From Mayford with love

di timeaftertime
(/viewuser.php?uid=194091)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il nuovo arrivato ***
Capitolo 2: *** Strani incontri ***
Capitolo 3: *** Un "vecchio" amico ***
Capitolo 4: *** Il ballo ***
Capitolo 5: *** Lo spasimante ***
Capitolo 6: *** Strani pensieri ***
Capitolo 7: *** Un tè in compagnia ***



Capitolo 1
*** Il nuovo arrivato ***


Mayford, United States of America, 10 Novembre 1850

Era stata una splendida giornata di sole a Mayford, nel nord dei relativamente giovani Stati Uniti d’America. La cosa era sembrata molto strana agli abitanti della cittadina, specialmente perché si era ormai giunti a Novembre e tutti aspettavano la prima nevicata. Invece nel cielo non si vedeva neanche una nuvola, e il sole d’un rosso vivo salutava tutti con i suoi ultimi raggi prima di scomparire a Ovest.
Lungo Main Road ormai poche persone si apprestavano a concludere le loro commissioni per poter finalmente tornare a casa, e tra tutte spiccava un uomo di circa venticinque anni, con un soprabito da viaggio addosso ed una valigia in mano. Se ciò non fosse bastato a far capire che era un forestiero, sicuramente avrebbe aiutato a intuirlo l’espressione confusa sul suo viso mentre leggeva il nome della via confrontandolo con un biglietto che aveva in mano.
Il Signor Everhart, il rispettabilissimo notaio della città, lo vide e decise di attraversare la strada per andare a dargli una mano.
“Povero ragazzo. Sembra così spaesato!” pensò.
Ma poi vide che qualcuno aveva fatto più in fretta e stava già discutendo con nuovo arrivato.
“Ma quella non è Doris Molton? Oh, povero davvero. Non sa cosa l’aspetta.”E scuotendo la testa continuò per la sua strada. 

“Serve una mano, giovanotto?” disse una voce acuta e nasale.
Matt levò la testa dalla lettera che stava rileggendo per la centesima volta per rispondere a quella voce che in quel momento suonava, se non gradevole, quantomeno provvidenziale. Quello che vide fu una donna di almeno quarant’anni, tutta pelle e ossa, con i capelli già parecchio ingrigiti raccolti in una crocchia, un naso aquilino e due occhi penetranti. Lui non poteva saperlo, ma si trovava davanti alla signorina Doris Molton, la donna più pettegola di tutta Mayford. Ma se anche l’avesse saputo, in quel momento non gli sarebbe importato: doveva assolutamente trovare quell’indirizzo prima che facesse buio.
“Sì, molte grazie! Mi potrebbe indicare la casa del dottor Redford?” chiese speranzoso.              
“Ma certo! Posso anche accompagnarla, se desidera. Suppongo che lei sia il signor Matthew Kraus, vero?”
Lo zio lo aveva avvisato del fatto che la cittadina era molto piccola, ma di certo il ragazzo non si aspettava che conoscessero gà il suo nome. Però ben presto, mentre camminavano e la donna continuava a blaterare senza sosta, si rese conto che lei sapeva molto altro su di lui: che era orfano di padre, per esempio, ma anche che sua madre era la sorella del dottore e che lui andava a prendere il suo posto in città come medico ora che lo zio voleva andare in meritatissima pensione. Poi la signorina Molton cominciò  a fargli una marea di domande: era fidanzato? No, signorina. Aveva intenzione di sposarsi? Come qualunque uomo di buonsenso, sì. Era un bravo medico? Non stava a lui dirlo, comunque amava molto la professione che aveva scelto. Fu sincero, com’era sua abitudine, in ogni risposta, ma tirò un sospiro di sollievo quando la donna gli disse che doveva assolutamente tornare a casa dato che stava facendo buio e gli indicò la breve strada che gli mancava per arrivare dal “caro, carissimo dottor Redford”.

Matthew stava per salutarla e ringraziarla dell’aiuto quando la sua attenzione fu catturata da un cagnolone nero che era schizzato fuori da un cancello aperto, seguito a ruota da una ragazza minuta che gridava “Rod! Rod!”.
La signorina Molton, notando lo sguardo curioso di Matthew, disse con tono aspro: “Ecco Lily White, quella ragazzina non imparerà mai come comportarsi!”.
Dalla casa uscì un’altra figura, e Matthew rimase come folgorato: era una ragazza alta, magra ma ben formata. I capelli castani, lunghi e mossi, le cadevano dolcemente sulle spalle. La ragazzina corse verso di lei gridando con tono lamentoso “Non è colpa mia!”, e lei le disse qualcosa che i due osservatori, dall’altra parte della strada, non riuscirono a sentire.
“E quella è Julia White, sempre dietro a qualcuna delle sue sorelle!” Matthew sussultò: si era quasi dimenticato della presenza di Doris Molton. Ricordandosi le sue buone maniere, la salutò ringraziandola di cuore. E mentre la signorina (che d’ora in poi avrebbe volentieri evitato) si allontanava, guardò di nuovo verso casa White. Julia era riuscita a richiamare il cagnolone nero, che ora si faceva beatamente coccolare. Poi la ragazza e il cane tornarono in casa, e anche Matthew si voltò per continuare la sua strada.


 Julia invece aveva varcato la soglia e ora guardava con aria severa Lily, che cercava di nascondersi dietro Hannah, la terzogenita di casa White. 
"Continui a farlo spaventare, Lily, un giorno lo farai morire di crepacuore!" cominciò.
Rod, dal canto suo, seduto accanto alla sorella maggiore, aveva l'aria di essere completamente d'accordo con l'affermazione. 
"Non è colpa mia se abbiamo il cane più fifone d'America! Quella soluzione era quasi perfetta!"
"Tanto perfetta che è esplosa! Lily, è pericoloso!"

A questo punto si rende necessaria una premessa. Lily White, la più piccola delle sorelle, ha mostrato sin da piccola una grande predisposizione verso la scienza. Il padre aveva incoraggiato questo talento, e le aveva anche allestito un minuscolo laboratorio nel sottoscala. Con il tempo, e con grande dedizione, Lily lo aveva allargato, migliorato, e quel luogo era per lei la sua intera vita. Le sorelle l'avevano sempre appoggiata, pienamente convinte del fatto che se non era un hobby da "signorina perbene" era sicuramente una passione adatta ad una donna conscia del proprio potenziale; tuttavia, negli ultimi tempi la ragazzina, ormai sedicenne, aveva ritenuto che fosse giunto il momento di dedicarsi alla chimica e da allora quasi ogni giorno dal sottoscala proveniva il suono di una piccola esplosione che portava Rod a scappare terrorizzato e Julia a rischiare un infarto. Ma ora torniamo alla risposta di Lily.

"Non è pericoloso! Devo solo fare un po' più di pratica..."
"Ma non puoi studiare le piante, tesoro, come facevi prima?" disse con tono conciliante Hannah, la cui dolcezza proverbiale riusciva di solito a placare ogni discussione. 
"Io sto rendendo un servizio alla scienza, e a tutte le donne! E tu vorresti limitarmi?"

Il tono melodrammatico di Lily fece scoppiare a ridere Julia, Hannah e un'altra ragazza che nel frattempo era entrata in salotto, attirata dal rumore della discussione. 
"Sarah è d'accordo con me. Vero Sarah?"
"Finché si tratta di emancipazione femminile sai bene che non so darti torto, Lils"
"Io ci rinuncio! E se poi dovremo chiedere al pastore di dormire in chiesa perché ci è saltata in aria la casa, non venite a lamentarvi da me!" 

Sarah lanciò un'occhiata divertita alle sorelle più piccole: Julia si preoccupava sempre per tutte loro, ma sapevano benissimo che apprezzava il lavoro di Lily. Era solo un po' apprensiva, e aveva tutte le ragioni per esserlo: dopo la morte della mamma, quando Julia aveva tredici anni, era stata lei a prendersi cura delle sorelline e della casa per aiutare il padre, distrutto dalla perdita del suo grande amore. Da allora, Julia aveva dovuto crescere in fretta, prendere sulle sue spalle tantissime responsabilità. Tre anni dopo anche papà se n'era andato, e la situazione era precipitata. 
"Quattro ragazze non possono sopravvivere senza un uomo che badi a loro!", aveva commentato Doris Molton.
Ci si aspettava che Julia sposasse un uomo anziano ma ricco, in modo tale da salvare la famiglia. Oppure che facessero adottare Lily da qualche coppia rispettabile, in modo tale da salvare almeno lei; per le altre, però, l'unica via era un matrimonio d'interesse.
 Ma le White non fecero nulla di tutto ciò. La loro grande fede le teneva salde, e avevano imparato da tempo che l'unione fa la forza, e su questo si basa ogni vera famiglia. Così, Julia lasciò da parte l'orgoglio e si fece assumere come istitutrice presso casa Redford. Il dottore aveva una nipotina adorabile che necessitava di un'insegnante, e Julia era un'ottima maestra. Pochi mesi dopo, anche Sarah seguì l'esempio di sua sorella e divenne l'educatrice delle piccole Harrys, due gemelle turbolente ma adorabili. L'introito delle due sorelle maggiori non era molto, ma bastò (unito al patrimonio familiare) a sostenere le quattro White, che pure dovettero sopportare molte privazioni.
"Ma non può piovere in eterno!" commentava sempre Hannah con aria serena quando Sarah si lamentava della povertà.
E così erano passati altri tre anni. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Strani incontri ***


Ciao a tutte! Scusatemi se vi scrivo soltanto nel secondo capitolo, ma nel primo ero così ansiosa di pubblicare che mi sono dimenticata di tutto il resto! Dunque, nelle righe seguenti vedrete che la storia comincia a prendere forma un po' meglio. La mia mente malata è piena di idee e di scene che vorrei inserire, così come di una marea di intrecci e di personaggi ancora da sviluppare. Ovviamente so benissimo che questo non è il romanzo del secolo ma solo una storiella stupida, però spero quantomeno che possa servire a qualcuna di voi per passare dieci minuti del suo tempo in maniera diversa. A me serve per sfogarmi e per concentrarmi sulla vita dei miei poveri personaggi così da non pensare alla mia. Mi farebbe molto piacere se qualcuna di voi volesse recensire e dire cosa ne pensa, dandomi anche suggerimenti, perché no. Accetto ogni critica come deve essere fatto, ma vi prego, abbiate pietà! Sono una persona sensibile :( A presto con il prossimo capitolo!            -timeaftertime



La mattina seguente Sarah scese a colazione di pessimo umore a causa di un terribile mal di testa.

“Oh, perfetto, sembra anche che il cielo prepari un bell’acquazzone!” disse con voce seccata. Dalla finestra infatti si vedeva un cielo scuro, e i raggi solari cominciavano a sparire dietro grossi nuvoloni.

“Buongiorno anche a te, splendore!” disse sarcastica Lily, guardando la sorella da sopra la sua tazza di latte. Julia e Hannah cominciarono a ridacchiare, ma lo sguardo di Sarah le fulminò. Hannah giudicò più saggio ritornare a concentrarsi sullo schizzo che stava realizzando sul suo album da disegno.
Julia invece guardò la più grande delle sue sorelle con tenerezza e preferì dire con tono dolce:

“Ogni stagione ha il suo momento, ed era anche ora che arrivasse l’inverno. E poi dici sempre che il caldo ti soffoca! Piuttosto, hai l’aria stanca. Qualcosa non va?”

“Ho solo un po’ di mal di testa, sta’ tranquilla…passerà durante la giornata. Sempre che le gemelline non siano in una di quelle giornate in cui sono più intrattabili di un branco di scimmie sudamericane! Quanto vorrei poter rimanere a casa, almeno oggi. Sono stanca di dover sempre lavorare”

“Non dire così. Sai bene che queste bambine sono state una benedizione per la nostra famiglia.”

Julia era sempre molto sensibile riguardo al suo lavoro, anche se non era esente dai rimpianti della sorella. Quante volte aveva visto le ragazze del paese passare il tempo solo a divertirsi, mentre lei era costretta a passare tutte le mattinate ad insegnare, anche quando era troppo stanca persino per tirarsi su dal letto!

“Hai ragione. E poi, non sia mai che si dica che le uniche donne lavoratrici del paese si lamentano della fortuna che hanno!”

“Beh, però Rebecca Rayles non lavora e non sembra affatto infelice…” disse Hannah con un vocino sottile.

“Questo è solo perché è troppo stupida per immaginare che al mondo ci sia qualcosa oltre alla scelta delle stoffe più costose da mettere sul conto di papà. Noi, ringraziando Dio, siamo ben diverse e ne dobbiamo andare fiere!”

