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di Amor31
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un ospite da lontano ***
Capitolo 2: *** L'incontro della vita ***
Capitolo 3: *** Vicinato in visita ***
Capitolo 4: *** Lettera dalla Florida ***
Capitolo 5: *** La promessa ***
Capitolo 6: *** Insieme per un thè ***
Capitolo 7: *** Inattesa sorpresa ***
Capitolo 8: *** In giardino ***
Capitolo 9: *** Southampton Port ***
Capitolo 10: *** Proposta ***
Capitolo 11: *** Spiacevoli domande ***
Capitolo 12: *** Lajes das Flores ***
Capitolo 13: *** Partenze ***
Capitolo 14: *** Ospite indesiderato ***
Capitolo 15: *** L'attacco ***
Capitolo 16: *** Il capitano ***
Capitolo 17: *** Il diario ***
Capitolo 18: *** Piacevole prigionia ***
Capitolo 19: *** Rivelazioni ***
Capitolo 20: *** Insieme ***
Capitolo 21: *** Sconosciuto a bordo ***
Capitolo 22: *** Arrembaggio ***
Capitolo 23: *** Sorpresa ***
Capitolo 24: *** Tante preoccupazioni ***
Capitolo 25: *** Scuse e risposte ***
Capitolo 26: *** Ospitalità sospetta ***
Capitolo 27: *** Il racconto ***
Capitolo 28: *** Interesse e sentimento ***
Capitolo 29: *** Disarmanti considerazioni ***
Capitolo 30: *** Il violino ***
Capitolo 31: *** Incertezze ***
Capitolo 32: *** Aspettative deluse ***
Capitolo 33: *** Aiuto nemico ***
Capitolo 34: *** Lo sbarco ***
Capitolo 35: *** Persuasione ***
Capitolo 36: *** Cuba ***
Capitolo 37: *** Risveglio ***
Capitolo 38: *** Colloquio con il nemico ***
Capitolo 39: *** Insperata soluzione ***
Capitolo 40: *** Verità svelate ***
Capitolo 41: *** Escursione cubana ***
Capitolo 42: *** Buccaneer's Cove ***



Capitolo 1
*** Un ospite da lontano ***


  1. Un ospite da lontano
Il maniero della famiglia Thompson sorgeva accanto ad una bassa collina erbosa, coperta da decine di alberi carichi di frutti; tutto intorno, una distesa di campi rossi, insanguinati da migliaia di papaveri, rendeva quel panorama tra i più suggestivi che l’uomo avesse mai visto.
La sua carrozza avanzava in mezzo a quel mare infuocato e lentamente si avvicinava all’imponente edificio. L’uomo viaggiava solo: aveva sempre preferito affrontare singolarmente le sfide importanti e sapeva che quella che stava per sostenere, se fosse riuscita come nei suoi piani, gli avrebbe garantito una vita forse non lunga, ma sicuramente felice.
Di nuovo si affacciò dalla carrozza ed ammirò la meraviglia naturale che lo circondava; poi fissò lo sguardo sul maniero ancora distante ed abbozzò un sorriso.
“Speriamo di farcela”, pensò l’uomo chiudendo con uno scatto il finestrino alla sua sinistra.
 
-Il nostro ospite sta per arrivare. Voglio che lo accogliate come un principe, come un re! Ne vale del futuro di questa famiglia!-.
Una schiera di servi sull’attenti annuì alla richiesta del padrone di casa e, ad un cenno della mano, subito si disperse; quello sarebbe stato il giorno più importante da ormai molti anni per il casato dei Thompson.
Da settimane fervevano i preparativi: tutti sapevano che sarebbe accaduto qualcosa di importante, ma ignoravano cosa fosse esattamente. Il che rendeva ogni abitante del maniero carico di agitazione.
Lord Isaac Thompson attendeva impaziente nel salotto di casa e non smetteva di scrutare i terreni fertili che possedeva: l’arrivo del misterioso ospite gli avrebbe reso una vecchiaia semplicemente magnifica, a suo dire; finalmente avrebbe potuto vivere il resto della vita senza preoccupazioni e senza il pesante problema dell’eredità, unico suo cruccio.
Stava ancora guardando fuori dalla finestra quando entrò nella stanza una servetta che gli annunciò la venuta del tanto atteso visitatore.
-Che aspettate, allora? Fatelo entrare, fatelo entrare!-.
Lord Isaac uscì in fretta dal salotto e si precipitò all’esterno per accogliere l’ospite; l’aria tiepida di quell’inizio di giugno lo animò ancor più di quanto non lo fosse già.
Scendendo la scalinata dell’ingresso vide definitivamente fermarsi la ricca carrozza da cui, pochi secondi più tardi, uscì un personaggio distinto; subito alcuni servitori gli si avvicinarono e portarono all’interno del maniero i pochi bagagli che l’uomo aveva con sé.
Lord Isaac avanzò con passo sicuro e tese la mano al nuovo venuto, che la strinse vigorosamente.
-Finalmente vi conosco di persona, Lord Thompson. Ho sentito parlare molto di voi, in questi ultimi tempi, e leggere una vostra lettera alcuni mesi or sono mi ha fatto molto piacere-.
-Voi mi lusingate, Lord Spencer. Sono felice che abbiate accettato il mio invito: temevo che, a causa dei vostri numerosi impegni, non sareste potuto venire-.
-Gli affari non sono mai stati un problema per me. Anzi, se non ne avessi tanti quanti sono effettivamente, credo che non avrei mai avuto l’occasione di conoscervi-.
-Oh, siete fin troppo cortese. Ma prego, lasciate che vi accompagni in casa: fa troppo caldo qui fuori per continuare a conversare-.
Lord Isaac fece strada al suo ospite, che fece accomodare nello stesso salotto in cui lo aveva aspettato; prese due magnifici bicchieri di cristallo e vi versò abbondante liquore per intrattenere Lord Spencer.
-Ditemi, da quanto tempo vivete a Southampton?-, chiese Spencer sorseggiando il forte liquido ambrato.
-Non saprei spiegarlo con esattezza. Da intere generazioni; probabilmente il primo ad insediarsi qui fu un mio avo vissuto nel 1490. Sembra che lavorasse per la Marina-.
-La vostra è una famiglia di marinai, allora?-.
-No, no, più di ogni cosa amiamo la terra. Avete sicuramente visto i campi qui intorno, mentre giungevate in carrozza: ebbene, i nostri possedimenti giungono quasi fino al mare-.
-Eppure, mi è stato detto che le vostre economie non sono delle più prospere-.
Quell’affermazione fece contrarre il volto di Lord Isaac che, risentito, rispose: -La notizia che mi riportate è infondata. Alla mia famiglia non è mai mancata e mai mancherà la ricchezza; chiunque mi abbia diffamato deve nutrire non poca invidia del mio casato, tra i più antichi in Inghilterra!-.
-Non volevo offendervi, Lord Thompson. Non ho di certo affrontato un viaggio così lungo per discutere delle vostre origini o dei vostri debiti. Mi interesserebbe sapere come mai mi avete invitato e con quale scopo-.
Lord Isaac venne trapassato dagli occhi verdi dell’ospite e deglutendo disse: -Innanzitutto vorrei entrare in affari con voi-.
-Che genere di affari?-.
-Voi vi occupate dell’esportazione e dell’importazione di prodotti importanti tanto per la Gran Bretagna quanto per le Americhe: è mio volere entrare a far parte della vostra società, così da facilitarvi negli scambi con la madre patria. Sapete, sono un personaggio molto influente e sono stato eletto due volte alla Camera dei Lord…-.
-Proposta intrigante, lo ammetto. Ma qual è il secondo punto?-.
-Vorrei farvi conoscere mia figlia. È una ragazza spigliata, energica, non molto adatta alla vita di corte: potrebbe venire con voi ed aiutarvi-.
-Ed in che modo, se posso permettermi? Una ragazza tra i piedi è solo d’intralcio per un uomo d’affari come me-.
-Datele una possibilità; vogliate almeno vederla-.
Sembrava che Lord Isaac lo stesse pregando ed effettivamente le cose stavano così.
-Bene, dunque. Incontrerò vostra figlia. Quando…-.
-La faccio chiamare subito: sarà qui tra qualche istante-.
Lord Isaac afferrò una campanella d’ottone che teneva su un mobiletto basso e dopo averla scossa giunse un servitore a cui comandò di accompagnare in salotto la ragazza.
-Vedrete, ne sarete colpito-, affermò fiducioso Lord Isaac.
-Verificherò subito-, rispose Lord Spencer poggiando il bicchiere sul tavolino che gli stava davanti.
 

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Capitolo 2
*** L'incontro della vita ***


2. L’incontro della vita

-Lady Thompson, vostro padre vi vuole in salotto. Dovete scendere subito-.
La ragazza, sentendosi chiamare, scostò lo sguardo dalle pagine del libro che stava leggendo e domandò risoluta: -Che cosa vuole da me?-.
-Sembra che la cosa sia importante. È in compagnia dell’ospite che da tanto tempo attendeva-.
-Bene, ne sarà felice. Ma io cosa dovrei fare?-.
-Non lo so. Ma vi prego, seguitemi al piano di sotto o saranno guai per entrambi-.
La giovane si alzò dalla poltroncina che aveva occupato fino a quel momento e vi lasciò il libro; poi uscì dalla stanza e si diresse in salotto.
Non entrò subito: aspettò alcuni istanti prima di fare il suo ingresso. Giusto il tempo di spiare le poche parole che i due uomini si stavano scambiando.
-Buon pomeriggio, padre. Buon pomeriggio, my Lord-, salutò la ragazza accennando un inchino verso l’ospite.
-Oh, eccola qui! Lord Spencer, vi presento mia figlia, Lady Gwen-, affermò sorridente Lord Isaac sospingendo la giovane verso l’altro.
-Piacere di conoscervi-, disse Gwen porgendo la mano destra a Spencer.
-Il piacere è tutto mio, Lady Thompson-, disse quello afferrandole delicatamente la mano, portandosela alle labbra senza smettere di guardarla negli occhi.
Un fremito sotto pelle scosse la ragazza, profondamente colpita dallo sguardo intenso dell’uomo che aveva davanti; la stessa cosa provò Lord Spencer alla prima vista della giovane.
-Siate benvenuto nella nostra casa-, disse Gwen facendo scivolare via la mano da quella di Spencer.
-Vi ringrazio, Lady. Vostro padre ha insistito affinché ci conoscessimo e devo ammettere che ne è valsa la pena-.
Gwen arrossì lievemente e Lord Spencer ne approfittò per presentarsi ufficialmente: -Sono Lord Trent Spencer, appartenente ad uno dei primi casati che si stabilirono nelle Americhe. Mi occupo ormai da alcuni anni dell’importazione e dell’esportazione di prodotti fondamentali per l’Inghilterra e le colonie, risiedendo stabilmente in Georgia-.
-Voi vivete nel Nuovo Mondo?-, domandò Gwen spalancando gli occhi per la sorpresa.
-Sì. Sono nato e cresciuto lì, a contatto con decine di culture diverse: è questa la vera ricchezza dell’America-.
-Ma ovviamente ciò che a noi importa è il business, non è vero?-, si intromise Lord Isaac catturando l’attenzione di Trent.
-Certamente. Non sono qui per un viaggio di piacere, Lady Gwen. La società inglese mi è completamente aliena, nonostante mi preoccupi dei suoi rapporti politici e commerciali-.
-E come è la vita laggiù?-, chiese la ragazza incuriosita.
-Oh, il mio amato brandy è finito. Non importa, andrò a prenderne dell’altro nelle cantine. Ne volete, Lord Spencer?-, domandò Lord Isaac apprestandosi ad uscire.
-Con molto piacere-, rispose Trent continuando a fissare la giovane che tanto lo aveva colpito.
-Ditemi, allora: come si vive in Georgia?-, insistette Gwen temendo che il ragazzo non la stesse ascoltando.
-Si è più liberi: questa è la fondamentale differenza con la Gran Bretagna. Certo, le leggi imposte sono severe allo stesso modo, ma uomini e donne prendono la vita con più leggerezza: quello che spinge i coloni a rimanere in America non è tanto la ricchezza che ne possono ricavare quanto il desiderio di spingersi oltre. Presto verranno fondati nuovi villaggi nelle zone più interne del continente e solo il Cielo può sapere che cosa il futuro riserverà alle migliaia di persone che si preparano per affrontare questa ennesima sfida-.
-E il paesaggio?-, domandò ancora Gwen, gli occhi neri che le brillavano come non mai al solo immaginare quali meraviglie si celassero nel Nuovo Mondo.
-Pensate ai campi che circondano il vostro maniero; pensate alle colline, alle montagne, al mare: ogni cosa è cento volte maggiore di quelle che vedete qui. Spazi sterminati, laghi profondi come l’oceano e fiumi navigabili con le navi più grandi: è il trionfo della natura ed il sole non vi tramonterebbe mai, se non fosse costretto-.
Trent interruppe la narrazione e contemplò il volto di Gwen, semplicemente estasiata: il cuore del ragazzo sussultò e per un istante provò l’impulso di stringere a sé la ragazza e baciarla. Ma ciò venne limitato alla sua sola immaginazione.
-Deve essere meraviglioso vivere in luoghi come quelli che avete appena descritto-, sussurrò Gwen, negli occhi ancora quella particolarissima scintilla che le illuminava il resto del viso.
-Lo è, my Lady. Ogni giorno è una nuova avventura-.
Trent fece un passo verso la ragazza e d’impulso le afferrò la mano. Poi disse: -Vorreste venire con me?-.
Gwen, scossa già da quell’improvviso atteggiamento, ammutolì; le si formò un nodo in gola dovuto in parte all’emozione, in parte alla timidezza, e non seppe cosa rispondere. Le parole morirono sul nascere.
-Le scorte di brandy sono terminate. Tuttavia ho dell’ottimo whiskey che… Gwen, cosa succede?-.
Lord Isaac era tornato portando con sé una bella bottiglia ricolma di liquore che per poco non cadde a terra alla vista dei due ragazzi così vicini.
-Ti senti bene, figliola? Vuoi che chiami un medico?-.
-Sto benissimo, padre. È stato solo un improvviso giramento di testa; stavo per cadere, ma Lord Spencer mi ha sostenuta. Sto bene, davvero-.
-Siediti sul divano e rilassati; quanto a noi, Lord Spencer, cerchiamo di concludere la trattativa…-.
-Lord Thompson, accetto la vostra offerta. Da oggi siete membro della mia società: riceverete una somma pari a tremila sterline ogni mese e, per i vostri servigi, potrete ottenere anche particolari riconoscimenti. Ma ora è per me tempo di andare. Mi sono trattenuto fin troppo e non voglio abusare della vostra compagnia-.
-Lord Spencer, non è necessario che vi cerchiate un alloggio in città. Sarete nostro ospite finché vorrete…-, provò a convincerlo Lord Isaac.
-Vi ringrazio, ma mi vedo costretto a rifiutare: è di fondamentale importanza che io giunga a Londra entro domani, per poter sistemare alcune faccende burocratiche ed ufficializzare la vostra partecipazione all’attività societaria. Devo andare-.
-Beh, se le cose stanno così non posso certo trattenervi oltre. Andate pure e portate i miei saluti alla capitale-.
-Lo farò senz’altro. Addio-.
Trent uscì dalla stanza gettando solo un’occhiata a Gwen che, seduta sul divano, continuava a fingere di aver avuto un malore; la ragazza, però, si riprese subito e seguì il padre e l’ospite all’esterno.
Vide Lord Spencer avvicinarsi alla carrozza ed aprire lo sportello, mentre Lord Isaac finiva di salutarlo; poi affiancò il padre e chiese in un sussurro: -Quando potrò rivedervi?-.
-Presto, my Lady. E appena sarò tornato desidererò avere una vostra risposta-, disse Trent mostrandole un sorriso dolce e smagliante.
Gwen avvampò di nuovo e, abbassato lo sguardo, si limitò a dire: -Fate buon viaggio-.
Il ragazzo chiuse lo sportello, tirò giù il finestrino e salutò ancora i Thompson, pensando che avrebbe centrato l’ennesimo affare della sua carriera.
   

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Capitolo 3
*** Vicinato in visita ***


3. Vicinato in visita

-Preparatemi una carrozza e in fretta! Se è vero quel che si dice, quella sgualdrina ha davvero conquistato un buon partito!-.
-Mia principessina, che cosa ti turba così tanto?-.
-Che cosa mi turba? Padre, vi rendete conto che Gwen Thompson potrebbe rinfacciarmi a vita il fatto di essere diventata più ricca di me?-.
-E qual è il problema, piccolina?-.
-Il problema è che lei si è accaparrata un ottimo pretendente, mentre io me ne sto qui a filare la lana come se stessi in un convento di monache di clausura!-.
-Non mi sembra che la tua vita possa essere paragonata a…-.
-Non mi importa! Devo assolutamente sapere se le voci che circolano sono vere oppure no! E voi che cosa state aspettando? Muovetevi, vi ho ordinato di prepararmi una carrozza! Oh, è davvero stancante essere me…-.
Casa Bennet era sempre stata considerata una dimora tranquilla e piacevole. Con la nascita della “piccola” lady, però, le cose erano radicalmente cambiate. Essendo figlia unica di una nobile famiglia, Courtney Bennet aveva sempre ricevuto la massima attenzione da parte dei genitori e della servitù; credeva di essere la migliore in tutto, la più bella, la più intelligente: una super donna, in poche parole.
Si era circondata di amiche frivole e portate allo sperpero degli averi paterni: molte si erano ritrovate sul lastrico, piene di debiti che non potevano essere pagati; e quando una di loro aveva chiesto aiuto a Courtney, si era vista sbattere la porta in faccia.
Tra le sue compagne d’infanzia c’era stata per un certo periodo anche Gwen Thompson. Sebbene affermassero di essere amiche, avevano imparato ad odiarsi con il passare del tempo e si erano allontanate poco alla volta. Un avvenimento, in particolare, le aveva divise: le rispettive famiglie erano state in lizza per l’acquisto di un nuovo appezzamento terriero, ma a spuntarla erano stati i Thompson.
Nonostante i rapporti tra i genitori delle ragazze fossero ottimi, le due si erano dichiarate guerra e raramente si vedevano, proprio per evitare ulteriori conflitti. Courtney, in particolare, non aveva mai digerito la “sconfitta” inflitta dai Thompson ed ora non voleva saperne di essere rimasta l’unica a non aver scovato un buon partito da accalappiare.
-Principessa, la carrozza è pronta. Vuoi che ti accompagni?-.
-No, grazie tante. Preferisco che venga la mia dama di compagnia. Ma dove si è cacciata? Oh, possibile che ci sia sempre qualcosa che deve andarmi storto?-.
-Eccomi a voi, Lady Courtney. Al vostro servizio-.
-Ah, finalmente! Dove eri finita? D’accordo, non mi interessa. Renditi utile: prendi il mio parasole. Non posso di certo uscire fuori con questo gran caldo: ho bisogno di protezione, io!-.
La dama eseguì l’ordine e accompagnò alla carrozza la padrona.
-Mi volete con voi?-, chiese.
-Ma certo, quante altre volte volete che lo ripeta? Salite, Heather, muovetevi! Non abbiamo tutto il giorno, sapete?-.
Finalmente partirono. Per tutta la durata del viaggio la povera Heather fu tormentata dai deliranti discorsi di Courtney e quando giunsero a destinazione aspettò che questa scendesse per prima dalla carrozza, in modo da godersi alcuni istanti di silenzio e pace.
-Heather, uscite di lì! Dobbiamo farci ricevere in casa!-.
La dama di compagnia si costrinse ad obbedire e seguì la padrona su per la scalinata d’ingresso del maniero.
A riceverle fu una serva loro coetanea, che fece entrare le due ospiti e si precipitò a chiamare Gwen.
-È una casa magnifica-, commentò Heather guardandosi attorno.
-Che cosa vorreste dire? Che la mia villa non è di vostro gradimento? Posso sempre farvi sbattere fuori, se preferite!-, si infiammò Courtney.
 
-Lady Gwen, avete visite-, comunicò la serva.
-Chi mi vuole?-, domandò la ragazza sperando che al piano di sotto ci fosse Lord Trent, ormai lontano da quattro giorni.
-Si tratta di Lady Courtney Bennet. Pare che voglia parlarvi urgentemente-.
-No, non quell’oca da quattro soldi! Ma perché l’hai fatta entrare? Sai che la detesto più di ogni altra cosa!-.
-Lady Gwen, mi dispiace. Fate un piccolo sforzo-.
La ragazza, sospirando, scese la rampa di scale ed entrò in salotto, dove le due ospiti si erano accomodate senza troppi complimenti.
-Ecco la nuova first lady del vicinato!-, proclamò Courtney scattando in piedi alla vista della rivale.
-Buongiorno anche a voi, Lady Bennet. Miss Heather-, salutò Gwen con un cenno del capo.
-In questi giorni non si fa altro che parlare di voi. È vero che state per sistemarvi?-.
-Sistemarmi? Se intendete “sposarmi” o simili, no, è una bugia bella e buona-.
-Capisco. Allora perché si dice che vi abbia fatto visita un misterioso pretendente proveniente nientemeno che dall’America?-.
-Questi non sono affari che vi riguardano, Courtney. E comunque l’uomo di cui state parlando non è venuto per me, ma per mio padre-.
-Quindi la vostra famiglia sta cercando di arricchirsi ancora un po’, giusto? Non vi è bastato sottrarre ai miei genitori la terra che gli spettava di diritto, ora intraprendete anche affari con soci d’Oltremare!-.
-Perdonatemi, ma cosa c’entra tutto questo con la vostra visita?-, domandò Gwen sollevando un sopracciglio.
-Cosa c’entra? È il nocciolo della discussione! Volete mettere in ombra il mio casato, non è vero? Così nessuno vorrà più sentir parlare di Courtney Bennet, nessuno vorrà più chiederla in sposa! Ed io finirò sul lastrico come altre mie amiche!-, si lamentò la ragazza piagnucolando.
-Fatemi capire bene: voi siete venuta qui solo per accertarvi che le voci fossero vere e per diffamarmi?-.
-Più o meno-, sentenziò Heather dal suo angolino.
-Fuori da casa mia. Andatevene!-, urlò Gwen; il suo grido riecheggiò attraverso tutto il maniero e finalmente le due indesiderate ospiti abbandonarono la casa.
-La prossima volta state zitta, stupida che non siete altro, e lasciate parlare me! Non sapete proprio come comportarvi!-, Courtney rimproverò Heather.
“Ed io sarei l’incivile della situazione”, pensò la dama di compagnia abbandonandosi allo schienale della carrozza.
 

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Capitolo 4
*** Lettera dalla Florida ***


4. Lettera dalla Florida

-Come è andata la visita ai Thompson?-, chiese Lord Bennet vedendo la figlia rientrare in casa.
-Quella strega mi ha cacciato da casa sua! Come se le avessi detto qualcosa di male! Mah, sono stanca, non voglio pensarci. La odio, padre, la detesto con tutto il cuore! Però ha detto che l’ospite misterioso non era venuto per lei: a quanto pare è entrato in affari con Lord Thompson-.
-Sono contento per lui: farà palate d’oro, se collabora con una società onesta-.
-Padre, ma cosa dite? Perché siete felice? Dovreste disperarvi, piuttosto! Voi non coltivate affari con l’estero, ecco perché siamo in perdita!-.
-Courtney, ritira immediatamente quello che hai detto. Sembra quasi che i debiti ci sommergano, quando invece non è così. Abbi rispetto per il lavoro di un’intera vita!-.
-Scusate padre, avete ragione. Non parlerò più in questo modo-, promise addolcendo la voce.
-Bene. Sappi, però, che anch’io da qualche tempo sono entrato sul mercato internazionale-.
-Davvero? E quando avevate intenzione di dirmelo?-.
-Non lo avrei fatto: ti agiti per il nulla, figuriamoci per una notizia come questa-.
-Ma… ne sono entusiasta! Sapevo che mio padre fosse il migliore del mondo!-, esclamò la ragazza abbracciando il genitore.
-Ti ringrazio dei complimenti, ma ora devi ascoltare. Non avrei più potuto tacere la cosa perché ho avanzato una proposta che spero tu possa capire ed accettare-.
-Di cosa si tratta? Vi prego, non tenetemi sulle spine!-.
-Ti racconterò tutto dall’inizio. Da sei mesi collaboro segretamente con un ricchissimo colono spagnolo che si è trasferito da alcuni anni in Florida. Il mercato che sto operando con lui è illegale, perciò se dovessi essere scoperto potrei essere arrestato e tutti i miei beni verrebbero confiscati. A te, principessa mia, non rimarrebbe niente, se non vivere sulla strada; e questo non accadrà mai. Perciò ho parlato di te al mio socio e gli ho chiesto se stesse cercando moglie. La sua risposta è stata affermativa ed io gli ho domandato se volesse prenderti in sposa-.
-Che cosa? Ma padre, io non l’ho mai visto…-, iniziò a protestare Courtney.
-Nemmeno lui ha mai visto te, eppure, dalla descrizione accurata che io gli ho fornito, si è detto interessato. Da questo matrimonio entrambi ricavereste benefici: tu saresti sistemata per il resto della vita, lui riceverebbe la tua dote. Ed io, anche se venissi scoperto, ti saprei al sicuro-.
-Padre, ora ho paura per voi. Ma potrei sapere qualcosa di più su quest’uomo?-.
-Certo. Il suo nome è Don Alejandro Burromuerto ed è un importante latifondista che ha fatto fortuna in Florida. Al suo servizio ha centinaia di schiavi, che lavorano nelle sue piantagioni di cotone e tabacco: sono proprio questi i prodotti che esporta. Ma sai che ci è impedito commerciare con gli Spagnoli, perciò sono stato costretto ad operare in gran segreto-.
-Mi state dicendo che è molto ricco, quindi?-, domandò Courtney trattenendo il respiro.
-No, cara, non ricco: è il padrone della Florida. Una sua sola parola potrebbe cambiare le sorti dell’intera colonia…-.
-È… straordinario! Forse dovrei mettermi in contatto con lui, scambiarci delle lettere…-.
-Non preoccuparti, a questo ho già pensato io. Anzi, sappi che è arrivata una lettera per te, alcuni giorni fa. L’ho conservata aspettando di poter affrontare insieme questo importante argomento-, spiegò brevemente il padre.
-Bene, allora datemela! Chi mi scrive?-.
-Don Alejandro, naturalmente-.
Courtney sentì il cuore batterle velocemente contro il petto: non si sarebbe aspettata un’iniziativa tanto improvvisa da un perfetto sconosciuto.
-Dove avete messo la lettera?-, chiese fremendo.
-In quel cassetto-.
La ragazza si precipitò ad aprire lì dove gli era stato indicato dal padre e dopo alcuni secondi trovò una busta color avorio sigillata con della ceralacca rossa recante lo stemma del casato dei Burromuerto. Sul retro c’era una scritta inclinata verso destra: vi era stato riportato l’indirizzo dei Bennet.
Courtney non aprì subito la busta; immaginò quali parole avesse scritto il mittente e poi, incoraggiata dal padre, spezzò il sigillo che chiudeva la lettera.
La ragazza spiegò il foglio celato all’interno e lesse avidamente le poche righe scritte dal pugno del misterioso Don Alejandro; quando ebbe terminato la lettura, rimase a fissare le parole scritte con un intenso inchiostro rosso.
-Ebbene? Che cosa vi comunica?-, chiese Lord Bennet senza avvicinarsi alla figlia.
Courtney proseguì con il suo silenzio: sembrava che non avesse più parole per esprimersi.
-Principessa, va tutto bene?-.
La ragazza si rifiutò ancora una volta di rispondere e si limitò a passare al genitore la lettera. Lord Bennet afferrò il foglio e lesse il contenuto, rimanendo a sua volta a bocca aperta.
 

S. Augustín, 16 aprile 1735

Mi cara Lady Bennet,
vi scrivo questa lettera sapendo che quando la leggerete non mi avrete conosciuto ancora. Come biasimarvi se doveste sentirvi preoccupata? In fondo non sapete chi sono.
Quando vuestro padre vi parlerà, capirete che mi nobre es Don Alejandro Burromuerto, latifondista spagnolo trasferitosi in Florida. Ho conosciuto Lord Bennet durante mi ultimo viaje in Europa y da allora sono entrato in affari con lui; di certo saprete che i rapporti tra il mio y il vostro Pa
ís sono proibiti, ma il guadagno era troppo alto per poter rifiutare l’offerta de vuestro padre.
Ci siamo tenuti regolarmente in contatto per quattro meses y solo pochi giorni fa mi è giunta una proposta di matrimonio su cui ho riflettuto mucho. Naturalmente so che Lord Bennet non vi ha raccontato ancora niente, ma è necessario che adesso conosciate la verità.
Mi siete stata descritta come una creatura leggiadra, una princesa bonitisima y intelligente: es mio desiderio conoscervi per decidere insieme se convolare a nozze. Por esto motivo vi chiedo di raggiungermi in Florida non appena avrete letto questa lettera.
Con la esperanza che voi accettiate il mio invito, vi porgo i miei omaggi.

Don Alejandro Burromuerto 

-Non mi aspettavo che il mio socio d’affari fosse così…-.
  -Frettoloso? Ansioso di vedermi?-, chiese Courtney riprendendosi dal momento di stupore.
-Vedi, principessa del mio cuore, non credevo che potesse essere così risoluto. Insomma, lo leggi anche tu: non vi avrà riflettuto per più di qualche giorno e ora sono io ad essere turbato-, confessò Lord Bennet.
-Lo so, padre. Ma cosa dovrei fare, adesso? Partire come mi è stato detto? Aspettare un’altra lettera, se mai arriverà?-.
-Cara, questa è una decisione che devi prendere tu: non sarò io a costringerti ad imbarcarti per l’America-.
-Ma è comunque necessario che io rispetti i patti che voi avete già stabilito: siete stato voi, padre, a propormi in moglie a Don Burromuerto. Adesso devo onorare la promessa: non avete forse dato la vostra parola?-.
Lord Bennet ammutolì, senza riuscire a guardare negli occhi la figlia: il senso di colpa aumentava sempre di più, fino a riempirgli completamente cuore e testa. Come aveva potuto barattare la sua adorata primogenita in cambio del denaro?
-Sì, ho confermato a Don Alejandro il mio volere. Perdonami, Courtney-.
-Non siate in pena per me, padre: sarò felice di incontrare un così importante e ricco nobiluomo come Don Alejandro. La mia vita sarà come l’ho sempre sognata-.
-Che cosa vuoi fare, allora?-.
-Imbarcarmi il prima possibile. Non sarà necessario partire da Londra: il porto di Southampton ha perfino una struttura migliore. Ho solo bisogno del vostro aiuto per sapere quando lasciare l’Inghilterra-.
Lord Bennet rifletté per alcuni istanti e, chiudendo gli occhi in cerca di concentrazione, disse: -Domani mattina andrò al porto per ottenere informazioni utili. Conosco persone influenti che potrebbero agevolarti il viaggio-.
-Grazie, padre!-, disse dolcemente la ragazza abbracciando il genitore.
-Non avrei mai creduto di vederti così entusiasta-.
-Oh, lo sono, invece: finalmente è giunta l’ora del riscatto!-, proclamò Courtney allontanandosi da Lord Bennet e dirigendosi verso la porta, pronta ad uscire.
-Cosa intendi dire, figliola?-.
La ragazza si voltò, scuotendo la chioma, guardò il padre negli occhi e, sorridendo furba, disse: -Gwen Thompson avrà presto il ben servito-.
 

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Capitolo 5
*** La promessa ***


5. La promessa

Da una settimana Lady Thompson attendeva notizie dell’uomo che le aveva improvvisamente cambiato la vita. Mai si sarebbe aspettata che uno sconosciuto, venuto addirittura da Oltremare, le avrebbe rapito il cuore come aveva invece fatto Trent Spencer.
Negli ultimi tre giorni lo stomaco della ragazza si era chiuso: la preoccupazione non la lasciava vivere serenamente ed il padre cominciava a nutrire qualche sospetto circa la causa del malumore della figlia. Più volte le chiese che cosa non andasse, ma la giovane si era rifiutata di confidarsi, alimentando le più bizzarre fantasie del genitore.
L’unica a sapere la verità era una serva, Beth, coetanea e grande amica di Lady Thompson: con lei Gwen aveva parlato, raccontando e descrivendo fin nei minimi particolari quali sensazioni avesse provato nel vedere e lasciar partire Trent.
-Mi stai dicendo che si è trattato di un leggendario “colpo di fulmine”?-, aveva chiesto Beth dopo aver ascoltato l’amica.
-È questo il punto: mi sono sentita elettrizzata, felice, appagata. Insomma, è difficile da spiegare. Quando mi ha detto che sarebbe dovuto partire, beh… Sono rimasta senza parole. Avrei voluto trattenerlo qui, con una scusa o qualcos’altro, ma mi sono resa conto che, in effetti, le cose sono state davvero molto, troppo veloci. Ti giuro, Beth, avresti dovuto vedere con quali occhi mi osservava: sembrava perso tanto quanto io lo ero di lui-.
-Sì, amica mia, è evidente: sei innamorata. O quanto meno invaghita-.
Gwen non aveva potuto contraddire in nessun modo la sentenza della ragazza; aveva perfettamente espresso lo stato d’animo che la agitava e non riusciva a non pensare a cosa stesse facendo Trent in quel momento, mentre lei passeggiava apparentemente tranquilla nell’ampio giardino che si apriva davanti al maniero.
“Vorrei che fosse già qui… anche se, una volta tornato, dovrò dargli una risposta alla domanda che mi ha posto. E allora che cosa farò? Me ne andrò con lui o rimarrò qui, nutrendomi di soli sogni e belle speranze?”.
La ragazza era ancora indecisa sul da farsi. Partire avrebbe significato svoltare, girare una pagina della sua vita; avrebbe significato, molto probabilmente, non fare più ritorno in Inghilterra, sua madre patria: ma era davvero questo quello che desiderava?
“Lasciare mio padre qui, da solo, non è un’idea che mi piace. Ormai ha una certa età e se dovesse accadergli qualcosa non saprebbe a chi chiedere aiuto. Oh, se fosse ancora qui la mamma! Almeno sarei sicura che starebbero bene, insieme”.
Altri mille pensieri le vorticarono nella testa e a ognuno sembrò voler mollare il sogno dell’avventura, da sempre limitata all’immaginazione stimolata dalla lettura; poi, all’improvviso, venne distratta dal richiamo di Beth che, sbracciandosi, le faceva segno di tornare in casa.
“Che starà succedendo?”, si chiese Gwen dirigendosi verso l’entrata del maniero, non distinguibile dal lato del giardino in cui si trovava.
Quando finalmente raggiunse lo spiazzo davanti alla scalinata, notò con un tuffo al cuore la presenza di una grossa e ricca carrozza che sostava a poca distanza. La ragazza affrettò quindi il passo, con la crescente speranza di trovarsi di fronte alla persona tanto attesa; entrò in casa e, vedendo Beth, le chiese chi fosse arrivato.
-Vai pure in salotto. È il tuo giorno fortunato-, le rispose semplicemente l’amica sorridendo e facendole l’occhiolino.
Gwen raggiunse il salotto e si ritrovò a contemplare la porta chiusa. Tese un orecchio per captare qualche parola, ma non riuscendoci decise di entrare: prese un bel respiro e trattenendo il fiato abbassò la maniglia d’ottone.
-Figlia, guarda chi è venuto a trovarci-, disse suo padre alzandosi dal divano.
-Buon pomeriggio, Lady Thompson-.
Il cuore di Gwen sussultò, gli occhi le brillarono, la gola si seccò in un solo momento: Lord Spencer era tornato.
-È un piacere rivedervi-, lo salutò, rabbrividendo al morbido tocco delle labbra del ragazzo che venivano poggiate sul dorso della sua mano.
-Siete ancora più bella di quanto mi ricordassi-, disse Trent facendola arrossire.
-Lord Spencer ed io stavamo giusto parlando di te-, proclamò Lord Thompson riprendendo la sua postazione sul divano. -È bene che tu conosca ciò che il nostro ospite vuole proporti-.
Gwen, rimasta in piedi, sedette accanto al padre ad un suo cenno; la stessa cosa fece Trent.
-Vedete, my Lady, Lord Isaac crede che voi abbiate bisogno di vedere il mondo. Pensa che siate letteralmente sprecata qui, in Inghilterra, dove le donne sono sottovalutate e costrette ad una vita monotona. È per questo motivo che mi ha chiesto di potervi ospitare nella mia tenuta, in Georgia: lì potrete saggiare lo spirito intraprendente del Nuovo Mondo ed una concezione totalmente diversa della società. Per voi sarebbe un’esperienza di indubbia crescita: naturalmente non siete costretta ad accettare. L’ultima parola è vostra-.
Gwen non sapeva cosa dire. Trent l’aveva nuovamente spiazzata e, contemplando i suoi meravigliosi occhi verdi, si chiese per quale motivo, fino a dieci minuti primi, avesse dubitato se raccogliere o meno l’invito.
-Sarei felice di poter vedere il mondo fuori dalla Gran Bretagna. È un’esperienza che non ho mai fatto e la vostra proposta, Lord Spencer, mi elettrizza-, rispose con la voce incrinata.
Il ragazzo guardò con occhi fiammeggianti il volto della giovane e, nascondendo un sorriso d’approvazione, disse: -Ebbene, Lord Isaac, vostra figlia così si è espressa. Ora siete voi a dover dare un parere in proposito-.
Il nobiluomo, sorpreso per la positiva quanto inaspettata reazione di Gwen, tacque per una manciata di secondi, in seguito ai quali disse: -Per me non sussiste nessun problema, Lord Spencer. È mio diritto solo sapere il costo delle spese per il viaggio-.
-Oh, non preoccupatevi, vostra figlia sarà ospite a bordo di un mio vascello. Purtroppo, però, devo a malincuore annunciarvi che sarò costretto a partire tra due giorni: devo assolutamente risolvere un problema non più procrastinabile-.
-Di cosa si tratta?-, intervenne Gwen con impeto.
-È una lunga storia; non vorrei annoiarvi-.
-Diteci pure. Siamo curiosi-, incoraggiò la ragazza.
Trent ci pensò su e poi parlò: -Vedete, la mia tenuta è situata poco lontana dal confine con la Florida e da anni la mia famiglia è entrata in contrasto con alcuni nobiluomini che rivendicano il loro possesso su diversi miei terreni. Sembrava che il problema fosse stato risolto: mio padre aveva proposto un accordo ragionevole che era stato accettato; ma adesso l’astio è tornato a farsi sentire e i discendenti dei primi avversari stanno cercando in ogni modo di appropriarsi delle terre mie di diritto. Per questa ragione devo partire: è necessario che al vostro arrivo, Lady Thompson, tutto sia pronto. Non voglio che assistiate a inutili lotte tra coloni-.
-Questo significa che Gwen viaggerà da sola. Come posso fidarmi del vostro equipaggio?-, domandò Lord Isaac sollevando dubbioso un sopracciglio.
-I miei sono uomini scelti e fedeli. Se dovesse succedere qualcosa a vostra figlia, verrei di certo a saperlo e non risparmierei i colpevoli. Comunque, tra non più di due settimane dovrebbe arrivare qui a Southampton un mio stretto collaboratore che scorterà vostra figlia fino in Georgia. Non temete, vi potrete fidare ciecamente di lui-, spiegò Trent senza guardare Gwen.
La ragazza sentì il cuore sprofondare: aveva già immaginato il lungo viaggio a stretto contatto con il giovane, ma ora tutti i suoi sogni erano stati infranti. Sugli occhi le calò un velo di tristezza che non passò del tutto inosservato.
-Capisco che voi siate spaventata: per voi sarà l’inizio di un’avventura che vi garantisco non lascerà delusi. Sarete felice, ve lo giuro-.
Gwen guardò Trent e contemplò il suo viso: ne traspariva tanta serenità che immediatamente la ragazza prese coraggio.
-Partirò tra quindici giorni, allora-, disse rivolta al padre. -Quanto durerà il viaggio in mare?-.
-Circa due mesi, ma è probabile che il veliero impieghi meno tempo, se il vento sarà favorevole e il tempo clemente-.
-Vuoi che qualcuno venga con te?-, chiese Lord Isaac stringendo delicatamente la mano della figlia.
-No, padre. Non ne avrò bisogno. Lord Spencer ha già garantito la massima sicurezza e non dovrò aver paura di nulla-.
-Ebbene, ancora una volta sono costretto a lasciarvi. Il dovere mi tiene di nuovo lontano da voi, Lady Thompson, ma quando vi accoglierò in Georgia sarete esterrefatta-.
-Giurate di non lasciarmi sola, Lord Spencer?-, chiese Gwen alzandosi dal divano insieme al padre per accompagnare l’ospite alla carrozza che aspettava davanti al maniero.
-La mia è una promessa-, disse Trent sistemandosi il cappello e uscendo nella calda luce del sole.
 

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Capitolo 6
*** Insieme per un thè ***


6. Insieme per un thè

-Avete diramato gli inviti, Heather?-.
-Certamente, Lady Bennet. Per le cinque le vostre ospiti dovrebbero essere tutte qui-.
-Splendido! Sarà il mio trionfo, vedrete!-.
Courtney era entusiasta. Non solo aveva ricevuto la lettera di un misterioso “cavaliere” spagnolo, ma sapeva anche che entro due giorni sarebbe partita per il tanto ambito Nuovo Mondo. E una notizia così non poteva non essere proclamata in tutto il Regno.
-Le mie amiche moriranno dall’invidia! Oh, sarà la lode delle mie virtù, del mio coraggio, della mia bellezza…-.
-Siete sicura che tutte le invitate si presenteranno?-, chiese Heather, sua dama di compagnia, facendole scomparire il sorriso dalla faccia.
-Ma certo, sciocca! Ho usato parole così succulente che la curiosità starà divorando il fegato di ciascuna. Sono troppo geniale, non trovate?-.
 
Quando a Beth era stata consegnata la lettera di Lady Bennet, la giovane serva era stata investita dall’improvvisa voglia di buttarla via. Ma poi il senso del dovere aveva prevalso e si era affrettata a recapitare la busta all’amica Gwen che, come al solito, se ne stava rintanata nella sua camera a leggere e sognare mille avventure.
-Che succede?-, le aveva chiesto la ragazza vedendola entrare.
-È appena arrivata questa-, aveva detto la serva porgendo la lettera.
-Chi scrive?-.
-Lady Bennet-.
-Gettala via, allora. Dopo quello che è successo la settimana scorsa, non voglio nemmeno leggere le due righe che mi ha mandato-.
-Ma Gwen, potrebbe essere importante-.
-No, se viene da quell’arrogante-.
-Allora la prenderò io-.
Beth si era avvicinata all’amica, che l’aveva respinta dicendo: -Forse sarà meglio dare un’occhiata al contenuto-.
Gwen aveva aperto la busta, spiegato il foglio accuratamente ripiegato e subito dopo appallottolato la carta buttandola dall’altra parte della stanza.
-Voglio sperare che stia scherzando-, aveva detto ritornando al suo libro.
-Un invito per un thè? Chissà come mai-, si era chiesta a voce alta Beth raccogliendo e leggendo la lettera.
-Si parla di “grandi notizie”, ma probabilmente sarà solo una scusa per sfoggiare, che so, un suo nuovo vestito; o magari una parure di diamanti-.
-Dovresti andarci, Gwen-.
-Per quale motivo? Per tirarle in faccia la tazzina da thè?-.
-No, ovviamente. Magari deve davvero fare un annuncio importante-.
-Ti odio quando dici così, Beth. Sei fin troppo ragionevole. Non dovresti aver pietà di una ragazza come quella-.
-Oh, Gwen, pensaci per un attimo: non avrà chiamato solo te. Heather, la ragazza che mi ha recapitato la lettera, ha detto che avrebbero partecipato tutte le ragazze della regione-.
-Allora che cosa avrà in mente?-.
-Non ne ho idea. È per questo che devi andarci-.
 
 Il pendolo nel salotto scoccò le cinque. Courtney, pronta già da due ore, aveva fatto sistemare pasticcini e tazzine sul tavolino di cristallo che si trovava nella veranda e osservava dalla finestra la stradina che conduceva alla sua enorme villa.
-Non sono nemmeno puntuali! Come osano far aspettare me?-.
-C’è qualcosa che non va, Lady Bennet?-.
-Mi sto irritando, Heather. Non vedete che sono in preda all’ira?-.
-Pensavo che per voi questa fosse una costante-.
-Ma come osate parlarmi così, sudicia…-.
-Le vostre ospiti, Lady-.
La furia di Courtney fu rimandata: tre carrozze stavano percorrendo la stretta viuzza di campagna, avvicinandosi sempre di più all’entrata della villa.
-Presto, scortatemi fuori: devo accogliere le mie amiche come si deve-, ordinò uscendo dalla stanza.
Le invitate si fermarono nell’ampio spiazzo antistante al maniero e scesero con grazia dalle rispettive carrozze, ricevute dalla padrona di casa.
-Courtney! Quanto tempo!-, la salutò vivacemente la prima delle ospiti.
-È un piacere rivedervi, Lindsay. Vi trovo bene-.
-Grazie, ma è merito di questo splendido vestito. Mi è stato recapitato ieri dalla Francia: è costosissimo, ma di gran moda tra le dame di Parigi-.
-Non ne dubito. Ma fatemi dare il benvenuto anche a Lady O’Halloran-.
Una bella nobildonna dalla puzza sotto il naso si fece strada verso Courtney, salutandola con un cenno della mano.
-Lady Bennet, ero in pensiero per voi. Non ricevevo vostre notizie dall’ultima festa in vostro onore, tre mesi fa-.
-Lo so. Purtroppo ho avuto una serie di impegni che non potevo rimandare in alcun modo. Ma vedrete, oggi pomeriggio vi farò recuperare il tempo perduto. Ho grandi notizie!-.
-Courtney! Siamo liete di essere state invitate-.
Altre due ragazze si avvicinarono e la padrona di casa le salutò con una tiepida stretta di mano.
-Katie e Sadie Evans, le due cugine simbolo di Southampton. Benvenute-.
-Quali novità ci avete riservato?-, chiese la prima, filiforme e avvolta in uno stretto abito bianco.
-Ci saranno i pasticcini insieme al thè?-, domandò l’altra, resa ancora più grassa da un vestito dalla gonna gonfia.
-Tutto a suo tempo, amiche mie. Ora entriamo in casa. Heather, fate strada alle mie ospiti-.
La dama di compagnia obbedì e condusse all’interno le quattro ragazze; Courtney, invece, rimase ancora un minuto fuori, aguzzando la vista per vedere se anche l’ultima invitata stesse arrivando.
“Maledetta Gwen Thompson! Non verrà al ricevimento. E tutti i miei sforzi andranno sprecati. Ora dovrò rimanere per il resto del pomeriggio con quelle quattro insopportabili galline senza cervello!”.
Rientrò in casa e si diresse in salotto. Le quattro si erano già accomodate, chiacchierando della loro vita spensierata.
-Dalla Francia, avete detto? È bellissimo-, stava dicendo Blaineley O’Halloran a Lindsay.
-Vi ringrazio! Avevo visto questo vestito durante il mio ultimo viaggio sul continente e me ne sono innamorata. Ho pensato che si adattasse all’occasione-.
-Vi sta d’incanto, Lady Harris. Se lo avessi saputo, avrei indossato l’abito che mi sono fatta cucire con la seta italiana-, s’intromise Katie.
-Stoffa dall’Italia? Avrete speso un patrimonio!-, esclamò Lindsay sgranando gli occhi.
-In un certo senso sì… Ma ne è valsa la pena, ve lo assicuro!-.
-Anch’io ho comprato un vestito italiano, ma ho deciso che sarà l’anima della festa per il mio compleanno-, rivelò Sadie afferrando un pasticcino e ingoiandolo intero.
“Mai vista tanta poca grazia”, pensarono allo stesso tempo Blaineley e Courtney, che venne interpellata dalle ospiti.
-Allora, Lady Bennet? Non teneteci sulle spine, rivelateci le grandi notizie!-.
-In verità vi ho chiamate qui per…-.
-È arrivata l’ultima invitata-, informò Heather, che se ne stava vicino alla finestra per tenere d’occhio la strada.
-Un attimo di pazienza, amiche. Tra poco saprete tutto-.
Courtney uscì dalla stanza e si precipitò fuori, esattamente mentre Lady Thompson scendeva dalla carrozza.
-Alla fine siete venuta. Non sapete che non sta bene far aspettare?-, domandò puntigliosa.
-Non pensavo che faceste sul serio-, rispose Gwen ironicamente.
-Bene, allora. Le altre sono tutte dentro. Seguitemi: sarete colpita dalle informazioni che vi darò-.
Courtney precedette la ragazza, accompagnandola nel salotto in cui era sceso improvvisamente un silenzio gelido. Quando Gwen fece il suo ingresso, le quattro le riservarono sguardi di profonda disapprovazione.
-Ci siete anche voi, allora-, disse Blaineley squadrandola.
-Siete in ritardo-, affermarono contemporaneamente Katie e Sadie.
-Salve, Lady Thompson. Sono felice che siate venuta-, la salutò cordialmente Lindsay: i rapporti tra loro erano buoni e Gwen ringraziò il Cielo delle parole della giovane.
-Anch’io sono contenta di vedervi qui, tutte riunite. Mi è stato comunicato che ci sarebbero state novità-.
-E ci sono. Sedetevi pure e servitevi, prima che il thè si freddi del tutto-, esortò Courtney, impaziente.
Gwen si sistemò accanto a Lindsay e Heather le versò del liquido ambrato in una tazza.
-Vi ringrazio-, disse la ragazza sorseggiandone un po’.
-Bene. Credo che finalmente possa raccontarvi ogni cosa-, cominciò Lady Bennet.
-Oh, sì! Non fateci aspettare oltre-, pregò Katie.
Courtney si prese un altro minuto, prima di iniziare a parlare; voleva che ogni cosa fosse perfetta: solo così avrebbe ottenuto il riscatto nei confronti dell’odiata Gwen.
-Da dove partire, amiche mie? Questa è una lunga storia e non voglio certamente annoiarvi…-.
-Continuate-, disse Lindsay, già catturata dalle parole della padrona di casa.
-Dunque… Alcuni giorni fa ho parlato con mio padre del destino mio e di questo maniero. Nonostante io sia profondamente attaccata alle mie origini, sono stata esortata a partire-.
-Dove? Per quanto tempo?-, domandò Sadie interrompendola.
-È questa la grande notizia, mie belle dame: vi lascio per andare in America-.
Sembrò che il tempo si fosse fermato. Nessuna delle ragazze ebbe la forza di pronunciare una singola parola.
-Nel Nuovo Mondo?-, disse Blaineley senza riuscire a credere alle proprie orecchie. -Avete davvero detto questo?-.
-Sì, Lady O’Halloran. Avete capito bene-.
-Ma… Per quanto tempo vi tratterrete lì e dove?-, chiese Lindsay.
-Questo ancora non lo so. Posso dirvi, però, che sarò ospite di un ricco latifondista. Se l’esperienza Oltremare dovesse andare bene, potrei anche decidere di rimanervi-.
-Sono entusiasta, Courtney. Sarete felice, ne sono sicura-, disse Katie poggiando sul tavolino la sua tazza di thè ormai vuota.
-Ne sono convinta anch’io. Ma le sorprese non sono ancora finite-.
-Diteci tutto, tutto!-, spronò Sadie.
Courtney fece una pausa ad effetto e inspirò profondamente, cercando di non far trasparire troppa gioia sul viso.
-Sto per sposarmi-.
Lo aveva detto in un soffio, aspettando la reazione delle altre. E tutto proseguì secondo i piani.
-Oh, Cielo, dite sul serio?-, domandò Lindsay, rimasta a bocca aperta.
-E chi sarebbe il fortunato?-, si informò subito Katie.
-Il nobile di cui sarò ospite in America-.
Le ragazze avevano un’aria sognante; non si sarebbero mai aspettate una novità di quella portata. Solo Gwen sembrava esterrefatta. Si stava chiedendo quando, dove e come Courtney avesse conosciuto quello straniero del mistero.
-Quando partirete?-, domandò Blaineley.
-Tra due giorni-.
Calò di nuovo il silenzio, sostituito poco dopo da acclamazioni per il futuro radioso di Lady Bennet.
-Siamo felici per voi. Ve lo meritate!-, esclamarono all’unisono le cugine Evans.
-Sarete ancora più ricca di quanto non lo siate già-, aggiunse Blaineley con uno sguardo colmo d’invidia.
-Potrete acquistare tutti i beni più costosi! Siete la donna più fortunata del mondo!-, proseguì Lindsay.
-E voi, Gwen? Non dite niente?-, domandò Courtney, appagata dai complimenti delle altre, ma non ancora soddisfatta dalla reazione della rivale.
-Che cosa volete che dica? Vi faccio le mie congratulazioni. E ne approfitto per comunicare a voi tutte che anch’io sto per partire-.
-Come?-, domandarono in coro le ragazze.
-Mi metterò in viaggio per la Georgia. Lì mi aspetta una nuova vita e finalmente sarò libera di essere me stessa-.
L’annuncio spiazzò le nobildonne, ma a prenderla peggio fu proprio Courtney.
“No”, si stava dicendo, “non mi ruberai il momento di gloria. Non questa volta!”.
-E partirete…?-, domandò dissimulando il profondo interesse che nutriva per quella notizia.
-Tra sette giorni, scortata da un drappello proveniente direttamente dal Nuovo Mondo-.
-Ma quante emozioni! Sono troppe, per un solo pomeriggio!-, esclamò Lindsay entusiasta.
-Entrambe andrete alla conquista dell’America-, disse Blaineley guardando negli occhi Courtney e cogliendo l’ira che si nascondeva nel suo animo. -Potrete anche viaggiare insieme-.
-Non se ne parla nemmeno!-, urlò Lady Bennet esternando la sua delusione e disapprovazione. -E non sarebbe comunque possibile-.
-Non temete, Courtney; anche se ci fosse stata l’occasione, non avrei mai e poi mai accettato di stare con voi sullo stesso vascello-, disse Gwen senza curarsi della presenza delle altre ospiti.
-Sappiate che la penso come voi!-, rispose di rimando la padrona di casa.
-Bene, dunque. Se non c’è altro, credo di potermene anche andare-.
-Fate con comodo! Siete bandita dal mio maniero!-.
Gwen, che si era alzata dal divano, fece per uscire dalla stanza, ma si scontrò con Lord Bennet, tornato in quel momento dopo aver sbrigato delle commissioni.
-Buonasera, Lady Thompson. È un piacere rivedervi dopo tanto tempo-.
-Salve a voi. Stavo tornando a casa…-.
-Ho visto quattro carrozze davanti all’ingresso e mi sono chiesto chi fosse venuto a visitarci; vedo che la mia piccola Courtney ha dato una festa per le sue amiche. Non ne ero stato messo al corrente-.
-Padre, le mie ospiti stavano per lasciare la nostra villa. Ho voluto dare il lieto annuncio della mia prossima partenza-.
-Comprendo perfettamente. Mi dispiace avervi interrotto, ma è arrivata questa lettera per te, figliola-.
Lord Bennet tese una busta d’avorio alla ragazza, che subito l’afferrò, incuriosita. Non c’erano dubbi: non avrebbe potuto confondere quella particolarissima grafia.
Ruppe il sigillo di ceralacca rossa e lesse il foglio. Un’ombra scura le si allungò sul volto, oscurandolo.
-C’è qualcosa che non va?-, domandarono preoccupate Katie e Sadie.
-Courtney?-, la chiamò il padre, avvicinandosi e leggendo la lettera da sopra la spalla della figlia.
Le ospiti guardarono i due per diversi minuti senza proferire parola. Sembrava che il messaggio, qualsiasi fosse, avesse rovinato la giornata di entrambi.
-È stato gentile ad avvisarti-, disse poi Lord Bennet accarezzando la schiena della ragazza per consolarla.
-Immagina se la lettera non fosse arrivata in tempo…-.
-Ma mi è stata recapitata-, ribatté Courtney, la voce tremante e caratterizzata da un misto di ira e delusione.
-Ma che cosa succede?-, insistettero di nuovo le cugine Evans, stavolta supportate anche da Blaineley e Lindsay.
-Il mio viaggio è rimandato-, rispose secca. -Di sei settimane a partire da oggi-.
Non sapendo cosa dire, le ragazze preferirono non parlare, deluse anch’esse per la notizia inaspettata.
-Forse è meglio se torniamo a casa-, disse Katie con tono triste. -Non credi anche tu, Sadie?-.
-Sì, si è fatto tardi-.
-Anche io devo scappare. Senza di me, Villa O’Halloran non va avanti-, spiegò brevemente Blaineley alzandosi.
-Lo stesso vale per me-, aggiunse Lindsay. -Questa sera dovrò ricevere alcuni miei parenti e mi è stato imposto di non tardare-.
Le quattro si affaccendarono dinanzi alla porta, vicino alla quale era rimasta, immobile, Gwen: nonostante odiasse con tutto il cuore Courtney, la giovane provò pena per lei.
-Vi saluto, signori Bennet. Non ci rivedremo molto presto-, disse senza pensarci troppo.
-Come mai?-, chiese il padre di Courtney.
-Tra una settimana partirò per l’America e non so per quanto tempo mi fermerò lì-.
-Sono felice per voi, Lady Gwen. Sarà un’esperienza indimenticabile. Vi auguro buon viaggio-.
La ragazza ringraziò e uscì dalla stanza, seguita a ruota dalle altre compagne. Ognuna salì sulla propria carrozza e ripartì, percorrendo la stretta viuzza che serpeggiava attraverso la campagna.
Affacciatasi dal finestrino, Gwen lanciò un’ultima occhiata alla villa e le parve di udire, in lontananza, delle urla.
“Che sia Courtney?”, si domandò mentre faceva risalire il vetro. E pensò di non aver avuto torto.
 

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Capitolo 7
*** Inattesa sorpresa ***


7. Inattesa sorpresa

-Mi ha messo in ridicolo davanti a tutte le altre! Questa gliela farò pagare cara, molto cara!-.
-Dovresti essere felice, invece. Se fossi partita, saresti incappata in una serie di spiacevoli imprevisti-.
-E così, invece? Avevo chiamato le mie “amiche” per farle morire d’invidia; c’ero riuscita. Ma poi… Poi siete arrivato voi con questa maledetta lettera! E si sono dileguate senza troppi complimenti!-.
-Calmati, adesso. Stai per sentirti male-.
-Non riesco a tranquillizzarmi, padre. Soprattutto perché quell’odiosa Gwen Thompson partirà, al contrario di me. E anche lei per l’America! Ma vi rendete conto di quanto possa essere ingiusta la vita? Che cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo?-.
-Stai esagerando, Courtney. Bevi un bicchiere d’acqua, aspetta che la cena venga servita e poi fai una bella dormita; vedrai, il sonno ti ristorerà e domani mattina sarà tutto passato-.
-Questo è quello che dite voi. Ma ne dubito fortemente: come potrei dimenticarmi di ciò che è successo?-.
La ragazza aveva ancora tra le mani la lettera. La rilesse, sperando di aver frainteso, ma no, la bella grafia di Alejandro Burromuerto riportava esattamente quanto avevano capito sia lei sia suo padre.

S. Augustín, 23 aprile 1735

Mi cara Lady Bennet,

so che quando riceverete esta lettera starete per partire. Purtroppo, però, mi rincresce dovervi informare della spiacevole situazione che si sta sviluppando aquí, en Florida.

La lotta tra latifondisti è più dura che mai. Insieme ad alcuni miei amici sto cercando di recuperare alcune terre che mi sono state sottratte con linganno; pertanto soy costretto a dirvi che la vostra partenza dovrà essere tardata di almeno sei settimane, in modo che, quando sarete aquí, l’ambiente sarà dei mas confortevoli.

Scusandomi per l’inconveniente e sperando nel vostro perdono, vi saluto.

Don Alejandro Burromuerto


“Lotte tra latifondisti… Speriamo bene”, si disse Courtney ripiegando la lettera e infilandola nella busta. “E io che pensavo che la mia vita sarebbe cambiata in meglio”.
-Non ci pensare più, principessa. Il tempo trascorrerà velocemente; al momento della partenza non ti accorgerai nemmeno che le sei settimane sono passate-.
La ragazza annuì rispondendo: -Avete ragione, padre. Non c’è motivo per agitarmi così-.
-Ben detto. Ora, però, mangia con me: la fame comincia a farsi sentire-.
 
Gwen era tornata a casa da pochi minuti e ad accoglierla aveva trovato la solita Beth, che subito le aveva chiesto del thè insieme alle altre ragazze.
-Lo scopo di Courtney era quello di suscitare l’invidia di tutte, soprattutto la mia. Peccato che, alla fine, partirò prima io che lei. Quasi mi dispiace, sai? Era così delusa… Ma ha avuto quel che si merita-.
-Quando si parla di Lady Bennet non conosci pietà, eh?-.
-Non dopo tutto quello che ha fatto. E pensare che suo padre è un uomo davvero a modo-.
-Non parliamone più, d’accordo? Vieni dentro, la cena è quasi pronta-.
Gwen entrò in casa e si diresse allo studio del genitore, di cui però non c’era traccia.
-Ha ricevuto un messaggio poco dopo che te ne sei andata ed è uscito. Non mi ha detto dove sarebbe andato né quando sarebbe tornato-, spiegò brevemente Beth.
-Oh. Non fa niente; lo aspetterò per cenare-.
-Forse dovresti mangiare adesso, prima che il cibo si freddi-.
-Non importa. Sono sicura che tra poco sarà qui. Nel frattempo torno al mio libro: mi sta appassionando-.
Gwen salì al piano superiore e si rifugiò nella sua stanza, abbandonandosi alla poltrona che si trovava vicino alla finestra. Prese il volume che aveva lasciato sulla seduta e riprese a leggere, i protagonisti della storia che prendevano vita nella sua testa.
Trascorse un’ora lì, nel silenzio più assoluto. Non si sarebbe accorta di quanto tempo fosse passato, se la fame non le avesse iniziato a mordere lo stomaco.
“Possibile che mio padre non sia ancora arrivato?”, si chiese preoccupata. “Se è uscito poco dopo di me, manca da ben quattro ore da casa. Ma dove sarà andato? E perché?”.
Dei battiti sulla porta della camera la distrassero e dopo aver pronunciato un appena percettibile “Avanti” vide comparire sulla soglia l’amica Beth.
-Scendi pure. Tuo padre è tornato. E non è solo-.
Gwen non ebbe il tempo di domandare chi fosse l’ospite, perché Beth scomparve in un istante, senza aggiungere altro.
“Chi sarà mai?”, si disse la ragazza attraversando il corridoio e scendendo le scale.
Sentì la voce del genitore provenire dalla sala da pranzo; sembrava solo, ma presto Gwen fu raggiunta anche dal timbro dello sconosciuto annunciato da Beth.
-Il viaggio è stato dei migliori-, stava dicendo lo straniero. -Abbiamo incontrato un tempo invidiabile. Spero solo che si conservi-.
-Non temete, questo non è il periodo delle piogge: siamo all’inizio dell’estate-.
Gwen esitò all’esterno della sala, prima di entrare. Non aveva mai sentito prima di allora il particolare accento parlato dallo sconosciuto e pur sforzandosi di capire da dove provenisse, alla fine si arrese. Inspirò profondamente e fece il suo ingresso.
-Oh, ecco a voi mia figlia. Gwen, ti presento Sir Anderson-.
La ragazza studiò per un momento l’ospite: aveva capelli castani e piccoli occhi azzurri; non era molto alto, ma il suo viso le ispirò subito simpatia.
-Piacere di conoscervi-, si limitò a dire.
-Vi porgo i miei omaggi, Lady-, la salutò quello con un baciamano che le ricordò vagamente la prima volta in cui aveva conosciuto Trent.
-Gwen, Sir Anderson è appena arrivato dall’America. Sara lui ad accompagnarti in Georgia; è il più fidato tra gli uomini di Lord Spencer-, spiegò il padre. -Oggi pomeriggio mi è pervenuto un suo messaggio e mi sono preoccupato di riceverlo al porto-.
-Vi ringrazio ancora per l’ospitalità, Lord Thompson. Davvero, non ce n’era bisogno; avrei trovato un alloggio in città-.
-Ma io tengo particolarmente ai miei soci in affari. Avrei mai potuto abbandonarvi in un posto praticamente sconosciuto? Adesso, però, è il momento di cenare: continueremo a parlare a tavola-.
I tre presero posto e si lasciarono servire; di fronte a Gwen sedette l’ospite, a cui la ragazza chiese del viaggio in mare.
-Credetemi, Lady Thompson, non ho mai visto l’Oceano tanto calmo. Sembrava di volare, non di solcare le acque. Il vento ci ha favoriti e in poco meno di otto settimane abbiamo raggiunto Southampton. Siamo sbarcati oggi pomeriggio, come vi ha riferito vostro padre, ma tra una settimana dovremo partire di nuovo. Vi sentite pronta per l’avventura nel Nuovo Mondo?-.
-Ne sono entusiasta, Sir Anderson-.
-Vi prego, chiamatemi pure Cody-.
-E voi chiamatemi Gwen-.
Lo straniero le sorrise affabile e afferrò una fetta di pane da accompagnare allo splendido arrosto preparato nelle cucine; la ragazza rispose nello stesso modo.
-Diteci, Sir Anderson: Lord Spencer se ne è andato in tutta fretta, spiegandoci che in Georgia ci sono problemi. Ma che cosa sta succedendo, esattamente?-, domandò Lord Thompson.
-È una lunga storia. Purtroppo le lotte tra proprietari terrieri si fanno sempre più intense, sfociando in vere e proprie battaglie all’ultimo sangue; fortunatamente nel caso di Lord Trent non è stato raggiunto questo limite, ma gli eventi non promettono nulla di buono. Il latifondista che gli sta muovendo contro rivendica delle terre che in realtà non gli sono mai appartenute e minaccia di assaltare la tenuta, che si trova, peraltro, in una pericolosa zona di confine. Questo è un ulteriore motivo che spinge il “vicinato” a provocare e attaccare-.
-Ma come si può rimediare a tutto questo? E inoltre, non pensate che sia troppo rischioso lasciare che mia figlia Gwen parta per la Georgia?-.
-Capisco bene le vostre preoccupazioni, Lord Thompson, e sarò schietto con voi. Stiamo cercando di risolvere la situazione pacificamente, senza ricorrere all’uso di armi, mai auspicabili; ma non posso promettervi nulla: tutto dipenderà dal nemico-.
Un profondo silenzio cadde lungo la tavolata, interrotto solo dal rumore delle posate che stridevano nei piatti dei commensali. Poi, all’improvviso, Lord Thompson si alzò, ordinando alla serva più vicina di sparecchiare.
-Vado a letto. Vi do la buonanotte, Sir Anderson. A domani, figlia-.
I due ragazzi lo videro allontanarsi e udirono i suoi passi pesanti risalire le scali, poi abbandonarono anche loro la sala da pranzo.
-Immagino che voi siate stanco-, disse Gwen lanciando un’occhiata all’ospite.
-Lo sono. L’ultima volta che ho dormito per almeno sei ore filate è stata due mesi fa-.
-Lasciate che vi accompagni nella vostra stanza, allora. Credo che ormai sia pronta-.
La ragazza fece strada lungo le scali e condusse Cody al piano superiore. Raggiunsero una porta antistante a quella della camera di Gwen e la giovane fece scattare la chiave nella serratura.
-I bagagli sono stati trasportati fin qui. Dovete solo disfarli. Fate come se foste a casa vostra-.
-Vi ringrazio, Lady Gwen. Vi auguro una buona nottata-.
-Anche a voi-, rispose sorridendo e chiudendosi la porta alle spalle.
 



Angolo dell'Autrice
Salve, o cortesi lettori :)
Normalmente riservo le note come questa al termine definitivo della storia, ma stavolta ho sentito il bisogno di cambiare.
Perché, chiederete voi.
Ebbene, spero vivamente che stiate apprezzando questa fiction. Ho messo tutta la mia anima in questi sette capitoli e vorrei davvero che foste soddisfatti del risultato fin qui ottenuto.
Adesso, però, chiedo un vostro parere: vale davvero la pena di continuare? Per una serie di impegni ed imprevisti potrei rimanere lontana da questo sito per un po' di tempo e mi dispiacerebbe profondamente interrompere una Long come questa. Tuttavia, l'alternativa sarebbe quella di eliminare la storia e di non pensarci più.
Questo pensiero mi fa male, perché scrivere (e leggere) è quanto di più caro ho. Ma cosa fareste al mio posto? Proseguireste o abbandonereste?
Sperando di non avervi annoiato troppo e confidando nel vostro giudizio di lettori, vi saluto.

Amor31







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Capitolo 8
*** In giardino ***


8. In giardino

La mattina seguente Gwen si alzò di buon’ora, pronta ad aiutare in casa nonostante l’opposizione di Beth. Scese con passo felpato nella sala da pranzo, fece una rapida colazione a base di porridge e poi uscì in giardino; la accolse un venticello fresco che la fece rabbrividire, ma a cui la ragazza si abituò in pochi minuti.
Attraversò il viale fiorito e si ritrovò in un campo dorato d’avena: i contadini erano già all’opera sotto i tiepidi raggi del sole di fine giugno.
Tornò nel suo terreno e ammirò l’imponenza del maniero che tra poco meno di una settimana avrebbe lasciato, forse per sempre: sentì il cuore stringersi in una morsa, ma la mente scacciò via i pensieri tristi sostituendoli con una bella immagine di Trent. “Il viaggio varrà la pena”, si disse la ragazza accennando un sorriso.
Si avvicinò sempre di più alla grande scalinata d’ingresso e vide affacciarsi sulla soglia Sir Anderson, che la salutò scuotendo piano il braccio.
-Come vi sentite? Avete dormito bene?-, gli chiese raggiungendolo.
-Mai stato meglio. Mi ci voleva davvero un sonno ristoratore; quel letto mi è sembrata la cosa migliore della mia vita, dopo essermi spezzato la schiena su una brandina per sei settimane-.
-Capisco. Ma non avevate una cabina tutta per voi?-.
-Preferisco stare con l’equipaggio, sottocoperta. E comunque, nonostante questi piccoli inconvenienti, mi piace la vita di mare-.
Sir Anderson le sorrise dolcemente e Gwen propose di fare un giro intorno alla villa.
-Con molto piacere, my Lady-.
Il ragazzo le porse il braccio e insieme si incamminarono verso giardino e frutteto.
-La vostra è una casa magnifica. Sono felice di aver accettato l’invito di vostro padre-.
-Ne sono contenta anch’io. Sapete, pur essendo elettrizzata all’idea di partire, c’è qualcosa in me che continua a porre resistenza-.
-È normale, soprattutto se prima di oggi non avete mai viaggiato-.
-Esattamente. Essere consapevole, poi, di stare da sola su una nave di sconosciuti, beh, mi agitava un po’. Ma adesso mi sento più sicura: conoscendovi meglio durante questa settimana avrò l’impressione di non essere troppo lontana da casa-.
-Non temete, Lady Gwen. Vi avrei fatta chiamare io stesso, se non fossi stato ospitato in casa vostra. Ho immaginato cosa steste provando e semplicemente ho ritenuto opportuno che mi vedeste e vi fidaste di me, prima di partire-.
La ragazza fissò Sir Anderson per alcuni istanti, poi tornò a guardare il paesaggio che li circondava.
-Avete dei fiori magnifici. Queste rose sono bellissime-.
-Me ne prendo cura io personalmente. Normalmente detesto il giardinaggio, ma le rose hanno su di me un effetto particolare: semplicemente le adoro-.
-Si vede; ne parlate con un tono di voce delicato, quasi aveste paura di spezzarle-.
-Davvero? Si nota così tanto?-.
-Io me ne sono accorto-.
Le guance di Gwen colorirono improvvisamente e lasciò il braccio dell’accompagnatore per avvicinarsi al cespuglio di fiori; si chinò leggermente ed inspirò il dolce profumo delle rose.
-È evidente che ne siete innamorata-.
-Sir Anderson…-.
-Cody, vi prego-.
-Sir Cody, siete sempre così attento ai particolari?-.
-Solo delle persone che reputo interessanti-.
-Ed io lo sarei?-.
-Decisamente-.
Di nuovo il viso di Gwen assunse un colorito simile a quello di un gruppo di rose poco distanti.
-Sarebbe un complimento, questo?-.
-Sì, se lo ritenete opportuno-.
-Bene, allora. Lo interpreterò come un elogio-.
La ragazza si spostò lungo il labirintico giardino, seguita dallo sguardo di Cody, che la raggiunse un istante dopo.
-Oltre alle rose cos’altro vi piace?-.
-Oh, che dire? La lettura: è il mio unico mezzo per allontanarmi qualche ora dalla realtà. Solo così posso viaggiare e vedere posti che davvero non avrò mai l’occasione di visitare-.
-Vi comprendo benissimo. Anch’io sono un amante della buona lettura-.
-Che cosa leggete?-.
-Di tutto: dai trattati politici a tematiche più leggere. Qual è stato l’ultimo volume che avete completato?-.
-“I viaggi di Gulliver”: l’ho adorato, anche se il finale mi ha lasciata perplessa. Adesso sto leggendo “Moll Flanders” e già mi ha catturata-.
-Ancora non ho avuto il piacere di sfogliarli, ma presto lo farò. Immagino che i temi siano forti-.
-Avete ragione. I protagonisti hanno sempre alle spalle la storia di una famiglia disastrata o comunque il racconto di una qualche tragedia. Ma sono proprio questi i motivi per cui mi piacciono-.
Rimasero in silenzio per alcuni minuti, continuando a passeggiare l’una a pochi passi dall’altro. Poi Gwen chiese, pensierosa: -Vi ho detto qualcosa di me. Forse dovreste fare lo stesso-.
Cody sorrise e lo sguardo gli si illuminò: la ragazza poté cogliere ancor meglio la sfumatura azzurra dei suoi occhi.
-Sono nato e cresciuto in Georgia; ho ereditato il titolo nobiliare da mio padre, che si era imbarcato per il Nuovo Mondo insieme ai genitori di Lord Trent, che conosco fin dall’infanzia. Insieme al mio amico ho costruito un piccolo impero coloniale ed ora sono il suo più stretto e fidato collaboratore. Lo considero come il fratello che non ho mai avuto e non farei mai nulla per ferirlo-.
-Questa fedeltà vi fa onore, Sir Cody-, disse Gwen avvicinandosi. -È sempre più difficile incontrare gentiluomini come voi e Lord Spencer-.
-Vi ringrazio, my Lady-, le rispose. -Potrete sempre raccontare di aver conosciuto due uomini a modo-.
La ragazza rise e con lei l’ospite: sì, le era decisamente simpatico.
-La colazione è stata di vostro gusto?-.
-Assolutamente. Adoro l’avena: ne abbiamo due interi campi, alla tenuta-.
-E cos’altro coltivate?-.
-Grano, mais, patate. Ma soprattutto cotone, fondamentale per l’esportazione-.
-Non vedo l’ora di salpare, ascoltando le vostre descrizioni. Immagino un paradiso, al posto dell’America-.
-Definire paradiso il Nuovo Mondo non è del tutto errato. Rimarrete a bocca aperta, quando giungerete a destinazione-.
-È quello che sogno-, ribatté convinta Gwen conducendo di nuovo Cody in casa tenendolo sottobraccio.
 

