Memorie del West

di Martyx1988
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vecchio e selvaggio ***
Capitolo 2: *** Verso la mia città ***
Capitolo 3: *** Ritornare ***
Capitolo 4: *** A cena coi corrieri ***
Capitolo 5: *** Festa ***
Capitolo 6: *** Il fuoco dell'odio ***
Capitolo 7: *** Il fantasma dagli occhi rossi ***
Capitolo 8: *** Non sei sola ***
Capitolo 9: *** La legge del cuore ***
Capitolo 10: *** Faccia a faccia ***
Capitolo 11: *** Lasciapassare ***
Capitolo 12: *** Giustizia è fatta ***
Capitolo 13: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** Vecchio e selvaggio ***


.1. Vecchio e selvaggio

Tutti lo chiamavano e lo chiamano ancora il selvaggio West, un posto lontano, senza legge, pieno di delinquenti e cacciatori di taglie. Io preferisco chiamarlo vecchio West, perché è un nome che dà a quelle terre lontane un certo fascino e ti induce a volerne scoprire i segreti e le leggende, un po’ come si fa con l’antica Grecia o l’antica Roma. Come loro, anche il West ha le sue leggende, i suoi eroi, non immortali, ma comunque eroi, che ne hanno segnato la storia, e non solo tra i cosiddetti buoni, ma anche tra i fuorilegge c’erano degli eroi. Me lo ricordo bene, come se fosse ieri.
La mia storia risale al lontano 1860, quando tutta l’America era scossa dall’incubo della guerra, quando migliaia di pellerossa venivano ingiustamente sterminati, quando alcuni desideravano la libertà per tutti mentre altri no, quando la ferrovia non era ancora stata completata e il telegrafo non si era ancora diffuso, quando i messaggi e le lettere li portavano i corrieri del Pony Express.
Me li ricordo i corrieri, giovani ragazzi, per lo più orfani, che attraversavano quotidianamente l’Ovest a cavallo per conto della Russell, Majors & Waddell, dal Missouri alla California, passando per Fort Laramie, Sweetwater e Rock Creek. La mia Rock Creek. Era considerata da tutti un inferno, la terra di nessuno, ma non era così. Beh, forse c’erano due o tre ladruncoli di troppo e qualche ubriacone che riempiva il saloon, ma era la mia città, alla quale stavo tornando, quel pomeriggio di settembre del 1860, dopo un viaggio di quasi due anni in giro per il mondo. Lo avevo visto tutto il mondo, dalle Alpi alle Ande, dall’India al Giappone, ma nulla era più affascinante del mio West, nessun luogo era così selvaggio. Perché chi lo definisce così, il mio West, ha ragione, è selvaggio, per questo lo amo, e non lo cambierei, anche se potessi. A me piace così, ed è così che mi piace raccontarlo: mi piace descriverne le immense praterie, i caldi deserti, le verdi colline, le mandrie di bufali che pascolano libere, i cavalli selvaggi che lo attraversavano al galoppo, i villaggi indiani, le città, i fiumi; ma soprattutto mi piace raccontare le loro storie, di quegli eroi e non che lasciarono un segno indelebile nel West, e di cui il West non si dimenticherà mai.

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Capitolo 2
*** Verso la mia città ***


2. Verso la mia città

Come dicevo, era un pomeriggio di settembre del 1860, mancava poco a Rock Creek, contavo di arrivarci per il tramonto. Là mi stavano aspettando mia madre e mio padre, Evelyn e John Watson; mi chiedevo se avessero sentito la mia mancanza in questi due anni, quanto avessero aspettato questo momento, cosa fosse successo loro, quanto fossero cambiati, invecchiati. Erano, infatti, una delle coppie più longeve di Rock Creek, con i suoi settantadue anni mio padre e i suoi sessantatre mia madre, ma non avevano mai dato peso alla loro età. Mio padre, per esempio, aveva continuato a lavorare per il governo degli Stati Uniti fino a quando gli è stato possibile – e fino a quando non si è quasi preso una pallottola tra le costole -, mia madre, invece, ha sempre affrontato la vita con serenità, anche quando aveva iniziato a presentare i primi sintomi dell’imminente vecchiaia.
A me erano mancati tanto, soprattutto mio padre, che non aveva mai badato al fatto che fossi una ragazza e mi aveva insegnato a sparare dall’età di dieci anni, perché diceva sempre - Saper difendersi anche in un solo modo è meglio che non saper difendersi affatto. E saranno molte le occasioni in cui ti dovrai difendere da sola, bambina mia. –
Mentre pensavo alle sue parole, il caso volle che una pallottola centrasse la diligenza in cui stavo viaggiando, colpendola dalla parte opposta a quella in cui stavo io. Fortunatamente, l’ultimo passeggero era sceso alla città prima, altrimenti se la sarebbe presa dritta nella tempia.
Un altro sparo, i cavalli si imbizzarrirono e la diligenza si capovolse, così che mi ritrovai a gambe all’aria con tutti i miei bagagli addosso. Riuscii ad alzarmi e, dopo aver preso la Colt che mi aveva regalato mio padre prima di partire, uscii dalla diligenza; i cavalli scalciavano, mentre il conducente della diligenza era a terra con una pallottola nel collo. Da lontano sette uomini si stavano avvicinando al galoppo e, appena mi videro, iniziarono a sparare. Mi nascosi dietro la diligenza in tempo per sentire un proiettile passarmi sopra la testa e rimasi in attesa che i briganti si avvicinassero. Aspettai qualche secondo, poi mi sporsi dalla diligenza quanto bastava per prendere la mira e…fuori uno, ancora sei. Mi riabbassai. Continuavano a sparare nella mia direzione, ormai erano vicini, mi alzai ancora una volta e ne colpii un altro alla spalla. Questo cadde a terra, ma non era morto. Erano vicinissimi, gli spari mi rimbombavano nel petto, insieme al battito del mio cuore. Mi alzai ancora una volta, colpii un cavallo che cadde addosso al suo padrone, ma venni presa di striscio da un proiettile nella spalla destra. Mi spostai di lato per vedere dove erano gli assalitori, quando uno di loro si accasciò sul suo cavallo colpito alla schiena. Gli altri tre allora smisero di sparare e si voltarono; in cima alla collina c’era qualcuno che sparava loro addosso, forse un passante che doveva aver sentito il fracasso. Uno dei tre briganti rimasti iniziò a sparare contro quell’uomo, gli altri si rivoltarono verso di me, ma io fui più svelta e ne freddai uno. L’altro mi aveva praticamente raggiunto, ma vedendosi solo girò i tacchi, chiamò il compagno e insieme galopparono via, seguiti dal tizio che avevo colpito alla spalla e da quello a cui avevo ucciso il cavallo; aveva un cavallo bianco coma la neve, con gli occhi rossi. Non ne avevo mai visto uno del genere.
Mi alzai in piedi e vidi che il mio soccorritore si stava avvicinando; era scuro di carnagione e aveva i capelli nero corvino lunghi fino sotto le spalle, un cappello nero a tesa rigida e un coltello legato allo stivale sinistro. Più si avvicinava, più notavo che il suo viso era simile a quello di un pellerossa e che all’orecchio sinistro portava uno strano pendaglio.
Mi aveva quasi raggiunto quando mi gridò – State bene signorina? Siete ferita? –
- No! Solo un graffio alla spalla! – gli gridai di rimando.
Smontò da cavallo e iniziò a guardarsi intorno; notò immediatamente il cadavere del conducente e si voltò verso di me con fare preoccupato, chiedendomi – C’era qualcun altro? –
- Solo noi due, l’ultimo passeggero l’abbiamo scaricato quasi due ore fa -
- Dove eravate diretta, signorina? -
- Rock Creek, sto tornando a casa -
- Anch’io sono diretto là, potrei accompagnarvi. La diligenza, però, è fuori uso, dovrete prendere uno di quei due cavalli; inoltre, dovrete lasciare la maggior parte dei bagagli -
- Nessun problema, i bagagli posso sempre farli andare a prendere quando sono arrivata. Vi ringrazio per la cortesia, signor…-
- Ah, che maleducato! Mi chiamo Buck Cross, sono un corriere della Pony Express -
- Mary Jane Watson, molto lieta -
- Dunque siete parente dei Watson di Rock Creek? -
- Già, sono la figlia -
- Giusto…-
-…Ehm, vogliamo andare? –
- Oh, certo, ora vi porto il cavallo -
Che gentile, che dolce. Non avevo mai visto due occhi così neri e profondi, ma soprattutto, non avevo mai incontrato un ragazzo come lui. Appena si era avvicinato, il mio cuore si era calmato improvvisamente e quasi non sentivo più dolore alla spalla. Non sapevo perché, ma ero sicura che quell’incontro avrebbe cambiato la mia vita.

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Capitolo 3
*** Ritornare ***


3. Ritornare

Durante il tragitto, Buck ed io non parlammo quasi. Mi disse solo che lavorava alla stazione del Pony Express con altri sei corrieri, Cody, Jimmy, Kid, Lou, Noah e Jesse, e che aveva da poco perso il suo fratello di sangue, un ragazzo muto che aveva conosciuto nella missione cattolica in cui era cresciuto e che si chiamava Ike. Mentre mi parlava di lui, i suoi occhi erano diventati lucidi e il suo sguardo greve, il che mi fece capire che la ferita doveva essere ancora aperta.
Nonostante l’assalto, riuscii ad arrivare a Rock Creek per il tramonto, e non riuscii nemmeno a scendere da cavallo che mi ritrovai le braccia di mia madre intorno al collo.
- Oh, bambina mia! Avevo paura ti fosse successo qualcosa, non sai quanto sono stata in ansia! Ma come mai sei venuta a cavallo? -
- Ecco, c’è stato un piccolo inconveniente e la diligenza era inutilizzabile, ma per fortuna il signor Cross è arrivato in tempo per darmi una mano -
Mi voltai verso Buck e vidi che stava parlando con una donna bionda e un ragazzo di colore vicino all’ufficio dello sceriffo. Mia madre ed io ci avvicinammo e subito la donna si rivolse verso di lei – Hai visto, Evelyn, che non c’era motivo di stare in ansia? –
- Lo so, Rachel, ma è prerogativa di ogni madre preoccuparsi per i propri figli. Come avrai capito, lei è la mia Mary Jane. Mary Jane, questa è Rachel Dunne, si occupa della stazione del Pony Express -
- Più che altro, mi occupo dei corrieri, faccio loro quasi da madre -
- Già, ci rimbocca le coperte quando andiamo a dormire, ci dà da mangiare, e quando può ci canta la ninna nanna o ci racconta le favole per farci addormentare – intervenne il ragazzo di colore.
- Smettila, Noah, se non ci fossi io sareste obbligati a mangiare quello che vi propina Jimmy al posto dei miei stufati -
- Andiamo, Rachel, lo sai che sei la colonna portante della stazione, non te la devi prendere – disse Buck
- Ah, mamma, questo è il signor Cross, è lui che mi ha accompagnato fin qui - intervenni
- Piacere di conoscervi di persona, vi ho visto più volte in giro per Rock Creek. Vi ringrazio comunque per l’aiuto che avete dato a mia figlia. Perché non venite a cena da noi, stasera? Sarebbe un modo carino per sdebitarci, non è vero Mary Jane? -
- Sì, è un’ottima idea! -
- Vi ringrazio, signora Watson, ma mi dispiace lasciare i miei amici…-
- Non vedo il problema, possiamo benissimo mangiare tutti insieme. In fondo non è ancora autunno e non fa molto freddo, potremmo sistemare il tavolo fuori e mangiare sotto le stelle. Tu che ne dici, Rachel? -
- Perché no? Così potremo dare un benvenuto caloroso a Mary Jane -
- Inoltre ci sarà più roba da mangiare, per la gioia di Cody – aggiunse Noah.
Per qualche strana ragione, ero elettrizzata al pensiero dell’imminente cena, ma soprattutto al pensiero che avrei rivisto Buck. C’era qualcosa in lui che mi affascinava, forse la sua gentilezza, o la sua sensibilità, o il fatto che non avesse esitato poco prima a venire in mio soccorso. Fatto sta che, tornata a casa, salutai calorosamente mio padre, mandai qualcuno a recuperare i miei bagagli, o almeno, quello che ne restava, poi corsi subito in camera mia a prepararmi con la massima cura.
Quando scesi in cortile era quasi tutto pronto per la cena. Rachel e mia madre stavano sistemando le ultime cose in tavola, mentre gli amici di Buck accendevano le torce per fare luce. Subito mi piombò davanti un ragazzetto biondo, con la faccia simpatica, ma, a mio avviso, un po’ presuntuosa, che si presentò – Buona sera, signorina, il mio nome è William F. Cody, ma se preferite potete chiamarmi Billy –
- Aah…Mary Jane Watson, e sinceramente non preferisco, Billy non è un nome adatto ad uno con la vostra faccia, senza offesa -
Mi diressi quindi verso gli altri ragazzi, ridendo sotto i baffi al pensiero della faccia sbigottita che aveva fatto il ragazzo alla mia risposta. Anche gli altri si presentarono, così che feci la conoscenza di Noah Dixon, il ragazzo di colore, James Hickock, Jesse James, un ragazzino di appena quattordici anni, Lou McCloud e Kid, che si faceva chiamare così per non far sapere il suo vero nome. Dopodiché iniziai a guardarmi intorno, finché non incontrai lo sguardo di Buck; allora il mio cuore si fermò e lo stomaco diede un lieve sussulto.

