Red

di jamesguitar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** She Liked That ***
Capitolo 2: *** I Will Die ***
Capitolo 3: *** Never ***
Capitolo 4: *** Alive ***
Capitolo 5: *** Risk It All ***
Capitolo 6: *** Find You ***
Capitolo 7: *** Hurt ***
Capitolo 8: *** The Light ***
Capitolo 9: *** I'm Scared ***
Capitolo 10: *** Keep you in my heart. ***
Capitolo 11: *** Nobody can do it ***
Capitolo 12: *** I love him ***
Capitolo 13: *** Happiness ***
Capitolo 14: *** Fearless ***
Capitolo 15: *** Thank You. ***
Capitolo 16: *** Epilogo: Loving Her Was Red ***



Capitolo 1
*** She Liked That ***


        

Chapter 1.


Noah era seduta sul suo letto, pc in mano, e scriveva le sue amate storie.
 
Le era sempre piaciuto il fatto che le parole potessero prendere vita attraverso la mano di un autore, far viaggiare con la fantasia chiunque, portarlo in posti lontani.
 
Sua madre bussò alla porta, interrompendola, e lei la invitò ad entrare, nonostante fosse abbastanza scocciata. Ma lei era sempre così gentile, ecco.
 
“Tesoro, oggi hai la tua prima lezione di piano, non dimenticarlo.”
 
Noah fece un sorriso tirato, volgendo gli occhi verso la madre.
 
“Lo so” rispose, con voce fiebile. Si sentiva così stanca, quel giorno.
 
“Dobbiamo uscire fra venti minuti.” Le ricordò la donna, rendendola solo più nervosa.
 
Aveva 45 anni, ma ne dimostrava 50. Lo stress subito negli ultimi anni la aveva segnata, sia mentalmente, sia fisicamente.
 
“Lo so.” Ripeté la ragazza, alzandosi dal letto, e posando il pc sulla scrivania. La madre Dorothea uscì, lasciandola finalmente sola.
 
Noah si avviò verso il bagno, a passo lento e strascicato, manifestando tutta la sua pigrizia. Non le andava di andare a quella lezione, per niente. Nonostante amasse suonare il piano, sapeva bene che qualunque professore le avrebbe fatto domande sulla sua malattia, mettendola solo a disagio. Lo facevano tutti.
 
Noah si spazzolò i capelli castani mossi meglio che poté, cercando di apparire accettabile. Poi uscì dalla stanza, incurante dei vestiti osceni che indossava, diretta di sotto, per raggiungere la madre.
 
“Mh, ci hai messo meno di quanto mi aspettassi” commentò.
 
Lei alzò gli occhi al cielo, cercando di non farlo notare troppo.
 
“Andiamo?” chiese. Se proprio doveva andare a quella lezione, tanto valeva darsi una mossa, e non fare un a figuraccia con il professore ancora prima di cominciare.
 
“Certo, tesoro”
 
Il suo tono smielato le dava i nervi, a volte. Sapeva che le voleva bene, che era preoccupata per la sua salute. Ma tutti quei modi esageratamente gentili non facevano altro che ricordarle quanto era gravemente, incurabilmente malata.
 
Le due uscirono di casa, e il venticello di Londra le investì in pieno viso.
 
Noah si strinse nel piumino verde, e le sue guance si colorarono di un rosa tenue. Si affrettò a raggiungere il veicolo della madre, e ci si rifugiò dentro, sbattendo forte la portiera.
 
La madre la imitò, e mise in moto la macchina, guardandola con una nota di disappunto.
 
“Sai che devi stare a riposo, Noah. Cerca di non sforzarti troppo.”
 
La ragazza sbuffò, guardando fuori dal finestrino.
 
In teoria, dati i suoi 18 anni, avrebbe potuto prendere la patente, se fosse stata ‘normale’. Ma i suoi dottori avevano convenuto che, date le sue condizioni di salute, avere una macchina sarebbe stato faticoso, e rischioso.
 
Era stancante vedere la gente frenetica per Londra sfrecciare davanti al finestrino, con macchine, correndo, facendo tutto ciò che volevano. Sembrava che il mondo fosse in continuo movimento, e Noah non riuscisse ad uscire dal suo guscio per unirsi a lui.
 
Parcheggiarono una decina di minuti dopo, davanti ad un grande teatro. Noah deglutì lentamente, fissando quell’edificio imponente.
 
“Tesoro, sta tranquilla.” La rassicurò Dorothea, quasi leggendole la preoccupazione in volto. “è solo un teatro. Non ci sarà nessuno a vederti.”
 
Noah annuì, continuando a fissare il portone principale, e provando un po’ di nervosismo. Odiava quando sua madre la trattava come una stupida.
 
“Posso entrare da sola.” Affermò, guardando Dorothea negli occhi. Si aspettava che avrebbe detto che non era possibile, che doveva aiutarla per le scale, e che un affaticamento eccessivo le avrebbe fatto male… cose così, insomma. Invece annuì, sorridendo, e dandole una leggera spintarella sulla scapole.
 
“Vai, piccola mia” disse. “dimostra quanto vali.”
 
Noah ricambiò il suo sorriso, e, un po’ titubante, si incamminò per le scale dell’entrata principale. Una volta sulla soglia, si girò un ultima volta, per salutare sua madre. Se ne era già andata. Una parte di lei era sollevata, sapendo che non le sarebbe stata addosso per un’ora. Ma un’altra parte sentiva la sua mancanza, senza un vero motivo.
 
Sospirando, Noah aprì il pesante portone, con tutto il fiato che aveva in corpo, davvero poco, e restò a bocca aperta.
 
Il teatro che le si parava di fronte era davvero gigantesco, con una platea costruita per minimo mille persone, ed il palco era altrettanto grande, in grado di ospitare almeno cinque pianoforti, nonostante ce ne fosse solo uno.
 
Non vedeva nessuno, e le parve strano.
 
“C’è nessuno? Sono Noah Evans, ho una lezione!”
 
Ma sembrava che il teatro fosse davvero vuoto, fatto per ospitare una sola persona. Vide il pianoforte sul palco, e si incamminò in quella direzione, guardandosi ripetutamente intorno, per paura di essere scoperta.
 
Noah salì le scalette, quasi come una principessa. Poteva sembrare ridicolo, ma, con un piano, si sentiva davvero se stessa. Sentiva che poteva essere chi voleva, che la sua malattia non le avrebbe portato via la speranza, i suoi sogni.
 
Si avvicinò al piano, e lo accarezzò con le dita, con un sorrisetto.
 
Si guardò un’ultima volta intorno, e, non vedendo nessuno, cedette alla tentazione. Si sedette al piano, poggiando le mani su ogni tasto, quasi sfiorandolo, e producendo i suoni magici che solo un tale strumento poteva creare.
 
La musica riusciva a farla sentire viva, da una parte. E dall’altra, la faceva sentire triste.
 
Nonostante la aiutasse a credere in sé stessa, c’era sempre una parte di sé come un pezzo di pane, fragile, così debole che se qualcuno la avesse stretta troppo forte, si sarebbe spezzata.
 
La leucemia la aveva colpita quando aveva circa 10 anni, senza un minimo di preavviso. Un giorno era svenuta, senza un apparente motivo, e i genitori la avevano portata in ospedale di corsa, senza pensare ad alternative.
 
In quel modo avevano scoperto la sua malattia, all’inizio debole, ma che, andando avanti con gli anni, si era fortificata, rendendo lei man mano più fragile, facendole più male di qualsiasi cosa possibile.
 
La ragazza si cullava nella speranza, suonando quel brano al piano, così bello che sembrava scritto apposta per quel momento.
 
Inaspettatamente, una mano si posò sulla spalla di Noah, facendola sussultare. Affondò due dita nei tasti, storpiando un suono, e si girò di scatto, timorosa di aver combinato qualche disastro.
 
Di fronte a lei c’era un ragazzo castano, riccioluto, con degli splendidi occhi marroni.
 
“Bel pezzo, davvero” commentò, aprendo il volto il un sorriso più grande.
 
Noah arrossì, e fece per alzarsi. Egli la bloccò, prendendogli il braccio, con forse più decisione del necessario.
 
“Scusa” ammise, lasciandola andare. “È solo che è così bello sentirti suonare”
 
La ragazza si perse nei suoi occhi castani, così profondi da mozzare il fiato. Ma durò un istante, perché poi tornò tutto alla normalità.
 
“Chi sei, scusa?” Chiese, mettendosi sulla difensiva.
 
“Bradley” rispose lui, senza mai abbandonare il suo sorriso. “Ma puoi chiamarmi Brad.”
 
Il ragazzo si sedette accanto a lei, sulla piccola panca del piano, sfiorandole il braccio con il proprio.
 
Noah cercò di non sussultare, quando Bradley le prese una mano, muovendola con la propria, suonando un'altra melodia, un po' meno complessa, ma decisamente più bella.
 
Quando Noah iniziò a memorizzare le note, lasciò andare la mano di lui, iniziando a suonare la canzone con degli accordi, nella parte più grave del piano.
 
Bradley le sorrise, suonando nella parte più acuta.
 
Le loro mani suonavano in sintonia una melodia armoniosa, lasciandosi andare ad un divertimento che Noah credeva di aver dimenticato.
 
Quando il brano finì, Brad si alzò in piedi, appoggiando le braccia tese al pianoforte.
 
“Sei brava quasi quanto me, sai?”
 
“Quasi? Io direi due volte meglio”
 
Egli scosse la testa, e abbassò un secondo lo sguardo, per poi rivolgerlo di nuovo a lei.
 
“Ci rivedremo, vero?” Le chiese, con il tono timoroso di un bambino messo in punizione.
 
Lei alzò gli occhi al cielo, arrossendo un poco.
 
“Per suonare, ovvio.” Precisò.
 
Noah alzò un sopracciglio, facendolo scoppiare a ridere.
 
“Okay, diciamo che suonare non è il mio obiettivo principale”
 
Anche la ragazza rise, alzandosi dalla panca del piano, ed incrociando le braccia.
 
“Possiamo rivederci, ma solo se mi dai gli spartiti di questa canzone.”
 
Lui sembrò indugiare, ma, alla fine, cedette.
 
“Ci sto. Ma te li porto quando ci vediamo, così sono sicuro che verrai”
 
“Bene”
 
Il ragazzo la osservò per un po', incurante del fatto che sarebbe potuto sembrare strano.
La metteva in soggezione, questo era certo.
Ma nessuno la aveva mai guardata così.
 
“Come ti chiami?” Le domandò, incrociando le braccia al petto.
 
“Noah” rispose lei. “Noah Evans”
 
“Capisco” replicò Bradley, con un sorrisetto. “Che ci fai qui, comunque?”
 
Noah si sentì avvampare, e desiderò con tutta se stessa di sotterrarsi all'istante.
 
“Ho una lezione di piano"”
 
Bradley sembrò capire, annuendo. Dopo qualche istante, scoppiò a ridere, senza un apparente motivo.
 
“Sam non farà lezione, oggi” spiegò "Strano che nessuno ti abbia avvisato"
 
Noah storse il naso, un po' contrariata. Ma in fondo, nonostante fosse arrabbiata per essere uscita dal suo letto inutilmente, era incuriosita da quel ragazzo, così diverso. O almeno, lo sembrava.
 
“È meglio che vada, allora” disse Noah, affrettandosi a scendere gli scalini, decisamente in imbarazzo.
 
Lui la seguì, e la raggiunse dopo nemmeno due metri. Noah non aveva abbastanza forza per correre come lui.
 
“Se dovresti avere lezione, credo che tu abbia un'ora libera. Possiamo vederci adesso, se ti va”
 
Noah abbassò gli occhi leggermente, ammaliata da quel ragazzo. Sperò vivamente che non se ne accorgesse.
 
“Non vale, non puoi darmi gli spartiti” commentò, sarcastica.
 
“Te li darò la prossima volta”
 
“E chi ha detto che ci sarà una prossima volta?”
 
Bradley alzò gli occhi al cielo, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.
 
“Dio, sei impossibile!”
 
“Lo so, caro Bradley.”
 
“Ti ho detto di chiamarmi Brad”
 
Noah lo guardò negli occhi, stringendo i pugni, un po' agitata. Quel ragazzo la faceva sentire strana, in ogni senso.
 
“Comunque, non uscirò con te."
 
Brad sospirò, e si avvicinò, poggiandole una mano sulla spalla. Noah rabbrividì, ma, ancora una volta, sperò vivamente che non se ne accorgesse.
 
“E dai, andiamo. Un'uscita amichevole, ti va?”
 
Noah si morse il labbro, e fu tentata di dire di no. Ma il suo viso, i suoi occhi, le dicevano di acconsentire.
Dio, quegli occhi erano fantastici.
 
“Okay, ma prometti che mi riporterai qui entro un ora e che la settimana mi darai gli spartiti”
 
Bradley sorrise, raggiante, e abbandonò la sua spalla. la sua assenza intristì Noah, più di quanto avrebbe mai immaginato.
 
“Giuro solennemente, Noah Evans.”
 
La ragazza sorrise, arrossendo. Sembrava che quel tipo facesse qualsiasi cosa per farsi notare da lei.
E le piaceva.
 
Brad le prese la mano, e la guidò verso il portone pesante ed antico.
Il contatto tra i due provocò una scossa nel più profondo del cuore di Noah, anche se, probabilmente, non se ne accorse.
 
Uscendo, l'aria gelida si precipitò su di loro ancora una volta, facendoli chiudere in se stessi più di quanto volessero.
 
Passeggiarono per la città, a distanza di sicurezza, parlando di rado.
 
Brad aveva paura di disturbare il suo sonno angelico, in qualche modo.
 
“Beviamo una cioccolata?” Chiese il ragazzo, con il suo sorriso mozzafiato.
 
“Okay”
 
Entrarono nel bar più vicino, allentando la presa sui cappotti, e godendosi l'aria calda del posto.
 
Si sedettero ad un tavolo, e Brad ordinò due cioccolate. Noah si sorprese più volte a fissarlo, incuriosita dal suo carisma, dal suo sorriso, dalla sua facilità nel piacere alla gente.
 
Lei non la aveva mai avuta.
 
“Allora, Noah” iniziò il ragazzo, incrociando le braccia al petto. “Non hai parlato molto, oggi”
 
Lei arrossì, sentendosi colpita dalle sue parole.
 
“Beh, che dovrei dirti?”
 
“Non so. Parlami di te.”
 
“Fallo prima tu”
 
Bradley si morse il labbro, guardandola con un sorrisetto. 
 
La cameriera li raggiunse al tavolo, porgendogli ciò che avevano ordinato.
 
Noah bevve dalla tazza di ceramica fumante, aspettando che Brad parlasse.
 
“Non c'è molto da dire” confessò.
 
“Tu prova”
 
“Okay” acconsentì lui. “Allora… inizio con il dire che sono un tipo attivo. Non mi piace stare a casa senza fare niente. Poi, ehm… adoro suonare il piano, e…”
 
Bradley si gratto la testa, leggermente a disagio. Noah sorrise, sperando di tranquillizzarlo.
Ma d’altra parte, era più che felice di averlo ridotto così, di invertire la situazione.
 
“Mi piacciono le avventure.” Concluse, guardandola fisso negli occhi.
Lei arrossì, e sperò con tutta se stessa che non se ne accorgesse.
 
“Ora tocca a te” la incitò il ragazzo. “Parlami di te, Noah.”
 
Ed ecco che il momento fatale, che avrebbe rovinato qualsiasi cosa ci fosse tra loro. Se c’era, ovviamente.
 
“Io… sono pigra. Il contrario di te. Mi piace leggere, e beh, suonare il piano.” Disse. Si accorse che i palmi delle mani le sudavano, che il battito cardiaco era accelerato, che si sentiva nervosa. Brad sarebbe scappato, come tutti gli altri ragazzi che aveva conosciuto.
 
“Non può essere tutto qui, andiamo.” Si lamentò Brad, sarcastico. “Io sono un ragazzo ordinario, okay, ma tu sembri speciale. Devi pur avere qualcos’altro da dirmi”
 
Noah sentì le ginocchia tremare, e ringraziò il cielo di essere seduta.
 
“Brad, io…” trattenne il fiato per un istante, guardando i suoi occhi castani. “Sono malata. Leucemia.”
 
Il ragazzo rimase in silenzio per un attimo, schiudendo leggermente le labbra, e guardando a terra.
 
Noah sentiva che aveva rovinato ogni cosa, che Brad se ne sarebbe andato, lasciandola sola con quella cioccolata in mano. Era l’ultima cosa che voleva.
 
“Mi hai chiamato Brad” disse lui infine, facendo un sorrisetto.
 
Noah si lasciò andare un po’, sperando che andasse tutto bene. DOVEVA andare tutto bene.
 
“Hai sentito cosa ho detto, vero?”
 
Brad scrutò i suoi occhi castani, che potevano assomigliare ai suoi, ma erano completamente diversi. Aveva striature verdi, che lo affascinavano.
 
“Certo che ho sentito” rispose, picchiettando sul tavolo di legno grezzo del bar. “Ma vedi, sono una persona estremamente positiva. Niente mi spaventa”
 
Noah abbassò lo sguardo, arrossendo. Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere, nella vita. Escludendo i suoi genitori, ovviamente, che non valevano.
 
“Diciamo che io sono il tuo opposto, allora” disse Noah, appoggiando i gomiti al legno, e fissandolo. “Mi spaventa ogni cosa”
 
“Credo che tu non le veda dal verso giusto, sai?”
 
“E quale sarebbe il ‘verso giusto’, scusa?”
 
Brad la osservò, come se la risposta fosse ovvia, e la domanda della ragazza fosse la più idiota del mondo.
 
“Alla fine, il mondo è pieno di atrocità. Una leucemia è terribile, non fraintendere, ma aiuta pensare a questo, per consolarsi.”
 
Noah si sentì sollevata, in qualche modo. Bradley era la prima persona che conosceva che non era ossessionato dall’idea di malattia, che la vedeva come qualcosa di accettabile.
 
Per Noah non lo era, ovviamente. Ma era bello parlare con qualcuno che non la considerava un animale da circo, o qualcosa del genere.
 
“Mh, interessante. Dovrò pensare a questa cosa”
 
“Quindi penserai a me, no? L’idea è mia.”
 
Noah rise, riappoggiando la schiena alla sedia.
 
“Avrei pensato a te comunque, Brad.”
 
Il ragazzo abbassò lo sguardo, con un sorrisetto.
 
“Beh, la cosa è reciproca.”
 
I due rimasero in silenzio per un po’, a sorseggiare la cioccolata, in imbarazzo.
Noah si aspettava che Bradley le avrebbe chiesto qualcosa sulla sua malattia, da quanto ne era affetta, o cose del genere. E invece niente, non accennò nemmeno il discorso.
 
E a Noah piacque.
 
Quel ragazzo era il primo a trattarla in quel modo, come una persona normale, che poteva fare le stesse cose di qualcuno sano.
Era bello essere accettata per come era, senza giudizi.
 
“Scusa, ma io mantengo le promesse” disse Brad, controllando l’orologio. “Devo riportarti al teatro.”
 
Noah annuì, ed infilò una mano nella tasca del cappotto, per prendere i soldi.
 
“Ehi, che fai?” la rimproverò lui, con un sorrisetto. “Pago io. È il minimo che possa fare”
 
Hai già fatto più del necessario Pensò la ragazza, in imbarazzo.
 
Perché si, ciò che aveva fatto era più che abbastanza. Nessuno si era mai comportato così con lei, prima.
 
Brad pagò la cameriera, e i due uscirono, stavolta preparati al freddo della città.
 
Camminarono lentamente, forse timorosi di lasciarsi andare, e parlarono ancora. Parlarono delle loro vite, delle loro abitudini.
 
Bradley raccontò di quanto la sua vita fosse noiosa e monotona, e Noah si sorprese, scoprendo che avevano più cose in comune di quanto pensasse.
 
Arrivarono al teatro una decina di minuti dopo. La madre di Noah la aspettava in macchina, fuori dall’edificio, e aveva le sopracciglia aggrottate.
 
Noah era sul punto di salutare il ragazzo, ma lui la sbalordì, avanzando verso la macchina. Dorothea abbassò il finestrino, stranita a sua volta.
 
“Piacere, signora. Sono Bradley Will Simpson.”
 
Le tese la mano, e lei la strinse, lasciandosi andare ad un sorrisetto.
 
“Dorothea.”
 
“è stato un piacere.”
 
Il ragazzo lasciò la donna, tornando a guardare Noah.
 
“Devi portarmi quegli spartiti, ricordalo.” Gli disse, con un sopracciglio alzato.
 
Lui rise, infilando le mani nelle tasche.
 
“Va bene. A presto, Noah.”
 
Si allontanò, camminando lentamente, e lei non poté fare a meno di guardarlo. Lo aveva appena conosciuto, ma, in qualche modo, era come se lo conoscesse da sempre. Il suo sorriso, i suoi occhi, i suoi capelli, erano elementi che avrebbe riconosciuto ovunque.
 
Una suonata del clacson di sua madre la riportò alla realtà, ed entrò in macchina, allacciando la cintura.
 
Sua madre non parlò per un po’, con un sorrisetto ebete stampato in faccia.
 
Noah era abbastanza infastidita dal suo comportamento, e alzò gli occhi al cielo. Tra lei e Bradley non c’era niente, in fin dei conti. Ed era sicura che Dorothea si sarebbe fatta filmini mentali su loro due. Alla fine, parlò.
 
“Quel ‘Bradley’ sarebbe il suo ragazzo?”
 
La figlia avvampò, sprofondando nel sedile.
 
Prevedibile.
 
“No, mamma. Non c’era lezione, e mi ha proposto di fare un giro”
 
“Sul serio non c’era?”
 
“Si, mamma”
 
“Oh, allora avrò dimenticato di leggere le mail”
 
Noah sorrise, pensando che, probabilmente, se non ci fosse stata quella coincidenza, non avrebbe mai conosciuto Bradley. Si, coincidenza. Non aveva mai creduto nel destino, nella vita. Era fatto per illudere le persone, per farle credere che qualunque incontro, promessa, fosse a causa sua. Semplicemente ridicolo.
 
Arrivarono a casa pochi minuti dopo, e Noah salì le scale di fretta, ignorando gli avvertimenti della madre sullo stare a riposo, e le sue imprecazioni.
 
Era davvero troppo esaltata per controllarsi.



 
#ANGOLOAUTRICE
Eccomi qui, ragazzi! Vi ho colti di sorpresa, ehehe
Ho voluto scrivere una storia su Brad perchè amo i the vamps, e ho scelto lui perchè mi sa troppo di dolcioso alksjdhdh
Niente, spero che la storia vi piaccia. Se avete letto fin qui, che vi costa lasciare una recensione? Niente, lo dico io. Rendetemi felice ahaha
Ci si vede al prossimo capitolo!
Un bacio,
Tribute92
 
 

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Capitolo 2
*** I Will Die ***


       

Chapter 2.


Noah scriveva sul suo diario frenetica, più veloce di quanto credesse di poter andare.
La sua mano correva libera sul foglio, dando sfogo ai suoi sentimenti più contrastanti, che infuriavano dentro di lei come una tempesta, e che potevano essere espressi solo su carta.

Londra, 14/11/13
Caro nonno,
Mi sembra strano parlarti di una cosa del genere, dato che sei mio nonno. Da quando te ne sei andato questo diario è un po’ indirizzato a te, no?
Oggi ho conosciuto un ragazzo. Un ragazzo fantastico. Bradley, si chiama Bradley. E c’è qualcosa di lui che mi attrae, che mi fa desiderare che sia con me in ogni momento.
Ma poi penso alla mia malattia, che mi spinge in basso ogni secondo, e che rischia di rovinare tutto, come sempre.
Come vorrei cambiare le cose, fare in modo di guarire all’istante, di poter vivere la mia vita come voglio, PER QUANTO voglio.
Io non ho mai creduto nel destino, lo sai. Beh, questa è la coincidenza più bella e allo stesso tempo brutta che mi sia capitata.


Noah smise di scrivere, appoggiando la penna alla scrivania. Si alzò, con cautela, perché poco prima, correndo come una furia, si era stancata troppo.
Bradley non le aveva nemmeno chiesto il numero, e un po’ le dispiaceva.
Diciamo che una telefonata da parte sue non le sarebbe dispiaciuta affatto.
Eppure sapeva che era meglio così, che passare del tempo insieme avrebbe fatto male ad entrambi, prima o poi.
Anche se infine, tra di loro non c’era nulla, no?
La ragazza fissava il soffitto, due mani appoggiate al petto, a sentire il cuore accelerare, battere più forte, come se si affrettasse a raggiungere quello di Bradley.
Ma non ci sarebbe mai arrivato, lo sapeva. Arrivava così poco sangue che, per pomparne un po’, il suo cuore si sforzava terribilmente.
O almeno, il sangue arrivava. Ma non era quello ‘giusto’, ecco.
Quando i suoi genitori le chiedevano come si sentiva, Noah aveva voglia di ucciderli sul posto. Come poteva stare, secondo loro? Bene? No. Lei non sarebbe mai stata bene.
Noah chiuse gli occhi, cercando di rilassarsi, e immaginò il volto di Bradley. In una frazione di secondo abbandonò la sua espressione triste, e aprì il volto in qualcosa che si potrebbe chiamare sorriso.
Era strano, ma quel ragazzo riusciva a sconvolgere tutti i suoi piani, a mandarla in confusione.
Rimase stesa per un po’, cercando di recuperare le energie che aveva perso quel giorno.
Non si riusciva a trovare un donatore compatibile, era quello che dicevano i medici.
La vita di Noah sarebbe stata più breve di quanto avrebbe mai voluto.
Prese il suo amato diario, e sfogliò le pagine con foga, cercando i tempi in cui stava bene, in cui non c’era nessun terrore della morte ad assalirla continuamente.
Dopo qualche minuto di confusione, trovò quella pagine. Quella dannata pagina.

Londra, 04/09/2005
Caro nonno,
Ti scrivo perché sono un po’ agitata, ultimamente.
Svengo spesso, e ho un po’ paura. Credo che la mamma abbia paura quanto me. Dice che se sverrò di nuovo ci toccherà andare all’ospedale.
Io non voglio. Quel posto mi fa paura, da quando sei morto tu. E se morissi anche io? Non ha senso, no?
In ogni caso, spero che vada tutto bene, ma ne dubito.


Noah smise di leggere, con le lacrime agli occhi. Perché doveva essere tutto così difficile? Perché era capitato tutto a lei?
Leggere quelle pagine le faceva male, e tanto. Ma le leggeva comunque, forse per autocommiserarsi. Non lo sapeva.
Noah chiuse gli occhi, abbandonandosi al sonno.
Almeno in quei momenti, riusciva a dimenticare ogni cosa.
In quelle ore Noah sognò Bradley, ma, probabilmente, non lo seppe mai.


