Hearts stripped

di Princess of Dark
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Vi presento Evelina Rubliov ***
Capitolo 2: *** Vi presento Stefan Wilson ***
Capitolo 3: *** Un incontro poco desiderato ***
Capitolo 4: *** Lontano dalla Russia ***
Capitolo 5: *** Piccole insignificanti gelosie. ***
Capitolo 6: *** Quel muro di difese... ***
Capitolo 7: *** Cena in famiglia ***



Capitolo 1
*** Vi presento Evelina Rubliov ***


Note dell'autrice: Sì, lo so che ce ne saranno centinaia di storia su questo argomento e quindi -per evitare eventuali incomprensioni future- chiedo anticipatamente scusa se in qualche modo la mia storia dovesse somigliare alle vostre. Ci tenevo comunque a pubblicare la mia, rimasta per più di due anni nascosta nel mio pc.
Ci tengo a precisare che fatti, cose e persone sono -purtroppo- puramente frutto della mia fantasia, se non per i grandi Lord Byron e Shakespeare che citerò qualche volta.
E dico purtroppo perché uno come Stefan lo vorrei davvero ahaha ma per voi è ancora preso, lo conoscerete più avanti u.u
Buona lettura :*


"L’odio non è sconfitto dall’odio, l’odio è sconfitto dall’amore. Questa è una legge eterna."
Gautama Buddha


Russia, Moscow, Palazzo dei Rubliov, 1796.

Il duca Adrian Rubliov era in piedi davanti alla finestra con le mani dietro la schiena ad osservare le figure lontane e indefinite sulla pianura che avanzavano verso la sua casa scorrazzando per le sue terre. Scorse tre cavalli con degli uomini in sella ma, sfortunatamente per lui, quello più avanti non era un uomo: si trattava di Evelina, la sua seconda figlia.
La ragazza aveva appena compiuto ventitré anni ma il padre era convinto che ne avesse molti di meno. Sin da piccola era stata appassionata di cavalli e dedicava gran parte della giornata a essi, prendendosi cura personalmente della loro salute e istruzione, fino a farli diventare dei campioni: il suo preferito era Night chiamato così perché era nero come la notte, diventato un campione del mondo e bramato da molti uomini appassionati di equitazione. Se lo avessero venduto sarebbero diventati ancora più ricchi, pensava spesso il padre, ma poi continuava a ripetersi che con il denaro ricevuto avrebbe comprato l’inimicizia di sua figlia che non glielo avrebbe mai perdonato.
La scortavano quasi sempre i fratelli Ivan e Denis Romanov, i figli della cameriera di casa Anna, più grandi di lei rispettivamente di cinque e tre anni. Facevano un po’ da guardia del corpo a Evelina e quest’ultima, essendo cresciuta con loro, li considerava ormai fratelli.
Evelina era una delle donne più belle della Russia e sapeva come incantare qualsiasi uomo grazie ai suoi lunghi capelli scuri e i grandi occhi a mandorla neri come la pece.
Quasi ogni giorno riceveva proposte di matrimonio che lei rifiutava senza esitare: non era per niente interessata al matrimonio, perché se si sarebbe sposata – pensava lei - non avrebbe più goduto della libertà che ora aveva. A lei importavano solo i cavalli.
Evelina arrivò davanti casa, scese da cavallo e lo portò alle stalle.
Il padre sospirò con aria severa e si voltò verso la moglie, Margarita Verioka, guardandola con aria frustrata.
«È tornata a cavalcare nonostante gliel’avessi proibito», disse amaro.
«Caro, non puoi proibirle l’unica cosa a cui tiene di più. E poi lo sai, cavalcherebbe anche di notte per farti un dispetto, testarda com’è», sorrise Margarita.
«Chissà da chi ha preso…» accennò sarcastico.
«Da te, ovviamente», sorrise divertita. Adrian sospirò di nuovo, ma stavolta il suo sospiro fu profondo e sonoro.
«Meg, ieri ha rifiutato un’altra proposta di fidanzamento. Ha ormai l’età giusta per il matrimonio. Sua sorella Yanina non ha avuto difficoltà a trovare marito ma Eva non ne vuole proprio sapere…», si lamentò, mentre con aria corrucciata di versava della vodka in un bicchiere di cristallo nella speranza di poter affogare nell’alcool la sua frustrazione.
«Sono tornata!», esclamò la giovane ragazza mettendo piede in casa.
Evelina entrò nella stanza e si aggiustò i capelli tutti arruffati. Indossava un pantalone nero da equitazione con gli stivali di pelle che le arrivavano al ginocchio e una camicia di lino tutta impolverata. Si tolse il cappotto logoro e lo appese all’appendiabiti, sollevando una nuvoletta di polvere.
Suo padre aveva perso memoria dell’ultima volta in cui aveva indossato una gonna o un vestito come tutte le altre dame normali: andava in giro sempre in pantaloni, per essere più comoda durante le sue frequenti cavalcate giornaliere.
«L’unica cosa femminile che hai è il tuo nome. Ti sembra questo il modo di presentarti?!», si arrabbiò il duca, stringendo i pugni tanto forte da farsi le nocche bianche. Evelina lo guardò smarrita.
«Ma io vesto sempre così», disse con un filo di voce, non capendo il motivo di tutta quella rabbia, visto che ogni volta che indossava i pantaloni non le aveva detto mai niente.
«Appunto», commentò tra sé e sé. «Devi comportarti come una donna. Cavalcare è uno sport per uomini. E ci sono già Ivan e Denis a occuparsi dei cavalli»
«Papà, ne abbiamo già parlato. Ti sembro il tipo da lavorare all’uncinetto davanti al camino? Cavalcare mi piace», disse con un sorriso soddisfatto. «Con il vostro permesso, andrei a fare un bagno caldo», aggiunse scherzosa, facendo un inchino prima di lasciare la stanza.
Evelina si prendeva gioco così di suo padre, gli rinfacciava quanto fossero stupide le usanze e tradizioni della loro società e ogni volta che le andava di scherzare faceva un inchino dinanzi ai suoi occhi che volevano che quel gesto di eleganza fosse vero e non soltanto una burla.
Adrian restò in silenzio, consapevole del fatto che non sarebbe servito a nulla litigare: i Rubliov erano testardi ed Evelina era la cocciutaggine in persona. Meg gli poggiò una mano sulla spalla per consolarlo.
«Non troverà mai marito se si comporta così»
«Forse dovresti aspettare ancora un po’»
«No, ho aspettato anche troppo. Io voglio solo che sia felice e che si sistemi. La gente inizia a mormorare e non è bello sentire che i Rubliov hanno una figlia zitella», obbiettò l’uomo ragionevole.
«Quindi è di questo che ti preoccupi? Della tua fama?», disse lei inasprendo il tono di voce. Margarita era una donna conosciuta per la sua gentilezza e pacatezza: non alzava mai la voce, neanche quando si arrabbiava, cosa che succedeva molto raramente poiché cercava di trovare sempre una soluzione ai problemi e un lato positivo nelle cose peggiori.
«Non può restare per tutta la vita con quei dannati cavalli. È una donna matura: si deve sposare e deve accudire i suoi figli», commentò.
«A Eva non interessa tutto ciò, ha già rifiutato quindici proposte questo mese», disse cauta la moglie.
«A questo ho già trovato rimedio», accennò con un sorriso stanco.
«Un altro pretendente?», disse lei con tono monotono, abituata a tutte le volte in cui il marito trovava in uomo che voleva sposare Eva, abituata a vedere gli uomini fuggire via da quella casa con la stessa frequenza con la quale ne arrivavano di nuovi.
«Questa volta però non avrà scelte»
«Spiegati meglio», disse Meg, cercando di non perdere di nuovo la pazienza, dato che il marito faceva sempre giri di parole per arrivare al succo della questione. Ma lo faceva quando l’aveva fatta grossa, quando quello che avrebbe detto non sarebbe piaciuto. E questo la spaventava.
«Ho fatto una cosa terribile», disse amaro, divenuto a un tratto teso come una corda di violino.
«Cos’hai combinato stavolta, Adrian Rubliov?», disse con tono rimproverante anche se si vedeva chiaramente dalla sua espressione corrucciata che era preoccupata. Per l’agitazione, anche lei si versò due dita di vodka in un bicchiere e bevve ad un fiato.
«Ti ricordi di quel mio vecchio amico, il conte della Cornovaglia… August Wilson?». La donna annuì, invitandolo a continuare. «Ho promesso Evelina a suo figlio: giacché neanche lui riesce a sistemarlo, ha accettato di firmare il contratto», spiegò a un fiato. Margarita lo guardò stupita, con le labbra schiuse, immobile come una statua di marmo.
«Scherzi?», mormorò con un filo di voce.
«Mai stato più serio»
«Sai cosa ne penso dei matrimoni combinati. Se non dovessero piacersi?»
«E’ una supposizione, potrebbero anche innamorarsi e sposarsi felici», disse. Meg rise amaramente per l’assurdità della situazione.
«C’è una possibilità su un milione. Tua figlia non accetterà mai»
«Ci penserà su visto che c’è in ballo l’onore della famiglia! Se non dovesse accettare faremo una pessima figura e lei non permetterà mai che accada… sai quanto ci tiene all’onore», disse pensieroso, fino a quando non considerò ragionevole la sua risposta.
«Quindi vuoi costringere nostra figlia a sposarsi. Ecco perché ti senti in colpa», disse freddamente la donna.
«Non mi sento in colpa perché voglio far sposare mia figlia, ma perché non avrei voluto arrivare a scegliere io suo marito», ribatté lui seccato.
«Già immagino la sfuriata che ti farà», commentò Meg consapevole del fatto che quella sera non ci sarebbe stata una cena allegra e spensierata come tutte le altre volte.
«Lo so», sospirò il padre. Negli occhi di Margarita c’era una strana luce: da una parte, la compassione per il destino di sua figlia, lei che credeva al vero amore, dall’altra la consapevolezza che suo marito aveva fatto la scelta migliore.
La porta bussò e apparve sulla soglia una donna bassina e paffuta che indossava un grembiule bianco con il quale si stava ripulendo ancora le mani.
«Signori, volevo avvertirvi che la cena è pronta in tavola», sorrise lei, sistemandosi dietro l’orecchio una ciocca ribelle di capelli castani.
«Grazie, Anna, arriviamo subito», intervenne la duchessa, strappando dalle mani di suo marito il bicchiere vuoto.
Evelina si presentò a tavola con dei pantaloni puliti e prese posto alla sinistra del duca mentre alla destra si sedette Margarita. Erano rimasti in tre, dopo che la figlia maggiore se n’era andata: Yanina aveva portato via con sé un po’ dell’allegria che regnava prima in casa e ogni tanto li deliziava con il suo ritorno, riempiendo nuovamente le mura della sua risata.
«Ho capito che l’unica volta che ti vedrò vestita da vera donna sarà il giorno del tuo matrimonio», commentò Adrian. Evelina rise.
«Allora dovrai aspettare ancora molto, papà. Come mai sei così polemico oggi?», disse sorridente mentre gli carezzava il dorso della mano prima di afferrare il cucchiaio e assaggiare la zuppa.
«Non sarai più libera come una volta», accennò Adrian. Meg s’irrigidì.
«Hai deciso di darmi un’altra punizione?», disse Eva che al contrario sembrava divertita, squadrando entusiasta suo padre in segno di sfida.
«No, questa non la considererei una punizione se fossi in te»
«Che cosa vuoi dire?»
«Si chiama Stefan Wilson», accennò sorridendo, aspettando speranzoso la sua reazione. Evelina, abituata a questo genere di discorsi che si teneva ormai quasi ogni giorno, non mosse un muscolo e restò impassibile mentre suo padre parlava confusamente di contee e vecchi amici.
«Puoi anche dire a questo “pretendente” che non ho nessuna intenzione di sposarmi», ribatté disinteressata, mentre finiva di mangiare.
«Stavolta è diverso», replicò l’uomo. Eva lo guardò confusa. «Ho firmato un contratto con suo padre», spiegò. La giovane sgranò gli occhi meravigliata.
«Non l’avrete fatto sul serio…»
«Sì, Evelina, l’ho fatto sul serio. Così la smetterai di pensare che scherzo sempre!», sbottò adirato, posando il tovagliolo con il quale si era pulito la bocca sul tavolo.
«Non se ne parla»
«Voglio solo che tu sia felice!»
«E lo sono così!», urlò. Meg chiuse gli occhi aspettandosi il peggio. Sapeva che, quando Eva alzava la voce con il padre, lui perdeva le staffe e iniziava un altro litigio che poteva durare anche diversi giorni.
«Non puoi restare per sempre con quei dannati cavalli», ringhiò.
«Sì che posso», replicò, sfidando il padre. «Io non mi sposo», aggiunse testarda.
«L’accordo è già stato firmato. Se non ti sposi, infangherai il nome della famiglia», disse infine, ferendola nel suo punto debole. A quelle parole Evelina si alzò dalla tavola, sbattendo le mani sul tavolo e facendo tintinnare le posate contro il piatto e i suoi ricci caddero come una cascata dinanzi al suo viso.
«Ti odio», sussurrò e corse in camera.
«Evelina!», la richiamò il padre autoritario, facendo sbattere anche lui le mani sul tavolo. «Torna subito a tavola!». Poi sentì la porta della sua camera sbattere e sospirò rassegnato.
«Cosa ti aspettavi?», mormorò la moglie che fino a quel momento era stata zitta, scrutandolo sottocchio mentre finiva la sua cena.
«Quando vedrà Stefan Wilson, cambierà idea. Se non dovessero piacersi… al diavolo l’onore e smentirò tutto», disse infine esasperato.
«Dubito che a qualcuno non piaccia nostra figlia», disse Meg amara. Ormai la fame era passata a tutti e così anche la donna si alzò dalla tavola, lasciando il duca da solo nello sconforto, in balìa dei suoi pensieri e sensi di colpa.

 

"L’odio non è sconfitto dall’odio, l’odio è sconfitto dall’amore. Questa è una legge eterna."
Gautama Buddha

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Capitolo 2
*** Vi presento Stefan Wilson ***


“La scelta è solo tua, non si vive per accontentare gli altri”
Regina Bianca, Alice in the Wonderland



Inghilterra, Cornovaglia, Territorio dei Wilson, 1796.
 
