「花火の下で」- 「sotto i fuochi d'artificio」

di A q u i l e g i a
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 食い違い 「discrepancy」 ***
Capitolo 2: *** 無月 「moonless sky」 ***



Capitolo 1
*** 食い違い 「discrepancy」 ***


はな

した


hanabi no shita de
 

食い違い


「discrepancy」


~

 

«Dunque, perché è qui?»
L'uomo, dall'aria profondamente seria e cupa, si rivolgeva alla signorina dai capelli blu che sedeva di fronte alla scrivania. Aveva gli occhi infossati, mentre i capelli – pepe e sale, data l'età – sembravano essere ricoperti da forfora. Hikari fece una leggera smorfia di disgusto, osservando la sciatteria del signore al quale avrebbe affidato il suo futuro.
«Senza mezzi termini?» domandò lei, stringendo nervosamente la borsetta beige che teneva fra le mani.
«Senza mezzi termini, sì»
Hikari sospirò. Non avrebbe voluto farlo, ma certo non aveva altra scelta; se non quella di continuare a vivere in una gabbia.
«Lo voglio demolire» annunciò, con tono assai deciso «Lo voglio distruggere» continuò.
«Mirabile!» esclamò con grande entusiasmo «Lasci fare a noi e vedrà che tutto si rescinderà in meno di quanto se l'aspetti»
«Mi affido alle vostre mani» la donna, apparentemente sulla trentina, si alzò dalla sedia e si mostrò in un grande inchino.
L'uomo ricambiò con un grande sorriso sul volto.
Erano passati anni dal matrimonio con Satoshi. Era successo tutto molto in fretta, senza che la loro relazione come coppia potesse davvero maturare. Per lei la situazione era divenuta insostenibile, ma certo non odiava suo marito: d'altronde era lei a voler scappare, non lui; stava commettendo un torto molto grave nei suoi confronti, ma non vedeva alternative.
«O così, o niente» pensò, mentre s'incamminava sulla strada verso casa, lontana dall'agenzia wakaresaseya a cui si era rivolta, specializzata in fallimenti di matrimoni, l'ultima spiaggia per chi voleva far crollare un'unione senza assumersi nessuna responsabilità.
Camminava assorta nei suoi pensieri, legati all'etica delle sue azioni, mentre proseguiva con leggera titubanza, quasi avesse paura. Non era da lei, difatti, tradire in un modo così vigliacco qualcuno, ma probabilmente la verità sarebbe stata più dura da digerire, per suo marito.
«Hikari!» le gridò una voce, non troppo virile ma pur sempre maschile, dal locale a fianco allo studio. Le era molto familiare, la riconobbe all'istante.
«Kengo...» la sua voce pareva spezzata, nonostante la gioia nel sentire quelle dolci parole.
L'uomo, sul metro e settanta, dai capelli castani e un tenero sorriso, si avvicinò alla donna con fare amorevole. La raggiunse, fissandola negli occhi.
«Sensi di colpa?» domandò, cercando di apparire meno nervoso di quanto le sue mani non dimostrassero.
Lei titubò un istante, come se non si aspettasse quella domanda.
«Non è così» cercò di dibattere, velando quella leggera insicurezza che copriva le sue parole «... credo»
«Ricordati che io sarò sempre al tuo fianco. Nel bene e nel male» le afferrò con estrema amorevolezza il braccio, quasi lo volesse accarezzare.
«Dai...» un timido sorriso spuntò sulla sua bocca «Lo sai che dobbiamo essere più discreti in pubblico...»
«Giusto» rispose con falsa approvazione.
Allontanò la mano da lei e si voltò. In pubblico, era necessario che nessuno si accorgesse della loro relazione amorosa; il rischio di incontrare volti conosciuti non scemava mai e rimaneva un pericolo costante per la giovane coppia. E questo Kengo lo sapeva bene, ma era difficile da sopportare. Chiedeva solamente di poterla abbracciare, di poterle dimostrare il suo affetto, eppure gli era di giorno in giorno più difficile.
«Com'è frustrante» concluse lui, scherzandoci su.


