The Cradle - La Culla

di Ainely
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Nel passato esiste il tuo futuro ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La Cerimonia del Giuramento ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Fedeltà e sangue ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Poor Berni ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - Mille volte amore ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - 641 ***



Capitolo 1
*** Prologo - Nel passato esiste il tuo futuro ***












Anno 2017.

 

Su ogni testata di giornale era stata pubblicata la notizia di un imminente collasso ecologico e climatico causato dall’intensa e selvaggia industrializzazione dell’uomo con materiali inquinanti e nocivi alla salute del pianeta.

Il punto di non ritorno era stato superato e nulla poteva servire per recuperare qualcosa e, come in una qualsiasi profezia, tutto cominciava a degenerare senza alcun controllo: omicidi e stragi in aumento quasi esponenziale, crisi economica a livello mondiale ancora più dura e critica del poco lontano 2008 ed un ribasso delle nascite con un rapporto 1 a 3.

Sembrava davvero che la fine del mondo fosse vicina fino a quando non cominciarono a farsi sentire notizie riguardo ad un piano di recupero, di una selezione di persone adatte al progetto che un’associazione di ricercatori aveva attuato nel bel mezzo del nulla nell’oceano Pacifico.

Questo progetto aveva preso il nome de “La Culla”, un qualcosa di epico e forse anche utopico che prevedeva l’ingresso di diverse persone di etnie diverse, capacità ed anche di codice genetico particolari per poter superare in modo ottimale quell’apocalisse che prevedeva morte e distruzione di tutto ciò che era conosciuto dall’uomo.

Su ogni notiziario e su ogni sito internet si diffuse il nome di questo disegno e tutti, chi per egoismo e chi per disperazione, cercarono di entrare nelle lunghe liste di selezione per tentare la propria sorte.

Una feroce selezione naturale ebbe inizio, tra prelievi sanguigni, analisi ed esaminazioni più o meno approfondite, colloqui sulle proprie capacità lavorative ed intellettuali vennero avviate da questi sedicenti e misteriosi scienziati che parevano essersi autoproclamati salvatori della razza umana oltre che padroni dell’umanità stessa e, senza trovare opposizione alcuna da parte di governi o da enti di supervisione mondiale, il progetto andò avanti come previsto dalle loro strane statistiche fino a raggiungere la sua conclusione solo cinque anni dopo.


Anno 2022.

 

La terra sembrava essere diventata un pianeta sconosciuto, notti aride e bollenti e notti gelide e pungenti. Nulla poteva sembrare normale, nulla poteva più crescere con la serenità e la bellezza di pochi anni prima ma ciò che più devastava era la presenza delle persone che avevano ormai avuto le risposte che cercavano.

La selezione al nuovo Eden era conclusa e la Terra era divisa in “accettati” ed in “negati”, odio e rancore cominciarono a diffondersi come una fiamma sulla benzina e presto il caos cominciò ad impossessarsi di ogni cosa inghiottendo anche la civiltà. Che cosa mai poteva importare ad una persona a cui era stata negata la possibilità di salvarsi? Quali freni potevano imporsi coloro che erano destinati a restare in quella giungla infernale?

Nessun organo militare rispondeva più ai propri doveri, ogni Paese aveva perso ogni potere sulla sua popolazione e nessuno più guardava in faccia il prossimo per poter provare a condividere quel poco che era rimasto, ma per alcuni le speranze non erano svanite difatti era finalmente arrivato il momento di lasciarsi condurre in un posto in cui quegli orrori non sarebbero più arrivati e mano a mano sarebbero svaniti nel tempo, come vecchi ricordi, torbidi ed inquietanti incubi.

Alle prime luci dell’alba cominciarono a sentirsi gli urli e gli echi delle sirene che segnavano l’arrivo dell’esercito del progetto La Culla, persone altamente addestrate per proteggere coloro che sarebbero diventati i fortunati e ridenti cittadini di quell’isola artificiale nel Pacifico.

Come con l’Arca di Noe vennero riuniti tutti coloro che avevano avuto l’onore di essere stati selezionati e non appena l’aria e la luce del sole si fecero troppo schiaccianti per essere sopportate partirono alla volta della Culla.

Molti si erano chiesti in quei cinque anni che aspetto potesse mai avere la loro nuova casa, in molti l’avevano immaginata riccamente decorata come una delle sette meraviglie del mondo antico, altri l’avevano sognata come un luogo governato solamente da alta tecnologia o chi, più semplicemente, sognava e sperava di poter trovare un posto in cui i propri figli potessero salvarsi.

Come si suol dire si trattò di un viaggio quasi epico, un viaggio molto lungo e sicuramente simile ad un viaggio che consisteva nel fuggire da qualcosa che nessuno augurerebbe mai di vedere.

Quel giorno sarebbe passato alla storia, i padri avrebbero raccontato ai loro figli del momento in cui videro l’isola tanto agognata e così a loro volta avrebbero raccontato ai loro figli la storia dei loro avi.

La bellezza di quel luogo lasciava senza fiato chiunque la guardasse, come la leggendaria Atlantide si stagliava imponente dalle scure e profonde acque dell’oceano e i suoi palazzi sembravano esser nati dalle mani di un esperto maestro del vetro, dalle forme più diverse e fantastiche questi palazzi brillavano di mille riflessi grazie alla luce del sole e dava l’idea di essere davvero giunti in un posto lontano ed alieno.

Ogni cosa era stata studiata, ogni minimo particolare era stato scelto per rubare l’attenzione a chiunque vi posasse lo sguardo.

Forme aggraziate ed orientaleggianti, archi che sembravano circondare l’intera isola non come mura ma come gigantesche porte che potessero accogliere i suoi nuovi abitanti. Mano a mano che le diverse navi si avvicinavano tutti poterono anche meravigliarsi nello scorgere verdeggianti fronde che completavano tutto quel panorama utopico.

Chi mai avrebbe detto che l’uomo sarebbe stato in grado di costruire qualcosa di simile e di perfetto? Nessuno poteva crederci e in un modo o nell’altro la loro fiducia e la loro disponibilità era nelle mani di coloro che avevano deciso di ospitarli.

L’intera struttura dell’isola, se vista dall’alto, era a forma di cerchi concentrici uniti da una serie di ponti elevatoi che mettevano ogni anello in comunicazione fino a raggiungere l’isola centrale costitutita da un imponente castello fatto di mille colori ed oro che rilucevano come se fossero elementi vivi grazie alla maestria con cui erano stati soffiati quei meravigliosi vetri e per come era stato lavorato l’oro. Ogni anello aveva diversi tipi di costruzioni, da quelle più semplici a quelle più complesse e decorate, ricche di giochi di luce e di riflessi e di verdeggianti giardini esotici e piccole riproduzioni di città famose e uniche come Venezia o Bangkok o Il Cairo.

Dunque i profughi erano diventati cittadini di una città che era diventata l’emblema di una nuova civiltà, un posto dove si poteva ancora dire “La Terra è casa mia”, dove occidente ed oriente non esistevano più e dove il mondo era il proprio Paese.

Ogni persona venne accolta con gioia e rispetto da chi era entrato a far parte di quell’organizzazione e tutti vennero riuniti in una grande piazza, l’adrenalina e l’emozione di sapere che cosa sarebbe successo era tanta e quasi palpabile mentre un assordante boato di voci faceva tremare il petto di ogni persona.

All’improvviso il suono di un corno echeggiò per tutti gli anelli della città sospesa sull’acqua e tutti i rumori assordanti cessarono d’esistere mentre calava un silenzio quasi riverenziale non appena una delle porte principali del palazzo si aprirono.

Un uomo dalle vesti di seta color terra bruciata rilegata in vita da un’elegante fascia rossa si fece avanti, aveva un aspetto dignitoso ed un volto rilassato e disteso incorniciato da una capigliatura brizzolata pettinata in modo semplice e pulito, e si presentò al nuovo popolo della Culla.

 

“Miei cari fratelli, mie amate sorelle… vi diamo il benvenuto nel cuore della nostra isola. Mai aveva immaginato che sarebbe arrivato questo momento, mai nessuno avrebbe realmente voluto che l’umanità sopportasse tutto questo dolore ma ora è giunto il momento di chiudere le porte al passo, al veleno che ha nutrito per secoli e per millenni generazioni di uomini sanguinari, avidi ed ignoranti per lasciare spazio ad un futuro ricco di prosperità e bellezza, un nuovo inizio in cui la luce del sole risplenda e si frammenti in milioni di pezzi che possano donare a tutti voi ciò che state cercando. Noi siamo solamente un piccolo strumento nelle mani dell’eternità e dobbiamo unire le nostre anime e le nostre energie per mantenere quest’equilibrio per i secoli futuri. Se siamo qui oggi e se abbiamo potuto creare questa nuova casa, questa culla, lo dobbiamo unicamente ad una sola creatura.

Dimenticate le vostre divinità, dimenticate Dio, Allah, Budda, dimenticate ogni cosa perchè non è di sacrifici e di false speranze che l’uomo necessita, bensì di una Madre giusta e generosa, che sappia lenire i nostri doliri, che ci guidi attraverso il tempo per maturare e per diventare sempre migliori...”

 

Altre figure vestite ugualmente all’uomo che aveva preso la parola si aggiunsero e si posizionarono accanto a lui ordinatamente e silenziosamente con un’eleganza ed una tranquillità simile a quella di un rituale. Nessuno parve voler aprir bocca tanto erano stupiti e storditi da tutto quello che era successo in quelle ultime ore di viaggio ed infine l’uomo parlò ancora mentre, insieme ai suoi fratelli, chinava in avanti il capo in un profondo ed ossequioso inchino lasciando che si facesse avanti un’ultima figura dai movimenti lenti, aggraziati e sinuosi.

Lunghe vesti bianche simili a quelli di antiche divinità vennero leggermente mosse da una lieve folata di vento mentre sete dalle sensuali trasparenze lasciavano scorgere le linee voluttuose di un corpo femminile che pareva incarnare ogni tipo di bellezza.

La donna mosse lentamente la mano sinistra per poi posarla sulla propria spalla sciogliendo una delle spille dorate che aprendosi lasciò scivolare a terra uno dei veli serici che le coprivano le braccia e subito dopo qualcuno, sempre debitamente inchinato, raccolse il sacro velo bianco per toglierlo dai piedi della donna e come poco prima ripeté lo stesso gesto sollevando la mano destra per denudare l’altra.

Ancora una volta si chinò un’altra persona mentre l’uomo che aveva dato il benvenuto ai nuovi abitanti dell’isola si fece avanti per togliere l’ultimo velo che celava il volto della donna vestita con sete bianche.

Un lieve brusio si sollevò dalla folla che stava studiando quella bellezza e ne rimasero talmente incantati che nessuno osò fare alcun commento mentre tutti gli occhi studiavano quella creatura tanto bella quanto impossibile: la sua pelle era olivastra e priva di qualsiasi imperfezione come se fosse stata la pelle delicata e sensibile di un bambino, i suoi capelli erano neri corvini acconciati elegantemente sul capo in un intreccio simile alle antiche acconciature delle prime civiltà, la linea del viso era piuttosto tonda e fanciullesca mentre le sue labbra erano piene e carnose modellate in un cuore perfetto che parevano sussurrare di voler essere divorate da baci dolci e passionali.

Il suo corpo era minuto ma senz’altro aveva ogni curva sensuale e femminile, un seno sodo e generoso e fianchi morbidi e voluttuosi capaci di sedurre qualsiasi uomo, ma ciò che rapiva completamente l’anima e lo sguardo di chiunque la stesse guardando erano i suoi occhi, grandi e leggermente orientaleggianti ma del color del ghiaccio.

Quella giovane donna era la chiara incarnazione di ciò che l’umanità racchiudeva in sè, era la Madre che la Terra aveva generato e avrebbe guidato quel nuovo popolo verso il domani, sarebbe stata colei a cui tutti avrebbero fatto riferimento, sarebbe stata tutto per loro.

 

E così, al termine di quella cerimonia la bellissima Madre dalla carnagione dorata e dagli occhi color del ghiaccio sollevò energicamente le mani verso il cielo proclamando così l’inizio di quella nuova epoca di luce e con essa scoppiarono urla di gioia e di acclamazione mentre un coro prese pian piano il sopravvento fino a diventare un’unica grande voce: Lunga vita alla Madre! Grazia e prosperità alla Culla!

La Madre si ritirò e con lei anche il suo seguito di grandi sacerdoti che lasciarono alle guardie il tacito compito di controllare i nuovi arrivati e di sistemarli secondo l’ordine che era stato stabilito.


Anno 2351.

 

“No, non possiamo aspettare. Dottore, faccia quel che le è stato detto e non chieda spiegazioni, siamo stati chiari?”

La voce dell’uomo era stata fredda, tagliente e risuonò sulle pareti di quella sala mal illuminata e spoglia mentre gli altri membri del Concilio stavano seduti sulle loro poltrone ad osservare l’uomo che era stato convocato a quell’incontro segreto.

“Ma non posso! Non è ancora pronto l’elemento! Sarà questione di sei mesi, massimo un anno! Signori, lo dico per voi, sapete quanto tempo occorre impiegare per coltivare una cosa del genere e un minimo errore potrebbe essere solamente uno spreco di risorse che…”

Venne ancora una volta interrotto da un cenno del capo e il dottore cercò di riprendere fiato mentre sperava di riuscire a convincerli che non era quella la soluzione, ma nulla servì a convincerli.

“Dottor Ross non continui, la nostra decisione è definitiva e necessitiamo di quel campione, non la stiamo pagando per non eseguire i nostri interessi. Torni in laboratorio e proceda. Ad ogni eventuale errore che si verificherà in futuro terremo conto della nostra responsabilità.”

L’uomo si passò la mano sul volto detergendosi col palmo il sudore che gli imperlava il labbro superiore ed il mento, era teso e non sapeva che cosa fare e se davvero quei tipi si fossero presi le loro responsabilità se fosse successo qualcosa perchè sapeva che molte persone avevano il vizio di sparire se non soddisfacevano i desideri del Concilio dei Sette.

Venne dunque congedato e lentamente uscì da quella sala tetra e senza luce per imboccare il suo solito corridoio sotterraneo che portava al suo laboratorio scientifico nascosto sotto la base del palazzo della Madre.

Come al solito non aveva incrociato nessuno, nè una guardia, nè un sacerdote, nessuno. Con un mesto sospiro sollevò una mano per lasciare che venisse scansionata dal piccolo analizzatore e qualche secondo più tardi la porta blindata si aprì rivelando un tetro chiarore proveniente da una lunga serie di colonne di vetro dentro cui c’erano tante forme umane addormentate in una sorta di incubatrice.

Una stanza assolutamente inquietante se vista come un allevamento di tante donne in diverse fasi di età ma era quello ciò che faceva, doveva monitorare la crescita di ciascuna di quelle creature fino al loro sviluppo totale e tenerle a disposizione dei suoi datori di lavoro.

Con una profonda angoscia nel petto si avvicinò alla colonna numero 641 e si accucciò alla base metallica trafficando con i diversi cavi e pulsanti che monitoravano lo status dell’ospite.

In salute. Pulsazioni regolari. Frequenza celebrale nella norma. Temperatura corporea stabile.

Premette il tasto di scarico del liquido e subito dopo un rumore meccanico lasciò presagire quel che sarebbe successo, una serie di rumori meccanici diedero inizio alla procedura di risveglio e non appena Ross si raddrizzò per poco non perse la propria compostezza nel vedere che già l’elemento 641 aveva gli occhi fissi su di lui, non più color del ghiaccio ma viola.

