Tom&Mirtilla: la storia.

di Vella
(/viewuser.php?uid=237708)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I- ***
Capitolo 2: *** II- ***
Capitolo 3: *** III- ***
Capitolo 4: *** IV- ***
Capitolo 5: *** V- ***
Capitolo 6: *** VI- ***
Capitolo 7: *** VII- ***
Capitolo 8: *** VIII- ***



Capitolo 1
*** I- ***










Il sole giocherellone lasciava che i raggi filtrassero nelle finestre di ogni camerata, di ogni aula, di ogni stanza; qualunque cosa fosse vetro irradiava quel caldo piacevole della stella mattiniera.
Anche l'ultima stanza sulla sinistra del dormitorio Corvonero si illuminò, svegliando così le due fanciulle che dormivano ancora beatamente: capelli più neri della pece sparsi sul cuscino coprivano un docile viso intontito dal sonno e dal risveglio brusco appena ricevuto. Le finestre della stanza si aprirono immediatamente e così anche le tende. Mirtilla si strofinò gli occhi ancora incollati dalle braccia di Morfeo e si mise a sedere sul letto. Indossava una tunica fatta pigiama, era lunga fino al ginocchio e di un blu cobalto, scollata al punto giusto.
D'improvviso anche il letto di fronte a lei si mosse, o meglio, la persona mezza addormentata su quella comodità iniziò a stiracchiarsi in modo assai violento.
Entrambe le ragazze ignoravano alla grande di quanto fosse tardi e di quanto il castello fosse così silenzioso per via delle lezioni in corso. Fiabetta, la cara compagna di stanza, tra una capriola ed un'altra, si diresse al lavatoio e al bagno. Non era conosciuta come una persona che si preparava velocemente e proprio in quel lasso di tempo, Mirtilla scorse l'orologio a pendolo e per un nano secondo sentì mancarle l'aria. Così facendo dovette correre immediatamente al calendario, scoprendo che entrambe le corve avevano appena perso tre quarti d'ora del professor Lumacorno. I nervi fecero un valzer e pure la buona giornata che si era prospettata.
«Diamine Fiabetta, muoviti!» l'urlo stridulo provenne dalle corde vocali di Mirtilla, l'eco si sentì persino nella Sala Comune vuota.
La compagna uscì dal bagno mugolando, i lunghi capelli ramati erano stati raccolti in un'alta coda e gli occhi nocciola perfettamente puliti come il resto del viso, semplicemente impeccabile.
«Perché urli? Chi ti dà il permesso di sbraitare a quest'ora? M'irriti! Ora indossa la divisa, siamo in ritardo». Mirtilla alzò gli occhi al cielo, l'amica aveva un tempismo simile a quello di un'ochetta. Iniziava a sentire il grosso macigno dell'ansia salirle dallo stomaco e attorcigliarle la gola.
«Fiabetta!», digrignò la corva tra i denti mentre si spogliava senza pudore davanti all'amica e indossava con velocità la divisa nera e blu.
Corsero giù per le scale come delle amazzoni e l'occhialuta sentiva che i corridoi vuoti le stessero sussurrando tutta la loro disapprovazione.
L'aula di pozioni era situata nei sotterranei e, diamine, loro avevano appena superato la torre ovest. Le scale mobili s'erano crogiolate nel divertimento dei stupidi giochetti ed il ritardo era salito ad un'ora e undici minuti.
Mirtilla non si sentiva più i piedi nelle calze, ormai era esausta quando la grossa porta dell'aula distanziava non più di dieci passi. Fiabetta si girò scossa e con le dita si lisciò i capelli sulla nuca.
«Andiamo Mirty, nega sempre, mi raccomando!» Ma non ci fu bisogno di negare, appena entrarono nell'aula, il professore, più accigliato che arrabbiato, aveva già la lunga bacchetta in mano, pronto ad ostacolare ogni pensiero benigno e a togliere persino cinquanta punti a Corvonero.
«Voi!» tuonò, ma non riuscì a proseguire: la porta si riaprì quasi subito e una sagoma alta e ben definita rapì del tutto i cattivi propositi, e anche quelli buoni, del professore, il quale si dimenticò immediatamente delle due ragazze scapestrate. Fiabetta aveva preso posto vicino ad un grifone fiero e bello come il sole, aveva un sorriso adulatorio e di certo la corvetta non poteva far finta di niente.
Mirtilla si sedette invece di fianco ad una statua, l'unico posto più coperto, senza nessun compagno di banco. E ciò la rincuorò.
«Tom, Tom! Cosa ci fai lì impalato? Vieni avvicinati!» e mentre l'aula era intenta a conversare e gracchiare risatine, Mirtilla si concentrò sulla conversazione tra il professor Lumacorno e Tom Marvolo Riddle, prefetto Serpeverde.
«Sabato sera al club terrò una cena, testimone di nuovi gradevoli argomenti!» il serpe sembrava alquanto pensieroso, la fronte corrucciata, il labbro inferiore torturato dagli incisivi, gli occhi socchiusi, il ciuffo leggermente scomposto.
«Oh professore, per nulla al mondo mi perderei il terzo incontro»
Mirtilla alzò, per la seconda volta in pochi minuti, gli occhi al cielo e scosse la testa. Stavano parlando del Lumaclub, avrebbe dovuto immaginarlo che stessero alludendo a quella specie di club esclusivo così totalmente discriminatorio.
Riddle non si trattenne molto all'interno dell'aula, e la giovane ragazza seguì di sottecchi i suoi movimenti mentre era diretto all'uscita. Prima che il professore riprendesse parola, Mirtilla si ritrovò ad osservare gli occhi ghiacciati del Prefetto che, per un secondo simile all'eternità, le scrutò l'intero viso.



Fiabetta era letteralmente scappata dai sotterranei ed aspettava Mirtilla all'entrata del primo piano. Il giovane grifone l'aveva raggiunta e continuava a gironzolarle intorno con i libri del quarto anno stretti in un braccio e l'aria spavalda sul viso.
«Cosa vuoi?» sbuffò la ragazzetta appoggiandosi al pilastro, il giovane le riservò un sorriso languido, e le si avvicinò con fare alquanto viscido.
«Sabato. Hogsmeade. Me lo devi». Beh, in verità Fiabetta non doveva niente a nessuno ma le piaceva così tanto ascoltare le lusinghe di ragazzi in piena fase ormonale.
«Uh ...» stava per rispondere, o quasi, quando comparve la folta chioma di Mirtilla: "salva" pensò, «tempo scaduto, bellezza», e via come il vento verso l'esterno, seguita a ruota da Mirtilla che sinceramente non faceva più molto caso a quello che combinava l'amica.
«Io farei di tutto per uno così e tu lo tratti in quel modo». Ribatté divertita, mentre entrambe camminavano sull'erba fresca. Fiabetta sospirò alzando la testa all'insù, verso il cielo.
«Mirtilla farebbe di tutto per uno così, non tu». Sghignazzò la rossa buttandosi a peso morto sotto un albero di cedro.
Mirtilla aveva con sé una casacca, tirò fuori i grossi occhiali neri e se li posò sul naso per poi lasciarsi cadere anche lei vicino la compagna.
«Oh, le lezioni di pozioni! Sono estenuanti! Ed anche psicologicamente distruttive». La nera si adagiò sul prato rivolgendo il viso verso il sole cocente: era una di quelle sensazioni splendide.
«Lo dici solo perché non t'ha mai potuto sopportare» eh beh, la rossa non aveva tutti i torti, Mirtilla annuì ma non fece in tempo a rispondere che udì schiamazzi vari provenire da non molto lontano.
«Oh, ecco qui, cinque serpi, Mirty. Poi mi chiedi perché preferisco i grifoni». E non aveva torto, cinque Serpeverde distanziavano da loro non più di trenta metri e sembravano aver notato la quiete delle due ragazze, tanto da avvicinarsi senza alcun pudore.
«Malcontenta-a-a!» cantilenò qualcuno all'interno del gruppetto, Mirtilla non capì da chi provenne quel soprannome ma fu davvero aspro, Malcontenta era ormai la sua etichetta, il suo cognome adottato, Malcontenta era un insulto bello e buono alla sensibilità della Mirtilla asociale.
«Malcontenta cosa stai facendo? Vuoi abbronzarti con quegli occhialoni da elefante?» "Guarda chi osa parlare, una povera scimmia in calore con i peli anche su per il culo."
Mirtilla si adirò, girando il viso verso Fiabetta.
«Cosa c'è, t'hanno tagliato la lingua?» cantilenò ancora il ragazzo, in gruppo si credevano più forti.
«E voi? Ci traete gusto?» ed ecco che entrava in gioco la rossiccia con quell'aria spavalda e da perfetta corvonero, il ragazzo che aveva interrotto la quiete delle due frequentava l'ultimo anno ed era uno di quei bellocci fin troppo sicuri di sé. Con uno sguardo percorse il corpo morbido e fluente di Fiabetta, poi si lasciò scappare un sorriso, scuotendo il capo e rivolgendo ancora una volta l'attenzione su Mirtilla.
«Mirtilla ma sei un mirtillo?» gracchiò un terzo componente che, sicuramente, frequentava il secondo anno. La battuta fu così stupida che nessuno rise ma tutti parvero compiaciuti.
«Se pensi che io sia un mirtillo non perder- ...» ma la frase venne interrotta, il coraggio l'era venuto a mancare. Un Prefetto si stava avvicinando a loro.. Il problema però non era del Prefetto in sé, ma della persona, la stessa che aveva incontrato quella mattina, la stessa che aveva spiato mentre parlava amabilmente col professor di Pozioni. Marvolo aveva un'aria così arrogante che, senza volerlo, Mirtilla si irrigidì e chiuse il becco disarmata.
«Jack, ma cosa mi combini ...» un sussurro flebile pronunciato da lui, si accostò al fianco dell'amico e scosse appena il capo ridendo.
«Riddle che piacere,» ammiccò il diciassettenne, la mora notò l'agitazione negli occhi del capo branco, sembrava d'un tratto aver perso ogni briciola di coraggio, « ci stavi per caso spiando?» un altro sorriso forzato. Tom indurì i lineamenti, dando una rapida occhiata alle due, non soffermandosi per niente su Mirtilla.
«Andiamo Jack, stiamo parlando di pivelle, Lumacorno vuole vedere proprio te, quindi smamma». Un tono tranquillo, entrambe le ragazze pendevano dalle labbra di Tom, sembrava quasi che stesse facendo un favore ai corvi, ma era solo un'impressione?
Jack si disperse quasi immediatamente col suo gruppo, lasciando un ultimo sorriso a Fiabetta.
Lo sfottò era finito e Malcontenta si fece sfuggire un piccolo sospiro di sollievo: odiava le persone così stupide e masochiste, in fondo non avevano fatto del male a lei, ma a loro stessi.
Mirtilla seguì tutti i movimenti del gruppetto mentre scemava via, non si voltarono mai indietro a guardarle, Fiabetta nel frattempo sembrava essersi scomposta e le stava pizzicando il braccio a tal punto da rapire la sua attenzione:
«Grifone in vista, diamine Mirty, ci vediamo in Sala Grande», si alzò di scatto, prendendo la sua roba e facendo il giro del cedro, scappando letteralmente a gambe levate verso l'interno. La giovane non seguì a lungo i movimenti dell'amica, la lasciò andare, la conosceva fin troppo bene. Povera.
Ma in quel momento -come si può ben immaginare- il rancore verso Fiabetta si fece sentir ancora di più: Tom Marvolo Riddle distanziava da Mirtilla di pochi passi e non era una cosa buona, affatto.
Trattenne il respiro quando lui girò appena la testa verso la sua direzione, aveva gli occhi scocciati, tutto il viso lo era; aprì appena la bocca quasi come se stesse per dirle qualcosa ma non successe nulla, non pronunciò nessuna frase provocatoria. Mirtilla credette che di lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di irreparabile ma ancora una volta si stava sbagliando.
Pochi secondi e il Prefetto se ne andò così come era comparso, lasciando lei, piccola e ingenua - se veramente lo era- spaesata e sola.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S: Tra un pensiero ed un altro, tra una battaglia ed una sconfitta e tra lettere incomprese, siete stati trascinati irreversibilmente in questa storia! Puoi ammetterlo, non me la prenderò.
Ma cosa diavolo c'entra tutto questo? Assolutamente niente! Ebbene, un paio d'avvertenze: non shippate questa coppia *sigh* e... voglio pareri spregevoli (masochista che non sono altro)!
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamenti settimanali ©

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** II- ***











"...ha nascosto un frammento della propria anima al fine di raggiungere l'immortalità"


Ma questo lui non lo sapeva, o quasi. L'immortalità era una parola impossibile da pensare, figuriamoci se c'era una vaga possibilità di diventarlo.
Miliardi di ipotesi si facevano largo nella sua piccola mente: non solo era pieno di presupposizione e di orridi piani, ma era anche sicuro che il suo progetto sarebbe stato un gran successo, bastava solo metterlo in atto. Non c'era altra scelta se non addentrarsi in quella coltre di paura e di pericolo. Aveva lo sguardo perso, mentre la lunga tunica invernale strisciava inconsueta sul pavimento, la mano destra era sudata e stringeva la bacchetta, non sicuro di riuscire completamente nella sua missione.
Si sentì uno scricchiolio e poi un track seguito quasi subito dal brutto suono di unghie sulla lavagna, in verità era stata appena aperto e socchiuso il grande cancello nero della sezione proibita. Biblioteca. Nessuno, apparentemente, l'aveva sentito, il buio incombeva con prepotenza. E poi un sospiro disarmante ed altri piccoli passi, più certi, convinti.
«Lumos ...» sussurrò flebile, la bacchetta l'aveva udito e così un fascio di luce illuminò i lunghi scaffali.
Secondo Tom quel reparto proibito era stato reso tale per essere infranto. Insomma, chi non bramava almeno una volta al giorno di subentrarci in piena notte? Eppure nessuno lo faceva: tranne lui.
Un sorriso cospiratorio si dipinse sul volto, non poteva trattenersi lì per sempre.
La luce scivolò in varie direzioni, veloce, avanti, indietro, su, giù, verso altri scaffali, soffermandosi sul grosso tavolo in legno, fino a che un libro massiccio dall'aspetto inquietante invase il suo campo visivo.

"Segreti dell'Arte Più Oscura".


Boccheggiò, avventandosi su di esso, lo prese con forza posizionandolo poi sul tavolo levigato. Gli sembrava strano, aveva trovato quel libro così velocemente e senza nessun sforzo, le cose facili non gli erano mai piaciute particolarmente, sapevano di menzogna, di trabocchetto.
D'oltretutto, l'idea che s'era fatta scemò immediatamente appena ebbe sfiorato la copertina del libro: uno strano ed insensato brivido si insinuò in tutto il corpo e i palmi delle dita scoppiarono in mille scintille di dolore, quasi come se si fosse appena scottato
Trasalì, spaventato. Non poteva esser vero: il suo tocco. Digrignò tra i denti, massaggiandosi con la mano destra quella sinistra bruciacchiata e del tutto dolorante.
Doveva pensare, doveva aprire quel libro in qualche modo, e doveva persino sbrigarsi.
Il ticchettio dell'orologio scandì la mezzanotte, proprio in quel momento si sentirono riecheggiare da lontano passi sconosciuti. Dov'erano diretti? Tom non lo seppe, almeno non subito. Senza preavviso si nascose in fondo al reparto, nel terzo corridoio. Nessuno si sarebbe spinto fin lì, era la parte più lugubre e oscura che si potesse immaginare e, soprattutto, infestata da voci psichiche, capaci di traumatizzare anche il più coraggioso e forte degli studenti. Ma lui non era uno studente, o meglio, lui non era un coraggioso e forte studente.
Entro pochi minuti i passi si fecero fin troppo vicini, attutiti però dalle voci pestifere. Tom non capì se l'ombra si fosse spinta fin nel reparto proibito, - per questo e per altri svariati motivi ancora sconosciuti- decise di uscire dal nascondiglio improvvisato, con la bacchetta stretta forte in entrambe le mani.
Neanche il tempo di mettere a fuoco la vista nel buio della sezione che riconobbe quelle ciocche così nere da mandare in confusione chiunque. Trattenne il respiro finché l'ombra non si disperse. Aspettò che i passi non riecheggiassero più, o almeno, che il suo udito non li sentisse prima di riavvicinarsi al tavolo.
La fitta lancinante che il manufatto aveva procurato alla sua mano non fu davvero nulla in confronto al dolore della sconfitta che ne seguì appena ebbe capito che il libro era scomparso. Volatizzato. Puff. Avvenne tutto troppo in fretta, un minuto prima lo scritto era lì, davanti ai suoi occhi ed un minuto dopo era scomparso, totalmente, quasi come se si fosse smaterializzato.
Gli prudeva il collo e gli occhi volavano da una parte all'altra del Reparto, camminò più e più volte per accettarsi che non fosse caduto o stato riposto, ma non era così: il libro era scappato; e proprio in quel momento, come un flash improvviso, ripensò alle lunghe ciocche nere ondeggianti. Che fosse stata lei a prenderlo? E come aveva fatto senza provarne dolore? Dovette respirare profondamente, per ritornare lucido, per non perdersi di nuovo in stupidi attacchi di panico.
Uscì dalla biblioteca così com'era entrato, totalmente sicuro che nessuno l'aveva visto o sentito. Ma si sa, il buio gioca brutti scherzi.




