IL MOSTRO DI BOSTON : SLENDER MAN

di Lordvessel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CONOSCENZE ***
Capitolo 2: *** UN PASSO VERSO IL MISTERO ***
Capitolo 3: *** IL VIAGGIO VERSO BOSTON ***
Capitolo 4: *** HOME SWEET HOME! ***
Capitolo 5: *** LA VECCHIA CASA ***
Capitolo 6: *** IL SIGNIFICATO DEI SOGNI ***
Capitolo 7: *** "You belong to me." ***



Capitolo 1
*** CONOSCENZE ***


Avevo finito appena di vestirmi, ero molto elegante,pettinato, mi davo l’illusione che una cravatta in ordine potesse farmi apparire una persona normale,senza il caos in testa e soprattutto, non il socio fobico che ero. Presi il pullman e mi recai per l’ennesima volta dal mio psicologo, il dottor Meis,che allora era davvero l’unica persona a cui nonostante i miei 28 anni suonati riuscissi a rivolgere la parola, forse perché un po’mi fidavo di lui essendo stato grande amico dei miei. Iniziammo la conversazione come facevamo di solito, discutendo su come stessi, se avessi fatto progressi e soprattutto se le mani non mi tremassero ogni volta che reggevo qualcosa. La mia risposta era sempre la stessa: un secco e annoiato “no.” Non volevo essere curato, stavo bene da solo, passavo le mie giornate guardando vecchi film e leggendo libri di Pirandello,  ma i miei avevano sempre voluto che mi facessi una famiglia e mi appariva complicato visto che non riuscivo a dire una parola se non a quell’occhialuto 50enne.
Dopo quei ripetitivi convenevoli iniziammo la terapia che di solito consisteva nel trovare un ricordo della mia adolescenza. Secondo lui solo un trauma poteva avermi dato una socio fobia così avanzata da non poter essere risolta nemmeno attraverso farmaci, i risultati però erano sempre molto scadenti, la mia infanzia (timidità patologica esclusa) era stata abbastanza normale, provenivo da una famiglia benestante, e perlomeno allo scritto avevo sempre il massimo dei voti,d’altronde cosa poteva fare un ragazzino muto se non leggere e studiare?
Mi feci la mia quotidiana ora dal dottor Meis e dopo esserci salutati cordialmente ritornai a casa, presi 2 libri a caso dall’ultima raccolta che mi avevano regalato i miei zii, mi misi vicino al camino, con la mia solita tazza di tè, e cominciai ad avventurarmi in quello che era il mio unico piacere: la lettura. Leggevo di tutto,dai libri alle riviste,talvolta anche le descrizioni dei prodotti alimentari sul loro contenuto calorico. “Io vi ho portato la corona di fiori promessa e ogni tanto mi reco a vedermi morto e sepolto là. Qualche curioso mi segue da lontano; poi, al ritorno, s'accompagna con me, sorride, e – considerando la mia condizione – mi domanda:
– Ma voi, insomma, si può sapere chi siete?
Mi stringo nelle spalle, socchiudo gli occhi e gli rispondo:
– Eh, caro mio... Io sono il fu Mattia Pascal.”
Queste furono la frasi che chiusero la mia giornata prima di coricarmi. La mattina seguente feci colazione al solito posto e alla solita ora. Alle 8 arrivai al bar giù all’appartamento in cui vivevo, vi domanderete come facevo ad ordinare il mio solito cornetto nonostante la mia socio fobia, beh, semplice, non lo facevo. Passavo per il bancone, mi servivo da solo e lasciavo 2 euro sulla cassa. All’inizio ogni volta che entravo venivo fissato da tutti , chissà quanti mi avranno preso per muto, mentre ora quasi nessuno più si accorgeva di me, credo ci avessero fatto l’abitudine.  Dopo aver fatto colazione,  mi misi di buona lena verso il cimitero, passai per l’indiano che vendeva le rose,ne presi una e gli gettai 1 euro nel cesto che usava per chiedere l’elemosina e ripresi il cammino;
era bello non aver nessun dovere nel doversi relazionare ad un altro, l’indiano non sapendo parlare l’italiano in quel momento era un muto, esattamente come me.

