Diario di bordo

di Malaglar
(/viewuser.php?uid=23529)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "La città..." ***
Capitolo 2: *** "Essere riconoscenti" ***
Capitolo 3: *** "Felicità" ***
Capitolo 4: *** "Le verità..." ***
Capitolo 5: *** "L'odio" ***
Capitolo 6: *** "L'amore ritrovato" ***
Capitolo 7: *** "Scegliere..." ***



Capitolo 1
*** "La città..." ***


Ciao

Ciao! Questa è la prima fanfic che scrivo in vita mia! Per cui, cercate di non essere troppo esigenti eh! Beh, non credo comunque che per tale fanfic ci saranno recensioni, poiché ho notato che nuove fanfic su questo anime sono quasi del tutto assenti, ma comunque non rimane che farvi leggere il testo e augurarvi una buona lettura.

Come primo capitolo, ho voluto un po’ riraccontare ciò che Electra ha detto nell'episodio 22, riguardo al suo passato. Comunque, a voi le recensioni!

“La città…non esisteva più”

Ovunque andasse, incontrava i resti di coloro che adesso non c’erano più, mentre i corvi volavano nell’aria. Lei aveva paura, perché ancora non si capacitava di quello che era successo. Aveva ancora in mente l’immagine del braccio di suo fratello, mentre cadeva a terra, quel rumore orribile! Pianse: aveva paura di ciò che ancora le sarebbe potuto accadere, per cui si mise a correre, come per fuggire dalle terribili visioni che vedeva. In cuor suo si, voleva credere che fossero solo visioni, che fosse solo un incubo. Ma, purtroppo, presto si rese conto che non era così.

Stremata per la corsa e per il dolore, raggiunse il margine esterno di Thartessos, e si rannicchiò in un angolo, cadendo in un lungo sonno pieno di incubi.

Rimase lì per due giorni, paralizzata e impaurita, incapace di procurarsi cibo e acqua, di cui ora aveva paura: ormai aveva paura di tutto, qualunque cosa di quel luogo tenebroso le destava terrore, ma in particolar modo l’acqua, come se fosse capace di inghiottirla, come aveva fatto per i suoi genitori. Continuava a ripetersi “Tornerà tutto come prima” “Svegliati! Era solo un brutto sogno!”, ma tutte le volte che i suoi desideri sembravano realizzarsi, sentiva il funesto rumore dei corvi gracchianti, facendola ricadere nel terrore e nella confusione più totale.

Infine, incontrai i primi sopravvissuti…uno di quelli…eri tu…”

Dopo due notti di tormento, infine, un uomo grande, dai lineamenti austeri e dall’espressione fiera, ma gentile, le tese una mano, ricca di anelli, come simbolo di speranza e salvezza. Lei si chiedeva se anche quel segno fosse frutto della sua immaginazione, e all’inizio pensava che fossero solo delle visioni, illusioni della sua piccola mente terrorizzata. Ma infine, le parole uscirono dalla bocca dell’uomo, e risuonarono dolcemente nell’aria, risvegliandola dal suo incubo:

“Vieni con me” le disse. E lei, in un atto di tremendo sforzo, tese la sua piccola mano. Voleva piangere e stringersi a quel uomo, ma non aveva più la forza né per piangere, né per disperarsi.

Quegli interminabili momenti sembravano non avere mai fine, finché l’uomo non la sollevò dalla terra, strappandola via definitivamente dal suo incubo, portandola con se per mano, lontano da lì.

Ma subito lei si accasciò contro di lui, perché era troppo debole per camminare, per cui i tre uomini fecero una sosta per rifocillarsi e prendersi cura della ragazza. L’uomo che le porse la mano stavolta le diede del pane e dell’acqua: certo, non era molto, ma la ragazza era talmente affamata che non ci fece caso, e mangiò tutto, mentre fissava l’uomo che l’aveva salvata e lui a sua volta la fissava. Quei due sguardi s’incontravano per la seconda volta, e in lei nacque subito un profondo sentimento di gratitudine, tanto che quando quel uomo si girò a discutere con gli altri due sul da farsi, lei gli si avvicinò lentamente e, piano piano, adagiò la sua testa sul suo grembo, colta da un’improvvisa stanchezza. Lui non se ne accorse, ma quando decise di riprendere il cammino, nonostante facesse quasi buio, sentì il peso e il calore di lei, che dormiva appoggiata a lui. L’uomo sorrise alla visione di una tale graziosità e ne rimase quasi commosso, ma tuttavia un’ombra di tristezza occultò il suo sguardo, ricordando ciò che aveva fatto… sapeva che prima o poi, la ragazza avrebbe voluto sapere che cosa accadde quel giorno, e che lui lo volesse o no, lei lo avrebbe saputo, inevitabilmente. In quel momento si sentiva in colpa, mentre vedeva quell’esile ragazza che respirava lievemente, sentendosi colpevole della sua situazione, del fatto di essere stato artefice della morte di molta gente e, come molto probabilmente pensava, anche della morte dei suoi genitori. Per cui ordinò di accamparsi lì per quella notte, e che sarebbero partiti il giorno dopo.

Dopo aver messo un fagotto sotto la testa della ragazza per non farla stare scomoda, l’uomo aiutò gli altri due compagni a mettere su le tende, e quando finirono accesero un fuoco in mezzo alle tre tende. Di nuovo, la sua attenzione venne presa dalla ragazza, che se ne stava in posizione rannicchiata e tremante: quindi la prese e la sollevò da terra, portandola dentro la tenda più grande, fatta appositamente per lui. Nelle tende c’era abbastanza caldo, per cui non erano necessarie le coperte, ma comunque le stesero per terra, per rendere più confortevole il sonno. Lei però continuava a tremare, per cui l’uomo prese un’altra coperta e la mise sopra la ragazza. Lasciarono acceso il fuoco, e si misero tutti e tre a dormire. Però, nonostante fossero in due, lei continuava a tremare. Evidentemente era ancora scossa per gli avvenimenti, e la sua mente era offuscata da vaghe visioni.

Nel cuore della notte, lei si svegliò,. Subito vide lui dormiente, con la sua espressione fiera, ma adesso a lei pareva quasi diversa: in lui rivedeva una figura quasi paterna. Sentì il desiderio di stargli accanto, e di godere della sua vicinanza, in momenti così cupi. Così, lentamente, si avvicinò a lui, e appoggiò la sua testa sul suo petto e, finalmente, dormì. Anche lui, ad un tratto si svegliò, come se si fosse accorto del cambiamento: e infatti notò subito una piccola chioma dorata, e quelle due piccole braccia che lo avvolgevano. Ciò creò in lui tenerezza, e pose una mano sulla chioma della ragazza, accarezzandola.

E subito lei smise di tremare.

“Ero molto riconoscente…all’uomo che mi aveva salvata…”.

Bene ragazzi, questo primo capitolo è finito. Niente di che, ma spero in capitoli migliori di questo!

Ciao, e al prossimo aggiornamento!

P.S: commentate, commentate!

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** "Essere riconoscenti" ***


Bene ragazzi, ci vediamo per la seconda volta in questa fic che ha preso una curvatura migliore, soprattutto verso la fine, per quanto riguarda il primo capitolo. Comunque, questo è il secondo capitolo, e spero che vi piaccia.
Note dell'autore: + o - vi posso dire che la traccia seguirà la cronologia dell'anime, però non verranno trattati altri personaggi, se non Nemo ed Electra, quindi invenzioni a tutto andare.


"Ero molto riconoscente... all'uomo che mi aveva aiutata..."