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Capitolo 4
*** A cena coi corrieri ***


4. A cena coi corrieri

- La cena è pronta! – gridò Rachel. Per me fu come quando si viene svegliati nel bel mezzo di un bellissimo sogno. Ci misi qualche secondo a capire dove mi trovavo, poi mi sedetti a tavola ed incominciammo a mangiare. Il biondino, che tutti chiamavano Cody, si era già avventato sullo stufato preparato da Rachel, quando qualcuno da dietro domandò – Non vorrete iniziare la festa senza lo sceriffo, spero? -
- Ma certo che no, sceriffo Hunter, è sempre un piacere – rispose mio padre, alzandosi. Lo sceriffo poi si rivolse a me – Noto con piacere che a Rock Creek è stato fatto il dono di un nuovo fiore. Spero non ve ne andiate tanto presto, signorina. Io sono lo sceriffo Teaspoon Hunter e sarei molto lieto di avere un nuovo cittadino come voi su cui vegliare -
- Non temete, sceriffo, non saprei in che altro posto andare, visto che ho visitato tutto il mondo. Inoltre, non me ne andrei da Rock Creek neanche per tutto l’oro del mondo. Mi chiamo Mary Jane Watson, piac… -
- Molto bene, ora che ci siamo scambiati tutti i convenevoli, possiamo iniziare a mangiare…ahia, Jimmy, che diavolo ti è preso? – esclamò Cody, che aveva appena ricevuto un calcio nello stinco da Jimmy.
- Cody, quando vuoi dire qualcosa, dai retta al tuo cervello e non al tuo stomaco, come fai di solito -
Iniziammo così a mangiare , per la gioia di Cody in particolare, ma anche di tutti quanti. La serata trascorse piacevolmente, tra risate e battibecchi, molti dei quali vedevano Cody coinvolto. Erano speciali, quei ragazzi, lo avevo capito da subito; ognuno aveva una sua caratteristica particolare che lo rendeva unico. E anche se a volte si litigavano, la loro amicizia era più forte, avrei scommesso tutto quello che avevo che sarebbero morti l’uno per l’altro.
In quel momento capii, mio malgrado, di essere sola. A parte i miei genitori, non avevo nessun amico, tutte le persone che conoscevo se ne erano andate da Rock Creek ancora prima che partissi, si erano trasferite nelle grandi città dell’Est, sull’Atlantico. Ma io no. Ero rimasta fedele alla mia Rock Creek, ma non sapevo se Rock Creek mi sarebbe rimasta fedele, se sarebbe morta per me. Forse nessuno lo avrebbe mai fatto, e questo mi metteva a disagio in mezzo a tutte quelle persone che conoscevo da poche ore. Talmente a disagio che sentii il bisogno di andarmene da un’altra parte.
- Con il vostro permesso, vado un secondo in camera mia a…a prendere uno scialle, comincia a fare freddo – dissi, ma non andai in camera mia, uscii di casa e mi sedetti sulla sedia a dondolo vicino alla porta, e iniziai a pensare. Pensai ai due anni trascorsi a viaggiare, pensai che non l’avevo fatto per scoprire cosa ci fosse oltre Rock Creek, per imparare cose nuove, conoscere nuove culture. Capii che l’avevo fatto per fuggire da questa città, dove non c’era più nessuno per me, dove nessuno si ricordava che esistessi, dove agli occhi di tutti ero la figlia viziata del signor John Watson del governo degli Stati Uniti, uno degli uomini più benestanti e più in vista di Rock Creek. E in quel momento mi resi conto di odiarla, Rock Creek, di odiare tutti i suoi abitanti, di odiare i corrieri, tutti i corrieri. Anche Buck, perché se non fosse venuto ad aiutarmi sarei rimasta in balia di quei banditi e forse sarei morta. Non avrei più rivisto Rock Creek, non mi sarei mai accorta di essere sola.
- State bene, signorina Watson? -
Sobbalzai. Ero così assorta nei miei pensieri che non mi accorsi che sulla porta di casa c’era Buck. Mi voltai verso di lui, e guardando il suo viso dolce capii che non lo potevo odiare. Forse nessuno poteva avercela con un ragazzo come lui, di sicuro non io.
- Sì, tutto a posto…-
- Non dovevate prendere uno scialle? -
- Ecco, mi sono accorta che in fondo non avevo poi così freddo -
- E come mai non siete tornata con noi? -
- Avevo voglia di stare un po’ da sola, tutto qui -
- Bene. Allora io torno dagli altri, scusate il disturbo -
- Sì, certo…Aspetta! -
- Avete bisogno di qualcosa? -
- Ti va di farmi compagnia? -
- D’accordo…-
Dimenticai tutti i miei problemi. Me li aveva fatti dimenticare lui, con la sua dolcezza e la sua disponibilità. Avrebbe avuto tutte le ragioni per rispondermi di no, ma non lo aveva fatto. Mi conosceva solo da poco, e forse gli ero sembrata un ragazzina capricciosa, ma si sedette ugualmente vicino a me.
- Se mi posso permettere, non mi sembrate così felice di essere ritornata, signorina Watson -
- Mary Jane, non sopporto quando mi danno del voi. Ho poco più di diciott’anni e mi fanno sembrare una signora di mezza età… È vero – sospirai - pensavo che quando sarei ritornata, avrei toccato il cielo con un dito, perché avrei rivisto la mia città. Ma nessuno si è ricordato di me, mi guardavano tutti come se fossi l’ultima arrivata, come se non fossi mai stata a Rock Creek. Invece ci ho passato tutta la vita, eccetto gli ultimi due anni. A quanto pare ci si mette poco a dimenticare le persone -
Non volevo piangere, cercavo di trattenermi, ma una lacrima sfuggì al mio controllo.
- Quando sono entrato per la prima volta nella missione cattolica, tutti mi guardavano storto; quando passavo prendevano le distanze e si prendevano gioco di me. Tutto perché mio padre era bianco e mia madre una pellerossa. Non sai quanto avrei voluto essere invisibile in quei momenti, proprio come ti senti tu ora. È peggio essere visti e derisi che non essere visti per niente -
- Quindi sei un…-
- Un mezzosangue, sì -
- Non volevo dirlo così, non intendevo in senso dispregiativo, perché sono convinta che quelli come te siano persone migliori di tutte le altre. Sembrate più sensibili, più gentili, più comprensivi, avete qualità che molti non immaginano neanche -
- Se la pensassero tutti come te, sono sicuro che si vivrebbe meglio -
- Forse sono così perché ho visto tutto il mondo, e ho capito che si può imparare tantissimo da chi è diverso da noi -
- C’è gente che invece non la vede così e stermina il mio popolo giorno dopo giorno -
- Forse se avessero girato il mondo… -
- Avrebbero fatto lo stesso con tutti gli altri. E poi, la storia non si può fare coi se ed i ma -
- Per fortuna -
- Perché? -
- Se tu non ti fossi accorto di quello che stava succedendo oggi, non credo che avrei resistito ancora per molto, e ora non sarei qui a parlare con te -
Mi sorrise, gli sorrisi. Era buffo, fino a pochi minuti prima avevo pensato l’esatto contrario, ma in quel momento ero felice che fosse stato lui ad aiutarmi, che mi avesse accompagnato lui a Rock Creek, che fosse lì con me a parlare. Non mi sentivo sola, sapevo che c’era Buck con me, e questo mi bastava.

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Capitolo 5
*** Festa ***


5. Festa

Quella notte non dormii, pensai tutto il tempo alla serata che era appena trascorsa. Avevo sempre in mente il suo viso, lo avevo visto avvicinarsi sempre di più al mio e il mio al suo, lentamente. Eravamo così vicini che solo una freccia o un proiettile poteva passarci in mezzo. E poi, improvvisamente, si ruppe la sedia a dondolo. Cademmo entrambi per terra, come due sacchi di patate. Inizialmente non mi era stato ben chiaro cosa fosse successo, poi avevo visto la sedia per terra, avevo visto Buck per terra, ed ero scoppiata a ridere, e lui con me.
Non ero mai stata così felice, non mi ero mai sentita così bene. Non vedevo l’ora di rivederlo, e chissà se era lo stesso per lui.
La mattina dopo mi alzai verso le nove e scesi in sala da pranzo, dove vidi mia madre in fibrillazione.
- Cosa succede mamma? -
- Oh, cara, ho una splendida sorpresa per te -
- Cioè? -
- Stasera daremo una grande festa in giardino. Vi parteciperanno tutti i giovani più promettenti della zona. Ce ne sono tanti e sicuramente qualcuno ti piacerà, così non sarai più sola -
- Ma io non sono sola, c’è Buck, ci sono i corrieri…E poi sono appena arrivata, Rock Creek è piena di gente, devo solo avere il tempo di conoscerla -
- In questo modo la conoscerai più in fretta. E sinceramente, non mi piacciono quei ragazzi, sono così rozzi -
- Ma alcuni di loro sono comunque promettenti. Almeno invita anche loro, ti prometto che saranno dei veri gentiluomini -
- Se ti fa piacere, allora d’accordo, ma promettimi che avrai un po’ di attenzioni anche per gli altri giovani -
- Va bene, mamma -
Non mi entusiasmava per niente l’idea della festa, chi aveva voglia di stare tutta la sera circondata da damerini ipocriti che ti riempiono di complimenti e fanno finta di essere interessati a quello che dici? Fortunatamente ero riuscita a convincere mia madre ad invitare Buck e gli altri. Anzi, sarei andata io stessa ad invitarli. Uscii di casa, sellai il cavallo e mi diressi alla stazione del Pony Express.
Rachel stava stendendo il bucato aiutata da Lou, mentre Kid tagliava la legna e Jimmy leggeva.
- Salve, Mary Jane! – mi salutò Kid.
- Buon giorno, Kid! Gli altri dove sono? -
- Buck e Noah sono a St. Joseph a comprare dei cavalli, mentre Cody è partito da poco per consegnare la posta. Jesse, invece, è ancora a scuola -
- Pensi che riusciranno a ritornare tutti per stasera -
- Noah e Buck di sicuro, Cody non saprei -
- Non importa. Potresti dire loro, quando arrivano, che stasera i miei genitori danno una festa in giardino? Siete invitati tutti quanti, naturalmente. L’unica cosa un po’ fastidiosa è che sarete circondati da tutti i farfalloni della zona e mia madre si è raccomandata che abbiate un atteggiamento, come dire, da gentiluomini -
- Nessun problema, ci adatteremo. Grazie dell’invito -
- Ah, di’ pure a Lou che può vestirsi da ragazza, se le fa piacere. Buona giornata, Kid -
- Eh? Cosa? Aspetta un secondo, che significa? -
- Andiamo, non ci vuole tanto a capire che è una ragazza. Se la si osserva attentamente, si nota subito che i suoi lineamenti sono da donna. Comunque, stai tranquillo, non lo dirò a nessuno. A stasera -
Tornata a casa, passai tutto il giorno ad aiutare mia madre per i preparativi della festa.
I primi invitati si presentarono poco prima del tramonto, tutti tirati a lucido e con addosso il loro abito migliore. Mi bastò poco per capire che erano i classici elegantoni vanitosi e pieni di sé, che non vedevano l’ora di sfoggiare i loro sorrisi e pronunciare le classiche frasi di circostanza. Si erano quasi messi in fila indiana per ossequiarmi – Signorina Watson, i miei omaggi, siete più bella di quanto si possa immaginare –
- Signorina Watson, quale onore essere invitati ad una festa da una così incantevole creatura -
Signorina Watson di qua, signorina Watson di là: estremamente nauseabondo e patetico. Sembravano moltiplicarsi ogni secondo che passava, e a me veniva sempre più voglia di scappare. Finché non arrivarono. Erano tirati a lucido anche loro, ma era diverso. Erano i corrieri del Pony Express, ragazzi semplici con addosso il vestito della domenica. C’erano anche Rachel e lo sceriffo Hunter.
Mi diressi subito da loro, così da evitare gli ultimi pomposi invitati e i loro omaggi.
- Ben arrivati, mancavate solo voi -
- Grazie a voi per l’invito, signorina. Spero non vi dispiaccia se mi prenoto per il primo ballo della serata -
- Ma certo che no, sceriffo, sarebbe un piacere -
- Ti sei prenotato in tempo, Teaspoon. Con tutti i ragazzotti che ci sono qui, più tardi avresti avuto vita dura a prenotare un ballo con Mary Jane – intervenne Cody.
- Se si aspettano che balli tutta la serata con loro, che facciano pure. Io con quelli lì non voglio avere niente a che fare. Tutti con la puzza sotto il naso e nessun capello scomposto: non fa per me -
La piccola orchestrina che avevamo fatto venire iniziò a suonare, così concessi il primo ballo allo sceriffo, come promesso. Mi dovetti, poi, adattare alle circostanze e danzare con qualcuno dei cicisbei venuti. Con mio grande sollievo, però, non sembravo essere il primo dei loro pensieri della serata; dopo neanche un’ora, la maggior parte di loro si era riunita in gruppetti ad enumerare i propri possedimenti: ancora più patetico e nauseabondo.
Non sapendo che fare, iniziai a vagare senza una meta precisa per il giardino, quando in lontananza notai una figura che si allontanava: era Buck. Che idiota! Non lo avevo considerato per tutta la serata, dopo che mi ero data tanta pena perché fosse invitato. Decisi di correre da lui a scusarmi.
- Buck! Ehi, Buck, aspetta! -
- Hai bisogno di qualcosa? -
- Ma solo questo sai dire quando ti chiamo? Comunque, non ho bisogno di niente, volevo solo scusarmi con te per non averti, come dire, considerato questa sera -
- Non ce n’è bisogno, non sono arrabbiato con te. Era un tuo dovere stare in compagnia di quei…-
- Farfalloni di tante parole e poca sostanza, già. Ma allora, perché te ne stavi andando? -
- Volevo stare un po’ da solo -
- Ah, allora tolgo il disturbo -
- Aspetta! –
-Sì? –
- Mi concederesti questo ballo? -
In lontananza, l’orchestrina aveva ricominciato a suonare; era una musica lenta, soave, da sogno.
- Con molto piacere –
Ci avvicinammo l’un l’altro e iniziammo a ballare. Era il momento più bello della mia vita, non mi ero mai sentita così felice, il mio cuore non aveva mai battuto così forte. Le gambe mi tremavano, lo stomaco mi si contorceva. Per me Buck non era più solo un nuovo amico.