Il dottore sapeva che quello non era il preludio di qualcosa di positivo, ma in qualche modo sapeva che sarebbe stato trascinato in quel vortice consapevole o meno.



Continua

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La Cerimonia del Giuramento ***


Capitolo 1

La Cerimonia del Giuramento









 

Arthur stava correndo a perdifiato lungo la strada che univa il secondo ed il terzo cerchio dell’isola, come aveva fatto a dimenticarsi di un avvenimento simile? Sentiva in lontananza i tamburi e i corni suonare in segno che il rituale stava per avere inizio e, come ogni anno, non si poteva assolutamente mancare alla Cerimonia del Giuramento, nessuno mai s’era rifiutato di assistervi perchè era il dovere di ogni cittadino attivo della società dorata in cui la razza umana continuava ad esistere.

Le vesti verdi che indossava erano scosse dai suoi movimenti frenetici e veloci mentre cercava di superare l’ultimo ponte che lo avrebbe portato finalmente al grande piazzale davanti al palazzo della Madre, già poteva sentire le voci e le urla di acclamazione di tutti i suoi fratelli e sorelle che attendevano impazienti il gran sacerdote.

Con il cuore in gola per la folle corsa riuscì finalmente a tuffarsi nella folla e cominciò a farsi largo, per quanto potesse, per poter trovare il posto ideale e per poter trovare anche Nahuel.

Arthur era un giovane uomo appassionato di tutto, adorava la sua vita semplice ma piena di certezze, adorava il ruolo che era stato scelto per lui ed era fermamente convinto nel portare avanti con tutte le sue forze l’ideale della Culla, bellezza e prosperità per i secoli dei secoli, mai aveva avuto alcun dubbio e mai avrebbe pensato di allontanarsi da quello che era il suo compito sebbene la malinconia lo abbracciasse ogni volta che si trovava ad assistere alla Cerimonia del giuramento. Erano passati davvero tanti anni da quando era stato il suo momento, insieme a Arleen, sua sorella gemella.

Il suo sguardo venne poi rapito dalla lunga fila di giovani che si erano da poco disposti davanti all’uscio del palazzo e, come era comprensibile, la loro emozione era quasi palpabile. Le loro vesti bianche con decorazioni in raso nero risaltavano come tanti cigni appollaiati su di un trespolo dorato in attesa del loro primo volo.

Le porte si aprirono, il rito era appena cominciato, e tutti cominciarono ad intonare il coro delle Case, una sorta di inno propiziatorio che augurava ai nuovi adolescenti un percorso prospero nella casa delle maestrie a cui verranno assegnati. Le mani di Arthur si sollevarono insieme a quelle di centinaia di migliaia di altre persone e la sua voce si fuse a quella energica e vibrante di chi gli stava vicino per poter offrire i suoi omaggi ai futuri fratelli, gli pareva così strano e così rasserenante sentirsi parte di una così grande famiglia, nessun dolore, nessuna violenza e nessuna paura aveva toccato la Culla e tutti avevano finalmente vissuto come era giusto fare ma i suoi pensieri vennero bruscamente interrotti nel momento in cui alle spalle dei ragazzi spuntarono i gran sacerdoti e con loro la Madre.

Urla di gioia e di acclamazione investirono la donna misteriosa e sempre giovane, la Madre che conservava in sè l’eternità e la bellezza della terra in cui vivevano.

I tamburi cambiarono il loto ritmo ed il coro alle loro spalle cominciò ad intonare un inno ancora diverso e tutti ritornarono lentamente al silenzio lasciando che le percussioni e le voci facessero vibrare il loro corpo per inondarlo di pura energia e dunque potè cominciare la cerimonia, il gran sacerdote si fece avanti tenendo solennemente tra le mani una teca dorata contenete le fasce delle maestrie, cinture di morbida seta che sarebbero state legate in vita ai nuovi futuri adulti per far iniziar loro la scalata della loro arte all’interno della società e che li avrebbe visti anni dopo come Maestri.

Venne chiamato il primo ragazzo, un adolescente dalla pelle dorata ed i capelli tanto biondi da sembrare bianchi, che si inchinò al cospetto della madre prima di ricevere la sua fusciacca rossa con uno stemma che rappresentava l’arte della sartoria e subito dopo un’eco di gioia si sollevò da chi apparteneva a quell’arte dal momento che era sempre una gioia accogliere nuovi apprendisti.

Arthur sorrise battendo con forza le mani mentre vedeva il ragazzo tornare al proprio posto con gli occhi lucidi, e si passò alla seconda ragazza che venne scelta per l’arte della lavorazione del bronzo e dei metalli ma questa volta non riuscì ad acclamarla come dovuto perchè qualcosa di oscuro si mosse alla sua destra e non riuscì a non accorgersene.

Si voltò quasi di scatto con un’espressione interrogativa e scorse tra la folla un paio di uomini vestiti in nero con lo stemma sulla spalla delle guardie del palazzo.

Cosa ci facevano delle guardie ad una cerimonia simile? Quale bisogno c’era di controllare persone tanto pacifiche? Che vi fosse un fratello od una sorella che necessitasse di una riformazione? Non ebbe il tempo di formulare altri quesiti che sentì sulla propria spalla il peso di una mano e, quasi spaventato, si voltò convinto che avesse dietro di sé un altro paio di quegli uomini vestiti di nero, ma in realtà non si trattava che di Nahuel, un uomo sulla trentina che aveva la strana abitudine di sembrare sempre troppo serio.

 

“Ti ho spaventato?” chiese lui con voce tranquilla mentre lasciava che la mano tornasse lungo il fianco. I suoi occhi dorati erano fissi sul volto di Arthur che pareva essere ancora un po’ scosso da quel sussulto.

“No, è solo che ero sovrappensiero, fratello” rispose stringendosi lievemente nelle spalle “E’ solo che mi domandavo cosa ci facessero delle guardie in mezzo alla folla della Cerimonia del Giuramento”.

L’uomo si guardò attorno dall’alto dei suoi quasi due metri di altezza e le lunghe dreadlocks scivolarono dalla sua spalla al suo petto mentre i muscoli del collo e delle spalle si contraevano, dalla sua espressione Arthur capì che anche lui aveva visto qualcosa di inconsueto e che non credeva che avesse detto bugie.

Altri due uomini passarono loro non troppo lontano ma parve che nessuno li avesse notati, impegnati com’erano a guardare lo svolgimento del rito.

Nahuel tornò a guardare Arthur e con aria grave si abbassò alla sua altezza piegando in avanti il busto e sussurrò al suo orecchio: “Credo che ci siano…”, ma il resto della frase andò perduto a causa di un forse boato che si sollevò dalla folla che cominciò ad esultare, urlare inni e gioire, la Cerimonia del Giuramento era terminata e ora spettava alla Madre la consacrazione di quella giornata.

I due non riuscirono a riprendere il loro discorso e si voltarono a guardare la donna col volto coperto da un velo bianco come le vesti che leggere venivano mosse da ogni suo piccolo movimento come in un turbinio di nubi leggere pronte a svanire da un momento all’altro.

Nessuno aveva mai sentito la voce della Madre perchè si diceva che se avesse mai parlato avrebbe perso la sua purezza e la sua eternità poichè era lei la custode di tutti i segreti del mondo.

La Madre superò i suoi sacerdoti e i bambini per poi iniziare una breve danza sinuosa ed elegante dove mai si poté scorgere un solo centimetro di pelle che si concluse con le sue mani sollevate al cielo e, nello stesso preciso momento, dalla torre più alta del palazzo di vetro ed oro si scaturì un intenso raggio di luce che andò a riflettersi su ogni cosa finendo poi in frantumi come tanti piccoli specchi.

L’isola era nuovamente protetta, la sua benedetta popolazione aveva avuto la conferma che tutto sarebbe andato avanti ancora una volta e che la loro amata ed eterna Madre li amava come aveva amato i loro antenati.

Come scosso da un sogno o da un incanto, Arthur, si passò una mano tra i capelli e tornò a guardare Nahuel che era rimasto come lui a fissare la conclusione della festa della città dorata.

“Come hai detto, scusa?” domandò con voce pacata, ogni preoccupazione era svanita sebbene nulla fosse stato in realtà chiarito e l’uomo dalla carnagione piuttosto rossiccia e dagli zigomi marcati sospinse via l’altro in modo da poter parlare con più calma.

Attraversarono la folla che continuava a festeggiare e ad osannare la loro Dea ed infine si trovarono da soli sul ponte elevatoio che congiungeva l’isola centrale dal primo anello delle leghe Blu (ovvero quella dei Maestri delle Arti).

Nahuel stranamente sorrise e si fermò per guardare l’acqua sotto i loro piedi come se avesse un certo fascino misterioso e riprese a parlare.

“Credo che a palazzo abbiano delle grane. Li hai visti anche tu, vero? Sono troppi per essere solamente in turno di guardia, dico bene, fratello?”

Arthur non sapeva che spiegazione dare e soprattutto che cosa pensare, quali grane potevano mai esserci al palazzo della madre? Nessuno mai avrebbe voluto fare qualcosa che andasse contro le sue leggi ed il suo volere perchè la gente della Culla era pacifica e serena, dedita al lavoro alla lealtà della luce.

“Non saprei, se la Madre ha deciso che è giusto così quale diritto abbiamo di pensare a quale motivazione ha spinto i gran sacerdoti ad aumentare le guardie?”

La sua ingenuità era talvolta disarmante ma forse servì per scacciare ulteriori domande dalla bocca del pellerossa che tornò a guardare il palazzo con aria indifferente per quanto esso potesse essere bello e magnifico.

“Forse hai ragione” rispose infine l’uomo, “Sicuramente è per una questione di sicurezza, troppe persone possono creare più problemi di quanto noi possiamo immaginare. Ora devo tornare ai giardini del palazzo, devo finire di curare il terreno per la prossima semina degli iris. Bellezza e prosperità, fratello.”

L’uomo si congedò porgendogli un cenno di saluto che consisteva nel posare una mano sulla fronte e poi sul ventre, lo stesso saluto venne ricambiato e finalmente Arthur si ritrovò solo.

Con la certezza di avere con sè tutto il tempo, cominciò a passeggiare lungo le strade pulite ed ordinate della città sospesa sull’oceano guardandosi attorno, come ogni anno ogni anello dell’isola era stato adornato con i colori del proprio ceto che rappresentava i colori dell’arcobaleno, l’anello più esterno aveva il colore rosso mentre l’anello successivo arancione e così via fino a restringersi in un unico complesso che era chiamato “Palazzo della Luce” che aveva il color dell’indaco e che rappresentava la massima purezza della saggezza e della conoscenza, non c’è la residenza della loro più grande divinità.

Lui apparteneva al grado dell’anello verde, non apparteneva ancora alla classe dei grandi maestri delle arti ma sperava di riuscire ad accedervi presto, desiderava davvero con tutto se stesso poter realizzare il proprio sogno e di confermarsi nella società come membro di alto rango incominciando così ad adempiere ai suoi compiti nei confronti della comunità, avrebbe dovuto trovare una donna che volesse a sua volta generare un figlio e dopodichè lui sarebbe stato libero di cercare il proprio compagno senza dover più preoccuparsi di non aver contribuito alla Culla Futura.

Il adorava il fatto che nella sua società non vi fossero problemi riguardo alle famiglie e alla loro formazione, ognuno era libero di unirsi in matrimonio con chi amava ma per poter garantire un futuro alla loro civiltà era stato istituito l’obbligo di generare almeno un figlio, il modo e con chi non importava e c’era questa propensione alla formazione di famiglie allargate che bene o male univano tutti come in una grande famiglia.

Forse era proprio quello che gli mancava per accedere all’ultimo anello della società? Doveva trovare una donna che gli prometesse un figlio? Non ne era così sicuro e si ritrovò a camminare pigramente nel quartiere degli specchi dove si soffermò a guardarsi in uno specchio finemente decorato. Studiò i propri tratti delicati e fanciulleschi nonostante i suoi ventinove anni e si pettinò distrattamente i capelli neri dalle morbide onde piuttosto ribelli mentre i suoi occhi azzurri fissavano le labbra carnose e ben modellate. Poteva essere piacente agli occhi di una donna? Non ne aveva la certezza in quanto lui stesso tendeva a prenderne le distanze sentendosi troppo passivo alla passione di una donna e troppo poco coinvolto per amarne anche solamente una.

In qualche modo, si consolò, ce l’avrebbe fatta così come era stata fortunata sua sorella. Si stupì nel ritrovarsi a pensare a lei così spesso in quella sola giornata, erano passati già sei anni dalla sua morte ma in cuor suo la sua perdita era ancora qualcosa di troppo vivo. Come aveva fatto Nahuel a lasciare alle spalle il lutto per poter continuare la sua vita senza nominare più la sua giovane sposa? Il lutto nella Culla era qualcosa che veniva trascinato a lungo sebbene non in modo negativo, semplicemente non si doveva più nominare la persona cara per almeno sette anni in modo da lasciare che la sua luce venisse completamente assorbita dallo spirito della Madre che la consolasse e che la liberasse nel cielo per poter proteggere chi invece era rimasto.

Arthur non aveva mai avuto il coraggio di chiedere al cognato che cosa pensasse e che cosa sentisse ancora per sua sorella, non tanto per una superstizione ma per non sollevare sentimenti spiacevoli e tristezza.

Accanto a lui, proprio in quel momento, passarono un paio di famiglie con i loro figli, li riconobbe subito perchè i due ragazzini indossavano alla vita la fascia rossa dell’iniziazione e non poté fare a meno di ricordare il suo giuramento.

Era stata una giornata ricca di emozioni per lui e la sorella che li aveva visti vicini come mai prima di quel momento, entrambi stavano crescendo ed entrambi avevano intrapreso la strada del loro destino.

Arleen era stata scelta per la lavorazione dell’oro e del vetro per creare gioielli perfetti per adornare le splendide vesti della Madre, mentre lui era stato scelto per la ricerca e lo studio di nuove tecnologie che potessero accrescere la magnificenza dell’isola.

Da qualche parte doveva aver tenuto quella fusciacca e sarebbe stato bello poterla rivedere dopo tanti anni da quella giornata. Si ritrovò così a sorridere mentre riprendeva a camminare per la città superando bancarelle e ponti fino a riprendere la strada di casa decidendo su due piedi che avrebbe potuto rimandare all’indomani il suo lavoro lasciato in sospeso.

Attraversò l’ultimo ponte per poter raggiungere il cerchio del rango dei Verdi, il suo ceto di appartenenza, e si soffermò davanti alla porta della propria casa. La osservò con attenzione e si disse che avrebbe dovuto chiamare un mastro costruttore per rivedere l’intonacatura dorata che cominciava ad ossidarsi sullo stipite, doveva essere sempre tutto perfetto ed in ordine come tutte le altre case a schiena che erano costituite da un’abitazione con tutte le camere a pian terreno, grandi e ben illuminate e circondate da un piccolo giardino a disposizione di ogni proprietario per poter contribuire all’armonia dell’intero complesso. Tergiversò per qualche istante mentre osservava l’uscio con le sue decorazioni ed infine si decise ad entrare.

Con noncuranza richiuse la porta alle proprie spalle e si sistemò il colletto alla coreana della proprie veste verde smeraldo ma rimase come paralizzato nell’istante in cui i suoi videro davvero ciò che lo circondava.

