Set 'em free.

di Sef
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Déjà-vu (or not?) ***
Capitolo 2: *** Mindbreaker. ***
Capitolo 3: *** What a (nice) meeting. ***



Capitolo 1
*** Déjà-vu (or not?) ***


Flashback (or not?)
"Every second's soaked in sadness
Every weekend is a war
And I'm drowning in the déjà-vu
we've seen it all before."
Seen it all before, Bring Me The Horizon

“Na-Nathalie?”
Un ragazzo goffo e dinoccolato, in un paio di pantaloni color cachi e una felpa spiegazzata lunga fino alle ginocchia, mi venne incontro mentre uscivo dall’ufficio del preside. Se c’era una cosa che odiavo più dei discorsi di presentazione dei responsabili nelle scuola, quella era l’alunno, o l’alunna che fosse, che mi affibbiavano come guida turistica nel mio primo giorno di scuola, o meglio in uno dei miei troppi primi giorni di scuola.
“Sì, sono io.” Mormorai, senza prestargli troppa attenzione, mentre cercavo tra il plico incipiente di fogli da firmare che avevo tra le braccia quello con gli orari.
“Io sono Ben.”
Ben. Chissà perché dovevano sempre avere nomi scontati.
Sentendo che non proseguiva, alzai sul sguardo su di lui, e non appena incrociammo lo sguardo, lui divenne di un imbarazzante rosso pomodoro, “Devo … devo accompagnarti all’aula della lezione che hai ora.” Esclamò impacciato, dopo un lasso di tempo che sembrò durare qualche secolo.
Continuai a fissarlo, in attesa di una qualche annotazione aggiuntiva, ma lui restava zitto, la bocca leggermente spalancata e gli occhi dilatati, senza riuscire a scollarmi gli occhi di dosso.
Sembrava un chiaro segno divino del fatto che avrei fatto meglio a starmene segregata in casa, come avevo fatto nell’ultimo anno. La verità, però, è che mi sentivo sola. In tutto quel tempo, i miei unici contatti con il mondo esterno erano stati il fattorino della pizza e quello del cinese, oltre a qualche compagnia casuale, pescata a caso dal bar sottocasa, per le notti in cui la solitudine era davvero insostenibile. Soffocando tra quelle quattro mura, mi era sembrata una grande idea, quella di andare in qualche scuola lontana e remota, in un paese non troppo grande, a mischiarmi con i miei coetanei. Sarebbe stato sicuramente meglio che vivere da eremita, anche se 'vivere' non era il termine esatto. 
Solo che, vista la reazione di Ben, mi chiesi istintivamente cosa ci fosse dopotutto di così sbagliato nello stare rinchiusa nell’attico a fissare il soffitto e origliare le conversazioni altrui, oltre a sapere a memoria tutti i film e le serie tv che fossero mai stati prodotte. Soprattutto rispetto ad un qualunque adolescente brufoloso, goffo, e visibilmente abbagliato da me. Ok, forse quello non era colpa sua. Lo spirito di persuasione estremo usato con il responsabile per convincerlo ad accettarmi nonostante le parecchie irregolarità nei miei documenti, ancora mi avvolgeva come un’aura, e sapevo che guardandolo non gli semplificavo di certo la vita. Ma per la miseria, doveva solo accompagnarmi in un’aula e andarsene. Probabilmente ce l’avrei fatta anche da sola, ma al di là del solito fastidio era divertente vederlo tentennare alla ricerca di un vocabolario pressoché capibile.
Finalmente, si riprese. Trasformando il rosso pomodoro del suo viso in un viola melanzana, mi fece segno con il braccio di seguirlo.
Sospirai di sollievo, mentre mi accodavo al suo passo caracollante nei corridoi ampi della McShort’s School, rimuginando su me stessa e chiedendomi cosa ci fosse di sbagliato e tanto masochista nel mio cervello. Mentre passavo accanto a tutti quegli studenti accalcati, percependo fin troppo chiaramente il calore della loro pelle, mi si affollavano alla mente tutti i motivi per cui l’anno prima l’idea della reclusione mi era parsa così buona e sensata, andando a oscurare quelli che mi avevano spinta a fare un altro tentativo. Convivevo con il mio segreto da troppo tempo ormai per pensare ingenuamente che sarebbe stato facile fingermi come tutti gli altri, nonostante gli innumerevoli anni di pratica, e sapevo che mi ero praticamente puntata una pistola alla tempia da sola. Non avevo problemi a fingermi timida e dimessa, ma il mio aspetto non passava inosservato. Non lo faceva mai. Fissavano i miei lunghi capelli corvini e ribelli, i miei occhi neri, in cui non si riusciva a vedere l’iride, le mie labbra carnose e il corpo perfetto. Vedevano in me la bellezza ideale e non riuscivano a non guardarmi (o almeno non avevo ancora incontrato nessun umano che resistesse anche solo al dare un’occhiatina.) O mi invidiavano o mi amavano alla follia, fino a diventare molesti e insopportabili in entrambi i casi. Mi vedevano minuta e fragile, ignorando le mie capacità e quanto in realtà fossi poco vulnerabile. La loro stupidità mista ad ingenuità mi faceva tenerezza, ma difficilmente sopportavo a lungo la pressione che queste situazioni sviluppavano nei miei confronti. Ad un certo punto capivo di essere giunta al limite, smettevo di frequentare la scuola, tagliavo i pochi ponti creati e ricominciavo da zero, cancellando completamente le mie tracce. Sapevo che c’era gente che avrebbe pagato per essere al mio posto, ma a volte desideravo solo essere normale e non aver addosso il macigno di un segreto che non avrei mai potuto rivelare a nessuno. La prima volta che qualcuno ne era stato a conoscenza era stata anche l’ultima, oltre a segnare drasticamente la fine della mia vita e l’inizio di questa, che era molto più simile ad una sopravvivenza.