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Capitolo 2
*** UN PASSO VERSO IL MISTERO ***


Dopo 15 minuti arrivai al cimitero, ero l’unico “giovane”, il resto per lo più era composto da anziani. Osservavo la gente intorno a me mentre camminavo fra le lapidi, era affrante, ognuno di loro piangeva il proprio caro ormai passato a miglior vita. Pensai  tra me e me “chissà se qualcuno verrà al mio funerale”anche se la risposta era abbastanza ovvia: “Certo che no, tu sei solo, forse il Dottor Meis sempre che non schiatti prima di te”. Il volto straziato della gente mi metteva a disagio, non perché mi deprimesse, ma perché mi faceva sentire strano, io non mi comportavo così,forse perché per me era la solita routine. Avevo 19 anni quando mio padre morì e a lui seguì mia madre un anno dopo,ricordo ancora il suo volto sereno senza l’angoscia o la paura di passare oltre, probabilmente per la speranza di ricongiungersi a mio padre. Pensando a questo anche a me scese una lacrima.  Finalmente intravidi  la tomba dei miei genitori, andavo a trovarli ogni giorno e mi sembrava il minimo visto che nel corso della mia vita erano stati ,assieme ai libri, il mio unico conforto e sostegno. Ho sempre pensato di  essere stato una delusione per loro, pur non avendomi mai dato l’impressione di ciò per l’ amorevolezza che mi davano, ma sapevo del loro desiderio di avere dei  nipoti, di allargare la famiglia: io avrei dovuto sposare una ragazza di buona famiglia, fare 2-3 figli, prendere il posto di mio padre alla banca quando lui sarebbe andato in pensione e vivere tutti assieme in un casa grandissima felici e contenti. Io invece cosa avevo ottenuto? Nulla , certo avevo avuto un’ottima istruzione che mi  avrebbe sicuramente permesso di lavorare,  ma concretamente non avevo mai concluso niente nella vita e campavo solo grazie all’ingente eredità lasciatami dai miei. Una volta deposta la rosa sulle loro tombe mi concessi qualche minuto per osservare il nome sulle loro lapidi, poi feci il segno dell’Ave Maria e mi incamminai per casa. Mentre stavo uscendo dal cancello del cimitero mi arrivò una chiamata dal Dottor Meis che mi urlò di venire subito da lui. Da lì cambiai strada dirigendomi verso il suo studio. Ero davvero molto curioso,dal tono della sua voce sembrava come se avesse qualcosa di davvero importante da dirmi, magari riguardo ad una possibile svolta nella terapia. Arrivato lì mi affrettai a percorrere le scale che portavano al suo studio,entrai ancora ansimante per la corsa e vidi che il Dottor Meis non era solo:
-  Dottor Giuliani le presento Andrea Sieri, uno dei casi più strani che io abbia mai visto.
Il Dottor Meis porse un quaderno, contenente probabilmente quelle che erano state le relazioni su di me durante le sedute, al Dottor Giuliani :
- Il soggetto, Andrea Sieri, nato il 13/12/86 […] presenta una forma insolita di socio fobia, il paziente infatti nonostante la sua personalità perfettamente riconducibile alla media, non riesce ad avere un dialogo se non a dire una parola verso altri individui che non siano il suo terapeuta, me, il Dottor Salvatore Meis […] La diagnosi è che in assenza di prove concrete, la patologia può essere solo riconducibile ad un trauma avuto probabilmente fra l’infanzia e l’adolescenza rimosso poi in seguito dal proprio subconscio.
E qui a parole del Dottor Meis, entrava in gioco il Dottor Giuliani, egli infatti era solito praticare l’ipnosi  con i propri pazienti appunto per scovare traumi rimossi.
Il Dottor Meis si munì di carta e penna con l’intento di scrivere ogni parola che mi sarebbe uscita da bocca durante l’ipnosi, mentre il Dottor Giuliani iniziò la terapia : da lì ciò che ricordo è il vuoto.
Svegliatomi la prima cosa che notai fu il volto abbastanza turbato dei due medici,chiesi al Dottor Meis cosa avessi detto di così terribile nel mio stato di trance, e mi diede il block notes in cui aveva annotato le mie parole.  Da tutto ciò che avevano raccolto un solo episodio mi saltò all’occhio:
all’incirca all’età di 12 anni, mentre ero dai miei zii a Boston nel Massachusetts, probabilmente in soffitta a leggere vecchi libri, avrei cominciato ad urlare all’improvviso. Il resto del giorno lo passai nello studio ad analizzare i nuovi dati, pranzai e cenai assieme ai due dottori finché verso le 22:00 non mi accompagnarono a casa. Una volta entrato mi sdraiai immediatamente sul letto, speravo solo che il caos nella mia testa scomparisse, ero da una parte impaurito dal ricordo che mi aveva procurato il trauma, dall’altra incuriosito,d’altronde se avessi saputo cosa mi aveva spaventato a 12 anni con l’aiuto del Dottor Meis avrei avuto una cura non solo per la mia socio fobia ma per la mia intera vita.  Non chiusi occhio e sapevo che non ci sarei mai riuscito se non avessi fatto almeno un passo verso la verità. Verso le 3 chiamai il Dottor Meis e gli chiesi un grosso favore: di accompagnarmi a Boston, alla casa dei miei zii dove saremmo stati ospitati, per fare luce su tutto. Sebbene un po’ assonnato accettò , e ironicamente disse che così avrebbe finalmente potuto liberarsi di me. Da quella conversazione la mia mente fu molto più tranquilla, tant’è che riuscii a prendere sonno. La mattina seguente non andai al bar, avevo altro da fare, mettermi d’accordo col Dottor Meis sul viaggio: io avrei pagato tutto e preparato i bagagli mentre lui si sarebbe occupato della prenotazione del volo,di avvertire i miei zii per il soggiorno e di farmi da portavoce, visto che io non riuscivo a parlare. Per la prima volta nella mia vita qualcosa era cambiato, ero pervaso dalla curiosità e dal desiderio che un giorno avrei potuto provare il brivido dell’essere “normale”.

