From Life to Death - When we were young

di KoreW
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - The beginning of the end ***
Capitolo 2: *** 1) Letters, shopping sprees and a train to a new world ***
Capitolo 3: *** 2) Hogwarts Express, sorting and new knowledge ***
Capitolo 4: *** 3) Roommates, books that fall and two strange brothers ***
Capitolo 5: *** 4) First lessons, small explosions and I can fly ***
Capitolo 6: *** 5) Trick or treat? Depending on your point of view ***
Capitolo 7: *** 6) Detentions, gummy sweets and friends? Yes, of course ***
Capitolo 8: *** 7) The history of Hogwarts, the secrets of four founders and a “new” Lou ***



Capitolo 1
*** Prologo - The beginning of the end ***


                                                

   


 

 from Life to Death - When we were young

Prologo 


La vita è qualcosa di lungo ed effimero, capace di scivolare via come sabbia tra le dita.           
                                         
Una barca ondeggiante in un mare di incertezze ed emozioni.

Ineffabile all'uomo e ancora più lontana dal destino.

Scorre, veloce o lenta, e arriva fin dove vuole, lasciando solo un immenso vuoto.

C'è una storia che è giusto raccontare, piena di luci ed ombre.

Un fiore sbocciato tra presente e passato, tra la terra e le stelle.

Un libro, una profezia e due vite lunghe una manciata di anni;

Sogni irrealizzabili;

Promesse mai mantenute;

E tanto, troppo amore.

Morire non era mai stato così facile.

Poi, la luce.







 

Kore's corner

Salve a tutti quelli che hanno aperto questa storia e sono arrivati fin qui.

Anche se non c’è bisogno di ribadirlo, questo è soltanto un micro-prologo introduttivo che quasi sicuramente non interesserà a nessuno, ma sono convinta che in qualche modo doveva essere presente.
Ora, passiamo alle cose serie.
È molto tempo che non pubblico nulla qui su efp, la mia permanenza nel sito è diventata puramente in ambito di lettrice e di questo mi dispiace tantissimo. Avevo una storia a cui tenevo moltissimo, ma mi sono resa conto che non era scritta con la giusta attenzione e col senno di poi ho deciso di abbandonarla a se stessa e credetemi se vi dico che mi è dispiaciuto farlo. Il problema era che non avevo il tempo di aggiornare e di scrivere nella situazione in cui mi trovavo e mi ero ripromessa di non pubblicare più una storia a meno che non l’avessi già conclusa.

Così, dopo circa un annetto è rinata lei e mi ci sto completamente dedicando da allora: la prima parte di questa storia è già praticamente finita, ma comunque ho almeno tredici capitoli di riserva, quindi non mi preoccupo più di tanto, mentre per la seconda sono ancora in work in progress, anche se nella mia mente ho già uno schema da seguire ben delineato.

Non ho idea dell’intervallo nel quale pubblicherò i capitoli, né del giorno preciso, ma di sicuro ne arriverà uno a settimana, anche se devo ancora decidere il giorno. In questo caso il primo capitolo arriverà entro domani o dopodomani, perché questa sottospecie di prologo non attirerebbe nemmeno mezza mosca.

Beh, comunque, provvederò a cancellare la storia precedente e il suo seguito e spero che apprezzerete questa, che ormai è diventata come la mia bambina.

Bene, inizio già a considerala una persona: pessimo segno.

Ecco che è in arrivo la mia parte demenziale, era rimasta seria troppo a lungo.

Ringrazio tutti quelli che preferivano/seguivano/ricordavano/recensivano la storia precedente e spero di rincontrarli di nuovo in questa nuova avventura.

Baci,
KoreW

NB: Probabilmente il mio nickname risulterà ancora come Alyssia98, ma ho provveduto a chiedere la richiesta di cambio, quindi a breve non ci saranno più questi problemi.

 
 

 

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Capitolo 2
*** 1) Letters, shopping sprees and a train to a new world ***





Letters, shopping sprees and a train to a new world


Tutto è magia, o niente.
Novalis, Frammenti, 1795/1800

7 anni prima…
  
Era una calda e soleggiata mattina d’estate lì alla periferia del Kensington, con nulla di particolare o sconvolgente.
La vita scorreva tranquilla come l’acqua di un torrente e la gente si incamminava, chi per arrivare in tempo al lavoro e chi per il gusto di fare due passi e sgranchirsi le gambe, lungo le grandi strade. In quel piccolo borgo, si distinguevano nettamente due zone: quella residenziale ricca di ville e sfarzi e quella più popolare, dove vi erano case l’una attaccata all’altra quasi come se soffocassero; entrambe le due vie, Sidar Road e Walmer Road, erano divise da un immenso parco, ricco di flora e fauna dove le madri portavano i bambini a giocare su altalene e scivoli.
Del resto, nessuno faceva caso  a quel distacco e bastava superare il parco per essere immediatamente su una delle due sponde.

Proprio in quel momento, una ragazzina bassina e dai capelli castani al vento, stava percorrendo quella scorciatoia tutta di corsa e con affanno, inciampando qua e là e rischiando di avere un contatto ravvicinato con l’erba appena tagliata del parco.
Il suo intento era raggiungere Sidar Road in fretta, ma non aveva messo in conto la moltitudine di bambini presenti in quel parco, che non facevano che rallentarla costringendola a zig-zagare tra i passeggini e le panchine.
Aveva un’espressione estasiata sul volto e stringeva tra le mani una lettera dalla busta un po’ ingiallita e dal sigillo di ceralacca spezzato. Alcune donne la salutavano, ma lei nemmeno si degnava di rispondergli, tanta era l’euforia e la voglia di raggiungere la persona con cui condividerla.

Beh, quella ragazzina era così, euforica e allegra al massimo e soprattutto molto attaccata alla sua migliore amica. Avete mai provato così tanta felicità da scoppiare? Beh, lei in quel momento la stava provando. Certe volte uno nemmeno ci fa caso, troppo presi da pensieri e impegni, ma è proprio a quell’età che le piccole cose belle iniziano a crescere e a diventare sempre più grandi, come se fosse tutti giorni Pasqua o Natale. A molti piacerebbe sentirsi così, ma i ragazzini hanno un istinto più sottile che li spinge a vedere del bello in tutto, a cercare e a trovare la felicità anche in un giorno di pioggia.

Lei era molto conosciuta lì. Era l’inglese straniera, la figlia di quella coppia che molto tempo prima era partita e non era più tornata se non dopo otto anni, la bambina che aveva portato un vento di novità nella scuola lì vicino, dove la giudicavano strana per il suo accento meno bretone e più italiano. Quella bambina che, però, aveva fatto molto per tanti e crescendo era diventata l’amica di tutti, o quasi.
Quello era un giorno speciale: aveva appena compiuto undici anni e non aveva nemmeno dato il tempo di dare la bella notizia ai suoi, che già correva a raccontarla alla migliore amica, che aveva ricevuto quella lettera prima di lei.

 
Destinatario: Mss. Alexis Winter
                      Secondo piano a sinistra.
                      10 Walmer Road,
                      Kensington,
                      LONDRA.
 
Cara Mss. Winter,
siamo lieti di informarla che lei è stata ammessa alla scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
La invitiamo a prestare la massima attenzione alla lista qui allegata e di procurarsi tutto il materiale necessario per il normale svolgimento delle attività scolastiche.
Inoltre verranno a farle visita dei docenti della scuola per darle le dovute informazioni e spiegazioni sulla scuola e i suoi programmi entro ventiquattro ore l’arrivo della lettera.
L'anno scolastico avrà inizio il 1° settembre. Restiamo in attesa del suo gufo entro e non oltre il 31 luglio.
Cordiali Saluti,

Filius Vitious

Vicepreside
                                   SCUOLA di MAGIA & STREGONERIA di HOGWARTS
                                                         Direttore: Minerva McGranitt

 
Queste le parole scritte con inchiostro verde in quella pergamena ingiallita. Parole magiche, come la verità che celavano, come quel posto in cui lei aveva tanto sognato di voler andare. Incredibile come una lettera può cambiarti la vita, eppure lo fa, e tu non hai nemmeno il tempo di capacitartene che già ti ritrovi preda di un vortice di allegria, euforia e forti emozioni.

Era una strega. Lei, una strega.

Era sempre stata una bambina piuttosto strana, lei, che ancora non aveva trovato il modo di adattarsi allo stile di vita inglese; eppure quella parole le avevano dato una piccola speranza che si era tramutata in gioia grazie a un effetto a catena ben combinato. Si fermò per pochissimi secondi a riprendere fiato proprio di fronte al ciglio della strada. Il sudore le imperlava la fronte e respirava affannosamente per la corsa.

Controllò che non passassero macchine e attraversò velocemente, raggiungendo il numero 6 di Sidar Road. Si fermò un attimo a contemplare la maestosità di quella villa, così grande ed etera, imponente e sovrastante da far paura.
Si sporse a guardare dall’enorme cancello in vernice nera e lucida che, dopo aver suonato il citofono, si iniziò ad aprire, lasciandola immergere in quell’enorme giardino dalle siepi intagliate nelle forme più strane, i vialetti in pietra che attraversavano l’intera abitazione, il grande gazebo alla destra, l’orto, alcune aiuole e fioriere a sinistra e in un angolo un po’ più appartato, la grandissima serra dentro la quale erano presenti tutti i tipi di fiori esistenti al mondo, la fontana con i pesci rossi al centro, un minuscolo stagnetto con le tartarughe vicino al gazebo e delle statue in marmo che contornavano il vialetto principale che conduceva alla porta. Inciampò in una mattonella un po’ più sporgente, ma riuscì a mantenere l’equilibrio e due nanosecondi dopo era già alla porta d’ingresso a premere il secondo campanello.

Do Re Mi Fa Sol La Si Do!

Aveva un suono ridicolo, le piaceva prendere in giro l’amica per il campanello di casa che suonava la scala melodica. Venne ad aprirle una delle tante cameriere presenti alla villa, che la guardò leggermente schifata a causa delle scarpe pregne di terra ed erba.

- Signorina, ho appena lavato il pavimento, non può entrare con quelle scarpe sudice- la ammonì la cameriera bloccandola all’ingresso. Alex si guardò le scarpe: le Superga rosa erano diventate di un colore indefinito e, ovviamente, era oltraggioso presentarsi a casa Bloomwood con quella mise. Se le tolse in fretta e le porse poco delicatamente alla cameriera. Camminando con solo i calzini salì le ampie scale in marmo bianco e camminò sulla moquette nera del corridoio fino all’ultima camera a sinistra. Aprì la porta di scatto, facendo sobbalzare la ragazza che vi si trovava all’interno.

- Ce l’ho! Lally, ce l’ho!- disse, iniziando a saltellare su e giù per la stanza, anch’essa rivestita di moquette nera.
L’altra ragazza, Lally, iniziò a dubitare seriamente della sanità mentale della sua amica.

Eppure dovrei esserci abituata”, pensò, scuotendo la testa come per scacciare via quel pensiero retorico che le era balenato alla mente.

- Che cosa, l’idiozia permanente? Alex, questo lo sapevo già- le disse scherzando sedendosi sull’enorme letto a una piazza e mezza con i lenzuoli di seta e i cuscini di piume d’oca.

- Ah, Ah. Simpatica- disse l’altra e rivolse all’amica una linguaccia.

Il loro rapporto era un po’ controverso. Battibeccavano un po’, ma si volevano un gran bene. Erano come due facce della stessa medaglia: se una era pacata, l’altra era euforica, se una era triste, l’altra la consolava e viceversa, se la prima era abituata a trattamenti principeschi, l’altra era abituata a molti spostamenti e a normalissimi trattamenti da parte di una madre e un padre impegnati al massimo nei lavori, se la piccola principessa aveva al seguito un numeroso staff per servirla, l’altra si doveva arrangiare e fare da baby-sitter al fratello minore durante l’estate, se una era strettamente controllata e oppressa, l’altra era libera come un uccellino. Ma c’era una cosa che le univa: la loro amicizia e il loro voler condividere piccoli pezzi di vita. Amiche da una vita, quasi cinque anni, si volevano bene e per entrambe era come avere una sorella, un appoggio, un piccolo sostegno contro tutto e tutti, una compagna di avventure e sventure grandi e piccole nel mondo ristretto di due undicenni scapestrate.

La mora si sedette accanto alla ragazza e le porse quella lettera di pergamena.

Lailah Bloomwood, o solo Lally, come piaceva chiamarla ad Alex, questo era il nome di quell’undicenne che in quel momento sorrideva e abbracciava la mora con entusiasmo. La figlia di due grandi pezzi grossi del mondo babbano: Gioel Bloomwood, primario di medicina interna all’ospedale di Knightsbridge  (ogni giorno si recava a lavoro con una macchina costosissima con tanto di autista) che aveva possedimenti in ogni dove in Inghilterra e oltre e di Josephine Alec in Bloomwood, ricca ereditiera il cui hobby principale erano gli allenamenti di tennis con le amiche (ultima moda del momento) e spendere soldi per rimodernare o migliorare la sua vasta tenuta in quel piccolo borgo reale. No, la piccola non se la passava minimamente male, eppure…
aprì con delicatezza il comodino accanto al letto ed estrasse una busta uguale con lo stesso stemma e lo stesso sigillo.

- Andremo ad Hogwarts, Lally, ma ci pensi?!- gli enormi occhi celesti della mora scintillavano dall’eccitazione e l’altra la seguì a ruota, contenta che anche la sua amica la accompagnasse in quel lungo viaggio di cui la nonna le aveva tanto parlato.

Triste vita, però, quella della ragazzina. Genitori assenti e per nulla interessati, oppositori di qualunque forma di magia e un devastante lutto che l’aveva sconvolta, anche se piccola, e l’aveva a poco a poco spezzata. Aveva dei lunghissimi capelli castano biondi, che non aveva mai tagliano fin dalla nascita, degli occhi piccoli e verdi, che cambiavano colore a seconda dell’intensità della luce, lineamenti nobili, discendenti dai suoi avi, che le conferivano l’aspetto di una vera principessa o comunque quasi regale, erede di tutte quelle fortune di cui i genitori disponevano, ma che li aveva delusi in tutto e per tutto, almeno secondo il loro punto di vista.

- Elizabeth ne sarebbe contenta, Lally, lei crede in te- la consolò l’altra, notando quel piccolo barlume di tristezza che attraversava gli occhi di Lally. La cosa bella del loro rapporto era che non avevano bisogno di tante parole, si capivano e basta, seppur ingenuamente.

- Credeva, Alex, credeva. Devo ricordarti che non c'è più?!- le disse acida, pensare alla nonna defunta faceva ancora troppo male, anche se era trascorso quasi un anno e mezzo.

- Lei è ancora qui,- disse la mora indicando il cuore dell’amica. –Devi solo crederci- e sorrise, un sorriso dolce e rassicurante, capace di calmare per un momento gli animi tormentati delle persone.

- Hai ragione. Ma adesso non pensiamoci, è una notizia fantastica e non voglio essere triste!- si ricompose subito l’altra, mettendosi in piedi di scatto e sorridendo.

- Si! Andremo ad Hogwarts! Andremo ad Hogwarts!- si erano messe a saltellare insieme come delle bambine. Ridevano, saltavano, a momenti cantavano, felici di poter condividere anche quello, insieme.

- Chi è venuto a casa tua per darti il benvenuto?- chiese dopo un po’ l’amica, curiosa di conoscere ulteriori professori. Erano stese sul pavimento a contemplare il tetto della camera dipinto a mano con motivi floreali che ricordavano tanto un prato fiorito, quando la mora scattò in piedi.

- Cavolo! Non lo so!- prese di fretta la busta e come un razzo uscì dalla camera, correndo fino all’ingresso.

Aprì la porta con un po’ di fatica data la poca forza e sfrecciò fuori da quella casa e ripercorse il tragitto al ritroso, dimenticandosi però di riprendersi le scarpe.

- Alex! Alex!,- gridava l’amica dalla porta inutilmente. – Hai... scordato le scarpe.- disse poi più piano, scuotendo la testa rassegnata e rientrando in casa.

Quella ragazza non cambierà mai” si ritrovò a pensare e porse le scarpe ad una cameriera per fargliele ripulire prima di restituirle alla legittima proprietaria smemorata.

 
Arrivata sulla soglia di casa, che era molto, ma molto meno sfarzosa di quella dell’amica, Alex, sbirciando dalla finestra, notò due persone con uno strano abbigliamento con tanto di mantello e cappello a punta e capì di essere arrivata in ritardo. Suonò al campanello, che non produceva l’ottava musicale ma solo un comune Dlin Dlon e si ritrovò di fronte al sorriso forzato di sua madre che la inceneriva con lo sguardo. Sorrideva innocente, lei, fissandosi intensamente le scarpe… un momento, e le scarpe dov’erano?! Beh, non c’era tempo per ricordarselo, entrò in fretta a casa ed indossò delle infradito giallo limone, e venne subito scortata da sua madre in soggiorno, dove suo fratello guardava curioso i due signori strani seduti sul divano a bere comodamente del tè alla pesca.

Deglutì, e si sedette in mezzo tra suo padre e sua madre, che la scrutavano un po’ torvi. Non che fossero cattivi, per carità, solo non erano amanti delle sorprese e credeva fermamente che quei due signori avessero già fatto parola ai suoi genitori dei suoi poteri.

- Oh, eccola signorina Winter, aspettavamo proprio lei- le si rivolse cordialmente un uomo, con un’espressione gentile e rassicurante, porgendole una mano.

- Io sono il professor Paciock, insegnante di erbologia ad Hogwarts e direttore della casata di Grifondoro e in quanto lei una Nata Babbana, sono qui per spiegare ai suoi genitori tutto ciò che c’è da sapere sulla scuola- disse gentile, sorridendole apertamente. Gli strinse la mano e lo etichettò subito come professore simpatico. Squadrava invece con aria criptica l’altra persona, una donna dai tratti indiani che se ne stava con le gambe incrociate e un’espressione scocciata sul viso: doveva aver fatto quell’operazione così tante volte che probabilmente era stufa di ripeterla ogni anno per parecchi studenti.

- Lei è la professoressa Patil, insegnate di Trasfigurazione.- la presentò il professore, e lei le porse riluttante una mano piccola e mulatta dalle unghie smaltate di arancione albicocca.

Conosceva tutto di quella scuola e dei dintorni, la nonna di Lailah aveva raccontato tutto alle due ragazze e ciò che spiegava il professor Paciock era solo una ripetizione in più, ma per i suoi genitori era tutto così nuovo che ne erano quasi intimoriti. Spostava lo sguardo da sua madre a suo padre, scorgendo vari tipi di espressione: sconcertata, interessata, incuriosita, spaventata, quasi triste, abbastanza felice, preoccupata e soprattutto stupita.

Non si dà molto credito ai ragazzini di quell’età, di solito ci si limita a liquidarli con frasette fatte del tipo: “Si, ne parliamo dopo”, “non dire stupidaggini”, “è tutto frutto della tua fantasia”… ma come dare torto se una bambina di sei anni ti dice che sa creare degli uccellini in carne ed ossa con delle foglie?! I coniugi Winter si erano trovati a rilegare la questione con un nome particolare: fervida immaginazione, ed Alex ne aveva da vendere, per cui non erano stupiti quando lei gli diceva che era riuscita a far lievitare un pezzo di carta quanto più comprensivi, relegando la situazione alla giovane età della bambina.

Però adesso Alex aveva undici anni, non era più così bambina, e di certo la presenza di quei due sconosciuti era la prova che non mentiva, quando era piccola, anche se sembrava tutto così inverosimile.

- …e, per arrivare al binario, basta passare tra quello nove e dieci e si arriva al 9 e ¾ con molta facilità.- concluse il professor Paciock, che aveva avuto anche la santa pazienza di rispondere alle domande di una madre apprensiva e un padre poco esperto della materia.

- Ma andrà a sbattere! Non è possibile che… - il padre di Alex, Daniel Winter, stava per  porre una domanda comune a tutte le famiglie, ma la figlia fu più veloce nel rispondere.

- Papà, non succederà niente. E poi il problema non è questo, come ci arrivo a Diagon Alley? Non credo che i miei ci possano arrivare da soli e poi i Babbani non vedono il Paiolo Magico- domandò la ragazza al Professore che con un sorriso le rispose:

- Hai perfettamente ragione, ma quello del Paiolo Magico non è l’unico metodo per accedere a Diagon Alley. Potresti usare la Metropolvere, oppure le vie della Metropolitana, anche se ti consiglio il primo metodo, è più rapido e meno stancante.- disse paziente il professore, alzandosi dal divano insieme alla sua collega.

Ispirava fiducia, Neville Paciock, e riusciva a rassicurare anche le famiglie più titubanti e apprensive. Era cambiato col tempo, sia per aspetto e carattere. Era molto alto, dal taglio di capelli brizzolato e dal fisico in forma, non si stancava mai di insegnare e anche se con una quantità spropositata di figlie femmine (ben cinque donne in casa! No, non era impazzito con quattro figlie, se ve lo state chiedendo) non aveva perso la pazienza e la bontà che lo caratterizzavano. Sì, ad Alex piaceva proprio.

- Ma io non possiedo polvere volante, purtroppo,- disse un po’ scoraggiata la ragazza, a cui subito tornò il sorriso non appena il professore estrasse un piccolo sacchetto grigio con dentro una grande quantità di polvere finissima grigio-argentata. –Grazie!- e sorrise, prendendo il sacchetto e stringendolo gelosamente tra le mani.

- E mi raccomando: la pronuncia deve essere perfetta, soprattutto perché non ci sei mai stata e non sai cosa si può trovare.- le ricordò intelligentemente il professore.

- Ovviamente- gli rispose la ragazza. Dopo poco ambedue i maghi si congedarono, lasciando Alex da sola ad affrontare tutte le domande, le preoccupazioni e le rabbie dei genitori.

Ma non vi fu nulla di tutto ciò.

Lorayne la abbracciò soltanto, orgogliosa della sua “bambina” un po’ troppo cresciuta secondo i suoi gusti; lo stesso fece Daniel, che vedeva sua figlia come un qualcosa da proteggere e mai lasciare andare via.

- Ehi! Ci sono anch’io!- un piccoletto appena cinque anni, ma già alto fino all’ombelico della ragazza (e qui aggiungerei anche un commento poco positivo nei confronti della scarsissima statura di lei) aveva le mani incrociate e un broncio da offeso, mentre reclamava le attenzioni dei genitori.

- Vieni qui, Fabian!- lo incitò la madre di Alex, unendo anche lui in quel quadretto familiare.
Ad ogni genitore viene difficile separasi dai figli quando sono già abbastanza grandi, ma Alex era ancora così piccola… come avrebbero fatto a stare senza di lei? Perdersi ogni cosa della loro bambina, la crescita, la maturazione, i problemi, la scuola… ma potevano proibirle la sua vita? In ogni luogo dove andassero, Alex si era sempre sentita un’estranea, diversa, speciale. Adesso che aveva davvero trovato il suo posto, potevano proibirle di andarci?

- Mamma, papà… io voglio davvero andarci.- disse loro la ragazza, staccandosi momentaneamente da quel dolce abbraccio. Lorayne sospirò e Daniel si passò una mano su quei radi capelli, Fabian, intanto, ignaro di tutto, osservava la scena con sguardo incuriosito.

- Non… non vuoi restare, vero?- tentò la madre, consapevole della risposta negativa che le sarebbe di certo arrivata.

- No, mamma. È il mio mondo, mi sento davvero parte di esso e poi non sarò sola, Lailah sarà con me, insieme sapremo cavarcela.- li rassicurò, per quanto potesse, la ragazza, iniziando a raccontare entusiasta tutte le nozioni imparate nel corso degli anni.

- Mia figlia è una strega… io che ti ho sempre considerata una principessa! Credo che dovrò cambiarti il nome.- risero tutti a quell’affermazione leggermente ridicola, che però era riuscita a smorzare la tensione.

- Oh papà!- e lo abbracciò, avvolgendo anche la mamma e il fratello.

Proprio come una vera famiglia.

***    

                                                Il legame che unisce la tua vera famiglia non è quello del sangue,
                                                               ma quello del rispetto e della gioia per le reciproche vite.
                                      Di rado gli appartenenti ad una famiglia crescono sotto lo stesso tetto.
                                                                                                                                        Richard Bach

 

Qualche settimana dopo quella notizia, a causa dell’impazienza della figlia, i signori Winter decisero di intraprendere il viaggio verso Diagon Alley e comprare tutto l’occorrente per frequentare la scuola.

Quella mattina, contro le aspettative dei vari meteo cittadini, il cielo era oscurato da grandi nuvole grigie che minacciavano pioggia. Beh, è risaputo che, comunque, il clima inglese non sia dei più caldi, ma fortunatamente questo non avrebbe scoraggiato le due ragazzine che s’apprestavano ad entrare nel camino di casa Winter e raggiungere la tanto sospirata Diagon Alley.

- Lailah, ma sei sicura di non volerci andare con i tuoi genitori?- chiese cordialmente Lorayne  alla ragazzina, che stava controllando ancora una volta di aver messo tutto in borsa.

- Lorayne, sono loro che non vogliono venire. Non vogliono avere nulla a che fare con il mondo della magia, ma se disturbo…

- No, no, non disturbi, solo… chiedevo, tutto qui.- e le sorrise gioviale.

Da quando Lailah aveva conosciuto Alex, non aveva fatto altro che considerarla una sorella, parte integrante della sua famiglia: anche i genitori di Alex si comportavano con lei come tali. Aveva imparato a preferirli e ad amarli proprio come avrebbe fatto con quelli veri se non avessero assunto comportamenti di assenza e menefreghismo. Ogni battuta di Daniel, ogni premura di Lorayne era riversa anche su di lei e la faceva sentire veramente a casa. La faceva sentire parte integrante di quella famiglia perfetta ai suoi occhi, che non faceva che regalarle sorrisi.

No, Josephine e Gioel non erano più i suoi genitori da tempo, Daniel e Lorayne lo erano e Alex e Fabian erano i suoi fratelli.

- Ma se… - disse titubante, il terrore di un rifiuto, di aver anche solo prodotto false fantasie la spaventava. Lei era solo un’estranea in quel perfetto quadretto, può darsi che a Lorayne e Daniel pesasse e che fossero troppo cortesi per dirglielo, magari… ma non finì mai di formulare quel pensiero perché venne interrotta da uno dei soliti discorsi divertenti di Daniel.

- Niente ma! Cosa ti abbiamo sempre detto? Fai parte della famiglia e come tale puoi venire con noi quando vuoi.- alla ragazzina tornò il sorriso e subito scacciò via quei tristi pensieri opprimenti. Venne subito presa a braccetto da Alex che parlava sognate di ciò che avrebbero trovato altre quel camino.

- Lally, Diagon Alley! Praticamente una cittadina di soli maghi! Saranno tutti come noi! Incontreremo gente, vedremo negozi di tutte le specie e soprattutto avremo una bacchetta tutta nostra! Non lo trovi eccitante?- era “leggermente” esaltata la piccola Winter. Era fatta così, lei, si eccitava con poco, contagiando tutto e tutti con la sua allegria.

- Sì! Sarà bellissimo.- confermò l’amica, stringendole la mano.

Dopo fu tutta una seria di azioni meccaniche e ben studiate. Le due ragazze spiegarono ai due genitori inesperti le modalità del trasporto tramite Metropolvere e, dopo essersi infilati nel camino, arrivarono direttamente in quella bellissima cittadina magica che incantava tutti con la sua bellezza.

Non appena messo piede su suolo magico, il viso della ragazzine si tramutò in un’espressione mista tra stupore, allegria, felicità ed euforia.

In ogni angolo guardassero la magia era in agguato, ogni singolo negozio sovrabbondava di questa.
Ciò che salta subito all’occhio di chi visita Diagon Alley per la prima volta, sono gli svariati oggetti che si vendono per strada o che fanno bella mostra di sé dalle vetrine: caleidoscopi, trottole, animali, uccelli, manici di scopa, aggeggini strani e divertenti… se ci si soffermava, poi, si poteva sentire il profumo dei gelati più buoni di tutto il mondo magico proveniente dalla gelateria di Florian Fortebraccio: gusti semplici quali fragola, pistacchio, cioccolato… e più elaborati e strani quali cioccorana, gelatine tutti gusti +1, zucca, ghiaccio al lampone, burro al melone e tanti, ma tanti altri. I suoni, poi, erano la cosa più insolita, ma che rendeva il tutto ancora più reale: versi di animali, chiacchiericcio sommesso e urla dei venditori alle varie bancarelle che cercavano di attirare l’attenzione di possibili clienti.

Le due ragazze si sentivano così piccole a confronto, che quasi scomparivano a cospetto di tutta quella magnificenza. Entrambe sentivano di aver trovato il loro posto, lì, in mezzo alla magia e ai maghi. Si sentivano come in un sogno, dentro una bolla piena di aspettative e desideri che si librava in alto per poi farle avanzare in quel mare di gente che camminava e correva di qua e di là. Quella sensazione fu interrotta dalle urla di Lorayne che cercava di richiamare Fabian, intento a correre fra tutta quella gente per andare chissà dove.

Riportate alle realtà, si misero tutti all’inseguimento di quella piccola peste di cinque anni che correva a perdi fiato. Era sempre stato così, Fabian, in ogni posto dove andassero, se catturava la sua attenzione, si lanciava in una corsa frenetica per ammirarlo tutto, a discapito dell’intera famiglia che era costretta a rincorrerlo fino a che non si fermava per riprendere fiato.
Dopo qualche metro finalmente quell’uragano si fermò e venne prontamente afferrato e messo in spalla da Daniel, che lo rimproverava per il pessimo comportamento. Intanto le due ragazze si erano fermate ad osservare un imponente edificio che svettava su tutti gli altri con la facciata bianca come la neve e il portale di bronzo accuratamente sorvegliato da un folletto. Sul viso si era formata un “O” di stupore, che aveva catturato anche il resto dei presenti.

- Quella è… - iniziò a dire Lailah.

- Sì, quella è la Gringott.- confermò Alex, intenta a catturare l’attenzione dei genitori.

- Mamma, dovete cambiare i soldi alla banca prima di comprare il materiale. Qui non si usano le sterline, ma i galeoni.- gli ricordò Alex, porgendo loro due chiavi dorate date a lei e a Lailah dai professori venuti in visita a casa loro per informare i genitori.

- Entriamo, forza.- le incitò Lorayne, avanzando insieme a tutto il gruppo. Attraversato il cancello in bronzo sotto lo guardo criptico del folletto, passarono oltre l’entrata principale su cui era scritta una frase abbastanza minacciosa su chi avesse avuto anche solo la minima idea di entrare e derubare quella banca. Attraversata la porta in argento, si ritrovarono catapultate in un lungo corridoio, contornato da alte scrivanie su cui vi lavoravano folletti in uniforme rossa e dorata (proprio come quello all’ingresso). I cinque, persino il piccolo, erano intimoriti da tutto quello: come inizio sembrava molto terrificante, a dire il vero, anche perché i folletti non erano di certo il non plus ultra della bellezza, ma avanzarono lentamente, dirigendosi verso l’ultima scrivania alla fine del corridoio.

Le ragazze si guardavano curiose e tenevano fermo per le manine il piccolo Fabian, mentre Daniel e Lorayne cercavano di spiegare le loro esigenze al folletto.

Daniel tossì per schiarirsi la voce –Ehm, scusate, siamo qui per effettuare un cambio di valuta e aprire due conti correnti in questa banca, dove… - ma il folletto lo bloccò con un gesto della mano dalle dita insolitamente lunghe e nodose.

- Le chiavi, prego.- disse, protendendo la mano per prenderle. Daniel gliele porse entrambe e lui scese dal suo sgabello per recarsi verso un’altra scrivania con una macchina simile ad un bancomat che prendeva le sterline e le cambiava in galeoni con un giro della chiave.

Arrivato, digitò un codice di attivazione sul tastierino numerico presente all’interno della macchina e infilò la prima chiave, quella di Alex, nel buco della serratura interno al marchingegno.

- Le sterline che devo cambiare, per favore.- la voce del folletto era molto roca, come se avesse chili e chili di catarro nella gola e non riuscisse a tossire per liberarsene.

Daniel porse un sacchetto molto pesante al folletto, che ne riversò il contenuto in un’apertura nella parte superiore della macchina, interamente di color oro. Il folletto digitò un altro codice e dall’uscita anteriore, in basso, uscirono una moltitudine di galeoni d’oro, falci d’argento e zellini di bronzo. Il folletto sorrise, o almeno tutti credevano che quella linea curva all’insù sulla sua faccia fosse un sorriso, e mise tutti i soldi dentro il sacchetto che una volta conteneva le sterline.

- Ecco i vostri soldi.- disse, e porse di nuovo a Daniel il sacchetto, questa volta stracolmo di monete del mondo magico.
La stessa azione si ripeté anche con il denaro di Lailah, che i genitori comunque le avevano dato (con tutti quelli che possedevano, avrebbero potuto riprodurne la loro villa a grandezza originale), e dopo qualche minuto anche lei stringeva tra le mani il suo bel gruzzolo tintinnante.

Daniel scambiò anche qualche parola con il folletto per l’apertura dei conti correnti e quello gli fece vedere le modalità.

- Torneremo dopo a depositare, grazie…

- Blinker.- pronunciò solo il folletto e ritornò alla sua postazione come se nulla fosse.

Uscirono in fretta dalla banca per ritornare nella caotica strada principale di Diagon Alley.

- Se penso che dopo dovremo ritornare lì, mi vengono i brividi.- disse Lorayne, rimasta abbastanza terrorizzata dai folletti. Tutti scoppiarono a ridere e iniziarono ad incamminarsi verso i vari negozi.

- Oh, mamma, e ancora non hai visto i draghi!

- Che cosa?! Draghi?! E chi ha parlato di draghi?!- esclamò Lorayne terrorizzata, odiava tutte le creature convenzionali e non, specialmente gli insetti e quelle… insolite.

- Va beh, Alex, mi sa che ti puoi sognare il gufo.- disse ridendo Lailah, dando ad Alex un buffetto sulla spalla.

- Assolutamente no! Anche perché se no si possono sognare le mie lettere.- pronunciò solenne, incrociando le braccia al petto.
Tutti risero per il broncio strano che aveva messo su e continuarono a camminare.

Alex prese la lista dalla borsa e la lesse a mente insieme all’amica:

Gli studenti del primo anno dovranno avere:
Tre divise da lavoro in tinta unita (nero)
Un cappello a punta in tinta unita (nero) da giorno
Un paio di guanti di protezione (in pelle di drago o simili)
Un mantello invernale (nero con alamari d'argento)
N.B. Tutti gli indumenti degli allievi devono essere contrassegnati da una targhetta con il nome
 
- Fantastico, andiamo da Madama McClan, allora!- disse, trascinando i suoi genitori in un negozio non molto distante dalla scritta in lilla: Madama McClan: abiti per tutte le occasioni

Appena entrate, avvertirono un profumo di lavanda e gelsomino talmente intenso da far lacrimare gli occhi, ma ci si abituarono quasi subito. Gli abiti erano disposti in ogni angolo e spiccavano i colori sgargianti di quelli da cerimonia o i colori tenui e delicati di quelli da sposa. Le pareti erano bianche, decorate da fiori di lavanda e gelsomino che spargevano, per l’appunto, quel profumo. Al centro vi erano tre pedane, che sicuramente servivano per prendere le misure alle varie persone e, mentre ancora ammiravano stupiti quella gran moltitudine di abiti, da una sorta di sgabuzzino sbucarono fuori due ragazzine (di venticinque anni o poco più), seguite da una donna più anziana che le richiamava. Alla fine della discussione, la donna si recò verso le ragazzine iniziò a squadrarle con occhi criptici.

- Bene, bene, bene, scommetto che siete qui per le divise, giusto?- chiese, e iniziò a farle salire nelle pedane.

- Sì.- confermarono le due e la donna, con un veloce gesto della mano, richiamò a sé le sue due assistenti dall’aria smarrita e spaurita.

- Violet, Marissa, a voi due vi affido queste due signorine, prendete bene le misure, poi io mi occuperò di commissionare i vestiti e cercare gli altri indumenti. Su, su!- ordinò gentilmente, lasciando le due assistenti alle prese con Alex, Lailah e gli sguardi interessati di Lorayne.

Bastarono pochi minuti per prendere le misure e i tessuti, e bastò ancor meno per commissionare i vestiti. Pagarono e uscirono da quel negozio, troppo intriso di profumo anche solo da poterci respirare.

- Oh, cavolo, quasi mi faceva allergia, quel posto.- disse Daniel, tossendo rumorosamente.

- Molto carini, invece, i vestiti; anche se un po’ strani.- disse invece Lorayne, che stava iniziando ad apprezzare la moda magica.

- Fantastico. Mamma, però se spunti nel nostro quartiere con un capello a punta di pelle di drago ti prenderanno per pazza.

- Non ho detto che lo farò.

- Anche perché se no io dirò che non ti conosco.

- Tesoro, qui la strega sei tu, non io.

Erano fatte così Lorayne ed Alex, battibeccavano spesso, ma si volevano bene, proprio come madre e figlia. Lailah invidiava quella complicità, di certo sua madre non era un grande esempio di affetto materno, ma appariva sempre distaccata con lei, come se fosse invisibile o meno importante di uno stupido allenamento di tennis o una stupidissima festa di gala.

- Avete finito voi due? Abbiamo ancora molte cose da comprare, non potete fare così per ogni singolo negozio: ve lo proibisco.- le richiamò Daniel, mettendo fine alla discussione assurda che si era creata.

- Va bene, va bene. Adesso vediamo… - Alex aveva ripreso al lista e ne leggeva ad alta voce le parole. – Un set di provette in vetro o cristallo; un telescopio; una bilancia d’ottone. Perfetto, il negozio è proprio qui!- disse e indicò “Wiseacre’s Il Telescopio” con un dito.

Uscirono da lì con una busta a testa molto pesante e andarono avanti.
Alex e Lorayne quasi svennero nel vedere tutti quegli ingredienti viscidi e… vivi! Presenti nella Farmacia, ma servivano per le pozioni e, anche se un po’ schifata, Alex li dovette comprare lo stesso. Effetto che invece su Lailah non ci fu: aveva sempre desiderato poter fare una pozione da sola, fin da quando sua nonna gliene aveva parlato, per cui al sol vedere il la lumache cornute e le milze di pipistrello era diventata euforica dalla gioia.

- Ma come fai! Quei cosi si muovono!- le aveva detto Alex, ancora in viso un’espressione schifata.

- A me piacciono.- si era limitata a dire l’amica, entrando da “Il Calderone”.

Acquistarono entrambe con un calderone in peltro, misura standard 2, con le proteste di Lailah per averne uno in rame a fare da sottofondo.

Passarono anche da “L’emporio del gufo & Serraglio stregato” per acquistare un animale.
Entrati dentro l’odore di ogni tipo di mangime e il suono di ogni tipo di verso li aveva investiti come un getto d’aria fredda d’inverno.

Le ragazze iniziarono ad ispezionare ogni gabbia di quel negozio, scartando a priori i rospi (che non ritenevano adatti da portare casa).

- Alex, che ne dici di un gatto?- propose l’amica, andando verso le gabbia con i felini.

- Assolutamente no! Cosa pensi che succederebbe se portassi a casa mia un gatto, con un pastore tedesco in giardino? Io non credo che resterebbe ancora in piedi.- disse l’amica quasi tremando, immaginando il suo cane inseguire un gatto per tutte le stanze.

- Seth Aaron è un cane poliziotto, non credo perderebbe tempo con questi adorabili batuffoli di pelo.- disse, mostrando facce dolci e sconcertanti ai mici.

- Lasciamo perdere, ok?- e sparì verso l’angolo dei gufi, che mangiucchiavano qualche croccantino.

Li osservava incantata, mentre aprivano le grandi ali per dare mostra di se.
Gli esemplari più presenti erano i barbagianni, i gufi bruni e anche una minoranza di gufi selvatici, ma ce n’era uno in particolare che aveva colpito la sua attenzione: un piccolo esemplare di gufo da granaio dallo sguardo dolce e quasi intimorito dalla presenza di tutti quei gufi più grandi. Effettivamente lei aveva intenzione di acquistare una bella civetta, ma la vista di quell’esserino l’aveva così intenerita che non aveva avuto il minimo dei dubbi mentre indicava al commesso, un uomo robusto di mezza età, qual’era la sua scelta.

- Finalmente anche questa bella gufetta va via, non si trovava affatto bene con tutti quegli esemplari grandi.- le disse il commesso con voce grossa, mettendo il gufo in una gabbia.

- Ah, è femmina?

- Esattamente.

- Uhm… ce l’ha un nome?- chiese curiosa, per scegliere nomi era un asso, basti pensare al suo pastore tedesco di nome Seth Aaron.

- Sì, si chiama Millicent, ma puoi chiamarla anche solo Milli.

- Oh, gufetta, anche tu con un pessimo nome da abbreviare, credo che andremo d’accordo io e te.- disse, infilando due dita dentro la gabbia per accarezzare le piume del suo animale. Poi, rivolgendosi all’amica. – Lally, che prendi?-

- Un gufo selvatico, nessuno dei gatti mi ispira particolarmente e poi ho bisogno di qualcosa per tenermi in contatto con Nigel, Georgina e Miriam. Ho bisogno di dare notizie di me almeno ai miei cugini.- disse, pagando un esemplare di gufo selvatico.

- Ragazzi, dato che dobbiamo prendere libri e bacchette, passiamo a riprenderli dopo, ok? Sempre se per lei va bene.- si rivolse Lorayne al signore.

- Nessun problema, glieli metto da parte nel retro del negozio.- acconsentì il signore e tutti e cinque uscirono, per ritrovarsi di nuovo sul lungo viale.

- Va bene, ragazze, ci mancano solo libri e bacchette: dove si va per i testi scolastici?- chiese Daniel. Le due ragazze si guardarono negli occhi per un secondo, riuscivano a comunicare anche con un solo sguardo.

- Al Ghirigoro!- esclamarono. Oltrepassarono un paio di vetrine, ma si fermarono a un negozio dalla meta per imbambolarsi a guardare la vetrina di “Accessori da Quidditch di qualità” dove vi erano esposti i tre manici di scopa più veloci del momento: la Fairbolt 3000, la Nimbus 2012 e un nuovo modello proveniente direttamente dall’America: la StarComet 500.

- Oh, Lally, immagina come deve essere salire su uno di quelli e volare dentro un campo da quidditch con la folla che ti acclama e la pluffa tra le mani.- disse sognante Alexis all’amica, mentre si immaginava nei panni di una Cacciatrice pronta a segnare sulla sua Fairbolt 3000 nuova di zecca.

Il Quidditch era un’altra cose che accomunava entrambe; tutte e due infatti sognavano di entrare a far parte della squadra di quidditch della loro casata una volta avuta l’età per provarci. Avrebbero fatto anche quello, una volta in quella scuola, insieme come sempre.

- Sarebbe meraviglioso.- si cullavano nei sogni, osservando con le mani attaccate alla vetrina la perfezione invidiabile di quei manici di scopa e le tre palle fondamentali esposte su uno scaffale accanto. Vennero ridestate dai loro sogni di gloria da Daniel, che in tutti i modi cercava di farle staccare da lì.

- Ragazze, dobbiamo andare!- le incitò e loro, anche se di controvoglia, ubbidirono e proseguirono dritto, finalmente di fronte a quello che doveva essere “Il Ghirigoro”.