La settimana seguente passò abbastanza in fretta. Noah continuava a non fare niente, a scrivere le sue fan fiction, e a dormire.
Uscire era fuori discussione, secondo sua madre, perché sprecare energie era inutile. Noah avrebbe voluto protestare, ma, in fin dei conti, non aveva nessun amico con cui uscire.
I suoi libri e le sue storie erano una specie di rifugio, la aiutavano a sentirsi se stessa. E così il suo pianoforte, che la ascoltava, senza parlare. La musica era un ottimo mezzo di comunicazione.
Quando arrivò il giorno della lezione di piano, Noah era decisamente più impaziente dell’ultima vola.
Fremeva all’idea di rincontrare Brad, di avere gli spartiti che bramava. 
Doveva imparare a non pensare a lui in quel modo, perché in fin dei conti, provare qualcosa l’uno per l’altro avrebbe solo portato dolore.
Stavolta la ragazza si preparò con cura, vestendosi più carina che poté, e spazzolando bene i suoi capelli, che odiava, per via del colore castano, così banale, e della loro consistenza. Erano sottilissimi, e bastavano un paio di giorni per renderli terribili.
Una volta pronta, scese di sotto, trovando sua madre, in procinto di salire per le scale.
Quando vide la figlia, in anticipo di dieci minuti, sgranò gli occhi.
“Che ti prende, Noah?” chiede, un po’ incuriosita. “Non mi sembravi tanto entusiasta di seguire questi corsi, quando ti ho iscritta”
“Andiamo e basta, mamma.”
Non le andava di spiegarle in suoi tormenti interiori, e di certo parlare del suo inspiegabile desiderio di vedere Bradley Will Simpson, il ragazzo che si era presentato tanto gentilmente, con gli zigomi tondi, gli occhi castani e dei capelli fantastici a incorniciargli il viso, avrebbe comportato questo.
La madre sospirò ed annuì, avviandosi verso la porta.
Faceva freddo, come sempre, e Noah si affrettò a raggiungere la toyota azzurra della madre, rifugiandosi dentro di essa.
Odiava il freddo, e Londra ne era piena. Altra ottima ragione da aggiungere alla lista delle motivazioni per non uscire.
La ragazza appoggiò il gomito al finestrino, cercando di calmare il suo cuore, accelerato all’improvviso.
Stava per rivedere Bradley, quel ragazzo così strano, ma allo stesso tempo affascinante, e non aveva idea di cosa gli avrebbe detto.
Non poteva uscirsene semplicemente con un ‘Hey, ciao. Mi daresti gli spartiti?’
Sarebbe stato poco carino, e lei non voleva apparire scortese.
Anzi, voleva apparire affascinante almeno quanto lui.
Noah scosse la testa, scacciando per l’ennesima volta quei pensieri. 
Comunque, sarebbe stata una causa persa.
“Ho controllato le mail.” Disse Dorothea, spezzando il silenzio. “Non mi hanno mandato niente. Si saranno dimenticati.”
Noah ripensò al tono sicuro di Brad, quando le aveva dato quell’informazione.
Strano.
“Vabbe, speriamo che oggi ci sia lezione. Altrimenti sarebbe altro tempo perso.”
La madre ammiccò, guardandola di sottecchi.
“Beh, da come guardavi quel ragazzino, non sembrava affatto tempo perso.”
Noah alzò gli occhi al cielo, cercando di non arrossire. Purtroppo, fu inevitabile.
“Smettila. Sai che morirò.”
Il viso di sua mare perse ogni accenno di sorriso, e sterzò bruscamente, facendo reggere la figlia alla portiera. 
“Mamma!” urlò, spaventata a morte.
“Non dirlo.” Sibilò Dorothea, stringendo il volante così forte da avere le nocche bianche.
“Cosa?”
“Che morirai.” Le parole della madre erano strozzate dalle lacrime, e per un secondo Noah si sentì in colpa.
Ma poi la rabbia si impadronì di lei, quasi contro a sua volontà.
“è la verità, okay? Io morirò. E presto, anche. Non ci sono donatori compatibili, e lo sai benissimo. Non fare le scenate da mammina preoccupata, perché credimi, io sto peggio di quanto pensi quando fai così.”
Dorothea aveva gli occhi pieni di lacrime, e non rispose.
La figlia si abbandonò sul sedile, e una lacrima le percorse il viso. Sperava che sua madre non lo notasse, ma, anche se lo fece, non lo diede a vedere, fissando la strada davanti a sé.
Quando la macchina si fermò davanti al grande edificio, Noah si affrettò a scendere, sbattendosi la porta alle spalle, e la madre partì a tutta velocità, lasciandola sola.
Con un sospiro, la ragazza salì i gradini del palazzo. Una volta davanti al portone, provò a spingere, senza successo. Aveva perso troppe energie, e non aveva abbastanza forza per spostare la porta, pesantissima.
La lacrima di precedente tristezza si trasformò in un pianto frustrato, e la ragazza appoggiò il braccio al legno antico, senza sapere cosa fare, nel panico.
Era un completo disastro.
“Ehi.”
Una voce la costrinse a girarsi di scatto, sorpresa.
Bradley era di fronte a lei, con le mani in tasca, e un sorriso comprensivo.
“Stai bene?”
La ragazza non poté evitare di guardare i suoi zigomi, perfetti come li ricordava dalla settimana prima. Pensava di esserseli immaginati, ed invece erano davvero come pensava.
Noah si asciugò gli occhi, e del trucco nero le sporcò il dorso della mano.
Fantastico. Pensò. Ora sono ancora più orrenda.
“Si, tutto a posto.”
Nonostante le sue parole, continuava a singhiozzare, senza fermarsi. Non ci riusciva.
Bradley si avvicinò, passandole un braccio intorno alla spalla.
“No” disse. “Non stai bene. Entriamo in teatro, così mi spiegherai che ti prende, okay?”
“è questo il punto” ribadì Noah, le guance tinte di un rosso acceso. “Non riesco ad aprire la porta. Non ho le forze.”
Il ragazzo tacque, facendo un mezzo sorrisetto, e prendendole la mano.
“Invece si.”
Noah sgranò gli occhi, abbastanza sorpresa.
“Cosa?”
“Hai le forze. Basta non avere paura.”
“Paura di una porta?”
“No, Noah.” La sua voce era rigida, ma allo stesso tempo dolce, come solo lui poteva essere. “Paura di vivere la vita.”
“Scusa, non ti seguo”
Il ragazzo rise, accarezzando la mano di lei, facendola rabbrividire.
“In un certo senso, tu credi che la tua malattia ti impedisca di fare le cose. È un fatto psicologico, secondo me. Puoi farcela.”
Noah alzò un sopracciglio, decisamente sbalordita dalle sue parole. Ma in un certo senso, era bello sapere che c’era qualcuno che credeva in lei per davvero.
Si girò, la mano sul portone antico, tirando un forte respiro.
“Senza paura?” le chiese Brad, stranamente vicino.
Noah non si era accorta delle sue labbra sul suo lobo, e sussultò.
“Senza paura.”
La ragazza spinse il portone con tutte le forze che aveva, ed esso si aprì. Sentì una leggera spinta da parte del ragazzo, ma cercò di non farci caso.
Ce l’aveva fatta.
Si girò verso Brad, raggiante, dimenticando la sua vicinanza. Si ritrovò a pochi millimetri delle sue labbra, con il fiato mozzato.
Egli sorrise, e passò una mano fra i capelli che la ragazza aveva pettinato con tanta cura.
“Mi piaci di più spettinata, lo sai?”
Le sue parole rimasero sospese nell’aria, quasi trattenute da un filo, e la ragazza non rispose. Si limitò ad ammirare Bradley, che appariva ancora più perfetto, a questa distanza.
In seguito, Noah si allontanò, arrossendo.
Il suo gesto fece abbassare lo sguardo al ragazzo, che ammiccò.
“Allora” sbottò Noah, rivolta a Bradley. “I miei spartiti dove sono?”
Il ragazzo rise divertito, passandosi una mano fra i ricci castani.
“Vieni, te li do subito.”
Avanzò nel teatro, e lei lo seguì. Bradley camminava con una certa lentezza, assicurandosi che lei potesse reggere il suo passo.
Senza farsi vedere, Noah sorrise, grata che finalmente qualcuno prestasse attenzione a queste cose.
Perfino sua madre era solita camminare di fretta, lasciandola indietro.
Ancora una volta, non c’era nessun maestro di piano, e Noah sbuffò, un po’ irritata.
“Io dovrei fare pianoforte, sai?”
Il ragazzo non si voltò, e anzi, le prese la mano, camminando un po’ più velocemente, e trascinandola con sé.
“Sam è malato. Mi ha chiesto di dirtelo.”
Noah alzò gli occhi al cielo, sospirando. Questa storia non le andava a genio, per niente. Sentiva che c’era qualcosa che non andava.
“Quando potrò avere il numero di questo ‘Sam’?”
Brad storse il naso, e girò bruscamente a sinistra, entrando in una stanza che Noah non aveva notato, quando era stata lì la prima volta.
Doveva essere lì che si trovava Brad, quando era entrata.
Il ragazzo lasciò il suo polso, e si incamminò nella stanza a passo veloce, frugando in qualche scatola.
Noah si guardò intorno, ammirando quel posto. C’era un pianoforte nel mezzo, decisamente più piccolo di quello sul palco, ma molto più… accogliente, se così si poteva definire.
Accatastate ai muri c’erano delle librerie di legno grezzo, piene di quaderni ad anelli e fogli, probabilmente pieni di brani.
Una sola libreria era dedicata ad i libri, e Noah ci si avvicinò, sfiorandone il dorso con le dita.
“Erano di mia madre, quelli”
Noah non aveva notato che Bradley aveva smesso di rovistare, e che si era avvicinato a lei, arrivandole accanto.
Allontanò di scatto la mano, arrossendo.
“Erano?”
“è morta due anni fa” rispose. “cancro al cervello.”
La sua voce non era incrinata, il ragazzo non sembrava triste. Un po’ nostalgico, ma rassegnato.
“Oh.” Disse Noah, un po’ in imbarazzo. “Mi dispiace tanto.”
Bradley scosse la testa, cingendole la vita con un braccio. Quell’improvvisa vicinanza paralizzò la ragazza, che era in procinto di dire qualcosa.
“Non ha senso scusarsi per cose di cui non si ha colpa.” Disse Brad, fissando un volume nella libreria. “è un’abitudine idiota di questo patetico mondo.”
Noah sospirò, allontanandosi la lui, cercando di tornare stabile.
“Perché i suoi libri sono qui, scusa?”
“Passo praticamente tutto il mio tempo qui, perciò ho portato un po’ di roba in questo posto. A Sam non dispiace, visto che è stato amico di mia madre, un tempo. Il teatro è di mio padre.”
Noah annuì, continuando a guardarsi intorno. Adorava quel posto, pieno di magia, in fondo. La musica e i libri mischiati insieme erano una combinazione stupenda, a cui non poteva resistere.
“Puoi prendere un libro, se vuoi.” Disse Brad, per rompere il silenzio.
“Oh, no… non credo sia il caso.” Replicò Noah, arrossendo di colpo.
“E perché, scusa?”
La ragazza non rispose, e lui prese un libro abbastanza vecchio da uno scaffale. Ci soffiò sopra, liberandolo dalla polvere all’esterno.
Noah guardò la copertina, curiosa.
“l’ultima canzone” lesse. “Mai sentito. Tu lo hai letto?”
“No, ma era il preferito di mia madre. Lo avrà letto milioni di volte.”
Noah lo prese in mano, un po’ titubante.
Privare Bradley di un oggetto del genere la faceva sentire in colpa, ma rifiutarlo sembrava un’offesa a sua madre.
“Grazie mille. Te lo restituirò al più presto.”
“Figurati, puoi tenerlo. Io non me ne faccio niente.”
Noah sgranò gli occhi, e strinse il libro al petto.
“Beh, allora lo farò sentire a casa, okay?”
Bradley scoppiò a ridere, e si passò per l’ennesima volta una mano fra i capelli.
“Va bene.”
Rimasero in silenzio per un po’, a fissarsi a vicenda, finché Bradley non si schiarì la voce, voltandosi, e camminando verso uno degli scatoloni.
“Ho gli spartiti, comunque.” Disse, prendendo un paio di fogli, e porgendoli a Noah.
Ella li guardò stranita, e un po’ confusa. Erano scritti a mano.
“Perché sono scritti a matita?”
Bradley esitò un secondo, ma Noah quasi non se ne accorse.
“Mi piace copiare gli spartiti. È come se prendessero vita una seconda volta.”
Noah li osservò, con un sorrisetto. Avrebbe avuto un pezzo di Brad con sè pe sempre.
O almeno, per il tempo che la sua miserabile malattia le offriva.
“Se erano qui, perché non me li hai dati ieri?”
Brad fece un sorrisetto, mordendosi il labbro inferiore.
“Se devo essere sincero, avevo paura che non saresti più tornata.”
Noah alzò gli occhi di scatto, incontrando i suoi, marroni come il cioccolato.
“Mossa intelligente, ragazzo.”
Noah appoggiò gli spartiti al pianoforte, promettendo a se stessa di non dimenticarli.
“Lo so, cara.”
Bradley le si avvicinò di colpo, inaspettatamente, appoggiandole le mani sulle goti.
Erano calde, più di quanto avrebbe immaginato.
“Penso a te da una settimana intera, sai?” sussurrò, facendo fremere lei, senza una risposta. “E muoio dalla voglia di baciarti.”
Queste sue parole improvvise la scossero, la colpirono come un pugno in pieno viso. Non se le aspettava.
Noah riusciva a sentire il suo respiro caldo, il battito del suo cuore sotto alla maglietta bianca, il sudore sulla sua nuca gocciolare.
Il cuore batteva forte anche a lei, impedendole di pensare a qualcosa che non fosse il desiderio verso quel ragazzo, tanto sconosciuto quanto irresistibile.
Sapeva che stare con lui era sbagliato, ma una parte di lei non voleva accettarlo.
Rimase in silenzio ancora una volta, aspettando che lui agisse.
Ma non lo fece.
Si allontanò, abbastanza imbarazzato.
“Scusa.” Disse. “Non avrei dovuto dirtelo così.”
Lei rimase immobile, e si rese conto solo in quel momento si essere rigida come un pezzo di legno.
Non parlarono per qualche secondo, e lui indietreggiò, appoggiandosi al pianoforte, fissandola.
Noah si sentì arrossire, ma non seppe come altro reagire.
“Anche io ti ho pensato.” Confessò infine la ragazza, con un coraggio che non credeva di possedere.
Lui sgranò leggermente gli occhi, incrociando le braccia al petto, con un accenno di sorriso sul volto.
“Capisco.”
Non parlarono per un altro po’, finché Noah non si decise a dire le parole che aveva sempre pensato, che frullavano nella sua testa da quando lo aveva visto la prima volta.
“Ma io non voglio che tu soffra, Brad.” Precisò, con una fitta al petto. “Morirò presto. E a quel punto la tua spavalderia crollerà, lasciando il posto ad un cuore spezzato. Io non voglio questo.”
Quelle parole erano state sulla punta della sua lingua in ogni momento, ed era sorpresa di essere riuscita a pronunciarle.
Bradley teneva lo sguardo fisso a terra, e il sorriso precedentemente soddisfatto si era trasformato in amaro, mentre giocherellava con il tappeto, stuzzicandolo con la scarpa da ginnastica.
I suoi occhi erano vacui, e, per la prima volta da quando Noah lo conosceva, tristi.
“Capisco anche questo.” Disse. “ma accettarlo è un’altra cosa.”
Noah si sentiva sempre più a disagio, e abbassò lo sguardo. Non sapeva più cosa dirgli.
“Continua a prevalere il fatto che hai paura di vivere, lo sai?” disse Brad, rialzando gli occhi, e cercando  suoi, che però erano rivolti verso il basso.
“No. È paura di ferirti, stavolta.”
“Guardami.”
Noah incontrò i suoi occhi marroni, e il suo cuore perse un battito.
Questa sua paura, che la assaliva ogni volta che incontrava una persona, sembrava non essere compresa da lui, nonostante avesse detto il contrario.
Ed era strano, perché ogni volta che incontrava qualcuno scappava, concordava con lei, pensava che non frequentarsi sarebbe stato meglio.
Bradley era così diverso, così strano. Noah lo aveva capito dalla prima volta che lo aveva incontrato.
“Hai paura di vivere per davvero, Noah.” Sussurrò il ragazzo. Si avvicinò di nuovo a lei, abbastanza lentamente, e le prese il viso fra le mani. “Non sei stanca di vivere nella tua teca di vetro? Non vuoi goderti la vita che ti resta?”
Le lacrime iniziarono a scorrere sul viso di lei, offuscandole la vista.
Lo strattonò, nonostante il cuore le imponesse di fare il contrario.
“Tu nemmeno mi conosci! Non hai idea di quello che mi succede! Non puoi sapere come vivo!” urlò, fuori di sé.
Era forse la prima volta che lei si sfogava con lui, che si apriva, mostrando tutto il dolore che la sua malattia comportava.
“E invece si. Lo ho visto nei tuoi occhi.”
Noah gli voltò le spalle, uscendo dalla stanza. Era furiosa con lui, per il fatto che fosse così dannatamente perfetto, che riuscisse sempre a capirla, che rendesse tutto difficile.
Aprì la porta, stavolta senza difficoltà.
Non pensò nemmeno alla forza che sarebbe servita.
Se ne andò, decisa a tornare a casa, non curante dell’energia che avrebbe sprecato.
Avrebbe anche potuto svenire per strada, non le interessava.
Gli spartiti che Noah aveva bramato così tanto, e che, secondo lei, erano la ragione che la aveva spinta a rincontrare Brad… rimasero sul pianoforte, perfettamente in ordine, e nemmeno se ne accorse.
Evidentemente, non erano ciò che desiderava davvero.


 
#ANGOLOAUTRICE
Okay, non sono morta ahaha
Ci ho messo un po' a scrivere questo capitolo perchè ci tenevo particolarmente, ed ho avuto molti impegni, quindi non ho voluto scriverlo a cavolo, ho aspettato di avere un po' di calma.
Vi piace la piega che sta prendendo la storia?
Brad è troppo dolcioso secondo me, ma vabbe sta a voi commentare ahaha
Vi avverto che dovrete aspettare un po' per il capitolo 3, perchè fra poco alla mia scuola c'è una simulazione degli esami, e devo studiare :/
Vabbe, spero che questo capitolo vi piaccia!
Alla prossima,
Tribute92

PS. Ditemi in bocca al lupo! ahaha

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Capitolo 3
*** Never ***


     
Chapter 3.
 
Era da tre giorni buoni che Noah rifletteva sulla sua conversazione con Brad. Era arrabbiata con lui per quello che le aveva detto, e non lo avrebbe dimenticato facilmente, nonostante il cuore le ordinasse di correre fra le sue braccia, di cercare di vivere il poco tempo che le rimaneva con lui. Ma sarebbe stato da egoisti.
Aveva convinto la madre a farla uscire da sola, promettendo di camminare lentamente, per non stancarsi.
Era imbarazzante dover sempre uscire con lei, e soprattutto lo era vedere ragazzi spensierati correre per le strade mano nella mano, ridere, fare tutto ciò che lei non avrebbe mai potuto fare, e guardarla storta per la compagnia della donna.
Noah non sarebbe mai stata felice, lo sapeva.
Che poi, in fondo, cos’è la felicità? È la gioia di un bambino quando gli fanno un regalo? Trovare l’amore della tua vita? Raggiungere gli obiettivi che hai sempre voluto?
La felicità era una sensazione momentanea, era questo che Noah pensava. Non si poteva mai essere felice per sempre, riuscire a raggiungere ogni obiettivo, ogni caramella, ogni innamorato.
Innamorato.
Anche l’amore, cos’è, alla fine? Le farfalle nello stomaco quando qualcuno ti parla? Le gambe di gelatina? Il cuore che batte più forte?
Ecco, il punto è che Noah aveva una risposta per tutto, anche se spesso era abbastanza contorta, ma non per questo. L’amore era sempre stato troppo difficile da capire.
Sentiva i suoi passi lenti echeggiare sull’asfalto, nonostante il marciapiede londinese fosse pieno di gente. Era come se il mondo andasse più veloce di lei, come se Noah andasse al rallentatore, o addirittura come se fosse ferma, a guardare il mondo evolversi, andare avanti, sapendo che non avrebbe mai potuto fare lo stesso.
Bradley le aveva detto che era una ragazza che aveva paura di vivere, le aveva detto che vedeva le cose nel modo sbagliato. Ma il fatto era che le sue spiegazioni erano troppo irreali, troppo fantasiose per essere la verità.
Noah aveva pensato tante volte ai problemi del mondo per consolarsi, ma era arrivata sempre ad un’unica, semplice conclusione. Tutta la povertà, le crudeltà, avevano una possibilità di risolversi. La sua malattia no. Era irrecuperabile.
Se fosse stato tutto così semplice, allora Noah non avrebbe avuto problemi. Il problema era causato non da quelle parole di Brad, che si, la avevano offesa, ma non c’entravano nulla.
Il problema erano state delle semplici, quasi insignificanti parole.
“E muoio dalla voglia di baciarti.”
Perché era così difficile ignorarle? Perché non smetteva di pensare a lui e basta?
Noah non lo sapeva, e si tormentava, per questo.
Avrebbe voluto tornare alla sua vecchia, umile vita, in cui si, era triste, ma accettava il suo destino, nonostante le facesse del male.
Adesso era diverso, lei voleva vivere, voleva poter stare con Brad, ignorare tutti i casini che li dividevano.
Noah era così immersa nei suoi pensieri che andrò a sbattere contro qualcuno, rischiando di cadere a terra. Per fortuna lui la prese al volo, sorreggendola per le braccia.
Alzò gli occhi, pronta a ringraziarlo di cuore, ma si bloccò, sorpresa.
Di fronte a lei c’erano dei ricci mori, degli occhi marroni come il cioccolato e un sorriso così bianco da mozzare il fiato.
Potevano appartenere ad una sola persona.
Noah si affrettò ad allontanarsi dal ragazzo, lisciandosi i jeans sulle gambe, giusto per avere qualcosa da fare.
“Hai visto?” disse Brad. “è semplicemente destino.”
La ragazza fece per andarsene, ma lui le prese il braccio, costringendola a voltarsi. Il sorriso che aveva non cessava di brillare, rendeva ancora più difficile allontanarsi da lui.
“Bradley, lasciami andare.”
“Da quando hai ricominciato a chiamarmi così?”
Sembrava sempre sviare gli argomenti importanti, lo faceva apposta per farla arrabbiare. Eppure, lei non poteva fare a meno di considerarlo dannatamente adorabile.
“Non è la cosa più importante, adesso.”
“Decidi sempre tu cosa è importante, vero?”
Lei lo guardò di traverso, e lo strattonò, fortunatamente con successo.
Infilò le mani in tasca e riprese a camminare, ma lui la seguì, senza tuttavia toccarla nuovamente.
“Per quanto hai intenzione di avere paura?”
La ragazza sbuffò, alzando gli occhi al cielo.
“E tu quando la smetterai di farmi i discorsetti morali?”
“Quando li capirai.”
Noah si fermò, e guardò Bradley con un’espressione infuocata.
“Hai davvero rotto, Bradley.”
“Ho rotto cosa?”
“Non ho intenzione di dirlo.”
“Giusto, dimenticavo. Sei troppo pura.”
Noah non rispose, troppo occupata a realizzare se quello che aveva detto era un complimento o no. Era arrabbiata con se stessa, per il semplice fatto di non riuscire a mandarlo a quel paese, anche con brutte parole, e a continuare la sua infelice vita.
Che poi, sarebbe stata infelice comunque, con o senza di lui.
“Vuoi venire a casa mia?” ruppe il silenzio Bradley, tirando le labbra in un sorriso che mostrava le sue fossette, che Noah adorava.
“Con me questi giochetti non funzionano, riccio.”
Lui rise, e si passò una mano fra i capelli che la ragazza aveva appena menzionato, senza smettere di fissarla. Di sicuro era il suo tentativo di sedurla, di farla cadere ai suoi piedi, e lei non avrebbe ceduto.
Mai.
Era per il bene di entrambi, in fondo.
“Dico sul serio. Hai dimenticato gli spartiti, l’altra volta.”
Noah alzò gli occhi al cielo, ma non poté fare a meno di sorridere.
Voleva davvero dire di no, sul serio. Lo desiderava con tutta se stessa. Ma come faceva, se lui la guardava in quel modo, se era così bello, così simpatico? Non poteva, ecco tutto.
“Va bene. Ma poi non ci parleremo più.”
“Eh no, così non vale.”
“Prendere o lasciare, femminuccia”
Lui rise, e infilò le mani nel cappotto.
“Ci sto.”
“Allora andiamo, dai.”
Bradley fece un sorrisetto, e la prese per mano, facendola rabbrividire. Tuttavia, pur sapendo che era un gesto fraintendibile, sbagliato, lei non si oppose.
Noah si sentì strana, mentre Bradley la trasportava per la città nella sua mano, al sicuro di ogni pericolo. Si sentì osservata da alcune ragazze sole, si sentì invidiata.
E le piacque.
Per una volta, non era lei ad essere invidiosa degli altri.
Bradley si fermò davanti ad un’auto gialla, e le lasciò la mano, provocando una nostalgia improvvisa, impossibile da spiegare.
Aprì la portiera a Noah, imitando un gesto galante, e facendola ridere.
Poi andò a sedersi al posto del conducente, ed accese il motore, facendosi largo tra i passanti, ed imboccando le vie affollate di Londra.
“Ti avverto, non ho intenzione di darti gli spartiti e lasciarti libera.”
“Bradley!”
Lui rise sotto i baffi, guardando davanti a sé, e ignorando la sua espressione scandalizzata.
“Fa come vuoi, denunciami per sequestro di persona, ma io e te vedremo un film a casa mia.”
Noah sbuffò, incrociando le braccia al petto, ed appoggiandosi al sedile di stoffa. In effetti, tutta questa ansia la aveva stancata troppo.
Eppure si sentiva bene, per una volta. Era come se ci fosse una piccola luce accesa nell’oscurità del suo cuore, più luminosa e più potente degli eccessivi globuli bianchi nel suo sangue, che la guidava attraverso l’oscurità, che la teneva in vita, che riusciva a farla sentire viva, nonostante fosse in punto di morte.
Perché si, lo era. I medici dicevano che si sarebbe trovato un donatore compatibile, ma ormai lei non ci credeva più così tanto.
“Che film?” domandò, dopo quelli che parvero secoli.
“Non so, cosa ti andrebbe di vedere?”
“Decidi tu, basta che non sia qualche cavolata su gente che è malata di cancro e incontra l’amore della sua vita, perché credimi, non sono affatto in vena.”
Lui rimase in silenzio per qualche secondo, le mani strette sul volante e le labbra serrate. Poi la guardò per un secondo, scuotendo la testa.
“Possibile che tu debba sempre tirare fuori l’argomento?”
“Beh, non ho paura della verità. A differenza di quello che pensi, non mi spavento per qualsiasi cosa.”
“Sei stata tu a dirmi che hai paura di tutto.”
Noah alzò gli occhi al cielo, sentendosi arrabbiata. Lui la faceva impazzire.
“Sei sempre così pignolo?”
Lui sorrise, e alzò le spalle.
“Sempre.”
Noah girò la testa, cercando di non guardarlo, perché avrebbe solo accentuato i suoi sentimenti contraddittori. Da una parte, c’era una specie di odio verso di lui, una rabbia ogni volta che a contraddiva. E dall’altra, c’erano quelle maledette farfalle nello stomaco, quell’idiota nostalgia delle loro mani intrecciate.
Fuori dal finestrino sfrecciavano negozi, bar, ristoranti, monumenti che attiravano milioni di turisti. E poi c’era lei, che osservava tutto, senza una vera ragione, e che si sentiva così piccola, in quel mondo così enorme.
 