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Capitolo 6
*** Il fuoco dell'odio ***


6. Il fuoco dell’odio

- AL FUOCO! LA CASA VA A FUOCO! -
Erano tutti agitati ed intenti a gettare secchi d’acqua sulla casa in fiamme quando io e Buck arrivammo. Non ci eravamo accorti di nulla finché qualcuno non aveva urlato. Riuscii a raggiungere lo sceriffo e i ragazzi.
- Come è successo, Teaspoon? – chiese Buck.
- Non lo sappiamo, il fuoco è divampato improvvisamente -
- Signorina! Signorina Mary Jane! – era Milly, la cameriera. Sembrava sconvolta.
- Milly! Cosa c’è? -
- Una cosa terribile, signorina! I suoi genitori…-
- I miei genitori? Stanno bene, Milly? Dove sono? -
- Sono dentro, signorina! Avevano detto che erano stanchi e volevano andare a dormire, e hanno dato a noi servi il permesso di restare alla festa. È terribile! -
Fu come se il mondo intorno a me si fosse fermato. Mia madre, mio padre, nelle fiamme. Bruciati nel sonno, e non potevo fare niente. Ma non volevo abbandonarli, non potevo non tentare. Iniziai a correre verso la casa in fiamme.
- Mary Jane, NO! È troppo tardi! Torna indietro! -
Non mi interessava se era troppo tardi, dovevo fare qualcosa o non me lo sarei mai perdonato. Ad un certo punto, mi ritrovai a terra con le gambe immobilizzate. Buck mi si era gettato addosso per bloccami, ma io dovevo andare, così mi staccai da lui con un calcio e ripresi a correre. Poi mi fermai di colpo. Li avevo visti, anche se per poco, ma erano loro, ne ero sicura. Gli stessi dell’attacco alla diligenza. Riconobbi quello con la spalla ferita che se ne stava andando, dietro gli altri.
- ATTENTI! -
Buck mi ributtò nuovamente a terra, così che riuscii solo a sentire un gran frastuono di legna che si spezzava. Era successo, ma non volevo crederci, volevo vederlo coi miei occhi. Alzai il collo quanto bastò perché la mia paura venisse confermata: la casa era crollata sotto le fiamme, i miei genitori erano rimasti dentro.
- NOOO! MAMMA! PAPÀ! -
Buck mi sollevò e mi strinse forte a sé, scoppiai a piangere, continuavo a chiamarli piangendo, non volevo credere che fossero morti, che mi avessero lasciata per sempre. Sentivo il calore del fuoco che ardeva vicino a me, ormai quasi domato, e quello dell’odio che in me iniziava a crescere.
Avrei avuto la mia vendetta, perché li avevo visti, avrei potuto riconoscerli fra mille altri. Non mi sarebbero sfuggiti.
Mio padre mi diceva sempre – Non devi mai attaccare per prima, usciresti troppo allo scoperto e sarebbe poi difficile difenderti – ma mio padre non c’era più, lo avevano ucciso, erano stati loro i primi ad attaccare, erano loro che erano usciti allo scoperto. Non si sarebbero più potuti difendere. Sapevo chi erano. Non mi sarebbero sfuggiti.

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Capitolo 7
*** Il fantasma dagli occhi rossi ***


7. Il fantasma dagli occhi rossi

Avevo pianto per tutta la notte, tra le braccia di Buck e poi di Rachel, quando lui era andato a dormire. In realtà non se ne voleva andare, ma alla fine si era lasciato convincere. Piansi come non mai, tanto da non accorgermi che mi avevano portata alla stazione dei corrieri, e intanto il mio cuore si riempiva di odio, desiderava sempre di più avere la sua vendetta, la mia vendetta. Alla fine, stremata, mi addormentai. Sognai mio padre che mi insegnava a sparare con la sua Colt, quella che poi sarebbe diventata mia, anni dopo. Poi sognai mia madre. Com’era bella, mi stava insegnando a fare la torta di carote, il mio dolce preferito, secondo lei. Ma a me le carote non erano mai piaciute, e quando lei preparava la torta, la davo sempre al mio cane. E poi i loro volti si offuscavano, sparivano nell’oscurità. Non li avrei mai più rivisti.
Mi svegliai col cuore pesante, gli occhi gonfi, i pensieri che si rincorrevano nella mia mente. Mia madre, mio padre, il fuoco, quegli uomini. Chissà dov’erano fuggiti, se sarebbero ritornati. Lo speravo ardentemente.
Scesi le scale e uscii di casa, non sapevo dove stavo andando, era come se fosse una forza invisibile a guidarmi, come se il mondo intorno a me non esistesse; andavo avanti, come ipnotizzata, poi mi fermai e alzai lo sguardo. Vidi un grande fumo nero che si alzava verso il cielo, qua e là pezzi di legno che ancora bruciavano. Mi ero fermata davanti alla mia casa, o meglio, quello che ne era rimasto: una catasta di legna bruciata, in mezzo alla quale spuntavano pezzi di mobili, di lampadari, cocci di vasi e di piatti. E lì, da qualche parte, c’erano anche i loro corpi.
Guardandomi intorno vidi, però, una cosa che non era rimasta bruciata: la mia Colt. La raccolsi, me la strinsi al petto, era ancora calda. Era l’unica di cui i sarei potuta fidare, da quel momento in avanti, lei mi avrebbe sicuramente aiutato, la mia Colt.
Mi voltai e iniziai a tornare verso la città, guardando nient’altro che i miei piedi, così che non mi accorsi che Buck mi aveva seguito finché non mi scontrai con lui.
- Buck, che ci fai qui? -
- Ti ho vista mentre ti allontanavi e ti ho seguita. Come ti senti? -
- Come una a cui hanno appena ucciso i genitori -
- Già…Magari è stato solo un incidente, che so, una lampada che è caduta e ha dato fuoco alla casa…-
- No! Li ho visti, hanno dato fuoco alla mia casa per ucciderli. Sono stati loro! -
- Loro chi, Mary Jane? -
- I banditi, quelli che mi hanno attaccato l’altro pomeriggio -
- Come fai a saperlo? -
- Perché li ho visti, ieri sera, mentre la casa andava a fuoco, che scappavano. Ce n’era uno con la spalla fasciata, quello l’ho ferito io -
Ricominciai a piangere e Buck mi abbracciò – Ora andiamo a casa e vediamo cosa si può fare. Anzi, ne parleremo con Teaspoon, lui trova sempre la soluzione migliore – Non volevo dirglielo, ma io avevo già la mia soluzione, e l’avrei messa in atto alla prima occasione buona, si fossa essa presentata dopo cent’anni.
Tornammo alla stazione, e lì mi cambiai d’abito. Sì, perché indossavo ancora quello della festa, ormai sgualcito e sporco di fuliggine. Rachel me ne diede uno suo, mi andava un po’ grosso perché io non ero formosa come lei. Poi tutti quanti ci sedemmo nel capanno dei corrieri, insieme allo sceriffo Hunter. Dopo un momento di silenzio, fu lui il primo a parlare.
- Mary Jane, Buck mi ha detto che, il pomeriggio in cui sei arrivata, sei stata aggredita da alcuni banditi, e che sei convinta di averne visto uno ieri sera che scappava dopo aver appiccato il fuoco alla tua casa -
- Sì, è così. L’ho riconosciuto perché aveva la spalla destra fasciata. Gliel’ho procurata io quella ferita, quel pomeriggio -
- Non hai visto nessun altro ieri sera? O qualche particolare riconducibile a loro? -
- No, niente. Però quel pomeriggio notai che uno di loro montava un cavallo bianco, con gli occhi rossi -
- Sei sicura di quello che dici? -
- Era a poco più di tre metri da me, non posso essermi sbagliata -
- È molto interessante…-
- Perché? –
- Poco fa ho fatto qualche domanda a Milly, la tua cameriera. Le ho chiesto se aveva notato qualcosa di strano prima di uscire di casa. Ha detto di aver visto dalla finestra quello che sembrava il fantasma di un cavallo, con gli occhi rossi come il fuoco -
- Questo basterebbe a dimostrare che i piromani di ieri sera sono gli stessi banditi che l’hanno attaccata. Rimane il fatto che non sappiamo chi sono – intervenne Jimmy.
- Veramente un indizio, anche se minimo ce l’abbiamo – sostenne Noah. Tutti ci voltammo verso di lui – Se chi ti ha attaccato è la stessa banda che ha appiccato l’incendio, vuol dire che miravano ad uccidere te e la tua famiglia, magari per qualcosa che tuo padre ha fatto loro in passato, visto che lavorava per il governo -
- Ed essendo dei fuorilegge, è probabile che anni fa qualcuno di quei banditi sia finito al fresco per un po’ grazie al signor Watson – concluse Teaspoon.
- Ma mio padre ha mandato in prigione tanta di quella gente che non basterebbe una Bibbia a contenere tutti i loro nomi -
- È vero, ma abbiamo un punto a nostro favore. Il signor Watson ha agito solo in queste zone, e ogni sceriffo è tenuto a registrare tutti i casi in cui sia coinvolto direttamente il governo. Se cercassimo nei registri della zona, avremmo una buona probabilità di capire chi sono quei tizi -
- Se ci dividessimo, sicuramente ci metteremmo meno tempo – disse Cody.
- Giusto. Allora tu e Noah andrete a Cottonwood, Buck e Jimmy, voi a Fort Laramie e Torrington, Lou e Kid a Horse Creek e Sweetwater. Io e Mary Jane cercheremo nel registro di Rock Creek. Buon lavoro, ragazzi -
In men che non si dica, tutti partirono per le loro destinazioni, dopodiché mi avviai con lo sceriffo verso il suo ufficio. Poco dopo che eravamo partiti, si rivolse a me – Ho parlato col reverendo Peyton, ha detto che sarebbe disposto a celebrare i funerali domani pomeriggio. Manca solo il tuo consenso –
- Va bene, non ci sono problemi, è perfetto -
- Mary Jane, so che sei una ragazza ragionevole, ma voglio essere sicuro che tut non commetta qualche sciocchezza. Te lo dico per esperienza personale: qualsiasi cosa tu voglia fare, qualsiasi ipotetica vendetta tu voglia compiere, non fare nulla. Finiresti per rimetterci la pelle, e anche se non fosse così non otterresti niente, se non passare tu dalla parte sbagliata -
- So badare a me stessa, sceriffo, comunque grazie per l’interessamento. E ora andiamo, non c’è tempo da perdere -
Forse lo sceriffo aveva ragione, ma io ero sempre convinta di quello che avevo in mente, e cercare in quei registri mi sarebbe stato più che utile.
Nell’ufficio dello sceriffo non c’era nessuno, se non un tizio che sonnecchiava sulla sedia.
- Burnett! Burnett! BURNETT! – chiamò lo sceriffo, ma l’uomo non dava segni di svegliarsi, così Teaspoon decise di passare alle maniere forti: diede un calcio poderoso alla gamba della sedia, facendo cadere il povero Burnett – …Chi? Cosa?…Ah! Fermi tutti! Sono il vice-sceriffo Burnett! -
- Riposo Burnett, è tutto a posto. Io e la signorina Watson abbiamo bisogno di consultare i registri del governo -
- Oh! I miei ossequi, miss. Lietissimo di averla conosciuta -
- Burnett ?!? I registri! -
- Ho capito, va bene! -
Quando Burnett ci portò il registro, iniziammo subito a sfogliarlo, senza tralasciare il minimo dettaglio. Avemmo più fortuna di quanto sperassimo. Trovammo, infatti, il caso che ci interessava circa a metà registro – Dovrebbe essere questo, i nostri indizi corrispondono con quanto scritto qui, e c’è pure la firma del signor Watson – commentò lo sceriffo.
- Cosa c’è di interessante in quelle scartoffie? – domandò il vice-sceriffo.
- Nulla che ti debba interessare, Burnett. Ora, sparisci! -
Lo sceriffo aveva ragione, si parlava di un bandito arrestato per tentata rapina e omicidio nella banca di Denver che si era rifugiato a Rock Creek. Erano riusciti a catturarlo per via del suo cavallo bianco con gli occhi rossi. C’era pure il nome del bandito: Reth Gerrard. Sarebbe stato mio.
Prendemmo dal registro ciò che ci serviva e tornammo alla stazione. Mi sentivo elettrizzata, avevo tutto ciò che mi occorreva per compiere la mia vendetta: un uomo, un’arma, un motivo più che valido. Mandai al diavolo tutte i buoni consigli dello sceriffo, i buoni consigli non avevano fermato quel meschino di Gerrard, e non avrebbero fermato neanche me. Mio padre non aveva ucciso nessuno, aveva solo fatto il suo dovere, e lo avevano ucciso per vendicarsi. Occhio per occhio.