Entrate, l’odore di pergamena stampata e inchiostro arrivò prepotentemente alla loro narici, facendole sorridere. Amavano quell’odore, proprio perché loro amavano i libri e al Ghirigoro, di libri, ce n’ erano a  volontà.
Impilati in colonne o in composizioni strane, i libri erano ovunque lì, e le ragazze si dispersero per guardarli tutti. Avevano titoli strani e buffi, se nel mondo babbano andavano in voga i classici di Emily Brontë e Jane Austen, nel mondo dei maghi ricorrevano i nomi di Bathilda Bath e Newt Scamander. Alex si azzardò a prendere un libro e subito l’odore di calamaio si fece sentire; faceva scorrere a poco a poco le pagine di pergamena spesse e gialle e certe volte si soffermava su qualche frase. Dopo un po’ di tempo si decise a chiudere quel testo per andare in contro ai suoi genitori alla cassa. Stavano porgendo la lista dei libri a una signorina dall’aria simpatica e dagli occhi verde mare, quando si avvicinarono a loro tutte contente.
La commessa sorrise e prese la lista, andando a girare come una trottola per tutto il negozio; era strapieno di clienti, doveva fare in fretta ad appellare tutti quei testi.

Tutti gli allievi dovranno avere una copia dei seguenti testi:
Manuale degli incantesimi, Volume primo, di Miranda Goshawk
Storia della Magia di Bathilda Baht
Teoria della magia, di Adalbert Waffling
Guida pratica alla Trasfigurazione per principianti, di Emeric Switch
Mille erbe e funghi magici, di Phyllida Spore
Infusi e pozioni magiche, di Arsenius Jigger
Gli Animali Fantastici: dove trovarli, di Newt Scamander
Le Forze Oscure: guida all'autodifesa, di Quentin Trimbl

Quelli i libri del primo anno che dovevano necessariamente acquistare, con l’aggiunta di altri due testi che avevano trovato tra tutti quei volumi. Alex aveva preso Il Quidditch attraverso i secoli e Lailah una copia de Le Fiabe di Beda il Bardo: non uscivano mai da una libreria senza un libro da leggere.

Non appena tornata, la commessa porse con un tocco di bacchetta i libri sul tavolo, che subito dopo mise dentro due buste con il simbolo del Ghirigoro stampato sopra.

- Grazie e arrivederci.- salutò, occupandosi subito di un altro cliente.

- Arrivederci.- salutarono in coro i cinque ed  uscirono da quella libreria molto confusionaria.

- Adesso ci mancano solo le bacchette e poi… beh, potremmo andare ai Tiri Vispi Weasley, che ne dici, Lally?- propose l’amica, prendendole una mano.

- Perfetto! Dai, sbrighiamoci, Alex.- la incitò Lailah e insieme si misero a correre verso la fine della strada.
Insieme. Sempre. Fin da quando si erano scoperte amiche, alla tenera età di sei anni, non si erano mai separate. Non lo avrebbero fatto neanche lì, in quel castello, con tutte quelle novità alle porte, sarebbero sempre state unite da qualcosa, qualunque cosa.

- Eccoci!- esclamò Alex in preda all’euforia. Le due non aspettarono nemmeno l’arrivo degli altri tre che subito entrarono. Era un luogo angusto e buio, dall’odore perenne di polvere e con scaffali su cui erano impilate bacchette di ogni tipo. Si spostarono verso il centro e, non appena Lailah provò ad accarezzare il dorso di una confezione, il signor Olivander fece la sua comparsa.

- Quercia, 17 pollici, molto flessibile, nucleo di scaglie di Drago.- le ragazze sobbalzarono e si girarono verso quella voce. Un uomo ormai vecchio, su una sedia a rotelle spinta da un uomo più giovane, circa sui quarant’anni, aveva appena esposto le proprietà della bacchetta che stava per sfiorare Lailah.

- Mi scusi.- disse subito lei, allontanandosi da quell’angolo.

- Nessun problema, ragazze. Piuttosto, siete qui per una bacchetta, giusto?- chiese, la voce stanca e affaticata dall’età.

- Sì, signore.- rispose Alex facendosi avanti.

- Come vi chiamate.- chiese poi, iniziando a riflettere sul tipo di bacchetta che avrebbe potuto andare bene per loro.

- Lailah Bloomwood e Alexis Winter, signore.- rispose per entrambe Lailah.

- John, inizia a prendere le misure.- ordinò Olivander all’uomo.

- Sì, papà.- rispose e andò a prendere un metro dal bancone. Iniziò da Lailah. Le misurò ogni arto, la testa, il busto, come se fosse un sarto che dovesse prendere le misure per un vestito. Scriveva scrupolosamente ogni misura e, non appena ebbe finito, porse al padre il bloc-notes che gli sussurrava all’orecchio le varie bacchette da far provare alla ragazzina.

Dopo ben tre tentativi vani, alla fine trovarono quella perfetta: Betulla, 14 pollici e 1/2 , non flessibile, nucleo di Piuma di fenice.
Mentre la ragazza stringeva tra le mani quel lungo pezzo di legno, John prendeva le misure ad Alex, che dall’eccitazione non stava quasi mai ferma. Alla fine, dopo molta fatica, riuscì nel suo intento e portò ad Alex ben cinque bacchette da provare. Ma non dovette provarle tutte, bastò la prima per capire che era quella giusta.

- Che cosa curiosa… Nocciolo, 10 pollici e 3/4 , indeformabile e nucleo di Piuma di fenice, la stessa fenice da cui ho preso il nucleo della tua amica, questo è già il secondo caso che mi capita, che cosa curiosa… - disse Olivander alle due, sorridendo soddisfatto.

Unite. Sorelle. Erano come sorelle, diverse, ma uguali allo stesso tempo. Unite come nessuno mai, a confermarlo anche le loro bacchette. Un altro tratto che le accomunava che non poteva che renderle felici.

Non appena arrivarono anche gli altri tre pagarono le bacchette e uscirono soddisfatte.

Prima di passare dai Tiri Vispi Weasley si fermarono alla gelateria di Florian Fortebraccio che già da prima li aveva attratti con i suoi profumi e se i genitori e il fratello assaggiarono i gusti comuni, Alex e Lailah provarono la prima il gelato al Cioccolato bianco con Cioccorane e la seconda quello alla Zucca con palline di zucchero. Finito il gelato, entrarono nel tanto atteso e sospirato negozio di scherzi e sì, constatarono che era aldilà di ogni loro immaginazione.

Ricoperto di scherzi per intero, con le pareti arancioni e le tre W come simbolo, quello era il negozio migliore di tutta Diagon Alley. Crostatine canarine, Torrone sanguinolento, Pasticche vomitose, Polvere buio pesto peruviana, Puffole pigmee, Orecchie oblunghe, Filtri d’amore… tutto là dentro era divertente e da morir dal ridere. Purtroppo, però, con i genitori in agguato, non potevano prendere chissà quali scherzi, quindi si limitarono a due Piume a testa tra cui quelle autoinchiostranti e quelle autocorregenti. Pagarono alla cassa dove una ragazzina bionda porgeva due pacchetti con i prodotti comprati e uscirono quasi saltellando dalla gioia.

- Bellissimo!

- Troppo forte!

- Troppo… eccentrico?- tentò Lorayne, rimasta un po’ perplessa da tutte quelle diavolerie.

- Oh, mamma!


 
Tornarono a casa utilizzando lo stesso metodo dell’andata e subito si rifugiarono in camera di Alex per osservare meglio gli acquisti fatti, commentando e parlando della giornata appena trascorsa.

- Diagon Alley è bellissima, non trovi, Lally?- chiese Alex all’amica, sfogliando il libro di Difesa contro le Arti Oscure.

- Oh, sì! Dovremo tornarci, qualche altra volta prima della scuola, al Ghirigoro ci sono libri bellissimi.- disse, roteando la sua bacchetta tra le mani.

- Già. Ma ci pensi?! Siamo due streghe e presto andremo ad Hogwarts.- disse sognate, stendendosi sopra il tappeto rosso magenta al centro della sua stanza.

- Già… io e te.

- Come sempre.- disse Alex solenne, come una promessa, stringendole la mano.

Niente e nessuno le avrebbe separate, se lo erano promesso quella sera e tutte quelle precedenti. Unite, avrebbero superato qualsiasi avversità e qualsiasi problema si sarebbe presentato lì, fuori di lì, ovunque. Era un mondo tutto nuovo, ma erano insieme.
E questo bastava.


 
Quella sera Lailah non tornò a casa a dormire, Alex le aveva chiesto se voleva restare da lei e non aveva voluto rifiutare. Meno stava in quella casa, meglio si sentiva. Era sempre abituata ad essere trattata come una principessa, dal suo umore dipendeva quello degli altri, tutto girava intorno a lei. Era una costante, ma non era sicura che le piacesse essere sempre al centro dell’attenzione, almeno a casa sua. Non aveva mai avuto molti amici veri, tutti i bambini le stavano sempre alla larga per chissà quale motivo, gli unici che invece le davano retta erano i figli degli amici dei suoi, per puro interesse dei genitori, tipo Adam Mason, un bambino che non le era mai andato a genio.

Però, da quando c’era Alex, ogni cosa era cambiata e tutto quel grigio era stato sommerso da un’ondata giallo limone come le infradito che Alex le aveva prestato. Con Alex si comportava meno perfettamente, non più come una principessina, solo come una bambina della sua età che voleva divertirsi. Si erano trovate subito, Alex stessa aveva decretato che il suo soprannome ufficiale sarebbe stato Lally e lei stessa aveva fatto odiare ad Alex il suo stesso nome, storpiandolo come solo una bimba di sei anni saprebbe fare.

Da quel giorno, un filo sottile si era andato man  mano creando, inspessendosi sempre di più fino a diventare indistruttibile e profondo: indispensabile.

Voleva andare via, Lailah, via da quella casa, via da quella vita… per sempre. Hogwarts sarebbe stata quello che la sua villa non era per lei: una casa; Daniel e Lorayne quello che Josephine e Gioel non erano per lei: due genitori premurosi; Alex quello che non aveva mai avuto: un’amica, una sorella. Le bastavano queste tre convinzioni per andare avanti e non iniziare ribellarsi, questi tre piccoli sollievi per alleviare le sofferenze, queste cose per cambiare, in futuro, e non diventare come Josephine e Gioel.

Con questi pensieri speranzosi si addormentò, sognando un treno. Quello stesso treno che poteva essere benissimo l’Hogwarts Express o l’Euro tunnel, ma che sicuramente l’avrebbe portata lontano.

Verso un nuovo mondo.
 


 
 
 

 
 
Kore's corner

Salve a tutti! Eccomi tornata con il primo capitolo, che spero possa ispirare più del prologo (non che ci voglia molto a superare quelle due paroline in croce, infondo).
Come vedete abbiamo una presentazione generale delle due protagoniste, delle loro vite e delle loro famiglie. Molto diverse eppure… nel corso della storia vedremo come si evolveranno i loro caratteri e si svilupperanno i loro sentimenti.
Sono stremata, non mi ricordavo che l’html potesse prendere così tanto tempo e questa pioggia mi intristisce parecchio, anche se ispira molto per scrivere XD.
Spero davvero che qualcuno sia arrivato fin qui e che sia riuscito a sorvolare quella bruttissima introduzione (giuro, una volta ero una maga in queste cose) e quel minuscolo prologo, perché da qui si inizia ad entrare davvero nella storia e nella psicologia dei personaggi.
Ringrazio quell’anima pia che ha recensito il prologo facendomi sentore meno sola e spero di ricevere più pareri per questo lunghissimo capitolo.
Grazie anche a chi l’ha inserita tra le seguite e le preferite.
Alla prossima settimana con il secondo capitolo.
Baci,
Kore
PS: non ho ancora risolto il problema col nickname, purtroppo -.-“ 

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Capitolo 3
*** 2) Hogwarts Express, sorting and new knowledge ***


                                                                                                         
 Hogwarts Express, sorting and new knowledge

 

 Le fotografie sono la nostra memoria nel tempo,
                                                 quando i nostri ricordi iniziano a perdersi nel tempo che passa.
                                                                                                                              Silvana Stremiz

Lorayne Sanders in Winter amava le foto.
Le piaceva rivivere i momenti tramite esse, farsi trasportare dai ricordi e dalle emozioni che ogni volta quei pezzi di carta le riportavano alla mente. Certe volte si perdeva a guardare gli interminabili album o le foto presenti sulle numerose cornici in casa sua. Adorava racchiudere quegli attimi tra un pezzo di vetro e una cornice di legno, li rendeva solidi e visibili a tutti, perché ciò che le foto mostravano era il suo più grande orgoglio.

Poi arrivano certi momenti, certi giorni, in cui il peso degli anni passati si fa sentire sempre più vivo. Beh, quegli attimi consistevano quando, di tanto in tanto, sfogliava il suo album di foto oppure, e questi erano i momenti più brutti e belli alla stesso tempo, quando Alex o Fabian festeggiavano i loro rispettivi compleanni. E se da un lato lei era felice nel vedere i suoi figli crescere sani e felici, dall’altro odiava il loro diventare il grandi, il tempo che, lento, scorreva inesorabile per tutti.

Uno… due… cinque… otto… undici anni! Undici anni erano passati dalla nascita di Alex e a lei sembravano solo undici giorni… minuti… secondi… e invece no, quel tempo tiranno passava senza che nemmeno lei se ne rendesse conto, facendola quasi commuovere ogni volta. Praticamente si nutriva di ricordi, lei, ricordi riportati alla mente da tutte quelle foto presenti nella sua casa, in ogni angolo, che le ricordavano il perché si alzava la mattina tutti i giorni senza mai stancarsi di vivere.

Alex, Fabian, Daniel, Lorayne stessa erano presenti in quelle foto, attimi felici che donavano alle fatiche un senso, ricordi vividi che non sbiadivano, storie vecchie e nuove da rivivere ogni volta che le si guardava, vedere le persone care contente, anche solo il tempo di un flash.

Molte volte si ritrovava sulla poltrona del soggiorno (quella preferita da Alex) con un enorme album arancione tra le mani, così, per passatempo; e quasi sempre piangeva dalla commozione per ciò che vedeva. Le foto iniziavano con lei incinta di Alex e che aveva cambiato colore di capelli per l’occasione: un biondo cenere quasi dorato, giusto per ravvivare un po’.                                           Poi si vedeva il mare della costa italiana meridionale (dove era andata ad abitare per un po’ di tempo), dove le piaceva farsi fotografare con il pancione. A seguire momenti sporadici di quei bellissimi nove mesi… e poi una foto, di cui teneva anche una copia sul comodino: una piccola Alexis appena nata con indosso una tutina rossa dalle tasche bianche e Daniel che la teneva in braccio. La sua bambina, la femmina che aveva tanto desiderato e di cui tutti dubitavano l’arrivo, dicendole che sarebbe stato maschio. Quel giorno aveva scoperto la gioia del diventare madre per la prima volta e ogni mattina, quando si svegliava, il suo sguardo si posava quasi automaticamente su quella cornice dorata e la faceva sorridere.

Le foto raccontavano piccole storie, viaggi in ogni dove, feste, cerimonie, vacanze… non c’era niente di meglio del racchiudere i momenti belli in quattro lati di carta e poi riviverli.

Avrebbe voluto continuare ad inserirne, di foto, per poi un giorno ripercorrere la crescita dei suoi figli, ma la magia glielo impediva. Non avrebbe visto sua figlia per la maggior parte del tempo, per sette lunghissimi anni e qualche lettera non sarebbe bastata a colmare quel posto vuoto a tavola o quella poltrona vicino alla finestra in salone. Avrebbe sempre sentito la mancanza di qualcuno in quella casa. Avrebbe avvertito l’assenza di quel respiro lieve e delicato, di quella voce quasi sempre silenziosa perché intenta ad assaporare parole su parole di enormi tomi dalle storie più disparate e fantastiche. Da quando erano ritornati in Inghilterra, non passava giorno che la sua piccola Alex sentisse la mancanza della sua adorata Italia e dei suoi nonni, molto spesso Lorayne la trovava a leggere il libro di fiabe che nonna Susanna (da cui poi la bambina aveva preso il nome Susan) le aveva regalato prima che andassero via. A soli sei anni era iniziata la sua passione irrefrenabile per i libri. Per la piccola erano come un mondo, un qualcosa dove nessuno poteva intrufolarsi se non lei e, ogni volta che portava quel libro di fiabe a scuola, tutti i compagni la guardavano strana a causa della lingua in cui era scritto, che era poi alla base del sua accento bretone molto più delicato e meno marcato degli altri: l’italiano.                                                                                                                                               Una cosa che le piaceva ancora di più, era che nessuno potesse leggere quel libro, lo considerava una cosa solo sua, di lei che era capace di tradurlo perché quando era lì lo parlava correttamente (per quanto una bambina piccola possa parlare in maniera articolata) e dolcemente, entrando nel cuore di tutti quelli che la conoscevano. Si sentiva sempre diversa e poco apprezzata, la bambina, la maggior parte del tempo lo passava nel parco di fronte casa a leggere sotto l’ombra di qualche faggio o quercia mentre la madre controllava il fratellino più piccolo giocare al parco giochi lì presente.

Quanto era stata stupida, Lorayne, a non crederle quando le diceva che era capace di trasformare le foglie in dolci passerotti con un solo soffio. Quanto era stata cieca nel non accorgersi che sua figlia era speciale, anzi, più che speciale: era magica. Era stata sorda, facendo finta di non sentire, quando la figlia le raccontava le sue ultime magie. Quanto era stata sciocca a minimizzare il tutto con la semplice parola “immaginazione”. Adesso subiva le conseguenze di tutta questa ignoranza e le piombavano addosso troppo in fretta e poco delicatamente come una doccia fredda d’inverno. Però quel sorriso, quel sorriso pieno di soddisfazione e appagamento di sua figlia… pieno di… felicità…    

Come negare a una figlia la felicità?

Non dopo aver vissuto una vita come la sua, piena di tristezza e sofferenza, pianti, rancori, attimi tristi; dove ad un certo punto era spuntato di nuovo il sole, dove il grigio era stato spazzato via da un’andata di giallo acceso pronta a non svanire mai.

Per Alex era stato difficile abituarsi ad un’altra vita, anche se era molto piccola quando si erano ritrasferiti in Inghilterra, eppure tendeva sempre ad isolarsi nel suo mondo fatto di magia, si sentiva inadatta a quella vita e adesso Lorayne ne capiva il motivo.

Sua figlia era una strega. La sua bambina era una strega.

Saperla lontana da lei, in quel mondo, la amareggiava. Sarebbe maturata, cresciuta e Lorayne si sarebbe persa tutto. Avrebbe perso i primi problemi, le prime cotte, non avrebbe mai sentito le critiche ai professori incompetenti o ai compagni fastidiosi, non avrebbe potuto consolare sua figlia ogni qual volta fosse stata triste, non avrebbe potuto consigliarla e abbracciarla nei momenti più opportuni e avrebbe sempre sentito un vuoto accanto a se, che si sarebbe colmato solo in determinate occasioni. Perdersi tutto della propria figlia non è mai bello, ma come si più non accettarlo? Infondo, i genitori vogliono solo il meglio per i figli: e Lorayne lo voleva, eccome se lo voleva.

Alla fine si era rassegnata all’evidenza dei fatti e se ne era capacitata mentalmente, ripetendosi sempre, come una cantilena, che sarebbe andato tutto bene e che Alex se la sarebbe cavata egregiamente, perché la sua bambina era forte e avrebbe superato ogni cosa.

L’unica cosa che intralciava con il suo ragionamento, era solo una: il tempo che, cattivo, non le avrebbe dato modo di stare con la sua bambina. 

Forse per questo, o per la troppa paura, la sera prima della partenza per Hogwarts aveva fatto ad Alex un regalo: un album di fotografie grande e con tante decorazioni all’esterno, con la promessa che lo avrebbe riempito con tutti i momenti più belli che avrebbe passato in quella scuola e con l’ obbligo di farglieli vedere ogni volta che sarebbe tornata a casa per le feste o per le vacanze estive.

Ed era con quella magra consolazione che, in quel momento, Lorayne stava salutando la figlia dal finestrino del treno in movimento, che si stava allontanando, per poi sparire dietro l’angolo.

Il vuoto e la nostalgia già presenti; il mutismo assoluto in macchina, insolito per lei; e le lacrime appena velate arrivata a casa, mentre sfogliava quell’album di foto arancione sulla poltrona preferita di sua figlia.

Perché infondo, era solo quello che le rimaneva di Alex.

Solo delle vecchie foto.

***

                                             Le persone non fanno i viaggi, sono i viaggi che fanno le persone.
                                                                                                                               John Steinbeck

Ci sono giorni in cui tutto quello che si vuole fare è sorridere e lasciarsi trascinare dall’allegria. Quei giorni che iniziano bene e devono finire inevitabilmente bene perché lo si sente dentro, il lieto fine.
Quelli che si aspettano con ansia e che, a poco a poco, arrivano e travolgono?

Perfetto.

Se è chiaro quello che dico, allora si può comprendere anche l’eccitazione di centinaia di bambini quell’uno settembre che, accompagnati dalle rispettive famiglie, saltellavano dalla gioia al solo pensiero di mettere piede al binario 9 e ¾  e salire su quel treno rosso scarlatto che già fumava impazienze, aspettando la moltitudine di studenti frequentanti la scuola di magia e stregoneria di Hogwarts.

Era una giornata di sole e, stranamente  per il clima londinese, molto calda. In quel preciso istante, un uomo dal taglio brizzolato e dall’andatura sicura, spingeva due carrelli vuoti fino all’autovettura parcheggiata vicino alla stazione, in modo da poter scaricarne i bagagli al di sopra. Le due ragazze, Alex e Lally, aspettavano trepidanti di entrare in quella stazione per la prima volta e salire su quel treno che molte volte le aveva fatte sognare. E se Daniel trafficava con i bauli, Lorayne si prodigava a tenere a bada il piccolo Fabian, che non la smetteva di divincolarsi dalle braccia della madre, le due ragazze si ritrovavano ad accarezzare il folto pelo del pastore tedesco per non lasciarsi prendere dall’euforia del momento.

- Seth Aaron, ma ci pensi? Presto saremo su quel bellissimo treno scarlatto dirette chissà dove in Scozia!- disse Alex al cane, stringendone il muso tra le mani e scuotendolo con vivacità. Il suddetto cane, ormai abituato agli sbalzi d’umore della padrona, la lasciva fare, soffermandosi su odori e suoni di quel posto a lui tanto familiare.

Seth Aaron era solo un cucciolo appena nato quando i Winter lo trovarono girovagare per la stazione di King‘s Cross tutto solo e abbandonato. Alex e Fabian avevano protestato così tanto che alla fine Daniel e Lorayne erano stati costretti a posticipare il viaggio in Francia per poter occuparsi del cane. A ripensarci, Alex sorrideva sempre: quello era il suo cucciolone, quel cane a cui lei stessa aveva dato il nome e di cui aveva suggerito il mestiere. Sì, perché Seth Aaron era poi stato addestrato per diventare un cane poliziotto e aiutare suo padre nelle varie missioni. Quale futuro migliore per un randagio se non quello di diventare un eroe?
Il cane mugolò contento, sporgendosi ad accarezzare la guancia della padrona con il muso.

- Tu mi mancherai più di tutti, cagnone.- lo apostrofò Alex, prendendolo al guinzaglio e dirigendosi verso l’entrata della stazione con il carrello fra le mani. Con uno scatto affiancò la sua migliore amica, facendo sbattere i carrelli ed agitare i gufi all’interno della gabbie, che richiamarono l’attenzione di molti passanti e gli sguardi incuriositi di molti turisti.

- Lally, oggi è finalmente arrivato! Presto arriveremo in quel famoso binario, non è eccitante?!- disse euforica l’amica, volgendo lo sguardo verso l’alto e sorridendo al vuoto, iniziando a sognare come sempre la stessa cosa: Hogwarts.

- Sì Alex, sarà la duecentesima volta che me lo dici, ho capito il concetto.- disse calma l’amica che, timorosa, si guardava intorno con circospezione.

Non lo faceva apposta, Lailah, ma negli spazi pieni di persone non si sentiva mai a proprio agio, non si fidava della gente, per questo non aveva molti amici e soprattutto scrutava attentamente gli atteggiamenti di ognuno, captandone i sentimenti, le emozioni, le azioni e i modi di fare. Diciamo che non tralasciava mai il dettaglio. Per lei ogni cosa era classificabile come un odore, una sensazione, un nome, un colore, un’emozione… ogni persona le esprimeva una o tutte queste cose e grazie a questa sua strana abitudine aveva imparato ad affinare tutti e cinque i sensi, più un innato sesto senso che la avvertiva sulle intenzioni della gente. Non era molto espansiva, per questo non riusciva ad avere molti contatti con il resto del mondo, se non quello che si era costruita a poco a poco e con fatica di cui facevano parte tanti elementi quanto le dita delle mani.

Meglio pochi ma buoni, le diceva sempre la sua migliore amica, che era l’opposto di lei in tutto e per tutto, in ogni singola cosa.
Probabilmente era per questo che andavano così d’accordo: si completavano a vicenda e ogni giorno era una nuova scoperta per entrambe.

- Eccolo!- gridò Alex, indicando la colonna che separava i binari 9 e 10.

- Alex, ma sei sicura che… - tentò Lorayne, decisamente poco convinta che per arrivare a quel binario si ci dovesse passare in mezzo.

- Assolutamente sì, mamma. Fidati di me. Anzi, stai a vedere!- e con una forte rincorsa attraversò per prima la colonna, aspettando che gli altri facessero lo stesso.

- Vuoi che ti accompagni, Lailah?- le chiese affettuosamente Daniel e lei annuì con vigore, contenta che almeno qualcuno si preoccupasse per lei. Attraversarono insieme il binario, seguiti a ruota da Lorayne, Fabian e Seth Aaron e lo spettacolo che gli si parò davanti, non avrebbero mai saputo come descriverlo.

C’era tantissima gente, che a stento si poteva riconoscere a causa del fumo della locomotiva. Scintille colorate si libravano nel cielo, probabilmente provenienti dalle bacchette degli studenti più grandi, e un chiacchiericcio forte si espandeva per tutta la banchina.                                                                                                                                                                   C’erano genitori che salutavano i figli, certi che li abbracciavano e baciavano fino allo stremo, altri che perdevano quel poco di tempo a loro disposizione per raccomandarli ulteriormente di non si sa bene che cosa, altri ancora che piangevano per la partenza e altri che si guardavano intorno spaesati, come se non avessero mai visto luogo più strano e magico allo stesso tempo. Per riassumere tutte queste categorie, bastavano solo due persone: Daniel e Lorayne Winter.                                                       Raccomandavano alle due bambine di stare attente e di scrivere almeno una volta  settimana se non una volta al giorno, di stare attente, di fare le brave, di stare attente (erano leggermente ripetitivi su questo particolare punto, soprattutto Lorayne), di studiare con costanza e di non cacciarsi nei guai. Poi venne il momento dei sentimentalismi che consisteva in abbracci stritolanti e baci che lasciavano lo stampo sulla guancia. E alla fine il fatidico momento, annunciato dal fischio assordante del treno.

- Mi mancherete tantissimo.- sussurrò Alex alla sua famiglia, avvolgendo sia i genitori che il fratello in un grande abbraccio, a cui si unì poco dopo anche il cane.

Lailah non poteva che contemplare quella scena di perfezione e amore assoluta sperando che, un giorno, anche i suoi genitori l’avrebbero voluta bene in quel modo e che l’avrebbero amata proprio come avrebbero dovuto fare da sempre.
Del resto, per quanto potesse convincersi del contrario, Daniel e Lorayne non erano i suoi genitori: erano quelli di Alex e il loro amore spettava alla loro figlia legittima, non a lei.

Ma quando Lorayne la invitò ad unirsi all’abbraccio, non poté fare a meno di pensare che forse loro la consideravano con una specie di figlia adottiva e che le volessero bene per davvero, come sempre le avevano dimostrato nel corso dei vari anni.
Dopo il secondo fischio si slacciarono da quell’abbracciò tanto intenso e si diressero verso l’entrata di una delle molteplici carrozze. Daniel le aiutò a far salire i bagagli e pochi secondi dopo le porte si chiusero di scatto, mostrando l’immagine delle due ragazze solo attraverso un vetro.

Si affacciarono da quel piccolo spiraglio e si misero a salutare, imitate a ruota da tutta la famiglia rimasta fuori e, molto lentamente, l’Hogwarts Express iniziò la sua corsa, per poi sparire dietro l’angolo della stazione lasciando i genitori con i volti tristi e gli occhi lucidi a causa della nostalgia che già prendeva posto negli animi di ognuno, occupando gran parte dei cuori.


 
Il treno scorreva già veloce e la stazione di Londra era già scomparsa da più di un quarto d’ora. Il viaggio sarebbe stato molto lungo e quindi le due ragazze girovagavano per lo stretto corridoio del treno in cerca di uno scompartimento abbastanza libero da ospitare due persone. Sembravano tutti occupati, era assurda la quantità di studenti che stava lì dentro, quasi non ci si credeva.
Camminarono fino all’ultima carrozza con il peso dei bauli che si faceva insistente, ma dopo qualche minuto trovarono uno scompartimento vuoto proprio alla fine dell’ultimo vagone. Alex scostò con poca delicatezza la porta scorrevole ed entrò, buttandosi di peso su uno dei due sedili presenti.

- Alla fine lo abbiamo trovato, non ci speravo più.- disse stanca, quella notte non aveva dormito molto e sperava di recuperare il sonno perso, anche se le risultava difficile con tutte quelle meravigliose novità a portata di mano.

- Beh, siamo solo dovute arrivare fino alla fine di questo lunghissimo treno, che sarà mai?- le disse sarcastica Lailah, mentre cercava di sollevare il suo baule sulla rete portabagagli.

- Aspetta, ti do una mano.- la aiutò Alex, riuscendo a sollevare anche il suo baule sopra quello dell’amica.
Si sedettero una di fronte all’ altra, con Alex che intervallava attimi di veglia con attimi di sonno,  chiudendo e aprendo gli occhi ad intervalli regolari.

- Dormi un po’, ti sveglio non appena spunta la famosa signora col carrello, okay?- le propose l’amica e lei accettò di buon grado, stendendosi per tutto il sedile e iniziando a sonnecchiare.

Il sorriso di Lailah spuntò spontaneo, così, senza essere tirato o comandato come accadeva molto spesso.

Piccola principessa, la chiamavano, ma con quel nome non volevano farle un complimento, bensì ricordarle quanto fosse viziata, servita, riverita e soprattutto leggermente acida durante le situazioni più disparate. Ricordava ancora di quando una volta aveva litigato con i suoi genitori e poi se l’era presa con Alex senza motivo, non si erano rivolte la parola per soli dieci minuti, ma a quell’età le  parevano attimi eterni senza bellezza.                                                                                                                 Alla fine era stata Alex a chiederle scusa, anche se non avrebbe dovuto, perché lei era così: non chiedeva mai perdono, neanche da piccola, non era abituata all’umiltà, ma solo ad uno smisurato orgoglio, influenzato anche dal suo tenore di vita che consisteva in un semplice schiocco di dita e tutte le meraviglie del mondo più una le apparivano davanti. Conoscere una come Alex, che viaggiava spesso con i suoi genitori e che riusciva sempre a farla ridere l’aveva come fatta rinascere, anche se non aveva perso il suo caratterino.                                                                                                                                                         Solitamente era sempre l’amica a cedere per paura di rovinare tutto, del resto Alex sopportava con disumana pazienza le sue scenate sconclusionate, senza mai battere ciglio o starsene zitta ad ascoltare. Alex le rispondeva e questo la spingeva sempre a continuare con frasi dal tono acido senza un motivo ben preciso rivolte alla persona sbagliata.

La cosa che più le distingueva era l’orgoglio: in entrambe presente, ma in forme diverse.

Se in Lailah aveva un effetto devastante e senza via d’uscita, che le impediva anche una minima forma di ripensamento sui suoi concetti;
Alex era capace di metterlo da parte per le persone a cui teneva davvero e che aveva paura di perdere, perché era proprio questa la più grande paura della mora: perdere le persone che amava con un puff con la consapevolezza che, forse, avrebbe potuto impedirlo mettendo in gioco un pizzico di umiltà in più.

Del resto, però, Lailah ammirava quel suo comportamento, in un certo senso invidiava il suo modo di fare: orgogliosa al punto giusto; ma non era di certo colpa sua se lei era cresciuta tra sentimenti freddi e privi di amore.
I suoi genitori non c’erano mai e se c’erano rimanevano per poco: qualcosa o qualcuno era sempre più importante di lei o di suo fratello.

Fin da quando era piccola l’avevano affidata ad una specie di balia, baby-sitter, badante, governante, seconda mamma… insomma, qualcuna che sostituisse la vera madre in tutto e per tutto. Si chiamava Miranda, la signora, era un’italiana venuta a Londra in cerca di fortuna parecchi anni prima di entrare in casa Bloomwood. Si era presa cura di lei come una figlia, ma poi i suoi genitori la licenziarono per chissà quale arcano motivo e lei rimase di nuovo sola.

Con Miranda giocava e si divertiva, la osservava preparare i biscotti per poi impasticciarsi tutta la faccia e il vestitino di impasto. Si ricordava di un gioco, poi, che Miranda le aveva insegnato quando aveva circa sette anni: immagina che…

Miranda le diceva che era un rimedio contro la solitudine e i momenti tristi, oppure qualcosa per occupare la mente quando non si sa che pensare. Si dovevano esporre i propri pensieri ad alta voce e lei ogni volta diceva di immaginare di essere su un’altalena, precisamente quella più a sud dell’Avondale Park, quella nascosta dagli altri bambini di cui quasi nessuno ricordava l’esistenza, e ondeggiava su e giù in continuazione; poi si immaginava staccarsi dalle catene e iniziare a volare… volare, volare… sempre più in alto e sempre più veloce e guardare il mondo dall’alto, fin sopra le nuvole e immaginare un mondo nuovo oltre quei batuffoli simili ad ovatta bianca; un mondo dove si sarebbe sentita apposto, non fuori luogo; dove si sarebbe sentita amata, non ignorata costantemente dalla sua stessa famiglia.

Molte volte prendeva parte al gioco anche sua nonna, in visita da Londra, che le stringeva forte una mano e le baciava la fronte non appena lei riapriva gli occhi e si accorgeva che tutto quello che si era immaginata non era vero. La presenza della nonna era consolante, la faceva sentire bene e apprezzata. Le infondeva un calore che nessuno sapeva darle neanche volendo.

Col tempo aveva capito che non chiedeva altro che un po’ di affetto, non giocattoli, vestiti costosi e roba simile, solo un po’ di amore, giusto per farla sentire… sulla stessa lunghezza d’onda del mondo, che sembrava andare troppo veloce e non aspettarla per farla salire su di esso.

Quanto le mancava nonna Elizabeth, l’unica in quella famiglia che l’amasse davvero con tutto il suo cuore. La sua unica e vera amica da sempre, da molto prima che conoscesse Alex, colei che la rendeva davvero felice e che le donava l’affetto che desiderava senza chiedere nulla in cambio.

Questo avrebbero dovuto fare i suoi genitori: amarla incondizionatamente e senza riserve, ma loro non c’erano mai e non ci provavano nemmeno a considerarla più di un semplice essere vivente.
Per sua nonna Liza (così preferiva essere chiamata) non c’era niente di più facile che volerle bene e farla felice, come avrebbe voluto che fosse solo lei la sua famiglia, ma purtroppo doveva sorbirsi le continue lamentele sul suo comportamento di sua madre e i silenzi lunghi di suo padre, che non si scomponeva mai.

Quei macabri pensieri le offuscavano la mente e le arrossavano gli occhi poco prima di renderli lucidi per le lacrime che premevano di cadere ma che lei reprimeva con forza, ripetendosi come una cantilena che le piccole principesse non piangono mai né si mostrano deboli agli altri.

Odiava l’educazione che aveva ricevuto, la condizionava in ogni momento, perché così c’era cresciuta e non riusciva ad essere migliore. Non poteva mandare a quel paese tutti quei principi, anche se assurdi, erano l’unica certezza della sua vita e non poteva perdere anche quella, ne sarebbe rimasta come spezzata e sarebbe stato troppo, il dolore, per una ragazzina di soli undici anni.
Fissava la sua amica dormire: perché non poteva essere come lei? Perché non si lasciava andare?

La sua educazione era come una maledizione Imperius, la costringeva ad ubbidire anche se non voleva, anche se provava a resisterle, ma era abituata a tutto quello e quindi accantonava i pensieri nell’angolo più recondito della sua mente e iniziava a giocare a immagina che… nella sua testa.

Volava… volava libera e senza catene… senza un qualcosa che la spingesse a restare a terra.



 
Passarono un paio d’ore e in quel lasso di tempo Lailah aveva poi preso il libro di Storia di Hogwarts e aveva iniziato a leggerlo, divorandolo, curiosa di scoprire cose nuove. Certo, lo conosceva già a memoria, ma sperava sempre di aver tralasciato qualche dettaglio, qualche parola, che magari le spiegasse meglio i meccanismi della scuola.                                                                     Era sempre stata una tipa curiosa, sempre in cerca del sapere e della perfezione, l’ordine più totale e l’organizzazione migliore per vivere in armonia con se stessa.

Dopo un po’ sentì sbattere la porta dello scompartimento con forza, cosa che fece sobbalzare Alex destandola dal suo sonno profondo, e una ragazza si nascose in fretta sotto i sedili, lasciando entrambe nello stupore generale della situazione. Poco dopo videro passare tre ragazzi che chiamavano una ragazza e che controllavano scrupolosamente tutto intorno a loro. Dopo un tempo che parve infinito speso a trattenere il fiato dalle tre, i ragazzi decisero di tornare indietro e sparirono dalla vista delle ragazze.

- Ehm… qualcuno mi spiega che è successo?- chiese Alex tra uno sbadiglio e l’altro, sporgendosi a guardare l’infiltrata, che intanto aveva alzato la testa ancora un po’ impaurita.

- Se ne sono andati?- chiese piano, la voce leggermente incrinata dallo spavento.

- Sì, ma chi erano? E, soprattutto, che volevano da te?- chiese curiosa Lailah, poggiando il libro accanto a se e aiutando la ragazza ad alzarsi.

La prima parola che era venuta in mente a Lailah vedendola era miele. Era abbastanza alta, sicuramente più di Alex, e aveva degli splendidi e lunghi ricci castani che le circondavano il viso, donandole un’aria dolce e caramellosa; gli occhi grandi e dal taglio a cerbiatta, di un marrone cioccolato scuro e intenso, aveva la fronte un po’ alta e le labbra molto carnose, due occhiali dalla montatura rosa che completavano il tutto e l’apparecchio ai denti.
 
- Beh, non ne ho idea, si sono presentati come Malandrini e mi sorprende che si siano fatti vivi solo in tre, dato che quando li ho incontrati nel mio scompartimento precedente erano in quattro. Diciamo che ci sono stati un po’ di problemi, che poi sono stati la causa di questo inseguimento sfrenato.- disse lei, anche la voce era caramellosa, di quelle quasi fastidiose.

- Sì, ma perché ti inseguivano?- sbottò Alex, alzandosi di scatto e mettendosi di fronte alla ragazza.

- Beh, io ero seduta tranquillamente nel mio scompartimento e poi sono spuntati loro quattro che volevano rifilarmi non so bene quale scherzo, mi sono rifiutata e hanno iniziato a ridere e a cercare di spaventarmi, avevano più o meno la mia età, ma sapevano padroneggiare la bacchetta meglio di me, così li ho scansati e ho iniziato a correre e poi sono arrivata qui. Stupidi, ecco cosa sono, stupidi bambini immaturi che si divertono a fare scherzi a noi del primo, un’altra ragazza che ho conosciuto è rimasta vittima traumatizzata dai loro scherzi.- parlava a macchinetta e Alex e Lally facevano fatica a seguirla, ma quando poi si fermò per riprendere fiato la interruppero.

- Sono Alex.- disse in fretta la mora, porgendo la mano alla ragazza.

- Oh, scusa, non mi sono presentata… che stupida che sono… - stava per ricominciare a divagare quando Alex aggiunse:
- Tu come ti chiami?-

- Oh, sono Mary-Grace, piacere di conoscerti Alex,- disse sorridendo e mostrando tutte le stelline presenti sul suo apparecchio e notando che Alex ne aveva uno molto simile. – Anche tu porti quella specie di trappola ai denti? Pensavo di essere l’unica su tutto il treno! Sai, qui sono quasi tutti maghi mezzosangue e pensavo che si sistemassero i denti con un tocco di bacchetta e invece vedo che tu… - tornava a divagare, certo che era molto logorroica la ragazza!

- Io sono Lailah!- la interruppe l’altra. – ma puoi chiamarmi Lela… (NdA: a scanso di equivoci la corretta pronuncia di questo soprannome è Lila) vedi tu, non fa differenza.- disse sorridendo. Aveva omesso il soprannome Lally volontariamente, era solo di Alex il “privilegio” di chiamarla in quel modo, era una cosa loro e nessuno doveva usurparne.

- Mmh… ok, capito.- disse la ragazza sorridendo e guardandosi intorno, notando subito la copia di storia di Hogwarts abbandonata sul sedile.

- Oh, io lo conosco a memoria quel libro! Mi sono pure esercitata con un paio di incantesimi, sapete, non si sa mai che ci facciano fare qualche test e io mi ritrovi impreparata. Detesto esserlo.- disse, sedendosi e iniziando a sfogliare il libro con velocità, mormorando le nozioni contenute all’interno di esso.

- Caspita! Ma cosa sei, una macchina da studio?- le chiese Alex, sedendosi alla sua destra.

- Assolutamente no! Io adoro studiare.- disse con convinzione Mary-Grace che, evidentemente, non aveva fatto caso al tono sarcastico usato da Alex per formulare la domanda.

- Fidati, si vede.- disse Lailah, ma non venne sentita dalla ragazza, che già stava discutendo con Alex di non si sa bene che cosa. Sbuffò e si ritrovò a guardare di nuovo fuori dal finestrino i prati e le montagne che scorrevano veloci.

- E quindi anche tu sei una Nata Babbana! Lally, lei è proprio come me!- la chiamò Alexis, ridestandola dai suoi pensieri.

- Oh, fantastico.- fece l’amica con finto interesse, preferiva rintanarsi nei suoi pensieri in quel momento, stava meglio con se stessa che con gli altri.

- Perché, lei non lo è?- chiese curiosa Mary-Grace, scrutando attentamente Lailah a cui non piaceva per niente essere osservata a quel modo.

- No, mia nonna era una strega e se non ti dispiace vorrei che non mi fissassi in quel modo.- disse acida, rabbuiando per un istante lo sguardo della nuova arrivata e guadagnandosi un’occhiata ammonitrice da parte della migliore amica.

- Scusala, non farci caso, non voleva offenderti.- si scusò l’amica al posto suo, continuando a parlare con la ragazza come se nulla fosse.
Non lo faceva apposta, Lailah, e se ne rimproverava sempre per quel suo orribile atteggiamento.

- No, non fa nulla, non preoccuparti. Beh, a quanto pare quei quattro non sono tornati si vede che hanno trovato qualcun altro da importu… - ma non fece in tempo a finire la frase che due ragazzi praticamente identici fecero capolino nello scompartimento nascondendosi anche loro sotto i sedili e facendo rabbrividire Mary-Grace.

- Si salvi chi può!- disse uno.
- Arrivano i Malandrini!- piagnucolò l’altro.
- Cavolo! Nascondimi!- implorò la ragazza.
- Tieni, mettiti il mio cappello.- la incitò Alex e la mise di spalle alla porta.