Julia aprì bocca per rimproverare Sarah dell’epiteto rivolto ad un’assente; ma poi si ricordò del suo ultimo incontro con la signorina Rayles e concluse che per una volta, tutto sommato, poteva anche lasciar correre. Invece preferì prendere i libri che le servivano per la lezione e, dopo aver salutato con un bacio tutte e tre quelle ragazze che erano ciò che di più caro aveva al mondo, uscì.

Sarah, dal canto suo, preferì fare colazione con molta calma cercando di distrarsi e farsi passare il mal di testa. Si mise perfino a discutere con Lily delle ultime sue scoperte, ma ad un certo punto furono interrotte da Hannah che chiedeva alla sorella come mai era ancora a casa. Sarah guardò il vecchio orologio del salotto e per poco non le venne un colpo: era in ritardissimo! Gridando un saluto mentre chiudeva la porta d’ingresso si catapultò fuori e cominciò a correre come una forsennata lungo la strada che portava a casa delle gemelline. Mentre girava l’angolo, però, finì addosso a qualcosa…anzi qualcuno.

“Ma che mattinata…” mormorò rialzandosi. Ci mancava solo che avesse travolto il suo datore di lavoro, il signor Harrys, il nonno delle gemelline. Era tanto anziano che anche un colpo di vento poteva buttarlo giù. Mentre rifletteva se travolgere una persona correndo potesse essere considerato omicidio, il flusso dei suoi pensieri fu interrotto da una voce maschile colma di irritazione.

“Ma dico, vi sembra il modo?!”

Sarah tirò su la testa di scatto: non era la voce del vecchio signor Harrys. Quello che si trovò davanti era un ragazzo sulla ventina, alto, con folti capelli neri e una barbetta non molto lunga. Ma quello che più colpì la ragazza furono gli occhi: puro ghiaccio, e riempiti di un’alterigia che le diede subito sui nervi.

“Vogliate scusarmi, ma andavo di fretta” disse con tono glaciale.

“Non è un buon motivo per travolgere i giovanotti a passeggio! A meno che, certo, questo non fosse un tentativo femminile di attirare l’attenzione”

Questa affermazione, che avrebbe dato fastidio a qualunque donna, ebbe sull’animo fiero e femminista di Sarah l’effetto di un’esplosione.

“Ma come vi permettete? Non so che razza di donne abbia conosciuto, ma di certo ho di meglio da fare che finire in terra per attirare l’attenzione del primo che passa! E vi informo che a differenza di certi nullafacenti, c’è gente che la mattina va a lavorare invece di passeggiare!”
E se ne andò sdegnata, lasciando dietro di sé il ragazzo, che la fissò esterrefatto fino a che la figura snella di Sarah non scomparve dietro il cancello di casa Harrys.



Nel frattempo, a casa Redford, Julia cercava di far ripetere le tabelline alla piccola Clara, che non amava la matematica.

“Juliet, non ci riesco!” disse la bambina usando quel soprannome che da sempre aveva scelto per la sua adorata istitutrice.

“Ma certo che ci riesci, tesoro. Hai solo bisogno di un po’ di esercizio. E poi, se sarai brava, canteremo un poco”.

Julia sapeva che la sua piccola allieva amava la musica, e infatti lei si impegnò moltissimo da quel momento in poi. Alla fine, dopo averle fatto molti complimenti (era una maestra convinta dell’efficacia delle ricompense), si diresse verso il salone della musica e aprì il pianoforte. La signora Redford non sapeva suonarlo, ma lo aveva voluto a tutti i costi per poter organizzare balli e ricevimenti degni di questo nome. Aveva poi chiesto a Julia di insegnare a Clara qualcosa, e lei ne era ben felice: la musica era una delle cose che più amava, una passione ereditata da sua madre. E proprio come faceva sua madre con lei, aveva insegnato a Clara molti brani in cui poteva accompagnarsi con il canto. Quella mattina la bambina decise di mostrare i suoi progressi con un brano abbastanza difficile e lasciò a Julia la gioia di cantare.

“Mi piace tanto la tua voce, Juliet. Quando sarò grande voglio cantare proprio come te!”

“Ma canterai di certo molto meglio, ma petite. E ora fammi sentire quanto sei brava su quella tastiera, su!”

Le note cominciarono a risuonare e Julia guardò con orgoglio la sua piccola allieva. C’erano delle imprecisioni, certo, e mancava una profondità emotiva che poteva derivare solo da una maggiore maturità, ma Clara era brava e migliorava a vista d’occhio. Poi, Julia cominciò a cantare. Aveva una bella voce, su questo la bambina non aveva mentito: dolce, ma decisa e non troppo acuta come molte ragazze che ai ricevimenti amavano farsi notare e definivano “bravura” lo strillare note sempre più alte. La sua bravura consisteva invece nel dare un senso ad ognuna delle note, comunicare qualcosa.

Love is like a high mountain
Love is like a lost island
Kissed by wind and sun
And never to be undone


“La tua voce sta diventando sempre più simile a com’era quella della mamma”, le aveva detto Sarah con le lacrime agli occhi qualche sera prima. E anche lei aveva pianto, quella notte. Però non davanti alle sorelle: non lo faceva mai. Piangeva raramente, e solo quando nessuno poteva vederla. Lei era di fatto il capofamiglia, non poteva mostrare debolezze. Ma mentre cantava la mente vagava lontana, immaginando una vita diversa. Senza preoccupazioni continue. Una vita in cui non dovesse mai sentirsi sola.

Poi la musica finì. Julia aprì la bocca per complimentarsi con Clara, ma fu interrotta da un applauso proveniente dall’altra parte del salone.

“Matty!” gridò la bambina correndo verso il ragazzo, che la accolse in un abbraccio sollevandola da terra.
“Che bello! Sei già a casa! Allora vieni, devo presentarti la signorina più stupendissima di tutta Mayford!” e detto questo lo trascinava verso Julia, che guardava tutti e due con aria confusa. Che lei sapesse, Clara era orfana e non aveva fratelli.

“Juliet, questo è il mio cugino preferitissimo, Matty!”

Il ragazzo si mise a ridere, poi prese la mano di Julia e vi depositò un bacio, inchinandosi e dicendo:
“Matthew Kraus, signorina, sono onorato di fare la vostra conoscenza”
Quando si risollevò la guardò negli occhi e Julia si perse per un secondo. Poi però si ridestò e cercò di ricomporsi.

“E’ un immenso piacere conoscervi, signor Kraus. Non sapevo che Clara avesse cugini”

“E io non sapevo che avesse un’istitutrice con una voce tanto meravigliosa” Julia arrossì a quel complimento inaspettato, ma fortunatamente Clara richiamò il cugino per mostrargli tutti i brani che ormai sapeva suonare e così il contatto visivo che si era instaurato nuovamente tra i due fu interrotto. Mentre la bambina chiacchierava senza prendere nemmeno fiato, Julia si concesse di osservare con più attenzione questo nuovo arrivato. Dal nome e dall’accento dedusse che doveva essere tedesco: anche l’aspetto lo confermava. Alto, ben impostato, sapeva proprio di una persona su cui poter fare affidamento. Aveva i capelli biondi e leggermente lunghi e una barbetta appena accennata con un principio di basette; gli occhi invece erano verdi, profondi, dolcissimi. Ma dopotutto, che le importava del colore di quegli occhi? Doveva concentrarsi, stava lavorando. Subito il senso del dovere ebbe la meglio e dopo aver salutato il signor Kraus lei e Clara ritornarono, tra le proteste di quest’ultima, a studiare matematica.


A casa, mentre aspettava che le sorelle tornassero da lavoro, Hannah guardava fuori dalla finestra il cielo che si faceva sempre più cupo. Quella cassapanca davanti alla finestra era il suo posticino preferito: lì poteva disegnare e sognare un mondo diverso. Non le piaceva lamentarsi e cercava di non farlo mai, ma anche lei aveva le sue preoccupazioni e i suoi sogni, che ogni giorno le sembravano più lontani. Amava profondamente le sue sorelle, ma vivere sempre alla loro ombra l’aveva fatta diventare sempre più insicura. Non aveva la maturità e la forza interiore di Julia, né tantomeno l’intelligenza e la decisione di Sarah o la genialità precoce di Lily. Era invece timida, fragile, insicura. Anche nell’aspetto fisico si considerava inferiore a chiunque: era bassina e formosa, con capelli ricci e scuri indomabili e gli occhi grigi.
“Proprio come sono io” pensava lei “Grigia, invisibile al mondo”.
E così s’intristiva. A che le serviva essere tanto brava a disegnare se poi non aveva nessuno a cui importasse?
“Agli altri importa solo la bellezza” pensava “e io non ce l’ho”.
E inevitabilmente il pensiero volava verso l’unica persona per la quale avrebbe voluto essere bella…ma lui non sapeva, né avrebbe mai saputo. Lei era solo la sua carissima amica, quella che sarebbe stata in prima fila a vederlo sposare un’altra, pur di vederlo felice. Quella che era destinata a perderlo, perché non era abbastanza bella da tenerlo.

“Se mi sentisse Sarah! Fare questi pensieri è davvero molto poco femminista. E Julia! Di certo cercherebbe in tutti i modi di farmi capire quanto io sia bella e brava in realtà. Care sorelle! Come sono cattiva a pensare certe cose! La cosa più bella della mia vita sono sempre loro!” e così ritornò a disegnare con animo più sereno. Ma lui rimase tra i suoi pensieri, come una costante, come sempre.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un "vecchio" amico ***


Salve a tutte! Avevo voglia di buttare giù queste righe per farvi entrare ancora di più nel mondo delle sorelle White, e spero di esserci riuscita. Buona lettura!



Lily White, dopo l’ennesima mini-esplosione di una soluzione chimica che non ne voleva sapere di diventare “perfetta”, aveva deciso che forse era il caso di ritornare allo studio degli organismi vegetali. Non l’avrebbe mai ammesso davanti a Julia, ma era un pensiero che le frullava in testa ormai da una settimana. Così, quel pomeriggio, si trovava in giardino a studiare attentamente un fiore che non aveva mai visto prima. Non voleva coglierlo, dato che era ancora in boccio; ma doveva a tutti i costi capire a che specie appartenesse! Erano dunque due ore buone che si affaccendava attorno al povero bocciolo brandendo minacciosamente la sua lente d’ingrandimento. Ad un certo punto però si sentì chiamare.
“Lily! Ehi, Lily!”
“Oh, ciao Tom!”
Tom era Thomas Everhart, il figlio del notaio. Il signor Everhart, suo padre, era stato uno dei migliori amici di Ernest White, e così le White conoscevano Tom da quando erano bambine. Alla morte di Ernest il signor Everhart aveva tentato di aiutare le sorelle in ogni modo possibile, ma due ostacoli glielo avevano impedito: l’orgoglio delle White, che avrebbero rifiutato per principio ogni genere di prestito, e sua moglie. Augusta Everhart era una donna che non scherzava mai, tanto più se si parlava di denaro. Quando la signora White era ancora in vita, le due non erano mai riuscite a creare alcun tipo di legame, e questa freddezza si era mantenuta anche nei confronti delle figlie. Ma neanche la sua terribile consorte aveva potuto impedire al signor Everhart di far sentire in ogni momento la sua vicinanza emotiva alle ragazze, che lo consideravano un parente stretto, né la donna era riuscita ad allontanare Thomas da quelle che lei considerava “ cattive compagnie”. Ecco quindi che ritroviamo il nostro Tom nel giardino di casa White.
“E’ in casa Cherry?”
“Sì, è al solito posto. Ma dovresti smetterla di chiamarla così, sai?”
“E perché mai? Ormai è una tradizione!”
“Ma siete tutti e due cresciuti! Non dovresti smetterla di fare il bambino?”
“Senti senti! Qui qualcuno cerca di insegnarmi la maturità! Su, Lily, non vorrai dirmi che stai diventando una piccola Julia? Sai che l’adoro, ma una mi basta! E poi sei poco seria a far prediche alla gente standotene sdraiata sul prato con una lente d’ingrandimento in mano!”
Se Lily aveva in mente una risposta a queste accuse non lo sapremo mai, perché proprio in quel momento Sarah entrò dal cancello con l’aria di essere parecchio arrabbiata con qualcuno.
“Ed ecco un’altra White! Ma salve, milady”
“Sempre quell’aria sfaccendata, voi ragazzi! Sempre a passeggio a far niente e a importunare chi si dà da fare!” ed entrò in casa sbattendo la porta dietro di lei.
“Oggi sembra proprio che io non abbia fortuna. Una White mi fa la predica, e adesso un’altra mi insulta senza che io abbia alcuna colpa. Ma dico io, è questo il modo di accogliere un amico? Basta, basta: vado dalla mia Cherry, ma se mi respinge anche lei, è proprio la fine del mondo!”
Lily non diede segno di aver sentito il monologo di Tom: aveva appena notato una striatura particolare di un petalo.
 
