Underneath ice

di AgelessIce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tears of swan ***
Capitolo 2: *** Bleeding heart ***
Capitolo 3: *** Bucaneve ***



Capitolo 1
*** Tears of swan ***


Tears of Swan


-Camus POV-
Non è semplice, essere un cavaliere.
Non lo è mai stato, e di sicuro non lo diventerà.
Lo sappiamo tutti, e lo abbiamo accettato da tempo.

È per questo che i maestri devono necessariamente essere severi con i propri allievi.
Bambini strappati alla loro vita e privati dell’infanzia, senza aver modo di obiettare, senza potersi più permettere debolezze.

“Le lacrime non si addicono al volto di un cavaliere.”
Lo ripetevo spesso, questo, a Hyoga.

Lui piangeva, rannicchiato su se stesso, privato del sonno ancora una volta da qualche incubo. O ricordo.
Isaac si alzava, raggiungendo l’amico, e lo abbracciava.
Ed io lo sgridavo sempre, per questo, restando fermo  allo stipite della porta, le braccia incrociate.

Non mi avvicinavo mai di un passo, fissando il russo che sosteneva il mio sguardo.
Nonostante gli occhi cristallini e gonfi, pieni di lacrime che dovrebbero offuscargli la vista, lui sosteneva il mio sguardo.

“Io non voglio diventare un cavaliere, maestro.”
Diceva, con voce spezzata. Però non singhiozzava.

“Solo che quella nave non tornerà su per me. Sono io che devo andare giù. E devo essere forte, per questo. Perché il ghiaccio è spesso, e le correnti sono forti.”
Affermava, sicuro di sé, ed Isaac lo stringeva più forte, ordinandogli di non dire quelle cose.
Ed io mi limitavo a guardarlo con sufficienza, all’epoca.

Perché quello… quello era un bambino strano.
Non avrei mai pensato che potesse arrivare così in alto, nonostante lo sperassi.
Perché gli volevo bene, ma dovevo essere oggettivo.

Se mai fosse riuscito a conquistare l’armatura, non avrebbe retto al primo scontro.

Isaac invece era una scommessa vinta.
Aveva un temperamento simile a quello di Milo.
Coraggioso ed ostinato. Energico e giusto.

Portava a termine tutti gli esercizi a cui lo sottoponevo, con l’entusiasmo di un bambino che si appresta a sperimentare qualche nuovo gioco.
E lui, cavaliere, lo voleva diventare. Più di qualsiasi altra cosa.

Poi è morto.
Travolto dalla corrente gelida del mare Siberiano.
Una pessima morte.
Ed io avrei potuto salvarlo, se solo ci fossi stato.
Però io non c’ero,  e non so nemmeno se è morto affogato, o assiderato.
Oppure, stando al racconto di Hyoga, dissanguato.
Probabilmente per tutte e tre le cose assieme.

E così  la mia scommessa vinta ha perso al gioco.
Perché era coraggioso, ed ostinato, energico e giusto, e non avrebbe mai permesso all’amico di morire per un ricordo ormai passato.

Eravamo rimasti solo in due.
Il maestro intransigente ed il bambino strano.
Io e Hyoga.
E nessun altro.

Non è semplice, allenare dei bambini per renderli cavalieri.
Perché inevitabilmente muoiono. Se non durante l’allenamento, muoiono contro un nemico che non riescono a sopraffare.
E tu avrai passato anni della tua vita a plasmarli, renderli forti, solo per vederli spegnersi contro l’allevo di un maestro migliore.

“Ti avevo ordinato di non rompere quel ghiaccio.”
Mi ascoltava in silenzio. Piangendo anche quella volta.

“Ti avevo ordinato di restare lontano dalle correnti. Lontano dalla nave.”
E la mia voce era atona.
Nonostante volessi uccidere quel ragazzino, la mia voce era atona.

“Visto, dove ti ha portato la tua ossessione per i morti?”
Chiusi gli occhi, per la prima volta incapace di guardare qualcuno senza andare in escandescenza.

“Ne hai aggiunto uno alla schiera.”
E poi lo fissai con rabbia, e lui tremò, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.
Però, ancora, sostenne il mio sguardo.

“Complimenti, Hyoga. Hai un nuovo fantasma a tormentarti, ora.”
Sibilai, prima di voltargli le spalle.

Ricordo che lo odiai, in quel momento.
Inutile mentire, fingersi il maestro affettuoso e comprensivo che non sono stato.

Aveva commesso un errore troppo grande perché io potessi semplicemente dimenticarlo.
Non aveva sbagliato un esercizio. Aveva ucciso la mia scommessa.
Aveva ucciso l’allievo che vedevo quasi come un figlio.