Raphael Wilson era da poco venuto a far visita agli zii che abitavano poco distante dalla sua casa. Su ordine dello zio conte, stava cercando suo cugino Stefan.
Entrò nella sua camera e lo trovò esattamente come immaginava: con due ragazze nel suo letto. Quella alla sua destra era bionda, l’altra era castana. Secondo i gusti di Raphael, la bionda era molto più graziosa ma a Stefan piacevano di più le brune.
«Ciao, cugino! Vieni a divertirti anche tu?», sorrise Stefan, baciando la ragazza bionda e stringendola a sé per mostrarla all’uomo.
«Sono un uomo sposato, Stefan!», si lamentò Raphael con tono scherzoso, cercando di non far cadere troppo l’occhio sulle ragazze. «E copriti!», aggiunse scherzoso, gettandogli contro una coperta di lino. Stefan rise di nuovo, lanciandogli un’occhiata carica di malizia.
«Occhio non vede, cuore non duole… manterrò il segreto», promise, facendogli l’occhiolino. Raphael sorrise a sua volta. «Scommetto che non sei qui per una visita di cortesia», aggiunse curioso.
«Tuo padre ti sta cercando», lo informò. Il giovane sbuffò, divincolandosi dalle carezze delle ragazze che adoravano tanto scompigliargli i capelli e arruffarli.
«Lascialo perdere, vorrà presentarmi qualche altra ragazza da sposare», disse seccato.
«Non ha torto. Hai ventotto anni adesso, è ora di sistemarti», disse saggio Raphael.
«Pensi che se mi sposassi potrei fare ancora quello che sto facendo ora?», disse con sarcasmo baciando la bruna.
«Forse no, ma potresti accontentarti di tua moglie, senza fare il Don Giovanni». Stefan rise ancora, dedicando attenzione alla mora che gli si era attaccata al braccio e lo accarezzava il cerca di tenerezze.
«L’ultima donna che mi è stata presentata era un ippopotamo: come avrei potuto non tradirla? Non voglio sposarmi, perché dovrei rinunciare alla mia libertà?», continuò. Raphael scosse il capo, afferrando i pantaloni attorcigliati sul pavimento e gettandoglieli contro.
«Ti conviene sbrigarti. Tuo padre si infurierebbe come un toro se ti trovasse così», commentò. Stefan sbuffò e si scostò dai corpi caldi delle due donne.
«Ora vado, ora vado. Mi hai anche fatto passare la voglia», borbottò annoiato, alzandosi dal letto caldo e infilandosi i pantaloni sotto lo sguardo preoccupato di Raphael.
«Dovevo immaginarlo che la tua visita non mi avrebbe portato buone notizie… hai smesso da tempo di venirmi a cercare per le bravate di gruppo», fece scherzoso, dandogli le spalle mentre si allacciava la cintura.
«Hai detto bene… erano altri tempi»
«Ma ti ricordi quanto ce la spassavamo?», rise Stefan, mettendogli un braccio attorno al collo mentre gli dava una pacca sul petto. Raphael barcollò, cercando di mantenere la sua perenne posizione di equilibrio. «Avanti, in nome dei vecchi tempi, sono tutte per te»
«Stefan, risparmia il fiato», tagliò corto Raphael, lanciando un’altra rapida occhiata alle due donne che suo cugino gli aveva offerto.
«Sempre con quell’aria seria in volto», bofonchiò Stefan scuotendo il capo. «come desideri…», aggiunse con un sospiro, infilandosi una camicia bianca e pulita. «Voi due: sparite nel giro di cinque minuti», aggiunse rivolto alle due ragazze, prima di uscire per raggiungere lo studio del padre, il conte August Wilson.
Stefan era uno degli scapoli più affascinanti d’Inghilterra, dai capelli castano nel biondo, gli occhi color miele che sembravano d’oro, la carnagione un po’ abbronzata quasi dorata, bocca carnosa e un sorriso smagliante che sapeva incantare persino sua madre. Un adone d’oro.
«Mi stavate cercando?». Stefan irruppe nella stanza facendo sussultare suo padre e sii guardò attorno, sentendosi più sereno quando vide che non c’era nessuna dama ad attenderlo ma solo una figura imponente, seduta su una grossa poltrona in pelle in fondo alla stanza.
«Siediti e ascoltami», disse il padre autoritario e Stefan obbedì, sedendosi su una poltrona davanti alla scrivania. Rigido come un bastone, lo fissava immobile.
Non aveva mai avuto un rapporto rose e fiori con lui: sin da piccolo, suo padre gli aveva insegnato cosa comportava essere un uomo, il che significava che non c’erano state molte volte in cui gli aveva dato una carezza. Stefan sapeva che suo padre infondo gli voleva bene, ma era molto difficile ricordarselo quando davanti ai suoi occhi non vedeva altro che un uomo tutto d’un pezzo, dall’aria burbera e l’espressione perennemente scontenta sul volto. Quelle pareti scure del suo studio gli avevano da sempre messo soggezione, ansia e angoscia e quella sensazione di fastidio non era svanita nel corso del tempo, anzi, ogni volta che ci entrava ricordava tutte le sgridate che il conte gli aveva dato un tempo. E non erano mancate le volte in cui aveva ricorso alla cintura. Più che un affettuoso padre, August Wilson era semplicemente l’uomo che gli permetteva una vita agiata. Molto agiata.
«Andrai a far visita alla duchessa Rubliov, ne avrai sicuramente sentito parlare…»,
«Perché avrei dovuto?». Il conte incrociò lo sguardo di suo figlio e tirò un sospiro paziente.
«Ti ho dato molto tempo per scegliere tua moglie ma pare che tu non voglia sentir ragione. Non puoi vivere portandoti a letto qualche puttanella, devi sistemarti»
«E lo farò, ma non adesso. Magari ci penserò dopo i trent’anni…», accennò, credendo di aver chiuso il discorso e fece per alzarsi dalla poltrona per andare via.
«A trent’anni dovresti essere già sposato e con una decina di figli, Stefan!», ribatté il padre facendo cenno di restare seduto lì. Lui rise pensando all’assurdità della cosa. Un figlio? Mai! Solo l’idea gli faceva venire il prurito alle mani.
«C’è poco da scherzare. Ho firmato un contratto di fidanzamento con il duca Rubliov», obiettò. Stefan sgranò gli occhi meravigliato mentre avvertiva un calore che stava iniziando ad invadere il suo corpo.
«Mi avete organizzato un matrimonio?», chiese pallido e August annuì. «Scordatevelo. Io non mi sposo»
«Oramai il contratto è firmato, non puoi tirarti indietro. O vorrai disonorare il nome dei Wilson?»
«Non potete costringermi!», urlò adirato scattando sulla sedia, mentre il sangue gli ribolliva nelle vene.
«Non ti sto costringendo, posso sempre disdire tutto e dire che non puoi fare a meno delle tue amanti, ma non ci faremo una bella figura con il duca più potente della Russia», disse August con apparente disinteresse.
Se c’era una delle virtù che aveva insegnato a suo figlio era quella di mantenere altro il proprio onore.
Stefan guardò il padre e uscì dalla stanza pieno di rabbia e di collera. Poteva mai disonorare la sua famiglia? Suo padre si fingeva indifferente, ma sapeva che per quanto ci tenesse al suo onore l’avrebbe scomunicato come figlio e tagliato fuori perfino dall’eredità.
Afferrò la sua giacca e a grandi passi, ignorando le voci di sua madre e della domestica e si recò da suo cugino che abitava nella villa poco distante da casa sua. La porta era aperta quindi entrò velocemente e sorprese Raphael in salone assieme a sua moglie Jasmine.
«Tu sapevi tutto, vero?»
«Vedo che sei stato informato…», accennò con cautela, scrutando il volto di Stefan distorto dall’ira mentre faceva cenno a Jasmine di lasciarli soli. La donna scrutò Stefan con i suoi occhi verde smeraldo e scomparve velocemente.
«Perché non me lo hai detto prima?», disse arrabbiato anche con lui, sbattendo le mani sul tavolo di ciliegio.
«A che sarebbe servito?», lo ammonì, gustando un po’ di liquore che si trovava già nel bicchiere. La sua calma, quando Stefan era furioso, alimentava la sua rabbia.
«Beh… sarei potuto scappare, così mio padre non mi avrebbe potuto informare»
«Quindi saresti scappato via come un codardo…»
«Difendere la propria libertà non è da codardi», replicò freddamente.
«Dai, potresti innamorarti di lei com’è successo a me»
«Non credo nelle favole. Devi aiutarmi a trovare una scusa», disse Stefan preoccupato.
«Potremmo dire allo zio che sei allergico al matrimonio, che te ne pare?», scherzò Raphael, mandando giù ad un fiato il liquido e porgendo un bicchiere anche al cugino.
«Sono serio», borbottò lui, prima di bere dal suo bicchiere. «Tu a cosa hai pensato quando ti hanno detto di sposarti?».
Raphael ci pensò su cercando di ricordare i suoi pensieri libertini che tempo fa avevano sfiorato la sua mente. Una volta anche lui era tra gli scapoli più affascinanti del paese, ogni tanto ricordava con un sorriso amaro i bei momenti che aveva passato con Stefan quando, insieme, si davano alla pazza gioia e ne combinavano di tutte i colori. Ricordò di una fuga da casa, ma di certo non gli avrebbe suggerito di scappare lasciando sua moglie. Gli venne poi in mente un’idea, come se si fosse accesa una lampadina nella testa.
«Avevo pensato di sposarmi e poi di separarci», ammise. Il volto di Stefan s’illuminò e in lui si accese un barlume di speranza.
«Giusto! Potrei essere talmente disgustoso e antipatico da convincere mia moglie a revocare il matrimonio!», disse eccitato.
«Tuo padre mi ucciderà se scoprirà che sono stato io a darti l’idea», mormorò Raphael portandosi le mani alle tempie.  
«Sei un genio», sorrise Stefan e uscì dalla stanza con l’espressione contenta e più rilassata sul viso.
L’uomo raggiunse suo padre nel soggiorno che discuteva con sua madre. Quest’ultima rivolse a Stefan i suoi occhi miele che lasciavano trapelare la sua agitazione.
 «Quando devo partire?», chiese Stefan improvvisamente, cercando di dimostrarsi convinto delle sue scelte. August lo guardò perplesso per qualche secondo prima di autoconvincersi che suo figlio fosse serio.
«Il viaggio è lungo, ti conviene partire subito. Più presto arrivi, più presto ti sposi», borbottò soddisfatto. «Faccio preparare a Thomas i cavalli per domani?»
«D’accordo»
«Maximilian e tuo cugino Raphael ti scorteranno».
Stefan lasciò la stanza chiudendosi la porta alle spalle ancora prima che suo padre potesse finire di parlare.
«Che Dio ce la mandi buona», sussurrò la contessa, incrociando le dita in un gesto di preghiera e rivolgendo gli occhi al cielo.
Stefan si era convinto? Di sicuro August sapeva che quando c’era di mezzo l’onore, suo figlio non poteva tirarsi indietro.



“La scelta è solo tua, non si vive per accontentare gli altri”
Regina Bianca, Alice in the Wonderland



Nda: quasi dimenticavo.... io immagino Stefan come Paul Wesley, sì, il vampiro bono di The vampire Diaries, e non solo perché si chiama anche lui Stefan ahaha xD Per chi non lo conoscesse... andatevelo a vedere in google immagini ù.ù nel prossimo capitolo se ho tempo vi pubblico una foto! non è fantastico?? *^*
Ahaha un bacio :*


 

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Capitolo 3
*** Un incontro poco desiderato ***


“Finché ascolti il tuo cuore e fai di tutto per essere felice, sei tu a condurre il gioco con le regole che tu stesso ti sei dato”
L’onda perfetta



Tenuta dei Rubliov.
 
