Da Fenice divenni la metà di niente

di Noth_ing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ricordi sono lo scriba dell'anima ***
Capitolo 3: *** Il buongiorno... ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


«Dai! Ti prego, domani è sabato! Perché non vuoi uscire? Andremo in un pub e ci divertiremo! Magari troveremo anche qualche figo! »
Eccola, ormai non so più da quant’è che dura questa specie di ramanzina mal riuscita. Non so perché sopporto ancora  la sua vocina stridula! No, in realtà lo so: lo avevo promesso a Lei, che era la mia Ciccia, il mio punto ferm-…
«Paola! Ogni volta inventi solo scuse! “Devo preparare gli esami”, “devo lavorare”, “sono stanca perché ho lavorato molto”.»
Eccola. Di nuovo. La sua voce mi riporta davanti all’entrata dell’università, almeno, sta volta, mi ha aiutata a non perdermi nei miei pensieri.
Prima che continui il suo monologo, l’interrompo infastidita dalle sue accuse.
«Van, ormai abbiamo 23 anni, ma tu sei rimasta la solita bambina, sembra che solo io sia cresciuta. E poi, sai che le mie non sono scuse! Ora, se mi vuoi scusare, ho un corso da seguire.»
Prima che Vanessa possa aggiungere una sola parola, ero già andata via.
Odio quando le persone insistono, è come se non avessero rispetto per me, come se la mia scelta, a prescindere, fosse sbagliata. Però odio anche comportami in modo freddo. Con lei mi viene naturale. Nel mio inconscio so che sarebbe stata lei la Sua scelta, anche se Lei ha sempre detto che non avrebbe mai potuto scegliere una di noi due.
E così è stato riflettendoci. Lei non ha scelto. È stata la vita a scegliere per noi.
Senza accorgermene arrivo nell’aula 7, dove avrei seguito la lezione della Repucci, prof. di Storia e critica del cinema, ma mi accorgo che sono troppo in anticipo, e, purtroppo per me, iniziano a passarmi davanti agli occhi, proprio come un film, i ricordi da quando tutto è finito. O iniziato. Questione di punti di vista.

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Capitolo 2
*** I ricordi sono lo scriba dell'anima ***


7 Giugno 2005.
V ginnasio.

Mi trovavo in classe ad aspettare il professore dell'ultima ora. Accanto a me c'erano quella rompicoglioni di Vanessa e Lei. Ormai, difficilimente pronuncio il suo nome, anche se pensandoci non l'ho mai fatto. Per me lei era, e sempre è Ciccia. Questo soprannome le è sempre stato sulle palle e, lo ammetto, la chiamavo così proprio per infastidirla. Purtroppo questo divertimento per me è durato poco, perché da persona matura qual era, faceva l'indifferente, o forse si era abiutuata e, magari, pure affezionata a quel nomignolo che le avevo affibiato.
Il professore entrò in classe e iniziò a spiegare, ma ovviamente, non seguii. Il mio atteggiamento in classe non era esemplare, ma per i voti non mi sono mai dovuta sforzare più di tanto, mi è sempre bastata la mia bella media del 7.57 raggiunta con il minimo sforzo. Appena suonò la campanella, ricordo che ci catapultammo fuori dalla classe con la delicatezza di una massa di ippopotami in cristalleria, per un attimo avevo creduto che i ragazzi si sarebbero buttati dalla finestra pur di uscire dall'aula.
Credete fosse l'ultimo giorno di lezione? No, ma ci siete andati vicini. Era appena finita la penultima settimana di scuola, ma per noi era l'ultima settimana.
Non potrei mai dimenticare quanto io abbia temuto e atteso quell'estate. Più o meno a Gennaio avevo fatto la richiesta per entrare in una delle scuole private più prestigiose del Paese, ad Aprile avevo superato i preselettivi, e in quel periodo mi toccava passare una settimana fuori città per fare il test vero e proprio.