Lo odiai e tornai in Grecia, abbandonandolo a sé ed i suoi fantasmi.
Credevo che se si fosse suicidato, cercando di vedere nuovamente il viso della madre, non mi sarebbe interessato.
Mi avrebbero semplicemente affidato nuovi allievi, altri bambini pronti a concorrere per l’armatura del cigno.

“Problemi, Camus?”
Mi accolse così, Milo, tagliandomi la strada a metà del suo tempio.
Sorrideva, e cercava nei miei occhi una scintilla di qualcosa.

Non si è mai arreso, lui.  Ha sempre cercato la minima traccia di emozione, una qualsiasi.
Ha sempre cercato qualcosa che mi rendesse più umano.
Ed era spaventoso. Perché lui era l’unico a trovare quello che cercava.

“Errori. Errori, non problemi.”
La mia voce era piatta, mentre lui mi leggeva dentro. Il mio sguardo era fermo.
Ma lui capì lo stesso, facendosi da parte e lasciandomi passare.

“Cerca di non farne altri, amico.”
Mormorò, prima che io abbandonassi l’ottava.

Fu quella notte, quando per la prima volta da tempo il mio sonno non era stato disturbato dalle grida del russo, che capii appieno quella frase.
Tornai in Siberia nel cuore della notte, senza curarmi più di tanto della tempesta di neve e ghiaccio che infuriava.

E  Hyoga era fermo, seduto scompostamente sul misero tappeto posto davanti al caminetto.
Avvolto in una coperta troppo leggera, fissava lo scoppiettare delle fiamme. Quasi ipnotizzato.

“Mi dispiace, maestro.”
E quando si girò verso di me, dicendomi quella frase, i suoi occhi erano asciutti.
Gonfi ed arrossati, ma asciutti.

“Mi  dispiace, e voglio diventare cavaliere.”
Continuò, ed io sorrisi debolmente, odiandolo ed amandolo come un figlio.

“Non posso liberarmi dei miei spettri, e non posso dimenticarli. Posso impedire che altri si aggiungano alla schiera, però. Posso diventare cavaliere.”


È venuto da me che era un bambino. Un bambino strano che bambino in realtà non lo era più già da un po’.
Si è allenato per anni, crescendo e diventando forte. Sempre costretto però in un limbo tra l’infanzia che non voleva lasciare, nonostante l’avesse già fatto, e l’età adulta che non voleva raggiungere.

Eppure solo in quel momento, che era ormai un giovane ragazzo, diventò davvero mio allievo.
Quella fu la vera origine del cavaliere del cigno che diventerà leggenda.
Quello fu l’inizio del gioco.

“Niente lacrime, allora.”
Ordinai, chiudendomi la porta alle spalle.

“Niente lacrime. Non si addicono al volto di un cavaliere.”
Ripeté lui, con un sorriso triste ad incorniciargli li viso.
 


Salve a tutti!
Ultimamente ho scritto un sacco solo per poi cestinare tutto, così questà è la prima storia che posto da eree geologiche. Spero davvero che non sia pessima :(
 
Grazie per aver letto, alla prossima!


                                                      AgelessIce
 
 

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Capitolo 2
*** Bleeding heart ***


Avvertenze: Kouyuki è un personaggio di mia invenzione. Teoricamente, allievo di  Hyoga. La sua unica utilità, al momento, è permettermi di scrivere del cigno come maestro.