Evelina, insieme a Ivan e Denis, fece una cavalcata fino ai confini delle sue terre: era l’unico modo efficace per eliminare la tensione che in quei giorni le era cresciuta dentro, accumulandosi ora dopo ora. A casa sembrava che tutti avessero l’idea esatta di come dovesse vivere la sua vita senza sapere mai come vivere la loro.
Erano già tre giorni che lei e il padre non si rivolgevano la parola a causa del maledetto orgoglio dei Rubliov; Eva era addirittura scoppiata in lacrime, nella sua stanza, abbracciata a Nina mentre pensava che un giorno avrebbe dovuto lasciare tutto quello che aveva per andare a vivere sotto lo stesso tetto con uno sconosciuto. No, non poteva accettarlo.
Evelina sentì nuovamente pizzicarle gli occhi e diede un colpetto al ventre del cavallo per spronarlo ad accelerare.
«Eva, dovremmo ritornare… Il conte Wilson potrebbe arrivare da un momento all’altro», le fece osservare Ivan, il fratello maggiore, quello che tra i tre aveva veramente la testa sulle spalle.
«Non ho intenzione di sposarmi», borbottò Eva esasperata, accelerando ancora di più e godendosi il vento sferzare il suo viso.
«Siate ragionevole», insistette Ivan.
«Se mi sposo dovrò andare via da qui e non potrei restare più con i miei purosangue»
«Ma verrete a trovarli ogni volta che vorrete», replicò Denis cauto.
«E tu pensi che il mio sposo mi farà cavalcare? Tollererà i miei pantaloni?», si lamentò, cercando una scusa.
«No, non li tollererà. Però potete sempre trovare un modo per farlo…».
Evelina sembrò non dare ascolto alle sue parole, non voleva sentire ragioni.
«Potreste sempre lasciarlo, per esempio»
«E tornare qui» aggiunse Ivan. «Come fece la duchessa Kanteu».
Eva ricordava di quella donna furba: sposava gli uomini più ricchi e poi chiedeva che il matrimonio fosse reciso, inventandosi la scusa che il marito la maltrattava o era un ubriacone o la tradiva, in modo da ereditare gran parte del suo denaro. Evelina sorrise maligna, chissà perché l’idea non l’aveva neanche sfiorata.
«Sarò talmente disgustosa e antipatica che il nostro caro conte mi rimanderà indietro o addirittura non vorrà proprio sposarmi», rise, e corse avanti con il suo cavallo. Ivan e Denis la seguirono giù per la pianura capendo che la donna aveva finalmente deciso di tornare indietro, attraversando l’immensa distesa di verde che i Rubliov potevano vantare a dispetto delle altre terre aride.
«Non correte! Non riusciamo a stare al passo!».
Eva li ignorò come al solito e arrivò prima dei due cosacchi presso la sua tenuta.
Nel cortile notò una certa agitazione e delle facce che le parvero nuove: c’era un ragazzo accanto ad un cavallo con due uomini alle sue spalle. Evelina restò affascinata dal manto marroncino del suo stallone, guardandolo come ogni donna guarderebbe un gioiello, poi posò lo sguardo su quello che doveva essere il suo padrone.
Lui incrociò i suoi occhi e restò ammaliato da lei. Il suo sguardo si posò sul bottone slacciato della camicetta della ragazza che abilmente scese da cavallo con un balzo e si avvicinò curiosa agli stranieri.
«Non avevo mai visto una donna… in pantaloni», ammise sorpreso, restando ancora imbambolato davanti alla figura della bella ragazza. Ogni uomo reagiva allo stesso modo e, per i primi cinque minuti, non riusciva mai a spiaccicare una parola di senso compiuto: questo era uno dei motivi per i quali Evelina diceva di no a tutti. Si era promessa che avrebbe sposato l’uomo che avrebbe reagito dignitosamente alla sua vista.
«C’è sempre una prima volta», sorrise lei.
«Il suo cavallo è molto bello…», commentò lui e accarezzò il purosangue che si innervosì, battendo lo zoccolo sul terreno polveroso.
«Buona Night, stai tranquilla», sussurrò la donna al suo orecchio, accarezzandone il manto scuro. «Li allevo personalmente», sorrise soddisfatta, rivolgendosi nuovamente all’uomo.
«Allevate cavalli?», disse lui sempre più incredulo. L’uomo alle sue spalle soffocò una risata e l’altro lo fece ammutolire con una gomitata nel fianco.
«Vi meraviglia così tanto che una donna possa cavalcare?»
«E’ che… una donna bella come voi non dovrebbe sporcarsi le sue graziose mani per questo genere di lavori», ammiccò il ragazzo malizioso, prendendole la mano per baciarne il dorso con delicatezza. Eva si scostò imbarazzata, togliendo la sellatura al cavallo e gettandola con noncuranza ai piedi del portone di legno della stalla.
«Cercavate qualcuno?», gli chiese infine.
«Il duca Rubliov. Voi siete la domestica?»
«La… domestica?!», esclamò lei inorridita. «Voi siete il signor…»
«Wilson. Stefan Wilson, dolcezza», sorrise, facendogli un elegante inchino. Evelina sgranò gli occhi ed emise un gridolino.
«Siete voi», disse con un filo di voce, meravigliata, portandosi le mani alla bocca.
«Conte Wilson!». Il ragazzo sussultò e si voltò vedendo venirsi incontro un uomo dai folti baffi scuri e un paio di chili di troppo che lo facevano faticare nell’andatura.
«Signore». Stefan abbassò il capo in segno di riverenza. «Mio cugino, il conte Raphael Wilson, e il mio maggiordomo Maximilian», aggiunse mostrando al duca le due facce nuove dietro di sé.  
«Spero abbiate fatto buon viaggio! Vedo che ha già avuto l’occasione di conoscere mia figlia…», accennò tutto sorridente, stringendogli la mano con enfasi dopo aver salutato gli altri due.
«Vostra figlia?», chiese Stefan perplesso.
«Sì, Evelina», precisò, indicando la ragazza con un cenno della mano. Stefan si voltò nuovamente verso di lei.
«Siete voi la duchessa?!»
«Sempre più sorpreso, conte?», rise Eva divertita, mettendosi le mani sui fianchi.
Stefan si diede dello stupido un paio di volte, ripercorrendo la figura di Evelina come se non l’avesse mai vista prima. Ricordò di essersi promesso di essere antipatico e sgarbato e invece non aveva fatto altro che riempirla di complimenti nel tentativo di portarsela a letto.
«Entrate dentro…», lo invitò Adrian cercando di non far dilungare il discorso tra lui e sua figlia: conoscendola bene, meno avrebbe parlato e meglio sarebbe stato. Evelina diede un’occhiata ai fratelli Romanov che si stavano scompisciando dalle risate a pochi metri da loro, poi entrò per ultima in casa.
«Conte Wilson, lei è mia moglie Margarita». Stefan sorrise alla donna, prendendole la mano per baciarla.
«Incantato», sussurrò, seguendo poi il duca nel salotto.
«Posso offrirvi del rum? Vodka? Gin?», fece l’uomo, prendendo dei bicchieri dalla cristalliera.
«Vodka, grazie». Adrian riempì i bicchieri e diede ai tre la vodka, sedendosi di fronte a loro sul divano in pelle.
«Il viaggio deve avervi stancato, faccio preparare qualcosa da mettere sotto i denti?»
«Oh, vi ringrazio, ma vorrei partire subito e…»
«Suvvia, così mi offendete», sorrise Margarita portandosi in grembo le mani affusolate. «Anna, i signori si fermano da noi stasera», aggiunse alla domestica che se ne stava in disparte a lucidare l’argenteria.
Evelina li raggiunse, accasciandosi sguaiatamente sul divano a gambe aperte, sospirando sonoramente.
Il padre la guardò in segno di rimprovero, implorandola con gli occhi di smetterla e Stefan, rigido sulla poltrona come una mazza da biliardo, non poteva fare a meno di togliere gli occhi di dosso a quella bellezza selvaggia. Non sapeva davvero cosa pensare di lei, aveva avuto troppo poco tempo per osservarla e farsi un’idea.
La conversazione tra Stefan e i suoi genitori le parve durare un secolo, nonostante fosse passata a mala pena un’ora. Il duca chiacchierava con il ragazzo come se dovesse essere lui a sposarlo e Margarita non poteva fare a meno di fare un’infinità di domande a suo cugino Raphael e a Maximilian. 
Lei fece finta di non ascoltare, mostrandosi disinteressata ed esclamando un “Grazie al cielo!” quando dovettero smettere per spostarsi in sala da pranzo. Stefan le lanciò un’occhiataccia fulminea quando quelle parole gli arrivarono alle orecchie e lei, noncurante, andò in camera a cambiarsi per la cena. Nina, la sorella di Denis e Ivan nonché donna di compagnia di Eva, bussò alla porta ed entrò senza che la duchessa avesse dato il consenso.
«Vi siete già cambiata?», sorrise ed Eva volse lo sguardo verso la ragazza. Era minuta, di qualche centimetro più bassa di lei, aveva il viso piccolo e gli occhi a mandorla e i capelli castani che teneva sempre legati e in ordine.
«Se mi fingo malata?», sbottò la ragazza, accasciandosi sul letto e affondando con il capo nel cuscino.
«A vedervi, non ci crederebbe neanche un cieco», scherzò ed Eva rimase immobile a fissarla per diversi secondi con aria pensierosa.
«Ma sai bene che sono una brava attrice», replicò lamentosa, alzandosi dal letto. Nina l’aiutò a sfilarsi il bustino che portava sotto la camicia di lino.
«Il conte mi sembra proprio un bell’uomo», aggiunse lei maliziosa, sorridendo. La ragazza aveva la stessa età di Evelina e si trovavano molto bene insieme: Nina era dolce, gentile, sempre garbata con lei, l’amica perfetta che tutti vorrebbero avere.
«È soltanto un arrogante. Mi ha scambiato per una cameriera e ci stava già provando con me», brontolò Eva disgustata, sciogliendosi i capelli. Già odiava quell’uomo che voleva privarla della sua libertà.
«Questo significa che vi apprezza», sorrise ingenua. Eva la fulminò con lo sguardo.
«Questo significa che, se io fossi stata la cameriera, avrebbe già tradito la duchessa», concluse. Nina abbassò lo sguardo. «Non preoccuparti, tra poco sarà tutto finito con quel bell’imbusto là fuori», aggiunse. Nina si diresse verso il grosso armadio e fece per rovistare all’interno di esso per prendere un vestito.
«No! Dammi dei pantaloni. Farò pentire il conte di essere venuto»
«Ma…»
«Niente gonne», disse freddamente, ordinando categoricamente di richiudere l’armadio degli abiti, ancora avvolti nella loro plastica nuova.
«Questa scelta non la comprendo, Eva», mormorò Nina scuotendo il capo, porgendole poi dei pantaloni puliti.
«Se tu fossi al mio posto comprenderesti», si limitò a dirle, scendendo di sotto.
Come aveva previsto, gli ospiti rimasero sorpresi dal suo attuale abbigliamento poco elegante.
«Potevi indossare qualcosa di adatto almeno con il tuo fidanzato», borbottò Adrian al suo orecchio per non essere sentito.
«Se il conte mi vuole mi deve accettare per quello che sono» sorrise Evelina con arroganza.
«Per favore, Eva…», si lamentò. Lei lo ignorò e si sedette a tavola di fronte al conte sotto lo sguardo degli altri commensali.
«Presumo che non siete una di quelle donne amanti dei fronzoli e gioielli», disse Stefan schietto, squadrandola quasi disgustato. Qualunque ragazza si sarebbe offesa, ma non Eva. Stava guadagnando punti.
«Avrete fatto un lungo viaggio per venire fin qui: se quello che vi aspettavate era una bambola di porcellana, beh, mi dispiace aver fatto fare tutti questi chilometri ai suoi cavalli», rispose prontamente con la sua lingua da vipera, afferrando il calice colmo di vino per assaggiarlo. Stefan tossì leggermente imbarazzato e un velo di stupore si dipinse sul suo volto.
«In effetti, per tutti i chilometri che ho fatto, mi sarei aspettato un po’ di riconoscenza in più», ammise seccato. Evelina gli rise in faccia.
«Se non vi sta bene, la porta è alla vostra sinistra», disse la ragazza con una calma irritante, sfoderando un sorriso ammaliante e beffardo allo stesso tempo. Stefan rimase senza parole per qualche secondo: nessuna donna l’aveva risposto così, nessuna avrebbe mai osato. Raphael, che fino a quel momento era restato seduto in silenzio, dovette di nuovo trattenersi per non ridere fragorosamente e incrociò gli occhi di Max che - per qualche istante - parve stesse per scoppiare come una pentola a pressione, diventando tutto rosso.
«Non mi sorprende che non abbiate ancora trovato marito», borbottò con diffidenza.
«Stefan, perché non ci parlate del vostro paese?», intervenne Adrian frettoloso, facendo quasi segnali di fumo per farsi notare dai suoi occhi dorati.
Per il resto della serata, Stefan evitò lo sguardo di Eva e i suoi occhi cadevano involontariamente nel suo petto florido, dove il bottone era di nuovo fuori dall’asola e lasciava intravedere la sua biancheria, facendolo viaggiare con i suoi pensieri libertini.
Dopo la cena, fecero un rapido brindisi al quale Eva non volle partecipare con la scusa di essere astemia, anche se aveva bevuto due bicchieri di vino rosso che non erano sfuggiti all’occhio dell’inglese.
«Nina, accompagna i signori alle loro camere… saranno stanchi per il viaggio e l’alba del domani è vicina», intervenne Margarita, alzandosi dalla tavola e sistemandosi la gonna del vestito.
«Sì, signora. Da questa parte». La ragazza fece da guida ai tre per le scale e poi lungo il corridoio, ascoltando con attenzione quello che dicevano.
«Quella non è una donna», commentò Stefan all’improvviso, dato che era rimasto zitto per gli ultimi cinque minuti con la testa tra le nuvole. «Solo il pensiero di doverla sposare mi fa venire l’ansia», aggiunse esitante.
«Dio, non mi perderò per nulla al mondo questa faccenda», rise Raphael. Stefan lo fulminò con lo sguardo non appena voltò il viso verso di lui e suo cugino smise.
«Però è bella», commentò Max, inopportuno come sempre.
«Dannatamente bella», ringhiò Stefan, maledicendo suo padre per averlo cacciato in un simile pasticcio e se stesso per aver accettato di viaggiare così a lungo fin qui.
«Hai cambiato idea sull’annullamento del matrimonio?», azzardò Raphael.
«Vedere quella “ragazza” mi ha convinto di annullare il matrimonio», ribatté, mettendosi le mani in tasca.
Nina, fingendosi indifferente, si fermò dinanzi ad una della porte di legno lungo il corridoio.
«Potete usare questa stanza, quella di fronte e quella accanto», accennò, aprendo con un gesto rapido una delle porte. Entrò in stanza e aprì l’armadio per prendere delle lenzuola nuove e degli asciugamani. «C’è tutto. Se avete bisogno di qualcos’altro…»
«Va benissimo, grazie», borbottò Stefan scorbutico, entrando in camera e sbattendole la porta in faccia. Sussultò sorpresa da quel gesto tanto sgarbato e Raphael sospirò alle sue spalle.
«Dovete scusarlo, è solo stanco», intervenne suo cugino e Nina fece una smorfia, stringendo tra le mani il resto delle lenzuola che non aveva avuto il tempo di posare.
«Spero sia più riposato per domani, altrimenti non andrà molto d’accordo con la duchessa»
«Sì, l’avevo già intuito…», accennò e risero.
«La vostra camera è…»
«Quella di fronte. Grazie», sorrise Raphael, aprendo la porta e salutandola con un cenno del capo prima di richiuderla alle sue spalle.
Nina si voltò e incrociò un paio di occhi scuri, diversi da quelli dorati di Stefan o verdi di Raphael: quasi si era dimenticata che c’era un altro uomo di cui non sapeva neanche il nome ma che aveva un sorriso così bello. Le lenzuola scivolarono dalle sue mani e lei arrossì, chinandosi immediatamente sul pavimento per raccoglierle.
«Vi aiuto», intervenne prontamente l’uomo, piegandosi di fronte a lei per aiutarla a piegare le stoffe.
«Non c’è ne bisogno. Perdonatemi, vi mostro la vostra stanza», tossì Nina imbarazzata, alzandosi mentre si sistemava le ciocche di capelli che erano sfuggiti alla treccia. Aprì la terza porta e poggiò le lenzuola sul letto ordinato, chiudendo poi le finestre e le tende.
«Chiamatemi per qualsiasi cosa», sorrise Nina, facendo un piccolo inchino verso l’uomo.
«Ma non so il vostro nome», replicò lui, afferrandola delicatamente per una mano prima che lei potesse andare via. Il cuore della ragazza si fermò in gola e di nuovo incrociò gli occhi scuri dell’uomo che aveva davanti. Il suo viso era segnato da qualche piccola ruga e incorniciato da capelli castani abbastanza lunghi, la sua camicia impolverata nascondeva spalle ampie e le sue mani, che stringevano quelle della giovane, erano grosse e calde.
«Nina», sussurrò con un filo di voce.
«Io sono Maximilian», ricambiò con un sorriso, lasciandole poi libera la mano nel vedere che era a disagio. «Vi auguro una buona notte», aggiunse l’uomo, indietreggiando per lasciarle il suo spazio e la sua aria mentre le dava le spalle e si slegava le fasciature che gli legavano i polsi.
Nina, quasi terrorizzata dall’effetto che Maximilian aveva avuto su di lei, scappò via per raggiungere Evelina che, in stanza sua, era già seduta dinanzi lo specchio per sistemarsi i capelli.
«Dov’eri finita?», sorrise la ragazza.
«Stavo mostrando la camera agli ospiti, scusate», sussurrò rossa in viso per l’imbarazzo, abbassando il capo per deviare lo sguardo indagatore della duchessa. Afferrò la spazzola che Eva aveva tra le mani e la fece affondare nella sua chioma scura.
«Non me la conti giusta, Nina»
«E perché?», rise lei nervosa.
«Sembri agitata. Raramente ti trovo così impacciata»
«Sarà la stanchezza…», sospirò e lei annuì poco convinta.
Sapeva che non era la stanchezza ad indebolirla: ad Eva non era sfuggita l’occhiata che quel Maximilian le aveva riservato ed era sicura che avesse a che fare molto con l’intera faccenda, ma se Nina non se la sentiva di confessare non poteva di certo costringerla.
«Allora vai a dormire, finisco io qui»
«Sicura che…»
«Vai, buonanotte»
«Buonanotte». Evelina le sorrise, vedendola socchiudere premurosamente la finestra e lasciare la stanza lentamente.



“Finché ascolti il tuo cuore e fai di tutto per essere felice, sei tu a condurre il gioco con le regole che tu stesso ti sei dato”
L’onda perfetta



Nda: finalmente si sono incontratii *^* che ne pensate di questi due? io non riesco ad essere soggettiva mentre parlo di loro, anche perché sono arrivata a scrivere di loro in un punto dove...beh..."cambiano" un po' le cose xD
Quindi ho bisogno di un vostro parere personale, non abbiate paura di recensire, non vi mangio! :p
Ancora grazie a chi ha recensito, alle persone che l'hanno messa tra le seguite/ preferite/ ricordate! Spero vi sia piaciuto!

 

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Capitolo 4
*** Lontano dalla Russia ***


“Desideri e destini vanno in senso contrario tanto che i nostri calcoli son sempre rovesciati: nostri sono i progetti, ma non i risultati”
William Shakespeare



La luce che penetrava dalla stanza di Eva per poco non l’accecava e lei, in segno di protesta, mugolò rigirandosi nel letto e coprendosi gli occhi con il lenzuolo.
«Duchessa, siete ancora a letto?! Forza, la colazione e pronta!», esclamò Anna, battendo le mani per spronarla ad alzarsi.
«Non ho fame», si lamentò. «Mi sento accaldata, forse ho la febbre».
Sentendo silenzio, sperò che Anna ci avesse creduto e l’avesse lasciata dormire in pace ma invece la donna si avvicinò a lei e si sedette sul letto, allungando una mano per scoprire dolcemente il suo viso.
«Mia piccola Eva», sorrise la domestica, incrociando gli occhi scuri della ragazza socchiusi per il sonno. «Potrei anche credervi, se non fosse che vi conosco da quando siete uscita dal ventre di vostra madre… e ora coraggio, in piedi!»
«Uffa», sbuffò Eva, rabbrividendo perché Anna le aveva appena tolto le lenzuola da dosso strappandola dal torpore che le regalavano.
 
Ivan e Denis videro Evelina dirigersi verso di loro con una strana espressione in volto, di certo più serena di ieri ma non del tutto spensierata. Erano poche le volte in cui vedevano Eva così nervosa.
«Buongiorno, Eva! Sembrate di buon umore oggi», sorrise Ivan, guardandola divertito mentre strigliava un cavallo dal manto grigio.
«Com’è andata ieri?», chiese Denis sorridendole mentre le porgeva la sella. Eva sorrise malignamente e non riuscì a trattenere un ghigno compiaciuto mentre si avvicinava al suo purosangue e gli accarezzava il dorso.
«Il conte e i suoi uomini mi guardavano come se fossi un alieno. Sono rimasti a bocca aperta», disse soddisfatta e i fratelli risero.
«Quando si dice “donna che lascia senza parole”, eh?»
«Sicuramente ieri sera il conte avrà disdetto tutto. Non ho incontrato né lui né i suoi cagnolini per i corridoi, ecco spiegato il mio buonumore». Assicurò che le redini fossero ben salde e poi montò sul cavallo con un rapido balzo. «Se più tardi sentirete delle urla, sarà mio padre infuriato perché ho perso un altro eventuale marito», aggiunse compiaciuta, fissando in volto i due ragazzi.
«Non dovreste dare così tanti dispiaceri a vostro padre, sembra un brav’uomo». La voce che proveniva alle spalle di Eva la fece trasalire e improvvisamente la sua espressione serena scomparve per far posto a una rabbia omicida. Tirò le briglie al cavallo e si voltò vedendo in piedi davanti alla porta delle stalle Stefan.
«E lo è», disse acidamente. «Quando non cerca di accoppiarmi con simili… scherzi della natura», fece disgustata, osservandolo altezzosamente dall’alto. Stefan accennò una risatina compassionevole, rigirandosi un berretto tra le mani, poggiato spavaldamente a una delle assi di legno.
«Avete una stima così bassa di me?»
«Che ci fate ancora qui?», riprese lei, senza evitare di far trasparire un pizzico di sorpresa.
Chissà perché si aspettava che se ne fosse già andato a gambe levate per la disperazione e, diavolo, ci aveva maledettamente sperato.
«Cosa ci faccio qui? Ditemelo voi, duchessa, dopotutto è vostro padre che vuole accopparvi con il sottoscritto scherzo della natura», fece ironico, puntandosi un dito al petto mentre ripeteva le parole della ragazza.
Il volto di Evelina si contrasse per la rabbia e i suoi pugni afferrarono più saldamente le redini. Odiava già quell’uomo, non poteva immaginare che qualcuno avesse osato prendersi gioco di lei in quel modo. Chi era lui per farlo? Chi si credeva di essere?
«Beh, non vi sembra ovvio? Non nutro nessun desiderio di diventare vostra moglie perciò andate da mio padre a disdire il contratto. Sia ben chiaro: io non vi sposerò», disse determinata. «Morirei, piuttosto», aggiunse in un ringhio minaccioso e si allontanò con il suo cavallo verso la pianura verdeggiante.
Ivan tossì, accennando qualche passo in direzione del conte che teneva gli occhi puntati sulla figura sempre più piccola di Evelina.
«Posso permettervi di darvi un consiglio, signore?», accennò titubante e lo sguardo di Stefan si posò subito su di lui.
«Conosci qualche metodo per addomesticare quella furia?», scherzò sarcastico e Ivan accennò un sorriso forzato e non poco infastidito.
«Evelina è determinata in quello che vuole. Il mio consiglio è di andare dal duca e annullare tutto»
«No», tagliò corto Stefan, facendogli un cenno autoritario con la mano di ammutolire. A parlare stavolta fu suo fratello, avvicinatosi con due grossi passi.
«Se la sposate passerete un inferno: quella donna non vi darà pace!»
«Non sarò io a farlo. Evelina è una donna fuori dal comune: voglio prima divertirmi, magari la sua grinta vale anche a letto…». Sussultò sorpreso quando si ritrovò puntato contro il ferro arroventato con il quale si forgiavano nuovi zoccoli per cavalli. Denis, con uno sguardo assassino e la testa alta, impugnava quel ferro con il quale minacciava di trapassare il cuore di Stefan.
«Non vi permetterò di giocare con la mia padrona», ringhiò minaccioso. Ivan gli mise una mano sul braccio, sussurrando il suo nome per intimarlo a lasciare stare, ma Stefan abbozzò un sorrisetto che si tramutò in una vera e propria risata derisoria.
«Perché non la sposi tu, che sembri tenere tanto a lei?», lo punzecchiò il conte, prima di tramortirlo con un pugno destro e disarmare il povero Denis che, con un calcio, crollò con la schiena a terra.
Stefan si chinò su di esso, mettendo un piede sul suo petto e puntandogli contro la lama con la quale prima era stato minacciato.
«Oh, già, dimenticavo che sei solo un lurido servitore. Osa di nuovi puntarmi contro qualcosa di appuntito e te lo ficcherò su per il…»
«…Stefan!». Il conte si voltò giusto in tempo per vedere l’espressione sconcertata di Raphael, in piedi davanti al portone di legno, e non si mosse di un millimetro.
«Gli stavo insegnando come si mostra rispetto per una casata nobiliare, cugino», fece ironico osservandolo avvicinarsi.
«Su, lascialo stare…», lo incitò, togliendogli pazientemente la spada dalla mano. Denis si ritrasse quando Stefan lo lasciò libero e si mise in piedi, allontanandosi zoppicante. Ivan gli corse incontro e lo trascinò per un braccio timoroso che potesse fare qualche altra cosa insensata.
«Sei impazzito?!», sussurrò spaventato, dandogli un colpetto dietro la nuca. Denis e Stefan si lanciarono un’ultima occhiataccia di odio prima che le loro strade si divisero.
«Siamo stati accolti così cortesemente dal duca e ti metti a litigare con i suoi servitori?!», esclamò Raphael esterrefatto.
«Quella nullità mi ha puntato addosso una lama!»
«Ma smettila, non sapeva neanche impugnarla! Te la darei io una lama dritta in una costola!», sbottò dandogli una pacca di rimprovero sulla spalla mentre Stefan si scrollava la polvere dai pantaloni. «Bel gancio destro comunque», aggiunse mentre uscivano dalle stalle e scoppiarono a ridere.
 