La sala grande era gremita di persone quella sera.
I lunghi tavoli traboccavano di cibo, il Professor Silente sedeva al fianco di Lumacorno e stava gustando amabilmente un coscia di pollo lasciata rosolare in crema di spezie. I boccali erano pieni fino all'orlo di succo di zucca. Una pila di toast croccanti e del burro nelle vicinanze scossero tutti gli studenti che finirono quella portata in un battibaleno. Fiabetta era seduta di fronte alla giovane amica, aveva le mani intrise di marmellata e nel frattempo dava grossi morsi ad una fetta di roast beef*. I gusti alterati non erano per niente apprezzati da Mirtilla che, come giusto fosse, guardava Fiabetta incredula, se non disgustata.
Lei invece si limitava a rosicchiare una pagnotta di pane caldo.
Il tavolo dei serpeverde, quella sera, sembrava più felice del solito, risate cristalline ne trasparivano e questo lasciò interdetti molti corvonero che non poterono trattenersi nell'osservarli per l'intera serata, tranne quelle due: Fiabetta aveva troppe cose da dire a Mirtilla per concentrare la sua attenzione sugli altri. Era presa dalla vita sentimentale, sociale ed economica, ad ogni parola proferita senza una logica, Malcontenta si lasciava sfuggire un sospiro e, certamente, non di sollievo.
«Me lo devi Mirty, non ce la posso fare e poi... ci divertiremo, vedrai!» Seppur fin ad allora aveva evitato spudoratamente di ascoltarla, quella frase la risvegliò. A cosa si stava riferendo?
«Che intendi Betta?» un tono assai annoiato e per di più l'aveva chiamata Betta, l'amica odiava quel soprannome più di ogni altra cosa al mondo eppure a Mirtilla piaceva e nell'ultimo periodo lo usava troppo spesso.
«Devi accompagnarmi! Non ho... intenzione di... hai capito!» aveva ignorato il nomignolo, c'era qualcosa di importante, Mirtilla si raddrizzò sulla panca ed inclinò il busto verso il tavolo.
«Accompagnarti dove? E... spiegati». Non era di certo famosa per la pazienza.
«Maaalconteeenta, devi ascoltarmi!» la rimbeccò Fiabetta, «Il bel grifone mi ha incastrato ed io non so come liberarmene, ho bisogno del tuo aiuto e non puoi rifiutarti!»
«Cosa dovrei fare io, Betta? » digrignò Mirtilla tra i denti.
«Passeremo un bel pomeriggio, vedrai!» trillò tutta felice l'amica.
«Dove? Quando? Ed io sarei la candela? Il terzo incomodo? L'amico di routine? Andiamo Betta ...»
«No, affatto! Anzi! Ci divertiremo, bazzicheremo per i negozi, berremo burrobirra e... chissà, farai anche tu qualche incontro!» sorrideva in modo raggiante, e non era di certo un buon segno.
«E cosa farà il Grifone? Secondo te non proverà ad allontanarti da me? Non cercherà di rimaner soli? Certe volte sei così ingenua, Fiabetta». Sospirò Mirtilla.
Dopo pochi attimi di silenzio, decise di alzarsi e ritirarsi nella camerata; stringeva a sé una borsa di velluto, piena di libri, troppo pesante da esser portata con i due manici.
Dava quasi l'impressione che stesse nascondendo qualcosa. Tom, dal suo tavolo, l'osservava e notava anche una certa distrazione, come se i pensieri della giovane Malcontenta fossero dispersi in chissà quale mondo. Ma era la sua immaginazione? Era tutto un brutto scherzo della sua mente? Non lo sapeva, eppure era così travagliato da quella storia ed ogni singolo movimento della corva lo lasciava sempre più interdetto, cominciava a crescere dentro di lui una rabbia insormontabile e doveva spegnerla a tutti i costi.
«Vado Fiabetta, ci vediamo stasera in sala». Fu un saluto distratto e mentre Mirtilla sgusciava via dal tavolo dei corvi sentì l'amica gridarle: «Pensaci Mirty! È importante!»
"Pensaci tu Betta, usa il cervello per una volta".
Lo sperava tanto, e credeva anche che in fondo ci sarebbe riuscita a metterlo in moto. Un'accensione lenta ma, dopotutto, efficace.
Uscì dalla Sala Grande sospirando di sollievo, con la divisa scolastica un po' stropicciata e con la borsa che le aveva stancato entrambe le braccia.
Saltellò per una buona parte di corridoio, canticchiando qualcosa di macabro e sentendo i fantasmi lamentarsi ed inveire contro di lei. Si divertiva a dare fastidio qui e là, finalmente era sola e poteva godersi pace, dove la maschera perfettamente intatta di una Malcontenta solitaria e codarda, si frantumava lasciando il posto al suo vero viso.
Uno sguardo che raramente si scorge nel viso delle persone, degli occhi verdi luminosi, dove la luce proveniva dal suo ego. E se qualcuno l'avesse vista in quel momento, l'avrebbe di certo scambiata per un'altra Mirtilla, quasi come se avesse una doppia personalità.
Lei, però, era consapevole del cambiamento, aveva costruito il suo mondo goccia per goccia, attimo per attimo ed aveva faticato molto per diventare così com'era.
Fiera di esserlo. "Siam i tre porcellin, siam i..." uno struscio e la canzone cessò nella mente della corva, poi qualcosa si infranse rumorosamente sul pavimento, la giovane non ebbe neanche il tempo di girarsi per capire cosa fosse successo che due occhi neri come la pece, iniettati di un rossastro pauroso, la stavano squadrando in modo prepotente e sbagliato ad un palmo dal suo viso.
Mirtilla boccheggiò, cercando di rianimarsi e di ritornare in sé. E soprattutto si affrettò ad indossare la sua maschera di cemento.
Non riusciva a spiccicare parola: troppo occupata a capire del perché si ritrovasse di fronte a quegli occhi neri e come c'era capitata in quella situazione così d'improvviso.
Un attimo prima cantava una canzoncina ed un attimo dopo si ritrovava disarmata.
"Mi stava seguendo?" pensò incosciamente.
«Dov'è?» sibilò ad occhi stretti il ragazzo.
«Cosa?» rispose titubante Mirtilla che indietreggiò di pochi passi.
«Ti conviene cacciarlo, Malcontenta» un ulteriore sibilo, la ragazza venne prepotentemente schiacciata contro il muro, sentiva il freddo del marmo pizzicarle la schiena.
«Cosa vaneggi, Riddle?» digrignò a denti stretti Mirtilla e quando lui si avvicinò al suo viso così velocemente, rubandole il respiro, capì che il Prefetto non stava affatto vaneggiando.
Per errore o per destino, questo non sappiamo dirlo, la borsa piena zeppa di libri cadde dalle braccia di Mirtilla, schiantandosi contro il pavimento. Tutto fuoriuscì dalla casacca, ogni singolo libro, ma nessuno era quello .
L'occhio inquisitore di Riddle cadde su un quaderno sottile, nero, lo aveva riconosciuto: faceva parte dell'ala proibita. Ma di quel libro non ce n'era traccia.
Un colpo, uno sparo, un qualcosa che trafisse i pensieri del giovane. Aveva sbagliato?
Si soffermò per pochi attimi sul viso di Malcontenta, allontanandosi precipitosamente dal suo corpo caldo.
«Cosa c'è, Prefetto? Qualcosa non va?» disse in modo ironico e nervoso Mirtilla, chinandosi per raccogliere gli oggetti sparsi caduti dalla borsa e nascondendo immediatamente il quaderno nero e mal ridotto.
«Ragazzina dovresti smetterla».
«Di fare ...?»
«Cos'era quel quaderno?», rise Tom.
«Cosa è secondo te un quaderno?» lo sfidò Mirtilla adirata, riprendendo la borsa e allontanandosi anch'essa da lui.
«Un quaderno dell'ala proibita non è mai qualcosa di ovvio». Boccheggiò Riddle, voltandole le spalle per dirigersi di nuovo in Sala Grande, con quell'aria spavalda e quelle spalle dritte, le mani nelle tasche e il mento troppo in alto per non considerarlo una persona fiera e pericolosa.
«Come se io fossi l'unica ad avere dei segreti!» gridò quasi Mirtilla, era rossa in viso e le sopracciglia erano aggrottate, ma non vide la reazione di Tom, anzi, si voltò anche lei e cominciò a correre verso la torre. Eppure, se si fosse fermata un altro paio di secondi avrebbe scorto un nuovo Tom Riddle pietrificato, ghiacciato e totalmente compromesso.
Mirtilla quando entrò nella camerata aveva mal di testa, era stanca e arrabbiata. Un profondo odio cominciava a nutrire verso il Prefetto dei Serpeverde che prima le riservava uno sguardo cospiratorio, poi la salvava insieme a Fiabetta, infine l'aggrediva con una strana calma, più forte della violenza.
Si sedette sul letto, il suo sguardo era dritto, fuori la finestra il buio penetrava, le stelle a malapena regalavano luce.
«E se... ?» sussurrò quasi, poi come un flashback, un ricordo improvviso, una premessa, si inginocchiò di fronte al letto ed estrasse da sotto, una scatola piena zeppa di libri. Ma solo uno aveva colto e rapito la sua attenzione.
Il suo ultimo acquisto.
«Per quale motivo?» sussurrò tra sé mentre con tutte e cinque dita sfiorava la copertina: neanche il tempo di percepire il contatto che il dolore l'attanagliò forte, fin dentro le viscere. Lasciando cinque brutte scottature scintillanti di vittoria.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S: Salve, salvino!
Per prima cosa vi ringrazio delle otto recensioni, e le sette persone che hanno inserito la storia nelle seguite così come i lettori silenziosi e quelli delle ricordate/preferite: mi avete reso immensamente felice.
Cosa ve ne pare della nuova perla settimanale? E questo libro? Il famoso libro! Quanti grattacapi che ha Tom in testa e la nostra Mirtilla perché si diverte con queste strane congetture? E nel prossimo capitolo cosa succederà? Domande su domande, le cui risposte non tarderanno ad arrivare! u.u
Continuate a lasciare i vostri commenti, impressioni, consigli, critiche: per me oltre ad essere importante, m'aiuta molto.
Infine un grazie speciale a tutte le persone che credono costantemente in questo progetto, spronandomi ed aiutandomi sempre più. A domenica prossima gentaglia!
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamenti settimanali ©

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** III- ***








Il sabato era sempre stato visto come un giorno di baldoria e divertimento, un vero opposto alla domenica, soprattutto se corrispondeva al famoso sabato. Tutti nel castello, compresi professori, erano entusiasti, vispi e contenti.
I Prefetti e i Caposcuola avevano sempre quello strano ghigno di superiorità, evitando spudoratamente i primini e, a modo loro, considerandosi felici per l'evento in programmazione. La Sala Grande a colazione s'era svuotata presto ed ora i corridoi erano gremiti di studenti e adulti: c'era chi andava a sinistra, chi a destra, chi tagliava la strada ad un altro, chi spingeva o chi faceva strani versi.
Il cielo era di un celeste opaco, poteva definirsi un buon tempo eppure era tutto troppo fermo, gli alberi immobili, le foglie non correvano da una parte all'altra del cortile. E questo poteva significare un'unica cosa: temporale in vista, ma era presto per dirlo e nessuno voleva pensarci veramente, la gita era stata fissata per quel pomeriggio e tutti cercavano in qualche modo di ingannare il tempo. Persino Fiabetta che, svegliatasi alle sette, si trovava già pronta e in fibrillazione. Mirtilla aveva negato con tutte le sue forze, non c'era stato nulla che l'avesse smossa, non sarebbe venuta, anzi, avrebbe passato tutta la giornata a studiare e a crogiolarsi nel letto senza far niente di eccitante; personalmente a Fiabetta dispiaceva - e non poco- ma era troppo tardi per ritirarsi dall'invito di Alexander. Quell'uscita si doveva fare*. E prima del pomeriggio avrebbe riprovato a convincere Mirtilla.
Fiabetta camminava spensierata, mentalmente decideva cosa indossare per Hogsmeade, e senza accorgersene aveva raggiunto l'ingresso, l'unico posto meno affollato, buono per trascorrere le successive quattro ore, giusto perché non voleva esser d'impiccio all'amica, lei teneva alla loro amicizia e sapeva che quel giorno era decisamente no. La mattina, infatti, aveva cercato di svegliarla ma Mirtilla aveva totalmente ignorato le sue frasi fatte o le sue suppliche, o gli insulti che le aveva lanciato come ultima carta (e appena uscita l'aveva sentita alzarsi, un vero e proprio controsenso, un vero e proprio rimorso di coscienza).
Sembrava che fosse diventata apatica, e per questo aveva deciso di uscire dalla Sala Comune e cercare un posto appartato senza troppi convenevoli o finte conversazioni.
Ma, diciamolo, il destino non è mai dalla nostra parte, salvo alcune occasioni. Da lontano, Fiabetta, scorse le possenti spalle del suo corteggiatore. Il grifone - di nome Alexander- l'aveva rintracciata immediatamente e si stava avvicinando a passo felpato, aveva le mani nelle tasche e un'espressione piena di sfumature e di cambiamenti. Era la parte variabile del suo corpo.
«Corva!» salutò, non dimenticandosi di sfoderare un sorriso a trentadue denti, la giovane timidamente ricambiò il gesto e di proposito appoggiò la schiena al muro, incrociando i piedi. Aveva quasi un'aria civettuola.
«Dimmi tutto, Ander» si morse il labbro sinistro e lo guardò in modo carino, quasi innocente.
«Non avrai mica intenzione di liquidarmi all'ultimo minuto? Oggi sei totalmente mia». L'aveva appena considerata sua. La gravità della situazione non era mai stata più chiara.
È vero che i grifondoro non erano poi così intelligenti, secondo Fiabetta, ma arrivare a tale supposizione! Aveva semplicemente accettato un invito. Non era merce, e nessuno l'aveva barattata, seppur quella frase era velata da amorevoli intenzioni, la giovane lo trovò irritante, era quasi pronta al rifiuto.
«E domani cosa farai? Mi venderai?» un tono scorbutico, quasi acido.
«Potrai esserlo anche domani, allora». Un sorrisino, Alexander non aveva ancora capito che stava percorrendo la pista sbagliata, che presto si sarebbe ritrovato in cima al castello pronto a spiccare il volo per un bel calcio nelle pacche. La scena si ripeté più e più volte nella mente di Fiabetta.
«Verrà anche Mirtilla», la bomba fu sganciata. Anche il cielo tuonò il suo disappunto, e Fiabetta aveva trattenuto il respiro per venti secondi dopo quell'abissale bugia.
«Solo ora me lo dici?» boccheggiò il ragazzo, la sua espressione era una via di mezzo tra delusione e ironia.
«Quando, altrimenti?» rispose prontamente Fiabetta staccando la schiena dal muro e avanzando di qualche passo verso il cortile.
Neanche il tempo di escogitare un piano degno di nota e di trovare un metodo per uscire da tutto quel casino che spuntò il viso assonnato e la chioma cespugliosa di Mirtilla. Sembrava di esser finiti in quella specie di film babbani in bianco e nero, dove l'ovvietà e l'inverosimile erano all'ordine del giorno. Ma la ragazza era consapevole che quello non era un brutto sogno, s'era data più di mille pizzicotti fino a rassegnarsi all'idea: non era mai stata così meschina verso qualcuno, non aveva mai complottato in quel modo alle spalle di Mirtilla, ed ora l'aveva fatto.
Fiabetta, appena la vide, cercò di andarle in contro prima che Alexander parlasse a vanvera e rovinasse la bella idea che s'era fatta venire in mente.
E poi: non stava dormendo?Non voleva evitarla a tutti i costi? Manco mezz'ora prima neanche le cannonate l'avrebbero fatta alzare ed ecco che spuntava nel posto giusto al momento sbagliato.
Ma non dimentichiamoci che non solo il destino è una carogna, anche le persone. Il Grifone, prevenendo già le mosse della ragazza, urlò a Mirtilla, cercando di trattenere l'ira e lo sconforto che stavano attanagliando il suo corpo: «Allora Mirtillo, sei pronta per la fatidica gita?» l'aveva appena chiamata mirtillo. Non solo la giovane Malcontenta fu invasa da una frase che aveva tutta l'aria d'essere uno sfottò, ma il ragazzo aveva anche affermato qualcosa di totalmente falso e cattivo.
«Ma io non verrò ad Hogsmeade». Un tono titubante mentre si avvicinava a Fiabetta che con lo sguardo cercava di supplicarla. E visto che ormai era stata lei a combinare il fattaccio decise di andare fino in fondo e -credeva fermamente- sarebbe riuscita a convincere persino le pareti.
«Ma come? Fiabetta mi ha appena detto che saremo in tre. Penso che inviterò un amico, giusto per non escluderti». Cattiveria bella e buona. Fiabetta era sconcertata, l'unica cosa che salvava quel ragazzo era la sua bellezza infinita.
«Mirtilla intendeva che non verrà di certo ad Hogsmeade con quella faccia assonnata e la divisa scolastica! Mi sembra ovvio che ci prepareremo insieme; invita pure qualche altro grifo, più ne siamo e più divertente sarà!» in tutto questo la Corva Scontenta aveva appena scoperto un nuovo istinto: l'omicidio premeditato.
«Fiabetta ma che diavolo hai combinato?» s'era avvicinata velocemente, dando le spalle al grifone che nel frattempo se la rideva: come se lui non avesse capito il giochetto di Fiabetta.
«Ti devo un favore Mirty, ricorda».
«Betta, ma m'era sembrato d'esser stata chiara!»
«Ci divertiremo! » gracchiò la rossa socchiudendo gli occhi, «per favore ...»
«Ti stavo cercando... e non per essere incastrata!» disse Mirtilla sospirando.
«Ma si può sapere perché non vuoi venire?»
«Non mi va Betta!» nel frattempo Alexander s'era avvicinato ed aveva cinto i fianchi della corva facendo aderire il suo corpo alla sua schiena. Ciò infastidì Mirtilla ma all'amica no, anzi, sentiva uno strano calore formarsi nello stomaco. Che fosse una reazione normale? Malcontenta aveva la nausea. Non sapeva dirlo. Non voleva dirlo.
«Sarà un'uscita appassionata».
"Sembri una sanguisuga in via d'estinzione." Pensò Malcontenta in modo dolce.
Non aveva nulla in comune con Alexander, se non la morte.




