Two Weeks Notice

di Ryta Holmes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** .1. ***
Capitolo 2: *** .2. ***
Capitolo 3: *** .3. ***
Capitolo 4: *** .4. ***



Capitolo 1
*** .1. ***


Desclaimer: personaggi e trame non mi appartengono, sono di proprietà della BBC. Se lo fossero, vedrete i miei scleri in tv. Che peccato u_u

 
TWO WEEKS NOTICE
 
 
1.
 
Era già al suo terzo giro di scotch, quando quello era entrato nel locale. Non era ubriaco. I Pendragon non si ubriacano mai – o almeno questo era quello che credeva suo padre, visto che i Pendragon al college si ubriacavano eccome! – ma quella sera il terzo giro di scotch gli aveva sicuramente fatto abbassare un po’ le difese del pudore.
O forse era stato semplicemente quello a fargliele crollare, quando era entrato nel locale e lui aveva dato fondo al suo bicchiere. Capelli corti, nerissimi. Occhi di un azzurro così intenso da perdercisi dentro. Alto, magro. E in giacca e cravatta. Ok, descritto così pareva che fosse entrato il principe azzurro – perché diciamolo, se indossa una calzamaglia azzurra è gay quindi se sei gay ci puoi credere al principe azzurro – se non fosse stato per quel qualcos’altro che inspiegabilmente stonava e nello stesso tempo rendeva tutto più affascinante e terribilmente sexy. Perché quello aveva degli zigomi oscenamente sporgenti, delle orecchie ancora più oscenamente sporgenti e delle labbra che… beh. Delle signore labbra. Quella bocca così curiosamente disegnata dava il colpo di grazia a chi dopo il terzo giro di scotch fosse stato catturato improvvisamente da quella visione.
Arthur si godette l’entrata in scena di quell’uomo, le labbra contro il vetro del bicchiere curvate in un sorriso storto e compiaciuto, lo vide guardare forse in cerca di qualcuno fino in fondo alla sala e poi rinunciare e sedersi al bancone. Pochi metri e tre sgabelli a separarli.
“Vino rosso per me. Grazie.” Ordinò al barista che gli aveva rivolto l’attenzione.
“Quale preferisce?”
“Oh, faccia lei.”
Arthur continuò a studiarlo, mentre quello si accomodava meglio allo sgabello e lisciava con le mani la superficie del bancone. Aveva dita lunghe e affusolate, perfette per quel corpo e quella faccia dove tutto sporgeva – zigomi e… perdiana! Quelle orecchie da vicino sembravano ancora più enormi!
Si prese dell’altro tempo per osservare quello strano individuo sporgente, godendosi ogni secondo dei suoi movimenti tranquilli e ignari di essere fissato. Solo quando il barista portò il calice al tizio zigomuto, Arthur pensò bene di posare il bicchiere sul piano e sollevare quella stessa mano per catturare l’attenzione.
“Deke un altro giro per me. E poi, offro io quello che prende il signore.”
Quello, che gli aveva appena lanciato uno sguardo quando aveva richiamato il barista, si era poi voltato completamente verso di lui nel momento in cui aveva recepito le sue parole. Arthur lo accolse con la migliore faccia da schiaffi che aveva in repertorio, quella con cui di solito rimorchiava in circa trenta secondi. Quella con cui riempiva spesso le sue serate solitarie di divertimento. Quella che lui si vantava tra gli amici e che questi invidiavano per quanto acchiappasse. Quella che… sì, insomma. Quella.
Avrebbe potuto continuare  ad elogiare la sua faccia da schiaffi per ore – lui ne andava così fiero! – ma al momento le sue risicate facoltà intellettive – tutta colpa dello scotch – dovevano concentrarsi sul tentativo migliore di approccio per accalappiare quella sera.
Aspettò che il barista gli porgesse il nuovo bicchiere di scotch, poi lo prese con una mano e lo sollevò agitandolo in direzione dell’affascinante e zigomuto sconosciuto. Brindò in silenzio, lasciando che il suo sguardo e i suoi gesti parlassero per lui e colpissero l’altro.
L’altro intanto, era rimasto dapprima leggermente sorpreso dal gesto. Poi aveva risposto con un sorriso cortese e aveva ricambiato il brindisi col suo calice di vino. Dopo di che lo aveva nuovamente ignorato, portando il bicchiere alle labbra e pensando ai fatti suoi.
Arthur si perse alcuni istanti ad osservare quelle labbra che sfioravano il vetro del calice e una serie di cose sporche gli attraversò il cervello ma poi si riscosse – doveva rimanere lucido, santo cielo!
Quello era un tipo difficile, lo si vedeva. Un altro avrebbe già approfittato del gesto del brindisi per farsi più vicino e presentarsi. Ma quello no. Quello se ne stava lì ad ignorarlo dopo che lui gli aveva persino offerto da bere. Ok… non poteva arrendersi così, aveva ancora tanti assi nella manica.
“E’ un’ottima scelta, sa?”
Quello si voltò ancora a guardarlo distrattamente. Quando si accorse che parlava con lui – è chiaro! E con chi se no?! – allargò gli occhi con aria stupita. “Come prego?”
“Parlo del vino.” Arthur accompagnò la spiegazione ad un gesto della mano che reggeva il bicchiere. Il liquido ambrato all’interno ondeggiò senza uscire fuori. “Le hanno dato il migliore. Non so se è già venuto altre volte qui ma io che lo frequento da anni posso assicurarle che non c’è posto in tutta Londra dove si beve il vino migliore.”
Il tizio zigomuto assentì in silenzio. Ricambiò con un altro sorriso cortese e poi sollevò il suo calice. “Grazie. Lo terrò presente.”
Arthur sollevò un angolo della bocca, indispettito e accompagnò il cambio di espressione con uno sbuffo. Con una cordialità ai limiti dell’ipocrisia, quel tizio dagli zigomi e dalle orecchie indecenti lo aveva di nuovo ignorato.
Ma lui non si dava per vinto.
Si alzò in piedi e si fece più avanti, posando la mano libera sul cuscino del primo sgabello che li separava, poi si piegò in avanti e questa volta lo scotch dentro al bicchiere si rovesciò. Alcune gocce volarono sul pavimento senza che lui se ne accorgesse.
“Senta, che ne dice se-“
“Ohhh ma andiamo!” lo interruppe lo conosciuto. Ad Arthur sembrò che una musica soave stridesse all’improvviso per poi interrompersi. Lo sconosciuto intanto, si voltò verso di lui e sulla faccia gli comparve un sorrisetto che ad Arthur sembrò tanto un ghigno divertito – c’è davvero malizia in quel volto?? Verso di me?! – “Guardi è inutile che ci provi con me, tanto non è il mio tipo.” Poi scoppiò a ridere.
E Arthur si sentì un idiota. Un perfetto idiota.
Restò in silenzio a bocca semi aperta, mentre quello continuava a ridere, agguantava il bicchiere e scendeva dallo sgabello. In lontananza sentì alcune voci allegre che entravano dalla porta, riempiendo il locale.
“Credeva davvero di  fare colpo con la storia del vino e tutto quel fare da figo?” rise ancora e poi sollevò il calice in un brindisi che ad Arthur parve molto ironico. “Ai tipi come lei… e ai poveri idioti che cascano alle sue moine!”
Il colpo di grazia. Lo sconosciuto indecente e zigomuto gli diede le spalle e se ne andò a salutare i suoi amici appena arrivati.
Arthur era rimasto seccato sul posto. Il bicchiere ancora tra le dita, la bocca dischiusa e gli occhi puntati sulle spalle – ok per un attimo erano pure caduti sul sedere ma poi erano risaliti su immediatamente: ormai era una questione di orgoglio!- del tizio sfacciato.
Quando si rese conto che era da alcuni minuti fermo in quella posizione e che Deke il barista lo stava chiamando ridacchiando – quell’infame aveva assistito a tutta la scena, accidenti a lui! – si scosse e bevve tutto d’un fiato quello che rimaneva dello scotch.
Strinse i denti quando l’alcool gli bruciò la gola, poi posò poco delicatamente il bicchiere sul bancone e rivolse uno sguardo furioso al barista che a quel punto preferì tacere.
“Io vado. Metti tutto sul mio conto.”
Uscì dal locale velocemente, il vento primaverile a circondarlo e poi a portarlo via.
 
Continua…


 
Ehilààà! So bene che non dovrei iniziare una storia nuova mentre ne ho un’altra ancora da finire ma è più forte di me. Avevo voglio di scrivere qualcosa di leggero e certe immagini postate da Emrys, Asfodelo e Lunaris hanno messo in moto il mio cervellino. Vi odio u_u sappiatelo. Ma vi dedico anche questa storia visto che me l’avete ispirata! :P
Non ho mai scritto qualcosa di simile, direi che fosse ora di cimentarmi un una AU vera e propria! =) Il titolo è quello di un famoso film con Sandra Bullok e Hugh Grant, il perché lo saprete presto :D 
Sarei molto curiosa di sapere cosa ne pensate, davvero! Spero mi lasciate un commento!!
Detto questo baci a tutti!
Ryta

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Capitolo 2
*** .2. ***


Desclaimer: personaggi e trame non mi appartengono, sono di proprietà della BBC. Se lo fossero, vedrete i miei scleri in tv. Che peccato u_u


 
TWO WEEKS NOTICE
 
 
2.