Fortunatamente mi resi conto di quale brutta piega stesse prendendo la mia mente giusto un attimo prima che il volto dei miei genitori vi irrompesse, portando con sé i ricordi che avevo dell’ultima volta che li avevo visti, prima che finisse tutto.
Mi scrollai di dosso all’istante quei pensieri troppo dolorosi, cercando di scorgere Ben in mezzo alla massa che mi circondava, e ringraziando il cielo quando riconobbi la sua testa arruffata e la sua falcata. Le sue gambe lunghe gli permettevano un passo molto più spedito del mio, oltre al fatto che nemmeno si girava a guardarmi, cercando di portare a termine la sua impresa senza farsi distrarre da me. In fin dei conti questo gli faceva onore e, in minima parte, alzava la mia stima nei suoi confronti, rispetto all’imbarazzante gaffe di poco prima.

Questo, insieme all’inesorabilità di ciò che avevo scelto di subire, mi fece sperare che magari questa volta sarebbe stata quella buona. Anche se, più che una speranza, nella mia testa suonava molto più come una preghiera.
 



Non mi sembra ancora vero di essere riuscita a pubblicare il primo capitolo di questa storia su EFP.  Unicorni, lettori, lettrici, gatti, potterhead, tributes, fan-di-qualsiasi-fandom, se vi va potete lasciare un commento per farmi capire se vi piace, vi ispira, se c'è qualcosa che cambiereste ecc.. qualsiasi idea è ben accetta e probabilmente vi amerei tanto tanto! (ovviamente per chi lo fa c'è in premio un biscotto virtuale lol)
Sperando che vi piaccia, vi abbraccio tutti fortissimo.
Al prossimo capitolo (che prometto sarà più lungo)
S.
 

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Capitolo 2
*** Mindbreaker. ***


2
                                                                                                                                                "I want to hide the truth,
I want to shelter you,
But with the beast inside
There's nowhere we can hide.
(...) Don't get too close,
It's dark inside
It's where my demons hide,
It's where my demons hide."
Demons, Imagine Dragons



Una mano mi strinse il braccio mentre uscivo dall'aula di chimica, finalmente l'ultima lezione della mattina. Dire che non ne potevo più sarebbe stato un eufemismo, di quelli colossali. Ovviamente non avevo impiegato nulla a capire le lezioni, nonostante l'anno completamente sabbatico in cui non avevo sfiorato manco per sbaglio un libro scolastico.
L'attenzione scrupolosa che rivolgevo verso tutto ciò che mi circondava, vicino o lontano, mi aveva spossata, oltre a causarmi un mal di testa lancinante.
Avrei solo voluto tornare nel mio attico, sotto le coperte calde, e dormire un po' (e questo dimostrava l'eccezionalità del momento: avevo sempre avuto bisogno di pochissimo sonno, mentre ora il mio corpo ne urlava la mancanza) o comunque levarmi dal frastuono e dagli spintoni che avevo ricevuto tutta la mattinata.
Ne avevo avuto più che abbastanza del genere umano. Avrei voluto inchinarmi, annunciare "a posto così per un altro anno almeno" e andarmene trionfalmente. Cosa mi bloccava dopotutto? Ero sola, come al solito. Sola e responsabile di ciò che facevo. Ma forse era questo il problema: la solitudine, anche se era difficile ammetterlo, mi pesava molto più del caos.
Questo non toglieva che ero al limite.
Senza contare il fatto che, grazie all'idea geniale del responsabile, mi ero ritrovata ogni ora con un accompagnatore diverso. Non sapevo se fosse un caso, ma erano tutti maschi e anche più impacciati di Ben, in un crescendo di balbettii e arrossamenti, frammentati dalla ripetizione del mio nome, che ormai non mi suonava nemmeno più familiare, tanto l'avevano masticato e pronunciato.
Odiavo la scuola.
Così quando una mano sbucata dal nulla mi strinse il braccio, i miei sensi sovreccitati risposero di conseguenza: mi voltai tanto veloce che la testa cominciò a girarmi prima ancora di compiere il movimento. Davvero saggio dare prova della mia abilità sovrumana. Avrei voluto farmi un applauso.