Questa volta erano in quattro, con uno di loro che cercava di rabbonirli e gli altri tre che non lo ascoltavano. Si fermarono proprio davanti al loro scompartimento.

- Eh no! Adesso mi hanno stufata!- esclamò Alex e aprì la porta dello scompartimento sbattendo contro uno dei quattro.

- La volete finire? Ci state disturbando da ore e sinceramente questo mi infastidisce.- disse, fissandoli uno per uno: non potevano essere più diversi tra loro.

- Ehi, ragazzina, non ci interessa un boccino di quello che disturba te, noi ci divertiamo e basta.-  disse uno dei quattro, dai capelli rossi e gli occhi chiari.

-Ah si? Fantastico, nemmeno a me interessa il vostro divertimento e se non vi dispiace vorrei che ve ne andaste subito.- li minacciò lei, portandosi le mani ai fianchi e allargando leggermente le gambe.

- Chi ti credi di essere, ragazzina? Chiunque sa che il nostro svago preferito è fare scherzi ai primini sul treno per terrorizzarli e tu sei una di loro: preparati al peggio.- disse un altro ragazzo, questa volta dai capelli e gli occhi scuri.

- James, Fred… potremmo evitare?!- chiese quasi istericamente il ragazzo che prima cercava di ammansirli.

- Perché? Lei provoca!- si difese il rosso, frugandosi nelle tasche in cerca di qualcosa.

- Siete solo degli stupidi che credono di spaventarmi, ma sappiate che non ho paura.- cercava di fare la dura e di guadagnarsi un minimo di rispetto, ma tutto quello che ottenne furono delle risatine e qualche insulto alla sua persona.

- Tu: bassina, piccola e petulante quale sei, credi di spaventarci?- le rise in faccia il moro, mandando la sua calma e il suo buon senso a farsi friggere e facendole montare la rabbia.
Certe volte non riusciva proprio a restare lucida e quindi si ritrovava in brutte situazioni.

- No, affatto,- ammise tranquilla, calmandosi un po’. – Ma quello che potrebbe farvi il mio indice sì.- disse e, toccando un punto ben preciso tra il collo e la clavicola fece contorcere di dolore quel ragazzino sbruffone dai capelli neri, accompagnando il gesto da piccole risatine.

- Beh, James, ti ha battuto in pieno!- disse tra le risa il rosso, appoggiandosi alla spalla di un altro ragazzino accanto a lui, anch’esso in preda alle risa convulse.

- Bene. Adesso che ti ha messo K.O. con due parole e un dito indice, direi che il tuo ego ne abbia già risentito abbastanza quindi togliamo il disturbo, okay, James?- lo prese per un braccio il ragazzino che prima aveva cercato di farlo desistere dai suoi malefici propositi.

Offeso, quello che Alex  aveva capito si chiamasse James, girò sui tacchi e se ne andò, portandosi dietro la sua scia di amici, ma non prima di averle detto:
- Ci vediamo a scuola, ragazzina, poi vediamo chi riderà per ultimo.

- Sto tremando.- disse lei sarcastica e rientrò nello scompartimento con aria trionfante.

- Per ora non ci dovrebbero più dare fastidio, potete uscire da là sotto.- disse ai due ragazzini infilati sotto i sedili.

- Sei stata una grande! Cioè, wow!- esclamò eccitata Mary-Grace congraturandosi con l’audacia di Alex e il suo modo di mandare via quei ragazzini fastidiosi.

- Già, davvero formidabile!- esclamò uno dei due ragazzini lì presenti, sgusciando fuori da sotto uno dei sedili. Aveva i capelli biondissimi tagliati a spazzola e due occhi color mare molto sporgenti, fisico molto asciutto e, senza neanche bisogno di dirlo, una statura nettamente superiore a quella di Alex (ma lei era alta un metro e tre Cioccorane).

- Guarda, Alex, c’è Ken di Barbie.- commentò acida Lailah, guadagnandosi l’ennesima occhiataccia da parte dell’amica.

- Beh, grazie.- disse timidamente l’altro ragazzo, identico al primo se non per il colore blu notte degli occhi e il taglio di capelli più lungo.

- Alex, sono due i Ken!- aggiunse Lailah, indicando i due gemelli che le fissavano confusi.

- Ma chi è questo Ken?!- esclamarono in coro, assumendo la stessa espressione pensosa nello stesso momento.

- Lasciatela perdere, non fate caso alle assurdità che escono dalla sua bocca.- si scusò Alex, dando una gomitata a Lailah che stava per ribattere.

- Beh, chiunque sia questo Ken… - iniziò a dire il primo ragazzo.
- Noi non lo conosciamo… - continuò per lui il secondo.
- Io sono Lorcan.- disse il primo.
- E io sono Lysander.- aggiunse il secondo.
- E ti ammiriamo follemente per la lezione che hai dato a James!.- esclamarono in coro. A Lailah iniziava a dare fastidio il loro parlare in coro e finire l’uno le frasi dell’altro, ma erano poche le cose che non avessero quell’effetto su di lei.

- Piacere di conoscervi, ragazzi. Io sono Alex e loro sono Lailah e Mary-Grace.- disse la mora indicando le sue amiche.

- Il piacere è tutto nostro.- dissero di nuovo in coro.

- Ma dovete per forza parlare così?!- sbottò ad un tratto Lailah, che aveva raggiunto il limite massimo della sopportazione, già scarso di per sé.

Già, la piccola Lailah non aveva tra i suoi pregi la pazienza, questo era evidente.

- Così come?!- dissero di nuovo in coro, guardandosi negli occhi per qualche secondo.

- Lasciamo perdere. Piuttosto, anche voi scappavate da quei quattro?! Ma che hanno di così spaventoso? A me sembrano ragazzi normalissimi.- disse Lailah, ricomponendosi e sedendosi composta sul sedile.

- Ragazzi normalissimi?!- cominciò Lorcan.
- Non puoi dire questo dei Malandrini!- continuò Lysander.
- Loro sono peggio del demonio!
- I portatori di sventura.
- Quelli che non ti danno tregua se sei una loro vittima.
-  La cui arte è quella della scherzo.
- E che ti possono rovinare l’esistenza in un secondo…
I gemelli alternavano tra loro frase per frase, teatralizzando ogni parola fino a renderla melodrammatica e divertente, provocando le risate delle tre ragazze.

- Che c’è da ridere?- chiesero all’unisono. – Loro sono la peggior disgrazia della scuola!- continuarono.

- Ma vi sentite? Sembra che stiate per scoppiare come palloncini da un momento all’altro! Ma la prendete aria quando parlate? Dai, sedetevi un po’ con noi, tanto non credo che torneranno.- li invitò Alex, indicandogli con una mano i posti rimasti vuoti.

- No, Alex, fino ad Hogwarts così è un suicidio!- la implorò Lailah, che al solo pensiero di dover sopportare ancora per altre tre ore le loro vocette si sentiva male.

- Uff, Lailah, vuoi stare zitta?- la ammonì l’amica, che mostrò ai gemelli un sorriso a trentadue denti con tanto di apparecchio argentato in bella vista.

- Che forza! Ma che cos’hai ai denti?- chiese Lorcan, che appariva molto incuriosito.

- Questo?- e si indicò i denti. – Ah, è un apparecchio. Nel mondo dei babbani lo mettono i dentisti alle persone per raddrizzare la dentatura o per altre operazioni specifiche: non ne avete mai visto uno?- chiese poi stupida, non immaginava che tra i maghi non ci fossero quelle determinate conoscenze basilari del mondo babbano.

- Sai com’è, nostro padre è un ricercatore di specie magiche e nostra madre dirige “Il Cavillo!, non siamo molto in contatto con il mondo babbano.- le spiegò Lorcan, intendo a studiare attentamente quell’ammasso di ferretti e quadratini scintillanti nella bocca di Alex e di Mary-Grace.

- Un momento: vostra madre dirige “Il Cavillo”?- chiese ad un tratto Mary-Grace tutta eccitata.

- Sì, certo, chi altri se no.- disse ovvio Lysander, che fissava il panorama fuori con aria trasognata.

- Ma quindi vostra madre è…- iniziò Mary-Grace.

- Sì, Luna Lovegood.- dissero in coro con tono rassegnato: molto probabilmente se lo sentivano chiedere spesso.

- Ma wow! Vostra madre ha… e ha fatto anche… e inoltre… - diceva eccitata senza fermarsi un momento.

- Sappiamo cosa ha fatto nostra madre, sinceramente non amiamo sentircelo ripetere ogni santa volta.- disse quasi seccato Lorcan.
Beh, avere un parente famoso non era sinonimo di popolarità o felicità, tutt’al più di enormi responsabilità. E di questo Lailah se ne intendeva davvero molto bene. Da sempre cresciuta nell’ombra della grandezza della sua famiglia, aveva addosso dalla nascita grandi doveri e non riusciva a sottrarsene.

- Quanto vi capisco.- disse poi Lailah, guardando un punto indefinito fuori dal finestrino, come se non stesse parlando con loro ma con qualcun altro. Appariva assente e di nuovo immersa nei suoi pensieri, un po’ come Lysander in quel momento, solo che lui mostrava un enorme sorriso e aveva la testa tra le nuvole.

- Quindi voi siete i gemelli Scamander, giusto?- chiese conferma Mary-Grace, che sembrava sapere più cose del normale.

- Esattamente.- confermò fiero Lorcan, che, passata la piccola arrabbiatura per il discorso precedente, conversava amabilmente con Alex e l’amica.

Parlarono di tante cose, in quelle ore, dalle più serie alle più stupide, intervallando attimi di risate con brevi momenti di serietà. I gemelli Scamander erano degli ottimi compagni di viaggio e senza neanche accorgersene Alex e Lally avevano già tre nuovi amici. Beh, considerando che non conoscevano nessuno là dentro… era un ottimo risultato.

Il tempo sembrava non scorrere mai, quasi come se si fosse isolato in quell’ultimo scompartimento dell’ultima carrozza, era bello confrontarsi con altri ragazzi e riuscire a creare una complicità tale che nessuna delle due era mia riuscita ad avere con tutti i loro amici alla scuola babbana. In un certo senso era divertente poter finalmente dire che non erano loro ad essere contro il sistema, ma il sistema ad essere contro di loro.

- Qualcuno vuole dolci dal carrello?!- si sentiva gridare in lontananza e, come l’odore di carne fa rizzare un predatore, il suono di quel carrello stracolmo di dolci faceva borbottare, inevitabilmente, gli stomaci di tutti e cinque i ragazzi.

- Volete dei dolcetti da sgranocchiare prima di arrivare?- chiese Alex, che già immaginava di assaporare per la prima volta tutti quei dolciumi  provenienti dal mondo magico.

- Assolutamente sì!- quello fu un coro generale di assensi e, raccogliendo tutti i soldi, uscì dallo scompartimento per rifornirsi di dolci e gustare quelle prelibatezze fatte di zucchero e Merlino solo sa cos’altro.

- Dolci dal carrello?- le chiese un signorina dall’aria giovane e simpatica, che aveva quasi sicuramente preso il posto dell’anziana signora che prima si occupava di quella mansione.

- Oh sì!- disse Alex e prese ogni tipo di caramella e dolcetto presente su quel carrello, ritrovandosi poi con le mani e le tasche piene di sostanze zuccherose.

- Ecco a lei.- pagò e si diresse molto lentamente verso lo scompartimento, stando attenta a non inciampare per non cadere con tutta quella moltitudine di dolci tra le mani…

Bam!

Un urto con qualcosa, o meglio, con qualcuno, la fece cadere rovinosamente per terra rovesciando tutte le confezioni di caramelle e dolci che aveva tra le mani e portandola ad imprecare in italiano in modo che, anche volendo, nessuno avrebbe potuto capirla.

- Stai più attento, però!- sbottò lei, iniziando a raccogliere tutti quei dolci da terra. Fortunatamente le confezioni non avevano rovinato il contenuto.

- Scusami… ero sovrappensiero e non l’ho fatto apposta…- si scusò il ragazzo, aiutandola a raccogliere le scatoline.

- E ci mancava anche che lo avessi fatto apposta.- borbottò lei, molto seccata per quell’incidente.

Dopo aver finito di raccogliere tutto si alzò e il ragazzo si offrì di accompagnarla fino al suo scompartimento.
- Comunque, io sono Scorpius, tu?- chiese poi lui, voltandosi verso di lei, che sembrava più concentrata a cercare di non cadere che altro.

- Eh?! Oh, piacere di conoscerti, Scorpius. Io sono Alex. Ti stringerei la mano, ma la situazione momentaneamente me lo impedisce.- il ragazzo emise un piccolo risolino e in quel momento Alex notò che aveva gli stessi tratti aristocratici di Lailah nel viso. Stessa espressione leggermente malinconica a momenti, occhi un po’ freddi e fuori dal mondo che l’intenso color ghiaccio accentuava di più. Tratti un po’ marcati e duri per un ragazzino di soli undici anni, capelli color oro un po’ arruffati a causa degli ultimi eventi e un’espressione immutabile, proprio come quella della sua amica.

- Hai dei tratti molto familiari, sai? La tua espressione mi ricorda una persona- la constatazione le uscì spontanea, così, senza troppe premeditazioni. Era ignara dell’effetto che potessero avere su Scorpius quelle parole e quindi continuava a ostentare una leggerezza che agli occhi del ragazzo pareva assurda.

- Tu… non sai chi sono?- chiese sbalordito il ragazzo, ma non con tono indignato, tutt’al più con una felicità nascosta che gli faceva credere che, almeno per un po’, la ragazza non lo avrebbe giudicato per il cognome che portava.

- No. Dovrei?- chiese lei, guardando verso l’alto, cosa che le veniva spontanea quando pensava di aver dimenticato qualcosa.

- Assolutamente no! Comunque… non lo so, può darsi… - mentì il ragazzo, che voleva evitare il più possibile di parlare di sé. Non che se ne vergognasse, ma preferiva non parlare della sua famiglia per terrore di spaventare la gente.

- Beh, io sono arrivata. Ti va di entrare? Tanto uno in più non fa differenza.- gli propose lei.

- No, grazie, devo tornare da mio cugino e i suoi amici, magari un’altra volta, okay?- rifiutò cordialmente lui, porgendole le rimanenti caramelle direttamente sulle mani.

- Okay, come vuoi, ci vediamo ad Hogwarts, Scorpius.- e gli sorrise. Nessuno gli aveva mai sorriso in quel modo, così spontaneamente, in maniera così sincera… forse non erano tutti uguali, tutti così superficiali come credeva, magari esistevano quelle eccezioni alla regola. Con quei felici pensieri si allontanò, raggiungendo lo scompartimento di suo cugino Andrew e i suoi amici che non facevano altro che parlottare di quidditch e manici di scopa.

Quasi si pentiva di non aver accettato quella proposta.


 
Ad ogni dolce scartato corrispondevano nuovi sapori per le ragazze, che potevano essere deliziosi o disgustosi, a seconda del tipo di dolce. Così, tra Cioccorane e Gelatine Tuttigusti + 1, Api Frizzole e Gomme Bolle Bollenti il viaggio in treno si concluse, rallentando sempre di più in prossimità della stazione di Hogsmeade.

L’eccitazione era palpabile. Gli studenti dal secondo anno in su erano felici di ritornare in quel castello, ma i primini erano letteralmente estasiati di poter toccare con mano quella che sarebbe diventata la loro seconda casa. Alex guardava tutto con sguardo sognate, come se non fosse vero il fatto di essere lì, in mezzo a quella folla, e radunarsi tutti vicino ad un omone grande e grosso che con voce grave gridava: << Primo anno, di qua! >>. Bisbigli e chiacchiere si levavano da quel gruppetto numeroso di ragazzini, che attendevano trepidanti di varcare la soglia di Hogwarts.

In quel momento, era come iniziare a sfiorare un sogno, vederlo farsi sempre più vicino, vedere che un lungo viaggio in treno aveva dato i suoi frutti e li aveva portati nel luogo tanto desiderato e sognato. Sia Alex che Lailah ancora stentavano a credere di essere veramente là, in mezzo a tutta quella folla, immerse nella magia…

Avevano perso di vista i gemelli, ma Mary-Grace era ancora vicina a loro e saliva un po’ titubante dentro una delle tante barche adepte al trasporto dei ragazzini del primo anno verso il castello. Alex, come da copione, inciampò in una delle reti da pesca, rischiando, come al solito, di avere un contatto ravvicinato con la terra sotto ai suoi piedi. La traversata fu lunga e silenziosa, con gli occhi puntati in ogni angolo e i cuori palpitanti di eccitazione.                                                                                                 Osservavano ogni parte di quel posto, dalla superficie del lago al prato del parco, agli anelli che sbucavano dal campo da quidditch e alle altre imbarcazioni. Insieme a loro era stata imbarcata anche un’altra ragazza, una certa Larissa… no, Melissa, sì, si chiamava proprio così. Sembravano tante lucciole che avanzavano per il lago, le lanterne facevano scaturire una fioca luce giallognola con illuminava solo l’imbarcazione e mezzo metro di fronte ad essa. Era davvero bella la sensazione di leggerezza che albergava nei cuori di tutti i presenti, come se si stessero avviando verso un luogo dalle mille sorprese.

Non appena furono abbastanza vicini da poter scorgere le prime torri di Hogwarts, tutti i presenti trattennero il fiato, desiderosi di scoprire di più. Il castello era costruito su base medievale, pieno di torri, arcate, vetrate e porte di legno, ma l’aria di magia era palpabile ed Hogwarts sembrava lì solo per loro, che li incitava ad entrare e gli dava il benvenuto a modo suo. Era bellissima.
- Lally, siamo ad Hogwarts.- riuscì solamente a sussurrare Alex all’amica, mentre si godeva il panorama e iniziava a fantasticare su come sarebbe stata bella la sua vita dentro quelle mura.

***

 

 Soltanto perché è l'evento più naturale e quotidiano che la magia appare così incredibile.
                                                       Mario Andrea Rigoni, Variazioni sull'impossibile, 1993

 

Arrivati all’entrata principale, una grossa porta in legno spesso si aprì, permettendo agli studenti di defluire dentro il castello. I muri erano di pietra grigia un po’ sbiadita in alcuni punti; alcuni quadri erano appesi alla pareti e confabulavano tra loro, parlottando del più e del meno come se nulla fosse sotto lo sguardo sbalordito dei primini; la magia era nell’aria, anche se non presente fisicamente, come una costante fissa e invariabile. Si vedeva. Si sentiva. Si respirava.

Il guardiacaccia li guidò fino all’entrata della Sala Grande, rigorosamente chiusa, aspettando di cedere il  posto a un volto non nuovo per Alex: il professor Paciock che, con pazienza, dava il benvenuto ai nuovo studenti.

- È con immenso onore che vi do il benvenuto alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Io sono il Professor Paciock e insegno Erbologia e sarà mio compito quello si smistarvi e di spiegarvi le regole base della scuola.- Alex non lo ascoltò neanche più, conosceva a memoria sia il regolamento scritto che quello non scritto di Hogwarts, Elizabeth le aveva istruite bene.
C’erano quattro casate in quella scuola: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde.

La prima cercava coraggio e cavalleria, la seconda bontà e lealtà, la terza ingegno e saggezza e la quarta astuzia e furbizia. Ma lei sapeva perfettamente quale era il suo posto, tra quelle quattro, anche se voleva che fosse il cappello a confermarlo.
Entrambe le ragazze scoppiavano dalla gioia nel vedere tutto quello che avevano sempre sognato farsi realtà. Le mura erano solide e loro erano per davvero all’interno di Hogwarts. Un senso di appagamento prevalse tutte e due, infondendo loro la calma necessaria per quietare il loro cuori che battevano freneticamente.

Era bella, Hogwarts. Di una bellezza indescrivibile ed eterea; un qualcosa che ti colpiva da dentro, scombussolandoti tutto e attorcigliandoti le viscere. In quel luogo tutto aveva un senso e niente era scontato o approssimato, solo… magico.
Dopo qualche attimo passato nel silenzio generale, le porte della Sala Grande si spalancarono e, a poco a poco, i ragazzini del primo si facevano strada lungo le quattro tavolate, pronti a dirigersi verso la fine del percorso in cui, sopra uno sgabello, era posizionato un logoro e vecchio cappello.

Alex e Lally puntarono immediatamente lo sguardo all’in su, ammirando esterrefatte il soffitto di Hogwarts che rispecchiava esattamente il cielo presente fuori, rendendo l’atmosfera ancora più magica di quanto già fosse. Camminavano in fila indiana tra la tavolata di Tassorosso e quella di Corvonero scrutando discretamente tutti gli studenti. Ai margini vi erano le tavolate di Grifondoro, estrema sinistra, e Serpeverde, estrema destra, e in fondo il lungo tavolo dei professori con al centro la  preside Minerva McGranitt.

- Il soffitto è un incantesimo, l’ho letto su Storia di Hogwarts.- disse Mary-Grace, non riuscendo a trattenere l’impulso di parlare. Non le risposero, troppo impegnate ad osservare le lampade a muro sorrette da unicorni di pietra e l’enorme stemma della scuola sopra il camino a destra, esattamente dietro al tavolo di Serpeverde. Già sapevano tutto quello che c’era da sapere riguardante quella scuola, più qualche Gossip dei tempi della nonna di Lally.                                                                                   Avevano letto qualche pagina di Storia di Hogwarts più recente, che raccontava di Harry Potter e il tanto acclamato Trio Miracoli, come piaceva chiamarlo alla nonna di Lailah, e anche della grande battaglia che vide come protagonista la signora Rosicrucians in Bloomwood stessa.

Arrivati a destinazione, gli studenti si accalcarono tutti di fronte al cappello parlante che, intanto, aveva preso vita e iniziava a intonare una delle sue melodiose canzoncine in rima.
 
Benvenuti e ben tornati,
miei cari studenti,
sono molto felice di vedervi contenti.
Tra poco verrete smistati,
e in una casa verrete collocati.
Forse Tassorosso,
dove la bontà fa da padrona
e non c’è mai nessuno che ti abbandona.
Forse Corvonero,
casata dell’intelletto,
dove la mente è sempre pronta e senza un difetto.
Forse Serpeverde, direi,
dove la furbizia cercherei,
e di un pizzico di astuzia mi spaventerei.
O forse, udite udite, Grifondoro,
che la cavalleria và cercando
e altro coraggio sta aspettando.
Quattro i fondatori
E quattro le casate.
Così per molti secoli le cose sono andate.
Oggi da me verrete smistati,
ma non abbiate paura
i vostri pareri verranno contati.
Forza adesso,
con passo magari un po’ tremante,
fatevi avanti:
perché io sono un Cappello Parlante! (NdA: fa letteralmente schifo, ma sul momento non mi veniva altro e volevo metterla a tutti i costi, quindi aspettatevi qualche revisione e mutamento della filastrocca con il tempo.)


Finita la filastrocca,  il professor Paciock appellò un pezzo di pergamena in una mano e prese il cappello con l’altra, iniziando a chiamare nomi in ordine alfabetico.

- Aloysius, Eustack Ferdinand.- e un bambino, minuto e gracile, ma dall’aria fiera e altezzosa si sedette sullo sgabello, imbarazzato per aver sentito pronunciare il suo nome completo ad alta voce.
- SERPEVERDE!- esclamò dopo un po’ il cappello, accompagnato dagli applausi che provenivano dal tavolo in fondo a destra dell’immensa sala.

-Aymurr, Carol Hannah- e una ragazzina bionda, dal viso piccolino e gli occhietti azzurri si sistemò, tremante, sopra lo sgabello, aspettando la sentenza del cappello.
- TASSOROSSO!- esclamò subito lui e lei, tutta felice, si diresse al tavolo poco distante sulla sinistra.

Qualche attimo dopo, il professore chiamò un nome familiare, ridestando Alex dai suoi pensieri.

- Bloomwood, Lailah Isabella Victoria Elizabeth.- quasi rimase sena fiato nel pronunciarlo e dovette fermarsi un attimo per riprendersi mentre Lally, fiera come solo lei sapeva essere sotto le risatine di quasi tutti gli studenti, si sistemò comodamente sullo sgabello, attendendo, senza lasciar trasparire l’impazienza, il momento in cui il professore le avrebbe poggiato il cappello in testa.

<< Uhm… chi abbiamo qui? Ah, Lailah… bene… vediamo un po’ dove potrei collocarti…? >>
<< Sei tu il Cappello Parlante, non dovresti chiederlo a me >>
<< Uhm… ma quanto siamo acidi! Sai, Serpeverde non sarebbe una cattiva idea… >>
<< Non è affar tuo il mio carattere e comunque… no, ma… insomma… Serpeverde?! Non che abbia qualcosa in contrario, ma… >>
<< Paura? È normale. Sei fragile, non è vero? In fondo lo siamo tutti, Tassorosso potrebbe benissimo smussare gli angoli del tuo carattere un po’ strano… >>
<< Mia nonna era Tassorosso, le farebbe piacere, ma… >>
<< No, per te ci vuole qualcosa di più forte, decisamente più forte… >>
<< Tipo? >>

L’ultima parola la pronunciò ad alta voce, declamando la casata di appartenenza di Lailah.
- GRIFONDORO!- delle urla provenivano dal tavolo in fondo a destra.
Contenta, la ragazza si diresse verso quel tavolo, lanciando uno sguardo incoraggiante all’amica che sorrideva, felice per lei.

- Carter, Tara Jane.
- TASSOROSSO!

- Chester, Mary-Grace.- e la ragazza, un po’ nervosa, si accomodò sullo sgabello, attendendo, trepidante, di essere smistata. Non appena il Cappello Parlante sfiorò la sua testa, non ebbe esitazioni e disse:
- CORVONERO!
La casa perfetta, per lei, che sapeva tutto, di tutto e un po’ di più e non smetteva mai di mostrarlo inconsciamente. Felice raggiunse la tavolata di destra e si sedette accanto a quelli del suo anno.

- Cooper, Alexander Jason.-
- GRIFONDORO!

- Daimond, Cedric Robert.
- TASSOROSSO!

Lo smistamento andò avanti così per molto, seguito a mala pena da Alex che iniziava a sudare freddo.

- Malfoy, Scorpius Hyperion.- sentì dire e il nome le fu subito familiare. Il ragazzo del treno, pensò e lo vide dirigersi verso il cappello sotto i bisbigli di tutti e lo stupore di lei. Ecco spiegato il perché dei lineamenti familiari: la sua famiglia era una delle più illustri e solitamente era quella l’espressione dei loro rampolli, solo che non capiva il perché le avesse mentito. Conosceva la storia dei Malfoy, ma non pensava che Scorpius se ne sentisse così toccato.
- GRIFONDORO!- annunciò dopo il cappello, lasciando tutti di stucco, perfino i Grifondoro, che stramazzavano meno delle precedenti volte.

Un Malfoy a Grifondoro: un evento davvero molto raro che avrebbe sicuramente causato un infarto al povero Lucius.
Ancora qualche nome e una ragazza, una certa Rebecca Rowle, veniva smistata a Grifondoro.

<< Ma perché ci mettono tanto?! >> continuava a chiedersi, fino a che non arrivarono alla lettera “S”.

- Scamander, Lorcan Xenophilius.- chiamò il professore e Lorcan si fece avanti con spavalderia.
- CORVONERO!- decretò il cappello.

- Scamander, Lysander Hydan.
- CORVONERO!- e Lysander raggiunse il gemello, seduto accanto a Mary-Grace, al tavolo dei Corvonero.

- Stone, Sarah Vanessa.- per lei ci volle abbastanza tempo, sembrava che combattesse una lotta contro se stessa, ma alla fine tutto si risolse.
- TASSOROSSO!- e raggiunse con aria spensierata il tavolo dei giallo-nero, anche se con l’espressione un po’ colpevole.

Quasi come un soffio, il professore chiamò il suo nome, bloccandole il battito del cuore e facendole risalire un groppo alla gola.

- Winter, Alexis Susan.- storse il naso nel sentire il suo nome completo, lo detestava con tutto il cuore, ma non ci badò più di tanto, attenta com’era a non inciampare sui tre scalini che portavano alla sgabello. Tentativo vano, dato che inciampò leggermente al secondo, provocando le risatine dei pochi ragazzi rimasti.
Il professore le calò il cappello in testa e si ritrovò oscurata, quasi fuori dal mondo.

<< Ciao! >>
<< Ehm… ciao? Cioè, tu sei… caspita, sono davvero qui! >>
<< Si, lo sei, e ti vedo anche molto eccitata… >>
<< Eccome! Chi non lo sarebbe? >>
<< Allora… a primo impatto direi Serpeverde, ti vedo molto bene lì, con il tuo atteggiamento privo di paura e la tua smisurata determinazione. >>
<< Beh… non che mi dispiaccia, sul serio, è solo che… >>
<< La tua amica, per caso? >>
<< Ehm… sì… sai, non vorrei separarmi da lei, non so se mi spiego… >>
<< Serpeverde sarebbe perfetta, sappilo, ma… un momento, forse qualcosa c’è… ah, orgoglio! E uno spirito cavalleresco, faresti di tutto per chi ami, non è vero? >>
<< Sì… >>
<< Allora è presto detto… >>

- GRIFONDORO!- urlò e Alex, tutta felice ed emozionata raggiunse quasi saltellando il tavolo dei rosso-oro, proprio accanto all’amica che le aveva tenuto il posto.

L’abbracciò, così, senza un perché e Lailah si ritrovò spiazzata di fronte a quel gesto, non amava i sentimentalismi di quel genere perché non sapeva mai come ricambiarli, non era abituata a riceverli spesso, non più…

Mangiarono con gusto quasi tutte le pietanze presenti a tavola, parlottando allegre di quello che avrebbero combinato una volta integrate ben bene in quella scuola. Così, tra una risata e l’altra e una parola in più, la cena si concluse e i prefetti condussero tutti loro del primo anno alle rispettive Sale Comuni.

Uno dei prefetti, Savannah Lynch, stava dicendo loro che la parola d’ordine per entrare era Mandragola quando, in lontananza, Alex scorse quel gruppetto di ragazzini che aveva incontrato sul treno e notò subito che lo stemma sulla loro divisa era uguale al suo.

- Lally, mi sa che quest’anno se ne vedranno delle belle.




 

Kore's Corner

Ancora EFP non ha cambiato il mio nome e sì, se ve lo state chiedendo, ho cambiato per la terza volta l’introduzione e probabilmente la cambierò ancora finché non farà meno schifo delle volte precedenti.
Ah, dimenticavo: ciao!

Come va? Io sono stata due ore a fare l’html e non ho nemmeno più la forza di guardare il computer XD dovrei anche studiare per il test di biologia, ma credo che non lo faro.
Sono trooooppo pigra io.

Comunque, passando alla storia posso dire io stessa che questo è un capitolo parecchio noioso e troppo pieno di introspezioni e davvero e cercato di tagliare il possibile perché nemmeno io lo reggo, ma purtroppo è necessario. Qui possiamo vedere un pezzetto dei pensieri della mamma di Alex che credo siano un po’ gli stessi per tutti i genitori che sanno che rivedranno i loro figli solo alle feste, non deve essere particolarmente piacevole e ho voluto immedesimarmi in questa situazione; poi abbiamo una lunga introspezione di Lucrezia (che non sarà l’ultima ma solo la prima di una lunga serie) dove vediamo spezzoni del suo passato tormentato: la sua è una delle famiglie più facoltose dell’Inghilterra e come tale ha davvero ricevuto un’educazione da principessina e ovviamente questa non può sparire da un giorno all’altro quindi preparatevi a vedere Miss. Acidità ancora in azione nei prossimi capitoli e giuro, ad un certo punto arriva ad essere spassosa oltre che deprimente.

Per il resto… un Malfoy a Grifondoro? Geniale!
So che non è il massimo dell’originalità, non sono di certo l’unica però mi piaceva l’idea di uno Scorpius controcorrente e poi volevo che ci fosse un minimo di colpo di scena.
Ah, non dimenticatevi i nomi citati qua e là nel capitolo, li ritroveremo quasi tutti più in là e non so fino a che punto la cosa sarà piacevole.

Ora credo di aver finito con le spiegazioni, che tanto non si filerà nessuno perché a nessuno interessano mai le note, però siccome ho tempo da perdere (Non è vero!) le metto lo stesso.

Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e il prologo e spero che la storia stia piacendo, mi piacerebbe sentire altri pareri, anche per capire se sono da ritiro in Bolivia o meno, tutto qui.
Grazie a chi segue/preferisce/legge.

Baci,
KoreW

Piccola parentesi, quello qui sotto è il famoso Seth Aaron, il cane di Alex che vorrei tanto anch'io:

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Capitolo 4
*** 3) Roommates, books that fall and two strange brothers ***


                                                                                                                                                                                   
                   Roommates, books that fall and two strange brothers
            
  Di tutte le cose che la saggezza procura per ottenere un'esistenza felice,
                                                                                                                      la più grande è l'amicizia.
                                                                                                                                                     Epicuro

Caro Nigel,
come va? A casa va tutto bene? Io… beh, sono ancora viva. Sono qui da pochissimo, a mala pena un giorno, ma devo dire che mi trovo abbastanza bene. Non che stia simpatica a quelli che ho conosciuto, ma tutto sommato non mi lamento.
In questo momento sono tutti intenti a fare colazione, osservo tutto ed è davvero strano. Ancora non ci credo di essere davvero qui, seduta tranquillamente al tavolo dei Grifondoro e con lo stemma ben appuntato sulla mia divisa nuova.

Alla fine mi hanno smistata lì, ma è inutile che te ne parlo perché tanto non capiresti. Credo che quest’estate ti spiegherò meglio in che cosa consiste effettivamente la divisione in case e, soprattutto, che cos’è la divisione in case. Qui è tutto molto affascinante, a partire dal soffitto, è incantato e si vede una trasposizione del cielo fuori mentre mangiamo.

Ogni casata ha la sua Sala Comune e la mia è interamente rosso-oro, esprime calore, devo dire che è molto accogliente, non trovo nessuna critica.
Beh, non ti ho ancora parlato del dormitorio: cinque letti a baldacchino da una piazza e mezza ciascuno. Nella mia camera adesso c’è una confusione! Se prima eravamo io e il mio letto, adesso siamo in cinque che lottano per avere la precedenza in bagno. È tremendo e poi sembro quasi invisibile, in quella camera, come se la mia presenza non si notasse. Non so, sarò io? Le sto studiando, sai quanto sono maniacale con la gente: sembrano okay, ma di più non ti so dire, non sono io, d’altronde, quella più socievole tra me ed Alex.

Su cinque, siamo in tre provenienti da una famiglia babbana: io, Alex e Julie Harper, mentre le altre, Rose e Roxanne Weasley, hanno entrambi i genitori maghi. Sembrano simpatiche, davvero, non le ho inquadrate del tutto, ma si capisce che Julie è la più timida, Roxanne la più strana e Rose la più dolce, certe volte poche parole sono molto indicative. Ti sembrerò pazza, ma tu mi conosci: sono fatta così.

Beh, un po’ mi manchi, sai? Insomma, sei praticamente la cosa più vicina a un fratello che ho e il distacco, anche se adesso è lieve, man mano sarà più doloroso; del resto, chi mi farà ridere con le sue strane battute se non tu? Cugino, il fatto che già mi manchi non è un buon segno, sai? Appena ti rivedo come minimo mi dovrai sopportare tutto il tempo. Ma tralasciando questi piccoli dettagli, passiamo alle cose serie: come stanno le bamboline? Georgie ti fa impazzire? E Miriam? Mi dispiace non essere lì con te a sopportare quelle due adorabili bambine. So che adesso starai storcendo il naso, ma non è colpa mia se preferiscono me a te. Portami loro notizie, in futuro.

Beh, ti dicevo, la scuola è interessante e, per quello che ho capito, oggi ci tocca un giorno di orientamento e domani inizieranno i veri e propri corsi. Sarà… interessante.
Non ti nascondo il mio interesse nello svolgere la mia prima lezione di pozioni, ma… non so… voglio scoprire quante più cose  possibili, voglio… non so, voglio dare il massimo. Sai che ti tengo molto a dimostrare a quella sottospecie di famiglia che mi ritrovo quanto valgo e che posso andare avanti anche senza di loro.

Però… beh… questo posto mi fa venire una nostalgia enorme della nonna, non hai idea. Forse tu non l’hai conosciuta bene non avendo rapporti con il mio ramo paterno, ma ti assicuro che se da un lato è meraviglioso, dall’altro stare qui è angosciante.

È esattamente come l’aveva descritta, nei minimi particolari e questo un po’ mi rattrista, poteva essere ancora qui e invece…

Beh, suvvia, non ci devo pensare. Sai, ieri ho provato a fare un incantesimo, di quelli semplici semplici… e mi è riuscito! Non perfettamente, ma… sì, insomma, mi accontento. So che sto scrivendo poco e in maniera discontinua e disordinata, sai che solitamente non faccio così, ma devo sbrigarmi perché tra poco inizierà l’orientamento e non voglio perdermelo.
Ti prometto che in futuro sarò più dettagliata ed eviterò quest’accozzaglia di pensieri insensati; non è  da me, non capisco che mi prende.

Saluti da Hogwarts, cugino.
                                                                                                           Tua cugina Lailah
PS: salutami le bamboline e dagli tanti abbracci da parte mia. 
PPS: vi… vi voglio bene…                  
 


Ciao mamma, ciao papà,
come vedete, non perdo molto tempo con le formalità (inutili e senza senso, a mio parere), voglio essere il più diretta e precisa possibile: sono euforica! Non si era capito, vero?
Beh, qui è tutto così… wow! Fantastico! Insomma… è tutto come me lo ero immaginato, anzi, anche meglio! È tutto così magico, sensazionale, fantastico!
Okay, sono un po’ ripetitiva, lo ammetto, ma non so che altro dire. Effettivamente non lo so perché vi scrivo, forse perché ho qualche minuto libero prima dell’orientamento… boh!

Nah, scherzo, la verità è che un po’ mi mancate. Sapete, stamattina, in preda al sonno, ero convinta di stare venendo a casa a raccontarvi tutto. E invece… sono ancora qui. Il viaggio è stato strano, ma molto bello. tralasciando il fatto che ho dormito per quasi tutto il tempo, ho conosciuto molti miei nuovi compagni e, a parte con alcuni, mi trovo molto bene con tutti.

Ah, già, quasi dimenticavo: SONO UNA GRIFONDORO! La parte migliore, direi. Lally è insieme a me, siamo addirittura nella stessa camera, che è qualcosa di sensazionale, ragazzi, non si può capire. Ben cinque letti a baldacchino da una piazza e mezza ciascuno con trapunte rosse ed oro calde e morbide, un enorme tappeto al centro e due bellissime vetrate colorate. Il bello di avere la Sala Comune su una delle tre torri più alte della scuola è che c’è una vista paradisiaca e senza eguali. Una cosa meravigliosa, ho già fatto più di una decina di foto con la macchina fotografica che ho comprato a Diagon Alley; sono tutte nell’album, mamma!

So che non è passato neanche un giorno, ma mi trovo bene. Le mie compagne di stanza sono simpaticissime, abbiamo parlato e scherzato per un bel po’ di ore, prima di andare a dormire. Insomma, mi trovo bene, non mi lamento, e credo che anche per Lailah sia così o, almeno, non mi è parso che stesse troppo male.

Ah, quasi dimenticavo, non vi ho detto chi ho conosciuto sul treno! A parte un ragazzino biondo di nome Scorpius che è della mia stessa casata, ho incontrato quattro ragazzini dispettosi che si divertivano a fare scherzi, appena li ho visti sulla soglia del mio scompartimento gliele ho cantate! Con uno di loro ho pure utilizzato la tecnica dell’indice che mi hai insegnato, papà: dovevi esserci mentre il più sbruffone dei quattro si contorceva sotto al mio dito.

Lato negativo: sono di Grifondoro anche loro, credo che non avrò vita facile, ma non mi spaventano: ho una bacchetta e non ho paura di usarla.

Comunque, dicevo: le mie compagne si chiamano Julie, Rose e Roxanne e sono… non saprei come definirle… normali?! E, detto da una stramba come me, è positivo. Non so, ancora non le conosco benissimo, vi saprò dire più in là qualcosa di più.
Ora, passiamo alla solita parte burocratica (come la chiama Lailah, io preferisco di routine): come state? Tutto bene? Già vi manco? (mamma, tu non fai testo, capito?) Fabian vi fa impazzire? (qui è una favola senza quella sottospecie di piccola peste in miniatura tra i piedi, credo sia la parte migliore del tutto. No, mamma, tranquilla, non te la prendere… scherzavo!) mi mandate qualche libro da leggere?

Ecco fatto, sono molto deleteria da questo punto di vista, lo sapete, preferisco raccontare che fare domande.
Ah, ehm… una cosa. So che adesso come minimo vi verrà l’impulso di uccidermi o che so io, ma vi giuro che non l’ho fatto apposta! Non è che insieme a qualche libro mi mandereste anche il mio mitico portacolori con tutto l’occorrente da disegno che c’è dentro?
Sì, l’ho scordato, problemi? Mi conoscente, no? Sapevate benissimo che mi sarei scordata qualcosa e se non è la testa allora sarà sicuramente qualcos’altro, in questo caso il portacolori senza il quale io non vivo, lo sapete benissimo.

Fantastico, detto ciò mi rimane poco tempo. Oggi non ci sono lezioni, ma abbiamo una sorta di orientamento dove i Prefetti e i Caposcuola ci spiegheranno un po’ in che consistono le varie lezioni e ci faranno da guida per il castello, e per me sarà anche molto utile dato che so a mala pena la strada che porta dalla Sala Grande alla Sala Comune e viceversa.
Spero solo di non perdermi.
Caspita, stanno andando via!
Adesso vi saluto, se no faccio tardi.

Baci e abbracci per tutti,
                                                                                                         Alex
PS: vi voglio un mondo di bene.
PPS: mandatemi anche le mie pantofole, che ho scordato anche quelle, tanto per cambiare.
PPPS: Ri-ciao
 

La ragazza arrotolò in fretta il foglio e se mise in una delle tasche del mantello: non appena fossero passati dalla Guferia, lo avrebbe legato alla zampina di Milli per spedirlo ai suoi genitori. Di corsa raggiunse il gruppo di Grifondoro che si stava allontanando, sbattendo malamente il piede sulla lunga panca e ritrovandosi a saltellare fino all’entrata della Sala Grande dove i prefetti stavano già spiegando qualcosa.

Savannah parlava in maniera molto chiara, gesticolando di tanto in tanto e zittendo il compagno che, fin dalla sera prima, non aveva potuto dire una parola per colpa della collega e delle sue “manie di protagonismo”.

- Di che sta parlando?- sussurrò Alex a Rose, in piedi accanto a lei.

- Di quanto si importante rispettare gli orari dei pasti per evitare di non trovare più nulla.- spiegò diligentemente lei. Rose Weasley era una tipa precisa, come la madre.
Prestava attenzione a tutto ciò che le veniva detto e rispondeva sempre con accuratezza alle domande che le venivano poste, come se si fosse preparata le risposte in precedenza e le avesse imparate a memoria. A questa cosa, però, nessuno ci faceva caso più di tanto, soprattutto perché Rosie era molto dolce, nell’animo, e risultava pressoché impossibile prendersela con lei o criticarla. Aveva i capelli crespi come la madre, lunghi e rossi, come tutto il resto della famiglia, che però davano più sul mogano che sull’arancione carota marchio Weasley; occhi azzurrissimi e qualche lentiggine sulle gote; era poco più alta di Alex ed era capace di una pazienza invidiabile, dato che riusciva a stare dietro a quell’uragano che era sua cugina Roxanne.