Da quant’è che rideva? Lo sapeva, lo sapeva benissimo che non avrebbe dovuto confidarsi con quell’idiota.
Sul serio, sa quant’è che rideva di lui?
“Perdonam-hahahaha… davvero Arthur hahaha non riesco a fermarmi! Hahahaha!”
Quella mattina, arrivati in ufficio, Arthur aveva incontrato il suo migliore amico Gwaine e come sempre da dieci anni a quella parte, si era confidato con lui. E come sempre da dieci anni a quella parte, Arthur si era pentito di averlo fatto.
Ora meditava seriamente di interrompere quello scoppio di risate con un pugno. Ma non sarebbe stato carino, in fondo Gwaine era il suo migliore amico, lo conosceva dai tempi del college e molto ma molto in fondo… proprio in fondo… gli voleva bene. L’affetto che si prova solitamente per un fratello e che quindi implica anche momenti di odio puro e viscerale. Come in quel momento.
Lasciò dunque che i sentimenti negativi fossero emanati dalla sua aria corrucciata, dagli occhi assottigliati e dalle labbra piegate in un broncio indispettito. Sperò che quella faccia comunicasse a Gwaine di smetterla ma l’altro lo guardò e continuò a ridere, agitando anche una mano.
“Ahhhh Arthur! Hahaha non mi guardare con quella faccia!” Gwaine lo aveva liquidato senza spaventarsi e Arthur si chiese cosa non andasse improvvisamente in lui. In meno di 24 ore, le sue espressioni avevano smesso di funzionare. Già la sua faccia da schiaffi la sera prima aveva toppato, ora persino quella cattiva non funzionava più?!
Giusto, quando mai con Gwaine aveva funzionato? D’altronde non era servita sin dal primo giorno di college quando aveva scoperto che era lui il suo compagno di stanza e senza mezzi termini si era impossessato del letto vicino alla finestra. Quando Arthur indignato – lui pretendeva di dormire vicino alla finestra! – lo aveva minacciato con lo sguardo, Gwaine aveva fatto spallucce e gli aveva mostrato il suo sorriso da cazzone strafottente.
“Starai più caldo vicino alla porta!”
Quindi perché mai, adesso l’espressione più cattiva di Arthur avrebbe dovuto funzionare con Gwaine?
Arthur cacciò un lungo sospiro, portandosi due dita sugli occhi. Se la faccia cattiva non funzionava, allora avrebbe usato quella melodrammatica che almeno ogni tanto con lui sortiva l’effetto sperato.
“Ok-mph… ok… giuro che la smett-mph-la smetto.”
Bingo.
Arthur lo guardò adesso, in attesa di un commento più intelligente ma Gwaine non era in vena quella mattina di sembrare erudito, per cui gli regalò un sorriso storto e lo canzonò ancora un poco.
“Scusami, amico. Ma davvero, mi fa troppo ridere. Non credo ti sia mai successa una cosa simile, per cui immaginarmi la tua faccia è…. Notipregosenotornoaridereeeee….”
“Ho capito, ho capito!” lo interruppe Arthur prima che tornasse davvero la ridarella. E in fondo Gwaine aveva ragione. Non era mai successo che un uomo gli rifilasse un due di picche in quel barbaro modo. Mai. Dal giorno in cui aveva capito che preferiva le api ai fiori – tanto per parafrasare, visto che era successo quando era davvero molto giovane – bene o male era sempre riuscito nel suo intento, quando decideva di corteggiare qualcuno. Era capitato a volte di non cuccare, certo, ma succedeva magari perché erano fidanzati… e li aveva visti, poi andarsene quasi dispiaciuti del fatto di essere impegnati! Ovvio, con un pezzo di manzo come lui! Era gay, ma nulla si poteva dire sulla sua dirompente virilità che lui ostentava sfacciatamente senza alcuna remora.
E in qualche modo perverso – ma molto molto perverso – poteva anche capire le risate di Gwaine. Perché avrebbe voluto anche lui vedere la sua faccia quando quel tizio zigomuto – che ora alla luce del sole e senza alcool in corpo, Arthur non ricordava nemmeno poi tanto bello! – lo aveva scaricato in quel modo così spietato.
Gli aveva riso in faccia. A lui, per la miseria. Gli aveva riso in faccia e gli aveva mostrato il sedere – un bel sedere sicuramente… Arthur! Hai una dignità! – e se n’era andato a salutare i suoi amici.
“Mi ha detto che non ero il suo tipo. Ok ma poteva anche farlo in maniera più gentile…” ponderò mentre quell’idiota di Gwaine restava zitto, quasi sicuramente per ingoiare le risate che ancora premevano per uscire. “Però diamine!” Arthur sbatté il pugno sulla scrivania del suo ufficio, dove si erano rifugiati per chiacchierare. “Come potrei non essere il tipo di qualcuno?! Insomma, guardami!”
Gwaine agitò una mano come a non dare peso al discorso. “Ah, ma che vuoi che ne sappia io? Lo sai che preferisco le tette!”
Arthur sollevò un sopracciglio. “Guarda che ci sono anche tanti uomini con le tette.” Gli fece presente candidamente, provocando una sgradevole reazione da parte dell’amico. Gwaine infatti, spalancò la bocca disgustato e si alzò in piedi dalla poltrona su cui era seduto.
“Ma che schifo, Arthur! Come puoi pensare che… ma che schifo!” rabbrividì come una drama queen, poi si spazzolò la giacca e si sistemò la cravatta. La tenuta dell’ufficio doveva sempre essere impeccabile. “Bene. E dopo queste immagini orrende che mi hai regalato, direi che posso tornarmene nel mio loculo.”
Fece per andarsene, quando Arthur lo richiamò. “Gwaine… hai un ufficio grande quanto il mio che è pieno di finestre.” Gli fece notare ancora, con pazienza.
L’amico per risposta gli rivolse uno dei suoi migliori sorrisi storti. “Lo so! Era per non vantarmi, non sono mica Arthur Pendragon, io!” lo canzonò dirigendosi verso la porta.
“Ma io non mi vanto!” replicò piccato il diretto interessato, una piccola parte di sé – ma proprio piccola, sia chiaro! – poco convinta di ciò che affermava.
“Ha ha, sì certo, come no. Ah! Signor, amministratore delegato!” lo richiamò. Arthur sorrise inconsciamente nel sentirsi chiamare in quel modo.
“Sììì?”
E Gwaine lo indicò. “Ecco! Visto? Non riesci neanche a fingere! Piuttosto, ci vediamo dopo in riunione, oggi ci presentano il genio del marketing che ci farà da consulente.”
“Sì, lo so. Vedremo se questo tizio saprà aiutarci…” ponderò, ignorando completamente le accuse dell’amico sulla sua vanteria.
“Beh, le premesse sono buone! Pare che nell’ambiente sia conosciuto come Il Mago!” si allontanò salutando con la mano e poco dopo Arthur lo sentì rivolgere un saluto alla sua segretaria.
“Signor Gavin! La smetta di guardarmi il decolté!”
Arthur scosse il capo. Era irrecuperabile.
Sospirò distendendo la schiena contro la poltrona girevole dietro la sua scrivania e si guardò intorno. L’ufficio era grande esattamente come aveva detto a Gwaine. E ben arredato: librerie in legno alle pareti, una grande scrivania, divani in pelle in un angolo vicino alle finestre per i momenti di relax e poi la sua adorata poltrona girevole. Quella dove lui passava ormai da un anno i giorni della sua vita.
Arthur era un amministratore delegato della società creata da suo padre, certo. Ma era un amministratore che si sudava il proprio lavoro e soprattutto si era sudata tutta la gavetta. Non aveva iniziato già dai piani alti, Arthur Pendragon, no. Lui aveva iniziato come tutti, smistando la posta; si era fatto assumere al reparto più basso e poi lentamente si era guadagnato ogni promozione lavorando sodo. Era ovvio che un giorno o l’altro avrebbe ereditato le redini dell’azienda paterna  - e di questo si riteneva anche molto fortunato, dato che non tutti nascevano figli di un magnate dell’economia londinese – ma per lo meno si era fatto conoscere dai suoi futuri dipendenti e aveva fatto strada come chiunque avrebbe potuto lì dentro.
Ora da appena un anno, era diventato uno degli amministratori dell’azienda. A capo c’era ancora suo padre, per inteso. Lui infatti, stava ancora imparando il difficile lavoro del comando e non nascondeva il fatto che a giorni, rimpiangeva con nostalgia i bei tempi in cui le sue mansioni erano controllare i destinatari della posta dei dipendenti e consegnarli ai diretti interessati.
Dato che l’azienda era una multi società che produceva sia beni che servizi, suo padre gli aveva assegnato un settore. Quello degli alimentari. Anzi, quello degli alimentari in crisi, per essere precisi.
Arthur si era ritrovato tra le mani un intero distretto di produzione che negli anni aveva registrato un calo sempre maggiore di ricavi, fino a raggiungere l’affondo fatale negli ultimi dodici mesi. Così suo padre l’aveva messo alla prova, invece di chiudere definitivamente con la produzione e specializzarsi solo nei servizi finanziari, là dove erano considerati tra i numeri uno, aveva consegnato tutto nelle mani di suo figlio con un “Pensaci tu”.
Pensaci tu un par di palle! Si era ripetuto spesso in quei mesi. La produzione era al tracollo e cosa ancora peggiore era che non riuscivano a capire il perché. Prodotti che avevano sempre venduto e che in anni avevano fidelizzato sempre più clientela, di botto avevano smesso di essere comprati.
C’era un team di marketing che lavorava in azienda e che aveva pensato di aver capito quale fosse il problema. Il risultato era stato che avevano investito un sacco di soldi in una nuova campagna… che poi era finita ancora prima di iniziare. All’improvviso, poco prima del lancio, si erano accorti che qualcosa non andava. Arthur alla fine, era stato costretto a licenziarli: avevano fatto perdere all’azienda migliaia e migliaia di sterline, per cui si era ritrovato a fare la parte del cattivo dopo nemmeno un anno che era diventato il capo.
Ora il capo, aveva chiesto ai suoi collaboratori – tra cui c’era il fidato Gwaine, che si era portato dietro dalla facoltà di economia – di cercargli il meglio del meglio, per capire una volta per tutte cosa diavolo non andasse in quel settore e per porvi rimedio.
E i suoi collaboratori gli avevano trovato questo… Mago. Il genio del marketing.