Affondai il mio sguardo in quello color ambra scuro della ragazza di fronte a me. Alta (forse era più appropriato dire bassa) più o meno come me, i capelli lisci color mogano a incorniciarle il viso dolce e paffuto in armonia con la carnagione cappuccino, portava vestiti straordinariamente colorati e aveva un sorriso contagioso. Al collo aveva una di quelle collane a palline colorate, da bambina, che però sembrava disegnata per lei. Chissà che contrasto doveva fare con i miei vestiti neri (molto più facili da lavare, soprattutto per la mia enorme incapacità di far funzionare qualsiasi macchinario umano in generale) e la smorfia imbronciata che addobbava sempre il mio volto.
Non sembrava essersi accorta dell'ambiguità del movimento con cui, in un istante, c'eravamo trovate faccia a faccia, e la sua mano era ancora appoggiata al mio avambraccio. Quella stretta però anziché sembrarmi sgradevole - conoscendo soprattutto la mia totale avversione a qualsiasi tipo di contatto che sforasse il necessario - era caldo, come tutta la sua figura. Sembrava un piccolo sole, e a conferma della mia supposizione il suo sorriso si allargò ancora di più, mentre la sua mano lasciò finalmente la presa. L'improvviso freddo dove prima stavano le sue dita, mi colpì moltò più duramente di quel che pensavo.
Ero decisamente in astinenza da contatto umano.
"Devo accompagnarti alla mensa", sorrise la ragazza, scostandosi un ciuffo di capelli da davanti agli occhi. Poi mi porse la mano. "Io sono Ella."
"Nathalie." Gliela strinsi, sperando che non si sentisse troppo la differenza di temperatura tra le nostre mani. Non avevo mai avuto certi scrupoli, soprattutto perché difficilmente la gente si accorgeva di quei pochi gradi che mi mancavano per raggiungere la temperatura standard, ma per Ella sapevo che era diverso: i suoi occhi dolci mi stavano scrutando in profondità, mi studiavano ma senza per questo farmi sentire a disagio. Era speciale, su questo non c'erano dubbi, ma era solo un'umana. I miei sensi me lo confermavano.
Rilassai le spalle, più a mio agio che in qualsiasi altro momento delle ultime ore, e forse anche dell'ultimo anno, e distesi la fronte. Forse la giornata poteva migliorare.
"Dovrebbe essere lo spostamento più facile", mormorò Ella, mentre ci incamminavamo. "Ma cerca di non perdermi di vista: la mensa è proprio qui" indicò una porta a vetri, in cui si accedeva in un ampio locale, strabordante di gente. "Il disastro è solo entrarci."
Inizialmente non capii cosa intendesse - era impossibile non vedere le sue collane multicolor o la maglia arancione sgargiante che indossava - ma non appena cominciammo a intrufolarci tra la folla, compresi appieno il significato delle sue parole. In pochi secondi, non vedevo più lei, né sapevo dove mi trovassi. Non che questo mi turbasse eccessivamente - prima o poi quella massa rumorosa mi avrebbe risputato fuori in un modo o nell'altro, o almeno lo speravo - e tutto quel calore non era fastidioso come avrei pensato.
Ma c'era qualcosa che stuzzicava i miei sensi, e all'improvviso cominciai a sentire sempre meno il vociare e le urla, come se una bolla d'aria mi si stesse creando attorno.
Una benedizione per la mia testa dolorante, se non fosse stato per le mie pupille che sapevo essersi improvvisamente dilatate, e il mio cuore che rombava nelle mie orecchie come mare in tempesta.
Ero circondata da corpi caldi, cuori che battevano più lentamente del mio, più pastosi, più succulenti, e questa certezza all'improvviso prese il sopravvento su ogni altro pensiero. Cancellò in un secondo il mio controllo, la mia razionalità, annientando ogni parvenza di normalità. Mi passai la lingua sulle labbra in un riflesso incondizionato, e sentii le mani arcuarsi, le unghie artigliare l'aria. Il mio respiro era affannoso, mentre sentivo acuirsi la sensazione che mi stava provocando tutte quelle reazioni naturali, involontarie: fame, o meglio, sete.
Non che non mi fosse mai successo, ma ero sempre riuscita a fermarmi in tempo, o quantomeno a rendermi conto di ciò che stava succedendo. Ma in quel preciso istante ero completamente indifesa di fronte al mostro che mi ruggiva in testa, inerme mentre mi acquattavo, pronta a colpire, a uccidere.
In quel preciso istante il ragazzo di fronte a me, di cui non avrei saputo riconoscere volto o corporatura, annullata com'ero dal bisogno che sentivo ardere dentro di me, fece un passo indietro, probabilmente spintonato da qualcuno più avanti, e la sua schiena entrò in diretto contatto con le mie mani, tese automaticamente in avanti. Il calore che mi trasmise fu così potente che annullò ogni mia resistenza, mentre i miei occhi da predatrice avvistavano quel particolare punto del collo scoperto da cui riuscivo a vedere la vena pulsante, appena sottopelle. Un balzo minuscolo e avrei calmato quella sete assurda e accecante. Un solo minuscolo balzo, e non avrei più sentito la gola dolere come se avessi appena inghiottato un centinaio di chiodi.