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Capitolo 3
*** IL VIAGGIO VERSO BOSTON ***


7:00 Ciampino-Roma

Eravamo appena arrivati all’aeroporto ed avevamo entrambi l’aria molto assonnata: il Dottor Meis in quanto si era svegliato molto prima di me dovendo venirmi a prendere con l’auto alle 6:30, io perché fremevo dalla voglia di volare. Non viaggiavo su un aereo dall’ultima volta che tornai da Boston e seppur fossero passati numerosi anni da allora ne conservavo il piacevole ricordo: l’osservare le nuvole, il guardare il mondo dall’alto,gli stormi di uccelli dal finestrino.
Posati i bagagli e dopo vari controlli salimmo a bordo, prima classe! Io e il Dottor Meis volevamo viziarci prima di dover iniziare il lavoro in America, lì sull’aereo vidi molta gente,soprattutto adulti, aver paura di volare. Io non capivo quella paura, perché essere tanto paranoici su possibili incidenti? Il mondo già da poche sicurezze, affidiamoci almeno a quella del pilota!
Le hostess erano tutte molto carine e cordiali (come ci si poteva aspettare) e il Dottor Meis mi sussurrò
- Quella mi ha sorriso, hai visto anche tu?

Che strano tipo il Dottor Ugo Meis, 50 anni con moglie e figli che non si era posto il problema di abbandonare per accompagnarmi nel viaggio e ora si interrogava se l’hostess ci stesse o meno.
Io risposi con: Sarà il fascino dell’uomo maturo col toupet.

Io e il Dottor Meis  ci conoscevamo da anni, lui mi seguiva sin da quando era un neolaureato e io ancora un pupetto, e non era insolito che io facessi battute anche un po’ offensive contro di lui che nonostante tutto  prendeva sempre a ridere. Era l’unico con cui parlassi o con cui avessi parlato dal trauma in poi, per certi sensi poteva essere considerato addirittura il mio migliore amico. Pensai “Il tuo migliore amico ha il doppio dei tuoi anni ed è il tuo strizzacervelli, bel lavoro Andrea”
Dopo una buona mezzora a parlare col Dottor Meis su chi fosse la più avvenente delle hostess lui decise di farsi un sonnellino, e, siccome il viaggio era ancora lungo e non avevo voglia di star fermo senza fare niente, decisi di estrarre uno dei miei libri dalla borsa che mi ero portato, ne presi uno a caso ed uscì “Le affinità elettive” di Goethe.  Era il libro che mi aveva dato il Dottor Meis prima di partire: “So che a te piace leggere e non mi andava di buttarlo, devo imparare che giovani di oggi come mio figlio preferiscono un x-box alla cultura”.  Ah i videogames, se avessi preso quel piglio al posto della lettura ora sarei uno zombie.
Lessi i primi 5 capitoli e scelsi, visto le mie palpebre stanche, di dormire anche io, sperando che al risveglio l’arrivo a Boston sarebbe stato ormai imminente.  Parlando col Dottor Meis mi ero quasi scordato della mia socio fobia, l’aereo è così pesante eppure riesce a volare, noi uomini dovremmo imparare fare lo stesso. 