Quando si svegliò, la prima cosa che vide fu lui che la fissava, pensieroso. Lei cadde nel suo sguardo profondo e rimase quasi ipnotizzata da quegli occhi scuri. Poi lui sorrise e parlò:
"Come ti chiami, giovanotta?" le disse sorridendo.
"Medina" disse, ma non uscì alcun suono.
"Medina, hai detto?" a quanto pareva quell'uomo sembrava essere più erudito di quanto non sembrasse.
La ragazza annui.
"Io mi chiamo Eleusis, ma ormai non sono più degno di questo nome che ho rinnegato, e per tale motivo, non merito alcun nome, se non quello di Nemo, che come tu ben saprai, vuol dire 'nessuno'. Per ora posso dirti solo questo" e le porse dell'acqua. Un'ombra sembrò oscurare la faccia dell'uomo.
"Va meglio adesso?" domandò lui dolcemente.
Lei voleva rispondergli di si, ma i momenti passati a urlare e a piangere gli avevano fatto perdere quasi la voce, così si limitò semplicemente ad annuire, anche se non era l'esatta verità: anche se era giovane, i suoi genitori le avevano insegnato ad essere meno d'intralcio possibile, per cui se ci fosse stato bisogno di mentire per essere meno di peso, avrebbe mentito senza esitazioni. Ma quell'uomo le sembrava quasi impossibile da ingannare e in quei primi momenti di dialogo si sentiva un po’ a disagio, oltre che un po’ imbarazzata. Ma imbarazzata per cosa? Se lo domandava anche lei in quel momento, eppure era chiaro fin dall'inizio: anche lei, fosse stata al posto suo, pensò, non si sarebbe comportata molto diversamente, e avrebbe dato aiuto a coloro che ne avevano davvero bisogno. Un comportamento del tutto normale, in fondo. Però, data la situazione e il fatto di essere lei l'oggetto della loro preoccupazione, non sapeva come comportarsi .
"E' il momento di andare... dobbiamo riuscire ad abbandonare queste lande desolate, prima che i viveri scarseggino" e ordinò agli altri di smontare l'accampamento.
La ragazza, che voleva essere in qualche modo utile a qualcosa, si avvicinò a Nemo e cercò di attirare la sua attenzione. Lui capì all'istante le intenzioni della fanciulla
"No, non ti preoccupare, al resto pensiamo noi. Adesso, pensa solo a riprenderti". Così lei se ne stette in disparte, mentre li osservava.
Sfecero in fretta il campo, e quindi partirono presto. Nemo si presentò di nuovo da lei e le tese per l'ennesima volta la mano.
"Vieni"
Questa volta lei fu più sicura e afferrò senza indugi quella mano che tanto bene le aveva portato.
Camminarono a lungo per i campi, e per la prima volta, dopo sette giorni di tenebre, spuntò il sole.
Il paesaggio si trasformò: avevano ormai oltrepassato le aspre cime che circondavano Thartessos, e si avviavano verso verdi pianure e boschi incontaminati. Il grigiore del cielo non se ne era ancora andato, ma tuttavia appariva più rado e meno compatto. Lei procedeva sempre accompagnata da lui, e ogni tanto rimaneva incantata a fissarlo. Adesso doveva fare ciò che le aveva detto lui: preoccuparsi solo di riprendersi. L'unica cosa da fare, perciò, era andare avanti, e guardare ciò che si aveva. E lei, per quanto le rimaneva, vedeva lui, e lui soltanto. Andarono avanti così fino a che, nel tardo pomeriggio, non raggiunsero l'oceano, mentre il sole splendeva lontano all'orizzonte.

"...e quando, col tempo, quel sentimento si trasformò e divenne amore... ne fui felice..."


Bene, questo è il secondo capitolo, un po’ più tranquillo del primo, spero vi sia piaciuto!
Al prossimo aggiornamento!



Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** "Felicità" ***


Benritrovati, cari lettori
questo è il terzo capitolo, come da me promesso. A quanto pare, sembra che apprezziate quello che sto facendo, e questo mi rende felice ( XD ). Beh, non rimane che augurarvi una buona lettura.


"... e quando, col tempo, quel sentimento si trasformò e divenne amore... ne fui felice..."

Finalmente, incontrarono altri gruppi di sopravvissuti. Nemo si fece avanti e si mise a discutere in disparte con i nuovi profughi, affidando la protezione della ragazza agli altri due dell'originaria compagnia.
Passò un bel po’ di tempo prima che Nemo ritornasse tra loro, riferendo ciò che avevano detto: a quanto pareva, molti altri piccoli gruppi limitrofi al regno di Thartessos avevano avuto sentore degli strani avvenimenti, e quando ormai si compì la tragedia, i loro villaggi furono distrutti. Ma poiché si trovavano alquanto distanti dalla Torre di Babele, riuscirono a mettersi in salvo, prima di venire travolti dalle terribili calamità che si abbatterono quel giorno sulla terra. In seguito tornarono indietro, per vedere se erano rimasti dei sopravvissuti. E fu così che la compagnia di Nemo e quelle dei profughi si trovarono.
Non riferì, invece, ciò che lui aveva detto riguardo la propria condizione agli altri profughi che, dallo strano comportamento di rispetto nei confronti di Nemo, sembravano conoscerlo molto bene. Ciò non sfuggì alla ragazza, che adesso si era ripresa quasi del tutto, e sospettava che sotto ci fosse qualcosa, fissando Nemo, ma non riuscì a scorgere niente, se non il suo misterioso silenzio.
Un profugo si presentò a loro e disse che era necessaria la presenza di un certo Ra Alwar.
Improvvisamente, Nemo si alzò e si avviò con il messaggero.
"Ra Alwar!" pensò la ragazza "non può essere...solo una stirpe regale può avere un nome tale!".
Nemo si accorse dell'espressione sorpresa della ragazza, e fece cenno agli altri due suoi compagni di fare attenzione a lei. Loro annuirono in silenzio.
Lei lo guardò andarsene via, sempre più stupita della situazione. Aveva conosciuto il famoso Ra Alwar, Re di Thartessos, e neanche se ne era accorta. Improvvisamente, si sentì di nuovo a disagio, come quella volta che le aveva chiesto il suo nome. Ma adesso era diverso, sapeva con chi aveva a che fare, e ne aveva quasi il timore, di quell'autorità misteriosamente celata ai suoi occhi. E mentre ripensava ai momenti passati accanto a lui, si imbarazzò ancor di più: lei, una semplice ragazzina che era rimasta attaccata per tutto quel tempo ad un uomo che considerava non solo come padre, ma anche come salvatore, si trovava ad essere debitrice di un Re, una persona molto più importante di lei, per come vedeva la situazione.
"E adesso come faccio a sdebitarmi?" si domandò lei mentre, inconsciamente, cercava di sistemarsi come meglio poteva i capelli e di apparire ordinata.
"Come mi devo comportare? A chi lo posso chiedere? Oh santo cielo!" furtivamente si guardava intorno, come se avesse il timore che lui spuntasse da un momento all'altro, e quindi non voleva essere impreparata. Tutti gli altri sembravano occuparsi dei fatti propri, lanciando rapidi sguardi verso la ragazza: in fondo, non è che non si prendevano cura di lei, ma sembrava che cercassero di parlare il meno possibile, anche fra di loro.
"Via! Adesso calmati un attimo e pensa..." dato che i capelli non riuscivano a stare come voleva lei, allora passò al vestito, che era ridotto a poco più che a uno straccio. In un secondo tempo e in circostanze diverse, non avrebbe dato peso a certe cose, tuttavia quella situazione le pareva alquanto anomala e fuori dal comune.
"Oddio! Sono un disastro!"
Immersa nei suoi pensieri, non si accorse nemmeno che lui era già ritornato, e già discuteva con gli altri, mostrando loro nuovi viveri e nuove vesti. Dopo aver sistemato i primi due, passò a lei, che nel frattempo aveva incominciato a parlare da se sottovoce.
"Ehi? Mi senti? Sono io. Che stai facendo?" le domandò Nemo sorridendo. Lei aveva la testa in confusione, l'idea di dormire sotto la sua stessa tenda, l'imbarazzo di presentarsi davanti a lui conciata in quel modo e mille altri pensieri solcavano la sua testa, quando si accorse che qualcuno le stava dolcemente ponendo una domanda.
"Beh... io...non so...dovrei...forse...oddio!... presto arriverà... io non sono... pronta..." era troppo sovrappensiero per riuscire a vedere con chi stava parlando.
"Come? Cosa dovresti fare? Chi dovrebbe arrivare?" la sua confusione stava trascinando anche lui.
"Lui!... non posso presentarmi così..." lui continuava a fissarla, non sapendo se preoccuparsi o no.
"Scusa, ma non riesco a capirti!" le disse sempre sorridendo.
"Il nostro Re...". e alzò lo sguardo verso l'uomo e arrossì bruscamente "...Alwar". Lui rise con quella sua voce così profonda, e quel dolce suono giunse alle sue orecchie, risvegliandola dal suo stato confusionale.
"Oh! Mi scusi... io proprio...non l'avevo...che sbadata" e abbassò lo sguardo per evitare che lui la vedesse arrossire costantemente.
Ci fu un attimo di silenzio. Lui la fissò per un po’, sorpreso della reazione della ragazza.In cuor suo le ricordava un po’ sua figlia, e per un attimo la tristezza lo colse, ma lui non lo diede a vedere. Poi ricominciò a parlare.
"Ti ho portato dei nuovi vestiti e delle coperte, così potrai sostituirle con quelle vecchie che ti ho dato".
Ancora una volta, lui le si presentava gentilmente, come un padre avrebbe fatto per sua figlia. Lei prese i vestiti e le coperte in silenzio ed entrò nella tenda, chiudendola per bene.
"Ma perché mi comporto così?" pensava lei "...per quale motivo ho questa sensazione di disagio con lui? Eppure mi ha salvato la vita, procurato cibo e acqua, e adesso anche dei vestiti nuovi. Perché tutte queste attenzioni? Io non... non..." sentiva che le forze la stavano per abbandonare ancora una volta, un po’ per la stanchezza, un po’ per le forti emozioni appena passate. Così si accasciò a terra sulle coperte appena stese, e cadde in un lungo sonno.

