Inarcai le sopracciglia, volgendogli l’implicita richiesta di continuare.
Hanno fatto diverse ricerche su di lui, non aveva una fedina penale pulita, ma credo che questo tu lo sappia già.
No, non lo sapevo in realtà, ma annuii ugualmente.
Non ero pronto a scoprire anche l’ombra del suo passato, non adesso.
Però…” biascicò, lasciandomi cadere nel dubbio. Mi voltò le spalle ed iniziò a camminare avanti e indietro per il soggiorno.
Però cosa?” domandai, costringendolo a riportare nuovamente la sua attenzione su di me.
Abbassò lo sguardo subito dopo e sospirò.
Devono ancora appurare il perché tu abbia ucciso tua madre.
Questa volta fui io a distogliere lo sguardo dal suo. Per un attimo avevo creduto di compiere un passo verso una nuova vita, verso qualcosa che non mi avrebbe più tenuto legato al passato.
Mi sembrava di averlo già detto” mormorai.
Non ne hanno le prove” ribatté fulmineo Dean, “per di più stanno considerando ciò che hai fatto al ragazzo che frequenta la tua stessa scuola.
Kayden.
Ho già detto anche questo. Mi ha provocato e ho reagito!” sbottai, sentendo la rabbia crescere pian piano dentro di me.
Qualunque fosse la tua ragione, non ne avevi il diritto. Per cui hanno deciso che ti terranno sotto controllo.
Ovvero?” domandai senza capire.
Considerati sotto libertà vigilata.
Sbarrai gli occhi, completamente incredulo. Era ciò di cui avevo meno bisogno.
Non avrei retto la presenza continua di poliziotti come Dean. Avrei attirato maggiormente l’attenzione su di me e non potevo permettermelo.
Non potete farlo!” quasi gridai.
Sì, invece. Da quando il ragazzo che hai picchiato ha sporto denuncia su di te, considerati sotto libertà vigilata.
Hai appena detto che mi hanno scagionato, cos’è questa storia della libertà vigilata?” sbottai, alzando notevolmente il tono di voce.
Vedere la situazione complicarsi sempre più mi fece innervosire più di quanto già non fossi.
Se fossi in te, non la prenderei così male. Stanno cercando di darti una seconda possibilità e ricorda che quello che hai fatto non è pienamente giustificabile” spiegò.
Diedi un pugno al muro alle mie spalle, avvertendo all’istante un dolore alla mano, ma strinsi i denti e lo ignorai.
È un avvertimento, Jason, ciò significa che dovresti seriamente prendere in considerazione l’idea di non fare più certe cazzate. Non sto scherzando: un altro passo falso e potrebbero sbatterti dentro.
Compresi all’istante le sue parole, ma non fui d’accordo con lui. Non era stata colpa mia.
Non avevo colpito Kayden per togliermi uno sfizio personale, l’avevo fatto perché ero certo che il suo unico scopo fosse quello di togliermi di mezzo, di far in modo che Ivy avesse paura di me. E tutto ciò era successo.
Non distolsi lo sguardo dagli occhi di Dean: voleva sembrare serio e freddo, ma tutto ciò che colsi nei suoi occhi fu compassione. E io detestavo essere guardato con compassione. Lui non aveva nessun interesse a tirarmi fuori dai guai. Perché mi stava aiutando? Cosa ci avrebbe guadagnato?
Probabilmente non l’avrei mai saputo, ma avevo preso seriamente in considerazione le parole che mi aveva detto e non avevo alcuna intenzione di allontanarmi maggiormente da Ivy. Se solo mi avesse visto prendere a pugni qualcun altro, sarebbe stata la volta buona che avrei potuto sparire definitivamente dalla sua vita.
Hai capito quello che ti ho detto?” domandò dal momento in cui non avevo né risposto, né fatto cenni d’assenso.
Sì, ho capito” dissi semplicemente, abbassando poi lo sguardo.
Non avevo altra scelta, e se Kayden mi avesse provocato di nuovo, per me sarebbe stata la fine.
 
 
 

Kayden

 
Sebbene fosse stato difficile, avevo cercato di evitare Ivy per tutta la mattinata. Sembrava così diversa dal solito, sul suo viso aleggiava l’espressione più triste che avessi mai visto.
E credevo di sapere il motivo.
Avevo tenuto gli occhi ben aperti mentre percorsi i corridoi della scuola e non c’era stata traccia di McCann. Iniziai a pensare che Ivy avesse scoperto qualcosa, ma non volli trionfare in anticipo.
Non appena l’ultima campanella della giornata suonò, mi fiondai fuori da scuola, fermandomi sul piazzale con qualche amico. Ero intenzionato ad aspettare che Ivy uscisse, possibilmente da sola, e solo allora sarei entrato in azione.
Eccola lì!” mi fece notare Luke, dandomi una leggera gomitata nello sterno. Alzai immediatamente lo sguardo e la vidi camminare a testa bassa verso la strada principale. Istintivamente sorrisi e gettai a terra quel che ne rimaneva della sigaretta che stavo fumando. “Bene, ci vediamo domani” dissi, senza preoccuparmi di voltarmi verso di loro.
Cosa? Dove hai intenzione di andare? C’è la partita oggi!” sbottò Michael e solo allora mi voltai.
Vorrà dire che la salterò” ribattei con tono ovvio, stringendomi nelle spalle. Feci per riprendere a camminare quando la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie.
Sei il capitano, non puoi non presentarti alla partita!
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, poi aprii lo zaino e tirai fuori la maglietta che solitamente indossavo per le partite di football.
Allora vorrà dire che oggi sarai tu il capitano,” dissi, lanciandogli la maglia sopra la testa, scompigliandogli i capelli biondi.
Le sue labbra si aprirono in un sorriso e ne approfittai per andarmene definitivamente. Mi sentivo decisamente più sollevato: avevo fatto felice un amico e, a breve, avrei fatto felice me stesso.
Ero più che certo che Ivy non avesse intenzione di vedere nessuno – me incluso – ma sapevo che non si sarebbe mossa da casa sua e, per quanto avrebbe tentato di cacciarmi, non ci sarebbe riuscita.
Ero positivo sul fatto che non avrebbe avuto le forze per respingermi.
 
Giunsi a casa sua nell’arco di pochi minuti e mi affrettai a bussare alla porta. Pochi secondi dopo sentii dei passi provenire dall’interno ed indietreggiai appena, curvando le labbra verso l’alto in un sorriso raggiante. La porta si aprì e mi trovai faccia a faccia con la madre di Ivy, rimase spiazzata nel vedermi lì e non potei non biasimarla.
Salve, signora Wayner” esclamai continuando a sorridere.
Kayden, è strano vederti da queste parti” disse, abbozzando a sua volta un sorriso.
Lo so,” mormorai, abbassando lo sguardo. “Sono passato per Ivy” aggiunsi poi.
Ah, quindi voi-
No,” la interruppi prima che terminasse, “la mia è una semplice visita di cortesia, come amici.
Rimase in silenzio per alcuni secondi e mi accorsi di non esser stato molto credibile, ma poco importava, non era lei che dovevo convincere.
D’accordo,” si spostò per farmi passare e ne approfittai per entrare e chiudermi la porta alle spalle. “È in camera sua, va pure. Io sto uscendo, diglielo tu per favore.
Certo” ribattei sorridendo e, dopo averla salutata, salii di corsa le scale adiacenti all’ingresso e bussai energicamente alla sua porta.
Avanti mormorò lei dall’interno ed aprii lentamente la porta. Mi schiarii la voce prima ancora di parlare, costringendola a sollevare il capo. Era seduta su alcuni cuscini posati accanto al bovindo e, prima che si accorgesse della mia presenza, era assorta a guardare oltre la finestra. Il suo sguardo era triste, esattamente come poche ore prima, ma divenne carico di rabbia non appena incrociò i miei occhi. Feci scomparire dalle labbra il sorriso, non volevo sembrarle presuntuoso o con cattive intenzione, volevo che si fidasse di me, esattamente come un tempo.
Perché sei qui?” domandò freddamente, scattando in piedi e, forse, pronta per spingermi fuori dalla sua stanza.
So che probabilmente potrà sembrarti strano, ma-
Sì, lo è” m’interruppe prima ancora che potessi terminare la frase, ma non le diedi la soddisfazione di evitare di ascoltarmi.
Sono preoccupato per te” aggiunsi e la vidi roteare gli occhi scocciata. Mi voltò le spalle e tornò a guardar fuori dalla finestra. “Come ho già detto questa mattina a Marie, sto bene. Non è necessario che qualcuno si preoccupi per me. Dovresti continuare a pensare alla tua vita, non alla mia.” Il tono con cui sputò quelle parole sembrò ancor più acido di prima e, sebbene mi facesse innervosire, m’imposi di mantenere la calma.
Credimi, vorrei farlo, ma non riesco ad essere indifferente a tutto questo.” Mossi qualche passo verso di lei, voltò di poco il capo, ma continuò a darmi le spalle. Sorrisi, sapendo che il suo campo visivo non poteva inquadrarmi.
Credo che tu abbia sbagliato a non darmi ascolto. Ti avevo detto che quel Jason non era un tipo affidabile, ma non mi hai creduto.” A dividerci c’erano solo pochi centimetri e, da quel momento in poi, la distanza avrebbe potuto solo diminuire, ma non affrettai il corso delle cose.
Questa volta si voltò a tal punto da immergere i suoi occhi nei miei. “E tu che cosa ne sai?” domandò stranita.
Chiunque viva qui da almeno tre anni sa che cos’ha fatto. Mi sorprende che tu non ne sia al corrente” spiegai, stringendomi nelle spalle. Corrugò la fronte e dischiuse le labbra. Il suo sguardo fu quasi pungente da trafiggermi, ma ero certo che ormai avesse abbassato la guardia.
Perché non me lo hai detto prima?” domandò, cambiando totalmente espressione.
Ci ho provato, ma, come ti ho già detto, non hai voluto ascoltarmi.
Mi diede nuovamente le spalle e la sentii sospirare. “Io non riesco a credere che abbia potuto fare una cosa del genere” mormorò, stringendo le braccia al petto. Sentii la sua voce incrinarsi e feci quasi per cedere all’istinto di stringerla tra le mie braccia.
Eppure l’ha fatto. Mi dispiace che tu ti sia fidata di lui, ma devi stare attenta, Ivy. Potrebbe farti del male.
Non l’ha mai fatto fin’ora” disse, alzando di poco il tono di voce. Strinsi le labbra, reprimendo la voglia di chiederle cosa ci fosse stato tra loro. Perché era evidente che ci fosse stato qualcosa.
Ha ucciso i suoi genitori, non persone qualunque. Come puoi credere che non tenterà di far del male a qualcun altro?
 
 

Ivy

 
Per quanto cercai di non contraddirlo, non potei dargli torto. Jason aveva ucciso i suoi genitori e, da quel che aveva scritto su quel diario, non aveva nemmeno provato risentimento.
Cos’avevo io di speciale per far sì che non provasse a farmi del male?
Non lo sapevo. Nonostante non avesse mai cercato di toccarmi, non potevo essere sicura che in futuro non l’avrebbe fatto.
Nella mia mente aleggiava la confusione più totale, eppure ero certa che smettere di frequentarlo fosse l’idea di migliore.
Non l’avevo visto a scuola ed iniziai a credere che non vi sarebbe tornato tanto presto.
Non lo so, probabilmente hai ragione” dissi più a me stessa che a lui. Mi lasciai cadere in ginocchio sui cuscini posati al bordo del bovindo, continuando a fissare il vuoto e permettendo alle decine di domande d’invadermi la mente.
Tra le tante, quella a cui non riuscii a trovare risposta fu: perché avevo permesso a me stessa di aprirmi di fronte a Kayden?
Scossi il capo, come a voler scacciare quel pensiero, e con la coda dell’occhio lo vidi sedersi accanto a me.
Ciò che mi sembrò ancor più strano, fu notare che non aveva cercato nemmeno per una volta di eliminare la distanza tra noi. Non mi aveva nemmeno sfiorato e non era una cosa che lui stesso avrebbe fatto, soprattutto considerando che fossimo da soli.
M’importa davvero di te, Ivy. È per questo che ho cercato di tenerti lontana da lui.
Incrociai nuovamente il suo sguardo e strinsi le labbra.
Non immaginavo che potesse nascondere uno scheletro del genere” dissi, sentendo il tono di voce abbassarsi notevolmente. Iniziai sentire gli angoli degli occhi bruciare e la gola divenire secca. Ma più m’imponevo di non voler lasciar cadere alcuna lacrima, più queste premevano contro alle palpebre, costringendomi a sbatterle ed ecco che alcune gocce salate mi rigarono il viso. Abbassai il capo, non volevo che qualcuno mi vedesse piangere, ma ero in trappola.
Non riuscii a reprimere i singhiozzi e, avvicinando le ginocchia al petto, vi ci affondai il viso nel bel mezzo, crogiolandomi in quel pianto disperato.
Poco dopo sentii le braccia di Kayden avvolgermi la vita, ma non ebbi la forza di respingerlo, tutt’altro. Mi ritrovai ad annullare il più possibile la distanza che ci separava, permettendogli di cullarmi in quello strano abbraccio.







 



 

Spazio Autrice

Vi prego davvero di scusarmi.
Sono state due settimane impossibili, vi giuro che non ho avuto il tempo di fare niente, e tra tutto sono stra in ritardo pure nell'aggiornare. 
Mi sento in colpa perché voi siete sempre così carine, con tutte le recensioni che mi scrivete, con i complimenti, le domande su ask, per cui vi chiedo davvero scusa.
Prometo che non accadrà più, cercherò di essere puntuale e di scrivere capitoli abbastanza corposi.

Questo lo considero un po' di passaggio, nel prossimo si svolgeranno cose per cui mi odierete, già lo so.

Qui sotto vi lascio un piccolo spoiler (Federica tu, come sempre, non lo leggere.)

Vi ringrazio infinitamente tanto per le recensioni e per l'attesa, spero vi sia piaciuto :)


Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
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Spoiler:

Mi domandavo continuamente se fosse giusto o se fosse sbagliato.
Conoscevo la risposta ed ero consapevole che non avrei corso altro che rischi, ma mi lasciai andare.
Permisi alle sue labbra di sfiorare le mie, ma la cosa che mi stupì di più fu che non me ne pentii.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17: I'm stuck in a reality without you. ***




 

 

Capitolo 17: I'm stuck in a reality without you.


 

Jason

Avrei dovuto capirlo fin da subito, ancor prima di iniziare anche solo a pensare che tutta la mia vita potesse ruotare attorno a lei.
Credevo potesse fidarsi di me, era bastato così poco tempo per fare in modo che si avvicinasse a me, mentre ora solo Dio sapeva dove si trovava. E soprattutto con chi.
Mi sembrava d’impazzire.
Dal momento in cui Dean se n’era andato, mi ritrovai di nuovo solo, sentendomi quasi perso tra le quattro mura di casa mia.
Non avevo abbandonato il divano nemmeno quando se n’era andato. Non avevo quasi mosso nemmeno un muscolo.
Mi sembrava di non riuscire più a reggere tutto il peso che da anni mi portavo sulle spalle.
 
La paura che aleggiava nello sguardo di Ivy faceva da contrasto alla morbidezza delle sue labbra e mi sembrava tutto così sbagliato.
Non riuscivo più ad inquadrarla, a ricordare chi fosse.
Man mano che il tempo trascorreva, mi rendevo sempre più conto di veder sfumare il ricordo che avevo di lei quando ancora era all’oscuro del mio passato. Tutto ciò che riuscivo a vedere ora era il suo sguardo colmo di paura, mentre percepivo la sua assenza come il sentimento più brutale che avessi mai provato. Un senso di vuoto pari ad un salto nel buio delle acque più profonde di un oceano sconfinato.
Avevo tardato ad aprirmi con lei, a farle capire ciò che sentivo per lei, avevo perso più tempo del previsto e, in tutto ciò, lei continuava a non sapere.
Mi sentivo come se mi avesse donato il paradiso per poi riprenderselo subito dopo, strappandomelo dalle mani con velocità fulminea.
Mi aveva lasciato libero accesso dentro sé, per poi farmi capire implicitamente che non ci sarei più potuto entrare.
Strinsi i pugni talmente forte da percepire dolore ai palmi delle mani e alle nocche, premetti con forza gli avambracci sulle ginocchia fino a che quella sofferenza non divenne l'unica distrazione che mi era rimasta.
 
Come temevo, iniziai a percepire un senso di rabbia farsi spazio dentro di me, divorando il vuoto che la sua assenza mi aveva provocato.
Il primo lampo di disgusto fu rivolto a Kayden e, nonostante le parole di Dean non fossero stati suoni gettati al vento, sentii l’impulso di scagliare la mia ira contro di lui.
Una saetta d’odio era sempre e perennemente dedicata a mio padre e a tutto ciò che mi aveva costretto a fare.
Più ripensavo a tutto ciò, più diventavo consapevole che la mia vita fosse stata distrutta a causa sua. Diventavo sempre più conscio del fatto che non avrei mai più vissuto come prima, non avrei mai avuto la mia libertà. Sarei sempre stato prigioniero di un passato marchiato sulla pelle come un tatuaggio indesiderato. Indelebile, permanente, dannato.
Avrei continuato ad odiare solo e soltanto mio padre se solo avessi potuto scagliare su di lui tutta la mia ira.
Ma lui ormai non c'era più ed esisteva solo un'altra persona che al momento detestavo così tanto.
Cercai con tutte le mie forze di reprimere la rabbia, di convincermi che tutto ciò fosse sbagliato, ma le mie buone intenzioni furono vane.
Sbattei violentemente il pugno contro la superficie in vetro del tavolino di fronte a me. Avvertii un dolore lancinante alla mano, percependo un formicolio fastidioso lungo il tutto il braccio, ma strinsi i denti e serrai gli occhi, inspirando ed espirando lentamente sperando di allontanare del tutto quel senso di rabbia.
E ci riuscii.
 

Ivy

 
È davvero orribile per me vederti così triste, Ivy,” mormorò Kayden, allentando la presa di quell’abbraccio. Sollevai di poco il capo, quanto bastò per incrociare il suo sguardo.
Rimasi in silenzio e posai immediatamente lo sguardo altrove.
Mi sentivo terribilmente combattuta, non volevo aver bisogno di Kayden e delle sue attenzioni, ma non sarei nemmeno riuscita a rimanere sola.
Mi passai entrambe le mani sulle gote, spazzando via le lacrime che mi avevano segnato il viso e cercando di riprendere a respirare regolarmente, senza dover sentire i miei fastidiosi singhiozzi riempire l'aria.
Vuoi che vada a prenderti un bicchiere d'acqua?” mi domandò ed annuii.
Poco dopo si alzò e sparì fuori dalla stanza. Sospirai, sentendo i suoi passi riecheggiare lungo la rampa di scale fino a che non divennero soltanto un suono lontano.
La mia attenzione venne catturata dal computer portatile posato sul bordo del letto. Mi allungai per afferrarlo e lo aprii. Trovandolo già acceso, iniziai a cercare su internet qualche informazione in più riguardo all'omicidio che aveva commesso Jason.
Decine di risultati comparvero davanti ai miei occhi e mi sentii incredibilmente stupida per aver ignorato sino a poco tempo fa l'esistenza di quella tragedia.
Cliccai sulla riproduzione di un articolo di un giornale datato il 3 dicembre 2010 ed iniziai a leggerlo.
 
 

Philadelphia 4 dicembre, 2010

 
La notte scorsa sono stati rinvenuti i corpi senza vita dei coniugi McCann.
Il pavimento della cucina della loro abitazione era macchiato del loro sangue ed accanto ai corpi non vi era altro che un coltello: unica arma del delitto.
Il freddo e la desolazione che aleggiava tra quelle quattro mura era terrificante, tanto quanto fu sconcertante risalire al colpevole di tale atto.
L’agente Dean Thomas, recatosi sul luogo del delitto solo qualche ora dopo ricevuta tale notizia, ha avuto un contatto ravvicinato con Jason, un ragazzo di soli sedici anni, nonché figlio legittimo delle due vittime.
“A primo impatto ho subito pensato fosse spaventato, non ha battuto ciglio quando mi ha visto entrare in casa sua. Si è limitato a dei lievi cenni del capo ogniqualvolta gli porgevo qualche domanda, non l’ho quasi sentito parlare.” Ha raccontato l’agente Dean. “Onestamente, mi sono stupito del fatto che fosse rimasto immobile davanti all’ingresso della cucina per tutto quel tempo. Credevo fosse rimasto talmente scioccato da quanto era successo da non riuscire a muoversi, ma ho dovuto ricredermi.”
Infatti, ciò che più ha sorpreso l’intera centrale di polizia, fu assistere ad una rapidissima confessione da parte di Jason.
Il commissario ha dichiarato di non aver mai svolto interrogatorio più veloce.
“Sono stato io.” Ha confessato il ragazzo senza timore, quasi come se l’unica cosa di cui gli importasse fosse togliersi un peso dal petto.
Tuttavia, non è stata ancora decisa la sentenza sulla pena da far scontare al ragazzo.
Il commissariato di polizia è diviso in due fronti. Tra gli investigatori che si stanno occupando del caso vi è una predisposizione a far internare Jason in un ospedale psichiatrico per studiare in modo più approfondito il suo essere…
 
 
Chiusi con uno scatto il portatile non appena sentii nuovamente un suono di passi avanzare sulle scale.
Appoggiai il computer accanto a me ed afferrai il bicchiere che Kayden mi porse poco dopo. Ne bevvi il contenuto tutto d’un fiato, sospirando sonoramente e cercando di riacquistare un lieve senso di calma.
Ciò che avevo letto in quell’articolo mi aveva confuso ancor di più ed iniziai a pormi sempre più domande. Non riuscivo a credere che Jason potesse essere davvero considerato pazzo.
Uccidere i propri genitori era stato un gesto esagerato, fuori dal normale, ma nel suo diario aveva scritto di avere un valido motivo. Un pazzo non avrebbe di certo pensato a trovare una ragione, l’avrebbe fatto e basta.
Morivo dalla voglia di continuare a leggere quei vecchi articoli per capirne di più. Avrei voluto sapere che cosa ne era stato di lui. Avrei voluto sapere se davvero l’avevano rinchiuso in quell’ospedale oppure no.
Stai ancora pensando a quel pazzo?” mi domandò Kayden, strappandomi dai miei pensieri.
Perché si ostinava a chiamarlo in quel modo?
E se avesse avuto un motivo per uccidere i suoi genitori?” chiesi di rimando, evitando di volergli confessare di aver letto il diario di Jason. Sapevo che, nonostante tutto, quello era il suo diario ed io non avevo nessun diritto di leggerlo, per tanto non avrei detto a nessuno ciò che vi avevo trovato scritto.
Mmh, possibile” commentò lui, “probabilmente l’avevano messo in punizione, impedendogli di uscire o di usare il cellulare. Sono motivazioni più che valide per uccidere i propri genitori.
Lo sentii ridere subito dopo e lo fulminai con lo sguardo.
Sei proprio un idiota!” sbottai, scattando in piedi ed allontanandomi da lui. Mi strinsi nelle spalle e fissai il muro di fronte a me.
Sentii i suoi passi alle mie spalle ma non mi mossi, né tanto meno mi voltai per guardarlo.
Oh, andiamo Ivy, stavo solo scherzando.
Continuai a non considerarlo, ma fu del tutto inutile.
Quello che voglio dire è che – se anche avesse avuto un motivo – sarebbe stato fin troppo poco. Ha commesso un omicidio e non si tratta di persone qualunque, ma dei suoi genitori. Cerca di capire, non può essere troppo normale” continuò e lasciai cadere le braccia lungo i fianchi. Voltai di poco il capo, inquadrando la sua figura con la coda dell’occhio.
Se l’hanno rinchiuso in un manicomio, un motivo ci sarà stato.
Sbarrai gli occhi e mi voltai di scatto.
L’hanno davvero portato in quel posto?” domandai con voce tremolante e lui annuì semplicemente.
Cos’altro avrebbero potuto fargli? Se l’avessero semplicemente sbattuto in cella non avrebbero mai capito che razza di mente malata ha. Credo sia stato meglio così, ma non ho ancora capito per quale assurda ragione l’abbiano lasciato uscire. È un pericolo pubblico e, quel che mi stupisce di più, è che gli abbiano permesso di frequentare la nostra scuola.
Chiusi gli occhi e scossi il capo.
Io- io non riesco a capire. Non sembra cattivo.
Kayden si strinse nelle spalle e si sedette sul letto. “Nemmeno Jack lo squartatore, all’apparenza, sembrava essere un assassino, eppure…
D’accordo, basta!” lo fermai, quasi implorandolo. “Non voglio più parlare di questa storia, finirà col farmi impazzire e ne ho abbastanza.” Mi portai entrambe le mani sugli occhi e, poco dopo, sentii la sua mano stringermi delicatamente il polso, per poi attirarmi a sé. Mi costrinse a sedermi sopra alle sue gambe e, non appena riaprii gli occhi, realizzai che altre lacrime lottassero contro la mia volontà per rigarmi un’altra volta le gote.
Hai ragione, non parliamone più” mormorò e lo vidi abbozzare un sorriso. “Dovresti pensare ad altro, Ivy. Hai la tua vita da vivere e non devi rovinartela a causa sua. Dopotutto, non sapevi chi fosse in realtà. Vorrei solo che capissi che non cercavo di allontanarlo da te solo per gelosia, m’importa davvero di te e non vorrei mai che ti succedesse qualcosa, specialmente a causa sua.
Annuii, seppur in modo appena percettibile. Non riuscivo ad allontanare del tutto l’immagine di Jason dalla mia mente, ma non mi era facile dissociarlo da quanto avevo letto in quell’articolo e, specialmente, nel suo diario.
Realizzai solo dopo qualche istante di avere gli occhi puntati in quelli di Kayden. Mi ero persa totalmente in quei pensieri da non essermi resa conto della poca distanza che separava i nostri volti.
“M’importa davvero di te.”
Quelle parole riecheggiarono continuamente nella mia mente e non riuscii a non dar loro il peso che meritavano.
Di lì a poco, vidi il suo viso avvicinarsi maggiormente al mio e, con mia sorpresa, non indietreggiai. Iniziai a sentire il suo respiro sfiorare le mie labbra e rabbrividii. Le dischiusi, intenta a dire qualsiasi cosa che potesse interrompere quel momento prima ancora che nascesse, ma riuscii solo a rimanere in silenzio.
Mi domandavo continuamente se fosse giusto o se fosse sbagliato.
Conoscevo la risposta ed ero consapevole che non avrei corso altro che rischi, ma mi lasciai andare.
Permisi alle sue labbra di sfiorare le mie, ma la cosa che mi stupì di più fu che non me ne pentii.
Lottai con tutta me stessa pur di non approfondire quel bacio, cercai di mantenere le labbra serrate, ma cedetti. Kayden posò la mano sul mio collo, attirandomi a sé il più possibile, e fu in quel momento che sentii la sua lingua sfiorare la mia.
Più quel bacio continuava ad esistere, più sentivo la testa divenire pesante. Serrai gli occhi più del dovuto e poco dopo mi allontanai. Scossi il capo e feci per alzarmi, ma non mi accorsi di avere la sua mano stretta attorno al mio polso.
Credo sia ora che tu vada,” mormorai, cercando di divincolarmi dalla sua presa. Abbassai il capo, posando lo sguardo dovunque tranne che su di lui.
So a cosa stai pensando” ribatté e questa volta fui costretta a riportare la mia attenzione su di lui.
Pensi che sia tutto sbagliato, non è vero?” mi domandò ed annuii.
Non devi credere che sia un errore, quante altre volte lo hai fatto prima?
Prima era diverso, Kayden,” dissi con tono fermo. “Prima ero la tua ragazza, ora non è più così. Tutto questo non sarebbe dovuto accadere.
Riuscii a divincolarmi dalla sua presa e mi alzai, aumentando sin da subito la distanza tra noi.
Però è successo” pronunciò in modo a malapena percettibile.
Scossi nuovamente il capo. “Io non credo di volerlo di nuovo. È troppo presto.
Non ti sto mettendo fretta” biascicò poco dopo, quasi sovrastando le mie parole.
Mi voltai verso di lui, incrociando il suo sguardo e cercando di capire a che gioco stesse giocando. Mi ci immersi più del dovuto, ma non trovai nemmeno uno sprazzo di maliziosità. Mi sembrò sincero, tuttavia non dissi nulla.
Distolsi a fatica lo sguardo dal suo ed abbassai il capo. Serrai le labbra e strinsi entrambe le braccia al petto.
Pensaci, Ivy, ti lascerò il tuo spazio per rifletterci.
Annuii, ma non avevo realmente ascoltato le sue parole.
Vuoi che ti lasci sola?” mi domandò poi.
Sì, è meglio.
 