Perfetto. Di meglio non poteva sperare dopotutto, no?
Quando vide che l’orario della riunione era quasi arrivato, si avviò nella sala dedicata, senza portarsi niente dietro. Quella mattina dovevano soltanto accogliere il nuovo arrivato, conoscerlo, spiegargli a grandi linee di cosa si sarebbe dovuto occupare e poi accompagnarlo nel suo ufficio dove avrebbe trovato tutto il materiale su cui studiare.
Quando aprì la porta a vetri  della sala riunioni non c’era nessuno, perciò si prese la briga di accendere l’aeratore perché l’aria era irrespirabile. Borbottò perché quel lavoro dovevano farlo le segretarie che affollavano il piano ma chissà come mai, nessuna mai ci pensava.
Lasciò andare il telecomando sul grande tavolo rotondo al centro della sala, proprio mentre sentiva delle voci che all’apertura della porta riempirono la stanza.
“Ora ti presentiamo il capo! Vedrai, ti troverai bene qui.” Era Gwaine che sicuramente accompagnava il nuovo arrivato. Prese quindi un respiro e si voltò assumendo la sua faccia più professionale.
Durò circa tre secondi. La faccia professionale. Poi lasciò il posto ad un’altra, quella stupida… o stupita, che dir si voglia. Il bello fu che il nuovo arrivato gli stava mostrando la medesima espressione stupida… o stupita. Sì, insomma, quella lì.
Capelli neri, occhi azzurri. Giacca, cravatta e un velo di barba. E soprattutto zigomi sporgenti e orecchie da parabola digitale.
“Arthur, ti presento il Mago del marketing.”
Arthur si riscosse immediatamente, porgendo la mano all’uomo che di colpo si mostrò in evidente imbarazzo. Cosa che non sfuggì al nuovo capo, che si godette quel disagio con sadico piacere. Strinse tuttavia la mano al Mago del marketing e sorrise sornione, trasmettendo con quel gesto taaaanti sottointesi.
“Si chiama Merlin.” Aggiunse Gwaine intanto, ignaro di tutto. Ohhh se l’amico avesse saputo, come minimo sarebbe scoppiato a ridere in faccia anche al nuovo arrivato!
Tuttavia Arthur non ebbe tempo per immaginarsi la scena, perché quando recepì il nome del Genio zigomuto – che intanto lo guardava con tanto d’occhi manco avesse visto Lord Voldemort – aggrottò le sopracciglia e restò fermo nell’atto di stringere la mano.
“Sta’ scherzando?”
Solo allora il Genio si riscosse, scrollò le spalle e assieme anche la mano che Arthur ancora stringeva, in un saluto deciso. “Certo che no! Molto piacere. Mi chiamo Merlin Emrys.”
“Visto che coincidenza? Quale migliore consigliere poteva avere Arthur Pendragon se non  Merlin il mago del marketing?” Gwaine era più gioviale che mai, decisamente quella storia lo divertiva.
Arthur aveva allora incrociato le braccia e l’aria sorniona era tornata a dipingergli il volto. Non aveva mai smesso nel frattempo, di osservare il nuovo arrivato, come se in quel modo volesse continuare a prenderlo in giro e a godere della grossa gaffe che ovviamente aveva fatto con lui la sera prima.
“Giusto. Che bella coincidenza!”
Quando anche tutti gli altri collaboratori erano entrati nella sala, la riunione iniziò. Merlin, ignorando Arthur e dedicandogli attenzione il meno possibile, parlò di sé e dei suoi precedenti lavori. A quanto pareva, il Mago del marketing aveva salvato le cosiddette chiappe a diverse aziende, prima di loro e qui era pronto a dare il meglio di sé. Perché ogni nuova collaborazione era una sfida e lui di solito le vinceva tutte.
Dopo diverso altro blablare, Arthur era già stufo. Ok, il Genio si era presentato, salverà l’azienda e il mondo intero e forse anche i pianeti vicini e se ci sarà un attacco alieno, manderanno lui a parlare coi mostriciattoli e a convincerli ad andarsene. I suoi collaboratori si sperticavano in complimenti, già convinti di volerselo ingraziare – pfiù! Come se ne fossero capaci! Se non c’era riuscito lui… - e intanto restava zitto ad osservarlo.
Ok, l’orgoglio aveva elaborato quella notte e non era vera la storia che era più brutto di come se lo ricordava, anzi. La luce del sole che filtrava dalle finestre, riluceva in quelle pupille azzurre rendendole ancora più profonde e brillanti. E quegli zigomi… santo cielo, ci voleva il porto d’armi per quella roba. E anche un permesso per carichi pesanti per quelle orecchie.
Mentre ancora si chiedeva se per caso non prendessero Sky, tutti si alzarono, segno che la riunione era finita. Uno dei suoi collaboratori si offrì di accompagnarlo nell’ufficio che avrebbe occupato nelle prossime settimane di lavoro. Gli altri furono congedati dallo stesso Arthur e poco dopo restarono in sala soltanto lui e Gwaine.
“Senti un po’…” aveva iniziato l’amico, il tono di voce insinuante che gli graffiò le orecchie.
“Che vuoi?”
“L’hai guardato per tutta la riunione un po’ come io guardo la tua segretaria. Che non me la dà, tra parentesi.”
“Appunto…” gli sfuggì Arthur senza pensarci. Poi se ne pentì, più o meno quando Gwaine assottigliò gli occhi scuri e lo fissò avido di sapere.
E a quel punto tanto valeva… “E’ lui.”
“Lui chi.” Rispose Gwaine pronto, facendosi più vicino, quasi come se in quel modo potesse leggergli le risposte sulla faccia.
“Lui lui! Quello che ieri sera mi ha dato buca!”
Silenzio. Cinque secondi di silenzio, nei quali Gwaine aveva guardato Arthur e Arthur Gwaine. Poi l’amico infame era esploso in un colpo di tosse. No, non era un colpo di tosse, era una risata. Una grossa, grassa risata.
“Gwaine!”
“Non ci credooooo! Hahahaha ecco perché ti guardava così spaventato! Hahaha! Oddio mi fai morireeeee!”
“Bene! Spero ti ci soffocherai in quella risata!” gli augurò completamente piccato. Non attese risposta, anche perché l’amico non era al momento in grado di parlargli normalmente. Uscì dalla sala, sbuffando innervosito e si chiuse velocemente la porta alle spalle con l’intento di allontanarsi presto dalle risate di Gwaine.
Ma perché era l’unico a riuscire a metterlo in imbarazzo in quel modo? Perdiana! Prima o poi quel pugno che si tratteneva dal primo giorno di college glielo avrebbe dato!
Cercò di calmarsi e di ricomporsi nel solito Arthur tutto d’un pezzo che sfoggiava al lavoro. Quindi si avviò verso il suo ufficio ma all’ultimo momento, decise di fare una deviazione. Dopo aver visto il collaboratore che aveva prima accompagnato Merlin, tornare alle sue occupazioni, ebbe l’illuminante idea di andare a torturare un poco il nuovo arrivato.
In fondo doveva ancora prendersi tutta la sua vendetta!
Quando si affacciò oltre la porta dell’ufficio di marketing, non fece in tempo a palesare con la voce la sua presenza, perché all’interno si svolgeva la scenetta più divertente che gli fosse mai capitata sotto gli occhi.
Il Genio era abbandonato sulla sedia girevole, la testa sul piano della scrivania, che si alzava e si abbassava ed ogni volta cozzava con un rumore sordo contro il legno.
“E’. Il tuo. Capo.” Sbong. Sbong. Sbong. Ogni parola era accompagnata da una testata. “Hai dato. Un. Due. Di picche. Al tuo. Capo.” Sbong. Sbong. Sbong. Sbong. Sbong. Sbong.
Arthur appoggiò un braccio allo stipite della porta, il sorriso divertito, mentre continuava a godersi quella scena che avrebbe certamente soffocato Gwaine per le risate. E parlava sul serio.
Lasciò sadicamente che il Genio battesse la testa qualche altra volta borbottando improperi contro se stesso. “Sei. Un. Idiota.” Boing. Boing. Boing.
“Sono d’accordo.” Disse infine, tossicchiando.
Quando il Genio alzò la faccia dalla scrivania e vide lui, fermo davanti alla porta, con il gomito sullo stipite e le gambe incrociate, balzò in piedi di scatto e sollevò il capo con una dignità invidiabile per uno appena beccato a dare craniate su una scrivania.
“Signor Pendragon, credo sia il caso di doverle le mie scuse per il comportamento di ieri sera.” Proferì solenne. Peccato per quel bozzo rosso sulla fronte che rendeva tutto un po’ ridicolo.
Arthur si trattenne dal ridere. Ora sapeva di avere lui il coltello dalla parte del manico. Il Genio gli porgeva le scuse e ora come minimo, avrebbe anche accettato le sue avance.
Bene. Forse quella storia poteva avere un lieto fine. Per lui.
“Scuse accettate, Emrys.” Consentì, il sorriso sornione che non abbandonava però il suo volto. Ora più che mai voleva attaccare bottone con quegli zigomi. E con tutto quello che c’era intorno, certo.
“Non potevi certo sapere che sarei stato il tuo capo.”
“No infatti.”
“Altrimenti, non mi avresti di certo dato buca.”
“No, nient’affatto!”
“Come?” La musichina della sera prima, quella soave che poi strideva. Sì, quella. Gemette di nuovo. Forse doveva andare da un otorino… o da un neurologo… o da uno psichiatra. “Come prego?”
“Le avrei dato buca comunque.” Sorrise cortese il Genio… del male. “Solo che sarei stato più gentile.”
Arthur rimase zitto a fissarlo. Sul serio, gli mancavano le parole. Quel tizio sempre più sfacciato, gli sorrideva ora, sfidandolo tuttavia con lo sguardo.
“Ti licenzio.” Gli venne quindi spontaneo, fargli presente.
E il Genio del male – perché altri non poteva essere – se possibile rese ancora più ipocrita quel sorriso. “E io la denuncio per molestie sessuali.”
Arthur spalancò la bocca indignato. “Bene.” Proferì, muovendosi incomodo sui suoi stessi piedi. “Bene.” Ripeté. Lanciò all’altro lo sguardo più cattivo che conoscesse – quello che con Gwaine non funzionava, per intenderci – e poi parlò. “Per domani voglio pronto il tuo rapporto.”
Se ne uscì prima che quell’altro potesse replicargli qualcosa. Aveva capito che fosse di lingua lunga, perciò preferì scappare prima di finire nuovamente in pasto alla sua arguzia.
Tornò nel suo ufficio ignorando la segretaria e sbattendo la porta. E no. Questa a Gwaine non l’avrebbe raccontata… o stavolta per la rabbia lo avrebbe picchiato sul serio.
 