Quel giorno tanto atteso dalla maggior parte delle persone, non piaceva neanche al Prefetto Serpeverde. Era titubante, aveva lo sguardo perso e sonno arretrato. Non era in gran forma, si sentiva quasi in convalescenza e i continui compiti da prefetto e da essere umano, lo stavano sconvolgendo sempre più.
Era in Sala Comune, aveva appena finito di indossare la sua divisa scolastica ed ora era diretto all'esterno, una breve passeggiata e si sarebbe rintanato di nuovo nel castello, aspettava semplicemente che tutti -compresi professori- sparissero dalla sua vista. Hogsmeade aveva leggermente rovinato la psicologia di tutti, erano tre settimane che la gita era stata sospesa nei week-end per alluvioni e temporali troppo forti. Ed ora l'agitazione, che comunque quel giorno non era poi così male e potevano recarsi a Mielandia per i dolciumi più impensabili, stava disturbando la quiete dei normali.
Stava salendo gli scalini per ritornare in superficie, i sotterranei erano una specie di tremenda claustrofobia per chi non ne fosse abituato.
«Tom!» qualcuno pronunciò il suo nome, una figura robusta e bassa s'era posizionata davanti a lui. Aveva le mani nelle tasche e pochi capelli in testa, uno sguardo accattivante e occhi scuri, profondi, quasi senza pupille.
«Avery ...» ricambiò il saluto Riddle, superandolo di qualche gradino a pochi centimetri dall'uscita della galleria.
«E' da un po' che non ci si sente, troppo occupato?» Avery, il suo caro amico Avery, stava usando un tono accusatorio e a Tom ciò non piaceva. Si stava infastidendo ancor di più.
«Chi non lo è stato nell'ultimo periodo, Av?» rifilò il Prefetto, poi, cosciamente, gli fece cenno di seguirlo fuori di lì: «Andiamo Av, facciamoci un giro». E così subentrarono nel primo corridoio, a pian terreno. Avery lo aveva seguito, fino a posizionarsi al suo fianco. Camminavano velocemente, i loro pensieri volavano da una parte all'altra del cervello, sembrava quasi che stessero conversando mentalmente. Cosa possibile, ma non vera. Avery cercava il modo giusto per dirglielo, non sapeva che reazione avrebbe avuto Tom, era abbastanza scettico ma sapeva che prima poi andava detto e affrontato.
«Lumacorno starà cercando tutti i suoi prediletti, non vuol mica mangiare da solo stasera». Incominciò allora.
«Tutti quei convenevoli e quelle frasi fatte, sarà davvero qualcosa di terribile». Rispose Tom mettendo le mani nelle tasche e schioccando un'occhiata ad una ragazza serpeverde che portava la gonna sopra al ginocchio, una cosa impensabile negli anni venti. Lo sguardo del Prefetto era di disapprovazione, avrebbe dovuto riprenderla ma si divertiva un sacco a vedere quelle finte mode sulle divise, persino sconce.
«Quel vecchio rimbambito mi starà ancora cercando per incastrarmi ma non ho intenzione di dargliela vinta». Digrignò tra i denti Avery.
«Non chiamarlo vecchio rimbambito, ci sarà molto utile». Un sorriso profanatore sul viso di Marvolo, l'amico annuì suo malgrado, pensando che non avesse tutti i torti.
«L'ingresso è meno affollato, andiamo». Disse Av aumentando il passo, Tom sapeva da fin troppo tempo che l'amico gli nascondeva qualcosa, che c'era un segreto cospiratore. Prima o poi sarebbe uscito fuori e Riddle aspettava solo che Avery gliene facesse parola, altrimenti non avrebbe risparmiato le maniere forti, che tutti temevano al sol pensiero, su di lui.
Arrivarono presto a destinazione e la prima cosa che notò Tom fu una chioma rossa ed una nera, nacque dentro di sé uno stato angosciante. Ancora lei? Possibile che il castello fosse così piccolo? Possibile che se la ritrovava sempre davanti? Quella ragazza aveva problemi gravi e dopo il loro ultimo incontro non potevano odiarsi di più.
Digrignò i denti rivolgendo lo sguardo altrove e si riconcentrò sulla conversazione con l'amico.
«Verrai ad Hogsmeade?»
«C'è la cena Av, non farei in tempo». Rispose scocciato, uscendo dall'ingresso ed entrando di qualche passo nel cortile.
«Di' la verità: sia Hogsmeade che il lumaclub hanno nettamente un tempismo da far schifo».
"Sì, Avery. Due eventi inconcepibili." pensò Tom, eppure non lo disse, si costrinse semplicemente ad annuire, sentiva di esser osservato, sentiva la schiena bruciargli così come la mano della scottatura ancora viva. Poi i suoi vaghi pensieri furono interrotti, qualcuno gridò i nomi di entrambi i ragazzi e Senior non trattenne una smorfia di disappunto.
«Mr Riddle, Mr Senior! Proprio voi stavo cercando!» era una specie di zecca, quella mattina tutti quanti avevano deciso di recarsi nell'ingresso, a Tom prudevano le mani ed aveva tanta voglia di urlare ed inveire contro qualcuno.
«Professor Lumacorno!» si girò di scatto Riddle sfoggiando un sorriso breve e lusinghiero.
«Siete eccitati? Avery, sarà da una settimana che ti cerco! Non puoi mica mancare stasera! Alle sette, siate puntuali!» disse tutto pimpante e sovreccitato. Senior, a modo suo, annuì e Tom trattenne un sorriso di divertimento.
«Va bene professore, ora ci perdoni, ma stavamo andando in Sala Grande » la scusa non reggeva ma Lumacorno era così spensierato e sovrappensiero che acconsentì con un sorriso. E così, immediatamente, i due si allontanarono dal cortile, entrando di nuovo nell'ingresso e ritornando sui loro passi, scocciati ed affranti.
Mentre Tom camminava al fianco di Avery in silenzio non poté non sentire la conversazione che ne proseguì alle sue spalle.
«E voi! Cosa fate qui? Tutti questi studenti che pascolano dalla mattina alla sera, andate su su!» non capì a chi si stesse riferendo. Non si girò neanche a vedere la scena, seppur dovesse essere qualcosa di divertente.
«Cosa hai combinato, tu? Oh, che brutta scottatura, e per di più a tutte e cinque le dita! Un po' imbranata, vero?» altra frase, Tom guardò Avery corrucciando le sopracciglia. Questa volta non poté non girarsi, il professor Lumacorno stava confabulando vicino al gruppetto corvo-grifo. Ma non riuscì a capire a chi dei tre era rivolta quella frase.
Boccheggiò, aveva trattenuto il respiro senza nemmeno accorgersene, ormai erano lontani dalla scena d'intrattenimento e Avery aveva ricominciato a parlare.
«Quella rossa Corvonero, è così stupida».
«Chi non lo è, Av?» rispose di rimando Tom, non era veramente concentrato.
«Il grifone, in Sala Grande, stava dicendo un po' a tutti che sarebbe uscito questo pomeriggio con lei, "Hogsmeade: il ritrovo dell'amore", diceva. Non pensavo che le persone potessero arrivare a tanto». Un pettegolezzo superfluo, a chi importava veramente?
«Non è lei il problema Av ». Sbottò il Prefetto.
«E chi?»
«L'amica, quella ragazzetta così brutta e frivola» si lasciò scappare senza ritegno.
«Cos'ha che non va, Tom? Ti dà fastidio? Si è infatuata di te o cosa?»
«E' solo un fardello, vuol per forza giocare con il fuoco».
«Sì, infatti s'è bruciata l'intera mano, che stupida». Quella frase non era una metafora o comunque una cosa passeggera, Avery stava alludendo a qualcosa che Tom non aveva captato prima. Il Prefetto girò l'intero busto verso l'amico e smise di camminare.
«In che senso Senior?»
«Non hai visto? Aveva la mano completamente avvolta. Persino Lumacorno l'ha notato. Per caso dormivi, Tom?» gracchiò l'amico. Riddle stava guardando davanti a sé e la mente lavorava avanti e indietro, con avidità e circospezione. Cosa diamine gli passava per il cervello? Aveva costatato appena due giorni prima che quella ragazzetta non aveva né la forza né la volontà di rubare il libro. E allora la scottatura? Non ce l'aveva la sera dell'assalto, che l'avesse trovato per sbaglio? Che l'avesse veramente rubato e nascosto senza toccarlo ed infine aveva ceduto? C'erano troppe ipotesi e nessuna veramente valida. Si sentiva quasi uno stupido a pensare ad una Corva così ingenua e indifesa, così poco capace.
Eppure prima che scomparisse gli aveva detto che lei sapeva. Ma cosa?
Nel frattempo l'amico lo guardava in modo aspro, voleva capire, lo stava quasi per scuotere.
«Sai...» inizio Senior, ma non concluse perché la frase venne completata da Tom: «sai per caso se lei andrà ad Hogsmeade?» l'aveva detto tutto d'un fiato, pauroso di essere capito.
«Dovrebbe, in fondo è l'amichetta del cuore della rossa. Perché, Tom? Vuoi dirmelo o hai intenzione di mantenere il segreto?» era infastidito e di malumore.
«Non sono l'unico a mantenere dei segreti, vero Senior?» digrignò il Prefetto del tutto alterato, «ci vediamo stasera alle sette, se farò tardi non preoccuparti».
Così Tom con le mani nelle tasche ed un'aria corrucciata, ritornò a camminare nel verso opposto questa volta, con due pensieri nella sua flebile mente: Hogsmeade, la meta più ovvia. E poi un paradosso, una cosa che non riusciva a capire, qualcosa di altamente inconcepibile: le bugie.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S: Oh wowowowowowowowowow. Siete arrivati fin qui! Una speeecie di miracolo u.u .
Inizio con lo scusarmi degli errori! Solo ora ho avuto tempo di revisionarlo e vado un sacco di fretta..., ed io odio essere di fretta! Passerei intere giornate solo a scrivere beatamente di questi due piccioncini(?).
E' un capitolo interessante, entra in gioco un nuovo personaggio molto, ma molto importante! Anche Avery avrà la sua parte, una parte assai complessa, importante quasi come i personaggi principali.
Ehehehehe, curiosi? Beh, sarà assai divertente! °^° Ringrazio, inoltre, tutte le persone che hanno risposto ai miei messaggi, che hanno recensito, che hanno intrapreso una conversazione con me grazie a questa storia, tutte quelle persone che mi sono vicine, mi spronano e mi aiutano.
Devo anche dirvi che ho aggiornato un giorno prima perché domani non posso. E la cosa mi addolora. Un sacco. Sono inviperita per ciò che è successo in questa settimana e che mi ha portato ad anticipare e a prolungare i tempi!
Cosa ve ne pare di Senior? E i comportamenti di Riddle? Cosa farà il nostro giovincello? E il trio per hogsmeade? e.e Entrerà un altro personaggio nel prossimo capitolo? HAHAHA, lo scoprirete nella prossima puntata, ovviamente!
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamenti settimanali ©
Il quarto capitolo arriverà Mercoledì 30 ottobre.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** IV- ***








Mancava un'ora all'incontro nel cortile. Tutti gli studenti erano stati invitati a munirsi di ombrello e mantello col cappuccio. Erano quasi pronti. Anche i professori, eccetto Lumacorno. Aveva un lumo per corno.
La battuta più squallida che avesse mai sentito. Tralasciando futili particolari, mancava ancora un'ora al raduno per Hogsmeade, poco gli importava sinceramente ma aveva promesso a Madame Rosmerta* che si sarebbe presentato al pub: giusto per un bicchierino di whisky incendiario, nulla di più!
In fondo quella sera doveva intrattenere una cena razionale e del tutto perfettina con i suoi studenti, non poteva mica far la figura del poco-sobrio?
Nel frattempo che il tempo scorresse via, si trovava nel suo stanzino personale, osservava attentamente le pozioni di quella settimana che avrebbe dovuto usare da campione nelle lezioni. Stava cercando di catalogarle in base agli anni, e la cosa richiedeva più tempo di quanto si fosse aspettato.
Fece scivolare la scala mobile da una parte all'altra dello stanzino e salì i primi tre gradini pronto a compiere la dodicesima ispezione.
Rimase leggermente a bocca asciutta però.
Il dodicesimo scaffale sul lato destro era la parte che curava il meno possibile, erano pozioni che non avrebbe di certo spiegato agli studenti, alcune erano quasi inutili. Proprio come quella lì.
«Dove diavolo si sarà cacciata...?!» borbottava da solo, ficcando entrambe le mani sull'intero davanzale.
Ma, possiamo dirlo, di quella piccola bottiglietta distinta semplicemente dall'etichetta non ce n'era traccia.



