Diario di bordo di Malaglar (/viewuser.php?uid=23529)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** "La città..." ***
Capitolo 2: *** "Essere riconoscenti" ***
Capitolo 3: *** "Felicità" ***
Capitolo 4: *** "Le verità..." ***
Capitolo 5: *** "L'odio" ***
Capitolo 6: *** "L'amore ritrovato" ***
Capitolo 7: *** "Scegliere..." ***
Capitolo 1 *** "La città..." ***
Ciao
Ciao! Questa è la prima fanfic che scrivo in vita mia! Per cui, cercate di non
essere troppo esigenti eh! Beh, non credo comunque che per tale fanfic ci saranno recensioni, poiché ho notato che nuove fanfic su questo anime sono quasi
del tutto assenti, ma comunque non rimane che farvi leggere il testo e
augurarvi una buona lettura.
Come primo capitolo, ho
voluto un po’ riraccontare ciò che Electra ha detto nell'episodio 22, riguardo al suo passato.
Comunque, a voi le recensioni!
“La città…non esisteva più”
Ovunque andasse, incontrava i
resti di coloro che adesso non c’erano più, mentre i corvi volavano nell’aria. Lei
aveva paura, perché ancora non si capacitava di quello che era successo. Aveva
ancora in mente l’immagine del braccio di suo fratello, mentre cadeva a terra,
quel rumore orribile! Pianse: aveva paura di ciò che ancora le sarebbe potuto
accadere, per cui si mise a correre, come per fuggire
dalle terribili visioni che vedeva. In cuor suo si, voleva credere che fossero
solo visioni, che fosse solo un incubo. Ma, purtroppo, presto si rese conto che
non era così.
Stremata per la corsa e per
il dolore, raggiunse il margine esterno di Thartessos,
e si rannicchiò in un angolo, cadendo in un lungo sonno pieno di incubi.
Rimase lì per due giorni,
paralizzata e impaurita, incapace di procurarsi cibo e acqua, di cui ora aveva
paura: ormai aveva paura di tutto, qualunque cosa di quel luogo tenebroso le
destava terrore, ma in particolar modo l’acqua, come se fosse capace di
inghiottirla, come aveva fatto per i suoi genitori. Continuava a ripetersi “Tornerà
tutto come prima” “Svegliati! Era solo un brutto sogno!”, ma tutte le volte che
i suoi desideri sembravano realizzarsi, sentiva il funesto rumore dei corvi
gracchianti, facendola ricadere nel terrore e nella confusione più totale.
“Infine, incontrai i primi sopravvissuti…uno di quelli…eri tu…”
Dopo due notti di tormento,
infine, un uomo grande, dai lineamenti austeri e dall’espressione fiera, ma gentile, le tese una mano, ricca di anelli, come
simbolo di speranza e salvezza. Lei si chiedeva se anche quel segno fosse frutto
della sua immaginazione, e all’inizio pensava che fossero solo delle visioni,
illusioni della sua piccola mente terrorizzata. Ma infine, le parole uscirono
dalla bocca dell’uomo, e risuonarono dolcemente nell’aria, risvegliandola dal
suo incubo:
“Vieni con me” le disse. E lei, in un atto di tremendo sforzo, tese la sua
piccola mano. Voleva piangere e stringersi a quel uomo, ma non aveva più la
forza né per piangere, né per disperarsi.
Quegli interminabili momenti
sembravano non avere mai fine, finché l’uomo non la sollevò dalla terra,
strappandola via definitivamente dal suo incubo, portandola con se per mano,
lontano da lì.
Ma subito lei si accasciò
contro di lui, perché era troppo debole per camminare, per
cui i tre uomini fecero una sosta per rifocillarsi e prendersi cura
della ragazza. L’uomo che le porse la mano stavolta le diede del pane e dell’acqua:
certo, non era molto, ma la ragazza era talmente affamata che non ci fece caso,
e mangiò tutto, mentre fissava l’uomo che l’aveva salvata e lui a sua volta la
fissava. Quei due sguardi s’incontravano per la seconda volta, e in lei nacque subito
un profondo sentimento di gratitudine, tanto che quando quel uomo si girò a
discutere con gli altri due sul da farsi, lei gli si avvicinò lentamente e,
piano piano, adagiò la sua testa sul suo grembo,
colta da un’improvvisa stanchezza. Lui non se ne accorse, ma quando decise di
riprendere il cammino, nonostante facesse quasi buio, sentì il peso e il calore
di lei, che dormiva appoggiata a lui. L’uomo sorrise alla visione di una tale
graziosità e ne rimase quasi commosso, ma tuttavia un’ombra di tristezza
occultò il suo sguardo, ricordando ciò che aveva fatto… sapeva che prima o poi,
la ragazza avrebbe voluto sapere che cosa accadde quel giorno, e che lui lo
volesse o no, lei lo avrebbe saputo, inevitabilmente. In quel momento si sentiva
in colpa, mentre vedeva quell’esile ragazza che
respirava lievemente, sentendosi colpevole della sua situazione, del fatto di
essere stato artefice della morte di molta gente e, come molto probabilmente
pensava, anche della morte dei suoi genitori. Per cui ordinò di accamparsi lì
per quella notte, e che sarebbero partiti il giorno dopo.
Dopo aver messo un fagotto
sotto la testa della ragazza per non farla stare scomoda, l’uomo aiutò gli
altri due compagni a mettere su le tende, e quando finirono accesero un fuoco
in mezzo alle tre tende. Di nuovo, la sua attenzione venne
presa dalla ragazza, che se ne stava in posizione rannicchiata e tremante:
quindi la prese e la sollevò da terra, portandola dentro la tenda più grande,
fatta appositamente per lui. Nelle tende c’era abbastanza caldo, per cui non erano necessarie le coperte, ma comunque le
stesero per terra, per rendere più confortevole il sonno. Lei però continuava a
tremare, per cui l’uomo prese un’altra coperta e la
mise sopra la ragazza. Lasciarono acceso il fuoco, e si misero tutti e tre a
dormire. Però, nonostante fossero in due, lei continuava a tremare.
Evidentemente era ancora scossa per gli avvenimenti, e la sua mente era
offuscata da vaghe visioni.
Nel cuore della notte, lei si
svegliò,. Subito vide lui dormiente, con la sua
espressione fiera, ma adesso a lei pareva quasi diversa: in lui rivedeva una
figura quasi paterna. Sentì il desiderio di stargli accanto, e di godere della
sua vicinanza, in momenti così cupi. Così, lentamente, si avvicinò a lui, e
appoggiò la sua testa sul suo petto e, finalmente, dormì. Anche lui, ad un
tratto si svegliò, come se si fosse accorto del cambiamento: e infatti notò subito una piccola chioma dorata, e quelle due
piccole braccia che lo avvolgevano. Ciò creò in lui tenerezza, e pose una mano
sulla chioma della ragazza, accarezzandola.
E subito lei smise di
tremare.
“Ero molto riconoscente…all’uomo che mi aveva salvata…”.
Bene ragazzi, questo primo
capitolo è finito. Niente di che, ma spero in capitoli migliori di questo!
Ciao, e al prossimo
aggiornamento!
P.S: commentate, commentate!
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Capitolo 2 *** "Essere riconoscenti" ***
Bene
ragazzi, ci vediamo per la seconda volta in questa fic che ha preso una
curvatura migliore, soprattutto verso la fine, per quanto riguarda il
primo capitolo. Comunque, questo è il secondo capitolo, e
spero che vi piaccia.
Note dell'autore: + o - vi posso dire che la traccia seguirà
la cronologia dell'anime, però non verranno trattati altri
personaggi, se non Nemo ed Electra, quindi invenzioni a tutto andare.
"Ero molto
riconoscente... all'uomo che mi aveva aiutata..."
Quando si svegliò, la prima cosa che vide fu lui che la
fissava, pensieroso. Lei cadde nel suo sguardo profondo e rimase quasi
ipnotizzata da quegli occhi scuri. Poi lui sorrise e parlò:
"Come ti chiami, giovanotta?" le disse sorridendo.
"Medina" disse, ma non uscì alcun suono.
"Medina, hai detto?" a quanto pareva quell'uomo sembrava essere
più erudito di quanto non sembrasse.
La ragazza annui.
"Io mi chiamo Eleusis, ma ormai non sono più degno di questo
nome che ho rinnegato, e per tale motivo, non merito alcun nome, se non
quello di Nemo, che come tu ben saprai, vuol dire 'nessuno'. Per ora
posso dirti solo questo" e le porse dell'acqua. Un'ombra
sembrò oscurare la faccia dell'uomo.
"Va meglio adesso?" domandò lui dolcemente.
Lei voleva rispondergli di si, ma i momenti passati a urlare e a
piangere gli avevano fatto perdere quasi la voce, così si
limitò semplicemente ad annuire, anche se non era l'esatta
verità: anche se era giovane, i suoi genitori le avevano
insegnato ad essere meno d'intralcio possibile, per cui se ci fosse
stato bisogno di mentire per essere meno di peso, avrebbe mentito senza
esitazioni. Ma quell'uomo le sembrava quasi impossibile da ingannare e
in quei primi momenti di dialogo si sentiva un po’ a disagio,
oltre che un po’ imbarazzata. Ma imbarazzata per
cosa? Se lo domandava anche lei in quel momento, eppure era chiaro fin
dall'inizio: anche lei, fosse stata al posto suo, pensò, non
si sarebbe comportata molto diversamente, e avrebbe dato aiuto a coloro
che ne avevano davvero bisogno. Un comportamento del tutto normale, in
fondo. Però, data la situazione e il fatto di essere lei
l'oggetto della loro preoccupazione, non sapeva come comportarsi .