4 anni dopo

Si svegliò ansimando.
Il cuore le batteva all'impazzata. Temeva che lui non fosse più lì, che se ne fosse andato, una volta che lei fosse cresciuta abbastanza da badare a se stessa. Ma lui era sempre lì che dormiva, sempre con la sua solita espressione fiera. Subito si tranquillizzò.
"Lui non mi abbandonerà mai" pensò "... gli voglio troppo bene... io non sopporterei...la sua mancanza".
Un ultimo attacco di panico la prese: voleva gettarsi su di lui e dirgli quanto gli voleva bene, e che aveva paura, paura di perderlo, per sempre. Ma ormai era riuscita a controllare le proprie sensazioni, e adesso riusciva a stare tranquilla anche in presenza di Nemo. Non aveva più il timore di seguirlo, ovunque lui le dicesse di andare. Si era dimenticata dei modi formali che i suoi genitori le avevano insegnato per rivolgersi alle persone più grandi e che non fossero suoi stretti parenti. Fra lei e gli altri esisteva solo il "tu".
Tuttavia aveva ancora un po’ di timore verso la perspicacia di quell'uomo, e aveva il timore che lui scoprisse ciò che provava.
"Sei già in piedi a quest'ora?" disse lui.
"Ah! Scusami se ti ho svegliato! Non volevo..."
"No, no... non fa niente!... Dormito bene?"
"Si...grazie!" e gli rivolse un sorriso, ma ciò che aveva detto non era vero.
"Beh, è sempre presto, anche per fare colazione. Io mi riposerò ancora un po'. Te puoi fare quello che vuoi, ma non andare troppo lontano, mi raccomando!"
"Sempre preoccupato, come al solito" pensò, mentre si rincuorava per le sue parole.
Lei non avrebbe fatto niente, se non rimanere a fissarlo e vegliare su di lui, fino a che non si fosse svegliato di propria volontà. Allora avrebbero fatto colazione insieme, così come ormai facevano da quattro lunghi anni.
Lei lo amava, ma non lo voleva ammettere, né a lui, né a sé stessa.

"...ma poi... scoprii la verità..."


Bene, anche questo capitolo è concluso. Continuate a postare le vostre recensioni!!!
A presto e al prossimo aggiornamento!!!





Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** "Le verità..." ***


Cap4

Well well well... rieccoci ancora una volta insieme nel 4 cap di questa mia fic. Rileggendo gli altri 3 capitoli direi che va bene (lo spero), e che segue un po’ la trama dell'anime, con varie riadattature. Pensavo che avrei trattato dell'episodio 22 solo nel primo capitolo, ma penso che me lo porterò avanti per un paio di capitoli ancora. E' davvero così bella quella puntata! Peccato non abbiano fatto una nuova serie di questo anime, o quantomeno un omake su ciò che è successo dopo la sconfitta di Gargoyle... eh eh, a questo penserò io (però riguardo alla storia di Electra e basta).
Bona lettura!
P.S: ohohohohoho??? Ma non recensiona nessuno? Oddio, è anche vero che questo anime è stato un po’ abbandonato da un bel pezzo...

--------------------------------------------------------------------------------



"...ma poi...scoprii la verità..."

C'era una strana agitazione nel campo, il cielo era cupo, ma il sole riusciva comunque a trasparire da dietro le nuvole. Tutti andavano di qua e di là, secondo precisi criteri e ordini. Vi erano molti gruppi e ad ognuno di questi era assegnata una mansione precisa. Nessuno di loro sapeva quale fosse il risultato di un tale lavoro, ma una cosa era certa: più andavano in là con il lavoro, e più vi rimanevano affascinati. Infatti, grazie alla tecnologia e al sapere degli Atlantidi, stavano creando qualcosa di grande, qualcosa che li avrebbe portato lontano. Non erano certi di ciò che sentivano, ma capivano che ciò rappresentava per loro un ideale, che avrebbe potuto giustificare la causa che da tanto tempo ormai, dapprima della ribellione a Thartessos, avevano difeso anche a costo della vita.
A lei, però, non venne assegnato alcun incarico, o quantomeno nessun incarico che richiedesse una qualche particolare prerogativa: essenzialmente, il suo "compito" era quello di stare sempre nei paraggi.
Lui era sempre a parlare con gli altri, trasmettendo ciò che sapeva, frutto della conoscenza Atlantidea. Ogni tanto, quando poteva permettersi un attimo di riposo, si fermava con lei a parlare.
I timori che un tempo l'avrebbero potuta agitare, adesso non c'erano più, perché lei aveva deciso.
Nemo, nella sua vita, avrebbe rappresentato la "via", l'unica ragione di esistere, e non lo avrebbe più guardato come un re, ma come un padre, anche se, in fondo sentiva che c'era dell'altro, e non sapeva quanto a lungo avrebbe potuto nasconderglielo.
Tuttavia, aveva trovato un modo per occultare questi sentimenti, e trovare un'altra valida ragione per motivare questo suo attaccamento nei confronti di Nemo.
Tutte le volte che pensava intensamente a lui, riflettendo su ciò che a lei sembrava giusto dire affinché lui sapesse ciò che la tormentava ormai da anni, ricordava sempre il giorno in cui Thartessos venne distrutta. Questo ricordo le destava ancora così tanto dolore, che ogni tanto veniva assalita da crisi di pianto, in silenzio. Giurò che non si sarebbe data pace, finché il colpevole non avesse pagato per ciò che aveva fatto alla sua famiglia, ai suoi genitori, a suo fratello. Voleva la sua morte, e a tale proposito aveva solo un nome: Nemesis Ra Algor, chiamato anche Gargoyle, secondo il nuovo nome da lui preso, dopo aver fondato l'impero di Neoatlantide. Se non fosse stato per Nemo, probabilmente quell'essere infernale avrebbe potuto distruggere l'intero pianeta, e per questo che tutti loro erano grati a lui, per averli salvati. Per tale motivo, loro sarebbero arrivati anche a sacrificare se stessi, pur di annientare Gargoyle.
E secondo questo ideale, lavoravano tutti instancabilmente.
Lei stava lì, attendendo ansiosamente la sera, quando allora tutti sarebbero tornati all'accampamento, ma in particolare stava aspettando lui.
Alla fine lo vide, l'ultimo della compagnia, come al solito, e lei gli andò subito incontro.
"Bene! Vedo che anche oggi hai fatto quello che ti avevo detto di fare! Brava!"
Se c'era qualcosa che sapeva fare, allora era proprio obbedire sempre e comunque, sopratutto se questo suo piccolo "sacrificio" serviva a farlo sorridere, che già allora era una cosa abbastanza rara, ma particolarmente bello da ammirare, soprattutto per lei.
E così lo avrebbe seguito per il resto della serata, sedendo accanto a lui durante la sera, fino a che lui non cominciò come al solito a discorrere sul da farsi per il giorno seguente. Allora lei, tutte le volte ne approfittava per avvicinarsi pian piano, sempre attratta da quelle parole, che le parevano quasi incomprensibili: parlavano di un sapere a lei sconosciuto ma, a quanto pareva, non era solo lei a non capire. Eppure in quelle parole sembrava ci fosse in filo logico ed elementare, tanto che alla fine, quando sembrava che ormai non riuscissero a capire tutto quel sapere, tutto ad un tratto compresero le sottigliezze di quelle parole, e ne rimanevano estasiati, pensando a quanto fosse piccolo il loro sapere rispetto a quello Atlantideo.
Così, mentre tutti rimanevano "distratti" dai suoi discorsi, lei poteva avvicinarsi indisturbata a lui, finché il sonno, come al solito, la colse lenta, ma inesorabile.
Così lui finì i suoi discorsi, quando ormai non c'era più nessuno: era stato detto tutto a ciascuno di loro. E questo perché, inconsapevolmente, gli altri non si erano quasi resi conto che in questi discorsi venivano chiamati uno ad uno, e allo stesso modo venivano congedati.
Tuttavia, qualcosa sembrava sfuggire tutte le volte alla sua mente: infatti, si dimenticava sempre della dolce presenza che allora stava lievemente dormendo appoggiata al suo fianco. Allora lui, per non svegliarla, prese una coperta che si trovava lì vicino, e la mise sopra di loro, e si mi se a dormire, affondando la sua mano nei suoi capelli, trovando un po’ di riposo dalla faticosa giornata.

"...una verità che non avrei mai voluto conoscere!..."