Evelina di certo non immaginava che al suo ritorno dalla cavalcata si sarebbe ritrovata davanti due carrozze e quattro cavalli già pronti per partire. Avvertì un brivido percorrerle la schiena mentre la rabbia le gonfiava il cuore e minacciava di farla esplodere come una bomba a orologeria.
Vide i fratelli Romanov caricare valige sulla prima carrozza assecondando gli ordini di Raphael mentre il conte Chavez parlottava con sua madre e Maximilian sussurrava qualcosa all’orecchio di Nina che era arrossita di colpo.
C’era una strana frenesia, mista a un’aria di festa, come se la sua partenza fosse una cosa lieta, e neanche si erano accorti che era lì impalata accanto al suo cavallo sprizzando odio da tutti i pori. Avrebbe voluto avere i poteri magici e far scomparire dalla terra quei tre. No, forse Maximilian l’avrebbe risparmiato, aveva un’aria simpatica e piaceva a Nina.
«Evelina!», esclamò Denis, notandola per primo a pochi metri da loro.
«Ti occuperai tu dei cavalli, vero?», mugolò la ragazza con un tono melodrammatico.
«Certo. Staranno bene, non vi preoccupate»
«Non è della loro salute che mi preoccupo, piuttosto della mia… impazzirò, Denis, un solo giorno assieme a quell’uomo!», piagnucolò come una bambina capricciosa, aggrappandosi al suo braccio e nascondendo il viso sul suo petto.
Il cuore di Denis saltò qualche battito, quanto bastava per fargli girare la testa all’idea di avere Eva stretta a lui. Poche volte era successo da quando la conosceva, non gli era concesso avvicinarsi più di tanto a lei anche se Evelina non li aveva mai considerati come dei servi.
«Anch’io impazzirò a sapervi lontana da me», sussurrò trai denti, come se stesse parlando con se stesso, mentre approfittava di quei pochi secondi per riempirsi i polmoni del profumo dei suoi capelli.
Ivan vide la scena da lontano e aspettò che l’abbraccio trai due si fosse sciolto prima di avvicinarsi a Eva e prenderle le mani affettuosamente.
«Ci mancherai», fece malinconico ed Eva abbracciò anche lui, poi fece qualche passo incerto verso il piazzale dove gli altri si muovevano indaffarati.
Eva vide Nina indossare un cappellino sul capo e abbracciare Anna come se anche lei stesse per partire.
«Cosa stai facendo, Nina?», fece lei disorientata, mentre sua madre si asciugava una lacrima lasciandole un ultimo bacio sulla guancia.
«Vengo con voi», sorrise la ragazza.
«No, non voglio che lasci la casa per…»
«Lo faccio con piacere, Eva. La mia famiglia ha servito per anni la vostra», fece con tono di voce deciso. Evelina sentì gli occhi pizzicarle per il nobile gesto della sua amica e sorrise dolcemente, guardandola con compassione.
«Non sei obbligata a farlo»
«Lo so, ma qualcuno dovrà pur badare a voi», fece lei in tutta risposta, riservandole un ultimo sorriso prima di avanzare per salire sulla prima carrozza, facendosi aiutare dal giovane Maximilian.
Lo sguardo di Eva finì su quello di sua madre, immobile con le mani in grembo e uno sguardo cupo in volto.
«Non sono mai stata d’accordo con la scelta di tuo padre, volevo che lo sapessi. Però ho avuto modo di vedere che il conte è una brava persona, starai bene con lui», sussurrò Margarita facendo tremare violentemente il labbro. Eva, indecisa se cedere o mantenere alto il proprio orgoglio, abbassò il capo per non mostrarle gli occhi lucidi ma alla fine la circondò con un abbraccio forte.
Aveva bisogno di sua madre, aveva bisogno di sapere che ci sarebbe sempre stata, che non era persa per sempre.
Suo padre invece si era messo in disparte, con il viso pieno di rimorso, stando in silenzio come un peccatore in una chiesa, e attendeva che Evelina si facesse avanti per salutarlo. Ma sapeva anche che sua figlia era troppo orgogliosa e testarda per abbracciarlo e dirgli che stava andando tutto bene.
E infatti la ragazza si voltò a guardare per l’ennesima volta la carrozza, passando poi a testa alta davanti alla figura di suo padre e immobilizzandosi di colpo. Non le rivolse lo sguardo, abbassando il capo e sussurrando tra le labbra parole che fecero male al cuore stanco del duca.
«Spero che tu sia felice di tutto questo», mormorò con freddezza, prima di dargli le spalle e salire sul calesse.
Stefan, da lontano, era rimasto a osservare come Evelina aveva liquidato suo padre e gli lanciò un’occhiata quasi consapevole di ciò che avrebbe dovuto passare. Si congedò cordialmente con i suoi genitori e salì in carrozza rapidamente, sedendosi di fronte alla sua fidanzata.
Le ruote scricchiolarono e le carrozze iniziarono a muoversi trainate dai cavalli. Evelina lanciò un’ultima occhiata fuori dal finestrino, salutando la sua casa, la sua terra, la sua vecchia vita.
Ivan poggiò una mano sulla spalla del fratello, senza distogliere lo sguardo dalle figure che si allontanavano.
«Forse ti farà bene la sua assenza», si limitò a dire. Denis increspò le labbra, trattenendo a stento l’impulso di mettersi a correre dietro la carrozza e riprendersi la sua Eva.
«Tu dici?», mugolò. Vide con la coda dell’occhio suo fratello maggiore annuire.
«Lo so che sei innamorato di lei dall’età di quindici anni. La sua lontananza ti farà finalmente ragionare e trovare una donna alla tua altezza».
Le parole di Ivan non erano di cattiva intenzione, Denis lo sapeva, eppure gli faceva rabbia ogni volta che suo fratello gli ricordava chi era lei e chi erano loro. Cosa credeva? Che non lo sapeva quanta differenza c’era tra le loro famiglie? Che non avrebbe mai potuto averla? Che persino un viziato damerino arrogante che voleva solo portarla a letto aveva più possibilità di lui?
 
Essere lì da soli, seduti l’uno di fronte all’altra, senza altre persone a porre un muro d’impenetrabilità tra i loro corpi metteva a disagio entrambi. Restarono a lungo in silenzio: Stefan la guardava fisso, delineando la forma perfetta delle sue labbra vellutate e degli zigomi, delle sue piccole spalle, le braccia che ricadevano in avanti per congiungere le mani sul grembo, immaginando le forme che nascondevano quei vestiti così poco adatti a lei.
Voleva urlare, scappare, saltare via dal calesse se fosse stato necessario: il solo starle vicino lo opprimeva, gli sembrava che le ali della sua libertà gli fossero già state spezzate.
Poteva essere una donna così bella causa della sua frustrazione? Stefan non aveva mai immaginato di provare un odio così profondo verso qualcuno dell’altro sesso.
Doveva liberarsi di lei. In un modo o nell’altro ci sarebbe riuscito.
Cercava di interpretare il suo modo di stare con la schiena dritta e lo sguardo tutt’altra parte che su di lui e si rese conto che avrebbe pagato per conoscere i suoi pensieri.
Si schiarì più volte la gola, accavallò le gambe, si sistemò il colletto della camicia, tamburellò le dita contro la superficie nervosa irritando Evelina, ma niente: sembrava che lei fosse una statua, non sembrava volergli dedicare un briciolo della sua attenzione.
«A cosa è dovuto questo silenzio?», fece a un tratto Stefan, con un cenno di esitazione iniziale, come se preferisse non svegliare il can che dorme. Evelina lo ignorò ancora, percorrendo il contorno sfumato delle montagne in lontananza. «Mi sarei aspettato che mi aveste insultato ancora», continuò.
«C’è tempo anche per quello, conte», borbottò con acidità. «Quanto ci vorrà per arrivare al vostro paese?», aggiunse, voltando finalmente il capo per guardarlo per la prima volta da quando erano in cammino.
Stefan, che fino a quel momento aveva fatto di tutto per far ricadere l’attenzione su di lui, si sentì finalmente soddisfatto di esserci riuscito, iniziando a pavoneggiarsi mentre si passava una mano nei capelli con aria spavalda.
«Sarà un lungo viaggio. Ci fermeremo in qualche locanda per la notte, possibilmente con qualche cameriera carina». Sorrise, nella speranza di essere sprezzante, mentre si stendeva scompostamente sul sedile. Gli occhi di Eva scintillavano dalla rabbia, o forse era collera quella che ribolliva nelle sue vene.
«Vi avverto: non mi piace condividere ciò che è mio», ringhiò lei, puntandogli addosso gli occhi scuri.
«Nessuno ha detto che sono vostro», la punzecchiò.
«Il contratto che il vostro carissimo padre ha firmato afferma il contrario. Se non volete, sapete cosa fare… siamo ancora in tempo per tornare indietro», disse amara e lui rise di gusto.
«Non ci penso nemmeno!».
Eva decise di adottare nuovamente la tecnica dell’indifferenza: non le andava a genio l’idea di doversi scontrare per tutto il resto del “lungo” viaggio con un cafone come Stefan, era troppo amareggiata per continuare a parlare, troppo delusa dal comportamento di suo padre che alla fine l’aveva ceduta come se fosse uno dei suoi vecchi cavalli da dare via in dono.
Desiderava tanto sfogare tutta la sua rabbia con Nina, seduta nell’altra carrozza assieme a Max e Raphael, perché di sicuro lei avrebbe trovato un modo per rasserenarla e convincerla che non era la fine del mondo, dopotutto. Le avrebbe accarezzato i capelli mentre l’avrebbe ascoltata pazientemente, lasciandole la libertà di sfogarsi, poi le avrebbe sussurrato due paroline sagge elargendo un bel sorriso e sarebbe andata via per prepararle una camomilla.
Eva spesso la invidiava: Nina sapeva sempre cosa dire e cosa fare, riusciva a capire fino in fondo le persone e prenderle con le buone, sapeva anche colpire al tallone d’Achille se necessario. Sempre composta e ordinata, le uniche volte che non sorrideva era perché era malata, la figlia che tutti i padri vorrebbero avere.
Ma forse ciò che Evelina invidiava di più era il fatto che non avesse addosso il peso dell’intera famiglia, che non avrebbe mai dovuto pensare a sacrificarsi per mantenere alto il loro onore. No, Nina non aveva obblighi di nessun genere.
«Ho sete, fermiamoci», fece improvvisamente la ragazza, voltandosi nuovamente verso Stefan, il quale aggrottò la fronte.
«Siamo in mezzo alle campagne, non c’è acqua»
«Sicuramente ci sarà per l’irrigazione!»
«Vi dico di no»
«Io invece penso di sì», fece Eva con insistenza. Stefan tirò un sospiro spazientito, sporgendosi poi dal finestrino e urlando al cocchiere di fermarsi.
«Prego, dissetatevi pure nelle fontane per i porci», la invitò con finta cortesia, facendole il gesto di scendere. Evelina strinse i pugni per evitare che le sue mani gli colpissero il volto prima di scendere velocemente con un piccolo balzo.
Percorse a grandi passi i campi deserti fino a raggiungere uno degli abbeveratoi stracolmi di acqua che continuava a uscire dai rubinetti.  Si chinò e bevve dalle mani a coppa, deliziandosi della freschezza dell’acqua che in quel momento le sembrava l’unico conforto.
«Evelina!». Nina la raggiunse correndo, affaticata dalla gonna che non le consentiva di certo di essere più agile, arrivando accanto a lei con il fiatone. «Va tutto bene?»
«Secondo te?», fece sarcastica, lanciando uno sguardo provocatorio alle carrozze ferme sul ciglio della strada, ora piccole quanto il pugno di una mano. Nina si voltò verso di esse e tornò a fissare la ragazza tirando un sospiro.
«Pensavo vi stesse sentendo male… odiate viaggiare in carrozza»
«… soprattutto se la compagnia non è tra le migliori», aggiunse lei, strofinandosi le mani sotto il getto d’acqua per poi passarle sul collo.
«Posso capire i vostri stati d’animo, duchessa, ma vi consiglio di non amareggiarvi così tanto. Non avete dormito bene stanotte e non avete una bella cera, perciò smettetela di corrucciarvi e riposate un po’: il viaggio sarà piuttosto lungo», le intimò la giovane donna, spronandola a sorridere.
«L’acqua è fresca?». Le due donne si voltarono per osservare Maximilian che avanzava nella loro direzione con una borraccia vuota tra le mani e l’aria sorridente. Evelina annuì e le due si separarono per farlo passare. Max riempì il contenitore e ne approfittò per bere dalla fontana. Emise un grugnito di soddisfazione, asciugandosi poi con la manica della giacca e sorridendo a Nina, anche aveva avuto tutto il tempo per diventare rossa.
«Maximilian, giusto?», intervenne Eva.
«Ai suoi servizi», le fece l’occhiolino l’uomo, mimando un buffo inchino.
«Posso chiedervi se la pistola che portate in vita è carica?». Max fece scorrere con sorpresa la mano sull’arma, prima di ridere divertito.
«Sono responsabile della salute del conte, ed è l’unico motivo per cui non vi risponderò»
«Avete finito o volete anche dormirci, con i porci?!», urlò Stefan, che intanto era uscito e agitava le mani nella sua direzione. Eva guardò dapprima Stefan con aria sprezzante poi si voltò verso Max con lo sguardo implorante.
«Solo un colpo! Ho una buona mira! Non lo saprà nessuno», mugolò intrecciando le dita come in una preghiera.
«Allora?!», urlò ancora Stefan.
«Volete macchiarvi di un simile delitto per uno come il conte Wilson?», la punzecchiò Maximilian.
«Andiamo, non vedo altra via di scampo», sospirò Eva rassegnata, accennando qualche passo in avanti. Nina scosse il capo, sorridendo amaramente e scortandola accanto a Max fino a quando non dovettero separarsi per salire su due carrozze diverse.
«Preferirei la compagnia dei porci alla vostra», la sentì bofonchiare prima di salire.
«Un tipo irascibile, la vostra padrona», osservò Maximilian divertito, porgendole la mano per aiutarla a salire. Nina sorrise.
«Il vostro non è meno fastidioso», commentò sedendosi di fronte a lui e a Raphael.
«Se fate silenzio riuscite a sentire tutti i loro battibecchi», aggiunse il conte e tutti e tre ammutolirono. Nel sentire le voci dei due si misero a ridere.
«La duchessa è una donna in gamba, non si arrenderà fino a quando non l’avrà vinta»
«Purtroppo anche mio cugino è così, Nina…», sospirò rassegnato l’uomo, volgendo i suoi occhi azzurri verso le campagne con aria pensierosa.
«Secondo voi chi la spunterà?»
«Ci stai coinvolgendo in una scommessa, Max?»
«Potrebbe essere divertente… io punto sulla ragazza, mi sembra una tipa tosta», replicò Maximilian con l’espressione furba negli occhi. Nina annuì.
«Anche io!»
«Per solidarietà appoggio Stefan», sorrise Raphael, tornando ai suoi pensieri. Stefan li avrebbe uccisi tutti e tre se avesse saputo che si stavano prendendo gioco di lui!
Tutta la situazione lo faceva ridere, tanto che era assurda: non avrebbe mai immaginato che Stefan, da un giorno all’altro, si fidanzasse, anche se non di sua spontanea volontà. La cosa più buffa era che Evelina sembra l’incarnazione di tutto ciò che Stefan detestava di più delle donne: la sua bellezza sembrava quasi un pegno, un modo di Madre Natura per scusarsi di averle donato una lingua inviperita e un carattere pungente.
Quando suo zio avrebbe visto Evelina, era quasi certo che avrebbe acconsentito a sciogliere il matrimonio: era impossibile per i due convivere per più di dieci minuti, prima o poi qualcuno dei due non ce l’avrebbe fatta.
Max e Nina puntavano sulla duchessa, Rapahel però conosceva Stefan da quando era nato e non aveva mai conosciuto una persona più caparbia e obiettiva di lui.
Gli sfuggì una risatina amara.
«Quanto siamo cattivi, stiamo giocando con le loro sventure», osservò.