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Capitolo 8
*** Non sei sola ***


8. Non sei sola

Arrivarono tutti per l’ora di cena, chi prima, chi dopo, e subito iniziarono a parlare di Gerrard e della sua banda. Teaspoon li informò delle scoperte che avevamo fatto, dando inizio ad una staffetta di ipotesi sul perché Gerrard avesse ucciso i miei genitori, il più delle volte inverosimili a tal punto da suscitare grosse risate dalla parte di tutti, di Cody in particolare. Non credevo esistesse qualcuno così insensibile, non era passato neanche un giorno dal fatto e già ci rideva su. Non lo concepivo, non me ne capacitavo, volevo prenderlo a pugni, a calci, dargli una lezione, ma non era da me. Non era da me neanche uccidere qualcuno per vendetta, ma quella era un’altra cosa.
Furibonda, mi alzai dal tavolo e uscii dal capanno sbattendo la porta, poi iniziai a correre. Correvo e piangevo, perché mi mancavano, mi mancava il loro affetto, mi mancavano i loro sorrisi, le loro ammonizioni. Correvo, ma non sapevo dove stavo andando. Poi sentii in lontananza un cavallo al galoppo, mi voltai e vidi che si dirigeva verso di me. Allora ripresi a correre più velocemente, non volevo che mi prendessero, ma il cavallo era più veloce e in poco tempo mi si parò davanti. Era buio, non capivo chi vi fosse sopra, così mi voltai e ripresi a correre, ma quell’uomo mi prese il braccio.
- Lasciami andare! Vattene! -
- Mary Jane, sono io! -
- Buck! - riconobbi a fatica il suo viso immerso nel buio.
- Chi pensavi che fossi? -
- Non lo so… -
- Allora perché stavi scappando? –
- Perché…ecco…io…-
- Volevi stare da sola come al solito? -
Anche se sapevo che non l’aveva fatto apposta, le sue parole mi ferirono più di quanto potesse immaginare, così ricominciai a piangere, più forte di prima.
- Oh, no! Mary Jane, mi dispiace… non volevo…io…-
- Oh Buck! Non è colpa tua. Il fatto è che…che sono sola, completamente sola, loro non ci sono più, mi hanno lasciata sola e…-
Mi nascosi il viso tra le mani, non volevo che mi vedesse piangere in quel modo. Allora Buck mi abbracciò, mi strinse forte a se e mi disse – No, tu non sei sola. Ci sono Rachel, e Teaspoon, e gli altri ragazzi. Lo so, a volte si comportano da idioti, specialmente Cody, ma ti vogliono veramente aiutare. E poi ci sono io, io non ti lascerò mai, non potrei –
Alzai lo sguardo e lo guardai negli occhi. Erano i più dolci che avessi mai visto. Guardandoli, tutto quanto sembrava più piacevole e bello. Li vidi avvicinarsi, potevo distinguere bene l’iride dalle pupille, così luminose anche senza la luce della luna. Poi i miei occhi si chiusero, istintivamente, senza che lo volessi, quasi avessero capito quello che stava per succedere.
Lentamente, una lieve pioggerellina iniziò a cadere, ma in quel momento non la sentivo, non sentivo nulla. Sentivo solo le sue braccia intorno alla mia vita, i suoi capelli tra le mie dita, le sue dolci labbra appoggiate alle mie, il suo respiro lento e calmo contrapposto al mio cuore, impazzito e senza controllo. Sì, lui ci sarebbe sempre stato, non ero più sola.

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Capitolo 9
*** La legge del cuore ***


9. La legge del cuore

Nonostante fosse molto tardi quando tornammo alla stazione, tutti quanti erano lì, ad aspettarci sulla soglia. Appena salite le scale, si fece avanti Cody, con gli occhi bassi, il cappello tra le mani; si guardò un po’ intorno, in cerca dell’appoggio degli altri ragazzi, poi, dopo aver ricevuto un poderoso calcio nel fondoschiena da Teaspoon, prese a balbettare parole lì per lì incomprensibili.
- Mdspicedutt, Mryjn…-
- Come? Puoi ripetere? Credo di non aver afferrato -
- Ehm…Mi dispiace di tutto Mary Jane, sono stato un idiota a comportarmi così. Non volevo…beh…insomma, hai capito –
Alzò lo sguardo, e mi convinsi, vedendo i suoi occhi azzurri e infantili, che non stava mentendo.
- Visto? Che ti avevo detto? – mi sussurrò Buck nell’orecchio
- Ho capito che con le parole non ci sai molto fare. Comunque accetto le scuse, William Cody, anche se ero sicura che non lo avessi fatto apposta -
Il suo viso da bambino, prima teso come una corda di violino, si rilassò in un sorriso che congiungeva entrambe le orecchie.
- Allora…tutto a posto –
- Tutto a posto -
Grazie anche a lui, ma soprattutto grazie a Buck, il mio cuore si era notevolmente alleggerito ed ero nuovamente di buon umore, ma non avevo dimenticato il rancore verso Gerrard. In quel momento, però, così sereno per tutti quanti, un pensiero di vendetta sarebbe stato fuori luogo.
Entrammo in casa di Rachel e bevemmo una tisana squisita che lei stessa aveva preparato, parlando contemporaneamente del più e del meno, ma mai menzionando i miei genitori o qualcosa che li riguardasse. I ragazzi raccontarono a turno le loro avventure dell’anno passato, quando la stazione era ancora a Sweetwater, e non c’erano ancora Noah e Jesse, ma c’era ancora Ike. Mi raccontarono di lui, di che ragazzo speciale era, di come ci sapesse fare coi bambini e gli animali, di come avesse più volte sofferto per la sua diversità, di come lo avessero fatto soffrire per questo. Mi raccontarono di come era morto, difendendo la donna che amava. E mentre me lo raccontavano, gli occhi di Buck diventavano sempre più lucidi, il suo viso sempre più greve. Era seduto accanto a me e vidi distintamente una lacrima sgorgare dai suoi occhi, così gli strinsi la mano, per fargli capire quello che lui aveva fatto comprendere a me poco prima: io sono qui.
Era notte fonda quando andammo tutti quanto a dormire. Ma io non riuscivo a dormire, i pensieri si alternavano nella mia mente, cercavo di ricordare ogni singolo istante di quella sera, ma allo stesso tempo non riuscivo a non riflettere su quanto sarebbe successo il pomeriggio dopo. Li avrei salutati per sempre, sarebbero pian piano scomparsi dai ricordi di tutti, ma non dai miei. Non li avrei mai dimenticati, i miei genitori, erano troppo speciali, troppo importanti per me. Avrebbero occupato sempre un posto speciale nel mio cuore.
Fu Rachel a svegliarmi, bussando alla porta della stanza degli ospiti nella quale dormivo. Bussò due o tre volte, finché non le dissi di entrare.
- Buongiorno! –
- Giorno -
- Ho pensato che, visto che i tuoi vestiti, beh, sono inutilizzabili, potremmo andare in città a comprarne uno per il funerale di oggi, e anche qualcun altro per il tuo guardaroba, perché no? Ti va? -
- Va bene, aspettami giù, il tempo di cambiarmi e arrivo -
- È rimasto qualcosa per colazione. L’ho lasciato sul tavolo del capanno, i ragazzi sono già tutti a lavorare. Se vuoi mangiare qualcosa…-
- Grazie, ma non ho fame -
- D’accordo, allora ti aspetto sotto -
Non avevo minimamente pensato al fatto che non mi era rimasto più niente di materiale, a parte la mia pistola. Per fortuna tutti i soldi della mia famiglia erano depositati in banca e potevo usufruirne per prendermi almeno qualche abito semplice. Non sapevo a quanto ammontassero i nostri risparmi, di certo non a poco, ma il quel momento pensavo che non mi sarebbero serviti a nulla così tanti soldi, per la vita che avrei fatto da lì a poco tempo.
Mi vestii e scesi in soggiorno, dove vidi Rachel che stava rammendando un calzino sulla poltrona. Quando mi vide, posò immediatamente la calza, si alzò e mi squadrò da capo a piedi – Hai veramente bisogno di vestiti nuovi, i miei sono troppo grossi per te. Cielo! Forse è il caso che mi metta a dieta –
Ci mettemmo allegramente a ridere, quindi uscimmo di casa e ci dirigemmo verso il centro di Rock Creek. In banca prelevammo 200$, poi entrammo nel negozio del signor Tompkins, per comprare i vestiti. Ne uscimmo quasi un’ora dopo, cariche di roba. Con soli 200$ mi ero rifatta un guardaroba di abiti, sia da donna che da uomo. Sì, anche da uomo, mi sentivo più a mio agio con una camicia e un paio di pantaloni piuttosto che con una gonna. Era più facile andare a cavallo, correre, saltare, sparare, picchiare la gente. Non che la picchiassi tutti i giorni, solo quando dovevo difendermi, che so, da un ladro, da un ubriaco con intenzioni perverse, gente del genere, insomma. O anche per difendere qualcun altro di più debole, lo diceva persino la Bibbia di aiutare il prossimo.
Tornate a casa, Rachel andò subito in cucina a preparare il pranzo, mentre io salii in camera a sistemare i vestiti. Quando suonò la campana del pranzo, non scesi. Non avevo voglia di mangiare insieme agli altri, così mi sedetti sul davanzale della finestra a guardare fuori. In lontananza si vedeva un’immensa prateria, quasi infinita, a sprazzi illuminata dai raggi del sole che sbucavano dalle nuvole grigie cariche di pioggia. Poi c’era Rock Creek, col suo viavai di gente e di cavalli per le strade, col suo allegro vociare, e nitrire, naturalmente. Una città ignara di tutto quello che era successo solo due giorni prima, che probabilmente ne aveva fatto solo un pettegolezzo quotidiano, perché si sa, nel West cose del genere capitano una volta sì e una no. E quella volta era capitato a me, alla mia famiglia, ai miei genitori.
Qualcuno bussò alla porta – Avanti – Era Lou.
- Non vieni a mangiare? Stiamo aspettando solo te -
- Non ho voglia di mangiare, cominciate pure -
- Se vuoi stare sola, ti faccio portare il pranzo qua in camera. Ti farà bene mangiare qualcosa -
- Grazie per l’interessamento, ma non ho proprio fame. Di’ a Cody che può mangiarsi la mia razione -
- Non se lo farà ripetere due volte –
Stava per uscire, quando una domanda mi uscì spontanea - Come pensi di vestirti al funerale? -
- Di nero, è ovvio -
- Intendevo se ti saresti vestita da ragazzo o da ragazza -
- Non saprei, a dire la verità non ci ho ancora pensato. Tu come vorresti che mi vestissi -
- Non è importante, era solo una mia curiosità. Mi basta già che tu e gli altri ci siate, il resto non conta -
Mi sorrise e uscì dalla stanza. Poco dopo la vidi dalla finestra che si dirigeva verso il capanno; si voltò verso di me e mi salutò con un gesto della mano, che ricambiai.
Era vero, a me importava solo che loro ci fossero, anche se si fossero vestiti da pagliacci. Erano una famiglia di sangue, uniti da una grande amicizia e un grande affetto, che ora stavano dimostrando a me. Lo avevo capito subito che erano ragazzi, e ragazze, speciali, dal primo momento che li vidi, alla cena che mia madre aveva offerto loro. Sì, forse erano un po’ rozzi e ogni tanto mancavano di tatto, ma era proprio questo a renderli speciali.
Dopo pranzo Rachel venne a dirmi di prepararmi per il funerale, così mi misi il vestito nero comprato da Tompkins. Poi mi sedetti allo specchio per sistemarmi i capelli; non lo avevo mai fatto da sola, di solito era mia madre ad acconciarmeli, o una cameriera, quando non c’era lei.
- Ti serve una mano? -
- Ecco, sì, grazie Rachel – non l’avevo sentita entrare, ma doveva aver notato i miei tentennamenti davanti allo specchio. Mi raccolse i capelli in una crocchia, lasciando che un ciuffo arricciato ricadesse sulla spalla sinistra – Ecco fatto. Non sembra nemmeno che stai andando ad un funerale -
- Già, ma è così, purtroppo -
- Beh, allora andiamo -
Mi incamminai verso la porta, quando notai, sul letto, la mia Colt.
- Tu vai, ti raggiungo subito – dissi a Rachel, quindi mi voltai e fissai il mio sguardo sulla pistola. Non la volevo prendere, non pensavo fosse ancora il momento buono, ma qualcosa dentro di me diceva il contrario. Così la presi e la nascosi nella tasca del cappotto, che era larga quanto bastava per nasconderla.
Uscimmo di casa e raggiungemmo i ragazzi che, insieme allo sceriffo Hunter e a Burnett, ci stavano aspettando. Il vice-sceriffo si avvicinò con fare incerto – Spero non vi dispiaccia se sono intervenuto anche io. Conoscevo di persona i signori Watson, specie suo padre, mi ha insegnato molto su come si fa lo sceriffo –
- È un piacere vedere che qualcuno si è ricordato di loro, perché credo che, a parte noi, nessuno verrà alla funzione -
- Sarà meglio dirigerci alla chiesa, il reverendo Peyton ci starà aspettando – intervenne Teaspoon.
Arrivati in chiesa, vidi con stupore che qualcun altro oltre a noi era venuto a rendere omaggio ai miei genitori: il signor Tompkins, l’impiegato della banca, qualche anziano signore, forse vecchi amici di famiglia. A turno vennero da me per le condoglianze, quindi ci recammo nel piccolo cimitero dietro la chiesa per celebrare la messa, nonostante minacciasse di piovere. Il reverendo Peyton iniziò a parlare, ma la sua voce usciva spezzata a causa delle lacrime che a stento riusciva a trattenere. Invece io non piansi, avevo versato anche troppe lacrime per i miei genitori ed ero intenzionata a dare loro l’ultimo saluto col sorriso sulle labbra e la testa alta. Poi, nel silenzio generale, sentii un nitrito provenire da lontano. Mi voltai lentamente, e scorsi tra le teste un cavallo, bianco come la neve. Il cuore prese a battermi, respiravo affannosamente. Istintivamente mossi il braccio per portare la mano sulla tasca, ma mi bloccai. No, non potevo farlo, c’era troppa gente, sarei stata sicuramente notata. Mi voltai nuovamente verso il cavallo, e li vidi, appoggiati allo steccato. Erano solo due, quello con la spalla fasciata e il padrone del cavallo bianco, guardavano nella mia direzione, con gli occhi che brillavano e un sorriso beffardo sul viso.
- Andate in pace – il reverendo aveva terminato la funzione, tutti se ne stavano andando, e nella confusione li persi di vista.
- Mary Jane, va tutto bene? – mi chiese Buck, appoggiandomi una mano sulla spalla.
- Sì, tutto a posto. Scusami un attimo -
Mi diressi così verso la chiesa ed ebbi giusto il tempo di vedere una coda bianca svoltare l’angolo. Iniziai a correre, e contemporaneamente presi la pistola dalla tasca, quindi svoltai l’angolo. Erano fermi davanti all’entrata che ridevano di gusto. Non ci vidi più dalla rabbia, mi diressi verso di loro e puntai loro contro la pistola, senza dire una parola.
- Guarda guarda chi ha deciso di fare l’eroina. Fermo Drew, vediamo cosa sa fare la piccola principessa -
- Sei solo uno sporco ladro, e un vile. Li hai uccisi senza dar loro la possibilità di difendersi, bruciati vivi, nel sonno… -
- Sai offendere molto bene, ma con le parole non si uccide la gente -
- Ma con una pistola sì – abbassai il cane, pronta a sparare.
- Mary Jane, non farlo! – mi gridò Buck.
- Vattene! È una faccenda che devo risolvere da sola -
- Sai, penso invece che ti converrebbe seguire il consiglio del tuo amichetto. Se non te ne sei accorta, noi siamo in due, mentre tu sei sola -
- Su questo punto avrei da ridire, Gerrard -
Teaspoon e Burnett erano dietro a Gerrard e Drew, le pistole puntate contro di loro. Perché si erano intromessi, era una faccenda mia personale, non li riguardava. La mano mi tremava, avrei sparato da un momento all’altro, era solo questione di secondi-
- Mary Jane, ascoltami – mi disse Buck, avvicinandosi – non risolveresti niente uccidendoli. Anzi, finiresti tu sul patibolo al posto loro. Dammi retta, abbassa la pistola e lasciali a Teaspoon, lui è la legge, li punirà come meritano. Avanti, dammi quell’arma -
Le lacrime presero a sgorgare senza che me ne rendessi conto. Che cosa stavo facendo, cosa avrei ottenuto con la vendetta, se non un cappio al collo e una caduta sorda. Guardai Buck, guardai nei suoi occhi, mi dicevano che lo stava facendo perché mi voleva bene, e io ne volevo a lui. La sua mano era tesa verso di me, aperta e pronta a prendere la pistola. Fu il mio cuore a guidare la mia mano, che mise la sicura alla pistola e la posò nella mano di Buck.
Teaspoon e Burnett ammanettarono Gerrard e Drew e li condussero verso l’ufficio dello sceriffo. Li vidi allontanarsi, anche se avevo gli occhi pieni di lacrime; però il mio cuore era più leggero, aveva seguito la sua legge, mi aveva detto che era meglio vivere per amare una persona, che morire perché se ne odiano due.
- Hai fatto la cosa giusta, Mary Jane, tuo padre ne sarebbe fiero – mi disse Buck, poi mi abbracciò e mi condusse verso la stazione.