Sapevo esattamente cosa sarebbe successo, ci sarebbero state le urla non appena avessero capito cosa stava succedendo, seguito da un fuggi-fuggi generale, e eliminare poi tutte quelle persone non sarebbe stato per nulla facile, se non addirittura impossibile. Ma neanche quella consapevolezza riusciva a fermarmi: il mio cervello cercava disperatamente di richiamare tutti i miei sensi all'ordine, ma ero cieca, sorda e immune a tutto ciò che non rispondesse alle necessità che mi muovevano in quel momento.
Mi rannicchiai, pronta a sferrare il mio attacco, passandomi la lingua sui denti, pregustando il momento in cui ...
E un istante esatto prima del disastro, una mano strattonò il mio braccio, prima che potessi anche solo rendermene conto, e mi trascinò fuori da quella calca.
Ansante mi voltai verso chi mi aveva distolto dal mio obiettivo e incrociai gli occhi enormi di Ella, che mi fissavano preoccupati, senza per questo riuscire a contenere il loro calore contagioso. "Tutto bene? Sei pallida." Mi disse, senza smettere di osservarmi.
Abbassai immediatamente la testa, lasciando che i capelli mi coprissero il volto mentre tentavo di ricompormi. Che diamine mi era successo? Il bisogno non era mai stato così forte, nemmeno quando ero piccola e mi ero trovata ad affrontare tutte le conseguenze del mio segreto. Non aveva mai annientato il mio raziocinio a quel modo, come pochi istanti prima. Mai.
Forse davvero dovevo tornare a rinchiudermi in casa. Era stata una pessima idea mischiarmi ancora con gli umani, avrei dovuto saperlo.
Avevo appena rischiato di uccidere un'intera scuola, e sapevo fin troppo bene che non me lo sarei mai perdonata. Eppure dov'era questa consapevolezza fino a qualche istante prima? Dov'era finita?
"Ehi", la voce penetrò nella mia mente confusa e stranamente ebbe un effetto calmante sui miei nervi ipertesi, mentre la mano di Ella sfiorava la mia.
La guardai, sorpresa. Era davvero umana, quella ragazza? Aveva l'assurda capacità di domare le mie sensazioni, era chiaro, e la conoscevo da appena cinque minuti. Ricambiò la mia occhiata, curiosa, mentre mi rendevo conto che fosse stato chiunque altro anche solo a sfiorarmi prima dell'attacco l'avrei dilaniato, mentre lei, che mi aveva letteralmente spostata di peso, non solo era ancora viva, ma mi stava pure parlando e sfiorando inavvertitamente con il fianco. Era assurdo.
"Non devi preoccuparti, all'inizio è sempre difficile." Sorrise, rassicurante. "Vedrai che andrà meglio." Annuii piano, consapevolmente pallida, senza riuscire a smettere di guardarla, e chiedendomi se stesse davvero parlando solo del caos e del fatto che fossi rimasta imbottigliata. Ero poi sicura che non avesse visto nulla?
Mi sospinse gentilmente verso il bancone del cibo. "Credo sia meglio che mangi qualcosa. Sembra che tu stia per uccidere qualcuno." Rise lei.
Non sai nemmeno quanto, pensai, trattenendomi a stento dal dirlo ad alta voce, e limitandomi a fissarla a bocca spalancata. Colpita e affondata, a dire poco.
"Che è quella faccia?" Si strinse nelle spalle lei, mentre fissava i cibi incolori nella vetrina, e mi passava un vassoio. All'improvviso alzò gli occhi, incastrando il suo sguardo nel mio. "So che non lo faresti." Poi rise. Solo che il suo sguardo era serio, e all'improvviso sembrò che la sua convinzione passasse anche a me. Come se all'improvviso mi restituisse la certezza che avevo anch'io, fino a quando non avevo quasi compiuto una strage nella scuola in cui stavo da una manciata di ore. E di sicuro l'episodio non mi aveva esattamente riempita di speranza per il futuro.
Mi morsi le labbra, mentre fingevo di essere attratta dal primo vassoio esposto, che assomigliava terribilmente ad una pila di calzini sporchi, ma che avrebbe dovuto essere pasta. Era difficile immaginarselo come qualcosa di commestibile.
Repressi a malapena un verso schifato, mentre Ella al mio fianco ridacchiava e, di nuovo, mi sfiorava involontariamente il fianco con il suo, infondendomi un'altra ondata di calma. Tanto che, quando la cuoca mi fissò con aperto odio - enorme com'era metteva in soggezione anche me - mi uscì dalle labbra una specie di squittio. Avevo appena ridacchiato. Io. Che ridacchiavo, probabilmente per la prima volta in tutta la mia vita. Mi trattenni a stento dal tapparmi la bocca con le mani. Ma che mi stava succedendo?
Guardai di sottecchi Ella, che però non aveva notato niente. O almeno, non sembrava. Avevo già capito che con lei non si poteva mai sapere.
