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di REDRUMILLA_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memories. ***
Capitolo 2: *** Lies. ***
Capitolo 3: *** Alone. ***
Capitolo 4: *** Surpise. ***
Capitolo 5: *** Letters. ***
Capitolo 6: *** Dangerous Attraction. ***
Capitolo 7: *** Peace. ***
Capitolo 8: *** Engagement. ***
Capitolo 9: *** Dried leaves. ***
Capitolo 10: *** Just you and me. ***



Capitolo 1
*** Memories. ***



CIAO A TUTTI *____*
Prima che questa mia nuova fanfic parta vorrei specificare alcune cose.
Questa fan fiction, a differenza della mia precedente è del tutto diversa.
Non vi sono discorsi in terza persona o cose simili ma è tutto fatto a mo di diario.
E' inoltre ambientata in un altre circostanze e non rispecchia i caratteri dei veri Harry e Louis.
Non so se questa “innovazione” possa piacervi o meno, non ne ho idea, ma io, dopo questa breve anticipazione, vi lascio al mio nuovo lavoro.

Ho seriamente paura! Va beh, buona lettura!
(Il bannerino è il mio, prendetelo pure se volete e se siete forti di stomaco! Non mi arrabbio..Anzi, mi fa piacere x°D)



copyright @REDRUMILLA


Harry Styles

Improvvisamente luce. Qualcosa di imprecisato mi destò dal sonno. I raggi solari mi pervasero e un fastidioso calore mi irradiò il corpo seminudo.

Le coperte fasciavano il mio corpo in maniera approssimativa, avevo seriamente avuto problemi a prendere sonno la notte prima e la vittima di questa mia insonnia era stata il malcapitato nuovo letto della mia ancora immacolata camera.
Le pareti bianche e spoglie riflettevano in maniera nervosa la luce che, irrimediabilmente si scontrava contro i miei occhi, ancora assonnati e semichiusi.
Tutto in quella stanza mi era estraneo. Nessun fumetto era disposto sulle mensole, nessun poster delle mie band preferite era incollato malamente sulla sponda del mio letto e tutto, in quel luogo nuovo, sembrava volermi dire quando inadatto ero ad abitarvi.
Mi passai velocemente una mano sul viso per poi schiaffeggiarmi alcune volte le guance, strano rituale mattutino che mi aiutava a prendere conoscenza.
Mi mossi insicuro verso un bagno a me sconosciuto e, con molta indecisione presi piano dimestichezza con la doccia.
Mi lavai velocemente e presi i primi vestiti che mi capitarono davanti disposti in maniera disordinata nella mia capiente valigia arancione.
I miei piedi nudi a contatto con le mattonelle fredde continuavano a procurarmi fastidio, abituato come ero al parqué consumato della mia vecchia casa.
Una voce conosciuta, prima cosa quella mattina a me familiare mi invitò a scendere per la colazione.
Afferrai le mie scarpe frettolosamente e le infilai mentre scendevo per la rampa di scale che mi divideva dalla cucina in cotto rossa che mia mamma aveva tanto reclamato considerandola più professionale.
La prima cosa positiva che mi accadde quella mattina, e anche l’ultima ahimè, fu l’odore di brioches appena sfornate.
Cercai di arrivare per primo al piatto che le conteneva aumentando il passo ma due piccole pesti riuscirono a superarmi accaparrandosi la colazione prima del sottoscritto.
Mi sedetti quindi e afferrai quello che a primo impatto mi parve una ciotola di thè e, avvicinandola alla bocca la bevvi piano.

“HARRY, SANTO DIAVOLO!” reclamò una voce stridula ma allo stesso tempo matura.
“DOVE CAVOLE HAI MESSO LE CHIAVI DEL MOTORINO?” continuò piombando repentinamente nella cucina.
“Non fare la sciocca Felicitè. Sono dove le hai lasciate!” aggiunse il riccio riportando la sua attenzione alla tazza ancora tiepida.
“Certo. Peccato che non ci sono!” borbottò ancora, insistente finché non venne interrotta da un’ ennesima voce femminile.
“Sono qui! Stupida” Disse risoluta la sorella più grande, Lottie.

Anche se quel quadretto familiare era ormai consolidato nella tradizionale colazione di famiglia, sentivo qualcosa di stonato nella strana armonia che in anni si era andata a creare con i miei familiari.
Una nota discordante in una melodia abituale.
Non riuscivo ad accettare il trasferimento di mia madre in una nuova città, non riuscivo a contemplare di aver abbandonato la mia vita per trasferirmi in un luogo sperduto come Doncaster.
E ad aggiungersi a questa già disperata situazione si aggiungeva imminente primo giorno di scuola.
Arrivare a metà anno scolastico non era di certo la miglior decisione ma perdere un anno scolastico, questo di certo non potevo permettermelo.
Quindi, senza lamentarmi molto decisi di prende in spalla la mia cartella ed incamminarmi verso scuola.
Mentre Felicitè imprecava contro il motorino inceppato il mio sguardo si rivolse altrove.
Innumerevoli piante di diverso genere sparse per gli altrettanti spazi verdi mi portarono a rivalutare quel luogo che tanto avrei desiderato, prima del trasferimento, vedere il più tardi possibile.
La pace dovuta al fatto di essere immerso nella vegetazione sparì gradatamente quando mi imbattei in una massa disordinata di ragazzi tutti diretti in un'unica direzione. Seguendo quindi il corteo di perfetti sconosciuti, arrivavi davanti a quella che sarebbe stata la mia scuola per gli anni a venire.
Un brivido mi percorse la schiena come a mettermi in guardia su quello che poi sarebbe accaduto.
 
“Sei un lurido gay, Styles.”
“Sono così contento che ti levi dalle palle, odio vedere la tua faccia da finocchio in giro per questa scuola.”
 
Pensieri riaffiorarono nella mia mente quando varcai finalmente la porta di ingresso.
E quello fu il primo ed ultimo ricordo accettabile della mia permanenza nella Doncaster High School.




Louis Tomlinson


Sempre le solite persone, le solite facce viste e riviste. Facce smussata dalla mia ancora immensa stanchezza. Innumerevoli incubi albergano il mio sonno. Ogni giorno mi sveglio sudato, le coperte ormai infondo al letto e un forte, implacabile dolore al petto.
Sollevai un attimo gli occhi dal mio cellulare e, niente di nuovo apparve davanti ai miei occhi.
Le solite facce guardavano verso la mia direzione e timidamente chiamavano il mio nome, in cerca di una risposta. Di un cenno di risposta che da parte mia non arrivava mai.
Questa scuola mi ha sempre dato la nausea. Odio l’odore di libri vecchi e ammuffiti che aleggia in questa sottospecie di topaia. I muri pregni di ditate, vernici ormai scolorite e parzialmente scrostate. Questa scuola va letteralmente a pezzi.
Decisi che era l’ora di alzarsi dalla panchina fuori dall’entrata e di muovermi a passo svelto verso l’ingresso. Diedi un calcio secco alla porta malconcia e entrai sicuro.
Come ogni giorno il mio ingresso non passò inosservato. Molte persone fissavano la mia figura e, come in precedenza, erano desiderose di un mio saluto.
Non mi piaceva avere gli occhi puntati su di me. Ho sempre detestato attirare l’attenzione.
Ho sempre infatti preferito vivere nell’ombra, senza essere notato. Alla fine a cosa serve essere popolari se si può essere liberi?
Mi domando spesso il perché di questa mia continua tristezza, è come se non trovassi mai nulla che mi va realmente bene.
Mi sistemai velocemente il ciuffo specchiandomi sulla finestra più vicina a me e, sorridendo inarcando un angolo della bocca, decidi che ero finalmente pronto ad un altro giorno di merda.
Mio padre non era ancora tornato, mi sono dovuto svegliare nel completo silenzio.
Camera mia era un disastro. I vestiti avevano piano piano ricoperto gran parte del pavimento. Le pareti ormai non esistevano più poiché sommerse da miriadi di poster di giocatori di calcio.
Mi deciderò a strapparli un giorno.
Sempre la solita stupida camera. Sempre la solita insonnia. Sempre la solita stupida vita vuota.
Quella mattina avevo seriamente voglia di qualcosa di caldo ed è per questo che, stramente decidi di andare a dare un’ occhiata in cucina.
Mi stupì enormemente quando vidi tutti i piatti a terra, e i nostri bicchieri migliori frantumati sul pavimento. Tutti questi dettagli mi conducevano a una deduzione più che logica: Mio padre era riuscito a trovare dove nascondevo gli alcolici.
Quella mattina rinnegai svariate volte di essermi deciso a tenere dell’alcool in casa. Ma alla fine il mio vecchio è abbastanza maturo per decidere della sua vita e se vuole ridursi ad uno straccio bevendo merda, che faccia pure.
Detesto vederlo barcollare in casa. Detesto doverlo accompagnare quasi privo di sensi in camera sua e dover sopportare il tanfo che produce il suo alito.
Dannato stupido. Non si rende conto quanto cazzo ho pagato per quegli alcolici.
Sono dannatamente triste. Sono dannatamente solo.
Ma alla fine, forse, è destino.
Forse, davvero, le persone si meritano quello che hanno, e se davvero questo deduzione è corretta io, devo fare proprio schifo.
Penso salterò la terza ora, odio sorbirmi quella psicopatica di Matematica.
 


Harry Styles


Era ormai la decima volta che percorrevo quei corridoi. L’odore acre dei libri antichi riusciva a rilassarmi e il sole che puntava repentinamente sui mie occhi mi rendeva stranamente quieto.
Nessuno durante le lezioni mi ha rivolto la parola. Mi sono semplicemente limitato ad ascoltare, o meglio a fingere interessamento, verso la professoressa di Matematica.
Concluse le prime due ore sono riuscito a capire che quella donna ha seri problemi. Avrebbe bisogno di essere ascoltata e capita, un po’ come me.
Un messaggio interruppe bruscamente i miei pensieri. Un messaggio per nulla inaspettato.

“Come va?
Nick.”


Breve e coinciso, tipico.
Risposi velocemente, contento di sentire finalmente qualcuno di conosciuto.

“Tutto ok! Sento solo la mancanza di casa..
Haz.”


La successiva risposta arrivò con una velocità inaudita.

“Non preoccuparti piccolo, ti abituerai.
Nick.”


In quel frangente trovai seriamente fastidiosa la sua schiettezza nel rispondere. Per una volta avrei seriamente preferito si aprisse un po’ di più a me.
Continuai a camminare per il lungo corridoio evitando di mandare un altro messaggio a Nick, non mi sarebbe stato comunque molto di aiuto.
Mi ritrovai davanti ad una grande vetrina trasparente contenenti innumerevoli enormi trofei.
Club di Tennis, Club di Nuoto, Rugby e altri ancora.
I miei occhi però vennero attirati da una coppa di dimensioni superiori alle altre.
Brillava, mostrava magnificenza e irrimediabilmente provai un senso di invidia nei confronti del possessore di tale riconoscimento.
Una foto, probabilmente del talentuoso vincitore, era esposta accanto a quest’ultimo.
La foto in bianco e nero era sfocata ma si poteva facilmente notare che il ragazzo in questione era un membro della squadra di Calcio della scuola.
Aveva un fisico notevole, proprio per la prestanza fisica che possedeva mi chiesi per quale motivo, nelle mie ormai forsennate camminate lungo il corridoio, non avessi notato una persona così particolare.
Qualcosa come un presentimento, che si fece presto spazio nel mio cuore, mi avvertì che qualcosa non andava.
E questo presentimento divenne vero e proprio terrore quando lessi il nome sul trofeo.
Quel nome così conosciuto, così familiare ma allo stesso tempo estraneo mi fece sobbalzare e portò facilmente il mio palpitante cuore in gola.
Affiorarono nella mia mente innumerevoli vaghi ricordi.
E le note di una canzone che cantavo spesso da piccolo uscirono timide dalla mia bocca.
Note che piano piano, col procedere della canzone si fecero sempre più sicure e, in poco tempo mi portarono a stupirmi di me stesso e di quando ancora, quei ricordi così distanti fossero ancora così reali nella mia testa.
 


Louis Tomlinson


Nel percorrere la strada per arrivare fin sopra, nel terrazzo, Passai per il corridoio e, nel mio ondulatorio camminare venni sovrastato da una voce. Quest’ultima proveniva da un aula in fondo al corridoio, e questa voce incantevole io, la conoscevo bene.
"“Louis non riesco a dormire, ho paura.” Disse tremando il ragazzino dai grandi occhi verdi, disteso a pancia in giù sul suo grande letto, mentre teneva il pollice in bocca e le gote rosse a contatto con il cuscino.
Il più grande decise allora di poggiare i piedini nel freddo pavimento, infilarsi le ciabatte e camminare in punta di piedi fino al letto dell’altro.
Il pigiama con le macchine che sua mamma lo costringeva a indossare era abbandonato in un angolo della casa e il ragazzino solamente in mutande decise di avvinarsi alla faccia paffuta del ricciolo e, dolcemente, cercare di calmarlo.
“..Canta con me! Ti insegno una canzone che ascolto sempre alla radio!” Disse deciso il piccolo Louis fissando il ragazzo davanti a lui.
Si infilò piano sotto le coperte e tenendolo per le mani, fissandolo costantemente nei suo grandi occhi verde smeraldo, intonò la prima strofa.

“Now you were standing there right in front of me.
I hold on scared and Harder to breath”

Le mani del ragazzino ricciolo erano calde e sembravano adattarsi perfettamente a quelle sudaticce del piccolo Louis.
Tutto in quella stanza, il tempo, si era improvvisamente fermato. C’erano solo loro due e una magica atmosfera, quasi surreale ad avvolgerli. Gli occhi chiusi, come ad assaporare ogni momento, ogni attimo, ogni respiro caldo sulla palle.
Quando infatti quest’ultimo decise di cessare il contatto la tristezza si impadronì del candido volto del riccio.
Louis, si affacciò repentinamente alla finestra, alzando gli occhi al cielo, fissando sognante le stelle.
In punta di piedi su una vecchia sedia con le ruote, guardava pensieroso in alto, scostando lentamente i ciuffi che nel frattempo gli avevano coperto il volto.
Si aggrappò saldo al termosifone posto saldamente sotto la finestra e continuò.

 “All of a sudden these lights are blinding me.
I never noticed how bright they would be”

Continuò intonando la seconda strofa, con gli occhi ormai incantati del ragazzo dai morbidi riccioli, che puntavano insistentemente i suoi capelli muoversi con la il leggero vento di una notte di afosa estate.
E quando finalmente arrivò al tanto atteso ritornello, inspiegabilmente l’eccitazione usata in precedenza negli altri versi lentamente scemò e si coprì di un leggero velo di tristezza.
Perché già in tenera età il giovane Louis sapeva, sapeva che quella felicità, apparente gioia, sarebbe durata ancora per poco.
Harry si alzo e pian piano lo raggiunse e, anche se non molto convinto, si unì a cantare insieme a lui in una di quelle notti che tutti e due, anche se solo degli innocenti bambini, non riusciranno a dimenticare tanto facilmente.
"
 
“Don’t let me,
 don’t let me,
don’t let me go,
‘cause I’m tired of feeling alone”

 
Ero ormai completamente affacciato per sbirciare chi stesse cantando quella che era la canzone che tanto mi era familiare.
Ma mi bastò accostare l’orecchio alla porta dell’aula per capire di chi fosse la voce. Un tono basso quanto insicuro non poteva essere frainteso.
Ricordai le serate passate a ripeterla per memorizzarla, le notti passate insonni a stringere forte a me il più piccolo cercando di farlo addormentare, cantando quella canzone. La canzone che in quel momento riuscì a svuotarmi la mente dai miei soliti pensieri. Pensieri scuri, tristi, sostituendoli con alcuni più leggeri e, perché no, felici.
Rimasi ancora un po’ ad origliare quella canzone magica e venni trasportato indietro nel tempo. Mi sentì di nuovo bambino e una lacrima scese sul mio volto quando per l’ennesima volta, in maniera straziante, Harry Styles ripeté il ritornello visibilmente emozionato.
Inarcando le spalle e soffiando quelle parole, ancora una volta, trafiggendomi in pieno il petto. Ancora e ancora.

“Don’t let me,
Don’t let me,
Don’t let me go,
‘cause I’m tired of sleeping alone.”




Wow! Mi mancava scrivere nello spazio dell'atrice, CAVOLO! *___*
Sono tornata con un'altra long. Non che abbandoni l'altra sia chiaro, ma mi voglio dare a qualcosa di diverso, di più "soft".
Io non riesco seriamente a scrivere fluff e questa infatti non lo è-
Dio, ovvio che non vi strapperete i capelli leggendola ma vi giuro che non è per nulla felice çAç
In questo capitoletto che possiamo chiamare "intro" si vede un po' i caratteri dei personaggi. Il loro pensiero e il loro modo di approcciare il nuovo giorno di scuola in maniera del tutto diversa.
Harold si sveglia in un posto nuovo per lui, un posto che non gli appartiene e che non conosce.
Il signorino sonofigohtuttoioTomlinson invece è stanco della monotonia e della sua vita, che si scoprirà andando avanti moolto diversa da come i compagni di classe credono che sia.
Abbiamo due tipi belli complessatini, tutti e 2 con problemini gravini e boh, non so che altro dire.
AH! Ho messo la nuova canzone di Hazza perchè ci stava un botto bene quindi accompagnerò anche altri capitoli, ovviamente.
Il titolo invece è ripreso dalla canzone dei coldplay che se volevo potete ascoltare mentre leggete.
Che senso ha se lo dico alla fine? ._. Vabbeh. Vi linko qui sotto le due canzoncine per chi non le conoscesse! (VERGOGNA!)

The scientist- Coldplay
http://www.youtube.com/watch?v=EdBym7kv2IM

D
on't let me go- Harry Styles
http://www.youtube.com/watch?v=Q8NUfvJlTGw&NR=1&feature=endscreen

B
YEEEEE, AL PROSSIMO CAPITOLO!!

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Capitolo 2
*** Lies. ***



Harry Styles


Mi svegliai nel pieno della notte.
Ombre passate tornarono a galla e mi spinsero con loro a fondo. Mi sentivo di nuovo vulnerabile, di una debolezza disarmante.
Le mie paure, i miei ricordi spingevano la porta, fino a quel momento chiusa a chiave, del mio subconscio febbricitanti di uscire e prendermi alle spalle. Il mio passate, forse la mia unica vera e autentica paura, stava tornando ad assillare le mie notti.
Decisi di uscire a prendere una boccata d’aria. La mia gola era secca e la mia pelle appiccicosa. Conoscevo il motivo di tale agitazione. Lo stesso motivo di tanti anni fa. Lo stesso motivo della mia depressione adolescenziale passata.
L’avevo superata, avevo deciso di metterci un enorme pietra sopra e ricominciare a vivere. Se pur da solo, potevo considerarmi felice.
Avevo una famiglia amorevole e amici su cui contare. E un ragazzo.
E forse per questa stabilità che finalmente mi ero conquistata che lasciare la mia città natale mi parve come cadere dentro una fossa piena di piranha.
Sapevo che sarei stato vulnerabile, esposto e nudo. Solo.
Ma di certo non sospettavo di certo di incontrale lui. Louis Tomlinson, la fonte di tutti i miei traumi infantili.
La persona che da piccolo e ingenuo ragazzino ritenevo la mia anima gemella che, ahimè, con lo scorrere degli anni divenne la mia antitesi e poi, finalmente, solo un vago ricordo.
Pensavo di aver messo alle spalle quel capitolo della mia vita ed essere andato avanti. Dimenticando.
Ma era tutta una melliflua illusione. Mi è bastato un nome scritto su di un trofeo, una microscopica foto sfocata a abbattere tutte queste convinzioni e ad affogarmi in un mare di tristi ricordi.
Ed è per questo che, alle 4.00 di notte mi ritrovavo sul balcone, mani appoggiate malamente alla ringhiera e un freddo disumano agli alluci dei piedi.
Fissai le stelle per svariate ore, ricordando la mia infanzia, fin quando non sopraggiunse la stanchezza e mi addormentai lentamente sullo sdraio floreale donatoci da zia Rose per il nostro trasferimento.
Mi svegliai con un dolore incredibile alla colonna vertebrale e dei tangibili segni di una notte passata in bianco, occhiaie a parte.
Quel giorno la voce di mia mamma risultò ancora più fastidiosa del solito e il mio normale rituale mattutino apparve ancora più faticoso del giorno precedente.
Fissai le pareti spoglie e la valigia ancora intatta e mi ripromisi di attaccare qualcosa nella prima e svuotare l’altra. Promesse vaghe, visto il mio stato d’animo.
Scesi strascicandomi in soggiorno, ignorai le lamentele di mia madre contro le mie sorelle e mi limitai a un sorriso visibilmente finto e, per accontentare l’apprensione di mia madre addentai pure una fetta biscottata.
Congedai la mia numerosa famiglia con l’ennesimo triste sorriso e, afferrando la cartella, uscì silenzioso dalla porta.


 
Louis Tomlinson


“IO ESCO” urlai più a me stesso che a mio padre, quando varcai la porta malconcia della nostra abitazione.

Non arrivò nessuna vera e proprio risposta ma solo un languido mugolio segno che aveva recepito. E questo mi bastò.
Avevo promesso a Liam che sarei andato con lui ad una festa sulla spiaggia ma, la vicenda di ieri mi ha davvero peggiorato, se possibile, l’umore.
Non sono mai stata una di quelle persone che si fascia il capo, che si preoccupa molto degli avvenimenti che lo circondano ma, sentirlo cantare, mi ha davvero stravolto.
E’ stato come fare un tuffo a capo fitto nel passato, mi hanno sommerso ricordi ormai dimenticati.
E’ tornato a galla l’unico periodo felice della mia vita e questo, al contrario delle mie aspettative, invece di migliorare il mio umore, mi ha reso ancora più depresso.
Vedere il suo volto contratto, i suoi muscoli facciali che urlavano pietà e un velo di angoscia che ricoprivano i suoi occhi, stupendi come li ricordavo, forse anche più intensi.
Tutti questi fattori non riuscivano a farmi dormire tranquillo, infatti dire che ho passato la notte insonne, lo trovo alquanto scontato.
Come dovrò comportarmi adesso, sapendo che lui, la persona più importante della mia infanzia, si trova nella mia stessa scuola? Come posso comportarmi sapendo che sono così vicino a lui ma così fottutamente colpevole da non potermelo avvicinare.
Sentimenti contrastanti esplodono in me. Devo architettare qualcosa. Subito.

“Sei un pezzo di merda, Louis.” Mi destò Liam appena davanti a scuola.

Il mio migliore amico poteva definirsi di bella presenza. Aveva dei grandissimi occhi color nocciola, una pettinatura che ricorda vagamente un militare in congedo e un sorriso ebete stampato perennemente su quella faccia da secchione.
Liam Payne era il mio completo opposto. Un ragazzo disciplinato, molto corretto e educato.
Se io ero lo Yang, lui sicuramente era il mio Ying.
L’unica persona che probabilmente riesce a capirmi, ad ascoltarmi veramente superando le barriere da “cattivo ragazzo” che mi sono creato in anni e anni di solitudine.
La mano che ti prende al volo mentre stai cadendo in un precipizio,  l’unica stella in un cielo oscurato dalle luci notturne del centro di Londra. O semplicemente un raggio di sole in un agglomerato di grigie nuvole.
Risposi frettolosamente, colto alla sprovvista.

“Ohi! Ciao vecchio mio! Scusa ancora per ieri!” dissi, cercando di scusarmi della buca gigantesca che gli avevo inflitto.
“Scusa un corno. Sei uno stronzo. Mi hai lasciato da solo. Sai quanto ci ho messo per convincere mia madre a mandarmi a quella festa? MESI! E tu..? Mi dai buca così. Senza preavviso. Sei pessimo.” Sputò fissandomi costantemente negli occhi.

Adoravo il fare di Liam. Per quanto poteva essere offeso o imbarazzato non smetteva mai di fissarti. Il suo sguardo era magnetico, se così si può dire.

“Suvvia, Leeyum, capiterà un’altra volta!” dissi “E poi, mio padre..sai, ieri non stava molto bene” mentì.

Mi sentì una mano afferrare la spalle e scuotere violentemente. Ovviamente Liam non se l’era bevuta. Mi conosceva troppo bene.

“Non usare sempre tuo padre come scusa per tutto. Ma non preoccuparti, sono abituato ai tuoi bidoni.” Concluse incamminandosi verso l’aula della prima lezione.

Mentre camminavo per il corridoio intravidi dei ricci fluttuare nella direzione opposta e un Harry visibilmente a disagio mi si parò davanti, in tutto il suo grezzo splendore. Nel fissarlo andai, involontariamente, contro un ragazzo di prima e, spintonandolo lontano da me senza molta gentilezza, proseguì il mio cammino.
 

Harry Styles


La mia prima lezione era in aula 6 e, la fortuna volle che, durante il mio goffo camminare verso quest’ultima, mi imbattessi nell’unica persona che non volevo affatto vedere.
Cercai di non notare che mi stava fissando insistentemente e accellerai il passo affondando la testa nei libri di testo che portavo fra le mani.
Trovai dopo molti problemi l’aula dove si sarebbe svolta la lezione pratica di Chimica e, prima che potessi varcare la soglia venni sbattuto brutalmente contro un armadietto poco distante da una mano misteriosa.
Ovvio che non conoscessi tale individuo. Non conoscevo anima viva e questo fatto di non conoscerlo mi irritò e mi immobilizzò dalla paura allo stesso tempo.
Il momento di silenzio terminò velocemente perché il ragazzo dalla pelle olivastra fisso davanti a me, apri la sua bocca, ispirandomi direttamente in faccia un insopportabile odore di tabacco.

“E tu saresti?” Disse piano, come a evitare di farsi sentire da estranei indiscreti.

Fui titubante nel dare la risposta e forse questo non andò molto a genio del moro davanti a me perché un altro forte colpo contro il povero armadietto rosso mostrò la sua impazienza.

“Sono Harry, Harry Styles.” Cercai di dimostrarmi il più sicuro possibile ma forse non apparsi esattamente come mi ero prefissato poiché una roca risata mi risuonò nelle orecchie, facendomi impallidire.
“Non ti ho mai visto da queste parti, Signorino Styles.” Sputò ancora una volta, tenendomi costantemente bloccato al muro.
“Beh, a dir la verità mi sono trasferito ieri.” Ammisi, abbassando lo sguardo fino a fissarmi le scarpe.

Sicuramente questo gesto non piaque al mio interlocutore perché in men che non si dica mi rialzò subito il volto finchè i miei occhi non andarono inevitabilmente a specchiarsi nel nero profondo dei suoi.

“Allora lascia che ti spieghi come vanno le cose qui.” Disse risoluto, allentando la presa sul mio volto.
“Io sono Zayn Malik, il tuo possibile futuro incubo. Qualsiasi cosa succeda non osare metterti sulla mia strada, non fissarmi se non per chiedermi qualcosa di strettamente necessario e, abbassa la cresta. Se c’è qualcuno che comanda in questo posto sono io e se non vuoi guai, stammi alla larga.”

Fu un attimo, tutte le miriadi di parole che uscirono dalla sua bocca accompagnato da quell’odore acre di tabacco durarono non più di cinque secondi. Rimasi spiazzato da cotanta prepotenza ma, da una parte questa non era una vera novità.
Nella mia vecchia scuola ero assalito di continuo da bulli solo per la mia omosessualità. L’essere sfuggito da quella vecchia scuola era sicuramente una scelta a doppio taglio. Come due lati di una monetina.
Se da una parte mi ha separato irrimediabilmente dalle mie conoscenze e amicizie dall’altra mi ha permesso di sfuggire alle persecuzioni e poter iniziare questa nuova vita scolastica in una maniera diversa. Avrei nascosto la mia omosessualità a costo dell’espulsione, questo era più che certo.
Decisi di non confondermi troppo e evitare di tirarla per le lunghe ma, prima che potessi congedarmi con un semplice “Ok” una voce stridula interruppe il mio contatto con il ragazzo ambrato che, vedendo la figura che si avvicinava a grandi passi, retrocedette e lo salutò come se niente fosse successo.
Il ragazzo appena arrivato non somigliava alle tipiche compagnie che ti aspetti essere di un personaggio come quello che lo aveva appena aggredito ma, a quanto pare fra di loro scorreva buon sangue.
Il biondino che stava adesso dialogando con Zayn Malik, presumo di ricordarmi esattamente il suo nome, aveva dei particolarissimi occhi azzurri e un sorriso davvero solare e contagioso.
La sua risata poi era pura allegria. Per quanto il compagno evitasse di ridere a sua volta, il rumore che produceva ridendo era davvero contagioso.
Dimenticai grazie a quella cristallina risata del mio incontro di pochi minuti fa con il suo macabro amico e, potei prendere posto senza che, ancora una volta, provasse a molestarmi o a schernirmi.
Non riuscii ad ascoltare molto la lezione della professoressa di Chimica, seppur fosse interessante.
Non mi sorpresi ne mi soffermai sul fatto che accanto a me non si fosse seduto nessuno, o che l’unico che ci aveva pensato avesse preferito sedere in prima fila invece che venire accanto a me.
L’unico pensiero che continuava a vagare per la mia mente era il suo lento camminare per il corridoio. Il suo riuscire a spiccare anche nella folla.
Pensai infatti che niente in lui era cambiato. Era il solito ragazzo buio e calcolatore, solitario, taciturno e irriverente. Con quegli occhi che ti perforavano la carne da quando erano meravigliosi.
Rinnegai per circa metà lezione l’aver anche solo pensato a qualcosa di positivo collegato alla sua figura ma, la consapevolezza di tale affermazione, mi rendeva inquieto.
Che il rancore che ho sempre provato per lui, col passare degli anni, sia scemato?
Impossibile, ripetei un paio di volte, fino ad autoconvincermi.
Le ore successive passarono più o meno allo stesso modo. Pensieri e ricordi continui non mi lasciavano libero di seguire una singola lezione e l’angoscia mi paralizzava.
Al suono della campanella decisi che, prima di andare a mensa sarei passato velocemente a dare un’ occhiata alla bacheca per cercare un club scolastico di cui far parte, per cercare di impegnarmi le giornate e dimenticare anche per poche ore a settimana della presenza della mia fonte di preoccupazione.
 