Kasumi continuava a fissare il quadro appeso alla parete in legno d'ebano. Rappresentava una donna, dalla pelle candida e immacolata, che mostrava un sorriso accompagnato da una lacrima. Le incuteva malinconia, poiché riusciva a immedesimarsi: non le era difficoltoso riconoscere il suo volto in quel dipinto.
«Ti piace, vero?» si sentì accarezzare le gambe, nude «Se sapessi quanto è venuto a costarmi...»
Kasumi fece un sorriso malizioso, rendendo più evidente lo spacco della gonna in velluto. Sedeva su una poltrona e le gambe accavallate non erano che un modo per mostrare ciò che la natura le aveva offerto.
«Mi chiedo» iniziò lei, dopo aver sorseggiato champagne dal bicchiere che, slanciato e fragile, reggeva in mano «come mai sia triste»
«E se fosse felicità?» obbiettò lui, senza disgiungere un secondo gli occhi dalla scollatura della donna dai capelli rossastri, palesemente tinti «Dopotutto, si piange anche di gioia»
«Shigeru, forse sei tu ad essere troppo ottimista, non credi?»
«Forse» rispose «Ma in genere sono abituato a ottenere sempre ciò che voglio: l'ottimismo scorre nelle mie vene» continuò, con grande allusività.
Le accarezzò con grande sensualità la spalla, coperta da un sottile e delicato velo sintetico. Le massaggiò delicatamente il collo, teso.
Un rumore molto forte, uno squillo, ruppe l'atmosfera in mille frammenti.
«Mi dispiace,» sussurrò Kasumi «ma se si tratta di lavoro, per oggi non possiamo giocare»
Si alzò dalla poltrona morbida e confortevole, dirigendosi verso il cellulare posto sul tavolo a fianco. Prima o poi avrebbe concesso a Shigeru, suo amante, ciò che voleva. Le sue carni, tiepide, fremevano dalla voglia di ottenere quel corpo così provocante e sapeva che tale sentimento era pienamente ricambiato. Avrebbero dovuto attendere il momento giusto, quello in cui avrebbero potuto sfogare le rispettive passioni su di un letto qualsiasi.
Kasumi era vestita – se così si può dire – con una veste da camera incredibilmente leggera, che lasciava ben intravedere la carnalità delle sue membra; era questo a cui mirava. La seduzione, dopotutto, è l'arma più potente che aveva a disposizione: era la prima regola che aveva imparato vivendo in una grande città.
Premette il pulsante verde e rispose con grande convincimento alla chiamata. Era indubitabilmente lavorativa, non aveva sospetti a riguardo. E la cosa un po' le dava noia, perché quello che era nato come un passatempo divertente, le era costato gran parte del suo tempo libero che avrebbe trascorso svolgendo attività più dilettevoli. Inizialmente, le sembrava piacevole ingannare uomini sposati, irretendoli in un intreccio quale l'amore, per poi sconfessare ogni sentimento, tradendo quella finta passione con delle foto, in modo da far terminare matrimoni su matrimoni. Dopotutto, era questo il suo lavoro: guadagnarsi la fiducia di uomini sposati, baciarli e raccogliere delle prove sul tradimento compiuto; difatti, tutti quegli uomini erano sposati e chi commissionava questi tradimenti non era che la moglie del malcapitato, desiderosa di terminare il proprio matrimonio, premio una consistente somma in denaro. Inoltre, quale divertimento era più grande del dimostrare la propria superiorità nei confronti dell'uomo?
Tuttavia, era stufa di dover recitare una parte così stomachevole e noiosa: le mancava il brivido.
«Waki-san, è lei?» domandò Kasumi al suo interlocutore.
«È fruibile per un nuova incombenza?» la voce, sebbene distorta, pareva la stessa dell'uomo dalla forfora sui capelli.
«Che giapponese complesso che usa» esordì la donna, sogghignando «Comunque dipende. Chi è il soggetto?» d'altronde era stufa di uscire con uomini eccessivamente maturi, dall'alito puzzolente e dalle manieri fin troppo scortesi e invadenti. Non che le dispiacesse l'idea di essere desiderata, ma le seccava che delle mani così sporche cercassero di sfiorarla.
«Le indirizzo uno scatto; penso che ne rimarrà particolarmente sorpresa» quel tono era particolarmente allusivo, il che lasciava sperare in qualcuno di grazioso o perlomeno attraente.
Diede una fugace occhiata a colui che avrebbe dovuto insidiare.
«Interessante. Ci sarà di che divertirsi» non poté non sorridere, divertita, d'innanzi a quel visetto. D'altronde, era sempre stata stuzzicata dai giovincelli. Forse per la loro poca esperienza o per il desiderio carnale più acceso di quanto non lo fosse per uomini dall'età inoltrata.
«Se giunge ora in ufficio, ne potremo disquisire anche subitaneamente»
«Vengo, non si preoccupi»
Spense il cellulare, mentre nella sua mente navigavano le fantasie più focose. Era raro trovare qualcuno di più giovane di lei e altrettanto rari erano soggetti carini e dal volto innocente. Si voltò verso lo spasimante che, nel frattempo, s'era scolato l'intera bottiglia del pregiato champagne; probabilmente sarebbe stato perfino troppo brillo per poterle dare ciò che desiderava.
«Sarà per un'altra volta, bello mio» la malizia nei suoi occhi era indubbia persino a chi la lucidezza mentale l'aveva persa per via dell'alcool.
«Mi chiedo che cosa avrai in mente» le guance di Shigeru s'erano colorate di un tenero tono rosso e lo sguardo che esercitava prima s'era affievolito perdendo d'impeto.
«Ci vediamo...» lo liquidò con un misero bacio sulla guancia che, con tutta probabilità, il ragazzo non aveva nemmeno avvertito.
Gli diede un'ultima occhiata prima di uscire – praticamente svestita – dall'appartamento di Shigeru, incredibilmente lussuoso, per dirigersi in strada. Salì in macchina, una lussuosa decapottabile straniera, metallizzata e dalla carrozzeria lucida, priva d'ogni graffio. Arrivò, quindi, alla “Tachi Nuu”, un'agenzia wakaresaseya alla quale si era rivolta la stessa Hikari.
«Ti è tutto nitido?» fece Waki-san, il datore di lavoro di Kasumi, nonché suo protettore – nonché l'uomo dai capelli coperti di forfora –, dopo aver spiegato a Kasumi i più minuziosi dettagli del suo piano.
«In poche parole, basta un cambio d'abiti e una piccola recita iniziale, no?» il tono della ragazza era negligente, come se non gliene importasse nulla dei suoi doveri: era abituata a terminare i propri incarichi in poco più di due giorni e si affidava alla semplice improvvisazione.
«La fa troppo eseguibile, lei» Waki-san incrociò le braccia con leggero disappunto, ma ormai conosceva Kasumi e sapeva come lavorava «Cerchi solo di finire questa faccenda al più presto»
La ragazza annuì con il capo e levò il disturbo in pochi secondi. Era convinta di potersi lavare le mani in poco tempo, ma prenderla eccessivamente alla leggera non rientrava nel suo stile. Si sarebbe semplicemente limitata a svolgere il suo lavoro con la stessa freddezza e superficialità d'ogni volta: nulla le avrebbe dato fastidio.
Nel primo negozio d'abbigliamento che trovò lungo la strada, comprò alcuni capi di vestiario da indossare sul momento. Era una sorta di prassi, quella di adattarsi al personaggio: dopotutto, non c'era nulla di più strano nel vedere una ragazza di tale eleganza e raffinatezza cenare in un fast food da quattro soldi, senza un apparente motivo. In più, il suo intento era quello di sedurre e di ingannare un ragazzo del ceto medio, che difficilmente si sarebbe avvicinata a chi il denaro in tasca ce l'aveva. Prese le prime cose che le passarono sotto mano, senza preoccuparsi di abbinarle fra loro, in modo da rendere la Kasumi che stava interpretando più credibile, anche se vestirsi a mo' di disgraziata le dava il voltastomaco.