"Io non ho fame", proferii dopo un'accurata, e disgustata, analisi del cibo. Tra l'altro dopo l'esperienza di poco prima mi era salita la nausea, e dubitavo che quei cibi avrebbero aiutato.
Lei invece prese una mela - chissà come anche quella aveva uno strano alone grigio attorno, come se fosse stata contagiata dal restante cibo - e mi passò una lattina. "Almeno bevi", i suoi occhi fermi mi costrinsero ad accettare. In un lampo mi ricordò mia madre, prima che tutto mi fosse portato via. Aveva la stessa luce quando si imponeva sui miei capricci.
Scossi la testa, ricacciando indietro il dolore.
Nulla toglieva che mi ero appena fatta intimidire da un'umana con una collana a palline colorate. Fantastico.
Dopodiché Ella cominciò a guardarsi intorno, e capii che cercava qualcuno quando sorrise rivolta ad un tavolo in cui erano seduti una manciata di ragazzi, un po' isolati dalla massa.
Lei mi guardò un attimo, passandosi il peso da un piede all'altro.
Cercai di capire la sua espressione, accorgendomi dell'improvviso imbarazzo tra di noi.
Era ovvio che volesse liberarsi di me. Mica potevo pretendere che diventassimo all'improvviso migliori amiche per sempre, e realizzai con amarezza che probabilmente era così solare con chiunque. Nulla di speciale.
Inghiottii la delusione e feci un passo indietro, stringendo la lattina gelida tra le mani, e cercando di dissimulare le mie emozioni. Perché diamine ci stavo male? L'avevo appena conosciuta, ed era un'umana, mentre io no ... o meglio non del tutto.
Ero qualcuno con un enorme bisogno di sentirsi accettato, come non mi era mai capitato. "Vai pure dai tuoi amici", le strizzai l'occhio, riprendendo la mia freddezza solita. Probabilmente la mia temperatura scese di qualche grado.
Lei rimase interdetta a fissarmi. "Cosa?" E prima che potessi andarmene, liberò una mano dal vassoio, e mi afferrò per la manica. "Non ci siamo proprio capite." Il suo tono era molto più autoritario di prima, e la sua presa salda, soprattutto in proporzione a quanto era minuta. "Tu mangi con me. E i miei amici."
"Ma ..."
Nemmeno si voltò, mentre mi trascinava dietro di sé.
"Non voglio sentire storie." Ora sì che era uguale a mia madre.



Finalmente ce l'ho fatta ad aggiornare *musica del Gladiatore in sottofondo* *anche l'Alleluja ci sta bene* lol
Prima di tutto grazie a chi mi ha letto, a chi ha lasciato recensioni (vi lancio tante scatole di biscotti virtuali) , a quelle persone stupende che mi hanno incoraggiato per messaggio privato (vi amo tanto tanto). Nathalie mi sta facendo dannare perché è nevrotica quasi quanto me e nel prossimo capitolo - SPOILER - arriveranno alcuni personaggi a cui tengo particolarmente ma che qui per motivi di lunghezza non ci stavano più.
Per ora il rating è arancione senza un motivo specifico, ma penso che tra un po' ce ne sarà qualcuno u.u
Ah, se avete idee sul potere di Nathalie, ogni parere è ben accetto! Sono curiosa di sapere che cosa siete riusciti a dedurre finora!
Vi abbraccio tutti forte, come al solito vi supplico di commentare, in qualsiasi modo, per me soprattutto- per capire se è una cagata o se davvero suona come suona nella mia testa (sembro schizofrenica, ma ok)
S.





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Capitolo 3
*** What a (nice) meeting. ***


4
"Breathing each other's lives
Holding this in mind
That if we fall, we all fall
And we fall alone
"
System Of A Down,
Attack

"Cosa posso offrirvi ragazze?" A parlare era stato il barista brizzolato del "Nylon", un bar in cui mi aveva trascinato Ella, che avevo scoperto essere anche più caparbia di come avessi previsto quando l'avevo conosciuta. Dopo quasi un mese di stretta collaborazione in classe e fuori avevo capito quanto potesse assomigliare ad un tornado (soprattutto quando particolarmente motivata, e se riguardava me lo era sempre al massimo).
Così quando quel venerdì sera me l'ero trovata sotto la finestra a sbraitare che non potevo passare tutto il tempo extra a crogiolarmi nel mio buco di appartamento, oltre ad astenermi dall'imprecarle addosso avevo anche accettato di uscire con lei senza (quasi) tentare di declinare l'invito.
Una decina di minuti dopo (il tempo di levarmi il pigiama e rinunciare ad una serata di dolce far nulla) ci eravamo ritrovate in un bar qualunque ad aspettare certi amici di Ella, che non morivo nemmeno troppo dalla voglia di conoscere, nella remota possibilità che assomigliassero a quelli che aveva insistito a presentarmi a scuola (noiosi e tremendamente umani).
"Ciao Grant", sorrise Ella all'uomo. "Gli altri sono già arrivati?"