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Capitolo 4
*** HOME SWEET HOME! ***


Boston 18:00 - Stavo ancora dormendo quando atterrammo nonostante il capitano ci avesse avvisato attraverso l'altoparlante. Il Dottor Meis, che aveva lo sguardo più rilassato del mondo,mi svegliò con una pacca sulla spalla dicendo di scendere a ritirare i bagagli e a far controllare i passaporti, io sebbene fossi ancora assonnato lo seguii. Fuori l'"Aeroporto Internazionale Generale Edward Lawrence Logan" c'erano i miei zii ad attenderci con il classico cartello col nostro nome scritto sopra per farsi riconoscere e raggiungere in fretta. Come mi avvicinai a loro mi saltarono addosso dalla gioia abbracciandomi e baciandomi sulla guancia per poi dirmi,con quell'italiano dal forte accento americano tipico delle ragazze palestrate delle pubblicità di MediaShopping, "Bentornato Andrea,ci sei mancato tanto!" Subito dopo salutarono anche il Dottor
Meis,vecchio amico di famiglia,ma con una più contenuta stretta di mano. Ci aiutarono a caricare i bagagli in auto e ci accompagnarono a casa. A mia sorpresa però la casa non era affatto come la ricordavo. I miei dubbi si sciolsero quando mio zio disse: Home sweet home!Ti piace la nostra muova dimora?E' più vicina al centro e anche molto più spaziosa! I nostri piani si andavano a complicare,ma io e il Dottor Meis decidemmo di tener ancora nascosto il motivo della nostra visita. Entrammo nella nuova e sfarzosa casa,e fummo accompagnati nella camera degli ospiti in cui sistemammo i bagagli. Il tempo di una doccia e fu ora di cena,io e il Dr.Meis ci vestimmo e scendemmo giù in soggiorno dove ci attendeva una marea di cose da mangiare,dalle linguette allo scoglio all’italiana fino ad arrivare alla tipica aragosta bostoniana. Tra un pasto e l'altro i miei zii cominciarono a parlare prima di loro "Sai come abbiamo fatto a
permetterci una casa simile?La piccola azienda di famiglia col tempo si è trasformata in una vera impresa. Ricorda figliolo il lavoro ripaga sempre!" Poi chiedendomi come stessi e che avessi combinato in questi anni. Da lì intervenne il Dr.Meis che spiegò tutto della mia patologia dettaglio per dettaglio,da quando aveva iniziato a seguirmi fino ad ora,e con ciò rivelò anche il motivo della nostra visita. Ricevendo l'informazione i cari zietti per 5 secondi rimasero scioccati in silenzio, ma,subito dopo,ripresero a raccontare aneddoti e storie su come l'impresa farmaceutica familiare avesse decollato imponendosi in tutto lo stato del Massachusetts, e anzi si dimostrarono interessati ad aiutarmi. Mio zio disse che domani mi avrebbe portato alla vecchia casa che era rimasta di sua proprietà nonostante la stesse affittando ad un amico...però prima mi avrebbe portato a pesca. Ero contentissimo,dopo anni avrei ricominciato a vivere esperienze che non fossero contenute in un libro.

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Capitolo 5
*** LA VECCHIA CASA ***