- Uff, che noia! Ma quando ci portano a vedere il campo da Quidditch? Sinceramente non m’importa un boccino secco degli orari dei pasti!- non potevano mancare le parole di impazienza di Roxanne, che era l’opposto di Rose praticamente in tutto.

Confusionaria al massimo, la maggior parte del disordine che si era immediatamente formato in camera era colpa sua e della sua indole del buttare le sue cose qua e là mentre cercava qualcosa nel baule, una tipa tosta, direbbero tutti a primo impatto, con un carattere tipicamente “malandrino” e dallo scherzo facile, proprio come il fratello.
Di Roxanne bisognava aver paura, soprattutto perché non era mai sicuro che a lei non venisse voglia di farti un qualche scherzo di qualunque genere. E poi, anche se si tralasciassero tutti questi dettagli, chi la vedeva per la prima volta intuiva subito com’era fatta già dal suo aspetto, che non tradiva un virgola della sua personalità: capelli sparati in tutte le direzioni (tipicamente detti a cespuglio), riccioli morbidi che le ricoprivano tutta la testa, che portava all’indietro con una fascia diversa ogni giorno, dal colore indefinito, dato che erano un miscuglio di nero, rosso e castano; pelle mulatta, ma si vedeva subito che tendeva più al caffè che al latte; labbra quasi perennemente tirate all’insù da un ghigno “malandrino” della specie: attento-perché-potrei-anche-farti-uno-dei-miei-scherzi-diabolici; occhi grigi e, dettaglio non trascurabile, invece di indossare la gonna, cosa che facevano quasi tutte le ragazze, metteva pantaloni larghi e Madidas* nere con strisce rosso-oro che si intonavano alla divisa, ma che, all’occorrenza, erano state stregate per cambiare colore a seconda dell’abbigliamento che la persona portava.
Una vera dura, insomma. 

- Roxanne! Smettila di fare l’impaziente e segui la spiegazione, non ho intenzione ripetertela parola per parola io.- la intimò la rossa, che si occupava di Roxanne come una mamma con il proprio figlio.

- Simpatica, Rosie.- battibeccavano spesso, ma erano molto legate.

- Ragazze, avete visto Lailah? Credo di averla persa di vista a colazione.- chiese Alex, alzandosi sulle punte e cercando di vedere, invano, qualche segno riconducibile alla sua migliore amica.

- Oh, si! è lì vicino a… come si chiama? Non ricordo… -

- Julie, Roxanne, si chiama Julie.- l’aiutò Rose, con tono quasi disperato nella voce, la ragazza non aveva la memoria di un elefante, questo era chiaro.

- Capito… Ahia, Roxanne! Mi hai pestato un piede! – si lamentò Alex, iniziando a saltellare su una gamba sola. Intanto la riccia si stava sbracciando per far segnale ad un gruppo di studenti che stava passando di lì.

- Freddie! Freddie! Salvami da questo incubo!,- gridava sottovoce, cercando di attirare l’attenzione del fratello. – Frederick Gideon Weasley Junior vieni immediatamente qui dalla tua sorellina!- si lamentò e, quasi gridando, intimò al ragazzo di venirle in contro.

- Ma è sempre così?- chiese Alex allibita a Rose, che si era appena sbattuta una mano in fronte dallo sconforto.

- Purtroppo sì!- disse affranta, precipitandosi a recuperare la cugina, che già iniziava a cospirare con il fratello di chissà quali malefici piani.

- Rose, spiegami una cosa, chi sono quei quattro tizi laggiù? Li ho incontrati nel treno e non m’ispirano chissà quale simpatia.- disse un po’ scettica Alex, mentre notava la complicità che aveva Roxanne con quegli “individui”.

- Tre quarti sono i miei cugini , figli di vari miei zii, mentre il resto è il figlio di un amico di famiglia.- le spiegò Rose, facendola leggermente arrossire. Infondo erano la sua famiglia, non era carino parlar male di loro in sua presenza.

- Non ti preoccupare, anche io li ritengo quattro sconsiderati, ma non si sceglie la famiglia e sono cresciuta con circa undici cugini da quando sono nata, ormai è  quasi normale.- la rassicurò Rose, come se l’avesse letta nel pensiero.

Per un attimo distolse l’attenzione dalla conversazione con Rose e percepì uno scorcio del discorso di Savannah che diceva agli studenti di seguirla per iniziare una sottospecie di tour della scuola. Ogni passo, ogni centimetro  percorso di quel castello davano alla ragazza una sensazione di pura felicità e completezza. Lei era allegra di natura, positiva al massimo e ogni cosa bella si ripercuoteva su di lei. Cercava il meglio nelle cose e all’apparenza non si lasciava scalfire da niente anche perché aveva un ragionamento tutto suo in testa riguardante il sorridere: il sole splende, o comunque ci prova dato che siamo in Scozia, io sono ancora qui, quindi perché non dovrei essere felice?

Lailah aveva alcune cose da ridire su quel suo ragionamento, ma vedere Alex sorridere le faceva bene quindi stava zitta e la lasciava sognare, giusto per vederla sempre allegra e spensierata, lei che riusciva ad esserlo. La loro complicità era oltremodo strana, ma si compensavano e questo bastava a entrambe.

Passarono mezza giornata girovagare qua e là per tutto il castello, ritrovandosi poi, al campo da Quidditch con i Tassorosso che ascoltavano placidamente i loro Prefetti. Tutto il contrario di quello che facevano i Grifondoro che ogni dieci minuti si perdevano in chiacchiere diffondendo un fastidioso brusio. Roxanne era a dir poco eccitata al pensiero della prima lezione di volo, che si sarebbe tenuta sei giorni dopo, tanto che non la smetteva di saltellare. Rosie cercava in ogni modo di farla calmare e Alex osservava rapita quel grande spiazzo intorno a lei, soffermandosi poi sulla figura di Lally che appariva serena e rilassata, con l’accenno di un sorriso sulle labbra.

Lailah guardava come rapita quel campo, anzi, più che altro immaginava come dovesse essere bello volarci. Si vedeva sopra un manico di scopa lasciarsi guidare dal vento e da pochi gesti, con il vento tra i capelli e la sensazione di libertà sotto la pelle, voleva provala, quella sensazione, ne aveva in un certo senso… bisogno?

Aveva perso di vista Alex a colazione e da allora non si era più premurata di cercarla, ammaliata com’era da quel castello. Per lei quella era molto più che una scuola, era una via di fuga dalla realtà, dalla sua realtà. In quella mezza giornata aveva cercato di improvvisare una conversazione con la ragazza accanto a lei, non che sua compagna di stanza, che però sembrava molto restia ai rapporti sociali, più che altro era… timida.
Si chiamava Julie Harper, dormiva nel letto accanto al suo e non aveva parlato molto quella sera, proprio come lei, si era limitata ad ascoltare e a nascondersi dietro gli occhiali, sperando di non essere notata. Ovviamente con scarso successo dato che Alex non perdeva occasione di farle domande per farla integrare. Lailah invece si era limitata ad osservarla, a studiarla veramente, come con tutte le altre persone e l’aveva giudicata una tipa apposto, timida e riservata, ma con cui si sarebbe sicuramente trovata bene in futuro.
Era di corporatura minuta e la prima cosa che le era venuta in mente vedendola era proprio la parola piccola. Si stringeva nelle spalle e proprio non capiva come potesse essere finita tra gli spavaldi una timida come lei. Aveva i capelli neri e lunghi, arricciati un po’ alle punte e due occhi leggermente sporgenti che risaltavano sotto le lenti grandi degli occhiali dalla montatura nera e spessa, erano nocciola, le sue iridi, così chiare che quasi sembravano dello stesso colore dell’oro liquido, dorato e denso. A vederla sembrava fragile e probabilmente lo era, ma in quella casata sicuramente il suo carattere sarebbe mutato, Lailah ne era più che convinta.
 


Alla fine del giro tutti i ragazzi del primo si ritrovarono con gli stomaci brontolanti e la fame pressante e in massa si diressero tutti in Sala Grande per il pranzo.

- Adesso che si fa?- chiese Alex a Rose, che intanto raccomandava Roxanne di non ingozzarsi col cibo per non soffocare.

- Non lo so, potremmo fare un giro al parco dopo pranzo oppure decidere i turni del bagno la mattina e disfare i bagagli.- rispose Rose dolcemente, sempre pronta ad ogni domanda.

- Sai che noia! Io vado con Freddie, Jimmy, Lou e Chris a escogitare lo scherzo di inizio anno, sarà qualcosa di favoloso!- disse sognate Roxanne, ricominciando a mangiare subito dopo.

- Roxanne! Non vorrai finire in punizione il tuo secondo giorno?!- la ammonì la cugina.

- Sono già in ritardo, Freddie e Jimmy li hanno puniti al loro primo giorno del primo anno, non mi perdonerò mai questa mancanza.- disse lei in difesa, gesticolando con la forchetta.

- Non devi seguire l’esempio di quei due squinternati, ti rovineranno!- la implorò Rose.

- È di famiglia, Rosie, che ci vuoi fare?- detto questo ritornò ad ingozzarsi di cibo come se nulla fosse, lasciando una cugina affranta e un’ Alex in preda alle risate.

- Ma mi spiegate meglio che cosa fanno quei quattro? Insomma, perché si fanno chiamare Malandrini?- chiese dopo Alex, che ancora non aveva chiaro se le intenzioni di quei quatto ragazzi fossero buone o cattive e perché Roxanne li stimava tanto. Roxanne parve indignata a sentire quella domanda, ma Rosie le rispose paziente.

- Vedi quei quattro facoceri laggiù?,- e le indicò un punto alla fine del tavolo, proprio vicino alla porta. – e, credimi, c’è un motivo se li chiamo in quel modo: hai visto con che voracità mangiano? Sembrano peggio di Roxy.

- Ehi!- protestò allora la diretta interessata.

- Shh!, – la ammonì Rose. – bene, loro sono, in ordine: James Potter, Fred Weasley, Chris Jordan e Louis Weasley,- spiegò, indicando prima il ragazzo moro sbruffone, quello rosso impertinente, quello dalla pelle nera e la risata facile e quello dai capelli rossicci assennato. – E sono il più grande incubo della scuola e della mia famiglia. Si divertono a fare scherzi a chiunque e quando dico chiunque intendo anche ai quadri, per intenderci, e cercano di tramandare la tradizione dei gemelli Fred e George Weasley prima di loro e dei Malandrini dell’annata 1970-1977 ancor prima di loro. Questo rivela la loro mancanza di sale in zucca e buon senso e la loro scarsa propensione allo studio. E, se te lo stai chiedendo, ancora nessuno in famiglia ha capito se questa loro indole sia una bene o un male.- le spiegò Rose con pazienza, soffermandosi su alcune parole chiave nel discorso.
Sul treno quei quattro non le avevano fatto una buona impressione, ma dopo le parole di Rose era rimasta oltremodo perplessa e dubbiosa sul loro conto. Ma soprattutto un po’ intimorita da quello che avrebbero potuto rifilarle. Alla fine si disse che non avrebbe avuto senso vivere con il terrore e che la vendetta che le avrebbero inflitto per averli insultati non sarebbe stata così tremenda, alla fin fine.

Bevve un sorso del suo succo di zucca, che appariva leggermente più amaro del solito, per poi ritrovarsi sotto gli occhi e le risate di tutti. Non capiva quello che stava succedendo, aveva forse qualche rimasuglio di cibo tra i denti? Impossibile, non aveva ancora toccato cibo! Allora che cosa poteva essere…

- Oh Merlino, Alex, i tuoi capelli! Sono… verdi?!- le disse Rose sorpresa, intanto la ragazza vide il suo riflesso in una brocca dorata che conteneva succo di zucca e per poco non gridò. Diventò rossa come un peperone e in quel momento avrebbe anche potuto sprofondare dall’imbarazzo, ma decise di fare come se nulla fosse o, almeno, tentarci, fino a che non vide i sorrisi complici e le risate fastidiose dei Malandrini e capì.

Si alzò con foga dal tavolo, sbattendo contro la lunga panca e si diresse, rossa in viso a causa della rabbia, verso le menti di quel dannato scherzo di cattivo gusto.
Arrivata a pochi passi da loro mise su la sua posizione da infuriata, gambe leggermente divaricate, braccia dritte e tese lungo i fianchi, mani chiuse a pungo tanto forte da conficcarsi le unghie nel palmo e sbiancarsi le nocche ed espressione infuriata di contorno.

- Vi sembra divertente, questo?- chiese arrabbiata, indicandosi i capelli.

- Veramente sì.- rispose Fred, ancora intento a ridere.

- Parecchio,- gli diede corda Chris. – Sei un genio Jim!- disse poi, complimentandosi con l’amico.

- Ah, quindi è stata tua l’idea?- disse lei ancora più arrabbiata.

- Esattamente e non hai idea di quanto sia dolce la vendetta.- le disse lui con un ghigno sul viso.

- Bene, Potter, te la sei cercata.- cercò di intimorirlo, ma il risultato fu esattamente l’opposto.

- Sto tremando!- disse, imitando la sua voce con scarsi risultati.

- Ride bene che ride ultimo, Potter, non lo sapevi? Non ho bisogno di ricorrere a stupidi scherzi per dimostrare che sono meglio di te. Mi basta dire che non sono una senza cervello come te e che no, non mi divertono i tuoi scherzi.- il ragazzo si zittì all’istante, mai nessuno era stato capace di tenergli testa in quel modo e iniziava a divertirsi sul serio, in quel momento. Si alzò lentamente dalla panca, avvicinandosi in modo da arrivarle esattamente a mezzo metro dalla faccia.
Arrivava a malapena alla sua fronte e Alex fu costretta a guardarlo dal basso verso l’alto, osservando il suo ghigno malandrino perennemente presente e, al contrario di quello di Roxanne, fastidioso, la sua zazzera indomata di capelli castani che come minimo non avevano mai visto un pettine in vita loro, gli occhiali dalla montatura rotonda che quasi gli nascondevano occhi, di un nocciola molto intenso, che esprimevano tutta la sua voglia di sfida.

La ragazza cercò di combattere con un ciuffo verde ribelle e di tenere testa allo sguardo dello sbruffone, che intanto non la smetteva di trattenere le risate.

- Ti faccio tanto ridere, eh? Però hai scelto la ragazza sbagliata come cavia per i tuoi scherzi, mi dispiace.- disse lei, avvicinandosi.

- Davvero? Io ti trovo molto buffa, e poi il verde ti dona un sacco, non lo sapevi? Sembri un orco nano!- e un coro di risate si levò dalla Sala Grande.

- Simpatico, Potter, davvero molto simpatico. Sempre meglio che avere un rospo in prognosi riservata in testa!- ormai quasi nessuno riusciva a smettere di ridere, Malandrini compresi.

- Che fate voi?! Siete dalla sua parte adesso?,- disse James richiamando gli amici.

- No! Ma devi ammettere che ti ha steso, James!- disse Fred, in preda ad una crisi epilettica per le troppe risate.

- Lo vedi? Allora non sono l’unica che lo sa. Mi dispiace Potter: almeno il rospetto è simpatico? Spero più di te.- disse, questa volta ghignando.

- Di sicuro molto più di te.- rispose lui, si avvicinavano sempre di più l’uno all’altra, come a volersi osservare meglio.

- Allora vedi che lo sai anche tu del tuo piccolo rospo in testa?- scherzò lei e alla fine lui si arrese.

- Simpatica, molto divertente…

- Lo so. 

- Ah ah. – disse poi, incrociando le braccia al petto, la Sala Grande era diventata una specie di pubblico che assisteva al circo, quasi tutti sembravano interessati a quell’assurda discussione.

- Però hai ragione su una cosa.- gli concesse lei.

- Cosa?- chiese lui.

- Il verde mi dona.- girò i tacchi e ritornò lentamente al suo posto, con un ghigno leggermente “malandrino” sulla faccia.

Te l’ho fatta, Potter” pensò, mentre si risedeva tranquilla accanto a Rosie.

- Quella ragazza avrà la mia stima eterna.- disse poi Fred, facendo spazio all’amico sulla panca.

- Zitto, Freddie.- disse James secco, le braccia ancora incrociate e l’espressione indignata.

- Finalmente qualcuno che riesce a tenerti testa, Jamie, ci voleva.- disse poi Louis, con il tono da: te l’avevo detto.

- Non. Infierire. Cugino. Degenere.- disse poi e ritornò a mangiare con un diavolo per capello.

***

 
Riconosco che sei l'unica persona che conosca
Che incontrando una persona la conosce
E guardandola le parla per la prima volta
Concedendosi una vera lunga sosta
Una sosta dai concetti e i preconcetti
Una sosta dalla prima impressione
Tiziano Ferro, il sole esiste per tutti 


 
Scorpius camminava lentamente, impigliato nei suoi pensieri, cercava un senso a quello che era successo la sera prima allo smistamento. Non riusciva a capire perché il Cappello Parlante lo avesse smistato in Grifondoro. Lui, così convinto che sarebbe stato tutt’altro il suo destino.

Al solo pensiero di avvertire i suoi genitori già tremava. Certo, sarebbero stati comprensivi, ma non era sicuro che ne sarebbero stati contenti e lui davvero non voleva deluderli, non dopo tutto quello che avevano fatto per lui.

L’unico Malfoy che non era stato smistato in Serpeverde. L’unico Malfoy Grifondoro!

Beh, doveva ammettere che, tutto sommato, non era poi così terribile. D’altronde avrebbe detestato la Sala Comune dei verde-argento: soffriva di mal di mare e quella era totalmente immersa nell’acqua! Sicuramente preferiva la bella vista che si godeva dalla torre, ma…
Beh, di certo non poteva tirarsi indietro e per i prossimi sette anni sarebbe stato un rosso-oro volente o nolente. Se ci rifletteva… no, non era per niente terribile! Addio Andrew e i suoi amici idioti, addio responsabilità, addio… beh, addio a tutto, i Grifondoro, per quel che ne sapeva erano molto più… espansivi dei Serpeverde, magari fare amicizia sarebbe stato più facile…

Già… amici, lui non ne aveva molti. Anzi, per dirla tutta, non ne aveva nessuno. Era figlio unico e viveva isolato come se fosse in una campana di vetro, le uniche persone con cui trascorreva un po’ più di tempo erano suo padre, sua madre qualche volta Andrew e Malìka, i suoi due cugini materni. Non vedeva l’ora di andare ad Hogwarts proprio per non essere più solo, ma non gli era andata molto bene, la sera prima.

I suoi compagni lo guardavano un po’ scettici e stupiti, lo scrutavano come se volessero capire qual era la conformazione delle sue ossa e non era stato molto piacevole; non era stato l’unico a ricevere quel trattamento e quello lo consolava almeno in parte. Anche un altro ragazzino veniva squadrato con curiosità solo con… ammirazione, ecco, mentre lui faceva l’effetto contrario. Con tutti.

Diciamo che… lui e quell’altro erano famosi, ma in maniera opposta. Già, perché se lui lo additavano come figlio di un Mangiamorte, l’altro era il figlio del Salvatore del Mondo Magico. O  il Bambino che è Sopravvissuto. O quello che ha sconfitto Lord Voldemort. O… va beh, Harry Potter, alla fine.

Sì, era compagno di stanza di Albus Potter. Che fortuna…

Beh, almeno non sarebbe stato il solo in camera ad essere considerato un fenomeno da baraccone.
Cercava disperatamente di ricordarsi la strada per arrivare alla Guferia, ma invece si ritrovò proprio di fronte alla biblioteca. Il tempo di guardarsi intorno, che qualcuno gli finì addosso, facendolo cadere per terra, ricevendo due o tre libri in testa.

- Scusami! O Merlino mi dispiace tanto! – si scusò una ragazza, che, anche lei per terra cercava di raccogliere i tomi che le erano caduti dalle braccia.

- Ahia! Beh, figurati, ma la prossima volta… - si bloccò, riconoscendo il viso della ragazzina che aveva incontrato nel treno due giorni prima. – Ma sei tu! Com’è che ogni volta che c’ incontriamo ti cade sempre qualcosa?- disse lui con tono scherzoso, aiutandola a raccogliere i libri.

- Oh, ciao Scorpius! Scusami, è che non ci sto più con la testa e stavo cercando un modo per rimediare a questo colore assurdo di capelli.- disse lei con un sorriso. In effetti aveva parzialmente assistito alla discussione avvenuta in Sala Grande a pranzo, ma non ci aveva badato più di tanto, immerso com’era a rimuginare sugli ultimi eventi.

- Beh, credo che sia ormai un’abitudine, ma che stavi facendo esattamente?- chiese lui perplesso, notando che stringeva in mano un mucchio di cose tra cui libri, un blocco da disegno e qualche piuma.

- Qualcuno ha pensato bene di nascondere la mia roba per tutto il castello e con qualcuno intendo quella testa di troll di James Potter e quindi sto gironzolando per andarla a riprendere. Ho quasi tutto, eccetto la mia divisa di riserva, i miei anfibi, i miei calzini a righe, il mio cappello, il resto dei libri scolastici, le boccette d’inchiostro e il mio album di fotografie. Sono riuscita ad evitare che la mia macchina fotografica finisse nel water per puro miracolo.- spiegò lei un po’ affranta, ma cercando di dissimulare la tristezza, di certo non era bello avere tutte le proprie cose sparse per il castello.

- Beh, non direi che hai quasi tutto, ti mancano ancora un sacco di cose… - constatò lui, visibilmente in imbarazzo, i rapporti sociali non erano il suo forte.

- Da sola ci metterò un’eternità e dato che Rose è andata a cercarli per strigliarli ben bene, Roxanne se la ride alla grossa in camera e Lailah e Julie non ho la più pallida idea di dove siano… non è che mi daresti una mano a cercarle? Sai, in due si fa prima.- gli propose lei spontanea, come se fosse normale per un ragazzo ricevere una simile proposta.

- Ehm… io… ecco… veramente dovrei spedire una lettera, quindi non so se… - no, i rapporti sociali non erano decisamente il suo forte.

-Oh, ma ci devo andare anch’io! Magari andiamo insieme, che ne dici? Poi mi aiuti con le ricerche?- lo supplicò lei, mettendo su un’espressione da cucciolo bastonato a cui Scorpius non seppe resistere.

- Oh… okay. Ma, una curiosità, come fai a fidarti di me se a stento mi conosci?

- So che ti chiami Scorpius Malfoy, che hai undici anni come me e che sei stato smistato in Grifondoro: praticamente so tutto ciò che c’è da sapere sulla tua vita!- lo disse con naturalezza, lei, senza pensare, non aveva idea che quelle parole erano la cosa più bella che Scorpius si potesse sentir dire. Era una così bella sensazione, sapere che in quella scuola c’era qualcuno a cui non importava del suo passato, che se ne infischiava del suo cognome o del suo stato di sangue.

Era bello conoscere qualcuno che aveva il potere, con un sorriso, di riuscire a quietare tutti i dubbi e le incertezze. Forse era per quello che, alla fine, era riuscito a cambiare il suo destino. Sul treno aveva rivisto più e più volte il sorriso spontaneo che le aveva rivolto quella ragazzina, che non sapeva nulla di lui eppure gli parlava con gentilezza e lo trattava come un amico di lunga data. Desiderava ardentemente essere diverso, essere come lei… forse il Cappello lo aveva spedito apposta in Grifondoro, per fargli trovare, dentro di sé, la maniera giusta per cambiare… per essere diverso. Migliore.

- Allora anch’io posso affermare di sapere tutto sulla tua vita, – concordò lui, emettendo un risolino. – ma mi spieghi una cosa?- le chiese poi.

- Tutto quello che vuoi.

- Perché hai i capelli verdi? O, meglio, perché ti hanno rifilato uno scherzo?

- Perché sono degli idioti senza cervello che non sanno come riempire le loro giornate e perché avevano l’insana voglia di vendicarsi dopo la figuraccia che ho fatto fare al loro migliore amico sul treno. Però anche la mia pazienza ha un limite e questo è troppo, se non trovo il mio album di foto potrei anche schiantarli. Anche se non so come si fa.- disse lei, spiegando brevemente gli ultimi eventi che l’avevano vista come protagonista di qualche sventura.

- Diciamo che con questo si sono vendicati della figuraccia che gli hai fatto fare oggi a pranzo?

- Esatto, ma credo che sia solo Potter la mente, i suoi amichetti sembravano dalla mia parte. Soprattutto quel mezzo francese, aspetta, come si chiamava? Ah si, Louis.

Camminarono verso la Guferia e nel frattempo parlarono del più e del meno trovando, di tanto in tanto, qualche indumento o oggetto di Alex qua e là. Arrivati a destinazione la ragazza era tornata in possesso della maggior parte dei libri di testo, delle boccette d’inchiostro e i calzini a righe.

- Milli? Dove sei piccola gufetta?- la chiamava Alex, come se il gufo potesse realmente risponderle. Dopo un po’ la trovò appollaiata vicino alla finestra e, con delicatezza, le appuntò la lettera alla zampa facendola librare in volo. Lo stesso fece Scorpius con il suo gufo, nero come la pece e gli occhi gialli, sospirando.

- Come si chiama?

- Chi?- chiese lui, non capendo il soggetto della domanda.

- Il gufo

- Oh, si chiama Perseus.- rispose lui, osservando dalla piccola finestra il volo tranquillo del suo gufo.

- Detto Percy, spero.- tentò lei, che di nomi ne aveva sentiti tanti.

- No, detto Perseus. Si chiama così, perché non dovrei chiamarlo col suo nome?- rispose lui serio, non capendo il punto del discorso. Intanto ripercorsero la strada al ritroso e Alex cercava di non inciampare sui suoi piedi mentre scendeva quelle strette e piccole scale.

- Perché è un nome orribile? Insomma, se qualcuno mi chiamasse Alexis lo picchierei! Io detesto quel nome.- disse lei, inorridendo al sol pronunciare qual nome tanto detestato per chissà quale arcana ragione.

- Ma se ti chiami così non posso chiamarti diversamente.

- Per questo esistono quelle sacrosante cose dette soprannomi.- cercò di convincerlo lei.

- È ridicolo, perché abbreviare il proprio nome? Io mi chiamo Scorpius e mi faccio sempre chiamare Scorpius.

Discussero di quell’argomento fino a che non ritornarono alla Torre di Grifondoro con ancora la metà della roba di Alex dispera chissà dove, aspettò che la ragazza ritornasse in Sala Comune per continuare con lei le ricerche.
Passarono tutto il pomeriggio a passeggiare per il castello in cerca degli averi perduti di Alex, parlando e ridendo molto.

Scorpius non si era mai sentito così apprezzato in vita sua, conosceva la gente, il loro modo di pensarla su di lui, ma Alex andava oltre ogni schema.

Andava oltre le apparenze.

Alla fine riuscirono a recuperare tutto, eccetto l’album di fotografie che non trovarono da nessuna parte.

- Non è possibile, deve esserci, non poso averlo perso… è troppo importante.- disse la ragazza, la voce un po’ incrinata e gli occhi lucidi, doveva tenerci davvero molto.

- Perché è così importante per te?- la domanda gli uscì spontanea, quasi involontaria e arrossì subito dopo averla pronunciata, non era da lui tutta quella sfacciataggine.

- Me lo ha regalato la mia mamma. Sai, lei è una babbana, proprio come mio padre, e non sa com’è il mio mondo. Ama molto le foto e mi ha fatto giurare di portargliene tante a Natale. In due giorni ne ho fatte minimo una trentina. Le avevo messe là dentro con così tanta cura... è importante perché così posso unire sia casa mia che Hogwarts, capisci?

Sì, capiva, e anche molto bene. Gli faceva quasi tenerezza, quella ragazzina. Bassina e tenera, molto dolce e spensierata. Non avrebbe mai pensato che per lei potesse significare tanto una cosa così semplice.
A volte non ci accorgiamo del vero valore delle cose, possono sembrarci inutili e molte volte anche brutte, ma ognuna di esse custodisce una storia, dei ricordi, delle emozioni ed è sorprendente il fatto che il più delle volte questi oggetti riportino a galla tutto questo. Scorpius non teneva particolarmente né a qualcosa né a qualcuno. Voleva bene ai suoi genitori, ma quello era diverso, tenere realmente a qualcuno era diverso.

Forse un giorno lo avrebbe capito.

- Ma perché non vai dritta dalla McGranitt a denunciare il fatto? In fondo se la merita una punizione quello lì e poi scopriresti che fine ha fatto l’album, no?- le propose lui, che non amava tutti quegli scherzi.

- No! Non potrei, poi non la smetterebbero più! Meglio lasciar perdere e fare in modo che si dimentichino alla svelta di me… anche se con questi capelli è difficile non notarmi.- disse lei, un po’ amareggiata e affranta.

- Sei troppo buona, se lo meriterebbero…

- Lo so, ma non sono il tipo di persona che fa la spia.- e detto questo s’incamminarono verso la Sala Comune. Poco dopo, però, quella quiete venne interrotta da un incessante miagolio e un rumore di passi strascicati.

- Alexis Winter?- domandò un uomo, molto vecchio e dalla pelle raggrinzita, in mano un alto bastone e in viso l’espressione burbera di chi non vorrebbe trovarsi lì. Il gatto, dal canto suo, aveva il pelo grigio spelacchiato e un’espressione poco raccomandabile, sempre che un gatto possa avere un’espressione precisa.

- Ehm… sì.- rispose titubante lei, decisamente preoccupata.

- La preside vuole vederla, mi segua.- le ordinò lui, con un tono che non ammetteva repliche, il suono della sua voce era simile al gracchiare di una cornacchia. Scorpius s’apprestava a seguirla, ma le secche parole del custode lo fecero desistere dai suoi buoni propositi.

- Da sola.- sibilò velenoso.

- Non ti preoccupare, Scorp, ci vediamo a cena.- lo rassicurò lei, seguendo titubante il custode.

 
Non aveva capito il motivo della sua convocazione fin quando non vide il suo album nelle mani della preside. La nonna di Lailah le aveva descritto una volta la presidenza, ma si sorprese nel trovare tutto completamente differente. Niente gingilli e ninnoli inutili, solo i quadri di tutti i presidi appesi alle pareti e un arredamento essenziale che comprendeva una grande scrivania, due poltroncine di velluto rosso e qualche oggettino qua e là giusto per riempire le mensole. Minerva McGranitt evidentemente non amava circondarsi da cose inutili.

Si sedette su una delle poltroncine osservando, quasi ipnotizzata, il suo album nelle mani della preside. Aveva un brutto presentimento anche se, effettivamente, lei non aveva fatto nulla.
Certe volte le capitava che nelle brutte situazione le si attanagliassero le viscere e il suo cuore si mettesse a battere forte dalla paura, non sapeva il perché, ma le veniva naturale.

- Signorina Winter, si calmi, non l’ho convocata per accusarla di qualcosa. Piuttosto vorrei sapere perché il signor Gazza ha trovato questo nel suo studio e, dato che non credo che uno studente si metta a disseminare i propri oggetti in giro per il castello, vorrei sapere se lei ne sa qualcosa.- le chiese tranquilla, la ragazza tirò un sospiro di sollievo.

- Ehm… - ma la preside non le diede il tempo di continuare.

- E, per cortesia, mi dica perché ha i capelli verdi!- le chiese poi.

“ E adesso? Che faccio? Non posso fare la spia, ma di certo non crederà a una sola parola della bugia che le dovrò rifilare. Che cosa faccio? ” pensava istericamente nella sua testa, meditando a cosa avrebbe potuto dire alla preside di convincente.

- Signora preside, io so chi potrebbe essere l’autore di queste malefatte,- il custode interruppe il suo flusso di pensieri confusionari facendola trasalire. – Sarà stato sicuramente quel delinquente di James Potter, lo vado a chiamare?- le chiese retoricamente lui, uscendo subito dalla porta.

- Signorina Winter, mi dica.- la incitò la donna, sospirando amareggiata per il comportamento del custode.

- Io… non lo so, non ho la più pallida idea di chi sia stato, veramente. Qualcuno ha manomesso il mio succo di zucca e ha sparpagliato la mia roba per tutto il castello, ma  davvero non so chi possa essere.- cercò di essere convincente, di non sembrare incerta e di non far tremare la voce.

Mentire non le piaceva, ma non poteva non incastrare Potter solamente per il fatto che lei non amava fare la spia, anche se quell’idiota se lo meritava.

- Ne è sicura? Non voglio credere che lei me lo stia omettendo volutamente.- le disse lei, cercando di farle capire, con uno sguardo a dir poco eloquente, che avrebbe dovuto pensarci due volte prima di mentirle.
Deglutì, sentiva che, prima o poi, la verità sarebbe venuta a galla e sarebbe stata nei guai quanto Potter. Stava per rispondere quando Gazza rientrò tenendo per la collottola il ragazzo.

- Ahia! Mi fa male! La vuole piantare?- si lamentò James che, messo a sedere sulla poltrona, scrutava la preside come se fossero amici di lunga data.

- Potter, le avevo detto di non farsi più vedere nel mio studio almeno fino ai M.A.G.O.,  è possibile che la ritrovi qui già dal secondo giorno di scuola?- si lamentò la preside rimproverandolo. Lui sembrava farsi beffe di lei, come se fosse abituato a quel discorso.

- Ma io non ho fatto niente! Davvero!- si giustificava lui. Era un ottimo bugiardo, su questo non c’erano dubbi.

Alex osservava la sicurezza con cui decantava le sue giustificazioni e ne rimase un po’ perplessa. Aveva chiaramente una faccia da schiaffi, la McGranitt lo sapeva, ma sembrava già stanca di vederlo nel suo ufficio che a ogni diniego del ragazzo sembrava invecchiare di dieci anni, pur rimanendo sempre con la stessa espressione severa.
Lui non la smetteva di giustificarsi e alla fine la preside interpellò lei.

- Winter, sei sicura al cento per cento che Potter non c’entri nulla? Sappi che non devi coprirlo, ormai è abituato alle punizioni.- la incitò la McGranitt.

- Sicurissima, ma mi creda, alla fine non m’importa che si sappia chi è il colpevole: vorrei solo riavere il mio album, se non le dispiace.- diretta, un po’ fredda e distaccata. Perfetto.

- Okay, per questa volta Potter passi, ma tanto so già che tornerai qui a breve. Tenga, Winter, e mi raccomando di stare più attenta ai suoi affetti personali la prossima volta.- disse, poi le porse l’album.

- Professoressa, una cosa…

- Dimmi, Winter.

- C’è un modo per far sparire questo verde dalla mia testa?- chiese Alex speranzosa.

- No, mi dispiace, deve aspettare che se ne vada da solo.- le disse con rammarico.

- Okay, grazie lo stesso.- e le sorrise, uscendo a razzo da quell’ufficio che un po’ la metteva in soggezione, seguita a ruota dal ragazzo. Arrivata a metà corridoio una voce la fece girare di scatto.

- Perché l’hai fatto?- le chiese James, sorpreso dal comportamento della ragazza. Lo aveva difeso anche se aveva torto marcio.

- Io non faccio la spia.- rispose solo, l’album stretto al petto e lo sguardo deciso.

Sorrise, James, malandrino come sempre, ma anche un po’ grato ad Alex per il suo gesto.
- Grazie.- disse solo e se ne andò dalla parte opposta del corridoio.

Quel ragazzo era decisamente strano

***

 
                                                                                   Un giorno senza un sorriso è un giorno perso.
   Charlie Chaplin

 
 
Ritornata in camera trovò Lailah sdraiata in una strana posizione. Aveva i piedi che toccavano quasi il tetto del baldacchino, le gambe distese lungo la testiera del letto e il busto disteso sul materasso. Non si sapeva bene a cosa stava pensando, probabilmente qualcosa di contorto, era sempre così quando si metteva in posizioni strane.

- Che stai facendo?- le chiese, osservando anche lei il tetto del letto.

- Veramente niente, cercavo di rilassarmi e di sciogliere un po’ le gambe, ho trovato un’aula perfetta per ballare, sai? È un po’ piccolina, ma le pareti sono a specchio. È un po’ strano, è come se l’avessi evocata dal nulla e mi fosse apparsa.- le spiegò, continuando a guardare sopra di sé.

- È un po’ strano, ma siamo nel mondo della magia, quindi non mi sorprende più di tanto.

- Che hai fatto tutto il pomeriggio?- le chiese l’amica, un po’ tra le nuvole.

- Sono stata con Scorpius a recuperare tutte le mie cose in giro per il castello. Dovresti conoscerlo, è così simpatico, sai?- le disse l’amica, iniziando a ripercorrere mentalmente le tappe di quella stana giornata.

- Scorpius? E chi è? Aspetta, non sarà mica Malfoy, vero? Alex, non puoi fraternizzare col nemico!- si rimise subito in posizione corretta e quasi strillò quelle parole. Lei, al contrario, era molto più diffidente di Alex sulla gente e teneva conto anche della loro storia. Non che avesse chissà quali pregiudizi, ma si guardava bene dal dare confidenza a certi individui.

- Eh? Ma sei scema? È una bravissima persona, invece! Non puoi giudicarlo solo per il suo cognome!- rimbeccò l’altra. Continuarono così per un po’, fino a quando Alex non pose fine al diverbio.

- Sta sera te lo presento, così poi vediamo chi ha ragione, okay? Comunque ho ritrovato tutto e la McGranitt mi ha fatto pure convocare nel suo ufficio per aver trovato il mio album nell’ufficio del custode e per quello che è successo oggi a pranzo.- spiegò all’amica, cambiando volutamente discorso.

- E tu le hai detto che era tutta colpa di quello stupido?- disse svogliatamente Lailah, mentre si rimirava distrattamente le unghie.

- Ehm… veramente no.- disse Alex arrossendo, portandosi una mano dietro la nuca.

- Cosa? Alex deve ricevere una punizione per quello che ha fatto!- le gridò Lailah, d’un tratto interessata alla cosa.

- No! Sai che non potrei mai fare la spia anche volendo. Però… forse qualcosa di positivo c’è, no?- chiese, mettendo su un sorrisino incerto.

Lailah ci pensò un po’ su e poi riuscì a venire a capo della faccenda.
- Probabilmente hai ragione, adesso dovrebbe capire di che pasta sei fatta. Effettivamente, anche senza volerlo, hai fatto una cosa giusta, Alex.- disse all’amica, sorridendole. Solo con lei ci riusciva.

- Sei un genio!- le disse Alex abbracciandola. Lailah, come al solito, non ricambiò.

- Alex, smettila per favore, mi soffochi!- le disse e l’amica la lasciò andare.

- Chissà che fine hanno fatto le altre,- guardò l’orologio che aveva al polso. – È già ora di cena, andiamo?

- Andiamo.-
 

Entrate in sala l’odore delle varie pietanze gli saltò subito al naso e quasi automaticamente si diressero al tavolo dei Grifondoro. Alex vide Scorpius confabulare distrattamente con un altro ragazzo e lo raggiunse, sedendosi di fronte a lui e al suo amico, Lailah le si mise accanto.

- Ciao Scorpius!- lo salutò con un sorriso.

- Oh, ciao Alex, che piacere rivederti.- le disse cortese lui.

- Scorp, lei è Lailah; Lailah lui è Scorpius.- li presentò e si strinsero la mano in maniera cortese.

- Perché hai i capelli in quel modo? Sembrano leccati da una mucca!- queste le parole che Lailah aveva rivolto a Scorpius.

- Lailah!- la ammonì Alex, intanto Scorpius si era messo a ridere dopo un attimo di interdizione.

- Che c’è? È la verità! Ride pure!- si giustificò l’altra, intanto Scorpius aveva smesso di ridere.

- Me lo hanno detto tutti, compreso mio cugino, credo che domani li sistemerò in un altro modo. Non è stata una buona idea ascoltare mio padre.- disse lui, ritornando a mangiare con ancora i residui delle risate in bocca.

- Era ora che ti decidessi, Scorpius!- disse il ragazzo accanto al biondo, sollevando la testa dal piatto e osservando tutti con i suoi grandi occhioni verdi.

Aveva i capelli un po’ lunghi, fin sotto le orecchie, e leggermente scompigliati, un ciuffo fin troppo lungo che gli ricadeva sopra gli occhi, che erano il pezzo forte del tutto: due enormi smeraldi. Verdi e profondi, sembravano davvero due gemme. Addolcivano quel viso che già sembrava dolce di per sé.

- Già, grazie Albus. Oh, Alex lui è Albus; Albus lei è Alex.- presentò Scorpius, allo stesso modo di Alex prima.

- Piacere.- le sorrise Albus, ricominciando a mangiare poco dopo.

- Hai un aria familiare però… non è che hai un gemello, vero?- chiese Alex, che aveva notato delle somiglianze con qualcuno di sua conoscenza.

- No, ho un fratello maggiore e credo che tu lo abbia già incontrato.- disse, indicando i suoi capelli, ancora visibilmente verdi.
Lailah capì subito di chi si trattava.

- Sei il fratello di quello lì! Uff… come si chiama?! Ah si, James Potter!- disse, quasi con rabbia, ovviamente credeva che fosse identico al fratello in quanto a carattere.

- Davvero?- chiese perplessa Alex, girando al testa di lato per osservarlo meglio. – Vero! Siete praticamente identici, se non fosse per gli occhi e i capelli.- constatò, ritornando al suo pranzo con tutta la tranquillità del mondo.

- Già… ma io non sono come James, assolutamente no.- ci tenne a precisare, tutti credevano che fosse identico al fratello, ma non era affatto vero.

- Sì, certo, come no.- borbottò Lailah, pensando che i geni erano gli stessi.

- È paradossale, come fai a giudicarmi se non mi conosci?- le chiese Albus con molta calma, continuando a tagliare la sua fetta di carne arrosto.

- Perché i geni sono quelli e non credo che tu, in quanto a suo fratello, sia diverso.- rimbeccò lei, che iniziava a infervorarsi. Non amava molto essere contraddetta.

- Pensala come ti pare. Sinceramente ti posso solo dire che non si sceglie la famiglia.- disse lui con molta calma bevendo del succo di zucca dal suo bicchiere.

Quelle parole la spiazzarono totalmente. Potevano sembrare insignificanti, ma la colpirono come una freccia allo stomaco.
Non si sceglie la famiglia… già, quella ti capita e basta.
Odiava la sua, ma come poteva lui, che aveva una vita perfetta, lamentarsi? Insomma, sapeva benissimo chi era e di chi era figlio. Non gli mancava niente, non poteva dire che qualcosa andasse male nella sua vita perché era inconcepibile.

Lei, allora? La sua vita era orribile eppure non usava quelle frasi di circostanza con quel tono. Non si lamentava, evitava anche solo di pensarci.

In quel momento sentì di odiare quel ragazzo.

No, lui non sapeva niente, non aveva il diritto di parlare o anche solo di provare a lamentarsi.
Le montò la rabbia e si alzò di scatto da quel tavolo, uscendo di corsa dalla Sala Grande. Alex la guardò allontanarsi, apprestandosi a seguirla, aveva capito il motivo di quella reazione.

- Scusate ragazzi, ci vediamo domani.- disse e si alzò anche lei dalla panca, inseguendo l’amica.

Sarebbe stata una lunga notte, quella.






