The Horror we called Love

di cormac
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I - Parti in fretta e non tornare ***
Capitolo 2: *** Atto II - La porta della stanza che tuona ***
Capitolo 3: *** Atto III - La Domenica di grigio e di rosso ***
Capitolo 4: *** Atto IV - Il nostro segreto ***



Capitolo 1
*** Atto I - Parti in fretta e non tornare ***


The Horror we called Love;
Atto I – Parti in fretta e non tornare
 
 
 
 




“Mon cher ami Adrien,
la consapevolezza di quanto possa essere irritante per voi ricevere questa mia missiva –sempre che chi di  dovere abbia svolto un buon lavoro, e di questi tempi, non ci metterei la mano sul fuoco-- mi addolora profondamente, tuttavia la ragione per cui state adesso leggendo queste righe non è trascurabile. Immagino sappiate bene quanto ho a cuore la mia famiglia e quanto mi distrugga il pensiero di perderne anche il più debole dei suoi membri. Si tratta di un ragazzo. Non dimostra più di quindici anni, lo riconoscerete per i suoi lunghi capelli neri che rifuggono le forbici ed i suoi occhi violetti.
Confido nella vostra bontà e lealtà verso la nostra famiglia, oltre che nel vostro infallibile occhio notturno. Attenderò trepidante vostre notizie.
Vostro stimato amico,
 
Revis Baskerville”
 
 
 
 
 
Adrien, bisbetica guardia cittadina (evidentemente incattivito dai turni di notte) e venduto di prim’ordine se chi era disposto a comprare le informazioni che derivavano dal suo lavoro di sorvegliante apparteneva ad una qualche ricca famiglia, ripiegò la lettera del nobile Revis dopo averla riletta attentamente ed essersi debitamente informato sui vocaboli altisonanti di cui non conosceva il significato, infilandola in tasca. Morse il mozzicone del sigaro ormai spento che ancora si ostinava a trattenere tra le labbra, sputacchiando qua e là sui sanpietrini umidi ciò che i denti avevano strappato. Si strinse nel lungo pastrano verde scuro, maledicendo sottovoce ogni singolo santo presente in paradiso e poi, non contento, anche tutte le donne “lavoratrici” che lo fermavano per la strada, informandosi ogni due metri se per caso non volesse usufruire di un veloce servizio. Dannato il giorno in cui aveva accettato l’invito di quel sorridente (quanto sinistro, invero) nobile dai capelli nivei a seguirlo in una lussuosa saletta da tè per discutere di un ipotetico lavoro che avrebbe svolto “come preziosa ed irrinunciabile concessione da parte della famiglia Baskerville per arrotondare”. Non ricordava precisamente quando era diventato uno degli occhi e le orecchie che i Baskerville avevano in tutta la capitale. Ed ora, che l’ennesimo incarico gli era stato affidato, Adrien cominciava a non poterne più. Della Bretagna, di quella città, Sablier, che puzzava di fumo ed ipocrisia, di quella famiglia che serviva con terrore e di malavoglia, di quella sua vita che si era sempre rivelata deludente su tutti i fronti. Erano questi i pensieri che affollavano la sua mente, mentre s’incamminava a passo incerto per i vicoli e le strade nebbiose e deserte, svanendo nell’oscurità.
 
In fondo, non era poi così strano che Adrien, la guardia cittadina, fosse divenuto intrattabile.



 
1
 
Sablier non era quel tipo di città tranquilla, consigliabile come un’ottima alternativa ad una vacanza in campagna per far riposare e ringiovanire i polmoni dopo un aerosol di smog e chissà quante tipologie di fumi diversi, sgradevoli testimoni di un avanzo tecnologico fin troppo rapido. Sablier, perla della Bretagna, sebbene frantumata ed insozzata, era un crogiuolo di lingue e ceti sociali. C’era spazio per l’alta nobiltà, che era solita esimersi dal vivere nel pieno centro cittadino, dove le polveri nocive, impietosamente, non risparmiavano nulla e nessuno; e ce n’era per i ceti più umili, per i mendicanti. Il ragazzo dai lunghi capelli neri, che a grandi ciocche gli ricadevano scompostamente sul viso, mentre osservava con sguardo assorto le copertine dai colori smorti dei libri esposti nella vetrina di una delle librerie più malmesse dell’intera Francia, non avrebbe saputo precisamente collocarsi in uno dei gruppi. Lui non era nobile, o almeno non si sentiva tale. Ma non era neppure un poveraccio senza arte né parte. Cos’era, dunque? Il ragazzo non lo sapeva. Lui era Leo. E basta. Nient’altro.
Credeva di essere l’unico a saperlo, credeva che quella mantella stracciata, portatrice di sporcizia che indossava avvolta intorno alle spalle riuscisse, in qualche modo, a celare la sua identità: si sbagliava. Si sentiva osservato. Già da parecchio, da quando si era fermato a fissare con desiderio i libri esposti, aveva avvertito una sgradevole sensazione allo stomaco e quando sbirciava alle sue spalle con la coda dell’occhio, quell’uomo qualunque, avvolto nel suo pastrano verde scuro e con un sigaro spento in bocca, era ancora lì e lo fissava in cagnesco. Storse il naso. Meglio comportarsi normalmente e andar via come se niente fosse. Tentò, in effetti: svoltò l’angolo, imboccò il vicolo; man mano che si attenuava  il rumore che le sue suole consunte producevano sui sanpietrini lerci e puzzolenti, ritrovo di ratti e covo di colonie di scarafaggi, riusciva ad udire sempre più distintamente quello prodotto dalle scarpe di cuoio tirate a lucido che acceleravano il passo dietro di lui. Il respiro di quell’uomo qualunque era sempre più vicino. Il tempo che Leo impiegò a voltarsi non gli fu sufficiente per rendersi conto del pericolo, che le mani dell’uomo, simili ad arpioni arrugginiti, già gli erano addosso. E la tela del ragno era pronta.



 
2
 
Riecheggianti nelle sale adiacenti fino a perdersi nei corridoi centenari della villa, note alterate (tra cui erano riconoscibili dei…bemolle?) scaturivano dalla cassa armonica di un fortepiano, probabilmente di faggio. Una triste melodia senza nome, accompagnata dal sorriso del suo musicista, continuò a susseguirsi come una lenta agonia fino a che le mani che la producevano non vennero fermate di colpo. Irritazione, seguita da una dolce stoccata di sguardi, fu ciò che ne conseguì. Revis Baskerville, sinistra quanto assai longeva guida dell’omonima famiglia, si alzò dallo sgabello di legno e pelle per raggiungere le ampie vetrate da cui poteva comodamente sbirciare la neve cadere a grandi fiocchi sull’erba, tingendola di un bianco candido, senza doversi scomodare ad uscire. Nel riverbero che la luce produceva sul vetro era riflessa la figura di un uomo nel fiore degli anni, dai lunghi e mossi capelli nivei, raccolti solo per metà in una coda alta e poco stretta, riccamente abbigliato, dagli occhi dello stesso colore delle rifiniture ametista che decoravano il suo abito e un sorriso mellifluo delineato sulle labbra sottili e chiare, come il resto della carnagione, che senza alcuna difficoltà poteva essere considerata cadaverica. «Padrone» fu strappato dalla ragnatela dei suoi pensieri da una voce profonda e maschile. Non si voltò; aveva già riconosciuto il suo possessore. Continuò imperterrito a scrutare il mondo che si imbiancava man mano, ma il suo interlocutore aveva già compreso di aver ottenuto la sua attenzione. «Lo hanno trovato»
Quando Revis si voltò, rivolgendo il proprio sguardo all’uomo che l’aveva interpellato, quest’ultimo credette di vedere qualcosa scintillare nei suoi occhi, un barlume di soddisfazione. Erano occhi ridenti, vittoriosi. «Ben fatto, Oswald». Era sempre uno spettacolo particolare, ascoltare la voce del capofamiglia dei Baskerville: rassomigliava al filo di uno stiletto cinquecentesco, o meglio, lo era. Era la canna di una pistola, una goccia di veleno, il fondo di un burrone: qualsiasi cosa fosse in grado di tagliare, frantumare, uccidere, la voce di Revis la riassumeva perfettamente. Era all’incirca da duecento anni che Oswald non poteva concedersi il lusso di un brivido, ma se ne fosse stato in grado, non aveva dubbi: ogni qualvolta il suo padrone avesse parlato, lui non sarebbe mai rimasto insensibile come avrebbe voluto. Perché Revis era carismatico, ammaliatore, perché Revis era Glen.
«Devo comunicare qualcosa alla guardia?» un rametto picchiò insistentemente contro il vetro della finestra, intervallando così la domanda di Oswald dalla risposta di Revis.
«Digli solo…» una pausa. Le labbra dell’albino, lievemente incurvate all’ingiù, si schiusero leggermente, esibendo quello che aveva tutta l’aria di essere un ghigno, quello di un essere infinitamente vecchio ed infinitamente crudele. Era il sorriso di un cacciatore che scrutava la preda negli occhi prima di ucciderla, il piacere dell’onnipotenza. «che il compenso diminuirà proporzionalmente al sangue versato».
 
Mentre la notte iniziava ad ammantare di nero la Bretagna, Oswald scomparve nella bufera,
a portare la parola sprezzante di una creatura centenaria alla loro nemesi,
per ricordarlo a quel dolce, indifeso fuggitivo che aveva smarrito la strada.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[ Notes ]
Orbene, buonasera popolo di efp! =w=
Non so cosa mi passasse per la testa quando ho deciso di iniziare una long –visto che non ho neanche il tempo di andare al cesso- ma eccoci qua! Il capitolo non è molto lungo, in quanto non voglio iniziare mettendo subito troppa carne al fuoco, ma spero ugualmente di avervi incuriosito!
Alla scuola piacendo, credo di poter dire che aggiornerò ogni due settimane, anche se cercherò di velocizzare quanto posso- al momento non ho altro da specificare, ringrazio chi ha perso due minuti per leggerla e chi vorrà lasciare un commento!
La Turca vi ama <333
 
p.s. credo che il rating non salirà, ma eventualmente potrei aggiungere delle avvertenze in più!