Louis Tomlinson


Al suonare della campanella mi sentii sollevato quando, correndo velocemente in mensa trovai i miei compagni seduti al nostro solito tavolo che mi attendevano.
Avevo un’idea in testa, e mi serviva il loro aiuto. Non mi sentivo così da una vita. Ero eccitato, spaventato, euforico e triste allo stesso tempo.
Avevo sognato di rivedere Harry da non so quanti anni e il sapere che mi era così vicino mi incuteva terrore, pura paura pensando alla sua reazione del vedermi, o nel parlarmi.
Sapevo che non mi si sarebbe mai avvicinato di sua spontanea volontà ma allo stesso tempo volevo con tutto il cuore potergli parlare, anche solo per qualche secondo. Avevo bisogno di spiegargli e lui di certo desiderava spiegazioni. In fin dei conti il mio comportamento 6 anni fa fu imperdonabile e lui era troppo piccolo e impaurito per capire il perché del mio gesto, del mio abbandono.
Effettivamente ha tutte le ragioni del mondo, sono un bastardo. Lo sono sempre stato e la cosa non fa che logorarmi.
Mi sedetti accanto a Liam e, con il mio solito fare distaccato, iniziai a mangiare tendendo la mia idea per quando il mio umore sarebbe migliorato.
Ma il commento di uno dei mie “amici” rese il tutto molto più semplice.

“Sono stanco. Non ci credo che lo stiamo cercando da un mese e ancora niente. Non ci credo.” Sbuffò.
“Senti Niall, stai calmo. Mi stai facendo saltare i nervi, cazzo.” Lo interruppe un'altra voce, stavolta molto più matura e profonda.
“Sai quanti studenti ci sono in questa cazzo di scuola Zayn?! Lo sai?” cantilenò allora il biondo.
“Ce ne sono circa 500, Niall e questo non implica per forza che ci debba per forza essere qualcuno adatto al nostro gruppo.” Ammise Liam, riuscendo a zittire quindi l’amico.
“Dio mio! Non ci credo. Non ci credo che non ci sia una cazzo di persona disposta a cantare con noi. Mio dio, non cerco niente di particolare, basta sia intonato cavolo.” Sospirò “Mi basta anche che sappia cantare “Fra Martino campanaro”, ti giuro.” Continuò Niall.
“Dimmi che la pensi come me Louis, dimmelo”. Disse, dirigendo la sua attenzione verso di me che nel frattempo sembravo interessato solo alle patate al forno presenti sul mio piatto.
“Dico che ho una cazzo di idea Niall, basta che chiudi quel forno.” Ammisi staccando gli occhi dal piatto e puntando la mia forchetta sporca verso la sua faccia.

Mi stavano altamente ostici i miei compagni di band.
A partire da quel fottuto Niall Horan e la sua parlata irlandese che mi perforava il timpano come un martello pneumatico.
O quel cretino di Zayn, un attaccabrighe incredibile che non perdeva tempo a torturare ogni matricola presente in un campo di 100 metri.
Avevo un rapporto davvero strano con loro. Alcune volte riuscivo bene a sopportarli, altri volte, come in questo caso, avrei davvero voluto che semplicemente implodessero.

“Conoscete un certo Harry Styles?” Dissi comunque, sperando in una risposta positiva.

Ma cosa pensavo? Che un ragazzo come lui, che frequenta la scuola da appena due giorni possa aver conosciuto tipi come questi? Dovevo essere pazzo. O forse, solo disperato.
Optai per la seconda e attesi una risposta.

“Come aspetta? Hai detto Harry Styles? Il nuovo arrivato? Dio, è così patetico.” Commentò bruscamente Zayn, irritandomi alquanto.
“Lo conosci?” Chiesi cercando di mantenere la calma.
“Già. Ho in mente dei bei progetti per lui.” Ammise sorridendo spavaldo. Avrei tanto voluto fermare la sua risata con un destro diritto al viso. Ma pazientai.
“Tu non hai in mente un bel niente. Lui sa cantare, chiediamo a lui.” Continuai io, convinto.
“E tu come lo sai?” concluse la discussione Niall, poiché, mentre cercavo una risposta consona alla sua complicata domanda, apparve il ragazzo di cui stavamo parlando. Con un piatto di pasta fra le mani e uno sguardo vaquo, alla ricerca di un posto a sedere per poter consumare il suo pasto. Non sembrò notarci, fortunatamente.
“Allora Louis? Perché?” continuò quel idiota ossigenato e così, capendo che non potevo in nessun modo sviare la risposta, decisi di spiegare a quei bigotti la motivazione del mio accanimento.
 

”Harry!” attirò l’attenzione Louis, colpendolo con una palla di gomma.
“Perché piangi?” disse, camminando velocemente verso di lui che nel frattempo si era rifugiato nel ripostiglio. Ogni volta che litigavano lui andava sempre a finire fra le scope e, con la testa fra le mani, riusciva sempre a sparire dalla circolazione. Nemmeno sua mamma sapeva dove andasse quando era triste o arrabbiato, solo Louis.

Quindi, dopo aver aperto la porta e averlo colpito ripetutamente con la palla di gomma rossa, si accovacciò accanto al suo esile corpicino e iniziò a massaggiargli la schiena.

“Harry, rispondimi, ti prego.”


Il piccolo Harry, alla tenera età di 9 anni non sapeva come andasse realmente il mondo, di quando fosse duro la fuori e di quanto la vita a volte possa sferrarti duri colpi. Aveva sempre vissuto in una bolla d’acqua, non curante dei problemi esterni ma, nell’inverno dei suoi 10 anni, un sentimento insolito si impossessò di se stesso, la vera e inevitabile tristezza.
E infatti, la notizia della separazione dei suoi genitori, fu un vero shock per lui.
Non se lo sarebbe mai aspettato, soprattutto per il semplice fatto che, sua mamma, avendo già divorziato una volta, quando lui era troppo piccolo per rendersene conto, aveva supposto non sarebbe più successo.
Ma si sa, non sempre le cose vanno come si vuole e, Harry, ne accusò molto. Tanto da correre a rifugiarsi dove di suo consueto, attende segretamente l’arrivo di Louis, che non tardò ad arrivare.

“Harry, ehi Harry!” Disse per l’ennesima volta un giovane ceruleo visibilmente preoccupato.

Il ragazzo, più grande del ricciolo di tre anni, gli aveva sempre fatto da spalla su cui piangere e lo aveva accompagnato in tutti i momenti della sua vita, o almeno, fino a dove il cervello di Harry potesse arrivare a ricordare.

“Sono triste, Lou.” Riuscì a dire prima di ritornare a singhiozzare insistentemente.
“Lo so Harry, lo so.” Disse il ragazzo dagli occhi azzurri, porgendogli un pacchetto di fazzolettini.
“Non voglio lasciarti Louis, non lasciarmi andare. Non lasciarmi. Voglio stare con te, ma il papà è cattivo! Il papà non vuole bene alla mamma! Il papà fa schifo!”

Il più piccolo ne estrasse uno e, portandoselo al naso, se lo soffiò e lo ridette al proprietario.
Ormai Louis era abituato ai strani comportamenti del ragazzino, quindi non vi diede molto peso e continuò ad accarezzarlo dolcemente, prendendogli la mano.

“Non ti lascerò, te lo prometto. Staremo insieme per sempre, te lo giuro. Ti fidi di me Harold?” sussurrò allora il più grande alle orecchie del riccio, calmandolo.

Ma, notando che tutta la sua apprensione non bastava decisi di ricorrere all’unico metodo che conosceva per calmare suo fratello.
E cominciò, come sempre del resto, a intonare la consueta canzone.

“I promised one day that I'll bring you back a star
I caught one and it burned a hole in my hand oh”


Harry inizialmente lo fissò circospetto ma, notando la sua espressione non tardò molto ad aggiungersi ancora una volta, incurante che quella fosse l’ultima, a quella strofa che tanto si adattava al momento. E ancora una volta intorno a loro tutto si fermò. Vi erano solo loro e le loro stesso note, un alone surreale li ricoprì e per quei 4 minuti di canzone, Harry dimenticò i suoi dispiacere e le sue preoccupazioni.
Era di nuovo all’interno della sua bolla, costruita dalle tante sfaccettature del carattere di Louis, dai suoi ricordi con quest’ultimo, dai frammenti di ogni vola  in cui il ceruleo gli ha sorriso.
Perché Harry esisteva, era sereno e felice solo grazie alla presenza del più grande a sorreggerlo.

“Just trying to make you understand
I'll keep my eyes wide open yeah”

E infine ancora una volta, l’ultima, il ritornello si impadronì dei loro pensieri e, per l’ultima volta, li rese una cosa sola.


“Perché ha una voce meravigliosa, tutto qui.” Conclusi io, camminando verso il tavolo del minore con passo sicuro.






EHILAAAA! *AAAAA*

Ho aggiornato a tempo record, cavolo! E' mooolto più semplice scrivere una fanfic a tema scolastico rispetto a una come la precendete fanfic che era una slid of life! wow.
Non so che dire.. Un grazie alle persone che già seguono la mia fanfic e alla ragazza che ha già recensito, che tesoro, grazie çUç
Sono contenta di come sta andando questa fanfic, contenta, contenta <3
Le cose stanno proseguendo un po' ancora misteriosette cioè praticamente abbiamo un Harold che sta cercando in tutti i modi di passare inosservato sia dai bulli che da Louis. Infatti ha intenzione di iscriversi ad un club solo per evitare di pensare a lui almeno per qualche ora.
Louis invece ha bisogno di parlargli, di dirgli qualcosa, di chiarire ma sa che non è facile.
E si, Niall, Zayn, Liam e Louis si conoscono e sono amici! Hanno una band e gli manca il cantante <3 Mi piace la storia della band perchè non si legge molto spesso nelle fanfic! E poi non sapevo come agglomerare Zaynuccio..
Quindi boh, così sono tutti belle che sistemati! :3
Il flashback come sempre rimanda alla canzone di Harry, ovviamente. Tutta la storia girerà intorno a questa quindi fatevene una ragione <3
Non ho nient'altro da dire quindi.. boh, vi lovvo a tutte e scusate eventuali errori, alle 4 sono tutti un po' analfabeti x°D

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Capitolo 3
*** Alone. ***



Redrumilla @copyright


Louis Tomlinson
 
“Perché ha una voce meravigliosa” dissi io.

Peccato che nel mentre mi stavo incamminando verso il suo tavolo una stupida ragazza di cui non ricordo neppure il nome mi ha fermato sorridendomi.
Ero troppo adirato e concentrato per dare ascolto ad un oca come lei quindi la spostai, forse troppo bruscamente, lontano da me.
Fui probabilmente troppo irruento perché Harry, fissandomi malissimo, prese un'altra strada e se ne andò fuori dalla mensa nel modo più veloce possibile.
Lo avevo spaventato, perfetto. Ottimo modo per attirare la sua attenzione, perfetto Tomlinson. Fai schifo come sempre d’altronde. Quando mai hai fatto qualcosa di giusto nella tua vita? Forse l’ultima volta che hai agito in maniera intelligente neanche te la ricordi perché successo troppi anni fa.
O forse, l’unico gesto che tu abbia mia fatto in buona fede alla fine è stato frainteso ed è passato per un altro ennesimo sbaglio.
Sbagli. Tutta la mia vita è uno sbaglio.
Sono un anima sola, dimenticata da tutti.
Mia madre non mi chiama da anni ormai, mio padre fra poco non ricorda nemmeno il mio nome e l’unica cosa che riesce a fare è urlarmi da sotto le scale di comprargli delle birre.
Dire che la mia vita è una merda non è un eufemismo perché davvero, niente di quello che faccio, va vicino, neanche sfiora, la decenza.
Mi sveglio dopo solo pochissime ore di sonno, fingo indifferenza, cerco di mostrarmi il più distaccato possibile da tutto e da tutti. Non voglio interessarmi a nulla e far si che nessuno si interessi a me. Lo farei solo soffrire, come Harry.
Liam ha una situazione simile alla mia, lui è l’unica cosa che mi tiene saldo alla vita, che mi fa sentire seriamente grato di esistere. Ma forse lui non basta. La mia esistenza davvero serve a qualcosa?
Ormai è da sette anni che non sono utile a nessuno. Che non faccio altro che male, sbagli, errori.
CAZZATE.
Sono il re delle cazzate.
Un tempo invece ero utile a qualcuno, anzi, ero utile a l’unico qualcuno di cui mi importasse.
Mi continuava a ripetere che da grande sarebbe voluto diventare come me, anche se solo tre anni di differenza ci separavano. Ero un idolo per lui, il suo supereroe personale, la sua nave scuola, in un certo senso.
Io ero il suo tutto e lui era il mio. Se ero con lui mi sentivo completo, non avevo bisogno di nulla.
La sua voce e la mia chitarra, insieme, non potrò mai dimenticare l’alchimia che avevamo.
Mia mamma ci ripeteva sempre che avremmo fatto strada e io sorridevo perché, pur capendo l’assurdità della cosa, un po’ ci credevo; se avevo Harry al mio fianco avrei toccato anche la luna, non sarebbe stato difficile.
Niente sarebbe stato impossibile. Io e lui eravamo qualcosa di speciale.
E poi da un giorno all’altro più nulla.
Non ebbi più sue notizie, e ogni giorno, da quell’istante in poi vissi in una nube grigia.
Fui così devastato dall’accaduto che non mangiai nemmeno, l’uniche cose che facevo erano: Badare a mio padre ed andare a scuola.
Quando entrai alle scuole superiori ebbi un crollo e smisi di occuparmi di entrambe le cose.
Bocciai ben due volte e lasciai mio padre alla sua disperazione.
Io non ero in grado di fare nulla di buono, non senza Harry. Il peso delle mie responsabilità aggravava sulle mie spalle e la mia solitudine e disperazione presero il sopravvento sul mio buonsenso e, blackout.
Cortocircuito.
Staccai la spina e dissi addio al vecchio Louis che nessuno ormai amava più. Divenni un involucro per un cuore ormai nero, o almeno così mi piaceva mostrarmi alla gente. VUOTO.
Divenni ostile ad ogni segno di affetto, da ogni sentimento, divenni solo ma almeno non avrei avuto nulla da perdere.
Nulla per cui valeva la pena preoccuparsi o piangere.
Ero libero di fare i miei sbagli da solo. Ero libero di scavare la fossa e di ricoprirmi fino alla testa di terra, fino a non vedere più la luce chiara del sole.
Poiché quella luce, chiara e ammaliante, quel senso di benessere quando ti irradiava il volto, scoprì che esisteva solo grazie ad Harry.
Al mio Harry.
O dovrei abolire il “mio”, poiché ormai l’unica cosa che ci accomuna è una leggera parentela.
Filo precario in una maglia piena di voragini irrecuperabili.
Che merda.
Mi sedetti sulle scale che portavano al secondo piano e sbattei forte il pugno alla parete destra. Non mi feci male, o almeno, neanche il dolore fisico ormai mi scalfiva.
Sarei seriamente riuscito a ricucire il nostro rapporto? Non sono mia stato bravo con le maglie, affatto.
Ma vale la pena di provarci, se tocchi il fondo puoi solo risalire e se fallirai, non avrai perso nulla, poiché effettivamente non possiedi nulla.
Decisi quindi di rimuovere tutti i volantini con cui avevo tappezzato la scuola sperando che Harry non li avesse ancora visti, cancellai a penna il mio nome e ne affissi in notevole quantità alla bacheca di fronte all’aula dove mio fratello passava la maggior parte delle ore.
E attesi. Conoscendo la passione di mio fratello e la sua confusione attuale dovuta alla mia presenza, sicuramente accetterà di diventare il nostro cantante solista.
O almeno, lo spero.
 

Harry Styles
 
Il mio Louis, cosa è diventato?
Il ”mio”, che sciocchezze. Da quanto ormai non è più mio? Lo è mai stato?
Dopo la sua reazione esagerata, strafottente, non potevo di certo stare a guardare.
Come si permette di venire verso di me, forse per parlarmi, dopo tutto quello che è successo?
Dopo avermi lasciato ad affrontare tutto da solo, come un cane, in una situazione così delicata.
L’odio verso di lui a quanto pare non è mai scemato, è sempre rimasto celato nei ricordi, pronto ad esplodere al loro ripensarci.
Che bastardo, e che stupido sono stato.
Basta pensare, mi sono bastati questi ultimi sette anni per chiarirmi le idee.
La giornata non era ancora finita e già ero sprofondato in una depressione senza precedenti, o almeno, tale da surclassare le recenti delusioni.
Ferite che si riaprono, cuori che battono di nuovo, fiato mozzato, paura folle, tremolio assurdo agli arti.
Quella sensazione che provavo ogni volta che pensavo a Louis Tomlinson adesso era moltiplicata innumerevoli volte e non riusciva a darmi pace.
Bello come secondo giorno di scuola, per lo meno posso dire che è stato pieno di emozioni.
Almeno quello.
Che magra consolazione. Come se possa consolarmi da una cosa del genere. Quest’anno sarà un macello, ne sono certo.
Le altre ore passarono alla velocità della luce, la mia testa decise che non mi avrebbe lasciato libero dai pensieri e quindi, mi misi l’anima in pace e scavai nei miei più profondi, ricordi ancora una volta.
Arrivarono finalmente le 4.00 e, raccogliendo velocemente tutte le mie cose mi apprestai la lasciare il più velocemente possibile la classe, onde evitare di imbattermi nella fonte delle mie preoccupazioni.
Camminai per tutto il corridoio a testa bassa, senza guardare in faccia nessuno e, velocemente mi diressi verso la porta.
La superai senza problemi. Non vidi da nessuno parte il ragazzo conosciuto amichevolmente oggi all’entrata in aula di chimica e quindi potei tirare un sospiro di sollievo.
Decisi che non sarei tornato a casa, troppi ricordi guardando la mia famiglia, troppi pochi entrando nella nuova casa.
Ricordai in quel momento di non aver dato notizie a Nick e quindi, velocemente mi apprestai a mandargli un messaggio.
Non volevo chiamarlo anche se  a voce sarebbe  riuscito meglio ad aiutarmi. Non volevo chiamarlo proprio perché forse non mi sarebbe stato affatto di aiuto.
Ma un sms almeno se lo meritava.
In fin dei conti è pur sempre il mio ragazzo.

“Ciao Nick! Qui nella nuova scuola è un po’ un casino, faccio fatica ad ambientarmi ma, tutto sommato, Doncaster è un bel posto, c’è molta natura e tanta vegetazione. Sai quanto amo le piccole cittadine di campagna! Non vedo l’ora che tu mi venga a trovare, ho proprio bisogno di una faccia conosciuta. Tutte queste novità cominciano a stufarmi!
Con amore, Harry”

Decisi che avevo detto anche troppo, avevo addirittura finto di volerlo accanto a me, pur sapendo che in quel momento l’unica cosa di cui non avevo bisogno era di altre complicazioni.
La lunghezza del messaggio era accettabile e, rileggendo due volte il contenuto, soffermandomi a correggere eventuali errori, decisi di inviarlo.
Mentre attendevo la risposta mi incamminai verso uno spiazzo verde che decretai, appena arrivato li, essere un piccolo parco.
Mi sedetti su una panchina di legno non molto stabile e cominciai a fissarmi le scarpe.
Non ci volle molto prima che mi decidessi a spostarmi da quella scomoda posizione per sdraiarmi sul suolo erboso, rivolgendo la mia attenzione al cielo pomeridiano.
Era molto nuvoloso, nonostante non facesse poi particolarmente freddo, essendo a maniche corte.
L’erba fra i miei capelli era qualcosa di nuovo per me, non mi ero mai fermato a pensare nella natura.
Dove abitavo prima di trasferirmi tutto era molto più urbano, non vi erano molti parchi dove poter riposare in pace.
Anche per questo, il contatto con l’erba fresca, riuscì a calmarmi per un attimo.
Mi rilassai enormemente, così tanto da arrivare persino ad addormentarmi, immerso ancora una volte in quei ricordi, che ormai conoscevo a memoria.
Mi svegliai che era ormai buio con otto chiamate senza risposta nel cellulare e un dolore lancinante allo stomaco. Mi alzai di scatto procurandomi un forte giramento di testa.
Notai che Nick mi aveva risposto e lessi velocemente il contenuto.

“Le nuove città rendono solo anche la più forte delle persone, dovresti saperlo.
Vorrei essere li con te, lo sai, ma ho il lavoro. Prometto che appena posso prendere delle ferie ti raggiungo subito. Aspettami e resisti fino ad allora.
Nick xx.”

La fai semplice tu, pensai. Se solo tu sapessi cosa mi è successo non faresti lo spavaldo.
Come sempre le parole tramite sms di Nick mi lasciarono con l’amaro in bocca e un insoddisfazione fastidiosa addosso.
Attesi qualche minuto che passasse il giramento di testa e mi mossi velocemente a chiamare mia madre per tranquillizzarla, per dirle che stavo bene, o almeno, fisicamente era così.
Non ho mia avuto un rapporto stretto con mia madre, nessun bellissimo ricordo recente ci lega.
Siamo sempre stati madre e figlio e, questo rapporto approssimativo, mi è sempre andato più che bene.
Avvertì mia madre, visibilmente preoccupata, che sarei tornato a momenti e riuscì a calmarla mentendo sul motivo del mio ritardo.
Dissi che avevo avuto un colloquio con il preside e i professori in merito al mio trasferimento e lei si bevve quella bugia senza troppe domande, orgogliosa del senso di adattamento del figlio.
Non poteva confidare in cosa più sbagliata.
Corsi velocemente verso casa, senza il pronome possessivo, poiché chiamarla “mia”, sarebbe stata vera e propria follia.
Bussai alla porta e in men che non si dica mia madre la spalancò abbracciandomi e dicendomi di avvertirla la prossima volta.
Sorvolai le avvertenze inutili e mi diressi verso la mia camera saltando la cena sparando un’altra cavolata inventata sul momento.
Prendere sonno fu assai difficile poiché, sommatosi alla solitudine e al senso di non appartenenza si aggiungeva anche il duro peso al cuore di un passato che stava riaffiorando pericolosamente.
E da una parte sapevo che non l’avrei potuto evitare ancora per molto.
Ero spaventato all’idea di un faccia a faccia con Louis.
Cosa mi avrebbe detto? Avrebbe inventato scuse?
Come mi sarei potuto aspettare da uno come lui? Solo pietà.
Si voleva semplicemente liberare dal peso dei ricordi che gravavano su di lui pericolosamente, per potersi mettere l’anima in pace e vivere sereno.
Ero di intralcio alla sua vita e forse voleva solo sbarazzarsi di me, ricordo scomodo di un passato per me indelebile.
 
Il giorno dopo mi svegliai ben dieci minuti prima le urla di mia madre quindi potei passare minuti che mi parvero interminabili a fissare il mio corpo.
Sicuramente Louis  mi avrà riconosciuto, ma come? Ero così tanto cambiato.
Mi alzai per andare a specchiarmi in bagno, fissai i miei ricci, le mie fossette evidenti e raggiunsi il verdetto che ero seriamente ancora un bambino.
Al contrario di mio fratello, che è davvero cambiato in maniera assurda, io sono rimasto il povero bambino impaurito da un mondo più forte di lui.
Debole e fragile. Bisognoso di protezione, di un appoggio, di un bastone per sorreggersi in piedi.
Prima lo era Nick ma adesso? Chi mi avrebbe sorretto permettendomi di rimanere a galla?
Pensai che da questa storia ne sarei uscito indubbiamente più forte. Non dovevo più dipendere dagli altri e questa situazione, questa tremenda solitudine, avrebbe solamente velocizzato i naturali tempi.
Mi scompigliai i capelli sbuffando quando, l’urlo mattutino di mia mamma, puntuale come un orologio svizzero, mi fece sobbalzare.
Mi feci la doccia, scesi velocemente a bermi una tazza di caffèlatte e, dialogando con le mie sorelle, per la terza mattina mi incamminai, zaino in spalla, verso scuola.
La mia pancia non la smetteva di manifestarsi e pensai che era semplicemente paura. Ormai la conoscevo bene, fin da piccolo al primo segno di ansia o paura avvertivo un forte dolore alla pancia.
Ma a una sensazione simile non ci si fa mai completamente l’abitudine, si impara solo a conviverci.
Le prime ore passarono senza intoppi, parlai, sorprendentemente, con alcuni miei compagni di classe che però non mi dissero il loro nome.
Durante le due ore d’arte, nei tempi morti, continuavo a canticchiare, passione che avevo sin da piccolo.
Canticchiavo sempre. Quando ero nervoso, quando ero felice o semplicemente annoiato.
Il canto mi estraniava dal mondo, mi faceva sentire in quei quattro minuti di canzone, un'altra persona. Mi rendeva invincibile.
Uscì lentamente dall’aula e, salutando nervosamente i compagni appena conosciuti, andai a sbattere violentemente contro una bacheca in sughero.
Maledissi la mia goffaggine svariate volte prima di rendermi conto di un manifesto sparso in maniera maniacale su tutta la superficie marroncina.
Portava un nome, scritto in grassetto e con piccoli accenni allo stile punk, in rosso vivo.
Come da costringerti ad attirare l’attenzione su quello.
E così feci, decisi di leggere velocemente di cosa parlasse, incuriosito e notai che si trattava di una band.
Riportava esattamente queste parole:
“Sei un amante della musica? Ami cantare in compagnia?
Se vuoi passare del tempo senza pensieri, con persone con la tua stessa passione.. diventa il vocalist del nostro gruppo.”
E sotto c’erano i nomi dei membri precisamente in quest’ordine:

Liam Payne: Batteria
Niall Horan: Seconda Chitarra
Zayn Malik: Basso
Mi soffermai per due motivi dal leggere il continuo.
Zayn Malik era un nome a me noto, il ragazzo che ieri mi ha importunato.
Superai velocemente questo primo pensiero poiché, sotto di quest’ultimo, vi era un nome cancellato con un pennarello indelebile che riportava accanto, questa volta chiaramente leggibile, il ruolo nella band.
La chitarra solista.”
Non seppi bene il motivo della mia decisione, non capì neanche il perché della mia scelta.
Ma è come se quella band,i "Sunny Night" , mi avessero chiamato ed io, come un allocco avevo abboccato.
Forse la mia voglia di sfogarmi, forse la mia infinita volontà di non pensare, o forse semplicemente il mio amore per la musica, mi portarono a presentarmi alle 16:45 in aula canto con le migliori intenzioni possibili.




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Vov, cosa dire? Grazie per essere arrivati qui <3 Sono contenta che la mia storia stia ingranando! Sono seguita da 6 persone, e anche se è poco sono molto orgogliosa di me.
Questa dolciosa fanfic mi sta prendendo molto, adoro le storie ambientate a scuola e soprattutto adoro le band.
Il nome è uscito così, si capirà successivamente il motivo di questa decisione <3 Il gruppo non scriverà e canterà canzoni create da loro bensì cover. Per fare un esempio..Come i 5sos, all'inizio della lor carriera 
LOL. Altro da dire? Uhm, si, riassuntino!
Come avete capito, e come ha detto lo stesso Harry, è caduto come un allocco nella trappoluccia di Louis.
Louis è pieno di seghe mentali, vuole di nuovo suo fratello accanto ma si sente comunque colpevole e si rende conto che ormai la parola "mio", in questo caso "Suo" è una parolona grossa; visto e considerato quello che gli ha fatto passata. cosa che ancora non sappiamo molto bene <3
Harry sta passando un periodo del caiser. A casa sua si sente un estraneo, a scuola non riesce a socializzare e la presenza di suo fratello nella sua stessa scuola lo rende pensieroso e perplesso.
La relazione con Nick non lo aiuta per niente, visto e considerato che il suo ragazzo non è mai stato di tante parole.
Bah, cosa dire? Vi aspetto nel prossimo capitolo con l'audizione <3 Ci vediamo! 
Grazie a tutti, un bacione. Siete magnifici, davvero.

 
 
 

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Capitolo 4
*** Surpise. ***



Redrumilla @copyright 


 
Harry Styles

Provai svariate volte il testo di quella canzone, anche se ormai le conoscevo a memoria.
Cercai di migliorare la mia dizione, di migliorare i miei acuti e di  sistemare le pause ma, più cantavo e più mi sgolavo, meno riuscivo a tirarne fuori qualcosa di decente.
Quella melodia era ormai ripetitiva e melensa in me. Non riuscivo più a capire il senso delle parole, a prendere il giusto respiro fra una pausa all’altra poiché ormai, così voglioso di essere preso, avevo trasformato tutto in un qualcosa di assurdamente meccanico.
Avvisai mia madre del fatto che sarei rimasto a scuola più del dovuto, per la stessa motivazione del giorno precedente e, imboccando il lungo corridoio, salì le scale arrivando, perdendomi due volte all’aula insonorizzata del club di musica.
Mi domandai perché chiamarlo club di musica che alla fine erano semplicemente una band, ma il mio pensiero fu interrotto poiché il mio cuore sfondò la cassa toracica quando vidi la scritta, sui toni del bianco e del nero, affissa alla porta.

“Sunny Night, cercasi Vocalist.”