Continua…
 
Buonaseraaaaaaa!! Allora, pubblicazione veloce, dopo il successo del primo capitolo (e che successo! Vi adorooo *-*)ho pubblicato ad appena una settimana di distanza. La verità è che volevo farlo un po’ più in là (se non altro per mantenere una pubblicazione più regolare) ma sono troppo curiosa di sapere cosa ne pensate del secondo incontro tra questi due XD hahaha spero che vi stiate divertendo così come io lo faccio a scriverla!
Considerate che rido da sola come una deficiente davanti allo schermo, pensando a sti due che si incontrano e ogni volta non si capiscono XD e Gwaine poi che dà il colpo di grazia!
Non aggiungo altro perché voglio pubblicare subito e conoscere i vostri commenti! Quindi mi raccomando, non mi deludete!!! ^___^
Intanto ringrazio tutti i lettori silenziosi e coloro che hanno inserito sin da subito la storia tra le seguite e (addirittura! *-* ) le preferite! Un grazie speciale anche a areon, Margherita Dolcevita, Lucylu, Evelyn Wright, One Day_Painless e alla mia cara Lunaris a cui è dedicata questa storia assieme ad Emrys e Asfodelo! =)
Baci a tutti! E a prestoooo

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Capitolo 3
*** .3. ***


Desclaimer: personaggi e trame non mi appartengono, sono di proprietà della BBC. Se lo fossero, vedrete i miei scleri in tv. Che peccato u_u

 

TWO WEEKS NOTICE

 

3.

Quando il mattino dopo Arthur tornò nel suo ufficio, trovò una cartellina che sulla scrivania il giorno prima non c’era. Incuriosito, la aprì e lesse il titolo: Rapporto Società Pendragon.

Arthur arricciò le labbra osservando quel titolo e tutte quelle parole che fitte fitte riempivano la prima pagina e continuavano poi in quello che sembrava un vero e proprio malloppo.

“C’è qualcosa che mi sfugge…” sentenziò, pigiando poi il tasto sul citofono per chiamare la sua segretaria.

“Miss Giuliette! Mi chiami immediatamente il signor Emrys, lo faccia venire qui.” Nel frattempo che la dipendente faceva come gli era stato chiesto, Arthur sedette alla scrivania e iniziò a dare un’occhiata a quel rapporto.

Come diamine aveva fatto quell’idiota a prepararlo nel giro di una notte? Sapeva che sarebbe stato impossibile, per questo glielo aveva ordinato. Perché il giorno dopo avesse dovuto sentire nuovamente le sue scuse.

E invece eccolo lì. Venticinque pagine di analisi dell’azienda e dei punti di criticità e altre cinque di proposte come percorso di azione. Arthur era a dir poco sbalordito.

Il bussare della porta lo distolse dai suoi pensieri. Quando alzò il capo vide il Genio del male e del marketing nonché re degli zigomi sporgenti fissarlo con un fastidioso sorrisetto sulla faccia. Assottigliò istintivamente lo sguardo: quell’essere diabolico sapeva di averlo sorpreso.

“Mi ha fatto chiamare?” domandò facendo lo gnorri, l’espressione sulla faccia più inconsapevole che Arthur avesse mai visto.

Il biondo fece finta di non notare nulla e senza scomodarsi restò seduto alla scrivania. Chinò il capo sul rapporto indicandolo. “Da chi lo hai rubato?”

Quell’insinuazione sembrò distruggere ogni sicurezza nell’altro, che sgranò gli occhi e fece alcuni lunghi passi in avanti per avvicinarsi al capo. “Io non ho rubato niente!” esclamò colpito nel profondo. “E’ tutta farina del mio sacco!”

Arthur sogghignò assaporando quella reazione. A quanto pareva anche lui era in grado di mettere quell’essere machiavellico in difficoltà. Mica era uno stupido lui!

“Dico solo che è impossibile presentare un lavoro simile in così poco tempo.” Spiegò candidamente, senza farsi impaurire dallo sguardo di rabbia che gli lanciava il Genio. “Quindi o lo hai rubato, oppure…”

“Sono un professionista io. Ho iniziato a studiare questa azienda ancora prima di arrivare qui.” Si difese con decisione e Arthur seppe che diceva la verità. Se era soprannominato il Mago del Marketing era per dei buoni motivi in fondo, e poi lui voleva soltanto divertirsi a prenderlo in giro.

Il suo ennesimo rifiuto ancora gli bruciava sotto pelle e la consapevolezza di non poter avere quell’uomo che più lo guardava e più gli piaceva, era difficile da accettare. Anche adesso, con quegli zigomi – santo cielo quante volte li aveva nominati, da che lo aveva visto? – leggermente arrossati dalla rabbia, gli occhi scintillanti e il corpo teso per il nervoso, ad Arthur causava delle strane ed inconsulte reazioni. Fisiche per lo più. E più sapeva di non poterlo avere, più il suo desiderio aumentava.

“Potevi dirlo.”

“Poteva chiederlo.” Replicò il Genio prontamente, stringendo le labbra. Poi Arthur lo vide sospirare e socchiudere per un attimo gli occhi. Quando perse quel contatto così blu, quasi se ne dispiacque. “Senta…” iniziò stringendo i pugni lungo i fianchi. “… penso che siamo partiti col piede sbagliato. Io ho bisogno di questo lavoro, come lei ha bisogno di me. Perciò mettiamo da parte qualsiasi sciocco infantilismo e cerchiamo di instaurare un proficuo rapporto di lavoro.”

“Sono d’accordo.” Tagliò corto Arthur, con noncuranza. In fondo non è che fosse del tutto sicuro di voler lasciar perdere ma qui si trattava anche della sua azienda e della scommessa che aveva fatto con se stesso per non deludere suo padre. Quello veniva prima di tutto.

Riprese a sfogliare le pagine del rapporto, con interesse, mentre l’altro restava in piedi ormai davanti alla scrivania. “Perché hai scritto due settimane?” chiese poi, sinceramente sorpreso, quando scorse le prime righe della programmazione di lavoro.

“Perché sono convinto di trovarvi il problema entro i prossimi quindici giorni. Poi spetterà a voi mettere in atto la strategia che vi consiglierò.”

“Giusto, il tuo è un lavoro di consulenza.”

“Esatto.”

Arthur esaminò ancora. “Un’altra cosa. Qui vedo che nomina spesso un referente.”

“Sì, sarà la persona della vostra azienda con cui interagirò in queste due settimane perché restiate al passo con il mio lavoro.”

Arthur a quelle parole non poté fare a meno di sorridere. Sollevò lo sguardo e gli donò l’espressione più maliziosa del suo repertorio. “Bene. Allora ti farà piacere sapere che ce l’hai davanti.”

Il genio del marketing, del male e degli zigomi, sgranò gli occhi mal celando la sua sorpresa. “Come sarebbe a dire?”

“Sarebbe a dire, Merlin. Posso chiamarti Merlin?”

“Mi chiami Emrys.”

“Bene, sarebbe a dire Merlin, che io sono il tuo referente. Dopo il flop della squadra di marketing che ti ha preceduto, ho deciso di tenere io sotto controllo la situazione, per cui potrai fare riferimento a me d’ora in poi, per ogni cosa.”

Arthur provò un sadico piacere nel spiegargli quelle cose, anche perché notò la reazione del Genio che non sembrava per niente contento della notizia.

E intanto mentre Merlin assentiva a denti stretti lui esultava. Perché adesso aveva due scommesse da vincere. La prima sarebbe stata dimostrare a suo padre di essere un ottimo capo per quell’azienda. L’altra che avrebbe dovuto far capitolare Merlin Emrys entro due settimane.

««»»

Giorno uno.

Già, anche se era iniziato in quel modo, il primo giorno di quelle due settimane pattuite, era già passato per metà. Dopo che il Genio aveva ricevuto la terrificante notizia di avere attaccato al sedere – e Arthur lo sperava presto in tutti i sensi – il suo capo nonché stalker delle ultime 48 ore, si era congedato avvisandolo che si sarebbe subito messo a lavoro, contattando una società che si occupava di ricerche di mercato.

Secondo il Genio, dovevano partire da lì per capire i problemi per cui la produzione alimentare fosse diventata così tanto catastrofica negli ultimi mesi. Dovevano insomma, chiedere direttamente alla gente, perché non comprassero più i loro prodotti e per farlo era indispensabile una ricerca di mercato realizzata da professionisti.

Per questo motivo il Genio aveva un buon contatto, che avrebbe subito messo a lavoro. Così era passata un’intera mattinata e non si era più fatto vedere.

Arthur era stato impegnato a sbrigare alcune seccature burocratiche, che era riuscito a risolvere soltanto all’ora di pranzo. Dopo aver consumato un pasto veloce e sostanzioso – oltre che terribilmente calorico, visto che si era fatto portare un doppio cheeseburger con tanto di patatine fritte e Coca cola, in barba alle sane abitudini inglesi – nel suo stesso ufficio, la segretaria aveva annunciato l’arrivo del consulente di marketing.

Il Genio si era presentato con una gran faccia tosta, sorridente e impeccabile nel suo completo grigio antracite, come se non corresse alcun pericolo ad entrare nella tana del lupo.