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Capitolo 2
*** Atto II - La porta della stanza che tuona ***


The Horror we called Love;
Atto II – La porta della stanza che tuona
 
 
 
Elliot Nightray era quel genere di diciassettenne cui la vita aveva smesso di sorridere da tempo. O forse lo faceva ancora, ma era un sorriso sghembo, un ghigno crudelmente divertito da tutte le sue disgrazie, contornato da denti aguzzi e stilettanti come coltelli. I diciassettenne anni di Elliot Nightray erano scanditi da un sentimento di cui nessuno, intorno a lui, si era accorto: il rancore.
Elliot Nightray era cresciuto vedendo i fratelli morire, la madre impazzire ed il padre odiare, affondando nell’impotenza della sua giovane età. Ma in questo dolore, egli si era rafforzato, innalzando una muraglia, alta ed impenetrabile, attorno al suo cuore.
La gente che lo conosceva non si stupiva di vederlo avanzare per le strade della capitale come se andasse in guerra, con un’espressione rabbiosa e ferita a deformargli il viso, contagiato dalla stessa malattia che contaminava gli animi ed irretiva i cuori di tutti, l’odio, troppo rassegnato persino per smettere di combattere.
«Sir Elliot!» un uomo lo chiamò dalla propria bottega, senza impedire al proprio cane di strattonarlo per il soprabito nero, nero come lui. Il nobile passò oltre, non rispose al saluto, non protestò per la sfacciataggine dell’animale. Che situazione ironica. Stava diventando un guscio vuoto, un uomo senza emozioni. Come suo padre.
 
Svoltato l’angolo, l’aria umida del vicolo lo investì in pieno volto, assieme al puzzo asfissiante di escrementi e fumi potenzialmente tossici. Si coprì il naso con un fazzoletto bianco, osservando disgustato la prospettiva di quella stradina semi-sconosciuta: l’acciottolato era umido di pioggia (e di qualcos’altro, di cui Elliot preferiva non conoscerne la natura), costellato da escrementi di uccelli, forse tortore. Salendo con lo sguardo fino a compiere un quarto di circonferenza, approssimativamente, gli occhi guizzarono, cogliendo un movimento in fondo al vicolo. Aveva tutta l’aria di essere una molestia.
Un uomo stava infastidendo una ragazza dai lunghi ed arruffati capelli neri, bloccandole i polsi e cercando di trascinarla via. Un altro uomo, un altro nobile, si sarebbe sicuramente allontanato, liquidando la faccenda con un “non è affar mio”, ma non lui. Non Elliot Nightray, con la rabbia che teneva seppellita in fondo al cuore.
«Ehi voi!» l’uomo lo guardò. Gli occhi gli ardevano come braci e l’espressione era feroce, ma il biondo si sforzò di apparire sicuro ed indifferente. 
«Sono Elliot Nightray, figlio di Bernard Nightray. Nel nome della mia famiglia: osate toccarla ancora una volta e passerete dei guai!» la ragazza si voltò e sembrò scrutarlo con rimprovero,  mentre l’uomo allargava un ghigno di sfida, prima di lasciarla andare e sparire l’oltre l’angolo della strada.
Adrien, la guardia cittadina, aveva commesso un grave errore.
 
«Sono un uomo, comunque» una voce lo riscosse. Elliot sgranò gli occhi. La “ragazza” si scostò la frangia dagli occhi, rivelando un paio di iridi scure, violette, in cui rifulgevano delle screziature color ametista. “Bellissimi.” fu tutto ciò che riuscì a pensare il biondo. “Ha degli occhi bellissimi.
Il nobile arrossì leggermente, distogliendo immediatamente lo sguardo.
«E’- è lo stesso! Fa’ attenzione la prossima volta, ci sono tanti malintenzionati e-»
«Non era un malintenzionato» interloquì il ragazzo senza nome, con una voce stranamente calma.
«Lo conosco... purtroppo».
Elliot batté le palpebre, perplesso.
«Comunque, io sono Leo» il moro abbozzò un sorriso, e nei i suoi occhi, fissi sulla figura del giovane nobile, scintillò la gratitudine. “Leo...” gli suonava come un bel nome, sebbene non particolarmente calzante, vista la gracile corporatura e l’aspetto un po’ dimesso.
«Sì ecco... Elliot, piacere. Anche se il mio nome l’avrai capito da solo» poi aggiunse
«Non hai un nome francese».
«L’hai urlato a tutta Sablier» commentò scherzosamente il ragazzo. «Latino. Lo preferisco al corrispettivo francese. Non che il tuo sia così tipicamente Bretone; la capitale brulica di inglesi»
Elliot si ammutolì, facendosi pensoso. Poi, senza aggiungere nulla, gli tese la mano, sorridendo nella miseria che li circondava. E la desolazione divenne un po’ più sopportabile.
 
 
3
 
 
Man mano che la carrozza si avventurava nell’aperta campagna che circondava le ville dei nobili, il paesaggio cittadino si faceva più rado, mentre quello rurale predominava, diventando sempre più aspro e desolato, spazzato da un’incessante tramontana. Il cavallo, che arrancava a fatica su per il viottolo indurito dal gelo, provocava involontari ma violenti scossoni alla carrozza.
Leo si strinse nella camicia stropicciata; più scrutava la  villa dei Nightray stagliarsi minacciosa in cima alla collina, più veniva assalito da un pessimo presentimento. Elliot dovette essersene accorto, poiché, a modo suo, cercò di rassicurarlo.
 «Senti, non... non c’è motivo di agitarsi, d’accordo? Mio padre è un uomo un po’ strano, ma è stato lui a dirmi di cercare un servitore...sicuramente non avrà  nulla in contrario» il moro non rispose. Era stato lui ad acconsentire quando il nobile gli aveva chiesto di servirlo e di rimanere al suo fianco come ‘collaboratore’, in fondo. I Nightray erano una famiglia potente, odiata quanto temuta e rispettata: sotto le ali del corvo, lui sarebbe stato al sicuro.
Ma allora perché quella sensazione di pericolo non svaniva?
 
 
4
 
 
La magione Nightray era buia e malinconica, e molto più spartana di quanto l’avesse immaginata. Nei corridoi l’illuminazione scarseggiava così tanto da essere principalmente affidata ai raggi del sole e della luna, ed erano freddi e tetri, quasi privi di ornamenti. I servitori erano pochissimi e piuttosto schivi; alcuni di loro avevano persino interrotto le proprie attività per fissare in cagnesco il nuovo arrivato.
Giunsero dinanzi ad una porticina bassa, di un blu notte laccato e punteggiato da borchie di ferro, lucidante con una pignoleria e maestria immani.
«Sarebbe inopportuno se ti presentassi davanti a mio padre senza annunciarti. Questa è la mia stanza, aspetta qui» Leo obbedì e si sentì chiudere la porta alle spalle.
Si avvicinò alla finestra, sbirciandovi attraverso: giù nel cortile che avevano attraversato prima di entrare, una giovane dai capelli neri stava animatamente discutendo con il cocchiere che li aveva accompagnati. Distolse lo sguardo; la stanza di Elliot era ordinata, illuminata e pulita.
Emanava un’aura di tranquillità, quando tutto intorno a lui era tempesta.
 
Elliot svoltò l’angolo e si trovò davanti ad una domestica: era una signora di una certa età, grassoccia e pimpante, con tutti i capelli striati di grigio raccolti in uno stretto chignon e nascosti da una cuffietta di lino.
«Donna Hélène...» il biondo deglutì: conosceva bene l’inclinazione al pettegolezzo della serva e, tenendo conto di ciò, avrebbe fatto meglio a comportarsi come al solito almeno finché suo padre non fosse stato messo al corrente della presenza di un ragazzo vagabondo all’interno della villa. L’uomo non aveva mai preso bene gli scandali, tantomeno i chiacchiericci da salotto delle domestiche.
«Buon pomeriggio, signorino Elliot» quella la salutò docilmente, accennando una riverenza. Elliot stava per passare oltre, quando la voce della donna lo fermò.
«Il nobile Duca sta ricevendo un ospite, al momento» lo informò, sorridendogli mettendo in mostra una fila di denti storti e giallognoli. Se non andava errato, quando nessuno la vedeva, ella si dilettava a fumare sigari. Il ragazzo sbuffò; cinque minuti per ascoltare quanto suo figlio aveva da dirgli non ne aveva?!
«Gli porterò via solo qualche istante» mormorò di sfuggita prima di correre via, percorrendo con ampie falcate il corridoio scuro, senza che donna Hélène potesse fermarlo. 
Forse era solo una sua percezione, gli sembrava che il corridoio dove si trovava lo studio di suo padre fosse ancora più tetro ed ostile degli altri. Infine, giunse dinanzi ad una porta nera (o forse grigia? a malapena riusciva a vedere dove metteva i piedi, figuriamoci ricordare il colore di una porta su cui, a causa della sua posizione, non batteva mai il sole!), pesante e leggermente ricurva su se stessa, come un vecchio asino su cui sono stati caricati troppi bagagli, per troppo tempo. Sollevò il pugno per bussare, ma esso rimase a mezz’aria: delle voci provenivano dalla stanza. Una era senza dubbio quella di Bernard Nightray, l’altra non la riconosceva. Era una voce vellutata, carezzevole... e pericolosa. Pronunciava parole lusinghiere, altolocate, ma ogni cosa di quella voce ricordava la fredda lama di un coltello, conficcato a tradimento nella carne. Prese coraggio e finalmente bussò. Ne seguì un attimo di silenzio prima di sentirsi mormorare un incerto “Avanti!” .
«Padre, sono io» si trovò puntati addosso gli sguardi del duca Nightray e di un altro individuo che non conosceva, il padrone della voce.
«Elliot Nightray...?» lo sconosciuto si alzò, avvicinandosi al ragazzo con un sorriso felino; un cenno di assenso da parte del ragazzo e, allungando le braccia, egli lo strinse. Il biondo rantolò: aveva una forza spaventosa ed Elliot si sentì soffocare. L’uomo emanava un penetrante e curioso profumo, come una mistura di erbe e fiori, ma il suo tocco era gelido e lo fece rabbrividire. Dovette essersene accorto, perché si staccò, tornando a sedere con un sorriso sghembo.
«Ci- ci conosciamo...?» domandò a mezza voce il ragazzo, riprendendo un po’ di colore.
Aveva i sudori freddi.
«Sono un caro amico di vostro padre. Revis Baskerville, per servirvi» l’individuo chinò la testa, presentandosi cerimoniosamente. Gli occhi azzurri di Elliot erano fissi sulla sua figura e non ne perdeva un solo movimento. Per qualche motivo, nonostante gli desse i brividi,  non riusciva a distogliere lo sguardo. Aveva qualcosa di ammaliante, di... nobile.
«Non ci vediamo dal vostro sesto compleanno» aggiunse poi, senza che quel sorriso mellifluo lo abbandonasse, evidentemente soddisfatto dalla reazione che aveva suscitato in lui.
«Stavo giustappunto informando il nobile Bernard sul conto di un ragazzo della nostra famiglia, che è fuggito meno di due giorni fa. Capelli neri, occhi viola, dimostra non più di sedici anni. Si chiama Leo. Sarei lieto se partecipaste alla ricerca» le parole del nobile Revis, sussurrate con una lentezza sfinente e con un tono da far accapponare la pelle anche al più coraggioso degli uomini, furono come una doccia gelata per il biondo.
«Cosa sei venuto a dirmi, Elliot?» domandò il Duca. Ad Elliot veniva da vomitare. Scosse fulmineamente il capo e si voltò, sbattendosi la porta alle spalle. Ignorò di aver fatto una pessima figura con un importante nobile: aveva in testa solo Leo.
 