Il locale in cui era previsto il “casuale” incontro era una tavola calda per famiglie disposte a spendere poco per mangiare nel modo meno salubre possibile. Si trovava all'incrocio di una delle arterie più trafficate della città, inondato ogni giorno da migliaia di persone.
«Eppure s'era detto che il soggetto veniva in questo luogo esclusivamente per rilassarsi...» pensò dubbiosa, vedendo Satoshi addentare un hamburger sul tavolino vicino alla grande vetrata che dava sulla strada «Come fa a riposarsi nel bel mezzo di questa gazzarra?»
Non era venuta lì per porsi queste domande, ma certo non poteva non rimanere basita di fronte a tale originalità. Ma lo sapeva bene: il mondo è strano.
Entrò nel piccolo edificio, facendosi strada fra la folla che spintonava con grande irruenza nel tentativo di uscire. La tanta confusione e l'aria calda e pesante le davano alla testa, difatti non amava i luoghi particolarmente affollati, né tanto meno li frequentava. Si sedette nel primo posto libero che trovò, nel tentativo di prendere fiato e di osservare l'obiettivo da lontano senza farsi vedere, in modo da trovare l'occasione giusta per poter attuare il suo piano. Frugò tra i vari volti, sperando che il ragazzo non se ne fosse già andato. Tuttavia, non s'era curata di controllare in che posto si fosse seduta e chi fosse l'uomo che la stava fissando con aria divertita.
«Serve qualcosa?»
Quella domanda fece le gelare il sangue nella vene; l'aveva colta di sorpresa e la cosa non le faceva piacere. Si voltò a lo guardò in volto. Era Satoshi.
«Ah, no... sai... volevo...» non ebbe nemmeno il tempo di elaborare una frase dotata di un soggetto, verbo e complemento, tanto si trovava alle strette. Era il momento di lasciare da parte ogni genere di piano elaborato da Waki-san per passare alla pura e semplice improvvisazione.
«Non ci sono altri posti liberi?» domandò lui, pulendosi la bocca con il tovagliolino di carta.
«Precisamente!» eccola trovata, era una scusa plausibile e sarebbe stato un pretesto per avvicinarlo.
«Allora è meglio che la lasci sola»
L'uomo non riuscì nemmeno a muovere un muscolo, che se la ritrovò di fronte con aria minacciosa. I suoi occhi erano freddi e maligni; Satoshi non ebbe nemmeno il coraggio di allontanarsi.
«No, dai, rimani pure!» lo sorprese con un grande sorriso, che lo rassicurò.
Le aveva appena aperto una porta, per poi richiudergliela in faccia; era un comportamento che non le andava a genio.
«Allora rimango ancora per un po'...»
«Nel frattempo» iniziò lei, prendendo una patatina dal piatto di Satoshi «ti va di parlare?»