Passò un anno e, infine, terminarono i lavori. Adesso che era al completo sapevano, o quantomeno pensavano di sapere, a cosa sarebbe servito tutto il loro lavoro. Sapevano quello che poteva fare e fin dove si poteva spingere. Tuttavia, pur avendo seguito i lavori fin dall'inizio, rimasero meravigliati da tale visione di imponenza.
Stavolta però non si riunirono più attorno ad un fuoco come facevano una volta, ma attorno ad un grande tavolo su sedie grandi e comode. Di fatto, però, questa cosa non permise a lei di abbandonarsi completamente a lui, perché non c'era più quell'oscurità che allora la proteggeva dagli altri sguardi che, sebbene non fossero assolutamente maligni, l'avrebbero resa nervosa e l'avrebbero imbarazzata. Questo almeno secondo quello che pensava lei.
Stavolta non c'era più lui che tutte le volte la cullava per tutta la notte, ma solo una cabina. Spaziosa lo era, comoda anche, ma era vuota. Vuota, perché lui non c'era. E si sentiva sola.
Ma ormai doveva farsene una ragione e abituarsi, pensando a cose più importanti che il semplice fatto di non dormire più tra le sue braccia e alla fine riuscì a convincersi che, in fondo, la sua lontananza non era un vero problema, e capì che si stava preoccupando per una cosa da nulla. In cuor suo, sapeva che la distanza in amore non conta. Così, tutte le volte, si addormentava con questo pensiero, e riusciva a sopportare la sua "assenza".
Cominciarono le sue perlustrazioni su quella misteriosa nave. Non c'era molto da vedere, e presto si annoiò, com'era naturale per le ragazze della sua età, ma doveva riuscire ad abituarsi anche a quello. Per cui cercò di trovare rimedio anche a quel problema, che risolse leggendo libri, in modo da completare la propria istruzione e far passare il tempo.
Una sola regola vigeva allora su quella nave e riguardavano una cabina: non capiva bene il perché, ma nessuno si doveva avvicinare a quella cabina, tanto meno entrarci. Terrorizzata dalla ipotetica punizione, lei si era subito ravveduta ad evitare quell'area.
Quel giorno, però, non aveva più voglia di niente, neanche di leggere, e decise di fare una passeggiata per la nave, ripensando a lui.
Si, i suoi sentimenti per lui non si erano affievoliti da allora, al contrario, erano diventati anche più forti.
Era talmente sovrappensiero che neanche si accorse che le pareti attorno a lei si erano fatte scure, e intravedeva una luce passare da una fessura davanti a lei.
Arrivo quasi alla soglia, quando udì due voci familiari, una anziana e l'altra di Nemo. Il suo cuore sobbalzò, avendolo trovato in tale luogo cupo. Parlavano di un certo momento, che doveva essere alquanto importante, forse la partenza.
"...ha davvero intenzione di allevare quella ragazza? La strada che vogliamo percorrere conduce all'inferno."
"Sono cinque anni che mi preparo a questo momento... e ho deciso di combattere Gargoyle fino alla morte... non c'è posto per l'amore..." il suo cuore sussultò ancora una volta alle sue parole, e già stava gemendo, lei lo poteva sentire, stava già soffrendo.
"Capisco che lei voglia salvare almeno una persona della sua terra, ma arrivare addirittura ad adottarla... sta cercando un modo per espiare il terribile peccato che commise cinque anni fa... distruggendo la torre di Babele?"
Lei non riuscì più a resistere. Nella sua mente visualizzava immagini di quel terribile giorno, ma non voleva credere che fosse stata causa sua. No, lei non riusciva ad accettarlo. Ma poi...
"Probabilmente hai ragione. Ma converrai anche lei che è stata una scelta obbligata... la torre era già stata attivata...l'unico modo per fermarla era rimuovere il dispositivo di controllo, la pietra azzurra... facendola esplodere."
A stento riusciva a trattenere un pianto: non ci poteva credere, colui che le aveva salvato la vita, aveva ucciso tutta quella gente, ucciso i suoi genitori, la sua famiglia. Lei, che tanto lo aveva amato, aveva di fronte l'assassino dei suoi genitori e del suo adorato fratellino. No, non voleva. non poteva andare così, cercò di riflettere, di trovare una ragione, ma allora non la trovò. Solo odio, vendetta. Voleva la sua morte. Ma un sentimento contrapposto le diceva di non cedere. Perciò rimase paralizzata fra due muri, non sapeva cosa doveva fare. Come si sarebbe comportata con lui, dopo aver sentito quelle orribili cose? Come lo avrebbe guardato? Sentiva che il coraggio le veniva a mancare, perciò decise di allontanarsi piano piano, e la sua figura si perse in quell'oscurità, che in quel momento sembrava l'unica a poterla confortare.
Giunse alla sua cabina e si gettò sul letto. Nel corso della sua giornata non aveva fatto praticamente niente, ma il dolore di un attimo le aveva prosciugato tutte le energie. Tutto ciò in cui credeva, tutto ciò in cui aveva riposto la sua fiducia, e persino il suo amore... sembrava svanire. Non trovò la forza neanche per piangere, quindi chiuse gli occhi, ma niente, continuava a rigirarsi sul letto, quelle parole ancora le risuonavano cupe nella sua testa. Temeva che sarebbe impazzita, era disperata, il suo cuore spezzato. E andò avanti così, per quasi un'ora; neanche sentì la campana serale e, ormai esausta e stremata, si accasciò sul letto, cadendo in terribili incubi.
La mattina non si svegliò. Non trovava le forze, ma riuscì ad aprire a malapena gli occhi. Non si trovava più in camera sua. C'erano dei letti accanto al suo, e le pareti erano piuttosto bianche. Probabilmente, pensava, era nel reparto medico della nave.
Cercò di pensare a quello che era accaduto in precedenza, ma trovava solo del vuoto e dolore che le dava quel forte mal di testa.
Entrò finalmente l'infermiere, una ragazza molto giovane e dal bell'aspetto.
"Ah, ti sei svegliata finalmente!" le disse lei sorridendole cortesemente.
"Ma...come ci sono finita qua?" domandò.
"Beh... l'altra sera non ti sei fatta viva per cena, così il signor Nemo ti ha cercato, e quando è arrivato alla tua cabina ha bussato, ma te non rispondevi. La porta era bloccata dall'interno, per cui ha fatto chiamare un tecnico per sbloccare la porta. Accidenti! Dovevi vedere che faccia preoccupata che aveva! A quanto pare tiene molto a te."
In quel preciso istante le venne un'altra fitta di mal di testa.
"Ehi, ma cos'hai?"
"Non lo so... ma credo... di non sentirmi tanto bene..."
"Beh, è strano... anche mio padre ha detto che non hai nulla, ma questi strani mal di testa e questa febbre sono davvero anomali per una ragazza sana come te! Va bene, adesso riposati, e vedi di recuperare le forze! Domani penso che ti sentirai meglio! Ciao!"
"Grazie!"
Così l'infermiera se ne andò.
Nemo! Sempre lui, così preoccupato per lei... si, glielo avrebbe detto, tutto ciò che lei provava per lui, tutto il suo amore...
un'ombra offusco la sua mente, un ricordo riaffiorato bruscamente di nuovo le fece ricordare tutto di un colpo ciò che aveva sentito ieri, cadde di nuovo in crisi e svenne.
Si risvegliò, nel cuore della notte. Una luce tenue illuminava apparentemente la stanza. Una figura alta e familiare stava dormendo seduto accanto a lei, tenendole la mano. Temeva già di sapere chi fosse, ma adesso le cose le apparivano in maniera diversa. Si ricordava, però, anche dei momenti passati accanto a lui, nell'arco di quei cinque lunghi anni, e lei non poteva certo dimenticarlo. Perciò rimase a pensare per un po’. Troppe cose le vagavano ancora per la mente, ma adesso che lui era li e quel gesto di affettuosità che tutto sommato la spiazzava, sembrava tranquillizzarsi. Decise allora di non pensare più, e che le avrebbe fatto bene dimenticare per un attimo ciò che aveva sentito. Così riuscì finalmente a dormire tranquilla. Ma una lacrima solcava ancora il suo viso...


"...tuttavia... un uomo non può vivere di solo odio, non crede?"


-----------------------------------------------------------------------------------


Fine 4° cap. Ommadò! Sto 4° cap è stato peggio di partorì! (va beh che sono un uomo, ma posso immaginare...), quindi non mi aspetto buone recensioni, anche perché è un capitolo venuto fuori un po’ a forza. Vabbè, spero in cap migliori!
P.S: Mi sa che l'episodio 22- Il tradimento di Electra si sta frustrando... XD

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** "L'odio" ***


Cap 5 Rieccoci al 5° capitolo di questa fic.
Innanzitutto ringrazio tutti coloro che hanno recensito, siete stati davvero gentili.
Per ricambiare al favore, ho fatto questa fic, dandoci tutto l'impegno che potevo. Spero che vi piaccia!

--------------------------------------------------------------------------------------------------------




"...tuttavia... un uomo non può vivere di solo odio, non crede?"