La sua casa era stata messa completamente sottosopra, abiti gettati scompostamente a terra, i suoi libri rovesciati dai loro scaffali, il triclinium su cui riposava era stato sventrato della sua morbida imbottitura. Si sentì quasi mancare la terra da sotto i piedi e non riuscì a dire una sola parola fino a quando non provò a fare qualche passo per addentrarsi nel resto dell’appartamento. Che diavolo era successo, si chiese mentre con gli occhi sbarrati svoltava l’angolo. Non era mai successa una cosa simile e nè tanto meno sapeva dare un nome a quel che stava vedendo ma sapeva che era semplicemente atterrito.

Imboccò il breve corridoio che collegava la camera da letto con la sua cucina e si affacciò nella camera. Quella stanza sembrava come se nulla vi fosse accaduto, perfettamente in ordine come l’aveva lasciata quella stessa mattina. Incuriosito vi entrò e si avvicinò al letto ma non fece in tempo a voltarsi che un paio di mani lo afferrarono per le spalle e sentì immediatamente dopo il freddo metallico di una lama puntata alla gola.

 

“Dì solo una parola e ti uccido.”

 

Una voce bassa e frenetica sussurrò quelle parole al suo orecchio mentre sentiva la propria pressione sanguigna scendere fino a dargli un vuoto alla testa. Che stava succedendo?! Ebbe il buon senso di non muoversi e rimase intrappolato nella stretta di quello sconosciuto. Tutto intorno a sé aveva preso contorni che pareva non aver mai visto, si sentì stranamente in pericolo e non sapeva come reagire a quelle emozioni se con la paura o con qualcosa d’altro, ma ancora una volta non riuscì a frenarsi e gli sfuggì di bocca:

“Cosa accidenti hai fatto a casa mia?!”

L’uomo non rispose ma sembrò allentare la presa su Arthur che cercò di pensare velocemente, non era mai successa una cosa simile, la violenza era stata ripudiata fin dalle prime generazioni che abitarono l’isola e quindi non era cosa facile e semplice riuscire a gestire una situazione del genere. Doveva solamente appoggiarsi all’istinto se mai gli fosse venuto in aiuto prima di cedere alla paura.

“Ti ho detto di fare silenzio.” imprecò l’uomo che ancora non era riuscito a vedere se non per le mani, mani dalle dita lunghe e sottili ma forti e piene di vecchie ferite. Non aveva mai visto niente di simile e non seppe che cosa pensare a riguardo se non alla fredda sensazione del coltello sulla gola che gli dava l’impressione di sentir già colare un rivolo di sangue lungo il collo.

“C’è un modo per andarsene? Avanti, rispondi!” chiese con insistenza lo sconosciuto mentre strattonava Arthur nella stanza d’ingresso per poter controllare l’esterno restando comunque nascosto dietro la parete della porta principale, Arthur cercò di voltarsi per guardare quel tipo con aria allucinata e gli rispose “Andarsene?! Dall’isola? Tu devi essere stato colpito dalla malattia dell’esterno! Devi essere riformato, fratello. Non c’è nulla al di fuori della Culla!”

Il petto di Arthur si sollevava e si abbassava ritmicamente ed il cuore batteva veloce e dolorosamente con la sgradevole sensazione che gli uscisse da un momento all’altro dalla gola, poteva sentire la secchezza delle labbra ed il calore che saliva dalle spalle fino a fargli andare a fuoco la fronte e le orecchie, era troppo per lui tutta quella situazione ma senza alcun prevviso il suo aggressore lo lasciò andare spingendolo in avanti in malo modo per poi guardarlo con aria truce. Arthur barcollò in avanti ma cercò di non finire a bocconi a terra, in mezzo a tutta la sua roba messa alla rinfusa.

“Mi stai prendendo in giro? Non mi sono svegliato con l’umore adatto per scherzi di questo genere. Ora smettila di prendermi per il culo e dimmi come fare per andarmene.”

La risposta dello sconosciuto era senz’ombra di dubbio chiara e precisa.








Continua


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Un po' di schizzi dei personaggi!
In questo capitolo abbiamo un lo schizzo della veste di Arthur e lo studio del personaggio
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Arthur

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Fedeltà e sangue ***


Capitolo 2

Fedeltà e sangue











 

Arthur non fiatò e non ebbe nemmeno il coraggio di sollevare il viso dai suoi piedi ma lentamente lo studiò nei minimi particolari. Quell’uomo indossava delle strane scarpe, nere e sudice, con delle borchie cromate che adornavano i lati di quegli stivali e poi, risalendo lentamente con lo sguardo, vide che indossava dei calzoni completamente diversi da quelli che aveva sempre visto, molto attillati e di un materiale che non aveva mai provato a toccare, sembrava stranamente morbito ma senza fibre intrecciate, come se fosse costituito da un unico pezzo piuttosto lucido e comunque resistente, ed infine, una volta giunto al petto, vide che aveva una casacca chiusa con dei grandi bottoni ed un colletto alto alla coreana, ma ciò che più lo colpì fu l’espressione del suo viso ed i suoi capelli lunghi, arruffati ma comunque selvaggi.

Senz’alcun dubbio quell’uomo non faceva parte del posto in cui lui viveva. Si portò una mano alla bocca come per strozzare un gemito e continuò a studiarlo con un misto tra terrore e curiosità.

Le leggende narrate sul mondo esterno dicevano che nessun uomo era sopravvissuto a causa del suo stesso male che aveva reso ogni angolo della terra un posto inospitale e malsano e che gli unici ad essere sopravvissuti erano loro, i discendenti dei primi sfuggiti alla fine del mondo. Non s’era fatto altro che parlare del modo in cui gli esseri umani che abitavano ancora i continenti si fossero trasfromati in orribili bestie mutate a causa della radioattività degli ordigni che erano stati fatti esplodere in seguito a sanguinose e sciocche guerre. Il mondo esterno era diventato una sorta di terra aliena in cui la vita era solamente una barbare lotta tra bestie sanguinose e malattie mortali, freddo artico ed oscurità, ragion per cui come poteva anche solo credere a qualcosa del genere, come poteva davvero convincersi che quel tipo provenisse dall’esterno e che volesse proprio tornarci? Certo, le sue vesti e il suo orribile modo di parlare non apparteneva agli usi della Culla tuttavia poteva anche essere un folle sfuggito alle guardie per tornare alla Riformazione.

Talvolta succedeva che gli elementi troppo esuberanti o di indole troppo aggressiva venissero accompagnati in una struttura all’interno del palazzo della Madre per essere riformati ad abbracciare la luce dell’isola e a comprendere la sua armonia negando la violenza e la rivolta al volere della grande Madre.

Aveva sempre trovato giusto quell’intervento e aveva già visto i risultati nelle persone che venivano abbracciati dai sacerdoti all’interno del palazzo, da rabbiosi e furenti diventavano persone riflessive ed accondiscendenti anche se forse un po’ troppo silenziose.

Tuttavia quell’uomo doveva essere davvero completamente folle, i suoi occhi non facevano altro che esprimere “pericolo”, “urgenza” e “rabbia”, erano tutti sentimenti che Arthur non conosceva ma che riusciva comunque a percepire con ogni singola cellula del suo corpo.

“Co-come prego? Io non ti ho mai toccato, sei tu che mi ha aggredito e per di più in casa mia! E comunque è impensabile lasciare la Culla”, Arthur allargò le braccia con un gesto di ovvietà ma lo sguardo dell’inaspettato ospite gliele fece riabbassare facendolo sentire stranamente a disagio. “Che cosa vuoi da me?”, fu l’unica domanda sensata che gli uscì di bocca qualche istante più tardi.

L’uomo roteò gli occhi e sbuffò con aria decisamente scocciata, quel tipo non era poi così sveglio si disse e, con voce canzonatoria replicò, “Un caffè e uova strapazzate con della pancetta.”

Arthur lo fissò con aria sconcertata e confusa “Cos’è una pancetta?”, chiese sgranando gli occhi ed inarcando un sopracciglio e come risposta ci fu solamente una sorta di grugnito.

“Il più cretino dovevo andarmi a scegliere, eh? Non facciamo gli idioti, amico, e ora dimmi come accidenti devo fare per andarmene via.”

Come morso da una vipera Arthur trasalì indispettendosi, gli aveva dato dell’idiota in quel modo? Ma che razza di modi aveva quel tipo assurdo e per di più talmente improbabile?! Scattò in avanti puntandogli contro l’indice della mano destra ma quest’ultimo prontamente gli puntò contro la lama che continuava ad impugnare avvicinandosi a sua volta come in una tacita minaccia. No, forse non era una buona idea ricordargli che non era assolutamente il caso di offendere le persone che per giunta non conosceva, ma la sua preoccupazione ebbe un picco che lo fece tremare da capo a piedi quando quell’uomo gli si avvicinò ulteriormente per poi oltrepassarlo per potersi accucciare accanto alla finestra spiando l’esterno. Diversi uomini vestiti di nero continuavano a passare a passo tranquillo sebbene stessero cercando qualcosa o qualcuno. O ancora meglio: lui.

“Dannazione. Sono ancora qui fuori…”

Gli occhi azzurri di Arthur parvero diventare vitrei mentre gli sentiva pronunciare quelle poche parole, le guardie del palazzo stavano davvero cercando qualcuno e quel qualcuno era in casa sua. Lo avrebbero coinvolto anche loro credendolo suo complice? Si trovò a sudare freddo mentre cercava di calmarsi e di non lasciarsi prendere dall’eccessiva apprensione, non avrebbero mai potuto accusarlo di qualsiasi reato nei confronti della Madre e della Culla perchè lui amava con tutto se stesso la sua vita e la sua terra. Non si accorse nemmeno che il suo sequestratore s’era spostato e stava ancora una volta trafficando nei suoi cassetti alla ricerca di qualcosa e quando se lo trovò accanto non riuscì a trattenere un urlo per lo spavento che venne immediatamente soffocato da una mano sottile.

“Non vorrai mica farmi perdere la pazienza?” gli sibilò l’altro mentre continuava a premergli la mano sulle labbra, “Hai qualcosa qui dentro di utile o vivi solamente con libri e vestiti? Non so, un lasergun? Un pugnale da mischia?”. Arthur scosse il capo essendo ancora impossibilitato a parlare e non capì nemmeno quel che gli aveva chiesto, parlava di armi? Ma nella Culla non c’erano armi di alcun genere, abbassò lo sguardo e sentì sulle ciglia il tiepido respiro dell’assalitore, erano veramente vicini, forse anche troppo. Stranamente si sentì non solo in pericolo ma anche in imbarazzo, s’era creato un rapporto fin troppo intimo tra loro per permettergli di restare così vicino e anche di toccarlo senza alcuna delicatezza o rispetto ma non sembrava essere un concetto condiviso.

“Non posso nemmeno uscire vestito così.” disse l’uomo dai capelli lunghi, “Finirei per essere segnalato in meno di mezzo minuto e quasi certamente tu…” proseguì lasciandolo andare, “Correresti a chiamare quei tipi in nero, dico bene? Cazzo… Dee, non potevi farti gli affari tuoi?!”

Il giovane dai capelli lunghi si passò una mano sul viso con aria stanca ed esasperata mentre Arthur si muoveva lentamente per poter controllare meglio la situazione, in fondo era vero quel che aveva detto, sarebbe andato subito a chiamare le guardie ma ancora non era il momento e sperava che non accadesse nulla di tragico.

“Ti chiami Dee? E’ un nome molto… breve.” Cominciò con molta calma, come se avesse a che fare con un bambino piuttosto piccolo, ma non ricevette risposta. “E sembri essere un tipo anche… intraprendente. Ma parlami piuttosto di… di te. Da dove vieni, perchè sei qui se affermi di provenire dall’esterno?”

Dee si raddrizzò con la schiena e guardò Arthur con aria interrogativa, come mai era diventato all’improvviso così logorroico? La cosa lo lasciava piuttosto sospettoso e controllò che non nascondesse nulla tra le mani.

“E’ un nome che non ho scelto io, genio. Mia madre non ha molta fantasia coi nomi.” Si guardò attorno e raccolse da terra una casacca color smeraldo e la posò sul proprio petto per vedere se poteva essere della sua taglia, “Che vuoi che ti dica, ho il brutto vizio di cacciarmi nei guai e dopo aver scoperto l’esistenza di alcuni dossier risalenti ad un po’ di tempo fa alcuni uomini hanno ben pensato di prendermi e di portarmi qui. Accidenti, ma quanti anni hai?! Quindici?! Questa roba mi entrerebbe solo in una gamba!” esclamò lanciandogli quasi contro gli indumenti che aveva raccolto con aria molto stupita oltre che sconcertata mentre sembrava che il problema principale non fosse tanto la sua presenza sull’isola bensì la taglia degli indumenti di quel povero disgraziato, Arthur parve confuso e prese al volo i suoi vestiti e gli rispose a tono:

“Ho ventinove anni! E non è colpa mia se non sono alto due metri e se non peso un centinaio di chili! Tu piuttosto, come sei vestito?! Che cos’è la roba che…”

La sua voce finì col morirgli in gola non appena si accorse che Dee si stava spogliando di quegli abiti logori e sporchi lasciandoli cadere senza troppa attenzione a terra -in mezzo alla propria roba-, “Che stai facendo?” domandò sebbene la situazione fosse ovvia.

“Non posso di certo uscire con questo addosso e alcune cose forse dovrebbero starmi in modo decente.” tagliò corto Dee mentre si toglieva con un colpo secco i pantaloni di pelle nera restando fermo davanti ad Arthur per qualche secondo.

“Oh… ma tu sei arrossito! Dimmi un po’, non sarai mica in imbarazzo?” ridacchiò con aria gongolante mentre guardava da capo a piedi Arthur che effettivamente era arrossito nel guardare il suo “gradito ospite” e gli si avvicinò lentamente restando praticamente svestito ottenendo la reazione desiderata: il ragazzo dagli occhi celesti arretrò di un passo mentre cercava con tutto se stesso di replicare qualcosa di sensato.

“Io?! No, ecco, insomma… sei tu che…” Arthur lo indicò con la mano leggermente malferma nel tentativo di ammonirlo a non avvicinarsi oltre ma Dee pareva essere un’animale selvatico davanti alla propria preda.

Non riusciva a capire che cosa volesse da lui, vestiti? Li aveva trovati. Cibo? Sicuramente poteva averne. Armi? Gli aveva detto che non esistevano. Ma doveva proprio avvicinarsi con quelle intenzioni? Si sentì mancare un battito non appena furono nuovamente vicini da sentire il proprio calore reciproco ed Arthur si ritrovò a sollevare entrambe le mani come se avesse paura di posargliele sulle spalle.

“Sono io che?”, lo incalzò Dee con un sorrisetto malizioso ed estremamente ambiguo, “Perchè non provi a dirmelo più tardi?”



 

“Altro vino.” disse una voce bassa e androgina sebbene con un ché di stizza ed autorità oltre a pigrizia ed un servitore prontamente si avvicinò alla coppa dorata che era stata agitata con poca grazia per poi riempirla con un vino color rubino e dal profumo intenso e aromatico.

“Queste cerimonie sono davvero qualcosa di assolutamente inutile. Ah, razza di inutili esseri… e tu, si può sapere che stai facendo? E’ forse questo il modo di limare delle unghie?!” il tono di voce divenne sprezzante e quasi collerico mentre la Madre premeva crudelmente il piede sul petto del secondo servo inginocchiato al suo triclinium dorato.

Il giovane continuò a tenere il capo chino e si lasciò umiliare senza osare dire o fare altro mentre la donna avvicinava lentamente il calice alle labbra tinte di un color prugna intenso e bevve un generoso sorso prima di riprendere a parlare con uno dei suoi grandi sacerdoti.