Pioggia che scendeva copiosa dal cielo, lasciava tracce ovunque, era abbonante, strana, quasi acida. Il cielo era scuro, le nuvole avevano perso ogni segno di una purezza antica, bianca. Il terreno impregnato d'acqua, faceva uno strano rumore ad ogni passo umano. La lunga tunica nera sfiorava l'erba, le mani erano racchiuse con cura nelle tasche, le labbra screpolate, uno sguardo vacuo e indiretto. Era quasi arrivato sotto il grosso albero. Non riuscì e non volle trattenere un sospiro di sollievo. Quando scomparì, sapeva di non esser stato intercettato da nessuno, sapeva che avrebbe potuto girovagare perfino nudo, ma l'eccitazione della giornata impediva chiunque di concentrarsi veramente sulla realtà. Quel giorno erano tutti dispersi in un mondo parallelo, un mondo che non avrebbe mai preso forma, un mondo fatto di sogni, quei sogni in cui tutti noi crediamo ma che, ovviamente, rimangono paralleli, impossibili da incontrare o incrociare per sbaglio. Anche lui camminava al fianco dei suoi sogni, ma era convinto che quella vicinanza si accorciava ogni giorno di più e che ci sarebbe riuscito a raggiungerli. Erano tanti, ma lui, in fondo, era potente. Troppo. La quiete di quel posto riusciva a distruggergli i timpani, la pioggia che picchiettava regolarmente sul vetro lo irritava. Si inumidì le labbra con la lingua, e si coprì meglio con il cappello del mantello. Aveva le mani gelate strette in un pugno, gli occhi gli pizzicavano, il freddo di quel giorno si stava impossessando di lui. Quasi per sbaglio.
Quando uscì dal luogo inatteso, sentì di nuovo la pioggia piangere sul suo viso, e gli stivali affondare nelle pozzanghere profonde.
I suoi pensieri vagavano lontani, non era lucido o stabile, ma semplicemente convinto. Doveva trovarla, era una sensazione, era pronto e sicuro di riuscirci. La rabbia lo stava accecando. Tanto da renderlo un'altra persona. Aveva quello strano sapore di piscio.
Nel frattempo, in modo consueto e dallo sfondo dolciastro, le strade di Hogsmeade sprizzavano di studenti e maghi adulti. Tutti, seppur la pioggia sembrava impedirlo, erano lì a far compere, felici e spensierati come doveva essere.
Mielandia era gremita di clienti scorbutici e rozzi, tutti alla ricerca del dolciume perfetto. Tra i tanti, Alexander teneva sotto braccio la giovane Fiabetta, e Mirtilla insieme all'amico incomodo si trovavano qualche metro più dietro, intenti ad aprire una conversazione sensata e senza destare troppo imbarazzo nelle frasi.
Mirtilla, personalmente, non riusciva a capire da dove provenisse tutta quella pazienza, la sua psicologia spingeva lei e il suo corpo ad istinti omicidi verso l'amichetta del cuore. Eppure, vedendola così felice vicino ad un ragazzo, seppur davvero odioso, la rincuorava un po'. Lo sforzo che stava affrontando quel giorno non era invano, almeno (lo sperava).
«Ragazzi! Usciamo, comincio a soffrire di claustrofobia» boccheggiò senza risultato la mora. Fiabetta si girò sorridendole a trentadue denti, aveva uno strano luccichio negli occhi che, doveva ammetterlo, l'innervosiva.
«Andate avanti tu e Kar! Vi raggiungiamo subito».
«Vi raggiungiamo subito» scimmiottò Mirtilla proseguendo Kar, perché l'amico carota che Alexander le aveva rifilato, si chiamava Kar ed era una specie di peperone rosso, con una miriade di lentiggini cadenti sul naso e i capelli corti, rivolti all'indietro: erano instancabilmente arancioni.
I due si ripararono con i cappucci dei mantelli, c'era un certo impaccio e mancanza di fantasia. Aspettarono l'uscita dei presunti piccioncini. In verità Fiabetta, doveva ancora capire se Alexander facesse per lei o meno, ma nel frattempo si divertiva e credeva che anche Mirtilla stesse trascorrendo una buona giornata. Una povera ingenua, dal viso imbronciato e gli occhi assonnati non poteva trarne il meglio, eppure l'aura positiva che aveva addosso quel giorno, la spingeva a crederci.
«Caramella?» chiese Fiabetta a Mirtilla, lei scosse la testa guardando con un certo disappunto Alexander.
«Stavamo pens-... mmh». Quest'ultimo stava mangiando della roba incorrisposta fatta di cioccolato e di altre sostanze sconosciute.
«Sì, insomma stavamo pensando di camminare un po' invece di rinchiuderci in uno stupido locale» continuò Fiabetta saltellando su una gamba sola.
Kar era un ragazzo abbastanza impassibile, aveva costatato in precedenza la piccola Malcontenta, quindi non si meravigliò quando lo sentì esclamare:
«Avete qualcosa in mente». C'era arrivata anche Mirtilla, eh. Non è che doveva perennemente fingere d'essere così stupida e brutta persino interiormente.
«Sì!» sorrise Alexander,«vogliamo andare alla Stamberga!»
«La Stamberga Strill-... ehi!» qualcuno aveva spinto Mirtilla, facendola barcollare e arrabbiare contemporaneamente.
«La Stambera Strillante, esatto Mirty. Più che una passeggiata io opterei per una corsa, comincia a piovere più forte».
"Correre come elefanti in calore su una strada stretta ed affollata, che magnifica idea", l'aveva pensato Mirtilla che senza ascoltare il resto della conversazione venne spintonata da Kar e incitata a correre. Ma lei poco lo fece. Anzi, la strada in pendenza era persino scivolosa e non aveva di certo perso tempo a contare tutte le volte che lei e l'amico carota erano caduti provocando dei ruzzoloni abbastanza dolorosi.
Ci misero non più di dieci minuti per arrivare e con sederi doloranti e mani graffiate, riuscirono a raggiungere gli altri due compagni del giorno. Avevano quell'aria così innocente che Mirtilla proprio non riusciva a mandare giù. Le mani le dolevano un sacco e neanche Kar si trovava in una situazione migliore. E - avrebbe dovuto capirlo prima- quell'idea della Stamberga era stata così affrettata che era impossibile non considerarla totalmente stupida. Da lontano, finalmente, scorsero la casetta in pendenza, intorno ad essa aleggiava una strana nebbia, lasciava intravedere appena le finestre e il cortile e non conservava neanche un briciolo di erba fiorente.
Anche a quei tempi - anni ancora ignoti a noi- si diceva che la casa fosse infestata da qualcosa di incomprensibile, che non fosse nulla di buono. Forse oscuro, ma ovviamente tutto era smentito in gran parte, le leggende giravano a gran voce ma nessuno alla fine perdeva del tempo a crederci e ad immaginare nuove storie da raccontare alle generazioni future.
Mirtilla si strinse nelle spalle, distanziava di pochi passi dall'amica, lo sguardo ricadeva tiepido sulla casa degli orrori - se proprio doveva esser soprannominata- e la pioggia sembrava essere diminuita appena. Chissà, forse il vecchio e indimenticabile professore di Storia della Magia stava radunando gli studenti per raccomandarli in qualche negozi all'asciutto e forse la gita sarebbe finita prima del previsto, ma tutto questo loro non potevano saperlo, erano lì, davanti a qualcosa che a Mirtilla poco interessava e i compagni avevano l'aria quasi eccitata.
«Da qui si vede malissimo», affermò Alexander, dava la schiena a Kar e alla mora, stringeva sotto braccio Fiabetta, e le sue possenti spalle - solo allora Mirtilla se ne accorse- erano perfette per un battitore.
"Battitore, grifondoro e apparentemente bello, cosa vuoi di più dalla vita Betta?" pensò Malcontenta scuotendo appena il capo.
No, non faceva per la mora, troppo altezzoso, con quell'aria coraggiosa e quel portamento fiero, ma lo era veramente? Una domanda che frullava da troppo tempo nella mente di Mirtilla. Kar si era avvicinato a lei, era al suo fianco e guardava la casetta, immerso in una foschia di pensieri: aveva la fronte corrucciata e non sembrava troppo preso dal battibecco che stava per nascere.
«Dovremmo avvicinarci» aveva continuato il grifone.
«Scavalchiamo!» trillò Fiabetta.
«Scordatevelo» aveva affermato quindi la mora.
Dopo di ciò, alcune frasi futili ne seguirono. Convenevoli per convincere Mirtilla e Kar, ma, si sapeva, i due boccioli non avevano alcuna intenzione di portarsi dietro anche i "terzi incomodo". O almeno, questo era il ragionamento di Alexander.
«Aspetteremo qui!»
«Sotto la pioggia, Mirty? Vi prenderete un malanno!»
"Già fatto cara".
«Allora andremo ai Tre Manici di Scopa, v'aspettiamo lì entro un'ora». La diplomazia di Kar colpì ed affondò tutti i componenti del gruppo. Mirtilla si trattenne nell'alzare gli occhi al cielo: l'idea di rimanere da sola con quella specie di carota vivente non era di certo nelle sue intenzioni e soprattutto doveva condividere una lunga passeggiata fino al villaggio dove avrebbero dovuto parlare e conversare amabilmente giunti alla locanda.
Era un flashback che si ripeteva lentamente e dolorosamente nella mente della giovane.
Strinse le braccia al petto e indietreggiò di alcuni passi: non era d'accordo, era persino diffidente.
«A dopo allora!» le conclusioni furono prese e Kar, senza alcun preavviso, afferrò il polso destro di Mirtilla trascinandola lontano da lì. La giovane ragazza non riuscì neanche a spicciar parola, il ragazzo-carota glielo impedì mentre la spingeva lungo la strada da poco percorsa nel verso opposto.
Quando arrivarono al villaggio, Mirtilla dovette mettere a fuoco la vista e cercare di orientarsi istintivamente. Fiabetta era su quel monte, da sola, con una specie di ragazzo tutto muscoli -senza cervello. La cosa doveva piacerle? Ma quelle paranoie dovevano finire, era diventata stancante persino per lei.
«Cosa... hai...» l'attenzione della Corva fu presto, di nuovo, rapita da Kar, che aveva lasciato il suo polso leggermente arrossato ed ora camminava a passo spedito verso i Tre Manici di Scopa, « fatto alla mano?» alludeva alla fasciatura intorno alle cinque dita, le bruciature le dolevano di meno, ormai si stavano formando piccole bollicine insignificanti.
«Un piccolo incidente di percorso», si limitò a rispondere Malcontenta.
«E questo percorso implica del pericolo?»
"Curioso il ragazzo", pensò lei.
«Può darsi, ma noi Corvi siamo persone intelligenti e logiche, quindi non c'è da preoccuparsi».
«Ma io non mi stavo preoccupando» ammiccò Kar, stringendosi nelle spalle, Mirtilla non ribatté, lasciò quasi cadere l'argomento appena vide dietro l'angolo l'amata locanda. Quanto tempo era passato da quando quei due s'erano rifugiati nella casa degli orrori? Sperava un sacco, non aveva intenzione di rimanere per più di venti minuti seduta alla stesso tavolo insieme all'apparente grifone temerario.
«Siamo arrivati» sospirò Mirtilla.
Aprì la porta di legno e si ficcò all'interno del luogo. Un locale ampio, poco illuminato e perennemente impregnato da uno strano odore di alcol e di caramello. Maghi e streghe sedevano a grossi tavoli di legno, il bancone era situato all'entrata del locale e i baristi, di solito, non superavano le due persone. Gli studenti, alle volte, non erano ben graditi, ma sembrava che quel giorno avessero permesso il loro ingresso, erano in vena di vendere burrobirre.
«Ordino al bancone, tu puoi...» disse Kar.
"Occupare già un tavolo" concluse mentalmente la frase Mirtilla mentre si dirigeva in un angolino luminoso, vicino alla finestra, appartato, statico, leggermente sporco.
Da quel punto non si poteva vedere molto, la strada era una distesa di acqua e di fango, lo scrosciare della pioggia stuzzicava la mente di Mirtilla che con un sospiro di -poco- sollievo, inclinò il capo e si lasciò andare per un nanosecondo al rumore del locale.
Aveva la brutta sensazione di essere osservata inconstantemente da quel brutto tempo. Aveva un presentimento antico, storto, addirittura strambo. L'aveva già detto che la pioggia non l'ispirava affatto? Se fosse rimasta al castello, sarebbe stato tutto più diverso. Anche una giornata cupa come quel giorno.
Lo sguardo era ancora perso al di fuori della finestra, gli occhi erano appesantiti e... ed è difficile raccontare ciò che successe poi, fu tutto così semplice e così pauroso da mozzare ogni briciolo di umanità. Ogni briciolo di lucidità.
Il tempo divenne qualcosa di lontano e tutto sembrò avvenire a rallentatore oppure troppo velocemente da esser notato o persino compreso.
Il fiato le mancò, il fegato si strinse a tal punto da scoppiar quasi, e la bocca semi aperta insieme agli occhi - ora spalancati- erano un subbuglio di incredulità. Le mani corsero vicino alla gola e cominciò a massaggiarsela, il corpo d'un tratto bollente, era diventato una massa bloccata.
Dall'altra parte del vetro l'aveva visti e non se l'era immaginati! O almeno credeva che così fosse.
Nessuno poteva darle torto. Nessuno poteva fermarla e farla ragionare.
Nessuno poteva dire che non fosse vero.
Erano neri. Quel nero più scuro del buio, o della pece, o dell'ebano.
Erano occhi infiammati, seguiti da lineamenti confusi con la pioggia, era stata una visione orripilante, forse perché raccoglieva quei tratti.
Lo scopo della gita era cercare di scrollarsi da dosso la sua presenza, ed ecco che veniva attaccata da crisi di un panico inesistente. Ed ecco che per puro sbaglio aveva visioni poco consone su Riddle.
Come era possibile?
Avrebbe voluto rispondere a tal domanda, avrebbe voluto alzare lo sguardo ed avere il coraggio di guardare ancora una volta fuori dalla finestra. Ma non ci riusciva. Le mancava ancora l'aria. E più spalancava le narici e più si sentiva soffocare.
«Ecco qui!» un urlo quasi, Mirtilla sobbalzò dalla sedia.
"Ma che razza di..."
Alzò la testa verso l'alto e si ritrovò il corpo di Kar davanti a lei.
«Ho portato io le due burrobirre» sorrise.
Mirtilla ricambiò e seguì i movimenti del giovane quando si sedé di fronte.
Ma la bocca si richiuse in fretta.
Gli occhi di Kar erano verdi.
Non erano neri.
Scosse la testa, intondendosi di più.
«Io non ho mai detto di volere questa bibita.» Sbottò la ragazza senza alcun preavviso. Il corpo era un subbuglio di tremolii.
«Oh, io non...» alzò appena il viso e per sbaglio o per non so cosa, fece incontrare i suoi occhi dal color di smeraldo, con quelli di Kar.
"Così neri... così scuri..."
Pensò.
Mirtilla aveva la bocca semi aperta (ancora) e continuava ad osservare il grifone. Davvero la sua mente aveva formulato tale stupidata? La seconda nell'arco di pochi minuti, per giunta.
Scosse il capo. Più che altro cercava di cacciare quei pensieri dalle orecchie. Ma chi voleva prendere in giro?
«Figurati, scherzavo». No che non scherzava. Il tono che aveva usato prima era perentorio ed accusatorio. Cosa diceva ora? Perché cercava di nascondersi? Perché ora stava osservando le vene intagliate su quel tavolo di legno? Perché ora non alzava più la testa? Si sentì la gola secca e bloccata, per questo decise di cominciare a sorseggiare la sua bevanda. Sperava ardentemente che Fiabetta ritornasse presto. La sua assenza stava avendo brutti effetti. Colpa dell'umidità? Della pioggia? Della nebbia? Colpa delle allucinazioni? Colpa dei suoi gusti personali? Beh, perché alla fine le piacevano gli occhi scuri, ma non così tanto da sognarseli.
Dimenticava che non era stata una cosa casuale però.
«Oh beh... oggi il locale non mi sembra tanto affollato...»
«No, infatti.» Rispose Mirtilla.
Non sapevano di cosa parlare. Diamine.
«Quest'anno...» cominciò la bruna, «devi affrontare i G.U.F.O., erro?»
«No. Infatti. I professori mettono sotto pressione. Pensano che così sia più facile.». Un tono morto. Troppo morto da sembrare vivo.
«Immagino non sia così, invece»
«Immagini bene» ammiccò. Mirtilla lo stava guardando negli occhi, ora. E lui se n'era accorto. Cercava -invano- di mantenere il suo sguardo. Era sicuro, al cento per cento, che lei voleva proprio questo; e non aveva tutti i torti.
La bruna, d'altro canto, non riusciva a capire. Non riusciva proprio a capire.
«Ti piace la pioggia?»
«No». Rispose Kar.
«Preferisci l'asciutto?»
«Decisamente»
«E scommetto che preferisci anche la solitudine alla compagnia».
«Cosa te lo fa pensare?»
"I tuoi occhi, Kar."
«Nulla. Penso che dovremmo aspettare gli altri fuori di qui.» se ne uscì così la corva.
«Ma siamo appena arrivati». E a Mirtilla sembrava che fosse passata un'eternità.
Malcontenta si alzò di scatto, lasciò un paio di galeoni sul banco e a passo svelto se ne uscì dalla topaia, tutto molto velocemente, non lasciò neanche il tempo a Kar di pensare o di elaborare una scusa per rimanere ancora un po' nel posto.
Le sembrava di esser diventata una palla da ping-pong. Era elastica, irrealistica, e statica.
Il vento gelido le invase l'intero viso, respirò con la bocca cercando di far scoppiare i polmoni, ma non ci riuscì. Aspettò di sentire i passi dell'amico dietro di lei, ma essi non si udivano. Doveva essere più sveglio quel ragazzo.
Aveva gli occhi chiusi, stava forse meditando?
Sentiva di tanto in tanto qualche gocciolina un po' sciocca caderle sul viso.

«Cosa c'è, Mirtilla? Ti senti forse chiusa in gabbia? Succede alle persone che dicono le bugie, lo sapevi?»

Non fu altro che un sussurro, Mirtilla spalancò immediatamente gli occhi e sentì il suo fiato sul viso, ma fu, davvero, solo un attimo. Non c'era nessuno davanti a lei se non maghi e streghe intenti a percorrere una strada scivolosa e bagnata.
Si girò di scatto e trovò il volto lentigginoso di Kar, insieme a quei due grandi occhioni verdi, così verdi e così intensi da far paura.
«H-hai detto qualcosa?» Malcontenta faticò a pronunciare la frase.
«Dicevo: hai dimenticato la tracolla sulla sedia, tieni». Ed ecco che le porse la sua borsa, la ragazza l'afferrò senza pensarci e mugugnò un 'grazie'.
In lontananza, finalmente, sentì una voce più familiare, meno allucinante.
«Penso che la gita sia finita ...» ammiccò Kar, era un sorriso tirato, gli occhi più spenti rispetto a pochi attimi prima. Quella frase aveva due significati diversi. Solo lei e lui, potevano capirlo. Era terrorizzata.
Corrucciò la fronte ed annuì appena. Rivolse un'ultima volta lo sguardo all'interno della locanda infine corse verso una Fiabetta tutta pimpante.


*Madame Rosmerta: in tal caso, la proprietaria dei Tre Manici non è colei citata nei film/libri, ma è la nonna.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S: Forse mi odiate *coft*.
BUON POMERIGGIO! Oggi è domenica eheheheh u.u, e come sempre ecco qui il nuovo capitolo nella nostra stramba storia.
Siete perplessi? Avete molti buchi neri? Siete totalmente spaesati? Il mistero s'infittisce?
Nel quinto capitolo capiremo molte cose e riusciremo a comprendere meglio su questo qui u.u .
Allora,allora,allora,allora(senzaspazio), come vi è sembrato Kar? Dubbi? Cosa c'è che non quadra? Forse è un rettangolo? u.u
Ebbene, sono troppo curiosa di capire cosa vi ha suscitato questo capitolo *w*, ero partita con l'input del "il quarto capitolo sarà obbrobrioso" ed invece ne sono soddisfatta u.u (nondirlotroppoforteVella!).
Prima di salutarvi devo ringraziare qualcuno:
-Tutte le persone che hanno e recensiscono questa storia.
- I lettori silenziosi.
-Coloro che in questa settimana mi hanno spronata ed illuminata sul contenuto di questo scritto.
-Tutte le persone che hanno aggiunto la storia nelle seguite/ricordate/preferite!
-Le quattrocento visite che ha ricevuto il primo capitolo!
Vi ringrazio immensamente, siete semplicemente magnifici.
Per qualunque dubbio, non osate chiedere e.e, ricordo che questa settimana, se riesco, verranno pubblicati degli spoiler nella pagina di Facebook u.u .
Unitevi a me °^°.
Ora vi saluto, ci vediamo un'altra volta Domenica 3 novembre alle 15.00 u.u.
Always.

___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamenti settimanali ©

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** V- ***








Un buio soffocante si espandeva sempre più in quella strana visione di vita, tutto era così scuro da prendere le sembianze di una notte senza stelle e senza nuvole, qualcosa di diverso in cui l'ambiente si perdeva in mille sfumature. Nero come la pece e verde come lo smeraldo. Quei due occhi così grossi e bisognosi di scorgere qualcosa si stavano perdendo in quello strano luogo, dove il mondo si era tramutato di nero e dove neanche i più confusi pensieri riuscivano ad instaurarsi e far spazio tra la realtà. Era un abisso, un oceano senza fine dove più si nuotava verso l'alto e più lo spiraglio di luce sembrava allontanarsi. Quei due grossi occhi verdi continuavano a chiudersi e a riaprirsi prepotentemente, si strofinavano, ballavano, giocavano, eppure non riuscivano ad abituarsi, perché quel buio era più forte della luce, più intenso, più esaltante.
La ragazza deglutì, e concentrò la vista verso il suo corpo, verso di sé, ma esso non c'era, il buio era la parte controproducente. Aveva quasi voglia di gridare: accendete la luce!
Ma chi l'avrebbe ascoltata? Chi, poi, l'avrebbe accesa per lei? Un risolino malsano e di nuovo la ragazza abbassò lo sguardo ma non scorse il buio.
C'era qualcos'altro, una nuova densità. Un nuovo sbaglio, non più nero. Il colore si era trasformato, ancor più forte, ancor più esorbitante, quasi da mozzare il fiato. Mirtilla era lì per lì, pronta a dire la sua, ad esprimere qualcosa ma non ci riuscì. Tutto le morì in gola, fino a che non arrivarono i primi conati di vomito. Anch'esso di quel colore. Anch'esso di quel sapore. Ormai il nulla era diventato sangue. Un misto incorrisposto di quella sostanza rossastra, quella cellulosa e quel liquido agonizzante dove il sapore del ferro e dell'amaro si intersecavano tra le labbra e la lingua lasciava un ultimo schiocco sotto al palato prima che un urlo scagionante non uscì fuori. E così ritornò anche il fiato. E così il sangue scomparì. E così Mirtilla si ritrovò nel suo letto, stringendo le lenzuola intrise di sudore e la bocca spalancata.
Aveva la gola secca e per un attimo non riuscì a capire dove si trovasse. Aveva il fiatone e si sentiva stanca. Il collo le doleva e la fronte, come il resto del viso, imperlata da un sottile strato di paura e sudore. Aveva scacciato un urlo dalle viscere del suo corpo eppure nessuno era corsa in suo aiuto. Nemmeno Fiabetta. La stanza del dormitorio era semioscurata, solamente le stelle della notte lasciavano filtrare un minimo di luce. Decise, quindi, di accendere le candele e di dare una nuova forma alla stanza. Si alzò dal letto e si avvicinò a quello dell'amica ma non la trovò. Mirtilla stava per dir qualcosa ma a chi? Il letto era davvero vuoto e Fiabetta non c'era. Strinse le mascelle e fece retromarcia avvicinandosi circospetta al suo baule. Scattò la serratura e aprì senza troppe cerimonie, così da scoprire tutto il suo immenso tesoro. Un piccolo sorriso le affiorò sulle labbra ma fu solo un attimo perché chiuse quasi immediatamente e rifece scattare la serratura ricordandosi d'un tratto che non si trovava lì ciò che cercava. Era nella borsa. La borsa che l'aveva accompagnata nelle sue peggior camminate, come quella ad Hogsmeade. L'afferrò, ma già al tatto delle dita capì che qualcosa non andava, o meglio, qualcosa non c'era. L'aprì di getto e strinse di più la stoffa nelle mani.
"Porco balocco, oh... no..." le parole continuavano a cadere nella sua mente e gli occhi così verdi di Mirtilla si intensificarono ancor di più nella borsa. Leggeri capogiri le trapassavano il corpo, e per un attimo credette di star riassaggiando il sangue dell'incubo. Era un sangue amaro, proprio come quello che scorreva nelle sue vene, e infine, inevitabilmente, le sue mani si conficcarono nella carta, strinsero quel fogliettino minuto, e lo tirarono fuori dalle viscere della borsa. Stava per mettersi ad urlare appena lo aprì. Appena sentì la pelle bruciarle incandescente sotto quella calligrafia che non aveva mai visto ma che sapeva perfettamente a chi appartenesse.
Sentì, per la seconda volta, la lingua schioccare sotto il palato e un conato di vomito assalirla in modo perentorio.