Fuori della villa si stava scatenando un temporale in piena regola. Leo fece per l’ennesima volta su e giù per la stanza, come se si aspettasse che qualcosa spuntasse all’improvviso dal muro tappezzato di arazzi. Elliot ci stava impiegando più del dovuto. Sperava che non si fosse messo a discutere, per qualche motivo, con suo padre: non lo conosceva ancora benissimo, ma qualcosa gli suggeriva che fosse tipo da fare sciocchezze simile.
Dietro di sé, la maniglia di abbassò con un cigolio (andava senz’altro oliata, chissà perché il biondo non dava ordine di farlo!) e la porta si aprì piano. Il moro si aspettava di vedere comparire Elliot da un momento all’altro e rimase interdetto quando invece si trovò davanti la stessa giovane donna che aveva visto litigare con il cocchiere, nel cortile.
Non era chissà quale bellezza, o perlomeno non la valorizzava troppo: indossava un vestito interamente nero, fatta eccezione per una camicia bianca; teneva i capelli corti, con solo due ciuffi riccioluti ai lati e sul viso era stampato un broncio che aveva già visto altre volte. Tutto ciò che era davvero bello di lei erano gli occhi, di un azzurro limpido, come quelli di Elliot. Capelli neri ed occhi azzurri, una combinazione rara.
«Chi sei tu?» anche la ragazza era piuttosto sorpresa e non si preoccupava di nasconderlo dietro a dei modi di fare garbati. Era proprio come Elliot.
«Mi chiamo Leo» ripeté, per la seconda volta in quella giornata piena di... colpi di scena. Vide l’espressione della giovane mutare. Passò alla furia, ma poi si modificò in paura. Le gambe erano scosse da un leggero tremore, e Leo se ne avvide.
«Tu... tu sei...» il moro era abituato assai a quel tipo di reazioni, ma in altri luoghi, in altri frangenti, con altri nomi. Non capiva per quale motivo quella donna, apparentemente tanto indomabile, avesse abbassato il capo. Ella estrasse dalla tasca interna dell’abito nero un piccolo pugnale, brandito in difesa, e nel farlo la croce dorata che aveva sul petto, appuntata con una catenina come una spilla, baluginò. Leo conosceva quel simbolo. Gli era stato detto di odiarlo e di schernirlo.
«Vanessa!» silenzio. Era la voce di Elliot. La giovane si voltò verso il fratello minore, ma tacque, come paralizzata.
«Lascialo stare. Esci di qui. Qualunque cosa tu abbia visto od intuito, non farne parola con nessuno» ora Leo aveva paura. Cosa stava accadendo? Perché mai il suo nuovo padrone parlava in quel modo? E come si spiegava l’insolito comportamento di Vanessa Nightray?
Ciononostante, ella obbedì, riponendo l’arma e sparendo dietro la porta. Il cuore di Leo batteva all’impazzata, ma presto si accorse che anche per Elliot era lo stesso discorso.
«Perché non me l’hai detto?» il tono della sua voce sembrava alterato.
«Detto... cosa? Cosa avrei dovuto dirti più di quanto ti ho già detto?»
«Che sei un Baskerville!» il biondo sbottò, adirato più che mai.
«Che la tua famiglia ti sta cercando! Io non ne sapevo niente e ti ho portato qui, mi sono fidato di te! Se mia sorella parla, passeremo entrambi dei guai!» Guai. Erano quelli il problema principale di Elliot?
Forse c’era ancora speranza. Forse il giovane sapeva molto meno di quanto era convinto di sapere, e ciò, per Leo, rappresentava l’unica salvezza.
«Tu non capisci, Elliot» lo accusò, mantenendo il tono pacato e sommesso.
«Io non posso tornare. Non posso. Se lo faccio, delle persone moriranno. Tu non conosci, tu non sai»
Elliot tacque. Aveva paura. Paura che le parole del suo servitore potessero essere veritiere.
«Domani ti riporteremo dalla tua famiglia. E’ l’unica cosa da fare»
L’espressione disperata di Leo fu una coltellata nel petto, per il biondo.
E tutto il silenzio si congiunse al rombo del tuono in lontananza. 









Notes ]
Mi scuso per il ritardo con questo capitolo. Avevo detto 'due settimane' e mi sono presa tutto il tempo disponibile, ma ho attualmente il modem morto e sto clandestina sulla chiavetta.
Anyway, sono riuscita a postare il profilo, quindi spero sia di vostro gradimento ;3;
Grazie a chi leggerà e vorrà recensire!
Love u <3

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Capitolo 3
*** Atto III - La Domenica di grigio e di rosso ***


Eeehi belli, come state? 
Siamo arrivati al terzo capitolo, omg. Per me e la mia pigrizia, è un traguardo. Mi sono presa tutte le vacanze di Natale come pausa, e sono comunque in ritardo. Spero che abbiate passato delle buone feste, carissimi ♥
Piccolo avviso prima di iniziare! Ovviamente, non essendo presenti Abyss, Chain e cose varie, i personaggi con età improbabili sono cambiate. In pratica, nonno Break non ha 87 anni (?)
Sperando che possa piacervi, buona lettura!
- la turca
p.s. i risvolti romantici arriveranno eh! non abbiate paura (?)




The Horror we called Love;

Atto III – La Domenica di grigio e di rosso
 
 
 
Quando il sole fece la sua pallida comparsa nel cielo invernale, Leo era già sveglio da un pezzo. Aveva dormito poco e male, in un continuo altalenare tra il sonno e la veglia. Non era bastato il conforto delle lenzuola pulite e della trapunta calda: Leo, con gli occhi sbarrati nel buio, aveva riflettuto tutta la notte su come fuggire prima della venuta dell’alba. Tutto ciò che lo aveva fatto desistere era stato il ruggito del temporale al di là dai vetri. Si alzò e, avvicinatosi alla finestra, scostò le tende: il cielo grigio e nuvoloso era fenduto da dei pallidi raggi di sole, dei passeri svolazzavano qua e là, cinguettando allegri la scomparsa della neve e le fronde degli alberi, cariche di pioggia, gocciolavano sul terreno alle loro radici. Aperta un’anta della finestra, Leo venne investito in pieno volto da un’aria fresca e frizzante; in lontananza, udì le campane suonare a festa. Oh. Doveva essere Domenica. Alle sue spalle, qualcuno bussò. Il ragazzo trasalì, balbettando un avanti”. Il terrore di veder entrare Revis da un momento all’altro era immane e costante.
«Permesso» al suono garbato della voce di Elliot, Leo si rilassò. Non riuscì ad augurare buongiorno, ma si sforzò di sorridere. Aveva paura. Non di Elliot, ma di ciò che inconsapevolmente portava con sé.
«Ti ho portato qualcosa da mangiare. Non posso dire a mio padre che sei qui. Fortunatamente, ho convinto Vanessa a tacere» poggiò sullo scrittoio vicino alla finestra un ampio vassoio d’argento, sui cui erano posate, avvolte in tovaglioli di lino, due brioche fumanti; ne porse una al moro.
«In ogni caso, non puoi restare qui. Prima o poi ti scopriranno, ed io passerò dei guai» Leo tacque, portandosi la brioche fragrante alla bocca, senza però azzardarsi a morderla: aveva lo stomaco aggrovigliato. Una sgradevole sensazione di pericolo s’impossessò di lui.
«Elliot io-»
«Ho preso la mia decisione» lo interruppe il biondo. «tu mi hai mentito».
Leo si sentì morire. Mentito? Davvero pensava questo? Assieme alla paura, in lui crebbe l’indignazione.
«Mi hai aiutato, ieri, in strada» iniziò. «Mi hai salvato. A cos’è servito se ora vuoi ricondurmi dalle stesse... cose da cui fuggivo?!»
«Sono la tua famiglia! Ammetto che il nobile Revis ha inquietato anche me, ma-»
«Tu non capisci» tagliò corto Leo. «Ed io non posso spiegarti. Se non mi ascolti, mi condannerai». Elliot lo fissò per qualche istante, dubbioso.
«Perché dovrei crederti?»
«Forse non ti ho detto tutto-...» Leo gli afferrò la mano. Era calda. Il biondo avvampò. « -ma tutto ciò che ti ho detto, Elliot, era tutto vero! Ti ho nascosto delle cose, ma non ho mai mentito. Non posso provartelo senza metterti in pericolo, ma-... te lo giuro. Te lo giuro, Elliot!».
Il ragazzo tacque, basito. Leo gli aveva portato la mano al petto e gli aveva poggiato il palmo sul cuore. Gli batteva all’impazzata.
«I-Io devo pensarci» balbettò Elliot infine, dopo una lunga pausa.
«Fa’ in fretta, per favore».
Il biondo fuggì praticamente via, chiudendosi la porta alle spalle. Prese un bel respiro e si fiondò nel corridoio; sudava ed aveva lo stomaco in subbuglio. Dentro di sé, sentiva che Leo stava dicendo il vero. Si trattava solo di rischiare ogni cosa per lui. Quando giunse davanti ad una lucida porta nera, dalla maniglia argentea, Elliot fermò la sua corsa. Bussò, ma, come si aspettava, nessuno venne ad aprirgli; abbassò la maniglia ed entrò.
«Gilbert?» di nuovo, non ottenne risposta. La stanza era pulita e silenziosa, ogni cosa era al suo posto ed il letto era stato minuziosamente rifatto. Tuttavia, del suo proprietario nessuna traccia. Meglio così si disse Elliot, facendo dietrofront verso la stanza in cui aveva lasciato il suo servitore.
Ho almeno una scusa per andare a cercarlo”.
 