Perché Arthur sapeva di essere il lupo. E prima o poi avrebbe pasteggiato con la sua preda. Ok… forse doveva smetterla di pranzare con la roba del Mc Donald.

“Novità?” chiese, mentre ripuliva dai resti del suo pranzo, il tavolino vicino ai divani che costituivano la zona relax dell’ufficio.

“Sì. Ho parlato con Will, che è il mio contatto. Non era molto contento di avere così poco tempo per impostare una ricerca di mercato ma sono riuscito a convincerlo… in qualche modo.”

Arthur impennò le antenne. Se fino a quel momento aveva dimostrato noncuranza mentre il Genio stava lì impalato ad un passo da lui, quando aveva sentito quelle parole, aveva mollato tutto e si era sollevato sulla schiena per guardarlo.

Moriva dalla voglia di chiedergli esattamente come lo avesse convinto. Chissà perché la cosa che sospettava lui non gli piaceva. Ma era un uomo maturo, non avrebbe ceduto ad una bieca curiosità.

“Ovvero?”

L’uomo maturo imprecò mentalmente, mentre il Genio ridacchiava d’improvviso, facendo in modo che quegli zigomi malefici sporgessero ancora di più Sì, decisamente ci voleva uno di quei cartelli per carichi sporgenti appeso alle orecchie… magari la loro funzione era quella, per questo erano così enormi!

“Oh! Ho i miei metodi!” scherzò senza pensare evidentemente, a tutti i sottointesi ambigui che invece frullavano nella testa del suo capo.

Arthur era allibito da tanta ingenuità. Perciò si passò una mano sugli occhi, non troppo sicuro di voler infierire ancora ma sospettando che gran parte delle allusioni che usava lui quando flirtava con qualcuno, quel tipo non le avrebbe capite.

“Spero che siano convenzionali.” Provò tuttavia con fare spiritoso, testando il grado di intelligenza del Genio. Oh, se lo chiamavano così, qualche neurone doveva pur funzionargli!

“Nnno… non tutti, credo. Per i tipi come Will servono duri ricatti e regali che lo soddisfino!”

Ok, il Genio non era poi così Genio.

“Com’è che si parla di soddisfare qualcuno e non sono presente?”

Sia Arthur che il non più tanto Genio, si voltarono di botto, quando giunse tale intelligente domanda alle loro orecchie. Ovviamente non poteva che trattarsi di Gwaine che entrò nell’ufficio senza tanti preamboli e soprattutto senza essersi fatto annunciare – e Arthur sospettava che c’entrasse il fatto che la sua segretaria si allontanava tutte le volte che lo vedeva arrivare.

Ad ogni modo, si palesò con tutta la sua aria strafottente e il suo solito sorriso storto che al momento indirizzava ad Arthur nascondendo dietro mille allusioni che lui – da bravo depravato qual era o forse più semplicemente più abituato ad avere a che fare con l’amico – aveva compreso benissimo.

“Purtroppo… no.” Rispose Arthur, dicendo con quelle parole mille altre che Gwaine ovviamente, comprese benissimo. Di fatti, lo vide rilassare le spalle e fingersi – perché per inteso Gwaine poteva solo fingere in quel caso – dispiaciuto per l’amico che non riusciva a cuccare il Genio del marketing, del male, dei carichi sporgenti e degli ingenui.

Forse doveva smetterlo di chiamarlo così… forse Merlin era più corto.

“Merlin mi stava aggiornando della situazione…”

“Emrys.” Provò il Genio ma Arthur lo ignorò.

“Grazie a Merlin, abbiamo iniziato una ricerca di mercato. Intanto noi, se non ho capito male dal tuo rapporto, dovremmo studiare la situazione del mercato e della… concorrenza?”

Il Genio annuì un po’ seccato. Probabilmente per il fatto che mentre lui continuava a mantenere le distanze, Arthur si prendeva confidenza. Ma non se ne curò. In fondo due settimane erano poche e lui doveva sbrigarsi.

“Perfetto. Allora… hai già pranzato?” stava iniziando in un modo e poi aveva cambiato idea. Improvvisamente qualcosa tipo un’idea sfolgorante – o forse il morbo della mucca pazza – lo colpì, illuminandolo.

Vide il Genio scuotere il capo. “Vai pure. Ci vediamo qui nel mio ufficio tra mezzora, così inizieremo a spulciare i dati di mercato. “

Il Genio guardò l’altro allargando quei suoi bei occhi azzurri e poi annuì titubante, quasi sorpreso da quella gentilezza. Arthur gli aveva sorriso affabile e non aveva preteso nulla.

Persino Gwaine si voltò a guardare sbigottito il suo capo nonché amico, nonché vittima delle sue torture ma non disse nulla fino a che il Genio non si fu allontanato con un breve saluto.

Quando la porta si fu chiusa, Arthur si vide l’amico improvvisamente addosso. Gwaine si curvò sul tavolino e iniziò ad ispezionare la sua spazzatura.

“Che ti sei mangiato? Avanti dimmelo!! Non saranno stati i cetriolini del panino? Lo sai che non devi mangiarti i cetriolini degli hamburger!” esclamò agitato, ravanando tra i resti del pranzo di Arthur.

Lui, dal canto suo, scoppiò a ridere a quella pantomima e si fece sfuggire uno scappellotto dietro la nuca all’amico.

“Idiota! A parte il fatto che al Mc non ne mettono cetriolini – sia ringraziato il cielo! – e poi fa tutto parte della mia nuova strategia!”

Gwaine finalmente si rimise dritto. Lo fissò in attesa di spiegazioni mentre con una mano si massaggiava la nuca colpita – come se Arthur gli avesse davvero fatto male… che attore! – e imbronciava le labbra.

“Se intendi sfilargli quella mazza che ha su per il sedere, devi stare attento… magari gli sta piacendo.” Soggiunse, indicando con lo sguardo la porta dal quale era uscito poco prima il Genio.

Arthur si morse le labbra per non replicare, poi allargò le braccia. “Gwaine ma così me le servi su un piatto d’argento!”

“Beh almeno tu capisci di cosa sto parlando… ho la sensazione che il tuo bel mago del marketing sia un ingenuotto tutto casa e chiesa…”

Arthur a quelle parole sospirò. Si lasciò andare sulla poltrona di pelle, battendo le mani sui braccioli in un gesto esasperato. “E’ proprio questo il problema! Quello non capisce! E meno male che è un Genio.”

Gwaine lo seguì, sedendo a sua volta sulla poltrona opposta e sollevò un angolo della bocca in uno dei suoi soliti sorrisi storti. “Beh… non tutti hanno la vocazione per certe… cose!”

“E’ per questo ho deciso di cambiare tattica con quello!” replicò prontamente Arthur, l’entusiasmo che si riaccendeva al pensiero di portare a termine la sua scommessa.

“E sarebbe? Lo acchiappi e te lo porti nello stanzino delle scope? O-oh aspetta! Lo minacci di licenziarlo! Ecco sì perfetto, sarebbe-“

“Non funziona.” Lo interruppe Arthur, con un sospiro teatrale. “Ha detto che mi denuncia per molestie sessuali quel piccolo impertinente.”

Gwaine fischiò. “Però. Così idiota non è… è davvero un genio.”

Arthur agitò una mano infastidito. “Non è questo il punto!” si mise più comodo sulla poltrona e poi sorrise all’indirizzo dell’amico pronto a spiegargli le sue mosse.

“Visto che è così frigido e così ingenuo, ho deciso di… essere gentile.”

“Ovvero?”

“Ovvero, smetterò di tampinarlo, sarò cordiale con lui ed estremamente affabile. Il Genio prima o poi abbasserà la guardia e a quel punto… zac! Altro che stanzino delle scope!”

Gwaine ponderò le parole dell’amico, grattandosi il mento barbuto per alcuni istanti, lo sguardo perso al soffitto. “Uhm… sai che ti dico?”

“Che mi ritroverò con l’ennesimo due di picche?”

“No. Che devo provare questa cosa con la tua segretaria!”

««»»

“Te l’ho detto che è così!”

“No, mi dispiace ma non ci credo.”

“Guarda che sono mesi che ci stiamo sopra, che credi!”

“Credo che avete sbagliato qualcosa, non è possibile che questo sia il risultato.”

“Guarda che ci ho lavorato io stesso, su questi dati!”

“E allora lo hai fatto male! Se mi hai chiamato ci sarà un motivo, no?”

Arthur fissò il Genio del Male con odio, le labbra strette in una linea sottile e gli occhi celesti arrabbiatissimi. Merlin lo fronteggiava senza paura, seduto frontalmente a lui dall’altro lato della scrivania. Tra le mani i risultati delle ricerche effettuate da Arthur e dal suo team nei mesi precedenti sui dati di vendita dell’azienda.

“Mi stai dando dell’idiota?”

“Sì. Ma soprattutto dell’ottuso.” Replicò il Genio a quella provocazione, senza scomporsi. Arthur mandò a quel paese tutti i suoi buoni propositi di conquistarlo e meditò di trovare un modo per saltargli al collo… per strozzarlo.

“Questi dati sono inesatti.” Rincarò la dose il Genio, senza far tremare la voce. A quanto pareva era più coraggioso del previsto. “Sei arrivato a delle conclusioni troppo approssimative, basandoti solo sui tuoi dati di vendita.”

“Guarda che il team che ti ha preceduto, ha già esaminato, anche la concorrenza!” gli fece notare Arthur, incollerito. “Sei tu l’ottuso, che non vuole ammettere. Non sta qui il problema!”

“E invece il problema ci deve essere! Ma tu sei troppo stupido per trovarlo!”

Arthur spalancò la bocca, improvvisamente senza parole. Merlin per un momento tentennò ma poi sostenne lo sguardo stupito del suo capo a cui aveva appena dato dello scemo.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, nei quali Arthur ponderò l’idea di strangolarlo sul serio e di far sparire il corpo. Proposito problematico, vista la grandezza di quelle orecchie che avrebbe impedito qualsiasi tipo di occultamento.