La mattina seguente ebbi un tenero risveglio, avevo dormito sereno, poiché sapevo che finalmente oggi sarei tornato alla vecchia casa. Il suono delle uova strapazzate, del bacon che cuoce e della macchina per i toast tipico della colazione americana, mi dava un non so che di rilassato e la pensava come me il Dottor Meis. 
Dopo aver fatto colazione chiesi al Dottor Meis di domandare a mio zio della casa,e lui rispose, rivolgendosi a me però, che prima come promesso dovevo venire con lui a pesca. 
“Ho parlato già col mio amico ed è disponibile a riceverci per le 18:00, quindi alle 15:00 ti porterò al Mystic  a pescare”- disse mio zio sorridendo – Mia zia invece mi propose di venire con lei a vedere un po’ come era la città, accettai a patto che venisse con noi anche il Dottor Meis, così mio zio andò a lavoro mentre io e il Dottor Meis ci vestimmo per l’imprevista gita. Eravamo in pieno Autunno e, secondo mia zia, era il periodo migliore per ammirare Boston per via dell’”Indian summer” in cui gli alberi si accendono di mille colori che conferiscono alla città un fascino indiscusso. Dopo aver preso i cappotti ci incamminammo per il centro,piuttosto vicino all’abitazione, e prendemmo una navetta che portava dapprima al Museum of fine arts per poi arrivare alla periferia dove era possibile vedere meglio l’Indian summer e il suo alternarsi di verde rosso ed arancione. L’alternarsi dei colori, le foglie che cadevano in perfetto sincronismo, faceva sentire gli osservatori di quello spettacolo in un vecchio quadro, in cui anche la semplicità dell’autunno sul paesaggio riesce a suscitare emozioni. Tornati in centro mi portò in una biblioteca dicendo di ricordare ancora bene la mia irrefrenabile passione per i libri. Entrato in quell’enorme biblioteca mi sentivo come un bambino in un negozio di dolciumi, l’unica difficoltà era la scelta. I nomi dei generi di libri intarsiato in oro in quel legno d’ebano degli scaffali assieme all’ampissima vastità di volumi fra cui scegliere dava tanto l’impressione che si trattasse di un paradiso per lettori. Mia zia, da donna premurosa che era, mi aiutò a scegliere, vedendomi perplesso, e prese alcuni libri che parlavano di leggende metropolitane,creepypasta, vecchie credenze del luogo.. 
-“Ti piacevano così tanto quando eri piccolo, poi sono scritte in un inglese abbastanza semplice e nel caso avessi bisogno di aiuto nella traduzione ci siamo sempre io e zio Mark”- disse zia Margaret-  Accettai sorridendo il consiglio ed una volta pagati i libri ci dirigemmo verso casa. Anche il Dottor Meis prese un libro ma insistette nel non dirci il titolo ed il genere.
Tornati a casa, mio zio già era lì e aveva iniziato a cucinare, zia Margaret lo ringraziò con un “grazie caro” ed un tenero bacio sulla guancia. Era bello vedere una coppia che nonostante tutti questi anni era ancora affiatata.  “Allora Andrea sei pronto per la pesca?” disse zio Mark ed io annuii. Dopo il pranzo passato sia a mangiare che ad ascoltare i loro soliti aneddoti, capii perché zio Mark aveva tanto insistito nel portarmi a pesca, e non era solo per passare tempo col nipote che non vedeva da tempo ma piuttosto perché amava la gente che sapeva ascoltare, essendo un logorroico cronico. Dopo pranzo si erano fatte già le 14 circa e molto entusiasta mio zio già iniziò a prepararsi per la pesca chiedendomi di fare lo stesso. Alle 14:30 partimmo sul suo grande Suv per arrivare ad uno dei punti in cui era possibile pescare al Mystic River. Durante il viaggio non fece altro che parlarmi di quale bella esperienza fosse pescare, dei suoi numerosi premi vinti alle gare ecc. Arrivati lì mi aiutò a fissare le