Leo era impegnato a passeggiare nervosamente su e giù per la camera quando il suo padrone rientrò. Sembrava diverso, più risoluto. Che avesse chiarito i suoi dubbi? Lui lo sperava. E sperava soprattutto che la risposta fosse quella che si augurava di sentire.
«Hai fatto presto».
«Mio fratello non c’è. Lavora per Pandora» il moro inarco un sopracciglio. Doveva voleva andare a parare con quella premessa?
«E quindi?»
«Visto che tanto devo parlare con lui... pensavo... che potrei anche portarti con me, insomma. Al loro quartier generale. Lì saresti al sicuro».
La reazione di Leo fu alquanto singolare. Era felice, ma in ansia al tempo stesso. In ogni caso, i sotterranei di Pandora non sarebbero potuti essere peggio degli oscuri e tetri corridoi della magione dei Baskerville e questa era la sua unica consolazione.
 
5
 
Furono gli scossoni della carrozza, assieme alla voce del suo servitore che esclamava il suo nome a voce alta, che svegliarono Elliot. Si mise a sedere, stropicciandosi gli occhi azzurri.
«Quanto ho dormito?» mormorò. Leo emise un flebile sospiro.
«Quasi per tutto il viaggio, quindi all’incirca tre ore». Il biondo si sistemò il colletto del soprabito, prima che la sua attenzione venisse catturata dal cocchiere: aveva aperto loro la portiera e li guardava con aria allegra e cerimoniosa, facendo tintinnare un sacchetto di iuta che teneva stretto nel pugno.
«Benvenuto a Reveille, monsieur. L’edificio che cercate è in cima alla collina; sfortunatamente, Paresse non può portarvi più su, il terreno è troppo fangoso per i suoi zoccoli» Elliot sbuffò: l’idea di dover camminare, in salita e per di più nel fango non lo allettava minimamente, ma del resto, cosa avrebbe potuto aspettarsi da un cavallo il cui nome significava pigrizia? Cercò piuttosto di mettere in pratica i rudimenti di savoir faire che gli erano stati impartiti da piccolo.
«Doveva essere un uomo generoso, il precedente cliente» commentò. «Se per un solo tragitto vi ha pagato così profumatamente». Il cocchiere rise:
«In realtà, non mi ha pagato solo per la corsa. Mi ha fatto delle domande; era gentile, ma un po’ strano, se posso dire. Metteva i brividi. Ad ogni modo, con quattro bocche da sfamare, non mi sono fatto scappare l’occasione per arrotondare un po’. Se capisce cosa intendo» un brivido impazzito corse lungo la schiena di Elliot. Nella sua mente, per un attimo, si affacciò il pensiero che Revis Baskerville fosse stato lì.
«Che cosa vi ha chiesto quest’uomo?»
«Del mio lavoro. Mi ha chiesto se mi piace e se ne volessi un altro. Gli ho detto di no. Mi ha domandato se intrattenessi mai i miei clienti durante le corse: ho risposto di sì, e che sentivo anche molte cose. Più d’una volta ho ascoltato le questioni spinose dei nobili. Lui mi ha anche descritto un ragazzo, chiedendomi se l’avessi visto prima d’ora. “Se lo vedrai, te ne accorgerai” ha detto. Mi è sembrato soddisfatto; mi ha lasciato i soldi, promettendomene altri se fossi riuscito a portargli questo ragazzo, poi è sparito». Né Elliot né Leo avevano più dubbi: erano seguiti, o meglio, anticipati. Erano loro stessi ad andare incontro al pericolo.
«Chiedo venia, signore... com’era fatto questo individuo di cui parlate?» intervenne Leo, all’improvviso. Il cocchiere non parve rifletterci particolarmente, la risposta giunse quasi subito.
«Aveva gli occhi viola. Non me li scorderò mai! M’incutevano timore, ma erano dannatamente belli. Magnetici, oserei dire. E i capelli! Neri come le penne di un corvo. Ed effettivamente, riflettendoci meglio... » fece una pausa. Leo sentiva il suo sguardo curioso su di sé. Provò l’irrefrenabile desiderio di nascondersi.
«Tu assomigli molto al ragazzo da lui descritto» il moro impallidì. Elliot, dietro di lui, era bianco come un cencio.
«Sei tu, vero?» domandò l’uomo. Leo deglutì in risposta. Prima però che riuscisse a replicare nulla, il biondo venne in suo aiuto.
«Quanto ti ha promesso se gliel’avessi portato?»
«Diecimila, monsieur».
«Diecimila...!»
«Dovete capirmi, monsieur. Ho una moglie e tre bambini: ho bisogno di quel denaro»
Elliot sospirò. Sapeva che si sarebbe pentito, in futuro, di quello che s’apprestava a fare (o comunque, suo padre gli avrebbe dato modo di pentirsene), ma non aveva alternativa. Se quel cocchiere avesse parlato, per loro sarebbe stata la fine.
«Ve ne offro il doppio!» sia Leo che l’uomo sgranarono gli occhi.
«Io sono Elliot Nightray, figlio del duca Bernard Nightray. Vi offro il doppio per il vostro silenzio» il cocchiere era sbalordito. Sia di avere davanti l’erede dei Nightray, sia che la sua parola avesse un tale peso. Allargò un sorriso smagliante.
«Paresse farà uno sforzo e vi porterà in cima alla collina. Per ventimila, potrei portarvi anche in cielo, monsieur».
 
6
 
Più si avvicinavano alla sommità, più l’edificio che conteneva il quartier generale di Pandora si stagliava, imponente e solenne, di fronte a loro. Elliot calcolò che doveva essere grande come villa Nightray, se non di più. Il cocchiere non aveva mentito: il cavallo affondava gli zoccoli nel fango e faceva molta fatica a trainare la carrozza. Erano quasi in cima quando l’uomo gli assestò un paio di frustate abbastanza violente da farlo muovere più velocemente. Il quartier generale era una grande costruzione risalente al secolo scorso; non sembrava avere cent’anni, forse a causa della straordinaria cura che era stata impiegata nel ridare l’intonaco, o nel rifare le tegole e potare le aiuole. Sotto un porticato, l’andirivieni di uomini abbigliati tutti alla stessa maniera (vale a dire di nero e di bianco, con una spilla a forma di croce appuntata sul petto, in prossimità del cuore) attirò l’attenzione di Leo. Qualcuno, durante il proprio tragitto, sbirciava con curiosità i nuovi arrivati.
«Leo» si riscosse. Elliot sembrava fiducioso e risoluto, con una sicurezza che il moro avrebbe tanto voluto avere.
«La mia famiglia alleva membri di Pandora da generazioni. I miei fratelli, Gilbert e Vincent, ne fanno parte. Prima di loro, anche Claude... ed Ernest... prima che morissero. Ed anche per me presto arriverà il momento».
«Sai di cosa si occupa Pandora?» domandò Leo, all’improvviso. La sua voce aveva qualcosa di strano, alle orecchie del biondo. «Sai il perché di quelle pistole e di quelle croci?» concluse.
«Sono l’organizzazione di difesa nazionale. Le pistole occorrono per forza. Quanto alle croci... sono solo spille. Un simbolo, un ornamento. Non sono importanti» Leo sospirò, ma non aggiunse nulla.
«Entriamo, dai. Si prepara a piovere di nuovo» mormorò Elliot, rivolgendo un’occhiata alla minacciosa coltre di nubi in procinto d’avvicinarsi.
 
Il biondo sollevò la spessa e pesante maniglia d’ottone e lasciò che s’abbattesse sul legno laccato di bianco del battente per tre volte. Un uomo alto, dagli occhi color terra ed un paio di occhiali rotondi venne loro ad aprire. Li scrutò per qualche istante con un’espressione incuriosita, prima di abbozzare un sorriso cordiale.
«Buongiorno...!» li salutò educatamente, accennando un inchino.
«Mi chiamo Elliot, Elliot Nightray» tagliò corto il ragazzo.  «Sto cercando il nobile Gilbert Nightray. Gli dite che sono arrivato...» una gomitata di Leo nelle sue costole fu abbastanza dolorosa da ricordargli almeno le basi delle buone maniere. «... per favore?»
Il sorriso sul volto dell’uomo si affievolì.
«Ah... sono desolato, ma il nobile Gilbert è fuori al momento. Non è ancora rientrato» sorrise di nuovo, per poi scostarsi dall’uscio.
«Vogliate attenderlo dentro. Temo che fra poco avremo un altro temporale» appena ebbero varcato la soglia, l’uomo si richiuse la porta alle spalle.
«Mi chiamo Reim, sono un servitore della famiglia Barma. Seguitemi! Vi conduco dal nobile Oz» nel sentire quel nome, Elliot si pietrificò sul posto.
«Cos’hai, Elliot?» nessuna risposta, prima che il giovane prorompesse in un latrato inferocito.
«Non ho alcuna intenzione di essere condotto al cospetto di un Vessalius, quando ho espressamente richiesto di vedere mio fratello!» Vessalius...? Leo sbiancò, ma non disse nulla. Anche Reim era ammutolito.
«Elliot» il tono ammonitore del suo servitore lo richiamò. «Ricordati le nostre priorità».
«Eh-ehm. Se permettete, nobile Elliot, in quanto padrone del nobile Gilbert, è il nobile Oz che dovrebbe accordarvi il permesso di vedere il suo servitore» interloquì Reim. Elliot sembrò sul punto di ribattere qualcosa, ma un’occhiata del moro fu sufficiente a metterlo a tacere, seppur di malavoglia. Certe volte, Leo sapeva essere inquietante. Certamente, i Baskerville non avevano mancato di insegnargli l’arte di farsi rispettare.
«Grazie, signor Reim. Ci faccia strada, la prego».
 