“Credo di non aver sentito bene.”

“Non mi rimangerò quello che ho detto.” Asserì il Genio, nonostante lo vide deglutire vistosamente. Arthur aveva anche notato che tanta era stata la foga con cui affermava le sue idee che aveva anche scordato di mantenere le distanze. Poi, dopo quell’offesa, tutte le accortezze erano andate a farsi benedire.

“Sono convinto di quello che dico e se tu non lo accetti, vuol dire che sei uno stupido.”

“E perché mai, se posso sapere?” gli chiese Arthur con un tono di ironia e di nervosismo malcelato.

Il Genio lo guardò con serietà  e ad Arthur venne un brivido nel constatare quanto fascino emanasse da quello sguardo così composto. “Perché io qui sono l’esperto. Se ti sei affidato a me, vuol dire che devi avere fiducia in me.” gli fece notare, addolcendo poi il tono di voce e accennando un sorriso. “E poi fai una faccia così buffa, quando la gente ti lascia senza parole… è troppo divertente.”

Ok, forse un modo per strangolarlo e occultare il cadavere lo avrebbe trovato. Doveva trovarlo. Perché quell’uomo era così impudente con lui? Era il suo capo, per la miseria! Nessuno – Gwaine a parte – osava tanto!

“Fidati di me.” Ripeté il Genio, alzandosi poi in piedi, il sorriso ormai fisso sul suo volto dalla forma…. Ecco sì, un rombo. Ecco cosa sembrava con quegli zigomi maledetti. Un rombo. Il Genio dei rombi. Poteva chiamarlo così?

“Ristudiamo i dati, insieme. Ti dimostrerò che le conclusioni saranno differenti.” Propose infine.

Arthur lo guardò in silenzio per alcuni istanti. Avrebbe potuto licenziarlo e rispedirlo nell’Olimpo dei geni od ovunque i tipi come lui abitassero. Eppure annuì e cacciò un lungo respiro per ordinare le idee.

“Va bene. Ma sappi che se ho ragione io, dovrai scontare una punizione.”

Ovviamente il Genio degli ingenui non capì un’acca dell’allusione che Arthur aveva fatto senza neanche pensarci due volte. Scoppiò a ridere e lasciò che il suo capo si incantasse per un attimo a fissare quelle labbra piene e ondulate. Ovviamente non si accorse di nulla.

“E allora, se ho ragione io, che cosa vinco?”

Me.

Sì, sarebbe stata la risposta perfetta. Ma non avrebbe funzionato con quello. Arthur ingoiò la replica e sbuffò.

“Va’ a casa, Merlin.”

 

Continua….

 

Ehilààà!! A distanza di due settimane, aggiorno col nuovo capitolo. Visto come sono brava? ^__^ stranamente sto riuscendo a mantenere il ritmo… ad ogni modo questa storia mette a dura prova la mia resistenza! XD Arthur spesso si perde in elucubrazioni mentali che poi devo puntualmente censurare! Ed è tutta colpa di Merlin! Hahahaah

Spero che anche questo capitolo, sia all’altezza delle aspettative :D ho visto che i primi due hanno fatto furore, moltissimi l’hanno inserita tra le seguite e le preferite e davvero sono contentissima!

Spero anche che tutte voi che leggere, vogliate lasciarmi un commento! Questa storia è divertente e vorrei tanto potermi divertire anche con voi e conoscere le vostre idee a riguardo =)

Intanto ringrazio in particolare Lunaris, brin leah, misfatto, One Day_Painless e Lucylu! Vi adoro!

Vi saluto e vi rimando al prossimo capitolo! (che spero di poter postare tra due settimane esatte :D) a voi tutti grazie ancora e a prestooooo

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Capitolo 4
*** .4. ***


Desclaimer: personaggi e trame non mi appartengono, sono di proprietà della BBC. Se lo fossero, vedrete i miei scleri in tv. Che peccato u_u

 

TWO WEEKS NOTICE

 

4.

Le labbra si muovevano al rallentatore. Si aprivano spalancando una bocca dalla dentatura perfetta, poi si stringevano tra loro, formando una piega sottile. D’un tratto il suo proprietario le umettava ed ecco che la punta della lingua scivolava leggera e veloce.

Altre parole e quella bocca disegnava altri movimenti… un aprirsi e un chiudersi, ecco che d’improvviso tacquero… e poi di nuovo si mossero, pronunciando un nome, sillabe sfuggite così elegantemente alle labbra…

“Arthur… Arthur!”

Tornare alla realtà fu difficile. Molto difficile. Ma soprattutto traumatizzante. Tutto quel rallentatore lo aveva stonato. Arthur se n’era reso conto quando il Genio gli aveva agitato una mano davanti agli occhi e lo aveva richiamato altre due volte.

Lui aveva scacciato quella mano e aveva assunto la sua espressione infastidita. Di solito quella funzionava con tutti… a volte persino con Gwaine.

“Ho sentito, non sto dormendo.” Falso bugiardo. Non aveva ascoltato neanche una parola di quello che gli aveva detto. Le sue stupide labbra lo avevano stupidamente incantato facendolo sembrare uno stupido beota.

Terzo giorno. Erano passate altre 48 ore, nelle quali avevano lavorato ininterrottamente per cercare nuovi dati che confutassero quelli vecchi che il Genio aveva definito completamente sballati.

Una cosa di positivo c’era stata in quei giorni, però. Da quando il Genio gli aveva dato dell’idiota, aveva iniziato anche a chiamarlo per nome. Ora l’Arthur uscito da quelle labbra così carnose era più di quanto pericoloso conoscesse, perché lo istigava a pensieri decisamente poco pertinenti alla situazione. Molto poco pertinenti. Anzi, per niente pertinenti. A meno che non fossero stati sul set di un film porno.

“Allora… cosa ho detto?”

Un’altra cosa aveva scoperto Arthur in quei pochi giorni: il Genio era un infame. Ma un infame patentato. L’avergli dato dell’idiota non solo lo aveva portato a chiamarlo per nome ma anche a prendersi delle libertà che poche persone si arrischiavano a cogliere. Tipo Gwaine, per esempio.

Arthur lo guardò malissimo arricciando le labbra e incrociò le braccia sperando di apparire severo con quella posa.

“Ti ho già detto che ho sentito.”

Non gliel’avrebbe data vinta, assolutamente no.

Il Genio lo aveva guardato per alcuni istanti, negli occhi un guizzo di impudenza che Arthur aveva notato ma anche ignorato, perché assieme a quelle stramaledette labbra carnose, faceva un bel duetto per ben altre situazioni.

“Bene. Allora possiamo continuare…” il Genio aveva interrotto l’intreccio di sguardi e Arthur, certo di aver vinto, si era rilassato prendendo in mano il bicchiere colmo di caffè e portandolo alle labbra.

“…torniamo ai due milioni di sterline che dovrai sborsare.”

Arthur non seppe se fu colpa del caffè bollente contro la lingua, o il fatto che gli andò di traverso, o ancora la storia dei due milioni di sterline. Però seppe che per un momento la vita lo stava abbandonando quando l’aria nei polmoni smise di entrare e contemporaneamente il liquido fuoriuscito dalla tazza gli ustionava oltre che la trachea, anche una mano e una gamba.

E troppo impegnato a tossire sputacchiando caffè e saltando dalla sedia come un idiota non si era subito accorto della risata del suo nuovo dipendente, scoppiata all’improvviso incurante del suo dramma.

Mer-lin!” esclamò infuriato, la gola che ancora ardeva e gli faticava il respiro. Il Genio continuava a ridere senza ritegno, mentre lui cercava i kleenex nel cassetto della scrivania per tentare di ripulirsi. Ma quanto era bollente quel maledetto caffè?!

“Lo…hahaha lo sapevo hahaha che non mi ascoltava! Hahaha!”

Adesso assomigliava in maniera inquietante a Gwaine e il pensiero per un attimo lo fece rabbrividire… non ne bastava già uno?!

Ci vollero altri colpi di tosse e una danza indiana del caffè ustionante, prima che la trachea tornasse ad un normale quanto rispettoso funzionamento e le varie parti del corpo smettessero di bruciare. Solo quando fu certo di essere ancora vivo – oltre che di non dover correre al reparto grandi ustionati – Arthur controllò lo stato dei suoi pantaloni. Strinse i denti con forza, quando si rese conto dell’enorme macchia scura che colorava la stoffa. Un’orrenda macchia scura che deturpava la stoffa, per essere precisi. Una catastrofe.

“Merlin…” un soffio venato di istinti omicida, gli sfuggì dalle labbra e pare che servì a zittire quel beota che non aveva mai smesso di ridere per un momento.

“Hai cinque minuti di tempo, per trovarmi un altro paio di pantaloni.”

“Ma…”

“Hai cinque minuti di tempo.”

“Io non sono il tuo servo.”

“Cinque minuti.”

Forse il suo tono era davvero spaventoso. Perché vide il Genio deglutire e guardarlo preoccupato per alcuni istanti.

“Potrei darle i miei.”

Arthur chiuse gli occhi per un momento. L’immagine del Genio che si denudava gli attraversò il cervello ma la scacciò immediatamente. Aveva una riunione con suo padre nel primo pomeriggio e non poteva perdersi in chiacchiere con le sue fantasie.

“Non essere idiota. Ci entra appena un quarto di me nei tuoi pantaloni.”

“Ehi, ma-“

“Sei troppo secco, Merlin!”

Il Genio sollevò le mani in segno di resa. “D’accordo, d’accordo, ho capito! Ci penso io!” si era alzato in piedi e aveva raggiunto la porta, prima che Arthur potesse rendersene conto. Che l’ustione fosse arrivata fino al cervello?

Lo vide salutare con la mano e sorridere incoraggiante. “Torno subito!”

Un attimo dopo era da solo, pieno di caffè, mezzo bruciacchiato e con in mano un kleenex che sgocciolava.