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Capitolo 10
*** Faccia a faccia ***


10. Faccia a faccia

Pioveva ormai da qualche minuto quando arrivammo alla stazione, completamente bagnati. La mia pettinatura si era completamente disfatta e i miei capelli erano fradici. Tutti entrarono ad asciugarsi, ma io non volevo, mi vergognavo per quello che avevo fatto. Mi ero dimostrata impulsiva, senza un minimo di buon senso, cosa che tutti si sarebbero sicuramente aspettati che avessi, soprattutto Teaspoon, altrimenti non mi avrebbe aiutata a scoprire l’identità di Gerrard. Ero quasi decisa ad andarmene da Rock Creek, così, col tempo, tutti si sarebbero scordati di quello che era successo e tutto sarebbe tornato come prima. Rock Creek avrebbe dimenticato me, e io lei. Qualcuno però non voleva dimenticarmi, perché Buck non mi aveva mai lasciato la mano ed era rimasto con me, sotto la pioggia, ad aspettarmi.
- Non voglio entrare. Chissà cosa penseranno tutti quanto di me? Sono riuscita a perdere le uniche persone fidate che avevo trovato qui a Rock Creek, solo per un inutile rancore -
- No, non è vero. Capiranno il perché del tuo gesto. Io lo capisco. Quando hanno ucciso Ike anche io ero intenzionato ad uccidere il suo assassino. Ike era la mia famiglia, non mi aveva mai lasciato –
- Poi cosa hai fatto? –
- Mi sono limitato ad appenderlo su una buca piena di serpenti -
- Cosa farò adesso? Non ho dove andare, nessun parente da cui farmi ospitare, niente -
- Qui ci siamo noi, non sei sola, te l’ho detto -
- Lo so, ma non è così semplice… -
- Allora, volete entrare o preferite prendervi un accidente? -
Rachel era improvvisamente sbucata dalla porta, i capelli tutti arruffati a causa della pioggia.
- Su, avanti entrate! C’è una deliziosa tisana calda che ho preparato per tutti quanti -
Anche se ero ancora titubante, entrammo. Erano tutti intorno al caminetto, avvolti in pesanti coperte e con una tazza di tisana in mano. Rachel prese due coperte anche per noi e ci porse due tazze fumanti. Buck prese posto sul divano, mentre io rimasi in piedi a guardarmi intorno.
- Perché non ti siedi? – mi chiese Jesse.
- Ecco, io…-
- Guarda che c’è la poltrona libera. No, perché se non ti ci siedi tu, la prendo io – intervenne Cody.
- Io…mi dispiace – scoppiai a piangere, rischiando di far cadere la tazza. Rachel me la prese dalle mani e mi abbracciò.
- Non fare così, bambina. Avevi tutte le ragioni per odiare quelle persone, ma hai comunque dimostrato di essere ragionevole. Tutti quanti capiamo perché l’hai fatto -
- Qui dentro non c’è nessuno che non abbia provato la stessa cosa almeno una volta – disse Noah – Beh, forse Jesse, ma solo perché ha quattordici anni -
- Ehi! Guarda che sono abbastanza grande per odiare qualcuno. Vuoi forse essere il primo? -
- Mamma mia, ho il cuore in gola! – tutti iniziarono a ridere fragorosamente, compresa me. Ridevo e piangevo contemporaneamente. Sì, erano proprio speciali quei ragazzi, me lo avevano dimostrato per l’ennesima volta.
- Ora che Gerrard e Drew sono dietro le sbarre e che giustizia è fatta cosa farai, Mary Jane?– mi domandò Kid.
Non gli risposi, ma, improvvisamente capii che c’era ancora una cosa da fare. Avevo bisogno di parlare con Gerrard, chiarire una volta per tutte il motivo della morte dei miei genitori. Vendetta? Molto probabilmente sì, ma dovevo averne la certezza. Guardai i ragazzi, poi Rachel, poi ancora i ragazzi, quindi dissi solo due parole – Devo andare –
Lasciai cadere la coperta per terra e uscii precipitosamente dalla porta. Pioveva ancora e immediatamente mi ritrovai completamente bagnata. Dalla porta, Buck mi urlò – Mary Jane! Dove stai andando? –
- Devo parlare con quegli uomini! -
- Aspetta! Vengo con te -
- No! Devo farlo da sola -
Presi un cavallo di quelli legati nella stalla e mi diressi al galoppo verso l’ufficio dello sceriffo. Arrivai quasi subito, legai il cavallo e mi diressi verso la porta. Le luci erano accese, da fuori vedevo distintamente Burnett e Teaspoon che parlavano con i due che erano nella cella. Entrai lentamente, senza che si accorgessero della mia presenza, così potei ascoltare indisturbata i loro discorsi.
- Sai, Gerrard, dovresti prenderti un cavallo nuovo. Un cavallo albino è troppo appariscente, si nota a miglia di distanza. E poi, ti avevano già incastrato per questo motivo, perché non hai rimediato? – aveva appena chiesto Teaspoon con sottile ironia.
- Prendetevi pure gioco di me quanto volete sceriffo, ma se proprio volete saperlo, sono convinto del fatto che il cavallo sia l’animale più fidato dell’uomo, più del cane -
- Dici davvero? Però mi risulta che sia già la seconda volta che finisci dentro per colpa sua. Può darsi che il tuo cavallo sia l’eccezione che conferma la regola – rispose Burnett, ridendo. Poi Gerrard si accorse di me.
- Che c’è, principessina, vuoi di nuovo minacciarmi con una pistola? -
- Mary Jane, che ci fai qui? – mi chiese Teaspoon.
- Gli devo parlare, subito -
- Vai a casa, è quasi buio. Ci pensiamo poi domani, dopo esserci fatti tutti quanti una bella dormita -
- No! Voglio parlare con lui ora -
- D’accordo, ma prima devo controllare…-
- Sono disarmata, sceriffo, non posso fargli nulla -
- Sono anche costretto ad ascoltare la vostra conversazione, è mio dovere -
- Come volete -
Mi diressi, quindi, verso la cella dove stavano i due banditi. Drew stava sonnecchiando nell’angolo, quasi fosse naturale per lui essere in prigione. Gerrard era invece appoggiato alle sbarre e mi guardava da sottinsù con un ghigno malefico disegnato sulle labbra.
- Cosa vuole sapere la cara principessina dal lupo cattivo? Perché vuoi sapere qualcosa, non è vero? -
- Perché? -
- Perché cosa? -
- Perché li hai uccisi? -
- Perché volevo farlo -
- E avresti rischiato di finire sul patibolo per un capriccio? Non mi incanti, Gerrard, perché l’hai fatto? -
- Lo sai benissimo -
- Voglio saperlo da te -
- Sei sicura di volerlo sapere? -
- Dannazione, Reth Gerrard! Perché li hai uccisi? -
- Reth Gerrard? Io non sono Reth Gerrard -
- E allora chi sei? George Washington? -
- Ah, facciamo anche le spiritose! -
- Chi saresti allora, sentiamo -
- Sono Bruce Gerrard, fratello di Reth -
- Cosa volevi dalla mia famiglia? -
- Vendicarlo, è ovvio! -
- Stai seduto Gerrard! Vedi di calmare i bollenti spiriti – lo interruppe Teaspoon, vedendo che si era alzato di scatto e iniziava ad alzare la voce.
- Perché volevi vendicarlo? Cosa gli è successo? -
- Cosa vuoi che gli sia successo? È morto in prigione perché si era ammalato di tisi, ma non sarebbe successo se non fosse stato per quel dannato Watson -
- Che cosa ha fatto? -
- Allora vuoi sapere tutta la storia. D’accordo. Mio fratello, insieme alla sua banda, stava preparando il colpo della vita: rapinare la banca di Denver. Un bottino di centomila dollari che lo avrebbe reso celebre tra i ladri di tutta l’America. Era tutto pronto, avremmo dovuto agire di notte. Subito dopo la rapina saremmo partiti per il Messico, a goderci il bottino. Watson, però, ci era alle calcagna. Alla nostra insaputa aveva infiltrato un suo uomo, così era venuto a conoscenza dei dettagli del nostro piano e aveva potuto preparare la trappola. Era furbo, tuo padre, un bravo agente del governo, tanto bravo che riuscì a coglierci sul fatto. Ci fu una sparatoria, nella quale rimase uccisa una delle ragazze che lavorava al saloon. Alcuni agenti preferirono occuparsi di lei, così potemmo scappare. Watson però ci inseguì lo stesso, insieme a pochi altri, finché non arrivammo qui, a Rock Creek. Per noi non c’era più scampo, tutti gli sceriffi della zona ci avevano accerchiati. Cercammo di crearci una via di fuga sparando, tuo padre rimase ferito, ma ci presero lo stesso. Venimmo spediti tutti quanti nella prigione militare di Fort Laramie, dove ti trattano come il peggior pellerossa in circolazione. Dappertutto aleggiava un odore di urina e feci, mangiavi cibo ammuffito da giorni. Non ci volle molto perché Reth si ammalasse e morisse poco dopo.
Io venni poi liberato, ma non portavo rancore per nessuno, finché non scoprii che era stato John Watson a spedirci in quell’inferno a morire. Avrebbe potuto scegliere una semplice prigione governativa, invece ci aveva spedito a Fort Laramie, per concludere in bellezza il suo mandato, dicevano, o forse per vendicare il fatto che lo avessero esonerato dal suo incarico per la pallottola che si era preso nel petto e che lo aveva quasi ucciso. Bene, allora mi imposi che sarei stato io a concludere in bellezza la sua vita. Venni a sapere che stavi tornando da un viaggio, così pensai di toglierli l’unica sua ragione di vita, la sua principessa. Ma sei stato un osso troppo duro, mia cara, senza contare l’arrivo del tuo amico meticcio. Così passai al piano B, e ne uscì fuori il bel falò cui hai potuto assistere. Piaciuta la storia? Non sei pentita, ora, di non aver fatto fuoco? –
- No, la gente come te si merita di peggio. L’Inferno è il vostro luogo ideale, e magari lo è anche il mio -
Si alzò e avvicinò il suo viso alle sbarre – Vorrà dire che ci rincontreremo laggiù, principessa – e scoppiò in una fragorosa risata.