 

Jason

 
Mi sentii quasi costretto a ritornare a scuola il giorno successivo, percorsi controvoglia quella via che mi sembrò infinita e dovetti lottare con tutte le mie forze pur di mantenere alto il mio autocontrollo. Ero certo che, non appena avessi rivisto Kayden, i miei buoni propositi di ignorarlo sarebbero svaniti.
Attraversai il corridoio principale, scontrandomi di tanto in tanto con qualche ragazzo, ma non mi fermai fino a che non raggiunsi l’aula di biologia.
Mi soffermai qualche istante di troppo sull’uscio di quella porta e presi un respiro profondo. Quella era forse l’unica lezione che Ivy ed io avevamo in comune e non avevo idea di che cosa sarebbe successo.
Avrebbe continuato ad ignorarmi?
Si sarebbe seduta accanto a me come al solito, oppure avrebbe preso posto dall’altro lato della stanza?
A distrarmi dai miei pensieri fu il suono della campanella e, quando mi decisi ad entrare, notai che quasi tutti i posti erano stati occupati. Tutti tranne i due in prima fila accanto alla finestra.
Non appena mi sedetti, il professor Layton fece il suo ingresso in classe e quel chiacchiericcio fastidioso cessò di esistere.
Iniziò a parlare, ma non l’ascoltai, spostai lo sguardo oltre la finestra e rimasi in quella posizione fino a che non sentii la porta aprirsi.
E dire che avevo quasi iniziato ad abituarmi ad averti puntuale alla mia lezione” commentò l’uomo seduto dietro la cattedra e non ci fu nemmeno bisogno di guardare a quale persona si stesse riferendo. Evitai di posare lo sguardo su di lei, mi limitai a seguire i suoi movimenti con la coda dell’occhio.
Quando notò che l’unico posto libero era accanto a me, impallidì e sembrò agitarsi.
Hai intenzione di rimanere in piedi per tutto il resto dell’ora, oppure ti deciderai a sederti?” insistette il professore, ponendo una punta di acidità nel suo tono di voce.
Rassegnata, Ivy mosse qualche passo verso di me, prendendo posto nel banco accanto al mio solo perché era l’unico rimasto libero.
Mi venne difficile decifrare il suo sguardo, non riuscivo a capire che cosa le stesse passando per la mente, ma repressi all’istante la voglia di scoprirlo, perché non me lo avrebbe mai detto.
Continuai a guardare fuori dalla finestra, facendo del mio meglio per ignorarla – dopo tutto, era ciò che voleva – ma non riuscii a rimanere mentalmente assente ancora per molto.
“Inizialmente non capivo perché voi due aveste deciso di lavorare insieme alla relazione che vi avevo assegnato qualche settimana fa. Ora tutto mi è più chiaro.”
Riportai la mia attenzione sul professore, il quale ora era in piedi davanti a noi e spostava ripetutamente lo sguardo da Ivy a me.
Lo guardai con aria interrogativa, mentre Ivy manteneva il capo abbassato e gli occhi fissi sul quaderno aperto.
Siete propensi entrambi ad ignorare la mia lezione e siete dannatamente fastidiosi, ma forse, prendendo i giusti provvedimenti, potrei risolvere la cosa.
Ovvero?” domandai con tono di sfida e ciò non parve piacergli particolarmente.
Mi dedicò un sorriso enigmatico e poggiò, sia sul mio banco che su quello di Ivy, un foglio recante una decina di domande.
“Avete trenta minuti di tempo, buon lavoro!”
Detto ciò si allontanò da noi, ritornando a sedersi dietro la cattedra.
Spostai accidentalmente lo sguardo su Ivy, la quale per un istante fece lo stesso. Non appena realizzò di avermi appena guardato negli occhi, distolse lo sguardo ed iniziò a far scorrere la penna sul suo foglio. Mi decisi a fare lo stesso, deciso a concludere quel compito il prima possibile.
Lessi velocemente le domande ed iniziai a rispondere.
 
Venti minuti dopo feci per alzarmi e consegnare quel foglio, quando notai che quello di Ivy era quasi completamente bianco. Tutto ciò che aveva scritto fu il nome e la data, il resto delle domande risultava ancora senza risposta.
Sollevò il capo ed incrociai i suoi occhi: erano spenti, ma non inespressivi. Sembravano quasi tristi.
Aspettai impazientemente che aprisse bocca, che dicesse qualsiasi cosa, che mi chiedesse anche solo di passarle il compito in modo che copiasse. Ma non accadde niente di tutto ciò.
Il tempo a disposizione era agli sgoccioli e, ad ogni secondo che passava, Ivy sembrava sempre più in difficoltà.
Avvicinai il foglio al bordo del banco, assicurandomi che il professore non lo notasse, mentre io riportai nuovamente la mia attenzione oltre la finestra.
 
Pochi minuti dopo la lezione terminò e con velocità quasi fulminea, il professore ritirò i nostri compiti. Mi alzai dalla sedia, dirigendomi verso il corridoio, quando sentii una voce alle mie spalle.
Grazie” disse semplicemente Ivy, sorpassandomi e disperdendosi tra la folla di studenti.
 
 





 


 

Spazio Autrice

Dannazione a me! Sono ancora in ritardo - questa volta di poco però - e mi dispiace.
Non riesco più a controllare il tempo, le settimane passano e io mi riduco la sera tardi a scrivere.
Oh beh, amen :)

Bene, so che dopo quello che avete letto tra Ivy e Kayden mi odierete a morte - e io vi capisco - ma, ahimè, quel tipo sa quali punti deboli colpire.
Per quanto riguarda Jason, ora che non più 'semplicemente triste' c'è da preoccuparsi, ma non vi dico cosa, come, chi e perché.
Abbiate pazienza che ben presto capirete cosa intendo.
Vi lascio un piccolo spoiler qui sotto - come promesso :)


Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
on twittah and instagram                             Se avete domande, ask me


 


 

Spoiler:


Sentii un dolore lancinante al viso ed istintivamente mi portai la mano all’altezza dell’occhio destro. Sfiorai la pelle, sentendola immediatamente umida. Sussultai non appena posai lo sguardo sul palmo della mia mano. Il rosso del mio stesso sangue aveva macchiato il dito indice e quello medio.
Sbarrai gli occhi, fissando con terrore il ragazzo che avevo di fronte.
Vattene!” gridai con quanta più forza potei. Sentii gli angoli degli occhi pizzicare, le lacrime iniziarono a lottare per uscire ed io mi sentii sempre più impotente.
È- è stato un incidente, non l’ho fatto di proposito!” ribatté a sua volta, ma non lo ascoltai.
 “Vattene e rimani lontano da me, ma questa volta per sempre.

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18: I want you to show me that I can trust you. ***




 

 

Capitolo 18: I want you to show me that I can trust you.


 

Ivy

Mi sentii a disagio accanto a Jason e, per di più, l’odio del professor Layton nei miei confronti rendeva il tutto maggiormente complicato. Quel compito a sorpresa era l’ultima cosa di cui avevo bisogno, sarebbe stato un totale disastro se Jason non mi avesse permesso di copiare le sue rispose.
Già, Jason.
Nonostante la spiacevole situazione in cui eravamo coinvolti, non mi aveva negato il suo aiuto.
Ero riuscita a sussurrargli solo un misero grazie, per poi allontanarmi da lui quanto più velocemente potei. Non avevo prestato attenzione a niente e a nessuno, avevo ignorato chiunque pronunciasse il mio nome.
Ignorai Marie ed ignorai soprattutto Kayden quando, all’uscita da scuola, aveva fatto di tutto pur d’impedirmi di compiere tranquillamente i miei passi.
Continuò ad urlare il mio nome fino a che non fui troppo lontana per poterlo sentire.
 
Percorsi a passo veloce – quasi correndo – la strada che mi avrebbe condotto a casa, superai chiunque trovassi davanti, senza nemmeno scusarmi qualora li urtassi.
Durante le ultime sei ore, chiusa all’interno di quelle opprimenti aule, non avevo fatto altro che crogiolarmi in pensieri che non mi appartenevano. Ripensai a quanto avevo letto in quell’articolo, associandolo alle parole del diario di Jason e mi sembrò tutto così sbagliato.
Nessuno aveva citato – almeno per quanto ne sapevo – il motivo di tale gesto ed ero curiosa di sapere se mai l’avessero fatto.
Non appena arrivai a casa salii le scale che portavano al piano superiore, per poi chiudermi la porta di camera mia alle spalle, nonostante fossi completamente sola.
Accesi il computer e cercai nuovamente gli articoli di giornale di quel dicembre 2010.
Ripensai alle parole di Kayden e al fatto che Jason fosse stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Mi vennero i brividi al solo pensiero, ancor prima d’iniziare a leggere le prime righe di un articolo risalente a pochi giorni dopo l’omicidio.
 
 

Philadelphia 5 dicembre, 2010

 
Il caso McCann è ancora aperto.
In seguito alla sentenza, il tribunale ha preso una decisione.
La trasgressione commessa da Jason non è stata semplicemente oltraggiosa e punibile penalmente, ma risulta nascondere aspetti che finora sono stati ignorati.
Il ragazzo è stato interrogato diverse volte, ma senza aver ottenuto i risultati sperati. Infatti si è semplicemente venuto a conoscenza che lui è il colpevole, ma, nonostante le molteplici domande, non ne è risaputo il motivo. Il ragazzo continua a mantenere il silenzio.
Al fine di studiarne a fondo il comportamento, è stato deciso che Jason dovrà essere internato in una struttura ospedaliera di massima sicurezza per un periodo di tempo pari a tre anni.
 
 
Chiusi la pagina di quell’articolo e ne aprii un’altra. Abbassai momentaneamente lo sguardo sulla mano posata sul mouse e la vidi tremare leggermente. Deglutii sonoramente e la ignorai, concentrandomi sulla lettura di un nuovo pezzo.
 

Philadelphia 10 dicembre, 2010

 
Stamani l’agente Dean si è recato presso l’ospedale psichiatrico di Philadelphia, dopo essere stato richiamato dalle autorità locali in seguito ad uno spiacevole episodio avvenuto il giorno precedente.
Un litigio molto acceso ha richiamato l’attenzione degli infermieri di turno, costringendoli a recarsi nella stanza in cui soggiornano Jason ed un altro ragazzo.
Quest’ultimo,  infatti, ha accusato di Jason di averlo letteralmente istigato alla violenza e, in seguito, ad avergli apportato ferite superficiali agli arti superiori.
Jason ha semplicemente negato di averlo colpito, ma il dottore primario sostiene si tratti di un normale atteggiamento di difesa.
Il ragazzo è stato così trasferito in un’ala secondaria dell’edificio, dove ora non condivide con nessuno la stanza.
Dopo aver consultato l’imposizione della psicologa di Jason, è stato deciso che per i tre anni successivi rimarrà isolato dal resto degli altri pazienti dell’ospedale.
È difficile inquadrare la natura mentale di Jason, per tanto viene ritenuto potenzialmente pericoloso ed inaffidabile.
 
 
Sussultai leggendo quell’ultima frase, mi accorsi di avere gli occhi sbarrati solo quando li sentii bruciare. Avevo l’impressione che quelle parole fossero state troppo crudeli ed esagerate. Non riuscivo a credere che Jason potesse essere considerato davvero pericoloso, mi sembrava tutto un’enorme bugia.
Ero intenta a continuare a leggere quegli articoli, quando suonò il campanello. Sbuffai e, chiudendo il portatile, mi affrettai a scendere le scale.
Non appena aprii la porta sussultai, totalmente sorpresa nel ritrovarmi Kayden davanti.
“Perché sei venuto qui?” gli domandai, evitando di salutarlo cordialmente.
“Probabilmente ti sembrerò insistente e inopportuno, ma ti ho vista oggi a scuola, ho visto l’espressione sul tuo viso. Non posso fare a meno di preoccuparmi per te, Ivy.”
Sospirai e mi spostai, permettendogli così di entrare.
“Non devi preoccuparti per me, Kayden, te l’ho già detto. Sto bene, ho solo avuto una giornata difficile.”
Non appena pronunciai quelle ultime parole, sentii il suo sguardo vigile addosso.
“Quel pazzo assassino ti ha dato fastidio?” domandò con acidità e serrai gli occhi, impedendomi di scoppiare.
“Quando la smetterai di definirlo come tale? Non è un pazzo!”
“Questo è da vedere, fatto sta che sia un assassino. Riguardo a ciò, le prove le hai.”
Scossi il capo e salii velocemente le scale, non sapevo come avrei fatto ad ignorarlo, specialmente ora che si trovava in casa mia, ma non sarei riuscita a portare avanti quella conversazione a lungo.
Il modo in cui Kayden definiva Jason era davvero spregevole e, anche in questo caso, esagerato.
Non avevo certezze al riguardo, ma ero più che sicura che Jason non fosse pazzo. Se solo anche il resto della città avesse letto il suo diario, se solo avessero saputo che razza di persona era suo padre, non l’avrebbero giudicato in quel modo.
Sentii i passi di Kayden percorrere le scale e sbuffai non appena lo vidi entrare in camera mia.
“Quando smetterai di comportarti così?” mi domandò, incrociando le braccia al petto ed appoggiandosi allo stipite della porta.
“E tu quando smetterai di essere la mia ombra?” ribattei, imitando i suoi movimenti, ma restando in posizione ben eretta.
“Non riesco davvero a capire cosa ti passi per la testa. Fino a ieri eri terrorizzata da quel tipo e ora sembra che tu lo voglia difendere. Ma da che parte stai?”
Il suo tono di voce aumentò a dismisura, tanto che sobbalzai nel vedere la sua espressione mutare notevolmente.
“Sto solo cercando di andare a fondo a questa storia, perché non credo che sia così subdolo come pensi tu” ribattei, quasi gridando, ed avvertii immediatamente la gola bruciare. Per di più, sentii gli angoli degli occhi pizzicare ed ero certa che di lì a poco si sarebbero riempiti di lacrime.
“Non lo penso solo io. Apri gli occhi, Ivy, hai perso tempo per giorni dietro a quello sfigato e non ti rendi nemmeno conto che potresti fare la stessa identica fine che hanno fatto i suoi genitori.”
“Ti sbagli” mormorai con un filo di voce.
“E che prove hai? Non ti sei mai chiesta perché tu sia stata l’unica persona a cui abbia permesso di avvicinarsi? Sarai soltanto la prossima vittima.”
Di punto in bianco la vista mi si annebbiò, le mani iniziarono a tremare ed afferrai il primo oggetto, posato sulla mensola accanto al letto, che mi capitò a tiro. Lo scagliai contro Kayden, rendendomi conto solo in quel momento che si trattava del mio vecchio iPod. Non feci nemmeno in tempo a controllare i miei movimenti che quell’aggeggio era ormai prossimo a colpirlo in viso, quando all’improvviso la sua traiettoria venne deviata.
Con un rapido gesto, Kayden lo colpì con il dorso della mano ed un tonfo sordo mi fece realizzare che ormai era caduto al suolo.
Sentii un dolore lancinante al viso ed istintivamente mi portai la mano all’altezza dell’occhio destro. Sfiorai la pelle dello zigomo, sentendola immediatamente umida. Sussultai non appena posai lo sguardo sul palmo della mia mano. Il rosso del mio stesso sangue aveva macchiato il dito indice e quello medio.
Sbarrai gli occhi, fissando con terrore il ragazzo che avevo di fronte.
Vattene!” gridai con quanta più forza potei. Sentii gli angoli degli occhi pizzicare nuovamente, le lacrime iniziarono a lottare per uscire ed io mi sentii sempre più impotente.
È- è stato un incidente, non l’ho fatto di proposito!” ribatté a sua volta, ma non lo ascoltai.
Vattene e rimani lontano da me, ma questa volta per sempre.
Ivy, stia esagerando! È solo una ferita superficiale, non è niente” ribatté, muovendo qualche passo verso di me, ma alzai la mano, intimandogli di fermarsi.
Non m’interessa quanto profonda sia, voglio soltanto che tu te ne vada. Ho sbagliato a lasciarti entrare e, soprattutto, a credere che potesse funzionare. Non cambierai mai, Kayden.
Lo fissai negli occhi, sentii entrambe le gote umide per via delle lacrime e del sangue, mentre lui mi guardava sbalordito. Dischiuse le labbra, ma le serrò subito dopo. Sembrò arrendersi e scosse il capo, dandomi le spalle e sparendo dalla mia vista.
Avvertii un fastidioso groppo gola e ben presto i miei singhiozzi riempirono la stanza, soffocati dai passi frettolosi di Kayden mentre scendeva le scale.
Mi accasciai al pavimento non appena sentii la porta d’ingresso sbattere, presi in mano l’iPod che mi aveva ferito e lo gettai contro il pavimento più forte che potei.
Lasciai che quel pianto nervoso si portasse via tutta la mia frustrazione, ma ciò non accadde. Sebbene dopo poco mi calmai, non riuscivo a riprendere a respirare regolarmente. Un fastidioso peso sul petto mi faceva sentire a mio agio persino in casa mia.
Senza divagare ulteriormente, afferrai la borsa posata sul letto, ne estrassi le chiavi della macchina e scesi a passo veloce le scale.
Le lacrime continuarono ad annebbiarmi la vista, ma ciò non m’impedì di mettermi al volante. Mi asciugai le gote con i palmi delle mani e misi in moto l’auto, percorrendo quelle poche centinaia di metri che separavano l’abitazione di Jason dalla mia.
 
Non appena arrivai in prossimità di quella vecchia villetta, corsi fuori dall’abitacolo e bussai freneticamente al dorso della porta, rimanendo ad aspettare più tempo di quanto avevo previsto.


 