Il cuore, tornando lentamente al suo posto continuava incessantemente a battere, batteva freneticamente anche quando, con un movimento incerto, aprì la porta che mi separava dal mio “destino”. Se così si può chiamare un audizione.
La stanza che avrebbe ospitato la mia performance era alquanto ristretta.
Vi erano, messi malamente, dei pannelli insonorizzanti e, disposti ordinatamente nel centro della stanza vi erano gli strumenti.
Una splendida chitarra color laccato nero capeggiava sul davanti. Le iniziali della band vi facevano da padrone e, una discreta tracolla color bianco sporco era adagiata sul pavimento, pronta ad essere usata.
Voltando un po’ lo sguardo riuscì a vedere un'altra chitarra, stavolta classica sulla sua sinistra. Potevo riconoscere bene la marca avendo, per lungo tempo, da bambino, avuto a che fare con strumenti di questo tipo.
Era tenuta molto bene e nulla vi era scritto sopra, sembrava appena comprata e la cosa mi lasciò piacevolmente colpito.
Mi spostai per sedermi e inciampai distrattamente su di una che a prima occhiata pareva una bacchetta.
Notai che la mia deduzione era esatta quando riuscì a identificare, poco distante da li, la sua compagna.
Le poggia sopra quelli che ad un occhio inesperto come il mio parvero piatti, o almeno, credo si chiamino così, e cercai di cogliere la bellezza della batteria che avevo davanti.
Non mi sono mai interessato a quel tipo di strumento ma la sua imponenza era disarmante.
Era colorata di giallo nella cassa e, probabilmente questa scelta di colore, derivava dallo stesso nome della band.
Sunny Night” Adoravo il contrasto fra la serenità e la calma che ti immetteva la prima parola e la drammaticità in cui ti faceva sprofondare la seconda.
Non riuscivo a comprendere esattamente il motivo di tale ossimoro, a dir la verità non sapevo nemmeno come mai sapevo cosa significasse la stessa parola “ossimoro”.
Moltissime idee diverse, deduzioni campate in aria, navigavano vagamente nella mia mente ma, non arrivando a una vera risposta decisi di soffermarmi sull’ultimo strumento, quello che quasi sicuramente, da quello che avevo potuto leggere nella locandina, era suonato da Zayn Malik.
Il colore era insolito per l’idea che mi ero fatta di lui.
Era di un giallo acceso che trovai quasi fastidioso. Si vedeva che era vecchia e usata.
Ho sempre pensato, nel mio vagare contorto, che lo strumento che suoni sia un po’ lo specchio della tua anima e, notando come quel basso fosse usato, quando alla ricerca di attenzione mi rese inquieto.
Quel colore, acceso, eccessivo era come a voler gridare: “Ehi! Sono qui”.
E quell’essere così sciupata mi fece capire, forse anche erroneamente, che fosse un ragazzo più profondo di quanto potesse lasciar intendere e molto più complesso e logorato a livello interno di quanto qualunque persona, che non lo conoscesse, potesse denotare.
Feci un lieve sorriso e tornai a sedermi sulla sedia di plastica rossa messa apposta per me e, cercai di percepire qualche rumore che preannunciasse l’arrivo dei miei esaminatori ma, per inspiegabili motivi, sono dopo quasi venti minuti, un ragazzo molto alto, dai capelli a spazzola e un sorriso solare mi invitò ad entrare nella stanza antecedente a quella in cui mi trovavo.
Riuscì a chiedere il nome prima che, gentilmente mi invitasse a entrare nella nuova stanza.
Liam Payne. Il batterista.
Si aprì la porta e mi ritrovai negli spalti di un grande anfiteatro.
Vi erano innumerevoli poltroncine rosse a prima occhiata quasi mai usate e, nelle prime sedie, con un malconcio tavolino a coprirgli i piedi vi erano i restanti membri della band.
Capii che il mio posto era sul grande palco davanti ai miei increduli occhi.
Mi scappò un lieve “ooooh” di stupore che forse, passò inosservato.
Ero curioso di sapere chi suonasse la splendida chitarra che per prima aveva attirato la mia attenzione.
Ma scoprì, poco dopo che non avrei ricevuto risposta.

“Prego puoi salire.” Sorrise il ragazzo di prima, Liam.

Balbettai timidamente un sì e salì le poche scale che mi dividevano dal proscenio.

“CIAOOOOOOO” Urlò una voce da un accento davvero insolito.

Sobbalzai in maniera considerevole lasciando continuare il giovane ragazzo biondo che si trovava poco sotto di me.
Mi parve una faccia sconosciuta, ma forse mi sbagliavo.

“Piacere di conoscerti, io sono Niall Horan, sono nato in Irlanda e mi sono da un anno trasferito in Inghilterra per problemi economici! Ho 17 anni e frequento la seconda insieme a lui.” Dopo la sua breve e allegra presentazione puntò il dito verso il ragazzo seduto alla sua destra e tutto mi apparve più chiaro.

Zayn Malik era suo amico, e il ragazzo stranamente familiare era quello che mi salvò dalle sue inutili minacce.
Ero un tipo di poche parole ma mi sembrò opportuno presentarmi come si deve e quindi, prendendo coraggio raccontai tutto su di me.

“Piacere” sorrisi quasi forzatamente. “Harry Styles, ho 17 e frequento la seconda in questa scuola da una settimana. Mi sono trasferito qui con mia mamma e le mie 4 sorelle, vengo dal Cheshire e, ovviamente, amo cantare.”
“Questo mi pare ovvio Harry!” Sorrise il ragazzo che avevo conosciuto nell’altra aula. Anche lui aveva la stessa mia età e lui era originario di Doncaster, da quello che ha potuto dirmi nel breve tempo in cui siamo stati da soli.

Mi parvero tutti e due molto simpatici, peccato per Zayn, che, senza smentirsi, non proferì parola per tutta l’audizione.
Decisi che era arrivato il momento di far vedere cosa sapevo fare e, porgendo il cd con la base al biondino, aspettai pochi secondi e iniziai a intonare le prime strofe della canzone scelta.

“Life's too short to even care at all, oh 
I'm losing my mind, losing my mind, losing control 
These fishes in the sea, they're staring at me, Oh oh 
A wet world aches for a beat of a drum, Oh 

If I could find a way to see this straight 
I'd run away 
To some fortune that I, 
I should have found by now”


Tutto mi parve come smussato, ovattato delle mie parole che, in fortunatamente uscivano dalla mia bocca rispettando la melodia e, evitando stecche.
In platea c’era un silenzio disarmante e questo mi aiutò a continuare senza distrarmi.

“I'm waiting for this cough syrup 
to come down, come down”

Volevo davvero far parte della loro band, e adesso non solo per dimenticare o annebbiare I miei pensieri, questa volta volevo farlo per me, perchè capì, nei pochi minuti di canzone che quello era il mio posto.
Che quello volevo fare e nient’altro. Misi in quella canzone un tono nuovo, rimossi ogni velo di automaticità e mi lasciai andare, sorridendo tutto il tempo.
Anche se mio fratello faceva sempre compagnia ai miei più oscuri pensieri, capì che la musica li avrebbe rischiarati, per quei pochi attimi magici in cui tutto, ogni tassello, ogni nota stonata, trovava facilmente il suo posto in un puzzle, in una melodia ben salda e collaudata.

“One more spoon of cough syrup now, whoa
One more spoon of cough syrup now, whoa”


Sussurrai le ultime parole della mia canzone e attesi il giudizio.
Ma quest’ultimo non arrivò perché, a sostituirsi a un possibile “wow” o ad un altrettanto plausibile “No, grazie” si sostituì un leggero battito di mani che dissimulava un applauso, che mi parve provenire da una delle porte di emergenza dell’anfiteatro e, non feci in tempo a voltarmi per vedere chi fosse che, una voce molto familiare, riportò il mio umore a toccare il pavimento freddo in legno del proscenio.
 




Louis Tomlinson

“Complimenti Harry, sei il nostro nuovo Vocalist” dissi, sorridendo, quasi sinceramente.

Mio fratello parve molto spaventato alla mia vista, ma come biasimarlo, gli avevo preparato un tranello davvero subdolo, oserei dire meschino.
Ma ne fui comunque contento perché, quasi sicuramente sarei riuscito a parlargli.
O almeno credevo.
La sua reazione fu così inaspettata che mi trovò impreparato su tutti i fronti.
Il ragazzo che avevo cresciuto con le mie mani fino all’età di 7 anni adesso era scappato davanti ai miei occhi. Era fuggito di fronte a me.
Mi parse di sentirlo singhiozzare mentre, raccogliendo malamente la sua cartella dal pavimento, si apprestava a lasciare l’anfiteatro.
Ci fu un silenzio, un fastidioso quanto innaturale silenzio.
Perché ancora una volta, dopo anni, mi ero reso l’artefice della sua sofferenza.


”Harry, vieni a salutare tuo fratello che se ne sta andando!” Urlò spazientita la mamma, stanca di non ricevere risposta. Era scossa e frustrata. Aveva appoggiato sulle sue minute spalle il carico di un ennesima separazione. Dopo l’insuccesso con il primo marito, ancora una volta, Jay si era  trovata ad affrontare un altro ostacolo, questa volta però, probabilmente non lo avrebbe superato illesa.
Il suo compagno da ormai innumerevoli anni si stava allontanando verso la porta di ingresso della loro modesta abitazione, passi lenti, gambe che si spostavano malamente, cedevoli.
Ma quello che davvero la faceva soffrire era che, adesso, non perdeva solo la persona che aveva amato per anni ma, anche quel ragazzino dagli occhi azzurri, limpidi e chiari, quella faccina buffa e vista, estremamente sicura di se e stava lasciando quel piccolo ometto che si era cresciuto prima del dovuto, riuscendo a ragionare come un ragazzino più grande dei suoi miseri 11 anni.
Aveva raccomandato più volte all’ex compagno di trattare il giovane Louis in maniera onorevole, di non maltrattarlo o sfruttarlo per i suoi luridi scopi ma, ahimè, nel profondo sapeva che, pur vedendo davanti ai suoi occhi un uomo consenziente e aperto, nulla di quella discussione sarebbe passato nella mente del padre quando, appena arrivati nella loro vecchia dimora, avesse iniziato a tormentare il candido animo del forte ragazzino.
Inoltre, un'altra questione, la portò ulteriormente a inciampare nella sua estrenuante ricerca della pace,
quella di suo figlio.
L’attaccamento di Harry verso il fratello era divenuto negli anni maniacale, passava ogni momento accanto a quest’ultimo e l’aveva preso come esempio di vita, idolatrandolo e esaltandolo al massimo.
Fu per il piccolo bambino un vero shock, in effetti, sapere che il fratello se ne sarebbe andato di casa.
Rimase per giorni chiuso nella sua cameretta, costringendo Louis a dover dormire sul letto con la madre, poiché il dolore era tanto e lui, nella sua tenera età, non era capace a gestirlo e non ne sapeva ancora bene il motivo.
E nemmeno da cosa veniva scaturito, d’altronde.
Ed è per questo rifiutarsi di accettare gli avvenimenti, per questo totale rifiuto alla discussione e alla comprensione mancata nei due mesi a seguire la notizia del trasferimento, che Harry, quel giorno, non aveva intensione di scendere a salutare per l’ultima volta il fratello.
In cuor suo sapeva che non l’avrebbe rivisto ed era proprio questo malsano quanto vero pensiero, che lo teneva sveglio la notte e lo teneva rinchiusa in quella che lui adesso riteneva “la sua fortezza”.
Louis da parte sua, provava lo stesso identico sentimento per il fratello minore.
Si era sempre proposto di aiutarlo, di crescerlo, di educarlo e, era diventato per lui un appoggio importante.
Era inoltre abbastanza grande da capire la gravità della situazione e, per questo, chiedendo il permesso a Jay, salì velocemente le scale che lo separavano dalla camera chiusa a chiave del suo Hazza.

“Harry, so che non vuoi aprirmi, ma ascolta, ci sarò sempre per te, lo sai, sempre. Non ti abbandonerò. Lo prometto. “ Ripeté innumerevoli volte la parole promessa, così tante da far sembrare, questa vaga speranza, più vera che mai.

Quasi reale. Quasi possibile.
E un secondo dopo, un attimo dopo questa sua frase, il giovane ragazzo dagli occhi color del cielo svanì un'altra volta e, nell’animo di Harry rimase soltanto un’enorme voragine.
Una voragine profonda, pronta a risucchiarlo. Una mancanza la cui grandezza era un parametro conosciuto dal piccolo.
Così conosciuto da farlo ben pensare che, a richiuderla, non sarebbero bastati anni di negazione o qualche pianto sporadico.
Una cicatrice indelebile marchiata a caldo sulla sua pelle, una parola leggibile senza problemi incisa su di lui a caratteri cubitali, spaventosi.

“Abbandonato”

E più il tempo passava e più altre parole andavano ad allargare la voragine, fino a renderla un vero e proprio pozzo di dolore.

“Solo”
“Debole”
“Stupido”

Finchè un'altra, stavolta l’ultima, parola marchiò il suo corpo.
La peggiore. La peggiore poiché gli fece capire quando stupido era stato.

“Sciocco”

Poiché mai una lettera era arrivata nella sua buca della posta, nessun messaggio era apparso sul suo nuovo cellulare touch e nessun campanello di nessun tipo era suonato e nessuna persona che seriamente voleva vedere era apparsa alla sua porta reclamando il suo nome.
Nessuno.
Cominciò quindi per lui un momento nero. Un momento in cui dubitò di tutto, persino dell’amore dei suoi cari, persino di quello che lui aveva per se stesso.
Trascurò amici, familiari, persino il suo corpo.
In fin dei conti lui era meno di zero. Era un piccolo ingranaggio in una grande, enorme ruota, che Louis aveva manovrato fino a renderlo schiavo della sua presenza.
Così tanto succube da non poter vivere senza.
Si accorse di essere dipendente più che mai da quegli occhi limpidi, da quei piccoli occhi incavati, da quel viso spigoloso dai tratti decisi, pur appartenente ad un ragazzino e da quel sorriso, dal quale per anni aveva tratto l’ossigeno con cui continuava a restare in vita.
Vuoto, silenzio, desolazione, pazzia.
 
Non sapevo cosa fare. Ero immobile come una statua a fissare il vuoto causato del suo abbandono della stanza, incerto sul da farsi.
Volevo correre a fermarlo, urlargli che per me lui era importante e spiegargli tutte le motivazioni della mia assenza, dei miei continui silenzi, del mio abbandono.
Della mia vigliaccheria.
Che scusanti avevo? Non avevo di certo il diritto di presentarmi da lui, davanti al suo volto in lacrime e dirgli: “Ehi! Quanto tempo fratello mio! Ti trovo bene!”
Come avevo potuto anche solo pensare di fare una cosa giusta creando questo imbroglio.
Lo avevo di nuovo preso in giro e rigirato a mio piacimento.
E mi sentivo estremamente in colpa. Pesante. Malinconico.
Volevo fare qualcosa.
E così feci. Abbandonai il mio posto e mi misi a correre, ignorando gli sguardi indagatori dei miei compagni di band e, senza una meta, mi misi a vagare alla ricerca di quel ragazzo che per anni non aveva mai abbandonato i miei pensieri.
Alla ricerca di quel pensiero ricorrente, di quel martello che batteva ripetutamente contro un chiodo che faticava ad imprimersi nel muro.
Corsi per qualche, interminabile minuto finché una testolina riccia non sbucò timida dalle scale esterne che davano al giardino della scuola.
Non sapevo se avanzare o retrocedere. Avevo paura, volevo scappare a gambe levate; ma la voglia di parlargli, di vedere il suo sguardo su di me, fu troppo forte da bloccare il mio corpo e mi permise di arrivare fino a lui.
Ero a pochi passi dal suo corpo rannicchiato sull’erba appena tagliata e un flebile “Harry” riuscì a farsi strada fra i miei contorti pensieri e divenire un qualcosa, vagamente riconducibile ad un suono.
Ma i suoi occhi non si poggiarono su di me, il suo gelidi quanto taglienti smeraldi non si conficcarono nella mia cassa toracica.

Silenzio.
Solo un singhiozzo incessante.
E ancora silenzio.

Dio solo sa quanto non sopporto il silenzio. E forse proprio per questa mia riluttanza verso questo fattore, o ancora per un motivo forse più ovvio, quale la rimembranza di un tempo che fu, intonai ancora una volta le note di una canzone che non cantavo ormai da tempo ma di cui non avevo dimenticato nemmeno una parola.

Now you were standing there right in front of me
I hold on it's getting harder to breathe
All of a sudden these lights are blinding me
I never noticed how bright they would be”


Nessun segno, nessuna reazione, solo i singhiozzi erano cessati.
Decisi comunque di continuare ad intonare la nostra canzone.
Solo all’ormai conosciuto ritornello il suo sguardo si rivolse verso di me, accecandomi dalla sua bellezza.
E, quasi balbettando dalla paura di questo contatto diventato dopo anni inusuale conclusi cantando le ultime parole.

“Don't let me
Don't let me
Don't let me go
'Cause I'm tired of sleeping alone”


E proprio perché mi aveva fissato per tutto in tempo, con occhi velati di tristezza, mi ero illuso potessimo avere qualcosa da dirci, qualcosa per cui discutere.
Ma venni subito dissentito da una voce, per la prima volta rivolta a me, bassa e roca che mi intimava ad andare via. A lasciarlo solo.
Una voce che ripeteva solo quattro parole, a ripetizione. Quattro parole che come un martello pneumatico mi destabilizzavano e mi facevano sentire sempre più colpevole.
Quelle parole, dette piano con crescente sicurezza erano: “Sei un bugiardo, vattene.”
E così feci.
E mi sarei allontanato dal suo corpo accasciato se non fossi stato trattenuto da un qualcosa di caldo, a tenermi stretto un lembo della camicia.
Una mano, come ad intimarmi il perfetto contrario di quello che la sua voce mi aveva fatto intuire.
Quella mano mi stava implorando di restare, ma una parte di me sapeva che quella non era una vittoria, affatto.
Era grande e calda ma io sentivo solo un profondo gelo che mi percorreva la colonna vertebrale, un’onda di consapevolezza, implacabile, logorante.
Perché era solo un ennesima prova del dolore che si ripercuoteva in mio fratello, tanto da rendere le sue emozioni padrone di se stesso.
 
E solo “Idiota” riuscivo a ripetere a me stesso.






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Ciao a tutte! Come sempre io posto un po' senza un giorno fisso! xD Ma..Non vi faccio aspettare molto, dovete ammetterlo! <3
Non so che dire! Passo al riassunto, vah!
Allora: Il piano di quel fesso di Louis ha funzionato e il suo fratellino allocco ci è cascato.
Ha fatto le audizioni scialle scialle e BOOOM eccolo li.
Harry non riesce ad affrontare la cosa, ha paura. Non sa cosa fare..e scappa.
Louis vedendolo scappare ripensa al passato E BOOOOM, flashback.
Visto un po' dal punto di vista di tutti x°D E', differentemente dagli altri, molto introspettivo.
Harry si sente una merda essendo stato per 7 anni dipendente da suo fratello in tutto.
Si sente solo e tradito. Poverino, lo compatisco.
Louis d'altra parte vedendo Harriuccio piangere, finito il flashback, decide di andare da lui.
E' molto incerto, non sa cosa dire, ha paura di sparare cazzate e quindi, CIAPPATI UN ALTRA VOLTA LA STESSA CANZONE. DIVENTERA' UN CULT DI STA FANFIC XD
(No, per un po' non la sentirete più, prometto.)
Allur, Harold si gira FINALMENTE verso il suo fratellino degenere e gli chiede di andare ma, mentre louis se ne va lo riprende.
Questo denota un disagio e un duello interiore del più giovane.
Lui è molto attaccato ai ricordi, come il fratello del resto, e quindi gli torna difficile, anche se Louis l'ha fatto sentire una merda, allontanarlo.
Quindi, da una parte non vuole rivederlo, da una parte SA che è inevitabile parlarci.
Louis si sente in colpa perchè OVVIAMENTE è colpa sua tutto sto casino interiore e quindi, invece che essere felice che Harry gli ha dato la manina, è triste e si da dell'idiota <3
FINISH! 
Vi abbandono ringraziando tutte quelle che hanno recensito il terzo capitolo! CAVOLO, 4! INCREDIBILE! GRAZIE, GRAZIE MILLE! Siete splendide, spero ci siamo anche questa volta! ;3
Un bacione a tutte e alla prossima, che spero sia fra poco ;D
 

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Capitolo 5
*** Letters. ***


PREMESSA:
Questo capitolo sarà come un tributo a Cory, l’attore di Glee,morto poco tempo fa.
Grandissimo attore, mio idolo nonché persona che DEVE essere ricordata.
Overdose o no lui mi ha cambiato e spero, con questo capitolo, di farvi dimenticare il dolore della sua perdita. Almeno a me, scrivere per voi, mi aiuta a non pensare.
Mi scuso se questo capitolo, a detta della mia migliore amica è STRANO, cioè che non sembra scritto da me o roba simile.
Quindi vi prego di non darci molto peso, io cerco di fare il possibile in ogni capitolo e, rimanendo in tema, anche il banner del 5° capitolo non sembra il mio x°D
Vi lascio alla lettura e vi ricordo che: Dimenticare è sbagliato, un dolore si può solo superare, sormontare e passare per poi risultare migliori, più forti.
CHE NOOOOOIA MILLA, DAI, MOVITI CO STA STORIA.
Ok, diamo il via alle danze.


Redrumilla @copyright 


 
Harry Styles


Paura. Terrore.
La mia più grande paura era apparsa davanti a me, a contatto con il mio sguardo insicuro e mi aveva portato lentamente in un baratro, non permettendomi di risalirne in superficie.
Non sapevo cosa fare. Solo buio. Immagini sfocate degli altri tre ragazzi davanti a me. Non vedevo, il mio respiro si faceva affannato. Tossivo insistentemente e la saliva continuava ad andarmi imperterrita di traverso e tutto quello che mi venne in mente di fare fu scappare.
Scappare per non pensare, per l’ennesima volta sarei scappato dai miei problemi. Come aveva fatto lui anni addietro.
Mi sentivo sporco. Sapevo di sbagliare, di ripetere il suo errore.
Ma il suo sorriso beffardo, a schernirmi ancora una volta era troppo per me.
Sono scappato e non mi pento.
Perché quel Louis non è il fratello che mi ha abbandonato da giovane, non quel fratello apprensivo che mi aveva sorretto e cresciuto in tutti i stadi della mia vita.
No, lui era un prodotto di nostro padre, un ragazzo oscuro e con cui non avevo nulla a che fare, non più.
E più provavo a rimuovere l’ultimo filo che lo univa a me più cercavo di tirare quest’ultimo il più possibile verso di me.
Vero un passato che non ci apparteneva. Come un cappotto nuovo, che non assomigliava affatto a quello vecchio che ormai marciva in qualche cassonetto.
Cercare di ammettere a me stesso il distacco completo da lui era difficile quanto il convincermi del mio attaccamento insensato al mio ritrovato parente.
Forse per questa mia mentalità offuscata dai ricordi anch’essi sfocati ho afferrato senza pensarci molto il lembo della sua maglia, sperando di trattenerlo a me, dopo averlo pregato di andare.
Non volevo parlare, volevo solo godermi quel contatto che, anche se sofferto e per me massacrante, aveva un odore di casa.
Un qualcosa di paurosamente familiare. Un qualcosa di caro.
Un qualcosa di così forte da bruciare le mie mani al contatto.
E quando il ragazzo ormai estraneo davanti ai miei occhi prese il coraggio di afferrarmi la mano, da quel momento, non ho capito più niente.
Non sapevo come comportarti, chiedevo al mio cuore di smettere di battere, di arrestarsi perché era tutto dannatamente sbagliato.
Era spregiudicato e senza senso.
Ma più ripetevo a me stesso di andarsene, lontano da quella strana sensazione, più la mia mano non seguiva gli ordini della mia mente e stringeva quella di mio fratello, con una forza incredibile.
Come si può voler bene alla persona che più a contribuito a rendere la tua vita un disastro assoluto?
Continuavo a urlare che stavo sbagliando.
Continuavo a guardarlo negli occhi e ad aprirgli erroneamente il mio cuore.
Mostrando tutta la mia vulnerabilità, come facevo un tempo e come mi ero ripromesso di non fare mai più.
Che sciocco.

“Harold” Mi disse abbassando lo sguardo.

Mi dannavo l’anima per capire il motivo di tale imbarazzo. Era lui ad avermi ridotto in questo stato, aveva costruito lui tutta questa messa inscena per mettermi in ridicolo e umiliarmi, ancora una volta.

Quando uno “Ciao” uscì flebile dalla mia bocca e da li in poi, non pensai davvero più.

E allora la mia rabbia prese il sopravvento.

“Ciao un cazzo, Louis. Ciao un emerito stronzosissimo cazzo.”

Sputai. Ero arrabbiato. Odiavo il mondo, me stesso.
Odiavo quasi tutto in quel mondo ma lui no.
Perché?

“7 anni ti dicono niente?! Brutto testa di cazzo! Ti dicono niente?” continuavo, fissandolo negli occhi, lacrimando insistentemente.

“Haro—“ Provò a pronunciare il soprannome che mi aveva dato quando eravamo solo ragazzini.

Ma lo bloccai subito. Quel nome, pronunciato da quella bocca che anche se aveva le stesse fattezze di anni fa, non apparteneva più al suo corpo. O meglio, al corpo che io conoscevo.

“STAI ZITTO. ZITTO.” Quindi continuai. “Non ti voglio nella mia vita. Mi hai arrecato solo dolore. SOLO.”

Lui provò a sfiorarmi la spalla ma, con un gesto rapido rimossi l’unico arto che ci teneva legati e levai la mia mano dalla sua presa.
Sembrò che qualcosa in lui si fosse spezzato, ma non ci feci caso. Ero troppo arrabbiato con me e la mia incapacità di avercela seriamente con lui, da notarlo.

“Non voglio avere niente a che fare CON TE, e ancora meno con la tua cazzo di band!”

Pronunciai quel “te” con un disprezzo inaudito e mi stupì di come potessi sembrare dall’esterno.
Ma in un giardino, all’aperto e dopo le lezioni nessuno mi avrebbe sentito.
Lo sperai.

“E adesso, me ne vado. Lontano da te, non cercarmi. Lasciami stare. Quello che siamo stati fa parte del passato. Io e te non abbiamo NIENTE da dirci. Non più.”

Mi stavo alzando quando un qualcosa di nuovamente inaspettato mi stupì.

“NO!” Urlò la voce acuta del ragazzo dagli occhi azzurri eretto davanti a me.

Mi bloccai di fronte alla sua sicurezza e non potei non starlo a sentire, sbigottito.
Era davvero cresciuto, era maturato e come sempre riusciva a zittirmi.

“Ti ho sentito cantare, ti ho visto. Entra nella band.”

Cercai di smuovere la testa mostrandogli il mio dissenso ma continuò, imperterrito.

“Tu ami cantare Harry, lo adori! Fallo. Non ti disturberò!” aggiunse.

“Ma io—“ provai a dire ma, questa volta fui io a dovermi zittire.

“Io, non ti parlerò. Non ti rivolgerò la parola. Ti lascerò stare se entri nella band. FALLO. So che lo vuoi.”

Cercò di convincermi innumerevoli volte prima che prendessi la parola di nuovo.

“Io voglio cantare, ma non con te.” Aggiunsi, perfidamente.

Cantare con lui ancora una volta? Impossibile. Non siamo più quei giovani che invece che dormivano intonavano una stupida canzone che sentivano alla radio.
Non siamo più dei bambini che si rinchiudevano in bagno e mischiavano shampoo su shampoo perché amano le bolle e di certo non siamo più i fratelli che preferivano stare l’uno insieme all’altro, lontano dal mondo esterno, sulla nostra capanna sull’albero.
Non abbiamo più quel rapporto esclusivo che ci distingueva dagli altri, che ci rendeva speciali.
Eravamo due estranei, che non si erano mai visti senza nemmeno lo stesso cognome.
Due entità distinte, separate ma legate da semplice formalità.

“Apposto allora. Domani l’altro, ore 4, nell’aula che immagino tu già conosci.”

Non risposi, rimasi semplicemente a fissarlo mentre i suoi occhi, ridotti a fessura, mi invitavano ad accettare.
O meglio, mi imploravano di farlo.
Ma a convincermi davvero fu quel “Ti prego” che si percepì appena uscire quasi come una confessione, una frase proibita, dalle sue labbra serrate.
E allora fui convinto. Fra due giorni sarei stato in quell’aula poiché ancora una volta Louis Tomlinson aveva saputo come prendermi e ancora una volta, sicuramente non l’ultima, ero caduto nella sua trappola.
Consapevolmente, aggiungerei.
 


 Tornai a casa più velocemente possibile. Avevo bisogno di dormire e ragionare sull’accaduto.
Avevo bisogno di stare da solo.
E forse per questa mia necessità trovai particolarmente seccante mia madre, quella sera.
Aprì la porta girando la chiave nella serratura e, appena un attimo dopo la voce stridula della donna quasi mi spaventò.

“HARRY!” Mi invitò, con quel suo tono autoritario, ad andare in cucina. Aveva sicuramente da sgridarmi del fatto che, ancora una volta non avevo abbassato la tavoletta del water dopo aver fatto pipi.