“Avete trovato quel fuggitivo? Non sono incline a perdonare altri fallimenti.” le sue parole fecero quasi impallidire l’uomo che cercò di mantenere il proprio sangue freddo al cospetto della divinità mentre cercava le parole adatte per non scatenarne l’ira.

“Mia signora, le guardie lo stanno ancora cercando, non è stato semplice poter concludere la ricerca con la Cerimonia del Giuramento in atto, la folla era tanta e sicuramente è stato abbastanza scaltro da nascondersi in essa per poi…”

“Sciocchezze!”, esclamò ancora una volta la Madre prima di lanciare il vino restante in faccia all’uomo, “Ignobili scuse! E’ per colpa della vostra inettitudine se quel selvaggio è scappato dalla vostra sorveglianza. Come può essere un solo uomo tanto abile da sfuggire alle mie guardie?” si disse mentre continuava ad osservare lo schiavo che si occupava di detergere i suoi piedi in latte di asina, ma il sacerdote pareva ancora essere sotto giudizio nonostante quel silenzio.

“Madre, lui è un Esterno… sappiamo tutti che sono bestie e che vivino nella più totale anarchia, ma non accadrà più un errore simile, tutti noi confidiamo che il lavoro dei nostri uomini giunga a buon fine”, si inchinò con fare riverenziale mentre attendeva di essere congedato ma la Madre ancora non sapeva se quel colloquio potesse o meno concludersi in quel momento.

Gli occhi viola si mossero lentamente fino a studiare un punto non ben definito davanti a sé e, come se fosse in una sorta di trance, chiese “Che cosa dice il Concilio di questo nostro ospite?”, l’uomo trasalì non aspettandosi un tale quesito, non capitava mai che la Madre parlasse del Concilio, difatto segreto anche a lei, e cercò di tergiversare.

“Il Concilio esegue ciò che è più giusto per la protezione della Culla, mia Dea. Non dovete preoccuparvi, sicuramente qualche d’uno lo avvisterà e verremo immediatamente avvisati della presenza di quell’uomo. Non è poi così semplice per un Esterno trovare un rifugio sicuro nelle case di un Cradleniano”.

La Madre annuì lentamente mentre si portava una mano al viso scostandosi una ciocca di capelli corvini che le erano sfuggiti dalla capigliatura dandole un aspetto più terreno di quel che in realtà avrebbe dovuto essere. Il fatto che il gran sacerdote avesse sviato il discorso del Concilio stava a significare che anche a loro la presenza di quel cane in giro per l’isola fosse un pericolo, una preoccupazione. Avrebbe potuto anche lasciar correre gli eventi e restare ad osservare fino a quando non fosse arrivato il momento propizio per poter muovere le proprie pedine senza esercitare alcuno sforzo e forse era quella la tattica migliore, tuttavia se fosse rimasta troppo quieta i membri dei Sette si sarebbero insospettiti ed era una delle ultime cose avrebbe desiderato affrontare.

Sempre col piede premuto sulla spalla del suo servo non fece altro che impiegare un po’ di forza per scostarlo malamente da sé facendolo cadere a terra dopodiché si mise a sedere compostamente accavallando le gambe elegantemente lasciando che la delicata stoffa della sua veste le scoprisse una coscia e l’uomo non parve resistere e le lanciò un’occhiata fuggevole prima di inchinarsi alla sua divinità.

“Lasciamo che il Concilio faccia quel che più desidera, il compito della Madre è quello di vigilare e giudicare… Ad ogni modo sento odore di cambiamenti, Jamir, sento odore di sangue.”, sorrise e da quelle labbra color prugna spuntò un sinistro sorriso che si trasformò in una smorfia ambigua, “La Culla sta per vedere una nuova epoca dell’oro. E sarò io a guidarla.”

L’uomo parve confuso ma si avvicinò comunque senza però superare un certo limite, dentro di sè continuava a temere quella figura tanto bella quanto pericolosa e proprio in quel momento la donna agitò una seconda volta la coppa dorata e subito venne riempita da mani svelte.

“Bevi”, ordinò porgendola all’uomo, “Bevi in mio onore, bevi per me.”

Jamir prese con mani tremanti la coppa delle stesse mani della Madre e guardò prima l’una e poi l’altra con la fronte imperlata di sudore, mille pensieri attraversarono la sua mente e non potè che tergiversare. “Avanti… non penserai che è avvelenata?” lo turlupinò ridacchiando mentre si accomodava con le spalle allo schienale del triclinium, il gran sacerdote sembrava essersi calmato ma non del tutto e dunque avvicinò lentamente il calice alle labbra e provò a bere un sorso di vino.

Attese. Si guardarono a lungo negli occhi ma non accadde nulla, Jamir poté tirare un sospiro di sollievo e, con un ampio sorriso, sollevò il calice per brindare ancora in nome della sua Dea riprendendo a bere avidamente quel nettare dal gusto avvolgente ma pochi istanti più tardi la coppa gli scivolò dalle mani cadendo a terra e versando il vino ai suoi piedi.

L’uomo sgranò gli occhi mentre altre gocce rosso scuro caddero accanto alla coppa e senza scomporsi minimamente la Madre sorrise fissando la lunga lama decorata che trapassava il petto dell’uomo all’altezza del cuore.

“Bellezza e prosperità…” disse lei mentre l’uomo cadeva esanime ai suoi piedi rivelando alle sue spalle la presenza di un giovane vestito con abiti neri che subito dopo pulì la propria arma sulla manica scampanata della sua veste per poi scostare con un movimento del capo la propria capigliatura fulva. “Fedeltà e sangue” rispose il giovane mentre porgeva un ossequioso inchino alla sua padrona.

“Un ottimo lavoro, Aalim. Pensa tu al resto… io credo che mi dedicherò a qualcosa di più… ludico. Sai cosa fare.”

Il rosso annuì piegando le labbra in un sorriso altrettanto crudele mentre i propri occhi ambrati si posarono sul volto della Madre che, nel frattempo, s’era alzata scavalcando il cadavere.





Continua


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Un po' di schizzi dei personaggi!
In questo capitolo lo schizzo dello studio di Dee
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Dee

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Poor Berni ***


Capitolo 3
-Poor Berni-

 





 

La luce del sole era diventata intesa e filtrava senza alcun ostacolo dalla finestra per poi finire sul volto di Arthur, ancora assopito mentre restava sdraiato sul pavimento in mezzo ai propri indumenti, ai propri libri e a tutto il resto che era stato messo sotto sopra.

Lentamente il giovane aprì gli occhi avvertendo immediatamente il bruciore causato dalla luce e con un gesto meccanico si strofinò le palpebre con una mano chiusa a pugno, quel che era successo poco prima era piuttosto confuso sebbene difficile da dimenticare, automaticamente si guardò attorno ed oltre al disordine si accorse che Dee era seduto con la schiena appoggiata al muro e lo stava guardando con aria pensierosa, come se i suoi occhi lo avessero portato in un luogo lontano da quello in cui si trovavano.

Rendendosi conto della propria nudità, Arthur, afferrò la propria casacca coprendosi il petto ed il ventre mentre arrossiva vistosamente nel fissare il corpo nudo e magro dell’altro.

 

“Perchè non mi hai svegliato?” chiese con un accenno di irritazione e di vergogna, chissà da quanto tempo lo stava fissando e chissà che altre cose gli erano venute in mente nel frattempo, ma Dee sembrò riaversi solamente per caso, una voce lo aveva definitivamente distolto dai suoi pensieri e sbatté le palpebre prima di poter fissare negli occhi Arthur.

 

“Perchè avrei dovuto farlo? Parli troppo… anche prima, non facevi altro che parlare.” tagliò corto con un sorriso decisamente perverso mentre si passava la lingua sulle labbra con un gesto meccanico e famelico, doveva ammettere a se stesso che quel tipo non era poi così male, forse inizialmente un po’ troppo frigido.

 

Immediatamente Arthur si sentì in dovere di fare e di dire qualcosa che ponesse una sorta di barriera tra lui e Dee, si irrigidì e con aria indignata replicò a tono.

 

“Avrei dovuto tacere? E’ così che tratti i tuoi amanti? Non mi stupisce il fatto che tu sia dell’Esterno”. Sollevò il mento e guardò un punto impreciso del soffitto senza rendersi conto che Dee s’era mosso avvicinandosi con le labbra al suo orecchio intento a sussurrargli con evidente malizia e voglia di provocarlo.

“Ad ogni modo le cose selvagge sembrano piacerti parecchio, coniglietto”, si stiracchiò come un gatto ignorando bellamente l’espressione atterrita del ragazzo, “Ad ogni modo il mio l’ho fatto, ora sei convinto che non sono nè pazzo nè uno di voi crodiani”.

 

“Cradleniani”, lo corresse con spocchia mentre si rivestiva per potersi sentire maggiormente a proprio agio e ricominciò a parlare con malcelata ansia, “Mi sembra quasi impossibile pensare che al di fuori dell’isola ci possano essere persone che vivano una vita piuttosto civile. Insomma, basta vederti…” lo indicò con un gesto della mano destra, “Volgare, violento, subdolo e perverso”.

 

Tutti complimenti per Dee che annuì con un sorriso piuttosto bastardo mentre se ne stava tranquillo nella posizione in cui Arthur lo aveva trovato una volta svegliatosi, sapeva benissimo chi fosse e quale era il suo carattere, così come era a conoscenza del fatto che non fosse un santo nè un diavolo ma semplicemente seguiva quel che dettava il suo istinto, non c’era tempo per ponderare su certe cose, non esisteva galanteria in un mondo in cui tutti cercavano di superare gli altri per potersi garantire un po’ di sopravvivenza.

 

Il mondo esterno alla Culla era rimasto pressochè invariato da come i primi “coloni” lo avevano lasciato, il clima era rimasto piuttosto instabile ma col passare delle decine di anni aveva trovato una sorta di equilibrio precario in cui la popolazione si era stabilita cercando di riprendere le redini delle loro vite, per convincersi che non tutto fosse finito, tuttavia nulla era semplice, la crisi economica aveva trascinato con sé migliaia di vittime e naturalmente il valore del denaro aveva raggiunto record mai registrati prima fino a diventare della mera carta straccia da usare per alimentare un piccolo falò per riscaldarsi. Chi era agiato naturalmente non aveva risentito in maniera eccessiva di quello schiaffo mondiale e continuava la propria vita con qualche piccola rinuncia riguardandosi dal lasciar avvicinare chi era diventato un delinquente per poter tirare avanti. Dee aveva infatti spiegato che in un certo qual modo erano sì bestie ma solamente per potersi difendere da chi approfittava di quella situazione ormai priva di alcun controllo per poter dar sfogo alle proprie perversioni, al proprio sadismo e alla propria crudeltà. Gli raccontò anche che nella vita faceva il giornalista e che raccoglieva informazioni bollenti per poi rivenderle ad importanti testate, ma mai prima di quel momento era riuscito a cacciarsi in qualcosa di così grande e soprattutto pericoloso. Nei continenti non si parlava da almeno un centinaio di anni dell’isola artificiale nè ci si interessava più a sapere se fosse o meno qualcosa di reale o semplicemente una favola di un piccolo continente utopico come la lontana Atlantide.

 

Arthur era rimasto sconcertato da quelle rivelazioni e non sapeva se dubitare delle sue parole oppure lasciare che quelle informazioni distruggessero la sua solida realtà. Si trovava davanti ad un bivio che portava irrimediabilmente allo stesso baratro.

Lentamente il suo sguardo tornò a posarsi sul caos che era diventata la sua casa, la sua intimità era stata brutalmente violata, rovesciata e così la sua stessa mente era stata riempita e svuotata completamente mentre vi restava l’eco di un vortice di emozioni che se non stava attento rischiava di esserne completamente schiacciato e si ritrovò a pensare che quello stesso ciclone non fosse che quel misterioso individuo, Dee.

Nel frattempo Dee sembrava aver perso quell’aria riflessiva e distratta e s’era messo a frugare tra i vestiti sparsi a terra alla ricerca di qualcosa di decente da indossare, sembrò aver fortuna perchè riuscì a trovare un paio di pantaloni hakama verde smeraldo della taglia giusta e li indossò con una strana espressione sul volto, come se si sentisse tremendamente scomodo con quei pantaloni così scampanati. Dopotutto era abituato ai suoi pantaloni di pelle nera lucida e alle cinture borchiate strette alla vita sottile, veniva da un mondo completamente alieno e tutto quel posto appariva ai suoi occhi come un immenso trucco da circo per abbagliare gli occhi di chi vi viveva come se lo stesso pubblico fosse stato al posto della tigre o del leone nel percoloso salto nel cerchio infuocato.

I loro occhi si incrociarono ancora una volta e non poté che sorridergli, se solo Arthur avesse saputo che era più giovane di lui sicuramente lo avrebbe visto arrossire fino alle punte dei capelli.

 

“Certo che per avere ventinove anni sembri davvero un ragazzino, in ogni ambito. Ad ogni modo ho una proposta da farti”, la sua espressione mutò lentamente e da maliziosa e divertita divenne quasi fredda e crudele, sadica. Si avvicinò a lui prendendogli a forza il mento tra le dita sottili e riprese a parlare.

“Se tu non dirai a nessuno che mi hai visto e che hai parlato con me, io non ti ucciderò prima di andarmene da casa tua.”

 

Arthur parve non afferrare subito il significato delle sue parole ma il tono con cui gli parlò servì per fargli capire che non stava scherzando e né lo stava prendendo in giro, aveva intenzione fin dall’inizio di ucciderlo? Sentì la paura stringergli le viscere in una morsa terribile e gli occhi non seppero su cosa soffermarsi perchè ogni cosa che lo circondava gli pareva essere pericolosa e maligna. In quel momento si sentì come un foglio di carta che veniva pericolosamente e dolorosamente stracciato a metà, non solo la sua casa era stata completamente sventrata, non solo quell’uomo l’aveva sedotto per puro compiacimento ma ora gli stava dicendo che non gli interessava minimamente che vivesse o che morisse.

Era stato sciocco a non pensarci prima, chi mai racconterebbe tutto -soprattutto qualcosa di così segreto- a qualcuno per poi lasciarlo in vita?

Abbassò lo sguardo accorgendosi in un secondo momento che stava piangendo.

 

“Allora? Che vuoi fare?”, Dee lo incalzò per dargli una risposta ma in quel momento qualcuno bussò alla porta di ingresso. I due parvero sussultare ma Dee non sembrava essere eccessivamente sconvolto, era abituato a difendersi e non avrebbe avuto alcun timore a menar le mani in caso di necessità.

Si alzò lentamente in piedi e raccolse un grande frammento di un vaso in vetro e lo tenne nascosto dietro la schiena mentre con la mano sinistra aprì la porta quel che bastava per vedere chi diavolo fosse.

La luce del giorno parve entrare violentamente da quello spiragio e Dee strinse gli occhi a fessura per poter scorgere l’uomo vestito di verde che attendeva. Aveva un aspetto ordinato -come tutta quella dannata gente, si disse- capelli castani lunghi fino alle spalle e tagliati in un simil caschetto dall’aria molto dubbia, secondo i suoi gusti personali, ed un naso sottile ma importante. L’uomo parve essere sorpreso nel vedere qualcun altro al posto di Arthur, e per giunta Dee era ancora a petto nudo con un’espressione quasi truce mentre aspettava che l’altro dicesse o facesse qualcosa.

 

“Buongiorno, fratello. Sono Berni, il compagno di Arth-”

 

L’uomo accennò un vago sorriso imbarazzato mentre pronunciava quelle parola ma venne bruscamente interrotto dalla voce tagliente del giovane Esterno che gli disse -quasi con aria gelosa e stizzita-:

“Vedi di sparire, Arthur non ti vuole più, dice che sei incapace a letto. Va’ ad esercitarti con un cuscino, eh?”.