Tredici anni. Finalmente aveva la possibilità di farla pagare a coloro che le avevano ucciso tutta la famiglia, e vendicare tutti coloro che quel giorno morirono a Tarthessos. Bastava un semplice comando.
Era cresciuta da allora. Non era più la bambina impaurita di una volta, ma era diventata una donna forte e determinata. Tanto che, per raggiungere i suoi obiettivi, sarebbe arrivata a sacrificare se stessa.
Tuttavia sapeva che distruggere Gargoyle non era un desiderio solamente suo. Tutti quelli dell'equipaggio la pensavano allo stesso modo. Ed in particolare lo scopo del capitano. Per tredici lunghi anni avevano atteso quel momento, e si sentivano pronti a fare quel passo, anche se rappresentava l'atto più estremo che a loro rimaneva da fare.
Questo perlomeno era quello che lei pensava: tutti, nessuno escluso, avrebbero perdonato quell'ordine, perché era l'unica via affinché il capitano potesse espiare i propri peccati.
Era sicura, certa che lui avrebbe dato quell'ordine, anche se doloroso.
"Facciamoci esplodere..."
Per un attimo vi fu un silenzio spiazzante nel ponte di comando. Tutto quel silenzio la rendeva nervosa, perché non se l'aspettava. O forse si, in verità c'era qualcosa che non andava, e se lo sentiva. Non li vedeva più motivati come una volta, perciò alzò la voce cercando di far capire agli altri in che situazione fossero.
"Non abbiamo altra scelta! Avanti, dobbiamo farlo, capitano! Non solo distruggeremo la nave aerea, ma lo stesso Gargoyle! Questa è un'occasione d'oro per riuscire a portare a termine la nostra missione! E' semplice! Dobbiamo semplicemente far esplodere il motore a parannichilazione! Facciamolo, capitano Nemo!"
Stava cominciando a innervosirsi ancora di più. Nessuno reagiva, tanto meno il capitano. E questo confermò i dubbi che si era posta dall'arrivo di Nadia sul Nautilus. Lui era cambiato. Non lo riconosceva più. Lei lo aveva seguito per tutto questo tempo, nonostante tutto l'odio che provava per lui, perché sapeva che solo in quel modo lo avrebbe potuto perdonare. La rabbia la assaliva ancora di più, perché in fondo non era Gargoyle il responsabile della morte dei suoi genitori. Tante volte se lo disse. Ma poi si ripeteva che non era colpa sua, e che se non fosse stato per il suo estremo gesto, probabilmente l'intero pianeta sarebbe già stato distrutto quel giorno.
C'era qualcos'altro, però.
Non se lo sapeva spiegare, ma da quando Nadia era salita a bordo, si sentiva un po’ strana. Tuttavia, in quel tempo, il capitano non aveva rivelato a sua figlia la sua vera identità, perciò si rassicurava del fatto che lui era rimasto fedele al suo giuramento. o almeno come pensava che fosse.
Ma in quel momento, le reazioni del capitano, il silenzio dell'equipaggio le fecero comprendere che i loro scopi erano cambiati. Temeva la reazione del capitano, perché in parte sentiva che non si sarebbe mai fatto autodistruggere, e temeva di sapere anche il perché. Adesso però ne era certa, sicura che era colpa sua, di quell'innocua ragazza che allora si trovava lì insieme a loro, in quell'attimo di disperazione.
Ricordava quello che Nadia le aveva detto di Nemo
"Come può piacerle? E' un uomo così freddo!"
"Un uomo freddo dici? ... forse lo è..."
le aveva risposto.
Lui non poteva
tirarsi indietro, proprio in quel momento, ma lui non rispose, non si volse, come se non ci fosse. Tentò di riportarlo alla ragione, chiamando in causa persino Nadia. Sapeva che non era molto leale, che non era da lei, ma non trovava un'altra via per farlo ragionare. Eppure neanche dopo ciò si smosse. Cominciava a perdere le speranze, vedeva tutti i suoi sforzi ormai inutili, e lo odiava, perché lui le aveva fatto credere che avrebbe compiuto senza esitazione il proprio compito, pensava. E invece, proprio sull'ultimo, cominciava a comportarsi come un vero padre, ma non con lei: da quando Nadia è salita a bordo, lui si è dimenticato di Medina, quel nome che probabilmente lui si era dimenticato. Per lui, lei rappresentava solo il suo comandante in seconda, niente di più, soprattutto dopo la venuta di Nadia. E di questo lei si disperava. Il piccolo posto che lui aveva per lei, era stato sostituito da quello di sua figlia.
Solo lui poteva dare quell'ordine. Ma giunti a quel punto, sentiva che avrebbe potuto farlo lei, con o senza il suo consenso, accecata dal suo odio. Ma poi vedeva Nadia e il suo sguardo confuso. Allora la ragione tornava.
Lei avrebbe potuto far scoppiare il Nautilus pur sapendo che anche suo fratello sarebbe morto?
No, piuttosto avrebbe sacrificato tutto, per non farlo morire.
Così come lui aveva sacrificato i tredici anni di esistenza per sua figlia, lei non poteva biasimarlo per ciò.
Perché l'odio cresceva allora?
In quel momento di confusione, Grandis parlò:
"Dal momento che non riesce a coronare il suo romantico sogno d'amore col capitano... allora preferisce morire con lui, giusto?..."
Lei lanciò un sospiro di sorpresa. Improvvisamente si sentiva molto imbarazzata, smascherata davanti a tutti. Aveva ragione, lei lo amava, ma non lo aveva mai ammesso. Però rimase composta, né cedette alle sue provocazioni, ma non aveva controbattuto, ancora scossa da tale dichiarazione.
Ripensò ai momenti passati con lui, da piccola, nelle tende dell'accampamento, ai momenti della sua adolescenza, e quella cena in cui Sanson si era lamentato del solito cibo. Soprattutto in quel momento, quando lei andò a fare rapporto a lui, dopo cena.
Lei stava per andarsene, ma in quel momento si voltò verso di lui in silenzio, arrossendo.
Lui si accorse della sua presenza e si voltò
"C'è qualcosa che non va?" le domandò
"No, niente... proprio niente" e cercò di eludere il suo sguardo, ma si paralizzò, perché pensava di essersi esposta troppo. Però se lo sentiva... era gelosa.
Quel pensiero portò nella confusione anche lei, che rimase in silenzio.

--------------------------------------------------------------------------------------

"...equipaggio pronto all'impatto!"
Alla fine ce l'avevano fatta ad allontanarsi da quella macchina infernale. Ma i danni allo scafo erano troppo gravi, e ciò che rimaneva del Nautilus non avrebbe retto per molto.
"Così, invece di morire lassù, moriremo in fondo all'oceano! E il nostro sogno sarà andato per sempre" pensava.
Adesso che le rimaneva da fare? Che cosa le rimaneva? Neanche sapeva cosa.
Adesso si erano persino staccati dall'unità di combattimento, abbandonando così anche le ultime scorte di aria compressa. Così non avrebbero più avuto la possibilità di risalire.
Sentì la voce del capitano dal citofono.
"Tutti gli ufficiali sul ponte inferiore, devo darvi istruzioni"
"Bene!"
Se lui era andato nella sua cabina, lo avrebbe probabilmente fatto per mettere in salvo i ragazzi.
Perché non pensava a lei? Mai un segno di attenzione, né di affetto. Solo un freddo rapporto di subordinazione.
Lei disse agli altri di recarsi al ponte inferiore, ma rimase sul ponte di comando, disobbedendo agli ordini.
Ormai non aveva più niente, non aveva più nulla da fare contro Neoatlantide, semplicemente perché non poteva.