*NdA: trasposizione magica delle Adidas, giusto per capirci



 
Kore's Corner
Allora, intanto salve a tutti e poi tre cose:

1.Auguri di buona Pasqua anche se in ritardo =)

2.Finalmente, dopo un mese EFP ha accettato la mia richiesta di cambio del nickname!!! *balla la samba dalla gioia*

3.Scusate veramente tantiiiiiissimo per il ritardo. Praticamente è un mese che non aggiorno e mi ero ripromessa di non farlo, ma ho avuto una miriade di problemi tra compiti in classe, impegni scolastici, corsi e un minimo di vita sociale che proprio non ho avuto tempo, con tutto che ho già tutti i capitoli pronti e questo lo avevo già revisionato. Chiedo umilmente perdono e vi giorno che non accadrà mai più ù.ù

Ora, passando al capitolo: c’è una canzone di Tiziano Ferro!!! Io lo amo *si scioglie al pensiero* <3<3<3<3<3 e poi: finalmente compare il mio piccolo Ally!!! *_* il mio Allino Cuoricino, giusto per capirci, è uno dei personaggi che più amo di tutta questa storia ed è uno di quelli che in futuro vedrà un processo di cambiamento radicale, al pari di quella bisbetica di Lailah che, chi già seguiva la storia in precedenza se lo ricorda più che bene, inizia ad odiare quel piccolo orsetto pucciso. Mah, povera illusa se pensa di perseverare con questa assurda filosofia.
E poi c’è Scorpy! L’altro mio cucciolo biondo, amo anche lui in maniera incondizionata anche se in effetti non c’è un personaggio che detesto di loro, davvero, nemmeno quel deficiente di James ( anche se il suo carattere è una mia invenzione posso solo dire che la sua è tutta deficienza causata dall’età, col tempo imparerete ad amarlo anche voi) che sì, ha rifondato i Malandrini ed è esattamente come James e Sirius prima di lui. Beh, capelli verdi a parte ( anche io ho i capelli verdi!!! *saltella contenta per tutta la stanza* ^_^) spero che il capitolo vi sia piaciuto e che vi facciate sentire, sono molto scoraggiata dallo scarso successo ma questa storia è un pezzo del mio cure e la pubblicherò fino alla fine perché in un certo senso glielo devo.

Ringrazio chi preferisce/segue/ricorda/recensisce/legge questa storia, alla prossima settimana.

Baci,
KoreW

 

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Capitolo 5
*** 4) First lessons, small explosions and I can fly ***




First lessons, small explosions and I can fly 

 
Il mondo è alcune tenere imprecisioni.
   Jorge Luis Borges


 
Sonnecchiava leggermente, intenta com’era a coprirsi il più possibile a causa del freddo. Si rigirava spesso nel letto in cerca di una posizione comoda e cercava di far prendere forma al suo cuscino che le appariva troppo rigido.
In realtà non riusciva a prendere sonno per tutt’altro motivo.

Era nervosa.

Nervosa e ansiosa per la giornata che l’avrebbe attesa il giorno seguente, dove si sarebbe ritrovata di fronte a un’istruzione tutta nuova fatta di materie interessanti quanto complesse. Le avevano insegnato a prendere le cose con una certa calma, ma di nascosto, quando nessuno poteva vederla, dava sfogo al suo nervosismo e allora non c’era unghia di una mano che resisteva alla sua tensione. In quel momento era agitata e molti avrebbero anche potuto definirla impaurita.

D’altronde, aveva passato così tanto tempo con persone che prendevano le decisioni al posto suo, che in quel momento assaporare quei piccoli istanti di libertà la terrorizzava. Non per loro in sé, ma perché aveva paura che le scivolassero tra le dita come acqua; che un giorno, svegliandosi, avrebbe rivisto la figura austera di sua madre impartirle ordini con un tono freddo e irriverente, lasciandola alle cure di una qualsiasi cameriera a cui lei non aveva ancora urlato contro, stufa di essere trattata come un’incapace.

Dalla coperta si vedevano solo gli occhi, un verde chiaro molto intenso che ricordava i prati in primavera, scrutavano tutta la stanza con sguardo criptico, soffermandosi su alcuni dettagli da lei ritenuti essenziali. Aveva una dote eccezionale, Alex glielo ripeteva sempre: sapeva  osservare; ma non lo strato superficiale delle cose, quanto più quello che c’era dentro, la loro storia. Per questo catalogava la gente tramite le prime impressioni, perché da li poi avrebbe continuato ad osservare a captare informazioni fino a capire come quella persona fosse in realtà.

Ridacchiò leggermente, al pensiero che la prima parola che le venne in mente, alla tenera età di sei anni, per definire Alex fu strana. Beh, Alex lo era davvero, ma nel senso positivo del termine, almeno. Anche delle sue compagne di stanza si era fata un’idea grossolana, sempre con lo stesso metodo.
Quando vide Rose, la prima cosa che pensò fu azzurro, e non solo per il colore degli occhi s’intende, ma perché emanava una strana aura positiva che la faceva pensare a cose belle e tranquille e da sempre per lei l’azzurro rappresentava qualcosa di immensamente grande e sconfinato, come il cielo, che pian piano tornava azzurro dopo una notte scura, senza che qualcuno se ne rendesse conto: era trasparente; Roxanne invece la identificò con qualcosa di più insolito: molla. Ma non molla nel senso di rammollita, ma molla nel senso si saltellante, che va su e giù senza mai stancarsi, qualcosa di inarrestabile e tremendamente folle da essere indispensabile per far funzionare bene i vari meccanismi di una macchina o di qualche oggetto; Julie, invece, era la più ambigua, riservata e silenziosa, non molto appariscente, ma comunque sempre presente. Guardandola e parlandole, le venne subito in mente la parola ombra. L’ombra non la vedi sempre e quando la si può vedere non si fa caso alla sua presenza, è una sicurezza il suo esserci, ma noi non ci preoccupiamo mai di accertarcene.

Possibilmente era solo paranoica, ma con gli anni sicuramente avrebbe affinato quella tecnica fino a farla diventare il suo mantra più di quanto già non lo fosse.

Cercò con gli occhi qualcosa di interessante da osservare si stupì nel non trovare nulla che catturasse realmente la sua attenzione. Così si ritrovò a fissare il tettuccio del suo baldacchino con pochi pensieri per la testa e col sonno che pian piano avanzava prepotente nel suo corpo. 

Iniziò a ricordare i particolari di quelle due giornate, fantasticando un po’ su quelle future. Non era una ragazzina ottimista, fondamentalmente era realista e non si perdeva mai in inutili fantasticherie se non aveva la certezza che potessero avverarsi. Però lì, dove regnava la magia tutto era possibile, perfino volare.

Volare… già pregustava il momento in cui sarebbe salita su un manico di scopa e avrebbe iniziato a volteggiare. Se c’era una cosa di cui la nonna le aveva sempre parlato con espressione sognante era proprio la sensazione che provava mentre volava. Molte volte si era immaginata in quello stato, con il cielo a un palmo di mano e il vento a guidarla. Sì, quello sarebbe stato magico e non vedeva l’ora che arrivasse quella lezione, venerdì, per poter finalmente confermare quelle sensazioni.

Il sonno ancora non l’aveva catturata del tutto, aveva ancora in testa qualche piccolo pensiero da formulare prima di dormire. Probabilmente il giorno dopo non sarebbe riuscita a stare sveglia a lungo, ma poco importava, quella calma e quel silenzio le trasmettevano una pace che difficilmente avrebbe ritrovato. Avvolta tra le coperte cercava invano di scaldarsi, entrava un vento gelido dalla finestra, lasciata aperta per caso che le faceva venire la pelle d’oca. Alla fine si decise e si alzò, dirigendosi verso il davanzale per chiuderla. Effettuata l’azione, si ritrovò a guardare fuori. Vide Hogwarts in tutta la sua grandezza, il parco sconfinato e il lago profondo e calmo, con una piccola capanna da cui fuoriusciva del fumo dalla ciminiera. Il cielo era di un blu denso di stelle, piccoli puntini bianchi che facevano da contorno a una luna piena per metà.

Il tutto era di una bellezza idilliaca quasi irreale che trasmetteva sensazioni positive e una calma infinita. Alex le aveva detto, prima di andare a dormire, di sentire nostalgia del Kensington e della sua famiglia; lei non ne avvertiva minimamente la mancanza.

Probabilmente quello era un pensiero cattivo, ma era un sollievo non stare più a contatto con quegli individui che era costretta a chiamare genitori. Hogwarts era stata come una liberazione e avrebbe fatto di essa la sua casa. La sua vera casa.

Sbadigliò. Ritornò a letto. Questa volta si addormentò subito. Sognò, anche.

Sognò di volare.


***


Correva. Correva a perdifiato, senza mai fermarsi un attimo.

Era in ritardo. Prevedibile.

Alex Winter era conosciuta, oltre che per le sue stranissime manie, anche per la moltitudine di ritardi che riusciva ad accumulare nell’arco di una sola giornata. Quando abitava ancora nel Kensington, pur avendo la scuola a due passi da casa, nessuno seppe mai come faceva a ritardare sempre costantemente di cinque o dieci minuti. Lei minimizzava sempre tutto, ma ad Hogwarts non  si ci poteva permettere di ritardare, soprattutto se si è studenti del primo anno ancora inesperti sulle modalità di cambio delle scale e che ancora non hanno bene in testa le posizioni delle aule e dei corridoi più corti.

Aveva perso tempo, quella mattina, per cercare la sua collanina, regalo della madre per il suo undicesimo compleanno, che le faceva avvertire meno la separazione dalla sua famiglia. Così, mentre le sue compagne di stanza, Lally compresa, scendevano per la colazione, rassicurandole che sarebbe scesa a breve, lei era immersa totalmente nel suo baule a tirare fuori di tutto in cerca di un oggetto tanto piccolo quanto importante.
Alla fine si scoprì che era sul comodino accanto al letto e, mentre scendeva dal dormitorio e correva veloce fuori dalla Sala Comune, aveva iniziato a mandare impropri anche al muro e al pavimento. Però, siccome la sfortuna la perseguitava, si accorse, a un metro dall’aula, di essersi scordata l’agenda con il libro di testo e quindi ripercorse la strada a ritroso, per poi ritrovarsi stanca, sudata, irritata e con quindici minuti di ritardo, di fronte la porta dell’aula di trasfigurazione con gli sguardi di tutti i suoi compagni puntati addosso come se volessero farle una radiografia.

Imbarazzata e con ancora il respiro affannato per la corsa, salutò mestamente con un debole buongiorno e si sedette nell’unico posto rimasto, situato proprio alla fine dell’aula, accanto a Scorpius, seduto a suo volta vicino ad Albus. Poggiò malamente la tracolla ai piedi della sedia e si sedette, con le risatine fastidiose dei compagni in sottofondo e lo sguardo severo della professoressa su di sé.

- Signorina Winter, ci siamo alzati tardi, eh? – disse la professoressa con scherno, avvicinandosi pericolosamente a lei, sguardo arcigno e sopracciglia inarcate.

- Ehm…, - deglutì. – Ve-veramente mi sono un po’ persa… le sca-ale che cambiano… i-i corridoi lunghi… mi scusi.- farfugliò tra una ripresa d’aria e l’altra. Sotto quelle iridi nere che parevano infinite, Alex sembrava essersi fatta piccola di quanto apparivano terrificanti.

- Non sento scuse. Nelle mie lezioni si deve rispettare la puntualità.- si lamentò, iniziando un lungo comizio su quanto fosse indecoroso ritardare a lezioni così importanti come la sua.

“La prima lezione e la professoressa già mi guarda male: Alex hai stabilito un nuovo record!” pensò la ragazza, guardandosi intorno con curiosità.

Tenevano la lezione con i Corvonero, di cui la professoressa Padma Patil era un’ ex studentessa e di cui, chissà perché, non faceva che lodarne l’intelligenza, la prontezza di mente, la puntualità con la costante di un elogio ogni due per tre. L’aula era piccola e con due grandi finestre su un lato che davano sul Lago Nero e sul parco di Hogwarts, i banchi a tre disposti in due file da sei rivolti verso una cattedra scheggiata e consumata dal tempo, ma che ancora presentava un aspetto solido e duraturo, con fogli, libri di testo, boccette d’inchiostro e piume disposte ordinatamente sopra di essa. In fondo c’erano delle gabbiette con svariati animaletti di piccola taglia che, probabilmente, servivano per testare i vari incantesimi.

- … comunque, riprendendo il discorso che la vostra cara compagna ha interrotto.- diede una certa enfasi a quel “cara”, quasi con disgusto misto ad orrore.

“Sarà per i capelli,” pensò Alex ironicamente. “No, decisamente non sarò la sua studentessa preferita. Peccato, la materia mi sembrava interessante.”

- Io sono la professoressa Patil e sarò la vostra insegnante di trasfigurazione… - continuò a parlare per un po’, spiegando i requisiti base per andare bene nella sua materia, sempre elogiando i Corvonero che stavano seriamente diventando irritabili con il loro pavoneggiarsi, solo perché erano i favoriti dalla professoressa.

“Ridicoli,” Pensarono un po’ tutti i Grifondoro presenti in quell’aula. “E pure secchioni! Ma come fanno ad alzare sistematicamente la mano ogni tre secondi?”

- Non ci credo che ti sei persa; ieri ti muovevi come una veterana per i corridoi.- le sussurrò dopo un po’ Scorpius, sorridendo mestamente.

- Dovevo pur inventarmi qualcosa, tanto quella mi detesta dal principio, fin da quando è venuta a casa mia a parlare con i miei genitori del mondo magico.- gli disse lei, cercando di non farsi vedere della professoressa, non ci teneva particolarmente a ricevere un altro richiamo.

- Ti ha dato ancora fastidio quello lì?- le chiese con circospezione.

- No, no! È che non trovavo la mia collanina e ho perso tempo a cercarla, aggiungici anche che sono dovuta tornare indietro a un metro dall’aula perchè avevo scordato l’agenda e il libro di testo sul letto, quindi… - disse lei, arrossendo un po’ per l’imbarazzo. Scorpius rise leggermente e poi si rigirò per ascoltare la professoressa.

Intanto, Alex cercava di memorizzare le facce dei suoi compagni, osservando uno per uno tutti i banchi. A sinistra, dal lato delle finestre, sedevano praticamente solo Grifondoro, fatta eccezione per un paio di elementi. Lailah, Julie e Mary-Grace erano sedute al primo banco di sinistra (sicuramente sotto insistenza di quest’ultima), all’ultimo posto di destra c’erano i gemelli Scamander e un ragazzino smilzo e quasi scheletrico, dai capelli ricci e neri e lo sguardo annoiato, avanti a loro la restante casata dei Corvonero di cui non si premurava troppo di memorizzare i volti e davanti a lei i Grifondoro, quasi tutti distratti o immersi in fantasticherie strane. Un ragazzo biondo stava proprio nel posto di fronte e in seconda fila c’erano Rose, Roxanne e un’altra ragazza di cui non ricordava il nome. Aveva un’aria familiare, anche se dalla sua postazione non riusciva a vederne bene il volto: la prospettiva non era delle migliori, in effetti. Poco dopo si sentì un delicato scampanellio, segno della fine dell’ora e, quindi, della lezione.

 Si alzò in fretta e raggiunse le sue compagne, Albus e Scorpius parlottavano tra di loro.

- Io te l’avevo detto, Alex, ma tu non mi dai mai retta!- le disse Lally con tono da saputella. Oh, quanto lo odiava quel tono!

- Sì, sì, tu mi avevi detto tutto, la colpa è solo mia, lo so non c’è bisogno che me lo ricordi… eccetera… eccetera.- rispose spiccia lei, non aveva proprio voglia di sentire una delle prediche dell’amica.

- Ah, con te non c’è nulla da fare.- disse rassegnata Lailah, avviandosi insieme a Julie alla lezione successiva, lasciando Alex con le due Weasley e la ragazza sconosciuta.

- Ehi! Non mi lasciare da sola!- gridò, ma invano, in mezzo alla confusione l’amica non riusciva a sentirla.

- Ma tu non sei sola! Ci siamo noi!.- Rose e Roxanne la presero sottobraccio da tutti e due i lati, iniziando a camminare e a parlare in sincrone.

- Melissa vieni con noi?- si rivolse cordialmente Rose alla ragazza che, Alex lo ricordava vagamente, credeva di aver già visto allo smistamento, cosa oltretutto molto probabile dato che erano entrambe del primo anno. Aveva lunghi capelli color oro, leggermente gonfi e ondulati, gli occhi sembravano due pozze di un blu intenso, come la notte ed osservavano con attenzione lo strano gruppetto, un nasino all’in su tipico dei francesi e il viso tempestato totalmente da piccole efelidi chiare che la rendevano ancora più graziosa. Era adorabile. Perfetta.

- Ehm… ok.- e si avvicinò alle ragazze un po’ titubante.

- Ciao, io sono Alex.- si presentò la mora, porgendo la mano alla ragazza.

- I-io sono Melissa, piacere di conoscerti.- balbettò, visibilmente imbarazzata.

- Sta nella camera accanto alla nostra.- aggiunse Rose, rivolgendo uno sguardo rassicurante alla ragazza.

- Davvero? Strano, non ti ho vista. Va beh, capiterà e poi adesso so chi sei, è un grande passo avanti.- disse sorridendo e tutte e quattro si avviarono verso l’aula dove si sarebbe tenuta la lezione successiva.

A undici anni ancora ero ignara, non avevo la minima idea di quante cose sarebbero successe a causa di quella ragazza e della sua adorabile perfezione. E, credetemi, non avrei mai, per nulla al mondo, voluto conoscerla.


 
L’aula di pozioni era qualcosa di talmente tetro e maleodorante da far spavento. Si sentiva l’odore di tutti quegli ingredienti disgustosi che, credetemi, non profumavano certo di rose o menta piperita. C’era sempre un addensamento di fumo sul tetto a causa delle pozioni preparate in aula e l’aria pregna di umidità senza neanche un briciolo di luce a illuminare la stanza.

No, decisamente ad Alex non piaceva per niente quel posto; Lailah, invece, sembrava adorarlo. Erano già a mercoledì e il professor Lumacorno, un tricheco coi baffi bianchi, come amava definirlo Alex, aveva voluto cominciare subito con un po’ di pratica, una pozione semplice e facile, diceva lui.

Già, per lui magari.

La lezione era sempre tenuta con i Corvonero che, a ragion del vero, non staccavano l’occhio da libro di testo nemmeno per un secondo: erano parecchio meticolosi, loro.

L’aula era molto ristretta e i banchi avevano più posti a sedere rispetto a quelli delle altre classi ed erano molto più larghi e grandi, proprio per permettere agli studenti di preparare quegli strani intrugli colorati.
  1. Aggiungi 2 zanne di serpente nel mortaio
  2. Frantuma con il pestello fino a ottenere una polvere finissima
  3. Aggiungi 4 misurini di zanne tritate nel tuo calderone
  4. Riscalda il miscuglio a 250 per 10 secondi
  5. Agita la bacchetta
  6. Lascia fermentare per 45 minuti
  7. Aggiungi 4 lumache cornute nel tuo calderone
  8. Togli il calderone dal fuoco
  9. Aggiungi 2 aculei di porcospino nel tuo calderone
  10. Mescola 5 volte, in senso orario
  11. Agita la bacchetta per completare la pozione
Leggeva e si ripeteva mentalmente quegli ingredienti come un mantra, Alex, nel timore di scordarsi anche il minimo passaggio. Anche se con i guanti, prendeva schifata ogni singolo ingrediente sotto le occhiatacce del professore. Lailah, invece, appariva tranquilla e disinvolta, si vedeva chiaramente che tutto quello la affascinava e che le riusciva alla perfezione.

Era come rapita, più che altro incuriosita, si chiedeva come quegli ingredienti che, tra loro, avevano ben poco in comune, potessero formare una pozione di qualsiasi genere. Andava contro ogni scienza logica! Eppure… beh, adorava farlo. Si sentiva in sintonia con quella materia, non si doveva nemmeno concentrare tanto, le azioni le venivano meccaniche e quasi involontarie, era una bella sensazione. Mentre aspettava che la pozione fermentasse, si guardò intorno, scorgendo una Alex alquanto in difficoltà.

“Eppure nel libro c’è scritto che è la più facile…” pensò, vedendo come l’amica osservava schifata le lumache cornute nel barattolo. Aveva ancora i capelli verdi, che teneva rigorosamente raccolti per evitare che sfiorassero anche solo con le punte lo strano intruglio dal colore improbabile nel suo calderone. Col passare dei gironi erano andati a peggiorare però, stranamente, ad Alex piacevano. Continuò ad osservare e, con orrore, si rese conto che anche lei aveva catalogato Lumacorno con lo stesso nome di Alex: tricheco.

Beh, d’altronde la somiglianza era qualcosa di spaventoso. In quel momento stava controllando la fermentazione della pozione di quello lì.

Continuava a detestare Albus Potter ancora più di prima, soprattutto perché Alex non faceva che parlargliene. Quella sua aria apparentemente dolce, il sorrisino irritante, lo sguardo innocente… no, decisamente non lo sopportava, come non sopportava la sua logica e le sue stupide frasette di circostanza. Lo stesso, però, non poteva dire di Scorpius che si era rivelato molto simile a lei caratterialmente; un giorno avrebbe dovuto scusarsi con Alex per essere partita prevenuta con lui riguardo al suo carattere.
Certo, quel biondo quasi platino in testa un po’ le dava sui nervi, ma era apposto. Fin’ora, però, la migliore era senz’altro Julie.
Stava bene in sua compagnia, era silenziosa, gentile, un po’ timida, ma comunque molto dolce, sicuramente lei la preferiva tra tutte e a Julie piaceva realmente stare con lei. Fino a quel momento era l’unica amica che si era fatta ad Hogwarts e non era male, anche se guardava con una leggera punta d’invidia Alex, che passava molto tempo con moltissima gente.

Lei parlava con i gemelli Scamander a pranzo, studiava con Albus e Scorpius il pomeriggio e chiacchierava sempre con Rose e Roxanne, salutava Mary-Grace ogni qual volta la vedeva e sorrideva gentile a Melissa ogni volta che lei le chiedeva qualcosa. Sia Alex che lei adoravano quella scuola, ma per due motivi diversi: la prima, perché tutto là dentro la faceva divertire e sorridere; la seconda perché le permetteva di non pensare e di stare finalmente un po’ in pace per conto proprio.

Diverse, ma simili. La nonna glielo ripeteva sempre, ricordava ancora il tono dolce con cui scandiva le parole e le sorrideva.

Scacciò via quel pensiero, sentendo un odore non proprio rassicurante provenire dal calderone dell’amica.

- Alex, che cosa hai fatto?- le chiese, inarcando le sopracciglia preoccupata.

- Non lo so! Ho solo seguito le istruzioni del libro, stavo aspettando il tempo di fermentazione, ma dopo quindici minuti ha iniziato ad uscire del fumo e… e… - era visibilmente spaventata, il senso di colpa ad attanagliarle le viscere: non voleva che qualcosa andasse storto, non alla prima settimana di lezione!

- Signorina Winter, mi spiega che cosa ha combinato?- le chiese ridendo il professor Lumacorno.

“Lui ride! Io ho fatto un danno e lui ride!” pensava isterica, mettendosi le mani nei capelli. La pozione aveva iniziato a ribollire pericolosamente.

- Non… non lo so! Perché è verdognola? Non dovrebbe essere verdognola e non dovrebbe nemmeno ribollire e non…- ma non finì mai di pronunciare quella frase perché qualcosa la bloccò prima.

Boom!

Sì, aveva fatto esplodere il suo primo calderone.

No, Alex lo sapeva, non sarebbe stato l’ultimo.

Una strana melma verdognola si riversò su tutta l’aula e sulle divise degli studenti, tutto puzzava di bruciato e una nuvola di fumo nero fuoriusciva da quello che, una volta, era stato un calderone in peltro nuovo. Tutti gli alunni si erano riparati sotto i banchi, tutti tranne Alex che non ne aveva avuto il tempo ed era finita impastata di fumo e intruglio.

Tossì rumorosamente e il professore risistemò tutto in un attimo, anche se la ragazza appariva ancora visibilmente scossa.

- Winter, vai in infermeria, per favore, ti vedo un po’… verde.- disse lui, provocando le risate di tutta la classe.

“Ora si mette pure a prendermi in giro!” pensò la ragazza, mentre afferrava la borsa con le gambe ancora molli dallo spavento.

- I-io… mi dispiace.- farfugliò, mentre usciva di corsa dall’aula con le risate dei compagni che riecheggiavano per tutti i sotterranei.
Appena la vide, Madama Chips per poco non gettò un urlo dallo spavento nel vederla completamente ricoperta di melma e fuliggine.

- Ti è scoppiato il calderone, cara?- le chiese, dopo che si fu ripresa, con tono calmo, come se ne avesse visto fin troppi studenti ridotti al suo stato.

- Sì… - le rispose stanca Alex che aveva voglia di distendersi su uno di quei comodi e immacolati letti dell’infermeria.

- Vieni, ti do una ripulita e poi ti porto una pillola per calmarti e per annullare ogni effetto collaterale che potrebbe causarti l’esplosione, okay?-  le disse e la portò in una piccola stanzetta quadrata che doveva contenere tutti i medicinali e le bende. Odorava di antibiotico, quel posto, di disinfettante e deodorante per auto. Orribile.

Dopo numerosi Gratta e Netta da parte dell’infermiera, la sua divisa e i suoi capelli riuscirono a ripulirsi del tutto e, dopo un veloce risciacquo al viso si sentì subito meglio.

- Aspettami al lettino numero tre, prendo la pillola.- le ordinò, mantenendo sempre quella calma piatta fastidiosa.

Si stese nel letto e chiuse gli occhi per qualche secondo, giusto il tempo di riaprirli e sentire una risata fastidiosa e familiare provenire dal letto accanto al suo.

- Che ci fai tu qui?- chiese, mentre il ragazzo ancora rideva.

- A quanto pare la signorina Perfettina non è poi così perfetta, eh?- disse lui con scherno, continuando imperterrito a ridere come una iena.

- Non è divertente, Potter! E poi io non sono una Perfettina!- si arrabbiò lei, incrociando le braccia al petto offesa.

- C’è da dire che ci sei proprio affezionata al colore verde.

- Ma queste tue battute simpatiche ti vengono spontanee o te le sogni la notte?- lo rimbeccò lei, visibilmente irritata dal suo comportamento.

- Talento naturale, Winter, che ci vuoi fare?- le rispose lui, finalmente smettendo di ridere.

- Idiota.- borbottò la ragazza visibilmente scocciata di stare nella stessa stanza con quello.

- Beh, si vede che non finirai nel Lumaclub, ma tranquilla, non ti perdi nulla: è una palla.- cercò di “confortarla” lui, la verità era che nemmeno a James Potter piacevano quelle cene stupide e senza senso.

- Figurati, non erano decisamente il mio sogno.

- Meglio, è qualcosa di orripilante.

- Lo so, non mi hanno parlato benissimo di quelle cene.

- E come potrebbero! Sono un attentato alla salute!- disse il ragazzo con fare teatrale, fingendo un avvelenamento. Alex rise, alla fine quel James Potter era comico.

- Ma, toglimi una curiosità: perché sei qui?- chiese curiosa, cercando comunque di mantenere un tono distaccato, lui le aveva pur sempre tinto i capelli di verde!

- Storia della Magia, non so sei hai ancora avuto il piacere di assistere a una delle lezioni di Ruf, ma credimi, sono qualcosa di estremamente soporifero e istigano al suicidio. Nemmeno si è accorto che sono uscito dall’aula e Madama Chips è abituata alla mia presenza, ho finto un mal di testa lancinante e… fino alla fine dell’ora sto qui.- le spiegò, accompagnando il tutto con un’espressione Malandrina decisamente diabolica.

- Tu sei… sei…

- Un genio? Un grande? Il migliore?

- Un’idiota!

Continuarono a punzecchiarsi per un po’, interrotti solo dall’infermiera che era venuta a portare la pillola ad Alex (che, tra l’altro, aveva il sapore di vomito), per poi ricominciare subito dopo fino alla fine dell’ora.

- Mi raccomando, Winter, attenta la prossima volta, va a finire che esplodi tu al posto del calderone!- le disse il ragazzo mentre uscivano dall’infermeria. Alex gli rispose con una linguaccia e un’altra battutina di spirito; poi presero le strade opposte. 

“È stupido, sconsiderato, irresponsabile, sciagurato e idiota. Ma è divertente.” Pensò la ragazza, mentre andava in contro alle sua amiche di ritorno dai sotterranei.

“Uhm… sarà imbranata, perfettina e strana, però è forte! Oh, devo dire a Fred per quello scherzo a Gazza…” pensava James, iniziando a divagare alla parola scherzo.

Avevano due possibilità quei due: o odiarsi per tutta la vita e oltre, o diventare amici per la pelle.
O possibilmente entrambe.


***


 
Butterfly fly away
You’ve been waiting for this day
All along and know just what to do.

Butterfly, Butterfly, Butterfly
Butterfly fly away

Miley Cyrus, Butterfly fly away

 
I giorni… volavano, leggeri come piume e alla fine la prima settimana di lezioni era giunta al termine. Finalmente era venerdì, adesso la piccola Lailah avrebbe solo dovuto aspettare la terza ora per poter finalmente provare il brivido del volo.

Le lezioni, tutto sommato, le piacevano abbastanza. Aveva qualche difficoltà con un paio di materie, ma le andava benissimo con altre, c’era una sorta di equilibrio in tutto quello. Certo, Difesa Contro le Arti Oscure non le andava molto a genio, non la entusiasmava particolarmente, non come ad Alex, e detestava prendersi cura delle piantine a Erbologia, ma adorava le lezioni di Pozioni e di Incantesimi che reputava molto più interessanti. Aveva gusti difficili, la piccola principessa, era molto complicata e con la tendenza di aver accontentato ogni suo desiderio o strana voglia. Non le era mai piaciuto essere servita e riverita, o impartire ordini a cameriere che sicuramente avevano meglio da fare che sentire i suoi capricci o a maggiordomi dall’aria impettita e seria.

Eppure lo faceva, si comportava male e appariva detestabile. Solo con la cara Miranda era buona, perché lei la capiva e teneva a lei a sua volta. Era buona anche con la sua nonna, ma con lei aveva un rapporto particolare. Non era buona, però, con la gente. Con gli altri bambini da piccola voleva sempre primeggiare e avere al comando la situazione, per lei era inusuale ricevere ordini dato che li impartiva con facilità disarmante e veniva obbedita seduta stante.

Col tempo si era resa conto di quanto fosse sbagliato e aveva cercato, invano, di correggersi. Ci provava molto spesso a controllarsi, ma non riusciva mai a tenere a freno la lingua quando doveva stare zitta o a stare ferma quando le intimavano di farlo. Andava controcorrente, perché era sempre stata lei a dettare le regole. C’era voluta una smisurata forza di volontà da parte di tutte le persone a lei più care per correggere il suo atteggiamento, alla fine c’erano riusciti almeno in parte e la sua vita era diventata decisamente più facile.

Buffo, se ci pensava, le persona a lei più care erano solo tre: la nonna, Miranda e Alex. Le era rimasta solo quest’ultima e ogni qual volta l’amica le raccontava le sue strane disavventure non faceva che ascoltarla ammirata, desiderando anche lei di poter assomigliarle almeno un pochino.

“Vorrei solo un po’ della sua energia” pensava molte volte. Per Alex era tutto facile, anche passare del tempo con due ragazzi che conosceva da poco ma che già riteneva simpatici. Per Lailah no. Lei la doveva prima studiare la gente, doveva capire se davvero quelle persone avrebbero potuto accettarla, ma la maggior parte delle volte partiva scoraggiata e non era un caso se lei e Alex si fossero conosciute per uno strano scherzo del destino.

Per lei era tutto più difficile, solo perché era lei stessa a complicarsi anche le cose semplici. Invece di parlare restava zitta in silenzio ad ascoltare, invece di stare con la gente preferiva la compagnia della sua migliore amica o di un buon libro. Si isolava un po’, timorosa che nessuno mai avrebbe mai cercato di capirla davvero, perché alla fine lei la gente osservandola la comprendeva, ma mai nessuno ci aveva provato con lei. Anche gli altri potevano fare il primo passo, lei non era costretta se non voleva. A ragionare così, però, si ritrovava sempre più sola con solo qualche attimo di felicità insieme a quelle poche persone che la sapevano far felice.

Per questo si era trovata bene con Julie, avevano lo stesso ragionamento. Entrambe non avevano una situazione felicissima alle spalle e condividevano un passato simile e una mentalità pressoché identica. Dopo soli otto giorni avevano raggiunto una complicità particolare che andava ben oltre il semplice saluto e qualche domanda sui compiti e le lezioni, come era successo con tutti gli altri. Parlavano poco, la maggior parte del tempo lo passavano in silenzio a  raccontarsi una storia simile con lo sguardo, in tutte e due un po’ triste e malinconico. Era strano, però, come in quel momento la giovane Harper guardava terrorizzata il manico di scopa al suo fianco, tesa all’idea di doverci salire.

- N-non sarà pericoloso?- balbettava impaurita, stretta alla sua sciarpa come a volersi nascondere per non farsi vedere da Madama Bumb che ancora aveva abbastanza energie per tenere lezioni di quel calibro.

- Ma che! Sarà divertente, invece. Fidati di me.- la rassicurò l’altra, decisa a provare quell’ebbrezza di cui aveva tanto sentito parlare. Era letteralmente in visibilio, fremeva dalla gioia di cominciare, e ascoltava attentamente ogni singola parola che pronunciava la professoressa per non perdersi il minimo passaggio di quello che avrebbe dovuto fare una volta salita in aria.

Alex la fiancheggiava, anche lei molto impaziente. Quello di volare era un desiderio comune.

- Sei nervosa?- le chiese dopo un poco Alex, che osservava la professoressa dare delucidazioni a un Tassorosso.

- No, sono felice.- disse rilassata la Bloomwood, non rendendosi conto che, così dicendo, aveva fatto spuntare un sorriso spontaneo sul volto dell’amica, contenta per la sua felicità.

- Ora, mettetevi alla destra del vostro manico di scopa!,- ordinò la professoressa e tutti le obbedirono senza fiatare. – e dopo, con decisione dite: Su!-

Non a tutti riuscì al primo tentativo, soprattutto ad Albus e Rose che non facevano altro che parlare al manico di scopa con tono scocciato e leggermente isterico.

- Quei due hanno preso dal ramo secco della famiglia.- disse amaramente Roxanne, che stringeva saldamente la sua scopa in mano.

Tirava un leggero venticello che faceva venire la pelle d’oca, ma era comunque qualcosa di secondariamente importante rispetto a quello che s’apprestavano a fare.

La professoressa elencò le modalità per prendere quota e poco a poco tutti gli studenti, chi più contenti e chi più contrari, avevano percorso un giro di campo a un paio di metri da terra senza rompersi l’osso del collo. Agli ultimi dieci minuti, dopo che anche una Tassorosso ebbe completato il suo giro, rimaneva solo Lailah sotto lo sguardo curioso di tutti i suoi compagni. Si sentiva decisamente osservata.

Deglutì e con la sua solita calma apparente stampata in viso, prese lentamente quota.

Centimetro dopo centimetro si sentiva sempre meglio e sempre più felice. Sembrava che insieme ad ognuno di essi si allontanassero anche i suoi problemi. Aveva il cuore leggero e l’aria tra i capelli. Iniziò a prendere velocità subito dopo.

Aveva lo stomaco contratto dall’ansia dell’emozione e un sorriso a trentadue denti che aveva preso il posto della sua solita espressione malinconica. Si divertiva. La scopa sembrava ai suoi ordini e lei cercava di comandarla senza commettere il benché minimo errore. Era a circa tre metri e mezzo da terra ma provava lo stesso sensazioni forti inspiegabili. Respirava a pieni polmoni l’aria che le solleticava il viso in maniera un po’ fastidiosa e capii che non ci poteva essere cosa più bella di volare. Per un attimo aveva guardato il cielo, immaginava che sua nonna la stesse guardando e andava fiera del suo autocontrollo anche in situazioni come quella.

Però, se c’era una cosa ancora più bella in tutto quello, era la sensazione di libertà che ti inondava automaticamente senza che tu facessi niente. Un uccellino che, finalmente, è riuscito a scappare dalla gabbia in cui era rinchiuso.

Una farfalla che, appena uscita dal bozzolo, spicca il volo.

Una bella farfalla che vede e assapora il mondo per la prima volta e non si stanca di volare, perché è curiosa e irrefrenabile, adora i colori le cose belle così tanto che vuole assimilarne il più possibile prima di poggiarsi a terra stanca. Una ragazzina che ci si identificava, a quella farfalla. Che per la prima volta riusciva ad essere felice e spensierata senza nessuno che le imponesse le cose.
Una ragazzina che non era di ghiaccio come voleva far apparire, ma che non riusciva a mostrarsi in altra maniera. Una Lailah non indifferente e schiva, ma allegra e sorridente. Una persona diversa, migliore, anche se per il tempo di un volo.

Era così dolce il suono della parola libertà, che quasi le sembrava irreale.

Lì, a pochi metri da terra, per la prima volta si era sentita libera.

Ma l’uccellino ritorna sempre in gabbia, anche se riesce a scappare la prima volta.

La farfalla dopo il suo primo volo muore.

E così, anche le lei, non appena rimise i piedi per terra, tornò a calarsi quella maschera di freddezza austera che la caratterizzava, non lasciando trapelare nulla di ciò che aveva provato prima.

Lailah era felice, ma solo quando nessuno poteva vederla.
 
 
 
 
 
Kore's corner

Salve! Sono in ritardo, lo so e mi dispiace tantissimo, ma finalmente oggi ho avuto l’ultimo compito di matematica dell’anno e posso respirare in pace!!! *saltella e festeggia*

Come va? Io sto ‘na piuuuuuuma, come direbbero qui da me, e dopo aver recuperato il sonno perduto in tre giorni ancora meglio ^_^

Ora, passando al capitolo non c’è molto da dire tranne che, come si può capire, Lailah è un personaggio molto più complesso di quello che è in realtà e che rendere le sue emozioni e sensazioni è particolarmente difficile; Alex invece è semplicemente Alex, molto genuina ed imbranata, posso solo dire che in questo suo lato io mi ci rispecchi molto e non dimentichiamoci questa sua avversione per le pozioni! Sarà parecchio divertente vederla litigare con Luma in futuro.

Poi c’è da dire che più guardo quel banner più me ne innamoro: uno dei miei lavori meglio riusciti, direi :P

Mi scuso per le introspezioni lunghe, ma per ora sono piuttosto necessarie, prometto che il prossimo capitolo sarà decisamente più leggero, anche perché non saranno presenti le nostre due protagoniste e vedremo la banda dei Weasley-Potter al completo! O, almeno, tutti quelli che frequentano Hogwarts di sicuro.

Ora vado che sto morendo di sonno, un grazie gigante a quelle bellissime ragazze che hanno recensito lo scorso capitolo e a chi legge/segue/preferisce/ricorda questa storia: siete semplicemente fantastici.

Baci,
Kore

 

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Capitolo 6
*** 5) Trick or treat? Depending on your point of view ***


Trick or treat? Depending on your  point of view

 
Le stranezze delle persone simpatiche riescono esasperanti, ma non c'è persona simpatica che non sia per qualche verso strana.
Marcel Proust

 
La cosa strana del clima scozzese è che durante tutto l’anno vi è un’unica stagione, pressoché indefinibile, ma che porta con sé gelo, pioggia, nuvoloni grigi e tutta l’allegria della gente. Ne sanno qualcosa, nello specifico, tutti gli studenti di Hogwarts che sono costretti tra quelle quattro mura per colpa di tutto quel freddo glaciale che già da ottobre inizia ad essere persistente. Così, ogni volta, ci si ritrova a guardare fuori dalla finestra, chi per caso chi per scelta, e immaginare una bella giornata di sole calda e serena. Soprattutto certi soggetti amano perdersi in fantasticherie di questo genere. Sono quelle persone che scalpitano di vita e che non si possono rinchiudere in uno spazio troppo a lungo per timore che scoppino, che non si fermano mai e che non riescono a sopportare il far nulla nemmeno per qualche minuto.

Sono persone come i due fratelli Weasley Fred e Roxanne, che litigavano di continuo, anche se non riuscivano a stare separati. Come due gemelli.
Proprio in quel momento stavano intrattenendo una delle loro tipiche discussioni su quanto fossero belli gli scherzi di Halloween e come ogni anno riuscissero a far rizzare tutti i capelli in testa a loro madre.

- Non credi che le mancheranno un po’ i nostri scherzetti, Freddie?- chiese ingenuamente Roxanne, masticando una stecca di liquirizza (un bastoncino che, morso, faceva rizzare la lingua come un soldatino).

- Non ne sono convinto, e mi dispiace doverlo ammettere, ma credo che sarà contenta di passare un Halloween tranquillo, una volta tanto.- constatò, fingendosi addolorato, il fratello; stringeva tra le mani una tartaruga e le accarezzava delicatamente il guscio ricoperto di venature.

- Mi spieghi perché ti porti d’appresso quella cosa? È inquietante.- disse perplessa Roxanne, che cercava di stare alla larga il più possibile dallo strano animale del fratello.

- Intanto quella cosa ha un nome e si chiama Calvin e poi non è inquietante, sta sorridendo, non lo vedi? Guarda! Guarda!- le avvicinò più volta la tartaruga al viso, facendola scansare terrorizzata ogni volta e intanto se la rideva alla grossa: sapeva benissimo che alla sorella Calvin non andava a genio, eppure era esilarante vederla scansarsi ogni volta che le avvicinava l’animale a più di mezzo metro di distanza.

- Ma le tartarughe non sorridono! Cosa ti sei bevuto ‘sta mattina?

- Lui è una tartaruga speciale e sorride! Capito?- disse convinto, assumendo un’aria da finto altezzoso e portandosi l’animale al petto con fare protettivo. L’unica cosa a cui teneva veramente dopo la sua famiglia e i suoi amici era proprio quel rettile, che ogni volta era come un calmante per lui.

Andava piano, Calvin, non si muoveva velocemente e prendeva tutto il tempo e tutta la calma del mondo per fare le cose e Fred ammirava quel suo comportamento. Vederlo muoversi lentamente nel suo terrario riusciva sempre a farlo rilassare e distrarre, respirava un attimo e metteva ordine nella sua testa e riusciva sempre a trovare una risposta giusta per tutto una volta accarezzato il suo guscio. Questo Roxanne non lo avrebbe mai capito, ma era comunque spassoso vedere il suo timore causato da un animaletto tanto innocuo e docile, lei che ostentava coraggio e sicurezza nelle situazioni più disparate.

- Come ti pare, tanto è inutile, non mi ascolteresti a prescindere.- si rassegnò, scuotendo piano la testa e sorridendo: in fondo adorava quel bambinone di suo fratello.

- Vedi che lo sai? Ora, parlando d’altro, cosa si fa stasera? Insomma: è Halloween! Non ho intenzione di starmene come le mani in mano, sorella!- cercava di intrigarla in tutti i modi, Fred, ma sapeva che ci voleva ben poco per coinvolgere Roxanne nelle sue nefandezze.

- Ovvio che no, fratello. Io proporrei di boicottare il ballo, non mi va giù il fatto che  possano partecipare solo quelli dal quinto in su, non so te, ma… - si lamentava, e anche se cercava di non andarlo a vedere, era la prima che aveva voglia di andarci, giusto per fare un po’ di baldoria alla Weasley.

- Già fatto l’anno scorso, non se lo sono più scordati quel ballo… - rise, ripensando alla zucche che prendevano vita e all’acquaviola corretta. – la Mc si è arrabbiata così tanto che ad ognuno di noi, per un mese intero, ha inflitto una punizione diversa; a me è toccato lucidare la sala dei trofei con la Patil a sorvegliarmi, se ci penso mi vengono ancora i brividi al ricordo… - raccontò, e nel frattempo si perse in fantasticherie di cui solo lui conosceva dettagli.