Oz Vessalius era un biondino ficcanaso, sempre tallonato da una ragazzina bassa e dai lunghi capelli neri, con evidenti problemi d’isteria. Questa era stata la descrizione fornita da Elliot durante i pochi metri di tragitto che separavano l’ingresso dalla saletta degli ospiti.  La realtà era molto diversa da come il biondo l’aveva descritta, agli occhi di Leo: Oz si presentava come un ragazzo (effettivamente biondo ed effettivamente tallonato da una ragazzina dai capelli neri che lui chiamava Alice) della sua età, dai vispi occhi verdi ed un sorriso allegro, che sorbiva il suo tè assieme ad un uomo alquanto bizzarro, dai capelli chiari, rasenti l’albinismo e l’unico occhio scoperto, scarlatto. Non appena Elliot e Leo entrarono nella stanza, sia Oz che l’uomo smisero di conversare e li fissarono con curiosità.
«Nobile Oz-» iniziò Reim, ma venne immediatamente interrotto.
«Tu sei... Elliot!» sul viso si Oz prese forma un sorriso gioioso, affatto ricambiato dal giovane Nightray.
«Non mi toccare» lo ammonì severamente Elliot, vedendo che l’altro era in procinto di abbracciarlo.
«Nobile Oz, il nobile Elliot desiderava chiedere il vostro permesso per vedere suo fratello maggiore, il nobile Gilbert, quando tornerà» intervenne Reim, nel tentativo di quietare l’animo già agitato del ragazzo.
«Certamente! Gil non avrà niente in contrario» rispose Oz, prima di rivolgere la sua attenzione a Leo, rimasto in disparte fino a quel momento.
«Oh! Tu sei il suo servitore?» l’altro annuì, prima di sorridere.
«Mi chiamo Leo, nobile Oz» Oz lo guardò in silenzio per qualche istante, un’occhiata eloquente che il moro non avrebbe saputo decifrare; sviò lo sguardo. In fondo, non aveva il diritto di fissare negli occhi un nobile, per di più di una tale levatura! I Vessalius erano, dopotutto, i discendenti dell’eroe.
«Piacere, Leo!» disse infine, con un sorriso. «Spero tu sia più trattabile del tuo padrone» commentò poi, scherzosamente. Elliot impallidì di rabbia e fu sul punto di dire qualcosa che fortunatamente riuscì a tenere per sé.
«Gil dovrebbe essere qui a momenti. Intanto sedetevi! Anche tu Reim, non credere di scappare. Vi ho già presentato Alice?» l’interpellata rivolse, prima ad Elliot e poi a Leo, un’occhiata incuriosita ed altezzosa al tempo stesso, prima di tornare a torturare i suoi pasticcini con le quattro punte della forchetta.
«Sei davvero scortese a non presentarmi, Oz caro» interloquì l’uomo dall’occhio rosso. «Se a qualcuno interessasse, e noto che a nessuno interessa, io sono Xerxes Break».
Reim lo fulminò con lo sguardo. L’albino sembrò non accorgersene, o perlomeno lo aveva ignorato di proposito, continuando a sorridere imperterrito all’indirizzo di Elliot e Leo.
 
Rimasero a chiacchierare del più e del meno finché un fragoroso tuono non li interruppe; qualcuno aveva fatto il suo ingresso nella stanza.
«Gil!» esclamò Oz con un sorriso. Gilbert aveva un’espressione spossata, era pallido oltre ogni misura e i suoi occhi erano cerchiati da profonde occhiaie. I ricci corvini, nonostante l’ampio cappello nero, gocciolavano acqua piovana sui ricami del tappeto e sul pavimento. Anche gli abiti e i guanti erano fradici. Ciononostante, non riuscì a trattenere la sorpresa quando vide il fratello.
«Elliot...?»
«Ehi» lo salutò il biondo, di rimando. «Sei zuppo».
«Elliot, cosa... cosa ci fai qui?» la sua espressione era un oscillare dal sorpreso al contrariato, anche se Leo non avrebbe saputo dire perché.
«Sono venuto per te, idiota!» Oz seguiva interessato lo scambio di battute assieme a Break, intento a chiacchierare anche con una bambolina che teneva poggiata sulle gambe.
«Che cosa vuoi?» borbottò scontroso Gilbert. Non era affatto felice di quella visita inaspettata, anche se nessuno riusciva ad individuarne il motivo. Avrebbe dovuto essere contento di vedere il fratello, no?
«Devo- ... anzi, dobbiamo parlare con te» disse Elliot. Reim porse a Gilbert un panno asciutto, con cui si strofinò i capelli. Nonostante tutto, non tremava nemmeno un po’. «In privato» concluse il biondo. Fissò con la coda dell’occhio Oz ed Alice, guardandoli torvo. Reim, fortunatamente, afferrò al volo la muta richiesta di Elliot e si apprestò a condurre fuori i due, assieme a Break. Gilbert sprofondò nel divanetto color avorio, con un profondo sospiro.
«Avanti, ti ascolto».
Elliot iniziò a raccontare: l’incontro e l’aggressione di Leo, la conversazione che suo padre aveva avuto con Revis Baskerville, la vicenda del cocchiere. Raccontò ogni cosa, senza tralasciare alcun particolare eccetto il cognome di Leo. Non ce n’era bisogno: Gilbert l’aveva già capito da sé.
«Hai portato un Baskerville al quartier generale di Pandora, Elliot?! Tu sei matto!» il biondo non sapeva se essere più stizzito o perplesso. Perché se la prendeva tanto?
«Che male c’è?! Leo è esattamente come me! Il suo cognome non determina la sua personalità!» sbottò, artigliando il rivestimento di stoffa del bracciolo del divanetto. Lo sguardo dorato e severo di Gilbert si addolcì, e puntò su Leo.
«Non gli hai detto niente?» il ragazzo scosse la testa.
«Non ne avevo il diritto».
Gilbert sospirò, prima di rivolgersi nuovamente al fratello.
«Elliot... hai detto che ti saresti unito a Pandora un giorno. Non puoi farlo senza sapere cosa facciamo veramente» Elliot inclinò leggermente il capo.
«Di che parli?»
«L’organizzazione di difesa nazionale è solo una copertura, Elliot. Se la gente sapesse, si scatenerebbe il panico. Sai che i Baskerville, pur essendo dei nobili potenti ed ammirati, sono nostri nemici?» Elliot annuì.
«Ho sentito che sono stati coinvolti in alcuni scandali. Omicidi, prevalentemente» Gilbert gli fece cenno di tacere.
«Quello che tu sai è quello che sia Pandora che i Baskerville vogliono far sapere. La realtà è ben più ricca di crimini efferati perché tu possa conoscerla. Ti chiedo ora: cosa hai provato stando vicino a Revis Baskerville?» il ragazzo socchiuse gli occhi, rabbrividendo al pensiero di ciò che aveva vissuto. Era vivido, il ricordo di quel tocco magnetico e repellente, così elegante e gelato per essere la mano d’un vivo. Era vivido il ricordo di quel petto in cui non era riuscito a sentire un cuore battere.
«Ho avuto... paura. Non so perché, ma volevo scappare» digrignò i denti e si conficcò le unghie nei palmi delle mani. «Sono un codardo».
«Non sei un codardo». replicò Gilbert. «Te lo spiego io, perché volevi scappare: non so cosa potrei dire per rendere il mio racconto più credibile, ma è già abbastanza assurdo, quindi... lui non è umano, Elliot. Nessuno di loro lo è» lanciò di sfuggita un’occhiata a Leo, prima di proseguire.
«Puoi chiamarli vampiri o non-morti, se lo preferisci. Per noi, sono semplicemente Baskerville. Il loro nome è un ottimo sinonimo per indicare la loro natura» Elliot tacque. Se era confuso? Assolutamente sì. Se ci credeva? Assolutamente no. Era semplicemente ridicolo.
«Mi prendi in giro» si alzò in piedi, fissando torvo il fratello.
«Ti aspetti che creda a questa storia?! Leo è un Baskerville, ma il suo cuore batte! Io l’ho... » si rese conto di ciò che stava per dire ed arrossì visibilmente, ritrovando a balbettare sottovoce.
«I-Io l’ho... l’ho sentito».
«Questa è l’unica cosa che non capisco, in effetti. Ma se è davvero un Baskerville, il tuo amico potrà confermare le mie parole» l’attenzione di entrambi si concentrò su Leo.
«Non sta mentendo, Elliot. Tuo fratello dice il vero. Io sono uno di loro... ma sono ancora vivo! Per questo sono fuggito».
Leo non mentiva. Elliot lo sapeva: non gli aveva mai mentito. Eppure quella storia era semplicemente troppo assurda.
«E se fosse vero... voi cosa fate? Li cacciate? Li sterminate?» Gilbert scosse la testa.
«Tu non puoi nemmeno immaginare il poter di quella famiglia. Una montagna si sposterebbe con tanto di scuse se osasse sbarrare la strada di Revis Baskerville. Per il momento, ci limitiamo ad indagare»
«Su cosa?» domandò il biondo. Suo fratello si apprestava a spiegare, ma la risposta, inaspettatamente, giunse da Leo.
«Su l’unico uomo che abbia mai ucciso un Baskerville. L’eroe, Jack Vessalius»
«Sei ben informato» commentò Gilbert, annuendo.
«Ma- Jack Vessalius non è considerato eroe perché salvò due bambini da una villa in fiamme?»
«Quella è la versione ufficiale» Gilbert socchiuse gli occhi, come se stesse cercando di scacciare dalla mente un ricordo spiacevole. «La villa che bruciò era quella dei Baskerville».
 