"E' il momento di andare... dobbiamo riuscire ad abbandonare queste
lande desolate, prima che i viveri scarseggino" e ordinò
agli altri di smontare l'accampamento.
La ragazza, che voleva essere in qualche modo utile a qualcosa, si
avvicinò a Nemo e cercò di attirare la sua
attenzione. Lui capì all'istante le intenzioni
della fanciulla
"No, non ti preoccupare, al resto pensiamo noi. Adesso, pensa solo a
riprenderti". Così lei se ne stette in disparte, mentre li
osservava.
Sfecero in fretta il campo, e quindi partirono presto. Nemo si
presentò di nuovo da lei e le tese per l'ennesima volta la
mano.
"Vieni"
Questa volta lei fu più sicura e afferrò senza
indugi quella mano che tanto bene le aveva portato.
Camminarono a lungo per i campi, e per la prima volta, dopo sette
giorni di tenebre, spuntò il sole.
Il paesaggio si trasformò: avevano ormai oltrepassato le
aspre cime che circondavano Thartessos, e si avviavano verso verdi
pianure e boschi incontaminati. Il grigiore del cielo non se ne era
ancora andato, ma tuttavia appariva più rado e meno
compatto. Lei procedeva sempre accompagnata da lui, e ogni tanto
rimaneva incantata a fissarlo. Adesso doveva fare ciò che le
aveva detto lui: preoccuparsi solo di riprendersi. L'unica cosa da
fare, perciò, era andare avanti, e guardare ciò
che si aveva. E lei, per quanto le rimaneva, vedeva lui, e lui
soltanto. Andarono avanti così fino a che, nel
tardo pomeriggio, non raggiunsero l'oceano, mentre il sole splendeva
lontano all'orizzonte.
"...e quando, col tempo,
quel sentimento si trasformò e divenne amore... ne
fui felice..."
Bene, questo è il secondo capitolo, un
po’ più tranquillo del primo, spero vi sia
piaciuto!
Al prossimo aggiornamento!
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Capitolo 3 *** "Felicità" ***
Benritrovati, cari lettori
questo è il terzo capitolo, come da me promesso. A quanto
pare,
sembra che apprezziate quello che sto facendo, e questo mi rende felice
( XD ). Beh, non rimane che augurarvi una buona
lettura.
"... e quando, col
tempo, quel sentimento si trasformò e divenne amore... ne
fui felice..."
Finalmente, incontrarono altri gruppi di sopravvissuti.
Nemo si
fece avanti e si mise a discutere in disparte con i nuovi profughi,
affidando la protezione della ragazza agli altri due dell'originaria
compagnia.
Passò un bel po’ di tempo prima che Nemo
ritornasse tra
loro, riferendo ciò che avevano detto: a quanto pareva,
molti
altri piccoli gruppi limitrofi al regno di Thartessos avevano avuto
sentore degli strani avvenimenti, e quando ormai si compì la
tragedia, i loro villaggi furono distrutti. Ma poiché si
trovavano alquanto distanti dalla Torre di Babele, riuscirono a
mettersi in salvo, prima di venire travolti dalle terribili
calamità che si abbatterono quel giorno sulla terra. In
seguito
tornarono indietro, per vedere se erano rimasti dei sopravvissuti. E fu
così che la compagnia di Nemo e quelle dei profughi si
trovarono.
Non riferì, invece, ciò che lui aveva detto
riguardo la propria condizione agli altri profughi che, dallo
strano comportamento di rispetto nei confronti di Nemo, sembravano
conoscerlo molto bene. Ciò non sfuggì alla
ragazza, che
adesso si era ripresa quasi del tutto, e sospettava che sotto ci fosse
qualcosa, fissando Nemo, ma non riuscì a scorgere niente, se
non
il suo misterioso silenzio.
Un profugo si presentò a loro e disse che era necessaria la
presenza di un certo Ra Alwar.
Improvvisamente, Nemo si alzò e si avviò con il
messaggero.
"Ra Alwar!"
pensò la ragazza "non
può essere...solo una stirpe regale può avere un
nome tale!".
Nemo si accorse dell'espressione sorpresa della ragazza, e fece cenno
agli altri due suoi compagni di fare attenzione a lei. Loro annuirono
in silenzio.
Lei lo guardò andarsene via, sempre più stupita
della
situazione. Aveva conosciuto il famoso Ra Alwar, Re di Thartessos, e
neanche se ne era accorta. Improvvisamente, si sentì di
nuovo a
disagio, come quella volta che le aveva chiesto il suo nome. Ma adesso
era diverso, sapeva con chi aveva a che fare, e ne aveva quasi il
timore, di quell'autorità misteriosamente celata ai suoi
occhi.
E mentre ripensava ai momenti passati accanto a lui, si
imbarazzò ancor di più: lei, una semplice
ragazzina che
era rimasta attaccata per tutto quel tempo ad un uomo
che considerava non solo come padre, ma anche come salvatore,
si
trovava ad essere debitrice di un Re, una persona molto più
importante di lei, per come vedeva la situazione.
"E adesso come faccio a
sdebitarmi?" si domandò lei mentre,
inconsciamente, cercava di sistemarsi come meglio poteva i capelli e di
apparire ordinata.
"Come mi devo
comportare? A chi lo posso chiedere? Oh santo cielo!"
furtivamente si guardava intorno, come se avesse il timore che lui
spuntasse da un momento all'altro, e quindi non voleva essere
impreparata. Tutti gli altri sembravano occuparsi dei fatti propri,
lanciando rapidi sguardi verso la ragazza: in fondo, non è
che
non si prendevano cura di lei, ma sembrava che cercassero di parlare il
meno possibile, anche fra di loro.
"Via! Adesso calmati un
attimo e pensa..." dato che i capelli non riuscivano a
stare come voleva lei, allora passò al vestito, che era
ridotto a poco più che a uno straccio. In un secondo tempo e
in circostanze diverse, non avrebbe dato peso a certe cose, tuttavia
quella situazione le pareva alquanto anomala e fuori dal comune.
"Oddio! Sono un
disastro!"
Immersa nei suoi pensieri, non si accorse nemmeno che lui era
già ritornato, e già discuteva con gli altri,
mostrando loro nuovi viveri e nuove vesti. Dopo aver sistemato i primi
due, passò a lei, che nel frattempo aveva incominciato a
parlare da se sottovoce.
"Ehi? Mi senti? Sono io. Che stai facendo?" le domandò Nemo
sorridendo. Lei aveva la testa in confusione, l'idea di dormire sotto
la sua stessa tenda, l'imbarazzo di presentarsi davanti a lui conciata
in quel modo e mille altri pensieri solcavano la sua testa, quando si
accorse che qualcuno le stava dolcemente ponendo una domanda.
"Beh... io...non so...dovrei...forse...oddio!... presto
arriverà... io non sono... pronta..." era troppo
sovrappensiero per riuscire a vedere con chi stava parlando.
"Come? Cosa dovresti fare? Chi dovrebbe arrivare?" la sua confusione
stava trascinando anche lui.
"Lui!... non posso presentarmi così..." lui continuava a
fissarla, non sapendo se preoccuparsi o no.
"Scusa, ma non riesco a capirti!" le disse sempre sorridendo.
"Il nostro Re...". e alzò lo sguardo verso l'uomo e
arrossì bruscamente "...Alwar". Lui rise con quella sua voce
così profonda, e quel dolce suono giunse alle sue orecchie,
risvegliandola dal suo stato confusionale.
"Oh! Mi scusi... io proprio...non l'avevo...che sbadata" e
abbassò lo sguardo per evitare che lui la vedesse arrossire
costantemente.
Ci fu un attimo di silenzio. Lui la fissò per un
po’, sorpreso della reazione della ragazza.In cuor suo le
ricordava un po’ sua figlia, e per un attimo la tristezza lo
colse, ma lui non lo diede a vedere. Poi ricominciò
a parlare.
"Ti ho portato dei nuovi vestiti e delle coperte, così
potrai sostituirle con quelle vecchie che ti ho dato".
Ancora una volta, lui le si presentava gentilmente, come un padre
avrebbe fatto per sua figlia. Lei prese i vestiti e le coperte in
silenzio ed entrò nella tenda, chiudendola per bene.
"Ma perché mi
comporto così?" pensava lei "...per quale motivo ho questa
sensazione di disagio con lui? Eppure mi ha salvato la vita, procurato
cibo e acqua, e adesso anche dei vestiti nuovi. Perché tutte
queste attenzioni? Io non... non..." sentiva che le forze
la stavano per abbandonare ancora una volta, un po’ per la
stanchezza, un po’ per le forti emozioni appena passate.
Così si accasciò a terra sulle coperte appena
stese, e cadde in un lungo sonno.
4 anni dopo
Si
svegliò ansimando.
Il cuore le batteva all'impazzata. Temeva che lui non fosse
più lì, che se ne fosse andato, una volta che lei
fosse cresciuta abbastanza da badare a se stessa. Ma lui era sempre
lì che dormiva, sempre con la sua solita espressione fiera.
Subito si tranquillizzò.
"Lui non mi
abbandonerà mai" pensò "... gli voglio troppo bene...
io non sopporterei...la sua mancanza".