Bleeding heart


Sorrise, il cigno, al centro di quella tempesta di neve e ghiaccio.
Se ne stava fermo, il gelo che gli scaturiva dalle mani e che lo avvolgeva come un bozzolo, ad occhi chiusi.
Aveva un eleganza particolare, quel cavaliere. Un portamento che riusciva ad essere infinitamente freddo ed infinitamente caldo allo stesso tempo.
Non aveva un vero nemico da affrontare, non quella volta. Aveva smesso con le battaglie, messaggere di sangue e morte.
Non era più il galoppino degli dei.
“Non devi temere il freddo, Kouyuki.”
La sua voce era gelida, in armonia con la bufera. L’ululato del vento si confondeva alle parole, trasportandole come un suono indistinto ed inquietante.
Era un po’ come le melodie cantate dalle sirene, una litania poco comprensibile, che attrae e spaventa inesorabilmente. Qualcosa a cui non ci si può sottrarre.
Qualcosa cui non si vuole davvero fuggire.
Il ragazzino tremò violentemente. Era appena un bambino, lui, come poteva sopportare tutto quello?
Implorò il maestro di fermarsi, perché era stanco. Ed aveva freddo.
E pianse, il respiro rotto dai singhiozzi, mentre la tempesta sembrava volerlo dilaniare.
Hyoga sospirò, ed aprì gli occhi.
“Perché sei qui, Kouyuki?”
Chiese, con quella voce sottile che pareva più fredda e tagliente dei cristalli di ghiaccio che il suo cosmo domava.
“Per… per diventare cavaliere.”
Rispose, il bambino, chinando il capo. Non riusciva a sostenere il suo sguardo, non ci riusciva mai.
Sembrava così algido, così lontano. Una figura irraggiungibile, come quella di un dio.
Era lì, a pochi passi, e gli indicava la strada. Ma lui non poteva toccarlo. Non poteva affiancarlo.
“Perché vuoi diventarlo?”
Incalzò, una nota di qualcosa che poteva essere confusa con la rabbia a distorcere le parole.
“Per mio fratello.” Si rassegnò il minore, sapendo che sarebbe stato sgridato.
“È morto. Cosa puoi fare per un morto?”
Gli si strinse il cuore, a quelle parole, ferito dal suo stesso ghiaccio.
La sua stessa anima gli gridava di smetterla, di dar tregua a quell’apprendista, di fermarsi e piangere. Semplicemente piangere.
Ma ovviamente lui questo non lo fece, e restò lì, immobile, lo sguardo fisso sull’esile figura che stava cercando di plasmare.
“Io… io…”
Lo sapeva, Kouyuki, quello che voleva dire. Lo sapeva, eppure le parole non abbandonavano le sue labbra.
Gli morivano in gola, soffocate dalle lacrime e dal freddo.
Freddo che gli entrava nelle vene, e che lo uccideva lentamente.
La tempesta cessò, ed il cigno chinò il capo.
“Sei qui già da tre anni.” Disse, con un po’ di frustrazione.
“Torniamo a casa. Riproverai domani.”
Decise, cominciando a camminare senza aspettarlo. Doveva imparare a tenere il passo.
E lui restò fermo per un istante, osservando la sua schiena che si allontanava, riconoscendo una distaccata delusione nel suo passo.
“Riproverò domani.”
Si fece coraggio, e tenne il passo.
~
Era un bravo maestro, Hyoga, secondo lui. Anche se delle volte era troppo severo, o troppo freddo.
Era un bravo maestro, perché, quando lui sveniva nella neve,  lo prendeva in braccio e lo riportava a casa.
Lo avvolgeva con le spesse coperte all’interno dell’abitazione, accendeva il camino, gli preparava qualcosa di caldo. E, quando si svegliava, gli sorrideva, e lo rassicurava.
Non diceva mai di essere stato troppo rigido, questo no. Gli diceva che la prossima volta resisterà di più, però.
E lui resisteva. E presto non fu più in grado di distinguere se lo facesse per diventare cavaliere, o per vedere quella debole scintilla d’orgoglio che gli illuminava gli occhi.
Occhi che erano sempre velati di malinconia. Tristezza, delusione, frustrazione.
E Kouyuki non capiva mai quale fosse l’origine di quelle emozioni, e se ne sentiva erroneamente responsabile.
Però lo vedeva, ogni sera, quando, prima di andare a letto, il cigno sfiorava con le dita una sfera di cristallo, che custodiva un bucaneve dello stesso materiale.
Quand’era appena arrivato, aveva pensato potesse essere un po’ come la storia della rosa protetta dalla cupola di vetro, quella che perdendo i petali scandiva il tempo di un principe delle fiabe di cui non ricordava il nome. Non gli erano mai piaciute particolarmente, le fiabe.
Però il bucaneve non li perdeva, i petali di ghiaccio. Se ne stava lì, immutabile, avvolto dalla candida neve che riempiva la sfera.
“Maestro… cos’è quello?”
Chiese, e giurò di aver visto le sue spalle irrigidirsi. E si pentì di aver domandato.
“Un regalo.”
E si morse la lingua, per non chiedere da parte di chi fosse.
Si limitò ad accoccolarsi meglio sul divano, stringendosi nelle coperte e benedicendo il calore del camino.
Immaginò si trattasse di uno dei suoi vecchi compagni, quelli di cui non parlava mai, e chiuse gli occhi.
Di lì a poco, lo sapeva, il biondo avrebbe cominciato a canticchiare una vecchia canzone in russo. Una di quelle che parlavano di dolore e di speranza.
  ~

Hyoga osservò il bambino dormire sul suo divano, i capelli rossi sparsi sui cuscini, ed accennò un sorriso.
Lo sollevò facendo attenzione a non svegliarlo, portandolo nella stanza che una volta era la sua, e lo sistemò a letto.
Non si riteneva un buon maestro, lui.
Non aveva mai imparato ad essere completamente distaccato, ad essere freddo ed impassibile.
E la somiglianza di quel bambino con l’uomo a cui doveva tutto, di certo non lo aiutava.
Come poteva impartirgli una lezione che lui non aveva mai appreso?