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Capitolo 11
*** Lasciapassare ***


11. Lasciapassare

Dopo la conversazione, Teaspoon mi riaccompagnò alla stazione. Per tutto il tragitto, anche se breve, ripensai alle parole di Gerrard. Erano state dure, ma mi avevano messo di fronte alla realtà: mio padre aveva sempre messo il lavoro prima di tutto, anche della vita e di quanto essa fosse importante. Non me ne ero mai accorta, ma, effettivamente, era così. Ricordai quando mi portava a vedere le esecuzioni pubbliche, mi spiegava perché quella gente moriva appesa per il collo, mi spiegava che quando si andava contro la legge si doveva morire. Quando mi diceva tutto questo, la sua voce era fiera, potente, perché per lui era giusto morire se non si rispettava la legge, non si poteva perdonare quella gente. Pendevo dalle sue labbra, per me tutto quello che diceva era giusto, perché lui era mio padre, lavorava per il governo, era sempre dalla parte dei buoni e contro i cattivi. Poi, quando era venuto il momento dell’esecuzione, mi copriva gli occhi con le mani, e io le sentivo irrigidirsi al momento dell’apertura della botola, come se non avessero aspettato altro. E dopo diceva sempre, con lo stesso tono di voce, fiero e possente – Giustizia è fatta –
Non ci avevo mai fatto caso, ma in quelle parole era nascosto tutto il cinismo di mio padre, che però era andato attenuandosi col passare degli anni, tanto che non era stato più considerato un buon funzionario. Forse era per questo motivo che mandò la banda di Gerrard al Fort Laramie, per dimostrare alla gente che era sempre lo stesso John Watson. Sì, perché per lui l’immagine era molto importante, non esitava a spendere delle fortune pur di essere sempre impeccabile nell’abbigliamento, e così doveva essere tutta la famiglia.
Ero l’unica bambina della scuola a vestirmi sempre con l’abito elegante, diverso di giorno in giorno, come se fossi una bambola di porcellana, con i capelli acconciati nelle maniere più strane. Ma per me era normale, erano gli altri ad essere diversi, anche se non ci badavo molto. Giocavo comunque coi miei compagni, anche se ero lasciata un po’ più in disparte. Ma non ci badavo più di tanto, l’importante era seguire la legge, mio padre lo diceva sempre.
Tutti i corrieri erano andati a dormire quando arrivai, e io feci altrettanto. Non ebbi il tempo di toccare il guanciale che subito caddi in un sonno profondo e senza sogni. Non i resi conto di quanto dormii, ma al mio risveglio un intenso profumo pervase le mie narici. Aprii gli occhi e vidi, sul comodino, un vassoio con dei biscotti e una tazza fumante di tisana, ma non solo: c’era anche un mazzo di fiori infilato nel manico della tazza. Erano semplici fiori di campagna, dei colori della prateria, ma mi rallegrarono. Bevvi velocemente la tisana e sgranocchiai qualche biscotto, poi mi vestii in fretta e furia. Volevo uscire, godermi la giornata, limpida e soleggiata dopo la pioggia del giorno prima.
Scesi di corsa le scale e uscii precipitosamente dalla porta, così precipitosamente che mi scontrai con Buck. Il mio caro Buck, mi era sempre stato vicino, mi aveva dato forza e serenità allo stesso tempo. Gli volevo bene, come non ne avevo mai voluto per nessun altro. Stava ridendo.
- Ehi! Attenta! -
- Oddio, scusami! Non ti avevo visto, io…-
- Dove vai così di fretta? -
- Ecco, a dire la verità non lo so, volevo solo uscire fuori, dove non era importante -
- Allora ti va di venire con me? Ti porto in un posto speciale -
- Perché no? -
- Fantastico! Andiamo -
Montammo a cavallo e prendemmo la strada che portava a Sweetwater. Cavalcavamo spediti, come se qualcuno ci fosse alle calcagna, gareggiando l’uno contro l’altra. Ogni tanto, presa dalla curiosità, gli chiedevo – Dove stiamo andando? – ma ricevevo sempre la stessa risposta – Vedrai –
Dopo un quarto d’ora di cavalcata svoltammo in un sentiero secondario che si immergeva in un piccolo boschetto; la strada era troppo stretta per passarci in due, così procedemmo una dietro l’altro, andando, stavolta, al passo.
- Ci siamo quasi. Vedrai, è un posto bellissimo – mi disse, entusiasta.
Passati pochi minuti, Buck si fermò.
- Eccoci, guarda che spettacolo -
Non credevo ai miei occhi: eravamo sulle rive di un piccolo laghetto, limpido alla luce del sole, nel quale si tuffava un parete ripidissima di roccia rossastra. Laddove l’acqua toccava la roccia si apriva una piccola grotta. Alzai gli occhi verso la cima della rupe, e mi resi conto che eravamo in fondo ad una gola.
- È bellissimo! -
- Ci vengo tutte le volte che ho un po’ di tempo libero. Poco più avanti, nel bosco, c’è una radura: è lì che abbiamo sepolto Ike -
- Doveva essere molto importante per te quel ragazzo -
- Era il mio fratello bianco. Ne ho anche uno tra i Kiowa, si chiama Orso Rosso. Ma Ike era un fratello diverso, riusciva sempre a dirti la cosa giusta al momento giusto, anche se era un po’ difficile capire quello che diceva, perché si esprimeva a gesti. Glieli avevo insegnati io, alla missione -
- Come vi siete conosciuti? -
- Gli altri ragazzi, un giorno, mi avevano accerchiato, mi deridevano e mi spingevano come se fosse un gioco normale, ma in realtà avevano altre intenzioni. Non sarei riuscito a difendermi da solo, erano in troppi. È venuto lui ad aiutarmi, li ha allontanati senza badare a chi stessero maltrattando. Da allora siamo rimasti inseparabili, e la cosa buffa è che lo siamo anche adesso -
- Non è buffo, tutti credono che coloro che non ci sono più ci rimangano comunque vicini, anch’io la penso così -
- Però è buffo il fatto che io venga a parlare con lui quando ne ho bisogno -
- No, se poi si rivela utile -
- Mary Jane, io vengo a parlare con un morto, che non può rispondere alle mie domande. L’ho sempre fatto ma solo ora mi accorgo di quanto sia ridicolo, di quanto io sia sembrato ridicolo agli altri -
- Non sempre le risposte sono fatte di parole. Anche un semplice silenzio aiuta a riflettere, come anche un semplice gesto. Ci sono cose che sono troppo difficili, a volte quasi impossibili da esprimere a parole -
- Per esempio? -
- I sentimenti. Esistono tantissimi modi per esprimerli, tutti complicatissimi da dire ad una persona, anche se all’apparenza sembrano semplici -
Rimase in silenzio a guardarmi, poi abbassò gli occhi a terra e prese a camminare verso la riva, quindi si voltò.
- Ma se riuscissimo a dire ad una persona quello che proviamo per lei, cosa significherebbe? -
- Forse, che quel sentimento è talmente forte da non poter essere nascosto -
Ritornò vicino a me e mi prese le mani. Il cuore mi batteva all’impazzata, come se avessi un grosso tamburo nel petto.
- Mary Jane, io…-
Ma non riuscì a finire la frase, perché subito uno sconosciuto lo colpì col calcio del fucile, prima alla testa e poi allo stomaco, facendolo cadere a terra, quasi privo di sensi.
- Buck! Ehi, cosa volete? Lasciatemi andare! -
Altri due mi avevano presa per le braccia, immobilizzandomi. Mi dimenavo, inutilmente, cercando di liberarmi, finché non sentii una voce conosciuta.
- Non ti agitare, principessa, non ti faremo del male se farai la brava -
- Gerrard! Brutto bas…-
- Via, via, dolcezza, questo non è un linguaggio adatto ad una signorina così beneducata. Ma a parte questo, ho il piacere di informarti che da questo momento farai parte della nostra piccola carovana. Sarai il mio lasciapassare per il Messico, principessa, non è allettante? -
Non potei rispondergli, mi avevano imbavagliato con un fazzoletto e legato le mani. Venni caricata a forza su un cavallo e legata alla sella, cosicché non potessi scappare durante il viaggio.
Prima di partire, mi voltai verso il lago; Buck era riverso a terra privo di conoscenza. Chissà dove sarei stata quando si sarebbe svegliato.

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Capitolo 12
*** Giustizia è fatta ***