Un ultimo attacco di panico la prese: voleva gettarsi su di lui e
dirgli quanto gli voleva bene, e che aveva paura, paura di perderlo,
per sempre. Ma ormai era riuscita a controllare le proprie sensazioni,
e adesso riusciva a stare tranquilla anche in presenza di Nemo. Non
aveva più il timore di seguirlo, ovunque lui le dicesse di
andare. Si era dimenticata dei modi formali che i suoi genitori le
avevano insegnato per rivolgersi alle persone più grandi e
che non fossero suoi stretti parenti. Fra lei e gli altri esisteva solo
il "tu".
Tuttavia aveva ancora un po’ di timore verso la perspicacia
di quell'uomo, e aveva il timore che lui scoprisse ciò che
provava.
"Sei già in piedi a quest'ora?" disse lui.
"Ah! Scusami se ti ho svegliato! Non volevo..."
"No, no... non fa niente!... Dormito bene?"
"Si...grazie!" e gli rivolse un sorriso, ma ciò che aveva
detto non era vero.
"Beh, è sempre presto, anche per fare colazione. Io mi
riposerò ancora un po'. Te puoi fare quello che vuoi, ma non
andare troppo lontano, mi raccomando!"
"Sempre preoccupato,
come al solito" pensò, mentre si rincuorava per
le sue parole.
Lei non avrebbe fatto niente, se non rimanere a fissarlo e vegliare su
di lui, fino a che non si fosse svegliato di propria
volontà. Allora avrebbero fatto colazione insieme,
così come ormai facevano da quattro lunghi anni.
Lei lo amava, ma non lo voleva ammettere, né a lui,
né a sé stessa.
"...ma poi... scoprii la
verità..."
Bene, anche questo capitolo è concluso.
Continuate a postare le vostre recensioni!!!
A presto e al prossimo aggiornamento!!!
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Capitolo 4 *** "Le verità..." ***
Cap4
Well well well... rieccoci
ancora una volta insieme nel 4 cap di questa mia fic. Rileggendo gli
altri 3
capitoli direi che va bene (lo spero), e che segue un po’ la
trama dell'anime,
con varie riadattature. Pensavo che avrei trattato dell'episodio 22
solo nel
primo capitolo, ma penso che me lo porterò avanti per un
paio di capitoli
ancora. E' davvero così bella quella puntata! Peccato non
abbiano fatto una
nuova serie di questo anime, o quantomeno un omake su ciò
che è successo dopo
la sconfitta di Gargoyle... eh eh, a questo penserò io
(però riguardo alla
storia di Electra e basta).
Bona lettura!
P.S: ohohohohoho??? Ma non recensiona nessuno? Oddio, è
anche
vero che questo
anime è stato un po’ abbandonato da un bel pezzo...
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"...ma poi...scoprii la verità..."
C'era
una strana agitazione nel
campo, il cielo era cupo, ma il sole riusciva comunque a trasparire da
dietro
le nuvole. Tutti andavano di qua e di là, secondo precisi
criteri e ordini. Vi
erano molti gruppi e ad ognuno di questi era assegnata una mansione
precisa.
Nessuno di loro sapeva quale fosse il risultato di un tale lavoro, ma
una cosa
era certa: più andavano in là con il lavoro, e
più vi rimanevano affascinati. Infatti,
grazie alla tecnologia e al sapere degli Atlantidi, stavano creando
qualcosa di
grande, qualcosa che li avrebbe portato lontano. Non erano certi di
ciò che
sentivano, ma capivano che ciò rappresentava per loro un
ideale, che avrebbe
potuto giustificare la causa che da tanto tempo ormai, dapprima della
ribellione a Thartessos, avevano difeso anche a costo della vita.
A lei, però, non venne assegnato alcun incarico, o
quantomeno nessun incarico
che richiedesse una qualche particolare prerogativa: essenzialmente, il
suo
"compito" era quello di stare sempre nei paraggi.
Lui era sempre a parlare con gli altri, trasmettendo ciò che
sapeva, frutto
della conoscenza Atlantidea. Ogni tanto, quando poteva permettersi un
attimo di
riposo, si fermava con lei a parlare.
I timori che un tempo l'avrebbero potuta agitare, adesso non c'erano
più,
perché lei aveva deciso.
Nemo, nella sua vita, avrebbe rappresentato la "via", l'unica ragione
di esistere, e non lo avrebbe più guardato come un re, ma
come un padre, anche
se, in fondo sentiva che c'era dell'altro, e non sapeva quanto a lungo
avrebbe
potuto nasconderglielo.
Tuttavia, aveva trovato un modo per occultare questi sentimenti, e
trovare
un'altra valida ragione per motivare questo suo attaccamento nei
confronti di
Nemo.
Tutte le volte che pensava intensamente a lui, riflettendo su
ciò che a lei
sembrava giusto dire affinché lui sapesse ciò che
la tormentava ormai da anni,
ricordava sempre il giorno in cui Thartessos venne distrutta. Questo
ricordo le
destava ancora così tanto dolore, che ogni tanto veniva
assalita da crisi di
pianto, in silenzio. Giurò che non si sarebbe data pace,
finché il colpevole
non avesse pagato per ciò che aveva fatto alla sua famiglia,
ai suoi genitori,
a suo fratello. Voleva la sua morte, e a tale proposito aveva solo un
nome:
Nemesis Ra Algor, chiamato anche Gargoyle, secondo il nuovo nome da lui
preso,
dopo aver fondato l'impero di Neoatlantide. Se non fosse stato per
Nemo,
probabilmente quell'essere infernale avrebbe potuto distruggere
l'intero
pianeta, e per questo che tutti loro erano grati a lui, per averli
salvati. Per
tale motivo, loro sarebbero arrivati anche a sacrificare se stessi, pur
di
annientare Gargoyle.
E secondo questo ideale, lavoravano tutti instancabilmente.
Lei stava lì, attendendo ansiosamente la sera, quando allora
tutti sarebbero
tornati all'accampamento, ma in particolare stava aspettando lui.
Alla fine lo vide, l'ultimo della compagnia, come al solito, e lei gli
andò
subito incontro.
"Bene! Vedo che anche oggi hai fatto quello che ti avevo detto di fare!
Brava!"
Se c'era qualcosa che sapeva fare, allora era proprio obbedire sempre e
comunque, sopratutto se questo suo piccolo "sacrificio" serviva a
farlo sorridere, che già allora era una cosa abbastanza
rara, ma
particolarmente bello da ammirare, soprattutto per lei.
E così lo avrebbe seguito per il resto della serata, sedendo
accanto a lui
durante la sera, fino a che lui non cominciò come al solito
a discorrere sul da
farsi per il giorno seguente. Allora lei, tutte le volte ne
approfittava per
avvicinarsi pian piano, sempre attratta da quelle parole, che le
parevano quasi
incomprensibili: parlavano di un sapere a lei sconosciuto ma, a quanto
pareva,
non era solo lei a non capire. Eppure in quelle parole sembrava ci
fosse in
filo logico ed elementare, tanto che alla fine, quando sembrava che
ormai non
riuscissero a capire tutto quel sapere, tutto ad un tratto compresero
le
sottigliezze di quelle parole, e ne rimanevano estasiati, pensando a
quanto
fosse piccolo il loro sapere rispetto a quello Atlantideo.
Così, mentre tutti rimanevano "distratti" dai suoi discorsi,
lei
poteva avvicinarsi indisturbata a lui, finché il sonno, come
al solito, la
colse lenta, ma inesorabile.
Così lui finì i suoi discorsi, quando ormai non
c'era più nessuno: era stato
detto tutto a ciascuno di loro. E questo perché,
inconsapevolmente, gli altri
non si erano quasi resi conto che in questi discorsi venivano chiamati
uno ad
uno, e allo stesso modo venivano congedati.
Tuttavia, qualcosa sembrava sfuggire tutte le volte alla sua mente:
infatti, si
dimenticava sempre della dolce presenza che allora stava lievemente
dormendo
appoggiata al suo fianco. Allora lui, per non svegliarla, prese una
coperta che
si trovava lì vicino, e la mise sopra di loro, e si mi se a
dormire, affondando
la sua mano nei suoi capelli, trovando un po’ di riposo dalla
faticosa giornata.
"...una verità che non avrei mai voluto
conoscere!..."
Passò un anno e, infine, terminarono i lavori.
Adesso che era al completo
sapevano, o quantomeno pensavano di sapere, a cosa sarebbe servito
tutto il
loro lavoro. Sapevano quello che poteva fare e fin dove si poteva
spingere.
Tuttavia, pur avendo seguito i lavori fin dall'inizio, rimasero
meravigliati da
tale visione di imponenza.
Stavolta però non si riunirono più attorno ad un
fuoco come facevano una volta,
ma attorno ad un grande tavolo su sedie grandi e comode. Di fatto,
però, questa
cosa non permise a lei di abbandonarsi completamente a lui,
perché non c'era
più quell'oscurità che allora la proteggeva dagli
altri sguardi che, sebbene
non fossero assolutamente maligni, l'avrebbero resa nervosa e
l'avrebbero
imbarazzata. Questo almeno secondo quello che pensava lei.
Stavolta non c'era più lui che tutte le volte la cullava per
tutta la notte, ma
solo una cabina. Spaziosa lo era, comoda anche, ma era vuota. Vuota,
perché lui
non c'era. E si sentiva sola.
Ma ormai doveva farsene una ragione e abituarsi, pensando a cose
più importanti
che il semplice fatto di non dormire più tra le sue braccia
e alla fine riuscì
a convincersi che, in fondo, la sua lontananza non era un vero
problema, e capì
che si stava preoccupando per una cosa da nulla. In cuor suo, sapeva
che la
distanza in amore non conta. Così, tutte le volte, si
addormentava con questo
pensiero, e riusciva a sopportare la sua "assenza".