Jason

 
I suoni sommessi provenienti dalla televisione non erano stati sufficienti a tenermi sveglio. Non avendo chiuso occhio la notte prima – come di consuetudine oramai – ero caduto in un sonno sprofondo, stranamente non tormentato.
Quel sonno, però, durò relativamente poco. Sentii bussare insistentemente alla porta ed esitai a riaprire gli occhi, indeciso sul fatto che potesse trattarsi solo di una scena trasmessa su quello schermo, oppure di qualcuno che realmente mi cercava.
Dal momento in cui quel suono non cessò, spensi la televisione e mi avvicinai alla porta, esitando qualche istante prima di aprire. Avevo lo strano presentimento che potesse trattarsi nuovamente dell’agente Dean ed il solo pensiero mi fece passare la voglia di aprire, ma osai comunque.
Mantenni lo sguardo abbassato, ma realizzai comunque che il corpo della persona che avevo di fronte non apparteneva affatto ad uno come Dean.
Sollevai lentamente il capo ed inquadrai gli occhi colmi di lacrime di Ivy: una striscia di sangue le rigava brutalmente una parte del viso e rimasi interdetto per qualche secondo.
I- Ivy che cosa ci fai qui? Che cosa ti è successo?” non appena pronunciai quelle parole, la vidi stringere le labbra ed altre lacrime ripresero a rigarle le gote. La lasciai entrare senza aspettarmi una risposta. Mi chiusi la porta alle spalle e con lo sguardo seguii i suoi movimenti lenti. Si avvicinò al divano e si appoggiò contro lo schienale, coprendosi il viso con entrambe le mani.
Ora gli unici suoni a riempire l’aria furono i suoi singhiozzi e non riuscii a rimanere impassibile a tutto ciò senza proferire parola.
Ivy” la richiamai, avvicinandomi lentamente a lei. Ebbi l’istinto di scostarle le mani dal viso, ma non mi sentivo in possesso del diritto di sfiorarla. Nonostante mi avesse sorpreso il fatto che in quel momento fosse in casa mia, non avevo dimenticato ciò che era successo e, ovviamente, non l’avrebbe fatto nemmeno lei.
Finalmente riuscii ad inquadrare nuovamente il suo sguardo, cercò di far cessare quel pianto e si asciugò definitivamente le lacrime, spazzando via anche quella striscia di sangue.
Chi ti ha fatto quel taglio?” le domandai, mantenendo un tono di voce piuttosto basso.
Sospirò profondamente e disse: “Kayden.
Il nome di quel ragazzo mi fece sbarrare gli occhi e, associando la sua figura a quanto aveva appena fatto, mi fece percepire un lampo di rabbia.
Prima che potessi dire qualsiasi cosa, mi precedette. “Stavamo litigando e volevo che uscisse da casa mia, così gli ho tirato la prima cosa che mi è capitata sottomano. Ma l’ha deviata e così ha colpito me. So che non l’ha fatto di proposito, ma-
D’accordo, non ha importanza” la interruppi, notando che la sua voce iniziò a spezzarsi prima di riuscire a terminare il racconto.
Posso restare qui?” domandò poi con tono flebile. Le sue parole lasciarono le sue labbra con un appena percettibile sussurro ed avvertii una stretta al petto nel vederla in quello stato.
Annuii semplicemente e mi persi a guardarla più del dovuto. Osservai ogni suo movimento: mentre si sfilava la felpa, quando appoggiò la borsa al suolo e quando, finalmente, si sedette sul divano, per poi dedicarmi uno sguardo che lasciava intendere che avrei potuto avvicinarmi. Accolsi la sua implicita richiesta, ma mi mantenni comunque a debita distanza. Non sapevo come comportarmi, non sapevo perché fosse venuta qui, a casa mia, non sapevo se avesse ancora paura di me.
Poco dopo realizzai che sarebbe stato impossibile. Non avrebbe smesso di avere paura di me.
Perché sei venuta qui?” mi azzardai a chiederle.
Abbassò lo sguardo e sollevò appena gli angoli della bocca. “Non lo so, io… ho agito d’istinto. Sei stata la prima persona a cui ho pensato e per questo ho deciso di presentarmi qui. Lo so che sembrerà strano, ma ti posso assicurare che non c’è nessuno più confuso di me in questo momento” mormorò, attirando le ginocchia al petto e mantenendo lo sguardo fisso avanti a sé.
Il punto è che…” biascicai, riportando su di me la sua attenzione, “qualche giorno fa mi hai quasi pregato di restarti lontano, sembravi totalmente terrorizzata da me.
Lo so, Jason, ma non riuscivo – e tutt’ora non riesco – a credere che tu possa davvero aver fatto una cosa del genere. Ho passato gli ultimi due giorni a cercare di capirne di più, ma non ho fatto altro che confondermi le idee. Ho letto diversi articoli di giornale risalenti a tre anni fa, ho provato ad associare quei fatti a ciò che avevi scritto tu in quel diario, ma non sono riuscita ad incastrare i pezzi di questo strano puzzle.
Non è con quegli articoli che riuscirai a capirci qualcosa” dissi semplicemente.
Evitai d’incrociare il suo sguardo e mi alzai dal divano, iniziando a camminare senza meta lungo il perimetro del soggiorno.
Allora spiegamelo tu.
Non credo di volerlo fare, non adesso.
La sentii sospirare e poco dopo me la ritrovai di fronte. Mi dedicò un’occhiata interrogativa e dalla sua espressione capii che non si sarebbe arresa tanto facilmente. D’altro canto, gettare la spugna non mi sembrava essere un’attitudine della sua indole.
Ti spaventerei ancora di più e non è ciò che vorrei. Non voglio che tu te ne vada di nuovo.
Abbassò lo sguardo ed annuì, sebbene in modo appena percettibile.
Ho faticato parecchio a capire chi fossi, non sapevo perché ti comportassi in modo così distaccato con tutti. Quel diario mi ha aiutato a venire a conoscenza di un lato oscuro che, probabilmente, avrei ignorato per sempre. Voglio davvero capire chi sei, voglio saperne di più sul tuo passato.
Le voltai le spalle e mi avvicinai alla finestra, volgendo lo sguardo oltre il vetro di essa.
No, non è il caso. Leggendo quel diario hai scoperto molto più di quanto il resto della città ignora. Non voglio tornare sull’argomento, non voglio continuare a parlare del mio passato. Voglio dimenticare, voglio andare avanti perché, nel caso in cui tu non possa immaginarlo, non è un fardello leggero quello che mi porto sulle spalle da tre anni a questa parte.
Non sono qui per giudicarti” mormorò poi, ignorando probabilmente la maggior parte delle parole che avevo detto.
Le dedicai un’occhiata torva, ripercorrendo con la mente il momento in cui, invece, l’aveva fatto, scappando da casa mia e facendo di tutto pur di evitarmi.
È inevitabile che tu lo faccia. Non te ne faccio una colpa, lo ha fatto chiunque.
D’accordo allora” sembrò arrendersi e mi accigliai. “Accantoniamo l’argomento, evitiamo di parlarne. Lo farai quando riterrai giusto farmelo sapere, non voglio forzarti.
Mi voltai completamente verso di lei, il suo sguardo era fisso nei miei occhi e mi sentii notevolmente più sollevato quando realizzai che non mi guardava con terrore.
Il silenzio riprese a regnare tra quelle mura, ma non fu fastidioso. Ciò che riuscii ad udire si limitò al suono dei nostri respiri.
Prima hai detto che non vuoi che me ne vada” mormorò ed annuii, senza capire.
Deduco quindi che tu non abbia dimenticato ciò che è successo tra di noi.
No, non l’ho dimenticato” le dissi con voce ferma. “In realtà non ho fatto altro che pensarci.
Nemmeno io l’ho dimenticato” ribatté, “ma spero che tu capisca che questa non è una situazione facile. Non posso negare di avere ancora paura di te, non riesco ad accettare quello che hai fatto, non senza che tu ci metta del tuo.
La guardai con aria interrogativa.
Che cosa vuoi che faccia?” le domandai senza capire.
Voglio che mi dimostri che posso fidarmi di te.
E come?
Sembrò pensarci su, ma le sue parole non fecero altro che confondermi.
Non sono io a dovertelo dire. Vorrei semplicemente potermi fidare di te, ma ho bisogno che tu mi dimostri qualcosa.
Continuai a non capire e mi sentii immediatamente più nervoso.
Non so davvero che cosa potrei fare. Io non sono bravo in queste cose, però vorrei che capissi che ci tengo a te.
La vidi sobbalzare lievemente, sbarrò gli occhi incredula, ma non disse nulla, si limitò a fissarmi, intimandomi di continuare.
Nei giorni scorsi non ho fatto altro che pensare a te e al fatto che non ci fossi. È sembrato strano anche a me, ma la tua assenza mi ha fatto più male di quel che potei immaginare.
Dici davvero?” domandò sorpresa ed annuii.
Non saprei davvero come dimostrarti qualcosa, io non ho mai fatto niente del genere, ma puoi fidarti se ti dico che non ti farei mai del male. Ti avranno detto il contrario, probabilmente, ma ti posso assicurare che non farei mai una cosa simile, non a te.
Abbassò lo sguardo, ma non sembrò troppo convinta.
Non potevo biasimarla, chiunque sapesse cos’avevo fatto, non mi avrebbe di certo creduto.
Voglio crederti, Jason.
Non ho motivo di farti del male, non mi hai mai fatto niente.
Non avevo idea di che cosa dirle o fare per permetterle di fidarsi di me. Non sapevo che cosa si aspettasse da me.
Non sono venuta fin qui solo per trovare qualcuno che mi consoli. Sarei andata da Marie se avessi voluto questo. Voglio ricominciare, voglio credere che tu non sia realmente cattivo. Non so che cosa mi spinga a comportarmi così, ma voglio sapere che cosa senti per me, perché fino ad ora non l’ho capito.
Voleva sapere che cosa sentissi per lei?
Non lo so. Ti ho già detto che ci tengo a te, che altro dovrei dirti?
È un po’ troppo superficiale, non credi?
O meglio, voleva che le dimostrassi cosa sentissi per lei.
È qualcosa che devo dimostrarti?
Sì, voglio sapere dove vuoi arrivare. Voglio che me lo dimostri. Se mi hai baciata, significa che non ti sono indifferente.
No, non direi. Mi piaci, se è questo ciò che intendi.
La vidi annuire, ma restò comunque sulla difensiva.
D’accordo, dimostramelo.





 


 
Spazio Autrice

Sono terribilmente pessima e vi prego di scusarmi!
Ho i minuti contati, per cui sto aggiornado alla velocità della luce.
Mi dispiace aver fatto passare tutto questo tempo, soprattutto perché dalle domande che mi ponete su ask vedo che ci tenete alla storia.
Per cui vi chiedo scusa.

Bene, Ivy e Jason si sono finalmente ritrovati e Dio solo sa cos'ha in mente Ivy, ma voi l'avete sicuramente capito perché siete intelligenti ♥

Vi ringrazio moltissimo per le recensioni e spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto, se trovate errori - cosa possibile - fatemelo sapere, grazie!


Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
 on twittah and instagram                             Se avete domande, ask me

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Capitolo 20
*** Capitolo 19: don't move on, you're beautiful in that way. ***




 

 

Capitolo 19: don't move on, you're beautiful in that way.

 

Jason


Non ero mai stato pronto a lottare per qualcuno che non fossi io, perché sapevo che nessuno avrebbe lottato per me.
Credevo ed ero convinto che non ci fosse abbastanza amore per me.
Avevo sofferto per così tanto tempo, avevo sopportato difficoltà ben più grandi di me e credevo di non aver più nulla da perdere.
Giorno dopo giorno mi portavo sul petto un peso opprimente, che pian piano mi avrebbe schiacciato al suolo, ma è stato proprio quello a darmi la forza di riemergere.
Avevo uno scopo e, per quanto mi avrebbe reso libero, era meschino, cattivo, indegno.
Nessuno avrebbe provato pena per me ed era ciò che volevo. La compassione era un brutto difetto delle persone ed io la temevo, così come avrei temuto chi mi avrebbe guardato con paura.
Ma dal momento in cui Ivy, quel giorno, aveva bussato alla mia porta, cercando conforto proprio da me, sentivo che qualcosa stava cambiando.
Un lieve barlume di speranza s’era acceso dentro di me non appena avevo incrociato il suo sguardo e tutt’ora continuava a crescere. A poco a poco realizzai che non tutto era perduto, forse avrei potuto riaggiustare, almeno in parte, ciò che doveva essere considerata la mia vita.
“Dimostramelo,” aveva detto con tanta semplicità, eppure non trovai nulla di più difficile da poter fare.
Come avrei potuto dimostrarle qualcosa che non avevo mai realmente dimostrato a nessuno?
Non avevo idea di che cosa volesse da me, soprattutto se semplici parole non le sarebbero bastate.
Il suo viso era a pochi centimetri dal mio e mi ero soffermato a guardarla negli occhi per troppo tempo, tanto che dal suo sguardo sembrava quasi spazientita.
Scossi lievemente il capo, deciso ad agire, e mi avvicinai lentamente a lei, chiudendo gli occhi nell’istante in cui le mie labbra si posarono sulle sue.
Poco dopo sentii la sua mano posarsi sulla mia nuca, attirandomi delicatamente a sé. In tutta risposta, appoggiai entrambe le mani sui suoi fianchi, approfondendo sempre più quel bacio. Quando qualche istante dopo mi allontanai da lei, colsi uno strano luccichio nel suo sguardo e, nonostante sperai che dicesse qualcosa, rimase in silenzio, come ad aspettarsi altro da me.
Più la guardavo negli occhi più sentivo il battito del cuore accelerare e non seppi constatare se fosse per paura o altro. Credevo di conoscere la paura dopo tutto ciò che avevo passato, ma questa volta aveva un sapore diverso. Senza che quasi me ne accorgessi, sentii la sua mano sulla mia e, dopo avermi lanciato una brevissima occhiata, iniziò a trascinarmi verso la rampa di scale, costringendomi a seguirla al piano superiore.
Non le feci domande, sebbene avessi parecchi dubbi, rimasi in silenzio, quasi come se il suono dei nostri passi dovesse per forza prevalere su tutto. Mantenni lo sguardo posato su di lei, mentre percorreva a passo deciso il corridoio del secondo piano, sino a soffermarsi sull’uscio della camera da letto dei miei genitori.
So a che cosa stai pensando” mormorai, costringendola a voltarsi verso di me. Abbassò il capo e curvò lievemente gli angoli della bocca verso l’alto. Quel poco di luce che filtrava tra le tende della finestra mi permise di notare che le sue gote si fossero colorate di un rosa più scuro. “Probabilmente sto commettendo un errore, però-
Se pensi di sbagliare, allora perché lo stai facendo?” la interruppi, mantenendo ancora salda la presa sulla sua mano.
Perché voglio potermi fidare di te e il sentimento che tu provi per me è lo stesso che io provo per te.
Mosse qualche passo all’interno della stanza, senza quasi darmi la possibilità di ribattere, ma, in realtà, non c’era davvero nulla che potessi o volessi dire. Si appoggiò con la schiena al muro, esattamente di fronte al letto, ed evitò di posare lo sguardo su di me fino a quando non mi decisi a muovere qualche passo per raggiungerla.
Mi posizionai esattamente di fronte a lei, costringendola ad intrecciare il suo sguardo con il mio. Fu difficile decifrare che cosa le stesse passando per la mente in quel momento, ma qualcosa mi diceva che non era pienamente sicura delle sue azioni. Io stesso non capivo perché si stesse comportando così. Credevo di aver capito che tipo di ragazza fosse, ma, evidentemente, mi sbagliavo.
Premetti entrambi i palmi delle mani contro il muro ai lati del suo viso, mi abbassai quanto bastò per baciarla e sentii nuovamente il cuore battere all’impazzata all’interno della gabbia toracica.
Improvvisamente un tuono squarciò il cielo e la sentii sussultare, concludendo in modo brusco quel bacio.
Non puoi immaginare quanto detesti l’autunno in questa dannata città” disse a voce bassa, sbuffando. Senza ribattere, mi avvicinai alla finestra e la chiusi ermeticamente – facendo calare un’oscurità quasi pesta tra quelle quattro mura - così come feci con la porta della stanza, impedendo a qualsiasi suono esterno di entrare.
Il suono della pioggia non si sentiva quasi più e la sentii tirare un sospiro di sollievo.
Ora va meglio” mormorò poi e ritornai da lei, riuscendo a distinguere soltanto i contorni della sua figura.
Come fai a sopportare tutto questo quando sei da sola?” le domandai a pochi centimetri dal suo viso. Sentii il suo respiro sulle mie labbra  e mi trattenni dall’impulso di baciarla di nuovo.
Alzo al massimo il volume della musica, in modo che sovrasti il suono dei tuoni. Non è i metodo migliore per affrontare la paura, ma almeno aiuta” spiegò.
Se lo stereo funzionasse ancora, lo accenderei.
Non mi serve la musica adesso.” Detto ciò, posò entrambe le mani sul mio petto, stringendo tra le dita il tessuto della mia maglietta, per poi attirarmi lievemente a sé e baciarmi.
Ancora una volta, riuscii ad offuscare e dimenticare ogni cosa che mi circondasse o mi opprimesse. Se fosse stato così facile superare anni di sofferenza, avrei potuto ricominciare a vivere.
Pochi istanti dopo si allontanò da me e la vidi abbassare la cerniera della felpa, per poi sfilarsela e lasciarla cadere al suolo. Sotto di essa indossava un top bianco che a malapena le copriva il busto per via della scarsa lunghezza. Intrecciò per pochi secondi il mio sguardo, dopodiché mi sollevò la maglietta, costringendomi a sfilarla del tutto e ad abbandonarla in un punto indefinito della stanza.
Posò una mano sul mio petto ed il contatto delle sue dita sulla mia pelle mi fecero sussultare, ma questa volta non perché mi riportasse alla mente brutti ricordi.
Non avrei dovuto?” mi domandò, notando la mia reazione, ma scossi il capo.
Non mi ha dato fastidio” ribattei, “non me l’aspettavo, tutto qui.
È parecchio difficile capirti” mormorò, abbassando lo sguardo.
Potrei dire la stessa cosa di te” dissi a mia volta, guardando la mia maglietta e la sua felpa accasciati al suolo.
Mi ritrovo ancora ad aver paura di sfiorarti” continuò poi, avvicinando lentamente l’indice al mio petto, per poi tracciarne una linea immaginaria, leggera, a malapena percettibile. Serrai gli occhi fino a che distrusse il contatto. Quando li riaprii, la ritrovai a guardarmi insistentemente, quasi come se si aspettasse un cenno d’assenso per qualcosa che lei stessa aveva deciso dal momento in cui abbiamo fatto capolino in quella stanza.
Senza mai interrompere il nostro contatto visivo, si sfilò anche il top, gettandolo accanto agli altri vestiti. Mi sorpresi del fatto che non indossasse null’altro sotto di esso, aveva lasciato il suo busto completamente scoperto e nel suo sguardo non colsi il benché minimo segno di ripensamento. Avrei voluto porle così tante domande, ma mi limitai a percorrere con lo sguardo ogni centimetro della sua pelle lasciato scoperto dai vestiti e per quel breve lasso di tempo  ritrovai a non capire più niente. Le sue dita sfiorarono di nuovo la mia pelle, questa volta all’altezza della vita, e con un breve gesto mi slacciò i pantaloni. Li lasciai scivolare lungo le gambe, fino a che non finirono anch’essi al suolo, e, poco dopo, anche i suoi jeans fecero la stessa fine.
Posai nuovamente le mani contro il muro ai lati della sua testa, chinandomi per baciarla, mentre avvertii la presa delle sue mani sui miei fianchi. Le sentii scorrere fino alle scapole, per poi stringerle vigorosamente. Interruppi bruscamente quel bacio e mi allontanai di poco dal suo viso, ansimando.
Le labbra dischiuse ed il respiro pesante non furono altro che i chiari segni di un flashback per nulla atteso. Scossi il capo e chiusi gli occhi, avventandomi nuovamente sulle sue labbra, ma scostò il viso, impedendomi di baciarla.
Jason, io non voglio che tu reagisca così quando ti tocco. Mi sento in qualche modo colpevole e non voglio che per te sia così fastidioso.
Le sue parole mi colpirono ed abbassai lo sguardo verso le sue mani, stese lungo i fianchi.
Nemmeno io vorrei reagire così, è una condanna per me” ribatte, distogliendo lo sguardo dal suo.
Cerca di non pensarci, almeno per adesso.
Se solo potessi, eviterei di pensarci e basta.
Annuii, realizzando nuovamente che lei fosse stata l’unica a permettermi di allontanare quei pessimi ricordi e che – almeno fino a che sarebbe rimasta – avrebbe potuto continuare a farlo.
Afferrò la mia mano e mi costrinse a seguirla verso il letto, s’inginocchiò su di esso e, allacciando le braccia dietro al mio collo, mi attirò a sé. Le sue labbra posate sulle mie mi mandarono in estasi e, più le sfioravo, più sentivo il bisogno di baciarle.
Mi trascinò giù con sé fino a che non mi ritrovai completamente sopra di lei. Sorressi il mio peso facendo pressione sugli avambracci e mantenendo una lieve distanza tra i nostri corpi. Mi soffermai a guardarla negli occhi e cercai disperatamente di memorizzare la sua figura, in modo che riuscisse a sovrastare tutto ciò che fino ad ora aveva occupato la mia mente.
Senza darmi altro tempo per completare quel processo, mi attirò dolcemente a sé, appoggiando le labbra sulle mie.
Intrappolò il mio labbro inferiore tra le sue, lasciandolo andare solo quando portò entrambe le mani tra i miei capelli, per poi baciarmi la fronte.
Le sue mani mi accarezzarono la pelle del collo, delle spalle e di buona parte della schiena. Mi beai di quella sensazione di pace, sdraiandomi completamente sopra di lei quando sentii le sue mani fare pressione contro la mia schiena, intimandomi di annullare la distanza che ci separava. Temevo di pesarle, di farle male, ma non mi diede alcuna ragione per dubitare di ciò.
In quell’istante mi ritornarono alla mente le sue parole ed il suo desiderio di volersi fidare di me, di volere che le dimostrassi qualcosa.
Non era quello il momento adatto per farlo.
Ma sei davvero sicura di quel che stiamo facendo?” le domandai, interrompendo sia il silenzio che quel piacevole momento.
Sollevò entrambe le sopracciglia, sorpresa.
Qualunque altro ragazzo non mi avrebbe posto così tante domande, avrebbe agito e basta.” Un sorriso sulle sue labbra mi fece intendere che non fu delusa da ciò, tutt’altro. Dischiusi le labbra, intento a ribattere, ma mi precedette.
Con questo voglio dire che non mi sbagliavo quando ho deciso di ritornare qui e provare a darti una seconda possibilità. Non dico ch’io possa dimenticare quello che so di te, ma sono convinta che tu abbia qualcosa per cui ne valga la pena riprovarci. So che non sei come gli altri ragazzi che conosco – specialmente Kayden, e di questo e ne sono felice – per cui, quando ti ho detto di dimostrarmi qualcosa, volevo semplicemente vedere fin dove saresti arrivato.
Distolsi lo sguardo dal suo e mi sdraiai accanto a lei. “Io non credo che questo sia il momento adatto” dissi a bassa voce.
Ah no?
Scossi il capo. “È tutto fin troppo programmato ed affrettato e non è in questo modo che voglio dimostrarti qualcosa.
Continuai a mantenere lo sguardo lontano dal suo, specialmente lontano dal suo corpo scoperto.
D’accordo” disse semplicemente, sorridendomi.


 
 

Ivy

 
La cosa che mi sorprese di più non fu il suo rifiuto – perché tecnicamente non lo era – ma il fatto che si sentisse quasi costretto a respingermi.
Non sapevo nemmeno io perché stessi agendo in quel modo, ma non volevo continuare a scappare. Ero fermamente convinta che Jason avesse qualcosa di speciale, qualcosa per cui valesse la pena cercare di sovrastare ciò che aveva fatto in passato. Ed io ero disposta a lottare per far in modo che il suo passato non restasse altro che tale.
Ancora una volta avevo avuto la conferma che non era cattivo, né tanto meno pericoloso.
Le sue parole mi avevano scaldato il cuore.
“La tua assenza mi ha fatto più male di quel che potei immaginare.”
Per qualche strana ragione, sapevo che non mentiva, avevo letto sincerità nel suo sguardo, nei suoi gesti e, soprattutto, nei suoi baci.
Non avevo distolto lo sguardo dalla sua figura nemmeno per un istante, mi ero soffermata a guardare quasi insistentemente i disegni marchiati sulla sua pelle. L’unico  di cui conoscevo il significato era quel piccolo gabbiano stilizzato sul suo fianco, ma ne aveva altri sparsi tra il petto e le braccia. Il muso di una tigre sul lato del bicipite sinistro, una X posta poco più sotto, una scritta in numeri romani sul lato destro del petto ed una corona sul lato sinistro.
Passai in rassegna il suo profilo, quasi imparandone a memoria ogni dettaglio. Fui costretta a distogliere lo sguardo solo quando si voltò verso di me.
Se avessi paura di me lo capirei” mi disse, parlando per la prima volta dopo interi minuti di silenzio.
Non sono sicura di aver ancora paura di te” risposi, ma sembrò quasi ignorare le mie parole.
Il giorno in cui sei scappata dopo aver letto il mio diario, mi sono pentito di non averlo eliminato tempo fa.
Avresti preferito tenermi all’oscuro di tutto?” gi domandai, cercando di capire dove volesse arrivare.
Avrei preferito che non lo scoprissi in quel modo. In realtà, il mio unico scopo è lasciarmi alle spalle quello che è successo tre anni fa, ma so per certo che, anche volendo, non potrò dimenticare.
Lo sentii sospirare ed io rimasi in silenzio, non avevo intenzione d’interromperlo. Se quello era il momento in cui aveva deciso di aprirsi con me, l’avrei ascoltato senza proferire parola.
A volte mi chiedo come sarebbe stato se mia madre fosse ancora viva, ma l’unica risposta che riesco a darmi è che, probabilmente, avrebbe avuto fin troppa paura di me per restarmi accanto.
Credi che se ne sarebbe andata?
Sì, quasi sicuramente. Ecco perché…
Ho capito,” lo interruppi, evitando di sentire nuovamente le parole: ecco perché ho ucciso anche lei.
Ecco perché non volevo che lo scoprissi anche tu” disse poi, continuando quella frase in un modo che non mi aspettai. “Avrei preferito tenerti all’oscuro di tutto per evitare che avessi paura di me. Quando quel giorno ho visto il diario aperto, posato a terra, ho rivissuto per la seconda volta la notte di tre anni fa.
Mi morsi il labbro e distolsi lo sguardo dal suo.
M- mi dispiace, io non avevo idea di che cosa nascondesse quel diario.
Scosse il capo. “Non potevi saperlo.
Dal momento in cui il silenzio tornò a regnare tra quelle quattro mura, sentii nuovamente il lieve scroscio della pioggia e rabbrividii, sia perché che fossi senza vestiti, sia per la piega che aveva preso quella conversazione.
Così come io non potevo sapere che… che mi saresti mancata così tanto. Non avevo mai provato qualcosa del genere per nessuno, né tanto meno credevo che potessi condizionarmi così tanto. Avevo smesso di provare qualsiasi tipo di sentimento negli ultimi tre anni, per cui credevo che avrei continuato a vivere per sempre in questo modo. Ma mi sbagliavo.
Anche io mi avevo sbagliato.
Avevo commesso un errore nel giudicarlo. Non potevo sapere il motivo per cui avesse ucciso i suoi genitori, ma non mi ero mai decisa a capirne il motivo fino a poco tempo fa.
Avrei tanto voluto dire qualcosa, ma le parole mi morirono in gola.
Riuscii solamente ad annullare quella poca distanza che ci separava per permettere alle nostre labbra di sfiorarsi. Gli presi il viso tra le mani ed approfondii a poco a poco quel bacio. Sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi in modo appena percettibile e mi avvicinai maggiormente a lui.
Non ho paura di te” gli dissi poco dopo, guardandolo negli occhi.
 