“Desideri e destini vanno in senso contrario tanto che i nostri calcoli son sempre rovesciati: nostri sono i progetti, ma non i risultati”
William Shakespeare


 

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Capitolo 5
*** Piccole insignificanti gelosie. ***


“Per i nemici non riscaldate tanto la fornace da bruciarvi voi stessi”
William Shakespeare

 
Com’era stato calcolato, i cinque arrivarono in tarda serata in una locanda per far riposare i cavalli e approfittarne per concedersi un po’ di riposo dopo l’intera giornata di viaggio.
Per Evelina e Stefan era stato più qualcosa di molto simile a una tortura e le loro facce stanche ne erano la prova: avevano più bisogno loro di dormire che chiunque altro sarebbe stato su quella carrozza.
Pagarono anticipatamente i soldi per trascorrere la notte e poi si fecero accompagnare ognuno nella propria stanza.
Eva ringraziò il cielo per quel briciolo di silenzio e di tranquillità che aleggiavano nella stanza, si sedette sul bordo del letto fino a stendersi completamente su di esso e chiuse gli occhi.
Non sapeva come comportarsi, Stefan non aveva ancora mollato. Non aveva perso la speranza di fargli cambiare idea, ma di solito le bastava mostrarsi agli uomini qualche minuto per farli scappare. Lui invece aveva resistito a un’intera giornata di chiacchiere, parole sprezzanti e insulti gratuiti a tutte le ore e non aveva ancora ceduto.
Non che questo bastasse a far crollare tutte le sue certezze: non voleva neanche immaginare cosa sarebbe successo se non fosse riuscita ad attuare il suo piano.
Qualcuno che bussava alla porta la fece trasalire, così drizzò a sedersi e pronunciò un “avanti” incerto chiedendosi chi fosse. La testa mora di Nina la fece tirare un sospiro di sollievo e così rilassò di nuovo le spalle.
«Ero passata a vedere se vi serviva un aiuto…», accennò lei apprensiva, scrutando Eva alla ricerca di qualche dettaglio che potesse rivelare i suoi pensieri.
«Sto bene così, grazie», sussurrò con un tono di voce stanco.
Si udirono improvvisamente delle risate provenire dalla stanza accanto.
«Nina, chi c’è nella stanza accanto?», chiese la ragazza, aggrottando la fronte.
«Il conte Wilson»
«Raphael?»
«L’altro», precisò Nina, evitando di dire il suo nome. La spaventava pronunciare il suo nome, sapeva che, anche solo a sentirlo pronunciare, Eva sarebbe potuta andare in escandescenza.
Nella mente di Evelina si dipinsero tante immagini fantasiose per potersi spiegare quelle voci di donna che venivano dalla sua stanza. Le tornarono in mente le parole di Stefan “Ci fermeremo in qualche locanda per la notte, possibilmente con qualche cameriera carina” e provò una strana sensazione di rabbia.
No, non poteva permettergli di spassarsela quando invece lei stava passando un inferno: se era così ostinato a doverla sposare doveva fare a meno delle sue amanti.
Scattò all’in piedi e uscì dalla stanza, noncurante del fatto che indossasse la camicia da notte.
«Eva!», esclamò Nina sorpresa, scostandosi intimorita al suo passaggio.
Non bussò alla porta, aprendola direttamente e sorprendendo una donna seminuda a cavalcioni su Stefan che teneva le mani sui suoi fianchi larghi.
 Sul volto dei due si dipinse un velo di stupore e s’immobilizzarono, osservando Evelina come se fosse un fantasma.
«Potevate avere almeno la briga di fare in silenzio. Ricordate quello che vi ho detto prima, conte?», ringhiò lei, portandosi le mani ai fianchi. La donna saltò giù dal letto e recuperò in fretta i suoi vestiti, rimanendo a guardarla con l’aria colpevole. Stefan invece non poteva che rimanere sul materasso con la sua camicia mezza sbottonata e stracciata, che la osservava quasi con compiacimento e orgoglio.
«Sparisci», minacciò Eva alla donnina che scappò via impaurita, lasciando socchiusa la porta alle sue spalle.
«Non vi hanno insegnato a bussare alla porta?», intervenne Stefan, conquistandosi un’altra occhiataccia truce.
«Questa sarà l’ultima volta che avrete una donna nel vostro letto. Ve lo prometto», minacciò lei decisa senza perdere la calma, puntandogli contro un dito. Lui si alzò svogliatamente e si avvicinò.
«E allora perché non colmate voi il mio desiderio irrefrenabile?», sussurrò, allungando una mano per sfiorarle la spalla nuda. «Avevo ragione nel dire che a letto sareste stata terribilmente sexy», aggiunse con un sorriso beffardo. Evelina indietreggiò come se fosse stata investita dalla corrente elettrica, sottraendosi al suo tocco delicato, mentre sentiva le sue gote andare a fuoco.
«Non osate toccarmi», sussurrò trai denti come un cane rabbioso.
«Tentavo di farvi un complimento!». Stefan fece spallucce, senza togliersi quel suo sorrisetto beffardo che faceva sentire Eva presa in giro e terribilmente umiliata.
«Non aspettatevi di certo dei ringraziamenti!», scoppiò a ridere, aprendo del tutto la porta e dandogli le spalle per poter andare via. «E abituatevi alle notti solitarie, mio caro libertino», aggiunse divertita lasciandolo in preda ai suoi desideri.
Sapeva che gioco stava giocando: voleva sedurla e umiliarla, credendo di riuscire a trasformarla in una delle sue puttane che gli baciavano i piedi, ma Stefan non sapeva con chi stava giocando.
Del resto, anche lui era rimasto abbastanza sorpreso dalla reazione di Evelina: quando aveva invitato quella cameriera nella sua stanza non ci aveva pensato che nella stanza accanto la duchessa potesse averli sentiti, né tantomeno aveva previsto un’interruzione così brusca.
Stefan chiuse la porta a chiave sbuffando e si sfilò la camicia impregnata dal profumo di quella ragazzina tutt’altro che innocente, rivolgendo lo sguardo alla luna piena attraverso la finestra.
Non riusciva a togliersi dalla mente il collo nudo di Evelina, la stoffa leggera che metteva in risalto le sue linee così morbide, i piccoli capezzoli che tendevano la stoffa che aveva tanto osservato mentre lei minacciava la cameriera. Si sorprese poi dei suoi pensieri perversi, non tanto per il pensiero in sé ma perché era il soggetto ad essere sbagliato: non doveva permettere ad una donna come Evelina di poter decidere per lui e farlo sragionare.
 
«Conte Wilson…»
«Vostro padre vi ha affidata a me», sussurrò Stefan al suo orecchio con un sorriso maligno e perverso, prima che le sue mani potessero afferrare prepotentemente quelle di Eva fino a lasciarle i lividi. Eva cercò di divincolarsi, strattonando i polsi, ma lui era più forte.
«Lasciatemi andare!»
«Ora mi appartenete», aggiunse, legandole le mani.
«No!», urlò Evelina, aprendo di scatto gli occhi e mettendosi a sedere al centro del letto.
Boccheggiò, guardando con gli occhi sgranati per lo spavento il viso di Stefan che la guardava spaesato.
L’essersi appena svegliata da un incubo e ritrovarsi davanti chi ne era la causa la fece rimanere stordita per qualche minuto, facendole chiedere se stesse ancora sognando.
«Che ci fate qui?!», squittì infine agguantando le coperte per coprirsi fino al collo, lanciandogli un’occhiata accusatrice quando si rese conto che era seduto sul suo letto. Stefan rise, alzandosi e allontanandosi da lei con suo grande sollievo.
«Ero venuto a svegliarvi… volete ancora dormire? Non arriveremo mai a casa di questo passo», esclamò ironico, spingendo giù la maniglia della porta.
«Come se avessi dormito!», fece lei nervosa, ancora scossa dal suo terribile incubo.
«Rivestitevi», ordinò Stefan serio, prima di chiudere la porta alle sue spalle.
«Che cafone», borbottò Evelina, gettando le coperte dalla parte opposta del letto.
Tirò un sospiro e guardò il suo vestito poggiato su una sedia, poi automaticamente le venne da guardarsi i polsi per costatare che non ci fossero lividi: il suo sogno sembrava così reale, così terrificante. Non avrebbe mai perdonato a suo padre l’averle impedito anche di dormire tranquillamente.
Si rivestì e scese velocemente, arrivando nell’atrio della locanda.
«La ringrazio per l’ospitalità, miss Defoe», sorrise Stefan, porgendole delle monete prima di andare via.
«Alla cameriera non date una mancia?», lo punzecchiò Eva, seguendolo a ruota mentre entravano tutti in carrozza.
«La mia sola presenza è già una ricompensa per le donne», si pavoneggiò, richiudendo lo sportello dopo che anche lei si fu seduta sul sediolino di fronte. «E poi, ieri sera sono rimasto a bocca asciutta»
«Siete solo un libertino dagli ormoni impazziti come quelli di un ragazzino», sorrise soddisfatta.
«Posso riaccompagnarvi a casa se i miei ormoni vi infastidiscono tanto», fece lui in tutta risposta, guardandola spavaldo.
«Dovete essere voi a disdire il contratto»
«Non posso»
«Perché?»
«Perché sono nella vostra stessa situazione! Andiamo, guardatemi, credete che uno come me avesse accettato di sposarsi per altro se non per onore?», rise amaramente, puntandosi un dito contro il petto. Evelina lo squadrò indignata, volgendo poi lo sguardo fuori dal finestrino.
Di certo non poteva dire nulla perché anche Stefan, esattamente come lei, era stato costretto da uno stupido pezzo di carta a stare con qualcuno che non aveva scelto di sua spontanea volontà. Perché si erano dati così affanno a organizzare, o meglio, rovinare la loro vita?!
«Siamo come due calamite di segno uguale, conte Wilson. E le calamite uguali si respingono», osservò Eva, tirando un sospiro.
Stefan si limitò ad annuire impercettibilmente e per la prima volta si trovò veramente in accordo con lei. Erano uguali, due persone troppo testarde ed orgogliose, due calamite destinate a respingersi per tutta la vita.
Raphael, che aveva avuto modo di osservarli per un po’ dal finestrino, immaginava già cosa sarebbe successo quando Eva avrebbe messo piede nel palazzo di August: quei due si odiavano fin troppo per potersi sposare.
«Siete sempre così pensieroso, conte Wilson?», intervenne Nina, sorridendo quando gli occhi azzurri di Raphael si poggiarono sul suo volto pallido.
«Non lasciatevi ingannare dalle apparenze», intervenne Maximilian prendendolo amichevolmente in giro.
«Vorrei non avere nessun pensiero per la testa», sospirò Raphael, portandosi una mano alle tempie.
«A cosa pensavate, se non sono impertinente?»
«Non lo siete, Nina», sorrise dolcemente, «e stavo pensando a come potrebbero reagire i miei zii alla vista di Evelina»
«Che tipi sono?»
«Molto all’antica», fece preoccupato, rivolgendo un altro sguardo alla figura rimpicciolita di Evelina all’altro vagone. Nina sussurrò un “ah” che lasciava trapelare tutta la sua inquietudine.
Per un attimo la giovane aveva immaginato che, se i genitori avessero avuto in simpatia Eva, forse tutto sarebbe stato più facile, ma dei parenti all’antica erano tutto ciò di cui lei non aveva bisogno.