 


*


Angolo autrice

 

Salve a tutti!

Ne è passato di tempo, che ne dite? Non avrei mai creduto che sarei ritornata e credo che molti di voi saranno stupiti di fronte a tutto ciò. Il mio addio, in ogni caso, sembrava definitivo perché era a tutti gli effetti definitivo; ma si sa che il destino è imprevedibile e ci si può aspettare di tutto dal domani!
Questa è una mini-long (quattro capitoli, come massimo) che conto di finire presto, anche se i miei rapporti con le long che ho scritto sono tutt'altro che felici! (piccola parentesi: ho intenzione di continuare Mayonaka ni hotaru non appena terminata questa long)
Nel testo ho nominato le “Wakaresaseya”. Queste sono delle agenzie giapponesi che si occupano di dare il colpo di grazia ai matrimoni, ingaggiando delle ragazze incaricate di sedurre il marito per poi raccogliere le prove di baci, carezze e ogni genere di atteggiamento incriminante.
Ovviamente, Kasumi perderà un po' la testa per Satoshi, ma gli avvenimenti che si susseguiranno non sono così scontati come ho lasciato credere.
Il titolo si legge "hanabi no shita de", significa "Sotto i fuochi d'artificio" e ne verrà presto spiegato il perché ;)

Se ci sono domande, dubbi, incertezze, critiche, sapete a chi rivolgervi! :)


Per ora è tutto,
al prossimo capitolo!

 

-Saku-

 

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Capitolo 2
*** 無月 「moonless sky」 ***


 

 

 