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Capitolo 9
*** Southampton Port ***


9. Southampton Port

Quell’ultima settimana trascorse molto velocemente agli occhi di Gwen. Le sembrava che solo il giorno prima fosse arrivato Trent a proporle di salpare per l’America; le pareva che Sir Cody fosse apparso dal nulla per condurla via dall’Inghilterra. E ora, ad un giorno dalla partenza, non le restava che preparare i bagagli.
Si era fatta aiutare dalla fidata Beth a prendere un enorme baule e a stiparlo di vestiti e libri: sapeva che i due mesi di navigazione sarebbero stati terribilmente noiosi, se non avesse avuto qualche passatempo con sé. Aveva inoltre recuperato dallo studio del padre numerosi fogli di carta e boccette d’inchiostro, accompagnate dall’immancabile penna d’oca.
-Vedrai che il tempo scorrerà in fretta, esattamente come questi ultimi sette giorni. Penso che tu stia esagerando con i preparativi-.
-Beth, il troppo non è mai un difetto. Pensa se, invece, tutto questo non dovesse essere sufficiente-.
-Ma lo sarà. Andrà bene, stanne certa-.
La sera prima della partenza Gwen cenò molto presto e si ritirò a letto poco prima delle nove; la nave sarebbe salpata alle sei e non voleva di certo mancare all’appuntamento della sua vita. Prima di andare a dormire, però, fu bloccata da Sir Cody, che la rassicurò e le augurò sonni tranquilli.
-Vi ringrazio, Sir Anderson. Lo stesso sia per voi-.
Ma la nottata della ragazza fu tutt’altro che mite. Sognò di trovarsi in mare, sola, su un vascello abbandonato e avvolto dalla nebbia. Intorno non c’era nulla, se non il silenzio più assoluto, interrotto dallo sciabordio dell’acqua salata contro la nave. Il panico l’assalì e si svegliò di soprassalto, grondante di sudore, mentre il pendolo confinato nel salotto batteva, distante, quattro rintocchi.
“È ancora troppo presto”, si disse tenendo una mano sul cuore, che non accennava a riprendere un battito regolare. “Partirò solo tra due ore… Sarà meglio tornare a dormire”.
Ma per quanto cercasse di recuperare il sonno, non ci fu niente da fare; si costrinse allora ad alzarsi e scendere al piano inferiore, stringendo nella mano destra una candela per farsi luce.
La ragazza si diresse direttamente nelle cucine e prese dell’acqua, che bevve in un istante; l’agitazione la stava facendo soffocare.
“E se non partissi più? Forse il mio destino è davvero quello di rimanere qui… Anche se non dovessi più vedere Trent”.
Si sentiva profondamente divisa: la testa le suggeriva di non salpare, il cuore la incoraggiava ad andare avanti. E alla fine prevalse.
“No, Gwen, devi stare calma. Non succederà nulla di brutto, sei al sicuro. Trent ti ha promesso che vi rivedrete e per due mesi sarai in compagnia del suo più grande amico. Non devi avere paura, ormai ci sei quasi. Comportati da adulta quale sei”.
Riempì di nuovo il bicchiere con l’acqua e si rifugiò in salotto, dove sedette sul divano; fuori dalla finestra i raggi argentei della luna illuminavano la vallata come in un sogno. La ragazza si stese sui morbidi cuscini e abbandonò la testa al bracciolo,addormentandosi poco dopo.
 
-Gwen, alzatevi. Dobbiamo andare-.
Aprì gli occhi, stropicciandoli, e mise lentamente a fuoco la stanza riportando alla mente quanto successo durante la nottata.
-Buongiorno, Sir Cody-.
-Vi sentite bene?-, chiese allarmato il giovane osservandola attentamente.
-Sì, non vi preoccupate. La carrozza è già pronta?-.
-Quasi. Vostro padre sta impartendo le ultime disposizioni e ha fatto caricare il baule che tenevate nella vostra stanza. Non avete fame? Sarebbe meglio che mangiaste qualcosa, prima di partire-.
Cody la aiutò ad alzarsi e la sorresse delicatamente, accompagnandola fino alla sala pranzo.
-Sedete. C’è del porridge, se ne volete-.
-Vi ringrazio-.
Gwen si servì due misere cucchiaiate di avena, mangiando svogliatamente sotto lo sguardo attento dell’ospite. Poi chiese: -Andrà tutto bene, vero?-.
Cody le sorrise e le strinse delicatamente la mano sinistra, sussurrando appena: -Non temete, ci sarò io a proteggervi-.
La ragazza ritrasse appena la mano e si alzò da tavola leggermente rincuorata; tornò nella sua stanza, afferrò una borsa di cuoio che non era stata presa dalla servitù e scese fuori, dove la stavano aspettando suo padre e Sir Cody.
-Possiamo andare?-, le chiese Lord Isaac aspettando il suo consenso.
La figlia annuì e si avvicinò ulteriormente alla carrozza. Prima di salire ammirò di nuovo il suo bellissimo maniero e commossa mise un piede sullo scalino del mezzo.
-Apetta, Gwen!-.
La ragazza si voltò di scatto e vide correrle incontro la cara Beth, che abbandonò i formalismi normalmente mantenuti di fronte a Lord Thompson e strinse in un forte abbraccio l’amica.
-Stavi per andartene e io non ti avevo nemmeno salutata! Che razza di persona sono?-.
-Sei la migliore amica che io abbia mai avuto. E ti ringrazio per essere sempre stata al mio fianco-.
-Oh, Gwen! Mi raccomando, fai buon viaggio; e scrivimi, quando sarai arrivata in America. Io farò lo stesso-.
Le due ragazze si sciolsero dall’abbraccio e si guardarono ancora, commosse.
-Addio, amica mia-.
-No, my Lady: arrivederci-.
Gwen esitò per un’altra manciata di secondi, poi salì in carrozza, seguita da suo padre e da Sir Cody; si affacciò dal finestrino, salutò ancora Beth e si lasciò alle spalle il maniero, che poco alla volta scomparve all’orizzonte mentre si allontanavano lungo la stradina.
 
Nonostante distasse poche miglia, Gwen non aveva mai avuto l’occasione di visitare il porto di Southampton. Così quella mattina, alle prime luci dell’alba, ebbe l’opportunità di ammirare il sole nascente sul mare e i mille colori e profumi dell’area marittima.
La carrozza si fermò a duecento metri dalla banchina e i tre scesero. In testa alla piccola spedizione c’era Sir Cody, che guidò i Thompson alla nave.
-Ed ecco a voi, signori, la Spencer’s Defense-.
Gwen rimase a bocca aperta: il vascello era gigantesco, forse avrebbe potuto contenere due volte l’intero maniero. Tre imponenti alberi si stagliavano contro il cielo striato di viola, le vele ripiegate e appena tremolanti al leggero tocco del vento; la prua era caratterizzata da un’enorme polena rappresentante Nettuno, che sembrava erigersi sul pelo dell’acqua.
-È… meravigliosa-, riuscì solo a sussurrare la ragazza.
Cody la guardò compiaciuto e ordinò al cocchiere di trasportare i bagagli, poi urlò in direzione dell’imbarcazione e dalla leggera foschia del primo mattino comparve un marinaio, che rispose al richiamo ed esortò i propri compagni a mettersi al lavoro.
-Tra poco caleranno la passerella e potremo salire a bordo. Siete emozionata?-, chiese Cody.
-Molto. Sono davvero senza parole… Non avrei mai immaginato di viaggiare su una nave del genere-.
-E non avete visto ancora nulla-.
I marinai poggiarono una pesante passerella di legno al lato sinistro del vascello e la poggiarono a terra.
-Sir Anderson, siamo pronti!-, gridò lo stesso uomo che aveva risposto poco prima a Cody.
-Bene. Lady Gwen, vi faccio strada. Seguitemi-.
La ragazza obbedì meccanicamente e senza replicare fece i primi passi lungo la passerella, che scricchiolò leggermente sotto i suoi piedi.
-Siete sicuro che non ceda?-, domandò allarmata.
-State tranquilla, è normale che il legno schiocchi. Venite-.
Gwen si ritrovò finalmente a bordo: ovunque guardasse c’erano sartie, attrezzatura navale a lei del tutto sconosciuta, barili e reti umide. L’equipaggio la accolse con serietà, disponendosi in fila, pronto a riceverla.
-Siate la benvenuta, Lady Thompson. Sono il Capitano Harold Smith, al suo servizio-.
-È un piacere conoscervi-, rispose la ragazza mentre alle sue spalle salivano suo padre ed il cocchiere, che trasportava il pesantissimo baule.
-Siamo pronti a partire?-, chiese impaziente Cody rivolgendosi a Harold.
-Certo. Quando vorrete, my Lady, salperemo-.
Gwen si voltò e vide suo padre. Gli si avvicinò, lo abbracciò come mai prima di allora e si salutarono.
-Sii responsabile, figlia mia. Vai e conquista l’America-.
-Vi renderò fiero di me, padre. Vi scriverò appena mi sarà possibile-.
Si strinsero ancora e a Lord Isaac si inumidirono gli occhi; poi fu costretto a scendere, mentre i marinai si apprestavano a ritirare la passerella.
-Prepararsi per la partenza! Tutti in posizione!-, urlò il Capitano dirigendosi al timone.
-Avete sentito, uomini? Ognuno al proprio posto!-, ripeté ancora più forte un altro membro dell’equipaggio.
Gwen assistette a quello che le parve un completo caos; poi un terzo grido lacerò l’aria.
-Levate l’ancora!-.
La ragazza percepì il ponte vibrare sotto i piedi e si aggrappò al bordo della nave. Il vascello cominciò a muoversi lentamente, quasi non ce la facesse.
Gwen si sporse e vide il padre in piedi, immobile, lungo la banchina; al suo fianco il fedele cocchiere che li aveva accompagnati fin lì. La ragazza salutò entrambi alzando il braccio e scuotendolo energicamente, mentre una fitta le colpiva dolorosamente il cuore: chissà quanto tempo sarebbe dovuto passare prima di rivedere il genitore?
“Addio, padre. Addio, Inghilterra”, pensò presa dalla tristezza mentre il porto si riduceva a un puntolino.
-Non siate malinconica. Da oggi per voi ha inizio una nuova vita: non abbiate paura-.
Cody le si era avvicinato senza fare rumore e si appoggiò al bordo liscio del vascello, scrutando l’orizzonte.
-Avete sempre una parola di conforto per me, Sir Anderson. Ve ne sono grata-.
-Sono qui per questo, my Lady-.
Il ragazzo si voltò e le afferrò le mani dicendole con rinnovata energia: -Venite con me, vi mostrerò la vostra cabina-.
Gwen lo seguì con il cuore pesante, consapevole che davvero per lei stesse iniziando una nuova fase. Si chiudeva un capitolo bellissimo della sua vita, se ne apriva un altro ancora tutto da scrivere.
Cody l’accompagnò sottocoperta e le indicò la stanza del Capitano.
-Questa sarebbe la mia camera, ma come vi ho spiegato normalmente preferisco condividere le brande dell’equipaggio. Se volete, potrei alloggiare qui, finché dura il viaggio. La vostra cabina è adiacente alla mia e se doveste avere bisogno di qualcosa, sapreste a chi rivolgervi-.
-Come volete, Sir Cody. Non desidero che sorgano obbligazioni-.
-Non c’è nessun disturbo, ve lo assicuro. Il mio compito è assicurarvi il miglior soggiorno possibile-.
-Grazie ancora-.
-Aspettatemi qui. Vi faccio portare il baule-.
Gwen vide l’accompagnatore allontanarsi ed attese di fronte alla porta foderata di rosso.
“È davvero una nave magnifica”, si disse ammirando le pareti di legno.
Cinque minuti dopo sentì una serie di passi pesanti avvicinarsi con difficoltà.
-Fate piano con quello! È delicato!-.
Due uomini sorreggevano i pesanti bagagli della ragazza e poggiato a terra il baule aprirono la porta, seguiti da Cody.
-Qui è tutto pronto per il vostro alloggio, Lady Thompson. Dormite pure, se volete: è ancora presto-, disse uno dei marinai.
-Non temete. Sarò abbastanza occupata per l’intera mattinata-.
-A più tardi, allora. E buon soggiorno-.
Gli uomini uscirono senza chiudere la porta e Cody salutò la ragazza, già pronta a disfare i bagagli, che le portarono via due buone ore. Quando ebbe terminato di sistemare tutto, salì nuovamente sul ponte e raggiunse Sir Anderson, che stava discutendo con il Capitano.
-Lady Thompson, avete alla vostra destra l’isola di Wight. La circumnavigheremo in tre ore circa, poi ci dirigeremo dritti verso l’Oceano-, spiegò Harold Smith.
-Avete apportato migliorie nella cabina?-, le chiese incuriosito Cody.
-Solo le necessarie. Voglio godermi il mare, ora che sono qui-.
-Sarete colpita dal fascino dell’Oceano, Lady Thompson. L’uomo non ha mai visto niente di più sublime-, disse ancora il capitano.
La ragazza si allontanò verso la prua e ammirò la lontana linea azzurra dell’orizzonte: chissà quali avventure l’attendevano, oltre l’Inghilterra. Chi mai avrebbe incontrato? Sarebbe stata felice con Lord Trent?
“Voglio rivedervi, Spencer. Aspettatemi, sto arrivando”.
 

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Capitolo 10
*** Proposta ***


10. Proposta

-Ho fatto come mi avevate chiesto, Lady Bennet. E vi ho detto tutto quello che so-.
-Ah, sono furiosa! Possibile che io viva perennemente in uno stato d’agitazione?-.
-Voi ve la prendete troppo. Che cosa importa se Gwen Thompson è partita? L’importante è che anche voi raggiungiate la vostra destinazione, quando sarà il momento-.
-Ma è ingiusto! Don Alejandro mi aveva scritto di partire appena avessi ricevuto la lettera!-.
-Siete stata fortunata, allora. Personalmente concordo con quanto ha detto vostro padre: se foste salpata, probabilmente la situazione si sarebbe decisamente complicata-.
Heather era tornata da un’ora alla villa dei Bennet; su ordine di Courtney aveva fatto visita ai Thompson, ma era stata ricevuta solo da Beth, che le aveva spiegato di non poter incontrare i padroni di casa, usciti molto presto quella mattina.
-Forza, dunque: spiegatemi quali pericoli avrei incontrato!-.
-Se non sbaglio il vostro caro Don Alejandro vi ha riferito che la situazione in Florida non è delle più rosee; e se foste giunta proprio nel momento sbagliato? Avreste preferito finire prigioniera o vittima dei rivali del vostro pretendente?-.
-Almeno lo avrei conosciuto!-.
-Non abbiate fretta, ogni cosa ha il suo tempo. Verrà anche il vostro, non preoccupatevi-.
Courtney si gettò sul divano, esausta per quella conversazione che le succhiava via energia. Non sapeva più cosa controbattere, ma poi disse: -E così sarò costretta ad andarmene ad un mese dalla partenza di Gwen-.
Piagnucolò come solo lei sapeva fare e Heather la guardò con disprezzo, inspirando profondamente per cercare di frenare l’impulso di picchiare la padrona.
-Non è bello vedervi in questo stato, Lady Courtney. E vi farà male continuare a piangere-.
La ragazza si alzò, si asciugò le lacrime che le rigavano il viso e avvicinandosi alla dama di compagnia le fece cenno di sedersi accanto a lei.
Heather obbedì e Courtney riprese la sua postazione.
-Ho preso una decisione-.
-Riguardo cosa?-, domandò Heather. “Magari per consolazione vuole che l’accompagni in città per fare spese…”.
-Si tratta del viaggio per la Florida-.
-Ditemi pure, vi ascolto-.
-Sapete bene che, al momento dell’imbarco, sarò sola. Con me non ci sarà nessuno, perché ho detto a mio padre di voler dimostrare di sapermela cavare senza l’aiuto altrui. E non dubito certo delle mie capacità-.
“Allora qual è il punto?”, si domandò ancora Heather, presagendo nulla di buono.
-Ma l’idea di trovarmi da sola, abbandonata al mio destino, per due abbondanti mesi mi spaventa decisamente. Insomma, non so che razza di persone si imbarcheranno con me: e se tentassero di farmi del male? Se mi rapissero per ricattare mio padre?-.
-Che cosa mi state chiedendo, Lady Courtney?-.
-Di venire con me-.
A Heather mancò il respiro. “Ma che cosa le viene in mente?”, si disse la ragazza.
-Perché proprio io?-.
-Perché voi siete l’unica persona di cui mi fidi ciecamente. Siete la mia dama di compagnia, ma soprattutto una vera amica. Nonostante spesso vi tratti male alzando la voce e rimproverandovi, non vi lamentate mai, non ve la prendete, non vi ribellate. Avete tutto il mio rispetto, Heather. E spero che voi ricambiate il mio sincero affetto-.
Heather era davvero senza parole. Non si aspettava di certo che la terribile padrona un giorno avrebbe ammesso i suoi torti.
-Che cosa mi rispondete, allora? Accettate di partire?-.
-Courtney, mi cogliete impreparata… Dovrò avvertire la mia famiglia, sapere se anche i miei genitori sono d’accordo; ricordate che io sono la maggiore di quattro figli e…-.
-Non mi importa: ci penserà mio padre al benessere dei vostri parenti. Verranno ricompensati con un’ingente somma d’oro, se vi lasceranno venire con me-.
Quella sì che era una proposta allettante! Heather avrebbe colto al volo l’occasione, ma si impose un freno.
-Voi mi tentate, tuttavia ho il bisogno di parlarne con la mia famiglia. Anzi, se volete posso andare in questo momento stesso: tornerò oggi pomeriggio, per l’ora del thé-.
-Bene. Andate, allora-.
 
La carrozza dei Bennet si fermò lungo la strada principale del centro cittadino e Heather si fece largo tra la folla, infilandosi in un angusto vicolo sporco. Sia sulla destra sia sulla sinistra si aprivano piccoli negozietti di seconda mano vicino ai quali se ne stavano mendicanti e vecchi in cerca dell’altrui carità. Una donna le si avvicinò e la trattenne per la gonna, ma Heather proseguì nel suo cammino, strattonando la signora e facendola quasi cadere.
“Quando cambierà la situazione nei bassifondi?”, si domandò guardandosi attorno e tappandosi il naso mentre passava davanti ad un sacco dell’immondizia sventrato e mangiucchiato dai topi.
Si fermò un paio di minuti più tardi all’angolo della strada, dove lateralmente si apriva un portoncino verde consumato dal tempo. La ragazza batté tre volte e sentì il rumore sordo riecheggiare all’interno; poi la serratura all’interno scattò e una donna la accolse.
-Heather! Da quanto tempo! Che cosa succede? Quella megera ti ha cacciato di casa?-.
-Ciao, Rose. No, stai tranquilla: sono venuta solo per parlare con mamma e papà-.
-Vieni, dai. Hai tante cose da raccontarci!-.
Heather seguì a ruota la sorella, che la condusse al primo piano del piccolo palazzo incrostato.
-Chi era, tesoro?-.
-Mamma, è venuta a trovarci Heather!-.
Un rumore di passi rapidi fece bloccare entrambe le ragazze e subito dopo comparve sulla soglia della cucina una signora di media altezza, lievemente tarchiata, che non dimostrava più di cinquant’anni. I capelli, ormai striati d’argento, un tempo erano stati neri e lucenti come quelli della figlia maggiore.
-Figlia mia!-.
La donna corse ad abbracciare la ragazza e se la strinse al petto, baciandola sulle guance come se fosse stata l’ultima cosa che avrebbe fatto nella vita.
-Ciao, mamma-, le rispose sorridendo appena Heather. -Ti trovo bene-.
-Non dire sciocchezze ed entra in cucina. Puoi fermarti per pranzo o sei obbligata a tornare dalla tua padrona?-.
-Rimarrò qui finché ce ne sarà bisogno-, ribatté gelida. -Papà non c’è?-.
-È andato al mercato per vendere del pollame e ha portato con sé Drake e Robert. Siediti, avanti: sembra quasi che tu voglia fare i complimenti. Ricorda che questa è casa tua-.
Heather prese posto ad un lato del rustico tavolo e sua sorella Rose le si pose di fronte.
-E allora? Come procedono le cose?-.
-Non c’è male. Pur di guadagnarmi da vivere sono disposta a sopportare quell’egocentrica di Courtney Bennet-.
-Tesoro, non parlare così. In fondo sei ospite in quella meravigliosa villa…-.
-Non mi interessa nulla né di lei né del maniero. Ciò che voglio è mettere abbastanza denaro da parte per costruire una casa che sia davvero mia. E inoltre desidero aiutarvi nella ristrutturazione di questo rudere-, proclamò indicando le pareti, il cui intonaco stava cedendo in innumerevoli punti.
-Cara, non ce ne sarà bisogno. Qui viviamo bene e non sentiamo la mancanza di nulla se non di te. Vogliamo vederti felice, Heather-, le disse la madre riprendendo a mescolare un grosso pentolone che stava bollendo sul fuoco.
-Ma ci spieghi qual è l’esatto motivo della tua visita?-, insistette la sorella agitandosi sulla sedia.
-Ne parleremo non appena papà sarà rientrato-.
-Siamo a casa! È pronto il pranzo?-.
Una voce risuonò nell’atrio al piano di sotto.
-Questi devono essere loro-, disse Rose uscendo dalla cucina e affacciandosi lungo le scali. -Drake, Robert, salite su! È venuta Heather!-.
I due ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e concitati si gettarono contro la sorella maggiore.
-Ciao! Come stai?-, chiese il primo.
-Ci hai portato qualcosa di buono dalla villa?-, domandò il secondo.
-Calma, ragazzi, non assillatela-, si preoccupò la madre. -È appena arrivata, volete forse farla scappare di nuovo?-.
-Non fa niente, mamma. Ragazzi, purtroppo non ho avuto il tempo di prendere nessuna leccornia dalla cucina, ma spero che queste bastino-.
La ragazza estrasse un pacchetto di caramelle, subito preso d’assalto dai due gemelli.
-Dammene una!-, cominciò Drake.
-Prima a me!-, protestò Robert.
-Ce ne sono per tutti, ma se iniziate a litigare giuro che non ve ne darò nemmeno una-, minacciò Heather fingendo serietà.
I due piccoli di casa si calmarono immediatamente e ricevettero per ricompensa gli ambiti dolciumi.
-Ma papà è ancora al mercato?-, domandò Rose ai fratelli.
-Sta arrivando; noi abbiamo fatto una gara a chi sarebbe arrivato primo-, spiegarono all’unisono.
Nello stesso momento sentirono scattare il portone e questa volta furono i gemelli ad urlare al genitore di sbrigarsi.
Un minuto dopo ecco comparire sulla porta della cucina il padre di Heather; a differenza della moglie, era alto e magro. Aveva corti capelli corvini e lo sguardo vispo come se per lui il tempo non fosse mai passato. Alla vista della figlia allargò le braccia e la ragazza non si tirò indietro.
-Stai bene?-, le chiese guardandola negli occhi.
-Sì, non sono mai stata meglio. Sono venuta per parlare urgentemente con te e con la mamma: ho bisogno del vostro parere su una questione che mi sta molto a cuore-.
La famigliola si riunì attorno alla tavola e la madre servì a ciascuno un piatto caldo di minestra che fece scottare la gola della povera Heather.
-Fai piano o ti ustionerai-, le disse il padre con un sorriso.
-Troppo tardi-, sibilò lei afferrando la brocca dell’acqua al centro del tavolo e riempiendo il proprio bicchiere fino all’orlo.
-Di cosa ci devi parlare?-, domandò sua madre incuriosita.
-Premetto che l’argomento sarà spinoso-, iniziò a spiegare Heather, -e molto probabilmente non vi piacerà-.
Aspettò che tutti avessero finito di mangiare, poi prese a riferire quanto le era stato detto da Courtney.
-Potrebbe essere la mia occasione per svoltare e la vostra per togliervi da questa miseria. Valutate bene la proposta: ci sono in ballo migliaia di sterline che sappiamo tutti quanto facciano comodo, di questi tempi-.
-Heather, ti stai vendendo inconsapevolmente-, le fece notare suo padre. -Non sei costretta ad accettare l’offerta di Lady Bennet-.
-Ma sarebbe la vostra fortuna: con i soldi che vi ha promesso non solo potreste ristrutturare questo palazzo, ma comprarvi direttamente una casa nuova! Sareste finalmente indipendenti: se vi trasferiste in campagna potreste ampliare il mercato mettendo su una vera fattoria. Tu, papà, faresti molto più denaro vendendo una maggiore quantità e tipologia di merce; mamma e Rose potrebbero comprare cotone d’importazione e filarlo, rivendendo la stoffa lavorata. Pensateci per un singolo istante!-.
-Tesoro, se arricchirci significa perdere te, non ne vogliamo sapere-, affermò sua madre. -E se dovesse succederti qualcosa di male? Il denaro non potrà mai ripagare della scomparsa di una figlia-.
-Ma questo non accadrà, ve lo giuro. Sapete che so badare a me stessa-.
La cucina si riempì di un silenzio denso, quasi palpabile. Poi a parlare fu suo padre.
-Tu cosa desideri?-.
-Partire per vedere che cosa mi riserva l’altra metà del mondo-.
-Allora vai. Questa è la tua vita; ma abbi sempre giudizio e non farti ingannare dalle apparenze-.
Heather si alzò da tavola sotto lo sguardo shockato di tutti gli altri presenti; si avvicinò al padre, lo abbracciò di nuovo e gli sussurrò in un orecchio un semplice “Grazie”.
-Devo andare-, disse dopo che il resto della famiglia l’ebbe baciata e stretta in un unico abbraccio. -Lady Courtney mi sta aspettando-.
 
Mezz’ora dopo Heather entrò a villa Bennet e cercò la padrona, ancora seduta in salotto.
-Siete tornata-, l’accolse Courtney. -Avete fatto presto. Spero che almeno la risposta sia stata positiva-.
-Lo è-, confermò la ragazza. -I miei genitori hanno accettato la vostra offerta, my Lady. Ed io vi confermo che partirò con voi-.
-Splendido!-, urlò l’altra saltando in piedi. -Tra un mese salperemo insieme-.
 

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Capitolo 11
*** Spiacevoli domande ***


11. Spiacevoli domande

Le prime due settimane di viaggio sembrarono volare, bruciate dalla grande curiosità di Gwen nei confronti di tutto ciò che riguardasse il mare. Aveva chiesto al Capitano Smith come si manovrasse la nave, in che modo valutasse con precisione i gradi di una virata, quali fossero le specifiche funzioni di ogni singolo strumento utilizzato; e l’uomo era stato ben felice di risponderle, dimostrando di apprezzare il suo interesse.
-Non credevo che una nobildonna inglese potesse essere tanto affascinata da un vascello qualsiasi-, le aveva detto una mattina, mentre facevano colazione.
-Vedete, Capitano, questo è per me il primo viaggio in assoluto e la voglia di conoscere è tanta. Perdonate la mia curiosità, se vi è d’intralcio-.
-Tutt’altro!-, aveva esclamato quell’altro, temendo di averla offesa. -Ne sono felice, credetemi. Quando mi ricapiterà l’occasione di incontrare una donna entusiasmata dal mare?-.
E Gwen aveva infine decretato che, sì, il Capitano Harold le era simpatico. Sempre gentile e disponibile nei riguardi di tutti, lo ammirava fortemente: non aveva mai una parola di rimprovero, neanche se a bordo succedeva qualcosa di spiacevole, e per questi motivi la ciurma lo amava.
La ragazza aveva inoltre approfondito la conoscenza di Cody, vero gentiluomo della situazione. Si dimostrava attento ai problemi della giovane, volenteroso di aiutarla in qualsiasi modo possibile, curioso di sapere qualcosa in più su di lei. Gwen si riteneva abbastanza soddisfatta, nel complesso.
Le condizioni del tempo si erano mantenute stabili fin dal giorno della partenza. Il sole splendeva alto nel cielo, ma il caldo era tollerabile; non una nuvola spezzava l’azzurro manto del cielo e questo garantiva il buon umore dell’intero equipaggio. Il viaggio non sarebbe potuto proseguire meglio.
Quella mattina, dopo aver fatto colazione, Gwen parlò nuovamente con il Capitano Harold, assistita come sempre da Cody.
-Vi informo che siamo a 250 miglia dalla costa spagnola; abbiamo di fronte l’Oceano, my Lady-.
-Sono previste soste?-, domandò Sir Anderson.
-Se il meteo ce lo consentirà, in quindici giorni raggiungeremo le Azzorre e faremo un breve scalo di due giorni, solo per fare rifornimento. Poi riprenderemo la navigazione e non ci fermeremo prima di essere arrivati in Georgia. Non vogliamo far aspettare troppo Lord Spencer, vero?-.
Gwen accolse di buon grado la notizia: un mese in mare era elettrizzante, certo, ma la verità era che non vedeva l’ora di rincontrare Trent.
Dopo aver salutato i due uomini, la ragazza si ritirò nella sua cabina e, sedutasi allo scrittoio, aprì un cassetto, estraendone un libriccino e il calamaio. Poggiò il materiale sul ripiano lievemente inclinato e intinse la penna nell’inchiostro, pensando a cosa scrivere; da alcuni giorni le frullava in testa l’idea di redigere un personalissimo diario di bordo, in cui annotare quotidianamente i fatti che più l’avrebbero colpita, e finalmente si era decisa a cominciare.
 

5 luglio 1735

Caro diario,
a partire da oggi mi impegnerò il più possibile a riportare gli avvenimenti sulla Spencer
s Defense. Sono in viaggio da due settimane, ma mi sembra di aver lasciato solo ieri mio padre sulla banchina del porto di Southampton; chissà come starà.
I miei primi quindici giorni in mare sono stati bellissimi. Ho conosciuto gente meravigliosa e pian piano mi sto facendo voler bene. Mi sento davvero protagonista di una grande avventura.
Il Capitano mi ha appena detto che siamo al largo della costa spagnola; vorrei aver visitato almeno una volta quello splendido Paese. Dicono che sia le terra del sole: riuscirò mai a vederla?
Inoltre mi ha colpito la notizia di una prossima fermata nell
arcipelago portoghese delle Azzorre: a quanto pare ci tratterremo solo un paio di giorni. E così lattesa si prolungherà: come vorrei che qui con me ci fosse Lord Trent! Sarebbe tutto ancora più speciale!
Aspettando ulteriori informazioni, ti lascio.

Gwen

 I pomeriggi della giovane erano riempiti dalla lettura, sua grande compagna. Avendo il baule stipato di volumi, era inevitabile che si mettesse comoda, spesso rimanendo nella sua stanza, per dare spazio alla sua già fervida immaginazione. Quel giorno, però, cambiò idea e dopo aver attentamente valutato le condizioni meteorologiche decise che avrebbe preso posto sul ponte.
Si sistemò a prua, con il mare che le si rivelava in tutta la sua bellezza, e si immerse nella lettura del suo adorato “Moll Flanders”. Era talmente presa dalla narrazione che non si accorse dell’arrivo di Cody.
-Cosa state leggendo?-, disse inginocchiandosi al suo fianco.
-È il romanzo di cui vi avevo accennato. Mi mancano poche pagine e poi avrò un’altra storia nel cuore-.
-Oh, allora mi dispiace di avervi interrotta-.
-Non è necessario che vi scusiate. So che anche voi amate i libri e che non mi avreste mai disturbata di proposito-.
Gwen tornò a rivolgere gli occhi al volume, ma Cody la distrasse nuovamente.
-Non mi avete mai detto cos’altro vi piace, oltre alle rose e ai libri-.
-Scrivere-, rispose sbrigativa.
-E cosa scrivete?-.
-Molto spesso quello che mi passa per la testa; impressioni, commenti, semplici sfoghi. Altrimenti storie fantastiche-.
-Di che genere?-.
-Dipende-.
-Avete mai trattato narrazioni romantiche?-.
-Poche volte. Perché me lo chiedete?-.
-Curiosità-.
Gwen si sentiva leggermente in imbarazzo. Per quanto si sforzasse di prestare attenzione alle pagine del suo romanzo, avere accanto Cody la metteva a disagio. E fino a quel momento non le era mai successo.
-Fin dalla prima sera che vi ho vista mi sono domandato se nel vostro cuore ci fosse qualcuno-.
“Ecco la domanda del giorno!”, pensò la ragazza allarmandosi.
-O se voi apparteneste già a qualcuno-.
-Sir Anderson, fino a prova contraria non sono un oggetto. Non appartengo a nessuno, se non a me stessa-, disse prendendo le distanze.
-Non fraintendetemi, vi prego. La mia è solo…-.
-Curiosità, certo!-.
Gwen si alzò dalla sedia che aveva sistemato a ridosso della parete e richiuse stizzita il libro.
-Dove andate?-, chiese Cody alzandosi a sua volta.
-Nella mia cabina-.
-Aspettate!-.
Gwen non sentì ragioni. Non si voltò, non lo guardò; semplicemente si allontanò verso la porta che conduceva sottocoperta, ma il ragazzo la raggiunse.
-Rispondete almeno alla mia domanda!-, la supplicò.
-Non sono cose che vi riguardano, Sir Anderson!-.
-Ma…-.
Gwen aprì la propria cabina e si chiuse dentro con una doppia mandata, mentre fuori Cody bussava lievemente implorando perdono.
“E così si spiegano tutte le sue carinerie”, si disse la ragazza sedendosi allo scrittoio per aggiornare il diario. “È vero che gli uomini sono tutti uguali”.
 

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Capitolo 12
*** Lajes das Flores ***


12. Lajes das Flores

Da quando Cody le aveva posto quella spiacevole serie di domande, Gwen cercava di evitarlo il più possibile. La mattina faceva colazione da sola, nella sua cabina, o nella stanza del Capitano, che la aggiornava sulle ultime notizie; la stessa cosa accadeva per il pranzo e la cena. Raramente i due si vedevano e se l’occasione si era presentata Gwen aveva fatto finta di non vederlo.
Unico suo confidente era il diario, nascosto al sicuro nel cassetto dello scrittoio intarsiato. A lui la ragazza affidava i propri pensieri, ora turbati dal comportamento di Cody.

Mi ha davvero spiazzata, caro diario. E pensare che lo consideravo come un fratello. Invece aveva il suo interesse a rivolgermi tutte quelle attenzioni. Lo avrei dovuto capire fin dalla prima sera in cui ci siamo conosciuti. Ricordo bene i suoi sorrisi di complicità, i suoi sguardi che sembravano voler dire e significare tutto. Ma la verità è che mi stava solo esaminando per verificare se fossi veramente la donna adatta a lui. Peccato che non sia così!
Se ci fosse stato Trent tutto questo non sarebbe mai accaduto. E di certo non posso nemmeno parlarne con il Capitano Smith, che infatti non riesce a capire perché io stia tentando di sfuggire agli “incontri ravvicinati” con Sir Anderson. Mi sono inconsapevolmente cacciata in un bel guaio.
Ora che mi sono allontanata da lui, le giornate sembrano non passare mai; mi rendo conto di essere da sola, in questo momento. L
unica consolazione è che tra pochi giorni sbarcheremo: magari queste preoccupazioni svaniranno, almeno per un po
.


Seppure con difficoltà, i quindici giorni trascorsero tranquillamente. Ed una mattina, verso le dieci, Gwen sentì urlare dal pennone “Terra!”.
Si slanciò verso il bordo della nave e affacciandosi la vide: davanti ai suoi occhi c’era un’isola verdeggiante, i cui pascoli erano occupati da numerosi puntolini bianchi e neri che si rivelarono essere mandrie di bestiame. La costa era alta, frastagliata; le onde dell’oceano vi si infrangevano con un rumore immane, provocando migliaia di schizzi che brillavano alle luce del sole come minuscoli diamanti. Nonostante le insenature fossero notevoli ed il fondale profondo, l’emergere di innumerevoli scogli rendeva difficoltoso l’attracco; i marinai furono quindi costretti a proseguire la navigazione ancora per un po’, finché non avvistarono un porticciolo.
-Deve essere l’insediamento di Lajes das Flores; virate di 45 gradi a tribordo!-, ordinò il Capitano Harold mentre gli uomini eseguivano il comando.
-Signori, tra un’ora scenderemo a terra. Preparatevi allo sbarco-, disse Smith avvicinandosi a Gwen, raggiunta anche da Cody.
-Bene, Capitano. Conoscete già il posto?-, domandò il ragazzo senza che la Lady proferisse parola né lo guardasse.
-Abbastanza. È la seconda volta che mi fermo qui e posso consigliarvi delle locande dove trascorrere la nottata-.
-Ottimo-, disse ancora Cody.
-Siete felice, Lady Thompson? Tra poco potrete rimettere i piedi sulla terraferma-.
-Sì, Capitano. Penso che tutti noi abbiamo bisogno di riprenderci dalla prima parte della traversata-.
-Dite bene. Vi esorto a prendere tutto il necessario per il breve soggiorno sull’isola: non torneremo sulla nave prima di due giorni, come ormai sapete-.
-Avete ragione. Sarà meglio che prepari il bagaglio-.
Gwen si allontanò e scese nella sua cabina, prese una borsa e vi pose un cambio, a cui aggiunse il diario.
“Tu verrai con me”, rifletté distrattamente mentre afferrava il libriccino.
 
-Calate la scialuppa!-.
La voce del Capitano risuonò nell’aria e i marinai rimasti sulla Spencer’s Defense collaborarono per assecondare l’ordine. Nella barca erano già seduti Gwen, Cody, due membri dell’equipaggio ed il Capitano stesso.
-Uomini, ci rivedremo giovedì mattina. Non cacciatevi nei guai, non abbandonate la nave, proteggetela al costo della vostra stessa vita. Siamo intesi?-.
Dalla ciurma si elevò un urlo d’approvazione e finalmente la scialuppa venne calata in acqua.
-Remate! Ci aspetta un buon pranzetto al porto!-.
La distanza tra la nave e il molo non era superiore ai cinquecento metri, ma la fatica era comunque immane per i due ragazzi che vogavano con tutta la forza che risiedeva nelle loro braccia. Gwen rimase colpita dai muscoli visibilmente tesi sotto la pelle abbronzata e non riuscì ad immaginare lo sforzo che stavano compiendo.
Quando mancarono meno di venti metri dalla riva il Capitano saltò fuori dalla barca e corse tra gli schizzi d’acqua per aiutare i compagni a portare in secca la scialuppa; una volta a terra, anche Cody si mise in piedi, tendendo la mano a Gwen affinché l’afferrasse e si alzasse. Ma la ragazza si rifiutò categoricamente e a soccorrerla intervenne il Capitano Harold.
-Venite-, le disse amichevolmente, -avete bisogno di assaggiare la buona cucina portoghese-.
L’uomo guidò la spedizione fino al centro abitato e dopo aver svoltato in un paio di diverse strade giunsero ad una piccola locanda da cui proveniva un profumo invitante.
-Entrate. Le specialità della casa sono gustose-.
I cinque vennero accolti da una donna grassoccia e bassa, dai folti capelli neri e ricci che parlò con il Capitano in un portoghese talmente fitto che, seppure gli altri lo avessero parlato, non sarebbero comunque riusciti a comprendere una singola parola.
-La signora Estrella dice di accomodarci lì in fondo, vicino alla finestra. Potremo ammirare la scogliera mentre ci porta qualcosa da mettere sotto i denti-.
Il gruppetto prese posto dove era stato indicato; Gwen sedette di fronte al Capitano, alla cui destra si pose Cody. La ragazza finse di non averci fatto caso e, pochi istanti dopo, ricomparve la donna che aveva dato loro il benvenuto.
-Vi chiede se avete mai provato la cucina portoghese, ma ne dubito fortemente…-, riferì il Capitano Harold riprendendo a parlare con la signora. -Se posso darvi un consiglio, ordinate della zuppa. Credetemi, non ne ho mai assaggiata una così buona-.
-Per noi va bene-, risposero in coro i due ragazzi stremati dalla fatica.
-Anche per me-, disse Cody guardando di nascosto Gwen.
-E voi, Lady Thompson? Preferite forse un secondo piatto? Ci sono gli involtini di granchio, se ve la sentite di provarli-.
-Bene così, allora-.
Il Capitano ordinò per tutti e la signora si dileguò nelle cucine. I cinque avevano una fame di cui ancora non si erano accorti.
-Sarete soddisfatti. La cucina portoghese è una delle più saporite al mondo-.
-Sembrate un vero esperto, Capitano Smith. Quali altri cibi vi hanno colpito e dove li avete mangiati?-, domandò incuriosita Gwen, concentrando tutta l’attenzione sul volto dell’uomo che le stava di fronte per non incrociare lo sguardo di Cody.
-Ho semplicemente viaggiato molto, nonostante non si direbbe a causa dell’età. Pur avendo soli 30 anni, gran parte del mondo non ha più segreti, per me-.
Si versò dell’acqua, che era stata posta al centro della tavolata, e bevve in un sol sorso. Poi riprese a raccontare.
-Fin da bambino desideravo vedere i grandi mari. Quando ho avuto l’opportunità di imbarcarmi, non ho esitato e così prima mi sono trasferito in America, poi ho acquistato una mia nave e ho viaggiato, scortato da una ciurma composta inizialmente da amici, poi da veri marinai. Sono stato in Africa, in alcune colonie francesi, in India, Cina e Brasile; ovunque mi sia fermato ho voluto portare con me anche il ricordo della cultura del popolo e che cosa migliore della cucina?-.
-Deve essere stata un’esperienza magnifica, Capitano-, sussurrò Gwen con gli occhi pieni di quelle immagini appena accennate.
-Sì. E so che voi potete capirmi bene: quello che state affrontando è il primo vero viaggio della vostra vita-.
-Está pronto-.
La padrona della locanda era tornata carica di piatti fumanti. Distribuì le pietanze ed augurò buon appetito nella sua lingua incomprensibile.
-Assaggiate, non ve ne pentirete-, esortò di nuovo il Capitano soffiando e portando alle labbra il cucchiaio ricolmo di zuppa.
Gwen vide i compagni fiondarsi sulle cibarie e ammirò il proprio piatto: tre grossi involtini dalla forma cilindrica erano stati disposti al centro, conditi da una salsa rossastra che le sembrò pomodoro. Con un coltello tagliò a metà il primo e lo masticò. La bocca le andò a fuoco, le parve di non riuscire più a respirare e le salirono le lacrime agli occhi.
-Passatemi dell’acqua, per favore-, tossì rivolta al Capitano.
-Non abbiate fretta, Lady Thompson: si vede che non siete abituata al peperoncino-.
-No, infatti-, rispose quella con gli occhi ancora umidi. -Avrebbero potuto farne anche a meno-.
-Era questo che intendevo con “cucina saporita”-, le sorrise Smith tornando alla zuppa.
Gwen aspettò due buoni minuti prima di riprovare a mangiare. Quando la gola le ebbe smesso di pulsare, si decise a prendere un altro pezzetto di involtino che, stavolta, le sembrò davvero squisito.
-È ottimo-, ammise alla fine, sotto lo sguardo attento di tutti gli altri commensali.
-Ve lo avevo detto-, disse il Capitano.
 
Trascorsero il pomeriggio esplorando il minuscolo centro cittadino. Dappertutto si aprivano piccoli negozietti di spezie e stoffe di infima qualità, affiancati qua e là da locande e alloggi per i marinai di passaggio.
-La prima volta che sono stato qui ho pernottato alla “Mariner Inn”, gestita da una famiglia inglese. Pur essendo economica, il servizio assicurato è dei migliori-, affermò il Capitano guidando i quattro lungo il corso principale. -Potremmo fermarci lì, se ne avete voglia-.
-Buona idea, Capitano Smith. Ma forse sarebbe meglio fare una visita adesso, così da prenotare-, osservò Cody, che camminava alla sinistra dell’uomo.
-Certamente. Andiamoci subito-.
In poco più di un quarto d’ora raggiunsero la locanda, situata in una stradina secondaria a cui probabilmente nessuno avrebbe badato, se il Capitano non ci fosse già stato.
Entrarono e immediatamente gli si parò davanti il gestore, che riservò loro quattro diverse camere.
-Voi due starete insieme, capito?-, domandò Harold rivolto ai marinai che lo seguivano.
I ragazzi mugugnarono una risposta e il gruppo salì al piano superiore, dove a ciascuno venne mostrata la propria stanza.
-Starete qui, my Lady-, disse il Capitano. -La mia camera è di fronte alla vostra, mentre quella di Sir Anderson è alla vostra sinistra. Se volete riposare, fate pure con comodo. L’appuntamento è alle sei all’entrata della locanda-.
Gwen salutò tutti ed entrò nella camera, chiudendo la porta a chiave e gettandosi sulla branda coperta da un solo lenzuolo. Aprì la borsa e dispose il cambio per il giorno successivo su una sedia appoggiata alla parete, poi prese il diario e lesse le ultime righe che aveva scritto.
“Sarà il caso di riportare qualche altra annotazione”, si disse mentre recuperava inchiostro e penna.
 


 

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Capitolo 13
*** Partenze ***


13. Partenze

-Vuoi che ti accompagni?-.
-No, padre. Con me ci sarà già Heather-.
-Sei sicura di non volere nessun altro?-.
-Abbiamo chiarito questo punto tempo fa. O sbaglio?-.
-Come desideri, allora. Lasciati abbracciare-.
Lord Bennet strinse la figlia al petto e la vide salire in carrozza: sapeva bene che, probabilmente, non l’avrebbe mai più rivista e avrebbe voluto che quel momento non finisse mai. La sua “bambina” sembrava improvvisamente cresciuta; stava addirittura per sposarsi e lui non sarebbe stato con lei.
-Scrivimi-, si raccomandò avvicinandosi al sottile finestrino. -Dammi al più presto tue notizie-.
-Lo farò, padre. Non temete-.
La carrozza partì, scivolando lungo il grigio selciato che riluceva sotto i raggi del sole; Courtney si sbracciò ancora pochi secondi, poi, oltrepassato il cancello della villa, ritirò la testa all’interno e chiuse il vetro.
-Ne sentirete la mancanza-, le disse Heather guardando la campagna che si lasciavano alle spalle.
-Molto. Ma è necessario che io viva la mia vita. Un giorno tornerò, statene certa-.
Le due ragazze si ritirarono ciascuna nel suo personale silenzio, pensando a tutto ciò che stavano abbandonando e a quanto invece avrebbero trovato al di là dell’Oceano. Poi Heather chiese:
-Come immaginate che sia Don Burromuerto?-.
-Sapete una cosa? In realtà non riesco a focalizzarlo-, rispose perplessa Courtney. -È una figura talmente misteriosa che non mi stupirei se, una volta in Florida, comparisse da un banco di nebbia-.
-Ma come vorreste che fosse? Ricordate che è alta la probabilità di sposarlo-.
-Lo so bene, Heather, non ho bisogno che voi me lo ricordiate-.
-Descrivetelo, allora-.
Lady Bennet ci pensò su per minuti che parvero interminabili. Possibile che fosse così difficile provare a immaginarlo?
-Mi piacerebbe che avesse magnetici occhi azzurri-, cominciò a dire socchiudendo le palpebre. -Vorrei che mi riservasse parole gentili e adoranti; che fosse leale, onesto, sincero; che mi ascoltasse e mi amasse più della sua stessa vita-.
-Qualità comuni, vero?-, notò ironicamente Heather, fulminata dallo sguardo della padrona.
-Mi avete chiesto il mio ideale e io vi ho risposto. È ovvio che quella descritta sia solo utopia!-.
-Non adiratevi, Lady Courtney. Il nostro viaggio deve iniziare nel migliore dei modi, altrimenti i due mesi che ci separano dalla Florida non trascorreranno mai-.


 
Quando giunsero al porto si lasciarono scortare fino alla banchina dal cocchiere, che si informò su quale fosse la nave in partenza.
-American Hope, dite? Il nome è tutto un programma…-, sussurrò Heather guardandosi attorno.
-Non siate pessimista. Su, aiutatemi a trovarla-.
-Credo che sia quella, my Lady-.
Pian piano stava avanzando verso il porto un’enorme imbarcazione con quattro alberi; le vele erano state ammainate, l’ancora stava per essere gettata. Mezz’ora dopo venne finalmente posta la passerella per permettere l’imbarco dei passeggeri.
Una gran folla si affrettò a scendere dalla nave e subito si disperse sul molo; altrettanti viaggiatori, invece, si prepararono a salire, pronti a realizzare il sogno di raggiungere il Nuovo Mondo.
Courtney e Heather furono tra i primi a raggiungere il ponte del vascello e vennero investite dal profumo dell’acqua salmastra; trovarono dei posti accettabili sottocoperta e, tornate all’esterno, ammirarono insieme agli altri ospiti la costa che si allontanava.
-L’Inghilterra ci saluta-, disse Heather.
-L’America ci darà il benvenuto-, ribatté Courtney.






 
-Siamo pronti! Levate l’ancora!-.
La Spencer’s Defense era di nuovo in viaggio. Ripartì più veloce di quanto Gwen ricordasse e la ragazza sperò fortemente che il vento continuasse a soffiare impetuoso, così da raggiungere prima il tanto sognato Lord Trent. Guardò il cielo e sorrise: il sole splendeva e le accarezzava il viso, come se avesse voluto rassicurarla; all’orizzonte piccole nuvole bianche si inseguivano strappandosi reciprocamente i lembi.
“Aspettatemi”, sussurrò Gwen nel vento che ululava, “tra un mese sarò da voi”.

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Capitolo 14
*** Ospite indesiderato ***


14. Ospite indesiderato

Trent Spencer stava rientrando a casa dopo essere appena sbarcato. Il viaggio di ritorno era stato inaspettatamente breve e il ragazzo stava già pensando alle faccende da sbrigare prima dell’arrivo di Lady Thompson.
“Tra tre settimane dovrà essere tutto pronto, altrimenti gli accordi con Lord Isaac potrebbero saltare. E non ho intenzione di perdere né uno tra i miei migliori soci in affari né la sua splendida figlia”.
La carrozza lo trasportò di corsa attraverso gli immensi campi di cotone che tanto denaro gli stavano fruttando; si concentrò per alcuni istanti sulla piantagione di canna da zucchero e poi ammirò la verdeggiante avena. Sembrava che ogni cosa procedesse a meraviglia, ma sapeva bene che dietro quelle apparenze si nascondeva un grave e grande problema.
-Potete scendere, Lord Spencer. Probabilmente l’ospite di cui vi ho parlato vi starà già aspettando-, lo informò il cocchiere.
Trent aprì lo sportello e balzò giù; salì la scalinata di ingresso e venne accolto da gran parte della servitù.
-Bentornato a casa, signore. Avete fatto un buon viaggio?-.
-Magnifico, ad essere sincero. È venuto a farmi visita qualcuno, durante la mia assenza?-.
-La settimana scorsa si è presentato un messo di…-.
-Capisco-, interruppe Trent. -E cosa gli avete detto?-.
-Che non avrebbe potuto incontrarvi prima di quindici giorni. Aveva un’aria minacciosa, signore-.
-Si staranno preparando alla guerra-, disse il Lord stringendo i pugni. -Ma preferisco ascoltare la loro nuova proposta, purché sia ragionevole-.
Il padrone di casa si ritirò nel gigantesco salotto, stappò la bottiglia di brandy che aveva lasciato sul tavolino e si versò una goccia di liquore nel bicchiere. Assaporò l’alcol per un breve istante, abbandonandosi al suo profumo; poi venne riportato alla realtà da un servo che, bussando lievemente sulla porta, disse: -È qui-.
Trent uscì dalla stanza e raggiunse l’entrata della villa: una carrozza nera stava risalendo il viale alberato e pochi minuti dopo si fermò di fronte alla scalinata. Ne scese un ragazzo non molto alto, dalla carnagione scura; gli occhi, castani come i capelli, guizzarono dal maniero a Lord Spencer e su quest’ultimo indugiarono con disapprovazione.
-Vedo che siete tornato. Mi era stato detto che non sareste rincasato prima di due settimane, ma a quanto pare ho fatto bene a venire-.
-Lord Johnson, sono maledettamente felice di vedervi-.
-Il piacere è tutto vostro, non temete-.
I due si squadrano con odio, poi l’indesiderato ospite chiese: -Posso entrare o preferite conversare nei vostri campi d’avena? Sapete bene che ne sono allergico-.
-Se avessi un cuore come il vostro a quest’ora avreste già esalato l’ultimo respiro-.
-Amichevole come sempre-.
Lord Johnson si avvicinò, affiancò Trent e si fece accompagnare in casa; i due si accomodarono in salotto.
-A cosa devo la vostra visita?-, chiese Spencer versando altro liquore nel bicchiere suo e dell’ospite.
-Non credo che ci sia bisogno di ripeterlo-, ribatté a denti stretti l’altro. -Non è la prima volta che vengo per discutere con voi-.
-Allora siate breve-, lo esortò Trent. -Fate il punto della situazione e avanzate la vostra proposta-.
-Andrò al sodo, allora. E vi assicuro che non sarà gradevole-.
Lord Johnson bevve in un sorso il brandy e poggiò il bicchiere di cristallo sul tavolo.
-Sapete bene quanto la situazione sia delicata. Il mio amico è stanco della contesa e ha intenzione di risolvere il prima possibile e nel migliore dei modi il problema che grava su tutti noi. Vi chiede solo di fare un passo indietro, Lord Spencer: rinunciate alle terre e tutto tornerà a posto-.
-Perché dovrei abbandonare dei possedimenti miei di diritto? Il vostro amico ha forse dimenticato che tra i miei e i suoi genitori è stato stipulato tempo fa un accordo?-.
-Certamente. Ma sa anche bene che all’epoca la sua famiglia sbagliò ad agire in quel modo sconsiderato, perché il confine tra gli Stati non era stato ancora definito del tutto. Se avessero rimandato la stipulazione del patto di soli sei mesi, avrebbero ottenuto gli appezzamenti che oggi credete a torto vostri-.
-Non può ritirare l’accordo. Ne ho una copia recante le firme di entrambe le parti e non è possibile dichiarare nullo il documento-.
-Vi prego, Lord Spencer, non insistete oltre: volete la pace?-.
-Ovviamente-.
-E allora abbandonate le vostre pretese di fronte all’indiscutibile diritto del mio amico-.
-Non lo farò-.
Lord Johnson sospirò, abbassò lo sguardo sul tavolino, prese il bicchiere che vi aveva poggiato e alzatolo controluce disse: -È la vostra risposta definitiva?-.
-Non vi ascolterò un minuto di più-.
-Bene, allora. La nostra conversazione si chiude qui-.
Lord Johnson si alzò e uscì dalla stanza, seguito da Trent, che lo scortò fino alla scalinata dell’entrata.
-Siate però consapevole di aver firmato la vostra condanna-, affermò risoluto salendo in carrozza.
-Nemmeno voi lo dimenticherete, Lord Noah-.

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Capitolo 15
*** L'attacco ***


15.      L’attacco

Caro diario,
ci siamo lasciati alle spalle Lajes das Flores da oltre un mese. Il cielo, che sembrava sorriderci, ci si è rivoltato contro così come il mare. Non ricordo nemmeno più l
ultima volta in cui ho visto un raggio di sole brillare sulle increspature dellOceano; so solo che, giorno dopo giorno, ho visto sfumare poco alla volta la possibilità di rivedere presto Lord Trent. E questo mi fa stare male.
I rapporti con Sir Anderson sono ancora tesi; non ho voglia di vederlo né di parlargli. Il mio unico rifugio è questa cabina, affiancata dalle parole di conforto del Capitano Smith, che mi ripete sempre più spesso di “avere fiducia”. Sono stanca, molto stanca.
La pioggia non accenna ad arrestarsi. Anche in questo momento, pur standomene sottocoperta, posso sentire le urla dei marinai che ammainano le vele e si danno da fare sul ponte. Ho nostalgia dell
Inghilterra, di mio padre; ho pensato più volte persino a Lady Bennet: chissà se è partita, chissà dove si trova in questo momento.
Sento qualcuno bussare alla porta. Sarà meglio andare. Al prossimo aggiornamento,

Gwen


-Lady Thompson, il pranzo sta per essere servito. Rimarrete nella vostra cabina?-.
-Starò con il Capitano, se non è occupato-.
La ragazza sentì dei passi allontanarsi e volgendosi allo scrittoio rilesse ciò che aveva appena elaborato. Quelle poche righe erano pressappoco identiche alle altre che aveva buttato giù durante quel mese di angoscia. Le pareva che la terraferma non esistesse più, che il sole fosse tramontato per sempre; che Lord Trent fosse stato l’ennesimo, magnifico frutto della sua immaginazione.
“Abbi pazienza. Il viaggio è lungo”, si diceva ogni sera prima di chiudere gli occhi e dormire. “Se il tempo migliorasse, navighereste a vele spiegate verso l’America”.
Ma no, le cose non stavano così. Violenti nubifragi avevano rallentato la Spencer’s Defense, facendola sbattere qua e là contro le onde impetuose; le raffiche di vento erano state talmente forti da danneggiare il possente albero maestro, riparato durante una giornata di quiete. Nonostante le vele fossero state ripiegate, in più punti presentavano strappi e lacerazioni varie, che non consentivano il loro pieno utilizzo; e l’umore dell’equipaggio peggiorava poco alla volta.
Gwen uscì dalla stanza e richiuse la porta facendo scattare la serratura; oltrepassò la cabina di Cody e si diresse direttamente a quella del Capitano, che la stava aspettando.
-Avanti!-, sentì dire dall’interno.
-Come procedono le cose, Capitano Smith?-.
-Potrebbero andare meglio, my Lady. Purtroppo queste precipitazioni sono inspiegabili: avremmo dovuto incontrare cielo sereno fino al nostro arrivo, ma a quanto pare non siamo stati fortunati-.
-Quanto pensate che impiegheremo ancora?-.
-Secondo le mie recenti stime non dovremmo essere distanti più di 200 miglia dalle Bermude. Entro tre settimane avvisteremo le coste della Georgia, ve lo assicuro-.
-E se le piogge dovessero proseguire?-.
-Ne usciremo fuori tutti insieme-.
Gwen colse negli occhi dell’uomo un barlume di insicurezza e preoccupazione che le fecero precipitare il cuore nello stomaco: se neanche il Capitano aveva la certezza di farcela, come poteva starsene tranquilla lei, completamente ignara dei pericoli del mare?
-Ho fatto chiamare anche Sir Anderson-, disse Smith riscuotendola dai suoi pensieri. -Spero non vi dispiaccia-.
-Non c’è nessun problema, Capitano-.
I due attesero l’arrivo di Cody in silenzio, tendendo le orecchie alle urla dei marinai sul ponte.
-Sembra che lì fuori si sia scatenato l’inferno!-, esclamò Sir Anderson entrando nella cabina e scrollandosi la pioggia dalle spalle. -Non si riesce a distinguere nulla nemmeno a pochi metri dalla nave-.
-C’è foschia, lo so-, disse il Capitano guardandolo. -Ma i miei uomini sanno come cavarsela-.
-Lo spero-, affermò Cody avvicinandosi alla scrivania di Smith. -È un’atmosfera da brivido!-.
-Sedete pure, Sir Anderson-, lo invitò Harold, -e non abbiate paura. Tra poco verrà servito il pranzo e non voglio di certo che i miei ospiti si perdano le leccornie della cucina-.
Cody prese posto accanto a Gwen, che non lo degnò di uno sguardo. Anzi, per tutta la durata del pasto si rifiutò categoricamente di scambiare una singola parola anche con il Capitano.
-Sarà bene che salga sul ponte per controllare la situazione-, disse infine Harold alzandosi e dirigendosi alla porta.
-Mi ritirerò nella mia stanza, se non vi dispiace-, sussurrò appena Gwen seguendolo.
I tre uscirono e il Capitano si dileguò all’esterno; la ragazza invece si diresse alla propria cabina, ma prima che potesse entrare venne bloccata da Cody.
-Aspettatemi, Gwen-.
-Non ho nulla da dirvi, Sir Anderson-.
-Vi prego di ascoltarmi solo un istante!-.
-Andatevene, per favore-.
Cody le strinse un polso, facendola voltare, e disse: -Non trattatemi così, my Lady. Se vi ho arrecato offesa, vi supplico di perdonarmi; non era mia intenzione. Ma mi avete catturato fin dalla prima sera in cui i miei occhi si sono posati su di voi e da allora il mio cuore ha continuato a battere soltanto per starvi accanto. Non fraintendete quello che vi sto dicendo; non respingetemi più, ve ne prego-.
-Può bastare così, Sir Anderson. Le vostre scuse sono accettate, ma ora lasciatemi andare-.
-Gwen, vogliate scusare la mia audacia, ma è per me fondamentale che voi vi fidiate di me. Il mio più grande desiderio è potervi parlare come solevamo fare fino a un mese fa; non cacciatemi via dalla vostra vita-.
-Sir Anderson…-.
-Riprendete a chiamarmi Cody, da subito-.
-Sir Cody, sappiate che la risposta alla vostra domanda è sì-.
-Quale domanda?-.
-Tempo fa mi chiedeste se il mio cuore fosse già di qualcun altro; ebbene, ve lo confermo. Non c’è spazio per nessuno all’infuori dell’uomo che amo-.
-È un nobiluomo inglese, vero? Un vostro pari, al mio contrario-.
-No, niente di tutto ciò. Vi basti questo-.
-Non sarà…-.
Un boato. Una scossa tremenda li fece sobbalzare e i due sbatterono contro la parete di legno che stava alle loro spalle. Urla disumane potevano essere distintamente percepite pur essendo sottocoperta.
-State bene?-, domandò Cody accertandosi che la ragazza non si fosse fatta male.
-Sto bene… Ma che cosa è stato? E cosa sono queste grida?-.
-Non ne ho idea. Entrate nella vostra stanza; io mi accerterò che fuori sia tutto a posto e poi tornerò per avvertirvi-.
Gwen annuì spaventata e vide Cody allontanarsi, girò la chiave nella serratura e sgusciò nella cabina. Sedette sul letto e rimase in attesa, ma un nuovo scossone la fece cadere carponi a terra: quando si rimise in piedi vide il palmo della mano destra ferito e sanguinante.
“Che sta succedendo?”, si chiese allarmata, senza che le urla cessassero.
Schianti, schiamazzi, tonfi: sembrava che sul ponte stesse avvenendo un finimondo. La ragazza temette che la nave avesse urtato contro degli scogli e che si fosse aperta una falla nello scafo: questo avrebbe spiegato perché l’equipaggio fosse così agitato. Ma per quale motivo, nonostante fossero passati quindici minuti, Cody non si decideva a tornare? Non le aveva forse detto che l’avrebbe avvertita di qualsiasi cosa?
“Non ce la faccio più ad aspettare! Qualunque cosa stia accadendo, mi assumo il rischio di controllare!”.
Gwen aprì la porta e uscì nello stretto corridoio che la separava dal passaggio per il ponte. Si avvicinò al portone e, presa dall’angoscia, con il cuore che le batteva a mille, sbirciò attraverso l’oblò di vetro che si apriva nel legno.
Ciò che vide la lasciò senza fiato: corpi riversi sul legno fradicio della prua, sangue diluito nella pioggia, acqua salmastra che continuava a schizzare il ponte. E c’era gente, troppa per i gusti della ragazza; gente dalla faccia rozza e malevola, che sghignazzava alla vista dello scempio.
-Pirati-, riuscì a malapena a sussurrare con gli occhi colmi di terrore.
Non aveva idea di quanti ce ne fossero esattamente. Dal suo punto di vista, di certo non favorevole, poteva osservare movenze indistinte nella pioggia e intuì che ne fossero saliti a bordo non più di una quindicina. Poteva sentire il loro strano accento urlato nel vento, le risate malvagie e tronfie che riempivano l’aria, ma ancora non era riuscita a distinguere bene i tratti dei farabutti penetrati sulla nave.
“E adesso?”, si chiese Gwen con gli occhi colmi di terrore. “Pensavo che esistessero solo nei racconti… Invece sono proprio davanti a me, separati soltanto da una porta di legno”.
La ragazza era paralizzata sul posto; non aveva il coraggio di muovere un passo, né per uscire (cosa che, sicuramente, le avrebbe procurato non pochi guai) né per tornare indietro. Semplicemente rimase lì dove si trovava, a contemplare la tragica situazione attraverso il misero vetro dell’oblò.
-Capitano, che cosa facciamo?-, sentì dire da un pirata dalla voce squillante.
-Razza di cani, perquisite la maledetta nave! Sono sicuro che la stiva ci riserverà delle piacevoli sorprese!-.
Un timbro forte, deciso, sicuro: a quanto pareva, quello era stato l’ordine del delinquente a capo della ciurma pirata. E Gwen si rese conto troppo tardi che, per accedere alla stiva, i malintenzionati sarebbero dovuti entrare per forza dalla porta presso cui lei ancora sostava.
“Oh, Dio, stanno venendo da questa parte! Devo andarmene, devo rifugiarmi in…”.
-Salve, bel bocconcino! Come va la vita?-.
Gwen si voltò, sorpresa nel bel mezzo della tentata fuga. Le si parò davanti un energumeno alto circa due metri, dalla spalle possenti e dal volto squadrato; i suoi piccoli occhi neri scrutarono avidi la ragazza, che venne immediatamente bloccata contro la parete e trascinata sul ponte.
-Capitano!-, urlò il pirata. -Guardate che cosa abbiamo qui!-.
Gwen venne scaraventata a terra e l’acqua salata le schizzò il viso pallido; dalla ferita sul palmo della mano ricominciò a sgorgare copioso il sangue.
-Bene, bene, bene, un’ospite del Casato Spencer-, disse la voce dal timbro deciso.
Gwen non rispose nulla. Si limitò a tenere la testa abbassata, senza alzare lo sguardo sull’uomo che le si stava avvicinando. La prima cosa che vide furono i suoi stivali di pelle nera, bagnati dalla pioggia incessante e dall’acqua salmastra del mare; poi levò di sottecchi gli occhi sulle gambe del nuovo venuto, coperte da stretti pantaloni, neri anch’essi, che segnavano la muscolatura apparentemente perfetta del pirata.
Gwen sentì l’uomo avvicinarsi sempre di più ed un secondo dopo se lo ritrovò a pochi centimetri dal volto, inginocchiato proprio davanti a lei.
-Salve, madame. Posso avere il piacere di conoscere il vostro nome sussurrato da queste labbra così invitanti?-.
La ciurma di banditi ridacchiò alle spalle del capitano, mentre Gwen, del tutto terrorizzata, non accennava a muovere un singolo muscolo.
-A quanto pare la signorina non mi ha sentito-, disse ancora il pirata rivolgendosi questa volta ai compagni. -Evidentemente la pioggia batte troppo forte, quest’oggi. Vediamo se parlerà a bordo della nostra nave!-.
Un urlo di approvazione si levò dall’equipaggio e Gwen fu alzata di peso dallo stesso energumeno che pochi minuti prima l’aveva gettata a terra. Finalmente la ragazza vide cosa stava accadendo sul ponte della Spencer’s Defense.
A non più di tre metri da lei giaceva, in una pozza d’acqua e sangue, il corpo del povero Capitano Harold; attorno a lui alcuni pirati tentavano di portargli via la bella giacca blu che Gwen gli aveva sempre visto indossare. All’albero maestro, invece, erano stati legati alcuni membri dell’equipaggio che adesso venivano torturati e derisi da un delinquente provvisto di bandana e frusta.
“Mio Dio”, pensò la ragazza rabbrividendo di fronte a quello spettacolo.
-Portate a bordo la prigioniera! Sarà mio bottino personale…-, ordinò il capitano in direzione dell’energumeno che la trasportava.
-Volete depredare ancora la stiva?-, domandò ingenuamente un altro pirata.
-Accidenti, sei tardo o cosa? Dovete muovervi a svaligiare la dannata nave, altrimenti vi getterò a mare!-, rispose infastidito il capitano avvicinandosi di nuovo a Gwen.
“Ma è…”.
La ragazza ebbe per la prima volta la possibilità di osservare il capo della banda e ne rimase profondamente colpita; sentì una specie di scarica elettrica attraversarla da parte a parte e un brivido mai provato prima scorrerle sotto le pelle.
Il capitano non poteva avere più di 20 anni. Era alto, magro, ma muscoloso; i capelli, corti e neri, erano in parte nascosti da un cappello che gli copriva anche la fronte, lasciando però scoperti due occhi che impressionarono Gwen, trafitta nel profondo da quello sguardo così…
“Fiero, orgoglioso… Crudele”, pensò la ragazza guardandolo ancora e soffermandosi sugli abiti che indossava.
-Mi avete sentito? Portate via quella donna! A lei penserò più tardi, ho tante sorprese da mostrarle…-.
-Maledetto, non ve la caverete così! Lasciate andare Lady Thompson, lei non ha fatto nulla!-.
Gwen fu momentaneamente distratta da una voce che ben conosceva e guardando verso l’albero maestro riconobbe tra i prigionieri Sir Cody.
-Come avete detto? Vi dispiacerebbe ripetere? Temo di aver capito male-, disse il capitano dirigendosi a grandi passi contro il nobiluomo.
-Liberate Lady Thompson o ve la vedrete con me!-, ribadì ancora Sir Anderson.
-Non credo che vi troviate nello stato di porre condizioni… Non siete d’accordo con me?-, gli alitò l’altro a pochi centimetri dalla faccia.
-Se state cercando battaglia…-.
Il pirata gli assestò un pugno sul naso che lasciò ansimante il povero Sir Cody, mentre Gwen, con occhi sgranati, assisteva impotente alla scena, caricata ancora sulle spalle dell’energumeno.
-Non vi conviene provocarmi. Quello che avete avuto è solo un assaggio di quello che potrei farvi-, sussurrò il capitano nell’orecchio del malcapitato. -Ed ora, se non vi dispiace, ho una nave da depredare e distruggere-.
Il pirata si voltò e vide il compagno gigantesco immobile, mentre la prigioniera se ne stava inerme su una sua spalla.
-Siete ancora qui? Devo nuovamente ripetervi di portarla via, maledizione?-.
L’energumeno, adesso sull’attenti, mosse alcuni passi verso la passerella di legno che era stata posta per unire i due vascelli. Un minuto dopo Gwen si ritrovò dall’altra parte, mentre Cody, ripresosi dal pugno, gridava per la liberazione della ragazza.
-Dove mi state portando?-, chiese la giovane all’uomo che la trasportava.
-Nelle segrete, dove marcirete finché il capitano vorrà. Dite pure addio alla nave su cui viaggiavate: tra pochi minuti non sarà altro che un cumulo di legname sparso nell’Oceano-.
C’era silenzio, sul vascello pirata. Un silenzio che fu interrotto dal ritorno a bordo della ciurma, presa dalla voglia di aprire diversi bauli trovati nelle cabine della Spencer’s Defense.
-Qui ci sono solo abiti… Da donna, per di più!-, sbraitò deluso quello stesso uomo con la bandana che aveva torturato fino a quel momento l’equipaggio della nave americana.
-Penso di sapere chi sia la proprietaria-, proseguì un compagno lanciando uno sguardo malizioso alla povera Gwen, che aveva iniziato a divincolarsi per sfuggire alla presa d’acciaio dell’energumeno.
-Lasciatemi andare!-, ordinò senza alcun esito. -Voglio almeno stare da sola… Non posso fuggire da nessuna parte, no?-.
-Sì, Light, ha ragione l’ostaggio!-, disse un pirata appena rientrato dall’arrembaggio. -Falle vedere lo spettacolo che il capitano ha fatto preparare per lei!-.
Il gigante mollò la ragazza facendola cadere a terra in malo modo e Gwen si precipitò verso il parapetto per vedere che cosa stesse accadendo sulla Spencer’s Defense.
-Uomini, ritirate pure la passerella! Il destino del nemico è ormai segnato!-.
A parlare era stato il capitano, in piedi sul parapetto, a meno di cinque metri da Gwen. L’uomo, senza troppi complimenti, saltò giù, atterrando sul ponte e schizzando i compagni lì riuniti con l’acqua salata, poi raggiunse la ragazza e le cinse i fianchi con le braccia possenti, ponendo il viso contro la guancia della giovane.
-Osservate attentamente, my Lady. Sta per avere inizio il più grande spettacolo che voi abbiate mai visto-.
Il cuore di Gwen iniziò a battere all’impazzata. Non solo perché avrebbe assistito a qualcosa di orrendo, ma anche perché quel pirata, quel maledettamente attraente pirata, la stava stringendo a sé come se fosse stata un tesoro prezioso, inestimabile.
-Toglietemi le vostre sudice mani di dosso-, si costrinse a dire per non sembrare contenta della situazione.
-Lo farò solo dopo avervi visto e sentito tremare per l’orrore-, rispose pacatamente l’altro accennando un ghigno che gli scoprì una bellissima dentatura.
“Possibile che sia davvero un pirata?”, pensò in un istante la ragazza, senza spostare lo sguardo dalla nave che troneggiava di fronte ai suoi occhi.
-Tre, due, uno…-.
Un’esplosione fortissima portò Gwen a coprirsi istintivamente le orecchie, mentre il capitano aumentava la stretta attorno ai suoi fianchi. E poi il fuoco cominciò a divorare il legno levigato della Spencer’s Defense, accompagnato dalle urla disumane dell’equipaggio che, ancora legato all’albero maestro, sapeva di non avere scampo.
-Siete un mostro-, sussurrò a denti stretti Gwen sentendo gli occhi riempirsi di lacrime. -Siete un feroce assassino!-.
-Chiamatemi pure come volete. Questo non è nulla in confronto ad altre mie razzie-, sentenziò l’uomo lasciandola finalmente libera.
-Che cosa farete di me?-, chiese la ragazza intuendo già la possibile risposta.
-Non ho ancora deciso. Ma state pur sicura che qualsiasi cosa io abbia in riserbo per voi non sarà affatto piacevole-.
Le lanciò quello che sarebbe dovuto essere un sorriso e noncurante della reazione della giovane si limitò ad ordinare: -Rinchiudetela nella cella sotto la stiva. Più tardi mi occuperò di lei-.
Pur cercando di contrastare l’attacco di un gruppo di pirati che ormai l’avevano circondata, Gwen venne condotta nell’umida prigione dall’energumeno che l’aveva trasportata a bordo e lì abbandonata ad un triste destino.
“Lord Spencer… Come farò, adesso?”, si domandò piangendo nel buio della segreta.