- Idee? Voglio combinare qualcosa…

- Nessuna, dovremmo chiedere a Louis, è lui l’ideatore degli scherzi più elaborati.

- Perfetto, andiamo a  vedere come se la passa il cugino sociopatico!- disse e, tutta eccitata, trascinò Fred ( e il povero Calvin) giù per le scale, diretta all’unico posto dove si rifugiavano tutti i suoi cugini più noiosi: l’altro oscuro del non ritorno, anche meglio noto con il nome di biblioteca.

***
 
Louis Weasley era un ragazzo tranquillo. Studiava con costanza, era diligente, preparato, colto e dallo spiccato intelletto. Era uno dei migliori studenti del suo corso ed eccelleva nella maggior parte delle materie. Molti, come è giusto che sia, si stupivano per come non fosse stato smistato a Corvonero l’anno prima. Non era un tipo molto propenso a qualsivoglia rapporto sociale o, nello specifico, non era uno di quelli che si affezionava alla gente tanto facilmente. Il suo motto era “pochi, ma buoni” e così facendo non aveva mai avuto problemi di alcun genere. Dodici anni e la testa sulle spalle, il più assennato della sua famiglia e all’apparenza così buono e innocente.
Chino su un tomo due grande la sua testa, attenzionava ogni singola parola, storcendo il naso ogni volta che l’odore della carta gli arrivava prepotente alle narici. Fra tutti i luoghi del castello, la biblioteca era il posto che più amava e odiava allo stesso tempo: l’odore della carta lo nauseava, ma adorava il contenuto di quella moltitudine di libri.

- Per quanto tempo ancora starai fermo su quella pagina? È da un’ora che la osservi. – a parlare era stata la sua migliore amica: Mercedes Jones, sempre pronta a condividere con lui un pomeriggio di studio da brava Corvonero diligente quale era. Aveva lunghi capelli castano scuro quasi neri e due occhi color cioccolato fuso, che rendevano dolce la sua espressione da dodicenne studiosa.

- Cosa? Eh… ah, no niente! Ehm… cercavo di memorizzare un passaggio abbastanza complicato, niente di che… - sembrò risvegliarsi da uno stato di trance. In realtà non aveva nemmeno capito quale fosse il titolo del libro di fronte a lui, era troppo intento a sfogliare il nuovo catalogo dei Tiri Vispi Weasley per badarci.

Certo, Louis Weasley era un ragazzo tranquillo, studioso, intelligente, buono e innocente… però c’era un  suo particolare che tutti ignoravano, il motivo per cui il Cappello lo aveva smistato a Grifondoro e per il quale i suoi amici lo stimavano molto: lui era un Malandrino.


 
Fred e Roxanne, da bravi combina guai e diavoli tentatori avevano messo su l’espressione più preoccupante che si fosse mai vista e guardavano il cugino, rimasto leggermente spaesato non appena li aveva visti entrare, seppur titubanti, in biblioteca. Presi da un moto di coraggio avevano deciso, di comune accordo, di entrare nell’antro oscuro senza ritorno giusto il tempo necessario per sottrarre Louis dalle grinfie di quel posto fin troppo pieno di libri e architettare uno scherzo dei loro. Il mezzo francese, d’altro canto, era preoccupato per le intenzioni dei cugini e già si preparava mentalmente al peggio. Avere quei due nella stessa stanza con quelle espressioni voleva dire solo una cosa: catastrofe.

Loro non si degnarono minimamente di salutare Mercedes, che se ne andò offesa, salutando con un incisivo ciao l’amico. Sparita la Jones, i due fratelli dalla pelle mulatta afferrarono il cugino per entrambe le braccia e lo trascinarono fuori di peso senza che lui opponesse la minima resistenza: era abituato a trattamenti di quel genere da quei due, dopo dodici anni aveva imparato a convivere con le stranezze della sua famiglia e andava fiero di farne parte.

- La vostra faccia mi preoccupa. – disse, inarcando le sopracciglia e mettendo su un’espressione abbastanza perplessa.

- Nah, cugino dovresti saperlo, Fred è innocuo, piuttosto devi preoccuparti di me! – e così dicendo Roxanne non fece altro che incrementare la paura che aveva di lei.

Era famosa, la piccola peste ricciuta, per tutto ciò che combinava a casa e di quanto sua madre fosse esasperata nel dover sopportare un caratterino tanto irruento. Una volta era salita sulla ringhiera del suo balcone per imitare gli equilibristi che aveva visto al circo il giorno prima. Era esasperante, o semplicemente Roxanne Weasley.

- Ehm…, - deglutì. – Allora? Cosa c’è?

- Oggi è Halloween! E noi non rimarremo con le mani in mano, vero Lou? – disse Fred, dando una pacca sulla spalla al cugino.

- Certo che no! In effetti…, - e si avvicinò a loro, guardandosi intorno con circospezione. – Ho già un’idea, dobbiamo solo rivedere alcuni punti, ma per il resto è perfetta.- e allora quel ghigno furbesco e malandrino si impossessò anche del suo candido viso da perfetto francese, presangendo solo una cosa: tutto era perduto.


 
Era strano, per la piccola Rose, pensare a come i giorni fossero volati da quel primo settembre e come la vita ad Hogwarts avesse iniziato a prendere un ritmo quasi monotono dopo solo due mesi. Aveva riposto grandi aspettative, ma man mano l’eccitazione era scemata e adesso si ritrovava nella più normale delle normalità a completare un tema di Trasfigurazione particolarmente impegnativo.
Era una studentessa molto diligente e attenta, era una dei pochi, e di questo ne andava particolarmente fiera, a riuscire a stare sveglia durante le lezioni di Storia della Magia (proprio come sua madre) e che trovava il tempo per conciliare tutti gli impegni pomeridiani. Contrariamente a quello che molti pensavano, Rose Weasley, pur essendo molto brava, era capace di farsi voler bene e nessuno mai osava chiamarla “secchiona” perché offenderla era come vedere un fiore appassito in primavera: impossibile.
Cercava di andare d’accordo con tutti e di tenere a bada lo spirito infuocato di quella peste di sua cugina, amava il controllo e quando qualcosa le sfuggiva di mano diventava parecchio nervosa. Quasi mai succedeva, a dire il vero, nessuno poteva resistere al sorriso spontaneo della piccola Rose che quasi sempre, involontariamente, riusciva a catturare l’affetto di tutti.

Era questo che Julie ammirava maggiormente in lei: il suo carattere pacato e bendisposto verso gli altri, aveva sempre una parola buona per tutti e sapeva farsi voler bene. Lei, invece, timida e riservata com’era, riusciva solo a destare indifferenza; mai nessuno considerava le persone invisibili e lei era la quintessenza dell’anonimato. In tutto. Non era spigliata come Roxanne, allegra come Alex, dolce come Rose o profonda come Lailah. Lei era solo Jules, l’ombra di tutti e mai la luce di se stessa.

Odiava quel suo lato di sé e da quando era ad Hogwarts si era ripromessa di cambiare, di essere diversa, di essere per una volta la protagonista della sua vita. In quei due mesi c’era riuscita ben poco. A dire il vero l’unica con cui aveva un minimo di legame era proprio Lailah, con cui si ritrovava a parlare molto spesso e che le aveva mostrato una parte di sé che raramente svelava al mondo. Due giorni dopo quel primo settembre, Jules si era davvero sentita importante per qualcuno e non lo avrebbe mai dimenticato. Aveva visto Lailah con un borsone cercare una stanza e con un po’ di coraggio Grifondoro ( ancora dubitava fortemente di averne) l’aveva raggiunta cercando di creare un minimo di dialogo.
Fra tutte, le era apparsa quella a lei più congeniale e con quel pensiero si erano ritrovate a parlare per un po’, scoprendo di avere molte cose in comune, come i loro trascorsi familiari. Era bello poter condividere con qualcuno i propri pensieri e alla fine di quel pomeriggio si era sentita più leggera e appagata, convinta (a ragione) di essersi fatta una nuova amica.

Alex e Roxanne erano due fiumi in piena traboccanti di buon umore e molto spesso desiderava possedere una spontaneità tale da poter partecipare alla loro pazzie o alle loro marachelle, ma sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio. Rose era così pacata e tranquilla che riusciva sempre a metterla a suo agio, anche se non andavano d’accordo quasi su nulla, considerando le due realtà diverse in cui vivevano e il brutto confronto che ne sarebbe venuto poi. Con Lela, Lailah si ostinava a farsi chiamare così da chiunque non fosse Alex, era tutto molto più semplice,  con lei anche un’ora di silenzio non era sprecata perché era denso di significati.

Ammirava la Bloomwood, quel suo temperamento fermo e deciso, quel suo modo di essere decisamente contro ogni etichetta o protocollo. Desiderava ardentemente avere la sua stessa capacità di ribellione nei confronti della sua famiglia.
Ma lei non era Lela, era solo Jules, e viveva la sua vita da spettatore passivo in attesa di qualche colpo di scena miracoloso. Non aveva forza, Jules, per cambiare ciò che era, accettava e sopportava con rassegnazione un carattere debole smistato nella casata sbagliata e aspettava. Aspettava un segno, un minimo di considerazione, perché non aveva il coraggio di fare il primo passo.

Presa in quel suo garbuglio di pensieri, non si accorse nemmeno dell’arrivo di Roxanne tutta trafelata ed euforica che saltellava eccitata per tutta la Sala Grande in attesa di un po’ di considerazione da parte loro: odiava essere ignorata.

Rose sbuffò, leggermente infastidita:
- Che cosa c’è, Roxanne?- calcò leggermente il nome per farle capire che voleva solo un altro po’ di tranquillità per finire i compiti e poi le avrebbe dato retta, ma ovviamente la Weasley riccia non diede segno di aver capito e fece finta di nulla, continuando i suoi strani saltelli eccitati.

- Abbiamo un piano! Abbiamo un piano! Questo sarà lo scherzo dell’anno! Anzi no: del secolo!

- Oh Merlino, ci risiamo! Rox, non pensare neanche solo per un istante di rovinare il ballo, oppure la McGranitt rovinerà te!- le ricordò la cugina, con uno sguardo ammonitore.

- Nah, metterà in punizione James, Fred e Chris come al solito; mentre io e Lou rideremo delle loro disgrazie: siamo troppo furbi io e lui!- si complimentò con se stessa Rox, indicandosi il petto con un dito. Rosie sospirò rassegnata e ritornò al tema in silenzio, immaginando le cose più disastrose che potessero essere architettate da quelle cinque menti un po’ confuse e distorte.
 

Pensa, Rosie, in futuro sarebbero diventate cinque menti un po’ confuse, distorte e perverse. Se ci penso bene, erano pari a degli angeli scesi in terra a quei tempi.


 
- Ma non è un po’… cattivo?- si azzardò a dire Jules, pentendosi l’attimo dopo per aver aperto bocca.

- Nah! È solo per divertirci! E poi, se sono maghi e streghe come dicono, saranno capaci di rimediare alle conseguenze dello scherzo non dico nell’immediato, ma dopo una decina di minuti.- spiegò concitata, per lei tutto quello che faceva era innocente, soprattutto se macchinato con quei quattro scapestrati.

- Capisco… ma si può sapere di che si tratta?

- Lo vedrai!- le fece l’occhiolino e se ne andò spedita a raccontarlo a qualcun altro che sicuramente avrebbe avuto le sue stesse reazioni: Rose era fin troppo diligente per i suoi gusti e Jules troppo innocente per lasciarsi andare davvero; per questo adorava circondarsi di amici maschi: cervello senza veli e azioni non calcolate, parole buttate a caso e niente buone maniere… la piccola peste ricciuta era decisamente un maschiaccio.

***
 
Intanto, i quattro ragazzi più catastrofici della scuola si ritrovarono nel dormitorio di fronte a un piano di lavoro pieno di pergamene, matite e una strana mappa gigantesca che riportava il perimetro di tutta la scuola e le persone al suo interno. Louis era seduto sulla scrivania obliqua, un po’ come quella degli architetti, con una piuma e una matita sull’orecchio destro e l’espressione assorta, un catalogo Tiri Vispi Weasley alla mano e una pergamena leggermente scarabocchiata di fronte.

- La cosa più assurda è che ti vengono le idee, ma poi non sai nemmeno da dove cominciare per realizzarle.- scherzò su James, sdraiato a testa in giù sul letto di Fred, più vicino alla scrivania del suo, che era in corrispondenza della finestra.

- Zitto tu, che senza di me non riuscireste a cavare fuori un ragno dal buco.- disse scocciato il cugino, cercando, nei meandri della sua mente, l’ispirazione giusta per mettere giù qualcosa di decente.

Era sempre così. Gli venivano in mente idee geniali, ma al momento di metterle su carta schematizzate e pronte da realizzare, si bloccava. Boccheggiava come un pesce di fronte alla carta ruvida di pergamena non ancora utilizzata e la mano che impugnava la matita tremava sempre, impercettibilmente.

- Smettila Lou, sei pedante e ripetitivo, vedi che non c’è bisogno che ci ricordi ogni volta quanto sia indispensabile la tua presenza.- a intervenire fu Christopher Jordan, da tutti chiamato Chris perché il nome per intero era eccessivamente lungo. Pelle scura e occhi del medesimo colore, capelli neri raccolti in otto grandi treccine lunghe fino alla base del collo; sempre pronto a sdrammatizzare anche le situazioni più disperate. Aveva il sorriso sempre presente e ovunque, anche i suoi occhi ridevano quando la sua bocca si incurvava all’insù.

- Ragazzi… vi prego, muoviamoci e mettiamo in atto questa cosa che io non ce la faccio più a stare fermo qui a non fare nulla!- si lamentava Freddie, sdraiato malamente sul tappeto in mezzo a un cumulo di roba non ancora ben identificata.

- Ecco! Finalmente ci sono!- alla fine l’ispirazione fulminante lo colpiva sempre e quando iniziava, non la smetteva più se non prima di aver finito.

- Beh, almeno per un po’ staremo in pace senza le sua lamentele, no?- buttò lì James, alzandosi dal letto per andare ad osservare il cugino che tracciava linee veloci con il righello e scriveva i concetti base su dei post-it colorati.

- Esattamente, fratello.- sorrise Freddie, cercando di tirare i capelli a Chris senza successo, dato che la posizione in cui era gli permetteva solo piccoli e inutili movimenti.

Si volevano bene, anche se non sempre sapevano come mostralo. Non erano solo amici, erano molto di più: fratelli. Ognuno di loro sapeva che avrebbe sempre trovato aiuto nell’altro, nonostante i litigi e le incomprensioni, la tipica poca espansività maschile e le fastidiose pacche sulle spalle al posto degli abbracci. Un malandrino c’era sempre per un altro e questo non sarebbe mai cambiato.
 
***
 
Vorrei poter dire che lo scherzo del secolo si rivelò tranquillo e senza conseguenze, ma mentirei e poi non sarebbe nello stile dei Malandrini. Mi piacerebbe anche dire che riuscirono a farla franca, ma sfortunatamente Ezekiel, giovane discepolo di Gazza decisamente tonto e facilmente manipolabile, riuscì a svolgere discretamente il suo lavoro. Vorrei dire che fu uno scherzo da niente, poco originale e organizzato male, ma parliamo sempre degli stessi cinque Grifondoro e ciò andrebbe contro ogni scienza logica.
Perciò, mi limiterò a dare un resoconto dei fatti e anche un piccolo assaggio del dopo-scherzo che, credetemi, fu forse più divertente dello scherzo in sé.

Signori e signore, ecco a voi lo scherzo N°73.

 
- Allora? Tutto pronto?- gridò una trafelata Roxanne, sulla soglia della camera dei ragazzi.

- Tutto pronto, Rox.- affermò Chris, frugando come un matto nel baule di Fred.

- Ho preso tutti gli scherzi che avevo: tre confezioni di Caccabombe, due di Polvere Buiopesto Peruviana, dieci confezioni miste di dolcetti Tiri Vispi Weasley e altre cosucce molto simpatiche.- disse ghignando: in quel momento faceva parecchia paura.

- Bene, mancano solo due ore alla festa e la Sala Grande è già addobbata a dovere quindi propongo di iniziare a impiantare i Fuochi d’artificio e impostare il timer alle Paludi portatili: che ne dite?-propose Fred, aiutando Chris a tirar fuori le proprie scorte di scherzi.

- Direi che è perfetto.- disse eccitata Roxanne, ricominciando a saltellare.

- Sbrigatevi, su, che non vedo l’ora di cominciare!- disse James, arrivato sulla soglia della porta accanto alla cugina. L’impazienza era palpabile e anche una leggera punta di sadismo, quell’anno non c’erano andati tanto leggeri, ma avevano voglia di vendicarsi su qualche studente più grande che li aveva bistrattati e derisi perché erano più piccoli.

- Eccoci, eccoci! Perché, invece di lamentarti, non venivi a darci una mano, Mr. Hotantafretta?- si lamentò Fred, con in mano la Mappa del Malandrino e una serie di pergamene scarabocchiate.

- Io dirigo, tu esegui: semplice e lineare.- disse risoluto, mettendosi in testa alla banda e scendendo le scale fino alla Sala Comune.

- Che state facendo, James?- a parlare era stato Albus che, scettico, aveva alzato un sopracciglio e usato un tono abbastanza circospetto.

- Non sono affari tuoi, Albus.- rispose secco il fratello, che si limitò a passargli oltre ignorandolo come molto spesso accadeva. Tra i due fratelli Potter non correva buon sangue, vivevano due vita parallele che non si incontravano mai. Albus troppo insicuro, James troppo egocentrico. Non si sopportavano dalla culla e forse mai l’avrebbero fatto. Non dispiaceva più di tanto a nessuno dei due e andavano vanti, James provocando e Albus sopportando silenziosamente ogni cosa perché, in fondo, era suo fratello.

- Sai che sei insopportabile, Jamie?

- Credimi, Ally, mai quanto te.- nessuno li chiamava mai in qual modo da quando erano bambini, ma molto spesso usavano quei nomignoli tanto odiati per prendersi in giro. I Malandrini se ne andarono uno dopo l’altro, dirigendosi in Sala Grande, mentre Al e Scorp riprendevano la loro partita a scacchi.

- Beh, a vedere tuo fratello, ringrazio di essere nato figlio unico!- scherzò Scorp, per risollevare il morale all’amico, che sorrise di rimando.

- A volte credo di essere stato scambiato alla nascita.- continuò Albus, sempre con tono scherzoso, mangiando un alfiere di Scorpius.

- Credo che sia meglio non uscire dal dormitorio stasera, almeno finché non sentiremo le urla isteriche della Mc.

- Senza dubbio.- e mangiò anche la torre. Era troppo bravo a scacchi.
 

Intanto i Malandrini, con l’aiuto di Victoire, studentessa del settimo anno, loro mentore e cugina maggiore, riuscirono a scambiare alcuni dolcetti a forma di zucca con delle pasticche soporifere e a posizionare i fuochi d’artificio negli stipiti della maestosa porta della Sala Grande: sarebbero esplosi al momento giusto. Posizionarono anche un paio di paludi portatili ai lati della scalinata, ma non li usarono subito, avrebbero aspettato il momento propizio e allora sarebbero state risate!

- Allora, soldati, tutto pronto?- chiese con finta durezza Victoire, adorava fare la parte del comandante despota.

- Sissignora!- risposero in coro i ragazzi, mettendosi sull’attenti uno accanto all’altro.

- Bene, soldati, questo sarà il mio ultimo ballo di Halloween e voglio ridere fino a scoppiare, capito?- ordinò loro divertita, andando avanti e indietro di fronte a loro, con la tipica camminata militare.

- Sissignora!- continuarono, non riuscendo a trattenere le risate: Vicky era uno spasso. Bionda e con gli occhi di cristallo, la maggiore dei Weasley era sì educata e composta, elegante e raffinata, ma come detto prima, era anche una Weasley ed era risaputo che a loro l’arte dello scherzo scorreva nelle vene.

- Rompete le righe, soldati, e iniziate a terrorizzare un po’ di gente.- disse e loro, come veri soldati, obbedirono. Con Vic era così: sempre complice e pronta al divertimento, non si tirava mai indietro quando si trattava di aiutare i suoi cuginetti con i loro scherzi divertenti. Del resto, lei era il loro più grande mentore seconda solo a Teddy Lupin, quindi era fonte di idee e di ispirazione: una vera leggenda per quella scuola. Una volta che Vic si fu allontanata, i ragazzi ricominciarono a parlottare tra loro, seduti dietro una colonna.

- Questo sarà lo scherzo del secolo, me lo sento.- ripeteva Chris, estasiato per l’ottimo lavoro ottenuto.

- Non fai che ripeterlo, Chris, hai forse rotto il disco?- scherzò Freddie, che cercava di farsi spazio, incastrato com’era tra sua sorella e suo cugino Louis.

- No, solo che ripeterlo lo rende ancora più mitico, non trovi?

- In effetti non ha tutti i torti.- gli diede man forte James che, alto com’era, aveva non poche difficoltà a rientrare in quello spazio ristretto.

- Jimmy smettila di muoverti che mi stai prendendo a calci!- si lamentò Louis, che riceveva, oltre che i calci di James, anche le gomitate di Fred.

- Non ci entro! Non posso farci nulla!- si lamentò il moro, trovando finalmente una posizione abbastanza comoda, intanto il resto della compagnia era scoppiato a ridere per la sua assurda affermazione. – Cosa ci trovate di così divertente? Io non sto ridendo.- disse fintamente arrabbiato e offeso, incrociando le braccia al petto. – Siete solo invidiosi della mia altezza.- constatò infine, scoppiando a ridere anche lui l’attimo dopo.

Potevano prendersi in giro, ma alla fine ci avrebbero sempre riso su.

- Zitti, zitti: arrivano le prime coppiette!- li richiamò Fred, che si sporse quel tanto da poter osservare i vari costumi degli studenti. – Banali e scontati… quella tizia ha una parrucca verde prato! Merlino che poca originalità!- borbottò tra sé, sconcertato e un po’ deluso.

- A proposito di capelli verdi…- e qui Roxanne rise leggermente. – Quand’è che finirà l’effetto della pozione che avete rifilato ad Alex? I suoi capelli stanno diventando fluorescenti, invece di sbiadire.- disse loro lei, non frenando le risate.

- Ne avrà ancora per un bel po’, almeno fino a Natale.- disse ghignando James: quello era stato senza dubbio il suo scherzo preferito. Non che fosse chissà cosa, ma la reazione della vittima lo aveva veramente fatto morire dalle risate e poi, con Alex Winter era guerra aperta, anche se lei non era intenzionata a tirargli tiri mancini o altro: era strana, quella lì.

- Ottimo scherzo, ma potevate limitare la durata! Alla fine è una mia amica e non è male come sembra, anzi, molti dettagli me li ha suggeriti lei qualche giorno fa e devo dire che quando vuole sa essere tremendamente malandrina.- disse loro la peste ricciuta, in fondo non aveva nulla contro la sua compagna di stanza, tutt’al più la stimava perché riusciva a mandare su tutte le furie Lumacorno già dal terzo passaggio della pozione.

- Certo, certo, Miss. Perfezione dalla mente malandrina? Roxanne, stai perdendo colpi!- la accusò indignato Fred, mettendo su un’ espressione schifata.

- Quanto sei scemo, Fred.

- Mai quanto te, Xanne.  

- Non chiamarmi Xanne, brutto decerebrato!- gli gridò sottovoce lei, saltandogli addosso e iniziando a tempestarlo di pugni e calci, che andavano a colpire tutti, fuorché il diretto interessato.

- Sei una psicopatica, Rox!- si lamentò lui, allontanandola e tenendola ferma con tutte e due le braccia: poteva diventare una furia omicida quella ragazza.

- Finitela di fare i neonati voi due! Ma quanti anni avete, quattro?- si spazientì Louis, richiamandoli come una chioccia coi pulcini.

- Ha cominciato lei!

- Non è vero! Ha cominciato lui!- si lamentavano entrambi, e Louis si sbatté una mano in fronte, sotto le risate di James e Chris che osservavano la scena divertiti.

Dopo un’ora di battibecchi e risate, qualcosa sembrò animarli e si posizionarono in due punti a gruppi di due e tre, ognuno con compiti differenti ma altrettanto divertenti. James e Chris ai lati della grande porta, pronti ad accendere i fuochi, mentre Fred, Louis e Roxanne rimasero dietro la colonna con tre Paludi portatili alla mano.

Prima un paio, poi sempre di più, gli studenti si ritirarono dal ballo stanchi e assonnati (colpa della pasticche soporifere) a solo un’ora dall’inizio della festa e, poco a poco, s’apprestavano a raggiungere i dormitori.

Beh, o almeno così avrebbero voluto e, in teoria, avrebbe dovuto essere.

Fred fece scattare una Palude proprio alla base delle scale, Rox vicino l’entrata e Louis nella zona in mezzo alle due, impantanando tutti gli studenti che ci passavano di sopra anche con lo sguardo. Assonnati e un po’ intontiti, le povere vittime fecero fatica ad accorgersene subito, ma non appena furono abbastanza consci, cercarono in tutti i nodi di liberarsi e andare avanti, senza successo.

Le ragazze strillavano e i ragazzi imprecavano contro il fango, provando tutti i tipi di incantesimi esistenti. Era uno spasso. E non solo perché tutti i tentativi fallivano miseramente, ma perché tutto iniziava a puzzare e a riempirsi di fango e stagni, molto più del previsto! Grida, urla, strepiti e forti risate da parte di Vic, che era ben lungi dal mangiare qualcosa o uscire dalla sala, conscia di ciò che aveva aiutato ad organizzare: lo scherzo del secolo.

La McGranitt stessa era finita impantanata e cercava in tutti i nodi di mantenere una calma tale per uscire al più presto da quella incresciosa situazione e punire i responsabili. Sapeva già chi erano ancora prima che i fuochi d’artificio glielo ricordassero: i Malandrini.

James e Chris, dopo una dose spropositata di risate, adempirono al loro compito e fecero scattare quattro fuochi d’artificio made in Tiri Vispi Weasley, coinvolgendo tutti in uno spettacolo pirotecnico interno. C’erano animali fatti di scintille che infastidivano studenti e professori, botti che ti esplodevano in viso e colori sgargianti a riempire la sala, il tutto convogliato alla fine a formare le classiche due “W” marchio Weasley e un dragone che svolazzò rabbioso per tutto l’androne, scoppiando poi in mille scintille proprio di fronte alla McGranitt che era più furiosa che mai.

Era decisamente lo scherzo del secolo.

I cinque non ebbero nemmeno il tempo di svignarsela, che la preside li immobilizzò all’istante e riuscì a liberare tutti gli studenti dall’incresciosa situazione, cercando di rimediare ai danni.

Con i capelli scompigliati, la veste sporca di fango dal ginocchio in giù e il solito cipiglio severo, la professoressa McGranitt si avvicinava pericolosamente alle sue non più quattro, ma cinque!, piaghe, pronta a dargli una sonora strigliata e un’atroce punizione. Annullò l’incantesimo che li teneva immobilizzati e loro, ridacchiando, si radunarono di fronte a lei per nulla intimoriti, ma fieri del loro gesto.

- Come avete osato sabotare, di nuovo, il ballo!- calcò ogni parola con una dose ben studiata di collera ed ira, gesticolando
pericolosamente con la bacchetta in mano. – Avete idea dei danni che potevate causare! Non solo avete rovinato il ballo, ma avete anche danneggiato gran parte del patrimonio culturale della scuola!- gridava furiosa, guardandoli uno per uno.

- E che sarà mai! Qualche quadro chiacchierone in meno.- sussurrò James a Fred, cercando di non farsi udire dalla professoressa con scarso successo.

- Qualche quadro in meno?- una vena pulsava pericolosamente sulla tempia della professoressa e all’improvviso uno strano tic si impossessò del suo occhio sinistro. Solo con loro riusciva a perdere la sua invidiabile calma e compostezza: erano decisamente la sua rovina. – Bene, toglierò cinque punti per ogni quadro rovinato e, credetemi, saranno più di una dozzina, toglierò cinquanta punti a testa a Grifondoro e vi prendete una punizione ciascuno per un mese!- proclamò e la clessidra di Grifondoro perse tutti i rubini, che aveva faticosamente guadagnato, in meno di cinque secondi, rimanendo vuota.

I cinque non fiatavano, sapevano che i Grifondoro non sarebbero stati particolarmente contenti di quello e come biasimarli, se in una sera avevano fatto perdere ben 330 punti alla loro casata, che non li aveva nemmeno totalizzati 330 punti!

- Ora, passiamo alle punizioni,- disse poi, con più calma, come se quell’argomento fosse un qualcosa di già più volte trattato e, in effetti, era proprio così. – Signor Potter, le proibisco di giocare le prossime partite di Quidditch fino a dicembre e in più dovrà aiutare Hagrid per un mese a partire da domani subito dopo cena,- James provò a ribattere che era un’ingiustizia non permettergli di giocare a Quidditch, ma un’occhiataccia da parte di Louis lo face desistere e sbottare fra sé. – Lei, signor Weasley,- e si rivolse a Fred. – Accompagnerà il signor Gazza nei turni di pattuglia la sera e aiuterà Ezekiel con le faccende,- Fred mugolò dal disappunto, preferendo pulire i trofei con la Patil che quello; poi la McGranitt si rivolse a Louis. – Mentre lei, e mi creda non mi sarei mai aspettata una cosa del genere da uno studente così brillante, si occuperà dell’infermeria ed assisterà Madama Chips in tutte le faccende, in primo luogo ripulire giornalmente i vasi da notte dato che la cara infermiera ha una certa età ed ha bisogno dell’aiuto di un baldo giovanotto per questi encomi,- scherzò su la professoressa e Louis pensò che non ci potesse essere niente di peggio che vedere la Mc punirlo e ridere per una propria battuta di spirito. – Veniamo a lei, signor Jordan, che si diletterà nel ricopiare tutti i rapporti degli studenti dal 2000 fino ad oggi,- Chris si guardò la mano destra, dispiaciuto per lei. – Mentre lei, signorina Weasley, aiuterà Madama Pince in biblioteca e non avrà via di scampo questa volta.- proclamò solenne la donna, con le sopracciglia inarcate e lo sguardo che li avrebbe potuti affettare tutti a poco a poco. Li guardò un’ultima volta e si voltò per andare, spedita, verso le sue stanze. Quei cinque le avevano tolto dieci anni di vita per l’ennesima volta.

- È stata a dir poco tremenda!- si lamentava Fred, mugolando un po’.

- Mi ha proibito di giocare a Quidditch fino a dicembre! Quidditch! Dicembre!- si lamentava James che, quell’anno, era entrato far parte della squadra con tutti i meriti possibili.

- Passerò le mie notti nell’Antro oscuro del non ritorno! Tutti quei libri infernali mi risucchieranno dentro di loro e non potrò più uscire!- si lamentava, in toni drammatici, la peste ricciuta.

- Vogliamo parlare di quello che… - ma Chris non ebbe il tempo di finire la frase, che venne interrotto da un alquanto irritato Louis.

- Se avevate così para delle conseguenze non avreste dovuto mettere in atto lo scherzo! Quindi adesso zitti e sopportate!- gli gridò Louis, rosso e accaldato in viso. Detestava deludere le persone che credevano in lui e le parole della Mc lo avevano profondamente ferito, anche se non pensava di poter reagire in quel modo lui che era così pacato e tranquillo. Si pentì subito del tono e delle maniera usate e prese un respiro profondo. – Io… scusate, ragazzi, non volevo è che…

I quattro si guardarono negli occhi e subito gli furono addosso, uno sopra l’altro, per fargli capire che non era importante anche se non sapevano bene come esprimerlo, andavano fieri del loro cuginetto geniale dalla erre un po’ moscia e dagli scatti di rabbia improvvisa.
Perché per loro era semplice volersi bene e accettarsi, capirsi e scherzare su sulle incomprensioni. Erano una famiglia, non sarebbe mai cambiato.

 
Credetemi, lo sarebbero sempre stati, una famiglia. Nonostante il tempo, nonostante la vita.




 
Kore's corner
Hola gente! Come andiamo? Io sono azzoppata XD

No, no, sono davvero zoppa, credetemi. Lunga storia che non mi va di spiegare, però sto bene! certo, a stento cammino, però okay! ^_^
Scusate il lievissimo ritardo, avrei pubblicato ieri sera se la mia connessione non mi avesse abbandonata all’improvviso subito dopo aver completato tutto l’html! ( che, tra parentesi, odio da morire!) che sfiga -.-“

Bene, ora, dopo che mi sono scusata come mio solito, passiamo al capitolo che ai tempi mi aveva fatta penare per ben due mesi! È stato un parto scriverlo e ricordo come dopo che è finalmente uscito ho scritto tipo sei capitoli uno dopo l’altro, per poi incagliarmi di nuovo con il capitolo 13 che, per fortuna, è già bello che pronto XD

Beh, come potete vedere e come avevo già premesso, non compaiono le nostre due protagoniste, ma ho lascito spazio ai nuovo Malandrini, che noto con piacere riscontrare molto successo, e al resto delle Weasley più la piccola Jules, personaggio parecchio complicato che approfondirò molto in seguito e di cui apprezzo molto la bontà d’animo che, nonostante tutto, cerca in tutti i modi di mostrare. Vedrete, amerete anche lei alla follia. A chi interessasse, i pezzettini in corsivo sono dei pensieri che le due protagoniste sviluppano dopo, quando già sanno che cosa accadrà e ripercorrono l’intera loro esistenza, ad un certo punto, moooolto lontano, cesseranno di esistere, ma per ora son lì a farmi tremare. Ho notato con un certa soddisfazione che il pezzettino di Melissa ha preoccupato molte, beh, ne avete tutte le ragioni! Di lei non si parlerà più per un po’, ma ritornerà col botto, fidatevi.

Per il resto: piaciuto lo scherzetto di Halloween? E Louis il lunatico? Sappiate che la svolta è molto vicina anzi, un piccolo indizio: attente alle punizioni che la Mc ha dato ai ragazzi ;)

Okay, le note stanno diventando quasi più lunghe del capitolo, quindi mi dileguo.
Grazie a quelle meravigliose ragazze che recensiscono/seguono/preferiscono/ricordano/leggono la mia piccina, mi fate tanto felice e mi scoppia il cuore di gioia.
Alla prossima settimana.
Baci,

Kore

 

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Capitolo 7
*** 6) Detentions, gummy sweets and friends? Yes, of course ***




Detentions, gummy sweets and friends? Yes, of course

 
                   Sai alla fine chi rimane? Chi ti vuole bene veramente, chi ha scelto di conoscerti, chi ha scelto di andare  oltre l'apparenza.    Valeria Violetta Camboni


 
La parte bella di ogni rapporto umano è che non è mai stereotipato. Esistono molti tipi di rapporti, da più amichevoli ai più coinvolgenti, dai più leggeri ai più spinti, ma nell’analisi hanno tutti qualcosa in comune: le due persone finiscono sempre per legarsi in maniera indissolubile. Poi, che sia amicizia o amore poco importa, è una regola fondamentale e quasi automatica a cui nessuno fa più realmente caso. Però c’è da notare che esistono persone di ogni genere e  non sempre i rapporti nascono da qualcosa di pacifico o quantomeno tranquillo e non sempre questi rapporti sono basati su qualcosa di positivo e benigno. Sì, perché i rapporti umani sono un po’ come la maionese: se non mescoli bene rischi di farla “impazzire”, ma se invece ci metti impegno e dedizione, riesci ad avere un qualcosa di strepitoso. Già, il tutto dipende dalla forza di volontà e dalla quantità e qualità dell’impegno che uno ci mette.

C’è da dire però, che se c’è un posto che pullula di rapporti umani di ogni genere, quello è proprio Hogwarts anche perché, a dirla tutta, i maghi non hanno la più pallida idea di cosa sia la maionese.


- Scorp, la smetti di mangiare le mie caramelle gommose?- gracchiò un Albus Potter altamente irritato ad uno Scorpius Malfoy totalmente disinteressato alle sue parole.

- Assolutamente no!- rispose perentorio il biondo, gustandosi un’altra caramella in segno di sfida.

Era strano, maledettamente strano, oltretutto lui gli rubava pure le sue caramelle preferite!, eppure non riusciva ad essere arrabbiato con Scorpius sul serio e lui lo sapeva bene e se ne approfittava alla grossa. La loro complicità era addittata male da quasi tutti, come se fosse scandaloso che un Potter e un Malfoy potessero instaurare un qualsivoglia rapporto che non sia di odio. Assurdo.

Trovava assurdo tutto quello, anche perché a lui non dispiaceva affatto la compagnia dell’amico come suo fratello James non faceva altro che ribadirgli. Infondo, lui e Scorpius erano profondamente simili e si sostenevano a vicenda ormai da quasi tre mesi e non poteva che apprezzare tutto quello.

- Sai che sei proprio antipatico?- sbuffò Albus, chiudendo il libro di Trasfigurazione che aveva iniziato a spulciare qua e là.

- Nah, lo so che sono il migliore, non c’è bisogno che me lo ricordi.- lo punzecchiò l’altro, fingendo di non aver sentito e pavoneggiandosi un po’.

Già, decisamente l’amicizia è il rapporto umano che più preferisco. Due (o più) persone dagli interessi comuni che condividono tempo e vita insieme. La parte più bella è senza dubbio quando nascono. Esistono modi e modi per far nascere un’amicizia e non c’è da stupirsi se alcune sono storie rocambolesche di fatture mancate o caramelle rubate. Quella di Al e Scorp si basava, per l’appunto, su delle caramelle gommose. Strano, eh? Eppure molti sottovalutano quelle piccole delizie dalle forme e dai colori più svariati e non è da dargli totalmente torto, ma si sa come gira il mondo, no? Esatto, gira in senso antiorario ed è tutto al contrario.

- Sì, certo, come no.- rispose sarcastico Albus, tornando a pescare un’altra caramella dalla ciotola che teneva accanto al comodino. Da quando, a sei anni, sua zia Hermione lo aveva portato in un negozio di dolci babbano per il suo compleanno, non aveva più saputo smettere: erano una specie di droga, delle più dolci e gommose che esistessero.

- Senti, tu, qualcosa da ridire?- disse con finto tono arrabbiato Scorpius, mentre si buttava nel letto di Albus con una risata, non prima di aver preso un’altra caramella.

- Ne avrei tante, ma potrei urtare la tua sensibilità, pavone.- lo punzecchiò Albus, ponendo il cuscino davanti alla sua testa per evitare una caramella lanciata da Scorpius.

- Piuttosto, Mr. Simpatia, che facciamo oggi?- chiese annoiato, sbuffando un po’.

- Ehm… non lo so… studiamo forse?- tentò Albus, parando prontamente una cuscinata di Scorpius in pieno viso. 

- È domenica, Santo Merlino!, com’è che pensi solo a studiare, tu?- gridò esasperato il biondo, scompigliandosi i capelli con un gesto veloce della mano.

- Non è che ci sia molto da fare, sai? Anche perché ti ricordo che tu devi ancora scrivere il tema per Luma.

- Mh? Ah, già… sai che me ne ero totalmente dimenticato?

- Me ne sono accorto.- disse Albus, con tono rassegnato.

- Mi fai copiare, per favore?- chiese Scorpius all’amico, mettendo su un’espressione a cui era impossibile dire no.

- Assolutamente no.- disse perentorio Albus, abituato alle ruffianerie dei suoi fratelli, aveva fatto il callo a quelle espressioni e dopo anni era riuscito ad esserne immune.

- Come no? Che razza di amico sei, Al? A cose servi, se no?- ora, una persona parecchio suscettibile avrebbe preso male le parole di Scorp, ma Al sapeva benissimo che lo sdegno dell’amico era solo finzione e stette al gioco.

- Eh… che ci vuoi fare, Scorp? Vorrà dire che dovrai sostituirmi o, alla stregua, chiedere ad Alex. Lo abbiamo fatto insieme quel tema.- suggerì il moro, che più che aiutare l’amico voleva che si allontanasse il più possibile dalle sue caramelle. Scorp sembrò quasi rinato alla vista di quella prospettiva e scattò in piedi in maniera così veloce che fece cadere guanciale e coperta nell’intento.

- Bene, ora che hai finito di distruggermi il letto, vai Blondie, libero e fiero verso la tua salvezza.- lo canzonò Albus, ridendo lui stesso per il nomignolo ridicolo che aveva affibbiato a Scorpius.

- Come mi hai chiamato, Sevvie?- Scorpius, punto sul vivo, ripagò Albus con la sua stessa moneta e dopo qualche altro scambio di battute iniziarono una lotta coi cuscini all’ultima piuma.

Ecco, visto? Le caramelle gommose fanno miracoli. No, va beh, alla fine il merito è da attribuire solo in parte a loro. Il segreto è che sono simili, quei due, molto più di quello che si pensi. Forse perché schiacciati dal peso della reputazione dei genitori o forse perché stanchi di essere circondati da persone false, trovarono l’uno nell’altro quell’amico sincero con cui condividere la stessa sorte e gli stessi problemi. Si sostenevano. Al o Scorp, da soli, non erano così eccezionali, ma insieme erano davvero invincibili perché in due, sopportare tutto, è sempre più facile.    


 
La parte bella delle persone è che per quanto tutte uguali, hanno sempre qualcosa di unico e speciale che le contraddistingue dal resto, che sia qualcosa di fisico o comportamentale non da differenza, il cambiamento c’è ed è questo ciò che importa. Ci può essere un franco-inglese dalla erre moscia, una ragazza dai capelli a cespuglio, oppure un’altra con i capelli temporaneamente verdi con una trappola di metallo in bocca, uno con un forte senso “patriottico” per la propria casata, oppure uno che si chiude in sé peggio di un riccio. Il mondo è bello perché è vario e c’è qualcuno che si diverte ad accoppiare tutte queste persone e far scaturire i più strani rapporti, come un bambino che unisce i pezzi di un puzzle o un burattinaio che muove le marionette.

Oppure semplicemente quella persona chiamata Destino che si diverte a intrecciare a casaccio dei fili rossi che non portano quasi mai a nulla di buono e dal fine discutibile. Mandato parecchie volte in posti non ben identificati, il Destino per pura vendetta si diverte con quei poveri esseri umani che non possono fare a meno di soccombere perché si sa, alla fine colui che scrive i destini a quel paese non ci va mai. Il Destino ti segue fin dalla nascita, decide per te e colpisce quando meno te lo aspetti, magari anche ad un’età improponibile eppure lui sa come andrà a finire.
Conosce la storia ed ha già scritto il suo finale, tu puoi solo scorrere tra le pagine della tua vita ed aspettare quel colpo di scena fulminate che ti cambia e ti fa crescere. Ci sono tante storie e tanti finali, ma alcuni non sono mai così scontati, anzi, nessuno direbbe mai che è andata a finire in quel modo se non lo avesse prima visto con occhio o toccato con mano. Per alcuni è stato così, un’ inizio da favola e un finale straziante oppure il contrario: proprio come la famosa maionese. Beh, non so se il Destino c’entri anche con lei, a dire il vero credo che possa decidere solo per le persone (e c’è anche da sperarlo) eppure non sempre bastano la concentrazione e le giuste dosi, molte volte ci vuole creatività e un po’ di forza d’animo, riprovare e riprovare finché non riesce bene, perché il Destino premia i pazienti e i volenterosi. Sempre.