7
 
Quando la conversazione poté dirsi terminata, Gilbert chiese a Reim di sistemare Elliot e Leo in una stanza per ospiti, mentre lui si fermò a parlare con Oz e Break. Leo aveva la netta sensazione che stessero parlando di lui. La stanza in cui il servitore dei Barma li condusse era ordinata e pulita; le lenzuola profumavano di lavanda e le tende tirate celavano due finestroni ampi, dal telaio di legno. Un unico letto, dalla trapunta blu notte, occupava da solo gran parte dello spazio. A muro era sistemata un’alta scaffalatura, su cui troneggiavano in bella mostra file di tomi dalle copertine dai colori smorti.
«Sono desolato per l’inconveniente, nobile Elliot, ma non abbiamo altre stanza disponibili».
Oh, magnifico. Avrebbero anche dovuto dormire assieme. Leo non sembrava granché entusiasta. Quando Reim fu uscito, si rivolse al suo padrone.
«Russi?»
«Ma che domanda è?!» sbottò il biondo.
«E’ stato un viaggio faticoso, quello di oggi. Vorrei dormire stanotte» commentò scherzosamente Leo, sedendosi sul bordo del letto. Elliot si sistemò al suo fianco, con un sospiro.
«Ti ho portato con me con l’intenzione di far arrestare chi ti insegue, ed ora scopro tutto questo. Credevo di poterti aiutare. Credevo che, come mio servitore, saresti stato al sicuro. Ma come posso tenerti nascosto dai Baskerville, io da solo? Come posso combatterli?»
Elliot si sdraiò, nascondendo il viso nel cuscino. Mai a Leo era parso così vulnerabile. Avrebbe voluto abbracciarlo e sussurrargli che non ce n’era bisogno, che li avrebbe combattuti da solo, ma sarebbe stato sconveniente. Si limitò a poggiare la propria mano su quella di Elliot, in un muto cenno di conforto.
Tu puoi farlo, Elliot.
 
8
 
«Ripetilo un’altra volta, per favore» lo scherno si celava dietro la voce vellutata, seppur arida, di Revis. Passeggiava su e giù per la sala; Adrien, la guardia cittadina, lo tallonava, supplice e piagnucolante.
«Elliot Nightray, ha detto di chiamarsi. Aveva una spada con sé. E poi, se fosse stato davvero lui, avrei ucciso il figlio di un duca. Non ho potuto fare niente» mormorò. La paura gli attanagliava lo stomaco e gli strozzava la voce. Il ticchettio del tacco degli stivali di Revis sul marmo chiaro del pavimento non faceva che aumentare la sua pressione.
«Ma ho obbedito ai vostri ordini, mio signore! Come ho sempre fatto! Datemi un’altra opportunità, ve ne supplico. Vi porterò il ragazzo!»
«Mio caro Adrien, » iniziò il capo dei Baskerville, con un sorriso ombroso che tradiva un’immane disgusto verso l’uomo che lo pregava in ginocchio di risparmiargli la vita. «tu sei solo uno dei tanti tagliagole; non sai adempiere un incarico che non preveda il tuo coltello da macellaio conficcato nel cranio di qualcuno. Ed io lo voglio vivo. Non ho chiesto un cadavere»
L’uomo chiuse gli occhi, iniziando a pregare sottovoce un Dio in cui non aveva mai creduto.
«Hai ragione. Hai obbedito ai miei ordini. Sei sollevato dal tuo incarico e da questa tua miserevole vita terrena, mon cher».
Prima che l’uomo potesse fuggire, o balbettare qualcosa, Revis era piombato sul suo collo: affondò i denti bianchi ed aguzzi nella carne, lacerò la giugulare ed i legamenti e massacrò ogni lembo di pelle, fino a scoprire il bianco delle ossa. Il sangue usciva a fiotti, e quando il Baskerville l’ebbe abbandonato sul pavimento, egli ricadde in una pozza del suo stesso sangue.
 
Rimase lì, mentre il liquido già iniziava a rapprendersi, per un buon quarto d’ora; quando Revis tornò, ordinò che quello spettacolo fosse sgomberato e che il pavimento fosse lavato di ogni traccia di sangue. Diede disposizione che il cadavere fosse caricato su un carro e abbandonato nel primo lurido vicolo a disposizione, senza alcuna sepoltura: così Revis Baskerville si sbarazzava dei rifiuti.
Una donna, una vecchia massaia, fu la prima a trovare il corpo: urlò e svenne. Prima della polizia sopraggiunsero altri passanti; rovistando il cadavere maciullato,  tra le pieghe dei suoi vestiti, trovarono una lettera. Sulla carta, con una grafia sottile ed elegante, era scritto:
 
Così trapassa Adrien, la guardia cittadina.

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Capitolo 4
*** Atto IV - Il nostro segreto ***


Salve a tutti! –schiva le pietre
Il mostruoso ritardo è dovuto ad un periodo di pausa che ho deciso di prendermi, perché sono stata davvero molto impegnata con la scuola in questo ultimo periodo ed è già tanto che io sia riuscita a trovare il tempo di andare in bagno. Scusatemi, mea culpa Per il resto, vi informo anche che non riesco purtroppo a reggere il ritmo di un aggiornamento ogni due settimane, ma non mi sbilancio a dare delle date, quindi posso solo cercare di aggiornare il prima possibile: ogni giorno potrebbe essere quello buono! Potrei essere velocissima (ne dubito) o potrei metterci anche molto tempo, dipende da vari fattori. Infine: alla fine del capitolo ho voluto mettere delle piccole info per quanto riguarda gli elementi sovrannaturali di questa storia, giusto per spiegarmi un po’. Una specie di legenda, insomma! Consiglio di leggerle, così da avere un quadro più chiaro per i capitoli futuri. Ancora le mie scuse per il ritardo e buona lettura! - la turca


 
 
 
 
The Horror we called Love ;
Atto IV – Il nostro segreto
 
 
 
Era particolarmente rilassante, per Elliot, svegliarsi con il viso di Leo, ancora profondamente addormentato, vicino al suo. Molto vicino, forse troppo. Abbastanza da poter ascoltare il flebile suono del suo respiro e percepirlo sulla pelle. Si soffermò a contemplarne i lineamenti, i capelli neri sparsi sul cuscino, le labbra leggermente schiuse... era dannatamente bello e l’unico rammarico del giovane Nightray era di non essersene accorto prima. Penso di allungare la mano, accarezzargli la guancia... ma sarebbe stato sconveniente! Oltre che terribilmente equivoco. E poi avrebbe rischiato di svegliarlo. La sera precedente,  esausto com’era, non appena toccato il cuscino si era addormentato. Elliot si sentiva bene, in pace con se stesso e con il mondo, come se venire a patti con la vita non gli dispiacesse più così tanto. Non gli importavano più tutte quelle assurde storie sui vampiri, a cui tra l’altro non credeva affatto. A Pandora li avrebbero nascosti, erano sani e salvi e soprattutto, erano insieme. Questo era tutto ciò che contava. Cullato da questi rassicuranti pensieri, trovò facile persino riaddormentarsi, premurandosi di stringere la mano di Leo, che delicata era posata sul cuscino, vicino al suo viso. La strinse, forte ma non troppo. Doveva essere sicuro che nessuno lo avrebbe portato via, mentre si abbandonava tra le braccia di Morfeo.
 
Il secondo risveglio fu, per Elliot, molto più brusco del primo: qualcuno era intento a scuotergli con forza la spalla. Socchiuse lentamente le palpebre: Leo era in piedi e, in un angolo, si abbottonava la giacca scura, donatagli da Pandora. La mano continuava a scuoterlo.
«Elliot!»
«Sono sveglio, sono sveglio!» borbottò di rimando il biondo, tirandosi a sedere. Gilbert era seduto sul bordo del letto e si rigirava fra le mani l’ampio cappello nero. Sembrava piuttosto agitato.
«Che succede?» domandò Elliot, allarmato. Aveva il presentimento che la risposta non potesse che essere affermativa.
«Ieri notte... è stato ritrovato un cadavere, a Sablier. Io e Break stiamo andando lì. Crediamo abbia a che fare con i Baskerville, per questo portiamo Leo con noi». Lo sguardo di Elliot mutò e l’espressione sfumò in una più stizzita.
«Vengo con voi!»
«Non se ne parla» tagliò corto Gilbert. «Se ha a che spartire con i Baskerville, non sarà un bello spettacolo. E’ meglio se-»
«Io non mi muovo senza Elliot».
Gilbert si voltò verso Leo. La sua espressione tradiva rassegnazione: non aveva mai creduto, da quando erano arrivati, che occuparsi di quei due sarebbe stato semplice, ma ne stava letteralmente uscendo pazzo. Preferiva gli intrighi dei Baskerville, piuttosto che avere la responsabilità di controllare suo fratello ed il suo nuovo amico. Oz era sempre stato molto meno problematico!
«Lui è il mio padrone. Se non mi accorda il permesso di andare, non se ne fa nulla». Elliot abbozzò un sorriso beffardo all’indirizzò del moro, prima di affiancare Leo. Gilbert sospirò.
«Non creare problemi e non fare domande. Ah, e prima, magari-» fece una pausa, in cui trattenne una risata. «-cambiati».
 