 

Jason

 
I brividi che avvertivo fino a poco fa erano spariti. Aprii di poco gli occhi e le lenzuola ricoprivano buona parte del mio corpo. Spostai lo sguardo a sinistra e poi a destra, inquadrando così la figura di Ivy avvolta dal mio braccio destro.
Sussultai appena e sollevò lo sguardo sino ad incrociare i miei occhi.
Ti eri dimenticato che fossi qui?” mi domandò, dedicandomi un’occhiata divertita.
N- no,” risposi scuotendo il capo. In quella stanza regnava ancora il buio.
Che ore sono?” le chiesi. Si allontanò di poco ed afferrò  il cellulare posato sul comodino. Un piccolo fasciò di luce la illuminò, rendendomi chiara la visione del suo petto semiscoperto. “Le tre del mattino” rispose, “probabilmente era davvero molto presto quando ci siamo addormentati.
Annuii, seppur consapevole che non potesse vedermi.
Si voltò nuovamente verso di me e lasciai che lo sguardo mi cadesse sul suo seno.
Sei- sei ancora senza vestiti” le feci notare e la vidi stringere le labbra.
Sì… forse sarà il caso che mi rivesta.” Scostò le coperte, intenta ad abbandonare il letto, ma posai la mano sulla sua spalla e la costrinsi a non muoversi. L’attirai verso di me, facendola sdraiare di nuovo accanto a me.
No, rimani così. Sei- sei davvero bellissima.
D’accordo,” disse sorridendo.
L’attirai a me, facendo combaciare a pieno i nostri petti, e nell’istante in cui la sua pelle entrò in contatto con la mia rabbrividii. Prendendole il viso tra le mani, la baciai e sovrapposi quasi completamente il suo corpo con il mio.
Scostai una mano dal suo viso e la feci scorrere lungo il suo fianco fino ad arrivare a sfiorarle la gamba. Iniziai a baciarla sul collo ed inspirai a pieni polmoni il suo profumo, mentre i suoi capelli mi solleticavano il viso.
Credevo pensassi che fosse un passo troppo programmato ed affrettato” disse e mi allontanai di scatto dal suo viso.
Dischiusi le labbra, boccheggiando per qualche istante. “L’ho detto prima, adesso è diverso.
Ne sei sicuro?
Ora sì. E tu?
Sì.
Non appena pronunciò quelle parole, feci combaciare nuovamente le nostre labbra.
Jason, posso farti una domanda?” mi domandò ed annuii.
L’hai mai fatto prima?
Rimasi in silenzio per qualche istante e poi scossi il capo.
Non sono mai andato così oltre, non ne ho avuto l’occasione.
Distolse lo sguardo dal mio e sembrò rabbuiarsi di colpo.
Già, che sciocca, avrei dovuto immaginarlo. Scusa, non avrei dovuto chiedertelo.
Non importa, ti ho già detto che voglio dimenticare il passato. Ciò che conta è che adesso qui ci sei tu, del resto non m’importa.
Detto ciò, mi chinai nuovamente sul suo viso e la baciai.
Sentii le sue mani posarsi sul mio petto, per poi scorrere sino ai fianchi, con l’intenzione di sottrarmi anche l’ultimo indumento rimastomi addosso.
Feci lo stesso con lei e rimanemmo finalmente spogli di ogni veste.
Dalla finestra non filtrava altro che un lieve spiraglio di luce lunare, troppo flebile per poter essere considerata una fonte di luce. Ma era sufficiente.
Le lenzuola avevano lasciato scoperto ciò che non mi era mai stato permesso di vedere, la sua pelle chiara risultava tale anche a notte fonda, i contorni dei suoi seni e del resto del corpo mi spezzarono il respiro.
Mi ritrovai ad ansimare ancor prima di aver compiuto anche il più piccolo gesto. Repressi a fatica quei respiri pesanti, deglutendo e serrando gli occhi. Mi avvicinai al suo viso e la baciai, contrapponendo finalmente il suo corpo con il mio. La mia intimità sfiorò la sua ed avvertii una strana sensazione appena sotto lo stomaco. Non appena le sue mani furono sulla mia schiena, rabbrividii.
Tuttavia, non cessai un solo istante di baciarla e nel mentre feci in modo che tra di noi non vi fosse più alcuna distanza.
Con un rapido gesto entrai in lei, beandomi della sensazione più bella che avessi mai provato in vita. Man mano che i miei movimenti, uniti ai suoi, aumentavano, avvertivo un senso di completezza farsi spazio dentro di me e mi sentii finalmente vivo, come se anche il più piccolo sprazzo di dolore fosse sfumato nel nulla.





 



 

Spazio Autrice

Sono meno in ritardo dell'ultima volta, questo è un bel passo avanti!
Okay e riguardo a 'passi avanti' qui qualcuno ne ha appena fatto uno :')
Ammetto che non è uno dei capitoli migliori che io abbia scritto, nella mia mente era tutto molto più... perfetto.

Ma, bando alle ciance, volevo condividere un momento di gioia con voi:
siccome lunedì è stato il mio compleanno, le mie amiche mi hanno fatto un regalo a dir poco stupendo.



Praticamente questa è stata una delle prime storie che ho scritto e, visto che ci sono parecchio legata, hanno deciso di stamparmela sotto forma di libro. Insomma, mi ha fatto un effetto stranissimo tenere tra le mani un libro scritto da me, è un qualcosa che non  avevo mai provato e, niente, posso dire che è stato uno dei regali più belli che abbia mai ricevuto.



Detto ciò, vi ringrazio per le recensioni che mi avete lasciato, siete sempre meravigliose!


Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
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Capitolo 21
*** Capitolo 20: you gave me the love you've never got. ***




 

 

Capitolo 20: you gave me the love you've never got.

 

Jason

Sentivo il cuore battere all’impazzata, il respiro era più irregolare che mai ed avvertii la fronte madida di sudore. Mi sdraiai accanto a lei, il petto premuto contro il materasso ed il viso appoggiato al cuscino, serrai gli occhi mentre cercavo di far cessare gli ansimi.
Quando li riaprii incrociai il suo sguardo, gli angoli delle sue labbra erano curvati verso l’alto ed aveva sollevato le lenzuola in modo che coprissero ciò che poco prima avevo potuto vedere.
Mi voltai completamente verso di lei, il petto continuava ad alzarsi ed abbassarsi come se avessi appena corso per centinaia di miglia. Ivy posò una mano al centro di esso ed accentuò il suo sorriso.
Ti batte forte il cuore,” mi disse.
È da quando sei arrivata che fa così” ribattei, appoggiando la mano sopra la sua.
Mi persi a guardarla negli occhi, a guardarla sorridere e giurai di aver sentito il battito del cuore accelerare, quel senso di vuoto sparire, lasciando spazio a ciò che solo lei era riuscita a colmare. Non riuscii a proferire una sola altra parola, mi ero preso la libertà di ricordare in ogni dettaglio quant’era appena successo. Era una cosa che facevo spesso, sia con le cose brutte che con quelle belle.
La sola differenza era che, la consapevolezza di aver vissuto qualcosa di così importante con lei, riusciva ad allontanare i pensieri negativi che mi opprimevano da anni. Abbassai momentaneamente lo sguardo sulla sua mano, premuta ancora contro al mio petto, e alla mia che la sovrastava. Il lenzuolo era leggero e la pioggia – che solo ora aveva cessato di bagnare ogni cosa – aveva lasciato dietro di sé un’aria più fresca, tanto che iniziai ad avvertire i brividi lungo la schiena. Solo al centro del petto non sentivo freddo.
È stato bellissimo, Jason.” La sua voce ruppe il silenzio, nel modo più piacevole che riuscii a concepire.
Anche per me,” mormorai, riportando nuovamente il mio sguardo intrecciato nel suo.
Non avevo mai provato una cosa del genere prima,” continuò e rimasi leggermente spiazzato da quelle sue parole.
Credevo l’avessi già fatto… con Kayden.
Solo a pronunciare quel nome avvertii un senso di smarrimento, quasi come se avessi voluto rovinare tutto di proposito.
Ero solito parlare il meno possibile, perché mai avrei dovuto proferire parola proprio nel momento meno opportuno?
Sì, ma era diverso. A lui interessava principalmente il sesso.
E c’è differenza?” le domandai senza capire, sentendomi improvvisamente stupido per quanto stessi dicendo.
Oh sì, moltissima,” pronunciò con enfasi, quasi come se avessi detto un’assurdità. Continuai a guardarla con aria interrogativa e scostò la mano dal mio petto, sfuggendo alla mia presa solo per mettersi seduta. Sollevò il lenzuolo, mantenendolo ben saldo attorno al busto, ed attirò le ginocchia al petto. Io rimasi immobile, intento a fissarla e ad aspettare che continuasse.
C’è un abisso tra semplice sesso e amore. Te ne accorgi dal modo in cui una persona si comporta, dalle attenzioni che ti riserva. Come i baci, le carezze, il modo in cui ti guarda.
Sulle sue labbra comparve un sorriso e mi volse una breve occhiata.
Quindi lui non si comportava così con te” mormorai, indeciso se tramutare quella frase in una domanda o lasciarla pressoché inespressa.
Scosse il capo, stringendo le labbra in una linea dura.
Credevo ci tenesse a te.
Lo credevo anche io,” disse, quasi interrompendomi. La sua voce si abbassò di colpo e non fu difficile cogliere una punta di malinconia in essa. Incrociai per un attimo il suo sguardo, capii che quello era uno degli argomenti che voleva evitare, ma non riuscii ad evitare di porle un’altra domanda.
Che cosa ci trovavi in lui?” le chiesi schietto e la vidi sgranare gli occhi, mi diede quasi l’impressione di aver toccato un tasto dolente.
Tutto” rispose dopo qualche istante di silenzio. “Inizialmente pensavo fosse il ragazzo perfetto, ma poi ho scoperto che si trattava solo di attrazione fisica. Conoscendolo meglio, ho capito che non era il ragazzo di cui mi ero innamorata. Si è rivelato essere cattivo e non riuscivo più a sopportare le varie discussioni.
La sua voce s’incrinò e mi sentii in colpa per averla costretta a parlare di qualcosa che, invece, avrebbe preferito dimenticare. Dopotutto, anche io avrei preferito evitare di riportare a galla i ricordi del mio passato, ma dovevo sapere. Dovevo sapere cosa fare per poter essere migliore di lui, non volevo commettere i suoi stessi sbagli, non volevo che stesse male anche con me.
Non avrei dovuto farti tutte quelle domande, scusa,” mormorai, avvicinandomi al bordo del letto, con l’intenzione di abbandonarlo.
Oh, non ti preoccupare. È spiacevole parlarne, ma non fa più così male. Sono stata bene con te stanotte e grazie a te sono riuscita ad accantonare quei ricordi.
Mi voltai nuovamente a guardarla, evitando di muovere un solo altro muscolo.  “Anche per me è stato così,” ammisi sincero.
Sei davvero molto dolce, Jason, e continuo a sentirmi in colpa per essere scappata via quel giorno” aggiunse, abbassando nuovamente il capo, quando invece io avrei preferito che mi guardasse negli occhi. “Sai, avrei dovuto evitare di giudicarti, soprattutto perché di te non sapevo nulla. Non sei assolutamente come gli altri ti descrivono. Sembrerà assurdo, ma ho capito tante cose di te.
La guardai senza capire ed ecco che il suo sguardo si posò su di me.
Poco fa mi hai trasmesso tutto l’affetto e l’amore che, probabilmente, nessuno ha mai dato a te. È triste sapere che non hai avuto una vita facile, perché ti saresti meritato molto, ma molto di più.
Sei la prima persona che me lo dice. In tutti questi anni non ho sentito altro che il contrario e stento a credere che tu possa pensare una cosa del genere,” ribattei poco dopo, distogliendo lo sguardo dal suo.
La sentii sospirare e con la coda dell’occhio la vidi scuotere il capo.
Perché nessuno ha mai provato a conoscerti. Stavo per commettere lo stesso errore anche io.
Rimasi ad ascoltarla attentamente, quasi come se le sue parole fossero state le note di una bellissima canzone. Ma non riuscivo a crederle a pieno.
Lei non mi conosceva e temevo avrebbe scoperto il lato peggiore di me.
Solo che tu poi sei tornata,” mormorai infine, rompendo il silenzio, e lei sorrise.
 
 

Ivy

 
Percorsi al fianco di Jason la strada che ci avrebbe condotto a scuola, non cessammo nemmeno per un istante di parlare e mi stupii di quanto sembrasse diverso. Quando lo conobbi, a stento mi rivolgeva la parola ed ero convinta che sarebbe stata un’impresa impossibile diventargli amica.
Avevo scoperto cose di lui che avrei preferito non sapere, cose che mi avevano lasciato completamente sconvolta e tutt’ora mi sentivo a disagio se ci pensavo. Ma ho voluto dargli una seconda possibilità, perché sapevo che ne sarebbe valsa la pena. L’avevo visto sorridere così poche volte, ma nelle ultime ore lo aveva fatto spesso ed era bellissimo. Nei suoi occhi c’era un’altra luce, non erano più spenti come la prima volta in che li notai.
Mi aveva trasmesso così tanto in così poco tempo e nel modo migliore.
Su quel diario vi erano scritti i pensieri più tristi e macabri, segno che nessuno – nemmeno i suoi genitori – l’aveva mai amato davvero.
Eppure era stato capace di trasmettermi questo: amore.
Qualcosa che non mi sarei mai aspettata di ricevere.
Sembrava così scontroso all’inizio, quasi arrogante e invece si era rivelato essere l’esatto opposto: un ragazzo perso, triste, con un passato orribile alle spalle che aveva solo bisogno di qualcuno che lo amasse.
Era finito con l’essere odiato ed allontanato da tutti, anche da me. Avevo commesso lo stesso errore di tanti altri, senza dargli la possibilità di mostrarmi cosa si celasse dentro al suo cuore. Era finito con l’odiare sé stesso e ciò l’aveva trascinato in un oblio senza uscita, colmo di desolazione e tristezza.
 
 
Giunsi davanti al mio armadietto e, non appena lo aprii, un foglio viola, piegato in quattro, cadde al suolo. Mi affrettai a raccoglierlo, leggendone poi il contenuto.
Un sorriso si fece spazio sulle mie labbra quando lessi a cosa si riferiva.
Questo sabato ci sarà il ballo qui a scuola!” esclamai, riportando l’attenzione di Jason su di me.
Il ballo?” mi domandò senza capire.
Sì, è una specie di festa che organizzano tutti gli anni. Dovremmo andarci insieme.
Sbarrò gli occhi, quasi come se avessi appena detto un’assurdità.
I- io non vengo” disse poi, abbassando il capo. Questa volta fui io a sbarrare gli occhi.
E perché? Ci divertiremo!
Scosse il capo. “Ci sarà tutta la scuola e io voglio farmi vedere in giro il meno possibile. Ora che tutti sapranno quello che ho fatto, non faranno altro che parlarne.
Sospirai ed intrecciai le dita della mia mano con quelle della sua. Lo costrinsi a guardarmi negli occhi e gli dissi: “probabilmente non tutti sono a conoscenza del tuo passato. Se non fosse stato per quel diario, io non ne saprei nulla.
È possibile che Kayden abbia sparso la voce” commentò, come se fosse la cosa più normale a cui potesse pensare, e, effettivamente, non potevo dargli torto.
Non te ne devi preoccupare, pensa solo a divertirti per una volta. Ci tengo davvero tanto ad andare a quella festa e vorrei che fossi tu ad accompagnarmi.
 
 

Jason

 
Lo sguardo che mi volse fu così dolce e non sarei riuscito a dirle di no. Sembrava quasi che mi stesse supplicando e nessuno mi aveva mai guardato così.
D’accordo” mormorai infine, “se ci tieni, verrò con te.
Sulle sue labbra si aprì un gran sorriso e non potei evitare di sorridere a mia volta.
Grazie!” esclamò, per poi alzarsi in punta di piedi e lasciarmi un bacio sulla guancia. Fece per posare le labbra sulle mie, ma il suono della campanella ci costrinse ad allontanarci l’uno dall’altra.
Che lezione hai adesso?” mi domandò, tirando fuori dall’armadietto un libro dall’aspetto piuttosto pesante.
Estrassi dalla tasca dei jeans il foglio con l’orario delle lezioni e feci scorrere su di esso lo sguardo.
Educazione fisica,” risposi. “Buona fortuna,” mi disse alzando gli occhi al cielo, per poi lasciarsi andare in una risata.
La salutai e mi avviai verso la palestra.
Percorsi un lungo corridoio e dall’inizio di esso sentii il vociare di altri ragazzi. Deglutii sonoramente e, prendendo un lungo respiro, mi decisi ad avvicinarmi.
Detestavo dover trascorrere tutte quelle ore a scuola, sotto gli sguardi di chi probabilmente sapeva ciò che avevo fatto.
Camminai a testa bassa, non curandomi di chi potessi avere davanti. Entrai nello spogliatoio cercando di provocare il minor rumore possibile, ma qualcuno d’inaspettato si accorse ugualmente di me.
Oh, ma chi abbiamo qui?
La voce di Kayden, inconfondibile come sempre, giunse alle mie orecchie costringendomi ad incrociare il suo sguardo.
Non credevo avessi il coraggio di continuare a farti vedere in giro. Sono sorpreso, davvero,” continuò, ma lo ignorai, superandolo. Tuttavia, non mi permise di muovere un solo altro passo.
Suppongo che Ivy sia stata da te ieri, vero?” il suo tono di voce s’indurì e ciò non fece altro che innervosirmi maggiormente.
Sì e allora?
L’espressione spavalda che gli ricopriva il viso sino a pochi istanti fa, sparì del tutto, lasciando chiaramente intravedere che fosse furente.
Giuro che non so cosa tu abbia in mente, ma, se vengo a sapere che le hai fatto anche solo un graffio, puoi considerarti morto.
Non sono stato io a provocarle quel taglio sul viso,” ribattei schietto.
Lo vidi stringere i pugni lungo i fianchi, seguito dal lieve suono provocato dallo schioccare delle nocche.
Ti avverto, McCann, fai un solo passo falso e la morte dei tuoi genitori sarà considerata una passeggiata rispetto a quello che farò passare a te.
Non avevo paura di lui, non sarebbe riuscito a spaventarmi con delle minacce, ma, ciò che m’impedì di ribattere, fu il fatto che credeva che avrei potuto far del male ad Ivy.
Rimasi immobile mentre lo spogliatoio pian piano si svuotava, fino a che non fui completamente solo.
 
 



 


 

Spazio autrice.
Come sempre sono in ritardo e mi sono anche accorta di aver scritto un capitolo piuttosto corto rispetto agli altri.
E' un capitolo di passaggio a dir la verità, vi dico solo che dal prossimo in poi, le cose si movimenteranno/complicheranno, per cui vi assicuro che non vi annoierete.

Non ho molto da dire al riguardo, però vi ho lasciato un piccolo spoiler qui sotto, giusto per farmi perdonare sia del ritardo che della scarsa lunghezza del capitolo.

Come sempre, vi ringrazio per le recensioni e i complimenti, apprezzo tutto davvero tantissimo ♥

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

@Belieber4choice
on twittah and instagram



 



 

Spoiler:

Questa volta ti andrà male, McCann” sbottò Kayden, facendo comparire sul suo viso un ghigno. “Sai, ho ripensato a quanto ti ho detto prima e sono giunto alla conclusione che, con te, delle semplici minacce non hanno valore.
Nel frattempo vidi comparire alle sue spalle altri tre ragazzi, i quali non sembravano molto diversi da lui. Sorridevano tutti in modo inquietante, probabilmente con l’intento di spaventarmi, ma non lasciai trapelare nulla.
Cosa ne dici di uno scontro alla pari?” domandò poi, quasi come se mi stesse lasciando la possibilità di scegliere. Cosa che in realtà non c’era.
Siete quattro ed io sono da solo. Non è alla pari” ringhiai.
Oh, beh, peccato.

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21: I didn't care before you were here. ***




 

 

Capitolo 21: I didn't care before you were here.

 

Jason

Ero tentato di saltare la lezione di educazione fisica, dopotutto nessuno se ne sarebbe accorto ed io non avevo la minima intenzione di rischiare un altro intervento da parte di Dean. Sapevo che il loro intento era quello di provocarmi, costringendomi ad usare la forza, ma non potevo cedere.
Se solo tutto ciò fosse accaduto qualche mese prima, non me ne sarebbe importato, non avrebbe fatto la differenza se fossi rimasto a casa mia o dietro le sbarre, ma ora era diverso. Non volevo allontanarmi da Ivy.
Presi un respiro profondo e strinsi i pugni lungo i fianchi, per poi avviarmi verso la palestra. Non appena varcai la soglia, un gruppo di ragazzi e ragazze mi superò. Sui volti dei ragazzi aleggiava un’espressione quasi scocciata, mentre le ragazze sorridevano soddisfatte. Mi guardai attorno e non vidi che Kayden.
I nostri sguardi s’incrociarono e colsi un guizzo sul suo viso, simile ad un ghigno.
Sembra che il professore sia assente” pronunciò dopo qualche istante di silenzio.
Rimasi impassibile, la cosa non m’interessava affatto. Gli voltai le spalle ed iniziai a camminare verso l’uscita, ma, non appena fui prossimo a lasciare la palestra, avvertii la sua stretta attorno al polso.
Dove credi di andare?” domandò, fingendosi sorpreso. Non feci in tempo a rispondere, mi batté sul tempo e m’incalzò con un’altra domanda.
Hai intenzione di andare da Ivy, vero? Beh, non ci andrai.
Gli dedicai un’occhiata torva, indeciso se ribattere o rimanere in silenzio.
Ad ogni modo, non mi sentivo in dovere di dargli alcuna spiegazione.
La lezione è annullata per oggi,” ci avvisò un uomo vestito di blu – probabilmente un bidello - interrompendo la nostra conversazione, se tale la si poteva considerare. Si era sporto quanto bastò per inquadrarci oltre l’ingresso della palestra. Kayden gli dedicò un cenno d’assenso e, non appena sparì dalla nostra visuale, ritornò a concentrarsi su di me.
 “Questa volta ti andrà male, McCann” sbottò poi, facendo ricomparire sul suo viso quel ghigno. Mi lasciò libero il polso ed indietreggiò di un paio di passi.
Sai, ho ripensato a quanto ti ho detto prima e sono giunto alla conclusione che, con te, delle semplici minacce non hanno valore.
Nel frattempo vidi comparire alle sue spalle altri tre ragazzi, i quali non sembravano molto diversi da lui. Avevano la sua stessa postura e, a giudicare dalla loro massa muscolare, dovevano per forza far parte della squadra di football assieme a lui.
Sorridevano tutti in modo inquietante, probabilmente con l’intento di spaventarmi, ma non lasciai trapelare nulla.
Cosa ne dici di uno scontro alla pari?” domandò Kayden, quasi come se mi stesse lasciando la possibilità di scegliere. Cosa che in realtà non c’era.
Siete quattro ed io sono da solo. Non è alla pari” ringhiai.
Oh, beh, peccato.
Kayden lanciò un’occhiata ad un biondo ragazzo alla sua destra, il quale si avvicinò a me a grandi falcate. I suoi occhi scuri incrociarono i miei, il suo viso era inespressivo, quasi come se non gli interessasse realmente riempirmi di pugni. In realtà mi domandavo per quale assurda ragione stesse prendendo ordini da Kayden.
Qual era il suo tornaconto?
Tuttavia, non ebbi il tempo di darmi una risposta. Mi colpì in viso, costringendomi a voltare di scatto il capo. Nell’istante successivo al colpo non sentii nulla, per un attimo credetti di avere metà viso paralizzato; dopodiché, quasi come se me la fossi cercata, il dolore arrivò. Istintivamente mi portai una mano sul punto colpito ed incrociai lo sguardo del ragazzo che avevo di fronte.
Mi sentivo come se non potessi controllare né i miei movimenti, né tanto meno le mie emozioni.
Lo colpii a mia volta, ma, a differenza sua, non mi limitai ad un solo pugno.
Le mie nocche entrarono in contatto con il suo naso, il quale iniziò a sanguinare pochi istanti dopo aver ricevuto il colpo. Lo ferii anche al labbro ed ecco che altro sangue gli sporcò il viso.
Continuai a colpirlo in viso sino a quando non si portò le mani davanti ad esso, impedendomi di continuare. Riuscii ad intravedere soltanto il suo sguardo attraverso le fessure delle dita. M’implorava silenziosamente di smetterla; da un lato speravo quasi che lo urlasse, in modo che anche Kayden lo sentisse, ma non lo fece.
Rimasi impassibile, guardandolo con indifferenza.
Non provavo pena per lui, ai miei occhi non era altro che il burattino di Kayden.
Avrei ricominciato a colpirlo se la voce di quest’ultimo non fosse giunta alle mie orecchie.
Dopo questo sono costretto a confermare la mia teoria.
Lo guardai torvo e, nel frattempo, il ragazzo biondo lasciò la palestra. Lo seguii con lo sguardo fino a che non scomparve oltre l’uscita, per poi riportare la mia attenzione su Kayden.
Non c’è speranza per uno come te. Continuo a chiedermi perché ti abbiano ridato la libertà. Uno come te dovrebbe marcire dietro alle sbarre per il resto della vita o, se preferisci, dentro ad un manicomio.” L’espressione sul suo viso mutò nell’arco di un paio di secondi. Sulle sue labbra era comparso uno strano sorriso, molto più simile ad una smorfia in realtà. Non c’era nulla di rassicurante, ma non riuscii a dire se fosse per me o per lui.
Ancora una volta mi stava provocando e, vista la mia mancata capacità di reprimere la rabbia, sapevo che avrebbe continuato con le insinuazioni fino a quando non avrei ceduto.
Non fare quella faccia, McCann, se dovessi finire nuovamente dentro, mi preoccuperò personalmente di accompagnare Ivy a farti visita.
Rimasi in silenzio, il suo sguardo divertito e le sue parole – pronunciate con tanta semplicità – mi trafissero, ma non reagii.
Di punto in bianco, smise di sorridere ed il suo sguardo s’incupì.
Non ho idea di cosa ci trovi Ivy in te, probabilmente è fin troppo ingenua per capire chi sei realmente. Forse non ha ancora realizzato il fatto che tu sia un pazzo assassino che, alla prima occasione, tenterà di ucciderla. Ma ti avverto, McCann, falle del male e sarò io ad uccidere te.” 
Strinsi fortemente i pugni lungo i fianchi, tanto che avvertii le unghie conficcarsi nel palmo, i muscoli delle braccia erano contratti al massimo ed iniziai a fremere per la rabbia. Era da tempo che non avvertivo una sensazione simile, l’ultima volta che accadde fu la notte in cui posi finalmente fine alla vita di mio padre.
Presi un respiro profondo e serrai gli occhi per un istante.
Non sono stato io a colpirla, se ben ricordi.
Riuscii a vedere i suoi occhi caricarsi di rabbia, strinse le labbra in una linea dura e la mascella si contrasse. Era evidente che stava per scoppiare.
Mi raggiunse a grandi falcate e riuscii a malapena a prevenire i suoi movimenti. Mi aspettavo di venir nuovamente colpito in viso, ma ciò non accadde. Mi spinse, con così tanta violenza che persi l’equilibrio e caddi a terra.
L’impatto non fu né troppo forte, né doloroso, fu quello che accadde dopo a disarmarmi.
Mi tirò un calcio all’altezza della bocca dello stomaco, mi mancò il respiro per diversi secondi, ma fui abbastanza preparato da non perdere la coscienza.
Mio padre mi aveva riservato punizioni peggiori, per cui riuscii ad inalare abbastanza aria  prima di perdere i sensi.
Mi colpii nuovamente, questa volta sul braccio sinistro e, istintivamente, mi portai la mano libera sul punto dolente.
Iniziai a percepire nuovamente dolore sia al viso – grazie ai colpi dell’altro ragazzo – sia allo stomaco.
Continuò a riempirmi di calci, ferendo buona parte del mio corpo. Solo dopo diversi colpi riuscii a strisciare lontano da lui. Barcollante, mi alzai in piedi, strinsi i pugni lungo i fianchi e mi avventai su di lui, colpendo prima sulla gota sinistra e poi sulla destra.
Gli strinsi il collo quando fui certo che i miei colpi lo avessero rintontito almeno un po’.
Calcai la presa fino a quando non mi colpì con il ginocchio il basso ventre.
Fui costretto a lasciarlo andare e, questa volta, non riuscii a reagire.
Fui costretto a piegarmi in due per il dolore e Kayden ne approfittò per tirarmi un altro pugno e costringendomi così a cadere all’indietro.
Questa volta l’impatto fu più pesante, non ebbi i riflessi pronti per attutire la caduta con le mani. Sbattei la schiena e mi sentii mancare il respiro per diversi, troppi secondi.
Tutto questo non servì a fargli provare pena per me, tutt’altro, continuò a sfogare la sua ira come se dentro di lui aleggiassero gli stessi demoni che per anni avevano posseduto me.
Non persi conoscenza, sfortunatamente continuai a sentire nitidi i suoi calci e persi il conto di quante volte venni colpito.
Ero convinto che avrei ceduto da un momento all’altro, ma, ciò che mi fece realizzare il contrario, fu il timbro di una voce spaventata giungermi alle orecchie.
Riaprii gli occhi dopo diverso tempo in cui li avevo tenuto chiusi: inquadrai la figura sfocata e lontana di Ivy. Il suo sguardo si posò su di me e, tutto ciò che mi permise di capire che fosse in procinto di piangere, fu la sua voce spezzata.
Kayden non smise di colpirmi fino a che lei non si posizionò in mezzo tra noi.
Tentai di riprendere un respiro regolare, approfittando di quella tregua, ma il dolore era troppo forte e non riuscii nemmeno a distinguere quale punto mi dolesse di più.
 