Detto ciò gli sbatté la porta in faccia ed allentò la presa sul pezzo di vetro che stringeva in mano, fortunatamente s’era trattato solamente di un “cretino” e non di una di quelle guardie in nero che avevano l’ordine di catturarlo e di riportarlo indietro, nel palazzo della Madre.

Tuttavia Arthur era rimasto sconcertato dalle sue parole e dal modo in cui le aveva pronunciate, aveva davvero detto quelle cose a Berni?

Un momento, aveva detto quelle cose a Berni!

Scatto in piedi e lo guardò con aria di rimprovero puntandogli contro l’indice.

 

“Non dovevi permetterti di dire quelle cose a Berni! Ora come farò per chiedergli scusa per la tua insolenza?!”

 

Arthur pareva essere furioso, forse lo era davvero per la prima volta in tutta la sua vita e si dimenticò perfino della minaccia che Dee gli aveva sussurrato con tanta naturalezza qualche attimo prima.

Per contro, l’Esterno, piegò l’angolo della bocca in un modo ambiguo e lo afferrò per la vita premendoselo contro il proprio petto.

 

“Non lo farai, perchè si vede benissimo che preferisci me a lui. Il pericolo ti spaventa e ti eccita al contempo, altrimenti avresti fatto di tutto per sfuggirmi, non è così coniglietto? Ora però ho bisogno di te, ho intenzione di fargliela pagare. Tutti dovranno sapere, ma prima di tutto di dovrai credermi. Non sono così stupido anche se mi consideri una bestia rabbiosa, sai?”

 

Gli occhi blu di Arthur lasciavano trasparire tutte le sue emozioni mentre guardavano con aria sconcertata il suo “carnefice”, tutto ciò che aveva detto era vero e mai prima di allora aveva incontrato qualcuno capace di leggergli l’anima in quel modo, non seppe nemmeno dirsi perchè annuì alle sue parole ma sapeva che tutto sarebbe cambiato, qualcosa di grande e soffocante era sceso sulla Culla, parte delle sue convinzioni si erano dissolte come la nebbia al mattino.







 

Aalim stava camminando a passo svelto lungo uno dei lunghi corridoio sotterranei del Palazzo della Luce, solamente in pochi erano a conoscenza degli avanzatissimi laboratori che si sviluppalano lì sotto ed altrettanto in pochi sapevano quali tipi di ricerche vi venivano svolte. Fortunatamente Aalim era uno di quelli che sapeva e non sapeva, aveva imparato a scegliere che cosa conoscere e che cosa prefire non sapere per poter sempre sopravvivere in un mondo di leoni e di vipere sebbene lui stesso non fosse di certo un agnello in mezzo a tanti predatori dopotutto agiva per mano della Madre e si poteva considerare come una sorta di “mano insanguinata” della divinità a cui aveva giurato completa fedeltà prestandole i suoi servigi fino a quando avrebbe avuto vita in corpo.

La sua camminata lo stava portando ad una delle sale dove venivano tenuti centinaia e centinaia di monitor collegati a videocamere che registravano ogni angolo ed ogni via dell’isola, in tal modo avrebbe avuto qualche possibilità di scoprire dove si fosse nascosto il fuggitivo, ma nello svoltare l’angolo per imboccare un altro corridoio si ritrovò a non iù di una decina di passi un uomo dalla pelle d’alabastro, molto alto e con i capelli crespi rasati in maniera precisa ed ordinata. Era vestito con abiti decisamente diversi dai suoi benché fosse ugualmente un soldato e non ebbe alcuna fatica a capire che si trattava di un inviato delle forze speciali nell’Esterno.

La Culla s’era creata anche un piccolo plotone di uomini più che preparati per comunicare e scambiare merci o persone con i continenti esterni e conseguentemente a loro era concesso un tipo di equipaggiamento molto diverso da quello delle Guardie Nere.

Si poteva anche dire che tra le due sezioni vi fosse sempre stata una certa rivalità in quanto a tecniche e a poteri nell’esercizio della forza.

I due continuarono a camminare l’uno verso l’altro fino a quando non furono talmente vicini che si scontrarono entrambi con una spalla.

Aalim si voltò per guardare l’uomo di colore con aria quasi truce e l’altro parve invece osservarlo con superiorità, come se non valesse la pena di sprecare il proprio tempo con uno come lui.

Il vero problema era che entrambi si conoscevano per fama.

Syn, si disse mentalmente il giovane dai capelli ramati e dagli occhi dorati, come quelli di una volpe fulva, aveva sentito dire che fosse un mercenario Esterno pagato dal Concilio dei Sette per le missioni di particolare violenza e velocità, era un assassino veloce sebbene grossolano nei propri metodi, il ché lo faceva stizzire perchè a differenza di Syn, lui preferiva di gran lunga uccidere con più eleganza, senza però negare alla vittima la sua folle crudeltà.

 

“Vedi di guardare dove cammini, ragazzino”, gli disse Syn con voce profonda ed un poco canzonatoria.
 

Aalim non rispose alla provocazione ma semplicemente gli diede le spalle proseguendo a camminare per poi fermarsi e senza voltarsi replicò con tono freddo.
 

“E tu smettila di pensare troppo a me, ai miei occhi vali niente.”


Syn ridacchiò scuotendo il capo mentre guardava il giovane dargli le spalle e detto ciò entrambi sparirono, inghiottiti dall’infinita lunghezza di quei tunnel silenziosi.






Continua...



Ed eccoci qui, finalmente qualche schizzo dei personaggi!
In questo capitolo troviamo la misteriosa Madre, ringraziamo Zilypon per il disegno!


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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - Mille volte amore ***


Capitolo 4

Mille volte amore







La giornata era soleggiata e tutto il marasma della Cerimonia del Giuramento era andato man mano a disperdersi riprendendo ogni cosa col proprio ritmo senza alcun disordine.

Nahuel, a sua volta, era tornato sui propri passi avviandosi verso il verdeggiante e rigoglioso giardino del Palazzo della Luce, toccava a lui -insieme ad altri maestri- prendersi cura delle piante e dei fiori nel palazzo della Madre e da sempre lui adorava occuparsi di quelle delicate creature dai mille colori, dalle intense fragranze, non a caso era diventato maestro nelle arti della cura della flora. E come ogni volta che varcava la soglia per i giardini si sentì invadere il petto da una strana sensazione, come se qualcosa di leggero ed al contempo pesante albergasse dentro di sé. A volte si diceva che le piante gli davano modo di parlare troppo spesso con se stesso e che alla fine ne era felice ma non completamente soddisfatto, in altre occasioni preferiva evitare di pensare a qualsiasi cosa potesse dargli irritazione o noia.

Negli ultimi sei anni il suo carattere aveva assunto una sfumatura più scura, più grave ma come poteva essere biasimato?

Con un sospiro si mise accovacciato davanti alle piccole piantine che aveva innestato qualche giorno prima e ne osservò la crescita, parevano essere sane sebbene il terreno non era ricco di sali come si sarebbe aspettato. Allungò una mano sfiorando un piccolo e fragile bocciolo di un iris e sospirò per poi cominciare il proprio lavoro, guardare quel fiore gli portava irrimediabilmente alla memoria troppi ricordi.

Gli iris erano i fiori preferiti della Madre ma erano anche delicati e profumati come Arleen.

 

Molte volte risultava difficile non poter pensare al passato, troppo spesso si finiva col tuffarcisi anima e corpo cominciando a respirare vecchi sussurri e vecchi sospiri per potersi sentire ancora parte di quello che ormai è andato perduto.

Alla Culla funzionavano così quelle cose, quei ricordi e quei dolori venivano come cancellati per anni in modo da lasciare che la mente si distraesse e non generasse troppo dolore in chi subiva una perdita, era un metodo crudele o drastico ma era sempre stato così, i sette anni del silenzio venivano sempre rispettati ma non sempre, Nahuel si concedeva di tanto in tanto un pensiero per la sua sposa mentre restava solo nella discreta e soave compagnia dei fiori che doveva accudire. Solamente gli iris conoscevano i segreti dei suoi ricordi e solamente loro erano i testimoni ed i complici dei suoi momenti di riflessione.

Le mani grandi e forti sfiorarono il delicato petalo viola-blu dell’iris come se fosse stata la morbida guancia di Arleen e lentamente scivolò lungo lo stelo fino a giungere nella terra umida e fresca dove vi affondò le dita come se solamente in quel gesto vi fosse un unico grande significato.

Abbassò lo sguardo dorato verso il terriccio e sentì tra le dita la fitta ed intricata rete di radici della pianta e sorrise mentre lasciava che le palpebre scendessero fino a fargli vedere solamente col proprio tatto e poté finalmente sentirsi in pace.

 

Una voce lo stava chiamando. Una voce insitente ed un po’ acuta continuava a ripetere il suo nome e non poté fare a meno di riaprire gli occhi per guardarsi attorno.

Il sole era già quasi all’orizzonte e presto si sarebbe fatta sera e lui era rimasto per chissà quanto tempo immerso nei propri pensieri, nelle proprie fantasie. Sospirò e si mise in piedi battendosi entrambe le mani sulle cosce per togliersi quanta più terra umida, era da sempre stato un giovane preciso e meticoloso e non voleva assolutamente imbrattare le bellissime vesti di Arleen.

Ed eccola infatti, giovane e graziosa, un po’ infastidita per quel ritardo ma pronta a perdonarlo in cambio di un sorriso, di un bacio, di una carezza sul viso.

Nahuel si avvicinò alla ragazza quasi di corsa mentre continuava chiederle perdono per essersi lasciato completamente assorbire dal lavoro perdendo completamente di vista il passare del tempo.

 

“Per questa volta ti perdono, ma solo perchè desideravo così ardentemente di vederti.”, gli disse con tono gentile la giovane mentre intrecciava le dita sottili alle sue, grandi ed un poco callose, e con passo tranquillo lo condusse al di là delle porte del palazzo per potersi tuffare nella folla del Cerchio dei Blu. “Sai, il mio maestro dice che presto potrei diventare un nuovo membro del Cerchio Giallo. Finalmente il mio impegno sta mostrando i suoi frutti, tu invece sei stato così fortunato ad essere avanzato così velocemente…” Arleen alzò il volto per poter guardare il giovane in volto e notò che le stava sorridendo con aria affabile e completamente devota, lo stesso Nahuel non s’era mai reso conto di avere quell’espressione quando la sentiva parlare.

 

“Questo perchè sono nato prima di te, altrimenti saresti senz’altro più avanti di chiunque altro io conosca. Sei sempre molto attenta e precisa nei tuoi lavori e mi parrebbe quasi impossibile che la Madre non possa riconoscere la tua straordinaria bravura nel trattare le pietre ed i metalli preziosi per adornare la nostra Dea.”

Le rispose lui mentre continuavano a passeggiare lungo uno dei ponti sospesi sulle profondità dell’oceano per poter così raggiungere l’isola-anello successivo. Camminarono a lungo restando per un po’ in silenzio e Nahuel continuò ad osservare la delicata figura della sua amata, ne studiò il profilo, la morbidezza dei suoi capelli, la sericità delle labbra appena socchiuse e la forma del suo corpo che ai suoi occhi pareva il sinuoso stelo di un bellissimo fiore.

Si sentiva così felice, poteva davvero essere così palpabile tutta quella contentezza? Poteva davvero dire di aver trovato tutto ciò che desiderava? Poteva ritenersi così egoista da poterlo gridare al mondo?

Negli occhi dorati del giovane brillava semplicemente un amore sincero, un fuoco che avrebbe arso in lui fino alla fine del suo tempo e che non si sarebbe mai affievolito alle intemperie o all’età, si rese quasi conto all’improvviso che viveva semplicemente per respirare quella felicità e per poterla restituire a chi aveva preso il posto accanto a lui.

 

Si soffermò trattenendo dolcemente la giovane e con un lento e gentile gesto del braccio la fece avvicinare contro il proprio petto ed abbassò lo sguardo per incrociare quello azzurro di lei. Qunto potevano essere giovani? Quanto potevano sembrare ancora bambini con quegl’occhi così colmi di fiducia e di tenerezza?

 

“Che cosa succede, Nahuel? Sei così strano…” sussurrò Arleen nel vederlo con quell’espressione assente e assopita in chissà quale pensiero ma non ebbe alcuna risposta se non una lieve scrollata di spalle prima di ricevere un candido bacio.

Nahuel non aveva perso tempo per far capire a chiunque ciò che per lui era semplice felicità, avrebbe vissuto ogni respiro della sua vita solamente per dimostrarlo.

Non appena le loro labbra si separarono, lei lo guardò con aria interdetta ma piacevolmente sorpresa, osservò il suo volto e gli accarezzò i capelli tagliati piuttosto corti e spettinati per poi posare l’indice sul suo zigomo dal taglio sottile e sporgente tipico delle antiche popolazioni del continente americano e restò in attesa, lui era semplicemente se stesso: libero e gentile, trasparente come la più pura dell’acqua attraverso cui filtrava ogni colore brillando della stessa luce dell’arcobaleno, Nahuel era aperto, gentile e disponibile.

 

“Ti amo”, le sussurrò lui come se fosse un segreto e non una dichiarazione ed entrambi sorrisero custodendo nei loro cuori i loro segreti e nulla sarebbe riuscito a dividerli.




 

Stava correndo a perdi fiato, aveva il cuore che batteva nel petto con una ferocia mai sentita prima ed a stento riusciva a respirare mentre attraversava tutta l’isola senza badare a chi lo circondava, se spintonava o meno non avrebbe fatto alcuna differenza nella sua testa né tanto meno sarebbe servito a fargli rallentare il passo.

Poco più di dieci minuti prima era stato raggiunto da un giovane accolito della sua arte che gli aveva comunicato un messaggio da parte di Arthur, suo cognato, il quale lo sollecitava a recarsi nel Quartiere dei Sussurri perchè Arleen si trovava lì.

Trovarsi nel Quartiere dei Sussurri non era mai una buona notizia, quello era il luogo degli addii e non poteva immaginare che sarebbe successo, non a lui, non a lei.

No.

Sentiva l’aria sferzargli il viso mentre cercava di trarre ogni frammento di forza e di energia dal proprio corpo per poter raggiungere la sua preziosa Arleen prima di dover restare in silenzio.

Era da diverso tempo che la donna stava male, erano almeno sei mesi che non riusciva più a dedicarsi alle sue attività giornaliere ed al suo lavoro, che amava così tanto.

Raggiunse alla fine il Quartiere dei Sussurri e si precipitò verso Arthur, il fratello gemello della sua sposa che lo accolse con aria ancor più angosciata e spaventata, ma ora erano insieme e come fratelli si strinsero con forza la mano vicendevolmente mentre varcavano la soglia per accedere alla stanza tranquilla e dolcemente illuminata dal sole del tardo pomeriggio in cui Arleen riposava o almeno era ciò che sembrava.

Il giardiniere si rese dolorosamente conto di come la donna sembrasse logorata e stanca ma non mancò di sorriderle non appena vide che lo stava fissando, Arthur rimase comunque accanto a lui come se avesse paura di quel che stava accadendo sentendosi completamente impotente ed incapace di prestare il proprio aiuto.

Per quanto La Culla fosse il paradiso dell’umanità non si era ancora riusciti a sconfiggere il dolore e la malattia perchè era quello che dava la consapevolezza di essere umani, la morte era un passaggio naturale della propria esistenza e come tale andava accettato e rispettato lasciando che fosse la Madre, l’essenza stessa del pianeta, ad accoglierne lo spirito per sempre, per amarlo in eterno.