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Capitolo 16
*** Il capitano ***


16.      Il capitano

Non seppe mai per quanto tempo fosse rimasta addormentata poggiando semplicemente la testa contro il legno fatiscente della segreta. Aveva perso la cognizione del tempo e non aveva idea se fossero passate poche ore o intere giornate.
Quando riaprì gli occhi impiegò un paio di minuti per ricordare ciò che era successo. E le tremende immagini le tornarono alla mente più vivide che mai: il litigio con Sir Cody, l’attacco dei pirati, il loro affascinante quanto crudele capitano, la distruzione della Spencer’s Defense…
“Devo trovare un modo per fuggire o per me sarà la fine. Ma in che modo posso cavarmela?”.
Gwen si alzò e tastò la parete di legno umido; immaginò che, se avesse avuto abbastanza forza da assestare un pugno senza rompersi le nocche, probabilmente avrebbe ricavato un bel foro da cui iniziare a scavare.
“Peccato che sia semplicemente impossibile. Eppure devo trovare una via per…”.
I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti dal sinistro suono di una porta cigolante. Subito la ragazza si affacciò da dietro le sbarre e sporse il collo per vedere chi venisse a farle visita.
-Siete sveglia…-.
-Ancora voi?-, chiese stanca Gwen riconoscendo il gigante che l’aveva scaraventata nella cella.
-Le mie scuse, Lady, ma adesso non ho voglia di discutere-, rispose risentito l’uomo. -Mi è stato dato l’ordine di venirvi a prendere. Non ho altre informazioni da aggiungere al riguardo. Siete pregata di seguirmi di vostra spontanea volontà, altrimenti sarò costretto ad usare le maniere forti-.
-Maniere forti? Perché, fino ad adesso mi avete trattata con delicatezza?-.
-Oh, assolutamente. Venite fuori, adesso-.
L’energumeno estrasse da una tasca la chiave semi arrugginita della segreta e la fece ruotare nella toppa con un nuovo cigolio che fece stringere i denti a Gwen, poi si allontanò, aspettando qualche secondo per osservare la reazione della ragazza.
-Allora, avete intenzione di venire o preferite marcire qui sotto?-.
Per tutta risposta la giovane lo raggiunse senza nemmeno guardarlo e si lasciò condurre attraverso la stiva, fino a raggiungere quelli che immaginò fossero gli appartamenti degli altri pirati.
-Dove mi state portando?-, chiese lievemente preoccupata.
-Dal capitano. È lui che ha chiesto di vedervi-, spiegò brevemente il gigante.
-Per quale motivo?-.
-Non sono tenuto a darvi spiegazioni. Anche perché le ignoro completamente-.
Camminarono per un paio di minuti lungo un corridoio che le parve infinito; poi, come se fosse sbucata dal nulla, Gwen notò una porta riccamente decorata aprirsi alla fine del passaggio.
-Siamo arrivati. Aspettate che il capitano vi apra-, disse il pirata dandole le spalle e andandosene.
“Che razza di delinquente è? Pensavo che fosse molto, molto più feroce rispetto a…”.
-Oh, che piacere vedere la mia ospite!-.
La porta che aveva davanti si spalancò senza alcun preavviso e sulla soglia comparve il capitano, che accolse con un ghigno spaventoso la povera Gwen.
-Ben arrivata! Accomodatevi pure, voglio fare conversazione con voi, se non vi dispiace-.
La ragazza entrò, il cuore che aveva ripreso a batterle forte nel petto come in poche altre occasioni; era così agitata da non cogliere il minimo dettaglio: la presenza di quell’uomo l’attraeva e la spaventava allo stesso tempo.
-Sedetevi e mangiate qualcosa. Raramente mi capita di avere compagnia-, la incitò il pirata prendendo posto esattamente di fronte a lei.
Gwen si soffermò per pochi istanti sulla tavolata imbandita che, a quanto pareva, era stata preparata proprio per lei, ma prendendo coraggio chiese: -Avete intenzione di uccidermi avvelenandomi?-.
Il capitano, rimasto perplesso per una manciata di secondi, scoppiò in una fragorosa risata che risuonò nell’intera cabina e lungo tutto il corridoio, nonostante la porta della stanza fosse ormai chiusa.
-Siete voi, my Lady, che volete uccidermi facendomi ridere! Come vi vengono in mente tali sciocchezze?-.
Si passò le dita sugli occhi, asciugando le lacrime provocate dalle risa, e riprese dicendo: -Se avessi voluto farvi fuori, non avrei esitato un istante durante l’arrembaggio, non credete?-.
Prese una bottiglia di liquore e ne versò il contenuto ambrato in un bicchiere dall’aria squallida, trangugiando il liquido in un solo sorso mentre Gwen lo osservava vagamente disgustata.
-Avete forse perso la lingua? Vi ho fatta chiamare per conversare, non per commiserare il vostro assurdo mutismo!-, sbraitò l’uomo dopo essersi asciugato le labbra con la manica della camicia.
-Siete orribile. E non ho voglia di parlare con voi-, rispose la ragazza abbassando lo sguardo.
-Mi trovate orribile? Vecchia storia, questa! Sapete quante donne sono cadute ai miei piedi, nonostante si fossero mostrate reticenti ad un primo incontro?-.
-Saranno cadute per il vostro odore, temo-.
-Ah, le cose stanno così, allora-, disse piccato il pirata alzandosi e avvicinandosi a Gwen. -E se vi dessi la prova che non sono tanto male come pensate?-.
Il capitano le afferrò il viso e lo avvicinò pericolosamente al suo, mentre la nobile, divisa tra sentimenti contrastanti, cercava di allontanare la mano dell’uomo.
“Fai qualcosa, Gwen! Fai…”.
-Maledetta stupida, mi avete morso!-, urlò il pirata mollando la presa e ritraendosi all’istante.
-Questo è quello che vi meritate per avermi rapita e rinchiusa in una cella!-, urlò la giovane alzandosi e dirigendosi verso la porta per fuggire.
-Eh, no, non ve la darò vinta tanto facilmente!-.
In due balzi il capitano le fu accanto e bloccò l’uscita, poi l’afferrò per le braccia e la costrinse a rimanere ferma contro la parete.
-Non credo di volervi fare del male, ma se mi costringete, riceverete questo!-.
Il pirata la guardò dritto negli occhi e senza indugiare un istante di più la baciò con trasporto, trascurando completamente i tentativi di Gwen di respingerlo.
“Ma questo… è…”.
La ragazza non aveva parole. Nonostante trovasse quell’uomo rozzo, disgustoso, privo di qualsiasi sentimento che non corrispondesse ai suoi bisogni primordiali, adesso era convinta che niente al mondo sarebbe stato più dolce o semplicemente perfetto di quel momento inatteso tra di loro.
-Che ne dite, allora? Pensate ancora che io sia orribile?-.
“Orribile? Ho mai detto questo?”, pensò per un attimo Gwen riaprendo gli occhi e rispecchiandosi nelle iridi azzurre del suo rapitore.
-Ancor più di prima-, rispose riprendendo fiato.
-Temo che sarò costretto a convincervi del contrario-, sentenziò con malizia l’uomo senza smettere di guardarla.
La giovane si sentì avvampare e il velato rossore non sfuggì all’occhio attento del pirata.
-Vi trovo già più calma, vero? Ho imparato da tempo a domare donne come voi-.
-Gli animali si domano. Voi dovreste essere…-.
-Io? No, deliziosa ospite, dovete capire che ad adeguarsi sarete voi. Ed ora, posso parlarvi come desideravo o volete che ricominci da dove ho lasciato?-.
-Sarà meglio la prima scelta-, risolse Gwen sentendo finalmente le mani del pirata allontanarsi e lasciarla libera.
-Non temete che io possa scappare, come ho appena tentato di fare?-.
-Dubito che lo farete. Avete assaggiato quello che perdereste e sono sicuro che non vi rinuncerete più-, affermò deciso il capitano tornando a prendere posto al tavolo.
“Come riesce a capire che…”.
-Sedetevi, dunque. E raccontatemi di voi-, la pregò l’uomo indicandole la sedia.
Gwen si avvicinò lentamente e lo guardò solo un attimo prima di parlare: -Non ho niente di importante da riferirvi, signore. Sono solo una ragazza inglese in viaggio per l’America alla ricerca di una vita migliore-.
-Basta questo? Non ritenete opportuno rivelarmi il vostro nome?-.
-Gwen. Gwen Thompson-.
-Una volta ho conosciuto una donna che si chiamava come voi. Sapete dove l’ho incontrata?-.
La ragazza scosse lievemente la testa, facendosi già un’idea della probabile risposta.
-In una bettola ad Haiti. E devo dire che si è dimostrata molto abile nel soddisfare i miei desideri-.
Il pirata scoppiò in una nuova, fragorosa risata, mentre Gwen, arrossita violentemente, abbassò lo sguardo sul proprio piatto e tacque, ammutolita.
-Vi sentita offesa, my Lady? Il mio era solo un piacevolissimo ricordo-.
-Lo vedo bene. Ma forse dovreste pensare all’effetto che le vostre parole potrebbero avere sugli altri-.
-Certo, come desiderate. Noto infatti che le vostre guance hanno improvvisamente preso colore. Cos’è, vi sentita accaldata, forse?-.
Il capitano le restituì quel suo ghigno a metà tra sorriso malevolo e risata soffocata; Gwen non rispose alla nuova provocazione.
-Come mai eravate ospite sul vascello Spencer?-.
-Non vi riguarda minimamente-.
-Oh, questo è quello che credete. Ma vi assicuro che, se conosceste ciò che io so, impallidireste-.
La ragazza non capì il significato di quella affermazione detta a denti stretti dal pirata, che la esortò a parlare dicendo: -Andate avanti. Non mi piace che mi si faccia attendere per avere delle risposte-.
-Mi serviva un passaggio dall’Inghilterra al Nuovo Mondo. Tutto qui-.
-Non avreste potuto salpare su una di quelle grandi navi comuni?-.
-Ho ritenuto che il viaggio non sarebbe stato altrettanto comodo. E sicuro-.
-Peccato che ora siate mia prigioniera-, disse il capitano con uno strano scintillio negli occhi.
-Peccato che vi uccideranno, quando sapranno del mio rapimento-, replicò Gwen tenendogli testa.
-Uccidermi? No, non ce la faranno mai. Ho più vite di un gatto, sapete? Molte volte hanno attentato alla mia vita, eppure eccomi qui, davanti a voi-.
-E il vostro nome, signore?-.
Il pirata fu spiazzato da quella domanda, ma con tranquillità rispose: -È strano che non mi conosciate. Se davvero provenite dall’Inghilterra, non dovrebbe esservi sfuggita la taglia posta sulla mia testa-.
-Non vivo a Londra-.
-Oh, scusatemi, allora. Centomila sterline, comunque. Centomila sterline d’oro per vedermi morto. O prigioniero nelle carceri della madre patria-.
Sollevò la bottiglia di liquore e bevve un altro sorso, poi continuò: -Mi chiamo Duncan Crouch. Nato da genitori inglesi, stabilitisi in America, e diventato ben presto un fuorilegge. Non avrei potuto desiderare vita migliore-.
Gwen colse un deciso tono di amarezza, in quelle poche parole. Era evidente che il capitano non le stesse dicendo tutta la verità. Sempre che quella lo fosse.
-Come siete diventato un pirata?-, domandò in un soffio.
-Temo che dovrete aspettare, per avere una risposta a questo quesito. Ora potete andare-.
Duncan si alzò e si diresse alla porta, aprendola. Gwen si alzò e lo raggiunse.
-Light, riportate la prigioniera nella sua cella. Ne ho abbastanza di lei. Per adesso-, sogghignò chiamando l’energumeno e lanciando un’ultima occhiata a Gwen.
La ragazza rispose a quell’insinuazione maliziosa con uno sguardo carico d’ira, ma fu costretta a limitarsi a seguire il proprio carceriere, che ben presto fece scattare la chiave della prigione richiudendo la ragazza al suo interno.
“C’è qualcosa che non torna, in tutta questa storia”, pensò Gwen sedendosi sul pagliericcio umido. “Cosa starà nascondendo il capitano?”.

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Capitolo 17
*** Il diario ***


17.     Il diario

Duncan Crouch si era chiuso la porta alle spalle da un paio di minuti e stava pensando alla conversazione fatta con Lady Gwen. Si versò del rum nel bicchiere che troneggiava dinanzi ai suoi occhi e lo mandò giù in un sol sorso, sentendo la gola andargli improvvisamente a fuoco.
“Era da tempo che non si manifestava questo effetto”, pensò alquanto sorpreso fissando il fondo umido. “Che strana sensazione”.
Poggiò il bicchiere e sedette sulla sedia. Chiuse gli occhi e immaginò di avere ancora davanti la bella prigioniera che, in qualche modo, lo aveva fatto sentire “diverso”.
“Che sia una strega?”, si domandò drizzandosi in piedi. “Magari la sua è una strategia per farsi liberare… Non sarebbe la prima volta che capitano episodi del genere. Eppure… No, non è possibile. È troppo delicata e pudica per essere una fattucchiera”.
Si avvicinò al grande letto poggiato sulla parete al suo fianco e si stese portando le braccia sotto la testa.
“È davvero una ragazza particolare. Bella, testarda, intelligente: se ne incontrano poche di donne così. Devo solo riuscire ad avvicinarla e il gioco sarà fatto. La mia è un’occasione irripetibile e Gwen un bocconcino troppo prelibato per lasciarselo scappare”.
Sentendo bussare alla porta, Duncan si affrettò ad aprire e si ritrovò davanti due sottoposti, Light e Sam.
-Capitano, abbiamo aperto i bauli rinvenuti nelle cabine della Spencer’s Defense-.
-E allora? Chi vi ha dato il permesso di venirmi a disturbare?-.
-Non abbiamo trovato niente di interessante e il resto della ciurma è insoddisfatto. Qualcuno ha preso polvere da sparo e provviste caricando tutto nella stiva, ma questi bagagli sono completamente inutili. Forse voi potete…-.
-Lasciate pure qui fuori i bauli. Ci penserò io a smistare il contenuto. Andatevene, adesso-.
-Buonanotte, capitano-, dissero in coro i due pirati voltandosi e percorrendo il lungo corridoio per raggiungere il ponte.
“Vediamo che cosa abbiamo qui”, si disse Duncan trascinando nella propria cabina gli ingombranti e pesantissimi forzieri fino a poco tempo prima rinforzati da lucchetti.
Aprì il primo dei due e vi trovò nient’altro che vestiti. Pensò che potessero essere del Capitano Harold, ma provando una giacca si accorse che era giusta per lui.
“Che sia di quel piagnucoloso che cercava di dissuadermi dal rapire Gwen?”.
Non prestò molta attenzione all’abbigliamento rimanente; nel baule rinvenne anche un rasoio per la barba, un pettine ed un piccolo catino accompagnato da vari asciugamani.
“Puah, nobili!”, pensò con disprezzo esaminando le accortezze che gli uomini abbienti si riservavano. “Ecco perché non hanno midollo, in battaglia. Sono troppo presi dalla loro maledetta puzza sotto il naso!”.
Prese alcune giacche e camicie, sistemandole nell’armadio posto accanto al letto.
“Ciò non toglie che ora tutto questo sia di mia proprietà”.
Tornò sui suoi passi e si affaccendò sul secondo forziere. Aprendolo, lo trovò stipato di altri vestiti. Stavolta da donna.
“Oh, la cara prigioniera si tratta bene”, si disse Duncan senza nascondere un ghigno.
Estrasse rapidamente un lungo vestito blu e lo immaginò coprire le forme della ragazza: quel pensiero gli provocò un brivido di piacere.
“Sarà meglio provvedere alla sua comodità. Non voglio di certo che si trascuri per causa mia”.
Rovistò ancora tra gli abiti e trovò accessori simili a quelli già visti in quello che era stato il baule di Sir Cody, poi sentì qualcosa di duro contro i polpastrelli delle dita e prese il misterioso oggetto.
“Un quaderno?”, si domandò sorpreso.
Sfogliò le prime pagine e subito si corresse: “No, è un diario. Adesso ci sarà da divertirsi”.
Si alzò e si stese di nuovo sul letto, iniziando a leggere i resoconti che Gwen aveva minuziosamente riportato sulle pagine color ocra. E sorrise malevolo pensando alle descrizioni che la ragazza aveva fatto.
“Uhm, davvero interessante. Credo di aver appena trovato il mezzo del mio successo”.
 
Gwen si svegliò di soprassalto, presa da un’improvvisa agitazione, cercando di capire che ora del giorno fosse.
-Ben svegliata, Lady. Il capitano Crouch ha chiesto di vedervi-.
-Ancora voi?-, disse scortese al solito energumeno chiamato Light. -Che cosa volete da me?-.
-Io nulla. Datevi una mossa, il sole è sorto già da un pezzo e sono stato tutta la notte sovraccoperta per la guardia. Ho un sonno che non potreste mai immaginare e non ho voglia di sentire le vostre lamentele-.
Il pirata aprì la porta della cella e afferrò Gwen per un braccio.
-Venite-.
Dieci minuti dopo i due raggiunsero la cabina del capitano, che sorridente aprì la porta e congedò Light con un gesto della mano.
-Buongiorno, Lady Gwen. Spero che abbiate dormito bene-.
-Come avrei potuto?-, domandò la giovane guardandolo torva. -Sono rimasta stesa su un pagliericcio umido e scomodo per tutta la nottata, assillata dagli incubi causati da voi. Pensate forse che io stia bene?-.
-Il vostro atteggiamento risoluto lo dimostra-, ribatté Duncan con il solito ghigno. -Ma sono sicuro che tra poco addolcirete il vostro assurdo modo di fare-.
Si avvicinò al letto, ancora disfatto, e prese da sotto le lenzuola un libriccino che Gwen riconobbe immediatamente.
-Dove lo avete trovato?-, chiese sentendo il cuore iniziare a correrle nel petto.
-In un baule che i miei uomini si sono preoccupati di consegnarmi. Non credevo di poter scovare un tale tesoro sotto un cumulo di abiti e lustrini-.
-Ridatemelo. È mio e voi non avete alcun diritto su…-.
-È qui che sbagliate, mia cara. Questo è bottino di guerra. Il mio bottino, non il vostro-.
-Ma voi non potete…-.
-Oh, sì. Vi dirò, ho trovato particolarmente interessante questo scritto. Queste pagine mi permettono di conoscervi molto meglio, rispetto alle risposte che mi avete fornito ieri sera-.
Duncan aprì il diario e prese a sfogliare le pagine, giungendo poi in un punto che lo aveva particolarmente colpito.
-Sentite qui-, disse schiarendosi la voce. -Sono partita da Southampton in compagnia di Sir Cody Anderson. Continua ad essere molto gentile con me, ma non potrà mai competere con il carisma e la bellezza di Lord Trent. Ah, se solo fosse qui… Tutto sarebbe molto più interessante. Non posso dimenticare quei suoi meravigliosi occhi verdi, che si sono posati su di me…-.
-Smettetela!-, ordinò la ragazza coprendosi le orecchie. -Non potete deridermi in questo modo!-.
-Sì che posso. Io sono Duncan Crouch, non dimenticatelo-.
Si fermò solo per un istante e riprese a leggere: -Quei meravigliosi occhi verdi, che si sono posati su di me facendomi sentire un fremito mai provato prima. Mi è sembrato quasi di svenire al leggero tocco della sua mano; e quando le sue labbra mi hanno sfiorato la pelle, ho temuto che mio padre potesse accorgersi di quel momento così magico-.
Gwen non parlò. Rimase zitta, chiudendo gli occhi e sentendoli riempire di lacrime.
-Che dire, siete una donna dalle mille sorprese-, disse Duncan chiudendo di scatto il diario. -Non pensavo che poteste essere così… Romantica-.
Le si avvicinò poco alla volta e si accorse del suo pianto silente, approfittandone immediatamente per accarezzarle una guancia e portare via la lacrima che stava lentamente scivolando giù.
-Oh, siete così sensibile! Non vi avrò offesa, vero? Ne soffrirei terribilmente-, le disse ghignando.
-Siete abominevole. Avete trafugato il mio diario, letto i miei pensieri più segreti e deriso i miei sentimenti. Vi detesto con tutto il cuore-.
-Non crucciatevi per tutto questo. Imparerete a conoscere e a convivere con la mia spiccata ironia-.
-Non ho nessuna intenzione di approfondire la vostra conoscenza. Mi ripugna stare in vostra compagnia; preferisco rimanere dietro le sbarre, piuttosto che essere insieme a voi-.
-Davvero pensate questo?-.
-Esattamente-.
-Quindi, il bacio che vi ho dato ieri sera non è bastato a convincervi della mia bontà?-.
-Ve lo ripeto: io vi odio-.
-Bene, allora. Mi costringete a questo-.
Duncan le si fece più vicino, stringendole i fianchi, poi avvicinò le sue labbra a quelle della nobile e la baciò di nuovo, con ancor più trasporto rispetto a quello di poche ore prima.
Gwen si lasciò andare per poco più di un istante, ma si riscosse mordendo il pirata.
-Accidenti! Lo avete fatto di nuovo!-.
-Dovete lasciarmi in pace! E ridatemi il mio diario!-.
-Lo riavrete indietro solo se acconsentirete a stare in mia compagnia quando io vorrò-.
-Che cosa?-.
-Avete sentito bene. Se dovessi desiderare di trascorrere del tempo con voi, sarete obbligata a raggiungermi in questa cabina. Fatelo e presto otterrete questo assurdo libriccino. Ma se doveste ribellarvi, saprò come comportarmi-.
Duncan l’aveva messa di fronte ad una decisione difficile. Certo, avrebbe tranquillamente potuto dire addio alle sue memorie, ma riteneva che fosse importante continuare a scrivere, soprattutto adesso che si trovava nelle mani di quel delinquente.
“Non farlo, Gwen”, le suggeriva una vocina nella testa. “Avrà sicuramente pessime intenzioni. Pensaci solo per un attimo: è la seconda volta che ti bacia e presto potrebbe voler andare oltre”.
“Non sarebbe male”, le diceva un’altra voce. “In fondo è un ragazzo affascinante: guarda i suoi occhi. Di certo non ha niente a che vedere con Lord Trent”.
-Accetto il compromesso-, affermò infine la giovane con una nota di orgoglio. -Farò quello che volete. Ma giurate di mantenere la vostra promessa-.
-Ebbene, il patto è siglato-, disse Duncan afferrandole una mano. -Siete libera di andare. Avrete libero accesso ad ogni parte della nave. Esclusi gli alloggi della mia ciurma, ovviamente-.
Aprì la porta della cabina e la fece passare, fermandola un momento dopo dicendole: -D’ora in poi alloggerete nella cabina alla mia destra. Vi ho fatto già trasportare il baule contenente tutti i vostri effetti. Potete entrare, comunque: è aperta e all’interno troverete la chiave della stanza-.
Finì la frase e si ritirò nel suo alloggio, senza aggiungere altro. Gwen, spiazzata dalla notizia, mosse con cautela qualche passo nella direzione indicata da Duncan e abbassata la maniglia si affacciò sulla soglia.
La cabina era vuota; l’unica cosa presente, oltre al modesto arredo, era il suo forziere.
“Non ci credo!”, pensò la ragazza chiudendosi la porta alle spalle e precipitandosi a controllare se non fosse stato toccato niente. “È tutto in ordine, proprio come lo avevo lasciato!”.
Esaminò attentamente il contenuto ed estrasse un vestito pulito da indossare subito; non poteva fare a meno di riflettere sul cambiamento repentino del capitano Duncan, che, fino a quel momento, si era dimostrato sì rozzo, ma anche molto attento a lei.
“Chissà che cosa vuole da me?”, si chiese sospettosa mentre nella mente gli si affollavano molte risposte. E preferì non scegliere quali tra le tante fossero le più esatte.

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Capitolo 18
*** Piacevole prigionia ***


18.     Piacevole prigionia

La prima settimana di prigionia si rivelò inaspettatamente piacevole. Gwen non poteva lamentarsi della propria condizione: certo, stava vagando nell’Oceano a bordo di una nave pirata ricercata dalla Marina inglese, ma aveva anche avuto l’opportunità di vivere quella che finalmente aveva potuto definire “un’avventura”.
“E pensare che fino a quindici giorni fa avrei soltanto potuto immaginare tutto questo”, si diceva spesso, soprattutto prima di chiudere gli occhi per dormire. “Ora, invece, il sogno è realtà. Sono quasi felice di aver incontrato questo imprevisto sulla strada per l’America”.
Con il passare dei giorni, aveva pian piano dimenticato quale fosse il suo principale piano. Si era lasciata alle spalle non solo la vita in Inghilterra, con suo padre, ma anche quella che avrebbe dovuto iniziare ad affrontare con Lord Trent. E proprio quest’ultimo ora le appariva come un fantasma, solo il ricordo sfumato di un bel sogno fatto chissà quanti mesi prima.
“Ormai questa è diventata casa mia. Nonostante sia in compagnia di una banda di pirati, tutti mi rispettano. O almeno ci provano. E poi, il capitano Crouch si è dimostrato un vero gentiluomo contro ogni mia aspettativa. Devo ammettere che aveva ragione: ci sa fare, con le donne”.
Inoltre, Gwen si era preoccupata di rispettare il patto stipulato con Duncan: pranzava e cenava sempre con lui, nella sua cabina, e molto spesso rimanevano a conversare per ore, fino a tarda notte. Poi si separavano con un semplice saluto e si incontravano nuovamente il giorno successivo, quando insieme facevano una passeggiata sul ponte sotto gli sguardi maliziosi della ciurma.
Gwen aveva paura che gli altri potessero iniziare a pensare che lei e il capitano fossero diventati amanti, ma continuava imperterrita a ripetersi di non dare importanza a cose del genere: tra loro due non c’era e non ci sarebbe stato mai niente. Insomma, lei era pur sempre una ragazza inglese di nobile e buona famiglia, mentre lui non era altro che un crudele, rozzo, affascinante pirata spuntato all’improvviso da un banco di nebbia.
“Nebbia provvidenziale”, si ritrovò a pensare un giorno Gwen. “È vero, la Spencer’s Defense è stata distrutta e con lei l’intero equipaggio. Ma Duncan mi ha inconsapevolmente salvata dalle insistenti premure di Sir Cody. So che non dovrei né dire né pensare certe cose, però adesso mi sento davvero libera. E devo tutto al capitano Crouch”.
C’era qualcosa, in quel ragazzo, che immancabilmente la attraeva. Forse erano i suoi occhi, azzurri, chiari e limpidi come il mare che aveva solcato fino ad un mese prima; forse era la sua espressione, ironica e “dolce” allo stesso tempo; o forse era il suo corpo, che Gwen aveva imparato a conoscere poco alla volta spiandolo sul ponte, quando, per il caldo incessante nonostante la pioggia, Duncan era stato costretto a liberarsi di giacca e camicia.
“Ma cosa vado a pensare?”, si domandò prendendosi a schiaffi. “Devo rimanere concentrata; sarebbero guai se abbassassi la guardia”.
Eppure sentiva di potersi fidare di quello strano capitano. Pur trascorrendo molto tempo insieme, Duncan non aveva più cercato di baciarla, né di avvicinarla in qualsiasi altra maniera. E Gwen se ne era chiesto il motivo, sospettando che il pirata stesse comunque tramando qualcosa. O forse non aveva davvero nessuna intenzione di saltarle addosso come invece lei aveva immaginato?
“Meglio per te”, le continuava a ripetere una vocina da qualche parte nella testa. “Prega solo che le cose non cambino”.
“Sta’ zitta, piuttosto! È un peccato che non si sia più avvicinato come la prima volta”, diceva invece qualcun altro nella sua mente.
A Gwen non rimaneva che mostrarsi sempre gentile e disponibile nei suoi confronti, sperando che quei gesti valessero almeno la pena. E ne ebbe la conferma alcune sere più tardi, nel dopo cena.
-Come vi sentite, my Lady?-, le domandò curioso Duncan osservandola dall’altra parte della lunga tavolata posta nella sua cabina.
-Molto bene. Mi sto abituando poco alla volta a questa vita di mare-.
-E ne siete felice?-.
-Lo sarei di più sapendomi sulla terraferma, come avevo pianificato insieme a mio padre. Sapete, ormai sarà in pensiero: gli avevo detto che avrei scritto il prima possibile, ma non ne ho più avuto l’opportunità-.
-Desiderate attraccare per spedire una lettera?-.
-Oh, sarebbe il più grande favore che potreste farmi. Ma mi rendo conto che non acconsentirete mai-.
-E cosa ve lo fa pensare?-.
-Il fatto che voi non vi fidiate di me-.
-Perché dite questo?-.
-Rimango vostra prigioniera, no? Non temete che possa scappare?-.
-No. Non lo farete-.
-Come fate ad esserne certo?-.
-Ve l’ho già detto la prima sera in cui siete stata mia ospite: avete assaggiato qualcosa che non desiderate più perdere-.
-Spiegatevi meglio-.
-Non ce n’è bisogno, Gwen. Penso che voi abbiate capito senza troppe parole-.
Duncan prese il suo solito bicchiere e trangugiò una sorsata di rum, chiudendo gli occhi e abbandonandosi alla fiamma sprigionata dall’alcol.
-Comunque, fare scalo è possibile. Basterà cambiare la rotta e in poco più di due giorni attraccheremo ad Haiti-.
-Dite sul serio?-.
-Certamente. Non capisco il motivo per cui crediate che io stia mentendo-.
Il silenzio cadde per una manciata di minuti su entrambi i commensali, ma la quiete fu interrotta di nuovo dal pirata.
-Siete stata di parola, Gwen. Mi fido di voi perché non avete infranto il nostro patto né avete cercato di infrangerlo. Vi spetta la ricompensa pattuita-.
Si alzò da tavola e si diresse allo scrittoio, posizionato esattamente sotto l’oblò che si affacciava sul mare; aprì un cassetto alla sua sinistra ed estrasse il diario.
-Questo è vostro. Voi avete mantenuto la parola, io mantengo la mia-.
Le porse il libriccino e Gwen lo afferrò incredula.
-Io… Non so cosa dire-.
-Non dovete. Vi restituisco una vostra proprietà, come è giusto che sia. Spero solo che ora non ne approfitterete per trascorrere meno tempo con me-.
La ragazza fissò il pirata negli occhi e sentì una scossa sotto la pelle: possibile che Duncan le facesse quell’effetto?
Cercò di dissimulare l’interesse per lui aprendo il diario e sfogliandolo. Non un appunto era fuori posto.
-Credo che passerete intere ore ad aggiornare il vostro quaderno delle memorie. Ne avrete di cose da raccontare-.
-Lo penso anch’io-, rispose Gwen chiudendo dolcemente il libriccino e stringendolo al petto. -Ho mille impressioni da annotare su queste pagine-.
-Bene, allora. Sarà opportuno lasciarvi alla stesura del testo-, disse Duncan avvicinandosi alla porta della cabina.
-Non volete che rimanga ancora con voi?-.
-Non è necessario. La giornata di oggi mi ha stancato molto ed ora ho solo voglia di dormire. Vi ringrazio per la premura, comunque. Devo forse dedurne un vostro interesse?-, domandò il ragazzo tornando malizioso per un momento.
-I-Interesse, dite?-, chiese balbettando Gwen. -No, assolutamente!-.
-Sì, immaginavo la vostra risposta. Ma, come ormai saprete, a me piace scherzare, soprattutto con voi. Andate, allora. Buonanotte-.
I due si salutarono e la nobile scivolò fuori dalla stanza per entrare nella propria cabina. Chiuse la porta a chiave ed accese una lampada ad olio con dei fiammiferi che l’energumeno Light le aveva fornito, poi poggiò il diario sullo scrittoio e prese dal baule inchiostro e penna d’oca. Intinse la sottile punta nel denso liquido nero ed iniziò a scrivere, soffermandosi sulla tremenda peripezia dell’arrembaggio e sullo strano atteggiamento di Duncan.
“Sembra quasi che voglia dirmi qualcosa, ma ogni volta si trattiene. Che devo pensare?”, si domandò perplessa e confusa senza smettere di far grattare la penna contro la ruvida carta del diario.

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Capitolo 19
*** Rivelazioni ***


19.     Rivelazioni

Nonostante fosse stata rassicurata da Duncan, Gwen non aveva creduto alla possibilità di fermarsi sulla terraferma. Al contrario pensava che il pirata avesse voluto solo illuderla per mantenerla calma.
I giorni seguenti alla riconsegna del diario trascorsero lentamente, seppur in modo piacevole. La ragazza era rimasta tranquillamente nella sua stanza per la maggior parte del tempo, annotando i suoi pensieri ed arricchendo il racconto di quell’avventura con impressioni a volte non degne di una Lady inglese. E nei rari momenti in cui aveva abbandonato lo scrittoio per uscire all’aria aperta, non aveva potuto fare a meno di stare in compagnia di Duncan. Lo sentiva sempre più vicino e la cosa la metteva di buonumore.
“Siamo così simili”, pensò più di una volta guardando il pirata. “Entrambi sappiamo quello che vogliamo e come ottenerlo. Ma forse sbaglio. Fino a tre settimane fa desideravo arrivare sana e salva in Georgia per rivedere Trent; ora quella realtà mi sembra così lontana e irrealizzabile. Lord Spencer si è dimostrato un gentiluomo, ma Duncan… Duncan mi ha rubato il cuore”.
Gwen non si lasciava scappare un’occasione per rimanere insieme al capitano. Ormai aveva capito che la ciurma presagisse una loro relazione, ma con sommo dispiacere era costretta a smentire le voci: bramava ardentemente poter instaurare un preciso rapporto con il pirata, ma a quanto pareva era lui a non essere intenzionato.
“Eppure mi ha baciata due volte”, rifletteva, “e al nostro primo incontro mi ha stretta a sé come se non esistesse un domani, come se fossi il più grande tesoro mai trovato. Da allora non ci sono stati più contatti di questo tipo. Perché? Forse aveva solo intenzione di sottomettermi al suo volere? Ed ora che ci è riuscito, non ha paura di ciò che potrei fare: crede fermamente che non tenterò di fuggire. Ha colto nel segno: non voglio abbandonarlo. Ne soffrirei terribilmente”.
Riempiva intere pagine di diario con quelle sue riflessioni. Rileggendole se ne vergognava, ma quella sembrava l’unica forma possibile di sfogo.
“Oh, se avessi Beth con me! Di certo saprei di affidare i miei pensieri ad una persona fidata, che non rivelerebbe nulla nemmeno se sottoposta a tortura. Devo accontentarmi di questa carta, sperando che nessuno ne legga mai il contenuto”.
 
Cinque giorni più tardi, Gwen venne svegliata di soprassalto da grida provenienti dal ponte. Si vestì in fretta ed uscì dalla cabina, chiudendola a chiave come aveva l’abitudine di fare. Salita in sovraccoperta, vide l’equipaggio eccitato e vicino al parapetto.
-Che cosa succede?-, domandò perplessa all’energumeno con cui ormai aveva stretto amicizia.
-Terra in vista, my Lady. Il capitano ha dato ordine di gettare l’ancora e sbarcare-.
-Ma siamo ancora in alto mare… Non dovremmo avvicinarci di più alla costa?-.
-My Lady, siamo pirati. Lo ricordate, vero?-.
-Certamente-.
-E allora vi pare possibile attraccare al porto? Volete forse farci arrestare ed impiccare tutti?-.
-No, ma…-.
-Che state facendo, uomini?-.
Gwen si voltò e insieme a lei tutta la ciurma. Duncan era appena salito sul ponte e si stava sistemando la camicia lercia che gli copriva il torace.
-Capitano, siamo pronti! Ad un vostro segnale, caleremo le scialuppe!-, disse Light urlando a squarciagola.
-Non ce ne sarà bisogno. Una basterà per le esigenze del momento-.
-Signore?-, domandò perplesso il pirata.
-A terra scenderà solo Lady Gwen, scortata da altri tre uomini. Gli altri rimarranno a bordo: prima del tramonto dovremo reimpostare la rotta verso nord-est. Mi sono spiegato?-.
-Bene, capitano. Ai suoi ordini-.
L’equipaggio si disperse ed ognuno tornò alla propria mansione. Soltanto Gwen rimase immobile a guardare Duncan.
-Perché volete che scenda da sola?-.
-Sarete in compagnia, non avete sentito?-.
-Sì, ma perché soltanto io?-.
-Mi sembrava di aver capito che aveste bisogno di inviare una lettera. O forse la mia è stata una pura allucinazione uditiva?-.
-No, avevate sentito bene. Ma non pensavo che…-.
-Mantenessi la parola? Ebbene, Gwen, vedo che non avete compreso ancora niente di me-.
Il pirata girò sui tacchi e le diede le spalle dicendo: -Imparate a fidarvi delle mie promesse. Nonostante sia un ricercato, ho orgoglio e onore da vendere-.
Gwen lo vide allontanarsi verso il timone e per un attimo non replicò nulla, poi tornò sottocoperta e si affrettò a scrivere una lettera per suo padre: non si era curata di prepararla perché non si aspettava che Duncan accogliesse la richiesta fattagli alcune sere prima.
Impiegò poco più di una manciata di minuti. Quando ebbe terminato la stesura, la rilesse velocemente per controllare se le sue parole fossero abbastanza rassicuranti.

Isole Bermude, 31 agosto 1735 

 Padre mio,
dopo due mesi di silenzio ininterrotto ho finalmente avuto l
occasione di scrivervi. Non potete immaginare quale gioia io stia provando in questo momento: da oltre trenta giorni non toccavo terraferma, perché un clima tempestoso si è abbattuto sulla Spencers Defense rallentando la navigazione che stava procedendo spedita. Ma ora posso parlarvi senza nascondervi nulla.
La prima sosta che il Capitano Harold ci ha concesso risale alla metà dello scorso luglio: abbiamo pernottato per due giorni sulla pittoresca isola di Lejes das Flores, nelle Azzorre portoghesi. Ho assaggiato prelibatezze che in Inghilterra sarebbero considerate terribili e volgari: vi avrei voluto con me per vedere quest
angolo di paradiso.
Al momento della ripartenza il vento ci era a favore, ma qualcosa è improvvisamente cambiato nell
aria e per un mese intero unincessante pioggia, accompagnata da fitta nebbia, ha reso grigio e tremendo il mare che ci circondava. Adesso, però, lagonia è finita e siamo attraccati nelle Bermude: il sole ci sorride di nuovo e ben presto arriverò in Georgia. Quando riceverete questa lettera, sarò sicuramente nelle buoni mani di Lord Spencer. Non temete per me.
Voi come state? Come procedono le cose al maniero? E avete notizie del viaggio di Lady Bennet? Ormai anche lei dovrebbe essere pronta allo sbarco in America.
Aspettando una vostra risposta e confidando nel vostro affetto, vi abbraccio.
Vostra figlia, 

Gwen

 PS: stavo quasi dimenticando di dirvi di porgere i miei saluti alla cara Beth, di cui sento una sincera mancanza.

Imbustò la lettera e la sigillò con della ceralacca che aveva portato da casa. Si alzò dallo scrittoio, prese una piccola borsa di cuoio e vi pose il messaggio, poi uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle, facendo scattare la chiave nella serratura.
-My Lady, non possiamo aspettare oltre. Fate presto!-, la chiamò Light affacciandosi sul corridoio.
-Sto arrivando!-, replicò di rimando Gwen, lasciando inserita la chiave nella toppa per la fretta.
La ragazza corse sul ponte e venne aiutata a salire sulla scialuppa, calata in mare un minuto più tardi.
-Siete obbligati a far ritorno prima del tramonto: non date nell’occhio e non andate in cerca di guai, mi sono spiegato?-, si raccomandò un’ultima volta il capitano Crouch guardando la barca allontanarsi.
Un “Agli ordini!” riecheggiò nell’aria e di lì a poco si disperse. Gwen, stringendo forte la propria borsa, guardò dritto davanti a sé ed ammirò la terra avvicinarsi pian piano.
“Presto riceverete mie notizie, padre. Ho dovuto mentirvi, ma spero che un giorno possiate perdonarmi”.
 
Duncan rimase appoggiato al parapetto finché la scialuppa non divenne un puntino in lontananza. Si staccò lentamente dalla balaustra, impartì altri comandi ai suoi sottoposti e pian piano si rifugiò sottocoperta, con un piano ben definito nella testa.
“Da giorni aspettavo questo momento”, pensò avvicinandosi alla cabina di Gwen. “Ed ora potrò finalmente scoprire cosa ha scritto in quel suo diario”.
L’idea lo aveva illuminato la sera in cui aveva riconsegnato il libriccino alla ragazza. Sapeva bene che avrebbe annotato tutto il possibile e gli era sembrato un ottimo modo per giungere al cuore della giovane senza essere troppo invasivo. O almeno questo era quello che pensava.
Si accostò alla porta ed abbassò la maniglia con cautela, quasi avesse avuto paura che qualcuno potesse arrivare da un momento all’altro e sorprenderlo con le mani nel sacco. Quando si rese conto che qualcosa gli opponeva resistenza, notò che l’entrata era stata chiusa a chiave.
“Maledizione! Avrei dovuto immaginarlo: quella ragazza non si fida di niente e nessuno!”.
Stava per abbandonare l’impresa con la coda tra le gambe, ma i suoi occhi indugiarono sulla serratura e vide la chiave rimasta nella toppa.
“Oh, che imprudenza!”, pensò con un ghigno facendo scattare la porta ed entrando con passo felpato.
Si guardò intorno e corse allo scrittoio: vi era carta, inchiostro e una penna appena usata.
“A quanto pare ha scritto la lettera solo pochi minuti fa; questo mi dice che non aveva creduto a quanto le avessi promesso”.
Stizzito dalla mancanza di fiducia di Gwen, iniziò a perquisire il mobile, aprendo cassetti su cassetti alla ricerca del diario.
“Ma dove lo avrà nascosto? Sembra che sia sparito nel nulla”.
Andò al piccolo armadio posto accanto al letto, aprì le ante con uno scricchiolio preoccupante e si accertò che all’interno non ci fosse altro se non una montagna di vestiti.
“Che l’abbia portato con sé a terra? Mi pare di averle visto portare una borsa… Al diavolo, allora! Possibile che sia così furba e previdente?”.
Duncan non riusciva a capacitarsi di essere stato anticipato da Gwen. Non perché la ritenesse sciocca, anzi, ma perché, per la prima volta nella sua vita, era stato raggirato da una donna. Una donna.
“D’accordo, allora. Sarò costretto a rinviare il tutto alla prossima occasione propizia”.
Stava cercando di convincersi ad uscire dalla stanza, ma c’era ancora qualcosa che lo tratteneva. Si lanciò sul baule, posizionato con cura vicino allo scrittoio, e lo aprì, ma anche qui non trovò niente. Provò ad aprire i cassetti di un altro rustico mobile, scovando solo qualche tela di ragno e altri insetti ad essa impigliati.
“Accidenti! Tanto sforzo per niente!”.
Si avvicinò al letto e si sedette, non resistendo ad occupare il posto di Gwen. Il profumo dei capelli della giovane aveva impregnato lenzuola e cuscino: era così forte e invitante che Duncan abbracciò il guanciale inspirando a pieni polmoni quell’odore.
“Ah, Gwen! Davvero mi avete stregato… E questa ne è un’ulteriore prova!”.
Si drizzò in piedi e rimise il cuscino a posto, ma prima che potesse farlo, si accorse della presenza di qualcosa che spuntava da sotto la leggera coperta di lino.
Con uno scintillio negli occhi, Duncan strattonò via le lenzuola e riconobbe la copertina stropicciata del diario.
“Ecco dove ti nascondevi!”, pensò trionfante tirando le coperte con cura e posizionando il cuscino nel migliore dei modi. “Alla fine ho vinto io!”.
Fece qualche passo per la stanza, guardando il libriccino e rigirandoselo tra le mani. La curiosità lo stava divorando poco a poco e decise di non rimandare oltre l’appuntamento con gli appunti di Gwen. Prese posto ai piedi del letto e con delicatezza quasi riverenziale aprì il diario, sfogliando pagina dopo pagina.
Rilesse alcuni passi che lo avevano fatto sorridere già tempo prima, poi si precipitò a vedere gli scritti più recenti. Evidentemente Gwen aveva lasciato completamente libere alcune pagine per segnare la pausa che c’era stata dal momento in cui Duncan le aveva requisito il diario; la narrazione riprendeva dalla sera del 26 agosto, giorno in cui il pirata le aveva riconsegnato quello che chiamava “quaderno delle memorie”.
“Vediamo un po’ cosa mi nasconde la piccola Lady”, mormorò il capitano leggendo febbrilmente. 

Caro diario,
dopo intere giornate passate a meritarti, posso finalmente continuare a scrivere. È successo di tutto: l
ultima volta che una goccia dinchiostro ha macchiato le tue pagine stavo per andare a pranzo nella cabina del Capitano Harold; da quel momento, la situazione è completamente cambiata.
Una nave pirata ci ha assaltato e sono stata fatta prigioniera; la Spencer
s Defense ora giace sul fondo dellOceano e con essa tutto lequipaggio. Perfino Sir Cody non è stato risparmiato: mi dispiace per la sua fine tremenda, ma sono sollevata di essermi liberata delle sue morbose attenzioni.
Ho incontrato una ciurma di delinquenti che alla fine si sono rivelati molto gentili con me. Ma devo tutto al capitano di questa strana banda, Duncan Crouch: mi ha detto di essere un ricercato (addirittura centomila sterline sulla sua testa!), eppure, se non fosse intervenuto, probabilmente i suoi uomini non mi avrebbero risparmiata. Non so se esserne felice o se preoccuparmene.
Sono stata costretta a stipulare un patto con il pirata per riaverti indietro: aveva letto tutti i miei resoconti, beffandosi di me e del sentimento che provavo per Lord Trent. Oh, scusami: che provo. Non so per quale motivo io abbia usato il passato

Stasera, contro ogni più rosea previsione, il capitano ti ha riconsegnato a me ed ora dovrò tenerti aggiornato su tutte le novità. Mi chiedo quale motivo abbia spinto il pirata a questa repentina decisione.

Duncan sorrise e sfogliò ancora il diario, fermandosi alla pagina datata 28 agosto.

Caro diario,
il soggiorno su questo veliero di matti procede nel migliore dei modi. Pur potendo trascorrere minor tempo insieme al capitano, non desidero privarmi della sua compagnia: ormai lo sento fin troppo vicino, anche se non esiste niente di importante tra noi-
A volte sembra quasi che non mi voglia tra i piedi e in quei momenti sento qualcosa, in me, rompersi irrimediabilmente. Eppure parliamo molto e di tantissimi argomenti diversi: raramente mi chiede della mia vita in Inghilterra e allo stesso modo io evito di informarmi sulla sua. Credo, però, che nasconda un qualche segreto. Dovrò scoprirlo, prima o poi.
Tutte le sere ceniamo insieme, nella sua cabina; e di nuovo accade per la colazione e per il pranzo. Temo che la ciurma possa farsi strane idee, ma in fondo che cosa me ne importa? Nessuna delle voci messe in circolazione è vera. Purtroppo.
Già, diario mio: sento di star cambiando. Ho perso di vista il mio obiettivo principale e non ho più alcun interesse a raggiungere Lord Trent. Anzi, egli sembra svanito dalla mia mente, come un sogno lontano. Adesso sono altre le cose che hanno priorità. E immagino che tu sappia quello che voglio dire.

“Che cosa, Gwen? Che cosa vuoi nascondere?”, si chiese Duncan rileggendo l’ultimo rigo. Poi girò un’altra pagina e lesse la più recente, scritta appena il giorno prima.

Caro diario,
ormai temo di impazzire. Quanto può essere cieco un uomo? E quanto può essere sciocca una ragazza come me?
Vorrei potermi sfogare come facevo con la fedele Beth; ho paura che qualcuno possa riuscire a leggere questo diario e rendermi la vita un inferno, ma devo pur far qualcosa per la pena che mi porto dentro.
Penso di essermi invaghita, caro diario. Non faccio altro che guardarlo, ammirare la sua pelle che si tende sotto i raggi del sole, bearmi della sua voce risoluta e profonda. Perché tutto questo? Come ho fatto a cedere così facilmente?
In pubblico mi ostino a dargli del “voi”, ma se potessi abbandonerei ogni formalità per chiamarlo con il suo nome. È entrato nella mia testa come una melodia incessante, come la più bella delle visioni. Possibile che non si accorga di quanto il mio cuore sia in tumulto?
Due volte mi ha baciata e stretta a sé; due volte gli sono bastate per portarmi via anima e mente. Ma da allora non ha più osato avvicinarsi, quasi provasse repulsione nei miei confronti. Oh, quanto vorrei che sapesse! Quanto vorrei che si rendesse conto della sofferenza che mi arreca!
Dovrei dirmi che questi pensieri sono sbagliati e indegni; che cosa direbbe mio padre se venisse a sapere dell
attuale stato delle cose? Ma non voglio rifletterci: solo lui occupa le mie giornate; solo lui riesce a dare un senso a questa dura esistenza che ora mi appare dolce come il miele.
Anche adesso, mentre scrivo, sento risuonare il suo nome nell
aria: lequipaggio lo cerca continuamente, pronto a ricevere ordini. E anchio mi sento in sua balia e ne sono felice.
Mi è capitato spesso, negli ultimi giorni, di chiamarlo nel sonno. Spero solo di non aver urlato, altrimenti sarebbe la mia fine. E non ho alcuna intenzione di dire addio a questa avventura, non voglio lasciarlo: desidero stare al suo fianco, in un modo o nell
altro.
Sento di amarlo, diario mio: forse queste sono parole troppo grandi, parole che non dovrei osare né scrivere né pronunciare. Ma sono le uniche che possono esprimere al meglio ciò che provo.

Sta diventando la mia ossessione, la mia ancora di salvezza, la ragione che mi spinge ad andare avanti: Duncan. Duncan. Cè musica perfino in queste poche lettere. Una musica che mi fa tremare.

Il capitano rilesse una seconda volta lo scritto, senza poter credere a quanto i suoi occhi gli mostravano.
“Davvero pensa tutto questo? Davvero mi ama?”.
Si alzò dal letto e chiuse dolcemente il diario, preoccupandosi di sistemarlo esattamente come lo aveva trovato; con la stessa calma con cui era entrato si avvicinò alla porta ed uscì, facendo scattare la serratura.
“Vedrete, Gwen, non rimarrete delusa. Ho in serbo una sorpresa per voi”, pensò salendo sul ponte e avvicinandosi nuovamente al parapetto.
Guardò verso la terraferma e pregò in silenzio che i quattro scesi con la scialuppa facessero presto ritorno. Sentiva il cuore leggero e se avesse potuto specchiarsi avrebbe notato una luce, nel proprio sguardo, che lo rendeva bello e fiero allo stesso tempo. Non sapeva di avere il viso di un innamorato felice.





Angolo dell’Autrice
Salve a voi tutti, lettori silenti e palesi.
Spero che abbiate apprezzato questo diciannovesimo capitolo: ci ho messo tutta l’anima per far sì che fosse all’altezza dei precedenti.
Ho, però, un AVVISO MOLTO IMPORTANTE per tutti coloro che hanno fin qui seguito questa fiction.
D’ora in poi, infatti, l’AGGIORNAMENTO VERRÀ INSERITO OGNI DUE SETTIMANE. Il giorno rimarrà sempre lo stesso: SABATO POMERIGGIO.
Appuntamento al 24 novembre con il ventesimo capitolo.
Ringraziandovi ancora per la cortese attenzione, vi saluto.
 
Amor31




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Capitolo 20
*** Insieme ***


20.     Insieme

-Dovrebbero essere già qui… E sì che il capitano aveva detto di non dividerci!-.
-Ehi, non è colpa nostra se ci stanno mettendo più del previsto-.
-Ma se fosse successo qualcosa?-.
-No, ne dubito. Light sa farsi rispettare-.
-Sì, però devi ammettere che è una testa calda-.
-E allora? Ripeto, noi non abbiamo nessuna responsabilità. Quando sarà il momento torneranno-.
-Come fai a essere tanto tranquillo?-.
-Perché non me ne importa niente, Sam. Potrebbero anche venir arrestati dalla Marina: sarebbe meglio per noi. Da quando quella ragazzina è salita sulla nostra nave, le cose hanno cominciato a girare per il verso sbagliato-.
-Cosa? Non è vero!-.
-Sì che lo è. E il capitano è stato il primo a cadere nelle sue grinfie; non hai visto come la guarda?-.
-Veramente non ho fatto molto caso a…-.
-Te lo dico io: si è fatto prendere dalla situazione-.
-Non mi sembra che…-.
-Taci, Sam. Se almeno fossi sicuro che, dopo essersela portata a letto, la scaricherà in mare…-.
-Ora stai esagerando, amico-.
-Ti assicuro che non è così. Vedrai: al capitano serve solo una donna con cui passare una nottata. Dopo aver soddisfatto i propri impellenti bisogni di uomo, la abbandonerà su qualche isola. Sempre che la ragazza sia abbastanza fortunata-, sogghignò il pirata.
-Ti sbagli. Non accadrà mai-.
-Staremo a vedere. Oh, eccoli lì. Avevo ragione o no?-.
-Uhm, per questa volta…-.
I due pirati accolsero Gwen e Light, di ritorno dalla consegna della lettera. La giovane appariva serena e felice.
-Possiamo tornare a bordo o c’è altro che vostra signoria deve fare?-, domandò ironico e sprezzante il pirata provvisto di bandana.
-Andiamo. Dobbiamo sbrigarci a salpare-, proclamò l’energumeno spingendo i compagni sulla scialuppa e mettendosi ai remi.
 
Erano circa le tre del pomeriggio quando i quattro rientrarono sulla nave. Vennero accolti da alcuni degli uomini, desiderosi di sapere se gli altri avessero portato qualcosa per loro dalla terraferma.
-Niente di niente, siamo spiacenti. Avevamo un compito da portare a termine, null’altro-, spiegò brevemente Light.
-Nemmeno del rum?-, si informò qualcuno.
-No. Fatevi bastare quello che è rimasto nella stiva-.
La piccola folla si disperse, brontolando per il disappunto; Gwen, invece, tornò in fretta in cabina, pronta per aggiornare il proprio diario.
Una volta davanti alla porta, rovistò nella borsa di cuoio che aveva portato con sé per cercare la chiave.
-Ma dove sarà finita? Ricordo di averla messa qui, da qualche parte…-.
Non trovandola, iniziò a disperarsi, accorgendosi, un secondo dopo, che la chiave era inserita nella toppa.
-Strano… Mi sembrava di averla con me. Possibile che l’abbia lasciata tanto imprudentemente?-.
Entrò nella stanza esaminando da cima a fondo le condizioni in cui questa versava. Ad una prima vista le parve che niente fosse stato toccato e, dopo essersi tranquillizzata, prese il diario da sotto il cuscino del letto e si mise al lavoro sullo scrittoio.
Poco alla volta perse completamente la concezione del tempo: quando aveva cominciato a scrivere il sole era alto nel cielo, ma ben presto si accorse che stava giungendo il tramonto. Fu quindi costretta ad accendere la solita lampada ad olio che teneva affissa proprio sul mobile e non smise di riepilogare quella lunga giornata prima dell’ora di cena.
-Lady Gwen, il capitano vi cerca!-.
La ragazza riconobbe la voce di Light e si apprestò a riporre il diario. Chiuse la boccetta di inchiostro e uscì dalla cabina, avvicinandosi lentamente a quella di Duncan.
Bussò lievemente ed aspettò che dall’interno le rispondesse il ragazzo. Non sentendo neanche un rumore, bussò con più forza e finalmente il pirata la accolse.
-Bentornata, my Lady. Entrate pure, vi prego; sono sicuro che siete affamata-.
Gwen non replicò all’osservazione del capitano, ma si limitò a prendere posto a tavola. Cercava di evitare il suo sguardo per non sentirsi in imbarazzo.
-Ditemi, come avete trascorso la vostra giornata?-.
-Bene. E devo ringraziarvi per avermi permesso di sbarcare-.
-Non ce n’è bisogno. Ho fatto solo quello che mi avevate chiesto. Spero che il problema si sia risolto-.
-Oh, sì. Ho spedito una lettera a mio padre, rassicurandolo sulle mie condizioni-.
-E cosa avete scritto?-.
Gwen si concesse un minuto di pausa, prese un bel respiro e disse: -Sono stata costretta a mentire, signore. Non potevo di certo raccontare di essere stata rapita da una nave pirata-.
-Perché no? Avreste potuto chiedere aiuto…-.
-Non è necessario. So cavarmela da sola-.
-Ne siete sicura?-.
-Certo-.
-Allora mi spiegate per quale motivo non vi siete rivolta alla sede della Marina di Haiti? Vi sareste facilmente liberata di me-.
-Vi ho già detto che sono in grado di farcela contando sulle mie sole forze-.
-Quindi pensate di poter fuggire, un giorno o l’altro, gettandovi in mare e cominciando a nuotare in chissà quale direzione nel bel mezzo dell’Atlantico?-.
-No, non era questo quello che volevo dire, signore-.
-Gwen, potreste chiamarmi per nome? Ho abbandonato la formalità fin dal nostro primo incontro-.
-Ma io sono vostra prigioniera. E finché lo sarò, non posso prendermi certe libertà con voi-.
-Come desiderate, allora. Ma davvero preferirei che vi rivolgeste a me con il nome “Duncan”. O vi sto chiedendo troppo?-.
Il pirata notò una leggera porpora colorire improvvisamente le guance della ragazza e si sentì spavaldo più che mai. Presto avrebbe fatto cadere l’ultima barriera che li separava.
-Non è questo il problema. La mia è una forma di rispetto…-, provò a giustificarsi Gwen.
-Rispetto! Ricordate che state parlando con un pirata, non con uno di quei nobili smidollati che avete incontrato finora!-.
-Non importa. A nessuno va negato-.
-Ebbene, rispettate il mio volere, allora: chiamatemi per nome-.
Gwen si sentì in trappola. Non sapeva come evitare quella piccola tortura e, consapevole che Duncan la stesse fissando, si costrinse a mantenere lo sguardo nel piatto, dove aveva appena depositato del pesce.
-Non fatemi aspettare oltre, sapete che il vostro silenzio mi irrita!-.
-Bene, Duncan. Siete stato servito-.
La ragazza sottolineò il nome del pirata e si concentrò sul cibo come se nulla fosse. L’altro, dal canto suo, non fu per niente soddisfatto dalla risolutezza della giovane.
-Pensavo che foste in grado di pronunciarlo con più grazia. Siete o non siete una nobildonna inglese?-.
-Lo sono!-, esclamò stizzita Gwen.
-Dimostratelo. Ripetete di nuovo-.
-Mi avete stancata! Mi sono dimostrata paziente con voi, trascorrendo del tempo in vostra compagnia e compiacendovi in qualsiasi momento; ma se questo è il risultato che ho ottenuto, posso anche andarmene!-.
Si alzò dalla sedia e si diresse alla porta, pronta a rifugiarsi nella propria camera. Duncan la vide allontanarsi e la fermò prima che potesse andarsene.
-Le mie scuse, my Lady. Non ho ragione di offendervi-.
-Ma lo state facendo comunque! E lasciatemi il braccio!-.
-Temo che non potrò farlo finché non mi avrete chiamato come voi solo sapete fare-.
-Cosa?-, domandò basita Gwen fissandolo negli occhi e distogliendo subito dopo lo sguardo.
-Chiedetemi pure di lasciarvi andare, ma fatelo con dolcezza-.
-Che richiesta assurda è mai questa?-.
-Vi prego, Gwen-.
La ragazza non seppe cosa rispondere. Lo guardò ed ammirò una nuova espressione dipinta sul suo volto, un’espressione che mai avrebbe immaginato potesse appartenere ad un pirata.
-Voi… Mi state pregando?-.
-Pensate ciò che volete, ma fate quello che vi ho detto-.
Gwen lo fissò ancora per un istante e poi disse con semplicità: -Si è fatto tardi, Duncan. È ora che mi ritiri nella mia stanza-.
Trascorsero secondi che le parvero interminabili. Il pirata non accennava a mollare la stretta sul suo braccio, anzi, non smetteva di guardarla, quasi estasiato. Gwen si sentì arrossire, mentre i battiti del cuore aumentavano la loro frequenza.
-Rimanete ancora con me. Non lasciatemi solo-.
-Non posso trattenermi un minuto di più-.
-D’accordo. Ma potreste rispondere sinceramente ad una mia ultima domanda?-.
La ragazza annuì, non molto convinta.
-Che cosa pensate di me?-.
“Oh, Cielo!”, gridò una vocina allarmata nella sua testa.“Che cosa ha detto?”.
“È il tuo momento, Gwen! Digli tutto quello che porti nel cuore”, le suggerì una seconda voce.
“Mi deriderà… Devo solo mantenere il controllo”, si disse respirando profondamente per cercare di calmarsi.
-In fondo siete un uomo onesto. E di parola. Qualità non comuni, ai tempi d’oggi-.
-C’è altro che vorreste dirmi?-.
-No, Duncan. È tutto qui-.
-Non avete particolari considerazioni sul mio aspetto o sulla mia voce?-.
-Affatto-.
-Mi state dicendo che non avete mai prestato attenzione al mio fisico, neanche quando ne avete avuto l’opportunità?-.
-Che cosa state insinuando? Che vi abbia spiato?-.
-Assolutamente no-.
-E allora cosa volete?-.
-Soltanto sapere se davvero ritenete che il mio nome sia simile… Ad una “melodia”-.
Gwen trasalì alla vista del solito ghigno tornato sulle labbra di Duncan. E immediatamente capì ciò che era accaduto in sua assenza.
-Voi… Avete letto ancora il mio diario!-.
-Cosa? No, siete impazzita?-.
-Non mentite! Vi siete intrufolato nella mia cabina e avete cercato gli scritti!-.
-Gwen, adesso siete voi ad insinuare…-.
-Volevo fidarmi di voi! Ci stavo riuscendo! Ma mi avete dato l’ennesima prova che i miei sospetti erano fondati! Vi odio, Duncan, vi odio!-.
Si divincolò dalla presa del pirata e provò ad aprire la porta che aveva alle spalle, ma il capitano la bloccò di nuovo.
-Non adiratevi, Gwen! La mia era solo curiosità-.
-Curiosità? No, siete un maledetto bugiardo!-.
Il capitano la trattenne con più forza per le braccia, obbligandola a fissarlo, e la ragazza tranne il respiro.
-Ditemi se quello che ho letto è vero-, pronunciò Duncan cercando di scrutare oltre le iridi nere della giovane.
Gwen, in preda al panico e alla disperazione, cedette alla richiesta e fece un debole cenno con la testa, abbassando lo sguardo a terra per non guardare ancora il pirata.
-Mi amate, dunque?-.
-Più della mia stessa vita-, sussurrò la ragazza sentendo gli occhi riempirsi di lacrime per la vergogna.
-Oh, Gwen!-.
Duncan la baciò, trasmettendole quanta più passione fosse possibile. La nobile, sorpresa dalla strana, ma piacevole piega che gli eventi avevano preso, si decise a rispondere alle labbra ardenti dell’uomo di cui si era innamorata, lasciandosi trasportare da quel forte sapore di rum che il pirata aveva sempre con sé.
-Continuate a pensare che sia orribile?-, domandò Duncan sorridendo sulla bocca della ragazza.
-Ho cancellato dalla mente questa idea già da tempo-, ribatté Gwen cercando ancora le labbra del giovane.
-Ve ne andrete, allora?-.
-Mi avete convinta a rimanere-.
Continuarono a baciarsi con trasporto contro la levigata parete di legno, che sarebbe potuta bruciare sotto i tocchi roventi dei due amanti. Duncan teneva stretta a sé la donna che aveva sempre immaginato degna di essere al suo fianco, abbracciandola e tentando di allentare lo stretto busto che irrigidiva la schiena della ragazza; Gwen, con il cuore in festa, non se ne curava molto, ma pensava solo alla felicità appena raggiunta.
-Vieni con me-.
La giovane si sentì sollevata, ritrovandosi tra le muscolose e forti braccia del suo innamorato, poi venne posta delicatamente sul letto del pirata, pronto a dar sfogo ai suoi più proibiti desideri.
-Duncan-, lo chiamò provando una leggera dose di ansia nel vederlo in piedi davanti a lei.
Per tutta risposta il pirata la baciò di nuovo, annullando per un attimo la preoccupazione che si stava insinuando nella sua testa. Quando i due si staccarono, Gwen lo osservò affaccendarsi per liberarsi della camicia diventata troppo ingombrante in quel momento.
Il ragazzo si avvicinò ancora, sedendole accanto e accarezzandole una guancia, trascinando poco alla volta e sempre più in basso la mano desiderosa di scoprire la pelle diafana della nobile inglese. La giovane non mosse un muscolo; rimase semplicemente in attesa, aspettando che fosse il pirata a compiere il primo passo, qualsiasi esso fosse. Poi sentì il tocco leggero di Duncan avvicinarsi pericolosamente alla scollatura del vestito ed un brivido la scosse, piacevolmente colpita dall’audacia dell’uomo.
-Vi desidero dal primo momento in cui vi ho vista. Lasciate che vi ami, se davvero mi corrispondete-.
Gwen non se lo fece ripetere una seconda volta: la dichiarazione del pirata era tutto quello che voleva. E l’attrazione verso di lui non faceva che aumentare, messa a dura prova dalla repressione di quei sentimenti che i due si erano visti costretti a nascondere.
Diede un tacito consenso alla brama di Duncan, che riprese a baciarla come poco prima, facendole sollevare la schiena per sciogliere definitivamente i nodi che le bloccavano il corpetto.
-E vi lamentavate della prigionia nella cella!-, esclamò il ragazzo con tono nervoso. -Siete rinchiusa da mattina a sera in una gabbia che farebbe tremare perfino le fiere dei boschi!-.
-Volete che vi aiuti?-, domandò Gwen maliziosamente lanciando un’occhiata al tentativo fallito di Duncan.
-No, me ne libererò da solo!-.
-Fatemi provare-.
Con un elegante gesto della mano, la giovane sciolse i nodi dietro alla schiena e lasciò scivolare fin troppo lentamente il busto, che cadde a terra con un tonfo sordo; in dosso non le rimaneva altro che l’ampia gonna e la camicia che ancora celava il petto.
-State cercando di provocarmi?-, chiese Duncan addolcendo la voce. -Perché posso assicurarvi che non ce n’è alcun bisogno-.
-Ne sono convinta anch’io-, rispose Gwen, -ma sembra che non siate a vostro agio-.
Una risata, prima sommessa, poi scoppiettante, riempì l’aria, riecheggiando tra le pareti di legno.
-Tra poco sarete voi ad implorare-, la corresse il pirata lanciandosi su di lei e occupando nuovamente le sue labbra.
Con un movimento rapido ed esperto, Duncan liberò le belle gambe della ragazza dalla sottana, ammirando per la prima volta la candida carnagione di quell’esile quanto perfetta figura. Dopo un istante di contemplazione, passò all’attacco baciando ogni centimetro di pelle scoperta, risalendo fino al collo di Gwen e ghignando soddisfatto nel sentire alcuni lievi mugolii della ragazza.
-Duncan…-.
-Sì?-.
La nobile gli sollevò il mento e lo guardò dritto negli occhi, riuscendo solo per una manciata di secondi a sostenere lo sguardo: -Non fatemi del male-.
-Non ne ho alcuna intenzione, my Lady-, le rispose mentre il viso gli si illuminava di una strana luce.
Tutto ciò che avvenne in seguito non fu altro che un ciclone di emozioni e carezze, di sussurri ed ansimi percepibili al chiarore della lampada ad olio appesa accanto al letto. I due amanti non posero freno alla passione, che li travolse a tal punto da far dimenticare ad entrambi chi fossero e da dove provenissero. Per quella lunga notte non ci furono più né la nobile Lady Thompson di Southampton né il ricercato pirata Crouch. Vennero sostituiti da due semplici nomi, da due anime che da tempo si desideravano: furono soltanto Gwen e Duncan.
La mattina seguente giunse dolce e inaspettata. Avrebbero voluto che il tempo si fermasse per restare ancora insieme, vicini e perfetti l’uno al fianco dell’altra. Il primo a svegliarsi fu il pirata, che teneva stretta a sé la ragazza in un abbraccio fatto di pura tenerezza; la osservò per un attimo, senza smettere di sorridere, e le diede un leggero bacio sulla fronte, senza rischiare di disturbarla. Ma il tentativo andò a vuoto: Gwen socchiuse lentamente gli occhi e specchiandosi nelle iridi azzurre del compagno non poté nascondere la contentezza che la animava.
-Da quanto mi guardate?-, chiese.
-Pochi minuti-.
-E cosa vedete?-.
-La donna dei miei sogni-.
Gwen si drizzò leggermente e si avvicinò alle labbra del ragazzo, che ricambiò immediatamente il bacio. Si cullarono ancora al tepore delle lenzuola, osservando da lontano il cielo che si schiariva pian piano, ma vennero interrotti da urla provenienti dall’esterno e da un rumoroso battere di pugni sulla porta della cabina.
-Sì?-, domandò infastidito Duncan sorridendo ancora a Gwen.
-Capitano, abbiamo avvistato una nave in direzione nord est!-, replicò qualcuno dal corridoio.
-Ebbene?-.
-Sembra adibita al trasporto di passeggeri. Potrebbe rivelarsi interessante!-.
-Perfetto, allora. Avviciniamoci il più possibile e diamo inizio all’arrembaggio-.
-Signorsì, capitano! Eseguiremo subito!-.
I passi del pirata si affievolirono e Duncan si alzò dal letto recuperando prontamente pantaloni e camicia.
-Dove andate?-, domandò Gwen soffermandosi sulla cupa espressione del ragazzo.
-Il lavoro chiama. Non voglio che assistiate ad uno scempio simile a quello della Spencer’s Defense: rivestitevi e chiudetevi nella vostra stanza, senza farvi vedere da nessuno. Non è questo il momento di rendere pubblica la nostra relazione-.
-Oh, lo credo anch’io. Non temete, farò come desiderate. Ma non macchiatevi le mani con il sangue di innocenti: non potrei sopportare l’idea di essere accarezzata da un assassino-.
-Troppo tardi, Gwen. Avete saputo fin da subito a cosa sareste andata incontro e se non sbaglio abbiamo passato una notte insieme. Non potete tirarvi indietro adesso-.
Duncan ghignò malevolmente come suo solito e si sistemò in modo impeccabile la giacca recuperata da un angolo della cabina. Poi si avvicinò alla porta e, prima di uscire, assicurò: -Non abbiate paura. Per amor vostro rispetterò il desiderio che avete espresso-.