Quando Elliot si fu cambiato, sembrava una persona completamente diversa. Non era più il ragazzo rancoroso ed ostile al mondo intero, ma un giovane nobile, un membro di Pandora. Il soprabito nero dai risvolti azzurri, le scarpe di cuoio tirate a lucido, la pesante spada nera poggiata sulla spalla e la croce, appuntata al petto e là ostentata con fierezza. Leo ammirava profondamente l’aura di nobiltà che il giovane Nightray irradiava: così bello, avvolto nel suo manto di luce austera; proiettava su Leo la sua ombra.
Sablier era rimasta la stessa città malata che avevano lasciato alla loro partenza. Sembrava trascorsa un’eternità, ed invece erano passati soltanto tre giorni dal loro fortuito incontro: a Leo era parsi interminabili, densi di avvenimenti, preoccupazioni e novità. Gilbert e Break camminavano a passo svelto e sicuro, districandosi senza alcuna esitazione nel diramarsi dei vicoli e delle strade della città. Leo ed Elliot quasi faticavano a mantenere il loro passo. Camminarono fino a raggiungere uno spiazzo aperto, dietro il quale grandi campi dall’erba giallastra si estendevano a perdita d’occhio sotto il cielo plumbeo. L’unica parvenza di civiltà era una casupola pericolante e, tutt’intorno ad essa, un piccolo cimitero disseminato di croci storte e pietre tombali crepate. L’ambientazione metteva i brividi; Elliot arrivò a domandarsi se non fosse tutto uno scherzo, tanto la situazione era surreale. Il biondo tossì; l’aria era carica di una soffocante umidità ed in essa aleggiava una puzza asfissiante. Si augurava che finissero in fretta. Break non bussò; la porta era stata divorata dai tarli e la ruggine aveva fieramente sottomesso i cardini di ferro. Entrarono. Anche l’interno aveva conosciuto giorni migliori, ma se non altro qualcuno si era preoccupato di arieggiare un po’ e di eliminare un po’ di polvere.
«Siete quelli di Pandora?» una voce brusca, arrochita dal fumo, li chiamò da un angolo della stanza. Un vecchio dagli occhi cisposi e dallo sguardo severo si dondolava su una sedia con una gamba rotta, rigirandosi fra le labbra rinsecchite una pipa spenta. Gilbert annuì.
«Mi avevano detto che sareste venuti. Siete qui per il vecchio Adrien?»
«Lo conoscevate?» domandò Break.
«Lo conoscevano tutti. E lo odiavano tutti. Non mi sorprende che abbia fatto una simile fine» l’uomo si alzò a fatica. Dall’altro lato della stanza, accanto alla parete, era posta una lettiga, coperta da un lenzuolo di lino.
«Nessuno ha reclamato il cadavere» cominciò.  
«Non aveva parenti?»
«Aveva una moglie, se non erro, ma non si è presentata. Suppongo che non corresse più buon sangue fra loro, ammesso che si siano mai amati». Il vecchio scostò il lenzuolo, rivelando il volto cinereo e senza vita di Adrien, la guardia cittadina. Elliot sentì un conato di vomito salirgli in gola quando venne scoperta la ferita al collo. Era annerita e putrefatta; i due larghi fori praticati all’altezza della giugulare rivelavano il bianco delle ossa. Emanava un olezzo di morte e carne marcescente a dir poco irrespirabile.
«Cosa avete intenzione di fare, signori?» domandò l’anziano becchino. Sembrava divertito dal disgusto di Elliot. Gilbert allungò la mano, tastando delicatamente i due profondi fori con le mani ben inguantate, poi si voltò verso i compagni.
«E’ certamente opera di uno di loro».
«E’ stato lui» affermò all’improvviso Leo, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.  «E’ stato Revis. Riconoscerei in ogni caso il suo... stile»
«Non so che problemi abbiate con i Baskerville-» li interruppe l’uomo. «Ma non vi consiglio di accusarli. Questa non è opera di un uomo. I miei anni di esperienza mi suggeriscono che il vecchio Adrien sia stato ammazzato ad una bestia».
Leo lo guardò negli occhi.
«Infatti».
 
L’umore di Elliot dopo quella visita era nettamente peggiorato. Era scuro in volto, ma non osava parlarne con gli altri; Gilbert si sarebbe infuriato. Del resto, era stato lui a voler venire a tutti i costi. La casa della vedova di Adrien era una misera e polverosa soffitta, la cui unica finestra si affacciava sul viavai di una delle strade maestre della città. Non aveva la fama di essere una donna tollerante e lei ed Adrien non avevano avuto figli. Avevano preso una carrozza per arrivarvi e Gilbert lasciò che Elliot ed Leo vi rimanessero dentro, mentre lui e Break si avviavano verso le ripide scalette del portone d’ingresso. In breve, sparirono dietro l’uscio.
«Come hai fatto?» fu il biondo a rompere il silenzio, squadrando Leo di sottecchi.
«A fare cosa?»
«A capire che è stata opera di Revis. Come hai fatto a capire così velocemente che è stato lui, solo con un’occhiata?» Leo fece le spallucce.
«Intuito»
«Leo» il tono di Elliot fu perentorio, eppure tradiva una sfumatura di curiosità. Il flebile sorriso che era sorto sulle labbra del moro si affievolì, fino a lasciar posto ad un’espressione costernata.
«Riconosco il suo morso» le dita di Leo corsero a sciogliere il fiocco azzurro all’altezza del collo ed a slacciare i primi bottoni della camicia sottostante, sfilandoli delicatamente dalle asole. Elliot divenne rosso come un pomodoro maturo: che stava facendo?! Leo si scostò i capelli neri ed allentò il colletto, scoprendo leggermente la clavicola. Elliot aprì la bocca per mormorare qualcosa, ma non riuscì a proferire parola. Lo stupore lo aveva colpito come un pugno nello stomaco, violento ed improvviso. La pelle chiara come porcellana bianca di Leo era martoriata qua e là da ferita, segni semi-circolari, alcuni profondi, altri più superficiali. I più non erano ancora rimarginati. Il biondo avvicinò la mano, sfilando il guanto bianco, e tastò la pelle ferita, accarezzando lentamente i segni rossi e doloranti. Le sue dita erano incredibilmente calde ed un brivido corse lungo la schiena di Leo, ma sperò che l’altro non se ne fosse accorto. Fu il suo padrone a parlare nuovamente, per primo.
«Mi dispiace»
«E di cosa?» Leo richiuse la camicia.
«Che tu abbia dovuto passare tutto questo. Ed io volevo anche riconsegnarti a loro» Elliot serrò i pugni. Tremava di rabbia.
«Ora ci credi, Elliot?»
«Sì» rispose, abbassando lo sguardo. «Ora ci credo»
«Allora non dispiacertene. Se non avessi questi morsi sarebbe perché, probabilmente, sarei morto».
Tacquero entrambi per un lungo quarto d’ora, al termine del quale, notarono che una fitta pioggerellina aveva ricominciato a ticchettare sul viale. Gilbert e Break tornarono poco dopo, battibeccando animatamente sotto la pioggia che s’ingrossava. Rientrarono nella carrozza, bagnati fradici.
«Che avete scoperto?» li interrogò subito Elliot, che saltellava impaziente sul sedile.
«Nulla più di quanto già sapessimo. La signora non si è propriamente disperata nel ricordare il marito, ha addirittura detto di volersi risposare immediatamente».
«Sapeva che Adrien combinava qualcosa di illegale, per portare a casa i soldi che puntualmente sperperava, ma non gli chiese mai cosa. Non parlavano mai» concluse Gilbert.
«Quindi lei non sa che il marito lavorava per i Baskerville?» chiese Leo.
«No» replicò il moro, calcandosi il cappello sui capelli gocciolanti. «Lei non aveva nulla a che fare con i crimini del marito».
«Torniamo a Reveille?» Elliot li interruppe. Ne aveva avuto abbastanza di omicidi, Baskerville e losche faccende, per quel giorno; e di certo, il pensiero dei marchi che Leo celava sotto la camicia non lo aiutò a riposare meglio, durante il viaggio.
 
9
 
 
Oz era assorto nella lettura di un pesante e vecchio tomo, più per obbligo che per piacere o cultura personale, quando Gilbert e Leo entrarono nel salottino deserto.
«Gil!» il biondo allargò un sorriso, chiudendo di scatto il libro ed abbandonandolo sul morbido cuscino della poltrona che lo aveva ospitato fino a qualche istante prima. Gilbert abbassò umilmente il capo, come in un cenno di scuse.
«Oz... ho un favore da chiederti, se non ti pesa»
«Sì?»
«Posso lasciarti Leo? Elliot è... impegnato, ora. Sono arrivati i Nightray e credo ne avranno per un po’»
Leo ebbe un sussulto. La sua famiglia li cercava ancora? Il suo padrone non doveva star passando un bel quarto d’ora. La tentazione di correre da lui per aiutarlo si impossessò di lui, ma prima che potesse dire o fare qualcosa, Oz lo prese a braccetto, sorridendo gentilmente, ma in modo indecifrabile.
«Vieni Leo, usciamo a fare due passi».
I giardini di Pandora erano molto più grandi e curati di quelli di villa Nightray. Non un solo insetto ronzava tra le foglie del roseto, d’un verde brillante ed ancora imperlate di rugiada. Oz trasse un lungo sospiro, prima di mormorare improvvisamente:
«Elliot sa come sbrigarsela con la sua famiglia e quell’orso del Duca Nightray. Non darti pena»
«Mi dispiace che debba passare questo per colpa mia».
Il biondo proruppe in una cristallina risata, muovendo qualche passo verso la folta e rigogliosa siepe. Leo guardò le sue spalle scuotersi lievemente a causa delle risa.
«Per colpa tua? Non la metterei così. Era da molto che Elliot blaterava di voler lavorare per Pandora ed abbandonare la villa. Vivere come Gilbert, per intenderci. Tu sei stato semplicemente l’occasione per mettere in pratica questi suoi deliri, che ha colto al volo»
«Deliri?»
«Già. Gil è... diverso, da Elliot. Molto diverso. Anche lui non voleva che il fratello cercasse di emularlo, ma sai com’è fatto Elliot. Un testone. Ma un testone prudente, lui rimane. Venire qui è stata una mossa prevedibile, ma la migliore che potesse fare in una scacchiera popolata da pezzi pericolosi. Gil non permetterà mai ai Nightray di portarlo da qualche parte senza il suo volere, e mi pare evidente che Elliot non ne abbia l’intenzione»
«Quindi... qui saremo al sicuro?»
«Puoi starne certo. Se i Baskerville ti cercano, non c’è posto più sicuro in tutta l’Europa. Qui, nemmeno una mosca entra senza i dovuti controlli».
Ne seguì un lungo silenzio, scandito dal passo regolare del biondo, intento a fare su e giù per il vialetto lastricato.
«Nobile Oz» Leo richiamò la sua attenzione. «Voi come l’avete conosciuto?»
«Dammi del tu, mi metti a disagio» Oz ridacchiò. «L’ho conosciuto a scuola. In realtà, a primo impatto credevo mi odiasse, ma poi, superati i disguidi, siamo diventati amici»
«Oh...» fu tutto il commento del moro.
«E tu?»
«Mi ha salvato... la vita, probabilmente». Oz annuì, ma preferì non chiedere altro. Aveva intuito che il modo più veloce di far aprire Leo era mostrarsi ancor più riservati di lui.
«Come hai fatto a venire coinvolto in questa storia, Leo?» domandò improvvisamente il biondo, con un sorriso curioso stampato sulle labbra, da cui permeava commiserazione e pietà.  «Come hai fatto a diventare un Baskerville?»
Leo sospirò. Stava vedendo qualcosa, nella sua testa, immagini che avrebbe preferito chiudere in un cassetto e non tirare mai più fuori. Lentamente, quasi sussurrando, il moro cominciò a raccontare.
«Non ricordo il nome di mio padre, o il suo viso. Forse non l’ho mai saputo. E mia madre non era ciò che tu definiresti una signora. Era debole e stanca, trovava più semplice bere come una spugna che amare suo figlio. Comunque, anch’io ero un bambino problematico. Sentivo voci, vedevo cose... avevo paura del buio ed a volte scappavo di casa. Finché...»
«Finché?» lo incalzò Oz.
«Finché non fui venduto. Lo ricordo bene. Avevo dieci anni. Non ho mai avuto modo di chiedere a mia madre perché l’avesse fatto e non la rividi mai più. Mi fu detto che l’aveva fatto per il mio bene, perché non aveva i soldi per mantenermi. Non ci ho mai creduto. Non che inizialmente non fossi felice! Ma poi, in cuor mio, iniziai a capire. Iniziai a rendermi conto di ciò che accadeva nella magione dei Baskerville e del perché comprassero bambini come merci. Tuttavia, io ero stato... privilegiato. Non fui ucciso come gli altri, anche se penso spesso che sarebbe stato meglio...» Oz cercò d’interromperlo, ma Leo, con un gesto secco della mancina, lo mise a tacere.
«Fui scelto da Revis Baskerville in persona e trattato con tutti gli onori, ma per me era una gabbia. Bellissima, vitrea, invisibile, ma ero di fatto un prigioniero. Di notte ascoltavo le urla dei bambini che non ero riuscito a salvare, mi rimbombavano nella testa. Trascorsi sei anni in quell’inferno, finché non riuscii a radunare abbastanza coraggio per fuggire. Il resto della mia storia la sapete».
 