Quindi sommesso barcollai verso la cucina ma, ad attendermi, sopra il tavolo, c’era la mia valigia piena zeppa dei miei vestiti.
Non ero ancora riuscito a svuotarla, la trovavo l’ultimo ricordo di un qualcosa che sapevo non sarebbe più tornato.
O almeno, io non ci avrei mai più messo piede.
Anzi, l’unica cosa, oltre a quella valigia, che mi ero portato con me era un ragazzo complessato, silenzioso e con cui avevo deciso di mantenere la relazione una volta andato via dalla mia vecchia città.
A dir la verità sentire la sua voce mi mancava. Non lo reputavo il mio grande amore ma, indubbiamente, per Nick provavo un grande affetto.
Ma continuavo, ogni giorno che passavo lontano da lui, di essere fatto per una relazione tramite cellulare.
Senza contatti, senza carezze, abbracci di circostanza e baci, tanti baci.
Ero una persona molto fisica. Caratteristica che devo a mio fratello, abituatomi a continue dimostrazioni di affetto.
Alla fine tutti i miei problemi, anche i più banali, derivavano da lui.
Che stronzata.
Rimossi il pensiero di Louis e mi concentrai ancora una volta sullo sguardo severo di mia madre.

“Devi svuotarla, Harry.” Mi disse.

“Se hai problemi ti aiuto. Ma devi farlo! Non possiamo lasciare i tuoi vestiti qui dentro.” Continuò.

“Sai, abbiamo comprato un armadio apposta per questo!” Disse alzando i miei boxer procurando un motivo di risata da parte delle due gemelle.
Maledette bambine e dannata infanzia.

“Sisi, lo faccio. Non preoccuparti!” sviai io e cercai di andarmene il più possibile.

Ma la cosa risultò più difficile del previsto.

“Vuoi che ti aiuti? Sai.. mi preoccupi. Sei sempre stato un ragazzo molto ordinato..”

Ammise; e in effetti era così. Ma quelle erano circostanze a me estranee, doveva intuirlo.

“Forse” sospirò prima di continuare. “è per via del fatto che Louis e suo padre sono nella nostra stessa città.”

Crack. Qualcosa si spezzò dentro di me.

Mia mamma sapeva che a Doncaster si fosse trasferito mio padre e Louis ma, fregandosene dei miei sentimenti, aveva deciso di venire comunque, accettando uno stupido lavoro da cuoca.

Maledissi la sua superficialità svariate volte prima di rispondere seccamente “No mamma.” E andarmene a passo svelto cercando di chiudere la borsa il più velocemente possibile e trascinarla quindi con me fin al piano di sopra.

“Harry torna qui!” Disse.

“Parliamone!” urlò per l’ennesima volta.

Mi voltai quindi di nuovo verso di lei.

“c-cosa dovrei dirti mamma? Dovrei parlare del fatto che adesso me lo vedo tutti i giorni a scuola o del fatto che soffro ogni volta che i nostri sguardi si incrociano per il corridoi? ..dobbiamo seriamente parlarne?”
 Ancora una volta.

Quella sera avevo davvero dato il peggio di me.

“Pensavo avreste potuto risolvere. Alla fine siete fratelli.” Cerò di scusarsi mia madre, visibilmente preoccupata per me.

“Allora non capisci, mamma.” Conclusi io sbattendomi la porta alle spalle.

Chiusi a chiave e, poggiando la borsa sul pavimento, levai tutti i vestiti e li lanciai, senza alcun riguardo nell’armadio a muro e, prima che potessero ricadermi addosso, lo chiusi dietro di me e mi accasciai a terra.
Vi rimasi per molto tempo, così tanto tempo che, quando rialzai lo sguardo fuori era già buio.
Camminai quindi verso la porta per poter accendere la luce ma, la mia sbadataggine colpì ancora e caddi rovinosamente sul pavimento freddo a causa della collisione con un oggetto che non riuscì a vedere a causa dell’oscurità che ricopriva camera mia.
Puntai le gambe sulle piastrelle e mi risollevai riuscendo finalmente a fare luce nella stanza.
Notai, con stupore, che una decina di pesanti album fotografici erano sparsi sul pavimento.
Risi appena per la coincidenza, o meglio in quel caso per la fatalità, con cui, fra le dozzine di scatoloni presenti sul pavimento, ero andavo a schiantarmi proprio contro quello che conteneva i miei ricordi.
Maledissi mia mamma per la seconda volta quella sera per non aver buttato gli album di quand’ero piccolo e stupidamente decisi di iniziare a sfogliarli.
Mi immaginai come il protagonista di uno di quei film strappalacrime anche se, buffo da dire, la mia vita somigliava incredibilmente a uno di essi.
Afferrai il quarto quaderno, questo a differenza degli altri album fotografici, conteneva dei disegni.
Li scorsi tutti velocemente, non dando importanza a schizzi che mi ritraevano, in ogni pagina, dedito a cantare insieme a mio fratello.
Già da piccolo amavo cantare.
Ma forse, cominciai realmente ad amare la musica grazie a Louis.
Lui mi aveva iniziato a quest’arte e, da quando sfruttava la sua voce per farmi addormentare nelle notti tuonanti, trasmise questa passione a me.
Amavo sentire le nostre voci unirsi, anche se acerbe e leggermente stonate, stavano perfettamente insieme, come a completarsi.
E in quei minuti di canzone mi sentivo completo.
E all’abbandono da parte della mia fonte di ispirazione più grande, la mia passione per il canto, invece che svanire, è aumentata sempre di più.
Diventò l’unica ancora di salvataggio di cui disponevo per salvarmi dal mare in piena che era la mia vita.
Cantavo continuamente.
Riuscivo a bloccare le lacrime intonando una canzone e, anche quando decisi di mettermi con Nick, gli dedicai una canzone che amavo in quel periodo.
Risi rendendomi conto che tutta la mia vita aveva come sottofondo una sola canzone.
Negai che fosse quella legata a mio fratello e quindi mi limitai a ammettere che, almeno quell’arte era stata un buon insegnamento da parte sua.
Continuai a voltare le pagine consumate del quaderno in cerca di qualcosa di diverso dal solito tema ricorrente e mi imbattei in una calligrafia poco leggibile, pastrocchiata che io ancora ricordavo benissimo di chi fosse.
Mi stupii quando notai che era una sottospecie di lettera dedicata a me.

“Ehi Harold! Oggi la mamma ha fatto la fritatta! Ma tu sei andato a pranzo da una amico e mi ai lasciato solo. Non mi lascare solo! Sensa di te mi sento tanto tanto tanto solo.
La mamma dice che ala mia eta non dovei scrivere un diario ma a me mi piace. Quindi scrivo a te, perche tu sei la pesona piu importate per me e la mamma dice che le letere si scrivono solo ale persone importante quindi scrivo a te.”

Una lacrima scese sul mio volto leggendo quelle parole, sconnesse, ripetitive e piene di errori grammaticali.
Al loro interno, scritto malamente, vi era tutto l’amore di mio fratello nei miei confronti.
Notai che le lettere continuavano ed erano tutte per me.
Passai una serata intera a leggerle tutte e, nella speranza di trovare qualcosa, evitai di cenare, ignorando le grida di mia madre.
Arrivai con una velocità inaudita a quando Louis aveva 12 anni.
La scrittura era migliorata e i contenuti più significativi.
Decisi di non continuare a leggere per paura di scoprire qualcosa di inconveniente.
Ero voglioso di continuare ma spaventato da quello che potevo trovarvi.
Decisi di prendere il quadernetto e di riporlo sotto il mio cuscino sperando che il giorno dopo avrei deciso il da farne.
 
 


Mi svegliai con inchiostro blu sulla guancia poiché durante la notte il cuscino era finito irrimediabilmente fuori dal letto e la mia faccia era immersa in innumerevoli fogli di lettere che ancora non ero pronto a leggere.
A realtà che ancora non volevo affrontare.
Dannata debolezza.
Mi sentii sciocco quando cercai di raccoglierle tutte ad occhi chiusi e lo fui ancora di più quando a tastoni, nel buio della “mia” anonima stanza cercavo la borsa per infilarli dentro e dimenticarli, almeno il tempo di poter farmi una doccia.
Mi scappò una mezza risata quando fissai i scatoloni ribaltati e risi vivacemente quando l’intero contenuto dell’armadio mi cadde addosso, facendomi battere una sonora culata sul parquè.
Questo mi porto a dover scegliere i vestiti in una confusione assoluta e dover frugare per circa 5 minuti in cerca di mutande pulite nel mezzo di quella assoluta zona di caos.
Lanciai di nuovo tutto dentro l’armadio in maniera leggermente più ponderata e mi incamminai verso il mio minuscolo bagno.

Mio. Risi di nuovo.

Dio quanto sono idiota.
Ho uno strano problema con gli aggettivi possessivi! Mia camera, mio fratello, mia vita.
A dir la verità quella non era la camera che mi apparteneva, quelle pareti non erano quelle nere e scure della vecchia camera della mia vecchia città e di certo quel letto scomodo non era di certo il letto devastato che avevo allora.
E sapevo per certo che quello che vedevo a malincuore ogni giorno a scuola non era mio fratello ma uno sconosciuto familiare, così familiare da farmi male.
Da una parte ringraziai erroneamente la questione con mio fra--- con Louis, poiché in quel modo ne dimenticavo un'altra. Quella del trasferimento.
Nick. Da quant’è che non lo vedevo? Da quant’è che non ci parlavo davvero? Troppo.
Incredibile, mi manca. O forse non è lui che mi manca ma solo il ricordo di “appartenere” a qualcosa.
Appartenere ad una città, ad una routine, a una persona.
Per quanto possa essere sbagliata, lo ammetto.
Decisi di non indugiare ancora in uno dei miei pensieri profondi mattutini ma di rivolgere uno sguardo allo specchio, giusto il tempo di guardava la mia faccia sconvolta e correre a farmi la doccia, notando il considerevole ritardo provocato dalle logoranti riflessioni che provoca il mio cervello appena sveglio.
Mi lavai in circa sette minuti di orologio e, indossando i vestiti preparati in precedenza scesi le scale.
Avevo una camicia a quadretti rossa e nera, dei calzoni aderenti neri e una maglia anonima grigia.
Sembravo un punk, colpa di mia mamma e di quando le permetto di andare a comprarmi i vestiti perché troppo annoiato da alzarmi dal divano e spengere la playstation.
Beh, almeno aveva indovinato la taglia.
Calzai le mie solite converse nere consumate e corsi in cucina.
Salutai mia mamma come se niente fosse successo e, con strana calma, non curante della tarda ora, feci colazione.
Presi la cartella e mi mossi verso la porta quando una mano mi afferrò dolcemente la spalla, come ad indugiarmi di aspettare.
Per quanto cercassi di mostrare disinvoltura mia mamma non era della mia stessa idea.
E infatti, anche lei se ne fregò del mio ritardo e mi indusse a chiudere la porta appena aperta e a voltarmi verso di lei.

“Cosa c’è mamma?” Dissi, disinvolto.

“Ho chiamato Bill e gli ho chiesto di venire a cena stasera. So che non ti va a genio ma.. Ho bisogno di parlarci. Anzi, abbiamo bisogno tutti e due.”

“Abbiamo?” Annunciai.

“Io non ne ho bisogno.” Risposi freddamente.

“Sai, alla fine Louis è pur sempre tuo fratello.”

Mi allietai nel sapere che non solo io avevo problemi con quei maledetti aggettivi possessivi.
Anche mia mamma, per credere che io e Louis fossimo accumunati da uno di questi, doveva davvero aver dimenticato la grammatica.

“Si mamma, divertitevi. Io vado al MCdonald a cena stasera. Chiamatevi quando avete finito di soddisfare i vostri bisogni.” Sorrisi io. Non ero mai stato così strafottente con mia madre ma dopo tutto, dopo che
questa discussione scomoda non saltava fuori da anni, qualche risvolto negativo era palese ci fosse stato.

“Ci sarai anche tu. Louis viene.” Si difese lei come a voler dire: “Ehi, fai il bravo, prendi esempio dalla persona che ti ha rovinato.”

Ahahahah. Buffo.

“Proprio per questo io non verrò.” Conclusi battendomi la porta alle spalle e finendo quella assurda conversazione.

Quello squilibrato del mio ex padre a cena con quelle quattro squilibrate delle mie sorelle, quell’esaurita di mia madre e del cretino di mio fratello.
Una cena memorabile a cui sarebbe stato costretto a partecipare anche quel complessato di Harry Styles, giovane ragazzo dall’infanzia traumatica.

Che quadretto perfetto.
 
 
 
 

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 E anche stavolta sono così dannatamente in RITARDO. YEEEEEEEE.

Non so cosa dire.. Questo capitolo l'ho scritto 1 volta e mezzo perchè la seconda parte, quella dopo la lettera, l'ho scritta stasera essendosi cancellata durante il riavvio del pc.
DIO, mi succede sempre.
Ho scritto 10 pagine x°D E' da quando non scrivevo l'altra fanfic che non toccavo la decina! Luuunghissimo capitolo che alla fine non racconta nulla di che.
Harry decide di entrare nei Sunny Night a dir la verità sembra il nome di un detersivo o di un gruppo di tarocchi dei teletubbis o come si scrive x°D
Ma boh, mi piaceva ;w; 
POOOOI! Si nota che il nostro Haroldo ha un piccola lotta inferiore con la sua coscienza. 
Da una parte vuole Louis lontano dalla sua vita, dall'altra lo vuole il più vicino POSSIBILE.
I ricordi del suo passato lo spronano a tener attaccato il suo ex fratello il più possibile.
Poi, dopo la litigata incredibile con lui e la promessa di non PARLARGLI torna a casa e trova la mamma incazzata.
DU PALLE VOI DITE! E VI DO RAGIONE! MA CE LA DEVO METTERE PER FORZA.
La madre dire che deve rimette a posto la valigia e che sta cosa del ragazzo ribelle deriva dalla presenza di Louis.
DOMANDA SCONTATA, OVVIO. Harry glielo fa capire poco carinamente e se ne va in camera.
Sale le scale e BOOOM in un modo o nell'altro inciampa nelle lettere di suoi fratello.
Non le legge tutte perchè infatti arriva a quando aveva 11 anni e si blocca perchè sa benissimo che poi potrebbe trovare qualcosa di scomodo.
Ha paura di quello che potrebbe trovare e infatti non le legge.
Il giorno dopo si sveglia nella sua camera d'ospedale e praticamente la su mamma gli dice senza tanti giri di parole che a cena ci sarebbero stati i TOMLINSON.
DADADADAAAAAN.
Harry su questo fa molto il sarcastico ma sa che dovrà andarci.
CHISSA' COME FINIRA'! Spero di aggiornare presto e grazie a tutti.
Anche se le recensioni sono state solo 2..vi voglio bene lo stesso <3 grazie tantissime! 

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Capitolo 6
*** Dangerous Attraction. ***


            
                 Capitolo 6: Attrazione Pericolosa
 
 
Louis Tomlinson
 

La mattina standard in cui sono abituato a svegliarmi ogni giorno da molto anni, oggi, non ha niente a che fare con la sorpresa che mi ha aspettato al risveglio.
Niente di familiare o abitudinario per Louis Tomlinson.
Mio padre mi stava fissando dormire e, aprendo gli occhi, mi spaventai, e non poco.
Chiesi quindi, visibilmente irritato.
“Che cazzo stai facendo?” urlai, puntandogli una falange contro.

Quel vecchio era proprio andato. Non mi era mai capitato di ritrovarmi in una situazione così scomoda.
Mio padre era sempre stato un uomo, e un padre pessimo. Non si era mai preoccupato della mia istruzione, della mia crescita, assolutamente di nulla. Tornava la notte ubriaco, probabilmente anche sotto effetto di stupefacenti e io, fregandomene salivo come se nulla fosse la rampa di scale che mi separava dalla mia stanza e, ogni giorno prima di rinchiudermici dentro, lo fissavo esasperato.
Non avevo rispetto per quella figura genitoriale, anche se non può nemmeno reputarsi tale, non più.
La cosa preoccupante è che adesso va tutto molto meglio rispetto a quando ero solo un ragazzino.
Il trasferimento in una nuova casa, un buco puzzolente pagato con un mutuo che ancora adesso è motivo di litigio fra di noi.
Da piccolo adoravo mio padre, era una persona socievole, dolce, addirittura disponibile a giocare con me e Harry ma, dopo il divorzio da mia madre era diventato qualcosa di intrattabile.
Divenne violento, ricominciò a bere e a non tornare la sera.
All’età di 14 anni già sapevo cucinare, e mi rifacevo il letto, seppur malamente, una volta al mese.
Provai piano piano una repulsione verso l’uomo che mi aveva portato al mondo. Pensai innumerevoli volte di essere meno di niente, e lo penso tutt’ora, essendo nato da un essere così immondo.
Alcune volte lo trovo nel divano addormentato con una puttana ricoperta malamente da una coperta sudicia.
Seguire mio padre, sperando in qualcosa di buono, dando ascolto a mia madre, era stata la cosa peggiore che avessi potuto fare.
Infatti adesso mi ritrovo infelice, mi sento di valere meno di zero e ho perso consapevolmente il rapporto con mio fratello.
Per tutti questi motivi trovarmi il suo faccione davanti al muso mi recò non pochi problemi.

“Oh.” Grugnì. Il suo alito sapeva di vodka e mi trapassava le narici arrivando fino al cervello. Una sensazione disgustosa quanto, anch’essa, abituale.
“Che cazzo vuoi, ti ho detto.” Ripetei. Nel frattempo spostai la sua sedia abbastanza lontana da non trovarmelo ancora davanti e, barcollando, mi andai a vestire.
“Stasera non prendere impegni! Siamo a cena dalla mia ex moglie!” e finì con una fragorosa, disgustosa e fastidiosa risata roca.

Mi trovai con le spalle al muro. Avrei voluto prenderlo a pugni.
Dio, quanto può essere idiota quell’uomo?
Io e mio padre a casa Styles? Deve aver bevuto più del previsto.

“MA SEI PAZZO?!” Urlai ancora andandogli al muso, rabbioso.

La mia situazione con Harry era già catastrofica, non posso parlargli, perché cazzo dovrei andarci a cena?
E perché deve andarci quel cretino?
Stiamo parlando dello stesso uomo che è caduto in un grave problema di alcoolismo, prostituzione e chi lo sa, droga, per colpa del suo divorzio.
Lo stesso che mi ha giurato, piangendo mentre colpiva insistentemente la mia spalla arrecandomi numerosi lividi, che quella era una madre pessima e che avrebbe voluto vederla morta.
E io spaventato annuivo, sperando finisse presto.
Sarei sempre voluto tornare a casa da mia madre, progettai anche una fuga la notte dei miei 14 anni ma la cosa non andò in porto e finì per essere colpito di nuovo, in pieno petto da quel mascalzone che continuava a ripetermi che aveva bisogno di me, che non gli era rimasto nessuno al mondo se non io.
Che dannato controsenso.
E adesso vuole incontrarla? La vecchiaia gli ha tirato un brutto scherzo a quanto pare.

“Assolutamente no, non verrò.” Dissi deciso, sussurrando.

Lui mi strattonò via, facendomi cadere di pieno petto sul letto e sovrastando la mia voce urlò ancora più forte.

“Non me ne frega di quello che vuoi. Sei mio figlio e verrai con me!” Sapevo cosa mi avrebbe potuto arrecare mio padre, sapevo in cosa sarei andato incontro.

Ero ormai maturo, ero un diciannovenne abbastanza in forma,ma mio padre era più forte di me, questo era certo.

“Io ti do un tetto su cui dormire! E tu come mi ripaghi?! Figlio ingrato!” Fiatò ancora, insolente.

Sarei uscito da quella porta in men che non si dica, facendo le valigie e correndo da Liam, eccome se l’avrei fatto.
Se solo non provassi pietà per quell’essere.
Che vergogna Tomlinson. Hai lo stesso cognome di tuo padre perché sei feccia come lui.
Anche Harry ha cambiato il suo con quello di sua madre ma tu no, così stupido da seguire come uno sciocco quel maniaco e finendoci impelagato fino al collo.
Decisi di non continuare quella conversazione e infilare le prime cose che mi capitavano a tiro, prendere la mia cartella, con dentro i libri del giorno prima e, assolutamente in anticipo, uscire dalla porta sfuggendo alle braccia di mio padre attorno al mio collo.

“LOUIS! Ti conviene venire!” concluse mio padre mentre chiudevo la porta di casa.

Ma non lo ascoltai.
 

Harry Styles
 
Ero davvero nervoso.
Come si era permessa di invitare mio fratello a cena da noi?
Corsi velocemente verso scuola fregandomene della gente che mi guardava ridendo.
Un punk che corre, buffo.
La camicia si sollevava in continuazione e mi arrecava non poco disturbo e, quando, i calzoni che avevo indossato senza cintura erano in procinto di cadermi letteralmente di dosso, decisi di fermarmi.
Ero a pochi metri dalla scuola, sospiravo pesantemente per la corsa e mancava solo mezzo minuto all’inizio della lezione.
Volevo mostrarmi al meglio visto che ero appena arrivato e, anche se le prospettive per quella giornata erano disastrose visto il mio umore, dovevo comunque apparire diligente.
Mi poggiai un attimo in un albero nel giardino della scuola, mi sedetti, cercai velocemente un fazzolettino nella borsa e, asciugandomi il sudore mi rialzai faticando.
Dopo non aver fatto nemmeno due passi fui afferrato da una mano, neanche tanto grande, che mi induceva a seguire il suo possessore.
Cercai di divincolarmi ma, quando vidi il volto del mio “aggressore”, in balia dei miei soliti pensieri contrastanti , mi lasciai portare via perdendo inesorabilmente la prima ora.
Camminammo per pochi minuti fin quando non arrivammo sul tetto della scuola.
Che posto stupido.
Passammo innumerevoli minuti a fissarci negli occhi senza proferire alcuna parola. Avrei voluto tanto dirgli qualcosa di cattivo e levarmi di torno quel dannato stalker che era mio fratello ma, non vi riuscì.
Quegli enormi fanali che erano i suoi occhi, chiusi a fessura diritti sul mio volto erano come delle enormi mani che mi impedivano di muovermi.
Con quei suoi profondi occhi blu mi aveva costretto a fare non poche pazzie da piccolo.
Tentai finalmente di dirgli quanto ero indignato per la questione delle cena, avrei voluto costringerlo a non venire, lo avrei sgridato per avermi rivolto la parola, infrangendo la promessa fatta.
Ma non lo feci.
Perché fu lui a parlare per primo.

“Hai cambiato il tuo cognome.” Disse abbassando lo sguardo.

Pensai che quella domanda fosse davvero ridicola. Cosa c’entrava adesso?
Decisi di rispondere comunque, tanto per levarmi l’impiccio.

“Si.” Seccamente.

Louis parve sorpreso del fatto che io avessi deciso di parlargli, rompendo il patto.
Ne fui sconcertato anche io, a dirla tutta.

“Mi hai parlato” Disse.

Scontato.

“Cosa dovevo fare? Mi hai fatto una domanda.” Parlai, stupendolo nuovamente.

A quel punto mio fratello si sedette sullo scalino che precedeva la rete metallica che determinava i confini della tettoia e, sorridendomi, mi chiese in modo alquanto impacciato “Grazie.”
Quel bastardo aveva appena fatto una mossa inaspettata ed era riuscito a farmi dimenticare quello per cui ero adirato.
Dimenticai per un secondo tutto quello per cui l’avevo offeso, per cui l’avevo ignorato e tutte le lacrime versate per lui.
Quasi mi commossi nel vederlo fare quel sacrificio, nello sforzarsi ad essere gentile, dannato Tomlinson.
Una lacrima stava per solcarmi il volto quando, con un filo di voce riuscì a rispondere al suo gesto imbarazzato.

“Prego.” Risposi dolcemente, con una dolcezza che pensavo non ci saremmo rivolta mai più.

Ricordai ogni momento passato insieme a lui, ogni sfaccettatura del suo carattere, ogni piccola sfumatura dei suoi grandissimi occhi azzurri.
I miei pensieri tornarono indietro a quando la notte stavamo svegli a cantare quella canzone, tanto triste quanto dolce, stringendoci piano per tenerci caldo a vicenda, in quelle notti troppo fredde per stare da soli.
Ricordai con quanto affetto compiva quell’azione e mi rattristai improvvisamente.
Mi mancava il contatto con lui, mi mancava quello che eravamo, mi mancava il fratello che adoravo e di cui non riuscivo a immaginare la vita separati.
Lo fissai in silenzio, aspettando dicesse qualcos’altro, cercasse di porre fine a quel momento di imbarazzo reciproco ma così non fece.
Rimase a fissarmi negli occhi e a cantarmi a bassa voce la canzone che ormai conoscevo a memoria.
La canzone che rappresentava la nostra storia, i nostri trascorsi e il sentimento che entrambi provavamo in quel momento.
Il bisogno di sapere che a prescindere da tutto mai smetteremo di esserci l’uno per l’altro, mai dimenticheremo quello che realmente eravamo e mai divideremo le nostre strade un’ altra volta.
Mi sentì stupido al solo ricordo di qualche giorno fa quando non volevo rivolgergli la parola, volevo solo annientare ogni ricordo o affetto che riguardasse Louis.
E adesso mi ritrovavo in quel preciso istante a cantare il ritornello assieme a lui, credendoci.
Sperando di non separarci mai più, di dimenticare i fatti passati e di tornare quello che eravamo.
Tornare ad appartenere l’uno all’altro, ancora una volta.

“I'll keep my eyes wide open
I'll keep my arms wide open

Don't let me
Don't let me
Don't let me go
'Cause I'm tired of feeling alone”  

 
Louis Tomlinson

Il motivo per cui l’avevo portato sul tetto, per cui lo avevo strattonato fino a quel posto dimenticato e per il quale gli avevo fatto saltare la prima ora risultò assolutamente chiaro.
Quel gesto d’istinto che ho fatto nell’afferrarlo, immerso nei miei pensieri, adesso riuscivo a comprenderlo.
Lo scopo per cui invece di nominare la cena imminente, fissandolo negli occhi, sviai l’argomento era ovvio.
Fin da quando la mia mano entro in contatto con la sua capì.
Avrei voluto che lui tornasse a dipendere da me, a essere la mia ombra e ad accompagnarmi in tutti i passi sbagliati o giusti che compirò nella mia vita.
Avrei seriamente voluto che fosse lui la luce ad illuminare la mia strada priva di salvezza, a riscaldare il mio cuore ormai cupo e grigio.
Con un sorriso, un semplice spostamento delle sue labbra e un lieve accenno di fossette e io sarei realmente tornato ad essere quello che ero.
Il Louis Tomlinson che ammazzata le lucertole con il coltello e che vedendo Harry piangere le rifoggiava a terra cercando di consolarlo e promettendogli che quella sarebbe stata l’ultima volta.
Il fratello dolce e protettivo che ero stato all’età di 9 anni, quando una bambina aveva tirato la sabbia addosso a Harry e io l’avevo vendicato facendola cadere e rimuovendo ogni granello dalla sua faccia, uno ad uno, fino a riscoprire il sorriso per cui dipendevo.
Lui era tutto quello che io adesso non sono. Tutto quello che ho rinnegato e nascosto. Lui, di fronte a me era il mio esatto opposto eppure la cosa non mi dava alcun tipo di fastidio ma reputavo la nostra differenza come qualcosa che inesorabilmente ci spingeva ancora più vicino.
Come due parti di un nastro della scarpe, per quanto possano girarsi intorno, ignorarsi anche, finiranno sempre per legarsi fra loro in una cosa sola.
Sorrisi distrattamente alla strana similitudine appena creata e tornai a bearmi del suo sguardo imbarazzato e allo stesso tempo confuso.
Finalmente privo di rabbia verso i miei confronti.
Volli seriamente ricominciare tutto da capo e, terminando la canzone che stavamo cantando lo abbracciai.
Mi venne spontaneo, come un gesto premeditato e che non vedevo l’ora di compiere.
Qualcosa di agognato quanto represso.
Qualcosa di assolutamente perfetto.
E quando notai che non opponeva resistenza e si faceva abbracciare senza problemi, feci il passo più lungo della gamba.
Cominciai dolcemente a toccargli i capelli, accarezzandoli, come facevo un tempo lontano di sette anni fa.
 

Harry Styles
 
Mi abbracciò come si abbraccia una persona persa da anni e poi ritrovata, come si abbraccia il cane che credevi di aver perso per sempre, come si abbraccia la madre quando torna a casa con un regalo tanto atteso o come un soldato appena tornato da una lunga e sanguinosa guerra.
Ho risposto all’abbraccio con affetto. Un affetto che credevo di non provare più per lui.
Un affetto nascosto sotto strati e strati di dolorosi ricordi, amarezze e tanti, tanti, rinnegamenti.
Volevo sussurrargli alle orecchie che lo perdonavo, che era tutto per me e che necessitavo della sua presenza nella mia vita.
Avrei dimenticato i litigi, l’abbandono e tutte le lettere che non mi aveva mai scritto.
Avrei rinnegato tutto e l’avrei riaccolto fra le mie braccia, ormai più lunghe e grandi delle sue.
Avrei accettato ogni sua sfumatura caratteriale, ogni sua ripicca, qualsiasi cosa.
Sarei stato di nuovo Harry Tomlinson, il fratello fedele che adorava alla follia Louis.
Ma all’improvviso incominciò ad accarezzarmi i capelli, cosa che non faceva da tantissimo tempo e mi sentì avvolgere da un sentimento familiare, quanto nuovo. Da un qualcosa di mai provato prima ma celato, ben nascosto ai miei ricordi.
Come pioggia a ciel sereno, come un onda quando sei tranquillamente sdraiato su di un materassino sul filo dell’acqua quieta, come un grandissimo pezzo di osso nel tuo trancio di carne all’apparenza privo.
Ne fui spaventato, retrocessi immediatamente e scrollai il capo.
Lo guardai spaventato. Non ero più un bambino, ero un uomo.
Adesso avevamo imparato nuovi sentimenti, avevamo fatto nuove esperienze ed eravamo cresciuti maggiormente, separati.
Lui infondo, ai miei occhi,  non era più il fratello che mi stringeva le spalle quando avevo paura del buio, era Louis Tomlinson, un bellissimo ragazzo di diciannove anni con dei seri problemi comportamentali.
E per questo ne fui spaventato, a morte.
Perché quello che ho provato in quell’attimo non apparve ai miei occhi come del semplice affetto.
Il mio cuore non era rimasto immune ai movimenti circolari che faceva sulla mia cute.
Quella situazione non mi aveva suscitato alcuna familiarità. Non semplice affetto.
E per questo corsi via, mi allontanai il più velocemente possibile, mentre la voce acuta del ragazzo alle mie spalle mi intimava a rimanere, dolcemente; E se solo non fosse stato mio fratello, se solo quell’attimo non fosse stato dannatamente sbagliato, avrei arretrato e lo avrei stretto ancora una volta, senza lasciarlo.
Scesi velocemente la scalinata interminabile e mi diressi verso la porta principale dell’istituto e, afferrando saldamente un lembo della mia camicia, cercai di mantenere la calma.
Presi a correre dannatamente veloce verso casa.
Non avrei trovato nessuno ad aspettarmi e avrei potuto pensare a mente lucida.
Arrivai nuovamente col fiatone, per la seconda volta in quella giornata appena iniziata, davanti al portone verde della mia nuova, maledettissima casa e, cercando furiosamente le chiavi di casa nella tracolla aprì quella che mi separava dalla mia camera.
A grandi falcate mi diressi verso quest’ultima e, aprendo la porta e chiudendomi dentro, mi abbandonai sul mio letto.
Non feci in tempo a far scendere la prima lacrima di disperazione dal mio volto quando notai sul mio comodino ventisei sterline (30 euro) con annesso un bigliettino strappato da un quaderno poco distante.