 
Arrivarono a casa di Bradley pochi minuti dopo. Era piccola, ma carina. Rivestita da mattoncini rossi, e con una porta in legno lucido verde, con sopra una targhetta con su scritto ‘Simpson’.
Noah sorrise, mentre Bradley armeggiava con le chiavi, ed apriva la porta. Dentro la casa era altrettanto accogliente, ma Noah cercò di non osservarla troppo, per non apparire invadente.
“Mio padre non c’è” disse Bradley, entrando in quello che doveva essere il salotto, e fuoriuscendone con un dvd in mano.
“Come da copione.” Borbottò invece Noah.
Lui rise, e salì delle scale di legno, invitandola ad imitarlo.
“Vieni, la mia camera è di sopra.”
Lei lo seguì, un po’ timorosa di ciò che stava per accadere, di ciò che avrebbero fatto. Le avevano sempre insegnato a non fidarsi dei ragazzi, ad essere diffidente.
Entrarono in una stanza dipinta di blu, con un letto ricoperto da una trapunta rossa, una tv abbastanza grande ed un armadio, vicino ad una scrivania con alcuni libri sopra. Tutto normale, prevedibile per un ragazzo della sua età, se non fosse stato per un pianoforte, appoggiato alla parete, e che occupava abbastanza spazio. Doveva piacergli davvero suonare, se era così importante, per lui.
“Dammi gli spartiti, prima di tutto.” Disse Noah, incrociando le braccia al petto.
Bradley rise, e si avvicinò ad una cassettiera che Noah non aveva notato, iniziando a frugare nel cassetto più in alto. C’era una confusione pazzesca, e Noah era sicura che non avrebbe trovato nulla.
“Scusa” disse infatti. “Credo di averli lasciati a teatro.”
Lei alzò gli occhi al cielo, e lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
“Oddio, ma lo fai apposta?”
Il ragazzo rise nuovamente, cosa alquanto seccante.
“Seriamente, te li porterò un’altra volta.”
“Si, certo.”
Noah fece per andarsene, stanca dei suoi giochetti, ma lui le bloccò il braccio, deciso a non lasciarla andare via.
“Bradley, lasciami!”
“No.”
“Ti approfitti in questo modo solo perché non ho abbastanza forza per liberarmi.”
Lui la liberò dalla sua presa, con un’espressione triste, delusa.
“Non lo farei mai. Sai cosa penso. Tu puoi fare tutto ciò che vuoi.”
Noah abbassò gli occhi, imbarazzata, senza tuttavia arrossire.
Rimasero in silenzio per un po’, finché Noah spezzò il silenzio, cercando di farsi perdonare per la sua recente insinuazione.
“Allora.. che film hai preso?”
Gli occhi di lui si illuminarono, e le fece segno di sedersi sul letto, mentre andava ad infilare il dvd nel lettore.
Quando finì, si sedette vicino a lei, prendendo il telecomando. Era più felice che mai.
“Divergent. Credo sia il più adatto a te.”
“E perché?”
“Lo scoprirai guardandolo, mia cara.”
Il ragazzo schiacciò il tasto PLAY, e il film iniziò. Noah pensò subito che fosse molto bello. Aveva sentito parlare di quella saga, ma non la aveva mai letta. Aveva letto molti altri libri, ma quello mai.
All’inizio non capì a cosa si riferisse Bradley, ma, andando avanti con il film, diventò tutto più chiaro.
La ragazza, Tris, sceglieva di entrare nella fazione degli intrepidi, perché ne ammirava il coraggio. E lì conosceva Quattro, che la aiutava ad affrontare le sue paure, ad imparare che la paura non deve abbatterti, ma accenderti, deve diventare il tuo punto di forza.
Nel film, la protagonista sapeva di essere speciale, di essere diversa dagli altri. Imparava ad accettarlo.
Ora si che capiva perché era adatto a lei.
Quando il film terminò, Noah si girò a guardare il ragazzo, che aveva un sorrisetto ebete stampato in faccia.
Per tutta la durata della pellicola, la ragazza si era tenuta a distanza da lui, attenta a non sfiorarlo nemmeno con mezzo dito, e lui non aveva insistito a toccarla.
“Perché ridi?”
“Perché mi sento in imbarazzo.”
Noah rise, e incrociò le braccia al petto. “E perché, scusa?”
“Mi.. mi metti in soggezione tu, non posso negarlo.”
La ragazza smise di ridere, ma un accenno di sorriso rimase impresso nel suo volto, nonostante facesse di tutto per spegnerlo.
“Tu non sei mai in imbarazzo.”
“Invece si. Quando ci sei tu in continuazione, per di più. Sono solo bravo a nasconderlo.”
Smise di tenere le distanze da lei, intrecciando le dita alle sue. Dal canto suo, Noah non si mosse, incapace di agire, perché aveva paura.
Ma era davvero paura di vivere? Bradley aveva ragione?
“Ti ho già detto come la penso, lasciami, per favore.”
Slegò le dita dalle sue, nonostante fossero improvvisamente fredde, bramose della presenza di quel ragazzo, che riusciva a farla sentire unica, speciale, come nessuno aveva mai fatto.
Lui rise amaramente, e guardò fuori dalla finestra per un secondo, come per trattenersi dal piangere, dall’impazzire.
Le dispiaceva fargli del male così, ma era più che convinta che, stando con lui, o baciandolo, esattamente come il cuore le diceva di fare, avrebbe sofferto di più.
Era davvero così? Sarebbe stato bene quando sarebbe morta, se non stavano insieme?
“Il film ti è piaciuto, comunque?” ruppe il ghiaccio Bradley, tornando a guardarla con gli stessi occhi marroni di sempre, solo un po’ più lucidi.
“Era bellissimo.”
“Bene.”
Aveva un sorrisetto stampato sulle labbra, ma era falso, Noah avrebbe potuto giurarci.
Sapeva che aveva detto che non avrebbero più dovuto vedersi, che sarebbe stato sbagliato, avrebbe reso tutti i suoi sforzi per tenerlo lontano da sé completamente inutili. Ma le faceva male vederlo così triste, in quello stato.
“Possiamo rivederci domani? Così mi puoi dare gli spartiti.”
Gli occhi di Bradley si accesero di meraviglia, e la fissò così intensamente che pensava si sarebbe sciolta da un momento all’altro.
“Ti rendi conto che quello che fai va contro quello che dici?” sbottò, levandosi in piedi, infilando le mani in tasca.
Lei anche si alzò in piedi, e abbassò un po’ gli occhi.
“Cercavo solo di essere gentile.”
“Quindi di me non ti importa nemmeno un po’? non provi niente? Guardami, per favore.”
Noah rialzò lo sguardo, incatenandolo al suo, come sempre incapace di liberarsi.
Non voleva rispondere, non poteva. Era arrabbiata con se stessa, ancora una volta, per non riuscire a smettere di pensare a quel ragazzo, per non essere indifferente a lui.
Per provare emozioni.
“Brad.. sono complicata, okay? Nessuno mi capirà mai, nemmeno tu.”
Lui sospirò, sorridendo amaramente, e poi alzò un sopracciglio, liberando le mani dalle tasche.
“Mi hai richiamato Brad. Posso festeggiare.”
Lei rise, e lui si avvicinò. “Vieni domani mattina davanti al teatro, d’accordo? Ti darò gli spartiti, e ti farò fare qualcosa di divertente.”
“Le cose divertenti non fanno per me.”
“Hai paura anche di queste?”
Noah arrossì, ed aprì la porta, borbottando un ‘devo andare’.
Scese di sotto, e prese il cappotto, che aveva lasciato lì quando era entrata.
“Verrai, vero?”
Brad la aveva seguita di sotto,  e ora i suoi occhi erano speranzosi, ansiosi.
Era incredibile come la sua espressione facesse intendere ogni suo pensiero, anche il più profondo.
Noah voleva rifiutare, lo voleva davvero. Almeno credeva. Ma era stata lei a proporre tutto, e sarebbe stato da pazzi.
“Si, ma se non porti gli spartiti giuro che ti uccido.”
Lui rise, e la tensione e l’ansia di poco prima scomparirono in un attimo.
“Certamente.”
Noah sorrise, e, arrossita un po’, non sapeva il motivo, aprì la porta, uscendo dalla casetta accogliente del ragazzo.
Brad la raggiunse, ridendo di gusto.
“Dove credi di andare? Non sai la strada, ti accompagno io a casa.”
Noah si voltò verso di lui, guardandolo bene, e facendolo arrossire a sua volta.
Fissò le sue fossette, il suo naso, le sue labbra, i suoi capelli.
E pensò che le sarebbero mancate davvero molto.


 
#ANGOLOAUTRICE
Eccomi qui, belli. Ho avuto zero recensioni al capitolo due, e mi dispiace, ma ovviamente aggiorno, perchè sono agli inizi della storia, e spero che qualcuno prima o poi verrà a leggerla :)
Brad è tipo la persona più dolciosa dell'universo aksjdhdh
E Noah ha paura, anche se non vuole ammetterlo è insicura, e solo lui può aiutarla *-*
Va bene, mi dileguo sennò vi spoilero tutto lol
Alla prossima! (Molto presto, se tutto va bene)
Tribute92

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Capitolo 4
*** Alive ***



Chapter 4.
 
Noah era rimasta sveglia fino a tardi per colpa del libro che Bradley le aveva prestato, e non aveva chiuso occhio. Era ancora più stanca del solito.
La trama era molto bella, ma non riusciva a credere che lui non lo avesse letto. Sembrava scelto apposta per lei, dato tutto quello che era successo.
Lo aveva finito alle 2 di notte, e aveva davvero bisogno di vedere Brad per parlarne.
Dovevano vedersi davanti al teatro, così era stato programmato. Noah fremeva al solo pensiero. L’idea di rivedere quegli occhi marroni, quei capelli castani, quelle fossette, era così invitante.
Sapeva che non si sarebbe mai liberata di lui, che non avrebbe mai vissuto i suoi ultimi giorni da sola. Era rassicurante.
Eppure, era anche molto egoista. Brad avrebbe sentito la sua mancanza, quando se ne sarebbe andata. E stargli accanto nei suoi ultimi momenti avrebbe reso il tutto peggiore.
Noah si truccò un po’, cercando di apparire accettabile, ed uscì di casa avvolta nel suo piumino verde.
Sua madre e suo padre non sapevano niente di ciò che era accaduto il giorno prima, né di ciò che stava per accadere. Perché avrebbero detto le stesse cose che Noah pensava, ma che non si decideva ad accettare.
Che gli avrebbe fatto del male, che è un’idea assurda vedersi con un ragazzo quando si è in punto di morte.
Camminò nella trafficata Londra fino ad arrivare alla fermata dell’autobus. Si sedette nel posto invalidi, il più vicino alla porta d’ingresso ed uscita.
Si sentiva sempre più stanca man mano che i giorni passavano, non poteva mentire. Era come se, quando camminasse, ci fossero dei blocchi di cemento da trasportare, che rendevano il tutto più lento, più affaticato.
Aveva sentito sua madre piangere, quella notte. ‘Sta morendo’, diceva. E suo padre la zittiva, la stringeva a sé.
Credevano che Noah non stesse sentendo, ma si sbagliavano. Sbirciava dallo spiraglio che la porta lasciava, e combatteva contro se stessa per non piangere come la madre.
Sapeva che stava morendo, lo sapeva eccome. Ma questo non voleva dire che lo accettava.
La gente in autobus la guardava male, probabilmente perché credevano che fosse una ragazzina come le altre che occupava il posto degli invalidi senza permesso.
Peccato che lei ce l’aveva, eccome.
Alla fermata giusta scese dal mezzo, liberandosi da quegli sguardi di ghiaccio.
Era ora dell’appuntamento, e Brad ancora non si vedeva.
Storse il naso, e si alzò sulle punte dei piedi, cercando di scorgere la sua chioma riccia e castana.
Delle mani le si posarono sui fianchi, e sussultò, girandosi.
Quei capelli erano di fronte a lei, insieme a tutto il resto.
Noah sorrise timidamente, e affondò le mani nelle tasche del piumino.
“Temevo che non venissi.” confessò il ragazzo, aprendo il volto in uno dei suoi magnifici sorrisi.
“Sono una ragazza di parola.”
Lui rise, e si passò una mano fra i capelli.
“Allora? Dammi gli spartiti.” disse Noah, arrivando dritta al punto come suo solito.
“Ce l’ho, tranquilla. Ma prima devi fare la cosa divertente.”
La ragazza fece per imprecare, e gli diede un leggero pugno sulla spalla, per quanto la sua forza minima glielo permettesse.
“Te lo scordi, Brad. Dammi quei cavolo di spartiti.”
Bradley sogghignò, e le afferrò una mano, tirandola fuori dalla tasca.
“Te ne andrai per sempre, se lo farò.”
Il suo tocco era caldo, deciso. Umano. Ed era da tanto che un umano non la toccava con tutto questo amore, che la faceva sentire bene, al di là di tutto il resto.
“Non sono così crudele.”
“Non ti credo, cara Noah. Saresti capace di inventarti che è per il mio bene, e cose del genere.”
Noah alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Era esattamente ciò che avrebbe detto. Come faceva a capirla così bene?
“Bradley Will Simpson, inizi a diventare monotono.”
“Questa era brutta. Poi dici che non sei crudele.”
A Noah scappò una risatina, che soffocò nella sciarpa che portava al collo.
“Dimmi cos’è questa cosa divertente, sennò non la faccio.”
Lo sguardo di Bradley si illuminò, trasmettendo ancora una volta le sue emozioni. Non lasciò le mani della ragazza, anzi, la guidò fino ad una moto rossa, parcheggiata ad un lato della strada.
Noah alzò un sopracciglio, vedendolo afferrare due caschi.
“Mi prendi in giro, non è così?”
Lui alzò lo sguardo verso di lei, quasi come se si fosse dimenticato della sua presenza, e le porse uno dei caschi.
“Ho la faccia di uno che scherza, per caso?”
Noah scosse forte la testa, mentre il ragazzo indossava il suo casco argentato.
Era ridicolo anche solo pensarla, una cosa del genere. Stava morendo, era troppo stanca, ed affrontare un viaggio in moto sarebbe stato davvero troppo.
Odiava Brad per averle offerto una cosa del genere, sapendo che era malata. Perché lei avrebbe davvero voluto salire su quel veicolo con lui, non poteva negarlo.
Ma non avrebbe mai potuto farlo, mai.
“Nemmeno io sto scherzando, Brad. Non salirò su quel coso. Non posso.”
Brad allacciò il cinturino del casco, ed alzò gli occhi al cielo, imprecando sottovoce.
“Dio, ancora insisti con questa storia?”
Appena si erano conosciuti, la storia della paura psicologica era apparsa carina. Adesso, Noah iniziava seriamente a dubitare dell’intelligenza del ragazzo. Si rendeva conto che era davvero malata di leucemia? Che non era una stupida favola a lieto fine?
Voleva davvero che lo fosse, con tutto il cuore.
Voleva vivere la sua vita per intero, imparare a fare tante cose. Come suonare altri strumenti, cantare, dipingere. Più di tutto, voleva viaggiare. Non era mai uscita dal suo paese per colpa della sua stupida malattia, e si disperava per questo. Voleva anche vivere con Bradley, per sempre.
Erano tutti sogni stupidi, che non avrebbe mai realizzato. Sembrava l’unica a capirlo, tra i due.
“La vuoi smettere?!” urlò la ragazza, sentendosi frustrata. “Non ce la faccio, okay?! E stavolta non è solo una porta! Non ce la faccio e basta!”
Sentiva le lacrime ardere nei suoi occhi, ma le trattenne. Era già debole di suo, piangere avrebbe solo peggiorato le cose.
Bradley la fissò per qualche secondo, con la mandibola serrata. I suoi occhi erano vacui, come quando lei lo aveva rifiutato. Faceva male vederlo così.
“Certo che ce la fai.”
Per la prima volta da quando Noah lo conosceva, la sua voce stava tremando.
“No, Brad.” sussurrò lei. “Non posso.”
Fu Brad a piangere per primo, a mostrarsi debole. La abbracciò forte, mozzandole il fiato. Un contatto così diretto era completamene nuovo, per lei.
Farfalle impazzite iniziarono a volare nel suo stomaco, e sentì le gambe tremare.
Il suo cuore batteva più forte, galoppava, e fermarlo era qualcosa di impossibile.
Dopo qualche istante Bradley sia allontanò asciugando gli occhi sulla manica del giubbotto, cercando di ricomporsi.
Era inutile. Noah lo guardava fisso da quando aveva iniziato a piangere, sentendosi uno schifo totale.
“Noah, adesso ascoltami bene.”
La voce del ragazzo era tornata ferma, e le poggiò le mani sulle spalle, stringendole forte.
“Quando dico che hai paura di vivere non intendo cose importanti come la vita stessa, va bene?”
La ragazza scosse la testa, decisamente disorientata da quelle parole, senza senso.
“Io.. intendo cose come queste. Vivere è semplice, va bene? Si può vivere anche cento anni, ma se non ti godi tutto, allora è come essere morti dal principio.” spiegò. “Vivere è un semplice bacio, un abbraccio, un ‘ti amo.’ Vivere è vedere film idioti con un ragazzo che ti fa ridere, leggere libri che ti fanno stare male. Vivere è andare in moto a velocità supersonica ignorando le forze che vengono meno. Vivere è la felicità che si prova quando si riesce ad aprire un portone pesante e si credeva di non riuscirci mai. Vivere è non avere paura, va bene?”
Si avvicinò di più al suo volto, facendole respirare la sua stessa aria.
“Ti manca poco da vivere, lo so bene.” terminò. “Ma tanto vale vivere la vita che ti rimane per davvero, non credi?”
Noah sentiva le lacrime lottare ancora di più per uscire, ma non aveva intenzione di accontentarle.
Si limitò a prendere il casco dalle mani di Bradley, e ad allacciarselo. Il ragazzo la guardò sbigottito, ma non commentò.
Montò sulla moto, sbloccando il cavalletto e accendendo il motore.
“Sali, dai.”
Noah si fece coraggio e slanciò una gamba dall’altra parte del veicolo, con successo. Si strinse forte al cappotto di Bradley, senza aspettare il suo permesso.
I cuore le batteva forte nel petto, sentiva l’adrenalina scorrere nel suo sangue a velocità supersonica.
Brad iniziò a muovere la moto, piano. Noah sentiva il suo respiro accelerato, e chiuse gli occhi, per vivere appieno quell’esperienza.
“Senza paura?” chiese Brad, quando erano sul punto di imboccare una strada di Londra.
“Senza paura.” rispose lei.
Il ragazzo accelerò di colpo, lanciando un grido di gioia, e facendo fare un balzo al cuore di Noah. Ella si aggrappò di più a lui, quasi soffocandolo. Era preoccupata, ansiosa, stanca, tutto quello che potete immaginare. Ma in lei non c’era traccia di paura.
Anche Noah urlò di gioia, sentendola fuoriuscire da tutti i suoi pori
Bradley rise, andando sempre più forte.
Il vento scompigliava i capelli di Noah, nonostante fossero sotto il casco. Le sue gambe tremavano per via del motore che rombava, ma si sentiva libera.
Libera di vivere.
Bradley glielo aveva ripetuto così tante volte, e lei era rimasta nell’ignoranza, senza capire il vero significato di quelle parole, ciò che volevano esprimere.
Si sentiva sciocca, adesso. Sciocca per non essersi goduta ogni istante di vita che le rimaneva, ogni frazione di secondo.
Il calore che Brad emanava la avvolgeva come una coperta, la proteggeva dal vento freddo che sbatteva sui loro corpi.
Si sentiva tanto stanca.
Ma non aveva intenzione di fermarsi. Avrebbe potuto svenire, andare all’ospedale. Non le interessava.
Si fermarono qualche minuto dopo, molto lontani dal punto di partenza.
Brad parcheggiò il veicolo vicino al marciapiede, e disse a Noah di scendere.
Ma lei era troppo debole, riusciva a malapena a parlare, a respirare.
Così il ragazzo sospirò, e scese per primo. Poi la prese da sotto le ascelle, e la aiutò a tornare a terra.
La testa le girava, si sentiva crollare. Ma era viva. Per la prima volta dopo tanti anni, lo era per davvero.
“Bello, eh?” chiese il ragazzo, con un sorriso più ampio di prima e gli occhi che scintillavano dall’emozione.
Noah non rispose, gettandogli le braccia al collo, e cominciando a piangere.
Non erano lacrime tristi, affatto. Erano lacrime di gioia, di riconoscenza verso un ragazzo che a malapena conosceva, ma che la aveva capita meglio di quanto chiunque avesse mai fatto.
Brad la strinse a sé, la sorresse, impedendole di crollare.
“Brad.. grazie.”
Le parole di Noah venivano soffocate dalla spalla del ragazzo, ma lui la capì. Perfettamente.
“Hai visto? Non era difficile.”
La voce di Bradley era rassicurante, dolce. La calmava.
Era come un cielo azzurro dopo un mare in tempesta, il silenzio dopo un terremoto. Era lo zampillio di una fontana dopo uno tsunami, il sorriso dopo un pianto.
“Hai ragione.” Confessò Noah, ancora avvolta al suo corpo, senza voglia di allontanarsi. “Ho paura di troppe cose.”
Il ragazzo rise leggermente, stringendola ancora più forte, per quanto era possibile. La gente li guardava straniti, li indicava anche, a volte. Ma a loro non interessava.
Poteva sembrare una cosa ridicola, quel viaggio in moto. Ma non lo era. Perché era come se Noah avesse dormito per metà della sua vita, e si fosse svegliata solo adesso. Aveva capito che le sue paure servivano solo a bloccarla, a impedirle di vivere la vita che le rimaneva come desiderava, e non come gli altri si aspettassero che facesse.
“Ma sai qual è una cosa di cui non ho più paura?” continuò, lasciando che lui le accarezzasse la schiena, che il suo tocco la infuocasse, che la facesse sentire più viva di quanto non si sentisse prima.
“Quale?” replicò Brad, con il naso ad odorare i suoi capelli, così profumati di vaniglia.
“Questo.”
Senza nemmeno pensarci, la ragazza alzò leggermente la testa, e fece scontrare le loro labbra.
Lui fu colto di sorpresa, ma si abituò presto, inondato dall’improvviso amore di Noah.
Insieme, erano la perfezione. Insieme, potevano fare qualsiasi cosa.
Brad la teneva per la vita, attento a non farla crollare, a sorreggerla sempre, qualsiasi cosa fosse successa.
E Noah accarezzava i suoi capelli ricci sulla nuca, non pensando più alle conseguenze di quell’amore così sbagliato, così strano.
Sapeva solo che lo amava.
E che non poteva evitarlo, che era inutile lasciare che la paura di vivere influisse anche su questo aspetto della sua vita.
E poi, Brad avrebbe sofferto comunque, quando lei sarebbe morta. Se non fossero stati insieme, sarebbe stato addirittura peggio.
Perché il loro amore riusciva a fermare il tempo, a far si che un per sempre fosse racchiuso in un momento.
Noah allontanò di poco le labbra da quelle di lui, che aveva un sorrisetto stampato in faccia, che nessuna tragedia o avvenimento orrendo avrebbe potuto spegnere.
“Stai imparando ad accettare i miei consigli, vedo.”
La ragazza rise, e abbassò di poco lo sguardo.
“Sai che siamo sbagliati, vero?”
Lui scosse la testa, e diede un buffetto sul mento di Noah, costringendola a guardare i suoi occhi castani.
“È la tua malattia ad esserlo. O forse il mondo in generale. Non lo so. So solo che noi non lo siamo.”
Noah strinse forte la sua mano, per la prima volta senza paura delle conseguenze.
“Dici davvero?”
“Non sono mai stato così sincero con te.”
Lei e Bradley non avrebbero mai avuto un lieto fine, lo sapevano bene entrambi.
La fine della loro storia non sarebbe stata una proposta di matrimonio, o la notizia di essere incinta. O meglio, non sarebbe stata come quella degli innamorati dei libri o dei film, mano nella mano, aspettando la fine insieme. Lei sarebbe morta prima di lui, molto prima. Eppure, sembrava che non importasse, che tutto il tempo che avrebbero passato insieme avrebbe colmato quello in cui non lo avrebbero fatto.
“Brad, sai che un giorno morirò, vero?”
Il suo sguardo si indurì di poco, ma non smise di essere quello dolce di sempre.
“Si, certo che lo so.”
Lo diceva come se fosse normale, come se per lui fosse indifferente. Naturalmente, Noah sapeva che che non era così, che di lei gli importava molto. È tutta colpa della nostra società, che insegna ad avere un cuore di pietra anche quando non si dovrebbe.
“è probabile che tu perda la tua spavalderia, come è successo nei milioni di libri e film che ho letto. Non voglio che accada, va bene?”
“Mi stai dicendo di non soffrire quando arriverà il momento? Perché credimi, mi stai solo facendo deprimere.”
“Io.. ti sto solo pregando di non rimanere spezzato a lungo.”
Per un po’ nessuno dei due aggiunse altro, troppo provati da quell’immensa verità, che li travolse tutta in una volta.
“Ci proverò, lo prometto.” Disse infine Brad, stringendo forte la mano di lei, forse timoroso che, se l’avesse lasciata andare, la avrebbe persa per sempre.
Noah lo baciò di nuovo, ritrovandosi ad assaporare le sue labbra, che aveva sognato tanto volte. Era come se questo fosse un altro dei suoi sogni, in cui finalmente si sentiva a suo agio fra le sue braccia, in cui non aveva paura. In cui stava bene.
“Senza paura, va bene?” chiese la ragazza.
“Senza paura.”
Sapeva che il mare in tempesta dentro di lei non si sarebbe mai placato del tutto, dopotutto. Sapeva che il terremoto sarebbe potuto tornare da un momento all’altro. Sapeva che perfino lo zampillio della fontana era pericoloso. E sapeva che, anche con il sorriso, l’istinto di piangere di nuovo non se ne sarebbe mai andato. Ma il cielo sereno ci sarebbe stato comunque, le scosse sarebbero terminate per un po’, lo zampillio la avrebbe tenuta a bada per qualche tempo, e il suo sorriso avrebbe illuminato le poche giornate che le rimanevano.
Era il meglio che potesse sperare.



#ANGOLOAUTRICE
Vedo che la storia è destinata a non essere conosciuta, ma vabbe, non smetterò di pubblicarla... Devo avere speranza(?) che qualcuno la legga.
Mie cari lettori inesistenti, la storia vi piace? Io credo che loro due insieme siano troppo carini, e amo il fatto che finalmente lei abbia capito cosa intendeva Brad quando si sono conosciuti.
Poi adoro la il momento in cui Bradley le spiega tutto, e la fine mi piace un sacco.
Si, diciamo che mi piace come è venuto il capitolo.
Secondo voi li ho fatti mettere insieme troppo presto? Il fatto è che la storia non sarà lunghissima, quindi prima o poi dovevo arrivare al punto.
Niente, spero che la storia vi piaccia!
Alla prossima,

Tribute92

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Capitolo 5
*** Risk It All ***



Chapter 5.
 
Noah era sdraiata sul letto, il viso rivolto verso l’alto, e un sorriso da ebete stampato in faccia. Le mani incrociate sulla sua pancia tenevano strette il cellulare, in attesa della chiamata che Brad aveva promesso.
Da quando si erano baciati, due giorni prima, andava tutto bene. Lei stava provando a vivere per davvero, e lui la aiutava fingendo di non sapere che sarebbe morta da un momento all’altro.
I suoi genitori non riuscivano davvero a spiegarsi la fonte del suo comportamento, perché da un giorno all’altro avesse smesso di essere pessimista. Noah non aveva intenzione di raccontare nulla, perché l’amore suo e di Bradley era puro, innocente, troppo bello per essere conosciuto da loro.
 
Il telefono squillò, e Noah non esitò un secondo a rispondere.
“Ciao” esclamò, con forse più entusiasmo del necessario.
“Hey” le rispose la voce calda del ragazzo, accompagnata da una piccola risata. “Come ti senti?”
“Bene. Possiamo vederci?”
La fretta di Noah fece sorridere il ragazzo, che acconsentì.
“D’accordo.” Disse. “Vieni al teatro? Voglio suonare un po’”
“Okay, arrivo subito.”
 
Noah attaccò il telefono e, con un po’ di fatica, si alzò dal letto.
Si sistemò davanti allo specchio, desiderosa di mostrarsi a Brad meglio che poteva. Afferrò il libro che le aveva prestato, l’ultima canzone, e che però non gli aveva restituito.
Poi la ragazza si affrettò a scendere le scale e, ignorando le lamentele della madre per la sua velocità eccessiva, uscì. Camminò di fretta, incurante dei muscoli doloranti e del freddo pungente che le sferzava il viso.
Il suo piumino verde non la copriva un granché, ma cercò di accontentarsi.
 
Salì sul primo autobus che passò, sedendosi ancora una volta nel posto degli invalidi.
Guardò le macchine che sfrecciavano fuori dal finestrino del mezzo londinese, a tutta velocità. E guardò la gente che camminava senza sosta, una parte arrabbiata o triste, e l’altra più felice che mai.
Noah si soffermò a fissare ognuno di loro, pensando che tutti avevano un’infanzia, una storia. E provò ad immaginare che fuori da quel mezzo, a camminare, ci fosse qualcuno esattamente uguale a lei. Provò a immaginare di poter condividere questa malattia con qualcuno. Sembrava già meno doloroso.
 
Scese dall’autobus a due piani dopo quattro fermate, e riprese a camminare più veloce che poté. Una volta davanti alla porta del teatro, fece un gran respiro, e la spinse con tutte le sue forze. La aprì.
 
Dentro non c’era nessuno eccetto Brad, seduto allo sgabello del pianoforte sopra al palco, a sfogliare alcuni spartiti. Noah gli si avvicinò di soppiatto, per poi appoggiargli due palmi sugli occhi, e facendosi scappare una risatina.
“Ciao, Noah.” Disse Brad, ridendo a sua volta.
La ragazza gli lasciò il volto, e lui si girò, appoggiandole due mani sui fianchi, ed avvicinandola un po’ a sé.
“Che stai facendo?” gli chiese lei, con il battito del cuore leggermente accelerato per la loro vicinanza.
“Scrivo.”
Il volto di Noah si illuminò, e scompigliò leggermente i ricci di Brad.
“Seriamente? Scrivi canzoni?”
“Certo. E questa in particolare è per te.”
“Mi prendi in giro, vero?”
“Assolutamente no.”
 
Noah si sentì arrossire, e si allontanò un po’ dal ragazzo, appoggiando due gomiti al piano.
“Allora suonala.”
“ Volentieri, tesoro.”
Brad si sistemò sullo sgabello, e a Noah mancò il respiro per qualche secondo al suono del nomignolo.
 
I used to wanna be
Living like there's only me
But now I spend my time
Thinking 'bout a way to get you off my mind

I used to be so tough
Never really gave enough
And then you caught my eye
Giving me the feeling of a lightning strike

Look at me now
I'm falling
Can't even talk, still stuttering
This ground of mine keeps shaking
Oh oh oh now

All I wanna be
All I ever wanna be, yeah, yeah
Is somebody to you
All I wanna be
All I ever wanna be, yeah, yeah
Is somebody to you

Everybody's tryna be a billionaire
But every time I look at you I just don't care
'Cause all I wanna be
All I ever wanna be, yeah, yeah
Is somebody to you
 
Il ragazzo si interruppe, fissando Noah con il suo sguardo penetrante.
Lei era un peperone, si sentiva così in imbarazzo, ma allo tesso tempo così lusingata. Non sapeva cosa dire, la canzone era semplicemente bellissima, le aveva fatto provare emozioni indescrivibili.
Sentiva di amare Brad ogni giorno di più, di non riuscire più a toglierlo dalla sua testa, di avere bisogno di lui. Era proprio così.
 
“Ti piace?” ruppe il silenzio Bradley, senza smettere di guardarla.
“Se mi piace?” replicò lei. “è.. non so nemmeno come descriverla. Grazie.”
Noah si allontanò dal piano, e raggiunse Brad al pianoforte. Egli si girò dalla sua parte, e le cinse la vita.
“Ho iniziato a scriverla il giorno in cui ti ho vista, in realtà. Sto solo aggiustando la melodia.”
La ragazza arrossì di nuovo, e sorrise.
“Ora le parole sono più chiare.”
Lui ricambiò il sorriso, e si alzò, sovrastandola con la sua altezza.
 
I loro volti erano a pochi centimetri di distanza, ma regnava una pace così serena e bella che nessuno dei due provò a spezzarla con un bacio. Bastavano i tocchi di entrambi sul corpo dell’altro, le vampate di calore nei punti interessati. Era tutto perfetto così.
Brad le passò un pollice sulla guancia candida, e sorrise.
 