E questo per colpa della sua indecisione, del suo affetto per sua figlia. Lo odiava. Non ce la faceva a provare altri sentimenti se non quello, e soffriva perché si sentiva sola e abbandonata, come prima che avesse conosciuto Nemo.
Si convinse che era colpa sua. Lui aveva ucciso tutta quella gente innocente, lui l'aveva salvata da quegli orrori e l'aveva portata verso altri orrori, l'aveva fatta soffrire con il suo falso affetto paterno per tredici lunghi anni e la aveva illusa di poter vendicare la morte dei suoi familiari. Non sarebbe stato Gargoyle a pagare per questo, ma proprio lui, che aveva seguito per tredici anni.
Sapeva che lui sarebbe tornato sul ponte di comando, perché solo da lì si poteva far separare la cabina del capitano dal blocco principale. Perciò attese la sua venuta.
La porta si aprì.
"Comandante... come mai siete ancora qui?"
Lei puntò la pistola contro di lui e sparò, colpendolo alla spalla.
"Perché? Perché non l'ho ucciso subito?"
Gliela doveva far pagare, lo avrebbe fatto lentamente, e non avrebbe lasciato fuori nessun particolare. Gli avrebbe detto di tutto il suo rancore che provava per lui, accumulato nel corso degli anni, raggiungendo il suo apice con la venuta di sua figlia Nadia. Lo avrebbe fatto sentire in colpa, per non essersi accorto del suo amore che tutte le volte gli manifestava, ma che lui non capiva. E gli avrebbe ricordato il terribile errore che commise tredici anni prima, distruggendo la torre di Babele, causando la morte di gente innocente. Le sue scuse non sarebbero bastate a salvarlo.
Raccontò la sua storia, dai terribili avvenimenti accaduti a Tarthessos, fino alla scoperta delle vere colpe che lui portava con se. Ma anche del suo amore segreto che provava nei suoi confronti, che l'aveva spinta a seguirlo fino ad allora.
"...credevo che tu volessi uccidere Gargoyle e l'imperatore Neo, e che volessi distruggere per sempre Neoatlantide!"
"...ero sicura che avresti versato fino all'ultima goccia di sangue per raggiungere il tuo obiettivo, ed è solo per questa ragione che ho deciso di seguirti!"
"...io avevo fiducia in te, ti amavo con tutta me stessa!... non m'importava che tu mi amassi solo come un padre ama la sua bambina!"
"...l'unica cosa che contava era starti accanto"
"...si, era tutto perfetto, finché tua figlia Nadia non è ricomparsa dal nulla!"
"...ho avuto paura che lei potesse rubarmi il tuo affetto, portarti via da me... ma tu... tu non le dicesti che eri suo padre, che il tuo obiettivo era quello di distruggere Neoatlantide... per me sei rimasto la persona che conoscevo e amavo... ma poi invece...invece tu... hai iniziato a comportarti come un vero padre con lei! Perché non sei rimasto semplicemente l'uomo che amavo?"
"...addio allora capitano Nemo..."
Nella sua mente si alternavano di nuovo le immagini della sua adolescenza, quando lei era felice con lui, e stentava a credere di essere arrivata a quel punto.
La voce di Nadia le supplicava di non ucciderlo, ma lei non voleva ascoltare, perché più ascoltava e più si rendeva conto che non ce l'avrebbe fatta a tenere salda la presa su quella pistola ancora a lungo.
Poi lui rispose, dopo il suo lungo silenzio. Nessun'ombra di inquietudine sembrava offuscare il suo volto. Era fiero e sicuro, come se lo ricordava una volta.
Lei cominciava a sentire che non avrebbe retto a quella situazione.
Già la voce supplicante di Nadia aveva aperto una breccia nel suo cuore, rendendola incerta per un istante.
"Su avanti! Ho sempre saputo che in realtà mi odiavi. Coraggio, sparami!"
Anche quella inaspettata risposta, la colse impreparata. Invece delle suppliche ricevette altre provocazioni.
"Possibile che in tredici anni non siamo riusciti a concludere nulla!"
"Certo!"
Eppure una parte del suo cuore le diceva di non sparare. Questo suo conflitto interiore fece sì che lei mancasse quasi volontariamente il bersaglio. Era proprio questo quello che voleva?
Lo voleva vedere implorante, tuttavia le sue parole non l'avevano scalfito neanche minimamente. Forse era davvero come aveva detto Nadia.
"Come può piacerle! E' un uomo così freddo!"
Si, forse lo era davvero. E voleva sentire il motivo di una così grande freddezza.
"Te lo chiedo ancora una volta. Perché non ti sei suicidato portando Gargoyle con te?"
"Semplicemente perché non volevo commettere lo stesso errore." rispose, senza incertezze.
"Quale errore? Il fatto di aver sterminato tutto il tuo popolo e di aver distrutto completamene la tua terra?"
"...esatto... vivendo posso espiare i miei peccati... è l'unico scopo, l'unica ragione per cui ancora vivo."
"Se la vendetta è lo scopo della tua vita, perché non hai fatto esplodere il Nautilus? Dimmi perché!"
Non riusciva più a capirci niente, il braccio teso contro di lui stava cedendo. Adesso voleva solo piangere, perché non andava come lei pensava. Era tutto diverso, anche secondo i suoi dubbi. Dov'era la verità? Perché in tredici anni non era ancora riuscita a trovarla?
"Sei con me da anni... ti ho cresciuta come una figlia, non potevo permettere che anche tu... saltassi in aria insieme al Nautilus."
No, non stava andando come lei pensava. Era tutto sbagliato, tanto che aveva paura della sua risposta. Se prima non avrebbe ceduto alle sue suppliche, adesso era tutto diverso.
Credeva di conoscerlo fino in fondo, meglio di chiunque altro su quella nave.
"...Electra... ho voluto salvarti..."
Un brivido scosse la ragazza, che adesso vedeva le cose in maniera del tutto diversa.
Aveva sbagliato tutto, e adesso capiva che con quel gesto avrebbe davvero mandato all'aria tredici anni della sua esistenza. E questo non se lo poteva permettere. La verità infine era svelata, e si era rivelata l'esatto contrario di ciò che aveva pensato lei fino a quel momento. Il suo era un gesto imperdonabile, perché aveva messo a rischio la vita dell'uomo che amava, e non solo. Adesso che sapeva ciò che lui provava nei suoi confronti, si odiava. La disperazione la portò all'unica cosa che allora le rimaneva da fare.
"...non dovevi dirmelo... adesso come faccio?... non è giusto, adesso non posso più ucciderti..."
Per l'ennesima volta lui l'aveva salvato da un tremendo errore, e alla fine era lei a essere in debito con lui. Per questo lo voleva ripagare di tutto quello che lui aveva fatto per lei, e lo avrebbe liberato da quella prigione, rappresentata da lei.
"...ma posso sempre usare questo colpo per me stessa, così ti restituirò quella vita che tu avevi salvato..."
E strinse il dito attorno a quel grilletto.
La disperazione l'aveva resa folle, ormai non aveva più le forze, e voleva farla finita una volta per tutte.
Tutto accade in un attimo.
Un movimento brusco, un dolore fortissimo sulla sua guancia, uno sparo.
Era tutto finito.
In quel momento di disperazione, quando tutto sembrava andare contro di lei, una mano le venne tesa, un'altra volta.
Una mano che conosceva troppo bene e che l'aveva salvata molte volte. Ricordava ancora quel momento.
E quella mano, l'aveva salvata dalla morte, e adesso, finalmente, riusciva a capire il perché.