Così Tom entrò in casa e si diresse a colpo sicuro verso il “solito posto” a cui aveva accennato la più piccola delle White: sapeva bene qual era il luogo preferito da Hannah.
“Ebbene, maestro, quale opera meravigliosa state realizzando oggi? Volete distruggere la fama di Michelangelo, di Raffaello…o forse di Tiziano?”
Non avendolo sentito arrivare Hannah sussultò; ma poi, riconosciuta la voce, sorrise e disse:
“Tom! Pensavamo di non vederti, oggi.”
“Eh, lo so, l’aquila reale voleva incastrarmi in un pranzo a casa Rayles…ma come vedi, sono fuggito senza neanche un graffio!”
“Tom, smettila di chiamarla in quel modo. E’ pur sempre tua madre!”
“Smetterò quando lei la pianterà di cercare a tutti i costi di farmi sposare la Rayles. E’ meno sopportabile della signorina Molton, a volte…e credo che questo spieghi tutto!”
Hannah pensò che fosse il caso di cambiare discorso, così gli chiese dei suo studi.
“Tutto bene, tutto bene…sarò un notaio modello, vedrai.”
“Per ora mi sembri solo un modello perdigiorno. Tom, non puoi continuare a sprecare le tue giornate a questo modo. Sei un uomo ormai…e tutto questo non giova ai nervi di tua madre”.
“Cherry, abbiamo dicassette anni! Non sono ancora un quarantenne e non voglio privarmi di tutta la gioia di vivere per diventare come mio padre. Perché dovrei? I soldi non mi mancano, e il divertimento mi piace. Le donne anche, e perché rinunciarvi per sposarmi e trovarmi relegato a vita con una copia esatta di mia madre? Fossi matto!”
Hannah sospirò. Questo discorso non le era nuovo: Tom gliel’aveva fatto molte altre volte, ma lei cercava sempre di farlo ragionare. Non amava Augusta Everhart, anzi le serbava un certo rancore per tutte le volte che aveva visto Tom soffrire per mancanza di quell’amore che solo una madre può dare, ma capiva le sue preoccupazioni e le condivideva. Tom aveva ormai l’età giusta per cominciare a prendersi delle responsabilità, e perché no, anche per pensare a trovar moglie. Questa era la parte a cui pensava meno volentieri, ma pure desiderava che lui si sistemasse.
“Una moglie è una benedizione invece, e poi sei tu che devi scegliere la persona che vuoi accanto a te. Potresti avere una donna meravigliosa al tuo fianco, che valga dieci delle donne che incontri in quei locali dove vai!”
“Ti dico che a Mayford non c’è nulla del genere. Se l’alternativa è tra la Rayles e il celibato, considera la mia scelta già fatta e in definitiva!”
Erano questi i momenti in cui l’infelicità di Hannah giungeva al culmine. Tom non intendeva assolutamente ferirla, lei lo sapeva bene…ma ci riusciva lo stesso, e benissimo anche. Semplicemente, per lui, lei non era una ragazza da considerare in quel senso. E non per i motivi della madre, ma proprio perché lei era solo quella stupida bambina di cinque anni che piangeva perché voleva le ciliegie. Tom era andato in cucina di nascosto e gliele aveva portate, e da quel giorno erano nate due cose: la loro amicizia e quel soprannome, Cherry. Ma una ciliegina non è una possibile moglie. E’ piuttosto un comodo ricordo d’infanzia su cui fare affidamento. Come quando doveva scegliere una cravatta per fare colpo su qualcuna ai ricevimenti che si tenevano a casa Everhart. O quando litigava con sua madre e si veniva a rifugiare a casa White. Hannah lo sapeva, qual era il suo posto, e lo accettava: ma adesso, che vedeva il matrimonio di Tom come una realtà sempre più vicina, non riusciva a impedire al suo cuore di soffrire.
“Cherry, non stai ascoltando una parola di quello che dico” la voce divertita del suo migliore amico la riscosse dai suoi pensieri.
“Perdonami, mi ero distratta. Stavi dicendo?”
“Beh, prima stavo parlandoti con tono molto serio di quali siano le materie che sto apprezzando di più quest’anno…ma poi mi sono reso conto che se faccio il serio mi ignori, quindi ti ho raccontato tranquillamente della mia intenzione di mandare mia madre sulla luna con una zattera volante, il che mi sembra tra l’altro un’idea sempre più geniale man mano che ne parlo…” la risata di Hannah lo fece interrompere.
“Ma diventerai mai grande, tu?”
“Non posso, Cherry…ho un ricordo troppo bello dell’infanzia! Tutta colpa tua”.
E Hannah sorrise, felice. Come ogni volta.
 
Un’ora più tardi fu Julia a ritornare a casa, e trovò Tom intento a coccolare Rod mentre spiegava a Hannah come in fondo quel cane fosse davvero un esemplare molto intelligente (cosa che non si sarebbe detta a vederlo così, sdraiato a pancia all’aria e con la lingua di fuori).
“Il nostro buon notaio!”
“Oh, la signorina White! Mi domandavo dove foste finita, mia cara…”
“Smettila con quel tono, Tom, per carità! Ma quando comincerai a crescere, tu?”
“Ah! Non ho fortuna. Tutti vogliono che cresca. Ma non vi piaccio, dunque, così come sono? Ho qualcosa che non va?” le ultime due domande erano state pronunciate con un tono tanto falsamente disperato da rendere impossibile il trattenersi dal ridere.
“Beh, adesso si è fatto tardi e devo tornare alla nobile dimora Everhart. Ah, a proposito, mio padre vi invita ad un noiosissimo ballo che terremo venerdì. Verrete?”
“Tom! Ma ti pare il caso di dirlo così, all’ultimo minuto?”
“Così avete meno tempo per inventare scuse, mie care: è tutta strategia!”
“Ma come faremo? Venerdì è dopodomani!”
“Su, su, sarete meravigliose come sempre. A presto allora, se Lily non vi uccide tutte con un’esplosione più grande delle altre!”
Dal sottoscala si udì una vocina gridare
“Bada, ti ho sentito!”
Tom si chiuse ridendo la porta alle spalle.


E così le nostre sorelle hanno un ballo in programma. Beh, un ballo non poteva mancare in una storia ambientata nell'Ottocento...ma cosa succederà a casa Everhart quel venerdì? Spero davvero di non avervi annoiato, e che vi siate divertiti a leggerla almeno la metà di quanto io mi sia divertita nel scriverla. Un bacio enorme a tutte     -timeaftertime
p.s. recensite e fate contenta la povera autrice! 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Il ballo ***


Ciao a tutte! Mi sono divertita tantissimo a scrivere questo capitolo. Ci sono nuovi personaggi, vecchie conoscenze e qualche dialogo che (devo ammetterlo) pensavo di inserire già prima di scrivere il primo capitolo della storia. Spero davvero che vi piaccia e...per favore, se avete apprezzato recensite! *-* Così farete contenta una piccola povera pseudoautrice. Grazie mille di essere arrivate fin qui :)                              -timeaftertime




Mayford era un piccolo paese, sempre avido di novità che dessero una scossa alla monotonia quotidiana: per cui il ballo a casa Everhart era sulla bocca di tutti. Non si parlava di altro.

“Ho sentito che Augusta indosserà un vestito costosissimo, fatto arrivare da New York!”
“Di certo non pensa a risparmiare. Beh, d’altronde non ha figlie femmine, è normale che si conceda questi piaceri”
“Io so invece che hanno invitato degli amici di Tom da Boston: chissà che finalmente non sbocci qualche storia d’amore! Le ragazze di Mayford non hanno eguali in tutta America!”

Questi e altri commenti del genere si potevano sentire in ogni angolo ed in ogni negozio, cosa che divertiva molto Hannah e innervosiva terribilmente Sarah.

“Non capisco cosa ci sia di tanto emozionante in un ballo. E’ solo un’occasione in più per noi ragazze di metterci in mostra come bestiame e per i ragazzi di scegliere a loro piacimento!”

“Su Sarah, un ballo è sempre un’occasione di divertimento, e non c’è nulla di male se tutti ne parlano. Non c’è mai nulla di interessante qui a Mayford, è normale che siano in fibrillazione” commentava diplomaticamente Julia.
Normale o no che fosse, la più informata di tutti era neanche a dirlo Doris Molton. Sapeva già quale sarebbe stato il rinfresco, come sarebbe stata addobbata l’austera dimora Everhart, e giovedì pomeriggio venne fuori con la più sensazionale delle notizie:
“Ho saputo da fonti certe che ci sarà un invitato speciale…a quanto pare il giovane Everhart ha stretto amicizia con John Weller e lui sarà presente al ballo!”

Questa notizia fu l’unica che riuscì a squarciare il velo di indifferenza di Sarah. John Weller. Doveva esserci un errore. Ma la signora Molton era sicurissima che si trattasse proprio di quel Weller reso famoso un anno prima con la pubblicazione del suo primo romanzo, Fuoco gelido. Sarah, accanita lettrice, aveva letteralmente divorato quell’opera e idolatrato il suo autore. E adesso…l’avrebbe visto il giorno dopo! Forse ci avrebbe perfino parlato! Ma in nome del Cielo, come aveva fatto Tom a conoscerlo? Doveva avere almeno quarant’anni!

“No, mia cara, ne ha appena ventitrè. L’idea di farlo apparire più anziano è stata del suo editore, per permettergli di vendere più copie…nessuno avrebbe dato una chance ad un ragazzo. Ed io lo conobbi prima che lui pubblicasse il libro, quando la fama non l’aveva ancora portato lontano da noi comuni mortali!”

“Ma Tom, perché non me l’hai detto prima? Sai bene quanto io ami quel libro!”

“Non era sicuro che venisse, è stata una decisione dell’ultimo minuto. Su, Sarah, non avercela con me: l’importante è che domani potrai vedere finalmente il tuo mito in carne ed ossa.  A proposito, Cherry, avete bisogno della carrozza? Ve la posso mandare mezz’oretta prima che comincino le danze”

Hannah rifiutò l’offerta, com’era loro abitudine fare. Potevano benissimo camminare fino a casa Everhart ed evitare di importunare i loro amici (e soprattutto di sentire poi le frecciatine di Augusta su certe ragazze tanto giovani che sfruttano la gentilezza altrui).

La meno entusiasta all’idea di venerdì sera era Lily.

“Ma perché devo venire, Julia? Sono troppo giovane per i balli!”

“Sciocchezze, ne abbiamo già discusso a sufficienza. Non possiamo lasciarti a casa da sola, e sarebbe scorretto che due di noi non si presentassero quando siamo state tutte invitate. Hai solo dodici anni e hai già l'occasione di mostrarti in società! Altre ragazze pagherebbero per questa opportunità, e onestamente non capisco perché tu faccia tante storie!”

“Ma mi annoierò terribilmente! Tom sarà troppo impegnato a fare il galante con tutte le signorine presenti, e voi dovrete parlare con tutti quanti e così io rimarrò in un angolo quando avrei potuto passare tutta la serata in laboratorio!”

“Hai tre sorelle con te, sono sicura che una di noi sarà sempre con te durante il ballo. Santo Cielo, Lily, passi tutte le giornate lì dentro, se per una sera ti comporti come una normale ragazza non crollerà il mondo!”

E così anche Lily dovette rassegnarsi a provare il suo vestito più bello, per vedere se c’erano delle sistemazioni da fare. Non avevano i soldi necessari per comprare quattro vestiti nuovi, ma per fortuna quando il padre era ancora in vita le loro finanze erano perfettamente in regola e dunque quelli che già possedevano potevano essere fuori moda ma pur sempre di ottima fattura.

“Sarah riprova il tuo, ho sistemato la manica ieri. Lily, portami i nastri arancioni e vediamo cosa posso fare per quell’orlo scucito. Hannah il tuo dovrebbe essere a posto ma ricordati di non piegarti in avanti, non so quanto possa reggere la cucitura che ho fatto sul retro strappato…”

Al solito era Julia a coordinarle tutte, e venerdì a mezzogiorno tutti i minimi dettagli di abbigliamento erano stati risolti. Ora dovevano soltanto pensare alle acconciature.

“Lasciamoci tutte i capelli sciolti e risolviamo ogni problema!”
“Su, un po’ di pazienza. Dobbiamo pur essere presentabili.”