canne da pesca e mi insegnò come mettere l’esca all’amo,e,come avevo già sospettato, anche se non avessi avuto la socio fobia comunque non avrei avuto modo di parlare con un uomo così chiacchierone come zio Mark. Tornati a casa con un cospicuo bottino mi andai a lavare e mi preparai per quello che attendevo da tutta la giornata : tornare alla vecchia casa. Alle 18 meno un quarto partimmo, questa volta anche col Dottor Meis, e arrivammo lì a New Chardon Street 97. Dopo i convenevoli con l’amico di mio zio che era ospitato in quella casa, io e il Dottor Meis cominciammo ad esplorare quella dimora che dopo tanti anni,seppur abbastanza vecchia, faceva sempre un certo fascino poiché era la classica abitazione americana tutta in legno con un vasto giardino all’esterno. Prima fummo condotti alla mia vecchia camera,ancora in buono stato. Sembrava tornarmi la memoria, ricordavo dove giocavo, lo scaffale in cui tenevo i libri,il mio letto, e pensandoci mi veniva un po’ di malinconia stando lì. Subito dopo salimmo su in soffitta, il posto in cui ero solito mettermi a leggere i libri. Al contrario delle altre stanze della casa, la soffitta era rimasta abbandonata da tempo e la polvere e le ragnatele segnavano quel posto.  All’improvviso salì zio Mark e disse mostrandomi una vecchia scatola, che non aveva buttato nulla di quelli che erano i miei disegni, i miei scritti,le mie foto. Cominciai a guardarli e con mia grande sorpresa trovai…Niente. Nulla di utile,nulla che fosse particolarmente significativo per capire quale fosse il trauma.  Presi la scatola e anche se un po’ sconsolato, decisi di portarla con me nella nuova casa. Tornati ripresi quella scatola assieme al Dottor Meis e cominciai di nuovo a rovistare fra i miei ricordi. Il Dottor Meis mi disse scherzando “Eri un ragazzino molto creativo, magari mio figlio avesse letto tanto come te da giovane” e cominciò ad applicare le sue conoscenze sulla psiche infantile per tracciare ancora più profondamente una linea del mio stato d’animo allora:
-  “In alcuni scritti la tua calligrafia è chiara, in altri invece è più distorta come se fossi stato nervoso.”
- “Sarò stato arrabbiato per qualche sciocchezza, sai come sono i bambini.”
- “ Capisco che eri un po’ particolare, ma comunque di solito i ragazzini quando sono arrabbiati si lagnano, tengono il muso, non scrivono! O perlomeno se scrivono lo fanno su un diario in cui si sfogano..”
- “Cosa stai cercando di dire?”
- “Che forse la tua calligrafia leggera e sciolta rappresenta te prima del trauma mentre l’altra quella dopo il trauma.”
- “Ma se non ricordo niente.”
-“ Per quanto il subconscio ti possa liberare da un ricordo,nascondendolo alla coscienza, esso rimarrà sempre in te, proprio nello stesso subconscio e si enuncia proprio nelle piccole cose, per esempio il non riuscire a tenere la mano ferma, oppure ad ossessioni, e come nel tuo caso, a fobie.”
- “Sembra che ciò che credevo fosse insignificante si stia rivelando utile..”
- “Diffida sempre dalle apparenze.”
E’ incredibile come il Dottor Meis trovasse sempre qualcosa di utile in tutto. Si fece tardi e dopo cena tutti e quattro andammo a coricarci per la notte. Seppur esausto pensai alle parole del  Dottor Meis riguardo il non sottovalutare nulla e poi subito dopo a quelle di mia zia sulla mia vecchia passione per i Creepypasta, la lettura è sempre stata importante per me e forse alcune risposte si trovavano proprio in quei libri. Così ne presi uno a caso e iniziai il primo capitolo che parlava dello Slender Man di Victor Surge. Poco dopo aver finito il capitolo mi appisolai sapendo che oggi era stato il primo passo concreto verso la verità.