“Mi ispiri milioni di canzoni ogni volta che mi guardi.”
Noah fece una risatina imbarazzata, e fece per grattarsi il braccio; Brad però si avvicinò di più a lei, obbligandola a poggiare due mani sul suo petto per evitare che la schiacciasse completamente.
Il moro non smise di sorridere, e Noah pensò che il suo cuore si sarebbe fermato da un momento all’altro. Non riusciva a respirare, la presenza del ragazzo la agitava.
“La canzone finisce così?” cambiò discorso infatti, arrossendo.
“No, ma mi vergogno a suonarla.”
 
Brad si allontanò dalla ragazza, facendole provare un freddo improvviso. Nostalgia.
“Ti va se la suoniamo insieme?”
Stavolta fu il ragazzo a diventare rosso, e ad abbassare gli occhi.
“Okay.”
“Canti tu, però.”
L’imbarazzo di Bradley scomparve, e rise con la sua risatina da ragazzino, che Noah amava tanto.
“Certamente.”
 
I due si sedettero al piano, e Brad sistemò gli spartiti, facendoli vedere a Noah. Lei annuì, per confermare che era pronta.
 
I used to run around
I didn't wanna settle down
But now I wake each day
Looking for a way that I can see your face

I've got your photograph
But baby I need more that that
I need to know your lips
Nothing ever mattered to me more than this
 
I due si guardarono un secondo, e Noah si sentì mancare l’aria.

 
Look at me now
I'm falling
Can't even talk, still stuttering
This ground of mine keeps shaking
Oh oh oh now

All I wanna be
All I ever wanna be, yeah, yeah
Is somebody to you
All I wanna be
All I ever wanna be, yeah, yeah
Is somebody to you

Everybody's tryna be a billionaire
But every time I look at you I just don't care
'Cause all I wanna be yeah
All I ever wanna be, yeah, yeah
Is somebody to you
 
La canzone finì, e Noah fece per girarsi verso Brad e sorridere.
Ma lui la colse di sorpresa, afferrandole il mento, e baciandola.
Fu un atto inaspettato, e la ragazza sussultò. Gli cinse il collo con le dita, e lui fece lo stesso con la sua vita.
Quei due ragazzi erano fatti per stare insieme, le loro figure combaciavano alla perfezione, avrebbero potuto rimanere stretti in quel modo per ore.
L’odore dello shampoo di Brad intasava le narici di Noah, era così buono che chiunque lo avrebbe odorato. E Brad amava stringere Noah fra le sue braccia, non lasciarla andare per niente al mondo.
 
“Rischierei tutto quello che ho, per te.” Sussurrò Bradley sull’orecchio della ragazza, che rabbrividì.

***

“E dai, Noah!” urlò Brad, da sopra il tetto di una costruzione abbastanza alta e rettangolare, probabilmente un piccolo supermercato.
“Non salgo nemmeno se mi paghi, capito?” gridò in risposta la ragazza, con le braccia incrociate al petto e la brezza fresca della sera a stuzzicarle il volto.
“La smetti di essere sempre così precisa? Sali, sarà divertente!”
Noah sfregò le mani fra di loro, per riscaldarle. Sapeva che doveva lasciarsi andare, era la cosa più bella che il ragazzo le avesse mai insegnato. Ma aveva paura, tanta. Aveva paura perché era una cosa pericolosa da fare, salire su quella dannata scala le avrebbe fatto sprecare fatiche.
No.
La doveva smettere con questa storia.
 
Giusto per fare un dispetto a sé stessa, che le urlava da dentro di non farlo, Noah si accostò alla scala di ferro, tremando.
“Quando sarai su ti afferrerò, promesso!” urlò Bradley, cercando di sovrastare il rumore del vento freddo.
Noah annuì, deglutendo pesantemente.
Lentamente appoggiò le mani alle aste di metallo, e poggiò un piede sul primo piolo. Era stanca, tanto. Ma non voleva pensarci, una volta tanto.
 
Salì la scala alla velocità di una lumaca, davvero timorosa che sarebbe svenuta da un momento all’altro, senza più forza.
“Noah, andiamo.” La richiamò il ragazzo dalla cima dell’edificio. “Se continui così, ci metterai tre anni.”
“Sto provando ad andare veloce, va bene?” squittì Noah, con voce più acuta di quanto desiderasse.
Fece scappare un sorriso al ragazzo, che sospirò, inginocchiandosi sul pavimento di cemento del tetto, come se così potesse sembrare più vicino a lei.
“Senza paura?” chiese.
Ormai era diventata la loro frase, riusciva a far sentire sicuro l’altro, sempre.
La ragazza deglutì una seconda volta. “Senza paura.” Confermò.
 
Si sbrigò a salire, e dopo qualche secondo si ritrovò sulla cima della scala, con Brad che la prendeva per la vita e la aiutava a stabilizzarsi.
Ce l’aveva fatta.
Questa improvvisa sensazione di benessere la pervase, e Noah chiuse gli occhi, ispirando l’aria fredda della notte.
Quando riaprì gli occhi, trattenne un verso di sorpresa.
Erano nella periferia di Londra, e quell’edificio, seppur non molto alto, gli dava una vista pazzesca di tutta la città, illuminata in ogni dove, trafficata e piena di gente, che apparivano formiche ai loro occhi.
 
“Bello, eh?” le chiese Brad, accostandosi a lei da dietro, e circondandole il bacino con le sue braccia calde.
Noah annuì, troppo meravigliata per fare altro.
Brad la portava sempre in posti nuovi, la sorprendeva ogni giorno di più. Probabilmente, voleva farle vedere più luoghi possibili prima che se ne andasse.
“Ho letto il libro che mi hai dato, comunque.”
Lui rise un po’, e le sfiorò il collo con le labbra, facendola sussultare.
“E com’era?”
“Bellissimo, ma deprimente.” Disse Noah. “Sei stato crudele a prestarmelo.”
“Non avevo idea di che cosa parlasse.” Si giustificò lui, facendola ridere.
“Si, certo. Ce l’ho in borsa comunque, dopo te lo do.”
“Noah, ti ho detto che puoi tenerlo.
 
Noah sospirò fissando l’orizzonte, tutti gli edifici di Londra alti decine di metri, tutta la gente piccola, quasi minuscola.
Brad fece lo stesso, respirando regolarmente.
Regnava una pace quasi divina, nessuno dei due sembrava intenzionato a muoversi.
Era questo il bello di entrambi. Bradley era un ragazzo calmo, cauto. Non gli interessavano le cose che di solito interessano ai ragazzi, quando si trattava di Noah. Perché lei era unica, era speciale, e qualsiasi cosa poco casta con lei sarebbe apparsa un peccato senza perdono. E la ragazza era sincera, pura. Insieme, erano perfetti.
 
“Mi dispiace privarti di una cosa così importante.”
“Credimi, è meglio che lo tenga tu.” Replicò Brad. “Mi faceva pensare costantemente a mia madre, prima. Adesso lego il suo ricordo a te, ed è molto meglio.”
A Noah venne da piangere, pensando che presto anche il ricordo di lei gli avrebbe fatto male. Chiuse forte gli occhi, cercando di fermare le lacrime, che si erano accumulate nei suoi occhi.
Sfortunatamente Bradley lo notò, perché strinse di più il suo bacino, avvicinandola a sé.
 
“Shh” disse. “Scusa, non avrei dovuto dirlo.”
Lei scosse la testa, ma scoppiò comunque a piangere.
E poi si girò di fretta, senza pensarci.
Baciò Brad, così forte che per poco non smise di respirare. Affondò le mani nei suoi ricci castani, assaporò la sua bocca, provando con tutta se stessa il desiderio di imprimere in lui la sua essenza. Per quando non ci sarebbe stata.
Bradley appoggiò le mani sui suoi fianchi, infuocandoli, e li spinse leggermente verso di sé.
 
 
“E i miei spartiti?” ruppe il silenzio la ragazza, non appena si allontanarono.
“Ce l’ho, tieni.”
Il ragazzo li estrasse dalla tasca, mezzi stropicciati, e li porse a Noah. Lei li afferrò senza esitare, incurante del loro aspetto, felice che finalmente glieli avesse dati.
Lui ridacchiò. “Li desideravi proprio, eh?”
Noah gli fece la linguaccia, ed infilò le mani in tasca insieme agli spartiti.
Era strano come con Brad il suo umore cambiasse costantemente, da felice passava a triste, poi tornava scherzosa. Ma allo stesso tempo era bello, stupendo. Perché la faceva sentire viva. E Noah aveva imparato che sentirsi viva era la cosa che più voleva, prima di morire.
 
***
 
Caro nonno,
Okay, so che mi crederai pazza. Probabilmente lo sono, se ci penso. Il fatto è che mi sono messa con Bradley. E so che è sbagliato, assolutamente folle, ma non ce l’ho fatta a resistere, capisci?
Perché lui è il fuoco che mi tiene accesa in queste ultime settimane di vita, è la mia ragione per sorridere.
Mamma non fa altro che compatirmi, così come papà. Inizio a stancarmi. Ma come faccio a dirgli di smetterla? Sai che sono troppo gentile.
Magari dovrei.. non so, parlare con loro seriamente. Ma ho paura che mi rispondano male, che mi feriscano senza nemmeno pensarci.
‘Senza paura’ sono le parole che Brad mi dice sempre, però. Quindi perché non provarci?
Bradley ha scritto una canzone per me. Non hai idea di quanto questo mi renda felice. Non credo che fosse un bravo ragazzo, prima di me. O almeno, il testo della canzone è abbastanza chiaro.
Ora devo andare davvero, mamma dice che è pronta la cena.
Ti voglio bene,
Noah.

 

#ANGOLOAUTRICE
Dopo una lunga assenza.. Eccomi qui! La loro storia d'amore inizia a svilupparsi, se avete notato.
Non ho potuto fare a meno di mettere 'Somebody to you', perchè è la mia canzone preferita in assoluto, e poi rispecchia perfettamente il carattere del personaggio di Brad.. Destino, insomma!
Davvero grazie mille agli angeli che mi recensiscono <3 ma anche solo alle lettrici nascoste, voglio bene a tutti comunque ahaha

Alla prossima!

-jamesguitar

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Capitolo 6
*** Find You ***



Chapter 6.
 
Noah si svegliò presto la mattina dopo, verso le sette. Si stiracchiò lentamente, chiedendosi perché mai avesse aperto gli occhi prima delle nove, cosa che non faceva mai.
Il suo sguardo cadde sul suo telefono che vibrava sul comodino, e capì. Sbuffando e ancora assonnata, rispose alla chiamata, senza nemmeno pensare a chi potesse essere.
 
“Ciao.” Era Brad.
“Oddio Bradley, è prestissimo, e comunque sembra un rituale, mi chiami ogni giorno.”
“Non è presto” replicò lui, ignorando il suo secondo commento.
“Invece si, sono le sette.”
“Santo cielo, ancora?” Noah riuscì quasi ad immaginarselo passarsi una mano sulla faccia. “Non dormo dalle due del mattino, credevo che fossero almeno le nove.”
 
“Perché non hai dormito?”
“Pensavo a te.”
Noah sapeva bene che mentiva, si capiva dalla sua voce leggermente acuta. Perché mai voleva dirle una bugia?
“Brad, dimmi la verità.”
“è una sorpresa, non posso.”
 
La ragazza alzò gli occhi al cielo, ma gli credette. Doveva solo fidarsi di lui.
Si alzò dal letto caldo, consapevole che ormai non sarebbe più riuscita a dormire. Si stiracchiò, con il cellulare ancora in mano, e sbadigliò.
“Ehi, sei stanca? Attacco, se vuoi.”
“Tranquillo, davvero, sono solo assonnata.”
 
“Vorrei chiederti una cosa.”
“Mh, dimmi.”
Noah iniziò a mangiarsi le unghie, tesa.
“Verresti a dormire da me, stasera?”
Eccolo. Quel momento. Noah sapeva che sarebbe arrivato, ne era del tutto consapevole, ma dannazione, credeva che avrebbe aspettato un po’.
 
“Wow, avrei dovuto aspettarmelo.”
“Che?”
“Sei semplicemente come tutti gli altri.”
La ragazza attaccò, lanciando il telefono sul letto. Non era nemmeno sicura di aver fatto bene a reagire in quel modo, senza lasciarlo spiegare, ma le era venuto spontaneo. Tutti i ragazzi prima o poi provano a chiedere alle ragazze cose del genere, e quel momento era arrivato anche per Bradley. Dannazione.
 
Noah si sdraiò di nuovo sul letto, lasciando che una lacrima le scendesse di nuovo sul viso. A qualcun altro questa storia avrebbe fatto ridere, ma non a lei. Si sentiva stupida.
Riprese il cellulare, leggendo 11 messaggi di Brad.
 
‘Che ti prende?’
‘Noaaaah’
‘Ah, oddio, ho capito’
‘Sei fuori di testa?’
‘Come farei a farti cose così?’
‘Ehi, andiamo’
‘Sei ancora più offesa, vero?’
‘Diamine’
‘Volevo solo dormire abbracciato a te’
‘Non pensare male’
 
La ragazza sbuffò, ignorandoli. Dicevano tutti così.
Fece cavolate per tutto il giorno, se per cavolate si può intendere piangere, scrivere one shot tristi  e urlare nel cuscino, e poi si decise a lasciar perdere. Doveva cercare di calmarsi, per riuscire a capire tutto chiaramente.
Se Bradley fosse venuto a cercarla, forse, e diceva forse, lo avrebbe ascoltato. Ma doveva essere convincente. Sarebbe stato imbarazzante, ma per una volta non le interessava.
 
Si asciugò le lacrime e si vestì, dato che era rimasta tutto il giorno in pigiama, per poi scendere di sotto.
C’erano i suoi genitori in cucina, suo padre seduto al tavolo parlare con la madre, intenta a finire di preparare la cena.
“Ehi” li salutò, con voce flebile.
“Tesoro, ti senti bene?” subito la madre si allarmò, e per poco la ragazza non sbuffò. Lo avrebbe fatto, se non fosse stata così educata.
“Si, si.”
 
Si sedette al tavolo, di fronte a suo padre, e addentò un pezzo di pane che si trovava in un cestino.
“Ciao, dolcezza” le disse il pare John, sorridendole. “Domani hai una visita, ricordalo. È importante, ti ci porterà tua madre.”
Noah annuì, gustando un grissino.
“Di sicuro ti diranno di non stancarti troppo” aggiunse la madre. “E hanno ragione, stai un po’ esagerando.”
La ragazza ripensò alle ultime cose che aveva fatto. Non le avrebbe mai fatte, prima di conoscere Bradley, per il semplice fatto che aveva paura. Ma non era morta per niente di quello che era successo, no? E poi, aveva avuto fin troppa paura nella vita. Era stanca di averne.
 
“Mamma, sto bene.”
Gli occhi di Dorothea si infuocarono, quando si voltò.
“Bene?” ripeté. “Tu non stai bene Noah, affatto.”
Lei abbassò gli occhi verso il piatto di carne che le avevano dato, senza rispondere. Lo sapeva, in realtà, lo sapeva benissimo. Sapeva che stava per morire. Non c’era bisogno che glielo ricordasse.
“Sai mamma, sembri un tantino incoerente, se un giorno quasi fai un incidente d’auto per rimproverarmi perché dico che morirò e due settimane dopo se la prima a dirlo.”
 
Noah quasi non credeva di avere avuto il coraggio di dire quelle parole, ma ne ebbe la riprova vedendo il volto scioccato della madre.
Si alzò da tavola, senza dare a ascolto alle lamentele del padre, e salì in camera sua, trattenendosi dallo sbattere la porta.
Preparò una borsa con dentro le cose essenziali, un pigiama, uno spazzolino e la spazzola, e tornò il salotto.
 
La madre era arrabbiatissima, ma lei la ignorò.
“Io vado a dormire fuori.”
“No, te lo scordi.”
“Invece ci vado, una mia amica mi ha invitata.”
“Tu non hai amiche”
Questa faceva male.
“Ma guarda un po’, me ne sono fatta qualcuna.”
 
La ragazza uscì di casa velocemente, quasi correndo, e si precipitò verso la fermata dei taxi. Più o meno sapeva dov’era casa di Brad, sarebbe stato abbastanza semplice arrivarci.
Fu lì, infatti, solo dieci minuti dopo.
Scese dal veicolo, con lentezza stavolta, perché aveva sprecato troppe energie.
Il tassista la aiutò, e anche se si sentì in imbarazzo, Noah era felice che le avesse prestato attenzione.
 
Si avvicinò al portone di Bradley, e suonò il campanello, un po’ titubante.
Lui venne ad aprire dopo qualche secondo, con addosso dei semplici jeans e una maglietta, e l’aria di non essere molto in forma.
Quando la vide, sgranò gli occhi, e quasi saltò all’indietro.
“Oddio Noah, che ci fai qui?”
“Mi hai invitata, no?”
“Si.. certo, è solo che avevo capito che non saresti venuta.”
“Avevi capito bene, ma ho cambiato idea.”
 
Senza troppe cerimonie Noah entrò in casa, appendendo la giacca dove l’aveva messa la prima volta.
“Mio padre non c’è.”
Lei sbuffò, mentre lui chiuse la porta.
“Non c’è mai, eh?”
Capì troppo tardi che non era una domanda da fare, perché lui la fissò senza risponderle. La ragazza arrossì, e abbassò lo sguardo.
“Si, non c’è praticamente mai, il lavoro lo tiene occupato tutto il tempo.”
 
“Scusa, io..”
“Non c’è problema, davvero.”
Noah non sapeva nemmeno perché era andata lì, in realtà. Era ridicolo, considerando che poche ore prima aveva promesso a se stessa che lo avrebbe ascoltato solo se lui fosse venuto a cercarla.
È solo che sua madre era diventata insopportabile, e per lei era inevitabile fuggire da Brad, quando sta male.
 
“Senti Noah, se..” iniziò Brad, rompendo il silenzio. “..se hai capito qualcosa di sbagliato stamattina, mi dispiace, non era mia intenzione far passare messaggi sbagliati”
“Mi hai chiesto di dormire a te, cos’altro avrei dovuto pensare?”
Lui si morse il labbro, avvicinandosi.
“Seriamente, non ho nessuna intenzione di obbligarti a fare cose che non vuoi fare. Voglio solo dormire con te, nient’altro.”
 
Noah sospirò, ma si arrese. Gli gettò le braccia al collo, facendolo traballare e, quasi impercettibilmente, ridere.
“Andiamo di sopra?” chiese il riccio.
“Okay”
Si diressero in camera di Brad, quasi come al prima volta, solo che con meno imbarazzo. Noah ora si sentiva un po’ più a suo agio con quel ragazzo, anzi, si sentiva del tutto a suo agio.
 
Entrarono nella camera, e Noah si sedette sul letto, appoggiando la borsa a terra.
“Qui mi hai rifiutato una volta, ricordi?” chiese Brad, incrociando le braccia al petto.
“Smettila di parlarne, sono tempi bui.”
“Fin troppo”
 
La ragazza si guardò intorno nella stanza, cercando qualche indizio per la sorpresa che Brad aveva accennato al telefono qualche ora prima.
Fu interrotta da Bradley, che le scosse una mano davanti al viso.
“Hai sentito?”
“Che? Cioè, voglio dire, no, potresti ripetere?”
Lui rise, e indietreggiò.
“Ho chiesto se vuoi che esco, così ti puoi cambiare.”                                                         
 
“Di già?”
“Direi, sono le dieci, magari guardiamo un film.”
“Ah, va bene. Esci.”
Quel riccioluto aveva un sorrisetto divertito sulle labbra che a Noah dava i nervi, ma non riusciva a dirgli di smetterla di averlo, perché in fondo, le piaceva.
Bradley uscì dalla stanza. Quando la porta fu ben chiusa, Noah prese la borsa da terra. Cercò il suo pigiama, e si imbarazzò all’istante.  Aveva dimenticato la maglietta, si era portata solo i pantaloncini. Questa non ci voleva.
 
 
Indossò l’unico indumento che aveva, lasciando la maglietta che aveva prima, ed invitò Brad ad entrare.
Quando lui la vide con la stessa maglietta, aggrottò la fronte.
“La maglietta?”
“Io, ehm, la ho dimenticata.”
Dio, non si era mai sentita così in imbarazzo.
“Oh, puoi prenderne una mia, se vuoi.”
 
“Dici davvero?”
“Si, certo.”
Il ragazzo si avvicinò all’armadio, e ne tirò fuori una maglia verde. La lanciò a Noah, ammiccando. “Ora torno fuori, cerca di fare in fretta.”
Uscì dalla stanza velocemente, e Noah fissò per qualche secondo la maglietta.
Si sentiva onorata di indossarla, anzi, forse fin troppo poco importante. La mise, e sentì immediatamente l’odore di Bradley. Chissà quante volte la aveva usata.
 
Lo fece entrare, e provò ad uscire dalla stanza, ma lui le afferrò un braccio.
“Dove vai?” chiese.
“Fuori, devi cambiarti.” Arrossì di colpo.
“Tranquilla Noah, non sono come te, puoi guardarmi mentre mi vesto.”
Sogghignò, mentre chiuse la porta.
Si sfilò velocemente la maglia che indossava, e a Noah mancò il fiato per un secondo. Era bellissimo, diamine.
Quando il ragazzo vide la sua espressione, scoppiò a ridere.
“Bello lo spettacolo?”
Lei si risvegliò dalla sua trance, e gli fece la linguaccia.
“Ah ah. Sbrigati.”
 
Brad si cambiò anche i pantaloni, e stavolta Noah non guardò. Era terribilmente in soggezione.
Quando si girò verso di lui, non aveva messo la maglietta. Non fece commenti quando capì che non aveva intenzione di indossarla, e si sedette con lei sul letto. Erano abbastanza vicini da toccarsi, Noah riusciva a sentire la sua pelle calda. Non c’era sensazione migliore.
“Non hai freddo?” domandò.
Lui ride di nuovo, per almeno la millesima volta da quando si erano visti. Era bello sentirlo ridere.
“Nah. Vuoi andare sotto le coperte?”
 
Lei annuì, e si rifugiarono entrambi sotto al piumino blu di Brad.
Spensero le luci, ed accesero la televisione. Erano appoggiati allo schienale del letto, ma Noah era appoggiata al petto di lui, perché era l’unico luogo in cui si sentiva al suo posto.
 
Videro un film idiota, probabilmente il più stupido film mai uscito. Ma risero tanto, più di quanto Noah avesse mai fatto negli ultimi anni. Quasi pianse dalle risate, accoccolata sul suo corpo. A volte chiuse gli occhi, sentendo il petto di Brad vibrare per la sua risata, e respirando la sua essenza. In quel modo si sentiva protetta, si sentiva al sicuro. Più di quanto non fosse mai stata.
Tutto era bello, accanto a Bradley. Perfino un film idiota diventava divertente, stare appiccicati in un letto singolo con un piumino addosso era piacevole. Noah non aveva mai provato queste sensazioni.
 
Quando la pellicola finì, era mezzanotte passata. Spensero la televisione, ma rimasero a fissare il vuoto per qualche secondo, senza dire nulla.
“Sai, era da tanto che non mi divertivo così.” Ruppe il silenzio la ragazza, a bassa voce.
“Perché sussurri?”
“Boh, è buio, mi viene naturale.”
 
Brad si allontanò da lei per mezzo secondo, ed accese una piccola lampada sul comodino.
“Ecco, ora puoi parlare normalmente”
Noah iniziò a ridere di nuovo. Ma poi, dopo qualche secondo, la sua voce si spezzò.
“Che hai?” chiese Brad.
“Niente, io..”
Scoppiò a piangere. Pianse all’improvviso, senza motivo. Cosa erano tutte queste emozioni? Perché arrivavano tutte insieme?
Probabilmente si sentiva frustrata per il comportamento di sua madre di poche ore rima, da tutto quello che aveva detto. Ed era arrivato il momento di sfogarsi. Wow, adesso non era nemmeno in grado di decidere quando piangere.
Messa bene, insomma.
 
“Oddio, sul serio, che ti succede?”
Brad si sdraiò, appoggiandosi ad un gomito, quando anche Noah si tese, fissando il soffitto.
“Non sono venuta qui perché ho cambiato idea.”
“Ah”
“Non capire male, davvero.. sono venuta perché non avevo idea di dove andare, sono uscita di casa arrabbiatissima, mia madre ha detto cose..”
“Cose?”
“Cose che mi hanno ferita.”
 
“Noah, vieni qui.”
Brad la abbracciò nel letto ristretto, avvolgendola con il suo calore. Le sue lacrime gli bagnavano il petto ed il torace, i suoi singhiozzi lo scuotevano. Ma stare con lei ed aiutarla era tutto ciò che voleva.
“Perfino lei mi ricorda che non sto bene, capisci? Proprio ora che cerco di essere positiva e non avere paura, lei fa così. Volevo perfino parlarle, ma non mi è stato permesso.”
“Shh” la zittì lui. “Non devi piangere, capito?”
“Come faccio? Come faccio a non piangere?”
 
Bradley salì su di lei, senza intenzioni maliziose, solo per starle più vicino. Noah non si imbarazzò nemmeno, non pensava quasi più lucidamente, da quanto piangeva.
Lui le passò un pollice sulla guancia, avvicinando i loro volti.
“Pensa a me e te insieme.” Disse. “Pensaci e riuscirai a non piangere.”
Le asciugò le lacrime, e lei annuì.
 
Quasi subito smise di singhiozzare, ma la tristezza non se n’era andata via del tutto. Stava male, malissimo. Non voleva morire, e sua madre non faceva altro che peggiorare la situazione. Ogni giorno non faceva che chiedersi perché, perché non poteva vivere tutto il tempo che voleva. Era frustrante, la faceva soffrire. Non la faceva più sentire come era un tempo, da bambina, felice, spensierata e piena di vita.
 
“Mi sento persa.” Sussurrò, fissando gli occhi marroni di lui.
Bradley avvicinò le labbra al suo orecchio, scostandole i capelli dal collo.
“E allora ti troverò.”
“Mi troverai?”
“Certo. Ogni volta che perderai te stessa, io sarò pronto a ritrovarti.”
 
Lei stava per piangere di nuovo, perché tutto questo le era completamente nuovo. Non si era mai sentita amata come adesso.
“Quando sarò morta, non mi troverà nessuno.”
Le labbra di Brad tremarono, segno che anche lui stava cedendo. Ma non poteva, non poteva. Doveva essere forte, per lei.
“Ti troverò finché potrò. Te lo prometto.”
 
Noah gli passò le mani sul torace, sforzandosi di non piangere di nuovo. Non voleva sembrare stupida.
“Sei la cosa più bella che sia mai stata mia.” Gli disse, sentendo il groppo in gola formarsi.
Era vero, Brad era l’unico davvero importante per lei, l’unico che la calmava anche in questi momenti.
“Anche tu.”
“Mi amerai?” chiese la ragazza. Si sentiva strana a parlargli così, ma non le interessava.
“Io già ti amo. E ti amerò per tutto il tempo che ti resta.”
 
“Davvero?”
“Si. Fino alla fine.”
Gli occhi di Noah erano lucidi ancora una volta, non sapeva cosa fare né come reagire a tutta questa improvvisa dichiarazione d’affetto. Anche lei lo amava, tanto.
“Senza avere paura?”
“Esatto, senza paura.”
 
A quel punto Noah pianse di nuovo. Era inevitabile, perché nonostante le lacrime, non si era mai sentita così fortunata. Si, fortunata. Nonostante fosse malata, nonostante sarebbe morta da un momento all’altro, si sentiva fortunata. Fortunata ad amare ed essere amata in quel modo.
 
E allora ti troverò.
Noah pensò a quelle parole ancora e ancora, mentre baciò Brad più forte che poté. Era il suo unico modo per sentirsi sana. Per sentirsi bene.


#ANGOLOAUTRICE
Odiatemi, odiatemi, odiatemi. So che sono così maledettamente in ritardo, davvero, è solo che non trovo proprio il tempo di scrivere, con gli esami e tutto il resto.
Comunque.. Che ne dite della storia? A me di questo capitolo piace solo la fine ad essere sinceri, ahaha
Voi che pensate?
Fatemi sapere con una recensione, cari! A presto,

-jamesguitar

PS. Vorrei ringraziare tanto ChuppyBunny, la ragazza che ha proposto di fare entrare la mia storia tra le scelte e che, per altro, mi ha pubblicizzata. Sei dolcissima!

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Capitolo 7
*** Hurt ***



 

Alla mia migliore amica.

Chapter 7.
 
Quando Noah si svegliò, era mattina presto. Non capiva perché non stesse dormendo, finché non vide Brad accasciato su di lei, con il mento sulla sua spalla.
Sbuffò intorpidita, e si costrinse a cercare di spostarlo, nonostante amasse i loro corpi a contatto.
Ma non ce la faceva, era troppo pesante.
“Ehi” sussurrò al suo orecchio. “Puoi spostarti?”
 
In risposta, Brad grugnì, stringendola più forte, e facendole scappare una risatina.
Doveva averla scambiata per un peluche, o qualcosa del genere.
“Cosa ridi?” borbottò, con una voce più rauca del solito per via del sonno.
“Sei carino ad abbracciarmi”
“Sai che lo farei sempre”
 
Possibile che, pensò Noah, Brad fosse così dolce anche mentre era mezzo addormentato?
 