Cominciarono le sue perlustrazioni su quella misteriosa nave. Non c'era
molto
da vedere, e presto si annoiò, com'era naturale per le
ragazze della sua età,
ma doveva riuscire ad abituarsi anche a quello. Per cui
cercò di trovare
rimedio anche a quel problema, che risolse leggendo libri, in modo da
completare la propria istruzione e far passare il tempo.
Una sola regola vigeva allora su quella nave e riguardavano una cabina:
non
capiva bene il perché, ma nessuno si doveva avvicinare a
quella cabina,
tanto meno entrarci. Terrorizzata dalla ipotetica punizione, lei si era
subito
ravveduta ad evitare quell'area.
Quel giorno, però, non aveva più voglia di
niente, neanche di leggere, e decise
di fare una passeggiata per la nave, ripensando a lui.
Si, i suoi sentimenti per lui non si erano affievoliti da allora, al
contrario,
erano diventati anche più forti.
Era talmente sovrappensiero che neanche si accorse che le pareti
attorno a lei
si erano fatte scure, e intravedeva una luce passare da una fessura
davanti a
lei.
Arrivo quasi alla soglia, quando udì due voci familiari, una
anziana e l'altra
di Nemo. Il suo cuore sobbalzò, avendolo trovato in tale
luogo cupo. Parlavano
di un certo momento, che doveva essere alquanto importante, forse la
partenza.
"...ha davvero intenzione di allevare quella ragazza? La strada che
vogliamo percorrere conduce all'inferno."
"Sono cinque anni che mi preparo a questo momento... e ho deciso di
combattere Gargoyle fino alla morte... non c'è posto per
l'amore..." il
suo cuore sussultò ancora una volta alle sue parole, e
già stava gemendo, lei
lo poteva sentire, stava già soffrendo.
"Capisco che lei voglia salvare almeno una persona della sua terra, ma
arrivare addirittura ad adottarla... sta cercando un modo per espiare
il
terribile peccato che commise cinque anni fa... distruggendo la torre
di
Babele?"
Lei non riuscì più a resistere. Nella sua mente
visualizzava immagini di quel
terribile giorno, ma non voleva credere che fosse stata causa sua. No,
lei non
riusciva ad accettarlo. Ma poi...
"Probabilmente hai ragione. Ma converrai anche lei che è
stata una scelta
obbligata... la torre era già stata attivata...l'unico modo
per fermarla era
rimuovere il dispositivo di controllo, la pietra azzurra... facendola
esplodere."
A stento riusciva a trattenere un pianto: non ci poteva credere, colui
che le
aveva salvato la vita, aveva ucciso tutta quella gente, ucciso i suoi
genitori,
la sua famiglia. Lei, che tanto lo aveva amato, aveva di fronte
l'assassino dei
suoi genitori e del suo adorato fratellino. No, non voleva. non poteva
andare
così, cercò di riflettere, di trovare una
ragione, ma allora non la trovò. Solo
odio, vendetta. Voleva la sua morte. Ma un sentimento contrapposto le
diceva di
non cedere. Perciò rimase paralizzata fra due muri, non
sapeva cosa doveva
fare. Come si sarebbe comportata con lui, dopo aver sentito quelle
orribili
cose? Come lo avrebbe guardato? Sentiva che il coraggio le veniva a
mancare,
perciò decise di allontanarsi piano piano, e la sua figura
si perse in
quell'oscurità, che in quel momento sembrava l'unica a
poterla confortare.
Giunse alla sua cabina e si gettò sul letto. Nel corso della
sua giornata non
aveva fatto praticamente niente, ma il dolore di un attimo le aveva
prosciugato
tutte le energie. Tutto ciò in cui credeva, tutto
ciò in cui aveva riposto la
sua fiducia, e persino il suo amore... sembrava svanire. Non
trovò la forza
neanche per piangere, quindi chiuse gli occhi, ma niente, continuava a
rigirarsi sul letto, quelle parole ancora le risuonavano cupe nella sua
testa.
Temeva che sarebbe impazzita, era disperata, il suo cuore spezzato. E
andò
avanti così, per quasi un'ora; neanche sentì la
campana serale e, ormai esausta
e stremata, si accasciò sul letto, cadendo in terribili
incubi.
La mattina non si svegliò. Non trovava le forze, ma
riuscì ad aprire a malapena
gli occhi. Non si trovava più in camera sua. C'erano dei
letti accanto al suo,
e le pareti erano piuttosto bianche. Probabilmente, pensava, era nel
reparto
medico della nave.
Cercò di pensare a quello che era accaduto in precedenza, ma
trovava solo del
vuoto e dolore che le dava quel forte mal di testa.
Entrò finalmente l'infermiere, una ragazza molto giovane e
dal bell'aspetto.
"Ah, ti sei svegliata finalmente!" le disse lei sorridendole
cortesemente.
"Ma...come ci sono finita qua?" domandò.
"Beh... l'altra sera non ti sei fatta viva per cena, così il
signor Nemo
ti ha cercato, e quando è arrivato alla tua cabina ha
bussato, ma te non
rispondevi. La porta era bloccata dall'interno, per cui ha fatto
chiamare un
tecnico per sbloccare la porta. Accidenti! Dovevi vedere che faccia
preoccupata
che aveva! A quanto pare tiene molto a te."
In quel preciso istante le venne un'altra fitta di mal di testa.
"Ehi, ma cos'hai?"
"Non lo so... ma credo... di non sentirmi tanto bene..."
"Beh, è strano... anche mio padre ha detto che non hai
nulla, ma questi
strani mal di testa e questa febbre sono davvero anomali per una
ragazza sana
come te! Va bene, adesso riposati, e vedi di recuperare le forze!
Domani penso
che ti sentirai meglio! Ciao!"
"Grazie!"
Così l'infermiera se ne andò.
Nemo! Sempre lui, così preoccupato per lei... si, glielo
avrebbe detto, tutto
ciò che lei provava per lui, tutto il suo amore...
un'ombra offusco la sua mente, un ricordo riaffiorato bruscamente di
nuovo le
fece ricordare tutto di un colpo ciò che aveva sentito ieri,
cadde di nuovo in
crisi e svenne.
Si risvegliò, nel cuore della notte. Una luce tenue
illuminava apparentemente
la stanza. Una figura alta e familiare stava dormendo seduto accanto a
lei,
tenendole la mano. Temeva già di sapere chi fosse, ma adesso
le cose le
apparivano in maniera diversa. Si ricordava, però, anche dei
momenti passati
accanto a lui, nell'arco di quei cinque lunghi anni, e lei non poteva
certo
dimenticarlo. Perciò rimase a pensare per un po’.
Troppe cose le vagavano ancora
per la mente, ma adesso che lui era li e quel gesto di
affettuosità che tutto
sommato la spiazzava, sembrava tranquillizzarsi. Decise allora di non
pensare
più, e che le avrebbe fatto bene dimenticare per un attimo
ciò che aveva
sentito. Così riuscì finalmente a dormire
tranquilla. Ma una lacrima solcava
ancora il suo viso...
"...tuttavia... un uomo non può vivere di solo
odio, non crede?"
-----------------------------------------------------------------------------------
Fine 4° cap. Ommadò! Sto 4° cap è
stato peggio di partorì! (va beh che sono un
uomo, ma posso immaginare...), quindi non mi aspetto buone recensioni,
anche
perché è un capitolo venuto fuori un
po’ a forza. Vabbè, spero in cap migliori!
P.S: Mi sa che l'episodio 22- Il tradimento di Electra si sta
frustrando... XD
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Capitolo 5 *** "L'odio" ***
Cap 5
Rieccoci al 5° capitolo di questa fic.
Innanzitutto ringrazio tutti coloro che hanno recensito, siete stati
davvero gentili.
Per ricambiare al favore, ho fatto questa fic, dandoci tutto l'impegno
che potevo. Spero che vi piaccia!
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"...tuttavia...
un uomo non può vivere di solo odio, non crede?"
Tredici anni. Finalmente aveva la possibilità di
farla
pagare a coloro che le avevano ucciso tutta la famiglia, e vendicare
tutti coloro che quel giorno morirono a Tarthessos. Bastava un semplice
comando.
Era cresciuta da allora. Non era più la bambina impaurita di
una
volta, ma era diventata una donna forte e determinata. Tanto che, per
raggiungere i suoi obiettivi, sarebbe arrivata a sacrificare se stessa.
Tuttavia sapeva che distruggere Gargoyle non era un desiderio solamente
suo. Tutti quelli dell'equipaggio la pensavano allo stesso modo. Ed in
particolare lo scopo del capitano. Per tredici lunghi anni avevano
atteso quel momento, e si sentivano pronti a fare quel passo, anche se
rappresentava l'atto più estremo che a loro rimaneva da
fare.
Questo perlomeno era quello che lei pensava: tutti, nessuno escluso,
avrebbero perdonato quell'ordine, perché era l'unica via
affinché il capitano potesse espiare i propri peccati.
Era sicura, certa che lui avrebbe dato quell'ordine, anche se doloroso.
"Facciamoci esplodere..."
Per un attimo vi fu un silenzio spiazzante nel ponte di comando. Tutto
quel silenzio la rendeva nervosa, perché non se l'aspettava.
O
forse si, in verità c'era qualcosa che non andava, e se lo
sentiva. Non li vedeva più motivati come una volta,
perciò alzò la voce cercando di far capire agli
altri in
che situazione fossero.