Alcune ore dopo…
 
«Direi che per oggi può bastare così», annuì Stefan stancamente quando Maximilian gli consigliò di fermarsi davanti all’ennesima locanda che avevano incontrato lungo la strada.
«Santo Cielo, era ora! Spero di poter chiudere occhio almeno stanotte…», fece Eva acidamente, sbilanciandosi in avanti per poter scendere dalla carrozza.
«Se continuerete a sognarmi dubito ci riuscirete», la punzecchiò Stefan, quando con un balzo fu anche lui a terra. Evelina, presa alla sprovvista, sgranò gli occhi e sentì una vampata di calore salirle fino alle gote mentre tentava di nascondere la sua espressione turbata dandogli le spalle.
«Ma cosa dite?», farfugliò a capo chino, nel vano tentativo di raggiungere Nina e lasciarselo dietro.
«Avete urlato il mio nome, stamattina, prima di svegliarvi», si pavoneggiò, infilando le mani in tasca con arroganza mentre cercava sul volto di lei la conferma di ciò che aveva appena detto anche se non ne aveva bisogno per sapere che era così.
«Avete sentito male, allora. E non osate più entrare in camera mia!», si difese lei scontrosamente, avanzando il passo per potersi mettere al fianco di suo cugino Raphael.
Una donna di mezza età li accolse cordialmente e li fece accomodare a tavola per cenare. L’ambiente non era uno di quelli a cui era abituata Eva, ma lo trovò piacevole e accogliente: in stile rustico, medievale si oserebbe dire, nel quale aleggiava un acro odore di birra e carne arrostita e il chiacchiericcio di sottofondo poteva addirittura diventare piacevole se accompagnato dalle corde striminzite di una chitarra.
Nina iniziò a muovere la testa e battere i piedi a tempo di musica, osservando divertita gli uomini che si stavano radunando al centro della sala per improvvisare una danza cosacca. Si udirono delle risa e Maximilian prese a battere le mani, coinvolto dalla musica.
Raphael se ne stava sulle sue, rimanendo immobile al suo posto ma con un sorriso divertito in volto mentre Stefan era tutt’altro che attento a ciò che accadeva intorno, preso com’era a flirtare con la signorina che gli aveva appena versato del vino.
Evelina fece finta di non vederli, reprimendo il suo istinto di ricordargli ciò che si erano detti la sera precedente, e si alzò di scatto per andare al centro della sala e intrufolarsi tra gli altri per danzare.
Conosceva già i passi senza alcuna difficoltà: Ivan e Denis le avevano insegnato di nascosto diversi balli popolari che non erano consentiti alle feste degli aristocratici ma che lei trovava davvero divertenti.
Maximilian scoppiò a ridere e afferrò Nina per una mano trascinandola fino al centro della sala per ballare. Stefan si accorse che stava succedendo qualcosa e quando alzò lo sguardo impallidì: rimase a guardare incredulo la ragazza che volteggiava come una piuma, sollevandosi la gonna per potersi muovere più liberamente, ridendo spensieratamente e accettando gli inviti di ogni uomo che le si parava davanti.
«Non ci credo…», sussurrò Stefan, scuotendo il capo. Quella ragazzina non aveva proprio pudore e in due minuti aveva attirato l’attenzione di tutti quegli uomini che ora le stavano attorno nella speranza di ricevere sue attenzioni. Una parte di lui sperava che qualcuno l’avrebbe presa e rapita per sempre, l’altra parte sapeva che aveva il dovere di intervenire nel caso in cui una mano fosse capitata al posto sbagliato: suo padre aveva comunque firmato quel contratto e, almeno sulla carta, erano fidanzati.
«Non avevo mai visto una donna così, giuro», osservò Raphael, riempiendosi la bocca di pane per tenerla impegnata e non scoppiare in una risata tutt’altro che contegnosa.
«Se ridi ti spacco quel bel faccino», ringhiò Stefan, minacciandolo con la forchetta che infilzava un pezzo di carne ormai fredda.
«Cugino mio, quella donna ti darà pane per i tuoi denti», lo prese in giro, continuando a rivolgere occhiate alla ragazza che stava prendendo per mano un giovane per formare un unico grosso cerchio con gli altri. Stefan dovette allungare il collo per riuscire a scorgere tra la folla la sua chioma bruna e sentì la mano di Raphael poggiarsi sul suo avambraccio.
«Tu credi che i miei crederanno a questa storia, dopo che l’avranno vista?»
«Non ci credo neanche io che la sto vedendo», rispose rallegrato, mandando giù un sorso di vino, «perché non vai a ballare anche tu?», aggiunse per prenderlo in giro. Stefan gli rivolse un’occhiata assassina.
«Qui non ci resisto un secondo di più», ringhiò, alzandosi di scatto dalla sedia. Sentiva su di sé tutta la vergogna e umiliazione che una sola donna aveva potuto suscitare in cinque minuti e non sopportava l’idea che suo cugino dovesse prenderlo in giro in questo modo. Che figura ci avrebbe fatto se Maximilian o Raphael l’avessero raccontato in giro? Sarebbe diventato “il conte Stefan Wilson che non sapeva domare una donna”?
«Dai, stavo solo scherzando!», esclamò Raphael come un bambino, quando Stefan lo lasciò solo al tavolo per scomparire dietro l’angolo. Salì a due a due le scale con una gran furia e si chiuse nella camera che gli era stata assegnata, gettandosi disperatamente sul letto.
Dal basso si sentivano ancora le risate, la musica, i brindisi. Ora che non c’era più a vigilare sulla duchessa poteva immaginare Raphael troppo distratto e troppo disinteressato per accorgersi delle mani che stavano invadendo bramose lo spazio privato di Evelina, cercando avidamente di afferrare le carni così invitanti della donna… no, doveva smetterla di preoccuparsi inutilmente, non gli importava nulla di Evelina né di chiunque avesse avuto il coraggio di fare sua una donna così insopportabile.
Eppure si stava addormentando desiderando di essere uno di quegli uomini giù alla locanda, uno di quelli senza impegni, senza titoli da portare con onore, senza contratti inviolabili, che avrebbe potuto facilmente approfittare di una ragazza così ingenua… perché Eva era stata solo un’ingenua a mettersi in mostra in quel modo. Una ragazza ingenua che ora era in pericolo.
«Dannazione», ringhiò, maledicendo se stesso per non riuscire ad essere tanto menefreghista. Si fece leva sulle braccia per alzarsi dal letto e piombò nuovamente nella sala. Sgomitò tra la folla a cerchio intorno ad Evelina che danzava con un giovane dai capelli rossi e raggiunse a fatica il centro della stanza.
«Lo spettacolo è finito!», esclamò, parandosi davanti al ragazzo che cercava la mano di Eva per farla volteggiare. La musica s’interruppe improvvisamente e tutti gli occhi puntarono sulla figura di Stefan.
«Ma cos…». Lui afferrò con violenza il polso di Eva e la strattonò per trascinarla via dal centro.
«Domani dobbiamo partire presto, è ora di andare a letto», borbottò fingendo una pazienza che con aveva.
«Lasciatemi andare!», squittì Evelina come una bambina capricciosa, tentando di opporre resistenza. Stefan in tutta risposta se la caricò sulle spalle come un sacco di patate e lei si mise a strillare.
«Toglietemi le mani da dosso!»
«Lascia in pace la ragazza!», replicò il giovane che prima ballava con lei, allungando una mano per fermare Stefan.
«Sì, togli le tue manacce!», aggiunse un altro, occupato a versarsi del vino, mentre tutti gli altri formavano un muro per non farli passare oltre.
«Ehi, ehi! Non sapete con chi state parlando», intervenne Maximilian, estraendo subito dal fodero la sua spada. Le donne presenti sussultarono e Raphael si alzò di scatto dalla tavola preoccupato, rovesciando il contenuto del bicchiere a terra.
Stefan guardava minaccioso il giovane ragazzo dai capelli rossi, Max puntava la lama contro l’altro che teneva la mano ferma sul fodero del suo coltello mentre Nina scappava via impaurita per raggiungere Raphael, poco distante dalla folla. Evelina era ancora incatenata a Stefan per via della sua presa e non fiatava, intimorita.
«Per favore, non c’è bisogno di ricorrere alle maniere rudi», s’intromise Raphael facendo da scudo a Stefan con il suo corpo.
«Chi sarebbe? Il re della foresta? Lo squalo nell’oceano?», insistette l’uomo provocatorio, «perché a me sembra che tu abbia solo un mollusco tra le gambe», aggiunse provocando le risa del resto della comitiva.
«Lui è-»
«Max», lo interrupe Stefan, facendo cenno di mettere giù la spada. Maximilian indietreggiò e mise già la lama comunque pronto ad intervenire.
«Vi basta sapere che sono il suo fidanzato», tagliò corto. «Andiamo via», aggiunse, rivolto a Maximilian e Raphael.
«Scappi come un coniglio?», lo stuzzicò il rosso. Stefan, che aveva già messo a dura prova la sua pazienza tentando di non dare in escandescenza, fu accecato dall’ira e mise giù Eva facendola quasi cadere se non fosse per Nina che l’aveva sostenuta per un braccio.
Si voltò verso il ragazzo e gli assestò un pungo in pieno volto, facendolo crollare a terra e sedendosi a cavalcioni su di lui.
«Sporcarmi le mani col tuo sangue no, non è un comportamento che si addice ad un conte», sussurrò altezzoso, ricomponendosi.
Evelina rimase a guardare Stefan che usciva frettolosamente, timorosa di essere nel suo raggio visivo, ancora stretta a Nina.
«Stavolta l’ho combinata grossa», sussurrò nell’orecchio della ragazza.
«Andiamo via da qui, questi uomini non mi piacciono…», mormorò Nina, prendendola per mano per trascinarla fuori.
Stefan, arrabbiato ma soddisfatto per il pugno che aveva appena mollato, salì in carrozza e guardò in cagnesco Evelina che faceva lo stesso.
«Sono disposto anche a passare per il vostro fidanzato, ma il babysitter non lo voglio fare!», iniziò Stefan, serrando le mascelle e guardando Eva con l’espressione di un padre severo. Lei alzò gli occhi al cielo in un evidente espressione di noia.
«Non stavo facendo nulla di male», si difese.
«Nulla di male?! Quegli uomini aspettavano soltanto di posare le loro luride mani su di voi! Non che mi importi qualcosa, ma ho dei patti da rispettare e ho bisogno di portarvi in Inghilterra tutta intera!»
«Non c’era mica bisogno di fare a pugni!»
«Siete un’irresponsabile. E per di più ci tocca dormire in carrozza!»
«Non ci dormo con voi», ringhiò Evelina in tutta risposta, scendendo dalla carrozza prima che Stefan potesse controbattere.
«Siete libera di dormire dove diavolo vi pare!», le urlò dietro. Per un momento pensò che stesse per tornare nella locanda ma poi la vide affacciarsi nell’altro calesse e tirò un sospiro di sollievo.
Raphael sobbalzò quando la chioma bruna di Eva spuntò dal finestrino e un secondo dopo era salita anche lei.
«Scusate, c’è un angolino per me? Non ci dormo con quello», fece caparbia, sedendosi accanto a Nina. Raphael la scrutò per diversi secondi, poi si alzò.
«Prendete il nostro posto: Maximilian, lasciamole sole». Max e Raphael lasciarono le due donne sole per raggiungere Stefan nell’altra carrozza che si era già sdraiato sul sedile e tentava di chiudere occhio anche se era troppo nervoso per dormire.
Quanti altri guai gli avrebbe causato quella donna?


“Per i nemici non riscaldate tanto la fornace da bruciarvi voi stessi”
William Shakespeare

 

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Capitolo 6
*** Quel muro di difese... ***