Erano due grosse mani affusolate che continuavano a rincorrersi e a piacersi nella morsa di quello stesso corpo. Il rumore della bottiglia di vetro che tintinnava vicino ad un bicchiere dello stesso materiale riecheggiò pacamente nell'aria. Era tardi, così tardi che gli stessi presenti non sapevano dare un orario preciso. Sicuramente, e si sperava, sarebbero stati congedati da lì a poco. Tutti, chi più chi meno, erano stanchi e senza farsi vedere, si lasciavano andare a qualche minuto di sonno sulle comode poltrone in verde mentre il professor chicchessia continuava il suo monologo senza tregua.
Tom prese con veemenza il bicchierino che gli era stato allungato e buttò giù il liquido aspro e intriso di amarezza senza fiatare o lasciar intravedere sintomi di disgusto.
Il professor Lumacorno, dopo aver distribuito la bevanda, si sedette nuovamente sulla sua poltrona in velluto verde e mentre si accarezzava la barba spigolosa, lasciava galoppare le sue prediche e i suoi mille pensieri.
«Signore, scusi se mi permetto, ma lei cosa intende con..."prima di tutto l'impegno"?» diceva uno il cui nome era davvero un mistero per il Prefetto.
«Mr Calfed, beva e le sarà tutto più chiaro!» e così una risatina generale, lasciata andare in modo poco ritmato, accompagnarono la frase del vecchio.
Riddle girò la testa e incontrò gli occhi fugaci di Avery: guardavano da una parte all'altra della stanza e non osarono mai posarsi su di lui. Il Prefetto avrebbe voluto sbuffare sonoramente, o peggio, alzarsi da quella poltrona mal ridotta e ritirarsi nella Sala Comune. Quella cena stava diventando un carcere, e pensare che avevano il permesso di rimanere alzati fino a tale orario solo per l'onorario Lumaclub.Rovinata, così, ogni scusante per svignarsela.
«Professore non crede che negli ultimi tempi abbiano stabilito regole troppo rigide?» e le domande volavano.
«Ad esempio?» approfondì l'uomo.
«I week end ad Hogsmeade sono stati dimezzati per ragioni che non si conoscono ...»
«O peggio! La foresta è un luogo troppo proibito!» aggiunse una voce gracchiante femminile. la cui frase non aveva alcun senso o movente.
«Vogliamo parlare della biblioteca? Anche lì c'è un'ala proibita, ma nessuno si prende la briga di dirci il perché lo è! E a cosa serve visto che non può essere sfruttata!» Un'altra voce femminile di poco conto insinuava quell'argomento che non stava più tanto scomodo a Tom.
«Ragazzi, ragazzi! Le vostre supposizioni sono davvero poco astute, e poi mi sembra tutto così ovvio!» scherzò Lumacorno lasciandosi scappare diversi sorrisi.
«Professore, allora in quell'ala proibita noi che ci troviamo d'interessante?» la voce di Riddle si schiarì senza pretese e il professore, girandosi lentamente, arrivò al punto di far incontrare i suoi occhi con quelli del ragazzo.
Tossicchiò un po' di liquido.
«Tom, sono libri poco consoni a voi studenti». Era una risposta cantilenata e che a primo impatto sembrò inutile e inesauriente.
«Come ad esempio, professore? Che tipo di libri? Dobbiamo preoccuparci?» cercò di portarla sullo schermo il Prefetto, ma in verità voleva sapere di più, voleva raggiungere i suoi fini.
«Ma certo che... no! Sono libracci, mi sembra ovvio, no?» Per Lumacorno tutto era terribilmente ovvio.
«Mica tanto». Rispose uno degli studenti.
«Oscuri. E' oscurità che potrete apprendere nelle lezioni di Difesa contro le Arti Oscure e quindi, se quell'ala non deve servirvi per giuste cose, è inutile parlarne!»
«Non sono poi così sicuro che le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure ci aiutino veramente a difenderci, professore». Concluse il Prefetto, Lumacorno deglutì e rise nervosamente.
« Non è compito vostro giudicare! Altro giro di bicchierini, ragazzi?» un sorriso mellifluo e una domanda incorrisposta.
Nel frattempo Tom notava la rigidità di Avery e quanto il ragazzo non avesse proferito parola in quell'unico argomento assai stupido eppure così di fondamentale importanza; ma dimenticava che lui non poteva sapere e che Avery non fosse l'unico a rimuginare sulle sue scelte e su come si muoveva. Anche Tom cominciava a comprendere i primi errori.
Infatti, pur non avendolo fatto fino ad allora, si girò verso l'orologio a pendolo situato alla fine della stanza e, scorgendo l'orario, un piccolo sorriso di una vittoria non ancora cantata, gli affiorì sulle labbra: a quell'ora il primo errore era stato portato a termine e già si poteva pregustare la rabbia ribollente che aveva fatto implodere all'interno della persona destinata.



Quella mattina tutto sembrava esser tornato alla normalità, il tempo aveva sprigionato la sua angoscia e la pioggia incorniciava l'inizio.
Mirtilla era seduta sulle scale a chiocciola che portavano alla sala Comune Corvonero. Aveva lo sguardo perso davanti a sé, e non focalizzava su nessuna delle persone che le passavano dinanzi. Teneva ben stretto tra le dita il pezzo di carta bianca ormai tutto stropicciato e se ci fosse stato scritto qualcosa, non era ormai più leggibile.
Deglutì e si accorse che aveva il battito accelerato, forse perché i suoi pensieri erano talmente insensati e falsamente profondi da renderla turbata.
Quella mattina era prevista la seconda lezione di Cura delle Creature Magiche e sperava, con tutta se stessa, che fosse stata rimandata per via del cattivo tempo. Se non fosse stato così, l'avrebbe deliberatamente saltata.
Dopo aver trascorso la prima mezz'ora della mattinata su quelle scalinate imbrattate di gente che saliva e scendeva, in corrispondenza all'inizio della colazione, si diresse verso la Sala Grande. Quel giorno tutto era meccanico. I movimenti accadevano pian piano, come un via vai di emozioni contrastanti e, sinceramente, Mirtilla si sentiva una scarica di adrenalina, paura e di etereo sarcasmo-rabbia scorrerle nelle vene. Strinse i denti e chiuse le mani a pugni appena fece il suo ingresso nella Sala. Era gremita di persone. I piatti e i calici traboccavano di buon cibo e tutto passava nella mente della giovane come un affare debole e di poco conto. Malcontenta si fermò sul ciglio e cercò - invano- di non rivolgere lo sguardo verso il tavolo dei Serpeverde.
Ma lo fece. Inconfutabilmente. E il risultato fu che non vide nessuno. Almeno, non colui che le interessava. In quel momento il sangue si trasformò in lava incandescente e la pazienza che aleggiava nell'aura della ragazza cominciava a mancare.
«Mirty!» una voce squillante interruppe il flusso macabro che era nato nella mente di Mirtilla e Fiabetta era corsa al suo fianco con un sorriso raggiante e degli occhi luminosi.
«Betta...» rispose fiacca Malcontenta, sinceramente per lei quella ragazza era come una visione lontana.
«Cosa ci fai qui? Andiamo, su... entriamo».
«N-no». Rispose di rimando la bruna. Fiabetta inclinò leggermente il capo e alzò un sopracciglio in cerca di una risposta.
Fiabetta credeva che Mirtilla se ne fosse accorta. Fiabetta pensava di non esser passata inosservata. Tutto era un misto di esasperazione.
«Devo andare Betta, io... non mi fermerò a far colazione oggi».
«Perché?»
«Non ho fame, credo.»
«Ma... devo raccontarti tante cose! Insomma... avrai notato che...» si avvicinò lentamente all'orecchio di Mirtilla e continuò: «non ero nel mio letto questa notte».
La bruna inspirò aria dalla bocca e fece spallucce. Per un attimo le passò per la mente l'idea di sgridarla perché le aveva confessato il segreto.
«Sì sì, lo so... Betta ho... ho poco tempo, mi racconterai dopo». Le scuse scivolavano veloci tra le dita di Mirtilla, come sabbia.
«Mirty!» gridò a squarciagola Fiabetta, e la parola venne subito seguita da una stridente risatina. Era su di giri. Questo, a seconda vista (sempre se possibile), era ovvio.
Le prese la mano e la trascinò all'interno. Sorrideva languidamente ai passanti ed evitava spudoratamente le richieste di Mirtilla di lasciarla andare. Arrivarono al tavolo dei Corvi e con un tonfo la rossa si sedette, costringendo così anche l'amica a fare lo stesso.
«Dai Betta..., io non...»
«Niente ma! Insomma, è qualcosa d'importante! Mirty è... è...è stato qualcosa di... fenomenale!»
«...Cosa...?»
Mirtilla, rassegnata, poggiò la testa sulla mano e non prestò molta attenzione alle continue parole che fuoriuscivano dalla bocca di Fiabetta. Aspettò le giuste pause per sorridere e annuire acconsensiente e, di tanto in tanto, far finta di rimanere entusiasta. Odiava fingere anche con Fiabetta ma non c'era metodo migliore. Doveva scappare. Nel vero senso della parola.
«E quindi tutto è finito lì, nella Stamberga alquanto... romantica». Concluse Fiabetta. Sì, perché era arrivata alla conclusione e Mirtilla lo capì dalla pausa di silenzio che ne proseguì.
«Ma... cosa?» si ritrovò a dire. Betta corrucciò la fronte e, sibilando, le rispose: «Come... cosa? Mi stavi ascoltando sì o no?» Oh beh...
Non dovette giustificarsi d'altronde, presto qualcuno la salvò per sbaglio dalla situazione imbarazzante.
Un'ombra fugace apparì dietro le spalle di Fiabetta e quindi la bruna rilassò le spalle.
«Buon giorno ragazze!» salutò amorevolmente Alexander. Fiabetta si girò di scatto.
«Ciao Alex» fu poco più di un sussurro, a malapena Mirtilla l'aveva udito.
«Allora? Andiamo Fià, abbiamo lezione». Anche Malcontenta aveva lezione ma all'uomo biforcuto poco interessava. E... cosa diamine significava Fià? Che razza di soprannome era? Oh, povera lei.
«Certo, certo. Prendo-subito-la-borsa-e-andiamo-via» veloce come un fulmine scattò in piedi e rivolse un sorriso all'amica.
«Vieni?» Mirtilla si guardò intorno, la Sala Grande si stava svuotando e se usciva in quel momento poteva essere localizzata, in qualche modo.
«No. Non ancora! Ci vediamo direttamente in classe». La rossa alzò un sopracciglio e non ebbe tempo di obiettare: Alexander già la stava trascinando fuori.
Bene, pensò la corva, devo solo attendere.
Attendere cosa? Stava scappando, oppure era alla sua ricerca?
Quando la situazione le sembrò più ragionevole e quando capì che era anche tardi, lasciò perdere quella specie di toast imburrato e uscì dalla sala insieme alla tracolla ed a uno sguardo guardingo.
Fuori pioveva. Era difficile scorgere qualunque figura, o movimento, per questo la bruna non si accorse di nulla. Per questo, e per altri svariati motivi, non notò altro.
Fu bloccata da dietro. Il respiro le mancò e di nuovo venne schiacciata sul marmo freddo del muro. Qualcuno teneva ferme le mani dietro la schiena. Chiedere cosa stesse succedendo era superfluo, le sembrava di aver già vissuto un simile momento.
«Guarda, guarda...» un sussurro, «... la dolce e poco stupida corva». Mirtilla strinse le mascelle e cercò, invano, di divincolarsi.
«Oh, lasciami» voleva urlare ma sapeva che quella mossa non le avrebbe per nulla giovato.
«Sta' ferma, da brava bambina.» sentì la sua risata e infine le labbra che si rilassavano in un sorriso tenue.
L'ombra rallentò la presa su entrambe le braccia e con violenza girò il corpo di Mirtilla. Ora la corva poteva vederlo in faccia.
Tom Marvolo Riddle era completamente bagnato.
A Mirtilla mancò per la seconda volta il respiro. Si drizzò e deglutì a fatica.
«Sono completamente zuppo. Ti aspettavo, sai?»
«E per quale motivo? Dovevo farmi umiliare?»
«E in questo modo non è sempre umiliante?» digrignò a denti stretti.
«Sì che lo è».
«Quindi perché non ti comporti come si deve? Da brava bambina?» la sua voce era calda, accarezzava la mente della giovane con maestria. L'aria si faceva sempre più pesante.
«Voglio quel libro: lo sai, lo sappiamo». Mirtilla scosse la testa.
«Non so di cosa tu stia parlando».
Tom sorrise: «Oh, sì invece. Lo sai fin troppo bene».
«Te lo ripeto: non so di cosa tu stia parlando!»
Tom strinse forte le mascelle e afferrò con prepotenza le cinque dita scottate della giovane insieme alla sua di mano, mettendole entrambe davanti agli occhi della giovane.
«Oh, e dimmi: qualcuno cercava di appiccare il fuoco cominciando dalla tua mano e finendo con la mia? Mi stai sottovalutando Malcontenta e la cosa non mi piace».
La bruna si staccò dal muro e lanciò uno sguardo pieno di crudeltà e finta ammirazione verso il Prefetto.
«Io, credo invece, che sia tu a sottovalutare la situazione».
Tom si avvicinò di nuovo facendo indietreggiare la ragazza. I capelli neri bagnati dalla pioggia gli davano quell'aria così tremendamente antiquata e... sexy.
«Voglio il libro». Costatò il moro.
«Voglio il quaderno». Costatò la mora.
«Un patto equo». Rispose Tom.
«Quando?» Domandò Mirtilla.
«Questa notte e non osare prendermi in giro». Un piccolo sorrisino si stampò sul volto del giovane e subito, senza aspettare o dare segno del suo cambio d'umore, schiacciò Mirtilla, con violenza, nel muro.
«Ripeto: è più conveniente presentarti senza fare stupidi giochetti.» Un sibilo davvero breve e poi il suo viso si avvicinò perentorio a quello di Mirtilla. La ragazza sentiva il calore entrare ed uscire tra i due corpi e il fiato caldo del Prefetto coincidere con il suo.
Per un attimo, un singolo attimo, pensò davvero che non sarebbe stato semplice scampare. Si trovò, senza volerlo, persino a dischiudere le labbra, quasi come se si aspettasse un avvicinamento maggiore, un bacio. Ma tutto ciò non accadde. No. Non accadde affatto. La magia della paura e il legame del patto che univa quei due si spezzò appena Riddle sussurrò deplorevole, a un palmo dalle sue labbra: «dolce e carina, sporca mezzosangue».
La mora spalancò gli occhi. Non osò spiccicar parola, non volle obiettare, e neanche menargli un ceffone in piena faccia, quelle parole stavano rimbombando ancora tra le mura del suo cervello. Sentì solo la sua presa ferrea sparire e il gelo occupare il posto del calore tenue. Sentì i passi di un essere ripugnante allontanarsi e l'esile corpo accasciarsi per terra senza alcuna voglia di riprendere istintivamente.
Era la prima volta che si sentiva bloccata, quasi come se quelle due parole la facessero davvero sentire sporca, sputate con quell'irruenza tale da rendere il momento ancora più tragico.
Non udì gli altri passi che si stavano avvicinando, i pensieri della giovane erano un tumulto e la domanda che più l'assillava era una: come ha fatto? Come ci sono capitata?
Come diavolo c'era riuscito? Il suo quaderno così terribilmente protetto... ed il segreto... e la voglia di spaccare le mura di Hogwarts, di uccidere, di sentire la rabbia affievolirsi: tutto ciò era davvero, davvero immane.
«Ehi!» un saluto, « ma cosa...?!» una specie di esclamazione, di nuovo del calore che la pervase. Mirtilla alzò appena gli occhi e vide un viso rosso, un viso familiare.
«Stai bene? Ti senti forse male?» domandava preoccupato Kar.
Mirtilla osservava i suoi occhi e continuava a scorgere il solito verde, la sua faccia infondeva tranquillità e quasi bontà. Nulla in lui assomigliava alla persona che aveva conosciuto ad Hogsmeade. Neanche quel sorriso che ora era così terribilmente simile a tutto il resto degli esseri umani. Non aveva nessun fascino. Non aveva quel fascino.
«Kar...» fiatò la corva.
«Come conosci il mio nome?» disse il ragazzo. Mirtilla alzò appena la testa e quando aprì bocca si ritrovò senza parole.
Come un'analessi che si faceva spazio tra i suoi ricordi, le mani che si chiudevano a pugno e un'irrimediabile ovvietà:

"Credere di conoscere una persona non è un'affermazione valida"

Era scritto sul foglietto.
La calligrafia. Il brutto sogno. La rabbia. E le inaspettate visioni. Tutto aveva una logica.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S:
Oh beh, no! Non è un miraggio! State tranquilli! Sono io in carne ed ossa u.u ed ho appena aggiornato di Mercoledì e alle sette di sera!
Siete liberi di inveire contro di me adesso, so di non aggiornare da DUE SETTIMANE! E tra poco scattava anche la terza ma, di certo, non immaginavo che il tempo si riducesse a tal punto da non permettermi neanche di dedicare del tempo ai miei amori :'(.
Ma, come sempre, sono risorta dalle mie ceneri e sono riuscita a concludere proprio oggi, credo di esserne soddisfatta, in parte, di questo capitolo.
E se siete ancora più confusi sappiate che è una caratteristica normale delle mie storie u.u, non riesco mai ad essere chiara, ho paura di cadere nel banale poi çç.
Cosa ne pensate del comportamento di Tom? L'ha fermata un'altra volta nel corridoio, tsk! E Kar? Cosa è successo veramente ad Hogsmeade? Il foglietto? E il quaderno cosa è in verità? Aspetto i vostri commenti *-*, il sesto capitolo arriverà tra una settimana e un paio di giorni xD, abbiate pazienza e sarete soddisfatti (o rimborsati) u.u.
Adieu, bella gente.
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamenti duo-settimanali ©
Il sesto capitolo arriverà Domenica 24 novembre.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** VI- ***