“Fai l’uomo maturo e compra qualcosa per cena.”

Risi istericamente quando pensai che avrei avuto Louis a cena.
E piansi poco dopo.
Che sciocco che ero stato.
La mia sessualità è ben definita ormai, ho accettato la mia diversità e accetto di provare attrazione verso lo stesso sesso.
Ma non verso qualcuno di così sbagliato.
Mio fratello è effettivamente un bel ragazzo ma-
E fui interrotto nuovamente da un battito improvviso proveniente dal mio petto.
Un battito che piano piano si fece sempre più insistente, veloce.
Un qualcosa da farti addirittura mancare il fiato.
Pensai di essere diventato pazzo, di essere inevitabilmente da ergastolo e quindi presi una veloce decisione.
Nick.
Lo avrei raggiunto e glielo avrei spiegato, ne avremo parlato insieme e lui mi avrebbe sicuramente rassicurato dicendomi parole dolci ed eloquenti.
Avrei risolto tutto e ci avrei riso su.
Quindi in maniera azzardata presi le ventisei sterline riposte sul mio comodino e, afferrando la mia tracolla con ancora tutti i libri al suo interno, mi diressi verso la stazione.
Fortunatamente era solo a dieci minuti da casa mia ma, con l’agitazione che avevo addosso, la percorsi in meno di cinque minuti.
Comprai velocemente due biglietti, uno di andata e uno di ritorno e mi avanzarono poche sterline, entrai di sfuggita dentro il primo treno che fermava a Holmes Chapel e mi sedetti in uno dei sedili liberi.
Arrivai più velocemente del previsto e fui fortunato a scendere alla stazione giusta.
Coi pochi spiccioli rimasti comprai un biglietto per l’autobus e mi sedetti alla fermata, e attesi.
Mancavano ben tredici minuti all’arrivo del mio bus quindi decisi, trovata la tanto sperata calma, di aprire un libro e iniziare a studiare qualcosa.
Trovai per mia sorpresa dei fogli stropicciati all’interno del mio volume di storia e ricordai subito cosa fossero.
Le lettere di mio fratello, scritte all’età di undici e dodici anni.
Tentennai dal leggerle. Alla fine era un diario e Louis non le aveva di certo scritte per farmele, in un prossimo futuro, leggere.
Resistetti per qualche minuto prima di abbandonarmi ai miei pensieri e decidere di leggere quella datata più recentemente.

“Caro Harry
Questa penso sia l’ultima volta che viviamo a casa insieme.
La mamma mi ha detto di stare con papà perché sa che sicuramente starà male.
Io non voglio lasciarti ma devo lasciarti.
Spero che tu puoi crescere bene con mamma e le nostre sorelle perché sei un bambino bravo anche più di me.
Verremo a trovarti spesso non preoccuparti il babbo me l’ha detto. Non ti lascerò solo.
Vorrei tanto stare con te per sempre ma la vita è stata cattiva e ci dobbiamo separare.
Ti voglio bene e anche se so che non leggerai mai questa lettera…
Mi mancherai Cuppycake. “
 
Rinnegai subito di aver letto quella lettera perché altre fitte mi presero e anche se tentai di respingerle e calmarmi, si fecero spazio nel mio petto fino a portarmi a pensare solo e soltanto a quanto Louis fosse stato dolce con me fino alla fine.
Continuo a non spiegarmi però il motivo per cui non venne mai a trovarmi ma il pensiero passò velocemente in secondo piano quando il mio autobus si fermò davanti ai miei occhi per far scende i passeggeri e farne salire altri.
Timbrai velocemente il biglietto e in venti minuti circa fui davanti a casa di Nick.
Il pensiero nella mia mente era constante: la sensazione delle sue mani sui miei capelli, il suo petto caldo e le mani a stringermi forte e a rassicurarmi che tutto sarebbe andato al verso giusto.
Ma niente era seriamente andato nel verso giusto e io mi ritrovo ad avere un mattone al posto del petto e un tintinnio insistente, come un orologio fisso sull’ora della sveglia a scandire i movimenti veloci del mio cuore.
Deciso a suonare il campanello cercai di reprimere il mio pensiero fisso e di assaporare il momento in cui avrei rivisto il mio ragazzo, Nick.
Suonai e ad aprirmi fu lui, a petto nudo con i suoi buffi capelli arruffati. Sorrisi nel vederlo assonnato e, senza un tacito consenso, entrai.
Era tutto in un caotico disordine, a quanto pare quella notte aveva dormito sul divano e aveva cenato con lasagne al forno precotte.
Lui mi sorrise a sua volta e mi abbracciò salutandomi amorevolmente.
E provai a far battere il mio cuore come al contatto con Louis, cercai di rimandare indietro i sentori che quello che avevo davanti non era la persona che seriamente amavo.
Volli ignorare il mio corpo immobile, i miei battiti regolari e la mia sudorazione inesistente, volli chiedergli qualcosa di più.

“Nick, accarezzami i capelli..” dissi con un filo di voce, nascosto fra le sue spalle grandi.
“Come vuoi.” Rispose e iniziò a compiere la stessa azione fatta da mio fratello qualche ora prima.

Dannazione.
Niente, non provavo assolutamente niente di simile a quello accaduto con mio fratello, quello era affetto.
Mi venne un tuffo al cuore quando compresi finalmente che quello che provavo per mio fratello non lo era.
Quando provi affetto per una persona il tuo cuore non batte come se volesse uscirti fuori da petto a ogni suo movimento; non ti senti cedere le gambe e il tuo respiro non si fa irregolare.
Niente di tutto questo era avvenuto effettivamente con il mio presunto ragazzo Nick.
Tutto questo avevo provato a contatto con Louis, un mio parente.
E da li capì:
Io provavo più di semplice affetto verso mio fratello, io ero attratto irrimediabilmente da lui.


 
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E anche per stavolta ce l'ho fatta ad aggiornare x°D Non posso dire in orario ma..non dopo troppo tempo!
La storia si sta finalmente evolvendo:
Si scopre che il padre di Louis l'ha maltrattato da piccolo per scaricare la rabbia dalla separazione con la madre, che è un alcolizzato psicopatico e che lo teneva "prigioniero" in casa.
Harry si fa trasportare sul tetto senza fare tante domande e finisce con lo scoprire di provare un attrazione per il fratello, dopo averlo perdonato e cazzi e mazzi.
Spaventato dalla cosa prende i soldi che gli aveva dato la madre e corre con il primo treno da Nick, sperando di far chiarezza su quel pensiero assolutamente sbagliato.
Sfortunatamente quando arriva a casa di Nick e lo abbraccia non riesce a provare le stesse sensazioni di qualche ora prima e riesce ad ammettere a se stesso che prova qualcosa per Louis.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto come è piaciuto a me scriverlo <3 vi lascio dopo questo spazio dell'autrice, stranamente più corto del mio solito, con un bacione e con la speranza che recensiate in tanti <3
vi voglio bene ;w; Grazie di tutto!

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Capitolo 7
*** Peace. ***


  
"Breve" riassunto dello scorso capitolo:
Harry Styles e Louis Tomlinson sono due ragazzi tutto fuorchè normali. Harry è un indeciso cronico, si aggrappa a chi gli è vicino per vivere e, pur provando in tutti i modi a dare una ragione a tutto quel vuoto che sente dentro di lui più passa il tempo e più si sente inadatto, solo, incompreso. Louis è un ragazzo rabbioso, incazzato con mondo, con il padre drogato e alcolizzato, con la vita che gli ha giocato un brutto scherzo. Il bullo della scuola, quello che tutto ammirano per la bellezza ma disprezzano per lo spinoso carattere da duro. L'unica cosa in comune che questi due esseri così diversi hanno è un semplice, quanto contorto rapporto di familiarità. Sono fratelli. All'età di 9 anni per Hazza e 12 per LouLou sono stati allontanati per il divorzio dei proprio genitori. Si erano giurati di ritrovarsi, di continuare a vivere la loro maniacale voglia di completarsi a vicenda, il loro vivere in simbiosi. Ma questo non è avvenuto. Il più grande ha evitato di scrivere messaggi, di presentarsi alla porta del più piccolo, suscitando in quest'ultimo odio represso verso di lui. Cercando conforto e appoggio, cercando la sua figura, in qualsiasi ragazzo che in qualche modo potesse somigliargli. Arriva un giorno in cui egli deve trasferirsi per colpa del lavoro della madre. Li il mondo del povero Harry si capolverà ancora una volta perchè nella sua stessa scuola il fratello Louis è il capo. Harry non reagisce bene a tutto questo ma viene coinvolto senza volere in una "combutta" contro di lui da parte del maggiore. Finisce per entrare a far parte dei "Funny Night" il gruppo rock del fratello, come voce solista, Decicendo di provare una convivenza forzata. Tutto questo si travolge quando Harry trova le lettere del fratello nascoste in scatoloni dimenticati e ritrovati durante il trasloco.. Avviene un incontro fra i due sul tetto della scuola, Harry capisce che non può esistere senza Louis e si abbracciano. Ma quest'ultimo suscita in Harry qualcosa che va oltre il semplice affetto. Quando sua madre annuncia la cena imminente con il fratello e il padre spregevole che li ha abbandonati non ci vede più e corre dal proprio ragazzo che, durante la lontanza da lui, si era dimostrato poco comprensivo, a differenza delle aspettative di entrambi. La storia finisce con l'arrivo del riccio in casa di Nick.
 
Buona lettura, 
Capitolo 7: Pace



Harry Styles 
 
Mi guardai intorno. Ero appena corso fuori città, carpendo il primo treno che mi si è parato davanti e sono arrivato qui.
Speravo Nick mi avrebbe sollevato il morale, col suo odore penetrante, i suoi capelli morbidi al tatto e il suo umile sorriso sbieco.
E invece alla porta, ad aprirmi, non apparve la persona per cui avevo una cotta, la persona con cui avevo passato l’intero ultimo anno ad Holmes Chapel.
No.
Lui non era il Nick che ricordavo. Era diverso.
O forse l’unico cambiato ero io, finalmente consapevole di quello che provavo e di chi avevo davanti.
Una persona meravigliosa, generosa anche se di poche parole, avevo di fronte a me il ragazzo che mi aveva permesso di uscire dal guscio, di poter esprimere apertamente la mia sessualità, senza vergogna alcuna.
Lui era il mio eroe.
Forse ero io ad aver confuso questi due sentimenti: Ammirazione e attrazione.
Forse sin dall’inizio non ho mai provato nulla per lui.
Il nostro primo bacio, la nostra prima volta, il battito del mio cuore a tempo con i nostri fiati.
No, non mi ero sbagliato.
Sono solo cambiato.
E forse, in questo momento, la presenza di Nick nella mia vita, allontanandoci, si è fatta non più così necessaria.
E’ diventata di importanza secondaria, come un piccolo granello in un enorme deserto sterminato.
Da quanto non ero più capace di mantenere un rapporto con una persona, con LA persona più importante della mia vita?
Pensai subito a dare tutta la colpa a mio fratello che, rientrato a schianto nella mia vita, si era portato via l’unica cosa che mi teneva collegato al vero me stesso.
O meglio, al me stesso che si era ricostruito pezzo per pezzo raccogliendo i frammenti sparpagliati da quest’ultimo.
Ma ripiegai velocemente l’intera colpa su di me. Per quanto molte volte quel cretino di Lou fosse stato una presenza necessaria, quanto mancante, nella mia vita, avevo deciso di metterci una pietra sopra e riprovarci.
Alla fine sono uno smidollato.
Uno smidollato che mentre abbraccia il suo presunto ragazzo pensa a suo fratello.
La persona col suo stesso cognome, i tratti così diverti, ma lo stesso sangue.
L’essere più sbagliato per il quale prendersi una cotta.
Louis Tomlinson, il bullo bastardo che si è preso gioco di tutti in quella scuola, anche del sottoscritto.
E’ solo che, i suoi occhi, fissi su di me, come a cercare di penetrarmi e scoprire quello che sento, quello che provo, sono il mio tallone di Achille.
Quelle dannatissime pietre a seguire ogni mio movimento. A scrutare ogni mio minimo imbarazzo.
A fissare le mie gote rosse, consapevoli di avermi arrecato non poco imbarazzo.
Quel ragazzo rude, quanto conscio di come prendermi, si stava ripetutamente prendendo gioco di me.
E io ero caduto nel suo tranello, quello di riunirmi a lui.
Ma forse nemmeno Louis si sarebbe immaginato che io avessi superato questo scoglio e fossi arrivato subito a quello successivo.
A quello erroneamente malsano.
Provavo un attrazione verso di lui, un attrazione di quelle classiche.
Battito accelerato, mani che sudano, la solita cosa.
Era riuscito a farmi provare un sentimento così forte in un solo abbraccio, capace di farmi dimenticare del tutto del mio presunto amore per Nick.
E adesso mi ritrovavo stretto nel suo abbraccio, senza ben sapere cosa fare a pregare che quel contatto finisse presto.
Che potessi tornare il prima possibile fra le braccia di mio fratello e potergli sorridere come una volta, nascondendomi nelle sue piccole spalle.
“Nick” ruppi il silenzio, rimuovendo le sue mani dai miei capelli.
“Dimmi Harry..” accennò un sorriso e si staccò da me.
Si diresse in salotto e mi chiese di accomodarmi.
Nick non era stupido, lui già sapeva.
Mi prese dolcemente la mano, come a darmi forza.
A quanto pare sapeva che non sarebbe funzionato, non avevamo mai provato a stare separati per così tanto tempo ed il mio amore si era rivelato troppo debole.
Troppo debole per sopportare gli scossori da parte di Louis.
Ero un debole, e non potevo mentire a Nick, non se lo meritava.
“Io..Non sono un tipo fatto per le relazione a distanza..” dissi sommesso. Mi vergognavo, sapevo di aver tradito la persona che più ammiravo, il mio tutto.
Per un attimo rimase muto, non parlò, mi fissò semplicemente con sguardo interdetto quanto consapevole.
Lui non voleva, lui non avrebbe voluto.
Lui sapeva cosa voleva dire amare qualcuno, da star male.
L’unica sua colpa era essersi innamorato di una persona malsana come me.
Bacata, con un attaccamento ossessivo ad una figura assente ormai dalla mia vita, almeno fino a poco tempo fa.
Amore.
Cosa vuol dire Amore? Io non lo sapevo.
E, tristemente, l’unica cosa che mi riporta minimamente alla parole “Amore” erano le carezze di un piccolo Louis, impaurito quanto me, in una delle nostre fughe notturne per correre nella casa nell’albero.
Non ero mai stato un bambino normale.
E adesso di certo non sono un adolescente del tutto apposto.
“Va bene.” Mi disse solo quello.
Abbassò lo sguardo, fissò rapidamente le sue scarpe e la porta.
Capì subito che quello non era più posto per me.
Camminai con la testa china fino ad arrivare alla porta, voltandomi solo un attimo a fissare la sua faccia afflitta.
Il suo sguardo rivolgersi alla nostra foto sulla mensola accanto alla televisione e il suo volto abbassarsi di nuovo.
Sommesso.
Ero una persona pessima, ma non potevo mentire.
Prima di chiudermi dietro la porta lo guardai di sbieco e sussurrai qualcosa che sicuramente arrivò alle sue orecchie.
“Scusa Nick, ti am—“ Non potei finire la frase che me lo vidi al muso.
Lo sguardo fisso su di me, come a volermi sbranare.
E urlò.
“Ti amo? Hai la faccia tosta di dirmi che mi ami? Ti avrei lasciato benissimo andare se tu non mi avessi detto questa stronzata.” Sputò.
“Amore? Tu lo chiami amore questo sentimento? Quello che ti ha portato a scaricarmi dopo poco che sei arrivato a scoprire che tuo fratello è a scuola con te?” continuò.
“Tu sei malato Harry. Sei malato.
E’ tuo fratello, lo sai? Non è un ragazzo come me! Che ti puoi fare e poi lasciare quante volte vuoi!
Lui è del tuo stesso sangue, siete PARENTI!” urlò, sottolineando quella parola finale.
Abbassai la testa.
Lo sapevo, sapevo che mentendogli un'altra volta avrei peggiorato la situazione.
Che sciocco.
“Cosa pensi di fare adesso? Dopo 16 anni ti rendi conto che provi qualcosa per tuo fratello? MA SEI STUPIDO?” disse.
Arretrai velocemente per cercare di chiudere la porta che ci separava. Non volevo sapere.
Non volevo che qualcuno mi dicesse questo.
Non volevo sentirmi dire la verità.
“Pensi di poter andar li e dirgli: “Ehi! A me tu piaci tanto, vuoi metterti con me, fratello mio?”  è una cosa anormale Harold, lo sai.” Si calmò, riprese il fiato e levò la sua mano dalla porta per permettermi di uscire.
La realtà, sbattuta in faccia con così tanta forza fa male.
E io non ero in grado di sopportarla.
“Basta.” Dissi con un velo di fiato.
“Addio Nick.” Conclusi chiudendomi la porta alle spalle e cercando di rinnegare l’accaduto.
Ripetevo alla mia testa che non c’era bisogno di preoccuparsi, che a me non piaceva mio fratello; Ma più le parole di Nick rimbombavano nella mia testa e più concretizzavo che non erano bugie.
Non si era inventato nulla.
A me piaceva mio fratello.
Questo pensiero fu l’unica cosa che balenava nella mia testa, o almeno, fino all’arrivo a casa.
Dove mi avrebbe atteso una madre furibonda e due parenti indesiderati.


Louis Tomlinson

L’aria era pesante in casa Styles, le gemelle erano a casa di amiche, Lottie aveva deciso di far compagnia a mia madre e Fizzie era beatamente sdraiata davanti alla televisione con le cuffie alle orecchie.
Il tavolo era imbandito di cibo acquistato qualche ora prima, preso in qualche ristorante all’ultimo momento.
Harry non c’era.
Harry non era venuto.
E io mi sentito solo, e incapace di domare un possibile litigio.
La mamma di Harry, cioè, mia mamma, era visibilmente scossa, avrebbe sicuramente preferito che fossimo il più possibile distanti da quel tavolo, da quella casa, dalla città, addirittura in un altro universo.
Era una situazione imbarazzante.
Le rughe sul volto di mia madre lasciavano percepire che erano effettivamente passati molti anni e, il seno appena pronunciato di Lottie mi ricordava che io non ero stato presente per assistere alla sua crescita, ne a quella di Fizzie, ne a quella delle, ai tempi neonate, gemelle.
La casa era molto accogliente, anche se non avevo un severo criterio di valutazione, considerando la topaia in cui sono costretto a vivere.
Le pareti erano di un acceso arancione e il ripiano rosso della cucina spiccava esageratamente.
Mi madre era sempre stata un anima artistica, non c’è che dire.
I quadri appesi alle pareti mi strappavano più di un sorriso; Il viso contento di un Harry a 13 anni, delle gemelle probabilmente per la loro prima volta a camminare sulle loro gambe e una Lottie il primo giorno di scuola.
Non mi stupì affatto mentre andavo avanti che non vi era neppure una mia foto. Neppure un ricordo di un tempo che fu. Di un tempo in cui anche io facevo parte di quella stupenda unità familiare, un passato in cui potevo seriamente definirmi parte di qualcosa.
Le riguardai tutte per cinque volte, cercando adesso dannatamente il mio volto, anche in secondo piano, anche cancellato..anche solo..
E i miei occhi si fecero lucidi.
Non feci in tempo a tramutare quella strana sensazione in una vera crisi di pianto poiché mio padre, recitando la figura del buon tutore, mi invitò ad andare a tavola.
Crisi di pianto? Io?
Che sciocchezza.
La cena fu peggio di quanto potessi immaginare.
Mio padre finse di avere un serio lavoro e, cercando di usare la poca serietà rimasta in lui, chiese come stavano le gemelle e come se la passasse Harry.
Mia mamma apparse molto diplomatica.
Alla fine quella cena non aveva senso senza mio fratello e, anche se dovevamo beatamente uscire da li al più presto, quest’ultima intraprese una conversazione niente male con quella sottospecie di essere accanto a me di tavolo e, infine, chiese addirittura come andasse la scuola.
Decisi di non mentire come quel vigliacco e sputare il rospo.
“Sono stato bocciato 2 volte, adesso mi trovo in seconda superiore e spero vivamente di passare, stavolta!” risi, per nascondere la visibile espressione amareggiata di una madre delusa.
“Ah.” Disse solo.
“Ma non preoccuparti!” Aggiunse allora mio padre, “Adesso non c’è più nessun problema, ho già chiarito con i professori e Louis si sta già calmando.” Cercò di dire, dichiarando ancora una volta falsità.
Mia madre non credette a una singola parola uscita dalla sua bocca e continuava semplicemente a scusarsi per il cambio di menù improvviso.
A dir la verità a me non dispiaceva, la carne era buona e se dovevo passare una pessima serata, almeno avrei mangiato qualcosa di decente invece che della roba pronta che mio padre avrebbe “preparato” per me.
Continuai a chiedermi dell’assenza di Harry ma improvvisamente, mi madre, stanca probabilmente della situazione tesa che si era creata, decise di aprirsi con noi.
“Harry doveva comprare il cibo per stasera ma non l’ha fatto. Ha preso i soldi che gli avevo lasciato ed è sicuramente scappato.” Disse.
Harry è scappato e quella donna non se ne preoccupa assolutamente? E’ un ragazzo fragile, emotivo ed è giovane.
In balia delle sue emozioni e..
Mi sentì improvvisamente colto da un senso di colpa incredibile.
Pensavo che avessimo risolto tutto, ma non si cancellano anni di silenzio in così poco tempo.
Le mani mi sudavano e non continuavo a capacitarmi della sua risolutezza nel raccontarcelo.
Harry potrebbe essere chissà dove, da solo.
No.
Dovevo andare a cercarlo, assolutamente.
Mi mossi velocemente verso il mio cappotto e, mentre camminavo verso la porta fui fermato per primo da mio padre, che mi disse, acidamente:
“Oh, ecco che fai il fratellino amorevole! Stento a credere che tu faccia qualcosa di buono per lui visto che non lo vedi e non lo cerchi da ben 7 anni.”
In un diverso momento l’avrei attaccato al muro e se mi fosse andato a genio gli avrei addirittura fatto esalare l’ultimo respiro ma, adesso, vi era qualcosa di più importante.
E fu così che la voce adesso preoccupata di mia madre si fece spazio e attirò l’attenzione di tutti.
“Non lo troverai. E’ andato sicuramente da Nick.” Disse sconsolata.
“Ma allora cosa aspetti? Vallo a riprendere no?!” continuai io, cercando di calmarmi.
Ma è possibile che questa gabbia di matti sembri sempre più senza speranza?
E poi, chi sarebbe questo fantomatico Nick? Cosa vuole da Harry?
“Nick è suo amico, non preoccuparti. E adesso torna a tavola.” Sembrava la mamma di una volta, la mamma severa quanto buona all’occorrenza.
Ma io non ero mai stato un ragazzo che rispettava le regole, mi era sempre piaciuto infrangerle, lo trovavo alquanto divertente, a dirla tutta.
Quindi, dopo aver appurato che mio fratello si era diretto alla nostra città natale corsi subito alla stazione.
 E lo vidi.
Era li, con le spalle malamente ripiegate sul corpo, un braccio disteso lungo il bacino e uno sguardo fisso nel vuoto. L'acqua scendeva vivace su di esso ma quello non sembrava scalfirlo, anzi, delineava ancora meglio la solitudine dipinta nei suoi occhi spenti.
Lo vidi e in quel momento in poi smisi di pensare.
Smisi di penarmi di pensieri sconnessi e di incolparmi di torti passati.
Avevo lui, Harry Styles, mio fratello, che incurante di essere visto da me, stava mostrando erroneamente il suo vero essere. Stava mostrando che in fin dei conti non era così sicuro di se stesso, non aveva affatto la soluzione sotto controllo in quel momento.
E non potei che bearmi di questa vulnerabilità, attendendo vari minuti fissando il suo vero stato d'animo rendendomi conto che potrebbe essere un immagine che potrei non godermi mai più.
Adesso era solo mio fratello, quel fragile ragazzino in balia del suo fratello maggiore irriverente.
Il piccolo Hazza che passava ore a cercare trifogli nel campo vicino a casa, che inseguiva i coniglietti alla fattoria della zia e che piangeva quando nel rincorrerli si feriva i ginocchi già doloranti per la corsa.
E da allora scollegai la mente dal corpo e le sole cose che vedevo erano le mie gambe che si muovevano a falcate  verso di lui, veloci.
Non sapevo la situazione in cui si trovava, il motivo per cui aveva rifiutato il contatto con i suoi capelli qualche ora prima e il perchè della sua fuga verso la nostra città natale.
Non capito chi era andato a trovare, non capivo chi era il presunto amico di Harry, non capivo assolutamente più nulla.
Camminavo senza la minima idea di cosa avrei potuto dirgli, di come mi sarei comportato o come avrei agito.
Arrivai davanti a lui pochi secondi dopo e, fermandomi a due spanne dal suo corpo inerme e zuppo d’acqua cominciai a dubitare della sicurezza e del controllo che avevo sempre vantato di avere.
Avevo sempre ritenuto me stesso come incapace di preoccuparsi realmente di qualcosa, provare tristezza per qualcun'altro oltre me stesso, di poter fare qualcosa di dolce per qualcuno, accortezze, preoccupazioni.
E invece lui, quel ragazzino di 16 anni che ormai avevo disimparato a conoscere, mi aveva portato a dubitare di tutto ciò.
A dubitare del Louis Tomlinson che mi ero prefisso di considerare reale.
Ero a mia volta esposto, agli sbalzi d'umore, alle labbra che tremano, al sudore alle mani, ero fottutamente scoperto.
Vulnerabile.
Rimandai i miei ripensamenti sul mio essere a qualche minuto dopo.
Posai i miei occhi su quelli enormi di mio fratello, quel verde incredibilmente affascinante quanto normale.
Milioni di persone possedevano la stessa sfumatura, la stessa cromatura ma, quelli che lui aveva erano diversi ai miei occhi.
Erano unici, speciali. Erano gli occhi che da piccolo fissavo insistentemente, che continuavo a ammirare e ed erano gli unici che riuscivano a lasciarmi senza fiato.
E poche cose da piccolo ci riuscivano.
Lui si accorse subito della mia presenza, riconobbe le mie vans rosse e nere e, sollevando lo sguardo esterrefatto, si illuminò.
Non capì subito il suo repentino cambio di umore, il motivo del quale fu come se riprendesse a vivere fissandomi a sua volta.
Non lo capì ma non potei non sorridere.
Sorrisi per secondi interi, la mia mascella doleva ma non la smetteva di piegarsi e mostrare i miei canini appuntiti.
E lui fece lo stesso. Mi offri la visione delle sue fossette delinearsi agli angoli della sua bocca, quei denti perfetti scavare fra le sue labbra e splendere in tutta la sua bellezza.
Sperai che non la smettesse più.
E quando lo fece implorai silenziosamente di ripetersi, così da poter immortalare per sempre il suo volto per non dimenticarlo.
Decisi che era il momento di iniziare a dire qualcosa.
Pensai istintivamente di chiedergli il motivo, il perchè si trovasse li,il perchè non fosse venuto alla cena e il fottuto motivo per il quale era da probabilmente un tempo infinito a fissare il vuoto sotto un acquazzone.
Ma mi sembro come spezzare l'armonia che si era creata.
Rimase a fissarmi, come un bambino al ritorno della madre da una giornata di lavoro, da una torta di cioccolato appena sfornata e addirittura come se stesse guardando la cosa più affascinante ed eteria che possa esistere.
Quindi dissi semplicemente, preso dalle mie più grandi angosce.
Quasi preoccupato di perderlo di nuovo, qualsiasi parola potesse pronunciare la mia bocca fine.
Così sibilai, cercando di nascondere l'imbarazzo.
"Ehi"
Non fini nemmeno il monosillabo che 2 braccia, già più lunghe delle mie, si poggiarono velocemente sulle mi spalle
E un “Grazie” fievole scivolò dalle mie labbra.
Sentì un sussulto ma non vi feci caso. Non mi spiegai il motivo delle mie parole e nemmeno del suo gesto perché una sensazione di familiarità, come un focolare acceso in una casa di campagna con la nonna che fa la maglia.
Assoluta pace.
Si, quello ero io.
Grazie a Harry Styles vedevo una luce infondo al tunnel, non era nulla ma un qualcosa, almeno assieme a lui.
 