12. Giustizia è fatta

Eravamo in viaggio da più di due ore, avevamo passato Sweetwater ed eravamo vicini a Pacific Springs. Non ci eravamo mai fermati, il fondoschiena mi faceva terribilmente male, i miei polsi erano pieni di piaghe a causa delle corde troppo strette e iniziavo a sentire i morsi della fame.
Ad ogni minimo rumore che sentivo mi voltavo, sperando che fosse qualcuno venuto a prendermi, ma puntualmente Gerrard vanificava le mie speranze – Non darti pena, principessina, nessuno ti troverà qui. E anche se il tuo amichetto mezzo indiano riuscisse ad avvertire qualcuno, sarà troppo tardi. Il Messico è ormai vicino –
- Già, ma non ci arriveremo mai se non ci fermiamo a mettere qualcosa sotto i denti e a far riposare i cavalli – aveva concluso uno dei banditi, l’ultima volta che Gerrard aveva detto così.
- Hai ragione, Stan. Ci fermiamo! Tirate giù la ragazza -
Mi fecero scendere dalla sella per legarmi nuovamente ad un albero lì vicino, quindi mi tolsero finalmente il fazzoletto dalla bocca. Gerrard si avvicinò e mi prese il mento tra le dita.
- Suvvia, non fare quella brutta faccia, sorridimi almeno una volta…Ouch! -
Gli avevo sferrato un calcio nelle gambe, facendolo cadere a terra.
- Non toccarmi mai più, lurido verme -
- Altrimenti cosa fai, principessa? Ti metti a piangere? Non puoi fare niente, non c’è più nessuno che ti possa salvare, neanche il tuo principe azzurro -
- Mica tanto azzurro, con quella faccia scura che si ritrova – rise Drew.
- Credevo fossi più educata, piccola. Per punizione non mangerai fino alla prossima sosta, così vedremo se hai ancora voglia di giocare col fuoco -
Era ormai chiaro che si trattava di una sfida tra Gerrard e me. Per il momento eravamo pari: io l’avevo atterrato, cogliendolo alla sprovvista, lui mi aveva tolto il rancio di mezzogiorno. Ma era solo la prima fase della guerra, e io non mi sarei mai arresa.
Dopo un pasto frugale e un piccolo momento di riposo, mi rimisero sulla sella, con bavaglio annesso, e riprendemmo il viaggio. Dopo altre tre ore di viaggio, iniziai a sentirmi male, mi girava la testa per il caldo e perché non avevo mangiato nulla. Il tizio che cavalcava davanti a me se ne accorse e lo comunicò a Gerrard – Capo, la ragazza si sente male, non sarà il caso di fermarci e farle mangiare qualcosa? –
- No, è tenace, resisterà fino a stasera. E poi, le lezioni si imparano anche soffrendo, non è così, principessa? -
La mia vista era annebbiata, ma distinsi bene il ghigno disegnato sulle sue labbra.
Resistetti ancora per un’ora, poi svenni e caddi da cavallo. Quando mi svegliai, era calata la sera ed io ero distesa a terra, mani e piedi legati, con il fazzoletto bagnato sulla fronte. Su di me era chinato Drew, con una borraccia in mano.
- Bevi, ti tirerà su -
Dentro la borraccia, infatti, non c’era acqua, ma whisky, un ottimo whisky, di quelli che si trovano solamente nel Wyoming. In pochi minuti mi sentii subito meglio, e Drew mi portò un pezzo di pane imbottito con carne affumicata. Me lo mise nelle mani, rimanendo a controllarmi mentre mangiavo. Poi mi accorsi con stupore che non c’era nessun altro a parte Drew e me.
- Dove sono finiti gli altri? -
- In giro a controllare che sia tutto tranquillo, non preoccuparti -
Di lì a poco ritornarono tutti quanti, compreso Gerrard, che subito si rivolse a Drew.
– Sembra tutto tranquillo, non abbiamo avvistato nessuno. La ragazza? -
- È lì che mangia, si è svegliata poco fa -
- Buongiorno, principessa. Ci hai fatto preoccupare, lo sai? -
- Allora perché non mi hai lasciato dove ero? Avresti avuto una preoccupazione in meno, non trovi? -
- Vedi, purtroppo sei un mio ostaggio, e gli ostaggi sono una merce preziosa, soprattutto alla frontiera -
- Solo Dio sa come hai fatto a scappare, ma credimi, la tua fuga non durerà ancora per molto. Lo sceriffo ti sarà sicuramente alle calcagna -
- Lo sceriffo? Non farmi ridere, se sapessi come sono uscito dalla cella non avresti più tanta fiducia nello sceriffo -
- In quanti modi potevi uscire? Sarà venuto qualcuno di questi tizi a liberarti, è ovvio -
- In effetti qualcuno è venuto, ma non è nessuno di loro. A dire il vero, non è neanche un uomo -
- E allora cosa? Un fantasma? -
- Beh, bianco come un fantasma lo era, ma non fluttuava nell’aria -
- Il cavallo! -
- Molto brava, principessina! L’ho sempre detto che i cavalli sono i migliori alleati di un uomo. Il mio è entrato nell’ufficio dello sceriffo quando c’era solamente quel buono a nulla di Burnett, lo ha messo fuori gioco e mi ha passato le chiavi della cella. Strabiliante, no? Ma ora basta chiacchiere, legatela all’albero e imbavagliatela, non ho voglia di dormire con la sua voce nelle orecchie -
Mi legarono ad un albero lì vicino, di nuovo imbavagliata, col fazzoletto ancora bagnato e che mi gocciolava addosso. Gerrard e la sua banda si accesero quindi un fuocherello più in là e si addormentarono in men che non si dica. Poco dopo, anche io feci lo stesso. Non dormii molto, ma fui svegliata improvvisamente da qualcuno che mi batteva sulla spalla sinistra. Mi voltai e urlai dalla sorpresa: lì a fianco c’era Jimmy che mi stava intimando di non fare rumore. Fortunatamente l’urlo non si era sentito grazie al fazzoletto, che Jimmy mi tolse subito dopo.
- Ehilà! Tutto a posto? –
- Tu che ne dici? -
- Che hai avuto momenti migliori. Fortunatamente Buck, prima di svenire, ha sentito che eravate diretti verso il Messico, così è venuto ad avvisarci e ti abbiamo raggiunto. Ci sono tutti quanti, anche Teaspoon e Burnett. E naturalmente Buck -
- È ferito? -
- Glielo chiederai tu stessa appena ti avrò slegato -
Con un coltello iniziò a tagliare la corda che avevo ai polsi, poi quella che mi legava le caviglie.
- Perfetto, andiamo -
Mi aiutò ad alzarmi, poi ci allontanammo con cautela, per non far rumore. Quando fummo abbastanza distanti, iniziammo a correre e arrivammo ad una radura, dove si erano appostati gli altri corrieri e Teaspoon.
- Meno male, ce l’avete fatta – sospirò Teaspoon – cominciavamo ad essere in pensiero, specialmente Buck -
- Mary Jane! – Buck si alzò di scatto e mi corse incontro.
- Buck! Stai bene? Sei ferito? -
- Sì, sto bene, solo un bernoccolo in testa. Tu? Ho cercato di fare prima possibile…-
- Sto bene, sono solo un po’ stanca -
- Oh, Mary Jane! – mi abbracciò forte.
- Sarà meglio partire, la notte ci aiuterà a nascondere le nostre tracce – intervenne Kid.
- Giusto, prima partiamo, meglio è – convenne Teaspoon.
- Già ve ne andate? Non volete farci un po’ di compagnia? -
Gerrard era sbucato dall’oscurità, la pistola puntata verso di noi.
- Principessa, non si fa così. Scappare nel bel mezzo della notte per raggiungere il principino, che poi tanto nobile non è, visto il suo sangue sporco -
- Meglio un sangue sporco che una coscienza -
- Adesso mi fai anche la morale? Con le parole non ti salvi la vita dolcezza -
Improvvisamente Buck mi prese la mano e me la infilò nella tasca del suo gilet. C’era una pistola, la mia pistola.
- Prendila, ti servirà. È carica -
- Forza, principessina, se vieni senza fare storie non torcerò loro neanche un capello, promesso – si avvicinò col braccio teso per prendermi, ma prima lo colpii al volto col manico della pistola, facendolo barcollare. Poi gliela puntai contro – Abbassate le pistole o lo riempio di piombo! – gridai agli altri banditi. Non volevo veramente minacciarli, solo creare quel minimo smarrimento che avrebbe cambiato lo status quo a nostro favore. Tutti i ragazzi, infatti, tirarono fuori le pistole, prendendo il controllo della situazione.
Ma Gerrard era un osso duro, non aveva intenzione di arrendersi. Mi afferrò il braccio armato con un movimento improvviso, mi disarmò e mi bloccò col suo, ma riuscii a liberarmi con una gomitata nella pancia e un calcio nelle parti basse. Nel frattempo tutt’attorno erano iniziati i combattimenti e le sparatorie.
La mia Colt era finita vicino ad un cespuglio, così iniziai a correre verso quel punto, ma Gerrard mi fece cadere a terra prendendomi la caviglia. La pistola era a un braccio da me, purtroppo un braccio più lungo del mio, perché arrivai solo a sfiorarla. Presi allora a scalciare, tentando di liberarmi dalla presa, e finalmente colpii il mio avversario in faccia. Ormai libera, striscia quel poco che bastava per raggiungere la pistola e la presi, ma non ebbi il tempo di girarmi che ricevetti un sonoro ceffone da Gerrard che mi fece nuovamente cadere. Sentii il sangue uscirmi dall’angolo del labbro e la guancia che sembrava in fiamme. Sopra di me c’era Gerrard con la pistola puntata.
- Non mi piacciono le principesse capricciose, anzi, mi hanno sempre irritato. Credo che ti ucciderò – ma non gli diedi il tempo di caricare la pistola che gliela tolsi di mano con un calcio dal basso e gliela mandai dritta nel fuoco. Così mi piombò addosso, deciso a prendersi la mia, ma io non mollavo la presa. Ricevetti altri schiaffi, sferrai altri calci e pugni, poi partì il colpo, dritto al cuore. Il sangue iniziò a gocciolare dalla ferita sul mio vestito, poi Gerrard mi cadde addosso, morto.
Me lo tolsi di dosso, inorridita, e mi tirai su a sedere. Guardai la mano che teneva la pistola, poi il corpo esanime di Gerrard, poi ancora la mano, quindi lasciai cadere la pistola e mi allontanai dal cadavere. Mi guardai intorno; quasi tutti i membri della banda erano stati sconfitti, chi ucciso, chi tenuto sotto tiro. Sembrava tutto finito.
- Alla fine è morto – sospirò Teaspoon, che si era avvicinato – Giustizia è fatta -
Lo guardai. Era la prima volta che sentivo quella frase pronunciata da una persona che non fosse mio padre, la prima volta che veniva detta con un tono così sommesso. Capii cosa stava pensando lo sceriffo: non voleva ammetterlo, ma, forse, l’unico modo per rendere innocuo Gerrard era ucciderlo.
- Non sono mai stato favorevole alla pena di morte, ma a volte è necessaria, come in questo caso -
- Non lo volevo uccidere, Teaspoon, mi stava addosso e poi…-
- Lo so, Mary Jane, lo so benissimo, è stata legittima difesa. Bene, adesso vado a sistemare il resto della banda. Su, alzati – mi tese la mano e mi aiutò ad alzarmi, quindi si diresse verso Cody, che teneva Drew sotto tiro.
Quanto a me, cercai Buck con lo sguardo; lo vidi seduto poco più in là, con una spalla sanguinante, e corsi verso di lui.
- Buck! Sei ferito! -
- Solo un graffio, nulla di grave. Tu stai bene? -
- Io sì, ma…- rivolsi lo sguardo al punto in cui giaceva Gerrard -…lui è morto -
- Allora è finita, finalmente. Puoi tornare a vivere serena -
- Così pare -
- Non ne sei convinta? Cos’altro potrebbe accaderti? -
- Non lo so, il fatto è che…ma ora non voglio pensarci, è molto più importante curare la tua ferita –
Gli fasciai la spalla come meglio potevo, ma, nel frattempo, nessuno dei due disse una parola.
Il cielo si stava schiarendo quando iniziammo il viaggio di ritorno. Nessuno parlò, tutti erano intenti a tenere d’occhio i prigionieri. Intanto io pensavo al mio futuro.
Era tutto finito, d’accordo, ma che certezze avevo per l’avvenire? Non avevo una casa, non avevo una famiglia, le uniche cose che possedevo erano la mia Colt e i vestiti che avevo comprato con Rachel, nient’altro. Cosa aveva Rock Creek da offrirmi, per ricominciare a vivere? Solo brutti ricordi. Allora pensai che, forse, la cosa migliore da fare era andarsene. Dove? Un posto l’avrei sicuramente trovato. Ricordai che a Pacific Springs cercavano una cameriera per il saloon, avrei potuto lavorare lì, o in qualche altro posto. Ma non a Rock Creek, ormai non era più la città perfetta.

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Capitolo 13
*** Un nuovo inizio ***