Note dell'Autrice
Eccomi di nuovo a voi, carissimi lettori.
Come promesso, questo è il capitolo della svolta: spero che abbiate apprezzato. Io stessa non avrei mai pensato di divertirmi a scrivere un simile paragrafo sulla DxG.
E proprio per questo motivo il testo che avete appena terminato di scorrere è dedicato in modo particolare alla cara White_Fang, amica speciale che ho avuto il piacere e la fortuna di conoscere tramite questo sito.
Appuntamento tra due settimane con il ventunesimo capitolo,

Amor31

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Capitolo 21
*** Sconosciuto a bordo ***


21.     Sconosciuto a bordo

Courtney Bennet aveva perso le speranze. Non riusciva a capire dove si trovasse, se fosse vicina alla meta o se per due mesi la nave su cui stava viaggiando avesse girato in tondo. Era afflitta; non avrebbe mai immaginato che la traversata dell’Atlantico potesse essere tanto spiacevole. Spesso, per consolarsi, si diceva che, in fondo, valeva la pena soffrire in quel modo: una volta raggiunta la Florida, avrebbe conosciuto il misterioso Don Alejandro Burromuerto e si sarebbe sposata, diventando la più ricca nobildonna inglese.
“Ma mi sto consumando, su questa dannata nave!”, pensava subito dopo piagnucolando tra sé e sé. “Non dubito di essere bella, attraente e intelligente, ma quando sbarcherò avrò un aspetto così orribile che nemmeno un infimo contadino mi vorrà al suo fianco. Oh, che disdetta: possibile che io sia così sfortunata? E chissà che cosa starà facendo Gwen: ormai sarà tra le braccia di quell’importante uomo d’affari, pronta ad incastrarlo con un matrimonio vantaggioso. Ah, è meglio non pensarci: il solo immaginare tali avvenimenti mi rende ancor più nervosa!”.
A Courtney mancava terribilmente suo padre, l’unico in grado di farla ragionare. Ma doveva anche ammettere che, se avesse avuto la possibilità di frequentare feste e balletti, la vita sulla American Hope le sarebbe sembrata molto meno dura.
Ciò che più la irritava era il clima: viaggiavano ininterrottamente da due mesi e il sole aveva accompagnato la navigazione soltanto per le prime due settimane. In seguito avevano prevalso nuvole e pioggia, scortate da nebbia e onde talmente forti da mettere a repentaglio lo scafo dell’imbarcazione.
“Se avessi della buona compagnia sarebbe tutto diverso. Invece sono costretta a vivere come una schiava: per quel che ne so, nemmeno i neri provenienti dall’Africa subiscono trattamenti del genere”.
E in parte Courtney aveva ragione: la American Hope non era di certo una nave di prima classe. Anzi, su di essa era abolita qualsiasi forma di distinzione sociale. Non esistevano più nobili, commercianti o semplici emigranti in cerca di fortuna: rientravano tutti nella stessa categoria. Allo stesso modo, gran parte dei passeggeri era costretta a dormire in uno stanzone comune, dove erano allestite piccole e scomode brande su cui, molto spesso, dovevano dormire perfino tre persone contemporaneamente. Di conseguenza anche le condizioni igieniche non erano delle migliori: più volte i medici di bordo si ritrovarono a fronteggiare forti febbri e virus altamente contagiosi. I malati venivano messi in quarantena in una grande cabina lontana dagli alloggi normalmente occupati, così da evitare il contagio altrimenti inevitabile.
Courtney era scampata alla terribile minaccia della malaria, ma Heather, sua dama di compagnia, non era stata altrettanto fortunata. La salute della ragazza, già cagionevole, era stata messa a dura prova e per due settimane non aveva avuto contatti con nessuno se non con i medici responsabili. E così Lady Bennet si era ritrovata completamente sola nel bel mezzo di una folla di sconosciuti, certa di non voler ampliare le sue conoscenze.
Quando Heather si era rimessa, Courtney l’aveva accolta come la più cara amica, pur badando bene a mantenere una certa distanza di sicurezza. E la dama aveva rispettato il volere della padrona, anche se con non poco fastidio: essere trattata come una reietta non rientrava di certo tra le sue mansioni. Nonostante tutto, però, erano riuscite a sopravvivere: Courtney sfogava tutta la sua ira sulla povera malcapitata, costretta ad ascoltare giorno dopo giorno le lamentele della ragazza.
Con il passare delle settimane, l’ansia della nobile era aumentata vertiginosamente: chiedeva continuamente ai membri dell’equipaggio quanto mancasse allo sbarco, ma ogni volta la risposta non la soddisfaceva; così ordinava ad Heather di raccogliere informazioni direttamente dal capitano. Gli sforzi della giovane, però, non erano serviti a nulla: tutti si limitavano a dire di “avere fiducia”, di “aspettare qualche altra settimana”, mentre Courtney diventava sempre più intrattabile.
Un pomeriggio, finalmente, la monotonia della vita di bordo venne spezzata. Le due ragazze si trovavano sottocoperta, intente nella solita chiacchierata, ma all’improvviso delle urla provenienti dal ponte le interruppero, spaventando i passeggeri. Lady Bennet, con il solito tono imperioso, comandò ad Heather di informarsi e la dama, pur controvoglia, fu costretta ad obbedire. Uscì in fretta e in pochi minuti raggiunse l’esterno, notando una piccola folla di spettatori osservare qualcosa in mare.
-Capitano, uomo in mare! Uomo in mare!-.
Le grida richiamarono l’attenzione di tutti i presenti e all’arrivo del capitano venne dato l’ordine di recuperare il naufrago che, stremato, tentava di sbracciarsi per farsi vedere.
Alcuni marinai aiutarono lo sventurato a salire a bordo e, una volta portato in salvo, lo fecero stendere a terra, cercando di capire chi fosse e come fosse finito alla deriva nel bel mezzo dell’Atlantico.
-Un… attacco… pericolo-, sussurrò delirante l’uomo mentre due medici giungevano per scortarlo nell’infermeria.
-Presto, il poveretto ha una terribile febbre! Chissà per quanto tempo è rimasto a galleggiare su quell’asse di legno-, si chiese il capitano affacciandosi dal parapetto e gettando un’occhiata alle onde.
Il naufrago venne portato via e ad Heather non rimase altro che allungare il collo per vedere chi fosse il malcapitato, poi tornò da Courtney per riferirle quanto accaduto.
-Oh, tutto qui? Ah, pensavo che fosse qualcosa di molto più eccitante! Non ce la faccio più a rimanere su questa dannata nave… Oh, Heather, ditemi che andrà tutto bene!-.
-Andrà tutto bene, my Lady-.
-Ottimo, la vostra enfasi è molto rassicurante… Ma che posso pretendere da un’umile dama di compagnia? Non potete di certo competere con me. Non siete d’accordo?-.
-Assolutamente-, replicò a denti stretti Heather voltandosi dalla parte opposta per nascondere una smorfia.
-Mah… Forse sarebbe bene sapere chi è l’uomo recuperato-.
-Vi interessa davvero?-.
-In verità no. Ma ho troppa nostalgia dei pettegolezzi e ho bisogno di svago. Rendetevi utile, per una volta, e tentate di scoprire l’identità di questo sventurato-.
-Non credo che i medici mi faranno entrare nell’infermeria… E poi potrei correre il rischio di avere una ricaduta: sono stata dimessa da poco e mi è stato prescritto di riposare il più possibile-.
-Non temete, Heather. Siete una donna forte e a fermarvi non sarà un insulso raffreddore-.
-Ma come pensate che possa accedere alle stanze degli ammalati? Sono sorvegliate a vista per tutta la giornata-.
-Esattamente, mia cara. Per tutta la giornata, ma non durante la notte-, disse Courtney con un sorriso beffardo.
-Cosa intendete dire?-.
-Vi infiltrerete in infermeria al calar della notte; aspetterete che i dottori si siano ritirati nelle rispettive cabine e poi agirete indisturbata-.
-My Lady, vi rendete conto di quanto sia grave questa proposta? E se venissi scoperta?-, fece notare Heather sgranando gli occhi, incredula.
-Non siete una sprovveduta. Vedrete, si sistemerà ogni cosa. Ed io avrò il mio pettegolezzo-.
-Questo è tutto ciò che avete da dirmi?-.
-Certamente. Ed il vostro rifiuto non sarà ammissibile-.




 
Quella sera la cena fu servita in ritardo rispetto all’orario usuale. Piccoli gruppi di passeggeri vennero invitati a sistemarsi in fila per ricevere un pasto caldo e quando fu il turno di Courtney la ragazza decise di non muoversi.
-Lady Bennet, sarebbe bene che mangiaste qualcosa-, la esortò Heather.
-No, preferisco morire di fame piuttosto che ingurgitare un altro boccone di cibo rancido. Andate pure, se ci tenete, ma io preferisco rimanere qui dove sono-.
La dama si allontanò, stizzita come sempre, accontentandosi di un mestolo di zuppa dall’aria triste e dall’odore terribile.
-Potrei sapere gli ingredienti della minestra?-, chiese con espressione disgustata all’uomo che la stava servendo.
-Verdura. E formaggio-.
-Oh, beh… Grazie-, disse trattenendo un conato di vomito e tornando da Courtney.
-Mmh, che profumino-, esordì ironicamente la nobile. -Buon appetito, cara-.
-Vi ringrazio, my Lady. Volete favorire?-.
-Bleah! Toglietemi da sotto il naso questa immondizia!-, trillò Courtney con voce stridula allontanando sgarbatamente il piatto che Heather le aveva porto.
-Come desiderate…-.
Lady Bennet osservò orripilata la tremenda cibaria. Aspettò che Heather avesse finito e poi, quasi sussurrando, domandò: -Siete pronta a compiere la vostra missione?-.
-Quale missione? Oh… Quella-.
-Esatto. Avete elaborato un buon piano?-.
-Credevo di dover seguire le istruzioni che mi avete dato oggi pomeriggio-.
-Il mio era solo un punto di partenza. Voi avete pensato a come agire, vero?-.
-Sì-, mentì Heather. Non aveva alcuna intenzione di intrufolarsi di nascosto nell’infermeria. Di notte, oltretutto!
-Bene. Quando colpirete?-.
-Lady Courtney, mi fate sembrare una ladra!-.
-Ma lo siete. State rubando un’informazione preziosa per me-.
-Questa, poi!-.
-Non mi avete risposto-.
-Appena il capitano darà ordine di ritirarsi. Allora i medici saranno costretti ad abbandonare le solite postazioni-.
-Eccellente! Sapevo di potermi fidare di voi-.
Le prese le mani e le strinse, fiduciosa, mentre Heather cercava di sembrare d’accordo con lei.
-Chi ha finito di cenare ha l’obbligo di lasciare libero il posto e andare a dormire. Il capitano ordina a tutti una buona notte-, disse a gran voce un marinaio entrando nello stanzone.
-L’operazione può avere inizio-, disse Courtney alzandosi e strizzando l’occhio a Heather.
“Ah, che cosa si deve fare per vivere!”, pensò amareggiata la dama dirigendosi dalla parte opposta senza farsi notare.
Uscì dall’ambiente comune e si ritrovò in un corridoio fiocamente illuminato. Sapeva bene che non ci avrebbe impiegato molto a raggiungere l’infermeria e così fu costretta a nascondersi in uno stanzino inutilizzato, lasciando che il tempo scorresse lentamente.
Durante l’attesa immaginò quale futuro la stesse aspettando in America: da quanto le aveva raccontato Courtney, il misterioso Don Alejandro doveva essere molto ricco. Inoltre sapeva che al suo servizio c’era una gran quantità di servitori e schiavi, pronti a venire in suo aiuto ad un semplice schiocco di dita.
“Speriamo di incontrare qualche ragazzo interessante. Non rimarrò per tutta la vita a lavorare come una sciocca servetta da quattro soldi: appena avrò risparmiato un bel gruzzoletto comprerò un piccolo appezzamento terriero e impiegherò lavoratori alle mie dipendenze. Mi arricchirò come nessun altro prima di me e così sarò finalmente in grado di aiutare la mia famiglia”.
La moltitudine di pensieri e ragionamenti l’aveva talmente travolta da farle perdere la concezione del tempo. Quando si riscosse da quel piacevole torpore, stimò fosse ora di passare all’azione.
Aprì la porta con un cigolio e sgusciò fuori, camminando pian piano lungo lo stretto corridoio. Girò a sinistra e raggiunse l’infermeria, ma prima di entrare si assicurò che i dottori si trovassero nei rispettivi alloggi.
“Andiamo”.
Prese un bel respiro e abbassò la maniglia. La luce alle sue spalle penetrò nella stanza, illuminando i piedi di alcuni letti, e Heather fu dentro, aggirandosi tra le brande cercando di distinguere nella semioscurità il volto del naufrago.
“Eccolo! È lui!”.
Avvicinandosi, la ragazza si rese conto che il poveretto non poteva avere più di 25 anni: pur essendo coperto da uno spesso lenzuolo, si poteva osservare chiaramente il suo fisico mingherlino, messo a dura prova dalla permanenza in mare. Aveva zigomi scavati, segno che non toccasse cibo da almeno due settimane, e corti capelli castani attaccati alla fronte a causa di un sudore freddo che lo faceva tremare.
“Chissà come avrà fatto a sopravvivere… Deve aver passato le pene dell’inferno”.
Heather lo esaminò ancora un minuto, prestando attenzione a non far rumore per non rischiare di disturbare gli altri ammalati nella stanza, poi, all’improvviso, il ragazzo spalancò gli occhi e cacciò un grido di terrore.
-Fate silenzio, vi prego! Va tutto bene, state tranquillo!-, tentò di rassicurarlo Heather portandosi un dito sulle labbra.
-Voi… Voi chi siete? Che cosa state facendo?-, domandò allarmato.
-Io… S-sono un’infermiera-, balbettò insicura.
-Un’infermiera? Ma non è tardi per il turno notturno?-.
-Beh, il dottore mi ha ordinato di controllare che la situazione fosse tranquilla-.
-Oh. Mi dispiace di aver urlato, allora. Spero di non aver svegliato nessuno-, provò a scusarsi il ragazzo.
-Non temete. L’importante è che vi sentiate meglio-.
-Sì, anche se poco. È stato orribile…-.
-Vi va di raccontarmi ciò che è successo? Solo se non vi crea disturbo-.
-No, assolutamente. Parlarne mi farà bene. Soltanto che…-.
-Cosa?-, lo incoraggiò Heather.
-Mi sento così in colpa per quanto accaduto-.
-Non crucciatevi e ditemi ciò che volete-.
-D’accordo. Stavo viaggiando a bordo di un’importante nave quando… Oh, ma che scortese! Non mi sono neanche presentato! Perdonatemi ancora, Miss…?-.
-Chiamatemi semplicemente Heather-.
-Che splendido nome! Io sono Sir Cody Anderson-, disse afferrando la mano della ragazza e schioccandole un bacio.
“Finalmente un galantuomo!”, pensò Heather lusingata. “Courtney non dovrà saperne niente!”.
-Raccontate, dunque-.
-Ehm, da dove iniziare? Stavo navigando tranquillamente verso casa, quando sono stato attaccato da una banda di criminali ricercati in mezzo mondo! Hanno ucciso l’intero equipaggio e preso in ostaggio un’ospite di bordo; soltanto io sono riuscito a cavarmela. Se ci ripenso, gli occhi mi si riempiono di quelle tremende immagini! Per fortuna, cadendo in mare, mi sono aggrappato ad una tavola di legno con cui sono stato in grado di tenermi a galla. Ho patito una fame terribile; la sete si è fatta sentire, ma le piogge incessanti di quest’ultimo periodo mi hanno aiutato a non darmi per vinto. E poi, oggi, sono stato finalmente tratto in salvo. Avevo cominciato a perdere le speranze, sapete? Credevo che sarei stato costretto a morire nel bel mezzo dell’oceano-.
-Che avventura spaventosa! Ma a malincuore devo andare via: il mio turno è finito e sarà meglio che vada a dormire-, disse sbrigativa Heather.
-Avete ragione, Miss. Mi dispiace di avervi trattenuta troppo, rischiando perfino di annoiarvi con la mia storia!-.
-Oh, no, Sir Anderson, tutt’altro: sono stata io ad insistere. Scusatemi per avervi disturbato. È stato un vero piacere conoscervi-.
-Domani potrò rivedervi?-, domandò il ragazzo drizzandosi a sedere sul letto in modo più composto.
-Forse… Sarà il dottore a mandarmi qui-.
-Bene, allora. Buonanotte, Miss Heather-.
-Buonanotte, Sir Anderson-.
La giovane scivolò oltre la porta e se la richiuse alle spalle senza provocare il minimo rumore. Si accertò di nuovo che nessuno si fosse accorto della sua presenza e con passo spedito arrivò allo stanzone comune dove aveva cenato. Due minuti dopo raggiunse Courtney, che contro ogni previsione si era addormentata.
“Questa si chiama fortuna”, si disse Heather traendo un sospiro di sollievo. “Le chiacchiere saranno rimandate a domani”.

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Capitolo 22
*** Arrembaggio ***


22.     Arrembaggio

La settimana successiva al salvataggio di Cody trascorse molto velocemente. Nonostante Heather avesse raccontato a Courtney quanto appreso dal naufrago, Lady Bennet insisteva tutti i giorni per ascoltare nuovamente la storia.
-My Lady, ormai dovreste conoscerla a memoria-, tentò di protestare la dama all’ennesima richiesta della padrona.
-Che vi importa? Svolgete la mansione per cui siete retribuita: il vostro compito è quello di tenermi compagnia e di esaudire qualsiasi mio desiderio-.
-Ma…-.
-Non ci sono obiezioni. Sapete anche voi che ho ragione-.
Heather, vessata dalla nobildonna, era sempre costretta a cedere, ripetendo all’infinito la breve conversazione avuta con Cody.
-Non credete anche voi che sia molto interessante?-, domandò ancora una volta Courtney.
-No-.
-Ah, lo sapevo! Possibile che non siate in grado di apprezzare la bellezza del pettegolezzo?-.
-Non riesco a cogliere questa “particolare” qualità-.
-Oh, ma come sono ridotta! Non solo sono obbligata a viaggiare su una nave in pessime condizioni, adesso devo anche arrendermi al fatto di non avere una buona amica con cui condividere le piccole cose della vita-.
-My Lady, non pensate di star esagerando?-.
-Affatto! Heather, quando vi ho chiesto di partire insieme a me ero convinta che vi sareste rivelata utile. E lo siete stata, fino ad ora. Ma perché vi ostinate a contraddirmi?-.
-Non è questa la mia intenzione. Cosa volete che faccia, per farmi perdonare?-.
-Chiedete al capitano quanto tempo ancora dovremo soggiornare a bordo-.
-Di nuovo? Ma abbiamo avuto una buona risposta due giorni fa!-.
-In due giorni si percorrono miglia su miglia, non lo sapete? Fate quello che vi ho detto, subito!-.
Anche se controvoglia, Heather obbedì all’ordine e tornò una manciata di minuti più tardi.
-Allora? Ci sono novità?-, domandò trepidante Courtney cogliendo una nuova luce negli occhi della dama.
-Sbarcheremo tra dieci giorni-.
-D-Dieci… giorni?-.
Heather annuì sorridendo.
-Sia ringraziato il Cielo! Finalmente una buona notizia!-.
Lady Bennet scattò in piedi e accennò un passo di danza per la contentezza.
-Avrò la possibilità di conoscere Don Alejandro! Diventerò ancora più ricca e avrò un matrimonio da sogno! Ah, quando lo sapranno le mie amiche a Southampton, moriranno dall’invidia!-.
-Ne sono certa, my Lady-.
-Ma anche voi dovrete sistemarvi come si deve. Vi troverò un buon partito non appena ne avrò l’occasione!-.
-Oh, di questo non dovete preoccuparvi…-.
-Insisto! Non meritate di finire tra le grinfie di un qualche squallido servitore! No, ad attendervi ci sarà come minimo un ricco borghese-.
-Lady Courtney, il matrimonio è il mio ultimo pensiero-.
-Non parlate così, mia cara. Dove credete di andare senza un uomo al vostro fianco? Non temete, mi occuperò io di queste delicate incombenze!-.
L’entusiasmo delle due giovani durò per tutta la giornata. Soltanto il sonno le fece calmare e la mattina successiva, appena svegliate, Heather volle far visita al povero Sir Cody, ancora affidato alle cure dei medici di bordo.
-Non fatemi aspettare troppo! Sono così felice che, per una volta, faremo colazione sul ponte, cercando di avvistare la terraferma!-, le urlò Courtney mentre la ragazza si dirigeva in infermeria.
“Spero solo che mi facciano entrare… Ormai l’unico ammalato è lui”.
Stava attraversando lo stretto corridoio già percorso una settimana prima, quando un tremendo scossone la fece cadere a terra. Il pavimento tremò sotto i suoi piedi e la ragazza temette che la nave avesse urtato uno scoglio.
“Ma non può essere! Siamo ancora in alto mare e il fondale è a centinaia di metri sotto il pelo dell’acqua!”.
Si rialzò, ma una nuova scossa le provocò la perdita dell’equilibrio.
“Che cosa sta succedendo?”.
Non udiva nulla, né dall’interno né dall’esterno. Improvvisamente la nave si era fatta così silenziosa da sembrarle abbandonata.
“Torno indietro”.
Ripercorse la strada al contrario e si scontrò con un marinaio che, allarmato e con gli occhi spalancati, la afferrò per le spalle dicendole meccanicamente: -Andate sul ponte, subito!-.
Heather vide l’uomo allontanarsi e ripetere a gran voce parole senza senso: -Solo le donne, solo le donne!-.
“Che vorrà dire?”, si chiese la giovane sempre più preoccupata. “E perché devo salire sul ponte?”.
Non esitò un istante di più e in fretta raggiunse l’esterno. Prima di uscire, però, udì distintamente molte voci roche e profonde riecheggiare nell’aria.
“Ma che cosa…”.
-Fate passare, fate passare!-.
Alle sue spalle un altro membro dell’equipaggio avanzava scortando un gruppo formato da una decina di ragazze tra cui Heather riconobbe anche Courtney.
-Lady Bennet, cosa sta succedendo?-, chiese in un soffio affiancando la padrona.
-Oh, ci siete anche voi! Speravo che riusciste a rispondere a questa domanda, ma a quanto pare sbagliavo-.
-Perché ci portano via?-.
-Non ne ho idea. Ma dobbiamo stare in guardia: soltanto noi donne siamo richieste, in questo momento-.
Mentre le due ragazze si scambiavano queste ultime parole, il marinaio che le accompagnava spalancò la porta che dava sull’esterno e fece sistemare il gruppo in fila, accorpandolo a un altro insieme di signore già radunate accanto al parapetto. La luce accecante del sole le costrinse a ripararsi gli occhi con una mano e finalmente capirono ciò che stava accadendo.
-Ma bene, vedo che non manca la possibilità di scelta-, disse un uomo vestito completamente di nero. -È tutto qui ciò che avete da offrirmi?-, continuò rivolgendosi ad un marinaio.
-S-sì. Abbiamo rispettato il vostro volere, ma adesso lasciateci proseguire-.
-Oh, no! Non mi sono preso la briga di fermare questa nave solo per dare un’occhiata ai passeggeri-.
L’uomo, seguito da una decina di rozzi scagnozzi ai suoi ordini, si avvicinò alle donne e prese ad esaminare un viso alla volta, soffermandosi sulle ragazze più giovani con un ghigno disgustoso.
-Adoro le grandi navi. Pensavo che, bloccando il vostro viaggio, avrei ottenuto della ricchezza, ma a quanto pare queste adorabili signore non hanno nulla da offrire-.
-Andatevene, allora. E lasciateci in pace!-, azzardò un altro marinaio facendosi avanti.
L’uomo in nero si voltò di scatto e lo osservò dicendo soltanto: -Sapete una cosa? Siete fortunato. Molto fortunato. Avrei già estratto la rivoltella conficcandovi una pallottola nel cervello, se qualcuno non mi avesse pregato di risparmiare il sangue di innocenti-.
Mostrò l’arma facendo scivolare lentamente dalla giacca il cane e con un movimento veloce la risistemò in una tasca interna, tornando a concentrarsi sulle donne che aveva davanti.
-Non potendo rubare nulla, ho deciso di portare via con me una ragazza. Qualcuna si offre volontaria?-, domandò beffardo.
Nessuna si mosse. La maggior parte di loro abbassò lo sguardo a terra, incapace di guardare negli occhi quell’uomo terribile; altre cominciarono a piangere in silenzio.
-Bene. Sceglierò io. Come sempre, del resto-.
Lo sconosciuto passeggiò con noncuranza di fronte alla fila, indietreggiando più volte per ammirare la reazione delle poverette. Poi, con un tono di voce ancor più cupo disse: -Tu! Vieni avanti!-.
Le donne si guardarono l’un l’altra, senza sapere a chi si fosse rivolto l’uomo.
-Ehi, signorinella, dico a te!-.
Alcune ragazze si fecero da parte per assistere alla scena e Courtney si ritrovò improvvisamente sola.
-Cosa? State parlando con me?-, domandò sgranando gli occhi.
-Sì, sciocca! Siete stata selezionata-.
Vedendola rimanere immobile, l’uomo avanzò e la strattonò per un braccio dicendole ancora: -Vedrete, sarete contenta di pernottare nelle celle della mia splendida nave!-.
-No! No! Dannato, lasciatemi! Voi non sapete chi sono!-.
-Oh, sono certo che neanche voi lo sapete-.
-Liberatemi vi ho detto!-.
La ragazza venne lanciata tra le braccia di uno sgherro e definitivamente bloccata, senza smettere di scalciare ed agitarsi per sfuggire alla presa ferrea.
-Heather, Heather! Fate qualcosa, vi prego! Venite ad aiutarmi!-.
-Uhm?-.
L’uomo in nero la guardò e chiese con finto interesse: -Dite a me ciò che desiderate-.
-Non potete lasciarmi sola! Mi avete promesso di accompagnarmi fino alla fine del viaggio!-, strepitò ancora Courtney.
-Oh, avete bisogno di una dama di compagnia. Ebbene, signore, chi di voi si chiama Heather?-.
L’uomo non ebbe risposta.
-Vi avverto, ho poca pazienza. Non ho alcuna intenzione di ascoltare un minuto di più le chiacchiere di quest’oca, quindi vi chiedo cortesemente di parlare, se non volete che la strage abbia inizio!-.
Una ragazza diede uno spintone a una giovane che le era accanto, facendola cadere esattamente davanti ai piedi del delinquente.
-Accidenti, fate più attenzione!-, intimò quella rialzandosi e rivolgendosi a colei che l’aveva spinta.
-Il vostro nome?-, domandò l’uomo esaminandola da capo a piedi.
-Elizabeth-, rispose pulendosi la gonna.
-Heather! Non dite sciocchezze e venite con me!-, urlò Courtney divincolandosi senza alcun esito positivo.
-Oh, abbiamo una bugiarda!-, esclamò l’uomo afferrando anche la ragazza e trascinandola via. -Sarete punita per il vostro affronto!-.
Heather venne affiancata alla padrona, che le sorrise dicendo in un sussurro: -Almeno affronteremo il pericolo insieme-.
La giovane non rispose, ma maledisse profondamente Lady Bennet per averla coinvolta in quell’avventura indesiderata.
-Siete liberi di ripartire-, affermò l’uomo rivolgendosi ad un marinaio. -E ricordate di aver avuto fortuna nell’incontrare proprio oggi il capitano Duncan Crouch!-.

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Capitolo 23
*** Sorpresa ***


23.     Sorpresa

Courtney e Heather vennero portate di peso sulla gigantesca nave che immaginarono avesse urtato la American Hope e furono scortate attraverso la stiva da due pirati che le rinchiusero in un’unica cella. Lady Bennet si appoggiò alle sbarre di ferro e iniziò a gridare per farsi aprire, mentre la dama di compagnia, resasi perfettamente conto della situazione, si limitò a sedere su un umido pagliericcio tenendosi la testa tra le mani.
-Gli ostaggi non si trattano così!-, stava urlando in quel momento Courtney. -Quando mio padre e il mio promesso sposo sapranno quello che avete fatto, vi faranno saltare via la testa!-.
-My Lady, arrendetevi all’evidenza. Siamo prigioniere di una banda di pirati e non abbiamo idea di quando rivedremo la luce del sole. Ora smettetela di urlare; fatelo per la salute della vostra gola-, disse Heather.
“E per il bene delle mie povere orecchie”, avrebbe voluto aggiungere.
-Oh, forse avete ragione. A che serve insistere?-.
Courtney si allontanò dalle sbarre e prese posto accanto alla dama, chiedendo sconsolata: -Che cosa pensate che accadrà? Ci faranno del male?-.
Senza alzare la testa Heather fece spallucce: in quel momento non pensava ad altro se non alla famiglia lontana.
-E se volessero ucciderci?-, domandò ancora Courtney.
-Ne dubito, my Lady. Se l’intento fosse stato questo, lo avrebbero già fatto-.
Le due ragazze rimasero in silenzio per parecchi minuti, ascoltando le onde infrangersi lungo lo scafo della nave ed esaminando l’angusta e sporca cella in cui erano state rinchiuse. Poi Courtney sussurrò: -Siete adirata con me?-.
Non ricevette alcuna risposta e riprovò dicendo: -Perdonatemi per avervi trascinato in questo pericolo…-.
-Perdonarvi!-, esclamò Heather scattando in piedi. -Come potete chiedermi una cosa del genere?-.
-Ho avuto paura! Mi stavano trascinando via e…-.
-E avete pensato bene di fare il mio nome! Non avete pensato che sarebbe stato meglio lasciarmi proseguire il viaggio, così da adoperarmi per trarvi in salvo?-.
-Heather, se foste stata al mio posto…-.
-Non lo avrei fatto, my Lady! Non lo avrei fatto perché, quando ho accettato di partire, mi sono ripromessa di aiutarvi nel bene e nel male!-.
-Ma…-.
-Voglio solo il vostro bene e non potrei mai permettere che vi accada qualcosa. Non me lo perdonerei per il resto della vita. E chi direbbe a vostro padre ciò che è successo? Con quale coraggio lo affronterei?-.
-Sarò io a chiedervi perdono, allora. Mi sono fatta prendere dal panico-, affermò afflitta Courtney abbassando gli occhi a terra.
-Non ce ne sarà bisogno, my Lady. Adesso dobbiamo farci forza l’un l’altra per affrontare a dovere questa nuova sfida-.
-Vi ringrazio, Heather…-.
-Shh! Avete sentito anche voi?-.
-Cosa?-.
-Quel rumore-.
Le due tacquero per un istante ed udirono distintamente una porta sbattere in lontananza.
-Sembra che stia arrivando qualcuno-, disse Heather tendendo l’orecchio.
-Che cosa facciamo?-.
-Aspettiamo-, disse ancora la dama. -E preghiamo che non accada nulla di indesiderato-.





 
Duncan Crouch aveva lasciato le due prigioniere in balia di alcuni dei suoi uomini migliori e, tornato a bordo della sua adorata nave, si era precipitato da Gwen. Un’ora prima, uscendo dalla cabina che avevano condiviso la notte precedente, una strana quanto brillante idea gli aveva attraversato la mente ed adesso desiderava ardentemente ottenere il successo sperato per fare colpo sulla donna amata.
Aprì il portone che conduceva sottocoperta e si diresse direttamente alla stanza della ragazza. Bussò con una delicatezza che non credeva di possedere e aspettò che Gwen si affacciasse.
-Siete tornato-, gli sorrise la giovane dopo aver armeggiato per un paio di secondi con la chiave. -Avete conquistato immensi tesori?-, domandò curiosa.
-No, mia cara-, rispose il pirata avvicinandola a sé.
-Avete forse ucciso qualcuno?-, chiese ancora Gwen scostandosi leggermente dall’uomo.
-Avrei voluto, ma voi mi avete fatto desistere-.
-Oh… Bene-.
-Desidererei che veniste con me-.
-Dove?-.
-Sotto la stiva-.
-Avete forse intenzione di rinchiudermi in quella prigione disgustosa?-, si informò la ragazza tremando al solo pensiero.
-Pensate che ne sarei capace?-, domandò Duncan dopo aver riso.
-Non ne dubito-.
-Ah, Gwen… Come posso convincervi che è mio volere proteggervi? Ormai dovreste fidarvi del sottoscritto: avete dimenticato di aver passato una notte con me?-.
-No di certo-, disse la giovane arrossendo e abbassando gli occhi.
-Allora avete dimenticato ciò che vi ho confessato ieri sera-.
-Ricordo perfettamente ogni vostra singola parola-.
-Anche che vi amo e che non potrei trascorrere il resto della vita con nessuna donna all’infuori di voi?-.
Gwen non rispose, ma la luce nei suoi occhi parlò al suo posto.
-Ottimo. Seguitemi, adesso. C’è qualcosa che voglio mostrarvi-.
La prese per mano e la condusse lungo il corridoio, aprendo poi una piccola porticina che li avrebbe condotti alla stiva. Mentre si guardava intorno, Gwen domandò: -Che cosa avete in mente?-.
-Oh, è una piccola sorpresa. L’arrembaggio mi è servito a procurarmi un dono per voi. Spero solo che ne siate felice-.
-Devo preoccuparmi?-.
-No, state tranquilla. Vedrete, sarete piacevolmente colpita-.
Attraversarono la stiva e scesero lungo delle ripide scalette di legno chiudendosi con forza una porta alle spalle. L’eco rimbombò attraverso le pareti e Duncan prese per mano la ragazza.
-Siamo arrivati-, le disse dopo un secondo.
-Ebbene?-, domandò Gwen.
-Andate pure avanti. La sorpresa è lì-, disse il pirata indicando la cella in cui la giovane ricordava di aver dormito durante il primo giorno di prigionia.
La nobile gli lanciò un’occhiata sospettosa e dopo aver preso un bel respiro si avvicinò alle sbarre.
-Allora? Che ve ne pare?-, chiese Duncan continuando a rimanere in disparte per ammirare meglio la reazione dell’amata.
Ma Gwen non rispose. Semplicemente si bloccò, gli occhi sgranati come se avesse visto un fantasma, incapace di articolare qualsiasi parola.
-Voi?!-.
Il pirata mosse qualche passo non appena sentì la voce di una delle due prigioniere ed affiancò Lady Thompson cingendole la vita.
-Che succede qui?-, domandò.
-Che cosa ci fate a bordo di una nave pirata, maledetta sgualdrina?-, urlò ancora Courtney scagliandosi contro le sbarre della cella.
-E voi? Non dovreste essere in Florida?-, domandò di rimando Gwen riuscendo finalmente a parlare.
-Ah! Vi detesto, vi detesto! Fatemi liberare, già che ci siete! Non potete permettere a questo pazzo di tenermi in prigione ad ammuffire!-.
-Fatemi pensare… Non ci penso proprio!-, esclamò Gwen voltandosi e dandole le spalle. -Ve lo meritate!-.
-Come osate rivolgervi a me con quel tono? Quando tutti sapranno in che condizioni sono stata costretta a trovarmi, uccideranno sia voi sia il pirata che vi sta accanto!-.
-Fate pure!-, replicò Lady Thompson. -Meglio morire che trascorrere un’esistenza chiusa in una casa di nobili dalla puzza sotto il naso!-.
-Heather, dite qualcosa! Difendetemi dagli insulti di questa donna indegna!-, disse Courtney rivolgendosi all’incredula dama.
-Basta così, adesso! Cercate di calmarvi, se non volete che ricorra a questa!-, minacciò Duncan mostrando per la seconda volta in quella giornata la rivoltella nascosta nella giacca.
Lady Bennet tacque immediatamente, lanciando però un’occhiata di profondo odio a Gwen.
-A quanto pare ho scelto di portare sulla mia nave non una gallina, ma una piccola tigre-, continuò ancora il pirata. -Quando sarete riuscita a tranquillizzarvi forse riceverete del cibo. Forse-, sottolineò. -Fino a quel momento voi e la vostra sguattera resterete dietro le sbarre, pensando al grosso errore che avete appena commesso rivolgendovi in modo tanto inappropriato alla donna che amo-.
Gwen sentì un brivido correrle lungo la schiena: nonostante fosse felice della dichiarazione di Duncan, avrebbe voluto che tacesse quell’ultimo particolare in presenza della rivale.
-Allora è così che stanno le cose-, disse di nuovo Courtney, che non riusciva a credere a quanto appena appreso. -Voi… Siete diventata l’amante di quest’uomo?-.
Gwen non proferì parola. Si irrigidì ulteriormente e si allontanò, seguita dal pirata, mentre Lady Bennet proseguiva nel gridarle contro parole ormai inudibili.
Una volta lontani da orecchie e sguardi indiscreti, la ragazza domandò: -Che cosa vi è saltato in mente?-.
-Come, prego?-, disse perplesso Duncan.
-Perché avete rapito quelle due donne?-.
-Credevo che vi avrebbe fatto piacere-.
-Oh, davvero? E da che cosa lo avete dedotto?-, chiese Gwen puntellando le mani sui fianchi.
-Dalla lettura del vostro diario-.
-Ancora con questa storia? Basta, non vi ascolterò un istante di più…-.
-Aspettate-, la fermò Duncan afferrandola per un polso e facendola voltare verso di sé. -Lasciate che vi spieghi-.
-Se desiderate discutere, lo faremo nella vostra cabina-, affermò Gwen risoluta come non mai.
Il pirata la precedette ed aprì la porta della stanza, lasciandola entrare, poi se la richiuse alle spalle.
-Ditemi, dunque-, lo esortò la ragazza prendendo posto accanto al tavolo pronto per la colazione.
-Ieri, sfogliando le pagine delle vostre memorie, mi sono soffermato sugli ultimi appunti che avete riportato. Sono sicuro di aver letto, da qualche parte, che sentiste il bisogno di confidarvi con qualcuno, dato che, in Inghilterra, avevate con voi una dama di compagnia…-.
-No, non era una dama. Era la mia più cara amica, Beth, al servizio della mia famiglia fin dalla nascita-, specificò Gwen con occhi fiammeggianti.
-Comunque sia-, riprese Duncan tralasciando l’osservazione della ragazza, -questa mattina, appena mi hanno avvertito della presenza di una nave, ho pensato che fosse una buona occasione per racimolare del denaro. Poi mi sono ricordato di quanto letto ed ho ritenuto che potesse farvi piacere avere della compagnia femminile a bordo. Ero certo che sareste rimasta colpita dalla sorpresa-.
-Infatti!-, esclamò Gwen con irritazione. -Colpita e affondata!-.
-Ma come avrei potuto immaginare che conosceste quelle due? E che, oltretutto, foste addirittura nemiche?-, domandò Duncan stizzito.
-Non preoccupatevi-, lo rassicurò la ragazza. -L’importante è che abbandonino il prima possibile la nave. Buttatele pure in mare: neanche i pesci avranno il coraggio di divorarle!-.
-Gwen, vi ho già detto che, pur essendo un pirata, ho un onore da difendere a tutti i costi. Per quanto anch’io adesso desideri riparare all’errore commesso, non posso abbandonare nel bel mezzo dell’Oceano due donne-.
-Fatelo-, lo minacciò, -o sarò io ad andarmene-.
-E come?-, chiese scettico il pirata ghignando come al solito.
-Non temete, troverò un buon modo-, disse Gwen uscendo a gran fretta dalla stanza e sbattendo la porta.




Note dell'Autrice
Buon anno (anche se un un po' in ritardo '^^) a tutti voi, carissimi lettori, silenti e non!
Spero che abbiate passato delle belle feste, divertendovi e impiegando il tempo libero facendo tutto ciò che scuola e impegni vari non vi permettono durante l'anno.
E allora, come vi sembra che proceda questa storia?
Immagino che stiate pensando "Ci mancava anche Courtney a rompere le uova nel paniere!"
Uhm, forse avete ragione. Ma ricordate che questo è solo l'inizio!
Al prossimo capitolo e ancora auguri,

Amor31

PS: il rientro a scuola lunedì sarà molto, molto traumatico. Compiangiamoci a vicenda XD

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Capitolo 24
*** Tante preoccupazioni ***


24.     Tante preoccupazioni

Preoccupazione. Frustrazione. Voglia di partire.
Ecco quali erano i tre stati d’animo che facevano tremare Lord Trent. Tutti legati ad un’unica causa: Gwen.
Non la vedeva da quasi due mesi e sentiva un vuoto incolmabile farsi strada nel suo petto. Che cosa poteva essere accaduto durante il viaggio? Perché non aveva ancora ricevuto notizie provenienti dalla Spencer’s Defense, malgrado avesse espressamente chiesto al suo fidato amico Sir Cody di scrivergli il prima possibile?
-Dovrebbero essere già qui-, si diceva molto spesso, senza curarsi di parlare da solo in una stanza vuota come il salotto della sua meravigliosa villa. -Se non avrò informazioni adeguate entro il tramonto, partirò io stesso-.
Ormai se lo ripeteva da due settimane, corrispondenti all’esatto ritardo portato dalla nave. Ma, di giorno in giorno, rimandava l’appuntamento, maledicendosi mentalmente non solo per la sua incoerenza, ma anche per i suoi mille impegni, soprattutto politici.
Soltanto una manciata di giorni addietro aveva ricevuto l’ennesima visita dell’odiato Lord Noah, che si era preso la briga di recapitargli una lettera del suo acerrimo nemico.
-Spero che siate contento degli esiti della vostra provocazione-, aveva detto l’indesiderato ospite subito prima di ripartire in carrozza.
E a Trent non era rimasto altro che aprire la bella busta sigillata e leggerne il contenuto, rigirandosi più e più volte tra le mani il foglio diventato adesso simile ad uno straccio.
“È quasi un bene che Gwen non sia qui”, aveva riflettuto. “Avrò maggior tempo per sistemare definitivamente questa spiacevole faccenda. Dannata Confederazione!”.
Le notizie che Noah gli aveva riferito non erano delle più rosee, anzi. Dalle parole riportate, un gruppo di nobili proprietari terrieri aveva unito i propri possedimenti sotto un’unica bandiera e si impegnava a dichiarare guerra agli ereditieri di Georgia. Aveva avuto modo di leggere i nomi di tutti gli uomini coinvolti e aveva notato come a capo della rappresentanza ci fosse il rivale di sempre.
-Che cosa mi suggerite di fare, Lord Geoffrey?-, chiese un pomeriggio ad un altro dei suoi uomini più fidati.
-A questo punto è chiaro: non si può tornare indietro. Abbiamo tollerato la loro farsa fin troppo a lungo e ora è arrivato il momento di agire-.
-Quale strategia useremo?-.
-Li affronteremo frontalmente. Prima di cadere sotto i nostri colpi dovranno vedere i volti degli uomini che hanno osato sfidare-.
-Ben detto, amico mio-, concordò Trent. -Sarete al mio fianco, quando sarà il momento di combattere?-.
-Non mancherò, my Lord. Difenderemo la nostra terra con tutti i mezzi a nostra disposizione-, proclamò solennemente Geoffrey.
-Ne siete sicuro? Avete già parlato con vostra moglie?-.
-Sì, ma se ciascuno di noi desse ascolto alle parole di una donna, non partirebbe mai per il fronte. Ed io ho un dovere da compiere-.
-Non prendete decisioni affrettate. Abbiamo ancora del tempo, prima di ricorrere alle armi. Discutete con la vostra consorte e porgetele i miei omaggi. Ha coraggio da vendere, persino più di alcuni soldati che ho avuto modo di conoscere in passato-.
-Le vostre lusinghe mi rendono fiero, Lord Trent. Sarò felice di esaudire entrambi i vostri desideri. Ma non è solo questo il motivo per cui mi avete convocato, non è vero?-.
Geoffrey aveva centrato il cuore della discussione. E Trent non perse tempo a sfogarsi.
-Avete ragione. Vi ho fatto chiamare per ricevere un vostro consiglio-.
-Dite pure-.
-Vi avevo già accennato al fatto che avrei ospitato una nobildonna inglese-.
-Sì, certamente. Mi avevate avvertito mesi fa-.
-Esattamente. E sapete anche che ho inviato Sir Anderson a Southampton per accompagnarla fin qui-.
-Continuate-.
-Il problema è il seguente: la mia nave sarebbe dovuta arrivare quindici giorni or sono, ma non ho ricevuto notizie. Ciò che mi preoccupa è il non poter essere certo né delle condizioni del mio equipaggio né di quelle di Lady Thompson-.
-Capisco. Cosa posso fare per aiutarvi?-.
-Potreste allestire una nave? Ho deciso di partire per andare incontro alla Spencer’s Defense-.
-Lord Trent, comprendo bene la vostra apprensione. Anch’io sarei ansioso, al vostro posto. Ma a questo punto credo che sia meglio aspettare-.
-Che cosa intendete dire?-.
-Dico soltanto che arriveranno a giorni. Non vale la pena preparare un’imbarcazione e tutto il suo equipaggio. I marinai impiegherebbero come minimo una settimana per un allestimento a dovere. Abbiate pazienza, amico mio. Vedrete, quando la vostra ospite sarà qui, dimenticherete questi tremendi giorni d’agonia-.
-Forse avete ragione-, riconobbe Trent sentendosi un po’ più tranquillo. -Farò come mi avete consigliato-.
-Spero che il suggerimento vi sia d’aiuto-, aggiunse Lord Geoffrey sistemandosi il cappello. -Ora devo lasciarvi. Mia moglie mi starà aspettando per la cena-.
-Andate pure. Non desidero trattenervi oltre. E ricordate di parlare con Lady Bridgette-.
-Senza dubbio. A presto-.
Il nobile salutò con un cenno del capo e si affrettò ad uscire, scortato fino all’esterno da Trent, che rimase a guardare la carrozza dell’amico finché non la vide scomparire oltre gli immensi campi d’avena.
“Aspetterò, allora”, si disse rientrando con passo pesante in casa. “Ma non tormentatemi più, Gwen”.

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Capitolo 25
*** Scuse e risposte ***


25.     Scuse e risposte

Da tre giorni Gwen non usciva dalla propria stanza. Si rifiutava categoricamente di mettere piede al di fuori della cabina: non desiderava vedere né Duncan né gli altri membri della ciurma. Soltanto l’energumeno Light le faceva visita, essendo stato incaricato di portarle da mangiare. Alle ore dei pasti bussava alla porta ed aspettava che la ragazza gli aprisse, così da consegnarle il piatto che poi tornava a riprendere.
-Vi ringrazio, Light. Siete davvero comprensivo-, gli disse una mattina prendendo una ciotola di quello che sarebbe dovuto essere porridge.
-Il merito non è mio. Il capitano insiste affinché voi mangiate. Se fosse per me, a quest’ora sareste a dormire con i pesci insieme al resto della nave su cui stavate viaggiando-.
Malgrado l’energumeno si comportasse in modo burbero, Gwen aveva intuito che in lui non ci fosse cattiveria. Anzi, si era rivelato un gran bravo ragazzo e la giovane lo ammirava per questo.
Nei lunghi momenti di solitudine la nobile scriveva imperterrita sul diario che per due volte era stato violato: continuava ad affidare i propri pensieri a quelle pagine silenti, sperando che potessero allietarla. Ma era tutto inutile: da quando aveva visto Courtney Bennet nella prigione sotto la stiva, il mondo le era improvvisamente crollato addosso, distruggendo anche i sogni che l’avevano cullata ogni notte.
“Quell’oca! È riuscita a raggiungermi perfino qui, in alto mare, a centinaia e centinaia di miglia dall’Inghilterra! Sembra quasi che sia la mia persecuzione!”.
Pian piano, però, l’ira nei confronti di Duncan si era affievolita e Gwen era stata assalita dal desiderio di riappacificarsi con il pirata. Così una mattina, di buon’ora, uscì senza far rumore dalla cabina e si avvicinò alla porta del capitano, picchiettando lievemente contro il legno per controllare se l’uomo fosse già sveglio.
-Sì?-, mugolò quello dall’interno. -Che cosa succede?-.
-Duncan, fatemi entrare. Ho bisogno di parlarvi-.
Una serie di tonfi accompagnò i passi del ragazzo, che fece scattare la chiave nella serratura ed aprì uno spiraglio per vedere se a parlare fosse stata veramente l’amata.
-Gwen!-, disse con uno strano scintillio negli occhi. -Venite avanti-.
La fece passare e poi, con un cenno della mano, le ordinò di accomodarsi su una sedia poco distante.
-Siete ancora adirata con me?-, domandò stringendole entrambe le mani.
-Non più. Sono stata una sciocca-.
-No, la colpa è mia. Non avrei dovuto prendere l’iniziativa senza chiedere il vostro consenso-.
-Duncan, non chiedete perdono. Siate voi a scusare la mia discutibile reazione. Oh, se solo conosceste come è davvero quella donna… Capireste perché la detesto con tutto il cuore-.
-Parlatemene, allora. Non mi avete mai detto nulla della vostra vita in Inghilterra-.
-Ebbene-, cominciò Gwen dopo aver preso un profondo respiro, -le nostre famiglie sono entrate in contrasto tempo fa. Attualmente i rapporti tra i nostri padri sono dei migliori, ma fin dall’infanzia Courtney ha cercato di primeggiare per dimostrare di essere superiore a me. Sono sempre stata lontana dalle sue chiacchiere deliranti, ma negli ultimi anni le cose sono peggiorate e mi sono definitivamente staccata dal suo gruppo di amiche-.
-Ma per quale motivo si trovava su quella nave comune?-, chiese Duncan senza comprendere appieno.
-Questo è il bello: pur di emularmi ha deciso di trasferirsi in America con lo scopo di sposare un ricco proprietario terriero-.
-E sapreste dirmi il nome di quest’uomo?-, domandò ancora il pirata improvvisamente interessato.
-Non sarei in grado di rispondervi. Ignoro completamente qualsiasi informazione riguardi Courtney ed il suo misterioso spasimante-.
Duncan si scostò da Gwen e prese a camminare su e giù lungo la stanza, misurandone l’area a grandi passi. Aveva un’aria così assorta che Lady Thompson si meravigliò della particolare espressione corrucciata assunta dal suo volto.
-A cosa pensate?-, domandò.
L’uomo non rispose, proseguendo nell’attività intrapresa.
-Duncan?-, lo chiamò di nuovo.
-Non è il momento, Gwen-, le rispose spazientito. -Lasciatemi ragionare-.
La nobildonna lo osservò per una manciata di minuti, tentando di decifrare i pensieri che stavano vorticando nella mente del ragazzo, ma non riuscì a capire che cosa lo turbasse tanto.
-Ho bisogno di risposte…-, sussurrò Duncan. -Aspettatemi qui. Tra un momento tornerò da voi-, disse uscendo in fretta dalla cabina.
“Chissà che cosa gli passa per la testa”, si chiese la ragazza avvicinandosi all’oblò accanto al letto e sbirciando l’esterno.
 





“Che sia l’uomo che penso?”, si stava domandando Duncan mentre attraversava rapido il corridoio e scendeva nella stiva. “Possibile che abbia avuto tanta fortuna?”.
Fece attenzione a non scivolare per le scalette ripide e aprì la porta che lo avrebbe condotto alla segreta. Un minuto dopo si ritrovò di fronte alle sbarre della cella a contemplare le due donne che vi giacevano all’interno.
-Svegliatevi!-, sbraitò stizzito.
-Uhm?-.
-È ora di alzarsi, principessina! In piedi, muovetevi!-.
La prima ad aprire gli occhi fu Heather: la ragazza era così spossata che a malapena era riuscita a riposare. Nonostante la stanchezza, però, scattò prontamente sull’attenti e con sguardo vigile esaminò il pirata.
-Lady Courtney…-, chiamò la padrona scuotendola lievemente.
-Heather… Che cosa succede? Ci sono novità?-, domandò sbadigliando.
-Alzatevi, donna! Non ho tempo da perdere!-, urlò di nuovo Duncan.
Stavolta Courtney sussultò sul pagliericcio e si costrinse a sedere per terra, stropicciandosi gli occhi ancora impastati dal sonno.
-Ma che maniere sono, le vostre?-, replicò di rimando. -Non vedete che il sole è ancora nascosto dietro all’orizzonte?-.
-Per l’ultima volta: non ho intenzione di sentire inutili chiacchiere. Desidero semplicemente che rispondiate alle domande che sto per porvi-, disse Duncan con tono imperioso.
-Bene. Ma dalla mia bocca non uscirà una parola se prima non avrò del cibo-, ribatté la ragazza.
-Non siete nello stato di porre condizioni-.
-Ottimo. Allora non riceverete nessuna informazione da me-.
Detto ciò Courtney si stese sul pagliericcio e, dando le spalle sia ad Heather sia al pirata, riprese a dormire.
-Non accetterò ulteriori provocazioni da una sciocca prigioniera!-, gridò Duncan. -E guardatemi quando vi parlo!-.
Lady Bennet fece finta di non aver sentito. Heather, che le era accanto, avrebbe voluto prenderla a pugni per il suo comportamento irresponsabile, ma ritenne che fosse più saggio non inimicarsi la padrona.
-Volete costringermi alle maniere forti? D’accordo, sarete immediatamente accontentata-.
Duncan recuperò dalla giacca un mazzo di chiavi e ne scelse una spessa e semi arrugginita, la infilò nella toppa e con uno scatto aprì la grata, entrando e spaventando a morte Heather, che tentò di rifugiarsi in un angoletto particolarmente sporco.
Il pirata si avvicinò a Courtney e la strattonò per un braccio, costringendola ad alzarsi, poi la scaraventò contro la parete di legno dilaniato dagli insetti.
-Ascoltatemi e rispondetemi!-, le ordinò.
La ragazza si limitò a lasciar ciondolare il collo, fingendo di dormire.
-Vi ho detto di aprire questi maledetti occhi e di guardarmi!-.
Duncan le diede uno schiaffo così forte da lasciarle il segno sulla guancia sinistra. Dal canto suo, Courtney non fiatò, anzi, si morse le labbra per non urlare di dolore, stringendo di più le palpebre per impedire alle lacrime di rigarle il viso. Non avrebbe dato soddisfazione a quell’uomo tremendo.
-E questo era solo un assaggio di ciò che potrei farvi-, aggiunse il pirata fissando il volto della ragazza. -Ora, se non vi dispiace, mi farete il favore di rispondere a ciò che vi chiedo-.
Duncan mollò la presa sul braccio della nobile e fece un passo indietro, lasciandole dello spazio in cui muoversi. Courtney, adesso libera, si abbandonò con la schiena contro la parete e si fece scivolare fino a sedere per terra, portandosi istintivamente entrambe le mani sulla guancia ancora pulsante ed arrossata.
-Sono tre giorni che non tocchiamo cibo. Ormai siamo le ombre di noi stesse-, disse rivolgendosi anche ad Heather, rintanata nel proprio angolo ed incredula davanti allo spettacolo a cui aveva appena assistito.
-Avete vinto voi, signore. Saprete tutto ciò che desiderate. Ma, vi supplico, dateci qualcosa da mangiare-.
Per la prima volta in tutta la sua vita Courtney pregava. Courtney scongiurava e chiedeva pietà non solo per se stessa, anche per la propria dama. Ed Heather, sempre più shockata, non aveva parole.
Duncan, dritto davanti a loro, guardava la nobildonna tenendo le braccia incrociate sul petto, il duro sguardo fisso sulla ragazza che aveva appena rinunciato all’orgoglio pur di sopravvivere alla sventura. E ghignando disse: -Sarete accontentata. Ma prima datemi delle risposte-.
Courtney alzò gli occhi sul pirata e l’uomo sentì qualcosa scuoterlo nel profondo: non avrebbe saputo dire esattamente che cosa avesse provato, ma c’era un che di particolare nello sguardo della giovane.
Duncan deglutì e iniziò ad interrogarla: -Come vi chiamate?-.
-Sono Lady Courtney Bennet di Southampton. E lei è Heather Wright, mia dama di compagnia-.
-Perché stavate navigando a bordo di quella nave?-.
-Era il mezzo più veloce per raggiungere l’America-.
-E perché siete partita? Cosa dovete fare?-.
-Sono stata promessa in sposa ad un nobile stabilitosi in Florida-.
-Il suo nome?-.
Courtney lo guardò sospettosa e domandò, guardandolo in tralice: -Avete intenzione di ricattarlo per chiedergli un riscatto?-.
-Questa potrebbe essere davvero una buona idea-, commentò ironico Duncan. -Ma prima di passare all’azione ho proprio bisogno di sapere il nome di quell’uomo-.
-E se non ve lo rivelassi?-.
-Sapete già quello che accadrebbe-, le rispose il pirata indicandole il punto in cui l’aveva colpita. -Non penso che vogliate riprovare, non è vero?-.
-No. Vi risponderò solo se mi giurerete di non fargli alcun male-.
-Prometterò dopo aver ascoltato ciò che avrete detto-.
Courtney ragionò rapidamente e, pur non fidandosi del pirata, dichiarò: -Burromuerto. Don Alejandro Burromuerto-.
Duncan sentì una fitta trapassargli lo stomaco. Il suo cuore sprofondò nello sconforto e tutto d’un tratto venne invaso dall’ira.
-È la verità?-, domandò per accertarsi di aver udito bene.
-Sì. Se avessi voluto mentirvi, non avrei esitato un istante-.
Il pirata scrutò attentamente le iridi castane della ragazza e non vi rintracciò nulla che potesse fargli pensare ad una menzogna.
-C’è altro che vi necessita sapere?-, chiese Courtney.
-Per il momento no-, sentenziò Duncan voltandosi ed uscendo lentamente dalla cella, molto più scuro in volto di quando era arrivato.
-Dove state andando?-, disse la ragazza avvicinandosi alla grata di nuovo chiusa.
-Nei miei alloggi-, replicò noncurante il pirata allontanandosi nella penombra.
-Avete detto che ci sarebbe stato portato del cibo!-, esclamò Courtney. -Lo avete già scordato?-.
Il capitano si bloccò e tornò sui propri passi, posizionandosi esattamente di fronte alla nobile e guardandola negli occhi: -Duncan Crouch non dimentica mai. Ricordatelo sempre-.
Detto ciò se ne andò rapidamente, scomparendo lungo le scale che lo avrebbero riportato nella stiva; Courtney, rimasta ad osservarlo fino alla fine, si scostò dalle sbarre e prese posto accanto ad Heather.
-Siete stata coraggiosa, my Lady-, affermò la ragazza sinceramente colpita.
-A volte bisogna piegarsi al volere altrui per non rischiare di venir spezzati-, disse la giovane.
-Credete che adempierà alla promessa?-.
-Lo spero. Sento le forze venir meno minuto dopo minuto. E voi siete in condizioni perfino peggiori-.
-Non temete: ciò che mi spaventa non è soffrire la fame. Sono stata abituata alla povertà fin dalla nascita. Sono preoccupata per voi, my Lady: quell’uomo è pericoloso. Vi ha schiaffeggiata, ma potrebbe essere capace di qualsiasi cosa-.
-Cerca di fare il duro-, replicò Courtney spostando lo sguardo sulla grata, -ma ha trovato pane per i suoi denti. Oggi gli ho permesso di fare di me ciò che voleva: ben presto si accorgerà di essersi messo contro la persona sbagliata-.
-E cosa mi dite di Lady Thompson?-.
La nobile sbuffò, riacquistando il solito cipiglio fiero ed orgoglioso: -Quella traditrice pagherà. Troveremo un modo per farle soffrire le pene dell’inferno-, sibilò Courtney maledicendo la rivale.

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Capitolo 26
*** Ospitalità sospetta ***


26.     Ospitalità sospetta

Duncan non riusciva ancora a credere di aver ottenuto l’informazione cercata per tanti anni. Seppur profondamente adirato, non riusciva a nascondere una certa gioia che, improvvisamente, gli aveva strappato un mezzo sorriso.
Prima di tornare nella propria cabina chiamò il solito Light ordinandogli di portare del cibo alle due prigioniere rinchiuse sotto la stiva. Il pirata obbedì all’istante e si preoccupò di racimolare qualcosa di decente, poi scomparve nei livelli inferiori della nave.
“Forse è giunto il momento di dire tutto”, stava riflettendo Duncan mentre si dirigeva alla propria stanza. “Sono curioso di vedere come reagiranno…”.
Prese le chiavi dalla giacca ed aprì la porta. All’interno lo stava aspettando Gwen.
-Dove siete stato?-, domandò la ragazza.
-Ho fatto visita alla vostra nemica-.
-Come mai?-.
-Avevo bisogno di informazioni-.
-E le avete ottenute?-.
-Già. Ma ho dovuto lottare per strappare dalla bocca di quella donna le notizie che volevo-.
Duncan prese posto al tavolo e afferrò due gallette rafferme sotto lo sguardo di Gwen che, alzando un sopracciglio, chiese: -Non credete di dovermi dire ciò che è successo?-.
-Non adesso-, rispose il pirata. -Prima di tutto voglio avere il vostro consenso in merito ad una decisione che sto per prendere-.
-Ditemi-.
-Desidererei che le due prigioniere venissero trasferite nella cabina accanto alla vostra-.
-Cosa?!-.
-È per questo che mi interessa sapere che ne pensate-.
-Non sono d’accordo, Duncan. Per quale motivo non possono rimanere nella cella in cui sono rinchiuse adesso?-.
-Sarebbe davvero scortese abbandonare al loro destino quelle povere fanciulle-, disse il pirata con un ghigno divertito.
-Povere? Povere?!-, esclamò Gwen risentita.
-In fondo, con voi sono stato clemente…-.
-Dovevate pur raggiungere il vostro scopo, in qualche modo-, replicò la ragazza arrossendo.
-Sì, avete ragione-.
-Allora perché avanzate questa proposta?-.
-Ho dei buoni motivi, Gwen. Credetemi-.
-Spiegatemi, dunque. Non devono esserci segreti tra noi due, dico bene?-.
-Non dovrebbero. Ma a volte sono necessari-.
-Duncan, cosa state cercando di dirmi?-, domandò preoccupata.
-Presto saprete ogni cosa. Ve lo prometto. Mi date il vostro consenso?-.
Gwen guardò il pirata e sentì il cuore sussultare: temeva che ciò che le stesse nascondendo fosse strettamente legato alla presenza di Courtney e questa sola supposizione la fece tremare dall’ira.
-Mi avete convinta, anche se non del tutto. Ma, vi prego, state lontano da quelle due donne: portano solo guai-.
-Non temete-, la rassicurò Duncan alzandosi e prendendo posto al suo fianco. -Ho occhi solo per voi-.




 
-Gallette! Gallette! Ah, Heather, vi rendete conto in che pasticcio ci siamo cacciate?-.
Vi siete cacciata”, avrebbe voluto precisare la dama: non avrebbe mai dimenticato di essere stata coinvolta in quel tremendo pericolo, finendo direttamente nella tana del lupo.
-Io, nobildonna inglese nata e cresciuta a Southampton nella più assoluta ricchezza, adesso mi ritrovo a dover mangiare semplici gallette! Rafferme ed ammuffite, oltretutto!-.
-Ringraziate il Cielo, piuttosto! Date le premesse, questo è davvero un cibo insperato-.
-Lo sarà per voi, ma non per me. Oh, quando mio padre e Don Alejandro sapranno ciò che mi è stato fatto, si precipiteranno a salvarmi!-.
-Lo spero davvero, my Lady. Ma, fino a quel momento, saremo costrette a sottostare al volere di questa banda di pirati-.
Le due tacquero e si dedicarono esclusivamente a zittire lo stomaco brontolante. Consumate le gallette, cominciò a farsi sentire la sete.
-Se ci avessero portato dell’acqua avrei fatto anche a meno di questo cibo per galline!-, esclamò Courtney.
-Accontentatevi, my Lady. Accontentatevi-.
Ciò che aveva spiazzato Heather, oltre al terribile spettacolo a cui aveva assistito, era stata la reazione della padrona: non solo l’aveva vista piangere e gemere sotto il colpo infertole dal capitano pirata, adesso era costretta a sopportare il suo terribile modo di fare, tornato superbo come al solito.
“Sembra quasi che abbia dimenticato ciò che è successo poco fa”, pensava Heather. “Ha carattere da vendere, devo ammetterlo”.
Mentre rifletteva sui vari aspetti della situazione, sentì avvicinarsi dei passi e ben presto tornò ad affacciarsi l’energumeno che aveva portato loro le gallette.
-Non avete dell’acqua?-, domandò immediatamente Courtney alla vista dell’uomo.
Light non rispose. Armeggiò con la serratura della grata ed aprì la cella, sbottando un semplice: -Uscite di qui e seguitemi. Ordini del capitano Crouch-.
Le due ragazze si guardarono per un secondo e poi marciarono dietro al pirata, venendo scortate fino a quelle stanze che si rivelarono essere gli alloggi di Duncan.
-Aspettate qui-, comandò l’energumeno allontanandosi dalla parte opposta e lasciandole sole lungo il corridoio.
-Che cosa vorrà adesso da noi?-, si domandò a voce alta Courtney.
-Preghiamo che non voglia farci del male-, aggiunse Heather guardandosi intorno.
-Salve, signore-.
Le due si voltarono, ritrovandosi davanti al capitano, che stava uscendo da una cabina alla loro sinistra. Dietro di lui faceva capolino una Lady Thompson visibilmente irritata.
-Non prendetevi gioco di noi e diteci perché ci avete fatto venire fin qui-, disse Courtney cercando di mantenersi calma.
-Ho usato modi fin troppo bruschi con voi-, iniziò Duncan avvicinandosi, -e vi prego di perdonarmi-.
-Siete un pirata, signore. Non me ne faccio nulla delle vostre scuse-, rispose altezzosa la ragazza.
-Posso comprendere il vostro astio nei miei confronti, ma spero che vogliate accettare un piccolo dono da parte mia-.
Un silenzio pesante cadde su di loro e Courtney domandò, dopo un paio di minuti: -Che genere di regalo?-.
-Una cosa molto semplice-, spiegò il capitano. -Per riparare al mio comportamento sono disposto ad offrirvi la stanza che avete di fronte, adatta ad ospiti del vostro calibro. Chiaramente non siete obbligata ad accettare; dopotutto, lo avete detto voi stessa: state parlando con un pirata e di certo non vorrete sporcarvi le mani con un uomo come me-.
Courtney ed Heather spalancarono gli occhi, incredule: che cosa era accaduto? Come era possibile che, nell’arco di venti minuti, il capitano le avesse prima spaventate a morte, poi sistemate in una cabina come normali esseri umani?
-C’è qualcosa dietro questa improvvisa gentilezza-, disse sospettosa Lady Bennet. -Che cosa volete da me?-.
-Assolutamente niente, Courtney. E ringraziate Duncan per la premura verso di voi-, affermò stizzita Gwen facendo un passo avanti e affiancando il ragazzo amato.
-Ah! Quasi dimenticavo che foste qui!-, esclamò la rivale. -Non osate rivolgermi la parola! Siete solo una sporca traditrice della patria!-.
-Moderate le parole, principessa-, intervenne Duncan parandosi di fronte a Gwen. -O forse preferite davvero tornare nella cella che vi ha ospitato fino ad ora?-.
Courtney deglutì, costringendosi a non replicare; accanto a lei, Heather le afferrò delicatamente il braccio come per calmarla.
-Bene, allora. Accetteremo la vostra offerta-.
-Ottima scelta. Ed ora cambiatevi: siete ridotte molto peggio di alcune meretrici che ho avuto il privilegio di incontrare-, ordinò con un ghigno il pirata.
-Sapete-, gli disse Courtney, -lo faremmo con piacere, se non ci aveste privato dei nostri bauli da viaggio-.
-Il problema non sussiste-, replicò quello allontanandosi lungo il corridoio per raggiungere il ponte. -Gwen sarà felice di prestarvi qualcuno dei suoi abiti-.
Lady Thompson si irrigidì al solo sentire quelle parole e in cuor suo maledisse Duncan per averle procurato una nuova tortura. Lo vide scomparire all’esterno e, rassegnata, si ritrovò in compagnia delle due donne.
-Entrate pure nella stanza che vi è stata indicata-, disse la ragazza, -troverete dell’acqua e degli stracci con cui asciugarvi. Io vi procurerò dei vestiti puliti-.
-Impegnatevi, allora. Non ho intenzione di indossare uno dei vostri insulsi ed orrendi abiti-, proclamò Courtney con una smorfia.
-Non temete, farò come desiderate-, rispose Gwen. -Tra poco sarò da voi-.
La ragazza aprì la porta della propria cabina e si ritirò al suo interno, mentre le altre due si sistemarono nella stanza appena allestita.
-Cosa credete che nasconda il capitano?-, domandò Heather.
-Non ne ho idea. Ma deve essere successo qualcosa: avete visto che strano comportamento? Prima mi ha malmenata, poi è tornato sui suoi passi-.
-E se avesse a che vedere con il nome di Don Alejandro?-.
-Che intendete dire?-.
-Pensateci: è sceso come una furia sotto la stiva per chiedervi il nome del vostro promesso sposo; una volta ottenuta l’informazione, è tornato in cabina e improvvisamente ha deciso di “tenervi sotto stretto controllo”. Non vi sembra strano?-.
Courtney rifletté per alcuni istanti. Effettivamente il ragionamento di Heather non faceva una piega. Ma come mai il pirata era così interessato a Don Alejandro? E perché adesso si mostrava gentile nei suoi confronti?
-Ecco i vostri nuovi abiti-, disse Gwen entrando nella stanza sorreggendo tra le braccia due ingombranti vestiti dai colori tristi. -Questo è per voi, Heather. L’altro è per la vostra padrona-.
La ragazza lasciò i due cambi sul letto più vicino e si diresse verso la porta, venendo immediatamente bloccata da Courtney.
-Che cosa sarebbe questo?-, domandò furiosa afferrando la gonna del proprio abito.
-Penso di essere stata abbastanza chiara. Ora, se volete scusarmi, ho delle faccende da sbrigare-.
-Mi rifiuto di indossare tale mostruosità!-, tuonò ancora Lady Bennet.
-Fate come volete. Rimanete pure nuda, se ciò vi aggrada. Oppure gioite nel lerciume che vi ritrovate indosso-.
Gwen si soffermò ancora per un istante sulla soglia, gli occhi in fiamme per l’ira, poi si richiuse la porta alle spalle senza curarsi delle urla di Courtney.
-Siate maledetta! Quando sarò libera vi pentirete del trattamento che mi avete riservato!-. Si girò a guardare Heather e la vide intenta a provare il vestito della rivale. -E voi non dite niente? Vi schierate dalla parte del nemico?-.
-No, my Lady-, rispose con finta calma la dama. -Approfitto solo della piccola cortesia che il capitano pirata ci ha fatto costringendo Gwen a privarsi di pizzi e merletti-.
-Quindi dovrei sostituire il mio corsetto nuovo con questo abito disgustoso?-.
-Precisamente-.
Finalmente Courtney si lasciò convincere, anche se non del tutto. Avrebbe preferito gettarsi in mare, piuttosto che rimanere su quella maledetta nave in compagnia di Gwen Thompson.