I ricordi di quella notte tornarono in mente a Noah, che sorrise. Era stato bello essere consolata da Brad, sentirgli dire quelle cose. Erano le parole più sincere che qualcuno le avesse mai detto.
“Puoi toglierti, comunque?”
“No.”
“Dai Brad, ho caldo, ho bisogno di alzarmi”
“E io ho bisogno di te.”
 
Noah alzò gli occhi al cielo, nonostante sentisse le farfalle nello stomaco.
“Dai, levati”
Brad sbuffò, ma rotolò su un fianco, permettendole di alzarsi dal letto. Si appoggiò ad un gomito, guardandola sciogliere i nodi dei capelli con le dita, sistemarsi la maglietta che le aveva prestato e guardare a terra.
“Dovresti alzare lo sguardo, sai?” le disse. “Non ha senso nascondere i tuoi bellissimi occhi”
 
Lei rise nervosamente, per poi andarsi a sedere sul bordo del letto.
“Dormito bene?” gli chiese.
“Non dormivo così da mesi. Dovresti venire a trovarmi più spesso, sai?”
Noah ride, e gli diede un colpetto sulla spalla.
“Probabilmente i miei genitori staranno morendo d’ansia. Mi avranno cercata ovunque..”
“Non gli è venuto in mente di venire qui?”
Lei non sapeva cosa rispondere. I suoi genitori non sapevano nemmeno che stessero insieme.
“Allora?”
“Brad, i miei non sanno niente di noi.”
Lui non disse niente. Smise di guardarla, si mise supino a guardare il soffitto, con le braccia incrociate.
“Mi dispiace” sussurrò la ragazza. “Non sapevo come spiegarglielo”
 
“Cosa c’era di difficile?” sbottò Bradley, senza muoversi. “Io l’ho detto a mio padre. Credevo che avresti fatto lo stesso. Che c’è, solo perché non dureremo pensi che non valga la pena che la gente sappia?”
Noah non pensava che avrebbe suscitato pensieri del genere. Certo che valeva la pena. Valeva sempre, con lui.
Si avvicinò, e a lui non fu permesso di scansarsi, perché era già vicinissimo al muro.
“Ehi, non è così. Semplicemente ho paura che non approvino.”
“Che non approvino? Ma ti senti?” sbuffò.
“Bradley, io non sono una ragazza normale, okay?” Noah alzò la voce, infastidita da quel suo commento. “I miei pensano sempre che io possa sprecare troppe energie in qualcosa. Una volta a quindici anni ho frequentato un ragazzo, e mi hanno vietato di vederlo per paura che mi facesse fare cose pericolose. Quindi si, mi sento, va bene? Perché conosco questa situazione meglio di te.”
La ragazza si era sfogata tutta insieme, non aveva nemmeno preso fiato.
Le lacrime offuscarono la sua vista, e girò il capo, per nascondersi con i capelli alla vista di Brad. Non voleva piangere, non lo voleva mai, eppure lo faceva sempre.
“Non lo sapevo.” Mormorò Brad.
“Nessuno doveva saperlo, okay? C’è un motivo per cui non volevo farti conoscere quei due, volevo che noi due restassimo indenni da tutta questa merda, va bene?”
“Guardami.”
 
Noah si voltò, mostrando le lacrime che le rigavano il viso, e Brad le prese il mento fra le mani.
“Amavi quel ragazzo? Sinceramente?” le chiese, sussurrando.
“Io..” la ragazza pensò a quello che avevano passato lei e Caleb, il famoso ragazzo. E no, non lo amava. “Volevo andare contro i miei genitori.”
Brad sospirò. “Quello che pensavo. E ami me?”
Le si mozzò il respiro a quella domanda, ma rispose senza esitare. “Sì.”
“Allora andrà tutto bene, okay?”
Noah aveva paura. Ne aveva tanta. Ma lui le aveva sempre detto di non averne… e quindi lo ascoltò.
“Okay.”
 
Si alzarono dal letto, e Brad la abbracciò. La strinse a sé come un tesoro delicato, con la forza di un uragano ma allo stesso tempo con la dolcezza di un padre o di una madre. La amava, la amava più della sua stessa vita, e per lei, avrebbe rischiato tutto.
 
“Ti va di farmeli conoscere, un giorno?” Chiese infine Brad, sperando di averla convinta.
“Okay.” Ripetè lei.
Non avrebbe commesso lo stesso errore di Caleb, lo sapeva.
Lo sperava.
Perdere Bradley avrebbe significato perdere una parte di se stessa, perdere una parte di se stessa avrebbe significato morire.
E per quello c'era ancora un po' di tempo.

***

Quando Noah arrivò a casa sbattendo la porta, rimase paralizzata.
I suoi genitori erano seduti sul divano, piangendo davanti alla polizia.
La tragicità di quello che aveva fatto colpì la ragazza in pieno. Non aveva pensato alle conseguenze delle sue azioni. O meglio, lo aveva fatto, ma non le era interessato più di tanto.

Dorothea aveva gli occhi gonfi e le occhiaie. Il marito Paul aveva gli occhi cerchiati, ed entrambi la fissavano increduli.
I poliziotti si affrettarono a raggiungerla, e la afferrarono delicatamente per il braccio.
“Signorina Evans, dov'è stata stanotte?” Chiese uno dei due, con voce calma ma decisa.
Noah non sapeva cosa fare, dire la verità avrebbe significato colpire i genitori in una volta sola e spaventarli, e lei non voleva farlo, non più di quanto avesse già fatto.

“Io...” Si morse il labbro, e pensò a ciò che aveva detto a suoi prima di uscire. “A casa di una mia amica, l'avevo detto.”
“Ha fatto spaventare a morte i suoi genitori” disse l'altro agente, con meno gentilezza. “Lo sa?”
Almeno si erano bevuti la storia. Noah si morse le labbra di nuovo.
“Si, e mi dispiace.”

Dorothea corse ad abbracciare la figlia, che ricambiò controvoglia. Nonostante fosse dispiaciuta, non aveva dimenticato il motivo della litigata.
La madre era incoerente, era snervante, e faceva sentire Noah più debole di quanto fosse già.
Le faceva avere paura.

I poliziotti se ne andarono entro un’oretta al massimo, dopo aver fatto alcune domande a Noah e aver abbracciato entrambi i genitori per confortarli.
Noah scoprì che la avevano cercata per tutta la notte, e un po' si sentì in colpa, ma ignorò quella stretta allo stomaco.
Quando rimase sola con i genitori, Noah strinse i pugni.

“Non c'era bisogno di cercarmi.”
I genitori la guardarono sbalorditi.
“Stai scherzando!?” Urlò il padre. “Sei malata, Noah! Non puoi stare da sola di notte, pensavamo che l'amica fosse una scusa! Avresti potuto morire di freddo per strada, cosa diavolo ne sapevamo! Sei debole, capito!?”
Le lacrime offuscarono la vista della ragazza.
“Era di questo che parlavo ieri!” Urlò anche lei, sbalordendoli. “Non fate altro che buttarmi giù, e mi sono rotta le palle!”

Lei stessa non credeva possibile che avesse usato quel linguaggio, ma se ne rese conto solo quando era già in camera sua.
Era così arrabbiata che sentiva la forza di un leone dentro di sè, nonostante, purtroppo, non l'avesse.
Ogni giorno stava peggio.
Era vero, con Brad si sentiva viva, ma non poteva negare di sentire la potenza abbandonarla piano piano. E non era giusto, era frustrante.

Prese il diario, ed iniziò a scrivere.

Caro nonno,
Qui fa tutto schifo, sai? I miei ancora non sanno di Bradley, di quanto mi faccia stare bene, e nonostante questo sono già arrabbiati con me. Anche io lo sono con loro.
Litighiamo, non fanno che farmi stare male e sento che non posso continuare a vivere così.
Che poi, vivere? Sto per morire. È evidente. Aspetto solo di andarmene, ormai. E fa male, sempre di più.


Dorothea entrò nella stanza senza bussare, e con voce fredda disse: “È ora della visita.”

***

Il tragitto in macchina fu breve, ed in poco tempo Noah e Dorothea giunsero all'ospedale.
Le mani della ragazza sudavano. Lei tremava.
Era sempre così prima dei suoi controlli, aveva sempre paura che le dessero una scadenza. Era la cosa peggiore che avrebbero potuto fare.

Il suo cellulare vibrò, e Noah lesse il messaggio che Bradley le aveva appena mandato.

Ehi, com'è andata con i tuoi?

Rispose.

Lacrime. Poliziotti. Urla. Non ne parliamo.


Lui replicò dopo nemmeno un minuto.

Lasciali perdere. Oggi che fai?

Le si strinse lo stomaco. Aveva completamente dimenticato di dirgli dell'incontro con i medici.

Ho una visita.


Ah. Vorrei essere lì. Chiamami appena hai finito.

“Signorina Evans?” Chiamò una dottoressa, segno che era il turno di Noah.
Il cuore le batteva a mille nel petto, si sentiva impaurita, terrorizzata, sola. Sua madre non era niente in quel momento, lei aveva bisogno di lui.
Senza paura, pensò. Lo ripeté per tutto il tragitto nel corridoio bianco dell'ospedale, quel tunnel che quando si è malati come lo era lei, appare senza uscita.
Stava male solo a vederlo.

***

Aveva fatto ogni esame possibile. Doveva solo aspettare che le dicessero qualcosa.
Noah si stava tormentando le mani, e le sue labbra già sanguinavano.
Sua madre non era da meno, ma nessuna delle due osava guardare negli occhi l'altra.

Il dottore responsabile della cartella clinica di Noah, il dottor Nelson, entrò trafelato nella stanza, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Dorothea allora si alzò in piedi, mentre la ragazza restò sul lettino, paralizzata.
“Abbiamo alcune cose di cui parlare, e non riguardano solo gli esami di questa mattina” annunciò il dottore.
“Ci dica” la voce di Dorothea doveva sembrare ferma, ma era evidente che non lo fosse.

Senza paura, continuava a ripetersi la ragazza.
“Purtroppo, non abbiamo trovato donatori compatibili per Noah.”
Lame.
Lame, tantissime lame perforarono il petto della ragazza. La speranza si sbriciolò.
“Come può essere?” Sbottò Dorothea.
“Mi dispiace tanto.”

“Le dispiace?”
“Abbiamo fatto il possibile. Secondo i test di oggi, a Noah non resta molto tempo. Tre/quattro settimane al massimo.”
Ed eccola.

La scadenza.


 
#ANGOLOAUTRICE
Oddio, sto pubblicando?
Allora, vi sarete accorti che il rating della storia è cambiato. Muahaha
Okay, oggi ho finito di srivere la storia, e mi viene da piangere. Non ci posso credere.
Immagino di avervi spezzato il cuore, eh? Credetemi, anche il mio lo è.
Molti mi hanno fatto notare una marea di errori che ho fatto nei capitoli precedenti. Prometto di ricontrollare tutti i capitoli, ma prima devo assolutamente finire le altre long.
Quello delle troppe virgole è un problema che tutti mi fanno notare. Sto cercando di migliorare, davvero, mi dispiace.
D'ora in poi aggiornerò regolarmente, ogni martedì, se dio vuole.
Spero che il capitolo vi piaccia.

-jamesguitar

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Capitolo 8
*** The Light ***



Chapter 8.

Il tragitto in macchina fu accompagnato dai singhiozzi.
Quelli di Noah e quelli di Dorothea riempivano l'auto, nonostante non si parlassero tra loro.

Tre, quattro settimane. E poi sarebbe morta.
Com'era possibile che gli esami lo avessero scoperto solo adesso? Non sarebbe stato meglio saperlo prima?
Era un incubo, Noah ne era certa.
Entro poco si sarebbe svegliata nel suo letto, con la speranza di trovare un donatore, sapendo che era stato solo un brutto sogno.
Un sogno orrendo.

Noah guardò il telefono, e fissò i messaggi che Brad le aveva mandato.
Doveva chiamarlo, lo aveva promesso.
Ma non poteva.
Come poteva chiamarlo e dirgli che sarebbe morta?

Bradley era consapevole che prima o poi sarebbe successo, lo erano entrambi, ma... No. Non era pronta. Probabilmente non lo sarebbe mai stata.

***

Caro nonno.
Sto per morire, lo sai? Eh già. Ci siamo.
Un mese al massimo, è ciò che mi resta.
Bradley? Mamma? Papà? Una vita?
Sono cose che non posso avere, che non potrò avere mai.
E fa male, lo sai?
Fa male, perché non potrò fare tante cose. Tutti hanno una lista delle cose da fare prima di morire, e la maggior parte sono irraggiungibili.
Sentivo le forze abbandonarmi da tempo... Ma diavolo, no. Non sono pronta a lasciar andare tutto.


Noah pianse su quel foglio, uno dei tanti, temendo il giorno in cui qualcuno li avrebbe letti e avrebbe ricordato ciò che era stata.

***

“Perché non hai risposto ai messaggi?”
L'aria fresca di Londra inondava i due ragazzi, appoggiati sul London Bridge, con il vento tra i capelli.
Sarebbe bastato a coprire gli occhi lucidi? Noah lo sperava.
“Avevo bisogno di parlarti di persona.”
Il volto del ragazzo si rabbuiò.
“Cosa è successo?”

Doveva dirglielo, Noah lo sapeva. Perché anche se faceva male, lo amava. E glielo doveva.
“Sto per morire.”
Aveva quasi sussurrato quelle tre parole, ma Brad le sentì. Eccome.
E le seguì un silenzio tombale, un silenzio da parte di entrambi.
Una lacrima solcò il volto della ragazza, che si girò, lasciando che i capelli scompigliati la coprissero alla vista del ragazzo.

“Quanto...” Anche Brad stava iniziando a piangere, nonostante cercasse di fermarsi, perché non lo accettava. Non adesso. Non ancora. “Quanto tempo ti resta?”
La voce della ragazza era più flebile che mai.
“Tre settimane, un mese al massimo.”
Altro silenzio.
In quel silenzio, i cuori di entrambi sprofondarono nell'oscurità, nel vuoto della paura. In quel momento nessuno dei due poteva dire 'Senza paura', capite?
Perché ne avevano entrambi.

Dentro di loro c'era la tempesta, c'erano le onde che si abbattevano sugli scogli. C'erano i cavalloni che cercavano di affondare la nave, i marinai che lottavano per restare a galla.
Loro erano questo.
E la malattia era il loro mare, in cui Noah non faceva che cadere.
“Lo hai... Saputo ora?”
“Sì.”

Bradley si voltò verso la ragazza, e la costrinse a fare lo stesso.
Le loro lacrime si perdevano nel vento, che le portava con sé come a ricordarne il sapore.
“Noah, non piangere. Sai che odio quando lo fai.”
“Lo stai facendo anche tu.”
“Non mi importa di me. Vuoi capirlo? Qui quella che conta sei tu. Il mondo non ha bisogno di un Bradley Simpson, ha bisogno di una Noah Evans, che con i suoi sorrisi causa il riscaldamento globale e con la sua risata scatena tempeste. Che provoca terremoti con un solo sguardo. Perché non puoi restare? Andrei via io al posto tuo, perché non posso?”

Brad non si era accorto di star piangendo come un disperato, e Noah gli prese il viso tra le mani, come tante volte lui aveva fatto con lei.
“Non devi dirlo nemmeno.” Sussurrò con voce rotta dai singhiozzi, quasi stritolandolo. “Sei importante quanto me.”
“Non è così.”
“Si, lo è.”
“Non ha importanza!” Bradley si allontanò, ed alzò la voce, perché si sentiva perso. Vuoto. “Tu devi vivere! Non è fottutamente giusto!”

Noah non sapeva come fare, sperava che avrebbe reagito meglio, ma d'altronde erano cose che non si potevano prevedere.
“Lo so, cazzo! Lo so! Pensi che non lo sappia!? Non c'è un cazzo di donatore!”
Bradley si lasciò cadere sulle ginocchia, gli occhi fissi sul Tamigi e le braccia pesanti, come se potessero crollare insieme a lui da un momento all'altro nel vuoto della sua anima.

“Non è giusto.” Sussurrò, scosso dai singhiozzi.
Noah si sedette accanto a lui, e piansero insieme.
“Lo so.”

***

L'aria fredda pungeva il viso di Noah, ancora.
Odiava il clima londinese.
Bradley camminava al suo fianco, silenzioso, come se insieme alle lacrime avesse perso la parola.
Erano al cimitero.
Stavano cercando il nonno di Noah. Lei sapeva esattamente dov'era, ci andava ogni mese e ci parlava per ore, ma Brad ovviamente non ci era mai andato. Noah aveva bisogno che vedesse.

Quando raggiunsero la tomba Bradley lasciò i tulipani che avevano comprato insieme vicino alla lapide.
Noah si inginocchiò, le mani giunte, e lui la imitò.
“Prego sempre per lui.” Spiegò la ragazza. “Mi fa pensare che preghi per me anche lui.”
C'era silenzio, più silenzio di quello sul ponte, e questo faceva paura davvero.

“Gli volevi molto bene?” Domandò Brad.
“Si, tanto. E ho bisogno di un favore.”
Il ragazzo la guardò. “Qualunque cosa.”
“Da quando sono piccola scrivo un diario indirizzato a lui, come se fosse il mio migliore amico. Quando morirò, portalo qui.”

A parlare della sua morte imminente, al ragazzo si formò un groppo in gola che cercò di dissolvere.
“Dove lo tieni, di solito?”
“Lo troverai. Quando ti servirà, ci sarà. Fidati.”
“Okay.”
C'era un sacco di silenzio, e Noah pensò che Brad avesse finito davvero le parole, finché non parlò.
“Sai, assomigli tanto a mia madre.”
Fu un sussurro, ma lei sentì.
“Davvero?”
“Lei aveva sempre un piano. Non c'era mai una cosa fuori posto. Sapeva cosa fare al momento giusto, sempre. Siete molto simili, in questo.”

I due giovani si alzarono, fecero il segno della croce e si allontanarono.
“Vuoi visitare la sua tomba?” Noah non ci aveva pensato fino a quel momento.
“Oh, no, lei è seppellita a Birmingham, dov'è nata.”
“Ti manca?”
Perché aveva fatto quella domanda?
“Sì.”
“Doveva essere una donna meravigliosa.”
“Lo era.”
“Sono onorata di essere anche solo lontanamente simile a lei.”

Il volto di Brad fu attraversato da un sorriso amaro.
“Beh, tutte le cose meravigliose finiscono prima del resto, no?”

***

Uno scivolo. Un parco. Una casetta sull'albero.
Noah vede solo questo, il resto ha contorni sfumati.
E Noah ricorda.
Ricorda i momenti passati a ridere su quella casetta, a costruire con il nonno fionde con i bastoncini e degli elastici. Ricorda la sua risata, la risata di tutti quanti, spensierati bambini e adulti che sono felici, anche solo per un istante.
Sente la voce di se stessa da bambina dire 'Nonno, ho paura del buio.'
'Il buio? Piccola mia, non devi. Il buio non vuole farti del male, è solo la scia che la luce ha lasciato andando via.' La voce del nonno è nitida, chiara.
'Quindi è questo che succede quando la gente se ne va? Al posto della sua luce, porta oscurità?'
'All'inizio si. Si vede solo nero, si entra nel panico. Ma poi si iniziano a distinguere i contorni delle cose, come sono realmente. E quando ti abitui all'oscurità, non fa più paura. Non devi mai avere paura Noah, mai.'
'Io non andrò mai via da qualcuno. Perché c'è differenza tra l'essere abituati al buio e il vedere la luce.'
'Non puoi sapere cosa farai.'
'Spero solo di non lasciare mai nessuno solo, nonno. E se lo farò, farò in modo che nonostante l'oscurità e il lento abituarsi ci sia un pezzo di luce che rimane. Che brilla per sempre.'


Noah si svegliò di scatto, mettendosi a sedere.
Oddio.
Il ricordo del sogno era ancora vivido, e lei cercava di ricordare quella conversazione, quando la aveva avuta con il nonno.
E capì.
Il punto non era ricordare il momento esatto, era sapere che lei stessa aveva detto quelle cose.
Lui le aveva semplicemente parlato in sogno, ricordandole le regole che lei stessa aveva dettato un tempo.
Non bastava che eseguirle.

Erano le tre di notte, ma chiamò Bradley, madida di sudore.
Rispose dopo il quarto squillo.
“Noah?”
“Brad, so che fa male. Che farà male per sempre. E che ti mancherò. Ma godiamoci questi ultimi momenti, lasciamo che rimangano impressi per sempre nel tuo cuore e nella tua memoria.”
Aveva detto le parole di fretta, così come il cuore aveva ordinato di fare.
“Okay”
“E senza paura, chiaro? Avrai bei ricordi di me. Ricordi di amore, di speranza di qualcosa che non avremo mai. Ricordo del desiderio del per sempre che tutti sognano. Ti presenterò ogni parte di me, e mi conoscerai meglio di chiunque altro.”
Lo stava spiazzando, ma erano le cose più vere che avesse mai detto.
“Promesso?”
“Promesso.”
“Allora va bene.”
“Domani vienimi a prendere a mezzogiorno. Non voglio perdere un secondo.”


#ANGOLOAUTRICE
Giuro che mi sento un fottuto mostro.
Ho finito la storia, devo solo correggere un paio di capitoli, eppure sto aggiornando con due giorni di ritardo. Mi dispiace tantissimo, mi sono dimenticata completamente di dover pubblicare.
Ora ho messo la sveglia tutti i martedì per ricordarmelo, lol
La storia... Okay, so che è struggente. Fa male anche a me leggerla per revisionarla.
Questo capitolo mi piace, soprattutto la parte in cui ricorda il nonno, perchè quello è un pensiero mio e mi piace mettere qualcosa di mio in ciò che scrivo.
Spero vi piaccia, e scusate ancora.

-jamesguitar

 

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Capitolo 9
*** I'm Scared ***




A Cassie Nott, che ha una cotta stratosferica per Brad.
 
Chapter 9.

Bradley si presentò a mezzogiorno preciso, come concordato.
La telefonata lo aveva sorpreso, e non poco, ma la determinazione con cui Noah aveva detto quelle parole lo aveva preparato a qualsiasi cosa avesse in mente.

Lei uscì di casa di fretta di proposito per far irritare la madre e salì sulla sua moto, sgommando via appena prima che i genitori uscissero sulla soglia e scuotessero il capo con disappunto.
In casa Evans non si era parlato della morte imminente. In realtà, non si era parlato affatto.

“Dove vado?” Gridò Brad, per sovrastare il motore.
Noah gli indicò la destinazione, e insieme sfrecciarono via.

Arrivarono al parco in pochi minuti. Non era lontano da casa di Noah, proprio perché lei ci andava praticamente ogni giorno, da piccola.
Quel giorno era quasi deserto.
Le foglie ancora cadevano dagli alberi, depositandosi sui tetti delle case sugli alberi e i giocattoli a terra, vecchi come le mattonelle del muretto che circondava il tutto.

La cosa che Noah amava di più di quel posto erano proprio le casette. Rendevano il parco particolare.
Brad si guardò attorno, senza capire.
“Cosa ci facciamo qui?” Chiese.
“Vieni.”
Noah gli prese la mano dolcemente e lo guidò verso la seconda casetta a sinistra dallo scivolo, la sua preferita. La ricordava alla perfezione.
Naturalmente era a solo un metro e mezzo da terra, perché doveva essere in grado di ospitare in sicurezza bambini molto piccoli, perciò Bradley la prese in braccio e con un balzo la appoggiò sul bordo.
Lei tese una mano per aiutarlo a sua volta, ma lui si rifiutò di farle sprecare forze inutilmente, e reggendosi alla maniglia di una finestrella riuscì a raggiungere l'entrata in un batter d'occhio.

Lei non si offese, gli fu grata, perché non sapeva se sarebbe stata in grado di aiutarlo.
Lo guidò all'interno e le venne da sorridere.
Era esattamente come la ricordava, con delle bambole in un angolo e le travi di legno piene di scritte.
L'unica cosa nuova erano dei lego impolverati, ma non ci badò.
Si sedette accanto alle bambole e ne prese una.

“Questa si chiamava Phoebe.” Disse. “Era la mia preferita.”
Lui si guardò intorno e “Cosa ci facciamo qui?” Chiese.
“Questo...” Noah si guardò intorno, senza sapere bene come spiegare il tutto. “Era il mio posto preferito, da bambina. Ci venivo sempre con mio nonno. Quando è morto ha iniziato a portarmici mio padre. Non era la stessa cosa, però.”
Brad sospirò, vedendo il suo volto attraversato dalle emozioni provocate dai ricordi.

“Quando hai smesso di venirci?” Le chiese, per poi accarezzarle il braccio.
“Quando ho scoperto di essere malata.”
Calò il silenzio per qualche secondo, e poi la ragazza continuò.
“Mi è rimasto nel cuore, capisci? Le perle di saggezza di mio nonno, i miei giochi solitari. Non ero molto socievole.”
Bradley sorrise.
“Tuo nonno era davvero grandioso, lo so.”

Noah distolse un attimo lo sguardo.
“Pensi che lui e tua madre ci osservino, da qualche parte?”
Il ragazzo si irrigidì un attimo.
“Non lo so. Me lo sono chiesto per tanto tempo, e ancora non ho una risposta.”
Rimasero in silenzio per un altro po'. Quelle pause davano il tempo ad ognuno di pensare a cosa dire e a quello che avevano appena ascoltato. Era bello parlare così, senza fretta. Ed era quasi divertente il fatto che la calma fosse arrivata in coincidenza con la scadenza.

“Se ci guardassero” sussurrò Noah. “Mio nonno chiederebbe a Dio di guarirmi. Perciò mi rispondo da sola, no, non lo fanno.”
Lui sospirò.
“Se un prete ti sentisse, partirebbe con la ramanzina del 'Dio ha una volontà diversa dalla nostra.'”
Riuscì a farla sorridere.
“Concordo. Meglio tenere per noi le nostre riflessioni intellettuali.”
Entrambi risero, e poi strinsero la mano dell'altro.

“Credo che saprai la verità solo quando sarai con loro.” Mormorò poi il ragazzo.
Lei lo guardò. Parlare della sua morte ormai era realistico, e... Stava male.
“Brad, ho paura.”
Lui la osservò. Gli occhi di uno si persero in quelli dell'altro, i due ragazzi si fusero in una cosa sola, come due colori diversi che danno vita a qualcosa di nuovo solo stando accanto.
“Anche io.”

La ragazza si stese a terra, lasciando la sua Phoebe accanto alle altre bambole e fissando le travi mangiucchiate dalle tarme del soffitto.
“Sto per morire, capisci?” Sussurrò. “Tu dici sempre senza paura, Brad, e io ti do retta. Ma non posso non averne. Come faccio a sapere che esiste qualcosa dopo tutto questo? Come faccio a sapere che non svanirò nel nulla, come cenere che si perde nel vento?”

Brad si era steso accanto a lei, ma non si sfioravano. Si accontentavano di essere cullati falla voce dell'altro, in quello spazio ristretto in cui anni prima aveva giocato una bambina di nome Noah, ma del tutto diversa dalla ragazza di oggi. Una bambina piena di vita. Una bambina sana.
“Io stesso non so più dirti di non avere paura.”
“Non so nemmeno se è un bene, andare in paradiso.” Continuò lei. “Se davvero i nostri cari ci osservassero, io sarei costretta a guardarti da lontano per l'eternità, a desiderarti, senza mai poterti avere. Ma se me ne andassi davvero? Per sempre? Se il mio corpo si decomponesse e basta sotto terra, accanto alla tomba di mio nonno?”

Stava parlando troppo in fretta delle sue paure, dell'insicurezza che aveva, dei dubbi sul suo futuro. Stava gettando fuori tutto ciò di cui aveva bisogno di parlare da anni.
“Se tu fossi in paradiso” intervenne Brad. “Saprei che ci sei. Che non mi hai abbandonato davvero. E là sopra saresti felice, perché la tua anima sarebbe libera da ogni fardello, come dice ogni prete.”

“Ho smesso di credere alle cazzate della chiesa anni fa.”
“E perché mi hai chiesto se i nostri cari ci osservano?”
“Non lo so. Quando stai per morire ti si apre ogni orizzonte.”
Lui deglutì, per mandar via il groppo in gola causato da tutte quelle confessioni. Una di seguito all'altra, facevano ancora più paura.

“Noah?”
“Si?”
Bradley sospirò.
“Mi dispiace. Dovrei essere quello forte che ti sostiene, quello che ti dice senza paura, ma non lo sono, non ora.”
Noah finalmente lo guardò.
“Ehi, guarda che non sei obbligato a fare l'uomo anche in momenti del genere. Sto per morire, cazzo, come dovresti essere?”
“Non lo so. Migliore.”
Il respiro di Bradley stava accelerando. Sembrava quasi che stesse per piangere, ma si trattenne.