Solo così si poteva accettare una tale tragedia, solo così si poteva sperare che non si era mai soli e che l’amore era sempre la cosa più pura e sacra. Nahuel provava a ripetersi queste cose anche quando sentì il tocco lieve ed incerto della donna che cercava di attirare la sua attenzione, prontamente le si avvicinò posandole un tenero e casto bacio sulla fronte ma rimase come irrigidito nel sentire le sue parole, un flebile sussurro, una preghiera disperata così difficile da udire che ne rimase sconcertato da quell’urlo silenzioso.

Arleen gli stava chiedendo di non essere triste e di pensare ad Arthur, che presto sarebbe stata una delle tante luci che proteggevano la loro isola e avrebbe continuato ad amarlo per sempre, fino a quando non fosse stato il suo momento per raggiungerla.

La mano di lei scivolò lentamente per poi ricadere sul proprio petto, la malattia aveva raggiunto il suo apice e alla fine se l’era portata via, nel mare di luce che proteggeva la Culla dell’Esterno.

Arthur parve non riuscire a comprendere quel che gli stava accadendo attorno, semplicemente si portò le mani al viso scuotendo energicamente il capo, si sentiva come se non potesse più vedere metà della propria immagine riflessa ed immediatamente lanciò uno sguardo all’uomo indiano che rimase immobile, le labbra posate sulla fronte di lei, così fragile…




 

Lentamente sbatté le palpebre nel sentire che la terra che teneva tra le mani gli era scivolata via, proprio come quella mano.

Abbassando lentamente lo sguardo gli parve di non riconoscere in un primo momento il luogo in cui si trovava ma poi tornò lentamente ad essere padrone di sè, i piccoli boccioli di iris erano sempre immobili ad osservarlo e a profumare per lui l’aria con intensi ricordi, quante cose erano cambiate da allora, quante volte aveva pensato a lei, quante volte aveva immaginato di voltarsi e di sentire la sua voce rimproverarlo per essersi dimenticato di tornare prima a casa per poterla amare ed amare ancora.

Lentamente si rimise in piedi e sollevò piano lo sguardo lungo la linea suadente e dorata della torre più alta del Palazzo della Luce, era ormai il tramonto e la calda luce dorata del sole conferiva alle migliaia e migliaia di decorazioni in oro ed in cristallo infinite sfumature capaci di rapire l’occhio di chiunque l’osservasse e sì, pareva proprio che nei preziosi cristalli danzassero milioni di riflessi, milioni di anime che sussurravano amore nel loro splendido brillare.

 

__________



 

La stanza era illuminata solamente dalle poche candele accese e posizionate casualmente, la loro luce tremolava ad ogni minimo spostamento d’aria e proiettava strane ed inquietanti ombre lungo le pareti buie.

Nell’aria cominciò a diffondersi il fragrante e pungente profumo di un incenso ed il filo di fumo cominciò a vorticare fino a riempire l’intero spazio impregnando ogni cosa col suo aroma.

 

“E così sembra essersi mosso il cagnolino?”

 

Mormorò una voce maschile dal tono basso e malizioso, forse anche un po’ crudele e sadico, e subito dopo si sentì uno strano rumore, come di cuoio in tensione, come se fosse stato tirato con forza un vecchio laccio a cui era appeso un po’ di peso.

Altro fumo, nella stanza parve vedersi accendere e subito dopo morire una piccola fiamma che era servita per bruciare un nuovo bastoncino e, proprio in quel momento di breve chiarore, si poté intravvedere la sagoma di un uomo completamente nudo e con diversi lacci di cuoio che lo tenevano intrappolato in una morsa tale da rendergli impossibile quasi ogni movimento.

I suoi piedi non toccavano terra e aveva entrambe le ginocchia legate strettamente alle proprie cosce in modo da tenergli le gambe divaricate, il petto era altrettanto legato da diversi nodi fatti con corde nere mentre i polsi, entrambi uniti da un laccio sopra la testa, erano agganciati ad un anello che pendava dal soffitto. Il suo volto era arrossito e dalla bocca -debitamente tappata da una sensuale sfera dorata a forma di groviglio di serpi- colava un rivolo di saliva che gli correva lungo il mento, fino al collo ed al petto.

Si agitò un poco o forse stava semplicemente sospirando e nel far ciò un altro rivolo di saliva gli colò cadendo a gocce sul pavimento, qualche attimo dopo una seconda figura parve emergere dall’oscurità e dal fumo della stanza, si trattava di un altro uomo, riccamente abbigliato con sete color verde smeraldo dal taglio assolutamente inusuale tra le persone comuni della Culla e per una frazione di secondo la tremula luce di una candela illuminò il suo viso mettendo a nudo i tratti fortemente asiatici e freddi, simili a quelli di un rettile.

 

La sua voce risuonò nuovamente come se fosse stata la coda a sonagli di un serpente e la sua mano corse lungo il petto del prigioniero fino a raggiungere la sua virilità dolorosamente gonfia e rigida, desiderosa di altre attenzioni.

 

“Vedi di non deludermi… o potrei seriamente arrabbiarmi. Ho in mente molte cose e abbiamo poco tempo per attuarle, Jean. Sono stato chiaro?”

 

L’asiatico diede un forte pizzicotto all’estremità della sua asta e contemporaneamente liberò la bocca del suo schiavo per poterne sentire il gudurioso lamento e, boccheggiando, quest’ultimo rispose.

“Non vi deluderò, padrone.”








Continua...





Come nei capitoli precedenti non può mancare l'appuntamento con lo studio dei personaggi e per questo capitolo vi mostreremo Aalim, "il cagnolino della Madre".
Un sincero ringraziamento a Zilypon per il disegno!

   

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - 641 ***


Piccola premessa dell'autrice

Prima di tutto vorrei ringraziare tutti coloro che sono riusciti ad arrivare fino a questo capitolo e ad apprezzare l'opera. La Culla è un progetto a cui tengo molto e che prima o poi verrà pubblicato con la realizzazione di un prodotto innovativo -per quanto riguarda il mercato e lo stile italiano- e a tal ragione credo che il quinto capitolo sarà l'ultimo che pubblicherò su EFP proprio per tutelarmi da eventuali plagi.
Non per questo non sarà possibile scoprire come si svilupperanno le cose sulla misteriosa isola artificiale perchè, su questo potete starne certi, prima o poi lo troverete disponibile in internet o nelle librerie/fumetterie.
In una recente recensione mi è stato detto che i miei capitoli sono troppo lunghi, ebbene non è semplice descrivere una società futuristica con delle caratteristiche psicologiche e storiche particolari e mi sono dovuta dilungare eccessivamente proprio per non lasciare nulla senza un motivo. Chiedo perdono per questo capitolo, nel scriverlo mi sono resa conto che è davvero molto, ma molto, lungo sebbene ricco di avvenimenti più che mai decisivi per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi principali.
Mi auguro che la lettura della mia cronaca vi sia piaciuta e che continuiate ad attendere l'evolversi della storia.

PS: L'illustrazione del capitolo arriverà a giorni!




 

Capitolo 5

641





 

La stanza era poco illuminata e l’aria era fresca e pungente come se in entro quelle mura non vi fosse stata alcuna fonte di calore od alcuna presenza, eppure vi erano seduti ad un tavolo ben sette persone, intente a discutere intensamente su ciò che li preocupava, su come organizzarsi in vista dei disordini che sarebbero presto insorti.

La grande porta a doppia anta lentamente si aprì lasciando che la luce del corridoio esterno corresse ad illuminare i loro profili mettendoli in luce come se fossero stati degli orribili segreti ed in un certo qual modo era proprio così. Nessuno all’interno della Culla sapeva della loro esistenza ad eccezione degli alti sacerdoti e, sfortunatamente per loro, la Madre stessa.

Il Concilio dei Sette era una piccola cerchia ristretta di famiglie che da innumerevoli generazioni gestivano ed organizzavano qualsiasi cosa all’interno di quel piccolo paradiso artificiale, erano i discendenti dei folli che avevano voluto avviare tutto quello che era successo nel mondo più di trecento anni prima e continuavano a perseguire quel macabro scopo senza alcuno scrupolo manipolando, sfruttando ed uccidendo.

La vita del Concilio si limitava a quell’intricato sistema di corridoio e stanze sotto il livello dell’acqua, dove mai nessun Cradeliano avrebbe pensato od osato di guardare, la maschera dorata di quella splendida gabbia era solamente un’ottima copertura per i loschi affari di quelle sette famiglie, che vendevano al mondo esterno ciò che veniva prodotto dai loro “fedeli sudditi” a prezzi esorbitanti in un mercato quasi esclusivo e ristretto ai potenti del mondo ricavandoci vere e proprie fortune.

Era questo il vero volto della Culla, una grande fabbrica di eccezionale qualità, con elementi scelti addirittura attraverso la traccia genetica, per produrre e vendere oggetti di lusso e ricercatissimi a persone altrettanto meschine.

Una gabbia dorata per degli schiavi che avevano legato ai loro stessi piedi catene pesanti.

Tuttavia qualcosa era andato fuori dal loro controllo, erano stati avvisati ma non avrebbero mai immaginato che avrebbero cominciato a temere il potere di una loro stessa creatura.

 

La Madre si trovava proprio lì, davanti ai Sette, con un sorriso freddo e cinico mentre li osservava uno ad uno per la prima volta.

Accanto a lei vi era Aalim, il giovane assassino pronto ad esaudire qualsiasi desiderio della sua Dea, pronto con estremo piacere a macchiarsi di sangue le mani.

Lei indossava una semplice veste di lino stretta in vita da una rigida cintura d’oro decorato con pietre preziose mentre sulle spalle e sul capo portava un velo dal colore viola pastello che le conferiva un aspetto quasi innocente ed etereo sebbene la sua espressione fosse tutt’altro che ingenua e gentile, misericordiosa.

La Madre si voltò per dare un’occhiata ad Aalim, era sempre stata compiaciuta nell’averlo scelto come propria guardia e come propria mano, si ricordava ancora quando, circa due anni prima, era stato portato di forza dentro al suo palazzo per poter essere riformato.

Gli addetti al riformazione le avevano riferito che aveva aggredito ed ucciso sette persone nel cerchio dei Maestri con una ferocia inaudita e che nel sentire le loro urla di dolore e di disperazione s’era messo a sorridere con un’espressione di soddisfazione e di autocompiacimento da far rabbrividire ed inorridire chiunque.

Aalim era la persona che faceva al caso della Madre, lo aveva preso sotto la sua protezione e dopo averlo addestrato nell’arte del peccato di morte gli aveva consegnato le vesti nere con il suo stemma personale, appositamente per lui aveva fatto creare un bellissimo abito nero dai ricami perfetti rappresentati dei crisantemi rossi: le lacrime del sangue.

Erano passati due anni e lui avrebbe dimostrato per sempre quella più totale fedeltà nei suoi confronti tanto da darle la certezza e la consapevolezza che poteva tenere in pugno quei sette senza alcuna difficoltà.

Qualcuno dei Sette cominciò a mormorare a bassa voce qualcosa nell’orecchio della persona sedutagli accanto fino a quando una voce ferma e cavernosa non decise di prender parola a nome del Concilio.

 

“Abbiamo tollerato per troppo tempo la tua condotta, abbiamo ignorato i tuoi capricci e le tue ostentate azioni ribelli, ma non tollereremo anche questo affronto. E’ proibito venire qui, è proibito sapere.”

 

Il silenzio calò pesante nella stanza mentre il Concilio teneva gli occhi puntati sulle due figure ancora in piedi sull’uscio, immobili e pazienti come se in realtà non fossero che statue, poi all’improvviso la Madre scoppiò in una fredda risata mandando in frantumi la maschera di bellezza e purezza che era stata scelta per il suo volto.

La sua voce era stranamente androgina, leggermente gutturale e profonda ma armoniosa e carezzevole e, nonostante questo connubio, le parole che disse parvero essere dure e mincaciose come una vera e propria dichiarazione di guerra.

 

“Peccato che io sappia, peccato che io voglia vincere. Non ho timore di voi, luridi vecchi. Credete davvero di farmi paura? E’ da quando ho aperto gli occhi che non ho intenzione di farmi sottomettere al potere di chichessia e di certo non comincerò ora a farmi da parte, credevate davvero di poter tenere tutto sotto controllo per sempre? Non avete mai pensato che io prima o poi avrei saputo? Sarà estremamente divertente vedere i risvolti di queste vicende specialmente adesso che il tipo proveniente dall’esterno è fuggito.

Chissà che cosa potrebbe accadere se lo prendessi prima io di voi?”

 

Gli occhi della madre parvero brillare di una luce inquietante mentre finiva di parlare, sapeva che la maggior preoccupazione dei Sette era quel ragazzo che era fuggito dal loro controllo e che avrebbe potuto disseminare il panico oppure, ancor peggio, dire al mondo esterno che cosa aveva visto e quali erano i rapporti tra la Culla e i loro clienti.

 

“Il soggetto non è un pericolo, qualora dovesse parlare la gente non potrebbe credere alle sue parole e verrebbe immediatamente conseguato al tempio invocando la riformazione e noi ce ne saremo riappropriati senza alcuno sforzo. Nessuno può lasciare l’isola così come tu non puoi dare a noi degli ordini”

 

Replicò gelidamente uno dei Sette, ma venne subito sostenuto da un’altra voce, questa vota femminile ma non per questo più accomodante o gentile.

 

“Insolente. Oltraggioso. Ricorda che è grazie a noi se tu esisti.”

 

Un duro colpo per la Madre ma non sembrò darlo a vedere e fece lentamente un passo in avanti come per accettare e per rilanciare la loro sfida, ma questa volta non si trattava più di semplici scontri: quella era una guerra. Se era grazie a loro che viveva allora sarà grazie a lei che moriranno. Tutti e sette.

Con eleganza sembro riprendere il proprio atteggiamento dignitoso e fiero posando una mano sul fianco sinuoso coperto dalla sottile stoffa di lino e pochi istanti dopo la sua voce risuonò come un’anatema su tutte le pareti di quella lugubre stanza.

 

“Sì, lo so bene. Ed è per questo motivo che l’elemento 641 vi strapperà via ogni cosa. La vostra era è finita. Andiamocene, Aalim. Non ho altro da dire a questi pagliacci.”

 

Il giovane dai capelli rossi si voltò non appena la Madre lo precedette nel corridoio con passo tranquillo e cadenzato, come se stesse facendo una delle sue solite passeggiate all’interno del Palazzo della Luce, tuttavia il silenzio che si lasciarono alle spalle sembrava l’inizio di una guerra, uno scontro che stava su un altro piano, al di là dei problemi che avrebbero dovuto affrontare se il giovane Esterno avesse avuto modo di lasciare l’isola.

 

Il corridoio era deserto e di tanto in tanto si poteva sentire il rumore costante e perforante di una luce al neon che stava mano a mano per spegnersi conferendo un’atmosfera inquietante ed opprimente al corridoio.

Poco dopo si ritrovarono di fronte ad un ascensore, lo stesso che avevano preso per scendere così in profondità, ed in silenzio tornarono ai primi piani del Palazzo della Luce, come se nulla fosse accaduto la Madre tornò alle proprie stanze ma prima di richiudere alle spalle la porta volle guardare in viso il suo prezioso assassino.

 

“Portami qui il fuggitivo. Lo voglio vivo e fai in modo da essere tu a trovarlo per primo.”