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Capitolo 27
*** Il racconto ***


27.     Il racconto

La giornata trascorse lentamente. Nessuna delle tre ragazze aveva voglia di conversare o di passare del tempo insieme; preferirono rimanere ciascuna nella propria cabina, in attesa di chissà quale avvenimento.
All’imbrunire, Gwen sentì qualcuno bussare alla porta della sua stanza. Abbandonò il solito diario, che quel giorno si era arricchito della notizia dell’arrivo di Courtney, e si affacciò per vedere chi fosse.
-Light-, salutò.
-Il capitano ha chiesto di voi. Vi ordina di raggiungerlo tra pochi minuti-.
-Farò come comanda. Grazie per avermi informata-.
-C’è dell’altro-, continuò l’energumeno.
-Cosa?-.
-Vi chiede di presentarvi assieme alle due prigioniere-.
-Per quale motivo?-, domandò sorpresa, sentendo il cuore accelerare improvvisamente.
-Sarà lui a dirlo-.
Light si congedò, allontanandosi verso la stiva. Gwen richiuse la porta e si guardò attorno, sconsolata, cercando di capire quale fosse la causa di tale desiderio.
“Ho sempre saputo che Courtney portasse guai, ma adesso che cosa sta succedendo?”.
Sedette allo scrittoio e aggiunse alcune sommarie righe al racconto già approfondito, poi uscì dalla stanza e batté senza alcuna delicatezza la mano contro la porta della cabina di Lady Bennet.
-Andate ad aprire-, sentì ordinare dall’interno.
-Lady Thompson-, disse Heather fingendo sorpresa. -Entrate pure-.
-Duncan…-. Si bloccò per un attimo, correggendosi subito: -Il capitano Crouch desidera vedere tutte noi nella sua stanza-.
-Solo perché ora siete la sua sgualdrina non potete obbligarci a seguirvi!-, esclamò Courtney affiancando Heather con un balzo.
-Rimangiatevi quello che avete appena detto o giuro che vi farò tornare nella cella maleodorante sotto la stiva-, minacciò a denti stretti Gwen.
-Ah! Vedo che avete assunto perfino il tono superbo del vostro amante! Vi faccio i miei complimenti, Gwen: siete diventata ciò che di peggio può essere una donna!-.
-Non sono quello che pensate, Courtney. Non fatemi ripetere di nuovo ciò che il capitano ha comandato-.
-Che venga lui! Che mi trascini anche con la forza, se è ciò che vuole!-.
-Lady Bennet, ora state esagerando…-.
-Niente affatto, Heather. Lasciate solo che scambi qualche altra parola con la mia cara amica-, disse dando una spinta alla dama di compagnia.
-Fate quanto ritenete opportuno. Ve ne pentirete tra poco, comunque-, replicò Gwen dirigendosi verso la cabina di Duncan e bussando.
-È aperto-, disse il ragazzo senza scomodarsi.
Lady Thompson entrò e gli si avvicinò, le pupille ridotte a due spilli.
-Perché siete sola?-, domandò il pirata alzandosi dalla sponda del letto. -Light non vi ha detto che…-.
-Certamente. Ma, vedete, le due ospiti non hanno alcuna intenzione di venire al vostro cospetto. Almeno, non con le maniere buone…-.
-Capisco-, disse pensoso Duncan. -Suppongo che ci sia bisogno del mio intervento-.
Gwen non fece in tempo ad annuire: il ragazzo si era già lanciato fuori dalla stanza chiedendo alle prigioniere di aprirgli la porta.
-Non vi sono forse giunti i miei ordini?-, chiese con tono imperioso rivolgendosi principalmente a Courtney.
-Quali? Quelli di diventare consenzientemente vostre concubine?-, insinuò velenosamente Lady Bennet.
-Chi ha parlato di consenso?-, ribatté con un ghigno Duncan esaminando attentamente lo sguardo vigile e fiero della nobildonna. Fece una breve pausa e riprese: -Siete disposta a seguirmi o devo ricorrere a modi sgradevoli?-.
-Intendete picchiarmi di nuovo? Fate pure! Non riuscirete a scalfire il mio animo-.
-Bene-, sussurrò il capitano avvicinandosi velocemente e pericolosamente alla giovane. -Vediamo se avete ragione…-.
-State indietro!-, gridò Heather parandosi di fronte alla propria padrona come schermo di protezione. -Non vi permetterò di farle del male. Obbediremo ai vostri ordini, signore, ma lasciateci in pace-.
-A quanto pare è più savia la vostra sguattera-, osservò con un perfido sorriso Duncan. -Ha capito che non le conviene mettersi contro la persona sbagliata-.
-Heather può fare ciò che vuole, ma io rimarrò qui!-, urlò ancora Courtney.
-Perché volete costringermi alla violenza?-, sbuffò il pirata. -Non ne avete avuto abbastanza questa mattina?-.
-Lady Bennet, cercate di ragionare. Non siete nelle condizioni di protestare: siamo entrambe ostaggi di quest’uomo e se ci teniamo alla pelle non possiamo contrariarlo-, le ricordò Heather affiancandola.
-E sia, allora-, si arrese infine Courtney abbassando la testa.
-Ottimo-.
Duncan si sfregò le mani e aspettò che le due donne uscissero dalla cabina; chiuse la porta e fece loro strada verso la sua stanza, dove Gwen li stava aspettando.
-Sedetevi e mangiate-, disse il ragazzo indicando le sedie ed il tavolo che troneggiava al centro della camera. -Avete digiunato fin troppo, se non sbaglio-.
-Ditemi, volete ucciderci con del veleno?-, domandò Courtney prendendo posto il più lontano possibile dalla nemica e dal pirata.
-Avvelenarvi? Sarebbe una magnifica idea, ma mi sono reso conto che voi siete troppo preziosa per potervi far fuori-.
Gwen guardò biecamente Duncan, sentendosi trafitta da quelle parole: dunque riteneva che Lady Bennet fosse preziosa?
-Intendete ricca-, lo corresse Courtney storcendo la bocca alla vista delle varie cibarie.
-Non mi interessa nulla del vostro denaro. È il vostro corpo a valere più dell’oro-, affermò il capitano servendosi di un’abbondante porzione di pesce fresco.
-Che cosa significa?!-, esclamarono all’unisono Gwen e Courtney, spiazzate da quella affermazione.
-Come al solito le mie parole sono state fraintese-, disse Duncan rivolgendo un unico sorriso alle due ragazze.
-E allora spiegatevi-, lo esortò impetuosamente Lady Bennet. -Che cosa volete fare di me?-.
Il pirata non rispose. Sorseggiò il suo amato rum e si dedicò a divorare il cibo che aveva posto nel piatto, senza degnare del minimo sguardo nessuna delle presenti. Le tre donne si sentivano tese e pian piano l’attesa di una risposta le esasperò.
-Duncan, si può sapere perché ci avete convocate tutte insieme?-, chiese Gwen spezzando quel silenzio diventato insostenibile.
Il ragazzo si pulì la bocca con la manica della camicia, diventata ormai sudicia. Courtney lo guardava con disprezzo, orripilata per la mancanza di educazione del pirata.
-Tempo fa mi chiedeste come fossi diventato un fuorilegge. Lo rammentate?-.
Gwen annuì con un debole cenno del capo.
-Ebbene-, riprese Duncan, -la mia storia ha avuto un inizio molto simile al vostro, mie care e belle ospiti-.
Si fermò, prese un bel respiro e chiuse gli occhi continuando a raccontare.
-Mio padre era un nobiluomo inglese, ultimo del casato Crouch. Dopo aver sposato mia madre firmando un contratto matrimoniale, decise di partire per il Nuovo Mondo in cerca di fortuna. All’epoca era consuetudine che chiunque fosse sbarcato ed arrivato per primo su un determinato terreno lo avrebbe immediatamente acquistato come suo; allo stesso modo fecero i miei genitori. All’inizio si dedicarono al commercio con la madre patria, importando e rivendendo merci introvabili in America. Quando ebbero risparmiato abbastanza denaro, iniziarono a costruire la tenuta in cui poi sarei nato-.
Le tre ragazze lo guardavano ed ascoltavano assorte, curiose di sapere.
-Riuscirono a fondare un grande impero: la ricchezza accumulata permise loro di assoldare servitori e schiavi, adoperati per la coltivazione degli immensi campi che mio padre aveva rilevato. A distanza di tre anni dall’arrivo nel Nuovo Mondo, giunsero altri nobili a speculare sugli inviolati terreni che circondavano il nostro maniero: ben presto sorse un non invidiabile vicinato, occupato solo a sfruttare le risorse che il suolo fertile offriva. Erano tre le famiglie che si stabilirono accanto a noi; ricordo i loro nomi come se fosse ieri: Spencer, Anderson e Parker-.
Gwen sentì i battiti del suo cuore aumentare di colpo. Non si aspettava di certo che il pirata che le stava di fronte avesse conosciuto e incontrato i parenti di Lord Trent.
-Il loro intento era quello di impadronirsi dell’intera colonia, soggiogandola al proprio volere. Arrivarono perfino a discutere con mio padre, chiedendogli se volesse aderire alla causa, ma ovviamente lui rifiutò: non aveva alcun interesse a favorire i capricci di tre novellini appena arrivati. Di conseguenza la mia famiglia cominciò ad essere scansata dall’elite aristocratica: non si era mai visto respingere un “favore” tra gentiluomini-.
Duncan assaporò un sorso di rum e continuò: -Ma ai miei genitori tutto questo non importava. Anzi, erano ben lieti di tenersi lontani da una cerchia di snob dalla puzza sotto il naso. Le cose proseguirono nel migliore dei modi per un altro anno ancora: fu allora che mia madre mi diede alla luce. Ed essendo un figlio maschio, tirarono un sospiro di sollievo: alla loro morte io avrei proseguito sulla strada già tracciata-.
-Ma perché questa storia dovrebbe riguardare noi?-, domandò stizzita Courtney.
-Ascoltate-, l’ammonì il pirata. -Quando avrò finito, tutte le vostre certezze spariranno nel nulla-.
Il ragazzo indugiò per una manciata di secondi sui volti delle tre sedutegli intorno e riprese: -L’armonia fu spezzata appena i miei genitori vennero a sapere dello sbarco di un contingente spagnolo a sud dei nostri domini. Ben presto, infatti, si aprì una lunga e sanguinosa lotta tra i coloni delle due diverse fazioni: mio padre si preoccupò di unire le armi a quelle dei vicini, così da difendere le proprie terre; ma quando si presentò davanti agli Spencer, agli Anderson e ai Parker, gli venne chiusa la porta in faccia. “Sei tu il padrone della tua casa: proteggila con le tue sole forze”: questo gli dissero. E così fu costretto ad arrangiarsi con i mezzi a sua disposizione: a quel punto avrebbe dovuto evitare non solo l’attacco degli Spagnoli, ma anche quello dei connazionali inglesi-.
Un’altra pausa lo bloccò e Duncan si concesse un minuto per pensare a cos’altro aggiungere.
-Alcune settimane dopo l’incontro con i vicini, i miei genitori vennero a sapere che gli Spencer, gli Anderson e i Parker avevano stipulato un accordo con il capo della fazione spagnola, un certo Ignacio Burromuerto, per combattere contro il nostro casato. In caso di vittoria si sarebbero spartiti equamente le terre conquistate-.
Al sentire pronunciare il nome “Burromuerto” Courtney strabuzzò gli occhi: ecco perché il pirata teneva tanto ad informarle.
-E i maledetti ci attaccarono. Assaltarono la nostra villa nel cuore della notte, codardi, pensando di sorprenderci. In parte ebbero ragione: mio padre si svegliò e prima di armarsi raccomandò a mia madre di mettersi in salvo, perché non avrebbero risparmiato né lei né me. Uscì dalla propria stanza passando accanto alla culla in cui dormivo: avevo non più di sei mesi. Mi accarezzò la fronte e se ne andò, mentre mia madre si affrettava a prendermi in braccio per fuggire. Inutile dire che mio padre non fece mai più ritorno: fu Lord Spencer a colpirlo in pieno petto sparando con il suo dannato fucile-.
Gwen sbarrò gli occhi, incredula: improvvisamente aveva la gola secca.
-Mia madre mi portò via scappando attraverso un passaggio segreto che la condusse poco fuori dal maniero. Si ritrovò sola, nella notte più nera, ma trovò rifugio nella capanna di una schiava al nostro servizio. Mi consegnò a questa donna, facendole giurare che mi avrebbe protetto ed amato come un figlio, poi tornò indietro per cercare di aiutare mio padre. Tutto ciò che trovò una volta tornata in casa non fu altro che devastazione e razzia. Scendendo le scale per raggiungere l’atrio, vide il corpo di mio padre steso in terra e riverso nel suo stesso sangue; urlò per la disperazione, dimenticando in un istante che le fu fatale di non essere sola, in quella maledetta villa trasformata in inferno-.
Le tre ragazze, agitate dal terribile racconto, videro il volto di Duncan deformarsi in una smorfia di dolore.
-Venne vista da Burromuerto: a quel cane non era bastato saccheggiare le nostre ricchezze ed impadronirsi della terra. Non ancora soddisfatto, si avvicinò a mia madre, rimasta seduta accanto al corpo del marito nel vano tentativo di rianimarlo, e le fece violenza, godendo vedendo sparire ogni traccia di orgoglio dal suo volto-.
-Basta!-, gridò Courtney tappandosi le orecchie con entrambe le mani. -Abbiamo udito abbastanza!-.
-Il maledetto non smise di torturarla finché non le udì supplicare la morte. A quel punto la uccise, lasciandola su quelle scale vicina a mio padre-.
Gwen sentiva il cuore gonfio, pesante; Courtney scuoteva energicamente la testa nel tentativo di eliminare dalla propria mente le terribili immagini evocate dal racconto.
-Tutto ciò mi è stato narrato nei minimi dettagli da LeShawna, la schiava che mi tenne con sé crescendomi come suo. Le sarò sempre grato per il bene che mi ha fatto; non poteva sapere che, dicendomi la verità sui miei genitori, un giorno avrei cercato di riscattarmi. Per farlo, però, sarei dovuto diventare un altro: ecco perché ho deciso di diventare un pirata. Ed è qui che entrate in scena voi, care ospiti: siete preziose perché i vostri corpi rappresentano la mia vicina vendetta-.
Le tre lo guardarono, indecise se essere spaventate, indignate o quant’altro. Tra tutte, l’unica a rimanere impassibile era stata Heather, che non si sentiva minacciata in alcun modo da quella storia. In fondo, era pur sempre colpa di Lady Bennet se in quel momento si trovava su quella nave.
-Vi ho convocate tutte qui affinché sapeste che tipi di uomini steste per incontrare-, aggiunse Duncan versandosi dell’altro liquore. -Spero solo che voi comprendiate le mie ragioni-.
Il ragazzo squadrò le espressioni delle due nobildonne, cercando di decifrare i pensieri che in quel momento le stavano tormentando, ma non fu in grado di stabilire esattamente cosa stesse attraversando le loro menti.
-Davvero Don Burromuerto ha fatto del male a vostra madre?-, chiese Courtney sentendo una fitta trapassarle il fegato.
-Sì. Quello sfregio fu un’ulteriore rivincita verso mio padre-.
-È per questo che stamattina mi avete chiesto del mio futuro marito?-.
-Esattamente. La probabilità che appartenesse a quel maledetto casato era alta-.
-Ma avete mai conosciuto Don Alejandro? Sapete se anche lui cova una tale violenza?-, insistette Courtney.
-Non l’ho mai incontrato di persona, ma mi sono giunte molte voci sul suo conto. E credetemi, nessuna era lusinghiera-, specificò Duncan.
La ragazza tacque, iniziando a riflettere intensamente. Intanto lo sguardo del pirata si era fermato su Gwen, incapace di articolare una singola parola.
-Perché non dite niente?-, le chiese il capitano inclinando leggermente la testa verso destra.
-Io… Io sono sconvolta-, balbettò semplicemente la nobile sentendosi mancare l’aria. -Non riesco a credere che tutto quello che ho ascoltato sia vero-.
Duncan spalancò gli occhi, sorpreso e perplesso allo stesso tempo.
-Come potete dire una cosa del genere?-.
-Mi riferisco al comportamento di Lord Spencer-, affermò Gwen. -Insomma, ho conosciuto Lord Trent e posso giurare che egli sia la persona più buona e generosa che io abbia mai incontrato-.
-State ragionando con il cuore, my Lady-, la riprese Duncan. -So che ne siete stata innamorata, ma dovete pensare a quanto dolore abbia arrecato la sua famiglia…-.
-Dite bene-, replicò la giovane. -La sua famiglia, non lui. Lord Trent non vi ha fatto alcun male-.
-Ma suo padre ha ucciso il mio!-.
-Il passato è passato! Non potete riversare la colpa di un genitore su un figlio innocente!-.
-Io avrò la mia vendetta, Gwen. Non importa se a pagare sarà qualcuno che non ha responsabilità di quanto accaduto: mi basta sapere che il suo nome è Spencer, non mi occorre altro. Ed ora dove andate?-.
La ragazza si era alzata di scatto, dirigendosi prontamente verso la porta della stanza: non aveva intenzione di discutere oltre.
-Stiamo per sposare due assassini, allora-, disse Courtney riscuotendosi dai pensieri.
-Vedo che almeno qualcuno ha capito la gravità della situazione-, fece notare Duncan con ira.
-Non posso giudicare il fantomatico Burromuerto, ma sono sicura che Lord Trent sia all’oscuro di quanto accaduto anni fa-, replicò Gwen fermandosi sulla soglia della camera.
-Non vi è bastato sentire ciò che il pirata qui presente ha appena raccontato?-, domandò Courtney alzandosi. -Forse vi sono sfuggiti alcuni particolari…-.
-Non temete, mi è tutto chiaro come il sole-, replicò Lady Thompson con una smorfia. -Ma non crederò mai che Trent abbia lo stesso temperamento del padre-.
-Pensate ciò che volete-, ribatté Courtney. -Sappiate però che il carattere dei genitori si riflette su quello dei figli. Quindi, se Ignacio Burromuerto ha usato violenza contro una donna, è possibile che Don Alejandro manifesti la stessa tendenza-.
Duncan si voltò verso la ragazza, profondamente colpito dalle sue parole. Le lanciò un’occhiata che sapeva di ringraziamento, poi tornò ad osservare Gwen.
-Da quanto vi intendete di psicologia?-, chiese ironicamente Lady Thompson.
-Non sono io a dirlo; è semplicemente un dato di fatto-, spiegò Courtney risentita.
-Le persone cambiano-, disse Gwen. -Ognuno è diverso dall’altro. Perché questo non dovrebbe valere anche per Lord Trent?-.
-È figlio di un assassino!-, le ricordò ancora Courtney. -Sarà sicuramente stato influenzato dal padre-.
-Non osate pronunciare un’altra sola parola contro di lui!-.
Duncan la vide impettita contro la porta di legno semiaperta e nella sua testa si fece strada una piccola, malevola idea.
-Dunque ve ne andate?-, le domandò.
-Non rimarrò qui un minuto di più-, affermò prontamente Gwen voltandosi e rifugiandosi nella propria cabina.
Nella stanza del capitano cadde il silenzio, interrotto alcuni secondi più tardi dallo stesso pirata che disse a Courtney: -Era necessario che sapeste la verità. Mi auguro di ricevere la vostra comprensione-.
Lady Bennet lo guardò sorseggiare l’ennesimo bicchiere di rum e disse: -Credo fortemente nella giustizia. E in questo caso la ragione è tutta dalla vostra parte-.
Duncan la fissò negli occhi e provò una strana sensazione: per la prima volta in tutta la sua vita si sentì capito.
-Vi ringrazio del vostro supporto. Avrei preferito che anche Gwen la pensasse come voi, ma a quanto pare le cose sono andate diversamente-.
-Lady Thompson non ha mai avuto esperienza di un dolore simile al vostro-, gli spiegò Courtney. -È quel suo sciocco sentimentalismo a renderla cieca di fronte all’evidenza-. 



Note dell’Autrice
Salve a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
Mi scuso per il ritardo con cui giunge questo capitolo, ma sappiate che la mia è stata una mancanza voluta e consapevole. Ci terrei a informarvi di alcune decisioni che ho preso nell’ultimo periodo.
Innanzitutto, questa fiction verrà SOSPESA fino a tempo indeterminato. Non per assenza di idee, che invece abbondano come non mai, ma per circostanze non del tutto secondarie.
Avevo puntato molto su questa storia, sia per trama sia per stile e caratterizzazione dei personaggi. Credevo davvero che a voi lettori del Fandom potesse piacere, ma la realtà mi ha dimostrato esattamente il contrario. Ciò che più mi ha fatto male è stato vedere come il numero di letture sia drasticamente calato: è drammaticamente triste rendersi conto che i propri sforzi non vengono ripagati adeguatamente. E a subentrare è la frustrazione, in quanto mi chiedo se sono stata io a sbagliare qualcosa o se sono gli altri a non essere interessati. Magari avrei potuto trattare in modo diverso l’intera storia, ma sinceramente non sono il tipo di persona che in due capitoli fa andare due personaggi a letto con il risultato di una gravidanza indesiderata o che imposta la trama solo ed esclusivamente sui rapporti amorosi. Se state cercando questo, mi dispiace, ma “1735” non è la fiction che fa per voi.
Dunque, per togliermi questo dubbio, mi ritiro momentaneamente come autrice, almeno in questo Fandom. La mia presenza, seppur sporadica, sarà limitata alle recensioni, che vi faccia piacere o meno riceverle.
Perdonate l’asprezza delle mie parole, ma avevo bisogno di essere sincera con tutti voi.
Arrivederci,
 
Amor31

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Capitolo 28
*** Interesse e sentimento ***


28. Interesse e sentimento

Le luci del tramonto illuminavano i dolci pendii erbosi dipingendoli di rosso e arancione; nella pianura sottostante, immensi campi di grano rilucevano biondi contro il cielo della prima sera.
Villa del Sol non sarebbe potuta essere più bella: il bianco colonnato marmoreo che circondava l’ingresso aveva assunto una particolare sfumatura rosata e le ampie finestre riflettevano la meraviglia naturale che faceva tutto intorno da cornice.
Chiunque fosse entrato in quel momento si sarebbe accorto dell’aria frenetica che si respirava tra le stanze del maniero: fervevano i preparativi per accogliere il prima possibile e nel migliore dei modi l’ospite tanto cara al padrone di casa.
Don Alejandro Burromuerto ammirava il paesaggio standosene comodamente seduto nella veranda sorseggiando estasiato del liquore ambrato. Si sentiva il padrone del mondo: presto avrebbe esteso il proprio dominio su tutta l’area settentrionale, riducendo sotto il suo comando quei nobili che ora si illudevano di poterlo contrastare. Sorrise all’idea di tiranneggiare sui suoi nemici e svuotò il bicchiere di cristallo che aveva in mano: l’alcol gli bruciò piacevolmente la gola, espandendo il calore allo stomaco.
-Signore, Lord Johnson e Lord Richardson sono arrivati-.
-Fateli accomodare in salotto-, ordinò al servo che lo aveva disturbato.
Aspettò di essere solo prima di alzarsi e dirigersi dai suoi ospiti per accoglierli: adorava godersi il silenzio dei lunghi corridoi della propria villa.
-Don Alejandro-, lo salutarono i nuovi venuti appena lo videro entrare nella stanza in cui si erano sistemati.
-È un piacere vedervi aquí riuniti-, ricambiò stringendo loro la mano. -Buenas tardes, Lady Richardson-.
-Oh, sapete che odio farmi chiamare così-, rispose sdegnata la ragazza giunta al seguito dei due uomini.
-Continua a preferire il cognome Castro-, spiegò brevemente il suo accompagnatore, -nonostante siamo sposati da un anno-.
-Abbiate pazienza, amigo. Dovreste sapere che le mujeres sono difficili da trattare-, rispose con un sorrisetto ironico Alejandro.
-Se non ci fossimo noi donne, voi non sareste qui-, replicò duramente Lady Castro Richardson. -Perché, da ragazza libera quale sono, dovrei acquistare il nome di mio marito?-.
-Porqué es giusto-, disse ancora Don Burromuerto. -Lord Owen, non dovete permettere che vuestra moglie parli en esto modo alla presenza di hombres come noi-.
-Perdonate l’impudenza della mia consorte. Izzy non riesce ad accettare il fatto di essere ormai lontana dalla Spagna e dalla sua famiglia-.
-Smettila di chiamarmi in quel modo!-, protestò la ragazza con le pupille infuocate per l’ira. -Il mio nome è Isabél, Isabél!-.
-Di cosa volevate parlarci, Don Alejandro?-, s’intromise Lord Johnson interrompendo la conversazione mentre Owen tentava di far zittire una volta per tutte la moglie.
-Ah, Noah! Voi sì che badate alle cose importantes!-, esclamò il padrone di casa. -Ne discuteremo durante la cena. Seguitemi nella sala grande, por favor-.
I tre obbedirono e presero posto intorno all’immensa tavolata allestita per la serata. Alejandro e Owen sedettero ai due estremi, mentre Izzy e Noah si sistemarono l’una di fronte all’altro.
-Dov’è vostra sorella?-, chiese Lady Castro Richardson accertandosi che i posti fossero tutti occupati.
-En ciudad, presso una sua amiga. Sarà di ritorno entro domani sera-.
-Le permettete di andare dove vuole?-, domandò Owen esaminando attentamente l’arrosto che un servitore aveva appena portato in tavola.
-Ovviamente. Ormai ha una certa età e devo farle trovare assolutamente marito, se no quiero che pesi sul mio patrimonio-.
-Una certa età? Ha a malapena 22 anni!-, esclamò Izzy guardando sconvolta Alejandro. -Non credete che sia più importante vederla felice, piuttosto che sposata con un uomo che non ama?-.
-Lord Owen, tenete a bada la lingua de esta mujer-, tagliò corto il ragazzo bevendo dell’acqua.
-Izzy, cerca di calmarti…-.
-Calmarmi? Calmarmi?! No, ne ho abbastanza di queste formalità! E NON CHIAMATEMI PIÙ IN QUEL MODO!-.
-Lady Castro, Don Alejandro voleva dire che ritiene opportuno dividere la sua eredità il prima possibile così da non creare disparità. Non vuole certo appropriarsi di ciò che non è suo-, intervenne Noah guardando prima la ragazza, poi l’uomo che sedeva alla sua destra. Alejandro gli rivolse un sorriso complice e soddisfatto vedendo finalmente Izzy tacere.
-Bien. Penso di poter spiegare por quale motivo siate aquí-, iniziò il padrone di casa dopo un minuto di silenzio.
-Diteci tutto-, lo esortò Owen masticando a bocca aperta una grossa porzione di tacchino.
-Voi tutti sapete che da meses ho contatti illegali con un nobile inglese y che egli mi ha promesso la mano de su hija…-.
-Quando arriverà la ragazza?-, domandò Izzy incuriosita. -Sento la mancanza di buona compagnia-.
-Tra una settimana sarà aquí-, disse prontamente Alejandro. -Quiero che ogni cosa sia perfetta: ecco perché dovremo approfittare de estos ultimos dias de attesa per chiudere definitivamente il conflitto con los Ingléses-.
-Come intendete procedere?-, chiese Noah.
-Daremo il via ad un attacco notturno: non si aspetteranno una mossa de este genere. Li coglieremo impreparati e avremo fácil vittoria-.
-Siete così sicuro dei vostri mezzi?-, gli chiese Izzy guardandolo storto.
-Non solo di quelli: mi fido della fedeltà de mis hombres-, spiegò l’uomo ricevendo il tacito consenso dei due Lord ospiti.
-E dopo aver vinto? Che cosa ne sarà degli sconfitti?-.
-Claro: o si inginocchieranno davanti a me o finiranno por essere schiavi nelle mie piantagioni-.
-Non avete messo in conto la possibilità di essere battuto sul campo-.
-Cosa state insinuando, Lady Richardson?-.
-Nulla. Cerco solo di essere obiettiva, al contrario di voi altri-.
-Lord Owen, portate via esta mujer: no quiero vederla más en mi casa, sono stato chiaro?-.
-Subito, Don Alejandro. Vieni, Izzy, usciamo in giardino…-.
-Lasciatemi, Owen! Non c’è bisogno che mi trattiate come una bambina! Lasciatemi, vi ho detto!-.
-Lord Richardson, permettetemi di prendermi momentaneamente cura di vostra moglie-, si offrì Noah alzandosi da tavola.
Owen soppesò la richiesta e ritenendola accettabile non si oppose, anzi, fu felice di liberarsi del problema per continuare a mangiare quel gustoso e succulento arrosto che troneggiava ancora nel suo piatto.
-Lady Isabél no quiere sentir ragioni-, notò Alejandro osservando l’uomo che gli sedeva di fronte sbranare la tenera carne del tacchino. -Siete sicuro che non stia dalla parte del nemico?-.
-Oh, Don Burromuerto, no! È solo un po’… svitata, ecco. Ci sono dei momenti in cui è la donna più dolce del mondo, altri in cui il suo carattere selvaggio riemerge e la fa da padrone. Mi assumo le mie responsabilità, comunque: i suoi genitori mi avevano avvertito che avesse questi problemi, ma il troppo amore mi ha reso cieco. Non so se riuscite a comprendermi-.
-Claro, claro-, lo rassicurò senza interesse Alejandro. -Ma ciò non toglie che mi abbia mancato di rispetto-.
-Avete ragione e me ne scuso. Non accadrà mai più-, sussurrò ancora Owen abbassando la testa e concentrandosi sul suo piatto.
 



-Ma che cosa vi prende Isabél? Siete forse impazzita?-.
Lord Johnson scortò all’aperto la ragazza, facendole quella domanda non appena fu sicuro di essere lontano da orecchie indiscrete.
-Siete voi a non ragionare, Noah: come potete farvi mettere i piedi in testa da quel superbo?-.
-È a capo della Confederazione: senza di lui, saremo tutti perduti-.
-Quindi ve ne state buono come un agnello sacrificale il giorno di Pasqua!-.
-È necessario, Isabél. Lo sapete bene-.
I due si guardarono negli occhi, cercando reciprocamente risposte.
-Odio la guerra. E non voglio vedere morire sul campo le persone che amo-, disse Izzy rivolgendo lo sguardo lontano.
-Nessuno morirà. Io non vi abbandonerò mai-.
Noah le strinse delicatamente la mano e vi posò un bacio sul dorso.
-Perché la vita mi ha costretta a sposare Owen e a proibirmi di amare l’unico che davvero mi comprende?-.
Una lacrima le rigò la guancia: scintillava come una gemma sotto i primi raggi di una luna ancora più pallida del solito e Lord Johnson si preoccupò di raccoglierla.
-Il vostro dolore mi uccide-, le disse. -Voglio vedere tornare il sorriso sulle vostre labbra-. 
-Ma come? Come posso sorridere, se sono obbligata a reprimere la gioia che mi porta la vostra sola vista?-.
-Questo è il sacrificio che di solito si chiede alle donne, Isabél-.
Tacquero entrambi, ascoltando una lieve brezza levarsi da occidente.
-Promettetemi una cosa-, chiese Izzy.
-Ditemi-.
-Giurate che al termine del conflitto vi ribellerete al comando di Don Alejandro. Giurate di portarmi via dall’infelicità a cui sono sottoposta stando al fianco di Lord Richardson-.
A Noah quelle parole giunsero come una coltellata al cuore: gli stava chiedendo di scegliere tra una vita sicura, piena di agi e ricchezza, ed un’esistenza misera, fatta di continue fughe.
-Non posso promettere niente, Isabél. Tutto dipenderà dall’esito della battaglia-.
Izzy venne spiazzata da quella risposta; si sentì tradita dal comportamento interessato di Noah.
-Sento freddo, torniamo dentro-, disse gelida voltandogli le spalle e sparendo nell’ingresso di Villa del Sol.





Note dell’Autrice
Salve a tutti coloro che sono arrivati fin qui.
La fiction prosegue, come vedete; tanti nuovi personaggi sono stati introdotti e molti altri verranno rivelati.
Gli aggiornamenti riprenderanno regolarmente come prima, ogni due settimane. Appuntamento a sabato 20 con il nuovo capitolo.

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Capitolo 29
*** Disarmanti considerazioni ***


29.     Disarmanti considerazioni

6 settembre 1735

Caro diario,
il racconto che Duncan ci ha fatto ascoltare ieri sera mi ha turbata non poco. Non riesco a credere e a convincermi che Lord Trent possa essere lontanamente simile a suo padre. È un ragazzo così dolce e sensibile… Possibile che sia il figlio di un assassino?
Dopo aver sentito la storia, sono scappata nella mia cabina, lontano da altri scabrosi ed agghiaccianti particolari; ho cercato di prendere sonno, ma ogni mio tentativo è stato vano. Non ho chiuso occhio per tutta la notte, tormentata da terribili immagini e pensieri altrettanto orribili. Ho immaginato Trent impugnare il fucile e sparare contro di me, sorridendo sul mio cadavere: ho sussultato più volte, scacciando via quelle maligne e insensate riflessioni, ma l’ansia si è impadronita di me senza lasciarmi scampo.
La stanchezza si è fatta sentire solo stamattina, alle prime luci dell’alba. Mi sono accorta del levarsi del sole affacciandomi dall’oblò accanto al letto e solo a quel punto mi sono stesa sul mio giaciglio più tranquilla.
Ho dormito per un paio di ore e mi sono svegliata da dieci minuti appena. Non ho voglia di vedere nessuno, soprattutto Duncan. Temo che sia adirato con me, ma non mi importa: è suo il problema, se non riesce a capirmi.
Sentir dire certe cose di Trent mi ha spezzato il cuore, eppure non dovrebbe interessarmi più di tanto: non lo vedo da quasi tre mesi ed ormai il mio posto è qui, accanto all’uomo che amo. Ma c’è qualcosa che mi blocca, qualcosa che adesso non mi fa smettere di pensare a Lord Spencer.
A quest’ora sarei già dovuta essere in Georgia, sua ospite. Si starà chiedendo come mai non gli sono ancora giunte notizie del mio arrivo: provo una grande pena, sapendo che non vedrà mai più né me né il suo amico Cody. Chissà se saprà mai quello che è accaduto… 

Sento il cuore pesarmi qui, al centro del petto. È come se mi impedisse di respirare e questa assurda sensazione peggiora quando penso a lui. Ma perché mi tormento tanto? Perché ho paura di non avere più certezze? E se avessi scelto di stare dalla parte sbagliata?

Gwen smise di scrivere sul suo diario e si voltò verso la porta: qualcuno stava bussando pian piano.
-Duncan!-, esclamò affacciandosi appena sulla soglia. -Cosa volete?-.
-Sapere come state-, disse il ragazzo. -Ieri sera ve ne siete andata senza dire una parola…-.
-Forse avrò sbagliato-, ammise la giovane, -ma credetemi quando vi dico di non riuscire ad assimilare le notizie che mi avete fornito-.
-Non ne dubito. Ma sono ansioso di conoscere il vostro parere in merito alla questione-.
-Che parere?-.
-Chi pensate che sia dalla parte del torto? Lord Spencer o io?-.
-Che domanda è la vostra?-.
-Limitatevi a rispondere-, la esortò con tono glaciale Duncan.
-Vi ripeto quanto già affermato: per quanto il vostro rancore sia giustificato, la vendetta non può essere consumata su di un innocente-.
-Vi ostinate a proteggerlo, dunque-.
-Voglio essere diplomatica, Duncan. E giusta-.
-Non lo siete, in questo momento-.
-Temo che vi stiate sbagliando. Io…-.
-Ditemi la verità, Gwen: provate ancora qualcosa per quell’uomo?-.
-Duncan…-.
-Sì o no?-.
La stava mettendo di fronte all’evidenza. E la ragazza si sentì perduta, indecisa sulla risposta da dare.
-Voi mi avete conquistata, Duncan. Mi avete fatto vostra e non potrei comunque tornare indietro-.
-Ma se fosse possibile cambiereste qualcosa?-.
Gwen stette in silenzio per una manciata di secondi.
-No-, sentenziò alla fine. -Rifarei tutto dall’inizio alla fine-.
Il pirata sembrò rincuorato da tali parole: -Bene-, disse con un sorriso.
La ragazza lo vide allontanarsi ed uscire sul ponte, senza aggiungere altro. Tornò in cabina, mise al sicuro il diario e raggiunse Duncan all’esterno.
La prima cosa che vide fu l’equipaggio in gran fermento. Si avvicinò a Light per chiedergli informazioni, ma l’energumeno la scacciò via dicendo di non avere tempo per lei. Non le rimase che interrogare il capitano, assorto nella contemplazione delle onde del mare.
-Duncan, che cosa…-.
-Ehi, voi! Perché ci avete fatto salire qui fuori?-.
Gwen si voltò e vide Courtney dirigersi nella loro direzione a grandi passi, scortata come sempre da Heather.
-È una magnifica mattina, non credete?-, disse Duncan senza neanche girarsi a guardarla.
-Sì, come volete. Ma ditemi perché mi sono dovuta alzare così presto!-.
-Ci stiamo dirigendo a Cuba-, spiegò brevemente il ragazzo. -Volevo solo farvelo sapere-.
-Dovrebbe forse interessarmi?-.
-Credevo che vi avrebbe fatto piacere visitare i più esclusivi luoghi frequentati da pirati come me-.
-Non mi curo affatto né di voi né della ciurma maleodorante che obbedisce ai vostri ordini!-, esclamò stizzita Courtney.
-Bene, allora. Siete libera di andare-.
-Ah, liquidate tutto così! Ma che razza di maniere sono, le vostre?-.
-Fin troppo cortesi, my Lady-, ribatté Duncan. -Scendete nella mia cabina e fate colazione. Gwen vi accompagnerà-.
Le due ragazze si scrutarono torve per un istante e tornarono sottocoperta. Lady Thompson capeggiava il piccolo drappello e fu sorpresa di trovare la porta della stanza aperta.
Sedettero al solito tavolo, mangiando gallette e carne secca; non si poteva sperare di meglio, a quell’ora della mattina.
-Avete pensato a quanto raccontato da quel buzzurro?-, domandò all’improvviso Courtney.
Gwen sollevò lo sguardo dal piatto e le lanciò un’occhiata stupita: -Sì, purtroppo-.
-E allora? Che idea vi siete fatta?-.
-Rimango dello stesso parere già espresso ieri sera-.
Cercò di troncare lì la discussione, ma a quanto pareva Courtney non era dello stesso avviso.
-Io non ho intenzione di essere ospite di un violento-, sentenziò, -né tantomeno voglio sposarlo-.
-Buon per voi. Per me il problema non esiste-.
-Come sarebbe a dire?-, chiese Lady Bennet.
-Non tornerò indietro. Continuerò a viaggiare su questa nave, lontana dall’Inghilterra e dalle coste americane-.
-Anche voi dovevate maritarvi?-.
-Il matrimonio non era previsto. Secondo gli accordi, sarei stata solo ospitata da Lord Spencer per capire come funziona la vita nel Nuovo Mondo-.
-Eppure avevo capito che vi foste innamorata di lui…-.
-Sì-, confermò Gwen con un sospiro afflitto. -Ma fa tutto parte del passato-.
-Passato? Sbaglio o sono trascorsi solo tre mesi dalla vostra partenza?-.
-Lady Courtney ha ragione-, asserì Heather annuendo e continuando a mangiare.
-Qual è il vostro dubbio, Lady Bennet? Perché vi interessa tanto sapere ciò che faccio o non faccio?-, chiese Gwen esasperata.
-Voglio solo capire. E accertarmi che il vostro rapporto con quel pirata non sia quello che penso-.
-E ditemi, che cosa credete?-.
-Siete o non siete la sua amante?-.
Ecco un’altra domanda disarmante. E nell’arco di soli dieci minuti.
-Che cosa intendete con “amante”?-.
-Lo sapete-, replicò Courtney.
Gwen sentì un’esplosione di calore investirle il viso ed ebbe paura che le guance le fossero diventate scarlatte.
-Dunque avevo ragione-, disse Lady Bennet abbandonandosi allo schienale della sedia.
Gwen tentò di concentrarsi sul suo piatto, prendendo un’altra galletta e spezzandola esattamente a metà.
-Non avete pensato alle conseguenze?-.
Forse Courtney si divertiva ad infierire su di lei, pensò la ragazza. Forse voleva vederla scoppiare in lacrime per la vergogna o forse voleva paragonarla ad una meretrice di una qualche bettola.
-E il vostro nome? Quando vostro padre verrà a sapere quello che avete fatto…-.
-Mi sono innamorata di Duncan, Courtney. È questo che desideravate sentirvi dire?-, domandò esausta Gwen.
-Ho sempre saputo che foste un’irresponsabile, ma non avrei mai creduto che sareste caduta così in basso…-.
-Non me ne faccio nulla del vostro perbenismo. Odiatemi e consideratemi una poco di buono, se lo ritenete opportuno, ma non osate biasimarmi-.
Gwen si alzò ed uscì dalla stanza sbattendo la porta. Courtney smise di mangiare quell’unica galletta che aveva depositato nel proprio piatto e rimase in silenzio.
-Heather, possibile che siate interessata solo ad ingurgitare queste cibarie rafferme?-.
-In realtà, my Lady, ho seguito attentamente tutta la conversazione e devo farvi i miei più sinceri complimenti-.
Courtney la guardò sorpresa e la dama continuò: -Siete riuscita ad ottenere una piccola vendetta sulla vostra nemica colpendola lì dove sente più dolore. Il vostro è stato un colpo basso che vi fa onore; non avrei saputo fare di meglio-.
Lady Bennet raddrizzò la schiena, tornando impettita come sempre: -Ma certo, Heather. Non avreste fatto di meglio perché io sono il meglio-.
“Sì, sì… Illudetevi pure quanto volete”, pensò la ragazza con uno sbuffo.
-Che cos’era quel verso? Volete forse contraddirmi?-, chiese piccata Courtney.
-Certo che no. Adesso dovete solo assestare un ultimo colpo per veder crollare definitivamente Lady Thompson-.
-Uhm, idea interessante-, ammise la nobile sfiorandosi appena il mento con l’indice. -Avete qualche suggerimento?-.
-No, my Lady: sono sicura che ve la caverete magnificamente da sola-, la rassicurò Heather con un sorriso bieco.

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Capitolo 30
*** Il violino ***


30.     Il violino

Courtney non vide più Gwen per ben due giorni, dopo averla pesantemente punzecchiata riguardo alla relazione che aveva stretto con Duncan. Se ripensava a quanto era accaduto, non poteva trattenere un sorriso di soddisfazione: era la prima volta che vedeva la sua grande rivale in difficoltà.
-Così capirà cosa si prova a sentirsi degli sconfitti-, aveva spiegato ad Heather il pomeriggio del giorno precedente.
-Bene, my Lady. Credo proprio che stavolta l’abbiate in pugno-.
-Certamente. Devo solo pensare alla prossima mossa da attuare-.
-Avete già qualche idea?-.
-No, per il momento. Ma prima o poi il Cielo provvederà a fornirmi una bella dose di ispirazione-.
In quel breve lasso di tempo avevano preso l’abitudine di affacciarsi sul ponte, per non rischiare di ammuffire all’interno della loro comunque confortevole cabina. Avevano imparato i nomi di alcuni pirati di bordo ed ora non stentavano a distinguere e riconoscere i vari membri dell’equipaggio.
-Che cosa state facendo, Sam?-, chiese una mattina Courtney avvicinandosi ad un ragazzone dall’aria mansueta.
-Sto assicurando queste cime. Si preannuncia una bella tempesta-.
-Come fate a saperlo?-.
-Venite qui-, le disse il giovane scortandola verso la punta estrema della prua. -Vedete quelle grosse nuvole bianche all’orizzonte?-.
-Sì. Sembrano innocue-.
-È qui che vi sbagliate-, dissentì il pirata. -Adesso vi appaiono inoffensive, ma ben presto si trasformeranno in un uragano bello e buono. È per questo che devo controllare lo stato delle cime: se durante la tempesta non fossero strettamente legate agli alberi, potrebbero verificarsi spiacevolissimi incidenti. Lo so bene perché una volta…-.
-Sam!-.
Il ragazzo si voltò, trasalendo.
-Sei nella ciurma per lavorare sodo e razziare, non per prendertela comoda stringendo amicizia con gli ostaggi! Torna al tuo posto, se non vuoi ritrovarti appeso a quella fune!-.
Il tono della voce del capitano non ammetteva replica: il pirata corse subito a rimettersi all’opera, augurandosi di non venire punito solo per aver mostrato cortesia nei confronti di una donna.
-Avete iniziato ad importunare i miei uomini, per caso?-, chiese beffardo Duncan avvicinandosi lentamente a Courtney, rimasta immobile accanto al parapetto.
-Ci mancherebbe!-, esclamò la nobile con fierezza. -Non mi abbasso a livelli così infimi, al contrario di certe persone che conosco…-.
Il capitano finse di non aver sentito, ma provò comunque il forte desiderio di rispondere per le rime alla provocazione della donna.
-Eppure si direbbe il contrario-.
-Che cosa volete dire?-.
-Non fate altro che gironzolare qui intorno da mattina a sera, cercando di spillare informazioni al mio equipaggio. E poi usate delle moine che potrebbero far concorrenza alle migliori meretrici di Haiti-.
-Ma come vi permettete di insultarmi in questo modo?!-, sbraitò Courtney. -Non avete ancora capito con chi state parlando?-.
-Vi ho capita fin dal primo momento in cui vi ho vista-, rispose con indifferenza Duncan. -E posso affermare con sicurezza che siete tutto il contrario di quello che volete sembrare-.
Il ragazzo fece per allontanarsi, ma la nobile lo richiamò indietro.
-Esigo delle spiegazioni al riguardo!-.
-Non sono tenuto a darvele, my Lady-.
-Ma io ve lo impongo!-.
-Ah, davvero?-.
Duncan tornò sui proprio passi, fermandosi a meno di un metro dalla ragazza: -E sentiamo, come intendereste fare?-.
-Con le buone maniere che, a quanto ne so, vi sono del tutto sconosciute-.
-Gentile da parte vostra mostrarvi così cortese. O forse il tono della vostra voce tradisce un’improvvisa paura?-.
L’analisi del pirata era esatta: Courtney aveva tentennato, non sapendo che cosa rispondere alle sue parole.
-Non temo nessuno, tantomeno voi-.
-Oh, siamo diventate impavide!-.
-Smettetela di canzonarmi!-.
-Perché mai? È tremendamente divertente osservare le vostre reazioni, sapete?-.
-Basta! Torno in cabina!-.
Courtney evitò di guardarlo e raggiunse velocemente la porta che l’avrebbe condotta sottocoperta. Duncan rimase ad osservarla finché non la vide scomparire all’interno e un mezzo sorriso gli rischiarò il viso.
“Quella donna ha davvero una gran faccia tosta”, pensò ghignando. “Ma è proprio questo suo lato a renderla interessante”.


 
-Pochi minuti fa ho incrociato Lady Gwen-.
Courtney era appena tornata dalla passeggiata sul ponte e da quello che Heather aveva potuto notare aveva dedotto che qualcosa o qualcuno avesse improvvisamente fatto innervosire la padrona.
-Le avete parlato?-, domandò la nobile con scarso interesse.
-Ci siamo solo salutate. Stava tornando nella propria camera-.
-Uhm… Chissà dove è stata…-.
-Non credo sia molto difficile intuirlo-, disse Heather alludendo a Duncan.
-Ma certo… Quella sgualdrina non ha ancora ben chiaro in che guaio si è cacciata. Questa sarà la sua rovina, ne sono sicura-.
-Probabile-, confermò la dama di compagnia.
-Immaginate lo scandalo-, pensò a voce alta Courtney. -Non solo verrà ricercata dalla Marina come traditrice della patria, ma attirerà mille pregiudizi anche sul padre. Verrà allontanato dalla buona società e finirà sul lastrico… A quel punto sarà la mia famiglia a trionfare: potrò finalmente acquistare le terre che i Thompson ci hanno sottratto tempo fa e diventerò ancora più ricca!-.
-My Lady, voi dimenticate il patto che è stato stretto con Don Alejandro-.
Courtney fu riportata alla realtà: -Avete ragione-, disse delusa. -C’è questo piccolo problema da risolvere…-.
-Davvero non avete intenzione di raggiungere quell’uomo in Florida?-.
-Avete sentito anche voi ciò che quel pirata da strapazzo ha raccontato-, ribadì lei, -e mi rifiuto di dover vivere accanto ad un simile essere. Sarà sicuramente spregevole, esattamente come il padre prima di lui-.
-Forse non dovreste esserne così convinta-, cercò di dissuaderla Heather. -Ricordate che a parlare è stato pur sempre un criminale ricercato in tutti i mari del mondo-.
Courtney ci pensò un po’ su, ma non seppe che cosa replicare. Nessuna delle sue certezze si reggeva più in piedi e adesso non capiva da che parte dovesse schierarsi.
-Il capitano mi sembrava sincero, Heather. Non credo che abbia inventato una storia così tremenda solo per tenerci qui. Se avesse voluto ucciderci lo avrebbe già fatto-.
-Ma, my Lady, pensate a ciò che è accaduto a Gwen-, rifletté la dama. -C’è un motivo se è stata presa in ostaggio ed entrambe sappiamo che il solo scopo del pirata era quello di…-.
-Sì, sì, non c’è bisogno che lo ripetiate!-, esclamò stizzita Courtney. -E con questo? Che cosa vorreste insinuare?-.
-Ho solo paura per voi-, rispose Heather. -Credo che il capitano abbia dei piani ben precisi nei vostri confronti-.
-Pensate che voglia ridurmi a sua “schiava” come accaduto a Lady Thompson?-.
La ragazza annuì.
-Ma questa è follia!-.
-Allora spiegatemi il motivo per cui ha spostato entrambe dalla cella sotto la stiva a questa cabina!-.
-Penso che sia abbastanza chiaro il perché…-.
-Davvero? E allora ditemelo!-.
-Heather, non alzate la voce e non agitatevi. Che bisogno c’è di…-.
-My Lady-, la interruppe, -quando ho deciso di partire con voi ho giurato a me stessa che vi avrei protetta. O forse avete dimenticato tutto quello che abbiamo passato?-.
Courtney rimase in silenzio.
-No-, rispose dopo un istante, -non scorderò mai questo viaggio-.
-Bene-, riprese Heather. -È mio dovere prendere in considerazione anche le ipotesi più assurde. Ma ve lo ripeto, state attenta: quel pirata non mi piace affatto-.
Trascorsero il resto della mattinata riflettendo sugli aspetti della situazione in cui si trovavano. Quando arrivò il momento di pranzare, le due sentirono qualcuno bussare alla porta ed Heather corse ad aprire.
-Il capitano vi vuole nella sua stanza-, le informò Sam.
Senza dire nulla, le ragazze uscirono dalla cabina e raggiunsero Duncan, che le accolse con le maniere solite.
-Entrate-, le invitò. -Anche quest’oggi mangeremo soli-.
-Come mai Lady Gwen si è rinchiusa nella propria camera?-, chiese Courtney prendendo posto a tavola.
-Non si sente bene-, spiegò brevemente il pirata. -Ha la nausea-.
Heather lanciò un’occhiata d’avvertimento alla padrona, ma la nobile non le prestò troppa attenzione.
-Mal di mare?-, domandò ancora.
-Ne dubito-, tagliò corto Duncan.
Un pesante silenzio calò sui tre, avvolgendoli e facendoli sentire leggermente a disagio. Gli unici rumori percepibili provenivano dalle posate che stridevano contro la superficie dei piatti.
-Non ho ancora avuto la possibilità di chiedervi quali siano i vostri interessi-, domandò senza preavviso il capitano alzando lo sguardo su Courtney.
-Dovrebbe interessarvi?-.
-Potreste evitare di rispondermi con una domanda?-, le chiese Duncan cercando di controllare il tono della voce.
-E voi sareste così gentile da spiegarmi il motivo della vostra curiosità?-.
Il pirata ingoiò un boccone di pesce e bevve una bella sorsata di rum prima di parlare di nuovo: -Sto solo tentando di mettervi a vostro agio. Possibile che non siate contenta di nulla?-.
-Credete forse che possa essere soddisfatta della vita che mi state costringendo a sopportare rimanendo a bordo di questa squallida nave?-.
-Il mio vascello non è squallido…-.
-Ma lo siete voi. Voi e il vostro miserabile equipaggio!-.
-A quanto pare è inutile essere cortesi-, si arrese Duncan. -Preferite davvero le maniere brusche…-.
-Ancora non mi avete risposto-, gli ricordò Courtney spazientita.
-Nemmeno voi, my Lady-.
Tacquero, continuandosi a guardare di traverso come due animali che studiano il proprio nemico. Heather assisteva alla scena senza proferire parola, sicura di non volersi immischiare.
-È mia intenzione approfondire la conoscenza del mio ostaggio-, riprese Duncan dopo una manciata di minuti. -Voglio colpire quel cane di Burromuerto nel modo più doloroso possibile e voi mi aiuterete, volente o nolente-.
-E in che modo vi può essere utile sapere ciò che mi piace fare?-.
-Ancora non lo so. È per questo che ve lo chiedo-.
Courtney guardò Heather e a un suo cenno si decise a parlare: -Mi piace ascoltare buona musica-.
-Solo questo?-.
-Sì. Non vi basta?-.
-Credevo che tra i vostri interessi ci fosse un posto per lo studio dell’arte della parola-.
-Cosa intendete?-.
-Ero convinto che foste un’esperta dei mille modi con cui annoiare i vostri interlocutori-, sogghignò.
-Questa poi!-, esclamò la ragazza. -Se pensate questo, perché continuate ad interrogarmi?-.
-Andiamo avanti-, proseguì Duncan sorvolando su quell’ultima domanda. -Non c’è altro che sia di vostro gradimento?-.
-Mi piace cantare-, aggiunse imbronciata Courtney, -ballare e suonare-.
-Oh, ma davvero?-.
-Cos’è, non, credete che una donna sia in grado di dilettarsi con uno strumento?-.
-Al contrario-, affermò sbrigativo. -Che cosa sapete suonare?-.
-Il violino-.
-Splendido. Avete gusti particolari, eh?-.
-Perché mai?-.
-Non è da tutti destreggiarsi con un simile strumento-.
-Lady Bennet se la cava egregiamente-, intervenne Heather in favore della padrona.
-Beh, staremo a vedere. Per vostra sfortuna uno dei miei uomini era un musicista prima di entrare a far parte di questa ciurma e ha portato con sé il suo adorato violino-.
Courtney non credeva alle proprie orecchie; entusiasta domandò: -Potrei suonare? Almeno la musica mi conforterà nei momenti più tediosi di questo viaggio-.
-Non sarò io ad impedirvelo-, disse Duncan. -Ma non temete: ho in serbo una sorpresa per voi-.
Le due ragazze lo osservarono bere dell’altro rum e poi Courtney chiese: -Di che genere?-.
-Oh, state pure tranquilla-, la rassicurò lui. -Vedrete, sarete contenta. Ma dovrete aspettare fino a questa sera. Mangiate, ora: non avete toccato nulla-.
L’insignificante esortazione le convinse a non dare troppo peso a quelle parole. Ciononostante, Lady Bennet corse a confidarsi con la propria dama non appena furono tornate in cabina al termine del pranzo.
-Ho sentito bene, Heather?-.
-Direi di sì-.
-Che cosa pensate che volesse dire?-.
-Non lo so. Forse vuole davvero farvi una sorpresa gradita-.
-Ne sarei alquanto stupita-.
-Anch’io, ma deve esserci sotto qualcosa-.
-A che pensate?-.
-Ho visto come vi guarda, mentre voi non potete accorgervene. Vi sta studiando, my Lady: oserei dire che ha intenzione di scovare il vostro punto debole-.
-Ah! Illuso!-, esclamò Courtney. -Crede davvero che sia così facile mettermi al tappeto?-.
-Non so che altro aggiungere. Vi converrà veramente rimanere in attesa-.
 


Quel pomeriggio volò. Le due erano così impegnate a far congetture che non si resero conto di quanto tempo fosse passato.
-Il sole è calato da un po’-, osservò la nobile scrutando attraverso l’oblò. -È già ora di cena?-.
-Lo sarà a momenti-.
Courtney rimase in silenzio, così come la dama. Non avevano più niente da dirsi e ciò comportò il gelo tra loro.
-Andrò sul ponte-, disse all’improvviso Lady Bennet rivolgendosi più a se stessa che a Heather. -Magari riuscirò a trascorrere piacevolmente i minuti che mancano al pasto-.
-Fate pure; vi aspetterò qui-.
Courtney uscì e si chiuse la porta alle spalle, scrutando per un attimo l’entrata della stanza di Gwen: a quanto pareva la ragazza non si era mossa di lì per tutta la giornata.
“Nausea”, pensò la ragazza. “Credo proprio che il guaio sia più grosso di quanto non temessi già”.
Si allontanò lungo il corridoio e si affacciò sul ponte. L’aria fresca della sera scacciò per alcuni istanti i mille pensieri che le vorticavano nella testa e Courtney si concentrò sul colore acquisito dal cielo: come le aveva detto Sam quella mattina, le nuvole si erano raggrumate formando un unico tappeto plumbeo.
“Non promette nulla di buono”, si disse. “Anche il tempo ci è avverso”.
Rimase in contemplazione per una decina di minuti, poi si costrinse a tornare dentro, domandandosi ancora che cosa avesse in mente per lei il capitano.
-Vogliamo andare?-, le chiese Heather vedendola ricomparire sulla soglia della cabina.
-Sì, sarà meglio. L’ultima cosa che desidero è far indispettire ulteriormente quel delinquente-.
Le due ragazze bussarono alla camera di Duncan, ma non udirono alcuna risposta. Aspettarono in silenzio che accadesse qualcosa, ma la pazienza di Courtney fu presto esaurita.
-Dove si sarà cacciato?-, chiese stizzita.
-Sono sicura che vi sta solo provocando-, le rispose Heather.
-Beh, ci riesce alla perfezione! Restare in attesa non produce alcun risultato e non fa altro che irritarmi!-.
La dama di compagnia sospirò e volse lo sguardo da un’altra parte: erano quelli i momenti in cui avrebbe volentieri abbandonato la padrona al suo triste destino, qualunque esso fosse.
-Signore…-.
Le due si voltarono allo stesso tempo e si trovarono davanti Light. Sebbene Courtney non lo trovasse affatto degno di simpatia (come la maggior parte dell’equipaggio, del resto), fu immensamente felice di vederlo.
-Diteci-, ordinò.
-Il capitano vi vuole nella stiva-.
-Come?!-, esclamò la nobile strabuzzando gli occhi per la sorpresa.
-Avete sentito. Siete tenute a seguirmi. Ora-.
Il pirata aveva calcato quell’ultima parola e le donne capirono di non poter replicare. Tenendosi a pochi passi di distanza, si lasciarono scortare dall’energumeno senza proferir parola.
-Che cosa credete che succederà?-, sussurrò Courtney a Heather.
-Non ne ho idea, ma vi consiglio di stare in guardia, my Lady-.
Scesero una stretta rampa di scale intagliate nel legno e raggiunsero la porta della stiva. Dall’interno provenivano grida e risate terribili.
-Non credete davvero che entrerò lì?-, disse Courtney a Light.
-Non lo credo io, ma il capitano-, rispose di rimando il ragazzo.
Il pirata aprì la porta e cedette il passo alle prigioniere, che furono spintonate con poca grazia.
-Moderate le maniere!-, gli urlò Courtney stirando ben bene le pieghe della gonna.
-Guardate, uomini: è arrivata la principessa!-.
L’inconfondibile tono ironico di Duncan venne subito coperto da una grassa risata dei compagni, intenti a scrutare attentamente le nuove arrivate; Courtney si volse verso il giovane e gli lanciò uno sguardo adirato.
-Venite pure avanti, vi prego: siamo tutti qui riuniti per voi-, le chiamò il capitano sorridendo beffardo.
-Potrei sapere il motivo per cui siamo state fatte scendere in questa topaia?-, domandò Courtney mantenendo il solito contegno orgoglioso.
-State attenta a ciò che dite-, la rimbeccò Duncan. -Potreste pentirvene molto presto-.
-Figuriamoci! L’unica cosa di cui posso rammaricarmi è l’avervi incontrato-.
Un coro di insulti si levò dalla ciurma, pronta a liberarsi in qualsiasi momento delle due indesiderate prigioniere, ma venne subito placato da un gesto del capitano.
-Ed io che voglio mostrarmi cortese!-, sbottò il ragazzo. -Non meritereste altro che marcire nelle segrete sotto questa stiva, ma, come vi ho spiegato, non posso farlo… Almeno per il momento-.
Heather colse uno strano scintillio negli occhi del pirata e un ulteriore sospetto si impadronì di lei.
-Se questa per voi è cortesia, non riesco proprio ad immaginare quale trattamento riserviate agli schiavi!-, disse ancora Courtney.
-Ritenetevi fortunata a non essere più rinchiusa in quella cella… Ma ora prendete posto e cenate con il mio equipaggio-.
Nonostante Lady Bennet fosse irremovibile, Heather avanzò con sicurezza e si pose al fianco di Sam, l’unico di cui avesse imparato a fidarsi.
-Venite-, disse alla padrona. -Non vi accadrà nulla di male-.
Anche se poco convinta, Courtney la raggiunse e sedette alla sua destra, a poca distanza da Duncan.
-Dovreste prendere esempio dalla vostra sguattera-, le disse il pirata dal capo estremo della tavolata. -È una donna ragionevole, esattamente il vostro opposto-.
Questa volta la nobile non si lasciò trasportare e cercò di frenare l’ira inspirando profondamente.
-Apprezzate pure la pesca dei miei uomini-, disse ancora Duncan scrutandola. -Quella di oggi è stata una giornata fruttuosa-.
Nessuno parlò per una manciata di minuti. Quel lasso di tempo apparve un’eternità alle orecchie del capitano, che aspettò pazientemente che le due donne svuotassero i rispettivi piatti.
-A quanto pare siete curiosa di conoscere come mai siete state convocate qui sotto-.
-Esattamente-, disse con fermezza Courtney. -Che cosa volete da noi?-.
-Desidero mettervi alla prova, my Lady. Mi avete detto di saper suonare il violino: dimostratelo, allora. I miei uomini sono ansiosi di ascoltarvi-.
Una sommessa risatina di scherno riecheggiò nella stiva e la nobile si guardò attorno.
-Non mi sono mai esibita davanti ad un pubblico…-.
-E allora? State forse dicendo di non essere in grado di destreggiarvi sotto lo sguardo di un manipolo di pirati?-.
-Assolutamente no-, replicò piccata.
-Bene. Allietateci con questa vostra abilità. Cameron, porta qui il tuo violino!-.
Un mozzo mingherlino e titubante si avvicinò in modo maldestro spuntando dal fondo della stiva: tra le mani stringeva una robusta custodia di cuoio nero.
-Ecco, capitano-, disse semplicemente poggiando l’oggetto di fronte a Courtney e scoccando un’occhiata d’approvazione a Duncan.
-Ottimo. E ora, my Lady, fate pure come se foste a casa vostra: sono curioso di sentire come ve la cavate-.
La nobildonna fissò per alcuni istanti la custodia chiusa, indecisa sul da farsi. Si voltò verso Heather e la ragazza annuì con un cenno della testa.
Courtney aprì delicatamente la confezione e ammirò lo strumento: era decisamente uno dei più bei violini che avesse mai visto. Pensò che dovesse essere costosissimo e istintivamente si chiese come il proprietario di un oggetto simile fosse finito nella bolgia di quella nave.
-Ma questo è…-.
-Italiano, my Lady. È tutto ciò che mi rimane della mia famiglia-, spiegò brevemente il mozzo facendosi piccolo piccolo alle spalle del capitano Crouch.
-Non ho intenzione di aspettare oltre-, la incitò Duncan interrompendo i sentimentalismi. -Mostratemi cosa sapete fare-.
Courtney esaminò ancora il prezioso strumento e lo estrasse delicatamente dalla custodia: saggiò con prudenza le leggiadre corde e poggiò lentamente il violino sulla spalla, stringendolo appena con il mento. Prese poi l’archetto e fece vibrare le prime note.
La musica zittì anche gli ultimi sussurri della ciurma. L’attenzione di tutti i presenti era rivolta esclusivamente a Courtney, che pian piano acquisì maggior padronanza e sicurezza: le sembrò quasi di volare, persa in quel dolce mare ritmato che finalmente sentiva scorrerle nelle vene dopo tanto tempo. Suonò brani che aveva avuto modo di imparare nel corso dell’infanzia, quando per la prima volta suo padre le aveva proposto di imparare a conoscere la buona musica; la sua educazione in questo campo era stata affidata alla madre, che le aveva fatto apprezzare quanto potessero essere magici i racconti narrati dalle singole note di uno strumento. Gran parte dei ricordi legati a quell’esperienza le riportavano alla mente proprio la povera donna, portata via in una gelida notte d’inverno dalla tubercolosi, diffusasi nel sud dell’Inghilterra.
Anche in quel momento alcune immagini sbiadite di tempi passati fecero capolino tra i tanti pensieri che la tormentavano e Courtney si ritrovò a sorridere, pur sentendo il cuore stringersi nel petto e gli occhi bruciare.
Mentre la melodia continuava ad ipnotizzare l’equipaggio, la porta della stiva si aprì lentamente e una Gwen stravolta entrò trascinando i piedi. Vedendola sulla soglia, Lady Bennet smise immediatamente di vibrare le corde del violino.
-Gwen!-, chiamò Duncan. -Vieni qui accanto-.
La ragazza, segnata da due profonde e nere occhiaia che Heather non ricordava di aver notato nel breve incontro avuto quella mattina, si fece strada tra la piccola folla e sedette vicino al pirata, che ordinò a Courtney di riprendere da dove aveva interrotto.
La nobile obbedì, ma desiderò tanto poter sapere che cosa stessero confabulando quei due: li vedeva parlottare lanciando occhiate sospettose agli uomini che se ne stavano lì intorno e si chiese che cosa fosse capitato a Gwen. Non l’aveva mai vista in uno stato tanto pietoso.
“Ma che fai, Courtney? Ora provi perfino pietà per la tua rivale?”
“Pietà? No di certo!”, si disse la giovane. “Sono contenta che stia soffrendo. Qualsiasi cosa sia accaduta, le auguro quanto di peggio si possa immaginare. Deve sperimentare il dolore che io stessa ho provato durante tutti questi anni”.
Le sue riflessioni vennero bruscamente interrotte da un’inimmaginabile azione di Duncan: il ragazzo si alzò in piedi, porse il braccio a Gwen e le poggiò una mano sul fianco con l’evidente intenzione di ballare.
“Ma sono impazziti?”, si domandò esterrefatta Courtney. “Hanno deciso di rendere davvero pubblica questa loro relazione scandalosa e sconveniente?”.
Sembrava proprio di sì: il pirata cercava in tutti i modi di distrarre Gwen da chissà quali pensieri e preoccupazioni, ma invano. La giovane appariva presa da tutt’altro, anche se nessuno avrebbe saputo dire da cosa.
Per una manciata di minuti la coppia venne presa di mira dai tremendi commenti dell’equipaggio, ormai consapevole di quanto avvenuto tra il capitano e la bella prigioniera. Nonostante la musica coprisse la maggior parte delle considerazioni, a Courtney parve di distinguere un netto “Te lo avevo detto, Sam: Crouch cercava solo compagnia di quel tipo” tra i tanti mormorii. Poi, senza alcun preavviso, Gwen si allontanò da Duncan e tornò a sedersi portandosi una mano all’altezza dello stomaco e l’altra sulla fronte con aria sofferente.
“Che cosa le prende?”, si chiese ancora Courtney osservando la scena da poco lontano. “E perché il capitano si comporta così?”.
Lady Bennet vide il ragazzo affiancare nuovamente la ragazza, rivolgerle qualche domanda e rimanere muto per alcuni secondi. Notò come la sua espressione fosse improvvisamente mutata: ora appariva dura e adirata. Sembrava che fosse pronto ad esplodere.
-Cameron!-.
Duncan gridò con quanto fiato aveva in gola, facendo sobbalzare tutti i presenti e sovrastando il volume della melodia; il mozzo si presentò al suo cospetto e tenendo gli occhi bassi si apprestò a ricevere ordini.
-Sostituisci l’ostaggio. Non ho più voglia di ascoltare musica così deprimente! Suonaci una delle tue ballate allegre: è ciò di cui ho più bisogno, adesso-.
Il mingherlino non se lo fece ripetere due volte: si avvicinò a Courtney e si impossessò del suo caro violino, pizzicando le corde e attaccando un motivetto che la nobile non aveva mai avuto modo si sentire prima. La ragazza sedette vicino a Heather e si concentrò sul nuovo musicista.
-Mi farete l’onore di danzare con voi, my Lady?-.
Courtney alzò lo sguardo e si voltò: alle sue spalle era giunto di soppiatto Duncan.
-Come mai questa proposta? L’essere stato rifiutato dalla vostra stessa concubina ha ferito il vostro orgoglio di pirata?-, domandò ironica la giovane.
-Affatto-, replicò vistosamente infastidito. -Se non sbaglio mi avete confessato che, tra le vostre passioni, c’è anche il ballo-.
-Già, ma solo se il cavaliere è bravo almeno la metà di quanto lo sono io-.
-È forse una sfida?-.
-Consideratela pure come volete-.
-Vi ho già raccomandato più volte di tenere a freno la lingua: non costringetemi alle maniere forti-.
-Bene, allora. Fatemi strada e danzerò con voi-.
Duncan la lasciò passare e sotto gli sguardi increduli di tutti occuparono l’unica parte sgombra della stiva. Il ragazzo mantenne un atteggiamento molto più formale rispetto a quello adottato con Gwen pochi minuti prima e Courtney si chiese chi fosse davvero il capitano: era lo scorbutico pirata con cui battibeccava ogni giorno dall’inizio della prigionia oppure il nobiluomo costretto alla fuga da un destino avverso fin dalla nascita?
-Avevate ragione: siete abbastanza in forma-, le disse Duncan.
-Anche voi non siete male-.
Si pentì immediatamente di quella frase: pessima scelta di parole. Davvero pessima. Si morse l’interno del labbro inferiore per ricordarsi di non adoperare affermazioni che sarebbero potute essere facilmente fraintese.
-Credevate che non sapessi ballare?-.
-Non me lo aspettavo-.
-Vi siete ricreduta, allora?-.
-Solo sulla danza. Per il resto, siete uno degli uomini più spregevoli che abbia mai avuto la sfortuna di incontrare-.
La musica di Cameron si fece sempre più veloce e i due volteggiarono nel piccolo spazio disponibile. Duncan teneva gli occhi fissi su di Courtney e la giovane si sentì più volte a disagio, chiedendosi che cosa stesse pensando il suo improbabile compagno di danza. Poco alla volta il ritmo sembrò sfumare e la coppia rallentò la frenesia dei passi; stavano per distaccarsi l’uno dall’altra quando Cameron diede avvio all’ultimo spezzone della sua ballata: la melodia divenne travolgente e Duncan si dimostrò un eccellente ballerino. A Courtney non rimaneva che tenere il suo passo, cercando di non lasciarsi travolgere dall’impetuosità del momento.
-Che ve ne pare?-, sussurrò il ragazzo facendole fare una giravolta.
-Sarò costretta a farvi i complimenti, una volta terminata la musica-.
-Non è finita qui; il bello arriva adesso-.
Duncan mantenne salda la presa sul fianco destro di Courtney e concentrandosi sul ritmo della ballata calcolò rapidamente il tempo: senza che la nobile se ne potesse rendere conto appieno, si cimentarono in un casquet che avrebbe potuto provocare l’invidia dei più popolari ballerini del Vecchio e Nuovo Continente.
La musica si interruppe nel momento stesso in cui la coppia si ritrovò stretta in un abbraccio scivolato, che fu tema di nuovi commenti sgradevoli da parte dell’equipaggio. I due ragazzi rimasero per pochi secondi immobili, come se niente e nessuno si trovasse con loro all’interno della stiva. A Courtney sembrò quasi che il tempo si fosse fermato, dilatandosi in un unico, eterno istante.
Qualcuno si alzò di scatto alla loro sinistra: Duncan si girò e vide Gwen guardarlo con occhi arrossati, gonfi di lacrime che di lì a poco si sarebbero probabilmente riversate sul cuscino della cabina a lei riservata. La ragazza li fissò ancora e poi corse fuori senza voltarsi indietro, desiderosa di lasciarsi alle spalle quella spiacevole visione.
Courtney si drizzò in piedi, lievemente scossa per quanto accaduto; si allontanò da Duncan e tornò da Heather, che aveva osservato attentamente ogni singolo particolare della scena che si era appena consumata.
-Che cosa fate ancora qui? Dormite, per caso? Tornate al lavoro, uomini! Non c’è più niente da vedere!-.
Il capitano spezzò quell’imbarazzante momento di silenzio con un imperativo che non ammetteva repliche di alcun genere e l’equipaggio eseguì l’ordine senza fiatare. Tutti i membri salirono sul ponte, occupando le rispettive posizioni e discutendo ancora di quanto successo.
-Sam, riaccompagna le prigioniere nella loro stanza-, disse ancora Duncan quando nella stiva non rimasero altri che loro.
-Bene, capitano. Seguitemi, my Lady-.
Courtney e Heather uscirono silenziosamente; avevano salito solo pochi gradini quando la nobile riscese giù, decisa a scambiare qualche parola con il pirata.
-Che cosa ci fate qui? Non vi ho comandato di chiudervi…-.
-So bene ciò che avete detto. Ma vi sarei grata se mi spiegaste che cosa sta accadendo-.
-Non vi capisco-.
-Temo che comprendiate fin troppo bene, invece-, ribatté Courtney. -Che cos’ha Lady Thompson?-.
-Non è affar vostro-.
-Certo che sì. Condividiamo la stessa sorte, stando a bordo di questo vascello, e mi piacerebbe sapere quali sono i vostri piani nei nostri confronti-.
-Vi ho già raccontato tutto quello che dovevate sapere. Dovreste essermi grata per avervi salvato da un’esistenza misera come quella che avreste condotto stando al fianco di un assassino-.
-E quella che sto vivendo qui? Non è forse una vita di stenti, la vostra? E non siete un assassino al pari di Burromuerto?-.
Duncan non seppe come replicare a quella legittima osservazione. Trovò solo la forza per dire: -Vi prego, andate a dormire. Questo non è né il luogo né il momento adatto per discutere-.
Il pirata la precedette e superò Sam e Heather, rimasti in attesa di Courtney lungo la breve rampa di scalini. La ragazza, dal canto suo, si guardò attorno solo per un attimo e poi raggiunse gli altri due, sospirando e riflettendo su cosa mai la stesse attendendo.