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Capitolo 6
*** IL SIGNIFICATO DEI SOGNI ***


Spalancai leggermente le palpebre e vidi ciò che stava accadendo: ogni cosa di fronte a me era distorto, sfocato. Un fumo nero iniziò a formarsi qualche metro sopra la mia testa, diventava sempre più grande, e più denso. All'improvviso cominciai ad udire un suono stridulo simile ad un urlo di dolore,molto acuto, la cui intenzione evidente era quella di rompermi i timpani. Il fumo si avvicinava verso di me come se volesse inghiottirmi, ad un certo punto da esso ne uscì un volto senza occhi, né naso,né orecchie,solo una bocca spalancata da cui si intravedevano i denti aguzzi e una lingua nera. Il mio cuore iniziò a battere all'impazzata, ma ero pietrificato,debole, non riuscivo a muovermi!Il mio respiro si faceva sempre più pesante, la paura mi stava soffocando, avrei voluto alzarmi e scappare ma non ci riuscivo. La sua lingua nera e viscida si avvicinava sempre di più al mio collo, allora feci un grosso respiro finché non ebbi li forza da riuscire ad emettere un gridolino, prima di svenire. Ripresi conoscenza e vidi Dottor Meis che mi chiamava:
 - Andrea! Andrea!
Saltai fuori dal letto e iniziai a parlare velocemente e alla rinfusa, ma ad alta voce.
- Un fumo nero!Da cui è uscita una testa con i denti aguzzi e la lingua, delle urla!
-Figliuolo calmati e dimmi cosa è successo.
In quel momento accorsero anche i miei zii:
- Abbiamo sentito un urlo e siamo accorsi!- disse zio Mark.
Riuscendo a parlare solo col Dottor Meis, egli chiese di uscire momentaneamente ai miei zii per poi spiegare anche a loro l’accaduto. Il Dottor Meis era molto interessato nel sapere ogni minimo dettaglio (“I sogni non riguardano mai delle sciocchezze; non permettiamo infatti che il nostro sonno venga turbato da inezie.” Citando Freud) mentre mio zio,una volta che gli fu spiegato tutto dal Dottor Meis, esclamò: - È lo Slender Man, ne andavi matto da piccolo, ma come hai fatto a sognarlo di nuovo  dopo tutti questi anni?
Allora intervenne mia zia che, prese in mano il libro di Creepypasta comprato in centro la scorsa volta e sorridendo disse: - Colpa mia!
- Ecco spiegato il mistero!E’ stato solo un incubo. – Aggiunse Zio Mark.
Zia Margaret - Già solo un brutto sogno!- E rivolgendosi a me - Ti prendo un po' di camomilla, tu rimettiti a letto che domani ci aspetta un'altra giornata impegnativa, non hai ancora visto nulla della grande Boston! Dopo aver preso la camomilla gli zii tornarono a letto e rimanemmo in stanza solo io e il Dottor Meis che bisbigliando disse: - C'è qualcosa che non mi convince...
- Ovvero?
- Da come ho sentito, tu da piccolo andavi matto per lo Slender Man, cioè ne eri affascinato …
- E quindi?
- Perché avresti dovuto fare un incubo su di lui?
- Sul libro ci sono molte storie di orrore sul suo conto…
- Non mi sei mai sembrato un tipo facilmente impressionabile.
Non seppi che rispondere, il Dottor Meis voleva farmi capire che si trattava in suo parere di un semplice brutto sogno ma che significava di più.
- Magari, seppur non nella stessa casa, l’ambiente familiare di Boston, accompagnato da le stesse cose che facevi proprio qualche anno fa quando arrivasti per la prima volta qui come girare in città o leggere Creepypasta..
- Una sorta di flashback?
- Non proprio, sarebbe un flashback se tu avessi sognato già o avuto un vero incontro con lo Slender Man, secondo me è come se tu avessi avvertito una tensione, per me, hai rivissuto il trauma, ma inconsciamente. E’ come se fosse stato mascherato dall’immagine dello Slender Man. In poche parole hai visto lo Slender Man ma hai sentito ciò che hai provato nel momento del trauma, è come un puzzle, tante esperienze sensibili rivissute ti hanno portato a quella traumatica altrettanto rivissuta. Ripetendo quasi tutto quello che facevi qualche anno fa hai ottenuto solo le sensazioni del trauma, questo significa che per avere l’esperienza completa..
- Dovremo tornare alla vecchia casa.
- Esattamente. Se nel corso di un solo giorno abbiamo due o più esperienze adatte a provocare un sogno, questo farà riferimento ad un tutto unico; esso è costretto a farne un'unità.
-
Sempre Freud?
- Altrettanto esatto.

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Capitolo 7
*** "You belong to me." ***