"Non abbiamo altra scelta! Avanti, dobbiamo farlo, capitano! Non solo
distruggeremo la nave aerea, ma lo stesso Gargoyle! Questa è
un'occasione d'oro per riuscire a portare a termine la nostra missione!
E' semplice! Dobbiamo semplicemente far esplodere il motore a
parannichilazione! Facciamolo, capitano Nemo!"
Stava cominciando a innervosirsi ancora di più. Nessuno
reagiva, tanto meno il capitano. E questo confermò i dubbi
che si
era posta dall'arrivo di Nadia sul Nautilus. Lui era cambiato. Non lo
riconosceva più. Lei lo aveva seguito per tutto questo
tempo,
nonostante tutto l'odio che provava per lui, perché sapeva
che
solo in quel modo lo avrebbe potuto perdonare. La rabbia la assaliva
ancora di più, perché in fondo non era Gargoyle
il
responsabile della morte dei suoi genitori. Tante volte se lo disse. Ma
poi si ripeteva che non era colpa sua, e che se non fosse stato per il
suo estremo gesto, probabilmente l'intero pianeta sarebbe
già
stato distrutto quel giorno.
C'era qualcos'altro, però.
Non se lo sapeva spiegare, ma da quando Nadia era salita a bordo, si
sentiva un po’ strana. Tuttavia, in quel tempo, il capitano
non
aveva rivelato a sua figlia la sua vera identità,
perciò
si rassicurava del fatto che lui era rimasto fedele al suo giuramento.
o almeno come pensava che fosse.
Ma in quel momento, le reazioni del capitano, il silenzio
dell'equipaggio le fecero comprendere che i loro scopi erano cambiati.
Temeva la reazione del capitano, perché in parte sentiva che
non
si sarebbe mai fatto autodistruggere, e temeva di sapere anche il
perché. Adesso però ne era certa, sicura che era
colpa
sua, di quell'innocua ragazza che allora si trovava lì
insieme a
loro, in quell'attimo di disperazione.
Ricordava quello che Nadia le aveva detto di Nemo
"Come può
piacerle? E' un uomo così freddo!"
"Un uomo freddo dici? ... forse lo è..." le
aveva risposto.
Lui non poteva tirarsi
indietro,
proprio in quel momento, ma lui non rispose, non si volse, come se non
ci fosse. Tentò di riportarlo alla ragione, chiamando in
causa
persino Nadia. Sapeva che non era molto leale, che non era da lei, ma
non trovava un'altra via per farlo ragionare. Eppure neanche dopo
ciò si smosse. Cominciava a perdere le speranze, vedeva
tutti i
suoi sforzi ormai inutili, e lo odiava, perché lui le aveva
fatto credere che avrebbe compiuto senza esitazione il proprio compito,
pensava. E invece, proprio sull'ultimo, cominciava a comportarsi come
un vero padre, ma non con lei: da quando Nadia è salita a
bordo,
lui si è dimenticato di Medina, quel nome che probabilmente
lui
si era dimenticato. Per lui, lei rappresentava solo il suo comandante
in seconda, niente di più, soprattutto dopo la venuta di
Nadia.
E di questo lei si disperava. Il piccolo posto che lui aveva per lei,
era stato sostituito da quello di sua figlia.
Solo lui poteva dare quell'ordine. Ma giunti a quel punto, sentiva che
avrebbe potuto farlo lei, con o senza il suo consenso, accecata dal suo
odio. Ma poi vedeva Nadia e il suo sguardo confuso. Allora la ragione
tornava.
Lei avrebbe potuto far scoppiare il Nautilus pur sapendo che anche suo
fratello sarebbe morto?
No, piuttosto avrebbe sacrificato tutto, per non farlo morire.
Così come lui aveva sacrificato i tredici anni di esistenza
per sua figlia, lei non poteva biasimarlo per ciò.
Perché l'odio cresceva allora?
In quel momento di confusione, Grandis parlò:
"Dal momento che non riesce a coronare il suo romantico sogno d'amore
col capitano... allora preferisce morire con lui, giusto?..."
Lei lanciò un sospiro di sorpresa. Improvvisamente si
sentiva
molto imbarazzata, smascherata davanti a tutti. Aveva ragione, lei lo
amava, ma non lo aveva mai ammesso. Però rimase composta,
né cedette alle sue provocazioni, ma non aveva
controbattuto,
ancora scossa da tale dichiarazione.
Ripensò ai momenti passati con lui, da piccola, nelle tende
dell'accampamento, ai momenti della sua adolescenza, e quella cena in
cui Sanson si era lamentato del solito cibo. Soprattutto in quel
momento, quando lei andò a fare rapporto a lui, dopo cena.
Lei stava per andarsene,
ma in quel momento si voltò verso di lui in silenzio,
arrossendo.
Lui si accorse della sua presenza e si voltò
"C'è qualcosa che non va?" le domandò
"No, niente... proprio niente" e cercò di eludere il suo
sguardo, ma si paralizzò, perché pensava di
essersi
esposta troppo. Però se lo sentiva... era gelosa.
Quel
pensiero portò nella confusione anche lei, che rimase in
silenzio.
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"...equipaggio pronto all'impatto!"
Alla fine ce l'avevano fatta ad allontanarsi da quella macchina
infernale. Ma i danni allo scafo erano troppo gravi, e ciò
che
rimaneva del Nautilus non avrebbe retto per molto.
"Così, invece
di morire lassù, moriremo in fondo all'oceano! E il nostro
sogno sarà andato per sempre" pensava.
Adesso che le rimaneva da fare? Che cosa le rimaneva? Neanche sapeva
cosa.
Adesso si erano persino staccati dall'unità di
combattimento,
abbandonando così anche le ultime scorte di aria compressa.
Così non avrebbero più avuto la
possibilità di
risalire.
Sentì la voce del capitano dal citofono.
"Tutti gli ufficiali sul ponte inferiore, devo darvi istruzioni"
"Bene!"
Se lui era andato nella sua cabina, lo avrebbe probabilmente fatto per
mettere in salvo i ragazzi.
Perché non pensava a lei? Mai un segno di attenzione,
né di affetto. Solo un freddo rapporto di subordinazione.
Lei disse agli altri di recarsi al ponte inferiore, ma rimase sul ponte
di comando, disobbedendo agli ordini.
Ormai non aveva più niente, non aveva più nulla
da fare
contro Neoatlantide, semplicemente perché non poteva.
E questo per colpa della sua indecisione, del suo affetto per sua
figlia. Lo odiava. Non ce la faceva a provare altri sentimenti se non
quello, e soffriva perché si sentiva sola e abbandonata,
come
prima che avesse conosciuto Nemo.
Si convinse che era colpa sua. Lui aveva ucciso tutta quella
gente innocente, lui l'aveva salvata da quegli orrori e l'aveva portata
verso altri orrori, l'aveva fatta soffrire con il suo falso
affetto
paterno per tredici lunghi anni e la aveva illusa di poter vendicare la
morte dei suoi familiari. Non sarebbe stato Gargoyle a pagare per
questo, ma proprio lui, che aveva seguito per tredici anni.
Sapeva che lui sarebbe tornato sul ponte di comando, perché
solo da lì si poteva far separare la cabina del capitano dal
blocco principale. Perciò attese la sua venuta.
La porta si aprì.
"Comandante... come mai siete ancora qui?"
Lei puntò la pistola contro di lui e sparò,
colpendolo alla spalla.
"Perché?
Perché non l'ho ucciso subito?"
Gliela doveva far pagare, lo avrebbe fatto lentamente, e non avrebbe
lasciato fuori nessun particolare. Gli avrebbe detto di tutto il suo
rancore che provava per lui, accumulato nel corso degli anni,
raggiungendo il suo apice con la venuta di sua figlia Nadia. Lo avrebbe
fatto sentire in colpa, per non essersi accorto del suo amore che tutte
le volte gli manifestava, ma che lui non capiva. E gli avrebbe
ricordato il terribile errore che commise tredici anni prima,
distruggendo la torre di Babele, causando la morte di gente innocente.
Le sue scuse non sarebbero bastate a salvarlo.
Raccontò la sua storia, dai terribili avvenimenti accaduti a
Tarthessos, fino alla scoperta delle vere colpe che lui portava con se.
Ma anche del suo amore segreto che provava nei suoi confronti, che
l'aveva spinta a seguirlo fino ad allora.
"...credevo che tu volessi uccidere Gargoyle e l'imperatore Neo, e che
volessi distruggere per sempre Neoatlantide!"
"...ero sicura che avresti versato fino all'ultima goccia di sangue per
raggiungere il tuo obiettivo, ed è solo per questa ragione
che ho deciso di seguirti!"
"...io avevo fiducia in te, ti amavo con tutta me stessa!... non
m'importava che tu mi amassi solo come un padre ama la sua bambina!"
"...l'unica cosa che contava era starti accanto"
"...si, era tutto perfetto, finché tua figlia Nadia non
è
ricomparsa dal nulla!"
"...ho avuto paura che lei potesse rubarmi il tuo affetto, portarti via
da me... ma tu... tu non le dicesti che eri suo padre, che il
tuo obiettivo era quello di distruggere Neoatlantide... per me
sei rimasto la persona che conoscevo e amavo... ma poi invece...invece
tu... hai iniziato a comportarti come un vero padre con lei!
Perché non sei rimasto semplicemente l'uomo che amavo?"
"...addio allora capitano Nemo..."
Nella sua mente si alternavano di nuovo le immagini della sua
adolescenza, quando lei era felice con lui, e stentava a credere di
essere arrivata a quel punto.