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Capitolo 31
*** Incertezze ***


31.     Incertezze

-Possibile che non aveste notato quelle terribili occhiaie?-.
-My Lady, vi avrei prestato sicuramente attenzione, se le avesse avute-.
-Mi state dicendo che quando l’avete incontrata stava bene?-.
-Di certo non era stravolta quanto stasera-.
-E allora che cos’ha?-.
-Penso che il suo stato sia strettamente legato alla nausea-.
-State insinuando che…-.
-Potrebbe, sì-.
-Buon Dio!-.
-Comunque sia, le avete involontariamente assestato un nuovo colpo. Congratulazioni, my Lady-.
Courtney e Heather si erano appena chiuse alle spalle la porta della loro cabina e adesso stavano riflettendo su quanto accaduto pochi minuti prima.
-Dite che sia gelosa di me?-.
-Assolutamente. E credo che non abbia tutti i torti-.
Lady Bennet guardò con aria interrogativa la dama di compagnia, chiedendo subito: -Cosa volete dire?-.
Heather sospirò. Possibile che la sua padrona fosse così cieca?
-Non vi siete chiesta come mai il capitano vi abbia invitato a ballare?-.
-Certamente. E egli stesso mi ha risposto che voleva vedere come me la cavassi-.
-Questo comportamenti non desta in voi alcun sospetto?-.
-Dovrebbe?-.
Heather inspirò profondamente, spazientita. Sì, la nobile che le stava di fronte era davvero cocciuta.
-My Lady, so che quello che sto per dire vi contrarierà, ma per il vostro bene non ho scelta-. La ragazza prese un bel respiro e continuò: -È evidente che il capitano nutra un particolare interesse nei vostri confronti-.
-Che cosa?!-.
-Non gridate, vi prego. Ascoltatemi, piuttosto…-.
-Heather, siete completamente impazzita!-.
-Courtney, siete voi a voler negare la realtà. Mi rifiuto di credere che non vi siate accorta di come vi guarda quell’uomo, mi rifiuto di credere che non abbiate notato lo scintillio nei suoi occhi mentre danzavate insieme!-.
-Basta così! State delirando!-.
-My Lady, voglio solo farvi aprire gli occhi. State lontana da Crouch. Qualunque sia il suo scopo, sono sicura che cercherà di far vacillare tutte le vostre convinzioni, esattamente come ha fatto raccontandovi la triste storia della sua famiglia-.
-Pensate dunque che tutto ciò di cui ci ha parlato sia solo una menzogna?-.
-C’è questa possibilità. Ma ricordate sempre quali sono i vostri doveri, my Lady: vostro padre è entrato in affari con Burromuerto e se vi ha promesso in sposa è perché desidera mantenere attivi i propri rapporti commerciali. Voi stessa siete partita con l’intenzione di contrarre un matrimonio vantaggioso: volete davvero mandare in fumo tutti i piani e i sogni che avete coltivato fino ad oggi?-.
-Cosa mi consigliate di fare, allora? Cercare di fuggire per raggiungere la Florida? Potrei farlo, sì. Ma se dopo aver conosciuto Don Alejandro mi accorgessi che le voci su di lui sono vere? Come risolverei la situazione?-.
-È un rischio che dovrete affrontare. Per questo vi sosterrò sempre. Momentaneamente, però, limitatevi a non dare troppa confidenza al capitano: non mi fido di quel suo particolare modo di fare-.
-E Gwen?-.
-Mi è sembrata abbattuta. Certamente questi giorni l’hanno messa a dura prova: non dimenticate che da due giorni non usciva dalla propria stanza-.
-Ma cosa vorrebbe dire tutto ciò?-.
-È sconvolta per quanto raccontato dal capitano. Deve essere stato un duro colpo, per lei, scoprire che il nobile di cui sarebbe dovuta essere ospite è figlio di un assassino-.
-Evitiamo questo argomento, Heather. Preferirei rimuoverlo dai miei pensieri-.
-Comunque sia-, continuò la dama di compagnia, -potete pur sempre punzecchiarla, se ciò vi fa piacere-.
-Come?-.
-Mostratevi affabile con Crouch in sua presenza-, rispose Heather sottolineando l’ovvietà della cosa.
-Vi rendete conto di esservi appena contraddetta? Prima mi suggerite di stargli alla larga, poi mi incitate a civettare con lui… Sarà meglio che vi schiariate le idee!-.
-Le mie sono parole sensate-, replicò la ragazza. -Pensateci solo per un momento: Gwen sembra atterrita per qualcosa di cui non sappiamo niente e allo stesso tempo teme che voi possiate entrare nel cuore del suo amante. Diventerebbe un divertente passatempo vederla soffrire, no?-.
Courtney guardò sconvolta la propria dama: -Heather, non credevo che il vostro lato sadico fosse così ben sviluppato!-.
-Questo è niente, my Lady. Questo è niente…-.
 




Duncan era tornato nella propria cabina, ma aveva prima deciso di parlare con Gwen. Peccato che ogni suo tentativo di convincere la ragazza ad aprirgli la porta fosse risultato vano.
In quel momento stava scrutando attentamente la superficie del mare attraverso l’oblò: nonostante il buio, vide scintillare pallidi raggi lunari attraverso la cortina di spesse nuvole nere che durante la giornata si erano condensate sul vascello.
“Tempesta in arrivo”, si disse pensieroso. “In tutti i sensi”.
Si voltò e ammirò sconsolato il caos che regnava nella stanza, poi si avvicinò al letto, ancora disfatto dalla sera precedente, e si stese sulle lenzuola sgualcite, portandosi le braccia dietro alla testa a mo’ di cuscino.
Si ritrovò a riflettere che, se poche ore prima avesse saputo quello che sarebbe successo durante la cena, probabilmente non avrebbe agito come aveva invece fatto. L’idea che lo aveva animato due giorni prima sembrava perfetta e il pirata dovette ammettere di aver ottenuto in parte ciò che voleva. Ora però, si sentiva dilaniato dall’incertezza: si era comportato nel modo giusto? Oppure quel suo atteggiamento aveva contribuito ad allontanarlo da Gwen?
Si girò su un lato ed inspirò profondamente il profumo intrappolato tra le lenzuola, ricordando quell’unico momento di pura passione vissuto con la nobile inglese. Nel momento stesso in cui la ragazza si materializzava davanti ai suoi occhi, fece capolino tra i pensieri un bel ritratto di Courtney, che cancellò immediatamente l’immagine di Gwen.
Duncan si drizzò a sedere sulla sponda del letto e si batté una mano sulla fronte per scacciare via la giovane indesiderata. Si rese conto di sudare freddo e per calmarsi iniziò a percorrere a grandi passi la camera camminando in tondo.
“Che diamine succede?”, si chiese spaventato. “Che accidenti mi passa per la testa?”.
Non c’era nulla da fare: per quanto provasse a eliminare Courtney dalla mente, ogni volta ella tornava a tormentarlo con quell’espressione orgogliosa che tanto la caratterizzava.
“Perché lei? Perché non Gwen?”.
Il ragazzo non sapeva cosa rispondersi. Non riusciva a capire perché improvvisamente Lady Bennet avesse catturato la sua attenzione: quella giovane era insopportabile, brava in qualsiasi attività si cimentasse, ironica al punto giusto. Insomma, la detestava. O meglio, la trovava interessante, ma solo perché avevano un lato del carattere simile.
“È una perfettina, antipatica, testarda, superba e orgogliosa. Una di quelle donne che in passato sarebbe stata mandata a bruciare sul rogo. Eppure ha qualcosa che mi incuriosisce… L’altra sera mi ha capito. Ha compreso quanto sia grande il dolore che mi spinge alla vendetta verso quel cane di Burromuerto. Gwen invece non ha voluto sentire ragioni; anzi, ha cercato di essere imparziale, senza riuscirci, peraltro. Ma allora che cosa prova per me? E se avesse iniziato ad odiarmi?”.
Più ragionava, più l’incertezza si insinuava in lui. Poco alla volta sentì il dubbio affondare le proprie radici nel suo cuore e da lì espandersi verso la testa.
“Questa sera ho voluto metterla alla prova”, si disse ancora, “e ha reagito esattamente come speravo che facesse. Ma poi non ha cercato di chiarire la situazione. Ha preferito fuggire via, ha preferito scappare pur di non guardarmi negli occhi. E… Se non mi avesse mai amato?”.
Quell’ultima domanda gli lacerò l’anima per tutta la nottata. Non riuscì a chiudere occhio, preso com’era da quelle assurde elucubrazioni che gli apparivano fondate. E quando finalmente, preso dalla stanchezza, si buttò di nuovo sul letto per riposare, ripassò ancora una volta i mille ragionamenti che lo stavano torturando. L’ultima immagine che gli comparve dinanzi prima di chiudere le palpebre fu il volto di Courtney, illuminato dall’espressione che aveva assunto durante l’esecuzione del casquet; un’immagine che non lo abbandonò nemmeno nel mondo dei sogni.

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Capitolo 32
*** Aspettative deluse ***


32.     Aspettative deluse

Don Alejandro Burromuerto passeggiava pensieroso attraverso le sue rigogliose piantagioni. Di tanto in tanto si fermava per controllare l’attività svolta dai suoi schiavi e con un sorrisetto compiaciuto scambiava qualche parola con i suoi più diretti sottoposti, che non esitavano ad usare la frusta contro chi si dimostrava inadempiente.
-È necessario ricorrere spesso alle punizioni corporali?-, stava chiedendo in quel momento.
-Più volte durante la giornata, señor. I peggiori sono los viejos y los niños-.
-Forse dovreste ser meno duro con loro-.
-No, padrone. L’unico modo para ottenere il massimo da este ammasso di carne es minacciare-.
Don Alejandro guardò ammirato il suo collaboratore e proseguì nella sua camminata. Impiegò alcuni minuti prima di raggiungere l’ingresso principale della sua enorme villa, ma quando fu di fronte al portone vide da lontano una carrozza avvicinarsi a tutta velocità.
“Ci risiamo”, pensò il nobile sospirando. “Ecco tornare la mia peggiore tortura”.
Aspettò che il veicolo si fermasse, poi si avvicinò.
-Bentornata, cara hermana-.
-Oh, Alejandro!-.
La ragazza aprì con uno scatto la portiera e si precipitò all’esterno, comandando al cocchiere di far sistemare i bagagli nella propria camera.
-Che piacere rivederti, hermanito! Mi sei mancato-.
-Suvvia, non dire così; in fondo sei stata via solo pochi días…-.
-Solo? Sarei dovuta volver una semana fa, ma mis amigas mi hanno espressamente chiesto di rimanere con loro un po’ di più. E ora che soy aquí, vengo a sapere che tu non has sentito la mia benché minima nostalgia-.
-Puedo spiegarte che…-.
La ragazza sollevò una mano contrariata, bloccandolo prima che potesse dire qualsiasi altra cosa: -No, no. He entendido todo-.
Gli diede le spalle e si allontanò verso casa senza rivolgergli uno sguardo, mentre Alejandro sollevava gli occhi al cielo e rendeva grazie perché la reazione della sorella non era stata tremenda come di consuetudine. Poi la seguì all’interno, dimostrandosi del tutto indifferente al discorso di poco prima.
-Quando arriverà la tua ospite? Non dovrebbe essere già aquí?-, gli domandò la giovane scrutando due servitori che trasportavano i bauli su per le scale fino alla sua camera.
-Mañana andrò al puerto per accompagnarla a casa-.
-Così avrò finalmente buena compagnia femminile! Ah, Alejandro?-.
-Uhm?-.
-En ciudad ho partecipato a un ballo. Por qué nosotros también non ne organizziamo uno in onore della tua Lady?-.
Il ragazzo ponderò la proposta della sorella, valutandone pro e contro. Quando ebbe riflettuto abbastanza, annuì accettando l’iniziativa.
-Sì! Mis amigas conosceranno un’importante rappresentante dell’Inghilterra e saranno invidiosissime! Gracias, hermanito!-.
Dimenticando completamente il battibecco avvenuto fuori casa, la giovane strinse il fratello in un abbraccio così forte da lasciarlo senza respiro.
-Bien, bien! Ma ahora lasciami, por favor!-, supplicò Alejandro tossicchiando.
-Claro-.
La ragazza mollò istantaneamente la presa e l’altro riprese ad inspirare normalmente.
-Voy en mi camera, soy esausta! Fammi chiamare, quando la cena sarà pronta-.
La giovane salutò cortesemente il ragazzo e raggiunse i servitori giunti finalmente in cima alle scale. Alejandro sentì impartire altri ordini e con un sospiro di sollievo uscì di nuovo fuori casa, aspettando che il sole tramontasse. Passò altre due ore tra i campi, ammirando lo straordinario esito dell’impegno dimostrato da suo padre nel costruire quel piccolo impero, e prese ad immaginare come potesse essere la ragazza che stava aspettando da così tanto tempo. Solo la voce di una servetta riuscì a distoglierlo dalle sue fantasticherie e fu quindi costretto a tornare dentro, prendendo rapidamente posto a tavola.
-Ti vedo pensieroso, hermano: hay qualcosa che non va?-.
Prima di rispondere, Alejandro si disse che sua sorella non sarebbe mai cambiata. Avrebbe coltivato sempre la sua curiosità, oltre all’amore per il pettegolezzo.
-Nada, stai tranquilla. Sto solo ripassando i piani por mañana-.
-Che piani?-.
-Qualche día fa sono stato informato che la nave della nostra ospite sarebbe attraccata a S. Augustín poco dopo l’alba. Sarà opportuno che mi faccia trovare al puerto molto in anticipo: non desidero farla aspettare oltre-.
-Oh, como eres cortese! La chica es fortunata ad aver trovato un gentiluomo così!-.
-Sì, esatto-, replicò Alejandro gonfiando orgogliosamente il petto. -Non vedo l’ora di conoscerla-.
-Ma… Se non dovesse piacerti?-.
-Cosa?-.
-Insomma-, disse concisa la sorella, -se fosse todo il contrario di quello che immagini? Che farai?-.
Il ragazzo si fece cogliere impreparato e quella domanda lo scosse profondamente. Effettivamente non aveva considerato questa evenienza: si maledisse, chiedendosi come avesse fatto a non pensarci prima. Non era da lui essere così avventato.
-Mi cara, soy sicuro che Lady Bennet sarà la miglior chica che yo abbia mai conosciuto. Diventerete grandes amigas, stanne certa-.
La sorella non ribatté nulla, ma Alejandro sapeva che, nella sua testa, stavano vorticando mille ipotesi diverse.
Mentre finivano di cenare, udirono distintamente i lontani rintocchi di un pendolo echeggiare tra le grandi stanze di Villa del Sol e il padrone di casa, alzatosi da tavola, augurò la buona notte alla ragazza.
-Ma come? Vai già via?-, disse delusa.
-Sì. Mañana dovrò svegliarmi presto-.
-Puedo venir con te al puerto? Quiero dare il benvenuto a…-.
-No, hermana: tu rimarrai aquí per fare gli onori di casa al nostro ritorno. Eres la persona más indicata por este compito-.
Le proteste della sorella si placarono all’istante e Alejandro fu libero di andarsene. Salì nella propria stanza e dopo essersi liberato dei vestiti si stese sul letto, ansioso che l’alba arrivasse presto.




 
Un brivido gli percorse la schiena. Si strinse maggiormente nelle lenzuola, ma l’azione non sortì alcun effetto. Sentiva freddo. Eppure l’estate non era ancora terminata.
Alejandro aprì gli occhi con difficoltà: il sonno costringeva le palpebre ad abbassarsi, ma la forza di volontà del ragazzo contrastò efficacemente la stanchezza che ancora lo avviluppava.
Scansò le coperte e si alzò, senza curarsi di essere a piedi nudi. Esaminò rapidamente la stanza e si accorse del problema.
La finestra, posta esattamente di fronte al letto, era rimasta aperta. Le lunghe tende bianche si gonfiavano come le vele di una nave in balia del vento e dall’esterno proveniva una brezza fresca, troppo fresca per i suoi gusti. Alejandro si avvicinò ai vetri per richiuderli e sentì il canto di un gallo risuonare attraverso i campi; lanciò un’occhiata al cielo e si accorse della particolare sfumatura azzurra che precede sempre il sorgere del sole.
“Devo muovermi. È ora”.
Si vestì, prendendo dall’enorme armadio alcuni tra i suoi capi migliori, e afferrò il suo cappello preferito. Accarezzò dolcemente le tre piume che lo decoravano e poi uscì dalla stanza, affrettando il passo lungo le scale.
-Buenos días, señor-, lo salutarono in coro due servette vedendolo già alzato.
-Buenos días. Dite a Felipe di preparare la carrozza: tra meno di diez minutos andrò al puerto-.
Una delle serve uscì dalla villa e si diresse alle scuderie, mentre l’altra preparò la colazione per il padrone.
-Solo un caffè, por favor-, preferì Alejandro. -Portatemelo in salotto-.
La ragazza obbedì e il signore aspettò in silenzio di essere servito. Una manciata di minuti più tardi bevve in un unico sorso il liquido nero e dopo essersi sistemato nel miglior modo possibile la giacca raggiunse lo spiazzo di fronte alla casa.
-Padrone, dove andiamo?-, domandò il cocchiere andandogli incontro.
-Al puerto, Felipe. E in fretta-.




 
C’era quasi. Era giunto finalmente il tanto atteso momento.
Alejandro non staccò mai gli occhi dal finestrino della carrozza. Non voleva perdersi nemmeno un secondo di quella mattinata; desiderava imprimere nella memoria ogni singola cosa, dal profumo dei campi al colore del cielo, dal rumore delle ruote che sobbalzavano sotto di lui al mare che di lì a poco si sarebbe materializzato davanti ai suoi occhi. Era sicuro che niente sarebbe andato storto. Non quel giorno. Non quando aveva attentamente elaborato il piano d’azione.
Stava percorrendo una strada sconnessa, tipica delle zone rurali vicine alla costa. Pregò affinché la carrozza si immettesse il prima possibile su una via maggiormente curata e priva di ostacoli.
“Dovrò sborsare parecchio per avere un cammino bueno. No es posible che un hombre como me debba viajar su terreni simili! Che figura farò con la mia ospite?”.
Al solo pensare di essere criticato da una sconosciuta montò in lui una tremenda ira.
“Chiederò a Felipe di prendere una strada diversa, al ritorno. No quiero ser deriso da una mujer, per quanto possa ser bonita”.
Immerso com’era nelle sue riflessioni, non riuscì a mantenere l’attenzione fissa sul paesaggio circostante. Soltanto quando il mezzo si fermò e il cocchiere venne ad aprirgli lo sportello si accorse di essere arrivato a destinazione.
-Il porto, señor. Volete che mi informi circa gli approdi delle navi dall’Europa?-.
-Sì-, si sbrigò a rispondere Alejandro. -Fatemi sapere-.
Felipe si allontanò e il padrone rimase seduto in carrozza, abbandonandosi al sedile e chiudendo gli occhi per alcuni minuti. Subito dopo il cocchiere fu di ritorno.
-Ebbene?-, gli domandò.
-C’è una nave in avvicinamento. Impiegherà oltre un’ora per attraccare; mi dicono che sia la American Hope, nave comunitaria proveniente dall’Inghilterra-.
-Bien. Dovrebbe essere il vascello che stiamo aspettando-.
-Señor, forse sarebbe meglio attendere in un locale. Avete fatto colazione?-.
-Claro-.
-Fa freddo qui fuori. Entriamo in quella locanda laggiù-.
-Vamos, Felipe. Avete ragione-.
Il cocchiere risalì sulla carrozza e incitò i cavalli fino davanti all’entrata del basso e rustico edificio, poi affidò il veicolo ad un ragazzo che lo portò al riparo.
Alejandro e Felipe entrarono senza far troppo rumore. La locanda era già in fermento, nonostante mancasse poco all’alba, e i due furono invitati a prendere posto ad un tavolo.
-Bienvenidos alla “Casa del Marinero”. Siete solo di passaggio o volete affittare delle stanze?-, chiese cordiale una donna corpulenta.
-En verdad, stiamo cercando un momentaneo rifugio dal freddo. Quereis del denaro, señora?-, domandò Alejandro.
-Non ce ne sarà bisogno per un po’ di ospitalità. Ma ditemi: siete voi il famoso Don Alejandro Burromuerto?-, domandò la proprietaria dopo aver squadrato per una manciata di secondi il nobile.
-En persona-, sorrise smagliante il ragazzo. -E voi siete…?-.
-Un’umile serva al vostro servizio, señor. Non è importante conoscere il mio nome-.
-Ma vi prego-, disse improvvisamente interessato, -non tentate di nascondervi…-.
-Non ho nulla da celare. Sono una donna onesta, che nella vita ha solo e sempre lavorato. La locanda che vedete è stata tirata su da queste mani-, spiegò quella mostrando i palmi segnati dalle fatiche.
-Lo vedo. Da donde venite? Potete almeno dirmi esto?-.
La locandiera esitò, ma alla fine optò per la verità: -Sono stata una schiava, señor. Una schiava a cui è stata concessa la libertà per aver dimostrato di esserne meritevole-.
-Dunque siete…-.
-Nata in Africa e trascinata in America contro la mia volontà. Già. Ma fortunatamente ho incontrato persone generose a cui rivolgo ancora oggi tutta la mia gratitudine-.
-Gestite da sola la vuestra attività?-.
-No. Ho preso sotto la mia protezione due ragazzi, entrambi orfani, che mi aiutano in tutto ciò che faccio. Dovreste aver già conosciuto uno dei due: è il giovane che ha sistemato la vostra carrozza. L’altro si è momentaneamente assentato e non so quando farà ritorno. Ma ora posso offrirvi qualcosa per riscaldarvi a dovere? Questi primi giorni di settembre si stanno mostrando davvero gelidi…-.
-Vi ringrazio, ma non ho né fame né sete. Felipe, desiderate qualcosa?-, chiese Alejandro rivolgendosi al cocchiere.
-Un bicchiere d’acqua potrà bastare, señora-, rispose l’uomo con un cenno della testa.
-La porto subito-.
La donna si allontanò nel retro della locanda e Don Burromuerto prese ad osservare ogni singolo particolare della piccola stanza in cui si trovava.
“Una schiava liberata”, pensò tra sé e sé. “Dovrò informarmi meglio. Non mi sembra che tra mis amigos qualcuno abbia concesso un simile privilegio, di recente…”.
-Ecco a voi, señor. Adesso devo andare. Rimanete pure quanto volete, non creerete alcun disturbo ai viaggiatori di passaggio. Con permesso-.
La locandiera si congedò con un piccolo inchino in direzione di Alejandro e sparì alla vista di entrambi gli uomini.
-Felipe, ti era giunta notizia della liberazione di una schiava?-, chiese sospettoso il nobile.
-No, padrone. Posso assicurarle che, se fosse avvenuta una cosa simile, la vicenda sarebbe stata tema di discussione in tutta la Florida-.
-Bien-, sussurrò appena Alejandro. -Muy bien…-.
Rimasero in silenzio per un lasso di tempo che apparve loro interminabile. Il primo a parlare fu Felipe che, alzatosi da tavola e avvicinatosi alla finestra, avvisò il suo signore dell’approdo dell’American Hope.
-Vamos, allora. Tenemos que accogliere la cara ospite in grande stile-.
I due uscirono e ripresero la carrozza, pagando una piccola mancia allo sguattero che li aveva accolti, poi si diressero verso la banchina.
-Avvicinatevi il più possibile-, ordinò Alejandro prima di salire sul mezzo. -Quiero che mi ospite ammiri mi magnificenza-.
Il cocchiere obbedì e con una sola frustata incitò i cavalli al galoppo. Don Burromuerto aprì il finestrino e si sporse per osservare l’attracco della nave: vide nitidamente alcuni marinai sul ponte lanciare funi a terra, dove un gruppetto di manovali si era riunito per afferrare le corde e aiutare nell’ancoraggio. Si sentivano forti e chiare le urla dell’equipaggio, pronto allo sbarco.
-Volete uscire, señor?-, chiese Felipe arrestando la corsa della carrozza a non più di una ventina di metri dalla banchina.
-Sì. Quiero ver la chica-, rispose il nobile con un sorrisetto.
Il cocchiere aprì lo sportello e Alejandro uscì impettito, le piume del suo cappello che ondeggiavano mosse dalla fresca brezza marina. Si fece largo tra la folla di curiosi radunati al fianco dei manovali e cercò di mimetizzarsi, anche se invano: chiunque, pur vedendolo per la prima volta, avrebbe riconosciuto in lui la fierezza tipica dell’aristocratico.
-Avete assicurato le cime, lì sotto?-.
-È tutto a posto. Procedete pure!-.
Il breve scambio di battute tra marinai e manovali gli fece capire che il momento tanto atteso era giunto.
-Preparate la passerella!-.
All’ordine di quello che Alejandro immaginò essere il capitano, un manipolo di uomini sollevò in aria uno stretto ballatoio di legno e lo spinse verso terra. Immediatamente il gruppo si manovali accorse in aiuto poggiando sulla banchina la lunga tavola di legno.
-Benvenuti a S. Augustín. Procedete allo sbarco con calma, uno alla volta. Non accalcatevi!-.
Oltre il parapetto si intravedeva la folla di passeggeri, ansiosi di toccare il suolo dopo mesi di estenuante navigazione. Ad un cenno del capitano, i viaggiatori furono fatti scendere uno per uno, seguiti dai rispettivi bagagli.
Alejandro scrutò attentamente i volti dei nuovi arrivati, cercando di cogliere quel particolare che gli avrebbe rivelato l’identità della sua ospite. Fu l’esperienza più strana che avesse mai vissuto: di solito non si fermava ad osservare il viso dei passanti, soprattutto se di umili origini. Ma in quella confusione, i suoi occhi erano l’unico ausilio di cui disponesse e trascorse un buon quarto d’ora a cercare di capire chi fosse Lady Bennet.
-È ricca, quindi dovrebbe tener molti bauli. Ma nessuna mujer finora aveva tanti bagagli. Che sia tra gli ultimi passeggeri?-.
 Il nobile restò in attesa per minuti che parvero interminabili. Sembrava che il numero dei viaggiatori fosse infinito e si chiese se una nave come la American Hope disponesse di così tanto spazio.
“Non si direbbe. Esta gente deve aver sofferto la fame… E se Lady Bennet si fosse ridotta en este modo?”.
Quel pensiero lo spaventò a morte, ma Alejandro tentò di scacciarlo subito. No, la ragazza che aveva immaginato era bellissima, ricca, virtuosa… La moglie perfetta per lui. Non poteva essere diventata una specie di scheletro vivente come la massa di uomini e donne che in quel momento stavano scendendo dalla nave trascinando i modesti bagagli di viaggio.
Poco alla volta, i passeggeri si riversarono sulla banchina e si dispersero. Erano poche le persone che dovevano ancora sbarcare.
“Sarà veramente l’ultima. Ma no está problema: sarà ancora più bello accoglierla”.
Trascorsero altri cinque minuti che lo fecero ulteriormente spazientire. L’ultimo viaggiatore stava percorrendo i due metri conclusivi che lo separavano dalla terraferma e Alejandro si chiese dove fosse finita Lady Bennet.
-C’è ancora qualcuno a bordo?-, sentì gridare il capitano.
-Signore, stiamo aiutando un ragazzo a raggiungere il ponte. Era in infermeria e non si trova nelle condizioni di poter camminare da solo-.
-Uhm, era in quarantena?-.
-No, ma è molto debole. Ah, eccolo-.
Alejandro sgranò gli occhi, rimanendo immobile a quella vista.
-Che state aspettando? Portatelo al porto e lasciatelo alla locanda più vicina!-.
-Ma capitano… Non vedete che sta male?-.
-Non mi interessa. Lo abbiamo portato fin qui e adesso è ora di abbandonarlo al suo destino. Se non sbaglio, sarebbe dovuto già essere morto-.
Un marinaio teneva sottobraccio il ragazzo ed un secondo uomo accorse in aiuto del compagno.
-Facciamolo scendere. Dobbiamo trovargli un ricovero-.
I tre percorsero lentamente la passerella prestando attenzione a non cadere in acqua. Il passeggero, sorretto dalle robuste braccia dei due marinai, non aveva nemmeno la forza di tenersi in piedi.
-Chissà chi è-, si chiese ad alta voce il primo uomo.
-Non ne ho idea. Sappiamo solo che questo poveretto è molto, molto sventurato…-.
-Perdonatemi-.
Alejandro si fece avanti, ancora incredulo, e fermò il trio.
-Buongiorno, signore. Cosa desiderate?-.
-Soy un… conoscente de este hombre. Lo stavo aspettando da muchos días. Ma ditemi, che cosa gli è accaduto?-.
-È una lunga storia. Per adesso sarà meglio che lo portiate con voi-.
-Es en buenas manos, non temete-, li rassicurò sbrigativamente Alejandro. -Seguitemi, aiutatemi a condurlo alla mia carrozza-.
Il nobile fece strada e pochi secondi dopo impiegò anche Felipe nel trasporto del giovane passeggero.
-Potete andare. Penserò yo alle cure de mi amigo. Grazie de vuestro supporto-.
-Dovere, signore. Solo dovere-.
I due marinai si congedarono, allontanandosi in direzione dell’American Hope, mentre Alejandro osservava preoccupato il malcapitato che ora giaceva sul sedile della sua carrozza.
-Chi è, señor? Lo conoscete?-, chiese Felipe affiancando il proprio padrone.
-Fin troppo bene, direi-.
-Ma dov’è la vostra ospite?-.
Il ragazzo non rispose. Stava ragionando freneticamente, domandandosi perché Lady Bennet non fosse a bordo, anche se la cosa che lo inquietava di più in quell’istante era conoscere il motivo per cui quel ragazzo si trovava su una nave comunitaria partita dall’Inghilterra.
-No está, Felipe. No está. Y dovrò scoprire che cosa è successo. Ora torniamo a casa: este hombre deve essere medicato-.
-Bien, però potrei sapere chi è quel giovane?-.
-È uno dei mas fedeli sostenitori de mi nemico-, ribatté Alejandro salendo in carrozza. -Es Lord Cody Anderson-.




Note dell’Autrice
Salve, Fandom ^^
Spero davvero che questo capitolo chilometrico sia di vostro gradimento. Non sapete che fatica per gestire tutti i personaggi, tra quelli già presentati e gli altri che presto entreranno in azione!
Sì, stavolta il protagonista indiscusso è stato Alejandro. E adesso si darà inizio alle danze…
Per le frasi e le parole in Spagnolo: se c’è qualcosa che non capite bene, chiedete pure. Mi sono aggrappata ai ricordi delle Medie per rendere più credibili i due fratelli Burromuerto. A titolo informativo, potrebbe accadere che andando avanti nella storia ci siano capitoli in cui Alejandro utilizzi espressioni totalmente in lingua straniera: mi auguro che la cosa non crei disagio a quanti leggono. In caso contrario, mi farebbe piacere sapere direttamente da voi quali migliorie si potrebbero applicare per una maggiore fruibilità del testo.
Grazie a tutti coloro che arriveranno fin qui. Siete impagabili :D
Appuntamento il 15 giugno con il trentatreesimo capitolo,
Amor31

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Capitolo 33
*** Aiuto nemico ***


33.      Aiuto nemico

-Es todo pronto por l’arrivo de Lady Bennet?-.
-Sì, señora-.
-La camera de nuestra ospite è abbastanza accogliente?-.
-Claro-.
-Bien, muy bien. Non vedo l’ora che Alejandro ritorni. Soy così emozionata!-.
-Es evidente: siete mas bonita del solito-.
-Oh, smettetela Ann Maria! Non mentitemi-.
-Es la verdad, padrona. Siete splendente-.
-Muchas gracias. Credo che sia merito de esta meravigliosa collana che ho acquistato algunos días fa en ciudad: non es magnifica?-.
-Aquellos… Son diamantes?-, domandò la cameriera con sguardo avido.
-Sì. Li ho indossati proprio por esta occasione especial. Ma por qué mi hermano no es già aquí? No está impiegando troppo tiempo?-.
-Señora, state tranquilla: tra poco sarà a casa-.
-Lo spero. Soy preoccupata-.
Donna Burromuerto si era alzata soltanto dieci minuti prima, ma si sentiva già attiva e carica per affrontare quella nuova giornata. Sapeva bene che avrebbe dovuto fare gli onori della straordinaria villa in cui viveva e per l’occasione si era addirittura preparata un discorso che non le aveva fatto chiudere occhio prima di mezzanotte. Era agitata ed eccitata allo stesso tempo: nonostante frequentasse gli ambienti altolocati, era per lei una sofferenza essere l’unica ragazza “nobile” di casa. Ecco perché credeva che le sue giornate si sarebbero riempite di spasso, una volta giunta la famosa Lady Bennet.
Mentre l’ansia le aumentava nel petto, si sistemò nella veranda, cercando di godersi i primi raggi del sole del mattino. Una leggera folata di vento le accarezzò i lunghi capelli castani, che aveva sciolto subito dopo aver fatto colazione, e la giovane si abbandonò allo schienale della sedia preferita di suo fratello.
“Saranno aquí a momenti”, pensò tentando di rilassarsi. “Dovrò dimostrarmi all’altezza de esta Lady. Es risaputo che le nobili inglesi son perfettine; spero solo che non abbia la puzza sotto il naso come spesso accade”.
Ammirò per parecchi minuti i campi che si distendevano davanti al suo sguardo, ma non badò alla bella sfumatura aranciata che avevano assunto alberi e fili d’erba. Era troppo concentrata su ciò che avrebbe dovuto fare al ritorno di Alejandro.
-Señora, la carrozza de Don Burromuerto sta percorrendo il sentiero-.
La ragazza si riscosse dai suoi pensieri e spalancando gli occhi fissò la serva: -Voy ad accoglierli-.
Scattò in piedi e rientrò in casa, attraversando due lunghi corridoi prima di raggiungere l’ingresso. Ann Maria la seguiva passo passo, scortandola a mo’ di guardia personale.
-Credete che debba raccogliere i miei capelli?-, chiese la nobile voltandosi appena.
-Lasciateli così, sono perfetti-.
Scesero i gradini della scalinata esterna e si fermarono a guardare la carrozza avvicinarsi sempre di più.
-Mi raccomando, Ann Maria, dimostrate de haber classe-.
-Claro, señora-.
-E non dite una palabra-.
La serva ammutolì, seppur stizzita; replicare non sarebbe servito a nulla, soprattutto in quel momento.
-Ci siamo-.
Donna Burromuerto trattenne il fiato nel vedere la carrozza entrare nello spiazzo e compiere un largo giro prima di arrestarsi definitivamente davanti alla villa. Non osava muovere un muscolo, tanto si sentiva paralizzata per l’emozione.
“Non devo disonorare mi nombre”, si disse per infondersi coraggio. “No tiengo nulla da rimproverarmi”.
Aveva fatto solo pochi passi in direzione del mezzo, quando Alejandro uscì repentinamente dalla carrozza e si precipitò dalla parte opposta per aprire lo sportello dell’ospite.
“Mi hermano es davvero un galantuomo”, pensò la ragazza assistendo all’operato dell’altro. “Lady Bennet non potrà lasciarsi sfuggire un hombre simile”.
-Felipe, venite ad aiutarmi, por favor!-.
Il grido di Alejandro catturò l’attenzione di tutti i presenti e sua sorella si allarmò.
-Che succede?-, chiese preoccupata. -No está bien?-.
-Hermana, torna in casa y avverti tutta la servitù di preparare bende e acqua fresca. Sarà necessario un medico-, le rispose il giovane ispezionando l’interno della carrozza e accertandosi delle condizioni del secondo passeggero.
-Alejandro, che cos’ha Lady Bennet?-.
-Non es el momiento. Felipe, venite aquí, su!-.
Il cocchiere smontò da cavallo e raggiunse il padrone, affiancandolo.
-Aiutatemi a sorreggerlo… No tiene nemmeno la forza de estar en piedi…-.
-Che gli sarà accaduto?-.
-Non lo so. Ma dobbiamo curarlo, prima che sia troppo tardi-.
I due uomini estrassero con non poca fatica un ragazzo molto giovane, dall’aria smunta e malaticcia. Era palese che non si trovasse nello stato di poter camminare o parlare: aveva la vista appannata e la bocca semiaperta, da cui scendeva un rivoletto di saliva che si era fermato a metà del mento.
Donna Burromuerto sgranò gli occhi per la sorpresa e si ritrovò per la prima volta nella sua vita senza parole. Si sentiva decisamente sconvolta, non solo perché davanti a lei si trovava un completo sconosciuto, ma anche perché quest’ultimo era più vicino alla morte che alla sopravvivenza.
-Alejandro, quien es este hobre? Y donde está Lady Bennet?-.
-Non es esto el tiempo de le spiegazioni. Più tardi saprai todo, ma ahora dobbiamo salvare esta persona. Es muy importante, claro? Fai chiamare un medico, presto!-.
La ragazza guardò ancora un istante i tre, poi si allontanò di corsa verso l’interno della villa, dove comandò a due serve di far intervenire un dottore il prima possibile.
-Dite a Don Gonzáles di venire presto. Es una questione de vida o de muerte!-.
Dopo aver dato l’allarme, Donna Burromuerto tornò nell’ingresso, dove erano giunti gli altri.
-Donde lo portate?-, chiese ad Alejandro e Felipe indicando il povero malcapitato.
-Nella camera preparata per Lady Bennet-, le rispose il fratello senza aggiungere altro. -Facci strada, piuttosto: avremo bisogno del massimo aiuto-.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte: li precedette lungo la scalinata che portava al primo piano del palazzo e corse ad aprire la porta della stanza giusta. Entrando, si accorse del lavoro superbo compiuto dalla servitù: la camera era stata arredata di tutto punto, le tende sbiancate più di quanto non lo fossero già e le cornici dei quadri appesi alle pareti spolverate così bene da far brillare la doratura. Tocco finale era un leggerissimo profumo di lavanda che aleggiava nell’aria.
-Sistemiamolo sul letto y aspettiamo che arrivi il medico-, disse Alejandro facendo il proprio ingresso nella stanza.
Il nobile e Felipe poggiarono delicatamente il poveretto sulle coperte e fecero un passo indietro, osservandolo. Non c’era alcun dubbio: il ragazzo tremava e sudava allo stesso tempo. Un brutto, bruttissimo segno.
-Alejandro, adesso puedes spiegarme chi…-.
-Non ancora, hermana-, le disse il fratello. -Ti chiedo di portare ancora pazienza-.
-Padrona, Don Gonzáles es aquí-, annunciò Ann Maria ai due aristocratici. Aveva il fiato corto dopo essere corsa su per le scale.
-Che aspettate, allora? Fatelo venire-, comandò stizzito Alejandro vedendo sparire nuovamente la serva.
Donna Burromuerto rientrò nella stanza solo dieci minuti prima destinata a Lady Bennet e riprese ad osservare il ragazzo steso sul letto. C’era qualcosa, in quel giovane, che la attraeva irresistibilmente.
-Don Gonzáles, diteci che cos’ha este hombre-, domandò Alejandro risparmiando i convenevoli e conducendo il medico direttamente nella camera.
Il dottore si avvicinò sospettoso al baldacchino ed esaminò attentamente l’esile figura. Sollevò dubbioso un sopracciglio e portò l’orecchio all’altezza del cuore del paziente, poi scrutò le iridi degli occhi alzando leggermente le palpebre e gli poggiò due dita sul collo.
-Uhm…-.
-Allora, dottore? Cos’ha?-, domandò in preda all’ansia Donna Burromuerto.
Il medico non rispose. Si limitò ad allontanarsi dal letto e a prendere dalla propria borsa di pelle carta e inchiostro.
-Ma que está haciendo?-, chiese di nuovo la ragazza, rivolgendosi questa volta al fratello che le era accanto.
Alejandro fece spallucce, rimanendo in silenzio. Più guardava il giovane ammalato, più sentiva la tensione crescergli nelle vene.
-Mh-.
Don Gonzáles porse a Donna Burromuerto un foglio di carta su cui erano riportate precise istruzioni scritte in una grafia semi illeggibile, ma la nobile, preoccupata come non mai, non badò a simili inezie.
-Malaria?!-, esclamò con occhi sbarrati.
Il medico annuì spostando lo sguardo su Alejandro, rimasto senza parole.
-Dovrà rimanere in quarantena!-.
-Mh-.
-E avrà sicuramente una febbre altissima!-.
-Mh-.
-Dell’acqua fredda! Subito!-.
Donna Burromuerto uscì in fretta dalla stanza e scese le scale in meno di trenta secondi, cercando disperatamente aiuto dalla servitù; Alejandro, invece, rimase immobile a fissare il ragazzo.
-È molto grave, dottore?-, s’informò con voce greve.
Don Gonzáles annuì.
-Pensate che possa morire?-.
-Mh-.
Stavolta il medico abbassò lo sguardo, arrendendosi a quella che sembrava essere un’evidenza; Alejandro si morse il labbro inferiore, pensando che non sarebbe riuscito ad ottenere le risposte che voleva, e si preparò a congedare Don Gonzáles.
-Siete stato de grande ayudo-, gli disse stringendogli la mano. -Vi ringrazio para essere intervenuto così tempestivamente-.
Il dottore rispose al saluto sollevandosi il cappello, poi abbandonò la camera. Alejandro si accasciò su una sedia vicina al grande armadio di legno che occupava la parete di fronte al baldacchino e si massaggiò delicatamente le tempie, ponendosi tante domande a cui non era ancora in grado di rispondere. Guardò nuovamente il povero Sir Cody e sentì insinuarsi nella testa il seme del dubbio: perché era sbarcato in Florida? Come aveva fatto a ridursi in quello stato? E, soprattutto, che cosa ci faceva a bordo di una fatiscente nave comunitaria proveniente dall’Inghilterra?
-Presto, Ann Maria, mettete sul comodino bende y catino! Tenemos que curar este hombre!-.
Donna Burromuerto era rientrata nella stanza come una furia. Aveva il viso arrossato e un’aria così sconvolta che Alejandro ne fu impressionato.
-Hermana, no está bisogno che tu intervenga. Sarà la servitù a pensare a…-.
-No, no! Este hombre necessita giuste medicazioni. Me ne occuperò yo!-.
-La sua malattia es contagiosa…-.
-No tiene importancia-, replicò la ragazza. Alejandro notò come gli occhi le si fossero ridotti a due fessure.
-Ma por qué ti ostini a non darmi ascolto? Cosa credi de poder hacer por lui?-.
-El dottor Beverly ha escrito todo aquí-, sentenziò la ragazza mostrando il foglio che le era stato dato poco prima. -Con l’agua fredda gli abbasserò la febbre y con un decotto riuscirò a farlo tornare como prima. Lascia fare a me!-.
Donna Burromuerto si tirò su i capelli e si affaccendò intorno al malato, afferrando una benda ed immergendola nell’acqua per poi sistemarla sulla fronte del giovane. Alejandro studiava con particolare attenzione ogni mossa della sorella, senza smettere di pensare a che cosa fosse accaduto a Sir Cody. Poi chiese: -No quieres saber más quien es él?-.
La ragazza si voltò lentamente e incrociò lo sguardo dell’altro: -Claro que sì. Ti costringerò a raccontarmi todo, ricorrendo alle maniere forti también. Ma ahora tiengo un deber más importante-.
Fece un cenno ad Ann Maria e le ordinò di procurarsi della corteccia di china, esattamente come aveva prescritto Don Gonzáles, poi rivolse d nuovo l’attenzione al fratello.
-Quindi eres decisa a hacer todo da sola?-, le domandò Alejandro.
-Ti dimostrerò de esserne in grado-, ribatté la giovane con tono deciso.
-Es esta la tua ultima palabra?-.
Donna Burromuerto annuì.
-Bien. Buon lavoro, Sierra-.
Il nobile le diede le spalle e, uscito dalla camera, chiuse la porta. La ragazza aspettò che i passi del fratello si fossero allontanati prima di riprendere da dove aveva lasciato.
“Chissà quien eres?”, si interrogò mentalmente guardando l’ammalato. “Y por qué Alejandro si è preso la briga di portarti aquí?”.
Gli tolse la benda dalla fronte e la immerse ancora nell’acqua fredda, senza distogliere mai lo sguardo dal suo pallido viso. Gli sfiorò la pelle con la punta delle dita e si rese effettivamente conto di quanto scottasse. Quel breve contatto fu per lei simile all’effetto di un fulmine a ciel sereno: ritrasse prontamente la mano, quasi avesse paura di bruciarsi, e la bagnò. La frescura fu rigenerante, ma solo esteriormente: ad ustionarla era stato qualcos’altro. Di certo non l’altissima temperatura dell’ignaro Sir Cody. 

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Capitolo 34
*** Lo sbarco ***


34.  Lo sbarco

Da quando aveva ballato con Duncan, Lady Courtney non aveva più visto né il capitano né Gwen. Ciò che maggiormente la lasciava basita era il fatto che il pirata sembrasse volerla evitare a qualsiasi costo; dopotutto, questa tesi era rafforzata dalle parole di Sam, che la mattina dopo lo “scandalo” aveva bussato alla sua cabina per informarla che avrebbe fatto colazione sì nella stanza di Crouch, ma solo in compagnia di Heather.
-Come mai questa improvvisa decisione?-, aveva chiesto Courtney sollevando un sopracciglio, sospettosa.
-Ordini del capitano. Credetemi, non so altro-.
Richiudendo la porta, la donna aveva intercettato lo sguardo della dama di compagnia, che per tutta risposta le aveva restituito un’occhiata ammonitoria.
-So cosa state pensando-, aveva detto Lady Bennet sistemandosi le pieghe dell’ampia gonna, -ma vi pregherei di tacere-.
-Non ho proferito parola-, aveva replicato Heather sollevando le mani a mezz’aria.
-Meglio così, allora. Perché le vostre elucubrazioni sono sempre molto fantasiose-.
-Potrete anche pensarla in questo modo, ma dovete convenire con me che molto spesso ho avuto la giusta intuizione-.
A quell’affermazione Courtney aveva sbuffato sonoramente. Odiava dare ragione ad altri che non fossero lei stessa.
-Comunque sia, ieri sera avete esagerato. Insinuare che quel pirata sia attratto da me… Ah! Ma come avete concepito una simile idea?-.
-My Lady, ho forse scorto nel tono della vostra voce un certo piacere?-.
-Cosa?! Ma Heather, siete impazzita? E come osate rivolgervi così a me, vostra padrona?-.
-Vi prego di scusarmi se vi siete sentita offesa-, aveva sottolineato la dama abbozzando un inchino. -Non era questa la mia intenzione. Ma sappiate che il mio giudizio non cambierà finché non sarò in possesso di prove che confermino il contrario di quanto da me supposto-.
Courtney aveva deciso di troncare lì il discorso, che stava prendendo inevitabilmente una brutta piega; Heather, d’altro canto, non aveva insistito più di tanto: si divertiva troppo a stuzzicare la padrona. Finalmente si sentiva libera di potersi esprimere senza la paura di essere in alcun modo rimproverata o punita; ormai non aveva nulla da perdere.



 
I dieci giorni successivi trascorsero molto lentamente. Le due ragazze non avevano nulla da fare, se non confabulare e passeggiare di tanto in tanto sul ponte spazzato da un forte vento che aveva fortunatamente accelerato la navigazione verso sud. Courtney cercava di incrociare Duncan in ogni modo: desiderava parlargli il prima possibile per ottenere le risposte che non aveva ottenuto la sera del ballo, ma il pirata continuava ad evitarla, voltandosi dalla parte opposta al solo vederla apparire da sottocoperta.
-Sam, potete dire al capitano che necessito di un’udienza in sua presenza?-, chiese un pomeriggio al solito mozzo di cui aveva imparato a fidarsi.
-My Lady, mi sono state impartite severe disposizioni in merito-, le disse il giovane con rammarico. -E purtroppo sono costretto a comunicarvi che parlarvi non è tra i voleri del capitano-.
-Ma cosa significa?!-, sbraitò la nobile facendo sobbalzare Heather al suo fianco e richiamando l’attenzione di metà ciurma.
-Shhh, calmatevi, per favore!-, cercò di tranquillizzarla Sam.
-Come posso esserlo se mi viene rifiutata perfino un’udienza? È mio diritto essere ascoltata!-.
-Comprendo bene le vostre ragioni, ma…-.
-Torna al lavoro, mozzo! E bada a non conferire troppa importanza a quella donna!-.
Courtney, Heather e il giovane pirata si voltarono nello stesso momento e videro Duncan affacciarsi e avanzare verso il parapetto superiore che separava la poppa dalla prua.
-Dannato!-, esclamò la nobile inglese senza troppi complimenti. -Avete forse dimenticato il codice che regola le vostre attività di pirata?-.
-In verità ho scordato da tempo quelle norme-, replicò il capitano. -Se le avessi tenute a mente, a quest’ora né voi né nessun’altra donna a bordo sarebbe stata ancora viva. Sareste stata cibo per pesci, sapete? Ma forse sono stato davvero troppo buono. Forse preferite finire preda di un qualche squalo solitario e affamato…-.
-Le vostre minacce non mi spaventano-, disse Courtney con ardore avanzando di un passo. -Abbiate il coraggio di venire qui e dirmi come stanno davvero le cose! Siate uomo, per una volta nella vostra vita!-.
-Non credo che abbiate bisogno di ulteriori dimostrazioni della mia virilità-, ribatté Duncan scatenando le impetuose risate degli altri compagni.
-No, infatti-, affermò Lady Bennet abbassando appena il tono della voce. -La vostra scarsa intelligenza e maturità abbassa perfino la media del genere maschile-.
-Oh! Attenzione, ciurma: Miss Perfezione ha appena sfoggiato tutta la sua gran cultura!-.
Un nuovo coro di risa si levò dalla folla, mentre Courtney, rossa in viso per l’ira, se ne tornava dritta in cabina seguita dall’onnipresente Heather.
-Ah, quell’uomo! Mi renderà pazza!-.
“Come se fosse necessario”, pensò tra sé e sé la dama di compagnia.
-Devo assolutamente escogitare un buon piano per trovarlo da solo: a quel punto, lontano dagli altri buzzurri, non potrà non prestarmi ascolto. Heather, cosa ne pensate?-.
-Il vostro proposito è buono, ma di difficile realizzazione-, sentenziò. -Ricordate che ormai il capitano ha abbandonato quasi completamente la propria cabina-.
-Che intendete?-.
-Voglio dire che egli ha smesso di tornare nel suo alloggio. Pur di evitarvi è disposto a lasciare perfino la comodità della sua stanza-.
-Ma perché si comporta così?-, chiese ancora Courtney. -E che cosa ne è di Gwen?-.
-Lady Bennet, conoscete già le mie teorie…-.
-Sì, sì, non c’è bisogno che le ripetiate…-.
-E allora dovrete pazientare. Oppure sperare che il capitano torni nella sua camera una di queste sere. Soltanto allora avrete la possibilità di scambiare qualche parola con lui. Nel caso in cui questo accada, dimostratevi affabile e cortese; studiate bene le sue reazioni e poi raccontatemi tutto: in men che non si dica scioglierò ogni vostro dubbio-.
-Davvero credete che questa tecnica funzionerà?-, domandò scettica Courtney.
-Fidatevi di me-, assicurò Heather.
 



Dovettero passare altri cinque giorni prima che la nobile ottenesse un qualsiasi risultato positivo.
Ogni sera, subito dopo cena, le due ragazze tornavano immediatamente nella loro cabina e dopo aver fatto scattare dall’interno la serratura si sistemavano accanto alla porta nella speranza di udire avvicinarsi i passi di Duncan. Purtroppo avevano atteso invano l’arrivo dell’uomo, che sembrava deciso più che mai a non spingersi in quel lato della nave.
-È inutile-, rifletté a voce alta Courtney con aria rassegnata. -C’è bisogno di cambiare strategia-.
-My Lady, non disperate del tutto. Sapete cosa è accaduto la scorsa notte?-.
-Raccontate!-.
Heather assaporò per un istante il silenzio calato improvvisamente nella stanza e riprese: -Poco prima dell’alba mi sono svegliata di soprassalto; un terribile incubo ha turbato la mia quiete e…-.
-Tagliate corto!-.
La dama di compagnia ridusse gli occhi a due fessure e squadrò la padrona come a rimproverarla.
-Se non vi dispiace-, tentò di riparare Courtney addolcendo il tono della voce.
-Ebbene-, riprese Heather, anche se non del tutto convinta, -ho sentito il bisogno di alzarmi per cercare di calmarmi. Ho fatto un giro della stanza tentando di non far rumore per non svegliarvi; il silenzio era palpabile. Stavo per tornare a dormire, quando dei rumori provenienti dal corridoio mi hanno raggelato il sangue nelle vene. In un primo momento sono rimasta come paralizzata, ma poi, presa dalla curiosità e spinta da una mia nuova intuizione, mi sono fatta coraggio e ho sbirciato attraverso la serratura della porta. Potete ben immaginare chi ho visto-.
-Era forse Gwen?-.
-My Lady, non stavamo parlando del capitano Crouch?-.
-Ah! Davvero era lui?-.
-Sì-.
-Ne siete completamente certa?-.
-Courtney, i miei occhi non hanno mai sbagliato-.
-E cosa pensate stesse facendo nel cuore della notte?-.
-Aveva intenzione di controllare la propria cabina senza essere disturbato da nessuno, evidentemente. Ne è uscito non meno di dieci minuti dopo e, credetemi, stava sicuramente cercando qualcosa. Deve aver messo a soqquadro l’intera stanza, prima di andarsene-.
-Ma a colazione tutto era in perfetto ordine!-, fece notare Courtney.
-My Lady, è chiaro come il sole che non era sua intenzione dare nell’occhio. Avrà sistemato ogni cosa, dopo aver trovato ciò che tanto agognava-.
-E cosa deducete da tutto questo?-.
-La mia è solo una supposizione, ma ritengo che stia nascondendo qualcosa. Altrimenti non si darebbe tanta pena di venire a controllare da cima a fondo la sua stanza, non credete?-.
Courtney rimase zitta; quella notizia, per quanto potesse sembrare banale, probabilmente nascondeva la chiave del mistero.
-Cosa proponete di fare?-, chiese a Heather.
-Per quanto ne sappiamo, il capitano potrebbe aver ispezionato la cabina ogni notte, da quando vi ha allontanata. Se questa deduzione è esatta, allora non mancherà di tornare nelle ore più buie della mattina, esattamente come accaduto ieri; vi consiglio quindi di dormire, my Lady: quando sarà il momento, vi sveglierò io e lo sorprenderete con le mani nel sacco-.
-Non ho mai conosciuto una donna scaltra quanto voi-, le disse ammirata la nobile. -Come farei, se non foste qui?-.
-Vi ringrazio del complimento, ma adesso riposate: le vostre palpebre non reggeranno un minuto di più-.
Courtney si svestì rapidamente e prese posto tra le lenzuola calde sotto lo sguardo di Heather.
-Buonanotte-, le augurò chiudendo finalmente gli occhi.
-Buonanotte-, replicò la dama sedendo accanto alla porta e pregando di riuscire a vegliare per tutto il tempo necessario.



 
Uno scalpiccio dall’esterno la fece sobbalzare.
Heather tese l’orecchio e accostò un occhio alla serratura: aveva appena intravisto la giacca nera di Crouch svolazzare nel corridoio, a meno di tre passi dalla porta della cabina.
La dama si alzò e scosse energicamente la padrona, sussurrandole un imperativo “Alzatevi!”.
-Cosa… Che succede…-.
-È qui, my Lady. È arrivato-.
-Fatemi passare!-.
Improvvisamente sveglia, Courtney si drizzò in piedi, indossò una vestaglia che Gwen si era vista costretta a prestarle e raggiunse la porta, facendo scattare in un sol colpo la serratura.
-Ricordate ciò di cui abbiamo parlato!-, le rammentò Heather un istante prima di vederla uscire. -Siate affabile!-.
Ma alla nobile interessava poco dimostrarsi cortese in quel momento. Desiderava solo due cose: essere ascoltata e scoprire cosa stesse nascondendo il capitano. L’ultima cosa di cui si preoccupava era il modo in cui avrebbe ottenuto entrambe le cose.
Lasciò la porta della propria stanza socchiusa e con passo leggero si avvicinò a quella del pirata; più accorciava la distanza, più percepiva il cuore martellarle nel petto.
“Non è questo il momento di avere paura”, si disse per farsi forza. “Dimostrerò a quell’uomo che si è messo contro la persona sbagliata”.
Ormai soltanto un altro passo la divideva dalla porta di legno che aveva di fronte. Poteva sentire chiaramente dei rumori provenire dall’interno, rumori simili al frusciare della carta. Allungò il collo e spiò attraverso la fessura a cui inavvertitamente il capitano non aveva prestato troppa attenzione.
Courtney lo vide trafficare tra quelli che, da lontano, le parvero appunti di viaggio. Il pirata sfogliava rapidamente pagine consunte e ingiallite dal tempo, tanto delicate che avrebbero potuto essere ridotte in polvere con un solo spiraglio di vento.
Per un intero minuto la ragazza rimase ferma a contemplarlo nella semioscurità del corridoio, poi, preso un profondo respiro, spinse la porta che, cigolando, le aprì uno spazio tale che bastasse per farla entrare.
Colto alla sprovvista e spaventato per quella inaspettata interruzione, il capitano si voltò.
-Voi!-, esclamò con un tono di voce a metà tra il sorpreso e l’adirato. -Che cosa fate in piedi a quest’ora? E perché siete entrata nella mia stanza?-.
-Sono esattamente le domande che mi stavo ponendo-, gli rispose Courtney avanzando appena.
-Tornatevene a letto e rimaneteci fino a domani mattina! Ora!-.
-A dire la verità, non ho alcuna intenzione di obbedire al vostro ordine-.
Il volto di Duncan, già di una sfumatura aranciata a causa della luce emessa dalla lampada a olio, divenne completamente rosso d’ira.
-Credo di non aver capito bene-, affermò tentando di rimanere calmo.
-Mi avete sentita. Non me ne andrò finché non avrete risposto a tutte le mie domande-.
Il ragazzo abbandonò la risma di fogli che stava consultando e si diresse verso la nobile abbassando lo sguardo solo per un istante: -Siete una gran cocciuta, non è vero?-.
-Fiera di esserlo-, ribatté Courtney, -se questo atteggiamento mi è utile per trovare ciò che cerco-.
-Ma cosa volete da me, eh? Adesso avete iniziato a spiarmi anche nel cuore della notte?-.
-La colpa è vostra, messere: tutto ciò non sarebbe accaduto, se mi aveste dato le giuste risposte alle domande che vi ho rivolto precisamente quindici giorni fa-.
Il pirata si stropicciò stancamente l’occhio sinistro, spazientito: -Quindi ciò che volete chiedermi è…-.
-Come mai Lady Thompson non osa più uscire dalla propria cabina e quali sono i vostri dannati piani-, lo interruppe la ragazza.
-Ascoltatemi, una volta per tutte: non ho idea del motivo per cui Gwen non voglia più uscire da quella maledetta stanza. Pensate forse che non abbia tentato più volte di parlarle? Pensate davvero che io sia così spregevole?-.
-Non me ne stupirei-, replicò con sincerità Courtney.
-Tuttavia, anch’io possiedo un cuore e sono molto preoccupato per lei. L’unico con cui abbia mantenuto i contatti è Light, il mio secondo; ma per quanto gli chieda in continuazione di Gwen, egli si ostina a ripetere che la ragazza non è intenzionata a vedere nessuno-.
-Ma perché?-, provò di nuovo Lady Bennet, sperando che il pirata si contraddicesse in qualche modo.
-Non lo so. Sono stato abbastanza chiaro, adesso? È inutile che mi riproponiate la stessa domanda in chiave diversa…-.
-D’accordo, allora. Potrei però sapere cosa avete intenzione di fare delle vostre prigioniere?-.
Una strana luce illuminò gli occhi di Duncan, che chiese incuriosito: -Vi ritenete seriamente mio ostaggio?-.
-E come, altrimenti? Sono forse libera di andare dove desidero e fare ciò che più mi piace?-.
-Se foste davvero una prigioniera, stareste ancora marcendo nella cella sotto la stiva. Eppure, fino a prova contraria state usufruendo di tutte le comodità; sarei pronto a scommettere cento sterline che vivete meglio a bordo della mia nave, piuttosto che sulla fatiscente American Hope-.
Courtney fece un rapido paragone e fu costretta ad ammettere a se stessa che il capitano aveva decisamente ragione.
-Non avete ancora risposto alla mia domanda-, ribatté la nobile spezzando quel momentaneo silenzio che si era venuto a creare.
-Saprete tutto solo vivendo questa avventura-, affermò con un ghigno Duncan.
-Molto poetico, sì… Ma non è questo ciò che volevo sentire!-.
-Beh, dovrete accontentarvi. Sono pur sempre un pirata, ricordate?-
-Bene. Bene! Toglietemi un’ultima curiosità-.
-Ditemi-, la incoraggiò divertito il capitano.
-Perché fino ad oggi avete cercato di evitarmi in tutti i modi?-.
Il sorriso abbandonò rapidamente le labbra di Duncan, che divenne serio di colpo.
-Allora?-, lo esortò Courtney, notando come il ragazzo avesse abbassato di nuovo lo sguardo fissando la pavimentazione lignea.
Il minuto di silenzio trascorso prima della risposta parve ad entrambi pari ad un secolo.
-Perché non vi sopporto. Non sopporto la vostra voce, i vostri capricci, le continue lamentele… Siete sempre tra i piedi e non avete alcuna utilità. Se lo avessi saputo, di certo avrei preso un’altra donna come mio bottino-.
Courtney preferì non sindacare sull’uso del termine “bottino”, anche se la cosa la urtò non poco. Ciò che la insospettiva era vedere come il capitano sembrasse non avere la forza di sostenere il suo sguardo.
-A quanto pare non tollerate più nemmeno la mia vista-, lo punzecchiò per esaminarne la reazione.
-Cosa ve lo fa pensare?-.
-Il fatto che non mi guardiate negli occhi-.
Duncan rimase zitto; nella semioscurità Courtney credette di aver visto un improvviso rossore imporporargli le guance.
-Sono stanco, ora. Ho risposto a tutte le vostre domande, eppure siete ancora qui, al contrario di quanto mi avevate promesso...-.
-Non ricordo di aver pattuito nulla di tutto ciò-, fece finta di niente la nobile.
-Tornate nella vostra camera. Se si svegliasse…-.
-Heather dormirà sonni tranquilli anche senza di me-, replicò Courtney. -Piuttosto, credo che siate voi a non riposare bene. Dalle occhiaia deduco che sia almeno una settimana che…-.
-Lasciatemi dormire, allora. Andate via-.
-Guardatemi e ripetete l’ordine-.
-Basta con queste sciocchezze…-.
-Abbiate il coraggio di guardarmi! O forse mi considerate un mostro?-.
-Che c’entra questo con quanto stavamo dicendo?-, chiese Duncan stizzito, ma quasi spaventato.
-Siete voi a provocare, sapete? Ed ora rivolgete i vostri occhi verso i miei-.
Duncan le diede le spalle, allontanandosi verso l’oblò. Una fredda luce azzurra penetrava attraverso il vetro cominciando a rischiarare la cabina.
-Ne avete ancora per molto?-, domandò spazientita Courtney incrociando le braccia sul petto.
Il pirata non mosse un muscolo. Contemplò ancora l’intenso blu dell’oceano, tentando di prendere una decisione, poi, girandosi pian piano, disse: -Vorrei proprio sapere cosa avete in mente di…-.
-AAAH!-.
Un urlo tremendo lo interruppe, facendo sobbalzare entrambi i ragazzi.
-Devo andare!-, disse alla nobile sistemandosi meglio la giacca e sfrecciando via dalla stanza.
-Sappiate che non finisce qui!-, gli urlò dietro Courtney. -Non riuscirete a cavarvela così facilmente!-.
Pestando un piede a terra, la giovane uscì nel corridoio e si chiuse alle spalle la porta, dimenticandosi completamente dei documenti che il capitano stava consultando fino al suo arrivo. Tornò quindi nella sua stanza e vi trovò una Heather ben sveglia, ma tremante a causa del grido appena udito.
-Che cosa è stato?-, chiese alla padrona.
-Non ne ho idea. Sarà meglio raggiungere il ponte per controllare che cosa sta succedendo-.
Le due si vestirono velocemente e salirono in sovraccoperta. La ciurma, più in tumulto che mai, era intenta ad ammainare le vele e ad assicurare le cime.
-Che accade?-, domandò Courtney avvicinandosi ad un mozzo.
-Guardate dinanzi a voi, my Lady-, le rispose quello semplicemente. -Affacciatevi dalla prua-.
La nobile non se lo fece ripetere una seconda volta: si avvicinò al parapetto e strizzò gli occhi alla ricerca di un qualcosa non meglio identificato all’orizzonte.
-Lì, lì! Courtney, la vedete anche voi?-, la chiamò Heather in preda all’eccitazione.
-Cosa? Dove?-.
-Dritta davanti a voi!-.
E finalmente, nella foschia del primo mattino, Lady Bennet individuò ciò che stava cercando: a qualche miglia di distanza si stagliava il profilo di quella che le parve un’enorme isola verdeggiante.
-Che meraviglia…-, sussurrò quasi pietrificata.
-Uomini, siete pronti?-.
La voce di Duncan risuonò nell’aria fresca e venne accolta dal favorevole frastuono della ciurma.
-Ognuno mantenga la propria posizione: tra quattro ore sbarcheremo a Cuba!-.
Un nuovo urlo festoso si levò dalla folla, che in un batter di ciglia si disperse riprendendo le dovute mansioni.
-Avete sentito, my Lady? Stiamo per tornare sulla terraferma dopo mesi di estenuante viaggio in mare! Non siete felice?-, domandò Heather sprizzando incontenibile gioia da tutti i pori.
-Sì-, disse con un mezzo sorriso Courtney, -lo sono. Ma ho come la sensazione che non avverrà nulla di positivo per noi…-.
-Non siate pessimista! Per una volta che riesco a vedere il bene, vi mettete a contraddirmi?-.
Heather riuscì a strappare una risata alla padrona, ma l’effetto non durò a lungo; in quel momento l’unica cosa che occupava la testa di Courtney era il pensiero dello sbarco. E l’idea di un piano che poco a poco si faceva strada nella sua mente.

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Capitolo 35
*** Persuasione ***


35.     Persuasione

Attorno a mezzogiorno, quando il sole, alto nel cielo, si decise a trapelare attraverso la coltre di nubi che ingrigiva il paesaggio, il vascello pirata fu finalmente pronto ad avvicinarsi definitivamente all’isola.
Dopo aver ascoltato le ultime disposizioni del capitano, l’equipaggio manovrò così da penetrare in una grande baia dall’acqua placida; al centro troneggiava un’altra piccola isola che fungeva da porto.
-Gettate l’ancora!-, gridò Duncan esaminando dall’alto il fondale marino. -E ammainate le vele!-.
Gli ordini vennero eseguiti in un baleno e in meno di un’ora la nave fu ferma a circa mille metri dalla costa.
-Bene-, disse il capitano sfregandosi le mani. -Ciurma, a rapporto!-.
Tutti i marinai si radunarono sul ponte, disposti in un’ordinata fila che avrebbe provocato addirittura l’invidia di soldati addestrati
-Da quanto tempo non vedevamo terra, eh, compagni?-.
Un mormorio si levò dal gruppo appena riunito.
-Tre mesi, capitano. Tre mesi-, disse Light senza scomporsi troppo.
-Giusto-, confermò Duncan. -Troppo a lungo siamo rimasti a vagabondare. È arrivato il momento di ripristinare le forze; è ora di spassarcela. Calate in mare le scialuppe, uomini: questa sera festeggeremo a Puerto Carupano, in compagnia di rum e belle donne!-.
Un coro d’approvazione riscaldò l’aria e gli uomini cominciarono a far scendere le imbarcazioni, prestando molta attenzione ad assicurare ben bene le cime che le sorreggevano.
-Light! Sam!-.
L’energumeno e il mozzo accorsero alla chiamata di Crouch.
-Andate a chiamare le tre prigioniere: verranno con noi-.
-Ma capitano, non credete che sarebbe meglio lasciarle a bordo, sotto la custodia di…-.
-No-, Duncan interruppe bruscamente il suo secondo. -Non dovremo perderle di vista nemmeno per un singolo istante, intesi?-.
-Bene, signore. Agli ordini, capitano-.
I due pirati si ritirarono sottocoperta; cinque minuti dopo Sam riapparve sul ponte scortando Courtney e Heather.
-Eccellente!-, esclamò Crouch vedendoli arrivare. -Signore, non siete contente? Finalmente conoscerete la vera vita di noi pirati!-.
-Oh, ne sono lusingata-, affermò ironicamente Lady Bennet. -Non vedo l’ora di conoscere altri buzzurri del vostro calibro-.
-Non abbiate fretta e date tempo al tempo-. Duncan strizzò l’occhio in direzione di Sam e subito dopo spostò l’attenzione su Light, di ritorno dall’incontro con Gwen.
-Ebbene?-, chiese il capitano con un filo d’ansia non vedendo Lady Thompson.
-Signore, potrei parlarvi in disparte?-.
Duncan allargò le braccia e fece strada al secondo che, lontano da orecchie indiscrete, lo informò: -La prigioniera non ha alcuna intenzione di uscire. Mi ha nuovamente detto di non volervi vedere. Ha tutta l’aria di essere sconvolta: forse sarà opportuno tenerla sulla nave. Posso occuparmi io stesso di lei…-.
-Light, il vostro interessamento mi commuove, ma a comandare sono io e ho deciso che l’ostaggio scenderà a terra. Non si è mai visto né sentito di un pirata che rispetta i desideri dei propri prigionieri!-.
-Capitano, lo dico anche per voi…-.
-Poche chiacchiere! Andrò a prenderla io stesso, se voi siete improvvisamente rammollito!-.
-Signore…-.
-Basta così, Light. Va’ dagli altri e aiuta a calare le scialuppe in mare. A quella donna penserò io!-.
Duncan si allontanò come una furia e raggiunse in fretta gli alloggi. Ben presto si arrestò di fronte alla porta di Lady Thompson e tentando di rimanere calmo bussò; dall’interno, però, non gli giunse alcuna risposta.
-Gwen-, la chiamò una prima volta, -aprite, per favore. Sono giorni che non vi fate vedere!-.
Un silenzio tombale echeggiò nel corridoio.
-Gwen, avete bisogno di luce solare. Volete forse ridurvi come uno straccio? Sappiate che finirete per ammalarvi, se non respirerete aria pulita!-.
Ancora il nulla.
Duncan inspirò profondamente: -Il vostro atteggiamento non fa che irritarmi, sapete? Ve lo ripeto per l’ultima volta: aprite questa dannata porta. Altrimenti la farò saltare con la maledetta rivoltella che ho in mano!-.
Il pirata estrasse l’arma e la fece scattare per conferire maggiore autorità alla minaccia.
-Bene, allora. Conterò fino a tre, prima di sparare-.
Non un sospiro provenne dalla cabina.
-Uno…-, cominciò Duncan.
Niente: la porta rimaneva chiusa.
-Due…-.
Sembrava quasi che all’interno della stanza non ci fosse nessuno.
-Tre!-.
Il giovane sparò un colpo, indirizzandolo volontariamente contro il soffitto di legno. Un foro bruciacchiato comparve sulla delicata superficie levigata.
-Sto per entrare, Gwen!-.
Duncan concesse alla ragazza altri cinque secondi prima di scagliarsi contro la porta e scardinarla.
La spessa lastra di legno cadde a terra con un rumore assordante, sollevando un sottile strato di polvere che aveva impercettibilmente coperto il pavimento; il pirata, intanto, si massaggiava la spalla adoperata per quella fastidiosa operazione.
Non appena alzò gli occhi, il ragazzo incontrò lo sguardo di Gwen, che Duncan dedusse essersi alzata di scatto dal letto dopo aver assistito all’abbattimento della porta.
-Cosa volete?-, lo accolse sgarbata la giovane.
-Spiegazioni-, disse semplicemente l’altro. -E portarvi con me a Cuba-.
-Non ci tengo a stare in vostra compagnia-.
-Cosa?-.
-Lasciatemi sola, Duncan. Non avete bisogno di me-, disse Gwen voltandosi e dandogli le spalle.
-Ma che dite? Siete forse impazzita?-.
-Assolutamente no. Sono certa di non essere mai stata tanto lucida quanto in questo momento-.
-Allora cosa sottintendono le vostre parole? E perché siete tanto adirata con me?-, domandò Duncan senza darsi pace.
-Perché?!-, esclamò la ragazza girandosi tutto d’un tratto. Il capitano notò come gli occhi le brillassero di una luce che mai aveva fatto capolino in quelle splendide iridi scure. -Avete perfino il coraggio di pormi una simile domanda?-.
-Lo faccio per capirvi-, cercò di spiegarsi il giovane. -Da quindici giorni non vi vedevo e non riuscivo a comprendere la ragione del vostro improvviso, volontario allontanamento-.
-Sono molteplici le cause-, affermò con ira Gwen, -e le conoscete già tutte-.
-Posso riparare in qualche modo al torto di cui mi accusate?-.
-Certamente: andatevene!-.
Al vedersi respinto di nuovo, la già poca pazienza di Duncan si esaurì definitivamente: egli raggiunse la ragazza e l’afferrò per un polso, strattonandola così da farla voltare nella sua direzione.
-Guardatemi, Gwen! Sono lo stesso, immutato e immutabile uomo che avete amato in una notte molto più calda delle ultime trascorse; cos’è cambiato da allora? E perché non mi volete al vostro fianco?-.
-Siete uno sciocco, Duncan!-, esclamò la nobile divincolandosi dalla stretta. -Vi ostinate a non capire! Continuate ad essere cieco!-.
-Mostratemi cosa devo vedere, allora!-.
-Io…-.
Le parole le morirono in gola. Sentiva il cuore battere troppo forte, mentre un improvviso calore le investiva il viso facendole acquistare poco a poco un insolito colorito roseo.
-Vi desidero con tutta l’anima, Duncan. Ma mi sono resa conto che voi non provate lo stesso sentimento nei miei confronti-.
-No! No, no, no! Come avete potuto pensare una cosa del genere?-, domandò il ragazzo sgranando gli occhi e sfiorando una guancia della nobile.
-Pensavo di aver trovato qualcuno che fosse in grado di capirmi-, disse Gwen tristemente, -ma a quanto pare sbagliavo. Voi non siete in grado di amare-.
-Avrei forse spallato una porta, se non provassi qualcosa per voi? Avrei rischiato di mettermi contro l’intero equipaggio, se non mi foste stata a cuore?-.
-È questo il punto- fece notare la giovane. -Voi provate “qualcosa”; io “vi sto a cuore”. Ma nulla di più-.
-Ora è il vostro turno di incomprensione. Dannazione, Gwen, perché ritenete che io non vi sia interessato?-.
-Perché la vostra attenzione è rivolta ad altri. Altri che mai sarebbero dovuti salire a bordo di questo vascello-.
-Siete in errore, mia cara-, affermò Duncan con voce suadente. -Io sono solo vostro-.
-E che mi dite di quel ballo con Lady Bennet? Anche in quel momento eravate “solo mio”?-.
Un fuoco mai apparso prima bruciò nelle profonde pupille della ragazza ed il pirata lo percepì chiaramente.
-Dunque è questo il motivo del vostro rifiuto…-, sorrise soddisfatto il capitano.
-Rispondete alla mia domanda, piuttosto-, lo richiamò Gwen.
-Certamente, my Lady. Anche allora il mio cuore apparteneva a voi. Ma perché, quando ho bussato alla vostra porta per chiarire, non mi avete aperto?-.
-Non ero in me-, svelò semplicemente la ragazza. -E anche adesso faccio fatica a ricordare tutto senza provare alcun dolore-.
-Ma ora sapete ciò che provo. Ho riconfermato i miei sentimenti per voi. Verrete con me a Cuba?-.
Il pirata le porse la mano destra; la nobile sembrò pensarci su per un minuto più del dovuto, ma poi si lasciò stringere dall’uomo.
-Sì. Sarò al vostro fianco-.
-Bene!-.
Duncan si protese in avanti per strapparle un bacio, ma Gwen lo allontanò una seconda volta.
-Ci vorrà del tempo, prima che possa tornare a fidarmi completamente di voi-, spiegò la giovane.
-Rispetterò il vostro volere. Andiamo, adesso: gli uomini saranno pronti a sbarcare-.
Saliti sul ponte, i due furono squadrati dagli sguardi inquisitori dell’intero equipaggio. All’appello non mancarono ovviamente Courtney ed Heather, già sistemate a bordo di una scialuppa contenente anche cinque marinai.
-Dirigiamoci verso terra!-, ordinò Duncan non appena lui e Gwen furono seduti in un’altra imbarcazione. -La festa non può più essere ritardata!-.