はな

した


hanabi no shita de
 

無月

「moonless sky


~


Il silenzio di quella notte d'estate era turbato da un leggero cigolio, tra l'armonia dei cicalecci dei grilli e i suoni sommessi della strada. Lo si riusciva a sentire sin dall'ingresso nella modesta abitazione, in quella camera da letto priva di luce, sommersa dal buio: era un rumore fastidioso e ripetitivo, mentre due sagome, perfettamente avvolte dal buio, si contorcevano in una magnifica danza nel mezzo delle lenzuola. I loro cuori, sebbene uniti in una sola e pulsante entità, avevano paura di essere scoperti in quel vincolo inscindibile qual è l'amore e il piacere di quell'istante non era che un'atroce sevizia.
«Satoshi non tornerà prima della mezzanotte, conoscendolo. Non ti preoccupare» le parole di Hikari erano soavi e armoniose, ma l'angoscia nei suoi verbi era ben percettibile all'occhio dell'amante, Kengo.
La giovane donna poggiava al petto dell'innamorato; lo accarezzava affettuosamente, con dei tiepidi movimenti. Poteva sentirne i battiti, uno dopo l'altro, e ciò le donava il sorriso.
«Conoscendolo, dici» nonostante si fidasse dell'amata, Kengo non poteva non rimanere dubbioso davanti alla vacuità delle sue parole.
«Sono appena le undici...» ribatté lei «È ancora presto!»
Kengo non si era calmato. Ciò che lo tradiva era il suo cuore stesso, i cui picchiettii erano irregolari e scalpitanti. Però amava stare sotto le lenzuola con Hikari; era il momento in cui la sentiva più vicina. Tuttavia, questa paura che lo martoriava tutte le volte, quei sobbalzi ad ogni scricchiolio sospetto e quei continui sguardi alla porta della camera lo rendevano nervoso: non potevano andare avanti così.
Non appena le luci della camera si riaccesero, i due si mostrarono nelle loro nude forme, coperte solo in parte dal bianco delle lenzuola. La notte era fresca, lo si percepiva dalla leggerissima brezza che irrompeva dalla finestra socchiusa, ed era piacevole, rilassante; eppure tutto ciò non scalfiva il temperamento di Kengo, sempre teso come i fili di una ragnatela: bastava così poco per farlo spezzare. Hikari lo sapeva bene, sapeva che la situazione era in un momento di stallo e che oramai continuare ad aspettare non aveva più alcun senso. Cercò di proferire una parola, magari incoraggiante, come “Animo!” e voleva poter affermare che tutto si sarebbe risolto, nel bene e nel male, nel giro di poco, ma la prima che non avrebbe creduto a quella parola sarebbe stata proprio lei.
«Credi che sia il caso?» domandò improvvisamente Kengo, ancora scoperto.
«Come, scusa?» rispose con una frase e un'espressione interrogative.
«Credi che sia il caso di continuare questa relazione?» Kengo sorrise, ma non era allegria, era rassegnazione e dolore, insieme, nello stesso momento.
«Non farmi queste domande, ti prego...» eppure era ciò che stava chiedendo a se stessa. Ma faceva male, molto male.
«Ma che senso ha se non posso esprimere nulla? Cosa ci sto a fare qui se non riesco a farti capire ciò che provo per te?» le sue parole erano molto sincere, lo si capiva dallo sguardo. Hikari lo conosceva bene: sapeva distinguere la serietà nei suoi occhi.
«Se credi che la nostra relazione sia una perdita di tempo...» iniziò lei, chinando il capo, in modo che il suo volto venisse coperto dai lucenti capelli blu «Se lo credi davvero, allora è meglio che te ne vada» non lo dava a vedere, ma stava piangendo. Lo dicevano le sue parole, spezzate ad ogni respiro; ma non le piaceva sentirsi così vulnerabile.
«Già, forse è il caso»
Si vestì con grande rapidità e lasciò la stanza; lo avrebbe voluto fermare e dirgli che la cosa più importante per lei era Kengo, era sempre stato così, ma non riuscì a trovare le parole per dirglielo. Emise alcuni suoni, acuti, smorzati e fragili, che non raggiunsero nemmeno le sue orecchie. Era rimasta così, seduta sulle lenzuola disfatte di un letto ormai vuoto, indossando semplicemente un intimo bianco. Senza nemmeno alzare gli occhi, raggiunse l'armadietto a fianco al letto e frugò nel primo cassetto. Vi trovò una piccola scatolina, ovoidale, con sopra incastonata una pietra dal color del vino; la aprì e ne rovesciò il contenuto sul legno. Erano cinque pillole, ceree, più piccole dell'unghia di un mignolo. Ne prese due e le ingoiò senza esitazioni, per poi infilarsi sotto le coperte.
Le girava la testa, ma lo voleva nascondere a se stessa. Dopotutto, andava tutto bene.