La voce di Nadia le supplicava di non ucciderlo, ma lei non voleva
ascoltare, perché più ascoltava e più
si rendeva conto che non ce l'avrebbe fatta a tenere salda la presa su
quella pistola ancora a lungo.
Poi lui rispose, dopo il suo lungo silenzio. Nessun'ombra di
inquietudine sembrava offuscare il suo volto. Era fiero e sicuro, come
se lo ricordava una volta.
Lei cominciava a sentire che non avrebbe retto a quella situazione.
Già la voce supplicante di Nadia aveva aperto una breccia
nel suo cuore, rendendola incerta per un istante.
"Su avanti! Ho sempre saputo che in realtà mi odiavi.
Coraggio, sparami!"
Anche quella inaspettata risposta, la colse impreparata. Invece delle
suppliche ricevette altre provocazioni.
"Possibile che in
tredici anni non siamo riusciti a concludere nulla!"
"Certo!"
Eppure una parte del suo cuore le diceva di non sparare. Questo suo
conflitto interiore fece sì che lei mancasse quasi
volontariamente il bersaglio. Era proprio questo quello che voleva?
Lo voleva vedere implorante, tuttavia le sue parole non l'avevano
scalfito neanche minimamente. Forse era davvero come aveva detto Nadia.
"Come può
piacerle! E' un uomo così freddo!"
Si, forse lo era davvero. E voleva sentire il motivo di
una così grande freddezza.
"Te lo chiedo ancora una volta. Perché non ti sei suicidato
portando Gargoyle con te?"
"Semplicemente perché non volevo commettere lo stesso
errore." rispose, senza incertezze.
"Quale errore? Il fatto di aver sterminato tutto il tuo popolo e di
aver distrutto completamene la tua terra?"
"...esatto... vivendo posso espiare i miei peccati... è
l'unico scopo, l'unica ragione per cui ancora vivo."
"Se la vendetta è lo scopo della tua vita, perché
non hai fatto esplodere il Nautilus? Dimmi perché!"
Non riusciva più a capirci niente, il braccio teso contro di
lui stava cedendo. Adesso voleva solo piangere, perché non
andava come lei pensava. Era tutto diverso, anche secondo i suoi dubbi.
Dov'era la verità? Perché in tredici anni non era
ancora riuscita a trovarla?
"Sei con me da anni... ti ho cresciuta come una figlia, non potevo
permettere che anche tu... saltassi in aria insieme al Nautilus."
No, non stava andando come lei pensava. Era tutto sbagliato, tanto che
aveva paura della sua risposta. Se prima non avrebbe ceduto alle sue
suppliche, adesso era tutto diverso.
Credeva di conoscerlo fino in fondo, meglio di chiunque altro su quella
nave.
"...Electra... ho voluto salvarti..."
Un brivido scosse la ragazza, che adesso vedeva le cose in maniera del
tutto diversa.
Aveva sbagliato tutto, e adesso capiva che con quel gesto avrebbe
davvero mandato all'aria tredici anni della sua esistenza. E questo non
se lo poteva permettere. La verità infine era svelata, e si
era rivelata l'esatto contrario di ciò che aveva pensato lei
fino a quel momento. Il suo era un gesto imperdonabile,
perché aveva messo a rischio la vita dell'uomo che amava, e
non solo. Adesso che sapeva ciò che lui provava nei suoi
confronti, si odiava. La disperazione la portò all'unica
cosa che allora le rimaneva da fare.
"...non dovevi dirmelo... adesso come faccio?... non è
giusto, adesso non posso più ucciderti..."
Per l'ennesima volta lui l'aveva salvato da un tremendo errore, e alla
fine era lei a essere in debito con lui. Per questo lo voleva ripagare
di tutto quello che lui aveva fatto per lei, e lo avrebbe liberato da
quella prigione, rappresentata da lei.
"...ma posso sempre usare questo colpo per me stessa, così
ti restituirò quella vita che tu avevi salvato..."
E strinse il dito attorno a quel grilletto.
La disperazione l'aveva resa folle, ormai non aveva
più le forze, e voleva farla finita una volta per tutte.
Tutto accade in un attimo.
Un movimento brusco, un dolore fortissimo sulla sua guancia, uno sparo.
Era tutto finito.
In quel momento di disperazione, quando tutto sembrava andare contro di
lei, una mano le venne tesa, un'altra volta.
Una mano che conosceva troppo bene e che l'aveva salvata molte volte.
Ricordava ancora quel momento.
E quella mano, l'aveva salvata dalla morte, e adesso, finalmente,
riusciva a capire il perché.
"Non gettare via la tua
vita... è preziosa!..."
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Fine 5° capitolo!!! XD XD XD
Questo Episodio 22 è davvero troppo bello! Grazie Gainax!!!
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Capitolo 6 *** "L'amore ritrovato" ***
Bene, rieccomi pronto per il
6° capitolo della fic. Scusate se ho aggiornato così
tardi, ma proprio di questi tempi non c'ho la testa. Questo capitolo
non seguirà la traccia dell'anime, o meglio, la
"seguirà" tramite l'omakè N° 9 dei DVD
della Yamato. A proposito: quasi tutti dicono che il nuovo doppiaggio
fa schifo, ma a parer mio mi piace molto di più. Quando
sentii le (poche) puntate che hanno trasmesso poco tempo fa, volevo
spararmi su un piede! XD
Ah, quasi dimenticavo!
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, per me è stato
un piacere immenso! Grazie soprattutto ad elektra810 e a luisa, le
vostre recensioni mi hanno dato la forza di continuare!
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"... pensa piuttosto a
quello che devi fare!"
Troppe emozioni, troppi pensieri, troppi errori... tutto quello era
troppo, e lei si sentiva la bambina indifesa di una volta, come quando
Nemo la trovò durante il loro primo incontro nelle rovine di
Thartessos. Era terrorizzata, ma non riusciva più neanche a
piangere da quanto era sconvolta. Tutto si ripeteva, la morte dei suoi
cari, la crisi, il nulla... ma anche stavolta lui le aveva fatto vedere
la via. E riusciva a capire, anzi, sperava che tutto ciò che
stava per perdere si potesse recuperare, perché la tragedia
era stata fermata prima che potesse avere inizio, non come successe a
Thartessos, tredici anni prima. E lui era lì.
"Nadia, qualsiasi cosa accada, ricorda... tu devi vivere!"
Il silenzio calò nel ponte di comando. Lei aveva smesso di
piangere, ma era ancora a terra. Lui stava fisso davanti
all'oblò, guardando la cabina che si staccava dal blocco
principale.
Poi spostò il suo sguardo sulla ragazza. Lei aveva lo
sguardo abbassato, abbattuto. Era ancora scossa dal fatto che aveva
quasi commesso lo stesso errore che lui commise a suo tempo.
Però, grazie al loro sentimento, che a lei non pareva
reciproco, ma che invece lo era, erano riusciti ad evitare una quasi
catastrofe. Proprio all’ultimo, nel momento cruciale prima
del suo ultimo passo, lui l’aveva tirata fuori dal sentiero
del non ritorno.
Dopo un po’ ricominciò a ricollegare gli
avvenimenti e a tornare mentalmente tra loro.
Alzò lo sguardo. I loro occhi si incontrarono, come accadde
tante volte nei primi anni della loro convivenza, ma stavolta avvertiva
qualcosa di diverso, e finalmente riusciva a trovare in quello sguardo
quello che da tanto tempo aveva desiderato, e che a lungo aveva
occultato.
Rimasero lì a fissarsi. Lei lo guardava supplicante di
aiuto, perché non sapeva cosa fare e perché non
aveva il coraggio di chiedere altro a colui che le aveva salvato la
vita così tante colte e che lei stessa stava per uccidere.
Non le sembrava giusto. Temeva il suo rifiuto: dopo tutto quello che
gli aveva detto, come avrebbe fatto lui ad accettarla, dopo avergli
mostrato tutto l’odio e il rancore che provava per lui?
Eppure, nonostante ciò, lui le aveva sempre fatto vedere il
contrario di quello che pensava. Quindi non smetteva mai di sperare che
dalla sua bocca uscisse una parola di conforto, di tenerezza.
No, non doveva smettere di sperare. Si ricordò quello che
aveva detto quando erano ancora sospesi in aria, catturati dal raggio
super-presa. Aveva perso le speranze, e questo l’aveva
portata a quella drastica decisione, l’autodistruzione. E
proprio a causa della sua rassegnazione, stava per commettere un errore
quasi imperdonabile. Quindi non doveva smettere mai di sperare che lui
la riaccettasse. Tuttavia ripensava a tutte quelle volte che lei lo
aveva deluso per colpa dei suoi falsi presentimenti… ma
principalmente per causa sua, a causa del suo folle desiderio di
vendetta.
Stava per cedere. Non riusciva a sentirsi degna di stare ancora un solo
momento di più davanti a lui, voleva andarsene dalla sua
vita. Lo avrebbe fatto per il suo bene.
“Electra… anzi, Medina…”
Il suo cuore comincio a battere forte, probabilmente sentendosi
chiamata al suo giudizio.
“…non permettere che l’odio ti domini.
Per colpa dell’odio, io ho sbagliato tante volte. Non
commettere il mio stesso errore.”
Le venne incontro e si inginocchiò davanti a lei.
“…le persone cambiano, e questo lo sai bene anche
tu… ma certi sentimenti, Medina, non cambieranno
mai…” e la abbracciò.