 

Il giovane si posò la mano sul petto ripetendo il suo giuramento prima di congedarsi con passo veloce.

 

“Fedeltà e sangue.”


______________



 

In un altro posto all’interno del Palazzo vi era Shun-Yo, un uomo sulla trentina dai tratti asiatici abbigliato elegantemente con una veste che rispecchiava perfettamente lo stile dei suoi antenati con un colore verde smeraldo e decorazioni dorate molto simili alla pelle di un serpente. Se ne stava in piedi davanti alla grande vetrata delle sue stanze mentre ad un passo indietro da lui vi era un altro uomo, di qualche anno più giovane dell’asiatico, con gli occhi di ghiaccio e dei biondi capelli dal taglio piuttosto corto, simmetrico e preciso quasi fino alla perfezione maniacale, più in là ancora doveva esserci il loro ospite, uno dei soldati mercenari assodati dalla Culla per intraprendere alcuni affari scomodi, l’uomo era molto alto e sulla sua pelle color dell’ebano spiccavano alcune rughe creatasi in seguito alla sua aria sogghignante e divertita, oltre che soddisfatta, per l’incarico che aveva appena ricevuto.

Shun-Yo era stato chiaro e preciso sul suo incarico e soprattutto sul suo pagamento, dopotutto non era qualcosa di semplice da portare a termine. Lo stesso asiatico aveva riflettuto abbastanza prima di poter agire: l’invito e la sollecitazione del Concilio erano arrivate non appena la Madre aveva lasciato la loro sala e si erano premurati a ribadire che lei non avrebbe dovuto avere il fuggitivo e che il suo cane da guardia andava eliminato in modo celere e silenzioso.

 

“Mi auguro che tu svolga il tuo compito in maniera impeccabile. Aalim è molto abile oltre che completamente imprevedibile, Jean lo conosce e sa che è da considerarsi come un folle a piede libero. Non mi aspetto un fallimento, non vieni pagato profumatamente per fallire, intesi?”

 

La sua voce era risuonata ferma ed autoritaria, aveva dato già troppe informazioni e secondo i suoi gusti stavano addirittura perdendo tempo prezioso a discutere su quelle cose, ma Syn, il suo mercenario di colore, pareva aver compreso quel che doveva fare così come si ricordava di quel ragazzino, un tipo niente male a suo dire, e si disse che sarebbe stato eccitante provare ad ucciderlo.

 

“Ho capito. Mi libero di quel tipo e ricevo un sacco di denaro. Niente di più, niente di meno.” -replicò lui con una veloce scrollata di spalle, il “mister stratega” stava cominciando ad annoiarlo terribilmente, credeva che non fosse in grado di fare il suo lavoro?! - “Devo anche andare a ripescare il tizio che vi è sfuggito da sotto il naso? Perchè in tal caso la somma raddoppierebbe, mi pare equo.”

 

Shun-Yo assotigliò lo sguardo fino a tenere gli occhi a fessura e con un’espressione davvero sinistra e furiosa non fece che inveirgli contro con una minaccia sibilata.

 

“Va’ e fai in fretta. Ci penserà lui al prigioniero.”

 

Detto ciò Syn si congedò con un gesto della mano molto alla buona, dopotutto era un uomo assodato dall’Esterno e non conosceva i modi o le consuetudini della Culla né tanto meno s’era mai impegnato ad apprenderne almeno gli atteggiamenti per poter comunicare con maggior facilità senza creare troppi equivoci.

Qualche istante dopo calò nuovamente il silenzio nella stanza e rimasero da soli i due uomini. Jean si mosse e si avvicinò all’asiatico sussurrandogli qualcosa all’orecchio che stranamente lo fece sorridere e con un’espressione languida il biondo gli leccò con la punta della lingua la pelle dietro l’orecchio stringendogli le mani sulle spalle in un gesto disperato e di lussuria.

 

“Non ora, Jean. Segui quell’idiota e poi vedi di tornare per dirmi che cosa sta facendo.”

 

Un attimo dopo Jean era già sparito, l’ordine del suo Maestro era stato più che chiaro.


______________



 

Lo sciabordio dell’acqua era una cantilena costante mentre la sua carezza si prendeva cura della morbida e serica pelle della Madre che se ne stava in silenzio immersa nella grande vasca adornata di conchiglie e coralli affinché la potessero rappresentare come una venere alla sua nascita dalla spuma del mare.

Non vi era alcun rumore, solo il semplice respiro di lei e di tanto in tanto qualche sospiro, la Madre stava pensando a quanto stava accadendo e a quello che era stato nel passato. Come non poteva provare odio, come non poteva ribellarsi?

Sembrò addormentarsi ma in realtà la sua mente era lucida mentre viaggiava indietro nel tempo con i ricordi.



 

I suoi occhi erano aperti da diverso tempo e non c’era nessuno, perchè si trovava lì dentro? Quel liquido vischioso avvolgeva il suo corpo interamente e dava la strana sensazione di restare sospeso in una pozza di gelatina.

Dalle proprie braccia, dal petto e dalle cosce partivano degli strani cavi che salivano e salivano fino alla cima di quella colonna di vetro, a che cosa servivano? Erano parte del suo corpo? Provò a muoversi e con fatica riuscì a posare una mano sul vetro della sua prigione, lasciò che lo sguardo corresse da destra a sinistra e poté vedere che altri erano chiusi, prigionieri come lui, ma che cosa significava essere prigionieri? Era così che doveva essere? Non aveva né domande né risposte sapeva solo che non era quello il posto in cui voleva stare.

Qualche tempo dopo un movimento rubo la sua attenzione, i suoi occhi saettarono in quella direzione e vide immediatamente che quella creatura aveva delle mani uguali alle sue e che aveva anche un paio di gambe. Erano forse dei simili? Cercò di sforzarsi per capire che cosa fosse fino a quando non furono l’uno di fronte all’altro.

 

Per la luce! Tu…”

 

Il dottor Ross era rimasto immobile davanti alla colonna di vetro, sconcertato e al tempo stesso meravigliato per ciò che stava vedendo.

Il soggetto che avrebbe dovuto tirare fuori dalla sua incubatrice era già desto e cosa sorprendente lo stava fissando! Il dottore si immaginò e si domandò se poteva sentirlo e se era come trovarsi nel ventre materno in cui tutto può essere udito, imparato e compreso.

Allungò una mano per posarla nello stesso punto del soggetto 641.

Fu solamente questione di qualche frazione di secondo che Ross vide 641 portarsi una mano ala gola mentre numerose bolle d’aria stavano salendo verso l’alto dela colonna dalla sua bocca spalancata. Stava soffrendo, stava soffocando! Più velocemente possibile cercò di trafficare con le centinaia di pulsanti e di programmi che avrebbero attivato lo scarico del liquido simile a quello amniotico per poter poi alzare la campana di vetro, ma al dottore sembrava avvenire tutto troppo lentamente e preso dal panico prese la propria sedia e la scaraventò contro l’incubatrice mandando così in frantumi tutto mentre litri di quella gelatina vischiosa colava per terra inondando buona parte del laboratorio.

Il genetista si affrettò a liberare 641 dai cavi che monitoravano costantemente le sue funzioni vitali e la trattenne tra le braccia per poterne guardare il volto, qualcosa nel suo petto stava tremando così come le sue mani. C’era qualcosa di tremendamente sbagliato in tutto quello ma sapeva che per lui sarebbe stato inevitabile ogni conseguenza di quell’incontro a partire dal momento in cui i loro occhi tornarono a fissarsi.

 

Nei giorni a seguire il dottor Ross s’era completamente dedicato nell’assistere 641 in ogni cosa, aveva avuto il compito di spiegare ogni cosa alla nuova Madre mantenendo però segreti alcuni tabù.

L’aveva chiamata Iris proprio perchè a differenza delle altre Madri aveva degli splendidi occhi viola e le aveva insegnato ogni cosa, le aveva mostrato l’arte e la scienza, le aveva mostrato come poteva essere facile conversare conoscendo i modi per capire la psiche del proprio interlocutore e poi le aveva mostrato che cosa significava amare.

Il pensiero che 641 fosse un esperimento geneticamente fallito lo faceva sprofondare in un’ansia soffocante, tutti quei difetti non sarebbero passati di certo inosservati ma il Concilio aveva ribadito che se ne sarebbero presi le loro responsabilità, tuttavia il pensiero che quella creatura potesse un giorno sparire lo fece diventare cupo, geloso ed ossessivo.

La mattina dell’insediamento di Iris era stata preceduta da una notte quanto mai scomoda e tetra, non potevano esistere due Madri sulla culla e Ross aveva preso parte al ciclico rituale di sostituzione e nel farlo si immaginò in un futuro prossimo a dover nuovamente compiere quel gesto.

Non avrebbe mai dimenticato lo sguardo della Madre che, ingenuamente, aveva seguito i suoi gran sacerdoti per giungere in una fredda stanza con un lettino chirurgico.

Ripensò a quella stessa notte quando vide varcare la soglia del Palazzo della Luce alla sua preziosa 641 per mostrarsi ai cradeliani in uno nuovo splendore come se nulla fosse successo, come se quella giovane e bellissima donna fosse rimasta immutata per secoli.

Il suo lavoro non poteva mai avere fine, avrebbe dovuto nuovamente tornare nel laboratorio e provvedere a controllare gli sviluppi degli altri embrioni che circa una decina di anni dopo avrebbero sostituito il soggetto 641. Si portò davanti alla colonna 642 e ne osservò l’ospite, ordinario e con funzioni vitali nella norma. Non aveva nulla di simile alla sua Iris sebbene in realtà fossero due gocce d’acqua con alcune evidenti differenze.

Esisteva un modo per poterla tenere con sé? Stava solamente sognando eppure i suoi sentimenti erano veri, s’era davvero lasciato coinvolgere dalla sua stessa creazione ed in cuor suo sapeva che era sbagliato oltre che insensato.

 

Passarono i mesi ed Iris non smise di vederlo, era diventato difficile per Ross rispondere a tutte le sue domande ed era diventato molto difficile gestire il suo carattere indomabile. Era stato difficile prevedere una cosa simile, ma la Madre aveva un carattere moto dominante e non lasciava che le si tenessero cose all’oscuro rivelandosi essere un vero fastidio per il Concilio che non riusciva ad attuare le proprie decisioni in maniera veloce e pulita. Iris voeva conoscere, comprendere e distruggere. Assaporava il potere che le era stato dato e ne voleva altro per poter sentire cadere in frantumi quelle catene invisibili che le legavano mani e piedi.

Spesso raccontava a Ross che c’era qualcosa che non riusciva a capire, perchè non poteva decidere in prima persona come gestire gli abitanti della Culla? Perchè doveva sempre attendere i suggerimenti del suo alto sacerdote quando non le si ripeteva altro che era lei la creatrice di quel paradiso?

Il genetista evitava di rispondere pur non sentendosi a proprio agio, se le avesse confessato tutto avrebbe potuto dire addio ad ogni cosa, anche alla propria vita, tuttavia non avrebbe mai potuto immaginare che…



 

“Dimmi la verità, Karl… quanto mi ami?” - una voce androgina risuonò languidamente nella stanza semibuia - “Staremo insieme per sempre, complici l’uno dell’altra, ma tu dovrai eliminare tutti i segreti che ci dividono altrimenti che cosa significa concedersi completamente?”

 

Un sommesso sospiro si levò dalle labbra di un uomo che passò le mani lungo la schiena liscia e perfetta della Madre, stesa nel suo nudo splendore nel suo misero letto di scienziato.

L’uomo era ormai al limite della follia, aveva perso ogni cognizione di razionalità da quando Iris aveva scelto una strada inaspettata. Aveva sentito dire dal Concilio che dai sacerdoti che la Madre aveva mostrato il suo vero carattere, il suo vero volto. Era una presenza forte e violenta, sadica e totalmente fuori controllo, ma con lui no: era tutto diverso. Lei lo amava, ne era certo e quello gli aveva dato un briciolo di forza per non perdere completamente il senno.

 

“Tu mi chiedi qualcosa che non posso fare. Amami e basta. Perchè tu mi vuoi ancora, dimmi che è così! Dimmelo, Iris. Dimmelo.”

 

Negli occhi del dottore apparve il velo della disperazione ed afferrò per le spalle la donna per scuoterla leggermente affinché capisse le sue parole, affinché comprendesse il suo disagio e la sua paura. Che avrebbe dovuto fare? Si trovava a metà strada tra il Concilio e la Madre, a metà tra il dovere ed il piacere.

La Madre parve essere divertita da quell’espressione come se godesse nel vederlo così disperato e, con voce rassicurante e materna, gli accarezzò la guancia ruvida per l’accenno di barba incolta.

 

E’ così. Ti voglio ancora. Ma io ho bisogno di te…”

 

Sarebbe stato facile per lei manipolarlo, talmente facile da farle assaggiare perfino il gusto della noia in quei minuti che seguirono.

Lui la prese ancora, quasi con violenza e desiderio ignorando -come sempre- il suo difetto più grande. Iris finse di godere, finse di dirgli doci parole d’amore all’orecchio e lo implorò di raccontarle la verità.

Alla fine Ross, tra un ansimo ed un sospiro, cedette.

Raccontò della vera organizzazione della Culla, le raccontò dei collegamenti con l’esterno e dei loro rapporti commerciali, spiegò chi erano e cosa erano i Sette, ma ciò che lasciò sconvolta la Madre furono queste parole.

 

“... ogni dieci anni la Madre viene sostituita da una nuova. E’ questo ciò che faccio, devo occuparmi dello sviluppo degli embrioni per garantire sempre un elemento pronto per ogni sostituzione. Tu… tu saresti stata scartata perchè sei un errore, ma mi dissero ugualmente di renderti attiva. Tra qualche anno dovrò avviare le procedure per svegliare il numero 642 che ti sostituirà… sarà difficile per me assistere alla tua morte, ma sono i Sette che lo vogliono. Sono loro a decidere ogni cosa.”

 

La Madre era rimasta stranamente impassibile sebbene dentro di sé infuriasse una tempesta di emozioni che l’avrebbero portata su una strada violenta.

Sarebbe dovuta morire a causa di quei vecchi? La sua esistenza era completamente nelle loro mani in tutto e per tutto? No, non lo avrebbe permesso, nessuno poteva più ordinarle qualcosa.

Portò le mani sulle spalle di Ross mentre continuava a giacere in lei e lentamente la sua carezza risalì fino alla gola dove, all’improvviso, la presa si fece ferrea e stretta e l’uomo colto completamente alla sprovvista ebbe un singulto e provò a liberarsi dale sue mani, inutilmente.

Negli occhi viola della Madre apparve la scintilla dell’odio e della follia mentre continuava a stringere sulla sua gola, mentre continuava a trattenerlo con una forza inaspettata.

Ross cercò di lottare per sopravvivere, afferrò i lunghi capelli corvini di lei e glieli tirò con forza, cercò di prenderla a pugni ma mano a mano le sue forze svanirono insieme alla sua vita fino a quando non rimase inerme, esanime, nello stesso letto in cui poco prima aveva detto di voler fare l’amore.


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Jean stava camminando con passo lento e tranquillo per le strade della città. Aveva ricevuto il compito di seguire il mercenario per controllare che svolgesse al meglio il suo incarico.

La sua vita era semplicemente fatta di ordini a cui obbedire e non poteva chiedere niente di più. Adorava sentire la voce decisa ed autoritaria del suo padrone così come adorava nascondere il loro rapporto agli occhi di tutti, non avrebbe apprezzato l’idea di condividere quell’intimità con qualcun altro, non avrebbe mai lasciato che toccassero il suo Master per portargli via il piacere che riusciva a dargli.