"Non gettare via la tua vita... è preziosa!..."


-----------------------------------------------------------------------------------------


Fine 5° capitolo!!! XD XD XD

Questo Episodio 22 è davvero troppo bello! Grazie Gainax!!!





Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** "L'amore ritrovato" ***


Bene, rieccomi pronto per il 6° capitolo della fic. Scusate se ho aggiornato così tardi, ma proprio di questi tempi non c'ho la testa. Questo capitolo non seguirà la traccia dell'anime, o meglio, la "seguirà" tramite l'omakè N° 9 dei DVD della Yamato. A proposito: quasi tutti dicono che il nuovo doppiaggio fa schifo, ma a parer mio mi piace molto di più. Quando sentii le (poche) puntate che hanno trasmesso poco tempo fa, volevo spararmi su un piede! XD

Ah, quasi dimenticavo! Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, per me è stato un piacere immenso! Grazie soprattutto ad elektra810 e a luisa, le vostre recensioni mi hanno dato la forza di continuare!


---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


"... pensa piuttosto a quello che devi fare!"

Troppe emozioni, troppi pensieri, troppi errori... tutto quello era troppo, e lei si sentiva la bambina indifesa di una volta, come quando Nemo la trovò durante il loro primo incontro nelle rovine di Thartessos. Era terrorizzata, ma non riusciva più neanche a piangere da quanto era sconvolta. Tutto si ripeteva, la morte dei suoi cari, la crisi, il nulla... ma anche stavolta lui le aveva fatto vedere la via. E riusciva a capire, anzi, sperava che tutto ciò che stava per perdere si potesse recuperare, perché la tragedia era stata fermata prima che potesse avere inizio, non come successe a Thartessos, tredici anni prima. E lui era lì.
"Nadia, qualsiasi cosa accada, ricorda... tu devi vivere!"
Il silenzio calò nel ponte di comando. Lei aveva smesso di piangere, ma era ancora a terra. Lui stava fisso davanti all'oblò, guardando la cabina che si staccava dal blocco principale.
Poi spostò il suo sguardo sulla ragazza. Lei aveva lo sguardo abbassato, abbattuto. Era ancora scossa dal fatto che aveva quasi commesso lo stesso errore che lui commise a suo tempo. Però, grazie al loro sentimento, che a lei non pareva reciproco, ma che invece lo era, erano riusciti ad evitare una quasi catastrofe. Proprio all’ultimo, nel momento cruciale prima del suo ultimo passo, lui l’aveva tirata fuori dal sentiero del non ritorno.
Dopo un po’ ricominciò a ricollegare gli avvenimenti e a tornare mentalmente tra loro.
Alzò lo sguardo. I loro occhi si incontrarono, come accadde tante volte nei primi anni della loro convivenza, ma stavolta avvertiva qualcosa di diverso, e finalmente riusciva a trovare in quello sguardo quello che da tanto tempo aveva desiderato, e che a lungo aveva occultato.
Rimasero lì a fissarsi. Lei lo guardava supplicante di aiuto, perché non sapeva cosa fare e perché non aveva il coraggio di chiedere altro a colui che le aveva salvato la vita così tante colte e che lei stessa stava per uccidere. Non le sembrava giusto. Temeva il suo rifiuto: dopo tutto quello che gli aveva detto, come avrebbe fatto lui ad accettarla, dopo avergli mostrato tutto l’odio e il rancore che provava per lui? Eppure, nonostante ciò, lui le aveva sempre fatto vedere il contrario di quello che pensava. Quindi non smetteva mai di sperare che dalla sua bocca uscisse una parola di conforto, di tenerezza.
No, non doveva smettere di sperare. Si ricordò quello che aveva detto quando erano ancora sospesi in aria, catturati dal raggio super-presa. Aveva perso le speranze, e questo l’aveva portata a quella drastica decisione, l’autodistruzione. E proprio a causa della sua rassegnazione, stava per commettere un errore quasi imperdonabile. Quindi non doveva smettere mai di sperare che lui la riaccettasse. Tuttavia ripensava a tutte quelle volte che lei lo aveva deluso per colpa dei suoi falsi presentimenti… ma principalmente per causa sua, a causa del suo folle desiderio di vendetta.
Stava per cedere. Non riusciva a sentirsi degna di stare ancora un solo momento di più davanti a lui, voleva andarsene dalla sua vita. Lo avrebbe fatto per il suo bene.
“Electra… anzi, Medina…”
Il suo cuore comincio a battere forte, probabilmente sentendosi chiamata al suo giudizio.
“…non permettere che l’odio ti domini. Per colpa dell’odio, io ho sbagliato tante volte. Non commettere il mio stesso errore.”
Le venne incontro e si inginocchiò davanti a lei.
“…le persone cambiano, e questo lo sai bene anche tu… ma certi sentimenti, Medina, non cambieranno mai…” e la abbracciò.
“…Medina… io ti amo…”
Lei sgranò gli occhi. Non ci poteva credere, ma era così. Era troppo felice per crederci, ma allo stesso tempo ne rimaneva sconvolta. Ancora una volta, lui le aveva dimostrato che c’è sempre una seconda via, che c’è sempre una speranza, anche se piccola. E tutto quello in cui non sperava più, era stato bruscamente riportato alla luce, grazie alla sua dichiarazione.
Il suo abbraccio. Le ricordava tanto i primi anni del loro incontro. Si, gli voleva bene, sia allora che adesso. Si abbandonò a quel lieve abbraccio, che pur essendo tale, a lei pareva quasi doloroso. Ricominciò a piangere, ma quelle lacrime non erano di disperazione. Erano lacrime di felicità.
“…anch’io”
Quelle parole uscirono lievi dalla sua bocca, ma richiesero un notevole sforzo,perché era la pura verità.
Si sentiva esausta, scossa da tutti gli avvenimenti, fatti di sentimenti contrapposti, tanto che svenne fra le sue braccia.
“Ehi?...” non ricevette risposta.
La prese tra le sue braccia e la portò in un luogo asciutto, e la adagiò a terra appoggiando la sua schiena contro la parete. Purtroppo di meglio non c’era, visto che il blocco da combattimento conteneva la maggior parte delle loro cabine, e alcune cabine del blocco principale erano state gravemente danneggiate. Però avrebbero controllato se ci fossero state eventuali cabine sicure.
Visto lo stato del suo braccio, decise di andare dal medico di bordo a farsi medicare velocemente e ritornare subito a occuparsi di lei.
Mentre andava nel ponte inferiore, dov’erano riuniti tutti gli ufficiali e i membri dell’equipaggio, ripensò a lei. Evidentemente, c’era qualcosa di più importante della loro missione, e si sbagliava anche lui riguardo a quello che sentiva per Electra. In fondo, le sue parole non erano tutte sbagliate. Lui aveva promesso che non si sarebbe dato pace finché non avesse fatto sparire Gargoyle dalla faccia della terra. Si sentiva in colpa per non aver mantenuto la sua parola, ma soprattutto di aver illuso lei, confondendola sempre di più, fino a farla ragionare a quel modo. Ognuno in quella storia aveva le proprie colpe, in fondo.
Raggiunse il ponte inferiore e si fece medicare il braccio, che presentava solo un graffio di media entità. Adesso, però, doveva pensare a ciò a cui teneva veramente e pensare a quello che doveva fare. Perciò tornò nel posto dove aveva lasciato Electra, velocizzando il passo. Quando la vide, lei stava respirando affannosamente e tremava per il freddo. Le mise una mano sulla fronte. Scottava.
Convenne subito che quel luogo freddo e umido non era proprio il posto ideale dove lasciar dormire qualcuno nelle sue condizioni. Quindi la prese dolcemente fra le braccia. Certo, non era la piccola ragazzina di un tempo, ma era sempre snella e leggera, causa del cibo prevalentemente marino. E d’altra parte lui era molto robusto e alto, quindi non trovò molte difficoltà nel sollevarla, portandosi le sue braccia al collo.
Aveva davvero bisogno di quello stretto contatto di lei, che adesso dormiva a fatica tra le sue braccia. Per troppo tempo anche lui si era posto di non pensare all’amore
“…non c’è posto per l’amore…”
Lui la amava già a quel tempo, come un padre ama la propria figlia. Temeva però che questo sentimento si sarebbe tramutato in amore vero, specialmente per lei, che aveva un valido motivo per essere riconoscente a lui.
Per troppo tempo si era negato l’amore che provava per Electra. Ciò avrebbe impedito, nel caso lei fosse stata in pericolo di vita, a compiere la loro missione. Come accadde infatti quella volta.
Ricordava ciò che le aveva detto Nadia, sua figlia:
“…ogni vita è preziosa in se stessa…”
Non poteva sacrificare le loro vite per il proprio scopo.
Sfortunatamente non trovò nessuna cabina che fosse abbastanza sicura e confortevole dove lasciarla riposare in pace, perciò tornò nel ponte di comando, con lei in braccio. Da lì avrebbe potuto controllare le cabine meno danneggiate, ed eventualmente sigillarle. Per loro fortuna tre cabine erano ancora recuperabili. Quindi si diresse alle cabine, e dopo aver inserito il codice di sblocco controllò lo stato. L’acqua in quella cabina non era ancora arrivata, pertanto non era umida, anche se con il generatore elettrico danneggiato il sistema di riscaldamento era saltato e dentro non faceva per nulla caldo.
Quelle cabine non erano state fatte per l’alloggio dei membri dell’equipaggio, quindi all’interno erano vuote. Scoraggiato per non aver trovato nulla di comodo, adagiò di nuovo l’esile corpo di lei a terra, cercando di non svegliarla.
Grazie alla al sistema di comunicazione interno, lui riuscì a contattare gli altri, e a dare loro istruzioni, vista la sua assenza.
Cercò un modo di farla stare comoda, ma all’interno del blocco principale non vi era alcun oggetto che potesse servire al caso.
Tornò di nuovo nella cabina, e rimase in piedi a fissarla per un po’. Faceva troppo freddo per lasciarla sola, perciò prese la sua giacca e gliela mise attorno come coperta, poi lui si appoggiò alla parete, stringendo a se Electra. Gli ricordava quando lei si avvicinava a lui, quando lei era ancora giovane, e finiva per addormentarsi sul suo grembo o appoggiata alla sua spalla. Ricordava ancora quei momenti, non se li era dimenticati. E così si addormentarono un’altra volta, come facevano un tempo, con lei che cercava il calore di lui.

Lei si svegliò. Lui era lì che dormiva ancora, perciò non si mosse per non svegliarlo. Cercò di non pensare a quello che era successo prima, e quindi riabbracciò colui che tanto amava, trovando calore nel loro amore. Una mano si posò sui suoi capelli, accarezzandoli. A quanto pare non l’aveva mai persa d’occhio neanche per un solo istante.
Non voleva più pensare a ciò che aveva fatto. Lei lo amava,e lui aveva dimostrato di aver ricambiato il piacere fino alla fine, questo bastava. Era felice, dopo tredici anni di sofferenza e patimenti era davvero felice, non erano più necessari i limiti che si erano imposti l’uno nei confronti dell’altro. Non c’era più nessun motivo di tenere nascosta la cosa, perché il resto non importava. Esistevano solo loro due. E avrebbero vissuto intensamente quel momento, sebbene pensassero che non sarebbe durato a lungo.

Il blocco principale aveva ricevuto troppi danni, e non avevano abbastanza energia per risalire. Stavano affondando sempre di più nella fossa di Kermadec. Per completare il quadro delle loro disgrazie, le batterie si stavano scaricando molto in fretta: se non avessero attuato in fretta qualcosa, presto non avrebbero nemmeno più avuto energia per avere un minimo di controllo di ciò che rimaneva del Nautilus. La pressione continuava a salire, e dalle paratie cominciavano ad aprirsi delle falle. Loro non poterono fare nulla per impedire tutto ciò.
L’unica cosa a loro favore era quella strana corrente d’acqua che li trascinava costantemente avanti. Alla fine intravidero qualcosa che somigliava ad un tunnel. E infatti, si trattava di uno dei tunnel che gli Atlantidei avevano costruito tanto tempo addietro. Dovevano risparmiare energia per far funzionare i motori al momento della loro ultima emersione. Perciò spensero tutti i sistemi della nave. Il riscaldamento e l’illuminazione vennero spenti. Non potevano permettersi di fare un errore proprio ora, che erano quasi giunti in salvo, per un caso puramente fortuito.
All’interno del ponte di comando c’era un freddo glaciale, era buio tetro, e il silenzio dell’equipaggio rendeva ancora più spettrale l’ambiente.
A loro non rimaneva che sperare che un miracolo li salvasse, un ultima volta.
Lei era rimasta sempre al suo fianco, in preda alla paura. Non voleva morire, proprio ora che aveva trovato ciò che cercava. Voleva piangere, ma non ne trovava il motivo. Tutti i loro desideri erano convertiti adesso nell’unico desiderio di uscire da quell’incubo. Tutte le loro certezze, i loro ideali erano stati quasi distrutti nell’arco di pochi momenti. Buttare via la fatica di quasi quattordici anni non sarebbe stato giusto nei confronti dell’altro. Perciò continuarono a sperare, fino a che non videro la luce.
Nonostante la loro situazione disperata, erano finalmente salvi.

La loro felicità era incontenibile, gente che si abbracciava e gioiva. Erano andati così vicini alla morte, che a loro non pareva quasi vero. Presero le tende che trovarono sul luogo e si accamparono. Rivivevano quei momenti del loro primo incontro, una specie di percorso all’indietro. Riaccesero i fuochi, lui tornò a parlare con gli altri. Tutto si ripeteva. Lei poteva lentamente avvicinarsi a lui, e abbandonarsi al suo abbraccio, una volta terminato il suo discorso, e dormire, come faceva una volta. Lei era sempre con lui, e non voleva mai separarsene. Dormirono finalmente tranquilli, lontani dai tormenti, dai dubbi, da Neoatlantide. Adesso c’erano solo le loro certezze. E il loro amore.
Infine venne anche il momento del loro primo bacio.
Lei non se lo aspettava, lui aveva finito il suo discorso, che l’aveva appassionata molto, ma non era ancora stanca. Lui le alzò dolcemente il mento e fissò il suo bellissimo sguardo. Il cuore di lei batteva stranamente veloce, come se sapesse cosa sarebbe successo da lì a poco, ma lei non lo sapeva.
Lontani da tutto e da tutti, finalmente si scambiarono silenziosamente il loro primo bacio, appassionato e stupendo, come mai lei aveva provato in vita sua, e i brividi la percorsero. Si abbandonarono definitivamente al loro amore, che non trovò più barriere, né leggi, e provarono per la prima volta il fuoco della loro passione.