3 Agosto 2005

«Muori. Muori. Muori. No, no! Cavolo, ho perso ancora!»
Purtroppo da piccola- anche adesso- ero un maschiaccio, e da tale stavo giocando con l'xbox. Appena il Mostro di pietra mi sconfisse suonarono al campanello, andai ad aprire e mi trovai davanti l'ultima persona che avrei sperato di vedere. Quella che appena vista mi fece battere a mille il cuore. Quella che mi fece bloccare il respiro in gola. Quella che mi fece spalancare gli occhi dallo stupore di verderla.
Il mio ragazzo? No, ritentate.
Il ragazzo per cui avevo una cotta? Sarete più fortunati la prossima volta.
Il postino? Esatto!
Il sudetto mi porge una raccomandata.
Raccomandata su cui c'è scritto il mio nome.
Porca. Miseria.
Raccomandata che arrivava dalla scuola privata.
La voce di mio padre mi fa spaventare, ma noto che la sua voce ha una nota di preoccupazione.
E certo, Paola, immagina trovare tua figlia in catalessi, cosa faresti?!
«Paola? Quella è la lettera dalla scuola, vuoi che la apra io?»
Senza neanche sentire mio padre vado in salotto come un'automa, apro la lettera e inizio a scorrere le parole stampate nero su bianco.
Mia madre corre verso di me e mi abbraccia, sussurandomi parole di conforto.
«Dai, piccola, non piangere, non fa nulla, sei stata fantastica già ad essere arrivata fino a quel punto. Siamo comunque orgoliosi di te. Non sanno che grande errore hanno fatto a non accettarti.»
Un momento. Lacrime? Grande errore a non accettarmi? Ma di che diamine sta blaterando?
Nel frattempo, mio padre aveva preso la lettera dalle mie mani, dopo aver concluso di leggere l'ultima riga, credo, mi guarda con mal celato orgoglio, a quel punto pensai che anche mia madre avrebbe dovuto sapere cosa c'era scritto nella lettera.
«Mamma? Vedi che sono stata accettata.»
Non finisco neanche di conculdere la frase che mia madre urla come un'ossessa, tanto che mi stava quasi per perforare un timpano.
Un tipo molto più tranquillo mio padre, semplicemente mi abbraccia, uomo di poche parole, lui, sì.
Come percossa da una scarica elettrica corro in camera a telefonarla. Avrebbe dovuto saperlo anche lei prima di dirlo agli altri. Dopo che le dico di essere stata accettata alla scuola privata, e qualcuno dall'alto, non contento del mio timpano perforato da mia madre, mi perfora il timpano integro per mezzo dell'urlo da bashee che caccia la mia Ciccia.
Da sedicenni iniziammo a pensare come sarebbe stato da quel momento in poi, quello che sarebbe accaduto, be', in pratica iniziammo a sognare.
Purtroppo per noi, per me, quel momento, era la calma prima della tempesta.


5 Settembre.
Stazione.

«Ehi bella, ricordati di noi ora che vai in quella scuola per figli di papà, mi raccomando!»
Dalia. Persona molto silenziosa, certo. Ma chi ci crede?
I mei erano già in treno, loro mi avrebbero accompaganta fino alla nuova scuola, purtroppo non  avrebbero potuto fare la stessa cosa la banda di pazzi di cui mi circondavo. Sapevo che non avrei potuto rivederli fino alle vacanze di Natale.
«Cucc, lo so che già ti manco, ma non fare quella faccia da cucciolo abbandonata, perché fino a prova contraria sei tu che abbandoni noi!»
Non avrei abbandonato nessuno. Semplicemente, avevo scelto il mio futuro.
Io non avrei abbandonato nessuno. Ma la felicità avrebbe abbandonato me, insieme a qualcosa di importante.
Salutai tutti frettolosamente, il treno non aspettava di certo me.
Come poi, non avrebbe fatto la vita.

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Capitolo 3
*** Il buongiorno... ***


«Signorina? Signorina? Le serve un chiarimento riguardo alla lezione?»
Merda, non mi ero accorta che il corso era cominciato e anche finito. Dico alla Repucci la prima scusa che mi passa per la mente.
«No, mi scusi, stavo riflettendo sull'argomento, comunque grazie.»
Per essere più convincente le sorrido e mi allontano dall'aula velocemente, mi dirigo ai bagni per rinfrescarmi il viso. Purtroppo, ricordare non è la cosa migliore per me; ormai fa tutto parte del passato, nulla può ricondurmi ad esso, mi provoca solo dolore, quindi perché non riesco a non pensarci di tanto in tanto? Ora devo anche recuperare gli appunti da qualcuno, dato che a causa del mio cervello non ho ascoltato nemmeno una parola della spiegazione.
Cioccolato. Ho bisogno di cioccolato, quindi vado al bar dell'università a mettere qualcosa sotto i denti così, almeno, riuscitò a seguire attentamente l'ultimo corso del giorno, nonché della settimana.