L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.
Oscar Wilde

 
«Ho un torcicollo fastidiosissimo, dannazione a voi!», sbottò Evelina nervosa, immergendo le mani nell’acqua fredda e passandosele poi sul collo per alleviare la sofferenza.
Stefan, seduto sulla sponda del lago accanto a lei, stava per dire qualcosa ma poi preferì non parlare: quella mattina più delle altre Eva era intrattabile, per cui ogni parola sarebbe stata inutile.
Di certo il malumore era dovuto al fatto che avevano dovuto passare la notte su uno scomodo sediolino della carrozza, che non si erano fermati per la colazione quindi la fame iniziava a farsi sentire e per di più, sebbene l’estate fosse già passata da un pezzo, quel mattino c’era un’afa insopportabile e opprimente.
Il ragazzo diede un’occhiata rapida in direzione dei cavalli che si stavano dissetando dall’altra parte della tavola d’acqua, volgendo lo sguardo a Maximilian e Raphael che parlottavano tra di loro mentre Nina si divertiva ad esaminare i fiori selvatici che crescevano sulle sponde, attenta a dove mettere i piedi.
Era davvero una ragazza perfetta, pensò Stefan, la moglie che suo padre aveva sempre desiderato.
Non aveva parlato molto con lei, era sempre accanto ad Evelina, ma le poche parole che gli aveva rivolto erano sempre state dolci anche quando lui l’aveva trattava bruscamente, come la volta del soggiorno al palazzo Rubliov quando le aveva sbattuto in faccia la porta.
Quando il suo sguardo tornò sulla sua fidanzata, Stefan si soffermò sui raggi di sole che le illuminavano il volto pallido e notò la camicetta bianca che si era bagnata, diventando molto trasparente. Una voglia irresistibile di averla gli percorse le vene, una voglia che Stefan conosceva bene e che era solito placare portandosi a letto la sua “vittima”.
Ma con Eva era tutto diverso: non avrebbe mai potuto portarla a letto né lei gliel’avrebbe concesso.
Perché doveva essere lei? Perché la donna che odiava doveva essere così dannatamente bella?
«Cos’avete da guardare?», borbottò Eva, voltandosi di scatto verso di lui. Stefan la guardò serio e si avvicinò lentamente a lei, allungando le mani verso il viso delicato. La ragazza trattenne il fiato nel sentire il calore della sua grossa mano che le accarezzava la nuca.
«Che Dio ingiusto… tanta bellezza accostata a un simile caratterino», le sussurrò, tenendo gli occhi incatenati ai suoi mentre si avvicinava pericolosamente. 
Inspiegabilmente la baciò, bagnando le sue morbide labbra, torturandole dolcemente il labbro inferiore e lasciando che la loro mente si sfollasse di tutti quegli inutili pensieri. Fu capace di far scordare ad Eva dove si trovassero e perché: la ragazza era stordita, combattuta tra il suo volersi lasciare andare e il restare in guardia, eppure non riusciva a fare a meno di assecondare quel bacio meraviglioso.
Che era abile con le donne lo si vedeva dal suo saper fare: muoveva la sua lingua e contemporaneamente le sue mani in un modo che aveva sicuramente avuto modo di studiare e sperimentare infinite volte. Dopotutto, si parlava del libertino Stefan Wilson.
Migliaia di pensieri vorticavano nella testa di Evelina: cosa stava gli stava succedendo? Cos’era quell’improvvisa attenzione che non si addiceva affatto alla sua persona? E soprattutto, dove avevano intenzione di andare quelle mani che le sbottonavano la camicetta?
La ragazza si ritrasse istintivamente come se d’un tratto la magia del bacio si fosse esaurita e la ragione avesse preso il sopravvento, incrociando lo sguardo intenso di Stefan.
«Tenete le mani al loro posto», borbottò scossa, alzandosi così velocemente che ebbe un capogiro. «Maximilian? Che ne dite di riprendere il viaggio?!», aggiunse nervosa, agitando la mano per attirare l’attenzione dell’uomo su di sé.
Stefan la guardò allontanarsi e salire di nuovo sulla carrozza e si chiese cosa gli fosse preso.
Ormai era inutile cercare qualche scusa che l’aveva spinto a baciarla: l’aveva desiderata, non c’era ragione migliore per un bacio.
Evelina, d’altro canto, si era immobilizzata sul suo sediolino ed aveva sperato che il rossore per l’imbarazzo fosse passato.
Chiuse gli occhi nella speranza di riprendersi e le parve di sentire ancora la lingua di Stefan farsi spazio per cercare la sua. Nessuno l’aveva mai baciata in quel modo e ciò che aveva provato era qualcosa di nuovo, di strano, che le aveva dato qualche secondo di adrenalina. Era come se quel bacio avesse svegliato un parte dormiente di lei.
«Vi siete mai innamorata, Evelina?». La voce di Stefan la fece sobbalzare e lei aprì di scatto gli occhi, osservando Stefan sistemarsi di fronte a lei senza staccare lo sguardo dalla sua figura
«Perché questa domanda?», mugolò lei sulla difensiva.
«Mi è concesso essere curioso?». Eva volse lo sguardo fuori dal finestrino e si accorse che erano già in cammino. Viaggiò indietro nel tempo fino a tre anni fa e nella sua mente apparve il volto di un uomo dagli occhi neri come la pece e riccioli scuri che gli sorrideva e gli sussurrava “ti amo”.
«Sì, sono stata innamorata», si limitò a dire, fissando come in trance un punto nel vuoto.
Quel volto ora gli faceva ribrezzo. Il solo ricordo ravvivava il rancore che nutriva nei suoi confronti come la fiammella che alimenta un fuoco quasi spento. Dopotutto è così che tutti ricordano qualcuno che un tempo hanno voluto bene.
«Davvero?!», esclamò Stefan ad alta voce, sgranando gli occhi. Evelina lo fulminò con lo sguardo.
«Sono un essere umano anch’io!», ribatté riacquistando il suo tono di voce acido, gonfiando fieramente il petto.
«Non l’avrei mai detto», ridacchiò Stefan, trovando un qualcosa di piacevole nell’affondare il dito nella piaga.
«E voi, conte, vi siete mai innamorato?», ricambiò curiosa. Stefan perse gradualmente il suo sorriso, abbassando lo sguardo per guardarsi i pollici.
Gli venne in mente quella ragazza dai capelli rossi, figlia di un amico del padre, che aveva conosciuto diversi anni fa… come si chiamava? Tracy, forse si chiamava Tracy.
Ma prima che Stefan potesse costruire la sua immagine e delinearne il profilo un’altra donna spuntava a confonderlo, stavolta bionda, o mora, o dai capelli castani.
Ne aveva così tante in mente che gli riusciva difficile ricordare i particolari di una di loro: confondeva i colori, la grandezza degli occhi, il suono della loro voce né ricordava i loro nomi.
«No», disse infine Stefan con frustrazione, quando si accorse che in realtà non c’era nessuna in particolare che gli aveva fatto battere il cuore.
L’espressione di Eva non era per niente sorpresa: poteva immaginarlo, anzi, ne era quasi certa.
«Come potete essere felice della vita che fate?», sussurrò trai denti, volgendo pensierosa lo sguardo dalla parte opposta.
«Vi farò la stessa domanda dopo che mi avrete sposato»
«Conosco già la risposta. Non potrò mai essere felice al fianco di un perfetto sconosciuto», mormorò sovrappensiero. Ricordare il barone Audrey, il suo ex fidanzato, l’aveva messa di cattivo umore. Impastato poi al bacio ricevuto poco fa era davvero una miscela catastrofica per la sua sanità mentale.
«Si da il caso che il perfetto sconosciuto sia il vostro fidanzato», sorrise Stefan.
«Non vi arrendete mai, conte?»
«Questa parola non rientra nel mio vocabolario», rise spavaldamente, facendo sporgere un gomito fuori dal finestrino.
Eva si sentì sconfitta per la prima volta. Quel bacio, quelle parole appena pronunciate, avevano cambiato la sua prospettiva: Stefan stava cercando di legarla a sé sempre di più, altro che allontanarsi e chiedere il divorzio. Come se il suo muro di difese fosse appena crollato, una lacrima ribelle evase dalla prigione scappando lungo la sua guancia in cerca di libertà.
Quando Stefan distolse lo sguardo dal panorama la vide china su se stessa, coperta in volto dai suoi stessi capelli, che piangeva. Non seppe cosa pensare, né cosa dire: si limitò a guardarla sorpresa mentre lei si asciugava in fretta e furia quella stupida lacrima nella speranza che nessuno l’avesse vista.
«Evelina», la richiamò Stefan meravigliato. Aveva sempre creduto di avere a che fare con la donna più forte del mondo e invece lei ora si trovava dinanzi a sé nella sua più completa debolezza.
«Riportatemi a casa», sussurrò Eva con la voce mozzata dalle lacrime. Non era un ordine ma sembrava più come una supplica. In quel momento non le importava più mostrarsi forte davanti agli occhi di Stefan: tenergli testa non era la giusta tattica, forse se avesse provato compassione nei suoi confronti avrebbe ceduto.
E Stefan avrebbe veramente voluto lasciarla andare, riaccompagnarla a casa, ritornare ognuno sulla propria strada.
«Eva, vorrei farlo con tutto il cuore, non mi piace costringere le persone a fare qualcosa contro la loro volontà… ma non posso, è stato firmato un contratto che non posso infrangere», disse mortificato. La sua ruvida mano si posò inaspettatamente su quella di lei, facendola sussultare. «Ora smettetela di piangere, mi fate sentire un mostro». A Stefan davvero non era mai piaciuto costringere gli altri a fare qualcosa e, anche se aveva a che fare con la donna più velenosa di questo mondo, gli pesava essere costretto a farlo.
Un rumore li fece saltare dai loro sedili e il vetro alla destra della donna si scardò, spaccandosi. Lei cacciò un urlo e subito dopo la carrozza si fermò.
Raphael imprecò sottovoce e scese, seguito da Maximilian.
«Cosa succede?», mormorò Evelina spaventata. Stefan aprì lo sportello per dare un’occhiata e notò che la ruota posteriore sinistra si era appena spezzata e che il calesse era fermo in un fosso.
«Stefan, la ruota si è rotta. Temo che dovremo ritardare il ritorno a casa, per questa sera non arriveremo: è già quasi notte», osservò Raphael. Stefan annuì e scese dalla carrozza, poi aiutò Evelina a fare lo stesso, porgendole la mano.
«Eva!». Nina le andò incontro e le prese le mani preoccupata, lei sorrise per rassicurarla, stringendosi poi nel suo cappotto per proteggersi dal freddo pungente della sera.
«Aiutatemi a mettere la carrozza fuori dalla strada», disse Max e i tre spinsero la carrozza senza però riuscire a sposarla più di qualche centimetro.
«Non ce la faremo mai», sbuffò Raphael sconfitto. Eva si mise accanto a loro e iniziò a spingere per dare una mano.
«Cosa fate?»
«Non mi piace stare con le mani in mano, vi aiuto», fece lei determinata, strappando una risata ai tre uomini.
«Credete che le vostre braccia possano aiutarci? Vi verrà un mal di schiena dopo il primo tentativo», la prese in giro Stefan. Lei lo guardò storto e riprese a spingere. Dopo molti tentativi riuscirono a mettere la carrozza fuori dal viale contorto.
«Diamine, Raphael, non potevi scansartelo quel fosso?», borbottò Stefan sedendosi su un mucchio di ceppi fradici accanto alla via.
«Se l’avessi visto non sarei stato così stupido da finirci dentro», rispose l’altra irritato.
Si guardarono attorno: il viale sembrava portare nel vuoto, tutto era immerso nelle scure campagne, ovunque si voltassero c’era solo terra ed erba e alle loro spalle delle minacciose montagne.
«Perfetto. Siamo fermi in mezzo al nulla», sospirò Maximilian, prendendo a calci un sassolino.
«Non credo sia prudente incamminarsi quest’ora», accennò Nina, guardandosi attorno timorosa.
«No, non lo è», la appoggiò Max, accarezzandole dolcemente un braccio.
«Per stanotte dovremmo dormire di nuovo in carrozza. Domani mattina penseremo a come aggiustare la ruota, magari più avanti c’è un paesino», commentò Stefan.
«Buona idea», farfugliò Raphael risalendo in carrozza.
Evelina seguì Stefan nel loro calesse e quando si sedette sul sedile una scheggia di vetro le attraversò la mano. Mugolò qualcosa, osservando la scheggia nel palmo.
«State più attenta!», la rimproverò Stefan, alzandosi dal sedile per sedersi accanto a lei.
«Piuttosto che stare lì a criticare, fate qualcosa!», squittì isterica e piuttosto spaventata.
«Fatemi vedere». Stefan le prese delicatamente la mano e con cautela afferrò l’estremità della scheggia, estraendola con mano ferma. «Per fortuna non si è conficcata dentro del tutto»
«Ahia!», esclamò lei, quando Stefan riuscì ad estrarla completamente. Lui rise, mettendosi una mano nel taschino della giacca per porgerle un fazzoletto e tamponare le piccole gocce di sangue.
In momenti come questi Eva sembrava soltanto una donna fragile da curare e da difendere costantemente.
Ad un tratto si udì un ululato. Ad Eva bastò alzare lo sguardo per incrociare quello di Stefan.
«Sono coyote», spiegò lui.
«Coyote?! Se ci attaccano?»
«Abbiamo qualche fucile per difenderci», rispose noncurante, tornando al suo posto di fronte a lei. Evelina lo guardò contrariata.
«Povere bestiole, non ci facevo così crudele da uccidere gli animali!»
«Allora lasceremo che ci divorino vivi», commentò, ridendo subito dopo dell’espressione che Eva aveva acquistato in volto.
«Io non ho per niente sonno», fece lei.
«Siamo in due». Evelina lo scrutò e si accorse che, per un breve periodo di tempo, non era stato affatto una cattiva compagnia. Era quasi curiosa di sapere di più sul suo conto.
«Avete una passione per qualcosa in particolare, oltre che per le donne?», chiese lei infine. Stefan distolse lo sguardo dall’oscurità là fuori per concentrarsi su di lei.
«Credo che le donne siano la mia priorità, ma mi piace molto la letteratura. Le poesie di Byron mi rispecchiano molto…»
«Ne sapete qualcuna?»
«Volete che vi reciti delle poesie?», sorrise Stefan punzecchiandola, sorprendendosi poi quando Eva annuì seriamente.
«Non conosco questo autore, sono curiosa»
«Ne ricordo una in particolare…», accennò schiarendosi la voce. Eva lo guardò in attesa che iniziasse a recitare a memoria i versi.
«Questo cuore restar deve impassibile, da quando altri hanno interrotto il suo incedere: eppure, se non posso essere amato, ancor mi sia concesso amare! Perché ella passa radiosa, come la notte di climi tersi e di cieli stellati; tutto il meglio del buio e del fulgore s’incontra nel suo sguardo e nei suoi occhi …».
Nel cuore di Evelina stavano accadendo cose strane. Si ritrovò a pensare a quanto fosse bello Stefan quando dalle sue labbra non uscivano parole acide e maliziose ma soltanto pura poesia.
«Allora? Che ve ne pare?»
«Mi piace», sorrise lei, sentendo le palpebre farsi improvvisamente pensanti. «Non vi facevo così acculturato», aggiunse prendendolo in giro. Stefan alzò un sopracciglio.
«Aspettate che vi reciti il monologo di Amleto o Macbeth e ne riparleremo»
«Anche io adoro Shakespeare», sussurrò la ragazza, chiudendo gli occhi e ammutolendo per diversi secondi. «Lo sapete che conciliate il sonno?»
«Non so se prenderlo come un complimento», rise Stefan. Evelina sorrise debolmente ma era già addormentata. Si addormentò anche Stefan con le parole di Byron ancora in testa.
Quando Evelina si svegliò era già giorno. Sulle spalle aveva la giacca di Stefan anche se non riusciva a ricordare il momento in cui gliel’aveva messa addosso.
Stefan non c’era davanti a lei e, quando scese dalla carrozza, vide Raphael a giocare con dei fili d’erba, immerso nei suoi pensieri, appoggiato ad uno steccato di legno. Appena la vide, sputò il filo d’erba che aveva tra le labbra e si ricompose, assumendo una posizione dignitosa.
«Evelina, siete già sveglia?», sorrise. Lei si guardò attorno, osservando le sconfinate terre da pascolo disabitate.
«Dove sono gli altri?»
«Nina dorme ancora, Max e Stefan sono andati a trovare una nuova ruota e mi hanno ordinato di fare la guarda a voi due. Ieri con i buio non siamo riusciti a vedere la città: guardate lì, riuscite a vedere il piccolo paesino?». La donna seguì il dito di Raphael e cercò di distinguere le figure in lontananza di quello che sembrava essere un piccolo borgo.
«Quanto tempo ci vuole ad arrivare?»
«Sarà lontano circa un’ora di cammino». Eva annuì, immaginandosi Stefan e Max lungo la strada. Raphael restò a fissarla chiedendosi a cosa stesse pensando.
«Posso esprimere un mio parere?», azzardò Raphael rompendo il silenzio. La donna lo guardò in attesa che tornasse a parlare. «Stefan è un brav’uomo. Dalla sua scenata di gelosia dell’altra sera, credo che stia iniziando ad affezionarsi a voi».
Evelina lo guardò sorpresa e la sincerità del suo sguardo pulito, da uomo onesto, le fece credere davvero che le sue parole fossero vere. Stefan che era stato geloso? Stefan che si stava affezionando?
«Non metto in dubbio che sia un brav’uomo, Raphael. Resta comunque il fatto che io non mi voglia sposare. Stefan non c’entra nulla: anche se mio padre mi avrebbe promesso in sposa ad un altro uomo, mi sarei comportata allo stesso modo», spiegò determinata. Lui sorrise come se gli avessero appena raccontato una bella favola con il lieto fine.
«La pensavo esattamente come voi prima di incontrare Jasmine»
«Vostra moglie?»
«Esatto. Anche le nostre famiglie organizzarono al posto nostro il matrimonio: a quel tempo, difficile a crederci, ma ero esattamente come Stefan! Anche io, su tutte le furie, ho dovuto accettare di maritarmi con una sconosciuta. Ma appena l’ho vista mi sono innamorato di lei e da quel giorno non ho fatto altro che ringraziare mio padre per aver combinato il matrimonio», sussurrò, guardando in aria le piccole nuvolette bianche che attraversavano il cielo. Anche Evelina restò a guardarlo rapita dalla storia, immaginandosi Raphael anni addietro che si ribellava al matrimonio per non perdere anche lui la sua libertà.
Sarebbe stato bello se a quest’ora fosse innamorata di Stefan, forse sarebbe riuscita a perdonare suo padre e non le sarebbe sembrato di andare incontro alla ghigliottina. E invece il colpo di fulmine di cui parlava Raphael non l’aveva graziata.
«Beh, si da il caso che io non mi sia innamorata di Stefan a prima vista», concluse freddamente, dandogli le spalle per tornare in carrozza.
Passò la giornata intera: Raphael aveva calcolato che per quell’ora avrebbero dovuto già varcare le soglie di casa e invece erano lì fermi da un giorno esatto.
«Perché non tornano?», mormorò Nina agitata, sfregandosi nervosamente le mani con gli occhi fissi all’orizzonte. Evelina sembrava fare lo stesso, sperando di riuscire ad intravedere nell’oscurità le figure di Stefan e di Max che si avvicinavano.
«Forse avranno avuto qualche problema…», farfugliò Raphael pensieroso. Sebbene fingesse di essere tranquillo per non agitare ulteriormente le due donne, i suoi occhi non restavano fermi nello stesso punto per più di tre secondi, vagando nervosamente alla ricerca di chissà cosa con aria preoccupata.
«Andiamoli a cercare», fece infine Eva.
«Evelina, sono due uomini adulti e capaci di badare a sé stessi. Non c’è bisogno di preoccuparsi», disse impaziente il conte. Evelina fissò il sentiero solitario, camminando poi nervosamente avanti e indietro.
«Potrebbero essere stati aggrediti dai banditi, essersi persi o caduti in un burrone o addirittura divorati dai coyote…»
«Chi viene divorato da cosa?». La voce di Stefan echeggiò alle loro spalle e mai e poi mai Eva fu più sollevata di sentirlo e vederlo arrivare in tutto il suo metro e novanta di bellezza. Quasi era felice.
«Max!», esclamò Nina con gli occhi lucidi dalla gioia e gli corse incontro fino ad abbracciarlo forte. L’uomo rise e la fece volteggiare in aria.
«Sto bene, bellezza»
«Perché ci avete messo tutto questo tempo?», sbottò Raphael arrabbiato, anche se il suo viso era notevolmente rilassato ora che suo cugino e il suo amico erano con loro. Max poggiò accanto al calesse la nuova ruota.
«Con la nostra solita fortuna, non abbiamo trovato nessuno che fabbricasse ruote laggiù e abbiamo camminato fino al paesino successivo», fece Stefan, scorciandosi le maniche con l’intenzione di aiutare Max a montare la ruota.
«E non avete pensato a noi che eravamo qui in pensiero?!», esclamò Evelina agitata, rimproverandolo con lo sguardo. Stefan sorrise e si avvicinò a lei, tirandola a sé fino a far aderire il suo seno al petto duro come la roccia. Eva incontrò i suoi occhi dorati e maliziosi e dovette trattenersi dall’abbassare lo sguardo per l’imbarazzo.
«Eravate in pensiero per me?»
«In realtà speravo che i coyote vi divorassero», borbottò orgogliosa. Stefan rise e le sfiorò la guancia, lei si lasciò accarezzare come ipnotizzata dal suo sorriso.
«Siete così bella quando vi arrabbiate»
«E voi siete ingiusto», si lamentò prima che i loro visi potessero iniziare ad accorciare la distanza che separava le loro bocche. Ma Raphael li interruppe quando le loro labbra stavano appena iniziando a sfiorarsi.
«Signorini “mi- piaci- ma- non- ti- voglio- sposare” che ne dite di andare? Abbiamo montato la ruota»
«Arriviamo», si affrettò a dire Stefan, sporgendosi poi verso la ragazza per riprendere da dove erano stati interrotti. Evelina però si scostò arrossendo e scappò via salendo sulla carrozza.
«E poi io sarei quello ingiusto…», sospirò Stefan tra sé e sé, rivolgendo un ultimo sguardo a Raphael che gli fece l’occhiolino prima di salire anch’egli.
«Ho l’impressione che vincerò la scommessa», fece Raphael tutto soddisfatto, sorridendo ai due che erano seduti di fronte.
«Lo penso anch’io», rispose Nina annuendo, «trovo la duchessa diversa dal giorno di partenza»
«Sì, stava dando di matto al ritardo di Stefan»
«Come si fa a non cedere a uno come lui?», rise Maximilian, spaparanzandosi sul sediolino per afferrare poi la mano di Nina e iniziare a giocare distrattamente con le sue dita. «Non ricordo una volta in cui ha subìto un rifiuto»
«Sarebbe il momento giusto», ridacchiò la ragazza divertita.
«Nah, quei due già si vogliono», commentò Raphael, «un po’ come voi due».
Nina e Maximilian si guardarono automaticamente negli occhi prima di arrossire di colpo e voltare la testa dalla parte opposta. Raphael rise divertito della situazione che aveva appena creato di proposito e scosse il capo, pensando poi alla sua adorata Jasmine.
Stefan ed Evelina, Nina e Maximilian… anche lui adesso non vedeva l’ora di riabbracciare sua moglie e cospargerla di baci.

L'unico modo per liberarsi di una tentazione è cedervi.
Oscar Wilde




Ciao a tutti! 
Ebbene sì, spero mi perdonerete per il mio ritardo nell'aggiornare... all'inizio era un semplice blocco del computer ma poi è diventato un blocco dello scrittore :/
Ho deciso di modificare un po' la storia, rispetto alla versione precedente troverete qualche nome diverso o per esempio Eva non è più bionda ma mora xD A parte questi piccoli dettagli non è stato stravolto chissà cosa per questo ho preferito continuare qui piuttosto che cancellare la storia e ri-pubblicare nuovamente qualcosa di moolto simile a questo.
Mi auguro che il capitolo sia stato di vostro gradimento, ci sentiamo presto!!

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Capitolo 7
*** Cena in famiglia ***


Gli uomini che non cercano di sedurre le donne sono destinati ad essere vittime di donne che cercano di sedurli.
Walter Bagehot