“La tua notizia mi ha ucciso dentro. E la mia reazione ha maciullato il mio cuore già spezzato.”
Noah non sapeva cosa dirgli.
“Altri avrebbero reagito in modo peggiore.”
“Io non sono altri, okay?” La disperazione del ragazzo era evidente nel tono della sua voce. “Io sono Bradley, il Bradley che ti dice di non avere paura, ti sprona a credere in te e ti promette di trovarti quando ti perdi. Non sono altri, il ragazzo che frigna davanti alla sua fidanzata che sta morendo.”
Lei rimase spiazzata. Non era rimasta offesa dal suo comportamento, né le aveva dato fastidio. Non pensava che lui si facesse problemi su quello.
“Tutti noi abbiamo un lato debole, Brad, e tu hai tutto il diritto di mostrarmelo.”
“Non posso.”
“Perché, Brad?”
Lui rimase in silenzio per qualche secondo.
“Non parliamo di me. Cosa vuoi fare, adesso?”

“Hai detto che avevi una sorpresa per me, o no?”
“Oh, beh...” Bradley si grattò la nuca, e arrossì. “È un po` imbarazzante.”
“Dai, dimmi!” Avevano ripreso a scherzare, come se si fossero dimenticati della conversazione precedente.
“Ti ho scritto un'altra canzone, è strano.”
Lei si sentì sprofondare e fece un sorriso che probabilmente doveva apparire un po' idiota.
“Sei dolcissimo, lo sai?”
Se prima era rosso, ora Brad era un peperone.
“Andiamo a teatro.” Continuò Noah. “Voglio sentirla”.

 
***
 
You just know
Sometimes you feel it in your bones
Though we've heard that hearts can still be wrong
Something's telling me that you're the one

I just know
Even if I had a heart of stone
You could make it bleed all on your own
You could break it but I hope you won't

I'd burn it down, I'd light it up
For you, I'd risk it all

I'd rather crash, I'd rather crawl
Than never have your love at all
With only bricks to break my fall
For you, I'd risk it all

Bradley la guardò mentre suonava quel pezzo meraviglioso al pianoforte che teneva nella stanza con i libri della madre, e trasalì.
 
Stand your ground
Win or lose I gotta see this out
Go ahead, I'll let you watch me drown
It takes more than this to keep me down

I'd give it in, I'd give it up
For you, I'd risk it all

I'd rather crash, I'd rather crawl
Than never have your love at all
With only bricks to break my fall
For you I'd risk it all

Come on just do it
You put me through it
Come on just do it
You put me through it
Come on just do it
You put me through it

I'd burn it down, I'd light it up
I'd take the weight, I'm strong enough
Not giving in, not giving up

I'd risk it all
I'd risk it all
Than never have your love at all
With only bricks to break my fall
For you I'd risk it all

I'd rather crash, I'd rather crawl
Than never have your love at all
With only bricks to break my fall
For you I'd risk it all

La canzone finì e Noah sentì le lacrime arrivarle agli occhi. Quelle parole erano così dolci, così azzeccate, così vere.
Non si era mai sentita così felice.
Appena Bradley si alzò dallo sgabello lei gli saltò addosso, ignorando le forze che venivano meno, e lo baciò. Lo baciò con la passione che avrebbe dovuto reprimere per troppo tempo.

Quando si allontanarono, entrambi stavano sorridendo.
Ed era strano, era strano che sorridessero e fossero felici in quei giorni che mancavano alla morte di lei, ma sembrava che non ci facessero caso. Perché ogni momento era loro, e se lo stavano godendo uno ad uno.
“Bradley, grazie. È bellissima.”
“Ti amo, lo sai?”
Il cuore di Noah fece un balzo.
“Ti amo anch'io, non dimenticarlo.”

Si guardarono un po', e poi Brad disse: “Se mai mia madre dovesse scegliere un posto da cui osservarmi, sceglierebbe questo.”
Lei sorrise amaramente e gli scompigliò i capelli.
“Spero solo che non mi odi per star spezzando il tuo cuore ancora e ancora.” Sussurrò.
“Non potrebbe mai odiarti.” Disse lui. “Perchè sei l'unica a parte lei che mi abbia mai reso felice.”


 

#ANGOLOAUTRICE
Okay, eccomi qui, in orario stavolta!
Eh si, è già martedì.
Che dire? Questo capitolo mi piace. E okay, è davvero strano, perchè a me non piace mai niente di quello che scrivo.
Fra poco inizierò il liceo classico e sto morendo di paura... Forse cambierò il giorno di pubblicazione, devo vedere come mi trovo a scuola e quanti impegni ho.
Per ora il giorno resta lo stesso, tranquilli, in caso cambiasse vi avviso io.

A chi andasse, potete contattarmi su FacebookAsk.

A presto!

-jamesguitar

PS. Si, ho fatto un nuovo banner, spero vi piaccia.

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Capitolo 10
*** Keep you in my heart. ***



 

Chapter 10.

Noah si preparò in fretta. Si sarebbe vista con Brad entro pochi minuti e doveva darsi una mossa.
Scese le scale e trovò la madre davanti alla porta.

“Dove hai intenzione di andare?” Le chiese.
“Esco.”
“Per vedere chi?”
“Sono affari miei.”
Gli occhi di Dorothea si riempirono di lacrime.
“Noah, stai morendo. È troppo chiedere di passare del tempo con te?”
Per un attimo le si strinse il cuore, ma poi la superò di fretta, sbattendo la porta subito dopo aver borbottato un 'Non aspettatemi per cena'.

Si sentiva in colpa, ma non del tutto. Aveva passato tutta la vita a dare retta ai genitori e a passare tutto, e dico tutto il tempo con loro, quindi in quello che le restava voleva stare con Brad. Non era sbagliato, o no?
Bradley la aspettava in macchina ancora una volta.
Si rifiutava di farle prendere l'autobus. Aveva iniziato a comportarsi come sua madre, ad essere protettivo, ma non si comportava come se fosse una stupida, e questo le bastava.
Erano già passati quattro giorni.

Quattro giorni.
Il tempo stava volando troppo in fretta e le forze di Noah se ne andavano con lui.
Si sentiva sempre più debole.
Giorno dopo giorno, sentiva i muscoli tendersi troppo quando si muoveva, provocandole un dolore atroce. Sentiva le ossa pesanti, non riusciva a dormire.
Era peggio di quanto pensasse.

“Andiamo a casa tua?” Propose Noah, quando lui le chiese cosa voleva fare. “Non l'ho mai vista bene, e poi... Mi sento stanca, oggi.”
Se prima Bradley avrebbe potuto replicare, subito accettò.
“D'accordo, andiamo”

Nel tragitto, Noah rifletté.
È proprio vero, quando si avvicina l'ora della fine, lo senti. E lei lo sentiva: sentiva la nave dentro di sè che piano piano si rassegnava alla tempesta, sentiva i suoi marinai rifugiarsi in coperta aspettando di affondare.
Lei era così.
Da un lato era terrorizzata e preoccupata, aveva paura di andarsene troppo in fretta. E dall'altra si sentiva calma. Non sapeva il perché.

Parcheggiarono davanti al vialetto di Bradley e si avviarono verso la porta d'ingresso.
Entrarono i casa, che come al solito era vuota.
Bradley sbuffò, perché avrebbe voluto presentare Noah al padre, ma si rassegnò presto. Ormai era abituato.
“Allora” disse Noah. “Ho visto solo la tua camera di questa casa, più o meno.”
“Hai visto anche l'ingresso, cara”
Lei scoppiò a ridere.
“Ho detto più o meno, idiota!”

***

Fecero un giro veloce della casa. Era grande, ma meno di quanto Noah si aspettasse.
Quando arrivarono di fronte ad una porta chiusa, Brad si bloccò di colpo.
“Ehi, che c'è?” Chiese lei.
Lui fissava quella porta di legno e poi lei, ad intervalli, come un disco rotto.
“Questa...” Deglutì. “È la stanza di mia madre.”
Noah trasalì. Non voleva metterlo in soggezione, era l'ultimo dei suoi pensieri, e sapeva quanto significasse per lui parlare della perdita che aveva subito.
“Brad, mi dispiace. Se non vuoi che entri...”
“Ma no, figurati. Se non entri tu, chi deve entrare?”

Estrasse una chiave dalla tasca ed aprì la porta lentamente, facendola cigolare, quasi come se avesse paura che lo spirito di sua madre scivolasse via dalla stanza.
Noah si fece strada nella camera immersa nel buio, e Brad la seguì. Accese la luce e chiuse la porta.
Noah era esterrefatta.
Se la stanza in teatro era piena di libri, questa era una biblioteca.
Gli scaffali ricoprivano ogni briciolo di parete, e ogni ripiano conteneva almeno due file di libri addossati uno all'altro.
Le sarebbe piaciuto leggerli tutti, ma... Non aveva tempo.
Fu uno dei momenti in cui provava terrore, ma cercò di non darlo a vedere.

C'era un letto matrimoniale ed un grande armadio. La coperta era immacolata.
“Bradley, tua madre aveva davvero tantissimi libri. Sarebbe il mio sogno leggerli tutti, uno ad uno.”
Lui le strinse la mano.
“Vuoi stenderti?” Sussurrò, ed indicò il letto.
Lei annuì, perché si sentiva un po' stanca.

Si sdraiarono uno accanto all'altro. Inizialmente non dissero nulla, si limitarono a stringere la mano dell'altro e ad inspirare l'odore di quella stanza. Sembrava quasi viva.
“Brad?”
“Si?”
Noah fece un grande respiro, prima di fare una domanda che desiderava porre da un po'.
“Perché ti rifiuti di mostrarti debole a me?” Mormorò. Si girò a guardarlo, sentendo il suo battito cardiaco accelerare e il respiro farsi pesante.
“Non posso farlo.”
“Perché?”
“Sulla casetta sull'albero mi era sembrato evidente che non volessi parlarne.”

Alla ragazza mancò un respiro.
“Puoi farlo.”
“No.”
“Dimmi almeno perché non vuoi aprirti con me come io faccio con te.”
Noah sentiva che si stava irritando, che le risposte secche di Brad le davano fastidio. Lei era sempre sincera con lui, perché non poteva fare lo stesso?
“Ho paura” sussurrò lui. “E non voglio parlare di questo.”

Il silenzio calò nella stanza, ma stavolta Noah era decisa a non lasciar perdere.
“Brad, è normale avere paura. Ne ho anche io. Parlami, ti prego.”
Lui sospirò. Fu un sospiro pesante, anormale, uno di quelli che non servono solo a gettare fuori aria, ma a liberarsi di un peso.
“Prometti di non dirlo a nessuno?”
Lei gli strinse la mano.
“Brad, a chi potrei dirlo?”
Lui annuì, quasi come se stesse cercando di convincere se stesso.

“Hai presente la canzone che ti ho scritto? La prima?”
“Sì.”
“Le parole non sono a caso.” Noah lo sentì trattenere il fiato. “Prima di incontrare te ero uno schifo. Mio padre veniva chiamato ogni settimana dal commissariato per venire a prendermi, e lui era costretto a lasciare il lavoro per me. Io credo che mi odi per questo, perché da quando ho quindici anni non faccio che comportarmi di merda, ho amici stronzi, non ho mai avuto ragazze serie. E potrebbe sembrare scontato, ma quando sei arrivata tu, è cambiato tutto. Perché mi sono innamorato per la prima volta.”
Ci fu silenzio.
“Tu, Noah, mi hai cambiato. Non so come spiegarlo.
Con te sono sempre stato il ragazzo ribelle che ero prima, ma in modo diverso. Sono stato quello che ti faceva ridere e ti faceva pensare ad un per sempre figurato, quello che ti diceva di non avere paura, quello che ti avrebbe trovata se avessi perso te stessa. E adesso la realtà mi ha colpito in faccia, sto perdendo la mia facciata da ragazzo spiritoso e divertente. E non posso. Perché io sono davvero così, e non posso permettere a questo lutto di cambiarmi, capisci?
Tu mi hai reso una persona meravigliosa, e cambiare di nuovo..”
Fece una pausa.
“Sarebbe come non averti mai incontrato.”
La sua voce era incrinata, ma non pianse. Aveva già pianto troppo.
Noah aveva ascoltato in silenzio le sue parole, che l'avevano colpita come uno schiaffo.
Calma? Lei non poteva essere calma. Credeva di esserlo, ma la verità era che stava morendo di paura. 
Ed era vero, Bradley stava cambiando. Non le piaceva.
“Devi solo cercare di essere te stesso.” Sussurrò.
“Ci sto provando, ma...”
“Niente ma. Torna ad essere il Brad che mi dice di non avere paura, sii di nuovo lui e andrà tutto bene, perché vorrà dire che io ci sarò sempre, in qualche modo. Sarò nel tuo cuore.”
Entrambi sentivano quell'organo vitale battere forte nel petto, si sentivano più vicini che mai.

Non era più una cosa a senso unico, Bradley si era aperto a Noah, aveva spalancato le porte del suo cuore per lasciarla entrare e non farla uscire mai più.
“Quindi...” La voce di Bradley era più solida. “È da lì che mi osserverai? Dal mio cuore?”
Noah non ce la fece.
Scoppiò a piangere a dirotto e rifugiò la testa nel suo petto, cercando il calore e il conforto di cui aveva bisogno.

“Bradley, non voglio andare via” singhiozzò, stringendolo forte a sé. “Voglio crescere, sposarti, avere bambini. Vederti fare l'interrogatorio ad ogni ragazzo di nostra figlia e insegnare a nostro figlio guidare. Accompagnare nostra figlia all'altare. E viziare i nostri nipotini, per poi morire di vecchiaia con il sorriso sulle labbra. Voglio vivere. È troppo?”
Brad teneva le labbra strette per non scoppiare, ma dovette dividerle per dire: “Ricordi cosa ti ho detto il giorno in cui mi hai baciato?”
Lei annuì.
“Devi ricordarlo. Vivere è tanti momenti messi insieme, va bene? Come ho letto in un libro di mia madre, un sempre è composto da tanti adesso
*. Vivere è questo.”
Bradley la baciò, assaporando le sue lacrime, il gusto di una ragazza che giorno dopo giorno stava perdendo colore.
Quando si allontanarono, lei disse: “Ti amo.”
E lui: “Anche io. E mi mancherai.”

 
 
*La frase è tratta dal libro Città di carta di John Green
 
 
#ANGOLOAUTRICE
Ciao, cari lettori! Sono in orario, yee
Allora, parto con il ringraziare chiunque segua la storia perché mi sta dando tante soddisfazioni e mi piace davvero tanto il modo in cui interagite con me, davvero.
Cercatemi su Facebook, Ask e Twitter, sarò felice di rispondere a qualsiasi domanda sulla storia e non.
Che pensate di questo capitolo? Io trovo che sia molto dolce, e il fatto che Brad si sia aperto con Noah lo rende ancora più vero, o no? La parte finale mi ha fatta quasi commuovere quando l’ho scritta.
Ho iniziato il liceo classico e diciamo che mi piace, ma avrò molti impegni quindi probabilmente a volte non aggiornerò in tempo o dovrò cambiare il giorno di aggiornamento. Se così dovesse essere, vi avviserò!
A martedì, se tutto va bene.
 
Jamesguitar

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Capitolo 11
*** Nobody can do it ***



Chapter 11.
 
Noah stava ridendo a crepapelle, sdraiata sul letto di Brad.
“Smettila! Mi fai il solletico!”
Lui la imitava, divertito dalla sua faccia contratta.
Erano passati altri tre giorni. Tre.
Ciò voleva dire che era passata una settimana in tutto, dalla notizia.
Il tempo volava.
La sera prima erano fuggiti da un negozio il cui commesso si era arrabbiato con loro per aver provato tantissimi vestiti e non averli comprati, ed erano andati da Nando's.
Avevano riso per tutta la cena di quell'uomo ciccione e barbuto, che aveva dato a Brad del 'finocchio' per essere entrato in un negozio da donne. Intanto avevano mangiato la loro porzione di alette di pollo e riempito i bicchieri di coca cola almeno dieci volte.
Dopo Noah si era sentita male e senza forze, ma ne era valsa la pena.

Si stavano godendo ogni istante. E se non si pensava alla morte imminente, faceva meno male.
Questo, ovviamente, finché erano insieme.
Ogni sera Noah Lillian Evans piangeva nella sua stanza, il diario e il cuscino stretti al petto, desiderando ardentemente di svegliarsi e scoprire che ciò che passava era solo uno stupido incubo.
E Bradley Will Simpson faceva lo stesso, seduto al piano ma senza suonarlo. Fissava quei tasti così comuni, uguali a tutti gli altri, e singhiozzava all'infinito.
Ma quando erano insieme sembrava che gli occhi rossi di pianto di Noah fossero normali, che le ferite sui palmi di Brad causati dal penetramento delle unghie fossero innocenti.

“Dai, basta!” Urlò di nuovo la ragazza, senza fiato. Stavolta Brad ubbidì.
“Non sapevo soffrissi il solletico” si giustificò il moro, restando sopra di lei e sogghignando.
“Bugiardo.”
“Okay, lo ammetto, colpevole.”
Lei rise di nuovo e fissò il soffitto. A volte accadeva questo, si incantava a pensare al nulla, come se fosse in una specie di limbo.

“Vuoi fare qualcosa di divertente, oggi?” Chiese Brad, risvegliandola.
Noah non esitò. “Certo” disse, facendo un timido sorriso.
“Bene” replicò lui. “Vieni con me.”
 
***
 
L’aria che sferzava i visi dei due ragazzi non era né calda né fredda, ma una via di mezzo.
Noah era seduta sulle gambe di Brad a guardare l’orizzonte, con un sorriso enorme sulle labbra.
“Ti piace?” chiese il ragazzo, prendendole la mano.
“Brighton è bellissima, Brad” rispose lei. “Ma la cosa divertente?”
Lui rise e le mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Ti ho fatta venire qui per riposarti. Quella ancora deve arrivare.”
A sentire quelle parole, Noah sorrise.
Si sentiva un po’ meglio, adesso che Bradley si era confidato con lei. Le aveva confidato i suoi pensieri più profondi, ed era il regalo migliore che potesse farle.
Nonostante le poche forze che aveva, Noah era decisa a lasciare una traccia di sé nel cuore di Brad. A fare in modo che non la dimenticasse mai, nemmeno dopo anni.
 
I ragazzi si alzarono e lasciarono la spiaggia di Brighton.
“Okay, pronta all’avventura?”
“Dimmi cosa hai in mente, pivello.”
Lui la guardò per un po’, e poi fece un sorriso sghembo.
“Ruota panoramica.”
Lei quasi saltò in aria.
“N O. No. Non lo faccio da anni.” Noah sapeva che avrebbe accettato comunque, ma le piaceva fare finta di odiare l’idea.
“È questo il punto, cara.”
Lei alzò gli occhi al cielo e si lasciò guidare verso l’attrazione. Il cuore le batteva forte nel petto nell’attesa di salire, e stringeva la mano di Brad così forte che aveva paura di staccarla.
 
 
Quando finalmente fu il loro turno, Noah era sicura che le dita del ragazzo fossero viola. Stava sudando, aveva paura.
No. Disse a se stessa. Non averne.
La battuta di Brad non mancò. “Senza paura, Noah?”
Sorrise. “Senza paura.”
Si calmò un po’ mentre si sedeva, e cercò di concentrarsi sul viso di Bradley per evitare di pensare al fatto che il giro fosse cominciato.
La cabina stava iniziando a salire. Dapprima era lenta, poi iniziò ad aumentare la velocità.
“Penso di vomitare.” Sussurrò.
“Come fai, se nemmeno ti godi lo spettacolo?”
Lei fece una risatina e poi si costrinse a guardare fuori. il suo cuore mancò un battito quando si accorse di essere in cima, e le sfuggì un urletto misto di eccitazione e paura.
“Oddio!”
Lui rise ed alzò gli occhi al cielo.
“Va tutto bene, sei con me.” disse.
 
Un brivido percorse la schiena di Noah.
“Grazie, mio cavaliere”
Scoppiarono a ridere insieme. Era bello.
 
***
 
Nel viaggio di ritorno, Noah non riusciva a smettere di dire quanto fosse stato divertente ma pericoloso e di quanto si sentisse stanca ma allo stesso tempo felice. Brad la ascoltò finché non fu costretto ad interromperla.
“Possiamo parlare di una cosa?”
Lei si bloccò sorpresa, e lo guardò.
“Certo, dimmi.”
Lui fece un respiro profondo, ma non restituì lo sguardo. Era nervoso.
“Tu… hai detto che non hanno trovato donatori compatibili, vero?”
Calò il silenzio nel veicolo.
Noah credeva che avessero deciso in silenzio di non parlarne, e invece no, Bradley stava tirando fuori l’argomento. E faceva male, era come una lama conficcata nel petto.
 
“Esatto” mormorò.
“Non… non si potrebbe continuare a cercare? Magari qualcuno ha fatto una donazione di recente, e…”
Lei distolse lo sguardo rivolgendolo alle sue ginocchia. Bradley non doveva avere speranza, credeva che fosse chiaro. Evidentemente non lo era.
“No.” Fu secca, decisa.
“Cosa?”
“No, Bradley. Non si può”
Lui aprì la bocca per iniziare un discorso articolato, ma tutto ciò che riuscì a dire fu: “Perché?”
Aveva gli occhi lucidi, ma si impose di non piangere.
“È troppo tardi, vuoi capirlo?”
“Ma io…”
“Tu cosa, Bradley? È inutile provare, devi smetterla! Non puoi salvarmi, nessuno può, okay?”
 
Una lacrima percorse il viso di Noah, che a differenza di Brad non riusciva a trattenersi, ma la asciugò immediatamente.
“Ho donato il mio sangue.” La voce di Brad uscì bassa, ma abbastanza alta da essere sentita da lei, che spalancò la bocca.
“Tu… che cosa?”
“L’ho fatto. Credevo che…” batté una mano sul volante. “Quando sei andata a fare la visita, credevo che ti avrebbero detto che avevano trovato un donatore. Credevo che sarei stato io, ma…”
Strinse le labbra. Non poteva crollare.
“Ma poi mi hai dato la notizia. Fa male, va bene? Sapere che non posso salvarti. Mi fa sentire come se non valessi niente.”
Lei non sapeva cosa dire. Era senza parole.
“Non mi odiare per non avertelo detto subito. Io… mi vergognavo. Mi dispiace.”
 
Noah lo guardò con occhi pieni di lacrime, mentre le sue unghie infilzavano la carne della gamba.
“Non è colpa tua” mormorò.
Lui diede un’altra botta alla macchina. “Invece si. Io…”
“No.” La voce della ragazza tremava. “Ti prego, non devi pensarlo nemmeno per un secondo. Tutto questo non è colpa di nessuno.”
“Non riuscirò mai a perdonare me stesso, lo sai, vero?”
A sentire quelle parole Noah cedette, e affondò la testa sulle gambe.
“Ti prego, devi farlo per me.”
“Sarà il tempo ad aiutarmi.” Bradley era sincero. “Non posso farci nulla”
 
Lei annuì, ma dentro si sentiva spezzata. Più spezzata di quando aveva saputo della notizia, o di quando aveva pianto di notte.
Perché lei se ne sarebbe andata per sempre, ma lui sarebbe rimasto. Sarebbe rimasto con il rimpianto di non essere riuscita ad aiutarla, e faceva più male di qualsiasi altra cosa.
 
***
 
Noah entrò a casa mentre ancora piangeva. L’idea principale era di dormire da Bradley, ma non ce la faceva. Lui capiva.
Si avviò verso la sua stanza a passo lento ed ignorò i richiami dei genitori mentre si chiudeva in camera.
Si lasciò andare sul letto, e singhiozzò.
Le mancavano due settimane, solo due, e poi se ne sarebbe andata. Non ci sarebbero state più notti in cui dormiva da quel ragazzo dolce e riccioluto, giornate in cui si perdeva nei suoi occhi. Non avrebbe mai più suonato il pianoforte.
Smise un secondo di piangere e si alzò in piedi, asciugandosi gli occhi. Si avvicinò allo strumento ed afferrò gli spartiti appoggiati allo sgabello. Le tornarono ricordi in mente e i suoi occhi divennero lucidi di nuovo. Stavolta non pianse.
 
Si sedette e sistemò i fogli di carta. Sfiorò i tasti del piano, e fece un respiro profondo.
Puoi farcela.
E così iniziò a suonare quella melodia. Quel suono così dolce ed armonico. Quello che aveva suonato insieme a lui il primo giorno.
Un sorriso comparve sulle sue labbra spontaneamente, ricordando quel giorno in cui il destino aveva intrecciato le loro vite.
 
Un colpo alla porta interruppe i suoi pensieri, e si alzò in piedi.
“Chi è?” chiese, con voce roca.
“Papà”
“Cosa vuoi? Non parlerò con la mamma.”
“Voglio che tu parli con me” il suo tono allo stesso tempo addolorato, ferito e autoritario la fecero immobilizzare.
Cosa poteva fare?
“Okay. Entra”
 
La testa del padre fece capolino dalla porta e piano piano l’uomo entrò nella stanza, per poi chiudersi la porta alle spalle.
“Tesoro” sussurrò, vedendo il segno delle lacrime su volto della figlia. “Stai bene?”
Lei lo fissò con occhi vitrei. “No.”
“Scusa, era una domanda stupida.” Si avvicinò, e lei indietreggiò. “Non scappare, Noah. Per favore.”
“Cosa vuoi da me?”
“Io…” lui si trattenne dallo scoppiare in lacrime, e prese le sue mani con forza. “Voglio indietro la mia piccolina.”
Il cuore di Noah sussultò, lei abbassò lo sguardo.
“Ascolta, mi dispiace.” Disse. “Ma… ti prego, tu mi devi perdonare. Devi perdonare me e la mamma. Prova a metterti nei nostri panni. Tu stai per morire e non possiamo vivere nel rimpianto. Noi…”
L’uomo lasciò andare un singhiozzo, e d’un tratto Noah si sentì stupida. Folle. Egoista.
Lo abbracciò forte, interrompendo qualsiasi discorso stesse per continuare.
Il padre fu colto di sorpresa, ma non esitò un secondo a stringere quel corpo minuto tra le braccia.
Pianse sulla spalla della figlia, ringraziando Dio di averla ancora con sé per un po’.
 
“Papà, mi dispiace” Noah si unì ai suoi singhiozzi. “Ti voglio bene, e ti perdono. Ma per perdonare la mamma ho bisogno di tempo”
Lui annuì. Era troppo occupato ad essere felice per pensare alla moglie.
“Tesoro, ti voglio bene” non riusciva a smettere di piangere. “Hai ragione, siamo stati stupidi. Invece di supportarti, abbiamo fatto il contrario.”
Lei lo zittì con un segno della mano e gli diede un bacio sulla guancia.
 
“Papà…” le sembrava il momento giusto. “Ho un ragazzo, da un po’ di tempo. Credo che tu e la mamma dovreste dargli un’occhiata.”
Lui si lasciò sfuggire un sorriso. Ricordava quando lui e Dorothea le avevano impedito di vedere Caleb, ma il tempo era passato. Erano persone diverse. O almeno, lui lo era.
“Va bene, piccola mia.” La abbracciò ancora. “Tutto quello che vuoi.”

 


#ANGOLOAUTRICE
Okay, è martedì e sono qui. (Sbaglio o sono quasi sempre puntuale? Che mi sta succedendo?)
La storia sta andando avanti. C'è stata una rivelazione importante, la donazione di Brad, e mille altre cose: un'altra delle loro avventure, il pianoforte, la conversazione con il padre. Insomma, Noah ne sta passando delle belle.
Premetto che questo capitolo non mi piace, se trovate degli errori ditemelo senza paura, li correggerò appena posso perchè mi rendo conto di averne fatto qualcuno, MA NON LO TROVO. (no, il senza paura non era una battuta di poco gusto).
E si, se ve lo state chiedendo, i miei dilemmi sono sempre così poco interessanti.
Ringrazio infinitamente chi segue la storia e mi dice il suo parere, credetemi, per me significa tanto.
Potete contattarmi su Facebook se avete bisogno di un banner, volete parlare o avere informazioni sulla storia, e su Ask per gli stessi motivi.
A martedì!

Jamesguitar

 

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Capitolo 12
*** I love him ***




Chapter 12.

“Brad, vai bene così, dai!”
Bradley fece un giro su se stesso davanti allo specchio.
“Sicura?”
“Non devi fare colpo su di loro, li devi solo conoscere. Andiamo, siamo già in ritardo!”
Noah lo prese per la manica della camicia e lo trascinò verso la porta; lo trovava un po’ ridicolo con la camicia nei pantaloni eleganti e cravatta.
Quella mattina aveva messo da parte la conversazione del giorno prima e lo aveva invitato a cena, perché non le andava di ripensare al dolore che aveva provato. Non avevano nemmeno litigato davvero, e considerando la loro situazione tenere le distanze non sarebbe stata la decisione migliore.
Anche Bradley aveva fatto finta di non ricordare niente, e aveva accettato volentieri l’invito. Si era vestito in quel modo solo perché sapeva quanto fosse importante per Noah che i genitori lo accettassero, anche se lo prendeva in giro.
 
Scesero le scale della casa del ragazzo e si infilarono in macchina, accesero velocemente il motore e si avviarono verso casa di lei.
Lei era vestita in modo semplice, con una gonna grigia a pieghe fino al ginocchio e una maglietta verde a maniche corte. Era sempre bellissima, secondo lui.
Arrivarono a casa della ragazza con un paio di minuti di ritardo e Noah entrò trafelata, timorosa di aver già sbagliato tutto.
I genitori li aspettavano dietro la porta.
“Salve” disse Bradley. “Sono…”
“Aspetta, è lui?”
Sua madre guardò Noah sbalordita. “Il ragazzo del teatro?”
Calò un silenzio imbarazzante.
Ricordava quel giorno, quando sua madre la aveva presa un po’ in giro. Era stato strano, ma in quel momento desiderava con tutta se stessa che recuperasse quell’entusiasmo.
 