Sospirò, uscendo dalla camera e chiudendosi la porta alle spalle.
Cygnus Hyoga, uno dei 5 cavalieri che erano praticamente diventati una leggenda.
Un cavaliere della speranza che, in realtà, cavaliere non avrebbe mai dovuto diventarlo.
Un bambino che non era riuscito a superare la perdita della madre, come poteva sopportare tutti quei lutti?
La scia di morte che si era portato dietro, era un peso troppo grande per le sue giovani spalle.
Se fosse stato Isaac, ad ottenere l’armatura del cigno, forse –solo forse- , le cose sarebbero andate diversamente.
E lui non si sarebbe mai macchiato le mani con il sangue dei suoi cari.
Ancora se lo sentiva lì, tra le dita, quel liquido denso e vermiglio. Come se continuasse a scorrere inesorabilmente.

Si guardò i palmi aperti, prima di soffocare un imprecazione e stringere entrambi i pugni.
“Mi dispiace, Camus…”
 


Salve a tuuutti~
Ok, chiariamo, Kouyuki è un personaggio che potrebbe apparire in qualche shot, ed essere completamente inesistente in altre. 
Potrebbe essere l'ultima volta che lo sentite nominare, magari. Non lo so. E no, non lo so perché l'ho inventato.
Mi è uscito così e basta, non ho potere su ciò che scrivo (?) xD
Ook, spero che l'averlo inserito non vi abbia infastidito, e spero il capitolo vi sia piaciuto!
Un bacio 

                     AgelessIce

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Capitolo 3
*** Bucaneve ***


Bucaneve

-Hyoga POV-
Essere cavalieri non è semplice.
Non lo è mai stato, e dubito fortemente che mai lo diventerà.
Lo sappiamo tutti, e lo abbiamo accettato da tempo.
Abbiamo rinunciato all'infanzia. Siamo stati costretti dagli eventi a farlo.

Ma va bene. 
Quano ho cominciato gli allenamenti, la mia infanzia era già sepolta sotto metri di acqua e ghiaccio.
Era già stata divorata dal mostro di metallo.

Eppure... Eppure c'erano ancora quei rari momenti in cui non eri più un aspirante cavaliere. Quei momenti in cui eri ancora un semplice bambino.
E allora tutto diventava improvvisamente facile.

"Davvero non hai mai festeggiato il Natale, Isaac?"

Erano i primi di dicembre, quando posi quella domanda a quello che era il mio migliore amico.
Ed era tardi. Talmente tanto che anche Camus era andato a letto da tempo.

"Davvero. Ma non è un problema."

Cercava di tenere su un'espressione adulta e rigorosa, come quella del maestro.

"Non servono feste come il Natale, a noi cavalieri."

A quella frase scoppia a ridere talmente forte che probabilmente svegliai anche Camus, che dormiva nell'altra stanza.
Ed il mio migliore amico sgranò gli occhi, affrettandosi poi a tapparmi la bocca con le mani.

"Sei impazzito? Se ci sente viene qui e ci ammazza!"

Strepitò, cercando di urlare a bassa voce.
Ed io sorrisi, contro la sua mano, spingendolo via per poter parlare.

"Ma noi non siamo ancora cavalieri. Ed il Natale serve a tutti."

Mi rannicchiai, tirandomi le gambe più vicine al petto che potevo, per mantenere il calore del mio corpo.

"La mamma lo amava. Faceva sempre l'albero più bello di tutta Mosca. E preparava i dolci migliori di sempre."

Cinguettai quasi, chiudendo gli occhi per rivivere quei momenti.
Poi fissai Isaac con aria speranzosa, mordendomi il labbro inferiore.

"Secondo te il maestro Camus ci lascerà festeggiare?"

Chiesi, e lui rise.

"Certo che no, Hyoga."

Sospirai, e mi decisi a mettermi a letto, godendo del calore delle pesanti coperte.

Ed Isaac probabilmente si sentì in colpa, perché io non ridevo spesso, non speravo.
E lui aveva appena distrutto la possibilità che lo facessi ancora.
Mi scompigliò i capelli, come farebbe un fratello maggiore, e mi sorrise con gentilezza.