Ivy

 
Credevo, o forse speravo, che il ragazzo che stesse subendo tutta quella violenza non fosse Jason. Ma non ebbi possibilità di pormi dubbi, nell’esatto istante in cui vidi Kayden, realizzai che non avrebbe potuto scagliare la sua rabbia su nessun altro, se non Jason.
Mi precipitai d’innanzi a loro, dal momento in cui le mie suppliche non erano servite che da sfondo a quel triste spettacolo. Costrinsi Kayden ad indietreggiare, il suo respiro era affannoso e spezzato, gli occhi vividi di rabbia non persero quel tremendo luccichio nemmeno quando fui l’unica cosa che avrebbe potuto vedere.
Non la passerai liscia, McCann” fu tutto ciò che disse e mi sentii il dovere di ribattere.
Se c’è qualcuno che finirà nei guai, quello sei tu. Non sono stata l’unica a vedere quello che hai fatto.” Volsi un’occhiata verso l’ingresso della palestra: due professori, affiancati da Marie ed altre due ragazze, avevano visto tutto.
L’espressione schifata di Kayden si tramutò in terrore. Scosse il capo ed alzò le mani in segno di resa. “Ho dovuto difendermi, si è scagliato su di me non appena ho messo piede in palestra!” quasi gridò, fingendosi nient’altro che una vittima.
Sei un bugiardo” mormorai, il mio tono voce fu appena percettibile per entrambi, d’altronde non avevo bisogno di urlare.
Prima che potesse dire qualsiasi altra cosa, i due professori lo affiancarono e lo costrinsero a seguirlo in direzione.
Non persi altro tempo e mi chinai accanto a Jason. Sul suo viso aleggiava una smorfia di dolore, entrambe le braccia erano avvolte attorno all’addome e mi sentii più impotente che mai.
Jason” lo chiamai, sperando che il suo sguardo incrociasse il mio.
Lo chiamai una seconda volta, ma non ribatté. Strinse i denti e continuò a respirare in modo affannoso. Gli passai una mano tra i capelli, cercando poi di sciogliere l’intreccio delle sue braccia. Ci riuscii, ma ciò non cambiò la situazione. Dalle sue labbra fuoriuscì un gemito di dolore e poi un altro ancora.
Gli presi il viso tra le mani, sfiorando con le dita lo zigomo arrossato. Ero certa che a breve gli si sarebbe formato un livido. E non sarebbe stato l’unico.
Non mi ero accorta di avere altre persone alle mie spalle, dedicai loro una rapida occhiata e, senza bisogno di dover parlare, lo sollevarono da terra.
Li seguii verso quella che presumevo fosse l’infermeria, lo adagiarono sul letto ed una donna vestita di bianco si affrettò a visitarlo.
Gli rimasi accanto nonostante mi avessero ripetutamente detto di lasciare la stanza.
Avevo continuato a scuotere il capo sino a che non si arresero.
È grave?” le domandai non appena terminò la visita. Mi sembrava una domanda assurda, dato che gli occhi di Jason erano ancora serrati e la smorfia di dolore non aveva abbandonato il suo viso.
L’infermiera mi sorrise e scosse il capo. “Apparentemente no. A giudicare dai colpi subiti, è stata una rissa piuttosto violenta, ma passerà tutto nell’arco di poche ore. Per sapere se le sue condizioni non sono realmente gravi, è necessario monitorarlo.
Starò io con lui” mi affrettai a dire, per poi riportare il mio sguardo su Jason.
 
Dopo aver ottenuto il consenso degli insegnanti, Marie mi aiutò ad accompagnare Jason a casa. Fortunatamente, dopo un paio d’ore, era riuscito a rimettersi in piedi e, nonostante il suo passo fosse molto più lento rispetto al solito, fui sollevata nel vedere che si fosse ripreso.
Ciò che risultò più difficile, fu salire le scale di casa sua e raggiungere la camera da letto dei suoi genitori. Jason non aveva ancora proferito parola, gli unici suoni che sentii provenire dalle sue labbra, furono ansimi e respiri spezzati.
Dopo quasi dieci minuti riuscimmo a raggiungere il piano superiore e lo aiutai a stendersi sul letto.
Se hai bisogno di qualcosa chiamami,” mi disse Marie, appoggiata allo stipite della porta.
Annuii e le sorrisi. “Grazie” mi limitai a dirle. Mi sorrise a sua volta e la sentii scendere le scale, per poi lasciare definitivamente quella villa.
 
 

Jason

 
Probabilmente mi ero addormentato, avevo smesso di sentire dolore per un lasso di tempo limitato, ma ora tutto ciò si era ripresentato. Sbattei lentamente le palpebre e, non appena contrassi la mascella, avvertii dolore. Provai a voltare il capo per guardarmi attorno, ma la mia attenzione si focalizzò sulla figura di Ivy a pochi centimetri da me. Era sdraiata accanto a me, la sua gamba destra sfiorava la mia sinistra e, non appena la mossi, il suo sguardo incrociò il mio.
Sei rimasta qui tutto il tempo?” le domandai, sentendo la mia stessa voce più bassa di quel che pensai.
Sì,” rispose, abbozzando un sorriso, “hai dormito per più di quattro ore.
A giudicare dalla scarsa luminosità che avvolgeva quella stanza, il sole doveva essere tramontato già da un pezzo.
Come stai?” mi chiese dolcemente.
Se rispondessi bene, mentirei.
Avresti dovuto allontanarti, Jason. Sai che non ne vale la pena,” mi ammonì Ivy, facendo scorrere le dita tra i miei capelli. Seguii con lo sguardo i suoi movimenti, sino a quando la sua mano non sovrastò la mia.
Ne è valsa la pena, invece” ribattei, sforzandomi di stringere a mia volta la sua mano.
Non direi, sei sdraiato su quel letto da oltre quattro ore e a stento riesci a muoverti.
Distolsi lo sguardo dal suo, non avrei voluto ripetere le stesse parole usate da Kayden. Temevo che potesse crederci.
Ero intenzionato a mantenere il silenzio, ma i suoi occhi – puntati insistentemente su di me – non mi davano tregua.
Kayden ha detto che io sono troppo pericoloso per te, che potrei farti del male.
Infine, mi arresi.
Ma tu non lo faresti, vero?” mi domandò e questa volta non potei evitare di guardarla.
Scossi il capo, assicurandomi che notasse il mio gesto anche nonostante l’oscurità che avvolgeva quella stanza.
Kayden esagera e tu non devi dargli ascolto,” continuò poi, quasi come se si sentisse obbligata a darmi una spiegazione. “Io non credo ad una sola parola detta da lui. Mi ha mentito già troppe volte e mi fido di te.
Puntai i gomiti contro il materasso e cercai di sollevarmi, in modo da annullare la distanza che separava i nostri visi, ma fu uno sforzo troppo grande per me. Mollai il colpo e mi lasciai cadere nuovamente sul letto, le sue labbra sembravano distanti anni luce dalle mie, non riuscii a sporgermi ulteriormente.
Non esisteva punto che non mi dolesse, ma lo stomaco ed il viso sembravano bruciare per via di tutti quei colpi. Contrarre gli addominali mi sembrò impossibile e non potei evitare di sobbalzare quando Ivy mi sfiorò – seppur con gesto delicato – il viso.
Stai giù, non muoverti,” mormorò dolcemente, ma sembrò quasi un ordine.
A quest’ora mi avrà già denunciato” sussurrai, scostando lo sguardo altrove.
Non l’ha fatto,” ribatté. “Lo hanno visto tutti mentre ti colpiva, non gli crederebbero se sporgesse denuncia su di te.
Sospirai sonoramente, niente di quanto aveva appena detto servì a rincuorarmi.
Ma lui ha il coltello dalla parte del manico, mentre io… rischierei di venire arrestato anche se respirassi.
Avrei voluto alzarmi da quel letto, aprire la finestra e permettere al vento di schiaffeggiarmi il viso, ma, quando tentai di farlo, mi ritrovai sempre nella stessa posizione.
Ti ho detto di non muoverti,” mi ammonì nuovamente e la guardai negli occhi.
Perché ti preoccupi così tanto per me? Perché sei rimasta qui per tutto questo tempo?” mi azzardai a chiederle, nonostante non fossi realmente pronto a sentire la risposta.
Dischiuse le labbra, ma da esse non uscì alcun suono. Abbassò lo sguardo e si strinse nelle spalle.
E tu perché ti sei fatto prendere a pugni? Credevo non t’importasse di lui,” m’incalzò e strinsi le labbra.
Non m’importa di lui, ma di te. Avrei risposto ai suoi attacchi se solo non fossi a rischio. Non voglio che mi portino via. Prima che arrivassi tu non m’importava di niente, ma ora è diverso.
Accentuò il sorriso sulle labbra, ma tornò seria poco dopo.
Comunque non voglio che tu rimanga solo, voglio restarti accanto. Ecco perché ho passato quasi tutta la giornata qui.
Avvicinò la sua mano alla mia e fece intrecciare le nostre dita.
Rischierai d’impazzire con uno come me,” l’avvertii. Abbozzò una risata, ma io ero serio.
Non ha importanza, ormai ho preso la mia decisione.
E quale sarebbe?” le domandai senza capire.
Avvicinò il viso al mio e mi baciò. Sbarrai gli occhi, ma risposi comunque a quel bacio.
Pochi istanti dopo si allontanò e mi guardò negli occhi.
Voglio essere la tua ragazza,” disse semplicemente.




 


 

Spazio autrice
E' molto possibile, anzi quasi sicuro, che ci siano errori.
Purtroppo non ho avuto molto tempo per concludere il capitolo e rileggerlo - evitando così strafalcioni assurdi - per cui perdonatemi se non sarà perfetto.
Questo è l'ultimo aggiornamento prima ch'io parta, non riuscirò ad aggiornare - per mancanza di connessione - fino a fine agosto.
Per cui spero davvero che il capitolo possa soddisfarvi fino a tale data :)

Come sempre, grazie mille per i dolcissimi complimenti e recensioni.

Buone vacanze!


Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice 
on twittah and instagram         Se avete domande, ask me 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22: You can't even imagine how many demons I'm hiding inside. ***




 

 

Capitolo 22: You can't even imagine how many demons I'm hiding inside.

 

Jason

 
Ero rimasto completamente sconvolto dalle sue parole. L’avevo fissata con gli occhi sbarrati per diversi istanti, cercando profondamente di scorgere qualcosa dentro al suo sguardo. Qualcosa nascosto in profondità di quelle due pozze azzurre, qualcosa che mi facesse intendere che mi ero immaginato tutto, ma non trovai nulla.
Aveva pronunciato davvero quelle parole, era stata sincera nel farlo.
Sei davvero sicura di ciò che hai appena detto?
Questa volta fu lei a guardarmi con aria stranita.
Certo che lo sono,” rispose infine, sorridendo.
Dal momento in cui realizzai ciò in cui ero caduto, lasciai trascorrere i secondi fino a che, probabilmente, non divennero interminabili minuti.
Pian piano vidi il suo sorriso spegnersi e sapevo che era dovuto alla mia indifferenza, o meglio, a ciò che io stesso ero incapace di mostrare. Non sapevo nemmeno come avrei potuto reagire. Supposi fosse una cosa positiva – e nel profondo sapevo che lo era – ma io non ero in grado di prendermi cura di lei, di darle tutto ciò di cui aveva bisogno. Ero certo che lei volesse questo da me.
Ma da quali pericoli avrei potuto proteggerla?
Da cosa avrei dovuto tenerla al sicuro se io stesso ero per lei pericoloso?
Ho detto qualcosa di sbagliato?” La sua voce mi costrinse a riportare l’attenzione su di lei e, quando notai il suo sguardo deluso, mi sentii sprofondare all’istante.
No, certo che no” le dissi, abbozzando un sorriso che poi non si rivelò essere altro che una semplice smorfia.
Non sembrava.” Distolse lo sguardo dal mio, abbassando il capo ed impedendomi così di notare a pieno l’espressione sul suo viso.
Non immaginavo che volessi davvero legarti a me,” mormorai, ma, dal momento in cui persisteva nell’evitare il mio sguardo, le scostai una ciocca di capelli dal viso, riponendola dietro al suo orecchio sinistro e sfiorandole volutamente la guancia.
Io non ho mai avuto una storia seria con una ragazza. A dir la verità, non credo di esser mai riuscito a creare un legame abbastanza forte con qualcuno.
Si limitò ad annuire, ma non sembrava che le mie parole fossero ciò che realmente voleva sentire. Distolse lo sguardo dal mio, iniziando a giocherellare con un braccialetto che teneva al polso.
Ivy,” la richiamai e finalmente riportò i suoi occhi azzurri puntati nei miei.
Ci potresti provare,” disse, anticipandomi.
Avrei commesso solo l’ennesimo errore se l’avessi lasciata andare di nuovo. Era stato così difficile sopportare la sua assenza la prima volta, quando ancora tra di noi non era nato niente, come avrei potuto farcela adesso?
Ci voglio provare,” ribattei infine.
Non sapevo a cosa sarei andato in contro, sapevo solo che lei non sarebbe stata al sicuro con me.
Non immaginava nemmeno quanti demoni nascondessi dentro di me e ciò che più mi spaventava era la consapevolezza di poterla ferire.
Scossi il capo e chiusi gli occhi, allontanando quei pensieri dalla mente.
Ancora una volta mi si ripresentarono davanti agli occhi le immagini più terribili che la mia mente nascondeva.
Il coltello e la mia mano tremante. Mio padre a pochi centimetri da me. Il suo sangue. Lo sguardo terrorizzato di mia madre e le sue urla. Il suo corpo senza vita sul pavimento della cucina.
Non appena sentii la sua mano posarsi sulla mia riaprii gli occhi e tutto scomparve, cercai di non permettere a quei ricordi di riaffiorare e mi concentrai solo su di lei.
Sentivo ancora dolore, ma questa volta non lasciai che m’impedisse di annullare la distanza che ci separava. Mi voltai verso di lei, tentai di sollevarmi quanto bastava per raggiungere la sua altezza e le presi il viso tra le mani, avvicinandola a me. La guardai per un istante, dopodiché chiusi gli occhi ed appoggiai le mie labbra sulle sue. Lasciai che quel bacio trascinasse via con sé ogni pensiero negativo, ma sapevo che sarebbe durato poco.
Sentii il braccio sinistro tremare, incapace di sorreggere ancora il mio peso, e fui costretto ad allontanarmi da lei.
Mi guardò con aria dispiaciuta e si sdraiò del tutto accanto a me.
Kayden non la passerà liscia per quello che ti ha fatto,” mormorò, passandomi una mano sul viso.
Sì, invece, ci riuscirà. Così come riuscirà a trovare il modo per provocarmi di nuovo.
Sarebbe stato ancor più facile per lui trovare un pretesto per istigarmi alla violenza.
Ora che non avrei permesso a nessuno di avvicinarsi ad Ivy, mi sentivo notevolmente più vulnerabile.
 

Ivy

 
Non avrei mai capito a pieno i comportamenti di Jason, ci sarebbe sempre stata una parte di lui che, per me, sembrava inaffrontabile. Spesso mi domandavo se fossi io a commettere errori, a prendere decisioni affrettate, a pronunciare parole inappropriate.
Il passato di Jason era come un muro insormontabile per me. Leggere la sua storia in quel diario non era stato sufficiente, così come non erano stati esaustivi i suoi racconti. C’era molto di più, ma lui non sembrava avere intenzione di mettermi al corrente.
Provai a smettere di pensarci, ma mi sembrò impossibile. Quella casa non era esattamente il posto più accogliente o rassicurante che potessi desiderare, eppure mi sembrava l’unico modo per restargli accanto. Ed io non volevo assolutamente permettere alla distanza – seppur piccola – di separarci.
Più mi guardavo intorno più rabbrividivo, l’atmosfera di quella camera da letto era la più fredda che avessi mai sentito. A peggiorare il tutto era la consapevolezza che, un tempo, appartenesse ai suoi genitori. I suoi genitori che ora non c’erano più, che erano stati uccisi proprio da lui.
Solo ad immaginare la scena mi vennero i brividi.
Eppure non potevo lasciare che il passato, che tanto detestava, si ponesse tra di noi.
Jason aveva bisogno di superarlo, di dimenticare ciò che aveva fatto – per quanto difficile potesse essere – ed  io non l’avrei lasciato.
 
Tutto d’un tratto, quando sentii che il silenzio tra quelle quattro mura era diventato troppo opprimente, gli porsi una domanda che da tempo m’affliggeva.
Non vai mai a far visita ai tuoi genitori?
Distolse solo per un istante lo sguardo dal soffitto, quanto bastò per volgermi un’occhiata fulminea.
No,” rispose semplicemente. “Non so dove siano.
Non sai dove siano?” ribattei incredula, “non ti sei mai chiesto dove li avessero sepolti?
No!” sbottò, facendomi sussultare, questa volta aveva alzato notevolmente il tono di voce. Nel suo sguardo non colsi altro che rabbia e mi pentii all’istante di avergli posto quella domanda.
Detestavo avere così paura di quei suoi scatti d’ira improvvisi.
Abbassai lo sguardo ed feci un breve cenno d’assenso, lasciando che il silenzio ci avvolgesse nuovamente.

 
 

Jason

 
Detestavo anche solo sentir pronunciare la parola genitori, o mamma e, soprattutto, papà.
Detestavo dover ricordare ciò che avevo fatto, soprattutto se chiunque lo considerasse sbagliato. Io non avevo commesso un errore, io mi ero salvato la vita, ma le conseguenze erano state nettamente peggiori rispetto a quanto avevo immaginato.
Detestavo farle paura. Dallo sguardo di Ivy capii di averla spaventata e non era questo ciò che volevo.
Tra tutte le persone che avevo allontanato, lei era l’unica per cui avrei fatto di tutto pur di trattenerla.
Mi dispiace,” mormorai, stringendo le labbra, “ma non sopporto l’idea di dover parlare di loro. Non voglio sapere dove siano, né tanto meno ho intenzione di rivedere i loro volti, seppur siano stampati su una fotografia. Non voglio più sapere niente di loro.
D’accordo,” disse semplicemente Ivy, “non ti farò più domande su di loro.
Sapevo che non sarebbe stato così. A differenza mia, per lei era notevolmente difficile reprimere la curiosità, per cui sapevo che presto o tardi avrebbe riaperto l’argomento.
Più li sentivo nominare, più i ricordi riaffioravano alla mente ed erano diventati impossibili da reprimere. Dovevo scacciare quei pensieri, dovevo allontanare quelle immagini dalla mia mente, o sarei finito con l’impazzire.
Avevo bisogno di qualcosa che mi distraesse, qualcosa di più forte.
Io vorrei…” il mio tono di voce era talmente basso che non fui nemmeno certa potesse avermi sentito. Ivy mi guardò con aria interrogativa, ma rimase in silenzio.
Ma non ne ho le forze,” continuai.
Che cosa? Che vorresti?” insistette poi, cercando disperatamente d’incrociare il mio sguardo, senza però riuscirci.
Chiusi gli occhi ed affondai metà viso nel cuscino, desiderando da un lato di potermi rimangiare quelle parole, mentre invece una parte di me sperava che mi avesse capito.
Sentivo quel desiderio totalmente inappropriato, eppure sembrava essere l’unica soluzione per dimenticare tutto.
Mi sentivo tremendamente in colpa per essere stato scontroso con lei, soprattutto perché lei non meritava di essere trattata in questo modo da me.
Tutto ciò che desideravo in quel momento era averla mia, riversare ogni mia preoccupazione in un gesto d’amore. E sapevo che potevo averlo solo da lei.
Il suo sguardo mi stava penetrando in profondità e non riuscii ad evitarlo ulteriormente.
Vorrei fare l’amore con te,” dissi in un sussurro, intrecciando finalmente il suo sguardo. Vidi le sue labbra curvarsi in un sorriso e si avvicinò a me, sfiorandomi le labbra con le sue.
Ma non ne ho le forze. Lo scontro di oggi mi ha distrutto e sono stanco.
Ti fa ancora male?
Annuii, ma non volevo lasciare che il dolore l’avesse vinta su di me.
Avevo bisogno di lei. Avevo bisogno di sentirmi amato e sapevo che quel sentimento l’avrei ricevuto solo da lei.
Ma non m’importa. Il dolore posso metterlo da parte, come ho sempre fatto.
Puntai i gomiti contro il materasso ed adoperai tutta la forza necessaria per sollevarmi. Mi sfilai la maglietta e la posai accanto a me. Subito dopo anche Ivy si mise a sedere, incrociò le gambe e si sfilò sia la felpa che il top, facendoli cadere al suolo. Posò entrambe le mani sulle mie spalle e mi costrinse a sdraiarmi nuovamente, sovrapponendo il mio corpo con il suo. Le avvolsi la vita con entrambe le braccia e la baciai.
Incapace di mantenere casto quello che doveva essere un semplice bacio, la mia lingua iniziò a rincorrere la sua, mentre le mie mani percorrevano ogni centimetro del suo corpo. Le slacciai il reggiseno e, non appena ebbe allontanato anche quello, si affrettò a sfilarsi anche i jeans. Privò anche me dei pantaloni e ritornò a sdraiarsi sopra di me. Ne approfittai per far scorrere le mie mani anche sul suo fondoschiena, per poi ritornare ad avvolgerle i fianchi e stringerla più che potei a me.
Sentii il battito del mio cuore accelerare ogni qualvolta che spingevo il bacino contro il suo. C’era ancora la stoffa degli indumenti intimi a dividerci, era diventata un ostacolo per me.
Feci terminare quel bacio solo per guardarla e sperando che cogliesse la mia implicita richiesta di rimanere nudi. Nei suoi occhi aleggiava uno strano luccichio, le sue labbra erano umide e leggermente gonfie per via di quel bacio ed il suo respiro affannoso.
Fai l’amore con me, Ivy.
Non desidero altro.
Dopo aver pronunciato quelle parole, fece scivolare lungo le gambe anche quell’ultimo pezzo di stoffa e la stessa cosa feci io.
Ribaltai le posizioni e, sforzandomi di non lasciarmi opprimere dal dolore allo stomaco, entrai finalmente in lei.
Mi beai di ogni movimento, di ogni bacio che le nostre labbra si scambiarono, di quei brevi attimi in cui i suoi occhi lucidi di piacere guardavano i miei.
Lasciai che quell’atto d’amore allontanasse i pensieri più tristi con i quali ero costretto a convivere.
Ancora una volta lasciai che fosse lei a curarmi, a guarirmi.
Gliel’avrei lasciato fare fino a che sarebbe stata capace di rendermi vulnerabile.
 