"Al solito tavolino" rispose lui, poi mi strizzò l'occhio, "buona serata", aggiunse prima di voltarsi verso nuovi clienti.
Senza perdere tempo la ragazza mi strinse la mano e mi condusse oltre un paravento e uno stretto corridoio, fino a giungere ad una zona più riservata del locale, dove una luce calda illuminata una nutrita compagnia di ragazzi.
"Guarda chi si vede!" Proruppe un ragazzo tutto muscoli dal capo completamente rasato e un tatuaggio che gli attraversava il collo taurino, per poi avvicinarsi repentino e altrettanto velocemente dare un appassionato bacio alla mia accompagnatrice. Per almeno due minuti calò un silenzio imbarazzato sull'intera stanza mentre io mi fissavo i piedi accompagnata dai loro risucchi. Poi, con uno schiocco, i due si staccarono e un'ansimante Ella, rossa fino alla radice dei capelli, mi indicò il bruto - probabilmente ricordandosi in un attimo di lucidità della mia presenza - "Lui è Brett." Poi rivolta a lui, che intanto stava tranquillamente passando al vaglio la mia intera figura facendomi sentire come un pezzo di carne sul banco di un macellaio, "Lei è Nathalie."
"Lascia perdere questi due esibizionisti", un ragazzo smilzo con gli occhiali dalla montatura ridondante spuntò alle spalle del bellimbusto, stringendomi la mano, "io sono Zenais, ma puoi chiamarmi Zen".
Gli rivolsi un sorriso grato, ma dovetti all'istante ridurre il mio entusiasmo notando di averlo abbagliato. Non  ero più abituata ad avere a che fare con umani, e con la loro facile impressionabilità. "Nathalie", replicai, mentre mi avvicinava al tavolo.
"Lucas" mi informò un ragazzo dai lunghi capelli scuri trattenuti in un cordoncino di pelle, "Angie", aggiunse in fretta una tipa che mi ricordava spaventosamente una qualche star del cinema, per poi tornare a rimirarsi le unghie perfettamente curate. "Claire", mormorò piano (o almeno piano per un umano) un'altra dai capelli cortissimi che portava una spilla da balia a mo' di orecchino. In ordine seguirono Carl, Trisha, Jennifer e Robert.
Dopodiché Zen mi lasciò il suo posto mentre andava a cercare un'altra sedia per sè e Brett faceva sedere un'irriconoscibile Ella sulle sue ginocchia massicce. "Dove sono i gemelli? E Lauren?" chiese qualcuno.
Lucas ritirò il telefono con un cenno infastidito, "Stanno arrivando" sospirò.
In quel preciso istante entrò una ragazza dai lunghissimi capelli biondi, sorridendo ai presenti, per mano ad un ragazzo con i capelli tinti di un blu acceso. Entrambi si presentarono, e mentre Lauren elargiva baci a tutti i presenti, Taylor (come aveva detto di chiamarsi) si sedette accanto a Zen.
"Mi auguro abbiate ordinato da bere" a parlare fu l'ultimo ragazzo ad essersi aggiunto alla compagnia, che non appena mi notò mi fece un mezzo sorriso e mi porse la mano "Sono Adam" disse, con una voce roca e profonda, sbattendo lentamente le ciglia su dei travolgenti occhi color oro. Appoggiai la mia sulla sua, "Nathalie" mormorai.
Noncurante degli altri lui appoggiò le labbra sul dorso della mia mano, e mi fece ridacchiare - prima o poi mi sarei appoggiata a quella specie di squittio su cui apparentemente non avevo alcun controllo- "enchanté" sussurrò prima di afferrare una sedia e sedersi esattamente accanto a me.
Taylor scoppiò a ridere "Devi perdonarlo Nathalie. Mio fratello è incorreggibile."
Guardando entrambi realizzai quanto fossero identici, eccezion fatta per gli occhi - quelli di Taylor erano di un castano scuro - e i capelli, come a confermarlo Adam si passò la mano tra i capelli disordinati che gli arrivavano quasi alle spalle mentre sotto la luce rossastra della stanza si tingevano di un curioso color ramato, e mi strizzò l'occhio.
"Devi essere nuova di qui ... mi sarei ricordato di te" mormorò, mentre il suo sguardo accarezzava i jeans aderenti e la maglia leggermente scollata che indossavo. Suonava come una lusinga e contrariamente al solito non mi sentii per nulla infastidita.
Gli sorrisi lentamente (lasciandomi prendere un po' la mano e prevedendo il suo sbattere le ciglia come fosse ipnotizzato) "Diciamo" replicai.
"Di dove sei?" Chiese Lauren, accavallando le gambe affusolate.
Scrollai le spalle "Mi sono spostata parecchio, negli anni."
"Con i tuoi genitori?"
Istintivamente rivolsi uno sguardo diffidente a Trisha, che aveva posto quella scomoda domanda.
"Ora sono sola", tergiversai. Non mi andava di raccontare cosa fosse accaduto anche perchè riguardava un po' troppi particolari per cui mi avrebbero rinchiusa all'istante in un manicomio sperduto gettando via la chiave.