13. Un nuovo inizio

Arrivammo alla stazione che era ormai mattino inoltrato, e Rachel accolse tutti quanti con un abbraccio e una tisana calda per fare colazione. Nonostante ciò, la maggior parte dei ragazzi andò nel capanno a dormire, lasciando la propria tazza sul tavolo per quando si sarebbero svegliati. Teaspoon e Burnett pensarono invece ai banditi che avevano catturato durante la notte. Quanto a me, fui forse l’unica a bere la tisana prima di andare in camera mia, o meglio, quella che lo era stata fino a quel momento, perché era probabile che da quello stesso pomeriggio sarebbe ridiventata la camera degli eventuali ospiti, come me.
Ero talmente stanca che l’idea di addormentarmi un’ultima volta su quel letto mi allettava molto, ma probabilmente non sarei riuscita a prendere sonno; avrei invece pensato a tutto quello che mi era accaduto fino a quel momento, l’imboscata, l’incendio, il rapimento, tutto mi era successo in neanche una settimana, forse un record. In una sola settimana avevo perso tutto, la mia famiglia, la mia casa, le mie certezze. Quando ero arrivata, quel pomeriggio di settembre, ero sicurissima che non me ne sarei mai andata, che sarei rimasta a Rock Creek forse fino alla fine dei miei giorni. Ora, invece, il mio unico desiderio era andarmene da quella città piena di tristi ricordi. E forse era meglio iniziare a prepararsi.
Raccolsi quindi tutto ciò che mi apparteneva, poche cose, rispetto al numeroso bagaglio che possedevo quando arrivai, e iniziai ad infilarle in una piccola valigia che avevo trovato in camera. Poi qualcuno bussò – Avanti –
- Tutto bene, Mary Jane? Ma, cosa stai facendo? -
- Ecco, vedi Rachel, io avrei deciso di togliere il disturbo. Ho già creato abbastanza problemi in questa settimana. E poi non credo più che questa città sia il posto ideale per viverci. Non fraintendermi, tu e i ragazzi siete stati così gentili e così buoni con me, ma qui ho troppi ricordi che vorrei dimenticare -
- Ma se tu restassi, magari ti potremmo aiutare a superare le tue difficoltà. In fondo, ci si aiuta sempre tra amici, no? E comunque, qualcuno ci rimarrebbe molto male se tu te ne andassi, lo sai questo? -
- Già, non so se Buck capirà le mie ragioni…Ma io devo andare, non mi sento più a casa qui, a Rock Creek. Ho perso tutto quanto…-
- Ma hai trovato noi! -
- E questo è uno dei motivi che mi trattiene. Ma c’è qualcosa che mi dice che è giusto che me ne vada -
- Capisco, e d’altronde non sono io quella che ti potrebbe far cambiare idea, né nessun altro -
- Qui ho quasi finito, ora volevo andare ad affittare la diligenza. Se nel frattempo Buck ti chiede qualcosa, non dirgli niente, voglio poi parlargli di persona -
- Va bene -
Mi dispiaceva moltissimo per Rachel, mi era sempre stata vicina e ora la abbandonavo così su due piedi. Se fossi rimasta, però, sarei stata solo un peso per lei e per tutti quanti, e se c’era una cosa che odiavo era essere di peso a qualcuno. Chiusi la valigia e la posai a terra, quindi mi cambiai d’abito, perché avevo addosso ancora quello insanguinati di quella notte. Alla fine uscii di casa e, guardando attentamente che nessuno dei ragazzi fosse in circolazione, mi diressi verso la città.
Non avevo ancora voglia di dare spiegazioni, anche se tutti quanti dovevano averle, in special modo Buck . Lo sapevo che mi stavo comportando male con lui, ma era giusto che me ne andassi, non avevo più alcun motivo di stare a Rock Creek, e se ci fossi rimasta, non sarei mai stata felice.
Prenotai la diligenza che partiva alle quattro e che arrivava sino a Salt Lake City. Decisi quindi di andare da Teaspoon, per informarlo della mia decisione.
Era seduto nell’ufficio, con le gambe sulla scrivania e il cappello calato sugli occhi. Sembrava dormisse, così pensai che sarebbe stato meglio ripassare più tardi, ma mi sbagliai, perché subito mi chiamò – Come mai sei venuta a farmi visita? –
- Ma…non stavate dormendo? -
- Sono in grado di stare sveglio anche per una settimana intera. E comunque, basta col voi...-
- D’accordo -
- Allora, cosa volevi dirmi? -
- Beh, in effetti ero venuta a dirti che me ne vado. Oggi pomeriggio –
- Come te ne vai? Così presto? Così all’improvviso? –
- Sì, ecco, l’ho deciso mentre tornavamo. Questo posto non fa più per me –
- Ma la prima sera avevi detto che non te ne saresti andata per nulla al mondo! –
- Lo so, ma poi sono successe tante cose, che viste insieme mi hanno fatto capire che è meglio così –
- Buck lo sa già? –
- No, sta ancora dormendo, ma glielo dirò –
- Non sarà una bella notizia, ti vuole molto bene –
- Lo so, me lo ha dimostrato più volte –
- La prenderà molto male, ma non preoccuparti, capirà le tue ragioni –
- Lo spero. Buona giornata scer…volevo dire Teaspoon –
Prima di andarmene, alzai lo sguardo verso la cella. Era vuota.
- Burnett li ha portati a Fort Laramie, verranno giudicati là –
- Ma li metteranno in quella prigione? –
- Le condizioni di quel carcere sono state denunciate due anni fa. Ora è tutto diverso, vengono trattati meglio i prigionieri dei soldati. Non hai di che preoccuparti –
Dopo essere uscita, andai da Tompkins a prendere altre cose per il viaggio, quindi me ne tornai alla stazione per finire di preparare i bagagli. Non ero, però, ancora entrata che sentii la voce di Buck da lontano.
- Mary Jane, aspetta! –
- Buongiorno…dormito bene? – chiesi, indecisa su come iniziare il discorso.
- Come si dorme quando qualcuno ti russa nelle orecchie –
- Cody? –
- Indovinato! È senza speranza, ha delle abitudini animalesche innate. Tu come stai? –
- Meglio, non ho dormito molto, ma sto bene lo stesso –
- No che non stai bene, te lo leggo negli occhi. Non mentirmi –
- Vedi Buck, io… -
- C’è qualche problema? Hai bisogno d’aiuto? Avanti, parla –
- No, il fatto è che…che me ne vado –
- Perché? Non ti trovi bene qui con noi? –
- Non siete voi, è tutto quanto. Tutto quello che è successo…non posso più stare qui –
- Sì che puoi, noi non ti manderemmo mai via di nostra volontà –
- Non è per questo…pochi giorni fa sono morti i miei genitori, la casa è andata in fiamme e tutto il resto…sarebbe un incubo rimanere qui –
- Ma noi ti staremmo vicino e ti aiuteremmo, basta che ce lo chiedi –
- Buck, non posso sempre vivere sulle spalle degli altri –
- Non sarai mai di peso qui –
- Ti prego, non insistere, è già abbastanza difficile –
- Non te ne andare! –
- Devo farlo! –
- Nessuno ti obbliga! Ho capito, te ne vuoi andare –
- Mi farei solo del male a stare qui, non posso fare altro –
- Sì che puoi, se solo lo volessi. Ma tu non vuoi, non vuoi stare qui, con me. Come nessuno, del resto –
- Perché dici questo? Sai che non è vero –
- Invece lo è! Prima Kathleen, ora tu…ma cosa ho che non va? –
- Nulla, tu sei un ragazzo straordinario…-
- No, sono mezzo indiano, ho capito ora. È questo! Non sono adatto alle principesse dal sangue pulito come voi! -
- Buck, ma cosa stai dicendo? Questo non è vero…Aspetta! Non te ne andare! –
Ma ormai era salito a cavallo a si stava allontanando velocemente. Era stato più doloroso di quanto avessi previsto, ma avevo già deciso e non potevo tornare indietro. Salii in camera a finire di sistemare le mie cose, sperando di vedere dalla finestra Buck che tornava per salutarmi. Però non accadde.
Passai il resto della giornata sul davanzale a guardare verso l’orizzonte. Vidi i ragazzi che ad uno ad uno si svegliavano e venivano e sapere come stavo. Decisi che avrei annunciato la mia partenza durante il pranzo, quando erano tutti insieme, così da non ripetere sempre le mie motivazioni.
Quando venne l’ora, scesi e andai nel capanno a mangiare. Toccai appena il cibo che c’era nel piatto, quindi richiamai l’attenzione e feci l’annuncio. Immediatamente si sollevò un brusio di – No! – e di – Perché? – così spiegai tutto quanto, vedendo con piacere che i ragazzi non insistettero a farmi restare. Solo Cody mi rivolse una domanda – Ma è vero che, quando sei arrivata, hai ucciso un bandito sparandogli a trenta metri di distanza? –
- Sì, perché? –
- Scommetto che è stata solo fortuna, non riusciresti a rifarlo –
- Davvero, eh? Quanto ci scommetti? –
- 5$ che non ce la fai. Se vinci, te li darò io, altrimenti viceversa –
- Accetto la sfida –
Non male come ultimo saluto. Era comunque entusiasmante far sfigurare Cody davanti a tutti gli altri. Così salii in camera a prendere la Colt e subito riscesi. Era quasi tutto pronto: sullo steccato era stata posizionata una bottiglia, a trenta metri di distanza Cody stava disegnando con il piede una riga per terra.
- Sparerai da qui. Sono esattamente trenta metri –
- Molto bene –
Mi posizionai, presi la mira per qualche secondo e sparai. La bottiglia andò in mille pezzi che caddero a terra.
- Sono 5$, Cody –
- Non è possibile…aspetta, mi ero sbagliato, non erano trenta metri…te li manderò per posta, lo giuro –
Scoppiammo tutti a ridere, anche Cody, nonostante avesse perso la scommessa. Avrei sentito sicuramente la mancanza di quella strana famiglia, una volta partita.
Alle tre passate salii a prendere la mia valigia, quando Rachel mi raggiunse in camera.
- Vuoi che ti sistemi i capelli? –
- Sì, grazie Rachel –
- Hai parlato con Buck? –
- Sì, ma non l’ha presa bene, anzi, se n’è andato infuriato –
- Ci vuole tempo per lui. In fondo, è stato coinvolto in prima persona –
- Già –
- Ecco fatto. Sei bellissima. Ora è meglio andare, se no vuoi perdere la diligenza –
- D’accordo –
Tutti quanti erano sotto ad aspettarmi. Noah prese la valigia e insieme andammo verso la fermata della diligenza. Eravamo largamente in anticipo, ma questo ci avrebbe dato più tempo per gli addii. In questo modo, quando la diligenza arrivò, vi salii subito e partimmo. Diedi un ultimo saluto a tutti quanti dal finestrino: non li avrei più rivisti, mai più, nemmeno Buck. Le lacrime iniziarono a scendermi sulle guance, ma subito le asciugai: non era più il tempo di piangere, avevo pianto abbastanza.Mi sforzai quindi di dormire un po’, visto che la notte prima l’avevo passata in bianco, ma non ci riuscii, ero ancora in preda alla malinconia.
Pochi minuti dopo che eravamo partiti, la diligenza si fermò bruscamente, inclinandosi verso il lato destro.
- Che succede? – chiesi al conducente, che era appena sceso dal posto di guida.
- Dannazione! Si è rotta una ruota. È necessario cambiarla, quella di scorta è in uno scomparto sotto il sedile. Scusatemi, ma devo farvi scendere –
- Nessun problema. Posso essere d’aiuto in qualche modo? –
- Grazie, signorina, ma è roba da poco, non ci vorrà molto –
- D’accordo –
Scesi dalla carrozza e vidi che la ruota aveva due raggi completamente spezzati. Sospirai, sembrava che non me ne dovesse andare bene una in quel periodo; guardai quindi verso la strada. Mi sembrava un posto familiare, già visto poco tempo prima.
- Scusatemi, dove siamo? –
- Sulla strada per Sweetwater –
- Sweetwater…vi dispiace se prendo un cavallo e vado a fare un giro qui intorno? –
- Fate pure –
- Grazie –
Presi uno dei cavalli e iniziai a percorrere la strada in direzione di Sweetwater. Più andavo avanti, più mi convincevo che quella era la strada che portava poi al sentiero nel boschetto, e quindi al lago. Ne ebbi la certezza quando, finalmente, trovai l’imboccatura del sentiero. Svoltai così a sinistra e iniziai a percorrere il sentiero al galoppo, arrivando poco dopo al lago.
Era davvero un posto stupendo, come stupendo era anche il ricordo a lui legato. Un ricordo recente, ma che sembrava lontanissimo: io e Buck, occhi negli occhi, mano nella mano, il mio cuore che era come impazzito, il suo che mi stava dicendo qualcosa di importante, prima che venisse interrotto dai banditi. Ricordavo ancora le sue parole: Mary Jane io…. Lui cosa? Cosa voleva dirmi? Cos’era che non sapevo ancora di lui?
D’un tratto sentii qualcuno che arrivava dal sentiero, però dalla parte opposta a quella da cui ero venuta io. Mi voltai, stando bene attenta ad ogni singolo rumore o movimento. Mi sembrò che lo sconosciuto avesse rallentato il passo, evidentemente anche lui aveva capito di non essere solo. Arretrai, tenendo gli occhi sempre fissi sul boschetto. Vidi sbucare il muso di un cavallo, un cavallo che conoscevo, il suo cavallo, il cavallo di Buck.
- Buck? – sussurrai, non avendo la piena certezza che fosse lui. E invece, con mia grande gioia, lo era. Sbucò poco dopo dalla boscaglia, vidi le sue labbra pronunciare impercettibilmente il mio nome, i suoi occhi illuminarsi. Avrei voluto corrergli incontro, abbracciarlo forte, ma non ne ebbi la forza, non dopo quello che era successo prima, alla stazione. Rimasi così ferma dove ero, lo guardai scendere da cavallo e avvicinarsi lentamente a me, con sguardo interrogativo.
- Mary Jane, tu…che ci fai qui? –
- Ecco, si è rotta la ruota della diligenza, il conducente la sta riparando. Anzi, credo abbia finito, quindi è meglio che vada, non vorrei che mi lasciasse qui –
- No, aspetta –
- Per favore, devo andare. Mi ha fatto un grandissimo piacere rivederti, ma adesso devo proprio…-
- Ti ricordi quello che ti stavo dicendo qui, ieri mattina? –
- Sì –
- Puoi scendere solo per un secondo? –
Scesi da cavallo, e Buck mi prese subito le mani.
- Cosa ti stavo dicendo? –
- MI avevi chiesto cosa significava se qualcuno riusciva ad esprimere i propri sentimenti ad un’altra persona –
- E dopo? –
- Dopo non so, erano arrivati Gerrard e la sua banda e non avevi potuto finire. Mi stavi dicendo che tu…-
- Che ti amo! –
- Cosa? –
- Ti amo, Mary Jane, l’ho capito quella sera, prima che si rompesse la sedia a dondolo. Da allora non ho fatto altro che pensare a te. Volevo starti vicino, stringerti forte a me ogni istante. Non so più come fartelo capire, come dimostrartelo –
- Lo hai già fatto, più di una volta –
- Allora perché te ne vuoi andare da me? –
- Io non voglio andarmene da te, ma da tutto quello che mi è successo. Anzi, a dire la verità ora non so più cosa fare, perché…perché ti amo anch’io, Buck, ti amo da impazzire, ma non voglio più soffrire, non voglio più stare male come in questi giorni –
- Ora come ti senti? Cosa provi? –
- Io…sono felice, perché ti ho rivisto, per quello che mi hai detto, perché sei qui con me –
- E ci sarò sempre, se non partirai, se rimarrai a Rock Creek con me –
- Lo so –
- Allora? –
- Allora…devo andare a prendere i bagagli –
Mi strinse forte a sé e mi baciò. In quel momento mi chiesi come avessi fatto a non capire, come avessi potuto essere così ottusa e cieca. Ogni momento che ero con Buck, mi sembrava di essere in paradiso, sembrava che il resto del mondo non esistesse, che tutti i miei problemi fossero scomparsi. E lo stesso mi stava succedendo in quell’istante. Non pensavo a niente, mi ero completamente estraniata dal mondo. Però una cosa l’avevo pensata: non me ne sarei più andata, sarei rimasta sempre con Buck, finché ne avessi avuto la possibilità. Per me sarebbe stata una nuova vita, diversa dalla precedente, un nuovo inizio per ricominciare a vivere.

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