Il cinguettio degli uccelli era udibile in tutto il castello, le nuvole iniziavano lentamente ad allontanarsi lasciando spazio ad un sole tenue.
Era ormai metà mattinata. Un'alta figura girovagava per i corridoi vuoti con fare circospetto. I suoi capelli erano grigi e cespugliosi, la barba poco colta e degli occhiali a mezzaluna nascondevano il caldo grigio che caratterizzava le sue iridi.
Il lungo vestito da mago slanciava la corporatura, ormai sulla buona strada dell'invecchiamento; le prime rughe spuntavano qui e là sul viso pulito e agli angoli della bocca si potevano notare piccole zampe di gallina.
A quell'epoca era un bell'uomo.
Camminava lentamente tenendo stretto tra le dita una strana casacca celeste: forse era un altro pezzo d'aggiungere alla sua collezione di segreti.
Albus Percival Wulfric Brian Silente non aveva molto da fare quella mattina e la sua mente, inoltre, girovagava senza freno in zone sperdute e ancora inesplorate.
S'era fermato per osservare innocentemente il paesaggio del parco attraverso la finestra.
Uno strano odore di terra umida aveva inondato il suo naso e, ancora una volta, sentì gli uccelli cantare, leggiadri ed educati.
Si trovava al secondo piano, da lì era possibile osservare ogni singolo movimento che accadeva nel parco. Le pupille si muovevano da una parte all'altra, pronte a scorger qualcosa di non corrisposto.
In tanti pensieri, però, mai avrebbe immaginato di trovare una figura familiare.
Inarcò leggermente il capo e scrutò da lontano le spalle di Tom. Stava rientrando nella struttura e lo sguardo era tenuto costantemente sull'erba e su tante cose che poteva ipoteticamente attribuirgli.
Faticò a riconoscerlo. Ogni volta era sempre la stessa storia. Sul suo corpo e sul suo viso non c'erano più i lineamenti di quel bambino un po' stravagante incontrato anni prima.
Eppure, alla fine, bastava guardarlo negli occhi e tutto ritornava alla mente. Quello sguardo così misterioso, che l'aveva caratterizzato fin dai tempi dell'infanzia, non poteva esser cancellato. Era inesorabilmente il suo marchio.
Albus lasciò andare la visione del ragazzo e ritornò a squadrare il corridoio davanti a sé.
Non era poi così difficile immaginare cosa stesse accadendo. Strinse, ancor di più, la casacca azzurrognola e riprese il suo cammino.
Il ticchettio degli stivali era in sincronia con il canto degli uccelli e così anche i pensieri dell'uomo combaciavano con le sue azioni. Era ritornato indietro, non aveva continuato la sua lunga ed estenuante passeggiata; aveva fatto retro marcia consapevole di star per incontrare un alunno noto. In verità, volevo vederlo. Erano giorni che scampava al suo sguardo, ma è vero che anche Silente aveva alimentato questo allontanamento.
«Professore,» boccheggiò il ragazzo appena se lo ritrovò davanti. Tom ormai era arrivato quasi alla sua altezza, cresceva sempre più, senza freno, sia fuori che dentro,«cosa ci fa le-... oh... beh... è da tempo che non la vedevo». Faticò a concludere la frase, continuava a boccheggiar aria e nel frattempo si guardava le spalle.
Albus sorrise.
«Ti ho visto fuori, Tom. Cosa stavi facendo?» la voce calda dell'uomo rimbombò tra le mura, la sua quiete e il suo sguardo quasi innocente che riusciva a tirar fuori in qualsiasi situazione, diventò familiare. Era familiare.
Il Prefetto Serpeverde dischiuse appena le labbra.
«Controllavo i corridoi, professore».
«Capisco». Rispose l'uomo, avrebbe dovuto chiedergli perché non fosse a lezione ma non lo fece. Doveva fargli, forse, qualche domanda in più, insistere sulla questione. Ma non era mai stato il tipo. Lui non chiedeva, capiva perfettamente quando una persona era riluttante nel raccontargli qualcosa e per questo non osava andare oltre.
«Bene». Riddle voleva congedarsi.
«E, dimmi, trovato qualcosa d'interessante?» un sibilo breve ma udibile.
«No. Affatto.»Invece sì, Tom. Avevi trovato qualcosa di veramente interessante ed anche molto divertente. Tutto ciò era, per te, un semplice gioco di circostanza.
«Meglio così, i Serpeverde quest'anno non sono proprio in cima alla lista per la Coppa delle Case e mi avrebbe seccato dovere punire qualche testa calda». Si affrettò ad aggiungere.
«L'ora sta per suonare, Tom. Comincia a dirigerti in classe». La frase uscì dalle labbra di Silente alquanto annoiata e senza aspettare nessuna risposta ricominciò a camminare con il solito passo lento e ad occhi socchiusi.
«Lo stavo facendo, professore!» urlò quasi il ragazzo, appena l'uomo si trovò a debita distanza. Una distanza che tra loro c'era sempre stata. Sia dentro che fuori.



«Come conosci il mio nome?» chiese il ragazzo. Mirtilla alzò appena la testa e quando aprì bocca si ritrovò senza parole.

«Io... non...» il coraggio le morì in gola e la giovane si sentì alquanto spaesata. Chiuse entrambe le mani a pugno. Infine, con estrema lentezza, si alzò dal pavimento. L'affermazione di Tom Marvolo Riddle continuava a vagare nella sua mente senza alcuna intenzione di sparire. Si sistemò la borsa sulle spalle e scosse la testa mentre rispondeva a Kar con una calma immane: aveva voglia di urlargli contro.
«Chi non conosce il tuo nome, insomma!» Mirtilla improvvisò un sorriso civettuolo ma era l'unica cosa che in quel momento non poteva riuscirle a dovere. Il ragazzo corrucciò la fronte, come tutti, del resto, non la considerava né carina né simpatica. E perché si era fermato? Ad aiutarla, poi? Stava così male da provocare pietà?
«Io non conosco il tuo, invece». Si espresse tranquillo, aveva infilato le mani nella tasca e il ciuffo color carota penzolava davanti ai suoi occhi, regalandogli ancora una volta quell'aria tanto magnanima e compassionevole. Quell'espressione che il Kar di Hogsmeade non aveva mai indossato.
«Sono Mirtilla, Corvonero». La risposta fu breve e senza esaltazione, la giovane si guardava attorno inquieta. Sapeva che non l'avrebbe più rivisto ma aveva quella strana impressione che qualcuno, chissà dove, la stesse prendendo in giro. I pensieri volavano via dal suo cervello. Per un attimo, quando il vero Kar aveva scoperto l'imbroglio senza neanche saperlo, Mirtilla era stata certa che tutto ciò avesse una logica. Era stato come un flashback, un film in bianco e nero, delle scene che si ripetevano a rallentatore nella sua memoria. Ma tutto ciò non aveva alcun senso. Il puzzle, se si univano i pezzi, non lasciava nessun immagine certa.
«E cosa ci facevi per terra?» riprese il ragazzo-carota.
L'ibrido di Kar, invece, avrebbe domandato: cosa ci facevi per terra in quello stato di agonia?
Era una persona con maggior concezione e modo di esporsi. Erano stati la stessa persona eppure così diversa.
La bruna scosse la testa di nuovo, non riusciva a rendersi capace di tanta confusione. C'era una chiave a tutto ciò che collegava ogni minimo avvenimento.
«Ero stanca, ho saltato la prima ora di lezione. Credo che sia ora di andare, però. Sta per finire e non posso perdere anche la seconda». La frase uscì di getto e Kar si ritrovò ad annuire e a sorridere leggermente.
«Ci si vede allora, e cerca di non saltare troppo spesso!» Mirtilla osservò le larghe spalle del giovane dirigersi dalla parte opposta in cui si trovava lei.
Appena fu abbastanza lontano, iniziò a scovare all'interno della borsa. Cercava il foglietto bianco e quasi senza senso. Non lo trovò. Né nelle tasche della divisa, né nella borsa, né in altre parti. Si era volatizzato, o ancor peggio: l'aveva perso.
Sbuffò, e se fosse stata un drago avrebbe cacciato fuoco dalle narici.
Aver perso l'unica prova a suo favore non era una consolazione.
Guardò il paesaggio davanti a sé. Doveva pensare, ed anche bene; doveva smettere di perdersi in quei stupidi giochetti da dilettanti, sapeva di esserne capace. Aveva tutte le carte in regola.
Iniziò a camminare e, per alimentare il suo miscuglio di rabbia e dolore, ripensò a quanto fosse disprezzata dal Prefetto. La prova insensibile era stata quella frase.
Una sporca mezzosangue.
Lei era sporca nel sangue. Ma lui era sporco nell'anima.
E con questa convinzione si diresse verso una meta ben precisa. Sentiva che l'aria fredda schiariva le idee e il suo cervello cominciava, con diligenza, a lavorare.
Il Kar che aveva incontrato non era lo stesso di poco prima. Quel ragazzo non era la stessa persona. E allora, chi aveva finto? Inspirò più affondo e si fermò per pochi attimi ad osservare le scale che portavano ai sotterranei. Di sicuro, il Kar del corridoio era quello vero. Quindi l'ibrido nascosto aveva ricorso alla magia. Senza alcun dubbio, c'era stato qualcuno che l'aveva aiutato, che l'aveva persino introdotto nel mondo di Hogsmeade e spinto ad allucinarla.
Lui. Riusciva a pensare solamente alla sua non innocenza.
Gli sporchi mezzosangue, pensò Mirtilla, sono capaci di ragionare, Prefetto.
La giovane scese lentamente le scale dei sotterranei e si avvicinò con circospezione alla porta che dava all'aula di pozioni. Vide, di sottecchi, il professor Lumacorno intento in chissà quale argomento specifico. Si scostò subito dalla finestrella e senza indugiare troppo sulle sue azioni, aprì la porta che dava al ripostiglio e poi allo studio personale dell'uomo.
Un miscuglio di muffa e di vecchio le invase il naso e fu stordita per pochi secondi. Si guardò attorno, vagava da una parte all'altra della stanzetta. Quanti scaffali erano? Dove doveva metter le mani? Iniziò a perlustrare le zone più interessanti, in cerca di qualcosa che apparentemente non era presente. Arrivò all'undicesimo davanzale, la polvere le oscurò la vista e la prima ora venne scandita dalle lancette dell'orologio a pendolo. Mirtilla fece retro marcia e scese dalla scaletta d'appoggio, per quelle parti troppo alte o in profondità.
Aspettò che la porta della classe si spalancasse per poi immedesimarsi nei giovani che, a fiotti, risalivano in superficie.
Non aveva una certezza. Aveva, semplicemente, un'ipotesi, giusta o sbagliata? Questo era il problema che cominciava ad affliggerla. Doveva scoprirlo prima che tramontasse il sole e arrivasse la notte. Il secondo passo per una vendetta lenta servita fredda, era quello di recarsi a lezione. E poi, sfortunatamente, il baule l'avrebbe accolta.
'La sporca mezzosangue ti darà filo da torcere'. Fu l'ultimo pensiero prima di superare l'aula 6 del professor Silente.



Fiabetta rientrò nel castello, dopo la lezione di Cura delle Creature Magiche, quasi correndo. Mirtilla non l'aveva raggiunta e, come giusto che fosse, cominciava a preoccuparsi.
Alexander fu subito dietro di lei e con un sorriso smanioso di conversare, la prese sotto braccio.
«Ho un'ora buca, anche tu?» domandò.
«No, ho Difesa contro le Arti Oscure...» la risposta fu espressa con poca precisione.
«Beh... potresti saltarla.» sembrava che il ragazzo avesse programmato quella frase, o meglio, l'intera conversazione. Fiabetta, in un primo momento, non capì la frase e continuò a cercare la chioma nera dell'amica.
«Ma dove sarà...?!» disse, ad alta voce, ciò che le passava per la testa.
«Chi?»
«Mirtilla! Ha saltato la prima ora, e se l'hanno scoperta? E se ora è dal preside? Non riesco a vederla …» il tono sembrava disperato per questo Alexander si lasciò sfuggire un sorriso e fermò Fiabetta per le spalle.
«Calma, Bettina! Ha semplicemente saltato un'ora! Forse era stanca, ora sarà già nell'aula per Difesa contro le Arti Oscure. Prendi esempio da lei! Almeno quando non ha voglia di seguire qualche lezione, non si preoccupa più di tanto!» Fiabetta arrossì, non solo per il soprannome buffo che le aveva attribuito, ma soprattutto per il discorso che le aveva fatto. Abbassò il capo ed incespicò parole incomprensibili.
«Allora? Mi fai compagnia quest'ora? Dai! Tanto odi quella materia!» la ragazza si guardò attorno e si morse l'interno della guancia, non era sicura della sua risposta, e per di più voleva dirgli categoricamente di no.
«Io... » iniziò, ma fu una mossa poco astuta, le labbra del ragazzo trovarono velocemente quelle di Fiabetta e la lingua si insinuò prepotente. La corva si sentì spaesata dal suo buon profumo al miele e dalle sue labbra screpolate e fredde. Non ricambiò il bacio, almeno, non subito. La strinse per i fianchi e il corpo aderì al suo, le guance avvamparono nuovamente, con più rossore. Quando Alexander si staccò, lei colse quel momento per allontanarsi di qualche passo. Le sorrise, con degli occhi addolciti e buoni. Ma non si poteva definire felice.
«Ora?»
«Penso che...» la rossa non concluse la frase, venne interrotta di nuovo e, successivamente, capì di esser stata salvata.
«Penso che sia ora di andare in classe. Un grifone e un corvo! Quanti punti verranno sottratti?» la voce riecheggiò nel corridoio, Alexander si girò e si ritrovò ad osservare gli occhi vispi e freddi di un serpeverde.
«E tu chi saresti?»
Avery corrugò la fronte. Si trattenne. I tassi erano decisamente più intelligenti.
«Va' in classe, tu!» il serpe si rivolse a Fiabetta che mordicchiandosi le labbra girò le spalle e scappò via.
Di sottecchi, osservò le snelle gambe di Fiabetta sparire dietro l'angolo, e poi rivolse l'attenzione al grifone.
«Non smetterai mai di approfittare delle povere ragazze indifese?» sbuffò. Il giovane grifone strinse le mascelle non rendendosi conto di essere appena stato rifilato dalla compagna.
«Non sono né indifese, né povere». Avery dovette costatare che, in fondo, aveva ragione, Fiabetta non era poi così innocente.
«Ouhm... potrei darti ragione su questo». Il serpe fece qualche passo in avanti ed iniziò a girare in tondo al grifone, fino a che, fermatosi dietro di lui, gli bloccò entrambe le braccia. E, non perdendo tempo, avvicinò la bocca al suo orecchio:
«Ma non lo farò». Strinse più forte la presa ferrea sugli avambracci e continuò: «Cosa è successo ad Hogsmeade?»
«Vuoi sapere cosa è successo nella Stamberga Strillante?» rise Alexander, aveva la voce affaticata e sapeva che la domanda successiva sarebbe stata davvero decisiva.
«No. Mi riferisco a Kar».
«E cosa ne so, io? Ero troppo occupato in altre cose». Sempre quel tono derisorio.
«No. Lo sai, eccome. Come hai fatto a procurargliela?»
«Procurargli cosa? E a chi?» 'E' stato ammaestrato bene', pensò Avery.
«Sei un grifone, non dovresti fartela con i serpeverde, lo sai? E, soprattutto, dovresti smetterla di fare il suo gioco».
«Ti sbagli. Lui sa come fare ed io so come aiutarlo; perché dovremmo sprecare due menti potenti come le nostre?» altro risolino.
Avery lo lasciò andare e si allontanò, doveva andare, non poteva trattenersi ed inoltre non gli avrebbe detto niente, non avrebbe ricavato niente da un ragazzo così poco intelligente. Troppo codardo.
«Sei sicuro che tu non sia altro che un burattino nelle mani del maestro?» Alexander non rispose, le parole gli morirono in gola, il corridoio era ancora popolato da studenti, tutti si stavano recando nel posto giusto, tranne lui.
Quest'ultimo aveva sbagliato.
Sin dall'inizio.