“Sono Bradley Will Simpson” ruppe il silenzio il ragazzo. “Piacere”
Suo padre gli strinse la mano ma Dorothea si limitò ad alzare un sopracciglio, mettendolo a disagio.
“Andiamo a mangiare” disse, per poi uscire dalla stanza.
Noah guardò Bradley con occhi imploranti, e lui alzò le spalle.
“Vieni Bradley, sei il benvenuto.”
Noah era confusa. Sapeva che i suoi genitori non volevano che avesse un ragazzo, ma andiamo, sul serio? La madre contro, e il padre pro?
Non era stata lei a guardarla con quel sorriso ebete quando si erano conosciuti? Cosa diavolo stava succedendo?
Si diressero in sala da pranzo. I due genitori si sedettero a capotavola e i ragazzi uno davanti all’altro.
La tensione era palpabile, nessuno sapeva bene cosa dire.
 
“Da quanto uscite insieme?” chiese il padre.
Bradley esitò, così l’uomo si affrettò a chiarire: “So che Noah ce l’ha detto solo ora, ma che va avanti da un po’”
“Oh. Un po’ di tempo, abbastanza per conoscerci bene a vicenda.”
Lui annuì.
Noah stava per rompere la tensione, ma Dorothea la precedette. “Sai che Noah è malata di leucemia, non è così?”
Per poco la ragazza non sputò il pezzo di polpettone che aveva appena messo in bocca. La fulminò con lo sguardo.
Brad cercò di restare calmo, ma era scosso anche lui. Perfino il padre di Noah guardò male la moglie.
“Oh, ehm, si, lo so, signora Evans.”
“E sai anche che morirà tra un paio di settimane?”
“Io… si, sono stato informato.”
Noah non si aspettava tutta questa scenata. Sperava che fosse uno scherzo, anche se non era affatto divertente.
“Basta.” Disse tra i denti.
“Perché, Noah?” la madre la guardò. “Non puoi affrontare la verità?”
“Dorothea.” La ammonì il marito.
 
Questo scambio di battute bastò a far calare un silenzio ancora più teso ed imbarazzante di prima.
Noah fissava il suo piatto, Dorothea si mordeva il labbro inferiore, e i due uomini mangiavano in silenzio.
Stava andando peggio di quanto pensassero.
“Cosa fanno i tuoi genitori?” chiese il padre di Noah al ragazzo, dopo essersi schiarito la voce.
Noah si irrigidì ancora di più.
“Mio padre ha delle scuole di musica in giro per l’America.”
“Quali scuole?”
“Una è quella in cui si è iscritta Noah. Gestisce anche…”
 
“E tua madre?” lo interruppe Dorothea, decisamente poco interessata a ciò che stava dicendo.
Il cuore di Noah si fermò.
“Lei…” il ragazzo esitò. “Non c’è più.”
“Oh, mi dispiace” disse Paul.
“Non fa niente.”
Dorothea non disse niente e Noah la guardò con sguardo infuocato. Era davvero così priva di sentimenti?
“Scusate” disse Bradley, alzandosi dalla sedia. “Vado in bagno”
Noah capì che qualcosa non andava e si affrettò a seguirlo. “Ti faccio vedere dov’è”
 
Lui la seguì per un corridoio, finché non si fermò davanti ad una porta azzurra.
“Tutto bene?” chiese, sussurrando.
Lui abbassò lo sguardo. “Tua madre mi odia.”
“Non è vero, lei…” si fermò, perché non sapeva cosa dire. “Lei…”
“Non c’è bisogno di trovare scuse. Non mi pento di averli voluti conoscere, solo… non me l’aspettavo.”
Lei annuì. “Mi dispiace per quello che ha detto.”
“Sto bene, sul serio.”
Noah sospirò, e tornò in sala da pranzo. Rimasero in silenzio finché il ragazzo non tornò a sedersi.
 
“Mi dispiace per prima” disse Dorothea, cercando i suoi occhi.
Noah si sentì sollevata.
“È tutto okay, davvero.”
 
La cena andò avanti lentamente, con conversazioni intervallate da silenzi tesi e occhiatacce, ma tutto sommato la situazione non andò peggiorando andando avanti, che era ciò che Noah temeva di più.
Presto arrivò il momento di salutarsi. Erano tutti e quattro davanti alla porta, senza sapere bene cosa dire.
Fu Brad a parlare, e ciò che disse sorprese tutti.
 
“Signori, sono contento di essere venuto a cena da voi. Mi dispiace se non pensate che sia il ragazzo giusto per vostra figlia, mi dispiace se non mi volete al suo fianco. Ma credo di renderla felice, e penso che in questi ultimi giorni di vita abbia bisogno di qualcuno che lo faccia. Non dico che voi non lo fate, solo…”
“Capito” Disse Paul, facendogli un sorriso, e sollevandolo.
Dorothea rimase in silenzio.
“Ti accompagno alla macchina” disse Noah.
La madre si affrettò a cercare di fermarla. “Fa freddo”
“Mamma…”
“Noah, tranquilla, resta in casa. Tua madre ha ragione”
Bradley non lo pensava, era evidente, ma stava cercando di farsi accettare. Così Noah comprese il suo occhiolino e quando diede la buonanotte ai suoi genitori, gli permise di andarsene da solo.
 
Rimase nell’ingresso con i due genitori, senza idea di come interagire.
“Mi piace” disse Paul, dandole una pacca sulla spalla.
La ragazza stava per andarsene, ma si fermò. La madre aveva sbuffato.
“Cosa hai detto?” la sfidò, girandosi di scatto.
“Noah, un ragazzo è l’ultima cosa di cui hai bisogno ora. Soprattutto uno come lui.”
Lei sgranò gli occhi.
“Cosa diavolo vorresti dire con questo?” sbottò.
“Innanzitutto, calma i toni. Voglio dire che è solo un riccone viziato. Stai morendo, cosa te ne fai di uno così?”
La rabbia salì nelle viscere della ragazza. Come si permetteva?
“Riccone viziato? Mamma, lui mi rende felice! Ti è così difficile accettarlo?”
Era rossa in viso, ed indietreggiò.
 
Dorothea scosse la testa. “Sai, credevo che avessi un minimo di bontà e buon senso dentro di te. Sai cosa vuol dire la parola ‘morire’? beh, cara mia, di solito quando si muore si passa il tempo con i propri cari, non con un ragazzino conosciuto poco tempo prima!”
Paul le guardava, senza sapere come intervenire.
“Mamma, io lo amo, e lui ama me! Cristo, come fai a comportarti così!?”
“Non ti amerà mai come ti amiamo noi, Noah! Non ne avrà nemmeno il tempo!”
Le lacrime scorrevano sul viso della figlia, senza nemmeno che se ne accorgesse.
“Sai una cosa? Di sicuro mi ama più di te, che non fai altro che dirmi che non posso fare ciò che voglio! Mi fai stare peggio, e non lo capisci! Lui mi aiuta, va bene? Mi insegna che non devo avere paura, che ogni momento vale mille volte in più di uno stupido per sempre, se è un momento felice! E lui mi ha dato così tanti attimi in cui mi sentivo viva che mi basteranno a lasciarmi un sorriso sulle labbra quando me ne andrò. Tu cosa hai fatto in tutto questo che potesse aiutarmi come ha fatto lui? Niente!”
 
Noah ignorò le lacrime sul viso della madre e gli occhi tristi del padre e corse in camera sua.
Sbattè la porta e si lasciò cadere sul pavimento. Non sapeva più cosa fare.
Ogni giorno si sentiva peggio.
Afferrò il cellulare e compose il numero senza esitazioni.
“Pronto?” la voce di Bradley era calda e sicura, come al solito.
“Brad, non ce la faccio.”
“Ehi, che succede?”
“Mia madre ti ha insultato, io… non so cosa fare. Mi manca, Brad. Ma stare senza di te sarebbe come uccidermi.”
Il ragazzo sospirò sulla cornetta.
“Deve solo accettare la cosa.”
“Io non voglio lasciarti.”
“Non lo farai.”
“Invece sì, e non manca molto.”
Il respiro del ragazzo si fece più affannato, e per alcuni secondi non disse nulla.
 
“Noah, ne abbiamo già parlato” sembrava aver perso la sicurezza di qualche secondo prima. “Tu resterai nel mio cuore. E sarà come se non te ne fossi mai andata.”
Lei si portò una mano alla bocca.
“Ti amo.”
“Anche io. E lo farò per sempre. Quando te ne andrai mi mancherai, ma basterà chiudere gli occhi, toccare il pianoforte, e sarai con me. Lo so.”
Lei singhiozzò, e tirò su col naso.
“Mi dispiace se stai passando tutto questo.”
Il cuore le batteva forte.
“A me no. Preferisco vederti morire che non averti mai incontrata. Tu mi hai cambiato, ricordi? Hai trasformato la mia sicurezza dalla ribellione a qualcosa di positivo. E non potrò mai amare qualcuno quanto ho amato te.”
“Dici davvero?”
“Certo. Tu mi hai reso il ragazzo fortunato del mondo.”
“Grazie. Grazie perché mi hai fatto toccare l’infinito con un dito, nonostante mi sia impossibile raggiungerlo.”
Un singhiozzò sfuggì dalle labbra di Brad.
“Tu hai aperto le porte del mio cuore, Noah. Sono io che ti ringrazio.”
 
Dorothea ascoltava da dietro la porta, anche se Noah non poteva immaginarlo.
Lei pianse e rise insieme, e in quel momento, sentì davvero di aver raggiunto l’infinito che sognava.



 
#ANGOLOAUTRICE
Okay, puntuale, eccomi!
Non ho molto da dire su questo capitolo a parte che adoro la parte finale.
Io SPERO che non la colleghiate a the fault in our stars, non ho nemmeno pensato a quel libro nè per scrivere la storia nè per questo pezzo, nonostante ami il libro mi da fastidio quando la gente li paragona. Questa storia è completamente mia, okay?
Bradley è assolutamente troppo zuccheroso per i miei gusti. Sono sicura che la maggior parte di voi inizierà ad odiare Dorothea, ma in fondo cercate di capirla, le manca sua figlia ed è gelosa come lo sarebbe chiunque.
Ringrazio chiunque stia seguendo questa storia, per me è davvero importante.
Come sempre potete cercarmi su Ask e Facebook.
A martedì, se dio vuole!

Jamesguitar

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Capitolo 13
*** Happiness ***



Chapter 13.
 
“Non smetterò mai di amare i pianoforti.”
Bradley era sdraiato sul suo letto a maneggiare un cubo rubik, mentre Noah sfiorava i tasti dello strumento nella sua stanza.
Le piaceva immaginare quante volte Bradley lo aveva suonato, e non poteva immaginare che era lì che piangeva ogni notte.
“Ho un’idea.” Bradley lasciò sconfitto il cubo sul letto e si mise a sedere, ascoltando.
“Ora andiamo in cucina. Prendiamo il gelato. Lo uniamo a qualsiasi cosa troviamo in giro. E poi lo mangiamo.”
Lui scoppiò a ridere, sorpreso da quell’idea assurda.
“Che?”
“Lo ho visto in un film. Andiamo, Simpson, è nella mia lista delle cose da fare prima di andare all’aldilà, e pretendo di farlo.”
Lui rise, nonostante ciò che aveva detto fosse un po’ agghiacciante. “Ci sto, allora.”
Lei sorrise raggiante e si precipitò di sotto, seguito da un Bradley piegato in due.
 
“Bene, allora.” Noah si tirò su le maniche della maglietta bianca a maniche lunghe e si mise dietro al bancone. “Iniziamo, pivello.”
Aprì il frigo e prese ben tre gusti di gelato di versi. Li mise in una ciotola, sotto lo sguardo sbalordito di Brad.
“Che c’è?”
“Non lo finirai mai” la accusò.
“Se lo pensi non mi conosci come dovresti, bamboccio.”
Lui rise a quell’appellativo, e la guardò lavorare senza fare domande.
Gli scappò un sorriso quando la vide armeggiare con il burro d’arachidi ed imprecare quando non riusciva a prendere abbastanza nutella.
Era disgustoso ciò che stava venendo fuori, ma era bellissimo vederla divertirsi in quel modo.
Versò cereali, biscotti, frutti di bosco, zuccherini e quant’altro sul gelato, finché mancò solo un tocco finale, a quanto diceva.
“Okay” disse. “Manca solo il mio ingrediente segreto.”
“Ovvero?”
“Il cacao in polvere!”
Lui fece una smorfia. “Che schifo, Noah!”
“Fidati, sarà la cosa migliore che tu abbia mai mangiato. Ora vieni con me e mi aiuti.”
Bradley si alzò e il suo sopracciglio fece lo stesso. “Sei sicura di volerlo?”
“Certo, idiota. Ecco, l’ho preso…”
La ragazza non fece in tempo ad afferrarlo che il ragazzo glielo prese dalle mani, per poi lanciargliene una manciata addosso. Lei urlò. “Brad!”
Lui rise, ma appena Noah si vendicò, si bloccò. “Vuoi la guerra, Evans?”
Lei ridusse gli occhi a due fessure. “Certo, Simpson.”
 
Passarono i successivi cinque minuti a cospargersi a vicenda di cacao finché Noah, con la vita circondata dalle braccia di Brad e il viso quasi marrone, non chiese la tregua. Entrambi si piegarono i due dalle risate, e poi Noah si appoggiò al bancone stremata. Osservò il casino che avevano fatto, e rise di più.
“Credo che abbiamo esagerato un po’.”
Bradley fece per aprire bocca, ma una voce lo interruppe.
“Lo credo anche io, ma se pulite, non credo ci siano problemi.”
La ragazza si voltò di scatto, e rimase pietrificata.
“Oh, ehm, salve”
Di fronte a lei c’era un uomo in giacca e cravatta, con una valigia in mano. Aveva degli occhi inconfondibili, nonostante i suoi capelli del tutto diversi da quelli di Bradley. Era il signor Simpson.
“Tu sei Noah, giusto? Ho sentito molto parlare di te.”
Lei era nervosa, non si aspettava quel confronto.
“Sì, sono io. Piacere. Mi scusi per le mie condizioni pietose.”
Lui le strinse la mano, e scoppiò a ridere.
“Tranquilla. Anche a mia moglie piaceva impiastricciarsi in questo modo.”
Nell’istante in cui Noah arrossì violentemente, Bradley si mise in mezzo.
“Ciao, papà. Dove vai?”
 
“Sto partendo per New York, vado a controllare uno dei teatri. Torno domattina” disse. “Noah, tu suoni il pianoforte, giusto?”
Lei annuì.
“Ho saputo della malattia, e mi dispiace. Speravo tanto di poterti incontrare prima che accadesse l’inevitabile”
Noah ripeté il gesto precedente ed abbassò gli occhi. Bradley fulminò suo padre con lo sguardo.
“Ho detto qualcosa di sbagliato?” si affrettò a dire l’uomo. “Non era mia intenzione, mi dispiace”
Noah gli rivolse un piccolo sorriso per tranquillizzarlo, perché sembrava davvero mortificato.
“Si figuri, non importa. Sto imparando ad accettarlo.”
Senza preavviso lui lasciò la valigia e la abbracciò. Lei si sorprese di quel contatto così diretto, quasi smise di respirare.
“Ti sono grato per aver reso mio figlio felice.” Disse, e poi la lasciò andare.
“Papà…” iniziò Brad, ma lui non lo fece continuare.
“Bradley, è la verità.” Si girò verso Noah. “Mi dispiace per il destino che ti è capitato.”
Non credo nel destino, avrebbe voluto rispondere, ma non lo fece. Qualcosa glielo impedì.
“Grazie”
 
L’uomo li salutò timidamente e poi uscì di casa con la valigia appresso.
Non appena la porta si chiuse, Bradley prese Noah per un braccio. “Scusa, non pensavo che si sarebbe comportato così.”
Lei gli accarezzò i capelli. “Va tutto bene, davvero, mi ha reso felice sentirlo.”
Lui fece un timido sorriso, sollevato.
“Adesso aiutami a pulire, sfaticato.”
“Scherzi? Non ho intenzione di pulire.”
Lei scoppiò a ridere ed afferrò la ciotola di gelato.
“Bene, allora portiamo questo gelato di sopra e fammi rinfrescare un attimo.”
 
Una volta sistemato il gelato sulla scrivania, Noah e Brad si diressero in bagno. Lei iniziò a sciacquarsi il viso, mentre lui la guardava.
“Allora? Lavati, razza di idiota”
Lui scoppiò a ridere e le cinse la vita con le braccia da dietro, guardandola attraverso specchio.
“Oggi sei in vena di prese in giro, eh?”
“Esattamente. Però ammettilo, idiota sei davvero.”
Noah scoppiò a ridere della propria battuta, inconsapevole di ciò che sarebbe successo dopo. Bradley si allontanò quanto bastò per prendere il tubo della doccia e lo aprì verso di lei, che urlò.
“BRADLEY WILL SIMPSON!”
Si scansò colta di sorpresa e lui si piegò in due dalle risate.
“Non è divertente!”
Per prenderla in giro ancora di più Bradley iniziò a bagnarla di nuovo, godendosi i suoi urletti spaventati.
“Sei pazzo!”
Bradley fece l’errore distrarsi.
 
La ragazza afferrò la doccetta e la rivolse verso di lui, facendogli fare un salto all’indietro.
“Noah, spegnila!”
“Te lo puoi scordare, Simpson!”
Quando fu zuppo anche lui Noah chiuse l’acqua ed entrambi risero a crepapelle, reggendosi al lavandino.
“La tua faccia è stata esilarante” disse Brad, con le lacrime agli occhi.
“Mai quanto la tua!”
Era una delle cose più divertenti che avessero mai fatto, e continuarono a ridere per qualche minuto.
“Bene, ora facciamo i seri” disse Noah.
“Serio?” Bradley alzò un sopracciglio. “Non posso restare serio se sei bagnata dalla testa ai piedi, hai una maglia bianca e dei pantaloncini corti.”
Lei spalancò la bocca. “Brad! Da dove saltano fuori queste battute da pervertito?”
 
Lui si avvicinò. Le afferrò i fianchi e le disse all’orecchio: “Tutti hanno un lato pervertito.”
I loro corpi erano appiccicati, e Noah non poteva negare di sentire un formicolio dentro di sé.
“Mh, non io.”
Il cuore le batteva all’impazzata mentre deglutì.
“Non ti credo” sussurrò Bradley.
“Credimi.” Mentì.
Era impossibile restare impassibile davanti alla maglia bagnata di Brad che fasciava i suoi muscoli, le sue labbra piene e i suoi ricci gocciolanti. Deglutì di nuovo, ma non bastò a placare quel desiderio che si faceva strada in lei.
 
“So riconoscere quando una ragazza è eccitata da me, e tu lo sei.”
Il cuore di Noah si fermò.
Non sapeva come comportarsi, non sapeva se abbandonarsi a quella tentazione fosse la scelta giusta.
“Brad…” fece per dire qualcosa, ma un gemito uscì a forza dalla sua bocca quando la sua intimità e quella di Brad si incontrarono.
Lui rimase un po’ sorpreso da quella reazione, credeva che si sarebbe contenuta, ma non si allontanò.
“Noah, se tu lo vuoi, sappi che non ti fermerò.”
Lei rimase paralizzata a quelle parole. Avrebbe dovuto reagire, ma non lo fece.
“Hai paura?”
Si scosse. “No. Mi hai insegnato a non averne.”
“E mi vuoi?”
Un brivido le attraversò la schiena quando le alzò la maglia di qualche centimetro, scoprendo la sua pelle bagnata.
“Sì.”
“Allora cosa stai aspettando?”
 
Noah lo guardò per qualche secondo negli occhi tenendo le mani intorno al suo viso, e poi non seppe resistere.
Lo baciò con tutta la forza che aveva, appendendosi completamente a lui.
Bradley le cinse la vita con le mani e continuando a baciarsi uscirono dal bagno. Non si staccarono nemmeno un secondo mentre aprivano la porta e si avvicinavano al letto disfatto del ragazzo, non ebbero il tempo nemmeno di respirare. La porta era stata a malapena socchiusa quando caddero all’indietro sul materasso, entrambi sopraffatti dalla voglia dell’altro che avevano.
Bradley si staccò solo un secondo per togliersi la maglia bagnata, e poi ricominciò a baciare Noah. Un minuto ancora e la sua lingua stava correndo per il collo di lei, poi sui mordi della maglietta. La sfilò facilmente, provocandole del rossore sulle guance, e poi riprese a baciare parti del suo corpo che nessuno aveva mai toccato prima.
Lei lo teneva per i fianchi, troppo eccitata per pensare di fare qualsiasi altra cosa.
Si sentiva bene, in quel momento. Si sentiva bene perché era viva, era se stessa, e non poteva esistere momento migliore per donarsi a lui completamente.
Sarebbe morta presto, e prima di farlo, voleva provare quell’esperienza. Provarla con lui.
 
Noah non sapeva bene cosa fare ma gli sbottonò i jeans, per poi toglierglieli e lasciare che li gettasse in un angolo della stanza.
Riusciva a sentire l’erezione di Bradley su di lei, e il formicolio nel suo ventre aumentò. Stava perdendo la testa.
Lui le tolse i pantaloncini lentamente, per poi appoggiarli a terra.
La pelle di Noah sembrava infuocata quando Bradley la sfiorava, riusciva ad accendere il fuoco dentro di lei che era sempre mancato.
Si baciarono con passione, pendendo dalle labbra dell’altro, senza la minima intenzione di fermarsi.
Noah sfiorò l’elastico de suoi boxer, e lui sussultò. La ragazza fece per allontanare la mano, ma lui non glielo permise.
Così lei continuò ciò che aveva iniziato, gli abbassò piano i boxer svelando l’erezione che aveva solo potuto immaginare. Un peso dovuto al terrore si insinuò nel suo petto, ma cercò di scacciarlo mentre lui le abbassava le mutandine e le toglieva di mezzo.
Bradley era a cavalcioni su di lei, fremeva impaziente, ma aveva paura di farle del male.
“Noah, sei sicura di non essere troppo debole?” ansimò nel suo orecchio.
Lei strinse i suoi fianchi tra le mani. “Sto bene. Fallo, ti prego” la sua voce risultava implorante, e anche ciò che aveva detto, ma a quel punto credeva di non essere più molto lucida.
“Senza paura?”
“Senza paura. Ti prego.”
 
Tutto ciò che Noah sentì dopo fu lui che penetrava in lei, la sua sensazione di pienezza, e le lenzuola strette intorno a due dita.
Bradley uscì ed entrò una seconda volta, e lei si lasciò sfuggire un gemito incontrollabile.
Si sentiva viva.
Fece male all’inizio, più di quanto immaginasse, e vide appena una chiazza rossa sulle lenzuola. Ma piano piano il dolore si trasformò in piacere, la sua stretta sulle coperte si allentò. Bradley si unì ai suoi gemiti, rendendoli una cosa sola, mentre i loro corpi erano fusi insieme, finalmente.
Quando Noah venne, lui subito uscì da lei senza esitazione, per paura di farla stancare troppo e di esagerare.
 
Si lasciò cadere affianco a lei, ansimando, fissando il soffitto e pensando a quanto fosse stato meraviglioso.
“Scusa per le lenzuola” disse Noah, con il fiato corto.
“Le butterò, non fa niente. Me l’aspettavo.”
Lei si girò su un fianco, e guardò il suo corpo bagnato accanto a lei. Si sentì felice.
“Ti amo.”
“Anche io.”
“Sono contenta di aver fatto l’amore con te almeno una volta prima di morire.”
Lui la guardò a sua volta e fece un piccolo sorriso.
“Lo ricorderò per sempre. Te lo prometto.”
 
***
 
Quando Bradley accompagnò a casa Noah, erano le nove di sera. Ci era voluto un po’ ad asciugarsi, e Noah non voleva che i suoi genitori vedessero il suo colorito, venuto spontaneo dopo aver fatto l’amore con Brad.
Solo a pensarci arrossiva di nuovo. Le era piaciuto tantissimo.
Fece per tirare fuori le chiavi dalla borsa, ma Dorothea aprì la porta, quasi come se la stesse aspettando.
“Bradley” disse, rivolta al ragazzo. “Puoi entrare un attimo, per favore?”
Noah si irrigidì, ma lui non ebbe la stessa reazione. “Certo.” Disse.
I due ragazzi entrarono in casa, ma restarono nell’ingresso. Noah appoggiò il cappotto all’appendiabiti, aspettando di capire cosa diavolo stesse succedendo.
Non appena chiusero la porta, Paul li raggiunse.
“Mi dispiace” disse la madre. “Mi sono comportata male nei tuoi confronti, ti ho giudicato, e non avrei dovuto. Io… sono contenta che tu renda felice Noah. Davvero.”
Il sorriso si aprì sui volti dei due ragazzi e Paul accarezzò il braccio della madre.
“Grazie, signora Evans” replicò Brad. “Significa molto per me”
Lei annuì e senza preavviso, lo abbracciò forte. Lo strinse a sé come avrebbe fatto con un figlio, e lui ricambiò la stretta con un po’ di imbarazzo.
“Grazie” gli sussurrò all’orecchio. “Per averle dato qualcosa di meglio di un per sempre.”
 
***
 
Quando il ragazzo se ne fu andato, la famiglia rimase sola nell’ingresso. Noah fissava la madre e lei faceva lo stesso.
“Noah, ti chiedo scusa” disse. “Ho sbagliato a farti sentire così male. Sono tua madre, io… ti voglio bene. Anche se tu pensi di no, sei la cosa migliore che mi sia mai capitata. Bradley è un ragazzo fantastico, piccola mia. Credo di averlo sempre saputo. Ma ero troppo accecata dalla gelosia per accettarlo” fece un respiro e cacciò indietro le lacrime sul punto di cadere sulle sue guance. “Ti volevo tutta per me nei tuoi ultimi giorni, e non ho pensato che fossi stata io ad allontanarti da me. Mi dispiace. Ma ti prego, perdonami, perché non posso vivere nel rimpianto di non averti mai capita fino in fondo.”
Le lacrime lottarono per uscire dagli occhi di Noah, che non le trattenne. Si gettò sulla madre, stringendola forte a sé.
“Ti perdono” sussurrò singhiozzando insieme a lei, e con la coda dell’occhio vide una lacrima cadere sulla guancia del padre.
 
#ANGOLOAUTRICE
Eccomi, ragazzi! Okay, sono in orario come sempre.
PREMETTO dicendovi che non so se riuscirò ad aggiornare il prossimo martedì, perchè ho un sacco di compiti e in più il corso di teatro. In ogni caso controllate la storia sia martedì che mercoledì, al massimo ritarderò ma di poco.
Allora, CHE NE PENSATE DEL CAPITOLO? Qui si spiega il rating arancione lol
Ho cercato di trattare l'argomento sesso con delicatezza considerando la malattia di Noah e tutto il resto, spero sia venuto fuori qualcosa di decente.
Come avete letto Dorothea ha deciso di chiedere scusa a Brad, rivelandosi una donna fragile che ha solo paura di perdere sua figlia. Noah ha conosciuto il signor Simpson, che si è rivelato più affettuoso di quanto lo avreste definito all'inizio.
Okay, ci si vede!
(non metto i link di fb e ask perchè nessuno mi caga mai ahah)

Jamesguitar

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Capitolo 14
*** Fearless ***


 
Chapter 14.
 
Quella notte accadde tutto in fretta. Troppo in fretta.
Noah si svegliò tossendo, non riusciva a respirare. Anche quando provò ad alzarsi, scoprì di non avere le forze.
Andò avanti per secondi interminabili, finché Dorothea e Paul non entrarono spaventati tra la stanza ed accesero la luce. La trovarono a starnutire sangue.
Paul la prese in braccio velocemente e corsero all’ospedale, mentre Dorothea avvertiva Bradley tramite il telefono della figlia.
Era tutto così improvviso, tutti avevano paura che il tempo fosse terminato, che quello fosse il finale di una stupida storia incompiuta.
Noah finì nel reparto delle emergenze, le attaccarono una bombola dell’ossigeno e aspettarono che stesse meglio. Oltre a darle medicine, non seppero cos’altro fare.
 
Bradley arrivò trafelato dopo una decina di minuti, con il terrore negli occhi, e trovò i signori Evans davanti alla stanza della figlia.
“Cosa…” era sconvolto. “Sta bene?”
“Le stanno facendo delle analisi” Dorothea piangeva sommessamente, appoggiandosi al marito.
Brad era inquieto, non riusciva a stare calmo. Gli balenavano in testa ricordi su ricordi, promesse su promesse, risate su risate.
Ed il senso di colpa arrivò come un’onda, lo travolse senza che potesse fare nulla.
Non avrebbero dovuto fare l’amore qualche giorno prima, non avrebbero dovuto fare tutti quei giri in moto il giorno precedente. Gli si riempirono gli occhi di lacrime.
La nave stava affondando, la tempesta era diventata troppo potente da affrontare. Nonostante la mancanza di paura la malattia stava vincendo, se non l’aveva già fatto.
 