 


 

Spazio autrice

 Più in ritardo di così si muore.
Questa volta sono stata pessima, credevo e speravo di portarmi avanti mentre ero in vacanza e invece non ho fatto assolutamente nulla.
Tra l'altro avrei preferito fare questo capitolo molto più lungo, ma ho dovuto spezzarlo perché la bomba, chiamiamola così, scoppierà nel prossimo.
Per cui mi sembrava veramente assurdo farvi soffrire adesso, no? :)

Sebbene questo capitolo sia un po' di passaggio (fatta eccezione per alcune parti) usatelo per leggere tra le righe - si dice così - tra i pov di Jason.
Chi lo sa, potrebbe nascondere qualcosa.
(Le supposizioni sono ben accette.haha)

Qui sotto vi lascio uno spoiler, giusto per farmi perdonare per averci impiegato una vita ad aggiornare :)


 


 

Spoiler:
Non credevo che fossero ammessi assassini a questa festa,” sbottò Kayden, accompagnando le sue parole con una risata.
Quasi tutti i presenti all’interno di quella grande sala si voltarono a guardarmi. Cercai di non incrociare nessuno dei loro sguardi, ma mi sentivo in trappola.
Voltai il capo verso Ivy, la quale non aveva lasciato nemmeno per un istante la mia mano. Mi concentrai a fissare il suo vestito bianco, cercando di non dare ascolto alle parole di Kayden, ma, così com’era riuscito ad istigarmi qualche giorno prima in palestra, riuscì nuovamente a farmi scattare un impeto d’ira.
Non dargli ascolto, ignoralo,” mormorò Ivy, aumentando la stretta attorno alla mia mano, ma l’unica persona a cui non diedi ascolto fu proprio lei.



Alla prossima!
Much Love,
Giulia


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Capitolo 24
*** Capitolo 23: I can only be a crack in your life made of glass. ***




 

 

Capitolo 23: I can only be a crack in your life made of glass.

 

Jason


 
Quando riaprii gli occhi, la mattina seguente, non sentii quasi più niente. Il dolore si era dissolto, ma recavo ancora sulla pelle i segni dei colpi di Kayden.
Il mio sguardo era fisso sulla mia immagine riflessa nello specchio del bagno da ormai interi minuti; provai a sfiorare il grosso livido al centro del petto, premetti lievemente più a fondo e sobbalzai.
Dal momento in cui Ivy era uscita per andare a scuola tutto mi sembrò tornare alla normalità: la mia solita ed inespressiva normalità in cui tutto perdeva colore. Sapevo che mi avrebbe fatto male rimanere chiuso tra quelle quattro mura fino a che non sarebbe tornata, ma fu decisamente più semplice trovare il modo per riportare a galla un sentimento chiamato paura.
Ancora una volta passai in rassegna ogni singolo livido presente sul petto, non erano poi così diversi da quelli causati dagli scontri con mio padre. Così come non erano differenti le sensazioni che provavo.
 
Avevo paura di mio padre,  dei suoi rimproveri e del suo sguardo colmo di rabbia.
Avevo paura di ciò che succedeva dopo un nostro diverbio, così come non riuscivo a sopportare l’idea di provare ulteriormente dolore a causa sua.
Tuttavia, quelle non furono le mie paure più grandi.
Giurai di esser rimasto totalmente terrorizzato nell’istante in cui il mio cervello progettò di ucciderlo. Credevo potesse trattarsi soltanto di un raptus, un lampo di rabbia passeggero, ma non fu così.
Man mano che la mia mente riordinava le immagini di una scena che mi avrebbe portato – secondo le mie speranze – alla libertà, mi spaventai persino di me stesso, perché ciò mi portò a togliere la vita anche a mia madre.
Nell’esatto istante in cui fui certo che i loro cuori smisero di battere non vidi altro che un velo nero.
Tutto attorno a me sembrava aver perso colore, ma quel senso di smarrimento durò poco.
 
Così come all’epoca mi ritrovai ad aver avuto paura di ucciderli, anche in quel momento provai lo stesso sentimento.
Detestavo Kayden, così come non sopportavo il fatto che fosse rimasto dannatamente vicino ad Ivy per un’infinità di tempo. Detestavo il fatto che si prendesse la libertà di sfigurarmi davanti agli occhi degli altri, colpendomi come se fossi un cuscino.
Lo detestavo perché assomigliava in maniera spaventosa a mio padre.
La mia più grande paura era quella di provare troppo odio nei suoi confronti, un odio che mi avrebbe portato a fargli fare la stessa fine che fecero i miei genitori.
La cosa che più mi spaventava non era il rischio di non riuscire a controllare la mia rabbia, ma mi terrorizzava l’idea di volerlo vedere morto.
Ivy non me l’avrebbe mai perdonato ed io non avrei potuto perdere anche lei.
Non avrei sopportato l’idea che – anche lei come mia madre – avrebbe potuto vedermi come il suo più grande incubo.
A distrarmi dai miei pensieri fu il piccolo pezzo di carta, che solo mezz’ora prima, avevo trovato piegato in quattro sul comodino alla mia sinistra.
 
‘Oggi farò un po’ tardi, devo ancora scegliere il vestito per il ballo.
A più tardi, Ivy :)’
 
Non l’avevo ancora letto, l’avevo semplicemente tenuto in mano ed appoggiato poi sul bordo del lavandino, dimenticandomene completamente.
Non appena ricordai dell’imminente festa, lasciai cadere il biglietto a terra ed infilai la felpa, uscendo di corsa dal bagno.
Mentre scesi le scale, mi accertai di avere il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans e, saltando gli ultimi due gradini, mi fiondai fuori casa.
 
Non sapevo assolutamente da che parte iniziare, avevo bisogno di un vestito che fosse quantomeno adatto a quella festa. Ero ancora dell’idea che non mi sarei dovuto far vedere nemmeno da lontano, ma Ivy aveva insistito tanto perché l’accompagnassi ed io non ero riuscito a dirle di no.
Avevo iniziato a percorrere velocemente il viale principale che mi avrebbe portato al centro della città, ma, non appena ritornai a pensare a cosa sarebbe accaduto il sabato successivo, rallentai.
Ero certo che Kayden avrebbe fatto in modo che Ivy si vergognasse di me, che gliela facesse pagare per non aver accettato il suo invito e che, ovviamente, mi avrebbe reso ridicolo di fronte a tutti. Ed io, in tutto questo, non avrei dovuto far altro che subire senza reagire.
Il solo pensiero di farmi scivolare addosso il suo disprezzo m’irritava.
Dato che ero solito mantenere lo sguardo rivolto al suolo, non mi ero reso conto che qualcuno di mia conoscenza mi stava venendo in contro.
Jason,” mi salutò Dean ed io risposi con un semplice cenno del capo.
Come mai non sei a scuola?
Gli dedicai un’occhiata di sufficienza, immaginando che Kayden avesse già tentato di scagionarsi, addossando la colpa su di me.
Sei sicuro che nessuno abbia sporto denuncia su di me?” lo incalzai, guardandolo torvo.
Corrugò la fronte e scosse il capo. “Assolutamente sì. Perché me lo chiedi?
Sospirai e sollevai la felpa, quanto bastava per mostrargli i lividi sul petto.
Che cos’è successo?
Ieri è scoppiata una rissa in palestra: Kayden e i suoi amici contro di me.
Sbarrò gli occhi ed io abbassai il capo.
E perché credi che potrebbero denunciarti?
Perché ho quasi spaccato la faccia al suo amico, ecco perché!” dissi a denti stretti. “Sai anche tu che non potrò continuare a non reagire per sempre.
Questa volta fu lui a sospirare rassegnato.
E tu sai che, con i precedenti che hai, difficilmente verrai riconosciuto come innocente se fai del male a qualcuno. Avresti dovuto essere tu a sporgere denuncia alla centrale di polizia.
Scossi il capo. “Non ho intenzione di tornare in quel posto.
Jason-
Non importa,” lo interruppi, “devo andare adesso.
Lo sorpassai e ripresi a camminare, quando la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie.
Dove stai andando?
Il suo tono di voce era mutato notevolmente, sembrava quasi amichevole.
Devo- devo compare un vestito.
Un vestito?
Annuii, infilandomi le mani in tasca. “Sabato sera ci sarà una specie di ballo a scuola e per questo mi serve un vestito.
Lo vidi abbozzare uno strano sorriso. “E ci andrai con la ragazza che ho visto qualche settimana fa a casa tua?
Annuii nuovamente, distogliendo lo sguardo dal suo.
Posso accompagnarti se vuoi.
Gli dedicai un’occhiata interrogativa e mi strinsi nelle spalle. “Se non hai nient’altro di meglio da fare…
 
Lo seguii per una decina di metri, sino a che non raggiungemmo la volante della polizia che Dean era solito guidare. Salii dal lato passeggero e pochi istanti dopo l’auto iniziò a sfrecciare su quel viale.
Nell’arco di una ventina di minuti raggiungemmo il centro di Philadelphia, decisamente più trafficato rispetto alla mia città.
Durante il tragitto mantenni il silenzio, limitandomi a dei brevi cenni del capo qualora Dean mi ponesse qualche domanda.
Ci fermammo nel piazzale di un centro commerciale ed esitai qualche istante prima di seguirlo fuori dall’abitacolo.
Dubito che qui ti conosca qualcuno,” mormorò al di là del mio finestrino, per poi aprire la portiera ed intimandomi di scendere.
Sospirai e lo affiancai.
Ci vorranno solo pochi minuti” biascicai a bassa voce, ma ero certo che mi avesse sentito.
Grazie al cielo non sei una donna e non hai bisogno d’ispezionare ogni singolo negozio,” disse ridacchiando, ma io rimasi impassibile.
 
Dean sembrava conoscere quel posto come le sue tasche, non gli ci volle molto per trovare un negozio specializzato in abiti eleganti.
Non appena misi piede all’interno di quel negozio, i presenti si voltarono di scatto verso di noi, ero certo che i loro occhi fossero puntati su di me, ma, seguendo la traiettoria dei loro sguardi, capii che erano molto più interessati alla divisa di Dean.
Forse avresti dovuto vestirti in modo più normale,” gli intimai.
Fino a prova contraria sono in servizio, per cui non posso vestirmi diversamente.
Ignorò le occhiate della gente e riprese a camminare sino a quando non raggiunse uno stand stracolmo di completi da cerimonia.
Lo preferisci grigio, bianco o nero?
Nero,” risposi atono. Ne sfilò uno completo di giacca e pantaloni e me lo porse, aggiungendoci poi anche una camicia bianca.
Sparii all’interno di un camerino e provai il tutto. Più guardavo il mio riflesso nello specchio, più realizzai che avrei dovuto far di tutto pur di non presentarmi a quel ballo.
Feci per allacciare l’ultimo bottone della giacca, quando la voce di Dean richiamò la mia attenzione.
Allora come ti sta?
Tirai la tenda che divideva quel piccolo stanzino dal resto del negozio e guardai Dean con rassegnazione.
Stai alla grande!” esclamò.
Se lo dici tu” mormorai infine.
Fidati di me, ti sta bene.
Non avrebbe fatto differenza se mi fossi fidata o meno di lui, non avevo molta altra scelta.
Pagai ciò che avevo acquistato e lasciammo il centro commerciale nell’arco di pochi minuti.
Dean,” lo richiamai poco prima che raggiungessimo l’auto all’interno dell’enorme parcheggio.
Avrei un favore da chiederti.” Si voltò e mi guardò con aria interrogativa.
Non ho una macchina e-” prima ancora che potessi terminare la frase mi precedette.
E ti occorre per accompagnare quella ragazza alla festa, giusto?
Strinsi le labbra ed annuii.
Tutto ciò che potrei fare, è prestarti la mia vecchia Jeep. Non è il massimo, ma funziona.
Andrà bene, grazie.
 

 
Il sabato successivo…
 
 

Ivy

 
Quindi sei proprio sicura di andare alla festa con lui?” mi domandò per l’ennesima volta Marie, al che sbuffai ed alzai gli occhi verso il soffitto.
Sì, sono sicura. Smettila di preoccuparti. Non succederà niente, sarà una serata normale con un normalissimo ballo scolastico.
La vidi sbuffare rassegnata attraverso il riflesso dello specchio della mia camera.
E non sbuffare, prima o poi ti dovrai abituare alla sua presenza,” l’ammonii, passandomi un altro strato di ombretto argenteo sulle palpebre.
Credo che resterò della mia idea e ora, se vuoi scusarmi, vado ad aspettare che qualcuno mi chieda di ballare.
Scossi il capo, lasciandomi sfuggire una risata e vedendola sparire al di fuori della mia stanza.
Mi persi qualche istante a passare in rassegna il riflesso della mia figura, accertandomi  che non ci fosse nulla fuori posto – a cominciare dai capelli e dal trucco.
Sobbalzai quando sentii il suono di un clacson. Mi affacciai alla finestra e notai una Jeep parcheggiata davanti al vialetto di casa mia, ridussi lo sguardo ad una fessura, cercando di capire a chi appartenesse, ma continuavo a non riconoscerla.
Infilai le decolleté bianche ed iniziai a scendere le scale, sprofondando nell’oscurità del piano inferiore. Fino a quel momento non avevo realizzato di esser rimasta sola in casa e la cosa mi spaventava.
Mi affrettai ad uscire e, man mano che mi avvicinavo a quella Jeep, scorsi la figura di Jason dal lato guidatore. Istintivamente sorrisi ed entrai nell’abitacolo.
Scusa se ci ho messo tanto, ma non sapevo che questa fosse la tua macchina.
Non è mia,” ribatté, avviando il motore. “Me l’hanno prestata.
 

Jason

 
Erano passati ormai tre anni dall’ultima volta che mi ero messo al volante e, come temevo, la mia guida era pessima. Ciò che più speravo era di riuscire a raggiungere la scuola senza scontrarmi con qualche altra macchina o, nel migliore dei casi, evitare di frenare o sterzare troppo bruscamente.
Di tanto in tanto spostavo lo sguardo su Ivy, delineando il suo profilo e cercando di scorgere i dettagli del suo vestito. Mio malgrado la luminosità all’interno di quell’abitacolo era scarsa ed io non volevo che mi sorprendesse a guardarla.
Che ne dici se un giorno di questi t’insegnassi a guidare in modo… più decente?” mi domandò, trattenendo una risata.
D’accordo,” biascicai, mantenendo fisso lo sguardo sulla strada. “Sono consapevole di guidare in modo pessimo, ma è da… parecchio tempo che non faccio pratica.
Hey,” posò una mano sulla mia gamba e voltai il capo verso di lei, “tranquillo, lo so.
Senza proferire ulteriore parola, parcheggiai finalmente davanti a scuola e, sebbene mi costasse un enorme sforzo trovarmi lì, mi precipitai fuori dalla Jeep e, facendo il giro di essa, le aprii la portiera.
Non appena poggiò i piedi sull’asfalto, ritrovandosi a pochi centimetri da me, dischiusi le labbra e la guardai incantato.
Era talmente bella che a stento riuscii a trovare un aggettivo per descriverla. Il vestito bianco che indossava le fasciava perfettamente il petto, aderendo come un guanto al suo corpo, per poi allargarsi dalla vita in giù, coprendole le gambe sino al ginocchio.
Wow,” mormorai in un sussurro e quasi immediatamente la vidi sorridere. “Stai- stai davvero bene.
Grazie, anche tu,” ribatté, accentuando maggiormente il sorriso.
Mi presi più tempo del previsto a guardarla, desiderando quasi che il tempo si fermasse in quell’istante, ma ciò non accadde.
Vogliamo andare?
Lievemente annuii e, prendendola per mano, ci addentrammo a scuola.
Dal corridoio principale era già ben udibile la musica, mentre le pareti erano state adornate da lunghi nastri e vari fiocchi.
Una volta raggiunta la palestra – dentro alla quale si sarebbe svolto il ballo – mi guardai attorno, notando quanto fosse diverso quel luogo in quel momento.
Non sembrava nemmeno più una palestra: i canestri erano spariti, delle porte da calcio non c’era più traccia ed il pavimento in parquet era più lucido che mai. Alla nostra sinistra era stato posizionato un lungo tavolo colmo di vivande, mentre in fondo alla stanza vi era un piccolo palco, sopra la quale un ragazzo armeggiava con una consolle e decine di dischi.
Scrutai attentamente i volti dei presenti, sperando vivamente di non incrociare lo sguardo di Kayden.
Tanto perché tu lo sappia, non arriva mai presto a questo tipo di feste,” mi colse di sorpresa Ivy, anticipando la mia domanda.
L’anno scorso mi ha portata qui con quasi due ore di ritardo,” aggiunse poi, abbassando il capo.
Perché?” le chiesi.
Riportò lo sguardo su di me e sospirò. “Ha voluto a tutti i costi che ci fermassimo a casa sua prima.
Avresti dovuto impedirglielo.” Avvertii un impeto di rabbia immaginando la scena.
Non potevo,” biascicò rassegnata. “Purtroppo non avevo voce in capitolo. Ero talmente succube di Kayden che mi ritrovavo a fare qualsiasi cosa mi chiedesse.
Strinsi entrambe le mani a pugno e volsi un’altra volta lo sguardo verso l’entrata della palestra, aspettando – forse – che Kayden si facesse vivo.
Ma non ha più importanza adesso.” La voce di Ivy mi costrinse a distogliere lo sguardo e, la sua mano posata sulla mia, ad a sciogliere i pugni.
Ti va di ballare?
Sbarrai gli occhi e scossi energicamente il capo. “Io non so ballare.
Scoppiò a ridere. “Nessuno qui sa ballare,” spostò la sua attenzione su un gruppo di ragazzi e ragazzi gli uni abbracciati alle altre, mentre ondeggiavano sinuosamente a ritmo di musica.
Sospirai e lasciai che mi trascinasse in mezzo alla folla.
Presi un respiro profondo e le avvolsi la vita con entrambe le braccia, mentre le sue mani erano poggiate contro il mio petto, affogai lo sguardo nei suoi occhi azzurri e lasciai che tutto il resto si dissolvesse, permettendo solamente a quella canzone lenta di rompere il silenzio. Ignoravo completamente il vociare delle persone accanto a noi, mentre cercavo di non pestarle i piedi e di tenerla il più possibile vicino a me.
Sono contenta che tu mi abbia accompagnato, fino ad ora posso dire che questo sia stato il primo vero ballo scolastico alla quale abbia mai partecipato.
Avvolse entrambe le braccia attorno al mio collo e sentii il suo respiro solleticarmi le labbra. “So quanto ti sia costato venire qui e sappi che lo apprezzo.
Smise di parlare solo per avvicinare il suo viso al mio e lasciarmi un piccolo bacio a fior di labbra.
Spesso ci penso e mi rendo conto che dovrei darti di più. Dopotutto, tu hai affrontato Kayden più di una volta a causa mia, hai acconsentito di venire a questo ballo solo per farmi contenta e hai risposto a tutte le domande che ti ho fatto sul tuo passato, nonostante fosse palese che ti facesse male parlarne.
Smise di parlare soltanto per riprendere fiato, ma, nell’esatto istante in cui la vidi dischiudere nuovamente le labbra, l’anticipai.
Non è vero.” L’avvicinai ulteriormente a me, fino a quando fui certo che nemmeno un foglio di carta avrebbe potuto mettersi tra di noi.
Tu stai facendo tanto per me, Ivy. Se non fosse stato per te, io non avrei mai messo piede fuori da casa mia, forse non sarei nemmeno più venuto a scuola dopo il primo giorno. Sebbene sia difficile riportare a galla gli scheletri del mio passato, con te l’ho fatto. È vero, non sai tutto quello che è successo, ma ne sai molto più degli altri.
Le scostai una ciocca di capelli dal viso, portandola dietro al suo orecchio. “Dovresti sapere che sei così importante per me da condizionare ogni mio pensiero, ogni mio gesto.” Dal momento in cui la mia mano era ancora poggiata sul suo viso, l’attirai a me, posando le labbra sulle sue e dando vita ad un bacio.
Avvertii la stretta attorno al mio collo farsi più viva, ma mai insistente. Sentii poi le sue mani tra i miei capelli ed in seguito sul mio viso. Dischiuse finalmente le labbra, dandomi la possibilità di approfondire quel bacio e di sprofondare nuovamente in una realtà parallela.
L’unico suono che le mie orecchie avevano percepito era stato quello della sua voce, sostituito soltanto ora dalle note lente di una canzone.
Di punto in bianco la musica mutò, lasciando spazio ad un brano decisamente più movimentato, ma non fu quello a costringermi ad allontanarmi da Ivy.
Non credevo che fossero ammessi assassini a questa festa,” sbottò Kayden, accompagnando le sue parole con una risata. Sia io che Ivy ci voltammo di scatto verso di lui, guardandolo con gli occhi sbarrati. 
Quasi tutti i presenti all’interno di quella grande sala si voltarono a guardarmi. Cercai di non incrociare nessuno dei loro sguardi, ma mi sentivo in trappola.
Voltai il capo verso Ivy, la quale non esitò nemmeno un istante di più prima di afferrare la mia mano. Mi concentrai a fissare il suo vestito bianco, cercando di non dare ascolto alle parole di Kayden, ma, così com’era riuscito ad istigarmi qualche giorno prima in palestra, riuscì nuovamente a farmi scattare un impeto d’ira.
Spero davvero che ti abbiano perquisito prima di lasciarti entrare, non vorrei mai che nascondessi sotto la manica il coltello da cucina con il quale hai fatto fuori la tua cara mammina ed il tuo caro papino.
Non dargli ascolto, ignoralo,” mormorò Ivy, aumentando la stretta attorno alla mia mano, ma l’unica persona a cui non diedi ascolto fu proprio lei.
Nonostante mi fossi ripromesso di non reagire alle sue provocazioni, mi liberai dalla presa di Ivy e mossi qualche passo verso Kayden.
Non so quanto ti convenga prendermi a pugni davanti a tutti. L’ultima volta l’hai scampata, ma non credere che la fortuna continui a girare dalla tua parte.
Man mano che le sue parole giunsero alle mie orecchie mi sentivo sempre più vulnerabile, sempre più incapace di frenare il moto d’odio che s’era scatenato dietro di me.
Sebbene le note di quella canzone stessero ancora riempiendo la stanza, sentii i passi di Ivy avvicinarsi a me, ma non me ne curai.
Afferrai il colletto della camicia di Kayden e, con uno strattone piuttosto violento, l’attirai a me, notando come – nell’arco di una manciata di millesimi di secondo – il suo sguardo potesse mutare e divenire totalmente terrorizzato.
Era evidente che non si aspettasse una mia reazione, ma io ero stanco di fargli credere che potesse averla vinta su di me con tanta facilità.
Ti sei dimenticato che ti stanno guardando tutti? Hai intenzione di farti odiare più di quanto già non facciano?” m’istigò, riducendo lo sguardo a due fessure.
Con la mano libera lo colpii al centro dello stomaco, costringendolo a piegarsi in due.
Non m’interessa ciò che pensano gli altri,” ringhiai contro il suo orecchio, colpendolo in viso e vedendolo finalmente accasciarsi al suolo.
Non t’interessa nemmeno ciò che pensa lei?” A fatica si rimise in piedi ed io mi voltai inconsciamente verso Ivy, la quale mi pregava con lo sguardo di smettere.
Prima ancora che potessi voltarmi, avvertii una stretta opprimente attorno al collo e, con la coda dell’occhio, notai il viso di Kayden a pochi centimetri dal mio.
Una ginocchiata al centro della schiena mi fece perdere l’equilibrio e, dal momento in cui aveva allentato la presa dal mio collo, caddi al suolo.
Kayden non perse tempo e si avventò su di me, colpendomi ripetutamente il viso di pugni, mentre con la mano libera m’immobilizzava le braccia.
Attorno a noi si era riunita una piccola folla, ma non riuscii ad inquadrare il vestito bianco di Ivy. Cercai di voltarmi, ma, solo quando riuscii a colpirlo con un calcio, riuscii a ribaltare le posizioni.
Smettetela, per favore!
Tra le tante voci che mi perforarono le orecchie udii la sua e notai la sua figura farsi spazio in mezzo alla folla. Nonostante non sopportassi l’idea di fare qualcosa contro il suo volere, afferrai nuovamente Kayden per il colletto della camicia, costringendolo a rialzarsi; solo allora ne approfittai per colpirlo energicamente in viso, facendo comparire un rivolo di sangue dal suo labbro inferiore. Lo colpii ancora e questa volta perse l’equilibrio.
L’avevo colpito con tale forza che cadde al suolo, proprio ai piedi di Ivy. Gli occhi di tutti i presenti si focalizzarono su di lei, più precisamente sul suo vestito macchiato di sangue.
Mi sforzai di sollevare lo sguardo, consapevole che mi stesse guardando. Colsi nei suoi occhi lucidi un velo di delusione, forse misto a rabbia. E questa volta, ne ero certo, non era rivolto a Kayden.