«È da qui che iniziano le nostre terre». Fu Stefan ad interrompere il silenzio, facendo caso allo sguardo meravigliato della duchessa che guardava le terre di un verde brillante e vivo, così immense che si perdevano all’orizzonte confondendosi con il cielo. Da lontano, un gruppo di cavalli scorazzavano felici per il prato, lasciando che la loro criniera venisse accarezzata dal vento.
«Sono vostri quelli?». Stefan annuì orgoglioso e nel giro di dieci minuti si poté iniziare a delineare la sagoma di quella che sembrava essere la casa del conte Wilson.
«Siamo arrivati?», sorrise Nina entusiasta, saltando dal sediolino per affacciarsi e ammirare la casa lussuosa là fuori.
«Finalmente ecco il palazzo Wilson», fece Raphael tirando un sospiro di sollievo.
Non si poteva dire lo stesso di Eva che, da quando aveva iniziato a scorgere le mura, aveva sentito la pressione di un nodo allo stomaco che la stava soffocando. Per un attimo desiderò tornare indietro e rifare tutto il viaggio per ritardare questo momento. Stefan se ne accorse: le spalle di Eva erano tese, la schiena dritta, le mani intrecciate nervosamente in grembo, la bocca tirata leggermente verso il basso in un’espressione pensierosa. Anche lui si sentiva agitato, era consapevole del fatto che Evelina non sarebbe durata a lungo: sua madre l’avrebbe cacciata di casa dopo cinque minuti, suo padre l’avrebbe guardata in cagnesco pensando quale simile scherzo della natura il duca Rubliov gli aveva affibbiato.
«Tranquilla, piacerete sicuramente ai miei genitori», mormorò con una punta di ironia. La cosa sembrò poco convincente persino a se stesso.
«Non mi prendere in giro», minacciò Evelina, guardandolo storto.
Sapevano entrambi che era molto più probabile il contrario.
Un uomo alto e mingherlino accorse subito per aprire lo sportellino della carrozza e sorrise cordialmente.
«Bentornato, signore», fece con un piccolo inchino.
«Grazie, Joseph. Ti sei rimesso? Ti trovo molto più in forma della settimana scorsa», chiese Stefan scendendo un balzo dalla carrozza.
«La febbre è passata, vi ringrazio»
«I miei genitori sono in casa?», chiese il conte scendendo dalla carrozza.
«Sua madre non dorme da due giorni, era preoccupata per il vostro ritardo», sorrise Joseph, prima di voltarsi per scrutare nuovamente all’interno della carrozza. La curiosità di vedere la fidanzata del conte Wilson era troppa: voleva assolutamente sapere di chi si trattava.
Evelina si accorse che la stava fissando e si fece più indietro, infastidita, aderendo con la schiena contro il sedile.
«Tua madre è troppo preoccupata per tutto», rise Raphael prendendolo in giro, «ti tratta ancora come un bambinone», aggiunse scombinandogli i capelli.
«E piantala!», fece Stefan dandogli uno scherzoso pugno sul braccio. Risero.
«Vado a salutare gli zii», disse poi entrando in casa.
«Sono arrivati!». Evelina sentì qualcuno che urlava e s’immobilizzò. A chi apparteneva quella voce maschile?
Un ragazzo dai capelli scuri uscì dalla porta principale e corse incontro a Stefan, sorridendogli.
«Temevamo fossi scappato», scherzò lui, abbracciandolo affettuosamente per poi dargli una pacca sulla spalla. Era alto più o meno quanto Stefan, anche se di corporatura più minuta rispetto ai bicipiti del fratello.
«Ci speravate che non tornassi, eh?»
«Sai che spasso a prendersi tutte le tue ragazze», fece malizioso, voltandosi poi per salutare Raphael e Maximilian.
«Sempre la stessa testa calda, Alexander?»
«Lascio a Stefan la nomea», rise, guardandosi poi attorno come in cerca di qualcosa. «Sei venuto da solo?», aggiunse deluso.
«Sì, ho fatto un viaggetto per perdere tempo», fece ironico Stefan e il ragazzo sbuffò.
«Era un mostro e l’hai lasciata dov’era come l’ultima volta?». Scoppiarono improvvisamente a ridere al ricordo, Stefan non poté fare a meno di ripensare alla sua ultima pretendente e non riuscì a frenare le lacrime nel ripensare a quanto le stessero stretti gli abiti che ostinava a volersi mettere per sembrare più bella e seducente.
«Appena la vedrai, giudicherai da solo»
«Sono curioso! Dov’è?»
«In carrozza».
 Evelina trattenne il respiro e rimase a fissare un punto nel vuoto nell’attesa che qualcuno venisse a disturbarla. Stefan aprì lo sportello del calesse e la guardò perplesso.
«Che ne dite di scendere dalla carrozza?»
«Preferirei rimanere qui», mugolò, osservando la mano del conte protesa verso di lei. «Non era trai miei piani diventare l’animale d’attrazione che avreste dovuto portare in giro per pavoneggiarvi».
«Non vi pare di essere un po’ arrogante ora? Non siete mio motivo di vanto». La ragazza lo guardò in cagnesco prima di afferrargli la mano titubante e lasciò che Stefan la aiutasse a scendere.
Appena mise piede a terra si trovò dinanzi all’imponente abitazione in stile rustico, interamente circondato da viali alberati e piccole casupole. Sembrava una di quelle case nelle praterie uscite fuori da un romanzo.
«Stefan, stavolta ti sei davvero superato», sentì sussurrare. Lo sguardo di Evelina andò velocemente in direzione della voce, incrociando un paio di occhi azzurri che la scrutavano attentamente. Stefan si grattò la nuca imbarazzato, facendo cenno con capo verso il moro.
«Lui è mio fratello, Alexander». Il ragazzo sorrise ammaliato, accennando un inchino per baciarle la mano e lei lo lasciò fare.
«Eva»
«Evelina», corresse Stefan due secondi dopo, leggermente infastidito.
«Mio fratello è un uomo fortunato. Spero che vi troverete bene a casa nostra», fece cortese, accennando in direzione della casa.
Evelina pensò alla stranezza della situazione: Alexander e Stefan non si assomigliavano per niente. Uno biondo, l’altro scuro, uno con gli occhi miele e l’altro con gli occhi azzurri.
«Andiamo?», fece Stefan tirando un sospiro, allungando una mano in direzione di Evelina.
Si scambiarono un’ultima occhiata intensa prima che lei potesse afferrare il braccio di Stefan e avanzare verso l’abitazione.
«Vi fate chiamare Eva dagli sconosciuti?», borbottò lui sottovoce.
«Solo quelli che trovo attraenti», scherzò la ragazza, evitando lo sguardo severo di Stefan.
Quando varcarono la soglia di casa, Evelina si ricordò che se non fosse piaciuta ai suoi genitori sarebbe tornata a casa e si riaccese in lei quella speranza che la sera precedente l’aveva abbandonata.
«Finalmente!», si sentì urlare e una signora ci venne incontro. Era bassa e cicciottella, dai capelli chiari e gli stessi occhi color miele di Stefan. Indossava un abito elegante, come se si fosse preparata a lungo per un’occasione importante, come stavano a testimoniare le perle che portava al collo e ai lobi.
Stefan si dovette chinare per ricambiare l’abbraccio soffocante ed Evelina guardò Raphael che sorrideva divertito alle spalle della donna.
«Avete fatto tardi, ero così in pensiero!»
«La ruota si è rotta, abbiamo dovuto aspettare la notte prima di cambiarla», spiegò Stefan, cercando di divincolarsi dalle sue braccia grassocce. Gli occhi della donna si accorsero improvvisamente della presenza di Evelina e la scrutarono attentamente.
«Evelina?», chiese perplessa, alzando un sopracciglio.
«In persona», sorrise lei spavaldamente, stringendole la mano come usavano fare gli uomini.
«Oh, ehm… benvenuta…», borbottò la donna, tirandosi subito dietro la mano.
«Stefan!», esclamò ancora qualcuno e lui si voltò ad osservare una ragazza che gli correva incontro per buttarsi tra le sue braccia.
«July», sorrise lui felice, abbracciandola forte e facendola volteggiare in aria. La treccia nera della ragazza volteggiò assieme a lei e quando tornò con i piedi a terra si accorsero dell’occhiata fulminea di Evelina. La ragazza puntò gli occhi carbone su Eva e si sistemò il vestito.
«Io sono July, la vostra cameriera», sorrise la ragazza cortese, facendo un piccolo inchino.
«Lo vedo», fece Eva acidamente, osservando il grembiule logoro che aveva attaccato in vita, e il suo tentativo di sorridere non le riuscì molto bene. Stefan si mise prontamente tra le due che parevano volersi uccidere con gli occhi a vicenda, quasi come se volesse difendere la ragazza dalla furia omicida di Eva.
«July, mostra ad Evelina la sua camera», ordinò il conte. Lei annuì, facendole cenno con capo di seguirla. La donna seguì July in silenzio lungo i corridoi tempestati di quadri e dipinti, seguendo poi i ricami dorati dalle fantasie astratte del tappeto bordeaux che rivestiva il pavimento.
«Servi i Wilson da molto tempo?», chiese all’improvviso Evelina e vide la ragazza annuire avanti a lei.
«Sono nata e cresciuta in questa casa. Ho un rapporto speciale con questa famiglia e con Stefan». Si fermò dinanzi ad un’enorme porta e sfilò una chiave dal pazzo che aveva in tasca. «Vi lascio sola», sorrise, scomparendo nel corridoio dal quale erano venute. Evelina si guardò attorno, osservando gli interni eleganti della sua camera: un grande letto al centro protetto da una coperta color panna, un armadio in legno leccato bianco, una specchiera sulla quale erano risposti alcuni gingilli e profumini vari.
Si poggiò sul bordo del letto e tirò un sospiro, provando una strana sensazione allo stomaco. Non poteva crederci che era nostalgia di casa, dei suoi cavalli, dei fratelli Romanov, dei suoi genitori: il rapporto che aveva avuto con suo padre era sempre stato speciale ed essere andata via arrabbiata con lui le dava una strana sensazione di rimorso davvero difficile da mandare giù.
Si voltò per guardare attraverso la finestra accanto a lei e vide quell’uomo che Stefan aveva chiamato Joseph sistemare le ultime cose che c’erano in carrozza. Accanto a lui c’era Alexander, il fratello minore di Stefan: non riusciva a smettere di fissarlo mentre si passava una mano trai capelli e se a rideva con Joseph, guardandosi attorno. Ad un tratto Evelina si accorse che lui la stava osservando, doveva essersi accorto che aveva gli occhi fissi su di lui: sorrise e fece un cenno con la mano per salutarla. La ragazza ricambiò con un sorriso imbarazzato e in quell’istante bussarono alla porta. Si scostò dalla finestra e rivolse lo sguardo verso la porta che si stava aprendo senza il suo consenso: sapeva già chi si sarebbe presentato.
«Che ne dite di scendere per la cena?», sbottò Stefan facendo un cenno col capo verso il corridoio per invitarla ad uscire.
«Non vedo l’ora», sorrise maligna, alzandosi dal letto e passandogli accanto. Sentì la mano di Stefan afferrare con decisione la sua.
«Non mettetemi in imbarazzo», la avvertì e lei rabbrividì di eccitazione nel sentire il suo tono di voce molto simile ad una minaccia.
«Vi vergognate di vostra moglie?»
«Evelina…»
«Non cambio idea», tagliò corto lei, sfilando bruscamente la mano dalla presa del conte. Iniziò a camminare, lasciandolo dietro.
«Oltre ad essere bella siete anche dannatamente cocciuta», ringhiò lui innervosito, stringendo in un pugno la mano che prima teneva quella di Eva. Vide i suoi capelli scuri e scompigliati ondeggiare e quando Evelina arrivò in fondo al corridoio gli lanciò un ultimo sguardo di sfida prima di svoltare a sinistra. Stefan chiuse gli occhi, cercando di non pensare al modo provocante con il quale l’aveva appena invitato a seguirla e concentrandosi su quelle che sarebbero state le ultime due ore.
 
«Un disastro», sospirò Stefan passandosi innervosito una mano trai capelli. Raphael lo guardò sconcertato mentre si versava da bere in un bicchiere di cristallo.
«Sta andando così male?»
«Farò una pessima figura con mio padre e lui crederà che sia stato io a minacciarla a comportarsi così», borbottò sottovoce per non farsi sentire dagli altri in sala da pranzo.
«Come se non l’avessi mai fatto…», accennò ironico il cugino, procurandosi un’occhiataccia. «Torniamo di là e cerchiamo di salvare la situazione», aggiunse dandogli una pacca di conforto sulla spalla.
Ripresero posto a tavola e fecero in tempo a catturare l’argomento della conversazione.
«Cavalcare non è una cosa da donne…», obiettò la contessa, pallida in volto per lo stupore.
«Non c’è nessuna legge che lo vieti», sorrise lei maliziosa, versandosi da bere. Sua madre scambiò un’occhiata di perplessità al padre, il quale, sebbene fosse più discreto nell’esternare i suoi pensieri, lasciava comunque intuire il suo stupore. Alexander invece continuava a mangiare divertito, senza riuscire a staccarle gli occhi da dosso ed eliminare quel sorriso dal volto.
«Sapete bene che dopo il matrimonio non potrete più cavalcare, vero?»
«E perché?»
«Beh, ci aspettiamo un erede e andare a cavallo con un bambino in grembo non è prudente». Stefan per poco non si strozzò con il boccone che gli era appena andato di traverso e tossì, versandosi allarmato un po’ d’acqua. Evelina invece era rimasta di pietra, con la bocca piena, a fissare la donna.
«Un erede», sussurrò quasi spaventata. Non potevano fargli questo, costringere a sposarsi e a diventare madre e a lasciare per sempre i suoi cavalli. «Nah, non mi piacciono i bambini», aggiunse dopo, ridendo nervosamente. La contessa fece di nuovo una strana faccia: Stefan era quasi convinto che di lì a qualche minuto sarebbe scappata via urlando. O forse sarebbe prima svenuta? Il padre mando giù un altro bicchiere di vino e chiese a July di portare una nuova brocca fresca.
«Vi piace la danza, Evelina?», cambiò subito dopo argomento l’uomo, puntando gli occhi azzurri su di lei. Alexander gli somigliava molto di più, aveva preso da lui il colore degli occhi e le labbra sottili.
«Certo», annuì Evelina entusiasta e si lesse sul volto dell’uomo un segno di sollievo. «I figli della mia domestica mi hanno insegnato la danza cosacca, è molto divertente», aggiunse. Persino Stefan, dopo aver scambiato un’occhiata con suo fratello, dovette trattenersi dal ridere e per un attimo immaginò cosa sarebbe successo se si fosse messa a ballare lì in mezzo come aveva fatto l’altro giorno alla locanda. Evelina ne sarebbe stata capace.
«Non sapete ballare una danza più raffinata?». La voce della donna le arrivò come un sussurro mentre Eva fissava insistentemente July che versava del vino nel calice di Stefan. Chissà perché ma le dava un immenso fastidio quella ragazzina dal volto innocente. Poco importava se erano cresciuti assieme: sembrava che fosse sempre pronta a stuzzicarlo e a provocarlo e dal modo in cui Stefan le sorrideva, Evelina intuì che probabilmente lui ricambiava un certo interesse.
«Diciamo che non la preferisco», mormorò lei sovrappensiero, fissando la scollatura un po’ troppo azzardata della ragazza.
Si udirono dei rumori provenire dalle scale e piccoli passi affrettati come se qualcuno stesse correndo giù per le scale. Una piccola bambina spuntò dall’arcata che dava l’accesso alla stanza e rimase impalata a fissare la tavola imbandita. Aveva lunghe trecce castane, dello stesso colore dei capelli di Stefan, e un paio di occhi azzurri vispi che scrutavano la nuova arrivata.
«Lei è l’ultima arrivata, Claire», sorrise la contessa sorridendo e facendo cenno verso la bambina di avvicinarsi ad Eva e fare un inchino educato.
«Buonasera»
«Ciao», sorrise Eva. Stefan vide la sua espressione del volto cambiare ed addolcirsi improvvisamente alla vista della bambina. «Io sono Eva»
«Come la prima donna sulla Terra?»
«Esatto», rise lei, «anche se non ho ancora trovato il mio Adamo», aggiunse in un sussurro. La bambina ridacchiò sotto i baffi anche se non poteva ancora capire pienamente le parole di Evelina.
«Claire, perché non vai di sopra? Dovresti essere a letto da un po’», la riprese il padre. La bambina si irrigidì e lo guardò, annuendo.
«Ci vediamo domani?», mormorò guardando Eva speranzosa e la ragazza sorrise annuendo mentre la piccola spariva di corsa lungo il corridoio.
«Direi che si è fatta anche per noi ora di ritirarsi», esordì la contessa, tirando un sospiro. Si alzarono tutti da tavola per dirigersi verso le camere e anche Eva si avviò per il lungo corridoio.
«Evelina?». Si voltò quando si sentì chiamare e vide Alexander correre verso di lei.
«Alexander», sorrise lei sorpresa.
«Vi andrebbe una passeggiata? La luna è fantastica stanotte»
«Oh... io…»
«Non accetto un no, mi dispiace», sorrise testardo, porgendole un braccio. Lei rise, accettando l’invito. Percorsero a ritroso il corridoio, incontrando July che sistemava la sala da pranzo. La ragazza guardò la coppia con circospezione fino a quando i due non lasciarono la casa per incamminarsi verso il retro del giardino immerso nel buio.
«Avevate ragione, è bellissima», sussurrò Evelina, tenendo lo sguardo in alto per fissare la luna bianco latte. Alexander fece lo stesso, sorridendo prima di sedersi sull’erba.
«Stasera vi siete divertita molto a burlarvi di mia madre», commentò il ragazzo, rivolgendo lo sguardo verso Eva. Il bagliore della luna rendeva la sua pelle ancora più perfetta e i suoi occhi scuri luccicavano: Alexander pensò di non aver mai visto una creatura così bella e ammaliante.
«Un po’ mi dispiace, è una brava donna», rise lei, «ma se spera di vedermi col pancione a ricamare davanti ad un caminetto… dovrà fare altri progetti»
«Beh, sta organizzando il vostro matrimonio»
«La nostra vita», precisò lei. «Come se non potessi decidere con chi passarla e come»
«Non ho ben chiaro il rapporto che avete con Stefan»
«Lo odio, semplice», sorrise facendo spallucce. Alexander scoppiò a ridere e la osservò sedersi accanto a lui. «Credo di non aver mai conosciuto un uomo così sicuro di sé»
«Ha tutte le carte in regola per esserlo»
«Anche voi le avete», rispose prontamente Eva, voltandosi di scatto per guardando dritto negli occhi. «Ma credo siate diverso da lui»
«Permettetemi di mostrarvelo», sussurrò sorridente, spostando lo sguardo sulle labbra di Evelina. Aveva una voglia tremenda di toccare quelle labbra così invitanti, di accarezzarle i capelli, di scoprire che sapore aveva.
«Quella ragazza… July… è forse fidanzata?», fece Evelina ad un certo punto. Alexander la guardò spaesato, ritraendosi.
«Non che io sappia… nutrite interesse verso le donne?»
«Certo che no», rise. «Si è fatto tardi. Grazie per la magnifica vista»
«Vi accompagno fino alla vostra camera»
«Non ce n’è bisogno. Buonanotte»
«A domani», sorrise Alexander. Guardandola sollevarsi, scrollarsi qualche filo d’erba di dosso e allontanarsi a passo svelto.
Si promise che avrebbe svelato il suo mistero.

 
Gli uomini che non cercano di sedurre le donne sono destinati ad essere vittime di donne che cercano di sedurli.
Walter Bagehot

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