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Capitolo 36
*** Cuba ***


36.     Cuba

-Hai visto, Sam? Il capitano si ostina a trascinarsi dietro quell’insulsa donnicciola!-.
-E a te che importa, eh? Egli può fare ciò che vuole-.
-Non secondo le leggi che un tempo vigevano a bordo…-.
-Che vuoi dire?-.
-Soltanto che la cosa dovrebbe essere messa ai voti. Ora che possiamo, sbarazziamoci di queste tre inutili prigioniere. Possiamo abbandonarle a terra, che ne dici?-.
-Ma sei impazzito? E vedi di abbassare la voce, accidenti! Davanti a noi c’è proprio la scialuppa del capitano e non ho il desiderio di farmi scorticare vivo per colpa tua-.
-Ah, Sam! Sei un pappamolla, esattamente come Light!-.
-Taci, Ezekiel! Tappati quella maledetta boccaccia!-.
-Non ci penso proprio. Continua pure a farti irretire dalle tre sgualdrine, se ci tieni tanto; io me ne starò alla larga-.
-Bravo, finalmente hai detto qualcosa di sensato!-.
-Che cosa state borbottando, voi due?-.
Courtney, a bordo della stessa scialuppa, interruppe bruscamente il vociare dei pirati che le sedevano di fronte.
-Niente che vi possa interessare-, ribatté prontamente Ezekiel facendo una smorfia.
-Parlavamo di Cuba, my Lady-, disse invece Sam con un mezzo sorriso. -Siamo felici di poter finalmente rimettere piede sulla terraferma-.
-Oh, lo credo bene!-, assentì la ragazza. -Ma dove alloggeremo?-.
-Ahah! Hai sentito, compare? La signora chiede della reggia!-.
Ezekiel irruppe in una prorompente risata che attirò perfino l’attenzione del resto della ciurma, sparpagliata su altre scialuppe.
-Sam, potete farmi la cortesia di rispondermi?-, chiese freddamente Courtney cercando di non dare troppo peso all’irritazione che le era stata appena provocata dall’altro pirata.
-My Lady, giunti sulla costa il capitano ci spiegherà ogni cosa-.
-Uhm, ne dubito-, disse con disprezzo la giovane. -Non vedete che è preso da altro?-.
Il mozzo, continuando a vogare con vigore, guardò l’imbarcazione che aveva di fronte.
-State alludendo a Lady Thompson?-.
 -Precisamente-.
Questa volta fu Courtney  a fare una smorfia ed ella continuò dicendo: -Heather, non vi sembra alquanto strano che quella donna abbia deciso di non comparire in pubblico per due settimane? E perché ha deciso di rompere il silenzio proprio oggi?-.
-Non so che dire, my Lady. Le ragioni di questa opzione vanno oltre ogni mia possibile intuizione-.
-Ah, quando tutti sapranno in che guaio si è cacciata! Nessuno la vorrà più tra i piedi, nessuno!-.
-E voi, invece? Credete di ricoprire una posizione migliore?-, domandò Ezekiel con impertinenza.
-Certamente! Non sono io quella finita a letto con uno tra i peggiori delinquenti in circolazione… E toglietevi le dita dal naso, razza di maiale maleducato!-.
Noncurante, il pirata estrasse da una narice del muco e ne fece una piccola sfera, che lanciò in mare.
-Siete schizzinosa, eh? Tipico delle aristocratiche-.
-Ringrazio il Cielo per non appartenere al vostro stesso ceto sociale!-.
-Ed io ringrazio di essere nato libero per fare ciò che più mi aggrada-.
-Come osate rispondere con quel tono?!-.
-Donna, smettetela pure di aprire quella grossa ciabatta che vi ritrovate al posto della bocca!-.
Quell’ultima frase zittì definitivamente Courtney, che sbarrò gli occhi per l’indignazione. Accanto a lei, Heather riuscì miracolosamente a soffocare le risate che altrimenti avrebbero riempito l’aria.
“Era ora che qualcuno vi rispondesse come meritate!”, pensò la dama soddisfatta per quanto appena accaduto.
-Terra, uomini!-.
L’urlo di Duncan spezzò la quiete calata sul gruppo di piccole imbarcazioni e i marinai tirarono finalmente in secca le scialuppe.
-My Lady, vi aiuto ad alzarvi…-, si offrì Sam tendendo una mano a Courtney.
-Non avrei mai creduto di poter trovare un gentiluomo in una banda di buzzurri spietati-, notò la nobile mettendo piede sulla sabbia.
-In posizione, ciurma!-.
I marinai formarono nuovamente una fila ordinata davanti allo sguardo severo del capitano.
-Aprite bene le orecchie: non rimarremo molto qui a Cuba. La permanenza ci permetterà di recuperare le forze e di procurarci le provviste per sostenere un nuovo viaggio. Per la prima volta avrete la possibilità di sistemarvi dove meglio credete: l’unica raccomandazione è quella di non allontanarvi troppo dal punto di ritrovo, che sarà questa stessa spiaggia. Spendete il denaro in vostro possesso assecondando anche i piaceri, ma con parsimonia. Ora potete andare: prestate attenzione a occhi e orecchie indiscrete; tra due ore fatevi trovare qui, perché avrò ulteriori informazioni da comunicarvi-.
L’equipaggio si disperse senza aggiungere nemmeno una parola al boato di approvazione che aveva seguito il breve discorso del capitano; in disparte, Courtney e Heather non solo ascoltavano, ma osservavano di sottecchi anche Gwen, poco distante da Duncan.
-Che sgualdrina!-, stava dicendo Lady Bennet. -Guardatela, Heather: guardate con che occhi ammira il suo persecutore!-.
-Non crucciatevi, my Lady. In fondo, adesso avrete l’opportunità di parlarle e di scoprire il motivo per cui è rimasta chiusa nella sua cabina per così tanto tempo-.
-Avete ragione, ma in questo momento ella è l’ultimo dei miei problemi…-.
-Signore, venite pure da questa parte-, le invitò Duncan con un cenno della mano. -Devo parlarvi-.
Le due ragazze si avvicinarono, insospettite.
-Parlate-, ordinò Lady Bennet.
-Voi rimarrete con me per tutta la durata del soggiorno: non posso permettermi di perdervi di vista-, spiegò il pirata attraendo a sé Gwen e cingendole i fianchi con un braccio.
Un improvviso fastidio colpì Courtney, che ne rimase vivamente sorpresa: -Ah, davvero? Non sarebbe stato più semplice tenerci tutte a bordo del vostro vascello?-.
-No. Ho delle faccende da sbrigare e mi fido ciecamente solo di me stesso. Tuttavia, Sam vi scorterà sempre e in ogni luogo decidiate di andare; di Gwen si occuperà Light. E il sottoscritto-.
Duncan ghignò, mentre Courtney si voltava da un’altra parte per non assistere allo scambio di tenerezze tra lui e la rivale.
-E quali sarebbero le vostre “faccende”?-, chiese contrariata.
-Non è nei vostri interessi saperlo-.
-Dove ci farete alloggiare, allora?-.
-Non preoccupatevi: conosco il posto che fa per voi…-.




 
Puerto Carupano era il più pittoresco borgo che le tre ragazze avessero mai visto.
Completamente diverso dai punti di partenza inglesi, era caratterizzato dalla presenza di colori sgargianti, forti odori e una moltitudine di gente di varia origine.
Mentre si addentravano nelle strette viuzze della cittadella, a Courtney parve di riconoscere l’accento spagnolo, mescolato ad un pessimo francese e ad un ancor più inaccettabile inglese: ne concluse che Cuba non era altro che un guazzabuglio di reietti sfuggiti alla forca dei Paesi di provenienza.
Seguendo Duncan, la marcia proseguì per una buona mezz’ora. Gli sguardi delle tre Inglesi si soffermarono su minuscole botteghe stipate di merci indistinguibili, su bancarelle sistemate nel bel mezzo delle già anguste stradine, su uomini e donne lerci imploranti la carità dei passanti.
“Per quanto sia lontana da casa, la povertà accomuna davvero tutti i popoli”, pensò Heather tentando di non prestare troppa attenzione ad una mendicante che, seduta accanto allo stipite di una porta, teneva tra le braccia un minuscolo fagotto annerito dallo sporco e contenente con molta probabilità un bambino.
-Che odore insopportabile! Prima di ripartire sarò malata!-, protestò Courtney mettendo una mano sul naso.
-Fateci l’abitudine-, le rispose Duncan, che la precedeva tenendo sottobraccio Gwen, -perché, se non ve ne siete accorta, questa non è la patria dell’igiene-.
-Non è necessario che me lo facciate notare-, replicò la nobile stringendo le palpebre, indispettita. -Anche voi non siete molto più pulito di…-.
-Eccoci arrivati, signore-.
Il gruppetto si era improvvisamente fermato in un sinistro vicolo cieco dalle pareti incrostate a causa della salsedine.
-Ebbene?-, domandò Courtney sempre più innervosita. -Dove ci avete condotte?-.
-Nella vostra nuova dimora. Ah, guardate un po’ chi c’è?-.
Da un portoncino seminascosto nell’oscurità comparve un energumeno alto e muscoloso, dalla carnagione scura e dall’aria malevola: il nuovo venuto spaventò non poco le tre ragazze, che fecero fatica a non urlare.
-Duncan Crouch…-, il gigante salutò il capitano con un impercettibile cenno del capo.
-Bloody Hatchet-, rispose il pirata andandogli incontro.
I due si osservarono attentamente per un paio di minuti, come per assicurarsi reciprocamente di essersi davvero riconosciuti. Poi si strinsero rispettosamente la mano e si abbracciarono, aggiungendo una benevola pacca sulla spalla.
-È da parecchio che non vi fate vedere da queste parti-, notò l’energumeno. -Cosa vi ha portato a tornare qui?-.
Le pupille di Duncan si ridussero a uno spillo e l’azzurro dei suoi occhi gelò per un istante l’interlocutore.
-Ah, capisco… Bene, cos’altro posso fare per voi?-.
-Hatchet, desidererei alloggiare presso la vostra splendida locanda-, disse il pirata.
-Siete sempre il benvenuto, per quanto mi riguarda. Ma chi sono le tre donne che vi seguono come cagnolini? Nuova mercanzia?-, chiese il gigante esplodendo in una risata che echeggiò nel vicolo e provocò l’immediata reazione di Courtney.
-Cosa intendete dire, signore?!-, esclamò la nobile avvampando. -Forse mi avete appena considerata come una di quelle sporche meretrici a cui siete abituato?!-.
-Sono mie prigioniere-, si affrettò a spiegare Duncan correndo a tappare la bocca a Courtney, già trattenuta per un braccio da Heather. -Avete delle stanze da affittarci?-.
-Naturalmente. Vi prego, seguitemi pure all’interno-.
L’energumeno fece strada e il gruppetto entrò, fermandosi nel piccolo atrio arredato con sediole di vimini poste attorno ad un basso tavolo di legno grezzo.
-Vi serviranno non meno di tre camere-, calcolò rapidamente osservando anche Light e Sam, che chiudevano la fila.
-Ne basteranno due-, precisò Duncan. -I miei uomini resteranno in piedi per tutta la notte-.
-Come preferite, Crouch. Bene; venite, vi mostro gli alloggi-.
Bloody Hatchet li condusse al piano superiore, in cui si apriva un corridoio su cui si affacciava almeno una decina di porte. Allungò il passo e si arrestò davanti a due entrate malridotte e segnate dal tempo.
-La vostra è singola, Duncan; le tre donzelle dormiranno nella stanza qui di fronte. A proposito, dovrò aggiungere una brandina per avere un posto in più…-.
-Non sarà necessario. Datemi pure una stanza doppia: saprò come condividerla-, replicò il pirata strizzando l’occhio in direzione dell’amico.
-Oh… Eh eh-, ridacchiò l’altro spostando lo sguardo da Courtney, a Heather e a Gwen. -Allora potete prendere quest’altra camera-, disse indicando una porta poco distante.
-Perfetto. Fate pure accomodare le mie prigioniere: io vi aspetterò al piano di sotto per discutere con tutta calma-.
Duncan scese lentamente le scale e sparì alla vista delle ragazze, che finalmente si appropriarono degli alloggi a loro destinati.
-Spero che la camera sia di vostro gradimento-, disse Bloody Hatchet facendo entrare Courtney e Heather per prime.
-È…-, stava iniziando la dama.
-Disgustosa, ecco cos’è! Volete forse farci prendere la malaria?!-, sbottò la nobile annusando l’aria ammuffita e osservando orripilata le pareti scrostate.
-Non è di vostro gusto?-, chiese sornione l’energumeno.
-Spiegatemi come potrebbe esserlo, se ne avete il coraggio!-.
-Avete pur sempre la finestra con vista panoramica…-.
-Sì, certamente! Una bella panoramica sulla latrina pubblica! Ah, se mio padre sapesse… Lasciate soltanto che torni libera: vedrete, vi farò impiccare tutti!-.
-Smettetela di strepitare. Lamentarvi non vi sarà utile, dato che questa è l’unica camera che io vi possa fornire-.
-Di male in peggio! Sam, vi prego, riportateci a bordo del vascello…-, implorò Courtney.
-My Lady, non posso: ordini del capitano-.
-Dannazione a quel Crouch! Voglio vederlo morto, morto!-.
-Preferite alloggiare con il capitano, signora?-, chiese sibillino l’energumeno aprendo un’altra porta. -Sono sicuro che questa stanza vi piacerà molto di più-.
Courtney uscì e raggiunse l’altra camera, che effettivamente verteva in uno stato migliore di quella che le era stata assegnata.
-Nemmeno per tutto l’oro del mondo! Datela pure a questa sgualdrina!-, urlò puntando l’indice verso Gwen. -Lady Thompson sarà ben felice di essere a disposizione di quel delinquente-.
-Non osate insultarmi!-, rispose l’altra, piccata.
-L’ho forse fatto? Ho solo detto la verità, no?-, replicò Courtney con un sorrisetto bieco.
-Meritereste di marcire!-, gridò Gwen scagliandosi contro la rivale.
-E voi dovreste essere condannata per aver tradito la madrepatria Inghilterra!-.
Soltanto l’intervento di Sam e Light evitò che le due si accapigliassero; Heather, affacciata sulla soglia della propria porta, osservava la scena disgustata, ma allo stesso tempo divertita.
-Cercate di decidere una volta per tutte-, sentenziò Bloody Hatchet stanco di dover assistere ai capricci delle due nobili. -Io raggiungo Crouch-.
-My Lady, calmatevi, adesso!-, Sam e Light pregarono rispettivamente Courtney e Gwen, che alla fine si tranquillizzarono.
-Sappiate che non finisce qui!-, esclamò ancora Lady Bennet vedendo l’altra ritirarsi nella stanza appena mostrata. -E ricordate che gli errori fin qui commessi vi perseguiteranno finché la morte non strapperà via l’anima dalle vostre carni!-.
-Courtney, venite… Non è questo il modo di estorcerle informazioni-, disse Heather accogliendola nella fatiscente camera.
-Lasciatemi! Fatemi riprendere fiato solo per un attimo-.
La nobile premette una mano contro il petto e inspirò profondamente, tornando quasi serena.
-È tempo di agire, Heather. Distraete Sam: io scenderò per cercare di sapere cos’hanno da dirsi Crouch e quella sottospecie d’orso-, le bisbigliò in un orecchio passandole accanto.
-Ma…-.
-Fate come vi dico-, sussurrò ancora Courtney sopprimendo ogni possibile replica.
Le due donne si guardarono negli occhi: bastò questo per intendersi.
-Sam-, chiamò Heather affacciandosi nuovamente dalla porta e sbirciando nel corridoio, -potete venire qui?-.
-Ditemi-, accorse il mozzo.
-Il meccanismo della finestra deve essersi inceppato: non riesco ad aprire la vetrata. Ho provato anche insieme a Lady Bennet, ma non c’è stato nulla da fare…-.
-Sì-, rincarò Courtney, -nei nostri delicati muscoli non risiede tanta forza quanta ce n’è nei vostri-.
-Non preoccupatevi, signore: risolverò il problema in un baleno-.
-Grazie, siete davvero gentile-, dissero all’unisono le due ragazze.
-Andate-, articolò sottovoce Heather dando una gomitata alla padrona. -Di lui mi occuperò io-.
Con passo felpato Courtney uscì e percorse velocemente il corridoio, scendendo un gradino alla volta le ripide scale ricoperte di polvere. Aveva appena fatto metà strada quando, tendendo l’orecchio, sentì il vociare dei due uomini.
-… Pensavo che fosse già qui-, stava dicendo Duncan con tono deluso.
-Deve aver avuto dei problemi-.
-E se lo avessero fermato? Se fosse stato catturato?-.
-Crouch, non vi facevo tanto ansioso!-.
-E non lo sono, infatti. Ma stavolta è diverso…-.
-Siete preoccupato per…-.
-Sì. Voglio chiudere la faccenda una volta per tutte-.
-E dopo? Avete pensato a quali potrebbero essere le conseguenze?-.
-Sono pronto a correre qualsiasi rischio, Hatchet-.
-E i vostri uomini? Anche loro…-.
-Non avranno problemi. Potranno contare su un ottimo capitano-.
un pesante silenzio li avvolse. Pur sforzandosi di carpire qualcos’altro, Courtney poteva percepire soltanto degli sbuffi e il rumore dei respiri dei due a colloquio.
-Comunque sia, tra due giorni sarà qui-, sentì dire l’energumeno.
-Ne siete certo?-.
-Mi aveva anticipato che probabilmente sarebbe stato più difficile raggiungervi-.
-Quando lo avete visto l’ultima volta?-.
-Due mesi fa. Sapete, era venuto per il rum-.
-Non cambierà mai…-.
-Mi ha anche chiesto di voi-.
-E cosa gli avete detto?-.
-Nulla: non sapevo dove eravate-.
-Ben fatto-.
-Crouch, quanto a lungo vi fermerete?-.
-Giusto il tempo necessario per incontrarlo. Se rispetterà il termine che vi ha annunciato, ripartirò tra tre giorni esatti. Ah, per il prezzo delle due stanze…-.
-Vi costerà solo la vostra: non osate mai più portare in questa locanda un’oca simile a quella che avete catturato!-.
Courtney si sentì vivamente colpita ed udì la risata di Duncan.
-Dovete avere pazienza con quella donna: ha coraggio da vendere e una lingua molto, molto tagliente-.
“Che pensi davvero questo di me?”, si disse Lady Bennet stupendosi dell’improvviso accelerare del proprio cuore.
-Tagliente è dire poco-, assentì Hatchet. -È una piccola tigre. Eh, non vi accontentate mai di prede facili, eh?-.
-Mai-.
I due scoppiarono a ridere nello stesso momento, mentre Courtney cercava di allineare i nuovi pezzi in suo possesso.
-Torno di sopra ad avvertire i miei uomini-, spiegò il pirata allontanandosi.
-Fate come se foste a casa vostra-.
Lady Bennet sentì avvicinarsi sempre di più i passi di Duncan e con uno scatto raggiunse la cima delle scale, attraversando di corsa il corridoio e rifugiandosi nella propria stanza, dove Sam stava ancora armeggiando con la finestra.
-Accidenti, non vuole proprio aprirsi!-.
-Oh, non preoccupatevi. Possiamo anche rimanere con i vetri chiusi-, disse Heather raggiungendolo e prendendolo sottobraccio per condurlo fuori dalla camera.
-Ma volevo aiutarvi…-.
-Sarà per un’altra volta-, disse anche Courtney scambiando un’occhiata con la dama di compagnia, ansiosa di sapere quanto appreso dalla padrona.
-Light! Sam! Ho delle notizie da darvi!-.
La voce di Duncan risuonò nel corridoio e i due pirati si misero prontamente sull’attenti.
-Resteremo a Cuba per altri tre giorni, poi spiegheremo le vele verso le Bermude: ad attenderci ci saranno nuove ricchezze-.
Gli uomini sorrisero soddisfatti.
-Ed ora vi ordino di prestare attenzione alle tre prigioniere. Sarò di ritorno tra meno di due ore: devo avvisare tutti gli altri e dare precise disposizioni per il carico di provviste. Voi non allontanatevi da qui, sono stato chiaro?-.
I due pirati annuirono con un sonoro “Sì, capitano”.
-A più tardi, allora-.
Duncan se ne andò in fretta; un minuto dopo apparve nuovamente il locandiere.
-Allora, le vostre signorie hanno scelto in quale camera risiedere?-, chiese ampollosamente.
-Questa andrà benissimo-, rispose Heather al posto della padrona per evitare un nuovo dibattito.
-Bene. Buona permanenza-.
-Aspettate!-.
Courtney lo fermò prima che potesse scendere al piano inferiore.
-Come possiamo chiamarvi?-.
-Crouch vi ha già detto…-.
-“Bloody Hatchet” è davvero poco cortese-, disse stancamente la nobile. -Con quale altro nome siete conosciuto?-.
L’uomo ci pensò su e rispose semplicemente: -Rivolgetevi a me con “Chef”-.
-“Chef”?-, ripeté Courtney. -Che razza di appellativo è?-.
-Volevate una risposta, no? Beh, eccovela qui. E se non vi sta bene, tornate a chiamarmi Bloody Hatchet, come è giusto che sia-.
Stizzito, il locandiere se ne andò, lasciando le due ragazze al cospetto di Sam e Light.
-Direi di riposare-, suggerì Heather. -Il viaggio è stato davvero estenuante-.
-Sì, avete perfettamente ragione-, concordò Courtney capendo il segnale.
-A dopo, my Lady-, la salutò il mozzo.
Senza rispondere alla cortesia, la nobile richiuse in fretta la porta e fece girare nella toppa la chiave semi arrugginita , che stridette così forte da spaccarle i timpani.
-Ebbene?-, chiese Heather sedendo sul letto e guardando la padrona.
-Avevate ragione, Crouch nasconde qualcosa-.
-E…?-.
-Tra due giorni avremo la risposta-.

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Capitolo 37
*** Risveglio ***


37.     Risveglio

Acqua.
Acqua dappertutto.
Pioggia scrosciante e vento gli tormentavano il povero viso, mai stato tanto pallido e freddo.
O forse era così bollente da sembrargli di ghiaccio?
Intorno a lui le onde del mare gli lambivano la schiena, incurvata su una piccola lastra di legno che ancora lo teneva a galla; nell’oscurità degli abissi si nascondeva qualcosa. Qualcosa di grande e pericoloso.
“Gli squali no!”, pensò preoccupato. “Non ho la forza per issarmi su questa tavola…”.
Venne sfiorato. E nelle vene gli si gelò quel poco sangue caldo che continuava a tenere in funzione il cuore.
“È la fine! Mi divoreranno! E se non saranno gli squali, a completare l’opera penseranno i gabbiani”.
Ruotò gli occhi verso il cielo e vide uno stormo di uccelli volargli esattamente sopra la testa.
-Avvicinatevi pure-, ebbe la forza di dire. -Tra poco potrete iniziare a banchettare!-.
Quanto tempo era passato? Un giorno? Una settimana? Un mese intero?
Ne aveva perso completamente la concezione. L’unica cosa che sapeva era di trovarsi sperduto nel bel mezzo dell’Atlantico, solo e in balia delle cattive condizioni meteorologiche.
“Chissà dove saranno adesso… E se l’avesse uccisa? Se volesse del denaro per il riscatto?”.
Pianse. Si sentiva distrutto, sia fisicamente sia psicologicamente.
Aveva fallito la missione per cui era stato ingaggiato. L’equipaggio che lo aveva assistito era stato trucidato. Ed ora la giusta punizione era quella che lo stava affliggendo.
“È stata colpa mia… Merito di soffrire, merito di vivere soltanto per prolungare questo dolore! Vivere e implorare che la morte giunga al più presto: questo mi è rimasto”.
Pensò ai suoi cari che lo aspettavano a casa; pensò al suo perduto amore.
“Non ho più nulla”.
Altre lacrime gli solcarono le guance scavate e disidratate per la salsedine. Chiuse gli occhi e abbandonò la testa sulla lastra di legno per tentare di riposare.
Il buio anestetizzò i suoi sensi. Finalmente non percepiva più nulla, eccetto il rumore del mare, che lo cullava incessantemente cantando una malinconica ninna nanna. Poi dall’oscurità emersero due malefici occhi che lo fecero tremare dal terrore: una risata demoniaca riecheggiò nella mente del povero sventurato, tormentato da crudeli immagini e ricordi spaventosi.
-Non ti libererai di me!-, gridò la voce. -Ti perseguiterò finché non vedrò il tuo cadavere marcire sotto il sole o tra le fauci dei pesci!-.
-Ma perché non mi lasci in pace?!-, esclamò esausto il ragazzo. -No ti è bastato strapparmi via tutto ciò che avevo?-.
-Devi soffrire quanto io ho sofferto e vivere tanto a lungo per vedere trucidate tutte le persone che ami, a partire da…-.
-GWEN!-.
Spalancò gli occhi e si drizzò a sedere, madido di sudore. Il respiro ansante lo affaticava meno di quanto si sarebbe aspettato; si massaggiò delicatamente il petto all’altezza del cuore e pian piano si guardò attorno. Sentiva la testa girare furiosamente e temette di stare ancora sognando quando si rese conto di trovarsi in una ricca stanza arredata con armadio e specchiera.
-Ma dove…-.
-Oh, finalmente siete sveglio!-.
Il ragazzo si voltò troppo in fretta e una fitta lancinante gli attraversò da parte a parte il cranio.
-Ah!-, urlò per il dolore, stringendo gli occhi.
-Vi sentite ancora male? C’è qualcosa che puedo hacer para ayudarve?-.
-A… Acqua…-.
-Sì, sì! Agua, agua, agua!-.
L’ammalato ricadde nuovamente sul letto, febbricitante. Poco dopo schiuse lievemente le palpebre e trangugiò il bicchiere che gli veniva porto.
-La temperatura si è alzata un’otra vez! Dovrò ricorrere alle solite bende para hacerla scendere… Ann Maria, riempite aquel catino, presto!-.
-Sì, señora-.
Il ragazzo scrutò i volti delle due donne che gli si affrettavano intorno; c’era qualcosa di strano, in loro. Non parlavano la sua stessa lingua, non lo conoscevano, eppure si stavano occupando di lui come se al mondo non esistesse altro da fare.
-C-chi siete?-, chiese flebilmente.
-Que?-.
-Chi siete?-.
-Señor, no entiendo vuestras palabras. No hablo inglés. Dormite, ahora; yo seré aquí para assisterve-.
Sfinito e incompreso, il giovane richiuse gli occhi e cadde in un sonno profondo, con la speranza che stavolta potesse essere davvero ristoratore.




 
-Gwen! Gwen! Ditemi che siete sana e salva, vi prego… Almeno potrò morire sapendovi al sicuro-.
-Troppo tardi, razza di stupido. Hai lasciato che venisse catturata e torturata da dei folli: pagherai per aver disobbedito agli ordini che ti erano stati impartiti!-.
-Vi prego, Spencer, abbiate pietà! Cosa avrei potuto fare?-.
-Proteggerla! Ma sei stato troppo codardo e hai preferito salvare la tua dannata pellaccia di moribondo!-.
-Perdonatemi, Trent! E voi, Gwen, ascoltate le mie preghiere lì, dall’alto del cielo-.
-Sei solo un traditore…-.
-Clemenza!-.
-Un inutile incapace…-.
-GWEN!-.
Aprì gli occhi e scattò a sedere. Si sentiva decisamente meglio, ma gli incubi continuavano a perseguitarlo.
Si stropicciò gli occhi e esaminò attentamente la stanza in cui si trovava: dedusse di trovarsi nella villa di un qualche aristocratico a lui ignoto. Ma dove era situata quella casa? E come ci era arrivato?
“Non ricordo nulla di quanto accaduto”, pensò continuando a studiare ciò che lo circondava. “Ma quelli sono…”.
Senza provocare il minimo rumore, ma facendo una gran fatica, il ragazzo si alzò dal letto e si avvicinò alla grande finestra che si apriva alla sua destra. Sbirciò attraverso i vetri e finalmente si decise ad aprire: un vento caldo lo investì subito e per la prima volta dopo intere settimane si sentì rigenerato.
“Che posto è mai questo?”, si chiese passando ad ammirare i verdeggianti campi che si distendevano davanti ai suoi occhi.
-Habeis nueva agua, Ann Maria?-.
-Sì, señora. Puedo ayudarve?-.
-No hay bisogno, gracias… Ah! El señor se ha despertado!-.
Il giovane si voltò appena in tempo per vedere entrare nella stanza due giovani donne dalla carnagione scura e dal viso paffuto: una teneva tra le mani delle bende bianche di cotone, l’altra una brocca in coccio contenente acqua.
-Como estais? Podeis caminar?-.
La prima ragazza, alta e snella, aveva lunghi capelli di una particolare sfumatura violacea intrecciati ad un nastro di raso dello stesso colore. Un sorriso radioso le illuminava il viso, rischiarato anche dall’espressività delle profonde iride scure, ma amichevoli.
-Scusate, ma non riesco a capirvi-, provò a dire il giovane scandendo bene ogni singola parola.
-Que quereis? Agua?-.
La ragazza gli indicò la brocca che l’altra sorreggeva.
-No, vi ringrazio-, rispose lui ponendo le mani avanti e scuotendole leggermente.
-Bien. Quereis alguna cosa para comer?-.
Stavolta l’ammalato intuì cosa gli stesse chiedendo da un breve massaggio che l’interlocutrice si era fatta all’altezza dello stomaco e annuì vigorosamente.
-Perfecto! Ann Maria, preparate un poquito de sopa caliente-.
-Sì, señora-.
La seconda ragazza, che il giovane capì essere solo una serva, sparì all’esterno e li lasciò soli.
-Eh-, disse dopo un minuto di silenzio la padrona di casa, -mi nombre es Sierra-. Si indicò rivolgendo entrambe le mani al petto e ripeté una seconda volta: -Sierra-.
-Felice di fare la vostra conoscenza, miss. Io sono Cody-, rispose l’altro riproducendo lo stesso gesto.
-Cody-, sussurrò la nobile calcando bene le due singole che componevano il nome.
-Sì, esatto-, annuì il ragazzo. -È vostra questa villa?-, chiese puntando l’indice prima verso il soffitto, poi contro di lei.
Sierra annuì con un debole cenno del capo e il giovane intuì che ella avesse paura di aver capito male.
-Pero no soy sola; presto mi hermano será aquí-.
Pur non avendo compreso quell’ultima frase, Cody sorrise cortese e rimase a fissarla. I loro sguardi si incontrarono per una manciata di secondi e al ragazzo parve che le gote dell’altra fossero improvvisamente colorite.
-Señora, aquí está la sopa-, disse la serva rientrando nella stanza con un fumante piatto di minestra.
-Gracias, Ann Maria. Cody, sentadeve y comete, por favor-.
Sierra lo accompagnò al letto tenendolo sottobraccio, lo aiutò a coricarsi e gli sistemò bene le lenzuola fino al petto, poi prese il piatto dalle mani della serva e lo diede a Cody.
-Vi ringrazio-, disse il giovane chinando la testa.
-De nada. Ahora… Ann Maria, llamate Alejandro: él habla inglés y entenderà ese hombre-.
“Alejandro? Ho sentito bene?”.
Un brivido corse lungo la schiena del povero ragazzo, che non aveva ancora assaggiato la zuppa servitagli.
-Ve gusta, señor?-, domandò Sierra rimanendo in piedi accanto a lui e guardandolo intensamente.
Cody riempì il cucchiaio fino all’orlo e mandò giù il brodo caldo: sì, doveva ammettere che aveva un ottimo sapore.
-Ottimo-, disse sorridendole e massaggiandosi lievemente la pancia per farle capire quanto avesse gradito il pasto.
La ragazza rispose con un sorriso altrettanto entusiasta.
-Voy a ver donde está mi hermano. Comete todo, por favor-.
Sierra si congedò in fretta e abbandonò la stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Non si era mai sentita tanto felice come in quel momento.
“Sento di piacergli”, pensò contenta; gli occhi le brillarono per l’emozione. “Adesso devo solo scoprire cosa gli è accaduto… Ma non sarà difficile: Alejandro tradurrà ogni singola parola e finalmente saprò la verità”.

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Capitolo 38
*** Colloquio con il nemico ***


38.     Colloquio con il nemico

-Señor, l’ammalato se ha despertado. Donna Sierra chiede si vosotros podeis venir para traducir lo que él dice-.
Alejandro, rintanato nel suo studio a studiare vecchie carte, alzò svogliatamente lo sguardo all’apparire di Ann Maria; ma quando realizzò ciò che gli era appena stato comunicato, scattò in piedi e ordinò alla serva di fargli largo.
“È il momento di avere risposte”, pensò mentre percorreva l’ampio corridoio e raggiungeva la scalinata che lo avrebbe condotto al piano superiore. “Preparatevi all’interrogatorio, Sir Anderson”.
-Alejandro!-.
-Sierra, donde estas yendo?-, le chiese vedendola scendere.
-Venivo para escubrirte. Cody está un poquito meglio y ahora tú...-.
-Espera solo un secondo-, la interruppe il fratello. -Como conoces su nombre?-.
-Me lo ha dicho él-, spiegò sorridente. -Tiene un nombre magnifico…-.
L’aria sognante con cui aveva fornito la risposta non fece altro che preoccupare ancora di più Alejandro; egli, però, tentò di non badarci troppo e in fretta giunse alla camera dell’ospite.
-Mi raccomando-, disse Sierra con tono severo, -non hacergli troppe domande. Es ancora cansado y no quiero che gli torni la febbre-.
-Claro-.
Senza bussare, il padrone di casa spalancò la porta e immediatamente rivolse lo sguardo al letto, dove il povero Cody stava finendo di mangiare.
-Bien svegliato, Sir Anderson-.
Il ragazzo, che si era voltato di scatto all’aprirsi della porta, sgranò gli occhi, terrorizzati e decisamente sorpresi allo stesso tempo.
-Voi?-, riuscì ad articolare.
-Esattamente. Non siete feliz de vedermi?-,chiese biecamente Alejandro.
-Que pasa, hermano?-, domandò preoccupata Sierra non riuscendo a capire una singola parola di ciò che i due uomini si stavano dicendo. Ad allarmarla era stata soprattutto l’espressione devastata di Cody.
-No te preocupes-.
-Alejandro, quiero respuestas. Ahora!-.
-Silencio, maldicion!-, le urlò contro Don Burromuerto, riuscendo finalmente a zittirla.
-Quella donna… è…-.
-Mi hermana. Sì-, confermò il nobile spagnolo. -Y ahora, si non ve dispiace, avrei algunas preguntas da hacerve-.
-Prima ditemi come sono finito in casa vostra-, provò Cody ostentando un tono più autorevole.
-Este punto es secondario. Aquí teneis que seguir mi regolas, sapete?-.
Alejandro si avvicinò al letto dell’ammalato, prese una sedia e gli sedette a una certa distanza, tanto per accertarsi di non contrarre il virus della malaria che sicuramente ancora risiedeva nel corpo dell’ospite.
-Ve he visto scendere da una nave comunitaria, l’American Hope, che proveniva dall’Inghilterra. Come ci siete arrivato y cosa estavate haciendo a bordo?-.
Cody abbassò lo sguardo sul piatto di minestra ormai fredda e smosse il brodo rimasto con il cucchiaio: anche se avesse voluto mangiare dell’altro, l’appetito gli era svanito nel momento stesso della comparsa di Burromuerto.
-Allora? Avete perdido vuestra lingua?-, lo incalzò Alejandro, spazientito.
-Ho ricordi sbiaditi di quanto successo-, iniziò a spiegare Sir Anderson. -Ho completamente perso la concezione del tempo e non saprei dirvi esattamente ciò che…-.
-No quiero saber el dettaglio-, disse l’altro massaggiandosi le tempie. -Quiero conocer vuestra storia, por favor-.
Continuando a fissare il piatto, Cody inspirò profondamente e chiuse gli occhi, abbandonando la testa alla spalliera del letto: mille immagini diverse gli sfrecciarono davanti a gran velocità; i ricordi si susseguirono, dolorosi, a riaprire ferite non ancora rimarginate. E incominciò a raccontare.
-L’American Hope è stata la mia salvezza-, disse riaprendo le palpebre. -Se non avesse incrociato il mio cammino, a quest’ora non sarei qui a parlare con voi-.
-Por qué? Que pasò?-.
Sir Anderson si interruppe di nuovo. Sentiva che la voce gli si sarebbe spezzata da un momento all’altro.
-La vera nave su cui stavo viaggiando è stata attaccata e messa a ferro e fuoco da una banda di pirati. L’intero equipaggio è stato sterminato ed io sono l’unico superstite della catastrofe. A lungo sono rimasto in balia delle onde, aggrappato ad una tavola di legno che mi ha tenuto a galla abbastanza da essere recuperato dal grande vascello comunitario; ma ora vi prego, ditemi come mai sono vostro ospite-.
-Non me habeis dicho todavía lo que estavate haciendo su vuestra nave-, lo fermò Alejandro.
-Non sono affari che vi riguardano-, ci tenne a precisare Cody.
-Bien. Quindi estavate trabajando por vuestro amigo Spencer, eh?-.
-Dalla mia bocca non uscirà una parola al riguardo!-.
I due si squadrarono, innervositi. Nessuno aveva intenzione di cedere di fronte all’ostilità dell’altro.
-Claro. Esto ve fa onore, Sir Anderson. Me son siempre gustati los hombres que preferiscono morire, piuttosto che confessare-.
Alejandro si alzò lentamente in piedi e gli diede le spalle, voltandosi verso la sorella.
-Sierra, puedes salir da esta camera?-.
-Hermano, que ha dicho él? Y que está pasando?-, chiese spaventata.
-Nada de importante. Ahora sali. Via!-.
-No! Quedaré aquí por todo el tiempo necesario-.
-Sierra, por favor: escuchame-.
-Alejandro, yo quedaré aquí con Cody, claro? No me fido di te-.
-Bien, bien! Resta, allora; ma te diré que quiero matar ese hombre, porque es mi nemico-.
-Que estas diciendo?!-, esclamò la ragazza sbarrando gli occhi.
-Has entendido-, confermò lui. -Es Sir Cody Anderson, uno de los mejores compañeros de Lord Trent Spencer-.
La ragazza era sconvolta: si portò le mani alla bocca e fissò l’ammalato da sopra la spalla di Alejandro, che aveva un mezzo sorriso soddisfatto stampato sulle labbra.
“Vediamo se riesco a convincerla che quest’uomo rappresenta una rovina per noi tutti”, pensò rimanendo in silenzio.
-Es la verdad?-.
-Sì, hermana. Lo que he dicho no es falso-.
-Y vosotros, Cody? Sois nuestro nemico de verdad?-.
Il ragazzo, immobile nel letto che gli era stato dato, guardò la ragazza e sentì come una fitta trapassargli il petto: poco a poco gli occhi di Sierra si stavano riempiendo di lacrime.
-Burromuerto, cosa le avete detto per sconvolgerla in questo modo?-, chiese rivolgendosi al nobile che ancora gli dava le spalle.
-Le he dicho la verità. Le he dicho che vosotros sois mi nemico. Anzi, ella stessa ve ha appena rivolto esta domanda-.
Cody, terribilmente rattristato per aver provocato sofferenza alla ragazza che si era presa tanta cura di lui, dimostrando gentilezza a non finire, annuì debolmente con la testa. A quel cenno, Sierra non resistette e scappò via dalla stanza, piangente.
-Vi siete appena ripreso y habeis già spezzato el corazòn de mi povera hermana-, gli disse Alejandro con tono mellifluo. -Beh, soy sicuro che presto si riprenderà. Quanto a voi…-.
Il padrone di casa prese una pausa e si avvicinò nuovamente al giovane interlocutore: -Espereré solo che recuperiate le forze. Poi andremo a hacer una visitina al vostro caro amigo Spencer: creo proprio che sarà muy, muy feliz de rivederve dopo così tanto tiempo-.
La malvagia risata di Don Burromuerto risuonò tra le quattro pareti della stanza, facendo sobbalzare lo sventurato Cody.
-Guarite presto, mi raccomando-.
Alejandro uscì pian piano dalla stanza, senza staccare gli occhi da Sir Anderson. Non appena il giovane fu certo che il nemico si fosse allontanato, batté furiosamente i pugni sulle lenzuola, maledicendosi per tutti i guai che aveva causato.
“Trent mi ucciderà quando saprà cosa è accaduto a Gwen. E se non lo farà lui, sarà Burromuerto a togliermi di mezzo!”.
Non sapeva cosa fare; non aveva idea di quello che gli sarebbe potuto accadere da quel momento in poi.
“E adesso ci mancava anche far soffrire quella poveretta”, pensò rabbuiandosi ulteriormente alludendo a Sierra. “Bel ringraziamento per tutto il bene che mi ha fatto!”.
I sensi di colpa lo divoravano, senza lasciargli scampo. Alla fine, stremato, agitato e preoccupato, chiuse gli occhi e si rifugiò nel mondo dei sogni, pregando di trovare un po’ di pace.

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Capitolo 39
*** Insperata soluzione ***


39. Insperata soluzione

-Nemico! Nemico!-.
-Señora, calmatevi, ahora...-.
-No, Ann Maria! Como puedo estar tranquila dopo lo que ha dicho Alejandro? Non habeis escuchado?-.
-Sì, padrona, ma...-.
-Esta es realmente la verdad? Posible que mi hermano abbia ospitato en esta casa una persona que odia?-.
-Ricordate que Sir Anderson estava muy mal-.
-Esatto! Y allora por qué lo ha portato aquí? Con quali intenzioni?-.
-No lo sé, señora. Però esto no es el momiento para pensar; quereis hacer una passeggiata en giardino? Magari ve ayudarà a rilassarve-.
-Sì, gracias. Splendida idea-.
Ancora sconvolta per quanto appreso, Sierra non riusciva a darsi pace. Più rifletteva, più non riusciva a capacitarsi delle azioni commesse dal fratello; e, cosa che la infastidiva ulteriormente, si odiava per aver prestato aiuto e aver speso tanta cura per uno sconosciuto che in realtà altro non era che rivale della sua famiglia.
-Soy stata così cieca! Avrei dovuto entender que qualcosa non quadrava. Non si è mai sentito de un nobile que hace riparare en la propria villa un povero disgraziato recuperato al puerto… Ma Alejandro avrebbe potuto decirme todo fin da subito: por qué non lo ha fatto?-.
-Avrà avuto sus buenas razones-, disse Ann Maria accompagnandola all’esterno.
La luce del sole le investì oscurando per un attimo la loro vista; non appena si furono abituate ripresero a camminare.
-Sapete una cosa? Devo hablar con entrambi-, disse risoluta Sierra dopo una manciata di minuti trascorsi nel più completo silenzio.
-Por saber que?-.
-Innanzitutto no creo que mi hermano mi abbia dicho todo lo que sa: me está nascondendo qualcosa y devo escubrir que-.
-Bien. Y después?-.
-Hablaré con Cody-.
Ann Maria si bloccò sul posto e squadrò la padrona senza capire.
-Señora, vosotros no entendeis el ingles. Como potrete comunicar?-.
-Giusta osservazione. Es por esto que estoy piensando-.
Le due continuarono a passeggiare lentamente, facendo poco a poco il giro del vasto e rigoglioso giardino. Si fermarono presso bassi cespugli ricoperti di profumati fiori bianchi e poi si recarono in veranda, cercando riparo dal sole cocente.
-Avrei dovuto prendere el parasole para haber un poquito de ombra…-, disse Ann Maria a denti stretti pentendosi di essere uscita di casa in fretta.
-Si avessi un’otra persona… Todo sarebbe más facil. Ma donde puedo escubrir alguno de cui poderme fidare?-.
-Como habeis dicho?-.
-Alejandro habla ingles, no?-, chiese Sierra guardando dritto negli occhi la serva sedutale accanto.
-Sì, claro-, annuì l’altra.
-Bien. Él es l’unico que puede comprender lo que Cody dice; ma si nosotros conoscessimo altri en grado de poder hacer la misma cosa, finalmente avrei l’oportunidad de saber lo que él ha pasado-.
-Teneis razon, señora. Ma está comunque el problema-.
-Già-, sentenziò sconsolata la nobile abbassando lo sguardo. -Nunca escubriré alguno. Y non avrò las respuestas que quiero-.
Le due ragazze rimasero in silenzio a lungo, senza sapere come risolvere la situazione. Finalmente lontane dai raggi del sole, si abbandonarono ai propri pensieri, indecise sul da farsi.
-Señora, tengo que ir in cucina para dar disposizioni per la cena. Que desidereste comer?-, chiese la serva dopo una manciata di minuti trascorsi in assoluto silenzio.
-No lo sé… Mi fido di te, Ann Maria. Fortunatamente esta casa tiene ancora ottimi cuochi-, le sorrise stancamente Sierra.
-Allora, puedo ir?-.
-Sì, claro. A dopo-.
-Con permesso, señora-.
La giovane domestica rientrò nella villa, godendosi il refrigerio rispetto alla temperatura esterna. Percorse due lunghi corridoi e dopo aver svoltato un paio di volte a destra e sinistra raggiunse l’ampia cucina, situata nell’angolo opposto dell’immensa residenza.
-Eres aquí. Credevo che fossi scomparsa-, la accolse gioviale un alto e robusto ragazzo dalla carnagione scura.
-Ah, simpatico… Estavo con Donna Sierra-.
-Como está el poveretto ospitato dal padrone? Tiene ancora la febbre?-.
-Un poquito, però ahora está muy meglio. Ah, sabes una cosa que he escubierto?-.
-No, dime todo-, la incoraggiò quello incuriosito.
-El hombre que Don Alejandro ha recuperato al puerto… es un nemico. Es un compañero del capo de los Ingleses-.
-Es la verdad?-, chiese il ragazzo con occhi scintillanti per la sorpresa.
-Sì. Avresti dovuto ver Donna Sierra quando l’ha saputo. Fue uno shock, por ella. Y en este momento está fuera, cercando di elaborare un piano para hablar direttamente con Cody Anderson-.
-Quien es él?-, domandò confuso l’altro.
-Ah, sì. Esto es el nombre de aquel hombre. Entiendes?-.
-Claro, claro. Però por qué la padrona quiere hablar con él? No puede preguntar a Don Alejandro di tradurre lo que él dice?-.
-Purtroppo esto es el problema-, spiegò Ann Maria con aria preoccupata. -La padrona piensa que su hermano le abbia nascosto qualche particolare della vicenda personale del malcapitato. Sarebbe feliz se trovasse alguno que habla Español y Ingles. Ma es un’impresa praticamente imposible y Donna Sierra es triste como non mai-.
-Mi dispiace mucho. Deve ser affezionata a… Como has dicho que se llama?-.
-Sir Cody Anderson-.
-Giusto. Se conoscessi alguna persona che facesse al caso suo, la porterei subito aquí, però…-.
-Devon, no te preocupes. El problema si risolverà, prima o poi. Ahora prepariamo la cena. Dunque, que quieres hacer?-.
I due cuochi distolsero l’attenzione dalle afflizioni dei padroni di casa e si concentrarono sugli ingredienti recuperati dalla ben rifornita dispensa. Nonostante fossero gli inizi di settembre, avevano ancora a disposizione buona verdura di stagione con cui insaporire l’altrimenti scialba insalata appena innaffiata con aceto e sale; inoltre, proprio quella mattina alcune cameriere avevano comprato al mercato del villaggio più vicino una bella partita di carne sgrassata che ben presto sarebbe diventata il piatto forte della serata.
-Sarà meglio riscaldare un poquito de sopa per l’ammalato-, disse ad alta voce Ann Maria circa due ore più tardi. Ormai il banchetto per i Burromuerto poteva dirsi pronto e a mancare all’appello era solo il pasto dell’ospite rintanato nel primo piano della villa.
-Porta a tavola estos platos-, le suggerì Devon indicando la succulenta carne di manzo e il contorno di verdure. -Alla sopa pienso yo-.
Ann Maria obbedì prontamente e uscì dalla cucina tenendo in equilibrio un ricco vassoio di prelibatezze; il ragazzo invece rimase davanti ai fornelli, aspettando che il cibo per Cody fosse pronto.
“Que storia strana”, pensò contemplando la piccola pentola sul fuoco. “Se Don Alejandro non quiere hablar con su hermana, probabilmente está nascondendo qualcosa. Chissà que tiene in mente… Mah, es imposible saperlo. Forse toda la faccenda ha a che fare con i piani del padrone… Meglio restarne fuori. Però…”.
Il pensiero corse immediatamente alla descrizione di Sierra fornita poche ore prima da Ann Maria. Nonostante il cuoco non avesse mai nutrito una particolare simpatia per Donna Burromuerto, era costretto ad ammettere a se stesso che se in quella casa non ci fosse stata lei, probabilmente avrebbe continuato a fare la fame fino alla fine dei propri giorni. Il giovane Devon non aveva affatto dimenticato la vita vissuta prima di entrare a servizio presso la rinomata famiglia spagnola e ogni volta che rifletteva sulle circostanze in cui era entrato in contatto con i suoi attuali padroni un brivido gli correva lungo la schiena.
“Como puedo ayudarla?”, rifletté ancora, massaggiandosi delicatamente le tempie. “Se riuscissi a escubrir una soluzione, todo sarebbe más facil…”.
Tolse la pentola dal fuoco e rovesciò il denso contenuto giallastro all’interno di un piatto fondo, poi aggiunse un pizzico di sale e un filo d’olio.
“Deve esserci un modo para…”.
Di colpo s’interruppe, fulminato da un’intuizione tanto sciocca quanto efficace.
-Como he fatto a non pensarci prima?-, esclamò battendosi la fronte con il palmo della mano destra.
-Di que estás hablando?-, domandò Ann Maria rientrando nella stanza e avvicinandosi al tavolo posto al centro per prendere altre portate da servire.
-He risolto el problema della padrona-, disse Devon in preda all’eccitazione. -So como comunicar con Sir Anderson-.
-Di’, di’!-, lo incalzò la domestica.
-Ti ho mai raccontato di quando ero un niño?-.
Il sorriso sulle labbra di Ann Maria svanì rapidamente, sostituito da una smorfia di insofferenza.
-Non credo che esto sia el momiento para…-.
-Lasciami spiegare-, la bloccò immediatamente il ragazzo. -Yo non sono nato aquí, en Florida. Sono arrivato a S. Augustín insieme a mia madre quando avevo appena cinco años, ma soy originario de un otro País-.
Si fermò per un istante ed osservò l’espressione della ragazza che aveva di fronte, ancora incapace di capire dove egli volesse arrivare iniziando quel discorso.
-Soy giamaicano. Entiendes lo que vuol dire?-.
Ann Maria scosse la testa, perplessa.
-Significa que puedo hablar inglés con l’ospite di Don Alejandro y tradurre ogni palabra en español!-, disse entusiasta scuotendo per le braccia la domestica basita.
-Tu… Es la verdad?-, chiese la ragazza guardandolo ancora con sospetto.
-Sì! Por qué dovrei mentirti? Informa Donna Sierra y dille di elaborare un piano: il padrone non dovrà accorgersi de lo que estamos haciendo-.
Ann Maria rimase immobile e fissò per un’ulteriore manciata di istanti il viso del cuoco.
-Eres seguro que entiendes el inglés?-.
-Sì. Non tiengo muchos recuerdos de mi vida in Giamaica, ma puedo hablar tranquillamente con Sir Anderson. Quiero ayudar Donna Sierra: se hoy soy aquí, il merito è suo-.
I due ragazzi si scrutarono per qualche secondo ancora, prima di decidere di interrompere definitivamente la conversazione. Ormai erano consapevoli che da quel momento in poi, a seconda delle loro decisioni, il corso degli eventi sarebbe completamente cambiato.

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Capitolo 40
*** Verità svelate ***


40. Verità svelate

Ce l’aveva fatta.
Finalmente aveva parlato con Cody.
Mai il suo cuore era stato tanto leggero, mai si era sentita così in pace con il resto del mondo.
Aveva ricevuto tutte le risposte che cercava, riuscendo perfino a beffare il fratello.
-Que storia affascinante! Avrei voluto assistere a ogni episodio da vos vissuto. Como sarebbe stato eccitante viaggiare per mare al vuestro fianco! Credete que in futuro sarà posible continuare a frequentarci?-.
Osservò il ragazzo, sperando in una sua risposta positiva. Lo vide muovere pian piano le labbra, pronto a fornire il proprio responso.
-Sierra, io…-.
La nobildonna si sentì strattonare per un braccio da un’entità invisibile.
-No, lasciatemi! Soy Donna Burromuerto y non vi permetto di…-.
-Señora, svegliatevi. Il sole è sorto da muchas horas y es tiempo di entrare en azione-.
La voce di Ann Maria le giunse calda, ma lontana. Percepì chiaramente che di lì a poco l’immagine di Cody sarebbe scomparsa, tornando a nascondersi nel mondo dei sogni.
-Ah-, sbadigliò Sierra schiudendo le palpebre e stiracchiandosi lievemente sotto le lenzuola di lino, -siete voi. Avete interrotto un sueño meraviglioso…-.
-Lo avevo intuito-, rispose con un sorriso la serva. -Bisbigliavate nel sonno; avreste dovuto ver que espressione estaba sul vuestro viso-.
La nobile avvampò, temendo di aver detto qualcosa di compromettente senza accorgersene, ma si diede subito un contegno; si raschiò per un attimo la gola e tornò a parlare: -Donde está Alejandro?-.
-El padrone è uscito poco fa. Ha dicho que…-.
-Doveva incontrare Lord Johnson, sì-, finì per lei Sierra. -Me lo aveva detto ieri sera, durante la cena. Somos sole en casa, vero?-.
-Claro. Estamos nosostros, il cuoco y las otras siervas. Quando sarete pronta potremo hablar con Sir Anderson-.
Sierra si stropicciò gli occhi, mettendosi a sedere sul letto e ripensando alla sera precedente, quando al termine del pasto Ann Maria le si era avvicinata riferendole la soluzione proposta dal cuoco.
-Non avrei mai creduto di poder ottenere così presto le informazione que desidero-, rifletté ad alta voce.
-Invece esta es la realtà. Non sois feliz?-, le chiese la domestica aiutandola ad alzarsi e a togliersi la leggiadra vestaglia bianca che indossava.
-Sì. Ma non riesco ancora a realizar que…-.
-Non temete. Que quereis para desayunar?-.
-Latte y avena, por favor. Aspettatemi pure in veranda, tra poco lascerò la stanza-.
-Como desiderate, señora-.
Ann Maria la lasciò sola e corse giù per le scale, fiondandosi in cucina.
-Allora? Que piensa la padrona?-, domandò immediatamente Devon vedendola entrare con il fiatone.
-Credo proprio che ti sarà debitrice-, gli rispose la ragazza strizzando l’occhio. -Quando sono entrata nella sua camera, estaba hablando nel sonno-.
-Oh, deve ser muy agitata-, notò con piacere il cuoco. -Soy fiero di poterla ayudar-.
-Claro. Ma ahora dammi del latte; c’è ancora un poquito de avena?-.
-Sì. Aquí tienes-.
-Gracias. Voy a la veranda; appena Donna Burromuerto avrà finito di comer, tornerò a chiamarti-.
-Bien. Ti aspetto-.
La serva prese un vassoio e vi dispose tutto l’occorrente per una nutriente colazione, poi uscì dalla cucina e percorse i due soliti corridoi che l’avrebbero condotta all’esterno della villa.
-Non c’è nada di meglio que empezar la giornata con un buon pasto-, l’accolse gioiosamente Sierra, che aveva già preso posto a tavola sedendo sulla poltrona preferita del fratello.
Ann Maria poggiò il cibo e rimase ad osservare la nobile allontanandosi di soli due passi. Attorno alle due donne non c’era altro che il silenzio, interrotto da un qualche sporadico canto di uccelli; la pace regnava sovrana e sembrava quasi che il tempo si fosse fermato.
-Todo perfecto como siempre-, affermò con convinzione Sierra posando la propria tazza di ceramica sul vassoio.
-Señora, volete andare da Sir Cody subito?-.
-Ancora no-.
Ann Maria si stupì della risposta appena ricevuta.
-Ma credevo que…-.
-Chiamatemi il cuoco, por favor. Devo scambiare algunas palabras con lui, prima-.
Senza aggiungere nulla, la serva si congedò e raggiunse nuovamente la cucina.
-Es hora de ir?-, chiese Devon alzandosi immediatamente dalla sedia su cui aveva deciso di riposare per cinque minuti.
-Quasi-.
-Que quieres decir?-.
-La padrona ha chiesto di te. Raggiungila in veranda: credo che debba domandarti qualcosa-.
Sorpreso per quell’improvvisa decisione di Sierra, il cuoco fissò preoccupato Ann Maria e finalmente si decise ad abbandonare la stanza.
“Chissà cosa avrà pensato”, si domandò svoltando a destra e intravedendo già la luce proveniente dall’esterno. “Speriamo que non accada nada de male…”.
-Mi avete fatto chiamare, señora?-, chiese il giovane uscendo dalla villa e avvicinandosi alla nobile con un inchino di riverenza.
-Sì. Tiengo il bisogno di hablarve-, disse quella con tono serio.
-Que quereis saber?-.
-Potete raccontarmi qualcosa della vuestra vida prima di incontrare noi Burromuerto?-.
-Probabilmente la cosa non avrà alcun interesse por…-.
-Se vi ho chiesto di narrare, significa che tiene importanza-, replicò imperiosa Sierra. -O preferite que vi cavi las palabras di bocca?-.
-No, no. Soy pronto ad obbedire a los ordenes-.
-Allora fatelo, que estais aspettando?-.
Il cuoco abbassò lo sguardo, fissandosi intensamente la punta dei sandali malandati. Chiuse gli occhi e sospirò, indeciso su come iniziare l’intero discorso.
-Sarà meglio partire dal principio, dal mio nombre. Vosostros mi conoscete solo como Devon, ma in realtà esto è seguito da Joseph: mia madre decise di chiamarmi così in onore di mio nonno. Soy nato en un pequeño villaggio della Giamaica y lì ho imparato a hablar ingles. A cinco años sono arrivato en Florida insieme ai miei genitori, que speravano di poder escubrir buone possibilità lavorative. Le uniche cose que hanno avuto sono state miseria y malattia: il primo ad andarsene fue mio padre, poi fue il turno di mia madre. A catorce años ero rimasto da solo, sopravvissuto ad un inferno soltanto para viverne un otro. Ho sofferto la fame, porqué nessuno accettava di offrirmi un’occupazione; ho chiesto l’elemosina y ho rubato para tentar di sopravvivere. Ma un día en mi vida è entrata la famiglia Burromuerto: ricordo todo como se fosse ayer. Don Alejandro non aveva alguna intenzione di prendermi a servizio, ma vostros avete insistito tanto da convincerlo. Señora, vi devo ogni cosa. Forse ahora non sarei stato ancora vivo, se non mi aveste tratto en salvo-.
Aveva pronunciato quelle parole come un fiume in piena, desideroso di liberarsi del peso che si portava dentro da almeno sette anni. Non ebbe il coraggio di guardare la padrona negli occhi; preferì rimanere in silenzio, aspettando che fosse la nobile a dire qualcosa.
-Dunque esta es vuestra storia…-.
Devon annuì con un debole cenno del capo.
-Avreste dovuto raccontarla prima, sapete? Probabilmente avremmo avuto maggior riguardo por…-.
-No, no es necessario. Vi ringrazio profondamente por todo lo que habeis hecho por me, ma ahora es el momiento que yo ricambi el favor-. Si interruppe di nuovo e lasciò vagare lo sguardo dalla padrona al giardino che si stendeva davanti ai suoi occhi, poi proseguì: -Lasciatemi hablar con Sir Cody. Sarò onorato di poderve ver feliz-.
L’espressione di Sierra si addolcì ed ella non poté fare a meno di sorridere in direzione del cuoco.
-Bien; soy entusiasta di haber un amigo como vos. Vamos-.
 