 



 

Spazio Autrice.
Oh, non sono morta eh, sono solo in ritardo, ma ci sono.
Premetto che ho impiegato diverse ore per scrivere queso capitolo, per cui ecco spiegato il motivo per cui non ho aggiornato la settimana scorsa.
Tornando a noi, Kayden è un bel bastardo, sempre pronto a rovinare i momenti teneri tra Ivy e Jason.
Ma non lo odiate almeno un po?
Che ve lo chiedo a fare se ogni volta qualcuno nelle recensioni mi suggerisce modi alquanto singolari per farlo morire?

By the way, questa volta non vi anticipo né lascerò spoiler per il capitolo successivo perché - al momento - sono a corto di frasi bomba da scrivervi.

Vi ringrazio, come sempre, tantissimo per tutte le recensioni e i complimenti, non mi soffermo mai a dirvi quanto vi sia grata per il vostro supporto, ma spero voi sappiate che per me è una delle cose più importanti ♥


 

Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice 
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Capitolo 25
*** Capitolo 24: I've been living with blood in my eyes. ***




 

 

Capitolo 24: I've been living with blood in my eyes.

 

Jason


 Il suono della musica era cessato già da qualche minuto, gli occhi dei presenti erano ancora fissi su di me ed io non riuscivo più a sopportare tutto ciò. Distolsi lo sguardo da quello di Ivy e le voltai le spalle, dirigendomi a grandi falcate verso l’uscita.
Il vociare di tutti quei ragazzi si accentuò non appena fui fuori dal loro campo visivo: non riuscivo a carpirne le parole, ma ero certo che stessero parlando di me.
Detestavo quell’ambiente, continuavo a pentirmi di essermi presentato a quella festa e, più di tutto, detestavo il modo in cui Kayden riuscisse ad averla vinta su di me.
Le sue provocazioni ed il modo in cui aveva evitato di colpirmi erano un chiaro segno che volesse farmi apparire cattivo agli occhi di tutti. Soprattutto di Ivy.
Non avevo idea di come sarebbero andate le cose tra noi, da quel momento in poi, ma non prevedevo nulla di positivo.
Raggiunsi il piazzale, apprezzando quei miseri istanti di desolazione prima che tutto sfumasse.
Avvertii un suono di passi seguito da dei sospiri, mi voltai e, al di là della recinzione che delimitava il campo da basket della scuola, incrociai lo sguardo di Kayden.
Non aveva, come al solito, quello sprezzante ghigno dipinto sulle labbra, né tanto meno sembrava divertito dal fatto che, ora, l’intera scuola mi considerasse un malato mentale con forti difficoltà nel gestire la rabbia. Sembrava semplicemente indifferente a tutto ciò e non seppi dire se la cosa m’infastidisse o mi terrorizzasse. Mi sentivo confuso, ma ancora furente.
Lo fissai con insistenza, continuando a domandarmi perché avesse abbandonato la festa e, quindi, la possibilità di riprendersi Ivy. Ammesso e non concesso che fosse l’unica cosa che gli interessava davvero.
Vedo che non perdi mai occasione di dare spettacolo, peccato che il tuo momento di gloria l’abbia avuto tre anni fa.
Nell’esatto istante in cui le sue parole giunsero alle mie orecchie, un impeto di rabbia mi travolse. Strinsi i pugni lungo i fianchi, tendendo più che potei i muscoli delle braccia e pregando che la rabbia scemasse. Tuttavia, ciò non accadde.
Analizzai nuovamente quanto aveva detto, guardando con odio la recinzione in ferro che m’impediva di avventarmi nuovamente su di lui.
Definire l’omicidio dei miei genitori come il mio momento di gloria, significava deliberatamente sfidarmi, istigando il lato più oscuro di me. E, considerando i precedenti, non sarebbe stato un bene.
Tu non sai niente di quello che è successo tre anni fa,” mormorai sommessamente, ma ero certo che mi avesse sentito.
L’angolo sinistro della sua bocca si curvò verso l’alto e nel suo sguardo colsi un guizzo divertito, come se fosse felice di esser riuscito finalmente nel suo intento.
È qui che ti sbagli: tutti sanno quello che è successo tre anni fa. Sanno perché lo hai fatto e come lo hai fatto. Ora basterà solo che Ivy sappia chi sei realmente e ti ritroverai nuovamente solo, in preda alla disperazione e sarà allora che impazzirai davvero. Il tuo posto non è qui e nemmeno dietro le sbarre. È arrivata l’ora che ti rinchiudano nuovamente in quel manicomio, perché è lì che dovrai stare.
Rividi per un istante le immagini di quel posto e rabbrividii al solo pensiero che Ivy potesse arrivare a pensare le stesse identiche cose che Kayden, e probabilmente il resto della città, credevano di me.
Lui non sapeva assolutamente nulla di me, eppure era in grado di scovare i particolari più infami del mio passato e sbattermeli in faccia, aspettando che reagissi e che mostrassi a tutti ciò che lui credeva che fossi.
Con la coda dell’occhio vidi la figura di Ivy sopraggiungere sull’uscio dell’edificio e fui sollevato nel vederla, ma, prima ancora che potesse avvicinarsi a me, dedicai un’ultima volta la mia attenzione su Kayden.
Ti conviene stare attento a ciò che dici, la prossima volta potresti non essere nel bel mezzo di un ballo scolastico.
Lo strano sorriso abbandonò il suo viso, ma riuscì comunque a non mostrare alcun segno di paura o debolezza.
Non appena si accorse della presenza di Ivy indietreggiò, sparendo dalla mia visuale. Probabilmente lei non si era nemmeno accorta di lui.
Mossi qualche passo tra le macchine sino a che non raggiunsi quella di Dean, frugai nella tasca anteriore dei pantaloni alla ricerca delle chiavi e, solo quando le trovai, avvertii una lieve stretta attorno al mio braccio.
Con la coda dell’occhio inquadrai il viso di Ivy, ma non mi voltai del tutto, forse non volevo nemmeno che i nostri sguardi s’intrecciassero.
Lascia che guidi io,” mi disse, ma scossi il capo, inserendo la chiave nella serratura della portiera ed aprendola.
Jason, dammi le chiavi,” insistette e allora mi sentii costretto a porgergliele.
 
Speravo con tutto me stesso che l’unico suono capace di spezzare il silenzio fosse quello del motore, tuttavia mi sbagliai.
Non credevo che un ballo scolastico potesse concludersi così. Ti avevo detto di-
Non dire niente, per favore.” La interruppi prima ancora che potesse terminare la frase e ricordarmi così, ancora una volta, quant’era appena successo.
La sentii sospirare, ma evitò di parlare ed il silenzio calò nuovamente tra noi. Volsi lo sguardo fuori dal finestrino, perdendomi ad osservare i profili scuri delle case e delle macchine parcheggiate davanti ad esse, fino a che l’auto non si fermò.
Mi guardai brevemente attorno ed impiegai ben poco prima di realizzare che quella alla mia sinistra era la casa di Ivy.
Casa mia è più avanti.” La mia voce risultò roca e flebile, ma fu abbastanza per spezzare il silenzio creatosi nell’abitacolo.
Il tuo viso è pieno di sangue, devi disinfettare quelle ferite. Non puoi ritornare a casa così,” mi ammonì, guardandomi torva.
Dimentichi che non ci sarà nessuno a vedermi.
Abbassò immediatamente lo sguardo, stringendo le labbra in una linea dura.
Preferisco comunque che tu rimanga qui per questa notte.
Scossi il capo. “Non voglio che i tuoi genitori mi vedano conciato così.
Non ci sono. Non c’è nessuno in casa al momento, mia sorella ritornerà solo tra qualche ora.
I suoi occhi azzurri erano puntati nei miei ed il lieve bagliore dei lampioni gli donava uno strano luccichio, facendomi quasi credere che non fosse sicura di quanto aveva detto. Non ero sicuro volesse passare la notte con me.
Ti prego, rimani,” insistette, ma non riuscii a capirne il motivo. Avrebbe dovuto essere arrabbiata con me. Avrebbe dovuto restarmi lontana – sebbene non fosse ciò che volessi – mentre invece stava facendo tutt’altro.
Infine mi arresi e la seguii dentro casa.
Era totalmente diversa dalla mia, era luminosa e piena di vita. Emanava calore ed era accogliente, non faceva paura. Al contrario della mia.
Con la coda dell’occhio la vidi salire i primi gradini di una rampa di scale, situata a pochi passi dall’ingresso, mentre io continuai ad osservare ciò che mi circondava, soffermando la mia attenzione su alcune fotografie appese alla parete. Ce n’erano sia di recenti, che di qualche anno fa: quella che doveva essere la sorella, assomigliava in modo impressionante ad Ivy e, in una foto che le ritraeva quando ancora erano bambine, difficilmente riuscii a distinguerle. Non c’era una sola foto in cui i componenti di quella famiglia non sorridevano, sembravano tutti perennemente felici e non capivo perché tutto ciò, nella mia vita, non si era mai presentato.
Dal momento in cui ero rimasto immobile, accanto alla rampa di scale, la sua voce richiamò la mia attenzione.
C’è qualcosa che non va?
Spostai momentaneamente lo sguardo su di lei, rimanendo in silenzio, e solo dopo qualche istante scossi il capo.
Sentii il suo sguardo addosso anche dopo che riportai la mia attenzione altrove e, volendo evitare il più possibile altre domande, mi decisi a scostarmi da lì.
La seguii al piano superiore, all’interno della sua stanza. Così come il resto della casa, anche quella era calda e accogliente e, nonostante mi sentissi a disagio, avrei voluto rimanerci il più possibile.
Prima che potessi compiere qualsiasi movimento, la vidi sfilarsi il vestito ed appoggiarlo sulla sedia accanto alla scrivania, poi si vestì velocemente con un paio di pantaloncini ed una maglietta.
Mi afferrò per il polso e mi costrinse a seguirla in bagno, facendomi poi cenno di sedermi sul bordo della vasca. Seguii i suoi movimenti mentre rovistava tra i cassetti, fino a che, finalmente, non ritornò da me con alcuni batuffoli di cotone ed una bottiglietta di plastica contenente dell’alcool disinfettante, una cosa che detestavo.
Non potei fare a meno di sgranare gli occhi quando lo notai, mi sembrò di sentire nuovamente il bruciore di quel liquido a contatto con le ferite che, tempo fa, ero costretto a disinfettare da solo.
È necessario?” mormorai, stringendo appena le labbra.
Penso tu possa sopportarlo,” ribatté. No, non posso.Brucerà solo per poco.
Nell’esatto istante in cui quel batuffolo di cotone, imbevuto di alcool, sfiorò l’abrasione sul mio viso sussultai, serrando di scatto gli occhi ed indietreggiando più che potei da lei.
Cerca di sopportarlo, non ci vorrà molto,” continuò a ripetere, ma io non ero mai riuscito a sopportare quel dolore. “Brucia,” ringhiai, dedicandole un’occhiata fulminea.
Per un attimo i nostri sguardi s’incrociarono ed uno strano guizzo attraversò i suoi occhi, rendendola sicuramente più vulnerabile e, forse, impaurita.
Quando posò nuovamente il batuffolo di cotone sulla ferita, il dolore sembrò moltiplicarsi e d’istinto le afferrai il braccio, stringendolo con forza e scostandolo di scatto. Senza volerlo continuai ad stringere la presa, tenendo la sua mano lontana dal mio viso.
Mi- mi stai facendo male,” biascicò con voce flebile. La lasciai andare ed abbassai lo sguardo, ma con la coda dell’occhio la vidi liberarsi del flacone di alcool e cotone, per poi iniziare a massaggiarsi energicamente il polso e mi sentii in colpa.
Farle del male era l’ultima cosa che volevo e non sopportavo l’idea che potesse avere paura di me. Avrei preferito vederla arrabbiata, delusa, ma non terrorizzata.
Scusa,” mormorai.
Non avevo idea che potesse farti così male,” disse a sua volta.
Non è colpa tua. Posso farlo da solo.
Annuì flebilmente ed uscì.
Inumidii generosamente un altro batuffolo di cotone e, stringendo i denti, lo passai ripetutamente sullo zigomo sinistro e sopra il labbro. Il dolore fu tanto fastidioso quanto difficilmente sopportabile, ma non volevo continuare a recare i segni dello scontro con Kayden. Se quel bruciore fosse stato necessario per cancellare il ricordo di quella serata, l’avrei sopportato.
Una volta libero dalle macchie di sangue, risciacquai energicamente il viso con l’acqua ghiacciata e, solo quando il getto smise di scorrere, avvertii un rumore di passi proveniente dalla rampa di scale.
Ancor prima che potessi uscire dal bagno, mi ritrovai davanti la figura di una ragazza dai capelli color del grano ed un paio di occhi blu come il mare. I lineamenti del viso erano molto simili a quelli di Ivy, per tanto, non impiegai molto a capire chi potesse essere.
Non batté ciglio, né pronunciò alcuna parola, indietreggiò lentamente, sparendo poi dalla mai vista.
Ivy, c’è un ragazzo nel nostro bagno.” Il tono di voce di quella ragazza era basso, ma non mi fu difficile sentirlo, nonostante si trovasse in un’altra stanza.
Sì, ne sono al corrente,” ribatté Ivy scocciata.
Fantastico. Perché è qui e, soprattutto, perché sembra sia appena uscito da una rissa?
Helen, potresti continuare a non interessarti della mia vita come fai di solito? Non è davvero il momento.
Rimasi immobile sull’uscio della stanza fino a quando la sorella di Ivy non mi passò accanto, dedicandomi momentaneamente la sua attenzione.
Ciao misterioso ragazzo di cui non so il nome, io sono Helen. È stato un piacere conoscerti e spero vivamente che riuscirai a sopportare quella psicopatica di mia sorella. Buonanotte!
Prima ancora che potessi ribattere – ammesso e non concesso che avrei davvero detto qualcosa – riprese a camminare e, facendo echeggiare il suono dei tacchi sul pavimento per tutta la casa, sparì all’interno di una stanza dall’altro capo del corridoio.
Ritornai nella stanza di Ivy, la quale si affrettò a chiudere la porta, isolandoci completamente dal resto della casa.
Sei davvero sicura che posso restare?” mi azzardai a chiederle e poco dopo la sentii sospirare.
Sì, sono sicura di questo. Ciò di cui, invece, dubito è: riuscirai ad evitare di picchiare Kayden la prossima volta che lo vedrai?
Questa volta fui io a sospirare, ma non risposi. Mi sedetti sul letto e posai lo sguardo sul vestito di Ivy, la macchia di sangue era piccola, ma evidente.
Mi dispiace per il tuo vestito,” mormorai, ignorando completamente quanto mi aveva detto.
Non ha importanza, non credo mi servirà ancora.
Sollevai lo sguardo, incrociando i suoi occhi e notando un velo di delusione all’interno di essi.
Ti avevo detto che non sarei dovuto venire a quel ballo.
Non è questo il punto. Avevi diritto di esserci, come tutti del resto, avresti solo dovuto evitare di rovinarlo.
Era inevitabile,” ribattei a denti stretti.
Non era inevitabile, Jason! Avresti soltanto dovuto ignorare Kayden come ti avevo chiesto. Ormai dovresti sapere com’è fatto: provocare le persone è il suo unico divertimento e non smetterà se ti vedrà reagire a tutto ciò.” Il suo tono di voce si alzò notevolmente, ma io continuai a rimanere impassibile.
D’accordo, non reagirò più alle sue provocazioni,” risposi, ma dentro me pensavo a tutt’altro. Ripensai a quanto gli avevo detto, al fatto che non mi sarei limitato a riempirlo di pugni se mi avesse provocato di nuovo, a quanto sarebbe stato svantaggioso per lui ritrovarsi solo.
Bene, sono felice che tu abbia capito.
Era un bene che Ivy non fosse in grado di leggermi nella mente, avrebbe scoperto quanto fossero frequenti quei pensieri e ciò l’avrebbe allontanata.
Spense la luce e mi raggiunse sul letto. Era decisamente più piccolo rispetto a quello in cui avevamo dormito le volte precedenti e ciò ci costringeva ad una distanza più ravvicinata.
Tuttavia non riuscivo a stringerla a me e a comportarmi come se nulla fosse successo.
Posò le sue labbra sulle mie e, nell’esatto istante in cui il suo corpo sfiorò il mio, rabbrividii.
Vorrei tanto che tu riuscissi a vivere una vita normale, senza il costante tormento del tuo passato.
Il passato potrebbe restare tale se nel presente riuscissi a dimenticarlo.” Realizzai ancora una volta che Ivy era l’unica in grado di darmi ciò di cui avevo bisogno, era l’unica in grado di farmi dimenticare gli aspetti negativi della mia vita. Era l’unico aspetto positivo della mia vita.




 


 
Spazio Autrice

No, non è necessario ribadire il fatto che sono in ritardo, credo di averlo detto ripetutamente che quest'ultimo periodo è molto simile al coma per me. Onestamente non vorrei impiegarci così tanto, ma ci sono cose che mi portano via molto tempo e, quando il tempo diventa 'libero', mi ritrovo a fare tutt'altro.
Per cui, davvero, chiedo scusa.
Ci sta anche che le recensioni siano notevolmente diminuite perché non esiste che faccia aspettare tutto questo tempo tra un capitolo e l'altro.
Spero vivamente di riuscire ad aggiornare, come al solito, una volta a settimana. 

Tra l'altro ero in crisi perché il mio bel telefono mi ha abbandonato e quindi ho passato giorni e giorni a trovarne un altro e capire come recuperare almeno i numeri di telefono. Sono un danno lo so.

Okay, parlando del capitolo, Jason sta diventando - di nuovo schizzofrenico - per cui occhio, potrebbe darsi che, casualmente, da questo punto in poi dia di matto e solo Dio sa cosa potrebbe fare.
Beh, io vi ho avvisato, non vi dico quando, ma qualcosa succederà. 
Nel frattempo spero che il capitolo vi sia piaciuto e sono curiosa di sapere che cosa ne pensate e che cosa credete possa fare :)

Alla prossima!
Much Love,
Giulia

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(Per sapere quanto aggiorno, chiedetemelo tranquillamente su ask o su twitter e sarò felice di farvi avere notizie.)

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Capitolo 26
*** Capitolo 25: Please, don't be like everyone else. ***




 

 

Capitolo 25: Please, don't be like everyone else.

 

Ivy

Promettimi che non capiterà più quello che è successo questa sera,” gli avevo detto – dopo interi attimi di silenzio – sperando di notare un cenno positivo da parte sua.
Lo vidi esitare, distogliere lo sguardo dal mio, come se non potesse accogliere la mia richiesta per nulla al mondo, ma poi infine cedette.
Starò lontano da lui,” disse semplicemente.
C’era qualcosa nel suo sguardo, un guizzo che mio malgrado non riuscii a decifrare, un luccichio che mai avevo visto prima d’ora. Sembrava impassibile, o perlomeno era ciò che forse voleva dare a vedere, ma dai suoi occhi capii tutt’altro. Sapevo che sarebbe stato terribilmente difficile per lui non reagire alle provocazioni di Kayden, ma ciò che più mi spaventava, era venire a conoscenza di ciò che sarebbe stato capace di fare.
Era questo ciò che non mi convinceva di quello strano luccichio.
Tuttavia avrei dovuto fidarmi di lui, perché ero certa che non avrebbe voluto tornare in quell’ospedale psichiatrico, ero certa che avrebbe voluto cambiare, mettere da parte il passato, ma non ci sarebbe riuscito da solo.
Mi ritornò alla mente l’articolo di giornale che lessi qualche settimana fa, parlava di lui e del percorso che aveva affrontato con la psicologa che lo teneva in cura.
Iniziai a pensare che nessuno avrebbe potuto aiutarlo se non chi, della psiche, se ne intendeva davvero.
Tuttavia, non fu facile per me proporgli una soluzione del genere. Quello non era il momento adatto, eppure non potevo aspettare.
Ho una proposta da farti,” mormorai, spezzando per un istante la quiete di quell’atmosfera. “Forse non ti piacerà, ma ti potrà essere d’aiuto.
Lasciai che il suo sguardo s’immergesse nel mio, certa che mi avrebbe ascoltato, ma quel buio m’inquietava. Allungai il braccio verso il comodino ed accesi la piccola abat-jour poggiata su di esso, mettendomi poi a sedere.
Quell’improvviso lampo di luce costrinse entrambi a mantenere gli occhi chiusi per qualche secondo e la cosa lo infastidì.
Qualsiasi cosa sembrò infastidire Jason quella notte.
Voglio davvero aiutarti, Jason, credimi. Sono disposta a fare qualunque cosa pur di migliorare la tua vita, ma non posso farlo da sola.
Il suo sguardo era fisso su di me e sul suo viso era appena nata un’espressione di sorpresa, mista a confusione. Non sarei mai giunta al punto, avrei continuato a sputare fiumi di parole senza mai riuscire nel mio intento. I suoi occhi color miele erano spenti, cupi e trasmettevano una sensazione d’inquietudine.
Se solo mi fosse stato permesso esplorarli, non avrei affrontato altro che un mare in tempesta, un turbinio di ricordi e sensazioni contrastanti tra loro. Avrei incontrato dolore, malinconia, tristezza e rabbia.
Tempo fa, quando credevo che nulla potesse costringermi a ricordare quanto successe a me e mia sorella da bambine, m’imbattei in un violento temporale, proprio mentre tornavo a casa da scuola. Non successe assolutamente nulla, ma il ricordo di ciò che avevo vissuto solo dieci anni prima riaffiorò ed ebbi paura. Quella paura non cessò nemmeno quando raggiunsi casa, né tanto meno il giorno dopo o la settimana dopo. Mi tormentò per mesi, tanto da costringermi a rimanere chiusa in camera mia. Non andai a scuola, non uscii con Marie, mi rifiutai persino di mettere il naso fuori casa anche se nel cielo splendeva il sole più caldo. Giorno dopo giorno mi sembrava d’impazzire e mia madre iniziò a preoccuparsi sempre più, tanto che-
Cos’hai intenzione di dirmi con tutto questo?” la domanda improvvisa di Jason mi spiazzò.
I miei genitori decisero di farmi parlare con una… dottoressa per aiutarmi a superarlo e, dopo poche settimane, ci riuscii.
Una psicologa?” domandò nuovamente ed il suo sguardo sembrò trafiggermi.
Annuii brevemente, quasi temendo di sollevare il capo.
Non andrò da un’altra psicologa,” disse calmo, il suo tono di voce era distaccato e fastidiosamente freddo.
Non ha saputo aiutarmi in tre anni, perché qualcun altro dovrebbe riuscirci in poche settimane?
Finalmente mi decisi ad incrociare il suo sguardo, ma non trovai il coraggio per ribattere. Mi sentivo totalmente impotente d’innanzi a lui in quel momento, avevo la sensazione che il mio coraggio e la mia spensieratezza si fossero dissolti nel nulla. Dispersi come polvere al vento.
Tentai d’immedesimarmi in lui, di cercare di convivere con dei ricordi tormentati, ma, per quanto ci provai, non ci riuscii. Viveva in un mondo in cui non mi era permesso entrare e temevo che non sarei più stata capace di abbattere la barriera dietro alla quale si ostinava a nascondersi.
Non ebbi più il coraggio di parlare, o di insistere, avvicinai le ginocchia al petto e mi rabbuiai, concedendogli solamente un breve cenno del capo. Iniziai a pensare che non avrei mai dovuto parlargliene, forse, inconsapevolmente, avevo risvegliato in lui un altro doloroso ricordo e mi sentii in colpa.
Posso spegnere la luce?” mi domandò, strappandomi dai miei pensieri e, ancora una volta, annuii. Lo sentii muoversi accanto a me, dopodiché il silenzio ritorno ad impossessarsi di quelle quattro mura, smorzato soltanto dal suono dei nostri respiri. Rimasi immobile e, solo quando non riuscii più a tenere aperti gli occhi, mi sdraiai e mi addormentai.
 