Lily si meravigliò moltissimo: a parlare non era stata Julia, ma Sarah, che di solito la appoggiava in queste idee. Anche Hannah si mostrò sorpresa, ma non la sorella maggiore. Lei sapeva che Sarah sognava l’incontro con Weller e voleva dare la migliore delle impressioni possibili.

Alle sette in punto tutte e quattro le sorelle erano pronte per il ballo.

Julia indossava un abito rosso, con le maniche corte (perché fa sempre così caldo ai balli!) e delle decorazioni sul décolleté fatte con fili argentati. Il tessuto era semplice, senza troppi pizzi e merletti, ma le esaltava morbidamente il corpo snello e alto. I capelli erano stati lasciati sciolti, ma le ciocche laterali erano state raccolte e fissate dietro così da mostrare meglio il suo viso regolare.

Sarah invece aveva un vestito blu con un’ampia gonna, piena di decorazioni bianche fini ma di grande effetto. I capelli corvini erano stati raccolti sulla nuca, ma poche ciocche sciolte le incorniciavano il viso facendo risaltare i suoi occhi verde smeraldo.

Hannah indossava un vestito rosa pallido con una gonna non troppo grande e qualche fiocchetto sulle maniche a sbuffo. I suoi capelli scuri erano stati acconciati con boccoli regolari e lasciati completamente sciolti.

Lily, malgrado le sue proteste, aveva dovuto indossare un vestito arancione molto scomodo con una gonna fortunatamente leggera che le lasciava libertà di movimento almeno nelle gambe. I capelli erano stati raccolti sulla nuca con dei nastrini dello stesso colore del vestito, ma le forcine le facevano un male terribile e la sua bellezza era lievemente guastata dall’aria afflitta che mostrava.

Così, indossate le mantelline pesanti (il cielo minacciava ormai neve) si diressero verso casa Everhart, ognuna con un desiderio diverso nel cuore.

“Chissà se sarà lì”
“Chissà che tipo è”
“Chissà se mi noterà”
“Perché non sono a casa con Rod? Una scienziata non ha tempo per i balli!”


 
Nel frattempo, un ragazzo dagli occhi di ghiaccio vagava senza una meta per il salone della musica di casa Everhart cercando di sfuggire agli sguardi curiosi che lo seguivano ovunque.

“Allora John, cosa ne pensi? E’ terribile almeno la metà di quanto cercavo di farti capire?”

“Tom, per fortuna sei tornato. Mi hai mentito, è orribile almeno il doppio!”

“Benvenuto a Mayford. Evita come la peste quella donna nell’angolo, se hai cara la vita. Doris Molton non vede l’ora di mettere i suoi artigli su di te per raccogliere informazioni interessanti da rendere pubbliche. Piuttosto, hai visto qualche ragazza di tuo gusto?”

“Nemmeno una. Sono terribilmente scialbe! Quella davanti alla Molton non ha fatto altro che sghignazzare malignamente per tutta la serata, giuro”

“Ah, vedo che hai notato subito Rebecca Rayles”

“Non dirmi che è la stessa che tua madre vorrebbe farti sposare”

“In persona! Ma dovranno passare sul mio cadavere per farmi dichiarare ad un’oca del genere”

“Lo spero bene! Ma dimmi, le tue amiche sono fra queste?”

“Oh, no, per carità! Le sorelle White non hanno nulla a che vedere con questo gallinaio! Devono ancora
arrivare. Mi ero offerto di mandargli la mia carrozza, ma sono troppo orgogliose ed educate per accettarla”

“Ma come, il padre le manda dunque a piedi?”

“Non lo farebbe mai, ma purtroppo non è in vita. Oh, eccole!”

La porta del salone era stata infatti aperta dai servitori e presto tutte e quattro le sorelle fecero il loro ingresso. Tom si diresse subito verso di loro, ma fu intercettato dalla signora Rayles che doveva assolutamente parlargli della loro residenza estiva. A Rebecca avrebbe fatto tanto piacere che lui ci venisse, in luglio! Fu quindi la signora Everhart ad accogliere le quattro White.

“Buonasera ragazze” disse gelida, guardando dall’alto in basso i vestiti che indossavano.
“Buonasera signora Everhart” risposero loro.
“Grazie del gentilissimo invito, signora, l’abbiamo apprezzato di tutto cuore”
“Figuratevi. Beh, il tavolo del rinfresco è lì in fondo. Buona serata”

Julia prese un bel respiro prima di girarsi verso Sarah, che era già sul piede di guerra.
“Maledetta strega. Perché l’hai ringraziata, poi? Non è di certo suo l’invito! Fosse per lei non metteremmo piede qui dentro e lo sai benissimo!”
“L’ho fatto per educazione, Sarah. Noi siamo state cresciute con sani principi ed è questo che dobbiamo mostrare al prossimo. E ora su, divertiamoci. Hai già visto Tom? Sarà di certo con il signor Weller”

La strategia diversiva funzionò e Sarah dedicò tutta la sua attenzione ad intercettare l’amico nella sala gremita di gente. Ma quello che sentì fu altro.

“Ve l’assicuro, signori, le donne hanno un cervello più piccolo. E’ scientificamente provato.”
La voce proveniva da un capannello di uomini che discutevano sorseggiando alcolici proprio alla loro destra. Sia Julia che Sarah si voltarono di scatto verso di loro. Il signor Bates, imperterrito, continuava a sostenere la sua tesi.
“E’ per questo che sarebbe una follia se potessero votare anche loro! Affideremmo forse ad una donna la scelta del governo? Tanto varrebbe farla presidente, allora!”
Sfortunatamente per lui, anche John Weller era tra quelli impegnati nella discussione. Profondamente convinto della falsità di ciò che Bates stava dicendo, aveva appena aperto bocca per controbattere quando una voce femminile che gli era familiare interruppe il discorso.

“Oh, buonasera signor Bates.”
“Buonasera, signorina White” disse quello già intimorito all’idea che le sue parole fossero state sentite da una donna.
“Volevo chiedervi, vista la vostra grande cultura, se mi potreste spiegare un teorema matematico sul quale trovo qualche difficoltà”
“Mi dispiace, ma non sono molto esperto nelle scienze matematiche”
“Oh, ma davvero? Eppure, lo scorso quattro luglio avrei giurato di averle sentito dire lo stesso riguardo la letteratura inglese. Poiché io sono abbastanza ferrata in ambedue le discipline, posso dunque supporre che una casa piccola ma ben organizzata funzioni di certo meglio di un enorme salone completamente vuoto. Molto interessante. Con permesso” e se ne andò.

John Weller riuscì ad evitare per un soffio di scoppiare a ridere in faccia al “povero” signor Bates, che aveva l’aria di aver appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso. Preferì invece seguire con lo sguardo quella ragazza. Sapeva dove l’aveva già vista. Era la stessa che appena due giorni prima gli era finita addosso. Non aveva dubbi: stessi occhi verdi e penetranti, stessa figura alta e snella, ma soprattutto stesso spirito guerriero. Che tipo!


Dall’altra parte della sala, le sorelle stavano reagendo all’uscita di Sarah.
“Non so davvero se rimproverarti per il tuo scarso autocontrollo o se farti i complimenti!”
“Sei stata fantastica, Sarah!”
“Ma di quale scienza stava parlando, poi?! Che assurdità!”

Lei intanto cercava di calmarsi per prepararsi all’incontro con il suo scrittore preferito. Era un concentrato di nervi, e per giunta mentre ribatteva al signor Bates aveva visto accanto al “gentiluomo” lo stesso ragazzo da lei travolto e poi insultato due giorni prima. Che arrogante! Probabilmente era anche d’accordo con le teorie pseudoscientifiche di quell’ignorante! Ma di certo Weller non era così: nel suo libro le figure femminili acquistavano un’importanza ed un’indipendenza diversa da quelle presenti in qualsiasi altra opera lei avesse letto, persino di autrici femminili. Con questo pensiero rassicurante si avviò assieme alle sorelle alla ricerca di Tom, che trovarono davanti al tavolo del rinfresco.

Lui le accolse con un sorriso raggiante, poi si rivolse al ragazzo al suo fianco dicendo:
“Eccole qui! Guarda tu stesso, John, e dimmi se la mia Cherry non è meravigliosa stasera. Questa è Julia, qui c’è la piccola Lily…ed ecco Sarah!”
Lei guardò prima Tom, poi di nuovo il ragazzo con cui stava parlando. Non poteva essere. No.
“Credo che io e la signorina White abbiamo già avuto modo di conoscerci, Tom”

John Weller era Mr Occhi di Ghiaccio.
 
Hannah non riusciva proprio a capire il comportamento di sua sorella Sarah quella sera. Per tutta la giornata aveva parlato della grandezza intellettuale di John Weller, si era persino agghindata come non mai per il ballo della signora Everhart, e poi veniva fuori che si erano già incontrati. Ma come? E quando? Non fece in tempo a porre quelle domande però che subito Sarah aveva chiesto a Tom di scusarla e si era allontanata quasi di corsa. Guardò gli altri attorno a lei per avere spiegazioni, ma vide riflessa nei loro volti la sua stessa occhiata interrogativa. Il signor Weller, nel frattempo, sembrava quasi divertito.

Improvvisamente una ragazza bionda dagli occhi azzurri e il naso all’insù si avvicinò al gruppetto.
“Tom! Ma dov’eri finito? Ti ho cercato dappertutto!”
Alle White non serviva neanche alzare lo sguardo per capire di chi si trattava. Quella voce acuta e piena di ipocrita dolcezza poteva appartenere solo a Rebecca Rayles.
“Oh, vedo che ci sono anche le signorine White! Hannah cara, quel vestito credo di averlo già visto. Non è lo stesso che indossavi alla festa di Capodanno di tre anni fa? E ti sta ancora? L’avrà sistemato la carissima Julia, immagino…hai messo su qualche chiletto da allora!”

Hannah chinò la testa senza rispondere, mentre Lily, che si stava lanciando addosso alla Reyles, fu trattenuta per le spalle da Julia che rispose con il sorriso più falso che riuscì a sfoderare.
“Rebecca, che piacere vederti. Spero tu non ti stia annoiando…deve essere triste passare un intero ballo con la sola compagnia di tua madre!”

La ragazza accusò visibilmente il colpo. Con tutti i loro soldi, i Rayles non erano mai riusciti a “comprare” alla loro unica figlia il bene più prezioso: un’amica. Nessuno sopportava Rebecca, per quanto suo padre fosse senza dubbio l’uomo più ricco e potente di Mayford. Julia diceva sempre alle sorelle che dovevano essere pazienti con lei perché la solitudine causa tanta infelicità, ma l’accusa diretta nei confronti della più debole delle White le aveva fatto scattare un istinto di protezione tale da spingerla ad attaccare Rebecca proprio nel suo tallone d’Achille.

La signorina Rayles rimase senza parole per un attimo, che bastò a Tom per sorridere con complicità a Julia e trovare un diversivo.
“Vi ho già presentato il signor Kraus, mie signore?” disse indicando Mattew, che si era appena avvicinato al gruppetto.
“Ho già avuto l’onore di conoscere la signorina Julia White, Tom” disse quello con un sorriso, mentre Julia non riusciva a fare a meno di arrossire.

“Non è proprio giusto questo! Cerco di essere un bravo padrone di casa, e tutti hanno già fatto conoscenza alle mie spalle! E tu, vecchio mio, ti sembra il modo di importunare una ragazza tanto carina a neanche una settimana dal tuo arrivo a Mayford?”

Julia arrossì ulteriormente e si affrettò a correggere l’insinuazione del ragazzo:
“Via, caro Tom, ti dimentichi che io sono l’istitutrice della piccola Clara. Ci siamo incontrati a casa Redford”
Matthew confermò la versione dei fatti di Julia e Tom sembrò calmarsi per un momento. Poi però si accorse che i musicisti si stavano preparando per aprire le danze.

“Perdonatemi, ma devo assolutamente invitare Rosaline Parks a danzare almeno una volta con me questa sera!” e si allontanò di corsa.
Anche Rebecca si diresse verso la madre, sicuramente per chiederle aiuto nel convincere Tom ad invitare anche lei a ballare.

“Vi piace danzare, signorina White?” disse Matthew guardando Julia dritto negli occhi, forse per chiarire con quale delle sorelle stesse parlando.
“Oh, sì, molto…anche se non lo faccio spesso. L’ultima volta deve essere stata almeno sei mesi fa!”
“Beh, è necessario rimediare. Una giovane ragazza americana deve pur divertirsi. Accettereste di inaugurare le danze con me?”
Julia diventava sempre più rossa ad ogni parola, ma fu con occhi scintillanti che acconsentì.