“…Medina… io ti
amo…”
Lei sgranò gli occhi. Non ci poteva credere, ma era
così. Era troppo felice per crederci, ma allo stesso tempo
ne rimaneva sconvolta. Ancora una volta, lui le aveva dimostrato che
c’è sempre una seconda via, che
c’è sempre una speranza, anche se piccola. E tutto
quello in cui non sperava più, era stato bruscamente
riportato alla luce, grazie alla sua dichiarazione.
Il suo abbraccio. Le ricordava tanto i primi anni del loro incontro.
Si, gli voleva bene, sia allora che adesso. Si abbandonò a
quel lieve abbraccio, che pur essendo tale, a lei pareva quasi
doloroso. Ricominciò a piangere, ma quelle lacrime non erano
di disperazione. Erano lacrime di felicità.
“…anch’io”
Quelle parole uscirono lievi dalla sua bocca, ma richiesero un notevole
sforzo,perché era la pura verità.
Si sentiva esausta, scossa da tutti gli avvenimenti, fatti di
sentimenti contrapposti, tanto che svenne fra le sue braccia.
“Ehi?...” non ricevette risposta.
La prese tra le sue braccia e la portò in un luogo asciutto,
e la adagiò a terra appoggiando la sua schiena contro la
parete. Purtroppo di meglio non c’era, visto che il blocco da
combattimento conteneva la maggior parte delle loro cabine, e alcune
cabine del blocco principale erano state gravemente danneggiate.
Però avrebbero controllato se ci fossero state eventuali
cabine sicure.
Visto lo stato del suo braccio, decise di andare dal medico di bordo a
farsi medicare velocemente e ritornare subito a occuparsi di lei.
Mentre andava nel ponte inferiore, dov’erano riuniti tutti
gli ufficiali e i membri dell’equipaggio, ripensò
a lei. Evidentemente, c’era qualcosa di più
importante della loro missione, e si sbagliava anche lui riguardo a
quello che sentiva per Electra. In fondo, le sue parole non erano tutte
sbagliate. Lui aveva promesso che non si sarebbe dato pace
finché non avesse fatto sparire Gargoyle dalla faccia della
terra. Si sentiva in colpa per non aver mantenuto la sua parola, ma
soprattutto di aver illuso lei, confondendola sempre di più,
fino a farla ragionare a quel modo. Ognuno in quella storia aveva le
proprie colpe, in fondo.
Raggiunse il ponte inferiore e si fece medicare il braccio, che
presentava solo un graffio di media entità. Adesso,
però, doveva pensare a ciò a cui teneva veramente
e pensare a quello che doveva fare. Perciò tornò
nel posto dove aveva lasciato Electra, velocizzando il passo. Quando la
vide, lei stava respirando affannosamente e tremava per il freddo. Le
mise una mano sulla fronte. Scottava.
Convenne subito che quel luogo freddo e umido non era proprio il posto
ideale dove lasciar dormire qualcuno nelle sue condizioni. Quindi la
prese dolcemente fra le braccia. Certo, non era la piccola ragazzina di
un tempo, ma era sempre snella e leggera, causa del cibo
prevalentemente marino. E d’altra parte lui era molto robusto
e alto, quindi non trovò molte difficoltà nel
sollevarla, portandosi le sue braccia al collo.
Aveva davvero bisogno di quello stretto contatto di lei, che adesso
dormiva a fatica tra le sue braccia. Per troppo tempo anche lui si era
posto di non pensare all’amore
“…non
c’è posto per
l’amore…”
Lui la amava già a quel tempo, come un padre ama la propria
figlia. Temeva però che questo sentimento si sarebbe
tramutato in amore vero, specialmente per lei, che aveva un valido
motivo per essere riconoscente a lui.
Per troppo tempo si era negato l’amore che provava per
Electra. Ciò avrebbe impedito, nel caso lei fosse stata in
pericolo di vita, a compiere la loro missione. Come accadde infatti
quella volta.
Ricordava ciò che le aveva detto Nadia, sua figlia:
“…ogni
vita è preziosa in se stessa…”
Non poteva sacrificare le loro vite per il proprio scopo.
Sfortunatamente non trovò nessuna cabina che fosse
abbastanza sicura e confortevole dove lasciarla riposare in pace,
perciò tornò nel ponte di comando, con lei in
braccio. Da lì avrebbe potuto controllare le cabine meno
danneggiate, ed eventualmente sigillarle. Per loro fortuna tre cabine
erano ancora recuperabili. Quindi si diresse alle cabine, e dopo aver
inserito il codice di sblocco controllò lo stato.
L’acqua in quella cabina non era ancora arrivata, pertanto
non era umida, anche se con il generatore elettrico danneggiato il
sistema di riscaldamento era saltato e dentro non faceva per nulla
caldo.
Quelle cabine non erano state fatte per l’alloggio dei membri
dell’equipaggio, quindi all’interno erano vuote.
Scoraggiato per non aver trovato nulla di comodo, adagiò di
nuovo l’esile corpo di lei a terra, cercando di non
svegliarla.
Grazie alla al sistema di comunicazione interno, lui riuscì
a contattare gli altri, e a dare loro istruzioni, vista la sua assenza.
Cercò un modo di farla stare comoda, ma
all’interno del blocco principale non vi era alcun oggetto
che potesse servire al caso.
Tornò di nuovo nella cabina, e rimase in piedi a fissarla
per un po’. Faceva troppo freddo per lasciarla sola,
perciò prese la sua giacca e gliela mise attorno come
coperta, poi lui si appoggiò alla parete, stringendo a se
Electra. Gli ricordava quando lei si avvicinava a lui, quando lei era
ancora giovane, e finiva per addormentarsi sul suo grembo o appoggiata
alla sua spalla. Ricordava ancora quei momenti, non se li era
dimenticati. E così si addormentarono un’altra
volta, come facevano un tempo, con lei che cercava il calore di lui.
Lei si svegliò. Lui era lì che dormiva ancora,
perciò non si mosse per non svegliarlo. Cercò di
non pensare a quello che era successo prima, e quindi
riabbracciò colui che tanto amava, trovando calore nel loro
amore. Una mano si posò sui suoi capelli, accarezzandoli. A
quanto pare non l’aveva mai persa d’occhio neanche
per un solo istante.
Non voleva più pensare a ciò che aveva fatto. Lei
lo amava,e lui aveva dimostrato di aver ricambiato il piacere fino alla
fine, questo bastava. Era felice, dopo tredici anni di sofferenza e
patimenti era davvero felice, non erano più necessari i
limiti che si erano imposti l’uno nei confronti
dell’altro. Non c’era più nessun motivo
di tenere nascosta la cosa, perché il resto non importava.
Esistevano solo loro due. E avrebbero vissuto intensamente quel
momento, sebbene pensassero che non sarebbe durato a lungo.
Il blocco principale aveva ricevuto troppi danni, e non avevano
abbastanza energia per risalire. Stavano affondando sempre di
più nella fossa di Kermadec. Per completare il quadro delle
loro disgrazie, le batterie si stavano scaricando molto in fretta: se
non avessero attuato in fretta qualcosa, presto non avrebbero nemmeno
più avuto energia per avere un minimo di controllo di
ciò che rimaneva del Nautilus. La pressione continuava a
salire, e dalle paratie cominciavano ad aprirsi delle falle. Loro non
poterono fare nulla per impedire tutto ciò.
L’unica cosa a loro favore era quella strana corrente
d’acqua che li trascinava costantemente avanti. Alla fine
intravidero qualcosa che somigliava ad un tunnel. E infatti, si
trattava di uno dei tunnel che gli Atlantidei avevano costruito tanto
tempo addietro. Dovevano risparmiare energia per far funzionare i
motori al momento della loro ultima emersione. Perciò
spensero tutti i sistemi della nave. Il riscaldamento e
l’illuminazione vennero spenti. Non potevano permettersi di
fare un errore proprio ora, che erano quasi giunti in salvo, per un
caso puramente fortuito.
All’interno del ponte di comando c’era un freddo
glaciale, era buio tetro, e il silenzio dell’equipaggio
rendeva ancora più spettrale l’ambiente.
A loro non rimaneva che sperare che un miracolo li salvasse, un ultima
volta.
Lei era rimasta sempre al suo fianco, in preda alla paura. Non voleva
morire, proprio ora che aveva trovato ciò che cercava.
Voleva piangere, ma non ne trovava il motivo. Tutti i loro desideri
erano convertiti adesso nell’unico desiderio di uscire da
quell’incubo. Tutte le loro certezze, i loro ideali erano
stati quasi distrutti nell’arco di pochi momenti. Buttare via
la fatica di quasi quattordici anni non sarebbe stato giusto nei
confronti dell’altro. Perciò continuarono a
sperare, fino a che non videro la luce.
Nonostante la loro situazione disperata, erano finalmente salvi.
La loro felicità era incontenibile, gente che si abbracciava
e gioiva. Erano andati così vicini alla morte, che a loro
non pareva quasi vero. Presero le tende che trovarono sul luogo e si
accamparono. Rivivevano quei momenti del loro primo incontro, una
specie di percorso all’indietro. Riaccesero i fuochi, lui
tornò a parlare con gli altri. Tutto si ripeteva. Lei poteva
lentamente avvicinarsi a lui, e abbandonarsi al suo abbraccio, una
volta terminato il suo discorso, e dormire, come faceva una volta. Lei
era sempre con lui, e non voleva mai separarsene. Dormirono finalmente
tranquilli, lontani dai tormenti, dai dubbi, da Neoatlantide. Adesso
c’erano solo le loro certezze. E il loro amore.
Infine venne anche il momento del loro primo bacio.