"Viene a scuola con me" cinguettò Ella, scomparendo poi di nuovo tra le braccia del suo ragazzo.
"E te la devi sorbire tutto il giorno? Oddio, povera" ironizzò Zen, per poi rivolgerle un'occhiata bonaria piena di affetto ( e probabilmente anche di qualcosa di più).
"E' lei che deve sorbirsi me, sono particolarmente noiosa."
"Secondo me invece sei molto interessante", si intromise Adam, "E scommetto in certe situazioni anche qualcosa di più", il suo sguardo fu inequivocabile.
"Adam ti supplico, possiamo posticipare la chiamata per stalker di qualche ora?" Lo supplicò Lucas, sporgendosi a pizzicarlo sul ginocchio.
Lui rise, grattandosi la testa e guardandomi, fingendo un imbarazzo che ero sicura non provasse minimamente. Avrei voluto fingermi quantomeno in imbarazzo, ma proprio non riuscivo a non restituirgli gli sguardi carichi della medesima malizia.
"Dove sei nata?" Chiese Angie, spostando nuovamente l'attenzione su di me.
"A dire il vero a Londra. Ma mi sono spostata appena i miei hanno potuto caricarmi su un aereo."
"Oh mio dio, Londra ... hai il sangue degli artisti che ti scorre dentro" commentò Taylor, interrompendo sul nascere le altre domande che Angie stava per pormi.
"Non penso di aver assorbito granché, a parte la pioggia e qualche virus di troppo", ecco lo sapevo che dovevo smettere di parlare. Mi morsi la lingua giusto in tempo prima di spiegare per filo e per segno come avessi quasi perso la vita e i miei-
"Fidati", mi disse Taylor, mentre il gemello scoppiava a ridere, "Non dargli retta o comincerà a spiegarti quali grandi artisti l'Inghilterra ha avuto e l'America non potrà mai eguagliare e bla bla bla", il modo in cui Adam alzò gli occhi al cielo mi piacque troppo per capire effettivamente cosa avesse appena detto.
"Prima o poi mi darai retta anche tu" replicò stizzito Taylor, mentre Lauren gli accarezzava piano il ginocchio come a rabbonirlo. Quei due dovevano essere stati un tormento da piccoli.
"Quanti soldi hai per poterti permettere una vita così nomade?" Tutti fissarono in malo modo Claire, che, dopo essersene stata zitta fino a quel momento, aveva brutalmente puntato nuovamente l'obiettivo su di me. Sicuramente la delicatezza non era una sua qualità.
"I miei ne avevano si ... ma cerco di procurarmeli nel posto in cui sono, mi adatto", feci spallucce, " non ho nemmeno bisogno di chissà cosa per ritenermi soddisfatta."
"In che modo" continuò lei, imperturbabile. Aveva quel modo di porre domande che non sembravano nemmeno tali, era come se avesse volutamente tralasciato il punto di domanda, come se fosse del tutto inutile.
"Dipende", serrai le braccia sentendomi all'improvviso eccessivamente esposta.
"Ad esempio"
Gli altri restavano in silenzio, muovendo appena la testa come stessero assistendo ad una partita di tennis.
"Cameriera, commessa, tuttofare, un po' di tutto"
"Io ti assumerei come tuttofare" sussurrò Adam ad un volume così basso che probabilmente non si aspettava avrei sentito neppure io, ma il mio risolino di risposta lo fece sobbalzare per poi far spuntare un compiaciuto sorrisetto sulle sue labbra. Con la coda dell'occhio notai una fossetta profonda sulla sua guancia sinistra, che mi piacque almeno quanto gli occhi.
Distolsi lo sguardo perché probabilmente l'elettricità tra noi stava raggiungendo livelli percepibili dal Polo Nord.
"Ma quindi ..." la voce di Robert fu rapidamente troncata dal frastuono di Adam che si alzava dalla sedia.
"Io vado fuori a fumarmi una sigaretta, Nath ti unisci?" Poi porgendomi la mano mi rivolse uno sguardo eloquente: mi stava salvando, e probabilmente avvertì la mia gratitudine dal modo in cui mi alzai e lo seguii a ritroso fuori dal bar.
Cogliendomi di sorpresa però mi fece girare prima dell'uscita principale conducendomi per un tratto al buio.
"Avvertimi quando devo fare quella telefonata di denuncia", mormorai, senza mostrare quando la stretta del suo palmo contro il mio mi avesse riempito di piccoli brividi.
Lui si fermò di botto e le mie mani atterrarrono sul suo giubbotto di pelle che emanava un avvolgente profumo di colonia."Almeno lasciami fare qualcosa prima di rovinarmi la festa no?"
Prima che potessi ribattere, sentii il rumore di una porta che si apriva e ci trovammo in un piccolo spiazzo illuminato da una lanterna di almeno cinquant'anni prima. Lui spiccò un balzo per scendere dal rialzo su cui ci trovavamo poi si voltò per aiutarmi a scendere, avevo già fatto salti più alti senza scompormi nella mia vita, ma colsi al volo l'occasione di sentire le sue mani stringere i miei fianchi (dovevo decisamente darmi una controllata).