«Paola? Scusami, potresti prestarmi il tuo block notes, per favore? Mi sono distratta di nuovo a metà lezione, quindi...»
Carlotta. Ha la mia età, non siamo grandi amiche, ma spesso ci scambiamo gli appunti del corso che è appena finito. Peccato che non segue anche quello della Repucci, avrei potuto chiedere i suoi appunti.
Le sorrido mentre le do il block.
«Eh, Carlotta, l'amour! Non mi hai ancora presentato il ragazzo che occupa la tua testolina riccia, potrei offendermi, sai?»
Non siamo amiche, ma mi piace scherzare con lei, è un tipo molto socievole.
«Lo so, ma... Luca è sempre fuori città per lavoro, già è tanto se lo vedo io.»
Ammicco nella sua direzione.
«Non preoccuparti, scherzavo. Dai, oggi è venerdì, è appena finita la settimana, mi raccomando: divertiti durante il week-end! Il block-notes puoi restituirmelo anche venerdì prossimo, tanto non ho più lezione con il Soldarini.»
Già, finalmente è finita la settimana, posso andare a casa a mangiare che sto morendo di fame! Mi dirigo verso il parcheggio dove avevo posaro l'auto stamattina, ma mi blocco un attimo vedendo un ragazzo appoggiato alla fiancata. Mi sembra di conoscerlo, almeno di vista, ma non ricordo dove l'ho incontrato. Credo che sia un amico di Van, sì. Accidenti, me lo presentò una volta, come diamine si chiama?!
Alessandro?
Fabio?
Daniele?

Mi toglie ogni dubbio quando vede avvicinarmi a lui, perché mi viene incontro con la mano tesa, presentandosi.
«Ciao, io sono un amico di Vanessa -appunto-, Francesco -ci ho proprio azzeccato, eh?- non so se ti ricordi di me.»
«Sì, ricordo vagamente. Comunque, piacere Pao-...»
«Paola. Sì, lo so, frequentiamo anche lo stesso corso di laboratorio di scrittura.»
Ma quanto odio la gente che mi interrompe!
Un momento... Ha detto che frequenta il mio stesso corso?! Che figura di merda... Non l'ho mai visto.

Gli sorrido imbarazzata.
«Ah, scusa non ci avevo mai fatto caso. Comunque, se cerchi Van credo che sia già andata via, oggi aveva solo un corso.»
Faccio per avvicinarmi allo sportello del guidatore della mia auto, ma la voce di Francesco mi ferma.
«No, in realtà non sto aspettando Vanessa.» Dice sorridendo.
«Capisco, e allora potrei sapere perché eri appoggiato alla macchina?»
Mh, qualquadra non cosa.
«Che domanda stupida, bambina. È ovvio, no? Aspettavo te!»
Uno: bambina a chi?!
Due: aspettavo te?! Ma chi lo conosce!
Tre: ...non c'è un punto tre, in effetti.

Credo che la roba chimica che ha usato per farsi quei capelli colorati abbia intaccato seriamente la sua salute mentale. 
Credo che sul mio viso sia comparso un punto interrogativo, come negli anime, dato che mi da spiegazioni senza che io le abbia ancora chieste.
«Allora, Vanessa mi ha detto che avevi bisogno di uscire in buona compagnia e di distrarti un pò. Quindi: eccomi qui! »
Quattr-... sì, li conosco i numeri, voglio solo contare le stupidaggini che dice sto tizio. Riprendiamo.
Quattro: bisogno di uscire?!

Cinque: buona compagnia? Lui? Certo.
Sei: eccomi qui?! Ma chi ti ha chiamato?!

«Senti, ehm, grazie del pensiero, e se senti Vanessa, ringrazia pure lei da parte mia -dico ironicamente- ma non ho bisogno di nulla, nè di uscire con te, nè... nè di niente, eh.»
Lo saluto velocemente, prima che possa sprarare altre stupidaggini, metto in moto l'auto e mi dirigo, finalmente, verso casa.
Durante il tragitto che dura circa venti minuti, ripenso alle cose che il tizio strano mi ha detto. L'ha mandato Vanessa. Perché?! Lo so che mi vuole aiutare e che, strano a dirsi, lo fa per il mio bene, ma lo fa nel modo sbagliato.
Come fa a non capire che chi si è frantumato in mille pezzi, difficilmente si riuscirà a ricomporre?

 

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