Hannah rimase così con Lily a guardare le coppie danzare. La più piccola si divertiva a commentare l’atteggiamento delle pettegole di Mayford, messe tutte in un angolo, e lei faceva finta di ascoltarla anche se la sua mente era da tutt’altra parte.

Neanche stavolta l’aveva invitata a ballare. Sapeva che l’invitare Rosaline Parks poteva essere semplicemente un diversivo per non dare il tempo alla Rayles di proporsi come primo ballo, ma ciò non cambiava che ogni volta era la stessa storia. Lui la guardava, le diceva che era fantastica, e poi puntualmente ballava e flirtava con tutte le altre ragazze in sala senza neanche degnarla di uno sguardo. Quando lei gli rimproverava di dedicare troppo tempo a ragazze poco serie, lui le diceva di stare tranquilla, perché lui non amava nessuna di loro. E ogni volta Hannah avrebbe voluto dirgli:
“Il problema non è che non ami loro. Il problema è che non ami me

Mentre cercavano di trovare posto ai lati della sala, inavvertitamente finì addosso ad un ragazzo che stava cercando di fare lo stesso.
“Oh, scusatemi! E’ stata tutta colpa mia”
“Figuratevi, non potrei mai essere in collera con una fanciulla tanto graziosa”
Hannah stette a guardarlo per un attimo, sorpresa. Non era abituata a complimenti.
“E comunque il mio nome è Francis Leyr, onorato”
“Io…io sono Hannah. Hannah White”
 
 

Dall’altra parte della sala, Sarah cercava intanto di riprendersi bevendo un po’ d’acqua dal rinfresco. Si sentiva tradita. Per mesi aveva letto e riletto l’opera di Weller, immaginando di incontrare l’uomo che aveva partorito un tale capolavoro. Ogni personaggio aveva un significato, ogni idea espressa dall’autore era come se venisse fuori dalla mente di Sarah. E poi scoprire che quell’uomo da lei tanto vagheggiato altri non era se non un ragazzo. E che ragazzo! Arrogante, presuntuoso…forse persino maschilista! Era proprio quello ciò che sentiva: tradimento.

“Tom mi ha detto che avete apprezzato il mio libro”
Quella voce. Proveniva proprio da dietro di lei. Si voltò lentamente.
“Sì, l’ho amato molto” ammise.
“Posso sapere che cosa, esattamente, vi ha colpito? È stata la storia d’amore?”
Sarah rispose con un sorriso amaro.
“Ancora una volta voi sottovalutate la mia intelligenza. Ma forse dovevo aspettarmelo, vi ho visto mentre parlavate con il signor Bates”
“E voi riuscite a credere che chi ha scritto quel libro possa avere le stesse idee del signor Bates?”
“Non volevo crederlo, infatti. Ma non so che risposta posso darmi adesso.”
“Avrei risposto per le rime a quell’uomo, ma qualcuno è arrivato prima di me” aggiunse ironico.
Suo malgrado, Sarah sorrise. Era vero.
“Però ammetto di non aver mai trovato una donna che sia in grado di discutere con me ad un livello di parità. Di solito siete troppo impegnate nel scegliere stoffe pregiate, cappellini, e nel discutere dell’ultimo scandalo avvenuto in città.”
Sarah si fece nuovamente seria, e sentì la rabbia del primo incontro montare di nuovo.
“Ancora una volta mi portate a domandarmi che razza di donne abbiate incontrato, signor Weller. E comincio davvero a chiedermi cosa io abbia capito realmente di lei da quel libro” fece un rapido inchino e se ne andò. John stavolta, pur sapendo quanto lei fosse arrabbiata con lui, la guardò sparire tra gli invitati con uno strano sorriso sul volto.
 

Lily nel frattempo guardava imbronciata le coppie danzanti. Julia era stata invitata per ben tre volte a ballare dal nuovo dottore, più due da Tom che aveva assoluto bisogno di evitare la signorina Rayles senza compromettersi con altre ragazze proprio in casa sua. Sarah era ricomparsa per un attimo con un’aria assassina che aveva fatto preoccupare le sorelle, ma poi era stata intercettata dalla signora Harrys che voleva farle delle domande sull’andamento delle sue due gemelline e così anche lei non era rimasta a farle compagnia. E persino Hannah, l’unica su cui la piccola aveva realmente contato, era stata tutta la serata a chiacchierare amabilmente con quel Leyr, che le stava terribilmente antipatico. Rimpiangeva, come aveva previsto, di non essere rimasta a casa. Ma poi finalmente il ballo finì e le quattro sorelle, dopo aver salutato Tom, uscirono da casa Everhart.
 
“E’ stata una serata meravigliosa!”
“Veramente magnifica!”
“Non so davvero cosa ci troviate in queste feste!” commentò Lily, e il grugnito di assenso di Sarah chiuse per quella sera la parentesi dei commenti sul ballo.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lo spasimante ***


Salve care lettrici! Spero che questo capitolo vi piaccia, anche se ci sarà un illustre assente (ma tranquille, lo farò ritornare nel prossimo capitolo). Sono contenta di leggere le recensioni, fatemene altre se vi interessa questa storia e pensate che ne possa uscire qualcosa di buono! Accetto anche consigli sullo stile e perché no anche sulla trama. Un enorme GRAZIE va alle ragazze che hanno recensito, a quelle che seguono la storia e a chi l’ha addirittura messa tra i preferiti. Mi avete resa felice *-* Beh, buona lettura e un bacione grande a tutte. A presto con un nuovo capitolo!                                                                                                                                                                          -timeaftertime
 
 




L’enorme finestra della stanza dava sul meraviglioso giardino di casa Everhart. Uno strato di neve fresca aveva finalmente imbiancato ogni cosa nella quiete segreta della notte, e tutto era avvolto in un bianco accecante, quasi innaturale. Nel salotto ben riscaldato dall’enorme camino acceso lo scrittore guardava fuori da quella vetrata quel magnifico scenario invernale, con l’aria assorta in chissà quali pensieri. Amava l’inverno come nessun’altra stagione al mondo. Improvvisamente, un rumore veloce di passi interruppe il vagare della sua mente e l’alta figura del suo ospite comparve al suo fianco.

“Buongiorno mio buon amico. Dormito bene?”

“Come un pargoletto in fasce, Tom. Tu?”

“Beh, diciamo che non sono riuscito a raggiungere le mie stanze fino alle tre del mattino…quella Rosaline Parks, che tipo! Non riusciva a staccarmisi di dosso, se sai cosa intendo!” disse con aria ammiccante, e aggiunse: “Più sembrano timide e più sono sveglie, non c’è che dire”.

“Sai bene che non mi interessano più donne del genere”

“E a me non sono mai interessate, ma devo pur dare fastidio a mia madre in qualche modo. E poi, se riesco a disgustare abbastanza la signora Rayles, forse la smetterà di volermi accollare la figlia…tentar non nuoce!”

“Credo invece che faccia male alla tua persona frequentare donne come la signorina Parks. Ti rendono troppo pieno di te e tutto ciò a cui mirano, ricorda, sono i tuoi soldi e questa casa”

“Cosa ci trovino in questo posto non riesco proprio a capirlo. E’ gelido. No John, so perché guardi altrove: non vuoi dirmelo perché sei mio ospite e lo apprezzo, ma sono sicuro che tu sia d’accordo con me. Questo posto è un mausoleo, non una casa.”

“Di certo tua madre ha dedicato molto tempo ad arredarlo, e non poche donne ieri ne ammiravano ogni dettaglio, l’ho sentito io stesso”

“Ha dedicato molto tempo ad arredare questa casa, lo puoi ben dire! Molto più di quanto ne abbia dedicato a me, in ogni caso” la voce di Tom si era fatta più amara e allo stesso tempo più bassa. John guardò con dispiacere il volto del suo amico, sapendo quanto soffrisse nell’avere un rapporto tanto freddo con la madre.

Tom era l’unica persona verso la quale John Weller cercasse sempre di mostrare un minimo di tatto. Non gli importava di offendere critici letterari, signori altolocati e nemmeno il suo editore se ciò era implicito nell’esprimere onestamente la sua idea, ma per l’erede di casa Everhart provava un affetto tanto sincero da rendergli impossibile anche solo pensare di ferirlo. D’altronde, proprio quando era rimasto solo, proprio quando era più debole, solo Tom si era mostrato un vero amico. Solo lui l’aveva soccorso quando…no, quei pensieri erano troppo dolorosi. Ma sapeva bene quanto doveva a Thomas Everhart, e non l’avrebbe mai dimenticato. Ecco perché aveva accettato di lasciare la sua comodissima residenza a Boston per trascorrere l’inverno in quel “mausoleo”, come lo stesso padrone di casa l’aveva definito.

Aveva sin da subito provato una profondissima avversione nei confronti della signora Everhart, forse a causa dei pregiudizi causati dalle confidenze di Tom (anche se credeva fermamente che questo fosse vero solo in minima parte).
Con il signor Everhart invece aveva instaurato un ottimo rapporto. Il buon uomo aveva un carattere molto simile a quello del figlio, ma temprato da anni di esperienza e accresciuto da un quantitativo smisurato di pazienza - unico modo in cui avrebbe potuto sopportare per tanti anni una simile moglie. Il notaio aveva inoltre apprezzato moltissimo l’opera di Weller e non perdeva occasione per discutere con lui di letteratura.

“Oggi pomeriggio andrò a far visita alle White. Verrai con me?”

“Certo, perché no”

Due occhi verdi gli balenarono in mente. La proposta gli sembrava molto, molto interessante.
 

Julia arrancava nella neve, cercando di tornare a casa dopo una mattinata di duro lavoro. Quanto sarebbe stata utile una carrozza! Faceva troppo freddo per camminare a piedi a quel modo. Ripensò ai tempi in cui ogni cosa era semplice, quando i soldi non erano un problema e i loro genitori vegliavano su tutte e quattro. Avevano una carrozza, allora, e anche la servitù…adesso ogni incombenza era su di lei, in casa, e per giunta doveva lavorare!
“Ma prima o poi le cose si sistemeranno. Ha ragione Hannah: non può piovere per sempre”

A proposito di Hannah. Arrivata davanti al cancello di casa, notò qualcosa che non si aspettava assolutamente: Hannah era davanti alla porta…con un ragazzo. Cosa più sconvolgente, il ragazzo non era Tom. Una volta entrata nel giardinetto, la sorella sembrò accorgersi della sua presenza e si rivolse a lei con un sorriso imbarazzato e raggiante al tempo stesso.

“Ecco, questa è mia sorella! Julia, voglio presentarti il signor Francis Leyr.”

Il ragazzo era alto e magro, con capelli castani molto corti e gli occhi neri.

“Sono onorato di fare la vostra conoscenza, miss White”

“Il piacere è tutto mio” rispose Julia per pura educazione: il ragazzo non la convinceva del tutto e non riusciva a spiegarsi il perché.

“Beh, sarà meglio che vada. Signorine White, una buona giornata a voi”

Julia ed Hannah risposero al saluto, poi la più grande disse:
“Mi devi dire qualcosa, Hannah?”

“Oh, Francis…voglio dire, il signor Leyr ed io ci siamo incontrati al ballo ieri sera…e mi ha detto di aver scoperto che abitavo qui e così voleva assolutamente passare per un saluto”

“Avrebbe potuto evitare di venire di mattina. Tutti sanno che sei praticamente sola a quell’ora, glielo avranno pur detto le sue fonti”

“Ma cosa vuoi che ne sapesse, è in città da due giorni!”

“Sapeva benissimo dove abitavi però”

“Ma insomma, qual è il problema? Se un ragazzo sembra notarmi deve necessariamente avere qualcosa che non va?”

Julia fu stupita da quella reazione aggressiva della sorella, di solito tanto dolce e calma. Capì però che per lei era una novità l’essere corteggiata e che non sarebbe stato giusto rovinare il suo momento, così quando rispose usò il tono più dolce che poté.

“No, certo che no. Ero solo in ansia per te...sai quanto io possa essere protettiva a volte. Perdonami”.

Hannah si calmò subito.
“Ma no, scusami tu, ho reagito male. E’ che…finalmente qualcuno sembra notarmi. Ed è un ragazzo dolcissimo, credimi, abbiamo parlato per tutta la sera ieri. La povera Lily deve essere ancora in collera con me, non le ho dedicato molto tempo…ma è così bello avere qualcuno a cui interessi qualcosa di me! No, non ribattere, so bene che tu e Sarah e Lily mi amate moltissimo, ma io intendo un altro tipo di attenzioni.”