"Electra...io ti amo..."


-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------


Fine 6° capitolo! Anche questo è uscito un po’ a fatica, anche se avevo già in mente come strutturarlo. Al prossimo aggiornamento!

PS: non riuscirò mai a ringraziare la Tamarro Forever per l’immensa mole di informazioni che mi ha dato sulla psicologia di Electra e su molte altre cose. Grazie infinite!



Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** "Scegliere..." ***


Capitolo 7

Non ho parole...  per cui, X
 


-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

"Scegliere..."

Gli echi degli incubi passati erano finiti. Adesso esistevano solo loro... loro e il proprio futuro... Finalmente potevano decidere se rimanere lì e fondare una nuova città, all'oscuro di tutto e di tutti, e cominciare una nuova vita. Non avrebbero dovuto più preoccuparsi né di Neoatlantide né di Gargoyle, non ci sarebbe stato più motivo di temere di questi se non avessero avuto un valido motivo per venire alle armi. Lui aveva voltato le spalle a quello che era stato il suo obiettivo fin dall'inizio del loro viaggio e adesso non gli importava più di portare a termine il progetto di vendetta. Anche lei aveva rinunciato a ciò per cui avevano combattuto per anni, anche se tale missione non se la sentiva sua nello stesso modo in cui l'aveva sentiva lui. Lei, in fondo, non si era trovata a combattere con Gargoyle e i Neoatlantidei ma con se stessa, col suo odio e amore per la persona che più le stava vicino. E adesso che aveva finalmente trovato la scelta giusta, non gli importava più del resto, dei loro nemici, del loro passato. Avrebbe cercato di dimenticare, questo per lui avrebbe potuto farlo.
E così si addormentavano senza più alcuna preoccupazione, senza pensare al domani.
Tuttavia nei pensieri di Nemo c'era sempre una piccola speranza, quella di rivedere sua figlia Nadia ancora una volta, ma tutte le volte che ci pensava reprimeva forzatamente quel pensiero. Ma più andavano là con i giorni e più il desiderio era forte, tanto che anche lei alla fine si accorse che c'era qualcosa che non andava, qualcosa che non voleva dire. Così decise di parlarne con lui, nel momento più opportuno.
Erano sdraiati e parlavano dei momenti passati insieme, ridendo. Ad un certo punto lui fissò un punto indeterminato di quello che doveva essere un cielo e rimase così per un po’, immerso nei propri pensieri. Lei se ne accorse e decise che quello era il momento buono per affrontare l'argomento.
"Sai, è da un po’ di tempo che ti vedo strano... mi vuoi dire che hai?". Lui si voltò a guardarla, fissandola nei suoi occhi blu, poi tornò a guardare il cielo.
"Pensavo... a noi, a Neoatlantide, a Nadia... non so più cosa è giusto e cosa è sbagliato, non so che decisione prendere..."
"Quale decisione?" rispose lei guardandolo un poco sorpresa.
"Rimanere qua per sempre con te al mio fianco oppure cercare di salvare Nadia... se rimanessi qua, lei probabilmente morirebbe ed io vivrei col rimpianto di non aver mai fatto nulla nella mia vita per lei... non nego il fatto che io sia stato artefice di numerose morti, ma adesso che tutto è cambiato, adesso che finalmente so cosa voglio, ho deciso che non avrei più abbandonato coloro che amo... ma adesso Nadia si trova in serio pericolo di vita, se le capitasse qualcosa, io non me lo potrei mai perdonare... ma se decidessi di andare, rischierei di perdere te ed io..." lei bloccò il suo discorso mettendogli un dito sulla bocca.
"Per tutte le cose c'è un rischio, ma comunque sappi che se anche deciderai di andare a salvare Nadia, ebbene, io sarò sempre con te, non importa quello che accadrà... ti giuro che non mi perderai mai... so quanto Nadia sia importante per te ed anch'io ho sbagliato a dubitare di te quando lei era a bordo del Nautilus, finendo per odiarla... " rimasero in silenzio per un po’. Lei ricordò la discussione avuta con lei nei bagni del Nautilus. Nadia aveva paura che lei avesse potuto portargli via l'affetto di Jean, ma la rassicurò, dicendole che per lei Jean era come un fratello minore.

"...un fratello minore?..." Nadia rimase per un momento pensierosa e sorrise per il fatto di aver dubitato di lui per un solo momento...
Si susseguivano i ricordi.
"... grazie, ma non adularmi, questo è un complimento che dovresti fare a Nadia, non a me!"

Già, aveva dimenticato Jean. Quel singolare ragazzino che attirò la sua attenzione dalla seconda volta in cui si rincontrarono a bordo del Nautils aveva suscitato in lei un ricordo di nostalgia. Per lei, Jean era davvero un fratellino minore e questo si sarebbe potuto mettere contro tutta Neoatlantide pur di salvare Nadia, andando però incontro ad una morte certa. E proprio alla fine, quando tutto sembrava ormai perduto, aveva incominciato a voler bene anche a Nadia. Anche loro avevano perso sin da piccoli l'affetto dei genitori, e vi erano moltissimi particolari che erano comuni a tutti e due.
E alla fine dei conti non potevano escludere del tutto la possibilità di riavere a che fare con i Neoatlantidei, seppur indirettamente, in quanto non potevano escludere i malvagi intenti di Gargoyle, che potevano andare dal dominare il mondo o la distruzione della terra stessa.
No, Gargoyle sarebbe rimasto un pericolo finché fosse rimasto in vita, ma non solo.
Anche la vita di Nadia costituiva di per sé un pericolo. Per quanto triste e orribile fosse da pensare, era una verità con cui fare i conti.

“Cosa accadrebbe se Gargoyle finisse per usare Nadia?” pensò Electra.

La morte di uno dei due sarebbe stata inevitabile, o per il raggiungimento dei malvagi scopi di Neoatlantide, o per la pace assoluta, riuscendo a salvare Nadia dalle grinfie di Gargoyle.
Si chiese cosa avrebbe potuto dare in cambio di questa utopica pace, adesso che finalmente, anche se apparentemente, l’avevano trovata. Come per tutte le cose, c’è un prezzo da pagare per raggiungere uno scopo.

Ma quanto alto sarà il costo nel dover fare questa scelta?”

In ogni caso c’era in gioco la loro stessa vita, che lo volessero o no.

Allora se tanto dobbiamo rischiare la nostra vita, preferirei perderla nella consapevolezza di aver tentato di salvarli, piuttosto che stare qua ad attendere ansiosamente la nostra fine … magari non riusciremo a salvare le nostre vite, ma forse potremo sperare di salvare il futuro degli altri … il sacrificio di pochi per la salvezza di molti …”

Questo e altri pensieri catastrofici riempivano di ansia crescente la mente di Electra. Per un attimo la sicurezza che aveva prima sul loro futuro fu sostituito da un soffocante e angoscioso dubbio.
E se tutto tornasse come prima? Sarei pronta ad affrontare i nuovi dolori che il destino ci ha serbato per noi? La perdita di un altro fratello? La perdita dell’amore?”

Il cuore cominciò a battere dolorosamente nel suo petto, tanto che poteva riuscire a sentirlo. Il timore di perdere tutto, il conosciuto sentimento dell’abbandono e della solitudine.
Cominciò ad innervosirsi, mentre cercava invano di calmarsi.
In quel momento lui se ne accorse. Si fissarono negli occhi per un istante che a loro parve interminabile. Non c’era bisogno di parlare, i loro sguardi bastavano per capire che c’era qualcosa che non andava.
“Non preoccuparti, Medina” disse infine lui.
“La vita è fatta di scelte, che noi lo vogliamo o no … quello che noi possiamo fare, è scegliere il male minore … noi tenteremo di salvare Nadia, per il bene di tutti noi … e venga quel che sarà … ”
Lei si calmò, il dubbio svanì. Rimase solo un po’ di tristezza per le verità, purtroppo evidenti, che lui le aveva fatto notare. 
“Era inevitabile … arrivare a questo punto per poi tornare sui propri passi … ” rispose lei, sorridendo.
Lei lo baciò e lui rispose al bacio con passione...

Per adesso noi dormiamo, insieme, attendendo quel che verrà, quello che noi chiamiamo fato … per adesso, il resto non ha importanza … per adesso, non possiamo fare altro che aspettare il domani per scegliere.”

 

 

 

Finalmente ce l’ho fatta!!!

Ringrazio particolarmente luisa, elektra810, blue sun per i commenti e gli incoraggiamenti a terminare la mia fic.

Grazie

 

Al prossimo, ed ultimo, capitolo.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=141770