Mi porse una sigaretta e l'accese prima della sua, poi lo osservai tirare una lunga boccata soddisfatta. I suoi occhi rilucevano di un giallo simile a quello negli occhi dei gatti e la sua fossetta si fece evidente quando mi sorrise in maniera maliziosa. "Se mi fissi così non risponderò delle mie azioni."
"Chi te l'ha chiesto" ribattei, appoggiandomi ad un muretto e godendomi la sensazione del fumo che entrava e usciva dai polmoni.
Lui rise venendomi a fianco, e il suo giubbotto sfiorò involontariamente il mio avambraccio nudo.
"Mi dispiace per loro", fece un cenno verso la porta da cui eravamo entrati, "a volte sono dei veri rompiscatole."
Scrollai le spalle ma non osai dire nulla: mi sentivo ancora abbastanza scossa dall'interrogatorio a cui mi avevano sottoposta. "Sono abituata."
Lui mi scrutò a lungo. "A certe cose non ci si abitua mai." Probabilmente nemmeno immaginava quanto ciò che aveva appena detto suonasse vero alle mie orecchie.
"Ci si illude però."
Adam distolse lo sguardo dal mio, sbuffando verso il cielo. "Sai gli altri sono un po' iperprotettivi; ultimamente più del solito."
Gli rivolsi uno sguardo curioso, ma gli concessi il tempo di decidere se spiegarmi le sue parole o lasciarmi nel dubbio. Odiavo mettere fretta o pressare le persone, trovavo interessanti gli umani; e questo, bisognava ammetterlo, forse più di tutti gli altri.
"Ultimamente accadono cose strane." Prese un'altra boccata di fumo, "Sparisce gente, poi ricompare come se non si fosse mai allontanata. O non ricompare proprio. Una delle nostre più care amiche ..." gli mancò la voce e per qualche istante perse ogni traccia del ragazzo malizioso e donnaiolo che avevo conosciuto fino a quell'istante. "E' sparita da un mese. Nessuno si spiega come sia successo, o ancora più perchè nessuno la cerchi."
Aggrottai le sopracciglia mentre potevo quasi sentire gli ingranaggi del mio cervello mettersi in moto.
"La sua famiglia non parla di lei, i suoi amici più vicini ... evitano l'argomento."
"Magari è scappata e loro ne sono a conoscenza?" Proposi, sapendo già che era un'intuizione del tutto sbagliata.
"Megan aveva paura pure della sua ombra, non credo fosse capace nemmeno di raggiungere la sua porta di ingresso se il corridoio era buio." Si passò la mano sulla faccia e notai all'improvviso la stanchezza accumulata sotto i suoi occhi e le rughe di preoccupazione che gli attraversavano la fronte.
Senza nemmeno rendermene conto posai il mio indice al centro dell'increspatura tra le sue sopracciglia, finché la fronte si rilassò del tutto. Quando abbassai gli occhi nei suoi mi resi conto di quanto fossimo vicini e del suo fiato che mi disegnava sul viso soffi di elettricità. Annaspai fino ad aggrapparmi al suo giubbotto di pelle mentre un'attrazione che non ricordavo di aver mai provato invadeva il mio stomaco stringendolo in una morsa. La porta che si apriva ci divise un istante prima che ci scambiassimo il bacio più desiderato di tutta la mia vita.
"Dannazione", grugnii, riprendendo la mia sigaretta ormai quasi del tutto consumatasi, mentre lui, con lo stesso tono, sospirava un "Maledizione".
Ridacchiai per poi puntare lo sguardo su Angie, che ci scrutava sospettosa dal rialzo, senza osare scendere con le sue decollete a tacco alto. Adam non fece un passo per aiutarla e questo mi riempì di un piacere quasi sadico.
"Ehi ragazzi ... sono venuta a controllare che andasse tutto bene." Il suo tono tradiva una gelosia malcelata.
Io sorrisi - ovviamente mi ero inimicata all'istante la Barbie della situazione, e questo era un classico-  mentre Adam, riprendendo la sua maschera da bellimbusto, sospirava teatralmente. "Stavamo rientrando, non rovinarti la capigliatura a preoccuparti per me."
Lei probabilmente non colse il suo tono sarcastico perché aspettò zelante che noi raggiungessimo la porta per tornare da dove era arrivata. Probabilmente però non colse quando Adam si voltò lentamente verso di me a sussurrare "Non pensare di averla scampata così" e io ridacchiai - senza (quasi) sussultare al mio stesso ormai abituale squittio.


*angolo autrice*
ok, ok, c'è voluto più tempo del previsto and I'm so sorry, sono un impiastro e faccio anche praticolarmente schifo a rispettare i tempi e , a quanto pare, a continuare questa storia.
Ma nuovo anno, nuovi propositi e quindi riproviamoci.
Per chiunque la leggesse vi supplico di lasciarmi anche un commentino minuscolo, è tutto accetto e come al solito vi lancio tante scatole di biscotti virtuali ...
a presto spero
S
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