“Sì Hannah, e hai tutto il diritto di averle. Ma…cosa ne dice il tuo cuore?”

Julia, fra tutte, era l’unica a sapere del segreto di Hannah. Non glielo aveva confidato lei, ma l’aveva capito da sola, con quell’attenzione materna che riservava a tutte le sue sorelle. Aveva osservato con apprensione l’indifferenza di Tom e la sua pigrizia, temendo di vedere la sorella soffrire sia per un amore non corrisposto che per un fidanzato troppo immaturo. Adesso avrebbe dovuto solo essere felice della comparsa di un nuovo spasimante, eppure non le riusciva: non conosceva questo ragazzo e il suo presentarsi a casa di Hannah dopo nemmeno ventiquattr’ore dal primo incontro le sembrava tutt’altro che raccomandabile. Certo, poteva essere soltanto l’ardore di un innamorato, ma non le sembrava decoroso. E poi temeva che la sorella si gettasse tra le braccia del nuovo arrivato solo per dimenticare Tom, cosa che non poteva portare a nulla di buono. Ma la risposta della sorella la tranquillizzò.

“So cosa intendi dire, sorella mia, ma ti prego di non angosciarti per me. Ormai mi sono rassegnata al fatto che io per lui non sono nulla più di un’amica, e così deve essere anche per me. Nulla può dunque impedirmi di conoscere meglio Francis…e se son rose fioriranno!”

“Bene, sono contenta di sentirti parlare così. Vogliamo entrare?”

“Certo!”
E così le due entrarono nel caldo del salotto.


 
Alle quattro del pomeriggio il campanello suonò.

“Lily! Vai tu!” disse la maggiore delle sorelle, impegnata a sistemare delle coperte più pesanti sui letti al piano superiore.

La giovane White, fino ad allora impegnata in formule matematiche importantissime, si alzò dalla sedia con uno sbuffo e andò ad accogliere gli ospiti. Aperta la porta, si trovò davanti il giovane Everhart.

“Tom! E’ bello vederti. Temevo fosse di nuovo lo spasimante di Hannah!”

Tom, che fino ad allora aveva un sorriso smagliante sul volto, guardò con aria confusa l’interpellata, che stava arrivando proprio in quel momento e guardava con aria severa la sorella minore.

“Non ascoltarla, Tom, la scienza le dà alla testa!” ma chiunque avrebbe notato il rossore sul suo viso nel dire queste parole.

Il ragazzo non si era ancora mosso dalla porta, ma poi si ricordò della persona dietro di lui e si fece avanti per permettergli di entrare.

“Ragazze, ho portato con me il mio amico John Weller, ma vi ho già presentati al ballo”

“Senz’altro, è un piacere averla qui signor Weller”

“Il piacere è tutto mio” rispose quello con un sorriso che raramente era tanto spontaneo. Ma Hannah White gli ispirava simpatia: era buona e autentica, priva di quell’ipocrisia che ormai dilagava nella società e che lui tanto detestava. I due ospiti furono fatti debitamente accomodare nel salottino e Hannah si offrì di preparare del tè. Prima che alcuno dei due potesse rispondere però dal piano superiore scesero le due sorelle maggiori.

“Perdonatemi, ero impegnata al piano di sopra…”

“Figurati, mia cara lady!” rispose lui.

Sarah, che veniva dietro la sorella, aveva in mano un libro.

“Tom, dovresti assolutamente rileggere qualcosa di Shakespeare senza la guida di un insegnante, ti dirò che lo sto apprezzando in maniera del tutto diversa…”

“La stessa cosa che gli ho consigliato io stesso più volte, ma dubito che vi darà retta”

Sarah si immobilizzò. Conosceva benissimo quella voce.

“Oh. Signor Weller.”

“Tom mi ha offerto di accompagnarlo qui e non ho potuto far altro che accettare”

“Ne siamo onorate, signor Weller” disse Julia lanciando un’occhiata di rimprovero alla sorella per i suoi modi sgarbati. Ma Sarah non se ne accorse neanche, troppo presa dallo sguardo del suo interlocutore che si ostinava a non lasciare il suo. Se era una gara non aveva intenzione di perdere. Lo fissò finche fu lui a distogliere gli occhi, richiamato dalla conversazione che era ricominciata, dopo un momento di imbarazzo, tra gli altri presenti.

“E quindi, chi sarebbe questo spasimante?”

“Oh, non è nulla, davvero…”

“Per fortuna almeno Lily mi dice la verità! Allora, chi è questo giovane?”

“Beh, direi che è troppo magro per i miei gusti, ma è alto e ha gli occhi neri scurissimi. Direi che fisicamente è accettabile”

“Ma sentila! Questa donna di mondo che si mette a giudicare noi poveri uomini!”

Tutti, compresa Lily, risero. Ma Tom non demorse.

“E quindi, possiamo sapere anche il nome dell’affascinante uomo dagli occhi neri?”

“Questo non lo so, ma Hannah lo sa di sicuro!”

“Credo che sia ora di lasciare in pace la mia povera sorella. Piuttosto, signor Everhart, c’è qualche motivo particolare che vi ha spinto a venire nella nostra umile dimora?” ancora una volta l’abilità oratoria di Julia portava i suoi frutti, e Hannah le lanciò un’occhiata riconoscente.

“Nulla di interessante, temo, milady. Dovevo solo scappare dagli artigli…pardon, dalle delicate manine della mia genitrice. Sembra che mediti di invitare a cena i Rayles, ragion per cui io e il buon John, qui, non torneremo a casa prima di mezzanotte!”

Julia lo guardò con aria severa, spingendolo a giustificarsi.

“Su, non vorrai anche tu che io finisca per sposare quella ragazza spero?!”

“Non sta a me decidere chi tu debba sposare, ma non puoi parlare tanto male di tua madre e mancare di rispetto ai tuoi genitori e ai loro ospiti! Mi chiedo davvero quando crescerai…”

“E siamo alle solite, mia cara, tu hai la sindrome della madre e vuoi far crescere tutti! Ma se io crescessi perderesti tutto il gusto di farmi la predica, e so che ti piaccio così come sono in fondo!”

Julia si unì alla risata che seguì: era sempre il solito, ma era vero che gli voleva bene anche per questo.

Nel frattempo, Sarah era rimasta stranamente in silenzio, con lo sguardo assente. John l’osservava ormai da dieci minuti, ma lei sembrava non accorgersene. Forse fingeva. Il giovane scrittore pensò allora che fosse il caso di rivolgersi a lei direttamente, approfittando della distrazione degli altri, impegnati in una discussione animata su quante probabilità aveva Rebecca Rayles di diventare la futura Doris Molton.

“Posso considerarvi quindi un’ammiratrice di Shakespeare”

Lei si riscosse e si voltò a guardarlo con i suoi grandi occhi smeraldo.

“C’è forse un solo amante della letteratura inglese che non lo sia?”

John sorrise.
“Ammetto di non aver mai incontrato un uomo simile.”

“Questo perché Shakespeare è senza dubbio l’apice più alto raggiunto da un letterato che scriva nella nostra lingua. L’emozione si mescola alla cura della forma, cosa che ritengo essenziale”

“Non siete dunque a favore del libero fluire dell’io poetico che tanto professano i nostri contemporanei?”

“Credo che questo debba avvenire sempre nell’ambito di una forma gradevole per chi legge e allo stesso tempo chiara. La letteratura non dovrebbe creare ostacoli alla comprensione, ma aprire nuovi orizzonti”

“Ma la vera arte non è di molti, signorina White. E’ qualcosa a cui pochi hanno accesso, e che pochissimi riescono a comprendere fino in fondo. Costringere i letterati a semplificare le proprie opere per renderle più “facili” limiterebbe enormemente la qualità del risultato”

“Non è questo che intendo dire. La letteratura di qualità, a mio avviso, non si ciba di periodi complicati e di parole altisonanti, ma di forme semplici in cui racchiudere contenuti profondi e bellissimi”

John non rispose, sentendo nel cuore di essere d’accordo con la posizione espressa dall’interlocutrice. Ma non era facile trovare qualcuno che la pensasse a quel modo. Lei però continuò.
“Immagino tuttavia che per voi le mie idee siano del tutto secondarie, dato che le esprime una donna.”

Provocatoria, come sempre. John si sentiva quasi lusingato da quella forza interiore che lei sprigionava ogni volta che avevano occasione di parlare.
“No, tutt’altro. Comincio quasi a pensare di aver trovato qualcuno con cui poter discutere alla pari…ma voi non me ne date la possibilità, dato che vi trovo sempre in posizione difensiva”

Sarah tacque, colpita. Il suo modo di fare era sempre stato quello da quando la mamma se n’era andata. Tutti volevano parlarle, consolarla, solo per poter essere notati come persone caritatevoli che offrono amore in elemosina alla povera orfana. E lei, che della sua intelligenza aveva sempre fatto un rifugio e un baluardo, aveva cominciato a ritrarsi, a rispondere con quel sarcasmo mirato che le aveva fatto ottenere tanto poco favore a Mayford. Julia era la “brava ragazza”, quella che sapeva sempre come comportarsi, che manteneva i buoni rapporti con tutti. Ma Sarah si era spesso trovata a dover ammettere che era proprio grazie ai sacrifici morali (e non solo) della sorella maggiore che lei, Hannah e Lily si erano potute permettere di vivere un’adolescenza quasi normale. Loro di fatto si comportavano da ragazze quali erano: ma Julia era dovuta diventare una donna molto prima del tempo. Il cuore le si scaldò e guardò con affetto la sorella, impegnata a rimproverare Tom, ma poi si ricordò del suo interlocutore e si voltò verso di lui, notando con sorpresa che la stava osservando con una strana espressione sul viso.

“Vi distraete facilmente, signorina White. Seguite il filo dei vostri pensieri e cancellate tutto il resto”

“Suppongo sia qualcosa di assai riprovevole per la buona società, ma personalmente lo considero un mio pregio. Quantomeno, io ho dei pensieri che possono condurmi da qualche parte: non posso dire lo stesso di molte persone che incontro”

Fu impossibile per John non scoppiare a ridere, e Sarah pensò che aveva una risata calda e sincera, diversa dal sorriso arrogante che gli aveva visto indossare in ogni occasione in cui l’aveva incontrato. La risata attirò l’attenzione degli altri, che si voltarono verso di loro.

“Ebbene, cosa ha mai potuto dire la nostra intellettuale di così divertente? Voglio sentirlo anche io!” disse Tom, sorpreso di sentire la risata di John, tanto rara quando si trovavano in compagnia di altri.

“La signorina White ha la risposta pronta per ogni evenienza, caro Tom, ma credo che tu lo sappia già.”

“Se lo so! Mi ha massacrato più volte in duelli verbali, sta’ molto attento!”

Subito dopo i gentiluomini si alzarono per andarsene, ma quando furono sulla porta Tom si voltò verso Hannah e disse:
“Voglio sapere al più presto come si chiama il tuo spasimante Cherry, e non mi arrenderò”.

Il suo migliore amico aveva un’aria molto seria, quasi non da lui nel dire questo: ma Hannah disse a sé stessa che avrebbe fatto in modo di evitare ogni contatto tra i due. Dimenticare Tom era uno sforzo che doveva fare, anche se le riusciva molto faticoso: e non era saggio mettere l’uno accanto all’altro lui e Francis, in modo che il suo cuore potesse metterli a confronto.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Strani pensieri ***


Ciao a tutte! Questo capitolo potrebbe sembrare di passaggio, ma non vi fate ingannare, contiene molti dettagli che saranno sviluppati. E dal prossimo capitolo (che spero di postare prestissimo) vedremo delle belle novità! Grazie ancora a tutte voi che seguite questa storia, per me vuol dire moltissimo. Un abbraccio forte, e buona lettura!                                                     
                                                                                                         -timeaftertime





Era passata ormai una settimana dal ballo e tutto il paese era ritornato alle solite occupazioni. Quel pomeriggio il cielo aveva consentito una breve tregua e un timido sole faceva capolino dalle nuvole, pur senza riuscire a scaldare la cittadina. Ma gli abitanti di Mayford avevano accolto con gioia quelle poche ore concesse e così quasi tutti si erano riversati per le strade approfittandone per fare le commissioni necessarie o semplicemente per una passeggiata. Era così raro poter passare del tempo all’aperto! Anche le sorelle White avevano deciso di uscire, spinte da Julia che doveva assolutamente comprare del filo e degli aghi nuovi. Solo Lily, com’era prevedibile, si era opposta al progetto: ma era stata costretta ad arrendersi quando persino Rod si era mostrato impaziente di uscire. 