Kasumi se ne andò da quel fast food con poco preavviso, salutando dolcemente Satoshi lasciandogli il suo numero di cellulare. Lei era fatta così, non amava dilungarsi in conversazioni noiose con i soggetti da circuire: saltava direttamente al sodo. Era solita ricevere, nel giro di un giorno, un messaggio da parte dell'obiettivo, spesso un semplice “Buongiorno” di primo mattino. Era patetico, ai suoi occhi. Si aspettava che anche Satoshi seguisse l'esempio dei suoi predecessori, in fondo le avrebbe semplificato il lavoro se si fosse dimostrato interessato nei suoi confronti.
Satoshi, dopo il congedo della ragazza, era rimasto in quel locale, fino all'orario di chiusura, stringendo in mano il foglietto strappato da un'agenda, con sopra scritte numerose cifre. Lo rigirava tra le mani e lo fissava, lo osservava e lo riguardava come se fosse un'illusione, una fantasticheria elaborata dal suo pensiero; ma non poteva non farsi venire dei dubbi a riguardo.
Quella notte era particolarmente buia, nonostante la luce artificiale dell'immensa città in cui Satoshi viveva. Non c'era una stella in cielo e la luna era avvolta da spesse nubi; il che doveva presagire brutto tempo. L'aria estiva delle undici era fresca, grazie al venticello che tirava da nord, e pulita perché lo smog dato dalle auto era minore la notte.
Respirò a pieni polmoni, camminando per le vie della città, in attesa che passasse l'ultimo autobus diretto a casa. Si chiedeva come mai una persona così carina gli avesse dato il suo numero, nonostante la fede in bella mostra e un'aria piuttosto trascurata. Difatti, erano ormai tre giorni che non si faceva un bagno e la barba che, ora ispida, necessitava di essere rasata; ma era comunque felice di risultare ancora interessante. O almeno così credeva.
Kasumi non era una bella persona, di questo ne era particolarmente convinta. Aveva assunto, specialmente negli ultimi anni, un comportamento più cinico di quanto non lo fosse in realtà, come se non gliene importasse nulla di ciò che la circondava e che tutto le spettasse di diritto, malgrado sapesse bene che tutto nella vita va conquistato.
Non diede peso al lavoro che stava svolgendo, ossia quello di ingannare Satoshi, lo reputava uno dei tanti che doveva portare a termine, quindi non si fece problemi nel ritornare da Shigeru. Lui, d'altra parte, era una delle poche persone che la desideravano veramente e la cosa piaceva molto a Kasumi.
Si ritrovò un'altra volta in quel letto, però questa volta non c'era alcun velluto sopra il suo corpo, bensì un'altra persona; una che la accarezzava, che le dava grandi soddisfazioni lungo tutto il corpo. Quella notte, priva di luna, passò lentamente, in attimi di pura passione, senza che i loro reciprochi corpi trovassero riposo. Kasumi vedeva tutto ciò come un'occasione per eludere i problemi della sua vita per abbandonarsi al sesso con un giovincello inesperto.
Il sudore, in quell'impeto di trasporto, cominciava a stillare dalle loro membra, rendendo quegli abbracci e quelle continue unioni umide e spiacevoli, ma forse era proprio questo a rendere il tutto tremendamente eccitante. Kasumi si addormentò, infine, tra le braccia dell'amante, calde e forti, lasciando completamente scoperte le parti più intime del suo corpo per via del caldo.
Il bollore delle coperte svanì lentamente durante la notte e il sonno di Kasumi fu piacevole e coccolato dai continui abbracci di Shigeru. I suoi pensieri non erano diversi dai suoi soliti e i suoi sogni non parevano turbati, malgrado una brutta sensazione. Nulla di particolarmente importante, solo un presentimento.
La mattina arrivò nel giro di qualche ora, troppo poche perché la stanchezza della ragazza potesse completamente svanire, ma abbastanza da non avere le occhiaie agli occhi; il che era già gran cosa.
Si svegliò di sua volontà, senza che una sveglia irrompesse nel suo sopore; era abituata a destarsi attorno alle nove e quella mane non fu un'eccezione. Era curiosa di controllare le mail del suo cellulare, sperava che tra di esse ce ne fosse una di Satoshi; eppure non ve n'era traccia. Non era particolarmente mattiniera, per cui non poteva essere troppo presto, ma era comunque insolito. O meglio, non se lo aspettava. Che fosse quello spiacevole presagio sopraggiunto nei suoi pensieri la sera prima?