 

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Capitolo 8
*** Engagement. ***


  
"Breve" riassunto dello scorso capitolo:
Harry Styles e Louis Tomlinson sono due ragazzi tutto fuorchè normali. Harry è un indeciso cronico, si aggrappa a chi gli è vicino per vivere e, pur provando in tutti i modi a dare una ragione a tutto quel vuoto che sente dentro di lui più passa il tempo e più si sente inadatto, solo, incompreso. Louis è un ragazzo rabbioso, incazzato con mondo, con il padre drogato e alcolizzato, con la vita che gli ha giocato un brutto scherzo. Il bullo della scuola, quello che tutto ammirano per la bellezza ma disprezzano per lo spinoso carattere da duro. L'unica cosa in comune che questi due esseri così diversi hanno è un semplice, quanto contorto rapporto di familiarità. Sono fratelli. All'età di 9 anni per Hazza e 12 per LouLou sono stati allontanati per il divorzio dei proprio genitori. Si erano giurati di ritrovarsi, di continuare a vivere la loro maniacale voglia di completarsi a vicenda, il loro vivere in simbiosi. Ma questo non è avvenuto. Il più grande ha evitato di scrivere messaggi, di presentarsi alla porta del più piccolo, suscitando in quest'ultimo odio represso verso di lui. Cercando conforto e appoggio, cercando la sua figura, in qualsiasi ragazzo che in qualche modo potesse somigliargli. Arriva un giorno in cui egli deve trasferirsi per colpa del lavoro della madre. Li il mondo del povero Harry si capolverà ancora una volta perchè nella sua stessa scuola il fratello Louis è il capo. Harry non reagisce bene a tutto questo ma viene coinvolto senza volere in una "combutta" contro di lui da parte del maggiore. Finisce per entrare a far parte dei "Funny Night" il gruppo rock del fratello, come voce solista, Decicendo di provare una convivenza forzata. Tutto questo si travolge quando Harry trova le lettere del fratello nascoste in scatoloni dimenticati e ritrovati durante il trasloco.. Avviene un incontro fra i due sul tetto della scuola, Harry capisce che non può esistere senza Louis e si abbracciano. Ma quest'ultimo suscita in Harry qualcosa che va oltre il semplice affetto. Quando sua madre annuncia la cena imminente con il fratello e il padre spregevole che li ha abbandonati non ci vede più e corre dal proprio ragazzo che, scoprirà non desiderare più come una volta e quindi arriverà a lasciarlo. La cena in casa Styles è ovviamente molto impacciata e quando Louis scopre che Harry è fuggito per andare alla ricerta di un certo "amico" Nick, lo va a cercare trovandolo fermo alla stazione. Il capitolo finisce con Louis che viene abbracciato da suo fratello.
 
Buona lettura, 
Capitolo 8: Ingaggio



Louis Tomlinson


I raggi solari filtravano molesti dalla piccola finestrella posta sul soffitto della nostra aula personale, insonorizzata malamente da Zayn, qualche mese prima.
Come luogo era davvero accogliente, devo ammetterlo.
E’ divisa in 3 stanze, relativamente piccole.
Entrando da sinistra si può notare, voltando la testa in quella direzione, un divano malconcio di pelle nera e una poltrona rosso fuoco, fra di questi un tavolino di legno ricoperto di scritte, canzoni, dediche, lasciate dai nostri amici o da noi stessi durante le feste passate a bere.
Al centro della prima stanza, quella più grande, vi sono i nostri strumenti ordinatamente. Nella posizione che dovranno assumere anche in live, io a sinistra, con la mia chitarra nera, al centro il nostro nuovo acquisto, Harry, con un microfono. Un normalissimo microfono attaccato ad un asta!
Sulla destra troviamo invece, leggermente arretrato, la chitarra acustica del signorino Horan, quell’ochetta che non fa altro che suonare, suonare e risuonare spartiti di canzoni senza testo, inventate da lui.
Dietro di me, posizionato esternamente c’è l’ombroso e riservato signor Malik e la sua vistosissima chitarra gialla limone. Che gusti di merda.
Dietro Harry, perfettamente al centro vi è il mio migliore amico, il bravissimo mago delle percussioni, Mister Payne. La sua batteria sovrasta tutti gli altri strumenti e rende problematico passare oltre per poter entrare nell’altra stanza, posta dietro la sua schiena.
Nella stanza successiva, di dimensioni ridotte, vi è uno spazio, costruito con i resti degli elettrodomestici e dei mobili d’arredamento che la famiglia di Liam reputava superflui in casa sua.
Un tavolo in vetro e un divano letto dove io spesso passavo le mie notti, fin quando non venni scoperto dalle guardie notturne della scuola.
Sul bagno è inutile che vi spenda delle parole, è un normalissimo, sporco, bagno.
E come tocco di classe abbiamo tutte e 8 le pareti delle due stanze piene dei graffiti di Zayn, che non aveva nient’altro da fare che imbrattare tutto.
Ammetto siano belli però, soprattutto con sopra alcuni poster di band o musicisti che mio fratello ci ha donato, dicendo che in camera sua non li avrebbe mai attaccati.
Nell’aula, donataci generosamente dal padre di Liam, preside della scuola, regnava in questo momento il silenzio.
Se non fosse per quei pochi pezzi che stavo strimpellando, ripassandoli più mentalmente che in pratica, grazie alla mia chitarra sulle gambe, seduto sulla mia poltrona rossa.
Alla mia destra, nell’altro divano vi erano i vecchi membri della band che cercavano di creare una scaletta, casomai un giorno, un pazzo, decidesse di ingaggiarci.
Harry invece era distante da noi, mentre canticchiava alcune canzoni che io volevo assolutamente fossero incluse nella lista.
Stava cucinando qualcosa,probabilmente, perché l’odore di omelette era l’unica cosa che attirava la mia attenzione in quella pace creatasi.
Sentivo, ovattata, la voce di Liam che cercava di rincuorare il secondo membro più recente della band, Niall, che a quanto pare aveva davvero paura di non riuscire a farsi apprezzare in un futuro concerto.
Io invece non ero della sua stessa opinione, francamente non ho mai ricevuto commenti negativi, per quelle poche volte che avevamo suonato ad alcune feste della scuola, tutti erano stati abbastanza soddisfatti della nostra performance.
Moltissime ragazze urlarono addirittura il mio nome quando, durante il ballo della scuola, ci esibimmo in alcune canzoni di repertorio.
Proprio in quel frangente conobbe Hanna, fra tutte le ragazze che mi sbavavano dietro, era la più decente.
In quella scuola io ero qualcosa di intoccabile. Tutti, compresi i professori, sapevano che non ero un ragazzo facile, da prendere alla leggera, con cui poter serenamente parlare a cuore aperto.
Non davo assolutamente nessuna confidenza a anima viva.
Ma assurdamente ne davano a me, in maniera impacciata, intimorita dal mio carattere ombroso e pericoloso, molti ragazzi e ragazze.
Ero, sfortunatamente, un ragazzo popolare.
Temuto e rispettato.
Ma io quando arrivai in questo posto schifoso mai avrei voluto tutto questo.
Avrei semplicemente voluto marcire in un angolo, senza essere notato, senza destare nessuna occhiata storta e senza assolutamente divenire amico di nessuno.
Sono un anima solitaria, non ho bisogno di amici.
E invece la sorte ha voluto che io ne avessi anche troppi.
Come ha potuto Liam non capire che io non volevo avere nulla a che fare con lui? Dio, mi ha reso la vita davvero insopportabile all’inizio.
Non faceva altro che parlare, parlare, parlare e parlare, mentre io volevo solo prendere una mazza chiodata e fargli del male. Del male fisico, oltre quello psicologico che gli arrecavo ogni giorno.
Penso che questo non sia avvenuto solamente perché sennò avrei riscosso ulteriori attenzioni, anche se negative.
Volevo essere un ombra, un qualcosa di mellifluo che come è apparso il primo anno se ne sarebbe andato il terzo, o forse il quarto, visto la mia scarsa rendita.
Queste attenzioni, sempre crescenti, mi hanno reso se possibile ancora più rabbioso.
E, quando tutto questo chiamare il mio nome, costantemente, senza sosta, era diventato troppo, ho agito.
Ho picchiato l’ennesimo ragazzo che cercava le mie attenzioni, portandolo all’ospedale con un braccio rotto.
Ma tutto questo non bastò per levarmi dai piedi le cattive persone che, ammirando assurdamente il tuo gesto, cominciarono a girarmi intorno.
Era un circolo vizioso.
Non facevi nulla, attiravi attenzioni, picchiavi qualcuno, ne ricevevi altre.
Ero spacciato e quindi smisi di andare a scuola.
Non frequentai le lezioni, dopo che una sonora sospensione, che Liam non riuscì ad evitarmi, mi tenne a casa per una settimana.
E il danno era fatto, avevo perso l’anno.
E ogni volta, dal giorno in cui fu annunciato il responso del mio secondo anno in quella assurda scuola, che mi fissavo allo specchio e mi odiavo sempre di più.
Avevo deciso di smetterla, di andare finalmente a lavorare, che ne so, in miniera.
Finché finalmente una frana non mi avrebbe portato definitivamente via la vita, che era attaccata al mio corpo con due miseri punti di spillatrice.
Avrei voluto seriamente farla finita in quella maledetta miniera se mio padre non avesse di nuovo stravolto la mia “vita”.
Mi riscrisse senza dirmelo alla scuola e, minacciandomi di buttarmi fuori di casa, io inesorabilmente accettai.
Decisi di porre fine a tutto, decisi di farmi trascinare dal vento finché non fossi finito contro una montagna e li ci fossi rimasto.
Quella montagna fu la band di Zayn Malik, uno di quei cretini che non facevano altro che importunare ragazzi troppo stupidi da ribellarsi.
Liam, stupidamente innamorato della sua batteria e notando l’opportunità paratasi davanti, decise di entrarvi e io, fui trasportando senza nemmeno accorgermi.
Quel ragazzo era sempre stato il vento ma, la montagna che vidi davanti ai miei occhi, si rivelò davvero qualcosa di inaspettato.
Qualcosa di quasi gradevole.

“Louis!” urlò allora il mio vento.

Risposi frustrato, visibilmente preso alla sprovvista.

“Che c’è?”

Mi porse un foglio stropicciato con sopra ben 12 tracce, delle quali solo 4 decise da me.
Scorsi velocemente tutte le canzoni, non male, che avevano deciso i miei compagni, fino ad arrivare all’ultima, la numero 12.
Era scritta in maniera diversa, la scrittura era insicura ma più ordinata delle precedenti.
Trasalì.
Non ci vidi più.
Afferrai velocemente il colletto della camicia di Liam e cercai di sollevarlo con fatica.
Nella nostra band non si suona musica pop.
Non possono rovinarmi anche questo.

“Firework, seriamente?” sputai.

Il ragazzo dalla pettinatura a marine mi strattonò e si liberò senza lamentarsi, era abituato ai miei scatti da malato di mente.

“Ti sembro Katy Perry per caso?!”

Niall mi portò una mano all’altezza del gomito per cercare di calmarmi.

“Levami le mani di dosso biondino. Io questa non la suono.”

Zayn improvvisamente si voltò nella direzione dell’altra stanza e sorrise, beffardo.
Evitai di capire il motivo del suo stupido comportamento, vi passai sopra.

“Sostituitela, mi fa schifo.”  Sentenziai.

Mi rimisi a sedere sulla mia poltrona, presi un pennarello indelebile che trovai sopra il tavolino e cancellai l’ultima traccia lanciando tutto quello che tenevo in mano sulla poltrona dove erano seduti gli altri.
Non feci in tempo a riprendere in mano la mia chitarra, staccata dall’amplificatore per evitare di fare rumore, quando una mano, grande e calda, mi toccò la spalla.
La scostai seccato e dissi:

“No.”

Mi voltai per guardare a chi appartenesse e sbiancai.

“Cosa sei diventato Lou?” Le sue parole mi trafissero come spade in pieno petto.

Cosa sei diventato Lou?
Uno schifo Harry, ecco cosa sono diventato.
Provai a dire qualcosa, anche se la mia bocca era spalancata e non ne voleva sapere di produrre un suono.
Mi anticipò quindi mio fratello e parlò, ancora una volta.

“Volevo inserirla io, avevo un idea per un adattamento, visto che sapevamo che a te così fa schifo”

E tornò, come era arrivato a versare un altro po’ di preparato per le omelette nella padella, voltandomi le spalle.
Cosa sono diventato Harry? Sono diventato qualcosa che non merita il tuo conforto, la tua gentilezza.
Non sono niente.

“Ho bisogno di un caffè” ammisi e, senza guardare negli occhi nessuno, uscì dalla stanza.

Stavo per voltare l’angolo quando, prevedibilmente, Liam mi seguì e mi raggiunse.
Stetti in silenzio finché il mio caffè non fu pronto e il suono, lieve, della macchinetta non sentenziò il mio sospetto.
Bevvi il contenuto tutto insieme e aspettai che quel rompipalle che mi trovavo davanti cominciasse con le sue domande.
Non dovetti attendere molto, il tempo di dare pochi scorsi al mio caffè bollente che, Payne cominciò a domandarmi la storia della mia vita.

“Chi è Harry?” chiese.

Classico, me l’aspettavo. Chissà da quanto aspettava il momento per dirmelo, sicuramente sospettava qualcosa. E’ sempre stato il più acuto fra i tre.

“Un amico.” Risposi. Non avevo certamente voglia in quel momento di raccontargli letteralmente la storia della mia vita.

Sapeva di mio padre, del divorzio, della situazione in cui mi trovavo, ma solo perché dovetti dirglielo per poter usufruire del letto nella sala prove.
Lui non credette alle mie parole, stranamente, per qualche assurdo motivo, sapeva capirmi e quindi intuire quando la mia bocca sparava cazzate.
Rendendosi conto che era una di quelle volte chiese ancora.

“Tomlinson, non credere che possa abboccare. Da quando lo conosci?” Pareva un vero e proprio interrogatorio e non potei che ridere al pensiero che altri problemi, dopo la mia confessione, sarebbero suscitati dalla discussione.

“Dai Li, è mio fratello.”

Mi misi in una posizione tale da poter osservare l’espressione mutare nel volto del mio migliore amico e sorrisi ancora una volta notando la sua fronte aggrottarsi e la sua bocca aprirsi in un assurda espressione sorpresa.
Rimase immobile per circa un minuto anche se non lo cronometrai. Poi ancora una volta spezzò il silenzio, propagando nel corridoio, dapprima silenzioso, la sua voce calma macchiata di curiosità.
Il vecchio Payne impiccione.

“E.. Quanto aspettavi a dirmelo?”

Risposi subito, evitando di far intravedere che quella conversazione riusciva a mettermi seriamente in difficoltà.

“Era importante che tu lo sapessi?”

Non lasciai che facesse altro domande e dissi tutto quello che mi era permesso dire, per adesso.

“Quando i miei hanno rotto Harry è rimasto con mia mamma e io, per una dannato caso del destino sono finito con quello stronzo. Non ci siamo visti per sette anni e non posso dire che la cosa abbia giovato, ecco.
Quindi abbiamo un rapporto un po’ così..così..”

“Di merda?” Cercò di concludere Liam.

“Peggio Li, peggio!” risi io.

Ho scoperto che parlare con persone che non ne sanno nulla rende l’intera storia alquanto divertente e inverosimile.
Alla fine avrei dovuto continuare a mantenere i rapporti con Harry, avrei dovuto se solo mio padre non fosse impazzito e non mi avesse vietato espressamente di mandargli lettere o di andare da lui.
Avrei comunque dovuto far qualcosa per sentirlo. Avevo le mie colpe.

“E comunque, tanto per farti ridere un po’.” Abbassai la testa sorridendo, ancora una volta.

“Ho 4 sorelle e 1 fratello. Lottie, Fizzy, Daisy e Phoebe! Ah, e ovviamente Harry.” continuai spiegando che le ultime due erano gemelle e che avevano tutti dei magnifici occhi azzurri.

Amavo le mie sorelle.

 “Scusami tanto Lou, ma Harry ha un altro cognome.” Spiegai anche l’arcana questione del motivo per la quale Harry decise di cambiare cognome e la conversazione finì li, o almeno credetti.

Prima di andarsene e lasciarmi ai miei pensieri si voltò verso di me, sorridendo vedendomi buttare il caffè ormai freddo nel cestino.

“Comunque non vi somigliate affatto!”

“Avrà preso da nostro nonno!” Sentenziai e lui sparì dietro una colonna.
 


Harry Styles


Incredibile come in questa settimana non passa giorno in cui non rincorro mio fratello o vengo rincorso da lui per questa scuola.
Ogni volta che credo che qualcosa possa andare meglio, che seriamente mio fratello possa recuperare il lume della ragione, tornare quello che era, finisco deluso e amareggiato.
Tutta quella rabbia, quella cattiveria non c’erano nell’abbraccio dell’altra sera. In quel momento sentivo di essere tornato quello che ero.
Per la seconda volta credevo di aver ritrovato mio fratello. Senza due anni di boccatura alle spalle, tatuaggi che ricoprivano un intero avambraccio e rabbia repressa pronta ad esplodere.
Più mi stupisco dei suoi cambi d’umore repentini e più mi rendo conto che non riesco comunque a detestarlo.
Come posso dopo che per anni ho odiato tutto quello che lo riguardava? Odiavo la nostra canzone, i calzini che lasciava sempre all’angolo del letto poiché detestava indossarli o addirittura il suo soffiare nei miei capelli nelle notti in cui dormivamo insieme.
Avevo sempre detestato tutto quello che ricordavo di lui.
E allora perché, anche se visibilmente cambiato, io riesco ancora a vedere in lui il fratello che era un tempo?
Non mi bastano i suoi precedenti, le sue risse, i suoi tatuaggi, la sua rabbia a farmi ricordare che adesso tutto fosse cambiato?
Sto seriamente, ancora una volta, correndo da lui detestando il vuoto che sento quando non è vicino a me?
Sono maledettamente malato, e inesorabilmente infatuato della peggiore persona possa esistere. O almeno, la peggiore persona per me.
Dovrei finire in carcere, si.
In un carcere minorile a scontare la pena di aver solo pensato a come poteva essere baciare le labbra sottili di mio fratello, di quando perfetti siano i suoi lineamenti o i suoi brillanti occhi azzurri.
Lasciai i ragazzi quando vidi Liam rientrare, aveva una strana espressione nel volto, come se qualcosa non gli tornasse.
Decisi di non farmi tante domande e di andarmene alla macchinetta del caffè per risolvere quell’incomprensione.
Lo vidi appoggiato alla macchinetta, con lo sguardo rivolto verso l’alto e le mani in tasca.
Chiesi mentalmente di essere arrestata all’istante perché ancora una volta, alla vista del suo sguardo perso, il mio cuore non restò indifferente.
Ancora una volta non potei non soffermarmi sui suoi capelli marroni pettinati in maniera disordinata che gli ricadevano in piccoli ciuffetti sugli occhi, a vederli sembravano davvero morbidi, avrei davvero voluto annusarli e scoprire che sapore avessero.
Per non parlare del taglio che avevano i suoi occhi, piccoli quanto profondi. Sin da piccolo avevo sempre odiato quei maledetti fanali azzurrissimi, avrei tanto voluto averli anche io. Nella famiglia ero io l’unico a non possederli.
La bocca era leggermente socchiusa e mi riportava a ormai appurate fantasie ed insieme alla sua mascella sottile delimitavano quel volto così particolare, attraente.
Mio fratello è attraente, troppo attraente. Vi prego, passatemi le manette.
Quando notò che lo stavo fissando per un attimo sobbalzò ma subito dopo mi regalò uno dei suoi sorrisi.
Ero stato beato del suo sorriso poche volte quella settimana e di certo non avevo dimenticato quello che mi regalò sotto la pioggia due giorni fa.
Allungò gli angoli della bocca e riducendo gli occhi a due deliziose fessure, mostro i suoi piccoli denti.
Stavo per tirare fuori dalla tasta il cellulare per potergli scattare una foto ma, mi sorprese poiché si avvicinò velocemente a me, con lo sguardo rivolto verso il basso come a sapere dell’errore commesso.

“Faremo Fireworks, faremo Last Friday Night, faremo addirittura Hot N’ Cold se ti va. Guarda facciamo così, faremo tutta la discografia di Katy Perry se questo ti rende felice ma per piacere, non pensare a me come ad una persona disgustosa.”

Non potei non mettermi a ridere istericamente poiché mai mi sarei aspettato un uscita del genere, non potevo chiedere di meglio.
Le mie guance si colorarono di un rosa vivace e sperai veramente che non le avesse notate.

“Non preoccuparti Louis, ti perdono. Non riesco ad avercela con te, ti ho detestato per troppo tempo, sono stanco.” Dissi appena mi ripresi dalla mia risata esagerata.

“Invece dovresti. Forse davvero dovresti starmi lontano. Sono stato bocciato due volte Harry. Mio padre è un maledettissimo alcolizzato ed io sto inesorabilmente seguendo le sue orme. Non capisco come tu possa ogni volta perdonare il mio comportamento.”

Come potevo effettivamente perdonarlo?
Lo fissai in volto e lo capì.
Come potevano quegli occhi aver guardato male qualcosa, come poteva quella bocca aver sparato ingiurie verso qualcuno e come potevano quelle piccole mani aver inferto dolore fisico?
Nel suo sguardo, diretto verso di me, potevo notare soltanto tanta infinita tristezza.
Era intrappolato in un tornado che lo portava a commettere cazzate una dietro l’altra e lui aveva seriamente poco a cui aggrapparsi per potersene tirare fuori.
Aveva solo bisogno di una figura d’appoggio e Dio, sarei stato estremamente grado a tutti i santi in paradiso se avesse scelto me per aiutarlo.
Perché lui non meritava quella vita, lui era destinato a risorgere dalle sue ceneri.
Lui valeva di più.

“Io sono qui Lou, adesso basta. Basta fare cazzate.”

Lo dissi sperando potesse servirgli come appiglio in quel momento.
Io in un modo a me oscuro l’avevo portato a questo.
Il silenzio fra di noi ci ha logorato, entrambi.
Se io grazie alla mia famiglia e ai miei amici avevo saputo riprendermi e andare avanti, Lou era rimasto vittima della tristezza e della solitudine e senza un immagine genitoriale decente non poteva finire diversamente.
In quel momento avrei semplicemente voluto dare un enorme pugno al padre che mi ha messo al mondo e ogni giorno di più sto maledicendo di essere nato grazie ad un essere così ignobile.
Lui si avvicinò pericolosamente a me, facendomi sussultare e con assoluta calma, per paura di far qualcosa di sbagliato, mi spinse a se.
Sentì il tutto così sbagliato ma così maledettamente giusto per me.
Alla fine avevamo passato sette anni separati e forse il nostro rapporto era malsano sin da bambini, forse potevamo davvero avere un futuro.
Forse anche io piacevo a lui.
Che sciocchezza.
Non mi abbracciò, aspettò che fossi io a farlo e quando le nostri fronti si incontrarono sentì che le mie mani non la smettevano di sudare, ero avvinghiato senza mezze misure al golf di mio fratello e non ne volevo sapere di lasciare la presa.
Era incredibile la vicinanza alla sua bocca, sentì il suo fiato sulla mia e, notando un leggero odore di nicotina e menta chiusi automaticamente gli occhi per bearmene al meglio.
Se solo avessi allungato la mia bocca alla sua, di soli pochi centimetri avrei potuto dire di aver baciato mio fratello.
E in quel momento di confusione, quando la sua bocca, sempre davanti alla mia, iniziò a intonare la canzone che ormai era colonna sonora della nostra vita, non ci vidi più.
Stavo seriamente per scontrare le mie labbra con le sue e li realizzai che l’avevo sempre voluto fare.
All’età di dodici anni nella notte, fingendo di dormire, avvicinavo la mia bocca alla sua, fingendo di essere assorto in un sonno profondo e la lasciavo lievemente scontrare con quella sottile di mio fratello.
Che bambino malato.
La mia testa aveva iniziato a muoversi ad una lentezza quasi snervante verso di lui ma, una voce che ormai riconoscevo alla perfezione ci riportò alla realtà.
Per fortuna Niall non aveva fatto caso a nulla poiché eravamo nascosti dalla macchinetta.
Ringraziai mentalmente mille mila volte la scelta del luogo e, dopo essermi toccato nervosamente il ciuffo di capelli ribelli che mi ricadeva sugli occhi, urlai in risposta.

“Cosa c’è Niall?”

Louis si scostò notevolmente da me, di quasi un metro e si sistemò il golf sui fianchi rivolgendo le sue attenzioni all’amico, dimenticandosi della mia presenza.

“La tua ragazza ti ha chiamato Tomlinson! Abbiamo un ingaggio! Quella cameriera da quattro soldi ci ha rimediato una serata al Paprika, sabato! Cazzo, non ci
credo!”                                                                                                                                                                                  
 



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Spazio autrice: Adoro questo spazio perchè qui posso parlare direttamente con voi! Con tutte le generosissime e stupendissime persone che hanno messo la mia fanfic fra le seguite, fra le ricordate e a chi lascia sempre una recensione xD (Anche se ammetto che ne ricevo poche!)
Vabbeh, mi basta vedere le innumerevoli visualizzazioni per sollevarmi d'animo!
Questa storia sta piano piano prendendo campo e sono contentissima di poter piano piano sciogliere i misteri che ancora aleggiano nelle vostre menti, con calma, uno ad uno!
Come potete notare per adesso il signor Tomlinson fa ancora il gradasso, lui vuole il suo bel gruppo rock, con la sua musica da duro e il piccolo Harry interferisce.
Lui si incazza e non poco poichè si intuisce che lui, fra tutte le cose orribili che ha attraversato e in sui vive, quella è l'unica cosa che lo mantiene a galla.
Il signorino Payne è un impiccione assurdo e fa bene! Alla fine Lou è il suo migliore amico, DEVE SAPERE!
Harry rimane ancora una volta deluso ma non per molto stavolta! Come può essere arrabbiato con il ragazzo per cui ha una cotta?
Il nostro ricciolino ormai non si preoccupa molto del fatto che Louis sia un maschio, sa di essere gay, ma ha ancora alcuni (Molti) problemi con il fatto fratellanza, BEH, E STI CAZZI NDO LI METTI?
INFINE, rullo di tambuuuuuuuri, si scopre che anche LouisTomlison chiamato comunemente sassymestruata ha una ragazza!
BELLA MERDA DIRETE VOI! E sarete d'accordo con me sul fatto che questo capitolo finisce davvero male! Il bacio mancato Larry! Non ve l'aspettavate, vero?
Basta, sono noiosa.
Spero che questo capitolo vi piaccia, lo spero con tutto il cuore! Cercherò di aggiornare anche il 9 prima del rientro (torno a scuola il 7) così da lasciarvi con 2 capitoli belli Larriosi!
Vabbeh, recensite, recensite e recensite ma soprattutto leggete, leggete e leggete <3
Mi rendete seriamente un po' meno timorosa nelle mie "doti da scrittrice", grazie.
Ah! Sicuramente non ve ne fregherà di meno ma vi lascio qui di seguito anche il nome che ho su facebook e su twitter, casomai voleste cercarmi <3


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Ok, basta spam! ALLA PROSSIMA!

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Capitolo 9
*** Dried leaves. ***


  
(Non so quanto possa essere utile il riassunto visto che ho aggiornate abbastanza velocemente, quindi non ci sarà in questo capitolo..)
 

Buona lettura, 
Capitolo 9: Foglie secche


Harry Styles
 

“Harry”.

Mia mamma era fissa davanti a me, i suoi stanchi occhi verdi sui miei. Mi fissavano severi, intransigenti, impassibili, pronti ad estrapolare dalle mie iridi una qualsiasi motivazione. Una spiegazione per la mia inspiegabile trasgressione.
Non avevo mai dato particolari segni di ribellione, alla fine non ne avevo mai avuto il motivo.
Quando mio fratello se ne andò ero troppo piccolo per ribellarmi e quando crebbi fui troppo occupato ad odiarlo.
Proprio per questo, scappare con i suoi soldi, chissà dove, senza dare spiegazioni, non riusciva a spiegarselo.
Mi immagino come per più di un giorno, praticamente due, riducendo i miei rapporti con lei al minimo, ero riuscito a scamparle.
Ero riuscito a far passare il tutto come qualcosa di cui non volevo dare e non avrei mai dato una spiegazione.
Ma mia mamma ha il gene Styles, è capricciosa, vuole sapere e non si ferma davanti a una porta chiusa.
E in quei giorni di porte chiuse ne aveva trovate!
Quindi non mi stupii più di tanto quando, appena sveglio quel sabato mattina, me la sono ritrovata a urlarmi di scendere a parlare.
Le mie sorelle erano tutti in salotto, anche se Lottie e credo anche Felicitè abbiano capito che c’è qualcosa che non va.
Alla fine sono ragazze abbastanza grandi per intendere e per volere, alcune volte anche troppo, a dir la verità.

“Sai che vorrei parlarti di quella questione. So che tu non vuoi ma io si.”

Classica ripicca materna.

“Mamma, lasciami in pace.” E cercai di congedarmi mantenendo intatta la mia promessa: Non ne avrei mai parlato con lei.