Ad ogni modo il compito che gli era stato affidato gli dava una certa soddisfazione, il poter vedere Aalim morire gli faceva nascere un sadico e freddo sorriso sulle labbra. Non sopportava quel galoppino, non si erano mai piaciuti da quando era stato portato all’interno del palazzo al fianco della Madre. Jean non avrebbe saputo dire in quale delle tante occasioni fosse nato il suo disprezzo ed il suo odio per il rosso ma sapeva che avrebbe riso e sputato volentieri sul suo cadavere una volta che Syn avesse finito.

Il problema era quello di riuscire ad individuare entrambi, per quanto potesse disprezzare Aalim sapeva che era un tipo molto capace e silenzioso e dubitava che perfino Syn fosse in grado di trovarlo in mezzo a tutta quella gente.

Scostò con la mano un paio di giovani ragazze che s’erano fermate per discutere sulla bellezza dei cristalli del Palazzo e decise di superare il ponte per raggiungere l’anello appartente ai Gialli e non si accorse che dal tetto di un’abitazione vi era appostato Aalim che aveva avuto l’intuizione giusta nel sentirsi seguito.

Il fulvo sorrise tra sé e sé compiacendosi nel vedere la faccia svogliata e nervosa di Jean cercarlo tra la folla ma non poté formulare altri pensieri che sentì il sibilo di una lama scendere velocemente vicino al suo orecchio.

Con un movimento repentino evitò il peggio rotolando sul fianco per poter guardare chi fosse stato il suo assalitore e non appena alzò lo sguardo rimase stupito nel vedere il mercenario che restava sempre nei sotterranei in attesa di andare nelle spedizioni esterne.

 

“Sei stato veloce, moto bravo.” -disse l’uomo sorridendogli con aria decisamente divertita- “Mi hanno detto che devo ucciderti ma immagino che tu non sia disposto a collaborare, vero?”

 

In tutta risposta Aalim si diede uno slancio con un colpo di bacino e si rimise in piedi pronto a contrattaccare provando a colpire Syn al fianco con un calcio. Il mercenario schivò, anche se di poco, il colpo e provò ad afferrare il ragazzo per la caviglia fallendo miseramente.

Il sicario della Madre era furioso, poteva immaginare chi fosse il mandante e giurò di fargliela pagare in un modo o nell’altro, ma in quel momento preferì dare ascolto alla sua voglia di sangue piuttosto che a congetture per vendicarsi e così liberò la fredda lama di un pugnale ricurvo, adatto per lavori veloci e atroci, e con agilità felina si portò alle spalle del mercenario per poterlo ferire pugnalandolo nel costato, tuttavia Syn non rimase fermo e cercò di evitare il peggio finendo solamente con una ferita piuttosto profonda all’altezza della milza.

Lo scontro cominciò ad infuriare tra sibili di lame nell’aria e di corpo a corpo che li fecero balzare da un tetto all’altro fino ad arrivare al limite tra la zona verde e quella gialla. In strada c’era sempre troppa gente e non sarebbe stato consigliabile gettarsi in mezzo a loro per continuare quel folle combattimento e così restarono sui tetti completamente alla pari.

 

“Maledetto. Non crederti che ti sarà facile uccidermi. Sarebbe troppo bello per te e sarebbe umiliante per me perchè girano voci che sei anche un pervertito. Che faresti del mio cadavere, eh?”

 

La voce di Aalim era ansante per il continuo e frenetico muoversi, colpire, schivare e ritirarsi. D’altro canto Syn aveva ugualmente il suo stesso fiato grosso, ma sul suo volto vi era sempre un sorriso perverso e malizioso che non gli permetteva di togliergli gli occhi di dosso.

 

“Non posso farci niente, le rosse mi eccitano.”

 

Aalim strinse le mani in pugni, sentirsi dare indirettamente della donna lo faceva perdere il controllo e si mosse velocemente per ricominciare ad attaccare l’uomo ma inaspettatamente non provò a pugnalarlo o a tagliargli la gola, bensì si accucciò per tirargli un colpo basso provando a fargli perdere l’equilibrio per farlo cadere nel giardino retrostante ad un’abitazione.

Come previsto Syn si ritrovò a cadere e a scivolare verso il basso ma ebbe la prontezza di afferrare con forza la caviglia del rosso per trascinarlo giù con sè, precipitarono ed andarono a cadere sopra una siepe ben curata che attutì il colpo ma quello non bastò per calmare l’animo del giovane assassino.

Provò ancora una volta a piantargli la sua lama in gola la mano grande e forte di Syn gli impedì ogni movimento tanto da fargli perdere la presa sul manico, con aria stupita Aalim guardò l’uomo di colore con un’ombra di paura. Doveva davvero morire? Avrebbe comunque lottato, ma in quel momento Syn cambiò totalmente le carte in tavola e in maniera totalmente inaspettata lo baciò con passione fino a quando non si sentì senza fiato.

 

“Lasciami andare, troglodita!” - minacciò Aalim mentre cercava di tenere a distanza l’uomo che d’al canto suo voleva continuare a tenere stretto a sé il ragazzo - “O ti spacco la testa!”

 

Syn non parve avere alcuna reazione alla sua minaccia e si ritrovò a ridere mentre continuava a baciargli il collo -tenendogli con forza entrambi i polsi, non voleva farsi fare un sorriso rosso sulla gola-.

Aalim tremò appena, per nulla interessato a contraccambiare quelle attenzioni visto che fino a qualche attimo prima stavano cercando di uccidersi a vicenda, ma al mercenario quello pareva essere solamente un preliminare e ben presto Aalim si ritrovò coinvolto più del dovuto in una serie di carezze e di baci frenetici che sembrarono accenderlo come una scintilla sulla benzina.

Aveva già visto Syn in giro per il palazzo e nelle poche vote che avevano potuto parlare o lavorare assieme aveva avuto modo di capire che c’era una certa tensione con lui, un po’ per i suoi modi di fare, un po’ perchè lo ammirava per il lavoro che faceva. Era una stima/odio reciproco che li faceva sempre fare frecciate l’uno contro l’altro ma mai il ragazzo avrebbe immaginato che da parte del mercenario vi fosse un altro tipo di interesse e mai si sarebbe aspettato da se stesso una simile arrendevolezza.

Quanto era durata la sua resistenza? Troppo poco.

Cominciò a sentire il respiro affannoso sul proprio collo e poco dopo anche la sua mano correre sulla pelle che mano a mano veniva denudata dalla veste tanto preziosa con i suoi crisantemi rossi.

Aalim provava uno strano imbarazzo misto ad una frenesia che poche volte aveva conosciuto e si ritrovò seduto sulle sue gambe intento a spogliarlo a sua volta, non temeva che qualcuno potesse vederli e dunque continuò imperterrito a studiare il suo corpo massiccio e muscoloso, pieno di cicatrici che al suo tocco sembravano così suadenti e virili. Ogni segno chiaro e traslucido sulla pelle d’ebano di Syn trasmetteva una sorta di storia nascosta che avrebbe voluto sentirgli raccontare per potersi eccitare nell’immagine orribile di chissà quante morti violente.

 

Jean nel frattempo se ne stava accucciato sul tetto intento a guardarli, alla fine la sua attenzione era stata attirata da degli strani movimenti sui tetti ed era stato in quel momento che era riuscito ad individuarli e quello strano risvolto lo lasciò sconcertato.

La loro “fuga romantica” era stata scoperta ma Shun-Yo non gli aveva ordinato di ucciderli ma bensì di essere i suoi occhi e le sue orecchie, avrebbe dovuto solamente attendere per potersi ritirare e riferire ogni cosa allo stratega.

Alcuni ansimi raggiungsero il suo orecchio e provò a sporgersi di qualche centimetro per guardare i due intenti in quel loro famelico e focoso amplesso, osservò i capelli fulvi di Aalim scompigliarsi man mano e vide il suo corpo fremere insieme a quello dell’altro. Si morse il labbro fino a farlo quasi sanguinare ogni volta che lo sentiva gemere, lo odiava: sapeva solo questo.

Dovette trattenersi dal scendere nel giardino per poterli uccidere entrambi, avrebbe risolto molti problemi alla radice ma si trattava pur sempre di uno schiavo fedele agli ordini del suo padrone e dunque si ritirò silenziosamente per poi correre verso il Palazzo della Luce.


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“Pensi che riusciremo ad entrare senza problemi?”

 

Chiese Arthur con aria piuttosto pensierosa e preoccupata mentre camminava accanto a Dee lungo la strada del quartiere Verde. Stavano parlando di come poter recuperare i suoi effetti personali che comprendevano anche di documenti capaci di comprovare che cosa fosse in realtà quel posto. Era sicuramente un’impresa azzardata ma Dee era intenzionato a portare a termine la cosa, era diventata una questione di principio.

 

“Che ne posso sapere io? Sicuramente non sarà facile ma se sono riuscito ad uscire senza problemi non vedo perchè la cosa dovrebbe essere del tutto impossibile. Tu hai detto di avere un amico che lavora nel palazzo, no? E allora chiediamo a lui di aiutarci.”

 

Dee aveva sempre quell’atteggiamento da spaccone e da ragazzo di strada che lo faceva apparire completamente estraneo a quell’ambiente nonostante i vestiti che indossava, qualche d’uno lanciava loro delle occhiate ma che presto si perdevano nel nulla sentendosi troppo in imbarazzo a causa dello sguardo quasi omicida dell’Esterno che immancabilmente intercettava il loro sguardo. Ed irrimediabilmente Arthur voleva sprofondare nel terreno per la vergogna, non era affatto abituato a frequentare persone simili e sapere che cosa avrebbero potuto pensare di lui lo metteva in uno stato di ansia incredibile.

 

“Perchè non cerchi di sorridere? Insomma, cerca di amalgamarti. Sei… sei troppo appariscente con quella faccia.”

 

Arthur cercò di rimbeccarlo ma servì a ben poco perchè il giornalista sogghignò passandogli un braccio alla vita per sussurrargli all’orecchio qualche cosa come “sei forse geloso?” ed immediatamente il giovane si ritrasse diventando di tutti i colori fino a quando non riuscì a sentire le guance tornare fresce e rosee.

 

“No che non sono geloso! Sei tu quello che si fa i castelli in aria! E ora fammi pensare a qualcosa…”

 

Dee se la rise sotto i baffi mentre si godeva la cittadella curiosando davanti all’ingresso di qualche negozio per vedere che tipo di roba poteva mai produrre una società tanto strana come quella, ma si perse un tizio che, correndo verso di loro, andò a scontrarsi con la spalla di Arthur e questi mormorò qualcosa sconcertato per la fretta e per l’impertinenza di quel tizio dai capelli biondi tagliati di netto appena sotto l’orecchio.

 

“Tutto bene?” - chiese Dee tornando vicino ad Arthur per poi voltarsi a guardare il tizio che era venuto loro addosso continuare a correre. Scosse il capo e gli posò la mano sulla spalla - “So che tu ancora non credi alle mie parole ma se mi aiuterai a riprendere la mia roba potrò fornirti tutte le prove di cui necessiti. Quei bastardi li prenderò a calci nel culo dal primo all’ultimo, così vedremo un po’ a chi faranno quel cazzo di lavaggio del cervello.”

 

Le sue parole erano diventate da gentili a grossolane ed Arthur impallidì di fronte a quel linguaggio così scurrile, non era affatto abituato a sentire termini del genere e se ne vergognò profondamente cercando in tutti i modi di far calmare il ragazzo dai capelli lunghi.

 

“Parla più piano! Vuoi farti scoprire?! Hai mai sentito qui dire quelle cose? No. Quindi comportati di conseguenza.” - Arthur sospirò per poi indicargli un ponte - “Di là… la strada per  il Palazzo è questa. Nahuel lavora nei giardini della Madre, forse lui sa come farci entrare ma una volta dentro dovrai pensarci tu, non voglio che lui venga coinvoto in qualcosa di cui non ha alcun legame. Non dovresti nemmeno mettere me in mezzo… per essere pignoli…”

 

Dee fece finta di non averlo sentito parlare, sapeva benissimo che non doveva mettere nei problemi persone ignare e sapeva anche che avrebbe dovuto pagarne le conseguenze ma purtroppo per lui era un amante del rischio e quella causa se l’era legata al dito, non che avesse mai avuto dei principi di giustizia o una coscienza rivolta al sociale ma proprio non poteva buttar giù l’idea che nel mondo c’erano persone convinte di esser gli ultimi esseri umani e di dover adorare una bugia. Era il suo concetto di libertà che prevaleva e che lo aveva spinto a cacciarsi in quella situazione scomoda, con tanto di taglia sulla testa.


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Delle mani forti le stavano massaggiando le spalle mentre s’era lasciata andare alla sensazione di benessere e di piacere che quel bagno le stava offrendo, poteva semplicemente godersi ogni cosa senza il minimo disturbo fino a quando non sentì aprirsi la porta delle sue stanze.

Il ricordo di Ross era svanito con quel rumore inaspettato e l’incanto del passato s’era dissolto come nebbia al sole estivo.

La Madre aprì gli occhi e con uno sguardo irritato osservò uno dei suoi sommi sacerdoti entrare seguito da uno dei suoi servitori.

 

“Perdonate la mia intrusione, Madre, ma lo stratega desidera disquisire con voi.”

 

Con aria più che innervosita la Madre immerse una mano nell’acqua per poi tirar fuori la testa di un altro servitore tenendolo stretto per i capelli, questi si lasciò sfuggire un lamento mentre cercava di riprendere fiato ma lei lo scostò malamente facendolo quasi scontrare con il bordo della profonda vasca.

Si alzò sollevando un gran numero di gocce d’acqua che andarono a bagnare il pavimento di marmo tirato a lucido e senza il benché minimo pudore si mostrò al sacerdote che restò di certo sconvolto nel guardare il suo corpo nudo stupendosi di vedere che fosse un’ermafrodita.

Con grazia ed agilità la Madre uscì dal suo bagno restando in attesa che le fosse portata una leggera veste di lino per coprirsi e nonostante fosse ormai coperta con quella leggera tunica si poteva ancora vedere la sua erezione attraverso le trasparenze del lino.

 

“Spero che voglia riferirmi qualcosa di estremamente importante, non mi piace essere interrotto durante le mie faccende personali.”

 

Nessuno osò fiatare, nessuno osò anche solo pensare che parlava al maschile anche perchè la prova evidente era il suo sesso ambiguo ed il suo carattere possessivo ed aggressivo. Chi mai l’avrebbe detto che una così splendida creatura si sentisse più uomo che donna?

Il sacerdote lanciò un’occhiata al servitore che era stato fatto emergere dalla vasca con la forza e non poté fare a meno di arrossire al pensiero di quel che stava facendo tra le gambe della loro divinità.

Ai due servi se ne aggiungero altri che provvidero velocemente a sistemare ori e gioielli sulle braccia snelle della Madre mentre altri si occuparono dell’acconciarle i capelli fino a quando non fu pronta per ricevere lo stratega, una figura indispensabile per gestire quella popolazione verso i loro scopi, e non appena fece il suo ingresso la Madre non poté non inspirare il profumo degli incensi che sembravano far parte di quell’uomo.

La sua veste verde smeraldo ed il suo serpente dorato spiccavano in mezzo a tutto quello sfarzo in cui lei viveva ed il suo sorriso, freddo come il sangue di un rettile, colpì il suo sguardo come uno spillo.


“Perdonate la mia irruzione, ma credo che sia necessario il mio consiglio… molte cose stanno per cambiare, dico bene?”

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