«Evidentemente non gli interesso;» ammise Kasumi a Waki-san «con tutta probabilità, a quel tipo piacciono le donne racchie!»
La ragazza sedeva con le gambe accavallate sulla scrivania del suo datore di lavoro, mentre alzava gli occhi al soffitto in segno di rassegnazione.
«Non può certo augurarsi che perda il senno per la sua persona dopo un solo e fugace incontro!» la rimproverò l'uomo, grattandosi il capo ricoperto di forfora.
«Al massimo sono riuscita a entrare nelle sue fantasie erotiche.» concluse incrociando le braccia.
«Contenga il linguaggio, gliene prego. Tuttavia, suppongo che sia il caso di smuovere le acque ancora un po'. Sono convinto che basti un ulteriore incontro, magari “casuale”, perché il piano riesca»
«Faccia come meglio crede, arrivati a questo punto. Mi dica solo dove e quando.» disse Kasumi, alzandosi dalla sedia e stiracchiandosi le spalle rumorosamente.
«Seguiremo i suoi spostamenti e la notificherò.»
Kasumi era sempre stata una ragazza pessimistica, questo lo sapeva fin troppo bene, ma sentiva di avere ragione, questa volta. Potrà sembrare bizzarro, ma tutta la situazione, ai suoi occhi, pareva surreale. D'altronde, la definivano uno “schianto”, anche se vestita con stracci, dunque fare la seduttrice era una delle sue poche abilità. Non poteva permettere che il suo onore venisse calpestato da quel bimbetto.
Kasumi scese in strada, unendosi a quell'infinito flusso di gente che percorre ogni giorno gli immensi viali di quella grande città.
La brezza della sera, il calore della folla, il chiasso, gli schiamazzi, le grida, i rumori e quel pungente odore, di erba e di fiori, di cui s'impregnavano le giornate estive. Kasumi continuava a camminare, in mezzo a quel bailamme di persone, diretta verso casa.
«Devo giocare tutte le mie carte» pensò con convinzione la ragazza. A stento riusciva a sentire i suoi pensieri, divenuti sempre più spesso un'accozzaglia di parole e di frasi, brevi flash del passato e tante, troppe preoccupazioni. Staccare per un attimo e ricominciare con la testa svuotata; come in quelle lontane vacanze estive.
«Le mie carte...» riprese a pensare «Sensualità. Che cosa stuzzica di più la fantasia di un uomo?»
Si fermò. La ressa si era diradata, allontanandosi dalle arterie e ora poche persone incedevano su quei marciapiedi. Si guardò intorno e dall'altra parte della strada, un piccolo viale alberato da fiori di ciliegio già sfioriti, notò una profumeria.
«Che sia proprio il profumo? L'arma vincente di una donna, dopo le sue curve e la sua femminilità?»
Attraversò le strisce pedonali con lentezza – amava che le auto dovessero fermarsi al suo passaggio – ed entrò nel piccolo negozio.
Non poté non notare la figura della persona che stava facendo degli acquisti. Satoshi, il suo bersaglio, si trovava inerme a così poca distanza. Che fosse uno scherzo del destino o una banale coincidenza poco le importava, d'altro canto se la vita le aveva offerto una chance così succulenta, perché non approfittarne?
«Satoshi-san?» domandò innocentemente, non appena varcato l'ingresso.
Quegli si voltò, con leggero stupore, e fece un grande sorriso.
«Come mai sta facendo questo genere di compere?» proseguì Kasumi, indicando la busta contenente un nuovo modello di profumo, non troppo costoso.
«Ah...» tartagliò l'uomo «Diciamo che devo scusarmi con una persona...»
Era ben palese di chi si trattasse, non ci sarebbe voluto un genio per capire che quel regalo era destinato alla moglie, ma Kasumi impersonava il ruolo di una ragazza sbadata, sciocca: doveva fingere di non capire.
«Spero sinceramente che Waki-san sia qui a documentare questo incontro...» implorò Kasumi, la quale non riponeva troppa fiducia in quell'uomo.
«È qui per comprare del profumo?» domandò improvvisamente Satoshi.
«Ah... ci stavo pensando. Lei che ne dice?»
«Penso che quello che ha addosso le stia molto bene.»
Lo disse con un grande sorriso, ma Kasumi si era resa conto di come quella conversazione fosse in realtà pesante e superficiale. Con un atteggiamento del genere, non sarebbe mai riuscita a rapire il suo cuore; anzi, forse il semplice fatto di entrare nelle sue fantasie sarebbe divenuto remoto e difficile da credere!
«Ha già cenato, signorina?» chiese nuovamente.
«No, non ancora. Mi sta per caso invitando?»
«Perché no? Conosco un locale carino, qui nelle vicinanze!»
Kasumi non poteva non domandarsi il perché di quella situazione e che cosa passasse nella mente di quel Satoshi. Aveva bisogno di tempo, per capirlo, ma allo stesso tempo doveva agire e anche in fretta.