***
 
Il dottore li raggiunse fuori dalla stanza un paio d’ore dopo, e li trovò distrutti. Occhiaie, occhi rossi di pianto, capelli scompigliati.
Perfino lui aveva un groppo in gola.
“Io…” iniziò. “Non so cosa dire. Mi dispiace, gli esami precedenti non tenevano conto del comportamento che avrebbe tenuto nei giorni successivi alla visita. È evidente che il suo corpo ha subito sforzi che non ha potuto sopportare. Vostra figlia sta per morire. Le mancano al massimo ventiquattr’ore.”
Dorothea scoppiò a piangere sulla spalla di Paul, il cui viso fu solcato da lacrime.
Bradley rimase paralizzato ad assimilare le parole dell’uomo.
 
Comportamento dei giorni successivi.
Sforzi.
Morire.
Ventiquattr’ore.
 
Si sentì crollare sulle ginocchia e il mondo attorno a lui svanì. Riuscì solo a vedere il sorriso di Noah seduta su di lui sulla spiaggia di Brighton e il vento tra i suoi capelli, prima di perdere i sensi.
 
***
 
Aprì gli occhi dopo quelli che sembravano secondi ma che era stata un’ora buona, secondo ciò che diceva Paul.
Scattò a sedere sconvolto sulle sedie d’ospedale e la sua mente ripensò a tutto. Dentro di sé crollò di nuovo.
“È colpa mia” sussurrò ai due genitori, singhiozzando senza riuscire a fermarsi. “Solo colpa mia.”
Dorothea scosse la testa e lo abbracciò forte, piangendo insieme a lui. Continuarono per un po’, finché Brad non ricordò una cosa che si era ripromesso di fare.
 
Si alzò di scatto guadando i due adulti. “Mi servono le chiavi di casa vostra, per favore, è importante.”
Paul gliele porse e lui non perse tempo. Corse fuori dall’ospedale, verso la sua macchina. E poi attraverso le strade, ad ignorare i clacson che strombazzavano dietro di lui e le persone che lo mandavano a quel paese, pensando solo ad un’unica, singola cosa.
Parcheggiò con furia sotto casa degli Evans e con una fitta al cuore entrò, salì le scale velocemente, fino ad arrivare in camera di Noah.
Si spaventò a vedere le lenzuola piene del sangue che aveva starnutito, e le lacrime caddero sul suo viso immacolato mentre frugava in lungo in largo.
Li trovò.
Gli spartiti erano sepolti sotto un mare di cose nella scrivania, e li afferrò con violenza.
 
Poi uscì di casa e rifece tutta la strada al contrario, sempre ignorando i limiti di velocità e correndo come se potesse servire a salvarla. Ma non poteva. Non aveva mai potuto.
Quando raggiunse il piano di ospedale di Noah, i genitori lo guardarono comprensivi.
“Si è svegliata” disse Paul. “Andiamo a parlarle un po’ noi, okay?”
Lui annuì.
 
I due genitori entrarono nella stanza di ospedale, bianca e spoglia, e videro la figlia rannicchiata su un letto, con addosso il camicie azzurro di tutti i pazienti.
Si accorsero di quanto era dimagrita in poche ore, e Dorothea si portò una mano alla bocca per soffocare un urlo.
“Ciao” mormorò la ragazza.
I due iniziarono a piangere e si sedettero ai bordi del letto, accarezzandole i capelli.
“Piccola mia” disse Paul. “Ti sei stancata troppo, ed è arrivato il momento.”
 
Noah gettò la testa all’indietro, e chiuse gli occhi.
Lo sapeva.
Lo aveva sentito, la sera prima, aveva sentito di non potercela più fare. Che era arrivato il momento di andare via.
“Lui dov’è?” sussurrò, mentre una lacrima le percorse il viso.
“Qui fuori” disse Paul.
“Quanto mi resta?”
“Un giorno a malapena” singhiozzò Dorothea, stringendo quelle dita minute tra le sue.
“Okay.”
 
***
 
Quando Bradley entrò nella stanza, erano passate quattro ore.
Tremò a vederla in quello stato, così indifesa, così debole.
“Ehi” le disse, cercando di essere forte. “Non ti trovo un granché in forma.”
Riuscì a strapparle un sorriso, prima di sedersi accanto a lei.
“Capita, quando mancano una ventina di ore alla tua morte”
Anche quella doveva essere una battuta, ma provocò una lacrima sul viso del ragazzo.
“Scusa” si affrettò a dire, asciugandola. “Non sono pronto a lasciarti andare, tutto qui”
Aveva la voce incrinata, e lei non poteva fargliene un torto. Come avrebbe potuto farlo?
 
“Non devi scusarti” sussurrò lei. “Al tuo posto io sarei già svenuta”
Lui fece una piccola risata. “L’ho fatto.”
Lei sorrise e lasciò che prendesse la sua mano, stringendola fra la sua. Il contatto con quel corpo freddo fece sussultare Bradley.
Stava morendo davvero.
Scoppiò a piangere, abbassando la testa e nascondendola tra le braccia di lei.
Noah gli accarezzò i capelli ricci. “Va tutto bene” disse, anche se nemmeno lei ne era sicura.
“No, non va bene”
“Brad, devi essere forte” la sua voce dolce non bastò a calmare quel cuore tormentato. “Lo siamo sempre stati. Non cambiare a causa mia, o almeno non in peggio, va bene?”
 
Bradley la guardò con gli occhi rossi.
“La malattia è una bastarda” le disse. Lei sorrise un po’, ma ricevette una coltellata al cuore. “Tu eri un cielo sereno e lei è arrivata con le sue nubi, esse si sono infittite sempre di più e ora sta per piovere.”
Una lacrima scese sul viso della ragazza.
“Ti prego, devi cercare di resistere.”
“Non posso. È colpa mia, capisci?”
Lei lo allontanò. “Non dirlo nemmeno. Non è vero.”
“Invece si. Il dottore ha detto che ti sei sforzata troppo. Fa male, Noah, più male di quanto potrai mai capire.”
Noah lo attirò di nuovo a sé e lo strinse con le poche forze che aveva.
“Shh” cercò di calmarlo, mentre singhiozzava violentemente su di lei.
“Ti amo, non voglio che tu muoia. Non adesso, cazzo, non adesso.”
 
Anche Noah scoppiò a piangere e gli fece spazio nel letto di ospedale, in modo che potesse stendersi con lei. Si abbracciarono a vicenda, Brad cercò di trasmetterle il calore di cui aveva bisogno.
“Mi mancherai più dell’aria, lo sai?” le disse, singhiozzando sul suo collo.
Lei annuì.
“Brad, non mi interessa se sto morendo prima del previsto. Se non avessi fatto quelle esperienze con te, morire non avrebbe avuto lo stesso sapore.”
Lui si allontanò per guardarla. “Che sapore ha?” chiese.
“Il sapore della completezza. Non sarò mai pronta per andarmene, ma so che questo è il momento migliore.”
 
Bradley si alzò dal letto e prese gli spartiti da un mobile, dove li aveva appoggiati.
“Ho pensato che volessi morire con questi” sussurrò, porgendoglieli.
Lei li afferrò e sorrise.
“La ho suonata una sola volta, qualche giorno fa. Ha fatto male, ma… mi ha fatto conoscere te.”
Lui prese un grande respiro, cercando di controllare le emozioni.
“Posso confessarti una cosa?”
“Certo.”
La fissò negli occhi, e poi disse: “Tardavo a darti quegli spartiti solo perché… ho inventato la canzone al momento. Ti ho vista e boh, ho suonato. Ecco perché erano scritti a matita. Non ho mai avuto il coraggio di dirtelo.”
Lei pianse ancora, ma le scappò un sorriso.
“Davvero?”
Bradley annuì e si avvicinò di nuovo, stringendo la sua mano ossuta.
“Allora ti amo ancora di più, Brad”
Lui si perse nei singhiozzi ancora una volta.
 
***
 
Passarono altre svariate ore che sembrarono anni, in cui mari di familiari andarono a salutare Noah, con finte lacrime e finti dispiaceri. Sapevano tutti che nessuno che la conoscesse davvero poteva definirsi addolorato dalla sua morte.
 
***
 
C’era quasi. Lo dicevano le macchine dietro di lei, le infermiere commosse dalla situazione. Tutto era così esplicito che faceva ancora più male.
Dorothea e Paul avevano appena dato un ultimo saluto alla figlia, ed ora aspettavano tremanti sulla soglia.
Mancava solo lui.
Bradley voleva esserci fino alla fine, fino a quando non avesse chiuso gli occhi per non aprirli mai più.
 
“Sto morendo” mormorò Noah, così piano che solo lui la sentì.
“Lo so”
“Grazie. Grazie per avermi reso la ragazza libera che sono”
La macchina segnava che stava per succedere, i suoi battiti si stavano affievolendo sempre di più.
“Ti amo” disse Noah.
“Non dirlo come se fosse un addio” replicò lui. “Te l’ho detto, tu resterai nel mio cuore per sempre.”
Le annuì, mentre iniziava a chiudere gli occhi.
“Senza paura?” sussurrò Bradley, piangendo.
Senza paura” rispose lei.
 
E fu l’ultima volta che lo disse.

 



#ANGOLOAUTRICE
Sono in lacrime perfino io, vi rendete conto?
Mio dio, scrivere questo capitolo mi ha uccisa e correggerlo oggi è stato peggio.
Come avrete letto, Noah è morta. Non ho fatto accadere nessun miracolo ed è andata via per sempre spezzando il cuore di Bradley.
Non è così che deve finire questa storia, ma allo stesso tempo è giusto che rispecchi la realtà, secondo me.
Perchè nella vita vera la gente non sopravvive per miracolo, muore e basta e ferisce chi ama di più.
Okay, smetto di fare la depressa e vi assicuro che questo non è l'ultimo capitolo.
Quello della prossima settimana, il quindicesimo, lo sarà, ma un paio di giorni dopo pubblicherò un piccolo epilogo.
Sfogate i vostri dolori e si, odiatemi, anche perchè mi odio da sola.

Jamesguitar

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Capitolo 15
*** Thank You. ***



A mio nonno, la persona che mi ha insegnato a non avere paura e che mi manca tanto, la persona per cui riavvolgerei il nastro.
 
Chapter 15.

Quella seconda notte Noah Lillian Evans morì con il sorriso sulle labbra, il corpo rilassato. Morì appena dopo aver pronunciato due parole importantissime per lei e per Bradley, morì dopo aver visto gli occhi color cioccolato dell’unico ragazzo che avesse mai amato in vita sua.
Morì senza timore, accolta dalle braccia del nonno che amava tanto.
Bradley, Dorothea e Paul si abbracciarono stretti, senza sapere cos’altro fare, cercando di scacciare il dolore che li opprimeva come un peso sul petto. Infondo al loro cuore sapevano che non sarebbe mai andato via.
“Il funerale è dopodomani” sussurrò Dorothea. “Abbiamo già organizzato tutto.”
“Puoi fare un discorso, se vuoi” aggiunse Paul.
Bradley annuì meccanicamente. Guardò un’ultima volta il corpo fragile di Noah, le sue palpebre chiuse, e poi se ne andò.
Corse via per i corridoi, perché faceva male. Più male di quanto avrebbe mai immaginato. Era come se milioni di coltelli lo stessero colpendo al cuore, quel punto in cui era diventato fin troppo debole.
 
Inviò un veloce messaggio al padre con scritto ‘Se n’è andata per sempre’ ed entrò in macchina. Lo aveva chiamato qualche ora prima per avvisarlo e lui aveva detto di dirgli quando fosse successo.
E poi via, Bradley corse nuovamente per le strade affollate di Londra. Senza curarsi dei semafori o di qualunque altra cosa che in giorni diversi sarebbe stata importante.
Smise di piangere, era come paralizzato in un incubo da cui non si sarebbe mai svegliato.
 
Scese dall’auto ed entrò in casa Evans. Non aveva chiuso a chiave la porta e i genitori di Noah non avevano nemmeno pensato di farlo, da quanto erano stati preoccupati nelle ultime ore.
Salì le scale velocemente, ed entrò in quella stanza.
La verità lo colpì come un pugno. Era tutto così reale.
I vestiti sporchi di Noah sulla sedia, il pianoforte aperto con degli spartiti appoggiati disordinatamente sopra. Tutto era così vero e recente che Brad sentiva che anche solo toccando quegli oggetti, annusandoli, sarebbe scoppiato in lacrime nonostante le avesse finite.
Afferrò ciò che gli serviva, un paio di cose, e si sbrigò ad andarsene. Era stato stupido a tornare subito. Cosa gli era passato per la testa?
 
Entrò nella sua macchina con quegli oggetti tra e mani, e si sentì morire dentro.
Appoggiò un gomito al finestrino e guardò il posto da passeggero accanto a sé. Ovviamente, lo scoprì vuoto.
Scoppiò a piangere di nuovo, con le mani che tremavano, con tutto il corpo scosso dai singhiozzi.
Si lasciò andare, solo in quella macchina. Perché si, adesso era solo. Sua madre non c’era. Suo padre nemmeno. Noah era andata via per sempre.
Se quello era il destino, allora Bradley lo odiava. Odiava quel fottuto destino che li aveva allontanati per sempre.
Non poteva sapere che lei non ci aveva mai creduto. Avrebbe potuto imparare da lei, altrimenti.
 
“Io.. intendo cose come queste. Vivere è semplice, va bene? Si può vivere anche cento anni, ma se non ti godi tutto, allora è come essere morti dal principio. Vivere è un semplice bacio, un abbraccio, un ‘ti amo.’ Vivere è vedere film idioti con un ragazzo che ti fa ridere, leggere libri che ti fanno stare male. Vivere è andare in moto a velocità supersonica ignorando le forze che vengono meno. Vivere è la felicità che si prova quando si riesce ad aprire un portone pesante e si credeva di non riuscirci mai. Vivere è non avere paura, va bene?” “Ti manca poco da vivere, lo so bene. Ma tanto vale vivere la vita che ti rimane per davvero, non credi?”
 
Si sentiva male, perché i ricordi erano lame taglienti che non volevano lasciarlo in pace.
Partì a tutta velocità con quella stupida macchina, che senza di lei non aveva lo stesso calore e la stessa bellezza. Niente senza di lei aveva senso, dannazione.
Arrivò al cimitero in pochi minuti. Afferrò uno dei due oggetti e si incamminò velocemente, pur sapendo che non c’era nessuno ad inseguirlo. Aveva paura che se si fosse fermato avrebbe iniziato a pensare troppo, e pensare era l’ultima cosa che gli serviva.
 
Questo era innamorarsi nel modo peggiore. Innamorarsi di lei, che ormai era andata via, e non sarebbe tornata mai più.
Bradley pensò a tutti i baci che non le aveva dato. Alle volte in cui avevano litigato. Desiderava tornare indietro e vivere il tutto cento volte meglio.
Si inginocchiò davanti alla tomba dell’uomo. Non riusciva a piangere in quel momento.
Prese il diario della ragazza dalla tasca in cui lo aveva infilato, con la mano che tremava.
Non resistette, e lo aprì.
C’era un’ultima lettera.
 
Caro nonno,
Avrai notato che ultimamente non scrivo la data nelle pagine di diario, ma sono così stanca che me ne dimentico sempre.
Ti sto per raggiungere. Lo sento dentro di me, manca poco alla mia morte.
Stanotte non mi sento molto bene. Credo vomiterò.
Ho chiesto a Bradley di mettere questo diario vicino alla tua tomba, quando morirò. Mi ha promesso di farlo e io gli credo, mi fido di lui. So che non se ne dimenticherà.
Sai, tempo fa ho sognato la nostra conversazione di quando ero bambina. Quella sul buio. Ricordo di aver detto che essere abituati al buio non equivale alla luce, e di aver affermato che se mai me ne fossi andata da qualcuno, avrei lasciato un po’ della mia luce nel suo cuore, che sarebbe brillata per sempre.
L’ho fatto, con Brad? O almeno lo spero. Altrimenti non potrei mai perdonarmelo.
Scriverei poemi per te, ma sono davvero stanca. Credo che proverò a dormire, anche se sono quasi sicura che stanotte saranno i miei ultimi respiri.
Ti voglio bene.
 
Noah.
 
Le labbra di Bradley stavano tremando.
Con sua sorpresa una folata di vento colpì il diario, girando pagina. Bradley credeva che quella fosse l’ultima lettera, ma c’era un foglio spiegazzato tra due pagine bianche.
Lo afferrò con cautela, e per poco non si sentì svenire.
 
 
Ehilà.
Probabilmente non leggerai mai questa lettera, Bradley, perché non posso aspettarmi che tu apra questo diario. Ti farebbe male, lo so.
Io però scrivo comunque, perché so che all’ultimo secondo non avrò la forza di riuscirti a dire tutto ciò che ho da dire.
Ricordi il nostro primo bacio? Io sì. Mi hai fatta sentire unica quel giorno, nonostante la mia malattia, il dolore, le lacrime. Sei davvero la cosa migliore che sia mai stata mia, te l’ho detto.
Mi avevi promesso che mi avresti trovata, giusto? Lo hai fatto. Fino alla fine, e ti amo per questo. Hai scavato dentro di me, e non potrei esserti più grata di così.
Mi hai fatto capire cos’è davvero l’infinito, un insieme di momenti belli. E con te ne ho avuti così tanti che non basterebbero per una vita intera.
Se ti stai chiedendo che giorno è, è il giorno in cui ti ho dato la mia innocenza. Lo sai che è stata un’esperienza bellissima, vero? Sono stremata, ma non potrei essere più felice.
Mi ricordo il giorno in cui ho provato ad aprire il portone del teatro e tu mi hai dato una mano perché non ci riuscivo. Come dimenticarlo? Credo che questo fatto possa essere interpretato come una metafora di tutto questo, di noi. Basta avere coraggio e anche la cosa più impossibile diventa facile. Con te, ho aperto tutte le porte.
Mi hai dato i miei giorni migliori della mia vita, e non so come ringraziarti.
Mi hai insegnato a non avere paura, e… è il dono migliore che potessi darmi.
Io ti ho reso una persona meravigliosa, ti ho aiutato a sfruttare il tuo carattere in bene, e ti amo. Ti amo con tutta me stessa.
Se potessi scegliere, sceglierei di mancarti per sempre. Ma non posso, non sono così egoista. Io voglio che tu sia felice, che ti sposi, che abbia dei bambini. Voglio restare nel tuo cuore, ma come un bel ricordo, non un’ossessione che rimarrà a rovinati la vita.
Io non ho mai creduto nel destino. Ho sempre pensato che servisse ad illudere le persone. Ma beh, se il nostro incontro non è stato destino, allora è la coincidenza migliore che mi sia mai capitata.
Incontrarti è stata una meraviglia, Brad.
E ti ringrazio.
 
Bradley cadde sulle ginocchia. Pianse ancora. Non credeva di contenere così tante lacrime.
Mise la lettera in tasca con cautela e poi chiuse il diario. Lo appoggiò accanto alla tomba del nonno e si allontanò.
“Sei tu, che sei una meraviglia” sussurrò tra le lacrime.
 
***
 
C’erano tante persone. Tutte vestite di tutto punto.
Perfino il padre di Bradley era venuto, e stava parlando con una Dorohea in lacrime e un Paul a pezzi, dando le sue condoglianze.
Bradley era invece seduto in prima fila, in silenzio. Non sapeva cosa altro fare. Aveva deciso di inventare il discorso sul momento, perché odiava le cose preparate. Erano false, frasi fatte, e lui non voleva che fosse così.
Ascoltò a malapena la messa di inizio, tutto ciò che riusciva a fare era guardare Noah in quella bara, distesa, con gli occhi chiusi. Vestita come se dovesse andare ad un ballo, circondata da fiori. Se si fosse vista, sarebbe arrossita di certo.
Bradley strinse i pugni perché guardarla lo faceva stare peggio, ma non poteva smettere di farlo.
 
Venne il discorso della madre di Noah. Poi quello del padre. Infine quello della sua migliore amica delle elementari, che fu abbastanza patetico.
Brad non riusciva a concentrarsi.
Quando una voce dichiarò: “E ora le ultime parole di Bradley Will Simpson, il suo fidanzato”, tutti gli occhi furono puntati su di lui, che deglutì.
Si alzò e si diresse verso il microfono, a disagio e con una tristezza insormontabile.
 
“Ho conosciuto Noah Evans non tantissimo tempo fa, quando è venuta alla sua lezione di pianoforte al teatro in centro.” Iniziò, titubante. “La ho trovata a suonare il pianoforte sul palco e sono rimasto in ascolto, perché ho pensato che fosse la musica più bella che avessi mai sentito.”
“Poi abbiamo parlato, e ho scoperto che non solo era bellissima, era intelligente, era tutto ciò che avessi mai sognato.
Quando mi ha detto di essere malata, è stato come se il mio cuore fosse stato spezzato in due. Ma non l’ho mai dato a vedere. Perché lei aveva bisogno di qualcuno che le insegnasse a non avere paura, ad avere speranza anche quando è la cosa più stupida che si possa fare. Io ho fatto questo.”
“Noah è sempre stata una ragazza fragile e forte al tempo stesso. Mio pare direbbe che è una ragazza da sposare.”
Ci fu una risatina amara tra il pubblico.
“Noah ha lasciato un segno nel mio cuore, un segno che non riuscirò mai a cancellare, e non voglio farlo. A volte penso che vorrei svegliarmi e aver dimenticato tutte le piccole cose. Fa male, sapete? Ricordare le notti in cui si confidava con me e poi ci addormentavamo, i dolci che preparavamo senza mangiarli, i giri in moto che non avrebbe dovuto fare, ma che facevamo perché si sentiva viva, in quei momenti.”
“Se mi chiedessero se sto bene, direi di no. Non sto affatto bene. Ma le ferite prima o poi rimarginano. Non se ne vanno mai del tutto, ma lasciano una cicatrice. Una cicatrice visibile, ma che con il tempo non fa più male. Noah mi ha cambiato. Ero un ragazzo ribelle e stupido, e lei con la sua dolcezza ha trasformato quella mia potenza distruttiva in qualcosa migliore. Lei diceva di essere grata a me per averla amata, ma io le devo molto di più.”
“Noah voleva lasciare una cicatrice, ma senza farmi del male. Voleva lasciare una luce che sarebbe brillata per sempre. Lo ha fatto. Non dimenticherò mai Noah Evans, e va bene. Perché non amerò mai nessuno quanto ho amato lei.”
 
Bradley non si era accorto di piangere, finché non fu possibile andare avanti.
Disse un veloce ‘scusate, non ce la faccio’ e si allontanò dal microfono, tornando a sedere. Tutti lo guardarono comprensivi, ma in quel momento lui avrebbe solo voluto sparire.
 
***
 
Alla fine della cerimonia, quando la bara era sul punto di essere chiusa, Bradley si avvicinò con cautela. Fece scivolare sotto ai fiori tre oggetti, tre oggetti che non avrebbe mai potuto conservare, perché appartenevano a lei, sol a lei.
Fece cadere quei tre spartiti: le due canzoni che aveva scritto per lei e l’altra, la prima. Quella i cui spartiti lei aveva desiderato tanto fin dall’inizio.



 
#ANGOLOAUTRICE
Secondo me inizio a sembrarvi ripetitiva o stupida, ma credetemi quando vi dico che sto piangendo come una deficente nella mia stanza e mi sto maledicendo per aver scritto una storia del genere, una storia così triste e struggente. COME DIAVOLO MI E' VENUTO IN MENTE? DIO.
Va bene, cerco di fare la sana di mente in ogni caso.
Credo che questo capitolo sia addirittura più triste del precedente, perchè una cosa è leggere o scrivere di una persona che muore e un'altra delle conseguenze che questo porta, i familiari e le persone care che soffrono.
Il discorso di Brad è stato qualcosa di... non so spiegarlo, quando l'ho scritto mi portavo continuamente una mano alla bocca per non singhiozzare. *ripetiva parte due*
Vi siete di sicuro accorte che è venerdì e sto aggiornando in anticipo, questa scelta è dovuta semplicemente al fatto che dato che l'epilogo è molto corto, di 500/600 parole, non mi va di aspettare una settimana da martedì a pubblicarlo, perciò oggi metto quest'ultimo capitolo e martedì pubblico l'epilogo.
A martedì, ragazze.

Jamesguitar

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Capitolo 16
*** Epilogo: Loving Her Was Red ***




Epilogo: Loving Her Was Red
 
Il vento soffiava violento sui capelli dei bambini. Bradley li guardava giocare accanto a sua moglie Evelyn, e si sentiva rassegnato. Al suo posto.
Erano passati vent’anni da quel giorno. Quando aveva portato Noah su quella spiaggia, quella di Brighton. Lo aveva fatto di proposito. Voleva che lei sapesse che non aveva dimenticato quel momento.
Il tempo era passato velocemente.
Bradley aveva mantenuto i rapporti con i signori Evans, ma non era più entrato in casa loro. Non ci era mai riuscito.
Era andato al college, aveva conosciuto Evelyn, e si era innamorato. Non avrebbe mai amato nessuno quanto aveva amato Noah, questo lo sapeva, ma sapeva anche che avrebbe dovuto andare avanti. La aveva sposata. Jack e Rosie erano nati rispettivamente tre e quattro anni dopo il matrimonio.
La vita di Brad si sarebbe potuta definire perfetta dall’esterno, ma non lo era.
 
Non lo era perché Brad non riusciva a smettere di leggere L’ultima canzone, era più forte di lui, appena lo finiva lo ricominciava daccapo. Non lo era perché ogni volta che litigava con Evelyn la sua mente tornava al sorriso di Noah, a pensare che se ci fosse stata lei sarebbe stato tutto più facile.
La luce di Noah era dentro di lui, come aveva sperato.
Nonostante tutto questo, lui era felice. Felice con i suoi figli, con sua moglie. Proprio come Noah aveva sperato.
Bradley sapeva che era inutile pensare al passato perché Noah non sarebbe più tornata indietro, eppure ogni notte guardava le stelle e gli salivano le lacrime agli occhi. Fissava una stella e pensava che magari era da lì che Noah lo osservava. Oltre che il suo cuore, il cielo era il suo posto. Non lo avrebbe mai saputo con certezza, ma gli piaceva immaginarlo.
Ogni notte pregava per lei guardando il cielo stellato, e la ringraziava.
La ringraziava per averlo reso l’uomo felice che era.
 
E quando si sentiva a pezzi andava in quel bar, quello in cui avevano bevuto quel caffè la prima volta, quello in cui gli aveva confessato di essere malata di leucemia. Si sedeva allo stesso identico posto, e leggeva la lettera che gli aveva lasciato.
Dopo anni, oltre agli occhi lucidi gli lasciava un sorriso sulle labbra.
Evelyn sapeva del suo passato, ma non ne parlavano. Gli lasciava i suoi spazi, e lui la amava anche per questo. Non la aveva mai portata al bar, non lo avrebbe mai fatto pe nulla al mondo, e lei capiva. Era la moglie migliore che potesse avere.
A volte tornava a teatro e suonava quella famosa melodia, lo faceva per lei, e di tanto in tanto visitava la sua tomba accanto a quella del nonno, leggeva i diari che aveva scritto.
 
La cicatrice sanguinava, di tanto in tanto, ma Bradley era un uomo felice. Amare Noah Evans era stato speciale. Se avesse dovuto descrivere il loro rapporto, avrebbe usato i colori. Erano un ottimo modo per descrivere come si era sentito.
Quando se n’era andata c’era stato il nero, si, ma amarla era stato rosso.
Rosso come il sangue che mancava, come il sangue che avrebbe potuto tenerla in vita ma non era mai stato abbastanza.
 
FINE.




#ANGOLOAUTRICE
Ebbene, miei cari, siamo arrivati allepilogo.
Non avete idea di quanto questo mi renda triste, ho amato questa storia e ho dato sempre una parte di me per scriverla, capitolo per capitolo. Adesso che è conclusa rimarrà sempre nel mio cuore, perchè è segno della mia evoluzione stilistica, e di mile altre cose che non sto a spiegare.
Ringrazio chiunque abbia letto anche solo una riga di questa storia, davvero. Quando l'ho iniziata nessuno la filava, pensavo addirittura di smettere di pubblicarla o cancellarla, ma poi è scattato qualcosa e non so, ho creduto in me stessa e sono riuscita a continuare. Ho fatto bene, perchè adesso ho i miei risultati.
Non conosco il parere di chiunque abbia letto la storia, molti non hanno recensito, ma reputo chi lo ha fatto davvero dolce, le loro parole mi hanno fatto sorridere almeno per un secondo.
Non sto a fare nomi e ringraziamenti, vi adoro tutte e non sapete quanto vi sia grata.
Adesso vi chiedo un ultimo sforzo. So che a molte di voi non va di recensire, ma avrete di sicuro notato che sono a 91 recensioni e credetemi, raggiungere le 100 sarebbe una soddisfazione enorme.
Grazie ancora a tutte, vi voglio bene, e spero di incontrarci con la mia prossima storia, Marlboro, che pubblicherò sabato 25 e sarà su James Mcvey.
Alla prossima, ragazze!

Jamesguitar

 

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