Il cielo ritornò a brontolare, e un tuono scalfì l'atmosfera appena la maggior parte dei ragazzi si alzò per uscire dall'aula di Difesa contro le Arti Oscure. Mirtilla prese la tracolla e guardò di sottecchi Fiabetta. Era comparsa a lezione già iniziata, e quando la mora aveva incontrato gli occhi chiari della rossa, aveva scorto tanta esasperazione. In cuor suo sapeva che molte cose erano successe, ma credeva, ingenuamente, che solo lei, Mirtilla, avesse crisi esistenziali e che l'amica non si trovasse in nessuna situazione eclatante.
Forse perché non le aveva prestato attenzione a colazione, forse perché l'aveva abbandonata al suo destino con Alexander. L'ultimo pensiero balenò nella mente della ragazza, e l'unica risposta che si diede fu una scrollata di spalle.
In fondo era stata una scelta di Fiabetta quella di mettersi con un grifone pompato.
Guardò fuori dalla porta e passò al suo fianco.
«Andiamo?» la voce di Mirtilla era calda e dolce, gli occhi cercavano di infondere sicurezza, ma Fiabetta sembrava non aver notato nulla di tutto ciò.
«Sì, andiamo». Uscirono entrambe dall'aula recando un saluto di consuetudine alla professoressa Galatea Gaiamens*.
Subentrarono nel corridoio e Mirtilla ricordò di dover disfarsi d'ogni tipo di compagnia prima della notte.
«Abbiamo un'ora buca ora, vero?» domandò di fretta.
«Sì. Un'ora vuota ogni giorno, ma chi salta le lezioni non dovrebbe meritarla». Fiabetta espresse la frase sussurrandola e senza guardare negli occhi Mirtilla.
«Cosa... che vorresti dire?» la mora era rimasta spaesata.
«Salti la prima ora di cura delle Creature Magiche, scompari dal nulla, non riesco a trovarti ed entrando in classe ti vedo seduta dinanzi a tutto. Non mi hai rivolto uno sguardo, un accenno. Ora sei anche felice di avere un'ora vuota? Ma per favore Mirtilla!» era arrabbiata, i capelli erano diventati più rossi del solito e il suo sguardo corrucciato non presagiva nulla di buono.
«Sì... scusami... insomma, non ho avuto tempo d'avvisarti! Non farmene una colpa, Betta. Eri così presa dal grifone ed io...»
«Non dare la colpa alla storia tra me ed Alexander! Potresti, se solo mi avessi ascoltata stamattina». Fiabetta stava parlando a raffica, non sapeva neanche ciò che stava dicendo, era arrabbiata sì, ma non con Mirtilla, almeno non più di tanto.
La mora fermò per un braccio l'amica e sfacciatamente le domandò:
«Successo qualcosa che non so?»
«No, Mirty! Ma diamine, perché mi sfuggi così? Da chi o cosa è dovuto? Ti sei sempre fidata di me».
«E continuo a fidarmi, Betta. Ti racconterò tutto... stasera». Rispose, più dolcemente, Mirtilla, le regalò un sorriso tenue quando la vide allontanarsi per raggiungere quel ragazzo così terribilmente incapace.
Al suo fianco c'era Kar. Evitò di guardare Malcontenta, ma lei neanche se ne accorse, stava già raggiungendo la torre di Corvonero, salendo le scale, sprofondando in un dolcetto nella Sala Comune e poi correndo, a perdifiato, nella camerata.
Si fermò per pochi minuti, giusto il tempo per riprendersi. La mattina, quando aveva aperto il baule, il libro c'era. Lo stesso libro che serviva incommensurabilmente a Tom Riddle. Era lui lo scopo di tanto fardello nella vita di Mirtilla ed anche, ora, di Fiabetta.
La ragazza, per la seconda volta, si inginocchiò davanti al letto, aprì lo scrigno nascosto lasciando libero spazio al tesoro che tanto aveva guadagnato.
«Prevedibile». Prevedibile la vita, le sue aspettative, la rabbia che circolava nelle vene della giovane e l'imponente domanda di arrivo e senza ritorno.
Il mistero che tanto le affliggeva era duplicato.
Se prima non capiva come Kar avesse due personalità, perché Tom volesse il libro e come avesse fatto a rubarle il quaderno, a tutto ciò si aggiungeva la scomparsa del, appunto, libro. Il baule era zeppo, gremito, intatto, così come lo aveva lasciato.
Ma il libro non c'era.
E, spontanea la domanda sorge ora nei nostri pensieri, cosa avrebbe portato quella notte al prefetto Tom Marvolo Riddle?



*Galatea Gaimens: professoressa di Difesa contro le Arti Oscure ai tempi di Tom Marvolo Riddle.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S:
HOLA! In ritardo di una settimana ma... HOLA!
So che riuscirete a perdonarmi! Lo so u_u!
Anche perché questo capitolo è bello sostanzioso e.e, e forse mi odierete ora che avete finito di leggerlo.
Che ve ne pare? Cos'è che non avete capito? C'è qualcosa che vi risulta più chiaro?! u.u Beh, aspetto, come sempre, i vostri sinceriverrimi e bellerrimi commenti/recensioni! Ringrazio:
le 9 persone che hanno aggiunto la storia nelle preferite.
Le 7 persone che hanno aggiunto la storia nelle ricordate.
Le 18 persone che hanno aggiunto la storia nelle seguite!
Un saluto speciale a CabiriaNorthStar, alevilly, Spectrum e darkmagic31.
Infine un grazie picchèspeciale va anche ad Hauser per avermi sostenuta ed aiutata con le sue recensioni più che giuste.
Bene, vi saluto!
Non vi farò attendere molto per il prossimo capitolo, promesso! *w*
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamento tra due settimane ©

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** VII- ***










Non pioveva. Non pioveva più da qualche ora. Erano le sei del pomeriggio, neanche il solito tramonto risplendeva tra le montagne. Seppur non piovesse, le nuvole rimanevano di un grigio chiaro ed erano davvero grosse, così grosse da dar l'impressione di voler scoppiare prima o poi. Quel paesaggio poco promettente era visibile dalla finestrata in Sala Grande dove il giovane Kar teneva stretta tra le dita una piuma bianca intrisa di inchiostro nero. Gli occhi fissavano un punto preciso, i pensieri, invece, vagavano come mine.
Il ticchettio convulso della piuma che continuava a risuonare tra quelle immense quattro mura, non solo risvegliò i ragazzi attorno, ma in particolare l'amico che si ritrovava di fronte e che con un gesto fugace gliela tolse dalle mani per poi guardarlo trucemente.
«Allora?!» sibilò Alexander.
Kar scosse appena il capo e con forza si riprese la piuma, ritornando nel mondo dell'Astronomia.
«Questa ricerca è davvero una tortura», il giovane grifone avrebbe voluto rispondere a Kar che era proprio lui una vera tortura e che quel giorno non aveva tempo da perdere, soprattutto con i suoi pensieri strani e con quei comportamenti da persona tanto onnisciente.
«E sbrigati». Rispose.
Non aveva riempito neanche mezza pergamena, i libri davanti a lui erano un cumulo di robaccia che proprio non voleva capire. E in molti casi, si sarebbe pensato che tutto ciò era dovuto all'amore, ma il grifone si trovava in una situazione in cui la maggior parte delle cose andavano male eccetto quel sentimento. Sì, anche lui era perso in tanti pensieri strambi ma non lo dava a vedere come Kar. E quindi, quando capì di non poter durare un minuto di più in silenzio e su una materia che trovava alquanto sciocca, rivolse la parola all'altro.
«Fiabetta sta diventando troppo... frivola»
«Sei tu che ti sei accanito, contro di lei. In fondo, se non ricordo male, qualche tempo fa, ti odiava». La risposta pronta e inespressiva che diede Kar, irritò Alexander che cominciò a sentire un prurito alle guance.
«Non darmene una colpa, è lei che ha ceduto troppo presto».
Kar sospirò.
«Cosa vuoi, Alexander? Un consiglio?»
«No, solo un po' di ragione».
«Ma, amico mio, sei così stupido da non riuscire neanche più a differenziare una ragazza per bene da una ragazza frivola, non puoi trarne della ragione, mi spiace».
Alexander posò la piuma sul tavolo e sorrise con convinzione.
«Ah, Kar! Hai ancora tanto da imparare».
Ma Kar non la pensava come lui. Credeva, fermamente, che l'unica persona a dover revisionare se stesso era proprio Alexander.
Eppure non ci badò molto, per lui il grifone tutto pompato, era un caro amico. Conosciuti per sbaglio una sera di primavera nella sala comune. Era il primo anno. Erano due pivelli ancora innocenti.
«Sì. Forse hai ragione. E questa Fiabetta, è amica di Mirtilla». Affermò il rosso, Alexander aguzzò le orecchi ed aggrottò la fronte, sporgendosi verso l'altro.
Kar notò le labbra secche e l'esitazione che stava compiendo.
«Come?» poco più di un sussurro.
«Mirtilla. Si chiama così giusto? Sono due Corvonero e...»
«Sì, sì, esatto. Ma cosa c'entra e come fai a conoscerla?»
«Come faccio a conoscerla, chi?» il gioco di parole fece sorridere Kar che appoggiò il mento sulla mano e si deconcentrò dal resto.
«L'amica di Fiabetta. Come la conosci?»
«Siamo usciti insieme ad Hogsmeade» rise Kar.
«Cosa?» sussurrò, ancora una volta Alexander. Il viso non era né paonazzo, né verde, né giallo. S'era semplicemente immobilizzato.
«Oh, che faccia, amico! Scherzavo! L'ho conosciuta proprio stamattina in corridoio. E' davvero strana».
Esattamente come quando il tempo si ferma e riprende qualche attimo dopo, Alexander, dopo qualche secondo di esitazione, sprofondò in un sorriso che sapeva di sollievo. Rise, unendosi a Kar e poi annuì.
Pel di carota, in fondo, non sapeva neanche lontanamente quanto fosse andato vicino ad una realtà che, purtroppo, non gli apparteneva e mai gli sarebbe appartenuta.



Capelli così lunghi e così rossi, che le ricadevano dolcemente sulle spalle, una massa riccia e incontaminata, un viso pulito e un corpo minuto e formoso. Fiabetta si mordicchiò le labbra nell'attesa di raggiungere la biblioteca; portava con sé una miriade di pergamene e boccette di inchiostro, il suo sguardo vagava per il lungo corridoio ispezionando ogni angolo.
La grande porta giaceva alla fine del suo percorso, sempre bella e sempre imponente. Per raggiungerla non ci volle molto, all'interno vagava il silenzio, pochi ragazzi si aggiravano tra gli scaffali vogliosi di studiare o leggere qualcosa di costruttivo.
Fiabetta, stanca com'era, si affrettò a raggiungere il suo reparto senza prestare attenzione alle occhiatacce eloquenti del custode. Posò il materiale su uno dei tavoli di legno e con un foglietto bianco iniziò a cercare i libri che le servivano urgentemente.
Fermò i capelli in una crocchia attraverso la piuma ed indossò, guardinga, gli occhiali sottili e rettangolari con una spessa cornice nera.
Raramente li usava e quando lo faceva il suo sguardo assomigliava così tanto a quello dell'amica.
Molti, infatti, la credevano l'opposto di Mirtilla, ma in fondo non erano così diverse, tranne per l'astuzia e l'intuito; senza alcun dubbio Fiabetta era sveglia e scaltra ma non abbastanza da prevenire le mosse altrui.
Si sbilanciò troppo, non era abbastanza alta da raggiungere certi scaffali e quindi, involontariamente una pila incompresa di libri le caddero addosso. Si sentì, per pochi attimi, spaesata. Un grosso libro marrone le aveva colpito la testa, facendola barcollare e quasi perdere l'equilibrio, il rumore che provocò quella piccola distrazione, divenne un eco che si espanse per l'intera biblioteca. Le gote si tinsero di rosso proprio come i capelli e velocemente si chinò a raccogliere la pila sadica di libracci.
Non ci mise molto, fu scattante ed agile, le due doti che pochi minuti prima l'avevano totalmente abbandonata. Sospirò, si rimise in piedi ed ebbe un sussulto. Non fu l'unica a sospirare, qualcun altro aveva compito lo stesso gesto dietro di lei, aveva sentito il respiro sul collo. Il fiato caldo le aveva sfiorato appena l'incavo della spalla e quindi istantaneamente la giovane rossa, girò il capo pronta a tirar un ceffone a destra e a manca.
«Oh... sei di nuovo tu». Blaterò che, dopo aver scorto l'interlocutore, girò i tacchi per tornare al tavolo da studio.
«Non mi vedresti di nuovo se non facessi tutto questo baccano. Troppo casino in un'aula di silenzio». ribadì Avery. Il suo viso allungato e i suoi occhi penetranti misero in soggezione la povera Corvonero che, sbuffando sonoramente, urtò con esasperazione il tavolo di legno rovesciando a terra un'intera boccetta di inchiostro nero. Da dove derivasse tanta sbadataggine non lo sapeva neanche lei e questo le diede ancor più sui nervi.
«Sì, mi riferivo proprio a questo». Aggiunse il Serpeverde che in fondo, se la rideva sotto i baffi.
«Serpe, sono due volte in un giorno che t'incontro, cosa vuoi?»
«Prima, di certo, non volevo te». Sottolineò sprezzante.
«Almeno una buona notizia! Ed io che pensavo di aver acquistato, senza volerlo, un altro spasimante segreto!» la superbia e la superficialità di Fiabetta sbalordì non solo Avery, ma anche lei stessa. Alle volte, e lo sapeva, esagerava, soprattutto quando era il nervosismo a prendere il controllo.
Avery alzò un sopracciglio guardandola stranito.
«Non credo che possa, personalmente, provare attrazione verso di te». Fiabetta distorse il labbro superiore e imperterrita disse ciò che apertamente le passava per la testa, era stata punta da quelle parole e dal modo impassibile in cui l'aveva detto:
«E allora tutta questa vicinanza a cosa è dovuta? Non riesci a...» non concluse, il Serpe era avanzato di due passi verso di lei, e così si ritrovarono in un confronto faccia a faccia, dove Fiabetta non aveva chissà quante vie di scampo.
«Volevo osservare con più attenzione la tua goffaggine. Cosa fai? Chiami Alexander? Sarebbe davvero divertente, di nuovo insieme, tutti e tre, dove l'unica a scappare sei tu». Le stava rinfacciando ciò che era successo poche ore prima, quando lui stesso l'aveva invitata ad andarsene e lei aveva obbedito come un bravo cagnolino.
«Ottimo». Sbuffò infine la Corva.
Si allontanò con velocità dal ragazzo e quest'ultimo sorrise, costatando le parole che aveva appena detto: quella bimbetta sapeva solo scappare da situazioni create da lei.
Fiabette lasciò l'inchiostro rovesciato sul pavimento e cambiò tavolo da studio senza guardarlo più. Si sedette, senza mai girarsi.
Passarono circa dieci secondi, neanche il tempo di concretizzare gli ultimi pensieri, diede un'occhiatina alle sue spalle, non riusciva ad essere coerente con se stessa, forse era colpa della sua immensa curiosità.
Rimase a bocca aperta. Aveva il fiatone, perché tutto il tempo in cui si era stata seduta aveva trattenuto il respiro, ed il Serpe non c'era più.
Era ormai sera fuori. E lei, ritornando a guardare i libri e le pergamene, aveva la testa piena di domande e di irritazione.