Mangiate a sazietà!” recitava lo slogan del “Onaka-ippai”, minuscola bettola situata nella laterale della laterale del piccolo viale della profumeria; uno ramen-ya che funge anche da ristorante, appariscente quanto una gallina in un pollaio: una piccola porta in legno, scorrevole, e un'insegna. Ma alla fin fine è sempre più intimo e confortevole di uno di quei costosi locali del centro città, gremiti ogni giorno da folle di clienti.
I due si sedettero sul bancone e ordinarono una scodella di ramen. D'altronde, quello c'era e nient'altro.
«Sai...» iniziò Satoshi «anche se non sembra, qui servono il miglior cibo della città!»
«Tu dici?» anche se non lo dava a vedere, l'idea di una locanda tanto squallida e povera le faceva venire la nausea.
L'odore di fritto, di carne e di brodo infestava le pareti del locale, spoglie, dipinte di un verdolino chiaro, e non c'era anima viva, se non il cuoco. Kasumi non sapeva se definirlo un mancato gesto romantico o uno scarso interesse nei suoi confronti.
Non si sentiva di escludere né l'una né l'altra ipotesi, ma certo non era così che dovevano andare le cose. E, nel frattempo, il suo animo implorava che Waki-san fosse nelle vicinanze, nel caso dovesse succedere qualcosa: Satoshi era un uomo imprevedibile, ormai questo lo aveva capito e anche bene. Tuttavia non poteva dare nulla per certo: l'appuntamento poteva anche finire con un semplice saluto. Chi poteva dirlo?
Si stupì non poco, quando il ramen giunse in tavola. L'espressione del cuoco, un vecchio uomo stempiato, con il grembiule sporco e le mani grandi e pelose, era beffarda e quasi soddisfatta. Perché la pietanza era davvero deliziosa, lo riconosceva. Alla pari se non superiore dei grandi locali!
«È davvero squisita!» esplose improvvisamente «Non ci speravo minimamente! Complimenti vivissimi!»
Satoshi sogghignò compiaciuto, mentre assaporava a sua volta la prelibatezza, con un grande e tenero sorriso sul volto.
«E io cosa ti dicevo? Il vecchio non delude mai, ricordatelo!»

L'appuntamento era andato bene, alla fine. Chiacchiere, risate e uno strano calore, familiare. Avrebbe voluto ripetere l'esperienza da capo, con Satoshi. Era piacevole stare in sua compagnia, oramai era arrivata a considerarlo come uno dei suoi lavori più piacevoli e divertenti. E forse il fatto che Satoshi non pareva interessato solo alle sue forme, la faceva sentire a suo agio, bene.
I due camminavano, da soli, lungo una via appartata. Non l'uno a fianco all'altro, bensì distanti; sembrava che Satoshi la stesse dirigendo.
«Io dovrei girare a destra.» annunciò Kasumi «È tardi ed è il caso che torni a casa»
Satoshi si voltò, avvicinandosi alla ragazza. Aveva uno strano sorriso, un po' melanconico. Kasumi si chiedeva se si fosse realmente divertito; se lo avesse fatto solo per stare con lei o per sviare dai suoi problemi. D'altronde, il regalo alla moglie doveva essere una sorta di scusa, per un litigio. Forse stava male per quello: l'idea di stare per perdere la persona che ama.
«Oggi mi sono davvero divertita grazie a te, Satoshi» ammise Kasumi, cercando di lasciare trasparire al meglio la sua innocenza, arricciando una ciocca di capelli.
«Anche io, Kasumi» confessò «... ma potrei farti un ultimo regalo?»
«È qualcosa di più straordinario del ramen del vecchio?» scherzò, lasciando sfuggire una docile risata.
«Dipende dai punti di vista... Su, avanti, chiudi gli occhi!»
Kasumi eseguì quel simpatico ordine, allungando le mani come se stesse facendo l'elemosina. Sarebbe stato certamente qualcosa di banale. Però poteva trattarsi anche di qualcosa di interessante, o di divertente; era presto per giudicare.
Improvvisamente, accompagnato da una brezza cordiale che accarezzava la sua pelle, avvertì una dolce e tenera sensazione di calore alle mani; gliele stava stringendo.
E poi lo percepì. Era una sensazione diversa, un tepore accompagnato da un timido schiocco.
Un bacio.

 


*


Angolo autrice


Salve a tutti!
Ecco a voi il secondo capitolo, appena sfornato e ancora fumante, di Sotto i fuochi d'artificio! Lunghetto, almeno un po' più del primo, ma spero si riesca a leggere senza troppa fatica. In quanto ai contenuti, ho interrotto la scena sul più bello, anche se mi rendo conto che la cosa non spicchi certo per originalità. Una svolta la si avrà solo dal prossimo capitolo, dove le cose si faranno considerevolmente più interessanti e verranno spiegati gli avvenimenti che hanno spinto Satoshi a fare quel che ha fatto.
Per il resto, come al solito, lasciatemi un commento e ditemi se ci sono errori, sviste, critiche o – perché no, eh – complimenti.


Per ora è tutto,
al prossimo capitolo!


-Saku-

 

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