“Quanto può essere deliziosa una passeggiata senza pensieri...non è di certo lo stesso che andare a lavoro al mattino presto!”
“Sono completamente d’accordo con te. Hannah, tesoro, controlla la lista che ti ho dato…avrei giurato di avere qualche soldo in più…”

Julia, presa da mille pensieri, andò quasi a sbattere contro una figura che era appena uscita da un negozio.

“Oh! Perdonatemi, è colpa mia…”
“Figuratevi, signorina White” rispose una voce calda che conosceva benissimo.
“Signor Kraus. E’…è davvero un piacere incontrarvi” 

Di nuovo i loro sguardi si incontrarono, e di nuovo Julia rimase incantata dal verde di quegli occhi, intensi, profondi…ma qualcosa ben presto spezzò l’incantesimo.

“Matthew, ragazzo mio, dobbiamo andare dal signor Harrys per un controllo di routine…oh, buon pomeriggio signorine White.”
Il signor Redford, zio di Matthew e medico, stava facendosi accompagnare dal nipote nel suo giro abituale per fargli vedere come operare sul campo. Inoltre era importante che i suoi clienti cominciassero a conoscere il ragazzo per potersi fidare di lui quando il buon vecchio dottore si fosse finalmente ritirato a vita privata. 
Julia si riscosse bruscamente nel vedere il suo datore di lavoro e per l’ennesima volta in pochi giorni arrossì. “Ma che mi prende?” pensò “Su, calmati Julia. Respira”.

Il dottore volle discutere con Julia dei progressi della nipotina, e lei ne approfittò per evitare di volgere lo sguardo verso Matthew. Le sorelle, che non si erano perse la sua reazione alla vista del ragazzo, lo studiarono attentamente da lontano. Lily invece approfittò della distrazione della sorella per avvicinarsi e chiedergli tutto il possibile sul suo lavoro di medico. Julia l’avrebbe fermata normalmente, ma in quel momento cercava di dedicare tutte le sue attenzioni a Redford senior e non osava prestare la minima attenzione al nipote. Così Matthew, per nulla infastidito dalle domande della ragazzina, ebbe modo di mostrarle tutti gli strumenti che portava nella valigetta spiegandole il funzionamento di ognuno. Quel dialogo segnò l’inizio di un rapporto di reciproca simpatia: Matthew era molto colpito dall’intelligenza della giovane White e Lily pensava che quel Kraus fosse “proprio competente, e anche molto gentile!”, come disse alle sorelle una volta giunte a casa.


Dopo i saluti, i due dottori continuarono a camminare immersi nei loro pensieri. Il più giovane pensava all’incontro appena avvenuto, soffermandosi sul ricordo di due grandi occhi color nocciola che si erano legati ai suoi. Lo zio invece rifletteva sulle parole di lode che la giovane istitutrice aveva espresso nei confronti della piccola Clara. “Sembra proprio che diventerà una giovane donna bella quanto intelligente” gli aveva detto. Un’ondata di sofferenza lo colpì. Anche le sue sorelle erano come lei: giovani, belle e piene di qualità. Ma il destino a volte è crudele. 

Quando le signorine Redford vivevano a Mayford nella grande casa che ora era abitata dal dottore con sua moglie, tutti immaginavano un futuro radioso per le due. Clarissa e Mary erano davvero tutto ciò che un ragazzo in cerca di moglie poteva desiderare: non solo giovani e belle, ma anche ricche. Il padre, il signor Redford senior, era un importante uomo d’affari che per anni era stato socio del nonno di Rebecca Rayles. Ma se la facciata era quella di una famiglia rispettabile, nessuno poteva immaginare quanto in realtà i tre piccoli Redford soffrissero. Il padre era troppo impegnato nei suoi affari per potersi occupare di loro, e la sua presenza era rappresentata solo da rigide imposizioni che non potevano essere discusse. La madre, una donna altera e priva di sentimenti, scelta dal marito più per la dote che per reale affetto, non era mai stata in grado di adempiere al suo ruolo, per non parlare poi di supplire alle mancanze del marito. Clarissa, Mary e Richard erano cresciuti con la paura di deludere le aspettative paterne ma senza una guida che potesse aiutarli a maturare e a fare le scelte giuste nella vita. Lui era stato il più vigliacco, e aveva sempre seguito il volere dei genitori: ma le sue sorelle avevano una voglia d’amore troppo grande per sopportare ogni imposizione. Mary era scappata di casa quando aveva appena diciassette anni, con un tedesco. Karl Kraus era molto simile a Matthew, bello ed elegante, ma privo della dolcezza del figlio (ereditata sicuramente dalla madre). I Redford avevano vissuto malissimo lo scandalo che aveva seguito le nozze della figlia maggiore, rifiutandosi di incontrarla e di aiutarla economicamente anche dopo che il marito l’aveva abbandonata con il figlio appena nato. Clarissa fu relegata in casa per paura che potesse seguire l’esempio della sorella, e da quel momento non fu mai più la ragazza allegra e solare che era sempre stata. Richard non poteva prendere nel suo cuore il posto della sorella, e la guardò spegnersi sempre più sentendosi impotente. In pochi anni un’epidemia di febbre portò via i vecchi signori Redford e lui divenne il nuovo padrone di casa: ma era ben deciso a non fare gli stessi errori del padre. Sposò una donna semplice e non ricca, di cui era molto innamorato: Henrietta era stata una benedizione, aveva trasformato la casa rendendola più accogliente e aveva instaurato un profondo rapporto d’amicizia con Clarissa, che con lei ritrovava un po' del vecchio buonumore. I coniugi Redford avevano poi ripreso i contatti con Mary, che aveva aperto un negozio da sarta ad Amburgo, e mensilmente le mandavano del denaro che doveva ripagarla dell’ingiustizia subita. Richard aveva infine intrapreso la professione di medico, abbandonando gli affari (talvolta poco leciti) del padre per dedicarsi ad un mestiere onesto che gli permettesse di fare del bene. I signori Redford divennero ben presto amatissimi a Mayford, e Richard pensò finalmente di aver rimediato agli errori commessi nel passato. Ma espiare le colpe dei propri padri non è facile, e a pagare era stata Cassandra. Se la ricordava ancora, con il volto pallido, che lo pregava dal letto di morte…

“Zio, non è questa casa Harrys?” 

La voce del nipote interruppe il flusso dei suoi ricordi.
“Sì. Sì, hai ragione, è proprio qui. Perdonami, ero distratto.”

Matthew seguì il suo mentore oltre il cancello della tenuta, pensando a quanto stava imparando a conoscere suo zio. Fino ai dodici anni per lui non era stato altro che delle lettere che arrivavano ogni mese portando un quanto mai benedetto aiuto economico e parole affettuose che facevano commuovere la mamma. Poi, in occasione del suo tredicesimo compleanno, lui e la zia erano venuti ad Amburgo. Da allora il legame tra loro e il nipote era andato sempre più consolidandosi, tanto che era stato il dottor Redford a suggerire che il brillante ragazzo si trasferisse in America per studiare medicina. La madre, all'inizio timorosa, aveva acconsentito rassicurata dal fatto che Henrietta e Richard sarebbero andati a trovarlo ogni fine settimana, e che alla fine dei suoi studi il figlio avrebbe ottenuto un posto di lavoro redditizio e sicuro. Matthew adorava suo zio e gli era profondamente riconoscente, e vedeva sua zia come una seconda madre. Eppure c'era qualcosa che non andava in casa Redford, e in quei giorni stava imparando a capirlo. Zio Rick si perdeva spesso nei suoi pensieri, e tutti e due guardavano in modo strano la piccola Clara...come se riversando su di lei tutto l'amore possibile potessero espiare una colpa antica, un peccato inconfessabile. 



Seduto allo scrittoio della sua stanza, John Weller cercava di trovare la giusta ispirazione per il suo nuovo romanzo. Non aveva avuto molto tempo da dedicare alla scrittura fino a quel momento, dato che Tom aveva sempre qualche idea brillante per trascorrere piacevolmente la giornata. Ma doveva pur cominciare a scrivere qualcosa prima di tornare in città…peccato che non riuscisse a pensare a nulla. Ogni idea gli sembrava scontata, già sentita, banale. Tanto valeva lasciare perdere. Come se gli avesse letto nella mente, Tom spalancò la porta della sua stanza.

“Un tempo bussare era d’obbligo…”
“Oh, quante storie! Hai forse qualcosa da nascondermi? Se ci fosse qualche ragazza toglierei immediatamente il disturbo, ma noto che sei da solo, quindi non puoi avere nulla di meglio da fare che passare del tempo con il tuo più caro amico!” concluse giovialmente.

John quasi scoppiò a ridere; Tom era un personaggio molto particolare, ma aveva un’ingenuità fanciullesca che rendeva impossibile avercela con lui.

"Tom, posso farti una domanda?"
"Tutte quelle che vuoi amico mio"
"Che tipo è realmente Sarah White?"

Tom guardò con fare sorpreso lo scrittore. Non si sarebbe mai aspettato una domanda del genere, ed in tutta coscienza non sapeva bene come rispondere.

"Sarah è...beh, è una persona unica nel suo genere, come tutte le White d'altra parte. E' molto intelligente, questo l'avrai certamente notato, e questo è tutto ciò che vuole che gli altri sappiano dopo averla incontrata. Per il resto è indecifrabile...non l'ho mai vista confidarsi veramente con nessuno. Non sono neanche sicuro che si apra completamente con Julia, e lei sa sempre tutto delle sue sorelle."
"Sì, tutto quello che dici conferma la mia prima impressione. E' una persona criptica, ma ha una mente sveglia e attenta. Proprio così." 

John sentiva dentro di sé il desiderio di conoscerla, di capirla. Voleva in qualche modo venire a capo dell'enigma che si nascondeva dietro quegli occhi verdissimi. Si chiese da cosa veniva questo desiderio...ma era evidente che era solamente curiosità intellettuale. Solo questo. 



"Signorina White!"
Hannah si girò verso il cancello e vide Francis Leyr che si sbracciava per attirare la sua attenzione. Erano le quattro e mezza del pomeriggio e il sole tramontando spandeva i suoi raggi rossastri. 

"Signor Leyr! Che sorpresa..." aggiunse imbarazzata.
"Non potevo non incontrarla neppure oggi...non ci vediamo da mercoledì! E due giorni senza vedere il sole della vostra bellezza sono molti, mia cara" aggiunse sorridendo.

Hannah sentì l'imbarazzo aumentare, ma non poteva negare che tutti quei complimenti la lusingavano immensamente. 
"Volevo portarvi questa rosa, vogliate accettarla, vi prego"

La rosa in questione era rossa,e Hannah la prese attraverso le sbarre di ferro, cercando di non pungersi le dita. Con un filo di rammarico pensò che a lei le rose piacevano bianche...ma in fondo lei e Francis si conoscevano da poco, ci sarebbe stato tempo per imparare anche queste cose. Il pensiero del ragazzo era stato veramente gentile e lo ringraziò di cuore con tutta la spontaneità che tanto la contraddistingueva. Poi si salutarono. 

"E' così bello che qualcuno pensi a me, che qualcuno si accorga della mia esistenza...è un ragazzo tanto caro, e sono fortunata ad aver attirato la sua attenzione. Non posso sentirmi in colpa per Tom...a lui non importa di chi mi innamoro, e d'altra parte non siamo legati in nessun modo. E' ora che io vada avanti per la mia strada e trovi il modo di essere felice" e così rassicurandosi entrò in casa. 



La mattina dopo Julia arrivò a casa Redford in perfetto orario come sempre. Ad accoglierla non venne la padrona di casa come al solito, ma Matthew. 

"Signorina White, è un piacere vedervi. Mia zia purtroppo è impegnata con Clara, stanno provando il vestito che mia cugina dovrà indossare alla sua festa."

Già, il compleanno di Clara. Julia non se lo dimenticava mai, e sapeva che cadeva proprio quel sabato.

"Buongiorno signor Kraus. Non preoccupatevi, aspetterò qui". 
Ma Matthew non accennò ad andarsene, anzi la osservò intensamente con quei suoi occhi meravigliosi.
Poi una domanda a bruciapelo, inaspettata:
"Signorina White, ma voi siete felice?"

Julia non riuscì a formulare subito una risposta, presa in contropiede. Proprio in quell'istante Clara e sua zia fecero il loro ingresso nella stanza.

"Julia cara, eccoci qui...perdonaci se ti abbiamo fatto aspettare, ma la signorina qui doveva provare il suo splendido vestito!"

La ragazza sorrise alla signora Redford, che adorava con tutto il cuore. Clara le venne incontro correndo.