 
10
 
 
Elliot si premette il palmo freddo sulla guancia, in un gesto che reprimeva la sua indignazione. Lo schiaffo di suo padre bruciava rovente. Dietro il Duca, Vanessa Nightray singhiozzava ininterrottamente, forse per il dolore del colpo che anche lei aveva ricevuto per il suo silenzio, forse per il guaio in cui suo fratello si era cacciato.
«Hai sfidato la mia autorità!» tuono Bernard Nightray, con gli occhi che dardeggiavano collera.
«Hai condotto il ragazzo sotto il nostro tetto, lo hai nascosto! Adesso lui penserà che...» la voce gli morì in gola quando intravide Gilbert avanzare a passo deciso verso di loro, tallonato docilmente da Break.
«Qualche problema, Duca?» il tono del moro era educato, ma i suoi modi tradivano un innegabile disprezzo, che peraltro non si preoccupava di nascondere.
«Gilbert» cominciò l’anziano uomo, sforzandosi di controllare l’ira. «Tuo fratello ha chiesto di te. Devi venire anche tu con noi.»
“Sembrano due estranei.” si ritrovò a pensare Elliot, guardandoli duellare verbalmente.
«Io non vado da nessuna parte» sentenziò alla fine il biondo, stupendosi delle proprie stesse parole. Sentì improvvisamente lo sguardo di tutti su di sé. «Io non abbandono Leo».
«Tu farai quello che io ti comanderò, giovanotto» alzò nuovamente la mano destra e, senza ascoltare le suppliche di Vanessa, abbatté nuovamente un poderoso colpo sul viso del figlio. Gilbert non ci vide più. Fremeva per mettere mano alla pistola e lo avrebbe fatto, se Break non gli avesse stretto il polso fino a stritolarglielo. Lo guardò e l’albino mimò un “no” con le labbra.
«Nobile Duca,» Bernard Nightray si voltò verso Break. «Sarete stanco. La nostra ospitalità è stata a dir poco vergognosa. Saremo lieti di annunciare la vostra permanenza anche al Duca Barma, che è attualmente nostro ospite». Al solo sentire il nome di Rufus Barma, il Duca Nightray storse il naso. Durò un attimo: sdegnato, l’uomo fulminò Elliot con un’ultima rabbiosa occhiata, girò i tacchi e si avviò verso la carrozza, seguito dall’ancora piangente Vanessa. Gilbert sospirò, rilassandosi un po’.
«Entra Elliot. Abbiamo dato abbastanza spettacolo per stasera».
Elliot obbedì docilmente, senza evidentemente accorgersi del breve sorriso e dell’occhiolino che Break e suo fratello si erano scambiati.
 
Gilbert sbuffò: l’incontrò con Bernard Nightray lo aveva nauseato a tal punto che non voleva vedere nessuno, tantomeno parlare. Se stava in silenzio (e di certo non avrebbe iniziato a parlare da solo) poteva sentire Elliot borbottare maledizioni nell’altra stanza, forse a causa delle cure fai-da-te alquanto discutibili di Leo, forse per colpa dell’umiliazione inflitta dal padre. Un toc-toc leggero lo districò dall’ingarbugliata ragnatela dei suoi pensieri.
«Avanti» mormorò a mezza voce. La maniglia si abbassò lentamente e dalla fessura fece capolino Break.
«Gil?»
«Entra»
L’albino si richiuse la porta alle spalle, scoccando a Gilbert un’occhiata interrogativa.
«Sembri stanco» osservò.
«Lo so. L’arrivo di Elliot non era previsto. La loro rappresaglia sarà immediata»
«Li temi?» il moro emise un basso ringhio di disapprovazione, ma il sorriso sul volto dell’altro non cedette.
«Non li temo, lo sai. Sono solo preoccupato. Elliot è uno sconsiderato e sebbene Leo abbia ancora un po’ di buon senso, ho paura che non basterà per entrambi».
Break gli si sedette accanto.
«Hai intenzione di riconsegnare il ragazzino?»
«Non parlarne come se fosse una merce di scambio!» lo rimbeccò Gilbert, prima di poggiargli il capo sulla spalla. L’albino gli passò una mano fra i capelli neri.
«Non lo so, Elliot ci tiene a lui. Non l’ho mai visto così coinvolto e... vivo, dalla morte dei suoi fratelli. Non vorrei portarglielo via, ma temo una tempesta in arrivo se non lo faccio»
«Non mi capacito di come tu sia ancora così... umano, Gil. Anche dopo che-»
«Oh, sta’ zitto. Parli troppo» lo interruppe Gilbert. Per ripicca, Break lo attirò a sé, mentre un breve brivido causato dalle labbra fredde di Gil premute sulle sue lo attraversò come una scarica elettrica. Non si divincolò, il moro, non fece finta che gli dispiacesse, ma subì passivamente quella dolce tortura fino al suo termine.
«Io mi preoccuperei di altro, in questo momento» commentò Break, vagando per la stanza. «Come per esempio la fastidiosa presenza di Barma che appesta il quartier generale. Non so se ci hai fatto caso, ma da quando è arrivato lui sono appassiti dei fiori nel giardino». Gilbert rise.
«Ma, in ogni caso, hai intenzione di dirlo ad Elliot?» il moro tornò serio, evitando accuratamente lo sguardo di Break. Si morse il labbro inferiore, indeciso.
«Lo scoprirebbe in ogni caso»
«Puoi nasconderlo ancora un po’, Gil. Oz non lo dirà, ma se Elliot lo venisse a sapere, non sappiamo come potrebbe reagire»
«Vorrà dire che glielo dirò» fece una pausa. «Gi dirò ciò che sono».
Break annuì.
«Allora sarà ancora per un po’ il nostro piccolo segreto».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[Piccole Info]
Come spiegato nella premessa, ho scelto di scrivere delle piccole info sui vampiri di questa storia, in quanto si distaccano leggermente dalla canonica visione del vampiro. Ho cercato di attenermi il più possibile all’evoluzione della figura del vampiro negli anni, ma ho apportato qualche modifica, in quanto:
- in molte leggende e nel libro di Bram Stoker “Dracula” i vampiri sono pelosi. PELOSI COME YETI. In questa storia, i vampiri sono i Baskerville e non potevo attenermi a questa visione per descriverli (insomma, prima di essere degli spaventevoli succhiasangue sono Baskerville... sono raffinati loro, eh u__u).
- i lupi mannari non sono presenti nella mia storia, pertanto i signori Baskerville non conosco il morso del lupo mannaro ed esso non costituirà una fonte di pericolo per loro; tuttavia, il sole resta in ogni caso il loro più acerrimo nemico. So benissimo che non sempre posso andare in giro di notte, ma avendo scelto un luogo piovoso e dai tono scuri come la Bretagna come background, ho deciso di ovviare così al problema. Acqua santa, croci ed aglio non li uccidono, ma bruciano la loro pelle e provocano dolore.
- anche il sole non li uccide all’istante, ma provoca delle ustioni che aumentano di gravità all’aumentare della durata dell’esposizione ai raggi ultravioletti. Hanno quindi qualche speranza di salvezza se sono veloci a nascondersi.
- i vampiri di questa storia sono prima di tutto riconoscibili per i denti appuntiti (ma va?), la carnagione cinerea, da vero e proprio cadavere, l’assenza di battito cardiaco, la temperatura corporea estremamente bassa e gli occhi particolarmente lucenti. In più, essendo concretamente morti, i Baskerville puzzano (LOL) ed ovviano al problema con larghe dosi di profumo dall’odore molto forte, capace di coprire la puzza.
Se mi verrà in mente qualcos’altro, lo aggiungerò strada facendo. 
Grazie per aver letto!

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