Lei non se lo aspettava, lui aveva finito il suo discorso, che
l’aveva appassionata molto, ma non era ancora stanca. Lui le
alzò dolcemente il mento e fissò il suo
bellissimo sguardo. Il cuore di lei batteva stranamente veloce, come se
sapesse cosa sarebbe successo da lì a poco, ma lei non lo
sapeva.
Lontani da tutto e da tutti, finalmente si scambiarono silenziosamente
il loro primo bacio, appassionato e stupendo, come mai lei aveva
provato in vita sua, e i brividi la percorsero. Si abbandonarono
definitivamente al loro amore, che non trovò più
barriere, né leggi, e provarono per la prima volta
il fuoco della loro passione.
"Electra...io ti amo..."
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Fine 6°
capitolo! Anche questo è uscito un po’ a fatica,
anche se avevo già in mente come strutturarlo. Al prossimo
aggiornamento!
PS: non
riuscirò mai a ringraziare la Tamarro Forever per
l’immensa mole di informazioni che mi ha dato sulla
psicologia di Electra e su molte altre cose. Grazie infinite!
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Capitolo 7 *** "Scegliere..." ***
Capitolo 7
Non ho parole... per
cui, X
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"Scegliere..."
Gli echi degli incubi passati erano finiti. Adesso esistevano solo
loro... loro
e il proprio futuro... Finalmente potevano decidere se rimanere
lì e fondare
una nuova città, all'oscuro di tutto e di tutti, e
cominciare una nuova vita.
Non avrebbero dovuto più preoccuparsi né di
Neoatlantide né di Gargoyle, non ci
sarebbe stato più motivo di temere di questi se non avessero
avuto un valido
motivo per venire alle armi. Lui aveva voltato le spalle a quello che
era stato
il suo obiettivo fin dall'inizio del loro viaggio e adesso non gli
importava
più di portare a termine il progetto di vendetta. Anche lei
aveva rinunciato a
ciò per cui avevano combattuto per anni, anche se tale
missione non se la
sentiva sua nello stesso modo in cui l'aveva sentiva lui. Lei, in
fondo, non si
era trovata a combattere con Gargoyle e i Neoatlantidei ma con se
stessa, col
suo odio e amore per la persona che più le stava vicino. E
adesso che aveva
finalmente trovato la scelta giusta, non gli importava più
del resto, dei loro
nemici, del loro passato. Avrebbe cercato di dimenticare, questo per
lui avrebbe
potuto farlo.
E così si addormentavano senza più alcuna
preoccupazione, senza pensare al
domani.
Tuttavia nei pensieri di Nemo c'era sempre una piccola speranza, quella
di
rivedere sua figlia Nadia ancora una volta, ma tutte le volte che ci
pensava reprimeva
forzatamente quel pensiero. Ma più andavano là
con i giorni e più il desiderio
era forte, tanto che anche lei alla fine si accorse che c'era qualcosa
che non
andava, qualcosa che non voleva dire. Così decise di
parlarne con lui, nel
momento più opportuno.
Erano sdraiati e parlavano dei momenti passati insieme, ridendo. Ad un
certo
punto lui fissò un punto indeterminato di quello che doveva
essere un cielo e
rimase così per un po’, immerso nei propri
pensieri. Lei se ne accorse e decise
che quello era il momento buono per affrontare l'argomento.
"Sai, è da un po’ di tempo che ti vedo strano...
mi vuoi dire che
hai?". Lui si voltò a guardarla, fissandola nei suoi occhi
blu, poi tornò
a guardare il cielo.
"Pensavo... a noi, a Neoatlantide, a Nadia... non so più
cosa è giusto e
cosa è sbagliato, non so che decisione prendere..."
"Quale decisione?" rispose lei guardandolo un poco sorpresa.
"Rimanere qua per sempre con te al mio fianco oppure cercare di salvare
Nadia... se rimanessi qua, lei probabilmente morirebbe ed io vivrei col
rimpianto di non aver mai fatto nulla nella mia vita per lei... non
nego il
fatto che io sia stato artefice di numerose morti, ma adesso che tutto
è
cambiato, adesso che finalmente so cosa voglio, ho deciso che non avrei
più
abbandonato coloro che amo... ma adesso Nadia si trova in serio
pericolo di
vita, se le capitasse qualcosa, io non me lo potrei mai perdonare... ma
se
decidessi di andare, rischierei di perdere te ed io..." lei
bloccò il suo
discorso mettendogli un dito sulla bocca.
"Per tutte le cose c'è un rischio, ma comunque sappi che se
anche
deciderai di andare a salvare Nadia, ebbene, io sarò sempre
con te, non importa
quello che accadrà... ti giuro che non mi perderai mai... so
quanto Nadia sia
importante per te ed anch'io ho sbagliato a dubitare di te quando lei
era a
bordo del Nautilus, finendo per odiarla... " rimasero in silenzio per
un po’.
Lei ricordò la discussione avuta con lei nei bagni del
Nautilus. Nadia aveva
paura che lei avesse potuto portargli via l'affetto di Jean, ma la
rassicurò,
dicendole che per lei Jean era come un fratello minore.
"...un fratello minore?..." Nadia rimase per un momento
pensierosa
e sorrise per il fatto di aver dubitato di lui per un solo momento...
Si susseguivano i ricordi.
"... grazie, ma non adularmi, questo è un
complimento che dovresti fare
a Nadia, non a me!"
Già, aveva dimenticato Jean. Quel singolare ragazzino che
attirò la sua
attenzione dalla seconda volta in cui si rincontrarono a bordo del
Nautils
aveva suscitato in lei un ricordo di nostalgia. Per lei, Jean era
davvero un
fratellino minore e questo si sarebbe potuto mettere contro tutta
Neoatlantide
pur di salvare Nadia, andando però incontro ad una morte
certa. E proprio alla
fine, quando tutto sembrava ormai perduto, aveva incominciato a voler
bene
anche a Nadia. Anche loro avevano perso sin da piccoli l'affetto dei
genitori, e
vi erano moltissimi particolari che erano comuni a tutti e due.
E alla fine dei conti non potevano escludere del tutto la
possibilità di riavere a che fare con i Neoatlantidei,
seppur indirettamente,
in quanto non potevano escludere i malvagi intenti di Gargoyle, che
potevano
andare dal dominare il mondo o la distruzione della terra stessa.
No, Gargoyle sarebbe rimasto un pericolo finché fosse
rimasto in vita, ma non solo.
Anche la vita di Nadia costituiva di per sé un pericolo. Per
quanto triste e orribile fosse da pensare, era una verità
con cui fare i conti.
“Cosa
accadrebbe se
Gargoyle finisse per usare Nadia?” pensò
Electra.
La morte di uno dei due
sarebbe stata inevitabile, o per il
raggiungimento dei malvagi scopi di Neoatlantide, o per la pace
assoluta,
riuscendo a salvare Nadia dalle grinfie di Gargoyle.
Si chiese cosa avrebbe potuto dare in cambio di questa
utopica pace, adesso che finalmente, anche se apparentemente,
l’avevano
trovata. Come per tutte le cose, c’è un prezzo da
pagare per raggiungere uno
scopo.
“Ma
quanto alto sarà
il costo nel dover fare questa scelta?”
In ogni caso
c’era in gioco la loro stessa vita, che lo
volessero o no.
“Allora
se tanto dobbiamo
rischiare la nostra vita, preferirei perderla nella consapevolezza di
aver
tentato di salvarli, piuttosto che stare qua ad attendere ansiosamente
la
nostra fine … magari non riusciremo a salvare le nostre
vite, ma forse potremo
sperare di salvare il futuro degli altri … il sacrificio di
pochi per la
salvezza di molti …”
Questo e altri pensieri
catastrofici riempivano di ansia
crescente la mente di Electra. Per un attimo la sicurezza che aveva
prima sul loro futuro
fu sostituito da un soffocante e angoscioso dubbio.
“E se tutto tornasse
come prima? Sarei pronta ad affrontare i nuovi dolori che il destino ci
ha serbato
per noi? La perdita di un altro fratello? La perdita
dell’amore?”
Il cuore
cominciò a battere dolorosamente nel suo petto,
tanto che poteva riuscire a sentirlo. Il timore di perdere tutto, il
conosciuto sentimento dell’abbandono
e della solitudine.
Cominciò ad innervosirsi, mentre cercava invano di calmarsi.
In quel momento lui se ne accorse. Si fissarono negli occhi
per un istante che a loro parve interminabile. Non c’era
bisogno di parlare, i
loro sguardi bastavano per capire che c’era qualcosa che non
andava.
“Non preoccuparti, Medina” disse infine lui.
“La vita è fatta di scelte, che noi lo vogliamo o
no …
quello che noi possiamo fare, è scegliere il male minore
… noi tenteremo di
salvare Nadia, per il bene di tutti noi … e venga quel che
sarà … ”
Lei si calmò, il dubbio svanì. Rimase solo un
po’ di
tristezza per le verità, purtroppo evidenti, che lui le
aveva fatto notare.
“Era inevitabile … arrivare a questo punto per poi
tornare
sui propri passi … ” rispose lei, sorridendo.
Lei lo baciò e lui rispose al bacio con passione...
“Per
adesso noi dormiamo,
insieme, attendendo quel che verrà, quello che noi chiamiamo
fato … per adesso,
il resto non ha importanza … per adesso, non possiamo fare
altro che aspettare
il domani per scegliere.”
Finalmente
ce l’ho fatta!!!
Ringrazio
particolarmente luisa, elektra810, blue sun per i commenti e gli
incoraggiamenti a terminare la mia fic.
Grazie
Al
prossimo, ed ultimo,
capitolo.
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