Poi ci sono quelli nati sotto una buona stella, a cui pare non mancare nulla e che invece sono privi della cosa più importante: calore. Quel calore umano che si tramuta in affetto e amore, quello che ognuno di noi ha il diritto di ricevere. Beh, lei camminava da sola, ora più che mai, perché rifiutava il calore che le persone avrebbero potuto darle. Era solo una bambina, eppure cresciuta senza affetto e fredda come il ghiaccio. Composta, educata e asociale, più tentavano di trascinarla via da quel baratro di solitudine più lei vi si rifugiava per conforto dalla vita, da tutte le delusioni che fin da piccolissima aveva ricevuto. Quando anche i suoi genitori l’avevano ripudiata e vista come un mostro, quando anche lei aveva iniziato a crederlo, il Destino l’aveva aiutata e le aveva mandato un’amica.

Ormai solo due cose riuscivano a darle quell’indispensabile calore: Alex e il ballo. Quest’ultimo, nato come una grossa imposizione, era ciò che la faceva per il tempo di una melodia sparire dal mondo, sentire leggera e incorporea, un’anima fluttuante leggiadra ed elegante. Non aveva mai smesso di ballare, nemmeno quando aveva messo piede in quella bellissima scuola, cercando per diversi pomeriggi quella famosa Stanza delle cose nascoste: la Stanza delle Necessità. Alla fine, scoraggiata dopo diverse settimane, aveva chiesto aiuto e lei era apparsa, mostrandosi come un’aula di danza piena di specchi e sbarre, con un grande carillon viola che mandava dolci melodie che le ricordavano un passato ormai lontano e che credeva di aver dimenticato.

In quel momento era lì, piccola e leggera, cercava di eseguire un passo un po’ più complicato, con la fronte imperlata di sudore e i capelli appiccicati al viso. A ogni sbaglio si arrabbiava sempre di più con se stessa, voleva essere perfetta. Doveva essere perfetta.

<< Non esistono errori, ma solo ballerini mediocri >>.

La sua insegnate non faceva che ripeterglielo quando, da piccola, commetteva anche solo delle piccole imperfezioni. La tormentavano. Sempre. Tutti. Aveva imparato ad odiarla, la perfezione, eppure non smetteva mai di cercarla in ogni suo gesto, confrontandolo con quelli altrui, un po’ per sentirsi superiore un po’ per capire cosa c’era che non andava in lei. La verità era che in lei non c’era nulla di sbagliato, solo una dose spropositata di insicurezza nascosta da un’armatura ghiacciata di compostezza e rigidità. Aveva solo undici anni, eppure sembrava già una che aveva vissuto tante cose nella vita non particolarmente felici. L’aveva persa, la sua infanzia, costretta da tutti a percorrere un sentiero fatto di buone maniere, gran galà e sfarzi. Non aveva mai vissuto appieno la sua età, qualunque essa fosse, perché sempre anni avanti, rispetto a tutti gli altri. E non ne andava fiera.

E sempre in quel momento, cercava di non piangere, di non chiedersi cosa c’era che non andava in lei, perché già sapeva che era solo e soltanto colpa sua. Come sempre. Come quando in teatro è chiuso il sipario: non si vede niente, eppure c’è un mondo oltre quello spesso tendone rosso. Ma lei non era capace di rimuoverlo. Non ancora. Non da sola.

Eppure, molto spesso, accadono cose che non ti aspetti, incontri persone che non avresti mai pensato di incontrare e il Destino prende una piaga bizzarra, quasi assurda. Perché il Destino scorre sempre, non si fermai mai e non puoi controllarlo.

Albus era lì, nascosto dietro la porta semichiusa della Stanza delle Necessità e guardava quella figurina sottile sollevarsi sulle punte e imitare quelle ballerine che aveva visto una volta in teatro con sua zia Hermione e sua cugina Rose. Rimase stupefatto da quella grazia e ancor di più dal fatto che la piccola ballerina fosse proprio l’algida Lailah, che non faceva che regalargli insulti gratuiti e sguardi scocciati.
Quella ragazzina era qualcosa di anomalo, paradossale.
Non riusciva a credere che quella ragazzina che si guardava timida allo specchio fosse la stessa che durante il giorno non faceva che osservare tutti con freddezza glaciale. Sembrava così diversa, in quel momento. Stette ad osservarla per un po’, curioso di scoprire qualcosa di più di quel pezzo di marmo di cui Alex andava tanto fiera. Non riusciva ancora a capacitarsi del fatto che quelle due potessero essere così amiche, era così assurdo per lui associare qualcosa di così allegro e spensierato come Alex a qualcosa di così freddo e inespressivo come Lailah, eppure in un certo qual senso si completavano. Assurdo, ma pur sempre veritiero.
E poi, non era forse più assurdo il fatto che un Potter e un Malfoy andassero così d’accordo? No, decisamente non era nella posizione giusta per fare commenti. Dopo aver consumato tutte le caramelle che si era portato, senza che nemmeno lui se ne accorgesse, la porta della stanza si spalancò e la ragazzina un po’ sudata e dall’espressione irata fece capolino nel suo campo visivo.

- Cosa stai facendo, tu, qui?- chiese lei, cercando di mantenere un minimo di calma che in presenza di quell’essere andava sempre a farsi benedire.

- Io… ehm… ecco… passavo di qui e…- tentò invano di giustificarsi, con risultato finale di accostare balbettii sconnessi e privi di logica, mentre si rialzava velocemente dal freddo pavimento di pietra sui cui si era seduto.

- Da quanto tempo sei qui?

- Ehm…

- La vuoi smettere di parlare con monosillabi sconnessi e rispondermi?- era decisamente arrabbiata. Si sentiva in un certo qual senso violata: il ballo era una cosa sua e nessuno, al di fuori di Alex, ne era mai entrato a fare parte.

Al prese un bel respiro e deglutì, racimolando un po’ di quel coraggio Grifondoro che doveva sicuramente avere.

- Ecco… ti ho vista di sfuggita e, beh… insomma… stavo solo guardando. Sei molto brava.- cercò di giustificarsi, stringendo convulsamente un lembo del mantello per mantenere quel po’ di fiele che non credeva di possedere. Si sentiva tanto un bambino beccato dai genitori con le mani nel barattolo della marmellata, eppure non poteva fare a meno di sorridere, la Bloomwood che perdeva il controllo e tutta la sua freddezza era sempre un po’ divertente.

- Che hai da ridere, adesso? Non farlo mai più, non dirlo a nessuno e guai a te se ti trovo ancora a spiarmi, capito?- cercò di minacciarlo lei, riprendendo il controllo di sé e stringendo saldamente il suo borsone con tutte le sue cose.

- Okay.- disse solo, ancora un po’ terrorizzato, non si era mai sentito tanto stupido.

- Bene.- e se ne andò via, lasciandolo con l’amara consapevolezza che lo avrebbe odiato ancora per un po’, per un motivo che ancora non riusciva a spiegarsi.

Beh, alla fine l’ho sempre detto io: non sempre la maionese viene bene e il più delle volte impazzisce, ma si può sempre riprovare in futuro.
 


Sbatté la porta della camera con forza e gettò il borsone sul suo baule, provocando un forte rumore. Era arrabbiata. Molto. Cercava di controllarsi invano, non poteva perdere la calma in quella maniera: era assurdo! Mentre cercava di riprendere il controllo delle sue emozioni ed intrappolarle di nuovo in quella scatolina di ghiaccio quale era il suo cuore, una flebile voce fece capolino dalla parte opposta della stanza, lasciandola incredula.

- Tutto bene, Lela?- era Jules che, chiuso il grande libro che stava leggendo, le era venuta vicina e le aveva rivolto quel tono pacato e tranquillo che era riuscita a calmarla.

- No, Jules, per niente.- con lei non c’era bisogno di mentire, ti capiva e basta: i tuoi tentativi di sfuggire alla sua analisi erano inutili.

- Ti va di parlarne?- non c’è nulla di più comune del desiderio di essere importanti, disse il grande Oscar Wilde, e per Jules era così, perché quando si sta sempre all’ombra delle cose, si desidera così tanto ardentemente la luce che non appena si presenta un’occasione non si può fare a meno di coglierla, seppur timidamente e con terrore.

- Dov’è Alex?

- Non c’è. È passata poco fa per prendere un astuccio, credo, ma poi è entrata Melissa che le ha chiesto se poteva rispiegarle le lezione di Difesa e sono andate via insieme.- spiegò brevemente, doveva immaginare che Lailah avrebbe sempre cercato la sua migliore amica, fra tutti, e non una semi-sconosciuta che pretendeva di essere importante.

- Capito.- Jules rimase un po’ delusa, da quella fredda e inconsistente parola. Si era illusa di poter essere qualcosa di più e invece era sempre la stessa, silenziosa e timida Julie: l’ombra di tutti.

- Beh… se non hai altro da dire…

- Mi fa arrabbiare da matti! È inconcepibile come quell’essere possa mandarmi fuori dai gangheri così.- sbottò ad un certo punto, lasciandosi cadere sul tappeto con le gambe rigorosamente incrociate.

- Eh? Non ti seguo.- sorrideva, però, pur non capendo; perché forse, la luce, era riuscita a vederla.

- Uff… quell’essere, Potter-numero-due, per capirci, mi stava spiando. L’ho trovato fuori dalla Stanza delle Necessità seduto comodamente a mangiare caramelle mentre mi fissava. È stata la cosa più imbarazzante che mi fosse mai successa e poi io quello lo detesto. Ha violato al mia privacy e se prima diciamo che lo sopportavo, adesso nemmeno quello.- parlava velocemente e senza scandire bene le parole, accavallando lettere e sillabe, eppure si stava sfogando (e anche molto apertamente) con qualcuno che non era Alex e si sentiva bene, maledettamente bene.

- Aspetta, fammi capire: cos’è che ti ha dato più fastidio? Il fatto che qualcuno ti stesse guardando o che fosse lui a farlo?

- Entrambi, Jules, entrambi! Il ballo è una cosa mia, è l’unica cosa che mi sono portata dietro dal mondo babbano e non voglio che qualcuno si senta libero di osservarmi. È una cosa privata.- aveva sbollito un po’ la rabbia e iniziava a riprendere il suo autocontrollo, eppure manteneva sempre quell’aria un po’ agitata e concitata.

- Beh, magari non l’ha fatto apposta… dico, magari passava di lì per caso e sempre per caso ti ha vista. Detta sincera non penso che Albus possa avere un secondo fine nelle sue azioni e lui non ti odia con la stessa intensità che tu gli riservi, anzi, dubito che sia capace di odiare qualcuno. E con suo fratello ne è la prova vivente.- era fatta così Jules, e in quel momento Lailah trovò che assomigliasse molto a Rose: cercava sempre il meglio delle persone, di farle vedere migliori anche agli altri.

- È insopportabile, punto. Lui e le sue frasette di circostanza da povero disperato e comunque resta il fatto che ha violato la mia privacy.- era testarda, Lailah, pochissime erano le volte che qualcuno era riuscito a farle cambiare idea su un fatto o una persona.

- Ma, se posso chiedertelo, cosa ti ha fatto per odiarlo tanto? Insomma, Alex lo adora e…

- Alex adora tutti, lei non fa testo. È troppo buona e non vede le cose in maniera oggettiva.- tagliò corto la piccola principessa, che da anni aveva imparato che non è tutto oro ciò che luccica.

- Okay, va bene, lei non è oggettiva, ma io si e non trovo nulla di male in Albus: è un ragazzino normale che vive una vita normale odiato da una ragazzina anormale.

- Grazie, Jules.- però non lo disse con cattiveria, no, rise. Rise forte perché alla fine era vero e stranamente la compiaceva.

- Ehm… prego?-era arrossita violentemente e non si era accorda di quello che aveva detto fino a quando non aveva sentito Lela ridere di gusto e senza rancore.

- È vero, non sono normale e, detto sinceramente, mi piace.

- Sì, sei decisamente strana, adesso. Non è che hai qualche disturbo bipolare della personalità, vero?

- No, decisamente no.- e continuò a ridere come poche volte aveva fatto in vita sua e al diavolo Potter-numero-due e le sue frasette di circostanza, al diavolo la sua rigida educazione e le buone maniere e sì, poteva anche ringraziare quell’essere perché alla fine se non fosse stato per il suo invadere spazi proibiti non avrebbe mai riso con Jules e conquistato quel po’ di fiducia in se stessa che le mancava.


 
Louis sospirava stanco, una volta posato anche l’ultimo tomo su quello scaffale decisamente troppo alto e pieno di polvere che aveva dovuto ripulire. Ancora si chiedeva come era riuscita sua cugina Roxanne a convincerlo a scambiarsi le punizioni, preferendo aiutare Madama Chips che Madama Pince, lui non avrebbe mai preferito i vasi da notte ai libri! O almeno era questo quello che credeva prima di aver provato, realmente, ciò a cui andava in contro. Sì, preferiva di gran lunga i vasi da notte. Aveva sgobbato per tutta le sera e adesso si ritrovava con la schiena dolorante e una stanchezza pressante su tutto il corpo.

- Signor Weasley, chiuda lei la biblioteca questa sera, sono molto stanca e vorrei andare a riposarmi.- ordinò la bibliotecaria. Certo, lei era stanca, lui aveva solo dovuto correre per tutta la biblioteca come un pazzo perché quella donna lo aveva costretto a sistemare i libri del reparto trasfigurazione in ordine alfabetico! E c’è da dire che gli studenti di Hogwarts non fanno per nulla attenzione a dove lasciano i libri.

- Certamente, Madama Pince.- disse stanco, sedendosi malamente su una sedia e cercando di riprendere le forze.

Non appena la bibliotecaria se ne fu andata andò a cercare le chiavi dei vari reparti per chiuderli; come se poi, effettivamente, ci fosse realmente bisogno di sigillare dei libri. Suvvia, di sicuro non scappavano e i fantasmi non avevano di sicuro tutta questa voglia di rubarli! Sigillato il reparto Storia della Magia ed Erbologia, Letteratura Magica e Babbanologia, si ritrovò di fronte al Reparto Proibito e, con un certo timore, chiuse anche quella sottospecie di cancello.
Stava per chiudere anche la grande porta che gli avrebbe finalmente permesso di poter andare via, quando si accorse di essersi dimenticato la borsa e tornò al tavolo, dove si era seduto agonizzante per qualche minuto, per prenderla.

Mentre tornava sui suoi passi notò che qualcosa, nel Reparto Proibito, mandava una luce sinistra e stranamente verdognola e, incuriosito, ci si avvicinò fino a toccare con la punta del naso il freddo cancello che impediva l’accesso al reparto. Ora, una persona normale e facilmente impressionabile sarebbe scappata via a gambe levate e avrebbe cercato di dimenticare il più in fretta possibile l’accaduto, ma essendo un Weasley, un Grifondoro e un Malandrino, accantonò tutti i buoni propositi e si diresse verso il reparto noncurante di tutte le possibili conseguenze.
Sì, anche quando si è Louis Weasley il buon senso va spesso a farsi benedire.

Aprì quasi meccanico quel cancello e, seppur titubante, si avvicinò con cautela verso la fonte di quella luce. Era un libro, situato proprio nella scaffale più basso, che riluceva di luce propria e che lo stava ipnotizzando.

- Questo cos’è?- sussurrò, allungando una mano per prenderlo. Negli occhi il riflesso di quella luce spettrale e l’eccitazione per la scoperta. Appena lo sfiorò con il dito, però, esso smise di brillare e Louis ritrasse la mano spaventato, sussultando. Se c’era una cosa che i Malandrini non avevano mai avuto, beh, quello era il senso del pericolo; abituati minimizzare ogni cosa, non si accorgevano della gravità della situazione se non quando ci erano dentro fino al collo e quel momento non faceva eccezioni di sorta. Con un movimento rapido afferrò il libro e lo posò su uno dei tavolini fuori dal reparto, accendendo la bacchetta per vedere meglio in tutta quella oscurità.

Starnutì più volte a causa della polvere e dell’odore di muffa delle pagine, ma dopo aver ripulito alla meno peggio la copertina poté soffermarsi sul titolo e i dettagli.  Era di uno strano color viola sbiadito a causa del tempo, ma si leggeva ancora nitidamente il titolo, scritto con una grafia elegante e dalle lettere scarlatte: I segreti dei quattro fondatori.

Strabuzzò gli occhi e sbiancò leggermente, non aveva idea che potesse esistere un libro del genere. In poco tempo due emozioni contrastanti si impossessarono di lui: la voglia di aprire quel libro e scoprire che cosa celava al suo interno e la paura che potessero esserci delle serie conseguenze e che quindi fosse meglio posare quel tomo e dimenticare tutto. La curiosità prevalse e, messosi seduto, cominciò a sfogliare delicatamente quel libro misterioso, soffermandosi sulle immagini di una Hogwarts lontana eppure così maledettamente vicina. Mentre aveva appena cominciato a immergersi nella lettura, un rumore di passi lo fece risvegliare da quello strano stato di trance in cui era calato e in fretta gettò il libro nella tracolla e quasi sussultò quando si ritrovò Madama Pince davanti agli occhi con sguardo severo.

- Cosa fa ancora qui, Signor Weasley, non le avevo chiesto di chiudere quasi un’ora fa?- disse con rimprovero, prendendo malamente le chiavi dalle mani tremanti del ragazzo e chiudendo la porta della biblioteca.

- Mi… mi scusi, è che  arrivato in camera mi sono accorto di aver dimenticato la borsa e quindi sono tornato indietro.- cercò di giustificarsi il ragazzo, camminando spedito verso la Torre di Grifondoro.

- Che non ricapiti più, Signor Weasley, o dovrò fare rapporto alla preside.- gli intimò minacciosa, ritirandosi nelle sue stanze per la seconda volta in una sera.

Louis sospirò di sollievo e, una volta entrato in camera, si buttò a peso morto nel letto, addormentandosi l’istante dopo. Il libro era ancora lì, nella sua borsa, in attesa di essere letto e sfogliato ancora. In attesa di possedere anche la più piccola parte di lui, fino a renderlo schiavo.

 
Quel libro avrebbe portato guai, grossi guai. Ve lo dice chi già sa, chi ci è già passato. Perché qui va ancora tutto male ed è solo colpa di quello schifosissimo libro.

***

 
“Odio le piante. Odio le piante. Odio le piante. Odio le piante…”

Come una nenia ripeteva mentalmente quelle parole per evitare di rigettare impropri su impropri al professore che l’aveva costretta a portare un paio di piantine al guardiacaccia per chissà quale utilizzo. La verità era che erano più di un paio di innocue piantine, ma lei, da brava Grifondoro disponibile quale era, non si era tirata indietro alla richiesta del simpatico professor Paciock e adesso si ritrovava a scendere per lo sconnesso pendio che portava alla capanna di Hagrid guidando una carriola con cinque piante i cui rami non facevano altro che insinuarsi tra i suoi capelli e in mezzo al suo campo visivo, facendola inciampare più volte del normale.

<< Attenta, però, sono attirate dalle loro simili. >> le aveva detto e poco dopo si era messo a ridere. Lì per lì non aveva capito, ma poi ne aveva appreso appieno il senso quando una pianta si era avvolta in maniera convulsa alla sua testa, attirata da quel verde prato che ancora non accennava ad andarsene.

“Odio le piante. Odio le piante. Odio le piante. Odio James Potter. Odio le piante. Odio James Potter e le piante!”
Passo dopo passo diventava sempre più isterica e intrattabile. Non appena fu di fronte alla capanna tirò un sospiro di sollievo e, con parecchia fatica, si liberò da tutti quei rami e foglie.

- Finalmente! Ecco le mie piantine… Uni sarà molto contento di bere l’infuso delle loro foglie.- gridava concitato Hagrid, in preda alla gioia.

- Prego, Hagrid.- disse con ironia Alex, ripulendosi la divisa dalla terra.

- Oh, Alex, ci sei anche tu?- le chiese stupito, non si era ancora accorto della presenza della ragazza.

- Sì, grazie per l’interesse.- disse, lasciandosi alle spalle il rancore e facendosi una bella risata.

- Perfetto! Così potrai aiutarmi! Quel soldo di cacio non ne fa una giusta. Oh, quanto avrei preferito che la McGranitt mi avesse mandato Roxanne, lei sì che sa come prenderli gli animali, non questo sciagurato che non sa neanche distinguere il cibo per Thor da quello per gli Unicorni!- si lamentava Hagrid, pur mantenendo un sorriso e l’aria bonaria in faccia.

- Gentile, Hagrid, grazie per l’alta considerazione che hai di me.- un ragazzo, dai capelli neri e disordinati, il viso e i vestiti sporchi di fango e gli occhiali rotti sul naso fece capolino dal retro della capanna, rimbeccando alle parole del guardiacaccia. Alex rise di gusto nel vedere James Potter in quello stato e Hagrid non poté fare a meno di imitarla.

- Ti avevo detto di annaffiarle, le zucche, non di farti un bagno nel fango, James!

- Ah ah, divertente, Hagrid.- disse il ragazzo, accompagnando il tutto da una finta risata e incrociando le braccia al petto offeso. Non amava particolarmente chi si prendeva gioco di lui gratuitamente.

- Non ha tutti i torti, la tua utilità è minima, Potter.- aggiunse Alex, ridendo ancora come una pazza isterica.

- Senti chi parla, l’orchessa nana che attira le piante.- per un attimo si espanse un silenzio tombale dove i due litiganti si guardarono dritto negli occhi con sfida, ma poi entrambi scoppiarono in una sonora risata perché, in effetti, era vero.

- Okay, okay, adesso basta. Abbiamo da lavorare qui e a James restano ancora due settimane di punizione e ci sono ancora parecchie cose da sbrigare.- Hagrid riportò l’ordine a fatica e i due si zittirono all’istante, lievemente intimoriti dal tono serio del mezzo gigante.

- Va bene, Hagrid, allora io vado.- Alex cercò di svignarsela nel modo più semplice possibile perché se con il professor Paciock non aveva avuto scampo, voleva evitare di fare la stessa fine anche con Hagrid, eppure…

- Aspetta, Alex, ti va di aiutarmi un momento con Uni? Sai, non ama molto il genere maschile e l’ultima volta James è stato scaraventato oltre il campo di zucche per la sua irruenza.- le chiese gentilmente Hagrid, con un sorriso enorme e bonario a cui era impossibile anche solo pensare di dire di no.

- Io… ecco… vedi…- cercò di tirarsi fuori da quell’impiccio, doveva mantenere momentaneamente il controllo della sua mente e trovare una scusa plausibile per declinare gentilmente quella richiesta.

- Ci vorrà solo un attimo, gli Unicorni sono molto socievoli con le ragazzine, dammi solo il tempo di preparare l’infuso e poi potrai andartene.- continuò lui, allargando il suo sorriso e fu allora che Alex si rassegnò.

- Uff… va bene, Hagrid, ma non ho molto tempo.

- Perfetto! Grazie, cara, sei sempre così disponibile!- e la abbracciò, stritolandola forte tra le sue mastodontiche braccia fino a farla quasi soffocare, poi sparì nella capanna a estirpare le foglie di quelle piante diaboliche.

- Perfetto! Grazie, cara, sei sempre cosi fessa!- fece eco James, cambiando volutamente l’ultima parola e cercando di imitare il tono contento del mezzo gigante con il risultato di ottenere qualcosa di mostruosamente simile a uno squittio.

- Non c’è nulla di male nell’aiutare chi ne ha bisogno.- lo rimbeccò lei, cercando di mantenere almeno un minimo di dignità di fronte al ragazzo.

- Oh, certo, ma sei almeno capace di dire di no, tu?

- Io… ecco…

- Fessa, ecco cosa sei!- continuò a canzonarla lui, ripulendosi alla meglio con uno strofinaccio grande quanto una tovaglia da tavola.

- E tu sei presuntuoso: credi di sapere tutto, ma in realtà non sai proprio niente.- lo contrastò lei, litigare con James Potter le dava una carica che nulla al mondo riusciva ad eguagliare, si batteva a parole come una tigre e quasi sempre ne usciva vincitrice.

- Io parlo per quello che vedo e tu, Miss. Perfettina, hai uno spropositato altruismo peggio di un Tassorosso, ergo: sei una gran fessa.- disse con aria da saputello, facendola infuriare ancora di più. Se avesse conosciuto una qualsivoglia fattura l’avrebbe volentieri usata contro la sua faccia, ma gli unici incantesimi che conosceva servivano solo a far levitare oggetti e aprire porte e a poco le servivano in quel momento.

- Tu sei sempre più idiota ogni giorno che passa, devo ricordarti il trucchetto del mio dito indice?- a quelle parole James sussultò un attimo, memore di quella brutta esperienza, ma non demorse e continuò quello strano gioco di provocazioni che lo stimolava come pochi. Quella nanetta davvero esilarante e dall’arrabbiatura facile lo faceva sempre divertire un mondo.

Qualche provocazione e insulto più tardi, mentre erano arrivati a un punto di non ritorno, Hagrid interruppe quella strana disputa e, felice come una pasqua, condusse i due nel retro della capanna dove un magnifico Unicorno bianco brucava un po’ di erbetta qua e là, mostrando il suo manto lucente e il suo corno lungo e dritto che quasi sfiorava il terreno.

- Uni! Uni, vieni qui!- lo richiamò Hagrid e l’animale alzò il capo in direzione del guardiacaccia, muovendo qualche passo.

- Hai chiamato Uni un Unicorno?- chiese sbalordita Alex, che pur essendo la regina dei nomi strani per ogni animale/cosa/persona (basti pensare al gufo Millicent e al cane Seth Aaron) non avrebbe mai dato quello ad un Unicorno.

- Beh… ecco… non ho molta fantasia per queste cose, a dire il vero.- disse e si grattò la testa nervoso, porgendo poco delicatamente la scodella con un infuso dall’odore discutibile ad Alex.

- Eh? Che devo fare, adesso?- chiese spaventata la ragazza, che era stata spinta con forza verso il bellissimo animale.

- Fai finta che sia una lezione di Cura delle Creature Magiche parecchio anticipata e porgi quella scodella all’Unicorno con calma e delicatezza: è lui che comanda, ricordatelo.- le spiegò spiccio il guardiacaccia, eccitato nell’assistere a quella scena.

- O-okay.- deglutì e si avvicinò titubante all’animale che la guardava fissa negli occhi, cercando di captarne lo stato d’animo. Arrivata a pochi centimetri da lui, presa da uno strano impulso gli accarezzò la criniera e gli porse la ciotola il cui contenuto venne prontamente divorato dall’animale. Adesso Alex sorrideva perché, alla fine, non era così pauroso come credeva: tutt’al più era parecchio divertente.

Il pomeriggio passo così, in pratica, a dar da mangiare agli Unicorni, a giocare con Thor e a punzecchiarsi con James, di tanto in tanto. Alla fine Hagrid li congedò entrambi, ormai fattosi tardi e diede appuntamento a James per il giorno seguente subito dopo cena.
Percorrevano in religioso silenzio il pendio che li avrebbe riportati al castello, era calato un imbarazzo quasi innaturale e pesava ad entrambi, così abituati a prendersi in giro o, comunque, a punzecchiarsi su ogni cosa.

- Beh, almeno ti ha fatto dar da mangiare ad Uni: pensa che a me sono toccati gli Ippogrifi.- fu James a rompere il silenzio, camminando spedito e con gli occhi puntati sulla punta delle sue scarpe. Alex rise leggermente, scostandosi una ciocca verde dalla fronte sudata.

- Non è che per caso qualcuno di loro ti ha rotto qualche osso, vero?

- No, fortunatamente.

- Peccato.- disse innocentemente lei.

- Antipatica.- la rimbeccò lui.

- No, perché tu sei simpatico, sai?

- Più di te sicuramente.- la contrastò.

- Chi è che mi ha fatto diventare i capelli verdi?

- Chi è che non perde occasione di umiliarmi in pubblico?

- Te la sei legata al dito, eh, Potter?- disse lei, cercando di non ridere al finto tono da offeso del ragazzo.

- Ho avuto la mia vendetta, Winter.- disse risoluto lui.

- Quando finirà l’effetto dello scherzo?- chiese lei quasi con rassegnazione, quei capelli le davano non pochi problemi.

- Quando lo deciderò io.- decretò lui.

- E quando, di grazia?

- Mai!- e iniziò a correre per la salita, seguito a ruota dalla ragazza che lo inseguiva animata da un senso di sfida quasi innaturale. Arrivati, stanchi e trafelati, al portone d’ingresso si guardarono complici e scoppiarono a ridere come due in preda a una crisi epilettica.

- Sei caduta tre volte, Winter! Tre!- la prese in giro lui, che fosse imbranata era un dato di fatto, ma riusciva ad inciampare sui suoi piedi con una facilità disarmante e un po’ umiliante.

- Ma se non riuscivi a starmi dietro!

- Certo, certo, ecco arrivata la campionessa di atletica.

- Le tue battute sono penose, lo sai questo, vero?

- Sono estremamente simpatico, sei tu che non lo vuoi ammettere, Winter!

- Alex, mi chiamo Alex.- disse seria lei, guardandolo negli occhi e porgendogli la mano.

- Wint… Alex, che cosa stai facendo?- chiese confuso lui, che non riusciva mai a interpretare i gesti di quella ragazza.

- Non ci siamo mai presentati come si deve io e te e questo mi sembra il momento opportuno, non trovi?- sorrise lei, con ancora la mano protesa verso di lui.

- Non so cosa ci sia di opportuno in questo momento, però va bene. Io sono James.- lui stette al suo gioco e le strinse a sua volta la mano.

 Suggellarono un patto, quel giorno, un accordo: una tacita promessa che avrebbero interpretato solo molto dopo. Smisero di prendersi in giro e impararono a tollerarsi poco a poco, pur continuando a punzecchiarsi in memoria dei vecchi tempi.

- Tregua?- propose lui.

- Tregua.

- Amici?

- Amici.

 
Lo saremmo sempre stati, amici, nel bene e nel male. Fin proprio alla fine.


 


Kore's Corner
Giuro che prima o poi ci riuscirò a pubblicare un capitolo per tempo, davvero u.u

Beh, salve, come andiamo? Questa storia ha fatto le ragnatele, ma non è colpa mia!

Ho avuto una settimana infernale con circa due compiti in classe al giorno e sono stata parecchio stressata ( maledetto liceo scientifico!!!!!!!! :@), però avevo già tutto pronto quindi un po’ mi consolo.

Oltretutto, se vi interessa, sono immersa nella stesura del capitolo 15! ^_^ semmai ci arriveremo vi dico già da ora che ci saranno tante scene divertenti.

Ora, tralasciando in fatto che domani risponderò alle recensioni dello scorso capitolo, passiamo a commentare un pochino…

IO AMO QUEL BANNER!!! È un altro dei miei preferiti e sinceramente ne vado molto fiera (anche se James ha gli occhi azzurri XD).

Poi: la maionese!!! Mi pare di averlo anticipato nelle note scorse, ma probabilmente questa cosa vi avrà lasciti perplessi, vero? Ebbene, dovete sapere che quando scrissi questo capitolo (circa un annetto fa) avevo appena visto il film Tre metri sopra il cielo e lo speaker aveva detto una cosa sulla maionese che mi era piaciuta tantissimo e quindi mi sono ispirata a quella e al linguaggio “da radio” per scrivere l’intero capitolo :3

Albus e Scorpius non sono pucciosissimi? Sono l’ammmmmooooreeee; so che avrei dovuto dedicare più tempo all’evoluzione del loro rapporto, ma questa storia in sé è soltanto un gigantesco prologo prima di quella vera e gli eventi sono decisamente accelerati, anche perché l’altra conta già di un numero assurdo di capitolo, quindi… beh, cercate di immaginare che poi ritroveremo tanti ben flashback ; )

Su Lailah e Albus non commento, sono semplicemente loro e ciò vuol dire che litigano e si insultano, ma fortunatamente c’è la piccola Jules che aiuta sempre tutti! Yep!

E poi, beh… Alex e James sono diventati amici! GRANDE SVOLTA! Si, beh, quei due sono adorabili, non trovate? E già a molte di voi piacciono più del lecito e io posso solo dire: date tempo al tempo che quei due sono fatti l’uno per l’altra. ; )

E poi, per finire, LA SVOLTA. Non dico altro, ma non perdete d’occhio quel libro, eh!

Ora, vi preannuncio che il prossimo capitolo sarà tutto un enorme salto temporale, dove andremo a vedere la meravigliosa era dei Fondatori, per capire meglio l’andazzo di tutta la baracca XD

E adesso… non so più che caspita dire, credo di aver finito.

Beh, ringrazio come sempre che recensisce/preferisce/segue/ricorda/legge questa storia e spero che vi stia piacendo almeno un poco, perché io ci metto l’anima.

Baci,
Kore

 

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Capitolo 8
*** 7) The history of Hogwarts, the secrets of four founders and a “new” Lou ***




The history of Hogwarts, the secrets of four founders and a “new” Lou

 

Si ama solamente ciò in cui si persegue qualcosa d’inaccessibile,
quel che non si possiede.
Marcel Proust

 

Louis Weasley, come è stato più volte ribadito, non era un ragazzo particolarmente socievole e chiassoso e, sempre per precedente conoscenza, adorava immergersi nel suo mondo ed entrarvi ed uscirvi a suo piacimento. Per questo, durante tutte le vacanze di Natale, nessuno si era stupito più di tanto a vederlo intento a leggere un libro negli attimi liberi tra un pranzo alla Tana e una visita ai cugini francesi.
Eppure, un osservatore attento avrebbe dovuto notare con che brama e voglia di sapere Louis Weasley apriva e divorava quel libro che pareva infinito; con che curiosità sfogliava le sue pagine e con che attenzione scrutava le sue immagini che mostravano una vita tanto antica quanto affascinante. Ma durante le feste non c’è il tempo di osservare attentamente persona per persona e tutti si limitavano a scrutarlo con un sorrisetto tra le labbra, notando quanto era tranquillo rispetto ai suoi cugini e sorelle e quanto fosse diligente e colto. No, non era strano vedere Lou in quegli atteggiamenti e nemmeno vederlo così ossessionato. La cosa strana era solamente l’oggetto della sua ossessione.

Non lo aveva più restituito, alla fine, quel libro dal titolo allettante e dal contenuto ancora più ghiotto, ne era come ammaliato ed era avido di saperne sempre di più. Quante cose aveva scoperto, leggendo. Un passato che non si impara a Storia della Magia perché sarebbe troppo complicato e oscuro, una vicenda che va ben oltre la magia e ciò che si conosce, la prima vera battaglia tra le forze del bene e quelle del male, le vere origini della fondazione di Hogwarts.
Era come una droga, più leggeva più voleva sapere ed era difficile smettere, quasi fosse diventato vitale sapere come andava a finire tutto. Da quando aveva deciso di tenere per sé quel libro si sentiva diverso, più libero… quando in realtà sapeva di essere solo schiavo di quelle pagine ingiallite macchiate di inchiostro colorato. Eppure, pur sapendolo, non riusciva a farne a meno e leggeva, leggeva in ogni attimo libero e in cui sapeva di non essere osservato per sapere, per conoscere quel passato affascinante.

Sembrava un libriccino di poco più di cento pagine, eppure era da novembre che lo leggeva e ancora a gennaio non era arrivato alla parola fine: un incanto a dir poco niente male che giovava a lui come copertura. Non ne aveva parlato con nessuno, troppo avido per condividere tutto quel prezioso sapere e troppo intimorito dalla reazione che avrebbero potuto avere i suoi amici, anche se non comprendeva il motivo del suo comportamento. Era come se si stesse trasformando in qualcun altro: più sicuro, più forte, più coraggioso, il Grifondoro che sentiva di non essere mai stato e quella sensazione, seppur parecchio macabra, gli piaceva. E parecchio anche.

Il treno sbuffava sonoramente e la campagna scorreva veloce sotto gli occhi di Louis che, stanco, si era abbandonato al sedile una volta messo piede nello scompartimento. Stavano tutti ritornando ad Hogwarts dopo le vacanze di Natale e c’era aria nostalgica, nell’Hogwarts Express, accompagnata dall’eccitazione di fare ritorno a scuola. In verità voleva soltanto un po’ di calma per tornare alla sua piacevole lettura, ma si sa, ad essere amico dei Malandrini ti dimentichi anche il significato della parola quiete, eppure aveva bisogno di un attimo per riflettere, per riordinare le idee e rivedere a mente lucida tutto ciò di cui era venuto a conoscenza in quei mesi e  in quelle vacanze, giusto per limitare quei forti mal di testa che lo avevano costretto a un paio di giorni a letto durante le vacanze.

Purtroppo, causa le moltissime notti insonni a cui si era sottoposto per leggere, non appena socchiuse gli occhi si addormentò profondamente, sognando una Scozia d’altri tempi, immersa nell’era Medievale e alle origini di quella che sarebbe stata la più grande Scuola di Magia e Stregoneria del mondo.

 
***

 
Tanti anni prima, nel 989 d.C.…

- Potrebbe essere un successo, Sal.- diceva un uomo, gesticolando animatamente per le vie caotiche della città, in cerca di un qualcosa di ignoto persino a se stesso.

- Non osare mai più chiamarmi Sal, ti è così difficile da comprendere, Godric?- rispose scocciato l’uomo interpellato, sistemandosi i bottoni del prezioso mantello verde da dove si intravedevano, tra le cuciture, delle pietre di ossidiana e smeraldi.

- Smettiamola con queste formalità, Sal, siamo amici da quasi vent’anni, ormai.- rimbeccò l’uomo, scostandosi i riccioli rossicci dalla fronte e sfiorando l’elsa della sua spada in un gesto quasi meccanico. All’apparenza potevano sembrare un nobiluomo e il suo araldo eppure, e ciò era di dominio solo a pochi eletti, entrambi erano maestri di arti magiche non comuni a tutti gli uomini, che li rendevano speciali.

- Ciò non ti giustifica, Godric, e giusto perché tu capisca: ciò che mi proponi non è per nulla fattibile. Ci vorranno mesi e forse pure anni e non potremo mai istruirli tutti, considerando pure che ci sono giovani maghi e streghe ormai adulti che sono del tutto inconsapevoli dei loro poteri o che, se ne sono a conoscenza, sarebbero ormai troppo grandi per frequentare questa presunta scuola.- disse piccato l’uomo con il mantello verde, mentre guardava con una punta di ribrezzo tutti quei comuni babbani che scorrazzavano qua e là per tutta la via urtandolo e irritandolo parecchio.

Non sopportava quegli individui nettamente inferiori che disdegnavano la magia e di cui se ne prendevano beffe cercando addirittura di praticarla o insultarla. No, proprio non li sopportava.

- Salazar, questa potrebbe essere una svolta e ogni mago o strega anche di età superiore ai diciassette anni potrà essere istruito! Magari in separata sede rispetto agli studenti, ma perché precludere a un mago la possibilità di imparare dai migliori insegnati che la Bretagna può offrirgli?- era un sognatore, Godric,  pensava in grande e specialmente quando si hanno ventidue anni e una testa piena di idee non si può fare a meno di vedere realizzati tutti i nostri progetti anche solo nella nostra mente.

- Fantastico, ma oltre questa tua illuminate spiegazione sul come istruire: hai la minima idea sul chi, dove e quando fare tutto ciò?- chiese ironico Salazar, continuando ad avanzare fino a ritrovarsi alle porte di un immensa reggia che occupava la maggior parte della piccola cittadina scozzese e che spiccava per le torrette alte e color celeste pastello, rendendola eterea e fluttuante nell’immensità del cielo azzurro coperto da qualche nuvola bianca.

- Dove e quando sono da definire, amico mio, ma il chi penso proprio che lo conoscerai a breve. Sai, tuo padre è da tanto che ti obbliga a visitare la reggia dei Corvonero e quale migliore occasione per conoscere meglio la splendida Priscilla se non questa?- disse Godric, mettendo su il più abbagliante dei sorrisi per convincere il suo amico a non tornare indietro e ritirarsi. Il suo padrone, per l’appunto il lord inglese Salazar Serpeverde, infatti, aveva più volte rimandato la visita al maniero dei Corvonero per non rivedere la figlia saccente e indisponente di Taddeus, amico di vecchia data di suo padre, che lo irritava profondamente ogni qual volta veniva a fare visita alla sua reggia con tutta la famiglia al seguito.

- Spero tu stia scherzando, Godric, perché conosco bene la cara Priscilla e la mia voglia di rivederla è pari a quella che avrebbe un uomo di avere un cappio al collo.- rispose con tono pacato il conte, non nascondendo una profonda irritazione al pensiero di quell’eventualità.

- Mi dispiace dirvi, padrone, che il buon vecchio Taddeus Corvonero ci attende e che non vede l’ora di rivedervi.- disse con scherno Godric, improvvisando un finto tono servile e avviandosi verso la reggia seguito di controvoglia dal giovane Serpeverde.

- Tu e mio padre vi siete coalizzati contro di me, non è così?- disse, digrignando i denti, un più che irato Salazar.

- Al contrario di te, tuo padre è estasiato dalla mia idea e mi ha suggerito di chiedere l’aiuto di lady Priscilla per fondare la scuola.

- Sappi che questa me la pagherai, stupido araldo che non sei altro!

- Sappiamo entrambi che senza di me ti annoieresti.

- Io credo invece che la mia vita sarebbe tranquilla e priva di rischi inutili, senza di te.

- Ma quanto siamo antipatici, oggi, hai per caso dimenticato di prendere il latte zuccherato stamani?

- Non sei divertente, Godric.

- Dici? Io mi diverto molto!- continuarono a battibeccare fino ad arrivare al portone d’ingresso bianco finemente lavorato, dove vennero interrotti da un paio di guardie che li annunciarono e li scortarono fino a un’ ampia stanza con dei sofà blu e le pareti turchesi, illuminati dalla luce delle ampie vetrate che mostravano la vista del giardino nel retro della proprietà e le colline in lontananza.

- Beh, questa si che è classe.- si lasciò scappare Godric.

- Contenta che voi lo pensiate, scudiero.- si sentì dire con tono fiero ed entrambi gli uomini si voltarono per vedere da chi provenissero quelle parole.

Una giovane donna con un abito semplice color zaffiro adornato da piccoli topazi azzurri fece capolino nella stanza seguita a ruota da un uomo più anziano che zoppicava leggermente e che subito andò a sedersi su uno dei due sofà, massaggiandosi lentamente la gamba destra. I due ragazzi si inchinarono all’uomo, un più che ricco borghese che aveva fatto molta fortuna e che poteva benissimo essere considerato un nobile nel campo ristretto in cui viveva, e alla giovane donna che colpì entrambi per l’aspetto austero e lo sguardo fiero con cui si rivolgeva loro. Priscilla Corvonero non era certo tra le donne più belle, eppure nell’amplesso era molto carina e raffinata nei modi di fare.
Alta e dal fisico asciutto, lunghi capelli castani e  liscissimi che le arrivavano fino alla vita, occhi color cioccolato sempre attenti e intelligenti e tratti del viso spigolosi, ma che ben si adattavano alle sue forme e che in generale facevano di lei una bella donna seppur non eccessivamente e in maniera folgorante. Indossava un bellissimo diadema intrecciato in modo da formare un corvo e con dei topazi blu incastonati: anche se non era una vera e propria principessa, grazie al suo aspetto ci andava molto vicina.

- Lieto di rivedervi, my lady.- disse  controvoglia il giovane Salazar, sedendosi poi accanto a Godric nel divanetto di fronte a quello del barone.

- Il piacere è tutto mio.- se possibile, la giovane appariva ancor più contrariata nel rivedere quello che per anni era stato il suo promesso, almeno fino a quando suo padre non si era finalmente capacitato dell’odio che scorreva tra i due.

- Allora, Salazar, qual buon vento ti porta qui al mio cospetto? C’è forse qualche affare,- e indicò la figlia con lo sguardo. - Di cui vorresti parlarmi?