"Magari mi sbaglio. Magari ci lascia festeggiare."

Mormorò, tornando al suo letto.

"Altrimenti possiamo sempre farlo di nascosto."

Propose allegro, prima di addormentarsi.

Passammo i 20 giorni seguenti a cercare di organizzare qualcosa, rinunciando al consenso dell'acquario al suo primo categorico no.

La moglie del locandiere ci regalava qualcosa ogni volta che scendevamo al villaggio, raccomandandoci di non farci scopri.
Talvolta ci riempiva di decorazioni, altre di dolcetti. 
E dovetti faticare parecchio, per nascondere tutto. E per tenere Isaac lontano dai dolci secchi.

Ci allenavamo duramente, in quel periodo. Forse addirittura più del solito.
Ci stancavamo talmente tanto che a sera crollavamo subito, a volte saltando anche la cena.
E non avevo nemmeno gli incubi. Non sognavo assolutamente nulla.

E poi venne la vigilia, e Camus sparì.
Letteralmente.
Ci svegliammo, e lui non c'era. Nè era fuori ad aspettarci.
E fu una giornata strana, quella.
Eravamo abituati all'assenza del maestro, che spesso doveva tornare in Grecia.
Ma ci avvisava sempre. Ci diceva esattamente quando sarebbe tornato, e si raccomandava di non interrompere gli allenamenti.
Ed in più, non partiva mai in pieno inverno. Isaac lo aveva confermato, quando glielo chiesi.
Faceva più freddo,  le tempeste erano ancora più cruente.
E noi eravamo ancora piccoli, e non si fidava a lasciarci con quel tempo.

E quella fu una giornata particolarmente gelida.
Il ghiaccio trasportato dal vento s'infrangeva contro le pareti di casa con più violenza del solito, producendo un rumore assordante e fastidioso.
Ricordo che quasi temetti che venissero giù le pareti.

"Gran bella vigilia, eh, Hyoga?"

Rideva, Isaac, divertito da quella situazione.
Lui si allenava da più tempo di me, aveva già visto tempeste come quella.
Io, invece, ero spaventato.
C'era un tempo come quello, quando la nave è affondata.
E certamente l'assenza di Camus non aiutava.

Tornò a casa solo a tarda sera.
Trascinandosi dietro un albero come se nulla fosse. 
Lo piazzò al centro del salone, ordinandoci di fare qualcosa per renderlo meno spento.

Lo sapeva, lui, che quella donna ci aveva dato delle decorazioni.
Sapeva sempre ogni cosa, in realtà, ed io non credo capirò mai come facesse.

Non mi sgridò nemmeno per le lacrime, quella volta.
Perché io piangevo, quando è arrivato. Ma lui ha fatto finta di non notarlo.

Mi asciugai presto il viso, correndo con Isaac  a prendere dolcetti e decori.
Camus ci aiutò persino a decorare l'albero, sollevandoci per permetterci di raggiungere i rami a cui non arrivavamo da soli.
Ci tenne svegli fino a mezzanotte, ordinandoci di sistemare il casino che avevamo combinato, ignorando bellamente le preteste di Isaac, che lo accusava di essere stato nostro complice.
Ed alla fine tirò fuori dalle tasche due piccoli pacchetti, porgendoceli con l'accenno di un sorriso.

Isaac fu il primo ad aprirlo.
Conteneva degli scaldamuscoli blu, simili ai suoi, ed una copia tascabile del suo libro preferito.
Ed il mio migliore amico lo guardò con stupore, prima di stringerlo in un abbraccio veloce che lasciò l'acquario di sasso.

"Apri il tuo, andiamo!"
Mi incitò poi, gli occhi che ancora gli brillavano.

Scartai quel regalo con una lentezza ed un'attenzione straordinaria, di quelle che si riservano agli oggetti sacri, sotto lo sguardo curioso del mio compagno.

Degli scaldamuscoli di una strana tonalità di arancione, di un tessuto caldo e morbido, avvolti attorno ad una di quelle sfere con la neve finta.
Dentro, un bucaneve di cristallo. O ghiaccio.

"Grazie, maestro."
Mormorai, senza staccare gli occhi da quell'oggetto.

"Buon Natale, Hyoga."
 

Ook, si, lo so che sono tanto tanto in ritardo. Ma non ho avuto proprio tempo per aggiornare prima!
Volevo fare per Natale anch'io, quindi è una cosina semplice e senza pretese. E si, lo so che oggi è 6, ma questo è un dettaglio irrilevante.
Il Natale è sempre dentro di noi (?)

Buone feste passate (?) e buon anno a tutti! :D

 

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