"Juliet, dovresti vedere che splendido vestito che ho! Sembro una vera principessa!"
"Ah sì?" rispose lei divertita. Poi portò la bambina nella biblioteca e si mise a lavoro: neanche due paia di occhi meravigliosi potevano impedirle di fare il suo dovere. 


Più tardi, mentre stava per andare a casa, fu intercettata nuovamente da Matthew.
"Signorina White, aspettate!" disse correndo verso di lei.
"Mia zia ha detto di dirvi che ovviamente siete invitata alla festa di Clara, e che le vostre sorelle saranno le benvenute".

Julia si stupì che la signora non avesse semplicemente mandato l'invito a casa loro, ma non le dispiacque poi molto. Rivolse al ragazzo il suo sorriso più dolce e rispose che non sarebbero mai potute mancare. 

"Certo che la vita è davvero strana" pensò serenamente mentre camminava "per mesi non abbiamo avuto nulla da fare, e adesso due feste nello stesso mese! L'arrivo di Matthew...cioè, del signor Kraus, ha fatto davvero bene a questa cittadina".

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Un tè in compagnia ***


Eccomi qua! Sono tornata ad aggiornare questa storia (cosa che magari non interessava a nessuno, ma vabbé xD). Perdonatemi la lunga assenza, cercherò di essere più presente...beh, che dire, ringrazio chiunque sia stato tanto paziente da arrivare fin qui e vi auguro di divertirvi almeno un pochino con la storia di queste quattro sorelle. Se avete voglia, lasciate pure una recensioncina (mi rendereste, come sempre, mooolto felice). A presto! -timeaftertime

Quando i coniugi White erano ancora in vita, la loro casa era sempre piena di ospiti. Julia, che aveva vissuto tredici anni in quell’ambiente, era quella che più di ogni altra sorella soffriva per le privazioni che doveva sopportare. Non lo faceva mai notare, ma quante volte si guardava allo specchio e sospirava notando quanto fossero lisi i suoi vestiti! E dover lavorare ogni giorno, per quanto amasse Clara, era una grande fatica se sommata alle preoccupazioni relative alla casa e alle sorelle. Tutti questi pensieri erano spesso nella sua mente, ma non ne aveva mai fatto parola con le altre. Era il suo dovere, e non voleva che Sarah, Hannah e Lily si sentissero in colpa per una situazione che non dipendeva dal loro volere. L’unico a conoscenza delle lacrime della sorella maggiore era il suo cuscino, testimone di tante notti insonni e momenti difficili. Come quella volta in cui un debito le aveva lasciate quasi senza cibo per due settimane, o quando la piccola Clara aveva rischiato di morire di scarlattina. Quella volta era stata la peggiore: piangeva per la bambina, ma anche per se stessa…se fosse stata contagiata, se fosse morta anche lei, che ne sarebbe stato delle White minori? Chi si sarebbe preso cura di loro, se anche lei fosse andata in Cielo come mamma e papà? In quei momenti la preghiera le ristorava l’anima, e quando passavano si sentiva in colpa. Quella era la sua vita, il suo posto nel mondo. Amava le sue sorelle e non rimpiangeva nessuno dei sacrifici che sopportava per loro. Tutti la vedevano come la “madre”, la sorella maggiore che si prende cura di ogni cosa, che resiste ad ogni cosa, la roccia su cui fare affidamento. E nessuno le aveva mai chiesto se era felice.

Ecco perché le parole di Matthew Kraus le rimbombavano in testa da giorni. Perché le aveva fatto quella domanda?  Voleva forse dire che gli importava qualcosa di lei?

Persa in questi pensieri, Julia spolverava i mobili del salotto.

BUM!

Dal sottoscala si sentì uno scoppio, seguito dalla fuga di Rod fuori dal cancello.
“Che diamine, Lily!” disse Sarah correndo giù per le scale e catapultandosi fuori, seguita a ruota da Julia.
Hannah nel frattempo aiutava una Lily a tirarsi su da sotto il tavolo del laboratorio, dove si era nascosta quando la reazione aveva cominciato a sfrigolare.
 
Dieci minuti prima che ciò accadesse in casa White, Matt Kraus si era incontrato per strada con Tom Everhart, accompagnato dall’amico scrittore. I tre giovanotti si erano messi a chiacchierare e i due amici avevano scoperto che la compagnia del futuro dottore era assai gradevole.
“Verrete al compleanno di mia cugina, signor Everhart?” disse Matt.
“Solo a patto che mi chiamiate Tom, come fanno tutti…il signor Everhart è mio padre!”
“Va bene Tom, allora chiamami Matt!”
“Se l’invito è valido anche per me, pregherei il dottor Kraus di chiamarmi John” disse allora lo scrittore con un sorriso.
E fu così che nacque una bella e duratura amicizia tra i tre giovani uomini.
“Ma a proposito della festa, sapete se le White sono state invitate?” riprese a parlare Tom.
“Certo, ho riferito personalmente l’invito alla signorina Julia White” disse Matt.
“Verranno dunque tutte le sorelle?” disse John cercando di apparire disinteressato.
“Credo di sì. Personalmente ritengo che la piccola Lily sia un giovane intelletto assolutamente promettente!” disse Matt memore dell’incontro con la più giovane delle White.
“Concordo, anche se rischia la vita ogni giorno con quegli esperimenti chimici nel sottoscala…” disse Tom con una risata. All’occhiata interrogativa dei suoi compagni si affrettò a spiegare della passione di Lily e del laboratorio.
“E le sue sorelle cosa ne pensano di tutto questo?” disse Matt, sorpreso.
“Julia si preoccupa continuamente per la sua salute, e per l’incolumità della casa. Ma in fondo tutte loro sono orgogliose di lei. Le White hanno in comune la convinzione che una donna abbia aspirazioni più grandi che il semplice dedicarsi alla casa e alla famiglia. E allo stesso tempo, non ho mai trovato delle donne tanto dedite ad ambedue”
“Sì, sono senza dubbio delle ragazze fuori dal comune” disse pensoso John.
“Specialmente Sarah, non è vero John?” disse con espressione malandrina Tom.
“Cosa vorresti insinuare con questo?” disse lo scrittore con aria altamente imbarazzata.
“Assolutamente nulla” rispose l’altro. Matt scoppiò a ridere.
“Avete dunque qualche interesse particolare nella seconda delle White?”
“Per carità! Quella donna è intrattabile. E per di più mi detesta sin dal nostro primo incontro”
“Ah, John, ma questo non vuol dire niente. Nessun uomo è più interessante per il genere femminile di qualcuno in grado di destare forti sentimenti, che siano di odio o d’amore!”
John avrebbe voluto ribattere che quest’affermazione era molto strana, e che Tom non era esattamente un esperto in fatto di relazioni amorose, ma non fece in tempo. Una enorme massa nera infatti si precipitò giù per la strada andando a finire proprio addosso a lui.

“ROD! Oh mio Dio!” disse una voce che conosceva.
Quando John aprì gli occhi si ritrovò due smeraldi puntati addosso ad una distanza molto ravvicinata. Sarah, che era chinata su di lui, si tirò indietro di scatto.
“Sono mortificata…davvero, abbiamo cercato di acciuffarlo prima ma era troppo veloce…” disse cercando di giustificarsi, ma John non capiva granché di quello che diceva. Si tirò a sedere e notò Julia che rimproverava il cagnolone, che stava seduto con le orecchie basse.
“Cattivo! Non si fa! Signor Weller, sono dispiaciutissima” disse verso di lui tenendo lo sguardo basso.
“Non c’è motivo di dispiacersi tanto, signorina White” disse Matt dolcemente avvicinandosi alla ragazza, come se non sopportasse vederla in quello stato.
John pensò che in effetti sarebbe spettato a lui dire se era o non era il caso di dispiacersi, dato che era stato buttato a terra da una specie di cavallo nero imbizzarrito, ma Sarah White era ancora a terra accanto a lui – troppo, troppo vicina -  e ogni pensiero irritato volò via scomparendo.
“Sì, non mi sono fatto niente” disse sollevandosi in piedi e sorridendo nel modo più rassicurante che poté verso Julia.
Anche Sarah si tirò su, tormentandosi le mani come se fosse in grande imbarazzo. Forse si era appena resa conto del tempo in cui era stata in mezzo alla strada a quella brevissima distanza da lui.
“Beh…perché non venite da noi a prendere un tè?” propose Julia, disperatamente alla ricerca di modi per porre rimedio al guaio che Rod aveva combinato.
Tutti e tre accettarono più che volentieri, e si diressero verso casa White. Non appena varcarono il cancello, Lily corse fuori dalla casa.
“L’avete trovato? E dire che ormai dovrebbe essere abituato a quei rumori!”
Julia guardò torva la sorella minore.
“Nessuno sano di mente si potrebbe mai abituare a quei rumori, signorina! E Rod, correndo, ha travolto il signor Weller!”
I tre ragazzi si guardavano l’un l’altro, divertiti dalla scenetta.
Lily aveva nel frattempo intercettato il dottor Kraus.
“Oh, dottor Kraus! Devo assolutamente farle vedere una cosa, lei ha studiato chimica, non è vero?”
Matthew rispose di sì, e la piccola lo trascinò in casa.
In breve tutti e sei si ritrovarono nel salotto di casa a sorseggiare del tè.
Matthew si era seduto accanto Julia, che lo osservava di nascosto mentre discuteva con Lily del perché le sue soluzioni fossero tanto esplosive. Tom aveva chiesto subito dove fosse Cherry, e alla notizia che non era in casa s’era fatto pensieroso. Hannah non usciva quasi mai senza le sorelle. Ultimamente c’era qualcosa di strano…che avesse a che fare con il nuovo spasimante?
John Weller aveva invece intrapreso una conversazione con Sarah sul voto alle donne.
“E’ ridicolo anche solo doverne discuterne” stava dicendo lei.
“Su questo non posso che essere d’accordo” disse lui, che effettivamente aveva sempre ritenuto ovvio che le donne dovessero votare.
“Perché non dovremmo dopotutto? Dobbiamo seguire la legge, facciamo parte della comunità. Semmai conosco degli uomini a cui dovrebbe essere revocato il diritto di voto, tanto sono stupidi!”
John rise ancora una volta come gli capitava tanto raramente di fare. Gli faceva sempre quell’effetto, Sarah White. Quel suo modo aggressivo e deciso di discutere, quella forza interiore che era in grado di comunicare con ogni parola e gesto, tutto questo lo rendeva allegro come raramente riusciva ad essere nel corso delle sue giornate.

In quel momento la porta di casa si aprì.
“Sono a casa!” disse Hannah dall’ingresso, entrando poi nel salotto.
“Julia, guarda cosa mi ha dato…” cominciò a dire tenendo in mano una rosa . Rossa, anche questa, ma dopotutto non aveva avuto modo di dire a Francis che le voleva bianche. Si fermò sulla porta quando notò gli ospiti.
“Salve, signorina White” disse John sorridendo composto verso una delle poche ragazze che apprezzava in quella città.
“E’ un piacere rivederla, signorina” disse Matthew sorridendo cordialmente.
“Oh, salve signor Weller…signor Kraus…Tom” disse Hannah un po’ incerta verso la fine, dato che il suo amico d’infanzia non l’aveva ancora salutata e fissava la rosa che teneva tra le mani.
“Ciao Cherry…sai John, penso che si sia fatto tardi, dobbiamo andare” disse rivolto verso l’amico, che gli rimandò un’occhiata altamente interrogativa. Tom non aveva mai espresso il desiderio di tornare a casa presto.
“Sì, beh, allora sarà meglio togliere il disturbo” disse assecondandolo e alzandosi in piedi. Anche se nel profondo del cuore provava un senso di fastidio nel non poter continuare la discussione sul voto delle donne. Era un argomento importante, no? Il suo interesse era puramente relativo all’argomento.
Anche Matthew Kraus si alzò in piedi, affrettandosi a seguire gli amici per non sembrare scortese verso le padrone di casa. Ringraziò lungamente ognuna delle sorelle per l’ospitalità, poi baciò la mano di Julia.
“A domani dunque, miss White” disse con un sorriso riferendosi alla festa.
“Ma certo” rispose lei, arrossendo come un pomodoro. Sarah lanciò un’occhiata inquisitoria al giovane dottore e poi alla sorella, appuntandosi in mente di fare un bel discorsetto a Julia non appena gli ospiti fossero usciti dal cancello.
Il primo ad uscire fu Tom, che salutò Hannah con un sorriso che per la prima volta in sedici anni di vita le sembrò forzato.
L’ultimo fu invece John Weller, che non trovando nulla di non compromettente da dire salutò tutte e quattro le sorelle verbalmente, senza alcun baciamano galante. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2492755