- Niente di ciò che state pensando, Taddeus. Siamo qui per… illustrarvi un’idea e sperare in un vostro aiuto per realizzarla. Il mio scudiero ha pensato bene di… cosa avevi di preciso in mente?- incitò Salazar, guardando Godric con sfida immaginando che non avrebbe avuto il coraggio di rivolgersi all’uomo e proporgli la sua strampalata idea.

- Se mi permettete, signore, e anche lord Ophintus Serpeverde è del mio stesso avviso, sarebbe più che conveniente creare una scuola dove maghi e streghe possano imparare ad usare la magia in maniera corretta e in egual modo per tutti, specializzandosi in più discipline per poi tornare utili alla comunità magica che molto soffre questa derisione da parte dei Babbani. Vede, lord Corvonero, io credo sia giusto insegnare la magia ai maghi più giovani in modo da prepararli a quello che li aspetta fuori e trovo sia ancor più giusto giusto che i maghi più capaci insegnino a queste nuove generazioni i loro segreti istruendoli in vari campi, dai più generici ai più specifici.- disse con fierezza, dimostrando il coraggio che Salazar credeva non avrebbe mai avuto.

Ci fu un attimo di silenzio nel quale si sentiva solo il ticchettio fastidioso delle scarpe della ragazza, intenta a ragionare sulla possibile realizzazione di quell’allettante idea. Un attimo interminabile che avrebbe potuto decretare l’inizio o la fine del sogno di quel giovane che aveva dimostrato coraggio nell’esporre quella sua originale idea e che credeva con fermezza nei suoi obbiettivi.

- E in che modo avresti bisogno di noi, impavido scudiero?- proruppe poi Priscilla, spezzando quel silenzio che si era venuto a creare e stupendo Salazar, che già immaginava il declino di quell’assurda idea.

- Beh, ecco… ci servirebbe qualcuno con uno spiccato intelletto e molta saggezza per prendere delle decisioni e, stando a ciò che mi ha consigliato lord Ophintus, voi siete la donna giusta per organizzare tutto questo e realizzarlo. Vengo da una piccola comunità magica agli estremi dell’Inghilterra e lì i giovani maghi e le giovani streghe non possiedono le competenze necessarie per poter usufruire al meglio dei loro poteri e diventare qualcuno nel nostro mondo. Questo è sempre stato il sogno un po’ ambizioso di, come dite voi, un impavido scudiero, ma se ci aiuterete potrebbe essere più realtà e meno sogno.- tutti ammutolirono nel sentire con quanta passione quel giovane esponeva le sue idee e con quanta convinzione le portasse avanti. Priscilla rimase a dir poco affascinata da tutto quell’ardore e, scambiando uno sguardo d’intesa con suo padre, non ebbe dubbi sulla risposta da dare a quell’impavido scudiero sognatore.

- Accetto. Le tue intenzioni sono nobili, scudiero, e non posso che essere onorata se lord Serpeverde ha pensato proprio a me per questo compito, quindi consideratemi parte integrante di questo progetto e accettate di soggiornare qui almeno fino a che non avremo organizzato tutto per il meglio; poi penseremo al resto.- Godric improvvisò un baciamano veloce, voltandosi poi verso Salazar che sorrideva in modo tirato.

- Grazie, my lady, non ha idea di quanto questo possa farmi felice.

- Non c’è di che, scudiero. Ora se non vi dispiace, signori, vado a ritirami nelle mie stanze: ci rivedremo questa sera a cena.
Detto questo scomparì da dove era entrata lasciandosi dietro sguardi ammirati e anche un po’ sbigottiti.

- Mia figlia è molto saggia e se ha voluto darvi una mano vuol dire che nel vostro progetto vede più di un sogno, ma una solida realtà. Spero solo che questo porti a qualcosa di realmente positivo e, se posso dirlo, avete delle idee molto bizzarre, scudiero… - disse Taddeus, sorridendo bonariamente in direzione di Godric il quale ascoltava con il capo semi chino il discorso dell’uomo.

- È quello che gli dico sempre anch’io e… - ma Corvonero ignorò del tutto le parole velenose di Salazar soffermandosi a parlare con Godric, che alzò il capo non appena una mano dell’uomo si appoggiò alla sua spalla.

- Ma parlate con coraggio e ragionate con il cuore e queste sono qualità davvero nobili. Come vi chiamate? Ora che ci penso, non conosco nemmeno il nome di questo impavido giovane.- continuò, scherzando un po’ sul nomignolo che la figlia aveva affibbiato al ragazzo.

- Godric… - deglutì. – Godric Grifondoro, signore.- rispose, ritrovando poi la sua sicurezza.

- Bene, Godric, puoi anche evitare tutti questi atti reverenziali con me, non mi è mai piaciuto farli e tantomeno mi piace riceverli, perciò smetti di inchinarti: non sono così nobile. E comunque, continua così, ragazzo, e chissà che la vita non ti riservi piacevoli sorprese,- disse a Godric, che sorrideva compiaciuto e anche un po’ tronfio e non disdegnava certo i complimenti. – In quanto a te, Salazar, sono contento che ti circondi di persone così e chissà che non si riesca a sciogliere il tuo animo di ghiaccio con una compagnia così piacevole, adesso.- si rivolse poi a Salazar che, come sempre, annuiva e sorrideva fintamente, stanco che un semplice scudiero fosse sempre considerato migliore di lui, che era uno dei lord più nobili in tutto il Mondo Magico.

L’invidia… l’invidia è uno di quei sentimenti antichi e sempre presenti che non muoiono mai e non portano mai a nulla di buono. Salazar era profondamente invidioso di Godric e l’unica cosa che lo aveva sempre reso superiore a lui era la sua classe sociale e il suo rango di Purosangue, eppure sentire le parole di Corvonero lo aveva fatto infuriare .
Perché lui non sarebbe mai stato così schifosamente coraggioso e così maledettamente leale e cavalleresco. No.

Lui era calcolatore, ambizioso e tradizionalista e ovviamente ciò non poteva competere con la fierezza di quel pallone gonfiato di Godric secondo tutti. E intanto aspettava, aspettava il momento della sua rivalsa contro tutti, contro suo padre che lo credeva solo un buono a nulla, contro sua madre che avrebbe preferito avere un figlio come Godric, contro il suo migliore amico che non perdeva occasione per sminuirlo anche se non se ne rendeva conto. Covava rancore, uno forte e dalle radici profonde, perché era cresciuto con quel ragazzo che gli aveva portato via tutto, persino l’amore della sua famiglia. Perché Godric era migliore, praticamente perfetto agli occhi di tutti e lui solo un rifiuto che avrebbero volentieri buttato via se non fosse stato un Purosangue.

Un giorno la sua vendetta l’avrebbe avuta e finalmente avrebbe sminuito Godric, portandogli via tutto ciò in cui credeva. Aspettava perché, alla fine, l’unica delle sue più grandi doti era la pazienza.



Ed effettivamente gli anni passarono, così come maturarono i frutti dell’odio di Salazar e il lavoro di Godric che, dopo ben due anni, vide finalmente la luce. Parecchi erano stati gli attimi di sconforto e ancor di più le difficoltà di organizzazione eppure adesso erano lì ad osservare, incantati, quel castello che sarebbe diventata la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e che avrebbe ospitato i più famosi maghi e streghe del mondo.
Tre mesi dopo la visita al maniero dei Corvonero avevano incontrato, in una breve sosta a Belfast, quella che sarebbe stata la quarta ed ultima fondatrice: Tosca Tassorosso, una Mezzosangue che lavorava come massaia nella casa di un signorotto di provincia e che era stata ben lieta di accettare la proposta ambiziosa di tre giovani maghi, che la ritenevano oltremodo idonea per ricoprire quella carica così importate. Così, dopo aver costruito da zero il castello, disposto i dormitori, organizzato le classi, le materie, ingaggiato i professori, rifornito una biblioteca grazie al prezioso aiuto di Taddeus Corvonero e assunto degli elfi domestici per le faccende e la gestione della cucina in modo da non dover affaticare Tosca e Priscilla, mancava solo una cosa: gli studenti e su quel punto erano ancora tutti molto perplessi e indecisi.


- Non possiamo far iniziare tutti dal principio: un sedicenne al primo anno sarebbe parecchio strano.- affermava Tosca, che pensava al disagio che poteva creare quella situazione.

- Ma se non è capace dovrà ricominciare da capo e per quello sì, anche un sedicenne dovrà frequentare una classe di alunni del primo anno.- disse risoluta Priscilla, mentre sorseggiava dell’idromele dalla sua coppa d’argento.

- Priscilla, hai idea di come potrebbero sentirsi gli studenti?- cercava di spiegarle Tosca, tagliando con fin troppa foga un pezzo di carne per l’emozione.

- Non è affar nostro, Tosca, di certo non possiamo occuparci anche della sensibilità dello studente.- si impose Salazar, con tono serio e inquietante, mentre osservava assente tutti i commensali.

- Ma… - tentò la giovane Tassorosso,che venne subito interrotta da Godric.

- Distribuiamoli ed esaminiamoli separatamente: di sicuro è meglio se ognuno di noi si occupasse solo di una parte degli studenti in modo che i più grandi possano raggiungere più facilmente un livello adatto alla loro età senza intralciare i più piccoli e inesperti.- disse solenne, addentando con poca grazia un pezzo di pollo.

- Buona idea, Godric, ma con che criterio pensi di dividerli questi studenti?- lo sfidò divertita Priscilla, appoggiando i gomiti al tavolo e incrociando le mani sotto al mento.

- Di quelli saccenti e indisponenti potresti occupartene tu, non trovi Priscilla?- la prese in giro Salazar, continuando a masticare con lentezza il suo cibo.

- E tu potresti occuparti di quelli arroganti e dalla spiccata ironia, Salazar.- sputò con cattiveria quel nome, come se le desse fastidio addirittura il pronunciarlo.

- Per favore, signori, smettetela, - cercò di riportarli all’ordine Tosca, che era sempre la moderatrice nei battibecchi tra i due. – però non è una cattiva idea: tu che ne pensi, Godric?- chiese poi esitante, girandosi verso un Godric dall’espressione pensierosa particolarmente buffa, che le provocò una risatina.

- Dico che si potrebbe benissimo fare senza problemi, anzi ci verrebbe anche molto più comodo.- decretò, annuendo soddisfatto in direzione dei suoi colleghi.

- Non credi che radunare maghi e streghe sia già abbastanza? Dovremo pure seguirli in separata sede uno per uno? Dove pensi di trovarlo il tempo, Godric?- chiese Salazar irritato, non voleva di certo perder tempo con le stupide fantasie di un insulso sognatore.

- Propongo di cercare degli aiutanti, ragazzi che sappiano già padroneggiare la magia e che cercheranno i giovani maghi e streghe al posto nostro, mentre noi staremo qui ad occuparci degli studenti.- propose Priscilla e subito un leggero chiacchiericcio animò la tavola, con commenti vari sulla proposta e qualche accorgimento.

- Direi che sarebbe perfetto, non trovate?- chiese allora Godric e tutti, chi di controvoglia chi con entusiasmo, accettarono di buon grado la proposta e subito iniziarono a proporre nomi di ragazzi che avrebbero potuto svolgere quel compito.


Questo nei libri di storia non viene detto, non si parla della vecchia amicizia tra Grifondoro e Serpeverde come non si parla delle origini del primo e di come tutto ebbe veramente inizio.
Hogwarts non si è creata da sola, ma grazie al sacrificio di due uomini e due donne che, chi più chi meno, ci hanno creduto e che, nonostante tutte le difficoltà, sono andati avanti e hanno portato a termine il sogno di un impavido scudiero.
Non trapela tutta la fatica e tutti gli sforzi che il mantenere quel grande castello ha portato, quei sogni che sono stati coltivati e la sensazione di libertà che pervadeva i giovani maghi che varcavano quella soglia ed entravano, finalmente, nella quint’essenza del loro mondo.
Non vengono nemmeno nominati i quattro giovani aiutanti scelti in base a severi criteri ed approfondite analisi e di come questi quattro giocarono un ruolo fondamentale nella gestione di quella scuola e delle casate che vennero loro assegnate, perché in tempi remoti i direttori delle case non erano i professori, ma quattro studenti da poco maggiorenni che ogni anno reclutavano decine e decine di nuovi eletti tra tutte le classi sociali in tutta la Gran Bretagna.
No, di questo i libri di storia non ne parlano, non si accenna al perché del tradimento di Salazar e a tutto quel rancore che si era insinuato nel suo cuore rendendolo cieco, perché aveva perso di vista i valori e gli amici; non si parla nemmeno del suo pentimento e di ciò che gli successe lontano da Hogwarts.
Nel libro di Storia della Magia non c’è scritto niente di tutto questo e nemmeno io oggi vi racconterò tutta la storia, ma solo in parte, perché anche voi dovete sapere, dovete conoscere i segreti dei quattro fondatori.



Quando pensi che al mondo sei solo, che non ci sia nessuno a parte te, che cadi nello sconforto e che credi che non potrebbe andarti peggio; beh, ecco che arriva una svolta nella tua vita e che sia buona o brutta purtroppo non ci è dato saperlo, ma c’è una certezza: da quel momento la tua vita cambia e anche in maniera radicale.

Questo è ciò che è successo ad Asher, giovane ragazzo di campagna di origini Gallesi che già all’età di diciannove anni lavorava come fabbro nella sua cittadina aiutato, all’insaputa di tutti, dalla magia che rendeva speciali i ferri e le armi che fabbricava rendendoli i più ambiti di tutto il Galles. Ed è proprio qui che Tosca e Salazar lo notarono e che, sotto insistenza della prima, lo “esaminarono”. Aveva i capelli castani molto chiari e gli occhi color caramello, che erano l’unica cosa che si riusciva a scorgere nel suo viso ricoperto quasi del tutto di fuliggine insieme ai suoi umili indumenti e tutto il resto del suo corpo. Dire che Salazar fosse schifato sarebbe stato un eufemismo, ma la buona Tosca, che non si lasciava ingannare dalle apparenze, vide nel ragazzo un ardore che in pochi avevano e un grande valore e, successivamente, un grande potere che si condensava abilmente nelle sue mani per forgiare oggetti di grande valore e resistenza, quasi indistruttibili.

- Ti assegno un compito, Asher, e se saprai portarlo a termine allora capirò se sei in grado di aiutarci.- gli aveva proposto Tosca e lui, impulsivo com’era, non aveva esitato nell’accettare. Doveva forgiare la più bella e potente delle spade con il metallo dei folletti e poi consegnarla a lei entro tre giorni.

Tosca sapeva che la spada avrebbe preso la forma e i colori della casata giusta per il ragazzo una volta ultimata; anche se in cuor suo già sapeva, e lo vedeva anche quello stolto di Salazar, quale sarebbe stato il destino di Asher MacDougall. Lavorò sodo, usando tutti i trucchi che aveva imparato e gli incantesimi che conosceva e alla fine, una volta ammirato il suo lavoro allo scadere del terzo giorno, la testa di un leone si frappose nello spazio tra l’elsa e la lama creando un bellissimo decoro in metallo argentato, ai lati dell’elsa si incastonarono due rubini e si incise proprio nell’impugnatura il nome Grifondoro in rune, designando quindi la sorte certa del ragazzo.

Ebbene sì, un mago dal dubbio rango era il primo Grifondoro di una lunga, lunghissima serie e fu proprio lui a forgiare la spada di Godric che, alla sua morte, venne riposta nel Cappello Parlante con il compito di aiutare tutti i Grifondoro in difficoltà. Perché in quella spada c’era un piccolo frammento dell’anima di un giovane che voleva cambiare vita e ricominciare, un giovane mago che si era ritrovato in un bivio dove da un lato c’era il suo lavoro di fabbro e dall’altro l’ignoto e che, da vero Grifondoro che si rispetti, aveva scelto senza mezzi termini quest’ultimo perché non aveva paura delle conseguenze.


Andarono in lungo e in largo i quattro fondatori, alla ricerca dei restanti tre ragazzi. Attraversarono la bella Londra, le lande scozzesi e perfino l’intera Irlanda per trovare qualcuno di idoneo e, secondo Salazar, più Purosangue. In Inghilterra quest’ultimo chiese l’aiuto ad un suo vecchio amico, un certo Leopold Black, che fu lieto di “concedere” il suo secondogenito alla causa.

Era una ragazzo semplice, Eltanin Leo Black, senza troppe pretese e dalla spiccata intelligenza e applicazione nella magia. Capelli corvini e occhi verde prato, un fisico asciutto e poco allenato (a cui avrebbero poi rimediato, si diceva Salazar) e un sangue totalmente puro. Il candidato perfetto, decantava Salazar agli altri tre fondatori, che chinarono la testa ed acconsentirono all’entrata nel progetto del ragazzo.
Ma i quattro non sapevano che Leo (preferiva farsi chiamare così), intanto, aveva tante idee in mente e anche manie di grandezza sufficienti da fare in modo di venire ricordato per sempre. Perché lui creò una cosa, mentre era ad Hogwarts, un oggetto che avrebbe portato solo guai in futuro, ma che nel lontano 992 aveva salvato la vita di molte persone e distrutto quella di altre.

Già Salazar sapeva chi sarebbe stato il suo protetto, eppure, quando si crede di avere tutto in pugno ecco che la cosa ti scivola di mano e capisci che, nella vita, i progetti è meglio farli alla fine perché non sai mai le occasioni che potrebbero capitarti nel frattempo.


Furono Tosca e Priscilla, alla fine, che trovarono le ultime due componenti di quella bizzarra squadra, ma non immaginavano minimamente a cosa andavano in contro una volta viste due ragazze dai poteri più grandi di quelli di qualsiasi mago o strega conosciuti. All’apparenza erano due ragazze normali, Crystal e Antares; molto belle ed eleganti, in mezzo alla folla di popolani spiccavano per la loro raffinatezza e l’insolito stile, che ricordava vagamente le tuniche greche. Saltavano all’occhio e questo colpì in maniera quasi fulminante Priscilla che convinse Tosca a seguirle fino ad una modesta casetta fuori dalla piccola cittadina inglese in cui si trovavano. Più che una casa sembrava una bottega ed esposti fuori vi erano dei bellissimi cristalli color ghiaccio con dentro un materiale strano, color rosso, che sembrava ardere come un fuoco acceso.

- Priscilla, quali sono le tue intenzioni, se mi è dato saperlo?- le chiese, un po’ intimorita, Tosca, a cui faceva molta soggezione quell’austera donna che l’aveva accompagnata in quel viaggio.

- Sembra fuoco racchiuso nel ghiaccio, Tosca, e questo va contro ogni legge magica! Devo saperne di più.- rispose convinta, mentre si avviava a passo fiero nel retro della casetta, rimanendo basita di fronte la scena che le si parò davanti. Due ragazze che, con due schiocchi di dita creavano una fiamma e la racchiudevano dentro uno strato di ghiaccio dalla forma sempre diversa.
Ridevano contente e divertite e non si accorsero della presenza delle due donne che le osservavano curiose e allo stesso tempo intimorite da tutta quell’energia fuori dal comune. Fu Antares, alla fine, a notare le due visitatrici e, bruscamente, ad interrompere quella magia che condivideva con l’amica.

- Chi siete e perché ci spiavate?- chiese infastidita, ponendosi nel campo visivo delle due donne.

- Vedi di moderare i toni, ragazzina, parli con due streghe più anziane e potenti di te.- ribatté piccata Priscilla, che non amava particolarmente chi si rivolgeva a lei con modi così irrispettosi, anche se le domande della ragazza erano più che lecite. Antares emise una piccola risatina, ma subito si ricompose.

- Avrei i miei dubbi, my lady, sulla vostra ultima affermazione.- disse poi, incrociando le braccia al petto in segno di sfida. I capelli ricci e rossi le ricadevano come lingue di fuoco fino ai fianchi e gli occhi, di uno strano color castano-arancione trasmettevano una sorta di elettricità strana, che inquietava e allo stesso tempo attirava.

- Antares, non dobbiamo dare spettacolo, ricordi?- la redarguì l’amica, posandole una mano sulla spalla e spegnendo con un tocco tutto il calore che emanava la rossa.

- Queste due donne sono delle incoscienti, Crystal, non hanno idea di con chi hanno a che fare.- ribatté allora Antares, più serena, ma sempre determinata.

- Come osi…- iniziò Priscilla, subito interrotta da Tosca che sapeva, ne era praticamente certa, come sarebbe riuscita a peggiorare le cose l’amica con una sola frase.

- Scusateci, non era nostra intenzione disturbare voi e la vostra magnifica arte. Siamo rimaste molto colpite dai vostri poteri, che certamente non sono comuni neanche ai maghi più esperti e la vostra padronanza della magia senza l’ausilio di una bacchetta è a dir poco stupefacente. Vorrei… vorremmo conoscervi più a fondo e farvi una proposta.- spiegò pacata, rivolgendo alle due ragazze uno sguardo carico di aspettative.
Riusciva a far addolcire anche Salazar, certe volte, lo sguardo dolce di Tosca, quegli occhi azzurri limpidi e puri che riuscivano ad ipnotizzare e calmare quando si era più nervosi e carichi di rabbia. Erano diverse, Priscilla e Tosca, la prima alta e dai tratti spigolosi e la seconda bassina e formosa, con un visetto rotondo e paffuto incorniciato da dei bellissimi capelli color oro molto lunghi e mossi. Non potevano essere più differenti le due fondatrici eppure si compensavano e riuscivano a convivere in equilibrio e armonia.

Si guardarono, le due ragazze, e alla fine acconsentirono e accompagnarono le due donne dentro la loro dimora che, grazie ad un incanto, appariva molto più grande all’interno di quanto non lo fosse all’esterno. Si sedettero e sorseggiarono un po’ di the, come di regola, e cercarono di spiegare a grandi linee la loro natura alle due donne.

- Vi assomigliate molto, voi due, siete sorelle?- chiese timidamente Tosca, bevendo un sorso di te'.

- Siamo nate dalla stessa stella e quindi, per come ci considerate voi terreni… sì, si può dire che siamo sorelle.- spiegò Crystal, che appariva ancor più pallida fasciata dal suo semplice vestito argento e turchese. Aveva grandi occhi azzurri dello stesso colore del ghiaccio e i tratti del viso delicati, meno marcati rispetto all’amica, eterei e proporzionati, capelli biondi molto chiari, lunghi e leggermente acconciati con dei ciuffetti argentati qua e là.

Priscilla rimase turbata dalle parole delle ragazza e volle indagare più a fondo, cercando di scoprire cosa effettivamente erano quelle due.

- Che intendi con: siamo nate dalla stessa stella? Non credo di aver afferrato bene il concetto.- era strano, per lei, essere all’oscuro di qualcosa. Sapeva tutto, eppure quelle due ragazze rappresentavano l’ignoto, un mistero, e lei odiava non sapere le cose.

- Ecco vede…- tentò di spiegarle Crystal.

- Noi non siamo umane.- disse secca Antares, guardando con una certa punta di compiacimento l’espressione sbigottita di Priscilla.

- Cosa?- era a dir poco incredula.

- Antares!- la richiamò Crystal, sospirando rassegnata.

- Cosa c’è? Ho solamente evitato domande inutili.- si giustificò, cercando di contenere tutto il fuoco che le divampava dentro.

- Bene, adesso credo che dovremo darvi una spiegazione.- decretò Crystal, rivolgendosi alle due donne.

Parlò molto, tanto che alla fine si fece notte inoltrata, e nel frattempo cercava di non lasciare trapelare troppo, nonostante avesse avvertito che di quelle due donne avrebbe potuto fidarsi ciecamente. Lei e Antares padroneggiavano la magia, ma non erano streghe, e i loro poteri andavano ben oltre i semplici incantesimi dei maghi.
Erano nate dalle stelle e custodivano la forza e i poteri del fuoco e del ghiaccio, che dovevano preservare e curare. Erano esseri immortali, sempiterne che alternavano la loro vita tra il loro mondo aldilà del cielo e la Terra, per occuparsi dei terreni (sia Babbani che maghi).
Prendevano un aspetto diverso nel loro mondo e almeno una volta al mese dovevano assorbire la luce della loro stella madre per nutrire la loro immortalità e giovinezza. Se ciò non accadeva avrebbero potuto perdere i poteri e diventare normali terrene, senza più la possibilità di tornare indietro.
Avevano esigenze diverse in base alla forma che acquisivano poiché in forma terrena avevano gli stessi bisogni degli umani quali magiare, bere, dormire; mentre in forma astrale non avevano necessità di nulla e riuscivano a sprigionare la quint’essenza dell’elemento di cui erano custodi. Avevano sangue magico, nelle vene, mischiato a sangue divino e ciò le rendeva gli esseri più potenti di tutto il mondo conosciuto.

- Ce ne sono molte come noi, sparse per tutto il mondo, ma sono così ben integrate che nessuno ci fa caso. Siamo leggenda per molti popoli eppure non si accorgono di vivere a stretto contatto con noi.- concluse poi Crystal, sospirando stanca dopo il lungo racconto.

- È… è stupefacente! Voi siete… non avevo idea che… Priscilla, che ne dici?- Tosca era parecchio su di giri ed eccessivamente eccitata, era rimasta profondamente colpita dalla storia delle due giovani e ancora stentava a credere che potesse esistere un mondo così aldilà delle loro conoscenze.

- Io… non avevo idea… ho letto, una volta, di voi sempiterne e credevo foste solo creature della mitologia magica da tempo dimenticata.- disse poi Priscilla, incantata. – Vorrei che voi faceste parte del nostro progetto.- proruppe poi, nello stupore generale delle tre donne.

- Perché dovremmo accettare?- chiese allora Antares, con una calma piatta da fare invidia a Salazar Serpeverde in persona.

- Perché abbiamo bisogno di voi, che conoscete la nostra magia e siete così brave nella vostra, per poter dirigere al meglio Hogwarts.- cercò di convincerle Tosca, ancora in visibilio.

- Accettiamo.- decretò alla fine Crystal, lasciando stupita l’amica che subito dopo si convinse e diede la sua disponibilità al progetto.

Anche due creature sovrannaturali e dai grandi poteri entrarono nelle mura di Hogwarts e guidarono gli studenti nel loro percorso di apprendimento, spiegando loro il passato, che avevano già affrontato, e il presente che le vedeva protagoniste. Adesso le sempiterne sono estinte già da tempo, le stelle non offrono più le loro figlie ai terreni e il mondo aldilà del cielo resta solo una leggenda, ma c’era un tempo in cui i due mondi convivevano in armonia, dove tutto aveva un equilibrio stabile; quel tempo nessuno lo ricorda ed è stato bruscamente cancellato dai libri di storia per non far sapere, perché sarebbe troppo brutto da scoprire.

Perché c’è un motivo se tutte le sempiterne esistenti allora, cessarono di vivere con i terreni per ritornare al loro mondo; c’è una ragione se di Crystal e Antares nessuno ne parla, se la loro storia hanno preferito dimenticarla piuttosto che ricordarla. Quel motivo è oscuro e tutte le cose brutte vorrebbero essere dimenticate e cancellate; quel motivo risale proprio all’era dei fondatori, dove quattro ragazzi dalle più disparate origini andavano alla ricerca di maghi e streghe non identificati per portarli al castello e poi occuparsi di loro diventando delle vere e proprie guide.

Perché erano leali, buoni, ambiziosi e intelligenti, ma erano giovani ed è per questo che dopo di loro nessun’altro ragazzo ha ricoperto le loro cariche di direttori delle case, lasciando quel compito ai professori. Perché la giovinezza è sinonimo di emozioni troppo forti e sentimenti contrastanti e quelli, molte volte, fanno male.


 
Nell’aprile del terzo anno*, finalmente e dopo tanti sforzi, i quattro ragazzi misero piede per la prima volta in quella che sarebbe stata la loro casa da lì in poi. Il pavimento e i muri di pietra mettevano un po’ di soggezione all’inizio, ma la luce che filtrava dalle ampie finestre rendeva l’atmosfera delicata e allegra, sfumando quel primo terrore  che impadroniva chi vi entrava per la prima volta.

C’erano tanti quadri parlanti appesi ai muri che si spostavano a loro piacimento e delle armature lucenti messe come guardia dei corridoi. Scale a cui piaceva cambiare, aule grandi e piene di oggetti strani, torri e archi a perdita d’occhio, una biblioteca piena di ogni libro esistente, quattro dormitori sparsi un po’ ovunque e una grandissima sala di ritrovo, la quint’essenza della magia, così magnifica da apparire irreale. Vi erano quattro lunghi tavoli, uno per ogni casata (anche se totalmente vuoti), lampade ad olio sorrette dalle statue di cavalli alati attaccati alle pareti, di pietra chiara e ben levigata, un enorme camino in prossimità del tavolo dei Serpeverde con sopra lo stemma della scuola e il soffitto magico che rifletteva i colori di quel delicato crepuscolo pomeridiano, in fondo vi era un tavolo disposto orizzontalmente rispetto agli altri con quattro troni sontuosi e dai colori sgargianti e altre sedie per i professori e i direttori delle case.
Non poteva esistere niente di più bello, pensarono in comune i quattro ragazzi, che avevano percorso in religioso silenzio il tragitto dall’ingresso alla Sala Grande. C’era un silenzio sterile, interrotto solo dai respiri stufi di Asher che, il silenzio, non poteva proprio sopportalo.

- Non trovate anche voi che sia meraviglioso?- sbottò ad un certo punto, continuando ad osservare il soffitto incantato.

- È bellissimo. Non credo di aver mai visto niente di più bello: questo castello è… è…- iniziò Crystal, emozionata.

- Magico…- sentenziò Leo, mentre si guardava intorno ancora meravigliato.

- Beh, sono maghi e streghe di altissimo livello, di sicuro non avrebbero potuto creare una catapecchia.- disse poi Antares, in modo secco e quasi irritato.

- Oh, Antares, goditi il momento.- la rimproverò Crystal, dandole una piccola gomitata al braccio.

Sorrideva, Crystal, allegra e spontanea. Il suo sorriso incantava ogni persona, che si fermava sempre guardarla con espressione estasiata. Forse fu per questo che Asher si soffermò a guardarla e che, ad un certo punto, venne pervaso da una strana voglia di parlarle, di conoscerla. Si avvicinò a lei, molto lentamente e con cautela, e improvvisò quello che voleva essere un baciamano, ma che risultò qualcosa di discutibile che provocò le risa della ragazza.

- Come vi chiamate?- chiese in un sussurro, non interrompendo neanche per un istante il contatto visivo con la ragazza.

- Crystal. E voi, impavido giovane?- scherzò lei, squadrandolo bene senza che lui se ne rendesse conto.

- A… Asher,- tossì, imbarazzato. – Asher MacDougall, my lady.- riuscì a dire, ricordando la necessità di respirare.

- Lieta di conoscervi.- disse, senza nemmeno rendersi conto del tono sensuale che aveva usato.

- Il piacere è tutto mio,- disse lui, ancora frastornato, poi si rivolse agli altri. – E voi?

- Eltanin Leo Black, ma gradirei essere chiamato soltanto Leo.- disse il ragazzo, mentre osservava di sottecchi la giovane dai capelli rosso fuoco.

- Antares.- disse soltanto lei, diretta e distaccata. In realtà non era cattiva, era solo stata delusa. Delusa da un passato che le aveva causato solo dolori. Evitava il più possibile i contatti con i terreni e tendeva ad essere fredda, quando anche il fuoco che comandava le diceva di sciogliersi. Era buona e anche dolce, solo che nascondeva tutto sotto strati e strati di arroganza e finta sicurezza perché era stata tradita, da se stessa e dalle emozioni umane che aveva provato ed aveva paura di poter anche solo rivivere quelle sensazioni sgradevoli e travolgenti.

- A quanto pare ci toccherà un lavoraccio, non vi sembra?- continuò Asher, con tono giocoso, sedendosi su una panca del tavolo dei Tassorosso.

- A quanto pare.- confermò mogio Leo, fermo in piedi vicino alle due ragazze.

- Credo che sarà divertente. Insomma, era da secoli che si aspettava una cosa del genere, no?- disse Crystal, visibilmente esaltata.

- In effetti… penso che sarà costruttivo.- se ne uscì Antares, con un tono stranamente felice.

- Vedi che anche tu ti stai lasciando trasportare dalla magia? Certo che voi terreni siete davvero ingegnosi.- disse poi Crystal, incuriosendo i due ragazzi alle parole voi terreni.

- Da dove venite?- chiese poi Leo, che aveva apparentemente sorvolato l’affermazione della ragazza.

- Galles, appena fuori da Cardiff.- rispose Asher.

- Inghilterra, un sobborgo distante pochi piedi** da Londra.- disse Antares.

- Voi?- gli chiese poi Crystal.

- Abito nel cuore della Londra magica.- rispose imbarazzato, non amava particolarmente vantarsi della ricchezza della sua famiglia. Asher fece un fischio di ammirazione.

- Siete un Black, non si può aspettar di meno da voi.- disse ovvio, sorridendo allegramente mentre pronunciava quelle parole.

- Già…- l’imbarazzo di Leo arrivava a livelli insormontabili.

- Arriva qualcuno.- interruppe subito Crystal e, dall’entrata della Sala, fecero la loro comparsa i quattro fondatori.


Svolsero il loro compito in maniera egregia, i ragazzi, trovando maghi e streghe anche nei posti più impensabili e offrendo loro un’opportunità di riscatto o di salvezza. Si prendevano cura degli studenti della loro casata e dirigevano le loro attività, mentre i fondatori si occupavano di intense sedute di recupero per i più grandi decisamente fuori corso.
Quel giorno si conobbero e vennero in un certo senso smistati (ancora non era usato il Cappello Parlante) e tutto cambiò, radicalmente.
Di Asher già era certo il destino, dopo che la spada lo aveva designato per lui, ma per gli altri tre era ancora tutto in ballo e, anche se appariva quasi ovvia la scelta, non andò come tutto era previsto. Salazar, Priscilla e Tosca squadravano insistenti i tre ragazzi rimasti, ma fu solo il primo ad accorgersi dello sguardo che rivolse Godric alla giovane Crystal: era rimasto impressionato e, Salazar se ne accorgeva chiaramente, il suo cuore iniziava a riempirsi di un sentimento che poche volte aveva provato e che lo aveva reso per certi versi debole. Si stava infatuando già dal primo sguardo, dal primo sorriso e Salazar era ben lieto di portare via a Godric qualcosa da lui ritenuta speciale. Così, contro ogni suo principio e pensiero, scelse Crystal come sua protetta, e nello stupore generale riuscì a scorgere una punta di delusione negli occhi di quello che, per anni, era stato il suo migliore amico.

Ti porterò via ogni cosa, a iniziare da qualcosa di così insignificante e stupido” pensava, maligno. L’invidia che non si era mai affievolita e quella ragazza, ignara di tutto, prendeva posto accanto al suo mentore con un dolce sorriso. Successivamente Priscilla scelse, dopo un’accurata analisi e un precedente ragionamento, Leo e a Tosca non rimase altro che Antares che, in silenzio, si mise al suo fianco cercando di non apparire dura o scontrosa con quella donna buona e dolce.


L’infatuazione di Godric non scemò e col tempo il sentimento crebbe, nonostante sapeva in cuor suo di non essere ricambiato e notando come anche Asher guardava quella bellissima ragazza dagli occhi di ghiaccio.
Salazar intanto si godeva lo spettacolo di quei due uomini volubili che si erano piegati ad un sentimento così effimero come l’amore e, severo come sempre, raccomandava a Crystal di reclutare solo Purosangue o, se proprio doveva, dei Mezzosangue. Le insegnava le Arti Oscure e lei, anche se visibilmente contraria, era costretta a seguire i suoi insegnamenti, desiderando ogni giorno che Salazar si accorgesse del suo fanatismo e smettesse di assillarla.
La vita al castello non era per niente facile e i quattro ragazzi se ne accorsero. Viaggiare in lungo e in largo con soli pochi attimi di riposo, occuparsi della piccola Helena (la figlia di Priscilla nata due anni dopo l’apertura effettiva della scuola e di cui non si conosceva l’identità del padre), imparare nuove nozioni e trucchi e dedicarsi, anche se più marginalmente, anche a se stessi.

Passarono i mesi, gli anni, ed Hogwarts raggiunse una notorietà a livelli enormi in breve tempo. Il Ministero era sempre più soddisfatto di quel progetto e dopo poco tempo tutti i maghi della Gran Bretagna erano perfettamente istruiti e consapevoli. Risultati a dir poco eccellenti.


Eppure nessuno sa di tutti gli intrecci che si sono susseguiti nel castello, di come andò a finire con la vendetta di Salazar e con l’infatuazione di Godric e Asher per la stessa donna, di come alla fine Antares si lasciò di nuovo vincere dalle passioni terrene e di come finalmente ritornò felice e gioiosa, di come il diadema di Priscilla avesse effettivamente acquistato il potere di rendere più intelligenti coloro che lo indossavano, del perché Salazar alla fine se andò tradendoli tutti. Di tutte quelle cose non dette di cui non si conosce la trama e la conclusione.
I segreti dei fondatori parla di tutte queste cose e molto di più, ma ci vorrà del tempo prima che decida di svelare tutto quanto perché, alla fine, rimangono pur sempre segreti custoditi nel tempo e nella memoria di un piccolo libriccino stropicciato.
 

***

 
Hogwarts Express, 2018

Venne svegliato, all’improvviso, dal leggero peso di suo cugino Fred che si era buttato senza remore sopra di lui, soffocandolo.
- Buon giorno, bell’addormentato! Avvisiamo la gentile clientela che l’Hogwarts Express diretto ad Hogwarts sta per arrivare alla stazione di Hogsmade e invitiamo i signori passeggeri a indossare le divise e a prepararsi all’arrivo.- disse Fred ridendo, imitando il tono delle vocine registrate degli aeroporti, provocando l’ilarità generale.

- Fred! Mi soffochi!- si lamentava il povero Lou, bruscamente svegliato da quel pazzo.

Aveva visto, aveva sognato, tutto quello che aveva letto su quel libro fino a quel momento e, preoccupato, verificò di avercelo ancora tra le mani.

- Ridammelo, Fred!- gridava, isterico, mentre il cugino gli prendeva da sotto il naso il libro, ridendo come un pazzo.

- È solo un pezzo di carta, Louis! Devi smetterla di leggere e uscire un po’ di più.- gli diceva James, intento a tenersi la pancia dalle risate non appena vista la faccia furente del cugino.

- Dammelo. Subito.- disse il rosso serio, stringendo le mani a pugno fino a far sbiancare le nocche.

- Cos’è, il tuo diario segreto? Molto interessante!- sogghignò Fred, saltellando per tutto lo scompartimento in modo da non far riprendere al cugino quell’importantissimo libro. Fu un attimo e Fred si ritrovò a testa in giù in mezzo allo sconcerto generale.

- Dammelo, immediatamente, razza di idiota!- ringhiò cattivo Louis, con una strana luce maligna negli occhi. Fred, ancora con la testa al posto dei piedi, restituì con mano tremante il libro al cugino che, rasserenato, sospirò sollevato rompendo l’incantesimo.

- Lou, stavamo solo scherzando.- tentò Chris, cercando di smorzare la tensione che si era venuta a creare.

Louis, come risvegliato da uno stato di trance, scosse la testa sconvolto da ciò che aveva fatto, iniziando a borbottare frasi sconnesse per scusarsi.

- Scusate, ragazzi, è che… un brutto sogno… io… non volevo, davvero. Mi… scusa, Fred.- balbettava, rosso in viso e visibilmente imbarazzato: non si riconosceva.

- Tranquillo, adesso so che è meglio non farti arrabbiare.- lo rassicurò Fred, dandogli un’amichevole pacca sulla spalla e ritornando a sorridere come se non fosse successo nulla.
 

In realtà quel nulla sarebbe poi diventato il fulcro dei nostri maledetti problemi. Non avete idea di come una copertina, quattro pagine e un po’ di inchiostro possano essere infide. Non era un caso, non lo è mai, che Lou fosse improvvisamente cambiato. Perché non c’è nessuna bomba senza la miccia. E Louis Weasley era la miccia.
 






*Da quando Godric aveva avuto l’idea, per capirci
**Il piede è l’unità di misura usata in Gran Bretagna e, secondo il mio parere, esisteva già a quei tempi anche se non ne sono del tutto certa. Diciamo che è una licenza poetica così come la geografia dei luoghi che ho citato, perché effettivamente non so se a quei tempi esistessero Londra, Cardiff o addirittura si parlasse già di Scozia, Inghilterra e Galles.



 

Kore's corner

 Okay, sta volta ho una scusa piuttosto convincente per il mio ritardo.
Mi sono rotta un piede con un piccolo incidente.
Per carità, niente di grave, che poi non è nemmeno rotto, ma ho semplicemente una distorsione alla caviglia, però sono stata parecchio impegnata tra ospedale, gesso mobile, fasciatura e quant’altro: un vero stress insomma!
Non so perché, ma queste cose capitano sempre tutte a me! Sono la ragazza sfortunata del distretto dodici… (ogni riferimento è puramente casuale… si come no! :P)

Ma comunque, salve gente! *si guarda intorno, ma non vede nessuno*
Ebbene, sono ancora qui, nonostante mi manchi mezza gamba e stia morendo di caldo.

Ammetto di essere un po’ scoraggiata dallo scarso interesse che sta suscitando questa storia, ma sono fiduciosa e comunque spero che migliori, del resto nonostante il fandom non veda l’ora di liberarsi di me dovrà sopportarmi fino a che non metterò la parola fine e questo accadrà tra moltissimo tempo… diciamo che sono una che non si arrende facilmente.

Come potete vedere, abbiamo fatto un “piccolo” passo indietro, ai tempi dei fondatori, giusto per vedere un po’ come se la passavano quei tizi giusto venti secoli fa, spero vi sia piaciuto ^_^ finalmente poi sono apparse le fantomatiche Crystal e Antares dell’introduzione e come potete ben vedere ho cambiato qualche dettaglio sulla storia dei quattro fondatori, come la spada di Godric (che in realtà è stata forgiata dai folletti), il fatto che Priscilla fosse una donna un po’ più “brutta” di quella che in realtà ci ha detto essere la Rowling e beh, la storia delle sempiterne e il fatto che Salazar e Godric fossero addirittura migliori amici! Diciamo che se ne vedranno delle belle, perché la loro storia non è finita qui! Yep!

Piccola avvertimento: nel prossimo capitolo avremo un lunghissimo salto temporale, infatti passeremo subito al secondo anno saltando tutti i mesi da dicembre in poi, questo perché in questa prima storia parlerò degli avvenimenti che si sviluppano solo fino alla fine del terzo anno e che conterà di venti capitoli esatti, giusto per darvi qualche informazione in più. So che non dovrei e che magari dovrei descrivere di più la quotidianità e tutto, ma come ho già spiegato questa prima parte serve solo da incipit per la seconda, che conterà uno spropositato numero di capitoli in più e in cui analizzerò dal profondo uno per uno tutti i personaggi e, credetemi, sono parecchi.

Detto questo, ora vi saluto e spero che il capitolo vi sia piaciuto. Vorrei davvero sapere se c’è qualcosa che potrei fare per migliorare il mio stile o altro, quindi ogni tipo di commento è ben accetto.

Ringrazio che legge/segue/preferisce/recensisce questa storia, al prossimo aggiornamento! 

Baci,

Kore 

Ps: nel banner sono rappresentati i quattro findatori con in mezzo il povero Louis e qui sotto ci sono Asher e Crystal, che credo un pò tutti ricordere da Merlin e dal trono di Spade, per Antares e Leo ci sto ancora lavorando XD


    

 
 

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