Ann Maria era in attesa ai piedi dell’imponente scalinata marmorea. Teneva tra le mani un altro vassoio contenente stavolta uova, bacon e una spremuta di arance: quella sarebbe stata la colazione dell’ospite tanto caro alla padrona. Era stato Devon a suggerirle di preparare quell’abbondante pasto, non solo perché Sir Cody aveva bisogno di rimettersi in forze, ma anche perché quel tipo di cibarie apparteneva di diritto alla tradizione anglosassone.
-Eccovi, allora-, la chiamò Sierra vedendola pronta a salire al piano superiore. -Estais aspettando da molto tiempo?-.
-No, señora. Ho appena finito di preparare el necessario por Sir Anderson-.
-Ottimo. Seguitemi, forza-.
Donna Burromuerto si avviò lungo le scale con passo spedito, precedendo il cuoco e la povera domestica, che, arrancando, raggiunse il pianerottolo con il fiatone.
-Datemi il vassoio, presto-, comandò sbrigativa Sierra strappando dalle mani di Ann Maria l’occorrente.
-Ma non quereis que…?-.
-Sarò yo a servire el desayuno, claro? Y ahora bussate: dovrebbe ser sveglio, ormai, ma quiero ser comunque certa-.
Scambiando un’occhiata sospetta con Devon, la serva batté le nocche contro la porta e attese una risposta dall’interno.
-Avanti-.
“Sì! È sveglio, è sveglio!”, pensò entusiasta Sierra, immaginando di avere gli occhi brillanti per l’emozione.
-Aprite Ann Maria, muovetevi!-.
La domestica obbedì di nuovo, sospirando impercettibilmente e strappando un sorriso divertito a Devon; la padrona, intanto, mise piede nella stanza, cercando immediatamente l’ospite con lo sguardo.
-Es hora de comer!-, esclamò entusiasta vedendolo già seduto sul letto.
Gli si avvicinò pian piano, sorreggendo il vassoio e posandolo sul grembo del ragazzo.
-Grazie-, mormorò Cody guardandola dritta negli occhi e stupendosi di non rintracciarvi nessun’ombra di rancore.
-Ve gusta, señor?-, domandò Sierra con un sorriso smagliante.
Sir Anderson non rispose, preso com’era dal divorare tutto quel ben di Dio. Erano settimane che non mangiava così bene e, per quanto la colazione si basasse su semplici uova, trovò il tutto semplicemente gustoso.
-Complimenti al cuoco!-, sbuffò sazio il ragazzo una volta inghiottito anche l’ultimo boccone. -Mai assaggiato del bacon così buono-.
-Voi mi lusingate, signore-.
Cody si voltò di scatto, sgranando gli occhi.
-Chi ha parlato?-.
-Oh, perdonatemi. Mi chiamo Devon Joseph e… sono il cuoco a cui avete fatto riferimento-, spiegò brevemente il ragazzo muovendo qualche passo verso il letto.
-Voi… Parlate inglese?-, domandò sorpreso l’ospite.
-Sì. Sono giamaicano e conosco la vostra lingua fin da quando ero bambino-.
-Ma è fantastico! Finalmente potrò parlare con qualcuno che mi comprende!-.
-Devon, que pasa?-.
-Señora, he dicho a él que puedo hablar ingles-.
-Bien! Podeis decir que quiero comunicar para conocer su storia?-.
-Esperais un momiento, por favor…-.
-Cosa ha detto Lady Burromuerto?-, chiese perplesso Cody spostando lo sguardo dalla ragazza al cuoco.
-Desidera che voi le raccontiate cosa vi è successo prima di arrivare qui-.
-Ma… Non è adirata con me per quello che ieri le ha detto Don Alejandro?-.
Devon tradusse a Sierra la domanda ed ella si affrettò a rispondere con tono concitato, battendosi ripetutamente il petto all’altezza del cuore.
-La padrona dice che si è trattato di un malinteso. L’unica persona che biasima è suo fratello, che le ha nascosto la verità fin dall’inizio-.
-Ma lui dov’è, adesso?-.
-È uscito poco più di un’ora fa. Non sarà di ritorno prima di pranzo, comunque. Potete star tranquillo che non interromperà la conversazione tra voi e Donna Sierra-.
 Cody annuì con un cenno della testa e concentrò la propria attenzione sulla ragazza che aveva di fronte.
-Dunque posso cominciare a raccontare tutto?-.
-Certamente-.
-Mi giurate che questa trovata non si tratti invece di un piano elaborato da Don Alejandro per ottenere maggiori informazioni da me?-.
-No, signore. E per dimostrarvi la mia onestà, vi chiedo di specificare se ci sono particolari che volete tenere nascosti alla mia padrona. Mi limiterò a non tradurre tutto ciò che potrebbe essere “compromettente”-, propose Devon senza pensarci un istante.
-Bene, allora. Desidero fidarmi di voi-.
Cody inspirò profondamente e rimase in attesa per una manciata di secondi, deciso a narrare ogni cosa.
-Sono il più fidato collaboratore di Lord Trent Spencer, proprietario di un vasto appezzamento terriero in Georgia e principale rivale di Don Burromuerto. Lo scorso aprile sono stato inviato in Inghilterra per concludere una trattativa d’affari e portare in America una nobildonna conosciuta dal mio amico. Il viaggio è durato più a lungo del previsto a causa di un maltempo che non ci ha concesso un giorno di tregua; ormai prossimi alle Isole Bermude, il nostro vascello è stato messo a ferro e fuoco da una banda di pirati, che hanno rapito la ragazza sotto la mia protezione e ucciso l’intero equipaggio. Solo per miracolo sono riuscito a sopravvivere; per giorni sono stato trascinato via dalle onde, aggrappato ad un’asse di legno, unico frammento rimasto della nave su cui viaggiavamo. La provvidenza ha fatto sì che venissi recuperato da un’imbarcazione comunitaria proveniente ancora una volta dall’Inghilterra; sono stato sottoposto a continue cure, ma le condizioni igieniche non erano delle migliori. Ho contratto la malaria e sono rimasto in quarantena fino alla fine della traversata, quando la nave è attraccata al vostro porto. Non ricordo nulla di quello che è successo in seguito, se non il fatto di essermi risvegliato in questo letto e aver scoperto che a portarmi qui era stato Don Alejandro-.
Devon tradusse in fretta ogni parola del ragazzo e Cody ebbe la possibilità di vedere le diverse espressioni che poco alla volta si susseguivano sul volto di Sierra.
-È tutto?-, domandò il cuoco.
-Già. Perdonate la mancanza di descrizioni più dettagliate, ma come vi ho detto i miei ricordi non sono poi così chiari-.
-Señora, él no tiene otras informaciones. Ha dicho todo lo que…-.
-Devon, tiengo una pregunta por él-.
Sir Anderson attese che i due finissero di parlare prima di chiedere che cosa la ragazza avesse domandato.
-La padrona vorrebbe sapere chi è Gwen-.
Cody s’irrigidì tutto d’un tratto e sentì il sangue raggelarglisi nelle vene.
-Come fa a conoscere questo nome?-, disse, spalancando gli occhi.
-Dice che durante il vostro lungo sonno lo avete esclamato più volte-, spiegò Devon. -E ogni volta che lo avete fatto, vi siete svegliato da un brutto incubo-.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli più di quanto non lo fossero già: -È la nobile di cui vi ho parlato poco fa. La ragazza fatta prigioniera da quel branco di assassini!-.
Strinse il pugno destro e si morse il labbro superiore come a trattenere un urlo dovuto all’ira.
-Era una persona importante per voi?-.
Cody alzò lo sguardo sul cuoco e rispose un mesto “Sì”.
-Siete innamorato di questa donna?-.
Sir Anderson si prese un minuto prima di dare una conferma o una smentita, chiedendosi dove Sierra Burromuerto volesse arrivare rivolgendogli quelle ultime domande.
-Mi è molto cara. Al solo pensiero di saperla in balia di quegli esseri immondi, percepisco una pugnalata qui, in pieno petto-.
Si passò con leggerezza una mano all’altezza del cuore e con la coda dell’occhio cercò di cogliere la reazione della nobile spagnola.
Un velo di tristezza le si posò sul volto, andandolo ad oscurare. La scintilla che fino a pochi istanti prima le aveva illuminato le pupille si spense pian piano, portata via dalle parole tradotte che Devon le aveva appena rivolto.
-Siete a conoscenza del nome del suo rapitore?-.
-Io… Sì, mi sembra che fosse… Mi pare di averlo riconosciuto, ma non sono perfettamente convinto. C’era un forte vento, il giorno in cui siamo stati assaliti, e la pioggia batteva incessantemente. Il mugghiare delle onde rendeva l’atmosfera ancor più spettrale e… Ho ancora negli occhi le immagini di quegli orribili momenti. Vedere Gwen trascinata via di peso, contro la sua volontà…-.
La voce gli si spezzò in gola, rotta dall’irresistibile impulso di sfogarsi in un pianto liberatorio.
-Sapreste almeno descrivere il suo aspetto?-.
-Oh, sì. Nella vita ci sono momenti e persone che non si riescono a dimenticare tanto facilmente… Ma non ce ne sarà bisogno. Se davvero le apparenze non mi hanno ingannato, posso affermare che il maledetto sia il pluriricercato pirata Crouch, sulla cui testa è posto l’ammontare di ben centomila sterline-.
-Un gruzzoletto che farebbe gola a chiunque, vero, Sir Anderson?-.
Tutte le persone all’interno della stanza volsero l’attenzione sulla persona che aveva interrotto il nobile e, con somma sorpresa, si ritrovarono a fissare Don Alejandro, tornato a casa in anticipo e accompagnato da Lord Johnson, suo devoto e fedele sgherro.
-Hermano!-, esclamò Sierra con gli occhi sbarrati. -Que estas haciendo aquí?-.
-Oh, me gusta esta pregunta-, ghignò l’altro perfidamente. -Querería haber la misma informacion da te-.
-Ma guarda chi si vede-, disse con una punta di malcelata ironia Noah. -Vi porgo i miei saluti, Sir Cody. Don Alejandro mi ha raccontato delle vostre… Come chiamarle? Peripezie in mare…-.
-Cosa volete, Johnson? Perché vi trovate qui?-, domandò Cody accigliandosi.
-Ma come? Sono venuto a fare una visita all’ammalato e mi riservate questo trattamento? Uhm, sempre scortesi, voi Inglesi-.
-Non osate parlarmi di scortesia! Non dopo aver ripudiato la madre patria pur di godere dei benefici che quest’uomo vi ha promesso!-, sbottò adirato Cody indicando Don Alejandro con la punta dell’indice.
-Questi non sono affari che vi riguardano-, rispose piccato Noah. -Non ho nulla da spartire con voi usurpatori-.
-Freniamo le lingue, señores. Non vedete que en esta camera ci sono algunas personas di troppo?-, intervenne il padrone di casa lasciando saettare lo sguardo sulla sorella e i suoi servitori.
-Alejandro, que quieres da Cody? No has hecho…-.
-Sierra, sali. Y vostros dos… Tornate a vuestros deberes. Ahora!-.
Il tono imperioso dello Spagnolo non ammetteva repliche. I tre uscirono in silenzio dalla stanza, abbassando il capo; l’ultima ad abbandonare la camera fu proprio Sierra, che lanciò un’ultima occhiata a Cody prima di seguire ammutolita Devon e Ann Maria.
-Bien-, riprese Don Burromuerto sbattendo la porta dopo aver lasciato passare la sorella. -Finalmente possiamo hablar de lo que ci interessa-.
Fece il giro dell’imponente letto a baldacchino e si sistemò di fronte a Cody, chinandosi verso di lui e fissandolo dritto negli occhi: -Dunque avevo razon. Non mi avevate raccontato i particolari del vuestro viaje in Inghilterra-.
-Avrei dovuto?-, replicò l’altro con tono di sfida.
-Sarebbe stato meglio, ma no tiene importancia-, tagliò corto Alejandro. -Quiero solo algunas otras respuestas-.
Cody restò zitto, aspettando che il nemico formulasse le nuove domande.
-Habeis dicho que è stata la banda di pirati di Crouch a distruggere il vuestro veliero, vero?-.
Il ragazzo annuì.
-Y después siete stato recuperato dalla American Hope-.
Sir Anderson asserì nuovamente.
-Sabeis, su aquella nave doveva esserci anche una nobildonna inglese il cui nome es Courtney Bennet. Ne avete sentito parlare?-.
Stavolta il nobile scosse il capo, ignorando a chi si stesse riferendo l’altro.
-Perché mi chiedete tutto ciò?-, domandò perplesso Cody.
-Oh, es muy semplice. Non è stato un caso, se il giorno dello sbarco mi trovavo al puerto. Por vosotros è stata una fortuna avermi incontrato, ma credetemi quando vi dico que, se avessi potuto, vi avrei volentieri lasciato perire-.
-Molto gentile da parte vostra-, sentenziò sarcasticamente Sir Anderson.
-Ad ogni modo, aquella mañana ero allí para accogliere proprio Lady Bennet. Ho aspettato che todos los pasajeros scendessero, sperando di ver la chica uscire alla luz del sol. Ma non c’è stato niente da fare: ella no estaba. L’ultimo a essere trasportato fuori siete stato voi y yo vi ho tenuto sotto stretto controllo en casa mia. Dopo il vuestro arrivo vi ho fatto sistemare aquí, en la camera destinata alla mia ospite, y subito ho fatto llamar un dottore para visitarve. Per due settimane ho atteso il vuestro risveglio, desideroso di saber que puede ser accaduto a Lady Bennet, ma ahora vosotros mi dite di non averla mai sentita nominare. Que pasò? Por qué ella non estaba su aquella nave?-.
Alejandro si ritrasse di un passo e guardò i verdeggianti campi oltre la finestra, assillato da mille dubbi e da domande a cui nessuno sembrava essere in grado di dare risposta.
-Fatemi pensare…-.
Sussurrando appena quelle due parole, Cody richiamò l’attenzione del nobile spagnolo, sempre più in preda all’agitazione.
-C’è… C’è una cosa che non vi ho ancora detto-.
-Y que estais aspettando, allora? Hablate, hablate!-, esclamò Alejandro con un tono che tradiva allo stesso tempo ira e preoccupazione.
-Dopo essere stato portato a bordo dell’American Hope, alcuni medici mi hanno sistemato nell’infermeria, accertandosi delle mie non rassicuranti condizioni. So di aver dormito molto in quei giorni, ma ricordo di aver udito un gran trambusto, una mattina. Non riuscivo a capire che cosa stesse accadendo; solo poche ore più tardi mi giunse la notizia che la nave era stata abbordata da un vascello pirata in cerca di ricchezza. Ma non avendo trovato nulla di valore all’interno di una nave comunitaria scelta perlopiù da gente in cerca di fortuna, mi dissero che il capitano di quella ciurma di malviventi aveva deciso di prendere con sé due ostaggi tra le donne presenti a bordo-.
Don Alejandro percepì un brivido accarezzargli malevolo la schiena, mentre il cuore gli sprofondava in un punto imprecisato all’altezza dell’intestino. Un’improvvisa, crudele consapevolezza s’impadronì di lui.
-Sois seguro de lo que estais diciendo?-.
-Non ho motivo di tacere questo dettaglio-, si limitò a rispondere Cody.
-Ma allora… Lady Bennet potrebbe essere prigioniera di quegli uomini-, notò Noah.
-Vosotros habeis un grande espirito di osservazione, eh?-, lo zittì con un’occhiataccia Alejandro.
-Ora che vi ho detto tutto ciò che sapevo, sarei felice se mi comunicaste quando dovrò abbandonare la vostra villa-, provò Sir Anderson, tentando di spostare la conversazione su un altro argomento.
-A esto penserò yo-, lo liquidò Don Burromuerto. -Non temete, tornerete ben presto dal vuestro amigo Spencer. Vi he già dicho que vi accompagnerò personalmente; anzi, gradirei che con nos ci fosse anche Lord Johnson-.
Alejandro si voltò appena verso il proprio compagno di malefatte, assicurandosi di avere una sua risposta positiva con il solo sguardo.
-No quiero tormentarvi oltre, Sir Cody. Ma ho bisogno di saber se qualcuno a bordo dell’American Hope vi abbia fornito ulteriori informazioni su aquel pirata-.
Il ragazzo si massaggiò delicatamente le tempie, chiudendo gli occhi e concentrandosi sui labili ricordi che riaffioravano poco alla volta.
-Sentii un’infermiera parlare con un dottore… Si confrontavano su quanto era accaduto e… Mi pare che quella donna si fosse portata le mani alla bocca per la sorpresa nell’udir pronunciare il nome di quell’ignobile assassino-.
-Y allora? Riuscite a focalizzare lo que habeis escuchado?-.
-Non vorrei sbagliarmi, ma credo che si trattasse ancora una volta della banda di Crouch. Lo stesso dannato che mi ha portato via…-.
Cody si bloccò, correggendosi immediatamente: -… Che ha rapito Lady Thompson-.
Un’espressione a metà tra la contentezza e la disperazione plasmò il volto di Don Alejandro, teso come non mai. Alla fine era riuscito ad estorcere a quell’ingenuo tutto ciò di cui necessitava.
-Vi ringrazio profondamente para haber deciso di collaborare-, disse a Cody, spostandosi dall’altro lato del letto e avvicinandosi alla porta chiusa. -Continuate a riposare. Vi trovo già migliorato, ma dovremo esperar algunos otros días antes di partire per la Georgia-.
-Ma sto benissimo! Il problema da risolvere è tanto grande da non poter essere rimandato ancora!-.
-Apprezzo el vuestro coraggio-, fece finta di ammettere lo Spagnolo, -ma siate consapevole dei vuestros limites. Adios, Sir Cody-.
Alejandro aprì la porta e uscì dalla stanza precedendo Noah, che non degnò di uno sguardo il nemico semi disteso sul letto.
-Che intenzioni avete?-, chiese Lord Johnson non appena ebbero varcato la soglia.
-Ah, amigo, non indovinate?-.
Noah scosse la testa.
-Allora abbiate fiducia nel sottoscritto. Vedrete, non resterete deluso dal mio astuto piano-.
-Sì, ma… Come intendete agire?-.
Don Burromuerto mosse alcuni passi verso la rampa delle scale, pronto a scendere al piano inferiore.
-Farò in modo que aquellos stupidos Ingleses  si fidino di me-, spiegò in un sussurro. -Li convincerò a sferrare un attacco congiunto contro i pirati di Crouch; no creo que sarà dificil, visto que una delle prigioniere ahora sarebbe dovuta ser già en Georgia. Dirò loro que anche una mia ospite è diventata ostaggio di aquellos hombres, così penseranno di potersi alleare con me-.
-E poi? Che vantaggio trarrete da questo piano?-.
-Semplice. Non solo recupererò la mia promessa esposa, ma al mismo tiempo le difese di Spencer si affievoliranno. Mentre sarò impegnato in mare, vosotros y Lord Richardson organizzerete l’esercito della Confederazione para preparar la battaglia decisiva contro los Ingleses, que non saranno en grado di resistere all’assalto di todas las nuestras fuerzas-.
Noah osservò ammirato l’uomo che gli stava davanti: chi mai avrebbe potuto elaborare un piano d’azione perfetto, se non Don Alejandro Burromuerto?
-È un’idea geniale-, disse in un soffio Lord Johnson. -Quando ci metteremo all’opera?-.
-Non siate impaziente, amigo mio. Compiremo la primera mossa presto. Muy, muy presto-.

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Capitolo 41
*** Escursione cubana ***


41. Escursione cubana

La prima nottata trascorsa nella locanda di Bloody Hatchet fu una delle più brutte che Courtney Bennet avesse mai vissuto.
Continui scricchiolii avevano disturbato il sonno della nobile, che alla fine si era arresa ed aveva passato le restanti ore buie a fissare stupita la propria dama di compagnia, che al contrario dormiva beata.
“Ma guardatela! Sembra come se fosse nel letto di casa sua”, pensò la ragazza stropicciandosi gli occhi stanchi. “Certo, rispetto alla sottoscritta sarà pur abituata ad un ambiente tanto orribile, ma ci vuole davvero coraggio a riposare sotto quelle sudice lenzuola! Chissà quali e quanti disgustosi uomini vi hanno giaciuto prima di lei!”.
Si alzò dal letto, sui cui si era limitata a sedere, e misurò a grandi passi la stanzetta, cercando di impegnare il tempo in una qualsiasi attività, anche se non troppo entusiasmante. Ogni due giri si voltava verso la finestra, scrutando la porzione visibile di cielo per controllare se il sole avesse cominciato a rischiarare l’aria, ma subito sbuffava d’impazienza nel vedere che nulla era cambiato rispetto a pochi istanti prima.
“Ah, ma cosa ho fatto di male per meritare questa tortura?”, si chiese sconsolata appoggiandosi al bordo del giaciglio abbandonato. “Se avessi saputo che sarei finita in mano di una banda di pirati, lontana da casa e in pessima compagnia, non avrei mai lasciato la mia adorata Southampton!”.
Ripensò rapidamente a tutti gli avvenimenti degli ultimi tre mesi; ricordò l’entusiasmo che l’aveva invasa quando le era stata recapitata la prima lettera di Don Alejandro e la voglia di riscatto nei confronti di Gwen. Spinse l’attenzione al giorno in cui si era improvvisamente spenta l’eccitazione per la vicina partenza e al momento in cui si era definitivamente separata dalle braccia del padre.
Per quanto non fosse avvezza ai sentimentalismi, Courtney sentì il proprio cuore pesarle al centro del petto.
Rammentò la permanenza sull’American Hope e l’arrembaggio a cui questa era stata soggetta; mai avrebbe dimenticato di essere stata portata e imprigionata nella cella di una nave pirata, a bordo della quale aveva incontrato di nuovo la rivale Thompson.
“Quella ragazza è una maledizione!”, pensò la nobile battendo un pugno sul letto. “Ovunque vada, me la ritrovo sempre tra i piedi. Ed io che credevo di non vederla mai più! Invece eccomi qui, a sopportarla da mattina a sera… Ah, presto giungerà il giorno della mia vendetta! Allora Gwen sarà spazzata via, come se non fosse mai esistita. Sì, sarò in prima fila per assistere alla sua pubblica esecuzione!”.
Per Courtney, solo la pena capitale sarebbe potuta essere adeguata alle colpe di cui si era macchiata Lady Thompson. Stringere una relazione con un uomo ricercato in tutti i Paesi del Commonwealth implicava la morte; significava tradire la patria. Dunque l’impiccagione sarebbe stata d’obbligo.
“Che sciocca!”, continuò a riflettere la ragazza. “Avrebbe potuto ottenere ingenti ricchezze sposando l’uomo da cui sarebbe stata ospitata, invece ha preferito un buzzurro come Crouch. Deve essere più folle di quanto non credessi già. Ma come sarà caduta nella trappola di quell’uomo? Cosa l’avrà spinta a legarglisi in modo tanto intimo?”.
Courtney immaginò i due amanti soli, nella cabina che ben conosceva. Entrambi le apparvero disordinati, intenti a sfiorarsi e a baciarsi: sembravano non poter fare a meno l’uno dell’altra. Le loro labbra si cercavano, le loro mani esploravano lembi di pelle proibiti a chi non fosse unito dal sacro vincolo del matrimonio; ma non se ne curavano affatto. Le convenzioni stabilite dai loro avi non li avrebbero condotti da nessuna parte, se non verso un’inevitabile separazione. L’unica cosa che aveva importanza erano essi stessi. Il mondo al di fuori di quella cabina sarebbe anche potuto marcire, purché loro due rimanessero insieme.
Lady Bennet studiò attentamente l’immagine che aveva preso forma nella sua testa. Osservando le carezze e i baci che i due si davano, provò un indescrivibile moto d’ira, invidia e gelosia. Neanche lei sarebbe stata in grado di spiegare l’insieme di sensazioni che l’avevano attraversata in quel momento.
L’unica cosa che in seguito ricordò per lungo tempo fu il fatto di aver involontariamente sostituito le sembianze di Gwen con le proprie. Davanti ai suoi occhi prese vita una scena non molto casta che la ritraeva stretta tra le braccia di Duncan ed unita passionalmente alle labbra del pirata; era intenta a cercare di privare quell’uomo della camicia lercia che indossava per poter finalmente ammirare la muscolatura che raramente aveva intravisto durante le sue passeggiate sul ponte della nave, ma evidentemente avrebbe dovuto spostare la propria attenzione dagli occhi al petto di Duncan, se voleva davvero riuscire nella missione che si era prefissata.
“Ma sei impazzita?”, si riscosse Courtney dandosi uno schiaffo sulla guancia. “Cosa direbbe tuo padre se sapesse ciò su cui hai fantasticato? Hai appena tradito te stessa, la tua patria e il tuo onore! Non vorrai abbassarti all’infimo livello di Gwen, vero?”.
Si diede un’altra pacca sul viso, tentando di allontanare le immagini che ancora tornavano a galla nella sua mente, poi scattò in piedi e riprese a passeggiare in tondo per la camera, non badando al rumore dei propri passi.
Per alcuni minuti si concentrò sul pavimento, studiando le asimmetriche assi di legno che lo componevano. Si rese conto che alcune non erano state inchiodate molto bene, motivo per cui gli scricchiolii non potevano mancare, e che nell’angolo opposto rispetto alla posizione che occupava in quel momento, un bel ragno stava tessendo con cura la propria tela, deciso a procacciarsi qualche zanzara vagante.
Ma la pace durò poco. Il suo pensiero scavò nei meandri degli eventi più recenti e le riportò il ricordo più vivido che mai del ballo nella stiva, sotto lo sguardo dell’intera ciurma pirata e di Gwen. Rammentò come il tempo si fosse improvvisamente fermato nel momento in cui Duncan l’aveva prima attratta a sé, poi allontanata con un casquet da capogiro, tenendola sempre ben stretta per non farle perdere l’equilibrio.
Courtney incrociò le braccia sul petto, accarezzandole lievemente e immaginando che a compiere quel gesto fosse il capitano Crouch; si sfiorò il labbro inferiore con l’indice e il medio della mano destra, chiedendosi se mai il pirata l’avrebbe guardata sotto una diversa luce.
Guardò di nuovo oltre l’incrostato vetro della finestra e dedusse che dovevano essere passate da poco le tre di notte. Nonostante l’orario, la ragazza non aveva più sonno, anzi, era convinta di avere perfino sufficienti forze per uscire dalla locanda e fare una passeggiata senza allontanarsi troppo.
Ponderò appena questa possibilità, dicendosi subito dopo che sarebbe stata un’autentica follia anche il solo provare a mettere un piede fuori da quella camera. Inoltre, pur non avendo paura dei pericoli che si celavano nell’oscurità degli stretti vicoli di Puerto Carupano, appoggiati alla porta se ne stavano sicuramente Lightning e Sam, a cui Duncan aveva ordinato di montare la guardia per tutta la notte.
“Forse dovrei cercare di dormire”, pensò Courtney lanciando un’occhiata al letto appena disfatto. “Stare in piedi fino a domani mattina non contribuirà a migliorare il mio pessimo umore”.
Si avvicinò al giaciglio e vi sedette, testando la qualità della branda su cui era poggiato il materasso. Sentì scricchiolare il pavimento ancora una volta ed infine si distese, evitando di poggiare la testa sul cuscino.
“Non ho nessuna intenzione di far soggiornare una famiglia di pidocchi tra i miei capelli”, pensò disgustata lanciando lontano il pesante guanciale di piume d’oca. “Già dovrò convivere con le pulci… Figuriamoci altri odiosi parassiti!”.
Si coprì con il solo lenzuolo e provò a chiudere gli occhi, pensando al padre lontano.
“Chissà come sta… Non ho avuto nemmeno modo di scrivergli una lettera! Crederà che io mi sia dimenticata di lui o forse che sono troppo impegnata con Don Alejandro per rivolgergli un singolo pensiero. Ah, quale errata supposizione! Se potessi, tornerei a casa immediatamente. E al diavolo gli scambi commerciali con la famiglia Burromuerto! La mia vita e quella di mio padre valgono molto di più di un’immensa montagna di denaro. Se il Governo venisse a sapere delle trattative illegali in corso, perderemmo tutto  ciò che abbiamo. Ma no, questo non accadrà. Farò ritorno in patria e informerò mio padre di che razza di persona è Don Alejandro. Un efferato assassino come lui non diventerà mai mio sposo!”.
Si massaggiò le palpebre, diventate d’improvviso pesanti come macigni, e rimase in ascolto del lieve respiro di Heather, profondamente addormentata nel letto alla sua sinistra. Rifletté ancora alcuni istanti sul da farsi per poi crollare, sfinita, nel mondo dei sogni.
 




-My Lady, dovete alzarvi. Si sta facendo tardi-.
Courtney si rigirò dall’altra parte, ignorando i richiami della sua dama di compagnia.
-Sono stanca, Heather. Lasciatemi riposare…-.
-Lo farei, se fosse possibile. Vi prego, uscite da questo letto-.
Per tutta risposta, la nobile si tirò il lenzuolo fin sopra la testa, provocando l’irritazione dell’altra ragazza.
-Vi supplico di non farmi perdere la pazienza…-, mormorò a denti stretti Heather tentando di restare calma.
-Ed io vi ordino di lasciarmi in pace. Non sapete che orribile nottata ho passato-.
-Posso immaginarlo-, replicò la dama scostandole le lenzuola dal viso. -Avete delle tremende occhiaie. Come mai non avete dormito?-.
-Pensavo, ecco tutto-.
-E vi siete ricordata di farlo nel bel mezzo della notte?-.
Stizzita per il tono ironico usato da Heather, Courtney scattò a sedere sul letto e la guardò negli occhi: -Ho avuto bisogno di riflettere. Avete problemi in merito? O forse volete decidere voi come e cosa io debba fare?-.
-Sapete che non mi permetterei mai di fare una cosa simile. Trovo solo insolito che, nonostante la stanchezza, abbiate preferito star sveglia, piuttosto che riposare-.
Courtney si alzò e andò alla finestra, scrutando il cielo. Il limpido azzurro che fino a quel momento aveva accompagnato il loro viaggio era adesso macchiato da sporadiche, ma spesse nuvole bianche.
-Sapete che ore sono?-, chiese.
-Sam ha bussato dieci minuti fa, dicendo che fossero le nove. Ci ha ordinato di sbrigarci, perché il capitano Crouch ha delle commissioni da sbrigare e ci tiene ad essere accompagnato da tutte le sue prigioniere-.
Il viso di Lady Bennet si contrasse in una smorfia all’udire quelle ultime parole.
-E se io non volessi seguirlo?-.
-Credo che verrà a prendervi lui stesso. Avete già dimenticato cosa è successo ieri con Gwen?-.
No, la nobile non lo aveva affatto scordato. Quando Lady Thompson si era rifiutata di uscire di sua spontanea volontà dalla propria cabina, Duncan l’aveva raggiunta e costretta a rimanere al suo fianco.
“Costretta… L’avrà sicuramente convinta. D’altronde, se è riuscito a soggiogarla attraverso una studiata seduzione, non avrà avuto troppi problemi a persuaderla sul momento”, pensò Courtney scacciando di nuovo dalla mente la scena che aveva immaginato nel corso della notte.
-Bene, dunque. Raggiungiamo il resto del gruppo-.
La ragazza aprì la porta e si affacciò sul corridoio, notando Light vicino alla cima delle scale.
-Da questa parte-, fece loro segno quello.
Le due giovani si lasciarono scortare dal pirata giù per le scale, raggiungendo l’atrio della locanda poco meno di un minuto dopo. Un forte odore amaro investì le narici delle Inglesi.
-Cielo, cos’è questo tanfo?-, esclamò Courtney, portandosi istintivamente le mani al naso.
-Ben svegliata-, la salutò con un ghigno Duncan, seduto in un angolino. -Deduco che abbiate passato una buona nottata: vi trovo in forma smagliante-.
-Credete?-, chiese irritata la nobile, scendendo gli ultimi scalini, preceduta da Light e seguita da Heather. -Io non sono d’accordo!-.
-Ma come? Il vostro atteggiamento è il solito, anzi, sembrate pronta a dar battaglia-.
-Oh, su questo avete ragione-, concordò lei, avanzando verso il ragazzo. -Sarei capace di affrontare le fiere più feroci, in questo momento!-.
-Splendido. Questa prontezza ci servirà, quest’oggi-.
Duncan si alzò e si avvicinò alla porta d’ingresso, intenzionato ad uscire. Courtney, perplessa e sospettosa, domandò: -Che intendete dire?-.
-Vi consiglio di conservare le forze, my Lady. Sarà una lunga giornata all’insegna di passeggiate nei meandri dell’isola-.
-Ma… No, voi state scherzando! Smettetela di prendevi gioco di me, suvvia…-.
-Non sono mai stato tanto serio. Cos’è, vi spaventa fare una bella escursione di Cuba? Dovreste ringraziarmi, piuttosto; se non vi avessi fatto mio ostaggio, non avreste mai avuto l’opportunità di visitare un luogo così caratteristico-, rise il pirata.
-Oh, sì, sono stata davvero fortunata!-, tuonò ironica Courtney. -Per tutta la vita non ho fatto altro che desiderare di essere rapita da un uomo come voi!-.
-Lo immaginavo-, disse Duncan, senza dar peso alle parole della ragazza. -Ah, un’altra cosa: il tanfo, come lo chiamate voi, è l’aroma del caffè. Vi costringerò a provarlo, prima di ripartire. Gwen, andiamo-.
Lady Thompson, rimasta fino a quel momento seduta in disparte tenendo tra le mani una piccola tazzina contenente uno strano liquido nero, finalmente si alzò e fiancheggiò il pirata, che le porse un braccio al quale ella si appoggiò solo dopo un istante di esitazione.
“Eccola, la traditrice”, pensò dietro di lei Courtney, stringendo i pugni così forte da farsi male con le sue stesse unghie.
-Che state aspettando? Dobbiamo seguire il capitano Crouch-, la spintonò leggermente Light.
-Tenete lontano da me le vostre sudice mani!-, esclamò Lady Bennet voltandosi di scatto. Un’espressione furiosa le infuocava il volto.
-Courtney, cerchiamo di evitare scontri-, le suggerì Heather, abbassando la voce. -Non penso che sia vostra intenzione iniziare male la giornata, vero?-.
-Perché, finora vi è sembrata positiva?-, ribatté, alludendo al discorso avuto con Duncan e alla sempre fastidiosa presenza di Gwen.
-Vi consiglio soltanto di essere più transigente-, disse la dama di compagnia. -Vedrete che il vostro nuovo atteggiamento sarà apprezzato da tutti, soprattutto da Crouch-.
-Heather, vi prego, evitiamo questo argomento-, ordinò stizzita Courtney.
-Ma, my Lady, credevo che voi voleste scoprire quali segreti egli stia cercando di nascondere…-.
-Ed è così. Ma, per amor mio, lasciamo decadere il discorso. Lo riprenderemo quando sarà il momento opportuno-.
-Come desiderate-.
Un muro di silenzio si eresse tra le due ragazze per gran parte della durata della camminata. Seguivano ad alcuni passi di distanza la “coppia dello scandalo”, come Courtney la definiva, stando comunque bene attente a captare qualche parola che i due amanti si scambiavano di tanto in tanto. Dietro di loro se ne stava invece Light, che chiudeva il piccolo drappello.
-Capitano, potrei sapere dov’è Sam?-, chiese Heather all’improvviso, spiazzando anche la propria padrona.
-Come mai questa curiosità?-, domandò Duncan senza voltarsi.
-Di solito è a lui che affida la nostra custodia-, fece notare la dama, -e poiché adesso non è presente, cercavo di capire dove fosse-.
-È in ricognizione-, disse sbrigativo il pirata. -Gli ho affidato delle commissioni per mio conto-.
Quella risposta sviante insospettì Heather, che provò di nuovo ad informarsi: -Credete che possa essere di ritorno entro questa sera?-.
Il capitano arrestò il passo. Si girò verso la ragazza e le chiese, allusivo: -Sbaglio o il vostro tono di voce tradisce un certo interesse per uno dei miei uomini?-.
-Non potrebbe essere altrimenti-, sostenne il discorso Heather.
-Ah, se lo avessi saputo, avrei detto a Bloody Hatchet di riservare la camera doppia a voi e al vostro… amico. Immagino che alla vostra padrona non sarebbe dispiaciuto dormire in corridoio, sentite le polemiche riguardanti lo stato della stanza-.
-Come vi permettete di insultare me e la mia dama di compagnia?-, esplose nuovamente Courtney. -Non osate fare assurde insinuazioni!-.
-E comunque non avete ancora risposto alla mia domanda-, ricordò Heather, sovrastando gli sbuffi della nobile.
-Dunque tenete davvero a quest’informazione, eh?-.
-Molto-.
Duncan ci pensò un po’ su, riflettendo rapidamente. -Sì-, concluse, -dovrebbe tornare entro il tramonto. Siete più tranquilla, ora?-.
Heather fece un cenno di assenso con il capo, rifugiandosi nuovamente nel mutismo che teneva in occasioni simili.
-Bene. Mi sarebbe dispiaciuto sapervi in pensiero-, ghignò il pirata, riprendendo a camminare.
Passeggiarono per oltre due ore tra vicoletti e strade più ampie, ammirando i tanti colori che rallegravano Puerto Carupano. Minuscole botteghe si celavano dietro ogni angolo, pronte ad accogliere i visitatori con i loro profumi e prodotti inusuali; gente sorridente dava qua e là il proprio benvenuto a quanti si arrischiavano ad entrare.
-Allora, che ve ne pare? Non è un luogo incantevole?-, domandò Duncan a Gwen.
-Lo è. Per me è un sogno essere qui, oggi-, rispose la ragazza guardandosi intorno.
-E pensare che ieri stavate rifiutando di scendere a terra-, le sussurrò ad un orecchio il pirata. -Invece questo sarà il vostro paradiso. Il mio modo di chiedervi perdono, se ho ferito i vostri sentimenti-.
Duncan la prese per mano e la condusse attraverso il groviglio di viuzze, accelerando di tanto in tanto il passo.
“Che cosa sta facendo quel buzzurro?”, pensò Courtney sempre più spazientita. “Perché si mette a correre senza motivo?”.
Cercò di stargli alle calcagna, seguita sempre da Heather e Light. Sentiva le proprie gambe leggere, quasi fluttuanti nel venticello che le soffiava sul viso, ma allo stesso tempo percepiva un masso al posto del cuore. Non avrebbe sopportato ancora per molto la vista di Gwen in compagnia del capitano.
Verso mezzogiorno il gruppetto si fermò nei pressi di una piccola osteria poco distante dal molo. L’invitante profumo di pesce appena arrostito fece desistere Courtney dall’inveire per l’ennesima volta contro la rivale, che sedette ad un tavolino in compagnia di Duncan.
“Ma guardali, giocano a fare i piccioncini”, si disse Lady Bennet prendendo posto accanto a Heather e Light a circa dieci metri dai due amanti. “Quanto li odio! Se non dovessi riuscirci io, possa la sorte tirar loro qualche brutto scherzo!”.
-Courtney, mangiate. Non sapete cosa vi state perdendo-, Heather richiamò la sua attenzione.
-Lo so bene, invece-, disse a denti stretti la nobile, senza smettere di guardare la coppia.
La dama di compagnia si chiese per un attimo se quella risposta si riferisse al pesce che le avevano appena servito o se fosse rivolta a Crouch, ma preferì non indagare. Ci sarebbe stato molto tempo per appurare i sentimenti della padrona.
“È tutto così dannatamente ingiusto!”, pensò Courtney, mentre privava il pesce della lisca. “Quella ragazza riesce sempre a mettersi in mostra! Anche nelle difficoltà, se la cava sempre! Possa marcire all’inferno!”.
Per quanto quelle maledizioni rientrassero pienamente nel suo stile personale, Lady Bennet si chiese se davvero la sua ira fosse indirizzata solo a Gwen. Fin dalla notte precedente aveva cominciato a nutrire dubbi in merito; dubbi che ora si stavano rafforzando sempre di più nella sua testa.
“No”, rifletté, mandando giù i primi bocconi, “la colpa del mio malessere non è esclusivamente sua. È quel… quel Crouch che mi fa andare in bestia. Eppure due sere fa non ha avuto il coraggio di guardarmi negli occhi; mi ha definita una piccola tigre parlando con Chef; mi ha respinta e continua a farlo. Ma perché? Il suo atteggiamento nei miei confronti si è irrigidito dopo quel ballo: possibile che quell’evento c’entri con il suo attuale comportamento? O sono soltanto io a vedere la realtà in maniera distorta?”.
-My Lady, avete intenzione di tagliare anche il piatto?-, le chiese Heather. Soltanto in quel momento Courtney notò di aver divorato il pesce e aver iniziato a raschiare la superficie vuota con coltello e forchetta.
-Certo che no-, disse frettolosamente, abbandonando le posate a destra e a sinistra del piatto.
-Andiamo, il capitano è già fuori-, le richiamò Light, alzandosi e raggiungendo l’uscita del locale.
Ripresero la camminata, facendo il giro del porto e raggiungendo la spiaggia, lì dove il giorno prima avevano tirato in secca le scialuppe. Vi trovarono alcuni membri dell’equipaggio, intenti a tracannare rum e a giocare a carte, mentre il violinista Cameron rallegrava ulteriormente l’atmosfera con la sua musica.
All’udire quel suono, Gwen si irrigidì vistosamente e pregò sottovoce Duncan di andare altrove. Il pirata obbedì docilmente alla richiesta, conscio che una situazione simile le avrebbe sempre ricordato lo spiacevole episodio del ballo sulla nave, mentre Courtney, alle loro spalle, trattenne una risata, ringraziando il Cielo per l’occasione di rivalsa immediatamente concessa dopo le sue preghiere.
In vista delle ore più calde della giornata, il drappello riparò ancora in un’osteria, dove Duncan ne approfittò per ordinare del caffè.
-Grazie, ma ne faccio volentieri a meno-, Lady Bennet rifiutò la tazzina che il gestore mingherlino le offriva.
-Vi ordino di assaggiarne almeno un sorso-, le disse Duncan, buttando giù l’ultima goccia rimasta nel suo bicchiere. -È un ottimo digestivo, sapete?-.
-My Lady, se il capitano Crouch ha ragione, vi converrà davvero prenderne un po’: credo proprio che voi abbiate mangiato pesante, oggi-, convenne Heather, cercando di nascondere il sorriso beffardo che le stava distendendo le labbra. Più ripensava all’ira della padrona nei confronti di Gwen, più faceva fatica a reprimere la propria risata.
-No. Mi rifiuto di bere qualcosa di così disgustoso!-, sbottò la nobile, calcando l’ultimo aggettivo mentre osservava la rivale Lady Thompson intenta a sorseggiare la seconda tazzina di caffè in giornata.
-D’accordo, allora. Lo prenderò io-, disse Duncan, afferrando la tazzina dalle mani del gestore e bevendo tutto d’un fiato.
-Puah, che odore!-, esclamò Courtney, sventolandosi una mano davanti al naso.
-Smettetela di comportarvi come una bambina! Sappiate che i vostri modi offendono grandemente gli abitanti: rifiutare un caffè è rifiutare ospitalità e amicizia, da queste parti-, le spiegò il pirata.
-Non me ne faccio nulla della loro ospitalità, figuriamoci della loro amicizia!-.
-Ve ne pentirete. Se mai aveste bisogno di aiuto, tutti qui vi negheranno la loro mano-.
-Ma questo non accadrà-, ribatté la ragazza, sistemandosi le pieghe della gonna. -So come farmi rispettare, io-.
Si trattennero nell’osteria per una mezz’ora, poi tornarono all’aperto. Il sole, che fino a quel momento era riuscito ad illuminare l’intera isola, fu definitivamente nascosto dalla densa coltre di nuvole che già da alcune settimane seguiva il viaggio della ciurma pirata; il caldo fin lì sofferto si fece più fievole e l’aria divenne finalmente respirabile.
-Ci sarà da prepararsi ad una bella tempesta-, disse tra sé e sé Light, guardando in alto.
-L’importante è che non intralci il proseguire della nostra navigazione-, disse Duncan, in testa al gruppo.
-Capitano, non credete che sia più sicuro far avvicinare il vascello al porto? Potrebbe essere esposto a rischi, in alto mare-.
-Light, è forse la prima volta che navigate?-.
-No, ma…-.
-Allora saprete che la nave non corre nessun pericolo, lì dov’è-.
-Capitano, penso solo che…-.
-Fidatevi di me. Vi ho mai deluso, fino ad oggi?-.
Light non proferì parola e Courtney si chiese se il pirata avesse delle critiche da muovere al suo stesso capitano.
Proseguirono l’escursione fino alle quattro del pomeriggio. Sebbene Duncan volesse mostrare altre meraviglie alla sua amata Gwen, fu quest’ultima a dirgli di preferire tornare nella locanda in cui avevano alloggiato.
-Non ti senti bene?-, le chiese preoccupato.
-Sono solo un po’ stanca. E poi non sopporto il caldo soffocante che c’è qui. Sarebbe meglio uscire più tardi, con delle temperature più fresche-.
-Come vuoi, allora. Torniamo indietro-.
Il gruppo ripercorse i passi già compiuti nelle ore precedenti e velocizzando il passo presto si ritrovarono tutti di fronte all’entrata della Salt’s Inn, dove sulla soglia se ne stava Chef.
-Hatchet-, lo salutò Duncan, entrando.
-Salute a voi, Crouch. Credevo che le signore vi avrebbero costretto a tornare pieno di buste e pacchetti-, gli disse l’uomo.
-Sapete che non sono un tipo che si lascia trasportare tanto facilmente, specialmente se si tratta di acquisti femminili-.
-Ah ah, lo credo bene!-.
-Le nostre stanze sono pronte?-.
-Certamente. Le ho preparate io stesso, subito dopo la vostra partenza, stamattina-.
-Perfetto. Pensate che sarà possibile cenare qui, stasera? Le mie prigioniere sono stremate e non vorrei che si affaticassero ancora-.
-Senza dubbio. Ditemi solo cosa cucinare e vi ritroverete piatti deliziosi-, promise Chef accarezzandosi i baffi.
-Le specialità cubane andranno benissimo. Desidero che i miei ostaggi serbino nel cuore un buon ricordo di questa magnifica isola-.
-D’accordo. Se non avete altro da chiedere…-.
-Tornate pure alle vostre incombenze, Hatchet. Non vi tratterrò oltre-.
Il locandiere uscì, sparendo tra i vicoli, mentre Duncan guidò il gruppo al primo piano dell’edificio.
-Light, rimani qui di guardia. Ora che il gestore non c’è, è necessario che qualcuno controlli l’ingresso-, disse il capitano.
-Agli ordini, signore. Posso fare altro per voi?-.
-Sì, in effetti qualcosa ci sarebbe… Gwen, accompagna di sopra Lady Bennet e Miss Wright; assicurati che siano chiuse dentro la loro stanza e poi va’ a riposare-.
-Non preferisci che ti aspetti?-, domandò perplessa la ragazza.
-Non ce ne sarà bisogno. Tra cinque minuti sarò da te, stai pure tranquilla-.
Le rivolse un suo raro sorriso addolcito ed aspettò che le tre giovani svanissero alla sua vista, poi si lanciò in una breve discussione con Light.
-Chissà che cosa stanno dicendo-, si domandò a voce alta Courtney, raggiungendo il pianerottolo che dava sul corridoio su cui si affacciava la sua camera.
-Qualsiasi cosa sia, dubito che possa davvero interessarvi-, ribatté Gwen con tono piatto.
-E voi come fate a saperlo?-.
-Posso immaginarlo. Dovreste provarci anche voi, qualche volta. Immaginare tiene allenato quel cervello che evidentemente non avete sviluppato pienamente-, disse secca Lady Thompson.
-Ah! Osate prendervi gioco di me? Proprio voi, lo zimbello di tutta l’Inghilterra?-, esclamò Courtney.
-Perché dovrei? Non è forse la verità, quella da me appena descritta?-.
L’atteggiamento distaccato di Gwen rese ulteriormente furente la rivale, pronta a menare calci e pugni nonostante l’aspetto delicato.
-Ma perché mi ostino ancora a chiedervi come facciate ad avere tante informazioni?-, riprese Lady Bennet dopo un attimo di pausa. -È evidente che il vostro amante sia disposto a confessare alcuni suoi segreti, in cambio della quotidiana compagnia di letto che voi gli fornite!-.
-Se fosse davvero così, Courtney, finalmente avreste capito qual è il vostro vero problema-, le rispose Gwen, lanciandole un’occhiata infuocata.
-E sarebbe?-, domandò l’altra, confusa.
-Non è forse un uomo ciò che vi manca? Non siete partita per andare a riscaldare il giaciglio di un completo sconosciuto?-, le fece notare Gwen con un urlo.
Courtney s’immobilizzò, come pietrificata. Heather, al suo fianco, si accorse che aveva gli occhi sbarrati.
-Cosa avete detto?-, disse in un soffio la nobile.
-Ciò che avete sentito, sì-, replicò Lady Thompson.
“È la fine”, pensò Heather, pronta a fermare la padrona nel caso in cui avesse aggredito Gwen.
-Voi… Non sapete nulla di me!-, gridò Courtney. -Non avete idea di quanto io abbia sofferto e stia soffrendo, non conoscete la verità sugli eventi a cui avete accennato! Non permettetevi mai più di paragonarmi a voi, perché non sono io la donna che si è spinta a tradire tutto ciò in cui credeva pur di soddisfare le proprie pulsioni!-.
Lady Bennet corse lungo il corridoio e raggiunse l’ultima porta, spalancandola e rifugiandosi all’interno della sua stanza. All’esterno, Gwen, sorpresa per l’isterica ed esagerata reazione dell’altra, incrociò per un secondo lo sguardo di Heather e le fece un cenno con la testa, come a dirle di far calmare Courtney.
La dama di compagnia attese che Lady Thompson entrasse nella camera che le era stata assegnata, prima di raggiungere la propria. Si avvicinò alla porta, ancora aperta, e si affacciò sulla soglia.
Rimase sconvolta nel vedere la padrona in lacrime. Ella piangeva in silenzio, inginocchiata per terra, accanto al letto, e tenendo la testa tra le braccia, incrociate sulla coperta di lino.
Heather mosse un passo verso di lei e si pose al suo fianco, provando a consolarla senza sortire però alcun effetto. Era la prima volta che la ragazza si abbandonava al pianto, almeno in sua presenza.
-My Lady, tornate in voi. Le lacrime non giovano al vostro stato d’animo-.
Courtney non pronunciò una singola sillaba in risposta.
-Non avreste dovuto provocarla… Sapete che Gwen…-.
-Io l’avrei provocata?!-, urlò la nobile, sollevando la testa. Heather fu quasi sul punto di lasciarsi impietosire da quell’espressione tremendamente sofferente, fatta di calde lacrime e guance di porpora, ma preferì mostrarsi forte e non cedette ad alcun sentimentalismo.
-My Lady, non potete negare che…-. 
-È stata lei ad iniziare, dannazione! Mi ha offesa, quando io avevo posto solo un’innocente domanda!-.
“In effetti…”, rifletté la dama.
-Adesso dov’è, quella sgualdrina? Si è rintanata nel suo buco, ad aspettare quel verme lussurioso?!-.
-Calmatevi, Courtney, vi prego. Non lasciate che l’ira annebbi i vostri sensi. Pensiamo, piuttosto, a ciò che sta complottando il capitano Crouch-.
Quel proposito sembrò riscuotere la nobile, che si asciugò rapidamente le lacrime e sedette sul letto: -Sì, avete ragione. Piangere non risolverà nulla. Ma ditemi, ora che possiamo discuterne opportunamente: come vi è sembrato oggi quell’uomo? Stamattina parevate pronta a tempestarlo di domande-.
-E l’avrei fatto. Non a caso gli ho chiesto di Sam-.
-Ah, già… Che risposta indecente, la sua!-.
-Non pensate alle allusioni che ha fatto. Concentratevi per un attimo solo ed esclusivamente sulle sue parole: ha detto che il pirata sta svolgendo delle commissioni su suo ordine e che sarebbe tornato entro il tramonto. Ora, mi chiedo, e credo che sia anche la domanda che vi state ponendo: che tipo di commissioni? E, soprattutto, perché? Cosa stanno cercando di nascondere?-.
-Begli interrogativi, amica mia. Ripensando alla discussione che ha avuto ieri pomeriggio con Chef, forse le cose potrebbero essere più chiare-.
-State parlando della conversazione “in codice”?-, chiese Heather.
-Proprio quella. Sappiamo che Duncan deve incontrare qualcuno, ma chi? Con quale scopo? Abbiamo solo una vaga idea di quando avverrà questa riunione, ma ignoriamo il luogo in cui si terrà-.
-Stando a quanto mi avete raccontato, i due si ricongiungeranno entro domani-.
-Precisamente-.
Heather chiuse gli occhi e pensò freneticamente a cosa potesse essere interessato il capitano, ma non le sovvenne nulla che fosse utile alla loro causa.
-Senza dimenticare gli ordini che sta impartendo in questo momento a Light-, aggiunse.
-Sì. Sta accadendo qualcosa proprio sotto i nostri occhi, eppure non riusciamo a venirne a capo-, sentenziò di nuovo afflitta Courtney.
Nella stanza cadde un profondo silenzio, interrotto solo dagli scricchiolii provenienti dal pavimento; le due si stesero sui rispettivi letti e riposarono un po’, attendendo di essere chiamate per la cena.
“E se rientrassimo anche tutte noi nei loschi piani di Crouch?”, pensò Lady Bennet, come folgorata da un’intuizione. “Se tutto ciò che è accaduto finora, dai nostri rapimenti alle vicende personali, facesse parte di un disegno più grande? Possibile che sia stato solo un caso l’aver rincontrato Gwen a bordo del suo vascello? O forse Duncan ci stava… aspettando?”.
Un rumore di stivali interruppe il suo flusso di pensieri e, scambiata un’occhiata con Heather, la ragazza si precipitò alla porta, aprendosi uno spiraglio senza essere vista o sentita.
-È solo Crouch-, disse alla dama, seppur sottovoce. -Torna dalla sua colombella-.
-Siamo alle solite-, affermò con uno sbuffo Heather, tornando a giacere sul letto.
-Sì, è così-, concordò Courtney.
Stava già per richiudere completamente la porta, quando un concitato vociare attirò di nuovo la sua attenzione. Decise quindi di spiare ancora attraverso la fessura e tese l’orecchio, sperando di carpire qualche parola della conversazione che stava avvenendo nella camera della sua rivale.
-Dunque? Cosa significa?-, Courtney riconobbe la voce di Gwen, che si trovava sulla soglia insieme a Duncan.
-Nulla, è solo… un’incombenza. Non temete, non vi farò aspettare molto-.
-Vi siete accorto delle urla di poco fa? Non voglio rimanere sola con quella pazza!-.
“Ah! Pazza, io!”, pensò adirata Lady Bennet.
-Credo che tutto il vicinato abbia avuto il privilegio di ascoltare gli insulti che vi siete scambiate-.
-Allora, cosa ne deducete?-.
-Che dovrò comunque andare-.
“Heather, presto, avvicinatevi!”, esortò Courtney, facendo spazio alla dama.
-Ma dove? E perché?-.
-Ve lo dirò, ma non adesso. Sappiate, però, che non c’è nulla di cui voi dobbiate avere paura-.
-Duncan, lasciatemi venire con voi, vi prego! Basterà dire a Bloody Hatchet che avete cambiato i vostri piani, che preferite una cena in privato con me…-.
-Gwen, no-, le disse con fermezza il pirata. -Per voi sarebbe…-.
-Pericoloso?-, lo interruppe lei. -Cosa che a quanto pare non sembra valere per voi-.
-Non stiamo parlando di un pericolo, ma di un rischio. Aspettatemi qui, cenate in tranquillità e tornate a riposare. Vedrete, sarò qui prima che possiate accorgervi della mia assenza-.
-Voglio credervi-.
Gwen si alzò sulle punte dei piedi e depositò un bacio sulla fronte di Duncan, che ricambiò stringendola a sé e baciandola.
-Vi amo-, le disse, allontanandosi subito dopo.
“Siate maledetti entrambi!”, pensò Courtney, richiudendo la porta. Ciò che aveva visto aveva alimentato ancora la sua ira, la sua invidia, la sua gelosia.
-My Lady, credo che…-, provò a dire Heather.
-Elaboriamo un piano. Ora-.

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Capitolo 42
*** Buccaneer's Cove ***


42. Buccaneer’s Cove

Non riusciva a stare calma. Quello che aveva visto e ascoltato le faceva ribollire il sangue nelle vene.
-Cosa possiamo fare? E dove starà andando?-, si domandò ad alta voce Courtney, camminando in tondo nella stanza sotto lo sguardo indurito di Heather.
-My Lady, a questo punto è chiaro che Crouch incontrerà il suo complice questa sera stessa. Ma cosa volete fare? Non potete di certo…-.
-Seguirlo?-, la interruppe l’altra. -No? E come dovrei agire, allora? O forse mi consigliate di rimanere qui, con le mani in mano?-.
-Courtney, non c’è modo di pedinarlo, se è questo ciò che avete in mente. Siamo controllate a vista da Lightning, che non ci permetterà di mettere neanche il naso fuori dalla porta di questa locanda. Tentate di calmarvi, piuttosto: agitarvi di continuo non giova alla vostra salute-.
-Umpf, salute! Quel pirata potrebbe uccidermi in un qualsiasi momento e voi mi parlate di salute!-.
-My Lady, è mio dovere prendermi cura di voi, proteggervi e assistervi in tutto ciò che fate-.
-Bene, dunque-, disse Courtney con rinnovata energia. -Aiutatemi in questa impresa, se davvero volete mantenere fede ai vostri impegni-.
Heather sospirò rumorosamente, guadagnandosi un’occhiataccia della padrona: -Ditemi, allora. In cosa posso esservi utile?-.
-Dovrete distrarre Lightning, così che io possa seguire indisturbata il capitano Crouch-.
-E voi siete convinta che un uomo di quella stazza non si accorga della vostra presenza o fuga?-, domandò scettica la dama , alzando un sopracciglio.
-È quello che voglio sperare-.
Heather chiuse gli occhi e scosse la testa, contraria: si chiese come quella donna potesse essere tanto sciocca.
-My Lady, mi dispiace essere in dissidio con voi, ma non credo che questo vostro “piano” funzioni-.
Courtney scrollò le spalle, sempre più infastidita: -Ah, è così? E allora sentiamo, cosa proponete?-.
La dama non proferì parola.
-Esatto. Meglio che stiate zitta! Siete brava nel criticare, ma nel costruire lasciate a desiderare!-.
Heather inspirò profondamente, provando a domare il proprio spirito ribelle. Avrebbe tanto voluto stampare le cinque dita della propria mano destra sul visino della padrona, ma pensò che non fosse ancora il caso di agire in quel modo.
-Non risolveremo nulla standocene rintanate qui dentro come topi in trappola-, sbottò ancora Courtney, sedendosi sul letto con un leggero tonfo. -Ogni secondo che lasciamo scorrere ci divide ulteriormente da Crouch e dal suo complice-.
La ragazza zittì per non più di un minuto, aspettando che la dama di compagnia aggiungesse qualcosa. Ma notando l’improvviso mutismo dell’altra, la nobile riprese a parlare, provocandola: -Che fine hanno fatto le vostre idee brillanti, eh? Scomparse da un momento all’altro? Eppure mi sembrava che il vostro ingegno fosse tutto sommato superiore a quello dei servi che normalmente lavorano nelle residenze aristocratiche… Forse mi sbagliavo. Dopotutto, appartenete sempre alla plebaglia; cosa potrei aspettarmi di più?-.
Heather abbassò lo sguardo sul pavimento, stringendo i palmi delle mani e chiudendo gli occhi un secondo dopo: se Courtney avesse detto soltanto un’altra parola, probabilmente si sarebbe alzata e l’avrebbe davvero presa a pugni.
-Allora? Vedo che finalmente vi è caduta quella lingua!-.
Fu un attimo: la dama si mise in piedi di scatto e rivolse un’occhiata di profondo odio e disgusto alla padrona, dicendole: -Sono stanca dei vostri insulti, Courtney! Sono stanca di essere al servizio di una mocciosa viziata come voi, che mai ha conosciuto la miseria, la povertà, ma solo immeritate agiatezze! Ho accettato di seguirvi per il bene della mia famiglia, ma sarei pronta a tornare in Inghilterra a nuoto, pur di non vedervi mai più! Azzardatevi ad aggiungere una singola sillaba e giuro, giuro che vi butterò da quella dannata finestra!-.
Aveva accompagnato il grido con precisi gesti delle mani e l’ultimo, in particolare, catturò l’attenzione di Courtney, sbiancata al sentire insorgere per la prima volta l’ormai esausta Heather.
-Ripetete ciò che avete detto?-, le chiese Lady Bennet.
-State forse cercando di provocarmi ulteriormente?!-.
-No, no, sono seria: vi ordino di ripetere quello che avete detto-.
Heather non impiegò molto a giudicare la donna che le stava di fronte completamente uscita di senno.
-Non insultatemi mai più o me ne andrò…-.
-No, non questo. L’ultima frase, per favore-, la interruppe la nobile.
-Vi scaglierò fuori da quella finestra?-, provò Heather, indicando i vetri sporchi con la punta dell’indice.
-Esattamente!-.
Courtney si avvicinò velocemente alla parete con un ampio sorriso stampato sul viso e la dama di compagnia si domandò che cosa avesse appena pensato.
-Visto? Ho dovuto mettervi alle strette per farvi formulare un buon consiglio-, disse Lady Bennet voltandosi verso la ragazza .
-Di cosa state…?-.
-Non capite?-, la fermò di nuovo Courtney. -Mi calerò giù dalla finestra! Con il vostro aiuto potrò seguire Crouch senza che nessuno si accorga della mia assenza!-.
Heather la guardò, sorpresa.
-Venite e guardate voi stessa-, la chiamò l’altra. -Questi vetri danno su un vicolo secondario già abbastanza scuro nonostante sia appena il tramonto. Mi terrò nell’ombra e pedinerò quel dannato pirata… Ma adesso aiutatemi, vi supplico: sarà necessario utilizzare le lenzuola dei nostri letti per permettermi di scendere giù-.
Courtney si diresse verso il proprio giaciglio e con uno strattone mandò all’aria gli strati di coperte, mentre Heather la osservava senza dire nulla, tanto era lo stupore.
-My Lady, siete seria?-.
-Assolutamente! Forza, intrecciamo il tutto… E speriamo che tenga il mio peso; non ho voglia di frantumarmi qualche osso-.
Con rapidità le due Inglesi annodarono le lenzuola, ricavandone una spessa corda bianchiccia che fu immediatamente gettata oltre la finestra.
Courtney si sporse per considerare un’ultima volta l’altezza e finalmente decise di calarsi in strada.
-Heather, avete con voi uno scialle da prestarmi? Non voglio essere riconosciuta…-.
La dama le consegnò una fascia che solitamente portava in vita e la padrona non esitò un istante prima di indossarla.
-Perfetto. Credo che così possa andar bene-.
Lady Bennet diede un’ultima sistemata alla stola che le incorniciava il viso e poi salì sulla soglia della finestra, pronta a scendere.
-Heather, vi prego, non lasciate mai la presa sulle lenzuola-, si raccomandò un po’ preoccupata. -E inventatevi qualcosa per giustificare la mia assenza a cena-.
-Non sarà difficile-, la rassicurò la ragazza. -Ma ditemi, come farete per risalire quassù?-.
-Ignoro quanto mi ci vorrà per avere notizie soddisfacenti sull’incontro tra il capitano e questo sconosciuto; sappiate però che, qualsiasi cosa accada, io tornerò sotto questa finestra. State dunque attenta, perché potrei essere di ritorno anche tra poco, se dovessi perdere le tracce di Duncan. È giunto il tempo di andare-.
Con il cuore in gola e le mani tremanti, Courtney si aggrappò alla corda di lino e scese pian piano, guardando sempre verso il basso. Sentiva Heather mugolare per lo sforzo, ma continuò a pregare che la ragazza non l’abbandonasse proprio in quel momento. Quando infine riuscì a toccare la superficie del vicolo, la nobile rivolse un’occhiata verso l’alto e salutò la dama con la mano, curandosi subito dopo di risistemarsi lo scialle in modo da non essere riconosciuta né da Crouch né da altri.
“Ed ora dove sarà andato, quel criminale?”, si chiese Lady Bennet, svoltando in un'altra stradina secondaria e male illuminata. “Heather mi ha fatto perdere un po’ troppo tempo con le sue lamentele e così eccomi qui, a cercare un uomo che sembra essersi volatilizzato nel nulla”.
Per una decina di minuti Courtney vagò senza meta, indecisa su come proseguire nella sua impresa.
“Forse sarebbe meglio tornare alla locanda”, pensò con afflizione, “ma a cosa servirebbe? Sono così vicina a scoprire che cosa nasconde Duncan, eppure continua a sfuggirmi. È frustrante… A chi potrei rivolgermi per avere sue notizie? A nessuno, certo. Se lo facessi, sarei costretta a rivelare la mia identità ed è l’ultima cosa che voglio al mondo. Ah, ma possibile che gli siano bastati cinque minuti per scomparire?”.
Continuò a passeggiare senza spostarsi troppo dal punto da cui era partita. Aveva paura di potersi perdere e dunque non se la sentì di partire all’avventura.
-Ehi, tu, bellezza! Che ci fai qui, sola soletta?-.
Una calda voce maschile alle sue spalle la fece sobbalzare e Courtney sentì le gambe tremarle per l’inquietudine.
-C-come dite?-, balbettò, voltandosi nella direzione del nuovo venuto.
Un uomo trasandato e sulla quarantina era fermo a pochi passi da lei. Barba incolta e folti capelli arruffati erano solo due delle caratteristiche di quello strano individuo dallo sguardo vagamente allucinato; sul capo aveva un tricorno nero che Courtney considerò di feltro, mentre il resto dell’abbigliamento si componeva di una giacca scura, simile a quella che di solito indossava Duncan, di pantaloni grigi e stivali estremamente consunti.
-Sembri disorientata-, notò, muovendo un passo avanti. -Stai forse cercando qualcuno?-.
-Voi c-chi siete?-, domandò sospettosa, ritraendosi nel vedere l’uomo venirle incontro.
-Ma come? Volete offendermi?-, sbottò deluso lo sconosciuto, dandole di colpo del voi. -Vi trovate di fronte ad una leggenda come il sottoscritto e non la riconoscete?-.
-Il vostro nome, per favore-, chiese spazientita Courtney.
-Ehi, andateci piano, con quel tono!-, la rimproverò l’altro. -Non vorrete che vi faccia saltare il cervello con una delle mie amichette?-, la minacciò, indicando cinque pistole custodite nelle fondine strette ad una fascia che gli cingeva il petto dalla spalla sinistra al fianco destro.
Lady Bennet deglutì, spaventata come poche altre volte nella sua vita. La situazione stava peggiorando sempre di più: non solo si era appena imbattuta in un altro pirata, ma in uno dei più crudeli.
-Ad ogni modo, sono il Capitano Chris McLean. Diamine, una fanciulla come voi dovrebbe conoscere i rischi in cui potrebbe incappare, rimanendo su un’isola movimentata quale Cuba è-.
-Sapete, avete perfettamente ragione!-, cercò di sviare il discorso Courtney. -Mi converrà trovare una locanda in cui alloggiare in piena sicurezza…-.
-Oh, non avrete problemi-, la rassicurò l’uomo, bloccandole il passaggio. -Da gentiluomo, mi offro di accompagnarvi al Buccaneer’s Cove. Stavo giusto andando nella sua direzione, dato che il mio amico della Salt’s Inn ha deciso di non affittarmi una stanza per trascorrervi la nottata. Eh, pessimo carattere…-.
-Chef… Volevo dire... Conoscete Bloody Hatchet?-, domandò incredula Courtney.
-Corpo di mille balene! Chiunque su quest’isola sa chi è-, esclamò il Capitano McLean. -Un ex cacciatore di taglie allevato dal nemico, ma fortunatamente passato dalla nostra parte. Non oso immaginare quanti di noi sarebbero potuti pendere dalla forca, se Hatchet non avesse preso la decisione che lo ha portato fin qui. Perché credete che gli sia valso proprio quell’appellativo, eh?-.
-Dunque nessuno sa quale sia il suo vero nome-, rifletté a voce alta Lady Bennet.
-Probabilmente lo ignorerà lui stesso-, disse convinto il pirata. -Ma voi, piuttosto? Lo avete mai incontrato o…?-.
-Ne ho sentito parlare-, semplificò Courtney, per evitare di tradirsi.
-Questa, poi! Non sapevo che Bloody Hatchet fosse divenuto più famoso di me-, sbottò seccato McLean, socchiudendo gli occhi. -Ad ogni modo, seguitemi. Una volta arrivati, voi andrete a riposare, mentre io mi riunirò con vecchi compagni. È passato così tanto tempo dalla mia ultima visita, che ormai ricordo a stento la strada-.
Il capitano la superò, mostrandole il vicolo in cui addentrarsi. Courtney, che fino ad una manciata di minuti prima avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di liberarsi al più presto del pirata, improvvisamente cambiò idea e decise di seguirlo, preoccupandosi di mantenere una distanza di almeno tre metri tra lei e quell’uomo stravagante.
“Potrebbe essere lui il complice di Duncan”, pensò rapidamente. “Tutto tornerebbe. Anche lui conosce Chef, non tornava a Cuba da tempo e stranamente ha un appuntamento con alcuni suoi amici proprio questa sera. Le coincidenze sono troppe, non può essere solo un caso. Inoltre deve essere un amante del rum; ne avrà mandato giù un bel po’, per barcollare così”, si disse, notando l’andatura irregolare di McLean.
-Siete silenziosa, a quanto sento-.
Il pirata interruppe il flusso dei suoi pensieri, costringendola a concentrarsi su qualcosa di sensato da dire.
-Sono solo stanca-, disse Courtney, emettendo uno sbadiglio palesemente finto. -Credetemi, non avrei davvero saputo dove andare, se non foste intervenuto voi a soccorrermi-.
-Sì, accade sempre così-, le rispose il capitano, continuando a camminare. -Ho un certo fiuto nell’individuare giovani fanciulle bisognose d’aiuto-.
-La locanda di cui mi parlavate poc’anzi è molto lontana?-.
-Non ci vorrà ancora molto. Vi affiderò alle cure della padrona di casa. Anche se definirle “cure” è un gran complimento-, spiegò sinteticamente McLean.
-Che intendete dire?-, domandò nuovamente preoccupata Courtney.
-Diciamo pure che i modi Ms. Armstrong sono abbastanza mascolini… Insomma, i vostri occhi avranno modo di vedere dal vivo ciò di cui vi parlo-.
Lady Bennet sospirò, sentendosi davvero stremata. Non osava pensare a quali altre peripezie avrebbero ostacolato la sua missione.
-Da quanto tempo siete a Cuba?-, le chiese il pirata all’improvviso.
Courtney fu colta impreparata ed impiegò un minuto di troppo nel dare la sua risposta: -Sono arrivata stamattina. Una nave mi ha fatto sbarcare qui e poi è ripartita, abbandonandomi a me stessa-.
-Oh, siete una reietta!-, esclamò stupefatto McLean. -Dai vostri modi non lo avrei mai detto!-.
-Vi ringrazio del complimento-, replicò con un pizzico d’ironia la ragazza.
-Non c’è di che. Dunque posso chiedervi di unirvi alla mia ciurma? Sapete, avrei un profondo bisogno di buona compagnia femminile e ammetto di non aver mai visto prima una giovane come voi, eccezion fatta per quelle oche urlanti, figlie di importanti aristocratici-.
Il capitano si fermò e si voltò indietro, cercando lo sguardo di Courtney. Si accorse che la nobile stava tremando come una foglia.
-Non avrete freddo, vero?-, le chiese, con tono allarmato. -E sì che il cielo non promette nulla di buono… Spira un vento piuttosto fresco, stasera. Tenete, prendete questa-.
Con un solo gesto McLean si privò della spessa giacca nera, che fu immediatamente porta a Lady Bennet; ma questa, non avendo alcuna intenzione di accettare l’offerta del pirata, si rifiutò di afferrare ciò che le veniva teso.
-Suvvia, è solo per il vostro bene-, le disse con insistenza l’uomo, avvicinandosi e coprendole le spalle. -Non fate l’ostinata, stringetevi e state al caldo-.
Una volta assicuratosi dell’incolumità della ragazza, il capitano riprese a camminare. Non poteva sapere che i brividi di Courtney erano dovuti alla paura che egli potesse scoprire la sua vera identità e, di conseguenza, ucciderla.
Il tragitto durò ancora per una decina di minuti. La giovane aveva ormai perso il conto delle volte in cui avevano abbandonato un vicolo solo per svoltare in un altro e, se fosse stata da sola, probabilmente non avrebbe ritrovato la strada per tornare alla Salt’s Inn.
-Eccoci arrivati-, le fece sapere McLean, fermandosi davanti ad una taverna dall’aria poco raccomandabile.
-Questa è…-.
-Il Buccaneer’s Cove, esattamente. Dopo di voi, prego-, le disse, invitandola ad entrare.
-Oh, vi prego, siate voi a fare gli onori di casa-, si tirò indietro Courtney. Non poteva di certo avanzare a viso aperto: se all’interno avesse trovato davvero Duncan, sarebbe stata immediatamente smascherata.
-Ma sì, non avete tutti i torti. Siete una novellina e non posso farvi correre qualche rischio-, ragionò a voce alta il capitano. -Venite, vi faccio strada-.
McLean si avvicinò con sicurezza all’entrata, pronto ad essere accolto dagli schiamazzi di quanti lo avrebbero immediatamente riconosciuto. Tese il braccio verso la porta d’ingresso e sospinse il battente, che per un qualche strano motivo non poteva essere chiuso ermeticamente.
-Accidenti a voi, Stripes! Dove credete di andare, eh? Stripes!-.
Una furia nera investì Chris e Courtney, che avevano appena messo piede sulla soglia della locanda.
-Non preoccupatevi, è solo…-, McLean provò a tranquillizzare la ragazza alle sue spalle, vedendola profondamente scossa per quel piccolo incidente.
-Torna qui, dannato pezzo di forca!-.
Un oggetto non meglio identificato volò dritto contro i due ancora fermi sulla porta. La prontezza di sensi del capitano Chris fu provvidenziale: automaticamente si fece scudo con il battente e l’unica cosa che udì, oltre alle urla provenienti dall’interno della casupola, fu il rumore di vetri infranti.
L’uomo aspettò ancora pochi istanti, prima di riprovare ad aprire la porta; quando finalmente si decise ad entrare, ebbe la possibilità di rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Ai suoi piedi c’erano i miseri resti di quello che doveva essere stato fino ad un attimo prima un buon boccale di rum; alzando lo sguardo notò alcuni tavoli e sedie arredare l’unico ed ampio stanzone che costituiva il pianterreno della locanda, mentre di fronte aveva un bancone di legno tarlato dietro cui stava una donna vestita di un’accozzaglia di stracci.
-Che il diavolo mi si porti, è tornato McLean!-, esclamò quella, abbandonando all’istante i bicchieri che stava asciugando e affrettandosi incontro al nuovo venuto.
-Ms. Armstrong-, la salutò ossequioso, sollevandosi il cappello. -Cosa…?-.
-Venite, venite avanti-, lo esortò l’altra. -E voi, pelandroni, salutate il famigerato Capitano Chris!-, sbottò subito dopo, richiamando l’attenzione dei presenti.
-Vedo che non c’è molto entusiasmo, da queste parti-, notò il pirata, percorrendo con una sola occhiata tutta la stanza e soffermandosi sui volti di quanti erano intenti a parlottare, giocare d’azzardo o bere rum.
-Ah, non fateci caso-, gli disse la donna, -ultimamente gli affari sono peggiorati. Vi giuro che la locanda è sempre molto trafficata, eppure i conti non tornano mai. Colpa di gente come quello Stripes…-.
-Il tipo che mi è venuto addosso?-.
-Sì, proprio lui. Maledetto, non si è visto per quattro mesi e stasera ha pensato di venire a bisbocciare! L’ho accolto come ho fatto adesso con voi, mi ha chiesto da bere e si è scolato non meno di cinque boccali di rum. L’ho dovuto fermare, altrimenti avrebbe dato fondo alle mie scorte!-.
-Ma cosa è successo? Le vostre urla si sentivano fino in strada-.
-Lo credo bene! Quel bastardo si è alzato con la scusa di sgranchirsi le gambe, ma poi si è avvicinato alla porta con l’intenzione di andarsene senza pagare. Ho cercato di trattenerlo, ma figuriamoci! Adesso chi mi risarcirà i danni, eh?-, gridò in preda all’ira la locandiera.
-Gran brutto affare… Ma ascoltatemi, per favore. Vedete questa ragazza?-, disse McLean, facendo cenno a Courtney di avvicinarsi al bancone, lì dove si era seduto.
-Certamente. È entrata nel vostro equipaggio?-, chiese incuriosita la donna, riprendendo ad asciugare i bicchieri con un panno alquanto lercio.
-A dire la verità è una mia nuova conoscenza-, spiegò brevemente il capitano. -Ha necessità di una camera in cui dormire, almeno per questa notte. Avete un posto disponibile oppure…?-.
-Ho tre stanze pronte per essere usate. Come vi chiamate?-, domandò a Courtney.
-Già-, sembrò notare solo in quel momento Chris, -ora che ci penso, non mi avete detto il vostro nome-.
Lady Bennet prese tempo, sempre più preoccupata. Entrando si era guardata intorno, ma aveva visto come non ci fosse alcuna traccia di Duncan; il suo cervello stava lavorando freneticamente, cercando una soluzione per togliersi da quell’impiccio.
-Katie-, fu la prima cosa che le venne in mente.
-Bene, Katie-, calcò la locandiera, -felice di fare la vostra conoscenza. Sono Ms. Armstrong, la padrona del locale, ma voi chiamatemi semplicemente Eva. Dunque, non avete forse bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, prima di andare a riposare? O preferite soltanto bere?-.
-Dell’acqua, grazie-.
Solo a frase fatta si rese conto di quanto quella risposta fosse inusuale in una taverna di pirati ubriachi fradici.
-Acqua, avete detto?-, ripeté Eva, sollevando l’inquietante monociglio che rendeva il suo viso tremendamente scimmiesco.
-Sì, ecco… Non ne ho assunta nemmeno una goccia per tutto il giorno ed ho la gola talmente secca da provare dolore ad ogni parola-, provò a giustificarsi Courtney.
-Come volete. Non avete fame? Posso portarvi qualcosa di caldo-.
-Sì, Armstrong, portatele della zuppa, se ne avete ancora-, comandò McLean. -E un boccale di rum per me-.
La locandiera sparì nel retro bottega, lasciando i due clienti al bancone.
-Venite, sedetevi qui-, il pirata incoraggiò la ragazza, indicandole un tavolo vicino. -Siete mia ospite e, se non avete soldi con cui pagare il conto, posso pensare io ad ogni cosa-.
-Siete un galantuomo, capitano. Mi onorate con tutte queste premure-, disse Courtney, accomodandosi su una seggiola non molto stabile.
-Semplice dovere. Ma non sforzatevi a chiacchierare, se davvero vi fa male la gola-.
-No, non temete…-.
-Signorina Katie, ecco il vostro piatto di minestra. È ancora tiepido, ma vi consiglio di sbrigarvi a mangiarlo-, la servì Eva. -McLean, il rum-.
-Grazie, Ms. Armstrong. Rimanete pure a farci compagnia, se volete, e terminate il vostro racconto su Stripes-, le disse il pirata, iniziando a trangugiare l’alcolico.
-Preferirei non aggiungere altro-, tagliò corto la donna, stizzita. -Gli ho lanciato contro anche quel boccale che avete calpestato poco fa… Avrei davvero voluto beccarlo in testa, così da farlo cadere in terra tramortito e ottenere il denaro che mi spetta. Ah, ma ho io la soluzione, cosa credete? Mi rifarò sul suo capitano, oh sì… Crouch, quello era un vostro uomo, quindi metterò ogni cosa sul vostro conto! I debiti vanno saldati, mi avete sentita?-.
Ci mancò poco che Courtney non si strozzasse con la zuppa. Sentì il liquido viscoso prendere la via della trachea e tossì così forte da far voltare alcuni pirati che sedevano a pochi metri di distanza dal loro tavolo.
-Qualcosa non va?-, le chiesero in coro Eva e McLean.
-T-tutto bene-, mentì lei, riprendendosi subito e continuando a mangiare.
-Crouch, una vostra risposta sarebbe ben gradita!-, la voce di Armstrong echeggiò nuovamente.
-D’accordo, donna, mettete tutto a mio carico. Penserò tanto a ripagarvi quanto a dare una lezione a quel piccolo sciacallo-.
La voce di Duncan giunse familiare alle orecchie di Courtney, che, tra una cucchiaiata e l’altra di minestra, alzò lo sguardo sulla folla che aveva davanti.
Ci vollero parecchi minuti prima di riuscire ad individuare la posizione esatta in cui il pirata si trovava, ma alla fine Lady Bennet l’ebbe vinta.
Il suo rapitore sedeva in un angolo della sala e le dava le spalle. Non si era voltato neppure per rispondere ai richiami di Eva e Courtney si chiese il motivo di quell’indifferenza.
Solo in un secondo momento si accorse che il ragazzo non era solo.
Una figura incappucciata gli sedeva davanti, parlando fitto fitto e a bassa voce.

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