Dannato lui e quelle maledette labbra!

««»»

Il riflesso nello specchio diceva tutto. Arthur sedeva impettito sulla tazza del water e fissava la sua stessa espressione corrucciata, rimandata dal grande specchio che ricopriva la parete del bagno. E guardava, un po’ la sua faccia irritata, un po’ i suoi nuovi pantaloni.

Marroni. L’Idiota – perché chiamarlo Genio in quel frangente gli sembrava impossibile – aveva scelto dei pantaloni marroni.

Dopo un tempo che lui aveva qualificato come interminabile – e nel quale aveva vagato come un disperato nel suo ufficio e si era pure guadagnato una sequela di battutacce da parte di Gwaine che lo aveva beccato in quelle condizioni – Merlin l’idiota era ricomparso tutto sorridente e trionfante con una serie di sacchetti di carta appresso.

Gli aveva consegnato una busta spiegando di avergli trovato un paio di pantaloni in sostituzione e che per farsi perdonare, aveva anche portato il pranzo.

“Avanti, si vada a cambiare.” Lo aveva esortato allegramente. Buffo come passasse dal “tu” al “lei” almeno venti volte diverse quando apriva bocca.

Arthur si era incantato ancora un attimo su quelle labbra sorridenti, poi aveva scosso il capo, e afferrata la busta, era andato in bagno a cambiarsi.

Ora fissava il riflesso nello specchio che gli mostrava la sua faccia disperata e quegli orrendi pantaloni marroni.

“Come faccio?” gemette, lanciando uno sguardo alla giacca blu che era perfettamente in tinta con la camicia celeste chiaro che aveva scelto al mattino ma che stonava terribilmente con quegli odiosi, schifosissimi pantaloni marroni.

Prese un lungo respiro. Doveva trovare una soluzione, a momenti avrebbe avuto la riunione con suo padre e lui non poteva farsi vedere in quello stato. Già suo padre era abbastanza critico sul suo lavoro, ci mancava soltanto che lo rimproverasse davanti a tutto lo staff amministrativo su come vestiva.

“Ohhhh sei un amore!” l’esclamazione non poteva – ovviamente – che non arrivare dall’ultima voce che Arthur in quel momento avrebbe voluto sentire.

Gwaine entrò spavaldo nel bagno a braccia aperte e con il suo solito sorriso storto. Arthur strinse i pugni: oggi forse lo avrebbe licenziato, sì.

“A quanto pare il tuo Genio non è poi così bravo con gli abbinamenti.”

“Sta’ zitto, Gwaine! Sono in riunione con mio padre dopo pranzo! Come pensi che possa fare a presentarmi conciato così?”

“Effettivamente, sei più da Centro Anziani che da Amministratore Delegato.”

“Ti odio.”

“Arthur! Queste dichiarazioni così! E se qualcuno ci scoprisse?”

Arthur lo fissò con astio per alcuni lunghi istanti. Gwaine in quel momento proprio non ci voleva e sospettava che quel bastardo avesse monitorato di proposito i suoi movimenti per continuare a sfotterlo.

Mentre lo guardava avvelenato però, qualcosa colpì la sua attenzione. La camicia dell’amico quella mattina era di una piacevole tinta beige. Tinta che coi suoi pantaloni marroni… si intonava perfettamente. E che dire della cravatta?

L’espressione di Arthur cambiò improvvisamente e un angolo della bocca si sollevò senza che lui potesse evitarlo. Gwaine si accorse di quella differenza, perché di colpo smise di ridere e il suo capo seppe perfettamente cosa gli passasse per quella testa bacata.

Perché erano pochissime le espressioni che funzionavano con Gwaine e quella furba che gli stava mostrando in quel momento, era una delle elette.

L’amico arretrò di istinto di un passo, sollevando le mani quasi a protezione. Chissà perché aveva fiutato il pericolo.

“Ehi, che intendi fare?”

“Oh, adesso lo vedrai.”

Un quarto d’ora dopo, un Gwaine in canottiera si massaggiava un braccio dolorante con aria imbronciata mentre Arthur sistemava allo specchio la sua nuova cravatta sotto al colletto della sua nuova camicia. Premi di guerra che si intonavano perfettamente su quei pantaloni marroni che d’improvviso non gli erano parsi mai così belli.

“Mi rivolgerò al sindacato.” Si lamentò l’amico, ben consapevole di non aver avuto alcuna chance nello scontro  corpo a corpo con il suo capo. Arthur era troppo imponente e troppo forte e sebbene non fosse mai un tipo violento, quando c’era da salvare il suo orgoglio ed evitare di andarsene in giro conciato come Pippi Calzelunghe, tirava fuori tutta la sua maschia virilità.

“Fa’ pure. Dì loro che ti ho costretto ad indossare una camicia blu al posto di quella beige. Ti prenderanno sicuramente sul serio.”

Uscì dal bagno, felicemente soddisfatto, ignorando i mugugni di Gwaine che non gli erano parsi mai così tanto celestiali come in quel momento.

Una volta alla porta del suo ufficio, si fermò incerto. Non aveva ancora deciso se presentarsi al Genio ancora arrabbiato per tutta la faccenda dei pantaloni oppure fare finta di niente. In fondo non era certo di voler tirare ancora molto la corda, se continuava a rimproverarlo, come avrebbe fatto ad entrare nelle sue grazie?

Prese un respiro e si preparò a sorridere – anche se a momenti aveva ancora voglia di strozzarlo per averlo messo così in ridicolo – quando sentì la sua voce provenire da dietro la porta accostata quanto bastava perché i suoni fossero ben distinti.

“Sì… sì. Non mancherò. Certo, te lo avevo promesso. Stasera sono tutto tuo.”

Arthur si accostò maggiormente impennando le antenne. Tutto suo? Tutto suo di chi?

Chi c’era dall’altro capo del telefono? E perché aveva quella voce così… dolce?

“Dai non fare così. Stasera ne parliamo per bene. Sì… sì, lo sai che ci tengo. No, non è vero. Dai, ci vediamo alle nove alle Mac Laren’s, adesso devo tornare a lavoro. Va bene… anche a te. Ciao.”

Che rumore fa la curiosità? Arthur non era sicuro che la citazione fosse quella ma era di certo pertinente alla situazione. Perché nella sua testa la curiosità faceva un gran fracasso sottoforma di una lunga serie di domande senza risposta mischiate ad improperi più o meno coloriti.

Che fosse già impegnato? Per quello allora, era così ritroso! Altrimenti con chi parlava? Con… la mamma?

Beh… era una possibilità. O magari era la sorella o un cugino, o un amico che lo voleva tutto per sé.

Diamine! Doveva saperlo!

Attese alcuni istanti, poi con mosse decise si aggrappò alla maniglia per aprire la porta ed entrare nell’ufficio con noncuranza. Come se non fosse mai stato lì dietro tutto quel tempo ad origliare. Per fortuna la sua segretaria era scesa per il pranzo e nessuno lo aveva visto.

Il Genio lo accolse con un sorriso, dopo aver cambiato la sua espressione che prima – Arthur lo notò bene – era tutta seria e assorta in chissà quali pensieri.

Avrebbe potuto fare qualche battuta sul suo nuovo abbigliamento ma non lo fece: Arthur ebbe come la sensazione che il pensiero che aveva interrotto con il suo arrivo fosse ancora sospeso nella sua testa e gli impedisse di dargli totale attenzione.

Forse fu quindi questa la causa di quei lunghi istanti di silenzio che seguirono, nei quali Arthur si sentì vagamente a disagio, come se si fosse insinuato in una cosa privata. E quando l’imbarazzo fu insopportabile, sbuffò rumorosamente e si apprestò verso la scrivania.

“Allora… il mio pranzo?” domandò con un tono un po’ scorbutico guardando ovunque tranne che verso il Genio.

Quello parve scuotersi e finalmente si degnò di dargli retta. “Oh… ah, sì. E’ in quel sacchetto. Aspettavo lei per cominciare.”

Mentre rovistava nella sua di busta, Arthur acchiappò quella che gli aveva indicato e ci ficcò dentro il naso. Dopo un attimo lo ritrasse scioccato, lasciandosi sfuggire un lamento.

“Eh… che cosa diavolo è?!”

La domanda era retorica, molto retorica. Perché aveva capito perfettamente cosa contenesse il suo sacchetto e quando raccolse la confezione di plastica trasparente e la sollevò alla luce del sole, seppe con certezza di non essersi sbagliato.

“E’ il suo pranzo.” Rispose il Genio con serafica cattiveria.

Un’insalata.

Una piccola, misera, striminzita, ipocalorica insalata.

Arthur sollevò un angolo della bocca, stupito. No, forse c’era il trucco, agitò il contenitore certo che tra quel mucchio di insulse foglioline verdi uscisse fuori qualche bocconcino di carne… ma anche di pollo sarebbe andato bene… dove diavolo erano i bocconcini?

“E’ tutto qui…?” domandò preoccupato, dopo aver shakerato l’insalata fino allo stremo manco avesse avuto in mano un paio di maracas.

Il Genio intanto aveva aperto già la sua di misera insalata e ci si era avventato in maniera così famelica che Arthur per un attimo si era chiesto se non fosse il caso di agitare anche la sua in cerca dei bocconcini. Quando aveva sentito la domanda, aveva sollevato il capo ruminando come una capra e allargando i suoi occhi azzurri.

“Non va bene?”

“Merlin…” lo richiamò Arthur, un nome che sembrava quasi una minaccia. “Per caso pensi che io debba mettermi a dieta?”

Il Genio sorrise dopo aver deglutito. “Beh…. Sì.”

Bang!

“Da quello che ho visto ieri mangi malissimo ed effettivamente il tuo fisico ne risente.”

Bang! Bang!

“Insomma, hai detto tu prima che non entra nemmeno un quarto di te nei miei pantaloni… quindi sei grasso!”

Bang! Ba-bang!