La cera si stava sciogliendo e cadeva lentamente sul piccolo piattino in ceramica. La candela era sospesa in aria e più si consumava, più diventava inconsumabile, riusciva ad illuminare gran parte della stanza ed anche il viso prosciugato della giovane e strana Mirtilla. Quest'ultima era seduta sul letto a baldacchino e guardava la finestra davanti a sé, non perché era un particolare paesaggio da non perdersi, ma soprattutto dal cielo che da quel celestino sfumato era diventato di un blu così scuro e impenetrabile da causarle crisi di ansia che, a modo suo, cercava di nascondere.
Fiabetta non era ancora ritornata, non era andata in Sala Grande per la cena, era rimasta davvero tutto il tempo lì, così scostata dal mondo.
Come un grillo parlante o una molla nel cervello, sentì un 'crack' che la riportò nel mondo vero e che le diceva apertamente che doveva affrontare la situazione proprio in quel momento. Fino ad allora si era sempre camuffata nella sua maschera di superiorità e di finta santerella, ma di certo non poteva farlo per sempre e, soprattutto, la sua incolumità era in serio pericolo da quella sottospecie di Serpeverde.
Si alzò dal letto, con passo giusto e afferrò la tracolla osservando ancora una volta il baule dei segreti.
Scosse il capo.
Aveva una sola possibilità, e solo una volta poteva giocarsela, scese le scale e sembrò quasi che i quadri le sussurrassero che stesse davvero facendo la cosa giusta, sembrò quasi che le ombre di quel castello la stessero incitando ad uscir fuori dalla Sala Comune. Mirtilla non si fece pregare, seguì quei consigli e dopo aver anche sceso la rampa di scale della torre e il corridoio spettrale le si era parato davanti, capì di star percorrendo la strada più pericoloso e che l'avrebbe potuta uccidere profondamente nell'anima. Sorrise. Era, in fondo, quello che voleva, non avrebbe ucciso solo lei. Non era masochista, non fino a quel punto.
Iniziò a camminare, senza mai sbatter le palpebre, senza mai calar la guardia, aspettava il primo indizio, aspettava la prima mossa che avrebbe compiuto Tom Riddle.
Quando arrivò, le sembrò tutto troppo veloce. Trasalì al tocco della sua mano che le sfiorava la schiena e la incitava a muover il passo fino a diventare un vero e proprio sequestro. Mirtilla non ebbe mai il coraggio di girar il capo, paurosa di scorgere una figura che avrebbe avuto lo scopo di intimorirla. Doveva rimanere lucida.
Non c'era la luna fuori, non c'erano le stelle, il cielo non era tenue e neanche candido, il blu così scuro e impenetrabile aveva il sapore della tempesta e l'erba umida che cominciò a solleticarle le scarpe aveva lo scopo di confonderla.
C'era una capanna, capì che era quella del guardiacaccia, un posto familiare, un orto, un buon profumo di tè caldo e... la Foresta. Mirtilla trasalì e si divincolò dalla mano sulla sua schiena senza volerlo e senza mosse precise, si allontanò velocemente dall'entrata della Foresta ma non ebbe il tempo di concretizzare una fuga. Tom fu più agile e le si parò davanti, quegli occhi così neri incontrarono quelli verdi smeraldo. Mirtilla notò quanto le pupille fossero dilatante e quanto la pelle diafana del ragazzo era sempre più propensa ad ammaliarla.
Se solo non l'avesse odiato più di ogni altra cosa al mondo, si sarebbe lasciata adulare senza sforzo.
«Non dovresti ribellarti» la voce roca e rotta dai pensieri.
«Sì che dovrei.» Il tono di Mirtilla strascicante e sicuro di sé, «Non sei l'unico ad avere le carte in regola, vogliamo distruggerci a vicenda?» Tom indurì i lineamenti del volto e spinse con violenza Mirtilla verso la Foresta, quando lei non ebbe più modo di sottrarsi dalla sua presa ferrea ed esasperante, superò la linea che la rendeva ancora una studentessa senza peccato, subentrarono verso l'interno e lì capì di esser stata erroneamente scoperta.
«Il libro». Disse Tom.
«Dammi prima il diario ed io ...» cominciò la Corva ma non ebbe molte possibilità di continuare.
«No. Caccia quel libro, ragazzina, non sarò così buono per molto a lungo». Mirtilla sospirò e lo guardò ad un metro da lei, erano circondati da alberi alti e impressionanti che coprivano il cielo, e il terriccio umido rendeva il suo equilibrio molto precario. Non capiva perché in quella zona non c'erano animali pronti a squarciarli vivi. Che c'entrava qualcosa con Tom? Quel ragazzo diventava sempre di più un mistero e Mirtilla era stanca, tanto stanca, sia psicologicamente che fisicamente.
«Non ce l'ho, Riddle.» rispose infine. Si guardò attorno e scorse delle grosse radici di un albero che arrivavano quasi a lei, si avvicinò e si sedette su una di esse. Ora doveva solo aspettare.
«Non ce l'hai? Perso? Scomparso? Cerchi ancora di nasconderlo?» ululò il Prefetto, tanto che Mirtilla si guardò attorno per essere certa che nessun essere mostruoso si fosse svegliato dal letargo.
«Non è mai stato di mia proprietà. Tu stai giocando con me, cerchi semplicemente di mettermi a disagio». Pronunciò la mora e non distaccò i suoi occhi dal viso diafano.
Tom si inumidì le labbra e alzò appena la testa verso il cielo coperto.
«Fa freddo questa sera, se tu ti senti a disagio, non è certo colpa mia. Forse dovresti passare una mano sulla coscienza, dovresti capire che quel libro non è un pezzo della tua collezione, non dovrebbe esserci neanche lì».
«O forse sei tu che non vuoi capire. Hai rubato il mio quaderno con sporchi trucchetti da dilettante, eppure continui ad insistere con questo gioco di cattivo gusto. Io non ho quel libro, non so neanche di cosa si tratti e, a dirla tutta, tu non sai nemmeno cosa è quella collezione. Quindi, perché non ritorniamo ad evitarci? Tu non sai che esisto ed io farò finta di non aver mai sentito il tuo nome all'interno del castello». Le parole uscirono a raffica da ambedue le parti, Mirtilla appoggiò la schiena alla corteccia dell'albero e aspettò una risposta dal suo interlocutore che non arrivò.
«Perché non mi restituisci il quaderno? Fallo, e...» Tom la zittì con un gesto, girò la schiena e il sorriso che gli coprì per un attimo il viso, fu una smorfia di dolore per il suo animo.
«I miei trucchi non sono poi così dilettanti se non riesci a contrastarmi. Hai perso il libro. Ora sarebbe troppo facile dimenticare, non credi?» poco più di un sussurro malevole, un passo in avanti e, nel silenzio macabro della foresta, si sentirono entrambi i cuori sussultare, un brivido risalì sulla schiena di Mirtilla e poi un altro 'crack' le risuonò nelle orecchie. Ma questa volta non era nessuna scelta, nessuna molla che scattava nel suo cervello, nessuna certezza o avviso. Erano due radici del grosso albero che si sradicavano dal terriccio umido e accompagnavano il viso incredulo e atterrito della giovane. Le radici non erano come quelle del Platano Picchiatore, erano più strascicanti e reagivano velocemente. Mirtilla si ritrovò incastrata, ormai esse, o meglio, i tentacoli, erano diventati innumerabili e il suo corpo non riusciva a reagire.
«T-T...Tom» sussurrò Mirtilla, non poteva gridare, un tentacolo, ora, le stringeva la gola e un altro strascicava lungo la schiena causandole sempre più delle fortissime fitte. Per un attimo sentì anche il caldo e denso sangue percorrere la pelle e la divisa diventar brandelli.
«Se vuoi sopravvivere» iniziò il ragazzo girando l'intero busto verso di lei e avvicinandosi lentamente, attento a non toccar la pianta amica, «devi stare ferma, e rilassarti, pensa a cosa scriverai sul quaderno dopo questa bella avventura.» un sorriso sornione ora accompagnava le sue parole.
«A...-aiutami» il respiro divenne irregolare e sentiva il sangue fluire sempre di meno.
«Perché dovrei aiutare una mezzosangue? Perché dovrei aiutare proprio te?»
Le parole di Tom furono una frustata in piena faccia alla piccola Mirtilla.
E fu lì che lei capì. Respirò appena e in un soffiò scandì: «Sei tu a gestire la pianta» Il ragazzo non si scompose, guardò ancora più attentamente gli occhi verdi smeraldo della Corva e, stranamente, non trovò la paura.
Lei non ne aveva. Lo guardava incuriosita nel suo ammasso agognante, e notava che a poco a poco le palpebre della ragazza iniziavano a farsi più pesanti. La vide mentre chiudeva gli occhi e le labbra pregavano un ultimo aiuto, uno spiraglio di luce.
«Perché non hai paura di me?» un sussurro e poi prese la bacchetta, furioso ma non ancora pronto. La puntò su di lei e la luce calda di Lumos invase il viso di Mirtilla, i tentacoli si ritirarono e la giovane riprese, appena, del colorito sulle gote.
Non capiva perché, da morta, imprigionasse nell'animo del giovane, una vaga sensazione tra cui non sapeva distinguere il desiderio e l'istinto omicida.
Avanzò di pochi passi verso la pianta innocua, attento a non sfiorarla, guardò il viso di lei e dal piccolo taschino che indossava, ne estrasse il quaderno tanto voluto.
«Non posso provare pena, no. Non posso». Vide il sangue della Corva sgorgare dalla camicetta. Il viso, ora, più sciupato e pieno di graffi che prima non aveva notato.
Impugnò la bacchetta e iniziò a bruciare la punta del quaderno davanti agli occhi chiusi della padrona. Si accovacciò al suo fianco e avvicinò il pollice su un taglio della faccia, una piccola goccia di sangue cadde sul dito, Tom, automaticamente, se la portò alle labbra e poi intrise il rosso di un mezzosangue al centro del quaderno divenuto maledetto.
E mentre il petto di Mirtilla si alzò in un leggero respiro, e il Prefetto si allontanava di qualche passo dal corpo, un fiocco di neve, candido e puro, di un bianco impossibile e di un'innocenza da scaldar anche il Tranello del Diavolo, si posò sulla guancia insanguinata.



*La pianta:
essa è il Tranello del Diavolo, sotto il controllo di Tom Riddle. Troviamo questa pianta nella Pietra Filosofale.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S:
Oh, ragazzuoli, sono così felice di aver concluso il capitolo prima di Natale! Eh, beh, infatti domani è 24 e_e. Cosa ve ne pare? *-* Cosa succederà nel prossimo capitolo e... Tom ha bruciato davvero il quaderno? Lascerà davvero Mirtilla nella Foresta Proibita?
V'è piaciuto il capitolo? Avete perplessità, domande, curiosità? Vi risponderò senz'altro! Il prossimo sarà prestissimo, o almeno spero. Un bacione. Vella, ringrazio inoltre a tutti voi che mi sostenete <3. ps: se volete passare, questa è la mia nuova originale romantica-storica: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2344633&i=1
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamento indeterminato ©

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** VIII- ***


Riassunto VII-:
Dopo alcune scene le cui riprendevano un Alexander scorbutico parlottare con l'amico Kar e l'inopportunità tra Fiabetta ed Avery che si beccano amorevolmente in biblioteca, ecco che il capitolo entra nel vivo con un appuntamento al chiaro di luna con Tom Riddle e Malcontenta.
Mirtilla, quindi, diventa automaticamente una vittima.
Il tranello del Diavolo riesce a bloccarla, il quaderno nelle mani di Tom viene presumibilmente bruciato e il libro che lui bramava non c'è più.
Ed ora cosa succederà? Lo scopriremo in questa puntata! O quasi...











Aveva nevicato quella notte. Tanto, davvero tanto. Fiocchi candidi e bianchi erano stati i re di quelle ore. Ed Hogwarts, all'alba, si ritrovava oramai coperta da un sottile velo di gelo pieno di allegria e serenità. Fin dall'epoca di Tom Riddle, l'ometto in fase di sviluppo era riconoscibile dalla sua stazza e dalle braccia ben corpulente. Non aveva barba, portava i capelli leggermente allungati, il viso più lineare e gli occhi sempre vispi e pronti all'attacco. I suoi passi erano rumorosi e pesanti, camminava con un certo senso di felicità e si guardava attorno accompagnato costantemente da quell'aria scanzonata.
Rubeus, non amava particolarmente le lezioni al chiuso, per questo l'unica materia che si addiceva di più a lui era Cura delle Creature Magiche, aveva sempre trovato un aspetto assai conveniente in quelle lezioni mattutine offerte dal professore in questione. Quindi, una volta a settimana si incamminava verso la capanna con una pila di libri in mano. La lezione extra si teneva, di solito, la mattina molto presto, così da non contrastare gli orari delle altre materie. Ad Hagrid, perché in fondo è di lui che stiamo parlando, tutto ciò andava più che bene, aveva una certa propensione per le avventure e per gli approfondimenti che gli interessavano. Quando, quindi, corse verso la casa, era ancora beato nel sonno e nella velocità del momento. Non si accorse affatto di aver davanti a sé un cadavere. Si fermò per un attimo, era lontano dall'entrata della foresta di circa cinquanta metri e davanti a sé giaceva un vero e proprio cadavere, il pensiero si ripeté più volte nella sua mente. Morte. No, il ragazzo non era famoso per la sua inesauribile codardia, anzi. Con passi lenti e scalfiti nel tempo, si avvicinò per bene al corpo inerme e più bianco di un lenzuolo.
«Cosa sarà...» un sospiro breve mentre con una mano toccava il braccio del corpo: era una ragazza, constatò. Ed aveva dei lunghi capelli, inoltre indossava la divisa scolastica e dal blu capì che era senz'altro una Corvonero. Possibile fosse morta? Il terrore lo invase. Deglutì più volte e si allontanò con massima cautela, capì di aver fatto una scoperta allucinante. E semmai gli fosse stata data la colpa? In fondo perché si trovava lì? Scosse il capo, stava pensando senza ragionare. Forse doveva ritornare indietro, non farsi scoprire, forse doveva scomparire, o andare dal professore come se nulla avesse visto eppure... eppure come avrebbe potuto? Il rimorso di coscienza gli avrebbe attanagliato l'anima, oltre allo stomaco. E poi... se non era morta? Era bianca come un lenzuolo, le braccia inermi, non sentiva il respiro e non sapeva controllare il polso. No, basta! Doveva far qualcosa, qualunque cosa.
Corse. Corse più veloce di un fulmine o di un tuono, si rialzò più volte dopo esser caduto e con un impeto tale, spalancò la porta della capanna dove il professor di Cura delle Creature Magiche stava bevendo un tè freddo.
«Il professore è morto! Il professore è morto!» singhiozzò Hagrid. L'uomo lo guardò stranito ancora intontito da quella entrata brusca.
«Chi professore? Cosa confabuli, Rubeus?!»
«No, no! Venite, venite! Oh, per l'amor del cielo, non c'entro niente!» schiamazzava ancora, prese per un braccio l'uomo davanti a sé e lo portò all'aperto. Quando indicò il corpo inerme, pallido e freddo della giovane Mirtilla Malcontenta, entrambi furono scossi da un tremore e da un senso di impotenza.
«Portiamola in infermeria!» gridò l'adulto, totalmente confuso e ancora incerto se fosse la soluzione più adatta.



Era viva. Era sana. Ed il viso arrossato dalla febbre. Le doleva fortemente la testa e non riusciva ad aprire gli occhi, ogni parte del suo corpo le appariva congelato, il tatto le sembrava ovattato e le palpebre troppo pesanti. Il suo stato precario durò molto ed il fatto di esser cosciente non l'aiutava per niente. La testa le doleva sempre più, il cervello voleva fuoriuscire dalla scatola cranica e buttarsi da un ponte con il permesso di Mirtilla. Ricordava a stento cosa le fosse successo e perché i mormorii che la circondavano erano così silenziosi da non riuscire a captare nessuna parola sensata. «Perché dovrei aiutare una mezzosangue? Perché dovrei aiutare proprio te?» Queste parole rimbombavano nelle orecchie, nell'animo, nel cuore, nella mente, nelle labbra e scorrevano nelle vene alla velocità della luce.
«Cosa sta dicendo?» una voce familiare le giunse finalmente.
Avrebbe voluto tirar un sospiro di sollievo ma qualcosa le impediva anche quello.
«Ho sentito bene? Maledetto? E chi sarebbe maledetto? Per tutti i cappelli di Merlino!» e sentì persino quell'altra voce impastata.
«Perché quanti cappelli ha Merlino?» una risata cristallina, una risata contagiosa che conosceva fin troppo bene. Mirtilla avrebbe voluto ridere insieme a Fiabetta ma il suo viso rimaneva immobile, in uno stato di coma.
«Ah non so... io... io non so proprio... cioè... credo tanti ma... ma precisamente... io...»
«COSA CI FATE VOI QUI?» quest'altra voce era alta, squillante ed anche fastidiosa. Parlarono a bassa voce, qualche battutina che non capì, che non volle capire e poi il tonfo della porta trasportò la giovane di nuovo nel suo stato inerme.



Quando si svegliò, erano passati tre giorni. Tre giorni orribili per Fiabetta, per Mirtilla, per Rubeus e per lo stesso Tom. La giovane ragazza dai capelli corvini aveva le labbra screpolate, sentiva ancora le palpebre pesanti e non riusciva a muovere le gambe. Era come se il gelo di qualche giorno prima l'avesse paralizzata per un periodo indeterminato. E non era sicura di riuscire a tornare indietro, di far retromarcia.
«Madame, madame! Presto, presto... s'è sveiata!*» Il primo viso che vide Mirtilla fu proprio quello di Hagrid e rimase sbalordita di quanto fosse grande, grosso e... gigante.
«Chi diavolo...» un attacco di tosse la sorprese prima che potesse concludere il senso della frase e le corde vocali non volevano collaborar più di tanto. Riprese fiato e chiuse gli occhi in attesa di ritornare al suo stato precario, non aveva voglia di riprender conoscenza. Anche se non sapeva come l'aveva persa.
«Oh, ben tornata signorina! Su, su, alza la testa... sì, così...» la Madame la aveva appena infagottata di cuscini per tenere in alto il capo.
«Bevi questo, sì... da brava», ed ora Mirtilla stava trangugiando una bevanda bollente, rossa e che sapeva di sangue.
«Hagrid! Per favore, non parlare troppo e niente domande. Guai a te se questa ragazza emette un suono». E così l'infermiera si volatizzava dietro ad uno scompartimento bianco. Passarono minuti, Mirtilla non aveva una bella cera: il viso ancora del tutto pallido, le occhiaie più spesse del solito, il corpo ancora più esile e magro di quanto non lo fosse stato precedentemente. Aveva l'aria di una vera malaticcia. Rubeus borbottava una canzone, era seduto su uno sgabello di legno, aveva i piedi incrociati e cercava di non osservare troppo la giovane che aveva creduto morta. Erano stati i tre giorni più brutti di tutta la sua vita. Aveva trovato per sbaglio un cadavere giallognolo che si era dimostrato essere una studentessa Corvonero e alquanto brillante, aveva conosciuta la sua amica rossa con una risata contagiosa seppur il suo sguardo era sospetto. Aveva passato un intero giorno dal Preside in questione e si sentiva le braccia penzolare da più di due ore. I ragazzi di tutte le casate continuavano a fargli domande, erano curiosi, persino i docenti che non sapevano neanche chi fosse l'alunna trovata. Ed il resto del pomeriggio invece che studiare lo passava in quella sala, ignorando le ingiurie dell'infermiera e sperando vivamente che quegli occhi dal colore sconosciuto si aprissero così da rimettere in pace il suo animo. Ma ora che li aveva aperti, proprio in quegli istanti, aveva capito che non gli interessava più avere la coscienza apposto ma scoprire sul perché una ragazza di appena quindici anni, in un mattimo gelido, si trovava sdraiata nella neve, quasi senza vita. Da quanto tempo era rimasta lì? Cosa le era accaduto? Chi le aveva inferto tutti quei lividi che aveva visto sul suo corpo mentre la Madame le cambiava le fasce?E il fatidico colpo alla testa in cui aveva perso davvero tanto sangue? Chi? Cosa? Come? Perché? Non era curiosità ma questione di principio.
«T'ho trovato io, sai?» disse tutto d'un tratto, «e... e... non devi mica darmi spiegazioni eh!» sospirò chiudendo per un attimo gli occhi. Mirtilla guardava dritta davanti a sé, la sua mente aveva avuto un vuoto fino a che non era ritornata alla realtà. Fino a che non aveva di nuovo indossato la sua maschera. Il suo corpo cicatrizzato. Le parole di quel ragazzo. Gli sbagli che continuava a commettere. L'infantilismo che ormai la caratterizzava. Era riconoscente all'omone al suo fianco ma non riusciva a provare gratitudine e neanche voleva ringraziarlo perché il suo piano aveva preso una strada diversa e non c'era posto per le persone di buon cuore.
«Sono inciampata». Tosse, «anzi...» tosse, «facciamo che ho perso i sensi». Lo stava proteggendo.
Lei stava nascondendo le colpe di un ragazzo sadico. Erroneità.

«MIRTILLA!» Rubeus era immobile. Fiabetta era appena entrata saltellando.


______________________________________________________________________________________________________________

S|S: Cosa posso dirvi? Eh? Beh assolutamente nulla! Sono davvero colpevole. Sono passati più di due mesi dall'ultimo aggiornamento e ritorno con un capitolo un po' corto e mediamente sostanzioso ç_ç.
Praticamente dopo un periodo di pausa sono ritornata ad occuparmi di questa storia e non mi andava di farvi aspettare un'altra settimana per qualcosa di più lungo o qualche scena in più. Insomma, TA-DAAANNN!!! Mi perdonate? Dai, dai dai, è comparso HAGRID! Il nostro unico e grande amore.
*sveiata è un errore voluto. Si sa che Hagrid è famoso per il suo buon cuore e per il suo modo di parlare non molto perfetto.
Ebbene? Cosa ne pensate? In alto ho messo un riassunto dell'ultimo capitolo così da rispolverarvi la mente u.u.
A PRESTISSIMO! PROMESSO!
ps: quanto è figo il nuovo banner da uno a dieci? *-* Sì, questa è una sorpresa per farmi perdonare.
___________________________________________________________________________________________________________________

Link Pagina-Facebook: https://www.facebook.com/pages/TomMirtilla-la-storia/199894223523683
Link Ask: http://ask.fm/MeryScrittrice
Link Facebook-Vella: https://www.facebook.com/mery.animainfuocata


_______________________________________________________________________
Aggiornamento tra due settimane ©

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2204573