Il giorno seguente io e zia Margaret,accompagnati dal solito Dottor Meis, andammo al parco: 
- “Ci venivamo sempre assieme ai tuoi genitori, vedi lì vicino a quella panchina, facevamo spesso dei picnic e mentre noi mangiavamo tu leggevi, come sempre, disteso sull’erba con il volto ricoperto verso il sole riparandoti però dai suoi raggi con la copertina del libro.” – disse Zia Margaret.
- “Sarà molto utile per la terapia allora!” – Così esclamò il Dottor Meis di tutta risposta mentre io mi limitai solo ad annuire e a sorridere.  Zia Margaret allora insistette nel farci porre il telo da picnic in quel medesimo posto per rivivere i vecchi i tempi. Io per non essere da meno mi distesi all’improvviso,come da bambino, su quel suolo d’erba guardando verso il cielo, come se aspettassi che qualcosa accadesse. Di quella mia reazione si accorse immediatamente mia zia che commossa scoppiò in un pianto di gioia. Questa volta non iniziai a leggere nulla però, guardavo l’intrecciarsi delle candide nuvole, volevo dimenticare chi fossi, cosa fosse accaduto ieri, almeno per un istante. Ci volle poco per appisolarmi, quando riaprii gli occhi mi guardai attorno ma non vi era nessuno a parte le fronde degli alberi mosse dal vento, forse ci ero riuscito: dimenticandomi di me gli altri avevano fatto lo stesso. Ero forse nell’Eden di cui tutti parlavano? In quel momento mi sentivo un tutt’uno con la natura e mi piaceva, la natura esiste, si manifesta , è tutto e nulla, il vento delle foglie ordiva la trama di un canto, i raggi solari ravvivavano il mio volto mentre il profumo dei fiori spiravano in me. Spalancai delicatamente gli occhi e mi ritrovai accerchiato da bambini che giocavano producendo un piacevole rumore puerile: c’è chi saltava la corda, chi giocava a tana libera tutti…Tutti ridevano e quella mia pace si interruppe. Non per il rumore, per carità, ma perché inevitabilmente mi facevano riflettere sulla mia infanzia perduta. Una ragazzina mi sorrise, si avvicinò e disse: “Sai lui ti sta cercando, credeva di averti perso.” Pensai si riferisse al Dottor Meis ma all’improvviso puntò il dito in una direzione, tutti i bambini erano scomparsi. Cominciai ad udire dei passi molto pesanti, paragonabili al forte battito di un cuore a pochi centimetri dall’orecchio. Comparve un uomo alto, dalle lunghe braccia, vestito in nero, ma soprattutto calvo e senza tratti somatici del volto: era lui. Cominciò ad avanzare verso di me, più si avvicinava e più il rumore dei passi diventava forte. Come l’ultima volta ero immobile, non riuscivo a muovermi, terrorizzato, paralizzato. Il senso di impotenza quando una fine che ci sembra inevitabile è ormai vicina. Pose il suo volto poco sopra il mio, mi toccò con le sue gelide mani e sentii “You belong to me.” Non aveva aperto bocca eppure riuscivo a sentire cosa volesse dirmi, era come se mi fosse entrato in testa. Dal suo viso si aprì la bocca e cominciò a strillare come aveva fatto l’ultima volta. I suoi denti si avvicinavano sempre di più, mi sentii inghiottire il volto e bruciare il cuore.
- Andrea!Andrea! Riprenditi figliolo! – Urlò il Dottor Meis scuotendomi con forza. 
- “C..Cosa è successo?”
- “Ti avevamo lasciato disteso sul prato, ma all’improvviso sei andato in preda alle convulsioni!Tua zia ha chiamato immediatamente l’ambulanza e ora siamo in ospedale.”
-  “Lei dov’è ora?”
-  “Fuori a parlare con tuo zio.”
- “L’ho sognato ancora…Lo Slender Man.”
- “Solito sogno?”
- “Peggio. Questa volta mi ha parlato.”
- “Parlato?Ne parleremo meglio a casa, ora hai bisogno di riposo.”
Poco dopo entrarono zia Margaret e zio Mark che subito dopo avermi chiesto come stessi mi presentarono il Dottor Bolton, un uomo alto, ben pettinato, con la barba e le mani ben curate, che dava l’impressione di essere qualcuno con sempre le cose in ordine. Il mio inglese nonostante le mie numerose permanenze qui non è mai stato geniale e infatti fu zia Margaret a tradurre ciò che disse: “Il Dottor Bolton dice che non sono ancora riusciti a risalire alla causa dell’accaduto, quindi ci ha raccomandato di tenerti qui un paio di giorni sotto osservazione, anche per non rischiare che si verifichino ancora convulsioni in ambienti che potrebbero rivelarsi pericolosi, come una vasca da bagno…”.
Feci cenno al Dottor Meis di poter fare le mie veci. Al mio contrario lui l’inglese lo parlava molto bene, ancora una volta comprendevo quanto fossi fortunato ad avere quell’uomo occhialuto tanto in gamba come amico fidato.
Il Dottor Meis espose la mia situazione al Dottor Bolton chiedendogli se poteva rimanere assieme a me per il periodo di permanenza all’ospedale. Egli acconsentì sorridendo e dicendo di essere sempre stato ben legato alla mia famiglia. L’idea di un pernottamento in ospedale non mi piaceva affatto, o meglio ormai non mi piaceva più l’idea di dormire.  Lo Slender Man mi aveva parlato e precisamente aveva detto che gli appartenevo.  Ora avevo la certezza che sarebbe tornato e ciò mi spaventava non poco. Fino ad ora ero stato sempre svegliato dal Dottor Meis, ma cosa sarebbe accaduto se fossi stato da solo l’ultima volta? Questa situazione di ignoto mi metteva ansia. Si era fatto tardi e un’infermiera entrò spegnendo le luci ed augurandomi sogni d’oro. Ironico no?

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