Eccolo qui. L’orgoglio di Arthur Pendragon, crivellato di colpi. Una tragica e inaspettata esecuzione, che lo aveva ridotto a brandelli agonizzante sul pavimento. Arthur poteva quasi vederlo, lì, tutto sanguinolento…

Il Genio incurante del suo eccidio, continuò serenamente a mangiare la sua misera insalata, permettendo ad Arthur di riacquistare lucidità mentale.

“Merlin…”

“Dica…”

“Io non sono grasso.”

Il Genio sorrise furbo e Arthur potè notare perfettamente il pezzetto di insalata verde scuro incastrato tra i denti. “Il primo passo per guarire è accettare di avere un problema, non lo sai?”

Probabilmente spiaccicargli sulla testa l’insalata non sarebbe stata una mossa vincente, per il suo corteggiamento, soprattutto ora che forse c’era pure un signor fidanzato – conta fino a dieci… conta fino a dieci… - perciò prese dei lunghi, lunghissimi…. Ma proprio lunghi respiri, immaginando scene alquanto truculente con protagonisti la coppetta dell’insalata e la sua faccia.

Dopo aver sfogato mentalmente tutta la sua vena omicida, Arthur posò il contenitore sulla scrivania e si sedette buttandosi sulla poltrona girevole a peso morto. Era passata solo metà giornata ma era già esausto.

“Mi è passata la fame”… e voglio un cheeseburger!

Il Genio non fece una piega, anzi quando finì lo pseudo pranzo chiese al suo capo di poter consumare anche il suo di pasto, se lui non lo voleva. Arthur, ormai senza parole lo lasciò fare e cercò disperatamente di ignorare i gorgoglii del suo stomaco che reclamava cibo vero.

“Tu non sai mangiare.” Sentenziò, osservandolo sbafarsi la seconda coppetta di insalata.

“Io mangio sano.”

“Tu mangi triste.”

Il Genio ridacchiò. “Forse… ma fa bene!”

“Una volta però, devi provare a mangiare come dico io. Vedrai se dopo torni alle insalatine.”

“Sfida accettata.” Era particolarmente allegro quella mattina, il Genio. E poi con quelle labbra adesso unte di olio – Arthuuuur! Contegno! –

“Beh...” Arthur tentennò per un attimo ma ormai non poteva tirarsi indietro, la conversazione del Genio al telefono era ancora la sua priorità e lui doveva sapere! “…che ne pensi di stasera? Io, Gwaine e alcuni del reparto contabilità andiamo a cenare assieme dopo il lavoro.”

Arthur lesse subito l’imbarazzo nei suoi occhi. Il modo con cui si tirò indietro col busto e sospirò impacciato cercando le parole.

“Mi spiace ma…”

“Guarda che non ti sto chiedendo un appuntamento.”

“Mi pare ovvio, altrimenti avrei rinunciato a priori.”

Ba-ba-bang! Per un attimo il suo orgoglio aveva tentato di rialzarsi, giustamente bisognava dargli il colpo di grazia.

“Ma non è per questo…” continuò il Genio. “Ho già un impegno. Magari un’altra volta.” Gli rivolse un sorriso di circostanza che ad Arthur non piacque per niente.

Tutta quella faccenda non gli piaceva. Pretendeva di sapere con chi il Genio sarebbe uscito quella sera.

««»»

“Potrei sapere dove andiamo?”

“Al Mac Laren’s.”

“E… sarebbe?”

“Un pub, credo. Boh, ora che arriviamo vediamo.”

“Ma sai almeno dov’è?”

“Da queste parti credo… “

“Credi?!”

“Gwaine, fai silenzio!”

Arthur lanciò un’occhiata omicida verso l’amico, che nonostante non si fosse minimamente spaventato, ebbe almeno la decenza di chiudere la bocca.

Erano trascorsi venti minuti buoni da quando avevano posteggiato l’auto e si erano messi in cerca del locale giusto. O meglio, Arthur si era messo in cerca, Gwaine aveva continuato a seguirlo con la sua camminata ciondolante lamentandosi e facendo domande inutili per tutto il tempo.

Arthur in effetti, non gli aveva spiegato esattamente dove stessero andando né il perché. Si era limitato ad arpionarlo nel bel mezzo del corridoio dell’azienda appena finita la riunione con suo padre – che si era protratta per delle ore – e a portarselo dietro verso luoghi sconosciuti.

Voleva trovare quello stupido locale dove lo stupido Genio doveva incontrarsi con chissà chi. Perché doveva sapere.

Arthur motivava quelle azioni come pura curiosità. Insomma, per il bene del suo orgoglio – già abbondantemente trivellato dall’insensibilità del suo nuovo dipendente – doveva sapere se l’uomo dagli zigomi sporgenti ma soprattutto dalle labbra più carnose e sensuali del mondo – e ora che ci pensava anche quelle potevano rientrare nella categoria carichi sporgenti – lo avesse rifiutato un numero ormai imprecisato di volte, per un motivo molto semplice: era fidanzato.

In quel caso molte spiegazioni avrebbero avuto un senso e Arthur, oltre che a darsi una calmata, si sarebbe anche convinto che se fosse stato single, difficilmente si sarebbe comportato in quel becero modo.

“Non sarà che stiamo facendo un appostamento?!”

Bingo. Chissà perché quando c’era da pensare male, Gwaine capiva subito il punto. E l’occhiata che gli lanciò Arthur non lasciava dubbi, perché l’amico subito sorrise sornione e sollevò un dito per indicarlo con sarcasmo.

“Tu sei fuori.”

“E anche tu, quindi puoi capirmi.”

“Io non ho mai pedinato nessuno.”

“No ma sei andato dalla mia segretaria oggi per dirle che ti avevo maltrattato e farti consolare.”

“E come cavolo…”

“Io so tutto, Gwaine. Sempre, ricordalo.”

“Bene!” replicò piccato l’amico, imbronciando le labbra e fermandosi di colpo sul posto, pronto a non muoversi più dal marciapiede. “E allora saprai anche che stava funzionando! E che stavo quasi per spillarle un appuntamento!”

“Che lei avrebbe rifiutato! Avanti Gwaine ormai ti conosce! Fai più bella figura se per un po’ la smetti di chiederle di uscire ogni volta che la incontri!” lo acchiappò per un braccio e prese a tirarselo dietro. Lo sentì sbuffare e mugugnare qualcosa come “principino sottuttoio” e “pazzo psicotico” ma lui lo ignorò. Dove diavolo era quello stupido pub?

“Ovviamente è con il mago del marketing che stai facendo lo stalker.” Non era una domanda. Arthur non si prese nemmeno la briga di rispondere, anche perché poco dopo lesse l’insegna che cercava. Ecco perché non riusciva a vederlo: il locale era sotterraneo, vi si accedeva da una scaletta che portava verso il basso e l’insegna, dorata su sfondo verde, era incassata nel muro appena sopra l’entrata.

“Andiamo.” Affrettò il passò controllando l’orologio. Erano le nove e mezzo, quindi stando alle parole del Genio dovevano essere già lì da mezzora. Santo cielo… forse, era diventato davvero uno stalker.

Ignorò il pensiero con una scrollata di spalle e molto lentamente aprì la porta del locale, Gwaine intanto che lo seguiva fischiettava allegramente e canticchiava divertito qualcosa come: “adesso, ci arrestano… adesso ci arrestano…”

Ed eccolo lì. Arthur poté notarlo subito, lui e chi lo accompagnava. Erano seduti al bancone, forse in attesa di un tavolo e conversavano sommessamente. Il Genio era impeccabile come sempre, giacca e cravatta così come lo aveva lasciato al mattino. Anche l’altro vestiva elegante ma decisamente non appariva così brillante nel suo completo come invece lo era il signor Ho le labbra come un canotto e me ne vanto.

Aveva gli occhi piccoli e vicini, i capelli color paglia sparati in tutte le direzioni e la mascella così quadrata da far concorrenza a Ridge di Beautiful. Insomma, per Arthur, abituato a circondarsi di cose belle, era decisamente brutto.

Davvero il Genio stava con quel tipo?

A quanto pareva sì. Perché d’un tratto lo vide posargli la mano su una spalla e lisciarla con affetto. Ridge sorrise sommessamente e sfiorò con la sua mano quella che lo accarezzava.

“Il nostro Geniaccio, ha pure il fidanzato…” cantilenò Gwaine dietro di lui e quello fu troppo.

Fece dietrofront e uscì di corsa dal locale prima di essere visto e dimenticandosi pure di aver lasciato lì l’amico.

Ora aveva finalmente una spiegazione. Ma chissà perché, la cosa invece di tranquillizzarlo, lo infastidiva ancora di più.

 

Continua…

 

Ehilàààà!! Buongiorno a tutti!! Voglio scusarmi se questo aggiornamento arriva con qualche giorno di ritardo ma ho avuto delle settimane parecchio impegnate per cui mi è stato difficile mettermi a scrivere. Prometto per chi segue l’altra mia storia “Il Momento Giusto” che arriverà anche quell’aggiornamento lunedì, puntuale!!

Tornando a noi e a questi due… beh. Complichiamo le cose, ovviamente! Mica poteva essere tutto rose e fiori u_u Merlin ha di nuovo rifiutato Arthur, gli ha dato del grasso, lo ha ustionato e fatto disperare abbastanza XD hahaha per una volta è il nostro re a soffrire invece che il mago ^^ come sono contenta!

Ogni spiegazione ovviamente arriverà a tempo debito, ma intanto pretendo le vostre teorie a riguardo! Hahahaha

In questo capitolo inoltre, ho inserito una citazione, che spero abbiate intuito! ;) il primo che la trova, vince un premio! XD

Ringrazio con il cuore tutti coloro che leggono questa storia, anche i silenziosi e in particolare coloro che la commentano sempre con entusiasmo! Un abbraccio stretto a LucyLu, One Day_Painless, areon, Lunaris, brin leah, BBecks e shipalltheships! Vi adoro!! *-*

Al prossimo capitolo mie care!

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