Non avrebbe capito, mi avrebbe urlato in faccia che ero troppo rancoroso, che dovevo smettere di prendermela con mio fratello, che non aveva nessuna colpa.
La cosa di certo non mi avrebbe dato fastidio visto che ormai l’odio per Louis è lontano anni luce da me.
Ma come gli avrei spiegato tutto il resto? Come avrei potuto introdurgli la faccenda di Nick, la mia amicizia malata con Louis, il mio essere entrato a far parte di una di quelle band che tanto odia?
No, assolutamente non doveva sapere.

 “Harry, so che il tuo rapporto con Lou- tuo fratello” Buffo, credeva in una mia reazione al suo nome, che paranoica. “è, come posso dire, complicato. Non ti stai ambientando nella nuova scuola e in casa ho ritrovato
tutti i tuoi vestiti rovesciati in un angolo dell’armadio. Cosa stai combinando amore?”

E non gliene avrei parlato, se non fosse stato per quella frase:

“Forse dovresti andare da uno psicologo, uno bravo, che riesca a capirti.”

Sarà che ultimamente salto in aria con poco ma, come cazzo puoi solo pensare che io voglia parlare con uno psicologo?
Dover riferire tutto quello che penso, cosa che nemmeno io stesso non riesco bene a comprendere, ad un estraneo.
Se poi lo riferisse a mia madre senza dirmelo? No.
Niente dannati psicologi, niente riappacificazioni stupide e niente buonismo e commiserazione per un povero ragazzo disagiato.
Mi chiedo come mia madre voglia ritornare in contatto con mio padre.
Risi.
Padre un corno.
Non ho mai chiesto le tematiche e le motivazioni per il quale abbiano divorziato anni fa ma, seriamente, adesso riesco a comprenderlo.
Forse dovrei chiederglielo, forse dovrei seriamente provare a capire un po’ del mio passato. Non ho mai provato a chiedere nulla sul me del passato.
Su come avessero deciso di avere così tanti figli e del perché di tutto quanto.
Tutta questa confusione, fraintendimenti, abbandoni.
Come aveva fatto mio padre a ricevere l’affidamento di solo uno dei miei fratelli, solo lui, nessun’altro?
Ai tempi ricordo lavorasse come poliziotto, forse aveva una posizione abbastanza rilevante da poter ricevere in affidamento uno dei figli.
Ma perché solo uno?
E perché Louis accettò?
Io non riesco seriamente a capire, voglio sapere, ne ho bisogno.
Ho passato una vita a odiare, adesso sono disposto ad ascoltare, e non accetterò silenzi, ne hanno beato anche per troppo tempo della mia situazione, negandomi la verità.

“Mamma, sono scappato, sono andato da Nick, immagino tu lo comprenda che mi mancasse no?
Per quando riguarda la questione di Louis e di mio padre, va tutto bene.”

Presi una decisione sul momento.
I nostri cari familiare Tomlinson ci avrebbero gentilmente degnati della loro presenza per pranzo.
Mia madre non avrebbe avuto obiezioni da fare.

“Facciamo così, che ne dici se li invitiamo a pranzo oggi, offro io.” Tirai fuori dalla mia tasca circa venti sterline e le buttai sul tavolo, sorrisi, sperando funzionasse e l’abbracciai.

A quel punto vidi le lacrime scendere sulle sue guance tonde e capì che avevo fatto centro, c’era cascata in pieno.
Non mi restava che avvertire Louis, invitarlo a casa mia e aspettare che tutto si scatenasse davanti ai miei occhi, sperando di ricevere qualche buona notizia, o almeno qualche amara verità.
 
***


Louis Tomlinson


“Scusa, ho chiesto il tuo numero di telefono a Niall, sono Harry.
Volevo sapere se te e nostro padre voleste venire a pranzo da noi, tanto per potermi scusare con voi di persona per la buca assurda dell’altra sera! xx”

E mi trovavo, rileggendo per la trentesima volta quel messaggio, davanti al portone di casa sua, aspettando il coraggio per suonare quel campanello, e rincontrare di nuovo quegli enormi occhi smeraldo.
Alla fine non passarono molti minuti, forse tre per l’esattezza.
Avevo suonato e ad aprirmi, per mia profonda sfortuna, avevo trovato mia madre con il suo solito falso sorriso ad attendermi.

“Oh Louis caro, entra!”  mi dice, mantenendo quel suo sorriso a trentadue denti.

“Ma, tuo padre dov’è? Non è venuto?” Il fatto strano in quella domanda era che non avesse nessun velo di preoccupazione, nessun rammarico per avere un invitato in meno nel suo, sicuramente improvvisato pranzo.

Alla fine era ovvio che non corresse buon sangue fra lei e mio padre, i divorzi di certo non avvengono per motivi futili.
Un attimo. Per quale motivo i miei hanno divorziato?
Sorrisi a mia mamma sovrappensiero, troppo occupato a capire il motivo del quale non avessi mai chiesto spiegazione a mio padre, alla fine era mio dovere saperlo.
Ma infondo al mio cuore sapevo per certo che non era colpa di mia madre, alla fine mio padre è sempre stato un grande testa di cazzo.
Ma allora perché mia madre mi ha lasciato andare con lui?

“Ehi Louis, ben arrivato!” eccolo. E i miei assurdi pensieri si annullarono alla vista di quei riccioli indomabili davanti a me, una mano tesa a stringere la mia e due fossette adorabili a denotare la felicità nel vedervi.

Harry era davvero diventato un bel ragazzo, niente da dire.
Indossava una maglia larga bianca, una collana con uno strano aereo planino di carta a pendergli sullo sterno e dei Jeans stretti neri.

“Ciao, scusa il ritardo! Non trovavo le chiavi della macchina!” dissi per discolparmi del mio solito maledettissimo ritardo.

Non riuscivo mai ad arrivare in tempo agli appuntamenti, nemmeno a quelli importanti, come in questa occasione.

“Non preoccuparti, ti abbiamo aspettato!” L’imbarazzo che il riccio celava con astuzia era davvero adorabile.

Cercava di essere sicuro di se, sorridendo mostrando i suoi denti bianchi ma sotto sotto si vedeva che non era del tutto a suo agio.
Come poterlo essere infondo?  E’ strano anche per me.
Lo vidi inciampare nel mobiletto bianco della cucina, come se ancora non si fosse abituato alla sua presenza in quel determinato posto e, prima di avvertire le bambine che il pranzo era pronto, si rivolse ancora una volta a me.
“Ah! Se hai da poggiare la felpa mettila pure in camera mia, è al piano di sopra, la pri—seconda porta a sinistra.”

Sorrisi con garbo e mi mossi veloce verso la sua camera.
Entrai velocemente e misi la mia felpa sul suo letto. Nel farlo non potei notare che le pareti erano esageratamente spoglie, l’armadio era aperto e miriadi di camicie, felpe e magliette penzolavano da un angolo, in procinto di cadere da un momento all’altro.
Wow, mi ero sempre immaginato la camera di Harry del tutto diversa. Era un ragazzo così spontaneo e creativo e invece quella camera non raccontava assolutamente nulla di lui e del suo meraviglioso carattere.
Decisi di non farci caso e dar la colpa al recente trasloco, quindi scesi e mi accomodai a tavola.
Fizzy e Lottie stavolta erano a tavola e mi sorridevano imbarazzate.
Erano cresciute davvero tanto, a Lottie si vedono anche le tette.

“Ciao! Io sono Phoebe e lei e Daisy! Siamo gemelle!” sorrisi amareggiato dal vedere che le due bambine, sedute alla mia sinistra non sapessero nemmeno della mia esistenza.

Ero andato a stare con mio padre quando loro erano davvero molto piccole ma non credevo che mia madre avesse deciso di eliminarmi categoricamente dalla loro vita.
Pensai che era arrivato il momento di far chiarezza, quindi domandai delle mie perplessità a mia madre.
Non prima di essermi presentato, ovviamente.

“Ma, non sapete chi sono io? Mamma non ve l’ha detto?” Dissi rivolgendomi un po’ perplesso verso di lei.

“Ehm, ecco, diciamo che non ho—“ Era davvero imbarazzante, non sapeva cosa rispondere e balbettava risposte a caso mentre le bambine, confuse, continuavano a fare domande e a denotare che somigliassi molto di più a loro che lo stesso Harry.

 “Scusa Louis, è solo che non ho mai voluto che se ne parlasse in casa, ero abbastanza scioccato da me.”

Rispose Harry che sedeva alla mia destra mentre, con una mano timida si sistemava il ciuffo di capelli caduto sul suo campo visivo.

“O-oh, non c’è problema!” dissi io, mentendo.

Era ovvio che la cosa mi preoccupasse, erano mie sorelle e mi ricordo la mia felicità quando mia mamma le aveva partorite.
Erano delle bambine tenerissime e di nascosto, quando mamma non vedeva, le prendevo in braccio e le facevo volare in aria mentre facevano dei buffi versetti. Che nostalgia di casa.
Il ragazzo alla mia destra mi passò un po’ di carne e la conversazione finì li.
Fui molto onorato di poter sentire che Lottie era molto a suo agio nel parlarmi o nel raccontarmi della scuola; mentre invece Fizzy era un po’ più restia, vista la timidezza.
Il pranzo era andato molto meglio del previsto ed era stato migliore della scorsa cena.
Forse perché Harry era li e riusciva inspiegabilmente a calmarmi, non so.
Mia madre disse che avrebbe sparecchiato e lavato i piatti da sola e quindi chiese ad Harry di accompagnarmi in camera sua nel frattempo.
Vidi nel viso del riccio una strana espressione, come scocciata, come se non volesse portarmici, come se non volesse che io visitassi quel luogo.
Salì comunque lentamente le scale e, abbassando la testa, mi disse di entrare.
Ci furono interminabili minuti di silenzio, Harry non faceva altro che girarsi intorno e fissare l’orologio, in cerca di qualcosa, o di qualcuno.

“Mio padre non verrà, non so dove sia.” Ammisi io, capendo chi cercasse.

“Ho bisogno di parlarci Lou! Ne ho bisogno!”

I suoi occhi si abbuiarono e la luce che avevano sempre emanato si spense alla mia risposta.

“Cosa hai da dire a quel cretino! Chiedi a me, forse posso aiutarti!”

Non capivo cosa aveva in mente, non riuscivo a comprendere del tutto i comportamenti di mio fratello come facevo una volta, alla fine erano passati moltissimi anni e di certo non era rimasto il semplice ragazzino che come maggior problema aveva il volere ad ogni pasto il budino al cioccolato che nostra mamma gli impediva categoricamente di mangiare.
Non ero mai stato bravo a capire cosa la gente pensasse o volesse, chiedevo e mi veniva dato, semplicemente, senza tanti problemi.
Ma invece Harry era un qualcosa di più complicato, qualcosa di arcano, di misterioso che io volevo a tutti i costi scoprire.
Volevo scoprirne ogni sfaccettatura del carattere, ogni posizione che assumono i suoi occhi quando inarca le labbra, quanto, in una scala da uno a cento, fossero perfetti i suoi lineamenti e quanto potesse essere dolce la sua voce.

“Non qui.”

Mi stupì come sempre riusciva a fare e, afferrando sia me che la mia felpa rossa, mi spinse fuori da quella camera, sbattendo sonoramente la porta e, con poche parole annunciò alla madre che noi stavamo uscendo.
 

Harry Styles


Svoltammo l’angolo. Le sue mani erano strette a pugno mentre le mie carpivano il suo polso.
Avevo appena agito d’impulso, senza pensare alle conseguenze, senza preoccuparmi di cosa volesse fare mio fratello e perché fissasse di continuo i miei occhi.
Ricordai quando Nick mi guardava il naso e poi saliva fino ad incontrare le mie iridi con le sue e solo in quel momento diceva una delle cose che penso ricorderò per sempre: “Hai degli occhi bellissimi”.
Pare sciocco da ricordare, mentre si strattona un ragazzo altrettanto bello per un braccio, ma il solo sapere che qualcuno mi reputasse davvero affascinante, riusciva a farmi sorridere.
E poi, il fattore aggiuntivo, cioè il fatto che fosse Nick a dirmelo, rendeva le cose ancora più imbarazzanti e nostalgiche.
L’avevo lasciato con un misero saluto, dopo essere stato insultato pesantemente, dopo aver cancellato il suo numero dal cellulare, dopo aver rimosso le immagini di lui nella cartella del mio portatile e gli ultimi frammenti di affetto dal mio cuore.
Facendo la scelta di accettare i sentimenti per mio fratello ero incorso in qualcosa di molto più grande di me. Era così grande da non essere potuto nemmeno essere classificato sotto un qualsiasi tipo di aggettivo.
Era un sentimento perverso e sbagliato, un affetto malato e celato da tempo, una bomba inesplosa che ad un certo punto, senza un razionale motivo, ha deciso di scoppiare nel bel mezzo di un centro urbano.
Caos, solo caos nella mia testa.
Solo la sua immagine, mentre mi accarezza i capelli, mentre cerca di essere gentile anche se questo non conviene al suo carattere da duro e quel suo maniacale modo di fissarmi gli occhi, come a volervi scavare dentro e cercare in profondità, ricordi di lui.

“Voglio un gelato” ammisi.

Alla fine non sapevo nulla di mio fratello, non più.
Le sue mani erano rimaste assurdamente piccole o le mie erano cresciute spropositatamente, aveva uno strano tatuaggio di un cervo a ricoprirgli la spalla sinistra, adesso coperta dalla felpa, un piccione alquanto inquietante a dominargli tutto l’avambraccio e una corda legata in un modo a me sconosciuto al polso.
Senza dimenticare il mio preferito, la bussola all’interno di quest’ultimo, era abbastanza grande, dei bellissimi dettagli molto realistici e, la cosa che continuava a destare dei sospetti in me, puntava con l’ago verso una parola “home”.

“Oh, volentieri!” rispose lui, sorridendo.

Il suo sorriso era una delle poche cose che erano rimaste immutate; Stringeva sempre gli occhi mentre allargava la bocca e io, da piccolo, amavo sorridere di rimando, notata la bellezza di quel momento.
Alcune volte passavamo minuti interi a sorriderci, senza dire altro. Momenti infiniti fatti di sguardi, di stupide parole infantili non dette e braccia che vorrebbero stringersi ma che, forse troppo timide, esitano scontrandosi erroneamente fra di loro.
Mio fratello era uno dei pochi bambini che riusciva a farmi ridere, ma ridere di cuore, di una risata cristallina e puerile che adesso, dopo lunghi anni, ricordo commuovendomi.
Quindi non seppi fare altre che allargare anche io le mie labbra e mostrare il mio più limpido sorriso sperando che potesse equipararsi al suo, senza fiato.

“Allora Lou! Raccontami di te! Cosa ti piace fare nel tempo libero?”

Ma che stupida domanda ho tirato fuori? La prossima volta potrei chiedergli, che ne so, che numero porta di scarpe o qual è il suo “my little pony” preferito.
Il ragazzo dai piccoli occhi azzurri mi guardò stralunato ma, notando il mio volto implorare risposta, decise di accennare a qualcosa.

“Uhm, fammi pensare..” si fermò un attimo appoggiando le spalle ad un lampione e, avvicinandosi le dita alle labbra, strizzò per un attimo le palpebre “L’anno scorso ero un membro della squadra di calcio della scuola,
giocavo solo perché ero costretto a farlo, non è che ami molto i giochi di squadra. Vincemmo la coppa ma questo non mi spronò a restare un altro anno. Volevo qualcosa che mi piacesse davvero, non volevo seguire le spinte degli altri.”

Mi guardò nel dubbio di aver detto qualcosa di sbagliato ma, notando il mio volto sereno, si rilassò di colpo.

“E quindi hai deciso di creare una band.”

Aggiunsi, cercando di farlo continuare nel raccontarmi la sua storia.

“No, Zayn e Niall stavano cercando un batterista e un chitarrista e Liam aveva sempre amato suonare la batteria. Sai, iniziò a seguirmi come un cane da tartufi quando scoprì da qualcuno che suonavo la chitarra elettrica. Era davvero opprimente, ma pur essendo un attaccamento fastidioso, era sincero. Era l’unico che stesse con me non per la mia reputazione, bella e brutta essa fosse, no, lui stava con il sottoscritto perché mi trovava interessante. Fu la prima volta dopo molti anni in cui pensai di non essere un involucro vuoto. E quindi decisi di entrare a far parte della band, insieme a lui.”
Il fatto che parlasse di Liam in quella maniera così trasognante, quasi surreale, mi fece un po’ ingelosire.
Ma in fin dei conti devo molto a Liam, gli devo davvero tanto.

“E poi.. Nulla! Penso di non aver nient’altro da dire.”

Concluse lui, riprendendo a camminare al mio fianco, verso la gelateria che lui sosteneva fosse la migliore di Londra –Anche se era palese non fosse un tipo da gelato-.

“Beh, ecco io..” Cercai in qualche modo di introdurmi nel silenzio che si era creato fra di noi, lentamente, senza interrompere il momento di pace formatasi. “Io fondamentalmente non ho mai fatto nulla di tanto eclatante. Ho seguito, dall’età di tredici anni dei corsi di canto visto che mamma credeva tanto nelle mie doti canore. Per il resto sono sempre stato uno studente nella media, con una grande passione per le band, la musica pop e, anche se me ne vergogno alquanto, quella elettronica.”

Risi un attimo e poi ripresi.

“Renditi conto che all’età di quindici anni volevo a tutti i costi entrare in un pub, che tutti classificavano come il miglior pub per ballare musica elettrica di qualità e, notando che non mi era permesso mettervi piede, mi sedetti per due ore intere attaccato al vetro ad origliare e a cercare di dare dei nomi alle canzoni che ascoltavo. Che ragazzo malato!”

Sentì una fragorosa risata provenire da un angolo imprecisato della via, credetti fosse Louis a esordire in questa assurda risata ma, voltandomi, notai dei capelli a spazzola spuntare da una delle poltroncine di un bar poco distante da dove eravamo noi.
Notai che accanto a lui vi era un ragazzo dai capelli un po’ più lunghi neri e non vi misi molto per capire a chi appartenessero.
Liam e Zayn stavano ridendo a pochi passi da noi.
Pensai che, visto il concerto di stasera, si trovassero li per accordarsi su di un qualcosa dell’ultimo minuti e, sperando di potermi aggregare anche io, mi diressi verso di loro.

“No.” Sentì dire. Stavolta non proveniva dal tavolo dei due ragazzi ma da accanto a me. Louis aveva le mani in tasca e il volto rivolto verso le mattonelle rovinate del marciapiede, le sue gambe non accennavano a voltarsi verso la mia direzione ma continuavano a proseguire verso la nostra meta.

“Hai visto? Ci sono Zayn e Liam.” Tentai di dire.

“L’ho visti, sciocco” e rise ancora. “Ma voglio stare solo con te..”

Lo disse lentamente, come a cercare di scegliere e dosare bene le parole, il suo tono di voce era stranamente insicuro e ancora non la smetteva di fissarsi le scarpe.
Arrossì in maniera palese e ringraziai il santo padre per avermi permesso di non farmi scoprire visto la distrazione di mio fratello verso le sue Vans.
Voleva stare con me..


“Maledizione Harold! Vieni qua” Disse il piccolo Louis mentre rimproverava suo fratello di essere scappato di nuovo verso le altalene mentre lui stava ancora scendendo dallo scivolo.
Harry notò che il fratello era rimasto indietro e corse veloce verso di lui, indicando la mamma che era a pochi metri da loro.
“Sai che non si dicono quelle parole LouLou!” mise il broncio il riccio, scrutando la reazione della madre.
Non notando nessun segno di disapprovazione o rimprovero disse quindi
“Maledizione! E’ colpa tua che sei leeeento!” Schernì quindi, ripetendo la parola appena detta dal fratello.
“E poi dei ragazzini mi hanno invitato a giocare con loro! Se non mi muovo poi non mi vogliono più!” disse tutto di un fiato, dimenticando di respirare fra una parola e l’altra.
“NO.” Esclamò a quel punto Louis.
“No, no, NO.” Continuò, aumentando sempre di più il tono di voce. Arrivò ad urlare quando Harry, spaventato dalla reazione del fratello, non si mosse velocemente per salire sullo scivolo dove nel frattempo era risalito il fratello.
“Sei cattivo! Ma perché!?” si imbronciò Harry.
“Volevo solo giocare con loro!” continuò mantenendo una smorfia triste nel volto.
“Ma voglio stare solo con te..”
E di certo un ragazzino di cinque anni queste manifestazioni di affetto non le capisce, non riesce proprio a trovarne un senso e forse per questo, in quella casetta sull’albero, il piccolo riccio pianse fino a che, le braccia di Louis non gli circondarono il petto e lo spinsero a se accarezzandogli la chioma ribelle.
“Ti voglio bene Hazza.”
“Anche io Lou!”
E il ragazzino più piccolo, come d’incanto smise di piangere e si abbandonò al contatto col fratello.


Da quel momento in poi, finché finalmente non arrivammo in gelateria vi fu un inquietante silenzio caratterizzato dalle mie guance di un rosso improponibile e il suono in sottofondo del mio cuore che non cessava di scoppiarmi ripetutamente nel petto ad una velocità fuori dal comune.
Avrei tanto voluto levarmi dall’impiccio e baciarlo lì, seduta stante, davanti a tutti.
Alla fine nessuno sapeva chi eravamo e cosa ci univa. La fuori, nel caos di un sabato pomeriggio, potevamo essere chiunque, anche, nel più assurdo dei casi: Felici.
Avrei tanto preferito bloccargli i polsi, avvicinarlo al mio volto e far scontrare le nostre labbra, come il giorno prima, ma adesso nessuno ci avrebbe interrotto.
Ma mai avrei trovato il coraggio di farlo di nuovo dopo la reazione consecutiva alla mia azione di ieri, era sembrato come se volesse dimenticare, come se si fosse pentito di quello che stavamo per fare, o forse non se n’era assurdamente reso conto e io mi stavo facendo paranoie per nulla.
E poi chi era Hanna? Non potevo credere a Niall, non potevo poiché credevo troppo alle parole di mio fratello e, dalle sue azioni e dalla sua apprensione verso di me, presumo non tenga i pieni in due scarpe.
Come se il nostro rapporto potesse paragonarsi a una scarpa.
Come se avessimo un serio rapporto.
Come se avessimo un rapporto.
Ci sedemmo al tavolo fuori dalla gelateria e potei notare che il suo gusto di gelato era rimasto lo stesso, sorrisi.
Pistacchio e panna.
Mentre cercavo di gustare il mio, Louis parlò finalmente portandomi alla realtà.

“Harry” Aveva un espressione seria in volto, quasi minacciosa.

“Chi è Nick?”

Come faceva a sapere dell’esistenza del mio ex ragazzo, del ragazzo che avevo lasciato per seguire un sogno d’amore impossibile come il nostro?
Risposi con assoluta naturalezza, alla fine non c’era nulla di cui preoccuparsi, era finita.

“Il mio ex, nulla di più.”

Il suo volto, da serio com’era, divenne improvvisamente contratto in una espressione stupita.

“S-sei gay?” Mi disse allora, come se non fosse abbastanza evidente.

Come se il tentare di baciarlo non fosse una prova sufficiente.
Non mi spiego il motivo di tanto stupore, alla fine sono sempre io, che differenza fa se mi piacciono i ragazzi e poi, non piacciono anche a lui?
Nella mia testa apparvero enormi punti interrogativi: La sessualità di Louis, come lui avesse inteso il quasi bacio e come dovrei sentirmi io nei suoi confronti.

“Si, pensavo tu lo sapessi.” Allora risposi, velocemente.

Che situazione.

“Oh-oh, non che per me sia un problema, sia chiaro! Ma non avevi l’aspetto di uno che, che ne so, è omosessuale, tutto qui! Non che io ne conosca molti!”

Come pensavo, non è gay e probabilmente non ha mai nemmeno considerato l’idea di esserlo.
Era una giornata alquanto fredda, sulla strada erano presenti foglie che le persone calpestavano ogni qualvolta passassero sul marciapiede e, un rumore come qualcosa di rotto, irrimediabilmente rotto si univa al suono di quelle piccole foglie marroncine  distrutte sotto il loro passaggio.

Il mio cuore aveva subito un duro, quanto inaspettato, colpo.





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Ciao a tutti per prima cosa! :3 Ringrazione a chi ha recensito il capitolo, 4 PERSONE, INCREDIBILE, VI ADORO, GRAZIE!
Grazie alla miriade di gente che ha deciso di aggiungermi alle seguite, sconvolgenti <3
E adesso passiamo alla storia.
SCUSATE, questo capitolo non mi convince per niente come il precendente. Non succede nulla di nulla, niente andamenti particolarmente interessanti nella storia, nessuna interazione fra Louis e Harry particolarmente scottante, nulla.
Si capisce solo quello che già si sapeva:
Harry è bello, la mamma è psicologicamente istabile, da piccino Louis era la dolcezza e un ragazzino particolarmente geloso, Harry è gay, bla bla bla.
Entrano in ballo gli Ziam, piano piano, non voglio anticipare nulla ma mi aspetto cose davvero carine per loro <3
Il prossimo capitolo sarà finalmente quello del concerto, in cui spero di riscattarmi dopo sto capitolo osceno, dove per la prima volta Harry si esibisce dal vivo con la band, WOOOOOW, che emozione! xD
Vabbeh, vi lascio alle recensioni, che spero, anche se il capitolo non è nulla di che, lascerete.
Tengo molto alle recensioni perchè mi spronano a scrivere e ad amare quello che faccio.
Aiutano le mie insicurezze a lasciare spazio alla convinzione di non essere poi così tanto male e.. Nulla <3
Grazie di esserci e di supportarmi! Grazie a chi legge silenziosamente perchè vi amo tutte in ugual misura! (Anche se potreste lasciarla una recensioncina çAAAAç)

BASTA, buonas noches ragazzi e spero di avervi fatto passare una mezz'orettina tranquilla con la mia storia!

Alla prossima, Milla :3

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Capitolo 10
*** Just you and me. ***


  
Quello che forse ti sarai dimenticato è che: Harry e Louis sono fratelli, sono stati separati per 7 anni e si sono rincontrati a scuola per il trasferimento
della madre di Harry a Doncaster. Il padre di Louis è un drogato/alcolizzato e vivono in una catapecchia. Prima eri odiava suo fratello per quello che gli aveva fatto ma col tempo l'ha
perdonando arrivando a fare due importanti scelte: Innamorarsi di suo fratello ed entrare a far parte della sua band. Adesso le cose vanno meglio ma Harold deve nascondere il sentimento che prova.
Nello scorso capitolo ancor di più dopo aver scoperto che il fratello non è mai stato attratto da un ragazzo ed è irrimediabilmente etero. Questo capitolo è pieno zeppo di contenuti discordanti, soprattutto da parte di Louis.
Non prendeteli come "cambio di personaggio/ipocrisia" poichè il povero Tomlinson è confuso, vulnerabile e tanto tanto tanto impaurito, anche se non lo da a vedere.


Buona lettura, 
Capitolo 10: Solo io e te


Harry Styles
 
 
Il buio era il padrone incontrastato della mia asettica camera; Le pareti in quell’immobile silenzio assomigliavano a spranghe di ferro, fredde, carcerarie. Tutto in quella stanza non faceva che ricordarmi quanto fossi inadeguato e psicologicamente instabile.
Dopo aver abbattuto tutte le possibili teorie su un probabile bipolarismo, mi presi, con assurda lentezza, la testa fra le mani e cercai di escogitare un modo per uscire dalla mia precaria situazione, per smettere di essere così instabile emotivamente.
Avrei potuto decidere di accettare tutto quello che mi succedeva, tutta la merda che mi cadeva inesorabilmente addosso, come un qualcosa che sarebbe passato.
Come una valanga, che, dopo aver travolto sotto di se migliaia di povere e ignare vittime, se ne andava.
Mentre i superstiti cercavano, lentamente, di riportare il tutto alla normalità.
O meglio, a un qualcosa che non vi assomigliava affatto, ma che sarebbe diventata presto routine, col tempo.
Forse avrebbero potuto scoprire cose che mai avrebbero trovato se quel disastro non fosse accaduto.
Dubito che qualcosa potrebbe surclassare il dolore provato dalle perdite, ma di certo li avrebbe resi più forti.
Ma allora perché io, superstite da chissà quante catastrofi naturali, me ne stavo in questo asettico letto, a valutare ancora una volta le condizioni di degrado senza reagire?
Avevo innumerevoli volte detto a me stesso che non mi sarei più pianto addosso, come una checca – cosa che probabilmente ho tutta l’aria di essere diventato – e sarei andato avanti, avrei ricostruito la mia città e costruito una barricata, per evitare ulteriori danni.
E invece miei cari ho toppato ancora una volta.
Perchè ,quando Louis se n’è andato dalla gelateria, improvvisamente, dicendo che doveva prepararsi a, parole sue, “La migliore performance di sempre”, dove ovviamente “Gli avremmo fatto il culo”, perché ehi:  “Oh, Harry, ci imploreranno prostrandosi ai nostri piedi, di suonare ancora li!”, non ho risposto con un “Si Louis! Andremo fortissimo!” ma ho semplicemente aspettato che uscisse definitivamente dalla porta, nascondesse le sue piccole mani nelle felpa e sparisse dalla mia visuale, voltando l’angolo frettolosamente.
Sono rimasto a fissarlo, scappare di nuovo via da me.
E adesso, come nelle migliori cinepanettoni, sono atteso dai miei compagni di band, entusiasti come mio fratello, poiché “Ammettiamolo è stato un culo assurdo!”, e di certo questa mia condizione di depressione comica non può e non deve compromettere il gruppo.
Anche se, in questo assurdo momento, pensare che dovrò cantare con questo magone allo stomaco davanti a innumerevoli persone, camerieri, coppie sbavose e un Louis sicuramente dannatamente sexy, mi uccide.
Un etero Louis dannatamente sexy.
Un “Non ho mai lontanamente pensato di essere dell’altra sponda ma, ehi! Sei mio fratello, ti accetto per quello che sei!” Louis dannatamente sexy.
Mancavano dieci minuti e sarei stato ufficialmente in ritardo e il mio sedere non aveva la ben che minima voglia di alzarsi.
Mi ridussi a vegetare altre quindici minuti, continuando a pensare che farmi passare una cotta del genere sarebbe stato davvero difficile.
Di certo non mi sarei potuto allontanare da lui, dopo anni che non ci vediamo non mi sembra proprio il caso di spingerlo di nuovo via da me.
La mia mente stava letteralmente navigando alla deriva quando, un trillo mi scosse, buttando l’ancora.