Jason

 
Non mi ero mai fatto influenzare da nessuno, avevo ignorato le conclusioni affrettate di chi era rimasto a stretto contatto con me, senza mai però sapere nulla di come fossi realmente. Avevo ignorato chi continuava a ripetere che fossi pazzo, che necessitassi di iniziare una terapia con una psicanalista che, in qualche modo, avrebbe scoperto il motivo per cui uccisi i miei genitori, che avrebbe potuto aiutarmi a guarire.
Tante persone diverse avevano detto le stesse identiche cose, ma io non dovevo guarire.
Io non ero pazzo, non sono mai stato pazzo. E credevo che Ivy l’avesse capito.
Niente mi aveva mai ferito così profondamente come venire a conoscenza che lei la pensasse esattamente come tutti gli altri. Non volevo che pensasse questo di me, non volevo apparire come uno psicolabile ai suoi occhi, era stato sufficiente farle sapere che ero un assassino.
Credi davvero che io sia pazzo?” le domandai. Il mio tono di voce era basso, ma, dato il silenzio che regnava sovrano in quella stanza, mi avrebbe sentito forte e chiaro. Tuttavia non ricevetti una risposta e, da un lato, avrei preferito continuare a convivere con quel dubbio.
Il mio braccio sinistro sfiorava il suo destro, eppure la sentivo più distante che mai. Mi sembrò di rivivere i giorni in cui, volutamente, mi aveva evitato, provando nient’altro che paura nei miei confronti.
E se tutto ciò si fosse ripetuto?
Scossi energicamente il capo, portandomi entrambe le mani sul viso e reprimendo a fatica il bisogno di urlare.
Una fastidiosa stretta allo stomaco, ed un senso di vuoto insopportabile, rendeva la mia permanenza in quella camera sempre più inopportuna. Realizzai che l’unica cosa rimasta da fare fosse andarmene, ritornare a casa, trascorrere le ultime ore notturne nella solitudine più totale.
Non appena mi decisi ad alzarmi, avvertii una lieve stretta attorno alla mia vita e, abbassando lo sguardo, notai il braccio di Ivy posato sul mio ventre. Avvicinai la mano al suo polso, con l’intenzione di spostarlo e liberarmi così dalla sua presa, ma mi bloccai. Mi sentii quasi mancare il fiato per ciò che avrei potuto fare. Non era da lei che avrei voluto scappare.
Continuavo a disapprovare il suo consiglio, ma, da quando era entrata a far parte della mia vita, non c’era mai stata neppure una richiesta che le avessi negato. Non ero in grado di dirle di no, non importava di cosa si trattasse, volevo semplicemente renderla felice.
 
Qualche ora più tardi, quando la luce del sole aveva iniziato a far capolino all’interno della stanza, udii delle voci provenire dal piano inferiore, ma le ignorai volutamente, continuando a mantenere gli occhi chiusi.
 
 

Ivy

 
Un turbinio di pensieri aveva attanagliato il mio sonno sino al mattino seguente e, solo quando venni svegliata, realizzai di aver pronunciato delle parole sbagliate. Socchiusi gli occhi e posai lo sguardo su Jason: il suo viso era a pochi centimetri dal mio e sembrava totalmente avvolto dal sonno, quasi come se nulla avrebbe potuto svegliarlo. Tuttavia, sul suo viso non aleggiava un’espressione serena e ciò mi rattristò.
Ripensai a quanto detto la sera prima ed a tutto ciò che era stato costretto a subire: suo padre, l’ospedale psichiatrico, Kayden e ora io. Io che avrei dovuto aiutarlo a dimenticare il passato e non a riviverlo, avevo probabilmente risvegliato in lui uno dei ricordi più oscuri e tormentati.
Voglio soltanto aiutarti, Jason,” mormorai, ma ero certa che non mi avrebbe sentito.
 
Dal piano inferiore avevo udito due voci che non ero riuscita a distinguere e fu a causa di esse che il mio sonno era terminato. Cercai di carpire qualche parola, ma il tono di voce era troppo basso.
Pochi secondi dopo udii dei passi salire le scale, ma non fui intenzionata nel scoprire a chi appartenessero, mi avvicinai maggiormente a Jason ed avvolsi un braccio attorno alla sua vita, affondando il viso nel bel mezzo del suo petto.
Bussarono alla porta ed io continuai a fingere di non aver sentito sino a quando non fu Jason a parlare.
Si preoccuperanno se non rispondi, potrebbero credere che ti abbia fatto del male” mormorò e, nell’esatto istante in cui sollevai il capo, incrociai il suo sguardo. Il suo tono di voce era freddo ed i suoi occhi spenti.
E perché avresti dovuto?” ribattei.
Chiunque mi conosca crede che io sia pazzo.
Io non lo penso e ti conosco anche meglio degli altri,” lo zittii e, abbozzando un mezzo sorriso, lo spiazzai.
La porta della camera si aprì e voltai immediatamente il capo verso di essa. Incrociai lo sguardo di Kayden e lo vidi sobbalzare non appena si accorse che Jason era lì con me. I loro sguardi rimasero intrecciati per diversi secondi ed i muscoli di Jason divennero all’istante carichi di tensione.
Per un attimo ebbi paura che l’episodio della sera prima potesse riverificarsi nuovamente davanti ai miei occhi, ma poco dopo realizzai che l’unico ad avere paura di tutto ciò era Kayden. Mi decisi a rompere quel fastidioso silenzio.
Che cosa ci fai qui?
Volevo parlarti,” rispose schietto Kayden. “Ma non credevo che lui fosse qui.
È qualcosa d’importante?
Si limitò ad annuire ed io sospirai. “Aspettami fuori.
Non appena la porta si richiuse, feci per alzarmi, ma la stretta di Jason attorno al mio polso impedì qualunque mio movimento.
Non andare,” mi supplicò. Gli volsi un breve sorriso e mi strinsi nelle spalle. “Ci vorranno solo pochi minuti.
Allentò lentamente la presa, lasciandomi libera. Il mio sguardo continuò a restare intrecciato al suo fino a quando non lasciai la stanza e nulla, nei suoi occhi, era cambiato. Erano ancora spenti.
 
Dev’essere qualcosa di davvero importante se ti presenti a casa mia a quest’ora,” lo incalzai, facendolo sobbalzare.
Sono davvero mortificato per quello che è successo ieri sera,” disse, abbassando lo sguardo.
Non è a me che devi porgere le tue scuse.
Ti ho rovinato il vestito, anche se inconsciamente, è stata colpa mia.
Scossi il capo ed incrociai le braccia al petto. “Inconsciamente? Lo hai provocato, di nuovo.
Ascoltami, Ivy, io non ho idea di chi sia realmente quel tipo, né tanto meno cosa ci trovi in lui. So soltanto che non ho intenzione di perderti.
Ormai è tardi ed io non ce la faccio più a sopportare episodi come quello di ieri sera,” biascicai, indietreggiando di qualche passo.
Non capiterà più quello che è successo ieri sera, te lo garantisco.
Sollevò il capo ed incrociai così i suoi occhi azzurri, non sembrava affatto cattivo, in quel momento dava l’idea di essere sincero.
D’accordo, ti credo.
 
 

Jason

 
Forse ho sbagliato a parlarti di quella psicologa, non avrei dovuto.” Ivy scosse il capo, facendo di tutto pur di non posare lo sguardo su di me.
Ci andrò, se lo ritieni giusto.” Non appena pronunciai quelle parole, sollevò di scatto il capo, guardandomi con gli occhi sbarrati.
Dici davvero? Non- non ti da fastidio?
Mi strinsi nelle spalle e, a malincuore, scossi il capo.
Non so quanto possa servire, ma ci proverò.
Ed in cuor mio sapevo che non sarebbe servito a niente.




 

 

Spazio Autrice

Sono imperdonabile, me ne rendo conto e vi chiedo scusa. Solo il cielo sa dove io abbia la testa in questo periodo, ma, sicuramente, non sulle spalle.
Dopo ore e ore mi son decisa a concludere il capitolo - iniziato già da tempo - e scrivere finalmente quello che macchino da settimane. Sì, insomma, ho tutta la storia in testa ma mi manca il tempo di scriverla, questo è quanto. 
Non fatemene una colpa, non è colpa mia se l'inverno ti spinge sempre più verso il letto a dormire. (Okay, detta così sembra che io sia una scansafatiche)

By the way, dubito vi facciate incantare dalle 'belle' parole di Kayden, tanto sapete meglio di me che quello è uno stronzo e lo vedrete ancora e ancora.
Jason andrà da un altro strizza cervelli, evviva, ne uscirà più pazzo di prima? Staremo a vedere.
In quanto alla storia in sé, ho in mente di quelle cose che non potete nemmeno immaginare. 
Ho lasciato il file chiuso per quasi un mese, ma ciò non significa che io non abbia continuato ad architettare le peggiori scene...

Vi ringrazio infinitamente tanto per le recensioni e aspetto di ricevere un vostro parere anche a questo capitolo :)


Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
  on twittah and instagram                        se avete domande, ask me.

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Capitolo 27
*** Capitolo 26: I'm not lying, I couldn't be more sincere. ***




 

 

Capitolo 26: I'm not lying, I couldn't be more sincere.

 

Jason


Da quella notte le parole pronunciate da Ivy furono un chiodo fisso.
Se, nelle ultime settimane, il pensiero di dover riesumare il passato aveva semplicemente accarezzato la mia mente, ora era diventato il mio più grande incubo.
Non avrei mai raccontato nulla di me ad una psicologa, non le avrei mai permesso di venire a conoscenza di ciò che avevo fatto.
Ero seduto al centro del letto matrimoniale, avvolto dall’oscurità che ormai da ore aveva reso l’atmosfera di quella camera più calma, ma non per questo serena. Ero sprofondato in un abisso di dubbi e paure, trovando conforto solo nella menzogna.
Mi tornarono alla mente le domande più frequenti che la psicanalista, all’interno dell’ospedale, era solita pormi, le mie risposte biascicate a fatica ed un oceano di bugie che mi circondava. Non le avevo mai raccontato la verità, non le avevo mai permesso di capirmi e mi sarei comportato allo stesso modo anche stavolta.
Con Ivy avevo imparato ad aprire il mio cuore, a concederle l’opportunità di conoscere il mio passato e ciò che mi tormentava, ma non l’avrei fatto con nessun altro.
Riponevo in lei la mia fiducia e tutto ciò che di positivo potevo trasmetterle, ma non sapevo realmente quanto tutto questo sarebbe durato.
 
Più trascorreva il tempo più mi convincevo del fatto che solo il mio vecchio diario avrebbe dovuto conoscere tutti gli aspetti del mio io interiore e, nel caso in cui avrei avuto la necessità di raccontare di più, l’avrei fatto sparire, impedendo a chiunque di leggerne il contenuto. Anche ad Ivy.
 
Ero rimasto solo quella notte, non avevo cercato Ivy e lei non aveva cercato me. Le ultime sue parole furono semplicemente: “ricordati che domani pomeriggio avrai la tua prima seduta con la psicologa. Verrò con te, non preoccuparti andrà bene.”
Non era della sua presenza che mi preoccupavo. Tuttavia, non chiusi occhio, pensando e ripensando a ciò che mi aspettava.
La luce del mattino invase la stanza com’era solita fare quotidianamente e non persi ulteriore tempo prima di abbandonare il letto. Mi avvicinai allo specchio appeso la parete, fissando la mia immagine riflessa e soffermando la mia attenzione sui cerchi violacei che mi contornavano gli occhi. Erano più marcati e mi facevo quasi paura.
Se la mia immagine, descritta nei giornali, rasentava quella di un pazzo omicida, chiunque mi avesse guardato in faccia non avrebbe faticato ad avere la stessa opinione. Non avrei potuto cambiare le cose in ogni caso.
Terminai di vestirmi e, una volta posato il cappuccio sulla testa, uscii di casa, raggiungendo a passo lento la scuola.
Non appena misi piede nel corridoio principale, tutti gli sguardi si posarono su di me ed arrestai i miei passi, cercando d’incrociare il campo visivo di ciascuno.
A dir la verità, non trascorreva giorno che io non mi sentissi costantemente gli occhi addosso. Sembrava quasi che, a scuola, le persone stessero aspettando soltanto il mio ingresso nel corridoio principale per zittirsi e concentrare la propria attenzione su di me.
I loro sguardi pungenti mi analizzavano per filo e per segno, arrivando a notare cose che solo io mi ero preoccupato di notare. E, probabilmente, l’espressione che aleggiava sul mio viso era meno rassicurante del solito.
Il corridoio era divenuto improvvisamente silenzioso nell'istante in cui i miei piedi cominciavano a posarsi sul pavimento di esso, fatta eccezione per bisbigli appena percettibili.
Furono sufficienti pochi secondi per darmi l’opportunità di ignorarli e riprendere il mio cammino, ma, mio malgrado, non tutti erano della mia stessa idea.
È sempre un dispiacere vederti vivo ogni giorno che passa.” Riconobbi la voce di Kayden, ma non mi voltai. Mi fermai semplicemente e con la coda dell’occhio cercai la sua figura alle mie spalle, ma senza risultati. Udii in seguito i suoi passi ed ecco che si posizionò davanti a me, il suo solito ghigno sul viso e lo sguardo compiaciuto di chi ha appena ucciso il suo miglior nemico. O, forse, ero semplicemente io ad interpretarlo in quel modo.
Ma, se devo essere sincero, mi è dispiaciuto di più vederti nel letto di Ivy,” continuò, ma il suo tono di voce non era più così divertito come all’inizio, sembrava addirittura infastidito e forse anche un po’ arrabbiato.
Non sono affari tuoi,” mormorai sommessamente.
Ciò che fai con lei, che sia sesso oppure no, sono comunque affari miei. Durerà poco, fidati.
Incrociai il suo sguardo, dedicandogli un’occhiata gelida che lo fece stizzire.
Non mi sono mai fidato nemmeno di mia madre, non mi fiderò di quel che dici tu.” Pronunciai quelle parole con una tale rabbia che non sapevo nemmeno di provare, almeno fino a quell’istante. Kayden non fu l’unico a sentirmi, perché, pochi istanti dopo, un leggero mormorio riempì l’aria e la folla iniziò a disperdersi.
Sei irrecuperabile, non credere che Ivy non se ne sia accorta. Si stancherà presto di farti da assistente sociale e di pararti il culo. Per uno come te non c’è più nulla da fare.
Così com’era arrivato, sparì, lasciandomi completamente solo mentre la campanella smise di suonare, dopo aver annunciato l’inizio delle lezioni. Rimasi immobile, intento a fissare il vuoto, fino a che un rumore di passi affrettati non giunse alle mie orecchie. Mi voltai verso l’ingresso ed incrociai lo sguardo di Ivy: le sue gote erano arrossate ed il respiro pesante. Aveva fatto tardi ancora una volta e la nostra prima lezione sarebbe stata quella di biologia, il professor Layton non sarebbe stato contento.
Perché non sei in classe?” mi domandò non appena mi raggiunse.
Ho fatto tardi anche io,” le dissi semplicemente.
Se non altro non sarò l’unica con la quale se la prenderà.
Entrammo in classe ed il professore, già seduto dietro la cattedra, voltò lentamente il capo verso di noi.
Oh, signorina Wayner, tra tutti gli studenti che poteva traviare, ha scelto proprio l’unico che alla mia lezione arrivava puntuale. Deve avere una sorta di potere manipolatore per riuscire in un intento del genere.
Mi scusi, io-
Non è stata colpa sua,” intervenni, riducendo lo sguardo ad una misera fessura e costringendo il professore a concentrare l’attenzione su di me.
Non le consiglio di mettersi contro di lui, potrebbe ucciderla nel sonno!
Non avevo notato, fino a quell’istante, la presenza di Kayden nella nostra classe. Tutti i presenti si voltarono a guardarlo, mentre lui sorrideva beffardo ancora una volta. Riportarono poi lo sguardo su di me, ma l’espressione che aleggiava sui loro volti era decisamente più spaventata.
Andate al vostro posto, ho già perso anche fin troppo tempo.” Fu tutto ciò che il professore disse e mi sentii quasi sollevato, se non fosse per le occhiate che gli altri ragazzi mi stavano dedicando. Detestavo trovarmi lì, detestavo il fatto che Kayden fosse lì e mi sfuggiva il motivo di tale presenza.
Perché lui è qui?” domandai ad Ivy.
Credo debba recuperare il compito che faremo tra un paio di settimane. L’anno scorso non era riuscito a recuperare l’insufficienza prima della fine del corso e, se fallirà anche stavolta, probabilmente verrà bocciato in biologia.
Sospirai e strinsi le labbra in una linea dura.
Tranquillo, sarà solo per due settimane,” tentò di rassicurarmi Ivy, ma servì a poco.
 
Biologia sembrò essere l’unica lezione a durare più del dovuto, ma fu soltanto una mia impressione, perché l’orologio non mentiva e funzionava alla perfezione: era trascorsa solamente un’ora.
Le ore seguenti furono meno pesanti ed ebbi la fortuna di non incontrare più Kayden a lezione, l’avevo intravisto solo un paio di volte nei corridoi, ma nulla più.
Mi ritrovai quasi a desiderare che la giornata non giungesse mai al termine; il pensiero dell’incontro con la psicologa non aveva abbandonato la mia mente nemmeno per un secondo e ciò mi rendeva estremamente nervoso.
 
Prima che potessi varcare la soglia d’uscita, una volta concluse le lezioni, Ivy comparve alle mie spalle, afferrandomi per il braccio e trascinandomi sino a raggiungere la sua auto.
Non dissi una parola e salii dal lato passeggero, mentre lei mise in moto e sfrecciò fuori dal parcheggio.
Il silenzio regnò sovrano, interrotto solamente dal rombo flebile del motore, per il resto nessuno dei due proferì parola. Non avevo idea di dove si trovasse lo studio, né tanto meno ero a conoscenza dell’orario dell’appuntamento. Non sapevo nulla ed era forse meglio così.
Dopo quasi mezz’ora di guida ininterrotta, Ivy fermò la macchina d’innanzi un piccolo edificio dalle pareti chiare, ma fredde, scese dall’auto e lo stesso feci io. Tese la mano verso la mia, aspettando che la stringessi a mia volta, ed iniziò ad incamminarsi verso l’entrata.
Salimmo una piccola rampa di scale e ci ritrovammo nel bel mezzo di una sala d’attesa, circondata da porte dal vetro trasparente. Tutte chiuse.
So perfettamente che te sarà difficile rivivere i momenti del tuo passato, così come so quanto detesti parlarne, e mi dispiace davvero per averti costretto, ma sono sicura che ti aiuterà,” mi disse, prendendo entrambe le mie mani e stringendole tra le sue.
Nessuno più di me vorrebbe vederti archiviare una volta per tutte ciò che ti rende triste. Ti chiedo solo di permetterle di aiutarti.
D’accordo, lo farò,” mormorai, facendo un breve cenno del capo. La vidi sorridere ed indietreggiò di qualche passo.
Ora vai, io ti aspetterò qui.
 
Feci esattamente ciò che mi aveva detto, aprii la porta e la richiusi immediatamente alle mie spalle, incrociando poi lo sguardo di una donna sulla cinquantina, i capelli scuri raccolti in una coda laterale e gli occhi altrettanto scuri, sovrastati da un paio di occhiali. Era completamente diversa dalla psicanalista che mi aveva interrogato per oltre tre anni, eppure me la ricordava parecchio. La postura composta, il viso coperto da un’espressione seria e per nulla amichevole, e le molteplici scartoffie che inondavano la scrivania mi fecero intendere che io non ero altro che uno dei tanti, capitato per errore al suo cospetto.
Siediti pure, Jason,” mi disse con tono pacato, ma assomigliava quasi ad un comando. Tuttavia obbedii. Il fatto che conoscesse il mio nome mi metteva a disagio, ma, d’altro canto, non esisteva persona che non ne fosse a conoscenza e la cosa mi turbava. Mi aveva sempre turbato.
Di che cosa vorresti parlare?
A differenza della precedente, la dottoressa che avevo di fronte preferiva andare dritta al punto, senza riempirmi le orecchie di discorsi futili e dispersivi.
Onestamente, di nulla.
Qualcosa dovrai pur dire, hai a disposizione un’ora e sono sicura che non vorrai perdere il tuo tempo stando in silenzio.
La guardai negli occhi, cercando di scorgere anche il più piccolo segno d’arroganza che le sue parole mi avevano appena trasmesso, eppure non lo trovai.
Lei sa perché sono qui. Conosce già la mia storia,” le dissi semplicemente e la vidi stringere le labbra.
Conosco ciò che ho letto sui giornali, ma non sempre raccontano la verità. Preferirei che fossi tu a dirmi come sono andate le cose.
Che cosa vuole sapere?
Sussultò alle mie parole, evidentemente non si aspettava che la seduta si svolgesse in quel modo e non la stavo aiutando ad aiutarmi, ma io non volevo farmi capire, né tanto meno aiutare.
Se potessi tornare indietro, rifaresti ciò che hai fatto tre anni fa?
Ad essere sincero, nemmeno io mi aspettavo una simile domanda.
Sì,” risposi spiazzandola.
Detestavi così tanto tua madre e tuo padre da volerli uccidere nuovamente?
Li ho uccisi una volta, lo rifarei se la situazione rimanesse tale.
Con un gesto lento, ma deciso, allontanò il blocco di fogli bianchi posato davanti a sé. Se inizialmente aveva intenzione di prendere appunti su ciò che avrei detto, ora era più che propensa a dimenticarsene, ne ero certo.
Anche tua madre era davvero così cattiva con te?
No.
E allora perché ucciderla?
Avrei preferito ignorare quella domanda, ma, dando una rapita occhiata all’orologio appeso alla parete, realizzai di non avere la più pallida idea di come trascorrere il tempo restante se non rispondendo ai suoi futili quesiti.
Non ha mai fatto niente per aiutarmi. Quando mio padre scatenava la sua ira contro di me, lei rimaneva in disparte, limitandosi a guadare.
Forse aveva paura,” commentò poi.
Anche io.
Rispetto a quando avevo messo piede lì dentro, il suo atteggiamento nei miei confronti era totalmente mutato. Ora sembrava aver paura di me, esattamente come chiunque venisse a conoscenza della mia storia, l’avrei classificata come tutti gli altri.
Non ero infastidito, tutt’altro, mi sentivo sollevato nell’aver appurato  che, ancora una volta, avevo ragione. Nessuno avrebbe potuto aiutarmi, nessuno mi avrebbe ascoltato senza giudicarmi.
Posso andare adesso?” le domandai, senza però guardarla in faccia, mi concentrai piuttosto sul quadrante dell’orologio.
Se non hai null’altro da dire, accomodati pure.
Mi alzai, ma non mossi alcun passo. “In realtà, sì, ci sarebbe un’ultima cosa.
Sul viso della donna si accese un barlume di speranza, quasi fosse realmente convinta che mi sarei confidato sinceramente con lei.
Se Ivy dovesse chiederle com’è andata, mi faccia il favore di dirle ciò che realmente vorrebbe sentire.
Se è questo ciò che vuoi.
Sì, è questo ciò che voglio,” ribattei, chiudendo entrambe le mani a pugno.
Mi voltai, avvicinandomi alla porta, ma la sua voce giunse nuovamente alle mie orecchie.
Devi tenere davvero molto a lei.
Più di ogni altra cosa.
 
Sbattei la porta alle mie spalle ed incrociai lo sguardo di Ivy, la quale balzò in piedi, raggiungendomi con un largo sorriso dipinto sulle labbra.
Com’è andata?” mi domandò con enfasi.
Mi strinsi nelle spalle. “Normale,” risposi, ma poi mi corressi. “Direi bene.
Ne sono davvero felice e apprezzo il fatto che tu voglia farti aiutare da qualcuno che non sia io.
Sobbalzai alle sue parole, non avrei potuto mentirle anche su questo.



 


Spazio Autrice

Insultatemi pure finché non avrete più insulti disponibili, perché è esattamente ciò che mi merito.
E' vero, novembre e dicembre sono stati mesi improponibili per me e ammetto che la nulla facenza di Justin ha contribuito in parte a questo mio 'ozio' nello scrivere qualcosa su di lui, ma ci ho riflettuto parecchio e non posso, né tanto meno voglio, lasciare in disparte le storie che scrivo su di lui.
Mi dispiace veramente tanto per avervi fatto aspettare e mi sentivo in colpa quando ricevevo le domande su ask in cui mi chiedevate se mai avessi aggiornato. Non era da me tardare così tanto e detestavo chi lo faceva, per cui potete anche solo immaginare quanto sia una brutta persona.
Non ho intenzione di mollare, né di farvi aspettare mesi. M'impegnerò ad aggiornare almeno una volta alla settimana, o ogni due settimane nel caso in cui non dovessi farcela, ma non oltre.

Vi ringrazio comunque infinitamente tanto perché ho notato con piacere che le recensioni al capitolo precedente ci sono e sono anche cariche di complimenti, per cui non me la sento proprio di farvi penare l'attesa.
Spero davvero che il capitolo vi sia piaciuto e, sì, forse sarà stato tranquillo, Jason non ha preso a pugni Kayden e non ci sono stati momenti teneri tra lui e Ivy, ma lo considero un passaggio importante e più avanti capirete il perché.

Sono curiosa di sapere che cosa ne pensate, aspetto i vostri commenti :)



Alla prossima!
Much Love,
Giulia 

@Belieber4choice
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