“Dove cazzo sei, Styles?”

Vedo che il biondino si prende troppe libertà.
Dopo aver risposto, dicendo che avevo avuto un contrattempo in famiglia decisi che era meglio smettere di piangersi addosso e reagire anche se, ammettiamolo, ero spacciato.
Non facevo che proiettarmi davanti agli occhi l’immagine di mio fratello imbarazzato e sconvolto.
Mi sollevai lentamente dal letto e, mentre mi strascicavo in bagno, decisi che stasera avrei avuto un look diverso, mi sarei vestito di tutto punto e avrei fatto colpo.
Maschio o femmina che siano, stasera me ne sarei fregato.
Mi lavai velocemente i capelli, soffermandomi sull’asciugatura: Stasera non avrei avuto i miei soliti ricci ribelli alla rinfusa.
Presi una spazzola e li pettinai, mentre passavo il phon, all’indietro fino ad ottenere un onda morbida al posto di tante piccole ondine impazzite.
Passai in rassegna ogni maglietta e camicia che avevo ma non trovai un granchè.
La passione di mia madre per le camicie a quadretti però dette i suoi frutti. Indossai una camicia a quadri rossi e neri e, lasciandola aperta, la coronai con una maglia bianca semplice con l’unica particolarità di avere tre piccoli bottoncini sul davanti e degli strappi sulla vita.
Misi i miei soliti jeans neri ma, decidendo che quella sera sarei stato un duro, indossai quelli rotti che mia madre voleva aggiustare.
Avevano un taglio sul ginocchio, dovuto a una mia recente caduta per le scale, classico.
Completai il tutto con degli stivaletti di camoscio marrone scuro e le mie solite collane.
Mi specchiai velocemente, prima di uscire e notai che in fin dei conti i miei capelli non erano messi proprio come speravo, quindi, con un gesto veloce, corsi in camera di mia madre e presi un suo foulard che misi incastrato fra i miei ricci a mo di corona.
Ok, adesso poteva andare.
Arrivai all’appuntamento con mezz’ora di ritardo e la cosa non piacque molto a Zayn che appena arrivato mi lanciò il quaderno con gli spartiti e mi indicò la strada da fare per arrivare al luogo del concerto.
Durante il viaggio la situazione migliorò. Niall si avvicinò a me e mi premette il mento sulla spalla, dicendo.

“Non preoccuparti Styles, non siamo in ritardo. Stai calmo, canticchia qualcosa e rilassati.”

Di conseguenza Liam mi sorrise e poi tornò a guardare uno Zayn che a sua volta puntava il suo sguardo verso di me, compassionevole.
La mancanza di mio fratello non sembro turbare nessuno, quindi intuì che fossero d’accordo che lui sarebbe andato prima al locale.
Capì che il Paprika era un locale importante, frequentato spesso da Louis e gli altri tre, sperai fosse un luogo non troppo confusionario e pieno d’alcool, alla fine avevo deciso di non toccare nessun alcolico venuti qui a Doncaster.
Avevo deciso di cambiare vita, avevo deciso che almeno una cosa positiva in quel trasferimento ci sarebbe stata: Non avrei più partecipato ai festini degli amici di Nick, che finivano sempre con troppo alcool e abbondante fumo.
Città nuova vita nuova
E non avrei infranto la mia promessa la prima sera che uscivo, mai.
Arrivammo stanchi al locale, con il fiato corto dovuto alla nostra camminata sostenuta, colpa del mio ritardo.
Mi sentii colpevole perché, se il fiatone non mi fosse passato e non mi fossi ripreso completamente, avrei compromesso tutta la band.
E quei ragazzi mi avevano dato tanto, troppo, per deluderli.
Inoltre non avrei potuto sostenere il volto di mio fratello deluso, triste e rannicchiato su se stesso, come quando nostra mamma ci vietava di uscire a giocare con i soldatini, o quando non ci portava al parco giochi perché doveva lavorare.
Ma scanso tutte le mie possibili speranze lo vidi li, nella stessa posizione di quando aveva poco più di otto anni: La testa era rivolta verso il basso, il suo sguardo fissata una corda della chitarra che continuava a stuzzicare, sperando di accordarla con l’altra mano.
Non si muoveva se non per cambiare corda, se non per l’ennesima volta, accordare la già perfetta chitarra nera lucida.
Non era da lui. Era così eccitato per l’imminente esibizione, perché quella tristezza nel suo volto coperto dai lunghi e scompigliati capelli marroni?
La voglia di abbracciarlo e sussurargli all’orecchio che tutto sarebbe andato per il verso giusto, avremmo sicuramente finito per fare una bellissima figura e non c’era assolutamente niente per cui preoccuparsi.
Alzati Lou e mostra il sorriso per cui, ormai da settimane, non faccio altro che sognare la notte.
Quel sorriso che mi scalda quando le folate di vento mi fanno rabbrividire, quando i miei stupidi compagni di classe aprono la finestra consci di dar fastidio.
Quel sorriso per cui mi sveglio di buon umore la mattina e per cui corro a fine pausa pranzo per venire il prima possibile in aula a poterlo ammirare ancora ed ancora.
Quando cerco di fare stupide battute che non rivolgo a te per imbarazzo, ma che mostrano i tuoi adorabili canini appuntiti.
Vorrei dimenticarmi per un attimo del sangue che ci lega e stamparti un dolce bacio su quella candida guancia coperta da quei capelli che parevano così morbidi.
Dannazione, sarei potuta stare un intera sera solo ad accarezzarteli, per farti addormentare con la mia ragione di vita, il tuo dolce sorriso stampato sulle labbra, mentre sospiri contro il mio petto.
 

Louis Tomlinson

 
"“Harry non devi essere imbarazzato, so che stiamo piano piano imparando a conoscerci ed è normale che tu sia imbarazzato ma, santo dio, non permettere che questa tua spontanea dichiarazione rallenti tutto!”
Dissi, sperando di sbloccarlo da quello stato catatonico in cui era caduto.

“Voglio tornare ad essere tuo fratello, senza imbarazzo, senza paura di mostrare le mie debolezze, come paura di scoprire le tue. Senza preoccuparmi se sei etero, bisessuale o ami leccare il sedere alle scimmie.
Siamo fratelli, ti amerei anche se tu indossassi un orribile camicia Hawaiana a fiori, giuro! Riuscirei anche a camminarti accanto senza preoccuparmi della gente, e sicuramente non riderei di te. Anche se ammettiamolo, avresti davvero dei pessimi gusti Harold.”

Avevo fatto centro. Un dolce sorriso si fece spazio fra le sue labbra e mi lasciò intravedere il mio passatempo preferito da bambino, le sue fossette.
Mentre eravamo seduti accanto, appiccicati in una sedia sola per mangiare, mentre aspettavo che mi fosse servito il pasto, infilavo le mie dita nelle piccole buche che aveva Harry sulle guance e, mentre lui imbarazzato rideva ancora di più, io mi incantavo con la sua risata.
La risata che sin da piccolo avevo sempre pensato fosse la migliore mai udita.
E proprio per quella fragorosa risata da fanciullo, ogni motivo era buono per farmi notare, per dire battute stupide o per finire nei guai.
Per sentirla di nuovo, più forte di prima.
Risi al pensiero che ero dipendente dalla sua voce.

“Scusa Lou” disse mentre continuava a soffocare una risata che fremeva dall’uscire dalla sua bocca ed espandersi in tutta la stanza, riempiendola.

“Di nulla! Poi sicuramente sarà figo avere un fratello gay. Mi sento un ragazzina ma, davvero, tutti i più bei ragazzi sono gay, e tu sei davvero bello.”

Mi tappai subito la bocca con la mano destra, cercando di rimangiare le parole dette, come se avessi per sbaglio innescato una bomba a mano e ormai non ci fosse più possibilità di scappare.
La reazione fu immediata, le sue guancie si tinsero di un rosso acceso, e un sorriso colpevole si fece largo fra le mie labbra.
Andava bene così.
Avevo fatto la figura dell’emerito idiota ma andava bene così.
Mi sarei successivamente chiesto il motivo di tale affermazione, adesso dovevo ancora una volta bearmi del volto imbarazzato di mio fratello e dio, non me lo sarei perso per nulla al mondo e non potevo che essere felice di essere il motivo di tale reazione.
L’eterosessualità Tomlinson, dove l’hai nascosta?
Avrei potuto anche dimenticarmi cosa ero stato, cosa avevo fatto e che merda ero diventato perché ehi, la mia vita ha sempre avuto come centro gravitazionale, mio fratello.
Avrei potuto dimenticare tutto, per riniziare a creare tutto da capo.
Distruggere tutto per nascere qualcosa di nuovo, assieme a lui.
Non sarei stato Louis Tomlinson figlio di quell’idiota alcolizzato da cui prendevo il cognome ma sarei stato semplicemente Louis.
La persona più importante per Harry.
"

Dannazione, avrei tanto voluto non dire quelle parole, non tanto per la reazione ma per la situazione che mi avrebbe aspettato dopo averlo riaccompagnato a casa.
Quando, dopo essermi assicurato che fosse salito in camera sua, mi accasciai sul pavimento freddo del suo terrazzo, cercando di non pensare, di non provare nemmeno a sfiorare l’argomento.
No, non mi sarei mai interrogato sul motivo per il quale avessi detto quella stupidaggine.
E infatti adesso mi trovo a pensare e ripensare a quello che ho fatto, lottando con la determinazione a non volerlo sapere.
Adoravo davvero tanto mio fratello, ne ero sicuro.

“Ciao Louis!” Disse Liam, poggiandomi la mano sulla spalla.

“Se continui ad accordare quella chitarra finirai per rompere le corde! Penso sia apposto così!”

Sempre il dannato vecchio Payne, sicuramente adesso non avrebbe capito il motivo del mio disagio ma presto avrei dovuto parlarne con lui.
E di cosa dovevo parlare con Liam? Della mia dipendenza da Harry? Alla fine non era niente di nuovo.

“Ehi Lou!” balbettò e quasi sussurrò un volto riccio alle mie spalle.

“Harold!” Mentì che tutto andasse bene, più a me stesso che a lui.

“Non sei emozionato? Tocca a noi, stiamo per esibirci per la prima volta con un vocalist! Dio, sarà un successo!”

Alla fine era meglio dimenticare della mia confusione e concentrarsi su quello che avremmo dovuto fare pochi minuti dopo.
Dettai tutte le direttive a Zayn, che non aveva partecipato all’ultima prova ma che avevo intuito avesse provato molto con Liam.
Infatti comprese al volo quello che volevo spiegargli e, senza nemmeno accorgermene, il locale era pieno e ed il proprietario ci stava presentando.
Molte facce mostrarono palesemente il loro disprezzo per quel cambio di programma, pensando la musica techno avrebbe accompagnato tutta la loro serata all’insegna dell’alcool.
L’avremmo sicuramente fatti ricredere.
Oh se ci saremmo riusciti.
 
***
 


Harry Styles
 
 
Le canzoni procedettero senza intoppo alcuno, la mia voce stava lentamente assumendo un tono più rauco del solito ma nessuno sembrò farci caso, anzi, la mia voce piaceva.
Notai come goffamente delle ragazze che avevano all’incirca la mia età tendevano la mano verso di me, per afferrarla.
Dio, è una cosa così da boyband che canta canzoni pop, per quanto mi piacciano le canzoni commerciali non finirei mai a cantarle con altre persone facendo movimenti allusivi e ambigui.
Nono, io, Harry Styles, l’idolo delle folle? Ma per piacere.
Allungai quindi la mia mano, impacciato, e la scontrai goffamente verso le loro che di risposta si abbracciarono entusiaste.
Allibito.
Mi voltai verso Louis e camminai verso di lui, come di consueto ormai e, mentre cercavo di allungare la corda del mio microfono verso di lui, saltellando convulsivamente, venni afferrato da qualcosa di caldo.
Una mano mi afferrò l’avambraccio e si andò presto ad unire alla mia.
Era davvero piccola.
Stavo per scrollarmela di dosso, in un gesto incondizionato ma poi vidi a chi apparteneva e per Dio, rimangiai tutti i propositi di offendere il possessore di quel minuscolo arto.
Strinsi la mia mano così forte che mi portò irrimediabilmente a alzare lo sguardo, impugnando saldo il microfono e cantare il ritornello con i suoi magnifici occhi, ormai stetti a fessure, su di me.
Era uno sguardo strano, non come quelli che mi riservava di solito, quei sguardi che da bambino non faceva altro che regalarmi.
Uno sguardo che non avevo mai visto in lui, non era un qualcosa di negativo o intimidatorio era più come quello di un animale che guardava la sua preda per fare in modo che tutti gli altri suoi simili capissero che apparteneva a lui, e a lui soltanto.
Scacciai quel pensiero dalla testa perché, ehi, Louis di certo non è geloso.
O meglio, non avrebbe motivo di esserlo anche se quella sera se avessi voluto, e fossi stato un tantino più eterosessuale, non sarei andato a letto da solo.
Finì l’ultima canzone in scaletta e, per ringraziare le fan dovetti separarmi da quella presa calda che sapeva di casa.
Casa.
Oh si, avevo ritrovato in mio fratello qualcosa che pensavo di aver perso, la familiarità.
La reciprocità e l’amore fraterno. O meglio, leviamo il fraterno.
Finimmo con un chiassosissimo applauso e, se avessimo avuto un po’ più di coraggio e sfrontatezza, ci saremmo lanciati sul pubblico a braccia aperte poiché quella era una sensazione che ti riempiva i polmoni, che ti diceva ad alta volte: “Ehi, sei vivo” e ricordare quella citazione famosissima di un recente libro: “E in quel momento, giuro, eravamo infinito.” Era inevitabile.
Avevo sempre desiderato diventare un cantante, fin da quando ero piccolo, fin da quanto cantavo in bagno con mio fratello mentre mi chiedeva di sbrigarmi a far pipì.
La musica aveva accompagnato tutta la mia vita e anche adesso sa darmi quel supporto che cerco, quel trampolino di lancio per dire addio alle preoccupazioni o per crogiolarmi in un dolore che non andava rivelato.
Perché alcune volte con le note, gli acuti e un microfono in mano si dicono tante di quelle cose che mai avremmo potuto spiegare altrimenti.
L’amore, la felicità, l’angoscia.
La musica può darti tutto questo e togliertelo con un semplice cambio di ritmo, con delle lentissime dita che scorrono su un pianoforte o affamate che pizzicano le corde di una chitarra elettrica.
Perché dire che essa è la colonna sonora della mia vita è scontato, ma è la mia più assoluta verità.
E sarebbe assolutamente egoistico tenersela tutta per se.
 
***

 Le ore successive passarono e l’elettrica prese il posto che prima avevamo noi. Piatti montati in pochissimo tempo e la sala si era trasformata in una vera e propria discoteca ed io, dall’eccitazione per il successo che aveva avuto la nostra band, non ho fatto fede ai miei buoni propositi, infrangendoli alla grande.
Ma d’altra parte come potevo rifiutare dei drink gratis? Sarebbe stato assolutamente irrispettoso verso le ragazze che me li offrivano.
O almeno credo.
La mia testa è come se stesse galleggiando in una bolla, le voci di persone così vicine a me sembrano lontane anni luce.
Le mie mani si muovono nervosamente sul tessuto dei mie pantaloni e un sorriso tirato padroneggia sulla mia faccia insieme a due occhi stanchi gli facevano da contorno.
Avevo bevuto troppo.
O almeno credo di averlo fatto.
Beh, era successo per forza ed avevo avuto anche delle brutte allucinazioni perché di certo il rumore che avevo sentito non poteva essere che la voce di Louis.
Che detto fra noi: Non si vedeva da circa un ora.
Urlai a Niall, cercando di contrastare il rumore troppo forte delle casse poste poco lontano da me.

“Era la voce di Louis? Mi sa che ha fatto un bel casino!” E finita quella frase troppo lunga per poter essere detta in quelle condizioni, mi accasciai sulle gambe del mio dolce amico irlandese e cominciai a ridere istericamente.

“Harry, alzati dalle mie gambe, su su, stai sveglio! Non voglio portarti in braccio a casa, pesi sicuramente più di me, con quei tuoi due metri di gambe.”

Era proprio un dolce amico irlandese.
Caro lui.

“E comunque si, è parso di sentirla anche a me la voce del tuo amichetto. Sarà seriamente finito nei guai.”

E senza volerlo, Niall aveva appena scandito l’inizio di quella serata movimentata che difficilmente avremmo dimenticato.
Il sipario si aprì con un affannato Louis che cercava di fare il disinvolto mentre usciva dalla cucina con la patta dei calzoni abbassata e dei capelli che differivano molto da quelli che possedeva a inizio serata.
Era stravolto, chissà cosa aveva fatto? Cosa ci faceva con i calzoni sbottonati in una cucina?
Finalmente le mie confuse supposizioni da ubriaco si poterono concretizzare e rivelare del tutto sbagliate perché, poco dopo, dalla porta era uscita una ragazza bionda molto formosa con un davanzale abbondante.

“Sei un finocchio Tomlinson, non farti rivedere mai più in questo posto, mai più, mi hai sentito bene?!”

La rabbia della ragazza era palpabile  e mio fratello era spaesato, probabilmente aveva bisogno di aiuto.

“Che cazzo è successo?”

Disse Zayn, tornando dalla pista assieme a Liam, sconvolto dalla situazione.

“Oh, nulla, la ragazza ha frainteso! Ve lo dico io, Louis non è gay!” e risi.

Non riuscivo seriamente a capirci nulla, la musica rimbombava nelle mio orecchie, in procinto di scoppiare da un momento all’altro, e fu in quel momento che la sentì.
La voce di mio fratello che chiamava il mio nome, voleva il mio aiuto, voleva che lo aiutassi.
Forse era solo una futile illusione da troppi drink ma non avevo tempo per ragionarci su e scegliere razionalmente poiché tutti e quattro ci stavamo muovendo impacciati verso di lui; per levarlo dalle grinfie di quella donna che probabilmente non aveva e non avrebbe mai capito mio fratello.
Louis non è gay biondina, e se a te questo può suscitare un sospiro di sollievo a me invece lo toglie.
Perché pensare di rincorrere qualcosa che non raggiungerò mai, cara tettona è una merda.

“E poi chi sarebbe questo fantomatico Harry eh?”

Sentì pronunciare il mio nome fra la folla e non potei che alzare la testa e spintonare due ragazzi accanto a me per poter vedere quello che stava succedendo.
Cosa hai detto Louis, cosa c’entro io? Dimmi che non è una di quelle serate dove devo fare il serio perché non ci riuscirei.

Dimmi che sta solo scherzando.

“Hanna per piacere, sta zitta!”

Aveva nel frattempo sistemato la zip dei suoi jeans e passato una mano fra i suoi capelli sudati e irrimediabilmente attaccati alla fronte.

“Devo stare zitta Louis, davvero? Quindi basta che bevi un po’ e cominci a sussurrare il nome di un ragazzo? E io dovrei stare zitta?”

Cosa?
Per un attimo dimenticai tutto l’alcool che avevo in corpo e compresi.
Come potevo non capire, era stata abbastanza chiara.
Allora decisi che dovevo raggiungerlo, al più presto.
Dovevo abbracciarlo e sussurrargli fra i suoi splendidi capelli ramati che andava tutto bene, che lei non lo meritava e che mi dispiaceva.
Mi dispiaceva avergli procurato dolore perché nessuno più di me sapeva quanto facesse male.
Quindi spintonai ancora una volta le persone che ci separavano e lo raggiunsi con un ultimo slancio in avanti.
Lo presi per una mano e senza aspettare una sua reazione di alcun tipo lo portai lontano da li, lontano dai suoi problemi.
Ma al contrario mio che, come lui avevo deciso di allontanarmi da tutto e da tutti, lui non era solo.
Lasciai la sua mano tremante solo quando raggiungemmo il bagno e, appoggiando il suo esile corpo con la schiena sul lavandino, mi sedetti.
E quando stavo per parlare, per chiedere spiegazioni, mi fermai a fissare il pavimento.
La musica ormai ci raggiungeva solo parzialmente, l’odore di alcool era attenuato e il silenzio non faceva che farci frizzare le orecchie e girare orribilmente la testa.
Un dolore insopportabile che si univa ad un acre odore di pipì mi pizzicava le narici e mi portava ad avere forti strizzoni a livello dello stomaco.
Strizzoni che cercavano di scappare, procurandomi conati di vomito sempre più forti e frequenti.
Finché non scesi da dove ero seduto e in attimo alzai la tavoletta del water e lo feci.
Vomitai tutto quello che avevo bevuto, mentre una mano calda, che ormai conoscevo bene quella sera, spostò dolcemente i miei ricci dalla fronte, sorreggendola.
Mi ero ripromesso di smetterla, di diventare forte, fermo sulle mie decisioni e invece ne avevo appena infranta una, poche settimane dopo averla abrogata.
Vomitare mi ricordò quando conobbi Nick, in quel maledettissimo locale a Holmes Chapel in cui mi rifugiai appena riuscì a scappare per la prima volta di casa.
Quel giorno avevo bisogno di sfogare i miei problemi e l’alcool mi era sembrato la soluzione migliore, che sciocco.
Che debole.
E come pensavo di poter sorreggere mio fratello quando non riuscivo nemmeno a far sopravvivere me?

“Harold stai bene?”

Allora mi alzai, deambulai con il suo aiuto verso il lavandino dove era seduto e mi sciacquai la bocca, cercando di far passare quel disgustoso odore di debolezza, ricordi, alcool e sesso.
Perché quel giorno, in quello squallido pub di periferia,annebbiato dall’alcool, persi la mia verginità con Nick, a cui mi sarei irrimediabilmente legato pochi mesi dopo.

“Si, tutto ok Louis.”

Basta Harry, basta. Adesso tuo fratello ha bisogno di te, dimostra che possiedi la forza per aiutarlo, dimostra che sei qualcuno.

“Cosa è successo?” cercai di chiedere, aspettandomi che non avrebbe risposto.

E invece lui lo fece.

“Io..”

Si fermò subito, aveva paura, era sconvolto, disorientato e tanto tanto smarrito.

“Io ho detto il tuo nome mentre stavo con Hanna.”

Compresi subito, come avevo già fatto dieci minuti fa, grazie alla divulgazione che Hanna aveva fatto, in tutta la sala, della notizia.

“Non so come sia successo Harry, non lo so. Io non sono gay, a me piacciono le donne, io non..”

“Tu non sei attratto dagli uomini.” Completai io, sperando riuscisse a riprendere fiato per poter continuare.

Dal suo viso non scendeva neanche una lacrima, ma i suoi occhi erano proiettati nel nulla, appannati e assenti.

“Io non lo so. No, non credo.”

Si avvicinò a me a passo lento, cadenzato, cercando di studiare la mia reazione, i miei movimenti, e non lasciò nemmeno per un attimo il contatto che si era creato fra le nostre iridi.
Prese il mio mento fra le mani, spostando l’altra dietro al collo, solleticandomi la schiena.

“E’ solo che tu sei bello Harry. Lo sei sempre stato. Quando eri piccolo tutti si complimentavano con mamma perché eri uno splendore. Quei bei capelli ricci che ti ricadevano sulle spalle e un sorriso vispo che non
abbandonava mai il tuo viso e quelle gote rosse che tanto invidiavo.
Ma alla fine no, non invidiavo nulla di te perché io potevo avere tutto. Io avevo te.
I tuoi sorrisi dipendevano dai miei e viceversa e, dio se ero contento.
Quando all’alba tu ti svegliavi perché sorgeva il sole e pensavi che dormire fosse solo una perdita di tempo, io non sospiravo mai, non mi lamentavo.
Non lo facevo perché svegliarmi, se tu eri accanto a me, non era assolutamente una maledizione bensì una fortuna. Quel giorno avrei potuto bearmi della tua risata per più tempo, e se fossi riuscito a convincerti  saresti rimasto nel mio letto a parlare e a scompigliarmi i capelli con le tue mani paffutelle.
Tu eri il mio tutto. Il mio bellissimo tutto.”

Le parole di mio fratello mi arrivarono addosso come una doccia fredda quanto piacevole.
Come una scarica elettrica in pieno petto.
Rimasi tutto il tempo a bocca aperta, fissando i suoi occhi farsi acquosi, occhi che intimavano paura ma anche tanta determinazione.
E tanto amore.

“Io non so cosa sia tutto questo che sto provando, forse è semplicemente affetto, un affetto che ho serbato per così tanto tempo che avendolo tirato fuori tutto un colpo mi ha spiazzato. Forse è solo la mancanza della tua presenza nella mia vita, forse la solitudine che ha dominato la mia vita per sette anni ma, Harry..”

Lo fissavo ancora, mentre balbettava parole senza senso, parole a cui io avrei potuto benissimo darne uno, un senso che probabilmente sapevamo entrambi, un qualcosa di spaventoso che sapevamo sarebbe arrivato. Che anche se abbiamo cercato in ogni modo di celare ha avuto la meglio.
E io glielo avrei permesso, avrei permesso a questo qualcosa di uscire perché ero stanco e volevo solo essere felice.
Volevo solo vivere come facevo quando lui era assieme a me.
E quando, facendo un passo avanti congiunsi le nostre labbra non provai tristezza, nemmeno terrore, solo una forte liberazione.
Come se per un intera vita avessi solo aspettato quel momento. Ed in effetti era così.
Ma adesso che era arrivato era qualcosa di superiore alle mie aspettative.
Non chiesi nulla a Louis, aspettai semplicemente di capire se anche a lui andava bene così.
Che quella sera saremmo stati solo Harry e Louis, non saremmo stati altro.
Non eravamo uomini o donne, non eravamo fratelli o familiari, eravamo solo vivi.
Ed eravamo felici.

“Io non sono gay Harry..” sussurrò sulle mie labbra, ridendo spaventato ma senza spostarsi da me.

Senza togliere la mano che aveva appoggiato cautamente sul mio fianco e senza frenare il movimento che stava facendo sui miei capelli.
Perché anche lui l’aveva capito. Anche lui sapeva che sarebbe finita così comunque.
Perché diciassette anni d’attesa bastavano, un intera infanzia era sufficiente e i pianti contro il cuscino di un intera adolescenza erano anche troppo.
Adesso basta.
E fu in quel momento, quando lui chiuse gli occhi, che l’assenso era arrivato.
Iniziò a baciarmi dolcemente, come per paura che qualcosa potesse allontanarmi da lui, come se una sola mossa falsa e avrebbe rovinato il desiderio di un intera vita.
E giuro, non avevo mai baciato nessuno così, senza fretta alcuna.
Mentre le nostre labbra imparavano a conoscersi e i nostri nasi a trovare lo spazio nelle guance qualcosa nel mio petto si fece sentire.
E quel qualcosa stavolta non era un drink di troppo, non era un ricordo amaro e sporco, per la prima volta quel qualcosa era vero amore.
 



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Hello cicci pasticci! 
Sono tornata dopo una lunga assenza a cui sono sicura siete abituati x°D Ho deciso che ormai è inutile che vi dica che aggiornerò a breve o cose simili perchè sapere che non sarà così, quindi metto le cose in chiaro:
Aggiorno ogni mese/mese e mezzo e per facilitarvi il "ricordo" vi metto il riassunto sotto il bannerino fatto con tanto ammoreh LEGGETELO SE NON VI RICORDATE!
Io per esempio dimentico sempre la fanfic se nel titolo non mi ci scrivono: "OH, CICCIA! QUESTA E' LA FANFIC DOVE LOUIS FA QUESTO E HARRY FA QUESTO CON QUESTO E BLA BLA" ma ovviamente non vi posso mettere nel titolo: "HARRY E LOU SONO DEGLI INCESTUOSI RAGAZZETTI CHE SI INCULETTANO ALLEGRAMENTE" quindiiii vi metto subito, SOTTO IL BANNER, la descrizione molto shalla che leggete in due nano secondi!
Ho poco da dire su questo capitolo, anzi nulla.
Si capiscono molte cose e i larry dopo 10 capitoli si baciano e DIO, NON VEDEVO L'ORA.
Io sapevo che nel 10 si sarebbero baciati ma sapete.. durante la stesura non sai mai se vai troppo per le lunghe e ti tocca slittare al capitolo dopo e via discorrendo..
tipo la ziam dovevo iniziarla nel capitolo 10 ma, avendolo tipo fatto di 13 pagine ho deciso, per non complicarvi le idee, di mettere solo degli accenni e slittare probabilmente al 12 e non all'11 che sarà sempre molto LARRY :3
Boh, non saprei che altro dire..
Sono un po' di fretta e voglio finirmi di vedere i braccialetti rossi xD
Comunque.. se volete (E FATELO) lasciatemi una recensione! Come ho sempre detto e sempre dirò IO NE NECESSITO.
Mi aiutano ad aggiornare prima e mi spronano a scrivere meglio e a migliorarmi e giuro, mi scaldano sempre il cuore.
Quindi nulla, io vado!
Grazie e a fra un mese <3 
 
 
 
 
 
 

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